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ItaloSvevo

(EttoreSchmitz)



LACOSCIENZA

DIZENO







1.Prefazione

Iosono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parolepoco lusinghiere. Chi di psico-analisi s'intendesa dove piazzarel'antipatia che il paziente mi dedica.

Dipsico-analisi non parlerò perché qui entro se ne parlagià a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il miopaziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi dipsico-analisi arricceranno il naso a tanta novità. Ma egli eravecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passato sirinverdisseche l'autobiografia fosse un buon preludio allapsico-analisi. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perché miha dato dei risultati insperatiche sarebbero stati maggiori se ilmalato sul più bello non si fosse sottratto alla curatruffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi di questememorie.

Lepubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia peròch'io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii che ricaveròda questa pubblicazione a patto egli riprenda la cura. Sembrava tantocurioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebberorisultargli dal commento delle tante verità e bugie ch'egli haqui accumulate!... DOTTOR S.



2.Preambolo

Vederela mia infanzia? Più di dieci lustri me ne separano e i mieiocchi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora neriverbera non fosse tagliata da ostacoli d'ogni generevere altemontagne: i miei anni e qualche mia ora.

Ildottore mi raccomandò di non ostinarmi a guardare tantolontano. Anche le cose recenti sono preziose per essi e sopra tuttole immaginazioni e i sogni della notte prima. Ma un po' d'ordine purdovrebb'esserci e per poter cominciare ab ovoappenaabbandonato il dottore che di questi giorni e per lungo tempo lasciaTriestesolo per facilitargli il compitocomperai e lessi untrattato di psico-analisi. Non è difficile d'intenderlomamolto noioso.

Dopopranzatosdraiato comodamente su una poltrona Clubho la matita eun pezzo di carta in mano. La mia fronte è spianata perchédalla mia mente eliminai ogni sforzo. Il mio pensiero mi appareisolato da me. Io lo vedo. S'alzas'abbassa... ma è la suasola attività. Per ricordargli ch'esso è il pensiero eche sarebbe suo compito di manifestarsiafferro la matita. Ecco chela mia fronte si corruga perché ogni parola è compostadi tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca ilpassato.

Ieriavevo tentato il massimo abbandono. L'esperimento finì nelsonno più profondo e non ne ebbi altro risultato che un granderistoro e la curiosa sensazione di aver visto durante quel sonnoqualche cosa d'importante. Ma era dimenticataperduta per sempre.

Mercéla matita che ho in manoresto destooggi. Vedointravvedo delleimmagini bizzarre che non possono avere nessuna relazione col miopassato: una locomotiva che sbuffa su una salita trascinando delleinnumerevoli vetture; chissà donde venga e dove vada e perchésia ora capitata qui!

Neldormiveglia ricordo che il mio testo asserisce che con questo sistemasi può arrivar a ricordare la prima infanziaquella in fasce.Subito vedo un bambino in fascema perché dovrei essere ioquello? Non mi somiglia affatto e credo sia invece quello nato pochesettimane or sono a mia cognata e che ci fu fatto vedere quale unmiracolo perché ha le mani tanto piccole e gli occhi tantograndi. Povero bambino! Altro che ricordare la mia infanzia! Io nontrovo neppure la via di avvisare teche vivi ora la tuadell'importanza di ricordarla a vantaggio della tua intelligenza edella tua salute. Quando arriverai a sapere che sarebbe bene tusapessi mandare a mente la tua vitaanche quella tanta parte di essache ti ripugnerà? E intantoinconsciovai investigando iltuo piccolo organismo alla ricerca del piacere e le tue scopertedeliziose ti avvieranno al dolore e alla malattia cui sarai spintoanche da coloro che non lo vorrebbero. Come fare? Èimpossibile tutelare la tua culla. Nel tuo seno - fantolino! - si vafacendo una combinazione misteriosa. Ogni minuto che passa vi gettaun reagente. Troppe probabilità di malattia vi sono per teperché non tutti i tuoi minuti possono essere puri. Eppoi -fantolino! - sei consanguineo di persone ch'io conosco. I minuti chepassano ora possono anche essere purimacertotali non furonotutti i secoli che ti prepararono.

Eccomiben lontano dalle immagini che precorrono il sonno. Ritenteròdomani.



3.Il fumo

Ildottore al quale ne parlai mi disse d'iniziare il mio lavoro conun'analisi storica della mia propensione al fumo:

-Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero.

Credoche del fumo posso scrivere qui al mio tavolo senz'andar a sognare suquella poltrona. Non so come cominciare e invoco l'assistenza dellesigarette tutte tanto somiglianti a quella che ho in mano.

Oggiscopro subito qualche cosa che più non ricordavo. Le primesigarette ch'io fumai non esistono più in commercio. Intornoal '70 se ne avevano in Austria di quelle che venivano vendute inscatoline di cartone munite del marchio dell'aquila bicipite. Ecco:attorno a una di quelle scatole s'aggruppano subito varie persone conqualche loro trattosufficiente per suggerirmene il nomenonbastevole però a commovermi per l'impensato incontro. Tento diottenere di più e vado alla poltrona: le persone sbiadiscono eal loro posto si mettono dei buffoni che mi deridono. Ritornosconfortato al tavolo.

Unadelle figuredalla voce un po' rocaera Giuseppeun giovinettodella stessa mia etàe l'altramio fratellodi un anno dime più giovine e morto tanti anni or sono. Pare che Giuseppericevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse di quellesigarette. Ma sono certo che ne offriva di più a mio fratelloche a me. Donde la necessità in cui mi trovai di procurarmeneda me delle altre. Così avvenne che rubai. D'estate mio padreabbandonava su una sedia nel tinello il suo panciotto nel cuitaschino si trovavano sempre degli spiccioli: mi procuravo i diecisoldi occorrenti per acquistare la preziosa scatoletta e fumavo unadopo l'altra le dieci sigarette che contenevaper non conservare alungo il compromettente frutto del furto.

Tuttociò giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorgesolo ora perché non sapevo prima che potesse avere importanza.Ecco che ho registrata l'origine della sozza abitudine e (chissà?)forse ne sono già guarito. Perciòper provareaccendoun'ultima sigaretta e forse la getterò via subitodisgustato.

Poiricordo che un giorno mio padre mi sorprese col suo panciotto inmano. Iocon una sfacciataggine che ora non avrei e che ancoraadesso mi disgusta (chissà che tale disgusto non abbia unagrande importanza nella mia cura) gli dissi che m'era venuta lacuriosità di contarne i bottoni. Mio padre rise delle miedisposizioni alla matematica o alla sartoria e non s'avvide che avevole dita nel taschino del suo panciotto. A mio onore posso dire chebastò quel riso rivolto alla mia innocenza quand'essa nonesisteva piùper impedirmi per sempre di rubare. Cioè...rubai ancorama senza saperlo. Mio padre lasciava per la casa deisigari virginia fumati a mezzoin bilico su tavoli e armadi. Iocredevo fosse il suo modo di gettarli via e credevo anche di sapereche la nostra vecchia fantescaCatinali buttasse via. Andavo afumarli di nascosto. Già all'atto d'impadronirmene venivopervaso da un brivido di ribrezzo sapendo quale malessere m'avrebberoprocurato. Poi li fumavo finché la mia fronte non si fossecoperta di sudori freddi e il mio stomaco si contorcesse.

Nonsi dirà che nella mia infanzia io mancassi di energia.

Soperfettamente come mio padre mi guarì anche diquest'abitudine. Un giorno d'estate ero ritornato a casa daun'escursione scolasticastanco e bagnato di sudore. Mia madrem'aveva aiutato a spogliarmi eavvoltomi in un accappatoiom'avevamesso a dormire su un sofà sul quale essa stessa sedetteoccupata a certo lavoro di cucito. Ero prossimo al sonnoma avevogli occhi tuttavia pieni di sole e tardavo a perdere i sensi. Ladolcezza che in quell'età s'accompagna al riposo dopo unagrande stanchezzam'è evidente come un'immagine a sétanto evidente come se fossi adesso là accanto a quel carocorpo che più non esiste.

Ricordola stanza fresca e grande ove noi bambini si giuocava e che orainquesti tempi avari di spazioè divisa in due parti. In quellascena mio fratello non appareciò che mi sorprende perchépenso ch'egli pur deve aver preso parte a quell'escursione e avrebbedovuto poi partecipare al riposo. Che abbia dormito anche luiall'altro capo del grande sofà? Io guardo quel postoma misembra vuoto. Non vedo che mela dolcezza del riposomia madreeppoi mio padre di cui sento echeggiare le parole. Egli era entrato enon m'aveva subito visto perché ad alta voce chiamò:

-Maria!

Lamamma con un gesto accompagnato da un lieve suono labbiale accennòa mech'essa credeva immerso nel sonno su cui invece nuotavo inpiena coscienza. Mi piaceva tanto che il babbo dovesse imporsi unriguardo per meche non mi mossi.

Miopadre con voce bassa si lamentò:

-Io credo di diventar matto. Sono quasi sicuro di aver lasciatomezz'ora fa su quell'armadio un mezzo sigaro ed ora non lo trovo più.Sto peggio del solito. Le cose mi sfuggono.

Purea voce bassama che tradiva un'ilarità trattenuta solo dallapaura di destarmimia madre rispose:

-Eppure nessuno dopo il pranzo è stato in quella stanza.

Miopadre mormorò:

-È perché lo so anch'ioche mi pare di diventar matto!

Sivolse ed uscì.

Ioapersi a mezzo gli occhi e guardai mia madre. Essa s'era rimessa alsuo lavoroma continuava a sorridere. Certo non pensava che miopadre stesse per ammattire per sorridere così delle sue paure.Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo ricordai subitoritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie.

Nonfu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile di soddisfareil mio vizioma le proibizioni valsero ad eccitarlo.

Ricordodi aver fumato moltocelato in tutti i luoghi possibili. Perchéseguito da un forte disgusto fisicoricordo un soggiorno prolungatoper una mezz'ora in una cantina oscura insieme a due altri fanciullidi cui non ritrovo nella memoria altro che la puerilità delvestito: Due paia di calzoncini che stanno in piedi perchédentro c'è stato un corpo che il tempo eliminò. Avevamomolte sigarette e volevamo vedere chi ne sapesse bruciare di piùnel breve tempo. Io vinsied eroicamente celai il malessere che miderivò dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all'aria.Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito.

Mirimisi e mi vantai della vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disseallora:

-A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quantom'occorre.

Ricordola parola sana e non la faccina certamente sana anch'essa che a medoveva essere rivolta in quel momento.

Maallora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore elo stato in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tuttociò fu peggio. E lo seppi a vent'anni circa. Allora soffersiper qualche settimana di un violento male di gola accompagnato dafebbre. Il dottore prescrisse il letto e l'assoluta astensione dalfumo. Ricordo questa parola assoluta! Mi ferì e lafebbre la colorì: Un vuoto grande e niente per resistereall'enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto.

Quandoil dottore mi lasciòmio padre (mia madre era morta da moltianni) con tanto di sigaro in bocca restò ancora per qualchetempo a farmi compagnia. Andandosenedopo di aver passata dolcementela sua mano sulla mia fronte scottantemi disse:

-Non fumareveh!

Micolse un'inquietudine enorme. Pensai: "Giacché mi fa malenon fumerò mai piùma prima voglio farlo per l'ultimavolta". Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberatodall'inquietudine ad onta che la febbre forse aumentasse e che adogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fossero statetoccate da un tizzone ardente. Finii tutta la sigaretta conl'accuratezza con cui si compie un voto. Esempre soffrendoorribilmentene fumai molte altre durante la malattia. Mio padreandava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi:

-Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!

Bastavaquesta frase per farmi desiderare ch'egli se ne andasse prestoprestoper permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anchedi dormire per indurlo ad allontanarsi prima.

Quellamalattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo diliberarmi dal primo. Le mie giornate finirono coll'essere piene disigarette e di propositi di non fumare più eper dire subitotuttodi tempo in tempo sono ancora tali. La ridda delle ultimesigaretteformatasi a vent'annisi muove tuttavia. Meno violento èil proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggiorindulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto.Posso anzi direche da qualche tempo io fumo molte sigarette... chenon sono le ultime.

Sulfrontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fattacon bella scrittura e qualche ornato:

"Oggi2 Febbraio 1886passo dagli studii di legge a quelli di chimica.Ultima sigaretta!!".

Eraun'ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze chel'accompagnarono. M'ero arrabbiato col diritto canonico che mi parevatanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch'è la vitastessa benché ridotta in un matraccio. Quell'ultima sigarettasignificava proprio il desiderio di attività (anche manuale) edi sereno pensiero sobrio e sodo.

Persfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevoritornai alla legge.

Purtroppo! Fu un errore e fu anch'esso registrato da un'ultima sigarettadi cui trovo la data registrata su di un libro. Fu importante anchequesta e mi rassegnavo di ritornare a quelle complicazioni del miodel tuo e del suo coi migliori propositisciogliendo finalmente lecatene del carbonio. M'ero dimostrato poco idoneo alla chimica ancheper la mia deficienza di abilità manuale. Come avrei potutoaverla quando continuavo a fumare come un turco?

Adessoche son quiad analizzarmisono colto da un dubbio: che io forseabbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa lacolpa della mia incapacità? Chissà se cessando difumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forsefu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché èun modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezzalatente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezzagiovanilema senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio eche nessuno esige qualche cosa da mepasso tuttavia da sigaretta apropositoe da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi queipropositi? Come quell'igienista vecchiodescritto dal Goldonivorrei morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita?

Unavoltaallorché da studente cambiai di alloggiodovetti fartappezzare a mie spese le pareti della stanza perché le avevocoperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perchéessa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevopiù possibile di formarne in quel luogo degli altri.

Pensoche la sigaretta abbia un gusto più intenso quand'èl'ultima. Anche le altre hanno un loro gusto specialema menointenso. L'ultima acquista il suo sapore dal sentimento dellavittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro diforza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perchéaccendendole si protesta la propria libertà e il futuro diforza e di salute permanema va un po' più lontano.

Ledate sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori piùvarii ed anche ad olio. Il proponimentorifatto con la fede piùingenuatrovava adeguata espressione nella forza del colore chedoveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore.Certe date erano da me preferite per la concordanza delle cifre. Delsecolo passato ricordo una data che mi parve dovesse sigillare persempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio: "Nono giornodel nono mese del 1899". Significativa nevvero? Il secolo nuovom'apportò delle date ben altrimenti musicali: "Primogiorno del primo mese del 1901". Ancor oggi mi pare che sequella data potesse ripetersiio saprei iniziare una nuova vita.

Manel calendario non mancano le date e con un po' d'immaginazioneognuna di esse potrebbe adattarsi ad un buon proponimento. Ricordoperché mi parve contenesse un imperativo supremamentecategoricola seguente: "Terzo giorno del sesto mese del 1912ore 24". Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta.

L'anno1913 mi diede un momento d'esitazione. Mancava il tredicesimo meseper accordarlo con l'anno. Ma non si creda che occorrano tantiaccordi in una data per dare rilievo ad un'ultima sigaretta.

Moltedate che trovo notate su libri o quadri preferitispiccano per laloro deformità. Per esempio il terzo giorno del secondo mesedel 1905 ore sei! Ha un suo ritmo quando ci si pensaperchéogni singola cifra nega la precedente. Molti avvenimentianzi tuttidalla morte di Pio IX alla nascita di mio figliomi parvero degni diessere festeggiati dal solito ferreo proposito. Tutti in famiglia sistupiscono della mia memoria per gli anniversarii lieti e tristinostri e mi credono tanto buono!

Perdiminuirne l'apparenza balorda tentai di dare un contenuto filosoficoalla malattia dell'ultima sigaretta. Si dice con un bellissimoatteggiamento: "mai più!". Ma dove val'atteggiamento se si tiene la promessa? L'atteggiamento non èpossibile di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoiil tempoper menon è quella cosa impensabile che nons'arresta mai. Da mesolo da meritorna.

Lamalattiaè una convinzione ed io nacqui con quellaconvinzione. Di quella dei miei vent'anni non ricorderei gran cosa senon l'avessi allora descritta ad un medico. Curioso come si ricordinomeglio le parole dette che i sentimenti che non arrivarono a scoterel'aria.

Eroandato da quel medico perché m'era stato detto che guariva lemalattie nervose con l'elettricità. Io pensai di poterricavare dall'elettricità la forza che occorreva per lasciareil fumo.

Ildottore aveva una grande pancia e la sua respirazione asmaticaaccompagnava il picchio della macchina elettrica messa in operasubito alla prima sedutache mi disilluseperché m'eroaspettato che il dottore studiandomi scoprisse il veleno cheinquinava il mio sangue. Invece egli dichiarò di trovarmisanamente costituito e poiché m'ero lagnato di digerire edormire maleegli suppose che il mio stomaco mancasse di acidi e cheda me il movimento peristaltico (disse tale parola tante volte chenon la dimenticai più) fosse poco vivo. Mi propinòanche un certo acido che mi ha rovinato perché da allorasoffro di un eccesso di acidità.

Quandocompresi che da sé egli non sarebbe mai più arrivato ascoprire la nicotina nel mio sanguevolli aiutarlo ed espressi ildubbio che la mia indisposizione fosse da attribuirsi a quella. Confatica egli si strinse nelle grosse spalle:

-Movimento peristaltico... acido... la nicotina non c'entra!

Furonosettanta le applicazioni elettriche e avrebbero continuato tuttora seio non avessi giudicato di averne avute abbastanza. Più cheattendermi dei miracolicorrevo a quelle sedute nella speranza diconvincere il dottore a proibirmi il fumo. Chissà comesarebbero andate le cose se allora fossi stato fortificato nei mieipropositi da una proibizione simile.

Edecco la descrizione della mia malattia quale io la feci al medico:"Non posso studiare e anche le rare volte in cui vado a lettoper temporesto insonne fino ai primi rintocchi delle campane. Èperciò che tentenno fra la legge e la chimica perchéambedue queste scienze hanno l'esigenza di un lavoro che comincia adun'ora fissa mentre io non so mai a che ora potrò esserealzato".

-L'elettricità guarisce qualsiasi insonnia- sentenziòl'Esculapiogli occhi sempre rivolti al quadrante anziché alpaziente.

 

Giunsia parlare con lui come s'egli avesse potuto intendere lapsico-analisi ch'iotimidamenteprecorsi. Gli raccontai della miamiseria con le donne. Una non mi bastava e molte neppure. Ledesideravo tutte! Per istrada la mia agitazione era enorme: comepassavanole donne erano mie. Le squadravo con insolenza per ilbisogno di sentirmi brutale. Nel mio pensiero le spogliavolasciandoloro gli stivalettime le recavo nelle braccia e le lasciavo soloquando ero ben certo di conoscerle tutte.

Sinceritàe fiato sprecati! Il dottore ansava:

-Spero bene che le applicazioni elettriche non vi guariranno di talemalattia. Non ci mancherebbe altro! Io non toccherei più unRumkorff se avessi da temerne un effetto simile.

Miraccontò un aneddoto ch'egli trovava gustosissimo. Un malatodella stessa mia malattia era andato da un medico celebre pregandolodi guarirlo e il medicoessendovi riuscito perfettamentedovetteemigrare perché in caso diverso l'altro gli avrebbe fatta lapelle.

-La mia eccitazione non è la buona- urlavo io. - Proviene dalveleno che accende le mie vene!

Ildottore mormorava con aspetto accorato:

-Nessuno è mai contento della sua sorte.

Efu per convincerlo ch'io feci quello ch'egli non volle fare e studiaila mia malattia raccogliendone tutti i sintomi: - La mia distrazione!Anche quella m'impedisce lo studio. Stavo preparandomi a Graz per ilprimo esame di stato e accuratamente avevo notati tutti i testi dicui abbisognavo fino all'ultimo esame. Finì che pochi giorniprima dell'esame m'accorsi di aver studiato delle cose di cui avreiavuto bisogno solo alcuni anni dopo. Perciò dovetti rimandarel'esame. È vero che avevo studiato poco anche quelle altrecose causa una giovinetta delle vicinanze chedel restonon miconcedeva altro che una civetteria alquanto sfacciata. Quand'essa eraalla finestra io non vedevo più il mio testo. Non è unimbecille colui che si dedica ad un'attività simile? - Ricordola faccia piccola e bianca della fanciulla alla finestra: ovalecircondata da ricci ariosifulvi. La guardai sognando di premerequel biancore e quel giallo rosseggiante sul mio guanciale.

Esculapiomormorò:

-Dietro al civettare c'è sempre qualche cosa di buono. Alla miaetà voi non civetterete più.

Oggiso con certezza ch'egli non sapeva proprio niente del civettare. Neho cinquantasette degli anni e sono sicuro che se non cesso di fumareo che la psico-analisi non mi guariscala mia ultima occhiata dalmio letto di morte sarà l'espressione del mio desiderio per lamia infermierase questa non sarà mia moglie e se mia moglieavrà permesso che sia bella!

Fuisincero come in confessione: La donna a me non piaceva interama...a pezzi! Di tutte amavo i piedini se ben calzatidi molte il colloesile oppure anche poderoso e il seno se lievelieve. E continuavonell'enumerazione di parti anatomiche femminilima il dottorem'interruppe:

-Queste parti fanno la donna intera.

Dissiallora una parola importante:

-L'amore sano è quello che abbraccia una donna sola e interacompreso il suo carattere e la sua intelligenza.

 

Finoad allora non avevo certo conosciuto un tale amore e quando mi capitònon mi diede neppur esso la salutema è importante per mericordare di aver rintracciata la malattia dove un dotto vedeva lasalute e che la mia diagnosi si sia poi avverata.

Nellapersona di un amico non medico trovai chi meglio intese me e la miamalattia. Non ne ebbi grande vantaggioma nella vita una nota nuovach'echeggia tuttora.

L'amicomio era un ricco signore che abbelliva i suoi ozii con studii elavori letterari. Parlava molto meglio di quanto scrivesse e perciòil mondo non poté sapere quale buon letterato egli fosse. Eragrasso e grosso e quando lo conobbi stava facendo con grande energiauna cura per dimagrare. In pochi giorni era arrivato ad un granderisultatotale che tutti per via lo accostavano nella speranza dipoter sentire meglio la propria salute accanto a lui malato. Loinvidiai perché sapeva fare quello che voleva e m'attaccai alui finché durò la sua cura. Mi permetteva di toccarglila pancia che ogni giorno diminuivaed iomalevolo per invidiavolendo indebolire il suo proposito gli dicevo:

-Maa cura finitache cosa ne farà Lei di tutta questa pelle?

Conuna grande calmache rendeva comico il suo viso emaciato eglirispose:

-Di qui a due giorni comincerà la cura del massaggio.

Lasua cura era stata predisposta in tutti i particolari ed era certoch'egli sarebbe stato puntuale ad ogni data.

Mene risultò una grande fiducia per lui e gli descrissi la miamalattia. Anche questa descrizione ricordo. Gli spiegai che a mepareva più facile di non mangiare per tre volte al giorno chedi non fumare le innumerevoli sigarette per cui sarebbe statonecessario di prendere la stessa affaticante risoluzione ad ogniistante. Avendo una simile risoluzione nella mente non c'ètempo per fare altro perché il solo Giulio Cesare sapeva farepiù cose nel medesimo istante. Sta bene che nessuno domandach'io lavori finché è vivo il mio amministratore Olivima come va che una persona come me non sappia far altro a questomondo che sognare o strimpellare il violino per cui non ho alcunaattitudine?

Ilgrosso uomo dimagrato non diede subito la sua risposta. Era un uomodi metodo e prima ci pensò lungamente. Poi con aria dottoraleche gli competeva data la sua grande superiorità in argomentomi spiegò che la mia vera malattia era il proposito e non lasigaretta. Dovevo tentar di lasciare quel vizio senza farne ilproposito. In me - secondo lui - nel corso degli anni erano andate aformarsi due persone di cui una comandava e l'altra non era altro cheuno schiavo il qualenon appena la sorveglianza diminuivacontravveniva alla volontà del padrone per amore alla libertà.Bisognava perciò dargli la libertà assoluta e nellostesso tempo dovevo guardare il mio vizio in faccia come se fossenuovo e non l'avessi mai visto. Bisognava non combatterlomatrascurarlo e dimenticare in certo modo di abbandonarvisi volgendoglile spalle con noncuranza come a compagnia che si riconosce indegna disé. Semplicenevvero?

Infattila cosa mi parve semplice. È poi vero ch'essendo riuscito congrande sforzo ad eliminare dal mio animo ogni propositoriuscii anon fumare per varie orema quando la bocca fu nettatasentii unsapore innocente quale deve sentirlo il neonatomi venne ildesiderio di una sigaretta e quando la fumai ne ebbi il rimorso dacui rinnovai il proposito che avevo voluto abolire.

Erauna via più lungama si arrivava alla stessa meta.

Quellacanaglia dell'Olivi mi diede un giorno un'idea: fortificare il mioproposito con una scommessa.

Iocredo che l'Olivi abbia avuto sempre lo stesso aspetto che io glivedo adesso. Lo vidi sempre cosìun po' curvoma solido e ame parve sempre vecchiocome vecchio lo vedo oggidì che haottant'anni. Ha lavorato e lavora per mema io non l'amo perchépenso che mi ha impedito il lavoro che fa lui.

Scommettemmo!Il primo che avrebbe fumato avrebbe pagato eppoi ambedue avrebberoricuperato la propria libertà. Così l'amministratoreimpostomi per impedire ch'io sciupassi l'eredità di mio padretentava di diminuire quella di mia madreamministrata liberamente dame!

Lascommessa si dimostrò perniciosissima. Non ero piùalternativamente padrone ma soltanto schiavo e di quell'Olivi che nonamavo! Fumai subito. Poi pensai di truffarlo continuando a fumare dinascosto. Ma allora perché aver fatta quella scommessa? Corsiallora in cerca di una data che stesse in bella relazione con la datadella scommessa per fumare un'ultima sigaretta che così incerto modo avrei potuto figurarmi fosse registrata anche dall'Olivistesso. Ma la ribellione continuava e a forza di fumare arrivavoall'affanno. Per liberarmi di quel peso andai dall'Olivi e miconfessai.

Ilvecchio incassò sorridendo il denaro esubitotrasse ditasca un grosso sigaro che accese e fumò con grande voluttà.Non ebbi mai un dubbio ch'egli non avesse tenuta la scommessa. Sicapisce che gli altri son fatti altrimenti di me.

Miofiglio aveva da poco compiuti i tre anni quando mia moglie ebbe unabuona idea. Mi consigliòper sviziarmidi farmi rinchiudereper qualche tempo in una casa di salute. Accettai subitoprima ditutto perché volevo che quando mio figlio fosse giunto all'etàdi potermi giudicare mi trovasse equilibrato e serenoeppoi per laragione più urgente che l'Olivi stava male e minacciava diabbandonarmi per cui avrei potuto essere obbligato di prendere il suoposto da un momento all'altro e mi consideravo poco atto ad unagrande attività con tutta quella nicotina in corpo.

Dapprimaavevamo pensato di andare in Isvizzerail paese classico delle casedi salutema poi apprendemmo che a Trieste v'era un certo dottorMuli che vi aveva aperto uno stabilimento. Incaricai mia moglie direcarsi da luied egli le offerse di mettere a mia disposizione unappartamentino chiuso nel quale sarei stato sorvegliato daun'infermiera coadiuvata anche da altre persone. Parlandomene miamoglie ora sorrideva ed ora clamorosamente rideva. La divertival'idea di farmi rinchiudere ed io di cuore ne ridevo con lei. Era laprima volta ch'essa s'associava a me nei miei tentativi di curarmi.Fino allora ella non aveva mai presa la mia malattia sul serio ediceva che il fumo non era altro che un modo un po' strano e nontroppo noioso di vivere. Io credo ch'essa fosse stata sorpresagradevolmente dopo di avermi sposato di non sentirmi mai rimpiangerela mia libertàoccupato com'ero a rimpiangere altre cose.

Andammoalla casa di salute il giorno in cui l'Olivi mi disse che in nessuncaso sarebbe rimasto da me oltre il mese dopo.

Acasa preparammo un po' di biancheria in un baule e subito di seraandammo dal dottor Muli.

tEglici accolse in persona alla porta. Allora il dottor Muli era un belgiovane. Si era in pieno d'estate ed eglipiccolonervosolafaccina brunita dal sole nella quale brillavano ancor meglio i suoivivaci occhi neriera l'immagine dell'eleganzanel suo vestitobianco dal colletto fino alle scarpe. Egli destò la miaammirazionema evidentemente ero anch'io oggetto della sua.

Unpo' imbarazzatocomprendendo la ragione della sua ammirazioneglidissi:

-Già: Ella non crede né alla necessità della curané alla serietà con cui mi vi accingo.

Conun lieve sorrisoche pur mi ferìil dottore rispose:

-Perché? Forse è vero che la sigaretta è piùdannosa per lei di quanto noi medici ammettiamo. Solo non capiscoperché leiinvece di cessare ex abrupto di fumarenonsi sia piuttosto risolto di diminuire il numero delle sigarette chefuma. Si può fumarema non bisogna esagerare.

Inveritàa forza di voler cessare del tutto dal fumareall'eventualità di fumare di meno non avevo mai pensato.

Mavenuto oraquel consiglio non poteva che affievolire il mioproposito. Dissi una parola risoluta:

-Giacché è decisolasci che tenti questa cura.

-Tentare? - e il dottore rise con aria di superiorità. - Unavolta che lei vi si è accintola cura deve riuscire. Se Leinon vorrà usare della sua forza muscolare con la poveraGiovannanon potrà uscire di qua. Le formalità perliberarla durerebbero tanto che nel frattempo ella avrebbedimenticato il suo vizio.

Citrovavamo nell'appartamento che m'era destinato a cui eravamo giuntiritornando a pianoterra dopo di essere saliti al secondo piano.

-Vede? Quella porta sbarrata impedisce la comunicazione con l'altraparte del pianterreno dove si trova l'uscita. Neppure Giovanna ne hale chiavi. Essa stessa per arrivare all'aperto deve salire al secondopiano ed ha solo lei le chiavi di quella porta che si è apertaper noi su quel pianerottolo. Del restoal secondo piano c'èsempre sorveglianza. Non c'è male nevvero per una casa disalute destinata a bambini e puerpere?

Esi mise a ridereforse all'idea di avermi rinchiuso fra bambini.

ChiamòGiovanna e me la presentò. Era una piccola donnina di un'etàche non si poteva precisare e che poteva variare fra' quaranta e isessant'anni. Aveva dei piccoli occhi di una luce intensa sotto aicapelli molto grigi. Il dottore le disse:

-Ecco il signore col quale dovete essere pronta di fare i pugni.

Essami guardò scrutandomisi fece molto rossa e gridò convoce stridula:

-Io farò il mio doverema non posso certo lottare con lei. Selei minacceràio chiamerò l'infermiere ch'è unuomo forte ese non venisse subitola lascerei andare dove vuoleperché io non voglio certo rischiare la pelle!

Appresipoi che il dottore le aveva affidato quell'incarico con la promessadi un compenso abbastanza lautoe ciò aveva contribuito aspaventarla. Allora le sue parole m'indispettirono. M'ero cacciatovolontariamente in una bella posizione!

-Ma che pelle d'Egitto! - urlai.

-Chi toccherà la sua pelle? - Mi rivolsi al dottore: - Vorreiche questa donna sia avvisata di non seccarmi! Ho portati con mealcuni libri e vorrei essere lasciato in pace.

Ildottore intervenne con qualche parola di ammonimento a Giovanna. Perscusarsicostei continuò ad attaccarmi:

-Io ho delle figliuoledue e piccinee devo vivere.

-Io non mi degnerei di ammazzarla- risposi con accento che certo nonpoteva rassicurare la poverina.

Ildottore la fece allontanare incaricandola di andar a prendere non soche cosa al piano superiore eper rabbonirmimi propose di mettereun'altra persona al suo postoaggiungendo:

-Non è una cattiva donna e quando le avrò raccomandatodi essere più discretanon le darà altro motivo alagnanze.

Neldesiderio di dimostrare che non davo alcuna importanza alla personaincaricata di sorvegliarmimi dichiarai d'accordo di sopportarla.Sentii il bisogno di quietarmilevai di tasca la penultima sigarettae la fumai avidamente. Spiegai al dottore che ne avevo prese con mesolo due e che volevo cessar di fumare in punto alla mezzanotte.

Miamoglie si congedò da me insieme al dottore. Mi dissesorridendo:

-Giacché hai deciso cosìsii forte.

Ilsuo sorriso che io amavo tanto mi parve una derisione e fu proprio inquell'istante che nel mio animo germinò un sentimento nuovoche doveva far sì che un tentativo intrapreso con tantaserietà dovesse subito miseramente fallire. Mi sentii subitomalema seppi che cosa mi facesse soffrire soltanto quando fuilasciato solo. Una folleamara gelosia per il giovine dottore. Luibellolui libero! Lo dicevano la Venere fra' Medici. Perchémia moglie non l'avrebbe amato? Seguendolaquando se ne eranoandatiegli le aveva guardato i piedi elegantemente calzati. Era laprima volta che mi sentivo geloso dacché m'ero sposato. Qualetristezza! S'accompagnava certamente al mio abietto stato diprigioniero! Lottai! Il sorriso di mia moglie era il suo solitosorriso e non una derisione per avermi eliminato dalla casa. Eracertamente lei che m'aveva fatto rinchiudere pur non accordandoalcuna importanza al mio vizio; ma certamente l'aveva fatto percompiacermi. Eppoi non ricordavo che non era tanto faciled'innamorarsi di mia moglie? Se il dottore le aveva guardato i piedicertamente l'aveva fatto per vedere quali stivali dovesse comperareper la sua amante. Ma fumai subito l'ultima sigaretta; e non era lamezzanottema le ventitréun'ora impossibile per un'ultimasigaretta.

Apersiun libro. Leggevo senz'intendere e avevo addirittura delle visioni.La pagina su cui tenevo fisso lo sguardo si copriva della fotografiadel dottor Muli in tutta la sua gloria di bellezza ed eleganza. Nonseppi resistere! Chiamai Giovanna. Forse discorrendo mi sareiquietato.

Essavenne e mi guardò subito con occhio diffidente. Urlòcon la sua voce stridula: - Non s'aspetti d'indurmi a deviare dal miodovere.

Intantoper quietarlamentii e le dichiarai ch'io non ci pensavo nemmenoche non avevo più voglia di leggere e preferivo di far quattrochiacchiere con lei.

Lafeci sedere a me in faccia. Propriomi ripugnava con quel suoaspetto da vecchia e gli occhi giovanili e mobili come quelli ditutti gli animali deboli. Compassionavo me stessoper doversopportare una compagnia simile! È vero che neppure in libertàio so scegliere le compagnie che meglio mi si confacciano perchédi solito sono esse che scelgono mecome fece mia moglie.

PregaiGiovanna di svagarmi e poiché dichiarò di non sapermidir nulla che valesse la mia attenzionela pregai di raccontarmidella sua famigliaaggiungendo che quasi tutti a questo mondo neavevano almeno una.

Essaallora obbedì e incominciò col raccontarmi che avevadovuto mettere le sue due figliuole all'Istituto dei Poveri.

Iocominciavo ad ascoltare volentieri il suo racconto perché queidiciotto mesi di gravidanza sbrigati cosìmi facevano ridere.Ma essa aveva un'indole troppo polemica ed io non seppi ascoltarlaquando dapprima volle provarmi ch'essa non avrebbe potuto farealtrimenti data l'esiguità del suo salario e che il dottoreaveva avuto torto quando pochi giorni prima aveva dichiarato che duecorone al giorno bastavano dacché l'Istituto dei Poverimanteneva tutta la sua famiglia. Urlava:

-E il resto? Quando sono state provviste del cibo e dei vestitinonhanno mica avuto tutto quello che occorre! - E giù una filzadi cose che doveva procurare alle sue figliole e che io non ricordopiùvisto che per proteggere il mio udito dalla sua vocestridularivolgevo di proposito il mio pensiero ad altra cosa. Ma neero tuttavia ferito e mi parve di aver diritto ad un compenso:

-Non si potrebbe avere una sigarettauna sola? Io la pagherei diecicoronema domaniperché con me non ho neppur un soldo.

Giovannafu enormemente spaventata della mia proposta. Si mise ad urlare;voleva chiamare subito l'infermiere e si levò dal suo postoper uscire.

Perfarla tacere desistetti subito dal mio proposito ea casotanto perdire qualche cosa e darmi un contegnodomandai:

-Ma in questa prigione ci sarà almeno qualche cosa da bere?

Giovannafu pronta nella risposta econ mia meraviglia in un vero tono diconversazionesenz'urlare:

-Anzi! Il dottoreprima di uscire mi ha consegnata questa bottigliadi cognac. Ecco la bottiglia ancora chiusa. Guardiè intatta.

Mitrovavo in condizione tale che non vedevo per me altra via d'uscitache l'ubriachezza. Ecco dove m'aveva condotto la fiducia in miamoglie!

Inquel momento a me pareva che il vizio del fumo non valesse lo sforzocui m'ero lasciato indurre. Ora non fumavo già da mezz'ora enon ci pensavo affattooccupato com'ero dal pensiero di mia moglie edel dottor Muli. Ero dunque guarito del tuttoma irrimediabilmenteridicolo!

Stappaila bottiglia e mi versai un bicchierino del liquido giallo. Giovannastava a guardarmi a bocca apertama io esitai di offrirgliene.

-Potrò averne dell'altro quando avrò vuotata questabottiglia?

Giovannasempre nel più gradevole tono di conversazione mi rassicurò:- Tanto quanto ne vorrà! Per soddisfare un suo desiderio lasignora che dirige la dispensa dovrebbe levarsi magari a mezzanotte!

Ionon soffersi mai d'avarizia e Giovanna ebbe subito il suo bicchierinocolmo all'orlo.

Nonaveva finito di dire un grazie che già l'aveva vuotato esubito diresse gli occhi vivaci alla bottiglia. Fu perciò leistessa che mi diede l'idea di ubriacarla. Ma non fu mica facile!

Nonsaprei ripetere esattamente quello ch'essa mi dissedopo averingoiati varii bicchierininel suo puro dialetto triestinoma ebbitutta l'impressione di trovarmi da canto una persona chese nonfossi stato stornato dalle mie preoccupazioniavrei potuto stare asentire con diletto.

Primadi tutto mi confidò ch'era proprio così che a leipiaceva di lavorare. A tutti a questo mondo sarebbe spettato ildiritto di passare ogni giorno un paio d'ore su una poltrona tantocomodain faccia ad una bottiglia di liquore buonodi quello chenon fa male.

Tentaidi conversare anch'io. Le domandai sequand'era vivo suo maritoillavoro per lei fosse stato organizzato proprio a quel modo.

Essasi mise a ridere. Da vivo suo marito l'aveva più picchiata chebaciata ein confronto a quello ch'essa aveva dovuto lavorare perluiora tutto avrebbe potuto sembrarle un riposo anche prima ch'io aquella casa arrivassi con la mia cura.

PoiGiovanna si fece pensierosa e mi domandò se credevo che imorti vedessero quello che facevano i vivi. Annuii brevemente. Maessa volle sapere se i mortiquando arrivavano al di làrisapevano tutto quello che quaggiù era avvenuto quand'essierano stati ancora vivi.

Perun momento la domanda valse proprio a distrarmi. Era stata poi mossacon una voce sempre più soave perchéper non farsisentire dai mortiGiovanna l'aveva abbassata.

-Voidunque - le dissi - avete tradito vostro marito.

Essami pregò di non gridare eppoi confessò di averlotraditoma soltanto nei primi mesi del loro matrimonio. Poi s'eraabituata alle busse e aveva amato il suo uomo.

Perconservare viva la conversazione domandai:

-È dunque la prima delle vostre figliuole che deve la vita aquell'altro?

Semprea bassa voce essa ammise di crederlo anche in seguito a certesomiglianze. Le doleva molto di aver tradito il marito. Lo dicevamasempre ridendo perché son cose di cui si ride anche quandodolgono. Ma solo dacché era mortoperché primavistoche non sapevala cosa non poteva aver avuto importanza.

Spintovida una certa simpatia fraternatentai di lenire il suo dolore e ledissi ch'io credevo che i morti sapessero tuttoma che di certe coses'infischiassero.

-Solo i vivi ne soffrono! - esclamai battendo sul tavolo il pugno.

Neebbi una contusione alla mano e non c'è di meglio di un dolorefisico per destare delle idee nuove. Intravvidi la possibilitàche intanto ch'io mi cruciavo al pensiero che mia moglieapprofittasse della mia reclusione per tradirmiforse il dottore sitrovasse tuttavia nella casa di salutenel quale caso io avreipotuto riavere la mia tranquillità. Pregai Giovanna di andar avederedicendole che sentivo il bisogno di dire qualche cosa aldottore e promettendole in premio l'intera bottiglia. Essa protestòche non amava di bere tantoma subito mi compiacque e la sentiiarrampicarsi traballando sulla scala di legno fino al secondo pianoper uscire dalla nostra clausura.

Poiridiscesema scivolò facendo un grande rumore e gridando.

-Che il diavolo ti porti! - mormorai io fervidamente. Se essa si fosserotto l'osso del collo la mia posizione sarebbe stata semplificata dimolto.

Invecearrivò a me sorridendo perché si trovava in quellostato in cui i dolori non dolgono troppo. Mi raccontò di averparlato con l'infermiere che andava a coricarsima restava a suadisposizione a lettoper il caso in cui fossi divenuto cattivo.Sollevò la mano e con l'indice teso accompagnò quelleparole da un atto di minaccia attenuato da un sorriso. Poipiùseccamenteaggiunse che il dottore non era rientrato dacchéera uscito con mia moglie. Proprio da allora! Anzi per qualche oral'infermiere aveva sperato che fosse ritornato perché unmalato avrebbe avuto bisogno di esser visto da lui. Ora non losperava più.

Iola guardai indagando se il sorriso che contraeva la sua faccia fossestereotipato o se fosse nuovo del tutto e originato dal fatto che ildottore si trovava con mia moglie anziché con mech'ero ilsuo paziente. Mi colse un'ira da farmi girare la testa. Devoconfessare checome semprenel mio animo lottavano due persone dicui l'unala più ragionevolemi diceva: "Imbecille!Perché pensi che tua moglie ti tradisca? Essa non avrebbe ilbisogno di rinchiuderti per averne l'opportunità. "L'altra ed era certamente quella che voleva fumaremi dava pur essadell'imbecillema per gridare: "Non ricordi la comoditàche proviene dall'assenza del marito? Col dottore che ora èpagato da te!".

Giovannasempre bevendodisse: - Ho dimenticato di chiudere la porta delsecondo piano. Ma non voglio far più quei due piani. Giàlassù c'è sempre della gente e lei farebbe una bellafigura se tentasse di scappare.

-Già! - feci io con quel minimo d'ipocrisia che occorrevaoramai per ingannare la poverina. Poi inghiottii anch'io del cognac edichiarai che ormai che avevo tanto di quel liquore a miadisposizionedelle sigarette non m'importava più niente. Essasubito mi credette e allora le raccontai che non ero veramente io chevolevo svezzarmi dal fumo. Mia moglie lo voleva. Bisognava sapere chequando io arrivavo a fumare una decina di sigarette diventavoterribile. Qualunque donna allora mi fosse stata a tiro si trovava inpericolo.

Giovannasi mise a ridere rumorosamente abbandonandosi sulla sedia:

-Ed è vostra moglie che v'impedisce di fumare le diecisigarette che occorrono?

-Era proprio così! Almeno a me essa lo impediva.

Nonera mica sciocca Giovannaquand'aveva tanto cognac in corpo. Fucolta da un impeto di riso che quasi la faceva cadere dalla sediamaquando il fiato glielo permettevacon parole spezzatedipinse unmagnifico quadretto suggeritole dalla mia malattia: - Diecisigarette... mezz'ora... si punta la sveglia... eppoi...

Lacorressi:

-Per dieci sigarette io abbisogno di un'ora circa. Poi per aspettarneil pieno effetto occorre un'altra ora circadieci minuti di piùdieci di meno...

ImprovvisamenteGiovanna si fece seria e si levò senza grande fatica dalla suasedia.

Disseche sarebbe andata a coricarsi perché si sentiva un po' dimale alla testa. L'invitai di prendere la bottiglia con séperché io ne avevo abbastanza di quel liquore. Ipocritamentedissi che il giorno seguente volevo che mi si procurasse del buonvino.

Maal vino essa non pensava. Prima di uscire con la bottiglia sotto ilbraccio mi squadrò con un'occhiataccia che mi fece spavento.

Avevalasciata la porta aperta e dopo qualche istante cadde nel mezzo dellastanza un pacchetto che subito raccolsi: conteneva undici sigarettedi numero. Per essere sicurala povera Giovanna aveva volutoabbondare. Sigarette ordinarieungheresi. Ma la prima che accesi fubuonissima. Mi sentii grandemente sollevato. Dapprima pensai che micompiacevo di averla fatta a quella casa ch'era buonissima perrinchiudervi dei bambinima non me. Poi scopersi che l'avevo fattaanche a mia moglie e mi pareva di averla ripagata di pari moneta.Perchéaltrimentila mia gelosia si sarebbe tramutata in unacuriosità tanto sopportabile? Restai tranquillo a quel postofumando quelle sigarette nauseanti.

Dopouna mezz'ora circa ricordai che bisognava fuggire da quella casa oveGiovanna aspettava il suo compenso. Mi levai le scarpe e uscii sulcorridoio. La porta della stanza di Giovanna era socchiusa eagiudicare dalla sua respirazione rumorosa e regolarea me parvech'essa dormisse. Salii con tutta prudenza fino al secondo piano ovedietro di quella porta - l'orgoglio del dottor Muli- infilai lescarpe. Uscii su un pianerottolo e mi misi a scendere le scalelentamente per non destar sospetto.

Eroarrivato al pianerottolo del primo pianoquando una signorinavestita con qualche eleganza da infermierami seguì perdomandarmi cortesemente:

-Lei cerca qualcuno?

Erabellina e a me non sarebbe dispiaciuto di finire accanto a lei ledieci sigarette. Le sorrisi un po' aggressivo:

-Il dottor Muli non è in casa?

Essafece tanto d'occhi:

-A quest'ora non è mai qui.

-Non saprebbe dirmi dove potrei trovarlo ora? Ho a casa un malato cheavrebbe bisogno di lui.

Cortesementemi diede l'indirizzo del dottore ed io lo ripetei più volteper farle credere che volessi ricordarlo. Non mi sarei mica tantoaffrettato di andar viama essaseccatami volse le spalle. Venivoaddirittura buttato fuori della mia prigione.

Dabasso una donna fu pronta ad aprirmi la porta. Non avevo un soldo conme e mormorai:

-La mancia gliela darò un'altra volta.

Nonsi può mai conoscere il futuro. Da me le cose si ripetono: nonera escluso ch'io fossi ripassato per di là.

Lanotte era chiara e calda. Mi levai il cappello per sentir meglio labrezza della libertà. Guardai le stelle con ammirazione comese le avessi conquistate da poco. Il giorno seguentelontano dallacasa di saluteavrei cessato di fumare. Intanto in un caffèancora aperto mi procurai delle buone sigarette perché nonsarebbe stato possibile di chiudere la mia carriera di fumatore conuna di quelle sigarette della povera Giovanna. Il cameriere che me lediede mi conosceva e me le lasciò a fido.

 

Giuntoalla mia villa suonai furiosamente il campanello. Dapprima venne allafinestra la fantesca eppoidopo un tempo non tanto brevemiamoglie. Io l'attesi pensando con perfetta freddezza: - Sembrerebbeche ci sia il dottor Muli. - Maavendomi riconosciutomia mogliefece echeggiare nella strada deserta il suo riso tanto sincero chesarebbe bastato a cancellare ogni dubbio.

Incasa m'attardai per fare qualche atto d'inquisitore. Mia moglie cuipromisi di raccontare il giorno appresso le mie avventure ch'essacredeva di conosceremi domandò:

-Ma perché non ti corichi?

Perscusarmi dissi:

-Mi pare che tu abbia approfittato della mia assenza per cambiar diposto a quell'armadio.

Èvero ch'io credo che le cosein casasieno sempre spostate ed èanche vero che mia moglie molto spesso le spostama in quel momentoio guardavo ogni cantuccio per vedere se vi era nascosto il piccoloelegante corpo del dottor Muli.

Damia moglie ebbi una buona notizia. Ritornando dalla casa di salutes'era imbattuta nel figlio dell'Olivi che le aveva raccontato che ilvecchio stava molto meglio dopo di aver presa una medicinaprescrittagli da un suo nuovo medico.

Addormentandomipensai di aver fatto bene di lasciare la casa di salute poichéavevo tutto il tempo per curarmi lentamente. Anche mio figlio chedormiva nella stanza vicina non s'apprestava certamente ancora agiudicarmi o ad imitarmi. Assolutamente non v'era fretta.



4.Morte del padre

Ildottore è partito ed io davvero non so se la biografia di miopadre occorra. Se descrivessi troppo minuziosamente mio padrepotrebbe risultare che per avere la mia guarigione sarebbe statonecessario di analizzare lui dapprima e si arriverebbe così aduna rinunzia. Procedo con coraggio perché so che se mio padreavesse avuto bisogno della stessa curaciò sarebbe stato pertutt'altra malattia della mia. Ad ogni modoper non perdere tempodirò di lui solo quanto possa giovare a ravvivare il ricordodi me stesso.

"15.4. 1890 ore 4 1/2. Muore mio padre. U.S.". Per chi non losapesse quelle due ultime lettere non significano United Statesma ultima sigaretta. È l'annotazione che trovo su un volume difilosofia positiva dell'Ostwald sul quale pieno di speranza passaivarie ore e che mai intesi. Nessuno lo crederebbema ad onta diquella formaquell'annotazione registra l'avvenimento piùimportante della mia vita.

Miamadre era morta quand'io non avevo ancora quindici anni. Feci dellepoesie per onorarla ciò che mai equivale a piangere eneldolorefui sempre accompagnato dal sentimento che da quel momentodoveva iniziarsi per me una vita seria e di lavoro. Il dolore stessoaccennava ad una vita più intensa. Poi un sentimento religiosotuttavia vivo attenuò e addolcì la grave sciagura. Miamadre continuava a vivere sebbene distante da me e poteva anchecompiacersi dei successi cui andavo preparandomi. Una bella comodità!Ricordo esattamente il mio stato di allora. Per la morte di mia madree la salutare emozione ch'essa m'aveva procuratatutto da me dovevamigliorarsi.

Invecela morte di mio padre fu una veragrande catastrofe. Il paradiso nonesisteva più ed io poia trent'anniero un uomo finito.Anch'io! M'accorsi per la prima volta che la parte piùimportante e decisiva della mia vita giaceva dietro di meirrimediabilmente. Il mio dolore non era solo egoistico come potrebbesembrare da queste parole. Tutt'altro! Io piangevo lui e mee mesolo perché era morto lui. Fino ad allora io ero passato disigaretta in sigaretta e da una facoltà universitariaall'altracon una fiducia indistruttibile nelle mie capacità.Ma io credo che quella fiducia che rendeva tanto dolce la vitasarebbe continuata magari fino ad oggise mio padre non fosse morto.Lui morto non c'era più una dimane ove collocare il proposito.Tante voltequando ci pensoresto stupito della stranezza per cuiquesta disperazione di me e del mio avvenire si sia prodotta allamorte di mio padre e non prima. Sono in complesso cose recenti e perricordare il mio enorme dolore e ogni particolare della sventura nonho certo bisogno di sognare come vogliono i signori dell'analisi.Ricordo tuttoma non intendo niente. Fino alla sua morte io nonvissi per mio padre. Non feci alcuno sforzo per avvicinarmi a lui equando si poté farlo senz'offenderlolo evitai.All'Università tutti lo conoscevano col nomignolo ch'io glidiedi di vecchio Silva manda denari. Ci volle la malattia perlegarmi a lui; la malattia che fu subito la morteperchébrevissima e perché il medico lo diede subito per spacciato.Quand'ero a Trieste ci vedevamo sì e no per un'oretta algiornoal massimo. Mai non fummo tanto e sì a lungo insiemecome nel mio pianto. Magari l'avessi assistito meglio e pianto meno!Sarei stato meno malato. Era difficile di trovarsi insieme ancheperché fra me e luiintellettualmente non c'era nulla dicomune. Guardandociavevamo ambedue lo stesso sorriso dicompatimentoreso in lui più acido da una viva paternaansietà per il mio avvenire; in meinvecetutto indulgenzasicuro com'ero che le sue debolezze oramai erano prive diconseguenzetant'è vero ch'io le attribuivo in parte all'età.Egli fu il primo a diffidare della mia energia e- a me sembra-troppo presto. Epperò io sospettochepur senza l'appoggiodi una convinzione scientificaegli diffidasse di me anche perchéero stato fatto da luiciò che serviva - e qui con fedescientifica sicura - ad aumentare la mia diffidenza per lui.

Egligodeva però della fama di commerciante abilema io sapevo chei suoi affari da lunghi anni erano diretti dall'Olivi.Nell'incapacità al commercio v'era una somiglianza fra di noima non ve ne erano altre; posso dire chefra noi dueiorappresentavo la forza e lui la debolezza. Già quello che horegistrato in questi fascicoli prova che in me c'è e c'èsempre stato - forse la mia massima sventura - un impetuoso conato almeglio. Tutti i miei sogni di equilibrio e di forza non possonoessere definiti altrimenti. Mio padre non conosceva nulla di tuttociò. Egli viveva perfettamente d'accordo sul modo comel'avevano fatto ed io devo ritenere ch'egli mai abbia compiuti deglisforzi per migliorarsi. Fumava il giorno intero edopo la morte dimammaquando non dormivaanche di notte. Beveva anchediscretamente; da gentlemandi seraa cenatanto da esseresicuro di trovare il sonno pronto non appena posata la testa sulguanciale. Masecondo luiil fumo e l'alcool erano dei buonimedicinali.

Inquanto concerne le donnedai parenti appresi che mia madre avevaavuto qualche motivo di gelosia. Anzi pare che la mite donna abbiadovuto intervenire talvolta violentemente per tenere a freno ilmarito. Egli si lasciava guidare da lei che amava e rispettavamapare ch'essa non sia mai riuscita ad avere da lui la confessione dialcun tradimentoper cui morì nella fede di essersisbagliata. Eppure i buoni parenti raccontano ch'essa ha trovato ilmarito quasi in flagrante dalla propria sarta. Egli si scusòcon un accesso di distrazione e con tanta costanza che fu creduto.Non vi fu altra conseguenza che quella che mia madre non andòpiù da quella sarta e mio padre neppure. Io credo che nei suoipanni io avrei finito col confessarema che poi non avrei saputoabbandonare la sartavisto ch'io metto le radici dove mi soffermo.

Miopadre sapeva difendere la sua quiete da vero pater familias.L'aveva questa quiete nella sua casa e nell'animo suo. Non leggevache dei libri insulsi e morali. Non mica per ipocrisiama per la piùsincera convinzione: penso ch'egli sentisse vivamente la veritàdi quelle prediche morali e che la sua coscienza fosse quietata dallasua adesione sincera alla virtù.

Adessoche invecchio e m'avvicino al tipo del patriarcaanch'io sento cheun'immoralità predicata è più punibile diun'azione immorale. Si arriva all'assassinio per amore o per odio;alla propaganda dell'assassinio solo per malvagità.

Avevamotanto poco di comune fra di noich'egli mi confessò che unadelle persone che più l'inquietavano a questo mondo ero io. Ilmio desiderio di salute m'aveva spinto a studiare il corpo umano.Egliinveceaveva saputo eliminare dal suo ricordo ogni idea diquella spaventosa macchina. Per lui il cuore non pulsava e non v'erabisogno di ricordare valvole e vene e ricambio per spiegare come ilsuo organismo viveva. Niente movimento perché l'esperienzadiceva che quanto si moveva finiva coll'arrestarsi. Anche la terraera per lui immobile e solidamente piantata su dei cardini.Naturalmente non lo disse maima soffriva se gli si diceva qualchecosa che a tale concezione non si conformasse. M'interruppe condisgusto un giorno che gli parlai degli antipodi. Il pensiero diquella gente con la testa all'ingiù gli sconvolgeva lostomaco.

Eglimi rimproverava due altre cose: la mia distrazione e la mia tendenzaa ridere delle cose più serie. In fatto di distrazione eglidifferiva da me per un certo suo libretto in cui notava tutto quelloch'egli voleva ricordare e che rivedeva più volte al giorno.Credeva così di aver vinta la sua malattia e non ne soffrivapiù. Impose quel libretto anche a mema io non vi registraiche qualche ultima sigaretta.

Inquanto al mio disprezzo per le cose serieio credo ch'egli avesse ildifetto di considerare come serie troppe cose di questo mondo. Ecconeun esempio: quandodopo di essere passato dagli studii di legge aquelli di chimicaio ritornai col suo permesso ai primiegli midisse bonariamente: - Resta però assodato che tu sei un pazzo.

Ionon me ne offesi affatto e gli fui tanto grato della suacondiscendenzache volli premiarlo facendolo ridere. Andai daldottor Canestrini a farmi esaminare per averne un certificato. Lacosa non fu facile perché dovetti sottomettermi perciòa lunghe e minuziose disamine. Ottenutoloportai trionfalmente quelcertificato a mio padrema egli non seppe riderne. Con accentoaccorato e con le lacrime agli occhi esclamò: - Ah! Tu seiveramente pazzo!

Equesto fu il premio della mia faticosa e innocua commediola. Non mela perdonò mai e perciò mai ne rise. Farsi visitare daun medico per ischerzo? Far redigere per ischerzo un certificatomunito di bolli? Cose da pazzi!

Insommaioaccanto a luirappresentavo la forza e talvolta penso che lascomparsa di quella debolezzache mi elevavafu sentita da me comeuna diminuzione.

Ricordocome la sua debolezza fu provata allorché quella canagliadell'Olivi lo indusse a fare testamento. All'Olivi premeva queltestamento che doveva mettere i miei affari sotto la sua tutela epare abbia lavorato a lungo il vecchio per indurlo a quell'operatanto penosa. Finalmente mio padre vi si decisema la sua largafaccia serena s'oscurò. Pensava costantemente alla morte comese con quell'atto avesse avuto un contatto con essa.

 

Unasera mi domandò: - Tu credi che quando si è morti tuttocessi?

Almistero della morte io ci penso ogni giornoma non ero ancora ingrado di dargli le informazioni ch'egli domandava. Per fargli piacereinventai la fede più lieta nel nostro futuro.

-Io credo che sopravviva il piacereperché il dolore non èpiù necessario. La dissoluzione potrebbe ricordare il piaceresessuale. Certo sarà accompagnata dal senso della felicitàe del riposo visto che la ricomposizione è tanto faticosa. Ladissoluzione dovrebb'essere il premio della vita!

Feciun bel fiasco. Si era ancora a tavola dopo cena. Eglisenzarisponderesi levò dalla sediavuotò ancora il suobicchiere e disse:

-Non è questa l'ora di filosofare specialmente con te!

Euscì. Dispiacente lo seguii e pensai di restare con lui perdistoglierlo dai pensieri tristi. M'allontanò dicendomi chegli ricordavo la morte e i suoi piaceri.

Nonsapeva dimenticare il testamento finché non me ne aveva datacomunicazione. Se ne ricordava ogni qualvolta mi vedeva. Una serascoppiò:

-Devo dirti che ho fatto testamento.

Ioper stornarlo dal suo incubovinsi subito la sorpresa che miprodusse la sua comunicazione e gli dissi:

-Io non avrò mai questo disturbo perché spero che primadi me muoiano tutti i miei eredi!

Eglisubito si inquietò del mio riso su una cosa tanto seria eritrovò tutto il suo desiderio di punirmi. Così gli fufacile di raccontarmi il bel tiro che m'aveva fatto mettendomi sottola tutela dell'Olivi.

Devodirlo: io mi dimostrai un buon ragazzo; rinunziai a fare un'obiezionequalunque pur di strapparlo a quel pensiero che lo faceva soffrire.Dichiarai che qualunque fosse stata la sua ultima volontà iomi vi sarei adattato.

-Forse - aggiunsi - io saprò comportarmi in modo che tu titroverai indotto a cambiare le tue ultime volontà.

Ciògli piacque anche perché vedeva ch'io gli attribuivo una vitalungaanzi lunghissima. Tuttavia volle da me addirittura ungiuramentoche se egli non avesse disposto altrimentiio non avreimai tentato di sminuire le facoltà dell'Olivi. Io giurai vistoch'egli non volle contentarsi della mia parola d'onore. Fui tantomite allorache quando sono torturato dal rimorso di non averloamato abbastanza prima che morisserievoco sempre quella scena. Peressere sincero devo dire che la rassegnazione alle sue disposizionimi fu facile perché in quell'epoca l'idea di essere costrettoa non lavorare m'era piuttosto simpatica.

Circaun anno prima della sua morteio seppi una volta intervenireabbastanza energicamente a vantaggio della sua salute. M'avevaconfidato di sentirsi male ed io lo costrinsi di andare da un medicodal quale anche lo accompagnai. Costui prescrisse qualche medicinalee ci disse di ritornare da lui qualche settimana dopo. Ma mio padrenon volledichiarando che odiava i medici quanto i becchini e nonprese neppure la medicina prescrittagli perché anch'essa gliricordava medici e becchini. Restò per un paio di ore senzafumare e per un solo pasto senza vino. Si sentì molto benequando poté congedarsi dalla curae iovedendolo piùlietonon ci pensai più.

 

Poilo vidi talvolta triste. Ma mi sarei meravigliato di vederlo lietosolo e vecchio com'era.

Unasera della fine di marzo arrivai un po' più tardi del solito acasa. Niente di male: ero caduto nelle mani di un dotto amico cheaveva voluto confidarmi certe sue idee sulle origini delCristianesimo. Era la prima volta che si voleva da me ch'io pensassia quelle originieppure m'adattai alla lunga lezione per compiacerel'amico. Piovigginava e faceva freddo. Tutto era sgradevole e foscocompresi i Greci e gli Ebrei di cui il mio amico parlavama purem'adattai a quella sofferenza per ben due ore. La mia solitadebolezza! Scommetto che oggi ancora sono tanto incapace diresistenzache se qualcuno ci si mettesse sul serio potrebbe indurmia studiare per qualche tempo l'astronomia.

Entrainel giardino che circonda la nostra villa. A questa si accedeva peruna breve strada carrozzabile. Mariala nostra camerieram'aspettava alla finestra e sentendomi avvicinare gridònell'oscurità:

-È leisignor Zeno?

Mariaera una di quelle fantesche come non se ne trovano più. Era danoi da una quindicina d'anni. Metteva mensilmente alla Cassa diRisparmio una parte della sua paga per i suoi vecchi annirisparmiche però non le servirono perché essa morì incasa nostra poco dopo il mio matrimonio sempre lavorando.

Essami raccontò che mio padre era ritornato a casa da qualche orama che aveva voluto attendermi a cena. Allorché essa avevainsistito perché egli intanto mangiasseera stata mandata viacon modi poco gentili. Poi egli aveva domandato di me parecchievolteinquieto e ansioso. Maria mi fece intendere che pensava chemio padre non si sentisse bene. Gli attribuiva una difficoltàdi parola e il respiro mozzo. Debbo dire ch'essendo sempre sola conluiessa spesso s'era fitto in testa il pensiero ch'egli fossemalato. Aveva poche cose da osservare la povera donna nella casasolitaria e - dopo l'esperienza fatta con mia madre - essas'aspettava che tutti avessero da morire prima di lei.

Corsialla camera da pranzo con una certa curiosità e non ancoraimpensierito. Mio padre si levò subito dal sofà su cuigiaceva e m'accolse con una grande gioia che non seppe commovermiperché vi scorsi prima di tutto l'espressione di unrimprovero. Ma intanto bastò a tranquillarmi perché lagioia mi parve un segno di salute. Non scorsi in lui traccia di quelbalbettamento e respiro mozzo di cui aveva parlato Maria. Mainvecedi rimproverarmiegli si scusò d'essere stato caparbio.

-Che vuoi farci? - mi disse bonariamente. - Siamo noi due soli aquesto mondo e volevo vederti prima di coricarmi.

Magarimi fossi comportato con semplicità e avessi preso fra le miebraccia il mio caro babbo divenuto per malattia tanto mite eaffettuoso! Invece cominciai a fare freddamente una diagnosi: Ilvecchio Silva si era tanto mitigato? Che fosse malato? Lo guardaisospettosamente e non trovai di meglio che di fargli un rimprovero:

-Ma perché hai atteso finora per mangiare? Potevi mangiareeppoi attendermi!

Eglirise assai giovanilmente:

-Si mangia meglio in due.

 

Potevaquesta lietezza essere anche il segno di un buon appetito: io mitranquillai e mi misi a mangiare. Con le sue ciabatte di casaconpasso malfermoegli s'accostò al desco e occupò il suoposto solito. Poi stette a guardarmi come mangiavomentre luidopoun paio di cucchiaiate scarsenon prese altro cibo e allontanòanche da sé il piatto che gli ripugnava. Ma il sorrisopersisteva sulla sua vecchia faccia. Soltanto mi ricordocome se sitrattasse di cosa avvenuta ieriche un paio di volte ch'io loguardai negli occhiegli stornò il suo sguardo dal mio. Sidice che ciò è un segno di falsitàmentre ioora so ch'è un segno di malattia. L'animale malato non lasciaguardare nei pertugi pei quali si potrebbe scorgere la malattialadebolezza.

Egliaspettava sempre di sentire come io avessi impiegato quelle tante orein cui egli m'aveva atteso. E vedendo che ci teneva tantocessai perun istante di mangiare e gli dissi seccoseccoch'io fino aquell'ora avevo discusse le origini del Cristianesimo.

Miguardò dubbioso e perplesso:

-Anche tuorapensi alla religione?

Eraevidente che gli avrei dato una grande consolazione se avessiaccettato di pensarci con lui. Invece ioche finché mio padreera vivo mi sentivo combattivo (e poi non più) risposi con unadi quelle solite frasi che si sentono tutti i giorni nei caffèsituati presso le Università:

-Per me la religione non è altro che un fenomeno qualunque chebisogna studiare.

-Fenomeno? - fece lui sconcertato. Cercò una pronta risposta eaperse la bocca per darla. Poi esitò e guardò ilsecondo piattoche giusto allora Maria gli offerse e ch'egli nontoccò. Quindi per tapparsi meglio la boccavi ficcò unmozzicone di sigaro che accese e che lasciò subito spegnere.S'era così concessa una sosta per riflettere tranquillamente.Per un istante mi guardò risoluto:

-Tu non vorrai ridere della religione?

Ioda quel perfetto studente scioperato che sono sempre statocon labocca pienarisposi:

-Ma che ridere! Io studio!

Eglitacque e guardò lungamente il mozzicone di sigaro che avevadeposto su un piatto. Capisco ora perché egli mi avesse dettociò. Capisco ora tutto quello che passò per quellamente già torbidae sono sorpreso di non averne capito nullaallora. Credo che allora nel mio animo mancasse l'affetto che faintendere tante cose. Poi mi fu tanto facile! Egli evitava diaffrontare il mio scetticismo: una lotta troppo difficile per lui inquel momento; ma riteneva di poter attaccarlo mitemente di fiancocome conveniva ad un malato. Ricordo che quando parlòil suorespiro mozzava e ritardava la sua parola. È una grande faticaprepararsi ad un combattimento. Ma pensavo ch'egli non si sarebberassegnato di coricarsi senza darmi il fatto mio e mi preparai adiscussioni che poi non vennero.

-Io - dissesempre guardando il suo mozzicone di sigaro oramaispento- sento come la mia esperienza e la scienza mia della vitasono grandi. Non si vivono inutilmente tanti anni. Io so molte cose epurtroppo non so insegnartele tutte come vorrei.

Ohquanto lo vorrei! Vedo dentro nelle cosee anche vedo quello ch'ègiusto e vero e anche quello che non lo è.

Nonc'era da discutere. Borbottai poco convinto e sempre mangiando:

-Sì! Papà!

Nonvolevo offenderlo.

-Peccato che sei venuto tanto tardi. Prima ero meno stanco e avreisaputo dirti molte cose.

Pensaiche volesse ancora seccarmi perché ero venuto tardi e gliproposi di lasciare quella discussione per il giorno dopo.

-Non si tratta di una discussione - rispose egli trasognato - ma ditutt'altra cosa. Una cosa che non si può discutere e chesaprai anche tu non appena te l'avrò detta. Ma il difficile èdirla!

Quiebbi un dubbio:

-Non ti senti bene?

-Non posso dire di star malema sono molto stanco e vado subito adormire.

Suonòil campanello e nello stesso tempo chiamò Maria con la voce.Quand'essa venneegli domandò se nella sua stanza tutto erapronto. S'avviò poi subito strascicando le ciabatte al suolo.Giunto accanto a mechinò la testa per offrirmi la suaguancia al bacio di ogni sera.

Vedendolomoversi così malsicuroebbi di nuovo il dubbio che stessemale e glielo domandai. Ripetemmo ambedue più volte le stesseparole ed egli mi confermò ch'era stanco ma non malato. Poisoggiunse:

-Adesso penserò alle parole che ti dirò domani. Vedraicome ti convinceranno.

-Papà - dichiarai io commosso - ti sentirò volentieri.

Vedendomitanto disposto a sottomettermi alla sua esperienzaegli esitòdi lasciarmi: bisognava pur approfittare di un momento tantofavorevole! Si passò la mano sulla fronte e sedette sullasedia sulla quale s'era appoggiato per porgermi la sua guancia albacio. Ansava leggermente.

-Curioso! - disse. - Non so dirti nullaproprio nulla.

Guardòintorno a sé come se avesse cercato di fuori quello che nelsuo interno non arrivava ad afferrare.

-Eppure so tante coseanzi tutte le cose io so. Dev'essere l'effettodella mia grande esperienza.

Nonsoffriva tanto di non saper esprimersi perché sorrise allapropria forzaalla propria grandezza.

Ionon so perché non abbia chiamato subito il dottore. Invecedebbo confessarlo con dolore e rimorso: considerai le parole di miopadre come dettate da una presunzione ch'io credevo di aver piùvolte constatata in lui. Non poteva però sfuggirmi l'evidenzadella sua debolezza e solo perciò non discussi. Mi piaceva divederlo felice nella sua illusione di essere tanto forte quand'erainvece debolissimo. Ero poi lusingato dall'affetto che mi dimostravamanifestando il desiderio di consegnarmi la scienza di cui si credevapossessoreper quanto fossi convinto di non poter apprendere nienteda lui. E per lusingarlo e dargli pace gli raccontai che non dovevasforzarsi per trovare subito le parole che gli mancavanoperchéin frangenti simili i più alti scienziati mettevano le cosetroppo complicate in deposito in qualche cantuccio del cervelloperché si semplificassero da sé.

Eglirispose:

-Quello ch'io cerco non è complicato affatto. Si tratta anzi ditrovare una parolauna sola e la troverò! Ma non questa notteperché farò tutto un sonnosenza il più piccolopensiero.

 

Tuttavianon si levò dalla sedia. Esitante e scrutando per un istanteil mio visomi disse:

-Ho paura che non saprò dire a te quello che pensosolo perchétu hai l'abitudine di ridere di tutto.

Misorrise come se avesse voluto pregarmi di non risentirmi per le sueparolesi alzò dalla sedia e mi offerse per la seconda voltala sua guancia. Io rinunziai a discutere e convincerlo che a questomondo v'erano molte cose di cui si poteva e doveva ridere e vollirassicurarlo con un forte abbraccio. Il mio gesto fu forse troppoforteperché egli si svincolò da me piùaffannato di primama certo fu da lui inteso il mio affettoperchémi salutò amichevolmente con la mano.

-Andiamo a letto! - disse con gioia e uscì seguito da Maria.

Erimasto solo (strano anche questo!) non pensai alla salute di miopadremacommosso e - posso dirlo - con ogni rispetto filialedeplorai che una mente simile che mirava a mète altenonavesse trovata la possibilità di una coltura migliore. Oggiche scrivodopo di aver avvicinata l'età raggiunta da miopadreso con certezza che un uomo può avere il sentimento diuna propria altissima intelligenza che non dia altro segno di séfuori di quel suo forte sentimento. Ecco: si dà un forterespiro e si accetta e si ammira tutta la natura com'è e comeimmutabileci è offerta: con ciò si manifesta lastessa intelligenza che volle la Creazione intera. Da mio padre ècerto che nell'ultimo istante lucido della sua vitail suosentimento d'intelligenza fu originato da una sua improvvisaispirazione religiosatant'è vero che s'indusse a parlarmeneperché io gli avevo raccontato di essermi occupato delleorigini del Cristianesimo. Ora però so anche che quelsentimento era il primo sintomo dell'edema cerebrale.

Mariavenne a sparecchiare e a dirmi che le sembrava che mio padre si fossesubito addormentato. Così andai a dormire anch'io del tuttorasserenato. Fuori il vento soffiava e urlava. Lo sentivo dal mioletto caldo come una ninna nanna che s'allontanò sempre di piùda meperché mi immersi nel sonno.

Nonso per quanto tempo io abbia dormito. Fui destato da Maria. Pare chepiù volte essa fosse venuta nella mia stanza a chiamarmi efosse poi corsa via. Nel mio sonno profondo ebbi dapprima un certoturbamentopoi intravvidi la vecchia che saltava per la camera einfine capii. Mi voleva svegliarema quando vi riuscìessanon era più nella mia stanza. Il vento continuava a cantarmiil sonno ed ioper essere veritierodebbo confessare che andai allastanza di mio padre col dolore di essere stato strappato dal miosonno. Ricordavo che Maria vedeva sempre mio padre in pericolo. Guaia lei se egli non fosse stato ammalato questa volta!

Lastanza di mio padrenon grandeera ammobiliata un po' troppo. Allamorte di mia madreper dimenticare meglioegli aveva cambiatostanzaportando con sé nel nuovo ambiente più piccolotutti i suoi mobili. La stanza illuminata scarsamente da unafiammella a gas posta sul tavolo da notte molto bassoera tutta inombra. Maria sosteneva mio padre che giaceva supinoma con una partedel busto sporgente dal letto.

Lafaccia di mio padre coperta di sudore rosseggiava causa la lucevicina. La sua testa poggiava sul petto fedele di Maria. Ruggiva daldolore e la bocca era tanto inerte che ne colava la saliva giùper il mento. Guardava immoto la parete di faccia e non si volsequand'io entrai.

Mariami raccontò di aver sentito il suo lamento e di esserearrivata in tempo per impedirgli di cadere dal letto. Prima - essaassicurava - egli s'era agitato di piùmentre ora le parevarelativamente tranquilloma non si sarebbe rischiata di lasciarlosolo. Voleva forse scusarsi di avermi chiamato mentre io giàavevo capito che aveva fatto bene a destarmi. Parlandomi essapiangevama io ancora non piansi con lei ed anzi l'ammonii di starezitta e di non aumentare coi suoi lamenti lo spavento di quell'ora.Non avevo ancora capito tutto. La poverina fece ogni sforzo percalmare i suoi singulti.

M'avvicinaiall'orecchio di mio padre e gridai:

-Perché ti lamentipapà? Ti senti male?

Credoch'egli sentisseperché il suo gemito si fece piùfioco ed egli stornò l'occhio dalla parete di faccia come seavesse tentato di vedermi; ma non arrivò a rivolgerlo a me.Più volte gli gridai nell'orecchio la stessa domanda e semprecon lo stesso esito. Il mio contegno virile sparve subito. Mio padrea quell'oraera più vicino alla morte che a meperchéil mio grido non lo raggiungeva più. Mi prese un grandespavento e ricordai prima di tutto le parole che avevamo scambiate lasera prima. Poche ore dopo egli s'era mosso per andar a vedere chi dinoi due avesse ragione. Curioso! Il mio dolore veniva accompagnatodal rimorso. Celai il capo sul guanciale stesso di mio padre e piansidisperatamente emettendo i singulti che poco prima avevo rimproveratia Maria.

Toccòora a lei di calmarmima lo fece in modo strano. Mi esortava allacalma parlando però di mio padreche tuttavia gemeva con gliocchi anche troppo aperticome di un uomo morto.

-Poverino! - diceva. - Morire così! Con questa ricca e bellachioma. - L'accarezzava. Era vero. La testa di mio padre eraincoronata da una riccabianca chioma ricciutamentre io atrent'anni avevo già i capelli molto radi.

Nonricordai che a questo mondo c'erano i medici e che si supponeva chetalvolta portassero la salvezza. Io avevo già vista la mortesu quella faccia sconvolta dal dolore e non speravo più. FuMaria che per prima parlò del medico e andò poi adestare il contadino per mandarlo in città.

Restaisolo a sostenere mio padre per una decina di minuti che mi parveroun'eternità. Ricordo che cercai di mettere nelle mie manichetoccavano quel corpo torturatotutta la dolcezza che aveva invaso ilmio cuore. Le parole egli non poteva sentirle. Come avrei fatto afargli sapere che l'amavo tanto?

Quandovenne il contadinomi recai nella mia stanza per scrivere unbiglietto e mi fu difficile di mettere insieme quel paio di paroleche dovevano dare al dottore un'idea del caso onde potesse portaresubito con sé anche dei medicinali. Continuamente vedevodinanzi a me la sicura imminente morte di mio padre e mi domandavo:"Che cosa farò io ora a questo mondo?".

Poiseguirono delle lunghe ore d'attesa. Ho un ricordo abbastanza esattodi quelle ore. Dopo la prima non occorse più sostenere miopadre che giaceva privo di sensi composto nel letto. Il suo gemitoera cessatoma la sua insensibilità era assoluta. Aveva unarespirazione frettolosache ioquasi inconsciamenteimitavo. Nonpotevo respirare a lungo su quel metro e m'accordavo delle sostesperando di trascinare con me al riposo anche l'ammalato. Ma eglicorreva avanti instancabile. Tentammo invano di fargli prendere uncucchiaio di tè. La sua incoscienza diminuiva quando sitrattava di difendersi da un nostro intervento. Risolutochiudeva identi. Anche nell'incoscienza veniva accompagnato da quella suaindomabile ostinazione. Molto prima dell'alba la sua respirazionemutò di ritmo. Si raggruppò in periodi che esordivanocon alcune respirazioni lente che avrebbero potuto sembrare di uomosanoalle quali seguivano altre frettolose che si fermavano in unasosta lungaspaventosache a Maria e a me sembrava l'annunzio dellamorte. Ma il periodo riprendeva sempre circa egualeun periodomusicale di una tristezza infinitacosì privo di colore.Quella respirazione che non fu sempre ugualema sempre rumorosadivenne come una parte di quella stanza. Da quell'ora vi fu sempreper lungo e lungo tempo!

Passaialcune ore gettato su un sofàmentre Maria stava sedutaaccanto al letto. Su quel sofà piansi le mie piùcocenti lacrime. Il pianto offusca le proprie colpe e permette diaccusaresenz'obbiezioniil destino. Piangevo perché perdevoil padre per cui ero sempre vissuto. Non importava che gli avessitenuto poca compagnia. I miei sforzi per diventare migliore non eranostati fatti per dare una soddisfazione a lui? Il successo cui anelavodoveva bensì essere anche il mio vanto verso di luiche di meaveva sempre dubitatoma anche la sua consolazione. Ed ora inveceegli non poteva più aspettarmi e se ne andava convinto dellamia insanabile debolezza. Le mie lacrime erano amarissime.

Scrivendoanzi incidendo sulla carta tali dolorosi ricordiscopro chel'immagine che m'ossessionò al primo mio tentativo di vederenel mio passatoquella locomotiva che trascina una sequela di vagonisu per un'ertaio l'ebbi per la prima volta ascoltando da quel sofàil respiro di mio padre. Vanno così le locomotive chetrascinano dei pesi enormi: emettono degli sbuffi regolari che pois'accelerano e finiscono in una sostaanche quella una sostaminacciosa perché chi ascolta può temere di vederfinire la macchina e il suo traino a precipizio a valle. Davvero! Ilmio primo sforzo di ricordarem'aveva riportato a quella nottealleore più importanti della mia vita.

Ildottore Coprosich arrivò alla villa quando ancora nonalbeggiavaaccompagnato da un infermiere che portava una cassetta dimedicinali. Aveva dovuto venir a piedi perchéa causa delviolento uraganonon aveva trovata una vettura.

Loaccolsi piangendo ed egli mi trattò con grande dolcezzaincorandomi anche a sperare. Eppure devo subito direche dopo quelnostro incontroa questo mondo vi sono pochi uomini che destino inme una così viva antipatia come il dottor Coprosich.

Eglioggivive ancoradecrepito e circondato dalla stima di tutta lacittà. Quando lo scorgo così indebolito e incertocamminare per le vie in cerca di un poco d'attività e d'ariain meancora adessosi rinnova l'avversione.

Allorail dottore avrà avuto poco più di quarant'anni. S'eradedicato molto alla medicina legale eper quanto fosse notoriamenteun buonissimo italianogli venivano affidate dalle imperial regieautorità le perizie più importanti. Era un uomo magro enervosola faccia insignificante rilevata dalla calvizie che glisimulava una fronte altissima. Un'altra sua debolezza gli davadell'importanza: quando levava gli occhiali (e lo faceva semprequando voleva meditare) i suoi occhi accecati guardavano accanto o aldisopra del suo interlocutore e avevano il curioso aspetto degliocchi privi di colore di un statuaminacciosi oforseironici.Erano degli occhi spiacevoli allora. Se aveva da dire anche una solaparola rimetteva sul naso gli occhiali ed ecco che i suoi occhiridivenivano quelli di un buon borghese qualunque che esaminaaccuratamente le cose di cui parla.

Sisedette in anticamera e riposò per qualche minuto. Mi domandòdi raccontargli esattamente quello ch'era avvenuto dal primo allarmefino al suo arrivo. Si levò gli occhiali e fissò con isuoi occhi strani la parete dietro di me.

Cercaidi essere esattociò che non fu facile dato lo stato in cuimi trovavo. Ricordavo anche che il dottor Coprosich non tollerava chele persone che non sapevano di medicina usassero termini mediciatteggiandosi a sapere qualche cosa di quella materia. E quandoarrivai a parlare di quella che a me era apparsa quale una"respirazione cerebrale" egli si mise gli occhiali perdirmi: "Adagio con le definizioni. Vedremo poi di che sitratti". Avevo parlato anche del contegno strano di mio padredella sua ansia di vedermidella sua fretta di coricarsi. Non gliriferii i discorsi strani di mio padre: forse temevo di esserecostretto di dire qualche cosa delle risposte che allora io a miopadre avevo dato. Raccontai però che papà non arrivavaad esprimersi con esattezza e che pareva pensasse intensamente aqualche cosa che s'aggirava nella sua testa e ch'egli non arrivava aformulare. Il dottorecon tanto d'occhiali sul nasoesclamòtrionfalmente:

-So quello che s'aggirava nella sua testa!

Losapevo anch'ioma non lo dissi per non far arrabbiare il dottorCoprosich: erano gli edemi.

Andammoal letto dell'ammalato. Con l'aiuto dell'infermiere egli giròe rigirò quel povero corpo inerte per un tempo che a me parvelunghissimo. Lo ascoltò e lo esplorò. Tentò difarsi aiutare dal paziente stessoma invano.

-Basta! - disse ad un certo punto. Mi si avvicinò con gliocchiali in mano guardando il pavimento econ un sospiromi disse:

-Abbiate coraggio! È un caso gravissimo.

Andammoalla mia stanza ove egli si lavò anche la faccia.

Eraperciò senza occhiali e quando l'alzò per asciugarlala sua testa bagnata sembrava la testina strana di un amuleto fattada mani inesperte. Ricordò di averci visti alcuni mesi primaed espresse meraviglia perché non fossimo più ritornatida lui.

Anziaveva creduto che lo avessimo abbandonato per altro medico; egliallora aveva ben chiaramente dichiarato che mio padre abbisognava dicure. Quando rimproveravacosì senz'occhialiera terribile.Aveva alzata la voce e voleva spiegazioni. I suoi occhi le cercavanodappertutto.

Certoegli aveva ragione ed io meritavo dei rimproveri. Debbo dire quichesono sicuro che non è per quelle parole che io odio il dottorCoprosich. Mi scusai raccontandogli dell'avversione di mio padre permedici e medicine; parlavo piangendo e il dottorecon bontàgenerosacercò di quietarmi dicendomi che se anche fossimoricorsi a lui primala sua scienza avrebbe potuto tutt'al piùritardare la catastrofe cui assistevamo orama non impedirla.

Peròcome continuò a indagare sui precedenti della malattiaebbenuovi argomenti di rimprovero per me. Egli voleva sapere se mio padrein quegli ultimi mesi si fosse lagnato delle sue condizioni disalutedel suo appetito e del suo sonno. Non seppi dirgli nulla dipreciso; neppure se mio padre avesse mangiato molto o poco a queltavolo a cui sedevamo giornalmente insieme. L'evidenza della miacolpa m'atterròma il dottore non insistette affatto nelledomande. Apprese da me che Maria lo vedeva sempre moribondo e ch'ioperciò la deridevo.

Eglistava pulendosi le orecchieguardando in alto. - Fra un paio d'oreprobabilmente ricupererà la coscienza almeno in parte-disse.

-C'è qualche speranza dunque? - esclamai io.

-Nessunissima! - rispose seccamente. - Però le mignatte nonsbagliano mai in questo caso. Ricupererà di sicuro un po'della sua coscienzaforse per impazzire.

Alzòle spalle e rimise a posto l'asciugamano. Quell'alzata di spallesignificava proprio un disdegno per l'opera propria e m'incoraggiòa parlare. Ero pieno di terrore all'idea che mio padre avesse potutorimettersi dal suo torpore per vedersi morirema senza quell'alzatadi spalle non avrei avuto il coraggio di dirlo.

-Dottore! - supplicai. - Non le pare sia una cattiva azione di farloritornare in sé?

Scoppiaiin pianto. La voglia di piangere l'avevo sempre nei miei nerviscossima mi vi abbandonavo senza resistenza per far vedere le mielagrime e farmi perdonare dal dottore il giudizio che avevo osato didare sull'opera sua.

Congrande bontà egli mi disse:

-Viasi calmi. La coscienza dell'infermo non sarà mai tantochiara da fargli comprendere il suo stato. Egli non è unmedico. Basterà non dirgli ch'è moribondoed egli nonlo saprà. Ci può invece toccare di peggio: potrebbecioè impazzire. Ho però portata con me la camicia diforza e l'infermiere resterà qui.

Piùspaventato che mailo supplicai di non applicargli le mignatte. Egliallora con tutta calma mi raccontò che l'infermiere glieleaveva sicuramente già applicate perché egli ne avevadato l'ordine prima di lasciare la stanza di mio padre. Alloram'arrabbiai. Poteva esserci un'azione più malvagia di quelladi richiamare in sé un ammalatosenz'avere la minima speranzadi salvarlo e solo per esporlo alla disperazioneo al rischio didover sopportare - con quell'affanno! - la camicia di forza? Contutta violenzama sempre accompagnando le mie parole di quel piantoche domandava indulgenzadichiarai che mi pareva una crudeltàinaudita di non lasciar morire in pace chi era definitivamentecondannato.

 

Ioodio quell'uomo perché egli allora s'arrabbiò con me. Èciò ch'io non seppi mai perdonargli. Egli s'agitò tantoche dimenticò d'inforcare gli occhiali e tuttavia scoperseesattamente il punto ove si trovava la mia testa per fissarla con isuoi occhi terribili. Mi disse che gli pareva io volessi recidereanche quel tenue filo di speranza che vi era ancora. Me lo disseproprio cosìcrudamente.

Cisi avviava a un conflitto. Piangendo e urlando obbiettai che pochiistanti prima egli stesso aveva esclusa qualunque speranza disalvezza per l'ammalato. La casa mia e chi vi abitava non dovevanoservire ad esperimenti per i quali c'erano altri posti a questomondo!

Congrande severità e una calma che la rendeva quasi minacciosaegli rispose:

-Io le spiegai quale era lo stato della scienza in quell'istante. Machi può dire quello che può avvenire fra mezz'ora ofino a domani? Tenendo in vita suo padre io ho lasciata aperta la viaa tutte le possibilità.

Simise allora gli occhiali ecol suo aspetto d'impiegato pedantescoaggiunse ancora delle spiegazioni che non finivano piùsull'importanza che poteva avere l'intervento del medico nel destinoeconomico di una famiglia. Mezz'ora in più di respiro potevadecidere del destino di un patrimonio.

Piangevooramai anche perché compassionavo me stesso per dover star asentire tali cose in simile momento. Ero esausto e cessai daldiscutere. Tanto le mignatte erano già state applicate!

Ilmedico è una potenza quando si trova al letto di un ammalatoed io al dottor Coprosich usai ogni riguardo. Dev'essere stato pertale riguardo ch'io non osai di proporre un consultocosa che mirimproverai per lunghi anni. Ora anche quel rimorso è mortoinsieme a tutti i miei altri sentimenti di cui parlo qui con lafreddezza con cui racconterei di avvenimenti toccati ad un estraneo.Nel mio cuoredi quei giorninon v'è altro residuo chel'antipatia per quel medico che tuttavia si ostina a vivere.

Piùtardi andammo ancora una volta al letto di mio padre. Lo trovammo chedormiva adagiato sul fianco destro. Gli avevano posta una pezzuolasulla tempia per coprire le ferite prodotte dalle mignatte. Ildottore volle subito provare se la sua coscienza avesse aumentato egli gridò nelle orecchie. L'ammalato non reagì in alcunmodo.

-Meglio così! - dissi io con grande coraggioma semprepiangendo.

-L'effetto atteso non potrà mancare! - rispose il dottore. -Non vede che la respirazione s'è già modificata?

Infattifrettolosa e affaticatala respirazione non formava più queiperiodi che mi avevano spaventato.

L'infermieredisse qualche cosa al medico che annuì. Si trattava di provareal malato la camicia di forza. Trassero quell'ordigno dalla valigia ealzarono mio padre obbligandolo a star seduto sul letto. Alloral'ammalato aperse gli occhi: erano foschinon ancora aperti allaluce. Io singhiozzai ancoratemendo che subito guardassero evedessero tutto. Invecequando la testa dell'ammalato ritornòsul guancialequegli occhi si rinchiuserocome quelli di certebambole.

Ildottore trionfò:

-È tutt'altra cosa; - mormorò.

 

Sì:era tutt'altra cosa! Per me nient'altro che una grave minaccia. Confervore baciai mio padre sulla fronte e nel pensiero gli augurai:

-Ohdormi! Dormi fino ad arrivare al sonno eterno!

Edè così che augurai a mio padre la mortema il dottorenon l'indovinò perché mi disse bonariamente:

-Anche a lei fa piacereoradi vederlo ritornare in sé!

Quandoil dottore partìl'alba era spuntata. Un'alba foscaesitante. Il vento che soffiava ancora a raffichemi parve menoviolentobenché sollevasse tuttavia la neve ghiacciata.

Accompagnaiil dottore in giardino. Esageravo gli atti di cortesia perchénon indovinasse il mio livore. La mia faccia significava soloconsiderazione e rispetto. Mi concessi una smorfia di disgustochemi sollevò dallo sforzosolo quando lo vidi allontanare peril viottolo che conduceva all'uscita della villa. Piccolo e nero inmezzo alla nevebarcollava e si fermava ad ogni raffica per poterresistere meglio. Non mi bastò quella smorfia e sentii ilbisogno di altri atti violentidopo tanto sforzo. Camminai perqualche minuto per il vialenel freddoa capo scopertopestandoirosamente i piedi nella neve alta. Non so però se tanta irapuerile fosse rivolta al dottore o non piuttosto a me stesso. Primadi tutto a me stessoa me che avevo voluto morto mio padre e che nonavevo osato dirlo. Il mio silenzio convertiva quel mio desiderioispirato dal più puro affetto filialein un vero delitto chemi pesava orrendamente.

L'ammalatodormiva sempre. Solo disse due parole che io non intesima nel piùcalmo tono di conversazionestranissimo perché interruppe ilsuo respiro sempre frequentissimo tanto lontano da ogni calma.S'avvicinava alla coscienza e alla disperazione?

Mariaera ora seduta accanto al letto assieme all'infermiere. Costuim'ispirò fiducia e mi dispiacque solo per certa suacoscienziosità esagerata. Si oppose alla proposta di Maria difar prendere all'ammalato un cucchiaino di brodo ch'essa credeva unbuon farmaco. Ma il medico non aveva parlato di brodo e l'infermierevolle si attendesse il suo ritorno per decidere un'azione tantoimportante. Parlò imperioso più di quanto la cosameritasse. La povera Maria non insistette ed io neppure. Ebbi peròun'altra smorfia di disgusto.

M'indusseroa coricarmi perché avrei dovuto passare la notte conl'infermiere ad assistere l'ammalato presso il quale bastava fossimoin due; uno poteva riposare sul sofà. Mi coricai em'addormentai subitocon completagradevole perdita della coscienzae - ne son sicuro - non interrotta da alcun barlume di sogno.

Invecela notte scorsadopo di aver passata parte della giornata di ieri araccogliere questi miei ricordiebbi un sogno vivissimo che miriportò con un salto enormeattraverso il tempoa queigiorni. Mi rivedevo col dottore nella stessa stanza ove avevamodiscusso di mignatte e camicie di forzain quella stanza che ora hatutt'altro aspetto perché è la stanza da letto mia e dimoglie. Io insegnavo al dottore il modo di curare e guarire miopadrementre lui (non vecchio e cadente com'è oramavigoroso e nervoso com'era allora) con iragli occhiali in mano egli occhi disorientatiurlava che non valeva la pena di fare tantecose.

Dicevaproprio così: "Le mignatte lo richiamerebbero alla vita eal dolore e non bisogna applicargliele!". Io invece battevo ilpugno su un libro di medicina ed urlavo: "Le mignatte! Voglio lemignatte! Ed anche la camicia di forza!".

Pareche il mio sogno si sia fatto rumoroso perché mia mogliel'interruppe destandomi. Ombre lontane! Io credo che per scorgervioccorra un ausilio ottico e sia questo che vi capovolga.

Ilmio sonno tranquillo è l'ultimo ricordo di quella giornata.Poi seguirono alcuni lunghi giorni di cui ogni ora somigliavaall'altra. Il tempo s'era migliorato; si diceva che s'era miglioratoanche lo stato di mio padre. Egli si moveva liberamente nella stanzae aveva cominciata la sua corsa in cerca d'ariadal letto allapoltrona. Traverso alle finestre chiuse guardava per istanti anche ilgiardino coperto di neve abbacinante al sole. Ogni qualvolta entravoin quella stanza ero pronto per discutere ed annebbiare quellacoscienza che il Coprosich aspettava. Ma mio padre ogni giornodimostrava bensì di sentire e intendere meglioma quellacoscienza era sempre lontana.

Purtroppodebbo confessare che al letto di morte di mio padre io albergainell'animo un grande rancore che stranamente s'avvinse al mio doloree lo falsificò. Questo rancore era dedicato prima di tutto alCoprosich ed era aumentato dal mio sforzo di celarglielo. Ne avevopoi anche con me stesso che non sapevo riprendere la discussione coldottore per dirgli chiaramente ch'io non davo un fico secco per lasua scienza e che auguravo a mio padre la morte pur di risparmiargliil dolore.

Anchecon l'ammalato finii coll'averne. Chi ha provato di restare pergiorni e settimane accanto ad un ammalato inquietoessendo inadattoa fungere da infermieree perciò spettatore passivo di tuttociò che gli altri fannom'intenderà. Io poi avreiavuto bisogno di un grande riposo per chiarire il mio animo e ancheregolare e forse assaporare il mio dolore per mio padre e per me.Invece dovevo ora lottare per fargli ingoiare la medicina ed ora perimpedirgli di uscire dalla stanza. La lotta produce sempre delrancore.

Unasera Carlol'infermieremi chiamò per farmi constatare inmio padre un nuovo progresso. Corsi col cuore in tumulto all'idea cheil vecchio potesse accorgersi della propria malattia erimproverarmela.

Miopadre era in mezzo alla stanza in piedivestito della solabiancheriacon in testa il suo berretto da notte di seta rossa.Benché l'affanno fosse sempre fortissimoegli diceva di tempoin tempo qualche breve parola assennata. Quand'io entraiegli dissea Carlo:

-Apri!

Volevache si aprisse la finestra. Carlo rispose che non poteva farlo causail grande freddo. E mio padre per un certo tempo dimenticò lapropria domanda. Andò a sedersi su una poltrona accanto allafinestra e vi si stese cercando sollievo. Quando mi videsorrise emi domandò:

-Hai dormito?

Noncredo che la mia risposta lo raggiungesse. Non era quella lacoscienza ch'io avevo tanto temuto. Quando si muore si ha ben altroda fare che di pensare alla morte. Tutto il suo organismo eradedicato alla respirazione.

Einvece di starmi a sentire egli gridò di nuovo a Carlo:

-Apri!

Nonaveva riposo. Lasciava la poltrona per mettersi in piedi. Poi congrande fatica e con l'aiuto dell'infermiere si coricava sul lettoadagiandovisi prima per un attimo sul fianco sinistro eppoi subitosul fianco destro su cui sapeva resistere per qualche minuto.Invocava di nuovo l'aiuto dell'infermiere per rimettersi in piedi efiniva col ritornare alla poltrona ove restava talvolta più alungo.

Quelgiornopassando dal letto alla poltronasi fermò dinanziallo specchio erimirandovisimormorò:

-Sembro un Messicano!

Iopenso che fosse per togliersi all'orrenda monotonia di quella corsadal letto alla poltrona ch'egli quel giorno abbia tentato di fumare.Arrivò a riempire la bocca di una sola fumata che subitosoffiò via affannato.

Carlom'aveva chiamato per farmi assistere ad un istante di chiaracoscienza nell'ammalato:

-Sono dunque gravemente ammalato? - aveva domandato con angoscia.Tanta coscienza non ritornò più. Invece poco dopo ebbeun istante di delirio. Si levò dal letto e credette di essersidestato dopo una notte di sonno in un albergo di Vienna. Deve aversognato di Vienna per il desiderio della frescura nella bocca arsaricordando l'acqua buona e ghiacciata che v'è in quella città.Parlò subito dell'acqua buona che l'aspettava alla prossimafontana.

Delresto era un malato inquietoma mite. Io lo paventavo perchétemevo sempre di vederlo inasprirsi quando avesse compresa la suasituazione e perciò la sua mitezza non arrivava ad attenuarela mia grande faticama egli accettava obbediente qualunque propostagli fosse fatta perché da tutte si aspettava di poter venirsalvato dal suo affanno. L'infermiere si offerse di andargli aprendere un bicchiere di latte ed egli accettò con vera gioia.Con la stessa ansietà con cui poi attese di ottenere quellattevolle esserne liberato dopo di averne ingoiato un sorso scarsoe poiché non subito fu compiaciutolasciò cadere quelbicchiere a terra.

Ildottore non si mostrava mai deluso dello stato in cui trovava ilmalato. Ogni giorno constatava un miglioramentoma vedeva imminentela catastrofe. Un giorno venne in vettura ed ebbe fretta diandarsene. Mi raccomandò d'indurre l'ammalato di restarcoricato più a lungo che fosse possibile perché laposizione orizzontale era la migliore per la circolazione. Ne feceraccomandazione anche a mio padre stesso il quale intese econaspetto intelligentissimopromiserestando però in piedi inmezzo alla stanza e ritornando subito alla sua distrazione o meglio aquello ch'io dicevo la meditazione sul suo affanno.

Durantela notte che seguìebbi per l'ultima volta il terrore diveder risorgere quella coscienza ch'io tanto temevo. Egli s'eraseduto sulla poltrona accanto alla finestra e guardava traverso ivetrinella notte chiarail cielo tutto stellato. La suarespirazione era sempre affannosama non sembrava ch'egli nesoffrisse assorto com'era a guardare in alto. Forse a causa dellarespirazionepareva che la sua testa facesse dei cenni di consenso.

Pensaicon spavento: "Ecco ch'egli si dedica ai problemi che sempreevitò". Cercai di scoprire il punto esatto del cieloch'egli fissava.

Egliguardavasempre eretto sul bustocon lo sforzo di chi spia traversoun pertugio situato troppo in alto. Mi parve guardasse le Pleiadi.Forse in tutta la sua vita egli non aveva guardato sì a lungotanto lontano. Improvvisamente si volse a mesempre restando erettosul busto:

-Guarda! Guarda! - mi disse con un aspetto severo di ammonizione.Tornò subito a fissare il cielo e indi si volse di nuovo a me:

-Hai visto? Hai visto?

Tentòdi ritornare alle stellema non poté: si abbandonòesausto sullo schienale della poltrona e quando io gli domandai checosa avesse voluto mostrarmiegli non m'intese né ricordòdi aver visto e di aver voluto ch'io vedessi. La parola che avevatanto cercata per consegnarmelagli era sfuggita per sempre.

Lanotte fu lunga madebbo confessarlonon specialmente affaticanteper me e per l'infermiere. Lasciavamo fare all'ammalato quello chevolevaed egli camminava per la stanza nel suo strano costumeinconsapevole del tutto di attendere la morte. Una volta tentòdi uscire sul corridoio ove faceva tanto freddo. Io glielo impedii edegli m'obbedì subito. Un'altra voltainvecel'infermiere cheaveva sentita la raccomandazione del medicovolle impedirgli dilevarsi dal lettoma allora mio padre si ribellò. Uscìdal suo stuporesi levò piangendo e bestemmiando ed ioottenni gli fosse lasciata la libertà di moversi com'eglivoleva. Egli si quietò subito e ritornò alla sua vitasilenziosa e alla sua corsa vana in cerca di sollievo.

Quandoil medico ritornòegli si lasciò esaminare tentandopersino di respirare più profondamente come gli si domandava.Poi si rivolse a me:

-Che cosa dice?

Miabbandonò per un istantema ritornò subito a me:

-Quando potrò uscire?

Ildottore incoraggiato da tanta mitezza mi esortò a dirgli chesi forzasse di restare più a lungo nel letto. Mio padreascoltava solo le voci a cui era più abituatola mia e quelledi Maria e dell'infermiere. Non credevo all'efficacia di quelleraccomandazionima tuttavia le feci mettendo nella mia voce anche untono di minaccia.

-Sìsì- promise mio padre e in quello stesso istantesi levò e andò alla poltrona.

Ilmedico lo guardò erassegnatomormorò:

-Si vede che un mutamento di posizione gli dà un po' disollievo.

Pocodopo ero a lettoma non seppi chiuder occhio. Guardavo nell'avvenireindagando per trovare perché e per chi avrei potuto continuarei miei sforzi di migliorarmi. Piansi moltoma piuttosto su me stessoche sul disgraziato che correva senza pace per la sua camera.

Quandomi levaiMaria andò a coricarsi ed io restai accanto a miopadre insieme all'infermiere. Ero abbattuto e stanco; mio padre piùirrequieto che mai.

Fuallora che avvenne la scena terribile che non dimenticherò maie che gettò lontano lontano la sua ombrache offuscòogni mio coraggioogni mia gioia. Per dimenticarne il dolorefud'uopo che ogni mio sentimento fosse affievolito dagli anni.

L'infermieremi disse:

-Come sarebbe bene se riuscissimo di tenerlo a letto. Il dottore vi dàtanta importanza!

Finoa quel momento io ero rimasto adagiato sul sofà. Mi levai eandai al letto ovein quel momentoansante più che mail'ammalato s'era coricato. Ero deciso: avrei costretto mio padre direstare almeno per mezz'ora nel riposo voluto dal medico. Non eraquesto il mio dovere?

Subitomio padre tentò di ribaltarsi verso la sponda del letto persottrarsi alla mia pressione e levarsi. Con mano vigorosa poggiatasulla sua spallagliel'impedii mentre a voce alta e imperiosa glicomandavo di non moversi. Per un breve istanteterrorizzatoegliobbedì. Poi esclamò:

-Muoio!

Esi rizzò. A mia voltasubito spaventato dal suo gridorallentai la pressione della mia mano. Perciò egli potésedere sulla sponda del letto proprio di faccia a me. Io penso cheallora la sua ira fu aumentata al trovarsi - sebbene per un momentosolo - impedito nei movimenti e gli parve certo ch'io gli togliessianche l'aria di cui aveva tanto bisognocome gli toglievo la lucestando in piedi contro di lui seduto. Con uno sforzo supremo arrivòa mettersi in piedialzò la mano alto altocome se avessesaputo ch'egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suopeso e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolòsul letto e di là sul pavimento. Morto!

Nonlo sapevo mortoma mi si contrasse il cuore dal dolore dellapunizione ch'eglimoribondoaveva voluto darmi. Con l'aiuto diCarlo lo sollevai e lo riposi in letto. Piangendoproprio come unbambino punitogli gridai nell'orecchio:

-Non è colpa mia! Fu quel maledetto dottore che volevaobbligarti di star sdraiato!

Erauna bugia. Poiancora come un bambinoaggiunsi la promessa di nonfarlo più:

-Ti lascerò movere come vorrai.

L'infermieredisse:

-È morto.

Dovetteroallontanarmi a viva forza da quella stanza. Egli era morto ed io nonpotevo più provargli la mia innocenza!

Nellasolitudine tentai di riavermi. Ragionavo: era escluso che mio padrech'era sempre fuori di sensiavesse potuto risolvere di punirmi edirigere la sua mano con tanta esattezza da colpire la mia guancia.

Comesarebbe stato possibile di avere la certezza che il mio ragionamentoera giusto? Pensai persino di dirigermi a Coprosich. Egliqualemedicoavrebbe potuto dirmi qualche cosa sulle capacità dirisolvere e agire di un moribondo. Potevo anche essere stato vittimadi un atto provocato da un tentativo di facilitarsi la respirazione!Ma col dottor Coprosich non parlai. Era impossibile di andar arivelare a lui come mio padre si fosse congedato da me. A luichem'aveva già accusato di aver mancato di affetto per mio padre!

Fuun ulteriore grave colpo per me quando sentii che Carlol'infermierein cucinadi seraraccontava a Maria: - Il padre alzòalto alto la mano e con l'ultimo suo atto picchiò ilfigliuolo. - Egli lo sapeva e perciò Coprosich l'avrebberisaputo.

Quandomi recai nella stanza mortuariatrovai che avevano vestito ilcadavere. L'infermiere doveva anche avergli ravviata la bellabiancachioma.

Lamorte aveva già irrigidito quel corpo che giaceva superbo eminaccioso. Le sue mani grandipotentiben formateerano lividema giacevano con tanta naturalezza che parevano pronte ad afferrare epunire. Non vollinon seppi più rivederlo.

Poial funeraleriuscii a ricordare mio padre debole e buono comel'avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi convinsi chequello schiaffo che m'era stato inflitto da lui moribondonon erastato da lui voluto. Divenni buonobuono e il ricordo di mio padres'accompagnò a medivenendo sempre più dolce. Fu comeun sogno delizioso: eravamo oramai perfettamente d'accordoiodivenuto il più debole e lui il più forte.

Ritornaie per molto tempo rimasi nella religione della mia infanzia.Immaginavo che mio padre mi sentisse e potessi dirgli che la colpanon era stata miama del dottore. La bugia non aveva importanzaperché egli oramai intendeva tutto ed io pure. E per parecchiotempo i colloqui con mio padre continuarono dolci e celati come unamore illecitoperché io dinanzi a tutti continuai a rideredi ogni pratica religiosamentre è vero - e qui voglioconfessarlo - che io a qualcuno giornalmente e ferventementeraccomandai l'anima di mio padre. È proprio la religione veraquella che non occorre professare ad alta voce per averne il confortodi cui qualche volta - raramente - non si può fare a meno.



5.Matrimonio

Nellamente di un giovine di famiglia borghese il concetto di vita umanas'associa a quello della carriera e nella prima gioventù lacarriera è quella di Napoleone I. Senza che perciò sisogni di diventare imperatore perché si può somigliarea Napoleone restando molto ma molto più in basso. La vita piùintensa è raccontata in sintesi dal suono piùrudimentalequello dell'onda del marechedacché si formamuta ad ogni istante finché non muore! M'aspettavo perciòanch'io di divenire e disfarmi come Napoleone e l'onda.

