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Emilio Salgari



IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO







CAPITOLO I

LA MARCHESA DI MONTELIMAR


- Il signor conte de Miranda!

Quel nomegridato forte da un servo gallonato con la pelle nera come il carbonevestito di seta azzurra a larghi fiori gialliaveva prodotto una profonda impressione fra i moltissimi invitati che ingombravano le sfarzose sale della marchesa di Montelimarla bellissima signoracelebrata da tutti gli avventurieri e da tutti gli ufficiali di terra e di mare di San Domingo.

Le danzeanimatissime fino a quel momentoerano state subito interrotteperché cavalieri e dame si erano precipitati verso la porta del grande salonecome attratti da un'irresistibile curiosità di vedere da vicino quel conte che si diceva avesse fatto girare molte teste nelle poche ore che si era mostrato per le vie di San Domingo.

Il portiere negro aveva appena sollevata la ricca tenda di damasco con lunghe frange d'oroquando il personaggio annunziato comparve.

Era un bellissimo giovane di ventotto o trent'annidi statura altadi forme elegantissime che palesavano il gran signorecon gli occhi nerissimi e ardentii baffi neri e la pelle bianchissimacosa affatto insolita per un comandante di fregataabituato a navigare sotto il sole bruciante del Golfo del Messico.

Quello strano ed interessante personaggiochi sa per quale bizzarriavestiva tutto di seta rossa.

Rossa era la casaccarossi gli alamarirossi i calzonirosso l'ampio feltro adorno d'una lunga piuma e cosí pure i merlettii guanti e perfino gli alti stivali; anche la guaina della spada era di cuoio rosso.

Il contevedendosi dinanzi tutte quelle persone che lo osservavano attentamentecorrugò un po' la fronteguardando arditamente gli uominicome seccato di quella curiositàpoi si levò garbatamente il cappellostrisciando con un moto grazioso sul tappeto la lunghissima piuma e fece un leggero inchinotenendo sempre la sinistra sulla guardia della spada.

La marchesa di Montelimar si era affrettata a farsi largo fra gli invitati e ad accostarsi premurosamente al conte.

Non a torto la chiamavano la bella vedova di S. Domingo! Era una splendida castiglianagiovane ancoraperché non doveva toccare le venticinque primaverealtaslanciatacol corpo flessuosogli occhi sfolgorantitagliati a mandorlala capigliatura nerissima e la pelle alabastrina; la vera tinta delle creole del Golfo messicano.

Quantunque vedova da pochi anni d'un vecchio marchesemorto combattendo contro i filibustieri della Tortueindossava un magnifico vestito di damasco di seta biancaadorno sul dinanzi di piccoli smeraldi raccolti qua e là in gruppetti artisticie intorno al niveo collo portava una doppia fila di perle di Californiadi un valore inestimabile. Si fermò dinanzi al contefacendo un grazioso inchinoaccompagnato da un delizioso sorrisopoistendendogli la destragli disse:

- Sono lieta che voisignor conteabbiate accettato il mio invito.

- Gli uomini di mare son ruvidimarchesa; ma non rifiutano mai un invitospecialmente quando vien fatto da una signora bella come voi.

Quelle parole fecero corrugare piú di una fronte e sollevarono fra gli adoratori della marchesa qualche mormorio.

Il Conte de Miranda si voltò vivamentecon la sinistra appoggiata fieramente sull'elsa della spada e la destra sul fiancoe disse con voce chiara:

- Pare che a qualcuno non sia piaciuto quel che ho detto: si sappia che noifigli dell'oceanosappiamo guidare le navima regalare anche una buona stoccata.

- Vi siete ingannatosignor conte - disse la marchesa. - Qui tutti hanno molta stima per gli uomini chesfidando tempeste e pericolici difendono dai filibustieri della Tortue.

Nessuno aveva osato fiatare e le fronti si erano spianate. Solamente un capitano degli alabardieri di Granataun pezzo d'uomo alto un palmo piú del giovane conteera ancora molto corrucciato.

- Signor conte- disse la marchesa di Montelimar - volete offrirmi il vostro braccio? Sarò orgogliosa di appoggiarmi ad un forte uomo di mare.

- Che metterà la sua spada e la sua vita sempre a vostra disposizionemarchesa - rispose il bel giovaneguardando insolentemente gli invitati che manifestavano un po' di malumore per la preferenza accordata dalla bella vedova a quel capitano sconosciuto a tutti.

- Non chiedo tanto conte. Danzate?

- Símarchesa; alla francese peròperché sono stato educato in Provenza.

- Come mai? Non siete spagnuolo? I de Mirandase non m'ingannosono castigliani.

- Puro sangue; ma mio padre aveva sposato una francesee mi affidò ancora bambino ai parenti di mia madre.

- Infatti mi accorgo che voi avete un accento diverso dal nostro.

- Gli uomini di mare visitando tanti paesiperdono l'accento della madre lingua; poi ho soggiornato molto anche in Italia.

- Ecco perché voi parlate cosí dolcemente. Ahl'Italia! Anch'io l'ho visitata... E venite ora...?

- Da Vera-Cruzmarchesa.

- Dopo aver incontrato chi sa quante avventure!

- Nomarchesa: una tempesta ed un paio d'abbordaggi con due navi filibustiere.

- Che avrete affondatoimmagino.

- Rimorchiatemarchesadopo aver imprigionato i loro equipaggi.

- Ed ora andavate?...

- Mi fermo qui per difendere San Domingo.

- Siamo minacciati?

- Si dice che i bucanierid'accordo con i filibustierisi preparino per un colpo di mano contro questa cittàma troveranno sul loro cammino i quaranta cannoni della mia Nuova Castigliae vi giuromarchesache li farò...

Il conte si interruppe bruscamente e si voltò di fianco.

Un capitano degli alabardierilo stesso che poco prima aveva borbottato piú degli altriun bell'uomo sulla quarantinaalto come un granatierecon due immensi baffi cadenti alla chinesegli si era fermato a pochi passi come se cercasse di sorprendere le sue parole.

Alla fermata improvvisa del giovane capitanoaveva girato sollecitamente sui tallonibattendo impazientemente la sinistra sulla guardia della sua lunga spada e abbordando una signora che in quel momento attraversava la sala.

- Chi è quel signore? - chiese il conte alla marchesaaggrottando la fronte.

- Il conte di Sant'Iagocapitano degli alabardieri del reggimento di Granata - rispose la marchesa di Montelimarsorridendo. - Vi interessa?

- Niente affattosignora. Mi pareva che ci seguisseper ascoltare ciò che noi dicevamo.

- È un mio adoratore.

- Ad una cosí bella signora non possono mancare.

- Ohconte! - esclamò la marchesabattendogli su una mano il suo ricco ventaglio dalle stecche d'oro.

- Vi ama?

- Alla follia. La settimana scorsa uccise un luogotenente di marina con un terribile colpo di spadaperché credeva che io avessi per quel disgraziato qualche preferenza.

- Ah! Il capitano è geloso?

- E un buon spadaccinoa quel che si dice - aggiunse la marchesa.

- Vorrei provare un po' la sua abilità - disse il conte con voce ironica.

- Guardatevenesignor de Miranda!

- E chemarchesa; mi credereste voi tal uomo da aver paura di quel capitano?

- Nocontema mi rincrescerebbe...

- Che cosa?

- Che vi toccasse qualche disgrazia - rispose la marchesaalla quale pareva che un'improvvisa commozione avesse alterato l'accento.

Il giovane capitano si staccò dal suo braccio e la guardò con sorpresa:

- A voiche mi conoscete appena da cinque minuti- disse - a voi spiacerebbe se mi succedesse qualche disgrazia?

- Io ammiro i gentiluomini coraggiosi e amabili come voiconte.

Il giovane represse un sospiropoi disse a mezza voce::

- È strano; anche mio zio...

Ma tosto s'interruppestringendo le labbra.

- Che cosa avete dettoconte? - chiese la marchesa di Montelimar.

- Che la musica è ottimae che si potrebbe danzare questo delizioso fandango.

- Era quello che volevo proporvi.

- Ai vostri ordinimarchesa.

Le danze erano già state riprese.

Dame e cavalieri giravano vorticosamente nelle splendide sale del palazzo di Montelimarelettrizzati da una dozzina di suonatori nascosti dietro ad una specie di giardinetto formato da una doppia fila di superbi bananile cui grandissime foglie s'alzavano fino al soffitto dorato.

Il conte cinse il fianco della marchesa e si slanciò agilissimo nel turbine dei danzatori e delle danzatrici.

Alcuni si erano fermati per ammirare quel bellissimo giovane e la sua bellissima compagnastupefatti della sua leggerezza e della sua grazia.

Mai prima d'allora avevano veduto danzare a quel modo un uomo di mare.

Il fandango era appena finito e il conte aveva ricondotta la marchesa al suo postoquando alle sue spalle udí una voce che gli disse:

- Signorevoi che danzate cosí benesapete giocare altrettanto bene?

Il giovane capitano della Nuova Castiglia si voltò vivamente e non seppe frenare un moto di sorpresa nel vedersi dinanzi il capitano degli alabardieri del reggimento di Granata.

Il conte lo fissò per un momento; poi rispose con accento ironico:

- Un gentiluomo deve saper danzaresaper giocare e dare anche colpi di spada quando gli si offre l'occasione.

- Vi ho proposto solamente di giocareper ora - disse il capitano degli alabardieri.

- Se ciò può farvi piacere eccomi ai vostri ordiniconte di Sant'Iago.

- Come? Mi conoscete? - esclamò il capitanofacendo un gesto di stupore.

- Cosí... per caso

La marchesa di Montelimarun po' pallidasi era alzata.

- Che cosa voleteconte di Sant'Iago dal conte de Miranda? - chiese.

- Null'altrosignorache proporgli una partita al montes - rispose il capitano. - Gli uomini di mare preferiscono il gioco alla danza; è veroconte?

- Qualche volta - rispose asciuttamente il giovane.

- E poi avete già danzato una volta con la regina della festa.

- Ma se la marchesa desiderasse fare un altro giro rinunzierei subito alla partita che voi mi proponetechecché dovesse succedere.

- La notte non è ancora finitae avrete tempo di muovere le gambe finché vorrete - disse il capitano degli alabardieri con sottile ironia.

- Non giocateconte - disse la marchesa.

- Ohnon farò che una sola partita! - rispose il giovane capitano. - Sono distrazioni che piacciono alle genti che navigano. Andiamosignor di Sant'Iago.

Baciò galantemente la mano alla marchesa di Montelimar e seguí il burbero capitano degli alabardierinon senza aver prima fatto alla bella vedova un leggero cennocome per dirle:

- Non vi preoccupate per me.

Attraversarono l'ampia sala sfolgorante di lucedove capitani di terra e di mare danzavano allegramente insieme con le piú leggiadre signore e signorine di San Domingoed entrarono in un salottino dove una dozzina di ufficialiper la maggior parte vecchistavano giocando e fumando grossi sigari avanasenza occuparsi affatto della festa da ballo.

Dei dobloni semplici e doppi scintillavano sui tavolini da giuocoe dadi e carte venivano gettati con una certa noncuranzapiú affettata che realedai giocatori.

- Signor conte- disse il capitano degli alabardieri - preferite le carte o i dadi?

Il giovane capitano di fregata parve pensare un momentopoi disse:

- I dadi mi pare che diano un'emozione piú violenta delle cartee ciò va benissimo per gli uomini di guerra abituati ai colpi di spada e di cannone. Non vi paresignor di Sant'Iago? Non siamo dei tranquilli piantatori di canne da zucchero o d'indaco!

- Avete dello spiritoconte.

- Di marecondito con molto sale - disse il giovane sorridendo. Noi siamo uomini molto salati.

- Mentre noi siamo molto profumatiinvece - rispose il capitano degli alabardieri di Granata.

- Perché?

- Viviamo sempre nei boschialla caccia dei bucanieri.

- E ne uccidete molti di quei furfanti?

- Uff! qualche volta qualcuno cade sotto i nostri archibugima quasi mai sotto le alabarde delle nostre guardie. Appena quei furfanti odono lo sparo d'un archibugioinvece di attaccarescappano come lepri.

- Chi? I bucanieri o i nostri?

- I nostriconte.

- Hanno tanta paura?

- Basta talvolta un bucaniere bene imboscato per mettere in rotta i nostri alabardieri; e notate che non si mettono mai in campagnase non sono almeno cinquanta.

- Bel coraggio! - disse il conte de Miranda con un sorriso un po' sarcastico.

- Carrai! vorrei veder voi al loro posto!

- Li attaccherei a fondo alla testa dei miei marinai.

- Si vedeinfattiche bella figura fanno i marinai che montano i nostri galeoni! - osservò il capitano beffardamente. - Dopo le prime cannonateabbassano il grande stendardo di Spagna e consegnano ai furfanti della Tortue le verghe d'oro che hanno nella stiva.

- I miei veramente... Il conte di Miranda si fermò mordendosi le labbra come pentito di essersi lasciato sfuggire quella frase e disse:

- Capitanovolete dunque che giochiamo?

- Vi avevo invitato per questo. Vedremo se l'amore porta fortuna o sfortuna.

- Che cosa volete dire?

Il conte di Sant'Iagoinvece di risponderefece un segno ad un servo negro gallonato vestito di seta e gli ordinò:

- I dadi: vogliamo giocare.

- Subitosignor conte.

Un momento dopo il servo portava su un piatto d'argento finemente cesellato una piccola tazza d'oro con due dadi di dente di marsuino.

- Che giochiamosignor conte de Miranda? - chiese il capitano degli alabardieri.

- Quello che volete.

- Badate a quello che dite.

- Perchésignor conte di Sant'Iago? - chiese il giovane con affettata indifferenza.

- Carrai!

- Caramba! Bestemmiatesignor conte.

- Ed anche voimi pare.

- Oh! Io sono uomo di mare! D'altronde nessuno vi proibisce di bestemmiare. Le genti di terra e di mare qualche volta vanno pienamente d'accordo su questo.. terreno.

- Avete dello spiritoconte.

- Qualche volta.

- Giocate? - chiese il capitano.

- Ve l'ho già detto: quello che desiderate.

- Una pelle viva?

Il giovane guardò il capitano con sorpresa

- Non vi comprendo: quale può essere questa pelle viva? Quella d'un pescecane forse?

Il capitano degli alabardieri di Granata si mise le mani sui fianchicon un fare provocantepoi disse con voce grave:

- Fra gli uomini d'arme di terra usa giocare una pellequando si è stanchi di gettare dell'oro sul tavolo.

- Ossia? - chiese il conte de Miranda con calma.

- Quello che perde si fa saltare il cervello con un colpo di pistola.

- Brutto giuoco!

- Anzi interessantissimoperché si giuoca la vita d'un uomo.

- Preferisco arrischiare i miei dobloni - rispose il giovane. - Lo trovo

piú comodo.

- E quando non se ne hanno piú?

- Si lascia il tavolino da giuoco e si va a dormire nella cabina: almeno cosí usa nella marina.

- Non fra noi però!

- Che diavolo! Sareste uomini tanto diversisignor conte?

- Può darsi! - rispose seccamente il capitano.

- Avete pessimi gusti.

- Volete offendermi?

- Io? Niente affattocapitanosono venuto qui per giocare e non per arrabbiarmi o suscitare uno scandalo. Che cosa si direbbe di me?

- Forse avete ragione.

- Lasciate dunque in pace le pelli vive o mortee giochiamo dei dobloni o delle piastre. Quelle almeno non hanno peli né da vendere né da uccidersi

- Puntate?

- Cento piastre - rispose il giovane gentiluomo.

- Volete rovinarmi?

- Noperché sono un pessimo giocatoresignor di Sant'Iago; e poi non ho mai avuto fortuna né alle cartené ai dadi.

- L'avrete con le belle signorecon le marchese soprattutto - disse il capitano quasi con rabbia.

- In mare non ho incontrato che navimontate per lo piú da corsarie quelle non mi regalavano bacive l'assicuro. Al mio saluto rispondevano invece con palle di buon calibro che facevano sudar freddo i miei uomini.

- Ma in terrasí però.

- Signor di Sant'Iagoio sono entrato in questo salotto per giocare qualche migliaio di piastre e non già per chiacchierare. Dovreste saperlo che gli uomini di mare non amano parlar molto... Cento piastre?

- Sia! - rispose il conte di Sant'Iago con un gesto sprezzante.

- Volete essere il primo?

Il capitanoinvece di rispondereprese il bossolo d'orofece saltellare i dadi: poi li rovesciò sul tavolino.

- Tredici! - disse. - Ecco un numero che porterà fortuna.

- Siete superstizioso?

- Notuttavia questo tredici mi ha dato una scossa al cuore.

- Allora morrete molto presto - disse il conte de Miranda ridendo.

- Per mano di chi?

- Non sono mai stato uno stregoneio.

- D'un rivale?

- Può essere.

- Non lo credoperché ne ho ucciso uno la settimana scorsaper il semplice motivo che mi dava ombra.

- Avete la mano troppo lestasignor di Sant'Iago.

- Che fora sempre quando stringe una spada.

- Veramente anche la mia non è tarda - ribattè il giovane. Il capitano degli alabardieri lo guardò fisso fissocome se cercasse di comprendere bene il senso di quelle parolepoi disse:

- Tocca a voi.

Il conte de Miranda prese a sua volta il bossolo e fece rotolare i dadi sul tappeto.

- Quattordici! Che combinazione! - esclamò. - Caramba! Un tredici e un quattordici.

Che cosa significano questi due numeri cosí vicini l'uno all'altro?

Il capitano degli alabardieri si era passata una mano sulla fronte aggrottata. Una viva preoccupazione traspariva dal suo viso.

- Che cosa ne dite voisignor di Sant'Iago? - chiese il giovane.

- Che voi avete vinte le mie cento piastre.

- Di quelle non mi occupo: io parlo dei due numeri.

- Nemmeno io sono uno stregone.

- Continuate?

- Sí: voglio vedere come si combineranno i nuovi numeri. Vi propongo tre colpi di cinquecento piastre ciascuno.

- Sta bene: a voi.

Il capitano riprese il bossolo edopo aver agitato nervosamente i dadili fece saltare sul tappeto.

Un'imprecazione a malapena repressa gli sfuggímentre la fronte gli s'imperlava di sudore.

- Tredici ancora! - aveva esclamato. - È col diavolo che io gioco?

- Veramente sono vestito come lui! - disse il conte de Mirandasempre ilare.

- Giocateper Dios!

- Dodici! - esclamò il giovane.

Il capitano sussultò.

- Il tredici chiuso fra il dodici ed il quattordici! - dissebattendo un pugno sul tavolino.

- Non trovate strano tutto ciòconte?

- Infatti è una cosa che dà a pensare.

- E il numero fatale l'ho io!

- Ma mi avete vinto cinquecento piastreuna somma che può consolare anche un capitano degli alabardieri.

- Avrei preferito perderlepurché fosse uscito un altro numero.

- Né ioné voi possiamo comandare ai dadi. Continuiamo.

La partita fu ripresaed il conte d Miranda vinse le altre mille piastrecon un quindici e con un diciassettecontro un quattordici ed un sedici.

Il capitano si era alzato di cattivo umorenel momento in cui i servi annunciavano che era la mezzanotte e che perciò la festa era finita.

- Vi manderò domani a bordo le millecento piastre che mi avete vintoconte - disse il signor di Sant'Iago con voce secca.

- Non abbiate fretta - rispose il giovane.

- Mi accorderete una rivincitaspero.

- Quando vorrete.

- Non qui però.

- Perché?

- Non ho fortuna in questa casa.

- E non si può litigar liberamente; è verocapitano? - chiese il de Miranda ironicamente.

- Può essere - rispose il capitano. - Buona seraconte.

Ciò dettouscí dal salotto ed entrò nella sala da ballodove dame e cavalieri si affollavano intorno alla marchesa di Montelimar per accomiatarsi.

Il comandante della Nuova Castiglia si era invece fermatoappoggiandosi allo stipite della porta.

Aspettava probabilmente che gli invitati se ne andassero.

Dall'espressione del suo viso si capiva che non era meno preoccupato del conte di Sant'Iago. Tormentava con la sinistra la guardia della sua spada e si torceva nervosamente i baffi. Quando la splendida sala fu quasi vuotaa sua volta avanzò verso la marchesala quale pareva che già lo cercasse con lo sguardo.

- Signora- le disse inchinandosi - mi perdonerete se io non sono piú rientrato per fare un'altra danza con voima mi ero impegnato in una grave partita al giuoco.

- Col capitano degli alabardieri? - chiese la bella vedovacon una certa ansietà.

- Símarchesa.

- Non avete questionato con lui?

- Niente affatto.

La marchesa respirò.

- Guardatevi da luisignor conte - disse poi. - È un uomo pericoloso.

Il giovane batté una mano sulla guardia della spada.

- Quando al mio fianco sta questa lamaio non ho paura di tutti i capitani degli alabardieri di Spagnadi Francia o d'Italia! - disse.

- Marchesaquando potrò rivedervi? Io devo chiedere a voi un'informazione che mi interessa.

- A me?

- Símarchesa.

- Allora domani farete colazione con me.

- Domani- disse il contementre sulla sua fronte passava come un'ombra - potrebbe essere troppo tardi.

- Contate di partire presto? Siete arrivato solamente stamane.

- È veromarchesa: ma vi sono delle volte che non si può disporre del proprio tempo. Potrei rimanerecome potrei partire da un momento all'altro. Non vorrei andarmene però prima d'aver avuto un colloquio con voi.

- Non siete venuto per proteggere San Domingo da un attacco dei corsari della Tortue e dei bucanieri?

- Non posso rispondervimarchesa.

- Eppure voi non dovete partire cosí presto. Sapete cavalcareconte?

- Símarchesa.

- Domani ha luogo la corsa al gallo e desidererei che vi prendeste parte.

- Perché?

- La posta è un mio bacio che darò e riceverò dal vincitore.

Il conte de Miranda ebbe un leggero trasalimento.

- Checché accada- disse poi - prenderò parte alla corsa. Buona sera marchesa; noi ci rivedremoperché è necessario.

Baciò la mano alla bella vedova e uscí accompagnato da un valletto mulattoil quale reggeva a stento un pesante doppiere d'argento. In quello stesso momento gli ultimi invitati lasciavano il magnifico palazzo di Montelimar.

 



CAPITOLO II

UN DUELLO TERRIBILE


- Il bacan tarda questa sera.

- Raddoppia la carica della pipamio caro Mendoza. Io vi ho cacciato dentro due dita e ora tira magnificamente. Che differenza ci trovi tu fra i gradini di questa chiesa e quelli del cassero o del castello di prora?

- Sulla Nuova Castiglia vi è almeno da bereMartin.

- Piovono però anche delle bombeMendoza; e gli spagnuoli ne hanno di quelle non meno terribili delle nostre.

- Non dico il contrarioamico; tuttavia mi trovo sempre meglio lassú. Almeno vi sono cannoni per rispondere.

- E la tua draghinassa la conti per nulla? E le tue pistole sono forse cariche di tabacco? Tu brontoli sempre Mendozacome un vero marinaio vecchio.

- Tu dirai peraltroMartinche se chiacchiero so anche lavorare bene di spada e di sciabola.

- Se cosí non fosseil signor di Ventimigliail nipote del famoso Corsaro Neronon ti avrebbe scelto per accompagnarlo.

- Tu hai sempre ragioneMartin. È finita la musica?

- Non l'odo piú.

- Allora il capitano non tarderà a giungere.

- Ricarica la pipa.

- Tira come un camino.

- Buttati giú ese hai sonnodormi. Faccio io il quarto.

- Tu vuoi burlarti di mecannoniere. Un vecchio marinaio della Folgoreche ha servito il Corsaro Neroaddormentarsi quando il giovane conte di Ventimiglia corre qualche pericolo? Tu sei pazzoMartin.

- Metti tre cariche di tabacco nella pipa.

- Anche dieci se vuoipur di tenere sempre aperti gli occhi per difendere il figlio del povero Corsaro Rosso.

- TaciMendoza. Qualcuno si avvicina.

I due uominiche stavano seduti sulla gradinata della vecchia chiesasi erano alzati di scattoappoggiando le mani sulle pistole mezzo nascoste nelle fasce di lana rossa che cingevano i loro fianchi.

Erano due robustissimi uomini di età molto differente. Mentre colui che si chiamava Mendoza contava almeno una cinquantina d'annil'altro ne aveva appena la metà. Erano però di forme tozze ambeduequantunque di statura quasi mediacon petti e braccia enormie dorsi da bisontisolidamente piantati.

Differivano solamente un po' nella tinta della pelle. Mentre il primo era appena abbronzatol'altro era nero e non aveva un pelo sul mentoné intorno alle labbra.

- Viene? - chiese il vecchio. - Tu hai gli occhi migliori dei miei. Non sono un selvaggio come teiomio caro Martin.

- Ecco un'offesa che non mi aspettavo da parte tua.

- Nega di essere parente di Belzebú. Si dice che il diavolo sia nero.

- Tu non l'hai mai vedutoMendoza.

- E non ho neanche premura di fare la sua conoscenza- rispose il vecchio. - Lo vedi?

- Un uomo si dirige verso di noi.

- Che sia il signor di Ventimiglia?

- Non sono un leopardo.

- Eppure tuo padre e tuo nonno conoscevano quelle bellissime bestievivendo nei loro paesi.

In quel momento si udí un leggero fischiopoi un uomo si diresse rapidamente verso la gradinata della vecchia chiesa.

- Il signor di Ventimiglia! - esclamarono i due marinaialzandosi. Era infatti il conte de Mirandao meglio di Ventimiglianipote del famoso Corsaro Neroche s'avvicinava guardandosi di quando in quando dietro le spalle come se temesse di essere seguito da qualcuno.

- Buona seramiei bravi - disse. - Quali nuoveMendoza?

- Non troppo buonesignor conte - rispose il vecchio filibustiere.

- Non avete saputo nulla del cavaliere Barquisimeto?

- Abbiamo interrogato piú di venti persone e ne abbiamo ubriacate altrettante; ma nessuno ha saputo dirci dove si trova il segretario del marchese.

- Eppure mi hanno assicurato che deve trovarsi qui - disse il signor di Ventimiglia. - Egli solo può dirci i nomi di coloro che hanno pronunciato l'infame sentenza contro il Corsaro Rosso ed il Corsaro Verde e che li hanno fatti impiccare.

- Che quel furfante abbia fiutato il pericolo e abbia preso il largo? Voi sapete che gli spagnuoli hanno molte spie.

- È impossibile! La nostra fregata è creduta da tutti una nave spagnuolaspedita qui a proteggere la città contro una sorpresa da parte dei bucanieri e dei filibustieri - rispose il conte. - Se avessero avuto qualche sospettoi galeoni e le caravelle che si trovavano qui ci avrebbero già dato battaglia. Avete notato nulla di insolito nel porto?

- Nosignor conte. Le navi mercantili hanno caricato tutto il giorno zucchero e caffèe quelle da guerra non hanno lasciato i loro ancoraggi - rispose Mendoza.

- Eppure non mi sento affatto tranquillo. Basterebbe la piú lieve imprudenza per farci bombardare dai forti e dalla flotta.

- Nessuno la commetteràconte; l'equipaggio è sempre consegnato a bordo e ho fatto collocare delle sentinelle dinanzi alle due scale e perfino dentro le scialuppe.

- Malgrado ciòio vorrei andarmene al piú presto. Questa commedia non può durare a lungoe la mia impresa potrebbe finire qui. Ahse potessi vedere la marchesa per dieci minuti solimi risparmierebbe la fatica di cercare quell'inafferrabile cavaliere. Deve ben sapere qualche cosa dell'infamia commessa da suo cognato.

Stette un momento silenziosopoi soggiunse:

- Non deve essersi coricata: proviamomiei bravitenete pronte le spade e anche le pistole.

- Sono tre orecapitanoche aspettiamo la buona occasione per menare le mani - disse Martin.

- Seguitemi.

Assicuratisi che la via era desertal'attraversarono senza far rumore e si avviarono verso il palazzo dei Montelimar che si trovava a breve distanza. Il conteinvece di avvicinarsi al portonegirò intorno al magnifico giardinocinto da una cancellata di ferro che si prolungava lungo i fianchi del fabbricato. Guardò in alto e scorse due finestre illuminate.

- Sono ancora svegliati - mormorò.

Ad un tratto trasalí.

Delle note dolcissimeche uscivano dalle due finestre che non erano chiusel'avevano colpito.

Qualcuno suonava il mandolino nel palazzo. Chi? Un servo od una camerieranodi certo. Non l'avrebbero osatose la marchesa si fosse già coricata.

- Che sia lei? - si disse.

Si volse verso i due marinaii quali avevano sguainate le lunghe spade per premunirsi contro una possibile sorpresae disse loro:

- Dobbiamo superare la cancellata.

- Un gioco da fanciulli per dei marinai - rispose Mendoza.

- Montiamo all'arrembaggio - disse Martin.

Il conte s'aggrappò alle sbarrele salí fino alla cimalesto come uno scoiattolovarcò le punte e si lasciò cadere dall'altra partein mezzo ad un'aiuola di splendidi fiori. I due marinai erano saltati nel giardinoquasi nello stesso tempo.

- Oh! c'è da battagliarequi? - chiese Mendoza.

- Lascia in pace la tua spadaper ora - rispose il conte di Ventimiglia.

- Vedremo piú tardi se vi sarà bisogno di un po' di buon acciaio. Seguitemi senza rumore.

Attraversarono il giardinocercando di non fare scricchiolare la ghiaia dei vialie giunsero sotto le finestre illuminate.

Il mandolino continuava a suonare una dolcissima signadilla.

- Non può essere che la marchesa - mormorò il conte. - Questa signadilla è stata suonata stasera durante la festae cerca d'imitarla... Che io abbia tanta fortuna?

Un gigantesco bombaxalto una trentina di metricol tronco coperto di bitorzoli spinosis'alzava di fianco al palazzospingendo i suoi rami quasi presso alle finestre illuminate e anche piú sopra.

- Ecco quello che mi occorreva - mormorò il conte. - Rimanete qui e non state in pensiero. La mia assenza non sarà lunga.

S'aggrappò con precauzione ai bitorzoliper non ferirsi le manie cominciò a salirementre Mendoza e Martin si sdraiavano alla base del tronconascondendosi quasi interamente tra le alte erbe che vi crescevano intorno.

Bastarono pochi secondi al robusto e agilissimo gentiluomo per raggiungere il grosso ramo che rasentava una delle due finestre illuminate.

Guardò attraverso i vetri socchiusi.

La finestra prospettava su un elegante gabinetto dalle pareti coperte di arazzi di Granata e ammobiliato elegantementequantunque tutti i mobili fossero pesantissimicome si usava in quell'epoca.

Un lampadario d'argentocon parecchie candelelo illuminava vivamente.

Non vi era però alcuna persona; tuttavia la mandola non aveva cessato di suonare.

Una cosa colpí subito il giovane conte. Era la veste di seta guernita di smeraldiche la marchesa aveva indossata durante la festae che era stata gettata su un piccolo divano moresco scintillante di ricami d'oro e d'argento.

Stava per spiccare il saltoquando udí Mendoza chiedere:

- Chi vive?

Una voceche il conte riconobbe subitorispose:

- A voi lo domando: che cosa fate quibricconi?

- A noibricconi! - gridò Martin.

- Il conte di Sant'Iago! - mormorò il figlio del Corsaro Rossostringendo i denti.

Non trovandosi che ad un'altezza di quattro metril'agile giovane si lasciò cadere dalla pianta. Mendoza e Martin stavano già con le spade in pugno di fronte al capitano degli alabardieriil quale aveva pure sguainata la sua lama.

- To'! - esclamò il signor di Sant'Iago con voce beffarda. - Il Conte de Miranda che cade dall'alto! Siete andato a far provvista di frutti di bombax? Vi avverto che non sono mangiabili e servono soltanto a fare un pessimo cotone.

- E voi siete venuto qui a fare raccolta di fiorinon è vero? chiese il conte di Ventimigliarosso di collera.

- Può anche darsi; ma almeno io li raccolgo in terramentre voi cercate i frutti presso le finestresenza pensare che se vi scivola un piede potreste rimanere zoppo tutta la vita; un vero peccato per un cosí bel giovane!

- Mi pare che voi scherziate - disse il conte di Ventimiglia.

- E se cosí fosse? - chiese il capitano.

- Penso che questo non sarebbe il posto. Lassú le finestre sono illuminate e mi spiacerebbe che ci vedessero.

- La marchesa di Montelimar? - chiese il capitano ironicamente. - Se quella signora può impressionarvipossiamo cercare altrove un posto dove nessuno venga a disturbarci. Ohlo conosco questo giardino e so anche dove si trova un bellissimo prato che sembra stato preparato appositamente per incrociare due spade!

- È una sfida che voi mi lanciate?

- Prendetela come volete; a me importa poco.

- Dov'è quel prato? - chiese il conte di Ventimiglia con ira...

- Fretta di morire?

- Sono ancora vivosignor di Sant'Iago; e se la vostra mano è lestala mia lo è altrettanto.

- Cosí l'accordo sarà perfetto - rispose il capitano sempre ironico. - Vi avverto però che io la scorsa settimana spacciai un rivale che mi dava noia.

- Me lo avete già dettoe ciò non produce su di me alcun effetto. Ho battuto piú d'un capitanoed erano spagnuoli come voi!

- Che cosa avete detto? - chiese il conte.

Il figlio del Corsaro Rosso si morse le labbrairato di essersi lasciato sfuggire quelle parole.

- Signor conte- disse il capitano - volete seguirmi fino a quel prato? Là potremo discorrere tranquillamente e anche divertirci.

- Eccomi! - disse il figlio del Corsaro Rosso.

- E quegli uomini? - chiese il signor di Sant'Iagoindicando Mendoza e Martin. - Non daranno qualche impicciose non a voialmeno a me?

- Qualunque cosa debba succederequesti miei marinai non daranno fastidio a nessuno; vi do la mia parola d'onore.

- Mi basta: venitesignori. Forse serviranno a qualche cosa - aggiunse poi col suo solito accento beffardo.

Il capitano si cacciò sotto un boschetto di palmelo attraversò sempre seguito dal Corsaro e dai due marinaie sbucò in una piccola prateria coperta da un'erba piuttosto folta e circondata da ogni parte da splendidi palmizi.

- Ecco un bel posto per parlare liberamente - disse volgendosi verso il conte di Ventimiglia.

- E anche per uccidersi senza che nessuno intervenganon è verocapitano? - chiese il figlio del Corsaro Rosso.

Il conte di Ventimiglia incrociò le braccia eguardando il conte di Sant'Iago il quale si era esposto ai raggi della luna che allora sorgevagli chiese con voce secca:

- Che cosa volete ora? Ditemelo subitoperché ho molta fretta.

- Carrai! Correte molto presto incontro alla mortevoi!

- Caramba! Pare che voi vi siate dimenticato d'una cosasignor capitano!

- Volete dire?

- Che il quattordici ha vinto il tredici.

- Credete di spaventarmi?

- Niente affatto: mi hanno detto che siete coraggioso.

- Tagliamo cortoconte.

- Che cosa desiderate?

- Darvi un buon colpo di spada - rispose il capitanocon voce rauca.

- Quando un rivale mi attraversa la via o mi dà ombraio lo mando a riposare nel cimitero di San Domingo.

- Siete terribile!

- Lo proverete fra pocose non scapperete.

- Che cosa ditecapitano? Io fuggire dinanzi alla vostra spada? Sono un gentiluomo ed un uomo di guerramio caro spaccamonti!

- Rajo de Sol! Mi avete insultato! - urlò il conte di Sant'Iago.

- Pare anche a me.

- Vi ucciderò al primo attacco!

- O al ventesimo?

- Vi burlate di me?

- Cosí pare - rispose il figlio del Corsaro Rossosnudando la spada e mettendosi rapidamente in guardia.

- Lampi e folgori!

- Folgori e cannonate!

- È troppoconte de Miranda.

- E la luna è splendida! Ci batteremo magnificamente senza aver bisogno né di torcené di fanali. Signor capitano degli alabardieri di Granatavi aspetto.

Il conte di Sant'Iago aveva a sua volta snudato la lunga spada; ma tutto ad un tratto ruppe la guardiadicendo:

- Vi siete fatto annunciare col titolo di conte de Miranda: lo siete davvero?

- Sono un gentiluomo e vi basti questo.

- Spagnuolo?

- Che io sia o non sia spagnuolonon vi deve interessare. D'altronde se vorrete sapere il mio nomelo troverete inciso sulla lama della mia spada... Ed ora bastacapitano: ho fretta.

Entrambi si rimisero in guardiamentre Mendoza e Martin si erano un po' scostatiper lasciare ai due rivali la maggiore libertà possibile. Il conte di Ventimiglia volgeva le spalle alla luna che si mostrava maestosa al di sopra delle alte palme del giardino: il capitano invece era interamente illuminato.

Si guardarono l'un l'altrofissandosi intensamente con ira: poi il capitanoche pareva il piú impazientemalgrado l'etàfece tre o quattro finte per vedere se l'avversario si smascherava o se tradiva il suo giuoco.

Il giovane capitano della Nuova Castiglia non si mosse. Stava saldo come una rupecon la spada in linealo sguardo attento.

- Carrai! - esclamò l'alabardiere. - Vi giudico già di una buona lamama vedremo in seguito se parerete queste botte che sembrano finte.

Il signor di Ventimiglia non rispose. Non doveva essere certamente alle sue prime armia giudicare dalla sua calma.

- Sfonderò quel muro d'acciaio e di carne - disse il capitanoil quale perdeva la sua calma. - Ecco una buona stoccata! Paratela!

Era partito a fondo con velocità fulmineama il conte con una parata di secondaaltrettanto rapidaaveva scartato la lama del capitano.

- Carrai! Che braccio solidosignor de Miranda. Non mi aspettavo una simile resistenza. Il giuoco però è appena cominciato e la luna non tramonterà prima dell'alba.

Anche questa volta il figlio del Corsaro Rosso non rispose.

Guardava intensamente la punta della spada del capitano che l'astro notturno faceva scintillare sinistramente.

- Non siete corteseconte - disse il signor di Sant'Iagorimettendosi in guardia. - Sapete che oggi usa battersiscambiandosi frasi gentili?

Un colpo di spadache per poco non lo sorpresefu la risposta del signor di Ventimigliacolpo appena parato di terzacon solo un secondo di vantaggio.

- Diavolo! - brontolò il capitano. - Qui non ci vogliono chiacchiere!

Fece un passo indietrotastando prima il terreno col piede sinistro per non scivolarepoi prese una guardia di secondadicendo:

- Vi aspettoconte!

Il figlio del Corsaro Rossomesso un po' in sospetto da quella mossasi guardò bene dall'attaccare e rimase fermocon la spada in lineasempre minacciando il petto del capitano con un colpo d'arresto.

- Non assalite dunquesignor conte de Miranda?

- Non ho mai frettacapitano.

- V'aspetto da un mezzo minuto.

- Potete aspettarmi anche mezzo secolose cosí vi piace.

- Ahper le corna del diavolo!

Per la terza volta il conte di Ventimiglia stette zitto. Ratto come un lampo si era allungato tuttofacendo due salti innanzi ed era piombato sull'avversarioportandogli un colpo in mezzo al petto. Fu un grande miracolo se anche quella stoccata venne parata dallo schermitore spagnuolo; nondimeno la casacca di seta rimase tagliata per un bel tratto.

- Caramba! Vi slanciatesignor contee cercate anche di sorprendermimentre io vi dico delle galanterie. Due centimetri piú innanzie mi toccavate. Un'altra volta ricordatevi che bisogna allungarsi...

Un grido gli spezzò la frase. La spada del signor di Ventimiglia era nuovamente scattata e la lama era entrata piú di mezza nel petto del capitano. Egli rimase un momento in pieditrattenendo la lama del conte con la mano sinistra; poi si rovesciò pesantemente a terraspezzandola. Cinque pollici di acciaio della spada spezzata rimasero conficcati nel suo stomacoall'altezza della quarta costola di sinistra.

- Morto? - chiesero ad una voce Mendoza e Martin facendosi innanzi.

Il conte gettò a terra il troncone della spada e si curvò sul capitano che si contorceva fra gli spasimi d'un'atroce agonia.

- Forse non siete ferito gravementesignor di Sant'Iago - gli disse. - Possiamo ancora salvarvi.

- Credo d'aver avuto il mio conto - rispose il capitano. - Per bacco! Avete la mano piú lesta della mia! Morirò presto e ciò mi rincresce per una sola cosa.

- Quale?

- Per non aver avuto il tempo di mandarvi a bordo le mille e cento piastre che mi avete vinto.

- Non ve ne date pensiero; ditemi invece che cosa possiamo fare per voi.

- Chiamate i servi della marchesa di Montelimar. Almeno morrò sotto il tetto della donna... che amo e per la quale muoio.

- Lasciate che cerchi di togliervi prima il pezzo di lama che vi è rimasta nel petto.

- Mi uccidereste piú presto. No... no... i servi... mandate... correte.

- Mendoza! Martin! chiamate gente al palazzo!

I due marinai partirono di corsa; mentre il signor di Ventimigliapiú commosso di quel che volesse sembrareteneva alzata la testa del capitanoaffinché il sangue non lo soffocasse. Era appena trascorso un minutoquando si videro dei lumi e degli uomini avanzare attraverso i viali.

- Signor conte- disse il figlio del Corsaro Rosso - sono obbligato a lasciarvi. Non voglio che si sappia che sono stato io a ferirvi.

- Vi ringrazio - rispose il capitano con voce fioca. - Se guariròspero che mi accorderete la rivincita.

- Quando vorrete.

Si alzò e si allontanò rapidamenteavviandosi verso la cancellata.

Mendoza e Martindopo aver avvertiti i servi della marchesasi erano a loro volta allontanatiscavalcando i ripari. Quando i valletti giunsero sul pratoil capitano era svenutoma teneva le mani serrate strettamente sul pezzo di lama.

- Il capitano degli alabardieri di Granata! - esclamò il maggiordomo della marchesail quale guidava i servi. - È un amico della padrona! Prestoportiamolo al palazzo!

Quattro servi sollevarono con precauzione il ferito e lo trasportarono in una stanza a pianterrenoadagiandolo su di un lettomentre un quinto correva a cercare il medico di famiglia. La bella marchesa di Montelimaravvolta in una vestaglia di seta azzurraera subito scesae chiedeva al maggiordomo con voce angosciata:

- Mio Dioche cosa è successoPedro?

- Hanno ferito gravemente...

- Il conte de Miranda? - gridò la marchesa impallidendo.

- NoSignorail conte di Sant'Iago.

- Il capitano degli alabardieri?

- Precisamente

- Con qualche pistolettata?

- Con un terribile colpo di spada; ha ancora mezza lama conficcata nel petto.

- Un duello?

- Cosí pare.

- Ed il feritore?

- Scomparsosignora.

- E dove si sono battuti?

- Nel vostro giardino.

- Quell'uomo cercava sempre di uccidere ed ha avuto il suo conto. Chi può aver vinto la migliore lama del reggimento di Granata? Chi? Non è mortoè vero?

- Solamente svenutoma io credo che non se la caverà.

- Lascia che lo veda.

Il maggiordomo si trasse da una parteed essa entrò nella stanza dove si trovavano alcuni servi affaccendati a bagnare le labbra e le narici del ferito con acetoper cercare di farlo rinvenire.

Il capitano giaceva sul letto con le braccia aperteil volto cadavericola fronte ancora corrugata. Un sibilopiuttosto che un respirogli usciva dalla bocca semiaperta.

Aveva sempre il pezzo di lama piantato in mezzo al pettopresso il cuorenon avendo nessuno osato levarloper timore di provocare una violentissima emorragia.

Il giubbetto di seta a righe azzurre e rossecon grandi alamari d'argentoera squarciato per una lunghezza di parecchi pollicima nessuna goccia di sangue aveva macchiato la camicia.

La lama serviva da tampone.

- Disgraziato! - mormorò la marchesa con voce commossa. - Lo spadaccino che lo ha cosí terribilmente ferito non può essere di San Domingopoiché tutti avevano pura della spada di quest'uomo... È stato avvertito il medicoPedro?

- Sísignora marchesa - rispose il maggiordomo. - Non tarderà a giungere.

- Se non viene subitoquesto povero conte muore.

- Eccolo: odo della gente entrare.

La porta si era aperta ed un vecchiovestito interamente di seta neraseguito da un giovane che portava una cassettaerano comparsi. Erano il medico e il suo aiutante.

- Signor Escobedo - disse la marchesaandando incontro al vecchio - Vi raccomando quel signore: è il conte di Sant'Iago. Fate il possibile per strapparlo alla morte.

- Oh! È il terribile spadaccinomarchesa? - chiese il medico. Quando si tratta di colpi di lamal'affare è sempre serio. Vediamo.

S'accostò al lettomentre il suo aiutante apriva la cassetta contenente parecchi ferri chirurgicie diede un lungo sguardo al feritoil quale non aveva ancora ripreso i sensi.

- Ferita graveè verosignor Escobedo? - chiese la marchesa.

- Una stoccata terribilemarchesa - rispose il medicofacendo una smorfia e tentennando il capo. - Il suo avversario doveva avere un pugno ben solido.

- Sperate di salvarlo?

- Non posso darvi una risposta sicuramarchesa. Ritiratevi tutti a lasciatemi solo col mio aiutante. È necessario operare subito.

La marchesail maggiordomo e i servi si affrettarono a sgombrare.

- Una pinza forteMaurico - disse il dottore quando furono solivolgendosi verso l'aiutante.

- Volete estrarre la lamadottore?

- Non posso certo lasciargliela nel petto!

- Non morrà subito?

- È quello che purtroppo temo. La punta deve aver offeso gravemente il polmone.

In quel momento il conte emise un profondo sospiro e alzò le bracciaposando le mani sul pezzo di lama che gli usciva dal petto.

- Sta per tornare in sé - disse il medicoil quale si era curvato sul ferito.

Il capitano emise un altro sospiro piú lungo del primo e che terminò con una specie di rantolopoi alzò lentamente le palpebre e fissò il dottore con uno sguardo velato.

- Voi... - balbettò.

- Non parlatesignore.

Un sorriso contorse le labbra del conte.

- Sono... un uomo... di guerra... - disse con voce spezzata. - Sono finito... è vero?...

Il dottore scosse il capo senza rispondere.

- Quanti minuti... ho... di vita? Parlate... lo voglio.

- Potreste vivere anche un paio d'orese non vi levo il pezzo di spada.

- E levandolo?... ditelo!

- Pochi minuti forsesignor conte.

- Mi... basteranno... per vendicarmi... Ascoltatemi...

- Se parlate troppo vi ucciderete anche piú presto.

Un altro sorriso comparve sulle smorte labbra del capitano.

- Ascoltatemi... - disse con suprema energia. - Sulla lama... vi è inciso... un nome... quello del mio avversario... Voglio conoscerlo... prima di morire.

- Bisognerebbe levarvela dal petto.

Il conte fece un cenno affermativo.

- Lo volete proprio? - chiese il dottore.

- Già... morrò... egualmente.

- Mauricole pinze.

L'aiutante portò due piccolissime tenaglieun pacco di cotone e delle fasceper arrestare subito il sangue che sarebbe sgorgato dalla ferita.

- Presto... - mormorò il conte.

Il medico afferrò la lama e la trassea piccole scossedal corpo. Il conte aveva stretto le labbra per non gridare. Dall'alterazione del viso e dal sudore vischioso che gli copriva la frontesi capiva quanto doveva soffrire.

Fortunatamente quella dolorosissima operazione non durò che pochi secondi: subito dalla ferita sgorgò un getto di sangue che l'aiutante fermò con delle bende.

- Il nome... il nome... - balbettò il capitano con voce spenta - presto... muoio...

Il dottore pulí la lama lorda di sangue con un asciugamanoe vide apparire delle lettere incise sull'acciaiosormontate da una piccola corona di conte.

- Enrico di Ventimiglia - lesse.

Il capitanononostante la sua estrema debolezza ed il dolore che lo tormentavasi era quasi alzato a sedereesclamando con voce rauca:

- Ventimiglia!... Un nome di corsari: il Rosso... il Verde... il Nero... Un Ventimiglia! Tradimento!

- Contevi uccidete! - gridò il medico.

- Ascoltate... ascoltate... la fregata... giunta ieri... è corsara... la comanda quello vestito di rosso... correte dal governatore... avvertitelo... fatela abbordare... presto... la città è in pericolo... Muoio... ma vendicheranno la mia morte... Ah!

Il capitano era ricaduto sui guanciali. Rantolava ed impallidiva a vista d'occhio.

Il sangue filtrava attraverso le filacce e le bende arrossando la camicia e la giubba. Ad un tratto una spuma sanguigna comparve sulle labbra del disgraziatopoi le palpebre si abbassarono lentamente sugli occhi già spenti. Il capitano degli alabardieri di Granata era morto.

- Maestro- disse l'aiutante al medicoil quale teneva sempre in mano il pezzo di lama - che cosa farete ora?

- Andrò ad avvertire subito il governatore. I Ventimiglia sono stati i piú tremendi corsari del golfo del Messico. Qualche loro figlio o parente è ricomparso in queste acque. Guai a noi se non si catturasse!... Non ne parlare con nessunonemmeno con la marchesa.

- Sarò mutomaestro.

- Tu andrai ad avvertire il colonnello del reggimento di quanto è accadutoperché venga trasportato in casermaquesto povero conte.

- E voi?

- Corro dal governatore.

Avvolse nell'asciugamano la lamapoi aprí la porta. La marchesa di Montelimarin preda ad una visibile commozioneaspettava nella sala vicina insieme al maggiordomo e alle sue cameriere.

- Dunquedottore? - chiese.

- È mortomarchesa - rispose Escobedo. - La ferita era terribile.

- E non vi ha detto chi lo ha ucciso?

- Non ha potuto parlare; deve aver avuto un duelloperché non aveva piú la spada nella guaina.

- E ora?

- Penso io a tutto. Prima dell'alba il capitano sarà portato nella caserma o nel suo appartamento. Si potrebbe malignare sul conto vostrose lo lasciassimo qui.

- È quello che temevo.

- Buona nottemarchesa. M'incarico io di ogni cosa.

 



CAPITOLO III

 

LA CORSA AI GALLI


Il giorno dopouna folla giocondavestita di costumi svariati e variopintisi accalcava nei dintorni del grandioso palazzo dei Montelimar. Vi erano ufficialisoldatipiantatorimarinai e contadinie non mancavano nemmeno le señore e le señoritas in abiti elegantissimicon la graziosa manta sulle alte pettinaturequantunque lo spettacolo che stava per incominciare non dovesse interessarle gran che.

Si trattava della corsa al gallogià annunziata dalla marchesa al conte de Mirandao meglio al conte di Ventimiglia.

I coloni spagnuoli hanno sempre avuto due grandi passioni: i tori ed i galli! Strano contrasto fra una bestia enorme e temibilissima ed un povero ed innocuo pennuto!

Eppure non badavano a spendere per possedere dei buoni gallispecialmente quelli destinati a combattersi l'un l'altroe scommettevano in questo barbaro gioco somme enormi.

Ma uno dei loro divertimenti favoriti era la corsa al galloinventata forse con lo scopo di formare degli abilissimi cavalieridei quali si aveva purtroppo molto bisogno per dare la caccia ai bucanierii formidabili alleati dei filibustieriche minacciavano senza tregua le città di terramentre gli altri si occupavano di quelle marittime.

Il giuoco era semplicissimotuttavia non mancava di destare un vivissimo interesse fra i numerosi spettatorisempre pronti a scommettere una piastra come anche mille.

Su una via diritta scavavano quattro o cinque buche e vi seppellivano altrettanti galliin modo che tenessero fuori soltanto il collotenendo fermi quei poveri volatili con della sabbia e con delle pietrema in modo però che non avessero troppo a soffrire.

I cavalieri che prendevano parte a quello strano divertimento erano obbligati a passare a corsa sfrenatacurvarsi fino a terra e con una mano strapparli.

Non era una manovra facilepoiché esponeva il cavaliere ad una caduta che poteva avere gravissime conseguenzeanche se salutata da una clamorosa risata da parte degli spettatori. Il premio ordinariamente era un bacio sulla mano o sulla gota della piú bella signora che assisteva al divertimento; galanteria spagnuola che i rudi Yankees del diciottesimo secolo dovevano piú tardi imitare.

Quattordici cavalierimontati tutti sui piccoli ed eleganti cavalli andalusisi erano presentati alla corsaallineandosi dinanzi al palazzo dei Montelimar. Erano quasi tutti giovanottifigli di piantatori o di pezzi grossi dell'ammiragliatoansiosi di baciare le gote della piú bella vedova di San Domingo.

Spiccava però tra loro il conte de Mirandasempre vestito di rossoelegantissimoche montava un cavallo andaluso tutto nerodagli occhi ardentiacquistato la mattina stessa a caro prezzo. Vedendo comparire la marchesa sullo scalone di marmo del palazzoil conte si era levato il feltro rosso adorno d'una lunghissima piuma e si era chinato sul cavallo.

La bella vedova rispose con un sorriso e con un grazioso gesto della manopoi prese subito posto in una specie di tribuna eretta dinanzi ai palazzoinsieme al suo maggiordomo e alle donne della casa.

Quattro galli erano stati seppellitiad una distanza di venti metri l'uno dall'altro. I disgraziati pennuti facevano sforzi disperati per liberarsi da quella incomoda prigioniaallungando il collo e cantando a piena golama le pietre li trattenevano e impedivano loro di fuggire.

Due giudici di campodue vecchi ufficiali in ritirosi erano collocati ai due lati dei cavalieri per regolare la corsa.

Il pubblicoche era diventato numerosissimoscommetteva intanto con vero furore esia per simpatiasia per la bella figurapuntava di preferenza sul figlio del Corsaro Rosso.

Quale terribile sorpresase avesse saputo che giocava sul suo piú mortale nemicosu uno di quei tremendi filibustieri che avevano giurato la distruzione delle colonie spagnuole dell'America Centrale!...

I due giudici di campodopo aver esaminato attentamente le bardature dei cavalliperché non accadesse qualche disgraziasi erano accostati al palco dove si trovava la marchesa.

- Pronti? - chiese uno.

- Tutti - risposero ad una voce i quattordici cavalierilanciando uno sguardo verso la marchesa di Montelimar.

- Partite. - disse l'altro.

I cavallivivamente spronatispiccarono un saltopoi si slanciarono con impeto irrefrenabile.

Il figlio del Corsaro Rosso aveva subito preso la testa del drappellotenendo solamente il piede sinistro nella staffa per potersi piú facilmente curvare fino a terra.

Il suo morelloun cavallo scelto con curadivorava la via con uno slancio straordinariolasciandosi dietro di parecchi metri gli avversari.

Cavalcava cosí splendidamenteda suscitare un vero entusiasmo fra gli spettatori. Uomini e donne applaudivano fragorosamente quando passava davanti a lorocurvo sul collo del destrierofacendo ondeggiare la sua lunghissima piuma rossa. Il giovane cavalieregiunse cosi addosso al primo gallocon la velocità d'un uraganosi piegò verso terratenendosi con una mano ben fermo al collo del cavallo elesto come un cavaliere araboafferrato il primo volatilelo strappò dalla sua buca e lo alzò trionfalmente.

Un grido di entusiasmopartito dalla follasalutò il colpo maestro del cavaliere. Uomini e donne sventolavano i fazzoletti ed agitavano bastoni ed ombrellicome se avessero assistito ad una corrida de toros. Il giovane rosso in quel momento veniva acclamato come uno dei piú famosi espadas del circo di Siviglia o di Granata.

Il conte strozzò il gallo e lo gettò ad un gruppo di mendicanti; poigiunto all'estremità della viachiusa da uno steccatofece fare al cavallo un fulmineo volteggio e riprese la corsa di ritorno.

I cavalieri che lo avevano seguito giungevano in quel momento quasi in gruppo serratoma tutti a mani vuote. Nessuno era stato fortunatoin quella prima corsaed i galli erano rimasti dentro la loro prigione.

- Che pessimi cavalieri! - mormorò il conte. - Che spetti a me accoppare tutti questi volatili? La cosa sarebbe noiosase la vittoria non valesse un bacio alla piú bella donna di San Domingo.

Allentò le briglie e riprese la corsaspronando col piede destro il suo morelloe tenendo come prima il sinistro liberoper potersi curvare con maggiore comodità.

Poiché aveva sugli avversari un vantaggio di oltre trenta metried era solomentre gli altri galoppavano in gruppoil conte raggiunse in un lampo il secondo gallo e lo strappò.

Non un gridoma un vero urlo entusiastico salutò il cavaliere.

- Viva il conte rosso! - aveva gridato la follabattendo freneticamente le mani.

Gli altri cavalieri avevano avuto pure qualche fortunapoiché due di loro avevano strappato un gallo ciascuno. La vittoria peraltro era rimasta al conteil quale aveva fatto da solo un doppio colpo.

Scese da cavallo e s'avvicinò alla marchesa che lo guardava sorridendoe le mise sulle ginocchia il volatile dicendo:

- Lo conserverete per mio ricordosignora; cosí quando io sarò partito vi ricorderete qualche volta di me.

- Volete dunque partire? - chiese la bella vedova.

- È probabile che questa sera io non sia piú a San Domingo - rispose il conte.

- Allora voi accetterete di far colazione con me.

- Non rifiuto mai la compagnia d'una signoraspecialmente quando è bella e amabile come voi.

- Ahconte!...

Si era alzata. Fece con la mano un gesto d'addio ai cavalieri che stavano allineati dinanzi al palco scopertoe salí lestamente il magnifico scalone di pietramentre la folla si disperdeva.

Il conte di Ventimiglial'aveva seguita insieme al maggiordomo e dalle donne di casa.

La marchesa gli fece attraversare parecchie sale riccamente decorate ed elegantemente ammobiliatee infine entrò in un salotto da pranzonon molto vastocon le pareti coperte di cuoio rosso di Cordova e il soffitto dorato.

Nel mezzo una tavola era imbandita con posate e piatti d'oro e magnifici trionfi d'argento contenenti le piú svariate frutta dei climi tropicali.

Non vi erano che due poltrone l'una accanto all'altra.

- Signor conte- disse la marchesa - vi avverto che oggi non ho invitati: cosí potremo parlare liberamente come due buoni amici.

- Vi ringraziomarchesadi questa delicata attenzione.

- E poi devo chiedervi qualche informazione.

- A me! - esclamò il corsaro con stupore.

- A voi! - rispose la marchesa di Montelimarsulla cui bella fronte era apparsa una leggera ruga.

- E se vi dicessi che io desideravo vivamente rivederviprima di spiegare le veleper chiedervi anch'io un'informazioneche cosa direste?

Questa volta fu la marchesa che fece un gesto di sorpresa.

- A me! - esclamò. - Mi conoscevate voiconteprima di gettare le vostre âncore in questo porto?

- No: avevo solamente udito parlare dei Montelimar.

- Di mio marito?

- Nod'un vostro cognato che molti anni or sono doveva coprire la carica di governatore di Maracaibo.

- Infatti mio marito aveva un fratello governatore.

- L'avete mai veduto quel Montelimar?

- Sídue anni or sono feci la sua conoscenza a Portorico.

L'entrata di quattro servi negrii quali portavano le vivande su dei larghi piatti d'argento cesellato e alcuni canestri contenenti polverose bottigliefece interrompere la conversazione.

- Facciamo colazione ora - disse la marchesa al conte. - Gli uomini di mare devono esser dotati d'un buon appetito e sperosignor de Mirandache farete onore ai miei cuochi.

- Quando suona la campana del mezzodí i nostri stomachi sono sempre prontimarchesa. Se vedeste i miei marinai che terribile assalto danno alle tavole!

- Mi piacerebbe assistervi.

- Se rimanessi ancora qualche giorno nel porto sarei onoratissimo di ricevervi sulla mia nave. Disgraziatamente dubito di essere ancora qui domani.

- Ma voi mi diceste che vi avevano mandato per proteggere la città da un assalto combinato fra filibustieri e bucanieri.

- Questo pericolo non c'è piúormai - rispose il conte con aria un po' imbarazzata. - Mi avevano detto che parecchie navi sospette si erano vedute nelle acque di Jonairesveleggianti verso il sud: stamane invece sono stato avvertito che si erano allontanate in direzione della Tortue. Andrò appunto a sorvegliare quei paraggiper accertarmi della cosa.

- E per calare a fondo quelle navi?

- Síse mi sarà possibile.

- Sono formidabili quei filibustieri!

- Montano all'abbordaggio come diavolimarchesae quando sparano una fucilata uccidono sempre.

Prese una bottigliache i servi avevano già stappataed empí due bicchieri dicendo:

- Alla vostra bellezzamarchesa!

- Alla vostra navecapitano! - rispose la signora di Montelimar.

Il conte vuotò il suo bicchiere tutto d'un fiatofece segno ai servi negri di uscirepoiguardando fisso la marchesariprese:

- Ed orasignorase non vi spiaceriprendiamo la nostra conversazione. Voi mi avete detto d'aver conosciuto vostro cognato a Portorico?

- È veroconte.

- Quando?

- Due anni or sono.

- Sapreste dirmi dove si trova ora?

- A Pueblo-Viejomi hanno detto. So che nei dintorni di quella città ha vastissime piantagioni di canna da zucchero.

- Ah! - fece il conte corrugando la fronte. - Vostro marito vi ha mai parlato dell'esecuzione avvenuta per ordine di vostro cognatodi due famosi corsari che si facevano chiamare l'uno Corsaro Rosso e l'altro il Corsaro Verdee che erano due gentiluomini italiani?

La marchesa guardò il conte con una certa ansietàpoi disse:

- Sími ha parlato spesso di quei due corsarima ve n'era anche un altroche poi scomparve con la figlia del duca Wan Guld.

- Quello si chiamava il Corsaro Nero - disse il conte - e non fu impiccato come i suoi fratelli. Non sapreste dirmi chi furono quelli che decretarono e che applicarono a quei due gentiluomini la pena di morte?

- Noma ve lo potrebbe dire mio cognato. Io allora ero bambina e non abitavo a Maracaibo. Ora vorrei sapere perché v'interessate di quell'avvenimento. Avete conosciuto forse quei terribili filibustieri che fecero tremare per tanti anni le nostre colonie del golfo del Messico?

- È un segreto che non vi posso svelaremarchesa- rispose il figlio del Corsaro Rossoil quale era diventato cupo. - Mi avete detto che vostro cognato deve trovarsi a Pueblo-Viejo; questo può bastarmi per ora. Qui vostro cognato deve possedere dei beniquindi deve avere un amministratore ed un segretario.

- Volete parlare del cavaliere Barquisimeto?

- Precisamentemarchesa.

- Si trova infatti qui - rispose la marchesa. - Ma deve partire da un momento all'altro sul galeone la Santa Maria che si reca al Messico. Porteràio credole somme ricavate dalle piantagioni di mio cognato.

- Sulla Santa Mariaavete detto! - esclamò il contementre un lampo vivissimo illuminava i suoi occhi.

- Me lo disse egli stesso tre giorni fa.

- Ora ne so piú di quanto desideravomarchesa; e vi ringrazio delle preziose informazioni che mi avete date.

- Preziose?

- Piú di quanto crediate - rispose il conte.

- Allora me ne darete altrettante voispero.

- È vero: mi avete detto che volevate sapere qualche cosa da me. Parlatesignora; io farò il possibile per accontentarvi.

La marchesa stette un momento silenziosaguardando a sua volta intensamente il conte; poiindicando col dito la spada che il corsaro portava al fiancogli disse: - Ieri seradurante la festanon avevate quella spada. L'impugnatura è diversa. Perché l'avete cambiata?

- Perché l'altra la perdei mentre mi imbarcavo sulla scialuppa che doveva condurmi sulla mia fregata - rispose il corsaroarrossendo come una fanciulla.

- O l'avete lasciata invece nel petto di qualcuno che vi dava noia? - chiese la marchesa con voce grave.

Il conte di Ventimiglia non potè fare a meno di trasalire.

- Signora- disse con voce grave - da buon gentiluomo io non posso mentire e confesso francamente di aver lasciato la punta della mia lama nel petto del conte di Sant'Iago. Vi giuro però sul mio onore che non sono stato io a provocare la contesa.

- Vi credoconte; il capitano era un uomo violentissimo ed un grande spadaccino e temevo appunto che vi aspettasse fuori per darvi una stoccata. Mi stupisce invece che l'abbia ricevuta.

- Perchémarchesa?

- Tutti lo temevanoperché si sapeva che era una fortissima lama

- Ehsignoraappartengo ad una famiglia di formidabili spadaccini e molti sono stati spacciati dai conti de Mirandaanche per puntigli d'onore

- E voi l'avete ucciso!

- Dovevo ben difendere la mia vita.

- Da solo!

- Perché mi fate questa domanda?

- Perché mi hanno detto che con voi vi erano due uomini.

- Sídue miei marinaii qualidietro mio ordineassisterono impassibili al duello. Non avrei certo permesso che s'immischiassero in una faccenda che riguardava me solo. Il capitano era un gentiluomonon già un bandito che si potesse assalire con tre spade o assassinare a colpi di pistola.

- Siete coraggioso! - esclamò la marchesaguardandolo con profonda ammirazione. - Nessun spadaccino avrebbe osato assalire il conte di Sant'Iago.

- Di San Domingo forse - rispose il conte. - Io non sono nato nelle isole del grande golfo ed ho avuto per maestri uomini d'arme di Spagnadi Francia e soprattutto d'Italia.

- Sapete che si sospetta di voi?

- Come autore dell'uccisione del capitano?

- Síconte.

- Ebbeneche cosa vuol dir ciò? Forse che a San Domingo non è permesso a due gentiluomini di definire una questione a colpi di spada?

- Non dico di noma il duello è avvenuto senza testimonie poi...

- Scusatemarchesavi erano i miei marinai. Ed ora continuate.

- Vorrei chiedervi dove avevate acquistata quella spada che spense il capitano.

Il conte si era alzato e guardava la marchesa con inquietudine.

- Mi avete fatto una domanda che potrebbe avere...

Si interruppe bruscamente vedendo entrare il maggiordomo della marchesa.

- Che cosa volete? - chiese la signora di Montelimar un po' seccata da quella improvvisa comparsa.

- Perdonatesignora - rispose il maggiordomo. - Vi sono nella stanza vicina due marinai che insistono per comunicare al signor conte una grave notizia.

- Un bianco e un meticcio? - chiese il capitano della Nuova Castiglia.

- Sísignor contee poi...

- Continuate - disse la marchesa.

- Vi è anche giú un capitano degli alabardieriaccompagnato da venti uominiche domanda di visitare il palazzo.

- Per quale motivo?

- Ha un mandato di arresto.

- Per chi?

- Per il signor conte - rispose il maggiordomo dopo una breve esitazione.

Il conte spiccò un salto e portò la destra sulla guardia della spada.

- Dovranno fare i conti con questa lama! - gridò. - Dite al capitano degli alabardieri che attenda dieci minutiperché la marchesa di Montelimar possa finire tranquillamente la sua colazione ese insistefatelo bastonare dai servi... Mendoza! Martin!

I due marinaiudendo quella chiamatasi precipitarono nel salottospingendo da una parte il povero maggiordomo e sguainando le spade.

- Conte! - esclamò la marchesala quale era diventata pallidissima.

- Che cosa significa ciò?

- Ve lo dirò subitosignora - rispose il corsaro. - Permettetemi

d'interrogare prima i miei uomini... Per me si tratta di vita o di morte.

- Che cosa dite?

- Fra mezzo minutomarchesa. Parla tuMendoza!

- Signor contepare che si preparino a prendercio per lo meno ad arrembarci - rispose il vecchio marinaio. - Tutti i galeoni e le caravelle da qualche ora prendono posizione dinanzi all'uscita del portocome se avessero intenzione di impedirci di guadagnare il largo. Qualcuno deve aver tradito il nostro segreto.

- Che cosa ha fatto il mio tenente?

- Il signor Verra ha fatto caricare i cannoniper essere pronto a mitragliare galeoni e caravelleed ha comandato a tutti i marinai di armarsi. Non abbiamo a fondo che una sola ancora.

- Benissimo: è un brav'uomo che non si lascia mai cogliere di sorpresa. Ahi marinai genovesi! Nessuno può eguagliarli.

- Conte- gridò la marchesa - che cosa dite voi?

- Un momento ancorasignora - rispose il fiero giovane. - Mendozasono tutti a bordo i miei uomini?

- Tutticapitano.

- Siamo in ottanta e faremo sudare freddo quelli che vorranno impedirci di prendere il largo... Ora a voisignora di Montelimar. Io ho vinto la corsa al gallo e voi mi siete debitrice d'un bacio. Permettete dunque che io ne deponga uno sulle vostre belle mani. Sarà certamente il primo e l'ultimopoichése non accade un miracolofra pochi minuti scomparirà anche l'ultimo conte di Ventimigliadi Roccabruna e di Valpenta!

- Di Ventimigliaavete detto? - esclamò la marchesa.

- Sísignoraio sono il figlio di quel Corsaro Rosso che i vostri compatrioti hanno appiccato!

La marchesa stette muta per qualche istantein preda ad una vivissima emozione.

- Signor conte- disse - io non lascerò arrestare sotto i miei occhinel mio palazzoun gentiluomo come voi.

- Che cosa volete faresignora?

- Salvarvi!

- In qual modo?

- Seguitemi tutti esoprattuttofate presto. Il capitano degli alabardieri sarà irritato per questa lunga attesa.

Aprí la porta del salotto e introdusse i tre corsari in una stanza da lettola sua probabilmentea giudicare dalla ricchezza della mobiliae s'avviò ad un caminetto che era chiuso da una lastra di bronzo lavorata a cesello. Mise una mano su uno dei tanti fiori che la ornavano e premette rapidamente. La lastra subito scattòaprendosi: Tosto apparvero dei gradini che conducevano in alto.

- È un passaggio segretoaperto nello spessore della muraglia - disse la marchesa - e da tutti ignorato. Conduce ad una delle piccole torricelle che s'innalzano sul tetto. Salite e aspettatemi lassú piú tardi.

- Il baciomarchesa - disse il conte.

La bella signora gli porse la mano.

Il corsaro vi depose un baciopoi si slanciò su per la scalettaseguito da Mendoza e da Martin.

La marchesa rinchiuse la lastramormorando: - Povero giovane! Uccidere un cosí valorose gentiluomo? Nonon voglio; anche essendo un nemico del mio paeseio lo salveròchecché debba accadermi. Non voglio che si dica che un Montelimar ha tradito un suo ospite.

Chiuse la porta ed entrò nel salottomettendosi a centellinare una tazzina di cioccolatasforzandosi di parere perfettamente tranquilla.

Un momento dopo il maggiordomo entravaannunziando il capitano Pinzon.

- Passi pure - rispose la marchesa continuando a sorseggiare la cioccolata.

Il capitano degli alabardieriun soldataccio con due enormi baffi grigiastri e gli occhi vivissimientrò togliendosi il cappello di feltro.

- A quale onore debbo la vostra visita? - chiese la marchesasempre tranquillaadditandogli una poltrona. - Spero che accetterete un po' di cioccolata che viene dal Guatemaladal paese cioè che produce la piú eccellente cioccolata del mondo.

Il capitano rimase un po' sorpresopoi disse: - Perdonatesignorase vi disturbo; ma sono stato mandato dal governatore della città.

- Per arrestarmi? - chiese la bella vedova ridendo.

- Non voima una persona che poco fa deve aver fatto colazione quicon voi.

- Ehche cosa ditecapitano? - esclamò la marchesa aggrottando la fronte e alzandosi di scatto.

- Arrestare chi?

- Quel conte che si veste tutto di rosso.

- Lui! Un gentiluomo?

- Un banditosignora!

- Lui? È impossibile!

- È un Ventimigliaun parente di quei terribili corsari che con Pierre le Grandcon Laurentcon Wan Horn e con l'Olonesehanno espugnato tante città del Golfo del Messico.

- Ohmio Dio! - esclamò la marchesalasciandosi cadere sulla poltrona.

- Se vi foste ingannati?

- Abbiamo la prova che è certamente un Ventimiglia.

- In quale modo avete potuto ottenerla?

- La lama che era rimasta infissa nel petto del conte di Sant'Iago portava inciso il nome del suo uccisore.

- Allora avrete già distrutta la sua fregata?

- Non ancoramarchesa - rispose il capitano. - Aspetteremo che la notte cali per abbordarla. Dov'è quel signore?

- È già partito.

- Partito? - esclamò il capitano diventando livido.

- Mi ha lasciato mezz'ora fadopo aver fatto colazione con medicendomi che andava a fare una passeggiata nel giardino.

Il capitano si diede un pugno sulla corazza.

- Che egli mi abbia veduto attraversare le cancellate del giardino? - sí domandòtirandosi furiosamente i baffi. - Fuggito! Ma dove? Si sarà probabilmente nascosto in qualche luogo... Diaz!

Un sergente degli alabardieria quella chiamataentrò nel salotto.

- Prendi dieci uomini e va a frugare il giardino del palazzo. Forse il corsaro è ancora là.

- Subitocapitano - disse il sergenteuscendo rapidamente.

- Signora marchesa- disse il capo del drappelloquando furono nuovamente soli - io ho l'ordine di visitare minutamente le vostre stanze.

- Fate purecapitano i rispose la bella vedova. - Ma sono certissima che non lo troverete nel mio palazzo.

- Eppure io sono sicurosignoradi poterlo scovare in qualche luogo - rispose il capitano. - Dalla città non può uscireperché tutte le porte sono bene guardate; imbarcarsi nemmenoperché sulle calate abbiamo mandato parecchi drappelli di soldatie la sua nave sta per essere circondata dai galeoni e dalle caravelle. È ora di finirla con questi Ventimiglia e noi la finiremo. Signoravado a visitare il palazzo.



CAPITOLO IV

LA CACCIA AL CONTE DI VENTIMIGLIA


Il figlio del Corsaro Rossosempre seguito da Mendoza e dal mulattoi quali non parevano troppo spaventati per la brutta piega che stava per prendere quell'avventurasi era lanciato su per la gradinata.

Come aveva detto la Marchesaquella scala era stata costruita nello spessore d'una muraglia e probabilmente doveva aver servito a nascondere i tesori del palazzo per sottrarli alle avide ricerche dei filibustieri e dei bucanierii quali già piú volte avevano saccheggiato San Domingo. Era cosí stretta peraltroche certe volte Mendozail piú grosso di tuttisi trovava molto imbarazzato a salire.

Quell'ascensione durò un paio di minutipoi i tre corsari si trovarono in una piccola stanza omeglioin una specie di solaio illuminato da una sola finestraabbastanza vasta perché un uomo potesse passarvi.

- Dove siamo? - si chiese il conte.

- In qualche nido di gufi - rispose Mendoza. - Di quassú si scorgono dei tetti.

- Questo deve essere uno dei quattro pinnacoli che adornano il palazzo - disse Martin.

- Siamo diventati falchicamerata.

- Meglio falchi che gente da appiccaremio caro Mendoza - rispose il conte.

- Non dico di nosignore. Ai baschi come me non è mai piaciuta la cordaspecialmente quando è stata intrecciata dagli spagnuoliperché è la piú pericolosaalmeno per le persone della nostra specie.

- Eppure sei uno stretto parente degli spagnuoli.

- È verocapitanoma non sono mai andato d'accordo con loro.

- E questo è forse un male - rispose il conte. - Avresti almeno potuto pregarli di lasciarci libero il passo per raggiungere la fregata.

- Uhm! - fece Mendozastrappandosi tre o quattro capelli - I castigliani non sono cosí ingenui. Mi avrebbero senz'altro preso ed appiccato al piú alto pennone dei loro galeonicome un pirataccio qualunque.

- Cosídovremo rimanere in questo nido di avvoltoi o di guficome tu hai dettofinché la marchesa non avrà trovato un modo qualunque per farci scappare.

- Voi non avete pensatosignor conteche tre metri sotto di noi vi sono dei tetti.

- Che cosa vuoi direMendoza? - chiese il figlio del Corsaro Rossocolpito da quella risposta.

- Che si potrebbe spiccare un salto e andarcene tranquillamenteprima che quei dannati alabardieri ci facciano vedere i loro elmetti.

- E andarsene come ladrisenza nemmeno avvertire la generosa donna che ha cercato di salvarci? Dov'è la galanteriaMendoza?

- Quando si tratta di salvare la pelleio non mi occupo mai della galanteriasignor conte. Io non sono che un marinaio.

- Allora serba i tetti per piú tardi - rispose il figlio del Corsaro Rosso.

- Io e Martin aspetteremo finché voi vorretesignor conte. Sapete bene che siamo uomini d'arme e che non ci è mai spiaciuto menar le mani. Quanti colpi di spada ho datoquando navigavo agli ordini di vostro padre!

- Taci Mendoza - gridò il conte con voce alterata.

- Avete ragionecapitano: io sono un bestione grosso come una balena- rispose il vecchio marinaio.

Il conte si era appoggiato al davanzale della finestra espingendo ansiosamente lontano gli sguardiattraverso l'immensa selva di campanili e di torricellecercò di scoprire la sua fregataancorata presso la bocca del portoma senza riuscirvi.

Un'ansietà indescrivibile l'aveva preso e tendeva gli orecchitemendo sempre di udire una bordata di cannonateannuncianti il principio della lotta contro la sua nave. Si trovava in osservazione da una mezz'oraquando udí Mendoza che esclamava:

- La signora marchesa!

Il figlio del Corsaro Rosso si voltò bruscamente e vide la bella vedova entrare nella soffittapallidissimasconvolta.

- Voimarchesa? - esclamò il contecon meno strepito dei suoi uomini. - Che cosa venite ad annunciarci?

- Che siete presi! - rispose la signora di Montelimar con voce rotta.

- Hanno dunque scoperto il nostro rifugio? - chiese il conte estraendo la spada.

- Il mio maggiordomo mi ha avvertito che il capitano degli alabardieri ha dato l'ordine di visitare il tetto e anche le torricelle. Se vi trovassevi arresterebbe.

- Non sarebbe una cosa facilesignora- rispose il corsaro con voce tranquilla.

- Voi non mi avete capitoconte

- Anziho capito benissimo.

- E vorreste impegnare la lotta su un tettocontro venti alabardieri e un capitano che gode fama di essere coraggiosissimo?

- Ma nomarchesa. C'è sempre tempo a batterci.

- E allora? - chiese la bella vedova con grande ansietà

- Si fugge prima che giungano - rispose il conte.

- E dove?

- Buon Dioè una cosa semplicissimamarchesa. Si salta sul tetto del palazzosi cerca il primo abbaino e si discende.

- Cosí vestito?

- Cambierò costume - rispose il corsaro sorridendo. - Diventerò momentaneamente piantatorecontadinofacchino del portomarinaio o qualche cosa di simile.

- E andrete...?

- Che ne so io? Certo non a bordo della mia fregata. Sarebbe come gettarsi in bocca al lupo.

- Credete di poter uscire dalla cittàsignor conte?

- Io non ne dubito.

- Ho una tenuta a S. Pedroa sei leghe dalla città.

- Benissimo.

- Manderò immediatamente il mio maggiordomoperché avverta il mio intendente di ricevervi.

- Volete ospitarci nella vostra villa?

- Voglio salvarvi - disse la marchesa con voce commossa.

- E noimarchesagiacché c'invitate in campagnaaccettiamo - disse il figlio del Corsaro Rosso con voce perfettamente tranquilla. - Cosí ci riposeremo delle fatiche del mare.

- E la vostra nave?

- Se la caverà meglio di quello che crediatesignora. Ho a bordo un luogotenente che non ha paura di affrontare il fuoco. Potremo rivedercimarchesaalmeno per ringraziarvi di quanto avete fatto per noi?

- Ve lo prometto.

- A S. Pedro?

- Síconte.

- Addiosignora: noi fuggiamo. Il conte si levò il cappello di feltro per salutarlapoi balzò sul davanzale e spiccò risolutamente un saltofracassando tre o quattro tegole. Mendoza e Martin lo seguirono.

- Saldi in gambaamici - disse il contesalutando una seconda volta la marchesa che si era affacciata alla finestra. - E soprattutto non fate rumore.

Sguainarono le spade e si misero in marciatenendosi curvi per non farsi troppo notare dalle persone che potevano affacciarsi alle finestre delle case. Fortunatamente il palazzo era unito nella parte posteriore ad una lunga fila di fabbricatisicché i fuggiaschi poterono continuare la loro fuga per piú di seicento o settecento metri.

- Toh! - esclamò ad un certo momento il contefermandosi. Mi hanno raccontato molte volte che anche a mio zioil Corsaro Neroera toccato una volta di dover fuggire su pei tetti e che era riuscito a cavarsela magnificamente. Perché non avrà altrettanta fortuna il nipote? Bahvedremo!

Erano discesi sul tetto di un'altra casa ed avevano ripreso la marcia. Continuarono cosí per circa cinquecento metrisenza alcun allarme né alcun incidente spiacevole; poi si fermarono dinanzi ad un abbainola cui finestra era chiusa solamente da una grata di legno.

- Ecco un bellissimo nascondiglio - disse il conte.

- Purché non diventi invece una trappolacapitano! - esclamò Mendoza. - E poi non sappiamo dove metta.

- Mette in una casa.

- Lo credo benissimosignor conte; ma la casa sarà abitata e non so come ci accoglieranno gli abitanti.

- Vedendomi vestito di rosso mi prenderanno per il diavolo in persona - rispose il fiero giovane ridendo - e scapperannone sono certissimo. Martinstrappa quella grata.

- Subitocapitano - rispose il robusto mulatto. - Non sarà un affare né lungoné difficile.

Afferrò con le due mani la sbarra centraleappoggiò le ginocchia contro il muro e tirò violentemente a sé. Fu un vero miracolo se non rotolò giú dal tetto insieme alla grata. Buon per lui che Mendoza gli si era posto dietrosicché fu pronto ad afferrarlo e a fermarlo.

- Volevi fare un salto nella strada? - chiese il basco. - Hai dei brutti gustiamico.

- Silenzio! - disse il conteil quale aveva cacciato la testa dentro l'abbaino. - Mi pare che qualcuno russi.

- Ahdiavolo! - borbottò Mendozagrattandosi la nuca. - Ecco che la faccenda comincia a diventare seria.

- Seguitemi.

- Nocapitanolasciate prima passare me.

Era troppo tardi. Il corsaro era già sceso in una stanzetta semioscuraammobiliata miseramentepoiché non vi erano che un lettoun tavolino sgangherato ed un paio di sediesulle quali stavano una corazza e dei vestiti da soldato.

- Avrei preferito che abitasse questo bugigattolo una bella fanciulla- mormorò il basco.

Il conte si era accostato al letto con la spada alzatapronto a colpire. Il proprietario della stanzetta russava beatamentequasi interamente nascosto sotto le lenzuola.

- Se si potesse scappare senza svegliarlo! - mormorò il conte. - Mendozavi è la chiave nella toppa della porta?

- Non la vedo.

- Devo buttarla giú? - chiese Martinfacendosi innanzi sulle punte dei piedi.

- Allora si sveglierà.

In quel momento il proprietario del bugigattoloil quale aveva forseda buon soldatoil sonno leggerosi alzò di colpo a sederepoiscorgendo gli intrusisi gettò rapidamente dall'altra parte del lettoimpugnando una draghinassa e urlando:

- Ahbricconi! Derubare un soldato? Mai!

Stava per slanciarsi coraggiosamente addosso ai tre corsariquando un grido di spavento gli sfuggí:

- Il diavolo! Sogno o sono desto?

Aveva scorto il figlio del Corsaro Rosso evedendolo vestito in quel modonon c'è da stupirsi che lo avesse preso per un demoniospecialmente in quell'epoca in cui tutti eranoe specialmente gli spagnuolisuperstiziosissimi.

- Non sono il diavolo - disse il conte - bensí un suo stretto parente.

- Allora siete un uomo come meentrato qui per spaventarmi e per derubarmi - disse il soldatoagitando minacciosamente la sua draghinassa. - Fuorio vi uccido tutti come polli.

- Ehinon gridate troppo forteperché potreste perdere la lingua - disse il conte. - Vi avverto prima di tutto che io non sono un ladroma un gentiluomo e che non ho affatto bisogno dei vostri stracci.

- Che cosa voleteallora?

- Nient'altro che il vostro vestitopagandolos'intende. Quanto lo stimate?

- Per che cosa farne?

- Alto làamico! Io non ho l'abitudine di raccontare i miei segreti al primo che incontro.

- E poi? Volete qualche altra cosa?

- Síla chiave della porta per poter uscire di qui.

- Rifarete la via che avete percorso per veniresignor parente del diavolo - rispose il soldato. - Non si canzona un Barrejo!

- Non ho ancora finito - proseguí il contecon la sua solita calma.

- Ahdesiderate qualche altra cosa? Siete incontentabilemio bel signore!

- Non vi chiedo altro che di lasciarvi legare e imbavagliare per impedirvi di seguirci o di gridare.

- Per tutti i pescicani della Biscagliaquesto è troppo! - urlò il soldato. - Ora vi mostrerò come un guascone infila i ladri!

- Ahsiete guascone? - disse il conte. - Si dice che i vostri compatrioti siano valorosi e anche molto spacconi.

- Vi farò vedere io come si spaccano le teste! - urlò il soldato furiosamente.

- Infilatevi prima i calzoni - disse ironicamente il corsaro. - Non vedete che avete indosso le sole mutande?

- Anche in camicia i guasconi sanno uccidere!

Con un'agilità da pantera aveva saltato il lettopiombando sul corsaro con impeto ferocema aveva dovuto subito fermarsivedendo i compagni del conte levare le pistole.

- Volete assassinarmi? - chiesefacendo sollecitamente due passi indietro.

- Amico - disse il corsaro - In altri momenti vi avrei fata la proposta di usciredi fare una passeggiata fino alle mura del cimitero e là misurarvi con me. Disgraziatamenteo megliofortunatamente per voinon ho tempo da perdere. O mi vendete il vostro vestitoo sul mio onore vi faccio uccidere con un colpo di pistola. Orsúaccomodiamoci e lasciamoci da buoni amici. Vi offro venti dobloni.

Il soldato spiccò un salto.

- Siete qualche principe per pagare cosí bene un miserabile vestitoo avete fatto fortuna al Messico?

- Non sono altro che un conte e non ho mai veduto le miniere di quel paese. Accettate o rifiutate?

- Per tutti i tuoni di Biscaglia! Sarei un gran cretino se rinunciassi a una tal somma. Con venti dobloni compro due uniformi fiammanti e faccio crepare di rabbia i miei camerati.

Il conte trasse una borsa ben gonfia e depose sull'orlo della tavola le venti monete d'oro.

- Vi regalo anche la mia draghinassasignor conte- disse il guascone che pareva volesse divorarle con gli occhi.

- Preferisco tenermi la mia spada.

- Cerca di regalarci qualche bottiglia invecese l'hai - disse Mendoza

- Ho dell'aguardiente che non si beve nemmeno a Vera-Cruz.

- Tirala fuoricamerata. Noi abbiamo il pessimo vizio di aver sempre seteforse perché respiriamo troppa aria salata.

- L'ho anch'io quel vizio: eccomi subito!

Lasciò cadere in un vecchio cassone i venti doblonifacendoli saltare l'uno sull'altroper udire meglio il suono dell'oro; poi tirò fuori una bottiglia e dei bicchieri. Mentre versavail conteche aveva quasi la medesima statura del guasconesi spogliava rapidamenteper indossare il vestito del soldato. Quand'ebbe finito di abbigliarsivuotò a sua volta un bicchiere di aguardientepoivolgendosi verso il guasconegli disse:

- Ed ora lasciatevi legare ed imbavagliare. Scendendo avvertiremo qualcuno che è toccato un accidente al signor Barrejocosí verranno a liberarvi.