Lamia vita non sapeva fornire che una nota sola senz'alcuna variazioneabbastanza alta e che taluni m'invidianoma orribilmente tediosa. Imiei amici mi conservarono durante tutta la mia vita la stessa stimae credo che neppur iodacché son giunto all'età dellaragioneabbia mutato di molto il concetto che feci di me stesso.

Puòperciò essere che l'idea di sposarmi mi sia venuta per lastanchezza di emettere e sentire quell'unica nota. Chi non l'haancora sperimentato crede il matrimonio più importante diquanto non sia. La compagna che si sceglie rinnoveràpeggiorando o migliorandola propria razza nei figlima madrenatura che questo vuole e che per via diretta non saprebbe dirigerciperché in allora ai figli non pensiamo affattoci dà acredere che dalla moglie risulterà anche un rinnovamentonostrociò ch'è un'illusione curiosa non autorizzatada alcun testo. Infatti si vive poi uno accanto all'altroimmutatisalvo che per una nuova antipatia per chi è tanto dissimile danoi o per un'invidia per chi a noi è superiore.

Ilbello si è che la mia avventura matrimoniale esordì conla conoscenza del mio futuro suocero e con l'amicizia e l'ammirazioneche gli dedicai prima che avessi saputo ch'egli era il padre diragazze da marito. Perciò è evidente che non fu unarisoluzione quella che mi fece procedere verso la mèta ch'ioignoravo. Trascurai una fanciulla che per un momento avrei credutofacesse al caso mio e restai attaccato al mio futuro suocero. Miverrebbe voglia di credere anche nel destino.

Ildesiderio di novità che c'era nel mio animo veniva soddisfattoda Giovanni Malfenti ch'era tanto differente da me e da tutte lepersone di cui io fino ad allora avevo ricercato la compagnia el'amicizia. Io ero abbastanza còlto essendo passato attraversodue facoltà universitarie eppoi per la mia lunga inerziach'io credo molto istruttiva. Luiinveceera un grande negozianteignorante ed attivo. Ma dalla sua ignoranza gli risultava forza eserenità ed io m'incantavo a guardarloinvidiandolo.

IlMalfenti aveva allora circa cinquant'anniuna salute ferreauncorpo enorme alto e grosso del peso di un quintale e più. Lepoche idee che gli si movevano nella grossa testa erano svolte da luicon tanta chiarezzasviscerate con tale assiduitàapplicateevolvendole ai tanti nuovi affari di ogni giornoda divenire suepartisue membrasuo carattere. Di tali idee io ero ben povero em'attaccai a lui per arricchire.

Erovenuto al Tergesteo per consiglio dell'Olivi che mi diceva sarebbestato un buon esordio alla mia attività commercialefrequentare la Borsa e che da quel luogo avrei anche potutoprocurargli delle utili notizie.

M'assisia quel tavolo al quale troneggiava il mio futuro suocero e di lànon mi mossi piùsembrandomi di essere arrivato ad una veracattedra commercialequale la cercavo da tanto tempo.

Eglipresto s'accorse della mia ammirazione e vi corrispose conun'amicizia che subito mi parve paterna. Che egli avesse saputosubito come le cose sarebbero andate a finire? Quandoentusiasmatodall'esempio della sua grande attivitàuna sera dichiarai divoler liberarmi dall'Olivi e dirigere io stesso i miei affarieglime ne sconsigliò e parve persino allarmato dal mio proposito.Potevo dedicarmi al commercioma dovevo tenermi sempre solidamentelegato all'Olivi ch'egli conosceva.

Eradispostissimo ad istruirmied anzi annotò di propria mano nelmio libretto tre comandamenti ch'egli riteneva bastassero per farprosperare qualunque ditta: 1. Non occorre saper lavorarema chi nonsa far lavorare gli altri perisce. 2. Non c'è che un sologrande rimorsoquello di non aver saputo fare il proprio interesse.3. In affari la teoria è utilissimama è adoperabilesolo quando l'affare è stato liquidato.

Ioso questi e tanti altri teoremi a mentema a me non giovarono.

Quandoio ammiro qualcunotento immediatamente di somigliargli. Copiaianche il Malfenti. Volli essere e mi sentii molto astuto. Una voltaanzi sognai d'essere più furbo di lui. Mi pareva di averscoperto un errore nella sua organizzazione commerciale: vollidirglielo subito per conquistarmi la sua stima. Un giorno al tavolodel Tergesteo l'arrestai quandodiscutendo di un affarestava dandodella bestia ad un suo interlocutore. L'avvertii ch'io trovavoch'egli sbagliava di proclamare con tutti la sua furberia. Il verofurboin commerciosecondo medoveva fare in modo di appariremelenso.

Eglimi derise. La fama di furberia era utilissima. Intanto molti venivanoa prender consiglio da lui e gli portavano delle notizie freschementre lui dava loro dei consigli utilissimi confermati daun'esperienza raccolta dal Medio Evo in poi. Talvolta egli aveval'opportunità di aver insieme alle notizie anche lapossibilità di vendere delle merci. Infine - e qui si mise adurlare perché gli parve d'aver trovato finalmente l'argomentoche doveva convincermi - per vendere o per comperarevantaggiosamentetutti si rivolgevano al più furbo. Dalmelenso non potevano sperare altro fuorché indurlo asacrificare ogni suo beneficioma la sua merce era sempre piùcara di quella del furboperché egli era stato giàtruffato al momento dell'acquisto.

Ioero la persona più importante per lui a quel tavolo. Miconfidò suoi segreti commerciali ch'io mai tradii. La suafiducia era messa benissimotant'è vero che potéingannarmi due voltequand'ero già divenuto suo genero. Laprima volta la sua accortezza mi costò bensì deldenaroma fu l'Olivi ad esser l'ingannato e perciò io non midolsi troppo. L'Olivi m'aveva mandato da lui per averne accortamentedelle notizie e le ebbe. Le ebbe tali che non me la perdonòpiù e quando aprivo la bocca per dargli un'informazionemidomandava: "Da chi l'avete avuta? Da vostro suocero?". Perdifendermi dovetti difendere Giovanni e finii col sentirmi piuttostol'imbroglione che l'imbrogliato.

Unsentimento gradevolissimo.

Maun'altra volta feci proprio io la parte dell'imbecillema neppureallora seppi nutrire del rancore per mio suocero. Egli provocava orala mia invidia ed ora la mia ilarità. Vedevo nella miadisgrazia l'esatta applicazione dei suoi principii ch'egli giammaim'aveva spiegati tanto bene. Trovò anche il modo di ridernecon memai confessando di avermi ingannato e asserendo di doverridere dell'aspetto comico della mia disdetta. Una sola volta egliconfessò di avermi giocato quel tiro e ciò fu allenozze di sua figlia Ada (non con me) dopo di aver bevuto dellosciampagna che turbò quel grosso corpo abbeverato di solito daacqua pura.

Alloraegli raccontò il fattourlando per vincere l'ilaritàche gl'impediva la parola:

-Capita dunque quel decreto! Abbattuto sto facendo il calcolo diquanto mi costi. In quel momento entra mio genero. Mi dichiara chevuol dedicarsi al commercio. "Ecco una bella occasione"gli dico. Egli si precipita sul documento per firmare temendo chel'Olivi potesse arrivare in tempo per impedirglielo e l'affare èfatto. - Poi mi faceva delle grandi lodi: - Conosce i classici amente. Sa chi ha detto questo e chi ha detto quello. Non sa peròleggere un giornale!

Eravero! Se avessi visto quel decreto apparso in luogo poco vistoso deicinque giornali ch'io giornalmente leggonon sarei caduto intrappola. Avrei dovuto anche subito intendere quel decreto e vedernele conseguenze ciò che non era tanto facile perché conesso si riduceva il tasso di un dazio per cui la merce di cui sitrattava veniva deprezzata.

Ilgiorno dopo mio suocero smentì le sue confessioni. L'affare inbocca sua riacquistava la fisonomia che aveva avuta prima di quellacena. - Il vino inventa- diceva egli serenamente e restavaacquisito che il decreto in questione era stato pubblicato due giornidopo la conclusione di quell'affare. Mai egli emise la supposizioneche se avessi visto quel decreto avrei potuto fraintenderlo. Io nefui lusingatoma non era per gentilezzach'egli mi risparmiassemaperché pensava che tutti leggendo i giornali ricordino iproprii interessi. Invece ioquando leggo un giornalemi sentotrasformato in opinione pubblica e vedendo la riduzione di un dazioricordo Cobden e il liberismo. È un pensiero tanto importanteche non resta altro posto per ricordare la mia merce.

Unavolta però m'avvenne di conquistare la sua ammirazione eproprio per mecome sono e giaccioed anzi proprio per le miequalità peggiori. Possedevamo io e lui da vario tempo delleazioni di una fabbrica di zucchero dalla quale si attendevanomiracoli. Invece le azioni ribassavanotenuementema ogni giornoeGiovanniche non intendeva di nuotare contro correntesi disfecedelle sue e mi convinse di vendere le mie. Perfettamente d'accordomi proposi di dare quell'ordine di vendita al mio agente e intanto nepresi nota in un libretto che in quel torno di tempo avevo di nuovoistituito. Ma si sa che la tasca non si vede durante il giorno e cosìper varie sere ebbi la sorpresa di ritrovare nella miaquell'annotazione al momento di coricarmi e troppo tardi perchémi servisse.

Unavolta gridai dal dispiacere eper non dover dare troppe spiegazionia mia moglie le dissi che m'ero morsa la lingua. Un'altra voltastupito di tanta sbadatagginemi morsi le mani. "Occhio aipiediora!" disse mia moglie ridendo. Poi non vi furono altrimalanni perché vi ero abituato. Guardavo istupidito quelmaledetto libretto troppo sottile per farsi percepire durante ilgiorno con la sua pressione e non ci pensavo più sino allasera appresso.

Ungiorno un improvviso acquazzone mi costrinse di rifugiarmi alTergesteo. Colà trovai per caso il mio agente il quale miraccontò che negli ultimi otto giorni il prezzo di quelleazioni s'era quasi raddoppiato.

-Ed io ora vendo! - esclamai trionfalmente.

Corsida mio suocero il quale già sapeva dell'aumento di prezzo diquelle azioni e si doleva di aver vendute le sue e un po' meno diavermi indotto a vendere le mie.

-Abbi pazienza! - disse ridendo. - È la prima volta che perdiper aver seguito un mio consiglio.

L'altroaffare non era risultato da un suo consiglio ma da una sua propostaciò chesecondo luiera molto differente.

Iomi misi a ridere di gusto.

-Ma io non ho mica seguito quel consiglio! - Non mi bastava la fortunae tentai di farmene un merito. Gli raccontai che le azioni sarebberostate vendute solo la dimane eassumendo un'aria d'importanzavollifargli credere che io avessi avuto delle notizie che avevodimenticato di dargli e che m'avevano indotto a non tener conto delsuo consiglio.

Torvoe offeso mi parlò senza guardarmi in faccia.

-Quando si ha una mente come la tua non ci si occupa di affari. Equando capita di aver commessa una tale malvagitànon la siconfessa. Hai da imparare ancora parecchie cosetu.

Mispiacque d'irritarlo. Era tanto più divertente quand'eglidanneggiava me. Gli raccontai sinceramente com'erano andate le cose.

-Come vedi è proprio con una mente come la mia che bisognadedicarsi agli affari.

Subitorabbonitorise con me:

-Non è un utile quello che ricavi da tale affare; è unindenizzo. Quella tua testa ti costò già tantoch'ègiusto ti rimborsi di una parte della tua perdita!

Nonso perché mi fermai tanto a raccontare dei dissidi ch'ebbi conlui e che sono tanto pochi. Io gli volli veramente benetant'èvero che ricercai la sua compagnia ad onta che avesse l'abitudine diurlare per pensare più chiaramente. Il mio timpano sapevasopportare le sue urla. Se le avesse gridate menoquelle sue teorieimmorali sarebbero state più offensive ese egli fosse statoeducato megliola sua forza sarebbe sembrata meno importante. E adonta ch'io fossi tanto differente da luicredo ch'egli abbiacorrisposto al mio con un affetto simile. Lo saprei con maggioresicurezza se egli non fosse morto tanto presto. Continuò adarmi assiduamente delle lezioni dopo il mio matrimonio e le condìspesso di urla ed insolenze che io accettavo convinto di meritarle.

Sposaisua figlia. Madre natura misteriosa mi diresse e si vedrà conquale violenza imperativa. Adesso io talvolta scruto le faccie deimiei figliuoli e indago se accanto al mento sottile mioindizio didebolezzaaccanto agli occhi di sogno mieich'io loro tramandainon vi sia in loro almeno qualche tratto della forza brutale delnonno ch'io loro elessi.

 

Ealla tomba di mio suocero io piansi ad onta che anche l'ultimo addioche mi diede non sia stato troppo affettuoso. Dal suo letto di mortemi disse che ammirava la mia sfacciata fortuna che mi permetteva dimovermi liberamente mentre lui era crocifisso su quel letto. Iostupitogli domandai che cosa gli avessi fatto per fargli desideraredi vedermi malato. Ed egli mi rispose proprio così:

-Se dando a te la mia malattia io potessi liberarmenete la dareisubitomagari raddoppiata! Non ho mica le ubbie umanitarie che haitu!

Nonv'era niente di offensivo: egli avrebbe voluto ripetere quell'altroaffare col quale gli era riuscito di caricarmi di una mercedeprezzata. Poi anche qui c'era stata la carezza perché a menon spiaceva di veder spiegata la mia debolezza con le ubbieumanitarie ch'egli mi attribuiva.

Allasua tomba come a tutte quelle su cui piansiil mio dolore fudedicato anche a quella parte di me stesso che vi era sepolta. Qualediminuzione per me venir privato di quel mio secondo padreordinarioignoranteferoce lottatore che dava risalto alla miadebolezzala mia culturala mia timidezza. Questa è laverità: io sono un timido! Non l'avrei scoperto se non avessiqui studiato Giovanni. Chissà come mi sarei conosciuto megliose egli avesse continuato a starmi accanto!

Prestom'accorsi che al tavolo del Tergesteodove si divertiva a rivelarsiquale era e anche un poco peggioreGiovanni s'imponeva una riserva:non parlava mai di casa sua o soltanto quando vi era costrettocompostamente e con voce un poco più dolce del solito. Portavaun grande rispetto alla sua casa e forse non tutti coloro chesedevano a quel tavolo gli sembravano degni di saperne qualche cosa.Colà appresi soltanto che le sue quattro figliuole avevanotutti i nomi dall'iniziale in auna cosa praticissimasecondo luiperché le cose su cui era impressa quell'iniziale potevanopassare dall'una all'altrasenz'aver da subire dei mutamenti. Sichiamavano (seppi subito a mente quei nomi): AdaAugustaAlberta eAnna. A quel tavolo si disse anche che tutt'e quattro erano belle.Quell'iniziale mi colpì molto più di quanto meritasse.Sognai di quelle quattro fanciulle legate tanto bene insieme dal loronome. Pareva fossero da consegnarsi in fascio. L'iniziale dicevaanche qualche cosa d'altro. Io mi chiamo Zeno ed avevo perciòil sentimento che stessi per prendere moglie lontano dal mio paese.

Fuforse un caso che prima di presentarmi in casa Malfenti io mi fossiliberato da un legame abbastanza antico con una donna che forseavrebbe meritato un trattamento migliore. Ma un caso che dà dapensare. La decisione a tale distacco fu presa per ragione ben lieve.Alla poverina era parso un bel sistema di legarmi meglio a leiquello di rendermi geloso. Il sospetto invece bastò perindurmi ad abbandonarla definitivamente. Essa non poteva sapere cheio allora ero invaso dall'idea del matrimonio e che credevo di nonpoter contrarlo con leisolo perché con lei la novitànon mi sarebbe sembrata abbastanza grande. Il sospetto ch'essa avevafatto nascere in me ad arte era una dimostrazione della superioritàdel matrimonio nel quale tali sospetti non devono sorgere.

Quandoquel sospetto di cui sentii presto l'inconsistenza dileguòricordai anche ch'essa spendeva troppo. Oggidìdopoventiquattr'anni di onesto matrimonionon sono più di quelparere.

Peressa fu una vera fortuna perchépochi mesi dopofu sposatada persona molto abbiente ed ottenne l'ambito mutamento prima di me.Non appena sposatome la trovai in casa perché il marito eraun amico di mio suocero. C'incontrammo spessomaper molti annifinché fummo giovanifra noi regnò il massimo riserboe mai si fece allusione al passato. L'altro giorno ella mi domandòa bruciapelocon la sua faccia incorniciata da capelli grigigiovanilmente arrossata:

-Perché mi abbandonaste?

Iofui sincero perché non ebbi il tempo necessario perconfezionare una bugia:

-Non lo so piùma ignoro anche tante altre cose della miavita.

-A me dispiace- ella disse e già m'inchinavo al complimentoche così mi prometteva. - Nella vecchiaia mi sembrate un uomomolto divertente. - Mi rizzai con uno sforzo. Non era il caso diringraziare.

Ungiorno appresi che la famiglia Malfenti era ritornata in cittàda un viaggio di piacere abbastanza prolungato seguito al soggiornoestivo in campagna. Non arrivai a fare alcun passo per essereintrodotto in quella casa perché Giovanni mi prevenne.

Mifece vedere la lettera di un suo amico intimo che domandava mienuove: Era stato mio compagno di studii costui e gli avevo volutomolto bene finché l'avevo creduto destinato a divenire ungrande chimico. Orainvecedi lui non m'importava proprio nienteperché s'era trasformato in un grande commerciante in concimied io come tale non lo conoscevo affatto. Giovanni m'invitò acasa sua proprio perché ero l'amico di quel suo amico e- sicapisce- io non protestai affatto.

Quellaprima visita io la ricordo come se l'avessi fatta ieri. Era unpomeriggio fosco e freddo d'autunno; e ricordo persino il sollievoche mi derivò dal liberarmi del soprabito nel tepore di quellacasa. Stavo proprio per arrivare in porto. Ancora adesso stoammirando tanta cecità che allora mi pareva chiaroveggenza.Correvo dietro alla salutealla legittimità. Sta bene che inquell'iniziale a erano racchiuse quattro fanciullema tre diloro sarebbero state eliminate subito e in quanto alla quartaanch'essa avrebbe subito un esame severo. Giudice severissimo sareistato. Ma intanto non avrei saputo dire le qualità che avreidomandate da lei e quelle che avrei abbominate.

Nelsalotto elegante e vasto fornito di mobili in due stili differentidi cui uno Luigi XIV e l'altro veneziano ricco di oro impresso anchesui cuoidiviso dai mobili in due particome allora si usavatrovai la sola Augusta che leggeva accanto ad una finestra. Mi diedela manosapeva il mio nome e arrivò a dirmi ch'ero attesoperché il suo babbo aveva preavvisata la mia visita. Poi corsevia a chiamare la madre.

Eccoche delle quattro fanciulle dalla stessa iniziale una ne moriva inquanto mi riguardava. Come avevano fatto a dirla bella? La prima cosache in lei si osservava era lo strabismo tanto forte cheripensandoa lei dopo di non averla vista per qualche tempola personificavatutta.

Avevapoi dei capelli non molto abbondantibiondima di un colore foscoprivo di luce e la figura intera non disgraziatapure un po' grossaper quell'età. Nei pochi istanti in cui restai solo pensai:"Se le altre tre somigliano a questa!.. "

Pocodopo il gruppo delle fanciulle si ridusse a due. Una di essech'entrò con la mammanon aveva che otto anni. Carina quellabambina dai capelli inanellatiluminosilunghi e sciolti sullespalle! Per la sua faccia pienotta e dolce pareva un'angiolettapensierosa (finché stava zitta) di quel pensiero come se lofigurava Raffaello Sanzio.

Miasuocera... Ecco! Anch'io provo un certo ritegno a parlarne con troppalibertà! Da molti anni io le voglio bene perché èmia madrema sto raccontando una vecchia storia nella quale essa nonfigurò quale mia amica e intendo di non rivolgerle neppure inquesto fascicoloch'essa mai vedràdelle parole meno cherispettose. Del resto il suo intervento fu tanto breve che avreipotuto anche dimenticarlo: Un colpetto al momento giustonon piùforte di quanto occorse per farmi perdere il mio equilibrio labile.Forse l'avrei perduto anche senza il suo interventoeppoi chissàse essa volle proprio quello che avvenne? È tanto bene educatache non può capitarle come al marito di bere troppo perrivelarmi i miei affari. Infatti mai le accadde nulla di simile eperciò io sto raccontando una storia che non conosco bene; nonso cioè se sia dovuta alla sua furberia o alla mia bestialitàch'io abbia sposata quella delle sue figliuole ch'io non volevo.

Intantoposso dire che all'epoca di quella mia prima visita mia suocera eratuttavia una bella donna. Era elegante anche per il suo modo divestire di un lusso poco appariscente. Tutto in lei era mite eintonato.

Avevocosì nei miei stessi suoceri un esempio d'integrazione framarito e moglie quale io la sognavo. Erano stati felicissimi insiemelui sempre vociando e lei sorridendo di un sorriso che nello stessotempo voleva dire consenso e compatimento. Essa amava il suo grossouomo ed egli deve averla conquistata e conservata a furia di buoniaffari. Non l'interessema una vera ammirazione la legava a luiun'ammirazione cui io partecipavo e che perciò facilmenteintendevo. Tanta vivacità messa da lui in un ambito tantoristrettouna gabbia in cui non v'era altro che una merce e duenemici (i due contraenti) ove nascevano e si scoprivano sempre dellenuove combinazioni e relazionianimava meravigliosamente la vita.Egli le raccontava tutti i suoi affari e lei era tanto bene educatada non dare mai dei consigli perché avrebbe temuto difuorviarlo. Egli sentiva il bisogno di tale muta assistenza etalvolta correva a casa a monologare nella convinzione di andar aprendere consiglio dalla moglie.

Nonfu una sorpresa per me quando appresi ch'egli la tradivach'essa losapeva e che non gliene serbava rancore. Io ero sposato da un annoallorché un giorno Giovanniturbatissimomi raccontòche aveva smarrita una lettera di cui molto gl'importava e vollerivedere delle carte che m'aveva consegnate sperando di ritrovarlafra quelle.

Invecepochi giorni appressotutto lietomi raccontò che l'avevaritrovata nel proprio portafogli. "Era di una donna?"domandai ioe lui accennò di sì con la testavantandosi della sua buona fortuna. Poi ioper difendermiun giornoin cui m'accusavano di aver perdute delle cartedissi a mia moglie ea mia suocera che non potevo avere la fortuna del babbo cui le carteritornavano da sole al portafogli. Mia suocera si mise a ridere tantodi gusto ch'io non dubitai che quella carta non fosse stata rimessa aposto proprio da lei. Evidentemente nella loro relazione ciònon aveva importanza. Ognuno fa all'amore come sa e il lorosecondomenon ne era il modo più stupido.

Lasignora m'accolse con grande gentilezza. Si scusò di dovertenere con sé la piccola Anna che aveva il suo quarto d'ora incui non si poteva lasciarla con altri. La bambina mi guardavastudiandomi con gli occhi serii. Quando Augusta ritornò es'assise su un piccolo sofà posto dirimpetto a quello su cuieravamo io e la signora Malfentila piccina andò a coricarsiin grembo alla sorella donde m'osservò per tutto il tempo conuna perseveranza che mi divertì finché non seppi qualipensieri si movessero in quella piccola testa.

Laconversazione non fu subito molto divertente. La signoracome tuttele persone bene educateera abbastanza noiosa ad un primo incontro.Mi domandava anche troppe notizie dell'amico che si fingeva m'avesseintrodotto in quella casa e di cui io non ricordavo neppure il nomedi battesimo.

Entraronofinalmente Ada e Alberta. Respirai: erano belle ambedue e portavanoin quel salotto la luce che fino ad allora vi aveva mancato. Ambeduebrune e alte e slanciatema molto differenti l'una dall'altra. Nonera una scelta difficile quella che avevo da fare. Alberta avevaallora non più di diciasett'anni. Come la madre essa aveva -benché bruna - la pelle rosea e trasparenteciò cheaumentava l'infantilità del suo aspetto. Adainveceera giàuna donna con i suoi occhi serii in una faccia che per essere meglionivea era un poco azzurra e la sua capigliatura riccaricciutamaaccomodata con grazia e severità.

Èdifficile di scoprire le origini miti di un sentimento divenuto poitanto violentoma io sono certo che da me mancò il cosidettocoup de foudre per Ada. Quel colpo di fulmineperòfusostituito dalla convinzione ch'ebbi immediatamente che quella donnafosse quella di cui abbisognavo e che doveva addurmi alla salutemorale e fisica per la santa monogamia. Quando vi ripenso restosorpreso che sia mancato quel colpo di fulmine e che vi sia statainvece quella convinzione. È noto che noi uomini non cerchiamonella moglie le qualità che adoriamo e disprezziamonell'amante. Sembra dunque ch'io non abbia subito vista tutta lagrazia e tutta la bellezza di Ada e che mi sia invece incantato adammirare altre qualità ch'io le attribuii di serietà eanche di energiainsommaun po' mitigatele qualità ch'ioamavo nel padre suo. Visto che poi credetti (come credo ancora) dinon essermi sbagliato e che tali qualità Ada da fanciullaavesse posseduteposso ritenermi un buon osservatore ma un buonosservatore alquanto cieco.

Quellaprima volta io guardai Ada con un solo desiderio: quello diinnamorarmene perché bisognava passare per di là persposarla. Mi vi accinsi con quell'energia ch'io sempre dedico allemie pratiche igieniche. Non so dire quando vi riuscii; forse giànel tempo relativamente piccolo di quella prima visita.

Giovannidoveva aver parlato molto di me alle figliuole sue. Esse sapevanofra altroch'ero passato nei miei studii dalla facoltà dilegge a quella di chimica per ritornare - pur troppo! - alla prima.Cercai di spiegare: era certo che quando ci si rinchiudeva in unafacoltàla parte maggiore dello scibile restava copertadall'ignoranza. E dicevo:

-Se ora su di me non incombesse la serietà della vita- e nondissi che tale serietà io la sentivo da poco tempodacchéavevo risolto di sposarmi - io sarei passato ancora di facoltàin facoltà.

Poiper far rideredissi ch'era curioso ch'io abbandonassi una facoltàproprio al momento di dare gli esami.

-Era un caso - dicevo col sorriso di chi vuol far credere che stiadicendo una bugia. E invece era vero ch'io avevo cambiato di studiinelle più varie stagioni.

Partiicosì alla conquista di Ada e continuai sempre nello sforzo difarla ridere di me e alle spalle mie dimenticando ch'io l'avevoprescelta per la sua serietà. Io sono un po' bizzarroma alei dovetti apparire veramente squilibrato. Non tutta la colpa èmia e lo si vede dal fatto che Augusta e Albertach'io non avevopresceltemi giudicarono altrimenti. Ma Adache proprio allora eratanto seria da girare intorno i begli occhi alla ricerca dell'uomoch'essa avrebbe ammesso nel suo nidoera incapace di amare lapersona che la faceva ridere. Ridevarideva a lungotroppo a lungoe il suo riso copriva di un aspetto ridicolo la persona che l'avevaprovocato. La sua era una vera inferiorità e doveva finire coldanneggiarlama danneggiò prima me. Se avessi saputo tacere atempo forse le cose sarebbero andate altrimenti. Intanto le avreilasciato il tempo perché parlasse leimi si rivelasse epotessi guardarmene.

Lequattro fanciulle erano sedute sul piccolo sofà sul qualestavano a stento ad onta che Anna sedesse sulle ginocchia di Augusta.Erano belle così insieme. Lo constatai con un'intimasoddisfazione vedendo ch'ero avviato magnificamente all'ammirazione eall'amore. Veramente belle! Il colore sbiadito di Augusta serviva adare rilievo al color bruno delle capigliature delle altre.

Ioavevo parlato dell'Università e Albertache stava facendo ilpenultimo anno del ginnasioraccontò dei suoi studii. Silamentò che il latino le riusciva molto difficile. Dissi dinon meravigliarmene perché era una lingua che non faceva perle donnetanto ch'io pensavo che già dagli antichi romani ledonne avessero parlato l'italiano. Invece per me - asserii - illatino aveva rappresentata la materia prediletta. Poco dopo peròcommisi la leggerezza di fare una citazione latina che Albertadovette correggermi. Un vero infortunio! Io non vi diedi importanza eavvertii Alberta che quando essa avesse avuto dietro di sé unadiecina di semestri d'Universitàanche lei avrebbe dovutoguardarsi dal fare citazioni latine.

 

Adache recentemente era stata col padre per qualche mese in Inghilterraraccontò che in quel paese molte fanciulle sapevano il latino.Poi sempre con la sua voce seriaaliena da ogni musicalitàun po' più bassa di quella che si sarebbe aspettata dalla suagentile personcinaraccontò che le donne in Inghilterra eranotutt'altra cosa che da noi. S'associavano per scopi di beneficenzareligiosi o anche economici. Ada veniva spinta a parlare dallesorelle che volevano riudire quelle cose che apparivano meravigliosea fanciulle della nostra città in quell'epoca. EpercompiacerleAda raccontò di quelle donne presidentessegiornalistesegretarie e propagandiste politiche che salivano ilpulpito per parlare a centinaia di persone senz'arrossire e senzaconfondersi quando venivano interrotte o vedevano confutati i loroargomenti. Diceva semplicementecon poco coloresenz'alcunaintenzione di far meravigliare o ridere.

Ioamavo la sua parola sempliceioche come aprivo la bocca svisavocose o persone perché altrimenti mi sarebbe sembrato inutiledi parlare. Senz'essere un oratoreavevo la malattia della parola.La parola doveva essere un avvenimento a sé per me e perciònon poteva essere imprigionata da nessun altro avvenimento.

Maio avevo uno speciale odio per la perfida Albione e lo manifestaisenza temere di offendere Ada che del resto non aveva manifestato néodio né amore per l'Inghilterra. Io vi avevo trascorso alcunimesima non vi avevo conosciuto alcun inglese di buona societàvisto che avevo smarrite in viaggio alcune lettere di presentazioneottenute da amici d'affari di mio padre. A Londra perciò avevopraticato solo alcune famiglie francesi ed italiane e finito colpensare che tutte le persone dabbene in quella cittàprovenissero dal continente. La mia conoscenza dell'inglese era moltolimitata. Con l'aiuto degli amici potei tuttavia intendere qualchecosa della vita di quegl'isolani e sopra tutto fui informato dellaloro antipatia per tutti i non inglesi.

Descrissialle fanciulle il sentimento poco gradevole che mi veniva dalsoggiorno in mezzo a nemici. Avrei però resistito e sopportatal'Inghilterra per quei sei mesi che mio padre e l'Olivi volevanoinfliggermi acciocché studiassi il commercio inglese (in cuiintanto non m'imbattei mai perché pare si faccia in luoghireconditi) se non mi fosse toccata un'avventura sgradevole. Eroandato da un libraio a cercare un vocabolario. In quel negoziosulbancoriposava sdraiato un grossomagnifico gatto àngora cheproprio attirava le carezze sul soffice pelo. Ebbene! Solo perchédolcemente l'accarezzaiesso proditoriamente m'assaltò e migraffiò malamente le mani. Da quel momento non seppi piùsopportare l'Inghilterra e il giorno appresso mi trovavo a Parigi.

AugustaAlberta e anche la signora Malfenti risero di cuore. Ada invece erastupita e credeva di avere frainteso. Era stato almeno il libraiostesso che m'aveva offeso e graffiato? Dovetti ripetermiciòch'è noioso perché si ripete male.

Albertala dottavolle aiutarmi:

-Anche gli antichi si lasciavano dirigere nelle loro decisioni daimovimenti degli animali.

 

Nonaccettai l'aiuto. Il gatto inglese non s'era mica atteggiato adoracolo; aveva agito da fato!

Adacoi grandi occhi spalancativolle delle altre spiegazioni:

-E il gatto rappresentò per voi l'intero popolo inglese?

Com'erosfortunato! Per quanto veraquell'avventura a me era parsaistruttiva e interessante come se a scopi precisi fosse statainventata. Per intenderla non bastava ricordare che in Italia doveconosco ed amo tanta gentel'azione di quel gatto non avrebbe potutoassurgere a tale importanza? Ma io non dissi questo e dissi invece:

-È certo che nessun gatto italiano sarebbe capace di una taleazione.

Adarise a lungomolto a lungo. Mi parve persino troppo grande il miosuccesso perché m'immiserii e immiserii la mia avventura conulteriori spiegazioni:

-Lo stesso libraio fu stupito del contegno del gatto che con tutti glialtri si comportava bene. L'avventura toccò a me perchéero io o forse perché ero italiano. It was reallydisgusting e dovetti fuggire.

Quiavvenne qualche cosa che pur avrebbe dovuto avvisarmi e salvarmi. Lapiccola Anna che fino ad allora era rimasta immota ad osservarmiagran voce si diede ad esprimere il sentimento di Ada. Gridò:

-È vero ch'è pazzopazzo del tutto?

Lasignora Malfenti la minacciò:

-Vuoi stare zitta? Non ti vergogni d'ingerirti nei discorsi deigrandi?

Laminaccia fece peggio. Anna gridò:

-È pazzo! Parla coi gatti! Bisognerebbe procurarsi subito dellecorde per legarlo!

Augustarossa dal dispiaceresi alzò e la portò viaammonendola e domandandomi nello stesso tempo scusa. Ma ancora allaporta la piccola vipera poté fissarmi negli occhifarmi unabrutta smorfia e gridarmi.

-Vedrai che ti legheranno!

Erostato assaltato tanto impensatamente che non subito seppi trovare ilmodo di difendermi. Mi sentii però sollevato all'accorgermiche anche Ada era dispiacente di veder dare espressione a quel modoal suo proprio sentimento. L'impertinenza della piccina ciriavvicinava.

Raccontairidendo di cuore ch'io a casa possedevo un certificato regolarmentebollato che attestava in tutte le forme la mia sanità dimente. Così appresero del tiro che avevo giocato al miovecchio padre. Proposi di produrre quel certificato alla piccolaAnnuccia.

Quandoaccennai di andarmene non me lo permisero. Volevano che primadimenticassi i graffi inflittimi da quell'altro gatto. Mi trattennerocon lorooffrendomi una tazza di tè.

Ècerto ch'io oscuramente sentii subito che per esser gradito da Adaavrei dovuto essere un po' differente di quanto ero; pensai che misarebbe stato facile di divenire quale essa mi voleva. Si continuòa parlare della morte di mio padre e a me parve che rivelando ilgrande dolore che tuttavia mi pesavala seria Ada avrebbe potutosentirlo con me. Ma subitonello sforzo di somigliarleperdetti lamia naturalezza e perciò da lei - come si vide subito -m'allontanai. Dissi che il dolore per una simile perdita era tale chese io avessi avuto dei figliuoli avrei cercato di fare in modo chem'amassero meno per risparmiare loro più tardi di soffriretanto per la mia dipartita.

Fuiun poco imbarazzato quando mi domandarono in qual modo mi sareicomportato per raggiungere tale scopo. Maltrattarli e picchiarli?Albertaridendodisse:

-Il mezzo più sicuro sarebbe di ucciderli.

Vedevoche Ada era animata dal desiderio di non spiacermi. Perciòesitava; ma ogni suo sforzo non poteva condurla oltre l'esitazione.Poi disse che vedeva ch'era per bontà ch'io pensavo diorganizzare così la vita dei miei figliuolima che non lepareva giusto di vivere per prepararsi alla morte. M'ostinai easserii che la morte era la vera organizzatrice della vita. Io semprealla morte pensavo e perciò non avevo che un solo dolore: Lacertezza di dover morire. Tutte le altre cose divenivano tanto pocoimportanti che per esse non avevo che un lieto sorriso o un risoaltrettanto lieto. M'ero lasciato trascinare a dire delle cosech'erano meno verespecie trovandomi con leiuna parte della miavita già tanto importante. In verità io credo di averleparlato così per il desiderio di farle sapere ch'io ero unuomo tanto lieto. Spesso la lietezza m'aveva favorito con le donne.

Pensierosaed esitanteessa mi confessò che non amava uno stato d'animosimile. Diminuendo il valore della vitasi rendeva questa anche piùpericolante di quanto madre natura avesse voluto. Veramente ellam'aveva detto che non facevo per leima ero tuttavia riuscito arenderla esitante e pensierosa e mi parve un successo. Alberta citòun filosofo antico che doveva somigliarmi nell'interpretazione dellavita e Augusta disse che il riso era una gran bella cosa. Anche suopadre ne era ricco.

-Perché gli piacciono i buoni affari - disse la signoraMalfenti ridendo.

Interruppifinalmente quella visita memoranda.

Nonv'è niente di più difficile a questo mondo che di fareun matrimonio proprio come si vuole. Lo si vede dal caso mio ove ladecisione di sposarmi aveva preceduto di tanto la scelta dellafidanzata. Perché non andai a vedere tante e tante ragazzeprima di sceglierne una? No! Pareva proprio mi fosse spiaciuto divedere troppe donne e non volli faticare. Scelta la fanciullaavreianche potuto esaminarla un po' meglio e accertarmi almeno ch'essasarebbe stata disposta di venirmi incontro a mezza strada come si usanei romanzi d'amore a conclusione felice. Ioinveceelessi lafanciulla dalla voce tanto grave e dalla capigliatura un po' ribellema assettata severamente e pensai chetanto serianon avrebberifiutato un uomo intelligentenon bruttoricco e di buona famigliacome ero io. Già alle prime parole che scambiammo sentiiqualche stonaturama la stonatura è la via all'unisono. Devoanzi confessare che pensai: "Ella deve rimanere quale èpoiché così mi piace e sarò io che mi cambieròse essa lo vorrà". In complesso ero ben modesto perchéè certamente più facile di mutare sé stesso chenon di rieducare altri.

Dopobrevissimo tempo la famiglia Malfenti divenne il centro della miavita. Ogni sera la passavo con Giovanni chedopo che m'avevaintrodotto in casa suas'era fatto con me anche più affabilee intimo. Fu tale affabilità che mi rese invadente.

Dapprimafeci visita alle sue signore una volta alla settimanapoi piùvolte e finii coll'andare in casa sua ogni giorno a passarci varieore del pomeriggio. Per insediarmi in quella casa non mancaronopretesti ed io credo di non sbagliare asserendo che mi fossero ancheofferti. Portai talvolta con me il mio violino e passai qualche pocodi musica con Augustala sola che in quella casa sonasse il piano.Era male che Ada non sonassepoi era male che io sonassi tanto maleil violino e malissimo che Augusta non fosse una grande musicista. Diogni sonata io ero obbligato di eliminare qualche periodo perchétroppo difficilecol pretesto non vero di non aver toccato ilviolino da troppo tempo. Il pianista è quasi sempre superioreal dilettante violinista e Augusta aveva una tecnica discretama ioche sonavo tanto peggio di leinon sapevo dirmene contento epensavo: "Se sapessi sonare come leicome sonerei meglio!"Intanto ch'io giudicavo Augustagli altri giudicavano me ecomeappresi più tardinon favorevolmente. Poi Augusta avrebbevolentieri ripetute le nostre sonatema io m'accorsi che Ada vi siannoiava e perciò finsi più volte di aver dimenticatoil violino a casa. Augusta allora non ne parlò più.

Purtroppoio non vivevo solo con Ada le ore che passavo in quella casa. Essaben presto m'accompagnò il giorno intero. Era la donna da mepresceltaera perciò già mia ed io l'adornai di tuttii sogni perché il premio della vita m'apparisse piùbello. L'adornaile prestai tutte le tante qualità di cuisentivo il bisogno e che a me mancavanoperché essa dovevadivenire oltre che la mia compagna anche la mia seconda madre chem'avrebbe addotto a una vita interaviriledi lottae di vittoria.

Neimiei sogni anche fisicamente l'abellìi prima di consegnarla adaltri. In realtà io nella mia vita corsi dietro a molte donnee molte di esse si lasciarono anche raggiungere. Nel sogno leraggiunsi tutte. Naturalmente non le abbellisco alterandone i trattima faccio come un mio amicopittore delicatissimoche quandoritratta delle donne bellepensa intensamente anche a qualche altrabella cosa per esempio a della porcellana finissima. Un sognopericoloso perché può conferire nuovo potere alle donnedi cui si sognò e che rivedendo alla luce reale conservanoqualche cosa delle fruttadei fiori e della porcellana da cui furonovestite.

M'èdifficile di raccontare della mia corte ad Ada. Vi fu poi una lungaepoca della mia vita in cui io mi sforzai di dimenticare la stupidaavventura che proprio mi faceva vergognare di quella vergogna che fagridare e protestare. "Non sono io che fui tanto bestia!".E chi allora? Ma la protesta conferisce pure un po' di sollievo ed iovi insistetti. Meno male se avessi agito a quel modo un dieci anniprimaa vent'anni! Ma esser stato punito di tanta bestialitàsolo perché avevo deciso di sposarmimi pare proprioingiusto. Io che già ero passato per ogni specie di avventurecondotte sempre con uno spirito intraprendente che arrivava allasfacciataggineecco ch'ero ridivenuto il ragazzetto timido che tentadi toccar la mano dell'amata magari senza ch'essa se ne avvedaeppoiadora quella parte del proprio corpo ch'ebbe l'onore di similecontatto.

Questach'è stata la più pura avventura della mia vitaancheoggi che son vecchio io la ricordo quale la più turpe. Erafuori di postofuori di tempo quella robacome se un ragazzo didieci anni si fosse attaccato al petto della balia. Che schifo!

Comespiegare poi la mia lunga esitazione di parlare chiaro e dire allafanciulla: Risolviti! Mi vuoi o non mi vuoi? Io andavo a quella casaarrivandovi dai miei sogni; contavo gli scalini che mi conducevano aquel primo piano dicendomi che se erano dispari ciò avrebbeprovato ch'essa m'amava ed erano sempre dispari essendovenequarantatré. Arrivavo a lei accompagnato da tanta sicurezza efinivo col parlare di tutt'altra cosa. Ada non aveva ancora trovatal'occasione di significarmi il suo disdegno ed io tacevo! Anch'io alposto di Ada avrei accolto quel giovinetto di trent'anni a calci nelsedere!

Devodire che in certo rapporto io non somigliavo esattamente al ventenneinnamorato il quale tace aspettando che l'amata gli si getti alcollo. Non m'aspettavo niente di simile. Io avrei parlatoma piùtardi. Se non procedevociò era dovuto ai dubbii su mestesso. Io m'aspettavo di divenire più nobilepiùfortepiù degno della mia divina fanciulla. Ciò potevaavvenire da un giorno all'altro. Perché non aspettare?

Mivergogno anche di non essermi accorto a tempo ch'ero avviato ad unfiasco simile. Avevo da fare con una fanciulla delle piùsemplici e fu a forza di sognarne ch'essa m'apparì quale unacivetta delle più consumate. Ingiusto quell'enorme mio rancorequand'essa riuscì a farmi vedere ch'essa di me non ne volevasapere. Ma io avevo mescolato tanto intimamente la realtà aisogni che non riuscivo a convincermi ch'essa mai m'avesse baciato.

Èproprio un indizio di scarsa virilità quello di fraintenderele donne. Prima non avevo sbagliato mai e devo credere di essermiingannato sul conto di Ada per avere da bel principio falsati i mieirapporti con lei. A lei m'ero avvicinato non per conquistarla ma persposarla ciò ch'è una via insolita dell'amoreuna viaben largauna via ben comodama che conduce non alla mètaper quanto ben vicino ad essa. All'amore cui così si giungemanca la caratteristica principale: l'assoggettamento della femmina.Così il maschio si prepara alla sua parte in una grandeinerzia che può estendersi a tutti i suoi sensianche aquelli della vista e dell'udito.

Ioportai giornalmente dei fiori a tutt'e tre le fanciulle e a tutt'etre regalai le mie bizzarrie esopra tuttocon una leggerezzaincredibilegiornalmente feci loro la mia autobiografia.

Atutti avviene di ricordarsi con più fervore del passato quandoil presente acquista un'importanza maggiore. Dicesi anzi che imoribondinell'ultima febbrerivedano tutta la loro vita. Il miopassato m'afferrava ora con la violenza dell'ultimo addio perchéio avevo il sentimento di allontanarmene di molto. E parlai sempre diquesto passato alle tre fanciulleincoraggiato dall'attenzioneintensa di Augusta e di Alberta cheforsecopriva la disattenzionedi Ada di cui non sono sicuro. Augustacon la sua indole dolcefacilmente si commoveva e Alberta stava a sentire le mie descrizionidi scapigliatura studentesca con le guancie arrossate dal desideriodi poter in avvenire passare anch'essa per avventure simili.

 

Moltotempo dopo appresi da Augusta che nessuna delle tre fanciulle avevacreduto che le mie storielle fossero vere. Ad Augusta apparveroperciò più preziose perchéinventate da melesembrava fossero più mie che se il destino me le avesseinflitte. Ad Alberta quella parte in cui non credette fu tuttaviagradevole perché vi scorse degli ottimi suggerimenti. La solache si fosse indignata delle mie bugie fu la seria Ada. Coi mieisforzi a me toccava come a quel tiratore cui era riuscito di colpireil centro del bersaglioperò di quello posto accanto al suo.

Eppurein gran parte quelle storielle erano vere. Non so più dire inquanta parte perché avendole raccontate a tante altre donneprima che alle figlie del Malfentiessesenza ch'io lo volessisialterarono per divenire più espressive. Erano vere dal momentoche io non avrei più saputo raccontarle altrimenti. Oggidìnon m'importa di provarne la verità. Non vorrei disingannareAugusta che ama crederle di mia invenzione. In quanto ad Ada io credoche ormai ella abbia cambiato di parere e le ritenga vere.

Ilmio totale insuccesso con Ada si manifestò proprio nel momentoin cui giudicavo di dover finalmente parlar chiaro. Ne accolsil'evidenza con sorpresa e dapprima con incredulità. Non erastata detta da lei una sola parola che avesse manifestata la suaavversione per me ed io intanto chiusi gli occhi per non vedere queipiccoli atti che non mi significavano una grande simpatia. Eppoi iostesso non avevo detta la parola necessaria e potevo persinofigurarmi che Ada non sapesse ch'io ero là pronto per sposarlae potesse credere che io - lo studente bizzarro e poco virtuoso -volessi tutt'altra cosa.

Ilmalinteso si prolungava sempre a causa di quelle mie intenzionitroppo decisamente matrimoniali. Vero è che oramai desideravotutta Ada cui avevo continuato a levigare assiduamente le guancieaimpicciolire le mani e i piedi e ad isveltire e affinare la taglia.La desideravo quale moglie e quale amante. Ma è decisivo ilmodo con cui si avvicina per la prima volta una donna.

Oraavvenne che per ben tre volte consecutivein quella casa fossiricevuto dalle altre due fanciulle. L'assenza di Ada fu scusata laprima volta con una visita doverosala seconda con un malessere e laterza non mi si disse alcuna scusa finché ioallarmatononlo domandai. Allora Augustaa cui per caso m'ero rivoltononrispose. Rispose per lei Alberta ch'essa aveva guardata come perinvocarne l'assistenza: Ada era andata da una zia.

Ame mancò il fiato. Era evidente che Ada mi evitava. Il giornoprima ancora io avevo sopportata la sua assenza ed avevo anziprolungata la mia visita sperando ch'essa pur avrebbe finitocoll'apparire. Quel giornoinvecerestai ancora per qualcheistanteincapace di aprir boccaeppoi protestando un improvvisomale di testa m'alzai per andarmene. Curioso che quella prima voltail più forte sentimento che sentissi allo scontrarmi nellaresistenza di Ada fosse di collera e sdegno! Pensai anche diappellarmi a Giovanni per mettere la fanciulla all'ordine. Un uomoche vuole sposarsi è anche capace di azioni similiripetizioni di quelle dei suoi antenati.

 

Quellaterza assenza di Ada doveva divenire anche più significativa.Il caso volle ch'io scoprissi ch'essa si trovava in casamarinchiusa nella sua stanza.

Devoprima di tutto dire che in quella casa v'era un'altra persona ch'ionon ero riuscito a conquistare: la piccola Anna. Dinanzi agli altriessa non m'aggrediva piùperché l'avevano redarguitaduramente. Anzi qualche volta anch'essa s'era accompagnata allesorelle ed era stata a sentire le mie storielle. Quando peròme ne andavoessa mi raggiungeva alla sogliagentilmente mi pregavadi chinarmi a leisi rizzava sulle punte dei piedini e quandoarrivava a far addirittura aderire la boccuccia al mio orecchiomidiceva abbassando la voce in modo da non poter essere udita che dame:

-Ma tu sei pazzoveramente pazzo!

Ilbello si è che dinanzi agli altri la sorniona mi dava del lei.Se c'era presente la signora Malfentiessa subito si rifugiava nellesue bracciae la madre l'accarezzava dicendo:

-Come la mia piccola Anna s'è fatta gentile! Nevvero?

Nonprotestavo e la gentile Anna mi diede ancora spesso allo stesso mododel pazzo. Io accoglievo la sua dichiarazione con un sorriso vile cheavrebbe potuto sembrare di ringraziamento. Speravo che la bambina nonavesse il coraggio di raccontare delle sue aggressioni agli adulti emi dispiaceva di far sapere ad Ada quale giudizio facesse di me lasua sorellina. Quella bambina finì realmentecoll'imbarazzarmi. Sequando parlavo con gli altriil mio occhios'incontrava nel suosubito dovevo trovare il modo di guardarealtrove ed era difficile di farlo con naturalezza. Certo arrossivo.Mi pareva che quell'innocente col suo giudizio potesse danneggiarmi.Le portai dei donima non valsero ad ammansarla. Essa dovetteaccorgersi del suo potere e della mia debolezza ein presenza deglialtrimi guardava indagatriceinsolente. Credo che tutti abbiamonella nostra coscienza come nel nostro corpo dei punti delicati ecoperti cui non volentieri si pensa. Non si sa neppure che cosasienoma si sa che vi sono. Io stornavo il mio occhio da quelloinfantile che voleva frugarmi.

Maquel giorno in cui solo e abbattuto uscivo da quella casa e ch'essami raggiunse per farmi chinare a sentire il solito complimentomipiegai a lei con tale faccia stravolta di vero pazzo e tesi verso dilei con tanta minaccia le mani contratte ad artiglich'essa corsevia piangendo ed urlando.

Cosìarrivai a vedere Ada anche quel giorno perché fu lei cheaccorse a quei gridi. La piccina raccontò singhiozzando ch'iol'avevo minacciata duramente perché essa m'aveva dato delpazzo:

-Perché egli è un pazzo ed io voglio dirglielo. Cosa c'èdi male?

Nonstetti a sentire la bambinastupito di vedere che Ada si trovava incasa. Le sue sorelle avevano dunque mentitoanzi la sola Alberta cuiAugusta ne aveva passato l'incarico esimendosene essa stessa! Per unistante fui esattamente nel giusto indovinando tutto. Dissi ad Ada:

-Ho piacere di vederla. Credevo si trovasse da tre giorni da sua zia.

Ellanon mi rispose perché dapprima si piegò sulla bambinapiangente.

Quell'indugiodi ottenere le spiegazioni cui credevo di aver diritto mi fece salireveemente il sangue alla testa. Non trovavo parole. Feci un altropasso per avvicinarmi alla porta d'uscita e se Ada non avesseparlatoio me ne sarei andato e non sarei ritornato mai più.Nell'ira mi pareva cosa facilissima quella rinunzia ad un sogno cheaveva oramai durato tanto a lungo.

Maintanto essarossasi volse a me e disse ch'era rientrata da pochiistanti non avendo trovata la zia in casa.

Bastòper calmarmi. Com'era caracosì maternamente piegata sullabambina che continuava ad urlare! Il suo corpo era tanto flessibileche pareva divenuto più piccolo per accostarsi meglio allapiccina. Mi indugiai ad ammirarla considerandola di nuovo mia.

Misentii tanto sereno che volli far dimenticare il risentimento chepoco prima avevo manifestato e fui gentilissimo con Ada ed anche conAnna. Dissi ridendo di cuore:

-Mi dà tanto spesso del pazzo che volli farle vedere la verafaccia e l'atteggiamento del pazzo. Voglia scusarmi! Anche tupoveraAnnuccianon aver paura perché io sono un pazzo buono.

AncheAda fu moltoma molto gentile. Redarguì la piccina checontinuava a singhiozzare e mi domandò scusa per essa. Seavessi avuta la fortuna che Anna nell'ira fosse corsa viaio avreiparlato. Avrei detta una frase che forse si trova anche in qualchegrammatica di lingue stranierebell'e fatta per facilitare la vita achi non conosca la lingua del paese ove soggiorna: "Possodomandare la sua mano a suo padre?". Era la prima volta ch'iovolevo sposarmi e mi trovavo perciò in un paese del tuttosconosciuto. Fino ad allora avevo trattato altrimenti con le donnecon cui avevo avuto a fare. Le avevo assaltate mettendo loro prima ditutto addosso le mani.

Manon arrivai a dire neppure quelle poche parole. Dovevano purstendersi su un certo spazio di tempo! Dovevano esser accompagnate daun'espressione supplice della facciadifficile a foggiarsiimmediatamente dopo la mia lotta con Anna ed anche con Adae dalfondo del corridoio s'avanzava già la signora Malfentirichiamata dalle strida della bambina.

Stesila mano ad Adache mi porse subito cordialmente la sua e le dissi:

-Arrivederci domani. Mi scusi con la signora.

Esitaiperò di lasciar andare quella mano che riposava fiduciosanella mia. Sentivo cheandandomene allorarinunziavo adun'occasione unica con quella fanciulla tutt'intenta ad usarmi dellecortesie per indennizzarmi delle villanie della sorella. Seguiil'ispirazione del momentomi chinai sulla sua mano e la sfiorai conle mie labbra. Indi apersi la porta e uscii lesto lesto dopo di avervisto che Adache fino ad allora m'aveva abbandonata la destramentre con la sinistra sosteneva Anna che s'aggrappava alla suagonnastupita si guardava la manina che aveva subito il contattodelle mie labbraquasi avesse voluto vedere se ci fosse statoscritto qualche cosa. Non credo che la signora Malfenti avesse scortoil mio atto.

Miarrestai per un istante sulle scalestupito io stesso del mio attoassolutamente non premeditato.

V'eraancora la possibilità di ritornare a quella porta che avevochiusa dietro di mesuonare il campanello e domandar di poter diread Ada quelle parole ch'essa sulla propria mano aveva cercato invano?Non mi parve! Avrei mancato di dignità dimostrando troppaimpazienza. Eppoi avendola prevenuta che sarei ritornato le avevopreannunziate le mie spiegazioni. Non dipendeva ora che da lei diaverleprocurandomi l'opportunità di dargliele. Ecco cheavevo finalmente cessato di raccontare delle storie a tre fanciulle eavevo invece baciata la mano ad una sola di esse.

Mail resto della giornata fu piuttosto sgradevole. Ero inquieto eansioso. Io andavo dicendomi che la mia inquietudine provenisse solodall'impazienza di veder chiarita quell'avventura. Mi figuravo che seAda m'avesse rifiutatoio avrei potuto con tutta calma correre incerca di altre donne. Tutto il mio attaccamento per lei proveniva dauna mia libera risoluzione che ora avrebbe potuto essere annullata daun'altra che la cancellasse! Non compresi allora che per il momento aquesto mondo non v'erano altre donne per me e che abbisognavo propriodi Ada.

Anchela notte che seguì mi sembrò lunghissima; la passaiquasi del tutto insonne. Dopo la morte di mio padreio avevoabbandonate le mie abitudini di nottambulo e oradacché avevorisolto di sposarmisarebbe stato strano di ritornarvi. M'ero perciòcoricato di buon'ora col desiderio del sonno che fa passare tantopresto il tempo.

Digiorno io avevo accolte con la più cieca fiducia lespiegazioni di Ada su quelle sue tre assenze dal suo salotto nelleore in cui io vi erafiducia dovuta alla mia salda convinzione chela donna seria ch'io avevo scelta non sapesse mentire. Ma nella nottetale fiducia diminuì. Dubitavo che non fossi stato io adinformarla che Alberta - quando Augusta aveva rifiutato di parlare -aveva addotta a sua scusa quella visita alla zia. Non ricordavo benele parole che le avevo dirette con la testa in fiammema credevo diesser certo di averle riferita quella scusa. Peccato! Se non l'avessifattoforse leiper scusarsiavrebbe inventato qualche cosa didiverso e ioavendola còlta in bugiaavrei già avutoil chiarimento che anelavo.

Quiavrei pur potuto accorgermi dell'importanza che Ada aveva oramai permeperché per quietarmi io andavo dicendomi che se essa nonm'avesse volutoavrei rinunziato per sempre al matrimonio. Il suorifiuto avrebbe dunque mutata la mia vita. E continuavo a sognareconfortandomi nel pensiero che forse quel rifiuto sarebbe stato unafortuna per me. Ricordavo quel filosofo greco che prevedeva ilpentimento tanto per chi si sposava quanto per chi restava celibe.Insomma non avevo ancora perduta la capacità di ridere dellamia avventura; la sola capacità che mi mancasse era quella didormire.

Presisonno che già albeggiava. Quando mi destai era tanto tardi chepoche ore ancora mi dividevano da quella in cui la visita in casaMalfenti m'era permessa. Perciò non vi sarebbe stato piùbisogno di fantasticare e raccogliere degli altri indizii che michiarissero l'animo di Ada. Ma è difficile di trattenere ilproprio pensiero dall'occuparsi di un argomento che troppo c'importa.

L'uomosarebbe un animale più fortunato se sapesse farlo. In mezzoalle cure della mia persona che quel giorno esageraiio non pensaiad altro: Avevo fatto bene baciando la mano di Ada o avevo fatto maledi non baciarla anche sulle labbra?

Proprioquella mattina ebbi un'idea che credo m'abbia fortemente danneggiatoprivandomi di quel poco d'iniziativa virile che quel mio curiosostato d'adolescenza m'avrebbe concesso. Un dubbio doloroso: e se Adam'avesse sposato solo perché indottavi dai genitorisenz'amarmi ed anzi avendo una vera avversione per me? Perchécertamente tutti in quella famigliacioè Giovannila signoraMalfentiAugusta e Alberta mi volevano bene; potevo dubitare dellasola Ada. Sull'orizzonte si delineava proprio il solito romanzopopolare della giovinetta costretta dalla famiglia ad un matrimonioodioso. Ma io non l'avrei permesso. Ecco la nuova ragione per cuidovevo parlare con Adaanzi con la sola Ada. Non sarebbe bastato didirigerle la frase fatta che avevo preparata. Guardandola negli occhile avrei domandato: "Mi ami tu?" E se essa m'avesse dettodi sìio l'avrei serrata fra le mie braccia per sentirnevibrare la sincerità.

Cosìmi parve d'essermi preparato a tutto. Invece dovetti accorgermid'esser arrivato a quella specie d'esame dimenticando di rivedereproprio quelle pagine di testo di cui mi sarebbe stato imposto diparlare.

Fuiricevuto dalla sola signora Malfenti che mi fece accomodare in unangolo del grande salotto e si mise subito a chiacchierarevivacemente impedendomi persino di domandare delle notizie dellefanciulle. Ero perciò alquanto distratto e mi ripetevo lalezione per non dimenticarla al momento buono. Tutt'ad un tratto fuirichiamato all'attenzione come da uno squillo di tromba. La signorastava elaborando un preambolo. M'assicurava dell'amicizia sua e delmarito e dell'affetto di tutta la famiglia lorocompresavi lapiccola Anna. Ci conoscevamo da tanto tempo. Ci eravamo vistigiornalmente da quattro mesi.

-Cinque! - corressi io che ne avevo fatto il calcolo nella nottericordando che la mia prima visita era stata fatta d'autunno e cheora ci trovavamo in piena primavera.

-Sì! Cinque! - disse la signora pensandoci su come se avessevoluto rivedere il mio calcolo. Poicon aria di rimprovero: - A mesembra che voi compromettiate Augusta.

-Augusta? - domandai io credendo di aver sentito male.

-Sì! - confermò la signora. - Voi la lusingate e lacompromettete.

Ingenuamenterivelai il mio sentimento.

-Ma io l'Augusta non la vedo mai.

Essaebbe un gesto di sorpresa e (o mi parve?) di sorpresa dolorosa.

Iointanto tentavo di pensare intensamente per arrivare presto aspiegare quello che mi sembrava un equivoco di cui però subitointesi l'importanza. Mi rivedevo in pensierovisita per visitadurante quei cinque mesiintento a spiare Ada. Avevo suonato conAugusta einfattitalvolta avevo parlato più con leiche mistava a sentireche non con Adama solo perché essaspiegasse ad Ada le mie storie accompagnate dalla sua approvazione.Dovevo parlare chiaramente con la signora e dirle delle mie mire suAda? Ma poco prima io avevo risolto di parlare con la sola Ada ed'indagarne l'animo.

Forsese avessi parlato chiaramente con la signora Malfentile cosesarebbero andate altrimenti e cioè non potendo sposare Ada nonavrei sposata neppure Augusta. Lasciandomi dirigere dalla risoluzionepresa prima ch'io avessi veduta la signora Malfenti esentite lecose sorprendenti ch'essa m'aveva dettetacqui.

Pensavointensamentema perciò con un po' di confusione. Volevointenderevolevo indovinare e presto. Si vedono meno bene le cosequando si spalancano troppo gli occhi. Intravvidi la possibilitàche volessero buttarmi fuori di casa. Mi parve di poter escluderla.Io ero innocentevisto che non facevo la corte ad Augusta ch'essivolevano proteggere. Ma forse m'attribuivano delle intenzioni suAugusta per non compromettere Ada. E perché proteggere a quelmodo Adache non era più una fanciullina? Io ero certo di nonaverla afferrata per le chiome che in sogno. In realtà nonavevo che sfiorata la sua mano con le mie labbra. Non volevo mi siinterdicesse l'accesso a quella casaperché prima diabbandonarla volevo parlare con Ada. Perciò con voce tremantedomandai:

-Mi dica Leisignoraquello che debbo fare per non spiacere anessuno.

Essaesitò. Io avrei preferito di aver da fare con Giovanni chepensava urlando. Poirisolutama con uno sforzo di apparire corteseche si manifestava evidente nel suono della vocedisse:

-Dovrebbe per qualche tempo venir meno frequentemente da noi; dunquenon ogni giornoma due o tre volte alla settimana.

Ècerto che se mi avesse detto rudemente di andarmene e di nonritornare piùiosempre diretto dal mio propositoavreisupplicato che mi si tollerasse in quella casaalmeno per uno o duegiorni ancoraper chiarire i miei rapporti con Ada. Invece le sueparolepiù miti di quanto avessi temutomi diedero ilcoraggio di manifestare il mio risentimento:

-Ma se lei lo desideraio in questa casa non riporrò piùpiede!

Vennequello che avevo sperato. Essa protestòriparlò dellastima di tutti loro e mi supplicò di non essere adirato conlei. Ed io mi dimostrai magnanimole promisi tutto quello ch'essavolle e cioè di astenermi dal venire in quella casa per unquattro o cinque giornidi ritornarvi poi con una certa regolaritàogni settimana due o tre volte esopra tuttodi non tenerlerancore.

Fattetali promessevolli dar segno di tenerle e mi levai perallontanarmi. La signora protestò ridendo:

-Con me non c'è poi compromissione di sorta e puòrimanere.

Epoiché io pregavo di lasciarmi andare per un impegno di cuisolo allora m'ero ricordatomentre era vero che non vedevo l'ora diessere solo per riflettere meglio alla straordinaria avventura che mitoccavala signora mi pregò addirittura di rimanere dicendoche così le avrei data la prova di non essere adirato con lei.Perciò rimasisottoposto continuamente alla tortura diascoltare il vuoto cicaleccio cui la signora ora s'abbandonava sullemode femminili ch'essa non voleva seguiresul teatro e anche sultempo tanto secco con cui la primavera s'annunziava.

Pocodopo fui contento d'essere rimasto perché m'avvidi che avevobisogno di un ulteriore chiarimento.

Senz'alcunriguardo interruppi la signoradi cui non sentivo più leparoleper domandarle:

-E tutti in famiglia sapranno che lei m'ha invitato a tenermi lontanoda questa casa?

Parvedapprima ch'essa neppure avesse ricordato il nostro patto. Poiprotestò:

-Lontano da questa casa? Ma solo per qualche giornointendiamoci. Ionon ne dirò a nessunoneppure a mio marito ed anzi le sareigrata se anche lei volesse usare la stessa discrezione.

Anchequesto promisipromisi anche che se mi fosse stata chiesta unaspiegazione perché non mi si vedesse più tanto dispessoavrei addotti dei pretesti varii. Per il momento prestai fedealle parole della signora e mi figurai che Ada potesse essere stupitae addolorata dalla mia improvvisa assenza. Un'immaginegradevolissima!

Poirimasi ancorasempre aspettando che qualche altra ispirazionevenisse a dirigermi ulteriormentementre la signora parlava deiprezzi dei commestibili nell'ultimo tempo divenuti onerosissimi.

Invecedi altre ispirazionicapitò la zia Rosinauna sorella diGiovannipiù vecchia di luima di lui molto menointelligente. Aveva però qualche tratto della sua fisonomiamorale bastevole a caratterizzarla quale sua sorella. Prima di tuttola stessa coscienza dei proprii diritti e dei doveri altrui alquantocomicaperché priva di qualsiasi arma per imporsieppoianche il vizio di alzare presto la voce. Essa credeva di aver tantidiritti nella casa del fratello che - come appresi poi - per lungotempo considerò la signora Malfenti quale un'intrusa. Eranubile e viveva con un'unica serva di cui parlava sempre come dellasua più grande nemica. Quando morì raccomandò amia moglie di sorvegliare la casa finché la serva che l'avevaassistita non se ne fosse andata. Tutti in casa di Giovanni lasopportavano temendo la sua aggressività.

Ancoranon me ne andai. Zia Rosina prediligeva Ada fra le nipoti. Mi venneil desiderio di conquistarmene l'amicizia anch'io e cercai una fraseamabile a indirizzarle. Mi ricordai oscuramente che l'ultima volta incui l'avevo vista (cioè intravvistaperché allora nonavevo sentito il bisogno di guardarla) le nipotinon appena essa sene era andataavevano osservato che non aveva una buona cera. Anziuna di esse aveva detto:

-Si sarà guastato il sangue per qualche rabbia con la serva!

Trovaiquello che cercavo. Guardando affettuosamente il faccione grinzosodella vecchia signorale dissi:

-La trovo molto rimessasignora.

Nonavessi mai detta quella frase. Mi guardò stupita e protestò:

-Io sono sempre uguale. Da quando mi sarei rimessa?

Volevasapere quando l'avessi vista l'ultima volta. Non ricordavoesattamente quella data e dovetti ricordarle che avevamo passato unintero pomeriggio insiemeseduti in quello stesso salotto con le tresignorinema non dalla parte dove eravamo alloradall'altra. Iom'ero proposto di dimostrarle dell'interessamentoma le spiegazionich'essa esigeva lo facevano durare troppo a lungo. La mia falsitàmi pesava producendomi un vero dolore.

Lasignora Malfenti intervenne sorridendo:

-Ma lei non voleva mica dire che zia Rosina è ingrassata?

Diavolo!Là stava la ragione del risentimento di zia Rosina ch'eramolto grossa come il fratello e sperava tuttavia di dimagrire.

 

-Ingrassata! Mai più! Io volevo parlare solo della ceramigliore della signora.

Tentavodi conservare un aspetto affettuoso e dovevo invece trattenermi pernon dire un'insolenza.

ZiaRosina non parve soddisfatta neppur allora. Essa non era mai statamale nell'ultimo tempo e non capiva perché avesse dovutoapparire malata. E la signora Malfenti le diede ragione:

-Anziè una sua caratteristica di non mutare di cera - disserivolta a me. - Non le pare?

Ame pareva. Era anzi evidente. Me ne andai subito. Porsi con grandecordialità la mano a zia Rosina sperando di rabbonirlamaessa mi concedette la sua guardando altrove.

Nonappena ebbi varcata la soglia di quella casa il mio stato d'animomutò. Che liberazione! Non avevo più da studiare leintenzioni della signora Malfenti né di forzarmi di piacerealla zia Rosina. Credo in verità che se non ci fosse stato ilrude intervento di zia Rosinaquella politicona della signoraMalfenti avrebbe raggiunto perfettamente il suo scopo ed io mi sareiallontanato da quella casa tutto contento di essere stato trattatobene. Corsi saltellando giù per le scale. Zia Rosina era stataquasi un commento della signora Malfenti. La signora Malfenti m'avevaproposto di restar lontano dalla sua casa per qualche giorno. Troppobuona la cara signora! Io l'avrei compiaciuta al di là dellesue aspettative e non m'avrebbe rivisto mai più! M'avevanotorturatoleila zia ed anche Ada! Con quale diritto? Perchéavevo voluto sposarmi? Ma io non ci pensavo più! Com'era bellala libertà!

Perun buon quarto d'ora corsi per le vie accompagnato da tantosentimento. Poi sentii il bisogno di una libertà ancoramaggiore. Dovevo trovare il modo di segnare in modo definitivo la miavolontà di non rimettere più il piede in quella casa.Scartai l'idea di scrivere una lettera con la quale mi sareicongedato. L'abbandono diveniva più sdegnoso ancora se non necomunicavo l'intenzione. Avrei semplicemente dimenticato di vedereGiovanni e tutta la sua famiglia.

Trovail'atto discreto e gentile e perciò un po' ironico col qualeavrei segnata la mia volontà. Corsi da un fioraio e scelsi unmagnifico mazzo di fiori che indirizzai alla signora Malfentiaccompagnato dal mio biglietto da visita sul quale non scrissi altroche la data. Non occorreva altro. Era una data che non avreidimenticata più e non l'avrebbero dimenticata forse neppureAda e sua madre: 5 Maggioanniversario della morte di Napoleone.

Provvidiin fretta a quell'invio. Era importantissimo che giungesse il giornostesso.

Mapoi? Tutto era fattotuttoperché non c'era più nullada fare! Ada restava segregata da me con tutta la sua famiglia ed iodovevo vivere senza fare più nullain attesa che qualcuno diloro fosse venuto a cercarmi e darmi l'occasione di fare o direqualche cosa d'altro.

Corsial mio studio per riflettere e per rinchiudermi. Se avessi cedutoalla mia dolorosa impazienzasubito sarei ritornato di corsa aquella casa a rischio di arrivarvi prima del mio mazzo di fiori. Ipretesti non potevano mancare. Potevo anche averci dimenticato il mioombrello!

Nonvolli fare una cosa simile.

Conl'invio di quel mazzo di fiori io avevo assunta una bellissimaattitudine che bisognava conservare. Dovevo ora stare fermoperchéla prossima mossa toccava a loro.

Ilraccoglimento ch'io mi procurai nel mio studiolo e da cui m'aspettavoun sollievochiarì solo le ragioni della mia disperazione ches'esasperò fino alle lagrime. Io amavo Ada! Non sapevo ancorase quel verbo fosse proprio e continuai l'analisi. Io la volevo nonsolo miama anche mia moglie. Leicon quella sua faccia marmoreasul corpo acerboeppoi ancora lei con la sua serietàtale danon intendere il mio spirito che non le avrei insegnatoma cui avreirinunziato per semprelei che m'avrebbe insegnata una vitad'intelligenza e di lavoro. Io la volevo tutta e tutto volevo da lei.Finii col conchiudere che il verbo fosse proprio quello: Io amavoAda.

Miparve di aver pensata una cosa molto importante che poteva guidarmi.Via le esitazioni! Non m'importava più di sapere se ella miamasse. Bisognava tentare di ottenerla e non occorreva piùparlare con lei se Giovanni poteva disporne. Prontamente bisognavachiarire tutto per arrivare subito alla felicità o altrimentidimenticare tutto e guarire. Perché avevo da soffrire tantonell'attesa? Quando avessi saputo - e potevo saperlo solo da Giovanni- che io definitivamente avevo perduta Adaalmeno non avrei piùdovuto lottare col tempo che sarebbe continuato a trascorrerelentamente senza ch'io sentissi il bisogno di sospingerlo. Una cosadefinitiva è sempre calma perché staccata dal tempo.

Corsisubito in cerca di Giovanni. Furono due le corse. Una verso il suoufficio situato in quella via che noi continuiamo a dire delle CaseNuoveperché così facevano i nostri antenati. Altevecchie case che offuscano una via tanto vicina alla riva del marepoco frequentata all'ora del tramontoe dove potei procedere rapido.Non pensaicamminandoche a preparare più brevemente chefosse possibile la frase che dovevo dirigergli. Bastava dirgli la miadeterminazione di sposare sua figlia. Non avevo né daconquiderlo né da convincerlo. Quell'uomo d'affari avrebbesaputa la risposta da darmi non appena intesa la mia domanda. Mipreoccupava tuttavia la quistione se in un'occasione simile avreidovuto parlare in lingua o in dialetto.

MaGiovanni aveva già abbandonato l'ufficio e s'era recato alTergesteo. Mi vi avviai. Più lentamente perché sapevoche alla Borsa dovevo attendere più tempo per potergli parlareda solo a solo. Poigiunto in via Cavanadovetti rallentare per lafolla che ostruiva la stretta via. E fu proprio battendomi perpassare traverso a quella follache ebbi finalmente come in unavisione la chiarezza che da tante ore cercavo. I Malfenti volevanoch'io sposassi Augusta e non volevano ch'io sposassi Ada e ciòper la semplice ragione che Augusta era innamorata di me e Ada nienteaffatto. Niente affatto perché altrimenti non sarebberointervenuti a dividerci. M'avevano detto ch'io compromettevo Augustama era invece lei che si comprometteva amandomi. Compresi tutto inquel momentocon viva chiarezzacome se qualcuno della famiglia mel'avesse detto.

Eindovinai anche che Ada era d'accordo ch'io fossi allontanato daquella casa. Essa non m'amava e non m'avrebbe amato almeno finchéla sorella sua m'avesse amato. Nell'affollata via Cavana avevo dunquepensato più dirittamente che nel mio studio solitario.

Oggidìquando ritorno al ricordo di quei cinque giorni memorandi che micondussero al matrimoniomi stupisce il fatto che il mio animo nonsi sia mitigato all'apprendere che la povera Augusta mi amava. Ioormai scacciato da casa Malfentiamavo Ada irosamente. Perchénon mi diede alcuna soddisfazione la visione chiara che la signoraMalfenti m'aveva allontanato invanoperché io in quella casarimanevoe vicinissimo ad Adacioè nel cuore di Augusta? Ame pareva invece una nuova offesa l'invito della signora Malfenti dinon compromettere Augusta e cioè di sposarla. Per la bruttafanciulla che m'amavaavevo tutto il disdegno che non ammettevoavesse per me la sua bella sorellache io amavo.

Acceleraiancora il passoma deviai e mi diressi verso casa mia. Non avevo piùbisogno di parlare con Giovanni perché sapevo ormaichiaramente come condurmi; con un'evidenza tanto disperante che forsefinalmente m'avrebbe data la pace staccandomi dal tempo troppo lento.Era anche pericoloso parlarne con quel maleducato di Giovanni. Lasignora Malfenti aveva parlato in modo ch'io non l'avevo intesa chelà in via Cavana. Il marito era capace di comportarsialtrimenti. Forse m'avrebbe detto addirittura: "Perchévuoi sposare Ada? Vediamo! Non faresti meglio di sposare Augusta?".Perché egli aveva un assioma che ricordavo e che avrebbepotuto guidarlo in questo caso: "Devi sempre spiegarechiaramente l'affare al tuo avversario perché allora appenasarai sicuro d'intenderlo meglio di lui!". E allora? Ne sarebbeconseguita un'aperta rottura. Solo allora il tempo avrebbe potutocamminare come volevaperché io non avrei più avutaalcuna ragione d'ingerirmene: sarei arrivato al punto fermo!

Ricordaianche un altro assioma di Giovanni e mi vi attaccai perché miprocurava una grande speranza. Seppi restarvi attaccato per cinquegiorniper quei cinque giorni che convertirono la mia passione inmalattia. Giovanni soleva dire che non bisogna aver fretta diarrivare alla liquidazione di un affare quando da questa liquidazionenon si può attendersi un vantaggio: ogni affare arriva prima opoi da sé alla liquidazionecome lo prova il fatto che lastoria del mondo è tanto lunga e che tanto pochi affari sonorimasti in sospeso. Finché non si è proceduti alla sualiquidazioneogni affare può ancora evolversivantaggiosamente.

Nonricordai che v'erano altri assiomi di Giovanni che dicevano ilcontrario e m'attaccai a quello. Già a qualche cosa dovevo purattaccarmi. Feci il proposito ferreo di non movermi finché nonavessi appreso che qualche cosa di nuovo avesse fatto evolvere il mioaffare in mio favore. E ne ebbi tale danno che forse per questoinseguitonessun mio proposito m'accompagnò per tanto tempo.

Nonappena fatto il propositoricevetti un biglietto dalla signoraMalfenti. Ne riconobbi la scrittura sulla busta eprima di aprirlomi lusingai fosse bastato quel mio proposito ferreoperchéessa si pentisse di avermi maltrattato e mi corresse dietro.

Quandotrovai che non conteneva che le lettere p.r. che significavano ilringraziamento per i fiori che le avevo inviatimi disperaimigettai sul mio letto e ficcai i denti nel guanciale quasi perinchiodarmivi e impedirmi di correr via a rompere il mio proposito.Quanta ironica serenità risultava da quelle iniziali! Benmaggiore di quella espressa dalla data ch'io avevo apposta al miobiglietto e che significava già un proposito e forse anche unrimprovero. Remember aveva detto Carlo I prima che glitagliassero il collo e doveva aver pensata la data di quel giorno!Anch'io avevo esortata la mia avversaria a ricordare e temere!

Furonocinque giorni e cinque notti terribili ed io ne sorvegliai le albe ei tramonti che significavano fine e principio e avvicinavano l'oradella mia libertàla libertà di battermi di nuovo peril mio amore.

Mipreparavo a quella lotta. Oramai sapevo come la mia fanciulla volevaio fossi fatto. M'è facile di ricordarmi dei propositi chefeci alloraprima di tutto perché ne feci d'identici in epocapiù recenteeppoi perché li annotai su un foglio dicarta che conservo tuttora. Mi proponevo di diventare piùserio. Ciò significava allora di non raccontare quellebarzellette che facevano ridere e mi diffamavanofacendomi ancheamare dalla brutta Augusta e disprezzare dalla mia Ada. Poi v'era ilproponimento di essere ogni mattina alle otto nel mio ufficio che nonvedevo da tanto temponon per discutere sui miei diritti conl'Olivima per lavorare con lui e poter assumere a suo tempo ladirezione dei miei affari. Ciò doveva essere attuato inun'epoca più tranquilla di quellacome dovevo anche cessar difumare più tardicioè quando avessi riavuta la mialibertàperché non bisognava peggiorare quell'orribileintervallo. Ad Ada spettava un marito perfetto. Perciò v'eranoanche varii proponimenti di dedicarmi a letture serieeppoi dipassare ogni giorno una mezz'oretta sulla pedana e di cavalcare unpaio di volte alla settimana. Le ventiquattr'ore della giornata nonerano troppe.

Durantequei giorni di segregazione la gelosia più amara fu la miacompagna di tutte le ore. Era un proposito eroico quello di volercorreggersi di ogni difetto per prepararsi a conquistare Ada dopoqualche settimana. Ma intanto? Intanto ch'io m'assoggettavo alla piùdura constrizionesi sarebbero tenuti tranquilli gli altri maschidella città e non avrebbero cercato di portarmi via la miadonna? Fra di loro v'era certamente qualcuno che non aveva bisogno ditanto esercizio per essere gradito. Io sapevoio credevo di sapereche quando Ada avesse trovato chi faceva al caso suoavrebbe subitoconsentito senza attendere di innamorarsi. Quando in quei giorni iom'imbattevo in un maschio ben vestitosano e serenol'odiavoperché mi pareva facesse al caso di Ada. Di quei giornilacosa che meglio ricordo è la gelosia che s'era abbassata comeuna nebbia sulla mia vita.

Dell'atrocedubbio di vedermi portar via Ada in quei giorni non si puòridereormai che si sa come le cose andarono a finire. Quandoripenso a quei giorni di passione sento un'ammirazione grande per laprofetica anima mia.

 

Varievoltedi nottepassai sotto alle finestre di quella casa. Lassùapparentemente continuavano a divertirsi come quando c'ero statoanch'io. Alla mezzanotte o poco primanel salotto si spegnevano ilumi. Scappavo pel timore di essere scorto da qualche visitatore cheallora doveva lasciare la casa.

Maogni ora di quei giorni fu affannosa anche per l'impazienza. Perchénessuno domandava di me? Perché non si moveva Giovanni? Nondoveva egli meravigliarsi di non vedermi né a casa sua néal Tergesteo? Dunque era d'accordo anche lui ch'io fossi statoallontanato? Interrompevo spesso le mie passeggiate di giorno e dinotte per correre a casa ad accertarmi che nessuno fosse venuto adomandare di me. Non sapevo andare a letto nel dubbioe destavo perinterrogarla la povera Maria. Restavo per ore ad aspettare in casanel luogo ove ero più facilmente raggiungibile. Ma nessunodomandò di me ed è certo che se non mi fossi risolto amovermi iosarei tuttavia celibe.

Unasera andai a giocare al club. Era da molti anni che non mi vi facevovedere per rispetto ad una promessa fatta a mio padre. Mi pareva chela promessa non potesse più valere poiché mio padre nonpoteva aver previste tali mie dolorose circostanze e l'urgente mianecessità di procurarmi uno svago. Dapprima guadagnai con unafortuna che mi dolse perché mi parve un indennizzo della miasfortuna in amore. Poi perdetti e mi dolse ancora perché miparve di soggiacere al giuoco com'ero soggiaciuto all'amore. Ebbipresto disgusto del giuoco: non era degno di me e neppure di Ada.Tanto puro mi rendeva quell'amore!

Diquei giorni so anche che i sogni d'amore erano stati annientati daquella realtà tanto rude. Il sogno era oramai tutt'altra cosa.Sognavo la vittoria invece che l'amore. Il mio sonno fu una voltaabbellito da una visita di Ada. Era vestita di sposa e veniva con meall'altarema quando fummo lasciati soli non facemmo all'amoreneppure allora. Ero suo marito e avevo acquistato il diritto didomandarle: "Come hai potuto permettere ch'io fossi trattatocosì?" Di altro diritto non mi premeva.

Trovoin un mio cassetto degli abbozzi di lettere ad Adaa Giovanni e allasignora Malfenti. Sono di quei giorni. Alla signora Malfenti scrivevouna lettera semplice con la quale prendevo congedo primad'intraprendere un lungo viaggio. Non ricordo però di averavuto una tale intenzione: non potevo lasciare la città quandonon ero ancora certo che nessuno sarebbe venuto a cercarmi. Qualesventura se fossero venuti e non m'avessero trovato! Nessuna diquelle lettere è stata inviata. Credo anzi le avessi scrittesolo per mettere in carta i miei pensieri.

Damolti anni io mi consideravo malatoma di una malattia che facevasoffrire piuttosto gli altri che me stesso. Fu allora che conobbi lamalattia "dolente"una quantità di sensazionifisiche sgradevoli che mi resero tanto infelice.

S'iniziaronocosì. Alla una di notte circaincapace di prendere sonnomilevai e camminai nella mite notte finché non giunsi ad uncaffè di sobborgo nel quale non ero mai stato e dove perciònon avrei trovato alcun conoscenteciò che mi era moltogradito perché volevo continuarvi una discussione con lasignora Malfenticominciata a letto e nella quale non volevo chenessuno si frammettesse.

Lasignora Malfenti m'aveva fatti dei rimproveri nuovi. Diceva ch'ioavevo tentato di "giocar di pedina" con le sue figliuole.Intanto se avevo tentato una cosa simile l'avevo certamente fatto conla sola Ada. Mi venivano i sudori freddi al pensare che forse in casaMalfenti oramai mi si movessero dei rimproveri simili. L'assente hasempre torto e potevano aver approfittato della mia lontananza perassociarsi ai miei danni. Nella viva luce del caffè midifendevo meglio. Certo talvolta io avrei voluto toccare col miopiede quello di Ada ed una volta anzi m'era parso di averloraggiuntolei consenziente. Poi però risultò che avevopremuto il piede di legno del tavolo e quello non poteva averparlato.

Fingevodi pigliar interesse al gioco del biliardo. Un signoreappoggiato aduna gruccias'avvicinò e venne a sedere proprio accanto a me.Ordinò una spremuta e poiché il cameriere aspettavaanche i miei ordiniper distrazione ordinai una spremuta anche perme ad onta ch'io non possa soffrire il sapore del limone. Intanto lagruccia appoggiata al sofà su cui sedevamoscivolò aterra ed io mi chinai a raccoglierla con un movimento quasiistintivo.

-Oh Zeno! - fece il povero zoppo riconoscendomi nel momento in cuivoleva ringraziarmi.

-Tullio! - esclamai io sorpreso e tendendogli la mano. Eravamo staticompagni di scuola e non ci eravamo visti da molti anni. Sapevo dilui chefinite le scuole medieera entrato in una bancadoveoccupava un buon posto.

Erotuttavia tanto distratto che bruscamente gli domandai come fosseavvenuto ch'egli aveva la gamba destra troppo corta così daaver bisogno della gruccia.

Dibuonissimo umoreegli mi raccontò che sei mesi prima s'eraammalato di reumatismi che avevano finito col danneggiargli la gamba.

M'affrettaidi suggerirgli molte cure. È il vero modo per poter simularesenza grande sforzo una viva partecipazione Egli le aveva fattetutte. Allora suggerii ancora:

-E perché a quest'ora non sei ancora a letto? A me non pare cheti possa far bene di esporti all'aria notturna.

Eglischerzò bonariamente: riteneva che neppure a me l'arianotturna potesse giovare e riteneva che chi non soffriva direumatismifinché aveva vitapoteva ancora procurarseli. Ildiritto di andare a letto alle ore piccole era ammesso persino dallacostituzione austriaca. Del restocontrariamente all'opinionegeneraleil caldo e il freddo non avevano a che fare coi reumatismi.Egli aveva studiata la sua malattia ed anzi non faceva altro a questomondo che studiarne le cause e i rimedi. Più che per la curaaveva avuto bisogno di un lungo permesso dalla banca per poterapprofondirsi in quello studio. Poi mi raccontò che stavafacendo una cura strana. Mangiava ogni giorno una quantitàenorme di limoni. Quel giorno ne aveva ingoiati una trentinamasperava con l'esercizio di arrivare a sopportarne anche di più.Mi confidò che i limoni secondo lui erano buoni anche permolte altre malattie. Dacché li prendeva sentiva meno fastidioper il fumare esageratoal quale anche lui era condannato.

Ioebbi un brivido alla visione di tanto acidomasubito dopounavisione un po' più lieta della vita: i limoni non mipiacevanoma se mi avessero data la libertà di fare quelloche dovevo o volevo senz'averne danno e liberandomi da ogni altracostrizionene avrei ingoiati altrettanti anch'io.

Èlibertà completa quella di poter fare ciò che si vuolea patto di fare anche qualche cosa che piaccia meno. La veraschiavitù è la condanna all'astensione: Tantalo e nonErcole.

PoiTullio finse anche lui di essere ansioso di mie notizie. Io ero bendeciso di non raccontargli del mio amore infelicema abbisognavo diuno sfogo. Parlai con tale esagerazione dei miei mali (così liregistrai e sono sicuro ch'erano lievi) che finii con l'avere lelagrime agli occhimentre Tullio andava sentendosi sempre megliocredendomi più malato di lui.

Midomandò se lavoravo. Tutti in città dicevano ch'io nonfacevo niente ed io temevo egli avesse da invidiarmi mentre inquell'istante avevo l'assoluto bisogno di essere commiserato. Mentii!Gli raccontai che lavoravo nel mio ufficionon moltomagiornalmente almeno per sei ore e che poi gli affari moltoimbrogliati ereditati da mio padre e da mia madre mi davano da fareper altre sei ore.

-Dodici ore! - commentò Tullioe con un sorriso soddisfattomi concedette quello che ambivola sua commiserazione: - Non seimica da invidiaretu!

Laconclusione era esatta ed io ne fui tanto commosso che dovettilottare per non lasciar trapelare le lagrime. Mi sentii piùinfelice che mai ein quel morbido stato di compassione di mestessosi capisce io sia stato esposto a delle lesioni.

Tullios'era rimesso a parlare della sua malattia ch'era anche la suaprincipale distrazione. Aveva studiato l'anatomia della gamba e delpiede. Mi raccontò ridendo che quando si cammina con passorapidoil tempo in cui si svolge un passo non supera il mezzosecondo e che in quel mezzo secondo si movevano nientemeno checinquantaquattro muscoli. Trasecolai e subito corsi col pensiero allemie gambe a cercarvi la macchina mostruosa. Io credo di avercelatrovata. Naturalmente non riscontrai i cinquantaquattro ordignimauna complicazione enorme che perdette il suo ordine dacché iovi ficcai la mia attenzione.

Usciida quel caffè zoppicando e per alcuni giorni zoppicai sempre.Il camminare era per me divenuto un lavoro pesantee anchelievemente doloroso. A quel groviglio di congegni pareva mancasseormai l'olio e chemovendosisi ledessero a vicenda. Pochi giorniappressofui colto da un male più grave di cui dirò eche diminuì il primo. Ma ancora oggidìche ne scrivose qualcuno mi guarda quando mi movoi cinquantaquattro movimentis'imbarazzano ed io sono in procinto di cadere.

Anchequesta lesione io la devo ad Ada. Molti animali diventano preda deicacciatori o di altri animali quando sono in amore. Io fui allorapreda della malattia e sono certo che se avessi appreso dellamacchina mostruosa in altro momentonon ne avrei avuto alcun danno.

Qualchesegno su un foglio di carta che conservaimi ricorda un'altra stranaavventura di quei giorni. Oltre all'annotazione di un'ultimasigaretta accompagnata dall'espressione della fiducia di poterguarire della malattia dei cinquantaquattro movimentiv'è untentativo di poesia... su una mosca. Se non sapessi altrimenticrederei che quei versi provengano da una signorina dabbene che dàdel tu agl'insetti di cui cantama visto che sono stati stesi da medevo credere che poiché io sono passato per di làtutti possano capitare dappertutto.

 

Eccocome quei versi nacquero. A tarda notte ero ritornato a casa e inveceche coricarmi m'ero recato nel mio studiolo ove avevo acceso il gas.Alla luce una mosca si mise a tormentarmi. Riuscii a darle un colpolieve però per non insudiciarmi. La dimenticaima poi larividi in mezzo al tavolo come lentamente si rimetteva. Era fermaeretta e pareva più alta di prima perché una delle suezampine era stata anchilosata e non poteva flettersi. Con le duezampine posteriori si lisciava assiduamente le ali. Tentò dimoversima si ribaltò sulla schiena. Si rizzò eritornò ostinata al suo assiduo lavoro.

Scrissiallora quei versistupito di aver scoperto che quel piccoloorganismo pervaso da tanto dolorefosse diretto nel suo sforzoimmane da due errori: prima di tutto lisciando con tanta ostinazionele ali che non erano lesel'insetto rivelava di non sapere da qualeorgano venisse il suo dolore; poi l'assiduità del suo sforzodimostrava che c'era nella sua minuscola mente la fede fondamentaleche la salute spetti a tutti e che debba certamente ritornare quandoci ha lasciato. Erano errori che si possono facilmente scusare in uninsetto che non vive che la vita di una sola stagionee non ha tempodi far dell'esperienza.

Mavenne la domenica. Scadeva il quinto giorno dalla mia ultima visitain casa Malfenti. Ioche lavoro tanto pococonservai sempre ungrande rispetto per il giorno festivo che divide la vita in periodibrevi che la rendono più sopportabile. Quel giorno festivochiudeva anche una mia settimana faticosa e me ne competeva la gioia.Io non cambiai per nulla i miei piani ma per quel giorno non dovevanovalere ed io avrei rivista Ada. Non avrei compromessi quei piani conalcuna parolama dovevo rivederla perché c'era anche lapossibilità che l'affare si fosse già cambiato in miofavore ed allora sarebbe stato un bel danno di continuar a soffriresenza scopo.

Perciòa mezzodìcon la fretta che le mie povere gambe miconcedevanocorsi in città e sulla via che sapevo la signoraMalfenti e le figliuole dovevano percorrere al ritorno dalla messa.Era una festa piena di sole ecamminandopensai che forse in cittàm'aspettava la novità attesal'amore di Ada!

Nonfu cosìma per un altro istante n'ebbi l'illusione. Lafortuna mi favorì in modo incredibile. M'imbattei faccia afaccia in Adanella sola Ada. Mi mancò il passo e il fiato.Che fare? Il mio proponimento avrebbe voluto che mi tirassi indisparte e la lasciassi passare con un saluto misurato. Ma nella miamente ci fu un po' di confusione perché prima c'erano statialtri proponimenti tra cui uno che ricordavo secondo il quale avreidovuto parlarle chiaro e apprendere dalla sua bocca il mio destino.Non mi trassi in disparte e quand'ella mi salutò come se cifossimo lasciati cinque minuti primaio m'accompagnai a lei.

Ellami aveva detto:

-Buon giornosignor Cosini! Ho un po' fretta.

Edio:

-Mi permette di accompagnarla per un tratto?

Ellaaccettò sorridendo. Ma dunque avrei dovuto parlarle? Ellaaggiunse che andava direttamente a casa suaperciò compresiche non avevo a disposizione che cinque minuti per parlare ed anchedi quel tempo ne perdetti una parte a calcolare se sarebbe bastatoper le cose importanti che dovevo dirle.

Meglionon dirle che non dirle interamente. Mi confondeva anche il fatto cheallora nella nostra cittàper una fanciullaera giàun'azione compromettente quella di lasciarsi accompagnare sulla viada un giovanotto. Ella me lo permetteva. Non potevo giàaccontentarmi? Intanto la guardavotentando di sentir di nuovointero il mio amore annebbiatosi nell'ira e nel dubbio. Riavreialmeno i miei sogni? Ella m'appariva piccola e grande nello stessotemponell'armonia delle sue linee. I sogni ritornavano in follaanche accanto a leireale. Era il mio modo di desiderare e viritornai con gioia intensa. Spariva dal mio animo qualunque tracciad'ira o di rancore.

Madietro di noi si sentì un'invocazione esitante:

-Se permettesignorina!

Mivolsi indignato. Chi osava interrompere le spiegazioni che non avevoancora iniziate? Un signorino imberbebruno e pallidola guardavacon occhi ansiosi. A mia volta guardai Ada nella folle speranzach'essa invocasse il mio aiuto. Sarebbe bastato un suo segno ed io misarei gettato su quell'individuo a domandargli ragione della suaaudacia. E magari avesse insistito. I miei mali sarebbero statiguariti subito se mi fosse stato concesso d'abbandonarmi ad un attobrutale di forza.

MaAda non fece quel segno. Con un sorriso spontaneo perchémutava lievemente il disegno delle guancie e della bocca ma anche laluce dell'occhioella gli stese la mano:

-Il signor Guido!

Quelprenome mi fece male. Ellapoco primami aveva chiamato col nomemio di famiglia.

Guardaimeglio quel signor Guido. Era vestito con un'eleganza ricercata eteneva nella destra inguantata un bastone dal manico d'avoriolunghissimoche io non avrei portato neppure se m'avessero pagatoperciò una somma per ogni chilometro. Non mi rimproverai diaver potuto vedere in una simile persona una minaccia per Ada. Visono dei loschi figuri che vestono elegantemente e portano anche ditali bastoni.

Ilsorriso di Ada mi ricacciò nei più comuni rapportimondani. Ada fece la presentazione. E sorrisi anch'io! Il sorriso diAda ricordava un poco l'increspatura di un'acqua limpida sfiorata dauna lieve brezza. Anche il mio ricordava un simile movimentomaprodotto da un sasso che fosse stato gettato nell'acqua.

Sichiamava Guido Speier. Il mio sorriso si fece più spontaneoperché subito mi si presentava l'occasione di dirgli qualchecosa di sgradevole:

-Lei è tedesco?

Cortesementeegli mi disse che riconosceva che al nome tutti potevano crederlotale. Invece i documenti della sua famiglia provavano ch'essa eraitaliana da varii secoli. Egli parlava il toscano con grandenaturalezza mentre io e Ada eravamo condannati al nostrodialettaccio.

Loguardavo per sentire meglio quello ch'egli diceva. Era un bellissimogiovine: le labbra naturalmente socchiuse lasciavano vedere una boccadi denti bianchi e perfetti. L'occhio suo era vivace ed espressivo equando s'era scoperto il capoavevo potuto vedere che i suoi capellibruni e un po' ricciuticoprivano tutto lo spazio che madre naturaaveva loro destinatomentre molta parte della mia testa era statainvasa dalla fronte.

 

Iol'avrei odiato anche se Ada non fosse stata presentema soffrivo diquell'odio e cercai di attenuarlo. Pensai: - È troppo giovineper Ada. - E pensai poi che la confidenza e la gentilezza ch'essa gliusava fossero dovute ad un ordine del padre. Forse era un uomoimportante per gli affari del Malfenti e a me era parso che in similicasi tutta la famiglia fosse obbligata alla collaborazione. Glidomandai:

-Ella si stabilisce a Trieste?

Mirispose che vi si trovava da un mese e che vi fondava una casacommerciale. Respirai! Potevo aver indovinato.

Camminavozoppicandoma abbastanza disinvoltovedendo che nessuno se neaccorgeva. Guardavo Ada e tentavo di dimenticare tutto il restocompreso l'altro che ci accompagnava. In fondo io sono l'uomo delpresente e non penso al futuro quando esso non offuschi il presentecon ombre evidenti. Ada camminava fra noi due e aveva sulla facciastereotipataun'espressione vaga di lietezza che arrivava quasi alsorriso. Quella lietezza mi pareva nuova. Per chi era quel sorriso?Non per me ch'essa non vedeva da tanto tempo?

Prestaiorecchio a quello che si dicevano. Parlavano di spiritismo e appresisubito che Guido aveva introdotto in casa Malfenti il tavoloparlante.

Ardevodal desiderio di assicurarmi che il dolce sorriso che vagava sullelabbra di Ada fosse mio e saltai nell'argomento di cui parlavanoimprovvisando una storia di spiriti. Nessun poeta avrebbe potutoimprovvisare a rime obbligate meglio di me. Quando ancora non sapevodove sarei andato a finireesordii dichiarando che ormai credevoanch'io negli spiriti per una storia capitatami il giorno innanzi suquella stessa via... anzi no!... sulla via parallela a quella e chenoi scorgevamo. Poi dissi che anche Ada aveva conosciuto il professorBertini ch'era morto poco tempo prima a Firenze ove s'era stabilitodopo il suo pensionamento. Seppimo della sua morte da una brevenotizia su un giornale locale che io avevo dimenticatatant'èvero chequando pensavo al professore Bertiniio lo vedevopasseggiare per le Cascine nel suo meritato riposo. Orail giornoinnanzisu un punto che precisai della via parallela a quella chestavamo percorrendofui accostato da un signore che mi conosceva eche io sapevo di conoscere. Aveva un'andatura curiosa di donnetta chesi dimeni per facilitarsi il passo...

-Certo! Poteva essere il Bertini! - disse Ada ridendo.

Ilriso era mio ed incorato continuai:

-Sapevo di conoscerloma non sapevo ricordarlo. Si parlò dipolitica. Era il Bertini perché disse tante di quellebestialitàcon quella sua voce da pecora...

-Anche la sua voce! - ancora Ada rise guardandomi ansiosamente persentire la chiusa.

-Sì! Avrebbe dovuto essere il Bertini- dissi io fingendospavento da quel grande attore che in me è andato perduto. -Mi strinse la mano per congedarsi e se ne andò ballonzolando.Lo seguii per qualche passo cercando di raccapezzarmi. Scopersi diaver parlato col Bertini solo quando l'ebbi perduto di vista. ColBertini ch'era morto da un anno!

Pocodopo essa si fermò dinanzi al portone di casa sua.

Stringendoglila manodisse a Guido che lo aspettava quella sera. Poisalutandoanche memi disse che se non temevo di annoiarmi andassi quella serada loro a far ballare il tavolino.

Nonrisposi né ringraziai. Dovevo analizzare quell'invito prima diaccettarlo. Mi pareva avesse suonato come un atto di cortesiaobbligata. Ecco: forse per me il giorno festivo si sarebbe chiuso conquell'incontro. Ma volli apparire cortese per lasciarmi aperte tuttele vieanche quella di accettare quell'invito. Le domandai diGiovanni col quale avevo da parlare. Ella mi rispose che l'avreitrovato nel suo ufficio ove s'era recato per un affare urgente.

Guidoed io ci fermammo per qualche istante a guardar dietro all'elegantefigurina che spariva nell'oscurità dell'atrio della casa. Nonso quello che Guido abbia pensato in quel momento. In quanto a memisentivo infelicissimo; perché ella non aveva fattoquell'invito prima a me e poi a Guido?

Ritornammoinsieme sui nostri passiquasi fino al punto ove ci eravamoimbattuti con Ada. Guidocortese e disinvolto (era proprio ladisinvoltura quella ch'io più di tutto invidiavo agli altri)parlò ancora di quella storia ch'io avevo improvvisata ech'egli prendeva sul serio. Di veroinvecein quella storia nonc'era che questo: a Triesteanche dopo morto il Bertiniviveva unapersona che diceva delle bestialitàcamminava in modo chepareva si movesse sulle punte dei piedi ed aveva anche una vocestrana. Ne avevo fatta la conoscenza in quei giorni eper unmomentom'aveva ricordato il Bertini. Non mi dispiaceva che Guido sirompesse la testa a studiare quella mia invenzione. Era stabilitoch'io non dovevo odiarlo perché egli per i Malfenti non eraaltro che un commerciante importante; ma m'era antipatico per la suaeleganza ricercata e il suo bastone. M'era anzi tanto antipatico chenon vedevo l'ora di liberarmene. Sentii ch'egli concludeva:

-È possibile anche che la persona con cui ella parlòfosse ben più giovane del Bertinicamminasse come ungranatiere e avesse la voce virile e che la sua somiglianza con luifosse limitata al dire bestialità. Ciò sarebbe bastatoper fissare il suo pensiero sul Bertini. Ma per ammettere questobisognerebbe anche credere ch'ella sia una persona molto distratta.

Nonseppi aiutarlo nei suoi sforzi:

-Distratto io? Che idea! Sono un uomo d'affari. Dove finirei se fossidistratto?

Poipensai che perdevo il mio tempo. Volevo veder Giovanni. Giacchéavevo vista la figliaavrei potuto vedere anche il padre ch'eratanto meno importante. Dovevo far presto se volevo ancora trovarlonel suo ufficio.

Guidocontinuava ad almanaccare quanta parte di un miracolo si potesseattribuire alla disattenzione di chi lo fa o di chi vi assiste. Iovolli congedarmi e apparire almeno altrettanto disinvolto di lui. Daciò provenne una fretta nell'interromperlo e nel lasciarlomolto simile ad una brutalità:

-Per me i miracoli esistono e non esistono. Non bisogna complicarlicon troppe storie. Bisogna crederci o non crederci ed in ambedue icasi le cose sono molto semplici.

 

Ionon volevo dimostrargli dell'antipatia tant'è vero che con lemie parole mi pareva di fargli una concessionevisto ch'io sono unpositivista convinto ed ai miracoli non ci credo. Ma era unaconcessione fatta con grande malumore.

M'allontanaizoppicando più che mai e sperai che Guido non sentisse ilbisogno di guardarmi dietro.

Eraproprio necessario ch'io parlassi con Giovanni. Intanto m'avrebbeistruito come avrei dovuto comportarmi quella sera. Ero statoinvitato da Adae dal comportamento di Giovanni avrei potutocomprendere se dovevo seguire quell'invito o non piuttosto ricordarmiche quell'invito contravveniva all'espresso volere della signoraMalfenti. Chiarezza ci voleva nei miei rapporti con quella genteese a darmela non fosse bastata la domenicavi avrei dedicato ancheil lunedì. Continuavo a contravvenire ai miei proponimenti enon me ne accorgevo. Anzi mi pareva di eseguire una risoluzione presadopo cinque giorni di meditazione. È così ch'iodesignavo la mia attività di quei giorni.

Giovannim'accolse con un bel saluto gridatoche mi fece benee m'invitòdi prender posto su una poltrona addossata alla parete di faccia alsuo tavolo.

-Cinque minuti! Sono subito con lei! - E subito dopo: - Ma leizoppica?

Arrossii!Ero però in vena d'improvvisazione. Gli dissi ch'ero scivolatomentre uscivo dal caffèe designai proprio il caffèove m'era capitato quell'accidente. Temetti ch'egli potesseattribuire la mia tombola ad annebbiamento della mente per alcooleridendo aggiunsi il particolare che quando caddi mi trovavo incompagnia di una persona afflitta da reumatismi e che zoppicava.

Unimpiegato e due facchini si trovavano in piedi accanto al tavolo diGiovanni. Doveva essersi verificato qualche disordine in una consegnadi merci e Giovanni aveva uno di quei suoi interventi ruvidi nelfunzionamento del suo magazzino del quale egli raramente si occupavavolendo avere la mente libera per fare - come diceva lui - soloquello che nessun altro avrebbe potuto fare in vece sua. Urlava piùdel consueto come se avesse voluto incidere nelle orecchie dei suoidipendenti le sue disposizioni. Credo si trattasse di stabilire laforma in cui dovevano svolgersi i rapporti fra l'ufficio e ilmagazzino.

-Questa carta - urlava Giovanni passando dalla mano destra allasinistra una carta ch'egli aveva strappata da un libro- saràfirmata da te e l'impiegato che la riceverà te ne daràuna identica firmata da lui.

Fissavain faccia i suoi interlocutori ora traverso gli occhiali ed ora aldisopra di essi e concluse con un altro urlo:

-Avete capito?

Volevariprendere le sue spiegazioni da capoma a me sembrava di perderetroppo tempo. Avevo il sentimento curioso che affrettandomi avreipotuto meglio battermi per Adamentre poi m'accorsi con grandesorpresa che nessuno m'aspettava e che io nessuno aspettavoe chenon c'era niente da fare per me. Andai da Giovanni con la mano tesa:

-Vengo da lei questa sera.

Eglifu subito da mementre gli altri si tiravano in disparte.

-Perché non la vediamo da tanto tempo? - domandò consemplicità.

 

Iofui colto da una meraviglia che mi confuse. Era proprio questa ladomanda che Ada non m'aveva fatta e cui avrei avuto diritto. Se nonci fossero stati quegli altriio avrei parlato sinceramente conGiovanni che quella domanda m'aveva fatta e m'aveva provata la suainnocenza in quella ch'io oramai sentivo quale una congiura ai mieidanni. Lui solo era innocente e meritava la mia fiducia.

Forsesubito allora non pensai con tanta chiarezza e ne è prova ilfatto che non ebbi la pazienza di aspettare che l'impiegato ed ifacchini si fossero allontanati. Eppoi volevo studiare se forse adAda non fosse stata impedita quella domanda dall'arrivo inopinato diGuido.

Maanche Giovanni m'impedì di parlaremanifestando una grandefretta di ritornare al suo lavoro.

-Ci vediamo allora questa sera. Sentirà un violinista quale nonha sentito mai. Si presenta quale un dilettante del violino soloperché ha tanti di quei denari che non si degna di farne lasua professione. Intende di dedicarsi al commercio. - Si strinsenelle spalle in atto di dispregio. - Ioche pur amo il commercioalposto suo non venderei che delle note. Non so se lei lo conosce. Èun certo Guido Speier.

-Davvero? Davvero? - dissi simulando compiacenzascotendo la testa eaprendo la boccamovendo insomma tutto quello che potevo raggiungereper mio volere. Quel bel giovinotto sapeva anche sonare il violino? -Davvero? Tanto bene? - Speravo che Giovanni avesse scherzato e conl'esagerazione delle sue lodi avesse voluto significare che Guido nonfosse altro che un tartassatore del violino. Ma egli scoteva la testasempre con grande ammirazione.

Glistrinsi la mano:

-Arrivederci!

M'avviaizoppicando alla porta. Fui fermato da un dubbio. Forse avrei fattomeglio di non accettare quell'invito nel quale caso avrei dovutoprevenirne Giovanni. Mi volsi per ritornare a luima alloram'accorsi ch'egli mi guardava con grande attenzione proteso perinnanzi per vedermi più da vicino. Questo non seppi sopportaree me ne andai!

Unviolinista! Se era vero ch'egli sonava tanto beneio semplicementeero un uomo distrutto. Almeno non avessi sonato io quell'istrumento onon mi fossi lasciato indurre di sonarlo in casa Malfenti. Avevoportato il violino in quella casa non per conquistare col mio suonoil cuore della gentema quale un pretesto per prolungarvi le mievisite. Ero stato una bestia! Avrei potuto usare di tanti altripretesti meno compromettenti!

Nessunopotrà dire ch'io m'abbandoni ad illusioni sul conto mio. So diavere un alto sentimento musicale e non è per affettazionech'io ricerco la musica più complessa; però il miostesso alto sentimento musicale m'avverte e m'avvertì da annich'io mai arriverò a sonare in modo da dar piacere a chim'ascolta. Se tuttavia continuo a sonarelo faccio per la stessaragione per cui continuo a curarmi. Io potrei sonare bene se nonfossi malatoe corro dietro alla salute anche quando studiol'equilibrio sulle quattro corde. C'è una lieve paralisi nelmio organismoe sul violino si rivela intera e perciò piùfacilmente guaribile.

Anchel'essere più basso quando sa che cosa sieno le terzinelequartine o le sestinesa passare dalle une alle altre con esattezzaritmica come il suo occhio sa passare da un colore all'altro. Da meinveceuna di quelle figurequando l'ho fattami si appiccica enon me ne libero piùcosì ch'essa s'intrufola nellafigura seguente e la sforma. Per mettere al posto giusto le noteiodevo battermi il tempo coi piedi e con la testama addiodisinvolturaaddio serenitàaddio musica. La musica cheproviene da un organismo equilibrato è lei stessa il tempoch'essa crea ed esaurisce. Quando la farò così saròguarito. Per la prima volta pensai di abbandonare il campolasciareTrieste e andare altrove in cerca di svago. Non c'era piùnulla da sperare. Ada era perduta per me. Ne ero certo! Non sapevo ioforsech'essa avrebbe sposato un uomo dopo di averlo vagliato epesato come se si fosse trattato di concedergli un'onorificenzaaccademica? Mi pareva ridicolo perché veramente il violino fraesseri umani non avrebbe potuto contare nella scelta di un maritomaciò non mi salvava. Io sentivo l'importanza di quel suono. Eradecisiva come dagli uccelli canori.

Mirintanai nel mio studio e il giorno festivo per gli altri non eraancora finito! Trassi il violino dalla bustaindeciso se mandarlo apezzi o suonarlo. Poi lo provai come se avessi voluto dargli l'ultimoaddio e infine mi misi a studiare l'eterno Kreutzer. In quello stessoposto avevo fatto percorrere tanti di quei chilometri al mio arcoche nel mio disorientamento mi rimisi a percorrerne macchinalmentedegli altri.

Tutticoloro che si dedicarono a quelle maledette quattro corde sanno comefinché si viva isolatisi creda che ogni piccolo sforzoapporti un corrispondente progresso. Se così non fossechiaccetterebbe di sottoporsi a quei lavori forzati senza terminecomese si avesse avuta la disgrazia di ammazzare qualcuno? Dopo un po' ditempo mi parve che la mia lotta con Guido non fosse definitivamenteperduta. Chissà che forse non mi fosse concesso d'intervenirefra Guido e Ada con un violino vittorioso?

Nonera presunzione questama il mio solito ottimismo da cui mai seppiliberarmi. Ogni minaccia di sventura m'atterrisce dapprimama subitodopo è dimenticata nella sfiducia più sicura di saperevitarla. Lìpoinon occorreva che rendere piùbenevolo il mio giudizio sulle mie capacità di violinista.Nelle arti in genere si sa che il giudizio sicuro risulta dalconfrontoche qui mancava. Eppoi il proprio violino echeggia tantovicino all'orecchio che ha breve la via al cuore. Quandostancosmisi di suonaremi dissi:

-Bravo Zenohai guadagnato il tuo pane.

Senz'alcunaesitazione mi recai dai Malfenti. Avevo accettato l'invito ed oramainon potevo mancare. Mi parve di buon augurio che la camerieram'accogliesse con un sorriso gentile e la domanda se fossi stato maleper non esser venuto per tanto tempo. Le diedi una mancia. Per boccasua tutta la famiglia di cui essa era la rappresentantemi facevaquella domanda.

Essami condusse al salotto ch'era immerso nell'oscurità piùprofonda.

Arrivatovidalla piena luce dell'anticameraper un momento non vidi nulla e nonosai movermi. Poi scorsi varie figure disposte intorno ad untavolinoin fondo al salottoabbastanza lontano da me.

Fuisalutato dalla voce di Ada che nell'oscurità mi parvesensuale. Sorridenteuna carezza:

-S'accomodida quella parte e non turbi gli spiriti! - Se continuavacosì io non li avrei certamente turbati.

Daun altro punto della periferia del tavolino echeggiò un'altravocedi Alberta o forse di Augusta:

-Se vuole prendere parte all'evocazionec'è qui ancora unposticino libero.

Ioero ben risoluto di non lasciarmi mettere in disparte e avanzairisoluto verso il punto donde m'era provenuto il saluto di Ada. Urtaicol ginocchio contro lo spigolo di quel tavolino veneziano ch'eratutto spigoli. Ne ebbi un dolore intensoma non mi lasciai arrestaree andai a cadere su un sedile offertomi non sapevo da chifra duefanciulle di cui unaquella alla mia destrapensai fosse Ada el'altra Augusta. Subitoper evitare ogni contatto con questamispinsi verso l'altra. Ebbi però il dubbio che mi sbagliassi ealla vicina di destra domandai per sentirne la voce:

-Aveste già qualche comunicazione dagli spiriti?

Guidoche mi parve sedesse a me di facciam'interruppe. Imperiosamentegridò:

-Silenzio!

Poipiù mitemente:

-Raccoglietevi e pensate intensamente al morto che desiderate dievocare.

Ionon ho alcun'avversione per i tentativi di qualunque genere di spiareil mondo di là. Ero anzi seccato di non aver introdotto io incasa di Giovanni quel tavolinogiacché vi otteneva talesuccesso. Ma non mi sentivo di obbedire agli ordini di Guido e perciònon mi raccolsi affatto. Poi m'ero fatti tanti di quei rimproveri peraver permesso che le cose arrivassero a quel punto senz'aver dettauna parola chiara con Adache giacché avevo la fanciullaaccantoin quell'oscurità tanto favorevoleavrei chiaritotutto. Fui trattenuto solo dalla dolcezza di averla tanto vicina a medopo di aver temuto di averla perduta per sempre. Intuivo la dolcezzadelle stoffe tiepide che sfioravano i miei vestiti e pensavo ancheche così stretti l'uno all'altrail mio toccasse il suopiedino che di sera sapevo vestito di uno stivaletto laccato. Eraaddirittura troppo dopo un martirio troppo lungo.

Parlòdi nuovo Guido:

-Ve ne pregoraccoglietevi. Supplicate ora lo spirito che invocastedi manifestarsi movendo il tavolino.

Mipiaceva ch'egli continuasse ad occuparsi del tavolino. Oramai eraevidente che Ada si rassegnava di portare quasi tutto il mio peso! Senon m'avesse amato non m'avrebbe sopportato. Era venuta l'ora dellachiarezza. Tolsi la mia destra dal tavolino e pian pianino le posi ilbraccio alla taglia:

-Io vi amoAda! - dissi a bassa voce e avvicinando la mia faccia allasua per farmi sentire meglio.

Lafanciulla non rispose subito. Poicon un soffio di voceperòquella di Augustami disse:

-Perché non veniste per tanto tempo?

Lasorpresa e il dispiacere quasi mi facevano crollare dal mio sedile.

Subitosentii che se io dovevo finalmente eliminare quella seccantefanciulla dal mio destinopure dovevo usarle il riguardo che un buoncavaliere quale son iodeve tributare alla donna che lo ama e siadessa la più brutta che mai sia stata creata. Come m'amava!Nel mio dolore sentii il suo amore. Non poteva essere altro chel'amore che le aveva suggerito di non dirmi ch'essa non era Adamadi farmi la domanda che da Ada avevo attesa invano e che lei invececerto s'era preparata di farmi subito quando m'avesse rivisto.

Seguiiun mio istinto e non risposi alla sua domandamadopo una breveesitazionele dissi:

-Ho tuttavia piacere di essermi confidato a voiAugustache io credotanto buona!

Mirimisi subito in equilibrio sul mio treppiede. Non potevo avere lachiarezza con Adama intanto l'avevo completa con Augusta. Qui nonpotevano esserci altri malintesi.

Guidoammonì di nuovo:

-Se non volete star zittinon c'è alcuno scopo di passare quiil nostro tempo all'oscuro!

Eglinon lo sapevama io avevo tuttavia bisogno di un po' di oscuritàche m'isolasse e mi permettesse di raccogliermi. Avevo scoperto ilmio errore e il solo equilibrio che avessi riconquistato era quellosul mio sedile.

Avreiparlato con Adama alla chiara luce. Ebbi il sospetto che alla miasinistra non ci fosse leima Alberta. Come accertarmene? Il dubbiomi fece quasi cadere a sinistra eper riconquistare l'equilibriomipoggiai sul tavolino. Tutti si misero ad urlare: - Si muovesimuove! - Il mio atto involontario avrebbe potuto condurmi allachiarezza. Donde veniva la voce di Ada? Ma Guido coprendo con la suala voce di tuttiimpose quel silenzio che iotanto volentieriavrei imposto a lui. Poi con voce mutatasupplice (imbecille!) parlòcon lo spirito ch'egli credeva presente:

-Te ne pregodi' il tuo nome designandone le lettere in baseall'alfabeto nostro!

Egliprevedeva tutto: aveva paura che lo spirito ricordasse l'alfabetogreco.

Iocontinuai la commedia sempre spiando l'oscurità alla ricercadi Ada. Dopo una lieve esitazione feci alzare il tavolino per settevolte così che la lettera G era acquisita. L'idea mi parvebuona e per quanto la U che seguiva costasse innumerevoli movimentidettai netto netto il nome di Guido. Non dubito che dettando il suonomeio non fossi diretto dal desiderio di relegarlo fra glispiriti.

Quandoil nome di Guido fu perfettoAda finalmente parlò:

-Qualche vostro antenato? - suggerì. Sedeva proprio accanto alui. Avrei voluto muovere il tavolino in modo da cacciarlo fra lorodue e dividerli.

-Può essere! - disse Guido. Egli credeva di avere degliantenatima non mi faceva paura. La sua voce era alterata da unareale emozione che mi diede la gioia che prova uno schermidore quandos'accorge che l'avversario è meno temibile di quanto eglicredesse. Non era mica a sangue freddo ch'egli faceva quegliesperimenti. Era un vero imbecille! Tutte le debolezze trovavanofacilmente il mio compatimentoma non la sua.

Poiegli si rivolse allo spirito:

-Se ti chiami Speier fa un movimento solo.

Altrimentimovi il tavolino per due volte. - Giacché egli voleva averedegli antenatilo compiacqui movendo il tavolino per due volte.

-Mio nonno! - mormorò Guido.

Poila conversazione con lo spirito camminò più rapida.Allo spirito fu domandato se volesse dare delle notizie. Rispose disì. D'affari od altre? D'affari! Questa risposta fu preferitasolo perché per darla bastava movere il tavolo per una voltasola. Guido domandò poi se si trattava di buone o di cattivenotizie. Le cattive dovevano essere designate con due movimenti edio- questa volta senz'alcun'esitazione- volli movere il tavoloper due volte. Ma il secondo movimento mi fu contrastato e dovevaesserci qualcuno nella compagnia che avrebbe desiderato che le nuovefossero buone. Adaforse? Per produrre quel secondo movimento migettai addirittura sul tavolino e vinsi facilmente! Le notizie eranocattive!

Causala lottail secondo movimento risultò eccessivo e spostòaddirittura tutta la compagnia.

-Strano! - mormorò Guido. Poidecisourlò:

-Basta! Basta! Qui qualcuno si diverte alle nostre spalle!

Fuun comando cui molti nello stesso tempo ubbidirono e il salotto fusubito inondato dalla luce accesa in più punti. Guido mi parvepallido! Ada s'ingannava sul conto di quell'individuo ed io le avreiaperti gli occhi.

Nelsalottooltre alle tre fanciullev'erano la signora Malfenti edun'altra signora la cui vista m'ispirò imbarazzo e malessereperché credetti fosse la zia Rosina. Per ragioni differenti ledue signore ebbero da me un saluto compassato.

Ilbello si è ch'ero rimasto al tavolinosolo accanto adAugusta. Era una nuova compromissionema non sapevo rassegnarmid'accompagnarmi a tutti gli altri che attorniavano Guidoil qualecon qualche veemenza spiegava come avesse capito che il tavolo venivamosso non da uno spirito ma da un malizioso in carne ed ossa. NonAdalui stesso aveva tentato di frenare il tavolino fattosi troppochiacchierino. Diceva:

-Io trattenni il tavolino con tutte le mie forze per impedire che simovesse la seconda volta. Qualcuno dovette addirittura gettarsi su diesso per vincere la mia resistenza.

Belloquel suo spiritismo: uno sforzo potente non poteva provenire da unospirito!

Guardaila povera Augusta per vedere quale aspetto avesse dopo di aver avutala mia dichiarazione d'amore per sua sorella. Era molto rossama miguardava con un sorriso benevolo. Solo allora si decise di confermared'aver sentita quella dichiarazione:

-Non lo dirò a nessuno! - mi disse a bassa voce.

Ciòmi piacque molto.

-Grazie- mormorai stringendole la mano non piccolama modellataperfettamente. Io ero disposto di diventare un buon amico di Augustamentre prima di allora ciò non sarebbe stato possibile perchéio non so essere l'amico delle persone brutte. Ma sentivo una certasimpatia per la sua taglia che avevo stretta e che avevo trovata piùsottile di quanto l'avessi creduta. Anche la sua faccia era discretae pareva deforme solo causa quell'occhio che batteva una strada nonsua. Avevo certamente esagerata quella deformità ritenendolaestesa fino alla coscia.

 

Avevanofatto portare della limonata per Guido. Mi avvicinai al gruppo chetuttavia l'attorniava e m'imbattei nella signora Malfenti che se nestaccava. Ridendo di gusto le domandai.

-Abbisogna di un cordiale? - Ella ebbe un lieve movimento di disprezzocon le labbra:

-Non sembrerebbe un uomo! - disse chiaramente.

Iomi lusingai che la mia vittoria potesse avere un'importanza decisiva.Ada non poteva pensare altrimenti della madre. La vittoria ebbesubito l'effetto che non poteva mancare in un uomo fatto come son io.Mi sparì ogni rancore e non volli che Guido soffrisseulteriormente. Certo il mondo sarebbe meno aspro se molti misomigliassero.

Sedettia lui da canto esenza guardare gli altrigli dissi:

-Dovete scusarmisignor Guido. Mi sono permesso uno scherzo dicattivo genere. Sono stato io che ho fatto dichiarare al tavolino diessere mosso da uno spirito portante il vostro stesso nome. Nonl'avrei fatto se avessi saputo che anche vostro nonno aveva quelnome.

Guidotradì nella sua cerache si schiarìcome la miacomunicazione fosse importante per lui. Non volle peròammetterlo e mi disse:

-Queste signore sono troppo buone! Io non ho mica bisogno di conforto.La cosa non ha alcun'importanza. Vi ringrazio per la vostrasinceritàma io avevo già indovinato che qualcunoaveva indossata la parrucca di mio nonno.

Risesoddisfattodicendomi:

-Siete molto robustovoi! Avrei dovuto indovinare che il tavoloveniva mosso dal solo altro uomo della compagnia.

M'erodimostrato più forte di luiinfattima presto dovettisentirmi di lui più debole. Ada mi guardava con occhio pocoamico e m'aggredìle belle guancie infiammate:

-Mi dispiace per voi che abbiate potuto credervi autorizzato ad unoscherzo simile.

Mimancò il fiato ebalbettandodissi:

-Volevo ridere! Credevo che nessuno di noi avrebbe presa sul serioquella storia del tavolino.

Eraun po' tardi per attaccare Guido ed anzise avessi avuto un orecchiosensibileavrei sentito chemai piùin una lotta con luila vittoria avrebbe potuto essere mia. L'ira che Ada mi dimostravaera ben significativa. Come non intesi ch'essa era già tuttasua? Ma io m'ostinavo nel pensiero ch'egli non la meritava perchénon era l'uomo ch'essa cercava col suo occhio serio. Non l'avevasentito persino la signora Malfenti?

Tuttimi protessero e aggravarono la mia situazione. La signora Malfentidisse ridendo:

-Non fu che uno scherzo riuscito benissimo. - La zia Rosina avevatuttavia il grosso corpo virante dal ridere e diceva ammirando:

-Magnifica!

Mispiacque che Guido fosse tanto amichevole. Giàa lui nonimportava altro che di essere sicuro che le cattive notizie che iltavolino gli aveva datenon fossero state portate da uno spirito. Midisse:

-Scommetto che dapprima non avete mosso il tavolo di proposito.L'avrete mosso la prima volta senza volerloeppoi appena avretedeciso di moverlo con malizia. Così la cosa conserverebbe unacerta importanzacioè soltanto fino al momento in cui nondecideste di sabotare la vostra ispirazione.

 

Adasi volse e mi guardò con curiosità. Essa stava permanifestare a Guido una devozione eccessiva perdonandomi perchéGuido m'aveva concesso il suo perdono. Glielo impedii:

-Ma no! - dissi deciso. - Io ero stanco d'aspettare quegli spiriti chenon volevano venire e li sostituii per divertirmi.

Adami volse le spalle arcuandole in modo ch'ebbi tutto il sentimentod'essere stato schiaffeggiato. Persino i riccioli alla sua nuca miparve significassero disdegno.

Comesempreinvece che guardare e ascoltareero tutt'occupato dal mioproprio pensiero. M'opprimeva il fatto che Ada si compromettevaorribilmente. Ne provavo un forte dolore come dinanzi allarivelazione che la donna mia mi tradisse. Ad onta di quelle suemanifestazioni d'affetto per Guidoessa tuttavia poteva ancoraessere miama sentivo che non le avrei mai perdonato il suocontegno. È il mio pensiero troppo lento per saper seguire gliavvenimenti che si svolgono senz'attendere che nel mio cervello sisieno cancellate le impressioni lasciatevi dagli avvenimentiprecedenti? Io dovevo tuttavia movermi sulla via segnatami dal mioproposito. Una verauna cieca ostinazione. Volli anzi rendere il mioproposito più forte registrandolo un'altra volta. Andai adAugusta che mi guardava ansiosamente con un sincero sorrisoincoraggiante sulla faccia e le dissi serio e accorato:

-È forse l'ultima volta ch'io vengo in casa vostra perchéioquesta sera stessadichiarerò il mio amore ad Ada.

-Non dovete farlo- mi disse essa supplice. - Non v'accorgete diquello che qui succede? Mi dispiacerebbe se aveste a soffrirne.

Essacontinuava a frapporsi fra me e Ada. Le dissi proprio per farledispetto:

-Parlerò con Ada perché lo debbo. M'è poi deltutto indifferente quello ch'essa risponderà.

Zoppicaidi nuovo verso Guido. Giunto accanto a luiguardandomi in unospecchioaccesi una sigaretta. Nello specchio mi vidi molto pallidociò che per me è una ragione per impallidire di più.Lottai per sentirmi meglio ed apparire disinvolto. Nel duplice sforzola mia mano distratta afferrò il bicchiere di Guido. Una voltaafferratolo non seppi far di meglio che vuotarlo.

Guidosi mise a ridere:

-Così saprete tutti i miei pensieri perché poco fa hobevuto anch'io da quel bicchiere.

Ilsapore del limone m'è sempre sgradito. Quello dovetteapparirmi velenoso addirittura perchéprima di tuttoperaver bevuto dal suo bicchiere a me parve d'aver subito un contattoodioso con Guido eppoi perché fui colpito nello stesso tempodall'espressione d'impazienza iraconda che si stampò sullafaccia di Ada. Chiamò subito la cameriera per ordinarle unaltro bicchiere di limonata e insistette nel suo ordine ad onta cheGuido dichiarasse di non aver più sete.

Allorafui veramente compassionevole. Essa si comprometteva sempre più.

-ScusatemiAda- le dissi sommessamente e guardandola come se mifossi aspettata qualche spiegazione. - Io non volevo spiacervi.

Poifui invaso dal timore che i miei occhi si bagnassero di lagrime.Volli salvarmi dal ridicolo. Gridai:

-Mi sono spruzzato del limone nell'occhio.

 

Micoprii gli occhi col fazzoletto e perciò non ebbi piùbisogno di sorvegliare le mie lagrime e bastò che badassi anon singhiozzare.

Nondimenticherò mai quell'oscurità dietro di quelfazzoletto. Vi celavo le mie lagrimema anche un momento di pazzia.Pensavo ch'io le avrei detto tuttoch'essa m'avrebbe inteso e amatoe ch'io non le avrei perdonato mai più.

Allontanaidalla mia faccia il fazzolettolasciai che tutti vedessero i mieiocchi lagrimosi e feci uno sforzo per ridere e far ridere:

-Scommetto che il signor Giovanni manda a casa dell'acido citrico perfare le spremute.

Inquel momento giunse Giovanni che mi salutò con la sua solitagrande cordialità. Ne ebbi un piccolo confortoche non duròa lungoperché egli dichiarò ch'era venuto prima delsolito per il desiderio di sentir suonare Guido. S'interruppe perdomandare ragione delle lagrime che mi bagnavano gli occhi. Gliraccontarono dei miei sospetti sulla qualità delle suespremuteed egli ne rise.

Iofui tanto vile d'associarmi con calore alle preghiere che Giovannirivolgeva a Guido perché suonasse. Ricordavo: non ero iovenuto quella sera per sentire il violino di Guido? Ed il curioso èche so d'aver sperato di rabbonire Ada con le mie sollecitazioni aGuido. La guardai sperando d'essere finalmente associato a lei per laprima volta in quella sera. Quale stranezza! Non avevo da parlarle eda non perdonarle? Invece non vidi che le sue spalle e i ricciolisdegnosi alla sua nuca. Era corsa a trarre il violino dalla busta.

Guidodomandò di essere lasciato in pace ancora per un quarto d'ora.Pareva esitante. Poi nei lunghi anni in cui lo conobbi fecil'esperienza ch'egli sempre esitava prima di fare le cose anche piùsemplici di cui veniva pregato. Egli non faceva che ciò chegli piaceva eprima di consentire ad una preghieraprocedeva adun'indagine nelle proprie cavità per vedere quello che laggiùsi desiderava.

Poiin quella memoranda serata ci fu per me il quarto d'ora piùfelice. La mia chiacchierata capricciosa fece divertire tuttiAdacompresa. Era certamente dovuta alla mia eccitazionema anche al miosforzo supremo di vincere quel violino minaccioso che s'avvicinavas'avvicinava... E quel piccolo tratto di tempo che gli altri peropera mia sentirono come tanto divertenteio lo ricordo dedicato aduna lotta affannosa.

Giovanniaveva raccontato che nel tramsul quale era rincasatoavevaassistito ad una scena penosa. Una donna ne era scesa quando ilveicolo era ancora in movimento e tanto malamente da cadere eferirsi. Giovanni descriveva con un poco di esagerazione la sua ansiaall'accorgersi che quella donna s'apprestava a fare quel salto e inmodo tale che era evidente sarebbe stata atterrata e forse travolta.Era ben doloroso di prevedere e di non essere più in tempo disalvare.

Ioebbi una trovata. Raccontai che per quelle vertigini che in passatom'avevano fatto soffrireavevo scoperto un rimedio. Quando vedevo unginnasta fare i suoi esercizi troppo in altoo quando assistevo alladiscesa da un tram in corsa di persona troppo vecchia o poco abilemi liberavo da ogni ansia augurando loro dei malanni.

Arrivavopersino a modulare le parole con cui auguravo loro di precipitare esfracellarsi. Ciò mi tranquillava enormemente per cui potevoassistere del tutto inerte alla minaccia della disgrazia. Se i mieiaugurii poi non si compivanopotevo dirmi ancora piùcontento.

Guidofu incantato della mia idea che gli pareva una scoperta psicologica.L'analizzava come faceva di tutte le inezienon vedeva l'ora dipoter provare il rimedio. Ma faceva una riserva: che i malaugurii nonfacessero aumentare le disgrazie. Ada s'associò al suo riso edebbe per me persino un'occhiata d'ammirazione. Iobaggeone ebbiuna grande soddisfazione. Ma scoprii che non era vero ch'io non avreipiù saputo perdonarle: anche questo era un grande vantaggio.

Sirise insieme moltissimoda buoni ragazzi che si vogliono bene. Ad uncerto momento ero rimasto da una parte del salottosolo con ziaRosina. Essa parlava ancora del tavolino. Abbastanza grassastavaimmobile sulla sua sedia e mi parlava senza guardarmi. Io trovai ilmodo di far capire agli altri che mi seccavo e tutti mi guardavanosenza farsi vedere dalla ziaridendo discretamente.

Peraumentare l'ilarità mi pensai di dirle senz'alcunapreparazione:

-Ma Leisignoraè molto rimessala trovo ringiovanita.

Cisarebbe stato da ridere se essa si fosse arrabbiata. Ma la signorainvece di arrabbiarsi mi si dimostrò gratissima e mi raccontòche infatti s'era molto rimessa dopo di una recente malattia. Fuitanto stupito da quella risposta che la mia faccia dovette assumereun aspetto molto comico così che l'ilarità che avevasperata non mancò. Poco dopo l'enigma mi fu spiegato. Seppicioèche non era zia Rosinama zia Mariauna sorella dellasignora Malfenti. Avevo così eliminato da quel salotto unafonte di malessere per mema non la maggiore.

Aun dato momento Guido domandò il violino. Faceva a meno perquella sera dell'accompagnamento del pianoeseguendo la Chaconne.Ada gli porse il violino con un sorriso di ringraziamento. Egli nonla guardòma guardò il violino come se avesse volutosegregarsi seco e con l'ispirazione. Poi si mise in mezzo al salottovolgendo la schiena a buona parte della piccola societàtoccòlievemente le corde con l'arco per accordarle e fece anche qualchearpeggio. S'interruppe per dire con un sorriso:

-Un bel coraggio il mioquando si pensi che non ho toccato il violinodall'ultima volta in cui suonai qui!

Ciarlatano!Egli volgeva le spalle anche ad Ada. Io la guardai ansiosamente pervedere se essa ne soffrisse. Non pareva! Aveva poggiato il gomito suun tavolino e il mento sulla mano raccogliendosi per ascoltare.

Poicontro di mesi mise il grande Bach in persona. Giammainéprima né poiarrivai a sentire a quel modo la bellezza diquella musica nata su quelle quattro corde come un angelo diMichelangelo in un blocco di marmo. Solo il mio stato d'animo eranuovo per me e fu desso che m'indusse a guardare estatico in sucomea cosa novissima. Eppure io lottavo per tenere quella musica lontanada me. Mai cessai di pensare: "Bada! Il violino è unasirena e si può far piangere con esso anche senz'avere ilcuore di un eroe!". Fui assaltato da quella musica che mi prese.

Miparve dicesse la mia malattia e i miei dolori con indulgenza emitigandoli con sorrisi e carezze. Ma era Guido che parlava! Ed iocercavo di sottrarmi alla musica dicendomi: "Per saper fare ciòbasta disporre di un organismo ritmicouna mano sicura e unacapacità d'imitazione; tutte cose che io non hociòche non è un'inferioritàma una sventura".

Ioprotestavoma Bach procedeva sicuro come il destino. Cantava in altocon passione e scendeva a cercare il basso ostinato che sorprendevaper quanto l'orecchio e il cuore l'avessero anticipato: proprio alsuo posto! Un attimo più tardi e il canto sarebbe dileguato enon avrebbe potuto essere raggiunto dalla risonanza; un attimo primae si sarebbe sovrapposto al cantostrozzandolo. Per Guido ciònon avveniva: non gli tremava il braccio neppure affrontando Bach eciò era una vera inferiorità.

Oggiche scrivo ho tutte le prove di ciò. Non gioisco per avervisto allora tanto esattamente. Allora ero pieno di odio e quellamusicach'io accettavo come la mia anima stessanon seppeaddolcirlo. Poi venne la vita volgare di ogni giorno e l'annullòsenza che da parte mia vi fosse alcuna resistenza. Si capisce! Lavita volgare sa fare tante di quelle cose. Guai se i geni se neaccorgessero!

Guidocessò di suonare sapientemente. Nessuno plaudì fuori diGiovannie per qualche istante nessuno parlò. Poipurtropposentii io il bisogno di parlare. Come osai di farlo davanti a genteche il mio violino conosceva? Pareva parlasse il mio violino cheinvano anelava alla musica e biasimasse l'altro sul quale - non sipoteva negarlo - la musica era divenuta vitaluce ed aria.

-Benissimo! - dissi e aveva tutto il suono di una concessione piùche di un applauso. - Ma però non capisco perchéversola chiusaabbiate voluto scandere quelle note che il Bach segnòlegate.

Ioconoscevo la Chaconne nota per nota. C'era stata un'epoca incui avevo creduto cheper progredireavrei dovuto affrontare disimili imprese e per lunghi mesi passai il tempo a compitare battutaper battuta alcune composizioni del Bach.

Sentiiche in tutto il salotto non v'era per me che biasimo e derisione.Eppure parlai ancora lottando contro quell'ostilità.

-Bach - aggiunsi - è tanto modesto nei suoi mezzi che nonammette un arco fatturato a quel modo.

Ioavevo probabilmente ragionema era anche certo ch'io non avreineppur saputo fatturare l'arco a quel modo.

Guidofu subito altrettanto spropositato quanto lo ero stato io. Dichiarò:

-Forse Bach non conosceva la possibilità di quell'espressione.Gliela regalo io!

Eglimontava sulle spalle di Bachma in quell'ambiente nessuno protestòmentre mi si aveva deriso perché io avevo tentato di montaresoltanto sulle sue.

Alloraavvenne una cosa di minima importanzama che fu per me decisiva. Dauna stanza abbastanza lontana da noi echeggiarono le urla dellapiccola Anna. Come si seppe poiera caduta insanguinandosi lelabbra. Fu così ch'io per qualche minuto mi trovai solo conAda perché tutti uscirono di corsa dal salotto. Guidoprimadi seguire gli altriaveva posto il suo prezioso violino nelle manidi Ada.

 

-Volete dare a me quel violino? - domandai io ad Ada vedendolaesitante se seguire gli altri. Davvero che non m'ero ancora accortoche l'occasione tanto sospirata s'era finalmente presentata.

Ellaesitòma poi una sua strana diffidenza ebbe il sopravvento.Trasse il violino ancora meglio a sé:

-No - rispose- non occorre ch'io vada con gli altri. Non credo cheAnna si sia fatta tanto male. Essa strilla per nulla.

Sedettecol suo violino e a me parve che con quest'atto essa m'avesseinvitato di parlare. Del restocome avrei potuto io andar a casasenz'aver parlato? Che cosa avrei poi fatto in quella lunga notte? Mivedevo ribaltarmi da destra a sinistra nel mio letto o correre per levie o le bische in cerca di svago. No! Non dovevo abbandonare quellacasa senz'essermi procurata la chiarezza e la calma.

Cercaidi essere semplice e breve. Vi ero anche costretto perché mimancava il fiato. Le dissi:

-Io vi amoAda. Perché non mi permettereste di parlarne avostro padre?

Ellami guardò stupita e spaventata. Temetti che si mettesse astrillare come la piccinalà fuori. Io sapevo che il suoocchio sereno e la sua faccia dalle linee tanto precise non sapevanol'amorema tanto lontana dall'amore come oranon l'avevo mai vista.Incominciò a parlare e disse qualcosa che doveva essere comeun esordio. Ma io volevo la chiarezza: un sì o un no! Forsem'offendeva già quanto mi pareva un'esitazione. Per farepresto e indurla a decidersidiscussi il suo diritto di prendersitempo:

-Ma come non ve ne sareste accorta? A voi non era possibile di crederech'io facessi la corte ad Augusta!

Vollimettere dell'enfasi nelle mie parolemanella frettala misi fuoridi posto e finì che quel povero nome di Augusta fuaccompagnato da un accento e da un gesto di disprezzo.

Fucosì che levai Ada dall'imbarazzo. Essa non rilevòaltro che l'offesa fatta ad Augusta:

-Perché credete di essere superiore ad Augusta? Io non pensomica che Augusta accetterebbe di divenire vostra moglie!

Poiappena ricordò che mi doveva una risposta:

-In quanto a me... mi meraviglia che vi sia capitata una cosa similein testa.

Lafrase acre doveva vendicare l'Augusta. Nella mia grande confusionepensai che anche il senso della parola non avesse avuto altro scopo;se mi avesse schiaffeggiato credo che sarei stato esitante astudiarne la ragione. Perciò ancora insistetti:

-PensateciAda. Io non sono un uomo cattivo. Sono ricco... Sono unpo' bizzarroma mi sarà facile di correggermi.

AncheAda fu più dolcema parlò di nuovo di Augusta.

-Pensateci anche voiZeno: Augusta è una buona fanciulla efarebbe veramente al caso vostro. Io non posso parlare per conto suoma credo...

Erauna grande dolcezza di sentirmi invocare da Ada per la prima voltacol mio prenome. Non era questo un invito a parlare ancora piùchiaro? Forse era perduta per meo almeno non avrebbe accettatosubito di sposarmima intanto bisognava evitare che sicompromettesse di più con Guido sul conto del quale dovevoaprirle gli occhi.

Fuiaccortoe prima di tutto le dissi che stimavo e rispettavo Augustama che assolutamente non volevo sposarla. Lo dissi due volte perfarmi intendere chiaramente: "io non volevo sposarla". Cosìpotevo sperare di aver rabbonita Ada che prima aveva creduto iovolessi offendere Augusta.

-Una buonauna caraun'amabile ragazza quell'Augusta; ma non fa perme.

Poiappena precipitai le coseperché c'era del rumore sulcorridoio e mi poteva essere tagliata la parola da un momentoall'altro.

-Ada! Quell'uomo non fa per voi. È un imbecille! Nonv'accorgeste come sofferse per i responsi del tavolino? Avete vistoil suo bastone? Suona bene il violinoma vi sono anche delle scimmieche sanno suonarlo. Ogni sua parola tradisce il bestione...

Essadopo d'esser stata ad ascoltarmi con l'aspetto di chi non sarisolversi ad ammettere nel loro senso le parole che gli sonodirettem'interruppe. Balzò in piedi sempre col violino el'arco in mano e mi soffiò addosso delle parole offensive. Iofeci del mio meglio per dimenticarle e vi riuscii. Ricordo solo checominciò col domandarmi ad alta voce come avevo potuto parlarecosì di lui e di lei! Io feci gli occhi grandi dalla sorpresaperché mi pareva di non aver parlato che di lui solo.Dimenticai le tante parole sdegnose ch'essa mi diressema non la suabellanobile e sana faccia arrossata dallo sdegno e dalle linee resepiù precisequasi marmoreedall'indignazione. Quella nondimenticai più e quando penso al mio amore e alla miagiovinezzarivedo la faccia bella e nobile e sana di Ada nel momentoin cui essa m'eliminò definitivamente dal suo destino.

Ritornaronotutti in gruppo intorno alla signora Malfenti che teneva in braccioAnna ancora piangente. Nessuno si occupò di me o di Ada ed iosenza salutare nessunouscii dal salotto; nel corridoio presi il miocappello. Curioso! Nessuno veniva a trattenermi. Allora mi trattennida soloricordando ch'io non dovevo mancare alle regole della buonaeducazione e che perciò prima di andarmene dovevo salutarecompitamente tutti. Vero è che non dubito io non sia statoimpedito di abbandonare quella casa dalla convinzione che troppopresto sarebbe cominciata per me la notte ancora peggiore dellecinque notti che l'avevano preceduta. Io che finalmente avevo lachiarezzasentivo ora un altro bisogno: quello della pacela pacecon tutti. Se avessi saputo eliminare ogni asprezza dai miei rapporticon Ada e con tutti gli altrimi sarebbe stato più facile didormire. Perché aveva da sussistere tale asprezza? Se nonpotevo prendermela neppure con Guido il quale se anche non ne avevaalcun meritocertamente non aveva nessuna colpa di essere statopreferito da Ada!

Essaera la sola che si fosse accorta della mia passeggiata sul corridoioequando mi vide ritornaremi guardò ansiosa. Temeva di unascena? Subito volli rassicurarla. Le passai accanto e mormorai:

-Scusate se vi ho offesa!

Essaprese la mia mano erasserenatala strinse. Fu un grande conforto.Io chiusi per un istante gli occhi per isolarmi con la mia anima evedere quanta pace gliene fosse derivata.

 

Ilmio destino volle che mentre tutti ancora si occupavano della bimbaio mi trovassi seduto accanto ad Alberta. Non l'avevo vista e di leinon m'accorsi che quando essa mi parlò dicendomi:

-Non s'è fatta nulla. Il grave è la presenza di papàil qualese la vede piangerele fa un bel regalo. Io cessaidall'analizzarmi perché mi vidi intero! Per avere la pace ioavrei dovuto fare in modo che quel salotto non mi fosse mai piùinterdetto. Guardai Alberta! Somigliava ad Ada! Era un po' di lei piùpiccola e portava sul suo organismo evidenti dei segni non ancoracancellati dell'infanzia. Facilmente alzava la vocee il suo risospesso eccessivo le contraeva la faccina e gliel'arrossava. Curioso!In quel momento ricordai una raccomandazione di mio padre: "Scegliuna donna giovine e ti sarà più facile di educarla amodo tuo". Il ricordo fu decisivo. Guardai ancora Alberta. Nelmio pensiero m'industriavo di spogliarla e mi piaceva cosìdolce e tenerella come supposi fosse.

Ledissi:

-SentiteAlberta! Ho un'idea: avete mai pensato che siete nell'etàdi prendere marito?

-Io non penso di sposarmi! - disse essa sorridendo e guardandomimitementesenz'imbarazzo o rossore. - Penso invece di continuare imiei studii. Anche mamma lo desidera.

-Potreste continuare gli studii anche dopo sposata.

Mivenne un'idea che mi parve spiritosa e le dissi subito:

-Anch'io penso d'iniziarli dopo essermi sposato.

Essarise di cuorema io m'accorsi che perdevo il mio tempoperchénon era con tali scipitezze che si poteva conquistare una moglie e lapace. Bisognava essere serii. Qui poi era facile perché venivoaccolto tutt'altrimenti che da Ada. Fui veramente serio. La miafutura moglie doveva intanto sapere tutto. Con voce commossa ledissi:

-Iopoco faho indirizzata ad Ada la stessa proposta che ora feci avoi. Essa rifiutò con sdegno. Potete figurarvi in quale statoio mi trovi.

Questeparole accompagnate da un atteggiamento di tristezza non erano altroche la mia ultima dichiarazione d'amore per Ada. Divenivo tropposerio esorridendoaggiunsi:

-Ma credo che se voi accettaste di sposarmiio sarei felicissimo edimenticherei per voi tutto e tutti.

Essasi fece molto seria per dirmi:

-Non dovete offenderveneZenoperché mi dispiacerebbe. Iofaccio una grande stima di voi. So che siete un buon diavolo eppoisenza saperlosapete molte cosementre i miei professori sannoesattamente tutto quello che sanno. Io non voglio sposarmi. Forse miricrederòma per il momento non ho che una mèta:vorrei diventare una scrittrice. Vedete quale fiducia vi dimostro.Non lo dissi mai a nessuno e spero non mi tradirete. Dal canto miovi prometto che non ripeterò a nessuno la vostra proposta.

-Ma anzi potete dirlo a tutti! - la interruppi io con stizza. Misentivo di nuovo sotto la minaccia di essere espulso da quel salottoe corsi al riparo. C'era poi un solo modo per attenuare in Albertal'orgoglio di aver potuto respingermi ed io l'adottai non appena loscopersi. Le dissi:

-Io ora farò la stessa proposta ad Augusta e racconteròa tutti che la sposai perché le sue due sorelle mirifiutarono!

Ridevodi un buon umore eccessivo che m'aveva colto in seguito allastranezza del mio procedere.

Nonera nella parola che mettevo lo spirito di cui ero tanto orgogliosoma nelle azioni.

Miguardai d'intorno per trovare Augusta. Era uscita sul corridoio conun vassoio sul quale non v'era che un bicchiere semivuoto contenenteun calmante per Anna. La seguii di corsa chiamandola per nome ed essas'addossò alla parete per aspettarmi. Mi misi a lei di facciae subito le dissi:

-SentiteAugustavolete che noi due ci sposiamo?

Laproposta era veramente rude. Io dovevo sposare lei e lei meed ionon domandavo quello ch'essa pensasse né pensavo potrebbetoccarmi di essere io costretto di dare delle spiegazioni. Se nonfacevo altro che quello che tutti volevano!

Essaalzò gli occhi dilatati dalla sorpresa. Così quellosbilenco era anche più differente del solito dall'altro. Lasua faccia vellutata e biancadapprima impallidì di piùeppoi subito si congestionò. Con un filo di voce mi disse:

-Voi scherzate e ciò è male.

Temettisi mettesse a piangere ed ebbi la curiosa idea di consolarladicendole della mia tristezza.

-Io non scherzo- dissi serio e triste. - Domandai dapprima la suamano ad Ada che me la rifiutò con irapoi domandai ad Albertadi sposarmi ed essacon belle parolevi si rifiutòanch'essa. Non serbo rancore né all'una né all'altra.Solo mi sento moltoma molto infelice.

Dinanzial mio dolore essa si ricompose e si mise a guardarmi commossariflettendo intensamente. Il suo sguardo somigliava ad una carezzache non mi faceva piacere.

-Io devo dunque sapere e ricordare che voi non mi amate? - domandò.

Checosa significava questa frase sibillina? Preludiava ad un consenso?Voleva ricordare! Ricordare per tutta la vita da trascorrersi con me?Ebbi il sentimento di chi per ammazzarsi si sia messo in unaposizione pericolosa ed ora sia costretto a faticare per salvarsi.Non sarebbe stato meglio che anche Augusta m'avesse rifiutato e chemi fosse stato concesso di ritornare sano e salvo nel mio studiolonel quale neppure quel giorno stesso m'ero sentito troppo male? Ledissi:

-Sì! Io non amo che Ada e sposerei ora voi...

Stavoper dirle che non potevo rassegnarmi di divenire un estraneo per Adae che perciò mi contentavo di divenirle cognato. Sarebbe statoun eccessoed Augusta avrebbe di nuovo potuto credere che volessidileggiarla. Perciò dissi soltanto:

-Io non so più rassegnarmi di restar solo.

Essarimaneva tuttavia poggiata alla parete del cui sostegno forse sentivail bisogno; però pareva più calma ed il vassoio era oratenuto da una sola mano. Ero salvo e cioè dovevo abbandonarequel salottoo potevo restarci e dovevo sposarmi? Dissi delle altreparolesolo perché impaziente di aspettare le sue che nonvolevano venire:

-Io sono un buon diavolo e credo che con me si possa vivere facilmenteanche senza che ci sia un grande amore.

Questaera una frase che nei lunghi giorni precedenti avevo preparata perAda per indurla a dirmi di sì anche senza sentire per me ungrande amore.

Augustaansava leggermente e taceva ancora. Quel silenzio poteva anchesignificare un rifiutoil più delicato rifiuto che si potesseimmaginare: io quasi sarei scappato in cerca del mio cappellointempo per porlo su una testa salva.

 

InveceAugustadecisacon un movimento dignitoso che mai dimenticaisirizzò e abbandonò il sostegno della parete. Nelcorridoio non largo essa si avvicinò così ancora di piùa me che le stavo di faccia. Mi disse:

-VoiZenoavete bisogno di una donna che voglia vivere per voi e viassista. Io voglio essere quella donna.

Miporse la mano paffutella ch'io quasi istintivamente baciai.Evidentemente non c'era più la possibilità di farealtrimenti. Devo poi confessare che in quel momento fui pervaso dauna soddisfazione che m'allargò il petto. Non avevo piùda risolvere nienteperché tutto era stato risolto. Questaera la vera chiarezza.

Fucosì che mi fidanzai. Fummo subito festeggiatissimi. Il miosomigliava un poco al grande successo del violino di Guidotantifurono gli applausi di tutti. Giovanni mi baciò e mi diedesubito del tu. Con eccessiva espressione di affetto mi disse:

-Mi sentivo tuo padre da molto tempodacché cominciai a dartidei consigli per il tuo commercio.

Lamia futura suocera mi porse anch'essa la guancia che sfiorai. A quelbacio non sarei sfuggito neppure se avessi sposato Ada.

-Vede ch'io avevo indovinato tutto- mi disse con una disinvolturaincredibile e che non fu punita perché io non seppi névolli protestare.

Essapoi abbracciò Augusta e la grandezza del suo affetto si rivelòin un singhiozzo che le sfuggì interrompendo le suemanifestazioni di gioia. Io non potevo soffrire la signora Malfentima devo dire che quel singhiozzo colorìalmeno per tuttaquella seradi una luce simpatica e importante il mio fidanzamento.

Albertaraggiantemi strinse la mano:

-Io voglio essere per voi una buona sorella. - E Ada:

-BravoZeno! - Poia bassa voce: - Sappiatelo: giammai un uomo checreda di aver fatta una cosa con precipitazioneha agito piùsaviamente di voi.

Guidomi diede una grande sorpresa:

-Da questa mattina avevo capito che volevate una o l'altra dellesignorine Malfentima non arrivavo a sapere quale.

Nondovevano dunque essere molto intimi se Ada non gli aveva parlatodella mia corte! Che avessi davvero agito precipitosamente?

Pocodopo peròAda mi disse ancora:

-Vorrei che mi voleste bene come un fratello. Il resto siadimenticato: io non dirò mai nulla a Guido.

Eradel resto bello di aver provocata tanta gioia in una famiglia. Nonpotevo goderne moltosolo perché ero molto stanco. Ero ancheassonnato. Ciò provava che avevo agito con grande accortezza.La mia notte sarebbe stata buona.

Acena Augusta ed io assistemmo muti ai festeggiamenti che ci venivanofatti. Essa sentì il bisogno di scusarsi della sua incapacitàdi prender parte alla conversazione generale:

-Non so dir nulla. Dovete ricordare chemezz'ora faio non sapevoquello che stava per succedermi.

Essadiceva sempre l'esatta verità. Si trovava fra il riso e ilpianto e mi guardò. Volli accarezzarla anch'io con l'occhio enon so se vi riuscii.

Quellastessa sera a quel tavolo subii un'altra lesione. Fui ferito proprioda Guido.

 

Pareche poco prima ch'io fossi giunto per prendere parte alla sedutaspiritisticaGuido avesse raccontato che nella mattina io avevodichiarato di non essere una persona distratta. Gli diedero subitotante di quelle prove ch'io avevo mentito cheper vendicarsi(oforse per far vedere ch'egli sapeva disegnare) fece due miecaricature. Nella prima ero rappresentato comecol naso in ariamipoggiavo su un ombrello puntato a terra. Nella seconda l'ombrellos'era spezzato e il manico m'era penetrato nella schiena. Le duecaricature raggiungevano lo scopo e facevano ridere col mezzucciosemplice che l'individuo che doveva rappresentarmi - invero affattosomigliantema caratterizzato da una grande calvizie - era identiconel primo e nel secondo schizzo e si poteva perciò figurarselotanto distratto da non aver cambiato di aspetto per il fatto che unombrello lo aveva trafitto.

Tuttirisero molto e anzi troppo. Mi dolse intensamente il tentativo tantoben riuscito di gettare su me del ridicolo. E fu allora che per laprima volta fui colto dal mio dolore lancinante. Quella sera midolsero l'avambraccio destro e l'anca. Un intenso brucioreunformicolio nei nervi come se avessero minacciato di rattrappirsi.Stupito portai la mano destra all'anca e con la mano sinistraafferrai l'avambraccio colpito. Augusta mi domandò:

-Che hai?

Risposiche sentivo un dolore al posto contuso da quella caduta al caffèdella quale s'era parlato anche quella sera stessa.

Fecisubito un energico tentativo per liberarmi da quel dolore. Mi parveche ne sarei guarito se avessi saputo vendicarmi dell'ingiuria chem'era stata fatta. Domandai un pezzo di carta ed una matita e tentaidi disegnare un individuo che veniva oppresso da un tavolinoribaltatoglisi addosso. Misi poi accanto a lui un bastone sfuggitoglidi mano in seguito alla catastrofe. Nessuno riconobbe il bastone eperciò l'offesa non riuscì quale io l'avrei voluta.Perché poi si riconoscesse chi fosse quell'individuo e comefosse capitato in quella posizionescrissi di sotto: "GuidoSpeier alle prese col tavolino". Del resto di quel disgraziatosotto al tavolino non si vedevano che le gambeche avrebbero potutosomigliare a quelle di Guido se non le avessi storpiate ad artee lospirito di vendetta non fosse intervenuto a peggiorare il mio disegnogià tanto infantile.

Ildolore assillante mi fece lavorare in grande fretta. Certo giammai ilmio povero organismo fu talmente pervaso dal desiderio di ferire e seavessi avuta in mano la sciabola invece di quella matita che nonsapevo muovereforse la cura sarebbe riuscita.

Guidorise sinceramente del mio disegnoma poi osservò mitemente:

-Non mi pare che il tavolino m'abbia nociuto!

Nongli aveva infatti nociuto ed era questa l'ingiustizia di cui midolevo.

Adaprese i due disegni di Guido e disse di voler conservarli. Io laguardai per esprimerle il mio rimprovero ed essa dovette stornare ilsuo sguardo dal mio. Avevo il diritto di rimproverarla perchéfaceva aumentare il mio dolore.

Trovaiuna difesa in Augusta. Essa volle che sul mio disegno mettessi ladata del nostro fidanzamento perché voleva conservare anchelei quello sgorbio.

Un'ondacalda di sangue inondò le mie vene a tale segno d'affetto cheper la prima volta riconobbi tanto importante per me. Il dolore perònon cessò e dovetti pensare che se quell'atto d'affetto mifosse venuto da Adaesso avrebbe provocata nelle mie vene una taleondata di sangue che tutti i detriti accumulatisi nei miei nervi nesarebbero stati spazzati via.

Queldolore non m'abbandonò più. Adessonella vecchiaianesoffro meno perchéquando mi coglielo sopporto conindulgenza: "Ah! Sei quiprova evidente che sono statogiovine?". Ma in gioventù fu altra cosa. Io non dico cheil dolore sia stato grandeper quanto talvolta m'abbia impedito illibero movimento o mi abbia tenuto desto per notti intere. Ma essooccupò buona parte della mia vita. Volevo guarirne! Perchéavrei dovuto portare per tutta la vita sul mio corpo stesso lo stigmadel vinto? Divenire addirittura il monumento ambulante della vittoriadi Guido? Bisognava cancellare dal mio corpo quel dolore.

Cosìcominciarono le cure. Masubito dopol'origine rabbiosa dellamalattia fu dimenticata e mi fu ora persino difficile di ritrovarla.Non poteva essere altrimenti: io avevo una grande fiducia nei mediciche mi curarono e credetti loro sinceramente quando attribuirono queldolore ora al ricambio ed ora alla circolazione difettosapoi allatubercolosi o a varie infezioni di cui qualcuna vergognosa. Devo poiconfessare che tutte le cure m'arrecarono qualche sollievo temporaneoper cui ogni volta l'eventuale nuova diagnosi sembrava confermata.Prima o poi risultava meno esattama non del tutto erroneaperchéda me nessuna funzione è idealmente perfetta.

Unavolta sola ci fu un vero errore: una specie di veterinario nelle cuimani m'ero postos'ostinò per lungo tempo ad attaccare il mionervo sciatico coi suoi vescicanti e finì coll'essere beffatodal mio dolore che improvvisamentedurante una sedutasaltòdall'anca alla coppalungi perciò da ogni connessione colnervo sciatico. Il cerusico s'arrabbiò e mi mise alla porta edio me ne andai - me lo ricordo benissimo - niente affatto offesoammirato invece che il dolore al nuovo posto non avesse cambiato pernulla. Rimaneva rabbioso e irraggiungibile come quando m'avevatorturata l'anca. È strano come ogni parte del nostro corposappia dolere allo stesso modo.

Tuttele altre diagnosi vivono esattissime nel mio corpo e si battono fradi loro per il primato. Vi sono delle giornate in cui vivo per ladiatesi urica ed altre in cui la diatesi è uccisacioèguaritada un'infiammazione delle vene. Io ho dei cassetti interi dimedicinali e sono i soli cassetti miei che tengo io stesso in ordine.Io amo le mie medicine e so che quando ne abbandono unaprima o poivi ritornerò. Del resto non credo di aver perduto il miotempo. Chissà da quanto tempo e di quale malattia io sarei giàmorto se il mio dolore in tempo non le avesse simulate tutte perindurmi a curarle prima ch'esse m'afferrassero.

Mapur senza saper spiegarne l'intima naturaio so quando il mio doloreper la prima volta si formò. Proprio per quel disegno tantomigliore del mio.

Unagoccia che fece traboccare il vaso! Io sono sicuro di non aver maiprima sentito quel dolore. Ad un medico volli spiegarne l'originemanon m'intese. Chissà? Forse la psico-analisi porteràalla luce tutto il rivolgimento che il mio organismo subì inquei giorni e specialmente nelle poche ore che seguirono al miofidanzamento.

Nonfurono neppure pochequelle ore!

Quandotardila compagnia si sciolseAugusta lietamente mi disse:

-A domani!

L'invitomi piacque perché provava che avevo raggiunto il mio scopo eche niente era finito e tutto avrebbe continuato il giorno appresso.Essa mi guardò negli occhi e trovò i miei vivamenteannuenti così da confortarla. Scesi quegli scaliniche noncontai piùdomandandomi:

-Chissà se l'amo?

Èun dubbio che m'accompagnò per tutta la vita e oggidìposso pensare che l'amore accompagnato da tanto dubbio sia il veroamore.

Maneppure dopo abbandonata quella casami fu concesso di andar acoricarmi e raccogliere il frutto della mia attività di quellaserata in un sonno lungo e ristoratore. Faceva caldo. Guido sentìil bisogno di un gelato e m'invitò ad accompagnarlo ad uncaffè. S'aggrappò amichevolmente al mio braccio ed ioaltrettanto amichevolmentesostenni il suo. Egli era una personamolto importante per me e non avrei saputo rifiutargli niente. Lagrande stanchezza che avrebbe dovuto cacciarmi a lettomi rendevapiù arrendevole del solito.

Entrammoproprio nella bottega ove il povero Tullio m'aveva infettato con lasua malattiae ci mettemmo a sedere ad un tavolo appartato. Sullavia il mio dolore che io ancora non sapevo quale compagno fedele misarebbe statom'aveva fatto soffrire molto eper qualche istantemi parve si attenuasse perché mi fu concesso di sedere.

Lacompagnia di Guido fu addirittura terribile. S'informava con grandecuriosità della storia dei miei amori con Augusta. Sospettavach'io lo ingannassi? Gli dissi sfacciatamente che io di Augusta m'eroinnamorato subito alla mia prima visita in casa Malfenti. Il miodolore mi rendeva ciarlieroquasi avessi voluto gridare piùdi esso. Ma parlai troppo e se Guido fosse stato più attentosi sarebbe accorto che io non ero tanto innamorato di Augusta. Parlaidella cosa più interessante nel corpo di Augustacioèquell'occhio sbilenco che a torto faceva credere che anche il restonon fosse al suo vero posto. Poi volli spiegare perché non mifossi fatto avanti prima. Forse Guido era meravigliato di avermivisto capitare in quella casa all'ultimo momento per fidanzarmi.Urlai:

-Intanto le signorine Malfenti sono abituate ad un grande lusso ed ionon potevo sapere se ero al caso di addossarmi una cosa simile.

Midispiacque di aver così parlato anche di Adama non v'era piùrimedio; era tanto difficile di isolare Augusta da Ada! Continuaiabbassando la voce per sorvegliarmi meglio:

-Dovetti perciò fare dei calcoli. Trovai che il mio denaro nonbastava. Allora mi misi a studiare se potevo allargare il miocommercio.

Dissipoi cheper fare quei calcoliavevo avuto bisogno di molto tempo eche perciò m'ero astenuto dal far visita ai Malfenti percinque giorni.

Finalmentela lingua abbandonata a se stessa era arrivata ad un po' disincerità. Ero vicino al pianto epremendomi l'ancamormorai:

-Cinque giorni son lunghi!

Guidodisse che si compiaceva di scoprire in me una persona tantoprevidente.

Ioosservai seccamente:

-La persona previdente non è più gradevole dellastordita!

Guidorise:

-Curioso che il previdente senta il bisogno di difendere lo stordito!

Poisenz'altra transizionemi raccontò seccamente ch'egli era inprocinto di domandare la mano di Ada. M'aveva trascinato al caffèper farmi quella confessione oppure s'era seccato di aver dovutostarmi a sentire per tanto tempo a parlare di me e si procurava larivincita?

Iosono quasi sicuro d'esser riuscito a dimostrare la massima sorpresa ela massima compiacenza. Ma subito dopo trovai il modo di addentarlovigorosamente:

-Adesso capisco perché ad Ada piacque tanto quel Bach svisato aquel modo! Era ben suonatoma gli Otto proibiscono di lordarein certi posti.

Labotta era forte e Guido arrossì dal dolore. Fu mite nellarisposta perché ora gli mancava l'appoggio di tutto il suopiccolo pubblico entusiasta.

-Dio mio! - cominciò per guadagnar tempo. - Talvolta suonandosi cede ad un capriccio. In quella stanza pochi conoscevano il Bached io lo presentai loro un poco modernizzato.

Parvesoddisfatto della sua trovatama io ne fui soddisfatto altrettantoperché mi parve una scusa e una sommissione. Ciò bastòa mitigarmi edel restoper nulla al mondo avrei voluto litigarecol futuro marito di Ada. Proclamai che raramente avevo sentito undilettante che suonasse così bene.

Alui non bastò: osservò ch'egli poteva essereconsiderato quale un dilettantesolo perché non accettava dipresentarsi come professionista.

Nonvoleva altro? Gli diedi ragione. Era evidente ch'egli non potevaessere considerato quale un dilettante.

Cosìfummo di nuovo buoni amici.

Poidi punto in biancoegli si mise a dir male delle donne. Restai abocca aperta! Ora che lo conosco meglioso ch'egli si lancia a undiscorrere abbondante in qualsiasi direzione quando si crede sicurodi piacere al suo interlocutore. Iopoco primaavevo parlato dellusso delle signorine Malfentied egli ricominciò a parlaredi quello per finire col dire di tutte le altre cattive qualitàdelle donne. La mia stanchezza m'impediva d'interromperlo e milimitavo a continui segni d'assenso ch'erano già troppofaticosi per me. Altrimenticertoavrei protestato. Io sapevo ch'ioavevo ogni ragione di dir male delle donne rappresentate per me daAdaAugusta e dalla mia futura suocera; ma lui non aveva alcunaragione di prendersela col sesso rappresentato per lui dalla sola Adache l'amava.

Eraben dottoe ad onta della mia stanchezza stetti a sentirlo conammirazione. Molto tempo dopo scopersi ch'egli aveva fatte sue legeniali teorie del giovine suicida Weininger. Per allora subivo ilpeso di un secondo Bach. Mi venne persino il dubbio ch'egli volessecurarmi. Perché altrimenti avrebbe voluto convincermi che ladonna non sa essere né geniale né buona? A me parve chela cura non riuscì perché somministrata da Guido.

Maconservai quelle teorie e le perfezionai con la lettura delWeininger. Non guariscono però maima sono una comodacompagnia quando si corre dietro alle donne.

Finitoil suo gelatoGuido sentì il bisogno di una boccata d'ariafresca e m'indusse ad accompagnarlo ad una passeggiata verso laperiferia della città.

Ricordo:da giorniin cittàsi anelava ad un poco di pioggia da cuisi sperava qualche sollievo al caldo anticipato. Io non m'ero neppureaccorto di quel caldo. Quella sera il cielo aveva cominciato acoprirsi di leggere nubi bianchedi quelle da cui il popolo spera lapioggia abbondantema una grande luna s'avanzava nel cielointensamente azzurro dov'era ancora limpidouna di quelle lune dalleguancie gonfie che lo stesso popolo crede capaci di mangiare le nubi.Era infatti evidente che là dov'essa toccavascioglieva enettava.

Volliinterrompere il chiacchierio di Guido che mi costringeva ad unannuire continuouna torturae gli descrissi il bacio nella lunascoperto dal poeta Zamboni: com'era dolce quel bacio nel centro dellenostre notti in confronto all'ingiustizia che Guido accanto a mecommetteva! Parlando e scotendomi dal torpore in cui ero caduto aforza di assentiremi parve che il mio dolore s'attenuasse. Era ilpremio per la mia ribellione e vi insistetti.

Guidodovette adattarsi di lasciare per un momento in pace le donne eguardare in alto. Ma per poco! Scopertain seguito alle mieindicazionila pallida immagine di donna nella lunaritornòal suo argomento con uno scherzo di cui rise fortementema solo luinella via deserta:

-Vede tante cose quella donna! Peccato ch'essendo donna non saricordarle.

Facevaparte della sua teoria (o di quella del Weininger) che la donna nonpuò essere geniale perché non sa ricordare.

Arrivammosotto la via Belvedere. Guido disse che un po' di salita ci avrebbefatto bene. Anche questa volta lo compiacqui. Lassùcon unodi quei movimenti che si confanno meglio ai giovanissimi ragazziegli si sdraiò sul muricciuolo che arginava la via da quellasottostante. Gli pareva di fare un atto di coraggio esponendosi aduna caduta di una diecina di metri. Sentii dapprima il solitoribrezzo al vederlo esposto a tanto pericoloma poi ricordai ilsistema da me escogitato quella sera stessain uno slanciod'improvvisazioneper liberarmi da quell'affanno e mi misi adaugurare ferventemente ch'egli cadesse.

Inquella posizione egli continuava a predicare contro le donne. Dicevaora che abbisognavano di giocattoli come i bambinima di altoprezzo. Ricordai che Ada diceva di amare molto i gioielli. Era dunqueproprio di lei ch'egli parlava? Ebbi allora un'idea spaventosa!Perché non avrei fatto fare a Guido quel salto di dieci metri?Non sarebbe stato giusto di sopprimere costui che mi portava via Adasenz'amarla? In quel momento mi pareva che quando l'avessi uccisoavrei potuto correre da Ada per averne subito il premio. Nella strananotte piena di lucea me era parso ch'essa stesse a sentire comeGuido l'infamava.

Debboconfessare ch'io in quel momento m'accinsi veramente ad uccidereGuido! Ero in piedi accanto a lui ch'era sdraiato sul bassomuricciuolo ed esaminai freddamente come avrei dovuto afferrarlo peressere sicuro del fatto mio.

Poiscopersi che non avevo neppur bisogno di afferrarlo. Egli giacevasulle proprie braccia incrociate dietro la testae sarebbe bastatauna buona spinta improvvisa per metterlo senza rimedio fuorid'equilibrio.

Mivenne un'altra idea che mi parve tanto importante da poter compararlaalla grande luna che s'avanzava nel cielo nettandolo: avevo accettatodi fidanzarmi ad Augusta per essere sicuro di dormir bene quellanotte. Come avrei potuto dormire se avessi ammazzato Guido?Quest'idea salvò me e lui. Volli subito abbandonare quellaposizione nella quale sovrastavo a Guido e che mi seduceva aquell'azione. Mi piegai sulle ginocchia abbattendomi su me stesso earrivando quasi a toccare il suolo con la mia testa:

-Che doloreche dolore! - urlai.

SpaventatoGuido balzò in piedi a domandarmi delle spiegazioni. Iocontinuai a lamentarmi più mitemente senza rispondere. Sapevoperché mi lamentavo: perché avevo voluto uccidere eforseancheperché non avevo saputo farlo. Il dolore e illamento scusavano tutto. Mi pareva di gridare ch'io non avevo volutouccidere e mi pareva anche di gridare che non era colpa mia se nonavevo saputo farlo. Tutto era colpa della mia malattia e del miodolore. Invece ricordo benissimo che proprio allora il mio dolorescomparve del tutto e che il mio lamento rimase una pura commedia cuiio invano cercai di dare un contenuto evocando il dolore ericostruendolo per sentirlo e soffrirne. Ma fu uno sforzo vano perchéesso non ritornò che quando volle.

Comeal solito Guido procedeva per ipotesi. Fra altro mi domandò senon si fosse trattato dello stesso dolore prodotto da quella cadutaal caffè. L'idea mi parve buona e assentii.

Eglimi prese per il braccio eamorevolmentemi fece rizzare. Poiconogni riguardosempre appoggiandomimi fece scendere la piccolaerta. Quando fummo giùdichiarai che mi sentivo un pocomeglio e che credevo cheappoggiato a luiavrei potuto procederepiù spedito. Così si andava finalmente a letto! Poi erala prima vera grande soddisfazione che quel giorno mi fosse stataaccordata. Egli lavorava per meperché quasi mi portava. Eroio che finalmente gl'imponevo il mio volere.

Trovammouna farmacia ancora aperta ed egli ebbe l'idea di mandarmi a lettoaccompagnato da un calmante. Costruì tutta una teoria suldolore reale e sul sentimento esagerato dello stesso: un dolore simoltiplicava per l'esasperazione ch'esso stesso aveva prodotta. Conquella bottiglietta s'iniziò la mia raccolta di medicinaliefu giusto fosse stata scelta da Guido.

Perdar base più solida alla sua teoriaegli suppose ch'io avessisofferto di quel dolore da molti giorni. Mi spiacque di non potercompiacerlo. Dichiarai che quella serain casa dei Malfentiio nonavevo sentito alcun dolore. Nel momento in cui m'era stata concessala realizzazione del mio lungo sognoevidentemente non avevo potutosoffrire.

Eper essere sincero volli proprio essere come avevo asserito ch'iofossi e dissi più volte a me stesso: "Io amo Augustaionon amo Ada. Amo Augusta e questa sera arrivai alla realizzazione delmio lungo sogno".

Cosìprocedemmo nella notte lunare.

Suppongoche Guido fosse affaticato dal mio pesoperché finalmenteammutolì. Mi propose però di accompagnarmi fino aletto. Rifiutai e quando mi fu concesso di chiudere la porta di casadietro di mediedi un sospiro di sollievo. Ma certamente anche Guidodovette emettere lo stesso sospiro.

Fecigli scalini della mia villa a quattro a quattro e in dieci minuti fuia letto. M'addormentai presto enel breve periodo che precede ilsonnonon ricordai né Ada né Augustama il soloGuidocosì dolce e buono e paziente. Certonon avevodimenticato che poco prima avevo voluto ucciderloma ciò nonaveva alcun'importanza perché le cose di cui nessuno sa e chenon lasciarono delle traccenon esistono.

Ilgiorno seguente mi recai alla casa della mia sposa un po' titubante.Non ero sicuro se gl'impegni presi la sera prima avessero il valorech'io credevo di dover conferire loro. Scopersi che l'avevano pertutti. Anche Augusta riteneva d'essersi fidanzataanzi piùsicuramente di quanto lo credessi io.

Fuun fidanzamento laborioso. Io ho il senso di averlo annullato varievolte e ricostituito con grande fatica e sono sorpreso che nessuno sene sia accorto. Mai non ebbi la certezza d'avviarmi proprio almatrimonioma pare che tuttavia io mi sia comportato da fidanzatoabbastanza amoroso. Infatti io baciavo e stringevo al seno la sorelladi Ada ogni qualvolta ne avevo la possibilità. Augusta subivale mie aggressioni come credeva che una sposa dovesse ed io micomportai relativamente benesolo perché la signora Malfentinon ci lasciò soli che per brevi istanti. La mia sposa eramolto meno brutta di quanto avessi credutoe la sua piùgrande bellezza la scopersi baciandola: il suo rossore! Làdove baciavo sorgeva una fiamma in mio onore ed io baciavo piùcon la curiosità dello sperimentatore che col fervoredell'amante.

Mail desiderio non mancò e rese un po' più lieve quellagrave epoca. Guai se Augusta e sua madre non m'avessero impedito dibruciare quella fiamma in una sola volta come io spesso ne avreiavuto il desiderio. Come si avrebbe continuato a vivere allora?Almeno così il mio desiderio continuò a darmi sullescale di quella casa la stessa ansia come quando le salivo per andarealla conquista di Ada. Gli scalini dispari mi promettevano che quelgiorno avrei potuto far vedere ad Augusta che cosa fosse ilfidanzamento ch'essa aveva voluto. Sognavo un'azione violenta chem'avrebbe ridato tutto il sentimento della mia libertà. Nonvolevo mica altro io ed è ben strano che quando Augusta intesequello ch'io volevol'abbia interpretato quale un segno di febbred'amore.

Nelmio ricordo quel periodo si divide in due fasi. Nella prima lasignora Malfenti ci faceva spesso sorvegliare da Alberta o cacciavanel salotto con noi la piccola Anna con una sua maestrina. Ada non fuallora mai associata in alcun modo a noi ed io dicevo a me stesso chedovevo compiacermenementre invece ricordo oscuramente di averpensato una volta che sarebbe stata una bella soddisfazione per me dipoter baciare Augusta in presenza di Ada. Chissà con qualeviolenza l'avrei fatto.

 

Laseconda fase s'iniziò quando Guido ufficialmente si fidanzòcon Ada e la signora Malfenti da quella pratica donna che eraunìle due coppie nello stesso salotto perché si sorvegliassero avicenda.

Dellaprima fase so che Augusta si diceva perfettamente soddisfatta di me.Quando non l'assaltavodivenivo di una loquacitàstraordinaria. La loquacità era un mio bisogno. Me ne procurail'opportunità figgendomi in capo l'idea che giacchédovevo sposare Augustadovessi anche imprenderne l'educazione.L'educavo alla dolcezzaall'affetto e sopra tutto alla fedeltà.Non ricordo esattamente la forma che davo alle mie prediche di cuitaluna m'è ricordata da lei che giammai le obliò.M'ascoltava attenta e sommessa. Iouna voltanella fogadell'insegnamentoproclamai che se essa avesse scoperto un miotradimentone sarebbe conseguito il suo diritto di ripagarmi dellastessa moneta. Essaindignataprotestò che neppure col miopermesso avrebbe saputo tradirmi e cheda un mio tradimentoa leinon sarebbe risultata che la libertà di piangere.

Iocredo che tali prediche fatte per tutt'altro scopo che di direqualche cosaabbiano avuta una benefica influenza sul miomatrimonio. Di sincero v'era l'effetto ch'esse ebbero sull'animo diAugusta. La sua fedeltà non fu mai messa a prova perchédei miei tradimenti essa mai seppe nullama il suo affetto e la suadolcezza restarono inalterati nei lunghi anni che passammo insiemeproprio come l'avevo indotta a promettermelo.

QuandoGuido si promisela seconda fase del mio fidanzamento s'iniziòcon un mio proponimento che fu espresso così: "Eccomi benguarito del mio amore per Ada!". Fino ad allora avevo credutoche il rossore di Augusta fosse bastato per guarirmima si vede chenon si è mai guariti abbastanza! Il ricordo di quel rossore mifece pensare ch'esso oramai ci sarebbe stato anche fra Guido e Ada.Questomolto meglio di quell'altrodoveva abolire ogni miodesiderio.

Èdella prima fase il desiderio di violare Augusta. Nella seconda fuimolto meno eccitato. La signora Malfenti non aveva certo sbagliatoorganizzando così la nostra sorveglianza con tanto piccolo suodisturbo.

Miricordo che una volta scherzando mi misi a baciare Augusta. Invece discherzare con meGuido si mise a sua volta a baciare Ada. Mi parvepoco delicato da parte suaperché egli non baciava castamentecome avevo fatto io per riguardo a loroma baciava Ada proprio nellabocca che addirittura suggeva. Sono certo che in quell'epoca io m'erogià assueffatto a considerare Ada quale una sorellama nonero preparato a vederne far uso a quel modo. Dubito anche che ad unvero fratello piacerebbe di veder manipolare così la sorella.

Perciòin presenza di Guidoio non baciai mai più Augusta. InveceGuidoin mia presenzatentò un'altra volta di attirare a séAdama fu dessa che se ne schermì ed egli non ripetépiù il tentativo.

Moltoconfusamente mi ricordo delle tante e tante sere che passammoinsieme. La scena che si ripeté all'infinitos'impresse nellamia mente così: tutt'e quattro eravamo seduti intorno al finetavolo veneziano su cui ardeva una grande lampada a petrolio copertada uno schermo di stoffa verde che metteva tutto nell'ombrameno ilavori di ricamo cui le due fanciulle attendevanoAda su unfazzoletto di seta che teneva libero in manoAugusta su un piccolotelaio rotondo.

VedoGuido perorare e dev'essere successo di spesso che sia stato io soloa dargli ragione. Mi ricordo ancora della testa di capelli nerilievemente ricciuti di Adarilevati da un effetto strano che viproduceva la luce gialla e verde.

Sidiscusse di quella luce e anche del colore vero di quei capelli.Guidoche sapeva anche dipingereci spiegò come si dovesseanalizzare un colore. Neppure questo suo insegnamento non dimenticaipiù e ancora oggidìquando voglio intendere meglio ilcolore di un paesaggiosocchiudo gli occhi finché nonspariscano molte linee e non si vedano che le sole luci che anch'esses'abbrunano nel solo e vero colore. Peròquando mi dedico adun'analisi similesulla mia retinasubito dopo le immagini realiquasi una reazione mia fisicariappare la luce gialla e verde e icapelli bruni sui quali per la prima volta educai il mio occhio.

Nonso dimenticare una sera che fra tutte fu rilevata da un'espressionedi gelosia di Augusta e subito dopo anche da una mia riprovevoleindiscrezione. Per farci uno scherzoGuido e Ada erano andati asedere lontano da noidall'altra parte del salottoal tavolo LuigiXIV. Così io ebbi presto un dolore al collo che torcevo perparlare con loro. Augusta mi disse:

-Lasciali! Là si fa veramente all'amore.

Ediocon una grande inerzia di pensierole dissi a bassa voce che nondoveva crederlo perché Guido non amava le donne. Cosìm'era sembrato di scusarmi di essermi ingerito nei discorsi dei dueamanti. Era invece una malvagia indiscrezione quella di riferire adAugusta i discorsi sulle donne cui Guido s'abbandonava in miacompagniama giammai in presenza di alcun altro della famiglia dellenostre spose. Il ricordo di quelle mie parole m'amareggiò pervarii giornimentre posso dire che il ricordo di aver volutouccidere Guido non m'aveva turbato neppure per un'ora. Ma uccidere esia pure a tradimentoè cosa più virile chedanneggiare un amico riferendo una sua confidenza.

Giàallora Augusta aveva torto di essere gelosa di Ada. Non era pervedere Ada ch'io a quel modo torcevo il mio collo. Guidocon la sualoquacitàm'aiutava a trascorrere quel lungo tempo. Io glivolevo già bene e passavo una parte delle mie giornate conlui. Ero legato a lui anche dalla gratitudine che gli portavo per laconsiderazione in cui egli mi teneva e che comunicava agli altri.Persino Ada stava ora a sentirmi attentamente quando parlavo.

Ognisera aspettavo con una certa impazienza il suono del gong checi chiamava a cenae di quelle cene ricordo principalmente la miaperenne indigestione. Mangiavo troppo per un bisogno di tenermiattivo. A cena abbondavo di parole affettuose per Augusta; proprioquanto la mia bocca piena me lo permettevae i genitori suoipotevano aver solo la brutta impressione che il grande mio affettofosse diminuito dalla mia bestiale voracità. Si sorpresero cheal mio ritorno dal viaggio di nozze non avessi riportato con me tantoappetito. Sparì quando non si esigette più da me didimostrare una passione che non sentivo. Non è permesso difarsi veder freddo con la sposa dai suoi genitori nel momento in cuici si accinge di andar a letto con essa! Augusta ricorda specialmentele affettuose parole che le mormoravo a quel tavolo.

Fraboccone e boccone devo averne inventate di magnifiche e restostupitoquando mi vengono ricordateperché non misembrerebbero mie.

Lostesso mio suoceroGiovanni il furbosi lasciò ingannare efinché vissequando voleva dare un esempio di una grandepassione amorosacitava la mia per sua figliacioè perAugusta. Ne sorrideva beato da quel buon padre ch'egli erama glienederivava un aumento di disprezzo per meperché secondo luinon era un vero uomo colui che metteva tutto il proprio destino nellemani di una donna e che sopra tutto non s'accorgeva che all'infuoridella propria v'erano a questo mondo anche delle altre donne. Da ciòsi vede che non sempre fui giudicato con giustizia.

Miasuocerainvecenon credette nel mio amore neppure quando la stessaAugusta vi si adagiò piena di fiducia.

Perlunghi anni essa mi squadrò con occhio diffidentedubbiosadel destino della figliuola sua prediletta. Anche per questa ragioneio sono convinto ch'essa deve avermi guidato nei giorni che micondussero al fidanzamento. Era impossibile d'ingannare anche lei chedeve aver conosciuto il mio animo meglio di me stesso.

Vennefinalmente il giorno del mio matrimonio e proprio quel giorno ebbiun'ultima esitazione. Avrei dovuto essere dalla sposa alle otto delmattinoe invece alle sette e tre quarti mi trovavo ancora a lettofumando rabbiosamente e guardando la mia finestra su cui brillavairridendoil primo sole che durante quell'inverno fosse apparso.Meditavo di abbandonare Augusta! Diveniva evidente l'assurditàdel mio matrimonio ora che non m'importava più di restarattaccato ad Ada. Non sarebbero mica avvenute di grandi cose se ionon mi fossi presentato all'appuntamento! Eppoi: Augusta era statauna sposa amabilema non si poteva mica sapere come si sarebbecomportata la dimane delle nozze. E se subito m'avesse dato dellabestia perché m'ero lasciato prendere a quel modo?

Perfortuna venne Guidoed iononché resisteremi scusai delmio ritardo asserendo di aver creduto che fosse stata stabilitaun'altra ora per le nozze. Invece di rimproverarmiGuido si mise araccontare di sé e delle tante volte ch'egliper distrazioneaveva mancato a degli appuntamenti. Anche in fatto di distrazioneegli voleva essere superiore a me e dovetti non dargli altro ascoltoper arrivare a uscir di casa. Così avvenne che andai almatrimonio a passo di corsa.

Arrivaituttavia molto tardi. Nessuno mi rimproverò e tutti meno lasposa s'accontentarono di certe spiegazioni che Guido diede in vecemia. Augusta era tanto pallida che persino le sue labbra eranolivide. Se anche non potevo dire di amarlapure è certo chenon avrei voluto farle del male. Tentai di riparare e commisi labestialità d'attribuire al mio ritardo ben tre cause. Eranotroppe e raccontavano con tanta chiarezza quello ch'io avevo meditatolà nel mio lettoguardando il sole invernaleche si dovetteritardare la nostra partenza per la chiesa onde dar tempo ad Augustadi rimettersi.

All'altaredissi di sì distrattamente perché nella mia vivacompassione per Augusta stavo escogitando una quarta spiegazione almio ritardo e mi pareva la migliore di tutte.

 

Invecequando uscimmo dalla chiesam'accorsi che Augusta aveva ricuperatitutti i suoi colori. Ne ebbi una certa stizza perché quel miosì non avrebbe mica dovuto bastare a rassicurarla del mioamore. E mi preparavo a trattarla molto rudemente se si fosse rimessada tanto da darmi della bestia perché m'ero lasciato prenderea quel modo. Invecea casa suaapprofittò di un momento incui ci lasciarono soliper dirmi piangendo:

-Non dimenticherò mai chepur non amandomimi sposasti.

Ionon protestai perché la cosa era stata tanto evidente che nonsi poteva. Mapieno di compassionel'abbracciai.

Poidi tutto questo non si parlò più fra me ed Augustaperché il matrimonio è una cosa ben più semplicedel fidanzamento. Una volta sposati non si discute più d'amoreequando si sente il bisogno di dirnel'animalità intervienepresto a rifare il silenzio. Ora tale animalità puòessere divenuta tanto umana da complicarsi e falsificarsi ed avvienechechinandosi su una capigliatura femminilesi faccia anche losforzo di evocarvi una luce che non c'è. Si chiudono gli occhie la donna diventa un'altra per ridivenire lei quando la siabbandona. A lei s'indirizza tutta la gratitudine e maggiore ancorase lo sforzo riuscì. È per questo che se io avessi danascere un'altra volta (madre natura è capace di tutto!)accetterei di sposare Augustama mai di promettermi con lei.

Allastazione Ada mi porse la guancia al bacio fraterno. Io la vidi soloallorafrastornato com'ero dalla tanta gente ch'era venuta adaccompagnarci e subito pensai: "Sei proprio tu che mi cacciastiin questi panni!" Avvicinai le mie labbra alla sua guanciavellutata badando di non sfiorarla neppure. Fu la prima soddisfazionedi quel giornoperché per un istante sentii quale vantaggiomi derivasse dal mio matrimonio: m'ero vendicato rifiutandod'approfittare dell'unica occasione che m'era stata offerta dibaciare Ada! Poimentre il treno correvaseduto accanto ad Augustadubitai di non aver fatto bene. Temevo ne fosse compromessa la miaamicizia con Guido. Però soffrivo di più quando pensavoche forse Ada non s'era neppure accorta che non avevo baciata laguancia che mi aveva offerta.

Essase ne era accortama io non lo seppi che quandoa sua voltamoltimesi dopopartì con Guido da quella stessa stazione. Tuttiessa baciò. A me solo offerse con grande cordialità lamano. Io gliela strinsi freddamente. La sua vendetta arrivava proprioin ritardo perché le circostanze erano del tutto mutate. Dalritorno dal mio viaggio di nozze avevamo avuti dei rapporti fraternie non si poteva spiegare perché mi avesse escluso dal bacio.





6.Moglie e amante

Nellamia vita ci furono varii periodi in cui credetti di essere avviatoalla salute e alla felicità. Mai però tale fede futanto forte come nel tempo in cui durò il mio viaggio di nozzeeppoi qualche settimana dopo il nostro ritorno a casa. Cominciòcon una scoperta che mi stupì: io amavo Augusta com'essa amavame. Dapprima diffidentegodevo intanto di una giornata e m'aspettavoche la seguente fosse tutt'altra cosa. Ma una seguiva e somigliavaall'altraluminosatutta gentilezza di Augusta ed anche - ciòch'era la sorpresa - mia. Ogni mattina ritrovavo in lei lo stessocommosso affetto e in me la stessa riconoscenza chese non eraamorevi somigliava molto. Chi avrebbe potuto prevederlo quandoavevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta? Scoprivodi essere stato non un bestione cieco diretto da altrima un uomoabilissimo. E vedendomi stupitoAugusta mi diceva:

-Ma perché ti sorprendi? Non sapevi che il matrimonio èfatto così? Lo sapevo pur io che sono tanto piùignorante di te!

Nonso più se dopo o prima dell'affettonel mio animo si formòuna speranzala grande speranza di poter finire col somigliare adAugusta ch'era la salute personificata. Durante il fidanzamento ionon avevo neppur intravvista quella saluteperché tuttoimmerso a studiare me in primo luogo eppoi Ada e Guido. La lampada apetrolio in quel salotto non era mai arrivata ad illuminare gliscarsi capelli di Augusta.

Altroche il suo rossore! Quando questo sparve con la semplicità concui i colori dell'aurora spariscono alla luce diretta del soleAugusta batté sicura la via per cui erano passate le suesorelle su questa terraquelle sorelle che possono trovare tuttonella legge e nell'ordine o che altrimenti a tutto rinunziano. Perquanto la sapessi mal fondata perché basata su di meioamavoio adoravo quella sicurezza. Di fronte ad essa io dovevocomportarmi almeno con la modestia che usavo quando si trattava dispiritismo. Questo poteva essere e poteva perciò esistereanche la fede nella vita.

Peròmi sbalordiva; da ogni sua parolada ogni suo atto risultava che infondo essa credeva la vita eterna. Non che la dicessi tale: sisorprese anzi che una volta iocui gli errori ripugnavano prima chenon avessi amati i suoiavessi sentito il bisogno di ricordarglienela brevità. Macché! Essa sapeva che tutti dovevanomorirema ciò non toglieva che oramai ch'eravamo sposatisisarebbe rimasti insiemeinsiemeinsieme. Essa dunque ignorava chequando a questo mondo ci si univaciò avveniva per un periodotanto brevebrevebreveche non s'intendeva come si fosse arrivatia darsi del tu dopo di non essersi conosciuti per un tempo infinito epronti a non rivedersi mai più per un altro infinito tempo.Compresi finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quandoindovinai che il presente per lei era una verità tangibile incui si poteva segregarsi e starci caldi. Cercai di esservi ammesso etentai di soggiornarvi risoluto di non deridere me e leiperchéquesto conato non poteva essere altro che la mia malattia ed iodovevo almeno guardarmi dall'infettare chi a me s'era confidato.

Ancheperciònello sforzo di proteggere leiseppi per qualchetempo movermi come un uomo sano.

Essasapeva tutte le cose che fanno disperarema in mano sua queste cosecambiavano di natura. Se anche la terra girava non occorreva micaavere il mal di mare! Tutt'altro! La terra giravama tutte le altrecose restavano al loro posto. E queste cose immobili avevanoun'importanza enorme: l'anello di matrimoniotutte le gemme e ivestitiil verdeil neroquello da passeggio che andava in armadioquando si arrivava a casa e quello di sera che in nessun caso siavrebbe potuto indossare di giornoné quando io nonm'adattavo di mettermi in marsina. E le ore dei pasti erano tenuterigidamente e anche quelle del sonno. Esistevanoquelle oree sitrovavano sempre al loro posto.

Didomenica essa andava a Messa ed io ve l'accompagnai talvolta pervedere come sopportasse l'immagine del dolore e della morte. Per leinon c'erae quella visita le infondeva serenità per tutta lasettimana. Vi andava anche in certi giorni festivi ch'essa sapeva amente. Niente di piùmentre se io fossi stato religioso misarei garantita la beatitudine stando in chiesa tutto il giorno.

C'eranoun mondo di autorità anche quaggiù che larassicuravano. Intanto quella austriaca o italiana che provvedevaalla sicurezza sulle vie e nelle case ed io feci sempre del miomeglio per associarmi anche a quel suo rispetto. Poi v'erano imediciquelli che avevano fatto tutti gli studii regolari persalvarci quando - Dio non voglia - ci avesse a toccare qualchemalattia. Io ne usavo ogni giorno di quell'autorità: leiinvecemai. Ma perciò io sapevo il mio atroce destino quandola malattia mortale m'avesse raggiuntomentre lei credeva che anchealloraappoggiata solidamente lassù e quaggiùper leivi sarebbe stata la salvezza.

Iosto analizzando la sua salutema non ci riesco perchém'accorgo cheanalizzandolala converto in malattia. Escrivendonecomincio a dubitare se quella salute non avesse avutobisogno di cura o d'istruzione per guarire. Ma vivendole accanto pertanti annimai ebbi tale dubbio.

Qualeimportanza m'era attribuita in quel suo piccolo mondo! Dovevo dire lamia volontà ad ogni propositoper la scelta dei cibi e dellevestidelle compagnie e delle letture. Ero costretto ad una grandeattività che non mi seccava. Stavo collaborando allacostruzione di una famiglia patriarcale e diventavo io stesso ilpatriarca che avevo odiato e che ora m'appariva quale il segnacolodella salute. È tutt'altra cosa essere il patriarca o dovervenerare un altro che s'arroghi tale dignità. Io volevo lasalute per me a costo d'appioppare ai non patriarchi la malattiaespecialmente durante il viaggioassunsi talvolta volentieril'atteggiamento di statua equestre.

Magià in viaggio non mi fu sempre facile l'imitazione che m'eroproposta. Augusta voleva veder tutto come se si fosse trovata in unviaggio d'istruzione. Non bastava mica essere stati a palazzo Pittima bisognava passare per tutte quelle innumerevoli salefermandosialmeno per qualche istante dinanzi ad ogni opera d'arte.

Iorifiutai d'abbandonare la prima sala e non vidi altroaddossandomila sola fatica di trovare dei pretesti alla mia infingardaggine.Passai una mezza giornata dinanzi ai ritratti dei fondatori di casaMedici e scopersi che somigliavano a Carnegie e Vanderbilt.Meraviglioso! Eppure erano della mia razza! Augusta non divideva lamia meraviglia. Sapeva che cosa fossero i Yankeesma nonancora bene chi fossi io.

Quila sua salute non la vinse ed essa dovette rinunziare ai musei. Leraccontai che una volta al Louvrem'imbizzarrii talmente in mezzo atante opere d'arteche fui in procinto di mandare in pezzi laVenere. RassegnataAugusta disse:

-Meno male che i musei si incontrano in viaggio di nozze eppoi maipiù!

Infattinella vita manca la monotonia dei musei. Passano i giorni capaci dicornicema sono ricchi di suoni che frastornano eppoi oltre che dilinee e di colori anche di vera lucedi quella che scotta e perciònon annoia.

Lasalute spinge all'attività e ad addossarsi un mondo diseccature. Chiusi i museicominciarono gli acquisti. Essache nonvi aveva mai abitatoconosceva la nostra villa meglio di me e sapevache in una stanza mancava uno specchioin un'altra un tappeto e chein una terza v'era il posto per una statuina. Comperò i mobilidi un intero salotto eda ogni città in cui soggiornammofuorganizzata almeno una spedizione. A me pareva che sarebbe stato piùopportuno e meno fastidioso di fare tutti quegli acquisti a Trieste.Ecco che dovevamo pensare alla spedizioneall'assicurazione e alleoperazioni doganali.

-Ma tu non sai che tutte le merci devono viaggiare? Non sei unnegoziantetu? - E rise.

Avevaquasi ragione. Obbiettai:

-Le merci si fanno viaggiare per vendere e guadagnare! Mancando quelloscopo si lasciano tranquille e si sta tranquilli!

Mal'intraprendenza era una delle cose che in lei più amavo. Eradeliziosa quell'intraprendenza così ingenua! Ingenua perchébisogna ignorare la storia del mondo per poter credere di aver fattoun buon affare col solo acquisto di un oggetto: è alla venditache si giudica l'accortezza dell'acquisto.

Credevodi trovarmi in piena convalescenza. Le mie lesioni s'erano fatte menovelenose. Fu da allora che l'atteggiamento mio immutabile fu dilietezza. Era come un impegno che in quei giorni indimenticabiliavessi preso con Augusta e fu l'unica fede che non violai che perbrevi istantiquando cioè la vita rise più forte dime. La nostra fu e rimase una relazione sorridente perché iosorrisi sempre di leiche credevo non sapesse e lei di mecuiattribuiva molta scienza e molti errori ch'essa - così silusingava - avrebbe corretti. Io rimasi apparentemente lieto anchequando la malattia mi riprese intero. Lieto come se il mio dolorefosse stato sentito da me quale un solletico.

Nellungo cammino traverso l'Italiaad onta della mia nuova salutenonandai immune da molte sofferenze. Eravamo partiti senza lettere diraccomandazione espessissimoa me parve che molti degl'ignoti fracui ci movevamomi fossero nemici. Era una paura ridicolama nonsapevo vincerla.

Potevoessere assaltatoinsultato e sopra tutto calunniatoe chi avrebbepotuto proteggermi?

Cifu anche una vera crisi di questa paura della quale per fortunanessunoneppur Augustas'accorse. Usavo prendere quasi tutti igiornali che m'erano offerti sulla via. Fermatomi un giorno davantial banco di un giornalaiomi venne il dubbioch'egliper odioavrebbe potuto facilmente farmi arrestare come un ladro avendo iopreso da lui un solo giornale e tenendone moltisotto il bracciocomperati altrove e neppure aperti. Corsi via seguito da Augusta acui non dissi la ragione della mia fretta.

Milegai d'amicizia con un vetturino e un cicerone in compagnia deiquali ero almeno sicuro di non poter essere accusato di furtiridicoli.

Frame e il vetturino c'era qualche evidente punto di contatto. Egliamava molto i vini dei Castelli e mi raccontò che ad ognitratto gli si gonfiavano i piedi. Andava allora all'ospedale eguaritone veniva congedato con molte raccomandazioni di rinunziareal vino. Egli allora faceva un proposito che diceva ferreo perchéper materializzarlolo accompagnava con un nodo ch'egli allacciavaalla catena di metallo del suo orologio. Ma quando io lo conobbi lasua catena gli pendeva sul panciottosenza nodo. Lo invitai di venira stare con me a Trieste. Gli descrissi il sapore del nostro vinotanto differente da quello del suoper assicurarlo dell'esito delladrastica cura. Non ne volle sapere e rifiutò con una faccia incui v'era già stampata la nostalgia.

Colcicerone mi legai perché mi parve fosse superiore ai suoicolleghi. Non è difficile sapere di storia molto più dimema anche Augusta con la sua esattezza e col suo Baedekerverificò l'esattezza di molte sue indicazioni. Intanto eragiovine e si andava di corsa traverso i viali seminati di statue.

Quandoperdetti quei due amiciabbandonai Roma. Il vetturino avendo avutoda me tanto denaromi fece vedere come il vino gli attaccassequalche volta anche la testa e ci gettò contro una solidissimaantica costruzione Romana. Il cicerone poi si pensò un giornodi asserire che gli antichi Romani conoscevano benissimo la forzaelettrica e ne facessero largo uso. Declamò anche dei versilatini che dovevano farne fede.

Mami colse allora un'altra piccola malattia da cui non dovevo piùguarire. Una cosa da niente: la paura d'invecchiare e sopra tutto lapaura di morire. Io credo abbia avuto origine da una speciale formadi gelosia. L'invecchiamento mi faceva paura solo perchém'avvicinava alla morte. Finché ero vivocertamente Augustanon m'avrebbe traditoma mi figuravo che non appena morto e sepoltodopo di aver provveduto acché la mia tomba fosse tenuta inpieno ordine e mi fossero dette le Messe necessariesubito essa sisarebbe guardata d'intorno per darmi il successore ch'essa avrebbecircondato del medesimo mondo sano e regolato che ora beava me. Nonpoteva mica morire la sua bella salute perché ero morto io.Avevo una tale fede in quella salute che mi pareva non potesse perireche sfracellata sotto un intero treno in corsa.

Miricordo che una seraa Veneziasi passava in gondola per uno diquei canali dal silenzio profondo ad ogni tratto interrotto dallaluce e dal rumore di una via che su di esso improvvisamente s'apre.

Augustacome sempreguardava le cose e accuratamente le registrava: ungiardino verde e fresco che sorgeva da una base sucida lasciataall'aria dall'acqua che s'era ritirata; un campanile che sirifletteva nell'acqua torbida; una viuzza lunga e oscura con in fondoun fiume di luce e di gente. Ioinvecenell'oscuritàsentivocon pieno sconfortome stesso. Le dissi del tempo cheandava via e che presto essa avrebbe rifatto quel viaggio di nozzecon un altro. Io ne ero tanto sicuro che mi pareva di dirle unastoria già avvenuta. E mi parve fuori di posto ch'essa simettesse a piangere per negare la verità di quella storia.Forse m'aveva capito male e credeva io le avessi attribuital'intenzione di uccidermi. Tutt'altro! Per spiegarmi meglio ledescrissi un mio eventuale modo di morire: le mie gambenelle qualila circolazione era certamente già poverasi sarebberoincancrenite e la cancrena dilatatadilatatasarebbe giunta atoccare un organo qualunqueindispensabile per poter tener apertigli occhi. Allora li avrei chiusie addio patriarca! Sarebbe statonecessario stamparne un altro.

Essacontinuò a singhiozzare e a me quel suo piantonellatristezza enorme di quel canaleparve molto importante. Era forseprovocato dalla disperazione per la visione esatta di quella suasalute atroce? Allora tutta l'umanità avrebbe singhiozzato inquel pianto. Poiinveceseppi ch'essa neppur sapeva come fossefatta la salute. La salute non analizza se stessa e neppur si guardanello specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi.

Fuallora ch'essa mi raccontò di avermi amato prima di avermiconosciuto. M'aveva amato dacché aveva sentito il mio nomepresentato da suo padre in questa forma: Zeno Cosiniun ingenuochefaceva tanto d'occhi quando sentiva parlare di qualunque accorgimentocommerciale e s'affrettava a prenderne nota in un libro dicomandamentiche però smarriva. E se io non m'ero accortodella sua confusione al nostro primo incontrociò doveva farcredere che fossi stato confuso anch'io.

Miricordai che al vedere Augusta ero stato distratto dalla suabruttezza visto che m'ero atteso di trovare in quella casa le quattrofanciulle dall'iniziale in a tutte bellissime. Apprendevo ora ch'essam'amava da molto tempoma che cosa provava ciò? Non le diedila soddisfazione di ricredermi. Quando fossi stato mortoessa neavrebbe preso un altro. Mitigato il piantoessa s'appoggiòancora meglio a me esubito ridendomi domandò:

-Dove troverei il tuo successore? Non vedi come sono brutta?

Infattiprobabilmentemi sarebbe stato concesso qualche tempo diputrefazione tranquilla.

Mala paura d'invecchiare non mi lasciò piùsempre per lapaura di consegnare ad altri mia moglie. Non s'attenuò lapaura quando la tradii e non s'accrebbe neppure per il pensiero diperdere nello stesso modo l'amante. Era tutt'altra cosache nonaveva niente a che fare con l'altra. Quando la paura di morirem'assillavami rivolgevo ad Augusta per averne conforto come queibambini che porgono al bacio della mamma la manina ferita.

Essatrovava sempre delle nuove parole per confortarmi. In viaggio dinozze m'attribuiva ancora trent'anni di gioventù ed oggidìaltrettanti. Io invece sapevo che già le settimane di gioiadel viaggio di nozze m'avevano sensibilmente accostato alle smorfieorribili dell'agonia. Augusta poteva dire quello che volevail contoera presto fatto: ogni settimana io mi vi accostavo di una settimana.

Quandom'accorsi di esser colto troppo spesso dallo stesso doloreevitai distancarla col dirle sempre le stesse cose eper avvertirla del miobisogno di confortobastò mormorassi: "Povero Cosini!".Ella sapeva allora esattamente cosa mi turbava e accorreva a coprirmidel suo grande affetto. Così riuscii ad avere il suo confortoanche quand'ebbi tutt'altri dolori. Un giornoammalato dal dolore diaverla traditamormorai per svista: "Povero Cosini!". Neebbi gran vantaggio perché anche allora il suo conforto mi fuprezioso.

Ritornatodal viaggio di nozzeebbi la sorpresa di non aver mai abitata unacasa tanto comoda e calda. Augusta v'introdusse tutte le comoditàche aveva avute nella propriama anche molte altre ch'essa stessainventò. La stanza da bagnoche a memoria d'uomo era statasempre in fondo a un corridoio a mezzo chilometro dalla mia stanza dalettosi accostò alla nostra e fu fornita di un numeromaggiore di getti d'acqua. Poi una stanzuccia accanto al tinello fuconvertita in stanza da caffè. Imbottita di tappeti eaddobbata da grandi poltrone in pellevi soggiornavamo ogni giornoper un'oretta dopo colazione. Contro mia vogliavi era tutto ilnecessario per fumare. Anche il mio piccolo studioper quanto io lodifendessisubì delle modificazioni. Io temevo che imutamenti me lo rendessero odioso e invece subito m'accorsi che soloallora era possibile viverci. Essa dispose la sua illuminazione inmodo che potevo leggere seduto al tavolosdraiato sulla poltrona ocoricato sul sofà. Persino per il violino fu provveduto unleggio con la sua brava lampadina che illuminava la musica senzaferire gli occhi. Anche colàe contro mia vogliafuiaccompagnato da tutti gli ordigni necessarii per fumaretranquillamente.

Perciòin casa si costruiva molto e c'era qualche disordine che diminuiva lanostra quiete. Per leiche lavorava per l'eternitàil breveincomodo poteva non importarema per me la cosa era ben diversa. Miopposi energicamente quando le venne il desiderio d'impiantare nelnostro giardino una piccola lavanderia che implicava addirittura lacostruzione di una casuccia. Augusta asseriva che la lavanderia incasa era una garanzia della salute dei bébés. Maintanto i bébés non c'erano ed io non vedevoalcuna necessità di lasciarmi incomodare da loro prima ancorache arrivassero. Ella invece portava nella mia vecchia casa unistinto che veniva dall'aria apertaein amoresomigliava allarondinella che subito pensa al nido.

Maanch'io facevo all'amore e portavo a casa fiori e gemme. La mia vitafu del tutto mutata dal mio matrimonio. Rinunziaidopo un deboletentativo di resistenzaa disporre a mio piacere del mio tempo em'acconciai al più rigido orario.

Sottoquesto riguardo la mia educazione ebbe un esito splendido. Un giornosubito dopo il nostro viaggio di nozzemi lasciai innocentementetrattenere dall'andar a casa a colazione edopo di aver mangiatoqualche cosa in un barrestai fuori fino alla sera. Rientratoa notte fattatrovai che Augusta non aveva fatto colazione ed eradisfatta dalla fame. Non mi fece alcun rimproveroma non si lasciòconvincere d'aver fatto male. Dolcementema risolutadichiaròche se non fosse stata avvisata primam'avrebbe atteso per lacolazione fino all'ora del pranzo. Non c'era da scherzare! Un'altravolta mi lasciai indurre da un amico a restar fuori di casa fino alledue di notte. Trovai Augusta che m'aspettava e che batteva i dentidal freddo avendo trascurata la stufa. Ne seguì anche una sualieve indisposizione che rese indimenticabile la lezione inflittami.

Ungiorno volli farle un altro grande regalo: lavorare! Essa lodesiderava ed io stesso pensavo che il lavoro sarebbe stato utile perla mia salute. Si capisce che è meno malato chi ha poco tempoper esserlo. Andai al lavoro ese non vi restainon fu davverocolpa mia. Vi andai coi migliori propositi e con vera umiltà.Non reclamai di partecipare alla direzione degli affari e domandaiinvece di tenere intanto il libro mastro. Davanti al grosso libro incui le scritturazioni erano disposte con la regolarità distrade e casemi sentii pieno di rispetto e cominciai a scrivere conmano tremante.

Ilfigliuolo dell'Oliviun giovinotto sobriamente eleganteocchialutodotto di tutte le scienze commercialiassunse la mia istruzione e dilui davvero non ho da lagnarmi. Mi diede qualche seccatura con la suascienza economica e la teoria della domanda e dell'offerta che a mepareva più evidente di quanto egli non volesse ammettere. Masi vedeva in lui un certo rispetto per il padroneed io gliene erotanto più grato in quanto non era ammissibile che l'avesseappreso da suo padre. Il rispetto della proprietà doveva farparte della sua scienza economica. Non mi rimproverò giammaigli errori di registrazione che spesso facevo; solo era incline adattribuirli ad ignoranza e mi dava delle spiegazioni che veramenteerano superflue.

Ilmale si è che a forza di guardare gli affarimi venne lavoglia di farne. Nel librocon grande chiarezzaarrivai araffigurare la mia tasca e quando registravo un importo nel "dare"dei clienti mi pareva di tener in mano invece della penna ilbastoncino del croupier che raccoglie i denari sparsi sultavolo da giuoco.

Ilgiovine Olivi mi faceva anche vedere la posta che arrivava ed io laleggevo con attenzione e - devo dirlo - in principio con la speranzad'intenderla meglio degli altri. Un'offerta comunissima conquistòun giorno la mia attenzione appassionata. Anche prima di leggerlasentii moversi nel mio petto qualche cosa che subito riconobbi comel'oscuro presentimento che talvolta veniva a trovarmi al tavolo dagiuoco. È difficile descrivere tale presentimento. Essoconsiste in una certa dilatazione dei polmoni per cui si respira convoluttà l'aria per quanto sia affumicata.

Mapoi c'è di più: sapete subito che quando avreteraddoppiata la posta starete ancora meglio. Però ci vuoledella pratica per intendere tutto questo. Bisogna essersi allontanatidal tavolo da giuoco con le tasche vuote e il dolore di averlotrascurato; allora non sfugge più. E quando lo si hatrascuratonon c'è più salvezza per quel giorno perchéle carte si vendicano. Però al tavolo verde è assai piùperdonabile di non averlo sentito che dinanzi al tranquillo libromastroed infatti io lo percepii chiaramentementre gridava in me:"Compera subito quella frutta secca!".

Neparlai con tutta mitezza all'Olivinaturalmente senza accennaredella mia ispirazione. L'Olivi rispose che quegli affari non lifaceva che per conto di terzi quando poteva realizzare un piccolobeneficio. Così egli eliminava dai miei affari la possibilitàdell'ispirazione e la riservava ai terzi.

Lanotte rafforzò la mia convinzione: il presentimento era dunquein me. Respiravo tanto bene da non poter dormire. Augusta sentìla mia inquietudine e dovetti dirgliene la ragione. Essa ebbe subitola mia stessa ispirazione e nel sonno arrivò a mormorare:

-Non sei forse il padrone?

Veroè che alla mattinaprima che uscissimi disse impensierita:

-A te non conviene d'indispettire l'Olivi. Vuoi che ne parli al babbo?

Nonlo volli perché sapevo che anche Giovanni dava assai poco pesoalle ispirazioni.

Arrivaiall'ufficio ben deciso di battermi per la mia idea anche pervendicarmi dell'insonnia sofferta. La battaglia durò fino amezzodì quando spirava il termine utile per accettarel'offerta. L'Olivi restò irremovibile e mi saldò con lasolita osservazione:

-Lei vuole forse diminuire le facoltà attribuitemi dal defuntosuo padre?

Risentitoritornai per il momento al mio mastroben deciso di non ingerirmipiù di affari. Ma il sapore dell'uva sultanina mi restòin bocca ed ogni giorno al Tergesteo m'informavo del suo prezzo. Dialtro non m'importava. Salì lentolento come se avesse avutobisogno di raccogliersi per prendere lo slancio. Poi in un giornosolo fu un balzo formidabile in alto. Il raccolto era statomiserabile e lo si sapeva appena ora. Strana cosa l'ispirazione! Essanon aveva previsto il raccolto scarso ma solo l'aumento di prezzo.

Lecarte si vendicarono. Intanto io non sapevo restare al mio mastro eperdetti ogni rispetto per i miei insegnantitanto più cheora l'Olivi non pareva tanto sicuro di aver fatto bene. Io risi ederisi; fu la mia occupazione principale.

Arrivòuna seconda offerta dal prezzo quasi raddoppiato. L'Oliviperrabbonirmimi domandò consiglio ed iotrionfantedissi chenon avrei mangiata l'uva a quel prezzo. L'Olivioffesomormorò:

-Io m'attengo al sistema che seguii per tutta la mia vita.

Eandò in cerca del compratore. Ne trovò uno per unquantitativo molto ridotto esempre con le migliori intenzioniritornò da me e mi domandò esitante:

-La coproquesta piccola vendita?

Risposisempre cattivo:

-Io l'avrei coperta prima di farla.

Finìche l'Olivi perdette la forza della propria convinzione e lasciòla vendita scoperta.

Leuve continuarono a salire e noi si perdette tutto quello che sulpiccolo quantitativo si poteva perdere.