- Siete gentilesignor contema preferirei non sentirmi un fazzoletto sopra i baffi.

- Le tentazioni sono pericolose per tutti. Potreste pentirvi dell'affare concluso e mettervi a gridare dietro di noi: al ladro!

Il guascone fece un superbo gesto di diniegopoi si voltò per lasciarsi legare. Mendoza e Martin checome tutti i marinainon mancavano mai di cordein pochi momenti ridussero il soldato all'impotenza; lo imbavagliarono per bene e lo gettarono sul letto.

- Buona fortuna - disse il basco un po' ironicamente.

Il guascone si agitò un po' tentando di risponderepoi restò immobile come se si fosse addormentato di colpo. Il figlio del Corsaro Rosso si calò l'elmetto sul viso per non essere riconosciutoaprí la porta con la chiave che il guascone gli aveva data e scese tranquillamente da una lunghissima scalaseguito dai suoi due uomini. Erano entrati in una vecchia casa a tre piani che aveva i gradini ormai consumati e le pareti anneriteabitata certamente da popolani. Stavano per uscire sulla viaquando sulla porta s'incontrarono con una vecchia negrala quale portava sulla testa lanuta un gran canestro pieno di banane.

- Buon giornosignor Barrejo - disse vedendo il corsaro.

- V'ingannatebuona donna - rispose il conte. - Sono un suo amico. Anziappena potretesalite nella sua soffittaperché pare che quel povero uomo non stia troppo bene.

Ciò detto varcò la soglia e si allontanò velocementesempre accompagnato dai due filibustierii quali potevano benissimo essere scambiati per due marinai frettolosi d'imbarcarsi. La via era quasi desertapoiché gli abitanti di tutte le città spagnuole del Golfo del Messico hanno l'abitudine di sospendere da mezzogiorno alle quattro i loro affari per schiacciare un sonnellino.

- Martintu che conosci a menadito la cittàguidaci verso il porto - disse il contequando si trovarono in mezzo a degli orti.

- Non ne siamo lontani che due tiri d'archibugio - rispose il mulatto.

- Mi preme di vedere come hanno circondato la mia fregata.

- Ma non potremo raggiungerla senza destare dei gravi sospetti - osservò il prudente Mendoza.

- Lo soed è questo che mi dà noia. Come potremo noi metterci in relazione col mio luogotenente? Ecco la gran questione. Io non dubito che egli possa aprirsi un varco fra i galeonile caravelle e rifugiarsi tranquillamente alla Tortue. Eppure è necessario che io m'imbarchiprima che il segretario del signor di Montelimar si rechi nei Messico.

- Forse a me riuscirebbe - disse Martin. Un mulatto non può destare gravi sospettie voi sapete che io nuoto meglio d'un pesce e che so anche percorrere dei tratti lunghissimi sott'acqua.

- Lo so bene - rispose il conte. - Ed appunto per questo ti ho arruolato.

- Non sarà quindi una faccenda difficile per me calarmi inosservato in mare e raggiungere la fregata.

- Potrebbero scorgerti e ucciderti. Degli ordini severissimi saranno stati dati perché io non possa raggiungere la mia naveo mandare qualche messo.

- Non vi occupate di ciòcapitano - rispose il mulatto. - Se gli spagnuoli sono furbiio non lo sono meno di loro.

- Vedremo - rispose il signor di Ventimigliail quale appariva molto pensieroso per la brutta piega che prendevano le cose.

Si erano rimessi frettolosamente in marciaattraversando dei giardini e delle piccole piantagioni di bananie tenendosi prudentemente lontani dalle rare case che sorgevano qua e là.

Un quarto d'ora dopo giungevano in vista della radasbucando in un luogo quasi deserto.

Il conte si era bruscamente fermato e borbottava stringendo i pugni.

- Affare serio! - disse Mendoza.

E l'affare era veramente grave.

Quattro galeoniquelle grosse navi per lo piú destinate a portare i prodotti delle preziose miniere del Messico e dell'America centrale in Europae cinque caravelle avevano lasciato i loro ancoraggi ed erano andate a radunarsi presso l'uscita del portodisponendosi su una doppia fila: i primi dinanzile secondemolto piú deboli e meno equipaggiatedi dietro.

In mezzo alla radadel tutto isolatastava la fregata del conteuna splendida nave a tre alberilunghissima e strettae armata di ben ventiquattro pezzi d'artiglieria lungo i fianchi e di due grosse caronade in copertasull'alto cassero.

Sulle calateingombre di mercanzienumerosi alabardieri passeggiavanosorvegliando attentamentea quanto parevale navi mercantili e le barche da pesca che dovevano probabilmente aver ricevuto l'ordine di non lasciare gli ancoraggi.

- Come se la caverà il luogotenente? - si chiese il conteil quale con un solo sguardo aveva abbracciato la situazione. - Che cosa ne dici tuMendoza?

- Io dicosignor conteche il signor Verra si leverà d'impiccio con molto onoree che darà una terribile lezione ai galeoni e anche alle caravelle - rispose il vecchio filibustiere. - Ha un bel numero di bocche da fuoco e della gente che ha un cuore che non ha mai tremato.

- È veroma... - fece il figlio del Corsaro Rossoscuotendo la testa.

- Voi sapetesignor contequale paura hanno gli spagnuoli dei filibustieri. Ci credono figli del diavolo.

- Non dico di noMendoza.

- E allora vedrete quali miracoli saprà compiere il vostro equipaggio guidato dal signor Verra! Forse che i liguri non sono sempre i primi marinai del mondo?

- Ma una palla di cannone può uccidere l'uomo piú audace del mondo.

- Non un filibustiere però - rispose Mendoza- specialmente quando ha in mano un buon archibugio o si trova dietro a un pezzo di cannone.

Il corsaro sorrisesenza mostrarsi peraltro troppo persuaso dalle parole del vecchio filibustiere.

- Cerchiamo un po' d'ombra - disse dopo qualche momento. Il sole è caldo nel grande golfo.

A cinquanta passi da loropresso una scogliera scendente ripidissima verso la radas'alzavano dei maestosi banani con foglie enormi. La raggiunsero e si gettarono sotto quegli splendidi vegetaligià carichi di enormi grappoli.

- Armiamoci di pazienza ed aspettiamo - disse il conte. - Io sono certo cheappena le tenebre calerannoi galeoni e le caravelle daranno battaglia alla mia nave.

- Io spero di raggiungere la fregata innanzi che si spari il primo colpo di cannone - disse il mulatto. - Datemi le vostre istruzionisignor conte.

- Non avrai da dire al mio luogotenente che una sola cosa: che ci aspetti al capo Tiburon e che sorvegli attentamente il passaggio della Santa Maria.

- Permettetemicapitanoche aggiunga una cosa - disse Mendoza.

- Parla pureamico.

- SuppongoMartinche tu aspetterai che il sole scompaia per gettarti in acqua.

- Non è necessario - rispose il mulatto. - Nuoterò sempre sott'acqua.

- E come faremo noi a sapere se giungerai alla fregata? È troppo lontana per poter scorgere un uomo.

- E vuoi concludere? - chiese il conte.

- Che ci faccia segnalare se ha potuto dare al luogotenente le vostre istruzioni.

- Sei sempre furbotu. Dirai al signor VerraMartinche accenda quattro fanali verdi disposti in fila sul cassero.

- Sarà fattocapitano - rispose il mulatto.

Si levò la casaccai pantalonigli stivali e gettò a terra le pistole e la spada. Non portando né camicia né mutandeera rimasto completamente nudo.

- Che Dio vi aiutisignor conte- disse - Io non dimenticherò le vostre istruzioni.

- Vaamicoe guardati dalle palle degli spagnuoli - disse il signor di Ventimiglia.

- Addiocamerata - disse Mendoza. - Guardati anche dai pesci-cani.

- Io me ne rido di quelli - rispose il mulatto.

Spiccò tre o quattro salticome per provare l'elasticità delle sue membrapoi si gettò fra le rocce che scendevano accavallate bizzarramente verso la radastrisciando come un serpente. In pochi istanti raggiunse il fondo econ un magnifico salto di testascomparve sott'acqua.

- È un vero diavolo! - disse il conte. - Io non ho mai veduto un nuotatore piú abile di lui.

- Scommetterei la mia spada contro una carica per la mia pipa - rispose il marinaio - che egli riuscirà ad eludere la sorveglianza degli spagnuoli e a passerà sotto i loro nasi senza che se ne accorgano... Là! là: lo vedete? È rimontato.

A duecento metri dalla riva un punto scuro era comparso sulla superficie della rada scomparendo poi quasi subito.

Il mulatto aveva fatta la sua provvista di ariamettendo fuori solamente il nasopoi si era rituffatonuotando sempre sott'acqua.

Era impossibile che i soldatiche vegliavano sulle calate che si trovavano alquanto discoste dal luogo occupato dai due corsariavessero potuto accorgersi di qualche cosa. E poi quella macchia bruna si poteva anche benissimo scambiare per una testa di pesce.

Altre due volte il conte e Mendozai quali spiavano ansiosamente la superficie della baiavidero spuntare il naso del mulattopoi piú nulla. La distanza era ormai troppo considerevole e cominciava a scendere l'oscurità.

- Giungerà? - si chiedeva ansiosamente il conte.

- Non pensate a lui capitano - rispondeva Mendoza. - È piuttosto della fregata che noi dobbiamo occuparci. Io non so che cosa aspettino i galeoni e le caravelle.

- La notte.

- Iose fossi il comandante della squadraassalirei subito.

- Il combattimento non tarderà ad impegnarsi. Non vedi che delle scialuppe cariche di soldati si staccano dalle calate e prendono il largo?

- Pessima manovrasignor conte! Non ne sfuggirà una alle bordate della fregata.

Il conte si era alzato e si era messo a passeggiare nervosamente intorno ai banani; Mendoza invece aveva caricato la sua pipa e fumava placidamente.

Quella calma del vecchio marinaio era piú apparente che realepoiché di quando in quando si dimenticava di tirare e la pipa si spegneva. Intanto le tenebre scendevano rapidamente avvolgendo la cittàil porto e le navi.

La fregatache si trovava presso la bocca d'uscitanon si scorgeva quasi piú.

Ad un tratto il corsaro mandò un grido:

- Il segnale! Ahbravo Martin!

Quattro fanali verdiche spiccavano vivamente nella profonda oscuritàdisposti l'uno dietro l'altroerano comparsi sull'altissimo cassero della fregata.

- Ve lo avevo detto iocapitanoche quel diavolo sarebbe riuscito - disse Mendoza vuotandosi la pipa. - Ora potremo andare un po' in campagna a gustare i vini di San Josè. Si dice che siano squisitissimi.

- Adagio Mendoza. La fregata non è ancora fuori del porto.

- Se è per questoriaccendo la pipa; sono sicuro che passerà fra i galeoni e le caravelle. Una volta fuori del portole diano la caccia se ne sono capaci.

- Se riesce ad aprirsi il varcosarò pienamente tranquillomio bravo marinaio. Nessuno può raggiungerla e nemmeno...

Un colpo di cannone interruppe il suo discorso.

La Nuova Castiglia aveva aperto il fuocosfidando le navi spagnuole a battaglia.

Quel sinistro rimbomboche si ripercosse fragorosamente contro le case della cittàfu seguito da un breve silenziopoi si udí una seconda cannonata.

Il corsaro e Mendoza avevano scalate rapidamente le rocceper meglio assistere alle diverse fasi del combattimento.

L'uno e l'altroquantunque avessero piena fiducia nella robustezza e nell'armamento della nave e nel coraggio dell'equipaggioformato interamente d'intrepidi filibustieri reclutati alla Tortueerano in preda ad una profonda angoscia.

Sapevano bene che la Spagna aveva pure valenti marinaicapaci di disputare lungamente la vittoria.

Un altro mezzo minuto trascorsepoi terribili bordate partirono dai galeoni e dalle caravelle.

La battaglia era cominciata.



CAPITOLO V

LA FUGA DELLA FREGATA.


La Nuova Castigliasalpate le sue âncore e spiegate le sue veleapprofittando di una fresca brezza che soffiava dalla parte di terrasi era messa arditamente in marciamuovendo verso la bocca del portoniente atterrita per la presenza dei galeoni e delle caravelle.

I suoi fucilieriquei terribili filibustieri che quasi mai sbagliavano un colpo e che erano armati di grossi archibugi tutti di buon calibrosi erano disposti in un lampo dietro le muratesopra le quali avevano arrotolato le brandeaprendo subito un fuoco infernale sui ponti delle navi avversarieper abbattere i timonieri e gli ufficiali.

Altri si erano lestamente arrampicati sulle coffeper lanciare bombedelle quali quei formidabili scorridori del mare facevano molto uso e con buon successo.

Le navi spagnuolefidando nella loro superioritàavevano accettato risolutamente la lotta; stringendosi le une alle altre per impedire il passo alla nave nemica e opporle una formidabile barriera.

Disgraziatamente per loroavevano da fare con un uomo di mare che ben altre ne aveva vedute e che era rotto a tutte le astuziee per di piú con un veliero estremamente maneggiabile e che poteva spostarsi rapidamente.

Per alcuni minuti fra la fregata ed i galeoni fu un continuo scambio di cannonatesenza causare troppi danni né da una parte né dall'altrafacendo accorrere sulle calate tutta la popolazione di San Domingo; poi vi fu un po' di sostaperché la Nuova Castigliacon un'abile manovrasi era spostata in modo da far convergere il fuoco degli spagnuoli verso le case del porto.

Era vero che a questo modo si esponeva al tiro delle artiglierie dei forti che potevano incrociare i loro fuochi senza danneggiare la cittàma il luogotenente del conte non era uomo da esporre lungamente la sua nave alle palle nemiche.

Con due fulminee bordatela Nuova Castiglia ripiegò verso il centro della radascatenando da parte dei forti un uragano di cannonate; poi prese il suo slancio verso la bocca del portoora minacciando di passare a tribordo della squadra ed ora a babordo.

I suoi venti pezzi della batteria e le due caronade del cassero tuonavano furiosamentespecialmente contro le caravellementre i suoi fucilieri spazzavano a fucilate i ponti altissimi dei galeoniabbattendocon una precisione matematicatimonieri e ufficiali.

Urla feroci s'alzavano su tutte le toldemescolandosiconfondendosi col fragore delle artiglierie e lo scrosciate degli archibugi.

Anche la folla che si accalcava sulle calatequantunque esposta al fuoco delle artiglierieurlava ferocemente:

- Morte ai filibustieri! Distruggeteli! Massacrateli!

La Nuova Castiglia continuava intrepidamente la sua marciacoprendo di palle e di bombe le navi nemiche e minacciando di abbordarle.

Salda di costolebene armata e condotta da uomini abituati a battersi quasi ogni giornonon tentennava nelle sue mosse.

Rispondeva ai galeoni e alle caravellequasi colpo per colpocon una insistenza ferocementre le due caronade della coperta avventavano di tratto in tratto delle bordate di mitraglia.

Giunta a cento passi dai galeonisfilò superbamente sulla loro fronte con tutti i suoi formidabili archibugieri a babordo; poicon una mossa improvvisainaspettatagirò a destra della squadra dove c'era ancora abbastanza spazio per navigare lungo la costa. Una piccola caravella tentò di chiudere il passogettandosi dinanzi alla prora per lasciar tempo ai galeoni di muoversi.

Era un topolino che tentava di arrestare un leone.

La Nuova Castiglia la urtò poderosamente col suo solidissimo tagliamare e la sfasciò completamente passando in mezzo ai rottami; poidopo aver scaricati tutti i suoi pezzi d'un colpo solofuggí fuori dal porto.

- Ebbeneche cosa ne ditesignor conte? - chiese Mendozail quale fumava furiosamentecon le mani affondate nelle tasche e le gambe allargate.

- Che con simili uominisi potrebbe conquistare il mondo - rispose il signor di Ventimiglia. Non so se un'altra nave se la sarebbe cavata cosí benemio caro.

- Ecco che i galeoni si mettono in cacciama che cosa sperano di fare? Di raggiungere la nostra nave? Ehcari mieinon conoscete ancora la Nuova Castiglia!

- Mi pare che l'abbiano conosciuta or ora.

- Il signor Verra li farà correre.

- E allora corriamo anche noi e cerchiamo di lasciare San Domingo prima che spunti il sole. Gli spagnuoli rivolgeranno tutta la loro rabbia contro di noi e ci daranno una caccia spietata.

- E se ci prendonoci impiccherannosignor conte- rispose Mendoza.

- Forse quelle due corde non sono ancora state intrecciate. Conosci anche tu la città!

- Abbastanza per condurvi alla Puerta del Sol.

- Ci lasceranno poi uscirea quest'ora?

- Ohnon lo speratecapitano- rispose il filibustiere;

- E perché condurmi là dunque?

- Perché il bastione vicino è in parte diroccato e potremo trovare il modo di scendere nel fossato e anche...

Si era interrottoguardando il contee rimanendo con la bocca aperta.

- E dunque? - chiese il corsaro.

- Sono un vero stupidocapitano!

- Perché?

- Ma sí che noi possiamo passare per la Puerta del Sol senza esporci al pericolo di fiaccarci il collo in fondo al fossato. In verità io invecchio troppo presto.

- Sei impazzitoMendoza?

- Nosignor contema stavo per diventare un cretino. Non siete vestito da alabardierevoi?

- Pare di sí!

- Noi ci presenteremo alle guardie della porta e voi direte che avete ricevuto l'ordine di scortarmi e di farmi uscire. Potrete aggiungerese non vi dispiaceche io sono una spia che va a sorvegliare i bucanieri. A un soldato si crede sempre.

- E tu affermavi poco fa che stai per diventare un cretino? disse il conte ridendo. - A me pare invece che tu diventi ogni giorno piú furbovecchio squalo. In marcia! Non voglio trovarmi ancora a San Domingo al sorgere dell'alba.

Gettarono le vesti e la spada di Martin in mezzo ad un folto cespuglio e volsero le spalle al portointernandosi in una stradicciuola che serpeggiava fra siepi e splendidi filari di banani e di palme. Essendo tutta la popolazione accorsa sulle calatenon vi era anima viva nei dintornicosicché poterono attraversare indisturbati la città e giungere dinanzi alla Puerta del Solche era in quel tempo una delle principali di San Domingo e che metteva nell'aperta campagna.

Due alabardieriarmati di lunghe picchepasseggiavano a breve distanzafumando e chiacchierando. Scorgendo il conte e il suo marinaiosi fermarono per sbarrare loro il passo; poi uno dei dueaccortosi di aver da fare con un soldatochiese:

- Ohcameratadove vai?

- Ho l'ordine di scortare quest'uomo fuori della città - rispose franco il signor di Ventimiglia.

- Chi è?

- Un corriere governativo.

- Senza cavallo?

- Sa dove trovarlo. Sbrigatevi ad aprire la porta; abbiamo molta fretta.

- E non ti hanno dato nessuna carta?

- Non sono un soldatoio?

- È veroma ci hanno dato anche il comando di impedire l'uscita a qualunque persona.

- Era per i borghesiquello.

- Aspetta che chiamo l'anziano: io non voglio assumermi questa responsabilità.

Entrò in una vicina caserma e uscí subito con un altro soldatomunito di una lanternail quale trascinava con gran fracasso un enorme spadone.

- Guarda questi uominiBarrejo - disse la sentinella.

- Fulmini! - mormorò Mendoza. - Il guascone! Ora siamo fritti!

Il conte trasalí e portò rapidamente una mano sulla pistola di Martinpronto ad impegnare una lotta disperata. Il guascone si avvicinò a loro e non potè trattenere un gran gesto di stupore nel riconoscere la propria corazza e le proprie vesti che il conte indossava.

- Ahcamerata! - esclamò sbarrando gli occhi.

Poivolgendosi verso le due sentinelledisse loro:

- Continuate la ronda voiio conosco queste persone.

Aspettò che si fossero allontanatepoidopo aver alzato una seconda volta la lanterna per guardare bene in viso il conte ed il suo compagnochiese:

- Che cosa fate ancora quinei miei pannisignore? Siete ben voi che mi avete dato quei venti dobloni!

- Símesser Barrejo - rispose il signor di Ventimiglia.

- E che cosa siete venuti a fare qui?

- A offrirvi altri dieci doblonise non vi rincresce.

- Per tutti i venti del mare di Biscaglia! Volete far di me un milionario?

- Novoglio ingrassarviperché siete troppo magro.

- Tutti i guasconi sono magrissimisignor conte. Ma che muscoli d'acciaio abbiamo!

- Chi sa che un giorno non li veda al lavoro! Orsúvolete guadagnare altri dieci dobloni?

- Che cosa devo fare?

- Una cosa semplicissima. Aprirci la porta e lasciarci andare in campagna.

- E null'altro? - chiese il guascone con stupore.

- Nient'altro. Vi avverto che abbiamo detto ai vostri camerati che siamo corrieri del governatore.

- E non avete paura d'incontrare i bucanieri? Si dice che stiano organizzandosi per tentare un colpo di mano sulla città.

- Non vi occupate di questomesser Barrejo. Apriteci la porta e altre dieci monete d'oro andranno a ingrossare il vostro piccolo tesoro.

- Vi apro anche tutte quelle della città - rispose don Barrejo. Venitesignor conte. I miei camerati non vi daranno alcun fastidio.

Afferrò un'enorme chiave che stava appesa ad un chiodo e aprí la pesante porta laminata di ferroconducendoli attraverso un massiccio bastione forato nel mezzo da uno stretto passaggio.

- Eccovi in campagna - disse dopo aver aperta un'altra porta. Mi permettete di scortarvi per qualche tratto?

- Vi ho detto che noi non abbiamo paura - disse il conte.

- Non ne dubitosignorema che voletemi piace immensamente la vostra compagnia.

- Non sarà per sorvegliarcispero - disse Mendoza.

- Oh! un guascone!... Noi non siamo abituati a mentire.

- Allora venite - disse il conte. - Potreste darci qualche preziosa informazione.

- Sono tutto a vostra disposizionesignor conte - rispose il guascone.

- Potresteper esempiodirci dove potremo trovare dei cavalli.

- Vi è un corral a mezzo miglio di quiannesso ad una grande fattoria. Se avete ancora di quei bei doblonipotrete acquistarne finché vorrete.

- Le nostre borse sono ancora assai fornitemalgrado il salasso fatto alla mia.

- Vi guiderò io.

- Ed i vostri camerati che non vi vedranno tornare non si allarmeranno?

- Vadano al diavolo! - disse Barrejo alzando le spalle. - Non sono padrone di fare una passeggiata notturna e di scortare delle persone raccomandate da Sua Eccellenza il Governatore?

- Ohè vero! - disse il conte ridendo. - Noi siamo personaggi importantissimi.

- Che viaggiano però senza carte - aggiunse maliziosamente il guascone.

- Le teniamo sempre sulla punta delle nostre spade.

Il soldato capí a che cosa voleva alludere il conte equantunque guasconecredette opportuno di troncare il discorso.

Si erano inoltrati per una viuzza fiancheggiata da bellissime agavipiante tessili che danno dei fili elastici e fini e dalle cui foglie gli indiani estraggono una bibita fermentata detta pulquemolto spumante e anche molto gradevole. Di là da quelle enormi siepisi estendevano immense piantagioni di canne da zucchero e di caffèle maggiori risorse di quella fertilissima isola.

Per la tenebrosa campagna volavano sciami di Moscas de luzinsetti che tramandano una luce ben piú potente delle nostre lucciolee nei solchi delle piantagioni e attorno agli stagni muggivano i grossi rospi gialli e neri con appendici cornute e fischiavano migliaia e migliaia di batraci.

I tre uomini camminarono in silenzio per un buon quarto d'orarischiarando la via con la lanterna; poigiunti ad una biforcazioneil guascone si fermò.

- Ci lasciate? - chiese il conte.

- Questo dipende da voisignore - rispose il soldato.

- Che cosa volete dire?

- Signor conteio sono un uomo d'onore e sono un cadetto d'una famiglia nobile della Guascogna. Già. Voi saprete chepiú o menonoi siamo tutti nobili nel mio paesema anche poveripoveriperché i nostri padri non ci lasciano per eredità che una buona spada e delle lunghe lezioni di scherma.

- Che cosa volete concluderesignor Barrejo?

- Che vorrei sapere chi siete e perché siete fuggito da San Domingomentre era stato dato l'ordine d'impedire l'uscita a tutti gli abitanti.

Il conte rimase un momento mutoguardando il soldatopoi disse:

- Scommetterei che voi già lo sapete.

- Forse.

- Sono il capitano della fregata che entrò nella rada ieri mattina che due ore fa è stata cannoneggiata dagli spagnuoli.

- Dei filibustierinon è vero?

- Siete molto perspicacesignor Barrejo. Ora andrete ad avvertire certamente il governatore.

- Io? - esclamò il guascone. - Io tradirvi? Mai! Siamo uomini d'onorenoi.

- Allora avrò soddisfatta la vostra curiosità.

- Signor contese vi facessi una proposta?

- Dite pure.

- Noi guasconi siamo gente di guerra e non amiamo lasciar arrugginire inutilmente le nostre spade. La mia dorme da due anni in San Domingo e minaccia di non saper piú uscire dal fodero. Volete arruolarmi? Coi filibustieri vi è sempre occasione di menar le mani.

- E anche di morire piú facilmente! - aggiunse Mendoza.

- Ho trentadue anni e ne ho già abbastanza della vita - disse il guascone. - Mi voletesignor conte? Vi giuro che sarò una buona lama.

- E poi lo liberereste da molti fastidi - aggiunse il marinaioa cui non dispiaceva affatto quel fracassone.

- Sia! - disse il signor di Ventimiglia. - Un bravo soldato di piú sulla mia nave non sarà d'impiccio.

- Voi non siete spagnuoloquindi potete passare al nemico - disse Mendoza.

- Sono un soldato di ventura e null'altroe come tale posso offrire la mia spada ed il mio braccio a chi meglio mi piace.

- Conoscete S. Josè?

- Conosco mezzo San Domingo.

- Sapreste condurci nella tenuta della marchesa di Montelimar?

- Anche con gli occhi bendati.

- Andiamo a procurarci dei cavalliprima di tutto. Io non dubito che gli spagnuoli ci diano la caccia.

- Potete esserne certosignor conte - rispose il guascone. - Ci lanceranno anche addosso qualche banda dei loro terribili cani.

- In cammino alloraBarrejo - disse il conte. - Non ho alcun desiderio di farmi mordere i polpacci da quelle bestiacce.

- Dovremo prendere la via dei boschisignor conte. Le vie sono battute dalle ronde e potrebbero arrestarci.

- Ve ne sono molte fuori della città?

- Ehun bel numero.

- Andiamo a visitare i boschi.

Il guascone gettò via la lanternala cui luce poteva tradirli e attirare qualche ronda in perlustrazione o alla caccia di bucanieri.

Quelle bande di soldatiformate da cinquanta uomini ciascunaerano incaricate di impedire ai bucanierialleati dei filibustieridi dare la caccia ai numerosi tori selvatici che in quell'epoca scorrazzavano liberamente per le foreste dell'isola.

Non osando gli spagnuoli affrontare quei terribili cacciatorii quali non sbagliavano mai un colpoavevano deciso di affamarli e perciò avevano istituite quelle compagnie volanti.

Dapprima le avevano munite d'armi da fuocoma siccome non volevano imbattersi nei bucanieriné impegnare mischie con loroquando s'accorgevano della loro presenza preferivano fare delle scariche di moschetteria in aria.

I cacciatoriavvertiti del pericolose ne andavano tranquillamente da un'altra parte.

I governatori delle varie cittàaccortisi della gherminellaavevano tolto alle ronde le armi da fuocoarmandole solamente di alabardema senza ottenerecome si può capire facilmentealcun risultato pratico.

Se prima erano i bucanieri che scappavanoora erano gli alabardieri che se la davano a gambe appena udivano uno sparo; sicché i combattimenti erano rari come le mosche biancheché nessuno aveva il desiderio di giocare la pelle inutilmente.

E quelle erano le famose ronde dette cinquantinecolle quali i governatori speravano di distruggere tutti i bucanieri- ed erano molti - che infestavano le immense foreste dell'isolasempre pronti a prestare man forte ai filibustieri della Tortuequando si trattava di tentare qualche buon colpo

Il guascone fece attraversare ai suoi due compagni una vasta piantagione di canne da zuccheropoi si gettò risolutamente in mezzo alle boscaglieformate per lo piú da enormi piante di cotone selvaticocon i cui tronchi cavi gli indiani e i negri formavano canoe capaci di contenere perfino cento uomini.

- Il corral lo troveremo di là da questa boscaglia - aveva detto il soldato al conte. - Risparmieremo tempo e non correremo il pericolo di imbatterci in qualche cinquantina. Cercate solo di non far rumorepoiché fra queste macchie i tori non mancanoe vi so dire io se sono pericolosi quando s'infuriano o vengono disturbati!

La marcia non tardò a diventare difficilissimacon molto dispiacere di Mendozaabituato a passeggiare solamente sulle tolde delle navi e ad arrampicarsi sulle alberature.

A quei tempi San Domingoal pari della vicina Cuba e della Giamaicaaveva delle foresteantiche quanto il mondole quali accumulando foglie su foglie e imputridendo rami e tronchidovevano preparare quel meraviglioso ordimento vegetaleche piú tardi doveva cosí ben servire agli intraprendenti piantatori.

I cotoni selvatici s'alzavano dovunquemescolatianzi confusicon palme giganteschereggendo non si sa in quale modo i loro giganteschi fustinon avendo per sostegno che una crosta di terra non più alta di due piedi affatto insufficiente alle smisurate radici.

Erano soprattutto i foltissimi cespuglivere macchie per le imboscateche facevano brontolare Mendozaanche perché si mostravano formidabilmente armati di acutissime spine.

Il guasconeche aveva fatto parte piú volte delle cinquantineper buona fortuna non esitava mai a scegliere la viaquantunque sotto quelle immense arcate di verzura regnasse un'oscurità quasi completa.

- Ho la bussola nella testa - ripeteva sfondando a colpi di spadone i cespugli per aprire il passo al conte.

E pareva infatti che quel diavolo d'uomoche camminava con piena sicurezza senza mai fermarsiavesse la facoltà d'orientarsi come i piccioni viaggiatori. Chi invece era incerto e non poco era Mendozail qualequantunque uomo di marenon ignorava come fosse facile smarrirsi in mezzo alle boscaglie.

Quella marcia faticosissima durò tre orepoi il piccolo drappello si trovò dinanzi ad una vasta pianura interrotta da un gran numero di stagni.

Un fracasso indiavolato s'alzava fra le alte erbe e i canneti che la coprivano. Muggivano milioni di rospifischiavano le rane americane e di quando in quandoa tutto quel baccanosi univano delle urla rauchesomiglianti al fragore dei tamburidei cannoni.

Il guascone si era arrestatobestemmiando in francese o in spagnuolo.

- Ehicamerataavresti per caso perduta la bussola che tu affermavi d'avere dentro il cervello? - chiese Mendoza.

Il guascone stette un momento zittopoi picchiandosi furiosamente la corazza che gli rinserrava il pettorispose:

- Pare proprio che si sia guastata.

- Chi?

- La mia bussola.

- Ecco una faccenda seria per la gente di mare.

- E anche qualche volta per la gente di terra- rispose l'avventurieroil quale appariva sconcertato. - Come mai mi sono smarrito? Eppure queste boscaglie le ho scorse piú volte.

- Sperodon Barrejoche non avrete l'intenzione di farci divorare dai caimani- disse il signor di Ventimiglia.

- Ci tengo alle mie gambe non meno di voi- rispose il guascone. - Volete un consigliosignor conte? Aspettiamo l'alba.

- Ed intanto schiacciamo un sonnellino - aggiunse Mendoza. L'erba è folta e fresca e dormiremo meglio che su una branda della Nuova Castiglia.

- E i caimani intanto cenerebbero con i vostri piedi - disse il guascone. - Non chiudete gli occhisignoreve ne prego. Io so come sono pericolose queste paludi!

- Avete un sigarodon Barrejo? - chiese il conte.

- Sono ben provvistosignor conteed è tabacco di Cubail migliore che si coltivi in tutto il golfo del Messico.

- Datemene unoe aspettiamo che il sole spunti. Spero che non ci farete perdere in mezzo alle boscaglie di San Domingo.

- Zittosignore!

- Che cosa c'è ancora? Se è qualche caimanolo taglieremo in due a colpi di spada. Anzinon ho ancora visto lavorare la vostra draghinassa.

- Altro che caimano! È una cinquantina che s'avvicina. Zitti!

Tutti si misero in ascoltodopo essersi gettati dietro l'enorme tronco d'un albero di cotone selvatico. Pareva che un grosso drappello uscisse dal bosco. Si udivano i passi pesanti e cadenzati di uomini abituati a marciare in colonna.

- Adesso ci prendono! - borbottò Mendoza. - Che splendida passeggiata notturna! Era molto meglio restarcene a San Domingo.

- Zittoeterno brontolone! - sussurrò il conte. - Sai che le cinquantine non desiderano altro che di andarsene pei fatti loro. Non ti muoveree vedrai che nessuno verrà a cercarti dietro a questa pianta.

- Ben dettosignor conte- disse il guascone. - D'altronde basterebbe sparare un colpo di pistola per far scappare quei poveri diavoli. Da quando i governatori hanno avuto la pessima idea di privarli delle armi da fuoconon si sentono piú in grado né di darciné di fare battaglia.

- Purché non abbiano con loro dei cani- disse Mendoza.

- Ecco quello che temo- rispose il guascone. - Voi avete però quattro pistole. Datene una a me e vedrete che scapperanno come lepribenché non manchino di coraggioquesto ve lo assicuro io. Lo spagnuolo è sempre stato un buon soldato e nemmeno iose avessi in mano una spada contro un buon bucaniere armato d'archibugio volterei le spalleeppure sono un guascone.

- Ricco di guasconate! - disse Mendozaun po' ironicamente.

- Mi vedrete all'operacamerata- rispose il soldatoun po' piccato. - Silenzios'avanzano.

Un grosso drappello era sbucato di fra le canne e le erbe e avanzava lungo la fronte della foresta. Si trattava veramente d'una di quelle famose cinquantinearmate esclusivamente d'alabarda e di spadesenza nessuna bocca da fuoco. Era composta tutta di alabardieri con elmetto e corazzadifese affatto insufficienti contro le grosse palle dei bucanieri.

Era preceduta da un doz di Cuba. Questi cani ferocissimi sono molto grossimolto robusti e d'un coraggio a tutta provae gli spagnuoli li usavano specialmente contro gli indianii quali avevano una paura terribile di quelle bestiacce.

A quei doz cubani si deve piú che altro la conquista delle numerose colonie del golfo del Messico. Si può anzi dire che la Colombia fu conquistata piú da loro che dagli avventurieri.

Il canegiunto in vicinanza del grosso albero del cotonesi era fermatoaspirando fragorosamente l'ariae la cinquantinache era guidata da un ufficialesi era subito disposta su quattro linee abbassando le alabarde.

- Camerata- sussurrò Barrejorivolgendosi a Mendoza - voi occupatevi di quel cagnaccio e badate di non sbagliare il colpo o vi salterà alla gola.

- È un affare che sbrigherò io- rispose il filibustiere.

- Alla cinquantina penseremo io e il signor conte.

Tutti e tre avevano armato le pistole e si tenevano l'uno presso l'altropronti a sguainare le spade.

Il doz cubano fiutava semprevolgendo la testa massiccia verso l'enorme albero e ringhiando sordamente. Doveva aver sentito che là si nascondeva il nemico.

Un grido s'alzò fra gli uomini d'avanguardia della cinquantina

- Ayperrito!

Il cagnaccioudendo quel comandosi slanciò furiosamentesperando di azzannare i misteriosi avversari che non osavano mostrarsi.

Mendozache lo teneva d'occhiofu pronto a sparare e gli fracassò il craniomentre il conte ed il guascone facevano fuoco contro la cinquantinatirando a casaccio.

Allora gli spagnuolicredendo d'aver dinanzi qualche grosso drappello di quei terribili bucanieri che non sbagliavano mai la mirain un lampo si dileguaronogettandosi in mezzo ai canneti delle paludi.

- Ecco la cinquantina sgominata! - disse il guascone ridendo. Lavoriamo tuttavia di gambeperché domani mattina tornerà qui e se si accorgeràdalle nostre tracced'aver avuto da fare con soli tre uominici darà una caccia terribile. Corriamosignor conte!

- E queste sono le splendide passeggiate che si fanno a San Domingo - disse Mendoza. - Preferisco quelle che si fanno sulla tolda della Nuova Castiglia.

Si erano messi a correrecome se avessero altri molossi alle calcagna.

Il guasconeche aveva le gambe piú lunghe di tuttimarciava con una rapidità incredibile lungo la fronte della boscagliadietro però la prima linea degli alberiper paura che la cinquantinarimessasi dalla sorpresasi fosse nuovamente ordinata e formata per la caccia.

- Questo briccone ha giurato di farmi morire completamente sfiatato! - brontolava Mendozail quale sbuffava come un bufalo. - Quanto durerà questa storia?

Pareva proprio che il guascone possedesse una resistenza incredibile e muscoli di acciaiopoiché non rallentava nemmeno un momento la sua corsa.

Il figlio del Corsaro Rosso si mostrava non meno resistenteanziaveva maggiore slanciocome se fosse già abituato alle lunghe corse.

Quella galoppata furiosa durò un'orapoi il guascone si fermò.

- Può bastare - disse. - La cinquantina ha avuto piú paura di noi e non ha osato darci la caccia. Prima che ne incontri altre o che si rifornisca di canepasserà del tempo e noi potremo raggiungere la villa della marchesasenza essere piú disturbati.

- Se non sapete nemmeno dove si trovi! - disse Mendozail quale aspiravacome un mantice da fucinala fresca brezza notturna.

- Camminando sempresi va anche a Parigi - rispose Barrejo.

- Nel mio paese si dice che tutte le vie conducono a Roma - aggiunse il conte.

- Ma non alla villa di Montelimar - ribattè Mendoza il quale sembrava di pessimo umore.

- Voicameratabrontolate sempre contro il vostro capitano - disse il guascone. - Anche questo è un brutto vizio.

- Mi correggerò col tempo.

- Siete ormai troppo vecchio per farlo.

- I filibustieri sono sempre giovani. Lo sanno gli spagnuoli.

- Ohnon lo negoamico! Avete sempre il fuoco nel petto.

- E non le vostre gambe.

- Orsúche cosa facciamo oradon Barrejo? - chiese il conte.

- Io per conto miofarei colazione - disse Mendoza. - Questa corsa mi ha messo un appetito da pescecane.

- Contentati di accendere la tua pipaper ora - rispose il conte. - Se non bastastringi bene la cintura.

- Ottimo consiglio! - sentenziò gravemente il guascone.

- Che non farà bene a nessuno - brontolò Mendoza - Mettetelo in pratica voi.

- Ne avete qualche altro da suggerirci don Barrejo? - chiese il conte.

- Síquello di sdraiarci in mezzo a queste fresche erbe e di tirare il fiato fino all'alba.

- E i caimani? - chiese Mendoza. - prima avevate una gran paura di quelle bestiacce.

- Sono lontani da quie poi non chiuderemo gli occhi

- Visto e considerato che non vi è di meglio da farelo metto in esecuzione - disse il contelasciandosi cadere fra le erbe e allungandosi con visibile soddisfazione. - Sono due giorni che io e questo eterno brontolone non ci riposiamo: è veroMendoza?

- Saranno forse di piú - rispose il filibustiere imitandolo.

Il guascone guardò attentamente in tutte le direzionisi chinòaccostò un orecchio a terraascoltò attentamente e poia sua voltasi allungò fra le fresche erbedicendo:

- Nulla: possiamo riposarci.

Non era però troppo facile socchiudere gli occhi.

I grossi rospi muggivano semprecon un crescendo spaventoso; i caimani facevano del loro meglio per imitarli ed i batraci gareggiavano fra di loro per fischiare con maggior furorecome se si fossero messi d'accordo per impedire a Mendoza di schiacciare un sonnellinofosse pure d'un quarto d'ora.

Era però molto tardie l'alba non doveva tardar molto a spuntare. Nel Golfo del Messico il sole tramonta presto e si alza anche molto presto.

Alle tre e mezzodurante l'estateil cielo si tinge dei primi riflessi dell'aurora e le stelle scompaiono.

I tre filibustieri - poiché ormai anche il guascone si poteva considerare come tale - si riposavano da un paio d'oretendendo continuamente gli orecchiper paura che i cani delle cinquantineli sorprendesseroquando le tenebre cominciarono a diradarsi.

- In marciasignor conte - disse il guasconealzandosi rapidamente. - Cercherò di orientarmi.

- È stata accomodata la bussola piantata in mezzo al vostro cervello? - chiese Mendoza beffardamente.

- S'incaricherà il sole di rettificarla - rispose l'avventuriero.

- Speriamo che sia un abile meccanico.

- Vedretecamerata.

Stavano per mettersi in camminoquando udirono a breve distanza uno sparo.

- La cinquantina! - gridò Mendoza facendo un salto.

- Síche spara con le sue alabarde! - osservò il guascone sorridendo. - Io scommetto invece che è la colazione che giunge. Signor contesiete conosciuto fra i bucanieri?

- Se non ioerano troppo noti i tre corsari: il Rossoil Nero e il Verde.

- Questa archibugiata deve averla sparata un bucaniere.

- Andiamo a trovarlo - rispose il signor di Ventimiglia.

Attraversarono di corsa una folta macchia egiunti sul marginescorseroin mezzo ad una radura erbosaun uomo piuttosto attempatovestito malamente.

Aveva un grembiale di pelle ed un largo cappello di feltro in testa e stava ritto accanto ad un gigantesco bue selvaggio il quale stava spirando. Vedendo quegli stranieriil cacciatore fece alcuni passi indietroe gridò con voce minacciosa:

- Chi siete? Rispondeteo vi uccido prima che possiate giungere fino a me!

- Siamo filibustiericamuffati da spagnuoli - rispose il conte in francese purissimoperché l'intimazione era stata fatta in quella lingua. - Io sono il figlio del Corsaro Rosso e nipote del Verde e del Nero.

- Del Corsaro Nero! - gridò il bucanierelasciando cadere l'archibugio e facendosi innanzi. - Di quello che con GrammontLaurent e Wan Horn ha espugnato Vera-Cruz? Io ho combattuto con lui! Tonnerre de Brest! Signoresono ai vostri ordini! Comandate!

 



CAPITOLO VI

IL BUCANIERE


seccare e affumicare sotto semplici capannucce formate di frascheil piú delle volte malamente intrecciate le pelli e le carni degli animali uccisi a cacciaesprimevasi dagli indiani delle grandi isole del Golfo del Messico col vocabolo bucane da quello venne il nome di bucaniere.

Quei formidabili cacciatoriche piú tardi dovevano fornire tanta gente ai filibustieri della Tortue e dare un'infinità di fastidi agli spagnuolisi erano specialmente stabiliti nell'isola di San Domingola piú ricca di selvaggina.

Per la maggior parte erano avventurieri francesiinglesi e fiamminghifuggiti dalle loro patrie o per miseria o per delitti commessi.

Una camicia di grossa telasempre lorda di sangueun paio di calzoni della stessa telaanche piú sudiciuna cintura di pelle non conciataalla quale erano attaccate una corta sciabolaun paio di coltelli e due borse contenenti la polvere e le palleun cappellaccio informe e scarpe fabbricate con cuoio di maialecostituivano la divisa dei bucanieri..

La loro grande ambizione era d'avere un buon archibugioportante un proiettile del peso di un'onciaed una muta di venticinque o trenta cani blood-houndche impiegavano per la caccia dei buoi selvaggialloracome abbiamo già dettoabbondantissimi in San Domingo.

Del resto la sola carne di bue o di maialemalamente arrostita o tutt'al piú cosparsa di pimento o di sugo di limonenon potendo sempre avere del saleera il loro cibo giornaliero e per bevanda non avevano che dell'acqua e non sempre puraabitando di preferenza i dintorni delle paludipiú frequentati dalla selvaggina grossache i boschi immensi che occupavano tutto il centro della grande isola.

Di comoditàquegli intrepidi cacciatorinon cercavano che una capannuccia che non valeva nemmeno quella che si costruiscono i polinesiani o i negri dell'Africaappena sufficiente a ripararli dalle abbondanti piogge o dagli ardori cocentissimi del sole.

Siccome poi da principio erano senza donne e senza figliessi avevano presa l'abitudine di vivere due a due o di prendersi un novizioche non sempre trattavano troppo beneper aiutarsi scambievolmente.

In quella strana società tutto era in comune e chi sopravviveva all'altro restava erede d'ogni cosa.

Vi era però anche una certa comunanza di beni fra tuttidimodoché ciò che mancava ad unoquesto andava a prenderselo da un altrosenza nemmeno chiedere il permessoed il rifiutarlo era tenuto come una gravissima ingiuria.

Difficilmente perciò avevano questioni fra di loroe se accadevanogli amici erano sempre pronti a rappacificarle; se poi i querelanti si ostinavano a non fare la paceterminavano le questioni a fucilate: guai però se il ferito veniva colpito nella schiena o nei fianchi!

Il reo veniva preso e con un colpo di mazza sul cranio si mandava subito all'altro mondopoiché quegli avventurieri si ritenevano gente d'onorequantunque usciti per la maggior parte dai bassifondi delle grandi capitali dell'Europa occidentale.

Né occorre dire se si attenessero alle leggi del loro paese natiopoiché essi credevano di esserne scioltidopo aver passato il tropico e aver ricevuto il battesimo di marinaicerimonia allora molto in uso per coloro che per la prima volta passavano l'equatore.

Forse è per quello cheabbandonati i loro nomi primitivine usavano altri presi a capriccio.

Non abbandonavano invece totalmente la loro religionefossero francesiinglesi od olandesi; ma questa consisteva soltanto nel nominare Dio e nel farsi di Lui un'idea quale giovava alle loro abitudini.

Strano era in essi il modo con cui si univano talvolta in matrimonio colle donneper la maggior parte indiane o prigioniere europeecomperate come schiave alla Tortue.

- Mi dovrai rendere ragione di quanto farai d'ora innanzi con me- dicevano quei fieri uomini.

Poibattendo sulla canna del loro infallibile archibugioaggiungevano con voce minacciosa:

- Ecco quella che mi vendicheràse tu non mi ubbidirai!

I bucanieri partivano ordinariamente per la caccia allo spuntare del giornopreceduti dai loro cani e seguiti dall'arruolato.

Un bracco camminava dinanzi alla muta escoperto il toro o il cinghialedava segno agli altrii quali correndo ed abbaiandogli si mettevano intorno finché giungesse il padrone.

Il colpo era quasi sempre sicurissimo e la prima cosa che faceva il cacciatorese riusciva a gettare a terra la selvagginaera quella di tagliarle il garretto.

Se la ferita era leggera e la bestia infuriava e caricavail bucaniereagilissimosapeva mettersi sempre in salvoarrampicandosi su d'un albero. Di lassú poi finiva facilmente a colpi d'archibugio la bestiala quale non aveva mai tempo di scappare.

Essa veniva subito scorticatapoi il bucaniere ed il suo arruolato ne traevano uno degli ossi maggiorilo spezzavano e ne succhiavano il midollo ancora caldo e quella era ordinariamente la loro colazione!

Mentre l'arruolato s'incaricava di tagliare i pezzi migliori da seccare o affumicare e li trasportava nella capannail bucaniere continuava la sua cacciaaiutato dai caniné smetteva finché calava la notte.

Quando poi aveva messo all'ordine quella quantità di pelli sufficiente per costituire un piccolo caricolo portava alla Tortue o in qualche altro porto tenuto dai filibustieri.

Una esistenza condotta con siffatti esercizi e sostenuta col genere di alimenti che abbiamo accennatisalvava quei terribili cacciatori dalle tante malattie alle quali altri andavano soggetti.

Tutt'al piú li colpiva talvolta una febbre effimerache spariva prestissimo con semplici profumi di foglie di tabacco.

A lungo andare però le fatiche eccessive e le intemperie dovevano a poco a poco esaurirli.

Gli spagnuoliinquieti per la presenza di quei cacciatori tutti stranieriper un po' di tempo li lasciarono cacciarema quando li videro fondare degli stabilimenti nella penisola di Samana al porto di Margotnella Savana bruciataverso i Goniaivesnell'imbarcadero di Mirfolais ed in fondo all'isola Avachespresero il partito di cacciarli dalla grande isoladichiarando a quei disgraziati una vera guerra di esterminio.

La guerra scoppiò ferocissima.

Gli spagnuoli si erano facilmente lusingati di fare una vera strage di quei miserabilii qualidopo tuttonon avevano mai recata a loro alcuna offesa.

Li sorprendevano spesso quando si trovavano in piccolo numero nelle loro corseoppure di notte nelle loro abitazioni equanti ne prendevanoaltrettanti ne trucidavano o li tenevano come schiaviquasi fossero negri od indianifacendoli lavorare duramente nelle piantagioni a colpi di sferza.

Certamente i bucanieri in tal guisa sarebbero stati a poco a poco distruttidalle tante cinquantine lanciate attraverso i boschise con miglior consiglio i cacciatori non si fossero finalmente decisi a raccogliersi in corpoper difendersi.

Il bisogno di caccia portava che di giorno si sbandasseroma alla sera si univano tutti in un luogo stabilito e se qualcuno mancavaargomentando che fosse stato uccisosospendevano le loro scorrerie fino a che o l'avessero trovato o vendicato.

E cominciò allora una lotta a tutta oltranzaI bucanieri fino allora si erano lasciati trucidare; da quel momento cominciarono a prendersi cosí spaventose rivinciteche tutta l'isola fu inondata di sangue e molti luoghi ricordano anche oggidí coi loro nomi le stragi avvenute.

Temendo però i bucanieri di non poter tenere testa alle innumerevoli cinquantine spagnuolesi decisero di trasportaredopo una lunga lottai loro stabilimenti sulle isolette che circondano San Domingo.

Non andavano piú ormai alla caccia che in grosse partitecombattendo fieramente quando incontravano il nemico.

Alcuni stabilimenti salirono in famacome quello di Bayabail quale aveva un porto vastissimo molto frequentato da navi inglesifrancesi ed olandesi.

Appunto da Bayabaessendo mancati un giorno quattro bucanierii loro compagni organizzarono una grossa spedizione per liberarli o vendicarli.

Avendo appresostrada facendoche erano stati condotti a Santiago ed appiccatitrucidarono gli informatori che erano spagnuolipoi assalirono furiosamente la cittàprendendola d'assalto e massacrando quanti uomini si trovavano rinchiusi fra le mura.

Non mancavano però gli spagnuoli di rifarsi di tratto in tratto delle sconfitte che subivanoma era ben difficile di snidarecome essi desideravanotutti i bucanieri che scorazzavano per le foreste dell'isola.

Col tempo però vi riuscironodistruggendo tutti i tori e tutti i porci selvatici che infestavano le foreste e le paludie quel colpo fu cosí fatale ai bucanierida deciderli a rivolgersi al mare per trovare nuovi alimenti e alla terra per ottenere raccolti da trafficare.

Gli spagnuoli però si erano ingannati sulle loro speranzeperché i bucanierida cacciatori di terra si erano trasformati in scorridori del marediventando quei terribili filibustieri che dovevano recare tanti danni alle colonie spagnuole del golfo del Messico e dell'Oceano Pacifico.

.........

Il bucanierecome abbiamo dettoudendo le parole del figlio del Corsaro Rossoaveva lasciato cadere l'archibugio e si era fatto innanzicol cappellaccio in manosalutando rispettosamente con un profondo inchino.

- Signore- disse. - Che cosa desiderate da me? Sarebbe per me un grandissimo onore poter essere utile in qualche cosa al nipote del grande Corsaro Nero.

- Non vi chiedo che un asilo sicuro per riposarmi qualche ora ed una colazionese è possibile averla- rispose il conte.

- Io vi offrirò delle bistecche quante vorrete ed una superba lingua di bue- rispose il bucaniere. - Tengo in serbo sempre qualche bottiglia di aguardiente per le visite inaspettate e sarò ben felice di offrirvela.

- Buttafuoco - rispose il bucaniere sorridendo.

- Un nome di battaglianon è vero?

- Il mio l'ho dimenticato - disse il cacciatorecorrugando la fronte. - Varcando l'Oceanoperdiamo i nostri nomima vi posso dire che ero figlio di una buona famiglia della Linguadoca. Che cosa volete? La gioventú talvolta fa commettere delle cattive azioni... Orsúnon parliamo di questo. È un mio segreto.

- Che io non desidero affatto conoscere - rispose il conte.

Il bucaniere si passò tre o quattro volte la mano callosa e macchiata di sangue sulla frontecome se volesse scacciare lontani e dolorosi ricordipoi disse:

- Mi avete domandato un ricovero ed una colazioneed io sarò orgoglioso di offrire l'uno e l'altra al nipote del grande corsaro.

Accostò una mano alle labbrasi mise due dita in bocca e mandò un lungo fischio.

Pochi momenti dopo un giovanotto di venti o ventidue annibiondomagrocon gli occhi azzurrivestito come il bucaniereaccompagnato da sette od otto grossi caniuscí dalla foresta.

- Leva la pelle a questa bestia - gli disse ruvidamente Buttafuoco - e portaci al piú presto la lingua e delle costolette. Potranno servire per questa sera.

Poivolgendosi verso il corsaro con una gentilezza strana in un uomo di apparenza cosí rozzadisse:

- Signoreseguitemi. La mia povera capanna e la mia misera dispensa sono a vostra disposizione.

- Non vi chiedo di piú - rispose il conte.

Il bucaniere raccolse il suo grosso archibugio e si mise in camminoosservando attentamente le macchieforse piú per abitudine che per altropoiché i cani non davano alcun segno di inquietudine.

- E il bufalo che avete uccisolo lasciate là? - chiese ad un certo momento il conte.

- Il mio amico non dev'essere lontano - rispose il bucaniere. Incaricherò lui di scorticarlo e di togliergli le parti migliori.

- E il resto?

- Lo lasciamo ai serpenti e agli avvoltoisignorequello che a noi importa sono le pelli che si vendono vantaggiosamente a Porto Bayada agli inglesi o ai francesi che vi approdano in buon numero ogni sei mesi.

- Senza venire disturbati dagli spagnuoli?

- Oh! guai se ci lasciamo prendere! Ma noi siamo furbie poi siamo protetti dai filibustieri della Tortuenostri buoni alleati.

- Avete conoscenti alla Tortue?

- Moltisignor conte.

- Quando vi siete stato?

- Appena tre mesi fa.

- Grogner e Davis si trovano ancora colà? Ho delle lettere di raccomandazione per loro e anche per Tusley. Sono i filibustieri piú noti al giorno d'ogginon è vero?

- Sísignor conte; ma dovreste correr moltoprima di presentargliele.

- Perché?

- Perché in questo momento lavorano sul continente omegliosull'istmo di Panamaverso il Pacifico. Le loro ultime notizierecate da un gruppo di filibustierisono giunte dall'isola di San Giovanni. Pare che si siano stabiliti colà per dare la caccia ai galeoni che il Perú manda di quando in quando a Panama.

- Sicché sarò costretto ad attraversare l'istmo se vorrò trovarli? disse il signor di Ventimigliail quale sembrava non troppo lieto di quelle risposte.

- Capitano- disse Mendozail quale si era accorto del malumore del corsaro - Pueblo-Viejo si trova sull'istmo e non potremmo giungervi con la nostra fregata. Visiteremo quella graziosa città per andare a stringer la mano al marchese di Montelimar; poi andremo a cercare i famosi filibustierisenza dei quali nulla potreste fare.

- Tu hai sempre ragioneamico - rispose il conte rasserenandosi un poco.

- Ecco la mia capanna - disse in quel momento il bucanierementre i cani si slanciavano innanzilatrando festosamente.

Sotto un gruppo di splendide e altissime palme e di cavoli palmistisorgeva una miserabile abitazione formata da rami malamente intrecciati e da poche pertichecon alcune pelli gettate al di sopra per riparare alla meglio il suo proprietario e il suo servo dagli acquazzoni diluviali chedi quando in quandosi rovesciavano sull'isola con furia inaudita.

Sotto una piccola tettoiainnalzata a pochi metri di distanzasi trovava la cucina che consisteva in tre o quattro sassiche dovevano servire da caminoda un paio di spiedi e da un vaso di terra pieno d'acqua.

Tutto all'intorno vi erano pelli di bufali stese a seccare e ammassi di carne affumicata e seccatacoperti da gigantesche foglie di banano.

- Ecco il mio palazzo! - disse il bucaniere ridendo. - Avrebbe bisogno di molte riparazionima non trovo mai il tempo di diventare un boscaiuolo. Entratesignor conte.

L'interno della catapecchia non valeva piú dell'esterno. Uno strato di foglie secche serviva da lettoed era tutto il mobilio di quel cacciatoreil quale forse un tempo era abituato al lusso raffinato della capitale della Francia.

Appesi ai pali vi erano dei coltellacci imbrattati di sangue fino alle impugnature; dei corni immensi contenenti probabilmente della polvere da sparo; dei sacchetti di cuoio per il piombo e delle zucche che servivano da fiasche.

- Un'abitazione da indiani! - disse il conte.

- Peggiosignore! - rispose il bucaniere. - Quei selvaggi sanno fabbricarsi delle capanne assai piú comode delle nostre... Accomodatevisignorimentre io vi preparo la colazione. Ecco il mio arruolato che giunge ben carico.

Il giovanelordo di sangue dal viso alle scarpeavanzava penosamenteportando sulle spalle dei lunghi pezzi di carne che aveva allora levati dal bufaloed una magnifica lingua.

- SpicciatiCortal - disse il bucaniere ruvidamente. - Abbiamo delle persone a pranzo e offriremo loro un bell'arrosto di lingua. Vi è del maiale freddo avanzato da ieri?

- Sí - rispose il giovanotto. - E la pelle del bufalo?

- Andrai a raccoglierla piú tardi. Nessuno ce la porterà via.

L'arruolato gettò in mezzo alle erbe la carnediede uno sguardo di sfuggita agli ospititoccandosi con la destra grondante di sangue la tesa del suo cappellaccio scolorito e bucato almeno in dieci punti; poi alimentò il fuocomentre il padrone preparava la lingua e la infilava nello spiedo.

- Non invidio di certo la vita di quel povero garzone - disse il guasconeindicando l'arruolato. - E forse anche lui appartenne un giorno a qualche buona famiglia.

- Quanto dura il loro arruolamento? - chiese il conte.

- Tre anniordinariamente - disse Mendoza. - Dopo passano a loro volta bucanieri; ma sono tre anni di tribolazionipoiché vengono trattati come schiavie non sono loro risparmiate né percossené sofferenze d'ogni specie. I bucanieriabituati a vivere sempre in mezzo al sanguediventano ben presto brutalie per lorouccidere un toro o un uomo è la stessa cosa. Hanno una sola qualità buona: sono leali e ospitalissimi.

- Sicché quando l'arruolato sarà diventato bucanierenon tratterà meglio il garzone che prenderà al suo servizio.

- È cosícapitano - rispose Mendoza. - Si direbbe anzi che vogliano vendicarsi a loro volta delle busse prese e dei patimenti subiti durante la loro schiavitú.

Mentre chiacchieravanoButtafuoco e il suo servo si facevano in quattro per allestire il pranzomolto abbondanteè veroma anche molto modestopoiché non consisteva che in un pezzo di maiale freddonella lingua del bufalo malamente arrostita e in un cavolo palmista chebene o malesurrogava il pane che mancava assolutamente. Quei poveri cacciatori soltanto qualche rarissima volta potevano ottenere un po' di granoe allora era una vera festa per loro. L'arrosto fu presto pronto e fu servito dall'arruolato su una foglia di bananoinsieme con alcune enormi ossa già spezzate per poterne succhiare piú comodamente il midollo crudo e ancora tiepido.

- Mi rincrescesignor contedi non potervi offrire di piú - disse Buttafuocoil quale cercava di mostrarsi amabile. - Se possedessi ancora il mio castelluccio in Normandiaavrei fatto ben altra accoglienza al nipote del grande Corsaro Nero... Bah! - aggiunse poimentre la sua fronte si aggrottava ed una profonda emozione si dipingeva sul suo volto abbronzato - non vale la pena di risvegliare dei lontani ricordi. Il passato è morto per medopo che ho varcato la linea... Mangiamosignori!

Tagliò la lingua e l'arrosto di maialeservendosi d'un enorme coltellaccio; spaccò in vari pezzi il cavolo palmista con degli scatti d'ira che tradivano una profonda agitazionepoi con un gesto fece segno ai convitati di servirsi.

Mangiarono in silenzio. Il conte di quando in quando fissava il bucaniere e questiquasi temesse che egli indovinasse la causa della sua profonda emozionesi affrettava ad abbassare lo sguardo o a volgere altrove il visocon la scusa di dare al suo arruolato qualche ordine.

Quando il pranzo fu terminatoButtafuoco offrí ai suoi ospiti dei grossissimi sigari da lui stesso fatti con tabacco probabilmente rubato nelle piantagioni spagnuole; poi disse a Cortalche aveva mangiato fuori della capanna accanto al fuoco:

- La fiasca d'onore: vi è un conte fra noiamico.

L'arruolato frugò sotto un banano e ne trasse un'enorme zuccaparecchi bicchieri di corno di bufalo e portò l'una e gli altri nella catapecchia.

- Signor conte- disse il bucaniere con una certa amarezza - io non posso offrirvi né dello champagnené del Borgognané del Medocperché non siamo in Francia. Qui non abbiamo che meschina aguardiente o del megeolperché l'isola non ci dà niente di meglio. È la mia provvista che talvolta cerco a prezzo della mia vita che se ne va... quella provvista che certe notti mi è necessaria per dimenticare il passatoper non piangere... Signor conteaccettate.

- Voi siete commossoButtafuoco! - gli disse il signor di Ventimiglia.

- Si può esser fortisignor conte- rispose il bucaniere - si può aver varcata la linea equatoriale; si può aver giurato di aver dimenticato il proprio paese... la mia Normandia... il mio castello... una sorella amata e che per me è ormai morta per sempre... il padre gentiluomo che riposa laggiú accanto a mia madre sotto le zolle dell'abbazia... Morte dell'inferno! Bevetesignor conte... berrò anch'io!

Afferrò rabbiosamente la tazza di corno e la vuotò d'un fiatogridando poi:

- AncoraCortalancora! Bisogna che affoghi i ricordi lontani! Ahla triste sorte che mi ha colpito!

Il viso del fiero bucaniere si era spaventosamente alterato.

Non piangevano i suoi occhieppure s'indovinava che faceva degli sforzi supremi per trattenere le lacrimevergognoso forse di tradire il segreto delle sue pene.

- Bevetesignor conte- riprese dopo qualche istantevuotando un'altra tazza. - Non avrei mai creduto di dover ospitare sotto questa miserabile capanna un gentiluomo della lontana Europa. L'avevo sperato un giornoera una follia certamente... un uomo che fosse venuto qui a trovare me per caso o per combinazione.

- ContinuateButtafuoco- disse il conte - siete fra amici.

Il bucaniere vuotò il terzo bicchiere di aguardientepoifacendo un gesto di ira terribileriprese con voce strozzata:

- Parigi maledetta! Sirena infame che mi hai stretto fra le tue spire! Meglio sarebbe stato che io non ti avessi mai veduta! Le tue mille e mille seduzioni hanno fatto di me un miserabile bucaniereun macellaio delle foreste di San Domingo!... Maledetto giuoco! Sei stato la mia rovina!

- Ma chi siete voi? - chiese il conteprofondamente commosso dall'intenso dolore che traspariva sul viso del bucaniere.

- Lo vedete- rispose Buttafuocoridendo nervosamente - un cacciatore di buoi... un miserabile avventuriero. Da quando ho passata la lineaio non ho piú patrianon ho piú famiglianon ho piú nobiltàpiú nulla fuorché il mio archibugio che tutti i giorni uccide per non uccidere il mio cuore.

Per la quarta volta vuotò la tazza che l'arruolato gli aveva riempita.

- Gli anni sono passati- riprese il disgraziatoserrando la fronte fra le manicome se cercasse di comprimere i pensieri che lo tormentavano

- Eppure vedo ancora il mio castellolàsulle rive dello stagnoergersi superbo con i suoi pinnacoli e le sue torri; vedo ancora in certe notti passeggiare sulle terrazze quella dolce fanciulla che era mia sorella e per la quale avrei dato la vita pur di vederla felice... Un barone della Bretagna la fece sua sposa... Sia feliceed ignori per sempre la sorte del suo disgraziato fratello... Cortaldammi ancora da bere. Ho seteuna terribile sete!

Rimase alcuni istanti silenziosofissando il bicchiere colmo con gli occhi dilataticupofrementepoi disse:

- Ehla vita talvolta è cosíse si è preda d'un genio maligno. Eppure quanto è stata terribile la discesa! Meglio sarebbe stato che sui vent'anni un colpo di spada m'avesse finito fra i pometi della Normandia! Cosí non avrei veduta mai Parigialmeno non sarei discesodi gradino in gradinofino nel fango d'una prigione... non avrei macchiato il blasone dei miei avi... non avrei dimenticata la mia Francia... non avrei cambiato nome... non sarei diventato un avventuriero... non sarei fuggito come un ladro... e non avrei fatto piangere mia sorellapovera creatura!

- Buttafuoco! - gridò il conte.

Il bucaniere si era alzato di scattocon gli occhi dilatatiil viso bagnato di sudore. Staccò da un palo della capanna il suo archibugiopoi uscí rapidamentescomparendo fra gli alberi.

- È sempre cosí il tuo padrone? - chiese il conte all'arruolato che stava fermo sulla soglia della capanna.

- Io non l'ho mai veduto sorridere - rispose Cortal. - È sempre triste

- E non sarà il solo - disse il guascone. - Quanti uominiche un giorno furono ricchi e stimatisi trovano fra questi bucanieri!

- E quanti gentiluomini ha rovesciato l'Europa in America! - rispose il corsaro.

- È verosignor conte - rispose il guascone con un sospiro. Io peraltro ho dimenticato presto Pau e il mio castelluccio semidistrutto. Io non ho veduto Pariginé ho provato le sue seduzioni fatali.

- Rovina di tanta gente dabbene! - disse il conte. - Vale meglio la Provenza!

A sua volta si era alzato ed era uscito dalla capannacercando il bucaniere.

Il cacciatore era scomparsoma udí parecchi colpi di fucile tra le macchie. Aveva appena terminato il sigaro e stava per rientrare nella capannaquando vide giungere Buttafuoco piú tetro che mai. Osservandolo attentamentes'accorse che il fiero cacciatore aveva gli occhi rossi; come se avesse lungamente pianto.

- È passata la tempesta? - gli chiese il signor di Ventimiglia con voce dolce.

- Gli uragani durano poco a San Domingo - rispose il bucaniere con un triste sorriso. - Bahtutto è passatotutto è stato dimenticato! Ho ucciso due maiali selvaticilaggiú sul margine delle paludi... è il mio mestiere. Il conte gli porse la destra:

- Stringetela! - disse.

- Nosignor conteio non sono piú degno di porgere la mano ad un onesto gentiluomo. Qui non siamo in Normandia.

- Stringetelavi dico.

- Sínon ora però. Quando noi ci lasceremo per sempre e vi dirò chi sono stato io un giorno... forse allora... Signor contefra quattro ore il sole tramonterà e la villa della marchesa di Montelimar è lontana. Volete che ci mettiamo in cammino? Non giungeremo a San Josè prima dell'albaed in questo paese è meglio marciare di notte. Le cinquantine di quando in quando perlustrano queste foreste e se non sono pericolose le loro alabardesono terribili i cagnacci che le accompagnano.

- Sono pronto a seguirvi e ad obbedirvi - rispose il corsaro.

- Siete ben sicuro che la marchesa non vi tradirà? Io conosco quella bella signoraavendola qualche volta incontrata nei dintorni della sua fattoria.

- È una perfetta gentildonna che mi ha già salvato una volta.

- Allora basta - rispose il bucaniere. - Chiamate i vostri compagnisignor contee dite che si prendano degli archibugi. Ne ho sempre tre o quattro di riserva e tutti di buon calibrocon palle di un'oncia.

Mendoza ed il guasconeudendo il comando del conteerano accorsiseguiti dall'arruolatoil qualecome se avesse indovinato il pensiero del suo padroneportava dei fucili e delle munizioni.

- In marciaamici - disse il signore di Ventimiglia. - Buttafuoco ci servirà da guida.

Il bucaniere s'accostò all'arruolatoil quale lo interrogava con lo sguardo.

- Tu rimarrai qui - gli disse con ruvida bonarietà - e aspetterai il mio ritorno. Che io stia lontano una settimana od un mesenon ti dar pensiero di me. Se gli spagnuoli ti minaccianorifugiati nella colonia del capo Tiburon e là ci ritroveremo. Guardati dalle cinquantinee abbi cura dei miei cani. Addio!

Chiamò con un fischio stridente il suo bracco favorito e si mise in cammino a fianco del conte e seguito dal guascone e da Mendozacalandosi il cappellaccio sulla fronte per meglio ripararsi dagli ardentissimi raggi del sole.

Attraversò la macchia che serviva a nascondere la sua capanna e dopo essersi orientato con l'astro diurnosi cacciò risolutamente tra le immense boscaglie che si prolungavano verso occidente.

Il bracco lo procedevafiutando di quando in quando il terrenoe volgendo la testa come per chiedere se era sulla buona via.

- Avete la vostra navesignor conte? - chiese il bucanieredopo aver percorso qualche miglio.

- Deve attendermi al capo Tiburon - rispose il corsaro.

- La villa della marchesa di Montelimar non si trova che a breve distanza dalla rada. La potrete scorgere dalle finestre della fattoria.

- Non verranno a cercarci colàle cinquantine?

- Chi lo sa? Battono l'isola in lungo ed in largoe non si sa mai dove si fermano. La marchesa però è troppo potente a San Domingo per non proteggervi.

- Ne ho avuto la prova.

- Allora potrete attendere tranquillamente la vostra navesenza correre il pericolo di farvi prendere - rispose il bucanieresorridendo. - So quanto vale quella signora.

- La conoscete?

- L'ho veduta una sola voltamentre attraversava a cavallo una foresta e le ho resoanziin quell'occasioneun piccolo servigio. Se non mi fossi trovato sulla sua strada e non le avessi ammazzato il cavallo con un buon colpo di archibugionon so se la signora di Montemilar sarebbe ancora vivae se...

Il bucaniere si era interrottomentre il suo bracco scuoteva gli orecchi e puntava.

- Che cosa c'è? - chiese il corsaro.

- Nulla per ora - rispose Buttafuoco la cui fronte si era leggermente aggrottata.

- Mi sembrate inquieto.

- Posso essermi ingannato

- Anche il vostro cane?

Il Bucaniere stette un momento silenziosoosservando attentamente il suo bracco il quale si era fermato e non cessava di alzare e di abbassare le orecchie.

- Mi è sembrato d'aver udito un lontano latrato.

- Che qualche cinquantina ci dia la caccia?

- Può darsisignor conte. Lasciamo i terreni scoperti e gettiamoci nella foresta. Là saremo piú sicuri.



CAPITOLO VII

LA CACCIA UMANA


Sulla loro destra della comitiva si estendeva la grande foresta.

Buttafuocoche doveva conoscere quei luoghi molto piú del guasconeil qualemalgrado la bussola che teneva in mezzo al cervellonon era riuscito a scoprire la fattoria dove avrebbero dovuto trovare dei cavallisi era messo alla testa del minuscolo drappelloaprendo qua e là dei passaggi con i due coltellacci che non aveva deposti alla capanna.

Il bracco poi lo aiutava meravigliosamenteguidandolo con perfetta sicurezza attraverso i meandri tenebrosi della foresta.

Di tratto in tratto il padrone e la sua bestia si fermavano per ascoltarepoi riprendevano la marciamanifestando ambedue una certa inquietudine che non sfuggiva al conte.

Il sole era tramontato da qualche ora e camminavano sempre attraverso quell'interminabile forestaquando il bucaniere si fermò dinanzi ad un gigantesco tamarindo dicendo:

- È inutile nascondervelosignor conte; noi siamo inseguiti.

- Da chi? - chiese il corsaro.

- Da una o da piú cinquantine di certo.

- Come lo sapete?

- Vivendo sempre in mezzo alle forestei nostri orecchi acquistano un'acutezza incredibile ed afferrano subito i piú lontani rumori. Vi ripeto che noi siamo seguiti e forse i nostri nemici non sono molto lontani.

- Eppure io non ho udito nulla. Neppur tuè veroMendoza?

- Io non odo che le rane ed i rospi cantare- rispose il filibustiere.

- Ed io le foglie e la frutta cadere- aggiunse il guascone.

- Io invece continuo a udire dei lontani latrati- disse il bucaniere. - Qualcuno vi ha veduto attraversare le foreste?

- Abbiamo messo in fuga una cinquantina e le abbiamo ucciso il cane che la precedeva - rispose il conte.

- Ora comprendo! - disse Buttafuoco. - Quella cinquantina deve averne incontrata qualche altra fornita di canied ora molti uomini ci seguono e non cesseranno di marciare finché non ci avranno raggiunti... Brutto affare!

- Cerchiamo di raggiungere al piú presto la tenuta della marchesa di Montelimar - disse il conte.

- È ancora troppo lontana - rispose il bucaniere. - Anche correndo rapidissiminon potremmo giungervi prima del sorgere del sole.

- Che siano vicini gli spagnuoli?

- Essiforse no; ma i cani sí; e quelle bestiacce sono piú pericolose degli uomini. Io li conosco troppo bene! Non per nulla li chiamano cani strangolatori. Guardatevenesignor conte.

- Che cosa decidete? Aspettare qui il loro assalto o continuare la marcia?

Invece di rispondereButtafuoco osservò attentamente la foresta foltissimadove un infinito numero di liane s'intrecciavano in mille modi attorno agli alberiformando dei bellissimi festoni.

- Cerchiamo di far perdere le nostre tracce ai doz - disse poi. - Forse ci riusciremo con una marcia aerea. Si tratta solo di far prestoe di guadagnare piú strada che potremo.

Si gettò in spalla l'archibugios'aggrappò ad un ammasso di lianeche pendevano intorno al tamarindoe si issò a forza di bracciadicendo:

- Cercate d'imitarmi.

- Diamo la scalata alle griselle del bosco! - disse Mendoza. Preferisco una manovra marinaresca a questa interminabile marcia... Signor Barrejofingete di trovarvi a bordo di un treponti.

Il conteil quale aveva perfettamente compreso quello che il bucaniere stava per tentaresi era subito inerpicato attraverso un altro festone di siposmostrandosi abilissimo ginnasta.

Buttafuoco raggiunse i grossi rami del tamarindo eservendosi sempre di quelle resistentissime corde vegetalipassò su di un enorme cotonierepoi su una palmaquindi su di un cavolo palmistacontinuando intrepidamente la sua marcia aerea.

Passare da una pianta all'altra non era difficilepoiché gli alberi crescevano cosí vicini gli uni agli altri da intrecciare i loro rami. Anche senza le lianequella manovraper uomini agilisarebbe stata possibile. Il braccodestinato purtroppo a cedere sotto i denti dei ferocissimi e robustissimi cani cubaniseguiva da terra il padronelatrando lamentosamente.

- Quello stupido ci tradirà! - disse Mendoza al bucaniereapprofittando d'una breve sosta.

- È vero - rispose Buttafuoco armando l'archibugio. - Mi rincrescema la sua morte è necessaria.

Aveva appena terminato di parlare che già il povero bracco stramazzava al suolofulminato dall'infallibile palla del cacciatore.

- È strano! - disse il bucaniere passandosi una mano sulla fronte. - Mi pare di aver commesso un delitto. Bah! la necessità non ha legge nella foresta!

Ricaricò l'archibugio e si mise in ascolto. Dei lontani latrati avevano risposto a quel colpo di fucile.

- Gli spagnuoli hanno raccolto una truppa di doz - disse poi.

- Fortunatamente potranno assediarcima non raggiungerci.

- E la cinquantina che li segue? - chiese il conte.

Buttafuoco alzò le spalle.

- Le alabarde perderanno subito contro gli archibugi - disse. Io non mi occupo affatto di quei manici di scope. Riprendiamo la nostra marciasignore. I doz cubani hanno scoperto le nostre tracce e le seguono ostinatamente; noi non dobbiamo fermarci quicosí vicini al mio bracco.

Ripresero la loro ginnastica indiavolatascivolando fra i rami e le lianeora innalzandosi ed ora abbassandosi fino quasi a terraguardandosi bensí dal toccarla per non lasciarvi la menoma traccia.

Avevano percorso altri cinquecento metri e stavano per rifugiarsi tra le fronde di un simarubaquando udironoa non molta distanzadei furiosi abbaiamenti.

I doz cubani erano giunti enon avendo piú trovato le tracce dei fuggiaschisfogavano il loro malumore con terribili e minacciosi latrati.

- Devono aver trovato il cadavere del mio bracco- disse il bucaniereil quale si era messo a cavalcioni d'un grosso ramoaccanto al conte.

- Che ci scoprano? - chiese questi.

- Non ve lo saprei diresignore- rispose Buttafuoco. - Quei maledetti cani hanno un olfatto meraviglioso.

- Siamo su un albero ben alto.

- Lo vedo bene- rispose il bucanieresorridendo. - Eppure non sono affatto tranquillo. I mastini che adoperanove l'ho già dettosono terribili.

- Non fiatiamo.

- E sarà meglio per noi.

I doz cubani continuavano a latrare furiosamentea non meno di cinquanta passi. Come Buttafuoco aveva dettodovevano aver scoperto il cadavere del bracco e si aggiravano intorno alla foresta cercando le orme dei fuggiaschi.

Ad un tratto si fece udire un latrato sonoropiú acuto degli altriseguito da un fruscio di foglie.

- Vengono! - disse il bucaniere. - Che nessuno parli.

Mendoza ed il guascone si erano rannicchiati sul loro ramotenendo gli archibugi in mano.

Buttafuoco ed il conte li avevano subito imitaticercando di rendersi invisibili. Attraverso la cupa e tenebrosa foresta si udí un frastuono di latrati acuti che si perdettero subito in lontananza.

- Sono passati! - disse il bucaniere al conte. - Ora attenti alla cinquantina. Non deve essere molto lontana; ne sono sicuro.

- Che si avanzi? - chiese sottovoce il signor di Ventimiglia.

- Segue sempre i cani. Ascoltate attentamente: udite?

- Síun leggiero fruscio.

- Sono gli spagnuoli che marciano attraverso il bosco.

- Che ci scoprano?

- Per Bacco! Non hanno già gli occhi d'un giaguaro- rispose Buttafuoco. - E poi il fogliame ci copre interamente.

- E se fossero archibugieri?

- Non ve ne sono fra le cinquantine- rispose Buttafuoco. Nessuno sparerà contro di noi un colpo di fucileve l'assicuro io. Zitti tutti! Può essere l'avanguardia della cinquantina che perlustra.

Il fruscio aumentavamentre i latrati dei cani diventavano sempre piú fiochi. Probabilmente i terribili mastini avevano trovata una vecchia traccia e la seguivano colla loro abituale ostinazione.

Un momento dopocinque uomini armati di alabarde s'aprivano il passo attraverso i folti cespuglifermandosi quasi sotto l'enorme albero.

- Carrai! - esclamò uno. - Dove sono scappati quei maledetti perros?

- Saranno vicini ai fuggiaschiAlonzo - rispose un altro.

- Possono strangolarli sul colpo! Erano trenon è vero?

- Almeno io non ne ho veduti altriquando hanno ucciso il nostro Cid.

- Che gambe avevano quegli uomini per percorrere una tale distanza? Scommetterei che erano bucanieri.

- T'inganniDiaz. Sono gli uomini usciti da San Domingo e che hanno ucciso quel povero Barrejo.

- Caramba! Noi lo vendicheremo.

- Taci! I cani ritornano.

Ed infatti i latrati che poco prima erano diventati fiochi si facevano udire ora piú distinti.

La terribile mutaaccortasi di correre su una vecchia tracciaritornava a corsa sfrenatalatrando rabbiosamente.

Passò un minutopoi venticinque o trenta canienormicol pelame ispidole teste grosse e le mascelle assai sporgentisomiglianti molto ai cani americani che vengono chiamati dai piantatori della Virginia e della Luisiana blood houndbalzarono addosso ai cinque soldati con tale impeto che per poco non li gettarono a terra.

- Una corsa inutileè veromiei piccini? - disse colui che chiamavano Diaz. - Non vi scoraggiate. Quei bricconi non avevano le ali e quindi sapremo ritrovarli.

- Tu sei un vero imbecille che non conosci i cani cubani.

- Sarò anche un cretinoma intanto sono ritornati con gli orecchi bassi e senza le prede.

Uno scoppio di risa salutò quella risposta.

- Voi siete dei triplici cretini! - gridò Diaz furioso. - Da dove venite?

Dai presidios forse? - O dalla via dell'Alcalà di Madrid?

- Caramba! - urlò Alonzo. - Siamo dinanzi al nemico e urlate piú forte dei nostri mastini! È cosí che voi preparate le imboscate? Vi denuncerò tutti al governatore di San Domingo e vi farò disarmare. Il sergente sono io!

- Portategli dell'aguardiente e non si ricorderà piú di avere dei galloni - disse un altro soldato con voce ironica.

- Se parli ancora ti uccidomiserabile!

Seguí un profondo silenziopoi la voce del sergente si fece ancora udire:

- Viapiccini! Quei birbanti non devono essere molto lontani.

I cani a quell'ordine si slanciarono in tutte le direzionicacciandosi in mezzo alle macchie.

S'avanzavano e retrocedevano fiutando rumorosamente l'ariapoi tornavano ostinatamente verso il drappelloabbaiando sordamente.

- Ci sentono - disse Buttafuocoaccostando le labbra ad un orecchio del signor di Ventimiglia.

- Che ci scoprano? - chiese il conte.

- Sarà un po' difficile. Tuttavia teniamoci pronti ad annientare con una scarica l'avanguardia delle cinquantine - rispose il bucaniere. - Il mio archibugio è pronto.

- Ed anche il mio.

Non fate però fuoco se prima non vi do il comando.

Le ricerche dei cani durarono un buon quarto d'orapoi essi ripresero la corsaseguendo la traccia di prima. Non avendone trovate altre piú recentisi ostinavano su quella vecchia lasciata forse da qualche negro fuggiasco.

L'avanguardia della cinquantinadopo una breve discussioneprese il partito di seguirlie scomparve ben presto attraverso la foresta.

- Finalmente possiamo respirare liberamente! - esclamò il guascone. - Mi pareva di sentirmi i denti di quei cagnacci nelle gambe.

- Avrebbero trovato ben poco da rosicchiaresignor soldato - disse Mendoza ironicamente. - E per questo forse se ne sono andati a cercare dei polpacci piú rotondi.

Malgrado la gravità della situazione tutti si erano messi a ridereperfino Buttafuoco.

- Che cosa facciamo dunque? - chiese il conte. - Scendiamo?

- Sarebbe una grave imprudenza - rispose il bucaniere. - I cani possono ritornarescoprire le nostre orme e darci la caccia. Avete fretta di giungere a San Josè?

- Nessuna: la mia fregata non lascerà i paraggi del capo Tiburonse io non mi farò vedereed il mio luogotenente è troppo furbo per lasciarsi sorprendere e battere dai galeoni spagnuoli.

- Allora vi consiglio di passare la notte qui.

- Cosí diventeremo dei volatili! - disse Mendoza. - Purché non giungano i cacciatori!

- Vi ho detto che le cinquantine non hanno armi da fuoco - disse il bucaniere. - Dei cacciatori con le alabarde ne parleremo! Accettatesignor conte?

- Giacché non si può far di meglio e la prudenza lo esigepassiamo la notte quassú - rispose il signor di Ventimiglia. - Ed il vostro arruolato non verrà scoperto? La capanna non è molto lontana.

- Non si lascerà sorprendereve lo assicuro io. Ha dei buoni cani che l'avvertiranno in tempo dell'avvicinarsi delle cinquantine. Sono perfettamente tranquillo per lui. Ahme lo ero immaginato! Che brutta faccenda se avessimo lasciato questo asilo... Le vedetesignor conte?

- Chi?

- Le cinquantine: sbucano ora dal bosco e avanzano a catena. Gli spagnuoli vi considerano persone pericolosissimeperché vi fanno l'onore di mandarvi dietro due colonne.

- Potevano risparmiarsi quest'onore - brontolò Mendoza. - Io non lo desideravo affatto.

Il conte si era alzato sul ramo che gli stava sotto e guardava attentamente nella direzione che il bucaniere gli indicava.

L'albero che serviva loro d'asilo si trovava a poche decine di metri dal margine del boscosicché essendo la notte abbastanza chiarai filibustieri potevano scorgere benissimo le persone che fossero avanzate nella vicina pianura terminante verso gli stagni e le paludi.

Il conteche era molto altopotè vedere le due cinquantine camminare cautamente fra le alte erbecon le alabarde in resta e con una mezza dozzina di altri cagnacci dinanzi.

- Che ci circondino? - chiese al bucaniere.

Il bucaniere non rispose. Seguiva con gli sguardi la manovra un po' complicata che eseguivano in quel momento le due colonne. A un tratto gli sfuggí un'imprecazione.

- Circondano e battono le macchie - disse facendo un gesto di collera.

- Sgombriamo di qui prima che giunganoo saremo persi.

Stavano per lasciarsi scivolare giú dai ramiquando dei latrati furiosi si fecero udire a breve distanzapoi la torma dei dozche poco prima si era allontanatasi scagliò intorno alla piantaspiccando salti indiavolati.

- Ahmaledetti! - gridò Buttafuoco. - Sono riusciti a scoprirci. Signoripreparatevi a vender cara la vita e soprattutto mirate attentamenteprima di consumare una carica di polvere.

L'avanguardia accorrevaaizzando con altissime grida la feroce mutacredendo forse che quelli che cercava si fossero nascosti in mezzo ai cespugliinvece che fra i rami del gigantesco albero.

- Ayhiyito! - urlavano. - Ayperritos!

- Che uno solo di voi si occupi dei cinque che guidano i cani! - disse il bucaniere. - Gli altri facciano fuoco con me sulle cinquantine.

- Me ne incarico io! - disse il guascone. - Fra mezzo minuto i cinque soldati saranno a terra.

- Bum! - mormorò Mendoza. - Quante guasconate!

Le due cinquantineudendo i latrati dei canisi erano prontamente raccoltecredendo forse di dover subire un improvviso attaccopoi erano tornate ad allargarsiaccostandosi con precauzione alla macchiacon l'evidente intenzione di accerchiarla.

Uno colpo di fuoco fu il principio delle ostilità. Il guascone aveva scaricato il suo archibugio contro i cinque uomini dell'avanguardiai quali avevano commesso l'imprudenza di mostrarsi e la palla non era andata perduta.

I superstiti erano subito fuggitinon potendo impegnare una lotta con le loro alabarde e con le spadebuone solamente in un combattimento a corpo a corpo.

- Benone! - disse il bucanierevedendo un soldato a terra. L'avanguardia è per ora fuori combattimento e si guarderà dal tentare qualche cosa.

Occupiamoci ora delle cinquantine e non lasciamo loro il tempo di accerchiarci.

- E i cani? - chiese Mendoza.

- Lasciateli urlare: piú tardi penseremo a disfarcene.

Si mise a cavalcioni del ramoappoggiando le spalle contro il tronco della pianta e sparò un colpo.

Un grido lo avvertí che la sua pallacome sempreera giunta a destinazione. Il corsaro e Mendoza a loro volta fecero fuoco.

Le cinquantine arrestarono subito il loro movimento aggirante e si gettarono in mezzo alle altissime erbecercando di rendersi invisibili.

- Che cosa vorranno ora tentare? - si chiese il signor di Ventimiglia con inquietudine.

- Cercheranno di raggiungerci strisciando - rispose il bucaniereil quale invece appariva perfettamente tranquillo. - Bahfinché avremo polvere e pallesaremo sempre noi i padroni della situazione. Gran bella idea hanno avuto i governatori di sostituire con le alabarde gli archibugi! Hanno fatto meravigliosamente il nostro gioco. Siete pronti?

- Sí - rispose il conte.

- Mirate fra le erbespecialmente là dove si agitano. Se noi spareremo benei nemici se ne andranno e non oseranno assalirci.

I tre uomini ricominciarono a spararementre il guasconenon sapendo che cosa farese la prendeva coi canifacendo piovere addosso a loro una tempesta di rami secchima non osando consumare le munizioni diventate troppo preziose in quel momento.

E come lavorava il bravo soldato! Sicuro di non correre il pericolo di prendersi un colpo d'archibugio dalle due cinquantinefracassava legna e la scaraventava addosso alle bestiefacendole urlare di dolore.

Buttafuocoil conte e Mendoza intanto continuavano a sparare a lunghi intervallifacendo di tratto in tratto retrocedere le cinquantine.

Di quando in quando un grido echeggiava fra le erbeannunciando che qualche uomo era stato colpito. Era soprattutto il bucaniere che faceva dei colpi meravigliosi.

Prima di far fuoco cambiava piú di dieci volte posizioneabbassava e rialzava il pesante archibugio equando sparavala detonazione era seguita quasi sempre da un urlo o da una bestemmia.

Se non uccidevadi certo feriva o storpiava.

- Che uomini! - mormorava Mendozail quale pareva che fosse altamente stupito di quei tiri. - Si vantavano i filibustierima questi bucanieri sono inarrivabili! Ora comprendo perché sono riusciti ad espugnare Vera-Cruz e anche Panamasotto la guida di quel diavolo di Morgan!

Gli spagnuoli peraltrodegni discendenti di quei formidabili conquistatori che con un pugno d'uomini avevano rovesciato i due piú potenti imperi dell'Americaquello dei Messicani e quello dei Peruvianiquantunque sprovvisti di ogni arma da fuocosi mantenevano coraggiosamente sul postoesponendosi audacemente al tiro del bucaniere e dei suoi compagniconvinti di poter facilmente aver ragione di quel piccolo gruppo di avversari.

Strisciavano fra le erbeansiosi di venire ad un corpo a corpo e di giungere sotto l'albero.

Quella tenacia parve sconcertare Buttafuoco.

- Devono avere qualche progetto - disse il bucaniere al conte.

- Quale? - chiese il signor di Ventimiglia.

- Io non riesco a indovinarlo; ma non sono affatto tranquillo.

- Che contino sui cani?

Buttafuoco scosse la testa.

- Forse piú tardi - disse poi. - Li vedete?

- Io no.

- E voiMendoza?

- Non vedo altro che delle erbe che continuano a muoversi rispose il marinaio.

- Ed ioche ho gli occhi d'un vero guasconescorgo qualche altra cosa - disse don Barrejoil quale era salito molto in altocon la speranza di fare un buon colpo contro l'avanguardia.

- Dite.

- Fanno dei fasci.

- Di legna?

- Sí.

- Se riescono a giungere quici bruceranno o per lo meno ci arrostiranno un po'. Manovra vecchia che non sempre è riuscita completamente. Signoriavete tutti le spade?

- E che tagliano come rasoi - disse Mendoza. - Io non vorrei provarle sul mio collove lo giuro.

- Che cosa volete fare delle nostre spadeButtafuoco? - chiese il signor di Ventimiglia. - Tagliare le alabarde? Avrebbero un cattivo giuoco.

- No; ma usarle contro quei dannati cani - rispose il bucaniere.

- Se è per questonon v'inquietate.

- Me ne incarico io - disse il guascone.

- Sempre spaccone! - brontolò Mendoza. - Questi uomini sono davvero incorreggibili.

- Continuate il fuoco - disse il bucaniere. - Anche voisoldato. L'avanguardia non pare che abbia voglia di punzecchiarci le gambe con le sue alabarde.

- Giànon arriverebbero fino alle mie - rispose il guascone. - Ci vorrebbe una scala. Ora butto giú un uomo ogni mezzo minuto!

I quattro uomini ricominciarono a sparare fra le erbecon crescente rabbia. Il bucaniereil quale misurava bene i suoi colpifaceva dei tiri meravigliosituttavia gli spagnuoli non cessavano di guadagnare terrenomalgrado le enormi perdite che subivano.

Degli uomini certo cadevano di quando in quando morti o feritipure essi s'avvicinavano con un'ostinazione ammirabile alla macchia scivolando fra le alte erbe.

Che cosa volevano tentare? Se avessero avuto qualche archibugio si sarebbero certamente sbarazzaticon poche scarichedi quel piccolo gruppo di nemici.

Probabilmente volevano tentare un disperato assalto all'arma bianca.

Buttafuoco s'infuriavabestemmiando e sparando senza tregua.

- Che non riesca questa volta a farli scappare? - brontolava.

Che uomini abbiamo dunque noi dinanzi? Sono fusi con acciaio temprato nelle acque del Guadalquivir?

Invano le palle fischiavano o miagolavano sopra le erbe ed invano i quattro assediati sparavano con rabbia crescente.

Le due cinquantinerisolute a por fine a quel combattimento che costava loro molte perditenon cessavano di avanzarsi e di circondare la macchia.

- EbbeneButtafuoco? - chiese il signor di Ventimiglia ad un certo momento. - Come va questa faccenda?

- Che cosa volete che vi dicasignor conte? - rispose il bucaniere. - Io sono meravigliato. In vita mia non ho mai veduto degli uomini cosí coraggiosi. Queste due cinquantine sono stupefacenti! Al loro posto io sarei già scappato!

- Purché non facciano invece stupire noi- disse Mendoza.

- È quello che attendo- rispose il bucaniere- anzi che temo. Questa ostinazione mi dà molto a pensare.

- Che cosa temeteButtafuoco? - chiese il signor di Ventimiglia.

- Non lo so e non sono affatto tranquillo.

- Per tutti i pescicani del mar di Biscaglia! _ esclamò il guascone. - Qui l'affare sembra che cominci ad imbrogliarsi!

- Voi che siete un guascone dovreste sbrogliarlo subito- disse Mendoza.

- Ci sono i cani sotto di noi.

- Pei guasconi valgono meno dei lupi.

- Tacete e fate fuoco invece- disse il bucaniere. - Non è colle chiacchiere che si guadagnano le battaglie.

- Toh! La chiama una battaglia! - brontolò Mendoza. - Io la chiamerei una misera scaramuccia!

Quattro colpi d'archibugio rimbombarono uno dietro l'altrofacendo scappare una mezza dozzina di spagnuoli; gli altri però non lasciarono le erbe e continuarono a spingersi audacemente attraverso la forestasul cui margine erano ormai giunti.

- Morte dell'inferno- disse Buttafuocogettando via il cappello. - Ora non li fermeremo piú.

- Gli spagnuoli?

- Se si gettano fra i cespuglinessun occhio potrà scovarli e nessuna palla potrà raggiungerli. Che cosa vorranno fare? Arrostirci?

Si era voltato verso il guasconeil quale era disceso su uno dei rami piú bassi.

- Signor soldato- gli disse - volete prendervi la briga ora di distruggere la muta che urla sotto i nostri piedi? Dovete aver ancora una sessantina di colpi da sparare.

- Io spero di averne anche di piú - rispose il guasconeil quale conservava un sangue freddo ammirabile.

- Giacché l'avanguardia vi lascia inoperosomassacratemi quei dannati mastini.

- Preferirei uccidere degli uomini- rispose Barrejo.

- Ma quelli sono meno pericolosi! Vi affido un incarico piú difficile.

- Un posto d'onore- brontolò Mendozaridendo.

- Sia pure - disse il guascone. - Se quei cani valgono gli uominim'incarico io di fare di loro una gigantesca frittata.

Armò l'archibugio che aveva già caricato e con un colpo ben aggiustato abbatté il cane piú grossospaccandogli la testa.

- E uno! - disse. - Quello non mangerà piú i miei polpacci.

Mentre il guascone si arrabattava contro i mastini che latravano a piena gola intorno all'alberoimpazienti di piantare i loro formidabili denti nelle carni dei fuggiaschiButtafuocoil conte e Mendoza non cessavano di sparare qualche colpo a casaccio contro le cinquantine ormai scomparse nel bosco. Gli eroici soldati della vecchia Spagnaper nulla atterriti da quelle incessanti archibugiate che mettevano a dura prova il loro coraggionon cessavano di avanzarerisoluti a raggiungere l'enorme albero del cotone e a venire ad un corpo a corposicuridato il loro numerodi aver facilmente ragione dei loro nemici.

Avevano però da fare con uomini ben risoluti a vendere cara la pelle.

Mentre il guascone continuava a fucilare i caniButtafuoco aveva impegnato una rapida conversazione col conteinterrotta di frequente dalle archibugiate di Mendoza.

- È necessario sloggiare e salvarci fra le paludi - aveva detto il bucaniere.

- Potremo spezzare il cerchio di ferro che sta per serrarsi intorno a noi? - aveva chiesto il signor di Ventimiglia.

- Con una scarica improvvisa di archibugi ci apriremo una breccia sufficiente per passare.

- E dopo?

- Ci rifugeremo in mezzo ai pantani.

- Mi hanno detto che queste paludi hanno dei banchi di sabbie mobili.

- Li conosco.

- E i cani?

- Il vostro compagno sta fucilandoli con rara maestria. Ancora qualche minuto e non vi sarà piú un mastino sotto di noi... Ahecco quello che temevo!

Un bagliore sinistro era balenato a breve distanza dall'alberopoi un fastello di legna veniva scaraventato contro il tronco del bombaxfacendo scappare i cinque o sei cani sfuggiti ai colpi del guascone.

Un fumo densosoffocanteche provocò agli assediati una tosse violentissima e che fece lagrimare istantaneamente i loro occhisi alzò subito.

- Del pimento! - gridò Buttafuoco. - A terraamicio non potremo piú resistere! Lasciate gli archibugi e preparatevi a lavorare con le spade. Giú!

Un secondo fascio di legnapure accesoera stato scagliato. Anche quello era formato di rami di pepe rosso di Cajenna che sprigionavano un fumo infernale.

- Sono carichi gli archibugi? - chiese Buttafuocoil quale stava per spiccare il salto.

- Sí!

- Giú! e mano alle spade!

I quattro uomini si lasciarono cadere.

Un mastino si precipitò sul bucanieretentando di saltargli alla gola e di strangolarloma il cacciatoreche si aspettava quell'assaltobalzò indietro con agilità prodigiosa afferrando il fucile per la canna e gli fracassò il cranio con un terribile colpo di calcio.

Anche altri dueche si erano scagliati contro il conte e contro il guasconenon ebbero miglior fortuna. Due fulminei colpi di spada li fecero cadere l'uno sull'altrocon le gole squarciate.

- Fuoco sulle cinquantine! - tuonò allora il bucaniere.

Gli spagnuoli accorrevano con le alabarde in restaurlando a piena gola:

- Arrendetevi! Siete presi!

Quattro colpi d'archibugio furono la risposta; poi il bucaniere ed i suoi compagniapprofittando della confusione manifestatasi fra gli assalitori per quell'improvvisa scaricasi slanciarono a corsa disperata verso il margine della foresta per guadagnare le paludi.

Il guasconeche aveva le gambe piú lunghe degli altri e che era tutto nervi e muscoliaveva la velocità d'un proiettile: chi si trovava forse un po' male era Mendoza; tuttavia non rimaneva indietro di molto.

Gli spagnuoli si erano slanciati a loro voltaurlando ferocemente e aizzando i due ultimi cani che erano loro rimasti.

Pareva però che le povere bestieimpressionate probabilmente dalla strage fatta dei loro compagninon avessero molto desiderio di far la conoscenza con gli archibugi e con le spade di quei formidabili avversaripoiché non osavano spingersi troppo innanzi.

In meno di cinque minuti i fuggiaschi attraversarono la piccola pianura e raggiunsero il margine delle paludi.

- Fermatevi! - gridò Buttafuoco. - Vi possono essere dei banchi di sabbie mobili. Fate fronte agli spagnuoli per qualche minuto finché io non trovo il passaggio.

Gli assalitorivedendo i quattro uomini fermarsi e caricare precipitosamente gli archibugisi arrestarono anch'essinon osando esporsi al tiro di quei terribili tiratori.

Buttafuocoavendo scorto una lingua di terra coperta in parte di canne e di erbe palustrisi era slanciato risolutamente innanzi per cercare un passaggio che li conducesse in qualche luogo sicuro.

Il conte e i suoi due compagni si erano intanto posti al riparo dietro il tronco d'un albero caduto per decrepitezza o abbattuto da qualche fulmineed avevano ricominciato a sparareabbattendo i due ufficiali che guidavano le cinquantine.

Gli alabardierispaventati dalla precisione terribile di quei tirisi gettarono nuovamente fra le erbenon sapendo in quale modo dare l'attacco.

In quel momento non ringraziavano di certo i governatori che li avevano privati delle armi da fuoco.

Mentre il conte e i suoi compagni mantenevano un fuoco abbastanza vivoButtafuoco continuava a perlustrare la palude che pareva di una estensione immensa.

La sua paura era d'incontrare quelle terribili sabbie mobili che quando afferrano una predasia uomo o animalenon la restituiscono piú. Aveva spezzato una canna e si avanzava nell'acqua tastando il fondo. Ad un tratto il conte lo vide ritornare correndocol volto giulivo.

- Dunque? - chiese il signor di Ventimigliasparando un'altra archibugiata là dove vedeva scintillare gli elmetti degli alabardieri.

- Ho trovato il passaggio - rispose il bucaniere. - Non sarà forse largotuttavia per noi basterà.

- E i caimani?

- Non preoccupatevi di quelle stupide bestiacce. Non ci daranno molti fastidi. Caricate gli archibugi e seguitemi tutti! Attenti sempre ai cani!

Il conte ed i suoi compagni ricaricarono frettolosamente le loro armipoi si slanciarono dietro al bucaniereil quale correva lungo la piccola lingua di terra che aveva scoperta.

I due canivedendoli scappareavevano ripreso animomentre anche gli spagnuolicomprendendo che i loro nemici stavano per sfuggire al tanto sospirato accerchiamentosi erano alzati agitando furiosamente le alabarde.

In meno di mezzo minuto i fuggiaschi raggiunsero l'estremità della lingua di terra.

- Fuori le spade e risparmiate la polvere! - gridò Buttafuoco.

I due cani stavano per raggiungerliaizzati dalle grida dei loro padroni. Il conteche conservava un ammirevole sangue freddocacciò la sua spada fra le fauci spalancate del primo dozimmergendola fino a mezzo corpomentre Mendoza ed il guascone attaccavano coraggiosamente il secondo. Due guaiti avvertirono Buttafuoco che anche i due pericolosi avversari avevano avuto il loro conto.

- In acquasignori- disse - e badate di seguirmi attentamenteperché ai vostri fianchi si trovano le sabbie mobili e chi vi cade dentro non ne esce piú. Se gli spagnuoli ci seguonosparate uno per volta qualche colpo di archibugio. Ai caimani ci penso io.

Erano entrati tutti nell'acqua fangosa della savanaimmergendosi fino alla cintolasenza preoccuparsi gran che degli spagnuolii quali si erano slanciati animosamente sulla lingua di terracon la speranza di poterli acciuffare o di vederli scomparire fra le sabbie traditrici.

Buttafuoco tastava sempre il fondo con la sua canna e cercava di affrettare il passoquantunque incespicasse ogni momentoessendovi sott'acqua delle erbe non meno perfide delle sabbie.

Avevano cosí percorso circa cinquecento passiquando videro alzarsi a breve distanza un isolotto coperto da una folta vegetazione e che pareva avesse un'estensione considerevole.

- Ecco uno splendido rifugio! - disse Buttafuoco. - Se il fondo continua a mantenersi buonosotto quelle piante potremo sfidare non duema anche dieci cinquantine. Mi pare già che gli spagnuoli non abbianoalmeno per il momentoalcuna intenzione di cacciarsi in acqua. Diavolo! Le sabbie mobili fanno troppa paura a tutti!

Tastando sempre il terreno ed avanzando con grande precauzioneil bucaniere raggiunse l'isolotto e salí sulla rivaaggrappandosi a certe erbacce dure e coriaceechiamate olgochloa e che sono cosí cattive che perfino le capre le rifiutano.

Una massa di passiflore rampicanti si parò dinanzi al bucaniere. Sono piante che crescono molto rapidamente formando dei bellissimi festoni e che producono dei fiori purpurei con pistilli e stami bianchi con martellochiodiil ferro della lancia e tutti gl'istrumenti della Passioneche poi si tramutano in frutta gialleovoidaligrosse come poponcelliassai apprezzate dagli abitantispecialmente se cucinate con vino e molto zucchero.

- Questo deve essere un piccolo paradiso! - mormorò Buttafuoco.

- Probabilmente gli spagnuoli ci assedieranno orama io credo che non riusciranno ad affamarcicome forse sperano. Conosco la ricchezza di questi isolotti.

- Siamo giunti finalmente a casa? - chiese Mendoza.

- Parrebbe - rispose Buttafuoco.

- Che i nostri creditori vengano a romperci le tasche anche qui?

- Mi sembra che abbiano rinunciatoper oggi o meglio per questa nottead importunarci.

- Sono gente educata- disse il guascone.

- Se avessero però potuto mettervi le mani addossonon somio caro signor soldatose avreste ancora tanto spirito- rispose il bucaniereridendo.

- E lo dite a me? Oh li conosco ioquei signorini. Diavolo! Ci tengono poco a scherzare coi bucanieri.

- E nemmeno i bucanieri con loro- ribatté Buttafuoco.

Noi siamo ancora in quattro e dubito molto che essi siano ancora in cento. Signor contevolete dormire qualche ora? Pel momento nessun pericolo ci minaccia.

- La gente di mare è abituata alle lunghe veglie e non sento affatto il desiderio di riposarmi- rispose il signor di Ventimiglia.

- Io preferirei una buona cena- disse Mendoza. - La lingua di bufalo e anche l'arrosto di maiale non so piú dove si trovino. Probabilmente si sono affondati nei miei tallonidopo tante corse furiose.

- Io credo di averli sulle punte dei piedi- disse il guascone con comica gravità.

- Io non ho meno fame di voi- disse il bucaniere. - Però sarete costrettial pari di mead aspettare l'alba. Non posso già prendere degli uccelli di notte e qui noi non troveremo altro che uccelli.

- E sarà già molto- disse il contesorridendo.

- Le paludi di San Domingo sono di solito molto frequentate dai pennutisignoreed una buona colazione non ci mancheràpurché gli spagnuoli ci lascino tranquilli.

- Credete che tentino un nuovo attacco?

- Ora che non hanno piú i canii quali costituiscono la vera forza delle cinquantinenon oseranno forse assalirci. È probabile però che mandino degli uomini a cercare dei rinforzi per assediarci. Di ciò però mi preoccupo ben poco.

- E se circondassero la savana? - chiese il signor di Ventimiglia.

- Eh! Ci vorrebbero almeno cento cinquantine ed il governatore di San Domingo non ne troverà mai tante. Se io ho un passaggionon dispero di trovarne un altro eprima che i rinforzi giunganonoi saremo a S. Josénella fattoria della marchesa. Là non correremo alcun pericoloessendo io molto conosciuto dall'intendente.

- Quest'uomo è veramente meraviglioso- disse Mendoza. - Decisamente i filibustieri hanno una fortuna straordinaria. È bensí vero che gli spagnuoli ci credono figli o nipoti o pronipoti di compare Belzebú! È già qualche cosa anche questo.

Il bucaniere ed il conte si erano coricati sotto una passiflorasorvegliando attentamente le mosse degli spagnuolimosse assolutamente inoffensivepoiché non avevano osato abbandonare la penisoletta che s'avanzava nella savana.

Sorvegliavano anche le acquesoprattutto quelle ingombre di erbeper paura che qualche caimano tentasse di giungere di soppiatto fino all'isolotto per fare qualche buon colpo.

Quelle brutte bestiacce non dovevano mancare in quella paludeperò non si mostrarono. Probabilmente non si erano ancora accorte della presenza di quel gruppo d'uomini. Quando le tenebre cominciarono ad alzarsiil bucaniere ed il contedopo essersi assicurati che gli spagnuoli erano sempre fermi sulla penisolettafecero una rapida escursione attraverso all'isolottoonde cercare un passaggio che permettesse loro di sfuggire alla sorveglianza dei loro avversarii. Quel pezzo di terra era ingombro di pontedeirebellissimi cespi di foglie d'un verde lucente e di fiori azzurri e di aristolochie dalle foglie ovalii fiori lividi in forma di sifonicol tronco grosso come una botte e radici gigantesche le quali s'alzavano fuori dalla terra come serpenti smisurati.

Non mancavano però le piante d'alto fusto. Qua e là s'ergevanoa gruppidelle querciedelle magnolie acuminate cariche di certe frutta somiglianti ai cetriuolid'un bel rosso lucentee che si adoperano con successo per guarire le febbri intermittentie anche dei noci neridi dimensioni gigantesche e molto frondosi.

Numerosi volatili fuggivano dinanzi al corsaro ed al bucaniere. Erano corvi di marepiú grossi dei galliferocissimi perché osano assalire perfino le persone ferite impotenti a difendersi; fenicotteritantali verdiibis bianche e botauribellissimi volatili alti quasi due piedicolle penne brune rigateil ventre grigiastroil becco acutissimo e gli occhi gialli e molto delicati.

- Occupiamoci prima del passaggio- disse il bucaniere al conteil quale si preparava a sparare qualche colpo onde procurarsi una buona colazione. - Avremo tempo per massacrare questi volatilii quali non mi sembrano molto spaventati per la nostra presenza.

- Sperate di trovarlo?

- Eh!... Le savane di quest'ísola sono molto difficili ad attraversarsi in causa delle sabbie mobili che costituiscono il fondo. Ma io non dispero di trovare qualche costa che ci permetterà di farla agli spagnuoli. Voi siete sicuro che la vostra nave vi aspetta sempre al capo Tiburon?

- Non scioglierà le vele senza mio ordine- rispose il conte.

- Allora possiamo andare alla fattoria della marchesa. Senza il suo appoggio sarà un po' difficile che voi possiate lasciare San Domingo. A quest'ora tutte le cinquantine saranno in movimento per catturarvi. I tre famosi corsari non sono stati dimenticati e gli spagnuoli devono essere molto spaventati nell'apprendere che ve n'era un quarto che batte ancora le acque del gran golfo e che non si sa che cosa voglia fare.

- Forse è questo che farà venir loro la febbre- disse il conte. - Che cosa io sia venuto a fare qui tutti lo ignorano. Certamente io non ho varcato l'Atlantico per continuare le gesta di mio padre e dei miei zii.

Il bucaniere si era voltato vivamenteguardando fisso il figlio del Corsaro Rosso.

- Delle vendette? - chiese.

- Quelle verranno piú tardi- rispose il signor di Ventimigliacon voce grave. - Ho prima altro da fare.

Si era fermatoguardando a sua volta fisso fisso il bucaniere.

- Siete stato nel Darienvoi? - gli disse ad un tratto.

- Sí; con Wan Horn- rispose Buttafuoco.

- Conoscete dunque quel paese?

- Abbastanza bene: si trattava allora di attraversarlo con l'aiuto di un grande caciconemico terribile degli spagnuoliper andare ad assalire Granata.

- Come si chiamava quel grande cacico?

- Hara.

- Aveva delle figlienon è vero?

- Sísignor conte.

- Date spose a dei famosi filibustieri?

- Questo lo ignoro - rispose Buttafuoco.

- È lui.

- Chi?

Il conteinvece di risponderesi mise a guardare la savana che si estendeva dinanzi a lui a perdita d'occhiointerrotta qua e là da isolotti e da altifondi coperti da una vegetazione superba.

- Saremo costretti ad attraversarla? - chiese dopo un lungo silenzio.

- Sísignor conte - rispose Buttafuoco. - Non possiamo tornare indietro: perderemmo la vitapoiché sono certo che gli spagnuoli hanno mandato dei corrieri per aver degli aiuti e le cinquantine che giungeranno non saranno solamente armate di alabarde.

- Quando partiremo?

- Questa sera stessaperché i nostri nemici non s'accorgano della direzione che prenderemo.

- È lontana la fattoria della marchesa?

- È piú vicina di quello che supponete - rispose Buttafuoco. Con una rapida marcia vi potremo giungere in cinque o sei ore.

- Cerchiamo la colazioneallora.

- Un momentosignor conte; è la costa che mi occorre trovare. Se non riesco a scoprirlanon potremo allontanarci dall'isolotto. Spezzò una cannaarmò l'archibugio per essere piú pronto a far fuoco sui caimani e avanzò nell'acqua tastando il fondo.

Aveva percorso una quindicina di passiquando il conte lo vide ritornare.

- Abbiamo una fortuna meravigliosa- disse - il fondo è ottimo e non vi sono sabbie. Signori spagnuolici aspetterete un bel po' e quando vi metterete in marcia non troverete che dei caimani... Signor conteguadagniamoci ora la colazione. Non sarà una faccenda lunga. Getteremo giú una mezza dozzina di scoiattoli e ci procureremo un arrosto squisito.

Rifecero il cammino percorsocosteggiando specialmente i noci neried aprirono quasi subito il fuoco.

Fra gli enormi rami delle grosse piante saltavano disperatamente o meglio volavano dei graziosi animalettiun po' piú grossi dei topicol pelame grigio perla sopra e bianco argenteo sottocon gli orecchi piccoli e neriil muso roseo ed una splendida coda che pareva una magnifica piuma di struzzo.

Erano degli scoiattoli volanti i qualispaventati dalla presenza di quei due sconosciuticercavano di mettersi in salvocome se avessero già indovinate le malevole intenzioni del bucaniere.

Quantunque rassomiglino un po' a quelli che si trovano nelle foreste d'Europane differiscono per una membrana pelosa che unisce le gambe posteriori a quelle anterioripermettendo loro di spiccare delle vere volate che si prolungano talvolta perfino di cinquanta e più passi.

Avevano però da fare con un tiratore meraviglioso; cosicchéin meno di cinque minutisette od otto di quei graziosi roditorimitragliati dal bucanierecaddero al suolo insieme ad un gran numero di noci che potevano servire benissimo come ottima frutta.

Mendoza ed il guasconeche già s'immaginavano di avere una buona colazione con un cacciatore cosí famosoavevano nel frattempo acceso un allegro fuoco e raccolte delle erbe aromatiche per rendere l'arrosto piú gustoso. I quattro uomini scuoiarono in pochi istanti le bestiolele infilarono nella bacchetta di ferro d'uno degli archibugi e le misero sopra i carbonigirando quello spiedo primitivo su due forchettoni di legno piantati nel suolo.

Mendoza si era improvvisato cuocodopo che il guascone gli aveva solennemente dichiarato di saper divorare anche sei beccaccini l'uno dietro l'altroma di non saperseli cucinare.

Il buon marinaio non aveva né protestatoné brontolato; anziaveva guardato con ammirazione quel formidabile mangiatorechiedendogli solamente per quale motivo i guasconipur essendo divoratorinon ingrassavano.

Non occorre dire che la domanda era rimasta senza rispostaperché anche don Barrejo non avrebbe saputo dare su quello strano caso nessuna spiegazione plausibile.

Il fatto sta che gli scoiattoli scomparvero tutti e la maggior parte passò nel ventre del guascone.

Finita la colazionei quattro uomini si occuparono subito degli spagnuolitemendo sempre un improvviso colpo di mano.

Quelli invece pareva che per il momento non si occupassero affatto di loro.

Avevano acceso dei fuochi all'estremità della penisoletta e divoravano la loro colazione tranquillamentecomposta forse di testugginipoiché quei preziosi rettili abbondano intorno alle savane sandominghesi..

- Attendono dei rinforzi - disse Buttafuoco al conte. - Se noi non ci affrettiamo a scapparecirconderanno la paludee allora sarà bravo chi potrà sfuggire all'accerchiamento. Le cinquantine non si trovano però lí per líe possono passare parecchi giorni prima che arrivino. Certo che noi non aspetteremo il momento terribile e fileremo attraverso le acque e anche fra le sabbie mobili. Penserà poi la marchesa a farvi scapparesignor conte.

- Sarà la seconda volta - rispose il conte.

- A lei tutto è facile - disse Buttafuoco.

Aprí una tasca di cuoio che portava al fianco e offrí al conte un grosso sigaro dicendogli:

- Potrete con questo ingannare il tempo. È tabacco cubano che ho potuto avere dai filibustieri della Tortuee non ne troverete del miglioreve lo assicuro io.

Il conte stava per prendere il sigaroquando un colpo d'archibugio rimbombò e una palla fischiò sopra di loro.

Il basco si alzò precipitosamenteafferrando il suo fucile.

- Signor conte - disse con la voce un po' alterata - sono giunti dei rinforzi agli spagnuoli e si preparano a prenderci a fucilate.

Poialzando la vocedisse a Mendoza ed al guascone:

- S'impegna battaglia: attenti alle palle!



CAPITOLO VIII

ATTRAVERSO LA SAVANA.


Il bucaniere e i suoi compagni si erano slanciati fra le pianterifugiandosi specialmente dietro agli enormi tronchi dei noci neri che potevano formare una barricata assolutamente inattaccabilealmeno per il momento.

Un corpoformato da due cinquantine armate d'archibugi s'avanzava lungo la penisolettasparando di quando in quando qualche colpoed era accompagnato da una dozzina di enormi cani

Era una forza imponente che poteva dare molto filo da torcere ai fuggiaschiquantunque fossero separati da un largo tratto di savana e avessero la ritirata quasi assicurata.

- Sono ben decisi a prenderci! - disse Buttafuocoil quale spiava attentamente le mosse degli assalitori.

- Che vengano all'attacco? - chiese il conte.

- Per orano di certo - rispose il bucaniere. - Dovranno prima cercare la costa che noi abbiamo attraversatae quella non sarà tanto larga da permettere loro di avanzare tutti insieme. Saranno costretti a venire avanti in fila indianae noi avremo cosí tutto il tempo per fucilarli uno dopo l'altro. Ci tengo piú alla mia pelle che alla loro.

- Ben detto- disse Mendoza

- E noi siamo uomini da non aver paura nemmeno del diavolo- aggiunse il guascone. - Se si presentassecon un colpo della mia draghinassataglio il naso anche a lui.

Le cinquantine si erano in quel frattempo riuniteoccupando tutta l'estremità della penisoletta.

Il fuoco era stato sospesoavendolo giudicato affatto inutile e gli ufficiali discutevano animatamenteadditandosi l'un l'altro la savanamentre alcuni soldatiarmati di lunghe cannecominciavano ad esplorare il fondoper cercare fra le pericolosissime sabbie mobilila costa.

I cani giravano lungo le riveguatando ferocemente l'isolotto e abbaiando con furoreimpazienti di muovere all'attacco. Qualcuno si era già gettato in acqua e nuotava innanzi e indietro.

Abituati alla caccia all'uomonon attendevano che un segnale dei loro padroni per spingersi coraggiosamente avantie i segnali non tardarono a farsi udire.

Pochi fischi s'alzarono fra i soldati incaricati del loro ammaestramento e tutti i cani si gettarono lestamente in acqua nuotando in gruppo serrato.

- Don Barrejoattento alle gambe! - disse Mendozaarmando l'archibugio. - Quelle brutte bestie hanno una gran voglia di mangiarvi i polpacci.

- Guardatevi piuttosto le vostre- rispose il guascone. - Io non ho paura dei canianzi neppur dei leoni. Non siamo del mar di Biscaglia.

- Anch'io

- Tacete e attenti ai mastini- disse il bucaniere. - Appena sono a tiro sparate.

La muta nuotava vigorosamente dirigendosi verso l'isolottoe i loro padroni non cessavano d'aizzarla con grida altissime.

Già non distava che una cinquantina di metri dalla rivaquando un'improvvisa agitazione si manifestò fra i nuotatori.

Non avanzavano piú e latravano furiosamentevolgendo la testa verso i soldati come per chieder loro qualche aiuto.

- Ahah! - esclamò il guasconescoppiando in una risata. - Hanno trovato il loro pane e non saranno essi che lo mangeranno!

- Che cosa succede? - chiese il conte.

- Una cosa semplicissima - rispose don Barrejo. - Stanno per perdere le loro zampe. Altro che mangiare le nostre! Gli jacarè amano avere i cani dentro il loro ventre: vedrete che bell'assalto!

- Sísono i caimani che giungono - disse Buttafuoco. - Ci faranno risparmiare le munizioni.

I mastini si erano messi a ululare sinistramente ed avevano voltato le spalle all'isolotto nuotando disperatamente verso la penisoletta.

Ad un tratto una brutta testaarmata di due formidabili mascelleemerse bruscamente e si gettò sull'ultimo canetagliandolo d'un colpo a metà.

Era un mostruoso caimano che aveva fatto il suo colpo.

Le savane di San Domingopiú che quelle delle altre grandi isole del golfo del Messicosono infestate da sauriani enormi e anche ferocissimiche si fanno temere dai piú audaci cacciatori.

Hanno una resistenza cosí straordinaria che non muoiono neppure quando il gran calore asciuga tutta l'acqua delle paludi.

S'innestano nel pantanoscomparendovi dentrospecialmente là dove le erbe sono foltissime e aspettano dormendo la stagione delle grandi pioggie.

Allora gonfiano i polmoni e si lasciano trasportare dove l'acqua è piú profonda. Specialmente allora sono temibili perchéspinti dalla famesi gettano su uomini e su animali.

Hanno poi un debole pei porci e pei cani. Per procurarsi questi animaliosano qualunque cosa.

I mastiniche gli spagnuoli avevano lanciati contro l'isolottovedendo il loro compagno scomparireavevano battuto precipitosamente in ritiratainseguiti accanitamente da una vera truppa di sauriani.

Di quando in quando un mastino scomparivaurlando disperatamente e non tutto d'un colpopoiché i caimani ci tengono a soffocare i cani lentamente come se godessero di quella lenta agonia. Anzianche se affamatinon li divorano subito. Li seppelliscono in mezzo al fango e li lasciano imputridire.

Gli spagnuolivedendo le loro bestie in pericoloavevano aperto un fuoco vivissimo contro quei feroci predoni che muovevano all'assalto a grandi sbalzifacendo risuonare sinistramente le loro enormi mascelle armate di formidabili denti.

Buttafuoco si era alzato.

- Giacché i caimani corrono tutti da quella partee i nostri nemici sono occupatiapprofittiamone per fuggire. Seguitemi sempre e non lasciate la costa.

Tenendosi sempre nascosti dietro gli enormi tronchi dei nociraggiunsero la riva e scesero nell'acqua. Buttafuoco era dinanzi a tuttie non cessava di perlustrare il fondo.

Nessuno si era accorto della loro fuga. Gli spagnuoli avevano impegnata una vera battaglia contro i caimani che accorrevano da tutte le parti della savanaattratti dai guaiti lamentevoli dei mastini.

Si udivano passare a tre o a quattro alla voltarapidi come freccecoi dorsi rugosi coperti di piante palustri.

Buttafuoco procedeva rapidamenteseguendo la costa la quale pareva che avesse la larghezza di un paio di metri. Quantunque l'acqua non fosse profonda piú di tre o quattro piedirendeva però la marcia assai difficoltosa

Moltissimi uccelli scappavano dinanzi a loroalzandosi fra i gruppi di canneminacciando di tradire la direzione che tenevano.

Erano gruppi di tringhe per lo piúuccelli grossi come le allodolele gambe lunghissime e la carne deliziosissima e di arzavoleanitre di piccole dimensioniperché non sono piú grosse d'un piccionecolla testa nera e violaceacon una linea bianca sulla cima e gli occhi azzurrinivolatili anche questi pregiatissimi.

- Questa savana è un paradiso- mormorava Mendozail quale seguiva con gli occhi spalancati i voli di tutti quegli uccelli. - Peccato non rimanere qui qualche settimana! Scommetterei che anche le magre gambe di questo spaccone di guascone s'ingrasserebbero e che farebbero voglia ai cani degli spagnuoli. Bah!... Ci rifaremo piú tardise ci lasceranno un momento di tregua!

La ritirata continuava sempre rapidissimapoiché Buttafuoco temeva che gli spagnuoli si accorgessero della fuga dei loro avversari e chesbarazzati i canisi slanciassero alla conquista dell'isolotto.

Fortunatamente la costa si prolungava attraverso la savana ed il bucanieregià pratico di quelle vaste paludinon s'ingannava sulla solidità del fondo.

La sua canna s'affondava continuamente a destra e a sinistrasempre attento alle sabbie mobili e filava sicurissimo sulla costadicendo sempre ai suoi compagni:

- Non deviate mai: seguite le mie tracce. Abbiamo la morteda una parte e dall'altra.

La marcia durò venti minutipoi il piccolo gruppo raggiunse un secondo isolottomolto piú piccolo del primo e molto piú fangoso e che era coperto di nidi di caimani.

Le spiagge erano gremite di piccoli coninon piú alti di un piedecomposti di fango e di rami malamente intrecciati e che contenevano parecchi strati di uova non piú grosse di quelle di un'ocama piú lunghepiú bianche e col guscio assai rugoso e con molti geroglifici.

I negri non hanno alcuna difficoltà a mangiarlequantunque sappiano di muschio.

Il tuorlo è piccolissimoappena colorito e l'albume azzurrognolo; e ben cucinato diventa cosí duro da doverlo tagliare col coltello.

Che quelle uova siano veramente eccellenticome affermano i negrivi sarebbe forse da dubitarne; si sa però che i figli dell'Africa sono molto diversi da noi.

Un pezzo di tromba d'elefante o una frittata di vermi di terra o di cavallettefa lo stesso per quei corpi. In questo equivalgono ai chinesi ed ai malesi.

- Che peccato non avere gli intestini dei negri- disse Mendoza. Qui ci sarebbero da fare delle gigantesche frittate.

Non ne avremmo il tempo- rispose il bucaniere. - Gli spagnuoli si sono accorti della nostra ritirata e scommetterei che a quest'ora marciano sulla costa. Se i cani non abbaiano piúvuol dire che la battaglia contro i caimani è terminata e che ora quei signori d'oltremare si occuperanno di noi. Lestiattraversiamo anche questo isolotto e cerchiamo di raggiungere la terra ferma.

- Nemmeno un momento di riposo? - chiese Mendoza.

- Neanche un minuto - rispose Buttafuoco. - Si giuoca la pelle.

- Ah!... Se don Barrejo potesse darmi un pezzo delle sue gambe!... Ne ha perfino di troppo lui.

- In questo momento vorrei averle anche piú lunghe- rispose il guascone.

- Uh! Che superba cavalletta!

Pure scherzando quei valorosi uomini si eran rimessi in corsapassando come frecce sotto le piante che coprivano in gran numero il secondo isolotto.

Splendidi cespi di rododendrialti piú di dieci metricrescevano dovunquemostrando i loro grossi rami ed i grappoli di fiori porporitiimentre sopra di loro torreggiavano delle superbe palme coronate da parasoli di lunghissime foglie palmatericadenti elegantemente con spate d'un violetto iridescente listato di porporae fiocchi di frutta che sembravano mele verdi.

In meno di cinque minuti i fuggiaschi attraversarono anche quell'isolotto econ un vero grido di gioiasalutarono la terrafermala quale non si trovava lontana piú di cinquecento metrimostrando la fronte di una fitta foresta formata da colossali platani.

- Là è la nostra salvezza- disse Buttafuoco. - Anche se gli spagnuoli gireranno la savananoi giungeremo alla fattoria della marchesa di Montelimar prima di loro.

- Ci permetterà il fondo di attraversare questo ultimo bacino? chiese il signor di Ventimiglia.

- Io non dispero- rispose il bucaniere.

Esaminò rapidamente la rivatastando sempre le sabbie poi si ricacciò in acqua. La fortuna assisteva i fuggiaschipoiché il bravo bucaniere aveva trovata senza molte difficoltà un'altra costa e anche piú elevata delle altrequindi piú sicura.

I quattro uominitenendo sempre gli archibugi alzatimossero lestamente verso la terrafermamentre in lontananza si udivano dei colpi d'archibugio.

Già stavano per raggiungerlaquando ad un tratto il bucaniere affondò fino a mezzo il petto.

- Fermi! - gridò. - Le sabbie mobili!

Quel valorosoche scherzava dinanzi alla morte e che da solo si sentiva in grado di tener fronte ad una cinquantina di alabardieriera diventato spaventosamente pallido.

- Una corda! una corda! - gridò dopo qualche istante d'angoscioso silenzio.

- Se non l'avetesono perduto!

- Io ne ho sempre in tasca - rispose Mendozatirando fuori un gherlino incatramatogrosso come il dito mignolo.

- Non fate un passo innanzivoi - gridò Buttafuocovedendo che l'imprudente marinaio stava per abbandonare la costa della savana. - Gettatemi la corda e strappatemi da questa terribile trappola.

Il conteche era dinanzi al guascone e al bascogliela lanciò destramentetrattenendo l'altro capo.

Il bucaniereche affondava lentamente ma continuamente nel fondo traditorese la legò sotto le ascelledicendo:

- Levatemi da questa tomba e badate di non cadere. Vi è la morte sotto ed intorno a voi.

I tre uomini unirono i loro sforzibadando bene a non perdere l'equilibrio. A piccoli tratti ben misurati strapparono il brav'uomo dalle sabbie che già si aprivano per inghiottirlo.

- Non mi aspettavo di trovarle qui - disse Buttafuoco. - Che la costa sia proprio finita? Sarebbe la nostra rovina.

- Che pieghi invece?

- Me ne accerterò all'istantesignor conte.

Aveva subito ripreso il suo sangue freddo. Riafferrò la canna che si era piantata profondamente nella fanghiglia e avanzò prima a destra poi a sinistracon estrema precauzione.

Un grido di trionfo avvertí il conte che la buona via era stata ritrovata.

- Siamo salvi! - aveva esclamato Buttafuoco.

La costa in quel punto descriveva una curva pur continuando ad avvicinarsi alla riva. Il bucanieredopo essersi ben assicurato della sua direzionesi spinse risolutamente innanzi e raggiunse felicemente la terrafermasubito seguito dai compagni.

- Siamo al sicuroqui? - chiese Mendoza.

- Per un po' di temponon avremo nulla da temere- rispose il bucaniere. - Solamente i cani potrebbero darci qualche fastidio; non essendo però noi indianinon sono troppo temibili.

- Ve ne abbiamo dato un esempio- disse il guascone.

Moltissimi coniglidal pelame rossiccio chiaro e la coda lungache stanno fra i nostri conigli e le lepriscappavano dinanzi a loromentre fra i rami svolazzavano dei grossi curlambellissimi trampolieri della famiglia dei francolinicolle piume brune-porpora sul dorsocon una striscia bianca ai lati della testail becco aguzzo e duro come una lama di acciaioche adoperano per difendersi non solamente contro i canima anche contro i cacciatori. Buttafuoco descrisse nel bosco un grand'arco di due o tre chilometripoipersuaso che i nemici non erano ancora giunti fin làsi decise a sparare alcuni colpi d'archibugiogettando a terra due coppie di galli del collareun paio di sgarzegraziosi aironi grossi poco piú d'un tordocol ciuffo e le piume verdimentre il corsaroche aveva caricato il suo fucile pure a migliarolamitragliava alcune pernici americaneun po' meno grosse di quelle europee e d'una fecondità prodigiosaperché depongono perfino quaranta uova.

Carichi di tutti quei volatilifecero ritorno all'accampamento improvvisato da Mendoza e dal terribile guascone.

- Gli spagnuoli? - disse subito Buttafuoco.

- Io credo che stiano cenando pacificamente- rispose don Barrejoil quale aveva subito adocchiati i bellissimi pennuti.

- Sicché voi volete dire che noi possiamo imitarli- disse il bucanieresorridendo.

- Quando uno dorme o mangiaio ho sempre avuto l'abitudine di imitarlo- rispose il guascone.

- I guasconi sono sempre furbi- disse Mendoza.

- E come se ne vantano! - disse don Barrejo.

- Degnatevi almeno di preparare la cena.

- Ci penso iosignor bucaniere.

- Ed io vi aiuto- aggiunse il marinaio.

Mentre i due comparii quali pareva che andassero pienamente d'accordo quantunque non si risparmiassero vicendevolmente le stoccatea colpi di lingua peròsi occupavano alacremente della cenail conte e Buttafuoco si erano spinti verso la riva della savanatemendo sempre una sorpresa.

Tanto all'uno che all'altro pareva impossibile che gli spagnuoli si fossero immobilizzati sulla penisolettasenza tentare la traversata della palude.

Forse aspettavano la notte per spingersi innanzi e sorprenderli.

Il bucaniere però non era uomo da cadere cosí grossolanamente in un agguato.

Abituato alle sorprese ed alla vita dei boschiconosceva troppo bene i suoi eterni nemicicoi quali già troppe volte aveva avuto da fare.

- Avremo il tempo di cenare e anche di riposarci qualche oraaveva detto al signor di Ventimiglia. - Sarà l'ultima volta che noi passeremo fra queste lagune e coi nemici alle spalle. La marchesa s'incaricherà poi di farci raggiungere il capo Tiburon.

Rimasero in osservazione sulle rive della savana per qualche tempopoi si ripiegarono lentamente verso l'accampamentoattratti anche dal profumo squisitissimo che giungeva fino a loro.

Mendoza ed il guascone avevano fatto dei veri miracoli: galli dal collaresgarze e pernici erano stati superbamente arrosolati e non chiedevano altro che dei buoni colpi di dente.

- Signor conte- disse Buttafuoco- voi avete due cuochi insuperabili. Il mio arruolatomalgrado tutta la sua buona volontànon vale tanto.

- Se mi sarà possibile ve ne cederò uno- rispose il signor di Ventimiglia.

Un uh!... feroce fu la risposta dei due compari: i quali ormai sentivano di non poter vivere lontani l'uno dall'altro nemmeno un mezzo minuto.

- Questi uomini non saranno mai dei buoni arruolati pei bucanieri- disse Buttafuocoscuotendo la testa. - Peccato!

La cena fu fatta in frettaavendo udito in lontananza dei latrati i quali potevano annunciare la vicinanza di quegli accaniti nemici.

- Bah! - disse Buttafuoco. - Ci riposeremo nella villa della marchesa. Questo non è terreno propizio per chiudere gli occhi. Signoriuno sforzo ancora che spero sarà l'ultimo.

- Questa è una vitaccia da cani- disse Mendoza. - È verodon Barrejo?

- Da presidiarioscompare- rispose il guascone.

- Allora rimanete qui- rispose il bucaniere- e finite la vostra digestione con un chilogramma o due di piombo spagnuolo.

- Oh nosignoredisse Mendoza. - Io non lascerò mai il mio signore.

- E nemmeno ioaggiunse il guascone. - La mia draghinassa è troppo necessaria in questo momentoal signor conte.

- E allora movetevi- disse il bucaniere. - Pensate che non vi lascerò dormire finché non giungeremo nella fattoriaese il vostro padrone non si lamentanon ne avete il diritto nemmeno voi.

- Io sono pronto a percorrere anche mille miglia d'un fiato e senza mandare un sospiro- disse don Barrejo. - Non sono già un guascone di carta pestaio!

Il bucaniere rimase alcuni istanti in ascoltoscotendo la testa piú voltepoivolgendosi verso il contedisse:

- Se non sono gli spagnuolisono i cani che giungono. Marciamosignorie senza chiacchierare.

Per la seconda volta la notte era calata equantunque da quarant'otto ore non facessero altro che fuggiresi erano rimessi in cammino attraverso l'oscura forestarasentando di quando in quando degli ampi stagni sotto le cui acque fangose udivano nitrire o vagire i caimani.

In lontananzaverso la savanai cani continuavano a latrare e a guaire.

Guidavano le cinquantine sulle costeoppure avevano cominciata la caccia per loro conto? Era piú probabile questonon potendosi ammettere che gli spagnuoli osassero avanzarsi fra le sabbie mobilispecialmente di notte.

Buttafuoco di quando in quando si fermava per ascoltarepoi si rimetteva in cammino con maggior lena. Pareva che non fosse punto tranquillo.

- Che cosa temete dunque? - chiese ad un tratto il conteche gli camminava da vicino.

- Non so- rispose evasivamente il bucaniere. - Vi dico solo di fare uno sforzo supremo per guadagnare terreno.

- Siamo ancora molto lontani?

- Non credo. Queste foreste non le conoscotuttavia sono quasi certo di essere sulla buona via. È la nostra ridiscesa verso ponente che non mi rassicura molto. Se sapessi dove si trovano le cinquantinenon m'inquieterei troppo. Bah! Vedremo e sapremo difenderci.

Si erano impegnati nuovamente fra pessimi terreni paludosiingombri di ninfee rossedi nelumbi giallidi pontideire turchine e di cannele quali formavano dei grossi mazzi piumatiperciò la marcia non poteva riuscire molto rapidamalgrado la buona volontà dei fuggiaschi.

Buttafuoco continuava a dare segni d'inquietudine ed il conte lo udiva di quando in quando brontolare.

Eppurequantunque i cani continuassero ad abbaiare in lontananzanessun pericolo pareva che li minacciasse.

Marciavano già da qualche ora sempre in mezzo alle cannequando il bucaniere si fermò di colpodicendo rapidamente:

- Abbassatevi!

Il conte il basco ed il guascone si erano affrettati ad obbedire.

- Che cosa c'è dunque? chiese il contedopo qualche istante di attesa.

- Rimanete quisignorerispose Buttafuoco. - Siamo piú vicini di quello che crediamo alla villa della marchesa; non so però se potremo facilmente raggiungerla. Io mi domando se per caso gli spagnuoli hanno indovinato le nostre intenzioni.

- Perché dite questoButtafuoco?

- Mi spiegherò quando sarò tornato.

- Vi allontanate?

- È necessariosignor conte: ma la mia assenza non sarà lunga. Voglio essere certo che non cadiate in qualche imboscata. Quello che vi raccomando è di non muoverviqualunque cosa dovesse accaderee se vi attaccanodi resistere fino al mio ritornoaltrimenti non saprei piú ritrovarvi fra tutte queste canne e queste erbe palustri. E poi potreste cadere nella savana tremante che deve trovarsi sulla vostra destrae non uscireste mai piú da queste sabbie.

- Dunque siamo seriamente minacciati? - disse il signor di Ventimiglia un po' preoccupato della brutta piega che prendevano le cose.

- Non so nulla per ora. Addiosignor contee se non mi spaccano il cranio con una pallami rivedrete presto.

Ciò detto il bucaniere si mise a scivolare fra le cannesenza produrre il piú leggero rumoreallontanandosi velocemente.

- Che questa caccia non finisca piú? - disse il guascone. - Signor conteavete fatto male a lasciare San Domingo. Se foste ritornato nella mia soffittanessuno sarebbe venuto a cercarvi di certo.

- Ma se volevate accopparci! - disse Mendoza.

- Perché vi avevo creduto due ladri - rispose don Barrejo. - Se avessi saputo con quali persone avevo da farenon avrei sfoderato la mia draghinassa. Speriamo che tutto finisca bene. Non è la pelle che mi dispiacerebbe perderebensí i miei dobloni.

- Ci tenete tanto?

- Un guascone non è mai stato un signore - rispose l'avventuriero con gravità. - Il signor conte può affermarlo.

- Io tengo piú alla mia carcassaquantunque nemmeno i baschi siano mai stati castellanidon Barrejo.

- Zitti! - disse il signor di Ventimiglia. - Non è il momento di discutere con la linguabensí con l'archibugio.

Aveva aperto con precauzione il gruppo di canne che serviva loro di nascondiglio e osservava attentamente dinanzi a sé.

- Vengono? - chiese Mendoza.

- Non vedo nessuno; eppure se fossi a bordo della mia fregatami troverei meglio che quianche se ci fossero due galeoni dietro poppa.

Un leggiero fruscio si fece udire in quel momentopoidopo qualche istantecomparve Buttafuoco.

- Partiamo subitosignore! - disse - o non giungeremo mai piú alla fattoria della marchesa. Stiamo per essere circondati.

- Ancora? - chiese il conte. - Sono già giunti? Eppure odo sempre i cani latrare verso la savana!

- Io non so quante cinquantine si siano messe in campagna per catturarci. A quanto pare gli spagnuoli ci tengono a prendervi. Dopo tuttonon hanno torto: i tre corsari hanno lasciato troppi ricordi nel golfo del Messico! In marciasignori! Ogni minuto perduto è un grave pericolo di piú per noi.

- Riusciremo a passare inosservati?

- Sílungo la savana tremante - rispose Buttafuoco.

Ripartirono velocementetenendosi nascosti dietro alle canneguidati dal bucaniere.

Di quando in quando Buttafuoco si gettava a terra e accostava un orecchio al suoloascoltando attentamentepoi si rialzava e ripartiva con maggiore velocità.

Dopo cinque o seicento metrii quattro fuggiaschi si trovarono sulla riva di un'altra savana.

- Questo è il momento terribile! - disse Buttafuoco. - Le cinquantine sono sulla nostra sinistra. Vi concedo cinque minuti di riposo poiché avrete da metteremolto probabilmentele vostre gambe ad una dura prova.

- Finiremo col diventare cani levrieri - disse Mendozascuotendo il capo. - Questo è un allenamento in piena regola.

Il bucaniere lasciò trascorrere i cinque minutipoi si alzò dicendo:

- Tenete pronti gli archibugi! Vengono!...

- Ah!... poveri i miei dobloni! - mormorò il guascone.

Buttafuoco si era slanciato a corsa disperata. Pareva che un improvviso terrore avesse colto quell'uomo che pure sembrava avesse un cuore di bonzo.

Ad un tratto si udirono alcuni colpi di archibugioaccompagnati da altissime grida e da latrati furiosi.

Le cinquantine si erano accorte del passaggio dei fuggiaschi ed avevano aperto il fuoco.

- Fulmini! Piove piombo! - esclamò il guasconeil quale apriva piú che poteva le sue lunghe e magrissime gambe.

Alcuni uominipreceduti da parecchi canisi erano slanciati fuori dai gruppi di canneurlando a piena gola:

- Ferma!... Ferma!...

- Sparate prima sui cani! - gridò Buttafuoco. - È necessario!

Si era fermato contro il tronco d'una palma e aveva imbracciato l'archibugio. Sette bestiacce giungevano l'una dietro l'altracon le gole spalancateurlando come lupi famelici.

Buttafuoco sparò il primo colpoabbattendo il capo-fila che era il piú grosso e che probabilmente doveva essere anche il piú feroce e pericoloso.

Il conte ed i suoi compagni a loro volta fecero fuocogettandone giú altripoi snudarono le spadetenendosi in parte riparati dietro al tronco della palma.

Non erano indiani da scappare dinanzi a quei feroci mastini che incutevano agli ingenui figli dell'America centralenon abituati a vedersi assaliti da bestie cosí grossetanta paura

Un luccicare d'acciaiosette od otto colpimenati con forza terribilee le bestie rimasero a terrasbudellate o decapitate.

Gli spagnuoliche avevano contato sull'assalto di quei mastinivedendoli stramazzare l'uno dietro l'altroricominciarono a spararema essendo costretti a far fuoco correndole loro palle non colpivano mai il segnoanche a causa dei cannetidietro ai quali si riparavano i fuggiaschi.

Buttafuoco ed i suoi compagni avevano subito ripresa la corsanon avendo alcun desiderio d'impegnare una battaglia che non offriva nessuna possibilità di riuscire a loro favorevoledato il numero degli assalitori.

Sbarazzatisi dei canii soli che avrebbero potuto raggiungerli e dare loro molto da faresi erano raccomandati alle proprie gambepoiché ormai la loro salvezza non consisteva che nella robustezza e resistenza dei garretti.

Buttafuocoabituato alle fughe precipitosecorreva con uno slancio invidiabile. Quel diavolo d'uomoquantunque non piú giovanefilava come un vero daino inseguito da una muta furibonda.

Chi si trovava male era sempre Mendozail quale non finiva mai di borbottareassicurando di essere ormai finitodopo tante scappate.

Il guascone invece allargava sempre piú le sue gambe smisurate e pareva che se ne ridesse di quella corsa indiavolata.

Buttafuoco puredi quando in quandofaceva qualche breve sosta per sparare qualche archibugiatama piú per concedere ai suoi compagni un mezzo minuto di riposo che colla speranza di abbattere qualche nemico.

Quella corsa furiosa durava da circa mezz'ora e gli spagnuoli erano rimasti tanto indietro da non scorgerli piúquando Buttafuoco andò a urtare contro una palizzata.

- Siamo salvi! - gridò. - Ecco la fattoria della marchesa di Montelimar!



CAPITOLO IX

LA VILLA DELLA MARCHESA DI MONTELIMAR


Quantunque esausti per la lunga corsai quattro uominicon uno sforzo supremosuperarono la cinta cadendo in mezzo ad una splendida piantagione di banani che con le loro immense foglie potevano celarli agli sguardi degli inseguitori.

Buttafuocodopo aver dato un rapido sguardo all'intorno e aver ripreso respirofece cenno ai suoi amici di seguirlo senza indugio.

Si cacciò tra le splendide piante edopo aver percorso quattro o cinquecento metrisi fermò dinanzi ad un padiglione costruito tutto in pietra e sormontato da un vasto terrazzo.

- Pel momento nascondiamoci qui - disse. - Gli spagnuoli non oserannoalmeno per questa notteimportunare i servi e i camerieri della marchesa.

- E noi come verremo accolti dall'intendente della signora? - chiese il conte.

- Sono conosciuto - rispose Buttafuoco. - Piú volte sono venuto qui a provvedermi di polvere e di piombo dopo il servigio reso alla marchesa. Sono come un amico.

- E questa è una fortuna! - disse Mendoza. - Se noi ci fossimo presentatiavrebbero potuto prenderci per filibustieri e darci dei buoni pezzi di piomboinvece che dei pranzi e delle colazioni.

- Forse la marchesa avrà mandato qui qualche corriere per avvertire l'intendente del nostro arrivo - rispose il conte.

- O sarà venuta in persona - aggiunse Buttafuoco. - Non mi stupirei. Entriamoe poi penserò io a chiamare l'intendentese non si è ancora coricato. Per ora non avete nulla da temere.

Con un poderoso colpo di spalla il bucaniere spalancò la porta ed introdusse i suoi compagni in un'ampia stanza che era ingombra di enormi vasi contenenti delle piante rare.

- Aspettatemi qui - disse. - Forse troverete della frutta che potrà servirvi da cena. Sento profumo di ananassi.

- Eccellenti dopo un buon arrosto - disse Mendoza.

- Contentatevi della frutta per ora - rispose il bucaniere ridendo. - Vi servirà d'antipasto e aguzzerà il vostro appetito.

Prese il suo archibugiosalutò il conte e uscí cautamentescomparendo fra le tenebre.

- Che diavolo! - disse Mendoza. - Quello lí deve avere nelle vene il sangue d'un giaguaro.

- Se vi fossero in San Domingo cento di quei bucanierinon so come finirebbero le cinquantine - disse il guascone. - Io non vorrei trovarmi nei panni degli spagnuoli.

- Eppure siete ancora mezzo spagnuolo.

- Ho solamente la corazza spagnuolasignor conte - rispose il guascone - e quando sarò a bordo della fregata del signor contemi sbarazzerò anche di questa.

- Se ci giungeremo!

- Ne dubitiMendoza? - chiese il signor di Ventimigliaun po' sorpreso del pessimismo del suo marinaio.

- Che cosa volete? Non vedo la fine di questa avventura.

- La fine ce la fornirà la marchesa di Montelimar.

- Non dico che quella non sia una donna prodigiocapitano. Come ci ha salvati una voltapotrebbe farlo ancora.

- Silenziosignor conte - disse in quel momento il guascone - Mi pare che si parli di fuori.

- Saette e lampi! - esclamò Mendoza balzando in piedi - Che gli spagnuoli siano già qui?

Anche il conte si era slanciato verso la porta sgangherata puntando l'archibugio. Si udivano scricchiolare i sassolini del viale che conduceva al padiglione.

- Chi vive? - gridò il conte con voce minacciosa.

- Abbassate il fucilesignor conte - rispose Buttafuoco. - Non spaventate la signora.

- La signora?...

- Síperché sono proprio iosignor di Ventimiglia - rispose una voce deliziosa e ben nota.

La marchesa di Montelimarmunita di una torciaera comparsa sulla sogliasempre allegra e sempre sorridentecol capo avvolto in una ricchissima manta di seta bianca che faceva spiccare piú vivamente la sua bruna bellezza di andalusa.

- Voimarchesa! - esclamò il conte.

- Non credevate di trovarmi quiè verosignor di Ventimiglia?

- Nomarchesa.

- Era necessario salvarvi un'altra voltaperciò ho lasciato San Domingo. Gli ospiti che hanno diviso con me la mia tavolasiano pure dei nemici della mia patriache pur adoro coll'entusiasmo delle donne di Spagnasono sacri.

- Avevate dunque saputo che mi davano la caccia?

- Vi dirò anzi che hanno messo in moto tutte le cinquantine disponibili per catturarvi prima che poteste lasciare l'isolapoiché ormai tutti sanno che siete il figlio del Corsaro Rosso ed il nipote di quegli altri due formidabili corsari che si chiamano il Nero e il Verde.

- Come hanno potuto indovinarlo? - chiese il conteil quale appariva preoccupato.

- Non lo so - rispose la marchesa. - Come vi ho salvato a San Domingovi salverò anche qui. Anzi mi diverto in questa caccia all'uomo e vedremo se sarà più astuto il governatore di San Domingo o la marchesa di Montelimar.

- Voi correte però il pericolo di compromettervi.

La bella andalusa alzò le spallepoimostrando i suoi magnifici denti scintillanti come perledisse con un adorabile sorriso:

- Una Montelimar sarà sempre una Montelimar in qualunque luogo vada. Anzi mi ammirerebbero di piúquando si sapesse che io ho favorito la vostra fuga. Voi sapete quanto gli spagnuoli siano cavallereschi.

- È vero - disse il conte. - Vi è però una cosa che mi preoccupa assai.

- Quale? Parlateconte...

- Che sia libera la via che conduce al capo Tiburon? La mia fregata mi aspetta là.

- Ho degli uomini fedeli con me e li manderò su quella via ad informarsi. E poi troverò ben io un mezzo per farvi passare tranquillamente attraverso le cinquantine. Signor contela cena a quest'ora dev'essere pronta; so da questo bravo bucaniere che non avete mangiato nulla da stamane. Come avete accettato un pranzoaccettate anche una cena.

- Buttafuoco è un uomo veramente meraviglioso! - mormorò Mendoza. - Pensa a tutto!

La dama uscí accompagnata dal conte e dai suoi uomini.

Buttafuoco stava fuori di guardia.

- Nullabucaniere? - chiese la marchesa.

- Nosignora - rispose Buttafuoco. - Gli spagnuoli non sono ancora giunti. Forse aspetteranno l'alba per farci una visita.

- Vengano pure: ho la cantina ben fornita e darò da bere a tutti i soldati. Signor conteseguitemi.

Il signor di Ventimiglia porse alla marchesa il braccio e s'incamminarono attraverso la piantagione di bananida dove passarono in un bellissimo giardino.

Nel mezzo sorgeva un palazzotto di stile morescocon ampie gallerie e cupolette e un vasto cortile internoin cui sussurravano due zampilli d'acqua che mantenevano una deliziosa frescura durante gl'infuocati pomeriggi estivi.

Sotto un porticato parecchie candelecollocate su doppieri d'argentoilluminavano una tavola riccamente imbandita.

- Siete una fatamarchesa - disse il conte.

- Síuna fata del bosco - rispose la bella andalusa ridendo. - o meglio dei bananiperché qui non si coltivano che quelle deliziose frutta. Signor Buttafuocovolete farmi l'onore di cenare con noi? Pei vostri compagni ho fatto preparare sul terrazzo di ponente della casa: cosí potranno sorvegliare meglio di lassú le mosse delle cinquantine ed incoraggiarecon la loro presenzaanche i miei uomini.

Il guascone fece un profondo e corretto inchinomentre Mendoza si dimenava comicamentenon sapendo far di meglio.

Ad un cenno della marchesadue schiavi africani erano comparsi per condurre l'avventuriero ed il lupo di mare al posto loro assegnato.

- Conteceniamo - disse la marchesala quale pareva di buonissimo umorenonostante la presenza delle cinquantine. - L'ora è molto tardatuttavia farò del mio meglio per tenervi compagnia.

Il figlio del Corsaro Rosso e Buttafuoco non si fecero ripetere due volte l'invito ed attaccarono vigorosamente le diverse vivande freddecondite con molto pimento e assai gustose.

La marchesa si accontentava di sgretolare coi suoi dentini delle piccole focacce di granoturcocoperte da un fitto strato di siroppo.

- Direte che noi siamo indiscretisignora- disse Buttafuoco - ma in questi due giorni di caccia ostinata non abbiamo avuto il tempo di fare un pasto regolare.

- Due giornibarone di...

- Barone! - esclamò il signor di Ventimigliabalzando in piedimentre il bucaniere faceva alla marchesa un rapido gesto.

- PerdonateButtafuoco - disse la bella andalusa. - Vi avevoin un momento di distrazionescambiato per il barone di Giralda.

Il conte aveva guardato attentamente il bucaniereil quale era divenuto pallidissimo.

- Chi siete voi dunque? - gli chiese.

- Buttafuoco! - rispose l'avventurierocon un'amarezza cosí profonda che non sfuggí al corsaro.

- Voi mi nascondete il vostro nome.

- Il mio l'ho sepolto nell'oceanosotto la linea equatoriale - rispose il bucaniere con voce cupapassandosi piú volte una mano sulla frontecome per tergersi delle stille di sudore freddo.

- Dicevatesignora marchesa?...

- Non ricordo... ah... sí... mi avete detto che da due giorni le cinquantine vi danno la caccia.

- E con molti cani per di piú.

- E siete riusciti sempre a sfuggire agli agguati? Qui non vi troveranno; non è verosignor conte?

- Disperavo di poter raggiungere la vostra fattoriamarchesa - rispose il corsaro. - Non saprei ancora dirvi come siamo passati attraverso le cinquantine.

La bella andalusa rimase qualche istante come immersa in un profondo pensiero; poiguardando il contegli chiese:

- Io non so che cosa darei per conoscere quale imperioso motivo ha ricondotto quidopo tanti anniil figlio ed il nipote dei tre formidabili corsari. Un capriccioqualche vendetta od altro? Non si arriva dall'Europané si gioca audacemente la vitacome avete fatto voisenza un motivo grave. Credo di avervi già dato sufficienti prove di amiciziaperché possiate ritenermi una donna incapace di tradire uno dei vostri segreti e di perdervi.

- Ohmarchesa! - protestò il signor di Ventimiglia.

- Forse voi fra ventiquattro ore tornerete ad imbarcarvi sulla vostra fregata - proseguí la bella andalusa con un sospiro - e noiprobabilmentenon ci rivedremo mai piú... ed il bel sogno sarà finito. Parlate; siete fra una gentildonna ed un gentiluomo.

- Buttafuoco?...

- Io so chi è! - disse la marchesa.

- Voi dunque volete conoscere per quale ragione io ho lasciato l'Europa per corseggiare l'America? Non per sete di avventure; non per sete di ricchezzache io disprezzo altamentesignoraavendo laggiú sulla riviera ligure terre e castelli... è per chiedere a vostro cognatol'ex governatore di Maracaiboche cosa ha fatto di mia sorelladella nipote del gran Cacico del Darien!

- Del Darien! - esclamarono ad una voce la marchesa ed il bucaniere.

- Mio padreprima di salpare per l'America insieme ai suoi fratelliil Corsaro Nero ed il corsaro Verdeper compiere una vendettaaveva sposato una duchessa del Brabantela quale morí giovanissimadopo d'avermi dato alla lucee perciò non conobbi mai - disse il signor di Ventimiglia con voce triste. - In una delle sue crociere attraverso il golfomio padre naufragò e trovò asilo sicuro presso il gran Cacico del Dariennemico giurato e terribile dei vostri compatriotisignora marchesa. Ebbe aiutionori e gli fu offerta in isposa una principessa del paesedalla quale ebbe una figlia. Quando mio padre fu sorpreso nei bassifondi di Maracaiboe fu preso ed appiccatonon come un valoroso marinaio che lottava per una santa causama come un volgare malfattoreaveva con sé quella fanciulla. Che cosa ne ha fatto vostro cognatoil marchese di Montelimarex governatore di Maracaibo? Io lo ignoro. Perciò sono venuto qui a chiedergli stretto conto di mia sorella ese l'ha uccisavi giurosignorache la lama di Ventimiglia berrà il suo sangue. Allevato alla Corte dei duchi di Savoiaio ho sempre ignorato che mio padre avesse lasciata qui una figlia. Informato qualche anno fa da Morganil famoso conquistatore di Panamaed ora governatore della Giamaicadi questo fattoda lui conosciuto probabilmente per mezzo di Jolanda sua mogliela figlia del Corsaro Nerosono venuto a cercarla. Abbia pur nelle vene sangue indianoè sempre mia sorella e la troveròo vivaddio rinnoverò le gesta dei tre corsari e non tornerò in Europa senza prima aver compiuto terribili vendette.

- Vorreste vendicare anche la morte di vostro padre? - disse la marchesala quale l'aveva ascoltato col piú vivo interesse.

- Su questo argomentomarchesaper il momento non posso parlare - disse il conte quasi con ira.

- Lo leggo nei vostri occhi.

- Può essere.

- E questa vostra sorella dove l'anderete a cercare? - disse Buttafuocoil quale fino allora era rimasto silenzioso.

- Il marchese di Montelimar me lo dirà - rispose il conte. - Ormai so dove si trova; poi spero d'averefra qualche giornonelle mie mani il suo segretario. Se non fosse per questola mia fregata non mi aspetterebbe al capo Tiburona rischio di essere catturata dai galeoni o dalle caravelle spagnuole. Che cosa ne diteButtafuoco?

Il bucaniere approvò con un gesto del capo.

- Siete soddisfattamarchesa? - chiese il conte.

- Forse non quanto desidererei - rispose la bella andalusa.- Credo che non solamente per ritrovare vostra sorella voi abbiate lasciato l'Italia e siate venuto in questi mari lontani.

- Mio padre ed i suoi fratelli diventarono corsari per compiere delle vendette - rispose il conte con voce sorda. - È probabile che anch'io debba compierne una; ma questasignoradeve rimanere un segreto fra me e Dio.

Il bucaniere riempí il bicchiere del contedicendo:

- Bevetesignore: l'aguardiente sopisce e soffoca in mepiú di quello che credeteterribili ricordi: questo delizioso vino di Spagna calmerà i vostri.

In quello stesso momento in cui il conteforse convinto dalle parole del misterioso avventurierostava per vuotare la tazzaun negro si precipitò nel porticatocol viso sconvoltola pelle grigiastragli occhi di porcellana dilatatidicendo:

- Sono quisignora: sono entrati.

- Chi? - chiese la marchesa aggrottando la fronte.

- Una cinquantina intera.

- Con qual diritto?

- Ordine del governatore di San Domingo.

- Comincia a diventare noioso quel signore! - disse la marchesa alzandosi.

- Amicinon sarebbe prudente che voi rimaneste ancora qui. Ci hanno interrotta una notte deliziosama io no ne ho nessuna colpa... Martochiama subito gli uomini che cenano sulla terrazza.

- Che cosa volere fareMarchesa? - chiese il bucaniere.

- Nascondervi.

- Nella vostra palazzina? Con un ordine del governatore non si tratterranno dal frugarla da cima a fondo.

La signora di Montelimar ebbe un sorriso.

- Lasciate fare a meconte - disse.

- Avete qualche nascondiglio segreto anche qui?

- Vi mando nelle mie cantine.

- Bel luogo! - disse Mendoza che entrava in quel momentoseguito dal guascone.

- Martoconduci questi signori nell'ultima cantinaquella che è piena di botti. Gli spagnuoli non giungeranno fin là; rispondo io di tuttoconte.

I quattro uomini seguirono il servo negroil quale si era munito di parecchie torce e d'un paniere dove aveva messo i resti della cena.

Giunti all'estremità dell'ampio cortile Marto aprí una porticina e li fece scendere per una scaletta stretta e umidae li condusse poi attraverso spaziose cantine piene di botti grossissime.

- Compare- disse il guascone battendo sulle spalle di Mendoza - giú vi è da bere a crepapelle.

- E noi berremo! - rispose il filibustiere. - Ne assaggeremo un po' da tutti quei recipienti. La marchesa non deve bere che del vino delle Canarie o di Alicante.

Attraversate parecchie cantinegiunsero finalmente nell'ultimaassai lunga e strettae anche quella ingombra di botti e di barili.

- È un paradiso un po' oscuroma pur sempre un paradiso- disse Mendozafacendo schioccare la lingua.

- Passatesignori- disse il negro - perché devo ostruire l'entrata con dei barili.

- Non ci seppellirai vivispero - disse il guascone.

- Non abbiate questo timore - rispose l'africano sorridendo.

Il conteButtafuoco e i due avventurieri s'affrettarono a rifugiarsi nella cantinaportando le torcegli archibugi ed il panierementre Marto spingeva contro l'aperturamolto bassa e molto strettauna grossa botteostruendo e nascondendo completamente il passaggio.

- Speriamo che questa avventura sia l'ultima! - disse il contedopo aver piantata in terra una torcia. - Che ne diteButtafuoco?

- Eh! - rispose il bucaniereil quale non sembrava molto tranquillo. - Non so se la marchesa potrà resistere ad un ordine scritto dal governatore di San Domingo.

- Che ci vengano a scovare?

- Non saprei che cosa rispondere alla vostra domandasignor conte.

- Se verrannoci difenderemo - disse Mendoza. - Qui siamo come in una casamatta.

- Ma senza uscite - aggiunse il guascone. - Noi siamo come lupi rinchiusi nella loro tana con i cacciatori all'ingiro.

- In attesa che i cacciatori si mostrino o si ritirinoio avrei una proposta da fare - disse Mendoza.

- Quale? - chiese il conte.

- Di terminare la cenagiacché quel bravo pagano dell'Africa ha avuto la buona idea di empire il canestro; e poi di assaggiare il vino di questa botte.

Sono curiosissimo di sapere quali vini beve la marchesa e quali offre ai suoi ospiti. Vi paredon Barrejo?

- Un guascone non rifiuta mai di bere! - rispose l'avventurierocon sussiego.

- Signore conte- disse Buttafuocoil quale non aveva potuto frenare uno scoppio di risa - dove avete raccolti questi due diavoli?

- Uno l'ho pescato nel mar di Biscaglia - rispose il signor di Ventimiglia.

- E me fra i boschi di San Domingopresso Puerta del Sol aggiunse il guascone. - Ma anch'io ho respirato l'aria salubre del mar di Biscaglia.

Compareterminiamo la cenase il signor conte ce lo permette: io non ho avuto che il tempo di assaggiare una costoletta di cinghialecoriacea come la carne d'un mulo centenario.

- Fate pure - disse il signor di Ventimiglia. - Io preferiscofinché gli spagnuoli ci lasciano un po' di respirochiudere gli occhi.

- Ed io altrettanto - aggiunse il bucaniere. - Se si dovrà impegnare nuovamente la lottasaremo almeno riposati. Affidiamo a voi la guardia.

- Un guascone non s'addormenta mai in faccia al nemico - disse don Barrejo.

- E nemmeno un basco! - aggiunse Mendoza.

- Si sono ben appaiati - brontolò il bucaniere.

Il conte si era già coricato fra due botti ed aveva subito chiusi gli occhi. Buttafuoco non tardò ad imitarlomentre il filibustiere ed il suo degno compagno si accoccolavano intorno al canestropescando e divorando quanto vi era dentroper nulla preoccupati dell'imminente pericolo che li minacciava.

- Sapetedon Barrejoche voi resistete meravigliosamente al sonno? - disse Mendozaquando non vi fu piú nulla da porre sotto i denti.

- E che!... Un guascone!...

- Questi guasconi sono dunque delle macchine?

- Quasicompare.

- Se provassimo la nostra resistenza al vino?

- Era quello che volevo proporvi. Quel brutto negro si è dimenticato di mettere delle bottiglie nel canestro. Ma non valeva la pena che s'incomodasse; non siamo qui in una cantina marchionale? Sono qualche volta una bestiacompare - disse l'avventuriero. - Quantunque guascone!...

- Ehqualche volta anche noi diventiamo bestioni; ma io rimedio subito...

- Guardate che bella pancia ha quel bottale!... Scommetterei che contiene dello Xeres.

- Nodell'Alicante.

- Ma che!... Xeres.

- Me ne intendo io di vini di Spagna!

- Anche senza assaggiarli?... Compare!... Voi siete un uomo meraviglioso!... Scommettiamo uno dei vostri dobloni?

- Vada per il doblone- rispose don Barrejo- Si troverà meglio nelle vostre tasche che in quelle degli spagnuoli. Spillatecomparevedremo chi avrà ragione.

Mendozache aveva già adocchiato un grosso boccale di terranascosto sotto una trave e che serviva probabilmente ai cantinieri per gustare il vino della marchesa all'insaputa dell'intendenteandò a spillare il panciuto recipientefacendo uscire un bel rivoletto color dell'ambra.

- Caramba! - esclamò il marinaio. - Voi avete una fortuna indiavolatasignor Barrejo. Questo è vero Alicante!... Che i guasconi abbiano anche un fiuto meraviglioso?

- Non manca nulla a noicaro compare! Avete perduto il doblone.

- Che vi pagherò quando saremo a bordo della fregatase ci riusciremo.

Il guascone fece una smorfiapoi alzò le spalle.

- Bah- disse - mi consolerò con questo deliziosissimo Alicante. Sentite che profumocompare? La signora marchesa di Montelimar sa dove fare i suoi acquisti. Subevete e passate. Volete farmi morire di sete?

- Noprima al vincitore! - rispose serio Mendozaporgendo la brocca.

Il guascone l'afferròallargò per bene le gambe e si mise a bere a garganellasenza nemmeno prendere respiro.

- Carrai! - esclamò il filibustierefacendo un gesto di spavento; - Volete ubriacarvidon Barrejo?

- Bah!... Un guascone?... - rispose l'avventuriero staccando per un momento le labbra.

- Al diavolo tutti i guasconi!... Io mi attaccherò alla botte e vedremo chi berrà piú a lungo.

Il degno lupo di mare imboccò lo spinello e per parecchi minuti nella cantina non si udí altro rumore che quello prodotto dal gorgoglio del vino che passava attraverso le gole dei due formidabili bevitori.

Chi sa quanto quel leggero rumore sarebbe continuatose un improvviso sussurrio di vociche proveniva dalle ampie cantinenon l'avesse interrotto. Il guascone aveva lasciato cadere il boccale senza averne veduto il fondomentre Mendoza chiudeva rapidamente la cannella della bottedicendo precipitosamente al compagno:

- Spegnete la fiaccola.

Il guascone si affrettò ad obbedire.

- Che stiano per scoprirci? - chiese il lupo di mare.

- Della gente scende nelle cantine- rispose don Barrejoaccostandosi alle botti che ostruivano l'entrata. - Vedo delle torcie brillare.

- Sacco rotto!... Che questa bevuta di Alicante ci porti sfortuna?... Era proprio Alicanteè verodon Barrejo?

- Per Bacco!... E del piú fino- rispose l'avventuriero. - Peccato che siano venuti a guastarci la bevuta. Potevano aspettare un momentodiavolo!... Svegliamo il conte?

- Non credo che pel momento sia necessario- rispose Mendoza. - Aspettiamo di vedere quello che succede. Forse avremo ancora l'occasione di riprendere la nostra bevuta senza incomodi testimoni. Ventre di foca!... Sono proprio gli spagnuoli. Guardatedon Barrejo.

S'avvicinarono entrambi alle botti che occupavanoanzi che nascondevano la porta e spinsero gli sguardi attraverso le fessure lasciate dai grossi recipienti che Marto aveva fatti rotolare.

Quattro servi della marchesatutti schiavi negriguidati da Marto in personaerano entrati nella cantinaseguiti da una dozzina di archibugieri spagnuoli i quali portavano delle torcie.

- Ohécompare- disse Barrejo- va bene essere guasconi e baschima mi pare che la faccenda diventi un po' seria.

- Forse meno di quello che credete- rispose Mendoza. - Non vedete che invece di frugare le cantine s'attaccano alle botti? Scommetterei un mezzo doblone contro cento che quei bravi armigeri sono piú assetati di noi!...

- E allora noi li imiteremo.

- Adagiosignor guascone. Non scherziamo troppo con questo delizioso Alicantespecialmente in questi momenti.

Potrebbero interrompere la loro bevuta e venire a scoprirci e non so che cosa succederebbe allora con troppo vino in corpo. Invece di bucare gli spagnuolipotremmo bucare le botti.

- E causare una inondazione.

- È verosignor guascone.

- Ammiro la vostra prudenza.

- State zitto e vediamo che cosa sta per succedere.

Gli archibugieri del governatore di San Domingo pareva che avessero affatto dimenticato lo scopo principale della loro escursione nelle cantine della marchesa.

I serviguidati da Martoavevano tratto di sotto le travi che reggevano le monumentali bottidei grossi boccali e si erano affrettati a riempirli ed i soldatiche forse mai si erano trovati in mezzo a tanta abbondanzavi avevano dato dentrobevendo furiosamente PortoAlicanteXeres e Madera.

Perfino il sergente che li guidavaafferrato un boccale e dopo essersi seduto su una travesi era messo a trangugiare a lunghi sorsi il contenuto.

- Compare- disse don Barrejoche da qualche istante si dimenava come avesse il diavolo in corpo. - E noi assisteremo come due statue ad una simile festa?

- Avete ragionesignor guascone- rispose Mendoza. - Quella gente non si occupa che delle botti e siccome noi non siamo botti da spillare non verranno di certo ad importunarci.

- Voi continuate coll'Alicanteio darò l'assaggio a qualche altro recipiente. Vedremo chi sarà piú fortunato.

- Iodi certo.

- Un doblone che troverò di meglio ioinvece.

- Vada! - disse Mendoza. - Già non pagherò nemmeno questo.

I due compariche ormai erano legati da una profonda amiciziastavano per riprendere la bevutaquando una sorda imprecazione li arrestò.

Buttafuoco che aveva un udito finissimo e che era abituato a dormire con un solo occhiosi era lasciato scivolare giú dalle bottichiedendo con voce sommessa:

- Che cosa succede? Perché avete spenta la fiaccola?

- Gli spagnuoli ci cercano - aveva risposto Mendoza.

- Sono già discesi?

- Síma pare che cerchino piú le botti che noi- disse il guascone. - Potevate continuare il vostro sonno. E poi non vegliamo forse noi?

- Parlavate di dar l'assalto anche voi al buon vino.

- Tanto per scacciare la noia e l'umiditàsignor Buttafuoco- rispose Mendoza.

- Per ora lasciate in pace le botti- rispose il bucaniere. - Sono troppo pericolose in certi momenti. Vi rifarete piú tardi.

- E questo è parlare da saggiocapitano- disse quel volpone di guascone.

Buttafuoco si accostò alla porticina e guardò a lungo

- La marchesa li ha giuocati- disse finalmente. - Possiamo aspettare tranquillamente che quei soldati abbiano bevuto.

La bevuta degli archibugieri del governatore di San Domingo durò una buona mezz'orapoi tutti se ne andaronopiú o meno malfermi in gambee le cantine ridiventarono silenziose e tenebrose.

- Possiamo attaccare? - chiese Mendoza.

- Che cosa? - chiese Buttafuoco.

- Le botti anche noi?

- Andate al diavolo!... Io riprendo il mio sonno.

- E noi la guardia- rispose il guascone.

- Badate di non addormentarvi davvero di fronte al nemico.

- Oh!... Maisignore.

E mentre il bucaniereormai pienamente rassicurato di non rivedere piú gli spagnuoli nelle cantineriprendeva il suo sonnoi due comparinon meno tranquilli di non correre piú alcun pericoloricominciavano i loro assaggi dei vini della marchesa di Montelimar.



CAPITOLO X

IL CAPO TIBURON


Due ore dopo Martoaccompagnato da due vigorosi negrispostate le botti che ostruivano l'entratasi presentava ai filibustieridicendo:

- Signorila mia padrona vi aspetta. Siete liberi.

Il conteche si era già da un po' di tempo svegliato e stava discutendo con Buttafuocoseduto presso la torcia che Mendoza aveva riaccesa quantunque fosse un po' brillosi era prontamente alzatochiedendo con gioia:

- Se ne sono dunque andati gli spagnuoli?

- Sísignor conte.

- Come ha fatto la tua padrona a sbarazzarsene?

- Ve lo dirà la signora marchesala quale vi aspetta a prendere la cioccolata.

- AndiamoButtafuoco. Questa sera voglio essere a bordo della fregata. La mia assenza è stata già troppo lunga.

- Se le cinquantine ci lasceranno passare... - rispose il bucaniere che era piuttosto pessimista.

- Le sgomineremo noi! - disse il guascone con un gesto tragico.

Attraversarono le cantinepreceduti dai negrie salirono nel cortile nel momento che il cielo si tingeva dei primi riflessi dell'aurora.

La marchesa stava seduta placidamente dinanzi alla tavola situata sotto l'ampio porticatoempiendo parecchie tazze di cioccolatamentre una serva negra portava dei vassoi d'argento pieni di biscotti e di pasticcini.

- Buon giornoconte! Buon giornoButtafuoco! - disse allegramente. - Come avete passata la notte?

- Dormendomarchesa - disse il signor di Ventimiglia.

- Dove?

- Fra le botti - rispose Buttafuoco.

- Che uomini siete voi!

- Ehmarchesanoi siamo abituati a coricarci dove possiamo - disse il conte. - Quante notti ho dormito sulla tolda della mia fregata avvolto in un mantello!

- E quante volte io ho dormito in mezzo alle foreste esposto agli acquazzoni furiosi ed ai venti scatenati! - aggiunse Buttafuoco.

- La vita degli avventurieri è fatta cosísignora. Sono ora convinti gli spagnuoli che noi non ci siamo rifugiati nella vostra villa?

- Adagiosignor Buttafuoco - rispose la bella andalusa. - Se ne sono andatima che abbiano lasciato i dintorni io ne dubito.

- Che m'impediscano di partire? - chiese il conte. - La mia fregata mi aspetta e potrebberimanendo ancora al capo Tiburonattirarsi addosso qualche tremenda bufera.

- Avete fretta di lasciarmi? - chiese la marchesa con voce triste.

- Vorrei rimanere qui delle settimane e anche dei mesisignora - rispose il conte con vivacità. - Disgraziatamente ho troppi impegni e devo difendere la vita dei miei duecento uomini.

- Vi stimoconte; io spero peraltro che non sia questa l'ultima volta che ci incontriamo nel golfo del Messico.

- Sarò il piú felice degli uomini il giorno in cui vi potrò rivederemarchesa - rispose il gentiluomo con voce grave. - I debiti di riconoscenza che ho con voi non li dimenticherò mai... mi capitesignora? mai!

- Voi mi scorterete fino ai bagni del capo Tiburon: ho laggiúsulla spiaggiaun piccolo padiglione.

- Scortarvi! - esclamò il contecon sorpresa.