Mal'Olivi si arrabbiò con me e dichiarò che avevagiuocato solo per compiacermi. Il furbo dimenticava che io l'avevoconsigliato di puntare sul rosso e ch'egliper farmelaavevapuntato sul nero. La nostra lite fu insanabile. L'Olivi s'appellòa mio suocero dicendogli che fra lui e me la ditta sarebbe statasempre danneggiatae che se la mia famiglia lo desideravaegli esuo figlio si sarebbero ritirati per lasciarmi il campo libero. Miosuocero decise subito in favore dell'Olivi. Mi disse:

-L'affare della frutta secca è troppo istruttivo. Siete dueuomini che non potete stare insieme. Ora chi ha da ritirarsi? Chisenza l'altro avrebbe fatto un solo buon affareo chi da mezzosecolo dirige da solo la casa?

AncheAugusta fu indotta dal padre a convincermi di non ingerirmi piùnei miei propri affari.

-Pare che la tua bontà e la tua ingenuità - mi disse -ti rendano disadatto agli affari. Resta a casa con me.

Ioiratomi ritirai nella mia tendaossia nel mio studiolo. Perqualche tempo leggiucchiai e suonaipoi sentii il desiderio di unaattività più seria e poco mancò non ritornassialla chimica eppoi alla giurisprudenza. Infinee non so veramenteperchéper qualche tempo mi dedicai agli studi di religione.Mi parve di riprendere lo studio che avevo iniziato alla morte di miopadre. Forse questa volta fu per un tentativo energico di avvicinarmiad Augusta e alla sua salute. Non bastava andare a messa con lei; iodovevo andarci altrimentileggendo cioè Renan e Straussilprimo con dilettoil secondo sopportandolo come una punizione. Nedico qui solo per rilevare quale grande desiderio m'attaccasse adAugusta. E lei questo desiderio non indovinò quando mi videnelle mani i Vangeli in edizione critica. Preferiva l'indifferenzaalla scienza e così non seppe apprezzare il massimo segnod'affetto che le avevo dato. Quandocome solevainterrompendo lasua toilette o le sue occupazioni in casas'affacciava allaporta della mia stanza per dirmi una parola di salutovedendomichino su quei testitorceva la bocca:

-Sei ancora con quella roba?

Lareligione di cui Augusta abbisognava non esigeva del tempo peracquisirsi o per praticarsi. Un inchino e l'immediato ritorno allavita! Nulla di più. Da me la religione acquistava tutt'altroaspetto. Se avessi avuto la fede veraio a questo mondo non avreiavuto che quella.

Poinella mia stanzetta magnificamente organizzata venne talvolta lanoia. Era piuttosto un'ansia perché proprio allora mi parevadi sentirmi la forza di lavorarema stavo aspettando che la vitam'avesse imposto qualche compito. Nell'attesa uscivo frequentemente epassavo molte ore al Tergesteo o in qualche caffè.

Vivevoin una simulazione di attività. Un'attivitànoiosissima.

Lavisita di un amico d'Universitàche aveva dovuto rimpatriarein tutta furia da un piccolo paese della Stiria per curarsi di unagrave malattiafu la mia Nemesibenché non ne avesse avutol'aspetto. Arrivò a me dopo di aver fatto a Trieste un mese diletto ch'era valso a convertire la sua malattiauna nefritedaacuta in cronica e probabilmente inguaribile.

Maegli credeva di star meglio e s'apprestava lietamente a trasferirsisubitodurante la primaverain qualche luogo dal clima piùdolce del nostrodove s'aspettava di essere restituito alla pienasalute. Gli fu fatale forse di essersi indugiato troppo nel rudeluogo natio.

Ioconsidero la visita di quell'uomo tanto malatoma lieto esorridentecome molto nefasta per me; ma forse ho torto: essa nonsegna che una data nella mia vitaper la quale bisognava purpassare.

Ilmio amicoEnrico Coplersi stupì ch'io nulla avessi saputoné di lui né della sua malattia di cui Giovanni dovevaessere informato. Ma Giovannidacché era malato anche luinon aveva tempo per nessuno e non me ne aveva detto niente ad ontache ogni giorno di sole venisse nella mia villa per dormire qualcheora all'aria aperta.

Fra'due malati si passò un pomeriggio lietissimo. Si parlòdelle loro malattieciò che costituisce il massimo svago perun malato ed è una cosa non troppo triste per i sani chestanno a sentire. Ci fu solo un dissenso perché Giovanni avevabisogno dell'aria aperta che all'altro era proibita. Il dissenso sidileguò quando si levò un po' di vento che indusseanche Giovanni di restare con noinella piccola stanza calda.

IlCopler ci raccontò della sua malattia che non dava dolore matoglieva la forza. Soltanto ora che stava meglio sapeva quanto fossestato malato. Parlò delle medicine che gli erano statepropinate e allora il mio interesse fu più vivo. Il suodottore gli aveva consigliato fra altro un efficace sistema perprocurargli un lungo sonno senza perciò avvelenarlo con verisonniferi. Ma questa era la cosa di cui io avevo sopra tutto bisogno!

Ilmio povero amicosentendo il mio bisogno di medicinesi lusingòper un istante ch'io potessi essere affetto della stessa sua malattiae mi consigliò di farmi vedereascoltare e analizzare.

Augustasi mise a ridere di cuore e dichiarò ch'io non ero altro cheun malato immaginario. Allora sul volto emaciato del Copler passòqualche cosa che somigliava ad un risentimento. Subitovirilmentesi liberò dallo stato d'inferiorità a cui pareva fossecondannatoaggredendomi con grande energia:

-Malato immaginario? Ebbeneio preferisco di essere un malato reale.Prima di tutto un malato immaginario è una mostruositàridicola eppoi per lui non esistono dei farmachi mentre la farmaciacome si vede in meha sempre qualche cosa di efficace per noi malativeri!

Lasua parola sembrava quella di un sano ed io - voglio essere sincero -ne soffersi.

Miosuocero s'associò a lui con grande energiama le sue parolenon arrivavano a gettare un disprezzo sul malato immaginarioperchétradivano troppo chiaramente l'invidia per il sano. Disse che se eglifosse stato sano come meinvece di seccare il prossimo con lelamentelesarebbe corso ai suoi cari e buoni affarispecie ora chegli era riuscito di diminuire la sua pancia. Egli non sapeva neppureche il suo dimagrimento non veniva considerato come un sintomofavorevole.

Causal'assalto del Coplerio avevo veramente l'aspetto di un malato e diun malato maltrattato.

Augustasentì il bisogno d'intervenire in mio soccorso. Carezzando lamano che avevo abbandonata sul tavoloessa disse che la mia malattianon disturbava nessuno e ch'ella non era neppur convinta ch'iocredessi d'esser ammalatoperché altrimenti non avrei avutotanta gioia di vivere. Così il Copler ritornò allostato d'inferiorità cui era condannato. Egli era del tuttosolo a questo mondo e se poteva lottare con me in fatto di salutenon poteva contrappormi alcun affetto simile a quello che Augustam'offriva. Sentendo vivo il bisogno di un'infermierasi rassegnòdi confessarmi più tardi quanto egli m'aveva invidiato perquesto.

Ladiscussione continuò nei giorni seguenti con un tono piùcalmo mentre Giovanni dormiva in giardino. E il Coplerdopo avercipensato sùasseriva ora che il malato immaginario era unmalato realema più intimamente di questi ed anche piùradicalmente. Infatti i suoi nervi erano ridotti così daaccusare una malattia quando non c'eramentre la loro funzionenormale sarebbe consistita nell'allarmare col dolore e indurre acorrere al riparo.

-Sì! - dicevo io. - Come ai dentidove il dolore si manifestasolo quando il nervo è scoperto e per la guarigione occorre lasua distruzione.

Siterminò col trovarsi d'accordo sul fatto che un malato el'altro si valevano. Proprio nella sua nefrite era mancato e mancavatuttavia un avviso dei nervimentre che i miei nerviinveceeranoforse tanto sensibili da avvisarmi della malattia di cui sarei mortoqualche ventennio più tardi. Erano dunque dei nervi perfetti eavevano l'unico svantaggio di concedermi pochi giorni lieti a questomondo. Essendogli riuscito a mettermi fra gli ammalatiil Copler fusoddisfattissimo.

Nonso perché il povero malato avesse la mania di parlare di donneequando non c'era mia moglienon si parlava d'altro. Eglipretendeva che dal malato realealmeno nelle malattie che noisapevamoil sesso s'affievolisseciò ch'era una buona difesadell'organismomentre dal malato immaginario che non soffriva chepel disordine di nervi troppo laboriosi (questa era la nostradiagnosi) esso fosse patologicamente vivo. Io corroborai la suateoria con la mia esperienza e ci compiangemmo reciprocamente. Ignoroperché non volli dirgli che io mi trovavo lontano da ognisregolatezza e ciò da lungo tempo. Avrei almeno potutoconfessare che mi ritenevo convalescente se non sanoper nonoffenderlo troppo e perché dirsi sano quando si conosconotutte le complicazioni del nostro organismo è una cosadifficile.

-Tu desideri tutte le donne belle che vedi? - inquisì ancora ilCopler.

-Non tutte! - mormorai io per dirgli che non ero tanto malato. Intantoio non desideravo Ada che vedevo ogni sera. Quellaper meeraproprio la donna proibita. Il fruscio delle sue gonne non mi dicevaniente ese mi fosse stato permesso di muoverle con le mie stessemanisarebbe stata la stessa cosa. Per fortuna non l'avevo sposata.Questa indifferenza erao mi sembravauna manifestazione di salutegenuina. Forse il mio desiderio per lei era stato tanto violento daesaurirsi da sé.

Peròla mia indifferenza si estendeva anche ad Alberta ch'era pur tantocarina nel suo vestitino accurato e serio da scuola. Che il possessodi Augusta fosse stato sufficiente a calmare il mio desiderio pertutta la famiglia Malfenti? Ciò sarebbe stato davvero moltomorale!

Forsenon parlai della mia virtù perché nel pensiero iotradivo sempre Augustae anche oraparlando col Coplercon unfremito di desideriopensai a tutte le donne che per lei trascuravo.Pensai alle donne che correvano le vietutte copertee dalle qualiperciò gli organi sessuali secondarii divenivano tantoimportanti mentre dalla donna che si possedeva scomparivano come seil possesso li avesse atrofizzati. Avevo sempre vivo il desideriodell'avventura; quell'avventura che cominciava dall'ammirazione diuno stivalettodi un guantodi una gonnadi tutto quello che copree altera la forma. Ma questo desiderio non era ancora una colpa. IlCopler però non faceva bene ad analizzarmi. Spiegare aqualcuno come è fattoè un modo per autorizzarlo adagire come desidera. Ma il Copler fece anche di peggiosolo chetanto quando parlòcome quando agìegli non potevaprevedere dove mi avrebbe condotto.

Restacosì importante nel mio ricordo la parola del Copler chequando la ricordoessa rievoca tutte le sensazioni che vi siassociaronoe le cose e le persone. Avevo accompagnato in giardinoil mio amico che doveva rincasare prima del tramonto. Dalla miavillache giace su una collinasi aveva la vista del porto e delmarevista che ora è intercettata da nuovi fabbricati. Cifermammo a guardare lungamente il mare mosso da una brezza leggerache rimandava in miriadi di luci rosse la luce tranquilla del cielo.La penisola istriana dava riposo all'occhio con la sua mitezza verdeche s'inoltrava in arco enorme nel mare come una penombra solida. Imoli e le dighe erano piccoli e insignificanti nelle loro formerigidamente linearie l'acqua nei bacini era oscurata dalla suaimmobilità o era forse torbida? Nel vasto panorama la pace erapiccola in confronto a tutto quel rosso animato sull'acqua e noiabbacinatidopo poco volgemmo la schiena al mare. Sulla piccolaspianata dinanzi alla casaincombeva in confronto già lanotte.

Dinanzial porticosu una grande poltronail capo coperto da un berretto eanche protetto dal bavero rialzato della pellicciale gambe avvoltein una copertamio suocero dormiva. Ci fermammo a guardarlo. Avevala bocca spalancatala mascella inferiore pendente come una cosamorta e la respirazione rumorosa e troppo frequente. Ad ogni trattola sua testa ricadeva sul petto ed eglisenza destarsila rialzava.C'era allora un movimento delle sue palpebre come se avesse volutoaprire gli occhi per ritrovare più facilmente l'equilibrio ela sua respirazione cambiava di ritmo. Una vera interruzione delsonno.

Erala prima volta che la grave malattia di mio suocero mi si presentassecon tanta evidenza e ne fui profondamente addolorato.

IlCopler a bassa voce mi disse:

-Bisognerebbe curarlo. Probabilmente è ammalato anche dinefrite. Il suo non è un sonno: io so che cosa sia quellostato.

Poverodiavolo!

Terminòconsigliando di chiamare il suo medico.

Giovannici sentì e aperse gli occhi. Parve subito meno malato escherzò con Copler:

-Lei s'attenta di stare all'aria aperta? Non le farà male?

Glisembrava di aver dormito saporitamente e non pensava di aver avutomancanza d'aria in faccia al vasto mare che gliene mandava tanta! Mala sua voce era fioca e la sua parola interrotta dall'ansare; avevala faccia terrea elevatosi dalla poltronasi sentiva ghiacciare.Dovette rifugiarsi in casa. Lo vedo ancora muoversi traverso laspianatala coperta sotto il braccioansante ma ridendomentre cimandava il suo saluto.

-Vedi com'è fatto l'ammalato reale? - disse il Copler che nonsapeva liberarsi dalla sua idea dominante. - È moribondo e nonsa d'essere ammalato.

Parveanche a me che l'ammalato reale soffrisse poco. Mio suocero e ancheil Copler riposano da molti anni a Sant'Annama ci fu un giorno incui passai accanto alle loro tombe e mi parve che per il fatto ditrovarsi da tanti anni sotto alle loro pietrela tesi propugnata dauno di loro non fosse infirmata.

Primadi lasciare il suo antico domicilioil Copler aveva liquidati i suoiaffari e perciò come me non ne aveva affatto. Perònonappena lasciato il lettonon seppe restar tranquillo emancando diaffari propricominciò ad occuparsi di quelli degli altri chegli parevano molto più interessanti. Ne risi allorama piùtardi anch'io dovevo apprendere quale sapore gradevole avessero gliaffari altrui. Egli si dedicava alla beneficenza ed essendosiproposto di vivere dei soli interessi del suo capitalenon potevaconcedersi il lusso di farla tutta a spese proprie. Perciòorganizzava delle collette e tassava amici e conoscenti. Registravatutto da quel bravo uomo d'affari che eraed io pensai che quellibro fosse il suo viatico e che ionel caso suocondannato a brevevita e privo di famiglia com'egli eral'avrei arricchito intaccandoil mio capitale. Ma egli era il sano immaginario e non toccava chegl'interessi che gli spettavanonon sapendo rassegnarsi di ammetterebreve il futuro.

Ungiorno mi assalì con la richiesta di alcune centinaia dicorone per procurare un pianino ad una povera fanciulla la qualeveniva già sovvenzionata da me insieme ad altriper suomezzocon un piccolo mensile. Bisognava far presto per approfittaredi una buona occasione. Non seppi esimermimaun po' di malagraziaosservai che avrei fatto un buon affare se quel giorno non fossiuscito di casa. Io sono di tempo in tempo soggetto ad accessi diavarizia.

IlCopler prese il denaro e se ne andò con una breve parola diringraziamentoma l'effetto delle mie parole si vide pochi giorniappresso e fupurtroppoimportante. Egli venne ad informarmi che ilpianino era a posto e che la signorina Carla Gerco e sua madre mipregavano di andar a trovarle per ringraziarmi. Il Copler aveva pauradi perdere il cliente e voleva legarmi facendomi assaporare lariconoscenza delle beneficate. Dapprima volli esimermi da quella noiaassicurandolo che ero convinto ch'egli sapesse fare la beneficenzapiù accortama insistette tanto che finii conl'accondiscendere:

-È bella? - domandai ridendo.

 

-Bellissima - egli rispose - ma non è pane per i nostri denti.

Curiosacosa che egli mettesse i miei denti assieme ai suoicol pericolo dicomunicarmi la sua carie. Mi raccontò dell'onestà diquella famiglia disgraziata che aveva perduto da qualche anno il suocapo di casa e che nella più squallida miseria era vissutanella più rigida onestà.

Erauna giornata sgradevole. Soffiava un vento diaccio ed io invidiavo ilCopler che s'era messa la pelliccia. Dovevo trattenere con la mano ilcappello che altrimenti sarebbe volato via. Ma ero di buon umoreperché andavo a raccogliere la gratitudine dovuta alla miafilantropia. Percorremmo a piedi la Corsia Stadiontraversammo ilGiardino Pubblico. Era una parte della città ch'io non vedevomai. Entrammo in una di quelle case cosidette di speculazioneche inostri antenati s'erano messi a fabbricare quarant'anni primainposti lontani dalla città che subito li invase; aveva unaspetto modesto ma tuttavia più cospicuo delle case che sifanno oggidì con le stesse intenzioni. La scala occupava unapiccola area e perciò era molto alta.

Cifermammo al primo piano dove arrivai molto prima del mio compagnoassai più lento. Fui stupito che delle tre porte che davano suquel pianerottoloduequelle ai latifossero contrassegnate dalbiglietto di visita di Carla Gercoattaccatovi con chiodinimentrela terza aveva anch'essa un biglietto ma con altro nome. Il Copler mispiegò che le Gerco avevano a destra la cucina e la camera daletto mentre a sinistra non c'era che una stanza solalo studiodella signorina Carla. Avevano potuto subaffittare una parte delquartiere al centro e così l'affitto costava loro pochissimoma avevano l'incomodo di dover passare il pianerottolo per recarsi dauna stanza all'altra.

Bussammoa sinistraalla stanza da studio ove madre e figliaavvisate dellanostra visitaci attendevano. Il Copler fece le presentazioni. Lasignorauna persona timidissima vestita di un povero vestito nerocon la testa rilevata da un biancore di nevemi tenne un piccolodiscorso che doveva aver preparato: erano onorate dalla mia visita emi ringraziavano del cospicuo dono che avevo fatto loro. Poi essa nonaperse più bocca.

IlCopler assisteva come un maestro che ad un esame ufficiale stia adascoltare la lezione ch'egli con grande fatica ha insegnata. Corressela signora dicendole che non soltanto io avevo elargito il denaro peril pianinoma che contribuivo anche al soccorso mensile ch'egliaveva loro raggranellato. Amava l'esattezzalui.

Lasignorina Carla si alzò dalla sedia ove era seduta accanto alpianinomi porse la mano e mi disse la semplice parola:

-Grazie!

Ciòalmeno era meno lungo. La mia carica di filantropo cominciava apesarmi. Anch'io mi occupavo degli affari altrui come un qualunqueammalato reale! Che cosa doveva vedere in me quella graziosagiovinetta? Una persona di grande riguardo ma non un uomo! Ed eraveramente graziosa! Credo che essa volesse sembrare piùgiovine di quanto non fossecon la sua gonna troppo corta per lamoda di quell'epoca a meno che non usasse per casa una gonna deltempo in cui non aveva ancora finito di crescere.

Lasua testa era però di donna eper la pettinatura alquantoricercatadi donna che vuol piacere. Le ricche treccie brune eranodisposte in modo da coprire le orecchie e anche in parte il collo.Ero tanto compreso della mia dignità e temevo tanto l'occhioinquisitore del Copler che dapprima non guardai neppur bene lafanciulla; ma ora la so tutta. La sua voce aveva qualche cosa dimusicale quando parlava econ un'affettazione oramai divenutanaturaessa si compiaceva di stendere le sillabe come se avessevoluto carezzare il suono che le riusciva di metterci. Perciòe anche per certe sue vocali eccessivamente larghe persino perTriesteil suo linguaggio aveva qualche cosa di straniero. Appresipoi che certi maestriper insegnare l'emissione della vocealteranoil valore delle vocali. Era proprio tutt'altra pronuncia di quella diAda. Ogni suo suono mi pareva d'amore.

Durantequella visita la signorina Carla sorrise sempreforse immaginando diavere così stereotipata sulla faccia l'espressione dellagratitudine. Era un sorriso un po' forzato; il vero aspetto dellagratitudine. Poiquando poche ore dopo cominciai a sognare Carlaimmaginai che su quella faccia ci fosse stata una lotta fra laletizia e il dolore. Nulla di tutto questo trovai poi in lei ed unavolta di più appresi che la bellezza femminile simula deisentimenti coi quali nulla ha a vedere. Così la tela su cui èdipinta una battaglia non ha alcun sentimento eroico.

IlCopler pareva soddisfatto della presentazione come se le due donnefossero state opera sua. Me le descriveva: erano sempre liete delloro destino e lavoravano. Egli diceva delle parole che parevanotolte da un libro scolastico eannuendo macchinalmentepareva cheio volessi confermare di aver fatti i miei studii e sapessi perciòcome dovessero essere fatte le povere donne virtuose prive di denaro.

Poiegli domandò a Carla di cantarci qualche cosa. Essa non volledichiarando di essere raffreddata. Proponeva di farlo un altrogiorno. Io sentivo con simpatia ch'essa temeva il nostro giudiziomaavevo il desiderio di prolungare la seduta e m'associai nellepreghiere del Copler. Dissi anche che non sapevo se m'avrebbe rivistomai piùperché ero molto occupato. Il Coplerche pursapeva ch'io a questo mondo non avevo alcun impegnoconfermòcon grande serietà quanto dicevo. Mi fu poi facile d'intenderech'egli desiderava che io non rivedessi più Carla.

Questatentò ancora di esimersima il Copler insistette con unaparola che somigliava ad un comando ed essa obbedì: com'erafacile costringerla!

Cantò"La mia bandiera". Dal mio soffice sofà io seguivoil suo canto. Avevo un ardente desiderio di poterla ammirare. Comesarebbe stato bello di vederla rivestita di genialità! Mainvece ebbi la sorpresa di sentire che la sua vocequando cantavaperdeva ogni musicalità. Lo sforzo l'alterava. Carla nonsapeva neppure suonare e il suo accompagnamento monco rendeva anchepiù povera quella povera musica. Ricordai di trovarmi dinanziad una scolara e analizzai se il volume di voce fosse bastevole.Abbondante anzi! Nel piccolo ambiente ne avevo l'orecchio ferito.

Pensaiper poter continuare ad incoraggiarlache solo la sua scuola fossecattiva.

Quandocessòm'associai all'applauso abbondante e parolaio delCopler. Egli diceva:

-Figurati quale effetto farebbe questa voce quando fosse accompagnatada una buona orchestra.

Questoera certamente vero. Un'intera potente orchestra ci voleva su quellavoce. Io dissi con grande sincerità che mi riservavo diriudire la signorina di là a qualche mese e che allora misarei pronunciato sul valore della sua scuola. Meno sinceramenteaggiunsi che certamente quella voce meritava una scuola di primoordine. Poiper attenuare quanto di sgradevole ci poteva esserestato nelle mie prime parolefilosofai sulla necessità peruna voce eccelsadi trovare una scuola eccelsa. Questo superlativocoperse tutto. Ma poirestato solofui meravigliato di aver sentitola necessità di essere sincero con Carla. Che giàl'avessi amata? Ma se non l'avevo ancora ben vista!

Sullescale dall'odore dubbioil Copler disse ancora:

-La voce sua è troppo forte. È una voce da teatro.

Eglinon sapeva che a quell'ora io sapevo qualcosa di più: quellavoce apparteneva ad un ambiente piccolissimo dove si poteva gustarel'impressione d'ingenuità di quell'arte e sognare di portarcidentro l'artecioè vita e dolore.

Nellasciarmiil Copler mi disse che m'avrebbe avvertito quando ilmaestro di Carla avrebbe organizzato un concerto pubblico. Sitrattava di un maestro poco noto ancora in cittàma sarebbecerto divenuto una futura grande celebrità. Il Copler ne erasicuro ad onta che il maestro fosse abbastanza vecchio. Pareva che lacelebrità gli sarebbe venuta oradopo che il Copler loconosceva. Due debolezze da morituriquella del maestro e quella delCopler.

Ilcurioso si è che sentii il bisogno di raccontare tale visitaad Augusta. Si potrebbe forse credere che sia stato per prudenzavisto che il Copler ne sapeva e che io non mi sentivo di pregarlo ditacere. Ma però ne parlai troppo volentieri. Fu un grandesfogo. Fino ad allora non avevo da rimproverarmi altro che di avertaciuto con Augusta. Ecco che ora ero innocente del tutto.

Ellami domandò qualche notizia della fanciulla e se fosse bella.Mi fu difficile di rispondere: dissi che la povera fanciulla mi eraparsa molto anemica. Poi ebbi una buona idea:

-E se tu ti occupassi un poco di lei?

Augustaaveva tanto da fare nella sua nuova casa e nella sua vecchia famigliaove la chiamavano per farsi aiutare nell'assistenza al padre malatoche non vi pensò più. Ma la mia idea era stata perciòveramente buona.

IlCopler però riseppe da Augusta che io l'avevo avvertita dellanostra visita e anche lui dimenticò perciò le qualitàch'egli aveva attribuite al malato immaginario. Mi disse in presenzadi Augusta che di lì a poco tempo avremmo fatta un'altravisita a Carla. Mi concedeva la sua piena fiducia.

Nellamia inerzia subito fui preso dal desiderio di rivedere Carla. Nonosai correre da lei temendo che il Copler avesse a risaperne. Ipretesti però non mi sarebbero mica mancati. Potevo andare dalei per offrirle un aiuto maggiore ad insaputa del Coplerma avreidovuto prima essere sicuro chea proprio vantaggioella avrebbeaccettato di tacere.

Ese quell'ammalato reale fosse già l'amante della fanciulla?Iodegli ammalati realinon sapevo proprio niente e poteva esserebenissimo che avessero il costume di farsi pagare dagli altri le loroamanti. In quel caso sarebbe bastata una sola visita a Carla percompromettermi. Non potevo mettere a pericolo la pace della miafamigliuola; ossianon la misi a pericolo finché il miodesiderio di Carla non ingrandì.

Maesso ingrandì costantemente. Già conoscevo quellafanciulla molto meglio che non quando le aveva stretta la mano percongedarmi da lei. Ricordavo specialmente quella treccia nera checopriva il suo collo niveo e che sarebbe stato necessario diallontanare col naso per arrivare a baciare la pelle ch'essa celava.Per stimolare il mio desiderio bastava io ricordassi che su un datopianerottolonella stessa mia piccola cittàera esposta unabella fanciulla e che con una breve passeggiata si poteva andare aprenderla! La lotta col peccato diventa in tali circostanzedifficilissima perché bisogna rinnovarla ad ogni ora ed ognigiornofinché cioè la fanciulla rimanga su quelpianerottolo. Le lunghe vocali di Carla mi chiamavanoe forseproprio il loro suono m'aveva messo nell'anima la convinzione chequando la mia resistenza fosse sparitaaltre resistenze non cisarebbero state più. Però m'era chiaro che potevoingannarmi e che forse il Copler vedeva le cose con maggioresattezza; anche questo dubbio valeva a diminuire la mia resistenzavisto che la povera Augusta poteva essere salvata da un miotradimento da Carla stessa checome donnaaveva la missione dellaresistenza.

Perchéil mio desiderio avrebbe dovuto darmi un rimorso quando pareva fosseproprio venuto a tempo per salvarmi dal tedio che in quell'epoca miminacciava? Non danneggiava affatto i miei rapporti con Augustaanzitutt'altro. Io le dicevo oramai non più soltanto le parole diaffetto che avevo sempre avute per leima anche quelle che nel mioanimo andavano formandosi per l'altra. Non c'era mai stata una simileabbondanza di dolcezza in casa mia e Augusta ne pareva incantata. Erosempre esatto in quello che io chiamavo l'orario della famiglia. Lamia coscienza è tanto delicata checon le mie manieregiàallora mi preparavo ad attenuare il mio futuro rimorso.

Chela mia resistenza non sia mancata del tutto è provato dalfatto che io arrivai a Carla non con uno slancio soloma a tappe.Dapprima per varii giorni giunsi solo fino al Giardino Pubblico e conla sincera intenzione di gioire di quel verde che apparisce tantopuro in mezzo al grigio delle strade e delle case che lo circondano.Poinon avendo avuta la fortuna di imbattermicome speravocasualmente in leiuscii dal Giardino per movermi proprio sotto lesue finestre. Lo feci con una grande emozione che ricordava proprioquella deliziosissima del giovinetto che per la prima volta accostal'amore. Da tanto tempo ero privo non d'amorema delle corse che viconducono.

Eroappena uscito dal Giardino Pubblico che m'imbattei proprio faccia afaccia in mia suocera. Dapprima ebbi un dubbio curioso: di mattinacosì di buon'orada quelle parti tanto lontane dalle nostre?Forse anche lei tradiva il marito ammalato.

Seppipoi subito che le facevo un torto perché essa era stata atrovare il medico per averne conforto dopo una cattiva notte passataaccanto a Giovanni. Il medico le aveva detto delle buone parolemaessa era tanto agitata che presto mi lasciò dimenticandopersino di sorprendersi di avermi trovato in quel luogo visitato disolito da vecchibambini e balie.

Mami bastò di averla vista per sentirmi riafferrato dalla miafamiglia. Camminai verso casa mia con un passo decisoa cui battevoil tempo mormorando: "Mai più! Mai più!". Inquell'istante la madre di Augusta con quel suo dolore mi aveva datoil sentimento di tutti i miei doveri. Fu una buona lezione e bastòper tutto quel giorno.

Augustanon era in casa perché era corsa dal padre col quale rimasetutta la mattina. A tavola mi disse che avevano discusso sedato lostato di Giovanninon avrebbero dovuto rimandare il matrimonio diAda ch'era stabilito per la settimana dopo. Giovanni stava giàmeglio. Pare che a cena si fosse lasciato indurre a mangiar troppo el'indigestione avesse assunto l'aspetto di un aggravamento del male.

Iole raccontai di aver già avute quelle notizie dalla madre incui m'ero imbattuto la mattina al Giardino Pubblico. Neppure Augustasi meravigliò della mia passeggiatama io sentii il bisognodi darle delle spiegazioni. Le raccontai che preferivo da qualchetempo il Giardino Pubblico quale meta delle mie passeggiate. Misedevo su una banchina e vi leggevo il mio giornale. Poi aggiunsi:

-Quell'Olivi! Me l'ha fatta grossa condannandomi a tanta inerzia.

Augustache a quel proposito si sentiva un poco colpevoleebbe un aspetto didolore e di rimpianto. Ioallorami sentii benissimo. Ma erorealmente purissimo perché passai il pomeriggio intero nel miostudio e potevo veramente credere di essere definitivamente guaritodi ogni desiderio perverso. Leggevo oramai l'Apocalisse.

Ead onta che fosse oramai assodato ch'io avevo l'autorizzazione diandare ogni mattina al Giardino Pubblicotanto grande s'era fatta lamia resistenza alla tentazione che quando il giorno appresso usciimi diressi proprio dalla parte opposta. Andavo a cercare certa musicavolendo provare un nuovo metodo del violino che m'era statoconsigliato. Prima di uscire seppi che mio suocero aveva passata unanotte ottima e che sarebbe venuto da noi in vettura nel pomeriggio.Ne avevo piacere tanto per mio suocero quanto per Guidochefinalmente avrebbe potuto sposarsi. Tutto andava bene: io ero salvoed era salvo anche mio suocero.

Mafu proprio la musica che mi ricondusse a Carla! Fra i metodi che ilvenditore m'offerse ve ne fu per errore uno che non era del violinoma del canto. Ne lessi accuratamente il titolo: "Trattatocompleto dell'Arte del Canto (Scuola di Garcia) di E. Garcia (figlio)contenente una Relazione sulla Memoria riguardante la Voce Umanapresentata all'Accademia delle Scienze di Parigi".

Lasciaiche il venditore s'occupasse di altri clienti e mi misi a leggerel'operetta. Devo dire che leggevo con un'agitazione che forsesomigliava a quella con cui il giovinetto depravato accosta le operedi pornografia.

Ecco:quella era la via per arrivare a Carla; essa abbisognava diquell'opera e sarebbe stato un delitto da parte mia di non farglielaconoscere. La comperai e ritornai a casa.

L'operadel Garcia constava di due parti di cui una teorica e l'altrapratica. Continuai la lettura con l'intenzione di intenderla tantobene da poter poi dare i miei consigli a Carla quando fossi andato dalei col Copler. Intanto avrei guadagnato del tempo e avrei potutotuttavia continuare a dormire i miei sonni tranquillipursollazzandomi sempre col pensiero all'avventura che m'aspettava.

MaAugusta stessa fece precipitare gli avvenimenti. M'interruppe nellamia lettura per venir a salutarmisi chinò su di me e sfioròla mia guancia con le sue labbra. Mi domandò che cosa facessie sentito che si trattava di un nuovo metodopensò fosse perviolino e non si curò di guardare meglio. Ioquand'essa milasciòesagerai il pericolo che avevo corso e pensai che perla mia sicurezza avrei fatto bene di non tenere nel mio studio quellibro. Bisognava portarlo subito al suo destinoed è cosìche fui costretto di andar dritto verso la mia avventura. Avevotrovato qualche cosa di più di un pretesto per poter farequello ch'era il mio desiderio.

Nonebbi più esitazioni di sorta. Giunto su quel pianerottolomirivolsi subito alla porta a sinistra. Però dinanzi a quellaporta m'arrestai per un istante ad ascoltare i suoni della ballata"La mia bandiera" ch'echeggiavano gloriosamente sullescale. Pareva cheper tutto quel tempoCarla avesse continuato acantare la stessa cosa. Sorrisi pieno di affetto e di desiderio pertanta infantilità. Apersi poi cautamente la porta senzabussare ed entrai nella stanza in punta di piedi. Volevo vederlasubitosubito. Nel piccolo ambiente la sua voce era veramentesgradevole. Essa cantava con grande entusiasmo e maggior calore chenon quella volta della mia prima visita. Era addirittura abbandonatasullo schienale della sedia per poter emettere tutto il fiato deisuoi polmoni. Io vidi solo la testina fasciata dalle grosse treccie emi ritirai còlto da un'emozione profonda per aver osato tanto.Essa intanto era arrivata all'ultima nota che non voleva finire piùed io potei ritornare sul pianerottolo e chiudere dietro di me laporta senza ch'essa di me s'accorgesse. Anche quell'ultima nota avevaoscillato in sù e in giù prima di affermarsi sicura.Carla sentiva dunque la nota giusta e toccava ora al Garciad'intervenire per insegnarle a trovarla più presto.

Bussaiquando mi sentii più calmo. Subito essa accorse ad aprire laporta ed io non dimenticherò giammai la sua figurina gentilepoggiata allo stipitementre mi fissava coi suoi grandi occhi bruniprima di saper riconoscermi nell'oscurità.

Maintanto io m'ero calmato in modo da venir ripreso da tutte le mieesitazioni. Ero avviato a tradire Augustama pensavo che come neigiorni precedenti avevo potuto contentarmi di giungere fino alGiardino Pubblicotanto più facilmente ora avrei potutofermarmi a quella portaconsegnare quel libro compromettente eandarmene pienamente soddisfatto. Fu un breve istante pieno di buonipropositi.

Ricordaipersino un consiglio strano che m'era stato dato per liberarmidall'abitudine del fumo e che poteva valere in quell'occasione:talvoltaper contentarsibastava accendere il cerino e gettare poivia e sigaretta e cerino.

Misarebbe stato anche facile di far cosìperché Carlastessaquando mi riconobbearrossì e accennò afuggire vergognandosi - come seppi poi - di farsi trovare vestita diun povero consunto vestitino di casa.

Unavolta riconosciutosentii il bisogno di scusarmi:

-Le ho portato questo libro ch'io credo la interesserà. Sevuoleposso lasciarglielo e andarmene subito.

Ilsuono delle parole - o così mi parve - era abbastanza bruscoma non il significatoperché in complesso la lasciavo arbitradi decidere lei se avessi dovuto andarmene o restare e tradireAugusta.

Essasubito deciseperché afferrò la mia mano pertrattenermi più sicuramente e mi fece entrare. L'emozionem'oscurò la vista e ritengo sia stata provocata non tanto daldolce contatto di quella manoma da quella familiarità che miparve decidesse del mio e del destino di Augusta. Perciò credodi essere entrato con qualche riluttanza equando rievoco la storiadel mio primo tradimentoho il sentimento di averlo compiuto perchétrascinatovi.

Lafaccia di Carla era veramente bella così arrossata. Fuideliziosamente sorpreso all'accorgermi che se non ero stato aspettatoda leiessa pur aveva sperata la mia visita. Essa mi disse congrande compiacenza:

-Lei sentì dunque il bisogno di rivedermi? Di rivedere lapoverina che le deve tanto?

Iocertose avessi volutoavrei potuto prenderla subito fra le miebracciama non ci pensavo neppure. Ci pensavo tanto poco che nonrisposi neppure alle sue parole che mi parevano compromettenti e mirimisi a parlare del Garcia e della necessità di quel libroper lei. Ne parlai con una furia che mi portò a qualche parolameno considerata. Garcia le avrebbe insegnato il modo di rendere lenote solide come il metallo e dolci come l'aria. Le avrebbe spiegatocome una nota non possa rappresentare che una linea retta e anzi unpianoma un piano veramente levigato.

Ilmio fervore sparì solo quand'essa m'interruppe permanifestarmi un suo dubbio doloroso:

-Ma dunque a lei non piace come io canto?

Fuistupito della sua domanda. Io avevo fatta una critica rudema non neavevo la coscienza e protestai in piena buona fede. Protestai tantobene che mi parve di esser ritornatosempre parlando del solo cantoall'amore che tanto imperiosamente m'aveva trascinato in quella casa.E le mie parole furono tanto amorose che lasciarono tuttaviatrasparire una parte di sincerità:

-Come può credere una cosa simile? Sarei qui se cosìfosse? Io sono stato su quel pianerottolo per lungo tempo a bearmidel suo cantodelizioso ed eccelso canto nella sua ingenuità.Soltanto io ritengo che alla sua perfezione occorra qualche cosad'altro e sono venuto a portarglielo.

Qualepotenza aveva tuttavia nel mio animo il pensiero di Augustasecontinuavo ostinatamente a protestare di non essere stato trascinatodal mio desiderio!

Carlastette a sentire le mie parole lusinghierech'essa non era neppureal caso di analizzare.

Nonera molto coltamacon mia grande sorpresacompresi che nonmancava di buon senso. Mi raccontò ch'essa stessa aveva deiforti dubbii sul suo talento e sulla sua voce: sentiva che non facevadei progressi. Spessodopo una certa quantità di ore distudioessa si concedeva lo svago e il premio di cantare "Lamia Bandiera" sperando di scoprire nella propria voce qualchenuova qualità. Ma era sempre la stessa cosa: non peggio eforse sempre abbastanza bene come le assicuravano quanti la udivanoed io anche (e qui mi mandò dai suoi begli occhi bruni unlampo mitemente interrogativo che dimostrava com'essa avesse bisognodi essere rassicurata sul senso delle mie parole che ancora lesembrava dubbio) ma un vero progresso non c'era. Il maestro dicevache in arte non c'erano progressi lentima grandi salti cheportavano alla meta e che un bel giorno essa si sarebbe destatagrande artista.

-È una cosa lungaperò- aggiunse guardando nel vuotoe rivedendo forse tutte le sue ore di noia e di dolore.

Sidice onesto prima di tutto quello ch'è sincero e da parte miasarebbe stato onestissimo di consigliare alla povera fanciulla dilasciare lo studio del canto e divenire la mia amante. Ma io non eroancora giunto tanto lontano dal Giardino Pubblicoeppoise nonaltronon ero molto sicuro del mio giudizio nell'arte del canto. Daalcuni istanti io ero fortemente preoccupato da una sola persona:quel noioso Copler che passava ogni festa nella mia villa con me econ mia moglie. Sarebbe stato quello il momento di trovare unpretesto per pregare la fanciulla di non raccontare al Copler dellamia visita. Ma non lo feci non sapendo come travestire la mia domandae fu beneperché pochi giorni appresso il povero mio amicoammalò e subito dopo morì.

Intantole dissi ch'essa avrebbe trovato nel Garcia tutto quello che cercavae per un istante soloma solo per un istanteessa ansiosamenteaspettò dei miracoli da quel libro. Presto peròtrovandosi dinanzi a tante paroledubitò dell'efficacia dellamagia. Io leggevo le teorie del Garcia in italianopoi in italianogliele spiegavo equando non bastavagliele traducevo in triestinoma essa non sentiva moversi niente nella sua gola e una veraefficacia in quel libro essa avrebbe potuto riconoscere solo se sifosse manifestata in quel punto. Il male è che anch'iopocodopoebbi la convinzione che in mano mia quel libro non valevamolto. Rivedendo per ben tre volte quelle frasi e non sapendo chefarmenemi vendicai della mia incapacità criticandoleliberamente. Ecco che il Garcia perdeva il suo e il mio tempo perprovare che poiché la voce umana sapeva produrre varii suoninon era giusto di considerarla quale uno strumento solo. Anche ilviolino allora avrebbe dovuto essere considerato quale unconglomerato di strumenti. Ebbi forse torto di comunicare a Carlatale mia criticama accanto ad una donna che si vuole conquistare èdifficile di trattenersi dall'approfittare di un'occasione che sipresenti per dimostrare la propria superiorità. Essa infattim'ammiròma proprio fisicamente allontanò da séil libro ch'era il nostro Galeottoma che non ci accompagnòfino alla colpa.

Ioancora non mi rassegnai di rinunziarvi e lo rimandai ad altra miavisita. Quando il Copler morì non ve ne fu più dibisogno. Era rotto qualunque nesso fra quella casa e la mia e cosìil mio procedere non poteva essere frenato che dalla mia coscienza.

Maintanto eravamo divenuti abbastanza intimidi un'intimitàmaggiore di quanto si avrebbe potuto attendersi da quella mezz'ora diconversazione. Io credo che l'accordo in un giudizio critico uniscaintimamente. La povera Carla approfittò di tale intimitàper mettermi a parte delle sue tristezze. Dopo l'intervento delCoplerin quella casa si viveva modestamente ma senza grandiprivazioni. Il maggior peso per le due povere donne era il pensierodel futuro. Perché il Copler portava loro a date ben preciseil suo soccorsoma non permetteva di calcolarvi con sicurezza; eglinon voleva pensieri e preferiva li avessero loro. Poi non davagratuitamente quei denari: Era il vero padrone in quella casa eintendeva di essere informato di ogni piccolezza. Guai se sipermettevano una spesa non preventivamente approvata da lui! La madredi Carlapoco tempo primaera stata indisposta e Carlaper poteraccudire alle faccende domesticheaveva trascurato per qualchegiorno di cantare. Informatone dal maestroil Copler fece unascenata e se ne andò dichiarando che allora non valeva la penadi seccare dei valentuomini per indurli a soccorrerle. Per variigiorni esse vissero nel terrore temendo di essere abbandonate al lorodestino. Poiquando ritornòrinnovò patti econdizioni e stabilì esattamente per quante ore al giornoCarla dovesse sedere al pianoforte e quante ne potesse dedicare allacasa. Minacciò anche di venir a sorprenderle a tutte le oredel giorno.

-Certo- concludeva la fanciulla- egli non vuole altro che ilnostro benema s'arrabbia tanto per cose di nessuna importanzacheuna volta o l'altranell'irafinirà col gettarci sullastrico. Ma ora che anche lei si occupa di noinon c'è piùquesto pericolonevvero?

Edi nuovo mi strinse la mano. Poiché io non risposi subitoessa temette ch'io mi sentissi solidale col Coplere aggiunse:

-Anche il signor Copler dice che lei è tanto buono!

Questafrase voleva essere un complimento diretto a mema anche al Copler.

Lasua figura presentatami con tanta antipatia da Carlaera nuova perme e destava proprio la mia simpatia. Avrei voluto somigliarglimentre il desiderio che mi aveva portato in quella casa me ne rendevatanto dissimile! Era ben vero che alle due donne egli portava idenari altruima dava tutta l'opera propriauna parte della propriavita. Quella rabbiach'egli dedicava loroera veramente paterna.Ebbi però un dubbio: e se a tale opera fosse stato indotto daldesiderio? Senz'esitare domandai a Carla:

-Il Copler le ha mai chiesto un bacio?

-Mai! - rispose Carla con vivacità. - Quand'èsoddisfatto del mio comportamentoseccamente impartisce la suaapprovazionemi stringe leggermente la mano e se ne va. Altre voltequand'è arrabbiatomi rifiuta anche la stretta di mano e nons'accorge nemmeno ch'io dallo spavento piango.

Unbacio in quel momento sarebbe per me una liberazione.

Vistoch'io mi misi a ridereCarla si spiegò meglio:

-Accetterei con riconoscenza il bacio di un uomo tanto vecchio cuidevo tanto!

Eccoil vantaggio dei malati reali; appariscono più vecchi diquanto non sieno.

Feciun debole tentativo di somigliare al Copler. Sorridendo per nonspaventare troppo la povera fanciullale dissi che anch'ioquandomi occupavo di qualcunofinivo col divenire molto imperioso. Incomplesso anch'io trovavo che quando si studiava un'arte si dovessefarlo seriamente. Poi m'investii tanto bene della mia parte checessai persino di sorridere. Il Copler aveva ragione d'essere severocon una giovinetta che non poteva intendere il valore del tempo:bisognava anche ricordare quante persone facevano dei sacrifici peraiutarla. Ero veramente serio e severo.

Vennecosì per me l'ora di andare a colazione e specialmente quelgiorno non avrei voluto far aspettare Augusta. Porsi la mano a Carlae allora m'avvidi com'essa fosse pallida. Volli confortarla:

-Stia sicura ch'io farò sempre del mio meglio per appoggiarlapresso il Copler e tutti gli altri.

Essaringraziòma pareva tuttavia abbattuta. Poi seppi chevedendomi arrivareessa subito aveva indovinata quasi la veritàe aveva pensato ch'io fossi innamorato di lei e quindi salva. Poiinvece - e proprio quando m'accinsi ad andarmene - essa credette cheanch'io fossi innamorato solo dell'arte e del canto e che perciòse essa non avesse cantato bene e fatti dei progressil'avreiabbandonata.

Miparve abbattutissima. Fui preso da compassione evisto che non c'eraaltro tempo da perderela rassicurai col mezzo ch'essa stessa avevadesignato quale il più efficace. Ero già alla porta chel'attrassi a mespostai accuratamente col naso la grossa treccia dalsuo collo cui così giunsi con le labbra e sfiorai persino coidenti. Aveva l'apparenza di uno scherzo ed anch'essa finì colridernema soltanto quando io la lasciai. Fino a quel momento essaera rimasta inerte e stupita fra le mie braccia.

Miseguì sul pianerottolo equando cominciai a scenderemidomandò ridendo:

-Quando ritorna?

-Domani o forse più tardi! - risposi io già incerto. Poipiù deciso: - Certamente vengo domani! - Quindiin seguito aldesiderio di non compromettermi troppoaggiunsi: - Continueremo lalettura del Garcia.

Ellanon mutò di espressione in quel breve tempo: assentìalla prima malsicura promessaassentì riconoscente allaseconda e assentì anche al mio terzo propositosempresorridendo. Le donne sanno sempre quello che vogliono. Non ci furonoesitazioni né per parte di Ada che mi respinsenédall'Augusta che mi presee neppure da Carlache mi lasciòfare.

Sullavia mi trovai subito più vicino ad Augusta che non a Carla.Respirai l'aria frescaaperta ed ebbi pieno il sentimento della mialibertà. Io non avevo fatto altro che uno scherzo che nonpoteva perdere tale suo carattere perché era finito su quelcollo e sotto quella treccia. Infine Carla aveva accettato quel baciocome una promessa di affetto e sopra tutto di assistenza.

 

Quelgiorno a tavolaperòcominciai veramente a soffrire. Tra mee Augusta stava la mia avventuracome una grande ombra fosca che mipareva impossibile non fosse vista anche da lei. Mi sentivo piccolocolpevole e malatoe sentivo il dolore al fianco come un doloresimpatico che riverberasse dalla grande ferita alla mia coscienza.Mentre distrattamente fingevo di mangiarecercai il sollievo in unproposito ferreo: "Non la rivedrò più - pensai - eseper riguardola dovrò rivederesarà per l'ultimavolta". Non si pretendeva poi mica tanto da me: un solo sforzoquello di non rivedere più Carla.

Augustaridendomi domandò:

-Sei stato dall'Olivi che ti vedo tanto preoccupato? Mi misi a ridereanch'io. Era un grande sollievo quello di poter parlare. Le parolenon erano quelle che avrebbero potuto dare la pace intera perchéper dire quelle sarebbe occorso di confessare eppoi prometteremanon potendo altrimentiera già un bel sollievo di dirne dellealtre. Parlai abbondantementesempre lieto e buono. Poi trovaiancora di meglio: parlai della piccola lavanderia ch'essa tantodesiderava e che io fino ad allora le avevo rifiutatae le diedisubito il permesso di costruirla. Essa fu tanto commossa del mio nonsollecitato permesso che si alzò e venne a darmi un bacio.Ecco un bacio ch'evidentemente cancellava quell'altroed io misentii subito meglio.

Fucosì ch'ebbimo la lavanderia e ancora oggidìquandopasso dinanzi alla minuscola costruzionericordo che Augusta lavolle e Carla la consentì.

Seguìun pomeriggio incantevole riempito dal nostro affetto. Nellasolitudine la mia coscienza era più seccante. La parola el'affetto di Augusta valevano a calmarla. Uscimmo insieme. Poil'accompagnai da sua madre e passai anche tutta la serata con lei.

Primadi mettermi a dormirecome m'avviene di spessoguardai lungamentemia moglie che già dormiva raccolta nella sua lieverespirazione. Anche dormendo essa era tutta ordinatacon le copertefino al mento e i capelli non abbondanti riuniti in una breve trecciaannodata alla nuca. Pensai: "Non voglio procurarle dei dolori.Mai!". Mi addormentai tranquillo. Il giorno seguente avreichiarita la mia relazione con Carla e avrei trovato il modo dirassicurare la povera fanciulla del suo avveniresenza perciòessere obbligato di darle dei baci.

Ebbiun sogno bizzarro: non solo baciavo il collo di Carlama lomangiavo. Era però un collo fatto in modo che le ferite ch'iole infliggevo con rabbiosa voluttà non sanguinavanoe ilcollo restava perciò sempre coperto dalla sua bianca pelle einalterato nella sua forma lievemente arcuata. Carlaabbandonata frale mie braccianon pareva soffrisse dei miei morsi. Chi invece nesoffriva era Augusta che improvvisamente era accorsa. Pertranquillarla le dicevo: "Non lo mangerò tutto: nelascerò un pezzo anche a te".

Ilsogno ebbe l'aspetto di un incubo soltanto quando in mezzo alla nottemi destai e la mia mente snebbiata poté ricordarloma nonprimaperché finché duròneppure la presenzadi Augusta m'aveva levato il sentimento di soddisfazione ch'esso miprocurava.

 

Nonappena destoebbi la piena coscienza della forza del mio desiderio edel pericolo ch'esso rappresentava per Augusta e anche per me. Forsenel grembo della donna che mi dormiva accanto già s'iniziavaun'altra vita di cui sarei stato responsabile. Chissà quelloche avrebbe preteso Carla quando fosse stata la mia amante? A mepareva desiderosa del godimento che fino ad allora le era statocontesoe come avrei io saputo provvedere a due famiglie? Augustadomandava l'utile lavanderial'altra avrebbe domandata qualche altracosama non meno costosa. Rividi Carla mentre dal pianerottolo misalutava ridendo dopo di essere stata baciata. Essa già sapevach'io sarei stato la sua preda. N'ebbi spavento e làsolo enell'oscuritànon seppi trattenere un gemito.

Miamogliesubito destami domandò che cosa avessi ed io risposicon una breve parolala prima che mi si fosse affacciata alla mentequando seppi rimettermi dallo spavento di vedermi interrogato in unmomento in cui mi pareva di aver gridata una confessione:

-Penso alla vecchiaia incombente!

Ellarise e cercò di consolarmi senza perciò tagliare ilsonno cui s'aggrappava. M'inviò la frase stessa che sempre midiceva quando mi vedeva spaventato del tempo che andava via:

-Non pensarciora che siamo giovani... il sonno è tanto buono!

L'esortazionegiovò: non ci pensai più e mi riaddormentai. La parolanella notte è come un raggio di luce. Illumina un tratto direaltà in confronto al quale sbiadiscono le costruzioni dellafantasia. Perché avevo tanto da temere della povera Carla dicui ancora non ero l'amante? Era evidente che avevo fatto di tuttoper spaventarmi della mia situazione. Infineil "bébé"che avevo evocato nel grembo di Augusta finora non aveva dato altrosegno di vita che la costruzione della lavanderia.

Mialzai sempre accompagnato dai migliori propositi. Corsi al mio studioe preparai in una busta qualche poco di denaro che volevo offrire aCarla nello stesso istante in cui le avrei annunziato il mioabbandono. Però mi sarei dichiarato pronto di mandarle perposta dell'altro denaro ogni qualvolta essa me ne avesse domandatoscrivendomi ad un indirizzo che le avrei fatto sapere. Proprio quandom'accingevo ad uscireAugusta m'invitò con un dolce sorrisoad accompagnarla in casa del padre. Era arrivato da Buenos Aires ilpadre di Guido per assistere alle nozzee bisognava andare a farnela conoscenza. Essa certamente si curava meno del padre di Guido chedi me. Voleva rinnovare la dolcezza del giorno prima. Ma la cosa nonera più la stessa: a me pareva fosse male lasciar trascorreredel tempo fra il mio buon proposito e la sua esecuzione. Intanto chenoi camminavamo sulla via uno accanto all'altro eall'apparenzasicuri del nostro affettol'altra si riteneva già amata dame. Ciò era male. Sentii quella passeggiata come una vera epropria constrizione.

TrovammoGiovanni che stava realmente meglio. Solo non poteva mettere glistivali per una certa gonfiezza ai piedi cui egli non attribuivaimportanza ed io in allora neppure. Si trovava in salotto col padredi Guido cui mi presentò.

Augustaci lasciò subito per andare a raggiungere la madre e lasorella.

IlSignor Francesco Speier mi parve un uomo molto meno istruito delfiglio. Era piccolotozzosulla sessantinadi poche idee e di pocavivacitàforse anche perché in seguito ad una malattiaaveva l'orecchio molto indebolito. Ficcava qualche parola spagnuolanel suo italiano:

-Cada volta che vengo a Trieste...

Idue vecchi parlavano di affarie Giovanni ascoltava attentamenteperché quegli affari erano molto importanti per il destino diAda. Stetti ad ascoltare distrattamente. Sentii che il vecchio Speieraveva deciso di liquidare i suoi affari nell'Argentina e diconsegnare a Guido tutti i suoi duros perché liimpiegasse alla fondazione di una ditta a Trieste; poi egli sarebberitornato a Buenos Aires per vivere con la moglie e con la figlia conun piccolo podere che gli rimaneva. Non compresi perchéraccontasse in mia presenza a Giovanni tutto ciòné loso neppur oggi.

Ame parve che ambedue a un dato punto cessassero di parlareguardandomi come se avessero aspettato da me un consiglio ed ioperessere gentileosservai:

-Non dev'essere piccolo quel podere se le basta per viverci!

Giovanniurlò subito:

-Ma che cosa vai dicendo? - Lo scoppio di voce ricordava i suoimigliori tempima è certo che se egli non avesse urlatotantoil signor Francesco non avrebbe rilevata la mia osservazione.Cosìinveceimpallidì e disse:

-Spero bene che Guido non mancherà di pagarmi gl'interessi delmio capitale.

Giovannisempre urlandocercò di rassicurarlo:

-Altro che gl'interessi! Anche il doppio se le occorrerà! Non èforse suo figlio?

Ilsignor Francesco tuttavia non parve molto rasserenato ed aspettavaproprio da me una parola che lo rassicurasse. Io la diedi subito eabbondante perché il vecchio ora sentiva meno di prima.

Poiil discorso fra i due uomini di affari continuòma io miguardai bene dall'intervenire più oltre. Giovanni mi guardavadi tempo in tempo al disopra degli occhiali per sorvegliarmi e il suorespiro pesante pareva una minaccia. Parlò poi a lungo e midomandò a un dato punto:

-Ti pare?

Ioannuii fervidamente.

Tantopiù fervido dovette apparire il mio consenso in quanto ognimio atto era reso più espressivo dalla rabbia che sempre piùmi pervadeva. Che cosa stavo facendo in quel luogo lasciandotrascorrere il tempo utile per effettuare i miei buoni propositi? Miobbligavano di trascurare un'opera tanto utile a me e ad Augusta!Stavo preparando una scusa per andarmenema in quel momento ilsalotto fu invaso dalle donne accompagnate da Guido. Questisubitodopo l'arrivo del padreaveva regalato alla sposa un magnificoanello. Nessuno mi guardò o salutònemmeno la piccolaAnna. Ada aveva già al dito la gemma splendente esemprepoggiando il braccio sulla spalla del fidanzatola faceva vedere alpadre. Le donne guardavano anche loro estatiche.

Neppuregli anelli m'interessavano. Se non portavo neppure quellomatrimoniale perché m'impediva la circolazione del sangue!Senza salutare infilai la porta del salottoandai alla porta di casae m'accinsi ad uscire.

Augustaperò s'accorse della mia fuga e mi raggiunse in tempo. Fuistupito del suo aspetto sconvolto. Le sue labbra erano pallide comeil giorno del nostro matrimoniopoco prima che andassimo in chiesa.Le dissi che avevo un affare di premura. Poi essendomi in buon puntoricordato che pochi giorni primaper un capriccioavevo comperatodegli occhiali leggerissimi da presbite che poi non avevo provatidopo di averli posti nel taschino del panciotto dove li sentivoledissi che avevo un appuntamento con un oculista per farmi esaminarela vista che da qualche tempo mi pareva indebolita. Essa rispose cheavrei potuto andarmene subitoma che mi pregava di fare prima i mieiconvenevoli col padre di Guido. Mi strinsi nelle spalledall'impazienzama tuttavia la compiacqui.

Rientrainel salotto e tutti gentilmente mi salutarono. In quanto a mesicuroche ora mi mandavano viaebbi persino un momento di buon umore. Ilpadre di Guido che in tanta famiglia non si raccapezzava benemidomandò:

-Ci rivedremo ancora prima della mia partenza per Buenos Aires?

-Oh! - dissi io- cada volta ch'ella verrà in questa casaprobabilmente mi ci troverà!

Tuttirisero ed io me ne andai trionfalmente accompagnato anche da unsaluto abbastanza lieto da parte di Augusta. Andavo via tantoordinatamente dopo di aver corrisposto a tutte le formalitàlegaliche potevo camminare sicuro. Ma v'era un altro motivo che miliberava dai dubbi che fino a quel momento m'avevano trattenuto: iocorrevo via dalla casa di mio suocero per allontanarmene piùche fosse possibilecioè fino da Carla. In quella casa e nonper la prima volta (così mi pareva) mi sospettavano dicongiurare bassamente ai danni di Guido. Innocentemente e in pienadistrazione io avevo parlato di quel podere che si trovavanell'Argentinae Giovanni subito aveva interpretate le mie parolecome se fossero state meditate per danneggiare Guido presso suopadre. Con Guido mi sarebbe stato facile di spiegarmi se fosseabbisognato: con Giovanni e gli altriche mi sospettavano capace disimili macchinazionibastava la vendetta. Non che io mi fossiproposto di correre a tradire Augusta. Facevo però alla lucedel sole quello che desideravo. Una visita a Carla non implicavaancora niente di male ed anzise io da quelle parti mi fossiimbattuto ancora una volta in mia suocerae se essa mi avessedomandato che cosa io fossi andato a farvile avrei subito risposto:

-Oh bella! Vado da Carla! - Fu perciò quella la sola volta cheandai da Carla senza ricordare Augusta. Tanto mi aveva offeso ilcontegno di mio suocero!

Sulpianerottolo non sentii echeggiare la voce di Carla. Ebbi un istantedi terrore: che essa fosse uscita? Bussai e subito entrai prima chequalcuno me ne avesse dato il permesso. Carla v'era bensìmacon lei si trovava anche sua madre. Cucivano assieme inun'associazione che potrà essere frequentema che io maiprima avevo vista. Lavoravano ambedue allo stesso grande lenzuoloaisuoi lembiuna molto lontana dall'altra. Ecco ch'io ero corso daCarla e arrivavo a Carla accompagnata dalla madre.

Eratutt'altra cosa. Non si potevano attuare né i buoni néi cattivi propositi. Tutto continuava a restare in sospeso.

MoltoaccesaCarla si levò in piedi mentre la vecchia lentamente silevò gli occhiali che ripose in una busta. Io intanto credettidi poter essere indignato per altra ragione che non fosse quella divedermi interdetto di chiarire subito l'animo mio. Non erano questele ore che il Copler aveva destinate allo studio? Salutai gentilmentela vecchia signora e mi fu difficile persino di sottopormi a taleatto di gentilezza. Salutai anche Carla quasi senza guardarla. Ledissi:

-Sono venuto per vedere se possiamo cavare da questo libro - eaccennai al Garcia che si trovava intatto sul tavolo al posto ovel'avevamo lasciato- qualche altra cosa di utile.

M'assisial posto che avevo occupato il giorno prima e subito apersi il libro.Carla tentò dapprima di sorridermima visto che io noncorrisposi alla sua gentilezzasedette con una certa sollecitudinedi obbedienza accanto a meper guardare. Era esitante; noncomprendeva. Io la guardai e vidi che sulla sua faccia si distendevaqualche cosa che poteva significare sdegno e ostinazione. Mi figuraiche così usasse di accogliere i rimproveri del Copler. Soloessa non era ancora sicura che i miei rimproveri fossero proprioquelli che il Copler le indirizzava perché - come me lo dissepoi - ricordava ch'io il giorno prima l'avevo baciata e perciòcredeva di essere per sempre rassicurata sulla mia ira. Era perciòsempre ancora pronta a convertire quel suo sdegno in un sorrisoamichevole. Debbo dire quiperché più tardi non neavrò il tempoche questa sua fiducia di avermi addomesticatodefinitivamente con quel solo bacio che m'aveva concessomidispiacque enormemente: una donna che pensa così èmolto pericolosa.

Main quel momento il mio animo era proprio quello stesso del Coplercarico di rimproveri e di risentimento. Mi misi a leggere ad altavoce proprio quella parte che il giorno prima avevamo giàletta e che io stesso avevo demolitapedantescamentee noncommentando altrimentipesando su alcune parole che mi parevano piùsignificative.

Convoce un po' tremante Carla m'interruppe:

-Mi pare che questo l'abbiamo già letto!

Cosìfui finalmente obbligato di dire parole mie. Anche la parola propriapuò dare un po' di salute. La mia non soltanto fu piùmite del mio animo e del mio comportamentoma addirittura miricondusse alla vita di società:

-Vedesignorina- e accompagnai subito l'appellativo vezzeggiativocon un sorriso che poteva essere anche di amante- vorrei rivederequesta roba prima di passare oltre. Forse noi ieri l'abbiamogiudicata un po' precipitosamenteed un mio amico poco fa m'avvertìche per intendere tutto quello che il Garcia dicebisognavastudiarlo tutto.

Sentiifinalmente anche il bisogno di usare un riguardo alla povera vecchiasignora che certamente nel corso della sua vita e per quanto pocofortunata fosse statanon s'era mai trovata in un frangente simile.Inviai anche a lei un sorriso che mi costò più faticadi quello regalato a Carla:

-La cosa non è molto divertente- le dissi- ma puòessere sentita con qualche vantaggio anche da chi non si occupa dicanto.

 

Continuaiostinatamente a leggere. Carla certamente si sentiva meglioe sullesue labbra carnose errava qualche cosa che somigliava ad un sorriso.La vecchia invece appariva sempre come un povero animale catturato erestava in quella stanza solo perché la sua timidezza leimpediva di trovare il modo di andarsene. Iopoia nessun prezzoavrei tradito il mio desiderio di buttarla fuori di quella stanza.Sarebbe stata una cosa grave e compromettente.

Carlafu più decisa: con molto riguardo mi pregò sospendereper un momento quella lettura erivoltasi alla madrele disse chepoteva andarsene e che il lavoro a quel lenzuolo l'avrebberocontinuato nel pomeriggio.

Lasignora s'avvicinò a meesitante se porgermi la mano. Iogliela strinsi affettuosamente e le dissi:

-Capisco che questa lettura non è troppo divertente.

Sembravavolessi deplorare ch'essa ci lasciasse. La signora se ne andòdopo di aver posto su di una sedia il lenzuolo ch'essa fino ad alloraaveva tenuto in grembo. Poi Carla la seguì per un istante sulpianerottolo per dirle qualche cosa mentre io smaniavo di averlafinalmente accanto. Rientròchiuse dietro di sé laporta e ritornando al suo posto ebbe di nuovo attorno alla boccaqualche cosa di rigido che ricordava l'ostinazione su una facciainfantile. Disse:

-Ogni giorno a quest'ora io studio. Giusto ora doveva capitarmi diattendere a quel lavoro di premura!

-Ma non vede che a me non importa nulla del suo canto? - gridai io el'aggredii con un abbraccio violento che mi portò a baciarlaprima in bocca eppoi subito sul punto stesso ove avevo baciato ilgiorno prima.

Curioso!Essa si mise a piangere dirottamente e si sottrasse a me. Dissesinghiozzando che aveva sofferto troppo di avermi visto entrare aquel modo. Essa piangeva per quella solita compassione di séstesso che tocca a chi vede compianto il proprio dolore. Le lacrimenon sono espresse dal dolorema dalla sua storia. Si piange quandosi grida all'ingiustizia. Era infatti ingiusto di obbligare allostudio questa bella fanciulla che si poteva baciare.

Incomplesso andava peggio di quanto m'ero figurato. Dovetti spiegarmi eper far presto non mi presi il tempo necessario per inventare eraccontai l'esatta verità. Le dissi della mia impazienza divederla e di baciarla. Io m'ero proposto di venir da lei di buon'ora;in questo proposito avevo persino passata la notte. Naturalmente nonseppi dire che cosa mi prefiggessi di fare venendo da leima ciòera poco d'importante. Era vero che la stessa dolorosa impazienzal'avevo sentita quando avevo voluto andare da lei per dirle chevolevo abbandonarla per sempre e quand'ero accorso per prenderla frale mie braccia. Poi le raccontai degli avvenimenti della mattina ecome mia moglie m'avesse obbligato di uscire con lei e m'avessecondotto da mio suocero ove ero stato immobilizzato ad ascoltare comesi discorreva di affari che non mi toccavano. Infinecon grandisforzi arrivo a svincolarmi e a fare la lunga via a passo celere eche cosa trovo?... La stanza tutta ingombra di quel lenzuolo!

Carlascoppiò a ridere perché comprese che in me non v'eraniente del Copler.

Ilriso sulla sua bella faccia pareva l'arcobaleno ed io la baciaiancora. Essa non rispondeva alle mie carezzema le subiva sommessaun atteggiamento ch'io adoro forse perché amo il sesso debolein proporzione diretta della sua debolezza. Per la prima volta essami raccontò d'aver risaputo dal Copler ch'io amavo tanto miamoglie:

-Perciò - aggiunse ed io vidi passare sulla sua bella faccial'ombra del proposito serio- fra noi due non ci può essereche una buona amicizia e niente altro.

Ioa quel proposito tanto saggio non credetti molto perché quellastessa bocca che lo esprimeva non sapeva neppur allora sottrarsi aimiei baci.

Carlaparlò lungamente. Voleva evidentemente destare la miacompassione. Ricordo tutto quello ch'essa mi disse e cui credettisolo quando essa sparì dalla mia vita. Finché l'ebbiaccantosempre la paventai come una donna che prima o poi avrebbeapprofittato del suo ascendente su di me per rovinare me e la miafamiglia. Non le credetti quand'essa m'assicurò che nondomandava altro che di essere sicura della propria e della vita dellamadre. Ora lo so con certezza ch'essa mai ebbe il proposito diottenere da me più di quanto le occorressee quando penso alei arrossisco dalla vergogna di averla compresa e amata tanto male.Essapoverinanon ebbe nulla da me. Io le avrei dato tuttoperchéio sono di quelli che pagano i proprii debiti. Ma aspettavo sempreche me lo domandasse.

Miraccontò dello stato disperato in cui s'era trovata alla mortedi suo padre. Per mesi e mesi lei e la vecchia erano state obbligatea lavorare giorno e notte a certi ricami che venivano commessi loroda un mercante. Ingenuamente essa credeva che l'aiuto dovesse veniredalla provvidenza divina tant'è vero che talvolta per ore erarimasta alla finestra per guardare sulla viadonde doveva giungere.Venne invece il Copler. Ora essa si diceva contenta del suo statomalei e sua madre passavano le notti inquiete perché l'aiuto cheveniva concesso era ben precario. Se un giorno fosse risultatoch'essa non aveva né la voce né il talento per cantare?Il Copler le avrebbe abbandonate. Poi egli parlava di farla appariresu un teatro di lì a pochi mesi. E se ci fosse stato un vero eproprio fiasco?

Semprenello sforzo di destare la mia compassioneessa mi raccontòche la disgrazia finanziaria della sua famiglia aveva anche travoltoun suo sogno d'amore: il suo fidanzato l'aveva abbandonata.

Ioero sempre lontano dalla compassione. Le dissi:

-Quel suo fidanzato l'avrà baciata molto? Come faccio io?

Essarise perché le impedivo di parlare. Io vidi cosìdinanzi a me un uomo che mi segnava la via.

Erada lungo tempo trascorsa l'ora in cui avrei dovuto trovarmi acolazione a casa. Avrei voluto andarmene. Per quel giorno bastava.Ero ben lontano da quel rimorso che m'aveva tenuto desto durante lanottee l'inquietudine che m'aveva trascinato da Carla era del tuttoscomparsa. Ma tranquillo non ero. Èforsemio destino di nonesserlo mai. Non avevo rimorsi perché intanto Carla m'avevapromesso tanti baci che volevo a nome di un'amicizia che non potevaoffendere Augusta.

Miparve di scoprire la ragione del malcontento che come al solitofaceva serpeggiare vaghi dolori nel mio organismo. Carla mi vedeva inuna luce falsa! Carla poteva disprezzarmi vedendomi tanto desiderosodei suoi baci quando amavo Augusta! Quella stessa Carla che facevamostra di stimarmi tanto perché di me aveva tanto bisogno!

Decisidi conquistarmi la sua stima e dissi delle parole che dovevanodolermi come il ricordo di un crimine vigliaccocome un tradimentocommesso per libera elezionesenza necessità e senza nessunvantaggio.

Eroquasi alla porta e con l'aspetto di persona serena che a malincuoresi confessidissi a Carla:

-Il Copler le ha raccontato dell'affetto ch'io porto a mia moglie. Èvero: io stimo molto mia moglie.

Poile raccontai per filo e per segno la storia del mio matrimoniocomemi fossi innamorato della sorella maggiore di Augusta che non avevavoluto saperne di me perché innamorata di un altrocome poiavessi tentato di sposare un'altra delle sue sorelle che pure mirespinse e come infine mi adattassi a sposare lei.

Carlacredette subito nell'esattezza di questo racconto. Poi seppi che ilCopler ne aveva appreso qualche cosa a casa mia e le aveva riferitodei particolari non del tutto verima quasich'io avevo orarettificato e confermato.

-È bella la sua signora? - domandò essa pensierosa.

-Secondo i gusti- dissi io.

C'eraqualche centro proibitivo che agiva ancora in me. Avevo detto distimare mia mogliema non avevo mica ancora detto di non amarla. Nonavevo detto che mi piacessema neppure che non potesse piacermi. Inquel momento mi pareva di essere molto sincero; ora so di avertradito con quelle parole tutt'e due le donne e tutto l'amoreil mioe il loro.

Adire il vero non ero ancora tranquillo; dunque mancava ancora qualchecosa. Mi sovvenni della busta dai buoni propositi e l'offersi aCarla. Essa l'aperse e me la restituì dicendomi che pochigiorni prima il Copler le aveva portata la mesata e che per ilmomento essa proprio non aveva bisogno di danaro. La mia inquietudineaumentò per un'antica idea che m'ero fatta che le donneveramente pericolose non accettano poco denaro. Essa s'avvide del miomalessere e con un'ingenuità deliziosa e che apprezzosolamente ora che ne scrivomi domandò poche corone con lequali avrebbe acquistati dei piatti di cui le due donne erano stateprivate da una catastrofe in cucina.

Poiavvenne una cosa che lasciò un segno indelebile nella miamemoria. Al momento di andarmene io la baciaima questa voltacontutta intensitàessa rispose al mio bacio. Il mio velenoaveva agito. Essa disse con tutta ingenuità:

-Io le voglio bene perché lei è tanto buono che neppurela ricchezza poté guastarla.

Poiaggiunse con malizia:

-Io so ora che non bisogna farla attendere e che fuori di quelpericolo non ce n'è altro con lei.

Sulpianerottolo essa domandò ancora:

-Potrò mandare a quel paese il maestro di canto assieme alCopler?

Scendendorapidamente le scale io le dissi:

-Vedremo!

Eccoche qualche cosa restava tuttavia in sospeso nei nostri rapporti;tutto il resto era stato chiaramente stabilito.

 

Mene derivò tale malessereche quando arrivai all'aria apertaindeciso mi mossi nella direzione opposta a quella della mia casa.Avrei quasi avuto il desiderio di ritornare subito subito da Carlaper spiegarle ancora qualche cosa: il mio amore per Augusta. Sipoteva farlo perché io non avevo detto di non amarla.Soltantocome conclusione a quella vera storia che avevo raccontataavevo dimenticato di dire che oramai io amavo veramente Augusta.Carlapoine aveva dedotto che non l'amavo affatto e perciòaveva corrisposto tanto fervidamente al mio baciosottolineandolocon una sua dichiarazione di amore. Mi pareva chese non ci fossestato tale episodioio avrei potuto sopportare più facilmentelo sguardo confidente di Augusta. E pensare che poco prima io erostato lieto di apprendere che Carla sapesse del mio amore per miamoglie e che cosìper sua decisionel'avventura ch'io avevacercata mi venisse offerta nella forma di un'amicizia condita dabaci.

AlGiardino Pubblico sedetti su una panchina ecol bastonesegnaidistrattamente sulla ghiaia la data di quel giorno. Poi risiamaramente: sapevo che quella non era la data che avrebbe segnata lafine dei miei tradimenti. Anzis'iniziavano quel giorno. Dove avreipotuto trovare io la forza per non ritornare da quella donna tantodesiderabile che m'aspettava? Poi avevo già assuntidegl'impegnidegl'impegni d'onore. Avevo avuto dei baci e non m'erastato concesso di dare che il controvalore di alcune terraglie! Eraproprio un conto non saldato quello che ora mi legava a Carla.

Lacolazione fu triste. Augusta non aveva domandate delle spiegazioniper il mio ritardo ed io non le diedi. Avevo paura di tradirmitantopiù che nel breve percorso dal Giardino a casa mi erobaloccato con l'idea di raccontarle tutto e la storia del miotradimento poteva perciò essere segnata sulla mia facciaonesta. Questo sarebbe stato l'unico mezzo per salvarmi.Raccontandole tutto mi sarei messo sotto la sua protezione e sotto lasua sorveglianza. Sarebbe stato un atto di tale decisione che allorain buona fede avrei potuto segnare la data di quel giorno come unavviamento all'onestà e alla salute.

Siparlò di molte cose indifferenti. Cercai di essere lietomanon seppi neppur tentare di essere affettuoso. A lei mancava ilfiato; certo aspettava una spiegazione che non venne.

Poiessa andò a continuare il suo grande lavoro di riporre i pannid'inverno in armadi speciali. La intravvidi spesso nel pomeriggiotutta intenta al suo lavorolàin fondo al corridoio lungoaiutata dalla fantesca. Il suo grande dolore non interrompeva la suasana attività.

Inquietopassai spesso dalla mia stanza da letto alla camera da bagno. Avreivoluto chiamare Augusta e dirle almeno che l'amavo perché alei - povera sempliciona! - questo sarebbe bastato. Ma invececontinuai a meditare e a fumare.

Passainaturalmente per varie fasi. Ci fu persino un momento in cuiquell'accesso di virtù fu interrotto da una viva impazienza diveder arrivare il giorno appresso per poter correre da Carla. Puòessere che anche questo desiderio fosse stato ispirato da qualchebuon proposito.

Infondo la grande difficoltà era di potercosì soloimpegnarsi e legarsi al dovere. La confessione che m'avrebbeprocurata la collaborazione di mia moglie era impensabile; restavadunque Carla sulla cui bocca avrei potuto giurare con un ultimobacio! Chi era Carla? Nemmeno il ricatto era il massimo pericolo checon lei correvo! Il giorno appresso essa sarebbe stata la mia amante:chissà quello che ne sarebbe poi conseguito! Io la conoscevosolo per quanto me ne aveva detto quell'imbecille del Copler e inbase ad informazioni provenienti da costuiun uomo piùaccorto di me come ad esempio l'Olivinon avrebbe neppure accettatodi contrarre un affare commerciale.

Tuttala sanabella attività di Augusta intorno alla mia casa erasprecata. La cura drastica del matrimonio che avevo intrapresa nellamia affannosa ricerca della salute era fallita. Io rimanevo malatopiù che mai e sposato ai danni miei e degli altri.

Piùtardiquando fui effettivamente l'amante di Carlariandando colpensiero a quel triste pomeriggio non arrivai a intendere perchéprima d'impegnarmi più oltrenon mi fossi arrestato con unvirile proposito. Avevo tanto pianto il mio tradimento prima dicommetterloche si sarebbe dovuto credere facile di evitarlo. Ma delsenno di poi si può sempre ridere e anche di quello di primaperché non serve. Fu marcata in quelle ore angosciose incaratteri grandi nel mio vocabolario alla lettera C (Carla) la datadi quel giorno con l'annotazione: "ultimo tradimento". Mail primo tradimento effettivoche impegnava a tradimenti ulterioriseguì soltanto il giorno dopo.

Auna tarda oranon sapendo fare di megliopresi un bagno. Sentivouna bruttura sul mio corpo e volevo lavarmi. Ma quando fui in acquapensai: "Per nettarmi dovrei essere capace di sciogliermi tuttoin quest'acqua". Mi vestii poicosì privo di volontàche neppure m'asciugai accuratamente. Il giorno sparì ed iorestai alla finestra a guardare le nuove foglie verdi degli alberidel mio giardino. Fui colto da brividi e con una certa soddisfazionepensai fossero di febbre. Non la morte desiderai ma la malattiaunamalattia che mi servisse di pretesto per fare quello che volevo o cheme lo impedisse.

Dopoaver esitato per tanto tempoAugusta venne a cercarmi. Vedendolatanto dolce e priva di rancoresi aumentarono da me i brividi fino afarmi battere i denti. Spaventataessa mi costrinse di mettermi aletto. Battevo sempre i denti dal freddoma già sapevo di nonaver la febbre e le impedii di chiamare il medico. La pregai dispegnere la lampadadi sedere accanto a me e di non parlare. Non soper quanto tempo restammo così: riconquistai il necessariocalore e anche qualche fiducia. Avevo però la mente ancortanto offuscata che quando essa riparlò di chiamare il medicole dissi che sapevo la ragione del mio malore e che glielo avreidetto più tardi. Ritornavo al proposito di confessare. Non mirimaneva aperta altra via per liberarmi da tanta oppressione.

Cosìrestammo ancora per vario tempo muti. Più tardi m'accorsi cheAugusta s'era levata dalla sua poltrona e mi si accostava.

Ebbipaura: forse essa aveva indovinato tutto. Mi prese la manol'accarezzòpoi leggermente poggiò la sua mano sullamia testa per sentire se scottassee infine mi disse:

-Dovevi aspettartelo! Perché tanta dolorosa sorpresa?

Mimeravigliai delle strane parole e nello stesso tempo che passasserotraverso un singhiozzo soffocato. Era evidente che essa non alludevaalla mia avventura. Come avrei io potuto prevedere di essere fattocosì? Con una certa rudezza le domandai:

-Ma che cosa vuoi dire? Che cosa dovevo io prevedere?

Confusaessa mormorò:

-L'arrivo del padre di Guido per le nozze di Ada...

Finalmentecompresi: essa credeva ch'io soffrissi per l'imminenza del matrimoniodi Ada. A me parve ch'essa veramente mi facesse torto: io non erocolpevole di un simile delitto. Mi sentii puro e innocente come unneonato e subito liberato da ogni oppressione. Saltai dal letto:

-Tu credi ch'io soffra per il matrimonio di Ada? Sei pazza! Dacchésono sposatoio non ho più pensato a lei: Non ricordavoneppure ch'era arrivato quest'oggi il signor Cada!

Labaciai e abbracciai con pieno desiderio e il mio accento fuimprontato a tale sincerità ch'essa si vergognò del suosospetto.

Anchelei ebbe la ingenua faccia sgombera da ogni nube e andammo presto acena ambedue affamati. A quello stesso tavolodove avevamo soffertotantopoche ore primasedevamo ora come due buoni compagni invacanza.

Ellami ricordò che le avevo promesso di dirle la ragione del miomalessere. Io finsi una malattiaquella malattia che doveva darmi lafacoltà di fare senza colpa tutto quello che mi piaceva. Leraccontai che già in compagnia dei due vecchi signoriallamattinam'ero sentito scoraggiato profondamente. Poi ero andato aprendere gli occhiali che l'oculista m'aveva prescritti. Forse quelsegno di vecchiezza m'aveva avvilito maggiormente. E avevo camminatoper le vie della città per ore ed ore. Raccontai anche qualchecosa delle immaginazioni che tanto m'avevano fatto soffrire e ricordoche contenevano persino un abbozzo di confessione. Non so in qualeconnessione con la malattia immaginariaparlai anche del nostrosangue che giravagiravaci teneva eretticapaci al pensiero eall'azione e perciò alla colpa e al rimorso. Essa non capìche si trattava di Carlama a me parve di averlo detto.

Dopocena inforcai gli occhiali e finsi lungamente di leggere il miogiornalema quei vetri m'annebbiavano la vista. Ne ebbi un aumentodel mio turbamento lieto come di alcolizzato. Dissi di non poterintendere quello che leggevo. Continuavo a fare il malato.

Lanotte la passai pressocché insonne. Aspettavo l'abbraccio diCarla con pieno grande desiderio. Desideravo proprio leilafanciulla dalle ricche treccie fuori di posto e la voce tantomusicale quando la nota non le era imposta. Ella era resadesiderabile anche da tutto ciò che per lei avevo giàsofferto. Fui accompagnato tutta la notte da un ferreo proposito.Sarei stato sincero con Carla prima di farla mia e le avrei dettal'intera verità sui miei rapporti con Augusta.

Nellamia solitudine mi misi a ridere: era molto originale di andare allaconquista di una donna con in bocca la dichiarazione d'amore perun'altra. Forse Carla sarebbe ritornata alla sua passività! Eche perciò? Per il momento nessun suo atto avrebbe potutodiminuire il pregio della sua sottomissione di cui mi sembrava dipoter essere sicuro.

Lamattina seguente vestendomi mormoravo le parole che le avrei dette.Prima di essere miaCarla doveva sapere che Augusta col suocarattere e anche con la sua salute (avrei potuto spendere molteparole per spiegare quello ch'io intendessi per salute ciò cheavrebbe anche servito ad educare Carla) aveva saputo conquistare ilmio rispettoma anche il mio amore.

Prendendoil caffèero tanto assorto nel preparare un tanto elaboratodiscorsoche Augusta non ebbe da me altro segno di affetto che unlieve bacio prima di uscire. Se ero tutto suo! Andavo da Carla perriaccendere la mia passione per lei.

Nonappena entrai nella stanza di studio di Carlaebbi un tale sollievoal trovarla sola e prontache subito l'attirai a me eappassionatamente l'abbracciai. Fui spaventato dall'energia con laquale essa mi respinse. Una vera violenza! Essa non voleva saperne edio rimasi a bocca aperta in mezzo alla stanzadolorosamente deluso.

MaCarla subito rimessasi mormorò:

-Non vede che la porta è rimasta aperta e che qualcuno stascendendo le scale?

Assunsil'aspetto di un visitatore cerimonioso finché l'importuno nonpassò. Poi chiudemmo la porta. Essa impallidì vedendoche giravo anche la chiave. Così tutto era chiaro. Poco dopoessa mormorò fra le mie braccia con voce soffocata: - Lo vuoi?Veramente lo vuoi?

M'avevadato del tue questo fu decisivo. Io poi avevo subito risposto:

-Se non desidero altro!

Avevodimenticato che avrei voluto prima chiarire qualche cosa.

Subitodopo io avrei voluto cominciare a parlarle dei miei rapporti conAugusta avendo tralasciato di farlo prima. Ma era difficile per ilmomento. Parlando con Carla d'altro in quel momento sarebbe statocome diminuire l'importanza della sua dedizione. Anche il piùsordo fra gli uomini sa che non si può fare una cosa simileper quanto tutti sappiano che non c'è confronto fral'importanza di quella dedizione prima che avvenga e immediatamentedopo. Sarebbe una grande offesa per una donnache aperse le bracciaper la prima voltasentirsi dire: "Prima di tutto debbochiarire quelle parole che ti dissi ieri... ". Ma che ieri?Tutto quello che avvenne il giorno prima deve apparire indegno diessere menzionato e se ad un gentiluomo avviene di non sentire cosìtanto peggio per lui e deve fare in modo che nessuno se ne avveda.

Ècerto che io ero quel gentiluomo che non sentiva così perchénella simulazione sbagliai come la sincerità non saprebbe. Ledomandai:

-Com'è che ti concedesti a me? Come meritai una cosa simile?

Volevodimostrarmi grato o rimproverarla? Probabilmente non era che untentativo per iniziare delle spiegazioni.

Essaun po' stupita guardò in alto per vedere il mio aspetto:

-A me pare che tu mi abbia presa- e sorrise affettuosamente perprovarmi che non intendeva di rimproverarmi.

 

Ricordaiche le donne esigono si dica che sono state prese. Poiessa stessasi accorse di aver sbagliatoche le cose si prendono e le persone siaccordano e mormorò:

-Io ti aspettavo! Eri il cavaliere che doveva venire a liberarmi.Certo è male che tu sia sposatomavisto che non ami tuamoglieio so almeno che la mia felicità non distrugge quelladi nessun altro.

Fuipreso dal mio dolore al fianco con tale intensità che dovetticessare dall'abbracciarla. Dunque l'importanza delle mie sconsiderateparole non era stata esagerata da me? Era proprio la mia menzogna cheaveva indotta Carla di divenire mia? Ecco che se ora avessi pensatodi parlare del mio amore per AugustaCarla avrebbe avuto il dirittodi rimproverarmi nientemeno che di un tranello! Rettifiche espiegazioni non erano più possibili per il momento. Ma inseguito ci sarebbe stata l'opportunità di spiegarsi e dichiarire. Aspettando che si presentasseecco che si costituiva unnuovo legame fra me e Carla.

Lìaccanto a Carlarinacque intera la mia passione per Augusta. Ora nonavrei avuto che un desiderio: correre dalla mia vera mogliesolo pervederla intenta al suo lavoro di formica assiduamentre metteva insalvo le nostre cose in un'atmosfera di canfora e di naftalina.

Marestai al mio dovereche fu gravissimo per un episodio che mi turbòmolto dapprima perché m'apparve come un'altra minaccia dellasfinge con la quale aveva da fare. Carla mi raccontò chesubito dopo che me n'ero andato il giorno primaera venuto ilmaestro di canto e che essa lo aveva semplicemente messo alla porta.

Nonseppi celare un gesto di contrarietà. Era lo stesso cheavvisare il Copler della nostra tresca!

-Che cosa ne dirà il Copler? - esclamai.

Essasi mise a ridere e si rifugiòquesta volta di sua iniziativafra le mie braccia:

-Non avevamo detto che l'avremmo buttato fuori della porta anche lui?

Eracarinama non poteva più conquistarmi. Trovai subito anch'ioun atteggiamento che mi stava benequello del pedagogoperchémi dava anche la possibilità di sfogare quel rancore che c'erain fondo all'anima mia per la donna che non mi permetteva di parlarecome avrei voluto di mia moglie. - Bisognava lavorare a questo mondo- le dissi - perchécome ella già doveva saperloquesto era un mondo cattivo dove solamente i validi reggevano. E seio ora dovessi morire? Che cosa avverrebbe di lei? - Avevoprospettata l'eventualità del mio abbandono in modo ch'essaproprio non poteva offendersene e infatti se ne commosse. Poiconl'evidente intenzione di avvilirlale dissi che con mia mogliebastava io manifestassi un desiderio per vederlo esaudito.

-Ebbene! - disse lei rassegnata - manderemo a dire al maestro cheritorni! - Poi tentò di comunicarmi la sua antipatia per quelmaestro. Ogni giorno doveva subire la compagnia di quel vecchioneantipatico che le faceva ripetere per infinite volte gli stessiesercizi che non giovavano a nullaproprio a nulla. Essa nonricordava di aver passato qualche bel giorno che quando il maestro siammalava.

Avevaanche sperato che morissema essa non aveva fortuna.

Divenneinfine addirittura violenta nella sua disperazione. Ripetéaumentandoloil suo lamento di non aver fortuna: era disgraziatairreparabilmente disgraziata. Quando ricordava che m'aveva subitoamato perché le era sembrato che dal mio faredal mio diredai miei occhivenisse una promessa di vita meno rigidamenoobbligatameno noiosadoveva piangere.

Cosìconobbi subito i suoi singhiozzi e mi seccarono; erano violenti finoa scuoterepervadendoloil suo debole organismo. Mi sembrava disubire immediatamente un brusco assalto alla mia tasca e alla miavita. Le domandai:

-Ma credi tu che mia moglie a questo mondo non faccia nulla? Adessoche noi due parliamoessa ha i polmoni inquinati dalla canfora edalla naftalina.

Carlasinghiozzò:

-Le cosele masseriziei vestiti... beata lei!

Pensaiirritato ch'essa volesse che io corressi a comperarle tutte quellecosesolo per procurarle l'occupazione che prediligeva. Nondimostrai dell'iragrazie al cielo e obbedii alla voce del dovereche gridava: "accarezza la fanciulla che si abbandonò ate!". L'accarezzai. Passai la mia mano leggermente sui suoicapelli. Ne risultò che i suoi singhiozzi si calmarono e lesue lagrime fluirono abbondanti e non trattenute come la pioggia chesegue ad un temporale.

-Tu sei il mio primo amante - disse essa ancora - ed io spero checontinuerai ad amarmi!

Quellasua comunicazionech'ero il suo primo amantedesignazione chepreparava il posto ad un secondonon mi commosse molto. Era unadichiarazione che arrivava in ritardo perché da una buonamezz'ora l'argomento era stato abbandonato. Eppoi era una nuovaminaccia. Una donna crede di avere tutti i diritti verso il suo primoamante. Dolcemente le mormorai all'orecchio:

-Anche tu sei la mia prima amante... dacché mi sono sposato.

Ladolcezza della voce mascherava il tentativo di pareggiare le duepartite.

Pocodopo io la lasciai perché a nessun prezzo avrei volutoarrivare tardi a colazione. Prima di andarmene trassi di nuovo ditasca la busta che io dicevo dei buoni propositi perché unottimo proposito l'aveva creata. Sentivo il bisogno di pagare persentirmi più libero. Carla rifiutò dolcemente di nuovoquel denaro ed io allora m'arrabbiai fortementema seppi trattenermidal manifestare questa rabbiase non urlando delle paroledolcissime. Gridavo per non picchiarlama nessuno avrebbe potutoaccorgersene. Dissi che ero arrivato al colmo dei miei desideripossedendola e che adesso volevo aver il senso di possederla ancorapiù mantenendola completamente. Perciò doveva guardarsidal farmi arrabbiare perché ne soffrivo troppo. Volendocorrere viariassunsi in poche parole il mio concetto che divenne -così gridato - molto brusco.

-Sei la mia amante? Perciò il tuo mantenimento incombe a me.

Essaspaventatacessò dal resistere e prese la busta mentre miguardava ansiosa studiando che cosa fosse la veritàil miourlo d'odio oppure la parola d'amore con cui le veniva concesso tuttoquello ch'essa aveva desiderato.

Sirasserenò un poco quando prima di andarmene sfiorai con le mielabbra la sua fronte. Sulle scale mi venne il dubbio ch'essadisponendo di quei denari e avendo sentito ch'io m'incaricavo del suoavvenireavrebbe messo alla porta anche il Copler nel caso in cuiegli nel pomeriggio fosse venuto da lei. Avrei voluto risalire quellescale per andare ad esortarla di non compromettermi con un attosimile. Ma non v'era tempo e dovetti correr via.

Iotemo che il dottore che leggerà questo mio manoscritto abbia apensare che anche Carla sarebbe stata un soggetto interessante allapsico-analisi. A lui sembrerà che quella dedizioneprecedutadal congedo al maestro di cantofosse stata troppo rapida. Anche ame sembrava che in premio del suo amore essa si fosse attese da metroppe concessioni. Occorsero moltima molti mesiperché iointendessi meglio la povera fanciulla. Probabilmente essa s'eralasciata prendere per liberarsi dall'inquietante tutela del Copleredovette essere per lei una ben dolorosa sorpresa all'accorgersi ches'era concessa invano perché da lei si continuava a pretendereproprio quello che le pesava tantocioè il canto. Si trovavaancora fra le mie braccia e apprendeva che doveva continuare acantare. Da ciò un'ira e un dolore che non trovavano le parolegiuste. Per ragioni differenti dicemmo così ambedue dellestranissime parole. Quand'essa mi volle beneriebbe tutta lanaturalezza che il calcolo le aveva tolto. Io la naturalezza non laebbi mai con lei.

Correndovia pensai ancora: "Se essa sapesse quanto io ami mia moglie sicomporterebbe altrimenti". Quando lo seppe si comportòinfatti altrimenti.

All'ariaaperta respirai la libertà e non sentii il dolore di averlacompromessa. Fino al giorno dopo c'era tempo e avrei forse trovato unriparo alle difficoltà che mi minacciavano. Correndo versocasa ebbi anche il coraggio di prendermela con l'ordine socialecomese esso fosse stato la colpa dei miei trascorsi. Mi pareva avrebbedovuto essere tale da permettere di tempo in tempo (non sempre) difare all'amoresenz'aver a temerne delle conseguenzeanche con ledonne che non si amano affatto. Di rimorso non v'era traccia in me.Perciò io penso che il rimorso non nasca dal rimpianto di unamala azione già commessama dalla visione della propriacolpevole disposizione. La parte superiore del corpo si china aguardare e giudicare l'altra parte e la trova deforme. Ne senteribrezzo e questo si chiama rimorso. Anche nella tragedia antica lavittima non ritornava in vita e tuttavia il rimorso passava. Ciòsignificava che la deformità era guarita e che oramai ilpianto altrui non aveva alcuna importanza. Dove poteva esserci postoper il rimorso in me che con tanta gioia e tanto affetto correvodalla mia legittima moglie? Da molto tempo non m'ero sentito tantopuro.

Acolazionesenz'altro sforzofui lieto ed affettuoso con Augusta.Non ci fu quel giorno alcuna nota stonata fra di noi. Niente dieccessivo: ero come dovevo essere con la donna onestamente esicuramente mia. Altre volte ci furono degli eccessi d'affettuositàda parte miama solamente quando nel mio animo si combatteva unalotta fra le due donne ed eccedendo nelle manifestazioni d'affettom'era più facile di celare ad Augusta che fra di noi c'eral'ombra per il momento abbastanza potente di un'altra donna.

Possoanche dire che perciò Augusta mi preferiva quando non erotutto e con grande sincerità suo.

Iostesso ero un po' stupito della mia calma e l'attribuivo al fattoch'ero riuscito di far accettare a Carla quella busta dai buonipropositi. Non che con quella credessi di averla saldata. Ma mipareva che avevo cominciato a pagare un'indulgenza. Disgraziatamenteper tutta la durata della mia relazione con Carlail denaro restòla mia preoccupazione principale. Ad ogni occasione ne mettevo indisparte in un posto ben celato della mia bibliotecaper esserepreparato a far fronte a qualunque esigenza dell'amante che tantotemevo. Così quel denaroquando Carla m'abbandonòlasciandomeloservì per pagare tutt'altra cosa.

Dovevamopassare la sera in casa di mio suocero ad un pranzo cui non eranoinvitati che i membri della famiglia e che doveva sostituire iltradizionale banchettopreludio alle nozze che dovevano aver luogodue giorni appresso. Guido voleva approfittare per sposarsi delmiglioramento di Giovannich'egli credeva non avrebbe durato.

Andaicon Augusta di buon'ora nel pomeriggio da mio suocero. Sulla via lericordai ch'essa il giorno prima aveva sospettato ch'io soffrissituttavia per quelle nozze. Essa si vergognò del suo sospettoed io parlai molto di quella mia innocenza. Se ero ritornato a casanon ricordando neppure che quella stessa sera v'era la solennitàche doveva preparare quelle nozze!

Quantunquenon vi fossero altri invitati che noi di famigliai vecchi Malfentivolevano che il banchetto fosse preparato solennemente. Augusta erastata pregata di aiutare a preparare la sala e la tavola. Alberta nonne voleva sapere. Poco tempo prima essa aveva ottenuto un premio adun concorso per una commedia in un atto e s'accingeva ora alacrementealla riforma del teatro nazionale. Così restammo intorno aquella tavola io ed Augusta coadiuvati da una cameriera e da Lucianoun ragazzo dell'ufficio di Giovanni che dimostrava altrettantotalento per l'ordine in casa quanto per quello d'ufficio.

Aiutaia trasportare sulla tavola dei fiori e a distribuirli in bell'ordine.

-Vedi - dissi scherzando ad Augusta - che contribuisco anch'io allaloro felicità. Se mi domandassero di preparare per loro ancheil letto nuzialelo farei con lo stesso aspetto sereno!

Piùtardi andammo a trovare gli sposi ritornati allora da una visitaufficiale. S'erano messi nel cantuccio più riposto del salottoe suppongo che fino al nostro arrivo si fossero baciucchiati. Lasposina non aveva neppur smesso il suo abito da passeggio ed eratanto bellinacosì arrossata dal caldo.

Iocredo che gli sposiper celare ogni traccia dei baci che si eranoscambiativolessero darci ad intendere che avessero discusso discienza. Era una sciocchezzaforse anche sconveniente! Volevanoallontanarci dalla loro intimità o credevano che i loro bacipotessero dolere a qualcuno? Ciò però non guastòil mio buon umore. Guido m'aveva detto che Ada non voleva credergliche certe vespe sapevano paralizzare con una puntura altri insettianche più forti di loro per conservarli cosìparalizzativivi e freschiquale nutrimento per la lorodiscendenza.

Iocredevo di ricordare ch'esisteva qualche cosa di tanto mostruoso innaturama in quel momento non volli concedere una soddisfazione aGuido:

-Mi credi una vespa che ti dirigi a me? - gli dissi ridendo.

Lasciammogli sposi per permettere loro di occuparsi di cose più liete.Io però cominciavo a trovare alquanto lungo il pomeriggio eavrei voluto andare a casa ad aspettare nel mio studio l'ora delpranzo.

Nell'anticameratrovammo il dottor Paoli che usciva dalla stanza da letto di miosuocero. Era un medico giovine che aveva però giàsaputo conquistarsi una buona clientela. Era biondissimo e bianco erosso come un ragazzone. Nel potente organismo il suo occhio era peròtanto importante da rendere seria ed imponente tutta la sua persona.Gli occhiali lo facevano apparire più grande e il suo sguardos'attaccava alle cose come una carezza. Ora che conosco bene tantolui che il Dottor S. - quello della psico-analisi - mi pare chel'occhio di questi sia indagatore per intenzionementre nel dottorPaoli lo è per una sua instancabile curiosità. Il Paolivede esattamente il suo clientema anche la moglie di questi e lasedia su cui poggia. Dio sa quale dei due conci meglio i suoiclienti! Durante la malattia di mio suocero io andai spesso dal Paoliper indurlo a non fare intendere alla famiglia che la catastrofe chela minacciava era imminentee ricordo che un giornoguardandomi piùa lungo di quanto mi fosse piaciutomi disse sorridendo:

-Ma Lei adora sua moglie!

Egliera un buon osservatore perché infatti io in quel momentoadoravo mia moglie che soffriva tanto per la malattia del padre e cheio giornalmente tradivo.

Cidisse che Giovanni stava anche meglio del giorno prima. Adesso eglinon aveva altre preoccupazioni perché la stagione era moltofavorevolee riteneva che gli sposi serenamente potessero mettersiin viaggio. - Naturalmente - aggiunse cautamente - salvocomplicazioni imprevedibili. - La sua prognosi s'avverò perchéintervennero le complicazioni imprevedibili.

Almomento di congedarsi si ricordò che noi conoscevamo certoCopler al cui letto egli era stato chiamato quel giorno stesso aconsulto. Lo aveva trovato colpito da una paralisi renale. Raccontòche la paralisi s'era annunciata con un orrendo male di denti. Quifece una prognosi gravemasecondo il solitoattenuata da undubbio:

-La sua vita può anche prolungarsi a patto ch'egli arrivi avedere il sole di domani.

Augustadalla compassioneebbe le lagrime agli occhi e mi pregò dicorrere subito dal nostro povero amico. Dopo un'esitazioneottemperai al suo desiderioe volentieriperché la mia animaimprovvisamente si riempì di Carla. Com'ero stato duro con lapovera fanciulla! Ecco chesparito il Copleressa rimaneva làsolitaria su quel pianerottolonient'affatto compromettente perchétagliata da ogni comunicazione col mio mondo. Era necessario correreda lei per cancellare l'impressione che doveva averle fatto il mioduro contegno della mattina.

Maprudentementeandai prima di tutto dal Copler. Dovevo pur poter diread Augusta che lo avevo visto.

 

Conoscevogià il modesto ma comodo e decente quartiere che il Coplerabitava in Corsia Stadion. Un vecchio pensionato gli aveva cedute tredelle sue cinque stanze. Fui ricevuto da questiun grosso uomoansantedagli occhi rossiche camminava inquieto su e giùper un breve corridoio oscuro. Mi raccontò che il medicocurante se ne era andato da pocodopo di aver constatato che ilCopler si trovava in agonia. Il vecchio parlava a bassa vocesempreansandocome se avesse temuto di turbare la quiete del moribondo.Anch'io abbassai la mia. È una forma di rispetto come losentiamo noi uominimentre non è ben certo se al moribondonon piacerebbe di più di venir accompagnato per l'ultimotratto di via da voci chiare e forti che gli ricorderebbero la vita.

Ilvecchio mi disse che il moribondo era assistito da una suora. Pienodi rispetto mi fermai per qualche tempo dinanzi alla porta di quellacamera nella quale il povero Copler col suo rantolodal ritmo tantoesattomisurava il suo ultimo tempo. La sua respirazione rumorosaera composta da due suoni: esitante pareva quello prodotto dall'ariach'egli ispiravaprecipitoso quello che nasceva dall'aria espulsa.Fretta di morire? Una pausa seguiva ai due suoni ed io pensai chequando quella pausa si fosse allungataallora si sarebbe iniziata lanuova vita.

Ilvecchio voleva ch'io entrassi in quella stanzama io non volli.Troppi moribondi m'avevano guatato con un'espressione di rimprovero.

Nonattesi che quella pausa s'allungasse e corsi da Carla. Bussai allaporta del suo studio ch'era chiusa a chiavema nessuno rispose.Impazientito presi la porta a calci e allora dietro di me si apersela porta del quartiere. La voce della madre di Carla domandò:

-Ma chi è? - Poi la vecchia timorosa si sporse equando allaluce gialla che veniva dalla sua cucina m'ebbe riconosciutom'accorsi che la sua faccia si era coperta di un intenso rossorerilevato dalla nitida bianchezza dei suoi capelli. Carla non c'eraed essa si profferse di andar a prendere la chiave dello studio perricevermi in quella stanza ch'essa riteneva fosse la sola degna diricevermi. Ma io le dissi di non scomodarsientrai nella sua cucinae sedetti senz'altro su una sedia di legno. Sul focolaresotto aduna pentolaardeva un modesto mucchio di carbone. Le dissi di nontrascurare per causa mia la cucinatura della cena. Essa mi rassicurò.Cucinava dei fagiuoliche non erano mai troppo cotti. La povertàdel cibo che si preparava nella casa le cui spese dovevo oramaisostenere io solom'ammorbidì e smorzò la stizza cheprovavo per non aver trovata pronta la mia amante.

Lasignora rimase in piedi ad onta ch'io ripetutamente l'avessi invitatadi sedere. Bruscamente le raccontai ch'ero venuto a portare allasignorina Carla una bruttissima notizia: il Copler era moribondo.

Allavecchia caddero le braccia e subito sentì il bisogno disedere.

-Dio mio! - mormorò - che cosa faremo ora noi?

Poisi ricordò che quello che toccava al Copler era peggio diquello che toccava a lei e aggiunse un compianto:

-Il povero signore! Tanto buono!

Avevagià la faccia irrorata dalle lagrime.

Essaevidentementenon sapeva che se il pover'uomo non fosse morto atemposarebbe stato buttato fuori di quella casa. Anche questo mirassicurò. Com'ero circondato dalla più assolutadiscrezione!

Vollitranquillarla e le dissi che quello che il Copler aveva fatto perloro fino ad alloraavrei continuato a farlo io. Essa protestòche non era per sé stessa ch'essa piangevavisto che sapevach'esse erano circondate da tanta buona gentema per il destino delloro grande benefattore.

Vollesapere di quale malattia morisse. Raccontandole come la catastrofes'era annunciataricordai quella discussione ch'io tempo prima avevoavuta col Copler sull'utilità del dolore. Ecco che da lui inervi dei denti s'erano agitati e s'erano messi a chiamare aiutoperchéad un metro di distanza da loroi reni avevanocessato di funzionare. Ero tanto indifferente al fato del mio amicodi cui avevo sentito poco prima il rantoloche continuavo agiocherellare con le sue idee. Se fosse stato ancora a sentirmigliavrei detto che si capiva così come dall'ammalato immaginarioi nervi potessero legittimamente dolere per una malattia scoppiata aqualche chilometro di distanza.

Frala vecchia e me c'era ben poco ancora da discorrere ed accettai diandar ad aspettare Carla nel suo studio. Presi in mano il Garcia etentai di leggerne qualche pagina.

Mal'arte del canto mi toccava poco.

Lavecchia mi raggiunse di nuovo. Era inquieta perché non vedevagiungere Carla. Mi raccontò ch'era andata a comperare deipiatti di cui avevano urgente bisogno.

Lamia pazienza stava proprio per esaurirsi. Irosamente le domandai:

-Avete rotti dei piatti? Non potreste usare maggior attenzione?

Cosìmi liberai della vecchia che borbottò andandosene:

-Due soli... li ho rotti io...

Ciòmi procurò un momento d'ilarità perché io sapevoch'erano stati distrutti tutti quelli che c'erano in casa e non dallavecchiama proprio da Carla. Poi seppi che Carla era tutt'altro chedolce con la madre che perciò aveva una paura folle di parlaretroppo dei fatti della figlia coi suoi protettori. Pare che unavoltaingenuamenteavesse raccontato al Copler del fastidio cherisultava a Carla dalle lezioni di canto. Il Copler se ne adiròcon Carla e questa se la prese con la madre.

Edè così che quando la mia deliziosa amante finalmente miraggiunseio l'amai violentemente e irosamente. Essaincantatabalbettava:

-E io che dubitavo del tuo amore! Il giorno intero fui perseguitatadal desiderio di uccidermi per essermi abbandonata ad un uomo chesubito dopo mi trattò così male!

Lespiegai che spesso io venivo preso da gravi mali di testa equandomi ritrovai nello stato chese non avessi valorosamente resistitom'avrebbe ricondotto di corsa da Augustariparlai di quei mali eseppi domarmi. Andavo facendomi. Intanto piangemmo insieme il poveroCopler; proprio assieme!

Delresto Carla non era indifferente all'atroce fine del suo benefattore.Parlandone si scolorì:

-Io so come son fatta! - disse. - Per lungo tempo avrò paura direstare sola.

Davivo già mi faceva tanta paura!