- Sarà necessariose vorrete passare attraverso le cinquantine e salvare la vostra nave.

- Che cosa ditemarchesa?

- Dai comandanti delle cinquantine ho appreso che si sa dove si trova la vostra fregata e che il governatore ha dato l'ordine di fare dei grandi preparativi per assalirla di sorpresase sarà possibile.

Il conte era diventato pallidissimo.

- Assalire la Nuova Castigliao megliola mia Folgoreperché questo è il suo vero nome!... Vivaddio!... La raggiungerò prima che l'attacco comincidovessi sfidare la morte cinquanta volte.

- E perciòcontevoi mi scortereteve lo ripeto. Dovrete peròal pari dei vostri compagniindossare la divisa della mia casa e passare per un servo.

- Se fosse necessario mi lascerei anche dipingere come un negro.

- Non ve ne sarà bisogno... Marto!

L'africanoche in quel momento doveva sostituire l'intendentefu pronto ad accorrere alla chiamata della marchesa.

- È pronto tutto?

- Sípadrona.

- L'amaca e gli schiavi?

- Anche.

- La scorta?

- Già armata.

- Numerosa?

- Dodici uomini fra negri e bianchi.

- Conduci questi signori a vestirsi.

Poivolgendosi verso il signor di Ventimigliail quale stava vuotando una tazza di cioccolata- fate prestoconte - gli disse. - Temo che l'assalto alla vostra fregata sia fissato per il tramonto.

- Forzasignor guascone! - disse Mendoza a don Barrejo. - Avremo bisogno della vostra terribile draghinassa.

Mentre Marto guidava i quattro uomini in una stanza a pianterrenoper far loro scegliere dei vestiti con i colori della casa dei Montelimarla marchesa si era voltata verso un uomo dalla pelle assai brunail quale fino allora si era sempre tenuto in disparteappoggiato ad una colonna del porticato.

- Hai fatto esplorare attentamente la via che conduce al capo TiburonAzevedo? - gli chiese.

- Sípadrona.

- Le cinquantine la percorrononon è vero?

- Vi sono almeno duecento uomini al di là del villaggio di San Josè.

- Sono gli stessi che sono venuti qui?

- Li ho perfettamente riconosciuti.

- BenissimoAzevedo. Vedremo se oseranno fermare una Montelimar nipote di un grande ammiraglio e cognata d'un ex governatore!

Si era alzatagettandosi sulla capigliatura corvina una leggerissima mantiglia di setamentre scendevano nel cortile quattro robusti africanisfarzosamente vestitii quali sorreggevanoper mezzo di un lunghissimo paloun'amaca sormontata da un largo ombrello rosso e fornita d'un soffice cuscino per appoggiarvi il capo.

Otto uominiquattro bianchi e quattro negriarmati tutti di archibugi e di spadonili seguivano.

Si erano appena fermati sotto il porticatoquando comparvero anche il conteButtafuocoil guascone e Mendozai quali indossavano la divisa della casabianca ed azzurra a strisce alternate ed uno stemma ricamato in mezzo al petto che rappresentava una montagna sorgente dal mare con un leone rampante in alto.

Vedendoli la marchesa non potè trattenere uno scoppio di risa.

- Pare che facciamo una brutta figura - brontolò Mendoza.

- Di servi - rispose sottovoce il guasconearricciandosi i baffi e posando fieramente la sinistra sulla guardia della sua draghinassaper far comprendere agli altri che era un uomo d'armi anche sotto quelle spoglie.

- Siamo buffinon è veromarchesa? - chiese il conte.

- Tutt'altro! ma avrei preferito di essere scortata da voi vestiti dei vostri abiti.

- O entro il mio vestito rosso?

- Meglio ancora - rispose la marchesacon un sospiro represso.

- Lo indosserò quando sarò sul ponte della mia fregata ed udrò a tuonare il cannone.

La marchesa fissò sul fiero corsaro i suoi profondi occhi; poiscuotendo il capodisse bruscamente:

- Partiamo.

Aiutata dal contesalí nell'amaca posando il capo sul cuscino di seta color rosaed il drappello si mise in marcia preceduto da Buttafuoco e dal contei quali non avevano lasciati i loro archibugi.

Attraversata la piantagione di banani senza aver incontrato nessuna cinquantinapresero un sentiero aperto fra i boschievitando la borgatella di San Josè che si trovava a breve distanza dalla fattoria della marchesa.

Marciavano da un paio d'oreseguendo un sentieruzzo aperto fra le splendide palmequando alcuni archibugieriche si tenevano imboscati fra le macchiebalzarono fuorigridando:

- Ferma!

Buttafuoco si fece avanti dicendo:

- È la signora marchesa di Montelimar che si reca ai bagni del capo Tiburon. Che cosa volete?

- Passate - rispose il capo del piccolo drappelloinchinandosi.

Gli archibugieri proseguirono la loro marciamentre la marchesa salutava i soldati con un gesto grazioso.

- Ecco un nome portentoso che ci aprirà la via fino sul ponte della fregata - disse Mendoza al Guascone.

- Io preferirei che si riaprisse invece la via delle cantine - rispose don Barrejocon un sospiro. - Ahquell'Alicante!...

- Taceteo mi farete venire una sete rabbiosa.

- Io l'ho di giàbasco!

- E pensare che non metteremo mai piú i piedi là dentrosignor guascone!

- Volete farmi piangere? - Siete crudelebasco!

Un altro "alto là"piú minaccioso del primotroncò bruscamente la loro chiacchierata.

- Largo alla marchesa di Montelimar! - gridò nuovamente Buttafuoco con accento pure minaccioso.

Altri archibugieri erano balzati fuori dai cespugli che costeggiavano il sentieropuntando le armi.

Udendo Buttafuocoche scambiavano probabilmente per l'intendente della marchesarispondere su quel tonosi erano pure affrettatidopo un cordiale salutoa scomparire.

- Marchesa- disse il conte che camminava di fianco all'amaca - noi vi dobbiamo la vita. Senza la vostra bella trovatanoi non saremmo certamente mai riusciti a giungere al capo Tiburon.

- Signor contedovevo ben pensare a condurre in salvo i miei ospiti! - rispose la marchesa.

- E non è la prima volta che gioco qualche brutto tiro ai miei compatrioti. Non è già d'altronde la prima volta che giuoco qualche brutto tiro ai miei compatriotti.

Che cosa volete? mi diverto a far arrabbiare il governatore di San Domingo!

- Il quale sarà probabilmente un cannibale o poco meno - mormorò Mendoza che camminava dall'altro lato dell'amaca.

La marcia continuò senza alcun incontroma nessuno era persuaso che nei boschi che costeggiavano il sentiero non si trovassero altri archibugieri ed altri alabardieri in agguatocon la speranza di sorprendere il figlio del Corsaro Rosso.

A mezzodì il drappelloche aveva marciato sempre rapidamentegiungeva in vista del mare.

Il capo Tiburonche formava una specie di penisola coperta di boschi foltissimi fino quasi alla sua punta estremasi allungava verso il sudin un semicerchio che si spiegava verso la spiaggiaformando una darsena abbastanza sicura contro l'irrompere delle onde.

Nel mezzo del bacino giganteggiava superbamente la Nuova Castigliatrattenuta da due âncore gettate a prora ed a poppa e con le vele solamente semimbrogliateper essere pronta a prendere il largo in brevissimo tempoin caso di pericolo.

- La mia fregata! - esclamò il conte. - Finalmente! Ritorno padrone del Golfo!

- Tacetesignor di Ventimiglia- disse la marchesa - voi non sapete dove sono imboscati gli spagnuoli che hanno ricevuto l'ordine di assalire la vostra nave. Non fidatevi di questa calma che deve essere piú apparente che reale ed agite con prudenza. Forse delle centinaia d'occhi spiano attentamente tutte le nostre mosse.

Quindivolgendosi verso i negri che reggevano il lungo palo a cui era appesa l'amacadisse loro:

- Nel mio padiglione dei bagni! Fate presto!

I quattro portatori partirono di corsa edopo aver superato una piccola alturascesero verso la spiaggia larga e sabbiosacosparsa d'un numero infinito di gusci d'ostriche e di testuggini.

In mezzo ad un gruppo di alberi di cocco e di palmea circa duecento passi dal maresi alzava un grazioso padiglione costruito tutto in legnoanche quello di stile morescocon una graziosa torricella sulla quale sventolava la bandiera di Montelimare circondato da un piccolo giardino.

Due giovani meticceudendo le voci dei portatori e della scortaerano subito uscite per aiutare la marchesa a scendere; il conte di Ventimiglia fu però piú svelto e la trasse giú dall'amaca.

- È giunto il mio corriere? - chiese la bella andalusa alle due donne.

- Sípadrona.

- Entrateamici. Io vi precedo.

Attraversò il giardinetto e condusse il conteButtafuoco ed i due avventurieri in una saletta a pianterrenoadorna di pochi mobili leggeri e graziosiquasi tutti di bambúe di molti vasi di terracotta che reggevano enormi mazzi di fiori della passione che spandevano all'intorno un delizioso profumo.

La marchesa si sedette dinanzi ad una tavola di acagiúfilettata in argento e scolpita con molto buon gustofacendo cenno al conte ed ai suoi amici di fare altrettantopoirivolgendosi alle due meticcie che l'avevano seguitadisse loro:

- Fate venire il corriere.

Un momento dopo un mulattoaltomolto abbronzatodi forme muscolose e d'aspetto fieroentrava facendo un profondo inchino.

- Hai fatto quanto ti ho detto? - chiese la marchesa.

- Sípadrona.

- Hai potuto accostare la fregata senza destare sospetti? -

- Sono andato a bordo ad offrire i pesci che avevo pescato stamane.

- Hai conferito col luogotenente?

- Sípadrona.

- L'hai avvertito del pericolo che corre e che il conte sta per giungere?

- Il luogotenente è pronto a tutto e aspetta l'imbarco. Ha preso tutte le sue misure per non lasciarsi sorprendere.

- Puoi andare.

- Signora- disse il conte vivamente commosso - io non mi attendevo un simile servigio da parte d'una donna che dovrebbe essere acerrima nemica dei filibustieri.

- Difendo e proteggo i miei ospiti! - rispose la marchesa sorridendo. - Nel mio caso voi avreste fatto certamente altrettanto.

- Mi sarei fatto uccidere per voi - rispose il conte con un entusiasmo che fece nuovamente sorridere e anche sospirare la bella spagnuola.

- Non ne dubito! - rispose la giovane vedovapassandosi una mano sulla fronte. Poi chiese:

- Quando vi imbarchereteconte?

- Subitose fosse possibile.

- Ho una scialuppa sulla spiaggia. È a vostra disposizione. D'altronde comprendo la vostra impazienza. Fingete di recarvi alla pesca insieme con i miei negri e al momento opportuno abborderete la fregata. Cercate di non farvi notare dai miei compatrioti. Io sono piú che sicura che veglieranno attentamentee che nelle foreste del capo Tiburon hanno già collocato delle artiglierie.

Si era alzata in preda ad una visibile emozionee mentre MendozaButtafuoco ed il guascone vuotavano altre tazze di cioccolatache le due meticce avevano portatecondusse il conte nel giardinetto che circondava la graziosa casetta.

- Signor conte- disse traendolo sotto l'ombra d'una gigantesca palma - non ci vedremo mai piú?

La voce della marchesa era cosí alteratache il signor di Ventimiglia ne fu profondamente colpito.

- Io sperosignora- le rispose - di trovarvi ancoraprima che io lasci il golfo del Messico. Non posso dimenticare una gentildonna alla quale per ben due volte devo la vita.

- E quando?

- Chi può dirlomarchesa? Finché non avrò terminato la mia missione non ritornerò a San Domingo.

- E dove andrete ora?

- A trovare vostro cognato ed i filibustieri che ancora imperano di qua e di là dell'istmo di Panama.

La marchesa rimase un momento silenziosaguardando a terra; poi strappò con molto nervoso un'orchidea e la porse al contedicendogli:

- Conservatela per mio ricordo.

- Quando la morte mi minacceràmarchesaquesto fioredatomi da voisi troverà sul mio cuore - rispose il corsaro. - Sarà per me come un prezioso talismano.

La marchesa aveva alzato il capoe il conte s'avvide subito che gli occhi bruni e profondi della bella andalusa erano umidi.

In quel momento comparve Buttafuoco.

- Signor conte- disse - la scialuppa è pronta ed è giunto il momento di separarci. Io ritorno il bucaniere della savana.

- Mi lasciate? - chiese il signor di Ventimiglia con doloroso stupore. - Credevo che mi avreste seguito.

- Ho laggiúnella mia povera dimorail mio arruolatoil quale forse corre gravi pericoli - rispose il cacciatore. - Chissà forse un giorno in qualche città dell'America centrale non ci rivedremo. Come ho combattuto fra i filibustieri di vostro zioil Corsaro Neronon mi rincrescerebbe sfidare il fuoco a fianco del nipote.

Uscirono dal giardino seguiti da Mendozadal guascone e da quattro negrii quali erano carichi di reti per far credere alle cinquantine spagnuoleprobabilmente imboscateche si recavano a pescare per preparare alla marchesa la cena.

Giunti presso il cancellola bella andalusa si fermòfissando il conte con gli occhi umidi.

- Addiosignore - gli disseporgendogli la mano. - Io pregherò Iddio che vi preservi dai cannoni e dagli archibugi dei miei compatrioti. Rammentatevi sempre di mee non dimenticate che se avrete bisogno di una protezione da parte miasarò sempre pronta a salvarvi un'altra volta.

Il conteil quale appariva non meno commossole baciò galantemente la manomentre Buttafuoco si era appoggiato al suo archibugio e incrociava le mani sulla cima della canna.

Anch'egli fissava intensamente il conte.

- Amico- gli disse il signor di Ventimigliaporgendogli la destra - grazie di quanto avete fatto per me... ed ora ditemi il vostro vero nome. Me l'avete promesso.

Una rapida emozione alterò i lineamenti del bucaniere.

- A quale scopo? - disse poicon voce rauca. - L'ho lasciato cadere e per sempre in fondo ai baratri dell'Atlanticonel momento in cui passavo la linea equatoriale... Chi si ricorda ormai di me in Francia? Io sono morto per la mia patria... e anche per mia sorella e per...

Un singhiozzo spense la sua vocementre due lacrime scendevano lentamente sulle sue brune gote.

- Tutto deve essere finito! - disse poi.

- Nosignor...

- Barone de Rouvres - disse la marchesa.

- Perché tradire il mio segretosignora? - chiese Buttafuoco. - Io oggi non sono che un miserabile bucaniere; non ho piú il diritto di portare lo stemma della mia casa che ho disonorato.

- Per me siete sempre un gentiluomo - disse il signor di Ventimigliacommosso dall'intenso dolore che traspariva sul suo viso abbronzato. - Qua la manoBarone de Rouvres.

Il bucaniere della savana ebbe un'ultima esitazionepoi con un movimento rapido gliela porsedicendo:

- Quando voisignor conteavrete bisogno della vita d'un uomoricordatevi che quella del barone de Rouvres è sempre a vostra disposizione.

- Non della vostra vitabensí del vostro braccio e del vostro archibugio avrò bisogno - rispose il conte. - Non sarà questa l'ultima volta che ci siamo incontrati... Addiomarchesa; addiobarone: vado a compiere la mia impresa.

Scese rapidamente la spiaggia e balzò nella scialuppa.

I quattro negri avevano subito dato dentro ai remimentre Mendoza aveva preso con mano salda la barra del timone.

- Verso il capoprima! - aveva detto il conte. - Cerchiamo d'ingannare gli spagnuoli per non compromettere maggiormente la marchesaormai troppo sospettata di proteggerci.

Mentre la scialuppa partiva rapida come una frecciasotto la spinta poderosa degli erculei africaniil conte si era alzato e guardava verso la spiaggia.

Presso il cancello del padiglione stava la bellissima andalusaappoggiata ad un pilastrotenendo in mano un fazzoletto che di quando in quando agitava in segno di addio; a pochi passi si trovava il bucanierecon le braccia incrociate ed appoggiate sulla canna del suo archibugio.

- Li rivedrò? - si chiese il conte con un sospiro. - Certose le palle spagnuole non mi uccideranno.

Fece con la destra un rapido salutopoi si sedette accanto al guasconeil quale stava contando e ricontando i suoi dobloni.

- Che cosa fatedon Barrejo? - chiese il conte.

- Stavo calcolando quanta aguardiente avrebbero potuto comprare gli spagnuoli se mi avessero ucciso e si fossero impadroniti di questo piccolo tesoro - esclamò serio il guascone.

- Al diavolo! esclamò il conte.

- Noperché non mi ha voluto e credo che abbia fatto beneperché i guasconi non si trovano bene nemmeno all'inferno e potrebbero tagliare le code ai figli di Belzebú. Diamine! Siamo gente pericolosa noi!

- Ha fatto tre volte bene- disse Mendozaprorompendo in una risata- perché saremo noi a bere quei dobloni.

- Oh! Me ne dovete unocomparericordatevelo.

- Lo prenderete agli spagnuoli.

- Fa lo stesso- rispose il guasconesempre serio.

Il conte non si occupava più dei due burloni. Ora guardava il padiglione della marchesa che stava per scomparire e dinanzi al quale spiccavano ancora due macchie oscureed ora la sua superba fregata che si dondolava graziosamente nella radatendendo le catene delle due âncorecome se fosse impaziente di prendere il largo dopo tanto riposo.

La scialuppagiunta presso il capo Tiburon che era coperto di boscagliein mezzo alle quali probabilmente stavano sempre nascosti gli spagnuoli in attesa del segnale d'attaccovirò a ponente ed i quattro negrideposti i remigettarono le reti.

- Che ci prendano per pescatori autentici? - chiese Mendoza al conte.

- Giriamo al largocapitanoprima che nasca nell'animo degli spagnuoli qualche sospetto e che ci salutino con qualche colpo di cannone. Avete udito la marchesa dire che sospetta vi sia dell'artiglieria nemica nascosta in quelle boscaglie?

- Sí - rispose il conteil quale sembrava un po' inquieto. - Vi è anche altroMendoza.

- Che cosacapitano?

- Scorgo alcune grosse scialuppe seminascoste fra i paletuvieri della costa. Non possono appartenere a pescatoriperché qui non v'è alcun villaggio.

- Ventre di pescecane! - esclamò il lupo di mare. - Che abbiano intenzione d'abbordare la fregata?

- Lo temoMendoza.

- Li ricacceremo in mare! - disse il guasconeil quale non cessava di contare e ricontare i suoi dobloni.

- Che il luogotenente si sia già accorto che stanno preparandogli un agguato? - chiese Mendoza.

- Il signor Verra è un uomo che non dormequando sa di navigare in acque pericolose - rispose il conte. - Scommetterei cento piastre contro una che egli ha già fatto i suoi preparativi per il combattimento.

- Quando l'abborderemo la fregata?

- Aspettiamo che il sole sia tramontato. Non voglio compromettere maggiormente la marchesa. Peschiamo e fingiamo di non occuparci della mia navebenché abbia sempre in alto il vessillo spagnuolo.

I quattro negri ritiravano in quel momento le reti ben cariche di pesci.

La scialuppa riprese poco dopo la corsa sotto la direzione di Mendozaallontanandosi sempre piú dal capo Tiburon per evitare qualche brutta sorpresa e manovrando in modo da descrivere un ampio semicerchio dinanzi alla prora della fregata.

Altre due volte le reti furono gettate e ritirate sempre ben provviste di pescipoicominciando il sole a tuffarsi in marela scialuppa si diresse lentamente verso la fregata che aveva già acceso sull'altissimo cassero i suoi due grossi fanali.

Mendozail quale teneva sempre il timonela dirigeva in modo da far credere agli spagnuoli che volesse passare al largo della nave per tentare un'ultima pescataprima di far ritorno al padiglione dei bagni della marchesa di Montelimar.

Il figlio del Corsaro Rosso osservava attentamente il veliero che le prime ombre cominciavano ad avvolgere.

Una calma assoluta pareva regnare a bordo. Si era udito solo il rullare del tamburo che chiamava gli uomini a cena nel frappontepoi piú nulla.

- Signor conte- disse il guasconequando l'ultimo sprazzo di luce scomparve - abbordiamo?

- Aspettate un po'impaziente guascone - rispose il signor di Ventimiglia. - Avete tanta fretta di menare le mani?

- Non sarei un avventuriero! E poi la mia draghinassa è stanca di rimanere inoperosa. Tutte le mattine mi domanda di sbudellare qualcuno e non trovo mai l'occasione di accontentarla.

- Non vi mancherannove l'assicuro.

- Sapete che noi guasconi...

- Síuccidete sempre- rispose il contecon un sorriso un po' ironico.

- Non sarei un guasconediavolo! - disse don Barrejo.

- Mendoza!

- Capitano?

- Punta diritto sulla fregata. Ormai gli spagnuoli non possono piú scorgerci.

- Date dentro ai remipagani! - gridò il lupo di mare agli africani.

L'oscurità era piombata quasi improvvisamente sulla piccola radaavvolgendo lo specchio d'acqua ed il capo Tiburon.

La scialuppa attraversò velocemente la distanza che la separava dalla fregata ed abbordò il legno a bordoossia verso l'opposta parte occupata dagli spagnuoliper non essere colpiti da qualche cannonatafosse pure sparata a casaccio.

Con suo profondo stupore il conte non udí gli uomini di guardia dare l'allarmequantunque la prora dell'imbarcazione avesse urtato sonoramente il fianco del veliero.

- Che cosa fanno i miei uomini? - si chiese aggrottando la fronte.

- Si lasciano abbordare senza accorgersene?

- Io credocapitanoche voi abbiate torto di lamentarvi - disse Mendoza. - Sono troppo furbi i vostri marinai. Se sulla nostra barca vi fossero degli spagnuoliscommetto che a quest'ora le granate scoppierebbero sulle nostre teste come gragnuola. Il signor Verra non è un marinaio da lasciarsi sorprendere.

La scala di corda toccava l'acquapermettendo una facile ascensione. Il conte l'afferrò e si issò fino sul ponte della fregatagridando:

- Si dorme qui?

- Nosignor di Ventimigliaanzi si veglia attentamente e vi si aspettava - rispose una voce.

Un uomo era improvvisamente apparso dinanzi al contesmascherando una lanterna che fino allora aveva tenuta coperta con un pezzo di velaccio.

Era un bel giovane di non ancora trent'annidai lineamenti piuttosto duricon baffi e barba nerissimidi statura alta e slanciata.

- Voiluogotenente! - esclamò il conte stupito.

- Vi aspettavo da parecchie orecapitano - rispose il giovane. Vi avevo già veduto col cannocchiale e mi ero immaginato che non avreste tardato a raggiungere la vostra nave. E poi ero stato avvertito dal pescatore d'una certa marchesa di Montelimar che eravate già giunto nei dintorni del capo Tiburon e anche che gli spagnuoli ci hanno preparato un agguato.

- Ed è purtroppo verosignor Verra! - rispose il conte. - Aspettano che noi salpiamo le âncore per darci addosso attraverso il Capo.

- E noi siamo pronti a riceverli! - rispose il luogotenente. - I vostri uomini sono tutti ai loro posti di combattimento e le artiglierie non chiedono che di sparare.

- Bene! - disse il conte. - È uscito nessun galeone da San Domingo?

- Ne è passato uno dinanzi a noiquattro o cinque ore or sono. Martin mi ha assicurato che doveva essere la Santa Maria.

- Dove andava?

- Verso ponente.

- Sapremo raggiungerla. Sono troppo pesanti quei galeoni per competere con le fregate e soprattutto con la nostra. Prima di domani mattina noi l'abborderemo e avremo nelle nostre mani il segretario dell'ex governatore di Maracaibo.

- Devo far salpare le âncore e spingere le veleconte?

- Un momento ancoraluogotenente - rispose il signor di Ventimigliail quale rispondeva a scatti. Si curvò sulla murata e gridò ai negri della scialuppa:

- Tornate subito al padiglione dei bagnise vi preme la vita. Portate alla marchesa vostra padrona e al bucaniere i miei ultimi saluti... Martin!

Il meticcioche stava seduto su un barile chiacchierando con Mendoza e col terribile guasconefu pronto ad accorrere.

- La mia divisa rossa - disse il conte. - Il figlio del Corsaro Rosso non si batte sotto le vesti d'un pescatore. La mia spada di combattimento e la mia corazza. Signor Verrafate spiegare le vele e date ordine agli artiglieri di non fare risparmio di mitraglia. Vedremo se sapranno arrestarmi attraverso il capo Tiburon e se la Santa Maria riuscirà a fuggire alla nostra caccia. Fate presto!

Mentre il fischietto di Mendoza chiamava i marinai agli argani per salpare le âncore ed i gabbieri per spiegare completamente le veleed il luogotenente dava le ultime disposizioni per il combattimento imminenteil corsaro scese nel quadro di poppa seguito dal guascone e da Martin.

Quando ricomparve era tutto vestito di rossocome era comparso negli splendidi saloni della marchesa di Montelimarcon una nuova spada al fianco e le pistole di grosso calibro alla cintola.

Salí sul ponte di comandosituato sul davanti dell'altissimo quadroed imboccato il portavocegridò:

- Alla vela! Tutti al posto di combattimento! Il figlio e nipote dei tre grandi corsari vi guida e vi guarda!



CAPITOLO XI

 

LA CACCIA ALLA "SANTA MARIA


La fregatache per quel momento si chiamava ancora la Nuova Castiglia per non destare sospetti nei porti spagnuolimentre invecesotto il pezzo di tela dipinto a poppaportava il nome glorioso di Folgorea ricordo della famosa nave del Corsaro Nerosi era messa alla vela con tutti i suoi artiglieririuniti dietro i venti pezzi delle batterie ed i due grossi cannoni da caccia del cassero.

Come abbiamo già dettoera una splendida nave da combattimento capace di affrontare due galeoni spagnuolisalda di fianchi e molto slanciatacon un'alberatura immensa per poter approfittare delle piú deboli brezze.

Mai i filibustieri della Tortue e nemmeno gli spagnuoliavevano veduto una cosí magnifica nave da battaglia solcare le acque del golfo del Messico.

La Santa trinità della Grande armada aveva ben poco da invidiare sia per bocche da fuocosia per numero d'uominisia per velocità.

Salpate le âncorela Folgore - poiché possiamo ormai chiamarla cosí - aveva descritto un mezzo giro su se stessa per prendere il vento di filopoi si era messa in corsa verso il capo Tiburon per passarvi di traverso.

Il figlio del Corsaro Rossosprezzante di ogni pericolonon aveva nemmeno dato l'ordine di spegnere i due grossi fanali che scintillavano a babordo ed a tribordo del casseroné il fanalone di prora collocato sul castello.

Non voleva lasciare all'oscuro gli artiglieri dei due pezzi da cacciasui quali molto contava per mitragliare le scialuppe spagnuoleforse già in moto per tentare un abbordaggio furibondo.

Con due bordate la fregata attraversò la radapoi mosse arditamente verso il capomentre gli artiglieri soffiavano vigorosamente sulle micce e gli archibugieri montavano sulle coffe e sulle crocettedove avevano già accumulato non poche granate da lanciarsi a manocome usavano i filibustieri di quei tempi.

S'avanzava superbala forte navesicura di passare tranquilla attraverso l'agguato teso dagli archibugieri e dalle cinquantine del governatore di San Domingosprezzante del pericolo che la minacciava.

Fra la luce sprizzante dai due grandi fanali di poppaspiccavacome una macchia di sangueil figlio del Corsaro Rossosignor di Ventimigliadi Valpenta e di Roccabrunail discendente dei tre formidabili corsari che un giorno avevano portato lo spavento in tutte le colonie spagnuole del gran Golfo del Messico.

Col portavoce nella destra e la sinistra appoggiata sulla guardia della sua spada di combattimentouna specie di draghinassalarga e pesante come quella che portava il guasconeil fiero giovane aspettava intrepidamente l'attaccotenendo gli sguardi fissi sulle vele della sua superba nave.

Un sorriso sardonicoquel sorriso sprezzante che aveva reso cosi celebre il famoso Corsaro Nerogli errava sulle labbra sottili.

- Mi rido di voi tutti- pareva che dicesse. - Io sono il figlio del terribile Corsaro Rosso che vi ha fatti tremare e del formidabile Corsaro Nero mio zio. Chi oserà assalirmi?

La Folgore non trovando entro la rada vento sufficientes'avanzava adagio adagio verso il capoimpaziente di provare le vigorose carezze del Gran Golfo.

Era tutta coperta di vele: dalla tolda ai contra-pappafichi ed al vecchio pennone di civada del bompresso.

Quantunque delle grosse ondate irrompessero di quando in quando attraverso il promontoriorumoreggiando cupamenterullava dolcemente tanto era bene equilibrata.

- Mi guarderà la marchesa? - si chiese il conte. - Se potesse vedere come si batte un signor di Ventimiglia e...

Una cannonatache si ripercosse cupamente sotto le foreste che coprivano il promontoriogli interruppe la frase.

- Ah! - esclamòvolgendosi verso il guascone che gli stava vicinofacendo saltellare nella tasca i suoi famosi dobloni. - Pare che gli spagnuoli si siano accorti che noi cerchiamo di scappare; non è verodon Barrejo?

- Non sono mai stato sordosignor conte - rispose l'avventurierosorridendo.

- Badate che qualche palla non vi porti via la testa.

- Vi ho già detto che compare Belzebú non sa che cosa farnea casa suadei guasconi. Noi siamo gente troppo pericolosa anche nell'inferno.

- Siete un tipo meravigliosodon Barrejo.

- Niente affatto. Volete che si prenda degli altri diavoli capacissimi di stroncare le code o le ali ai suoi figli? Il diavolo non sarà cosí stupidosuppongo.

- Signor conte! - gridò Mendozache stava dietro di loroalla ribolla del timone. - Guardatevi da quel guascone: deve essere il nipote od il pronipote di messer Belzebú! Ci porterà sfortunalo giuro...

- Su una botte di Alicante- disse il bravo guasconescoppiando in una sonora risata.

Quattro o cinque colpi di cannonepartiti dall'estremità del Caporumoreggiarono in quel momentolanciando i loro proiettili attraverso le vele della fregata.

- Pare che questi non siano dolci - disse il guasconecurvando il capo e sguainando con un gesto tragico la sua famosa draghinassa. Vengano all'abbordaggio gli iberi della vecchia o nuova Castigliaed io mostrerò loro come si battono i forti spadaccini della Guascogna... La voce metallica del figlio del Corsaro Rosso soffocò le sue ultime parole:

- Che il diavolo vi porti! - disse il conte.

- E dove? Se non lo sa nemmeno lui?

- Che vi porti in paradisoallora- disse Mendoza.

- Lassú non c'è l'Alicante della marchesa di Montelimar.

La voce metallica del figlio del Corsaro Rosso soffocò le sue ultime parole:

- Fuoco di bordata! Passiamo attraverso al capo! Mitragliate le scialuppe! Fuoco!...

Cinque barcacciemontate ognuna da venticinque uomini fra rematori ed archibugierisi erano staccate dalla spiaggia e s'avanzavano con furiaallargandosi a ventaglioper prendere in mezzo la fregata ed abbordarla da due lati.

Gli archibugieri tiravano sul pontemantenendo il fuoco vivissimo.

I due pezzi da cacciamontati su grossi perni girantiscaricarono sulle due piú vicine una terribile bordata di mitragliamentre i dieci pezzi di tribordo lanciavano i loro proiettili verso le boscagliein mezzo alle quali si nascondeva l'artiglieria spagnuola.

Una delle cinque scialuppela secondacrivellata di proiettiliaffondò quasi subito. Le altre però non interruppero per questo la loro marcia e mossero con coraggio meraviglioso all'abbordaggiomentre gli archibugieri raddoppiavano il fuoco.

Il figlio del Corsaro Rossoaccortosi di aver da fare con gente di fegatoimboccò il portavoce e gridò:

- Tutti i bucanieri in coperta!

Tutte le navi filibustiere avevano sempre un buon numero di quei meravigliosi tiratori. Si può anzi dire che essi costituivano la vera forza dei legni corsariperchécome abbiamo già dettoquegli intrepidi cacciatori non fallivano mai i loro colpi.

Al comando lanciato dal contetrenta uomini dai volti assai abbronzati e barbutiche portavano pesanti archibugi dalla canna lunghissimaerano saliti rapidamente in copertastendendosi lungo la murata di tribordo e quella dell'altissimo cassero.

- A voi le scialuppe! - gridò il signor di Ventimigliacon voce metallica. - A noi le cinquantine e le artiglierie spagnuole.

La battaglia si era impegnata con grande ardimento da una parte e dall'altra.

Se tuonavano tremendamente i ventidue pezzi della fregatai pezzi spagnuoliche dovevano essere pure numerosi e anche ben collocati dietro le alte rocce del capo e fra le boscaglierispondevano con egual furore.

Era quasi un colpo a colpo.

Le scialuppe intanto non cessavano di avanzarestringendo l'arcosenza badare al pericolo che correvano di venire travolte dalla prora della fregata.

I bucanieri però arrestarono ben presto il loro slancio. Una terribile pioggia di piombo cadde dopo poco su di essefacendo una strage orrenda di archibugieri e di rematori.

Essicalmi ed impassibili malgrado il grandinare di palle d'ogni calibrosparavano a colpo sicurouccidendo o storpiando un uomo ad ogni scarica. La Folgoreguidata da Mendozail quale era il piú abile pilota che si trovasse a bordocome era pure il miglior artiglierevirò di bordo quasi presso al Caposi rimise al vento e dopo aver scaricata un'ultima bordataprese il largo con la prora volta a ponente.

Le artiglierie spararono ancora pochi colpiforando qualche vela e troncando qualche gomenama poi sospesero il fuocodiventato ormai inutile.

- Ebbenedon Barrejoche cosa ne dite? - chiese il conte al guasconeil quale non si era allontanato dal suo fiancosenza aver mai dimostrata la menoma apprensione.

- Io dicosignoreche quei filibustieri hanno in mezzo al petto un pezzo di coda di compare Belzebú - rispose l'avventuriero. - Io ho assistito a parecchi combattimenti in Francia ed anche nell'Estremadurama non ho mai veduto degli uomini cosí intrepidi. C'era uno dei vostri archibugieri che sparava e nello stesso tempo fumava la pipa.

- Vedrete presto il secondo.

- Ci batteremo ancora?

- Siamo in caccia.

- E chi è la selvaggina?

- La Santa Maria.

- La conosco: un bel galeone e anche bene armatosignor contema che non avrà in questo momento nemmeno un doblone a bordo perché parte da San Domingo. È probabile che vada a caricare verghe d'oro a Vera Cruze perciò vi consiglierei d'attenderlo al ritorno.

- Non sono i dobloni che io cerco - rispose il signor di Ventimiglia alzando le spalle. Sono un corsaro un po' diverso dagli altri e non è la sete d'oro o di conquiste che mi hanno fatto lasciare l'Europa.

Poicome parlando fra sériprese:

- Cinque o sei ore di vantaggio! Sarà necessario spiegare altra tela.

Imboccò il portavoce e comandò:

- Fuori gli scopamari ed i coltellacci! A riva i gabbieri!

Una ventina di filibustierilesti come scoiattolibalzarono sulle grisellescomparendo attraverso la velatura.

- Don Barrejo- disse il conte - non vi sembra che sia giunto il momento di riposarci? In tre giorni non abbiamo dormito sei ore.

- Parrebbe anche a mesignore - rispose l'avventurieroil quale sbadigliava come un orso. - È vero bensí che i guasconi possono farne senzaalmeno cosí si afferma nel mio paese; io credo però che si siano ingannati.

- Allora buona notte - disse il conte ridendo. - Dite a Mendoza che vi assegni una cabina nel quadro.

Discese dal ponte di comandoscambiò alcune parole col suo luogotenente e scomparve sotto il cassero.

- Io non trovo di meglio che imitarlo - disse il guascone. - Qui non vi sono le botti della marchesa di Montelimar da spillare.

La fregata intanto continuava la sua corsa verso ponenteaffrettando la marcia. S'era coperta di veledalla cima al pontee teneva bravamente il maresalendo e scendendo graziosamente le larghe ondate del golfo del Messico.

I danni causati dal combattimentodanni quasi insignificantierano stati prontamente riparati dal numeroso equipaggioed i pochi feriti erano stati trasportati nell'infermeria ed affidati al medico di bordo.

Sulla tolda non erano rimasti che venticinque uominipel servizio delle vele e pochi artiglieri.

Sulle coffe invece e sulle crocette erano stati collocati sette od otto gabbieriincaricati di dare l'avviso nel caso molto probabile che la Santa Maria si mostrassenon essendo mai stati i galeonivelieri troppo eccellentiin causa della loro estrema pesantezza.

La notte passò senza avvenimenti. La Nuova Castigliache aveva ripreso il nome di Folgorea ricordo della famosa nave del Corsaro Neronon aveva cessato di veleggiarefacendo delle rapide punteora al sud e ora verso la costa di San Domingosenza riuscire a scoprire il galeone.

Ai primi albori il figlio del Corsaro Rosso era già in copertapronto ad impegnare la lotta colla Santa Maria. Il guasconenon importa dirlovi era di giàinsieme a Mendoza.

Ci teneva a dimostrare che i guasconi non erano affatto dormiglioni e che non la cedevano ai marinai abituati alle lunghe veglie.

- Non vi è da menare le manisignor conte? - chiese al giovane capitanoil quale stava osservando attentamente l'orizzonte con un buon cannocchiale. - La mia draghinassa si lagna continuamente e ha già un mezzo pollice di ruggine. Imbarcandomi su una filibustiera credevo di aver molto lavoro.

- E le cannonate di ieri sera le avete dimenticatedon Barrejo?

- Le ho solamente uditesignor conte.

- Dovevate fermare le palle colla vostra famosa draghinassa.

Il guascone fece una smorfia.

- State sicurole occasioni non vi mancheranno per dimostrare che i guasconi non sono da meno dei filibustieri- aggiunse poco dopo il conte. - Aspettate che la Santa Maria si mostri.

- L'abborderemo?

- I galeoni non si arrendono senza combattimento. Non sono già caravelledon Barrejo. Se poi vorrete...

Un grido sceso dall'alto gli troncò la frase:

- Vela a babordodritta il pennone di trinchetto.

- Vedete che avevate torto a lamentarvidon Barrejo- disse il contepuntando il cannocchiale nella direzione indicata dal gabbiere.

Mendoza aveva fatto subito echeggiare il suo fischietto. Chiamava in coperta la guardia franca e gli artiglieri.

Il luogotenenteche si era appena coricatoera prontamente accorso in copertamentre nelle batterie e nelle corsie si gridava:

- All'armi!... La Santa Maria!...


Che fosse veramente il galeone che il figlio del Corsaro Rosso attendeva con tanta impazienza per impadronirsi del segretario del marchese di Montelimarnessuno avrebbe potuto affermarlo con piena sicurezzadata la distanza e la poca luce che ancora regnava sulle acque dello splendido e grandioso golfo messicano. Poteva darsi invece che si trattasse di qualche veliero filibustiereuscito dalla Tortue per dare la caccia ai piccoli legni costieri spagnuoli trafficanti con Porto-Principe o coll'isola di Gonave.

Il giovane corsaro non staccava dal suo occhio destro il cannocchialeseguendo attentamente la rotta della nave segnalata. Aspettava che la luce diventasse piú intensaprima di pronunciarsi.

- Nave d'alto bordo- disse finalmentevolgendosi verso il suo luogotenente ed al guascone che gli stavano dietro. - L'alberatura è imponente.

- Che sia proprio la Santa Maria? - chiese il signor Verra.

- Le piccole navi di cabotaggio non osano spingersi al largoquando si trovano nelle acque battute dai filibustieri della Tortuevoi lo sapete quanto me. Se non fosse un legno capace di difendersinon veleggerebbe cosí lontano dalle coste.

- Devo dare l'ordine di prepararci alla lottasignor conte?

- Se è un galeonenon si arrenderà alla prima intimazione. Checché si dicala vecchia Spagna non manca di ardimentosi marinai. Prendiamo le nostre precauzionipoichése si tratta veramente della Santa Marianon le darò tregua finché non avrò nelle mie mani il cavaliere Barquisimeto. Quell'uomo mi è assolutamente necessariomi avete compresoVerra?

- E noi lo prenderemoper centomila code di Belzebú!... - esclamò il guascone.

- Sílo avremo- appoggiò il luogotenentescendendo rapidamente la scala del ponte di comando.

Il conte aveva puntato nuovamente il cannocchiale. Il sole s'alzava maestoso sull'orizzontelanciando obliquamente i suoi raggi attraverso le acquetingendoli di mille riflessi porporini e d'oro.

Le vele segnalate spiccavano vivamente sull'azzurra superficie del golfo.

Era un'alta alberatura che raccoglieva vento verso i confini dell'orizzonte visibile.

- Non può essere che la Santa Maria- disse il conteabbassando l'istrumento. - Io credodon Barrejoche avrete da menar le mani e che questa volta non vi mancherà l'occasione di mostrare ai miei marinai il valore dei guasconi.

- SperoSignor Conteche voi non mi farete l'offesa di dubitare del coraggio dei costieri del mar di Biscaglia- rispose l'avventuriero.

- Non vi avrei arruolato.

- Morte e dannazione eterna! Sarò il primo a saltare sulla Santa Maria.


- Dopo di medon Barrejo- rispose il corsaro. - Nessuno deve passarmi avanti: sono il figlio d'un corsaro.

- Ebbenesarò il secondo- disse il terribile guascone.

- Ed io il terzo allora- rispose una voce.

Era Mendozail quale era salito inosservato sul ponte di comando.

- Ah! siete voicompare? - disse il guasconementre il conte scendeva sulla tolda per accertarsi se gli uomini erano tutti ai posti di combattimento.

- Vi starò alle costolesignor guascone- disse il lupo di mare.

- Per sorvegliarmi? - chiese l'avventurieroaggrottando la fronte.

- Ma che? Per prendervi i dobloni che avete in tascaaffinché non cadano nelle mani degli spagnuoli e farvi celebrare un centinaio di messe- rispose il bascoridendo.

- Mi augurate la morte forse?

- Ad un guascone! Se non crepano mai!...

- Avete ragionecompare.

- Nessuno li vuole: sono troppo pericolosi.

- È proprio vero- rispose don Barrejocon accento grave. Siamo troppo terribili noidel mare di Biscaglia.

- Dì ponente o di levante?

- Sempre di ponente. Quelli di levante non sono guasconi.

- È vero: sono baschi quelli! - disse Mendozascoppiando in una risata. - Questi indiavolati guasconi hanno sempre ragione!

- Sfido io!... Siamo guasconisí o no?

- Guasconissimi!...

- E allora è inutile discutere- disse l'avventuriero.

In quel momento il conte rimontava la scala del ponte di comandoseguito dal luogotenente.

- È la Santa Maria- disse a Mendoza che lo interrogava collo sguardo. - Non è piú possibile ingannarsi. Prendi tu la direzione del timonein attesa di sparare un buon colpo di cannone. Mi occorre un albero di quel galeone.

- L'avretesignor conte- rispose il lupo di mare.

- Con cinquanta dobloni di regalose riuscirai.

- Morte e dannazione! - esclamò il guasconemordendosi le labbra. - Nel mio paese per un simile premio ammazzerebbero dieci persone. Perché mio padre non ha fatto di me un cannoniere? Il compare però mi pagherà il doblone che ha perduto nelle cantine della marchesa di Montelimar. Perdinci! Non l'ho mica dimenticatoe i guasconi hanno la memoria buona.

Una viva agitazione regnava sulla fregata.

La notizia che si trattava di abbordare un galeone spagnuolosi era sparsa dovunque e l'intero equipaggio si preparava animosamente all'abbordaggiocerto di aver non poco da faresapendo che quei grossi velieri erano poderosamente armati e montati da marinai scelticomposti per la maggior parte di biscaglini.

La Folgore si era messa in gran corsa per raggiungerlo. Tutte le vele erano state spiegate e Mendoza aveva presa la ribolla del timone.

Il galeoneaccortosi d'aver dietro la poppa una nave corsarasi era subito diretto verso la costa sandomingheseper cercare qualche rifugio in qualcuno dei numerosi porti o rade dell'isolaprotette da qualche forte.

Il conte peròaccortosi a tempo delle sue intenzioniaveva lanciata la Folgore lungo la spiaggiaper impedire al galeone di sfuggire all'abbordaggio.

Essendo il vento piuttosto debole e contrariocon quattro bordate lunghissime si portò all'altezza del galeonepoi mosse arditamente verso il largofacendo cosí capire agli spagnuoli che non vi erano altre speranze che la resa a discrezione o un combattimento disperato.

- A meMendoza! - gridò il conte. - Questo è il buon momento!

Il galeone non si trovava che ad un miglio di distanza e veleggiava pesantemente.

Era uno di quei grossi navigli che gli spagnuoli adoperavano per trasportare in Europa i tesori strappati alle miniere allora inesauribili del Messicodel Guatemala e di Costaricalarghi di fianchia due pontima troppo pesanti per poter gareggiare colle svelte navi dei filibustieri i qualiforti dell'appoggio dei bucanieripensavano piú alla velocità che al numero dei pezzi di cannone.

- A teMendoza! - gridò il conte. - Spaccami l'albero maestro di quel galeone e fermalo in piena volata!

- Se colla mia draghinassa potessi farlonon esiterei un solo istante- borbottò il guascone. - Il compare ha davvero una fortuna indiavolataperò mi pagherà il doblone!

Il galeoneaccortosi di essere inseguito da una grossa nave capace di disputargli e anche fargli pagare caramente la vittoriaaveva cambiato bruscamente rottaforse colla speranza di rifugiarsi nel piccolo porto di Jacmel e mettersi sotto la protezione dei fortini colà eretti dagli spagnuoli.

Ma aveva da fare con degli arditi uomini di mareche conoscevano perfettamente le coste dell'isola e per di piú con una velocità troppo rapidaper poter sfuggire ad un abbordaggio.

Il conteaccortosi dell'intenzione dei suoi avversariistrinse verso la costa per tagliare loro il passo e impedire di cercare un rifugio.

La Folgoreche conservava tutta la sua immensa velatura essendo il vento favorevolissimogiungeva colla velocità d'una rondine marina.

Giunta a cinquecento metri dal nemico sparò un colpo a sola polverema il galeone non credette di obbedire all'intimazione.

Vedendo che era impossibile raggiungere il piccolo portovirò nuovamente al largomentre il suo equipaggio si preparava animosamente ad impegnare là lotta.

- Ah! non volete fermarvi! - disse il conte. - A te alloraMendoza.

Il lupo di mare balzò verso il pezzo di caccia di tribordo e lo puntò sul galeoneil quale avevaa sua voltaaggiunto nuove vele a quelle già spiegateper far almeno correre per un po' ancora la fregata.

- Che gli altri non facciano fuoco! - gridò il conte col portavoce. - Conservate i vostri colpi pel momento dell'abbordaggio. Mendozasei sicuro del tuo tiro?

- Accordatemi almeno tre palle- rispose il basco.

- Anche seise vuoi.

- Allora qualche albero andrà giú: che nessuno parli.

- Nemmeno io? - chiese don Barrejo scherzando.

- Voi meno degli altrisignor guascone.

Un profondo silenzio regnava sulla fregatarotto solo dal tamburellare delle vele e dai leggieri sibili della brezza la quale faceva vibrare cordami.

Tutti gli occhi si erano fissati sul galeoneil quale continuava la sua fuga verso ponentetendendo però sempre a gettarsi verso la costa che era visibilissimae non lontana piú di sei o sette miglia.

Mendoza continuava a rettificare la mira del pezzoborbottando e soffiando come una foca.

Si sa già che i tiri in marecontro un corpo mobile e colle improvvise scosse che subisce la navesono sempre difficilissimispecialmente su velierii quali non hanno una assoluta stabilità a causa dei soprassalti del vento.

L'impresa del basco non era quindi una cosa da ridere.

A un tratto una fortissima detonazione che scosse tutto il cassero della Folgorerimbombò; il pezzo da caccia aveva finalmente fatto fuoco.

Mendoza e il guascone che gli stava presso erano saltati in mezzo alla densa nuvola di fumomentre il conte ed il suo luogotenente si curvavano sul ponte di comandocome se cercassero di seguire la corsa del proiettile.

Mendoza aveva mandato un grido di collera. Non era stato l'albero maestro del galeone a precipitare sulla toldabensí il pennone dell'immensa vela di gabbia era spaccato a qualche metro solo dalla coffa.

- Ahlupo mionon hai strappato che una penna a quell'uccellaccio! - disse il conte. - Era un'ala che io volevo.

- Ho ancora cinque palle a mia disposizionecapitano - rispose il basco.

- Non ti disperare però: anche una penna è qualche cosa e quel galeone non correrà piú come prima.

Un rimbombo spaventevole coprí le sue ultime parole.

Il galeone aveva scaricato tutti i suoi pezzi di babordo d'un colpo soloma non avendo le artiglierie di quei tempiad eccezione dei lunghi pezzi da cacciache un tiro molto debolei proiettili non giunsero fino alla fregata.

- Quella gente ha polvere e ferro da sprecare! - disse il conte. Che abbiano voluto solamente spaventarci? Ohsiamo troppo abituati a quella musicanon è verosignor Verra?

- Non produce piú alcun effetto su di noi - rispose il luogotenenteil quale stava caricando tranquillamente la sua pipa. - Prima che quelle palle giungano fino a noiio avrò terminata la mia fumata.

Intanto Mendozaaiutato da alcuni filibustieri aveva ricaricato il pezzo non potendo per il momento servirsi dell'altroa motivo della posizione che occupava il galeone.

Per la seconda volta aveva corretto la mira. Gli spagnuoli avevano subito approfittato di quella sosta per rialzare la loro vela e fissare un lembo alla coffanon potendo pensare a sostituire il pennone.

- Compare- disse il guascone al basco - badate di non perdere i doblonialtrimenti non potrete piú restituire quello che avete perduto con me nelle cantine della marchesa.

Mendoza non rispose; continuava a mirare attentamentespostando lentamente la bocca del pezzo per mantenerlo sulla linea del galeone. Il colpo partíseguitodopo qualche istanteda un urrà fragoroso e dalle grida di:

- BravoMendoza!

Non era un'altra penna che il basco aveva strappato alla nave avversaria.

L'albero maestrospaccato un po' sotto la coffaera caduto attraverso il galeonespezzandocol proprio pesole sartie ed i paterazzi e facendo inclinare fortemente la nave sul babordo.

La grande vela latina e quella quadrata soprastante erano pure caduteingombrando la tolda e coprendo buona parte dell'equipaggio.

- Ecco un tiro meraviglioso! - esclamò il guascone. - Il mio doblone è al sicuro.

- Siete soddisfattosignor conte? - chiese Mendoza trionfante.

Il signor di Ventimigliainvece di risponderesguainò la spadagridando con voce tonante:

- All'abbordaggiomiei bravi!... Fra dieci minuti il galeone sarà nelle nostre mani!



CAPITOLO XII

IL SEGRETARIO DEL MARCHESE DI MONTELIMAR


Il galeonefermato in piena volatanon poteva ormai piú sfuggire all'attacco della fregata.

Gli spagnuolipassato il primo momento di terroresi erano messi subito all'opera per sgombrare la nave dall'albero che poteva impacciare le loro mosse nel momento dell'abbordaggio.

Lo avevano colpito con le scuri e con le seghementre gli uomini addetti ai pezzi delle batterie aprivano un fuoco d'infernocon la speranza di tener lontana la nave corsara.

La Folgore a sua volta aveva cominciato a rispondere con gran vigore e non solamente con i suoi pezzi.

I bucanieri erano saliti in coperta etrovandosi il galeone a buon tironon facevano risparmio di proiettiliprendendo di mira soprattutto i piloti e gli ufficiali del ponte di comando.

La distanza spariva rapidamentepoiché la fregata precipitava la corsa per impedire agli spagnuoli di riorganizzarsi.

Le cannonate si susseguivano alle cannonateora in alto per spezzare le alberaturee ora in bassoquasi a livello dell'acquaper rovinare la carena.

Gli uomini incaricati di chiudere i fori aperti dalle palle con dei grossi tappi di legnoche venivano ribattuti febbrilmentenon restavano inoperosi e cadevano in buon numero sui banchi.

Anche in coperta la strage era grandespecialmente sul galeone che non aveva pezzi da caccia sul cassero e i cui archibugieri non potevano competereper esattezza di tirocoi formidabili bucanieri.

Non erano trascorsi dieci minutiquando la Folgoreche procedeva tutta avvolta in un'immensa nuvolaglia di fumofu addosso al galeone.

Il luogotenenteche aveva presa la ribolla del timoneabbordò il legno nemico a poppaimbrogliando il bompresso fra le sartie ed i paterazzi dell'artimonementre i gabbieri di prora lanciavano rapidamente numerosi parabordi per attenuare l'urto.

Non per tanto la scossa fu taleche le due navi s'inclinarono spaventosamente a babordo l'una ed a tribordo l'altra.

La voce del figlio del Corsaro Rosso echeggiò come uno squillo di tromba:

- A me i bucanieri! Sul ponte gli uomini delle batterie!

Si era precipitato verso il castello di pruaseguito dal guasconeil quale faceva fare alla sua draghinassa dei terribili mulinellida Mendoza che brandiva una scure e dai bucanierii quali avevano allora ricaricati i loro archibugi.

Trenta o quaranta spagnuolifra fucilieri e marinaiavevano invaso il cassero per contrastare ferocemente il passo agli assalitoriurlando a squarciagola:

- Morte ai corsari! Cacciamoli in acqua!

Il conte di Ventimigliail guascone e Mendoza furono i primicorrendo sul bompressoa piombare sul vascello spagnuoloscaricando le pistolee a saltare sul cassero.

Proprio in quel momento la fregatache non era ancora stata saldata al galeone con i grappini d'arrembaggiosospinta dal vento indietreggiòlasciando soli i tre valorosi uomini.

Il momento era tragicoperché i bucanieri non potevano a loro volta montare all'abbordaggiodovendo superarecon un saltouna mezza dozzina di metricosa assolutamente impossibile anche a quegli intrepidi cacciatori per quanto agili fossero.

Un urlo si era alzato sulla fregata.

- Salviamo il conte!

Gli spagnuoliarmati di spadonidi scuri e di alabardesi erano precipitati verso i tre coraggiosisicuri di vincerli facilmente. Ma avevano trovato dei formidabili spadaccini.

Il signor di Ventimigliaper nulla atterrito da quell'incidenteaveva impegnato risolutamente la lottain attesa che i bucanieri e i filibustieri accorressero in suo aiuto.

Degno nipote del Corsaro Neroil piú famoso spadaccino del golfo del Messicosi era avventurato contro i nemici con impeto feroceimpegnando un terribile combattimento.

Il guasconecome se volesse dimostrare che se i figli della sua terra erano ricchi di spacconate erano anche robusti di braccio e pieni di coraggiol'aveva seguitomenando colpi furiosi di draghinassa ed urlando come un indemoniato:

- Largo ai guasconi!

Mendoza vibrava invece tremendi colpi di scurespaccando elmetti e corazze e troncando spade e alabarde.

Sembravano tre diavoli scatenati.

Fischiava la spada del conte e scrosciavano formidabilmente la draghinassa del guascone e la scure del basco.

La lotta però di tre contro centopoiché dai boccaporti del galeone salivano con furia artiglieri e marinainon avrebbe potuto durare a lungo senza i bucanieri.

Vedendo il conte in pericoloquei meravigliosi bersaglieri avevano aperto un superbo fuoco di filaprendendo di fianco gli spagnuolimentre i gabbieri delle coffe scaraventavano delle granate che usavano allora lanciare colle manisenza badare al pericolo di vedersele scoppiare sotto gli occhi.

I marinai della fregata non perdevano intanto il loro tempo. Con rapidità prodigiosa avevano gettati i grappini d'arrembaggio attraverso le griselle e le sartie del galeoneper riunire le due navi in uno stretto ed altrettanto pericoloso abbraccio.

Già il conte ed i suoi due compagni stavano per cedere dinanzi agli spagnuoli i quali li assalivano a colpi d'alabardadi spade e di scuriquando i bucanieri saltarono sul cassero del galeonesenza attendere che il contatto fosse avvenuto fra le due grosse navi.

Una scarica terribileche produsse una vera stragecostrinse gli assalitori a ripiegarsi fra il trinchetto e l'albero d'artimonedove era stata rapidamente innalzata una barricata con botticordamipennoni di ricambio e pezzi d'artiglieria fuori d'usoche ormai non servivano che per zavorra.

Tutta la difesa del galeone doveva concentrarsi in quel luogo.

Il figlio del Corsaro Rossouscito incolume da quella prima lottariorganizzò rapidamente i suoi bucanierii quali avevano lasciati i loro archibugi per impugnare delle corte e pesanti sciabole d'abbordaggio e mosse arditamente all'attaccomentre i filibustieri balzavano a loro volta sul cassero del galeonemandando urla feroci.

Il conte aveva fatto subito impeto contro la barricatama aveva dovuto retrocedere dinanzi all'accanita resistenza dell'equipaggio spagnuoloil quale si difendeva specialmente a colpi di alabardearmi assai pericolosecontro le quali le spade e le sciabole non avevano sempre buon giuoco.

Non si era però scoraggiato di quel primo scacco.

Aspettò che i suoi fìlibustieri si raccogliesseroe poi per la seconda volta montò all'assaltomentre i due pezzi da caccia mitragliavano il castello di prora del galeonedove si erano annidati una ventina di archibugierii quali mantenevano un fuoco vivissimo e anche micidialissimo.

Mentre i bucanieri e i filibustieri impegnavano la lotta col loro solito slanciogli artiglieri delle due navi si scambiavano colpi di pistola attraverso i sabordi delle batterie e perfino qualche colpo di cannoneprovocando delle gigantesche fiammate che potevano causare qualche terribile incendio.

Dinanzi alla barricata si combatteva frattanto con pari furore. Gli spagnuoli opponevano una resistenza disperata e non cedevano il campoquantunque i bucanieri avessero ripreso i loro archibugimolto piú utili delle sciabole in quel momentoe li fucilassero quasi a bruciapeloe i gabbieri non cessassero di scagliare granate.

Il figlio del Corsaro Rossospalleggiato dal guasconeper ben tre volte era montato sulla barricata e per altrettante volte aveva dovuto ridiscenderne per non cadere sotto i colpi di picca e d'alabarda.

- Amici! - gridò volgendosi un istante verso i filibustierii quali parevano esitanti - un ultimo sforzo e il galeone è nostro!

Per la quarta volta l'equipaggio della fregata montò all'assalto con rabbia ferocemenando disperatamente le mani e sparando colpi di pistolae dopo un sanguinoso corpo a corpo s'impadroní della barricatanon senza aver subito perdite considerevoli.

Gli spagnuoliche non erano riusciti a tener testa a quella carica irresistibileerano ripiegati in massa verso il castello di proraForse con l'intenzione di tentare l'ultima resistenza.

Il signor di Ventimigliache stava ritto sulla barricataalzò la spada lorda di sanguegridando:

- La resa o la strage: scegliete!

Gli spagnuoli erano rimasti silenziosiimpugnando sempre rabbiosamente le armi. Certoil desiderio di ritentare la lotta non mancava in quei valorosi: ma dopo essersi contati e di aver constatato che le loro perdite erano troppo enormi e le loro forze troppo scarse per riconquistare il terreno perdutosi decisero a gettare le armi sul ponte.

Il capitano del galeoneun vecchio dalla lunga barba biancache si era sempre battuto in prima fila col coraggio d'un leonescese la scala del castello di prorae avanzò solo verso la barricatadietro la quale stavano i bucanieri con gli archibugi spianati.

- Che cosa intendete fare di noi? - chiese guardando il conte con ira. - Gettarci in mareforse?

Il signor di Ventimiglia fece col capo un gesto negativopoi muovendogli incontro col cappello in manorispose:

- Il figlio del Corsaro Rossoconte di Ventimiglia e signore di Roccabruna e di Valpentaè abituato a stimare il valore sventuratosignore.

- Il figlio del Corsaro Rosso! - esclamò il capitano del galeone. - Il nipote del famoso Corsaro Nero! Da un gentiluomo il mio equipaggio non avrà nulla da temere. Signor contevi saluto! Che cosa desiderate?

- Che mi venga consegnata una persona che si trova a bordo della vostra nave e che mi è necessaria - rispose il signor di Ventimiglia.

- Chi?

- Il segretario del marchese di Montelimar.

Un grido si alzò fra l'equipaggiopoi un uomo sui quarant'annidi media staturacon barba e baffi neri e due occhi assai penetrantisi aprí il passo fra i marinaie scese rapidamente la scala.

- Domandate di me? - chiese avanzando verso il ponte.

- Sísignor Barquisimeto - rispose il corsaro.

- Che cosa volete?

- Che passiate sulla mia fregata.

- Prigioniero?

- Pensate forse che io abbia assalito il galeone per il capriccio di saccheggiarlo o di fare strage del suo equipaggio?

- E degli altri che cosa ne farete?

- Sono liberi! - rispose il signor di Ventimiglia.

- Che cosa dite?

- Che sono liberivi ripeto.

- E tutto questo furioso combattimento è avvenuto per fare di me un prigioniero? - chiese il segretario del marchese di Montelimar con stupore.

- Precisamente.

- Ma che cosa volete da me?

- In questo momento non posso dirvelo. Passate sulla mia fregata e il galeonese sarà ancora in grado di continuare il suo viaggiose ne vada pure.

- Senza saccheggio? - chiese il capitano della navefacendosi a sua volta innanzi.

Il conte lo guardò per qualche istantesorridendo della sua sorpresapoi chiese:

- A quanto stimate le ricchezze contenute nel vostro galeonecapitano?

- A mille e cinquecento piastre.

- Non portate verghe d'oro?

- Nessuna.

- Pagherò al mio equipaggio le piastre che avrebbe potuto conquistare nel saccheggio della vostra nave - dichiarò il conte.

- E lo stendardo di Spagna?

- Sventolerà sempre sull'asta di poppa - rispose il conte. - Il grande stendardo di Spagna non si abbassa per ora dinanzi agli sguardi del figlio del Corsaro Rossoo megliodel conte di Ventimiglia... Signorisiete liberi! A me però il segretario del marchese di Montelimar!

Il vecchio capitano del galeoneche non aveva ancora lasciato cadere la spadafece atto di gettarla a terrama il conte con un rapido gesto lo fermò dicendogli:

- Conservatela per altre battaglie piú fortunatesignore: io non sonocome tanti filibustieriun nemico giurato della vostra razza. A me basta compiere la mia missione e niente piú.

- Quale?

- È un segreto che non posso confidare a voi. Signor Barquisimetovolete seguirmi o no? Dalla vostra risposta dipende la salvezza del galeone.

Il segretario del marchese di Montelimar ebbe una breve esitazionepoi disse:

- Piuttosto che la bandiera della mia patria scenda dall'alberoeccomisignor conte. Affido però la mia vita alla vostra lealtà.

Il signor di Ventimiglia non rispose.

Il segretario fece alcuni passi innanzi.

- Eccomisignor conte- disse.

- A bordoamici - rispose il corsaro.

I filibustieri e i bucanieri lasciarono la barricata e si ritrassero lentamente a bordo della fregatama tenendo sempreper precauzionegli archibugi puntati contro gli spagnuoli.

Il segretario del marchese di Montelimarquantunque pallidissimoli aveva seguiti. Quando il figlio del Corsaro Rosso lo vide attraversare il bompresso e mettere i piedi sul castello di prora della Folgoregridò con voce tonante:

- Ritirate i grappini d'arrembaggio e contrabbracciate le vele!

La manovra fu eseguita in un momento dai corsari di servizio sulla toldamentre i cannonieritemendo una sorpresasi precipitavano nelle batterie.

Il conteritto sulla prora altissima della fregatasi levò nuovamente il cappello edopo aver alzato la spadal'abbassò gridando ai suoi corsari:

- Salutate i colori della vecchia Spagna! È il nipote del Corsaro Nero e del Corsaro Verde che ve l'ordina! Salutate i valorosi!

Mentre la fregata indietreggiava lentamenteessendo ormai stati tolti i grappini di arrembaggioi bucanieri fecero una scarica di archibugisparando in altocon non poco stupore degli spagnuolii quali erano rimasti raccolti sul castello di prora del galeone.

Gli hidalghida veri cavalieri andalusinon furono da meno dei filibustieridi quei terribili uomini che avevano giurato la distruzione completa di tutte le colonie spagnuolecolla scusa di vendicare gl'indianie non a tortodei tanti delitti efferati commessi dai primi conquistadorese spararono anch'essi in altogridando:

- Buon viaggio al figlio del Corsaro Rosso!

La fregataormai liberaveleggiava lungo la poppa del galeone.

Le due bandierequella del conte di Ventimiglia e il grande stendardo di Spagnascesero per tre volte fino sul cassero e per altrettante si alzaronopoi le due navi si separarono.

La fregata aveva ripresa la sua rotta verso ponentementre il galeoneche era uscito dalla lotta assai maltrattatometteva la prora verso la costa di San Domingo per cercare un rifugio in qualche porto.

- Centomila fulmini del mar di Biscaglia! - esclamò il guasconequando le due navi furono lontane un tre o quattrocento metri. - Questi si chiamano combattimenti!... e con tanta faticasí e no ho guadagnato il doblone che quel basco fortunato ancora mi deve. Se io fossi stato al posto del signor di Ventimiglianon avrei lasciata nemmeno una piastra a quel galeone del malanno. Venti morti per avere un misero segretario!... Quello non valeva nemmeno una carica per la pipa!

Si era voltato verso Mendoza il qualenon meno avaro di luistava contando i dobloni che il conteda uomo di parolagli aveva subito versatimentre il luogotenente faceva distribuire all'equipaggio le mille e cinquecento piastre che avrebbe potuto ricavare dal saccheggio del galeone.

- Ohécompare- gli disse. - Siete stato pagatomi pare.

- Il conte è un galantuomo- rispose Mendoza. - Una vera parola d'oro. Parla e cola oro!

- Non ho mai avuto bisogno di occhiali io!... Un guascone colle lenti sarebbe ridicolo.

- E cosí?

- Dimenticatecomparequel doblone che abbiamo scommesso nella cantina della marchesa di Montelimar. Era Alicante o Xeres?

- Xeres.

- I baschi sarebbero meno gentiluomini dei guasconi? Vivaddio! Era Alicante!... Di vini spagnuoli io me ne intendo.

- I baschi sono galantuomini- rispose gravemente Mendozaridendo. - Riconosco il mio tortoma pel momento voidon Barrejonon avrete quel dobloneperché avendolo scommesso in una cantina dovremo berlo in un'altra cantina. Vi pare? Fuori del mar di Biscaglia!

- Non ho mai trovato un compare cosí furbo! - gridò don Barrejo. - Credevo che i guasconi fossero i piú furbi dell'orbe terracqueo ed ora m'accorgo che i baschi sono...

- Che cosa? - chiese Mendozaridendo.

- Fiori di canaglie!

- Volete provocarmidon Barrejo? Lo sappiamo già che i guasconi sono spadaccini e anche attaccabrighe.

- E i baschi?

- Testardi.

- Una parola molto sonora e che non dice nulla- disse il guascone.

- Perdinci!... Vuol dire che quando un basco ha detto una cosavivo o mortosarà sempre quella.

- Ah!... Ho capito!... Come quella di bere il doblone.

- Ecco i guasconi che ridiventano furbi.

- Che il diavolo vi porti all'inferno- disse l'avventurieroridendo. - Me l'avete ben giuocato quel doblone.

- State sicuro: andremo a berlo in qualche cantina dell'America centrale.

Mentre i due compari discutevano sul doblone e la fregata riprendeva la sua corsa verso ponenteriparando alla meglio i danni subiti durante quell'accanito combattimentoil signor di Ventimiglia aveva pregato cortesemente il segretario del marchese di Montelimar di seguirlo nel salotto del quadro.

- Sedetevicavaliere- disse il contequand'ebbe chiusa la portaindicandogli una sedia. - Abbiamo molto da discorrere fra noi.

- Ciò mi stupisce molto- rispose il segretario del marcheseil quale appariva assai pallido e molto inquieto. - È la prima volta che io vi vedosignore.

- Ne sono convintoperché solamente da qualche mese mi trovo nelle acque del Golfo del Messico.

- Per quale motivo?

- Per cercare voiprima di tutto- rispose il contesedendosi di fronte al segretario.

- Sono dunque un uomo cosí prezioso?

- L'avete veduto or ora. Per avervi nelle mie maniho messo in pericolo la mia fregata e anche la vita mia e quella del mio valoroso equipaggio. Sapete già chi sono?

- Il figlio del Corsaro Rosso.

- Avete conosciuto mio padre?

Il segretario del marchese di Montelimar diventò lividoma non rispose.

- Cavaliere- disse il conte con voce un po' aspra - non dimenticate che siete completamente in mia balia e chese anche sono un gentiluomoho nelle vene il sangue dei formidabili corsari che devastarono le colonie spagnuole del grande Golfo. Rispondete alle mie domande.

- Ebbenesíl'ho conosciuto - rispose il segretario del marchese.

- Dove?

- A Maracaibo.

- Quando?

- Il giorno antecedente al suo supplizio.

Questa volta fu il conte che divenne pallidissimomentre un lampo d'ira illuminava i suoi occhi.

- Sapevano d'impiccare un gentiluomo? - chiese con voce sordastringendo i denti.

- Io credo di sí.

- Chi pronunciò la sentenza di morte contro mio padre e contro tutti i suoi marinai sfuggiti al naufragio?

- Non lo so.

- È inutile che cerchiate d'ingannarmi! - disse il signor di Ventimiglia balzando in piedi. - È stato il marchese di Montelimarvostro signore.

- Perché chiedermelo allora? - disse il cavaliere.

- Volevo essere sicuro della cosa.

Il conte girò due o tre volte intorno alla tavola che occupava il centro del salotto; poifermandosi bruscamente dinanzi al segretarioil quale lo guardava con terroregli disse:

- Mio padre ed i miei due ziiil Corsaro Verde ed il Corsaro Neroerano venuti in America per vendicare la morte del loro fratello maggiore ucciso a tradimento dal duca Wan Guld e non già per corseggiarecome fanno tutti gli altri filibustieri della Tortue. I Ventimiglia hanno ancora nel Piemonte terre e castelliquanti forse non ne possiedono i vostri grandi di Spagna o i vostri conquistadores arricchitisi con le spoglie dei disgraziati cacichi del Messico o del Perú.

- L'avevamo saputo dal nostro ambasciatoreaccreditato presso la corte dei duchi di Savoia - rispose il segretario del marchese di Montelimar.

Il conte fece un gesto con la destracome per allontanare qualche lontano ricordopoi riprese:

- Torniamo al nostro discorsocavaliere. Mio padreprima di partire per l'America insieme con i suoi fratelliil Corsaro Nero ed il Corsaro Verdeaveva sposato una principessa del Brabante che morí dandomi alla luce. Io non so in quale epoca egli sposò qui la figlia del grande cacico Harare del Dariendalla quale ebbe una figlia. Ne avete udito parlare?

- Sívagamente.

- Quando la nave di mio padre naufragò sulle coste di Maracaiboquella bambina si trovava fra i superstitinon è vero?

- Chi ve lo disse?

- Un giornofrugando fra le carte di mio padreappresi che io avevo una sorellina in America. Morganche è oggi il governatore di Giamaica e che ha sposato Jolandala figlia del Corsaro Neromi ha confermatoor non è moltoche la notizia era vera. Che cosa ne ha fatto il marchese di Montelimar di quella fanciulla? Parlatecavaliere! Perché se un'infamia fosse stata commessaguai al vostro signore! Un Ventimiglia non perdona!

Il figlio del Corsaro Rossocosí parlandoera diventato terribile.

I suoi lineamenti si erano alteratiassumendo una espressione selvaggia ed i suoi occhi mandavano lampi sinistri.

- Mi avete capitocavaliere? - gridòbattendo fortemente il pugno sul tavolino. - Che cosa ne avete fatto di mia sorella? Io sono venuto appositamente in America per cercarlarisoluto a mettere sottosopra il gran Golfopur di trovarla! Ho nelle mie veneve lo ripetoil sangue di gente di guerra e di corsari e farò vedere ai vostri compatriottial balenar delle mie artiglierielo stemma dei Ventimiglia.

- Calmatevisignor conte - disse il segretario.

- È morta o viva mia sorella?

- È viva.

- Me lo giurate?

- Sul mio onore!

- Con questa affermazione voi avete salvata la vita al vostro signore.

- Volevate ucciderlo?

- Sícon un buon colpo di spada - rispose il conte. - Dove si trova mia sorella?

- Non ve lo saprei diresignor conte sul mio onore.

- Che sia un onore dubbio? - chiese il signor di Ventimigliafacendo un gesto di minaccia. - Dovrò andare dal vostro signore a chiedere notizie di mia sorella? Ditemelo.

Il cavaliere impallidípoi divenne rosso.

- Signor conte- dissecon voce fremente- quando un hidalgo spagnuolo giura sul suo onorenon vi è gentiluomo di Europa che possa stargli di fronteperché innanzi a tutto noi siamo cavalierici abbia creato Filippo secondo o Carlo quinto. Se dubitateio sono pronto ad incrociare la mia spada contro di voi. I gentiluomini della vecchia Castiglia muoionoma non si arrendono!... Mi avete capitosignor conte?

Il signor di Ventimiglia lo aveva guardato con viva sorpresa. Per qualche istante strinse l'impugnatura della sua spadapoi disse:

- Nocavaliere. Ho avuto torto a offendervi e da buon gentiluomo vi faccio le mie scuse. Voi dunque non sapete dove si trova mia sorella?

- Io ho udito dire una sera dal marchese di Montelimar che l'aveva affidata ad un mayoral della costa del Pacifico. A Panama o dove? Questo non lo so; ve lo affermo solennementesignor di Ventimiglia.

- Ad un mayoral? Che cos'è? Io non conosco perfettamente la vostra lingua.

- Ad una specie d'intendente - rispose il cavaliere.

- Che voi non conoscete?

- No.

- Sicché sarà necessario che io vada a scovare il vostro signore.

- Se riuscirete a sapere dove si trova.

- Lo so di già - rispose il conte.

- È impossibile!

- Allora vi dirò che il vostro signore si trova ora a Pueblo-Viejo. Il segretario del marchese ebbe uno scatto e fece un gesto d'ira.

- Chi ve lo ha detto? - chiese con i denti stretti. - La marchesa Carmen di Montelimarnon è vero? Oh!... lo so che ha sempre odiato suo cognatocome so pure che ha favorito la vostra fuga da San Domingo.

- V'ingannatesignore! - rispose il conte. - Lo avevo saputo prima da mio cugino Morgan.

- L'uomo nefasto che ci ha rovinato Panama e che ha sposato Jolandala figlia del Corsaro Nero.

- Precisamentesignor Barquimiseto.

Il segretario del marchese di Montelimar si morse le labbra a sangue.

- E voi andate a trovare il mio signore? - chiese.

- Vi ho detto che sono venuto in America per cercare prima di tutto mia sorella!

- E poi?

- Ah!... Il resto non vi riguardasignore.

- Ma s'indovina: voi siete venuto qui per vendicare vostro padre.

- Io non ho ancora detto questo. Voi dunque non sapete dove si trova la nipote del grande cacico del Darien?

- Nove l'ho già dettoÈ stata affidata ad un mayoral e non ne so di piú.

- Me lo dirà il marchese - disse il contealzandosi impetuosamente. - Vi avverto intanto che voi rimarrete mio prigioniero fino a che la mia missione non sarà finita; e due uomini vigilerannogiorno e nottesu di voi. Non contate quindi su di un possibile tentativo di fugapoiché i miei filibustieri sono d'una fedeltà a tutta prova e non esiterebbero un solo istante ad uccidervi. D'altronde io farò quanto posso per rendervi meno pesante la prigioniaperché pranzerete alla mia tavola e sarete trattato con tutti i riguardi ai quali ha diritto un cavaliere spagnuolo. Addiosignore; potete andare a riposarvi nella cabina che sta di fronte a noi: siete mio ospite.

Ciò detto il conte uscí dal salotto e salí in coperta dove l'attendevano con viva impazienza il suo luogotenenteMendoza e il terribile guascone.

- Dunque? - chiese il signor Verra.

- Ho finalmente la certezza che mia sorella è viva - rispose il signor di Ventimiglia. - Voi non potete immaginare quale desiderio abbia io di vedere quella fanciulla color cioccolata o rame finissimo. Farà furore alla corte dei duchi di Savojai quali già non ignorano la storia dei tre formidabili corsari.

Poivolgendosi verso Mendozagli domandò:

- Tu che sei uno dei piú vecchi filibustieri e che hai combattuto con mio padre e con i miei ziicredi che io possa da solo condurre a fine una tale impresa?

- Nosignor conte - rispose il marinaiotirandosi la barba.

Non si ripete due volte la fortuna di Morgane gli spagnuoli sono formidabili nell'America centrale. Chi rifiuterà però un aiuto al figlio del Corsaro Rossoal nipote dei corsari Verde e Nero? Forse che i piú famosi filibustieri non operano di là dell'istmo? DavidPusley e Grogner sono là! Andiamo a trovarlie nessuno di loro si rifiuterà di mettere le sue navii suoi uominile sue spade e i suoi pezzi a disposizione d'un conte di Ventimiglia.

- Potremo noi trovarli?

- Io so di positivo chedopo la loro disastrosa crociera verso lo stretto di Magellanohanno conquistato l'isola di San Giovanni e che là meditano chi sa quali formidabili imprese ai danni della Spagna!

- San Giovannihai detto?

- Síuna piccola terra che dista appena cinque leghe dal continente. Andiamo a trovare quei leonisignor contee faremo cadere il marchese di Montelimar e anche un'altra volta Panama. Il filibustiere non ha mai avuto paura e lo troverete sempre pronto a qualsiasi cimento.

- Sono i moderni guasconi. - disse don Barrejo. - Che gente meravigliosa!...

Il conte stette un momento immerso nei suoi pensieripoi disse:

- Credo anch'io che non si possa fare diversamente. L'aiuto di quei terribili filibustieri mi è necessario per lottare col marchese di Montelimar. Ma sei proprio certoMendozache si trovino sulle coste del Pacifico? Morgan mi aveva detto che erano partiti verso il sudper aggirare la Terra del Fuoco e tornare nel Golfo da quella parte.

- È verosignor conte; ma la loro impresa è fallita e sono tornati verso il settentrione ancora in buon numero. Si dice che abbiano con loro non meno di ottocento uomini e che si propongono di mettere a sacco tutta l'America centrale.

- Ehcon una simile forza non mi stupirei! So quanto valgono quegli uomini. E dove lasceremo noi la fregata?

- La rimanderemo alla Tortuesignore - disse il luogotenente. Voi sapete bene che mai gli spagnuoli oserebbero assalire la rocca dei filibustieri. Volete affidare a me l'incarico? Lasciatemi una trentina di uomini ed io m'impegno di sfuggire alle crociere dei galeoni e delle caravelle spagnuole.

- E poinon avete vostro cugino? - chiese Mendoza. - La Giamaica ha porti sicuried il signor Morgan è un uomo da difendere la vostra fregata contro tutti gli attacchi.

- E sarà meglio! - disse il signor di Ventimiglia. - Signor Verradate la rotta ai vostri piloti e andiamo a scovareprima di tuttoil marchese di Montelimar a Pueblo-Viejo. Se non mi dirà dove si trova mia sorellaguai a lui!... Sarò implacabile come mio zioil Corsaro Nero!

 

PARTE SECONDA

 



CAPITOLO I

I DUE SPACCONI DELLA FILIBUSTERIA


- È Xeres o Alicante questo?

- Per la mia morte non me ne intendo piúcompare.

- Avete bevuto troppo?

- Un guascone!... Che cosa ditesignor Mendoza?... Volete offendermi?

- Niente affattodon Barrejo.

- Perché i guasconi non tollerano offese.

- Lo sappiamo da un pezzodon Barrejo- disse il basco. Forse che non siamo del mar di Biscaglia?

- Ma voi siete dall'altra parte.

- E voi altri siete dall'altra pure.

- No!...

- Voi non siete marinaioquindi non sapete orizzontarvi.

- Un guascone!...

- Caramba!... Non sapete orientare nemmeno il vino! Ne volete una prova? Voi non sapete se quello che beviamo in questo momento sia Xeres od Alicante.

Il guascone si grattò a lungo la testafacendo parecchie smorfiepoi prese la tazza di terra cotta che gli stava dinanzi e con solenne gravità assaggiò lentamente il liquido che conteneva.

- Vi avvertodon Barrejochedopo quello che state bevendoio non metterò fuori piú un soldoperché il famoso doblone che abbiamo scommesso nella cantina della marchesa di Montelimar l'abbiamo già fatto rotolaretutto d'un pezzo!...

- Tutto il doblone bevuto!... - gridò il guascone.

- Me lo ha detto or ora il taverniere.

- Quello è un ladro!... Noi abbiamo bevuto un doblone?... Quanto fa pagare queste bottiglie?

- Che ne so io? L'aritmetica non è mai stata il mio forte.

- Vi ripeto che è un ladro!...

- È probabiletuttavia non andrò a gridarglielo sul muso.

- Voi non siete un guascone.

- Volete far nascere delle questioni? Sapete che il signor conte ci ha raccomandato la massima prudenza e che ci troviamo in mezzo a nemici.

- Un guascone non ha mai paura. Andrò a rompere la testa a quel ladrone che divoracon qualche bottigliadei dobloni.

- Uno... uno solodon Barrejo- disse Mendoza.

- In Guascogna con un doblone si beve un anno intero.

- Qui siamo in America.

Il guasconeche aveva bevuto un po' troppoanzi moltoscattò.

- Ladri di spagnuoli! - urlòfracassando la tazza che aveva appena allora deposta. - A vuotare le tasche!

Questa scena comicache poteva però con molta probabilità diventare tragica da un momento all'altrosuccedeva in una delle numerose taverne di Pueblo-Viejouna cittadina spagnuola distante non molte decine di leghe dalle coste dell'Oceano Pacificoassai ben munita di forti e di artiglierie e che cominciava in quell'epoca ad assumere una certa importanzamalgrado la vicinanza di Nuova Granata.

La taverna era una delle piú rispettabili della cittàfrequentata assiduamente da borghesi e soprattutto da avventurieri reduci dal Messicoben forniti d'oro e pronti a qualunque sbaraglio; e tutto pel motivo che il taverniere offriva alla sua rispettabile clientela dello Xeres e dell'Alicante autenticoil quale aveva attraversato lealmente l'Atlantico ed era maturato sotto il dolce sole della vecchia Spagnala madre patria.

All'ingiuria scagliata dal guasconedai trenta o quaranta bevitori che occupavano in quel momento la sala della tavernacentellinando le loro bottiglie e chiacchierando amichevolmente da tavolino a tavolinoun grido d'indignazione si era alzato.

- Chi è che ci offende?

- Gettate fuori dalla porta quell'ubbriacone!...

- Pestate il muso a quel mascalzone!...

- Fuori!... Fuori!...

Il guascone era balzato in piedirosso come un gambero cottocolla sinistra posata fieramente sulla sua terribile draghinassa.

- Pare che si gridi contro di me- dissesaettandocoi suoi occhietti neriborghesi e avventurieri.

- Fuorimascalzone! - urlò un omaccio barbutoche portava al fianco una draghinassa non meno lunga di quella del guascone.

Don Barrejo si volse verso il bascoil quale stava sorseggiando tranquillamente il suo Xerescome se la cosa non lo riguardasse affatto.

- Avete mai vedutocomparedella gente cosí insolente? chiese.

- Quando io sto gustando del buon vinodivento sordo- rispose il bascoil quale rideva sotto i baffi.

- Io faccio una frittata di tutti questi pappagalli!...

- Badate che quei pappagalli hanno becco e artigli e che sono capaci di fare a pezzi un guasconeabiti al di qua o al di là del mar di Biscaglia- rispose il basco. - Picchiano sodoquando ci si mettonoe hanno del coraggio da vendereve lo dico io.

Gli avventurieri si erano radunati in un angolo della salaurlando sempre:

- Fuori!... Fuori!...

- Chi fuori? - urlò il guascone con voce formidabile.

- Tuche sei briaco- rispose l'omaccione barbuto.

- Un guascone!...

In quel momento comparve il tavernierearmato d'una pesante casseruolaseguito da quattro aiutanti che si erano muniti frettolosamente di spiedianzi cosí frettolosamenteche uno portava ancora infilzata un'anitra mezzo arrostita.

- Che cosa vuole questa gente? - urlò il guascone.

Poivedendo l'anitra infilzata nello spiedocomandò con voce tuonante:

- A me quel mortoladro d'un taverniere!... Ci servirà da cena e pago io questa voltaè veroMendoza?

- Te lo getto sul musobrutto meticcio! - strillò il taverniere. E poi ti romperò la testa colla mia casseruola!

Uno scoppio di risa immenso accolse la risposta del tavernierema non rise il terribile guascone.

- Tonnerre! - urlò. - Da quando si caricano i guasconi a colpi di casseruola!... Furfante d'un tavernierelascia almeno il posto ai tuoi aiutanti! Hanno degli spiedi e gli spiedi sono armi in tutti i paesi dell'orbe terracqueo!...

Fu uno scoppio di risa che seguí la truce risposta del guascone. Ridevano i borghesi e gli avventurierima forse rideva di piú il bascoquantunque gli spiacesse che quel rodomonte si compromettessedopo le tante raccomandazioni del figlio del Corsaro Rosso.

- Quest'uomo è pericoloso- ripeteva il bravo marinaio. - Il mio doblone gli è salito al cervello e chissà ora che cosa farà questo stretto parente del diavolo. La nostra missione finirà quipur troppo.

Il taverniereirritato dalle risa sardoniche dei borghesi e degli avventurierisi era avanzato minacciosamente contro il guasconecolla casseruola alzataurlando ferocemente:

- Fuori di quaubbriaconeo ti rompo il muso!... Via!... Via!... Non voglio scandali qui!

Don Barrejoche già vedeva rossodivenne questa volta pallido.

- Miserabile! - tuonò. - Il muso lo hanno gli animali e non già gli uomini e meno ancora i guasconi! A me dare del maiale... Spillerò il tuo sangue e lo darò da bere a questa onorevole compagnia.

Un urlo d'indignazione si alzò fra i presenti.

- Bevilo tu!...

- Vivaddio- gridò il guascone. - Lo berrà allora la mia spada!...

- Se avrà sete- disse Mendozail quale non cessava di ridere.

Il taverniere aveva fatto qualche passo innanziimpugnando sempre la sua terribile casseruola.

Era un omaccioalto e grosso quanto l'avventuriero barbutocapace di dare una solenne lezione al rodomonte del mar di Biscagliase avesse avuto fra le mani qualche cosa di meglio d'una casseruola.

Sicuro però di essere validamente spalleggiato dai suoi aiutanti e dai suoi clientisi avanzò intrepidamente contro il guasconegridando:

- Uscite sí o noubbriacone? La mia taverna è frequentata da persone dabbeneche non desiderano affatto di essere disturbate.

- E che si lasciano derubare come pecoroni- rispose il guascone- perché tu sei il piú grande ladro che io abbia conosciuto sulla terra.

- A meladro! - strillò il taverniereinferocito. - Ora ti accoppo!

Aveva fatto un altro passo innanziminacciando di far uso della sua casseruola.

Il guascone che doveva aver perduto l'orientazione dopo le copiose bevutetrasse con un gesto maestoso la sua draghinassa e si mise bravamente in guardiadicendo a Mendoza:

- Avanti i guasconi!