Eper la prima voltatimidamentemi propose di restare con lei lanotte intera. Io non ci pensavo neppure e non avrei saputo prolungarenemmeno di mezz'ora il mio soggiorno in quella stanza. Masempreattento di non rivelare alla povera fanciulla il mio animo di cui eroil primo io a dolermifeci delle obbiezioni dicendole che una cosasimile non era possibile perché in quella casa c'era anche suamadre. Con vero disdegno essa arcuò le labbra:

-Avremmo trasportato qui il letto; la mamma non s'arrischia dispiarmi.

Allorale raccontai del banchetto di nozze che m'aspettava a casama poisentii il bisogno di dirle che mai mi sarebbe stato possibile dipassare una notte con lei. Nel proposito di bontà che avevofatto poco primaarrivavo a domare ogni mio accento che perciòrestò sempre affettuosoma mi pareva che ogni altraconcessione che le avessi fatta od anche soltanto fatta speraresarebbe equivaluta ad un nuovo tradimento ad Augusta che io nonvolevo commettere.

Inquel momento sentivo quali erano i miei più forti legami conCarla: il mio proposito d'affettuosità eppoi le menzogne detteda me sui miei rapporti con Augusta e che pian pianinonel corso deltempobisognava attenuare ed anzi cancellare. Perciò iniziaiquella stessa sera tale operanaturalmente con la debita prudenzaperché era tuttavia troppo facile di ricordare il frutto cheaveva avuto la mia bugia. Le dissi che io sentivo fortemente i mieiobblighi verso mia moglie ch'era una donna tanto stimabile checertamente avrebbe meritato di essere amata meglio e cui mai avreivoluto far sapere come la tradivo.

Carlam'abbracciò:

-Così ti amo: buono e dolce come ti sentii subito la primavolta. Non tenterò mai di fare del male a quella poverina.

Ame spiaceva sentir dare della poverina ad Augustama eroriconoscente alla povera Carla della sua mitezza. Era una buona cosach'essa non odiasse mia moglie. Volli dimostrarle la mia riconoscenzae mi guardai d'attorno alla ricerca di un segno di affetto. Finii coltrovarlo. Regalai anche a lei la sua lavanderia: le permisi di nonrichiamare il maestro di canto.

Carlaebbe un impeto di affetto che mi seccò abbastanzama chesopportai valorosamente. Poi mi raccontò ch'essa non avrebbemai abbandonato il canto. Cantava tutto il giornoma a modo suo.Voleva anzi farmi sentire subito una sua canzone. Ma io non ne vollisapere e alquanto villanamente corsi via. Perciò penso cheanche quella notte essa abbia meditato il suicidioma io non lelasciai mai il tempo di dirmelo.

Ritornaidal Copler perché dovevo portare ad Augusta le ultime notiziedell'ammalato per farle credere che io avessi passate con lui tuttequelle ore. Il Copler era morto da due ore circasubito dopo ch'iome n'ero andato. Accompagnato dal vecchio pensionato che avevacontinuato a misurare col suo passo il piccolo corridoioentrainella stanza mortuaria. Il cadaveregià vestitogiaceva sulnudo materazzo del letto. Teneva nelle mani il crocifisso. A bassavoce il pensionato mi raccontò che tutte le formalitàerano state compiute e che una nipote dell'estinto sarebbe venuta apassare la notte presso il cadavere.

 

Cosìavrei potuto andarmene sapendo che al mio povero amico si dava tuttoquel poco che ancora poteva occorrerglima restai per qualche minutoa guardarlo. Avrei amato di sentirmi sgorgare dagli occhi una lacrimasincera di compianto per il poverino che tanto aveva lottato con lamalattia fino a tentar di trovare un accordo con essa. - Èdoloroso! - dissi. La malattia per la quale esistevano tantifarmachil'aveva brutalmente ucciso. Pareva un'irrisione. Ma la mialacrima mancò. La faccia emaciata del Copler non era maiapparsa tanto forte come nella rigidezza della morte. Pareva prodottadallo scalpello in un marmo colorato e nessuno avrebbe potutoprevedere che vi sovrastasse imminente la putrefazione. Era tuttaviauna vera vita che quella faccia manifestava: disapprovavasdegnosamente forse mel'ammalato immaginarioo fors'anche Carlache non voleva cantare. Trasalii un momento sembrandomi che il mortoricominciasse a rantolare. Subito ritornai alla mia calma di criticoquando m'accorsi che quello che m'era sembrato un rantolo non era chel'ansareaumentato dall'emozionedel pensionato.

Ilquale poi m'accompagnò alla porta e mi pregò diraccomandarlo se avessi conosciuto chi avrebbe potuto aver bisogno diun quartierino come quello.

-Vede che anche in una circostanza simile ho saputo fare il mio doveree anche piùmolto di più!

Alzòper la prima volta la voce in cui echeggiò un risentimentoch'era senza dubbio destinato al povero Copler che gli aveva lasciatolibero il quartiere senza il debito preavviso. Corsi via promettendotutto quello che voleva.

Damio suocero trovai che la compagnia s'era messa in quel momento atavola. Mi domandarono delle notizie ed ioper non compromettere lagaiezza di quel convittodissi che il Copler viveva tuttavia e chec'era dunque ancora qualche speranza.

Ame parve che quell'adunanza fosse ben triste. Forse tale impressionesi fece in me alla vista di mio suocero condannato ad una minestrinae ad un bicchiere di lattementre attorno a lui tutti si caricavanodei cibi più prelibati. Aveva tutto il suo tempo liberoluie lo impiegava per guardare in bocca agli altri. Vedendo che ilsignor Francesco si dedicava attivamente all'antipastomormorò:

-E pensare che ha due anni più di me!

Poiquando il signor Francesco giunse al terzo bicchierino di vinobiancobrontolò sottovoce:

-È il terzo! Che gli andasse in tanto fiele!

L'augurionon m'avrebbe disturbato se non avessi mangiato e bevuto anch'io aquel tavoloe non avessi saputo che la medesima metamorfosi sarebbestata augurata anche al vino che passava per la mia bocca. Perciòmi misi a mangiare e a bere di nascosto. Approfittavo di qualchemomento in cui mio suocero ficcava il grosso naso nella tazza dellatte o rispondeva a qualche parola che gli era stata rivoltaperinghiottire dei grossi bocconi o per tracannare dei grandi bicchieridi vino. Albertasolo per il desiderio di far ridere la genteavvisò Augusta ch'io bevevo troppo. Mia mogliescherzosamentemi minacciò coll'indice. Questo non fu male mafu male perché così non valeva più la pena dimangiare di nascosto.

Giovanniche fino ad allora non s'era quasi ricordato di memi guardòsopra gli occhiali con un'occhiataccia di vero odio. Disse:

-Io non ho mai abusato di vino o di cibo. Chi ne abusa non è unvero uomo ma un... - e ripeté più volte l'ultima parolache non significava proprio un complimento.

Perl'effetto del vinoquella parola offensiva accompagnata da unarisata generalemi cacciò nell'animo un desiderio veramenteirragionevole di vendetta. Attaccai mio suocero dal suo lato piùdebole: la sua malattia. Gridai che non era un vero uomo non chiabusava dei cibi ma colui che supinamente s'adattava alleprescrizioni del medico. Ionel caso suosarei stato ben altrimentiindipendente. Alle nozze di mia figlia - se non altro per affetto -non avrei mica permesso che mi si impedisse di mangiare e di bere.

Giovanniosservò con ira:

-Vorrei vederti nei miei panni!

-E non ti basta di vedermi nei miei? lascio io forse di fumare?

Erala prima volta che mi riusciva di vantarmi della mia debolezzaeaccesi subito una sigaretta per illustrare le mie parole. Tuttiridevano e raccontavano al signor Francesco come la mia vita fossepiena di ultime sigarette. Ma quella non era l'ultima e mi sentivoforte e combattivo. Però perdetti subito l'appoggio deglialtri quando versai del vino a Giovanni nel suo grande bicchiered'acqua. Avevano paura che Giovanni bevesse e urlavano perimpedirglielo finché la signora Malfenti non potéafferrare e allontanare quel bicchiere.

-Propriovorresti uccidermi? - domandò mitemente Giovanniguardandomi con curiosità. - Hai il vino cattivotu! - Eglinon aveva fatto un solo gesto per approfittare del vino che gli avevoofferto.

Misentii veramente avvilito e vinto. Mi sarei quasi gettato ai piedi dimio suocero per chiedergli perdono. Ma anche quello mi parve unsuggerimento del vino e lo respinsi. Domandando perdono avreiconfessata la mia colpamentre il banchetto continuava e sarebbedurato abbastanza per offrirmi l'opportunità di riparare aquel primo scherzo tanto mal riuscito. C'è tempo a tutto aquesto mondo. Non tutti gli ubriachi sono preda immediata di ognisuggerimento del vino. Quando ho bevuto troppoio analizzo i mieiconati come quando sono sereno e probabilmente con lo stessorisultato. Continuai ad osservarmi per intendere come fossi arrivatoa quel pensiero malvagio di danneggiare mio suocero. E m'accorsid'essere stancomortalmente stanco. Se tutti avessero saputo qualegiornata io avevo trascorsam'avrebbero scusato. Avevo presa eviolentemente abbandonata per ben due volte una donna ed eroritornato due volte a mia moglie per rinnegare anche lei per duevolte. La mia fortuna fu che alloraper associazionenel mioricordo fece capolino quel cadavere su cui invano avevo tentato dipiangeree il pensiero alle due donne sparve; altrimenti avreifinito col parlare di Carla. Non avevo sempre il desiderio diconfessarmi anche quando non ero reso più magnanimodall'azione del vino? Finii col parlare del Copler. Volevo che tuttisapessero che quel giorno avevo perduto il mio grande amico.

Avrebberoscusato il mio contegno.

Gridaiche il Copler era mortoveramente morto e che fino ad allora neavevo taciuto per non rattristarli. Guarda! Guarda! Ecco chefinalmente sentii salirmi le lacrime agli occhi e dovetti volgerealtrove lo sguardo per celarle.

Tuttirisero perché non mi credettero e allora intervennel'ostinazione ch'è proprio il carattere più evidentedel vino. Descrissi il morto:

-Pareva scolpito da Michelangelocosì rigidonella pietra piùincorruttibile.

Cifu un silenzio generale interrotto da Guido che esclamò:

-E adesso non senti più il bisogno di non rattristarci?

L'osservazioneera giusta. Avevo mancato ad un proponimento che ricordavo! Non cisarebbe stato il verso di riparare? Mi misi a rideresgangheratamente:

-Ve l'ho fatta! È vivo e sta meglio.

Tuttimi guardavano per raccapezzarsi.

-Sta meglio- soggiunsi seriamente - mi riconobbe e mi sorrisepersino.

Tuttimi credetteroma l'indignazione fu generale. Giovanni proclamòche se non avesse temuto di farsi del male sottoponendosi ad unosforzom'avrebbe gettato un piatto sulla testa. Era infattiimperdonabile ch'io avessi turbata la festa con una simile notiziainventata. Se fosse stata vera non ci sarebbe stata colpa. Non avreifatto meglio di dire loro di nuovo la verità? Il Copler eramortoe non appena fossi stato soloavrei trovate le lacrime pronteper piangerlospontanee e abbondanti. Cercai le parolema lasignora Malfenticon quella sua gravità di gran signoram'interruppe:

-Lasciamo stare per ora quel povero malato. Ci penseremo domani!

Obbediisubito persino col pensiero che si staccò definitivamente dalmorto: "Addio! Aspettami! Ritornerò a te subito dopo!".

Eravenuta l'ora del brindisi. Giovanni aveva ottenuta la concessione dalmedico di sorbire a quell'ora un bicchiere di champagne. Gravementesorvegliò come gli versarono il vinoe rifiutò diportare il bicchiere alle labbra finché non fosse stato colmo.Dopo di aver fatto un augurio serio e disadorno ad Ada e a Guidolovuotò lentamente fino all'ultima goccia. Guardandomibiecamente mi disse che l'ultimo sorso l'aveva votato proprio allamia salute. Per annullare l'augurioche io sapevo non buonoconambe le mani sotto la tovaglia feci le corna.

Ilricordo del resto della serata è per me un poco confuso. Soche per iniziativa di Augustaa quel tavolopoco dopo si disse unmondo di bene di me citandomi quale un modello di marito. Mi fuperdonato tutto e persino mio suocero si fece più gentile.Soggiunse però che sperava che il marito di Ada si dimostrassebuono come mema anche nello stesso tempo un miglior negoziante esoprattutto una persona... e cercava la parola. Non la trovò enessuno intorno a noi la reclamò; neppure il signor Francescoche per avermi visto per la prima volta quella stessa mattinapocopoteva conoscermi. Dal canto mio non mi offesi. Come mitiga ilproprio animo il sentimento di avere dei grossi torti da riparare!Accettavo con grato animo tutte le insolenze a patto fosseroaccompagnate da quell'affetto che non meritavo.

Enella mia menteconfusa dalla stanchezza e dal vinosereno deltuttoaccarezzai la mia immagine di buon marito che non diviene menobuono per essere adultero. Bisognava essere buonibuonibuonie ilresto non importava. Mandai con la mano un bacio ad Augusta che loaccolse con un sorriso riconoscente.

Poivi fu a quel tavolo chi volle approfittare della mia ebbrezza perridere e fui costretto di dire un brindisi. Avevo finito conl'accettare perché in quel momento mi pareva che sarebbe statauna cosa decisiva di poter fare così in pubblico dei buonipropositi. Non che io dubitassi in quel momento di meperchémi sentivo proprio quale ero stato descrittoma sarei divenuto anchemigliore quando avessi affermato un proposito dinanzi a tante personeche in certo modo l'avrebbero sottoscritto.

Edè così che nel brindisi parlai solo di me e di Augusta.Feci per la seconda volta in quei giorni la storia del miomatrimonio. L'avevo falsificata per Carla tacendo del mioinnamoramento per mia moglie; qui la falsificai altrimenti perchénon parlai delle due persone tanto importanti nella storia del miomatrimoniocioè Ada e Alberta. Raccontai le mie esitazioni dicui non sapevo consolarmi perché m'avevano derubato di tantotempo di felicità. Poiper cavalleriaattribuii anche adAugusta delle esitazioni. Ma essa negò ridendo vivacemente.

Ritrovaiil filo del discorso con qualche difficoltà. Raccontai comefinalmente fossimo arrivati al viaggio di nozze e come avessimo fattoall'amore in tutti i musei d'Italia. Ero tanto bene immerso fino alcollo nella menzogna che vi cacciai dentro anche quel dettagliobugiardo che non serviva ad alcuno scopo. Eppoi si dice che nel vinoci sia la verità.

Augustam'interruppe una seconda volta per mettere le cose a posto e raccontòcome essa avesse dovuto evitare i musei per il pericolo chepercausa miacorrevano i capolavori. Non s'accorgeva che cosìrivelava non la falsità di quel particolare soltanto! Se cifosse stato a quel tavolo un osservatoreavrebbe presto fatto ascoprire di quale natura fosse quell'amore ch'io prospettavo in unambiente ove non aveva potuto svolgersi.

Ripresiil lungoslavato discorso raccontando l'arrivo in casa nostra e comeambedue ci fossimo messi a perfezionarla facendo questo e quello efra altro anche una lavanderia.

SempreridendoAugusta m'interruppe di nuovo:

-Questa non è mica una festa data in nostro onorema in onoredi Ada e Guido! Parla di loro!

Tuttiannuirono rumorosamente. Risi anch'io accorgendomi che per opera miasi era arrivati ad una vera lietezza rumorosa quale è diprammatica in simili occasioni. Ma non trovai più nulla dadire. Mi pareva di aver parlato per ore. Ingoiai vari altri bicchieridi vino uno dopo l'altro:

-Questo per Ada! - Mi rizzai per un momento per vedere se essa avessefatte le corna sotto la tovaglia.

-Questo per Guido! - e aggiunsidopo aver tracannato il vino:

-Di tutto cuore! - obliando che al primo bicchiere non era stataaggiunta tale dichiarazione.

-Questo per il vostro figliolo maggiore!

Ene avrei bevuti parecchi di quei bicchieri per i loro figliuolisenon ne fossi stato finalmente impedito.

Perquei poveri innocenti io avrei bevuto tutto il vino che si trovava suquel tavolo.

Poitutto divenne anche più oscuro. Chiaramente ricordo una cosasola: la mia principale preoccupazione era di non apparire ubriaco.Mi tenevo eretto e parlavo poco. Diffidavo di me stessosentivo ilbisogno di analizzare ogni parola prima di dirla. Mentre il discorsogenerale si svolgevaio dovevo rinunziare a prendervi parte perchénon mi si lasciava il tempo di chiarire il mio torbido pensiero.Volli iniziare un discorso io stesso e dissi a mio suocero:

-Hai sentito che l'Extérieur è caduto di duepunti?

Avevodetto una cosa che non mi concerneva affatto e che avevo sentita direin Borsa; volevo solo parlare di affariroba seria di cui unubbriaco di solito non si ricorda. Ma pare che per mio suocero lacosa fosse meno indifferente e mi diede del corvo dalle male nuove.Con lui non ne indovinavo una.

Allorami occupai della mia vicinaAlberta. Si parlò di amore. A leiinteressava in teoria e a meper il momentonon interessava affattoin pratica. Perciò era bello parlarne. Mi domandò delleidee ed io ne scopersi subito una che mi parve risultare evidentedalla mia esperienza della giornata stessa. Una donna era un oggettoche variava di prezzo ben più di qualunque valore di Borsa.Alberta mi fraintese e credette che io volessi dire una cosa saputada tutticioè che una donna di una certa età avevatutt'altro valore che ad un'altra. Mi spiegai più chiaramente:una donna poteva avere un alto valore ad una certa ora della mattinanessunissimo a mezzodìper valere nel pomeriggio il doppioche alla mattina e finire alla sera con un valore addiritturanegativo. Spiegai il concetto di valore negativo: una donna avevatale valore quando un uomo calcolava quale somma sarebbe pronto dipagare per mandarla molto ma molto lontano da lui.

Tuttaviala povera commediografa non vedeva la giustezza della mia scopertamentre ioricordando il movimento di valore che quel giorno stessoavevano subito Carla e Augustane ero sicuro. Intervenne il vinoquando volli spiegarmi meglio e deviai assolutamente:

-Vedi- le dissi - supponendo che tu ora abbia il valore di X e mipermetta di premere il tuo piedino col miotu aumenti immediatamentealmeno di un altro X.

Accompagnaisubito alle parole l'atto.

Rossarossa ella sottrasse il piede evolendo apparire spiritosadisse:

-Ma questa è pratica e non più teoria. Me ne appelleròad Augusta.

Devoconfessare che anch'io sentivo quel piedino ben altrimenti cheun'arida teoriama protestai gridando con l'aria più candidadel mondo:

-È pura teoriapurissimaed è male da parte tua disentirla altrimenti.

Lefantasie del vino sono veri avvenimenti.

Perlungo tempo io ed Alberta non dimenticammo che io avevo toccato unaparte del suo corpo avvisandola che lo facevo per goderne. La parolaaveva rilevato l'atto e l'atto la parola. Finché essa non sisposò ebbe per me un sorriso e un rossorepoiinvecerossore ed ira. Le donne son fatte così. Ogni giorno che sorgeporta loro una nuova interpretazione del passato.

Dev'essereuna vita poco monotona la loro. Da meinvecel'interpretazione diquel mio atto fu sempre la stessa: il furto di piccolo oggetto dalsapore intenso e fu colpa di Alberta se in certa epoca cercai di farricordare quell'atto mentre invece più tardi avrei pagatoqualche cosa perché fosse dimenticato del tutto.

Ricordoanche che prima di lasciare quella casa avvenne un'altra cosa e benpiù grave. Restaiper un istantesolo con Ada. Giovanni siera coricato da tempo e gli altri prendevano congedo dal signorFrancesco che andava all'albergo accompagnato da Guido. Io guardaiAda lungamente vestita tutta di pizzi bianchile spalle e le braccianude. Restai lungamente muto benché sentissi il bisogno didirle qualche cosa; madopo analizzatasopprimevo qualunque fraseche mi venisse alle labbra. Ricordo che analizzai anche se mi fossestato permesso di dirle: "Come mi fa piacere che finalmente tisposi e sposi il mio grande amico Guido. Ora appena sarà tuttofinito fra di noi. " Volevo dire una bugia perché tuttisapevano che fra di noi tutto era finito da varii mesima mi parevache quella bugia fosse un bellissimo complimento ed è certoche una donnavestita cosìdomanda complimenti e se necompiace. Però dopo lunga riflessione non ne feci nulla.Soppressi quelle parole perché nel mare di vino in cuinuotavotrovai una tavola che mi salvò. Pensai che avevotorto di rischiare l'affetto di Augusta per fare un piacere ad Adache non mi voleva bene. Manel dubbio che per qualche istante miturbò la menteeppoi anche quando con uno sforzo da quelleparole mi staccaidiedi ad Ada una tale occhiata ch'essa si alzòe uscì dopo di essersi voltata a sorvegliarmi con spaventopronta forse di mettersi a correre.

Ancheuna propria occhiata si ricorda quanto e forse meglio di una parola;è più importante di una parola perché non v'èin tutto il vocabolario una parola che sappia spogliare una donna. Ioso ora che quella mia occhiata falsò le parole che avevoideatesemplificandole. Essa per gli occhi di Adaaveva tentato dipenetrare al di là dei vestiti e anche della sua epidermide. Eaveva certamente significato: "Vuoi venire intanto subito aletto con me?". Il vino è un grande pericolo specieperché non porta a galla la verità. Tutt'altro che laverità anzi: rivela dell'individuo specialmente la storiapassata e dimenticata e non la sua attuale volontà; gettacapricciosamente alla luce anche tutte le ideuccie con le quali inepoca più o meno recente ci si baloccò e che si èdimenticate; trascura le cancellature e legge tutto quello ch'èancora percettibile nel nostro cuore. E si sa che non v'è mododi cancellarvi niente tanto radicalmentecome si fa di un giroerrato su di una cambiale. Tutta la nostra storia vi è sempreleggibile e il vino la gridatrascurando quello che poi la vita viaggiunse.

Perandare a casaAugusta ed io prendemmo una vettura. Nell'oscuritàmi parve fosse mio dovere di baciare e abbracciare mia moglie perchéin simili incontri molte volte avevo usato così e temevo chese non l'avessi fattoessa avrebbe potuto pensare che fra di noi cifosse qualche cosa di mutato.

Nonv'era nulla di cambiato fra di noi: il vino gridava anche questo!Ella aveva sposato Zeno Cosini cheimmutatole stava accanto. Checosa importava se quel giorno io avevo possedute delle altre donne dicui il vinoper rendermi più lietoaumentava il numeroponendo fra di esse non so più se Ada o Alberta?

Ricordocheaddormentandomirividi per un istante la faccia marmorea delCopler sul letto di morte. Pareva domandasse giustiziacioèle lacrime ch'io gli avevo promesse. Ma non le ebbe neppure alloraperché il sonno mi abbracciò annientandomi. Prima peròmi scusai col fantasma: "Aspetta ancora per poco. Sono subitocon te!". Con lui non fui piùgiammaiperché nonassistetti neppure al suo funerale. Avevamo tanto da fare in casa edio anche fuoriche non ci fu tempo per lui. Se ne parlòtalvoltama solo per ridere ricordando che il mio vino l'aveva tantevolte ammazzato e fatto risuscitare. Anzi egli restòproverbiale in famiglia e quando i giornalicome avviene spessoannunziano e smentiscono la morte di qualcunonoi diciamo: "Comeil povero Copler".

Lamattina dopo mi levai con un po' di male di testa. Mi affannòun poco il mio dolore al fiancoprobabilmente perchéfinchéera durato l'effetto del vinonon lo avevo sentito affatto e subitone avevo perduta l'abitudine. Ma in fondo non ero triste. Augustacontribuì alla mia serenità dicendomi che sarebbe statomale se io non fossi andato a quella cena di nozzeperchéprima del mio arrivo le era sembrato di assistere ad un mortorio. Nonavevo dunque da aver rimorso del mio contegno. Poi sentii che unacosa sola non mi era stata perdonata: l'occhiataccia ad Ada!

Quandoc'incontrammo nel pomeriggioAda mi porse la mano con un'ansietàche aumentò la mia. Forse però le pesava sullacoscienza quella sua fuga ch'era stata tutt'altro che gentile. Maanche la mia occhiata era stata una gran brutta azione. Ricordavoesattamente il movimento del mio occhio e capivo come non sapessedimenticare chi ne era stato trafitto. Bisognava riparare con uncontegno accuratamente fraterno.

Sidice che quando si soffre per aver bevuto tropponon ci sia migliorcura che di berne dell'altro. Ioquella mattinaandai a rianimarmida Carla. Andai da lei proprio col desiderio di vivere piùintensamente ed è quello che riconduce all'alcoolmacamminando verso di leiavrei desiderato ch'essa m'avesse fornitatutt'altra intensità di vita del giorno prima. Miaccompagnavano dei propositi poco precisi ma tutti onesti. Sapevo dinon poter abbandonarla subitoma potevo avviarmi a quell'atto tantomorale pian pianino. Intanto avrei continuato a parlarle di miamoglie. Senza sorprenderseneun bel giorno essa avrebbe saputocom'io amassi mia moglie. Avevo nella mia giubba un'altra busta condel denaro per essere pronto ad ogni evenienza.

Arrivaida Carlae un quarto d'ora dopo essa mi rimproverò con unaparola che per la sua giustezza lungamente mi risonòall'orecchio: "Come sei rudetuin amore!". Non sonoconscio di essere stato rude proprio allora. Avevo cominciato aparlarle di mia mogliee le lodi tributate ad Augusta erano risonateall'orecchio di Carla come tanti rimproveri rivolti a lei.

 

Poifu Carla che mi ferì. Per passare il tempole avevoraccontato come mi fossi seccato al banchettospecie per un brindisiche avevo detto e ch'era stato assolutamente spropositato. Carlaosservò:

-Se tu amassi tua moglie non sbaglieresti i brindisi al tavolo di suopadre.

Emi diede anche un bacio per rimeritarmi del poco amore che portavo amia moglie.

Intantolo stesso desiderio d'intensificare la mia vitache m'aveva trattoda Carlam'avrebbe riportato subito da Augustach'era la sola concui avrei potuto parlare del mio amore per lei. Il vino preso comecura era già di troppo o volevo oramai tutt'altro vino. Maquel giorno la mia relazione con Carla doveva ingentilirsicoronarsifinalmente di quella simpatia che - come seppi più tardi - lapovera giovinetta meritava. Essa più volte m'aveva offerto dicantarmi una canzonettadesiderosa di avere il mio giudizio. Ma ionon avevo voluto saperne di quel canto di cui non m'importava nemmenopiù l'ingenuità. Le dicevo che giacché essarifiutava di studiarenon valeva la pena di cantare più.

Lamia era proprio una grave offesa ed essa ne sofferse. Seduta accantoa meper non farmi vedere le sue lacrime essa guardava immota lemani che teneva intrecciate in grembo. Ripeté il suorimprovero:

-Come devi essere rude con chi non amise lo sei tanto con me!

Buondiavolo come sonomi lasciai intenerire da quelle lacrime e pregaiCarla di squarciarmi le orecchie con la sua grande voce nel piccoloambiente. Essa ora se ne schermiva e dovetti persino minacciare diandarmene se non fossi stato compiaciuto. Devo riconoscere che misembrò per un istante anche di aver trovato un pretesto perriconquistare almeno temporaneamente la mia libertàmaallaminacciala mia umile serva si recò con gli occhi bassi asedere al pianoforte. Dedicò poi un istante breve breve alraccoglimento e si passò la mano sul viso quasi a scacciarneogni nube. Vi riuscì con una prontezza che mi sorprese e lasua facciaquando fu scoperta da quella manonon ricordava affattoil dolore di prima.

Ebbisubito una grande sorpresa. Carla diceva la sua canzonettalaraccontavanon la gridava. Le grida - come essa poi mi disse - leerano state imposte dal suo maestro; ora le aveva congedate insieme alui. La canzonetta triestina:

Fazzol'amor xe vero

Cossaghe xe de mal

Volèche a sedes'ani

Stiolà come un cocal...

èuna specie di racconto o di confessione. Gli occhi di Carlabrillavano di malizia e confessavano anche più delle parole.Non c'era paura di sentirsi leso il timpano ed io m'avvicinai a leisorpreso e incantato. Sedetti accanto a lei ed essa allora raccontòla canzonetta proprio a mesocchiudendo gli occhi per dirmi con lanota più lieve e più pura che quei sedici anni volevanola libertà e l'amore.

Perla prima volta vidi esattamente la faccina di Carla: un ovalepurissimo interrotto dalla profonda e arcuata incavatura degli occhie degli zigomi tenuireso anche più puro da un biancoreniveoora ch'essa teneva la faccia rivolta a me e alla luceeperciò non offuscata da alcun'ombra.

Equelle linee dolci in quella carne che pareva trasparentee celavatanto bene il sangue e le vene forse troppo deboli per poterappariredomandavano affetto e protezione.

Oraero pronto di accordarle tanto affetto e protezioneincondizionatamenteed anche nel momento in cui mi sarei sentitotanto disposto di ritornare ad Augustaperché essa in quelmomento non domandava che un affetto paterno che potevo concederesenza tradire. Quale soddisfazione! Restavo là con Carlaleaccordavo quello che la sua faccina ovale domandava e non miallontanavo da Augusta! Il mio affetto per Carla si ingentilì.Da alloraquando sentivo il bisogno di onestà e purezzanonoccorse più abbandonarlama potei restare con lei e cambiarediscorso.

Questanuova dolcezza era dovuta alla sua faccina ovale ch'io allora avevoscoperto o al suo talento musicale? Innegabile il talento! La stranacanzonetta triestina finisce con una strofe in cui la stessagiovinetta proclama di essere vecchia e malandata e che oramai non hapiù bisogno di altra libertà che di morire. Carlacontinuava a profondere malizia e lietezza nel verso povero. Eratuttavia la giovinezza che si fingeva vecchia per proclamare meglioda quel nuovo punto di vista il suo diritto.

Quandoterminò e mi trovò in piena ammirazioneanch'essa perla prima volta oltre che amarmi mi volle veramente bene. Sapeva che ame quella canzonetta sarebbe piaciuta di più del canto che leinsegnava il suo maestro:

-Peccato - aggiunse con tristezza- che se non si vuole andare peicafés chantantsnon si possa trarre da ciòil necessario per vivere.

Laconvinsi facilmente che le cose non stavano così. V'erano aquesto mondo molte grandi artiste che dicevano e non cantavano.

Essasi fece dire dei nomi. Era beata di apprendere quanto importanteavrebbe potuto divenire la sua arte.

-Io so - aggiunse ingenuamente- che questo canto è ben piùdifficile dell'altro per il quale basta gridare a perdifiato.

Iosorrisi e non discussi. La sua arte era anch'essa certamentedifficile ed essa lo sapeva perché era quella la sola arte checonoscesse. Quella canzonetta le era costata uno studio lunghissimo.L'aveva detta e ridetta correggendo l'intonazione di ogni paroladiogni nota. Adesso ne studiava un'altrama l'avrebbe saputa soltantodi lì a qualche settimana. Prima non voleva farla sentire.

Seguironodei momenti deliziosi in quella stanza ove fino ad allora non s'eranosvolte che delle scene di brutalità. Ecco che a Carla s'aprivaanche una carriera. La carriera che m'avrebbe liberato di lei. Moltosimile a quella che per lei aveva sognato il Copler! Le proposi ditrovarle un maestro. Essa dapprima si spaventò della parolama poi si lasciò convincere facilmente quando le dichiarai chesi poteva provaree ch'essa sarebbe rimasta libera di congedarloquando le fosse sembrato noioso o poco utile.

Anchecon Augusta mi trovai quel giorno molto bene. Avevo l'animotranquillo come se fossi ritornato da una passeggiata e non dallacasa di Carla o come avrebbe dovuto averlo il povero Copler quandoabbandonava quella casa nei giorni in cui non gli avevano dato motivoad arrabbiarsi.

Negodetti come se fossi giunto a un'oasi. Per me e per la mia salutesarebbe stato gravissimo se tutta la mia lunga relazione con Carla sifosse svolta in un'eterna agitazione. Da quel giornocome risultatodella bellezza esteticale cose si svolsero più calme con lelievi interruzioni necessarie a rianimare tanto il mio amore perCarlaquanto quello per Augusta. Ogni mia visita a Carla significavabensì un tradimento per Augustama tutto era prestodimenticato in un bagno di salute e di buoni propositi. Ed il buonproposito non era brutale ed eccitante come quando avevo nellastrozza il desiderio di dichiarare a Carla che non l'avrei rivistamai più. Ero dolce e paterno: ecco che di nuovo io pensavoalla sua carriera. Abbandonare ogni giorno una donna per correrledietro il giorno appressosarebbe stata una fatica a cui il miopovero cuore non avrebbe saputo reggere. CosìinveceCarlarestava sempre in mio potere ed io l'avviavo ora in una direzione edora in un'altra.

Perlungo tempo i propositi buoni non furono tanto forti da indurmi acorrere per la città in cerca del maestro che avrebbe fattoper Carla. Mi baloccavo col proposito buonorestando sempre seduto.Poi un bel giorno Augusta mi confidò che si sentiva madre edallora il mio proposito per un istante ingigantì e Carla ebbeil suo maestro.

Avevoesitato tanto anche perché era evidente cheanche senzamaestroCarla aveva saputo avviarsi ad un lavoro veramente serionella sua nuova arte. Ogni settimana essa sapeva dirmi una canzonettanuovaanalizzata accuratamente nell'atteggiamento e nella parola.Certe note avrebbero abbisognato di essere levigate un pocoma forseavrebbero finito con l'affinarsi da sé. Una prova decisiva cheCarla era una vera artistaio l'avevo nel modo com'essa perfezionavacontinuamente le sue canzonette senza mai rinunziare alle cosemigliori ch'essa aveva saputo far sue di prim'acchito. La indussispesso a ridirmi il suo primo lavoro e vi trovavo aggiunto ogni voltaqualche accento nuovo ed efficace. Data la sua ignoranzaerameraviglioso che nel grande sforzo di scoprire una forte espressionenon le fosse mai capitato di cacciare nella canzonetta dei suonifalsi o esagerati. Da vera artistaessa aggiungeva ogni giorno unapietruccia al piccolo edificioe tutto il resto restava intatto. Nonla canzonetta era stereotipatama il sentimento che la dettava.Carlaprima di cantaresi passava sempre la mano sulla faccia edietro quella mano si creava un istante di raccoglimento che bastavaa piombarla nella commediola ch'essa doveva costruire. Una commedianon sempre puerile. Il mentore ironico di Rosina te xe nata in uncasoto minacciavama non troppo seriamente. Pareva che lacantante avvertisse di sapere ch'era la storia di ogni giorno. Ilpensiero di Carla era un altroma finiva con l'arrivare allo stessorisultato:

-La mia simpatia è per Rosina perché altrimenti lacanzonetta non meriterebbe di essere cantata- essa diceva.

Avvennequalche volta che Carla inconsapevolmente riaccendesse il mio amoreper Augusta e il mio rimorso. Infatti ciò si avveròogni qualvolta ella si permise dei movimenti offensivi contro laposizione tanto solidamente occupata da mia moglie.

Erasempre vivo il suo desiderio di avermi tutto suo per una notteintera; mi confidò che le pareva cheper non avere maidormito uno accanto all'altrofossimo meno intimi. Volendo abituarmiad essere più dolce con leinon mi rifiutai risolutamente dicompiacerlama quasi sempre pensai che non sarebbe stato possibiledi fare una cosa simile a meno che non mi fossi rassegnato di trovarealla mattina Augusta ad una finestra donde m'avesse aspettato lanotte intera. Eppoinon sarebbe stato questo un nuovo tradimento amia moglie? Talvoltacioè quando correvo a Carla pieno didesideriomi sentivo propenso di accontentarlama subito dopo nevedevo l'impossibilità e la sconvenienza. Ma così nonsi arrivò per lungo tempo né ad eliminare laprospettiva della cosa né a realizzarla. Apparentemente si erad'accordo: prima o poi avremmo passata una notte intera insieme.Intanto ora ce n'era la possibilità perché io avevoindotto le Gerco di congedare quegl'inquilini che tagliavano la lorocasa in due partie Carla aveva finalmente la sua camera da letto.

Oraavvenne che poco dopo le nozze di Guidomio suocero fu colto daquella crisi che doveva ucciderlo ed io ebbi l'imprudenza diraccontare a Carla che mia moglie doveva passare una notte alcapezzale di suo padre per concedere un riposo a mia suocera. Non cifu più il caso di esimermi: Carla pretese che passassi con leiquella stessa notte ch'era tanto dolorosa per mia moglie. Non ebbi ilcoraggio di ribellarmi a tale capriccio e mi vi acconciai col cuorepesante.

Mipreparai a quel sacrificio. Non andai da Carla alla mattina e cosìcorsi da lei alla sera con pieno desiderio dicendomi anche ch'erainfantile di credere di tradire più gravemente Augusta perchéla tradivo in un momento in cui essa per altre cause soffriva. Perciòarrivai persino a spazientirmi perché la povera Augusta mitratteneva per spiegarmi come avessi dovuto movermi per avere prontele cose di cui potevo aver bisogno a cenaper la notte ed anche peril caffè della mattina dopo.

Carlam'accolse nello studio. Poco dopo colei ch'era sua madre e serva ciservì una cenetta squisita a cui io aggiunsi i dolci che avevoportati con me. La vecchia ritornò poi per sparecchiare ed ioveramente avrei voluto coricarmi subitoma era veramente ancoratroppo di buon'ora e Carla m'indusse di starla a sentir cantare. Essapassò tutto il suo repertorio e fu quella certamente la partemigliore di quelle oreperché l'ansietà con cuiaspettavo la mia amanteandava ad aumentare il piacere che semprem'aveva data la canzonetta di Carla.

-Un pubblico ti coprirebbe di fiori e d'applausi - le dichiarai ad uncerto momento dimenticando che sarebbe stato impossibile di metteretutto un pubblico nello stato d'animo in cui mi trovavo io.

Cicoricammo infine nello stesso letto in una stanzuccia piccola e deltutto disadorna. Pareva un corridoio stroncato da una parete. Nonavevo ancora sonno e mi disperavo al pensiero chese ne avessiavutonon avrei potuto dormire con tanta poca aria a miadisposizione.

Carlafu chiamata dalla voce timida di sua madre.

Essaper rispondereandò all'uscio e lo socchiuse. La sentii comecon voce concitata domandava alla vecchia che cosa volesse.Timidamente l'altra disse delle parole di cui non percepii il senso eallora Carla urlò prima di sbattere l'uscio in faccia allamadre:

-Lasciami in pace. T'ho già detto che per questa notte dormo diqua!

Cosìappresi che Carlatormentata di notte dalla pauradormiva semprenella sua antica stanza da letto con la madreove aveva un altrolettomentre quello sul quale dovevamo dormire insieme restavavuoto. Era certamente per paura ch'essa m'aveva indotto di farequella partaccia ad Augusta. Confessò con una maliziosaallegria cui non partecipaiche con me si sentiva più sicurache con sua madre. Mi diede da pensare quel letto in prossimitàdi quella stanza da studio solitaria. Non l'avevo mai visto prima.Ero geloso! Poco dopo fui sprezzante anche per il contegno che Carlaaveva avuto con quella sua povera madre. Era fatta un po'differentemente di Augusta che aveva rinunziato alla mia compagniapur di assistere i suoi genitori. Io sono specialmente sensibile amancanze di riguardo verso i proprii genitoriioche avevosopportato con tanta rassegnazione le bizze del mio povero padre.

Carlanon poté accorgersi né della mia gelosia né delmio disprezzo. Soppressi le manifestazioni di gelosia ricordando comenon avessi alcun diritto ad essere geloso visto che passavo buonaparte delle mie giornate augurandomi che qualcuno mi portasse via lamia amante. Non v'era neppure alcuno scopo di far vedere il miodisprezzo alla povera giovinetta ormai che già mi baloccavo dinuovo col desiderio di abbandonarla definitivamentee quantunque ilmio sdegno fosse ora ingrandito anche dalle ragioni che poco primaavrebbero provocata la mia gelosia. Quello che occorreva era diallontanarsi al più presto da quella piccola stanzuccia noncontenente di più di un metro cubo di ariaper soprappiùcaldissima.

Nonricordo neppure bene il pretesto che addussi per allontanarmi subito.Affannosamente mi misi a vestirmi. Parlai di una chiave che avevodimenticato di consegnare a mia moglie per cui essase le fosseoccorsonon avrebbe potuto entrare in casa. Feci vedere la chiaveche non era altra che quella che io avevo sempre in tascama che fupresentata come la prova tangibile della verità delle mieasserzioni. Carla non tentò neppure di fermarmi; si vestìe m'accompagnò fin giù per farmi luce. Nell'oscuritàdelle scalemi parve ch'essa mi squadrasse con un'occhiatainquisitrice che mi turbò: cominciava essa a intendermi? Nonera tanto facilevisto ch'io sapevo simulare troppo bene. Perringraziarla perché mi lasciava andarecontinuavo di tempo intempo ad applicare la mie labbra sulle sue guancie e simulavo diessere pervaso tuttavia dallo stesso entusiasmo che m'aveva condottoda lei. Non ebbi poi ad avere alcun dubbio della buona riuscita dellamia simulazione. Poco primacon un'ispirazione d'amoreCarlam'aveva detto che il brutto nome di Zenoche m'era stato appioppatodai miei genitorinon era certamente quello che spettava alla miapersona.

Essaavrebbe voluto ch'io mi chiamassi Dario e lìnell'oscuritàsi congedò da me appellandomi così. Poi s'accorse cheil tempo era minaccioso e m'offerse di andar a prendere per me unombrello. Ma io assolutamente non potevo sopportarla piùoltree corsi via tenendo sempre quella chiave in mano nella cuiautenticità cominciavo a credere anch'io.

L'oscuritàprofonda della notte veniva interrotta di tratto in tratto dabagliori abbacinanti. Il mugolio del tuono pareva lontanissimo.L'aria era ancora tranquilla e soffocante quanto nella stessastanzetta di Carla. Anche i radi goccioloni che cadevano eranotiepidi. In altoevidentec'era la minaccia ed io mi misi acorrere. Ebbi la ventura di trovare in Corsia Stadion un portoneancora aperto e illuminato in cui mi rifugiai proprio a tempo! Subitodopo il nembo s'abbatté sulla via. Lo scroscio di pioggia fuinterrotto da una ventata furiosa che parve portasse con séanche il tuono tutt'ad un tratto vicinissimo. Trasalii! Sarebbe statoun vero compromettermi se fossi stato ammazzato dal fulmineaquell'orain Corsia Stadion! Meno male ch'ero noto anche a miamoglie come un uomo dai gusti bizzarri che poteva correre fin làdi notte e allora c'è sempre la scusa a tutto.

Dovettirimanere in quel portone per più di un'ora. Pareva sempre cheil tempo volesse mitigarsima subito riprendeva il suo furore semprein altra forma. Ora grandinava.

Eravenuto a tenermi compagnia il portinaio della casa e dovettiregalargli qualche soldo perché ritardasse la chiusura delportone. Poi entrò nel portone un signore vestito di bianco egrondante d'acqua. Era vecchiomagro e secco. Non lo rividi mai piùma non so dimenticarlo per la luce del suo occhio nero e perl'energia ch'emanava da tutta la sua personcina. Bestemmiava peressere stato infradiciato a quel modo.

Ame è sempre piaciuto d'intrattenermi con la gente che nonconosco. Con loro mi sento sano e sicuro. È addirittura unriposo. Devo stare attento di non zoppicaree sono salvo.

Quandofinalmente il tempo si mitigòio mi recai subito non a casamiama da mio suocero. Mi pareva in quel momento di dover correresubito all'appello e vantarmi di esservi.

Miosuocero s'era addormentato e Augustach'era aiutata da una suorapoté venire da me. Essa disse che avevo fatto bene di venire esi gettò piangente fra le mie braccia. Aveva visto soffriresuo padre orrendamente.

S'accorsech'ero tutto bagnato. Mi fece adagiare in una poltrona e mi copersecon delle coperte. Poi per qualche tempo poté restarmiaccanto. Io ero molto stanco e anche nel breve tempo in cui essa potérestare con melottai col sonno. Mi sentivo molto innocente perchéintanto non l'avevo tradita restando lontano dal domicilio coniugaleper tutta una notte. Era tanto bella l'innocenza che tentai diaumentarla. Incominciai a dire delle parole che somigliavano ad unaconfessione. Le dissi che mi sentivo debole e colpevole evisto chea questo punto essa mi guardò domandando delle spiegazionisubito ritirai la testa nel guscio egettandomi nella filosofialeraccontai che il sentimento della colpa io l'avevo ad ogni miopensieroad ogni mio respiro.

 

-Così pensano anche i religiosi- disse Augusta; - chissàche non sia per le colpe che ignoriamo che veniamo puniti così!

Dicevadelle parole adatte ad accompagnare le sue lacrime che continuavano ascorrere. A me parve ch'essa non avesse ben compresa la differenzache correva fra il mio pensiero e quello dei religiosima non vollidiscutere e al suono monotono del vento che s'era rinforzatocon latranquillità che mi dava anche quel mio slancio allaconfessionem'addormentai di un lungo sonno ristoratore.

Quandovenne la volta del maestro di cantotutto fu regolato in poche ore.Io da tempo l'avevo sceltoeper dire il verom'ero arrestato alsuo nomeprima di tutto perché era il maestro più abuon mercato di Trieste. Per non compromettermifu Carla stessa cheandò a parlare con lui. Io non lo vidi maima devo dire cheoramai so molto di lui ed è una delle persone che piùstimo a questo mondo. Dev'essere un semplicione sano ciò che èstrano per un artista che viveva per la sua artecome questoVittorio Lali. Insomma un uomo invidiabileperché geniale eanche sano.

Intantosentii subito che la voce di Carla s'ammorbidì e divenne piùflessibile e più sicura. Noi avevamo avuto paura che ilmaestro le avesse imposto uno sforzo come aveva fatto quello sceltodal Copler. Forse egli s'adattò al desiderio di Carlama stadi fatto che restò sempre nel genere da lei prediletto. Solomolti mesi dopo essa s'accorse di essersene lievemente allontanataaffinandosi. Non cantava più le canzonette triestine e poineppure le napoletanema era passata ad antiche canzoni italiane e aMozart e Schubert. Ricordo specialmente una "Ninna nanna"attribuita al Mozarte nei giorni in cui sento meglio la tristezzadella vita e rimpiango l'acerba fanciulla che fu mia e che io nonamaila "Ninna nanna" mi echeggia all'orecchio come unrimprovero. Rivedo allora Carla travestita da madre che trae dal suoseno i suoni più dolci per conquistare il sonno al suobambino. Eppure essach'era stata un'amante indimenticabilenonpoteva essere una buona madredato ch'era una cattiva figlia. Ma sivede che saper cantare da madre è una caratteristica che copreogni altra.

DaCarla seppi la storia del suo maestro. Egli aveva fatto qualche annodi studii al Conservatorio di Vienna ed era poi venuto a Trieste oveaveva avuto la fortuna di lavorare per il nostro maggiore compositorecolpito da cecità. Scriveva le sue composizioni sottodettaturama ne aveva anche la fiduciache i ciechi devonoconcedere intera. Così ne conobbe i propositile convinzionitanto mature e i sogni sempre giovanili. Presto egli ebbe nell'animatutta la musicaanche quella che occorreva a Carla. Mi fu descrittoanche il suo aspetto; giovinebiondopiuttosto robustodal vestireneglettouna camicia molle non sempre di bucatouna cravatta chedoveva essere stata neraabbondante e scioltaun cappello a cenciodalle falde spropositate. Di poche parole - a quanto mi diceva Carlae devo crederle perché pochi mesi appresso con lei si fececiarliero ed essa me lo disse subito- e tutt'intento al compito ches'era assunto.

 

Benpresto la mia giornata subì delle complicazioni. Alla mattinaportavo da Carla oltre che amore anche un'amara gelosiache divenivamolto meno amara nel corso della giornata. Mi pareva impossibile chequel giovinotto non approfittasse della buonafacile preda. Carlapareva stupita ch'io potessi pensare una cosa similema io lo eroaltrettanto al vederla stupita. Non ricordava più come le cosesi erano svolte fra me e lei?

Ungiorno arrivai a lei furibondo di gelosia ed essa spaventata sidichiarò subito pronta di congedare il maestro. Io non credoche il suo spavento fosse prodotto solo dalla paura di vedersiprivata del mio appoggioperché in quell'epoca io ebbi da leidelle manifestazioni di affetto di cui non posso dubitare e che allevolte mi resero beatomentrequando mi trovavo in altro statod'animomi seccarono sembrandomi atti ostili ad Augusta ai qualieper quanto mi costasseero obbligato d'associarmi. La sua propostam'imbarazzò. Che mi trovassi nel momento dell'amore o delpentimentoio non volevo accettare un suo sacrificio. Doveva puresserci qualche comunicazione fra' miei due stati d'essere ed io nonvolevo diminuire la mia già scarsa libertà di passaredall'uno all'altro. Perciò non sapevo accettare una taleproposta che invece mi rese più cauto così che anchequando ero esasperato dalla gelosiaseppi celarla. Il mio amore sifece più iroso e finì che quando la desideravo e anchequando non la desideravo affattoCarla mi sembrò un essereinferiore. Mi tradiva o di lei non m'importava nulla. Quando nonl'odiavo non ricordavo che ci fosse. Io appartenevo all'ambiente disalute e di onestà in cui regnava Augusta a cui ritornavosubito col corpo e l'anima non appena Carla mi lasciava libero.

Datal'assoluta sincerità di Carlaio so esattamente per quantolunghissimo tempo essa fu tutta miae la mia gelosia ricorrente diallora non può essere considerata che quale una manifestazionedi un recondito senso di giustizia. Doveva pur toccarmi quello chemeritavo. Prima s'innamorò il maestro. Credo il primo sintomodel suo amore sia consistito in certe parole che Carla mi riferìcon aria di trionfo ritenendo segnassero il primo suo grande successoartistico pel quale le competesse una mia lode. Egli le avrebbe dettoche oramai s'era tanto affezionato al suo compito di maestro cheseessa non avesse potuto pagarloegli avrebbe continuato ad impartirlegratuitamente le sue lezioni. Io le avrei dato uno schiaffoma vennepoi il momento in cui potei pretendere di saper gioire di quel suovero trionfo. Essa poi dimenticò il crampo che alla primaaveva colto tutta la mia faccia come di chi ficca i denti in unlimone e accettò serena la lode tardiva. Egli le avevaraccontati tutti gli affari proprii che non erano molti: musicamiseria e famiglia. La sorella gli aveva dati dei grandi dispiaceried egli aveva saputo comunicare a Carla una grande antipatia perquella donna ch'essa non conosceva. Quell'antipatia mi parve moltocompromettente. Cantavano ora insieme delle canzoni sue che miparvero povera cosa tanto quando amavo Carla quanto allorchéla sentivo come una catena.

Puòtuttavia essere che fossero buone ad onta che io poi non ne abbia piùsentito parlare. Egli diresse poi delle orchestre negli Stati Uniti eforse colà si cantano anche quelle canzoni.

Maun bel giorno essa mi raccontò ch'egli le aveva chiesto didiventare sua moglie e ch'essa aveva rifiutato. Allora io passai duequarti d'ora veramente brutti: il primo quando mi sentii tanto invasodall'ira che avrei voluto aspettare il maestro per gettarlo fuori afuria di calcied il secondo quando non trovai il verso perconciliare la possibilità della continuazione della miatrescacon quel matrimonio ch'era in fondo una bella e morale cosa euna ben più sicura semplificazione della mia posizione che nonla carriera di Carla ch'essa immaginava d'iniziare in mia compagnia.

Perchéquel benedetto maestro s'era scaldato a quel modo e tanto presto?Oramaiin un anno di relazionetutto s'era attenuato fra me eCarlaanche il cipiglio mio quando l'abbandonavo. I rimorsi mieierano oramai sopportabilissimi e quantunque Carla avesse ancoraragione di dirmi rude in amorepareva ch'essa ci si fosse abituata.Ciò doveva esserle riuscito anche facileperché io nonfui mai più tanto brutale come nei primi giorni della nostrarelazione esopportato quel primo eccessoil resto dovette esserlesembrato in confronto mitissimo.

Perciòanche quando di Carla non m'importava più tantomi fu semprefacile prevedere che il giorno appresso io non sarei stato contentodi venir a cercare la mia amante e di non trovarla più. Certosarebbe stato bellissimo allora di saper ritornare ad Augusta senzail solito intermezzo con Carla ed in quel momento io me ne sentivocapacissimo; ma prima avrei voluto provare. Il mio proposito in quelmomento dev'essere stato circa il seguente: "Domani la pregheròdi accettare la proposta del maestroma oggi gliel'impedirò".E con grande sforzo continuai a comportarmi da amante. Adessodicendonedopo di aver registrate tutte le fasi della mia avventurapotrebbe sembrare ch'io facessi il tentativo di far sposare da altrila mia amante e di conservarla miaciò che sarebbe stata lapolitica di un uomo più avveduto di me e piùequilibratosebbene altrettanto corrotto. Ma non è vero: essadoveva sposare il maestroma doveva decidervisi solo la dimane. Èperciò che solo allora cessò quel mio stato ch'iom'ostino a qualificare d'innocenza. Non era più possibileadorare Carla per un breve periodo della giornata eppoi odiarla perventiquattr'ore continuee levarsi ogni mattina ignorante come unneonato a rivivere la giornatatanto simile alle precedentipersorprendersi delle avventure ch'essa apportava e che avrei dovutosapere a mente. Ciò non era più possibile. Mi siprospettava l'eventualità di perdere per sempre la mia amantese non avessi saputo domare il mio desiderio di liberarmene. Iosubito lo domai!

Edè così che quel giornoquando di lei non m'importòpiùfeci a Carla una scena d'amore che per la sua falsitàe la sua furia somigliava a quella chepreso dal vinoavevo fattoad Augusta quella notte in vettura. Solo che qui mancava il vino edio finii col commovermi veramente al suono delle mie parole.

Ledichiarai ch'io l'amavoche non sapevo più restare senza dilei e che d'altronde mi pareva di esigere da lei il sacrificio dellasua vitavisto che io non potevo offrirle niente che potesseeguagliare quanto le veniva offerto dal Lali.

Fuproprio una nota nuova nella nostra relazione che pur aveva avutotante ore di grande amore. Essa stava a sentire le mie parolebeandovisi. Molto tardi si accinse a convincermi che non era il casodi affliggersi tanto perché il Lali s'era innamorato. Essa nonci pensava affatto!

Iola ringraziaisempre col medesimo fervore che ora però nonarrivava più a commovermi. Sentivo un certo peso allo stomaco:evidentemente ero più compromesso che mai. Il mio apparentefervore invece che diminuire aumentòsolo per permettermi didire qualche parola d'ammirazione pel povero Lali. Io non volevo micaperderloio volevo salvarloma per il giorno dopo.

Quandosi trattò di risolvere se tenere o congedare il maestroandammo presto d'accordo. Io non avrei poi voluto privarla oltre chedel matrimonio anche della carriera. Anche lei confessò che alsuo maestro ci teneva: ad ogni lezione aveva la prova della necessitàdella sua assistenza. M'assicurò che potevo vivere tranquilloe fiducioso: essa amava me e nessun altro.

Evidentementeil mio tradimento s'era allargato ed esteso. M'ero attaccato alla miaamante di una nuova affettuosità che legava di nuovi legami einvadeva un territorio finora riservato solo al mio affettolegittimo. Maritornato a casa miaanche quest'affettuositànon esisteva più e si riversava aumentata su Augusta. PerCarla non avevo altro che una profonda sfiducia. Chissà checosa c'era di vero in quella proposta di matrimonio! Non mi sareimeravigliato se un bel giornosenz'aver sposato quell'altroCarlam'avesse regalato un figlio dotato di un grande talento per lamusica. E ricominciarono i ferrei propositi che m'accompagnavano daCarlaper abbandonarmi quand'ero con lei e per riprendermi quandonon l'avevo ancora lasciata. Tutta roba senza conseguenze di nessungenere.

Enon vi furono altre conseguenze da queste novità. L'estatepassò e si portò via mio suocero. Io ebbi poi un granda fare nella nuova casa commerciale di Guido ove lavorai piùche in qualunque altro luogocomprese le varie facoltàuniversitarie. Di questa mia attività dirò piùtardi. Passò anche l'inverno eppoi sbocciarono nel miogiardinetto le prime foglie verdi e queste non mi videro mai tantoaccasciato come quelle dell'anno prima. Nacque mia figlia Antonia. Ilmaestro di Carla era sempre a nostra disposizionema Carla tuttavianon ne voleva sapere affatto ed io neppureancora.

Vifurono invece delle gravi conseguenze nei miei rapporti con Carla peravvenimenti che veramente non si sarebbero creduti importanti.Passarono quasi inavvertiti e furono rilevati solo dalle conseguenzeche lasciarono.

Precisamenteagli albori di quella primaveraio dovetti accettare di andar apasseggiare con Carla al Giardino Pubblico. Mi sembrava una gravecompromissionema Carla desiderava tanto di camminare al braccio mioal soleche finii col compiacerla.

Nondoveva mai esserci concesso di vivere neppure per brevi istanti damarito e moglie ed anche questo tentativo finì male.

Pergustare meglio il nuovo improvviso tepore che veniva dal cielo nelquale sembrava il sole avesse riacquistato da poco l'imperiosedemmosu una banchina. Il giardinonelle mattine dei giorni ferialieradeserto e a me sembravache non movendomiil rischio di venirosservato fosse ancora diminuito. Inveceappoggiato con l'ascellaalla sua grucciaa passi lentima enormis'avvicinò a noiTullioquello dai cinquantaquattro muscoli esenza guardarcis'assise proprio accanto a noi. Poi levò la testail suo siscontrò nel mio sguardo e mi salutò:

-Dopo tanto tempo! Come stai? Hai finalmente meno da fare?

S'eramesso a sedere proprio accanto a me e nella prima sorpresa io mimovevo in modo da impedirgli la vista di Carla. Ma luidopo diavermi stretta la manomi domandò:

-La tua Signora?

S'aspettavadi venir presentato.

Misottomisi:

-La signorina Carla Gercoun'amica di mia moglie.

Poicontinuai a mentire e so da Tullio stesso che la seconda menzognabastò a rivelargli tutto. Con un sorriso forzatodissi:

-Anche la signorina sedette a questo banco per caso accanto a me senzavedermi.

Ilmentitore dovrebbe tener presente che per essere creduto non bisognadire che le menzogne necessarie. Col suo buon senso popolarequandoc'incontrammo di nuovoTullio mi disse:

-Spiegasti troppe cose ed io indovinai perciò che mentivi e chequella bella signorina era la tua amante.

Ioallora avevo già perduta Carla e con grande voluttà gliconfermai ch'egli aveva colto nel segnoma gli raccontai contristezza che oramai essa m'aveva abbandonato. Non mi credette ed iogliene fui grato. Mi pareva che la sua incredulità fosse unbuon auspicio.

Carlafu colta da un malumore quale io non le avevo mai visto. Io so orache da quel momento cominciò la sua ribellione. Subito non mene avvidi perché per stare a sentire Tullioche s'era messo araccontarmi della sua malattia e delle cure che intraprendevaio levolgevo le spalle. Più tardi appresi che una donnaquand'anche si lasci trattare con meno gentilezza sempre salvo incerti istantinon ammette di venir rinnegata in pubblico. Essamanifestò il suo sdegno piuttosto verso il povero zoppo cheverso me e non gli rispose quand'egli le indirizzò la parola.Neppure io stavo a sentire Tullio perché per il momento nonarrivavo ad interessarmi delle sue cure. Lo guardavo nei suoi piccoliocchi per intendere che cosa egli pensasse di quell'incontro. Sapevoch'egli ormai era pensionato e che avendo tutto il giorno liberopoteva facilmente invadere con le sue chiacchiere tutto il piccoloambiente sociale della nostra Trieste di allora.

Poidopo una lunga meditazioneCarla si levò per lasciarci.Mormorò:

-Arrivederci- e si avviò.

Iosapevo che l'aveva con me esempre tenendo conto della presenza diTulliocercai di conquistare il tempo necessario per placarla. Ledomandai il permesso di accompagnarla avendo da dirigermi dalla suaparte stessa.

Quelsuo saluto secco significava addirittura l'abbandono e fu quella laprima volta in cui seriamente lo temetti. La dura minaccia mitoglieva il fiato.

MaCarla stessa ancora non sapeva dove s'avviasse con quel suo passodeciso. Dava sfogo a una stizza del momento che fra poco l'avrebbelasciata.

M'attesee poi mi camminò accanto senza parole. Quando fummo a casafupresa da un impeto di pianto che non mi spaventò perchéla indusse a rifugiarsi fra le mie braccia. Io le spiegai chi fosseTullio e quanto danno sarebbe potuto venirmi dalla sua lingua.Vedendo che piangeva tuttaviama sempre fra le mie bracciaosai untono più risoluto: voleva dunque compromettermi? Non avevamosempre detto che avremmo fatto di tutto per risparmiare dei dolori aquella povera donna ch'era tuttavia mia moglie e la madre di miafiglia?

Parveche Carla si ravvedessema volle restare sola per calmarsi. Io corsivia contentone.

Dev'essereda quest'avventura che le venne ad ogni istante il desiderio diapparire in pubblico quale mia moglie. Pareva chenon volendosposare il maestrointendesse costringermi di occupare una partemaggiore del posto che a lui rifiutava. Mi seccò per lungotempo perché prendessi due sedie ad un teatroche avremmo poioccupate venendo da parti diverse per trovarci seduti uno accantoall'altro come per caso. Io con lei raggiunsi soltanto ma varie volteil Giardino Pubblicoquella pietra miliare dei miei trascorsicuiora arrivavo dall'altra parte. Oltremai! Perciò la miaamante finì col somigliarmi troppo. Senz'alcuna ragioneadogni istantese la prendeva con me in scoppi di collera improvvisi.Presto si ravvedevama bastavano per rendermi tanto eppoi tantobuono e docile. Spesso la trovavo che si scioglieva in lacrime e nonarrivavo mai ad ottenere da lei una spiegazione del suo dolore. Forsela colpa fu mia perché non insistetti abbastanza per averla.Quando la conobbi megliocioè quand'essa mi abbandonònon abbisognai di altre spiegazioni. Essastretta dal bisognos'eragettata in quell'avventura con meche proprio non faceva per lei.Fra le mie braccia era divenuta donna e - amo supporlo - donnaonesta. Naturalmente che ciò non va attribuito ad alcun meritomiotanto più che tutto mio fu il danno.

Lecapitò un nuovo capriccio che dapprima mi sorprese e subitodopo teneramente mi commosse: volle vedere mia moglie. Giurava chenon le si sarebbe avvicinata e che si sarebbe comportata in modo danon essere scorta da lei. Le promisi che quando avessi saputo diun'uscita di mia moglie ad un'ora precisaglel'avrei fatto sapere.Essa doveva vedere mia moglie non vicino alla mia villaluogodeserto ove il singolo è troppo osservatoma in qualche viaaffollata della città.

Inquel torno di tempo mia suocera fu colpita da un malore agli occhiper cui dovette bendarseli per varii giorni. S'annoiava mortalmenteeper indurla a tenere rigidamente la curale sue figliuole sidividevano la guardia presso di lei: mia moglie alla mattinae Adafino alle quattro precise del pomeriggio. Con risoluzione istantaneaio dissi a Carla che mia moglie abbandonava la casa di mia suoceraogni giorno alle quattro precise.

Neppureadesso so esattamente perché io abbia presentata Ada a Carlaquale mia moglie. È certo che iodopo la domanda dimatrimonio fattale dal maestrosentivo il bisogno di vincolaremeglio la mia amante a me e può essere abbia creduto chequanto più bella avesse trovata mia moglietanto piùavrebbe apprezzato l'uomo che le sacrificava (per modo di dire) unadonna simile. Augusta in quel tempo non era altro che una buona baliasanissima. Può avere influito sulla mia decisione anche laprudenza. Avevo certamente ragione di temere gli umori della miaamante e se essa si fosse lasciata trascinare a qualche attoinconsulto con Adaciò non avrebbe avuto importanza visto chequesta m'aveva già dato prova che mai avrebbe tentato didiffamarmi presso mia moglie.

SeCarla m'avesse compromesso con Adaa questa avrei raccontato tutto eper dire il vero con una certa soddisfazione.

Mala mia politica ebbe un esito non prevedibile davvero. Indottovi dauna certa ansietàandai la mattina appresso da Carla piùdi buon'ora del solito. La trovai mutata del tutto dal giorno prima.Una grande serietà aveva invaso il nobile ovale della suafaccina. Volli baciarlama essa mi respinse eppoi si lasciòsfiorare dalle mie labbra le guancietanto per indurmi a starla adascoltare docilmente. Sedetti a lei di faccia dall'altra parte deltavolo. Essasenza troppo affrettarsiprese un foglio di carta sucui fino al mio arrivo aveva scritto e lo ripose fra certa musica chegiaceva sul tavolo. Io a quel foglio non feci attenzione e solo piùtardi appresi ch'era una lettera ch'essa scriveva al Lali.

Eppureio ora so che persino in quel momento l'animo di Carla era conteso dadubbi. Il suo occhio serio si posava su di me indagando; poi lorivolgeva alla luce della finestra per meglio isolarsi e studiare ilproprio animo. Chissà! Se avessi subito indovinato meglioquello che in lei si dibattevaavrei potuto ancora conservarmi lamia deliziosa amante.

Miraccontò del suo incontro con Ada. L'aveva attesa dinanzi allacasa di mia suocera equando la vide arrivaresubito la riconobbe.

-Non c'era il caso di sbagliare. Tu me l'avevi descritta nei suoitratti più importanti. Oh! Tu la conosci bene!

Tacqueper un istante per dominare la commozione che le chiudeva la gola.Poi continuò:

-Io non so quello che ci sia stato fra di voima io non voglio maipiù tradire quella donna tanto bella e tanto triste! E scrivooggi al maestro di canto che sono pronta a sposarlo!

-Triste! - gridai io sorpreso. - Tu t'ingannioppure in quel momentoessa avrà sofferto per una scarpa troppo stretta.

Adatriste! Se rideva e sorrideva sempre; anche quella stessa mattina incui l'avevo vista per un istante a casa mia.

MaCarla era meglio informata di me:

-Una scarpa stretta! Essa aveva il passo di una dea quando camminasulle nubi!

Miraccontò sempre più commossa che aveva saputo farsirivolgere una parola - oh! dolcissima! - da Ada. Questa avevalasciato cadere il suo fazzoletto e Carla lo raccolse e glielo porse.

Lasua breve parola di ringraziamento commosse Carla fino alle lacrime.Ci fu poi dell'altro ancora fra le due donne: Carla asseriva che Adaavesse anche notato ch'essa piangeva e che si fosse divisa da lei conun'occhiata accorata di solidarietà. Per Carla tutto erachiaro: mia moglie sapeva ch'io la tradivo e ne soffriva! Da ciòil proposito di non vedermi più e di sposare il Lali.

Nonsapevo come difendermi! M'era facile di parlare con piena antipatiadi Ada ma non di mia mogliela sana balia che non s'accorgevaaffatto di quello che avveniva nell'animo miotutt'intenta com'eraal suo ministero. Domandai a Carla se essa non avesse notata ladurezza dell'occhio di Adae se non si fosse accorta che la sua voceera bassa e rudepriva di alcuna dolcezza. Per riavere subitol'amore di Carlaio ben volentieri avrei attribuiti a mia mogliemolti altri delittima non si poteva perchéda un annocircaio con la mia amante non facevo altro che portarla ai settecieli.

Misalvai altrimenti. Fui preso io stesso da una grande emozione che mispinse le lagrime agli occhi. Mi pareva di poter legittimamentecommiserarmi. Senza volerlom'ero gettato in un ginepraio in cui misentivo infelicissimo. Quella confusione fra Ada e Augusta erainsopportabile. La verità era che mia moglie non era tantobella e che Ada (era di lei che Carla si prendeva di tantacompassione) aveva avuti dei grandi torti verso di me. PerciòCarla era veramente ingiusta nel giudicarmi.

Lemie lacrime resero Carla più mite:

-Dario caro! Come mi fanno bene le tue lacrime! Dev'esserci statoqualche malinteso fra voi due e importa ora di chiarirlo. Io nonvoglio giudicarti troppo severamentema io non tradirò maipiù quella donnané voglio essere io la causa dellesue lacrime. L'ho giurato!

Adonta del giuramento essa finì col tradirla per l'ultima volta.Avrebbe voluto dividersi da me per sempre con un ultimo bacioma ioquel bacio lo accordavo in un'unica formaaltrimenti me ne sareiandato pieno di rancore. Perciò essa si rassegnò.Mormoravamo ambedue:

-Per l'ultima volta!

Fuun istante delizioso. Il proposito fatto a due aveva un'efficacia checancellava qualsiasi colpa. Eravamo innocenti e beati! Il miobenevolo destino m'aveva riservato un istante di felicitàperfetta.

Misentivo tanto felice che continuai la commedia fino al momento didividerci. Non ci saremmo visti mai più. Essa rifiutòla busta che portavo sempre nella mia tasca e non volle neppure unricordo mio. Bisognava cancellare dalla nostra nuova vita ognitraccia dei trascorsi passati. Allora la baciai volentieripaternamente sulla fronte com'essa aveva voluto prima.

Poisulle scaleebbi un'esitazione perché la cosa si faceva unpoco troppo seria mentre se avessi saputo ch'essa la dimane sarebbestata tuttavia a mia disposizioneil pensiero al futuro non misarebbe venuto così presto. Essadal suo pianerottolomiguardava scendere ed ioun po' ridendole gridai:

-A domani!

Essasi ritrasse sorpresa e quasi spaventata e si allontanòdicendo:

-Mai più!

Iomi sentii tuttavia sollevato di aver osato di dire la parola chepoteva avviarmi ad un altro ultimo abbraccio quando l'avreidesiderato.

Privodi desiderii e privo d'impegnipassai tutta una bella giornata conmia moglie eppoi nell'ufficio di Guido. Devo dire che la mancanzad'impegni m'avvicinava a mia moglie e a mia figlia. Ero per loroqualche cosa più del solito: non solo gentilema un veropadre che dispone e comanda serenamentetutta la mente rivolta allasua casa. Andando a letto mi dissi in forma di proponimento:

-Tutte le giornate dovrebbero somigliare a questa.

Primadi addormentarsiAugusta sentì il bisogno di confidarmi ungrande segreto: essa lo aveva saputo dalla madre quel giorno stesso.Alcuni giorni prima Ada aveva sorpreso Guido mentre abbracciava unaloro domestica. Ada aveva voluto fare la superbama poi la fantescas'era fatta insolente e Ada l'aveva messa alla porta. Il giorno primaerano stati ansiosi di sentire come Guido avrebbe presa la cosa. Sesi fosse lagnatoAda avrebbe domandata la separazione. Ma Guidoaveva riso e protestato che Ada non aveva visto bene; però nonaveva niente in contrario cheanche innocentequella donnaper cuidiceva di sentire una sincera antipatiafosse stata allontanata dicasa. Pareva che ora le cose si fossero appianate.

Ame importava di sapere se Ada avesse avute le traveggole quando avevasorpreso il marito in quella posizione. C'era ancora la possibilitàdi un dubbio? Perché bisognava ricordare che quando dues'abbraccianohanno tutt'altra posizione che quando l'una netta lescarpe dell'altro. Ero di ottimo umore. Sentivo persino il bisogno didimostrarmi giusto e sereno nel giudicare Guido. Ada era certamentedi carattere geloso e poteva avvenire ch'essa avesse viste diminuitele distanze e spostate le persone.

Convoce accorata Augusta mi disse ch'essa era sicura che Ada aveva vistobene e che ora per troppo affetto giudicava male. Aggiunse:

-Essa avrebbe fatto ben meglio di sposare te!

Ioche mi sentivo sempre più innocentele regalai la frase:

-Sta a vedere se io avrei fatto un miglior affare sposando lei invecedi te!

Poiprima d'addormentarmimormorai:

-Una bella canaglia! Insudiciare così la propria casa!

Eroabbastanza sincero di rimproverargli esattamente quella parte dellasua azione ch'io non avevo da rimproverare a me stesso.

Lamattina appresso io mi levai col desiderio vivo che almeno quellaprima giornata avesse a somigliare esattamente a quella precedente.Era probabile che i proponimenti deliziosi del giorno prima nonavrebbero impegnata Carla più di meed io me ne sentivo deltutto libero. Erano stati troppo belli per essere impegnativi. Certol'ansia di sapere quello che ne pensasse Carla mi faceva correre. Ilmio desiderio sarebbe stato di trovarla pronta per un altroproponimento. La vita sarebbe corsa viaricca bensì digodimentima anche più di sforzi per migliorarsied ogni miogiorno sarebbe stato dedicato in gran parte al bene ed inpiccolissima al rimorso. L'ansia c'eraperché in tuttoquell'anno per me tanto ricco di propositiCarla non ne aveva avutoche uno: dimostrare di volermi bene. L'aveva mantenuto e c'era unacerta difficoltà d'inferirne se ora le sarebbe stato facile ditenere il nuovo proposito che rompeva il vecchio.

 

Carlanon c'era a casa. Fu una grande disillusione e mi morsi le dita daldispiacere. La vecchia mi fece entrare in cucina. Mi raccontòche Carla sarebbe ritornata prima di sera. Le aveva detto che avrebbemangiato fuori e perciò su quel focolare non c'era neppurequel piccolo fuoco che vi ardeva di solito:

-Lei non lo sapeva? - mi domandò la vecchia facendo gli occhigrandi per la sorpresa.

Pensierosoe distrattomormorai:

-Ieri lo sapevo. Non ero però sicuro che la comunicazione diCarla valesse proprio per oggi.

Mene andai dopo di aver salutato gentilmente. Digrignavo i dentima dinascosto. Ci voleva del tempo per darmi il coraggio di arrabbiarmipubblicamente. Entrai nel Giardino Pubblico e vi passeggiai per unamezz'ora per prendermi il tempo d'intendere meglio le cose. Eranotanto chiare che non ci capivo più niente. Tutt'ad un trattosenz'alcuna pietàvenivo costretto di tenere un propositosimile. Stavo malerealmente male. Zoppicavo e lottavo anche con unaspecie di affanno. Io ne ho di quegli affanni: respiro benissimomaconto i singoli respiriperché devo farli uno dopo l'altro diproposito. Ho la sensazione che se non stessi attentomorreisoffocato.

Aquell'ora avrei dovuto andare al mio ufficio o meglio a quello diGuido. Ma non era possibile di allontanarmi così da quelposto. Che cosa avrei fatto poi? Ben dissimile era questa dallagiornata precedente! Almeno avessi conosciuto l'indirizzo di quelmaledetto maestro che a forza di cantare a mie spese m'aveva portatavia la mia amante.

Finiicol ritornare dalla vecchia. Avrei trovata una parola da mandare aCarla per indurla a rivedermi. Già il più difficile eradi averla al più presto a tiro. Il resto non avrebbe offertodelle grandi difficoltà.

Trovaila vecchia seduta accanto ad una finestra della cucina intenta arammendare una calza. Essa si levò gli occhiali equasitimorosami mandò uno sguardo interrogatore. Io esitai! Poile domandai:

-Lei sa che Carla ha deciso di sposare il Lali?

Ame pareva di raccontare tale nuova a me stesso. Carla me l'avevadetta ben due voltema io il giorno prima vi avevo fatta pocaattenzione. Quelle parole di Carla avevano colpito l'orecchio e benchiaramente perché ve le avevo ritrovatema erano scivolatevia senza penetrare oltre. Adesso appena arrivavano ai visceri che sicontorcevano dal dolore.

Lavecchia mi guardò anch'essa esitante. Certamente aveva pauradi commettere delle indiscrezioni che avrebbero potuto esserlerimproverate. Poi scoppiòtutta gioia evidente:

-Glielo ha detto Carla? Allora dovrebbe essere così! Io credoche farebbe bene! Che cosa gliene sembra a lei?

Orarideva di gustola maledetta vecchiache io avevo sempre credutoinformata dei miei rapporti con Carla. L'avrei picchiata volentierima poi mi limitai a dire che prima avrei atteso che il maestro sifacesse una posizione. A meinsommapareva che la cosa fosseprecipitata.

Nellasua gioia la signora divenne per la prima volta loquace con me. Nonera del mio parere. Quando ci si sposava da giovanisi doveva farela carriera dopo di essersi sposati.

Perchéoccorreva farla prima? Carla aveva così pochi bisogni. La suavoceorasarebbe costata menovisto che nel marito avrebbe avutoil maestro.

Questeparole che potevano significare un rimprovero alla mia avariziamidiedero un'idea che mi parve magnifica e che per il momento misollevò. Nel plico che portavo sempre nella mia tasca dipettodoveva esserci oramai un bell'importo. Lo trassi di tascalochiusi e lo consegnai alla vecchia perché lo desse a Carla.Avevo forse anche il desiderio di pagare finalmente in modo decorosola mia amantema il desiderio più forte era di rivederla eriaverla. Carla m'avrebbe rivisto tanto nel caso in cui avesse volutorestituirmi il denaro quanto in quello in cui le fosse stato comododi tenerloperché allora avrebbe sentito il bisogno diringraziarmi. Respirai: tutto non era ancora finito per sempre!

Dissialla vecchia che la busta conteneva poco denaro residuo di quelloconsegnatomi per loro dagli amici del povero Copler. Poimoltorasserenatomandai a dire a Carla che io restavo il suo buon amicoper tutta la vita e chese essa avesse avuto bisogno di un appoggioavrebbe potuto rivolgersi liberamente a me. Così poteimandarle il mio indirizzo ch'era quello dell'ufficio di Guido.

Partiicon un passo molto più elastico di quello che m'aveva condottocolà.

Maquel giorno ebbi un violento litigio con Augusta. Si trattava di cosada poco. Io dicevo che la minestra era troppo salata ed essapretendeva di no. Ebbi un accesso folle d'ira perché misembrava ch'essa mi deridesse e trassi a me con violenza la tovagliacosì che tutte le stoviglie dalla tavola volarono a terra. Lapiccina ch'era in braccio della bambinaia si mise a strillareciòche mi mortificò grandemente perché la piccola boccasembrava mi rimproverasse. Augusta impallidì come sapevaimpallidire leiprese la fanciulla in braccio e uscì. A meparve che anche il suo fosse un eccesso: mi avrebbe ora lasciatomangiare solo come un cane? Ma subito essasenza la bambinarientròriapparecchiò la tavolasedette dinanzi alproprio piatto nel quale mosse il cucchiaio come se avesse volutoaccingersi a mangiare.

Iofra me e mebestemmiavoma già sapevo d'essere stato ungiocattolo in mano di forze sregolate della natura. La natura che nontrovava difficoltà nell'accumularlene trovava ancor menonello scatenarle. Le mie bestemmie andavano ora contro Carla chefingeva di agire solo a vantaggio di mia moglie. Ecco come me l'avevaconciata!

Augustaper un sistema cui rimase fedele fino ad oggiquando mi vede inquelle condizioninon protestanon piangenon discute. Quand'iomitemente mi misi a domandarle scusaessa volle spiegare una cosa:non aveva risoaveva soltanto sorriso nello stesso modo che m'erapiaciuto tante volte e che tante volte avevo vantato.

Mivergognai profondamente. Supplicai che la bambina fosse portatasubito con noi e quando l'ebbi fra le mie braccialungamente giuocaicon lei. Poi la feci sedere sulla mia testa e sotto la suavesticciuola che mi copriva la facciaasciugai i miei occhi ches'erano bagnati delle lacrime che Augusta non aveva sparse.

Giuocavocon la bambinasapendo che cosìsenz'abbassarmi a fare dellescusemi riavvicinavo ad Augusta e infatti le sue guancie avevanogià riacquistato il loro colore consueto.

Poianche quella giornata finì molto bene e il pomeriggio somigliòa quello precedente. Era proprio la stessa cosa come se alla mattinaavessi trovata Carla al solito posto. Non m'era mancato lo sfogo.Avevo ripetutamente domandato scusa perché dovevo indurreAugusta di ritornare al suo sorriso materno quando dicevo o facevodelle bizzarrie. Guai se avesse dovuto forzarsi ad avere in miapresenza un dato contegno o se avesse dovuto sopprimere anche uno deisoliti suoi sorrisi affettuosi che mi parevano il giudizio piùcompleto e benevolo che si potesse dare su me.

Allasera riparlammo di Guido. Pareva che la sua pace con Ada fossecompleta. Augusta si meravigliava della bontà di sua sorella.Questa volta però toccava a me di sorridere perché eraevidente ch'ella non ricordava la propria bontà che eraenorme. Le domandai:

-E se io insudiciassi la nostra casanon mi perdoneresti? - Ellaesitò:

-Noi abbiamo la nostra bambina- esclamò - mentre Ada non hadei figliuoli che la leghino a quell'uomo.

Ellanon amava Guido; penso talvolta che gli tenesse rancore perchém'aveva fatto soffrire.

Pochimesi dopoAda regalò a Guido due gemelli e Guido non compresemai perché gli facessi delle congratulazioni tanto calorose.Ecco che avendo dei figliolianche secondo il giudizio di Augustale serve di casa potevano essere sue senza pericolo per lui.

Allamattina seguenteperòquando in ufficio trovai sul miotavolo una busta al mio indirizzo scritto da Carlarespirai. Eccoche niente era finito e che si poteva continuare a vivere munito ditutti gli elementi necessarii. In brevi parole Carla mi dava unappuntamento per le undici della mattina al Giardino Pubblicoall'ingresso posto di faccia alla sua casa. Ci saremmo trovati nonnella sua stanzama tuttavia in un posto vicinissimo alla stessa.

Nonseppi aspettare e arrivai all'appuntamento un quarto d'ora prima. SeCarla non fosse stata al posto indicatoio mi sarei recato drittodritto a casa suaciò che sarebbe stato ben piùcomodo.

Anchequella era una giornata pregna della nuova primavera dolce eluminosa. Quando abbandonai la rumorosa Corsia Stadion ed entrai nelgiardinomi trovai nel silenzio della campagna che non si puòdire interrotto dal lievecontinuo stormire delle piante lambitedalla brezza.

Conpasso celere m'avviavo ad uscire dal giardino quando Carla mi venneincontro. Aveva in mano la mia busta e mi si avvicinava senza unsorriso di salutoanzi con una rigida decisione sulla faccinapallida. Portava un semplice vestito di tela dal tessuto grossotraversato da striscie azzurreche le stava molto bene. Parevaanch'essa una parte del giardino. Più tardinei momenti incui più la odiaile attribuii l'intenzione di essersi vestitacosì per rendersi più desiderabile nel momento stessoin cui mi si rifiutava. Era invece il primo giorno di primavera chela vestiva. Bisogna anche ricordare che nel mio lungo ma bruscoamorel'adornamento della mia donna aveva avuto piccolissima parte.

Ioero sempre andato direttamente a quella sua stanza da studioe ledonne modeste sono proprio molto semplici quando restano in casa.

Essami porse la mano ch'io strinsi dicendole:

-Ti ringrazio di essere venuta!

Comesarebbe stato più decoroso per me se durante tutto quelcolloquio io fossi rimasto così mite!

Carlapareva commossa equando parlavauna specie di convulso le facevatremare le labbra. Talvolta anche nel cantare quel movimento dellelabbra le impediva la nota. Mi disse:

-Vorrei compiacerti e accettare da te questo denaroma non possoassolutamente non posso. Te ne pregoriprendilo.

Vedendolavicina alle lacrimesubito la compiacqui prendendo la busta che miritrovai poi in manolungo tempo dopo di aver abbandonato quelluogo.

-Veramente non ne vuoi più sapere di me?

Feciquesta domanda non pensando ch'essa vi aveva risposto il giornoprima. Ma era possibile chedesiderabile come la vedevoessa sicontendesse a me?

-Zeno! - rispose la fanciulla con qualche dolcezza- non avevamo noipromesso che non ci saremmo rivisti mai più? In seguito aquella nostra promessa ho assunti degl'impegni che somigliano aquelli che tu avevi già prima di conoscermi. Sono altrettantosacri dei tuoi. Io spero che a quest'ora tua moglie si saràaccorta che sei tutto suo.

Nelsuo pensiero continuava dunque ad avere importanza la bellezza diAda. Se io fossi stato sicuro che il suo abbandono era causato daleiavrei avuto il modo di correre al riparo. Le avrei fatto sapereche Ada non era mia moglie e le avrei fatto vedere Augusta col suoocchio sbilenco e la sua figura di balia sana. Ma non erano oramaipiù importanti gl'impegni presi da lei? Bisognava discuterequelli.

Cercaidi parlare calmo mentre anche a me le labbra tremavanoma daldesiderio. Le raccontai che ancora ella non sapeva quanto mia essafosse e come non avesse più il diritto di disporre di sé.Nella mia testa si moveva la prova scientifica di quanto volevo direcioè quel celebre esperimento di Darwin su una cavalla arabamagrazie al Cielosono quasi sicuro di non averne parlato. Devoperò aver parlato di bestie e della loro fedeltàfisicain un balbettio senza senso. Abbandonai poi gli argomenti piùdifficili che non erano accessibili né a lei né a me inquel momento e dissi: - Quali impegni puoi avere presi? E qualeimportanza possono avere in confronto a un affetto come quello che cilegò per più di un anno?

L'afferrairudemente per la mano sentendo il bisogno di un atto energiconontrovando nessuna parola che sapesse supplirvi.

Essasi levò con tanta energia dalla mia stretta come se fossestata la prima volta ch'io mi fossi permessa una cosa simile.

-Mai - disse con l'atteggiamento di chi giura - ho preso un impegnopiù sacro! L'ho preso con un uomo che a sua volta ne assunseuno identico verso di me.

Nonv'era dubbio! Il sangue che le colorì improvvisamente leguancie vi era spinto dal rancore per l'uomo che verso di lei nonaveva assunto alcun impegno. E si spiegò anche meglio:

-Ieri abbiamo camminato per le stradeuno a braccio dell'altra incompagnia di sua madre.

 

Eraevidente che la mia donna correva viasempre più lontano dame. Io le corsi dietro follementecon certi salti simili a quelli diun cane cui venga conteso un saporito pezzo di carne. Ripresi la suamano con violenza:

-Ebbene- proposi - camminiamo cosìtenendoci per manotraverso tutta la città. In questa posizione insolitaperfarci meglio osservarepassiamo la Corsia Stadion eppoi i volti diChiozza e giù giù traverso il Corso fino a Sant'Andreaper ritornare alla camera nostra per tutt'altra parteperchétutta la città ci veda.

Eccoche per la prima volta rinunziavo ad Augusta! E mi parve unaliberazione perché era dessa che voleva togliermi Carla.

Essasi tolse di nuovo alla mia stretta e disse seccamente:

-Sarebbe circa la stessa via che abbiamo fatta noi ieri!

Saltaiancora:

-Ed egli sasa tutto? Sa che anche ieri fosti mia?

-Sì - essa disse con orgoglio. - Egli sa tuttotutto.

Misentivo perduto e nella mia rabbiasimile al cane chequando nonpuò più raggiungere il boccone desideratoaddenta levesti di chi glielo contendedissi:

-Questo tuo sposo ha uno stomaco eccellente. Oggi digerisce me edomani potrà digerire tutto ciò che vorrai.

Nonsentivo l'esatto suono delle mie parole. Sapevo di gridare daldolore. Essa ebbe invece un'espressione d'indignazione di cui nonavrei creduto capace il suo occhio bruno e mite di gazzella:

-A me lo dici? E perché non hai il coraggio di dirlo a lui?

Mivolse le spalle e con passo celere s'avviò verso l'uscita. Iogià avevo rimorso delle parole detteoffuscato peròdalla grande sorpresa che oramai mi fosse interdetto di trattareCarla con meno dolcezza. Quella mi teneva inchiodato al posto. Lapiccola figurina azzurra e biancacon un passo breve e celereraggiungeva già l'uscitaquando mi decisi di correrle dietro.Non sapevo quello che le avrei dettoma era impossibile che ci siseparasse così.

Lafermai al portone di casa sua e le dissi solo sinceramente il grandedolore di quel momento:

-Ci separeremo proprio cosìdopo tanto amore?

Essaprocedette oltre senza rispondermi ed io la seguii anche sulle scale.Poi mi guardò con quel suo occhio nemico:

-Se lei vuol vedere il mio sposovenga con me. Non lo sente? Èlui che suona il piano.

Sentiiappena allora le note sincopate del "Saluto" dello Schubertridotto dal Liszt.

Quantunquedalla mia infanzia io non abbia maneggiata né una sciabola néun bastoneio non sono un uomo pauroso. Il grande desiderio chem'aveva commosso fino ad alloraera improvvisamente sparito. Delmaschio non restava in me che la combattività. Avevo domandatoimperiosamente una cosa che non mi competeva. Per diminuire il mioerrore adesso bisognava battersiperché altrimenti il ricordodi quella donna che minacciava di farmi punire dal suo spososarebbestato atroce.

-Ebbene! - le dissi. - Se lo permetti vengo con te.

Mibatteva il cuore non per paurama per il timore di non comportarmibene.

Continuaia salire accanto a lei.

Maimprovvisamente essa si fermòs'appoggiò al muro e simise a piangere senza parole. Lassù continuavano ad echeggiarele note del "Saluto" su quel pianoforte che io avevopagato. Il pianto di Carla rese quel suono molto commovente.

-Io farò quello che vuoi! Vuoi che me ne vada? - domandai.

-Sì- disse essa appena capace di articolare quella breveparola.

-Addio! - le dissi. - Giacché lo vuoiaddio per sempre!

Scesilentamente le scalefischiettando anch'io il "Saluto" diSchubert. Non so se sia stata un'illusionema a me parve ch'essa michiamasse:

-Zeno!

Inquel momento essa avrebbe potuto chiamarmi anche con quello stranonome di Dario ch'essa sentiva quale un vezzeggiativo e non mi sareifermato. Avevo un grande desiderio di andarmene e ritornavo anche unavoltapuroad Augusta. Anche il cane cui a forza di pedate siimpedisce l'approccio alla femminacorre via purissimoper ilmomento.

Quandoil giorno dopo fui ridotto nuovamente allo stato in cui m'ero trovatoal momento d'avviarmi al Giardino Pubblicomi parve semplicemente diessere stato un vigliacco: essa m'aveva chiamato sebbene non col nomedell'amoreed io non avevo risposto! Fu il primo giorno di dolorecui seguirono molti altri di desolazione amara. Non comprendendo piùperché mi fossi allontanato cosìmi attribuivo lacolpa di aver avuto paura di quell'uomo o paura dello scandalo. Avreiora nuovamente accettata qualunque compromissionecome quando avevoproposto a Carla quella lunga passeggiata traverso alla città.Avevo perduto un momento favorevole e sapevo benissimo che certedonne ne hanno per una volta sola. A me sarebbe bastata quella solavolta.

Decisisubito di scrivere a Carla. Non m'era possibile di lasciartrascorrere neppure un solo giorno di più senza fare untentativo per riavvicinarmi a lei. Scrissi e riscrissi quella letteraper mettere in quelle poche parole tutto l'accorgimento di cui erocapace. La riscrissi tante volte anche perché lo scriverla eraun grande conforto per me; era lo sfogo di cui abbisognavo. Ledomandavo perdono per l'ira che le avevo dimostrataasserendo che ilgrande mio amore abbisognava di tempo per calmarsi. Aggiungevo: "Ognigiorno che passa m'apporta un altro briciolo di calma" e scrissiquesta frase tante volte sempre digrignando i denti. Poi le dicevoche non sapevo perdonarmi le parole che le avevo dirette e sentivo ilbisogno di domandarle scusa. Io non potevopurtroppooffrirlequello che il Lali le offriva e di cui ella era tanto degna.

Iomi figuravo che la lettera avrebbe avuto un grande effetto. Giacchéil Lali sapeva tuttoCarla gliel'avrebbe fatta vedere e per il Laliavrebbe potuto esser vantaggioso di avere un amico della mia qualità.Sognai persino che ci si sarebbe potuti avviare a una dolce vita atreperché il mio amore era tale che per il momento io avreivista raddolcita la mia sorte se mi fosse stato permesso di fareanche solo la corte a Carla.

Ilterzo giorno ricevetti da lei un breve biglietto. Non vi venivoinvocato affatto né come Zeno né come Dario.

Midiceva soltanto: "Grazie! Sia anche lei felice con la consorteSuatanto degna di ogni bene!". Parlava di Adanaturalmente.

Ilmomento favorevole non aveva continuato e dalle donne non continuamai se non lo si ferma prendendole per le treccie. Il mio desideriosi condensò in una bile furiosa. Non contro Augusta! L'animomio era tanto pieno di Carla che ne avevo rimorso e mi costringevocon Augusta ad un sorriso ebetestereotipatoche a lei parevaautentico.

Madovevo fare qualche cosa. Non potevo mica aspettare e soffrire cosìogni giorno! Non volevo più scriverle. La carta scritta per ledonne ha troppo poca importanza. Bisognava trovare di meglio.

Senzaun proposito esattom'avviai di corsa al Giardino Pubblico. Poimolto più lentamentealla casa di Carla egiunto a quelpianerottolobussai alla porta della cucina. Se ve n'era lapossibilitàavrei evitato di vedere il Lalima non misarebbe dispiaciuto d'imbattermi in lui. Sarebbe stata la crisi dicui sentivo di aver bisogno.

Lavecchia signoracome al solitoera al focolare su cui ardevano duegrandi fuochi. Fu stupita al vedermima poi rise da quella buonainnocente ch'essa era. Mi disse:

-Mi fa piacere di vederla! Era tanto abituata lei di vederci ognigiornoche si capisce non le riesca di evitarci del tutto.

Mifu facile di farla ciarlare. Mi raccontò che gli amori diCarla con Vittorio erano grandi. Quel giorno lui e la madre venivanoa desinare da loro. Aggiunse ridendo: - Presto egli finirà conl'indurla ad accompagnarlo persino alle tante lezioni di canto cuiegli è obbligato ogni giorno. Non sanno restar divisi neppureper brevi istanti.

Sorridevadi quella felicitàmaternamente. Mi raccontò che di lìa poche settimane si sarebbero sposati.

Avevoun cattivo sapore in boccae quasi mi sarei avviato alla porta perandarmene. Poi mi trattenni sperando che la ciarla della vecchiaavrebbe potuto suggerirmi qualche buona idea o darmi qualchesperanza. L'ultimo errorech'io avevo commesso con Carlaera statoproprio di correre via prima di avere studiato tutte le possibilitàche potevano essermi offerte.

Perun istante credetti anche di avere la mia idea. Domandai alla vecchiase proprio avesse deciso di fare da serva alla figlia fino allapropria morte. Le dissi ch'io sapevo che Carla non era molto dolcecon lei.

Essacontinuò a lavorare assiduamente accanto al focolarema stavaa sentirmi. Fu di un candore ch'io non meritavo. Si lagnò diCarla che perdeva la pazienza per cose da niente. Si scusava:

-Certamente io divento ogni giorno più vecchia e dimenticotutto. Non ne ho colpa!

Masperava che adesso le cose sarebbero andate meglio. I malumori diCarla sarebbero diminuitiora ch'era felice. Eppoi Vittorioda belprincipios'era messo a dimostrarle un grande rispetto. Infinesempre intenta a foggiare certe forme con un intruglio di pasta e difruttaaggiunse:

-È mio dovere di restare con mia figlia. Non si può farealtrimenti.

Conuna certa ansia tentai di convincerla. Le dissi che poteva benissimoliberarsi da tanta schiavitù.

Nonc'ero io? Avrei continuato a passarle il mensile che fino ad alloraavevo concesso a Carla. Io volevo oramai mantenere qualcuno! Volevotenere con me la vecchia che mi pareva parte della figlia.

Lavecchia mi manifestò la sua riconoscenza. Ammirava la miabontàma si mise a ridere all'idea che le si potesse proporredi lasciare la figlia. Era una cosa che non si poteva pensare.

Eccouna dura parola che andò a battere contro la mia fronte che sicurvò! Ritornavo a quella grande solitudine dove non c'eraCarla e neppure visibile una via che conducesse a lei. Ricordo chefeci un ultimo sforzo per illudermi che quella via potesse rimanerealmeno segnata. Dissi alla vecchiaprima di andarmeneche potevaavvenire che di lì a qualche tempo essa fosse di altro umore.La pregavo allora di voler ricordarsi di me.

Uscendoda quella casa ero pieno di sdegno e di rancoreproprio come sefossi stato maltrattato quando m'accingevo ad una buona azione.Quella vecchia m'aveva proprio offeso con quel suo scoppio di riso.Lo sentivo risonare ancora nelle orecchie e significava non mica solol'irrisione alla mia ultima proposta.

Nonvolli andare da Augusta in quello stato. Prevedevo il mio destino. Sefossi andato da leiavrei finito col maltrattarla ed essa si sarebbevendicata con quel suo grande pallore che mi faceva tanto male.Preferii di camminare le vie con un passo ritmico che avrebbe potutoavviare ad un poco d'ordine il mio animo. E infatti l'ordine venne!Cessai di lagnarmi del mio destino e vidi me stesso come se unagrande luce m'avesse proiettato intero sul selciato che guardavo. Ionon domandavo Carlaio volevo il suo abbraccio e preferibilmente ilsuo ultimo abbraccio. Una cosa ridicola! Mi ficcai i denti nellelabbra per gettare il dolorecioè un poco di serietàsulla mia ridicola immagine. Sapevo tutto di me stesso ed eraimperdonabile che soffrissi tanto perché mi veniva offerta unaopportunità unica di svezzamento. Carla non c'era piùproprio come tante volte l'avevo desiderato.

Contale chiarezza nell'animoquando poco dopoin una via eccentricadella cittàcui ero pervenuto senz'alcun propositouna donnaimbellettata mi fece un cennoio corsi senz'esitazione a lei.

Arrivaiben tardi a colazionema fui tanto dolce con Augusta ch'essa fusubito lieta. Non fui però capace di baciare la bimba mia eper varie ore non seppi neppure mangiare. Mi sentivo ben sudicio! Nonfinsi alcuna malattia come avevo fatto altre volte per celare eattenuare il delitto e il rimorso. Non mi pareva di poter trovareconforto in un proposito per l'avveniree per la prima volta non nefeci affatto. Occorsero molte ore per ritornare al ritmo solito chemi traeva dal fosco presente al luminoso avvenire.

Augustas'accorse che c'era qualche cosa di nuovo in me. Ne rise:

-Con te non ci si può mai annoiare. Sei ogni giorno un uomonuovo.

Sì!Quella donna del sobborgo non somigliava a nessun'altra e io l'avevoin me.

Passaianche il pomeriggio e la sera con Augusta. Essa era occupatissima edio le stavo accanto inerte.

Mipareva di essere trasportato cosìinerteda una correnteuna corrente di acqua limpida: la vita onesta della mia casa.

M'abbandonavoa quella corrente che mi trasportava ma non mi nettava. Tutt'altro!Rilevava la mia sozzura.

Naturalmentenella lunga notte che seguì arrivai al proposito. Il primo fuil più ferreo. Mi sarei procurata un'arma per abbattermisubito quando mi fossi sorpreso avviato a quella parte della città.Mi fece bene quel proposito e mi mitigò.

Nongemetti mai nel mio letto ed anzi simulai il respiro regolare deldormente. Così ritornai all'antica idea di purificarmi con unaconfessione a mia moglieproprio come quand'ero stato in procinto ditradirla con Carla. Ma era oramai una confessione ben difficile e nonper la gravità del misfattoma per la complicazione da cuiera risultato. Di fronte a un giudice quale era mia moglieavrei purdovuto accampare le circostanze attenuanti e queste sarebberorisultate solo se avessi potuto dire della violenza impensata con cuiera stata spezzata la mia relazione con Carla. Ma allora sarebbeoccorso di confessare anche quel tradimento oramai antico. Era piùpuro di questoma (chissà?) per una moglie piùoffensivo.

Aforza di studiarmi arrivai a dei propositi sempre piùragionevoli. Pensai di evitare il ripetersi di un trascorso simileaffrettandomi ad organizzare un'altra relazione quale quella cheavevo perduta e di cui si vedeva avevo bisogno. Ma anche la donnanuova mi spaventava. Mille pericoli avrebbero insidiato me e la miafamigliuola. A questo mondo un'altra Carla non c'erae con lacrimeamarissime la rimpiansileila dolcela buonache aveva persinotentato di amare la donna ch'io amavo e che non vi era riuscita soloperché io le avevo messa dinanzi un'altra donna e proprioquella che non amavo affatto!



7.Un'associazione

FuGuido che mi volle con lui nella sua nuova casa commerciale. Iomorivo dalla voglia di farne partema son sicuro di non avergli mailasciato indovinare tale mio desiderio. Si capisce chenella miainerziala proposta di quell'attività in compagnia di unamicomi fosse simpatica. Ma c'era dell'altro ancora. Io non avevoancora abbandonata la speranza di poter divenire un buon negoziante emi pareva più facile di progredire insegnando a Guidochefacendomi insegnare dall'Olivi. Tanti a questo mondo apprendonosoltanto ascoltando se stessi o almeno non sanno apprendereascoltando gli altri.

Perdesiderare quell'associazione avevo anche altre ragioni. Io volevoessere utile a Guido! Prima di tutto gli volevo bene e benchéegli volesse sembrare forte e sicuroa me pareva un inermeabbisognante di una protezione che io volentieri volevo accordargli.Poi anche nella mia coscienza e non solo agli occhi di Augustamipareva che più m'attaccavo a Guido e più chiararisultasse la mia assoluta indifferenza per Ada.

Insommaio non aspettavo che una parola di Guido per mettermi a suadisposizionee questa parola non venne primasolo perchéegli non mi credeva tanto inclinato al commercio visto che non avevovoluto saperne di quello che mi veniva offerto in casa mia.

Ungiorno mi disse:

-Io ho fatta tutta la Scuola Superiore di Commercioma pur mi dàun po' di pensiero di dover regolare sanamente tutti quei particolariche garantiscono il sano funzionamento di una casa commerciale. Stabene che il commerciante non ha bisogno di saper di nullaperchése ha bisogno di una bilancia chiama il bilanciaiose ha bisogno dilegge invoca l'avvocato e per la propria contabilità sirivolge ad un contabile. Ma è ben duro dover consegnare da belprincipio la propria contabilità ad un estraneo!

Fula sua prima allusione chiara al suo proposito di tenermi con lui.Veramente io non avevo fatta altra pratica di contabilità chein quei pochi mesi in cui avevo tenuto il libro mastro per l'Olivima ero certo d'essere il solo contabile che non fosse stato unestraneo per Guido.

Siparlò chiaramente per la prina volta dell'eventualitàdi una nostra associazione quand'egli andò a scegliere imobili per il suo ufficio. Ordinò senz'altro due scrivanie perla stanza della direzione. Gli domandai arrossendo:

-Perché due?

Rispose:

-L'altra è per te.

Sentiiper lui una tale riconoscenza che quasi l'avrei abbracciato.

Quandofummo usciti dalla bottegaGuidoun po' imbarazzatomi spiegòche ancora non era al caso di offrirmi una posizione in casa sua.Lasciava a mia disposizione quel posto nella sua stanzasolo perindurmi a venir a tenergli compagnia ogni qualvolta mi fossepiaciuto. Non voleva obbligarmi a nulla ed anche lui restava libero.Se il suo commercio fosse andato bene m'avrebbe concesso un postonella direzione della sua casa.

Parlandodel suo commerciola bella faccia bruna di Guido si faceva moltoseria. Pareva ch'egli avesse già pensate tutte le operazioni acui voleva dedicarsi. Guardava lontanoal disopra della mia testaed io mi fidai tanto della serietà delle sue meditazionichemi volsi anch'io a guardare quello ch'egli vedevacioè quelleoperazioni che dovevano portargli la fortuna. Egli non volevacamminare né la via percorsa con tanto successo da nostrosuocero né quella della modestia e della sicurezza battutadall'Olivi. Tutti costoroper luierano dei commerciantiall'antica. Bisognava seguire tutt'altra viaed egli volentieri siassociava a me perché mi riteneva non ancora rovinato daivecchi.

Tuttociò mi parve vero. Mi veniva regalato il mio primo successocommerciale ed arrossii dal piacere una seconda volta. Fu cosìe per la gratitudine della stima ch'egli m'aveva dimostratoch'iolavorai con lui e per luiora più ora meno intensamenteperben due annisenz'altro compenso che la gloria di quel posto nellastanza direttoriale. Fino ad allora fu quello certamente il piùlungo periodo ch'io avessi dedicato ad una stessa occupazione. Nonposso vantarmene solo perché tale mia attività nondiede alcun frutto né a me né a Guido ed in commercio -tutti lo sanno - non si può giudicare che dal risultato.

Ioconservai la fiducia d'esser avviato ad un grande commercio per circatre mesiil tempo occorrente a fondare quella ditta. Seppi che a mesarebbe toccato non solo di regolare dei particolari come lacorrispondenza e la contabilitàma anche di sorvegliare gliaffari. Guido conservò tuttavia un grande ascendente su di metanto che avrebbe potuto anche rovinarmi e solo la mia buona fortunaglielo impedì. Bastava un suo cenno perché accorressi alui. Ciò desta la mia stupefazione ancora adesso che nescrivodopo che ho avuto il tempo di pensarci per tanta parte dellamia vita.

Escrivo ancora di questi due anni perché il mio attaccamento alui mi sembra una chiara manifestazione della mia malattia. Cheragione c'era di attaccarsi a lui per apprendere il grande commercioe subito dopo restare attaccato a lui per insegnargli quello piccolo?Che ragione c'era di sentirsi bene in quella posizione solo perchémi sembrava significasse una grande indifferenza per Ada la miagrande amicizia per Guido? Chi esigeva da me tutto questo? Nonbastava a provare la nostra indifferenza reciproca l'esistenza ditutti quei marmocchi cui davamo assiduamente la vita? Io non volevomale a Guidoma non sarebbe stato certamente l'amico che avreiliberamente prescelto. Ne vidi sempre tanto chiaramente i difetti cheil suo pensiero spesso mi irritavaquando non mi commoveva qualchesuo atto di debolezza. Per tanto tempo gli portai il sacrificio dellamia libertà e mi lasciai trascinare da lui nelle posizioni piùodiose solo per assisterlo! Una vera e propria manifestazione dimalattia o di grande bontàdue qualità che stanno inrapporto molto intimo fra di loro.

Ciòrimane vero se anche col tempo fra noi si sviluppò un grandeaffetto come succede sempre fra gente dabbene che si vede ognigiorno. E fu un grande affetto il mio! Allorché egliscomparveper lungo tempo sentii com'egli mi mancava ed anzil'intera mia vita mi sembrò vuota poiché tanta parte neera stata invasa da lui e dai suoi affari.

Miviene da ridere al ricordare che subitonel nostro primo affarel'acquisto dei mobilisbagliammo in certo qual modo un termine. Cieravamo accollati i mobili e non ci decidevamo ancora a stabilirel'ufficio.

Perla scelta dell'ufficiofra me a Guido c'era una divergenza diopinione che la ritardò. Da mio suocero e dall'Olivi io avevosempre visto che per rendere possibile la sorveglianza del magazzinol'ufficio vi era contiguo. Guido protestava con una smorfia didisgusto:

-Quegli uffici triestini che puzzano di baccalà o di pellami! -Egli assicurava che avrebbe saputo organizzare la sorveglianza ancheda lontanoma intanto esitava. Un bel giorno il venditore dei mobiligl'intimò di ritirarli perché altrimenti li avrebbegettati sulla strada e allora lui corse a stabilire un ufficiol'ultimo che gli era stato offertoprivo di un magazzino nellevicinanzema proprio al centro della città. È perciòche il magazzino non lo ebbimo mai più.

L'ufficiosi componeva di due vaste stanze bene illuminate e di uno stanzinoprivo di finestre. Sulla porta di questo stanzino inabitabile fuappiccicato un bollettino con l'iscrizione in lettere lapidarie:Contabilità; poidelle altre due porte l'una ebbe ilbollettino: Cassa e l'altra fu addobbata dalla designazionetanto inglese di Privato. Anche Guido aveva studiato ilcommercio in Inghilterra e ne aveva riportate delle nozioni utili. LaCassa fucome di doverefornita di una magnifica cassa diferro e del cancello tradizionale. La nostra stanza Privatadivenne una camera di lusso splendidamente tappezzata in un colorebruno vellutato e fornita delle due scrivaniedi un sofà e divarie comodissime poltrone.

Poivenne l'acquisto dei libri e dei varii utensili. Qui la mia parte didirettore fu indiscussa. Io ordinavo e le cose arrivavano. Inveroavrei preferito di non essere seguito tanto prontamentema era miodovere di dire tutte le cose che occorrevano in un ufficio. Alloracredetti di scoprire la grande differenza che c'era fra me e Guido.Quanto sapevo iomi serviva per parlare e a lui per agire.Quand'egli arrivava a sapere quello che sapevo io e non piùlui comperava. È vero che talvolta in commercio fu ben decisoa non far nullacioè a non comperare né venderemaanche questa mi parve una risoluzione di persona che crede di sapermolto. Io sarei stato più dubbioso anche nell'inerzia.

Inquegli acquisti fui molto prudente. Corsi dall'Olivi a prendere lemisure per i copialettere e per i libri di contabilità. Poi ilgiovine Olivi m'aiutò ad aprire i libri e mi spiegòanche una volta la contabilità a partita doppiatutta robanon difficilema che si dimentica tanto facilmente. Quando sisarebbe arrivati al bilancioegli m'avrebbe spiegato anche quello.

Nonsapevamo ancora quello che avremmo fatto in quell'ufficio (adesso soche neppure Guido allora lo sapeva) e si discuteva di tutta la nostraorganizzazione. Ricordo che per giorni si parlò dove avremmomessi gli altri impiegati se di essi avessimo avuto bisogno. Guidosuggeriva di metterne quanti potessero capirvi nella Cassa. Mail piccolo Lucianol'unico nostro impiegato per il momentodichiarava che là dove c'era la cassanon potessero essercialtre persone fuori di quelle addette alla cassa stessa. Era ben duradi dover accettare delle lezioni dal nostro galoppino! Io ebbiun'ispirazione:

-A me sembra di ricordare che in Inghilterra si paghi tutto conassegni.

 

Erauna cosa che m'era stata detta a Trieste.

-Bravo! - disse Guido. - Anch'io lo ricordo ora. Curioso che l'avevodimenticato!

Simise a spiegare a Luciano in lungo e in largo come non si usasse piùdi maneggiare tanto denaro. Gli assegni giravano dall'uno all'altroin tutti gl'importi che si voleva. Fu una bella vittoria la nostraeLuciano tacque.

Costuiebbe un grande vantaggio da quanto apprese da Guido. Il nostrogaloppino è oggidì un commerciante di Trieste assairispettato. Egli mi saluta ancora con una certa umiltàattenuata da un sorriso. Guido spendeva sempre una parte dellagiornata ad insegnare dapprima a Lucianopoi a me e quindiall'impiegata. Ricordo ch'egli aveva accarezzato per lungo tempol'idea di fare il commercio in commissione per non arrischiare ilproprio denaro. Spiegò l'essenza di tale commercio a me evisto che evidentemente io capivo troppo prestosi mise a spiegarloa Luciano che per molto tempo stette a sentirlo coi segni della piùviva attenzionei grandi occhi lucenti nella faccia ancora imberbe.Non si può dire che Guido abbia perduto il suo tempoperchéLuciano è il solo fra di noi che sia riuscito in quel generedi commercio. Eppoi si dice che la scienza è quella che vince!

Intantoda Buenos Aires arrivarono i pesos. Fu un affare serio! A meera parsa dapprima una cosa facilema invece il mercato di Triestenon era preparato a quella moneta esotica. Ebbimo di nuovo bisognodel giovine Olivi che c'insegnò il modo di realizzare quegliassegni. Poiperché a un dato punto fummo lasciati solisembrando all'Olivi di averci condotti a buon portoGuido si trovòper varii giorni con le tasche gonfie di coronefinché nontrovammo la via ad una Banca che ci sbrigò dell'incomodofardello consegnandoci un libretto assegni di cui presto apprendemmoa far uso.

Guidosentì il bisogno di dire all'Olivi che gli facilitava ilcosidetto impianto:

-Le assicuro che non farò mai la concorrenza alla ditta del mioamico!

Mail giovinotto che del commercio aveva un altro concettorispose:

-Magari ci fosse un maggior numero di contraenti nei nostri articoli.Si starebbe meglio!

Guidorestò a bocca apertacomprese troppo bene come gli succedevasempre e si attaccò a quella teoria che propinò a chila volle.

Adonta della sua Scuola SuperioreGuido aveva un concetto poco precisodel dare e dell'avere. Stette a guardare con sorpresa come iocostituii il Conto Capitale ed anche come registrai le spese. Poi futanto dotto di contabilità che quando gli si proponeva unaffarelo analizzava prima di tutto dal punto di vista contabile.Gli pareva addirittura che la conoscenza della contabilitàconferisse al mondo un nuovo aspetto. Egli vedeva nascere debitori ecreditori dappertutto anche quando due si picchiavano o si baciavano.

Sipuò dire ch'egli entrò in commercio armato dellamassima prudenza. Rifiutò una quantità di affari edanzi per sei mesi li rifiutò tutti con l'aria tranquilla dichi sa meglio:

-No! - dicevae il monosillabo pareva il risultato di un calcolopreciso anche quando si trattava di un articolo ch'egli non aveva maivisto.

Matutta quella riflessione era stata sprecata a vedere come l'affareeppoi il suo eventuale beneficio o la sua perdita avrebbe dovutopassare traverso ad una contabilità. Era l'ultima cosa ch'egliavesse appreso e s'era sovrapposta a tutte le sue nozioni.

Miduole di dover dire tanto male del mio povero amicoma devo essereveritiero anche per intendere meglio me stesso. Ricordo quantaintelligenza egli impiegò per ingombrare il nostro piccoloufficio di fantasticherie che c'impedivano ogni sana operosità.A un dato puntoper iniziare il lavoro in commissionelanciammo perposta un migliaio di circolari. Guido fece questa riflessione:

-Quanti francobolli risparmiati se prima di spedire queste circolarisapessimo quali di esse raggiungeranno le persone che leconsidereranno!

Lafrase sola non avrebbe impedito nullama egli se ne compiacquetroppo e cominciò a gettare per aria le circolari chiuse perspedire solo quelle che cadevano dalla parte dell'indirizzo.L'esperimento ricordava qualche cosa di simile ch'io avevo fatto inpassatoma tuttavia a me sembra di non essere mai arrivato a talepunto. Naturalmente io non raccolsi né spedii le circolari dalui eliminateperché non potevo essere certo che non ci fossestata realmente una seria ispirazione che lo avesse diretto inquell'eliminazione e dovessi perciò non sprecare i francobolliche toccava di pagare a lui.

Lamia buona sorte m'impedì di venir rovinato da Guidoma lastessa buona sorte m'impedì pure di prendere una parte troppoattiva nei suoi affari. Lo dico ad alta voce perché altri aTrieste pensa che non sia stato così: durante il tempo chepassai con luinon intervenni mai con un'ispirazione qualunquedelgenere di quelle della frutta secca. Mai lo spinsi ad un affare e maigliene impedii alcuno. Ero l'ammonitore! Lo spingevo all'attivitàall'oculatezza. Ma non avrei osato di gettare sul tavolo da giuoco isuoi denari.

Accantoa lui io mi feci molto inerte. Cercai di metterlo sulla retta via eforse non ci riuscii per troppa inerzia. Del restoquando due sitrovano insiemenon spetta loro di decidere chi dei due deve essereDon Quijote e chi Sancio Panza. Egli faceva l'affare ed io da buonSancio lo seguivo lento lento nei miei libri dopo di averlo esaminatoe criticato come dovevo.

Ilcommercio in commissione fiascheggiò completamentemasenz'arrecarci alcun danno. Il solo che c'inviò delle merci fuun cartolaio di Viennae una parte di quegli oggetti di cancelleriafurono venduti da Luciano che pian pianino arrivò a saperequanta commissione ci spettasse e se la fece concedere quasi tutta daGuido. Guido finì con l'accondiscendere perché eranopiccolezzeeppoi perché il primo affare liquidato cosìdoveva portare fortuna. Questo primo affare ci lasciò lostrascico nel camerino dei ripostigli di una quantità dioggetti di cancelleria che dovemmo pagare e tenere. Ne avevamo per ilconsumo di molti anni di una casa commerciale ben più attivadella nostra.

Perun paio di mesi quel piccolo ufficio luminosonel centro dellacittàfu per noi un ritrovo gradevole. Vi si lavorava benpoco (io credo vi si abbiano conchiusi in tutto due affari inimballaggi usati vuoti per i quali nello stesso giorno s'incontraronoda noi la domanda e l'offerta e da cui ricavammo un piccolo utile) evi si chiacchierava moltoda buoni ragazzianche conquell'innocente di Lucianoil qualequando si parlava d'affaris'agitava come altri della sua età quando sente dire di donne.

 

Alloram'era facile di divertirmi da innocente con gl'innocenti perchénon avevo ancora perduta Carla. E di quell'epoca ricordo con piacerela giornata intera. La seraa casaavevo molte cose da raccontaread Augusta e potevo dirle tutte quelle che si riferivano all'ufficiosenz'alcun'eccezione e senza dover aggiungervi qualche cosa perfalsarle.

Nonmi preoccupava affatto quando Augusta impensierita esclamava:

-Ma quando comincerete a guadagnare dei denari?

Denari?A quelli non ci avevamo ancora neppur pensato. Noi sapevamo che primabisognava fermarsi a guardarestudiare le merciil paese e anche ilnostro Hinterland. Non s'improvvisava mica così unacasa di commercio! E anche Augusta s'acquietava alle mie spiegazioni.

Poinel nostro ufficio fu ammesso un ospite molto rumoroso. Un cane dacaccia di pochi mesiagitato e invadente. Guido lo amava molto eaveva organizzato per lui un approvvigionamento regolare di latte edi carne. Quando non avevo da fare né da pensarelo vedevoanch'io con piacere saltellare per l'ufficio in quei quattro o cinqueatteggiamenti che noi sappiamo interpretare dal cane e che ce lorendono tanto caro. Ma non mi pareva fosse al suo posto con noicosìrumoroso e sudicio! Per me la presenza di quel cane nel nostroufficiofu la prima prova che Guido fornì di non essere degnodi dirigere una casa commerciale. Ciò provava un'assenzaassoluta di serietà. Tentai di spiegargli che il cane nonpoteva promovere i nostri affarima non ebbi il coraggio diinsistere ed egli con una risposta qualunque mi fece tacere.

Perciòmi parve di dover dedicarmi io all'educazione di quel mio collega egli assestai con grande voluttà qualche calcio quando Guidonon c'era. Il cane guaiva e dapprima ritornava a me credendo iol'avessi urtato per errore. Ma un secondo calcio gli spiegava meglioil primo ed allora egli si rincantucciava e finché Guido nonarrivava nell'ufficio non v'era pace. Mi pentii poi di averimperversato su di un innocentema troppo tardi. Colmai il cane digentilezzema esso non si fidò più di me ed inpresenza di Guido diede chiaro segno della sua antipatia.

-Strano! - disse Guido. - Fortuna che so chi tu siaperchéaltrimenti diffiderei di te. I cani di solito non sbagliano con leloro antipatie.

Perfar dileguare i sospetti di Guidoquasi quasi gli avrei raccontatoin quale modo io avevo saputo conquistarmi l'antipatia del cane.

Ebbipresto una scaramuccia con Guido su una questione che veramente nonavrebbe dovuto importarmi tanto. Occupatosi con tanta passione dicontabilitàegli si mise in capo di mettere le sue spese difamiglia nel conto delle spese generali. Dopo di essermi consultatocon l'Oliviio mi vi opposi e difesi gl'interessi del vecchio Cada.Non era infatti possibile di mettere in quel conto tutto ciòche spendeva GuidoAda eppoi anche quello che costarono i duegemelli quando nacquero. Erano delle spese che incombevanopersonalmente a Guido e non alla ditta. Poiin compensosuggerii discrivere a Buenos Aires per accordarsi per un salario per Guido. Ilpadre si rifiutò di concederlo osservando che Guido percepivagià il settantacinque per cento dei benefici mentre a lui nontoccava che il residuo. A me parve una risposta giusta mentre Guidosi mise a scrivere delle lunghe lettere al padre per discutere laquestione da un punto di vista superiorecome egli diceva. BuenosAires era molto lontana e così la corrispondenza duròfinché durò la nostra casa. Ma io vinsi il mio punto!Il conto spese generali rimase puro e non fu inquinato dalle speseparticolari di Guido e il capitale fu compromesso intero dal crollodella casama proprio intero senza deduzioni.

Laquinta persona ammessa nel nostro ufficio (calcolando anche Argo) fuCarmen. Io assistetti alla sua assunzione all'impiego. Ero venutoall'ufficio dopo di essere stato da Carla e mi sentivo molto serenodi quella serenità delle otto di mattina del principe diTaillerand. Nell'oscuro corridoio vidi una signorinae Luciano midisse ch'essa voleva parlare con Guido in persona. Io avevo qualchecosa da fare e la pregai di attendere là fuori. Guido entròpoco dopo nella nostra stanza evidentemente senz'aver vista lasignorina e Luciano venne a porgergli il biglietto di presentazionedi cui la signorina era fornita. Guido lo lesse eppoi:

-No! - disse seccamente levandosi la giubba perché facevacaldo. Ma subito dopo ebbe un'esitazione:

-Bisognerà che le parli per riguardo a chi la raccomanda.

Lafece entrare ed io la guardai soltanto quando vidi che Guido s'eragettato con un balzo sulla propria giubba per indossarla e s'erarivolto alla fanciulla con la bella faccia bruna arrossata e gliocchi scintillanti.

Oraio sono sicuro di aver viste delle fanciulle altrettanto belle diCarmenma non di una bellezza tanto aggressiva cioè tantoevidente alla prima occhiata. Di solito le donne prima si creano peril proprio desiderio mentre questa non aveva il bisogno di tale primafase. Guardandola sorrisi e anche risi. Mi pareva simile ad unindustriale che corresse per il mondo gridando l'eccellenza dei suoiprodotti. Si presentava per avere un impiegoma io avrei avutovoglia d'intervenire nelle trattative per domandarle: - Qualeimpiego? Per un'alcova?

Iovidi che la sua faccia non era tintama i colori ne erano tantoprecisitanto azzurro il candore e tanto simile a quello dellefrutta mature il rossoreche l'artificio vi era simulato allaperfezione. I suoi grandi occhi bruni rifrangevano una tale quantitàdi luce che ogni loro movimento aveva una grande importanza.

Guidol'aveva fatta sedere ed essa modestamente guardava la punta delproprio ombrellino o più probabilmente il proprio stivalettoverniciato. Quand'egli le parlòessa levò rapidamentegli occhi e glieli rivolse sulla faccia così luminosiche ilmio povero principale ne fu proprio abbattuto. Era vestitamodestamentema ciò non le giovava perché ognimodestia sul suo corpo s'annullava. Solo gli stivaletti erano dilusso e ricordavano un po' la carta bianchissima che Velasquezmetteva sotto ai piedi dei suoi modelli. Anche Velasquezperstaccare Carmen dall'ambientel'avrebbe poggiata sul nero di lacca.

Nellamia serenità io stetti a sentire curiosamenteGuido ledomandò se conoscesse la stenografia. Essa confessò dinon conoscerla affattoma aggiunse che aveva una grande pratica discrivere sotto dettatura. Curioso! Quella figura altaslanciata etanto armonicaproduceva una voce roca. Non seppi celare la miasorpresa:

-È raffreddata? - le domandai.

-No! - mi rispose - Perché me lo domanda? - e fu tanto sorpresache l'occhiata in cui m'avvolse fu anche più intensa. Nonsapeva di avere una voce tanto stonata ed io dovetti supporre cheanche il suo piccolo orecchio non fosse tanto perfetto come appariva.

Guidole domandò se conoscesse l'ingleseil francese o il tedesco.Egli le lasciava la scelta visto che noi ancora non sapevamo di qualelingua avremmo avuto bisogno. Carmen rispose che sapeva un po' ditedescoma pochissimo.

Guidonon prendeva mai alcuna decisione senza ragionare:

-Noi non abbiamo bisogno del tedesco perché lo so molto beneio.

Lasignorina aspettava la parola decisiva che a me pareva fosse giàstata detta eper affrettarlaraccontò ch'essa nel nuovoimpiego cercava anche la possibilità d'impratichirsi e cheperciò si sarebbe contentata di un salario ben modesto.

Unodei primi effetti della bellezza femminile su di un uomo èquello di levargli l'avarizia. Guido si strinse nelle spalle persignificare che di cose tanto insignificanti non si occupavalestabilì il salario ch'essa riconoscente accettò e leraccomandò con grande serietà di studiare lastenografia. Questa raccomandazione egli la fece solo per riguardo ame col quale s'era compromesso dichiarando che il primo impiegatoch'egli avrebbe assunto sarebbe stato uno stenografo perfetto.

Quellasera stessa raccontai del mio nuovo collega a mia moglie. Essa ne fuoltremodo spiacente. Senza ch'io gliel'avessi dettoessa pensòsubito che Guido avesse assunta al suo servizio quella fanciulla perfarsene un'amante. Io discussi con lei epur ammettendo che Guido sicomportava un poco da innamoratoasserii ch'egli avrebbe potutoriaversi da quel colpo di fulmine senza che vi fossero delleconseguenze. La fanciullain complessopareva dabbene.

Pochigiorni dopo - non so se per caso - ebbimo in ufficio la visita diAda. Guido non c'era ancora ed essa si fermò con me per unistante per domandarmi a che ora sarebbe venuto. Poicon passoesitantesi recò nella stanza vicina ove in quel momento nonc'erano che Carmen e Luciano. Carmen stava esercitandosi allamacchina da scriveretutt'assorta a rintracciarvi le singolelettere. Alzò i begli occhi per guardare Ada che la fissava.Come erano differenti le due donne! Si somigliavano un pocomaCarmen pareva un'Ada caricata. Io pensai che veramente l'una che purera vestita più riccamentefosse fatta per divenire unamoglie o una madre mentre all'altraad onta che in quell'istanteportasse un modesto grembiule per non insudiciare il suo vestito allamacchinatoccava la parte di amante. Non so se a questo mondo visieno dei dotti che saprebbero dire perché il bellissimoocchio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse perciòun vero organo per guardare le cose e le persone e non persbalordirle. Così Carmen ne sopportò benissimol'occhiata sdegnosama anche curiosa; v'era dentro fors'anche unpoco d'invidiao ve la misi io?

Questafu l'ultima volta in cui io vidi Ada ancora bellaproprio quales'era rifiutata a me. Poi venne la sua disastrosa gravidanza e i duegemelli ebbero bisogno dell'intervento del chirurgo per venireall'aria. Subito dopo fu colpita da quella malattia che le tolse ognibellezza. Perciò io ricordo tanto bene quella visita. Ma laricordo anche perché in quel momento tutta la mia simpatiaandò a lei dalla bellezza mite e modesta abbattuta da quellatanto differente dell'altra. Io non amavo certo Carmen e non nesapevo altro che i magnifici occhigli splendidi coloripoi la voceroca e infine il modo - di cui essa era innocente - come era stataammessa lì dentro. Volli invece proprio bene ad Ada in quelmomentoed è una cosa ben strana di voler bene ad una donnache si desiderò ardentementeche non si ebbe e di cui ora nonimporta niente. In complesso si arriva così alle stessecondizioni in cui ci si troverebbe qualora essa avesse aderito ainostri desideriied è sorprendente di poter constatare ancorauna volta come certe cose per cui viviamo hanno una ben piccolaimportanza.

Volliabbreviarle il dolore e la precedetti all'altra stanza. Guidochesubito dopo entròsi fece molto rosso alla vista dellamoglie. Ada gli disse una ragione plausibilissima per cui era venutama subito dopo e in atto di lasciarcigli domandò:

-Avete assunto in ufficio una nuova impiegata?

-Si! - disse Guido eper celare la sua confusionenon trovòdi meglio che d'interrompersi per domandare se qualcuno fosse venutoa cercarlo. Poiavuta la mia risposta negativaebbe ancora unasmorfia di dispiacere come se avesse sperata una visita importantementre io sapevo che non aspettavamo proprio nessuno e appena alloradisse ad Ada con un aspetto d'indifferenza che finalmente gli riuscìdi assumere:

-Avevamo bisogno di uno stenografo!

Iomi divertii moltissimo all'udire ch'egli sbagliava anche il sessodella persona di cui aveva bisogno.

Lavenuta di Carmen apportò una grande vita nel nostro ufficio.Non parlo della vivacità che veniva dai suoi occhidallagentile sua figura e dai colori della sua faccia; parlo proprio diaffari. Guido ebbe una spinta al lavoro dalla presenza di quellafanciulla. Prima di tutto volle dimostrare a me e a tutti gli altriche la nuova impiegata era necessariaed ogni giorno inventava deinuovi lavori cui partecipava anche lui. Poiper lungo tempola suaattività fu un mezzo per corteggiare più efficacementela fanciulla. Raggiunse un'efficacia inaudita. Doveva insegnarle laforma della lettera ch'egli dettava e correggerle l'ortografia dimolte moltissime parole. Lo fece sempre dolcemente. Qualunquecompenso da parte della fanciulla non sarebbe stato eccessivo.

Pochidegli affari inventati da lui in amore gli diedero un frutto. Unavolta lavorò lungamente intorno ad un affare in un articoloche risultò essere proibito. Ci trovammo ad un certo punto difronte ad un uomo dalla faccia contratta dal dolore sui cui callinoisenza saperloeravamo montati. Voleva sapere quest'uomo checosa c'entrassimo noi in quell'articolo e supponeva fossimo statimandatarii di potenti concorrenti esteri. La prima volta erasconvolto e temeva il peggio. Quando indovinò la nostraingenuitàci rise in faccia e ci assicurò che nonsaremmo riusciti a nulla. Finì ch'ebbe ragionema prima checi acconciassimo alla condanna durò non poco tempo e da Carmenfurono scritte non poche lettere. Trovammo che l'articolo erairraggiungibile perché circondato da trincee. Io non dissinulla di tale affare ad Augustama essa ne parlò a me perchéGuido ne aveva parlato ad Ada per dimostrarle quanto da fare avesseil nostro stenografo. Ma l'affare che non fu fattorimase moltoimportante per Guido. Ne parlò ogni giorno. Era convinto chein nessun'altra città del mondo sarebbe avvenuta una cosasimile. Il nostro ambiente commerciale era miserabile ed ognicommerciante intraprendente vi veniva strangolato. Cosìtoccava anche a lui

Nellafolledisordinata sequela di affari che in quell'epoca passòper le nostre manive ne fu uno che addirittura ce le bruciò.Non lo cercammo noi; fu l'affare che ci assaltò. Vi fummocacciati dentro da un dalmatacerto Tacichil cui padre avevalavorato all'Argentina col padre di Guido. Venne dapprima a trovarcisolo per avere da noi delle informazioni commerciali che noi seppimoprocurargli.

IlTacich era un bellissimo giovineanzi troppo bello. Altoforteaveva una faccia olivastra in cui si fondevano in un'intonazionedeliziosa l'azzurro fosco degli occhile lunghe sopracciglia e ibrevi folti mustacchi bruni dai riflessi aurei. Insomma v'era in luiun tale intonato studio di colore che a me parve l'uomo nato peraccompagnarsi a Carmen. Anche a lui parve così e venne atrovarci ogni giorno. La conversazione nel nostro ufficio durava ognigiorno per delle orema non fu mai noiosa. I due uomini lottavanoper conquistare la donna ecome tutti gli animali in amoresfoggiavano le loro migliori qualità. Guido era un po'trattenuto dal fatto che il dalmata veniva a trovarlo anche a casasua e conosceva perciò Adama niente poteva piùdanneggiarlo agli occhi di Carmen; ioche conoscevo tanto benequegli occhilo seppi subitomentre il Tacich lo apprese molto piùtardi eper avere più frequente il pretesto di vederlacomperò da noi anziché dal fabbricantevarii vagoni disapone che pagò per qualche percento più cari. Poisempre per amoreci ficcò in quell'affare disastroso.

Suopadre aveva osservato checostantementein certe stagioniilsolfato di rame saliva e in altre calava di prezzo. Decise perciòdi comperarne per speculazione nel momento più favorevoleinInghilterrauna sessantina di tonnellate. Noi parlammo a lungo diquell'affare ed anzi lo preparammo mettendoci in relazione con unacasa inglese. Poi il padre telegrafò al figlio che il buonmomento gli sembrava giunto e disse anche il prezzo al quale sarebbestato disposto di concludere l'affare. Il Tacichinnamorato com'eracorse da noi e ci consegnò l'affare avendone in premio unabellagrandecarezzevole occhiata da Carmen. Il povero dalmataincassò riconoscente l'occhiata non sapendo ch'era unamanifestazione d'amore per Guido.

Miricordo la tranquillità e la sicurezza con cui Guido s'accinseall'affare che infatti si presentava facilissimo perché inInghilterra si poteva fissare la merce per consegna al nostro portodonde veniva cedutasenz'esserne rimossaal nostro compratore. Eglifissò esattamente l'importo che voleva guadagnare e col mioaiuto stabilì quale limite dovesse stabilire al nostro amicoinglese per l'acquisto. Con l'aiuto del vocabolario combinammoinsieme il dispaccio in inglese. Una volta speditoloGuido si fregòle mani e si mise a calcolare quante corone gli sarebbero piovute incassa in premio di quella lieve e breve fatica. Per tenersifavorevoli gli deitrovò giusto di promettere una piccolaprovvigione a me e quindicon qualche maliziaanche a Carmen cheall'affare aveva collaborato con i suoi occhi. Ambedue volemmorifiutarema egli ci supplicò di fingere almeno di accettare.Temeva altrimenti il nostro malocchio ed io lo compiacqui subito perrassicurarlo. Sapevo con certezza matematica che da me non potevanovenirgli che i migliori augurima capivo ch'egli potesse dubitarne.Quaggiù quando non ci vogliamo male ci amiamo tuttima peròi nostri vivi desideri accompagnano solo gli affari cui partecipiamo.

L'affarefu vagliato in tutti i sensi ed anzi ricordo che Guido calcolòpersino per quanti mesicol beneficio che ne avrebbe trattoavrebbepotuto mantenere la sua famiglia e l'ufficiocioè le sue duefamigliecome egli diceva talvolta o i suoi due uffici come dicevatale altra quando si seccava molto in casa. Fu vagliato troppoquell'affaree non riuscì forse per questo. Da Londra capitòun breve dispaccio: Notato eppoi l'indicazione del prezzo diquel giorno del solfatopiù elevato di molto di quelloconcessoci dal nostro compratore. Addio affare. Il Tacich ne fuinformato e poco dopo abbandonò Trieste.

Inquell'epoca io cessai per circa un mese di frequentare l'ufficio eperciòper le mie maninon passò una lettera chegiunse alla dittadall'aspetto inoffensivoma che doveva averegravi conseguenze per Guido. Con essaquella ditta inglese ciconfermava il suo dispaccio e finiva con l'informarci che notava ilnostro ordine valido sino a revoca. Guido non ci pensò affattodi dare tale revoca ed ioquando ritornai in ufficionon ricordaipiù quell'affare. Così varii mesi appressouna seraGuido venne a cercarmi a casa con un dispaccio ch'egli non intendevae che credeva fosse stato indirizzato a noi per errore ad onta cheportasse chiaro il nostro indirizzo telegrafico che io avevo fattoregolarmente notare non appena fummo installati nel nostro ufficio.Il dispaccio conteneva solo tre parole: 60 tons settleded iolo intesi subitociò che non era difficile perchéquello del solfato di rame era il solo affare grosso che avessimotrattato. Glielo dissi: si capiva da quel dispaccio che il prezzoche noi avevamo fissato per l'esecuzione del nostro ordineera statoraggiunto e che perciò eravamo felici proprietari di sessantatonnellate di solfato di rame.

Guidoprotestò:

-Come si può pensare ch'io accetti tanto in ritardol'esecuzione del mio ordine?

Pensaisubito io che nel nostro ufficio dovesse esserci la lettera diconferma del primo dispacciomentre Guido non ricordava di averlaricevuta. Luiinquietopropose di correre subito all'ufficio pervedere se ci fosseciò che mi fu molto gradito perchémi seccava quella discussione dinanzi ad Augusta la quale ignoravache io per un mese non m'ero fatto vedere in ufficio.

 

Corremmoall'ufficio. Guido era tanto dispiacente di vedersi costretto a quelprimo grande affare cheper esimersenesarebbe corso fino a Londra.Aprimmo l'ufficio; poia tastoni nell'oscuritàtrovammo lavia alla nostra stanza e raggiungemmo il gasper accenderlo. Allorala lettera fu subito trovata ed era fatta come io l'avevo supposta;c'informava cioè che il nostro ordine valido sino a revoca erastato eseguito.

Guidoguardò la lettera con la fronte contratta non so se daldispiacere o dallo sforzo di voler annientare col suo sguardo quantosi annunciava esistente con tanta semplicità di parola.

-E pensare - osservò - che sarebbe bastato di scrivere dueparole per risparmiarsi un danno simile.

Nonera certo un rimprovero diretto a me perché io ero statoassente dall'ufficio eper quanto avessi saputo trovare subito lalettera sapendo ove doveva trovarsiprima di allora non l'avevo maivista. Ma per nettarmi più radicalmente da ogni rimproverolorivolsi deciso a lui:

-Durante la mia assenza avresti pur dovuto leggere accuratamente tuttele lettere!

Lafronte di Guido si spianò. Alzò le spalle e mormorò:

-Può ancora finire coll'essere una fortuna quest'affare.

Pocodopo mi lasciò ed io ritornai a casa mia. Ma il Tacich ebberagione: in certe stagioni il solfato di rame andava giùgiùogni giorno più giù e noi avevamo nell'esecuzione delnostro ordine e nella immediata impossibilità di cedere lamerce a quel prezzo ad altril'opportunità di studiare tuttoil fenomeno. La nostra perdita aumentò. Il primo giorno Guidomi domandò consiglio. Avrebbe potuto vendere con una perditapiccola in confronto di quella che dovette sopportare poi. Io nonvolli dare dei consiglima non trascurai di ricordargli laconvinzione del Tacich secondo la quale il ribasso avrebbe dovutocontinuare per oltre cinque mesi. Guido rise:

-Adesso non mi mancherebbe altro che farmi dirigere nei miei affari daun provinciale!

Ricordoche tentai pure di correggerlodicendogli che quel provinciale damolti anni passava il suo tempo nella piccola cittadina dalmata aguardare il solfato di rame. Io non posso avere alcun rimorso per laperdita che Guido subì in quell'affare. Se mi avesse ascoltatogli sarebbe stata risparmiata.

Piùtardi discutemmo l'affare del solfato di rame con un agenteun uomopiccolograssocciovivo e accortoche ci biasimò di averfatto quell'acquistoma che non sembrava di dividere l'opinione delTacich. Secondo lui il solfato di rameper quanto facesse un mercatoa sépur risentiva la fluttuazione del prezzo del metallo.Guido da quell'intervista acquistò una certa sicurezza. Pregòl'agente di tenerlo informato di ogni movimento nel prezzo; avrebbeaspettato volendo vendere non soltanto senza perditama con unpiccolo utile. L'agente rise discretamente eppoi nel corso deldiscorso disse una parola ch'io notai perché mi parve moltovera:

-Curioso come a questo mondo vi sia poca gente che si rassegni aperdite piccole; sono le grandi che inducono immediatamente allagrande rassegnazione.

Guidonon ne fece caso. Io ammirai però anche luiperchéall'agente non raccontò per quale via noi fossimo arrivati aquell'acquisto. Glielo dissi ed egli ne menò vanto. Avrebbetemutomi dissedi screditare noi e anche la nostra merceraccontando la storia di quell'acquisto.

Poiper parecchio temponon parlammo più del solfatofinchécioè non venne da Londra una lettera con la quale ci siinvitava al pagamento e a dare istruzioni per la spedizione.Ricevereimmagazzinare sessanta tonnellate! A Guido cominciòa girare la testa. Facemmo i calcoli di quanto avremmo speso perconservare tale merce per varii mesi. Una somma enorme! Io non dissinientema il sensale che volontieri avrebbe vista la merce arrivarea Trieste perché allora prima o poi avrebbe avuto luil'incarico di venderlafece osservare a Guido che quella somma che alui pareva enormenon era gran cosa se espressa in "percenti"sul valore della merce.

Guidosi mise a ridere perché l'osservazione gli pareva strana:

-Io non ho mica soli cento chili di solfato; ne ho sessantatonnellatepurtroppo!

Egliavrebbe finito col lasciarsi convincere dal calcolo dell'agenteevidentemente giustovisto che con un piccolo movimento in sùdel prezzole spese sarebbero state coperte ad usurase in quelmomento non fosse stato arrestato da una sua cosidetta ispirazione.Quando gli avveniva di avere un'idea commerciale proprio suaegli neera addirittura allucinato e non c'era posto nella sua mente peraltre considerazioni. Ecco la sua idea: la merce gli era statavenduta franco Trieste da gente che doveva pagarne il trasportodall'Inghilterra. Se egli ora avesse ceduta la merce ai suoi stessivenditori che avrebbero perciò risparmiate le spese per taletrasportoegli avrebbe potuto fruire di un prezzo ben piùvantaggioso di quello che gli veniva offerto a Trieste. La cosa nonera tanto veramaper fargli piacerenessuno la discusse. Unavolta liquidata la faccendaegli ebbe un sorriso un po' amarognolosulla sua faccia che allora parve proprio di pensatore pessimista edisse:

-Non ne parliamo più. La lezione fu alquanto cara; bisogna orasaperne approfittare.

Invecese ne parlò ancora. Egli non ebbe mai più quella suabella sicurezza nel rifiutare degli affari equando alla fine d'annogli feci vedere quanti denari avevamo perdutiegli mormorò:

-Quel maledetto solfato di rame fu la mia disgrazia! Sentivo sempre ilbisogno di rimettermi di quella perdita!

Lamia assenza dall'ufficio era stato provocato dall'abbandono di Carla.Non avevo più potuto assistere agli amori di Carmen e Guido.Essi si guardavanosi sorridevanoin mia presenza. Me ne andaisdegnosamente con una risoluzione che presi di sera al momento dichiudere l'ufficio e senza dirne nulla a nessuno. M'aspettavo cheGuido m'avrebbe chiesta la ragione di tale abbandono e mi preparavoallora di dargli il fatto suo. Io potevo essere molto severo con luivisto ch'egli non sapeva assolutamente nulla delle mie gite alGiardino Pubblico.

Erauna specie di gelosia la miaperché Carmen m'appariva qualela Carla di Guidouna Carla più mite e sottomessa. Anche conla seconda donna egli era stato più fortunato di mecome conla prima. Ma forse - e ciò mi forniva la ragione ad un nuovorimprovero per lui - egli doveva anche tale fortuna a quelle suequalità ch'io gl'invidiavo e che continuavo a considerarequali inferiori: parallelamente alla sua sicurezza sul violinocorreva anche la sua disinvoltura nella vita. Io oramai sapevo concertezza di aver sacrificata Carla ad Augusta. Quando riandavo colpensiero a quei due anni di felicità che Carla m'avevaconcessim'era difficile d'intendere come essa - essendo fatta nelmodo che ora sapevo - avesse potuto sopportarmi per tanto tempo. Nonl'avevo io offesa ogni giorno per amore ad Augusta? Di Guido invecesapevo con certezza ch'egli avrebbe saputo godersi Carmen senzaneppur ricordarsi di Ada. Nel suo animo disinvolto due donne nonerano di troppo. Confrontandomi con luia me pareva di essereaddirittura innocente. Io avevo sposata Augusta senz'amore e tuttavianon sapevo tradirla senza soffrirne. Forse anche lui aveva sposataAda senz'amarlama - per quanto ora di Ada non m'importasse affatto- ricordavo l'amore ch'essa mi aveva ispirato e mi pareva che poichéio l'avevo amata tantoal suo posto sarei stato anche piùdelicato di quanto non lo fossi ora al mio.

Nonfu Guido che venne a cercarmi. Fui io che da solo ritornai aquell'ufficio a cercare il sollievo ad una grande noia. Egli sicomportò in conformità ai patti del nostro contrattosecondo i quali io non avevo alcun obbligo ad un'attivitàregolare nei suoi affari e quando s'imbatteva in me a casa o altrovemi dimostrava la solita grande amicizia di cui gli ero sempre grato enon sembrava ricordare ch'io avessi lasciato vuoto il posto a queltavolo ch'egli aveva comperato per me. Fra noi due non c'era che unsolo imbarazzo: il mio. Quando ritornai al mio posto m'accolse comese dall'ufficio io fossi stato assente per un giorno solom'espressecon calore il suo piacere di aver riconquistata la mia compagnia esentito il mio proposito di riprendere il mio lavoroesclamò:

-Ho fatto dunque bene a non permettere a nessuno di toccare i tuoilibri!

Infattitrovai il mastro ed anche il giornale al punto ove li avevo lasciati.

Lucianomi disse:

-Speriamo che ora che lei è quici moveremo di nuovo. Pensoche il signor Guido sia scoraggiato per un paio di affari che tentòe che non gli riuscirono. Non gli dica nulla che io le parlo cosìma guardi se può incoraggiarlo.

M'accorsiinfatti che in quell'ufficio si lavorava ben poco e finché laperdita subita col solfato di rame non ci vivificòvi si menòuna vita veramente idillica. Io ne conclusi subito che Guido nonsentisse più tanto urgente il bisogno di lavorare per farmuovere Carmen sotto la sua direzione ealtrettanto prestoche ilperiodo della corte da loro fosse passato e che oramai essa fossedivenuta la sua amante.

L'accoglienzadi Carmen mi portò una sorpresa perché essa subitosentì il bisogno di ricordarmi una cosa che io avevocompletamente dimenticata. Pare che prima di abbandonarequell'ufficioin quei giorni in cui ero corso dietro a tante donneperché non m'era stato più possibile di raggiungere lamiaio avessi aggredita anche Carmen. Essa mi parlò congrande serietà e con qualche imbarazzo: aveva piacere dirivedermi perché pensava io volessi bene a Guido e che i mieiconsigli potrebbero essergli utilie voleva intrattenere con me - seio vi consentivo - una bellauna fraterna amicizia. Mi disse proprioqualche cosa di simile porgendomi con gesto largo la sua destra.Sulla sua faccia tanto bella che sempre pareva dolcevi fu unatteggiamento molto severo per rilevare la pura fraternitàdella relazione che mi veniva offerta.

Alloraricordai e arrossii. Forse se avessi ricordato primanon sareiritornato a quell'ufficio mai più. Era stata una cosa tantobreve e ficcata in mezzo a tante altre azioni dello stesso valoreche se ora non fosse stata ricordatasi avrebbe potuto credere nonfosse esistita mai. Pochi giorni dopo l'abbandono di Carlaio m'eromesso a esaminare i libri facendomi aiutare da Carmen e pian pianinoper veder meglio nella stessa paginaavevo passato il mio bracciointorno alla sua vita che poi avevo stretta sempre più. Con unbalzo Carmen s'era sottratta a me ed io allora avevo abbandonatol'ufficio.

Ioavrei potuto difendermi con un sorriso inducendola a sorridere con meperché le donne sono tanto propense a sorridere di delittisiffatti! Avrei potuto dirle:

-Ho tentato una cosa che non m'è riuscita e me ne duolema nonvi tengo rancore e voglio esservi amico finché non vi piaceràaltrimenti.

Oavrei potuto rispondere anche da persona seriascusandomi con lei eanche con Guido:

-Scusatemi e non giudicatemi prima di sapere in quali condizioni io misia trovato allora.

Invecemi mancò la parola. La mia gola - credo - era chiusa dalrancore solidificatovisi e non potevo parlare. Tutte queste donne chemi respingevano risolutamente davano addirittura una tinta tragicaalla mia vita. Non avevo mai avuto un periodo tanto disgraziato.Invece di una risposta non mi sarei trovato pronto che a digrignare identicosa poca comoda dovendo celarla. Forse mi mancò laparola anche pel dolore di veder così recisamente esclusa unasperanza che tuttavia accarezzavo. Non posso fare a meno diconfessarlo: meglio che con Carmen non avrei potuto rimpiazzarel'amante ch'io avevo perdutaquella fanciulla tanto pococompromettente che non m'aveva chiesto altro che il permesso divivermi accanto finché non domandò quello di nonvedermi più. Un'amante in due è l'amante menocompromettente. Certamente allora non avevo chiarite tanto bene lemie ideema le sentivo e adesso le so. Divenendo l'amante di Carmenio avrei fatto il bene di Ada e non avrei danneggiato di troppoAugusta. Ambedue sarebbero state tradite molto meno che se Guido edio avessimo avuta una donna intera per ciascuno.

Larisposta a Carmen io la diedi varii giorni appressoma ancor oggidìne arrossisco. L'orgasmo in cui m'aveva gettato l'abbandono di Carladoveva sussistere tuttavia per farmi arrivare ad un punto simile. Neho rimorso come di nessun'altra azione della mia vita. Le parolebestiali che ci lasciamo scappare rimordono più fortementedelle azioni più nefande cui la nostra passione c'induca.

Naturalmentedesigno come parole solo quelle che non sono azioniperché sobenissimo che le parole di Jagoper esempiosono delle vere eproprie azioni. Ma le azionicomprese le parole di Jagosicommettono per averne un piacere o un beneficio e allora tuttol'organismoanche quella parte che poi dovrebbe erigersi a giudicevi partecipa e diventa dunque un giudice molto benevolo. Ma lastupida lingua agisce a propria e a soddisfazione di qualche piccolaparte dell'organismo che senza di essa si sente vinta e procede allasimulazione di una lotta quando la lotta è finita e perduta.Vuole ferire o vuole accarezzare. Si muove sempre in mezzo a deitraslati mastodontici. E quando son roventile parole scottano chile ha dette.

Ioavevo osservato ch'essa non aveva più i colori che l'avevanofatta ammettere tanto prontamente nel nostro ufficio. Mi figuraifossero andati perduti per una sofferenza che non ammisi avessepotuto essere fisica e l'attribuii all'amore per Guido. Del resto noiuomini siamo molto inclinati a compiangere le donne che siabbandonarono agli altri. Non vediamo mai quale vantaggio se nepossano aspettare. Possiamo magari amare l'uomo di cui si tratta -come avveniva nel caso mio - ma non sappiamo neppur alloradimenticare come di solito vadano a finire quaggiù leavventure d'amore. Sentii una sincera compassione per Carmen come nonl'avevo sentita mai per Augusta o per Carla. Le dissi: - E giacchéavete avuta la gentilezza d'invitarmi ad esservi amicomipermettereste di farvi degli ammonimenti?

Essanon me lo permiseperchécome tutte le donne in queifrangentianch'essa credette che ogni ammonimento siaun'aggressione. Arrossì e balbettò: - Non capisco!Perché dice così? - E subito dopoper farmi tacere: -Se avessi bisogno di consigli ricorrerei certamente a leisignorCosini.

Perciònon mi fu concesso di predicarle la morale e fu un danno per me.Predicandole la morale certamente sarei arrivato ad un gradosuperiore di sinceritàmagari tentando di prenderla di nuovofra le mie braccia. Non m'arrovellerei più di aver volutoassumere quell'aspetto bugiardo di Mentore.

Pervarii giorni di ogni settimanaGuido non si faceva neppur vedere inufficio perché s'era appassionato alla caccia e alla pesca.Ioinvecedopo il mio ritornoper qualche tempo vi fui assiduooccupatissimo nel mettere a giorno i libri. Ero spesso solo conCarmen e Luciano che mi consideravano quale il loro capo ufficio. Nonmi pareva che Carmen soffrisse per l'assenza di Guido e mi figuraich'essa l'amasse tanto da gioire al sapere che si divertiva. Dovevaanche essere avvisata dei giorni in cui egli sarebbe stato assenteperché non tradiva alcuna attesa ansiosa. Sapeva da Augustache Ada invece non era fatta cosìperché si lagnavaamaramente delle frequenti assenze del marito. Del resto non eraquesta la sua unica lagnanza. Come tutte le donne non amateessa silagnava con lo stesso calore delle offese grandi e di quelle piccole.Non soltanto Guido la tradivama quando era in casa suonava sempreil violino. Quel violinoche m'aveva fatto tanto soffrireera unaspecie di lancia di Achille per la varietà delle sueprestazioni. Appresi ch'era passato anche per il nostro ufficio oveaveva promossa la corte a Carmen con delle bellissime variazioni sul"Barbiere". Poi era ripartito perché in ufficio nonoccorreva più ed era ritornato a casa ove risparmiava a Guidola noia di dover conversare con la moglie.

Frame e Carmen non ci fu mai più nulla. Ben presto io ebbi perlei un sentimento d'indifferenza assoluta come se essa avessecambiato di sessoqualche cosa di simile a quello che provavo perAda. Una viva compassione per ambedue e nient'altro. Proprio così!

Guidomi colmava di gentilezze. Io credo che in quel mese in cui l'avevolasciato soloavesse imparato ad apprezzare la mia conpagnia. Unadonnina come Carmen può essere gradevole di tempo in tempomanon si può mica sopportarla per giornate intere. Egli m'invitòa caccia e a pesca. Aborro la caccia e decisamente mi rifiutai diaccompagnarvelo. Inveceuna seraspintovi dalla noiafinii conl'andare con lui a pesca. Al pesce manca ogni mezzo di comunicazionecon noi e non può destare la nostra compassione. Se boccheggiaanche quand'è sano e salvo in acqua! Persino la morte non nealtera l'aspetto. Il suo dolorese esisteè celatoperfettamente sotto le sue squame.

Quandoun giorno m'invitò ad una pesca notturnami riservai divedere se Augusta m'avrebbe permesso di uscire quella sera e direstar fuori tanto tardi. Gli dissi che avrei ricordato che la suabarchetta si sarebbe staccata dal molo Sartorio alle nove di sera echepotendomi vi sarei trovato. Pensai perciò che anche luidovette sapere subito che per quella sera non m'avrebbe riveduto eche come avevo fatto tante altre voltenon mi sarei recatoall'appuntamento.

Invecequella sera fui cacciato di casa dalle strida della mia piccolaAntonia. Più la madre l'accarezzava e più la piccinastrillava. Allora tentai un mio sistema che consisteva nel gridardelle insolenze nel piccolo orecchio di quella scimmietta urlante.N'ebbi il solo risultato di far cambiare il ritmo alle sue stridaperché si mise a gridare dallo spavento. Poi avrei volutotentare un altro sistema un poco più energicoma Augustaricordò in tempo l'invito di Guido e m'accompagnò allaporta promettendomi di coricarsi sola se io non fossi rincasato chetardi. Anzipur di mandarmi viasi sarebbe anche adattata diprendere senza di me il caffè la mattina appressose fossirimasto fuori fino allora. C'è un piccolo dissidio tra me eAugusta - l'unico - sul modo di trattare i bambini fastidiosi: a mepare che il dolore del bambino sia meno importante del nostro e chevalga la pena d'infliggerglielo pur di risparmiare un grande disturboall'adulto; a lei invece sembra che noiche abbiamo fatti i bambinidobbiamo anche subirli.

Avevotutto il tempo per arrivare all'appuntamento e attraversai lentamentela città guardando le donne e nello stesso tempo inventando unordigno speciale che avrebbe impedito ogni dissidio fra me edAugusta. Ma per il mio ordigno l'umanità non era abbastanzaevoluta! Esso era destinato al futuro lontano e non poteva piùgiovare a me se non dimostrandomi per quale piccola ragione sirendevano possibili le mie dispute con Augusta: la mancanza di unpiccolo ordigno! Esso sarebbe stato sempliceun tramvai casalingouna sediola fornita di ruote e rotaie sulla quale la mia bimbaavrebbe passata la sua giornata: poi un bottone elettrico toccando ilquale la sediola con la bimba urlante si sarebbe messa a correre viafino a raggiungere il punto più lontano della casa donde lasua voce affievolita dalla lontananza ci sarebbe sembrata perfinogradevole. Ed io ed Augusta saremmo rimasti insieme tranquilli edaffettuosi.

Erauna notte ricca di stelle e priva di lunauna di quelle notti in cuisi vede molto lontano e perciò addolcisce e quieta. Guardai lestelle che avrebbero potuto ancora portare il segno dell'occhiatad'addio di mio padre moribondo. Sarebbe passato il periodo orrendo incui i miei bimbi sporcavano e urlavano. Poi sarebbero stati simili ame; io li avrei amati secondo il mio dovere e senza sforzo. Nellabellavasta notte mi rasserenai del tutto e senz'aver bisogno difare dei propositi.

Allapunta del molo Sartorio le luci provenienti dalla città eranotagliate dall'antica casetta da cui sporge la punta stessa quale unabreve fondamenta. L'oscurità era perfetta e l'acqua alta efosca e quieta mi pareva pigramente gonfia.

Nonguardai più né il cielo né il mare. A pochipassi da me c'era una donna che destò la mia curiositàper uno stivaletto verniciato che per un istante brillònell'oscurità. Nel breve spazio e nel buioa me parve chequella donna alta e forse elegantesi trovasse chiusa in una stanzacon me. Le avventure più gradevoli possono capitare quandomeno ci si pensae vedendo che quella donna tutt'ad un trattodeliberatamente s'avvicinavaebbi per un istante un sentimentopiacevolissimoche sparve subito quando sentii la voce roca diCarmen. Voleva fingere di aver piacere d'apprendere ch'ero anch'iodella partita. Ma nell'oscurità e con quella specie di vocenon si poteva fingere.

Ledissi rudemente:

-Guido m'ha invitato. Ma se voleteio trovo altro da fare e vi lasciosoli!

Ellaprotestò dichiarando che anzi era felice di vedermi per laterza volta in quel giorno. Mi raccontò che in quella piccolabarchetta si sarebbe trovato riunito l'ufficio intero perchéc'era anche Luciano. Guai per i nostri affari se fosse andata apicco! M'aveva detto che c'era anche Lucianocerto per darmi laprova dell'innocenza del ritrovo. Poi chiacchierò ancoravolubilmentedapprima dicendomi ch'era la prima volta che andava conGuido a pesca eppoi confessando ch'era la seconda. S'era lasciatosfuggire che non le dispiaceva di star seduta "a pagliolo"in una barchetta e a me era sembrato strano ch'essa conoscesse queltermine. Così dovette confessarmi di averlo appreso la primavolta ch'era stata a pesca con Guido.

-Quel giorno - aggiunse per rivelare la completa innocenza di quellaprima gita - andammo alla pesca degli sgombri e non delle orate. Dimattina.

Peccatoche non abbia avuto il tempo di farla chiacchierare di piùperché avrei potuto sapere tutto quello che m'importavamadall'oscurità della Sacchetta uscì e s'approssimòa noi rapidamente la barchetta di Guido. Io ero sempre in dubbio: dalmomento che c'era Carmennon avrei dovuto allontanarmi? Forse Guidonon aveva neppur avuto l'intenzione d'invitarci ambedue perchéio ricordavo di aver quasi rifiutato il suo invito. Intanto labarchetta approdò egiovanilmente sicura anche nell'oscuritàCarmen vi scese trascurando di appoggiarsi alla mano che Luciano leaveva offerta. Poiché esitavoGuido urlò:

-Non farci perder tempo!

Conun balzo fui anch'io nella barchetta.

Ilbalzo mio era quasi involontario: un prodotto dell'urlo di Guido.Guardavo con grande desiderio la terrama bastò un istante diesitazione per rendermi impossibile lo sbarco. Finii col sedermi aprua della non grande barchetta. Quando m'abituai all'oscuritàvidi che a poppadi faccia a mesedeva Guido e ai suoi piediapaglioloCarmen. Lucianoche vogavaci divideva. Io non mi sentivoné molto sicuro né molto comodo nella piccola barcamapresto mi vi abituai e guardai le stelle che di nuovo mi mitigarono.Era vero che in presenza di Luciano - un servo devoto delle famigliedelle nostre mogli - Guido non si sarebbe rischiato di tradire Ada enon c'era perciò niente di male che io fossi con loro.Desideravo vivamente di poter godere di quel cieloquel mare e lavastissima quiete. Se avessi dovuto sentirne rimorso e perciòsoffrireavrei fatto meglio di restare a casa mia a farmi torturaredalla piccola Antonia. L'aria fresca notturna mi gonfiò ipolmoni e compresi ch'io potevo divertirmi in compagnia di Guido eCarmencui in fondo volevo bene.

Passammodinanzi al faro e arrivammo al mare aperto. Qualche miglio piùin là brillavano le luci d'innumerevoli velieri: là sitendevano ben altre insidie al pesce. Dal Bagno Militare- una molepoderosa nereggiante sui suoi pali- cominciammo a moverci su e giùlungo la riviera di Sant'Andrea. Era il posto prediletto deipescatori. Accanto a noisilenziosamentemolte altre barchefacevano la stessa nostra manovra. Guido preparò le tre lenzee inescò gli ami configgendovi dei gamberelli per la coda.Consegnò una lenza ad ognuno di noi dicendo che la miaaprua- la sola munita di piombino - sarebbe stata preferita dalpesce. Scorsi nell'oscurità il mio gamberello dalla codatrafitta e mi parve che movesse lentamente la parte superiore delcorpoquella parte che non era diventata una guaina. Per questomovimento mi parve piuttosto meditabondo che spasimante dal dolore.Forse ciò che produce il dolore nei grandi organismineipiccolissimi può ridursi fino a divenire un'esperienza nuovaun solletico al pensiero. Lo ficcai nell'acqua calandovelocome mifu detto da Guidoper dieci braccia. Dopo di me Carmen e Guidocalarono le loro lenze. Guido aveva ora a poppa anche un remo colquale spingeva la barca con l'arte che occorreva perché lelenze non s'aggrovigliassero. Pare che Luciano non fosse ancora alcaso di dirigere in tale modo la barchetta. Del resto Luciano avevaora l'incarico della piccola rete con la quale avrebbe levatodall'acqua il pesce portato dall'amo fino alla superficie. Per lungotempo egli non ebbe nulla da fare. Guido ciarlava molto. Chissàche non sia stato attaccato a Carmen dalla sua passione perl'insegnamento piuttosto che dall'amore. Io avrei voluto non starlo asentire per continuare a pensare al piccolo animaletto che tenevoesposto alla voracità dei pescisospeso nell'acqua e che coicenni della testolina - se li continuava anche in acqua - avrebbeadescato meglio il pesce. Ma Guido mi chiamò ripetute volte edovetti star a sentire la sua teoria sulla pesca. Il pesce avrebbetoccato varie volte l'esca e noi l'avremmo sentitoma dovevamoguardarci dal tirare la lenza finché non si fosse tesa. Alloradovevamo essere pronti per dare lo strappo che avrebbe infilzatosicuramente l'amo nella bocca del pesce. Guidocome al solitofulungo nelle sue spiegazioni. Voleva spiegarci chiaramente quello cheavremmo sentito nella mano quando il pesce avrebbe annusato l'amo. Econtinuava le sue spiegazioni quando io e Carmen conoscevamo giàper esperienza la quasi sonora ripercussione sulla mano di ognicontatto che l'amo subiva. Più volte dovemmo raccogliere lalenza per rinnovare l'esca. Il piccolo animaluccio pensieroso finivainvendicato nelle fauci di qualche pesce accorto che sapeva evitarel'amo.

Abordo c'era della birra e dei panini. Guido condiva tutto ciòcon la sua chiacchiera inesauribile. Parlava ora delle enormiricchezze che giacevano nel mare. Non si trattavacome Lucianocredevané del pesce né delle ricchezze immersevidall'uomo. Nell'acqua del mare c'era disciolto dell'oro.Improvvisamente ricordò ch'io avevo studiato chimica e midisse:

-Anche tu devi sapere qualche cosa di quest'oro.

Ionon ne ricordavo moltoma annuii arrischiando un'osservazione dellacui verità non potevo essere sicuro. Dichiarai:

-L'oro del mare è il più costoso di tutti. Per avere unodi quei napoleoni che giacciono qui discioltibisognerebbe spendernecinque.

Lucianoche ansiosamente s'era rivolto a me per sentirmi confermare lericchezze su cui nuotavamomi volse disilluso la schiena. A lui diquell'oro non importava più. Guido invece mi diede ragionecredendo di ricordare che il prezzo di quell'oro era esattamente dicinque volte tantoproprio come avevo detto io. Mi glorificavaaddirittura confermando la mia asserzioneche io sapevo del tuttocervellotica. Si vedeva che mi sentiva poco pericoloso e che in luinon c'era ombra di gelosia per quella donna coricata ai suoi piedi.Pensai per un istante di metterlo in imbarazzo dichiarando chericordavo ora meglio e che per trarre dal mare uno di quei napoleonine sarebbero bastati tre o che ne sarebbero abbisognati addiritturadieci.

Main quell'istante fui chiamato dalla mia lenza che improvvisamentes'era tesa per uno strappo poderoso. Strappai anch'io e gridai. Conun balzo Guido mi fu vicino e mi prese di mano la lenza.Gliel'abbandonai volentieri. Egli si mise a tirarla suprima apiccoli trattipoiessendo diminuita la resistenzaa grandissimi.E nell'acqua fosca si vide brillare l'argenteo corpo del grossoanimale. Correva oramai rapidamente e senza resistenza dietro al suodolore. Perciò compresi anche il dolore dell'animale mutoperché era gridato da quella fretta di correre alla morte.Presto l'ebbi boccheggiante ai miei piedi. Luciano l'aveva trattodall'acqua con la rete estrappandonelo senza riguardogli avevalevato di bocca l'amo.

Palpòil grosso pesce:

-Un'orata di tre chilogrammi!

Ammirandodisse il prezzo che se ne sarebbe domandato in pescheria. Poi Guidoosservò che l'acqua era ferma a quell'ora e che sarebbe statodifficile di pigliare dell'altro pesce.

Raccontòche i pescatori ritenevano che quando l'acqua non cresceva nécalavai pesci non mangiavano e perciò non potevano esserepresi. Fece della filosofia sul pericolo che risultava ad un animaledal suo appetito. Poimettendosi a rideresenz'accorgersi che sicompromettevadisse:

-Tu sei l'unico che sappia pescare questa sera.

Lamia preda si dibatteva tuttavia nella barcaquando Carmen diede unostrido. Guido domandò senza muoversi e con una gran voglia diridere nella voce:

-Un'altra orata?

Carmenconfusa rispose:

-Mi pareva! Ma ha già abbandonato l'amo!

Iosono sicuro chetrascinato dal suo desiderioegli le aveva dato unpizzicotto.

Iooramai mi sentivo a disagio in quella barca. Non accompagnavo piùcol desiderio l'opera del mio amoanzi agitavo la lenza in modo chei poveri animali non potessero abboccare. Dichiarai che avevo sonno epregai Guido di sbarcarmi a Sant'Andrea. Poi mi preoccupai ditogliergli il sospetto ch'io me ne andassi perché infastiditoda quanto doveva avermi rivelato lo strido di Carmene gli raccontaidella scena che aveva fatta la mia piccina quella sera e il miodesiderio di accertarmi presto che non stesse male.

Compiacentecome sempreGuido accostò la barca alla riva. M'offersel'orata ch'io avevo pescatama io rifiutai. Proposi di ridarle lalibertà gettandola in mareciò che fece dare un urlodi protesta a Lucianomentre Guido bonariamente disse:

-Se sapessi di poter ridarle la vita e la salute lo farei. Ma aquest'ora la povera bestia non può servire che in piatto!

Liseguii con gli occhi e potei accertarmi che non approfittarono dellospazio lasciato libero da me. Stavano bene serrati insieme e labarchetta andò via un po' sollevata a prua dal troppo peso apoppa.

Miparve una punizione divina all'apprendere che la mia bambina erastata colta dalla febbre. Non l'avevo resa malata iosimulando conGuido una preoccupazione che non sentivo per la sua salute? Augustanon s'era ancora coricatama poco prima c'era stato il dottor Paoliche l'aveva rassicurata dicendo di essere sicuro che una febbreimprovvisa tanto violenta non poteva annunziare una malattia grave.Restammo lungamente a guardare Antonia che giaceva abbandonata sulpiccolo giacigliola faccina dalla pelle asciutta arrossataintensamente sotto i bruni ricci scomposti. Non gridavama silamentava di tempo in tempo con un lamento breve che venivainterrotto da un torpore imperioso. Dio mio! Come il male me laportava vicina! Avrei data una parte della mia vita per liberarle ilrespiro. Come togliermi il rimorso di aver pensato di non saperamarlaeppoi di aver passato tutto quel tempo in cui soffrivalontano da lei e in quella compagnia?

-Somiglia ad Ada! - disse Augusta con un singulto. Era vero! Ce neaccorgemmo allora per la prima volta e quella somiglianza divennesempre più evidente a mano a mano che Antonia crebbetantoche io talvolta mi sento tremare il cuore al pensiero che le potrebbetoccare il destino della poverina a cui assomiglia.

Cicoricammo dopo di aver posto il letto della bambina accanto a quellodi Augusta. Ma io non potevo dormire: avevo un peso al cuore comequelle sere in cui i miei trascorsi della giornata si specchiavano inimmagini notturne di dolore e di rimorso. La malattia della bambinami pesava come un'opera mia. Mi ribellai! Io ero puro e potevoparlarepotevo dire tutto. E dissi tutto. Raccontai ad Augustadell'incontro con Carmendella posizione ch'essa occupava nellabarcaeppoi del suo strido che io dubitai fosse stato provocato dauna carezza brutale di Guido senza però poter esserne sicuro.Ma Augusta ne era sicura. Perché altrimentisubito dopolavoce di Guido sarebbe stata alterata dall'ilarità? Cercai diattenuare la sua convinzionema poi dovetti ancora raccontare. Feciuna confessione anche per quanto concerneva medescrivendo la noiache m'aveva cacciato di casa e il mio rimorso di non amare meglioAntonia. Mi sentii subito meglio e m'addormentai profondamente.

Lamattina appressoAntonia stava meglio; era quasi priva di febbre.Giaceva calma e libera di affannoma era pallida e affranta come sesi fosse consunta in uno sforzo sproporzionato al suo piccoloorganismo; evidentemente essa era già uscita vittoriosa dallabreve battaglia. Nella calma che ne derivò anche a mericordaidolendomenedi aver compromesso orribilmente Guido e vollida Augusta la promessa ch'essa non avrebbe comunicato a nessuno imiei sospetti. Ella protestò che non si trattava di sospettima di evidenza certa ciò che io negai senza riuscire aconvincerla. Poi essa mi promise tutto quello che volli ed io me neandai tranquillamente in ufficio.

Guidonon c'era ancora e Carmen mi raccontò ch'erano stati benfortunati dopo la mia partenza. Avevano prese altre due oratepiùpiccole della miama di un peso considerevole. Io non volli crederloe pensai che essa volesse convincermi che alla mia partenza avesseroabbandonata l'occupazione a cui avevano atteso finché c'erostato io. L'acqua non s'era fermata? Fino a che ora erano stati inmare?

Carmenper convincermi mi fece confermare anche da Luciano la pesca delledue orate ed io da quella volta pensai che Luciano per ingraziarsiGuido sia stato capace di qualunque azione.

Sempredurante la calma idillica che precorse l'affare del solfato di rameavvenne in quell'ufficio una cosa abbastanza strana che non sodimenticaretanto perché mette in evidenza la smisuratapresunzione di Guidoquanto perché pone me in una luce nellaquale m'è difficile di ravvisarmi.

Ungiorno eravamo tutt'e quattro in ufficio e il solo che fra di noiparlasse di affari eracome sempreLuciano. Qualche cosa nelle sueparole suonò all'orecchio di Guido quale una rampogna cheinpresenza di Carmengli era difficile di sopportare. Ma altrettantodifficile era difenderseneperché Luciano aveva le prove cheun affare ch'egli aveva consigliato mesi prima e che da Guido erastato rifiutatoaveva finito col rendere una quantità didenaro a chi se ne era occupato. Guido finì col dichiarare didisprezzare il commercio e asserire che se la fortuna non l'avesseassistito in questoegli avrebbe trovato il mezzo di guadagnare deldenaro con altre attività molto più intelligenti.

Colviolinoper esempio. Tutti furono d'accordo con lui ed anch'iomacon la riserva:

-A patto di studiare molto.

Lamia riserva gli dispiacque e disse subito che se si trattava distudiareegli allora avrebbe potuto fare molte altre coseperesempiodella letteratura. Anche qui gli altri furono d'accordoedio stessoma con qualche esitazione. Non ricordavo bene le fisonomiedei nostri grandi letterati e le evocavo per trovarne una chesomigliasse a Guido. Egli allora urlò:

-Volete delle buone favole? Io ve ne improvviso come Esopo!

Tuttiriseromeno lui. Si fece dare la macchina da scrivere ecorrentementecome se avesse scritto sotto dettaturacon gesti piùampi di quanto esigesse un lavoro utile alla macchinastese la primafavola. Porgeva già il foglietto a Lucianoma si ricredettelo riprese e lo rimise a posto nella macchinascrisse una secondafavolama questa gli costò più fatica della primatanto che dimenticò di continuare a simulare con gestil'ispirazione e dovette correggere il suo scritto più volte.Perciò io ritengo che la prima delle due favole non sia statasua e che invece la seconda sia veramente uscita dal suo cervello dicui mi sembra degna. La prima favola diceva di un uccelletto al qualeavvenne d'accorgersi che lo sportellino della sua gabbia era rimastoaperto. Dapprima pensò di approfittarne per volar viama poisi ricredette temendo che sedurante la sua assenzalo sportellinofosse stato rinchiuso egli avrebbe perduta la sua libertà. Laseconda trattava di un elefante ed era veramente elefantesca.Soffrendo di debolezza alle gambeil grosso animale andava aconsultare un uomocelebre medicoil quale al vedere quegli artipoderosi gridava: - Non vidi giammai delle gambe tanto forti.

Lucianonon si lasciò imporre da quelle favole anche perché nonle capiva. Rideva abbondantementema si vedeva che gli sembravacomico che una cosa simile gli fosse presentata come commerciabile.Rise poi anche per compiacenza quando gli fu spiegato che l'uccellinotemeva di essere privato della libertà di ritornare in gabbiae l'uomo ammirava le gambe per quanto deboli dell'elefante. Ma poichiese:

-Quanto si ricava da due favole così?

Guidofece da uomo superiore:

-Il piacere d'averle fatte eppoivolendo farne di piùanchemolti denari.

Carmeninvece era agitata dall'emozione. Domandò il permesso di potercopiare quelle due favole e ringraziò riconoscente quandoGuido le offerse in dono il foglietto ch'egli aveva scritto dopo diaverlo anche firmato a penna.

Checosa c'entravo io? Non avevo da battermi per l'ammirazione di Carmendella qualecome ho dettonon m'importava nullama ricordando ilmio modo di faredevo credere che anche una donna che non siarilevata dal nostro desiderio possa spingerci alla lotta. Infatti nonsi battevano gli eroi medievali anche per donne che non avevano maiviste? A me quel giorno avvenne che i dolori lancinanti del miopovero organismo improvvisamente si facessero acuti e mi parve di nonpoterli attenuare altrimenti che battendomi con Guido facendo subitodelle favole anch'io.

 

Mifeci consegnare la macchina ed io veramente improvvisai. Vero èche la prima delle favole che fecistava da molti giorni nel mioanimo. Ne improvvisai il titolo: "Inno alla vita". Poidopo breve riflessionescrissi di sotto: "Dialogo". Mipareva più facile di far parlare le bestie che descriverle.Così nacque la mia favola dal dialogo brevissimo:

Ilgamberello meditabondo: - La vita è bella ma bisognabadare al posto dove ci si siede.

L'oratacorrendo dal dentista: - La vita è bella ma bisognerebbeeliminare quegli animalucci traditori che celano nella carne saporitail metallo acuminato.

Orabisognava fare la seconda favola ma mi mancavano le bestie. Guardaiil cane che giaceva nel suo cantuccio ed anch'esso guardò me.Da quegli occhi timidi trassi un ricordo: pochi giorni prima Guidoera ritornato da caccia pieno di pulci ed era andato a nettarsi nelnostro ripostiglio. Ebbi allora subito la favola e la scrissicorrentemente: "C'era una volta un principe morso da moltepulci. S'appellò agli dei che affliggessero una sola pulcegrossa e famelicama una solae destinassero le altre agli altriuomini. Ma nessuna delle pulci accettò di restare sola conquella bestia d'uomoed egli dovette tenersele tutte".

Inquel momento le mie favole mi parvero splendide. Le cose ch'esconodal nostro cervello hanno un aspetto sovranamente amabile speciequando si esaminano non appena nate. Per dire la verità il miodialogo mi piace anche adessoche ho fatta tanta pratica nelcomporre. L'inno alla vita fatto dal morituro è una cosa moltosimpatica per coloro che lo guardano morire ed è anche veroche molti moribondi spendono l'ultimo fiato per dire quella che aloro sembra la causa per cui muoionoinnalzando così un innoalla vita degli altri che sapranno evitare quell'accidente. In quantoalla seconda favola non voglio parlarne e fu commentata argutamenteda Guido stesso che gridò ridendo:

-Non è una favolama un modo di darmi della bestia.

Risicon lui e i dolori che m'avevano spinto a scrivere s'attenuaronosubito. Luciano rise quando gli spiegai quello che avevo voluto diree trovò che nessuno avrebbe pagato qualche cosa né perle mie né per le favole di Guido. Ma a Carmen le mie favolenon piacquero. Mi diede un'occhiataccia indagatrice ch'era veramentenuova per quegli occhi e che io intesi come se fosse stata una paroladetta:

-Tu non ami Guido!

Nefui addirittura sconvolto perché in quel momento essacertamente non sbagliava. Pensai che avevo torto di comportarmi comese non amassi Guidoio che poi lavoravo disinteressatamente per lui.Dovevo far attenzione al mio modo di comportarmi.

Dissimitemente a Guido:

-Riconosco volentieri che le tue favole sono migliori delle mie.Bisogna però ricordare che sono le prime favole che ho fattein vita mia.

Eglinon s'arrese:

-Credi forse ch'io ne abbia fatte delle altre?

Losguardo di Carmen s'era già raddolcito eper ottenerlo piùdolce ancoraio dissi a Guido:

-Tu hai certamente un talento speciale per le favole.

Mail complimento fece ridere tutti e due e subito dopo anche mematutti bonariamente perché si vedeva che avevo parlatosenz'alcuna intenzione maligna.

 

L'affaredel solfato di rame diede una maggiore serietà al nostroufficio. Non c'era più tempo per le favole. Quasi tutti gliaffari che ci venivano proposti erano ormai da noi accettati. Alcunidiedero qualche utilema piccolo; altri delle perditema grandi.Una strana avarizia era il principale difetto di Guido che fuoridegli affari era tanto generoso. Quando un affare si dimostravabuonoegli lo liquidava frettolosamenteavido d'incassare ilpiccolo utile che gliene derivava. Quando invece si trovava involtoin un affare sfavorevolenon si decideva mai ad uscirne pur diritardare il momento in cui doveva toccare la propria tasca. Perquesto io credo che le sue perdite sieno state sempre rilevanti e isuoi utili piccoli. Le qualità di un commerciante non sonoaltro che le risultanti di tutto il suo organismodalla punta deicapelli fino alle unghie dei piedi. A Guido si sarebbe adattata unaparola che hanno i Greci: "astuto imbecille". Veramenteastutoma anche veramente uno scimunito. Era pieno di accortezze chenon servivano ad altro che ad ungere il piano inclinato sul qualescivolava sempre più in giù.

Assiemeal solfato di rame gli capitarono tra capo e collo i due gemelli. Lasua prima impressione fu di sorpresa tutt'altro che piacevolemasubito dopo di avermi annunziato l'avvenimentogli riuscì didire una facezia che mi fece ridere moltoper cuicompiacendosi delsuccessonon seppe conservare il cipiglio. Associando i due bambinialle sessanta tonnellate di solfatodisse:

-Sono condannato a lavorare all'ingrossoio!

Perconfortarlo gli ricordai che Augusta era di nuovo nel settimo mese eche ben presto in fatto di bambini avrei raggiunto il suotonnellaggio. Rispose sempre argutamente:

-A meda buon contabilenon sembra la stessa cosa.

Dopoqualche giornoper qualche tempofu preso da un grande affetto peri due marmocchi. Augusta che passava una parte della sua giornatadalla sorellami raccontò ch'egli dedicava loro ogni giornoqualche ora. Li carezzavae ninnava e Ada gliene era tantoriconoscente che fra i due coniugi sembrava rifiorire un nuovoaffetto. In quei giorni egli versò un importo abbastanzavistoso ad una società d'Assicurazioni per far trovare aifigli a vent'anni una piccola sostanza. Lo ricordo per aver ioregistrato quell'importo a suo debito.

Fuiinvitato anch'io a vedere i due gemelli; anzi da Augusta m'era statodetto che avrei potuto salutare anche Adache invece non potéricevermi dovendo stare a letto ad onta che fossero passati giàdieci giorni dal parto.

Idue bambini giacevano in due culle in un gabinetto attiguo allastanza da letto dei genitori. Adadal suo lettomi gridò:

-Sono belliZeno?

Restaisorpreso dal suono di quella voce. Mi parve più dolce: era unvero grido perché vi si sentiva uno sforzoeppure rimanevatanto dolce. Senza dubbio la dolcezza in quella voce veniva dallamaternitàma io ne fui commosso perché ve la scoprivoproprio quand'era rivolta a me. Quella dolcezza mi fece sentire comese Ada non m'avesse chiamato col solo mio nomema premettendovianche qualche qualificativo affettuoso come "caro" o"fratello mio"! Ne sentii una viva riconoscenza e divennibuono ed affettuoso.

Risposifestosamente:

-Bellicarisomigliantidue meraviglie. - Mi parevano invece duemorticini scoloriti. Vagivano ambedue e non andavano d'accordo.

PrestoGuido ritornò alla vita di prima. Dopo l'affare del solfatoveniva più assiduo in ufficioma ogni settimanaal sabatopartiva per la caccia e non ritornava che al lunedì mattinatardi e giusto in tempo per dare un'occhiata all'ufficio prima dicolazione. Alla pesca andava di sera e passava spesso la notte inmare. Augusta mi raccontava dei dispiaceri di Adala quale soffrivabensì di una frenetica gelosiama anche di trovarsi sola pertanta parte della giornata. Augusta tentava di calmarla ricordandoleche a caccia e a pesca non c'erano donne. Però - non si sapevada chi - Ada era stata informata che Carmen talvolta avevaaccompagnato Guido a pesca. Guidopoil'aveva confessatoaggiungendo che non c'era niente di male in una gentilezza ch'egliusava ad un'impiegata che gli era tanto utile. Eppoi non c'era statosempre presente Luciano? Egli finì col promettere che nonl'avrebbe invitata piùvisto che ad Ada ciòdispiaceva. Dichiarava di non voler rinunciare né alla suacaccia che gli costava tanti denari né alla pesca. Diceva dilavorare molto (e infatti in quell'epoca nel nostro ufficio c'eramolto da fare) e gli pareva che un po' di svago gli spettasse. Adanon era di tale parere e le sembrava che il miglior svago eglil'avrebbe avuto in famigliae trovava in ciò l'assensoincondizionato di Augustamentre a me quello sembrava uno svagotroppo sonoro.

Augustaallora esclamava:

-E tu non sei forse a casa ogni giornoad ore debite?

Eravero ed io dovevo confessare che fra me e Guido c'era una grandedifferenzama non sapevo vantarmene. Dicevo ad Augustaaccarezzandola:

-Il merito è tuo perché hai usato dei metodi moltodrastici di educazione.

D'altrondeper il povero Guido le cose andavano peggiorandosi ogni giorno dipiù: dapprima c'erano stati bensì due bambinima unabalia sola perché si sperava che Ada avrebbe potuto nutrireuno dei bambini. Invece essa non lo poté e dovettero farvenire un'altra balia. Quando Guido voleva farmi riderecamminava sue giù per l'ufficio battendosi il tempo con le parole: - Unamoglie... due bambini... due balie!

C'erauna cosa che Ada specialmente odiava: Il violino di Guido. Essasopportava i vagiti dei bambinima soffriva orrendamente per ilsuono del violino. Aveva detto ad Augusta:

-Mi sentirei di abbaiare come un cane contro quei suoni!

Strano!Augusta invece era beata quando passando dinanzi al mio studiolosentiva uscirne i miei suoni aritmici!

-Eppure anche il matrimonio di Ada è stato un matrimoniod'amore- dicevo io stupito. - Non è il violino la migliorparte di Guido?

Talichiacchiere furono del tutto dimenticate quando io rividi per laprima volta Ada. Fui proprio io che per il primo m'accorsi della suamalattia. Uno dei primi giorni del Novembre - una giornata freddapriva di soleumida- abbandonai eccezionalmente l'ufficio alle tredel pomeriggio e corsi a casa pensando di riposare e sognare perqualche ora nel mio studiolo caldo.

Perrecarmivi dovevo passare il lungo corridoioe dinanzi alla stanza dilavoro di Augusta mi fermai perché sentii la voce di Ada. Eradolce o malsicura (ciò che si equivaleio credo) come quelgiorno in cui era stata indirizzata a me. Entrai in quella stanzaspintovi dalla strana curiosità di vedere come la serenalacalma Adapotesse vestirsi di quella voce che ricordava un po'quella di qualche nostra attrice quando vuol far piangere senza saperpiangere essa stessa. Infatti era una voce falsa o io la sentivocosìsolo perché senza neppur aver visto chi laemettevala percepivo per la seconda volta dopo tanti giorni sempreugualmente commossa e commovente. Pensai parlassero di Guidoperchéquale altro argomento avrebbe potuto commuovere a quel modo Ada?

Invecele due donneprendendo una tazza di caffè insiemeparlavanodi cose domestiche: biancheriaservitù eccetera. Ma mi bastòdi aver vista Ada per intendere che quella voce non era falsa.Commovente era anche la sua faccia ch'io per primo scoprivo tantoalteratae quella vocese non si accordava con un sentimentorispecchiava esattamente tutto un organismoed era perciòvera e sincera. Questo io sentii subito. Io non sono un medico eperciò non pensai ad una malattiama cercai di spiegarmil'alterazione nell'aspetto di Ada come un effetto della convalescenzadopo il parto. Ma come si poteva spiegare che Guido non si fosseaccorto di tanto mutamento avvenuto nella sua donna? Intanto iochesapevo a mente quell'occhioquell'occhio ch'io tanto avevo temutoperché subito m'ero accorto che freddamente esaminava cose epersone per ammetterle o respingerlepotei constatare subito ch'eramutatoingranditocome se per vedere meglio avesse forzatal'orbita. Stonava quell'occhio grande nella faccina immiserita escolorita.

Mistese con grande affetto la mano:

-Già lo so- mi disse - tu approfitti di ogni istante pervenir a riveder tua moglie e la tua bambina.

Avevala mano madida di sudore ed io so che ciò denota debolezza.Tanto più mi figurai cherimettendosiavrebbe riacquistatigli antichi colori e le linee sicure delle guancie e dell'incassaturadell'occhio.

Interpretaile parole che m'aveva indirizzate quale un rimprovero rivolto aGuidoe bonariamente risposi che Guidoquale proprietario delladittaaveva maggiori responsabilità delle mie che lo legavanoall'ufficio.

Miguardò indagatrice per assicurarsi ch'io parlavo sul serio.

-Ma pure - disse - mi sembra che potrebbe trovare un po' di tempo persua moglie e i suoi figli- e la sua voce era piena di lacrime. Sirimise con un sorriso che domandava indulgenza e soggiunse:

-Oltre agli affari ci sono anche la caccia e la pesca! Quellequelleportano via tanto tempo.

Conuna volubilità che mi stupì raccontò dei cibiprelibati che si mangiavano alla loro tavola in seguito alla caccia ealla pesca di Guido.

-Tuttavia vi rinunzierei volentieri! - soggiunse poi con un sospiro euna lagrima. Non si diceva però infeliceanzi! Raccontava cheormai non sapeva neppur figurarsi che non le fossero nati i duebambini ch'essa adorava! Con un po' di malizia aggiungeva sorridendoche li amava di più ora che ciascuno aveva la sua balia.

Essanon dormiva moltoma almenoquando arrivava a prender sonnonessuno la disturbava. E quando le chiesi se davvero dormisse tantopocosi rifece seria e commossa per dirmi ch'era il suo maggiordisturbo. Poilietaaggiunse:

-Ma va già meglio!

Pocodopo ci lasciò per due ragioni: prima di sera doveva andar asalutare la madre eppoi non sapeva sopportare la temperatura dellenostre stanze munite di grandi stufe. Ioche ritenevo quellatemperatura appena gradevolepensai fosse un segno di forza quellodi sentirla eccessivamente calda:

-Non pare che tu sia tanto debole- dissi sorridendo- vedrai comesentirai diversamente alla mia età.

Essasi compiacque molto di sentirsi designare come troppo giovine.

Ioed Augusta l'accompagnammo fino al pianerottolo. Pareva sentisse ungrande bisogno della nostra amicizia perché per fare queipochi passi camminò in mezzo a noi e si prese prima al bracciodi Augusta eppoi al mio che io subito irrigidii per paura di cederead un'antica abitudine di premere ogni braccio femminile ches'offrisse al mio contatto. Sul pianerottolo parlò ancoramolto eavendo ricordato il padre suoebbe gli occhi di nuovoumidiper la terza volta in un quarto d'ora. Quando se ne fu andataio dissi ad Agusta che quella non era una donna ma una fontana.Benché avessi vista la malattia di Adanon vi diedialcun'importanza. Aveva l'occhio ingrandito; aveva la faccina magra;la sua voce s'era trasformata ed anche il carattere inquell'affettuosità che non era suama io attribuivo tutto ciòalla doppia maternità e alla debolezza. Insomma io midimostrai un magnifico osservatore perché vidi tuttoma ungrande ignorante perché non dissi la vera parola: malattia!

Ilgiorno appresso l'ostetricoche curava Adadomandòl'assistenza del dottor Paoli il quale subito pronunziò laparola ch'io non avevo saputo dire: Morbus Basedowii. Guido melo raccontò descrivendomi con grande dottrina la malattia ecompiangendo Ada che soffriva molto. Senz'alcuna malizia io penso chela sua compassione e la sua scienza non fossero grandi. Assumeva unaspetto accorato quando parlava della mogliema quando dettava dellelettere a Carmen manifestava tutta la gioia di vivere e insegnare;credeva poi che colui che aveva dato il suo nome alla malattia fosseil Basedow ch'era stato l'amico di Goethementre quando io studiaiquella malattia in un'enciclopediam'accorsi subito che si trattavadi un altro.

Grandeimportante malattia quella di Basedow! Per me fu importantissimo diaverla conosciuta. La studiai in varie monografie e credetti discoprire appena allora il segreto essenziale del nostro organismo. Iocredo che da molti come da me vi sieno dei periodi di tempo in cuicerte idee occupino e ingombrino tutto il cervello chiudendolo atutte le altre. Ma se anche alla collettività succede lastessa cosa! Vive di Darwin dopo di essere vissuta di Robespierre edi Napoleone eppoi di Liebig o magari di Leopardi quando su tutto ilcosmo non troneggi Bismark!

Madi Basedow vissi sol io! Mi parve ch'egli avesse portate alla luce leradici della vita la quale è fatta così: tutti gliorganismi si distribuiscono su una lineaad un capo della quale stala malattia di Basedow che implica il generosissimofolle consumodella forza vitale ad un ritmo precipitosoil battito di un cuoresfrenatoe all'altro stanno gli organismi immiseriti per avariziaorganicadestinati a perire di una malattia che sembrerebbe diesaurimento ed è invece di poltronaggine. Il giusto medio frale due malattie si trova al centro e viene designato impropriamentecome la salute che non è che una sosta. E fra il centro edun'estremità - quella di Basedow - stanno tutti coloroch'esasperano e consumano la vita in grandi desiderii. ambizionigodimenti e anche lavorodall'altra quelli che non gettano sulpiatto della vita che delle briciole e risparmiano preparando quegliabietti longevi che appariscono quale un peso per la società.Pare che questo peso sia anch'esso necessario. La societàprocede perché i Basedowiani la sospingonoe non precipitaperché gli altri la trattengono. Io sono convinto che volendocostruire una societàsi poteva farlo piùsemplicementema è fatta cosìcol gozzo ad uno deisuoi capi e l'edema all'altroe non c'è rimedio. In mezzostanno coloro che hanno incipiente o gozzo o edema e su tutta lalineain tutta l'umanitàla salute assoluta manca.

Anchead Ada il gozzo mancava a quanto mi diceva Augustama aveva tuttigli altri sintomi della malattia. Povera Ada! M'era apparsa come lafigurazione della salute e dell'equilibriotanto che per lungo tempoavevo pensato avesse scelto il marito con lo stesso animo freddo colquale suo padre sceglieva la sua merceed ora era stata afferrata dauna malattia che la trascinava a tutt'altro regime: le perversionipsichiche! Ma io ammalai con lei di una malattia lievema lunga. Pertroppo tempo pensai a Basedow. Già credo che in qualunquepunto dell'universo ci si stabilisca si finisce coll'inquinarsi.Bisogna moversi. La vita ha dei velenima poi anche degli altriveleni che servono di contravveleni. Solo correndo si puòsottrarsi ai primi e giovarsi degli altri.

Lamia malattia fu un pensiero dominanteun sognoe anche unospavento. Deve aver avuto origine da un ragionamento: con ladesignazione di perversione si vuole intendere una deviazione dallasalutequella specie di salute che ci accompagnò per untratto della vita. Ora sapevo che cosa fosse stata la salute da Ada.Non poteva la sua perversione portarla ad amare meche da sana avevarespinto?

Ionon so come questo terrore (o questa speranza) sia nato nel miocervello!

Forseperché la voce dolce e spezzata di Ada mi parve di amorequando s'indirizzò a me? La povera Ada s'era fatta ben bruttaed io non sapevo più desiderarla. Ma andavo rivedendo i nostrirapporti passati e mi pareva che se essa fosse stata còlta daun improvviso amore per memi sarei trovato nelle brutte condizioniche ricordavano un poco quelle di Guido verso l'amico inglese dallesessanta tonnellate di solfato di rame. Proprio lo stesso caso! Pochianni prima io le avevo dichiarato il mio amore e non avevo fattoalcun atto di revoca fuori di quello di sposarne la sorella. In talecontratto essa non era protetta dalla legge ma dalla cavalleria. A mepareva di essere tanto fortemente impegnato con leiche se essa sifosse presentata da me molti ma molti anni più tardiperfezionata magari nella malattia di Basedow da un bel gozzoioavrei dovuto far onore alla mia firma.

Ricordoperò che tale prospettiva rese il mio pensiero piùaffettuoso per Ada. Fino ad alloraquando m'avevano informato deidolori di Ada causati da Guidoio non ne avevo certamente godutomapure avevo rivolto il pensiero con una certa soddisfazione alla miacasa nella quale Ada aveva rifiutato di entrare ed ove non sisoffriva affatto. Ora le cose avevano cambiato: quell'Ada che m'avevarespinto con disdegno non c'era piùa meno che i miei testidi medicina non sbagliassero.

Lamalattia di Ada era grave. Il dottor Paolipochi giorni dopoconsigliò di allontanarla dalla famiglia e di mandarla in unacasa di salute a Bologna. Seppi ciò da Guidoma Augusta poimi raccontò che alla povera Ada anche in quel momento nonfurono risparmiati dei grandi dispiaceri. Guido aveva avuto lasfacciataggine di proporre di metter Carmen alla direzione dellafamiglia durante l'assenza di sua moglie. Ada non ebbe il coraggio didire apertamente quello che pensava di una simile propostamadichiarò che non si sarebbe mossa di casa se non le fossestato permesso di affidarne la direzione alla zia Mariae Guido siadattò senz'altro. Egli però continuò adaccarezzare l'idea di poter aver Carmen a sua disposizione al postolasciato libero da Ada. Un giorno disse a Carmen che se essa nonfosse stata tanto occupata in ufficioegli le avrebbe volentieriaffidata la direzione della sua casa. Luciano ed io ci guardammoecertamente scoprimmo ognuno nella faccia dell'altro un'espressionemaliziosa. Carmen arrossì e mormorò che non avrebbepotuto accettare.

-Già - disse Guido con ira - per quegli sciocchi riguardi almondo non si può fare quello che gioverebbe tanto!

Peròtacque anche lui presto ed era sorprendente abbreviasse una predicatanto interessante.

Tuttala famiglia accompagnò Ada alla stazione. Augusta m'avevapregato di portare dei fiori per la sorella. Arrivai un po' inritardo con un bel mazzo di orchidee che porsi ad Augusta. Ada cisorvegliava e quando Augusta le offerse i fiori ci disse:

-Vi ringrazio di cuore!

Volevasignificare di aver ricevuto i fiori anche da mema io sentii ciòcome una manifestazione di affetto fraternodolce e anche un po'fredda. Basedow certo non ci entrava.

Parevauna sposinala povera Ada con quegli occhi ingranditi smisuratamentedalla felicità. La sua malattia sapeva simulare tutte leemozioni.

Guidopartiva con lei per accompagnarla e ritornare dopo pochi giorni.Aspettammo sulla banchina la partenza del treno. Ada rimaseaffacciata alla finestra della sua vettura e continuò adagitare il fazzoletto finché poté vederci.

Poiaccompagnammo la signora Malfenti lacrimante a casa. Al momento didividerci mia suocera dopo di aver baciata Augustabaciòanche me.

-Scusa! - desse ridendo fra le lacrime - l'ho fatto senza propositoma se lo permetti ti dò anche un altro bacio.

Anchela piccola Annaormai dodicennevolle baciarmi. Albertach'era inprocinto di abbandonare il teatro nazionale per fidanzarsie che disolito era un po' sostenuta con mequel giorno mi porsecalorosamente la mano.

Tuttemi volevano bene perché mia moglie era fiorentee facevanocosì delle manifestazioni di antipatia per Guidola cuimoglie era malata.

 

Maproprio allora corsi il rischio di divenire un marito meno buono.Diedi un grande dolore a mia mogliesenza mia colpaper un sognocui innocentemente la feci addirittura partecipare.

Eccoil sogno: eravamo in treAugustaAda ed io che ci eravamoaffacciati ad una finestra e precisamente alla più piccola checi fosse stata nelle nostre tre abitazionicioè la miaquella di mia suocera e quella di Ada. Eravamo cioè allafinestra della cucina della casa di mia suocera che veramente si apresopra un piccolo cortile mentre nel sogno dava proprio sul Corso. Alpiccolo davanzale c'era tanto poco spazio che Adache stava in mezzoa noi tenendosi alle nostre bracciaaderiva proprio a me. Io laguardai e vidi che il suo occhio era ridivenuto freddo e preciso e lelinee della sua faccia purissime fino alla nuca ch'io vedevo copertadei suoi riccioli lieviquei riccioli ch'io avevo visti tanto spessoquando Ada mi volgeva le spalle. Ad onta di tanta freddezza (tale mipareva la sua salute) essa rimaneva aderente a me come avevo credutolo fosse quella sera del mio fidanzamento intorno al tavolinoparlante. Iogiocondamentedissi ad Augusta (certo facendo unosforzo per occuparmi anche di lei): "Vedi com'è risanata?Ma dov'è Basedow?". "Non vedi?"domandòAugusta ch'era la sola fra di noi che arrivasse a guardare sulla via.Con uno sforzo ci sporgemmo anche noi e scorgemmo una grande follache s'avanzava minacciosa urlando. "Ma dov'è Basedow?"domandai ancora una volta. Poi lo vidi. Era lui che s'avanzavainseguito da quella folla: un vecchio pezzente coperto di un grandemantello stracciatoma di broccato rigidola grande testa copertadi una chioma bianca disordinatasvolazzante all'ariagli occhisporgenti dall'orbita che guardavano ansiosi con uno sguardo ch'ioavevo notato in bestie inseguitedi paura e di minaccia. E la follaurlava: "Ammazzate l'untore!".

Poici fu un intervallo di notte vuota. IndisubitoAda ed io citrovavamo soli sulla più erta scala che ci fosse nelle nostretre casequella che conduce alla soffitta della mia villa. Ada eraposta per alcuni scalini più in altoma rivolta a me ch'eroin atto di salirementre lei sembrava volesse scendere. Io leabbracciavo le gambe e lei si piegava verso di me non so se perdebolezza o per essermi più vicina. Per un istante mi parvesfigurata dalla sua malattiama poiguardandola con affannoriuscivo a rivederla come m'era apparsa alla finestrabella e sana.Mi diceva con la sua voce soda: "Precedimiti seguo subito!"Ioprontomi volgevo per precederla correndoma non abbastanzapresto per non scorgere che la porta della mia soffitta veniva apertapian pianino e ne sporgeva la testa chiomata e bianca di Basedow conquella sua faccia fra timorosa e minacciosa. Ne vidi anche le gambemalsicure e il povero misero corpo che il mantello non arrivava acelare. Arrivai a correre viama non so se per precedere Ada o perfuggirla.

Orapare che trafelato io mi sia destato nella nottee nell'assopimentoabbia raccontato tutto o parte del sogno ad Augusta per riprenderepoi il sonno più tranquillo e più profondo.

Credoche nella mezza coscienza io abbia seguito ciecamente l'anticodesiderio di confessare i miei trascorsi.

Allamattinasulla faccia di Augustac'era il cereo pallore delle grandioccasioni. Io ricordavo perfettamente il sognoma non esattamentequello che gliene avessi riferito. Con un aspetto di rassegnazionedolorosa essa mi disse:

-Ti senti infelice perché essa è malata ed èpartita e perciò sogni di lei.

Iomi difesi ridendo ed irridendo. Non Ada era importante per memaBasedowe le raccontai dei miei studi e anche delle applicazioni cheavevo fatte. Ma non so se riuscii di convincerla. Quando si vienecolti nel sogno è difficile di difendersi. È tutt'altracosa che arrivare alla moglie freschi freschi dall'averla tradita inpiena coscienza. Del restoper tali gelosie di Augustaio non avevonulla da perdere perché essa amava tanto Ada che da quel latola sua gelosia non gettava alcun'ombra ein quanto a meessa mitrattava con un riguardo anche più affettuoso e m'era anchepiù grata di ogni mia più lieve manifestazione diaffetto.

Pochigiorni dopoGuido ritornò da Bologna con le migliori notizie.Il direttore della casa di salute garantiva una guarigione definitivaa patto che Ada trovasse poi in casa una grande quiete. Guido riferìcon semplicità e bastevole incoscienza la prognosi delsanitario non avvedendosi che in famiglia Malfenti quel verdettoveniva a confermare molti sospetti sul suo conto. Ed io dissi adAugusta:

-Ecco che sono minacciato di altri baci di tua madre.

Pareche Guido non si trovasse molto bene nella casa diretta da zia Maria.Talvolta camminava su e giù per l'ufficio mormorando:

-Due bambini... tre balie... nessuna moglie.

Anchedall'ufficio rimaneva più spesso assente perché sfogavail suo malumore imperversando sulle bestie a caccia e a pesca. Maquando verso la fine dell'annoebbimo da Bologna la notizia che Adaveniva considerata guarita e che s'accingeva a rimpatriarenon miparve che egli ne fosse troppo felice. S'era abituato a zia Mariaoppure la vedeva tanto poco che gli era facile e gradevole disopportarla? Con me naturalmente non manifestò il suo malumorese non esprimendo il dubbio che forse Ada s'affrettava troppo alasciare la casa di salute prima di essersi assicurata contro unaricaduta. Infatti quand'essadopo breve tempo e ancora nel corso diquello stesso invernodovette ritornare a Bolognaegli mi dissetrionfante:

-L'avevo detto io?

Noncredo però che in quel trionfo ci fosse stata altra gioia chequella da lui tanto viva di aver saputo prevedere qualche cosa. Eglinon augurava del male ad Adama l'avrebbe tenuta volentieri perlungo tempo a Bologna.

QuandoAda ritornòAugusta era relegata a letto per la nascita delmio piccolo Alfio e in quell'occasione fu veramente commovente. Volleio andassi alla stazione con dei fiori e dicessi ad Ada ch'essavoleva vederla quello stesso giorno. E se Ada non avesse potutovenire da lei addirittura dalla stazionemi pregava ritornassisubito a casaper saperle descrivere Ada e dirle se la sua bellezzadi cui in famiglia erano tanto orgogliosile fosse stata restituitaintera.

 

Allastazione eravamo ioGuido e la sola Albertaperché lasignora Malfenti passava una gran parte delle sue giornate pressoAugusta. Sulla banchinaGuido cercava di convincerci della suagrande gioia per l'arrivo di Adama Alberta lo ascoltava fingendouna grande distrazione allo scopo - come poi mi disse - di non doverrispondergli. In quanto a me la simulazione con Guido mi costavaoramai poca fatica. M'ero abituato a fingere di non accorgermi dellesue preferenze per Carmen e non avevo mai osato alludere ai suoitorti verso la moglie. Non m'era perciò difficile di avere unatteggiamento d'attenzione come se ammirassi la sua gioia per ilritorno della sua amata moglie.

Quandoil treno in punto a mezzodì entrò in stazioneegli ciprecedette per raggiungere la moglie che ne scendeva. La prese fra lebraccia e la baciò affettuosamente. Ioche gli vedevo ildorso piegato per arrivare a baciare la moglie più piccola diluipensai: "Un bravo attore!". Poi prese Ada per mano ela condusse a noi:

-Eccola riconquistata al nostro affetto!

Allorasi rivelò quale eracioè falso e simulatoreperchése egli avesse guardata meglio in faccia la povera donnasi sarebbeaccorto che invece che al nostro affetto essa veniva consegnata allanostra indifferenza. La faccia di Ada era male costruita perchéaveva riconquistate delle guancie ma fuori di posto come se la carnequando ritornòavesse dimenticato dove apparteneva e si fossepoggiata troppo in basso. Avevano perciò l'aspetto digonfiezze anziché di guancie. E l'occhio era ritornatonell'orbitama nessuno aveva saputo riparare i danni ch'esso avevaprodotto uscendone. Aveva spostate o distrutte delle linee precise eimportanti. Quando ci congedammo fuori della stazioneal soleinvernale abbacinante vidi che tutto il colorito di quella faccia nonera più quello che io avevo tanto amato. Era impallidito esulle parti carnose si arrossava per chiazzette rosse. Pareva che lasalute non appartenesse più a quella faccia e si fosseriusciti di fingervela.

Raccontaisubito ad Augusta che Ada era bellissima proprio come era stata dafanciulla ed essa ne fu beata. Poidopo di averla vistaa miasorpresa essa confermò più volte come se fossero stateevidenti verità le mie pietose bugie. Essa diceva:

-È bella com'era da fanciulla e come lo sarà mia figlia!

Sivede che l'occhio di una sorella non è molto acuto.

Perlungo tempo non rividi Ada. Essa aveva troppi figliuoli e cosìpure noi. Tuttavia Ada e Augusta facevano in modo di trovarsi insiemevarie volte alla settimanama sempre in ore in cui io ero fuori dicasa.

Siapprossimava l'epoca del bilancio ed io avevo molto da fare. Fu anziquella l'epoca della mia vita in cui lavorai di più. Qualchegiorno restai a tavolino persino per dieci ore. Guido m'aveva offertodi farmi assistere da un contabilema io non ne volli sapere. Avevoassunto un incarico e dovevo corrispondervi. Intendevo compensareGuido di quella mia funesta assenza di un mesee mi piaceva anchedimostrare a Carmen la mia diligenzache non poteva essere ispiratada altro che dal mio affetto per Guido.

 

Macome procedetti nel regolare i contiincominciai a scoprire lagrossa perdita in cui eravamo incorsi in quel primo anno diesercizio. Impensierito ne dissi a quattr'occhi qualche cosa a Guidoma luiche s'apprestava a partire per la caccianon volle starmi asentire:

-Vedrai che non è tanto grave come ti sembra eppoi l'anno non èancora finito.

Infattimancavano ancora otto giorni interi a capo d'anno.

Allorami confidai ad Augusta. Dapprima essa vide in quella faccenda solo ildanno che ne avrebbe potuto derivare a me. Le donne sono sempre fattecosìma Augusta era straordinaria persino fra le donne quandoqui si doleva del proprio danno. Non avrei finito anch'io - essadomandava - con l'essere ritenuto un po' responsabile delle perditesubite da Guido? Voleva si consultasse subito un avvocato. Bisognavaintanto staccarsi da Guido e cessare dal frequentare quell'ufficio.

Nonmi fu facile di convincerla ch'io non potevo essere tenutoresponsabile di niente non essendo io altra cosa che un impiegato diGuido. Essa sosteneva che chi non ha un emolumento fisso non possaessere considerato quale un impiegatoma qualche cosa di simile adun padrone. Quando fu ben convintanaturalmente restò dellasua opinione perché allora scoprì che non avrei perdutoniente se avessi cessato di frequentare quell'ufficio dovesicuramente avrei finito col diffamarmi commercialmente. Diamine: lamia fama commerciale! Fui anch'io d'accordo ch'era importante disalvarla eper quanto essa avesse avuto torto negli argomentisiconchiuse che dovevo fare com'ella voleva. Consentì ch'ioterminassi il bilancio poiché l'avevo iniziatoma poi avreidovuto trovare il modo di ritornare al mio studiolo nel quale non siguadagnavano dei denarima nemmeno se ne perdevano.

Feciperò allora una curiosa esperienza su me stesso. Io non fuicapace di abbandonare quella mia attività per quanto lo avessideciso. Ne fui stupito! Per intendere bene le coseoccorre lavoraredi immagini. Ricordai allora che una volta in Inghilterra la condannaai lavori forzati veniva applicata appendendo il condannato aldisopra di una ruota azionata a forza d'acquaobbligando cosìla vittima a muovere in un certo ritmo le gambe che altrimenti glisarebbero state sfracellate. Quando si lavora si ha sempre il sensodi una costrizione di quel genere. È vero che quando non silavora la posizione è la stessa e credo giusto di asserire cheio e l'Olivi fummo sempre ugualmente appesi; soltanto che io lo fuiin modo da non dover movere le gambe. La nostra posizione dava bensìun risultato differentema ora so con certezza ch'esso nonlegittimava né un biasimo né una lode. Insomma dipendedal caso se si viene attaccati ad una ruota mobile o ad una immobile.Staccarsene è sempre difficile.

Pervarii giornidopo chiuso il bilanciocontinuai ad andareall'ufficio pur avendo deciso di non andarci affatto. Uscivo di casaincerto; incerto prendevo una direzione ch'era quasi sempre quelladell'ufficio ecome procedevotale direzione si precisava finchénon mi trovavo seduto sulla solita sedia in faccia a Guido. Perfortuna a un dato momento fui pregato di non lasciare il mio posto edio subito vi accondiscesi visto che nel frattempo m'ero accortod'esservi inchiodato.

Peril quindici di Gennaio il mio bilancio era chiuso. Un vero disastro!Chiudevamo con la perdita di metà del capitale. Guido nonavrebbe voluto farlo vedere al giovine Olivi temendone qualcheindiscrezionema io insistetti nella speranza che costuicon la suagrande praticavi avesse trovato qualche errore tale da mutare tuttala posizione. Poteva esserci qualche importo spostato dal dareoveappartenevaall'averee con una rettifica si sarebbe arrivati aduna differenza importante. Sorridendol'Olivi promise a Guido lamassima discrezione e lavorò poi con me per una giornataintera. Disgraziatamente non trovò alcun errore. Devo dire cheio da quella revisione fatta in dueappresi molto e che oramaisaprei affrontare e chiudere dei bilanci anche più importantidi quello.

-E che cosa farete ora? - domandò l'occhialuto giovinotto primadi andarsene. Io sapevo già quello ch'egli avrebbe suggerito.Mio padreche spesso mi aveva parlato di commercio nella miainfanziame l'aveva già insegnato. Secondo le leggi vigentidata la perdita di metà del capitalenoi si avrebbe dovutoliquidare la ditta e magari ristabilirla subito su nuove basi.Lasciai ch'egli mi ripetesse il consiglio. Aggiunse:

-Si tratta di una formalità. - Poisorridendo:

-Può costare caro il non attenervisi!

Allasera anche Guido si mise a rivedere il bilancio cui non sapevaadattarsi ancora. Lo fece senz'alcun metodoverificando questo oquell'importo a casaccio. Volli interrompere quel lavoro inutile egli comunicai il consiglio dell'Olivi di liquidare subitoma proformala gestione.

Finoad allora Guido aveva avuto la faccia contratta dallo sforzo ditrovare in quei conti l'errore liberatore: un cipiglio complicatodalla contrazione di chi ha in bocca un sapore disgustoso. Alla miacomunicazione alzò la faccia che si spianò in unosforzo d'attenzione. Non comprese subitoma quando capì simise subito a ridere di cuore. Io interpretai l'espressione della suafaccia così: aspraacida finché si trovava di fronte aquelle cifre che non si potevano alterare; lieta e risoluta quando ildoloroso problema fu spinto in disparte da una proposta che gli davaagio di riavere il sentimento di padrone e arbitro.

Noncomprendeva. Gli pareva il consiglio di un nemico. Gli spiegai che ilconsiglio dell'Olivi aveva il suo valore specialmente per ilpericoloche incombeva in modo evidente sulla dittadi perderedegli altri denari e fallire. Un'eventuale bancarotta sarebbe statacolposa se dopo questo bilanciooramai consegnato nei nostri librinon si fossero prese le misure consigliate dall'Olivi. E aggiunsi:

-La pena comminata dalle nostre leggi per il fallimento colposo èil carcere!

Lafaccia di Guido si coperse di tanto rosso che temetti egli fosseminacciato da una congestione cerebrale. Urlò:

-In questo caso l'Olivi non ha bisogno di darmi dei consigli! Se maiciò dovesse avverarsi saprei risolvere da solo!

Lasua decisione m'impose ed ebbi il sentimento di trovarmi di fronte apersona perfettamente conscia della propria responsabilità.Abbassai il tono della mia voce. Mi buttai poi tutto dalla sua parteedimenticando di aver già presentato il consiglio dell'Olivicome degno di esser preso in considerazionegli dissi:

-È quello che obiettai anch'io all'Olivi. La responsabilitàè tua e noi non ci entriamo quando tu decidi qualche cosacirca il destino della ditta che appartiene a te ed a tuo padre.

Veramenteio questo l'avevo detto a mia moglie e non all'Olivima insomma eravero che a qualcuno l'avevo detto. Oradopo aver sentita la viriledichiarazione di Guidosarei stato anche capace di dirlo all'Oliviperché la decisione e il coraggio m'hanno sempre conquistato.Se amavo già tanto anche la sola disinvoltura che puòrisultare da quelle qualitàma anche da altre inferiori dimolto.

Poichévolevo riferire tutte le sue parole ad Augusta per tranquillarlainsistetti:

-Tu sai che di mee probabilmente a ragionesi dice che io non abbiaalcun talento per il commercio. Io posso eseguire quello che tu miordinima non posso mica assumermi una responsabilità perquello che fai tu.

Egliassentì vivamente. Si sentiva tanto bene nella parte che iogli attribuivoda dimenticare il suo dolore per il cattivo bilancio.Dichiarò:

-Io sono il solo responsabile. Tutto porta il mio nome ed io nonammetterei neppure che altri accanto a me volesse addossarsi delleresponsabilità.

Ciòandava benissimo per essere riferito ad Augustama molto di piùdi quanto io avevo domandato. E bisognava vedere l'aspetto ch'egliassumeva facendo quella dichiarazione: invece di un mezzo fallitosembrava un apostolo! S'era adagiato comodamente sul suo bilanciopassivo e da lì diventava il mio padrone e signore. Questavolta come tante altre nel corso della nostra vita in comuneil mioslancio d'affetto per lui fu soffocato dalle sue espressionirivelanti la spropositata stima ch'egli faceva di se stesso. Eglistonava. Sì: bisogna dire proprio così; quel grandemusicista stonava!