Il lupo di mare rimase tranquillamente seduto dinanzi alla sua tazzaancora quasi pienadicendo:

- Ma che!... Io sono un basco che abita dall'altra parte del mar di Biscaglia!

Don Barrejo fece una smorfiapoi si slanciò come un toro furioso contro il tavernierevociando come un ossesso:

- Largo ai guasconi!

La sua draghinassa piombò con un fragore assordante sulla casseruolafacendola saltare dall'altra parte della sala con un fragore assordantepoi si precipitò contro l'aiutante che aveva ancora infilzata l'anitra nello spiedo.

Levargliela di colpo con una puntata meravigliosa e gettarla sul tavolinoproprio dinanzi a Mendozafu l'affare d'un momento.

- Per la cenacompare! - gridò. - Lo Xeres mi ha messo indosso un appetito sorprendente. La mangeremo quando avrò accoppata tutta questa gente. Ecco quello che sanno fare i guasconi!

Gli aiutanti ed il tavernierespaventati dall'aspetto terribile del formidabile spadaccinoerano scappati piú che in fretta in cucinagettando gli spiedi; però non era scappato l'uomo barbutoun vero tipo d'avventuriero giunto forse dal Perú o dal Messico.

- Señor- dissefacendosi innanzi e sguainando a sua volta la sua draghinassa. - Contro i cuochi del taverniere combattete meravigliosamente e fate fuggire perfino le casseruole. E le spade? Vorrei vedervi se sareste capace di fare altrettanto. Ci avete fatto ridere ed ora cominciate ad annoiarci. O usciteo vi accenderemo qui dei ceri.

Mendozache fino allora aveva risosi era alzatosnudando rapidamente la sua spada.

Don Barrejoaccortosenesi volse verso di luidicendogli:

- Ohécomparelasciate fare ai guasconi. I baschi verranno dopo se ve ne sarà bisogno.

- Voi avete bevuto troppo e un colpo di spada piomba senza accorgersene.

- Vi darò oracompareuna solenne smentita.

L'omaccio barbuto buttò a terra la sua draghinassadicendo con voce irata:

- Mi pare che si chiacchieri troppo qui. Sareste voi invece i pappagalli?

- Se non sono sordovoi avete detto ad un guascone del pappagallo! - gridò don Barrejo.

- Guascone o non guasconevi dico che se non siete un pappagallo sarete di certo una scimmia rossa! - urlò l'avventurieroimpazientito.

- Avete uditocompare? - chiese il guasconevolgendosi verso Mendozail quale frenava a stento le risa. - Ci ha chiamato scimmie rosse.

- Voi soloper ora- rispose il filibustiere.

- Lo dico anche a voi- disse l'avventuriero irritato.

- Avete uditocompare? - chiese il guascone.

Mendoza posò la spada sulla tavola e levò di sotto la casacca una navajaaprendola.

Fra il profondo silenzio che regnava nella saladisse con voce grave:

- Se il mio amico non vi getterà a terraquest'armache non è lunga nemmeno un terzo della vostra spadavi spaccherà la gola. Parola di basco!...

- Uh! che spacconi! - gridò l'avventuriero.

- Ohécompareaspetterete prima che gli tagli la barbadisse il guascone. - Potrebbe far deviare la lama.

- Io però prima ti metterò in bocca le budella!

- I guasconi non hanno mai mangiato di questa robarispose don Barrejo.

- Finitelacialtrone!

- A me cialtrone!

- Buffone!

- A me buffone!

- Pauroso!

- Un guascone!

- Vieni avanti furfante!

- Ecco che ti faccio la barba!

Il guascone si era slanciato innanzicolla draghinassa tesaminacciando di passare da parte a parte l'avventuriero.

Questi aveva fatto subito un salto indietromettendosi in guardia.

- Tu non sei uno spadaccino- disse il guascone. - Tu credevi di aver dinanzi qualche indiano e non un maestro d'armi. Allunga un po' la gamba destraper Bacco!... Quella lí è la guardia d'uno scolaro.

- Canarios! Prendi questa! ruggí l'avventurierotirando un colpo furioso.

Il guascone fu lesto a parare.

- Non è cosí che si attacca- disse don Barrejo. - Il vostro maestro non valeva niente: era un vero asino.

- Pretendete d'insegnare la scherma a me? - urlò l'omaccione barbutosbuffando.

- Un guascone insegna la scherma a tutti gli spadaccini del mondoesclusi gl'italiani. Ah!... Quelli sono veramente terribili e fanno sudare a freddo ed a caldo.

- Tirateinvece di chiacchierarescimmia rossa!

I bevitoriche si erano addossati alle pareti per non prendersi qualche colpo di draghinassaper la terza volta scoppiarono in una clamorosa risata.

Il guascone li guardò trucemente.

- Silenzio o dopo verrà la vostra volta- disse. - Le scimmie rosse talvolta sono pericolosissime.

- Ma bastachiacchierone! - urlò l'avventuriero. - Tirate o vi faccio portare da bere.

- Fate pureperò vi avverto che vuoterò la coppa dopo d'avervi tagliata la barba e d'aver spillato un po' del vostro sangue. Quella gamba è sempre fuori di posto!... Allungatela dunque un po' piú!...

- Questo è troppo!...

- È ancora poco: alzate la mano sinistra. Che diavolo!... Il vostro maestro non valeva nemmeno un fico secco.

La risposta fu un'altra terribile stoccatache avrebbe indubbiamente passato il guascone da parte a partese non fosse stato lesto a parare anche quella.

- Ecco una bellissima botta- disse don Barrejo. - Il vostro maestro non era un vero asino.

- Era del Brabante- disse l'avventuriero.

- Scuola fiamminga: ottimanon c'è che dire. Siete anche voi del Brabante?

- Certo.

- Toh!... Ed io che vi avevo preso per uno spagnuolo autentico.

- Nosono fiammingo.

- Non mi rincresce di saperlo- disse don Barrejosempre calmo. - Quella scuola non la conoscevo prima di questo momento. Date un'altra stoccata dunque.

- Credete di essere in una sala d'armi? Badate che io intendo di uccidervi.

- Fate puresenza preoccuparvi della mia persona- disse don Barrejo.

- Allora parate anche questa!

Il guascone aveva fatto un salto indietroguardando con un certo stupore il suo avversario.

- Questi sono colpi maestri- disse. - La faccenda comincia a diventare un po' seria. In gambaguascone!

L'avventuriero tornava alla caricapremuroso di finirla con quell'indiavolato chiacchierone.

Tirò una dietro l'altra quattro o cinque stoccatecon rapidità fulmineapoinon essendo riuscito nel suo intentofece passare la draghinassa dalla mano destra a quella sinistradicendo al guasconeche aveva sempre parato con un'abilità straordinaria:

- Ora vi darò la botta segreta che mi ha insegnato quell'asinocome voi l'avete chiamatodel mio maestro.

Poivolgendosi verso il taverniere ed ai suoi aiutanti che stavano impalati sulla porta della cucinaaggiunse:

- Preparate i ceri pel signore: fra mezzo minuto quest'uomo sarà morto!

Il guascone ebbe un moto di collera.

- Tonnerre! - esclamò. - Volete spaventarmi? Se non fossi un guascone vi confessosignor uomo barbutoche le vostre lugubri parole mi avrebbero sinistramente impressionato.

Poiguardando il taverniere che era ritornato tenendo nelle mani due candelegli disse:

- Lasciate pure i ceri in cucina per ora: vivaddio sono ancora vivo e non sono ancora ben certo che la draghinassa del signore spacchi in due la mia carcassa. Non sono già fabbricato con mollica di pane io e qui dentro vi sono delle ossa e ossa guascone.

- Spaccone! - gridarono gli avventurieri ed i borghesi.

Mendoza impugnò la spada emuovendo verso di lorodisse con voce grave:

- Silenziovoi!... Qui vi sono in giuoco due vite umane e non dovete parlare. Don Barrejo: in guardia!...

- Lasciate fare a mecompare- rispose il guascone. - Sono molto curioso di conoscere queste famose bòtte segrete dei maestri fiamminghi. Quando tornerò in patria le insegnerò ai miei amici.

La calma meravigliosa del terribile spadaccino aveva impressionato i bevitori.

Un profondo silenzio regnava nella taverna. Si sarebbe detto che tutti trattenevano il respiro per non turbare i due avversari.

L'omaccio barbuto si era messo in guardiapiegando le ginocchia e aggomitolandosi quasi su sé stessoper non offrire forse troppo bersaglio al guascone.

La sua draghinassa stava tesain linea diritta; senza la piú piccola oscillazione. Studiava certamente il suo colpo misterioso.

Don Barrejo lo fissava intensamentecome se cercasse di leggergli dentro gli occhi la stoccata che stava meditando.

Aveva presa la guardia di secondascoprendosi tutto.

- Deve essere ben sicuro di sé stesso- mormorò Mendozache era pure un bravissimo spadaccino- per esporsi in tale modo. Che faccia un arresto?

Il fiammingo continuava ad abbassarsi verso terraanzi aveva appoggiata la mano sinistra sul pavimento di legnocome se avesse voluto tentare il famoso colpo del cartoccio e s'allungava innanzitenendo sempre la draghinassa in linea.

Il guascone seguiva attentamente tutte quelle mosse misteriosedomandandosinon senza una certa inquietudineche specie di colpo stava per portargli quell'uomo barbuto.

Certo avrebbe preferito un attacco furiosoaccompagnato da urla e da gran colpi. Nondimeno quell'accidente d'uomo conservava una calma ammirabile e non staccava un solo istante i suoi sguardi da quelli del fiammingo. Si sarebbe anzi detto che cercava di affascinarlo come i serpenti affascinano i piccoli volatili.

Nella sala continuava a regnare un assoluto silenzio. Tutti attendevano con ansietà quel terribile colpo che dovevaprobabilmente mandare all'altro mondo uno o l'altro dei due avversari.

Ad un tratto il fiammingoche non aveva cessato di abbassarsi contro il pavimentoallungandosi come un crotaloscattò con impeto terribile.

La sua lama scintillò un momento solo e andò a colpire il guasconenon già verso il cuorebensí verso il basso ventre.

Si udí un colpo secco e con immenso stupore di tutti la draghinassa del fiammingoinvece di squarciare gl'intestini di don Barrejosaltò verso il fondo della salaspaccando alcune bottiglie che si trovavano su un tavolo.

Il fiammingo si era prontamente rialzatoguardando con spavento il guasconeil quale rideva a crepapellementre gli spettatori prorompevano in un applauso fragorosogridando:

- Bella parata!...

- Meravigliosa!...

- Siete un famoso spadaccino!...

- Offriamogli da berecaramba!...


L'uomo barbutorosso di colleras'avvicinò al guasconedicendo:

- M'avete vinto: uccidetemi!...

- Ma che!... Non ammazzo nemmeno i mosquitos ioeppure quelli qualche volta non mi lasciano dormire. Che cosa volete che ne faccia della vostra pelleio? Fosse quella d'un giaguaro o d'un coguaro varrebbe almeno qualche cosa; quella umana non può servire che agli antropofaghi del Darien e quelli sono un po' troppo lontani.

- Siete una piazza inattaccabilevoi?

- Una roccia guascone- rispose don Barrejo.

- Che cosa posso fare ora per voi? Riprendere la mia draghinassa e ricominciare il duello?

- Adagiocaballero- disse il taverniereavanzandosi. - Voi non riavrete la vostra spadase prima quel signore là non mi pagherà le quattro bottiglie d'aguardiente e le due di malaga autentica che mi ha spezzate.

- Chi è quello ? - chiese il guascone.

- Voi.

- E volete che io paghi?

- Dieci piastre.

- Bah!... Cane d'un ladro! - urlò il guascone. - Ci hai rubato prima un doblonedandoci da bere dei velenied ora vuoi derubarci ancora?

- Basta! - vociò il tavernierefuribondo. - Ne ho fino sopra i capelli di voi!... Va' fuorimascalzone!...

- A me!...

- Corpo di Satana! - gridò il fiammingo. - L'oste è diventato matto! Dammi la mia draghinassa o ti getto in aria anche le botti che hai in cantina.

- Pagatemi le dieci piastre! - strillò il taverniere.

Il guascone fece colla sua draghinassa un terribile molinellotuonando:

- Avanti i guasconii baschi ed i fiamminghi!... Finiamola con quell'impertinente!

L'impertinente peròse non era un uomo di spadanon era nemmeno un paurosopoiché scaraventò addosso ai due filibustieri ed al fiammingo che si era unito a lorouna casseruolamentre i suoi aiutantinon meno inferociti di luifacevano volare piatti e bottigliefacendo un fracasso infernale.

I bevitorispaventatitemendo di tornarsene a casa colla testa rottaspalancarono la portascappando a tutte gambe.

Il guasconeMendoza ed il fiammingo facevano intrepidamente fronte all'assalto dell'oste e dei suoi quattro uominiscaraventando sedie e sgabelli in tutte le direzionie fracassando fiaschi e bottiglie.

XeresMalagaAlicantePorto e Aguardiente scorrevano sui banchi e sui tavolimentre piattibottigliecasseruolesecchipadelle e spiedi continuavano a volare attraverso la salaaumentando i danni.

- Accoppiamo questi manigoldi! - urlava ferocemente il guasconeil quale battagliava furiosamente contro quella grandine di proiettilimenando colpi di draghinassa.

Il fiammingo aveva sradicata una tavola edopo averla rovesciatavi si era nascosto dietrorimandando al loro indirizzo bottiglie e tondicon una rapidità prodigiosamentre il basco non cessava di lanciare sgabelli.

Quella battaglia durava da qualche minutoquando uno dei bevitori usciti poco primarientrògridando:

- La ronda!... Scappate!

Il guascone afferrò la tavola dietro la quale si riparava Mendoza e la scaraventò contro il taverniere ed i suoi aiutantifracassando una cinquantina di bottiglie che stavano allineate sul banco.

I cinque uominispaventati dal fracasso prodotto da tutti quei vetriinfilarono la portaurlando a squarciagola:

- A noiguardie!... Ci accoppano!...

- Scappiamo- disse il fiammingo. - Signorivi è un'altra uscita dalla parte della cucina.

- Guidateci- disse il guascone.

- E la mia draghinassa?

- L'ha portata via quell'oste maledetto.

- Furfante!...

- Ve lo avevo detto io che era un ladrone patentato! - disse don Barrejo. - Ci ha rubato un doblone!

- Scappiamo! - gridò Mendoza.

I tre avventurieri si precipitarono verso la cucinasaltando sopra i tavoli e gli sgabelli che ingombravano il suolo.

- Satanasso! - gridò l'uomo barbuto. - Hanno chiusa la porta!...

- Si salta dalla finestra- disse il guascone. - Ve ne sono due quise non m'inganno. Signor basco sfondatene una.

- Lasciate a me quest'incarico- rispose il fiammingo. - Sono forte come un toro!...

- Infatti avete delle buone spallemolta polpa e molte ossadisse il guascone.

Il fiammingovedendo appesa alla parete una grossa mazza di legno che serviva certamente ai cuochi del taverniere per battere le costolettel'afferrò e percosse cosí furiosamente le imposte d'una finestrada farle cadere sulla via con un fracasso indiavolato.

Quattro o cinque voci si erano subito alzate.

- Ohé!... Volete accoppare la gente?

- Che cosa succede in questa tavernaquesta sera?

- È scoppiata una rivoluzione?

Il guascone fu lesto a saltare sul davanzale ed a gettarsi sulla viacadendo in mezzo ad un gruppo di nottambuli.

- Chi siete? urlarono in coro.

- Scappate! gridò il guascone. - È fuggito un giaguaro che stava chiuso in una gabbia e sta divorando l'oste!

I nottambuliudendo quelle parolealzarono i tacchiscomparendo con velocità fulminea attraverso le viuzze della città.

- Voi siete un uomo di genio- disse il fiammingoil quale a sua volta era saltato sulla strada. - Chi sarebbe entrato lí dentrosapendo che vi è un giaguaro? Ah!... La splendida trovata!

Anche il basco aveva fatto il suo salto.

- Lasciate i giaguari ed i coguari e giuocate di gambe- disse. - Volete farvi prendere dalla ronda?

- A vento in poppa! - gridò il guasconeallargando le sue lunghissime e magre gambe. - Facciamo correre la ronda. Signor fiammingobadate che i guasconi ed i baschi sono agili come i cervi.

- Lo so- rispose l'omaccio barbutoprendendo lo slancio.

Si erano messi tutti tre in corsaseguendo la riva d'un torrentello il quale pareva che tagliasse a metà Pueblo-Viejo.

Avevano percorso un due o trecento passiquando sbucarono in una via trasversaleche era ingombra di persone.

Vedendo comparire i tre fuggiaschiun grido si alzò fra quei nottambuli.

- Ecco i ladri!...

- Ferma!... Ferma!...

- Chiama la ronda!...

- Maledetto oste! - vociò il guasconesguainando la sua draghinassa. - È sempre fra i miei piedi!... Ora lo sgozzo come un pollo!...

- Apriteci invece il passo! - gridò il fiammingoil quale si trovava inerme.

Il guascone piombò in mezzo al gruppodando piattonate a destra ed a sinistramentre Mendoza punzecchiava colla sua spada i piú viciniurlando:

- Largo!... Largo!... Abbiamo un giaguaro alle spalle ed è rabbioso!

Fu un'altra fuga generale. Il taverniere peròche sapeva di non aver nella sua cantina alcuna bestia ferocesi gettò da un latocontinuando a gridare:

- Aiuto!... I ladri!... Avanti la ronda!

Il guascone ed i suoi due compagni avevano ripreso lo slanciomentre dalla taverna che era vicinissimauscirono precipitosamente due alabardieri e due archibugieri difesi da corazze d'acciaio e da elmetti.

- Accoppateli! - urlò l'oste. - Sono filibustieri!

Non ci voleva di piú per mettere le ali ai piedi della ronda. I filibustieri erano troppo temibili per lasciarli scappare impunitisicché i quattro bravi militi si slanciarono dietro ai fuggiaschiurlando a loro volta:

- Ferma!... Ferma!... I filibustieri!... All'armi!... All'armi!...

- Tonnerre! - gridò il guascone. - Eccoci sulle spalle un grosso affare!... GambeMendoza!... Gambe fiammingo!...

- Io non ho i garretti dei baschi e dei guasconi! - brontolò l'omaccio barbutoil quale soffiava come un mantice. - I fiamminghi non sono cani da corsa!

Bene o malesagrando e sbuffandoteneva però dietro ai lesti figli del mar di Biscagliai quali filavano come lepri inseguite dai bracchi.

Quella seconda corsa non durò però moltopoiché il guasconeche stava dinanzi a tuttitutto d'un tratto si fermòfacendo poi tre o quattro salti indietro.

- Che cosa c'è? - chiese Mendozail quale giungeva buon secondo.

- La via è chiusa!

- Non c'è un passaggio?

- Nocompare.

- Date la scalata alla casa che ci chiude il passo!... Ai guasconi nulla è impossibile.

- Non sono un gatto.

- Allora siamo presi!... La ronda ci è alle spalle! - disse il fiammingo. - Datemi un spada.

- Per cosa farne? - chiese il basco.

- Per cacciare la ronda.

- E farci fucilare? Contro gli archibugi non valgono le armi bianche.

- Io credosignori- disse don Barrejoringuainando la draghinassa- che la divertentissima scena finisca proprio in fondo a questa via senza uscita. La colpa è della vostra barbasignor fiammingo. Se voi rimanevate zittoio accoppavo quel ladrone di taverniere e tutto sarebbe finito lí.

- Se l'avessi saputo primame la tagliavo- rispose il fiammingo.

- Ecco la ronda- disse Mendozaringuainando pure la spada. Siamo fritti.

- Non ancoracompare- rispose il guascone. - Lasciate fare a me e vedrete che colpo giuocherò io in Pueblo-Viejo!...

- Io sono certo di prendere d'un colpo solo dos paiaros e un golpe come dicono questi spagnuoli.

- Signor fiammingoavete un sigaro?

- Dei cubani e dei migliori.

- Datemene uno e voi accendetene un altro. Diamine!... Si può ben fumare in barba alla luna.

In quel momento i due alabardieri ed i due archibugieri si precipitarono entro la via senza uscitagridando con voce minacciosa:

- Arrendetevi o facciamo fuoco!...

 

 



CAPITOLO II

IL CONTE D'ALCALA


il guasconené Mendoza e tanto meno il fiammingo avevano risposto.

Si erano messi l'uno di fronte all'altroaiutandosi ad accendere i grossi sigari di Cubacome se fossero tre tranquilli borghesiin attesa del toccoprima di andarsene a dormire.

- Arrendetevi o facciamo fuoco! - gridò per la seconda volta il capo della ronda.

Il guascone si era voltatolanciando in aria una nuvola di fumo profumato.

- Scusatecaballeros- disseesponendosi ad un fascio di luce lunare che cadeva fra i due comignoli d'una casa. con noi che l'avete?

- Non siete i ladri che hanno saccheggiata la taverna d'El Moro?- chiese il capo della rondapuntando l'alabarda contro il guascone.

- Che cosa vi frulla nel cervellocaballero? - chiese il guasconefingendosi indignato. - Dare del ladro a me? Non sapete che io sono il nobilissimo don Aramejo dei Mendoza y Alicantey Bermejo de los Angelos e...

- Allora abbiamo smarrite le tracce di quei bricconi- disse il capo della rondaconfuso. - Non avete veduto passare delle persone che correvano?

- Abbiamo udito dei passi precipitosi verso l'opposta estremità di questa via- rispose Mendoza.

- Abitano qui loro signori?

- In quella casa che ci sta di fronte- disse il fiammingo.

- Camerati- disse il soldatovolgendosi verso i suoi uomini. - Riprendiamo la caccia. Buona nottecaballeros!


Se i tre avventurieri non scoppiarono in una fragorosa risata fu un vero miracolo:

- Voi siete un vero uomo di genio- ripeté per la seconda volta il fiammingoguardando con profonda ammirazione il guascone. - Prima era un giaguaro che faceva scappare la gente che poteva darci delle noieed ora sono dei nomi rimbombanti che mandano le guardie a passeggiare altrovesignor don Aramejo dei Mendoza y Alicante y Bermejo de los Angelos...

- E conte d'Alcalà- disse il guasconeridendo a crepapelle.

- E grande di Spagna- aggiunse il marinaio. - Si era appropriato perfino il mio cognomequesto birbone.

- Ed ora che cosa facciamo? - chiese il fiammingo. - È vero che abitate qui?

- L'avete detto voi e non io- rispose il guascone.

- È veronon me ne ricordavo piú. Avrete però un domiciliosuppongo.

- E voi andate a dormire in mezzo alle strade alla notte? chiese Mendoza. - Avrete anche voi qualche stanza o per lo meno qualche bugigattolo.

- Sono giunto in questa città solamente stamane e contavo di alloggiare nella taverna d'El Moro.

- Gli è che la nostra casa è un po' lontana- disse il guascone.

- Ho la zampa lunga io.

- Si trova fuori dalla cittàverso le coste del Pacifico.

Il fiammingo guardò Mendoza ed il guasconeun po' sospettosamente.

- Orsú- disse- della gente che ha tanto fegato non può essere gente...

- Che cosa vorreste dire? - disse il guasconeaggrottando la fronte.

- Degli avventurieri al pari di me. Io non esercito alcun mestierefuorché quello di menare le mani quando mi capita l'occasione.

- Siete molto ricco allora.

- Bah!... Ho fatto un po' di fortuna nelle miniere d'oro di Costarica.

Il guascone guardò Mendoza.

- Una buona recluta- rispose il basco.

- Volete venire con noi? - chiese Barrejo.

- Io seguo sempre la gente di spadaamante delle avventure arrischiate- rispose il fiammingo.

- Anche se quelle persone fossero... dei filibustierisupponiamo.

- È sempre stato il mio sogno quello di unirmi a quei terribili scorridori del mare. Wan Horn era del Brabante.

- Ed io ho combattuto sotto gli ordini di Wan Horn- disse Mendoza.

- Voi!...

- A Vera-Cruz.

- Che fortuna!... Il mio sogno era già quello di recarmi alla Tortue e di arruolarmi.

- Non è necessario che intraprendiate un cosí lungo e pericoloso viaggio- disse il basco. - I filibustieri sono piú vicini di quello che credete. Fra qualche giorno li vedrete a vuotare bottiglie e botti nella taverna d'El Moro.


- E gli spagnuoli non lo sanno?

- No e badate che non dovranno saperlo per mezzo della vostra lingua.

- Un fiammingo non tradisce mai.

- Allora seguiteci- disse il guascone. - Cercheremo di lasciare la città prima che il sole si mostri. La nostra missione ormai è finita ed il conte deve essere molto impaziente.

- Badiamo di non cadere nuovamente fra le braccia delle rondedisse Mendoza. - Se si è sparsa la voce lanciata da quel taverniere del malanno che noi siamo filibustieriil marchese di Montelimar avrà lanciato sulle nostre tracce i suoi migliori soldati.

- È quello che temo anch'io- rispose il guascone. - D'altronde non possiamo rimanere tutta la notte dinanzi a questa casache non è mai stata nostra.

- A guardare la luna e fumare sigari- aggiunse il fiammingo.

- In cammino- disse il bascorisolutamente. - Cerchiamo di guadagnare la grande foresta.

- È che non troverete mica un altro don Barrejo a guardia della porta di ponente- disse il guasconeridendo.

- Scenderemo i bastionicamerata.

Stettero in ascolto enon udendo alcun rumoresi misero in camminopremurosi di lasciare quella specie di trappola che per poco non diventava fatale per loro.

Avevano già percorso quasi tutta quella viuzza chiusaquando il guasconeche camminava innanzi a tutti e che stava per svoltare l'ultimo angolos'arrestò di colpomettendo mano alla draghinassa.

- Ohéamici- disse. - Sembra che la fortuna non ci sia propizia questa sera.

- La ronda? - chiesero ad una voce Mendoza ed il fiammingocon inquietudine.

- Vi sono delle persone munite di torcie che s'avanzano verso di noi e vedo scintillare elmetti corazzee anche archibugi.

- Canarios! - esclamò Mendoza. - Che ci prendano?

Aveva fatto qualche passo innanzisvoltando l'angolo dell'ultima casa di destra.

Il guascone non si era ingannato. Sette od otto persone s'avanzavanorischiarando la via con delle torcie. Erano tutti soldatiperò dietro di loro il basco scorse un omaccione vestito di biancoil quale reggeva una lanterna.

- Per la morte di tutti i pescicani del Pacifico! - esclamòretrocedendo vivamente. - Il taverniere d'El Moro! Siamo perduti!...

- Cerchiamo di aggiungere a tutti i miei titoli quello di conte d'Alcalà- disse il guascone. - Chissà che la ronda non ci lasci andare un'altra volta.

- Se c'è il taverniere colle guardie!...

- Noi abbiamo commesso una grave imprudenza a non sbudellarloquando voleva rubarci altre dieci piastre.

È proprio vero- disse il fiammingo.

Paghiamoglielee che ci lasci in pace- disse Mendoza.

Vediamo se si può aggiustare questa faccenda- rispose don Barrejo. - Riprendiamo il nostro posto dinanzi alla casa che deve figurare come nostra e ripetiamo i nostri discorsi da buoni borghesi che hanno poca voglia d'andarsene a dormire quando splende la luna.

Rifecero frettolosamente la via e si fermarono all'estremità opposta della viuzzafumando e chiacchierando tranquillamente.

Proprio in quel momento la rondache si era rinforzata di altri due archibugieri e che era sempre seguita da quel dannato tavernierefece la sua entrata. Vedendo i tre uomini fermi ancorail capo gridò:

- Eccoli!... Vedremo se saranno loro!...

- Sono certo di non ingannarmi- disse il taverniere a voce alta. Non possono essere scappati cosí presto. I miei aiutanti sorvegliavano tutte le vie perché non si eclissassero. Sono filibustieri: ve lo dico io.

- Il diavolo ti porti all'inferno- brontolò il guasconefacendo una brutta smorfia. - Quel furfante guasterà tutto. Se ti posso prenderesalderemo i conti: parola di guascone.

Il capo della scorta si era fatto innanzicolla spada sguainata nella destra e una torcia nella sinistra.

- Come! - disse. - Siete ancora lísignor d'Aramejo dei Mendoza y Alicante y Bermejo de los Angelos...

- E conte d'Alcalà- aggiunse il guasconevolgendosi e prendendo una posa da gran signore offeso. - Vi rincrescesignor soldato?

- Perché non siete entrato a dormire?

- Perché stiamo discutendo sulla luna. Sapreste dirci voi se è abitata o no?

- Che cosa volete che ne sappia iosignor...

- Conte d'Alcalàper Bacco!...

- Conte d'un corno! - esclamò il taverniereche giungeva in quel momentoasciugandosi il sudore che gli inondava il viso colla salvietta che gli serviva per pulire le tazze di terra cotta. È il mio uomo.

Il guascone si era voltato verso il furfantechiedendogli con feroce cipiglio:

- Chi siete voi?

- Il taverniere d'El Moro. Non fate lo scioccosignor mio. Vi ho riconosciuto e cosi pure ho riconosciuto i vostri compagni.

- Signor capo-ronda- disse il guasconefingendosi altamente meravigliato. - Non vi è in questa città un ricovero pei pazzi? Se l'hanno costruitoafferrate quell'imbecille e cacciatevelo dentro a doppio catenaccio.

- Vi dico che è proprio lui! - strillò l'oste. - Voleva scannare o sventrare quell'altro che ha il barbone e che ora è diventato suo amico. Sono dei filibustieri!... Ve l'assicuro io.

- Per satanasso! - gridò Mendozafacendosi innanzicolla spada sguainata. - Chi sei tumascalzoneche osi insultare il conte d'Alcalà mio padrone? Da dove sei sbucato tu? Che cosa vuoi da galantuomini della nostra specie?

- Ma síquell'uomo è pazzo da legare- appoggiò il fiammingo. - Io non ho mai questionato col mio padroneil signor conte d'Alcalà.

- Mariuoli! Avete bevuto nella mia taverna un doblone in tante bottiglie.

Il capo della ronda non sapeva piú che pesci prendere. Doveva credere a quel nobilone che aveva tanti titoli intorno al suo blasone od al taverniere?

- Signor conte- disse. - Seguitemi al cabildo. Io devo chiarire questa faccenda. Io conosco l'oste d'El Moro e so che è sempre stato un galantuomo.

- E che! - gridò il guascone. - Vorreste tradurre in prigione un signor d'Aramejo dei Mendoza y Alicante y Bermejo de los Angelosconte d'Alcalà? Mi lagnerò col marchese di Montelimar mio amico e vi farò consegnare per un paio di settimanesignor capo-ronda.

- Il mio dovere è di non lasciarvi in libertàalmeno pel momentosignor conte- disse il soldato. - Qui vi è un uomonoto in tutta Pueblo-Viejoche vi accusa.

- E vi sono anche i quattro miei aiutanti- disse il taverniere.

Il guascone scambiò un rapido sguardo coi suoi compagnipoicomprendendo benissimo che una battaglia sarebbe stata troppo pericolosa contro quattro archibugieri e due alabarde e peggiocon un uomo inerme come lo era il fiammingodisse con un fare sdegnoso:

- Un conte d'Alcalà non è mai stato rinchiuso in un cabildo. Se volete arrestarciconduceteci nel palazzo del governatore. Suppongo che avrà qualche camera per rinchiuderesia pure con trenta sbarre di ferrodelle persone dabbene. Domani poifurfante d'un tavernieresaprai chi sono io e chi sono le persone che mi accompagnano. Bada però alla tua pancia!...

- Non sarete voi che spillerete vino dal mio barile- rispose l'osteche era sempre furioso.

- Vedraiamigo!... Signor capo-ronda siamo con voi. Vi avverto però che se ci tradurrete al cabildo lavoreranno le nostre spade.

- Giacché voi avete affermato di essere l'amico del marchese di Montelimargovernatore della cittàvi condurrò da lui- rispose il soldato. Io ne ho abbastanza di questa brutta faccenda.

Amico- disse il guasconevolgendosi verso il fiammingo- vi siete provvisto abbondantemente di sigaricome vi avevo ordinato?

- Sísignor conte- rispose l'uomo barbuto. - Sapete bene che io non scordo mai i vostri ordini.

- Date da fumare alla ronda.

Il fiammingo trasse da una tasca interna una manata di Cuba autentici e li offrí ai soldatii quali non si fecero pregare ad accettare la cortese offerta.

- Niente al taverniere- disse il falso conte. - Quello meriterebbe una corda al collo. E orasignori mieiandiamo a dormire a casa del governatore. Domani questa brutta faccenda sarà finita e quel furfante di taverniere mi farà le sue scuse. Partiamo.

- Andatevene al vostro albergo- disse il capo della ronda all'oste. - Pel momento non abbiamo piú bisogno di voi.

- Teneteli d'occhioperché quei tre signori sono capaci di giuocarvi un brutto tiro. Vi dichiaro che sono dei cattivi avventurieri.

- Chiudi il beccobrutto pappagallo- disse il contecon voce minacciosa. - Ed ora vatteneo t'insegno ioanche in presenza di questi bravi militiquanto può costare un'offesa fatta al conte d'Alcalà.

- Viaviaa domani- disse il capo della rondaprendendo il taverniere per le spalle e spingendolo. - Voi pel momento non entrate piú in questa faccenda. Potreste esservi ingannato.

- Ma che!... Sono cialtroni!...

- Bastacarrai! Andatevene o arresto anche voi.

- E allora ci penserò io ad accopparlo- disse il fiammingo.

troppo!...

- Signori- disse il capo della rondail quale gustava il sigaro regalatogli dall'avventuriero. - Vi prego di seguirmi al palazzo del governatore. Io spero che questa faccenda finirà bene per tutti voi.

Tre archibugieri si misero dinanzi ai tre avventurieri; il quarto ed i due alabardieri di dietro e si misero in marciamentre il taverniereniente soddisfattose ne andava da un'altra partebrontolando.

Mendoza urtò il gomito del guascone.

- E ora? - gli chiese sottovoce.

- Non vi inquietatecompare- rispose don Barrejo. - Suona in questo momento mezzanotte e Sua Eccellenza il governatore non prenderà il cioccolatte prima delle nove o delle dieci. In nove ore un bravo guascone puòse vuolerovesciare anche il mondo.

Il marinaio scosse il capocome uomo poco convinto d'una simile gradassataperò si guardò bene dal rispondereper non mettere in sospetto i militi della rondaquantunque fossero tutti occupati a fumare i sigariveramente eccellentidell'uomo barbuto.

Dopo aver percorso quattro o cinque vieil drappello sbucava su una vasta piazzain mezzo alla quale s'innalzava una magnifica chiesa di enormi dimensioni: quella chiesa che doveva piú tardi far passare un terribile momento agli abitanti della piccola città.

Di fronte sorgeva un palazzottomunito sulla cima di merli e di minuscole torricelle e con un ampio portone che metteva su uno spazioso patio: era l'abitazione di S. E. il marchese di Montelimargovernatore di Pueblo-Viejo.

Una grossa lampadaformata da sette od otto candele riunite e racchiuse dentro un enorme globo di vetro gialloilluminava l'entrata e i due alabardieri che erano di guardia.

- S. E. dorme- disse il capo della rondadopo aver dato uno sguardo verso le finestre che erano tutte chiuse ed oscure.

- Non c'è nessuna premura- rispose il guascone. - Mi offrirà il cioccolatte domani mattinaquando si sarà alzato. Oh!... Siamo vecchie conoscenze.

- Chiederò per voi e pei vostri compagni una buona stanzadei buoni letti...

- E delle bottiglie e una cena- disse don Barrejo. - Ho dei dobloni da spendere ioe che non sanno che cosa fare in fondo alle mie tasche. Probabilmente si annoieranno come il suo padrone. Eccovene uno purché ci diate da mangiare e da bere. Sono troppo arrabbiato per coricarmi.

- Farò il possibile per contentarvi- rispose il capo-rondail quale in fondo doveva essere un brav'uomo. - S. E. ha una buona cucina e un ottimo cuocoa quanto si dicee andrò a scovare quanto è rimasto di meglio della cena.

Scambiò alcune parole cogli alabardieri di guardia e guidò i prigionieri su per un magnifico scalone di marmo giallointroducendoli in una stanza situata al primo pianola cui porta era aperta.

- Attendetemi lí dentromentre vado ad avvertire il maggiordomo di S. E.

Il guascone e i suoi due amici fecero la loro entratamentre la ronda si metteva di guardia al di fuori...

Quantunque la mezzanotte fosse già scoccataquella stanza era ancora illuminata da un paio di candele.

Era una specie di salaammobigliata senza lussopoiché non conteneva che una immensa tavola coperta d'un tappeto verde e una dozzina di sedie e due scaffali pieni di libracci polverosi.

- Che sia la biblioteca di S. E.? - chiese il guascone.

- Cosí parrebbe- rispose Mendozail quale osservava attentamente tutti gli angolisperando di trovare qualche uscita ignorata dal capo-ronda.

- Ci sono delle inferriate alle finestre? - domandò il guascone.

Il fiammingo alzò le pesanti tende e fece una smorfia.

- È una sala-prigionequestasignori miei- disse. - Quel capo-rondamalgrado la sua aria d'ingenuodeve essere un furbo di tre cotte.

- Come ve la caverete oradon Barrejo? - chiese Mendozail quale aveva ispezionata inutilmente la camera. - Il vostro amico governatore vi riconoscerà?

- Il mio amico!... Non ho mai veduto il marcheseio!... Ma non ve ne date troppo pensierosignor basco. La commedia non è ancora finita.

Il fiammingo lo guardò con stupore.

- Siete il diavolo voi? - disse.

Il guascone si volse guardandosi dietro la schiena.

- Io non ho la coda- rispose poi. - Come vi può essere un diavolo senza quella nera o rossa appendice? Se io non la posseggovuol dire che io sono un uomo al pari di voisignor fiammingo.

- Se non siete veramente compare Belzebúdovete essere qualche suo stretto parente- disse Mendozaridendo.

In quel momento la porta si aprí ed entrò il capo-rondaseguito da due servi africanii quali portavano dei canestri coperti con delle salviette.

- Signor conte d'Alcalà- disserivolgendosi al guasconemi rincresce dovervi avvertire che non vi sono piú stanze disponibili nel palazzo di S. E. e che quindi sarete costretti a passare la notte qui. Se vorrete vi farò portare dei materassi.

- È inutile- rispose don Barrejo. - Abbiamo piú fame che sonnopiú sete che desiderio di riposarci e ci basteranno un paio di sedie. Io sono un uomo di guerrae i miei servi sono abituati a dormire sulla nuda terraquando sono in campagna.

- Devo pure avvertirvisignor conteche ho ricevuto l'ordine di rimanere con voi.

- Eh! - fece il guasconecorrugando la fronte. - Forse voi non gli avete detto che io sono il conte d'Alcalà.

- Anzi ho aggiunto tutti gli altri vostri titoliperché non mi sono ancora sfuggiti dalla mentetanto sono simpatici.

Il capo-ronda aveva pronunciato queste parole con una leggiera punta d'ironiache non era sfuggita al terribile avventuriero.

- Ciò mi rincresce- disse finalmente il guasconedopo d'aver fatto alcuni passi lungo l'immensa tavola. - È una prova di poca fiducia.

- Iosignor contenon sono altro che un povero soldato e devo obbedire sempre.

- Ci avete portato almeno da mangiare e da bere?

- Tutto quello che ho trovato nella cucina di S. Eccellenza il signor Governatore.

- Dovevate aggiungere almeno un bossolo e dei dadiper fare qualche partita al montes.


- Un soldato tiene sempre nelle tasche l'uno e gli altriper ammazzare alla meglio il tempoquando non è di guardia.

- Benebene- disse il guascone. - Cenerete con noi. Congedate almeno quei due negri. Io non amo vedermi intorno delle facce nere quando mangio.

Il capo-ronda prese i due grossi canestri e li depose sulla tavolapoi fece un segno ai due schiavii quali uscirono subitodopo d'aver fatto un profondissimo inchino.

Mendoza e il fiammingoche dovevano passaredi fronte al soldato pei servi del contevuotarono lestamente i due canestri mettendo sulla tavola della carne freddaun paio di anitre che erano state appena toccatedel formaggio salato e dei dolcinonché una mezza dozzina di bottiglie francesialmeno a giudicarlo dalle etichette dorate.

- Ceniamo- disse il guasconecon fare burbero. - Con un doblone per il cuoco di S. E. potevano fornirci qualche cosa di meglio.

- I pranzi non s'improvvisanosignor conte- disse il caporonda. - La mezzanotte è già scoccata da un bel po' e tutti i negozi sono chiusi.

- Benebene: mangiamo.

I tre avventurieriai quali l'appetito non faceva mai difetto a qualunque ora del giornosi misero a divorare gli avanzi della cena di S. E. il governatoreavanzi già abbondanti anche per quattro uomini.

Il capo-rondache forse mai si era trovato dinanzi a delle anitre cosí splendidamente arrostitefaceva del suo meglio per gareggiare col signor conte d'Alcalàd'Aramejode Mendoza y Alicantey Bermejo de los Angelos e d'altri luoghi ancorae s'attaccava con slancio anche alle bottiglie che il basco andava sturando a due alla volta.

Quando tutta quella grazia di Dio fu scomparsail capo-rondache era diventato di buonissimo umore sotto l'influenza dei vini di Spagna e di Franciatrasse il bossolo e i dadied i quattro uomini giuocarono parecchie partite al montesscommettendo un bel numero di piastre.

Specialmente i tre prigionieri mostravano una calma meravigliosapiú apparente che reale peròpoiché fra un colpo e l'altro dei dadi non cessavano di dare uno sguardo verso le due finestrepaventando la comparsa del sole.

Forse il meno inquieto era il guascone. Probabilmente quel diavolo d'uomo doveva aver architettato qualche cosa di straordinario per levare sé e i suoi compagni da quel ginepraioin fondo al quale potevano nascondersi tre buone corde per appiccarli.

Gli spagnuoli non erano troppo tenerie con ragionecoi filibustieri e di rado se li lasciavano sfuggire di manoquando avevano la fortuna di potere acciuffare qualcuno di quei formidabili scorridori dei mari americani.

Purtroppo il mattino giunse e la luce cominciò a trapelare attraverso le tende. Mendoza ed il fiammingo guardarono con ansietà il guasconeil quale stava in quel momento giuocando dieci piastre contro il capo-ronda.

Don Barrejo non pareva affatto preoccupato. Solamente una ruga piuttosto profondache gli solcava la frontetradiva qualche apprensione.

Terminò la partitaintascò il denaro che aveva vintopoi si alzòdicendo:

- È giunto il momento d'andare a bere una tazza di cioccolatte da S. E. il marchese di Montelimar. Si alza prestosignor soldato?

- È molto mattinieroessendo sempre stato un gran cacciatorerispose il capo della ronda.

- Allora sarà già in piedi.

- Lo credo.

- Volete degnarvi di andarlo ad avvertire che il conte d'Alcalà desidera salutarlo?

- Dovrò anzi spiegargli il motivo del vostro arrestoper evitarmi una punizione.

- Andate pure.

Il capo-ronda stava per alzarsiquando la porta si aprí ed entrò un signore piuttosto attempato e vestito come un grande di Spagna.

Il signor intendente di S. E. disse il soldatoinchinandosi.

- Dov'è questo conte d'Alcalà? disse il vecchio.

Sono iosignore- rispose il guasconefacendo un lieve saluto colla destra.

- S. E. il marchese di Montelimar vi aspetta.

- Sa perché mi hanno arrestato?

- Gli ho narrato il vostro disgraziato casosignor contee spero che tutto si accomoderà.

- Sono pronto a seguirvi.

- E noisignor conte? - chiesero Mendoza ed il fiammingo.

- Mi aspetterete qui. Io non ho la cattiva abitudine di condurre i servi dinanzi ai gentiluomini. Signor intendente sono ai vostri ordini.

- O quel demonio lí ci fa mettere in libertà o rovina tutto e ci fa appiccare- mormorò il basco.

Il finto conte era già uscitoseguendo l'intendentementre il capo-ronda rimaneva a guardia del basco e del fiammingo.

Dopo aver attraversato parecchi corridoiche invece delle finestre avevano delle feritoiepoiché tutti i palazzi dei governatori spagnuoli delle colonie dovevano servire da fortezze in caso di pericoloil guascone fu introdotto in un elegantissimo salotto con divani e poltroncine di seta gialla a fiori rossi e tendaggi ricchissimii quali attenuavano assai la luce.

Un uomo di circa quarant'annid'aspetto distintocon barba e baffi un po' brizzolaticon due occhi nerissimi e molto viviaffogato in un enorme colletto inamidatocome si usava in quel tempostava seduto dietro ad un bellissimo scrittoio di acagiúcoperto d'un ricchissimo tappeto di seta azzurra a ricami ed ingombro d'una straordinaria quantità di pergamene.

- Oh!... Eccellenza!... Sono molto lieto di rivedervi dopo tanti anni- disse il guasconeavanzandosi audacemente colla destra tesa.

Il governatore di Pueblo-Viejo non potè fare a meno di alzarsiguardando fisso fisso l'avventuriero.

- Come!... Non vi rammentate piú del conte d'Alcalàsignore d'Aramejodi Mendoza y Alicantey Bermejo de los Angelos? Mio padre era un grande di Spagna. Voi siete bene il marchese di Maracaibo e di San Domingo?

- Certo- disse il governatoreil quale guardava con crescente stupore l'audace avventuriero.

- E allora dovete rammentarvi di me- disse il guasconeil quale giuocava disperatamente le sue ultime carte.

- Dove mi avete veduto voisignor conte?

- Nel palazzo di vostra cognatala bellissima marchesa di Montelimar. Abbiamo bevuto insieme il cioccolatteEccellenzavicino a un tavolo da giuoco o nella gran sala. Ora non mi rammento beneperché sono trascorsi parecchi anni.

- Può darsi- rispose il governatore. - Ho abitato infatti per qualche tempo il palazzo del defunto mio fratello.

- Me ne ricordo come fosse ieri- proseguí il guascone. - Vi era un concerto quella sera nella dimora principesca dei Montelimar. Ah!... Che splendida serata!...

- Voi dunque conoscete mia cognata?

- La marchesa Carmen di Montelimar!... È la perla delle grandi Antille!...

- E comevoisignor contevi trovate qui in istato d'arresto?

- Sono due mesi che viaggio per recarmi a Panamadove devo raccogliere una piccola eredità di centomila doblonilasciatimi dal duca di Barraquezmio zio materno.

- E la chiamate una piccola eredità?

- Eh!... Miseria- disse il falso conte.

- E perché avete interrotto il vostro viaggio e vi siete fatto arrestare dalle ronde notturne? Mi si dice che avete fatto molto baccano in una taverna della città.

- Vi diròEccellenzache lungo la viaanzi a poche leghe dalla cittàsono stato assalito da una turba d'indianii quali mi hanno massacrata mezza scortauccisi i cavalli e rubate anche tutte le armi da fuoco. È stato un vero miracolo se ho salvato solamente la mia spada e se sono riuscito a liberare due dei miei servi. Gli altri a quest'ora saranno stati già divoratipoveri diavoli.

- Questi indiani cominciano a diventare troppo prepotenti! - esclamò il marchese. - Sarà necessario dare loro qualche terribile lezionecaramba.

- Era appunto quello che pensavo anch'ioquando sono entrato in questa cittàa piedi come un mendicante e senza nemmeno un archibugio- disse il guascone.

- Ed ora che cosa intendete di fare?

- Di andarmene al piú presto a Panamaa raccogliere quei pochi dobloni- rispose il guascone.

- Avete già acquistati altri cavalli ed altre armi?

- NoEccellenzaanzi sono molto preoccupato per questonon essendomi rimasto che una cinquantina di piastre. Gl'indiani hanno portato via tutte le mie valigieinsieme a duemila dobloni che avevo preso con me per le spese del viaggio.

Il guascone aveva pronunciate queste parole con accento cosi commossoche S. E. il governatore fu profondamente impressionato.

- Signor conte- disse- è uso di aiutarsi fra gentiluomini. Ho nelle mie scuderie dei buonissimi cavallidei veri andalusie nel magazzino delle armiarchibugi e pistolein grande quantità. Se voleteapprofittate pure senza riguardi di sorta: quando sarete giunto a Panama mi rimborserete gli animali.

- E che cosa potrò fare io per voiEccellenza? - chiese il guasconeche sembrava vivamente commosso.

- Mi saluterete il viceré di Panamaa nome mio.

- Farò di piúEccellenza. Un uomo che eredita centomila dobloni in contanti...

- Lasciate andaresignor conte. Ah!... Ed il vostro affare?

- Quale?

- Spiegatemi perché le mie ronde vi hanno arrestato.

Il guascone si mise a ridere.

- È stato in causa d'una comica avventura. Eccellenza- disse. - Non conoscendo la cittàmi ero rifugiatoinsieme ai miei due serviin una tavernaper mangiare un boccone e rimettermi un po' dall'emozione provata. Il padroneavendo saputonon so comeche io ero un contemi fece pagare un'anitra ed una miserabile bottiglia di metzcalla bagatella d'un doblone. Io protestaiquel briccone protestò pureanzi lanciò contro di me tutti i suoi cuochi armati di spiedie allora sguainai la spada e li misi tutti in rotta. Io credo che un altro gentiluomo non avrebbe fatto diversamente.

- Forse di peggio- disse il marcheseridendo. - Ne avrebbe infilzato qualcuno.

- E ne avrei infatti sbudellato qualcunose non fossero scappati tutti come veltri.

- È meglio che l'avventura sia terminata senza spargimento di sangueconte. Quando volete partiredunque?

- Se fosse possibileimmediatamente- rispose il guasconeil quale temevae non senza ragioneche da un momento all'altro giungessero il taverniere d'El Moro ed i suoi aiutanti.

Il governatore batté le mani e subito comparve l'intendenteseguito da due servi negrii quali portavano su dei vassoi d'argento delle tazze colme di cioccolatte e dei pasticcini.

Il marchese scambiò col suo segretario alcune parole a mezza vocepoirivolgendosi verso il guasconegli disse amabilmente:

- Sperosignor conte d'Alcalàche non rifiuterete una tazza di cioccolatte. Già noi in America ne facciamo molto usolo sapete.

- Ne bevo semprequando apro e quando sto per chiudere gli occhi- rispose il guasconeprendendo una tazza e vuotandola frettolosamente.

- Eccellenza- proseguí poi- al mio ritornose non vi dispiaceverrò a ritrovarvi.

- La mia casa è sempre aperta ai gentiluomini d'oltre Atlantico- rispose cortesemente il governatoreporgendo la destra al falso conte.

Don Barrejo gliela strinse calorosamentefece tre profondi inchinipoi uscí dal salottofacendoneprima di varcare la sogliaaltri tre anche piú profondi.

Sul pianerottolo lo aspettava l'intendente.

- I cavalli e le armi sono prontesignor conte- gli disse.

- Il marchese è una persona dabbene- rispose don Barrejo. - Quando avrò incassata la mia eredità non mi scorderò né di luiné di voi. Centomila dobloni non sono gran cosatuttavia non sonodopo tuttocento piastre.

- Dite: una fortuna colossalesignor conte.

- Peuh- disse il guascone. - Mio zio avrebbe potuto lasciarmi ben di piú. Era il nipote dell'arcivescovo di Panamaquello morto sei anni fa e so che era ricchissimo. Oh!... Non importa!... Signor intendentevolete farmi il favore di far avvertire i miei uomini di venirmi a raggiungere?

- Me ne incarico io- rispose il brav'uomo. - Scendete puresignor contetroverete i cavalli pronti dinanzi alla porta del palazzo.

- Graziesignor intendente: quando sarò in possesso dei miei centomila dobloni non mi scorderò di voi.

Scese lo scalonesenza troppo affrettarsiquantunque avesse invece il desiderio di fare una sola volata fino al di là dei bastioniper paura che da un momento all'altro giungesse quel maledetto taverniere a guastare la faccenda cosi bene incamminatae uscí dal palazzo.

Dinanzitrattenuti da due negriscalpitavano tre bellissimi cavalli sauridalla criniera lunghissimabassi di staturacome sono generalmente quelli di Tazza andalusai migliori che abbia la Spagnaperché velocissimiresistentissimi e d'una solidità meravigliosa.

Il guascone li esaminò a lungoda uomo che se ne intendepoi si stropicciò allegramente le manidicendo:

- Per bacco!... Il signor marchese di Montelimar possiede dei cavalli splendidi!... Quando avrò ereditato i miei centomila doblonilo pregherò di vendermene alcuni. Non manca nulla; bardatura solidaarchibugio appeso alla sellapistole nelle fonde. È ben gentile S. E. il Governatore.

Si capisce che queste parole le aveva pronunciate a voce altaperché le udissero i due staffieri che trattenevano i cavalli ed i due alabardieri che stavano di guardia dinanzi al magnifico portone del palazzo.

In quel momento comparvero Mendoza ed il fiammingoaccompagnati dal capo-rondail quale appariva molto avvilito per l'enorme granchio che aveva preso.

- A cavallo i miei servi- disse il guasconemontando in sellada cavallerizzo esperto. - Vi avverto che ho molta premura e che quindi faremo una lunga trottata.

Il basco ed il fiammingo erano rimasti immobilicome trasognatiguardando con profondo stupore quel diavolo d'uomo.

Credevano di venire condotti in una prigione meno comoda di quella del palazzo del governatoreper poi venire con ogni probabilità appiccatie si trovavano invece dinanzi dei magnifici cavalli e delle armi.

- Mi avete capito? - gridò don Barrejofacendo un gesto d'impazienza. - Il signor governatore ha riconosciuto l'errore commesso dalle sue guardie e ci ha rimessi in libertà. Diamine!... Non poteva certo mantenere l'arresto d'un conte d'Alcalà.

Quindivolgendosi verso il capo-rondagli disse con voce severa:

- E voi un'altra volta siate piú guardingocaramba!...

- Signor contericevete le mie scuse- rispose il povero soldato.

- E voi ricevete invece questi- rispose il guasconelevando da un taschino alcune piastre e gettandogliele dinanzi. - Avanti!

Allentò le briglie e si allontanòseguito dal basco e dal fiammingomentre gli alabardieri di guardia gli presentavano le armi e gli staffieri negri si inchinavano fino a terra.

Il guasconeche aveva sempre una grande paura che giungesse il taverniereattraversò la città al trottopassò il ponte levatoio e lanciò il cavallo a gran carrieramormorando:

- Anche questa volta non hanno avuto il tempo d'intrecciare la corda per appiccarmi.

 



CAPITOLO III

L'INSEGUIMENTO


Per piú di un'ora i tre cavalieri galopparono furiosamente sulla via che conduceva verso la costa del Pacificoguardandosi di frequente alle spalleper paura di veder comparire dei soldati; poi si gettarono attraverso le foreste le quali coprivano le aspre colline dell'istmoe che dovevano prolungarsi fino al Chagres.

- Ora possiamo concedere un po' di riposo a queste brave bestiedisse il guasconeil quale fumava l'ultimo sigaro regalatogli dal fiammingo. - Non è prudente abusare troppo delle loro forze.

- Temete sempre un inseguimentodon Barrejo? - chiese Mendoza.

- A quest'ora quel taverniere del malanno avrà chiacchierato ed il governatoremio amicoavrà lanciato dietro le nostre tracce una scorta d'onorecoll'incarico di prenderci pel colletto e ricondurci a Pueblo-Viejo.

- Lo chiamate ancora il vostro amico! - esclamò il fiammingo. Non vi perdonerebbe di certo di averlo cosí abilmente giuocatose ricadeste nelle sue mani. L'avevo detto io che voi siete un parente del diavolo.

- La trovata è stata splendida- disse Mendozaridendo.

- Io credevo di andare a penzolare al di sotto d'un grosso ramo con una cravatta di canape al collo.

- Ed invece vi ho dato un cavallo e anche delle armi.

- Che noi certo non restituiremo al signor governatore- disse il fiammingo.

- Gli uomini onesti sono rari in America- sentenziò gravemente don Barrejo. - E poi qui la riconoscenza è un mitoe S. E. potrebbe ricompensare la nostra onestà con della cordae di quella io non ne ho mai voluto sapereanzi mi ha sempre inspirato un profondo disgusto.

- Ah!... Burlone!...

- Parlo sul seriosignor Mendoza.

- Il fatto è che abbiamo avuto una fortuna straordinaria.

- Guai se gli avventurieri non avessero sempre una buona stella che li proteggesse!

- Sarà ben lieto il conte di vederci giungere al campoben montati e anche con una recluta.

- E soprattutto sarà lieto delle notizie che gli portiamo- aggiunse il guascone. Ormai sa dove si trova il marchese e non indugerà ad andarlo a trovare. Io non dubito che assalirà Pueblo-Viejoquantunque non abbia con sé molte forze.

- So che ha mandato un corriere all'isola San Giovanniper avere dei rinforzi. È probabile che a quest'ora qualche partita di filibustieri sia già giunta al suo campo. Nessuno può negare aiuti al figlio del Corsaro Rosso.

- E poi non ci siamo noi? - disse il guascone. - Noi tre siamo capaci di dare la scalata ad un campanile difeso da una bombarda.

- Senza scendere da cavallo- aggiunse il fiammingo.

- Precisamente.

Avevano messi i cavalli al passo e stavano salendo una collina coperta da rade palme e da gruppi di cespuglidietro la quale doveva scorrere il Chagresl'unico fiume che solchi l'istmo di Panama e che è nondimeno d'una certa importanza.

Stavano giàsempre chiacchierandoper raggiungere la cima per scendere poi attraverso un ampio vallonequando arrestarono bruscamente i cavalliguardandosi l'un l'altro con una certa ansietà.

- Che sia il fiume che produce questo fragore? - chiese il guasconedopo d'aver ascoltato qualche istante.

- A me pare il galoppo di parecchi cavalli- rispose Mendoza.

- Che cosa ne dite voifiammingo?

- Che ci si dà la caccia- rispose l'avventuriero.

- Che abbiano già scoperte le nostre tracce? - si chiese don Barrejo. - Lestiraggiungiamo la cima e vediamo chi avrà ragione.

Allentarono le briglie e strinsero le ginocchianon avendo speroni. I tre andalusi si misero al trottoquantunque la collina fosse molto ripida ed in pochi minuti raggiunsero la cimafermandosi dinanzi ad un ampio vallone cosparso di cespugli e di macigni e che scendeva verso il Chagres.

Di lassú i tre avventurieri potevano dominare un immenso tratto di paeseera quindi facile per loro scoprire dei cavalieri.

- Non vedo che il fiume- disse il guascone.

- E questo lo udite? - chiese il bascocurvando rapidamente il capo.

Un colpo d'archibugio era rimbombato ed una palla era passata su di lorofischiando sinistramente.

- Ci assassinano a tradimento! - urlò il guascone.

In quel momento una mezza dozzina d'uominimontati anch'essi su bellissimi cavallisi mostrò sul margine d'un palmeto.

Erano cavalleggieri spagnuolimandati certamente dietro ai tre audaci avventurieri dal marchese di Montelimar.

- Al galoppo! - gridò il guasconenel mentre una seconda detonazione rintronava.

- Non mi aspettavo una simile sorpresa- brontolò Mendoza. - Dovevano aspettare che noi fossimo giunti almeno in vista del campo.

I tre andalusi si erano lanciati nel vallonesaltando agilmente i cespugli ed i massisenza che i cavalieri avessero bisogno di aizzarli.

Il terreno era tutt'altro che favorevole per una corsa furiosaessendo cosparso d'ostacoli e anche di crepaccituttavia i tre avventurierí che sapevano d'aver sotto dei saltatori meravigliosi e resistentissimierano certi di tenere gli assalitori a grande distanza.

Gli spagnuolisuperata la cimasi erano a loro volta slanciati nel valloneurlando e sparandodi quando in quandoun colpo d'archibugiopiú per intimorire i fuggiaschi che colla speranza di colpirli.

Se sudavano gli andalusi dei tre avventurierinon faticavano meno quelli degli spagnuoli: i quali forse non erano migliori di quelli del governatore.

La corsa diventava sempre piú furiosa e anche sempre piú pericolosa. Il bascoil guascone ed il fiammingotutti buoni cavalieri per loro fortunapoiché il marinaioprima di diventare filibustiereaveva servito in un reggimento di cavalleriaavevano un gran da fare per evitare gli ostacoli.

Ogni dieci o quindici passi erano costretti a trattenere bruscamente i cavalli e ad allargare le gambe per permettere loro di varcare dei profondi crepacci.

- Tenete bene strette le briglie - gridava di quando in quando don Barrejoil quale era sempre il primo. - Chi cade è un uomo perduto!... Reggete bene i cavalli!

Gli spagnuoli facevano sforzi prodigiosi per guadagnare via e giungere a tiro d'archibugioessendo rimasti indietro durante l'ultima salita del colle.

Spronavano senza misericordia e gridavano a squarciagolaper aizzare sempre piú i loro magri cavallisenza riuscire però a guadagnare un metro sui fuggiaschi.

La corsa durava da una buona mezz'orasempre attraverso a quell'aspro e selvaggio vallone il quale pareva che non dovesse finire maiquando il guascone mandò un urlo di rabbia.

- Che cosa avetedon Barrejo? - chiese Mendozaspaventato. Cedeil vostro andaluso?

- C'è che la via è tagliata- rispose il guascone.

- Non è possibile!... Siamo passati per di qua sette giorni or sono.

- Ed ora non si può passare piúsangue di Belzebú!... Altoamici!... Fermate i cavalli prima che si spezzino il cranio.

Erano giunti ad una svolta della valle e dinanzi a loro si ergeva una roccia colossalela quale ostruiva completamente il passaggio. Dietro era franata una quantità enorme di terra e di massi i quali avevano formato una specie di collinetta.

- Siamo presi- disse il fiammingo.

- Nosignore- rispose il guasconeil quale non si perdeva mai d'animo. - Avete un archibugio appeso alla sella e delle pistolenelle fonde. Prendiamo posizione e difendiamoci.

- Di dove passiamo? - chiese Mendoza. Non vedete che la roccia è tagliata a picco?

- Fate coricare i cavalli e nascondiamoci dietro i loro corpi. Badate di non alzare la testa. Presto: gli spagnuoli giungono!

In un lampo balzarono di sellalevarono gli archibugi e le pistolepoi fecero coricare i cavalli sull'orlo d'un crepaccio.

I sei cavalleggieri giungevano a gran galopporossi di colleracolle spade in pugno.

Vedendo i tre cavalli stesi a terrafermarono i propri e ringuainarono le spadestaccando invece dalle selle gli archibugi.

Si erano fermati a soli duecento passi dai fuggiaschiquindi avevano subito indovinato il motivo di quella improvvisa sosta.

Il capo squadrone che li comandava s'avanzò soloper vedere dove si nascondevano i tre avventurierii quali si guardavano bene dal mostrarsi.

- Olà! - gridòvedendo brillare la canna d'un archibugio dietro uno dei tre andalusi. - Siete presia quanto pare. Spero che non avrete nessuna voglia d'impegnare la lotta con noiche siamo piú numerosi e anche ben risoluti a ricondurvi da S. E. il governatore di Pueblo-Viejo. Vi arrendete sí o no?

- Il signor conte d'Alcalà non si arrende mai e si batte invece sempre! - gridò il guasconemostrandosi.

- Ah!... Ah!... Siete voi quello che si era spacciato per l'amico di S. E. il governatore!...

- In personacaballeros.


- Non ne dubitavo. Dunque vi arrendete?

- Il conte d'Alcalà non ha mai risposto di sí a questa domanda. Però si potrebbe forse intendercisenza sprecare inutilmente della polvere e delle palle e massacrarci a vicenda.

- Che cosa volete direseñor?


- Che con un po' di dobloni si potrebbe accomodare questa faccenda.

Il capo squadrone fece un gesto di collera.

- I soldati spagnuoli non si vendonobandito! - gridò. - E poi S. E. il governatore pagherà la vostra cattura a un prezzo ben piú caro.

- Si capisce che non vi hanno detto che io sono diretto a Panamadove vado a raccogliere una eredità di cento mila dobloni. Invece di attaccare briga con noiserviteci di scorta e vi pagherò tutti da vero principe- disse il guascone.

- Preferisco fucilarvi sul postoseñor.


- Vi faccio un'altra proposta allora.

- Sembra che vi piaccia troppo di chiacchierarebandito.

- No: sono conte d'Alcalàsignore d'Aramejode Mendoza y Alicante y Bermejo de los Angelos.

- E grande di Spagnalo sappiamo- disse il capo squadrone ironicamente.

- Síanche grande di Spagna- rispose il guasconesempre calmo.

- Finitela!...

- Vi propongo un duello.

- A chi?

- A voicaballero.


- Siete pazzo?

- Niente affattoperché vi offro delle splendide condizioni. Se voi mi uccideretevi do la mia parola d'onore che i miei due compagni si arrenderannose io avrò la fortuna di fare invece la pelle a voici lascierete andare tranquillamente.

- Dopo morto?...

- Ci lascieranno andare i vostri cavalleggieri.

- Preferisco fucilarvise non vi arrendete.

- Provatevidunque!... Vi avverto però che ho con me un terribile filibustiere che non sbaglia mai il bersaglio. Figuratevi che a duecento metri spacca una nocciuola e spegne con una palla la fiamma d'una torcia.

- Spaccone!... Va' a raccontarlo a tuo nonnose l'hai ancora vivo.

- È morto vent'anni fa.

Il capo squadroneche doveva averne fin sopra i capelli di quella chiacchieratavolse le spalle e raggiunse i suoi uominii quali erano nel frattempo balzati a terranascondendosi dietro ai loro cavalli.

- Signor basco- disse il guasconevolgendosi verso Mendoza.

Io non sono un cattivo archibugieree spero pure che il fiammingo non sia uomo da sprecare inutilmente del piomboperò conto specialmente su di voi. M avete detto di essere stato bucaniereprima di diventare filibustiere.

- Credo d'aver ammazzato un migliaio di bufali nelle foreste di San Domingo e di Cuba.

- Smontatemi dunque quei soldati. Quando non avranno piú cavallise ne andranno di certo. A voi il primo colpo.

Il filibustiere che si era steso nel crepaccio per mettersi completamente al coperto dalle pallesi rizzò sulle ginocchiatenendosi sempre riparato dietro all'andaluso che gli stava dinanzie puntò risolutamente l'archibugio.

I cavalleggieri stavano in quel momento rimontando a cavalloper tentare una carica disperata a colpi di spada e di pistola.

Mendoza mirò l'animale che montava il capo squadroneun bellissimo destriero tutto biancoe fece subito fuoco.

Un urlo di colleraseguito da una salva di bestemmieaccompagnò lo sparo.

Il cavallo bianco era cadutosbalzando di sella il capo squadrone. Colpito in direzione del cuore aveva fattoprima di stramazzareuno scarto cosí fulmineorizzandosi poscia sulle zampe di dietroda non lasciate il tempo al suo padrone di abbandonate le staffe e di saltare da una parte.

I cinque cavalleggierivedendo il loro capo a terracaricarono ventre a terraquantunque la discesa che conduceva verso la frana fosse coperta di massi enormi staccatisi dalla colossale roccia piombata dall'alto.

- A noifiammingo - gridò il guascone.

Due spari rimbombaronouno dietro l'altrodestando l'eco della vallataseguiti da due sonori nitriti e da due altre imprecazioni.

Altri due cavalli erano caduti in mezzo alle roccietrascinando con loro i cavalieri.

Gli altri tre si erano fermatifacendo un fulmineo volteggiopoi erano fuggiti verso lo svolto del vallonepresso cui si trovava il caposquadronepiú furibondo che mai.

- Se siamo terribili spadaccinisiamo pure formidabili archibugieri- disse don Barrejo. - Signor fiammingosiete veramente un uomo preziosomalgrado la vostra immensa barba.

- Non sono forse io del Brabante? - disse il fiammingocon solenne gravità.

- Per le centomila code del diavoloio non avevo saputoprima d'oggiche i brabantini fossero anche abilissimi archibugieri!...

- E questo non è nulla!...

- Allora siamo sicuri di smontare tutti!

I due cavalieri che erano stati scavalcatiapprofittando dei crepacci e delle roccesi erano rapidamente allontanatistrisciando come serpenti ed abbandonando i loro cavalli moribondi.

I loro compagnitrovandosi nell'impossibilità di riprendere la carica e per paura di venire a loro volta smontatisi erano trincerati dietro una rocciasparando alcuni colpi d'archibugio.

Non dovevano essere cattivi bersaglieripoiché al terzo sparo il bel l'andaluso del fiammingo si rizzò di colpomandando un lungo nitritosferrò alcuni calci e poi cadde di quartotre metri piú innanzi della spaccatura.

- Ecco una vera disgrazia- disse il guascone. - Quell'animale valeva almeno duecento piastre e non potrò piú rimandarlo a S. E. il marchese di Montelimar. È vero che non avevo proprio quest'intenzione. Le sue scuderie sono piú ben fornite delle miediamine. Ohésignor Mendozadormite sui vostri allori?

- Aspettate un po' e vedrete che cosa sanno fare i filibustieri. Cerco di gettare a terra un uomo ed un cavallo insieme.

- E quel cavalleggiero cerca di spaccare la mia testa- rispose il guasconegettandosi precipitosamente a terramentre il suo feltroforato da una pallabalzava lontano parecchi passi. - Questa è una vera battaglia!...

- I guasconi sono sempre stati battaglieriquindi non vi dispiacerà- disse il fiammingocolla sua solita calma.

- Preferiscono sempre però un corpo a corpoa colpi di spada.

- Fate per ora un corpo a corpo a palle di piombo.

- Sono troppo traditriciperché ammazzano senza nemmeno dire: ohéguardatevi che vi mando a visitare l'altro mondo.

- Giàè un brutto affare.

Un colpo d'archibugio aveva interrotto il loro discorso. Il filibustiere aveva fatto fuoco ecome aveva promessoaveva ammazzato un altro cavallo e l'uomo che gli stava dietro.

- Signor Mendoza- disse l'incorreggibile chiacchierone. Voi siete un tiratore veramente tremendo.

- Come il fiammingo è un brabantinoio sono un filibustiererispose Mendoza.

- Avete ancora delle munizioni?

- Tre colpi soli: S. E. il governatore ci ha forniti poco bene.

- Forse presentiva che noi li avremmo adoperati contro i suoi armigeri- rispose il guascone.

Una scarica in quel momento partí ed un altro cavallo del governatoredopo d'aver spiccato un saltocadde fulminato.

- È il mio- disse il guasconebestemmiando. - Non valeva la pena di regalarci dei cavalli cosí splendidiper farli poi massacrare dai suoi cavalleggieri.

- Se ci avesse dati dei muli sfinitisarebbe stata la medesima cosa.

- Signor fiammingoguardate troppo il vostro archibugio. Sono tutti cosí lenti i brabantini quando devono sparare?

- Anch'io aspetto la mia occasione- rispose l'avventuriero.

- Tiriamo insieme dunque: scommetto un dobloneda bersi alla taverna d'El Moroche io abbatterò un cavallo e due uomini.

- Bum! - fece Mendoza. - Altro che bucaniere!...

- Accettato- rispose il fiammingo.

Fecero fuoco contemporaneamente e fu il brabantino che gettò giú un altro cavallo.

- Per centomila code del diavolo! - esclamò don Barrejo. - Si vede che i guasconi non sanno tirare che gran colpi di spada. Signor fiammingoterrò in serbo il doblone per berlo alla vostra salute. Corpo di Belzebú!... Ecco che la faccenda diventa proprio seria.

Gli spagnuolifuribondi di essere tenuti in iscacco da quei tre terribili avventurierisparavano senza posatenendosi coricati dietro le sporgenze del terreno.

Rispondevano colpo per colpo alle archibugiate del bascodel fiammingo e del guasconecercando di avanzarsi.

Non avevano però fortuna. Sia che un certo panico si fosse manifestato fra di loro; sia che i loro archibugi avessero una portata assai minorele loro palle passavano sopra le teste degli avventurierisenza causare alcun danno.

Il guascone ed i suoi compagniben nascosti dietro ai cavallidei quali due non davano piú segno di vitaresistevano con tenacia ammirabile.

Ma dopo un quarto d'ora si trovarono tutti tre senza munizioni. Non avevano che le pistole e le spade.

- Ladro d'un governatore! - borbottò don Barrejo. - Poteva essere piú generoso. Non ha badato a darmi dei cavalli di valore ed ha economizzato sulle munizioni. Ora verrà il buono.

Poivolgendosi verso i suoi due compagnidisse:

- Non usate le pistole che all'ultimo momento e tenetevi pronti a caricare colle spade.

- lo non ne ho- disse il fiammingo.

- Caricherete colla sella del vostro cavallo- disse il guascone.

Gli spagnuoli non avevano cessato di avanzarsi. Ben risoluti ad impadronirsi dei tre avventurieriprendevano però le loro precauzioninon ignorando ormai d'aver da fare con persone risolute e pronte a qualunque sbaraglio.

Strisciavano fra i massicercando di non esporsi e scivolavano fra i crepacci. Anche essi dovevano aver lasciati gli archibugi presso i cavalli.

Erano cosí pervenuti ad una distanza di una ventina di metriquando si udirono in aria due sibili acuti.

Tutti avevano alzata la testa.

- Delle freccie! - aveva esclamato il guascone. - Benissimo!... Gli spagnuoli dinanzi e gl'indiani in alto. Si stava meglio a Pueblo-Viejo.

Sette od otto uomini dalla pelle ramignaquasi interamente nudicolle teste adorne di piume variopinte e che tenevano in mano dei lunghi archierano comparsi fra le alte rocce del vallone.

Non correvano però in aiuto né degli spagnuoliné degli avventurieriperché lanciavano i loro pericolosi dardi tanto contro gli uni che contro gli altri.

Per essi l'uomo bianco rappresentava il nemicoa qualunque nazione appartenesse.

- Don Barrejoche cosa facciamo? - chiese Mendozail quale si era prontamente riparato dietro una sporgenza dell'enorme rocciainsieme al fiammingo.

- Carichiamo gli spagnuoliche sono per ora i piú pericolosirispose il guascone.

I cavalleggieriche si trovavano maggiormente esposti alla pioggia di dardinon avanzavano piúanzi balzavano a destra ed a sinistra per evitare d'essere colpiti.

- Approfittiamoneamici- disse il guascone.

I tre avventurieri balzarono innanziscaricando un colpo di pistola ognunonon volendo rimanere affatto senza munizionipoi il guascone ed il basco caricarono colle loro draghinasseurlando ferocemente.

Gli spagnuoli che già si trovavano a mal partito in causa delle freccie e che avevano perduto un altro uomocolpito in pieno petto da una palla di pistolafuggirono precipitosamente su pel vallonetraendosi dietro i cavalli rimasti vivi.

- Io spero di non rivederli piú- disse il guasconerifugiandosi precipitosamente dietro la rocciaper non prendersi qualche freccia attraverso il corpo.

- Non sono però scappati gl'indiani- disse il fiammingo.

- Non sarà facile a loro di colpirci. Bisognerebbe che girassero il vallone e noi sappiamo quanto è lungo.

- Mi pare che si siano divisi- disse Mendoza. - Alcuni di loro inseguono i cavalleggieri: vedo infatti lassú volare dei dardi.

- Cosí affretteranno la loro ritiratasignor basco.

- E gli altri assedieranno noidon Barrejo.

- Aspetteremo la notte.

- Ed intanto ci ammazzano l'ultimo andaluso! - gridò il fiammingo.

Infatti l'ultimo andalusocolpito da cinque o sei freccieera caduto addosso agli altri duenitrendo lamentosamente.

- Ah!... furfanti!... - gridò il guascone. - Non ne avevano abbastanza della carne quisenza ammazzarci anche quella povera bestia.

- Ci impediscono di fuggire- disse Mendoza.

- Quante piastre perdute!...

- Un migliaio per lo menodon Barrejo.

- Ci rifaremo al saccheggio di Pueblo-Viejo. Per bacco!... Mi viene una superba idea.

- Dite.

- Di far pagare questi tre cavalli a quel furfante di taverniere. Se riesco a scovarlolo farò urlare come una coyota.

Mentre si scambiavano quelle paroletranquilli come se fossero al sicuro dentro un castellogl'indiani non cessavano di scagliare freccie e di mandaredi quando in quandoil loro acutissimo urlo di guerra.

Sprecavano però inutilmente i loro dardipoiché i tre avventurieri si guardavano bene dal lasciare l'angolo della roccia.

- Suppongo che non avranno delle migliaia di freccie- riprese il guasconedopo un breve silenzio. - Ne hanno già scagliate parecchie dozzine. Ah!... Se avessi un po' di polvere!...

- Non abbiamo che tre cariche- disse Mendoza.

- E di pistola...

- Tiro troppo breve.

- Lo sosignor basco. Io continuo a tormentarmi il cervello per trovare un mezzo qualunque che ci permetta di andarcenee non trovo nulla. Ciò m'inquieta.

- Qui non corriamo alcun pericolo- disse il fiammingoil quale masticava l'ultimo pezzo del suo sigaro.

- Non sono gl'indiani che m'inquietano- rispose il guascone.

- Il soleforse?

- Me ne infischio del caldo. Sono gli spagnuoli.

- Se sono scappati!...

- E se ritornassero con dei rinforzi e ci trovassero ancora qui?...

- Che frittata! - esclamò Mendoza. - Fortunatamente Pueblo-Viejo non è tanto vicina ed i cavalleggieri sono quasi tutti smontati.

- E quelli montati possono correre innanzi e tornare alla testa di qualche squadrone.

- Ah diavolo! - brontolò Mendozagrattandosi furiosamente la testa. - Voi mi avete messo una pulce terribile in un orecchio. È necessario prendere una risoluzione eroica. Credete che questa roccia sia proprio inaccessibile?

- Io non l'ho ancora osservata attentamente- rispose il guascone. - Si può provare.

- Non ci colpiranno gl'indiani? - chiese il fiammingo.

- Non credoperché l'angolo della roccia si prolunga.

- Tentiamo- disse Mendozarisolutamente. - State attenti alle freccie; non sono già molto pericolose in pieno giorno.

Presero gli archibugiarmi troppo prezioseanche se pel momento scaricheper lasciarle agli altriimpugnarono le tre pistole cariche e scivolarono lungo la parete dell'enorme rocciagirandola verso l'opposta parte del vallone.

Gl'indiani non potevano accorgersi di quella ritirataimpedendo la frana di osservare ciò che succedeva in basso.

I tre avventurieriprocedendo cauti e nel piú profondo silenzioriuscirono finalmente a raggiungere l'altro angoloil quale si appoggiava contro la parete rocciosa del vallone.

Per un caso assolutamente straordinariol'enorme rupenel precipitaresi era per cosí dire smussata verso la baselasciando un passaggio fra il proprio angolo e la parete che scendeva a picco.

- L'ho sempre detto ioche tutti gli avventi hanno la loro stella! - esclamò il guasconetrionfante. - Un cavallo non potrebbe passarema un uomo sí. Prenderemo quei signori indiani alle spalle!...

- Infatti noi abbiamo una fortuna veramente straordinariadisse Mendoza. - Chi avrebbe potuto supporre che qui esistesse un passaggio?

- Dentroamici- comandò don Barrejo. - Spicciamocigiacché gl'indiani non si sono ancora accorti della nostra scomparsa. Odo sempre le freccie fischiare dall'altra parte della frana.

Si curvò e si mise a strisciare sotto la rupeseguito tosto da Mendoza e dal fiammingo.

Quella specie di galleria si prolungava per una quindicina di metriingombra di terriccio e di macigni.

I tre avventurieri l'attraversarono rapidamente e giunsero dietro la frana.

- Laggiú mugge il Chagres- disse il guascone. - Dobbiamo attaccare alle spalle gl'indiani o scappare?

I"Veramente ad un guascone ripugna di mostrare i talloni al nemico.

- Io direi di dare l'attacco- rispose Mendoza. - Se si accorgono della nostra fuga non cesseranno di perseguitarci. Io so quanto sono testardi quei maledetti uomini rossi.

- Voi meritereste di essere promosso generale.

- Perchédon Barrejo?

- Gli uomini si conoscono nei momenti difficili. Scappano almeno gl'indiani quando odono dei colpi di fuoco?

- Come conigli.

- Allora cerchiamo di sorprenderli. Che cosa dite voisignor fiammingo?

- Conosco anch'io quella gente che ha la pelle color rame e vi posso dire che è sempre meglio dare l'assalto.

- Riusciremo noi a sorprenderli?

- Basta arrampicarsi sulla roccia- rispose Mendoza. - Qui è piú accessibile che dall'altra parte.

- Noi siamo gente sempre straordinariamente fortunata- disse il guascone. - Se gl'indiani non si accorgono della nostra scalatafaremo una carica a fondo. Compare Mendozainsegnateci la via. Non siete piú giovanequesto è veroperò potete competere con un gatto selvaggio. Questi filibustieri sono veramente meravigliosi!...

- Ora vi darò una prova di che cosa sono capaci i figli della Tortue- rispose il basco. - Se non faccio fuggire gl'indianiche un giaguaro mi divori.

- Brutta scommessa- disse il guasconescuotendo la testa.

Il filibustiere osservò attentamente l'enorme franapoiavendo scoperto una specie di gradinatasi mise a salirla. Non era già una gradinata regolaretuttavia il lupo di mare aveva dato arditamente l'assaltoansioso di piombare alle spalle degl'indianii quali non cessavano di scagliare freccie nel valloneper impedire la fuga agli assediati.

Il guascone ed il fiammingo gli si erano messi dietropronti ad aiutarlo nella temeraria impresa.

Puntando i piedi sulle sporgenze ed aggrappandosi agli sterpiil lupo di mare raggiunse senza troppa fatica la cima e scivolò inosservato verso gli alberi che coprivano il margine del vallone.

- Ecco il momento di mostrare a quel terribile guascone che anche i baschi valgono qualche cosa- brontolò. - Che tutta la gloria spetti a luiperché abita dall'altra parte del mar di Biscagliacomincia un po' a seccarmi. Canarios!... Anche noi siamo famosi per menare le mani e per uccideresia pure a colpi di navaja.

Don Barrejo ed il flemmatico fiammingo lo avevano raggiuntosenza che le pelli-rosse se ne fossero accorte.

- Signor Mendoza- disse don Barrejo- non sarebbe questo il momento di dare una prova della vostra abilità?

- Che cosa volete dire? - chiese il filibustiere.

- Abbiamo gl'indiani a soli venti passi da noi e ci voltano le spalle ed io ho udito vantare la straordinaria abilità dei baschi.

- A giuocare di spada?

- Le spade sono le armi dei guasconi- disse don Barrejo. È il colpo della navaja che io vorrei vedere. Si risparmierebbe una carica di polvere.

- Ho capito- rispose il bascosorridendo.

- L'avete sempre la vostra navaja?


- Preferirei lasciare la spada per la mia arma nazionale.

- Fate un buon colpo dunque! Vedremo se la pelle degl'indiani è piú dura di quella degli uomini di razza bianca. Una cosí tremenda stoccatadata a distanzapotrebbe produrre un effetto straordinario.

- Vi contenterò- rispose Mendoza. - Sarà una palla risparmiata. Fermatevi qui e non fate rumore!

GI'indiani si trovavano a trenta o quaranta passinascosti dietro gli enormi massi della frana. Credendo che gli avventurieri si trovassero sempre riparati dietro l'angolo dell'enorme roccianon cessavano di lanciare delle frecciesenza guardarsi alle spalle.

- SottoMendoza- disse il guascone.

- Lasciate fare a me- rispose il basco. - Tenetevi pronti a caricare a colpi di spadase non volete consumare le nostre ultime munizioni. Silenzio!

Si era allontanatostrisciandodopo essersi sbarazzato dell'archibugio il quale non poteva essergli piú di nessuna utilità.

Sulla mano allargata teneva la terribile navaja bascacolla punta rivolta verso il polso ed il manico al di fuori.

Strisciava come un serpentesenza produrre il menomo rumore.

Il guascone ed il fiammingo lo seguivano a breve distanzatenendo pronte le pistolepronti a portargli aiuto nel caso che il colpo fosse

mancato.

Ad un tratto Mendoza si fermò dietro il tronco d'una grossa palma.

GI'indiani non erano che a dieci o dodici passi e gli volgevano le spalleintenti a lanciaresenza interruzionedelle freccie.

Si udí un leggiero sibilo e qualche cosa scintillò in alto.

La navaja era stata lanciatapiantandosi fra le spalle d'un selvaggio e con tanta violenza da troncargli di colpo la colonna vertebrale.

I suoi compagnivedendolo cadereavevano fatto tre o quattro salti innanziurlando spaventosamente.

Il guascone sparò un colpo di pistolapoi caricò colla sua terribile draghinassa.

Era una carica affatto inutileperché i figli delle forestespaventati di vedersi dinanzi quei tre uomini bianchisi erano precipitati sotto la vicina boscagliacorrendo come lepri.

Quasi nel medesimo istante si udirono rimbombare nel vallone parecchi colpi d'archibugio.

- Gli spagnuoli! - gridò il guasconementre il basco s'impadroniva della navaja. - Gambeamici!

 



CAPITOLO IV

L'ASSALTO A PUEBLO-VIEJO


Pochi minuti di ritardo e la stella benignache fino allora aveva protetto quei terribili avventurierisarebbe tramontata e molto probabilmente per semprepoiché il marchese di Montelimar non li avrebbe certamente risparmiatidopo il tiro birbone giuocatogli dal guascone.

Quei colpi d'archibugio che rintronavano nel vallonedovevano essere sparati dagli spagnuoli per sbarazzarsi dell'altra piccola partita d'indiani.

Probabilmente il capo squadrone ed i suoi compagni avevano incontrato a non molta distanza qualche altro drappello di cavalleggierimandati in perlustrazione e tutti uniti accorrevanocolla speranza di trovare ancora dinanzi all'enorme roccia i tre avventurieri e di costringerli ad accettare un nuovo combattimento o ad arrendersi.

- Io credo che messer Belzebú abbia una gran simpatia per noi

disse il guasconeil quale correva come un daino per giungere sulle rive del Chagres e trovare un rifugio in mezzo alle immense foreste che coprivano le rive del fiume.

- O qualche santo ci proteggedi certo- rispose il basco

Se riuscirò a sapere qual èparola d'onore che gli offrirò due ceri da una piastra ciascuno.

Pure scambiando qualche parolatrottavano lestamentescendendo sempre il valloneil quale accennava a finire.

Infatti ai loro orecchi giungeva ormai distintamente il fragore prodotto dalle acque del fiumeche si frangevano contro le roccie che coprivano il suo letto.

In lontananza rimbombavano sempre le archibugiate degli spagnuoli. Pareva che gl'indianiaccresciuti forse di numerotenessero valorosamente testa.

Dopo venti minuti i tre avventurieri si gettavano in mezzo alle foreste costeggianti il Chagres.

Il sole in quel momento stava per tramontare e l'oscurità cominciava a diffondersi sotto le maestose palme.

- Prendiamo fiato- disse il guascone. - Non sono un cavallo andaluso e nemmeno un mulo dei Pirenei. Gli spagnuoli ormai non ci raggiungeranno piú.

- Siamo ancora molto lontani dall'accampamento dei filibustieri del conte? - chiese il fiammingo.

- Fra tre o quattro ore vi giungeremo- rispose Mendoza.

- Non ci smarriremo fra queste foreste?

- Non abbiamo che da seguire la riva del Chagres. Tutte le precauzioni sono state prese per raggiungerlo.

- Sono impaziente di vedere il figlio del famoso Corsaro Rosso. Ho udito parlare anch'io moltissimo dei tre fratelli filibustieri.