Glidomandai bruscamente:

-Vuoi che domani faccia una copia del bilancio per tuo padre?

Perun momento ero stato in procinto di fargli una dichiarazione ben piùrude dicendogli che subito dopo chiuso il bilancio io mi sareiastenuto dal frequentare il suo ufficio. Non lo feci non sapendo comeavrei impiegate le tante ore libere che mi sarebbero rimaste. Ma lamia domanda sostituiva quasi perfettamente la dichiarazione che m'erorimangiata. Intanto gli avevo ricordato ch'egli in quell'ufficio nonera il solo padrone.

Sidimostrò sorpreso delle mie parole perché gli parevanonon conformi a quanto fino ad alloracol mio evidente consensos'era parlato ecol tono di primami disse:

-Ti dirò io come si dovrà fare quella copia.

Protestaigridando. In tutta la mia vita non gridai tanto come con Guido perchétalvolta mi sembrava sordo. Gli dichiarai che esisteva in legge ancheuna responsabilità del contabile ed io non ero disposto digabellare per copie esatte dei raggruppamenti cervellotici di cifre.

Egliimpallidì e riconobbe che avevo ragionema soggiunse ch'egliera padrone d'ordinare che non si dessero affatto degli estratti daisuoi libri.

Inciò riconobbi volentieri che aveva ragione e allorarinfrancatosidichiarò che a suo padre avrebbe scritto lui.Parve anzi che volesse immediatamente mettersi a scriverema poicambiò d'idea e mi propose di andar a pigliare una boccatad'aria. Volli compiacerlo. Supponevo che non avesse ancora digeritobene il bilancio e volesse moversi per cacciarlo giù.

Lapasseggiata mi ricordò quella della notte dopo il miofidanzamento. Mancava la luna perché in alto c'era moltanebbiama giù era la stessa cosaperché si camminavasicuri traverso un'aria limpida. Anche Guido ricordò quellasera memoranda:

-È la prima volta che camminiamo di nuovo insieme di notte.Ricordi? Tu allora mi spiegasti che anche nella luna ci si baciavacome quaggiù. Adesso invece nella luna continuano il bacioeterno; ne sono sicuro ad onta che questa sera non si veda. Quaggiùinvece...

Volevaricominciare a dir male di Ada? Della povera malata? Lo interruppima mitementequasi associandomi a lui (non l'avevo forseaccompagnato per aituarlo a dimenticare?):

-Già! Quaggiù non si può sempre baciare! Lassùpoi non c'è che l'immagine del bacio. Il bacio èsoprattutto movimento.

Tentavodi allontanarmi da tutte le sue questionicioè bilancio eAdatant'è vero che a tempo seppi eliminare una frase ch'erostato in procinto di dire che cioè lassù il bacio nongenerava dei gemelli. Ma luiper liberarsi dal bilancionon trovavadi meglio che lagnarsi delle altre sue disgrazie. Come avevopresentitodisse male di Ada. Cominciò col rimpiangere chequel suo primo anno di matrimonio fosse stato per lui tantodisastroso. Non parlava dei due gemelli ch'erano tanto cari e bellima della malattia di Ada. Egli pensava che la malattia la rendesseirascibilegelosa e nello stesso tempo poco affettuosa. Terminòcoll'esclamare sconsolato:

-La vita è ingiusta e dura!

Ame sembrava assolutamente che mi fosse vietato di dire una solaparola che implicasse un mio giudizio fra lui e Ada. Ma mi pareva didover pur dire qualche cosa. Egli aveva finito col parlare della vitae le aveva appioppati due predicati che non peccavano di soverchiaoriginalità. Io scopersi il meglio proprio perché m'eromesso a fare la critica di quello ch'egli aveva detto. Tante volte sidicono delle cose seguendo il suono delle parole come s'associaronocasualmente. Poiappenasi va a vedere se quello che si dissevaleva il fiato che vi si è consumato e qualche volta siscopre che la casuale associazione partorì un'idea. Dissi:

-La vita non è né brutta né bellama èoriginale!

Quandoci pensai mi parve d'aver detta una cosa importante. Designata cosìla vita mi parve tanto nuova che stetti a guardarla come se l'avessiveduta per la prima volta coi suoi corpi gassosifluidi e solidi. Sel'avessi raccontata a qualcuno che non vi fosse stato abituato efosse perciò privo del nostro senso comunesarebbe rimastosenza fiato dinanzi all'enorme costruzione priva di scopo. M'avrebbedomandato: "Ma come l'avete sopportata?" Einformatosi diogni singolo dettaglioda quei corpi celesti appesi lassùperché si vedano ma non si tocchinofino al mistero checirconda la morteavrebbe certamente esclamato: "Moltooriginale!"

-Originale la vita! - disse Guido ridendo. - Dove l'hai letto?

Nonm'importò di assicurargli che non l'avevo letto in nessunposto perché altrimenti le mie parole avrebbero avuta menoimportanza per lui. Mapiù che ci pensavopiùoriginale trovavo la vita. E non occorreva mica venire dal di fuoriper vederla messa insieme in un modo tanto bizzarro. Bastavaricordare tutto quello che noi uomini dalla vita si èaspettatoper vederla tanto strana da arrivare alla conclusione cheforse l'uomo vi è stato messo dentro per errore e che non viappartiene.

Senzaesserci accordati sulla direzione della nostra passeggiataavevamofinito come l'altra volta sull'erta di via Belvedere. Trovato ilmuricciuolo su cui s'era steso quella notteGuido vi salì evi si coricò proprio come l'altra volta. Egli canticchiavaforse sempre oppresso dai suoi pensierie meditava certamente sulleinesorabili cifre della sua contabilità. Io invece ricordaiche in quel luogo l'avevo voluto uccideree confrontando i mieisentimenti di allora con quelli di adessoammiravo una volta di piùl'incomparabile originalità della vita. Ma improvvisamentericordai che poco prima e per una bizza di persona ambiziosaavevoimperversato contro il povero Guido e ciò in una dellepeggiori giornate della sua vita. Mi dedicai ad un'indagine:assistevo senza grande dolore alla tortura che veniva inflitta aGuido dal bilancio messo insieme da me con tanta cura e me ne venneun dubbio curioso e subito dopo un curiosissimo ricordo. Il dubbio:ero io buono o cattivo? Il ricordoprovocato improvvisamente daldubbio che non era nuovo: mi vedevo bambino e vestito (ne sono certo)tuttavia in gonne cortequando alzavo la mia faccia per domandare amia madre sorridente: "Sono buono o cattivoio?". Allorail dubbio doveva essere stato ispirato al bimbo dai tanti chel'avevano detto buono e dai tanti altri chescherzandol'avevanoqualificato cattivo. Non era affatto da meravigliarsi che il bimbofosse stato imbarazzato da quel dilemma. Oh incomparabile originalitàdella vita! Era meraviglioso che il dubbio ch'essa aveva giàinflitto al bimbo in forma tanto puerilenon fosse stato scioltodall'adulto quando aveva già varcata la metà della suavita.

Nellanotte foscaproprio su quel posto ove io una volta avevo giàvoluto ucciderequel dubbio mi angosciòprofondamente.Certamente il bimbo quando aveva sentito vagare quel dubbio nellatesta da poco libera dalla cuffianon ne aveva sofferto tanto perchéai bambini si racconta che dalla cattiveria si guarisce. Perliberarmi da tanta angoscia volli credere di nuovo cosìe viriuscii. Se non vi fossi riuscito avrei dovuto piangere per meperGuido e per la tristissima nostra vita. Il proposito rinnovòl'illusione! Il proposito di mettermi accanto a Guido e dicollaborare con lui allo sviluppo del suo commercio da cui dipendevala sua e la vita dei suoi e ciò senz'alcun utile per me.Intravvidi la possibilità di correrebrigare e studiare perlui e ammisi la possibilità di divenireper aiutarloungrandeun intraprendenteun geniale negoziante. Proprio cosìpensai in quella fosca sera di questa vita originalissima!

Guidointanto cessò di pensare al bilancio. Abbandonò il suoposto e parve rasserenato. Come se avesse tratta una conclusione daun ragionamento di cui io non sapevo nientemi disse che al padrenon avrebbe detto nulla perché altrimenti il povero vecchioavrebbe intrapreso quell'enorme viaggio dal suo sole estivo allanostra nebbia invernale. Mi disse poi che la perdita a prima vistasembrava ingentema che non lo era poi tanto se non dovevasopportarla tutta da solo. Avrebbe pregata Ada di addossarsene lametà e in compenso le avrebbe concesso una parte degli utilidell'anno seguente. L'altra metà della perdita l'avrebbesopportata lui.

Ionon dissi nulla. Pensai anche che mi fosse proibito di dare deiconsigliperché altrimenti avrei finito col fare quello cheassolutamente non volevoerigendomi a giudice fra i due coniugi. Delresto in quel momento ero tanto pieno di buoni propositi che mipareva che Ada avrebbe fatto un buon affare partecipando adun'impresa diretta da noi.

AccompagnaiGuido fino alla porta di casa sua e gli strinsi lungamente la manoper rinnovare silenziosamente il proposito di volergli bene. Poi mistudiai di dirgli qualche cosa di gentile e finii col trovare questafrase:

-Che i tuoi gemelli abbiano una buona notte e ti lascino dormireperché certamente hai bisogno di riposo.

Andandovia mi morsi le labbra al rimpianto di non aver trovato di meglio. Mase sapevo che i gemelli oramai che avevano ciascuno la loro baliadormivano a mezzo chilometro da lui e non avrebbero potuto turbargliil sonno! Ad ogni modo egli aveva capita l'intenzione dell'augurioperché l'aveva accettato riconoscente.

Giuntoa casatrovai che Augusta s'era ritirata nella stanza da letto coibambini. Alfio era attaccato al suo petto mentre Antonia dormiva nelsuo lettino volgendoci la nuca ricciuta. Dovetti spiegare la ragionedel mio ritardo e perciò le raccontai anche il mezzoescogitato da Guido per liberarsi delle sue passività. AdAugusta la proposta di Guido parve indegna:

-Al posto di Ada io rifiuterei- esclamò con violenza perquanto a bassa voce per non spaventare il piccino.

Direttodai miei propositi di bontàdiscussi:

-Perciòse io capitassi nelle stesse difficoltà diGuido tu non m'aiuteresti?

Essarise:

-La cosa è ben differente! Fra noi due si vedrebbe quello chesarebbe più vantaggioso per loro! - e accennò albambino che teneva in braccio e ad Antonia. Poidopo un momento diriflessionecontinuò: - E se noi ora consigliassimo ad Ada diconcedere il suo denaro per continuare quell'affare di cui tu frabreve non farai più partenon saremmo poi impegnati adindennizzarla se dovesse poi perderlo?

Eraun'idea da ignorantema nel mio nuovo altruismo esclamai:

-E perché no?

-Ma non vedi che ne abbiamo due dei bambini cui dobbiamo pensare?

Seli vedevo! La domanda era una figura rettorica veramente vuota disenso.

-E non ne hanno anche loro due dei bambini? - domandaivittoriosamente.

Essasi mise a ridere clamorosamente facendo spaventare Alfio che lasciòdi poppare per piangere subito. Essa s'occupò di luimasempre ridendoed io accettai il suo riso come se me lo fossiconquistato col mio spirito mentrein veritànel momento incui avevo fatta quella domandam'ero sentito movere nel petto ungrande amore per i genitori di tutti i bambini e per i bambini ditutti i genitori.

Avendonepoi risodi quell'affetto non restò più niente.

Maanche il cruccio di non sapermi essenzialmente buono si mitigò.Mi pareva di aver sciolto il problema angoscioso. Non si era nébuoni né cattivi come non si era tante altre cose ancora. Labontà era la luce che a sprazzi e ad istanti illuminaval'oscuro animo umano. Occorreva la fiaccola bruciante per dare laluce (nell'animo mio c'era stata e prima o poi sarebbe sicuramenteanche ritornata) e l'essere pensante a quella luce poteva sceglierela direzione per moversi poi nell'oscurità. Si poteva perciòmanifestarsi buonitanto buonisempre buonie questo eral'importante. Quando la luce sarebbe ritornata non avrebbe sorpreso enon avrebbe abbacinato. Ci avrei soffiato su per spegnerla primavisto ch'io non ne avevo bisogno. Perché io avrei saputoconservare il propositocioè la direzione.

Ilproposito di bontà è placido e pratico ed io ora erocalmo e freddo. Curioso! L'eccesso di bontà m'aveva fattoeccedere nella stima di me stesso e del mio potere. Che cosa potevoio fare per Guido? Era vero ch'io nel suo ufficio sovrastavo di tantoagli altri quanto nel mio ufficio l'Olivi padre stava al disopra dime. Ma ciò non provava molto. E per essere ben pratico: checosa avrei io consigliato a Guido il giorno appresso? Forse una miaispirazione? Ma se neppure al tavolo di giuoco si seguivano leispirazioni quando si giuocava coi denari altrui! Per far vivere unacasa commerciale bisogna crearle un lavoro di ogni giorno e questo sipuò raggiungere lavorando ogni ora attorno ad unaorganizzazione. Non ero io che potevo fare una cosa similenémi pareva giusto di sottopormi a forza di bontà alla condannadella noia a vita.

Sentivotuttavia l'impressione fattami dal mio slancio di bontà comeun impegno che avessi preso con Guidoe non potevo addormentarmi.Sospirai più volte profondamente e una volta persino gemetticertamente nel momento in cui mi pareva di essere obbligato dilegarmi all'ufficio di Guido come l'Olivi era legato al mio.

Neldormiveglia Augusta mormorò:

-Che hai? Hai trovato di nuovo da dire con l'Olivi?

Eccol'idea che cercavo! Io avrei consigliato Guido di prendere con séquale direttore il giovine Olivi! Quel giovinotto tanto serio e tantolaborioso e ch'io vedevo tanto malvolentieri nei miei affari perchépareva s'apprestasse di succedere a suo padre nella loro direzioneper tenermene definitivamente fuoriapparteneva evidentemente e avantaggio di tuttinell'ufficio di Guido. Facendogli una posizionein casa suaGuido si sarebbe salvato e il giovine Olivi sarebbestato più utile in quell'ufficio che non nel mio.

L'ideami esaltò e destai Augusta per comunicargliela. Anch'essa nefu tanto entusiasmata da destarsi del tutto. Le pareva che cosìio avrei più facilmente potuto levarmi dagli affaricompromettenti di Guido. Mi addormentai con la coscienza tranquilla:avevo trovato il modo di salvare Guido senza condannare me; anzitutt'altro.

Nonc'è niente di più disgustoso che di vedersi respinto unconsiglio ch'è stato sinceramente studiato con uno sforzo checostò persino delle ore di sonno. Da me c'era poi stato unaltro sforzo: quello di spogliarmi dell'illusione di poter giovare iostesso agli affari di Guido. Uno sforzo immane. Ero dapprima arrivatoad una vera bontàpoi ad un'assoluta oggettività e misi mandava a quel paese!

Guidorifiutò il mio consiglio addirittura con disdegno. Non credevacapace il giovine Olivi eppoi gli spiaceva il suo aspetto di giovinevecchio e più ancora gli spiacevano quei suoi occhiali tantolucenti sulla sua scialba faccia. Gli argomenti erano veramente attia farmi credere che di fondato non ce ne fosse che uno: il desideriodi farmi dispetto. Finì col dirmi che avrebbe accettato comecapo del suo ufficio non il giovine ma il vecchio Olivi. Ma io noncredevo di potergli procurare la collaborazione di questieppoi ionon mi credevo pronto per assumere da un momento all'altro ladirezione dei miei affari. Ebbi il torto di discutere e gli dissi cheil vecchio Olivi valeva poco. Gli raccontai quanto denaro mi avessecostato la sua caparbietà di non aver voluto comperare a tempoquella tale frutta secca.

-Ebbene! - esclamò Guido. - Se il vecchio non vale piùdi cosìche valore potrà avere il giovine che non èaltro che un suo scolaro?

Eccofinalmente un buon argomentoe tanto più dispiacevole per mein quanto lo avevo fornito io con la mia chiacchiera imprudente.

Pochigiorni appressoAugusta mi raccontò che Guido aveva propostoad Ada di sopportare col suo denaro metà della perdita delbilancio. Ada vi si rifiutava dicendo ad Augusta:

-Mi tradisce e vuole anche il mio denaro!

Augustanon aveva avuto il coraggio di consigliarle di darglielomaassicurava che aveva fatto del suo meglio per far ricredere Ada dalsuo giudizio sulla fedeltà del marito. Costei aveva rispostoin modo da far ritenere ch'essa a quel proposito la sapesse piùlunga di quanto noi si credesse. E Augusta con me ragionava così:- Per il marito bisogna saper portare qualunque sacrificioma valevatale assioma anche per Guido?

Neigiorni seguenti il contegno di Guido si fece veramente straordinario.Veniva in ufficio di tempo in tempo e non vi restava mai per piùdi mezz'ora. Correva via come chi ha dimenticato il fazzoletto acasa. Seppi poi che andava a portare nuovi argomenti ad Ada che gliparevano decisivi per indurla a fare il voler suo. Aveva veramentel'aspetto di persona che ha pianto troppo o troppo gridato o che s'èaddirittura battutoe neppure in nostra presenza arrivava a domarel'emozione che gli contraeva la gola e gli faceva venire le lacrimeagli occhi. Gli domandai che cosa avesse. Mi rispose con un sorrisotristema amichevole per dimostrarmi che non l'aveva con me. Poi siraccolse onde poter parlarmi senz'agitarsi di troppo. Infine dissepoche parole: Ada lo faceva soffrire con la sua gelosia.

Eglidunque mi raccontava che discutevano le loro storie intime mentre iopur sapevo che c'era anche quella storia del "conto utili edanni" fra di loro.

Mapareva che questo non avesse importanza. Me lo diceva lui e lo dicevaanche Ada ad Augusta non parlandole d'altro che della sua gelosia.Anche la violenza di quelle discussioniche lasciava traccie tantoprofonde sulla faccia di Guidofaceva credere dicessero il vero.

Invecepoi risultò che fra' due coniugi non si parlò che dellaquestione del denaro. Ada per superbia e per quanto si facessedirigere dai suoi dolori passionalinon li aveva mai menzionatieGuidoforse per la coscienza della sua colpa e per quanto sentisseche in Ada imperversasse l'ira della donnacontinuò adiscutere gli affari come se il resto non esistesse. Egli s'affannòsempre più a correre dietro a quei denarimentre leiche nonera affatto toccata da quistioni d'affariprotestava contro laproposta di Guido con un solo argomento: i denari dovevano restare aibambini. E quand'egli trovava altri argomentila sua paceilvantaggio che sarebbe derivato ai bambini stessi dal suo lavorolasicurezza di trovarsi in regola con le prescrizioni di leggeessa losaldava con un duro "No". Ciò esasperava Guido e -come dai bambini - anche il suo desiderio. Ma ambedue - quando neparlavano ad altri - credevano di essere esatti asserendo di soffrireper amori e gelosie.

Fuuna specie di malinteso che m'impedì d'intervenire a tempo perfar cessare l'incresciosa quistione del denaro. Io potevo provare aGuido ch'essa effettivamente mancava d'importanza. Quale contabilesono un po' tardo e non capisco le cose che quando le ho distribuitenei librinero sul biancoma mi pare che presto io abbia capito cheil versamento che Guido esigeva da Ada non avrebbe mutate di molto lecose. A che serviva infatti di farsi fare un versamento di denari? Laperdita così non appariva mica minorea meno che Ada nonavesse accettato di far getto del denaro in quella contabilitàciò che Guido non domandava. La legge non si sarebbe micalasciata ingannare al trovare chedopo di aver perduto tantosivoleva rischiare un po' di più attirando nell'azienda deinuovi capitalisti.

Unamattina Guido non si fece veder in ufficio ciò che ci sorpreseperché sapevamo che la sera prima non era partito per lacaccia. A colazione appresi da Augusta commossa e agitata che Guidola sera prima aveva attentato alla propria vita. Oramai era fuori dipericolo. Devo confessare che la notiziache ad Augusta sembravatragicaa me fece rabbia. Egli era ricorso a quel mezzo drastico perspezzare la resistenza della moglie! Appresi anche subito che l'avevafatto con tutte le prudenzeperché prima di prendere lamorfina se ne era fatta vedere la boccetta stappata in mano. Cosìal primo torpore in cui caddeAda chiamò il medico ed egli fusubito fuori di pericolo. Ada aveva passata una notte orrenda perchéil dottore credette di dover fare delle riserve sull'esitodell'avvelenamentoeppoi la sua agitazione fu prolungata da Guidochequando rinvenneforse non ancora in piena coscienzala colmòdi rimproveri dicendola la sua nemicala sua persecutricecolei chegl'impediva il sano lavoro cui egli voleva accingersi.

Adagli accordò subito il prestito ch'egli domandavama poifinalmentenell'intenzione di difendersiparlò chiaro e glifece tutti i rimproveri ch'essa tanto tempo aveva trattenuti. Cosìarrivarono a intendersi perché a lui riuscì - cosìAugusta credeva - di dissipare in Ada ogni sospetto sulla suafedeltà. Fu energico e quando lei gli parlò di Carmenegli gridò:

-Ne sei gelosa? Ebbenese lo vuoi la mando via oggi stesso.

Adanon aveva risposto e credette così di avere accettata quellaproposta e ch'egli vi si fosse impegnato.

Mimeravigliai che Guido avesse saputo comportarsi così neldormiveglia e giunsi fino a credere ch'egli non avesse ingoiataneppure la piccola dose di morfina ch'egli diceva. A me pareva cheuno degli effetti degli annebbiamenti del cervello per sonnofossedi sciogliere l'animo più induritoinducendolo alle piùingenue confessioni. Non ero io recente di una tale avventura? Ciòaumentò il mio sdegno e il mio disprezzo per Guido.

Augustapiangeva raccontando in quale stato avesse trovata Ada. No! Ada nonera più bella con quegli occhi che sembravano spalancati dalterrore.

Frame e mia moglie ci fu una lunga discussione se io avessi dovuto farsubito una visita a Guido e Ada oppure se non fosse stato meglio difingere di non saper di nulla e aspettare di rivederlo in ufficio. Ame quella visita sembrava una seccatura insopportabile. Vedendolocome avrei fatto di non dirgli l'animo mio? Dicevo:

-È un'azione indegna per un uomo! Io non ho alcuna voglia diammazzarmima non v'è dubbio che se decidessi di farlo viriuscirei subito!

Sentivoproprio così e volevo dirlo ad Augusta. Ma mi sembrava di fartroppo onore a Guido paragonandolo a me:

-Non occorre mica essere un chimico per saper distruggere questonostro organismo ch'è anche troppo sensibile. Non c'èquasi ogni settimananella nostra cittàla sartina cheingoia la soluzione di fosforo preparata in segreto nella sua poverastanzettae da quel veleno rudimentalead onta di ogni interventoviene portata alla morte con la faccina ancora contratta dal dolorefisico e da quello morale che subì la sua animuccia innocente?

Augustanon ammetteva che l'anima della sartina suicida fosse tantoinnocentemafatta una lieve protestaritornò al suotentativo d'indurmi a quella visita. Mi raccontò che nondovevo temere di trovarmi in imbarazzo. Essa aveva parlato anche conGuido il quale aveva trattato con lei con tanta serenità comese egli avesse commessa l'azione più comune.

Usciidi casa senza dare la soddisfazione ad Augusta di mostrarmi convintodelle sue ragioni. Dopo lieve esitazione mi avviai senz'altro acompiacere mia moglie. Per quanto breve fosse il percorsoil ritmodel mio passo m'addusse ad una mitigazione del mio giudizio sul contodi Guido. Ricordai la direzione segnatami dalla luce che pochi giorniprima aveva illuminato il mio animo. Guido era un fanciullounfanciullo cui avevo promessa la mia indulgenza. Se non gli riuscivadi ammazzarsi primaanche lui prima o poi sarebbe arrivato allamaturità.

Lafantesca mi fece entrare in uno stanzino che doveva essere lo studiodi Ada. La giornata era fosca e il piccolo ambientecon la solafinestra coperta da una fitta tendaera buio. Sulla parete v'erano iritratti dei genitori di Ada e di Guido.

Virestai poco perché la fantesca ritornò a chiamarmi e micondusse da Guido e Ada nella loro stanza da letto. Questa era vastae luminosa anche quel giornoper le sue due ampie finestre e per latappezzeria e i mobili chiari. Guido giaceva nel suo letto con latesta fasciata e Ada era seduta accanto a lui.

Guidomi ricevette senz'alcun imbarazzoanzi con la più vivariconoscenza. Sembrava assonnatoma per salutarmi eppoi darmi le suedisposizioniseppe scotersi e apparire desto del tutto. Indis'abbandonò sul guanciale e chiuse gli occhi. Ricordava chedoveva simulare il grande effetto della morfina? Ad ogni modo facevapietà e non ira ed io mi sentii molto buono.

Nonguardai subito Ada: avevo paura della fisonomia di Basedow. Quando laguardaiebbi una gradevole sorpresa perché mi aspettavo dipeggio. I suoi occhi erano veramente ingranditi a dismisurama legonfiezze che sulla sua faccia avevano sostituito le guancieeranosparite e a me essa parve più bella. Vestiva un'ampia vesterossachiusa fino al mentonella quale il suo povero corpicciuolosi perdeva. C'era in lei qualcosa di molto casto eper quegli occhiqualche cosa di molto severo. Non seppi chiarire del tutto i mieisentimentima davvero pensai mi stesse accanto una donna cheassomigliava a quell'Ada che io avevo amata.

Aun certo momento Guido spalancò gli occhitrasse di sotto alguanciale un assegno su cui subito vidi la firma di Adame loconsegnòmi pregò di farlo incassare e di accreditarnel'importo in un conto che dovevo aprire al nome di Ada.

-Al nome di Ada Malfenti o Ada Speier? - domandò scherzosamentead Ada.

Essasi strinse nelle spalle e disse:

-Lo saprete voi due come sia meglio.

-Ti dirò poi come devi fare le altre registrazioni- aggiunseGuido con una brevità che mi offese.

Erosul punto di interrompergli la sonnolenza cui s'era subitoabbandonatodichiarandogli che se voleva delle registrazioni se lefacesse da sé.

Intantofu portata una grande tazza di caffè nero che Ada gli porse.Egli trasse le braccia di sotto le coperte e con ambe le mani siportò la tazza alla bocca. Oracol naso nella tazzaparevaproprio un bambino.

Quandomi congedaiegli m'assicurò che il giorno seguente sarebbevenuto in ufficio.

Ioavevo già salutata Ada e perciò fui non poco sorpresoquand'essa mi raggiunse alla porta d'uscita. Ansava:

-Te ne pregoZeno! Vieni qui per un istante. Ho bisogno di dirti unacosa.

Laseguii nel salottino ove ero stato poco prima e da cui adesso sisentiva il pianto di uno dei gemelli.

Restammoin piedi guardandoci in faccia. Essa ansava ancora e per questosoloper questoio per un momento pensai che m'avesse fatto entrare inquella stanzuccia buia per domandarmi l'amore che le avevo offerto.

Nell'oscuritài suoi grandi occhi erano terribili. Pieno d'angoscia mi domandavoquello che avrei dovuto fare. Non sarebbe stato mio dovere diprenderla fra le mie braccia e risparmiarle così di doverdomandarmi qualche cosa? In un istante quale avvicendarsi dipropositi! È una delle grandi difficoltà della vitad'indovinare ciò che una donna vuole.

Ascoltarnele parole non serveperché tutto un discorso puòessere annullato da uno sguardo e neppure questo sa dirigerci quandoci si trova con leiper suo volerein una comoda buia stanzuccia.

Nonsapendo indovinare leiio tentavo d'intendere me stesso. Quale erail mio desiderio? Volevo baciare quegli occhi e quel corposcheletrico? Non sapevo dare una risposta decisa perché pocoprima l'avevo vista nella severa castità di quella sofficevestagliadesiderabile come la fanciulla ch'io avevo amata.

Allasua ansia s'era intanto associato anche il pianto e cosìs'allungò il tempo in cui io non sapevo quello ch'ella volessee che io desiderassi. Finalmentecon voce spezzataessa mi disseancora una volta il suo amore per Guidocosì ch'io non ebbipiù con lei né doveri né diritti. Balbettò:

-Augusta m'ha detto che tu vorresti lasciare Guido e non occuparti piùdei fatti suoi. Devo pregarti di continuare ad assisterlo. Io noncredo ch'egli sia in grado di fare da sé.

Midomandava di continuare a fare quello che già facevo. Erapocoben poco ed io tentai di concedere di più:

-Giacché lo vuoicontinuerò ad assistere Guido; faròanzi del mio meglio per assisterlo più efficacemente di quantonon abbia fatto finora.

Eccodi nuovo l'esagerazione! Me ne avvidi nello stesso momento in cuiv'incappavoma non seppi rinunziarvi. Io volevo dire ad Ada (o forsementirle) che ella mi premeva. Essa non voleva il mio amorema ilmio appoggio ed io le parlavo in modo che potesse credere ch'io eropronto a concederle ambedue.

Adam'afferrò subito la mano. Ebbi un brivido. Offre molto unadonna porgendo la mano! Ho sempre sentito questo. Quando mi fuconcessa una mano mi parve di afferrare tutta una donna. Sentii lasua statura e nell'evidente confronto fra la mia e la suami parvedi fare atto somigliante all'abbraccio. Certo fu un contatto intimo.

Ellasoggiunse:

-Io devo ritornare subito a Bologna in casa di salute e mi saràdi grande tranquillità di saperti con lui.

-Resterò con lui! - risposi con aspetto rassegnato. Ada dovettecredere che quel mio aspetto di rassegnazione significasse ilsacrificio ch'io consentivo di farle. Invece io stavo rassegnandomi aritornare ad una vita molto ma molto comunevisto ch'essa non cipensava di seguirmi in quella d'eccezione ch'io avevo sognata.

Feciuno sforzo per discendere del tutto a terrae scopersiimmediatamente nella mia mente un problema di contabilità nonsemplice. Dovevo accreditare dell'importo dell'assegno che tenevo intasca il conto di Ada. Questo era chiaro e invece non chiaro affattocome tale registrazione avrebbe potuto toccare il conto Utili eDanni. Non ne dissi nulla per il dubbio che forse Ada non sapesse chec'era a questo mondo un libro mastro contenente dei conti di sìvaria natura.

Manon volli uscire da quella stanza senz'aver detto altro. Fu cosìche invece di parlare di contabilitàdissi una frase che inquel momento gettai lì negligentemente solo per dire qualchecosama che poi sentii di grande importanza per me per Ada e perGuidoma prima di tutto per me stesso che compromisi una volta dipiù.

Tantoimportante fu quella frase che per lunghi anni ricordai comeconmovimento trascuratoavessi mosse le labbra per dirla in quellostanzino buio in presenza dei quattro ritratti dei genitori di Ada eGuido sposatisi anch'essi fra di loro sulla parete. Dissi:

-Hai finito con lo sposare un uomo ancora più bizzarro di meAda!

Comela parola sa varcare il tempo! Essa stessa avvenimento che siriallaccia agli avvenimenti! Diveniva avvenimentotragicoavvenimentoperché diretta ad Ada. Nel mio pensiero non avreimai saputo evocare con tanta vivacità l'ora in cui Ada avevascelto fra me e Guido su quella via soleggiata ovedopo giorni diattesaavevo saputo incontrarla per camminarle accanto e affaticarmidi conquistare il suo riso che scioccamente accoglievo come unapromessa! E ricordai anche che allora io ero già resoinferiore per l'imbarazzo dei muscoli delle mie gambe mentre Guido simoveva ancora più disinvolto di Ada stessa e non era segnatoda alcuna inferiorità se come tale non si avesse dovutoconsiderare quello strano bastone ch'egli si adattava di portare.Essa disse a bassa voce:

-È vero!

Poisorridendo affettuosamente:

-Ma sono lieta per Augusta che tu sia stato tanto migliore di quantoti credevo. - Poicon un sospiro: - Tantoche mi attenua un poco ildolore che Guido non sia quello che io m'aspettavo.

Iotacevo sempreancora dubbioso. Mi pareva che m'avesse detto che iofossi divenuto quello ch'essa si era aspettata dovesse divenireGuido. Era dunque amore? Ed essa disse ancora:

-Sei il migliore uomo della nostra famigliala nostra fiducialanostra speranza. - Mi riafferrò la mano e io la serrai forsetroppo. Essa me la sottrasse però tanto prestoche fudissipato ogni dubbio. E in quella buia stanzuccia io seppi di nuovocome dovevo comportarmi. Forse per attenuare il suo atto mi mandòun'altra carezza: - È perché ti so così che midolgo tanto di averti fatto soffrire. Hai veramente sofferto tanto?

Ioficcai subito l'occhio nell'oscurità del mio passato perritrovare quel dolore e mormorai:

-Sì!

Apoco a poco ricordai il violino di Guido eppoi come m'avrebberogettato fuori di quel salotto se non mi fossi aggrappato ad Augustae poi ancora il salotto in casa Malfentiove intorno al tavolinoLuigi XIV si faceva all'amore mentre dall'altro tavolino si guardava.Improvvisamente ricordai anche Carla perché anche con leic'era stata Ada. Allora sentii viva la voce di Carla che mi dicevach'io appartenevo a mia mogliecioè ad Ada. Ripeteimentrele lacrime mi salivano agli occhi:

-Molto! Sì! Molto!

Adasinghiozzava addirittura: - Mi dispiace tantotanto!

Sifece forza e disse:

-Ma adesso tu ami Augusta!

Unsinghiozzo l'interruppe per un istante ed io trasalii non sapendo seessa si fosse fermata per sentire se io avrei affermato o negatoquell'amore. Per mia fortuna non mi diede il tempo di parlare perchécontinuò:

-Adesso c'è fra noi due e dev'esserci un vero affetto fraterno.Io ho bisogno di te. Per quel ragazzo di làio ormai dovròessere una madredovrò proteggerlo. Vuoi aiutarmi nel miodifficile compito?

Nellasua grande emozione ella quasi s'appoggiava a mecome nel sogno. Maio m'attenni alle sue parole. Mi domandava un affetto fraterno;l'impegno di amore che pensavo mi legasse a lei si trasformava cosìin un altro suo dirittoepperò le promisi subito di aiutareGuidodi aiutare leidi fare quello che avrebbe voluto. Se fossistato più sereno avrei dovuto parlare della mia insufficienzaal compito ch'essa m'assegnavama avrei distrutta tuttal'indimenticabile emozione di quel momento. Del resto ero tantocommosso che non potevo sentire la mia insufficenza. In quel momentopensavo che non esistessero affatto per nessuno delle insufficienze.Anche quella di Guido poteva essere soffiata via con alcune paroleche gli dessero il necessario entusiasmo.

Adam'accompagnò sul pianerottolo e restò lìappoggiata alla ringhieraa vedermi scendere. Così avevafatto sempre Carlama era strano lo facesse Ada che amava Guidoedio gliene fui tanto grato cheprima di passare alla seconda brancadella scalaalzai anche una volta il capo per vederla e salutarla.Così si faceva in amore masi vedevaanche quando sitrattava di amore fraterno.

Cosìme ne andai via lieto. Essa m'aveva accompagnato fino su quelpianerottoloe non oltre. Non v'erano più dubbii. Restavamocosì: io l'avevo amata ed ora amavo Augustama il mio anticoamore le dava il diritto alla mia devozione. Essa poi continuava adamare quel fanciulloma riservava a me un grande affetto fraterno enon solo perché avevo sposata sua sorellama perindennizzarmi dei dolori che m'aveva procurati e che costituivano unlegame segreto fra di noi. Tutto ciò era ben dolcedi unsapore raro in questa vita. Tanta dolcezza non avrebbe potuto darmiuna vera salute? Infatti io camminai quel giorno senza imbarazzo esenza dolorimi sentii magnanimo e forte e nel cuore un sentimentodi sicurezza che m'era nuovo. Dimenticai di aver tradito mia moglieed anche nel modo più sconcio oppure mi proposi di non farlopiù ciò che si equivalee mi sentii veramente qualeAda mi voleval'uomo migliore della famiglia.

Allorchétanto eroismo s'affievolìio avrei voluto ravvivarlomaintanto Ada era partita per Bologna ed ogni mio sforzo per trarre unnuovo stimolo da quanto essa m'aveva già detto restava vano.Sì! Avrei fatto quel poco che potevo per Guidoma unproposito simile non aumentava né l'aria nei miei polmoni néil sangue nelle mie vene. Per Ada mi rimase nel cuore una grandenuova dolcezza rinnovata ogni qualvolta essa nelle sue lettere adAugusta mi ricordava con qualche parola affettuosa. Le ricambiavo dicuore il suo affetto e accompagnavo la sua cura coi voti migliori.Magari le fosse riuscito di riconquistare tutta la sua salute e tuttala sua bellezza!

Ilgiorno seguenteGuido venne in ufficio e si mise subito a studiarele registrazioni ch'egli voleva fare. Propose:

-Storniamo ora il Conto Utili e Danni a metà con quello di Ada.

Eraproprio questo ch'egli voleva e che non serviva a nulla. Se io fossistato l'esecutore indifferente della sua volontà come lo erostato fino a pochi giorni primacon tutta semplicità avreieseguite quelle registrazioni e non ci avrei pensato più.

Invecesentii il dovere di dirgli tutto; mi pareva di stimolarlo al lavorofacendogli sapere che non era tanto facile di cancellare la perditain cui si era incorsi.

Glispiegai che a quanto ne sapevo ioAda aveva dato quel denaro perchéfosse posto a suo credito nel suo conto e ciò non avveniva piùse noi lo saldavamo ficcandoci dentrodall'altra partemetàdella perdita del bilancio. Poiche la parte della perdita ch'eglivoleva trasportare nel conto propriovi apparteneva e vi avrebbeanzi appartenuta tuttama ciò non era il suo annullamento einvece la constatazione della stessa. Ci avevo pensato tanto chem'era facile di spiegargli tuttoe conclusi:

-Ammettendo che si capitasse - così non voglia Iddio! - nellecircostanze previste dall'Olivila perdita sarebbe tuttaviarisultata evidente dai nostri librinon appena fossero stati vistida un perito pratico.

Eglimi guardava attonito. Sapeva abbastanza di contabilità perintendermi e invece non ci arrivava perché il desideriogl'impediva di adattarsi all'evidenza. Poi aggiunsiper fargli vederchiaramente tutto:

-Vedi che non c'era nessuno scopo che Ada facesse tale versamento?

Quandofinalmente compreseimpallidì fortemente e si mise arosicchiarsi nervosamente le unghie. Restò trasognatomavolle vincersi e con quel suo comico fare di comandantedispose chetuttavia quelle registrazioni fossero fatteaggiungendo:

-Per esonerarti di ogni responsabilità sono disposto discrivere io nei libri e magari di firmare!

Compresi!Voleva continuare a sognare in luogo ove non c'è posto asogni: la partita doppia!

Ricordaiquanto avevo promesso a me stesso là sull'erta di viaBelvedereeppoi ad Adanel salottino buio di casa sua e parlaigenerosamente:

-Farò subito le registrazioni che desideri: non sento ilbisogno di essere difeso dalla tua firma. Sono qui per aiutartinonper ostacolarti!

Eglimi strinse affettuosamente la mano:

-La vita è difficile - disse - ed è un grande confortoper me di avere accanto un amico quale sei tu.

Ciguardammo commossi negli occhi. I suoi lucevano. Per sottrarmi allacommozione che minacciava anche medissi ridendo:

-La vita non è difficilema molto originale.

Edanche lui rise di cuore.

Poiegli mi restò accanto per vedere come avrei saldato quel ContoUtili e Danni. Fu fatto in pochi minuti. Quel conto morìmatrascinò nel nulla anche il conto di Ada a cui perònotammo il credito in un libercoloper il caso in cui ogni altratestimonianza in seguito a qualche cataclisma fosse sparita e peravere l'evidenza che dovevamo pagarle gl'interessi. L'altra metàdel Conto Utili e Danni andò ad aumentare il Dare giàconsiderevole del conto di Guido.

Perloro natura i contabili sono un genere di animali molto dispostiall'ironia. Facendo quelle registrazioni io pensavo: "Un conto -quello intitolato agli utili e danni - era morto ammazzatol'altro -quello di Ada - era morto di morte naturale perché non ciriusciva di tenerlo in vita e invece non sapevamo ammazzare quello diGuidoch'essendo di un debitore dubbiosotenuto cosìerauna vera tomba aperta nella nostra azienda".

Dicontabilità si continuò a parlare per lungo tempoinquell'ufficio.

Guidos'arrabattava per trovare un altro modo che avesse potuto proteggerlomeglio da eventuali insidie (così egli le chiamava) dellalegge. Io credo che egli abbia anche consultato qualche contabileperché un giorno venne in ufficio a propormi di distruggere ilibri vecchi dopo averne fatti di nuovi sui quali avremmo registratauna vendita falsa ad un nome qualunque che avrebbe poi figurato diaverla pagata con l'importo prestato da Ada. Era doloroso doverdisilluderlo perché era corso all'ufficio animato da una tantasperanza! Proponeva una falsificazione che proprio mi ripugnava.Finora non avevamo fatto altro che spostare delle realtàminacciando di danneggiare chi implicitamente vi aveva dato il suoconsenso. Orainveceegli voleva inventare dei movimenti di merci.Vedevo anch'io che così e solo cosìsi potevacancellare ogni traccia della perdita subita ma a quale prezzo!Bisognava anche inventare il nome del compratore o prendere ilconsenso di chi volevamo far figurare come tale. Non avevo niente incontrario di veder distruggere i libri che pur avevo scritti contanta curama era seccante farne di nuovi. Feci delle obbiezioni chefinirono col convincere Guido. Una fattura non si simula facilmente.Bisognerebbe saper falsificare anche i documenti comprovantil'esistenza e la proprietà della merce.

Eglirinunziò al suo pianoma il giorno seguente capitò inufficio con un altro piano che anch'esso implicava la distruzione deilibri vecchi. Stanco di veder intralciato ogni altro lavoro dadiscussioni similiprotestai:

-Vedendo che ci pensi tantosi crederebbe tu voglia proprioprepararti al fallimento! Altrimenti quale importanza può averuna diminuzione tanto esigua del tuo capitale? Finora nessuno ha ildiritto di guardare nei tuoi libri. Bisogna ora lavorarelavorare enon occuparsi di sciocchezze.

Miconfessò che quel pensiero era la sua ossessione. E comeavrebbe potuto essere altrimenti? Con un po' di sfortuna potevaincappare dritto dritto in quella sanzione penale e finire incarcere!

Daimiei studi giuridici io sapevo che l'Olivi aveva esposto con grandeesattezza quali fossero i doveri di un commerciante che ha fatto unsimile bilancioma per liberare Guido e anche me da tale ossessionelo consigliai di consultare qualche avvocato amico.

Mirispose di averlo già fatto ossia di non essere stato da unavvocato espressamente a quello scopo perché non volevaconfidare nemmeno ad un avvocato quel suo segretoma di aver fattociarlare un avvocato suo amico col quale s'era trovato a caccia.Sapeva perciò che l'Olivi non aveva né sbagliato néesagerato... purtroppo!

Vedendonel'inanitàcessò dal fare delle scoperte per falsare lasua contabilitàma non perciò riacquistò lacalma. Ogni qualvolta veniva in ufficio si rabbuiava guardando i suoilibroni. Mi confessòun giornoche entrando nella nostrastanza gli era parso di trovarsi nell'anticamera della galera eavrebbe voluto correr via.

Ungiorno mi domandò:

-Augusta sa tutto del nostro bilancio?

Arrossiiperché nella domanda mi parve sentire un rimprovero. Maevidentemente se Ada sapeva del bilancio poteva saperne ancheAugusta.

Nonpensai subito cosìma mi parve invece di meritare ilrimprovero che egli intendeva di muovermi. Perciò mormorai:

-L'avrà saputo da Ada o forse da Alberta cui Ada l'avràdetto!

Rivedevotutti i rigagnoli che potevano condurre ad Augusta e non mi parevacon ciò di negare che essa avesse avuto tutto dalla primafontecioè da mema di asserire che sarebbe stato inutileper me di tacere. Peccato! Se avessi invece confessato subito ch'iocon Augusta non avevo segretimi sarei sentito tanto piùleale e onesto! Un lieve fatto cosìcioè ladissimulazione di un atto che sarebbe stato meglio di confessare eproclamare innocentebasta ad imbarazzare la più sinceraamicizia.

Registroquiquantunque non abbia avuto alcun'importanza né per Guidoné per la mia storiail fatto che alcuni giorni appressoquel chiacchierone di sensale col quale avevamo avuto da fare per ilsolfato di ramemi fermò per istrada eguardandomi dal bassoin altocome ve lo obbligava la sua bassa statura ch'egli sapevaesagerare abbassandosi sulle gambemi disse ironicamente:

-Si dice che abbiate fatti degli altri buoni affari come quello delsolfato!

Poivedendomi allibiremi strinse la mano e soggiunse:

-Per conto mio io vi auguro i migliori affari. Spero non nedubiterete!

Emi lasciò. Io suppongo che i fatti nostri gli sieno statiriferiti dalla figliuola sua che frequentava al Liceo la stessaclasse della piccola Anna. Non riferii a Guido la piccolaindiscrezione. Il mio compito precipuo era di difenderlo da inutiliangustie.

Fuistupito che Guido non prendesse alcuna disposizione per Carmenperché sapevo che aveva formalmente promesso alla moglie dicongedarla. Io credevo che Ada sarebbe ritornata a casa dopo qualchemese come la prima volta. Ma essasenza passare per Triestesi recòinvece a soggiornare in una villetta sul Lago Maggiore ove poco dopoGuido le portò i bambini.

Ritornatoda quel viaggio e non so se egli avesse ricordata la sua promessa dasé oppure che Ada gliel'avesse richiamata alla mente - midomandò se non sarebbe stato possibile di impiegare Carmen nelmio ufficiocioè in quello dell'Olivi. Io sapevo giàche in quell'ufficio tutti i posti erano occupatima visto che Guidome ne pregava calorosamenteacconsentii di andar a parlarne col mioamministratore. Per un caso fortunatoun impiegato dell'Olivi se neandava proprio in quei giornima aveva una paga inferiore di quellache era stata concessa a Carmen negli ultimi mesi con grandeliberalità da Guido il qualesecondo mefaceva cosìpagare le sue donne dal Conto Spese Generali. Il vecchio Olivis'informò da me sulla capacità di Carmen e per quantoio gli dessi le migliori informazioniofferse di prenderla intantoalle stesse condizioni dell'impiegato congedato. Riferii ciò aGuido il quale afflitto e imbarazzato si grattò la testa.

-Come si fa ad offrirle un salario inferiore di quello che percepisce?Non si potrebbe indurre l'Olivi di arrivare a concederle intantoquello che ha già?

Iosapevo che non si poteva eppoi l'Olivi non usava considerarsi sposatocon i suoi impiegati come facevamo noi.

Quandosi fosse accorto che Carmen avesse meritata una corona di meno dellapaga concessalegliel'avrebbe levata senza misericordia. E si finìcol restare così: l'Olivi non ebbe e non chiese neppure maiuna risposta decisiva e Carmen continuò a far roteare i suoibegli occhi nel nostro ufficio.

Frame e Ada c'era un segreto e restava importante proprio perchérimaneva un segreto. Essa scriveva assiduamente ad Augustama mai leraccontò di aver avute delle spiegazioni con me e neppure diavermi raccomandato Guido. Neppure io ne parlai. Un giorno Augusta mifece vedere una lettera di Ada che mi riguardava. Essa domandavaprima notizie di me e finiva con l'appellarsi alla mia bontàperché le dicessi qualche cosa sull'andamento degli affari diGuido. Mi turbai quando sentii ch'essa si dirigeva a me e mirasserenai quando vidi che come al solito si dirigeva a me perinformarsi di Guido. Di nuovo non avevo da osare niente.

D'accordocon Augusta e senza parlarne a Guidoscrissi io a Ada. Mi misi altavolo col proposito di scriverle veramente una lettera di affari ele comunicai ch'ero tanto contento del modo come ora Guido dirigevagli affaricioè con assiduità e accortezza.

Ciòera vero o almeno ero contento di lui quel giornopoiché gliera riuscito di guadagnare del denaro vendendo della merce che tenevadepositata in città da varii mesi. Era pur vero che eglisembrava più assiduoma andava tuttavia ogni settimana acaccia e a pesca. Io esageravo volontieri nella mia lode perchécosì mi pareva di giovare alla guarigione di Ada.

Rilessila lettera e non mi bastò. Ci mancava qualche cosa. Ada s'erarivolta a me ed era certo che voleva anche mie notizie. Perciòmancavo di cortesia non dandogliene. E a poco a poco - lo ricordocome se mi avvenisse ora - mi sentii imbarazzato a quel tavolo comese mi fossi trovato di nuovo faccia a faccia con Adain quellostanzino buio. Dovevo stringere molto la manina offertami?

Scrissima poi dovetti rifare la lettera perché m'ero lasciatosfuggire parole addirittura compromettenti: anelavo di rivederla esperavo riconquistasse tutta la sua salute e tutta la sua bellezza.Questo poi significava prendere per la vita la donna che m'avevaofferta solo la mano. Il mio dovere era di stringere solo quellamaninastringerla dolcemente e lungamente per significare cheintendevo tuttotutto quello che non doveva essere detto giammai.

Nondirò tutto il frasario che passai in rivista per trovarciqualche cosa che potesse sostituire quella stretta di mano lunga edolce e significativama soltanto quelle frasi che poi scrissi.Parlai lungamente della vecchiaia incombente su di me. Non potevostare un momento tranquillo senz'invecchiare. Ad ogni giro del miosangue qualche cosa s'aggiungeva alle mie ossa e alle mie vene chesignificava vecchiaia. Ogni mattinaquando mi destavoil mondoappariva più grigio ed io non me ne accorgevo perchétutto restava intonato; non v'era in quel giorno neppure unapennellata del colore del giorno primaaltrimenti l'avrei scorta edil rimpianto m'avrebbe fatto disperare.

Miricordo benissimo di aver spedita la lettera con piena soddisfazione.

Nonm'ero affatto compromesso con quelle parolema mi pareva anche certoche se il pensiero di Ada fosse stato uguale al mioessa avrebbecompresa quella stretta di mano amorosa. Ci voleva poco acume perindovinare che quella lunga disquisizione sulla vecchiaia nonsignificava altro che il mio timore che trovandomi in corsa traversoil temponon potessi più essere raggiunto dall'amore. Parevagridassi all'amore: "Vienivieni!" Invece non sono sicurodi aver voluto quell'amore ese v'è un dubbiorisulta solodal fatto che so di aver scritto circa così.

PerAugusta feci una copia di quella lettera lasciandone fuori ladisquisizione sulla vecchiaia. Essa non l'avrebbe intesama laprudenza non nuoce. Avrei potuto arrossire sentendo com'essa miguardava mentre io stringevo la mano della sorella! Sì! Iosapevo ancora arrossire. E arrossii anche quando ricevetti unbiglietto di ringraziamento di Ada in cui essa non menzionava affattole mie chiacchiere sulla mia vecchiaia. Mi parve ch'essa sicompromettesse molto di più con me di quanto io mai mi fossicompromesso con lei. Non sottraeva la sua manina alla mia pressione.La lasciava giacere inerte nella mia eper la donnal'inerzia èun modo di consentire.

Pochigiorni dopo di aver scritta quella letterascopersi che Guido s'eramesso a giocare in Borsa. Lo appresi per un'indiscrezione del sensaleNilini.

Ioconoscevo costui da lunghi anni perché eravamo staticondiscepoli al liceo ch'egli aveva dovuto abbandonare per entraresubito nell'ufficio di un suo zio. Ci eravamo poi rivisti qualchevoltae ricordo che la differenza del nostro destino avevacostituito nei nostri rapporti una mia superiorità. Misalutava allora per primo e talvolta cercava di avvicinarmi. Ciòmi sembrava naturalee invece m'apparve meno spiegabile quando inun'epoca che non so precisare egli si fece con me molto altezzoso.Non mi salutava più e a pena a pena rispondeva al saluto mio.Me ne preoccupai un poco perché la mia cute è moltosensibile ed è facilmente scalfita. Ma che farci? Forsem'aveva scoperto nell'ufficio di Guido ove gli pareva occupassi unposto di subalterno e mi spregiava perciòocon la stessaprobabilitàsi poteva supporre ch'essendo morto un suo zio elasciatolo indipendente sensale di Borsafosse montato in superbia.Nei piccoli ambienti ci sono frequentemente di simili relazioni.Senza che ci sia stato un atto nemicoci si guarda un bel giorno conavversione e disprezzo.

Fuisorpreso perciò di vederlo entrare nell'ufficioove mitrovavo soloe domandare di Guido. S'era levato il cappello em'aveva porta la mano. Poi s'era subito abbandonato con grandelibertà su una delle nostre grandi poltrone. Io lo guardai coninteressamento. Non lo avevo visto da anni tanto da vicino ed oracon l'avversione che mi manifestavasi era conquistata la mia piùintensa attenzione.

Egliaveva allora circa quarant'anni ed era ben brutto per una calviziequasi generale interrotta da un'oasi di capelli neri e fitti allanuca e un'altra alle tempiela faccia gialla e troppo ricca di pellead onta del grosso naso. Era piccolo e magro e si ergeva come potevatanto che quando parlavo con lui mi sentivo un lieve dolore simpaticoal collola sola simpatia che provassi per lui. Quel giorno mi parveche si trattenesse dal ridere e che la sua faccia fosse contratta daun'ironia o da un disprezzo che non poteva ferire mevisto ch'eglim'aveva salutato con tanta gentilezza. Invece poi scopersi chequell'ironia gli era stata stampata in faccia da madre naturabizzarra. Le sue piccole mascelle non combaciavano esattamente e fradi esseda una parte della boccaera rimasto un buco nel qualeabitava stereotipata la sua ironia. Forse per conformarsi allamaschera da cui non sapeva liberarsi che allorquando sbadigliavaegli amava deridere il prossimo. Non era affatto uno sciocco elanciava delle frecciate velenosema di preferenza agli assenti.

Ciarlavamolto ed era immaginoso specie per affari di Borsa. Parlava dellaBorsa come se si fosse trattato di una sola persona ch'eglidescriveva trepidante per una minaccia o addormentata nell'inerzia econ una faccia che sapeva ridere e anche piangere. Egli la vedevasalire la scala dei corsi ballando o scenderne a rischio diprecipitareeppoi l'ammirava come accarezzava un valorecome nestrangolava un altrooppure anche come insegnava alla gente lamoderazione e l'attività. Perché solo chi aveva delsenno poteva trattare con lei. V'erano tanti di quei denari sparsiper terra in Borsama chinarsi a raccoglierli non era facile.

Lolasciai attendere dopo di avergli offerta una sigaretta e mi diedi dafare con certa corrispondenza. Dopo un po' di tempo egli si stancòe disse che non poteva restare di più. Del resto era venutosolo per raccontare a Guido che certe azioni dallo strano nome di RioTinto e di cui egli a Guido aveva consigliato l'acquisto il giornoprima - sìproprio ventiquattr'ore prima - erano quel giornobalzate in alto di circa il dieci per cento. Si mise a ridere dicuore.

-Intanto che noi parliamo quiossia che io attendoil dopo-Borsaavrà fatto il resto. Se il signor Speier ora volesse comperarequelle azioni chissà a quale prezzo dovrebbe pagarle. Come hoindovinato io dove mirava la Borsa.

Sivantò del suo colpo d'occhio dovuto alla sua lunga intimitàcon la Borsa. S'interruppe per domandarmi:

-Chi credi istruisca meglio: l'Università o la Borsa?

Lasua mandibola calò ancora un poco e il buco dell'ironias'ingrandì.

-Evidentemente la Borsa! - dissi io con convinzione. Ciò mivalse da lui una stretta di mano affettuosa quando mi lasciò.

DunqueGuido giocava in Borsa! Se fossi stato più attento avreipotuto indovinarlo primaperché quando io gli avevopresentato un conto esatto degli importi non insignificanti cheavevamo guadagnati con gli ultimi nostri affariegli lo avevaguardato sorridendoma con qualche disprezzo. Trovava che avevamodovuto lavorare troppo per guadagnare quel denaro. E si noti che conqualche decina di quegli affari si avrebbe potuto coprire la perditain cui eravamo incorsi l'anno precedente! Che cosa dovevo far oraioche pochi giorni prima avevo scritte le sue lodi?

Pocodopo Guido venne in ufficio ed io fedelmente gli riferii le paroledel Nilini.

Stettea sentire con tanta ansietà che neppure si accorse che ioavevo così appreso ch'egli giocavae corse via.

Allasera ne parlai con Augustache ritenne si dovesse lasciare in paceAda e invece avvisare la signora Malfenti dei pericoli cui s'esponevaGuido. Mi domandò di fare anch'io del mio meglio perimpedirgli spropositi.

Preparailungamente le parole che dovevo dirgli. Finalmente attuavo i mieipropositi di bontà attiva e mantenevo la promessa che avevofatta ad Ada. Sapevo come dovevo afferrare Guido per indurlo adobbedirmi. Ognuno commette una leggerezza- gli avrei spiegato-giocando in Borsama più di tutti un commerciante che abbiaun simile bilancio dietro di sé.

Ilgiorno seguente cominciai benissimo:

-Tu dunque ora giochi alla Borsa? Vuoi finire in carcere? - glidomandai severamente. Ero preparato ad una scena e tenevo anche inserbo la dichiarazione che giacché egli procedeva in modo dacompromettere la dittaio avrei abbandonato senz'altro l'ufficio.

Guidoseppe disarmarmi subito. Avevo tenuto sinora il segretoma oraconun abbandono da buon ragazzomi disse ogni particolare di quei suoiaffari. Lavorava in valori minerarii di non so che paeseche gliavevano già dato un utile che quasi sarebbe bastato a coprirela perdita del nostro bilancio. Oramai era cessato ogni rischio epoteva raccontarmi tutto. Quando avesse avuta la sfortuna di perderequello che aveva guadagnatoavrebbe semplicemente cessato digiocare. Se invece la fortuna avesse continuato ad assisterlosisarebbe affrettato di mettere in regola le mie registrazioni di cuisentiva sempre la minaccia.

Vidiche non era il caso di arrabbiarsi e che si doveva invececongratularsi con lui. In quanto alle questioni di contabilitàgli dissi che poteva oramai essere tranquilloperché ovec'era disponibile del contante era facilissimo di regolare lacontabilità più fastidiosa. Quando nei nostri librifosse stato reintegrato come di diritto il conto di Ada e almenodiminuito quello ch'io dicevo l'abisso della nostra aziendacioèil conto di Guidola nostra contabilità non avrebbe fatta unagrinza.

Poigli proposi di fare tale regolazione subito e mettere in conto delladitta le operazioni di Borsa. Per fortuna egli non accettòperché altrimenti io sarei divenuto il contabile del giocatoree mi sarei addossata una maggiore responsabilità. Cosìinvece le cose procedettero come se io non avessi esistito. Eglirifiutò la mia proposta con delle ragioni che mi parverobuone. Era di malaugurio di pagare così subito i suoi debitied è una superstizione divulgatissima a tutti i tavoli dagiuoco che il denaro altrui porti fortuna. Io non ci credoma quandogiuoco non trascuro neppur io alcuna prudenza.

Perun certo tempo mi feci dei rimproveri di aver accolte lecomunicazioni di Guido senz'alcuna protesta. Ma quando vidicomportarsi allo stesso modo la signora Malfenti che mi raccontòcome suo marito aveva saputo guadagnare dei bei denari alla borsaeppoi anche Adadalla quale sentii considerare il giuoco come unqualsiasi genere di commerciocompresi che assolutamente a questoriguardo non si avrebbe potuto movermi alcun rimprovero.

Perarrestare Guido su quella china non sarebbe bastata la mia protestache non avrebbe avuta alcun'efficacia se non fosse stata appoggiatada tutti i membri della famiglia.

Fucosì che Guido continuò a giocaree tutta la suafamiglia con lui. Ero anch'io della comitivatant'è veroch'entrai in una relazione d'amicizia alquanto curiosa col Nilini. Èsicuro ch'io non potevo soffrirlo perché lo sentivo ignorantee presuntuosoma pare che per riguardo a Guidoche da lui aspettavai buoni consiglisapessi celare tanto bene i miei sentimenti ch'eglifinì col credere di avere in me un amico devoto. Non nego cheforse la mia gentilezza con lui fosse anche dovuta al desiderio dievitare quel malessere che m'aveva dato la sua inimiciziatantoforte causa quell'ironia che rideva sulla sua brutta faccia. Ma nongli usai mai altre gentilezze fuori di quella di porgergli la mano eil saluto quando veniva e se ne andava. Egli invece fu gentilissimoed io non seppi non accettare le sue cortesie con gratitudineciòch'è veramente la massima gentilezza che si possa usare aquesto mondo. Mi procurava delle sigarette di contrabbando e me lefaceva pagare quello che gli costavanocioè molto poco. Se mifosse stato più simpatico avrebbe potuto indurmi a giocare colsuo mezzo; non lo feci maisolo per non vederlo più dispesso.

Lovedevo anzi troppo! Passava delle ore nel nostro ufficio ad onta che- com'era facile di accorgersene - non fosse innamorato di Carmen.Veniva a tener compagnia proprio a me. Pare si fosse prefissod'istruirmi nella politica in cui egli era profondo causa la Borsa.Mi presentava le grandi potenze come un giorno si stringevano la manoe si pigliavano a schiaffi il giorno seguente. Non so se abbiaindovinato il futuro perché io per antipatia non lo stetti maia sentire. Conservavo un sorriso ebetestereotipato. Il nostromalinteso sarà certo dipeso da un'interpretazione errata delmio sorriso che gli sarà parso d'ammirazione. Io non ne hocolpa.

Sosolo le cose che ripeteva ogni giorno. Potei accorgermi ch'egli eraun italiano di color dubbio perché gli pareva che per Triestefosse meglio di restare austriaca. Adorava la Germania e specialmentei treni ferroviari tedeschi che arrivavano con tanta precisione. Erasocialista a modo suo e avrebbe voluto fosse proibito che una singolapersona possedesse più di centomila corone. Non risi un giornoin cuiconversando con Guidoegli ammise di possedere propriocentomila corone e non un centesimo in più. Non risie nongli domandai neppure se guadagnando dell'altro denaro avrebbemodificata la sua teoria. La nostra era una relazione veramentestrana. Io non sapevo ridere né con lui né di lui.

Quandoaveva snocciolata qualche sua sentenzasi ergeva di tanto sulla suapoltrona che i suoi occhi guardavano il soffitto mentre a me restavarivolto il buco che io dicevo mandibolare. E vedeva con quel buco!Volli talvolta approfittare di quella sua posizione per pensare adaltroma egli richiamava la mia attenzione domandandomi subito:

-Mi stai a sentire?

Dopodi quella sua simpatica effusioneGuido per lungo tempo non mi parlòdei suoi affari. Qualche cosa me ne diceva dapprima il Nilinimaanche lui si fece poi più riservato. Da Ada stessa seppi cheGuido continuava a guadagnare.

Quand'essaritornòla trovai di nuovo imbruttita parecchio. Erapiuttosto imbolsita che ingrassata. Le sue guanciericresciuteerano anche questa volta fuori di posto e le facevano una facciaquasi quadrata. Gli occhi avevano continuato a sformare la loroincassatura. La mia sorpresa fu grandeperché da Guido edaltri ch'erano stati a trovarlaavevo sentito dire che ogni giornoche passava le apportava nuova forza e salute. Ma la salute delladonna è in primo luogo la sua bellezza.

ConAda ebbi altre sorprese. Mi salutò affettuosamentema nonaltrimenti di quanto avesse salutata Augusta. Non c'era fra di noipiù alcun segreto e certamente essa non ricordava piùdi aver pianto al ricordo di avermi fatto soffrire tanto. Tantomeglio! Essa dimenticava infine i suoi diritti su di me! Ero il suobuon cognato e mi amava solo perché ritrovava immutati i mieiaffettuosi rapporti con mia moglieche formavano semprel'ammirazione di casa Malfenti.

Ungiorno feci una scoperta che mi sorprese assai. Ada si credeva ancorabella! Lontanosul lagole avevano fatta la corte ed era evidentech'essa gioiva dei suoi successi. Probabilmente li esagerava perchémi pareva fosse un eccesso il pretendere di aver dovuto lasciarequella villeggiatura per sottrarsi alle persecuzioni di uninnamorato. Ammetto che qualche cosa di vero ci possa essere statoperché probabilmente ella poteva apparire meno brutta a chiprima non l'aveva conosciuta. Ma giànon tantocon quegliocchi e quel colorito e quella forma di faccia! A noi essa apparivapiù brutta perchéricordando com'era statascorgevamopiù evidenti le devastazioni compiute dalla malattia.

Invitammouna sera Guido e lei a casa nostra. Fu un ritrovo gradevoleveramente di famiglia. Pareva la continuazione di quel nostrofidanzamento a quattro. Ma la chioma di Ada non era illuminata daalcuna luce.

Almomento di dividerciioper aiutarla a indossare il mantellorestai per un istante solo con lei. Ebbi subito un senso un po'differente delle nostre relazioni. Eravamo lasciati soli e forsepotevamo dirci quello che in presenza degli altri non volevamo.Mentre l'aiutavoriflettei e finii col trovare quello che dovevodirle:

-Tu sai ch'egli ora giuoca! - le dissi con voce seria. Mi vienetalvolta il dubbio ch'io con tali parole avessi voluto rievocarel'ultimo nostro ritrovo che non ammettevo fosse talmente dimenticato.

-Sì - essa disse sorridendo- e fa molto bene. Èdivenuto bravo abbastanzaa quanto mi dicono.

Risicon leiforte. Mi sentivo sollevato da ogni responsabilità.Andandosene essa mormorò:

-Quella Carmen è sempre nel vostro ufficio?

Nonarrivai a rispondere perché corse via. Fra di noi non c'erapiù il nostro passato. C'era però la sua gelosia.Quella era viva come nell'ultimo nostro incontro.

Adessoripensandocitrovo che avrei dovuto accorgermi molto tempo prima diesserne espressamente avvisatoche Guido aveva cominciato a perderein Borsa.

Sparvedalla sua faccia l'aria di trionfo che l'aveva illuminata e manifestòdi nuovo quella grande ansietà per quel bilancio chiuso a quelmodo.

-Perché te ne preoccupi - gli domandai io nella mia innocenza -quando hai già in tasca quello che occorre per rendere deltutto reali queste registrazioni? Avendo tanti denari non si va incarcere. - Alloracome lo seppi poiegli in tasca non aveva piùnulla.

Credettitanto fermamente ch'egli avesse legata a sé la fortuna che nontenni conto di tanti indizii che avrebbero potuto convincermialtrimenti.

Unaseradi Agostoegli mi trascinò di nuovo a pesca con lui.Alla luce abbagliante di una luna quasi piena c'era poca probabilitàdi pigliare qualche cosa all'amo. Ma egli insistette dicendo che inmare avremmo trovato qualche sollievo al caldo. Infatti non vitrovammo altro. Dopo un solo tentativonon inescammo neppure piùgli ami e lasciammo pendere le lenze dalla barchetta che Lucianospinse al largo. I raggi della luna raggiungevano certo il fondo delmare affinando la vista agli animali grossi e rendendoli accortidell'insidia ed anche agli animalucci piccoli capaci di rosicchiarcil'escama non d'arrivare con la piccola bocca all'amo. Le nostreesche non erano altro che un dono alla minutaglia.

Guidosi coricò a poppa ed io a prua. Egli mormorò poco dopo:

-Che tristezza tutta questa luce!

Probabilmentediceva così perché la luce gl'impediva di dormire ed ioassentii per fargli piacere ed anche per non turbare con una scioccadiscussione la quiete solenne in cui lentamente ci movevamo. MaLuciano protestò dicendo che a lui quella luce piacevamoltissimo. Visto che Guido non rispondevavolli farlo taceredicendogli che la luce era certamente una cosa triste perchési vedevano le cose di questo mondo. Eppoi impediva la pesca. Lucianorise e tacque.

Stemmozitti molto tempo. Io sbadigliai più volte in faccia allaluna. Rimpiangevo di essermi lasciato indurre di montare in quellabarchetta.

Guidoimprovvisamente mi domandò:

-Tu che sei chimicosapresti dirmi se sia più efficace ilveronal puro o il veronal al sodio? Io veramente non sapevo neppureche ci fosse un veronal al sodio. Non si può mica pretendereche un chimico sappia il mondo a mente. Io di chimica so tanto dapoter trovare subito nei miei libri qualsiasi informazione e inoltreda poter discutere - come si vide in quel caso - anche delle cose cheignoro.

Alsodio? Ma se era saputo da tutti che le combinazioni al sodio eranoquelle che più facilmente si assimilavano.

Anzia proposito del sodio ricordai - e riprodussi più o menoesattamente - un inno a quell'elemento elevato da un mio professoreall'unica sua prelezione cui avessi assistito. Il sodio era unveicolo sul quale gli elementi montavano per moversi piùrapidi. E il professore aveva ricordato come il cloruro di sodiopassava da organismo ad organismo e come andava adunandosi per lasola gravità nel buco più profondo della terrailmare. Io non so se riproducessi esattamente il pensiero del mioprofessorema in quel momentodinanzi a quell'enorme distesa dicloruro di sodioparlai del sodio con un rispetto infinito.

 

Dopoun'esitazioneGuido domandò ancora:

-Sicché chi volesse morire dovrebbe prendere il veronal alsodio?

-Sì- risposi.

Poiricordando che ci sono dei casi in cui si può voler simulareun suicidio e non accorgendomi subito che ricordavo a Guido unepisodio spiacevole della sua vitaaggiunsi:

-E chi non vuole morire deve prendere del veronal puro.

Glistudii di Guido sul veronal avrebbero potuto darmi da pensare. Inveceio non compresi nullapreoccupato com'ero dal sodio. Nei giorniseguenti fui in grado di portare a Guido nuove prove delle qualitàche io avevo attribuite al sodio: anche per accelerare gli amalgamiche non sono altro che degli abbracci intensi fra due corpiabbracciche sostituiscono la combinazione o l'assimilazionesi aggiungeva almercurio del sodio. Il sodio era il mezzano fra l'oro e il mercurio.Ma a Guido il veronal non importava piùed io ora penso chein quel momento le sue viste alla Borsa si fossero migliorate.

Nelcorso di una settimanaAda venne in ufficio ben tre volte. Soltantodopo la secondasorse in me l'idea ch'essa mi volesse parlare.

Laprima s'imbatté nel Nilini che s'era messo una volta di piùad educarmi. Essa attese per un'ora intera che se ne andassema ebbeil torto di ciarlare con lui ed egli credette perciò di doverrestare. Dopo fatte le presentazioniio respiraisollevato che ilbuco mandibolare del Nilini non fosse rivolto a me. Non presi partealla loro conversazione.

IlNilini fu persino spiritoso e sorprese Ada raccontando che sifacevano altrettante maldicenze al Tergesteo come nel salotto di unasignora. Soltantosecondo luialla Borsacome sempresi erameglio informati che altrove. Ad Ada sembrò ch'eglicalunniasse le donne. Disse di non saper neppure ciò che fossela maldicenza. A questo punto intervenni io per confermare cheneilunghi anni in cui la conoscevonon avevo mai sentita venir dallasua bocca una parola che avesse neppur ricordato la maldicenza.Sorrisi dicendo ciò perché mi parve di moverle unrimprovero. Essa non era maldicente perché dei fatti altruinon s'occupava. Dapprimain piena saluteaveva pensato ai fattiproprii equando la malattia l'invasenon restò in lei cheun piccolo posticino liberooccupato dalla sua gelosia. Era una veraegoistama essa accolse la mia testimonianza con gratitudine.

IlNilini finse di non prestar fede né a lei né a me.Disse di conoscermi da molti anni e di credermi di una grandeingenuità. Ciò mi divertì e divertì ancheAda. Fui molto seccato invece quand'egli - per la prima volta dinanzia terzi - proclamò ch'ero uno dei migliori suoi amici e cheperciò mi conosceva a fondo. Non osai protestarema da quelladichiarazione sfacciata mi sentii offeso nel mio pudorecome unafanciulla cui in pubblico fosse stato rimproverato di aver fornicato.

Ioero tanto ingenuodiceva il Niliniche Adacon la solita furberiadelle donneavrebbe potuto fare della maldicenza in mia presenzasenza ch'io me ne accorgessi. A me parve che Ada continuasse adivertirsi a quei complimenti di carattere dubbio mentre poi seppich'essa lo lasciava parlare sperando si esaurisse e se ne andasse. Maebbe un bell'attendere.

QuandoAda ritornò per la seconda voltami trovò con Guido.Allora lessi sulla sua faccia un'espressione d'impazienza e indovinaich'essa voleva proprio me. Finché non ritornòio mibaloccai coi miei soliti sogni. In fondo essa da me non domandavaamorema troppo frequentemente voleva trovarsi da sola a solo conme. Per gli uomini era difficile d'intendere quello che le donnevolevano anche perché esse stesse talvolta lo ignoravano.

Nonmi derivò invece alcun nuovo sentimento dalle sue parole.Essanon appena poté parlarmiebbe la voce strozzatadall'emozionema non già perché avesse rivolta laparola a me. Voleva sapere per quale ragione Carmen non fosse statamandata via. Io le raccontai tutto quanto ne sapevocompreso quelnostro tentativo di procurarle un posto presso l'Olivi.

Essafu subito più calma perché quello che le dicevocorrispondeva esattamente a quanto gliene era stato detto da Guido.Poi seppi che gli accessi di gelosia si seguivano da lei a periodi.Venivano senza causa apparente e andavano via per una parola che laconvincesse.

Mifece ancora due domande: se era proprio tanto difficile di trovare unposto per un'impiegata e se la famiglia di Carmen si trovasse in talicondizioni da dipendere dal guadagno della fanciulla.

Lespiegai che infatti a Trieste era difficile allora di trovare dellavoro per le donnenegli uffici. In quanto alla sua secondadomandanon potevo risponderle perché della famiglia diCarmen io non conoscevo nessuno.

-Guido invece conosce tutti in quella casa- mormorò Ada conira e le lacrime le irorarono di nuovo le guancie.

Poimi strinse la mano per congedarsi e mi ringraziò.

Sorridendotraverso le lacrimedisse che sapeva di poter contare su di me. Ilsorriso mi piacque perché certamente non era rivolto alcognatoma a chi era legato a lei da vincoli segreti. Tentai di darprova che meritavo quel sorriso e mormorai:

-Quello ch'io temo per Guido non è Carmenma il suo giuocoalla Borsa!

Essasi strinse nelle spalle:

-Quello non ha importanza. Ne parlai anche con mamma. Papàgiuocava anche lui alla Borsa e vi guadagnò tanti di queidenari!

Iorimasi sconcertato dalla risposta e insistetti:

-Quel Nilini non mi piace. Non è mica vero ch'io sia suo amico!

Essami guardò sorpresa:

-A me pare un gentiluomo. Anche Guido gli vuole molto bene. Io credopoiche Guido sia ora molto attento ai suoi affari.

Eroben deciso di non dirle male di Guido e tacqui.

Quandomi trovai solo non pensai a Guidoma a me stesso.

Eraforse bene che Ada finalmente m'apparisse quale una mia sorella enull'altro. Essa non prometteva e non minacciava amore. Per variigiorni corsi la città inquieto e squilibrato. Non arrivavo aintendermi. Perché mi sentivo come se Carla m'avesse lasciatoin quell'istante? Non m'era avvenuto niente di nuovo. Sinceramentecredo ch'io abbia avuto sempre bisogno dell'avventura o di qualchecomplicazione che le somigli. I miei rapporti con Ada non erano ormaipiù complicati affatto.

 

IlNilini dal suo seggiolone un giorno predicò più delsolito: dall'orizzonte s'avanzava un nembonient'altro che ilrincaro del denaro. La Borsa era tutt'ad un tratto satura e nonpoteva assorbire più nulla!

-Gettiamoci del sodio! - proposi io.

L'interruzionenon gli piacque affattoma per non dover arrabbiarsila trascurò:tutt'ad un tratto il denaro a questo mondo era divenuto scarso eperciò caro. Egli era sorpreso che ciò avvenisse oramentre egli l'aveva preveduto per un mese più tardi.

-Avranno mandato tutto il denaro alla luna! - dissi io.

-Sono cose serie di cui non bisogna ridere- affermò il Niliniguardando sempre il soffitto. - Adesso si vedrà chi avràl'anima del vero lottatore e chi invece al primo colpo soggiacerà.

Comenon intesi perché il denaro a questo mondo potesse divenirepiù scarsocosì non indovinai che il Nilini ponesseGuido fra i lottatori di cui si doveva provare il valore. Ero tantoabituato a difendermi dalle sue prediche con la disattenzionecheanche questache pur sentiipassò via senza neppurscalfirmi.

Mapochi giorni appresso il Nilini intonò tutt'altra musica. Eraavvenuto un fatto nuovo. Egli aveva scoperto che Guido aveva fattidegli affari con un altro agente di cambio. Il Nilini cominciòcol protestare in un tono concitato che egli non aveva mai mancato innulla verso Guidoneppure nella dovuta discrezione. Di questo eglivoleva la mia testimonianza. Non aveva tenuto celati gli affari diGuido persino a me ch'egli continuava a ritenere quale il suo miglioramico? Ma ormai egli era svincolato da qualunque riserbo e potevagridarmi nelle orecchie che Guido era in perdita fino alla punta deicapelli. Per gli affari ch'erano stati fatti col suo mezzoegliassicurava che alla più lieve miglioria si sarebbe potutoresistere e aspettare tempi migliori. Era però enorme che allaprima avversità Guido gli avesse fatto torto.

Altroche Ada! La gelosia del Nilini era indomabile. Io volevo avere da luidelle notizie ed egli invece si esasperava sempre più econtinuava a parlare del torto che gli era stato fatto. Perciòcontro ogni suo propositoegli continuò a rimanere discreto.

Nelpomeriggio trovai Guido in ufficio. Era sdraiato sul nostro sofàin un curioso stato intermedio fra la disperazione e il sonno. Glidomandai:

-Tu sei ora in perdita fino agli occhi?

Nonmi rispose subito. Levò il braccio col quale si copriva ilvolto sfatto e disse:

-Hai mai visto un uomo più disgraziato di me?

Riabbassòil braccio e cambiò di posizione mettendosi supino. Rinchiusegli occhi e parve avesse già dimenticata la mia presenza.

Ionon seppi offrirgli alcun conforto. Davvero mi offendeva ch'eglicredesse di essere l'uomo più disgraziato del mondo. Non eraun'esagerazione la sua; era una vera e propria menzogna. L'avreisoccorso se avessi potutoma mi era impossibile di confortarlo.Secondo me neanche chi è più innocente e piùdisgraziato di Guido merita compassioneperché altrimentinella nostra vita non ci sarebbe posto che per quel sentimentociòche sarebbe un grande tedio. La legge naturale non dà ildiritto alla felicitàma anzi prescrive la miseria e ildolore. Quando viene esposto il commestibilevi accorrono da tuttele parti i parassiti ese mancanos'affrettano di nascere. Prestola preda basta appenae subito dopo non basta più perchéla natura non fa calcolima esperienze. Quando non basta piùecco che i consumatori devono diminuire a forza di morte precedutadal dolore e così l'equilibrioper un istantevieneristabilito. Perché lagnarsi? Eppure tutti si lagnano. Quelliche non hanno avuto niente della preda muoiono gridandoall'ingiustizia e quelli che ne hanno avuto parte trovano cheavrebbero avuto diritto ad una parte maggiore. Perché nonmuoiono e non vivono tacendo? È invece simpatica la gioia dichi ha saputo conquistarsi una parte esuberante del commestibile e simanifesti pure al sole in mezzo agli applausi. L'unico gridoammissibile è quello del trionfatore.

Guidopoi! Egli mancava di tutte le qualità per conquistare od anchesolo per tenere la ricchezza. Veniva dal tavolo di giuoco e piangevaper aver perduto. Non si comportava dunque neppure da gentiluomo e ame faceva nausea. Perciò e solo perciònel momento incui Guido avrebbe avuto tanto bisogno del mio affettonon lo trovò.Neppure i miei ripetuti propositi poterono accompagnarmi fin là.

Intantola respirazione di Guido andava facendosi sempre più regolaree rumorosa. S'addormentava! Com'era poco virile nella sventura! Gliavevano portato via il commestibile e chiudeva gli occhi forse persognare di possederlo tuttaviainvece di aprirli ben bene per vederedi strapparne una piccola parte.

Mivenne la curiosità di sapere se Ada fosse stata informatadella disgrazia che gli era toccata. Glielo domandai ad alta voce.Egli trasalì ed ebbe bisogno di una pausa per assuefarsi allasua disgrazia che improvvisamente rivide intera.

-No! - mormorò. Poi rinchiuse gli occhi.

Certamentetutti coloro che sono stati duramente percossi inclinano al sonno. Ilsonno ridà le forze. Stetti ancora a guardarlo esitante. Macome si poteva aiutarlo se dormiva? Non era questo il momento perdormire. Lo afferrai rudemente per una spalla e lo scossi:

-Guido!

Avevaproprio dormito. Mi guardò incerto con l'occhio ancora velatodal sonno eppoi mi domandò:

-Che vuoi? - Subito dopoadiratoripeté la sua domanda: - Chevuoi dunque?

Iovolevo aiutarloaltrimenti non avrei neppure avuto il diritto didestarlo. M'arrabbiai anch'io e gridai che questo non era il momentodi dormire perché bisognava affrettarsi di vedere come siavrebbe potuto correre ai ripari. C'era da calcolare e discutere contutti i membri della nostra famiglia e quelli della sua di BuenosAires.

Guidosi mise a sedere. Era ancora un po' sconvolto di essere stato destatoa quel modo. Mi disse amaramente:

-Avresti fatto meglio di lasciarmi dormire. Chi vuoi che ora m'aiuti?Non ricordi a quale punto dovetti giungere l'altra volta per averequel poco di cui abbisognavo per salvarmi? Adesso si tratta di sommeconsiderevoli! A chi vuoi mi rivolga?

Senzanessun affetto e anzi con l'ira di dover dare e privare me e i mieiesclamai:

-E non ci sono anch'io qui? - Poi l'avarizia mi suggerì diattenuare da bel principio il mio sacrificio:

-Non c'è Ada? Non c'è nostra suocera? Non possiamounirci per salvarti?

Eglisi levò e mi si appressò con l'evidente intenzione diabbracciarmi.

Maera proprio questo ch'io non volevo. Avendogli offerto il mio aiutoavevo ora il diritto di rampognarloe ne feci l'uso piùlargo. Gli rimproverai la sua attuale debolezza eppoi anche la suapresunzione durata fino a quel momento e che l'aveva tratto allarovina. Aveva agito di propria testa non consultandosi con nessuno.Tante volte io avevo tentato di avere sue comunicazioni pertrattenerlo e salvarlo ed egli me le aveva rifiutate serbando la suafiducia per il solo Nilini.

QuiGuido sorriseproprio sorriseil disgraziato! Mi disse che daquindici giorni egli non lavorava più col Nilini essendosifitto in capo che il grugno di costui gli portasse sventura.

Egliera caratterizzato da quel sonno e da quel sorriso: rovinava tuttiattorno a sé e sorrideva. M'atteggiai a giudice severo perchéper salvare Guido bisognava prima educarlo. Volli sapere quanto egliavesse perduto e m'arrabbiai quando mi disse di non saperloesattamente. M'arrabbiai ancora quand'egli mi disse una cifrarelativamente piccola che poi risultò rappresentare l'importoche bisognava pagare alla liquidazione del quindici del mese da cuidistavamo di soli due giorni. Ma Guido asseriva che fino alla finedel mese c'era del tempo e che le cose potevano mutarsi. La scarsezzadel denaro sul mercato non sarebbe durata eternamente.

Gridai:

-Se a questo mondo manca il denarovuoi riceverne dalla luna? -Aggiunsi che non bisognava giocare neppure per un giorno di più.Non si doveva rischiare di veder aumentare la perdita giàenorme. Dissi anche che la perdita sarebbe stata divisa in quattroparti che avremmo sopportate iolui (cioè suo padre)lasignora Malfenti e Adache bisognava ritornare al nostro commercioprivo di rischi e che non volevo mai più vedere nel nostroufficio né il Nilini né alcun altro sensale di cambio.

Eglimitemitemi pregò di non gridare tantoperchéavremmo potuto essere sentiti dai vicini.

Feciun grande sforzo per calmarmi e vi riuscii anche a patto di poterdirgli a bassavoce delle altre insolenze. La sua perdita eraaddirittura l'effetto di un crimine. Bisognava essere un bestione permettersi in frangenti simili. Proprio mi pareva ch'era necessarioegli subisse intera la lezione.

QuiGuido mitemente protestò. Chi non aveva giocato in Borsa?Nostro suoceroch'era stato un commerciante tanto solidonon erastato un giorno solo della sua vita privo di qualche impegno. Eppoi -Guido lo sapeva - avevo giocato anch'io.

Protestaiche fra gioco e gioco c'era una differenza. Egli aveva rischiato allaBorsa tutto il suo patrimonioio le rendite di un mese.

Mifece un triste effetto che Guido tentasse puerilmente di liberarsidella sua responsabilità. Egli asserì che il Nilini loaveva indotto a giocare più di quanto egli avesse volutofacendogli credere di avviarlo ad una grande fortuna.

Iorisi e lo derisi. Il Nilini non era da biasimarsi perchéfaceva gli affari suoi. E - del resto - dopo di aver lasciato ilNilininon si era egli precipitato ad aumentare la propria posta colmezzo di un altro sensale? Avrebbe potuto vantarsi della nuovarelazione se con essa si fosse messo a giocare al ribasso ad insaputadel Nilini.

Perriparare non poteva certo bastare di cambiare di rappresentante econtinuare sulla stessa via perseguitato dallo stesso malocchio. Eglivolle indurmi finalmente a lasciarlo in paceecon un singhiozzonella golariconobbe di aver sbagliato.

Cessaidal rampognarlo. Ora mi faceva veramente compassione e l'avrei ancheabbracciato se egli avesse voluto. Gli dissi che mi sarei occupatosubito di provvedere il denaro che io dovevo fornire e che avreipotuto anche occuparmi di parlare con nostra suocera. Egliinvecesi sarebbe incaricato di Ada.

Lamia compassione aumentò quand'egli mi confidò chevolentieri avrebbe parlato con nostra suocera in vece miama che lotormentava di dover parlare con Ada.

-Tu sai come son fatte le donne! Gli affari non li capiscono osoltanto quando finiscono bene! - Egli non avrebbe parlato affatto eavrebbe pregata la signora Malfenti d'informarla lei di tutto.

Questadecisione l'alleggerì grandemente e uscimmo insieme. Lo vedevocamminare accanto a me con la testa bassa e mi sentivo pentito diaverlo trattato con tanta rudezza. Ma come fare altrimenti se loamavo? Doveva pur ravvedersise non voleva andare incontro alla suarovina! Come dovevano essere fatte le sue relazioni con la moglie setemeva tanto di parlare con lei!

Maintanto egli scoperse un modo per indispettirmi di nuovo. Camminandoaveva trovato di perfezionare il piano che gli era tanto piaciuto.Non soltanto egli non avrebbe avuto da parlare con la mogliemaavrebbe fatto in modo di non vederla per quella seraperchésarebbe subito partito per la caccia. Dopo quel propositofu liberoda ogni nube. Pareva fosse bastata la prospettiva di poter recarsiall'aria apertalontano da ogni pensieroper avere l'aspetto ditrovarvisi diggià e di goderne pienamente. Io ne fuiindignato! Con lo stesso aspettocertoavrebbe potuto ritornare inBorsa per riprendervi il giuoco nel quale rischiava la fortuna dellafamiglia e anche la mia.

Midisse:

-Voglio concedermi quest'ultimo divertimento e t'invito di venire conme a patto che tu prenda l'impegno di non rammentare con una solaparola gli avvenimenti di oggi.

Finqui aveva parlato sorridendo. Dinanzi alla mia faccia seriasi fecepiù serio anche lui. Aggiunse:

-Vedi anche tu che ho bisogno di un riposo dopo un colpo simile. Poimi sarà più facile di riprendere il mio posto nellalotta.

Lasua voce s'era velata di un'emozione della cui sincerità nonseppi dubitare. Perciò seppi rattenere il mio dispetto omanifestarlo solo col rifiuto del suo invitodicendogli che iodovevo restare in città per provvedere al denaro necessario.Era già un rimprovero il mio! Ioinnocenterestavo al miopostomentre luiil colpevolepoteva andare a spassarsela.

Eravamogiunti dinanzi alla porta di casa della signora Malfenti. Egli nonaveva più ritrovato l'aspetto di gioia per il divertimento dialcune ore che l'aspettava efinché rimase con meconservòstereotipata sulla faccia l'espressione del dolore cui io l'avevorichiamato. Ma prima di lasciarmitrovò uno sfogo in unamanifestazione d'indipendenza e - come a me parve - di rancore. Midisse ch'era veramente stupito di scoprire in me un tale amico.Esitava di accettare il sacrificio che gli volevo portare e intendeva(proprio intendeva) ch'io sapessi ch'egli non mi riteneva impegnatoin alcun modo e ch'ero perciò libero di dare o non dare.

Sonsicuro di aver arrossito. Per levarmi dall'imbarazzo gli dissi:

-Perché vuoi ch'io desideri di ritirarmi quando pochi minuti orsono senza che tu m'abbia chiesto nullami son profferto diaiutarti?

Eglimi guardò un po' incerto eppoi disse:

-Giacché lo vuoiaccetto senz'altro e ti ringrazio. Ma faremoun contratto di società nuovo del tuttoperché ognunoabbia quello che gli compete. Anzi se ci sarà lavoro e vorraicontinuare ad attendervidovrai avere il tuo salario. Metteremo lanuova società su tutt'altra base. Così non avremo piùda temere altri danni dall'aver occultata la perdita del nostro primoanno d'esercizio.

Risposi:

-Questa perdita non ha più alcuna importanza e non devipensarci più. Cerca ora di mettere dalla parte tua nostrasuocera. Questo e null'altro per adesso importa.

Cosìci lasciammo. Io credo di aver sorriso dell'ingenuità con cuiGuido manifestava i suoi più intimi sentimenti. Egli m'avevatenuto quel lungo discorso solo per poter accettare il mio donosenz'aver da manifestarmi della gratitudine. Ma io non pretendevonulla. Mi bastava di sapere che tale riconoscenza egli proprio me ladoveva.

Delrestostaccatomi da luianch'io sentii un sollievo come se fossiandato appena allora all'aria libera. Sentivo veramente la libertàche m'era tolta per i propositi di educarlo e rimetterlo sulla buonastrada. In fondo il pedagogo è incatenato peggio dell'alunno.Ero ben deciso di procurargli quel denaro. Naturalmente non so direse lo facessi per affetto a lui o ad Adao forse per liberarmi daquella piccola parte di responsabilità che poteva toccarmi peraver lavorato nel suo ufficio. Insomma avevo deciso di sacrificareuna parte del mio patrimonio e ancora oggidì guardo a quelgiorno della mia vita con una grande soddisfazione. Quel denarosalvava Guido e a me garantiva una grande tranquillità dicoscienza.

Camminaifino a sera nella più grande tranquillità e cosìperdetti il tempo utile per andar a rintracciare alla Borsa l'Olivicui dovevo rivolgermi per procurarmi una somma così forte. Poipensai che la cosa non fosse tanto urgente. Io avevo parecchio denaroa mia disposizione e quello bastava intanto per partecipare allaregolazione che si doveva fare il quindici del mese. Per la fine delmese avrei provveduto più tardi.

Perquella sera non pensai più a Guido. Più tardie cioèquando i bambini furono coricatim'accinsi varie volte a dire adAugusta del disastro finanziario di Guido e del danno che dovevariverberarne a mema poi non volli seccarmi con discussioni e pensaisarebbe meglio mi riservassi di convincere Augusta nel momento in cuila regolazione di quegli affari sarebbe stata decisa da tutti. Eppoimentre Guido stava divertendosi sarebbe stato curioso che io mi fossiseccato.

Dormiibenissimo ealla mattinacon la tasca non molto carica di denaro(ci avevo l'antica busta abbandonatami da Carla e che fino ad allorareligiosamente avevo conservato per lei stessa o per qualche suaerede e qualche po' di altro denaro che avevo potuto prelevare da unaBanca) mi recai in ufficio.

Passaila mattina a leggere giornalifra Carmen che cuciva e Luciano ches'addestrava in moltipliche e addizioni.

Quandoritornai a casa all'ora della colazionetrovai Augusta perplessa eabbattuta. La sua faccia era coperta da quel grande pallore che nonsi produceva che per dolori che le provenivano da me. Mitemente midisse:

-Ho saputo che hai deciso di sacrificare una parte del tuo patrimonioper salvare Guido! Io so che non avevo il diritto di esserneinformata...

Eratanto dubbiosa del suo diritto che esitò. Poi riprese arimproverarmi il mio silenzio:

-Ma è vero ch'io non sono come Adaperché mai mi sonoopposta alla tua volontà.

Civolle del tempo per apprendere quello ch'era avvenuto. Augusta eracapitata da Ada quando stava discutendo la quistione di Guido con lamadre. VedendolaAda s'era abbandonata ad un gran pianto e le avevadetto della mia generosità ch'essa assolutamente non volevaaccettare. Aveva anzi pregata Augusta d'invitarmi a desistere dallamia profferta.

M'accorsisubito che Augusta soffriva della sua antica malattiala gelosia perla sorellama non vi diedi peso. Mi sorprendeva l'attitudine assuntada Ada:

-Ti parve risentita? - domandai facendo tanto d'occhi per la sorpresa.

-No! No! Non offesa! - gridò la sincera Augusta. - Mi baciòe abbracciò... forse perché abbracci te.

Parevaun modo di esprimersi assai comico. Essa mi guardavastudiandomidiffidente.

Protestai.

-Credi che Ada sia innamorata di me? cosa ti salta in testa?

Manon riuscii a calmar Augusta la cui gelosia mi seccava orribilmente.Sta bene che Guido a quell'ora non era più a divertirsi epassava certamente un brutto quarto d'ora fra sua suocera e suamoglie ma ero seccatissimo anch'io e mi pareva di dover soffrirtroppo essendo del tutto innocente.

Tentaidi calmare Augusta facendole delle carezze. Essa allontanò lasua faccia dalla mia per vedermi meglio e mi fece dolcemente un miterimprovero che mi commosse molto:

-Io so che ami anche me- mi disse.

Evidentementelo stato d'animo di Ada non aveva importanza per leima il mio edebbi un'ispirazione per provarle la mia innocenza:

-Ada è dunque innamorata di me? - feci ridendo.

Poistaccatomi da Augusta per farmi veder megliogonfiai un po' leguancie e spalancai in modo innaturale gli occhi così dasomigliare ad Ada malata. Augusta mi guardò stupitama prestoindovinò la mia intenzione. Fu colta da uno scoppio d'ilaritàdi cui subito si vergognò.

-No! - mi disse- ti prego di non deriderla. - Poi confessòsempre ridendoch'ero riuscito di imitare proprio quelleprotuberanze che davano alla faccia di Ada un aspetto tantosorprendente. Ed io lo sapevo perché imitandola m'era parso diabbracciare Ada. E quando fui solopiù volte ripetei quellosforzo con desiderio e disgusto.

Nelpomeriggio andai all'ufficio nella speranza di trovarvi Guido. Vel'attesi per qualche tempo eppoi decisi di recarmi a casa sua. Dovevopur sapere se era necessario di domandare del denaro all'Olivi.Dovevo compiere il mio dovere per quanto mi seccasse di rivedere Adaalterata una volta di più dalla riconoscenza. Chissàquali sorprese mi potevano ancora provenire da quella donna!

Sullescale della casa di Guido m'imbattei nella signora Malfenti chepesantemente le saliva. Mi raccontò per lungo e per largoquanto fino ad allora era stato deciso nell'affare di Guido. La seraprima s'erano divisi circa d'accordo nella convinzione che bisognavasalvare quell'uomo che aveva una disdetta disastrosa. Soltanto allamattina Ada aveva appreso ch'io dovevo collaborare a coprire laperdita di Guido e s'era recisamente rifiutata di accettare. Lasignora Malfenti la scusava:

-Che vuoi farci? Essa non vuole caricarsi del rimorso di averimpoverita la sua sorella prediletta.

Sulpianerottolola signora si fermò per respirare e anche perparlaree mi disse ridendo che la cosa sarebbe finita senza dannoper nessuno. Prima di colazioneleiAda e Guido s'erano recati peraverne consiglio da un avvocatovecchio amico di famiglia e oraanche tutore della piccola Anna. L'avvocato aveva detto che nonoccorreva pagare perché per legge non vi si era obbligati.Guido s'era vivamente opposto parlando di onore e di doverema senzadubbiouna volta che tutticompresa Adadecidevano di non pagareanche lui avrebbe dovuto rassegnarvisi. - Ma la sua ditta alla Borsasarà dichiarata bancarotta? - dissi io perplesso.

-Probabilmente! - disse la signora Malfenti con un sospiro primad'imprendere la salita dell'ultima scala.

Guidodopo colazione usava di riposare e perciò fummo ricevuti dallasola Ada in quel salottino ch'io conoscevo tanto bene. Al vedermiessa fu per un istante confusaper un solo istantech'io peròafferrai e ritennichiaroevidentecome se la sua confusione mifosse stata detta. Poi si fece forza e mi stese la mano con unmovimento decisovirileche doveva cancellare l'esitazione femmineache l'aveva precorso.

Midisse:

-Augusta ti avrà detto come io ti sia riconoscente. Non sapreiora dirti quello che sento perché sono confusa. Sono anchemalata. Sìmolto malata! Avrei di nuovo bisogno della casa disalute di Bologna!

Unsinghiozzo l'interruppe:

-Ti domando ora un favore. Ti prego di dire a Guido che neppure tu seial caso di dargli quel denaro. Così ci sarà piùfacile d'indurlo a fare quello che deve.

Primaaveva avuto un singhiozzo ricordando la propria malattia; singhiozzòpoi di nuovo prima di continuare a parlare del marito:

-È un ragazzoe bisogna trattarlo come tale. Se egli sa che tuconsenti di dargli quel denaros'ostinerà ancora maggiormentenella sua idea di sacrificare anche il resto inutilmente.Inutilmenteperché oramai sappiamo con assoluta certezza cheil fallimento in Borsa è permesso. L'ha detto l'avvocato.

Micomunicava il parere di un'alta autorità senza domandarmi ilmio. Come vecchio frequentatore di Borsail mio parereancheaccanto a quello dell'avvocatoavrebbe potuto avere il suo pesomanon ricordai neppure il mio parere seppure ne avevo uno. Ricordaiinvece che venivo messo in una posizione difficile. Io non potevoritirarmi dall'impegno che avevo preso con Guido: era in compenso diquell'impegnoche m'ero creduto autorizzato di gridargli nelleorecchie tante insolenzeintascando così una specied'interessi sul capitale che ora non potevo più rifiutargli.

 

-Ada! - dissi esitante. - Io non credo di potermi disdire cosìda un giorno all'altro. Non sarebbe meglio che tu convincessi Guidodi fare le cose come le desideri tu?

Lasignora Malfenti con la grande simpatia che sempre mi dimostravadisse che intendeva benissimo la mia speciale posizione e che delrestoquando Guido si sarebbe visto messo a disposizione soltanto unquarto dell'importo di cui abbisognavaavrebbe pur dovuto adattarsial loro volere.

MaAda non aveva esaurite le sue lacrime. Piangendo con la faccia celatanel fazzolettodisse:

-Hai fatto malemolto male di fare quell'offerta veramentestraordinaria! Ora si vede quanto male hai fatto!

Mipareva esitante fra una grande gratitudine e un grande rancore. Poisoggiunse che non voleva si parlasse mai più di quella miaofferta e mi pregava di non provvedere quel denaroperchéessa m'avrebbe impedito di darlo o avrebbe impedito a Guido diaccettarlo.

Erotanto imbarazzato che finii col dire una bugia. Le dissi cioèche quel denaro io l'avevo già procurato e accennai alla miatasca di petto dove giaceva quella busta dal peso tanto lieve. Ada miguardò questa volta con un'espressione di vera ammirazione dicui forse mi sarei compiaciuto se non avessi saputo di non meritarla.Ad ogni modo fu proprio questa mia bugia per la quale non so darealtra spiegazione che una mia strana tendenza a rappresentarmidinanzi ad Ada maggiore di quanto non siache m'impedì diattendere Guido e mi cacciò da quella casa. Avrebbe potutoanche avvenire che a un dato puntocontrariamente a quanto apparivami fosse stato chiesto di consegnare il denaro che dicevo di averecon mee allora che figura ci avrei fatta? Dissi che avevo degliaffari urgenti in ufficio e corsi via.

Adam'accompagnò alla porta e m'assicurò ch'essa avrebbeindotto Guido di venire lui da me per ringraziarmi della mia bontàe per rifiutarla. Fece tale dichiarazione con tale risolutezza che iotrasalii. A me parve che quel fermo proposito andasse a colpire inparte anche me. No! In quel momento essa non mi amava. Il mio atto dibontà era troppo grande. Schiacciava la gente su cuis'abbatteva e non c'era da meravigliarsi che i beneficatiprotestassero. Andando all'ufficio cercai di liberarmi del malessereche m'aveva dato il contegno di Adaricordando che io portavo quelsacrificio a Guido e a nessun altro. Che c'entrava Ada? Mi ripromisidi farlo sapere ad Ada stessa alla prima occasione.

Andaiall'ufficio proprio per non avere il rimorso di aver mentito unavolta di più. Nulla mi vi attendeva. Cadeva dalla mattina unapioggerella minuta e continua che aveva rinfrescata considerevolmentel'aria di quella primavera esitante. In due passi sarei stato a casamentre per andare all'ufficio dovevo percorrere una strada ben piùlunga ciò ch'era abbastanza fastidioso. Ma mi pareva di dovercorrispondere ad un impegno.

Pocodopo vi fui raggiunto da Guido. Allontanò dall'ufficio Lucianoper restare solo con me. Aveva quel suo aspetto sconvolto chel'aiutava nelle sue lotte con la moglie e che io conoscevo tantobene. Doveva aver pianto e gridato.

Midomandò che cosa mi paresse dei progetti di sua moglie e dinostra suocera ch'egli sapeva m'erano già stati comunicati.Gli parvi esitante. Non volevo dire la mia opinione che non potevaaccordarsi con quella delle due donne e sapevo che se avessi adottatala loroavrei provocate delle nuove scene da parte di Guido. Poi misarebbe dispiaciuto troppo di far apparire esitante il mio aiuto einfine eravamo d'accordo con Ada che la decisione doveva venire daGuido e non da me. Gli dissi che bisognava calcolarevederesentireanche altre persone. Io non ero un tale uomo d'affari da poter dareun consiglio in argomento tanto importante. Eper guadagnare deltempogli domandai se voleva che consultassi l'Olivi.

Bastòquesto per farlo gridare:

-Quell'imbecille! - urlò. - Te ne prego lascialo da parte!

Nonero affatto disposto di accalorarmi alla difesa dell'Olivima nonbastò la mia calma per rasserenare Guido. Eravamonell'identica situazione del giorno primama ora era lui che gridavae toccava a me di tacere. È quistione di disposizione. Io eropieno di un imbarazzo che mi legava le membra. Ma egli assolutamentevolle io dicessi il mio parere. Per un'ispirazione che credo divinaparlai molto benetanto bene che se le mie parole avessero avuto uneffetto qualunquela catastrofe che poi seguì sarebbe stataevitata. Gli dissi che io intanto avrei scisse le due quistioniquella della liquidazione del quindici da quella di fine mese. Incomplesso al quindici non si aveva da pagare un importo tropporilevante e bisognava intanto indurre le donne a sottostare a quellaperdita relativamente lieve. Poi avremmo avuto il tempo necessarioper provvedere saggiamente all'altra liquidazione.

Guidom'interruppe per domandarmi:

-Ada m'ha detto che tu hai già pronto il denaro in tasca. L'haiqui?

Arrossii.Ma trovai subito pronta un'altra bugia che mi salvò:

-Visto che a casa tua non accettarono quel denarolo depositai pocofa alla Banca. Ma possiamo riaverlo quando vorremoanche subitodomattina.

Alloraegli mi rimproverò di aver cambiato di parere. Se proprio ioil giorno prima avevo dichiarato di non voler aspettare l'altraliquidazione per mettere in regola tutto! E qui egli ebbe uno scoppiod'ira violenta che finì col gettarlo privo di forze sul sofà!Egli avrebbe gettato fuori d'ufficio il Nilini e quegli altri agentiche lo avevano trascinato al giuoco. Oh! Giuocando egli aveva bensìintravvista la possibilità della rovinama mai più lasoggezione a donne che non capivano niente di niente.

Andaia stringergli la mano e se lo avesse permesso lo avrei abbracciato.Non volevo nient'altro che vederlo arrivare a quella decisione.Niente più giuocoma il lavoro di ogni giorno!

Questosarebbe stato il nostro avvenire e la sua indipendenza. Ora sitrattava di passare quel breve duro periodoma poi tutto sarebbestato facile e semplice.

Abbattutoma più calmoegli poco dopo mi lasciò. Anche lui nellasua debolezza era tutto pervaso da una forte decisione

-Ritorno da Ada!- mormorò ed ebbe un sorriso amaroma sicuro.

 

L'accompagnaifino alla porta e l'avrei accompagnato fino a casa sua se egli nonavesse avuta alla porta la vettura che l'attendeva.

LaNemesi perseguitava Guido. Mezz'ora dopo ch'egli m'aveva lasciatoiopensai che sarebbe stato prudente da parte mia di recarmi a casa suaad assisterlo. Non che io avessi sospettato che su lui potesseincombere un pericoloma ormai io ero tutto dalla parte sua e avreipotuto contribuire a convincere Ada e la signora Malfenti adaiutarlo. Il fallimento in Borsa non era una cosa che mi piaceva edin complesso la perdita ripartita fra noi quattro non erainsignificantema non rappresentava per nessuno di noi la rovina.

Poiricordai che il mio maggior dovere era oramai non di assistere Guidoma di fargli trovare pronto il giorno appresso l'importo che gliavevo promesso. Andai subito in cerca dell'Olivi e mi preparai ad unanuova lotta. Avevo escogitato un sistema di rifondere alla mia firmail grosso importo in varii anniversando però di lì adalcuni mesi tutto quello che ancora restava dell'eredità dimia madre. Speravo che l'Olivi non avrebbe fatte delle difficoltàperché io fino ad allora non gli avevo mai domandato piùdi quanto mi fosse spettato per utili ed interessi e potevo anchepromettere di non inquietarlo mai più con domande simili. Eraevidente che pur potevo sperare di ricuperare da Guido almeno partedi quell'importo.

Quellasera non seppi trovare l'Olivi. Era appena uscito dall'ufficioquand'io entrai. Supponevano si fosse recato alla Borsa. Non lotrovai neppure colà e allora mi recai a casa sua ove appresiche si trovava ad una seduta di un'associazione economica nella qualeoccupava un posto onorifico. Avrei potuto raggiungerlo colàma oramai s'era fatto nottee cadeva ininterrotta una pioggiaabbondante che convertiva le vie in tanti ruscelli.