- Bastano le chiacchiere- disse il guascone. - In marciaamici. Mi hanno detto che le foreste del Chagres sono popolate di brutte bestie ed io colle bestie non ho mai desiderato di aver da fare. Ho sempre preferito gli uominiperché almeno non saltano come gatti rabbiosi.

Si erano messi in camminoseguendo a breve distanza la riva del fiume.

Mille strani rumori s'alzavano sotto la tenebrosa foresta. Muggivano i pipaquegli enormi e schifosi rospiche hanno il dorso tutto bucato per nascondervi i loro piccinie le parranua; fischiavano acutamente i grossi batraci nascosti fra le alte erbe del fiume e strepitavano i caimani.

Il bascopratico dei luoghipoiché aveva seguito Morgan a Panamasi era messo alla testa del minuscolo drappellotenendo la spada in mano.

Il guascone lo seguiva colla sua draghinassa ed il fiammingo colla sua pistolanon avendo armi da taglio.

Tutti tre cercavano di non far rumorenon già perché temessero di venire raggiunti dagli spagnuolibensí per non attirare l'attenzione delle bestie feroci che potevano aggirarsi per la foresta.

In quell'epoca i giaguari ed i coguari erano ancora numerosissimi sull'istmo e non esitavano a gettarsi ferocemente sulle persone che osavano attraversare le foreste da loro abitate.

Marciavano da un paio d'oresempre seguendo il Chagres le cui acqueostacolate dal letto rocciosomuggivano cupamentequando Mendoza si fermò bruscamentestendendo la spada in linea ed impugnando la pistola carica.

- Ancora gl'indiani? - chiese il guasconealzando la sua draghinassa.

- Non ho mai veduto un indiano cogli occhi fosforescenti - rispose il basco.

- Allora sarà un gatto rabbioso.

- Purché non sia un gattone terribile. Signor fiammingotoglietevi dalla cintura la navaja e preparatevi a servirvene. Se non sarà una spadapotrà egualmente tagliare.

- Che brutti occhi! - disse il guascone. - È un gatto quello.

- Io credo invece che sia un giaguaro affamato.

- Non so che cosa sia un giaguaro affamato perché in Guascogna non ho veduto altro che dei gatti e dei lupi.

In mezzo alle fitte tenebre accumulate sotto le immense foglie delle palme tacaràsi vedevano scintillare due punti luminosii quali avevano degli strani bagliori verdi-giallastri.

Doveva essere qualche giaguaro o qualche coguaroil leone americanoin attesa della preda.

- E dunquesignor Mendoza? - chiese il guasconevedendo che il basco non si decideva a riprendere le mosse. - Sarebbe ridicolo che un gattacciosia pur grosso come un torotenga in iscacco tre spadaccini famosi.

- Non vedete che ci chiude il passodon Barrejo? - rispose Mendoza.

- Dategli un calcio. I gatti guasconiquando vedono una gamba alzatascappano sempre.

- Subitopurché mi si dia una pistola caricaessendo le mie vuote. Che diamine!... Una bestia non può fermare tre uomini come noi.

- Prendete dunque- rispose il bascoporgendogli l'arma. - Badate però che quel gattacciocome vi ostinate a chiamarlopotrebbe strapparvi gli occhi.

- Uh!... Ne ho visti tanti io in Guascognaquand'ero ragazzo.

- Erano diversi da questi.

- Ora la vedremo.

Lo spadaccino prese la pistolamise la draghinassa in linea e s'avanzò con pazza temerità verso i due punti fosforescentiche non cessavano di brillare fra le tenebre.

Il basco ed il fiammingo gli avevano tenuto dietropronti ad aiutarlo in quella pericolosa impresa.

Il guascone non aveva percorsi dieci passiquando un orribile miagolio che terminò in un terribile muggito soffocatosi fece udire.

- Il gattaccio soffia- disse don Barrejo. - Deve essere arrabbiato. Ora t'accomodo io!

Era tutt'altro che un gattaccio! Si trattava d'un vero coguarouno dei piú pericolosi animali che si trovino nelle foreste americanee che per forza e per ferocia non la cedono che ai colossali orsi grigi delle Montagne Rocciose.

Vengono chiamati le tigri dell'America e possono rivaleggiare con le tigri reali dell'Indiaquantunque non ne abbiano la mole. Posseggono però una tale forza da trascinare un toro.

Il guasconeun po' impressionato dai miagolii feroci della fierasi era fermato.

- E dunquedon Barrejoche cosa facciamo? - chiese Mendozail quale rideva sotto i baffi. - Non è un gattone guascone quello lí?

- Mi pare che soffi un po' troppo- rispose l'avventuriero.

- Dategli un calcio.

- Ah!... Diamine!... Mi pare che la cosa sia un po' difficile!

- Infilatelo.

- È quello che stavo appunto studiando.

- Giú un colpo di spada!

. Aspetto che mi assalga.

Aveva puntata la pistola e allungata la draghinassa.

La belva soffiava sempre e ruggiva sordamentesenza muoversi.

Don Barrejoseccato di non vederla avanzarsifece qualche passo innanzigridando:

- Sugattaccioassaggia un po' la mia draghinassa!

Il giaguaro si era accovacciatopronto a slanciarsi.

Mendoza si era messo a fianco del guasconetemendo che gli toccasse qualche grave disgraziamentre il fiammingo impugnava la pistola.

- Il gattaccio ha paura- disse don Barrejo. - Diavolo!... Sente l'odore d'un uccisore di gatti.

Aveva appena pronunciato quelle parolequando il coguaro spiccò un salto cosí impetuoso da farlo cadere a gambe alzate.

Mendozache gli stava pressoallungò rapidamente la spadaaffondandola nelle carni della bestiacciamentre il fiammingoche aveva ancora una pistola caricasparava a bruciapelo.

Il coguarodoppiamente feritosaltò sopra la testa dei suoi feritori e scomparve nella forestaruggendo.

- Corpo di bacco! - esclamò il guasconeil quale si era prontamente alzato. eper sua fortunaincolume. - Che gattacci vivono in questo paese? Non sono di quelli che ammazzavo io quando ero ragazzo. L'avete ucciso voisignor Mendoza?

- Non lo so- rispose il basco. - La mia spada è però insanguinata.

- E la mia palla deve averla ben cacciata nel corpo- aggiunse il fiammingo. - Scommetterei che l'ho acciecato.

- Ecco un uomo meraviglioso- disse don Barrejo. - Io non vedevo quasi piú quel gattaccioe lui l'ha proprio preso in un occhio. Speriamo allora che essendo cieco non ci secchi piú.

- Un fiammingo- disse Mendoza.

- Che cosa volete dire voi? - chiese il brabantino.

- Che è un mezzo guasconese non lo è per intero.

Don Barrejo ed il brabantino proruppero in una clamorosa risata.

- E Mendoza è un basco- disse il primo.

- Síun basco- ripeté il secondocon voce grave.

- Che lavora di gambe per non farsi nuovamente sorprendere dal gattone cieco- rispose Mendozariprendendo la corsa. I due fracassoni credettero bene di seguirlonon essendo veramente sicuri se il coguaro avesse ancora o no i suoi occhiacci a riflessi giallastri.

Quella seconda galoppata durò un'altra ventina di minutipoi Mendozache da qualche po' osservava attentamente la riva del Chagressi fermò additando ai suoi compagni alcuni fuochi che brillavano sotto gli alberi.

- Ancora gl'indiani? - chiese il guasconevedendolo arrestarsi.

- È l'accampamento del conte- rispose il basco. - Sono certo di non ingannarmi.

In quel momento una voce rauca gridò minacciosamente:

- Chi vive? Rispondi o faccio fuoco.

- Mendoza- rispose il basco.

- Avanti alloracompare.

Quattro uomini armati d'archibugi e di pistole si erano slanciati fuori da un cespuglioseguiti da un quinto il quale portava una torcia.

- Il lupo di mare! - esclamò il capo delle sentinelle. - Hai tardato molto a farti vivocompare. Si beve bene dunque a Pueblo-Viejo?

- Benissimo- disse don Barrejo. - Vi faremo assaggiare un certo Alicante che abbiamo scopertoche non si beve nemmeno nella vecchia Spagna.

- Quando?

- Quando prenderemo d'assalto la città- rispose il guascone.

- È verocompare? - chiese il filibustiere a Mendoza.

- Chi vivrà vedrà- si limitò a rispondere il bascoallontanandosi rapidamente per recarsi dal conte di Ventimiglia.

Nell'attraversare l'accampamentos'accorse che i filibustieri erano ben piú numerosi di prima. Gruppi d'uomini che prima non aveva mai vedutichiacchieravano o fumavano attorno ai fuochitenendo i loro archibugi fra le gambe.

- Il signor conte ha ricevuto degli aiuti- mormorò. - Prendere Pueblo-Viejo sarà per noi un giuoco.

La tenda del conte s'innalzava in mezzo all'accampamento ed era illuminata anche internamente.

Mendoza entrò risolutamentedicendo:

- Eccomicapitano.

- Finalmente! - esclamò il signor di Ventimigliail quale stava seduto su un vecchio tronco d'alberointento ad osservarealla luce d'una torciauna specie di carta geografica dei dintorni. - Cominciavo a temere che ti avessero preso od appiccato.

- Niente affattosignor conte- rispose il lupo di mare.

Quando vi è con me quel demonio di guascone non correrò mai alcun pericolo.

- Vi è dunque?

- Síil marchese si trova a Pueblo-Viejo. Don Barrejo ha parlato con luianzi ha bevuto insieme la cioccolata. Vi spiegherà comelui stesso piú tardi...

- E mia sorella si trova presso di lui?

- Questo non abbiamo potuto saperlosignor conte. Abbiamo però saputo che fino a poco tempo fa si trovava presso il marchese una bellissima meticciagiunta non si sa da dove e poi misteriosamente scomparsa.

Il conte aveva alzato vivamente la testamentre una profonda emozione alterava il suo viso.

- Mia sorella è la nipote del Gran Cacico del Darien?

- Può darsi che sia quella.

- Bisogna che abbia il marchese nelle mie mani.

- Lo credo anch'iosignor conte.

- Sai quanti soldati vi sono in città?

- Due o trecento cavalleggieri e qualche compagnia d'archibugieri.

- E l'artiglieria?

- Pochi pezzi.

- La prenderemo d'assalto prima di mezzodí- rispose il conterisolutamente. - Sai che ho ricevuto dei rinforzi?

- Mi sono accorto della presenza di altri uominiche qui prima non c'erano.

- I miei corrieri che ho mandati verso le sponde del Pacifico per avvertire Grogner e Tusley di mandarmi dei rinforzihanno incontrato una partita di filibustieriforte di settantacinque uominiguidata da un gentiluomo franceseil signor Raveneau de Lussan.

- E cinquanta ne avete voisiamo dunque in buon numero- disse Mendoza.

- Tu conosci ormai la via?

- Sísignor conte.

- Potremo giungere prima dell'alba sotto le mura di Pueblo-Viejo?

- Anche piú presto.

Il conte uscí dalla tendaestrasse le sue pistole e le scaricò in aria.

Era quello il segnale della riunione.

Gli uomini che stavano seduti intorno ai fuochi o di guardia ai quattro angoli dell'accampamento si alzarono frettolosamente e si portarono in massa dinanzi alla tendapreceduti da un uomo di bassa staturache indossava una corazza d'acciaio in mezzo alla quale campeggiava uno stemma dorato: era Raveneau de Lussan.

- Partiamoconte? - disse il gentiluomo francesecon voce nasale.

- Sísignor de Lussan- rispose il figlio del Corsaro Rosso. Si tratta d'assalire Pueblo-Viejo.

- E noi la prenderemo- rispose tranquillamente il filibustiere. I miei uomini cominciavano ad annoiarsi.

- Spegnete i fuochi ed in marciasenza perdere tempo. Cerchiamo di sorprendere il marchese nel suo palazzo.

Dieci minuti dopoi filibustieri levavano il campo inoltrandosi sotto la grande forestapreceduti da Mendozadal guascone e dal fiammingo.

Il conte di Ventimiglia veniva subito dopo i tre avventuriericon Raveneau de Lussan.

La truppa raggiunse felicemente le rive del Chagres e verso le due del mattino s'inoltrava nel vallone dove aveva avuto luogo lo scontro fra i tre avventurieri ed i cavalleggieri spagnuoli.

Temendo una sorpresail conte mandò innanzi una grossa avanguardia. Se gli spagnuoli si fossero trovati ancora là e avessero occupate le due falde della valleavrebbero certo dato molto da fare ai filibustieri.

Fortunatamentedopo d'aver cacciati gl'indianierano ritornati a Pueblo-Viejoben lungi dal sospettare la vicinanza d'un cosí grosso numero di nemici.

Mezz'ora prima che sorgesse il solei filibustierisenza essere stati segnalati dalle cinquantine incaricate di battere ogni notte le foreste vicine alla cittàgiungevano a pochi tiri d'archibugio da Pueblo-Viejo.

Come la maggior parte delle piccole città dell'istmo di Panamaanche quel centronon molto popoloso e piuttosto discosto dai due oceaninon aveva che qualche vecchio bastione ed un fossato facilissimo a varcarsi coll'aiuto di pochi fasci di legna.

Per filibustieri abituati a dare la scalata perfino alle altissime muraglie dei forti difese da formidabili artiglieriealmeno per quell'epocaci voleva ben altro!...

Il figlio del Corsaro Rosso divise i suoi uomini in due colonneaffidando il comando della meno numerosa al gentiluomo francese eappena il primo raggio di sole comparvesi spinse risolutamente all'attacco.

Le sentinelle spagnuole che vegliavano sul bastionescorgendo quei gruppi d'uomini che s'avanzavano attraverso alle piantagioni di zucchero e di caffènon avevano indugiato a dare l'allarme ed a sparare parecchi colpi d'archibugio.

I filibustieri non si erano nemmeno curati di rispondere. Guidati dal conteda Mendozadal guasconeavevano rapidamente attraversato il fossatoricoprendolo di fascinepoi avevano aperto il fuoco contro le prime casefacendo scappare gli abitanti seminudi.

Nessuno si era opposto all'assaltotanto era stato fulmineo. sicché i filibustieri irruppero attraverso le vie della città a passo di corsamentre Raveneau de Lussan s'impadronivacon non meno fortunadel vecchio bastionefacendo subito inchiodare i pochi pezzi che lo guarnivanopiú utili del resto a spaventare i tica-tica che saccheggiavano le piantagioniche uomini cosí risoluti e formidabilicome erano i corsari del golfo del Messico e dell'oceano Pacifico.

Gli abitantisvegliati di soprassalto da quelle scarichescappavano verso la piazza maggioredove si ergevano la chiesa che poteva servire da fortezzae il palazzo del governatore.

Uominidonne e fanciulli si spingevano gli uni gli altri carichi delle loro cose piú preziose trovate sotto mano.

I filibustieri credevano già di avere in loro mano la cittaduzzaquando scorsero dinanzi alla chiesa due squadroni di cavalleggieri colle spade in pugno.

Erano circa cento cinquanta uominiben montati e bene armati e che avrebbero potuto dare del filo da torcere agli assalitorise questi non fossero stati ritenuti come uomini invincibili perché creduti figli dell'inferno.

Il figlio del Corsaro Rosso si slanciò risolutamente verso la chiesagridando ai suoi uomini:

- Sottoamici!

I filibustierii quali già molto contavano sul terrore che ispiravanodopo le loro strepitose vittorie riportate al di là ed al di qua dell'istmofecero una scarica generale.

I cavalleggieri tentarono una carica disperatapoi volsero i cavallifuggendo disordinatamente attraverso le vie della città.

Parecchi avevano già vuotato l'arcione e giacevano morti o moribondi dinanzi ai gradini della chiesa.

- Ora quel dannato taverniere farà i conti con me- disse il guascone. - Se lo trovoguai a lui!

Il conte di Ventimiglia prese con sé una dozzina di uomini e si slanciò verso il palazzo del governodalle cui finestre non era partito nemmeno un colpo d'archibugio; mentre gli altriprovvedutisi di alcune travisfondavano la porta della chiesa per far uscire gli abitanti della città che vi si erano rifugiati cogli oggetti piú preziosi.

Il guasconeMendoza ed il fiammingo avevano accompagnato il contepronti a sacrificarsi per difenderlo.

- Per centomila demoni! - esclamò don Barrejoquando ebbero salito lo scalone. - I colombi sono scappati assieme al falco. Signor contenon sarà qui che voi scoverete il marchese di Montelimaril mio carissimo amico. Scommetto che non avrete l'onore di assaggiare la sua squisita cioccolata.

E conte ed i suoi uomini si erano precipitati attraverso le salesfondando i mobili e le porte.

Non furono trovati che sette alabardieri nascosti in un bugigattolosotto un ammasso di fasci di canne da zucchero. Vi era però fra di loro un uomo già conosciuto da Mendoza e dal guascone.

- Corpo d'un trombone sfiatato! - esclamò don Barrejo. - Il capo della scorta! Ehicameratail conte d'Alcalà vi prega di far udire la vostra voce armoniosa. Ve l'avevo già dettose non m'ingannoche mi avreste riveduto e molto presto.

Il capo-rondamolto avvilito di vedersi ancora dinanzi l'ex-prigionieroera uscito dal bugigattoloborbottando e stringendo minacciosamente una specie di misericordia.

- Interroghiamo quest'uomosignor conte- disse don Barrejo. È una vecchia nostra conoscenza.

- Dov'è il marchese? - gridò il signor di Ventimigliail quale appariva esasperato.

- Da ieri seracaballerosegli galoppa sulla via che conduce a Nuova Granata- rispose il capo-ronda. - I vostri compagniche si spacciavano per conti e grandi di Spagnanon sono stati troppo furbi e si sono traditi.

- Burlone! - esclamò il guascone.

- Quando è partito? - chiese il conte.

- Prima della mezzanotte. S. E. non è un uomo da cadere facilmente nel laccio e si è messo in salvo per tempo. Nuova Granata non è Pueblo-Viejo e non la prenderete con poche scariche d'archibugisignor mio.

- Con chi se n'è andato? Parlase vuoi salvare la pelle. Sai che i filibustieri non sono molto generosi.

- Aveva una scorta di otto uomini.

- Ed una fanciulla?

- caballero.

- Una meticciaè vero?

- Come lo sapete voi?

- Rispondi e non interrogare- disse il signor di Ventimiglia con voce minacciosa.

- una meticcia- rispose il capo-ronda.

- Quale posizione occupava quella meticcia nella casa del governatore?

- Veniva trattata come fosse una parente di S. E.

- Quanti anni potrà avere?

- Dai quindici ai sedici.

Il conte fece mentalmente un rapido calcolo.

- Non può essere che lei- mormorò.

Poialzando la vocerispose:

- È dunque molto fortificata Nuova Granata?

- Cosí si dice.

- Ci sei stato tu?

- Maicaballero.

Il figlio del Corsaro Rosso fece un gesto di dispetto.

- Poche ore prima e cadevano l'uno e l'altra nelle mie manidisse.

Poi volgendosi verso uno dei suoi ufficiali:

- Incaricatevi della custodia di questi uomini. Possono essermi molto utili piú tardi.

Lasciò la sala e ridiscese sulla piazzaseguito da Mendozadal guasconedal fiammingo e da una mezza dozzina di filibustieri.

I corsari del signor di Lussan non erano ancora riusciti a entrare nella chiesa.

Gli abitanti che stavano dentro difendevano accanitamente le loro ricchezzeche avevano frettolosamente raccoltee ad ogni intimazione di resarispondevano con scariche d'archibugi.

- Signor di Ventimiglia- disse il gentiluomo francesevedendolo comparire. - Questi spagnuoli non intendono di uscire. Volete che faccia saltare la chiesa con una mezza dozzina di barili di polvere?

- Sarebbe un massacro inutile- rispose il conte.

- E se rimangono lí dentro noi non avremo nemmeno una piastra.

- Io rinuncio alla mia parte.

- Non rinunceranno però né i mieiné i vostri uomini.

- Avete fatto dei prigionieri?

- Appena due dozzine.

- Mandatene uno nella chiesa ad annunciare agli assalitori chese non capitolanoammazzeremo per ora quelli che teniamo nelle nostre mani.

Mentre il signor di Lussan si preparava a obbedireMendoza si avvicinò al guascone ed al fiammingo.

- Amici- disse. - Finché questa gente se la sbriga colla chiesaapprofittiamone per andare ad assaggiare il buon vino di quel furfante di taverniere. Se comincia il saccheggio generale della cittànoi non troveremo che le botti vuote. Io ne so qualche cosa della sete dei filibustieri... poi la nostra presenza qui non è necessaria. Il conte ed il francese hanno uomini piú che sufficienti per forzare gli assediati alla resa.

- Tonnerre! - esclamò don Barrejo. - Mi ero dimenticato di quell'amico!... Che sia nascosto nelle sue cantine?

- Ho qualche speranza di scovarlo in mezzo alle sue botti- rispose Mendoza.

- Ed anch'io- disse il fiammingo.

- Andiamocompari- conchiuse il guascone.

Approfittando della confusione che regnava sulla piazzai tre avventurieri presero il largo einosservatisi cacciarono entro una viuzza a loro ben notache doveva condurli in breve dinanzi alla taverna d'El Moro.

Come avevano suppostola porta era chiusa e regnava un silenzio da tomba.

- Che l'amico si sia rifugiato in chiesa coi suoi sguatteri? - si chiese il guasconedopo d'aver appoggiato un orecchio alla toppa.

Non odo nemmeno quel gattaccio nero miagolare.

- Buttiamo giú la porta- disse il fiammingoil qualeavendo scorto a breve distanza un ammasso di legnami che dovevano servire alla costruzione di una casasi era impadronito d'una trave.

- Ecco l'uomo forte della compagnia- disse don Barrejovedendo che il fiammingo non piegava sotto il peso. - D'ora innanzigiacché non ha mai voluto dirci il suo nomelo chiameremo don Ercole.

Afferrarono solidamente la travepresero la rincorsa e con un colpo solo sventrarono alla lettera la porta della tavernacon un tale rimbombo che parve avessero sparato là dentro una cannonata.

- Don Ercole!... Voi siete l'eroe della giornata... il re della taverna- disse il guascone. - Perdinci! Che muscoli!... Sareste capace di buttar giú anche una fortezza!...

- Sono un fiammingo- rispose serio serio l'avventuriero.

Sguainarono le draghinassetemendo un assalto a colpi di spiedo o di casseruoleed entrarono.

Non videro scappare che un grosso gatto neroquello che già il guascone aveva notato. La povera bestiaspaventata da quel colpo di tuonobalzava attraverso le tavole e sui banchicome se fosse impazzitarovesciando bicchieri e bottiglie.

- Quella bestia lí deve avere l'anima di quel brutto gattaccio che abbiamo incontrato sulle rive del Chagres- disse don Barrejo.

- Sapete dove si trova la cantina? - chiese Mendoza al fiammingo.

- La porta è dietro al banco.

- Prendiamo prima qualche torcia- disse il guascone.

- Non occorre- rispose Mendoza.

Salí su un tavolo e staccò il lanternone che serviva ad illuminare la sala. L'accese non senza qualche difficoltàpoi si diressero verso la porta che doveva mettere nella cantina.

Bastò una pedata del guascone per sgangherarla e farla rotolare giú per la scala.

- Ci sono!... - esclamò Mendozaalzando il lanternone.

- Chi? - chiese don Barrejo.

- Ho udito un grido dalla cantina.

- Che fortuna!... Ah!... Povero taverniere!... In quali mani stai per cadere!... - disse il guascone. Fate luceMendoza!

Scesero la scala con precauzionetenendo le draghinasse in linea e giunsero in un'ampio sotterraneo contro le cui pareti s'appoggiavano una dozzina e forse piú di rispettabili e ben panciute botti.

- Dove si sarà nascosto quel briccone? - disse don Barrejo.

Una voce s'alzò dietro le fila di botti di destragridando:

- Chi è che osa darmi del briccone?

- Tonnerre!... Il taverniere!...

- Ancora quel birbante!... - strillò il proprietario d'El Moro. Ora ti spillerò sangue!...

- Amicifuori le pistole! - comandò il guascone.

Il taverniere era balzato fuori dal suo nascondigliobrandendo minacciosamente uno spiedo e dopo di lui erano comparsiuno ad unoi suoi quattro sguatteri egualmente armati.

- Ancora quifurfante! - urlò l'ostefurioso.

- Dove si beve del buon vino si torna sempre- rispose il guasconepuntandogli contro la spada e la pistola.

- Mi ero immaginato che voi dovevate essere un filibustiere- disse il taverniereil quale non osava farsi innanzivedendo tre bocche da fuoco spianate.

- Sono venuto anzi ad avvertirvi che la città è caduta nelle nostre mani e che ogni resistenza è ormai inutile. Siamo in mille!

- E che cosa volete da me?

- Assaggiare nuovamente il vostro Alicante ed il vostro Xeres.

- Il mio vino!...

- Volete prima che vi ammazzi? - chiese il guasconecambiando tono. - Rimarremo allora noi padroni assoluti della cantina e le vostre proteste non servirebbero piú a nulla. Volete un consiglio da amico? Andate a sedervi su quelle traviinsieme ai vostri sguatterilasciate in pace gli spiedibuoni per infilzare polli e anitre e non uomini come noie non seccateci piúdiversamente noi faremo boum! E allora andrete a trovare compare Belzebú.

- Voi mi volete rovinare.

- Abbiamo rovinata anche l'intera cittàquindi potete consolarvi.

- Io non vi darò una piastra!...

- Ma che piastra!... È il vostro vino che noi vogliamo. Ci prendete per dei ladri? Sbrigatevigiú gli spiedi e subito là in fondo. Abbiamo sete noitonnerre!

Il povero oste ed i suoi aiutantispaventati dall'accento terribile del guascone e reputando ogni resistenza affatto inutilegettarono gli spiedi e andarono a sedersi sulla trave indicatala quale si trovava all'estremità opposta della cantina.

Mendoza posò a terra il lanternonementre don Barrejo ed il fiammingo s'impadronivano di alcuni boccali di terracotta ben capaci.

- Proviamo lo Xeresprima- disse il basco. - È quello del famoso doblone.

- E poi assaggeremo anche tutte le altre bottispero- aggiunse il fiammingo.

- Badate di non ubbriacarvi- disse il guascone. - Non siamo soli qui e quei gattacci che stanno là in fondo potrebbero saltarci addosso.

Mentre uno tracannava a garganella Xeres e gli altri Porto e Alicanteil povero taverniere si strappava i capellistrillando.

- Questi birbanti mi rovinano!

Né il guasconené i suoi compagni facevano attenzione ai lamenti ed alle ingiurie del taverniere e dei suoi sguatteri. Continuavano tranquillamente a bereassaggiando il contenuto di tutte le botti. Dovevano essere dei formidabili bevitoripoiché pareva che ingollassero tanta acqua.

Ad un certo momento però il guascone il quale si sentiva forse girare un po' la testa e oscillare le gambegettò via il boccale che teneva in mano e che era ancora quasi pieno di Portodicendo:

- Bastacamerati!... Non siamo già delle bottinoi!... Ora verrà la solenne punizione del taverniere.

- Che cosa volete fare? - urlò l'ostepiú che mai furibondo. Non siete ancora contenti?

- Vi lasciamo le piastre e dovete averne un buon gruzzolo. E vi lamentate ancora? Non sapete dunque che quando i filibustieri piombano su una città spazzano via tutto? Dovete anzi esserci grati di questa generosità.

- Volete ammazzarci?

- Voi no e nemmeno i vostri sguatteri. Sono le vostre botti che pagheranno per la vostra perfida condotta verso gentiluomini della nostra marca. Mendozaquali credete che siano le botti migliori? Le avete assaggiate tutte?

- Tutte- rispose il basco.

- E voidon Ercole?

- Anch'io - disse il fiammingo.

- Quali sono?

I due avventurieridopo maturo esameindicarono due enormi recipienti contenenti l'uno dello Xeres ed un altro della Malaga stravecchia.

Il guascone impugnò due pistolequindi rispose serio serio:

- Ionella mia qualità di presidente del Consiglio di guerradecreto la morte di queste due botti.

Ciò detto sparò le due pistole contro i due recipientiforandoli.

Due zampilli scaturirono subitoscorrendo pel pavimento.

Il taverniere aveva mandato un urlo come se gli avessero strappato il cuore ed aveva fatto un salto innanziper avventarsi contro quei tre demoni scatenati. Il guascone però era stato pronto a mettere un piede sugli spiedi e ad allungare la sua terribile draghinassagridando:

- Alto làbrav'uomo!... Quest'arma ha sempre sete di sangue umano e beve quando trova l'occasione.

- Miserabilimi vuotate le botti e quelle anche che contengono il migliore.

- A noi piace offrire alla terra sempre del vino di prima qualità affinché ne riproduca di quello piú squisito. Anche la terra qualche volta beve volentieri.

Mendoza ed il fiammingo ridevano a crepapelleper niente impressionati della disperazione del taverniere.

Don Barrejo lasciò che lo Xeres e la vecchia Malaga colassero per parecchi minuti allagando la cantinapoi disse ai compagni:

- È ora d'andarsene. Se restiamo qui ancora un quarto d'ora saremo piú ubbriachi della terra che beve. Taverniereaddio!

Mentre il povero oste urlavacome se lo scorticassero vivo ed i suoi quattro sguatteri vomitavano una serqua di maledizionii tre avventurieri raccolsero il lanternone e salirono la scalasenza nemmeno occuparsi di rispondere.

- Andiamo a vedere che cosa succede ora alla chiesa- disse il guascone quando furono fuori dalla taverna.

Giungevano già in ritardo. Gli abitanti si erano arresi ed i filibustieri avevano saccheggiata la cittàportandosi via quanto oro avevano potuto trovare e si preparavano a ripartire.

Come!... Si riprende la marciasignor conte? - chiese Mendoza il quale era riuscito a trovare il signor di Ventimiglia.

- Andiamo a raggiungere i filibustieri che si trovano all'isola S. Giovanni- rispose il figlio del Corsaro Rosso. - Senza Grogner e Tusley non potremmo espugnare una piazza forte come è quella di Nuova Granata.

- È necessario che il marchese non mi sfugga la seconda volta.

- Fa' radunare i nostri uomini e andiamo a far conoscenza coll'Oceano Pacifico.

 



CAPITOLO V

LE AUDACI IMPRESE DEI FILIBUSTIERI


La pace firmata in sul finire del XVII secolo fra le diverse nazioni marinareschespecialmente fra la Spagnala Francial'Inghilterra e l'Olandaaveva messo a mal partito i filibustieri che avevano preso stanza sull'isoletta della Tortue.

Abbandonati a se stessinon piú protetti dalle nazioni nemiche della Spagnaprivi di patenti di corso che accordavano loro il diritto di belligerantiun gran numero di loro avevano deciso di portare la guerra sull'Oceano Pacificomemori della famosa conquista di Panama compiuta alcuni anni prima da Morgan.

Ormai sulle coste del golfo del Messico avevano rovinate tutte le piú importanti città spagnuole ed avevano ridotto gli abitanti alla miseria. Sulle coste del Pacifico invecePanama era risorta piú fiorente e piú ricca che maie numerose città vivevano dei fiumi d'oro che le inesauribili miniere del Messico e del Perú rovesciavano verso l'America centrale.

Conoscevano già l'Oceano Pacifico e sapevanoper l'esperienza che avevano fatta in alcune spedizionicome colà gli spagnoli stavano in poco sospetto e non molte erano le forze che si trovavano nelle varie città costiere.

E cosíverso il principio del 1684 i filibustieri della Tortue cominciarono a lasciare il golfo del Messicoimpazienti di mettere le mani sui galeoni provenienti dal Chilidal Perú e dalla California.

La prima partita si componeva di ottocento inglesiai quali tennero poi dietro duecento francesipoi altre piú piccoleche forse non riuscirono a vedere le onde dell'Oceanopoiché nessuno udí mai più parlare di queste ultime.

Quei filibustiericome abbiamo dettoerano inglesidanesifrancesi e non mancavano avventurieri di Genova e di Venezia fra di loro.

I primi montavano nove legnii francesi e gli altri uno soloed erano sotto la direzione d'un famoso corsaro inglese chiamato Davis.

Quando leggiamo nelle storie dei navigatori del 1700CookBougainvilleLa PerouseKrusenster e tanti altrie le grandi difficoltà che essi incontrarono veleggiando dall'Atlantico al Pacificonon si può che rimanere meravigliati al piú alto grado dell'audacia di quei corsari checon scarsissime nozioni geografichecon pochi mezzicon legni semiguasticoi quali prudentemente oggidí un marinaio anche valente non ardirebbe tentare un tragitto di duecento leghepoterono effettuare il loro disegno di girare il capo Horn per penetrare nel Pacifico.

Eppure è storia vera: dopo immense tribulazionidopo tempeste spaventevolinel Marzo del 1685 quella piccola squadra girava la Terra del Fuoco e metteva arditamente le prore verso le coste del Perúbramosa di abbordaggi e di prede spagnuole.

Il primo incontro fatto da quei mille e cento uominii quali montavano due fregateuna da trentasei cannoni e l'altra da sedicicinque legni minori senza grossa artiglieria e tre miserabili barcacciefu un veliero spagnuoloche tosto predarono.

Avendo inteso dal prigionieri caduti nelle loro mani come tutti i legni mercantili avessero ricevuto l'ordine dal viceré del Perú di non abbandonare i porti della costafino a tanto che una squadra non avesse purgato l'Oceano dai filibustieriil cui disegno di portarsi nelle acque occidentali dell'America era ormai già trapelatoDavis guidò la sua flotta verso il settentrionefacendo di quando in quando delle prede.

Fu uno sgomento generale fra tutti gli spagnuoli dell'America centralequando videro la flotta corsara apparire improvvisamentein vista di Panamaormai risorta piú fiorente dopo la distruzione compiuta da Morgan.

La comparsa di quei terribili uomini aveva subito svegliata la memoria dei disastri in addietro sofferti da simili ladroni e Davis perciò non osò dare l'attacco alla città e andò a gettare le sue âncore all'isola di Tarogadopo d'aver incrociato per ben quattro settimane dinanzi alla baiain attesa che dei legni uscissero.

Il viceréchiesti aiuti al Perú ed al Messicoforma una squadra e la manda verso l'isola per sterminare quei pericolosi ladroni.

Si componeva di sette navi da guerradue delle quali contavano settanta cannoni ciascuna.

Il mare era tempestoso e niuna proporzione vi era fra gli uni e gli altri. Per di piú i filibustieri non conoscevano i fondi e non avevano artiglierie sufficienti per far fronte a quelle degli spagnuoli che erano potentissime.

Non potevano quindi questi ultimi non lusingarsi di ridurre al nientein una sola giornataquella temuta ciurmaglia.

Già avevano circondata una delle due fregate e l'opprimevano con un fuoco terribilequando gli altri legni corsari che si trovavano al largo e che avrebbero potuto facilmente evitare di venire alle presevoltano le prore e corrono in aiuto della loro compagna.

Il pericolo parve avesse dato ai filibustieri di Davis una forza piú che umana.

Investono con impeto le fregate ed i galeoni spagnuoli equantunque per la troppa superiorità delle forze nemichenon potessero in quel conflitto accanito e sanguinosissimo ottenere la vittoriala disputarono cosí accanitamente che per il valore meritarono giustamente la palma.

Quello che piú stupisce è che in tale combattimento non perdettero che una sola barcaccia di prigionieri spagnuoli.

Quella barca era stata cosí crivellata dalle palle spagnuole chetrovandosi i filibustieri sul punto di annegarsil'avevano abbandonata coi prigionieri che conteneva.

Questi ultimivedendosi cosí liberinon avevano indugiato a prendere i remi per farsi raccogliere dai loro compatriotti.

L'ammiraglio spagnuolo inveceavendola presa per un brulotto nemicomosse ad incontrarla sul vascello e vi fece far fuoco sopra piú presto che potéaffondandola; e cosí fusenza saperlolo sterminatore di quei disgraziati.

Essendodurante il combattimentoaumentata la furia del vento e delle ondela flottiglia dei filibustieri fu in breve dispersa.

Parecchi legni scomparvero dopo quella fatale giornatané si ebbe di loro piú alcuna nuova. Gli altririunitisi finalmentesi rifugiarono all'isola di S. Giovannilontana solamente cinque leghe dal continente.

Ma la discordiadopo quel disastronon tardò a nascere specialmente fra inglesi e francesiessendo i primi protestanti ed i secondi cattolici.

Sembrerà stranoeppure quei ladroni di mare ci tenevano alle loro religionisingolarmente poi gl'inglesi in quei tempi del furore delle sette che tenevano il loro paese diviso. Essi mal soffrivano i loro camerati quando li vedevano salvarenei saccheggii simboli della chiesa romana.

Centotrenta francesi si stabiliscono sull'isola di S. Giovanniingrossati con altri duecentoche aveva condotto un capitano chiamato Grogneril quale aveva pure girato il capo Horn; gl'inglesi invece riprendono la via dello stretto per far ritorno al golfo del Messico.

Erano pochi eppure risoluti e quanto mai audaci. Dall'isola lanciano le loro navi in tutte le direzioniprendendo quanti velieri incontranopoi portano la guerra sull'istmo.

Prendono d'assalto la piccola città di Leon e di Esparso e abbruciano Ralejospargendo ovunque un terrore immenso.

Siccome ladroni di tale specie non se ne erano mai veduti in quei paraggigli abitanti fuggono dovunque spaventaticredendoli in buona fede demoni in carne umana.

Invece di combatterlili fanno maledire dai loro sacerdoti con esorcismi e contro di loro fanno alzare le cose piú sacre che abbia la religionenon diversamente che se avessero combattuto l'inferno.

Gli spagnuolipressati da tanta rovinacercano di temperare il flagello mandando a Grogner una lettera del vicario generale di Costaricacolla quale lo avvertivano essersi fatta la pace fra la Spagna e le potenze di Francia e d'Inghilterra e che il viceré di Panama metteva a loro disposizione parecchie navi per ricondurli in Europa.

I filibustieriche non erano cosí ingenui da accettare una simile propostache li avrebbe messi in balìa del nemicoper tutta risposta assaltano la città di Nicoya e la mettono a sacco e la brucianonon salvando dalla distruzione che le chiese e tutti gli oggetti del culto cattolico.

Le cose erano giunte a questo punto quando un mattinomentre i filibustieri stavano allestendo alcune vecchie barcaccie per intraprendere qualche altra audace scorreriavidero approdare alla loro isolache era diventata una piccola Tortuesette scialuppe montate da un centinaio e mezzo d'uomini.

Erano i corsari del conte di Ventimiglia e di Raveneau de Lussan.

Quei valorosidopo aver conquistata e saccheggiata Pueblo-Viejoavevano fatto una marcia rapidissima verso l'Oceano Pacificoper portarsi a quell'isola dove erano sicurissimi di trovare dei soccorsi.

Evitando con cura le città ed i villaggimarciando sempre attraverso le boscaglie per non imbattersi nei corpi spagnuoli che il viceré di Panamaallarmato da quei continui attacchiaveva lanciato in tutte le direzionirisoluto a ricacciare in mare quei pericolosissimi nemicierano giunti felicemente sulle sponde del grande Oceanoimpadronendosi per sorpresa di un numero abbastanza rilevante d'imbarcazioni tolte ai pescatori della costa.

Non giungevano però a San Giovanni di Pueblo in un momento felicissimo. Pochi giorni primauna flotta composta di quindici legni spagnuoli aveva fatto la sua comparsa in quelle acquecostringendo Grogner ed i suoi uomini ad abbruciare piú che in fretta la loro fregata e gli schifi che possedevanoperché non cadessero nelle mani dei loro nemici.

Fortunatamente gli spagnuoli si erano contentati di portar via le ferramenta del vascello e di distruggere quanto era rimasto di essosenza osare di inoltrarsi nell'isola.

La notizia dell'arrivo del figlio del Corsaro Rosso con Raveneau de Lussanreduci dalla presa di Pueblo-Viejonon aveva mancato di produrre una profonda emozione e anche di rialzare immensamente il morale dei filibustieri i qualidistrutta la loro flottiglianon si trovavano piú in grado di riprendere le loro scorrerie verso il continente.

Grogneravvertito dell'approdo del nipote del famoso Corsaro Nero e cugino del non meno famoso Morganil conquistatore di Panamasi era affrettato a muovergli incontro. Già la notizia che un parente dei piú celebri filibustieri del Golfo del Messico veleggiava in quelle acqueera giunta fino all'isola.

Grogner non era un gentiluomo come Raveneau de Lussantuttavia godeva fama di essere uno dei piú arditi corsari di quell'epoca. Aveva esorditocome quasi tutti i filibustiericome mozzo; aveva combattuto in Franciain Inghilterra ed in Olandapoi era passato in Americadesideroso di fare una rapida fortuna.

Era giunto però troppo tardiquando ormai le città del golfo del Messico erano state completamente rovinate dall'Oloneseda Montbarsdai tre corsarida Grammontda Wan Hornda Morgan e da tanti altri non meno famosi.

Aveva quindi seguito le tracce di Davisgirando il capo Horn ed era giunto ancora in tempo per fare dei bei colpi contro le cittaduzze dell'America centraleaiutato da trecento disperatiche non avevano paura né degli archibuginé delle artiglierie spagnuole e tanto meno delle loro squadre.

Narrano le cronache di quel tempo che rassomigliava un po' a Morgan e che quantunque di statura mediocre possedeva una forza muscolare straordinaria ed un coraggio a tutta prova.

Come abbiamo dettoudendo che il capo dei filibustieri sbarcato a San Giovanni di Pueblo era il figlio del Corsaro Rossosi era affrettato a muovergli incontrodicendogli:

- Signor contevi si aspettava qui. Tutti i vecchi filibustieri hanno conosciuto e hanno combattuto sotto il comando dei tre corsari che hanno portatosia pure per una loro vendetta privataun terribile colpo alla potenza spagnuola del Golfo del Messico. Ecco la mia manoed ecco i miei uomini pronti a seguirvi dove voi vorrete.

- Era appunto di voi che io avevo bisogno- rispose il corsaro. lo sono venuto qui per proporvi una terribile impresa.

- Voi sapetesignor conteche nessuna impresa ha spaventato mai i Figli della Costacome ci hanno chiamato noi per tanti lustri. Che cosa volete da noi?...

- La conquista di Nuova Granata- rispose il signor di Ventimiglia.

- Diamine- disse Grogner. - È come domandare la testa del governatore di Panama o la presa di Messico o di Cuzco. Nuova Granata è una delle città piú fortificate del Nicaraguasignor conte.

- Avreste paura? La prenderemo io ed il signor di Lussan.

- Diaminenon correte tantosignor conte. Là vi sono dei tesori favolosi da raccogliere...

- Che io sono pronto a rinunciare a beneficio dei vostri uomini e di quelli del signor di Lussan.

- Si sa che i tre famosi corsari erano ricchissimi- rispose Grogner. Che cosa chiedete per vostra parte?

- Un uomo.

- Un prigioniero? - chiese con stupore il filibustiere.

- Niente di piú.

- Che diavolo!... Un uomo prezioso senza dubbio.

- Il marchese di Montelimar.

- Il governatore di Pueblo-Viejo?

- Precisamente.

- Vi è scappato? Mi hanno detto che voi avete presa d'assalto quella cittàsignor conte.

- Ma ho avuto il torto di giungere troppo tardisignor Grogner.

- Quanti uomini avete?

- Centocinquantacon quelli di Raveneau de Lussan.

- Ed altrettanti ne ho io- rispose Grogner. - Se Pietro l'Olonese con un terzo delle nostre forze ha espugnato Maracaibo e poi Gibraltario sarei ben sorpreso se non si potesse prendere d'assalto Nuova Granataprendere il marchesemolte piastre e fare anche parecchi prigionierisignor conte. Voi avete sette schifimi hanno detto.

- Sísignor Grogner.

- Il marchese è in quella città?

- Ne sono sicuro.

- Via - disse il filibustieredopo qualche istante di silenzio. Andremo a vedere se i cannoni che difendono il forte di Nuova Granata saranno carichi con ferro o con acqua calda. Al figlio del Corsaro Rosso un filibustiere che si rispetta non può rifiutare nulla. Signor contevi offro ospitalità nella mia povera tenda e domani partiremo.

- Ecco un uomo- disse don Barrejoil quale aveva assistito al colloquiotenuto sulla spiaggiarivolgendosi verso i due inseparabili amici: il fiammingo e Mendoza.

- Un vero filibustiere- rispose il basco.

- Siete mai stato in quella cittàsignor Mendoza?

- Siccome non ho mai avuto alcuna premura di prendere un passaporto per l'altro mondocosí mi sono sempre ben guardato di mettere i piedi nelle città difese da troppi cannoni.

- Troveremo delle taverneio spero!...

- Che i granatini bevano dell'acqua? - disse il fiammingo. Io non lo crederò mai.

- E nemmeno iodon Barrejo- aggiunse Mendoza. - Là troveremo forse delle botti migliori di quelle che abbiamo assaggiato a Pueblo-Viejo. Granata fornisce di vini Panama esiccome a Panama si trovano un viceré e degli altissimi funzionarisono piú che certo che troveremo delle cantine meravigliosamente fornite. Mi stupite peròsignor guascone.

- Perché? - chiese lo spadaccino.

- Si direbbe che voi siete diventato un filibustiere piú pel desiderio di assaggiare i vini spagnuoli che per avidità di guadagno. Eppure i dobloni non vi spiaccionomi pare.

- Quelli verranno piú tardi- rispose il guascone. - Cerchiamo un posto dove si possa mangiare e bere. Qualche doblone passeggia ancora per le mie tasche e se si può berlo e mangiarloniente di meglio. Diamine!... Un guascone è sempre generoso.

Non era difficile all'isola di S. Giovanni di Pueblo spendere dei denaripoiché i filibustieri che vi si erano rifugiati ne avevano fattocome abbiamo dettouna piccola Tortue.

Malgrado le continue minacce degli spagnuoliquei formidabili scorridori del mare si divertivano allegramenteprofondendo le ricchezze guadagnate nei saccheggicon una prodigalità da nababbi.

Dei meticcigiunti dal continente ben provvisti di viveri e soprattutto di vini e di liquoriavevano piantate le loro baracchevendendo a prezzi esorbitanti i loro generi.

I filibustierida veri ladroninon badavano a pagare. Che cosa costava d'altronde a loro il denaro?

E come ne erano sempre ben provvisti!...

I tre compagni si cacciarono quindi sotto una immensa tendadove molti uomini bevevano allegramente o giuocavano o danzavano con alcune prigioniere spagnuole al suono di alcune chitarre suonate da negri.

- Questo è il paese della cuccagna- disse don Barrejosedendosi all'estremità d'una lunghissima tavola. - Io scommetto che le donne spagnuole non si sono mai divertite tantocome quando si sono trovate con questi briganti.

- Adagiosignor guascone- rispose il basco. - Talvolta questi divertimenti costano cari alle prigioniere ed ai prigionieri.

- Perché? Non si rispettano quelle signore?

- Anzi si rispettano moltissimo e guai al corsaro che osasse comportarsi da villano contro le prigioniere. Talvolta però giungono i giorni tristissimi ed i sorrisi di quelle disgraziate si tramutano in lagrime di sangue.

- Che cosa volete dire?

- Che quando i loro parenti ed i governatori non mandano i riscattii filibustieri non esitano a far estrarre ai prigionierisiano uomini o donnela sorte.

- E cosí?

- Quello o quella che ha avuto la sfortuna di levare una palla nerasi decapita e la testa si manda al governatore per costringerlo a pagare.

- Ciò è brutto.

- Che cosa volete? È la guerra. Gli spagnuoli d'oltremare non sono piú generosi e quando riescono a prendere qualcuno di noi l'appiccano senza misericordia.

- Guardiamo dunque di non farci prendere- disse il fiammingo.

Si fecero portare delle bottiglie e del prosciutto salato e si misero a bere ed a mangiare.

Avevano però appena vuotata qualche tazzaquando un rimbombo assordante li fece balzare in piedi.

- Il cannone! - aveva gridato don Barrejo.

Tutti i filibustieri che si trovavano sotto la tenda si erano precipitati fuoriprendendo i loro archibugimentre le donne strillavano ed i chitarristi scappavanogettando via gli istrumenti.

- Che cosa succede dunque? - chiese il guasconesnudando la sua draghinassa.

- Queste sono cannonate spagnuole- rispose Mendoza.

A loro volta erano corsi fuorislanciandosi verso la piccola baja dove trovavasi ancorata la flottiglia dei filibustierila quale si componeva d'un vascello e d'una mezza dozzina di barcaccie.

Una grande confusione regnava sulle sponde del porticinodove si erano radunati tutti i filibustieri dell'isola. Vi erano anche il conte di VentimigliaGrogner e di Lussan.

In lontananza il cannone continuava ancora a tuonare.

Quindici vascelli muovevano lentamente verso l'isoladisposti su due colonne. Era la flotta spagnuola del Pacificoincaricata di impedire il passo ai corsari che provenivano dal Capo Horn o dallo stretto di Magellanoflotta imponente che avrebbe potuto purgare per sempre quei mari da quegli audaci ladronise l'avessero voluto.

- Signor conte- disse Grogner al figlio del Corsaro Rossocon voce un po' alterata. - Siete giunto in un cattivo momento.

- Non mi pare- rispose il signor di Ventimiglia- poiché vi ho condotto dei rinforzi.

- Non potremo resistere ad una squadra cosi potente. Non ho che un vascello e delle barcaccie.

- Fate tirare a terra le barcaccie e gli schifi e nascondeteli sotto le foreste.

- Ed il vascello?

- Incendiatelo perché non venga preso dagli spagnuoli. Spicciatevisignor Grogner e poi ritiriamoci nell'interno dell'isola. Se vorranno assalircisapremo difenderci.

Gli ordini furono subito dati. Mentre una partita di corsari saliva a bordo della naveradunando quanto catrame si trovava nella stiva e lo incendiavagli altri s'affannavano a mettere in salvo le migliori barcaccie e le scialuppeper non rimanere sprovvisti completamente di mezzi di trasportocapaci più tardi di far loro raggiungere il continente.

La squadra spagnuolasicura del fatto suoaveva intanto incominciato a sparare tremende bordatespecialmente contro il vascello il quale già era stato sgombrato rapidamente.

- Perdinci! - esclamò il guascone. - Questa volta gli spagnuoli fanno sul serio. Signor bascogiacché i nostri compagni scappanolavoriamo di gambe anche noi. I colpi di spada li ricevo volentierima non ho provato mai alcuna affezione per le grosse palle che tagliano in due senza nemmeno dirvi: guarda che ti ammazzoimbecille!

I filibustieri infattimesse in salvo le imbarcazioniscappavano da tutte le partìmentre i proprietarii delle baraccheaiutati dai loro negricercavano di portare via il meglio che possedevanoper non lasciarlo cadere nelle mani degli spagnuoli.

Le cannonate intanto non cessavano. Le palle cadevano come una fitta gragnuola sulla spiaggia e sul vascelloil quale già avvampava rapidamenteeruttando dai boccaporti spalancati immense nuvole di fumo.

Era una squadra veramente imponentecomposta di galeonidi fregate e di grosse caravelle e montata da duemila marinai.

I filibustieriguidati dal signor di Ventimigliada Grogner e da Raveneau de Lussansi erano intanto affrettati a mettersi in salvo su una collina situata quasi nel mezzo dell'isola e perciò fuor di portata dalle artiglierie della flotta; artiglierieche come abbiamo dettoin quei tempi avevano una portata molto limitata.

Erano tuttavia assai inquietitemendo un poderoso assalto da parte degli equipaggi.

Fortunatamente nulla di grave accadde. La squadradopo aver cannoneggiate le baracchesbarcò alcune centinaia d'uomini per raccogliere le ferramenta del vascello corsaro distrutto dall'incendioe qualche ora dopo riprendeva la sua rotta veleggiando verso Panama.

- Corpo di un bue! - esclamò il guasconeil quale osservava tutte quelle navi maestosedall'alto della collina. - Avrebbero potuto distruggerci e hanno preferito invece andarsene. Buon viaggiosignori e che Dio vi guardi dalle tempeste.

Si levò il feltro e salutò la squadrafacendo nel medesimo tempo un inchino cosí profondo da far scoppiare dalle risa non solamente il bascobensí anche il conte di Ventimiglia e Grogner che gli stavano presso.

 



CAPITOLO VI

LA PRESA DEL MARCHESE


Quella sera stessaun po' prima della mezzanottei filibustieri sgombravano S. Giovanni de Pueblotemendo un ritorno della squadra spagnuola e si rifugiavano sul continenteprendendo terra alla baia di Caldeira.

Sbarcavano però rinforzati da un altro famoso filibustiereTusleyche aveva preso parte all'ardita navigazione di Davis e che si era poi separato dai francesi per questioni religiose e da centoventi inglesi.

Questi ultimi erano stati incontrati a poche leghe dal continentea bordo d'un vascello ancora in ottimo stato. Quantunque riconosciuti per corsarii filibustieri del conte di Ventimiglia e di Grogner li avevano furiosamente assalitiper dare una lezione al loro capo equantunque montassero dei semplici schifi e delle barcacce sprovviste d'artiglieriaerano montati audacemente all'abbordaggioimpadronendosi facilmente del naviglio.

È ben vero però che gl'inglesi di Tusleyavendo riconosciuto nei loro assalitori dei loro antichi compagninon avevano opposto che una debole resistenza.

I filibustieri del contedi Grogner e di Lussandopo averli tenuti per alcune ore prigionieriin fondo alla cala e d'averli rampognati un po'non avevano tardato a rimetterli in libertàsicché gl'inglesicolpiti da quel tratto generosonon avevano rifiutato di unirsi alla partitapromettendo di far causa comune e di non separarsi piú mai dai loro antichi compagni insieme ai quali avevano compiuta la traversata dello stretto di Magellano.

Dopo ventiquattro ore di riposoi filibustieririsoluti ad aiutare il conte di Ventimiglia nella sua impresalasciavano la baia di Caldeiraansiosi di dare l'assalto a Nuova Granata e di sorprendere il marchese di Montelimar prima che avesse avuto ancora il tempo di fuggire.

Nuova Granata era una delle piú cospicue città che gli spagnuoli possedessero nell'America centrale ed aveva fama di possedere tesori immensiassorbendo i prodotti ingentissimi delle miniere d'oro del Nicaragua.

Sorgeva sulle sponde del lago omonimoin una posizione fortissimaa circa venti leghe dall'Oceano Pacifico ed era difesa nel centro da un forte di forma quadratasituato su un'altura e munito di tanta artiglieria da poter tenere indietro un esercito.

I suoi dintorni poi erano pieni di fabbriche di zucchero vastissimeche formavano dei grandi sobborghi.

Inoltre era circondata da mura e da bastioni pure ben muniti di artiglierie: uno solo aveva venti pezzi.

La difesa della piazza era poi stata affidata a sei squadroni di cavalleria ed a parecchie compagnie di artiglieria.

Il 17 d'Aprile del 1687 i filibustieridopo d'aver attraversato paludi e boscaglieantiche quasi quanto la creazione del mondocomparivano nei dintorni della formidabile piazza.

Non erano che in trecento e quarantacinquefra i corsari del conte di Ventimiglia ed i filibustieri di Tusleydi Grogner e di Raveneau de Lussan.

Lungo la via erano stati avvertiti che gli spagnuoliinformati celermente da diverse spiesi erano preparati alla difesa e che il marchese di Montelimar si era incaricato della difesa del forte centrale; pure quei terribili combattenti non si erano affatto spaventati ed avevano proseguita la loro marciasicuri di prendere d'assalto la cittànon ostante la sua formidabile artiglieria.

Gli spagnuoli infatti si erano preparati a riceverli con molto coraggio. Abitanti e soldati avevano occupati gli spalti ed i bastionirisoluti a difendere strenuamente le loro ricchezze.

Prima impresa dei filibustieri fu l'incendio dei sobborghi.

Le immense fabbriche di zucchero bruciarono come zolfanellisotto gli sguardi esterrefatti dei cittadini e dei soldatii quali non osavano esporsi ad un combattimento in aperta campagnacontro quegli uomini che già credevanoin buona feded'origine infernale.

A mezzodídopo la colazionei filibustieridivisi in quattro piccole colonneguidata ognuna dai loro capicominciavano l'assalto della cittàniente spaventati dalle cannonate che si sparavanospecialmente dal forte difeso dal marchese di Montelimar.

Parve una furia infernale. I fratelli della Costa - come si chiamavano sempre quei terribili corsarianche se dal golfo del Messico erano passati nell'Oceano Pacifico- malgrado la formidabile artiglieria che possedevano gli spagnuolimontarono intrepidamente all'assaltoservendosi di rozze scale che avevano costruite nelle foreste.

Non valsero gli sforzi degli abitantiche si erano uniti ai soldati per difendere le mura ed i bastioni e che combattevano con grande animodecisi a farsi uccidere piuttosto che arrendersi.

Alle tresembrerebbe impossibilei trecento cinquanta filibustieri erano padroni della città.

Non avevano perduto che dodici uominimentre avevano fatto una strage orribile degli abitanti e dei cavalleggieri che difendevano i bastioni. Anche la batteria dei venti pezzi era caduta nelle loro mani.

Se la città era stata conquistataresisteva però sempre il fortedifeso dal marchese di Montelimar.

Come abbiamo dettoera un'opera saldissimadifesa e guernita di grossa artiglieria e ben munita di archibugieri e di combattenti.

Ad ogni intimazione di resa aveva risposto con cannonateche atterravano le case della città.

Il conte di Ventimigliache aveva sempre combattuto in prima filaspalleggiato da Mendozadal guascone e dal fiammingo ed i tre capi corsari si erano radunati dietro uno dei bastionimentre i vecchi bucanieri si sforzavanosenza alcun risultato apprezzabiledi decimare gli artiglieri della fortezzai quali si tenevano nascosti dietro i grossi merliin attesa di mitragliare gli assalitori.

- Signor conte- disse Grogneril quale appariva preoccupato. - Vi è proprio necessario il marchese?

- A me non importano le ricchezze di Granata- rispose il figlio del Corsaro Rosso. - È quell'uomo che io voglio e sarà la mia parte di saccheggio.

- Vostro padre non agiva diversamente- disse Tusley. - Voi siete sempre stati corsari dilettantima che terribili dilettanti!...

Allora prendiamo d'assalto la fortezza- disse Raveneau de Lussanil quale non dubitava mai di nulla. - Come è caduta nelle nostre mani la cittàcadrà anche quella.

- Vi propongo di aspettare la notte- rispose Grogner. - Mi ricordo che una volta i filibustieri hanno fatto usocon buon successodi palle di cotone infilate nelle bacchette dei loro archibugi.

- Ed io- disse una voce- mi ricordo che una volta degli uomini audaci hanno fatto saltare un fortino con qualche barile di polvere.

Tutti si eran voltati. Era don Barrejo che aveva pronunciato quelle parole.

- Se volete farvi mitragliaresiete padronissimo- disse Grognerun po' ironicamente.

- Sono un guascone.

- Ed io sono di Bordeaux.

- Ho molto piacere di saperlosignor Grognerperò devo dirvi che i bordolesi non valgono proprio i guasconi.

Ciò detto lo spadaccino volse le spalle e si allontanòper recarsi in cerca di Mendoza e del fiammingo.

La battaglia intanto continuava furiosissimafra i filibustieri e la fortezza.

Tutti i vecchi bucanierifamosi già per l'esattezza dei loro tirierano stati chiamati a raccolta per decimare gli artiglieri spagnuoli ecome primanon avevano avuto altro successo che quello di provocare un formidabile e pericolosissimo cannoneggiamento.

Pareva che il marchese di Montelimar avesse giurato di farsi seppellire sotto le rovine della fortezzapiuttosto che ammainare il grande stendardo di Spagna che sventolava orgogliosamente al di sopra della batteria centrale.

Il guasconenoncurante delle palle che piovevano da tutte le partisventrando le case della cittàaveva finito per trovare i due comparii qualiin attesa della decisione che dovevano prendere i quattro capi della filibusteriasi erano seduti sul margine d'un fossatovuotando tranquillamente una grossa fiasca di vino che avevano scovata in mezzo alle rovine d'una abitazione.

- Come! - disse don Barrejofingendosi indignato. - Si vuotano dei boccali senza di me?

- Io vi credevo già disteso in qualche cantinapieno d'Alicanteda scoppiare- rispose Mendoza. - Non ne avete scoperta alcuna?

- Con questa gragnuola di bombe che lanciano gli artiglieri del marchese di Montelimarè troppo pericoloso. Aspettate almeno che sia finita.

- Se finirà- disse il fiammingo.

- E noi che cosa siamo? - gridò il guasconedopo d'aver dato un lungo bacio alla fiasca. - Siamo o non siamo uomini di guerra? Spetta solamente a noigiacché i capi sono imbarazzatia far tacere quei bronzi.

- Che cosa volete diredon Barrejo? - chiese Mendoza.

- Che tre uomini della nostra forza non dovrebbero fermarsi dinanzi ad un forte. Che diamine!... Siamo o non siamo tre terribili fracassoni? Non ho già accettato di diventare un filibustiere per fumare solamente dei sigari e fare delle passeggiate sul mare o sotto i boschi.

- Questo compare deve avere qualche idea grandiosa- disse il fiammingoil quale ad ogni colpo di cannone tracannava una lunghissima sorsata del liquido racchiuso nella fiasca.

- È superbaamici- rispose il guascone. - Vi propongo nient'altro che di far saltare il forte.

- Con noi insieme? - chiese Mendoza.

- Alto làcamerata!... Io non ho ancora alcun desiderio di prendere il mio passaporto per l'altro mondo.

- Spiegatevi megliodon Barrejo- disse Mendoza.

- Vi ho detto che giacché il forte non si arrendenoi lo faremo saltare.

- Tutto d'un pezzo?

- Non ho questa pretesa. Basterà un angolo.

- E da quell'angolo saliremo all'attacco- disse il fiammingo.

- Benissimodon Ercole- rispose il guascone.

- Quando faremo il colpo? - chiese Mendoza.

- Questa sera e saremoio sperofavoriti da un buon uragano. Vi sono delle dense nubi all'orizzonte e cadrà certamente un furioso acquazzone.

- E la polvere? - chiese Mendoza.

- Ecco chi ce la procurerà- rispose il guascone.

Un uomo s'avanzava lungo il margine del fossatofischiando tranquillamentequantunque buon numero di palle cadessero anche oltre il bastione. Era Raveneau de Lussan.

Vedendo i tre uomini seduti intorno alla fiascasi fermòdicendo:

- È cosí che voi combattete?

- Signor de Lussan- disse il guascone- noi cerchiamo in fondo a questa fiasca la soluzione d'un grande problema.

- Quale?

- Quella di darvi nelle mani la fortezza.

Il gentiluomo guardò attentamente l'avventurieropoi disseridendo:

- Ah!... Il famoso guascone!... Credevo di vedervi già sui bastioni della fortezza.

- Adagiomio caro signore- rispose don Barrejoun po' piccato. - Io non vi ho dettopoco fadi farla capitolare in dieci minuti. Voi siete?

- Della Turenna.

- Io della Guascogna: due dipartimenti che hanno dato sempre dei bravi soldati.

- Non dico il contrario signor...

- Per voi sono Gastone de Lussacper gli altri don Barrejo.

- Un gentiluomo della Guascogna! - esclamò Raveneauun po' sorpresotendendogli la destra.

- Voi già sapete che sulle coste del mar di Biscaglia il sangue azzurro abbonda- rispose l'avventuriero. Possiamo offrirvi un sorso?

- Il buon vino non fa mai male e si sa che i guasconi sanno berlo sempre eccellente.

Prese la fiasca che don Barrejo gli offriva e bevette alcuni sorsi.

- Orasignor di Raveneaudovete mettere a nostra disposizione due barili di polvere- disse il guascone.

- Per che cosa farne?...

- Non ve l'ho detto? Noi vogliamoquesta serafar saltare almeno un pezzo della fortezza.

- Voi siete pazzi!...

- Niente affattosignor Raveneau - disse Mendoza. - Abbiamo compiuto noi tre ben altre imprese.

- E vi assicuro che domani il marchese sarà nelle mani del conte di Ventimiglia- aggiunse don Barrejo. - Sapete bene che gli è necessario.

- Siete della brava gente- disse il gentiluomo turennese.

Prima del tramontose la fortezza non si sarà resaavrete i due barili di polvere. Arrivederci prestosignor de Lussac e badate che le palle non risparmiano neanche i guasconive lo assicuro io.

Ciò detto si allontanòmentre i tre compari riprendevano la bevutasenza occuparsi della battaglia che ferveva nel centro della città.

Mentre una grossa partita di corsariscelti per lo piú fra gli antichi bucanieritenevano occupata la guarnigione del fortegli altridopo d'aver cacciati dalla città gli abitantinon desiderando fare dei prigionierii quali potevano creare piú dei serii imbarazzi che altrosi erano dati al saccheggio.

Furono però in gran parte delusipoiché gli abitantiche erano stati avvertiti dell'avvicinarsi di quei formidabili ladroniavevano avuto il tempo di sotterrare la maggior parte delle loro piú preziose cose.

Durante tutta la giornata il cannone non cessò di rombaresventrando un gran numero di case e mettendo a dura prova l'ostinazione e la bravura dei bucanieri.

Il marchese di Montelimaril quale forse aveva saputo della presenza del figlio del Corsaro Rosso fra i filibustieridifendeva tenacemente la rocca e non si curava di rispondere alle continue intimazioni di resa.

Nemmeno la minaccia fattagli da Grogner di passare a filo di spada l'intera guarnigionenel caso che i filibustieri fossero riusciti ad impadronirsi della fortezzalo aveva scosso.

Quando il sole scomparvele artiglierie spagnuole tuonavano piú furiosamente che al mattinoalternando palle e bordate di mitraglia.

Il cielo era diventato oscurissimo ed enormi nuvole correvano all'impazzataspinte da un fortissimo vento di ponente.

In lontananza lampeggiava e rumoreggiava il tuono.

I tre avventurieri che non avevano lasciatodurante tutte quelle oreil fossato del bastionesi erano alzati.

Raveneau de Lussan aveva mantenuta fedelmente la sua parolafacendo portare loro due barilotti di polvere di trenta libbre ciascuno.

- Compari- disse il guascone. - Questo è il momento buono per tentare il colpo. Avete le micciesignor Mendoza?

- Me ne hanno date una mezza dozzina- rispose il basco.

- Don Ercolevoi non avete paura?

- Un fiammingo!... Che cosa ditesignor mio?

- Benissimo: andiamo a vedere se possiamo diroccare un pezzo di quella maledetta rocca.

- E se possiamo anche prendere il marchese.

- Oh!... Oh!... Don Ercole!... Ora andate troppo innanzi. Vi sono duecento uomini dentro la fortezza e non sarà cosa facile fare i conti con loropur essendo noi guasconibaschi e fiamminghi. Se gli spagnuoli non tirano come i filibustierisanno lavorare benissimo di spada e d'alabardasignor mio. Chi s'incarica dei barilotti?

- Io- rispose prontamente il fiammingo.

- Don Ercole deve essere sempre un Ercole- disse Mendozagravemente.

Cominciava a gocciolarequando lasciarono il fossato del bastione.

Non erano però le gocce che cadono da noi. Rimbalzavano sulla terra come se fossero enormi chicchi di grandinecon un rumore stranotanto erano grosse.

I filibustieri si erano affrettati a rifugiarsi nelle casementre i venti pezzi della fortezzanon cessavano di tuonare come se volessero gareggiare coi fulmini che squarciavanodi quando in quandole tempestose nubi gravide di pioggia.

I tre avventurieri attraversarono il bastione e s'avviarono verso la fortezzaseguendo dei viottoli per non ricevere qualche bordata di mitraglia.

Un quarto d'ora dopo giungevano sulla spianata.

Pioveva a dirotto ed i filibustieri avevano sospeso il fuoco. Anche gli spagnuoli non sparavano che qualche raro colpotenendosi certi che i loro nemici non avrebbero osato assalirli con una cosí pessima notte.

Sparavano ancora per avvertirli che vegliavano e che non volevano lasciarsi sorprendere.

- Siate prudenti- disse il guascone ai suoi due compagni.

Collocheremo i barili sull'angolo di ponente della fortezza che mi è parso meno robusto degli altri. Quello che vi raccomando è di non far rumore.

- Gli spagnuoli stanno fumando dietro ai merli o nelle casemattedisse il fiammingo.

Solamente dei pazzi come noi potrebbero passeggiare sotto questo acquazzone indiavolato.

- Vi lagnate?

- Niente affatto: è un bagno delizioso. La giornata è stata straordinariamente calda.

- Con quel po' di vino che abbiamo bevuto! - brontolò Mendoza.

Protetti dalle tenebre avevano attraversata felicemente la spianata e stavano inerpicandosi su per la scarpatatenendosi curvi verso terra.

Ogni quattro o cinque minuti un colpo di cannone echeggiava sopra le loro testeseguito poco dopo dal fragore di una casa che crollava.

I tre avventurieri erano però ormai al sicuro. Solamente i fucili avrebbero potuto snidarlima gli spagnuoliche si tenevano dietro alle grosse merlaturenon li avevano ancora scorti.

L'oscurità d'altronde era fittissimadopo che i lampi erano cessati.

Arrampicandosi come le capreil guasconeed i suoi compagni riuscirono finalmente a raggiungere l'angolo del forte ed a cacciarsi sotto una specie di arcatala quale sorreggeva una lunetta armata d'un paio di pezzi.

- Ecco una mina pronta- disse il guasconesottovoce.

Quest'arcata non può resistere all'esplosione di sessanta libbre di polvere.

- L'intera lunetta cadràinsieme ai pezzi che regge.

- Un assalto sarà possibile dopoalmeno da questa parte. Signor Mendozapreparate le miccie.

- Gli spagnuoli non vedranno la luce che proietteranno queste miccie? - chiese il corsaro.

Il guasconesenza badare che poteva prendersi una palla d'archibugio nel craniolasciò l'arcata e si spinse fuoriguardando verso i merli che proteggevano la lunetta.

- Ma che! - disse. - Chi si occupa di noi? Piove e quando piove si ama meglio stare al coperto. Termineremo i nostri affarisenza che nessuno venga ad inquietarci.

Tornò verso l'arcata dove Mendoza ed il fiammingo stavano preparando la miccia.

- Siamo al sicuro- disse loro- almeno fino a che i barili scoppieranno. Sono bene assicurate le micciesignor Mendoza?

- E lo domandate ad un vecchio filibustiere?

- Date fuoco dunque e poi via di corsa.

Il basco accese l'esca e dette fuoco alle due funicelle incatramate e cosparse di polvere da sparo.

Il guascone si assicurò prima che tutto fosse fatto esattamentepoi alzò i tacchidicendo:

- Alla larga!... Non saltiamo insieme alla fortezza.

Lasciarono l'arcata e si slanciarono a corsa disperata giú per la scarpa.

Avevano percorsi pochi metriquando si udí una voce a gridare:

- All'armi!... I filibustieri!...

Poi rimbombò un colpo d'archibugio.

- Gambe! - gridò il guasconeil quale spiccava dei salti straordinarii.

Sette od otto spari rimbombarono. Gli spagnuoli dovevano però aver sparato a casaccio essendo l'oscurità sempre profondissima.

In un lampo i tre avventurieri scesero la scarpataattraversarono la spianata e si precipitarono attraverso la prima viuzza che si videro dinanzirifugiandosi in una catapecchia disabitata.

Gli spagnuolicredendo che i filibustieri tentassero una sorpresasparavano furiosamente in tutte le direzioni.

Cannoni ed archibugi tuonavano con un crescendo spaventosobombardando i quartieri della città.

Lampi vivissimi illuminavano la nottementre una immensa nube rossastra s'alzava sulla fortezzaprodotta forse da numerosi falò accesi sulle spianate interne.

I filibustierii quali avevano già scorti i tre terribili avventurieri scendere a corsa disperata la scarpata al balenar delle artiglierieerano balzati fuori dai loro rifugiimpegnando risolutamente la lotta a colpi d'archibugioin attesa di montare all'assalto.

Si erano radunati dietro la cattedrale che s'innalzava sulla piazza maggioreper essere piú pronti a formare le colonne d'attacco sotto la guida dei rispettivi capi.

Il guasconeda una finestra della catapecchiafissava intensamente due piccoli punti luminosi che brillavano sotto l'arcata.

Erano le miccie dei due barili.

- Ancora mezzo minuto e la lunetta salterà- disse al basco che gli stava dietro. - L'arcata protegge le miccie dalla pioggia.

La batteria centrale continuava sempre piú furiosa i suoi tiri. I filibustierinon curanti della pioggia che si rovesciava con estrema violenza sulla cittàavevano già formate le colonne d'assalto e s'avanzavano attraverso le strette viuzzestringendo le sciabole d'arrembaggio e cercando di riparare le pistole da quel diluvio.

Ad un tratto un lampo vivissimo brillò sotto l'ultimo angolo della fortezzaseguito da un rimbombo assordante e da un fragore sinistro.

I due barili erano scoppiati quasi contemporaneamenteed avevano mandato all'aria l'arcatafacendo crollare l'intera lunetta.

Un grido immenso echeggiò subito fra le tenebrelanciato da centinaia di bocche.

- All'assalto!

Le quattro colonneguidate dal figlio del Corsaro Rossoda Grognerda Tusley e dal signor Raveneau de Lussansi erano slanciate su per le scarpateurlando ferocemente.

I tre avventurieri avevano prontamente raggiunto il loro capitano per essere i primi a montare all'attacco.

La fortezza tuonava con un frastuono orrendo. Tutta la guarnigione era accorsa sugli spaltiaffollandosi specialmente verso la lunetta che piú non poteva difenderli.

L'esplosione di quelle sessanta libbre di polvere aveva prodotto uno squarcio largo parecchi metrifacendo franare il terrazzo ed i due pezzi d'artiglieria che vi si trovavano.

La colonna del figlio del Corsaro Rossocomposta dei sessanta uomini della fregata e dei tre avventurierifu la prima a giungere dinanzi alle rovine della lunetta.

I filibustieri di Tusley e di Raveneau de Lussan avevano dato l'attacco dall'altra parteper distogliere una parte delle forze spagnuole ecome usavano sempresi erano messi a scagliare bombe verso i merli per allontanare i difensoricon poco successo peròin causa della pioggia che continuava a cadere con estrema violenza.

Il conte che era alla testa della colonna si slanciò risolutamente fra le rovine della lunettagridando con voce tuonante:

- All'assaltomiei valorosi!

Stava per spingersi in altoquando un uomo gli si gettò dinanzidicendogli:

- Lasciate che vi faccia scudosignor conte.

Era il guascone.

- Grazie- rispose il signor di Ventimiglia- ma il primo devo essere io. Voi passerete dopo di me.

Scostò colla sinistra il valoroso avventuriero e si precipitò all'attaccosparando le sue pistole e poi impugnando la spada.

I tre avventurieri ed i corsari della Folgore lo avevano seguitopressati dai filibustieri di Grogneri quali erano pure giunti.

Una mezza compagnia di alabardieri difendeva l'angolo del forte.

Il conte si scagliò risolutamente fra le alabardeaprendosi il passo a gran colpi di spada ed impegnò la lottaspalleggiato vigorosamente dai suoi uomini.

Il passaggio era strettosicché combattevano male tanto gli spagnuoli quanto i filibustierianche perché né gli uni né gli altri potevano far uso degli archibugi con quell'acquazzone furioso che non accennava a cessare e che bagnava le polveri.

Il conteche combatteva disperatamentefacendo impeto contro gli avversariivalidamente appoggiato dalle draghinasse dei tre fracassonile quali tagliavano le aste delle alabarde come se fossero fuscelli di pagliariuscí finalmente ad aprire il passo ai corsari ed a sbucare sul terrazzo.

Gli spagnuoliquantunque scoraggiatisi ressero ancora per parecchi minutidisputando ferocemente il terreno palmo a palmo; poisopraffatti dal numeropoiché anche i filibustieri di Grogner erano montati all'assaltosi ripiegarono confusamente verso l'ampio piazzale del fortetentando d'arrestare quella valanga umana a colpi di cannone.

Anche quelli che difendevano le merlature di ponentecontro gli infruttuosi attacchi delle genti di Tusley e di Raveneau de Lussanerano accorsi per prendere parte alla lottaincoraggiatí dalla presenza del marchese di Montelimar.

Una mischia sanguinosa s'impegnò davanti al castello centralecon perdite gravissime da ambe le partimischia che ebbe però la durata di brevi istantipoiché i filibustieri delle due altre colonne ne avevano subito approfittato per scalare i merli ed invadere la piazza.

Presi di fronte e alle spallegli spagnuoligiudicando ormai inutile ogni resistenzagettarono le armi.

I filibustieriresi feroci da tanta resistenzastavano per precipitarsi sui disgraziati e passarli a fil di spadaquando il conte di Ventimiglia intervenne.

- Si ringuainino le spade e le sciabole d'arrembaggio! - gridòcon voce tuonante. - Dove combatte un Ventimiglia non si assassina della gente inerme!... Giú le armi!... È il figlio del Corsaro Rosso che ve lo ordina!...

- Obbedite! - gridò Raveneau de Lussan ai suoi uomini.

Uno spagnuolo che aveva il vestito macchiato di sanguesi era fatto largo fra i suoi soldati e si era avanzato verso il conteseguito da un altro che portava una lanterna staccata dalla batteria.

- Mi avete presosignor di Ventimiglia- dissecon voce un po' aspra. - Che cosa volete fare ora di me?

- Chi siete voi? - chiese il figlio del Corsaro Rosso.

- Il marchese di Montelimar.

Il conte aveva mandato un gridofissando attentamente il gentiluomo.

- Che cosa volete ora da me? - seguitò il marcheseincrociando le braccia. - Avevo già saputo che mi cercavate.

- Questo non è né il luogoné il momento- rispose il conte.

- Volete favorire nel mio gabinetto?

- Sono pronto a seguirvi.

Grogner si avvicinò al contedicendogli:

- Non vi fidate di questa gente.

- Sono un gentiluomo- rispose il marchese con fierezza.

- E poinoi lo accompagneremo- disse il guascone.

- Signor Grogner- disse il conte- occupatevi dei prigionieri e saccheggiate quanto credete che possa essere utile ai vostri uomini.

- Come voleteconte- rispose il filibustiere.

- Sono ai vostri ordinimarchese- disse il signor di Ventimiglia.

Il gentiluomo spagnuolo sorrise tristamente; poipreceduto dal soldato che portava la lanternaentrò nel castello del forteseguito dal figlio del Corsaro Rosso e dai tre avventurierimentre i corsari si rifugiavano nelle casemattein attesa che l'acquazzone cessasseconducendo con loro i prigionieri.

Il marchese attraversò parecchi androni ingombri di barili di polvere e di piramidi di pallepoi aperse una portadicendo:

- Entrateconte: qui non avrete nulla da temere.

 



CAPITOLO VII

IL RITORNO ALL'OCEANO PACIFICO


Il signor di Ventimiglia non aveva indugiato ad accettare l'invitoquantunque quella cortesiatroppo spinta da parte d'un nemico senza dubbio acerrimopoiché poteva essere in giuoco la sua esistenzaavesse fatto arricciare il naso al sospettoso guascone e anche a Mendoza.

Il gabinetto del marchese era uno stanzino ammobiliato senza pretese ed illuminato da due candelabricollocati sopra un enorme scrittoio coperto da un panno verde e da cumuli di carte.

Il marchese di Montelimar indicò al conte una sediapoisedendoglisi di frontegli chiese:

- Ora mi direte che cosa volete da me. Mi avete cercato a Pueblo-Viejofors'anche a San Domingo e mi avete preso a Nuova Granata. Che cosa desiderate dunque?

- Domandarviinnanzi tuttose dinanzi a me la vostra coscienza è perfettamente tranquilla- rispose il signor di Ventimiglia.

Il marchese socchiuse un po' gli occhipoidopo un breve silenziorispose:

- La vostra domanda mi stupisce un po'.

- Ah! - fece il conte. - Mi direte allora chi eraquindici anni or sonoil governatore di Maracaibo.

- Io- rispose il marchese.

- Dunque voi avete fatto appiccare mio padre- gridò il contecon uno scatto improvviso.

- Non posso negarlo.

- Sapevate che era un gentiluomo.

- Sí.

- Che non combatteva per avidità di guadagnoperché i Ventimiglia avevano e hanno tuttora terre e castelliquasi quanti ne hanno i duchi di Savoja.

- So che erano ricchissimi.

- Sapete per quale motivo mio padre ed i miei ziiil Corsaro Verde ed il Corsaro Nero erano venuti in America?

- Per vendicarsi del duca Wan Guldmi hanno detto- rispose il marchesesempre calmo.

- Sapete che cosa aveva fatto quel duca?

- Veramente non lo so: l'America centrale è troppo lontana dall'Europa e certe informazioni si perdono durante la traversata dell'Atlantico.

Il conte si era alzatoin preda ad una vivissima agitazione.

- Francia e Piemonte combattevano contro la Spagna sui canali dell'Olanda e sulla Schelda- disse. - Condottiero delle genti italiche era un fiammingo: il duca Wan Guld.

- Io ho udito parlare di questo- disse il marchese- molto vagamente però.

- I conti di Ventimiglia erano in quattrotutti fratellie forti condottieriche godevano la piú ampia fiducia del duca di Savoja. Racchiusi in una fortezza con due reggimentidifendevano ferocemente una roccaquando una notte il nemico entrò per una delle porte che un traditore aveva apertacorrotto da un enorme compenso. Il primogenito dei Ventimiglia fu ucciso o meglio assassinato a tradimento da un sicario del ducamentre cercava di opporsi a quell'invasione. Era Wan Guldche si era venduto al nemico per diventarepiú tardigovernatore d'una delle piú importanti colonie spagnuole del Golfo del Messico.

- Me ne ricordo infatti- disse il marchese di Montelimar. - I tre conti di Ventimiglia attraversarono a loro volta l'Atlantico per uccidere il traditoree sotto il nome di Corsaro RossoVerde e Nerocoll'aiuto di Pietro l'Olonesedi Wan Horndi Laurentdi Grammont e di altri celebri filibustierirovinarono le nostre colonie e misero a ferro ed a fuoco tutte le nostre città marinaresche del Golfo del Messico.

- E gli spagnuoli hanno appiccato mio padreè vero?

Il marchese era diventato pallidissimo ed aveva avuto un sussulto troppo tardi represso.

- È vero? - ripeté il conte.

- Non posso negarlo.

- Se vostro padre fosse stato appiccato e voi un giorno foste riuscito ad avere nelle vostre mani colui che ha pronunciata la terribile sentenzache cosa avreste fatto?

- Mio padre era un grande di Spagna e non già un filibustiere- rispose il marchese di Montelimar.

- Ed il mio non era un ladrone di mare- proruppe il conte. - I Ventimiglia non hanno intascato in America né un doblonené una piastra.

- Li intascavano però i filibustieri che li accompagnavano- ribatté il marchesecon violenza. - Per noi vostro padre non era altro che un corsaro pericolosissimoche devastava le nostre colonie e rovinava le nostre città e noi avevamo tutto il diritto di punirlo.

- Come un volgare ladroneè vero? - disse il conteironicamente.

Il marchese non rispose.

Il signor di Ventimiglia fece tre o quattro passi dinanzi allo scrittoiopoifermandosi bruscamente dinanzi all'ex governatore di Maracaiboil quale lo seguiva con uno sguardo inquietodisse:

- Di questa faccenda riparleremo piú tardisignor marchese. Mi premeva avervi nelle mie mani per un'altra cosa.

- Dite.

- Mio padreche era rimasto vedovo prima d'imbarcarsi per l'America insieme ai suoi fratelliha sposato qui la figlia di Harail grande Cacico del Darienche gli diede una figlia. Quando mio padrerimasto per la seconda volta vedovofu preso dai vostri compatriotti e condotto prigioniero a Maracaiboaveva con sé quella bambina. Che cosa ne è successo? Voi dovete saperlo.

- Io!...

- Ehsignor marchesenon cercate d'ingannarmi. Quella piccola meticciache è mia sorellaè stata raccolta da voiio lo so. A Pueblo-Viejo d'altronde mi hanno confermata la notizia ed il vostro segretarioil cavaliere di Barquisimetomesso da me alle strettenon ha potuto negarlo.

- È nelle vostre mani il mio segretario? - gridò il marchese.

- Vi era: non essendomi ormai piú di nessuna utilità l'ho lasciato andare. Seccano troppo a noi i prigionieri.

- Ed ha tradito il segreto!...

- O parlare o moriresignor marchese- disse il conte. - Eglidinanzi al dilemmaha preferito aprire la bocca.

Il marchese aveva fatto un gesto di collera e si era alzato impetuosamentegettando sul figlio del Corsaro Rosso uno sguardo feroce.

- Che cosa volete dunquevoi? - chiesecoi denti stretti.

- Mia sorella.

- È per questo che siete venuto in America?

- Sí.

- E se mi rifiutassi di restituirvela?

- Vivaddio! - gridò il conte. - Non avrei riguardi per l'uomo che ha pronunciata la sentenza che condannava mio padre alla forca!...

- Vostra sorella non è qui.

- Non è qui?...

- No.

- Dove l'avete mandatadunque? A Panama.

- Mille demoni! - gridò il conteesasperato. - Qui non era sicura.

- Voi sapevate dunque che io la cercavo?

- Io sapevo che una partita di filibustieri s'avanzava verso questa città etemendo che nell'assalto uccidessero quella fanciullami sono affrettato a mandarla a Panama.

- Perché tanti riguardi verso la figlia d'un filibustiere?

- L'ho allevata come fosse mia- rispose il marchese. - Giacché gli altri hanno parlatovi avranno anche detto che vostra sorella venne sempre trattata nella mia casa come una gentildonna e non già come una schiavaquantunque meticcia.

- Infatti me lo hanno detto. Ed ora?

- Spetta a voisignor di Ventimigliadi andarvela a prendere.

- A Panama? Volete scherzaremarchese? I tempi di Morgan sono passati e nessuno oggidí oserebbenemmeno mio zio il Corsaro Nerose fosse vivodi tentare una simile impresa.

Un ironico sorriso sfiorò le labbra del marchese di Montelimar.

- Non so che cosa farcisignor conte- disse poi.

- A chi l'avete affidata?

- A don Juan de Sasebomio amico e consigliere del vicereame.

- Mi avevano detto che prima la teneva un mayoral.

- Síquand'era piccina. Ora ha quindici anni e non deve frequentate che delle famiglie cospicue.

- E non posso averla in nessun modo?

- Síconducendomi con voi a Panamaperché ho dato ordine a don Juan di non consegnarla a chicchessia.

- Avete preso delle eccessive precauzioni.

- Io ormai la considero come mia figliasignor conte.

- Eppure io non lascerò l'America senza averla- disse il signor di Ventimiglia. - È mia sorella.

- Nessuno vi contrasterà questo diritto. Temo peròsignor conte- disse il marchesecon accento sempre ironico- che a Panama non soffi aria buona per voi.

Lo vedremo. Intanto voi rimarrete mio prigioniero.

I prigionieri possono riscattarsi: fissate il prezzo.

Un Ventimiglia non ha bisogno né di cinquanta né di centomila piastresignor di Montelimar. Per voi non vi è nessun prezzo.

Poivolgendosi verso i tre avventurierii quali avevano assistito al colloquioimmobili e muti come statuema colle draghinasse in manopronti a qualunque sorpresadisse loro:

- Affido a voi questo signore: è sotto la vostra sorveglianza.

Si toccò appena la tesa del suo ampio feltro e uscíscendendo rapidamente la scala del castello.

Cominciava allora ad albeggiare e l'acquazzone era cessato. Le spianate del forte erano ingombre dì filibustieri occupati ad inchiodare i cannoni ed a saccheggiare le polveriavendo estremo bisogno di munizioni.