Fuun diluvio che durò per tutta la notte e di cui per lunghianni non si perdette il ricordo. La pioggia cadeva tranquillatranquillaaddirittura perpendicolarmentesempre nella stessaabbondanza. Dalle alture che circondano la città scese ilfango cheassociato alle scorie della nostra vita cittadinaandòad ostruire i nostri scarsi canali. Quando mi decisi a rincasare dopodi aver atteso inutilmente in un rifugio che la pioggia cessasse equand'ebbi chiara la visione che il tempo s'era assestato nellapioggia e ch'era vano di sperare un mutamentosi camminavanell'acqua anche movendosi sulla parte più alta del selciato.Corsi a casa bestemmiando e fracido fino alle ossa. Bestemmiavo ancheperché avevo perduto tanto buon tempo per rintracciarel'Olivi. Può essere che il mio tempo non sia poi tantopreziosoma è sicuro ch'io soffro orrendamente quando possoconstatare di aver lavorato invano. E correndo pensavo: "Lasciamotutto per domani quando sarà chiaro e bello e asciutto. Domaniandrò dall'Olivi e domani mi recherò da Guido. Magarimi leverò di buon'orama sarà chiaro e asciutto".Ero tanto convinto della giustezza della mia decisione che dissi adAugusta che da tutti si era stabilito di rimandare ogni decisionealla dimane. Mi cambiaimi rasciugai e con le comode e caldepantofole sui piedi torturatidapprima cenai eppoi mi coricai perdormire profondamente fino alla mattina mentre ai vetri delle miefinestre batteva la pioggia grossa come funi.

 

Cosìseppi solo tardi gli avvenimenti della notte. Dapprima apprendemmoche la pioggia aveva finito col provocare in varie parti della cittàdelle inondazionipoi che Guido era morto.

Moltopiù tardi seppi come poté accadere una cosa simile.Alle undici di sera circaquando la signora Malfenti si fuallontanataGuido avvertì la moglie ch'egli aveva ingoiatauna quantità enorme di veronal. Volle convincere la moglie cheera condannato. L'abbracciòla baciòle domandòperdono di averla fatta soffrire. Poiancora prima che la sua parolasi convertisse in un balbettiol'assicurò ch'essa era statail solo amore della sua vita. Essa non credette per allora néa quest'assicurazione né ch'egli avesse ingoiato tanto velenoda poter morirne. Non credette neppure ch'egli avesse perduti isensima si figurò che fingesse per strapparle di nuovo deidenari.

Poitrascorsa quasi un'oravedendo ch'egli dormiva sempre piùprofondamenteebbe un certo terrore e scrisse un biglietto ad unmedico che abitava non lontano dalla sua abitazione. Su quelbiglietto scisse che suo marito abbisognava di pronto aiuto avendoingoiato una grande quantità di veronal.

Finoad allora non c'era stata in quella casa alcun'emozione che avessepotuto avvisare la fantescauna vecchia donna ch'era in casa da pocotempodella gravità della sua missione.

Lapioggia fece il resto. La fantesca si trovò con l'acqua amezza gamba e smarrì il biglietto. Se ne accorse solo quandosi trovò alla presenza del dottore. Seppe però dirgliche c'era urgenza e lo indusse a seguirla.

Ildottor Mali era un uomo di circa cinquant'annitutt'altro che unagenialitàma un medico pratico che aveva fatto sempre il suodovere come meglio aveva potuto. Non aveva una grande clientelapropriama invece aveva molto da fare per conto di una societàdai numerosissimi membriche lo retribuiva poco lautamente. Erarincasato poco prima ed era arrivato finalmente a riscaldarsi erasciugarsi accanto al fuoco. Si può immaginare con qualeanimo abbandonasse ora il suo caldo cantuccio. Quando io mi misi adindagare meglio le cause della morte del mio povero amicomipreoccupai anche di fare la conoscenza del dottor Mali. Da lui nonseppi altro che questo: quando giunse all'aperto e si sentìbagnare dalla pioggia traverso l'ombrellosi pentì d'averstudiato medicina invece di agricolturaricordando che il contadinoquando pioveresta a casa.

Giuntoal letto di Guidotrovò Ada del tutto calmata. Ora che avevaaccanto il dottorericordava meglio come Guido l'avesse giocata mesiprima simulando un suicidio. Non toccava più a lei diassumersi una responsabilitàma al dottore il quale dovevaessere informato di tuttoanche delle ragioni che dovevano farcredere in una simulazione di suicidio. E queste ragioni il dottorele ebbe tutte come prestava nello stesso tempo l'orecchio alle ondeche spazzavano la via. Non essendo stato avvisato che lo si avevachiamato per curare un caso di avvelenamentoegli mancava di ogniordigno necessario alla cura. Lo deplorò balbettando qualcheparola che Ada non intese. Il peggio era cheper poter imprendere unlavacro dello stomacoegli non avrebbe potuto mandar a prendere lecose necessariema avrebbe dovuto andar a prenderle lui stessotraversando per due volte la via. Toccò il polso di Guido e lotrovò magnifico. Domandò ad Ada se forse Guido avessesempre avuto un sonno molto profondo. Ada rispose di sìmanon a quel punto. Il dottore esaminò gli occhi di Guido:reagivano prontamente alla luce! Se ne andò raccomandando didargli di tempo in tempo dei cucchiaini di caffè nerofortissimo.

Seppianche chegiunto sulla viamormorò con rabbia:

-Non dovrebbe essere permesso di simulare un suicidio con questotempo!

Ioquando lo conobbinon osai di fargli un rimprovero per la suanegligenzama egli l'indovinò e si difese: mi disse cherimase stupito all'apprendere alla mattina che Guido era mortotantoche sospettò fosse rinvenuto e avesse preso dell'altroveronal. Poi soggiunse che i profani d'arte medica non potevanoimmaginare come nel corso della sua pratica il dottore venisseabituato a difendere la sua vita contro i clienti che vi attentavanonon pensando che alla loro.

Dopopoco più di un'oraAda si stancò di cacciare a Guidoil cucchiaino fra' denti e vedendo ch'egli ne sorbiva sempre meno eche il resto andava a bagnare il guancialesi spaventò dinuovo e pregò la fantesca di recarsi dal dottor Paoli. Questavolta la fantesca tenne da conto il bigliettino. Ma ci mise piùdi un'ora per raggiungere l'abitazione del medico. È naturaleche quando piove tanto si senta il bisogno di tempo in tempo difermarsi sotto qualche portico. Una pioggia simile non solo bagnamasferza.

Ildottor Paoli non era in casa. Era stato chiamato poco prima da uncliente e se ne era andato dicendo che sperava di ritornare presto.Ma poi pare avesse preferito di attendere presso il cliente che lapioggia cessasse. La sua donna di serviziouna buonissima persona inetàfece sedere la fantesca di Ada accanto al fuoco e sipreoccupò di rifocillarla. Il dottore non aveva lasciatol'indirizzo del suo cliente e così le due donne passaronoinsieme varie ore accanto al fuoco. Il dottore ritornòsoloquando la pioggia fu cessata. Quando poi arrivò da Ada contutti gli ordigni che già aveva esperiti su Guidoalbeggiava.A quel letto ebbe un solo compito: celare ad Ada che Guido era giàmorto e far venire la signora Malfenti prima che Ada se neaccorgesseper assisterla nel primo dolore.

Perquesto la notizia ci pervenne molto tardi e imprecisa.

Levatomidal letto ebbi per l'ultima volta uno slancio d'ira contro il poveroGuido: complicava ogni sventura con le sue commedie! Uscii di casasenza Augusta che non poteva abbandonare il bimbo così su duepiedi. Fuorifui trattenuto da un dubbio! Non avrei potuto attendereche le Banche si aprissero e l'Olivi fosse nel suo ufficio percomparire dinanzi a Guido fornito del denaro che avevo promesso?Tanto poco credevo alla notizia della gravità delle condizionidi Guido che pur m'era stata annunziata!

Laverità la ebbi dal dottor Paoli in cui m'imbattei sulle scale.Ne ebbi uno sconvolgimento che quasi mi fece precipitare. Guidodacché vivevo con luiera divenuto per me un personaggio digrande importanza. Finché era vivo lo vedevo in una data lucech'era la luce di parte delle mie giornate. Morendoquella luce simodificava in modo come se improvvisamente fosse passata traverso unprisma. Era proprio questo che m'abbacinava. Egli aveva sbagliatomaio subito vidi ch'essendo mortodei suoi errori non restava niente.Secondo me era un imbecille quel buffone che in un cimitero copertodi epigrafi laudatorie domandò dove si seppellissero in quelpaese i peccatori. I morti non sono mai stati peccatori. Guido eraormai un puro! La morte l'aveva purificato.

Ildottore era commosso per aver assistito al dolore di Ada. Mi dissequalche cosa dell'orrenda notte ch'essa aveva passata. Oramai si erariusciti a farle credere che la quantità di veleno ingerita daGuido era stata tale che nessun soccorso avrebbe potuto giovare. Guaise avesse saputo altrimenti!

-Invece - aggiunse il dottore con sconforto - se io fossi arrivatoqualche ora prima l'avrei salvato. Ho trovate le boccette vuote delveleno.

Leesaminai. Una dose forte ma poco più forte dell'altra volta.Mi fece vedere alcune boccette sulle quali lessi stampato: Veronal.Dunque non veronal al sodio. Come nessun altro io potevo ora esserecerto che Guido non aveva voluto morire. Non lo dissi però maia nessuno.

IlPaoli mi lasciò dopo di avermi detto che per il momento noncercassi di vedere Ada. Egli le aveva propinati dei forti calmanti enon dubitava che presto avrebbero avuto il loro effetto.

Sulcorridoio sentii venire da quella stanzucciaove ero stato ricevutodue volte da Adail suo pianto mite. Erano parole singole che nonintendevoma pregne di affanno. La parola lui era ripetutapiù volte ed io immaginai quello ch'essa diceva. Stavaricostruendo la sua relazione col povero morto. Non doveva somigliareaffatto a quella ch'essa aveva avuta col vivo. Per me era evidentech'essa col marito vivo aveva sbagliato. Egli moriva per un delittocommesso da tutti insieme perché egli aveva giocato alla Borsacol consenso di tutti loro. Quando s'era trattato di pagare alloral'avevano lasciato solo. E lui s'era affrettato di pagare. Unico deicongiunti ioche veramente non ci entravoavevo sentito il doveredi soccorrerlo.

Nellastanza da letto matrimoniale il povero Guido giaceva abbandonatocoperto dal lenzuolo. La rigidezza già avanzataesprimeva quinon una forza ma la grande stupefazione di essere morto senz'averlovoluto. Sulla sua faccia bruna e bella era impronto un rimprovero.Certamente non diretto a me.

Andaida Augusta a sollecitarla di venire ad assistere la sorella. Io eromolto commosso ed Augusta pianse abbracciandomi:

-Tu sei stato un fratello per lui- mormorò. - Solo adesso iosono d'accordo con te di sacrificare una parte del nostro patrimonioper purificare la sua memoria.

Mipreoccupai di rendere ogni onore al mio povero amico. Intanto affissialla porta dell'ufficio un bollettino che ne annunciava la chiusuraper la morte del proprietario.

Composiio stesso l'avviso mortuario. Ma soltanto il giorno seguented'accordo con Adafurono prese le disposizioni per il funerale.Seppi allora che Ada aveva deciso di seguire il feretro al cimitero.Voleva concedergli tutte le prove d'affetto che poteva. Poverina! Iosapevo quale dolore fosse quello del rimorso su una tomba. Ne avevotanto sofferto anch'io alla morte di mio padre.

Passaiil pomeriggio chiuso nell'ufficio in compagnia del Nilini. Si arrivòcosì a fare un piccolo bilancio della situazione di Guido.Spaventevole! Non solo era distrutto il capitale della dittamaGuido restava debitore di altrettantose avesse dovuto rispondere ditutto.

Ioavrei avuto bisogno di lavorareproprio lavorare a vantaggio del miopovero defunto amicoma non sapevo far altro che sognare. La primamia idea sarebbe stata di sacrificare tutta la mia vita inquell'ufficio e di lavorare a vantaggio di Ada e dei suoi figliuoli.Ma ero poi sicuro di saper far bene?

IlNilinicome al solitochiacchierava mentre io guardavo tantotantolontano. Anche lui sentiva il bisogno di mutare radicalmente le suerelazioni con Guido. Ora comprendeva tutto! Il povero Guidoquandogli aveva fatto di tortoera stato già colto dalla malattiache doveva condurlo al suicidio. Perciò tutto era dimenticatooramai. E predicò dicendosi proprio fatto così. Nonpoteva serbare rancore a nessuno. Egli aveva sempre voluto bene aGuido e gliene voleva tuttavia.

Finìche i sogni del Nilini s'associarono ai miei e vi si sovrapposero.Non era nel lento commercio che si avrebbe potuto trovare il riparoad una catastrofe similema alla Borsa stessa. E il Nilini miraccontò di persona a lui amica che all'ultimo momento avevasaputo salvarsi raddoppiando la posta.

Parlammoinsieme per molte orema la proposta del Nilini di proseguire nelgioco iniziato da Guidoarrivò in ultimopoco prima delmezzodì e fu subito accettata da me. L'accettai con una gioiatale come se così fossi riuscito di far rivivere il mio amico.Finì che io comperai a nome del povero Guido una quantitàdi altre azioni dal nome bizzarro: Rio TintoSouth Frenche così via.

Cosìs'iniziarono per me le cinquanta ore di massimo lavoro cui abbiaatteso in tutta la mia vita. Dapprima e fino a sera restai a misurarea grandi passi su e giù l'ufficio in attesa di sentire se imiei ordini fossero stati eseguiti. Io temevo che alla Borsa si fosserisaputo del suicidio di Guido e che il suo nome non venisse piùritenuto buono per impegni ulteriori. Invece per varii giorni non siattribuì quella morte a suicidio.

Poiquando il Nilini finalmente poté avvisarmi che tutti i mieiordini erano stati eseguitiincominciò per me una veraagitazioneaumentata dal fatto che al momento di ricevere glistabilitifui informato che su tutti io perdevo già qualchefrazione abbastanza importante. Ricordo quell'agitazione come un veroe proprio lavoro. Ho la curiosa sensazione nel mio ricordo cheininterrottamenteper cinquanta oreio fossi rimasto assiso altavolo da giuoco succhiellando le carte. Io non conosco nessuno cheper tante ore abbia saputo resistere ad una fatica simile.

Ognimovimento di prezzo fu da me registratosorvegliatoeppoi (perchénon dirlo?) ora spinto innanzi ed ora trattenutocome a meossia almio povero amicoconveniva. Persino le mie notti furono insonni.

Temendoche qualcuno della famiglia avesse potuto intervenire ad impedirmil'opera di salvataggio cui m'ero accintonon parlai a nessuno dellaliquidazione di metà del mese quando giunse. Pagai tutto ioperché nessun altro si ricordò di quegli impegnivistoche tutti erano intorno al cadavere che attendeva la tumulazione. Delrestoin quella liquidazione era da pagare meno di quanto fossestato stabilito a suo tempoperché la fortuna m'aveva subitoassecondato. Era tale il mio dolore per la morte di Guidoche mipareva di attenuarlo compromettendomi in tutti i modi tanto con lamia firma che con l'esposizione del mio danaro. Fin quim'accompagnava il sogno di bontà che avevo fatto lungo tempoprima accanto a lui. Soffersi tanto di quell'agitazioneche nongiuocai mai più in Borsa per conto mio.

Maa forza di "succhiellare" (questa era la mia occupazioneprecipua) finii col non intervenire al funerale di Guido. La cosaavvenne così. Proprio quel giorno i valori in cui eravamoimpegnati fecero un balzo in alto. Il Nilini ed io passammo il nostrotempo a fare il calcolo di quanto avessimo ricuperato della perdita.Il patrimonio del vecchio Speier figurava ora solamente dimezzato! Unmagnifico risultato che mi riempiva di orgoglio. Avveniva proprioquello che il Nilini aveva preveduto in tono molto dubitativo bensìma che oranaturalmentequando ripeteva le parole dettespariva edegli si presentava quale un sicuro profeta. Secondo me egli avevaprevisto questo e anche il contrario. Non avrebbe fallato maima nonglielo dissi perché a me conveniva ch'egli restassenell'affare con la sua ambizione. Anche il suo desiderio potevainfluire sui prezzi.

Partimmodall'ufficio alle tre e corremmo perché allora ricordammo cheil funerale doveva aver luogo alle due e tre quarti.

All'altezzadei volti di Chiozzavidi in lontananza il convoglio e mi parvepersino di riconoscere la carrozza di un amico mandata al funeraleper Ada. Saltai col Nilini in una vettura di piazzadando ordine alcocchiere di seguire il funerale. E in quella vettura il Nilini ed iocontinuammo a succhiellare. Eravamo tanto lontani dal pensiero alpovero defunto che ci lagnavamo dell'andatura lenta della vettura.Chissà quello che intanto avveniva alla Borsa non sorvegliatada noi? Il Nilinia un dato momentomi guardò proprio congli occhi e mi domandò perché non facessi alla Borsaqualche cosa per conto mio.

-Per il momento - dissi ioe non so perché arrossissi- ionon lavoro che per conto del mio povero amico.

Quindidopo una lieve esitazioneaggiunsi:

-Poi penserò a me stesso. - Volevo lasciargli la speranza dipoter indurmi al giuoco sempre nello sforzo di conservarmelointeramente amico. Ma fra me e me formulai proprio le parole che nonosavo dirgli: "Non mi metterò mai in mano tua!".Egli si mise a predicare.

-Chissà se si può cogliere un'altra simile occasione! -Dimenticava d'avermi insegnato che alla Borsa v'era l'occasione adogni ora.

 

Quandosi arrivò al posto dove di solito le vetture si fermanoilNilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa.La vettura continuava a procedere dietro al funerale che s'avviava alcimitero greco.

-Il signor Guido era greco? - domandò sorpreso.

Infattiil funerale passava oltre al cimitero cattolico e s'avviava a qualchealtro cimiterogiudaicogrecoprotestante o serbo.

-Può essere che sia stato protestante! - dissi io dapprimamasubito mi ricordai d'aver assistito al suo matrimonio nella chiesacattolica.

-Dev'essere un errore! - esclamai pensando dapprima che volesseroseppellirlo fuori di posto.

IlNilini improvvisamente scoppiò a ridere di un risoirrefrenabile che lo gettò privo di forze in fondo allavettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia.

-Ci siamo sbagliati! - esclamò. Quando arrivò a drenarelo scoppio della sua ilaritàmi colmò di rimproveri.Io avrei dovuto vedere dove si andava perché io avrei dovutosapere l'ora e le persone ecc. Era il funerale di un altro!

Irritatoio non avevo riso con lui ed ora m'era difficile di sopportare i suoirimproveri. Perché non aveva guardato meglio anche lui? Frenaiil mio malumore solo perché mi premeva più la Borsache il funerale. Scendemmo dalla vettura per orizzontarci meglio e ciavviammo verso l'entrata del cimitero cattolico. La vettura ci seguì.M'accorsi che i superstiti dell'altro defunto ci guardavano sorpresinon sapendo spiegarsi perché dopo di aver onorato fino aquell'estremo limite quel poverino lo abbandonassimo sul piùbello.

IlNilini spazientito mi precedeva. Domandò al portiere dopo unabreve esitazione:

-Il funerale del signor Guido Speier è già arrivato?

Ilportiere non sembrò sorpreso della domanda che a me parvecomica. Rispose che non lo sapeva. Sapeva solo dire che nel recintoerano entrati nell'ultima mezz'ora due funerali.

Perplessici consultammo. Evidentemente non si poteva sapere se il funerale sitrovasse già dentro o fuori. Allora decisi per mio conto. A menon era permesso d'intervenire alla funzione forse giàcominciata e turbarla. Dunque non sarei entrato in cimitero. Mad'altronde non potevo rischiare d'imbattermi nel funeraleritornando. Rinunziavo perciò ad assistere all'interramento esarei ritornato in città facendo un lungo giro oltre Servola.Lasciai la vettura al Nilini che non voleva rinunziare di far atto dipresenza per riguardo ad Ada ch'egli conosceva.

Conpasso rapidoper sfuggire a qualunque incontrosalii la strada dicampagna che conduceva al villaggio. Oramai non mi dispiaceva affattodi essermi sbagliato di funerale e di non aver reso gli ultimi onorial povero Guido. Non potevo indugiarmi in quelle pratiche religiose.Altro dovere m'incombeva: dovevo salvare l'onore del mio amico edifenderne il patrimonio a vantaggio della vedova e dei figli. Quandoavrei informata Ada ch'ero riuscito di ricuperare tre quarti dellaperdita (e riandavo con la mente su tutto il conto fatto tante volte:Guido aveva perduto il doppio del patrimonio del padre edopo il miointerventola perdita si riduceva a metà di quel patrimonio.Era perciò esatto. Io avevo ricuperata proprio tre quartidella perdita)essa certamente m'avrebbe perdonato di non essereintervenuto al suo funerale.

Quelgiorno il tempo s'era rimesso al bello. Brillava un magnifico soleprimaverile esulla campagna ancora bagnatal'aria era nitida esana. I miei polmoninel movimento che non m'ero concesso da variigiornisi dilatavano. Ero tutto salute e forza. La salute nonrisalta che da un paragone. Mi paragonavo al povero Guido e salivosalivo in alto con la mia vittoria nella stessa lotta nella qualeegli era soggiaciuto. Tutto era salute e forza intorno a me. Anche lacampagna dall'erba giovine. L'estesa e abbondante bagnaturalacatastrofe dell'altro giornodava ora soli benefici effetti ed ilsole luminoso era il tepore desiderato dalla terra ancora ghiacciata.Era certo che quanto più ci si sarebbe allontanati dallacatastrofetanto più discaro sarebbe stato quel cielo azzurrose non avesse saputo oscurarsi a tempo. Ma questa era la previsionedell'esperienza ed io non la ricordai; m'afferra solo ora che scrivo.In quel momento c'era nel mio animo solo un inno alla salute mia e ditutta la natura; salute perenne.

Ilmio passo si fece più rapido. Mi beavo di sentirlo tantoleggero. Scendendo dalla collina di Servola s'affrettò fin quiquasi alla corsa. Giunto al passeggio di Sant'Andreasul pianosirallentò di nuovoma avevo sempre il senso di una grandefacilità. L'aria mi portava.

Avevoperfettamente dimenticato che venivo dal funerale del mio piùintimo amico. Avevo il passo e il respiro del vittorioso. Peròla mia gioia per la vittoria era un omaggio al mio povero amico nelcui interesse era sceso in lizza.

Andaiall'ufficio a vedere i corsi di chiusa. Erano un po' piùdebolima non fu questo che mi tolse la fiducia. Sarei tornato a"succhiellare" e non dubitavo che sarei arrivato alloscopo.

Dovettifinalmente recarmi alla casa di Ada. Venne ad aprirmi Augusta. Midomandò subito:

-Come hai fatto a mancare al funeraletul'unico uomo nella nostrafamiglia?

Deposil'ombrello e il cappelloe un po' perplesso le dissi che avreivoluto parlare subito anche con Ada per non dover ripetermi. Intantopotevo assicurarla che avevo avute le mie buone ragioni per mancaredal funerale. Non ne ero più tanto sicuro e improvvisamente ilmio fianco s'era fatto dolente forse per la stanchezza. Doveva esserequell'osservazione di Augustache mi faceva dubitare dellapossibilità di far scusare la mia assenza che doveva avercausato uno scandalo; vedevo dinanzi a me tutti i partecipi allamesta funzione che si distraevano dal loro dolore per domandarsi doveio potessi essere.

Adanon venne. Poi seppi che non era stata neppure avvisata ch'iol'attendessi. Fui ricevuto dalla signora Malfenti che incominciòa parlarmi con un cipiglio severo quale non le avevo mai visto.Cominciai a scusarmima ero ben lontano dalla sicurezza con cui erovolato dal cimitero in città. Balbettavo. Le raccontai anchequalche cosa di meno vero in appendice della veritàch'era lamia coraggiosa iniziativa alla Borsa a favore di Guidoe cioèche poco prima dell'ora del funerale avevo dovuto spedire undispaccio a Parigi per dare un ordine e che non m'ero sentito diallontanarmi dall'ufficio prima di aver ricevuta la risposta.

Eravero che il Nilini ed io avevamo dovuto telegrafare a Parigima duegiorni primae due giorni prima avevamo ricevuta anche la risposta.Insomma comprendevo che la verità non bastava a scusarmifors'anche perché non potevo dirla tutta e raccontaredell'operazione tanto importante cui io da giorni attendevo cioèa regolare col mio desiderio i cambii mondiali. Ma la signoraMalfenti mi scusò quando sentì la cifra cui oraammontava la perdita di Guido. Mi ringraziò con le lacrimeagli occhi. Ero di nuovo non l'unico uomo della famigliama ilmigliore.

Midomandò di venire di sera con Augusta a salutare Ada cui essanel frattempo avrebbe raccontato tutto. Per il momento Ada non era alcaso di ricevere nessuno. Ed iovolentierime ne andai con miamoglie. Neppure essaprima di lasciare quella casasentì ilbisogno di congedarsi da Adache passava da pianti disperati adabbattimenti che le impedivano persino di accorgersi della presenzadi chi le parlava.

Ebbiuna speranza:

-Allora non è Ada che si è accorta della mia assenza?

Augustami confessò che avrebbe voluto tacernetanto le era sembrataeccessiva la manifestazione di risentimento di Ada per tale miamancanza. Ada esigette delle spiegazioni da lei e quando Augustadovette dirle di non saperne nulla non avendomi ancora vistoessas'abbandonò di nuovo alla sua disperazione urlando che Guidoaveva dovuto finire così essendo stato odiato da tutta lafamiglia.

Ame parve che Augusta avrebbe dovuto difendermi e ricordare ad Adacome io solo ero stato pronto di soccorrere Guido nel modo che sidoveva. Se fossi stato ascoltatoGuido non avrebbe avuto alcunmotivo di tentare o simulare un suicidio.

Augustainvece aveva taciuto. Era stata tanto commossa dalla disperazione diAda che avrebbe temuto di oltraggiarla mettendosi a discutere. Delresto essa era fiduciosa che ora le spiegazioni della signoraMalfenti avrebbero convinto Ada dell'ingiustizia ch'essa mi usava.Devo dire che avevo anch'io tale fiducia ed anzi confessare che daquel momento gustai la certezza di assistere alla sorpresa di Ada ealle sue manifestazioni di gratitudine. Già da leicausaBasedowtutto era eccessivo.

Ritornaiall'ufficio ove appresi che c'era alla Borsa di nuovo un lieveaccenno all'ascesalievissimoma già tale che si potevasperare di ritrovare il giorno dopoall'aperturai corsi dellamattina.

Dopocena dovetti andar da Ada da solo perché Augusta fu impeditadi accompagnarmi per una indisposizione della bambina. Fui ricevutodalla signora Malfenti che mi disse che doveva attendere a qualchelavoro in cucina e che perciò avrebbe dovuto lasciarmi solocon Ada. Poi mi confessò che Ada l'aveva pregata di lasciarlasola con me perché voleva dirmi qualche cosa che non dovevaesser sentito da altri. Prima di lasciarmi in quel salottino ove giàdue volte m'ero trovato con Adala signora Malfenti mi dissesorridendo:

-Sainon è ancora disposta a perdonarti la tua assenza dalfunerale di Guidoma... quasi!

Inquel camerino mi batteva sempre il cuore. Questa volta non per iltimore di vedermi amato da chi non amavo. Da pochi istanti e solo perle parole della signora Malfentiavevo riconosciuto di aver commessauna grave mancanza verso la memoria del povero Guido. La stessa Adaora che sapeva che a scusare tale mancanza le offrivo un patrimonionon sapeva perdonarmi subito. M'ero seduto e guardavo i ritratti deigenitori di Guido. Il vecchio Cada aveva un'aria disoddisfazione che mi pareva dovuta al mio operatomentre la madre diGuidouna donna magra vestita di un vestito dalle maniche abbondantie un cappellino che le stava in equilibrio su una montagna dicapelliaveva l'aria molto severa. Ma già! Ognuno dinanzialla macchina fotografica assume un altro aspetto ed io guardaialtrove sdegnato con me stesso d'indagare quelle faccie. La madre nonpoteva certo aver previsto ch'io non avrei assistito all'interramentodel figlio!

Mail modo come Ada mi parlò fu una dolorosa sorpresa. Essadoveva aver studiato a lungo quello ch'essa voleva dirmi e non tenneaddirittura conto delle mie spiegazionidelle mie proteste e dellemie rettifiche ch'essa non poteva aver previste e cui perciònon era preparata. Corse la sua via come un cavallo spaventatofinoin fondo.

Entròvestita semplicemente di una vestaglia nerala capigliatura nelgrande disordine di capelli sconvolti e fors'anche strappati da unamano che s'accanisce a trovar da far qualche cosaquando non puòaltrimenti lenire. Giunse fino al tavolino a cui ero seduto e vi siappoggiò con le mani per vedermi meglio. La sua faccina era dinuovo dimagrata e liberata da quella strana salute che le crescevafuori di posto. Non era bella come quando Guido l'aveva conquistatama nessuno guardandola avrebbe ricordata la malattia. Non c'era!C'era invece un dolore tanto grande che la rilevava tutta. Io locompresi tanto bene quell'enorme doloreche non seppi parlare.Finché la guardai pensai: "quali parole potrei dirle chepotrebbero equivalere a prenderla fraternamente fra le mie bracciaper confortarla e indurla a piangere e sfogarsi?". Poiquandomi sentii aggreditovolli reagirema troppo debolmente ed essa nonmi sentì.

Essadissedissedisse ed io non so ripetere tutte le sue parole. Se nonsbaglio cominciò col ringraziarmi seriamentema senza caloredi aver fatto tanto per lei e per i bambini. Poi subito rimproverò:

-Così hai fatto in modo ch'egli è morto proprio per unacosa che non ne valeva la pena!

Poiabbassò la voce come se avesse voluto tener segreto quello chemi diceva e nella sua voce vi fu maggior caloreun calore cherisultava dal suo affetto per Guido e (o mi parve?) anche per me:

-Ed io ti scuso per non esser venuto al suo funerale. Tu non potevifarlo ed io ti scuso. Anche lui ti scuserebbe se fosse ancora vivo.Che ci avresti fatto tu al suo funerale? Tu che non lo amavi! Buonocome seiavresti potuto piangere per meper le mie lagrimema nonper lui che tu... odiavi! Povero Zeno! Fratello mio!

Eraenorme che mi si potesse dire una cosa simile alterando in tale modola verità. Io protestaima essa non mi sentì. Credo diaver urlato o almeno ne sentii lo sforzo nella strozza:

-Ma è un erroreuna menzognauna calunnia. Come fai a credereuna cosa simile?

Essacontinuò sempre a bassa voce:

-Ma neppure io seppi amarlo. Non lo tradii neppure col pensieromasentivo in modo che non ebbi la forza di proteggerlo. Guardavo aituoi rapporti con tua moglie e li invidiavo. Mi parevano migliori diquelli ch'egli mi offriva. Ti sono grata di non essere intervenuto alfunerale perché altrimenti non avrei neppur oggi compresonulla. Così invece vedo e intendo tutto. Anche che io nonl'amai: altrimenti come avrei potuto odiare persino il suo violinol'espressione più completa del suo grande animo?

Fuallora che io poggiai la mia testa sul braccio e nascosi la miafaccia. Le accuse ch'essa mi rivolgeva erano tanto ingiuste che nonsi potevano discutere ed anche la loro irragionevolezza era tantomitigata dal suo tono affettuoso che la mia reazione non potevaessere aspra come avrebbe dovuto per riuscire vittoriosa. D'altrondegià Augusta m'aveva dato l'esempio di un silenzio riguardosoper non oltraggiare ed esasperare tanto dolore. Quando però imiei occhi si chiuseronell'oscurità vidi che le sue paroleavevano creato un mondo nuovo come tutte le parole non vere. Mi parved'intendere anch'io di aver sempre odiato Guido e di essergli statoaccantoassiduoin attesa di poter colpirlo. Essa poi aveva messoGuido insieme al suo violino. Se non avessi saputo ch'essa brancolavanel suo dolore e nel suo rimorsoavrei potuto credere che quelviolino fosse stato sfoderato come parte di Guido per convinceredell'accusa di odio l'animo mio.

Poinell'oscurità rividi il cadavere di Guido e nella sua facciasempre stampato lo stupore di essere làprivato dalla vita.Spaventato rizzai la testa. Era preferibile affrontare l'accusa diAda che io sapevo ingiusta che guardare nell'oscurità.

Maessa parlava sempre di me e di Guido:

-E tupovero Zenosenza saperlocontinuavi a vivergli accantoodiandolo. Gli facevi del bene per mio amore. Non si poteva! Dovevafinire così! Anch'io credetti una volta di poter approfittaredell'amore ch'io sapevo tu mi serbavi per aumentare d'intorno a luila protezione che poteva essergli utile. Non poteva essere protettoche da chi lo amava efra noinessuno l'amò.

-Che cosa avrei potuto fare di più per lui? - domandai iopiangendo a calde lacrime per far sentire a lei e a me stesso la miainnocenza. Le lacrime sostituiscono talvolta un grido. Io non volevogridare ed ero persino dubbioso se dovessi parlare. Ma dovevosoverchiare le sue asserzioni e piansi.

-Salvarlocaro fratello! Io o tunoi si avrebbe dovuto salvarlo. Ioinvece gli stetti accanto e non seppi farlo per mancanza di veroaffetto e tu restasti lontanoassentesempre assente finchéegli non fu sepolto. Poi apparisti sicuro armato di tutto il tuoaffetto. Maprimadi lui non ti curasti. Eppure fu con te fino allasera. E tu avresti potuto immaginarese di lui ti fossi preoccupatoche qualche cosa di grave stava per succedere.

Lelacrime m'impedivano di parlarema borbottai qualche cosa che dovevastabilire il fatto che la notte innanzi egli l'aveva passata adivertirsi in palude a cacciaper cui nessuno a questo mondo avrebbepotuto prevedere quale uso egli avrebbe fatto della notte seguente.

 

-Egli abbisognava della cacciaegli ne abbisognava! - mi rampognòessa ad alta voce. Eppoicome se lo sforzo di quel grido fosse statosoverchioessa tutt'ad un tratto crollò e s'abbattépriva di sensi sul pavimento.

Miricordo che per un istante esitai di chiamare la signora Malfenti. Mipareva che quello svenimento rivelasse qualche cosa di quanto avevadetto.

Accorserola signora Malfenti e Alberta. La signora Malfenti sostenendo Ada midomandò:

-Ha parlato con te di quelle benedette operazioni di Borsa? - Poi: - Èil secondo svenimento quest'oggi!

Mipregò di allontanarmi per un istante ed io andai sul corridoioove attesi per sapere se dovevo rientrare o andarmene. Mi preparavoad ulteriori spiegazioni con Ada. Essa dimenticava che se si fosseproceduto come io l'avevo propostola disgrazia sicuramente sarebbestata evitata. Bastava dirle questo per convincerla del torto ch'essami faceva.

Pocodopola signora Malfenti mi raggiunse e mi disse che Ada erarinvenuta e che voleva salutarmi. Riposava sul divano su cui fino apoco prima ero stato seduto io. Vedendomisi mise a piangere efurono le prime lagrime ch'io le vidi spargere. Mi porse la maninamadida di sudore:

-Addiocaro Zeno! Te ne pregoricorda! Ricorda sempre! Nondimenticarlo!

Intervennela signora Malfenti a domandare quello che avessi da ricordare ed iole dissi che Ada desiderava che subito fosse liquidata tutta laposizione di Guido alla Borsa. Arrossii della mia bugia e temettianche una smentita da parte di Ada. Invece di smentirmi essa si misead urlare:

-Sì! Sì! Tutto dev'essere liquidato! Di quell'orribileBorsa non voglio più sentirne parlare!

Eradi nuovo più pallida e la signora Malfentiper quietarlal'assicurò che subito sarebbe stato fatto com'essa desiderava.

Poila signora Malfenti m'accompagnò alla porta e mi pregòdi non precipitare le cose: facessi il meglio che credessinell'interesse di Guido. Ma io risposi che non mi fidavo più.Il rischio era enorme e non potevo più osare di trattare aquel modo gl'interessi altrui. Non credevo più nel giuoco diBorsa o almeno mi mancava la fiducia che il mio "succhiellare"potesse regolarne l'andamento. Dovevo liquidare perciò subitoben contento che fosse andata così.

Nonripetei ad Augusta le parole di Ada. Perché avrei dovutoaffliggerla? Ma quelle paroleanche perché non le riferii adalcunorestarono a martellarmi l'orecchioe m'accompagnarono perlunghi anni. Risuonano tuttavia nell'anima mia. Tante volte ancoraoggidì le analizzo. Io non posso dire di aver amato Guidomaciò solo perché era stato uno strano uomo. Ma glistetti accanto fraternamente e lo assistetti come seppi. Ilrimprovero di Ada non lo merito.

Conlei non mi trovai mai più da solo. Essa non sentì ilbisogno di dirmi altro né io osai esigere una spiegazioneforse per non rinnovarle il dolore.

InBorsa la cosa finì come avevo previsto e il padre di Guidodopo che col primo dispaccio gli era stata avvisata la perdita ditutta la sua sostanzaebbe certamente piacere a ritrovarne la metàintatta.

Operamia di cui non seppi godere come m'ero atteso.

Adami trattò affettuosamente tutto il tempo fino alla suapartenza per Buenos Aires ove coi suoi bambini andò araggiungere la famiglia del marito. Amava di ritrovarsi con me edAugusta. Io talvolta volli figurarmi che tutto quel suo discorsofosse stato dovuto ad uno scoppio di dolore addirittura pazzesco ech'essa neppure lo ricordasse. Ma poi una volta che si riparlòin nostra presenza di Guidoessa ripeté e confermò indue parole tutto quello che quel giorno essa m'aveva detto:

-Non fu amato da nessunoil poverino!

Almomento d'imbarcarsi con in braccio uno dei suoi bambini lievementeindispostoessa mi baciò. Poiin un momento in cui nessunoci stava accanto essa mi disse:

-AddioZenofratello mio. Io ricorderò sempre che non seppiamarlo abbastanza. Devi saperlo! Io abbandono volentieri il miopaese. Mi pare di allontanarmi dai miei rimorsi!

Larimproverai di crucciarsi così. Dichiarai ch'essa era statauna buona moglie e che io lo sapevo e avrei potuto testimoniarlo. Nonso se riuscii a convincerla. Essa non parlò piùvintadai singhiozzi. Poimolto tempo doposentii che congedandosi da meessa aveva voluto con quelle parole rinnovare anche i rimproverifatti a me. Ma so ch'essa mi giudicò a torto. Certo io non hoda rimproverarmi di non aver voluto bene a Guido.

Lagiornata era torbida e fosca. Pareva che una sola nube distesa eniente minacciosa offuscasse il cielo. Dal porto tentava di uscire aforza di remi un grande bragozzo le cui vele pendevano inerti daglialberi. Due soli uomini vogavano econ colpi innumeriarrivavanoappena a muovere il grosso bastimento. Al largo avrebbero trovata unabrezza favorevoleforse.

Adadalla tolda del piroscafosalutava agitando il suo fazzoletto. Poici volse le spalle. Certo guardava verso sant'Anna ove riposavaGuido. La sua figurina elegante diveniva più perfetta quantopiù si allontanava. Io ebbi gli occhi offuscati dalle lacrime.Ecco ch'essa ci abbandonava e che mai più avrei potutoprovarle la mia innocenza.





8.Psico-analisi

3Maggio 1915

L'hofinita con la psico-analisi. Dopo di averla praticata assiduamenteper sei mesi interi sto peggio di prima. Non ho ancora congedato ildottorema la mia risoluzione è irrevocabile. Ieri intantogli mandai a dire ch'ero impeditoe per qualche giorno lascio chem'aspetti. Se fossi ben sicuro di saper ridere di lui senz'adirarmisarei anche capace di rivederlo. Ma ho paura che finirei colmettergli le mani addosso.

Inquesta cittàdopo lo scoppio della guerraci si annoia piùdi prima eper rimpiazzare la psico-analisiio mi rimetto ai mieicari fogli. Da un anno non avevo scritto una parolain questo comein tutto il resto obbediente alle prescrizioni del dottore il qualeasseriva che durante la cura dovevo raccogliermi solo accanto a luiperché un raccoglimento da lui non sorvegliato avrebberafforzati i freni che impedivano la mia sinceritàil mioabbandono. Ma ora mi trovo squilibrato e malato più che mai escrivendocredo che mi netterò più facilmente del maleche la cura m'ha fatto. Almeno sono sicuro che questo è ilvero sistema per ridare importanza ad un passato che più nonduole e far andare via più rapido il presente uggioso.

Tantofiduciosamente m'ero abbandonato al dottore che quando egli mi dissech'ero guaritogli credetti con fede intera e invece non credetti aimiei dolori che tuttavia m'assalivano. Dicevo loro: "Non sietemica voi!". Ma adesso non v'è dubbio! Son proprio loro!Le ossa delle mie gambe si sono convertite in lische vibranti cheledono la carne e i muscoli.

Madi ciò non m'importerebbe gran fatto e non è questa laragione per cui lascio la cura. Se le ore di raccoglimento presso ildottore avessero continuato ad essere interessanti apportatrici disorprese e di emozioninon le avrei abbandonate oper abbandonarleavrei atteso la fine della guerra che m'impedisce ogni altraattività. Ma ora che sapevo tuttocioè che non sitrattava d'altro che di una sciocca illusioneun trucco buono percommuovere qualche vecchia donna istericacome potevo sopportare lacompagnia di quell'uomo ridicolocon quel suo occhio che vuoleessere scrutatore e quella sua presunzione che gli permette diaggruppare tutti i fenomeni di questo mondo intorno alla sua grandenuova teoria? Impiegherò il tempo che mi resta liberoscrivendo. Scriverò intanto sinceramente la storia della miacura. Ogni sincerità fra me e il dottore era sparita ed orarespiro. Non m'è più imposto alcuno sforzo. Non debbocostringermi ad una fede né ho da simulare di averla. Proprioper celare meglio il mio vero pensierocredevo di dover dimostrargliun ossequio supino e lui ne approfittava per inventarne ogni giornodi nuove. La mia cura doveva essere finita perché la miamalattia era stata scoperta. Non era altra che quella diagnosticata asuo tempo dal defunto Sofocle sul povero Edipo: avevo amata mia madree avrei voluto ammazzare mio padre.

Néio m'arrabbiai! Incantato stetti a sentire. Era una malattia che mielevava alla più alta nobiltà. Cospicua quella malattiadi cui gli antenati arrivavano all'epoca mitologica! E non m'arrabbioneppure adesso che sono qui solo con la penna in mano. Ne rido dicuore. La miglior prova ch'io non ho avuta quella malattia risultadal fatto che non ne sono guarito. Questa prova convincerebbe ancheil dottore. Se ne dia pace: le sue parole non poterono guastare ilricordo della mia giovinezza. Io chiudo gli occhi e vedo subito puroinfantileingenuoil mio amore per mia madreil mio rispetto ed ilgrande mio affetto per mio padre.

Ildottore presta una fede troppo grande anche a quelle mie benedetteconfessioni che non vuole restituirmi perché le riveda. Diomio! Egli non studiò che la medicina e perciò ignorache cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e nonsappiamo scrivere il dialetto. Una confessione in iscritto èsempre menzognera. Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo! Seegli sapesse come raccontiamo con predilezione tutte le cose per lequali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle che ciobbligherebbero di ricorrere al vocabolario! È proprio cosìche scegliamo dalla nostra vita gli episodi da notarsi. Si capiscecome la nostra vita avrebbe tutt'altro aspetto se fosse detta nelnostro dialetto.

Ildottore mi confessò chein tutta la sua lunga praticagiammai gli era avvenuto di assistere ad un'emozione tanto forte comela mia all'imbattermi nelle immagini ch'egli credeva di aver saputoprocurarmi. Perciò anche fu tanto pronto a dichiararmiguarito.

Edio non simulai quell'emozione. Fu anzi una delle più profondech'io abbia avuta in tutta la mia vita. Madida di sudore quandol'immagine creaidi lagrime quando l'ebbi. Io avevo giàadorata la speranza di poter rivivere un giorno d'innocenza ed'ingenuità. Per mesi e mesi tale speranza mi resse e m'animò.Non si trattava forse di ottenere col vivo ricordo in pieno invernole rose del Maggio? Il dottore stesso assicurava che il ricordosarebbe stato lucente e completotale che avrebbe rappresentato ungiorno di più della mia vita. Le rose avrebbero avuto il loropieno effluvio e magari anche le loro spine.

Ècosì che a forza di correr dietro a quelle immaginiio leraggiunsi. Ora so di averle inventate. Ma inventare è unacreazionenon già una menzogna. Le mie erano delle invenzionicome quelle della febbreche camminano per la stanza perchéle vediate da tutti i lati e che poi anche vi toccano. Avevano lasoliditàil colorela petulanza delle cose vive. A forza didesiderioio proiettai le immaginiche non c'erano che nel miocervellonello spazio in cui guardavouno spazio di cui sentivol'ariala luce ed anche gli angoli contundenti che non mancarono inalcuno spazio per cui io sia passato.

Quandoarrivai al torpore che doveva facilitare l'illusione e che mi parevanient'altro che l'associazione di un grande sforzo con una grandeinerziacredetti che quelle immagini fossero delle vere riproduzionidi giorni lontani. Avrei potuto sospettare subito che non erano taliperchéappena svanitele ricordavomasenz'alcun'eccitazione o commozione. Le ricordavo come si ricorda ilfatto raccontato da chi non vi assistette. Se fossero state vereriproduzioni avrei continuato a riderne e a piangerne come quando leavevo avute.

Eil dottore registrava. Diceva: "Abbiamo avuto questoabbiamoavuto quello". In veritànoi non avevamo più chedei segni graficidegli scheletri d'immagini.

Fuiindotto a credere che si trattasse di una rievocazione della miainfanzia perché la prima delle immagini mi pose in un'epocarelativamente recente di cui avevo conservato anche prima un pallidoricordo ch'essa parve confermare. C'è stato un anno nella miavita in cui io andavo a scuola e mio fratello non ancora. E parevafosse appartenuta a quell'anno l'ora che rievocai. Io mi vidi usciredalla mia villa una mattina soleggiata di primaverapassare per ilnostro giardino per scendere in cittàgiùgiùtenuto per mano da una nostra vecchia fantescaCatina. Mio fratellonella scena che sognai non apparivama ne era l'eroe. Io lo sentivoin casa libero e felice mentre io andavo a scuola. Vi andavo coisinghiozzi nella golail passo riluttante enell'animoun intensorancore. Io non vidi che una di quelle passeggiate alla scuolama ilrancore nel mio animo mi diceva che ogni giorno io andavo a scuola edogni giorno mio fratello restava a casa. All'infinitomentre inverità credo chedopo non lungo tempomio fratello piùgiovine di me di un anno solosia andato a scuola anche lui. Maallora la verità del sogno mi parve indiscutibile: io erocondannato ad andare sempre a scuola mentre mio fratello aveva ilpermesso di restare a casa. Camminando a canto a Catina calcolavo ladurata della tortura: fino a mezzodì! Mentre lui è acasa! E ricordavo anche che nei giorni precedenti dovevo essere statoturbato a scuola da minaccie e rampogne e che io avevo pensato ancheallora: a lui non possono toccare. Era stata una visione diun'evidenza enorme. Catina che io avevo conosciuta piccolam'eraparsa grandecertamente perché io ero tanto piccolo.Vecchissima m'era sembrata anche allorama si sa che i giovanissimivedono sempre vecchi gli anziani. E sulla via che io dovevopercorrere per andare a scuolascorsi anche i colonnini strani chearginavano in quel tempo i marciapiedi della nostra città.Vero è che io nacqui abbastanza presto per vedere ancora daadulto quei colonnini nelle nostre vie centriche. Ma nella via che iocon Catina quel giorno percorsinon ci furono più non appenaio uscii dall'infanzia.

Lafede nell'autenticità di quelle immagini perdurò nelmio animo anche quandoprestostimolata da quel sognola miafredda memoria scoperse altri particolari di quell'epoca. Ilprincipale: anche mio fratello invidiava me perché io andavo ascuola. Ero sicuro d'essermene avvistoma non subito ciòbastò ad infirmare la verità del sogno. Piùtardi gli tolse ogni aspetto di verità: la gelosia in realtàc'era statama nel sogno era stata spostata.

Laseconda visione mi riportò anch'essa ad un'epoca recentebenché anteriore di molto a quella della prima: una stanzadella mia villama non so qualeperché più vasta diqualunque altra che vi è realmente. È strano che io mivedevo chiuso in quella stanza e che subito ne seppi un particolareche dalla semplice visione non poteva essere risultato: la stanza eralontana dal posto ove allora soggiornavano mia madre e Catina.

Edun secondo: io ancora non sono stato a scuola.

Lastanza era tutta bianca ed anzi io non vidi giammai una stanza tantobianca né tanto completamente illuminata dal sole. Il sole diallora passava traverso le pareti? Esso era certamente giàaltoma io mi trovavo tuttavia nel mio letto con in mano una tazzada cui avevo sorbito tutto il caffelatte e nella quale continuavo alavorare con un cucchiaino traendone lo zucchero. Ad un certo puntoil cucchiaio non arrivò più a raccoglierne altro edallora io tentai di arrivare al fondo della tazza con la mia lingua.Ma non vi riuscii. Perciò finii col tenere la tazza in unamano e il cucchiaio nell'altra e stetti a guardare mio fratellocoricato nel letto accanto al mio cometardivostava ancorasorbendo il caffè col naso nella tazza. Quando levòfinalmente la facciaio la vidi tutta come si contrasse ai raggi delsole che la colpirono in pieno mentre la mia (Dio ne sa il perché)si trovava nell'ombra. Il suo viso era pallido ed un poco imbruttitoda un lieve prognatismo. Mi disse:

-Mi presti il tuo cucchiaio?

Alloraappena m'avvidi che Catina aveva dimenticato di portargli ilcucchiaio. Subito e senz'alcuna esitazione gli risposi:

-Sì! Se mi dài in compenso un poco del tuo zucchero.

Tenniin alto il cucchiaio per farne rilevare il valore. Ma subito la vocedi Catina risuonò nella stanza:

-Vergogna! Strozzino!

Lospavento e la vergogna mi fecero ripiombare nel presente. Avreivoluto discutere con Catinama leimio fratello ed iocome erofatto allorapiccoloinnocente e strozzinosparimmo ripiombandonell'abisso.

Rimpiansidi aver sentita tanto forte quella vergogna da aver distruttal'immagine cui ero arrivato con tanta fatica. Avrei fatto tanto benedi offrire invece mitemente e gratis il cucchiaino e nondiscutere quella mia mala azione ch'era probabilmente la prima cheavessi commessa. Forse Catina avrebbe invocato l'ausilio di mia madreper infliggermi una punizione ed io finalmente l'avrei rivista.

Lavidi però pochi giorni appresso o credetti di rivederla. Avreipotuto intendere subito ch'era un'illusione perché l'immaginedi mia madrecome l'avevo evocatasomigliava troppo al suo ritrattoche ho sul mio letto. Ma devo confessare che nell'apparizione miamadre si mosse come una persona viva.

Moltomolto soletanto da abbacinare! Da quella ch'io credevo la miagiovinezza mi perveniva tanto di quel sole ch'era difficile dubitarenon fosse dessa. Il nostro tinello nelle ore pomeridiane. Mio padre èritornato a casa e siede su un sofà accanto a mamma che staimprimendo con certo inchiostro indelebile delle iniziali su moltabiancheria distribuita sul tavolo a cui essa siede. Io mi trovo sottoil tavolo dove giuoco con delle pallottole. M'avvicino sempre piùa mamma. Probabilmente desidero ch'essa s'associ ai miei giuochi. Aun dato puntoper rizzarmi in piedi fra di lorom'aggrappo allabiancheria che pende dal tavolo e allora avviene un disastro. Laboccetta d'inchiostro mi capita sulla testabagna la mia faccia e lemie vestila gonna di mamma e produce una lieve macchia anche suicalzoni di papà. Mio padre alza una gamba per appiopparmi uncalcio...

Maio in tempo ero ritornato dal mio lontano viaggio e mi trovavo alsicuro quiadultovecchio. Devo dirlo! Per un istante soffersidella punizione minacciatami e subito dopo mi dolse di non averpotuto assistere all'atto di protezione che senza dubbio saràpartito da mamma. Ma chi può arrestare quelle immagini quandosi mettono a fuggire traverso quel tempo che giammai somigliòtanto allo spazio? Quest'era il mio concetto finché credettinell'autenticità di quelle immagini! Orapurtroppo (oh!quanto me ne dolgo!) non ci credo più e so che non erano leimmagini che correvano viama i miei occhi snebbiati che guardavanodi nuovo nel vero spazio in cui non c'è posto per fantasmi.

Racconteròancora delle immagini di un altro giorno alle quali il dottoreattribuì tale importanza da dichiararmi guarito.

Nelmezzo sonno cui m'abbandonai ebbi un sogno dall'immobilitàdell'incubo. Sognai di me stesso ridivenuto bambino e soltanto pervedere quel bambino come sognava anche lui. Giaceva muto in preda aduna letizia che pervadeva il suo minuto organismo. Gli pareva di averfinalmente raggiunto il suo antico desiderio. Eppure giaceva làsolo e abbandonato! Ma vedeva e sentiva con quell'evidenza come si savedere e sentire nel sogno anche le cose lontane. Il bambinogiacendo in una stanza della mia villavedeva (Dio sa in quale modo)che sul tetto della stessa ci fosse una gabbia murata su basisolidissimepriva di porte e di finestrema illuminata di quantaluce può far piacere e fornita di aria pura e profumata. Ed ilbambino sapeva che a quella gabbia egli solo avrebbe saputo giungeree senza neppur andare perché forse la gabbia sarebbe venuta alui. In quella gabbia non v'era che un solo mobileuna poltrona e suquesta sedeva una donna formosacostruita deliziosamentevestita dinerobiondadagli occhi grandi e azzurrile mani bianchissime e ipiedi piccoli in scarpine laccate delle qualidi sotto alle gonnesporgeva solo un lieve bagliore. Devo dire che quella donna mi parevauna cosa sola col suo vestito nero e le sue scarpine di lacca. Tuttoera lei! Ed il bambino sognava di possedere quella donnama nel modopiù strano: era sicuro cioè di poter mangiarne deipezzettini al vertice e alla base.

Adessopensandocisono stupito che il dottore che ha lettoa quanto nedicecon tanta attenzione il mio manoscritto non abbia ricordato ilsogno ch'io ebbi prima di andar a raggiungere Carla. A me qualchetempo dopoquando ci ripensaiparve che questo sogno non fossealtro che l'altro un po' variatoreso più infantile.

Inveceil dottore registrò accuratamente tutto eppoi mi domandòcon aspetto un po' melenso:

-Vostra madre era bionda e formosa?

Fuistupito della domanda e risposi che anche mia nonna era stata tale.Ma per lui ero guaritoben guarito. Spalancai la bocca per gioirnecon lui e m'adattai a quanto doveva seguirecioè non piùindaginiricerchemeditazionima una vera e assidua rieducazione.

Daallora quelle sedute furono una vera tortura ed io le continuai soloperché m'è sempre stato tanto difficile di fermarmiquando mi movo o di mettermi in movimento quando son fermo. Qualchevoltaquando egli me ne diceva di troppo grossearrischiavo qualcheobbiezione. Non era mica vero - com'egli lo credeva - che ogni miaparolaogni mio pensiero fosse di delinquente. Egli allora facevatanto d'occhi. Ero guarito e non volevo accorgermene! Era una veracecità questa: avevo appreso che avevo desiderato di portarvia la moglie - mia madre! - a mio padre e non mi sentivo guarito?Inaudita ostinazione la mia: però il dottore ammetteva chesarei guarito ancora meglio quando fosse finita la mia rieducazionein seguito alla quale mi sarei abituato a considerare quelle cose (ildesiderio di uccidere il padre e di baciare la propria madre) comecose innocentissime per le quali non c'era da soffrire di rimorsiperché avvenivano frequentemente nelle migliori famiglie. Infondo che cosa ci perdevo? Egli un giorno mi disse ch'io oramai erocome un convalescente che ancora non s'era abituato a vivere privo difebbre. Ebbene: avrei atteso di abituarmivi.

Eglisentiva che non ero ancora ben suo ed oltre alla rieducazioneditempo in temporitornava anche alla cura. Tentava di nuovo i sognima di autentici non ne ebbimo più alcuno. Seccato di tantaattesafinii coll'inventarne uno. Non l'avrei fatto se avessi potutoprevedere la difficoltà di una simile simulazione. Non èmica facile di balbettare come se ci si trovasse immersi in un mezzosognocoprirsi di sudore o sbiancarsinon tradirsieventualmentediventar vermigli dallo sforzo e non arrossire: parlai come se fossiritornato alla donna della gabbia e l'avessi indotta a porgermi perun buco improvvisamente prodottosi nella parete dello stanzino un suopiede da succhiare e mangiare. "Il sinistroil sinistro!"mormorai mettendo nella visione un particolare curioso che potessefarla somigliare meglio ai sogni precedenti. Dimostravo cosìanche di aver capito perfettamente la malattia che il dottore esigevada me. Edipo infantile era fatto proprio così: succhiava ilpiede sinistro della madre per lasciare il destro al padre. Nel miosforzo d'immaginare realmente (tutt'altro che una contraddizionequesta) ingannai anche me stesso col sentire il sapore di quel piede.Quasi dovetti recere.

Nonsolo il dottore ma anch'io avrei desiderato di esser visitato ancorada quelle care immagini della mia gioventùautentiche o menoma che io non avevo avuto bisogno di costruire. Visto che accanto aldottore non venivano piùtentai di evocarle lontano da lui.Da solo ero esposto al pericolo di dimenticarlema già io nonmiravo mica ad una cura! Io volevo ancora rose del Maggio inDicembre. Le avevo già avute; perché non avrei potutoriaverle?

Anchenella solitudine m'annoiai abbastanzama poiinvece delle immaginivenne qualche cosa che per qualche tempo le sostituì.Semplicemente credetti di aver fatta un'importante scopertascientifica. Mi credetti chiamato a completare tutta la teoria deicolori fisiologici. I miei predecessoriGoethe e Schopenhauernonavevano mai immaginato dove si potesse arrivare maneggiando abilmentei colori complementari.

Bisognasapere ch'io passavo il mio tempo gettato sul sofà di facciaalla finestra del mio studio donde vedevo un pezzo di mare ed'orizzonte. Ora una sera dal tramonto colorito nel cielofrastagliato di nubim'indugiai lungamente ad ammirare su un lembolimpidoun colore magnificoverdepuro e mite. Nel cielo c'eraanche molto color rosso ancora pallidosbiaccato dai direttibianchi raggi del sole. Abbacinatodopo un certo intervallo ditempochiusi gli occhi e si vide che al verde era stata rivolta lamia attenzioneil mio affettoperché sulla mia rètinasi produsse il suo colore complementareun rosso smagliante che nonaveva nulla da fare col rosso luminosoma pallido nel cielo.Guardaiaccarezzai quel colore fabbricato da me. La grande sorpresala ebbi quando una volta aperti gli occhividi quel rossofiammeggiante invadere tutto il cielo e coprire anche il verdesmeraldo che per lungo tempo non ritrovai più. Ma iodunqueavevo scoperto il modo di tingere la natura! Naturalmentel'esperimento fu da me ripetuto più volte. Il bello si èche v'era anche del movimento in quella colorazione. Quando riaprivogli occhiil cielo non accettava subito il colore dalla mia rètina.V'era anzi un istante di esitazione nel quale arrivavo ancora arivedere il verde smeraldo che aveva figliato quel rosso da cuisarebbe stato distrutto. Questo sorgeva dal fondoinaspettato e sidilatava come un incendio spaventoso.

Quandofui sicuro dell'esattezza della mia osservazionela portai aldottore nella speranza di ravvivare con essa le nostre noiose sedute.Il dottore mi saldò dicendomi che io avevo la rètinapiù sensibile causa la nicotina. Quasi mi sarei lasciatoscappar detto che in allora anche le immaginiche noi avevamoattribuite a riproduzioni di avvenimenti della mia gioventùpotevano invece esser derivate dall'effetto dello stesso veleno. Macosì gli avrei rivelato che non ero guarito ed egli avrebbecercato d'indurmi a ricominciare la cura da capo.

Eppurequel bestione non sempre mi credette tanto avvelenato. Ciòviene provato anche dalla rieducazione ch'egli tentò perguarirmi da quella ch'egli diceva la mia malattia del fumo. Ecco lesue parole: il fumo non mi faceva male e quando mi fossi convintoch'era innocuo sarebbe stato veramente tale. Eppoi continuava: oramaiche i rapporti con mio padre erano stati riportati alla luce delgiorno e ripresentati al mio giudizio di adultopotevo intendere cheavevo assunto quel vizio per competere con mio padre e attribuito uneffetto velenoso al tabacco per il mio intimo sentimento morale chevolle punirmi della mia competizione con lui.

Quelgiorno lasciai la casa del dottore fumando come un turco. Si trattavadi fare una prova ed io mi vi prestai volontieri. Per tutto il giornofumai ininterrottamente. Seguì poi una notte del tuttoinsonne. La mia bronchite cronica aveva rifiorito e di quella nonc'era dubbio perché era facile scoprirne le conseguenze nellasputacchiera.

Ilgiorno appresso raccontai al dottore di aver fumato molto e che oranon me ne importava più. Il dottore mi guardòsorridendo e io indovinai che il petto gli si gonfiava dall'orgoglio.Con calma riprese la mia rieducazione! Procedeva con la sicurezza diveder fiorire ogni zolla su cui poneva il piede.

 

Diquella rieducazione ricordo pochissimo. Io la subii e quando uscivoda quella stanza mi scotevo come un cane ch'esce dall'acqua edanch'io restavo umidoma non bagnato.

Ricordoperò con indignazione che il mio educatore asseriva che ildottor Coprosich avesse avuto ragione di dirigermi le parole cheavevano provocato tanto mio risentimento. Ma allora io avrei meritatoanche lo schiaffo che mio padre volle darmi morendo? Non so se egliabbia detto anche questo. So invece con certezza ch'egli asserivach'io avessi odiato anche il vecchio Malfenti che avevo messo alposto di mio padre. Tanti a questo mondo credono di non saper viveresenza un dato affetto; ioinvecesecondo luiperdevo l'equilibriose mi mancava un dato odio. Ne sposai una o l'altra delle figliuoleed era indifferente quale perché si trattava di mettere illoro padre ad un posto dove il mio odio potesse raggiungerlo. Eppoisfregiai la casa che avevo fatta mia come meglio seppi. Tradii miamoglie ed è evidente che se mi fosse riuscito avrei sedottaAda ed anche Alberta. Naturalmente io non penso di negare questo edanzi mi fece da ridere quando dicendomelo il dottore assunsel'aspetto di Cristoforo Colombo allorché raggiunge l'America.Credo però ch'egli sia il solo a questo mondo il qualesentendo che volevo andare a letto con due bellissime donne sidomanda: vediamo perché costui vuole andare a letto con esse.

Mifu anche più difficile di sopportare quello ch'egli credettedi poter dire dei miei rapporti con Guido. Dal mio stesso raccontoegli aveva appreso dell'antipatia che aveva accompagnato l'iniziodella mia relazione con lui. Tale antipatia non cessò maisecondo lui e Ada avrebbe avuto ragione di vederne l'ultimamanifestazione nella mia assenza dal suo funerale. Non ricordòch'io ero allora intento nella mia opera d'amore di salvare ilpatrimonio di Adané io mi degnai di ricordarglielo.

Pareche il dottore a proposito di Guido abbia fatte anche delle indagini.Egli asserisce chescelto da Adaegli non poteva essere quale io lodescrissi. Scoperse che un grandioso deposito di legnamivicinissimoalla casa dove noi pratichiamo la psico-analisiera appartenuto alladitta Guido Speier e C. Perché non ne avevo io parlato?

Sene avessi parlato sarebbe stata una nuova difficoltà nella miaesposizione già tanto difficile. Quest'eliminazione non èche la prova che una confessione fatta da me in italiano non potevaessere né completa né sincera. In un deposito dilegnami ci sono varietà enormi di qualità che noi aTrieste appelliamo con termini barbari presi dal dialettodalcroatodal tedesco e qualche volta persino dal francese (zapinp.e. e non equivale mica a sapin ). Chi m'avrebbe fornito ilvero vocabolario? Vecchio come sono avrei dovuto prendere un impiegoda un commerciante in legnami toscano? Del resto il deposito legnamidella ditta Guido Speier e C. non diede che delle perdite. Eppoi nonavevo da parlarne perché rimase sempre inertesalvo quandointervennero i ladri e fecero volare quel legname dai nomi barbaricome se fosse stato destinato a costruire dei tavolini peresperimenti spiritistici.

 

Ioproposi al dottore di prendere delle informazioni su Guido da miamoglieda Carmen oppure da Luciano ch'è un grandecommerciante noto a tutti. A mio sapere egli non s'indirizzò anessuno di costoro e devo credere che se ne astenne per la paura diveder precipitare per quelle informazioni tutto il suo edificio diaccuse e di sospetti. Chissà perché si sia preso ditale odio per me? Anche lui dev'essere un istericone che per averdesiderata invano sua madre se ne vendica su chi non c'entra affatto.

Finìche mi sentii molto stanco di quella lotta che dovevo sostenere coldottore ch'io pagavo. Credo che anche quei sogni non m'abbiano fattobeneeppoi la libertà di fumare quanto volevo finì conl'abbattermi del tutto. Ebbi una buona idea: andai dal dottor Paoli.

Nonl'avevo visto da molti anni. Era un po' incanutitoma la sua figuradi granatiere non era ancora troppo arrotondata dall'etànépiegata. Guardava sempre le cose con un'occhiata che pareva unacarezza. Quella volta scopersi perché mi sembrasse così.Evidentemente a lui fa piacere di guardare e guarda le belle e lebrutte cose con la compiacenza con cui altri accarezza.

Erosalito da lui col proposito di domandargli se credeva dovessicontinuare la psico-analisi. Ma quando mi trovai dinanzi a quel suoocchiofreddamente indagatorenon ne ebbi il coraggio. Forse mirendevo ridicolo raccontando che alla mia età m'ero lasciatoprendere ad una ciarlataneria simile. Mi spiacque di dover tacereperché se il Paoli m'avesse proibita la psico-analisila miaposizione sarebbe stata semplificata di moltoma mi sarebbespiaciuto troppo di vedermi troppo a lungo carezzato da quel suogrande occhio.

Gliraccontai delle mie insonniedella mia bronchite cronicadiun'espulsione alle guancie che allora mi tormentavadi certi dolorilancinanti alle gambe e infine di strane mie smemoratezze.

IlPaoli analizzò la mia orina in mia presenza. Il miscuglio sicolorì in nero e il Paoli si fece pensieroso. Ecco finalmenteuna vera analisi e non più una psico analisi. Mi ricordai consimpatia e commozione del mio passato lontano di chimico e di analisivere: ioun tubetto e un reagente! L'altrol'analizzatodormefinché il reagente imperiosamente non lo desti. La resistenzanel tubetto non c'è o cede alla minima elevazione dellatemperatura e la simulazione manca del tutto. In quel tubetto nonavveniva nulla che potesse ricordare il mio comportamento quando perfar piacere al dottor S. inventavo nuovi particolari della miainfanzia che dovevano confermare la diagnosi di Sofocle. Quiinvecetutto era verità. La cosa da analizzarsi era imprigionata nelprovino esempre uguale a se stessaaspettava il reagente.Quand'esso arrivava essa diceva sempre la stessa parola. Nella psicoanalisi non si ripetono mai né le stesse immagini né lestesse parole. Bisognerebbe chiamarla altrimenti. Chiamiamolal'avventura psichica. Proprio così: quando s'inizia una simileanalisi è come se ci si recasse in un bosco non sapendo sec'imbatteremo in un brigante o in un amico. E non lo si sa neppurequando l'avventura è passata.

Inquesto la psico-analisi ricorda lo spiritismo.

Mail Paoli non credeva che si trattasse di zucchero. Voleva rivedermiil giorno appresso dopo di aver analizzato quel liquido perpolarizzazione.

Iointantome ne andai gloriosocarico di diabete. Fui in procinto diandare dal dottor S. a domandargli com'egli avrebbe ora analizzatonel mio seno le cause di tale malattia per annullarle. Ma diquell'individuo ne avevo avuto abbastanza e non volevo rivederloneppure per deriderlo.

Devoconfessare che il diabete fu per me una grande dolcezza. Ne parlai adAugusta ch'ebbe subito le lacrime agli occhi:

-Hai parlato tanto di malattie in tutta la tua vitache dovevi purfinire coll'averne una! - disse; poi cercò di consolarmi.

Ioamavo la mia malattia. Ricordai con simpatia il povero Copler chepreferiva la malattia reale all'immaginaria. Ero oramai d'accordo conlui. La malattia reale era tanto semplice: bastava lasciarla fare.Infattiquando lessi in un libro di medicina la descrizione dellamia dolce malattiavi scopersi come un programma di vita (non dimorte!) nei varii suoi stadii. Addio propositi: finalmente ne erolibero. Tutto avrebbe seguito la sua via senz'alcun mio intervento.

Scopersianche che la mia malattia era sempre o quasi sempre molto dolce. Ilmalato mangia e beve molto e di grandi sofferenze non ci sono se sibada di evitare i bubboni. Poi si muore in un dolcissimo coma.

Pocodopo il Paoli mi chiamò al telefono. Mi comunicò chenon v'era traccia di zucchero. Andai da lui il giorno appresso e miprescrisse una dieta che non seguii che per pochi giorni e unintruglio che descrisse in una ricetta illeggibile e che mi fece beneper un mese intero.

-Il diabete le ha fatto molta paura? - mi domandò sorridendo.

Protestaima non gli dissi che ora che il diabete m'aveva abbandonato misentivo molto solo. Non m'avrebbe creduto.

Inquel torno di tempo mi capitò in mano la celebre opera deldottor Beard sulla nevrastenia. Seguii il suo consiglio e cambiai dimedicina ogni otto giorni con le sue ricette che copiai con scritturachiara. Per alcuni mesi la cura mi parve buona. Neppure il Copleraveva avuto in vita sua tale abbondante consolazione di medicinalicome io allora. Poi passò anche quella fedema intanto ioavevo rimandato di giorno in giorno il mio ritorno allapsico-analisi.

M'imbatteipoi nel dottor S. Mi domandò se avevo deciso di lasciare lacura. Fu però molto cortesemolto più che non quandomi teneva in mano sua. Evidentemente voleva riprendermi. Io gli dissiche avevo degli affari urgentidelle quistioni di famiglia che mioccupavano e preoccupavano e che non appena mi fossi trovato inquiete sarei ritornato da lui. Avrei voluto pregarlo di restituirmiil mio manoscrittoma non osai; sarebbe equivaluto a confessargliche della cura non volevo più saperne. Riservai un tentativosimile ad altra epoca quand'egli si sarebbe accorto che alla cura nonci pensavo più e vi si fosse rassegnato.

Primadi lasciarmi egli mi disse alcune parole intese a riprendermi:

-Se lei esamina il suo animolo troverà mutato. Vedràche ritornerà subito a me solo che s'accorga come io seppi inun tempo relativamente breve avvicinarla alla salute.

Maioin veritàcredo che col suo aiutoa forza di studiarel'animo miovi abbia cacciato dentro delle nuove malattie.

Sonointento a guarire della sua cura. Evito i sogni ed i ricordi. Peressi la mia povera testa si è trasformata in modo da non sapersentirsi sicura sul collo. Ho delle distrazioni spaventose. Parlo conla gente e mentre dico una cosa tento involontariamente di ricordarneun'altra che poco prima dissi o feci e che non ricordo più oanche un mio pensiero che mi pare di un'importanza enormediquell'importanza che mio padre attribuì a quei pensierich'ebbe poco prima di morire e che pur lui non seppe ricordare.

Senon voglio finire al manicomiovia con questi giocattoli.

15Maggio 1915

Passammodue giorni di festa a Lucinico nella nostra villa. Mio figlio Alfiodeve rimettersi di un'influenza e resterà nella villa con lasorella per qualche settimana. Noi ritorneremo qui per le Pentecoste.

Sonoriuscito finalmente di ritornare alle mie dolci abitudinie a cessardi fumare. Sto già molto meglio dacché ho saputoeliminare la libertà che quello sciocco di un dottore avevavoluto concedermi. Oggi che siamo alla metà del mese sonorimasto colpito della difficoltà che offre il nostrocalendario ad una regolare e ordinata risoluzione. Nessun mese èuguale all'altro. Per rilevare meglio la propria risoluzione sivorrebbe finire di fumare insieme a qualche cosa d'altroil mesep.e. Ma salvo il Luglio e Agosto e il Dicembre e il Gennaio non visono altri mesi che si susseguano e facciano il paio in quanto aquantità di giorni. Un vero disordine nel tempo!

Perraccogliermi meglio passai il pomeriggio del secondo giorno solitarioalle rive dell'Isonzo. Non c'è miglior raccoglimento che stara guardare un'acqua corrente. Si sta fermi e l'acqua correntefornisce lo svago che occorre perché non è uguale a sestessa nel colore e nel disegno neppure per un attimo.

Erauna giornata strana. Certamente in alto soffiava un forte ventoperché le nubi vi mutavano continuamente di formama giùl'atmosfera non si moveva. Avveniva che di tempo in tempotraversole nubi in movimentoil sole già caldo trovasse il pertugioper inondare dei suoi raggi questo o quel tratto di collina o unacima di montagnadando risalto al verde dolce del Maggio in mezzoall'ombra che copriva tutto il paesaggio. La temperatura era mite edanche quella fuga di nubi nel cieloaveva qualche cosa diprimaverile. Non v'era dubbio: il tempo stava risanando!

Fuun vero raccoglimento il miouno di quegl'istanti rari che l'avaravita concededi vera grande oggettività in cui si cessafinalmente di credersi e sentirsi vittima. In mezzo a quel verderilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di soleseppisorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbeun'importanza enorme. Magari a pezzii suoi piedinila sua cinturala sua boccariempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita eanche la mia malattia le amaile intesi! Com'era stata piùbella la mia vita che non quella dei cosidetti sanicoloro chepicchiavano o avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giornosalvo in certi momenti. Ioinveceero stato accompagnato sempredall'amore. Quando non avevo pensato alla mia donnavi avevo pensatoancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altriabbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vitanon fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito interadopo ogni naufragionel sogno di membradi vocidi atteggiamentipiù perfetti.

Inquel momento ricordai che fra le tante bugie che avevo propinate aquel profondo osservatore ch'era il dottor S.c'era anche quellach'io non avessi più tradita mia moglie dopo la partenza diAda. Anche su questa bugia egli fabbricò le sue teorie. Ma làalla riva di quel fiumeimprovvisamentecon spaventoricordaich'era vero che da qualche giornoforse dacché avevoabbandonata la curaio non avevo ricercata la compagnia di altredonne. Che fossi stato guarito come il dottor S. pretende? Vecchiocome sonoda un pezzo le donne non mi guardano più. Se iocesso dal guardare loroecco che ogni relazione fra di noi ètagliata.

Seun dubbio simile mi fosse capitato a Triesteavrei saputo solverlosubito. Qui era alquanto più difficile.

Pochigiorni prima avevo avuto in mano il libro di memorie del Da Pontel'avventuriere contemporaneo del Casanova. Anche lui era passatocertamente per Lucinico ed io sognai d'imbattermi in quelle sue dameincipriate dalle membra celate dalla crinolina. Dio mio! Comefacevano quelle donne ad arrendersi così presto e tanto difrequente essendo difese da tutti quegli stracci?

Miparve che il ricordo della crinolinaad onta della curafosseabbastanza eccitante. Ma il mio era un desiderio alquanto fatturato enon bastò a rassicurarmi.

L'esperienzache cercavo l'ebbi poco dopo e fu sufficiente per rassicurarmimanon mi costò poco. Per averlaturbai e guastai la relazionepiù pura che avessi avuta nella mia vita.

M'imbatteiin Teresinala figlia anziana del colono di una tenuta situataaccanto alla mia villa. Il padreda due anniera rimasto vedovo ela sua numerosa figliuolanza aveva ritrovata la madre in Teresinauna robusta fanciulla che si levava di mattina per lavorareecessava il lavoro per coricarsi e raccogliersi per poter riprendereil lavoro. Quel giorno essa guidava l'asinello di solito affidatoalle cure del fratellino e camminava accanto al carretto carico dierba frescaperché il non grande animale non avrebbe saputoportare su per l'erta lieve anche il peso della fanciulla.

L'annoprima Teresina m'era sembrata tuttavia una bimba e non avevo avutaper lei che una simpatia sorridente e paterna. Ma anche il giornoprimaquando l'avevo rivista per la prima voltaad onta chel'avessi ritrovata cresciutala bruna faccina divenuta piùseriale esili spalle allargate sopra il seno che andava arcuandosinello sviluppo parco del piccolo corpo affaticatoavevo continuato avederla una bimba immatura di cui non potevo amare che lastraordinaria attività e l'istinto materno di cui fruivano ifratellini. Se non ci fosse stata quella maledetta cura e lanecessità di verificare subito in quale stato si trovasse lamia malattiaanche quella volta avrei potuto lasciare Lucinicosenz'aver turbata tanta innocenza.

 

Essanon aveva la crinolina. E la faccina pienotta e sorridente nonconosceva la cipria. Aveva i piedi nudi e faceva vedere nuda anchemetà della gamba. La faccina e i piedini e la gamba nonseppero accendermi. La faccia e le membra che Teresina lasciavavedere erano dello stesso colore; all'aria appartenevano tutte e nonc'era niente di male che all'aria fossero abbandonate. Forse perciònon riuscivano ad accendermi. Ma al sentirmi tanto freddo mispaventai. Che dopo la cura mi fosse occorsa la crinolina?

Cominciaicoll'accarezzare l'asinello cui avevo procurato un po' di riposo. Poitentai di ritornare a Teresina e le misi in mano niente meno chedieci corone. Era il primo attentato! L'anno primaa lei e ai suoifratelliniper esprimere loro il mio affetto paternoavevo messonelle manine solo dei centesimi. Ma si sa che l'affetto paterno èaltra cosa. Teresina fu stupita del ricco dono. Accuratamente sollevòil suo gonnellino per riporre in non so che tasca celata il preziosopezzo di carta. Così vidi un ulteriore pezzo di gambamaanch'esso sempre bruno e casto.

Ritornaiall'asinello e gli diedi un bacio sulla testa. La mia affettuositàprovocò la sua. Allungò il muso ed emise il suo grandegrido d'amore che io ascoltai sempre con rispetto. Come varca ledistanze e com'è significante con quel primo grido che invocae si ripeteattenuandosi poi e terminando in un pianto disperato. Masentito così da vicinomi fece dolere il timpano.

Teresinarideva e il suo riso m'incoraggiò. Ritornai a lei e subitol'afferrai per l'avambraccio sul quale salii con la manolentoverso la spallucciastudiando le mie sensazioni. Grazie al cielo nonero guarito ancora! Avevo cessata la cura in tempo.

MaTeresina con una legnata fece procedere l'asino per seguirlo elasciarmi.

Ridendodi cuore perché io restavo lieto anche se la villanella nonvoleva saperne di mele dissi:

-Hai lo sposo? Dovresti averlo. E peccato tu non l'abbia già!

Sempreallontanandosi da meessa mi disse:

-Se ne prendo unosarà certamente più giovine di lei!

Lamia letizia non s'offuscò per questo. Avrei voluto dare unalezioncina a Teresina e cercai di ricordarmi come da Boccaccio"Maestro Alberto da Bologna onestamente fa vergognare una donnala quale lui d'esser di lei innamorato voleva far vergognare".Ma il ragionamento di Maestro Alberto non ebbe il suo effetto perchéMadonna Malgherida de' Ghisolieri gli disse: "Il vostro amor m'ècaro sì come di savio e valente uomo esser dee; e per ciòsalva la mia onestàcome a cosa vostra ogni vostropiacere imponete sicuramente".

Tentaidi fare di meglio:

-Quando ti dedicherai ai vecchiTeresina? - gridai per essere intesoda lei che m'era già lontana.

-Quando sarò vecchia anch'io- urlò essa ridendo digusto e senza fermarsi.

-Ma allora i vecchi non vorranno più saperne di te. Ascoltami!Io li conosco!

Urlavocompiacendomi del mio spirito che veniva direttamente dal mio sesso.

Inquel momentoin qualche punto del cielo le nubi s'apersero elasciarono passare dei raggi di sole che andarono a raggiungereTeresina che oramai era lontana da me di una quarantina di metri e dime più in alto di una decina o più.

Erabrunapiccolama luminosa!

Ilsole non illuminò me! Quando si è vecchi si restaall'ombra anche avendo dello spirito.



26Giugno 1915

Laguerra m'ha raggiunto! Io che stavo a sentire le storie di guerracome se si fosse trattato di una guerra di altri tempi di cui eradivertente parlarema sarebbe stato sciocco di preoccuparsieccoche vi capitai in mezzo stupefatto e nello stesso tempo stupito dinon essermi accorto prima che dovevo esservi prima o poi coinvolto.Io avevo vissuto in piena calma in un fabbricato di cui il pianoterrabruciava e non avevo previsto che prima o poi tutto il fabbricato conme si sarebbe sprofondato nelle fiamme.

Laguerra mi presemi squassò come un cenciomi privò inuna sola volta di tutta la mia famiglia ed anche del mioamministratore. Da un giorno all'altro io fui un uomo del tuttonuovoanziper essere più esattotutte le mieventiquattr'ore furono nuove del tutto. Da ieri sono un po' piùcalmo perché finalmentedopo l'attesa di un meseebbi leprime notizie della mia famiglia. Si trova sana e salva a Torinomentre io già avevo perduta ogni speranza di rivederla.

Devopassare la giornata intera nel mio ufficio. Non vi ho niente da farema gli Oliviquali cittadini italianihanno dovuto partire e tuttii miei pochi migliori impiegati sono andati a battersi di qua o di làe perciò devo restare al mio posto quale sorvegliante. Allasera vado a casa carico delle grosse chiavi del magazzino. Oggi chemi sento tanto più calmoportai con me in ufficio questomanoscritto che potrebbe farmi passar meglio il lungo tempo. Infattiesso mi procurò un quarto d'ora meraviglioso in cui appresiche ci fu a questo mondo un'epoca di tanta quiete e silenzio dapermettere di occuparsi di giocattoletti simili.

Sarebbeanche bello che qualcuno m'invitasse sul serio di piombare in unostato di mezza coscienza tale da poter rivivere anche soltanto un'oradella mia vita precedente. Gli riderei in faccia. Come si puòabbandonare un presente simile per andare alla ricerca di cose dinessun'importanza? A me pare che soltanto ora sono staccatodefinitivamente dalla mia salute e dalla mia malattia. Cammino per levie della nostra misera cittàsentendo di essere unprivilegiato che non va alla guerra e che trova ogni giorno quelloche gli occorre per mangiare. In confronto a tutti mi sento tantofelice - specie dacché ebbi notizie dei miei - che misembrerebbe di provocare l'ira degli dei se stessi ancheperfettamente bene.

Laguerra ed io ci siamo incontrati in un modo violentoma che adessomi pare un poco buffo.

Augustaed io eravamo ritornati a Lucinico a passarvi le Pentecoste insiemeai figliuoli. Il 23 di Maggio io mi levai in buon'ora. Dovevoprendere il sale di Carlsbad e fare anche una passeggiata prima delcaffè. Fu durante questa cura a Lucinico che m'accorsi che ilcuorequando si è a digiunoattende più attivamentead altre riparazioni irraggiando su tutto l'organismo un grandebenessere. La mia teoria doveva perfezionarsi quel giorno stesso incui mi si costrinse di soffrire la fame che mi fece tanto bene.

 

Augustaper salutarmilevò la testa tutta bianca dal guanciale e miricordò che avevo promesso a mia figlia di procurarle dellerose. Il nostro unico rosaio era appassito e bisognava perciòprovvedere. Mia figlia s'è fatta una bella fanciulla esomiglia ad Ada. Da un momento all'altrocon essa avevo dimenticatoil fare dell'educatore burbero ed ero passato a quello del cavaliereche rispetta la femminilità anche nella propria figliuola.Subito essa s'accorse del suo potere e con grande divertimento mio ed'Augusta ne abusò. Voleva delle rose e bisognavaprocurargliene.

Miproposi di camminare per un due orette. Faceva un bel sole e vistoche il mio proposito era di camminare sempre e di non arrestarmifinché non ero ritornato a casanon presi meco neppure lagiubba e il cappello. Per fortuna ricordai che avrei dovuto pagare lerose e non lasciai perciò a casa insieme alla giubba anche ilportafoglio.

Primadi tutto mi recai alla campagna vicinadal padre di Teresinaperpregarlo di tagliare le rose che sarei venuto a prendere al mioritorno. Entrai nel grande cortile cinto da un muro alquanto rovinatoe non vi trovai nessuno. Urlai il nome di Teresina. Uscì dallacasa il più piccolo dei bambini che allora avrà avutosei anni. Posi nella sua manina qualche centesimo ed egli mi raccontòche tutta la famigliuola di buon'ora s'era recata al di làdell'Isonzoper una giornata di lavorosu un suo campo di patate dicui la terra aveva bisogno di essere rassodata.

Ciònon mi spiaceva. Io conoscevo quel campo e sapevo che per giungerviabbisognavo di circa un'ora di tempo. Visto che avevo stabilito dicamminare per un due oremi piaceva di poter attribuire alla miapasseggiata uno scopo determinato. Così non c'era la paurad'interromperla per un assalto improvviso d'infingardaggine. M'avviaitraverso la pianura ch'è più alta della strada e di cuiperciò non vedevo che i margini e qualche corona d'albero infiore. Ero veramente giocondo: così in maniche di camicia esenza cappello mi sentivo molto leggero. Aspiravo quell'aria tantopura ecome usavo spesso da qualche tempocamminando facevo laginnastica polmonare del Niemeyer che m'era stata insegnata da unamico tedescouna cosa utilissima a chi fa una vita piuttostosedentaria.

Arrivatoin quel campovidi Teresina che lavorava proprio dalla parte dellastrada. M'avvicinai a lei e allora m'accorsi che più in làlavoravano insieme al padre i due fratellini di Teresina di un'etàche io non avrei saputo precisarefra' dieci e i quattordici anni.Nella fatica i vecchi si sentono magari esaustima per l'eccitazioneche l'accompagnasempre più giovini che nell'inerzia. Ridendom'accostai a Teresina:

-Sei ancora in tempoTeresina. Non tardare.

Essanon m'intese ed io non le spiegai nulla. Non occorreva. Giacchéessa non ricordavasi poteva ritornare con lei ai nostri antichirapporti. Avevo già ripetuto l'esperimento ed aveva avutoanche questa volta un risultato favorevole. Indirizzandole quellepoche parole l'avevo accarezzata altrimenti che col solo occhio.

Colpadre di Teresina m'accordai facilmente per le rose. Mi permetteva ditagliarne quante volevo eppoi non si avrebbe litigato per il prezzo.Egli voleva subito ritornare al lavoro mentre io m'accingevo dimettermi sulla via del ritornoma poi si pentì e mi corsedietro. Raggiuntomia voce molto bassami domandò:

-Lei non ha sentito niente? Dicono sia scoppiata la guerra.

-Già! Lo sappiamo tutti! Da un anno circa- risposi io.

-Non parlo di quella- disse lui spazientito. - Parlo di quellacon... - e fece un segno dalla parte della vicina frontiera italiana.- Lei non ne sa nulla? - Mi guardò ansioso della risposta.

-Capirai- gli dissi io con piena sicurezza- che se io non so nullavuol proprio dire che nulla c'è. Vengo da Trieste e le ultimeparole che sentii colà significavano che la guerra èproprio definitivamente scongiurata. A Roma hanno ribaltato ilMinistero che voleva la guerra e ci hanno ora il Giolitti.

Eglisi rasserenò immediatamente:

-Perciò queste patate che stiamo coprendo e che promettonotanto bene saranno poi nostre! Vi sono tanti di quei chiacchieroni aquesto mondo! - Con la manica della camicia s'asciugò ilsudore che gli colava dalla fronte.

Vedendolotanto contentotentai di renderlo più contento ancora. Amotanto le persone feliciio. Perciò dissi delle cose cheveramente non amo di rammentare. Asserii che se anche la guerra fossescoppiatanon sarebbe stata combattuta colà. C'era prima ditutto il mare dove era ora si battesseroeppoi oramai in Europa nonmancavano dei campi di battaglia per chi ne voleva. C'erano leFiandre e varii dipartimenti della Francia. Avevo poi sentito dire -non sapevo più da chi - che a questo mondo c'era oramai taleun bisogno di patate che le raccoglievano accuratamente anche suicampi di battaglia. Parlai moltosempre guardando Teresina chepiccolaminutas'era accovacciata sulla terra per tastarla prima diapplicarvi la vanga.

Ilcontadino perfettamente tranquillizzato ritornò al suo lavoro.Ioinveceavevo consegnato una parte della mia tranquillitàa lui e ne restava a me molto di meno. Era certo che a Lucinicoeravamo troppo vicini alla frontiera. Ne avrei parlato ad Augusta.Avremmo forse fatto bene di ritornare a Trieste e forse andare anchepiù in là o in qua. Certamente Giolitti era ritornatoal poterema non si poteva sapere searrivato lassùavrebbecontinuato a vedere le cose nella luce in cui le vedeva quando lassùc'era qualcuno d'altro.

Mirese anche più nervoso l'incontro casuale con un plotone disoldati che marciava sulla strada in direzione di Lucinico. Erano deisoldati non giovini e vestiti ed attrezzati molto male. Dal lorofianco pendeva quella che noi a Trieste dicevamo la Durlindanaquella baionetta lunga che in Austrianell'estate del 1915avevanodovuto levare dai vecchi depositi.

Perqualche tempo camminai dietro di loro inquieto d'essere presto acasa. Poi mi seccò un certo odore di selvatico frollo cheemanava da loro e rallentai il passo. La mia inquietudine e la miafretta erano sciocche. Era pure sciocco d'inquietarsi per averassistito all'inquietudine di un contadino. Oramai vedevo da lontanola mia villa ed il plotone non c'era più sulla strada.Accelerai il passo per arrivare finalmente al mio caffelatte.

Fuqui che cominciò la mia avventura. Ad uno svolto di viamitrovai arrestato da una sentinella che urlò:

-Zurück! - mettendosi addirittura in posizione di sparare.Volli parlargli in tedesco giacché in tedesco aveva urlatomaegli del tedesco non conosceva che quella sola parola che ripetésempre più minacciosamente.

Bisognavaandare zurück ed io guardandomi sempre dietro nel timoreche l'altroper farsi intendere megliosparassemi ritirai con unacerta premura che non m'abbandonò neppure quando il soldatonon vidi più.

Maancora non avevo rinunciato di arrivare subito alla mia villa. Pensaiche varcando la collina alla mia destrasarei arrivato molto dietrola sentinella minacciosa.

L'ascesanon fu difficile specie perché l'alta erba era stata curvatada molta gente che doveva essere passata per di là prima dime. Certamente doveva esservi stata costretta dalla proibizione dipassare per la strada. Camminando riacquistai la mia sicurezza epensai che al mio arrivo a Lucinico mi sarei subito recato aprotestare dal capovilla per il trattamento che avevo dovuto subire.Se permetteva che i villeggianti fossero trattati cosìprestoa Lucinico non ci sarebbe venuto nessuno!

Maarrivato alla cima della collinaebbi la brutta sorpresa di trovarlaoccupata da quel plotone di soldati dall'odore di selvatico. Moltisoldati riposavano all'ombra di una casetta di contadini che ioconoscevo da molto tempo e che a quell'ora era del tutto vuota; tredi essi parevano messi a guardiama non verso il versante da cui ioero venutoe alcuni altri stavano in un semi circolo dinanzi ad unufficiale che dava loro delle istruzioni che illustrava con una cartatopografica ch'egli teneva in mano.

Ionon possedevo neppure un cappello che potesse servirmi per salutare.Inchinandomi varie volte e col mio più bel sorrisom'appressai all'ufficiale il qualevedendomicessò diparlare coi suoi soldati e si mise a guardarmi. Anche i cinquemammelucchi che lo circondavano mi regalavano tutta la loroattenzione. Sotto tutti quegli sguardi e sul terreno non piano eradifficilissimo di moversi.

L'ufficialeurlò:

-Was will der dumme Kerl hier? - (Che cosa vuole quelloscimunito?).

Stupitoche senz'alcuna provocazione mi si offendesse cosìvollidimostrarmi offeso virilmente ma tuttavia con la discrezione delcasodeviai di strada e tentai di arrivare al versante che m'avrebbeportato a Lucinico. L'ufficiale si mise ad urlare chese facevo unsolo passo di piùm'avrebbe fatto tirare adosso. Ridivennisubito molto cortese e da quel giorno a tutt'oggi che scrivorimasisempre molto cortese. Era una barbarie d'essere costretto di trattarecon un tomo similema intanto si aveva il vantaggio ch'egli parlavacorrentemente il tedesco. Era un tale vantaggio chericordandoloriusciva più facile di parlargli con dolcezza. Guai se bestiacome era non avesse neppur compreso il tedesco. Sarei stato perduto.

Peccatoche io non parlavo abbastanza correntemente quella lingua perchéaltrimenti mi sarebbe stato facile di far ridere quell'arcignosignore. Gli raccontai che a Lucinico m'aspettava il mio caffelatteda cui ero diviso soltanto dal suo plotone.

Eglirisein fede mia rise. Rise sempre bestemmiando e non ebbe lapazienza di lasciarmi finire. Dichiarò che il caffelatte diLucinico sarebbe stato bevuto da altri e quando sentì cheoltre al caffè c'era anche mia moglie che m'aspettavaurlò:

-Auch Ihre Frau wird von anderen gegessen werden. - (Anchevostra moglie sarà mangiata da altri).

Egliera oramai di miglior umore di me. Pare poi gli fosse spiaciuto diavermi dette delle parole chesottolineate dal riso clamoroso deicinque mammalucchipotevano apparire offensive; si fece serio e mispiegò che non dovevo sperare di rivedere per qualche giornoLucinico ed anzi in amicizia mi consigliava di non domandarlo piùperché bastava quella domanda per compromettermi!

-Haben Sie verstanden? - (Avete capito?)

Ioavevo capitoma non era mica facile di adattarsi di rinunziare alcaffelatte da cui distavo non più di mezzo chilometro. Soloperciò esitavo di andarmene perché era evidente chequando fossi disceso da quella collinaalla mia villaper quelgiornonon sarei giunto più. Eper guadagnar tempomitemente domandai all'ufficiale:

-Ma a chi dovrei rivolgermi per poter ritornare a Lucinico a prenderealmeno la mia giubba e il mio cappello?

Avreidovuto accorgermi che all'ufficiale tardava di esser lasciato solocon la sua carta e i suoi uominima non m'aspettavo di provocaretanta sua ira.

Urlòin modo da intronarmi l'orecchieche m'aveva già detto chenon dovevo più domandarlo. Poi m'impose di andare dove ildiavolo vorrà portarmi (wo der Teufel Sie tragen will). L'idea di farmi portare non mi spiaceva molto perché eromolto stancoma esitavo ancora. Intanto però l'ufficiale aforza d'urlare s'accese sempre più e con accento di grandeminaccia chiamò a sé uno dei cinque uomini chel'attorniavano e appellandolo signor caporale gli diedel'ordine di condurmi già della collina e di sorvegliarmifinché non fossi sparito sulla via che conduce a Goriziatirandomi addosso se avessi esitato ad ubbidire.

Perciòscesi da quella cima piuttosto volontieri:

-Danke schön- dissi anche senz'alcun'intenzioned'ironia.

Ilcaporale era uno slavo che parlava discretamente l'italiano. Gliparve di dover essere brutale in presenza dell'ufficiale eperindurmi a precederlo nella discesami gridò:

-Marsch! - Ma quando fummo un po' più lontani si fece dolce efamiliare. Mi domandò se avevo delle notizie sulla guerra e seera vero ch'era imminente l'intervento italiano. Mi guardava ansiosoin attesa della risposta.

Dunqueneppure loro che la facevano sapevano se la guerra ci fosse o no!Volli renderlo più felice che fosse possibile e gli diedi lenotizie che avevo propinate anche al padre di Teresina. Poi mipesarono sulla coscienza. Nell'orrendo temporale che scoppiòprobabilmente tutte le persone ch'io rassicurai perirono. Chissàquale sorpresa ci sarà stata sulla loro faccia cristallizzatadalla morte. Era un ottimismo incoercibile il mio. Non avevo sentitala guerra nelle parole dell'ufficiale e meglio ancora nel loro suono?

Ilcaporale si rallegrò molto eper compensarmimi diede anchelui il consiglio di non tentare più di arrivare a Lucinico.

Datele notizie mieegli riteneva che le disposizioni che m'impedivano dirincasare sarebbero state levate il giorno appresso. Ma intanto miconsigliava di andare a Trieste al Platzkommando dal qualeforse avrei potuto ottenere un permesso speciale.

-Fino a Trieste? - domandai io spaventato. - A Triestesenza giubbasenza cappello e senza caffelatte?

Aquanto ne sapeva il caporalementre parlavamoun fitto cordone difanteria chiudeva il transito per l'Italiacreando una nuova edinsuperabile frontiera. Con un sorriso di persona superiore midichiarò chesecondo luila via più breve perLucinico era quella che conduceva oltre Trieste.

Aforza di sentirmelo direio mi rassegnai e m'avviai verso Goriziapensando di prendere il treno del mezzodì per recarmi aTrieste. Ero agitatoma devo dire che mi sentivo molto bene. Avevofumato poco e non mangiato affatto. Mi sentivo di una leggerezza cheda lungo tempo m'era mancata. Non mi dispiaceva affatto di doverancora camminare. Mi dolevano un poco le gambema mi pareva cheavrei potuto reggere fino a Goriziatanto era libero e profondo ilmio respiro. Scaldatemi le gambe con un buon passoil camminareinfatti non mi pesò. E nel benesserebattendomi il tempoallegro perché insolitamente celereritornai al mioottimismo. Minacciavano di quaminacciavano di làma allaguerra non sarebbero giunti. Ed è così chequandogiunsi a Goriziaesitai se non avessi dovuto stabilire una stanzaall'albergo nella quale passare la notte e ritornare il giornoappresso a Lucinico per presentare le mie rimostranze al capovilla.

Corsiintanto all'ufficio postale per telefonare ad Augusta. Ma dalla miavilla non si rispose.

L'impiegatoun omino dalla barbetta rada che pareva nella sua piccolezza erigidezza qualche cosa di ridicolo e d'ostinato - la sola cosa che dilui ricordi - sentendomi bestemmiare furibondo al telefono mutomisi avvicinò e mi disse:

-È già la quarta volta oggi che Lucinico non risponde.

Quandomi rivolsi a luinel suo occhio brillò una grande lietamalizia (sbagliavo! anche quella ricordo ancora!) e quel suo occhiobrillante cercò il mio per vedere se proprio ero tantosorpreso e arrabbiato. Ci vollero un dieci buoni minuti perchécomprendessi. Allora non ci furono dubbii per me. Lucinico si trovavao fra pochi istanti si troverebbe sulla linea del fuoco. Quandointesi perfettamente quell'occhiata eloquente ero avviato al caffèper prendere in aspettativa della colazione la tazza di caffèche m'era dovuta dalla mattina. Deviai subito e andai alla stazione.Volevo trovarmi più vicino ai miei e - seguendo le indicazionidel mio amico caporale - mi recavo a Trieste.

Fudurante quel mio breve viaggio che la guerra scoppiò.

Pensandodi arrivare tanto presto a Triestealla stazione di Gorizia e perquanto ne avessi avuto il temponon presi neppure la tazza di caffècui anelavo da tanto tempo. Salii nella mia vettura elasciato solorivolsi il mio pensiero ai miei cari da cui ero stato staccato in unmodo tanto strano. Il treno camminò bene fino oltreMonfalcone.

 

Parevache la guerra non fosse giunta ancora fin là. Io mi conquistaila tranquillità pensando che probabilmente a Lucinico le cosesi sarebbero svolte come al di qua della frontiera. A quell'oraAugusta e i miei figli si sarebbero trovati in viaggio versol'interno dell'Italia. Questa tranquillità associatasi aquella enormesorprendentedella mia famemi procurò unlungo sonno.

Fuprobabilmente la stessa fame che mi destò. Il mio treno s'erafermato in mezzo alla cosidetta Sassonia di Trieste. Il mare non sivedevaper quanto dovesse essere vicinissimoperché unaleggera foschia impediva di guardare lontano. Il Carso ha una grandedolcezza nel Maggioma la può intendere solo chi non èviziato dalle primavere esuberanti di colore e di vita di altrecampagne. Qui la pietra che sporge dappertutto è circondata daun mite verde che non è umile perché presto diventa lanota predominante del paesaggio.

Inaltre condizioni io mi sarei adirato enormemente di non potermangiare avendo tanta fame. Invece quel giorno la grandezzadell'avvenimento storico cui avevo assistitom'imponeva e m'inducevaalla rassegnazione. Il conduttore cui regalai delle sigarette nonseppe procurarmi neppure un tozzo di pane. Non raccontai a nessunodelle mie esperienze della mattina. Ne avrei parlato a Trieste aqualche intimo. Dalla frontiera verso la quale tendevo il mioorecchio non veniva alcun suono di combattimento. Noi eravamo fermi aquel posto per lasciar passare un otto o nove treni che scendevanoturbinando verso l'Italia. La piaga cancrenosa (come in Austria siappellò subito la fronte italiana) s'era aperta e abbisognavadi materiale per nutrire la sua purulenza. E i poveri uomini viandavano sghignazzando e cantando. Da tutti quei treni uscivano imedesimi suoni di gioia o di ebbrezza.

Quandoarrivai a Trieste la notte era già scesa sulla città.

Lanotte era illuminata dal bagliore di molti incendi e un amico che mivide andare verso casa mia in maniche di camicia mi gridò:

-Hai preso parte ai saccheggi?

Finalmentearrivai a mangiare qualche cosa e subito mi coricai.

Unaveragrande stanchezza mi spingeva a letto. Io credo fosse prodottadalle speranze e dai dubbii che tenzonavano nella mia mente. Stavosempre molto bene e nel periodo breve che precedette il sogno di cuicon la psico-analisi m'ero esercitato a ritenere le immaginiricordoche conclusi la mia giornata con un'ultima infantile ideaottimistica: alla frontiera non era morto ancora nessuno e perciòla pace si poteva rifare.

Adessoche so che la mia famiglia è sana e salvala vita che faccionon mi spiace. Non ho molto da fare ma non si può dire che iosia inerte. Non si deve né comperare né vendere. Ilcommercio risanerà quando ci sarà la pace. L'Olividalla Svizzera mi fece pervenire dei consigli. Se sapesse come i suoiconsigli stonano in quest'ambiente ch'è mutato del tutto! Iointantoper il momentonon faccio nulla.

24Marzo 1916

DalMaggio dell'anno scorso non avevo più toccato questolibercolo. Ecco che dalla Svizzera il dr. S. mi scrive pregandomi dimandargli quanto avessi ancora annotato.

Èuna domanda curiosama non ho nulla in contrario di mandargli anchequesto libercolo dal quale chiaramente vedrà come io la pensidi lui e della sua cura. Giacché possiede tutte le mieconfessionisi tenga anche queste poche pagine e ancora qualcuna chevolentieri aggiungo a sua edificazione. Ma al signor dottor S. vogliopur dire il fatto suo. Ci pensai tanto che oramai ho le idee benchiare.

Intantoegli crede di ricevere altre confessioni di malattia e debolezza einvece riceverà la descrizione di una salute solidaperfettaquanto la mia età abbastanza inoltrata può permettere.Io sono guarito! Non solo non voglio fare la psico-analisima non neho neppur di bisogno. E la mia salute non proviene solo dal fatto chemi sento un privilegiato in mezzo a tanti martiri.

Nonè per il confronto ch'io mi senta sano. Io sono sanoassolutamente. Da lungo tempo io sapevo che la mia salute non potevaessere altro che la mia convinzione e ch'era una sciocchezza degna diun sognatore ipnagogico di volerla curare anziché persuadere.Io soffro bensì di certi dolorima mancano d'importanza nellamia grande salute. Posso mettere un impiastro qui o làma ilresto ha da moversi e battersi e mai indugiarsi nell'immobilitàcome gl'incancreniti. Dolore e amorepoila vita insommanon puòessere considerata quale una malattia perché duole.

Ammettoche per avere la persuasione della salute il mio destino dovettemutare e scaldare il mio organismo con la lotta e sopratutto coltrionfo. Fu il mio commercio che mi guarì e voglio che ildottor S. lo sappia.

Attonitoe inertestetti a guardare il mondo sconvoltofino al principiodell'Agosto dell'anno scorso. Allora io cominciai a comperare.Sottolineo questo verbo perché ha un significato piùalto di prima della guerra. In bocca di un commercianteallorasignificava ch'egli era disposto a comperare un dato articolo. Maquando io lo dissivolli significare ch'io ero compratore diqualunque merce che mi sarebbe stata offerta. Come tutte le personefortiio ebbi nella mia testa una sola idea e di quella vissi e fula mia fortuna. L'Olivi non era a Triestema è certo ch'eglinon avrebbe permesso un rischio simile e lo avrebbe riservato aglialtri. Invece per me non era un rischio. Io ne sapevo il risultatofelice con piena certezza. Dapprima m'ero messosecondo l'anticocostume in epoca di guerraa convertire tutto il patrimonio in oroma v'era una certa difficoltà di comperare e vendere dell'oro.L'oro per così dire liquidoperché più mobileera la merce e ne feci incetta. Io effettuo di tempo in tempo anchedelle vendite ma sempre in misura inferiore agli acquisti. Perchécominciai nel giusto momento i miei acquisti e le mie vendite furonotanto felici che queste mi davano i grandi mezzi di cui abbisognavoper quelli.

Congrande orgoglio ricordo che il mio primo acquisto fu addiritturaapparentemente una sciocchezza e inteso unicamente a realizzaresubito la mia nuova idea: una partita non grande d'incenso. Ilvenditore mi vantava la possibilità d'impiegare l'incensoquale un surrogato della resina che già cominciava a mancarema io quale chimico sapevo con piena certezza che l'incenso mai piùavrebbe potuto sostituire la resina di cui era differente totogenere. Secondo la mia idea il mondo sarebbe arrivato ad unamiseria tale da dover accettare l'incenso quale un surrogato dellaresina. E comperai! Pochi giorni or sono ne vendetti una piccolaparte e ne ricavai l'importo che m'era occorso per appropriarmi dellapartita intera. Nel momento in cui incassai quei denari mi si allargòil petto al sentimento della mia forza e della mia salute.

Ildottorequando avrà ricevuta quest'ultima parte del miomanoscrittodovrebbe restituirmelo tutto. Lo rifarei con chiarezzavera perché come potevo intendere la mia vita quando non neconoscevo quest'ultimo periodo? Forse io vissi tanti anni solo perprepararmi ad esso!

Naturalmenteio non sono un ingenuo e scuso il dottore di vedere nella vita stessauna manifestazione di malattia. La vita somiglia un poco allamalattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalierimiglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie lavita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come volerturare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite.Morremmo strangolati non appena curati.

Lavita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messoal posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'ariahaimpedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste eattivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio dellealtre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Neseguirà una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ognimetro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guariràdalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!

Manon è questonon è questo soltanto.

Qualunquesforzo di darci la salute è vano. Questa non puòappartenere che alla bestia che conosce un solo progressoquello delproprio organismo. Allorché la rondinella comprese che peressa non c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazioneessaingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne laparte più considerevole del suo organismo. La talpa s'interròe tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallos'ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animalinon sappiamo il progressoma ci sarà stato e non avràmai leso la loro salute.

Mal'occhialuto uomoinveceinventa gli ordigni fuori del suo corpo ese c'è stata salute e nobiltà in chi li inventòquasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperanosivendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e piùdebole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzionedella sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni delsuo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dellostessomaoramail'ordigno non ha più alcuna relazione conl'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandonodella legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del piùforte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro chepsico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggiornumero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.

Forsetraverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremoalla salute. Quando i gas velenosi non basteranno piùun uomofatto come tutti gli altrinel segreto di una stanza di questomondoinventerà un esplosivo incomparabilein confronto alquale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati qualiinnocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti glialtrima degli altri un po' più ammalatoruberà taleesplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nelpunto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci saràun'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornataalla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti edi malattie.

-FINE -