TusleyGrogner e Raveneau de Lussan stavano seduti su una balaustrata del fortefumando e chiacchierando.

Vedendo comparire il contetutti si erano alzati.

- Dunquesignor conte? - chiese de Lussannon senza una certa ansietà.

- Un'altra carta male giuocata- rispose il signor di Ventimiglia. - Ho preso l'aquila e non ho potuto avere l'allodoletta.

- Vostra sorella?...

- Non è più qui.

- Per la morte di tutte le viti della Turenna! - gridò il francese. È un demonio quel marchese che indovina sempre i vostri progetti?

- Cosí pare- rispose il conte.

- E prenderemo l'allodoletta?

- A Panamase vorremo averla.

- Un affare serio- disse Grognerfacendo una smorfia. - Panama non è Pueblo-Viejoné Nuova Granata. Se fossimo in millela cosa potrebbe essere non difficile. Colle forze che disponiamo nessun filibustierenemmeno Morganoserebbe una simile impresa.

- Andiamo all'isola di Taroga- disse Tusleyil quale fino allora era rimasto silenzioso. - Io so che una partita di filibustierimontati su due fregatedovevano giungervi da un momento all'altrodecisi a bloccare Panama. Se potremo trovarlifaremo tremare una volta ancora gli abitanti della città. Ciò che mi preoccupa è pel momento un'altra cosa.

- Parlatesignor Tusley- disse il conte.

- Un prigioniero mi ha confessato or ora che grossi corpi di spagnuoli si sono messi in campagnaper tagliarci la ritirata verso l'Oceano Pacifico. Vi consiglierei quindinell'interesse comunedi sgombrare al piú presto Nuova Granata e di raggiungere la sponda. Ormai tutto quanto vi era da prendere si trova nelle nostre tasche.

- Poca cosa però- disse Raveneau. de Lussan. - Il saccheggio non ha fruttato che ottantamila piastre.

- Ne avremo delle altre durante la ritirata- rispose Grogner. - Sul nostro cammino incendieremo paesivillaggi e città e non le risparmieremo.

- Io sono pronto a partire- disse il conte. - Non terrò per parte mia che un solo prigioniero: il marchese di Montelimar.

- E noi una trentina di pezzi grossi della cittàche ci forniranno a suo tempo un rispettabile riscatto- disse Grogner. - Ci saranno utilissimi se potremo fare una dimostrazione navale contro Panama. Signor de Lussandate l'ordine della ritirata. È meglio che raggiungiamo le fitte foresteprima che le cinquantine spagnuoleche devono già essere in marciaci piombino addosso.

Non era trascorsa una mezz'ora che i filibustierii quali non avevano perdutoin tanto battagliareche soli dodici uominimentre avevano fatto una vera strage degli abitanti che difendevano le murasi trovavano pronti a sgombrare la città.

Oltre i prigionierisi erano impadroniti anche d'un cannoneper meglio difendersi dagli attacchi che già s'aspettavano durante la ritirata verso l'Oceano Pacifico.

Per meglio ingannare le truppe lanciate sulle loro tracceavevano deciso di risalire verso il settentrioneanche perché il paesepiú fertilepoteva offrire maggiori risorse.

Alle otto del mattinoi quattro piccoli corpidopo d'aver fatto saltare un'altra ala della fortezzalasciavano la cittàrifugiandosi sotto le immense foreste che allora coprivano gran parte dell'America centrale e che non erano occupate che da rade tribú d'indiani sfuggiti miracolosamente alla dura schiavitú degli spagnuoli.

Da uomini abituati alle continue guerrigliesentivano però il nemico.

Ed infattia dieci miglia da Nuova Granataun corpo di duemila e cinquecento uominigiunto da Panamali assalta in rasa campagnacercando di circondarli.

Pochi colpi di cannonesparati dal pezzo che per loro fortuna avevano condotto da Granatalo mettono in piena rotta!...

Due ore piú tardipresso la piccola città di Leonposta a poche leghe da Granatatenta pure di arrestarli un corpo composto di cinquecento lancema con un attacco furiosocondotto particolarmente dal conte di Ventimiglia e da Raveneau de Lussanlo volgono pure in fuga. E questa è storia verissima! ...

È bensí vero che gli spagnuoli avevano una grande paura di quei ladroni di mare checome abbiamo dettoritenevano figli di Belzebú.

Non erano però finite le peripezie dei filibustieri. Gl'indianiper ordine del governatore di Panamabruciavano boscaglie e piantagioniper affamarli e li assalivano a colpi di freccia in mezzo alle sterminate foreste.

Presso la cittaduzza di Ginandejogli spagnuoliraccolti in uno stretto passaggiotendono un agguato e mandano alcuni abitanti incontro ai filibustieri per invitarli a recarsi nelle loro fattorie a ristorarsipromettendo viveri e vino in abbondanza.

L'agguato però non ha anche questa volta nessun successo. I filibustierifuriosi per tale tradimentotagliano a pezzi le cinquantine spagnuolesaccheggiano la città e poi la incendianoper punire gli abitanti di essersi prestati a preparare l'agguato.

Dopo quattordici giorni di marce continuedi combattimenti incessantii filibustieri giungevano finalmentelaceriaffamatiessendo tutto stato bruciato dinanzi a lorosulle rive dell'Oceano Pacificodi fronte all'isola di Tarogasulla quale speravano trovare altri compagni venuti dall'Atlantico.

 



CAPITOLO VIII

UNA TERRIBILE BATTAGLIA NAVALE


Bisogna proprio credere che una fortuna straordinaria proteggesse quegli audaci ladroni di mareed un triste destino perseguitasse con ostinazione incredibile i discendenti di quei terribili conquistadoresche con pochi colpi d'archibugioma molta audaciaavevano rovesciati i piú potenti imperi dell'America del Nord e del Sud e anche del Centro.

Prendere d'assalto una città reputata una delle piú solide piazze forti del Nicaraguasfuggire a duemila e cinquecento soldatievitare i numerosi agguati e giungere ancora sani e salviattraverso un paese infestato da indiani ostilierano fatti assolutamente stupefacentiquasi inverosimili: eppure la storia di quella ardita scorreriafatta da un pugno d'uominiè sempre lí a provare l'esattezza di quelle imprese strabilianti.

La fortuna non doveva ancora venir meno a quei formidabili ladri di marepoichéventiquattro ore dopo il loro arrivo sulle coste del Pacificoli ritroviamo al sicuro all'isola di Taroga in mezzo ad altri filibustieri giunti dai mari del sud con due buone navi di battaglia.

Le quattro colonneche durante la ritirata avevano subito perdite piuttosto rilevantisi trovarono subito rinforzate d'altri duecento uominifra inglesi e francesinon meno risoluti di loro a menar le mani e non meno assetatipiú che di conquisted'oro spagnuolo.

Possedendocome abbiamo dettodue navi da battagliafu decisodai quattro capiin un consiglio tenuto qualche giorno dopodi tentare innanzi a tutto una spedizione verso Villiacittà lontana appena venti leghe da Panamaper provvedersi di viverinon essendo l'isolottocoi suoi pochi alberi per la maggior parte infruttifericapace di mantenere tanta gente.

Le due naviche erano giunte dai mari del sudavevano consumate tutte le loro provvisteed i filibustieri che avevano preso d'assalto Nuova Granatanon avevano portato con sé che delle piastre inutiliin quel momentocome i grani di sabbia ammonticchiati intorno a quell'isoletta deserta.

Prima di tentare un colpo di mano su Panamavolevano essere almeno ben forniti di viveri e anche di munizioni.

Fu Tusley che s'incaricò dell'impresa. Imbarcatosi con duecento uomini sulle due naviapproda a non molta distanza dalla cittàpoi muove risolutamente all'assalto ed in poche ore se ne rende padronemalgrado la fiera resistenza opposta dagli spagnuoli.

S'impadronisce di trecento prigionieridi quindicimila piastred'un milione e mezzo di mercienon ancora soddisfatto di tanta ricchezzainvia un messo all'alcade della città che si era salvato nelle boscaglieper proporgli il riscatto dei prigionieri contro il versamento di cinquantamila piastre.

L'alcade fa rispondere che egli non poteva offrire a tali ladroni altro che della polvere e delle pallee le une e le altre erano prontee che in quanto ai prigionieri li abbandonava alla Provvidenza e intanto li avvertiva che stava radunando forze imponenti per ricacciarli nell'Oceano Pacifico.

A tale risposta Tusley fa incendiare la cittàcaricano viveri e bottino su due grosse scialuppe che avevano prese sul vicino fiume e cominciano la ritirata.

Qui però cominciano i primi disastri.

Trecento spagnuoliimboscati ad un gomito del fiumes'impadroniscono delle due scialuppe e trucidano gli equipaggi.

I filibustieriche si ritraevano attraverso le boscagliea tale nuova mandano altri messi all'alcademinacciando di massacrare i trecento prigionieri se non viene loro restituito il bottino e pagato il riscatto.

Indugiando la rispostaTusley fa fucilare una parte di quei prigionieri e manda le loro teste a Villia.

L'alcadeatterritorestituisce il bottino e le due barchee vi aggiunge diecimila piastre per salvare la vita agli altri disgraziati che si trovano nelle mani dei corsari.

Non dovevano tardare però gli spagnuoli a prendersi a loro volta delle splendide rivincite.

Sorprendono una partita di filibustiericomposta di trentasei uominiche si era gettata sulla Boccachica per passare alla sponda orientale del continente e li fanno a pezziad eccezione d'uno solo che viene condotto prigioniero a Panama.

Quasi nel medesimo tempo sorprendono pure due piccole colonne di filibustieri inglesiformate di quaranta uomini ciascunae le annientano completamente in mezzo alle folte boscaglie dell'istmo.

Tusley peròquantunque perseguitato da tutte le particonduce la sua colonna fino sulle sponde dell'Oceano e giunge felicemente a Tarogacolle sue venticinquemila piastre intattele sue mercii suoi viveri e le sue due navi.

Quella spedizione non era durata che una quindicina di giornidurante i qualii filibustieri rimasti sull'isolotto non erano vissuti che di testuggini marine e di poche fruttacon pochissimo piacere del guascone e dei due suoi compagnii quali si erano specialmente lamentati della pessima qualità dell'acqua e dell'assenza completa di bottiglie di Xeres e di Alicante da vuotare.

Ben provvisti di viveri e soprattutto di munizionii filibustieridopo un nuovo consigliodecisero di tentare il blocco di Panamaper imporre a quel viceré la consegna della sorella del signor di Ventimiglia e di alcuni prigionieri.

Dopo quattro giorni dal ritorno di Tusleyi filibustieri s'imbarcarono.

Non erano però piú numerosi come primapoiché centoquarant'otto francesi si erano separati dai loro compagniin causa delle solite questioni religiosenavigando verso settentrionecoll'idea di predare le coste della California.

Erano però ancora abbastanza bene in forza per farsi temere dagli spagnuolitanto piú che erano guidati da quattro valorosissimi capi.

Avendo saputo da un prigioniero che due grossi velieri spagnuoli erano attesi da Panama provenienti da Lima con un carico di farine e di denaroi filibustieri decisero innanzi a tutto di abbordarliprima che giungessero in porto.

La mancanza di viveri era sempre quella che piú preoccupava quegli uomininon avendo nessun mezzo di procurarsenefuorché nel saccheggipoiché tutte le coste erano guardate e tutte le piantagioni erano state distrutte per molte leghe entro terra.

Guidavano il primo vascelloil signor di Ventimiglia e Raveneau de Lussan; l'altro Tusley e Grogner.

Non sarebbe necessario dire che i tre terribili avventurieri avevano preso imbarco sulla nave del conteansiosi di aver nuova occasione per menare le loro formidabili draghinasse.

- Taroga è un'isola di tartarugheaveva detto don Barrejomettendo i piedi sul ponte della nave. Non siamo già venuti in America per provare il filo della spada contro i gusci di quei rettili.

- Ed io non sono venuto per guardare le sabbie ed ascoltare il rumoreggiare della marea- aveva aggiunto Mendoza.

- Ed io non ho lasciato il Brabante per veder arrugginire le mie braccia- aveva detto il fiammingo.

E si erano imbarcati lietamentepromettendosi di compiere altre meravigliose imprese e di non perdere per un solo istante di vista il marchese di Montelimarche era stato affidato alla loro sorveglianza.

Il primo giorno passò senza incidenti. Le due naviche non erano molto grossené molto armateavevano navigato sempre in vista dell'isolottocolla speranza di sorprendere i due velieri provenienti da Lima.

Il secondo giornonon avendo incontrato alcun bastimentoavevano fatto un'ardita punta verso Panamasenza però osare accostarsi troppo al portonon ignorando che il viceré potevain poche oreradunare una squadra considerevole.

La mattina del terzoi gabbieri che erano di guardia sulle coffe mandarono il primo grido d'allarme.

- Vele a levante!

Il signor di Ventimiglia e Raveneau de Lussani quali erano saliti appena allora in copertaerano stati i primi a precipitarsi verso il castello di prora.

Quel grido di "vele a levante" non aveva mancato di produrre su di loro una certa sorpresapoiché non era da quella parte che dovevano avanzarsi i due vascelli provenienti dai mari del sud.

- Che siano legni che vengono da Panama? si era chiesto il conte.

- È quello che purtroppo temo- aveva risposto Raveneau de Lussan. - Gli spagnuoli devono aver le tasche piene di noi e avranno organizzata qualche flottiglia.

- Che noi prenderemo d'assalto e che affonderemo- disse Mendozail quale non aveva indugiato a raggiungerliinsieme ai suoi due compari.

- Signor de Lussanprepariamoci al combattimento- disse il conte di Ventimiglia. - Abbiamo uomini decisi a tutto e artiglierie non del tutto in cattivo stato. Mostreremo ancora una volta agli spagnuoli come sanno lottare e morire i forti fratelli della Costa.

Le trombe avevano suonato.

- Tutti in coperta!

I filibustierisempre pronti a qualunque cimentosi erano slanciati ai loro posti di combattimento: i vecchi bucanieri in copertadietro le brande arrotolate sulle murateed i corsari nelle batterie.

La nave di Tusley e di Grogner aveva subito raggiuntacon una splendida bordataquella del signor di Ventimigliala quale muoveva audacemente incontro alle vele segnalate.

- Don Barrejo- disse il bascoil quale provava il filo della sua draghinassa. - Temo che questa volta la faccenda sia piú seria di quella di Pueblo-Viejo e di Nuova Granata. Quelle navi vengono da Panama; ve lo dice un vecchio uomo di mare che conosce i venti meglio che Eolo in persona.

- I capitani delle fregateche voi sappiatehanno sempre una buona riserva di bottiglie? - chiese il guasconeil quale stava pure esaminando la sua draghinassa.

- Che cosa diavolo mi domandatedon Barrejo? - chiese il basconon senza un certo stupore.

- Il signor guascone ha parlato bene- disse il fiammingocolla sua solita gravità. - Rispondete alla sua domandadon Mendoza.

- Io credo che abbiano piú palle che bottiglie- disse il basco. - Non escludo però che posseggano una piccola cantina.

- Non voglio sapere altro- rispose il guascone. - Andremo ad assaggiare quel vino e vedremo se è piú squisito quello che si trova sepolto nelle cantine o quello navigato.

Un gridoche scese in quel momento dalla coffa dell'albero maestrointerruppe la loro conversazione.

- Fregata in vista!...

- Ve lo dicevo io? - disse Mendoza. Altro che le navi cariche di farina e di denaro provenienti da Lima. Troveremo ferro e piombo.

- Ma anche una cantina- aggiunse il guascone.

Per la terza volta la voce del gabbiere di guardia si fece udire.

- E due barconi di appoggio!...

- Quelle non hanno di certo delle bottiglie- disse il basco. - Conteranno probabilmente un bel numero di corde per appiccarci.

- Appiccare noi! - gridò il guasconetrinciando l'aria colla sua draghinassa. - Ah!... Ci vuole ben altro per appiccare della gente come noi!...

- Già- disse il fiammingo. - Gente come noi.

I filibustieri si preparavano animosamente alla battagliacercando di raggiungere la fregata prima che le barcacciepessime velierepotessero accorrere per appoggiarla.

Il conte di Ventimigliadall'alto del casseroimpartiva con voce squillante gli ordinimentre Grogner faceva altrettanto sul secondo vascello.

La fregatache era di forte tonnellaggio ed armata di una trentina di cannonimuoveva pure risolutamente contro i corsarisicurissima di sgominarli con poche bordate.

Il signor di Ventimigliaaccortosi a tempo che gli spagnuoli muovevano all'arrembaggio con animo risolutoaveva dato l'ordine alle due navi di scostarsiper prenderli in mezzoprima che giungessero le barcacciele quali contenevano numerosi combattenti e anche dei grossi pezzi d'artiglieria.

A mille passiil combattimento s'impegnò ferocissimo da ambe le parti.

La fregata tuonava ed avanzavatentando di disalberare i due legni corsari; questi rispondevano come potevanonon disponendo che di pochissimi pezzi.

A cinquecento passigli spagnuoli i quali si tenevano sicurissimi di aver ben presto ragione di quell'accozzaglia di ladroni di mareimbrogliano le vele di parrocchetto e di pappaficoper essere piú liberi nella manovra e filare sulla nave del conte di Ventimigliala quale era piú vicinaper abbordarla.

I tamburi rullano fragorosamente sui suoi altissimi ponti ed il grande stendardo di Spagna sventola orgogliosamente al vento.

I suoi archibugieri ed i suoi alabardieri sono schierati dietro i bastingaggipronti a montare all'abbordaggiomentre dalle due barcaccie partono scariche violentissimequantunque quasi inefficaciin causa della distanza.

- Fra poco qui farà molto caldo- disse Mendozail quale non perdeva di vista la fregata. - Se gli spagnuoli muovono su di noi cosí risolutamenteè segno che sono ben decisi a sterminarci. Don Barrejotemo che le bottiglie del capitano siano un po' dure da guadagnare.

- Io ho l'abitudine di rispettare tutte le opinioniperò vi dico che il conte monterà all'abbordaggio prima degli spagnuoli. Ho sete: perché non dovrei bere?

- Ben detto- disse il fiammingo. - Noi berremo il vino di Panama.

Le due navi corsarecon una manovra fulmineaavevano ripreso il largorispondendo vigorosamente coi loro pezzi. Subivano gravi danni per quel continuo cannoneggiamentotuttavia non disperavano di dare ai loro nemici un'altra formidabile battuta.

La fregatache precedeva sempre le due barcaccie di parecchie gomenesi getta improvvisamente fra i due legni corsarialternando scariche di mitraglia e palle.

Era il momento atteso dai quattro capi della filibusteriaper tentare un attacco disperato.

I due velieri in pochi istanti si stringono addosso al vascello nemico ecome era loro abitudinescagliano sui ponti un numero cosí enorme di granateda metterein pochi minutifuori di combattimento la maggior parte degli archibugieri e degli alabardieri e poiapprofittando della Grande confusione prodotta da tutti quegli scoppimontano arditamente all'abbordaggiocon un urlio assordante.

Bucanieri e artiglieritutti si precipitano all'assalto con una ferocia inaudita.

Il conte di Ventimiglia e Raveneau de Lussaninsieme ai tre avventurierisono i primi che montano sulla fregata.

Un combattimento omerico s'impegna. Anche gli uomini di Tusley e di Grogner hanno abbordata la nave e si rovescianocon impeto irresistibileattraverso ai pontibattagliando come leoni scatenati.

Gli spagnuoligià respinti a proraattraversano a corsa sfrenata la tolda e si rifugiano sul cassero dove hanno un pezzo da caccia in batteriama la pioggia di bombescagliate dai filibustieri e dai gabbieri che sono rimasti sulle coffe e sulle crocette dei due vascellili raggiungono anche làcausando un panico indescrivibile.

Il loro valore nulla può contro quella pioggia di fuoco e contro l'urto formidabile dei corsaritroppo abituati alle strepitose vittorieed il grande stendardo di Spagna viene calato fra gli urrah degli assalitoriai quali la fortunaancora una voltaha arriso.

Di cento e venti uomini che si trovavano sulla fregataben ottanta erano caduti morti o gravemente feriti.

Sbarazzatisi del nemico piú pericolosoi filibustierilasciati alcuni uomini sulla fregatatornano ad imbarcarsi sui loro legnii quali durante quel formidabile cannoneggiamento non avevano riportati che pochissimi dannie si mettono nuovamente in caccia per catturare le due barcaccie che erano montate da numerosi equipaggi.

Un nuovo combattimentonon meno feroce e sanguinosos'impegnama i due legni corsari non tardano ad avere anche questa volta il sopravvento.

Con un attacco fulmineo s'impadroniscono della barcaccia maggiorenonostante la terribile resistenza che oppone l'equipaggioforte di settanta uominidei quali soli diciannove sfuggono alla morte; l'altravedendosi perdutaalza tutte le sue vele e cerca di raggiungere la costa. Invece urta contro una scoglierasi spezza a metà e perde la maggior parte della sua gente.

Non era però ancora finita e la stella che proteggeva quei formidabili scorridori dei mari non si era ancora offuscata.

Erano intenti a liberare la fregata dai morti che la ingombravano ed a rattoppare alla meglio le attrezzature delle loro navialquanto malmenate dalle grosse artiglierie nemichequand'ecco che altre due barcacciemontate pure da equipaggi numerosicompariscono all'orizzonte.

I filibustieriinquietiinterrogano i superstiti della fregata e con minacce di morte riescono a sapere che quelle navicelle avevano ricevuto l'ordine di muovere al piú presto in soccorso della flottiglia.

I filibustieriquantunque esausti per tante ore di combattimentonon si perdono d'animo. Comprendendo che a Panama si ignorava ancora la sconfitta subita dalle navi spagnuoles'imbarcano sulla fregata e sulla barcaccia catturataalzano ai corni d'artimone lo stendardo di Spagna e muovono verso quei nuovi nemici che s'accostano fiduciosicredendo avere da fare coi loro compatriotti.

- Don Barrejo- disse Mendozail quale essendocome abbiamo già dettouno dei migliori artiglieri della filibusteriaera stato incaricato del servizio del pezzo da caccia del cassero. - Spero che non vi lamenterete piú di non menare abbastanza le mani.

- Perdinci- rispose il guasconeil quale stava accomodandosi alla meglio la sua casacca squarciata da un colpo d'alabarda. - Non credevo d'aver tanto lavoro. La mia draghinassaa forza di picchiare sugli elmi e sulle corazzeè diventata una vera sega. Sarà necessario che io scovi in qualche luogo un arrotino o finirà per non tagliare piú nemmeno il collo d'una bottiglia.

- Cambiatela: ne abbiamo prese un buon numero sulla fregata.

- Oibò!... Io lasciare la spada di mio padre!... Non sapete che questa lama ha preso parte a piú di venti combattimenti? È una lama storica nella famiglia dei de Lussac.

- Mi rincresce che tagli poco ora.

- Perché?

- Non vi hanno detto che quelle barcaccie sono montate da biscaglinii migliori marinai che abbia la Spagna?

- Basterà per oggi anche contro di loro.

- Badate che lavori beneperché si dice che in quelle navicelle vi sia una grossa provvista di corde.

- Che dovranno servire?

- Ad appiccarcise ci prendono vivi.

- Dite sul serio?

- Lo hanno confessato i prigionieri della fregata- rispose Mendoza.

- Oh!... I bricconi!...

- Il viceré di Panama è stanco di noi ed ha giurato di farci fare l'ultima danzaappesi ai pennoni.

- Brutto ballo- disse il fiammingoil quale si trovava presente.

- Infatti non deve essere molto piacevole- rispose il guascone. Mi raccomanderò alla mia draghinassa.

- Sapete però che cosa hanno deciso i filibustieri?

- Di adoperarle per legare come salami i prigionieri.

- Niente affatto: di servirsene per far danzare sui pennonio meglio sotto i pennonigli equipaggi delle barcaccie.

- Non li abbiamo ancora presi.

- Eh!... aspettate un po'.

La fregata era giunta allora a buon tiro. Le due barcaccieingannate dallo stendardo che sventolava sempre sul corno dell'artimonenon avevano cessato di avanzarsi.

Un comando breveseccoecheggiò sul ponte della nave predata.

- Fuoco di bordata!

In un lampo la bandiera di Spagna viene ammainata e sostituita dagli stendardi di Francia e d'Inghilterrae una tempesta di palle prende d'infilata le due barcacciedisalberandole e rasandole come due pontoni.

Una barcaccia s'incendia e brucia come un pezzo di legno secco e le polveri scoppiano con fracasso orrendoscaraventando in alto la copertasventrando la poppa e sfondando le murate di babordo e di tribordo.

L'altra però tiene vigorosamente testa all'attaccocannoneggiando furiosamente coi due soli pezzi che aveva a bordo.

La lotta non dura che pochi minutipoiché in aiuto dei filibustieri accorrono anche i due vascellii quali fanno un fuoco infernale sulle due disgraziate navicelle.

Quella che brucia va a fondo e nessuno degli uomini che la montano sfugge al disastrol'altra viene abbordata e presa dopo un brevissimo combattimento.

Ventidue filibustieri però cadono gravemente feriti e fra di loro Tusleyil quale doveva morire qualche giorno dopo avendo ricevuto una palla avvelenata.

I filibustierifuriosi per le gravi perdite subite e per aver trovato tante funi destinate ad impiccarlinon ostante le proteste del conte di Ventimiglianon lasciano vivo nemmeno uno dei prigionieri che montavano la seconda barcaccia.

Superbi di tanta fortunalo stesso giorno si ritirarono a Taroga per deliberarvi sul da farsiavendo saputo che non uno bensí cinque dei loro compagni si trovavano prigionieri a Panamasoggetti a durissima schiavitú.

Era loro intenzione di muovere audacemente sulla ricca città e di tentarne l'assalto. Ma avendo appreso che una forte squadra aveva lasciato i porti del Perú e che moveva in cerca di loro per finirla una buona voltadecisero di mandare un messo a Panama e d'intimare al Presidente dcll'Udienza Reale la pronta restituzione dei cinque prigionieri e della figlia del Corsaro Rossominacciandoin caso di rifiutodi uccidereper ognuno di essiquattro spagnuoli dei tanti che tenevano nelle loro mani.

Il Presidente manda ai filibustieri un ufficiale per dire loro a voce che nulla poteva fare e nel medesimo tempo ricorre al vescovo di Panama per tentare se il suo carattere potesse avere qualche efficaciaalmeno sui francesi che si piccavano di mostrarsi sempre cattolici.

Il vescovo scrisse infatti dicendo che il rifiuto del Presidente da non altro dipendeva che dalla obbedienza che egli doveva agli ordini sovranii quali gli proibivano una tale sorta di scambi ed avvertendoli nell'istesso tempo che quattro prigionieri inglesi si erano ormai convertiti al cattolicismo e che erano decisi a rimanere cogli spagnuolí.

Quelle rispostecome si può ben comprenderenon erano sufficienti per persuadere quei formidabili corsari.

In un altro consiglio decisero di rimandare un altro prigioniero a Panama affinché avvertisse anche a voce il Presidente che erano piú che mai risoluti a massacrare i trecento spagnuoli che tenevano nelle loro manianche per vendicarsi delle palle avvelenate usate dagli archibugieri della fregatale quali avevano causata la morte di Tusley e dei ventidue feriti.

Per fare maggior impressionedecapitarono venti prigionieri estratti a sorte e mandarono le teste a Panama.

Un tale atroce fatto indusse il Presidente a non piú tardare a mettere in libertà quei prigionieri ed a pagare diecimila piastre.

Nel numero mancava però la figlia del Corsaro Rosso.

Fu un'esplosione di collera terribilepoiché i filibustieri ci tenevano soprattutto ad avere la fanciullaperché ormai riguardavano il conte di Ventimiglia come il loro vero capo.

Il progetto di trucidare tutti i prigionieri spagnuolicompreso il marchese di Montelimarper un momento trionfò...

- Mandate la testa dell'ex-governatore di Maracaibo al Presidente dell'Udienza Reale di Panama- avevano detto Grogner e Raveneau de Lussanche parevano i piú inferociti. - Diamo una terribile lezione a quegli uomini che usano contro di noi palle avvelenatecosa contraria a tutte le leggi della guerra!...

- No- aveva risposto fermamente il conte. - Io vi lascio liberi e mi risolvo ad andare a Panama a cercare mia sorella. Se avrò bisogno di voinon dubito che voi accorrerete tutti in mio aiuto. Mettete a mia disposizione una barcacciaaffinché possa avviarmi alla costa ed uno schifo per entrare inosservato in porto. La testa del marchese di Montelimar risponderà della mia vita.

 




CAPITOLO IX

LA REGINA DELL'OCEANO PACIFICO


Le tenebre calavano rapide sull'Oceano Pacifico e le stelle salivanoa milioni e milionibrillanti come faci nel purissimo cielo.

Uno schifo scivolava lentamentea piccoli colpi di removerso l'ampio porto di Panamanon piú rischiarato.

Quattro uomini lo montavano: il conte di Ventimigliail quale teneva la barra del timoneMendozadon Ercole e il guasconei quali manovravano i remi.

Lo schifoleggiero come una baleniera modernascivolava dolcemente sulle nere acquelasciandosi a poppadi quando in quandouna scia fosforescente.

Aveva già giratoinosservatol'estrema punta di ponente e filava silenzioso fra i grossi galeoni spagnuoli provenienti dal Messico e dal Perti e le sottili ed esili caravelle ancorate lungo le superbe gettatein attesa di ricevere l'ordine dal Viceré di sciogliere le velequando Mendoza che remava di puntadisse sottovoce:

- Alto!

Il conte di Ventimiglia si era alzato.

- Che cosa c'è? - chiese.

- Una caravella ci segue e cerca di passarci avanti.

- Gettiamoci dietro ai galeoni.

- È quello che volevo proporvisignor conte.

- Date dentro ai remi.

- Preferirei dare dentro alle spade- borbottò il guasconeil quale non aveva mai avuta soverchia passione pel remo.

Lo schifo scivolò rapidamente in mezzo ai grossi galeoniche danzavano lievemente sulle loro âncore e s'accostò alla calata.

Una grande ombra attraversava in quel momento la baia: era una delle caravelle incaricate di sorvegliare l'entrata del porto.

Doveva aver scorto lo schifo e lo cercava. Non potendo però passare fra le navi ancoratecercava di sorprenderlo in qualche sbocco.

- Troppo tardimiei cari- mormorò il conte. - Quando giungeretenon troverete che la scialuppa vuota.

Con un colpo di barra diresse lo schifo verso la gettatamentre i tre avventurieri deponevano silenziosamente i remi.

- Lesti- disse il conte. - Una imbarcazione si è staccata dalla caravella e probabilmente incontreremo degli uomini a terra.

Il guascone lasciò passare il signor di Ventimigliapoi balzò sulla calataseguito dal basco e dal silenzioso fiammingo.

- Giuocate di gambe- disse il conte. - Se ci prendonopagheremo a prezzo della vita questa impresa.

- E dove scappare?- chiese il guascone.

- Lasciate fare a me- disse Mendoza. - Conosco abbastanza bene la città e vi condurròse il diavolo non ci mette la codain una certa taverna dovealmeno una voltasi bevevano delle deliziose bottiglie di Porto.

- Si direbbe che voi conoscetecompare Mendozatutte le taverne dell'America nota ed ignota- disse il guascone. - Voi siete veramente un uomo meraviglioso!..

- Tacete ed allungate invece le gambe- disse il conte. - Sono certo che c'inseguono.

- Gli uomini della caravella? - chiese il guascone.

- Sídon Barrejo.

- Ma questi spagnuoli posseggono un fiuto straordinario. Sentono un filibustiere a qualunque distanza. Che le nostre carni siano impregnate d'un odore speciale?

- Sídi polvere da sparo- disse Mendozaridendo. - È verosignor conte?

- Non scherzareMendoza- rispose il signor di Ventimigliafermandosi bruscamente. - Non è questo il momento. Zitti tutti!

Si erano fermati sull'angolo d'una stretta viafiancheggiata da catapecchie di brutto aspetto e si erano messi in ascolto.

Nel grande silenzio della notterotto appena da qualche latratosi udivano distintamentea non molta distanzai passi pesanti d'una ronda.

- Ve lo avevo detto io che ci davano la caccia- disse il conte. OrsúMendozaconducici al piú presto alla taverna che tu conosci. Non ho alcun desiderio di farmi prendere. È lontana?

- Meno di quello che credetesignor conte.

- Fuori le spade e lasciate in pace le pistole.

I quattro corsari imboccarono la viuzzacorrendo velocissimie s'internarono in un dedalo di stradicciole strette e fangosee soprattutto oscurissime.

Mendoza si era messo alla testa e pareva che non si trovasse affatto imbarazzato sulla via da seguire.

Dopo venti minutiegli si fermava dinanzi ad una casa di modesta apparenzafiancheggiata a destra ed a sinistra da giardini. Sopra la porta pendeva una grande tavola di legnola quale doveva servire probabilmente da insegna.

- Ecco la posada di Panchitala bella castigliana- disse. - Porta un brutto titoloma il vinoalmeno una voltaera buonissimo.

- Come si chiama? - chiese il guascone.

- Posada del muerto.

- Tonnerre!... Speriamo di non trovarcelo dentro!

- Fa' aprire- disse il conte. - Mi pare di udire sempre i passi della ronda dietro di noi.

Il basco picchiò forte la porta col pomo della sua draghinassa.

Un momento dopo una finestra s'apriva discretamente ed una voce femminile e fresca chiese:

- La posada non si apre di notte: cercate altrove.

- Vi conduco un conteche pagherà generosamente l'ospitalitàPanchita.

- Chi siete voi che mi conoscete di nome?

- Un vecchio avventore. Aprite prestoo gettiamo giú la porta. Siamo inseguiti da alcuni banditi che ci vogliono spogliare.

- Aspettate un momento.

- Se s'indugia un po'la ronda ci capita alle spalle- disse il guascone. - Signor contevolete che io vada a fermarla insieme al fiammingo? Se ci vedono entrare quidomani verranno a scovarci in cinquanta.

Il signor di Ventimiglia esitò un momento.

- Siete ben sicuri delle vostre spade? - chiese poi.

- Rispondo anche di quella di don Ercole.

- Se non potete fugare la rondaripiegatevi e verremo anche noi in vostro aiuto.

- Venitedon Ercole- disse il guascone. - Fermeremo quei curiosi che non vogliono lasciare in pace degli onesti borghesi come siamo noi.

Mentre Mendoza strepitava per far aprire subito la portai due spadaccini presero la corsadirigendosi verso l'estremità della via.

Si udivano in quella direzione dei passi affrettati e anche uno strascicare di spade.

Poteva darsi che fossero dei nottambuli un po' allegri che s'affrettavano a tornare alle loro casema poteva anche darsi che si trattasse veramente di quella ronda che aveva cercato di sorprendere i quattro corsariprima che avessero lasciata la calatae che li avevano seguiti attraverso le viuzze della città.

Se sono veramente guardiecerchiamo di tenerle a badafinché saremo sicuri che il conte e Mendoza sono in salvopoi caricheremo e le faremo scappare.

Scantonarono l'angolo della via e scorsero tre uominii quali affrettavano il passotenendo le spade sguainate.

Non ci volle molto ai due avventurieri per riconoscere tre soldati della capitaneria incaricati della sorveglianza del porto.

- Bell'affare- disse il guascone. - Voi incaricatevi di quello di destraio mi prendo quello di sinistra e quello che sta in mezzo. Non abbiate frettaperòdon Ercole. La porta della posada non è stata ancora aperta. Si vede che l'ostessa sta facendo la sua toelette per ricevere degnamente il conte.

- Eccoli! - gridò in quel momento una delle tre guardie.

Don Barrejo fece un salto indietro e si portò sotto le finestre d'una casamettendosi a cantare a mezza voce una canzonetta amorosa.

- Che cosa fate? - chiese don Ercolestupito.

- Lasciate fare a me- rispose il guasconeridendo.

Le tre guardie della capitaneria scantonarono a loro volta e piombarono addosso ai due avventuriericolle spade alzategridando:

- Arrendetevi o siete morti!

Il guascone si volse tranquillamente verso di loromentre don Ercole s'appoggiava contro il muroperché non lo sorprendessero alle spalle.

- Buena nochecaballeros.- disse con voce melliflua.

- Che cosa fate qui? - chiese una delle tre guardie.

- Facevo una serenata alla mia bella- rispose il guascone. - Una splendida catalanasapetecon due occhi che brillano come stelle e... una bocchinamiei cari signorida far girare la testa anche al Signor Presidente dell'Udienza reale.

- Chi è?

- Alto làsignora guardia. Non si deve essere troppo curiosi quando vi è di mezzo una donnabella come la mia. Se vedeste che capelli ornano quella meravigliosa testina!... Se il grande Velasquezil nostro glorioso pittorefosse ancora vivose ne innamorerebbe alla follia e dipingerebbe certamente un quadro meraviglioso. E la carnagione della mia stella... Le creole di Cuba possono andare a nascondersi: veri riflessi d'alba!... E le sue manine? Ed i suoi dentini?... Veri granelli di risove lo giuro sullo spadone arrugginito del mio defunto padre.

Mentre il fiammingo faceva sforzi disperati per non scoppiare dal ridere. le tre guardie della capitaneria guardavano stupefatte il guasconeil quale non accennava a finire di decantare le meravigliose bellezze della sua donna.

- Ma... - cominciò finalmente la guardia anzianala quale cominciava a perdere la pazienza.

- Ma che ma!... Osereste mettere in dubbio le bellezze della mia señorita? Guardateveneperché io sono un vero caballero; quando si tratta di difendere la donna del cuorenon ho paura nemmeno di due cinquantine.

- Io non voglio contraddirviquantunque mi sembri impossibile che una cosí meravigliosa bellezza abiti in questa casupola.

- Alto là!... Non offendete il palazzo della mia donna! - disse il guasconecon voce minacciosa.

- Quest'uomo è pazzo! - esclamò un'altra guardia.

Don Barrejo lanciò un rapido sguardo verso il fondo della via enon scorgendo piú né il conte né Mendoza dinanzi alla porta della posadafece due salti indietrourlando ferocemente:

- Io pazzo!... Ora la pagheraifurfante.

Snudò la spada e piombò sulle tre guardiementre il fiammingo faceva altrettanto.

Gli assaliti indietreggiarono fino sull'angolo della viapoi puntarono le spadegridando a loro volta:

- Arrendetevi alla forza!...

- Eccolala forza! - rispose don Barrejo. - A voi il magrodon Ercole!... Insegnerò a questa gente a rispettare la dama del mio cuore.

Non scherzava quel diavolo di guascone. Tirava colpi di draghinassa con furia incredibilevalidamente appoggiato dal fiammingoil qualese parlava pocoagiva molto.

Per qualche minuto la via risuonò di colpi fragorosipoichése gli avventurieri picchiavano sodonemmeno le guardie della capitaneria si tenevano indietro: poi queste ultimeimpotenti a far fronte a quel grandinare furiosovistesi in procinto di essere infilzatestimarono piú opportuno voltare le spalle e scappare a gambe levate.

Il guascone ed il basco le inseguirono per due o trecento passiminacciando di fare una vera strage di quei disturbatori degli innamorati; poivedendo che continuavano a correre come se avessero alle calcagna una muta di cagnaccitornarono rapidamente indietro per rifugiarsi nella posada.

La porta era stata chiusaperò trapelava attraverso la toppa un filo di luce.

Alla prima battuta del guascone si aprí ed i due spadaccini si trovarono in una vasta stanzapiuttosto bassadalle pareti un po' affumicate e illuminata da una grossa lanterna.

Dinanzi ad una tavola già bene imbandita di cibi freddi e d'un bel numero di bottiglie polverosestavano seduti tranquillamente il conteMendoza ed una bellissima donna sulla trentinadai capelli nerissimiadorni con un mazzolino di fioridue occhi scintillantitagliati a mandorla come quelli delle castiglianee che indossava un ampio nagua a striscie nere e gialle.

Il guasconevedendolasi tolse il feltro e s'inchinò galantementecon un tonnerre formidabileaggiungendo subito dopo:

- Buena nocheseñora!... Voi somigliate alla donna del mio cuoresotto la cui finestra poco fa cantavo una canzone d'amore.

- Davvero? - chiese il fiammingoscoppiando in una clamorosa risata. - Voi cantavate sotto la finestra d'una catapecchiala quale probabilmente serviva d'abitazione a qualche brutta negra.

- Tacetedon Ercole- rispose serio serio il guascone. - Voi non avete mai conosciuti i miei segreti.

- E le guardie? - chiese il conte.

- Scappatesignore. Ora possiamo cenare tranquillissimi.

- Erano molte?

- Oh!... Tre sole- rispose con noncuranza l'avventuriero.

Peccato che la mia bella della catapecchia non abbia assistito agli atti di valore del suo innamoratissimo.

- Voi siete pazzodon Barrejo- disse il conte.

- Me lo hanno veramente detto anche le guardie; io tuttavia non credo di avere ancora il cervello guasto. Gliele ho date peròve l'assicurosignor contee le ho fatte correre. In Guascogna non ci sono mai stati dei pazzi e nemmeno dei manicomi.

- Che paese meraviglioso! - esclamò Mendoza. - Un'altra volta voglio nascere dall'altra parte del mar di Biscaglia!...

- E farete beneperò mi pare che sarebbe meglio mostrare a quella deliziosa ostessa come sanno lavorare di denti i guasconi ed anche i fiamminghiè verodon Ercole? Se il conte ci permette?...

- Metteteli pure in opera- rispose il signor di Ventimiglia.

- Mi rincresce che manchi qui un po' d'antipasto. Ah!... Come divorerei in contraccambio i bellissimi occhi di questa simpatica catalana!...

- Nosivigliana- disse Mendoza.

- Sempre occhi delle belle spagnuole- rispose il guasconecon un sospironementre si tirava dinanzi un paio di tondi ben pieni di pesci arrostiti e si empiva il bicchiere. Don Ercoledegnatevi di imitarmi. Anche voisignorase non avete cenato col signor conte.

La bella ostessa scoppiò in una risata argentina.

- Io non sono una signoracaballero- dissemostrando due magnifiche file di denti. - Sono la padrona d'una povera posada.

- Per un guasconeuna donna è sempre una signora- rispose don Barrejoil quale peròpur chiacchierandodivorava come un lupo e vuotava bicchieri di eccellente Portoaiutato vigorosamente dal taciturno fiammingo. - E poipei vostri magnifici occhi un guascone si farebbe uccidere.

- Che cosa sono questi guasconi? - chiese la bella castigliana.

- Dei parenti prossimi del diavolo- rispose Mendozail quale faceva gli occhi di triglia alla vezzosa ostessa.

- Misericordia! - esclamò Panchitafacendosi precipitosamente il segno della croce.

- Compare- disse il guasconeguardando con un certo cipiglio il basco. - Anche al di là del mar di Biscaglia si dice che vivano dei prossimi parenti di Belzebú. Sareste geloso di me?

- Don Barrejo- disse il conte- vorreste attaccare lite?

- Nosignor di Ventimiglia: in questo momento preferisco attaccarmi alle bottiglie di questa graziosa castigliana. Tonnerre!... Va giú come l'acquaè verodon Ercole?

- Come l'olio- rispose il fiammingo.

- Señoraspero che ne avrete molte di questenella vostra cantina.

- Mio marito l'ha provveduta per bene prima di morire.

- Ah!... Vostro marito è morto?

- Durante una contesa avuta una sera con un filibustiere.

- Pessima gente quei bricconi- disse don Barrejo. - Ammazzano sempre!... Quelli sono veri figli di Belzebú. Oh!... La finiranno anche loro. Señoraun'altra bottiglia del vostro Porto. La vuoterò tutta alla vostra saluteparola di gentiluomo.

- Voidon Barrejosiete una spugna- disse il conte.

- Io e don Ercole abbiamo battagliato contro le guardie della Capitaneria del Portosignor di Ventimigliaequando si combattela sete viene semprealmeno ai guasconi.

- E anche ai fiamminghia quanto pare- aggiunse Mendoza.

Don Ercoleinvece di risponderesi accontentò di versare attraverso la sua bocca di lupo nordico l'ultimo bicchiere rimasto sulla tavola.

La taverniera giungeva in quel momento portando un cesto pieno di bottiglie. Il conte aveva giàprima dell'entrata dei due avventoriposato sull'angolo della tavola un bel mucchio di piastrepoteva quindi fornire abbondantemente da bere e realizzare nel medesimo tempo un bel guadagno.

- Oradonna Panchitaparliamo- disse il contementre Mendoza e don Barrejo continuavano a sturare bottiglie. - Io sono venuto qui per chiedervi una informazione.

- A mesignor conte! - esclamò la bella castiglianacon stupore.

- Avete molte conoscenze in città.

- Sono nata qui.

- Avete mai udito nominare un certo don Juan de Saseboconsigliere dell'Udienza Reale di Panama?

La castigliana pensò un momentopoi rispose:

- Síio ho avuto occasione di fornire a quel consigliere del mio vino.

- Quello doveva essere un gran furbo- disse il guascone. Sapeva dove poteva trovare il buon vino.

- Allora voi sapetePanchitadove abita- riprese il conte.

- In calle dell'Arameio.

- Siete certa di non ingannarvi?

- Certissimasignor conte. Sono andata io coi miei due servi a portargli una cinquantina di bottiglie.

- Tonnerre!... Bevono i consiglieri dell'Udienza Reale di Panama! - borbottò il guascone. - E poi danno a me della spugna!...

- È lontana da qui la sua abitazione? - riprese il signor di Ventimiglia.

- Si trova di fronte al palazzo del Viceré.

- Lo sai tuMendoza?

- Saprò trovarlo- rispose il basco.

- Che uomo è quel don Juan de Sasebo? _ chiese il corsaro alla bella castigliana.

- Sulla quarantina e uomo coraggiosissimoperché si dice che un tempo fosse stato aiutante di campo del re di Spagna o d'uno dei suoi parenti.

- Sapete dirmi altro?

- Nosignor conte.

- Avrete cinquanta piastre per le informazioni datemi.

- Voi siete troppo generoso. Che cosa posso fare per voi?

- Darci una stanza o due per poterci riposare alcune ore- rispose il signor di Ventimiglia.

- Non ne ho che unacon sei lettucci che in questo momento sono tutti vuoti.

- Non chiedo di piú.

Il conte si era alzato. I tre avventurieriche avevano già dato fondo anche a parecchie altre bottigliesi erano pure levati.

L'ostessa accese una candela di sego e salí una scalaintroducendo i suoi ospiti in uno stanzoneche era occupato da un bel numero di letti tutti vuoti.

Appena entratifurono colpiti da uno strano fragore che si ripercuoteva al di fuori.

- Che cos'è questo? - chiese il conte.

- È il fiume che passa proprio sotto la posadasignore- rispose la castigliana.

- E che ci canterà la ninna nanna- aggiunse il guasconeper farci addormentare piú presto.

Badate di non dormire coi due occhi chiusi- disse il conte.

Che cosa temetesignore?

Chi mi assicura che gli uomini che avete fugati non tornino per cercarvi?

- Tanto peggio per lorosignor conte. Io e don Ercole ci siamo accontentati di battagliare; se ci compariscono dinanzi un'altra voltali uccideremoè verosignor fiammingo?

- Certo- rispose l'omaccione.

- E se tornassero in buon numero? - disse Mendoza.

- Forse che noi non siamo le quattro piú formidabili lame della filibusteria? - rispose don Barrejo.

- Corichiamoci- disse il conte. - Dormiremo con un occhio aperto.

- Buona nottecaballeros- disse la bella sivigliana.

Il guascone fece un galante inchinodicendo:

- Bella signoraio vi contraccambio l'augurio e cercherò di sognare i vostri occhi fulgidissimi. Voi cercate di sognare almeno i miei baffi.

L'ostessa scappò viaridendomentre i quattro avventurieri si gettavano vestiti sui lettimettendosi accanto le spade e le pistolenon essendo proprio sicuri di passare la notte tranquillamente.

Purtroppo erano stati buoni profeti!

Sonnecchiavano da un paio d'orequando furono bruscamente svegliati da alcuni colpi sonori picchiati contro la porta della posada.

Il conte ed il guascone erano stati i primi a gettarsi giú dai letti.

- Tonnerre! - esclamò quest'ultimoafferrando la sua draghinassa. Che non si possa dormire cinque minuti a Panama?

Queste sono le guardie- disse il conteaggrottando la fronte.

In quel momento la porta della stanza si aprí e comparve l'ostessaappena coperta da una manta rigatain preda ad un vero spavento.

- Caballeros- dissecon voce affannata. - Vi sono giú dieci o dodici guardie del portoche domandano di perquisire la fonda.

- È profondo il fiume? - chiese il conte.

- Profondissimocaballero.

- Potete tenere a bada quegli uomini per qualche minuto?

- Dirò loro che mi lascino almeno il tempo di vestirmi.

- Quella finestra dà sul fiume?

- caballero.


- Noi scapperemo di là; ci permettete di rivedervi?

- La mia fonda è sempre aperta per voisignor conte.

- Ritorneremo domani sera.

Si tolse da una tasca una borsa ben fornita e gliela mise nelle manidicendole:

- Addiobella vedova: conto sulla vostra furberia.

I colpi risuonavano piú sonori: le guardie picchiavano furiosamente coi calci degli archibugi e colle impugnature delle spadegridando con voce minacciosa:

- Aprite o gettiamo giú la porta!... Ordine del viceré!

Mentre l'ostessa usciva correndoper rispondereil guascone spalancò la finestra che dava sul fiume.

Un corso d'acquapiuttosto impetuososcorreva sotto la posadalambendone la parete.

Il conte s'affacciò e lanciò un rapido sguardo.

- Quello che mi rincresce- disse- è di dovere bagnare le pistole. Bah!... Ci rimarranno le spadeè verodon Barrejo?

- Talvolta sono piú preziose delle armi da fuocoperché almeno sono piú sicure- rispose il guascone.

- Sapete tutti nuotare?

- Tutti! - risposero ad una voce i tre avventurieri.

- Saltiamoprima che le guardie buttino giú la porta.

- A me primasignor conte- disse il guascone.

Salí sul davanzalesi assicurò bene la draghinassa e saltò risolutamente nel fiumeil quale scorreva quattro metri piú sotto.

- È profonda l'acqua? - chiese il contequando lo vide ricomparire.

- Si nuota magnificamente- rispose il guascone.

- Giù tutti!

Uno dietro all'altro saltarono e trovarono tanta acqua da sprofondaresenza toccare il letto del fiume e da ritornaresenza incidentia galla.

La correnteche era rapidissimali prese e li trascinò via. Erano però tutti abilissimi nuotatori equantunque i gorghi cercassero di quando in quando di subissarli e di attirarli nei loro giri vorticosidopo quattro o cinquecento metri presero terra a breve distanza l'uno dall'altro.

- Con una notte cosí afosaun bagno non fa veramente dispiaceredisse Mendoza.

- Specialmente quando salva la pelle- aggiunse il guasconeil quale si stringeva addosso i panni per sbarazzarsi dell'acqua che li inzuppava.

Il conte si era affrettato a salire la rivaper vedere dove avevano approdato.

Si trovavano sul margine d'una piantagione di zuccherocoperta di canne altissime le quali potevano offrire un ottimo rifugio.

Era molto difficile che le guardie andassero a scovarli fino làquindi pel momento nulla potevano temere.

- Che cosa faremoora? - chiese il guascone. - Qui non vedo né una posadané una tavernané una venta.

- Vorreste bere ancoradon Barrejo? - chiese il conte.

- Eh!... Se fosse possibile vuotare qualche bottiglia di Alicante per asciugarsi piú prestonon ne sarei dispiacente- rispose il guascone.

- Succhiate una canna da zucchero. Qui ve ne sono delle centinaia di migliaia.

- Le lascio ai fanciullisignor conte.

- Allora aspettate che il sole vi asciughi. Noi non possiamo rientrare in cittàinzuppati come siamo. E poi non dimenticate che oggi o questa sera dovremo fare una visita.

- Ad una taverna?

- A don Juan de Sasebo.

- Volete proprio vederlo?

- Se il marchese di Montelimar non mi ha ingannatomia sorella si trova nelle mani di quel consigliere.

- Allora andremo a prenderlo pel collo ese resisteràstringeremo forte. Io mi domando che cosa faremo noiintanto?

- Guardate ed imitatemi- disse Mendoza.

Estrasse la draghinassa e cominciò ad abbattere le canneformandone in terra un fitto strato.

- Signor conte- disse poi. - Potete coricarvi e terminare il sonno cosí malamente interrotto dalle guardie. Qui nessuno verrà di certo ad importunarci.

Il guascone ed il fiammingo non avevano indugiato a fare altrettantosicché in pochi minuti si prepararono un giacigliose non troppo comodoper lo meno bene asciutto.

- Dormiamoin attesa che il sole renda le nostre vesti almeno un po' presentabili- disse il conte.

Si gettarono sullo strato di canneuno presso all'altro ed essendo la notte caldissima non tardarono ad addormentarsiquantunque fossero ancora inzuppati d'acqua.

Quando si svegliaronole loro vesti erano perfettamente asciutte ed il sole già molto alto.

La piantagione era sempre desertanon essendo ancora giunto il momento di procedere al taglio della preziosa canna.

- Andiamo a fare una prima esplorazione in città- disse il conte. - Voglio assicurarmi se veramente il consigliere abita là dove ci ha indicato la bella castigliana. Siate prudenti e non commettete gradassate: lo dico specialmente a voidon Barrejo.

- Síprometto di essere tranquillo come un agnello dei Pirenei- rispose il guascone.

- Nocome un montone- disse Mendoza.

- Vada anche pel montone!...

 



CAPITOLO X

IL CONSIGLIERE DELL'UDIENZA REALE


Fatta un po' di toeletteper non sembrare dei veri straccioniil conte ed i tre avventurieri lasciarono la piantagioneseguendo la riva destra dell'impetuoso fiumicello che aveva servito loro per sfuggire alle guardie della Capitaneria.

Panama si stendeva dinanzi a loro a perdita d'occhiocolle sue superbe chiese e coi suoi magnifici palazziformando un gigantesco semicerchio intorno alla meravigliosa baia.

Distrutta da Morganla città non aveva tardato a risorgere dalle sue rovinepiú bella e piú vasta di prima. Era stata però ricostruita alcune leghe piú al sudin una pianura infinitamente piú salubre della prima e anche piú spaziosaed il suo porto aveva acquistato una prosperità che tutte le città marittime del centro d'Americadel Perúdella Bolivia e del Chili le invidiavano.

Quantunque minacciata continuamente dai filibustierisempre in agguato sull'Oceano Pacificosquadre di velieri e di galeoni giungevano dai porti del sudportando ricchezze incalcolabili e soprattutto i prodotti delle inesauribili miniere d'oro del Perú e anche di quelle d'argento e non meno inesauribili della California e del Messico.

I tre avventurieri ed il contefatta colazione in una fondaossia in una piccola trattoria d'una delle innumerevoli borgate della cittàle quali s'allungavano in mezzo a floridissime piantagionis'avviarono verso i quartieri signorili della cittàfingendosi tranquilli borghesi a passeggio.

Mendozacome sempreli guidavaessendo pratico della città. Pranzarono in un'altra fondanon osando ancora accostarsi alla posada tenuta dalla bella castiglianaperché poteva ancora essere guardata da qualche manipolo di guardie ecalata la seras'avviarono verso l'immensa piazza dove sorgevano il palazzo del viceréla cattedrale ed i palazzi dei consiglieri dell'Udienza Reale di Panama.

- Signor conte- disse il guasconementre s'incamminavano verso l'abitazione di don Juan de Sasebo- verremo noi ricevuti da quel signore? Un Consigliere dell'Udienza Reale deve essere un pesce-cane grossissimo.

- Ci pensavo in questo momento- rispose il figlio del Corsaro Rosso.

- Suppongo che non avrete l'idea di farvi annunciare pel conte di Ventimigliasignore di Roccabruna e di Valpenta.

- Sarebbe come mettermi una corda al collo.

- È necessario trovare qualche scusa.

- Voi che siete guascone e che avete sempre delle trovate splendidegettatene fuori una.

- L'ho qui nel cervello- rispose don Barrejo.

- Spiegatevi dunque.

Il guascone si fermò a guardare il contepoi gli disse:

- E perché non potremmo noi farci annunciare come messi dell'Illustrissimo Presidente dell'Udienza Reale di Panamaincaricati di fare ai consiglieri delle gravissime rivelazioni?

- Su che cosa?

- Sui progetti dei filibustieriper esempio.

- Voi avete una fantasia meravigliosa.

- Me lo diceva anche mio padrepredicendomi che avrei fatto una grande fortuna. Credo peròfino ad oggidi aver dato piú stoccate che guadagnate piastre. Mio padre era troppo vecchiopovero uomo e non ci vedeva piú bene.

- Non avete ancora terminata la vostra carriera- disse Mendoza. - Invece di arruolarvi sotto gli spagnuoli di San Domingodovevate correre il mare coi filibustieri del Golfo del Messico.

- Avete ragionesignor basco. Sono stato un imbecille però spero di rifarmi.

Erano giunti sulla immensa piazza della cattedrale. Da una parte giganteggiava il marmoreo palazzo del viceré; dall'altra s'alzava una lunga fila di palazziabitati dai pezzi grossi del governoe dinanzi ai portoniguardati da un paio di alabardieri negribrillavano delle immense lanterne.

Il guascone afferrò per una manica il primo soldato che attraversava la piazzachiedendogli ove abitava il Consigliere don Juan de Sasebo.

- Quel portonelàdi fronte a voi- rispose lo spagnuolo.

Venite dal Chili o dal Perú voiper non sapere ove abita un personaggio cosí importante?

- Veniamo dal Messicoil paese degli ignoranti- ripicchiò il guasconeun po' seccato.

Il soldato si strinse nelle spalle e proseguí il suo camminoborbottando:

- Questi avventurieri del Messico si sono incretinitibevendo troppo metzcal.

Fortunatamente il terribile' guascone non l'aveva udito.

Il conte ed i suoi spadaccini si erano diretti verso il palazzo del Consigliere dell'Udienza Reale di Panama e si erano presentati ai due negri che passeggiavano dinanzi e indietro sulla gradinata.

- Il vostro padrone è in casa? - chiese il conte.

- Sta lavorando nel suo gabinetto.

- Andate ad avvertirlo che ho una comunicazione importantissima da farglida parte dell'illustrissimo signor Presidente dell'Udienza Reale. Dieci piastre per voi se fate presto.

Uno dei due negri si slanciò come un giaguaro su per la superba gradinataallettato da quel premio che non doveva guadagnare troppo spesso.

Non era trascorso un minuto che ridiscendevasaltando i gradini a quattro a quattrocol pericolo di fiaccarsi il collo.

- Seguitemicaballero - disse. - Il signor Consigliere vi aspetta.

Il conte sborsò le dieci piastre e salí lo scalonesempre seguito dai suoi avventurieri.

Attraversate parecchie salefurono introdotti in un gabinetto illuminato da due giganteschi doppieri d'argento ed ammobiliato con severa eleganza.

Un uomo d'aspetto distintosulla quarantinacon una barba nerissima che faceva spiccare vivamente il candore dell'altissimo colletto stocchettato che usavano in quell'epoca i grandi personaggipasseggiava pel gabinettobattendo a terracon una certa nervositàla punta della guaina della sua spada.

Il conte si era levato il feltrofacendo nel medesimo tempo un leggiero inchino. I tre spadaccini avevano fatto altrettantopoi si erano appoggiati contro la porta che avevano subito chiusaper impedire l'entrata a chicchessia.

- Siete voi don Juan de Sasebo? - chiese il conte.

- In persona- rispose il Consigliere. - Mi hanno detto che voi avete da comunicarmi delle notizie preziose da parte del Presidente dell'Udienza Reale.

È verosignore.

Parlateperò... - disseindicando i tre avventurieri.

Vi dirò poi chi sono- rispose il conte. - Possono assistere al nostro colloquio.

- Allora parlate.

- Sapete che il marchese di Montelimar è stato fatto prigioniero dai Corsari del Pacifico?

- Avete detto? - gridò il Consigliereimpallidendo.

- Che è stato preso a Nuova Granata.

- È stata espugnata quella città?

- Dopo sei ore di combattimento.

- Malgrado il suo robustissimo forte?

- Nulla resiste ai filibustierilo sapete bene.

- Sísono veri figli dell'inferno- disse il Consiglierecon collera.

- Lo credo anch'iodon Sasebo.

- Ed ora?

- Sono venuto a dirvi di mettere al sicuro la nipote del Gran Cacico del Darien.

- Per ordine di chi?

- Del marchesedon Sasebo- rispose il conte.

- Avete veduto il mio disgraziato amico? - chiese il Consiglierein preda ad una vivissima emozione.

- L'ho lasciato ventiquattro ore fa...

- Dove?

- All'isola Taroga.

Eravate caduto anche voi fra le unghie di quei ladroni?

Sísignor Consigliere.

E siete riuscito a fuggire?

Ho avuto questa fortuna e questi tre uomini mi hanno aiutato validamente. Senza di loro io non sarei qui.

Erano anche essi prigionieri?

Sí e sono tre nobili di Nuova Granata.

E perché il marchese non ha potuto seguirvi? - chiese il Consigliere.

tstrettamente sorvegliato.

Poteva riscattarsi. Io sarei stato pronto a pagare a quei ladroni di mare anche cinquantamila piastrese le avessero chieste.

- E le avrebbero senza dubbio accettatese un uomo non vi si fosse opposto.

- Chi?

- Il figlio del Corsaro Rossoil conte di Ventimiglia.

Don Sasebo aveva mandato un grido.

- Il figlio del famoso corsaro e nipote dei non meno famosi corsariil Nero ed il Verdeè giunto in America?

- Sísignor Consigliere.

- Che cosa è venuto a fare qui?

- A cercare sua sorellala nipote del Gran Cacico che vi è stata affidata.

- Come lo sapete voi?

- Me lo ha detto il marchese.

- E che cosa vorrebbe il conteper rimettere in libertà il mio povero amico?

- La restituzione di sua sorella.

- E se non si trovasse piú presso di me?

Questa volta fu il signor di Ventimiglia che divenne pallido.

- Possibile! - disse poi. - Il marchese mi aveva assicurato che si trovava con voi.

- Infatti vi era.

- Ed ora?

Invece di rispondereil Consigliere chiese:

- Credete voi possibilesignorela liberazione del marchese?

- E come?

- Voi conoscete l'isola di Tarogagiacché m'avete detto poco fa che ci siete stato come prigioniero.

- È verissimo- rispose il conteil quale si teneva in guardianon sapendo dove voleva finire il Consigliere.

- Non potreste assoldarea mie speseuna dozzina di avventurieripersone che a Panama non mancanoe tentare la liberazione del marchese?

- Ciò che voi mi proponetesignoreè una faccenda molto seria. I filibustieri vegliano ese ci prendononon ci risparmieranno.

- Io non conterò le piastre.

- Non voglio dirvi né síné nosignor Consigliere- rispose il corsaro. - Trattandosi però d'una impresa cosídesidererei che mi accordaste almeno ventiquattro ore per riflettere.

- Anche quarant'ottose lo desiderate- rispose don Juan de Sasebo.

- Tornerò domani serase non vi spiacee vi darò una risposta affermativa o negativa. Nel caso che accettassi e che riuscissi a liberare il marcheseche cosa dovrò dirgli della fanciulla che vi ha affidata?

- Che è al sicuro.

- Ma dove? - insistette il conte.

- Non lo dirò che al marchese.

Il signor di Ventimiglia represse con grande fatica un gesto di collera.

- Ci rivedremo domani sera- disse poi.

- Dove abitate?

- In una piccola posada dei sobborghiche non so nemmeno come si chiami.

- Vi occorre del denaro?

- Pel momento nosignor Consigliere. Me ne darete se accetterò la vostra proposta.

Don Juan de Sasebo si era alzatociò che voleva significare che l'udienza era finita.

Il conte fece un profondo inchino e uscí insieme ai suoi tre spadaccininon troppo soddisfatto di quel colloquio.

Non era forse ancora uscito dal palazzoquando un servo entrò nel gabinettodicendo:

- Signorevi è una persona che desidera vedervi.

- Ti ha detto chi è?

- Il signor marchese di Montelimar.

Il Consigliere aveva fatto un salto.

- Tu devi aver udito male.

- Nopadrone- rispose il negro.

- È impossibile che il mio amico sia giunto.

- Mi ha detto che è il marchese di Montelimar.

- Introducilo subitosubito.

Il servo uscí ed un istante dopo entravaseguito dal marchese.

- Tu! - esclamò il Consiglierecorrendogli incontro ed abbracciandolo. Non sogno io?

- Noamico- rispose l'ex-governatore di Maracaibo. - Qualche volta si scappa anche ai filibustieri.

- E sei giunto solo da Taroga?

- Insieme ad una dozzina di prigionieri.

- Ed io che avevo impegnato un avventuriero per liberarti?

- Chi è?

- Quello che mi avevi mandato per aver notizie sulla nipote del Gran Cacico del Darien.

- Io! - esclamò il marchese. - Che cosa mi narri tudon Juan?

- Come!... Non lo hai mandato?

- Io non ho dato a nessuno questo incarico- rispose il marchese.

- Chi è dunque quell'avventuriero?

- Un uomo solo può avere interesse a sapere che cosa è avvenuto e dove si nasconde la nipote del Gran Cacico del Darien. Si trova sempre presso di te?

- No- rispose il Consigliere.

- Dove l'hai mandata adunque?

- Da parecchie settimane corre qui voce che i filibustieri abbiano intenzione di tentare un audace colpo di mano sulla città e sapendo ioche mi trovavo a Panama quando la presero d'assaltodi quanto siano capaci quei terribili ladroni di marel'ho fatta condurresotto buona scortaa Guayaquiluna città che non si può prendere facilmente.

- E hai fatto bene- rispose il marchese- poiché un giorno quella fanciulla varrà milioni e milioni di piastreche intendo d'intascare io. Se poi il figlio del Corsaro Rosso la vorràse la prenda pure senza piastre.

- Che cosa mi narri tuamico?

- È l'unica crede delle favolose ricchezze del Gran Cacico equando il vecchio sarà mortodiventerà la padrona di montagne d'oroche si dice siano nascoste in caverne note solamente agli intimi del selvaggio monarca.

- È dunque ancora vivo il Gran Cacico?

- E gode ottima salutemalgrado i suoi ottanta o novant'anni.

- Tu dunque credi che quell'avventuriero?...

- Non sia altri che il signor di Ventimiglia- rispose il marchese. - Un bell'uomogiovane ancoravero tipo d'italianocoi capelli e baffi nerila pelle leggiermente abbronzata...

- Síè lui! - esclamò il Consigliere.

- Era accompagnato da tre uomini?

- Sítre figure di spadaccini.

- Le sue anime dannate. Tornerà qui?

- Domani sera.

- Al mio posto che cosa farestidon Juan?

- Lo farei arrestare ed appiccare al piú presto.

Il marchese scosse il capo.

- No- disse poi. - Si verrebbe a sapere che la bella indiana che io ho adottata è la figlia del Corsaro Rosso; si potrebbe anche venire a sapere che io ho un motivo per tenerla presso di me e molte altre cose ancora. No; si può spacciarlo senza rumore.

- Che cosa vuoi direamico?

- Non avresti sottomano qualche terribile spadaccino? Uno famoso vehperché si dice che il conte sia una lama terribile. Un agguatouna disputauna buona stoccata ed eccomi sbarazzato da quell'importuno.

Il Consigliere pensò un momentopoi disse:

- L'ho trovato.

- Chi è?

- Lo chiamano: El Valientema pare che sia un avventuriero dell'Europa centralepoiché massacra orribilmente la nostra lingua. Mi sono servito di lui una voltain una certa circostanza e non ho avuto da lagnarmi della sua abilità.

- Una lama scelta?

- Terribile.

- Costosa?

- Un cinquanta piastre.

- Ne darei anche millepurché riuscisse ad abbattere il figlio del Corsaro Rosso.

- Tu dimentichi una cosa.

- Quale.

- Ed i tre avventurieri che accompagnano il conte?

- Troveremo un pretesto qualunque per trattenerli qui. Si potrebbe vedere questo Valiente?

Subito?

Se fosse possibile sarebbe meglio.

So dove abita: manderò un uomo a cavallo ad avvertirlo di venire subito.

Guardò l'orologio appeso al murouno di quegli orologi altissimichiusi in una cassa.

- Non sono che le nove- disse. - Fra dieci minuti può essere quiaspettami.

Il Consigliere uscí per dare gli ordinipoi rientròdicendo:

- Il messo è già a cavallo; intanto ceneremopoiché m'immagino che avrai famecaro amico.

- È da ieri sera che non mangio- rispose il marchese.

Don Juan de Sasebo lo fece passare in un vicino salottoammobiliato con molto gusto e dove una tavola era prontacon bellissimi piatti d'argento finemente cesellati.

Erano già alle fruttaquando un servo negro entròdicendo al Consigliere:

- PadroneEl Valiente è qui.

- Sei riuscito a scovarlo?

- In una taverna vicina alla sua catapecchia.

- Conducilo qui subito.

Il negro uscí rapidamente ed un momento dopo El Valiente si trovava dinanzi al marchese ed al Consigliere dell'Udienza Reale.

Era quell'uomo il vero tipo dell'avventuriero e spadaccino. Era un uomo altogrossoforte come un giovane torocon lunghi capelli biondastri ed una barba invece rossastraun naso che somigliava al becco d'un pappagallo e due occhi grigiastri che avevano il lampo dell'acciaio.

Alla cintura portava una spada franceselunga e sottile ed uno di quei pugnali chiamati: misericordie.

- Mi avete fatto chiamareEccellenza? - chiesefacendo un goffo inchino e levandosi il feltro adorno d'una lunga penna di struzzoormai rosa dal tempo e dalle intemperie.

- Síperché ho ancora bisogno di voi- rispose il Consigliere.

- Qualche altra persona vi darebbe noia?

- Precisamente.

- Si manda allora all'inferno- disse lo spadaccino. - Laggiú vi è posto per tutti.

- Anche per voi- disse il marchese.

- Può darsiEccellenzama molto tardiio spero.

- Badate però che l'uomo che dovete spacciare è un gentiluomo che ha il pugno molto saldo.

Un sorriso di sprezzo contorse le labbra del brigante.

- Ho mandato all'altro mondo non pochi gentiluominiEccellenzae piú facilmente di quello che credete. Si vantano tutti famosi spadaccini ed invece non sono che dei pessimi dilettantiincapaci di fare una buona cartocciata o di parare il colpo delle cento pistole.

- Un colpo famosoa quanto si dice- disse il marchese.

- TerribilissimoEccellenza. Se non si parae si para assai difficilmentesi va diritti all'altro mondosenza un minuto di ritardo. Dov'è l'uomo che devo spacciare?

- Correte troppoValiente- disse il Consigliere.

- Quando devo dare delle stoccate ho sempre fretta- rispose il bandito.

- Non ucciderete prima di domani sera- disse il marchese.

- Si può pazientare per venti ore: cosí avrò il tempo di esercitarmi pel colpo delle cento pistole.

- Riuscirà?

- Pochi lo conosconoEccellenza. Solo i famosi spadaccini ne sanno qualche cosa.

- E quello è uno dei buoni.

Il bandito alzò le spalle.

- Bah!... Avrà da fare con me.

- Quanto il prezzo?

- Cinquanta piastre per animaè la mia tariffa. Non lavoro mai per meno. I tempi sono pessimi e si guadagna poco anche ad ammazzare delle persone" rispose El Valiente.

- Ve ne offro invece millepurché il gentiluomo domani sera sia morto.

Il Valiente corrugò la frontecome presentisse un terribile pericolo.

- Che quel gentiluomo mi porti sventura? - si chiese. - Per pagarmi mille piastrebisogna che quel signore sia veramente un formidabile spadaccino.

- Ve l'ho già detto prima che non avrete da fare con un dilettante disse il marchese.

- Ne ho ammazzati per lo meno venti. Che il ventunesimo deva mandarmi a tener compagnia a messer Diavolo? Io non lo credo. Quando devo venir qui?

- Domani seraprima dell'Ave-Maria. Vi daremo le istruzioni necessarie.

- Sta bene- rispose il bandito.

Fece un nuovo e piú goffo inchinosi gettò sulle spalle uno sdruscito sèrapèche fino allora aveva tenuto sul braccio sinistroe se ne andò tranquillocome se avesse fatto un semplice affare commerciale.

- Quando lo farai appiccare? - chiese il marchese a don Juan de Sasebo. - Quel furfante meriterebbe almeno venti spanne di corda e molto solida.

- Quando non si avrà piú bisogno di luilo manderemo a tener compagnia a tutti i disgraziati che ha spediti all'altro mondo- rispose il consigliere.

- Qualche volta anche questi briganti sono necessari.

- Amicopossiamo andare a riposarci.

 



CAPITOLO XI

L'AGGUATO D'"EL VALIENTE"


I ventisette campanili di Panama suonavano l'Ave-Mariaquando il conte di Ventimigliaseguito dai suoi tre spadaccinisi presentò al palazzo di don Juan de SaseboConsigliere dell'Udienza Reale.

Dire che il corsaro fosse tranquillo sarebbe una bugia. Si sarebbe detto che per istinto presentiva un agguato.

Risoluto però a conoscere sua sorellala nipote del Gran Cacico del Darien esicuro d'aver dietro di sé tre famose spadecapaci di caricaresenza pauraanche un'intera cinquantina di alabardierinon aveva esitato a recarsi al pericoloso appuntamento.

Prima di entrare nel palazzo del Consiglieresi era fermato per interrogare Mendoza.

- Al mio posto- gli chiese- che cosa faresti tu?

- Io non metterei i piedi là dentro- rispose il vecchio marinaio.

- E se quel Consigliere fosse un galantuomo?

Uhm! - fece il guascone. - Io temosignor conteche vi sia sotto questo affare un agguato.

- Abbiamo le nostre spade- rispose il signor di Ventimiglia. Entriamo.

I due negri che guardavano il portonearmati di alabardelasciarono loro libero il passodopo d'aver chiamato una specie di maggiordomo che vegliava alla base dello scalone.

Il conte ed i suoi spadaccini furono subito introdotti nel gabinetto da lavoro del Consigliere.

Don Juan de Sascho stava seduto dietro il suo enorme scrittoiofingendo di osservare delle pergamene.

- Ah!... Siete voisignore? dissealzando il capo e fissando sul conte uno sguardo acutissimo. Avete presa adunque la vostra decisione?

- Sísignor Consigliere- rispose il corsaro.

- Accettate di tentare la liberazione del marchese di Montelimar?

- Quando vorreteio partiròad una condizione però.

- Quale.

- Oggi da alcuni miei amici io ho avuto l'assicurazione che la nipote del Gran Cacico del Darien è sempre in Panama.

- Continuate.

- Io non partiròse prima non l'avrò veduta.

- Perché v'interessa tanto quella fanciulla?

- Ho da dirle qualche cosa da parte del marchese.

- Voi non mi avevate detto ciò ieri sera. Non vi avrei risposto evasivamente.

- Dunqueè vero che la fanciulla è qui?

- Non ve lo nego piú- rispose il Consigliere.

- Potrò dunqueprima d'imbarcarmivederla?

- Non ho alcuna difficoltà; peròavendo quella giovanenon so per quale motivonumerosi nemici i quali hanno già tentato piú d'una volta di rapirlavoi dovrete usare le piú grandi precauzioni. Io l'ho fatta nascondere in una casetta isolata che si trova presso la Punta Blanca. Non concederò quindi il permesso di andarla a vedere che a voi solo.

- I miei compagni sono fidati e segretisignore.

- Io non mi fiderò che di voi solo- rispose il Consiglierecon voce ferma. - Vi darò una guidaun uomo dabbene e saldo di pugnoil quale veglierà su di voi.

- E questi uomini?

- Andranno intanto a preparare la scialuppa. Ne avete arruolati altri?

- Nosignore- rispose il Corsaro. - Ho pensato che è meglio essere in pochi e risolutipiuttosto che in moltiper una simile impresa. I filibustieri vegliano ed una grossa barca non potrebbe passare inosservata.

- Avete ragione ed apprezzo assai la vostra prudenza. Quando partirete?

- Possibilmente alla mezzanotte.

- Avete noleggiata la scialuppa?

- Non ancora.

- Presso la lanterna di Granata vi è un uomo che ne possiede molte. Con qualche decina di piastreappoggiate dal mio nomevi darà quella che crederete la migliore per la vostra impresa. I vostri uomini potranno aspettarvi là!

Il conte si volse verso Mendoza:

- Tu conosci quella località!

- Sísignore- rispose il basco.

- Vi raggiungerò il piú presto possibile.

Il Consigliere aveva levato da un cassetto una grossa borsa e l'aveva deposta sullo scrittoiodicendo:

- Vi anticipo quaranta dobloni per le prime spese. Gli altri li avrete quando avrete liberato il marchese.

Il guascone fu lesto ad impadronirsi del piccolo tesoro.

- Ora andate voi ad aspettare il vostro capo- disse il Consigliere.

- State in guardiasignor conte- sussurrò il guascone al corsaro. Il signor di Ventimiglia alzò leggermente le spalledicendo a voce alta.

- Mi avete capito: al faro di Granata ai dodici tocchi. Che la scialuppa sia pronta.

I tre avventurieriun po' rassicurati per la tranquillità del conteuscironoaccompagnati da un servo il quale pareva che li aspettasse nella stanza attigua.

Il Consigliere attese che il rumore dei passi fosse cessatofingendo di osservare le sue pergamenepoi suonò un campanello.

Un altro servo entrò.

- Dite al mio scudiere che venga subito e che non dimentichi di armarsi.

Un mezzo minuto dopo El Valiente faceva la sua entratasalutando come al solitoin una maniera assai goffa.

- Emanuel- disse il Consigliere indicandogli il conte- condurrai questo signore alla mia casetta della Punta Blanca e lo lascierai parlare colla señorita. Veglia su di lui.

- SíEccellenza- rispose il banditoil quale osservava di traverso il conte.

La tua testa risponderà della vita di questo signore.

- Saprò difenderlaEccellenza.

- Signorepotete andare- disse il Consigliere al conte. Vi auguro di riuscire nella vostra audace impresa e di rivedervi prestoinsieme al marchese di Montelimar.

- Fra tre o quattro giornispero di essere di ritorno con luirispose il signor di Ventimiglia.

Salutò ed usciseguito dal Valienteil quale aveva strizzato l'occhio al Consigliere come per dirgli:

- Quest'uomo è spacciato.

Scesero lo scalone ed attraversarono l'ampia piazzaavviandosi poscia verso la marina.

Nessuno dei due parlava e parevano entrambi assai preoccupatinondimeno il conte non sembrava che avesse qualche timore per quel preteso scudiere del Consigliere. Giunti nei sobborghii quali si estendevano tutto intorno alla baiail signor di Ventimiglia chiese al bandito.

- Avremo da camminare molto ancora?

- Si vede che siete poco pratico di Panamasignore.

- Sono sbarcato pochi giorni fa.

- Ah! Siete un uomo di mare.

- Avete indovinato.

- Che cosa fanno dunque quei cani di filibustieri?

- Non lo so.

- Si dice che preparino un colpo di mano sulla città!

- Può darsi.

- Siete poco loquacesignore.

- La gente di mare parla poco.

- Ed anche un po' diffidente verso di me.

- Io!

- Mi pareva.

- Niente affatto.

Continuarono a camminare attraverso le viuzze oscure e tortuose dell'ultimo sobborgo e giunsero sulla spiaggia di ponenteuna spiaggia sabbiosaaperta ai venti ed alle onde e che serviva per la demolizione delle vecchie caravelle ormai impotenti a tenere il mare.

- Ma dov'è questa casa? - chiese il contedopo aver costeggiato per qualche po' le dune di sabbia contro le quali s'infrangevanorumoreggiando cupamentele onde del Pacifico. - Io qui non vedo che degli scafi semi-demoliti.

- È piú innanzi- rispose il bandito. - Dubitereste di mesignore?

- Vi ho detto di noquantunque voi mi abbiate condotto in un luogo assolutamente deserto e adatto per le imboscate.

- Corpo d'una bombarda! - gridò il bandito. - Vorreste offendermi? Badate che quantunque oggi non sia che un semplice scudieroho nelle mie vene sangue di gentiluomini.

- Ciò non m'interessa affatto- rispose il conte.

- Come non v'interessa? - gridò il brigantefermandosi di fronte ad un'alta dunacolla sinistra posata sull'impugnatura della spada. - Voi cercate una lite con mea quanto mi pare?

- O siete voi invece che la preparate? - chiese il Corsarofacendo atto di snudare pure la sua spada.

- Corpo d'un trombonediventate troppo insolentesignor mio!

- Prendetevela come voletea me non importasignor bandito.

- A mebandito!

- Síperché voi mi avete attirato quinon già per condurmi alla casa abitata da quella giovane meticciabensí per assassinarmi. Quanto vi ha pagato don Juan de Sasebo?

- Ve lo diròquando vi avrò passata la mia spada attraverso il corpo.

- Siete ben sicuro di riuscirvi? - chiese il conte con calma.

- Nessuno ha mai tenuto testa a El Valiente.


- È il vostro nome di battaglia?

- Sísignor mio.

- Allora ti farò vedere una cosa strabiliante.

- Quale?

- Di vedere El Valiente a piegare le ginocchia dinanzi a me e domandarmi grazia.

Il bandito proruppe in una risata fragorosamentre il conteche cominciava ad impazientirsi e che temeva di veder accorrere altri spadaccini in aiuto del brigantesfoderava la spada.

- Corpo d'una bombardasiete coraggiososignor mio. Un altro che si trovasse dinanzi al Valientegetterebbe subito la spada e consegnerebbe anche la borsa.

- Io non ho mai avuto queste pessime abitudini- rispose il signor di Ventimiglia. - Orsú finiamolabuffone. Ti darò la lezione che tu meriti.

Il bandito si tolse il sèrapè infioccatouno nuovissimo che doveva aver comperato coi denari del Consigliere e se lo gettò sul braccio sinistroper essere piú libero nelle mossespiccò due salti verso la duna per non esporsi al pericolo di dover indietreggiare verso il mare e cadervi dentropoi trasse la sua spadadicendo:

- Mi basterà un colpo per spacciarvi.

- Qualche botta segreta!

- La piú famosa di tutti.

- È inutilebriganteche tu cerchi di spaventarmi. Di botte segrete me ne intendo anch'io.

- La mia non potete conoscerla.

- Bastachiacchierone: veniamo ai fatti.

Il conte si era messo rapidamente in guardia ed aveva fatto un passo innanzifacendo qualche finta. Prima di assalire decisamentevoleva accertarsi della forza dell'avversario.

Sapendolo forte spadaccinonon dovevano avergli mandato un mediocre tiratore.

Il Valiente infatti parò senza scomporsi.

- Si vede che sei forte- disse il conte.

- Questo non è ancora nulla- rispose il bandito. - Vedrete il seguito. Vorrei darvi un consiglio perché non vi tocchi di fare partenza per l'altro mondo come un mussulmano.

- Vorresti dire?

- Che io al vostro postoper non perdere tempoapprofitterei di questi pochi minuti per recitare qualche Ave Maria.

- Comincia tuintanto- rispose il conteil quale incalzava vivamente.

- Non ne ho bisogno.

- Te ne pentirai presto.

- Che voi siate molto duro da smontare questo è veromio signore- disse il banditoil quale continuava ad indietreggiareavvicinandosi alla duna. - Tuttavia spero di riuscirvi quando il vostro braccio darà qualche segno di stanchezza.

- Allora dovrai aspettare qualche ora.

- Ah! Corpo...

Il conte gli aveva portato una stoccata proprio in mezzo al pettofacendogli uno strappo sulla giacca. Il bandito si era salvato per miracoloparando di terza e facendo un salto indietro.

- Ecco una botta magnifica e che non mi aspettavo- disse il bandito. - Non vale però quella delle cento pistole. Chi può avervela insegnata?

- Un famoso maestro italiano.

- Sono formidabili spadaccini gli italiani. Oh li conosco io!

- Allora para questa.

Il conte pareva che avesse ormai completamente dimenticato il pericolo che poteva minacciarlo e che cominciasse a divertirsi assai di quella terribile partita.

Aveva data un'altra stoccata che Il Valiente era pure riuscito a parare appena a tempo.

- Corpo d'una bombarda- borbottò. - La faccenda non cammina come credevo. Quest'uomo è piú solido di quanto supponevo. Stiamo in guardia.

Il conte tornava alla caricaimpaziente di stancarloprima di tentare qualche colpo decisivo. Il bandito però gli sfuggiva sempreindietreggiando verso la duna.

- Tu mi scappi- disse il corsaroincollerito. - Mostrami la tua valentiarestando sul posto.

Il Valiente non rispose. Pareva che colla mano sinistra tesa all'indietro cercasse qualche cosa.

Per alcuni istanti ancora fu un continuo grandinare di colpipoi il bandito fece un ultimo salto indietro che lo portò addosso alla duna.

- Ora non mi scapperai piú! - gridò il conte. - Recita l'Ave Maria.

- Eccola- rispose il bandito.

Si era voltato con una mossa fulminea e raccolta una grossa manata di sabbia l'aveva lanciata contro il viso del Corsarotentando di acceccarlo.

- Bandito! - urlò il conteil qualeaccortosi dell'intenzione del miserabilesi era riparati gli occhi col suo ampio feltro. - Non avrò alcuna misericordia di te!

Attaccava nuovamente.

Il Valiente ancora una volta sfuggí all'urtosaltando di fiancopoi si abbassò tuttoraggomitolandosi quasi su se stesso.

- Il colpo delle cento pistole- disse il contemettendosi in guardia di seconda. - Lo conoscomiserabilee non sarà la tua spada che mi passerà il petto.

Il brigante mandò un vero ruggito.

- Eppure bisogna che vi uccida- disse poicon voce rauca. - Io l'ho promesso a don Juan de Sasebo ed al marchese di Montelimar. Se mancassi all'impresa sarebbero capaci di farmi appiccare.

- Il marchese di Montelimar! - gridò il conte. - Tu l'hai veduto?

- Come vedo voi ora.

- Dove?

- Dal Consigliere.

- Tu menti!

- Sarò un furfantema non un mentitore. Il marchese è quiperché è scappato da Taroga. Badate!

A sua volta si era slanciato furiosamentevibrando quattro stoccateuna dietro l'altra. Stava per tirarne una quintaquando caddemandando un grido.

La spada del conte l'aveva colpito alla golaaffondandovi dentro per parecchi centimetri. Rimase un momento quasi dirittocolle braccia apertepoi ruzzolò pesantemente fra le sabbiemormorando:

- Sono finito.

Il conte aveva ritirata prontamente la spada.

- L'hai voluto- gli disse.

- Sono... morto... - barbugliò il miserabile. - Alzatemi... la testa... il sangue... mi soffoca... ve ne prego...

Il conte si curvò sul moribondo per alleviargli le sofferenzequando si sentí afferrare per una mano strettamente e colpire. Il bandito aveva estratto la misericordia ed aveva vibrato un colpo in direzione del cuoresquarciando la casacca del conte e anche le carni.

- Sono... vendicato- disse con un soffìo di voce.

- Canaglia! - aveva gridato il contesentendosi bagnare una mano da alcune goccie di sangue. Riafferrò la spada e la immerse nel petto dell'assassino per ben due volte.

Erano stoccate inutilipoiché Il Valiente era ormai morto.

- Traditore! - mormorò il conte. - Marchese di Montelimar e anche voidon Juan de Sasebome la pagherete.

Si aprí il giustacuorelacerò la camicia e si guardò la ferita. Brillando splendidissima la lunapoteva giudicareanche senza torciail colpo vibratogli dal brigante.

- Bah! - disse. - Non mi pare che sia cosa grave. Cerchiamo di raggiungere i miei spadaccinise anche essi non sono stati assaliti. So dove si trova la lanterna: vedremo se si troveranno là.

Si mise sulla ferita il fazzoletto per arrestare il sanguesi riabbottonò strettamente il giustacuorearmò le pistole che portava nascoste sotto la fascia edopo essersi orizzontatosi mise a seguire l'alta dunasenza nemmeno degnare d'uno sguardo il bandito.

La notte era magnifica. L'oceano scintillavariflettendo i raggi dolcissimi dell'astro notturno; la risacca muggiva e rimuggivasenza produrre troppo fracasso e dal largo soffiava una brezza fresca e vivificante.

Il Corsarotemendo che il bandito avesse dei compagni nascosti fra le duneaffrettava il passotenendo la spada sguainataper essere piú pronto a respingere un qualche improvviso attacco. La lanterna di Granatadestinata ad indicare ai naviganti l'entrata del porto verso la scogliera di ponentescintillava vivamentequindi il corsaro non poteva ingannarsi sulla direzione da tenere.

Lo inquietava però profondamente il dubbio che anche i suoi spadaccini fossero stati assaliti da qualche banda di masnadieri.

Camminò per circa mezz'oraseguendo le dune e giunse finalmente nei dintorni dell'altissima costruzione che rassomigliava ad una torresulla cui cima brillava la grossa lanterna.

Vide subito tre ombre ritte sulla spiaggiaoccupatea quanto parevaa raccoglier frutta di mare.

Alzò la voce:

- Mendoza!

Un triplice grido rispose:

- Il signor conte!

I tre spadaccini balzarono lestamente sopra le dune e lo raggiunsero.

- Non siete stati assaliti? - chiese il contecon stupore.

- Nosignore- rispose il guascone.

- Mi pare impossibile!

- Eppure non abbiamo fatto altro che divorare ostriche; senza essere disturbati. L'avete trovata vostra sorella?

- Sísotto forma d'un colpo di misericordia che per poco non mi spaccava il cuore. Guardate!

Si aprí il giustacuore e mostrò loro il fazzoletto bagnato di sangue.

- Per la mia morte! - gridò il guascone. - Me l'ero immaginato che vi avrebbero teso un agguato.

- Signor conte- disse Mendozacon voce commossa. È grave la ferita?

- Non mi pare.

- È necessario medicarvi subito- disse il guascone.

- La fonda è troppo lontana- disse il fiammingo.

- V'è la lanterna- rispose il guascone. - Andiamo a chiedere ospitalità al guardiano. Se rifiuterà lo getterò giú dalla torre. Venitedon Ercole.

Mentre Mendoza si strappava una manica della camiciaper arrestare al conte il sangueil quale non cessava di sgorgarei due avventurieri si slanciarono verso la porta della lanternapicchiando fragorosamente coi pomi delle loro spade.

Una vociaccia rauca venne dall'alto.

- Chi siete e che cosa volete?

- Aprite subito- rispose il guascone. - Abbiamo raccolto un naufrago e pare che stia per morire.

- Portatelo a Panama. Qui non vi sono medici.

- Farò io da medico. Aprite subito o getteremo giú la porta.

- Aspettate un momento.

Mezzo minuto dopo il fanalista comparvetenendo in mano una torcia. Era un vecchio marinaio dalla lunga barba biancaancora molto robustocol volto quasi annerito dai venti del mare e dai grandi calori equatoriali.- Che cosa volete dunquevoi? - chiese con voce brusca.

- Il vostro letto- rispose il guascone.

- Ed io?

- Andrete a dormire a casa del diavoloD'altronde noi vi pagheremo largamente.

La fronte rugosa del fanalista si spianòudendo parlare di compensi.

In quel momento giunse il conteil quale s'appoggiava al braccio di Mendoza.

- Dov'è questo naufrago? - chiese il guardiano del faro.

- Eccolo- rispose il guascone indicandogli il conte.

- Ma le sue vesti sono piú asciutte delle mie!

- Sotto sono però bagnate di sangue.

- Si tratta d'un feritoallora.

- Bastafate lume e guidateci nella vostra stanza.

Il guardiano salí la scalettabrontolando e si fermò al secondo piano del farointroducendoli in una stanzetta la quale non conteneva che un letto ed un paio di cassettoni sgangherati.

- Lasciate questa torcia e tornate alla vostra lanterna- disse il guascone. - Se avremo bisogno di voi vi chiameremoe voidon Ercoleandate a tenergli compagnia. Pel momento la vostra spada non è necessaria.

Mendoza ed il guascone tolsero al conte la giubbail giustacuore e la camicia e osservarono attentamente la ferita.

In quell'epoca cosí ricca di guerretutti gli spadaccini erano un po' medici e sapevano fare delle fasciature e curare benissimo delle stoccate.

Con un solo sguardo il basco ed il guascone s'avvidero che la lama della misericordia non aveva prodotto gran che di male. La punta però aveva tagliate le carni per una lunghezza di cinque o sei centimetri ed in prossimità del cuore.

Il bandito aveva tirato giusto il suo colpo: se la sua mano fosse stata piú ferma avrebbe spacciato il conte.

- Niente di graveè veroamico? - chiese il signor di Ventimiglia. Molto sangue e nient'altro.

verosignore- rispose Mendoza. - È stato un colpo di pugnale.

- Sídatomi quando l'assassino era stato toccato.

- Chi credete che abbia ordito l'agguato?

- Il marchese di Montelimard'accordo col Consigliere.

- Ma se il marchese è a Taroga? - disse il guascone.

- Vi eravolete direperché ora si trova qui.

- Tonnerre!

- È scappato!

- Chi ve lo ha detto?

- L'assassinoprima di morire.

Che vi abbia ingannato? - chiese Mendozail quale fasciava intanto la ferita con un pezzo di lenzuolo trovato in un cassettone.

- Non credo. D'altronde non aveva alcun motivo di tenermelo nascosto o d'ingannarmi.

Allora bisogna riprenderlo- disse don Barrejo.

Senza di lui non potrò mai sapere dove quei dannati hanno nascosta mia sorella. E lui od il Consigliere devono cadere nelle nostre mani. Essi hanno preparato un agguato a mee noi ne prepareremo uno a loro.

- Noi siamo sempre prontiè veroMendoza? - disse il guascone.

- Anche a dar fuoco a Panama- rispose il bascoil quale aveva terminata la fasciatura.

- Dovremo però agire colla massima cautela- disse il conte. - Domanigiacché la mia ferita non presenta alcun pericolotorneremo alla fonda della Castigliana e studieremo sul da farsi. Conto specialmente su di voidon Barrejoche possedete una fantasia cosi ricca di trovate.

- Mi occuperò di questo affaresignor conte.

- Intanto occupiamoci di un altro piú pressante- disse in quel momento il fiammingoentrando.

- Che cosa c'è dunque d'urgente? - chiese il conte.

- Mi dispiace darvi una brutta nuovasignore- rispose il fiammingo.

- È caduto giú dal faro il guardiano? - chiese il guascone.

- S'avanza un grosso gruppo di soldati attraverso alle dune.

- Tonnerre! - esclamò don Barrejo.

- Vengono a prendere voi- disse il conte - Mi pareva impossibile che il marchese ed il Consigliere vi lasciassero tranquilli. A me lo spadaccino ed a voi le guardie.

- Scappiamo- disse Mendoza.

- Non potremo- rispose don Ercole. - Il drappello si è diviso e s'avanza da due opposte direzioniper prenderci in mezzo.

- E poi il signor conte è debole e non potrebbe resistere ad una lunga corsa- aggiunse il guascone. - Io però ho un'idea. Don Ercolesono ancora lontani?

- Un migliaio di passi e mi è parso che non abbiano molta fretta da avanzarsi.

- Perdinci!... Che occhi che hanno i fiamminghi! - esclamò don Barrejo. - Vincono quelli dei guasconi.

- Fuori la vostra ideadon Barrejo- disse il conte. - Non abbiamo tempo da perdere.

- VoiMendozaandate a vedere se la porta del pianterreno è ben chiusa; voisignor conterimanete pure quianzi fareste bene a coricarvi un po'e voidon Ercolevenite sulla lanterna. Io rispondo di tutto.

Uscirono e salirono rapidamente la scaletta esterna che girava in forma di spirale intorno alla torregiungendo ben presto sotto la cupoletta dove brillava una grossissima lanterna con vetri.

Il fanalista stava seduto in un angolo della terrazzaoccupato a fumare la sua grossa pipa.

- Dove sono? - chiese il guascone a don Ercole.

- Eccolo laggiúil primo drappello.

Il guascone guardò nella direzione indicata e vide infattia circa ottocento passi dal faroavanzarsi una minuscola colonnacomposta da non meno di due dozzine d'uomini.

Seguiva la spiaggia lungo le dune.

Brillando sempre la lunanon era possibile ingannarsipoiché le corazzegli elmettigli archibugi e le alabarde scintillavano vivamente.

- Segue le dune di settentrione.

- Vogliono proprio prenderci in mezzo. Ah!... La vedremo. Quando si è un po' furbisi può sempre sfuggire ai pericoli.

Armò una pistolasi levò da una tasca una manata di piastre e s'avvicinò al guardianoil qualetutto immerso nel gustare il suo tabacconon si era nemmeno degnato di voltarsipur avendoli uditi a salire.

- Vecchio mioscegligli disse il guasconemostrandogli l'arma da fuoco ed il denaro. Vuoi piombo o argento?...

- Che cosa volete? - chiese il guardianobalzando in piedi e lasciando cadere la pipa. - Assassinarmi forse?

- Niente affattoanzi vi offro un buon gruzzolo di piastreperò voi dovete ubbidirmi senza perdere un solo istante. Se rifiutateallora non rispondo della vostra vita.

- Dite- rispose il vecchiospaventato.

- Innanzi tutto spogliatevi del vostro vestito bigioche mi è assolutamente necessario.

- E poi?

- Lasciatevi legare sotto il vostro letto.

- Volete portar via o guastare la lanterna?

- Non sapremmo che cosa farne di questo grosso fanale. Sbrigatevio invece delle piastre vi caccio una palla nel cervello.

- Scelgo le piastre- disse il guardianodopo una breve esitazione. - D'altronde una resistenza da parte mia sarebbe impossibile.

- Voi siete un uomo ragionevole- rispose il guascone. - Ecco le piastre e giú il vestito.

Il fanalaioche ci teneva piú all'argento che al piombofu lesto a obbedire.

Il guascone infilò i calzoniindossò la grossa casacca di panno bigio con bottoni di metallo gialloe si mise in testa il berrettone di tela cerata.

- Somiglio ad un fanalista? - chiese a don Ercoleil quale stava legando ed imbavagliando il disgraziato sorvegliante.

- Potreste lasciare la spada per la lanterna- rispose il fiammingosorridendo.

- Quando sarò vecchioamico. Ora conduceteose vi piace meglioportate quest'uomo nella camera del conte e cacciatelo sotto il letto.

- Preferisco portarlo.

- Ed ora a noisignori soldati- mormorò il guasconequando fu solo.

Raccolse la pipa del sorvegliante la quale fumava ancora e si sedette su un gradino della scala esternamettendosi a sua volta in osservazione.



CAPITOLO XII

UN'ALTRA TROVATA DEL GUASCONE


I due drappellimandati certamente da don Juan de Sasebo per catturare anche i tre spadaccini del contesi erano accostati di parecchie centinaia di passipur cercando di tenersi sempre nascosti dietro alle dune di sabbia.

Dovevano essere stati probabilmente avvertiti che gli uomini che volevano arrestare erano vecchie pellicapaci di giuocare dei pessimi tiri e anche di dar da fare ad una cinquantina di alabardieri.

Il guascone li spiava attentamentepur fingendo d'osservare l'Oceano e di quando in quando alzava lievemente il capo per dire a Mendozail quale si trovava nascosto dietro alla lanterna sempre accesa:

- Vengono: non sono che a trecento passi... a duecentocinquanta... stanno per incontrarsi.

Come abbiamo dettoi due drappelli procedevano in senso contrarioper prendere in mezzo gli avventurieri ed impedire loro la fuga.

S'avanzavano però con grandi cautelecogli archibugieri in testa e gli alabardieri in coda.

Le due piccole colonne non tardarono ad unirsi ed una viva discussione parve impegnarsi fra i due comandantipoiché il guascone che aveva l'udito finissimo udí non poche imprecazioni.

- Mendoza- disse.

- Che cosa desiderate?

- Accendetemi una torcia. Desidero che quella gente veda bene che io sono un fanalista.

- E se qualcuno conoscesse il vecchio che abbiamo legato ed abbiamo imbavagliato.

- Ah!... Bah!... Accendete e non occupatevi d'altro per ora.

Risalí lentamente la gradinatasempre colla pipa in boccae rientrò sotto la cupolafingendo di occuparsi della lanterna.

I soldati intanto avevano formato un vasto semi-cerchioalternando su una sola fila archibugieri ed alabardieri e s'avanzavano verso la spiaggiacolla speranza di trovare i tre avventurieri occupati ad allestire la scialuppa.

Delle grida di rabbia avvertirono il guascone che erano già giunti sulla spiaggia.

- Devono essere furibondi- mormorò Mendozail quale si era gettato a terra.

- Si screditano- rispose il guasconeridendo. - Bestemmiano come pagani.

- Ohéfanalaio!

Don Barrejo prese la torcia e comparve sul terrazzinogridando con voce grossa:

- Chi mi chiama?

- Un capitano degli archibugieri.

- In che cosa posso esservi utile?

- Non hai veduti quipoco fatre uomini?

- Io no.

- Hai sempre vigilato?

- Non devo lasciar spegnere la lanterna. La mia guardia dura dodici ore.

- Eppure qui devono essere giunti con una scialuppa.

- Vi ripetosignor capitanoche io non ho veduto né uomini né imbarcazioni. Di quassú li avrei vedutipoiché il faro è alto ventidue metri.

- Sei solo?

- Affatto solo. Non verrò rilevato che domani mattina alle otto.

Il capitano lanciò un sonoro carambapoivolgendosi verso i suoi uominidisse:

- Siamo stati giuocati. Quei furfanti si sono accorti che vi era qualche cosa in aria e si saranno imbarcati in altro luogo. Il nostro dovere l'abbiamo compiuto. Buona serafanalista e buona guardia.

- Buona nottesignor capitano e buona fortuna.

I due drappelli si riordinarono formando una sola colonna e si allontanarono attraverso le duneavviandosi verso Panama.

- Avete veduto che bel giuocoMendoza? - disse il guasconerientrando sul terrazzino della lanterna. - Sono piú astuti al di qua o al di là del mar di Biscaglia?

- Voi avete fatto qualche patto col diavolo- rispose il bascoridendo.

- Andiamo a trovare il conte e fuggiamo prima che qualche dubbio sorga nel cervello di quel capitano. Non si sa mai quello che può succedere.

- Il signor di Ventimiglia sarà un po' debole.

- Don Ercole è robusto come l'Ercole dell'antichità ese sarà necessariolo porterà.

Scesero nella camerettadove trovarono il conte il quale stava discorrendo tranquillamente col vero fanalistaavendogli fatto togliere il bavaglio.

- Signore- gli disse il guascone- quando vorretepotremo riprendere la nostra marcia. I briganti che vi hanno assaltato e ferito si sono allontanati.

- Potete reggervisignore? - chiese Mendoza.

- Mi basterà un braccio per appoggiarmi- rispose il conte.

- Allora sarà meglio che affrettiamo la nostra partenza- disse il guasconeil quale si era già spogliato della divisa bigia dei fanalisti.

- Sono pronto.

- Toh!... Ora che ci pensoquesto sorvegliante deve ben possedere qualche scialuppaè verobrav'uomo?

- Sí- rispose il fanalista- però non è mia. Appartiene alla capitaneria.

- Direte che il mare l'ha portata via ed intascherete un altro gruzzolo di piastre. Potremo cosí rientrare in Panama senza incontrare i briganti che volevano depredarci. Quanto volete per cedercela?

- Vi faccio osservare che in questi giorni il mare è sempre stato tranquillissimo.

- Direte ai vostri superiori che faceva acqua e che è andata a fondo- ribatté il guascone. - Sapete che sono abituato a offrire o piombo o argento.

- Lo so purtroppo.

- E vi lagnate?

- Avrò dei fastidi.

- Vi offro venti piastre per la scialuppa. È un semplice canotto. Oh!... Noi siamo generosi e poi cosí correremo piú presto.

Poimentre contava le piastremormorò fra sé:

- Già sono denari dell'illustrissimo don Juan de SaseboConsigliere dell'Udienza Reale di Panama.

Quand'ebbe finito di contare e molto scrupolosamentepoichéin fondoil guascone era sempre avaro come tutti i suoi compatriottidisse:

- Ed orasignor fanalaioguidateci.

Tutti e cinque lasciarono il faro e si diressero verso un'alta scoglierala quale serviva a proteggere la costruzione contro l'impeto delle onde.

Appeso a due paranchi installati su una roccia al disotto di due fortissime grue di ferrostava un canottosufficiente a contenere sei o sette uomini e già fornito di remi e d'un piccolo albero con una vela triangolare.

Il fanalaioche sembrava molto soddisfatto della generosità di quei misteriosi personaggiaiutato da don Ercolelo calò in mare.

L'acquadietro alla scoglieraera tranquillissimaquindi l'imbarco fu assai facile.

Essendo il vento propizioMendoza issò l'alberetto e spiegò la velamentre il conte si sedeva a poppa prendendo la barra del timone.

- Addiofanalaio! - gridò il guasconeprendendo un remo.

Colle nostre piastre comperati un barilotto d'aguardiente. Fa bene ai vecchite lo assicuro io.

Il canotto prese subito la corsamentre il sorvegliante del faro si levava il berrettone di tela ceratagridando:

- Buon viaggiomiei signori!

Il Pacificoquella notte almenoera tranquillo.

Solamente la risacca muggiva e rimuggiva cupamente intorno alla scogliera e contro le dune di sabbiaaccartocciandosi curiosamente.

Mendoza si era messo a guardia della veladon Ercole ed il guascone a prora.

La brezza essendo un po' fresca spingeva celermente il canottoil quale seguiva la spiaggia alla distanza d'un centinaio di metripuntando verso la bocca del porto.

Il sole cominciava a mostrarsiquando i quattro corsari doppiarono la lanterna della casa blanca.

Panamal'opulenta città dell'Oceano Pacificol'emporio di tutte le ricchezze del Messicodel Peril e del Chilisi presentava dinanzi ai loro sguardi.

Potevano entrare liberamente nella baiasenza correre pericolo alcunopoiché le caravelle spagnuole non sorvegliavano la bocca che dopo il tramonto dell'astro diurno fino all'albaper impedire una sorpresa notturna da parte dei filibustieri di Taroga.

Spinsero quindi il canotto sulle tranquille acque della baiafilando fra un gran numero di navi e presero terra verso l'estremità meridionale delle calate.

- Che cosa ne faremo ora di questa piccola scialuppa? - chiese il guasconebalzando a terra.

- Volete portarla alla fonda della bella sivigliana? - chiese Mendoza. Se ciò vi può far piacerecaricatevela sulle spalle.

- Costa venti piastre.

- Avaraccio!

- Non sarei un guascone.

Prendetevela dunque.

- Se don Ercole se la mettesse in testa.

- Un cappello troppo brutto- rispose il fiammingo. - La lascio a voi.

Non potendo portarsela con lorosenza attirare l'attenzione dei numerosi mercatanti e facchini che ingombravano le calatel'abbandonarono.

Mendoza offrí al conte il suo braccio ed i quattro corsari s'avviarono verso la fonda della bella castiglianaprocedendo lentamente e chiacchierando fra di loro come ricchi sfaccendati.

Mezz'ora dopo giungevano dinanzi all'albergoil quale in quel momento era affatto vuoto.

Panchitala graziosa vedovastava risciacquando bicchieri e bottiglie.

Vedendo comparire il conte ed i suoi compagniper poco non lasciò cadere a terra il vassoio pieno di tazze che stava per deporre su un tavolo.

- Voisignor conte! - esclamò.

- Non gridate cosíPanchita- disse Mendoza. - Volete perderci?

- Siamo soli.

- Non sono piú tornate le guardie del porto? - disse il corsaro.

- Non le ho piú vedutesignor contedopo quella sera.

Nessuna persona sospetta è venuta a ronzare in questi dintorni?

- Non sono entrati qui che i soliti bevitori- rispose la bella sivigliana.

- Señora- disse il guascone- vorreste allora favorirci una buona colazione nella stanza superiore? Soprattutto badate che ci siano delle buone bottiglie.

- Vi offrirò il meglio che possiedo. Voi siete signori per bene e generosi.

- Se qualcuno verrà per spiareci avvertirete.

- Non dubitate.

Salirono nello stanzone che serviva da dormitorio ementre Mendoza rinnovava la fasciatura al conteil guascone e don Ercole allestirono la tavolaavendo prima fatta provvista di piatti e di salviette per non affaticare troppo la bella vedova. Diamine!... Era sempre galante don Barrejosignore di Lussac!

La taverniera non tardò a giungereportando sulle robuste braccia dei canestri pieni di vivande e soprattutto di bottiglie scelte fra le migliori che aveva in cantinanon ignorando che Mendoza ed il guascone davano loro la preferenza.

- Questa sivigliana è veramente una taverniera modello! - esclamò don Barrejo. - In poche ore che siamo stati qui ha indovinato i nostri gustiè verobasco? Questa fonda fra qualche anno farà la fortuna di questa señora.

- Oh!... Chiamatemi semplicemente Panchitasignore- rispose la vedova.

- Maiseñora: io sono un gentiluomo e per me la donnaqualunque siaè sempre una dama.

- Don Barrejo sareste per caso innamorato di questa bella castigliana? - chiese Mendozascherzando.

- Sídelle sue bottiglie- rispose gravemente il guascone.

Il conte diede il segnale dell'attacco della colazioneavendo estremo bisogno di rinforzarsiin vista di possibili gravi avvenimenti.

- Orasignor di Ventimiglia- disse il guascone quando fu ben pieno e che ebbe sturata una bottiglia di Bordeauxchissà per quale caso scoperta nella cantina del defunto taverniere- parliamo seriamente dei nostri affari. Quando io mangio e bevomi si aguzza straordinariamente la fantasia e le idee piú meravigliose vi spuntano come i funghi.

- Speriamo che sia spuntato un fungo molto grosso- rispose il conteil qualequantunque la sua ferita gli desse non poca noiaaveva fatto onore al pasto.

Questo dipende da voisignor conte - rispose il guasconedopo d'aver tracannato d'un fiato un bicchiere di eccellente vino francese. - Vorrei prima di tutto chiedervi se sarebbe meglio catturare il marchese di Montelimaro don Juan de Sasebo o qualcuno dei loro servi. Sorprendere quei due cani grossimi pare che sarebbe una impresa un po' difficileabitando costoro nel centro della città.

E cosí? - chiese il signor di Ventimiglia.

Se io e don Ercole vi portassimo invece un servo di quei messeri? Quella gente là hanno sempre un mayoralossia una specie di maggiordomo che conosce quasi sempre i segreti del padrone. La faccenda sarebbe piú facilemi pare.

- Lascio a voi intera libertà d'agire- rispose il signor di Ventimiglia. - Mi avete ormai dato troppe prove di essere un furbo matricolatocapace anche di far prigioniero il Viceré di Panama.

- Se potessi sorprenderlo e condurlo a Tarogasareste sicuro di avere vostra sorella prima di quarantotto ore- rispose il guascone. - Sarà per un'altra volta. Don Ercolevolete accompagnarmi?

- Sono sempre a vostra disposizione- rispose il fiammingoil quale beveva come un otre.

- VoiMendozarimarrete qui a tener compagnia al signor conte. Se tardiamonon preoccupatevi. Il vostro affare non sarà faciletuttavia io non dispero di riuscire nel mio intento. Una zucca guascone vale sempre qualche cosa di piú delle altrealmeno cosí dice un nostro vecchio proverbio.

Vuotò un altro bicchierepoidopo d'aver salutato il signor di Ventimiglia il qualeaiutato da Mendoza stava per coricarsi su uno dei sette letti che ingombravano lo stanzoneusci insieme a don Ercole che sbuffava come una foca.

La bella Castigliana stava mettendo ancora in ordine la taverna.

- Señora - disse il guasconearricciandosi i baffi. - Io spero di ritrovare questa sera un'altra bottiglia di quel famoso Bordeaux. Non sarà stata l'ultima della vostra cantina.

- Ne cercherò qualche altracaballero - rispose la bella vedovamostrando i suoi candidi dentini.

- Conto su di voi o meglio su la vostra cantina.

Si levò con molto sussiego il feltro piumatocome se si trovasse dinanzi ad una grande damale mandò sulla punta delle dita un bacio e se ne andòseguito dal silenzioso fiammingo.

- Amico- disse il guascone- andiamo a fare una passeggiata nella calle d'Aramejo. Io non so veramente dove si troviperò sono sicuro di scovarla. Deve passare dietro il palazzo di quel briccone di Consigliere. Sulla piazza maggiore potremmo incontrare o don Juan de Satsebo od il marchese e allora che brutta frittata! Prendiamo le retrovie.

- Che cosa volete fareinsomma?

- Portare via almeno qualche servo del marchese.

- In pieno giorno?

Il guascone si fermòguardando con un certo stupore don Ercole.

- Tonnerre!... - esclamò. - I fiamminghi avrebbero per caso il cervello un po' ottuso? Noi guasconi l'abbiamo sempre avuto limpidissimo.

- Voi parlate oscuro.

- Forse avete ragionedon Ercolepiú tardi mi spiegherò meglio.

Accesero ognuno un grosso sigarofornito loro dalla bella Castigliana e continuarono il camminochiedendo di quando in quando ai passanti dove si trovava la via dell'Aramejo.

I ventiquattro campanili della città suonavano mezzogiornoquando finalmente giunsero dietro il palazzo di Don Juan de Sasebo.

Si calarono per precauzione i feltri piumati sul viso e si avvicinarono alla piccola portapresso la quale passeggiava gravemente un giovane meticcio armato d'alabarda.

- Ecco il mio uomo- disse il guascone- Preferisco un mezzo bianco ad un negro completo. Sono piú intelligenti e meno furbi di quei selvaggi figli dell'Africa. Don Ercoleaspettatemi qui e continuate pure a fumare. Quest'affare lo sbrigherò io solo.

Mosse risolutamente verso il meticcio edopo di essersi levato il cappellogli disse con voce quasi piagnucolosa.

- L'illustrissimo signor Consigliere don Juan de Sasebo si troverebbe per caso nella sua abitazione?

Il meticcio si fermò bruscamentesquadrò superbamente il guasconepoidopo d'aver appoggiata la pesante alabarda contro lo stipite della porta e di essersi messe le mani sui fianchichiese superbamente:

- Chi siete voi?

- Un povero avventurieroche giunge dal Messicopoveroper modo di dire poiché tengo nelle mie tasche un centinaio e piú di piastre che potrebbero passare nelle vostre.

Il meticcioudendo parlare di piastreche poteva guadagnare e forse senza faticadiventò un po' meno superbo.

- Che cosa vorreste voi dal mio illustrissimo padrone Consigliere dell'Udienza Reale di Panama?

- Desidererei consegnargli una supplica perché mi venga resa giustizia. Vengo dal Messico appositamente e sono pronto a rimettere i miei ultimi risparmi a chi mi aiuterà in questa faccenda.

- Non mi avete detto di che cosa si tratta.

- Ah!... La istoria è lunga da narrarsi e non potrei farvela conoscere quiin mezzo alla via. Se vorreste seguirmi all'albergo dove io abitopotremmo bere delle eccellenti bottiglie.

Il meticcio. che già vedeva risplendere dinanzi ai suoi occhi un bel numero di piastrechiamò il negro che fumava sul primo gradino della scalinata e gli consegnò l'alabardadicendogli:

- Prendi il mio posto e questa sera ti pagherò un fiasco d'aguardiente. Devo accompagnare questi signori.

Poivolgendosi verso il guascone ed il fiammingoaggiunse:

Sono ai vostri ordini.

Venite e passeremo una allegra mezza giornata- rispose don Barrejo.

Si misero in cammino lungo la strada. Il guascone guardava attentamente a destra ed a sinistra cercando una taverna qualunquenon volendoper precauzionecondurre il meticcio nella posada della bella Castigliana.

Dopo aver percorso parecchie viescoprí finalmente una fondauna specie di osteriafrequentata per lo più da persone equivoche e che non aveva certamente un bell'aspetto.

- Eccoci sul posto- disse il guascone. - Qui si beve bene e veri vini di Spagna.

Entraronosbatacchiando l'usciocome persone alle quali è permessa un po' di confidenza e si assisero ad una tavola situata nell'angolo piú oscuro dello stanzone.

L'osteun pezzo d'uomo assai bruno e molto barbutofu pronto ad accorrere alla strepitosa chiamata del guascone.

- Che cosa desideratecaballeros? - chiese.

- Quattro bottiglie del migliore che tenete nella vostra cantinadisse don Barrejo. - Badate che se non è vino di Spagna o di Francia io vi taglierò gli orecchi.

L'osteabituato già alle gradassate degli avventurieri che piovevano numerosi in Panamadal Messico e dal Perúscappò via ridendo e ritornò poco dopo colle bottiglie chedalla polvere che le copriva e dalle ragnatelesembravano venerande.

- Vi chiamate? - chiese il guasconevolgendosi verso il meticcio.

- Alonzo.

- Ebbenemio caro Alonzobevete liberamenteperché pago io. Poi verranno le piastre.

- Siete generoso- rispose il meticcio; - piú generoso del mio padrone.

Empirono le tazze e le vuotarono d'un colpo e continuarono cosí finché due bottiglie furono asciutte.

- Ora che abbiamo un po' riscaldata la linguaparliamo- disse il guasconeil quale pareva che avesse mandato giú tanta acquamentre il povero meticcionon abituato certo a bere del vino cosí generosocominciava a sentirsi girare la testa.Dovete sapere dunquemio caro Alonzopermettetemi di chiamarvi cosí...

- Fate pure- rispose il meticcioil quale si era addossato al muronon bastandogli piú lo sgabello.

- Dunque dicevo- riprese il guasconesturando una terza bottiglia- che io ho combattuto molto nel Messico contro gl'indiani ribelli. Credo di averne ammazzati per lo meno cinque o seicento e di aver abbruciati almeno una sessantina di cacichi pagani.

- Un terribile guerrierove lo dico io- disse il fiammingoil quale tratteneva a stento le risa.

- Misericordia! - esclamò il meticciospaventato.

- Silenzio e lasciatemi parlaremio caro don Alonzo. Il viceré del Messico mi aveva promessoper compiere tali eroiche impresela bagatella di mille e cinquecento dobloni. Orbenequel furfante invece di pagarmi mi mise in prigione e poi mi espulse dal Messico.

- Mal fatto- rispose il meticcio.

- E comeanche!... Capiretemio povero amicoche io non voglio perdere i miei dobloni e perciò sono venuto a Panama affinché mi sia resa giustizia.

- E fate bene.

- Quindi ho scritta una supplica per presentarla all'illustrissimo Consigliere don Juan de Sasebovostro padroneperché la consegni al Presidente dell'Udienza Reale.

- M'incarico io- rispose il meticcio. - Volete darmela?

- Non abbiate tanta frettaamico. Abbiamo ancora da beretonnerre!... Ah!... È vero che il vostro padrone ospita il marchese di Montelimar?

- Sísignore. Lo conoscete voi?

- Abbiamo bevuto parecchie volte insiemeal Messico e abbiamo anzi divorati parecchi pranzi in allegra compagnia.

- Che brav'uomo quel marchese!...

- Io lo stimo il primo soldato dell'America centrale.

- Lo dicono tutti- rispose il meticciovuotando un altro bicchiere che il fiammingo gli porgeva.

- Eppure mi avevano detto che era stato fatto prigioniero dai filibustieri del Pacifico.

- È veroperò è riuscito a scappare.

- Ah!... Ditemi un po'mio caro amicosapete che il marchese abbia una figlia? Al Messico si diceva che si fosse sposato segretamente con una principessaperò a me non volle mai confessarlo.

- Sicuro che l'ha.

- Bella?

- Bellissima.

- E dove l'ha nascosta: che io non l'ho mai veduta?

- Ultimamente l'aveva affidata al mio padrone.

- E l'ha ancora?

- Nosignorel'ha mandata a Guayaquilperché erasi sparsa la voce che un famoso corsaro voleva rapirgliela.

- Non era sicura in Panama?

- Si diceva che i filibustieri si preparavano a tentare un colpo di mano sulla città eper precauzioneil mio padrone l'ha fatta partire. Anzi io facevo parte della scorta.

- Fortezza saldaGuayaquil?

- Fortissima- rispose il meticcio.

- Un altro bicchiereancora. Voi siete un pessimo bevitore. Ehioste dannatoporta delle altre bottiglie ed un canestro di pesci salati. Abbiamo fame e anche molta seteè vero don Alonzo?

Il disgraziato meticcio non si sentí in caso di rispondere. Sempre addossato alla pareteguardava il guascone con due occhi che non avevano piú alcuna espressione.

- È finito- sussurrò don Ercole al guascone.

- Pare anche a me.

- E la supplica?

Aspetta che chiuda gli occhi. Per ora so quanto desideravo.

Il trattore aveva portato i pesci salati ed altre bottiglie.

Il meticcio ne mangiò qualcunobevette un altro bicchierepoi si abbandonò contro la pareterussando quasi subito.

Il guascone ed il fiammingo terminarono tranquillamente la loro seconda colazionevuotarono coscienziosamente le altre bottiglieedopo d'aver pagato lo scottose ne andarono non senza aver raccomandato all'oste di lasciar digerire il vino al povero meticciosenza disturbarlo.

La digestione fu piuttosto lungapoiché non fu che verso le otto della sera che il servo di don Juan de Sasebo aprí gli occhi.

Si guardò intornostupito di trovarsi solo.

- Ehitaverniere! - gridò. - Dove sono andati quei signori che mi tenevano compagnia?

- Se ne sono andati cinque o sei ore fa- rispose l'omaccione.

- Senza lasciarvi alcuna carta?

- No.

- Ed un gruzzolo di piastre da consegnare a me?

- Hanno pagato il conto e nient'altro.

Quantunque avesse il cervello ancora un po' annebbiato pel troppo vino ingollatoil disgraziato ebbe un lampo di lucidità.

- Che cosa ho fatto iosciagurato! - esclamò. - Quei due individui erano certamente due nemici del mio padrone e mi hanno condotto qui per farmi cantare su cose che forse li interessavano ed iostupidosono caduto nella trappola. Correrò a narrare tutto al mio padrone. Mi ricordo ancora quello che mi hanno domandatomalgrado il gran vino bevuto. Furfanti!... M'avete derubato delle piastrema io ve le farò pagare.

Uscí dalla fonda come un pazzo e dieci minuti dopo don Juan de Sasebo che stava nel suo gabinettoconosceva quanto era accaduto al disgraziato. Il marchese di Montelimar era presente alla narrazione.

- Tu sei un miserabile! - urlò il Consiglierequando il meticcio ebbe finito di raccontare la sua gita alla fonda. - Tu meriteresti di morire sotto la frustacanaglia!...

- Ammazzatemi pure- rispose il servoil quale si strappava a ciocche a ciocche i suoi capelli lanuti. - Sísono stato un miserabile.

- Un asino!... Un bue!...

- Síun buepadrone.

- Quest'uomo ci ha traditi- disse il Consiglierevolgendosi verso il marchese di Montelimar il quale fumava flemmaticamente un grosso sigarosdraiato su una soffice poltrona coperta di pelle rossa di Cordova con grosse bordure dorate.

- Adagioamico- rispose l'ex-governatore di Maracaibo. Questa avventura potrebbe invece portarci fortuna.

- Tu lo credi?

- Udiamo un po'Alonzo- riprese il marchesesenza rispondere al Consigliere. - Uno di quei due uomini era altomagroassai brunocon due baffi neriassai rialzati e due occhi piccoli e scintillanti?

- SíEccellenza.

- E portava alla cinturainvece d'una spadauna draghinassavero?

- VerissimoEccellenza.

- Lo conosci tu? - chiese il Consigliere.

- È il braccio destro del conte di Ventimiglia- rispose il marchese. - Sono ben audaci quei furfanti! D'altronde nulla è perdutoanzi io credo che questa avventura ci gioverà. Giacché quell'imbecille di Valiente con tutte le sue spacconate si è fatto stupidamente ammazzarenoi organizzeremo una vera caccia al conte. È piú facile coglierlo in aperta campagna che in Panamadove può trovare mille rifugi. Metti a mia disposizione cinquanta cavalieri scelti e vedrai che io coglierò quei corsariprima che vedano le mura di Guayaquil.

- Anche centose ne vuoi.

- Non troppi: pochi ma coraggiosie poi i filibustieri non sono che in quattroe per quanto valentinon potranno tenere testa ad un mezzo squadrone ben montato e bene armato.

- Chi guiderà la spedizione?

- Io- rispose il marchese. - Voglio finirla una buona volta con quel conteil quale turba continuamente i miei sonni. Se non è il diavolo in personanon mi sfuggirà.

- Credi tu che siano già sulla strada di Guayaquil?

- Ne sono certissimo.

- Quando conti di partire?

- Prima della mezzanotte. Manda i tuoi scudieri a reclutare gli uomini che mi sono necessari e bada soprattutto che i cavalli siano ben riposati e di prima qualità.

- Fra un'ora il mezzo squadrone sarà dinanzi alla porta del mio palazzo- rispose il Consigliere alzandosi.

 



CAPITOLO XIII

LA CACCIA AL CONTE DI VENTIMIGLIA


Cominciava ad annottarequando quattro cavalieri che montavano dei bellissimi destrieri andalusipiccoli di staturaperò robustissimicolle zampe secche e nervosela testa leggiera ed il ventre strettouscivano dalla porta di Sivigliala piú bella delle sei che contava allora Panama.

Avevano spada e pistole alla cinturaarchibugio appeso all'arcione e le fonde ben gonfiecontenenti probabilmente dei viveri e delle munizioni da guerra.

Erano il conte ed i suoi tre spadaccinii qualidopo essersi provveduti di cavalli e d'armi da fuocoavevano abbandonato frettolosamente la fonda della bella castigliana per gettarsi sulla via di Guayaquilprima che venisse loro tesa qualche nuova imboscata da parte del marchese e di don Juan de Sasebo.

Attraversato il ponte levatoio senza che le guardie vigilanti all'entrata e all'uscita della galleria aperta attraverso il bastione dessero loro alcun impaccioallentarono le briglie e lanciarono i cavalli al galoppo attraverso la silenziosa campagna.

Mendoza che già conosceva benissimo quasi tutto l'istmo di Panama che aveva attraversato con Morgan alcuni anni primasi era subito messo alla testa del drappellopoiché i suoi compagni non sapevano dove si trovasse Guayaquil.

- Signor conte - disse il guasconeil quale già non poteva star zitto cinque minuti. - Che questa volta riusciremo finalmente? Vostra sorella ci ha fatto correre un bel po'.

- Io spero di non ritrovare piú sulla mia via né il marchese di Montelimarné don Juan de Sasebo - rispose il signor di Ventimigliail qualequantunque la sua ferita gli desse non poca noia si manteneva magnificamente in sella.

- Preferireste trovare invece la buona marchesa? - disse il guascone.

- Ahquella sí e ben volentieri- rispose il conte. Non l'ho mai dimenticata.

- La rivedrete prima di lasciare l'America?

- Non farò ritorno in Europa senza prima salutarla.

- Ed esporvi a qualche nuovo pericolo.

- A qualedon Barrejo?

- A quello del matrimonio.

- Diavolo d'uomo! - esclamò il conteridendo. - Vedete bene lontano voi.

- Sarebbe uno splendido partitosignor conte.

- Lasciate andare e occupiamoci per ora del marchese. È lui che. in questo momento rappresenta il piú grave pericolo. Sapete che un dubbio mi tormenta da quando sono montato a cavallo?

- Che quel meticcio mi abbia ingannato? Non lo credosignor conteparlava troppo seriamente e poi si sa che il vino fa dir sempre la verità e ne aveva bevuto l'amico ricciuto.

- Non è ciò che mi tormenta: sono anzi certissimo che mia sorella si trovi a Guayaquil. È un bel po' che i filibustieri di Grogner e di Raveneau de Lussan minacciano Panamaquindi credo benissimo che abbiano mandata mia sorella in quella cittàper sottrarla ai pericoli d'un saccheggio.

- E allora che cosa temete?

- Che quel meticcioper vendicarsi del brutto tiro giuocatogli abbia narrato ogni cosa al marchese ed a don Juan.

- Tonnerre!... Voi mi avete cacciato una pulce in un orecchiosignor conte. Non avevo pensato a questo.

In tal caso un inseguimento sarebbe probabile.

Abbiamo però un buon vantaggio e dei buonissimi cavalliche ho scelto con molta cura. Quello stupidocon tutto quel vino che aveva bevutonon può essersi svegliato tanto presto. Forse dorme ancoramentre noi invece galoppiamo.

- E spingeremo sempre piú forte. Mi preme giungere a Guayaquil prima che possa giungervi il marchese.

- Quando vi saremo?

- Domani serami ha detto Mendoza.

- Fors'anche primasignor conte- disse il bascoche si teneva sempre dinanzimentre don Ercole formava la retroguardia.

- Affretta piú che puoi.

- E la vostra ferita non s'inasprirà?

- Non occupartene- rispose il corsaro. - Si rimarginerà piú tardi.

I quattro cavalli continuavano intanto la loro rapidissima corsaessendo la strada in ottimo stato e anche molto ampia.

Lungo i margini magnificii filari di enormi palme si stendevano senza interruzionementre al di là apparivano delle splendide piantagioni d'indaco e di zucchero.

A mezzanotte il conte fece mettere i cavalli al passoper non stancarli troppopoi verso il tocco ripresero il galoppomentre la luna appariva dietro le piante che coronavano una collina.

Avevano percorso cosí un paio di leghesenza aver incontrato anima vivaquando Mendoza che aveva l'udito piú acuto di tuttiarrestò bruscamente il suo andalusodicendo:

- Fermi tutti!...

- Avete veduto qualche gattaccio? - chiese il guascone.

- Non scherzatedon Barrejo: questo non è il momento.

Stettero in ascolto e parve loro di udire un lontano fragore.

- Il galoppo di parecchi cavalli? - chiese il contecon una certa inquietudine.

- O è invece il rombo d'una cascata? - disse don Barrejo.

- A me sembrano cavalli - rispose Mendoza.

- Che il marchese ci dia la caccia? - domandò il conte.

- Cosí presto? - disse il guascone. - Poteva aspettare almeno l'alba e starsene comodamente a letto. Che sia un nottambulo costui?

Tornarono ad ascoltare e ben presto si convinsero che non si trattava d'una cascatabensí d'un buon numero di cavalli galoppanti sulla strada di Guayaquil.

- Dobbiamo dare battaglia signor conte? - chiese il guasconeil quale era sempre pronto a menare le mani od a sparare archibugiate.

- Preferirei cercare un rifugio e lasciar passare il marchese- rispose il signor di Ventimiglia.

- E dopo? Se entra in Guayaquil prima di noinon so se noi potremo poi fare altrettanto. Io vi proporrei di tendergli una imboscata e di fucilare per bene i suoi uomini.

- E farci prendere? - disse Mendoza. - Non avrà già con sé quattro o cinque uomini di scorta. Si direbbe dal fragore che giunge fino a noiche è un intero squadrone quello che galoppa.

- Gettiamoci in mezzo alle piantagioni- propose don Ercole.

- Non sono le canne abbastanza alte per nasconderci e poi la luna sorge- rispose il conte. - Se vi fossero delle macchie!

- Ah!... Il ponte del diavolo! - esclamò in quel momento Mendoza. - Signor contea gran carriera.

Senza chiedere nessuna spiegazione lanciarono i cavalli ventre a terradivorando lo spazio con fantastica rapidità.

Quella corsa furiosa durò una buona mezz'orapoi Mendoza la rallentòdicendo:

- Ci siamo.

Cinquanta passi piú innanzi vi era un ponte in muratura; assai largogettato su un fiume poverissimo d'acqua.

Mendoza balzò a terraprese il cavallo per le briglie e s'avanzò rapidamente verso la rivadicendo:

- Seguitemisignor conte.

- Perché vuoi farci guadare il fiume? - chiese il corsaro.

Nemmeno sull'altra riva vedo delle macchie bastanti per nasconderci.

- E la vôlta del pontenon la contate?... I cavalieri che c'inseguono ci passeranno soprasenza minimamente sospettare che quelli che cercano si trovano invece sotto.

- Ohécomparediventate molto furboa quanto pare- disse il guascone.

- Sono anch'io del mar di Biscaglia. Affrettiamocisignorianche gli spagnuoli avranno udito il nostro galoppo e avranno precipitata la corsa.

Scesero la riva e condussero i cavalli sotto il ponteimmergendosi nell'acqua fino alle ginocchia.

- Avvolgete le teste dei nostri corsieri nelle gualdrappe- disse il conte. - Potrebbero nitrire e tradirci.

I tre spadaccini furono lesti ad obbedire.

Il galoppo dei cavalli intanto diventava di momento in momento piú fragoroso.

Gli spagnuoli dovevano aver udito anche quello prodotto dai cavalli dei fuggiaschi e si erano pure lanciati ventre a terra.

Il conte e Mendoza si erano nascosti dietro la pila del ponteper meglio accertarsi con chi avevano da farementre il guascone ed il fiammingo trattenevano con mano salda i quattro corsieri.

- Non devono essere lontani piú di mezzo miglio- disse il signor di Ventimiglia al fedele basco. Credi tu che sia proprio il marchese?

- Scommetterei dieci dobloni contro una piastrasignore. Don Barrejo ha fatto male a lasciare libero quel meticcio.

- Volevi tu che lo scannasse in pieno giorno?

- Poteva aspettare la sera e portarlo via.

- A tutto non si pensa sempre... eccoli... non ti far vedere.

Il mezzo squadrone del marchese di Montelimarperché era proprio quello che don Juan de Sasebo gli aveva affidatogiungeva a corsa sfrenatacon un fracasso indiavolato.

Il conte udí distintamente il marchese a gridare:

- Spronate sempre: non devono essere lontani.

I cinquanta cavalieri passarono come un uragano sul ponte e scomparvero in mezzo ad un fitto nuvolone di polvere.

- GrazieMendoza- disse il contebattendo sulle spalle del basco. - Tu ci hai salvati.

- Senza dare un colpo di spada né sparare una pistolettata - rispose il filibustiere. - La vostra e anche la mia salvezza non mi è costata troppe fatiche.

- Ma senza la tua idea a quest'ora saremmo nelle mani del marchese ed avrei forse fatta la fine di mio padre. Per quanto valorosi si possa esserenon si può sostenere l'urto di un mezzo squadrone.

- Signor conte- disse il guascone avvicinandosi coi cavalli. - Rimontiamo in sella?

- Preferisco rimanere qui per qualche oracosí i cavalli si riposeranno pienamente. Lasciamo che il marchese corra dietro alle nostre ombre.

- Temete che ritorni?

- Chi può dirlo? Non trovandoci su questa viapotrebbe distaccare un manipolo dei suoi cavalieri e rimandarli indietro a perlustrate le piantagioni.

- Pure io non perderò inutilmente il mio tempo signore. Vi piacciono i gamberi?

- Diventate pazzodon Barrejo?

- Niente affattosignor conte. Ne ho sorpreso uno attaccato ai miei stivali ed era grossochiedetelo a don Ercole che se l'è mangiato vivosenza dividerlo con me.

Il fiammingo si limitò a scoppiare in una risata.

- Ecco che anche i taciturni figli della Fiandra in nostra compagnia diventano allegri e burloni- disse don Barrejo.

- Che cosa avete voi nelle vostre vene? - chiese il conte. - Siamo appena sfuggiti a un cosi grave pericolo e scherzate.

- Che cosa voletesignor conte? Il sangue guascone è cosí. Don Ercole legate i cavalli e cerchiamoci una deliziosa colazione per domani mattina. Io adoro i gamberiquando però sono dentro il mio ventre.

L'indiavolato avventurierosenza pensare che gli spagnuoli potevano tornate da un momento all'altroaccese un pezzo di miccia ed aiutato dal fiammingo si mise a rovistare le pietre che si trovavano sotto il pontetuffando le braccia nell'acqua fresca del fiumiciattolo.

Dovevano abbondare davvero in quel luogo i gamberipoiché i due compari in meno di mezz'ora empirono le fonde dei quattro cavallidopo di averle vuotate di quanto contenevano.

Alle due del mattino il contenon udendo piú alcun rumore nei dintorni del corso d'acquadiede il segnale della partenza.

Rimontarono la riva non senza qualche fatica e spinsero i cavalli a piccolo trotto sempre pel timore di veder ricomparire da un momento all'altro i cavalieri del marchese.

La notte era sempre splendidissimae la luna irradiava le piantagioni sterminate di raggi azzurrinipermettendo cosí ai quattro avventurieri di poter scorgere da lontano i loro nemici.

Sorvegliavano però attentamente i margini della stradai quali s'affondavano in certi fossati molto propizi per una imboscata.

Alle quattro del mattino intrapresero la salita di alcune colline boscose dietro le qualialla distanza di tre o quattro leghedoveva trovarsi la salda fortezza di Guayaquil.

Del marchese e dei suoi cavalieri fino allora nessuna nuova. Avevano continuata la loro corsa verso la città o si erano fermati in qualche luogo per perlustrare le piantagioni?

Qualche ora piú tardiraggiunta la cima della prima altura e trovato un piccolo boscosi accamparono.

Base della colazionenon importa dirlofurono i gamberi raccolti dal guascone e dal fiammingoappena abbrustoliti sulla fiamma e tuttavia trovati da tutti squisitissimi.

Stavano per cercare un torrente per dissetarsiquando i quattro cavalli mandarono dei sonori nitriti e si diedero a scalpitare.

- Amiciin guardia! - gridò il contecorrendo verso il suo destriero e staccando rapidamente l'archibugio. - I nostri andalusi hanno fiutato qualche cosa.

- Che i cavalli spagnuoli siano come i cani da guardia! - disse il guascone.

- In arcione! - comandò in quel momento il basco.

Balzarono in sella e riguadagnarono rapidamente la vialanciando i cavalli a corsa sfrenata.

- Che cos'hai veduto dunqueMendozaper farci scappare? chiese il contequando furono lontani dal boschetto un tiro d'archibugio.

- Ho veduto degli uomini che salivano nascostamente il fianco della collina. Cercavano di sorprendercisignore.

- Erano molti?

- Non ho avuto il tempo di contarli. Ho scorto degli elmetti e delle canne d'archibugio e nient'altro.

- Soldati erano di certo- rispose il conte. - Amiciarmatevi e tenetevi pronti.

- Che i gamberi ci portino sfortuna? - si chiese il guascone. - Se sarà veronon ne mangerò piú in tutta la mia vita.

Cavalcavano da dieci minutiquando un colpo d'archibugio partí dal fossato di destra. Il cavallo di Mendoza spiccò un saltos'inalberòpoi stramazzò al suolo.

Quasi nell'istesso tempo una scarica nutrita partiva dall'altro lato della viaatterrando i cavalli del conte e di don Ercole.

Solo quello del guascone era sfuggito miracolosamente a quella tempesta di palle.

- Don Barrejosalvatevi! - gridò il conte il quale era subito balzato in piedi impugnando le pistole. - Ve l'ordino!... Siamo presi!

Il guascone fece fare al suo cavallo un volteggio fulmineo e quantunque il suo cuore sanguinasse pel dispiacere di non poter aiutare i suoi compagnifuggí a corsa sfrenata verso Panamapensandoe con ragioneche avrebbe potuto essere a loro piú utile libero che prigioniero.

Il brav'uomo in un lampo aveva fatto subito il suo progetto. Correre a Panamaraggiungere Taroga ed avvertire Grogner e Raveneau de Lussan.

Il conte aveva aspettato a piè fermo gli spagnuolimentre Mendoza e don Ercolerimessisi subito in gambe anche essisguainavano le spade.

Un uomo era sorto dal fossato di destramentre una trentina di cavalleggieri apparivano sul margine di sinistratenendo gli archibugi montati.

- Pare che siate presosignor conte- dissecon ironia. - La resistenza sarebbe impossibile e vi costerebbe probabilmente la vita.

- Ah... Voisignor marchese! - rispose il corsarocon voce alterata.

- Una volta per uno: prima io prigioniero dei filibustieri ed ora voi prigioniero degli spagnuoli. Gettate la spada e le pistole.

Il conte esitava. Se avesse avuto ancora i cavalli vivinon avrebbe certo tardato a gettarsi furiosamente contro i cavalleggieri spagnuolispalleggiato certo vigorosamente dal basco e dal fiammingo.

- Prima di arrendermi- disse- voglio sapere da voisignor marcheseche cosa intendete fare di me e dei miei compagni. Se avete l'intenzione di appiccarmicome avete impiccato mio padrevi avverto che vi darò battagliachecché debba succedere e che il primo uomo che cadrà sarete voipoiché vi tengo sotto il tiro delle mie pistole.

- Io non ho alcuna intenzione di farvi del malesignor conte- rispose il marcheseil quale temeva quei terribili corsarinon meno dei suoi compatriotti. - Io vi condurrò prigioniero a Guayaquil e là attenderete le decisioni che prenderà il presidente dell'Udienza Reale.

- Il quale decreterà indubbiamente la mia morte e quella dei miei compagni- rispose il signor di Ventimigliacon voce beffarda.

- Noperché la mia autorità pesa sulle decisioni dell'Udienza ed io farò il possibile per ottenere per voi un decreto di espulsione dalle colonie spagnuole dell'America centrale.

- Voi però dimenticate per quale motivo io ho lasciato l'Europa. Non già per sete di guadagniavendo terre e castella nella mia patria da non saperne quasi che cosa fare. Io ho attraversato l'Atlantico per ritrovare mia sorellala figlia del Corsaro Rosso e nipote del Gran Cacico del Darien.

La fronte del marchese di Montelimar si era oscurata.

- Sapete voi dove si trova? - chiese dopo qualche istante di silenzio.

- Sía Guayaquil.

- Perché v'interessate tanto di quella giovane meticcia?

- Per Bacco!...È mia sorella! - gridò il conte.

- Sapete che io l'ho sempre tenuta come mia figlia e che ella mi ama come se fossi suo padre?

- Perché ignora forse che suo padre era un conte di Ventimiglia e che aveva in Europa un fratello.

- Questo è vero- rispose il marchese.

- Che cosa risolvete dunque?

- Preferirei di non farvela vedere.

- Allora vi darò battaglia e vi ucciderò- rispose il contecon voce risoluta.

- Non abbiate tanta frettasignor conte. In questo affare noi potremo benissimo intenderci. Lasceremo alla fanciulla la scelta fra me e voi.

- Impegnate la vostra parola di gentiluomo?

- Sull'onore dei Montelimar.

- Basta cosí- disse il conte.

Gettò la spada e le pistolesubito imitato dal fiammingo e da Mendoza.

Il marchese si era voltato verso i suoi uomini.

- Date tre cavalli a questi signori- disse.

Tre bellissimi morelli andalusi furono condotti. Il conte ed i suoi due spadaccini montarono in arcionementre dal margine opposto sbucavano una ventina di cavalleggieritutti bene montati e bene armati.

- Signor conte- disse il marchesesalendo pure a cavallo. - Vi prego di seguirmi.

- Badate che conto sulla vostra parola - rispose il signor di Ventimiglia.

- Vi mostrerò la lealtà dei gentiluomini spagnuoli. D'altronde io non vi odio affatto.

- Ciò però non vi ha impedito di tentare d'assassinarmi- rispose il contecon ironia.

- Avevo i miei motivi per fare ciòallora.

- Avreste ora cambiata idea?

- Non ve lo posso dire. L'avete conciato bene quello spadaccino che si vantava di essere invulnerabile. .È bensí vero che i Ventimiglia hanno sempre goduto fama d'essere maestri nelle armi.

In quel momento in lontananza si udirono echeggiare degli spari.

- Chi fa fuoco? - chiese il corsarocon apprensione.

- Saranno cacciatori- rispose il marchese.

Mentiva. Era una partita dei suoi cavalleggieri che davano la caccia al bravo guascone.

Il marchese spronò il suo cavallo ed il mezzo squadronediminuito d'una mezza dozzina di cavalieriripreseal piccolo trottola corsa verso Guayaquilsorvegliando attentamente i prigionieri.

Dopo quattro ore la truppa faceva la sua entrata nella città e andava a fermarsi dinanzi ad un palazzotto di bell'aspettocircondato da un pittoresco giardino ricco di palme altissime e di banani meravigliosile cui immense foglie spandevano intorno un'ombra fresca e deliziosa.

Guayaquil si trovava a circa dieci leghe dall'Oceano Pacifico ed era allora famosa per la singolare sua costruzionepoiché le sue case erano per la maggior parte erette sopra una specie di ponti per salvarle dalle frequenti inondazioni. Per le sue ricchezzeera stimata una delle piú ricche dell'America centraleessendo essa a capo d'una vasta contrada che possedeva preziose miniere d'orod'argento e soprattutto di smeraldi.

Non contava che qualche decina di migliaia d'abitantiperò era difesa da tre forti giudicati inespugnabilicon una guarnigione di cinquanta uomini ciascuno.

Il marchese giunto dinanzi al palazzotto balzò a terra invitando il conte a fare altrettantopoi entrò nel giardino.

- Dove mi conducete? - chiese il signor di Ventimiglia.

- A vedere vostra sorella- rispose il marchese- giacché desiderate conoscerla. Sarà di certo nel giardino amando l'aria libera.

Il dolcissimo suono d'una chitarra giunse in quel momento ai loro orecchi.

- Deve essere Neala- disse il marchese.

- È mia sorella che porta questo nome? - chiese il conte il quale appariva assai commosso.

- Síconte.

Il marchese si diresse verso un piccolo padiglione di stile moresco che occupava un angolo del giardino e che era ombreggiato da tre o quattro immense palme a ventaglio e mostrò al conte una giovane di sedici o diciassette anniche indossava un semplice accappatoio di piccole trine intessute con pagliuzze d'argento e che stava sonando una piccola chitarra.

Era una bellissima creaturaaltaslanciatacolla pelle un po' abbronzatagli occhi nerissimi dal lampo cupo e selvaggiocoi capelli lunghissimi e pure nerissimi intrecciati graziosamente con fiori rossi.

Vedendo il marchese si era alzata deponendo la chitarra e atteggiando le labbra ad un grazioso sorriso.

- Figlia mia - disse il marchese - non mi aspettavi di certo cosí presto.

- No- rispose la giovane fissando subito sul figlio del Corsaro Rosso i suoi sguardi.

- Ti conduco qui un signore che pretende essere tuo fratello e che...

Il conte lo interruppe bruscamente.

- Non dite che pretendomarchesepoiché voi sapete quanto me che mio padre ha sposato la figlia del Gran Cacico del Darien e che questa fanciulla è realmente mia sorella. Io sono nato da padre e da madre bianchi: la seconda moglie di mio padre fu invece una principessa indiana.

La giovane meticcia continuava a fissare il corsaro con crescente intensità ed aveva fatto un passo innanzicome attratta da una irresistibile simpatia.

Era certamente il sangue che segretamente parlava.

- Figlia mia - riprese il marchese - questo signore che è il Conte di Ventimigliavorrebbe strapparti a me e condurti lontanolontanoin Europa...

- Nei miei castellisu un mare piú azzurro dell'Oceano Pacificodove l'aria è piú balsamica e piú pura che qui - disse il corsaro. - Io sono bianco e voi siete bruna eppure siete mia sorella perché abbiamo avuto lo stesso padre: il Corsaro RossoConte di Ventimiglia signore di Roccabruna e di Valpenta. Che cosa dice il vostro cuoreNeala? Che cosa dice il vostro sangue? Che cosa pensa il vostro cervello? Io ho lasciato l'Europa per venirvi a cercareho sfidato mille pericoliho combattuto al di là ed al di qua dell'istmo di Panama per venirvi a dire che siete mia sorella. Chi preferite? Il marchese di Montelimar che vi ha adottata come figlia o vostro fratello? Scegliete.

Neala rimase per qualche istante ancora silenziosapoi con uno scatto improvviso si fece addosso al corsaro e gli gettò le braccia al collodicendo:

- Il cuore ed il sangue hanno parlato: io sono vostra sorella e voi siete mio fratello!

 



CAPITOLO XIV

LA PRESA DI GUAYAQUIL


Mentre il marchese conduceva prigionieri a Guayaquil il conte di Ventimigliail basco ed il fiammingodon Barrejo fuggiva a gran galoppo verso Panamainseguito da una mezza dozzina di cavalleggieri spagnuoli.

Il guascone accortosi subito che gli davano la cacciasi era gettato in mezzo alle piantagionicoll'intenzione di raggiungere un altro gruppo di colline che si profilavano verso il settentrione dove sperava di trovare un momentaneo rifugio.

Aveva avuto la fortuna di scegliere un cavallo robustissimo ed insieme agilissimoe contava di stancare molto presto i suoi inseguitori.

Dopo essere sfuggito miracolosamente a tre o quattro colpi d'archibugioera riuscito a guadagnare la base della collina con un vantaggio di almeno quattrocento metri.

- Coraggiomio morello! - gridò il guascone. - Quando giungerà il buon momento fucileremo anche noi quelli che ti fanno tanto sudare. Non domando da te che uno sforzo supremo per attraversare questa collina. Piú tardi ritorneremo sulla strada.

L'andalusoquasi lo avesse compresomandò un lungo nitrito e si slanciò animosamente su per l'alturamentre i cavalleggieri spagnuoli urlavano a squarciagola.

- Ferma!... Ferma!.

- Síaspettatemi un po'- rispose il guasconeil quale aizzava senza posa il cavallo. - Io spero di farvi correre senza riuscire a prendermi.

Il morello andaluso che doveva essere veramente un corridore straordinariosalí sempre al galoppo la collinasuperò la piccola spianata e scese velocemente il versante opposto.

I cavalleggieri spagnuoli che erano pure splendidamente montatinon si fermarono dinanzi all'ostacolo e salirono a loro voltaa corsa sfrenatala collinagridando sempre:

- Arrenditifurfante!...

- Se non foste in sei vi farei vedere io come sono furfanti i guasconi del mar di Biscaglia- brontolava don Barrejorosso di collera. - Questo insulto vi costerà caro. Aspettate che sia giunto al piano e vedrete che fuoco di fila aprirò su di voi.

L'andalusotrattenuto saldamente dal guasconescendeva sempre di gran corsa la collinamentre gli spagnuolii quali avevano raggiunto il piccolo altipianosi preparavano a seguirlo animosamente.

Ad un tratto una bestemmia sfuggí al guascone.

Aveva scorto un lunghissimo crepacciolargo non meno di quattro metriil quale tagliava la collina da una estremità all'altra.

- Tonnerre!... - gridò. - Salterà il mio morello? Fortunatamente non è completamente stanco.

Rallentò la corsapoi quando giunse presso la spaccaturaraccolse strettamente le briglie ed allargò le gambegridando:

- Hip! Morello mio!

Il cavallo si rizzò sulle zampe posteriorimandò un sonoro nitritopoi spiccò il saltoun salto veramente straordinariodegno d'un corsiere irlandese.

Il crepaccio era stato varcato!...

Il guascone accarezzò la brava bestiabalzò a terrala condusse dietro ad una macchia di piante che crescevano un po' in partelevò l'archibugio e tolse dalle fonde le due pistole d'arcionedicendo:

- Ora vedremo!

I sei cavalierirossi di collerascendevano la collina a precipiziocolla spada in pugnopronti anche loro a tentare il salto.

Il guascone si era gettato a terranascondendosi dietro ad un macigno ed aveva spianato l'archibugio.

Un cavalleggiero che precedeva i compagni d'una decina di metri giunse dinanzi all'ostacolo ed allargò le gambemandando un grido.

Il guascone fece fuoco alla distanza di venti passi.

La detonazione fu seguita da un nitrito e da una esclamazione angosciosa.

- Valgame dios!

Cavallo e cavaliere erano precipitati dentro la spaccaturafiaccandosi entrambi il collo.

Il guasconegettato l'archibugio ancora fumanteera balzato in piediimpugnando le due grosse pistole d'arcione.

Una palla gli fischiò agli orecchi portandogli via netto il lobo sinistro. Un mezzo millimetro piú innanzi e don Barrejo era finito.

Un altro cavaliere giungevapronto a varcare l'ostacolo.

Il guascone lasciò partire i due colpi delle sue pistole e anche quello precipitò nella fenditura insieme al suo animalesfracellandosi sul fondo roccioso.

Gli altri quattrospaventativolsero i loro destrieri e risalirono la collina a corsa sfrenatacredendo in buona fede di aver da fare con uno di quei terribili filibustieri ritenuti ormai da tutti come esseri invincibili perché protetti dal diavolo.

Il guascone attese che raggiungessero la cima della collinaandò a prendere il suo cavallorimontò in sella e riprese al piccolo trotto la marcia attraverso le piantagionipromettendosi di riguadagnare piú tardi la strada che conduceva a Panama.

- Per ora mi lasceranno tranquillo- disse. - Se vorranno riprendere l'inseguimento giungeranno troppo tardi. Andiamo a cercare al piú presto Grogner e Raveneau de Lussan. Guayaquil li tenterà e poi si tratta di salvare il figlio del Corsaro Rosso e tutti i filibustieri prenderanno le armi. Marchese di Montelimarnon hai ancora vinta la tua partitaper la morte del diavolo.

Forzò il cavallo ad allungare il passo e dopo d'aver ricaricate le sue armi accese un sigarol'ultimo che possedevasicurissimo di non venire disturbato ormai piú da nessuno.

Il sole stava per scomparire quando entrò in Panamaavviandosi verso la fonda della bella castigliana.

Vi era della gente quella seraper lo piú facchini e barcaiuolíessendo quella un'osteria di secondo ordine.

Fece un cenno all'ostessa e andò a sedersi in un piccolo camerino che era libero.

La castiglianadopo d'aver portato da bere a parecchi avventorilo raggiunseportando un paio di bottiglie.

- Perché siete ancora quicaballero? - chiese la bella donnasenza nascondere il suo stupore. - Che cosa è avvenuto dei vostri compagni?

- Presi- rispose don Barrejosturando premurosamente una bottiglia. - Ho fatto sei leghe sempre a galoppo sfrenato e muoio di sete.

- Presi! - esclamò la bella castiglianacon dolore. - Anche il conte?

- Anche lui- rispose il guasconepicchiando sulla tavola un pugno terribile. - La faccenda però non è ancora finita. Mi occorre solamente una scialuppadovesse costarmi cinque dobloni.

- Vi sono qui dei marinai che ne posseggonocaballero.

- Cercate di farmene vendere unapurché sia fornita d'una velae ve ne sarò riconoscentePanchita. Si tratta di salvare il conte.

- Aspettate la mia risposta - rispose l'ostessa.

Il guascone si mise a divorare un po' di carne fredda che la bella castigliana aveva portata insieme alle bottiglieborbottando e brontolando dopo ogni bicchiere che vuotava.

Anche la seconda bottiglia fu vuotataprima che l'ostessa ricomparisse.

- Dunque? - chiese il guasconeil quale aveva riacceso il suo pezzo di sigaro.

- La scialuppa è vostra- rispose Panchita. - Un pescatore ha consentito a vendervela.

- Dove si trova?

- Presso la bocca del porto.

- Quanto?

- Non occupatevenecaballero - rispose Panchitaguardandolo cogli occhi ridenti.

- Siete una brava donna- disse il guasconeaccarezzandole il mento. - Se sfuggo alla morteparola di guasconefarò di voi una signora de Lussacse accettate la mia mano.

- E perché no? - rispose la bella vedova. - Un de vale un titolo di nobiltà.

- Ed i de Lussac sono vecchi nobili della Guascogna. Addio mia bellaho troppa fretta in questo momentoma che Dio mi punisca se non vi rivedrò. Dov'è quel pescatore?

- Venitemio gentiluomo- rispose l'ostessa.

Un giovane marinaio stava appoggiato alla porta d'ingressotenendo la casacca sulle spalle.

- Ecco il signore che ha acquistato la vostra barca- gli disse Panchita. - Il conto è saldato.

Il pescatore guardò attentamente il guasconepoisoddisfatto di quell'esamesi calcò bene in testa il suo cappellaccio chi pagliadicendo:

- Seguitemiseñor: troverete la scialuppa pronta.

Don Barrejo scambiò coll'ostessa un rapido sguardo e uscí dietro al pescatore.

Soffiava un forte vento quella sera dalle parti dell'Oceano e al largo rombava il tuono. Tuttavia non vi era alcun indizio che scoppiasse lí per lí qualche uraganoquantunque non fosse cosa rara sotto quei climi ardentissimi.

Il pescatore seguí il guascone fino sulle calate dell'avamporto e si fermò di fronte all'ultima gettatadicendo:

- Ecco la scialuppacaballero. È completamente armata.

Il guascone gli gettò nelle mani una piastrabalzò nell'imbarcazioneissò la vela e dopo d'aver augurata al pescatore la buona nottesi diresse verso la bocca del porto.

Uscendo da Panamale caravelle incaricate di vigilarenon dovevano dargli alcun fastidio.

Erano le imbarcazioni che venivano dal di fuori che potevano fermarlotemendo sempre una improvvisa irruzione dei filibustieri già da tanto tempo minacciata.

Il guascone che non era un cattivo marinaioessendo nato sulle sponde del mar di Biscagliapiantò la vela a seconda del ventolegò la scotta e si mise al timonepuntando verso l'isola di Taroga presso la quale contava di giungere prima dell'alba.

Quantunque soffiasse un vento abbastanza frescol'Oceano fortunatamente si manteneva tranquillo.

La scialuppaabilmente guidatascivolava leggiera e velocissimaseguendo le coste dell'istmo a meno di cinquanta passi.

A mezzanotte il guascone mise la prora risolutamente al largosicurissimo di trovarsi ormai all'altezza dell'isola di Taroga.

Tutta la notte lottò contro le ondeche a poco a poco erano diventate grosse ed ai primi alboricome aveva già previstoentrava nella piccola baia dove si trovava ancorata la flottiglia dei filibustiericomposta di due dozzine d'imbarcazioniavendo perduto il vascello durante una notte tempestosa.

Era però sempre sufficiente per trasportare sul continente i trecento e cinquanta uomini che rimanevano ancora sotto gli ordini di Raveneau de Lussan e di Grogner.

Il guasconeche era ormai conosciutissimo fra quei formidabili ladroni di marefu accolto come un vecchio camerata e condotto immediatamente nella tenda occupata dai due capi della filibusteria.

- Il signor de Lussacun guascone autentico a cui dobbiamo la resa di Nuova Granata! - esclamò Raveneauvedendolo entrare.

Da dove venite voimio gentiluomo?...

- Dal mare- rispose don Barrejo- e porto cattive notizie.

- Del conte forse? - chiese Grognerscattando.

- È stato presosignori.

- Da chi? Parlate subito! - esclamarono ad una voce i due filibustieri.

- Dal marchese di Montelimar che voi avete lasciato scappare.

- Me lo immaginavo! - gridò Raveneau de Lussangettando in aria la sedia che gli stava dinanzi. Quando mi hanno avvertito cheapprofittando d'una nostra baldoria e d'una notte oscurissimaaveva preso il largoavevo subito pensato al conte di Ventimigliaè vero Grogner?

- Síme ne avevi parlato. Dove lo hanno condottosignor de Lussac? In qualunque luogo si troviparola di filibustierenoi andremo a liberarlo. Gli spagnuoli non lo appiccheranno come hanno impiccato suo padredovessi bruciare Panama fino alla sua ultima casa.

- A Guayaquil l'hanno portato- rispose il guascone.

- A Guayaquil! - esclamò Raveneau de Lussan. - Se discutevamo ieri sera di fare una scorreria verso quella città che si dice contenga delle ricchezze incalcolabili!... Questa è una vera fortunasignor de Lussac!... Tutti i nostri uomini hanno già approvata questa impresa.

Grogner levò dal taschino uno splendido orologio d'orofrutto certamente di qualche saccheggiopoi disse:

- Sono appena le sette: alle nove possiamo essere sul continente e prima del tramonto dinanzi a Guayaquil. Dieci leghe sono per noi una semplice passeggiata. Vado ad avvertire i nostri uomini che si parte senza un minuto di ritardo.

Non erano trascorsi cinque minuti che i filibustieri lasciavano l'isolamontati sulla loro flottiglia di piroghe e di scialuppe.

Alle novecome aveva previsto Grogneri trecentocinquanta filibustieripoiché non erano di piúapprodavano sulla spiaggia dell'istmo di Panamaa sole dieci miglia da quest'ultima città.

Sommerse le imbarcazioni affinché gli spagnuoli non potessero accorgersi della loro nuova impresas'avviarono sotto i grandi boschi guidati da un prigioniero pratico del paesea cui avevano promessa la libertà o la morte nel caso che li avesse traditi.

Quantunque i filibustieri fossero uomini di mare erano pure bravissimi camminatoriessendo stati per la maggior parte prima bucanieri. Dieci lunghe leghe non era quindi una tale distanza da spaventarli.

Ed infatti il sole non era ancora tramontatoquando giunsero a poche miglia dalla città.

La loro marcia non era però passata inosservata. Gli indianiche abitavano le immense foreste dell'istmonon avevano tardato ad accorgersi del passaggio di quella forte colonna di uomini e si erano affrettati ad avvertire il governatore della città dell'uragano che stava per scoppiare.

Un corpo di settecento spagnuoli uscí frettolosamente per dare battaglia ai terribili ladroni dell'Oceano Pacifico; macome semprela paura che ispiravano i filibustieri ebbe maggior successo delle armi.

Scambiate appena poche fucilategli spagnuoli voltarono le spalle e andarono a chiudersi nei tre forti che difendevano la città e che come abbiamo detto si ritenevano inespugnabili.

Le stelle cominciavano ad apparire in cieloquando i filibustieridivisi in due colonnesi presentarono dinanzi alla cittàben risoluti non solo ad espugnarlabensí anche a saccheggiarla sapendo che ricchezze immense conteneva.

Impossessarsi di quella città non era però impresa facile poiché la difendevano tre forticontenenti ognuno una guarnigione di cinquanta uomini e armati d'un buon numero di cannonimentre i filibustieri non possedevano nemmeno una spingarda.

Pure gli assalitori non si scoraggiavano affatto ementre gli abitanti salvavano buona parte delle loro ricchezze caricandole su degli schifi che tenevano sul fiumetentarono animosamente l'assalto ai forti.

Si erano divisi in tre colonne per impedire alle guarnigioni di portarsi vicendevolmente aiuto: una la comandava Grognerla seconda Raveneau de Lussan e la terza il guascone.

I forti si difendevano però gagliardamenterispondendo alle archibugiate dei filibustieri con colpi di cannone. Pareva che gli spagnuoli fossero decisi a farsi seppellire sotto le rovineanziché arrendersi a quegli odiati ladroni di mare.

Tutta la notte fu un battagliare furioso. Invano i filibustieri si erano slanciati piú volte all'assalto ed invano avevano appoggiato piú volte le scale per superare le merlature.

Ad ogni intimazione di resa gli spagnuoli avevano sempre risposto con un fuoco infernalequantunque poco efficace.

Al mattino i tre forti non erano ancora presimentre invece la popolazioneapprofittando dell'oscuritàaveva evacuata la cittàsalvandosi nelle vicine boscaglie colle ricchezze che non avevano potuto salvare sugli schifi.

Già i filibustieri cominciavano a dubitare della buona riuscita dell'impresaquando verso le otto del mattino si sparse la voce che Grogner era stato ferito mortalmente e che stava per spirare.

A quell'annunzio un grido solo uscí dai petti dei filibustieri.

- Vendichiamo il nostro capo.

Battagliavano furiosamente da dieci ore. La fame e la sete li tormentava; puresaldi come pezzi d'acciaiononcuranti delle cannonate degli spagnuoliquei valorosi mosseroforse per la decima voltaall'assalto dei forti.

Appoggiate le scalenon ostante l'intensità del fuoco nemicomontano con impeto irrefrenabilescavalcando le merlatureinchiodano sui loro pezzi gli artiglieri ed impegnano una lotta disperata contro le guarnigioni.

Avevano dato l'attacco solamente a due fortiriservandosi di impadronirsi piú tardi del terzoche era il meglio armato e difeso dal marchese di Montelimaruomo checome abbiamo detto altrovegodeva grande fama come uomo di guerra.

Se la istoria dei filibustieri narrata da Raveneau de Lussan e da altri corsari inglesi e francesi non fosse lí a provare l'eroismo di quei terribili ladroni dell'Oceano Pacificosi potrebbe porre in dubbio l'esito di quella formidabile impresa.

Trecento erano i filibustieripoiché in quelle dieci ore di combattimento avevano perduto una cinquantina di persone e mille gli spagnuoli e muniti di grosse artiglierie eppure i primi non tardarono ad avere ragione sui secondi di tanto piú numerosi.

Dopo un combattimento sanguinosissimole due guarnigioni spagnuole furono fatte a pezzi e solamente poche centinaia di spagnuoli riuscirono a salvarsi nelle foreste dopo d'aver gettate le armi.

Resisteva però sempre il forte difeso dal marchesenel quale erano stati rinchiusi il conte di VentimigliaMendozail fiammingo e la figlia del Gran Cacico del Darien.

Infuriavano tremendamente le artiglierie del fortissimo baluardobattendo in breccia le due fortezze ormai conquistate e le case della città. Gli archibugierinumerosi e sceltifacevano del loro meglio per aiutare gli artiglieribattendo le spianate e le scarpatecon una grandine di palle.

Alle undicimalgrado i continui tentativi dei filibustierila fortezza resisteva ancora.

Raveneau de Lussanche aveva assunto il comando dei filibustieriessendo ormai Grogner un moribondofece chiamare il guascone.

- Signor de Lussac- gli disse- noi finiremo di certo per venire a capo di questa dura impresapoiché i miei uomini non faranno un passo indietro. Siccome però sono pochi e non abbiamo alcun mezzo per surrogare quelli che cadonovorrei farvi una proposta.

- Parlatesignor de Lussan- rispose il guascone. - Volete che vada a minare qualche angolo del forte?

- Mi dispiacerebbe troppo perdere un valoroso come voi. Il conte di Ventimiglia non mi perdonerebbe mai di avervi sacrificato.

- Che cosa posso fare dunque?

- Andare dal marchese di Montelimar ed intimargli la resapromettendo salva la vita a lui ed alla guarnigione.

- Io non credo che accetti: è un testardo ed un uomo di guerra.

Un lampo d'ira passò negli occhi del gentiluomo.

- Se rifiuterà non lasceremo vivo un sol uomo- disse.

- Vediamo se si può combinare questo affare senza mandare tante persone a tenere compagnia a compare Belzebú- rispose il guasconedopo aver pensato qualche istante. - Che ci consegni il contela figlia del grande Cacico del Darieni miei due amicie poi vada pure a tenere compagnia a quell'ottimo Consigliere dell'Udienza Reale di Panama.

Fu dato l'ordine ai filibustieri ed ai bucanieri di sospendere il fuocofu issata su una picca una camicia bianca trovata in una casa e don Barrejo mosse animosamente verso la fortezza.

Anche gli spagnuolii quali non desideravano affatto irritare troppo quei formidabili scorridori del Pacificoavevano deposte le miccie e fatti ritirare gli archibugieri che occupavano le merlature.

Don Barrejoil quale portava la piccasi fermò dinanzi al fossato del fortepiantando l'asta su un ammasso di terra.

Un ufficiale si era curvato fra due merli gridando:

- Che cosa volete? Sbrigatevi perché non vi accordiamo che una tregua di cinque soli minuti. Appena trascorsi riapriremo il fuoco.

- Chiedo di parlare al marchese di Montelimar- rispose il guascone. - Nel medesimo tempo vi avverto che se qualcuno di voi farà fuoco su di mevi passeremo dal primo all'ultimoa fil di spada.

Un istante dopo il marchese di Montelimar compariva sul terrazzo d'una lunettatenendo la spada snudata sotto un braccio.

- Chi vi manda? - chieserivolgendosi al guascone il quale stava sempre accanto a quella strana e ridicola bandiera.

- Raveneau de Lussancapo dei filibustieri dell'Oceano Pacifico- rispose don Barrejo.

- E Grogner?

- Il signor Grogner in questo momento è occupato a fumare la sua pipa e perciò ha rinunziato fino a questa sera al comando.

Il marchese aggrottò la fronte poidopo d'aver guardato attentamente il guasconedisse:

- Ah! Siete uno dei tre spadaccini del conte di Ventimiglia.

- Non vi siete ingannatoEccellenza. Venivo anzi anche a chiedere notizie di quel valoroso gentiluomo.

- È sotto la mia protezione. Che cosa volete dunque? Sbrigatevi: i miei uomini sono impazienti di combattere.

- Vengo ad intimarvi la resa.

- A chi?

- A voi.

- Non sapete dunque che ho cinquecento uomini e ventidue pezzi d'artiglieria e tante munizioni da radere al suolo la città intera?

- E non avete veduto Eccellenza che abbiamo già espugnato due delle tre fortezze che erano pure difese da cinquecento uomini ciascuna e da una quarantina di cannoni? Tutti noi lo abbiamo veduto. Vi arrendete sí o no? Raveneau de Lussan vi promette salva la vitaa condizione che consegnate immediatamente il conte di Ventimigliai suoi avventurieri e la figlia del Gran Cacico del Darien. Anche io vi accordo cinque minuti per avere la risposta: dopo daremo l'assalto e come abbiamo preso i due fortivi assicuro Eccellenza che prenderemo anche questo.

- Lasciate che mi consigli coi miei ufficiali- rispose il marchese.

Il guascone prese un sigarolo accese servendosi d'un pezzo di miccia che fumava sul margine del fossato e si sedette accanto alla bandiera bianca.

I filibustieri intantonon ben certi che il marchese di Montelimar si decidesse per la resasi preparavanosotto la direzione di Raveneau de Lussanad un furioso assalto.

Avevano messi in prima fila cinquanta uomini muniti di granate da lanciarsi a mano e dietro un centinaio di bucanieri per sterminare innanzi a tutto gli artiglieri.

Gli altri tenevano pronte le scaleprese nelle chieseper montare all'assalto.

La risposta del marchese di Montelimar non si fece attendere.

- Dite al signor Raveneau- disse al guascone- che finché mi rimarrà un uomo ed una carica di polvere io difenderò la fortezza. Andatevene o vi farò fucilare.

- Mi ricorderò di questa bella offerta- rispose il guasconeriprendendo la picca. - Spero di rivedervi prestosignor marchese.

Attraversò la spianata senza troppo affrettarsimalgrado la minaccia del comandante spagnuolo ed avvertí Raveneau della risposta avuta.

- Come abbiamo espugnate le altre dueprenderemo d'assalto anche questa- rispose il gentiluomo francese.

Fu dato l'ordine di muovere all'attacco.

I filibustieriimpazienti di finirla e di saccheggiare la città prima che gli abitanti portassero via tutte le cose preziosesi slanciarono all'assaltonon ostante il terribile cannoneggiamento degli spagnuoli.

Con una corsa fulminea si posero al riparo sotto gli angoli morti della fortezzarendendo cosí nullo il tiro delle artiglierie e la prima schiera cominciò a scagliare una grandine di granate attraverso le merlature mentre i bucanieri fucilavano gli archibugieri nemici dei ridottidelle terrazze e delle lunette.

Messi in rotta gli artiglierii quali non potevano resistere allo scoppio simultaneo di tante granatei filibustieri appoggiarono le scale e montarono all'assalto.

Gli spagnuoli li aspettavano sul piazzale del forteguidati dal marchese di Montelimar.

In un baleno i formidabili uomini del mare scalano la fortezzasuperano le merlature e si scagliano contro gli alabardieriimpugnando le pistole e le corte ma larghe sciabole d'abbordaggio.

Il guasconegiunto uno dei primis'avventa contro il marchesee mentre intorno a lui ferve ferocissima la mischialo investe con una grandine di colpi di spadaurlando:

- Arrendetevi o vi uccido!

Il marchesefattosi un po' di largoaffronta coraggiosamente il guascone. Buona lama anche lui si difende disperatamenteopponendo una resistenza che stupisce il terribile spadaccino.

Investito con foga estremaindietreggia fino sul terrazzo d'una lunettamentre i filibustieri uccidono rabbiosamente quelli che rifiutano di deporre le armi.

- Signor marchese- disse il guasconedopo d'aver scambiato una ventina di stoccatetutte abilmente parate dal gentiluomo spagnuolo. - Questo non può durare molto. Io sono molto piú giovane di voi e poi sono una lama guascone. Arrendetevi o mi vedrò obbligato a uccidervi e ciòfrancamentemi spiacerebbe. La piazza ormai è presa ed ogni resistenza inutile. Gettate la spada e restituitemi il contei miei compagni e la figlia del Gran Cacico.

Il marchese fece un passo indietro tergendosi colla sinistra il sudore che gli imperlava la fronte e gettò un rapido sguardo intorno.

I suoi uominidopo d'aver opposta una fierissima resistenzas'arrendevano a gruppi ed i filibustieri rovesciavano le artiglierie nei fossati dopo averle inchiodate per renderle inservibili.

- È la fine- dissecon voce triste.

Poi rimettendosiriprese a mezza voce:

- Può essere una partita rimandata.

Gettò la spada nel momento in cui Raveneau de Lussanseguito da una mezza dozzina di filibustieri accorreva in aiuto del guascone.

- Il signor marchese si è arreso- disse don Barrejo- e si è arreso ad un de Lussac. Signor de Lussannon vi è piú nulla da fare qui: questo gentiluomo è sotto la protezione dei guasconi.

Raveneau si levò il cappello e salutò cortesemente il difensore del fortedicendogli:

- Il signor de Lussacun gentiluomo autenticovi accorda salva la vita ed io non ve la prenderòsignor de Montelimar poiché i filibustieri sanno apprezzare il valore e voi ci avete dato or ora la prova di possederne molto. Voi però ci indicherete subito dove si trova il conte di Ventimiglia.

- Seguitemi- rispose il marchesetogliendosi una chiave che teneva nella fascia azzurra.

S'avviò verso il fabbricato centrale del forte che era fiancheggiato da numerose casematteaprí una portapoi disse:

- Entrate: sono tutti là!

Un istante dopo il conte era nelle braccia di Raveneau de Lussanmentre il guascone appioppava quattro sonori baci sulle gote di Mendoza e di don Ercole.

La figlia del Gran Cacico del Darien aveva subito seguito suo fratellodegnando appena d'uno sguardo il marchese di Montelimarche fino a pochi giorni prima aveva rispettato come fosse suo padre.

- Signor conte- disse il capo dei filibustieripoiché era stato nominato tale dopo la morte di Grogner- siete finalmente libero ed avete ottenuta vostra sorella. Che cosa possiamo ancora fare per voi?

- Darmi una guida che mi conduca attraverso l'istmo. Ho la mia fregata nelle acque del golfo del Messico e non ho che un solo desiderio.

- Quale?

- Di toccare al piú presto Cuba.

- E poi?

- Di tornarmene in Europanella mia Liguria. La mia missione è ormai finitasignor de Lussan.

- E del signor marchese di Montelimar che cosa dobbiamo fare? chiese il nuovo capo dei filibustieri.

- Dategli un cavallo e lasciate che ritorni a Panama.

De Lussan lo guardò con stupore.

- Avete detto? - chiese.

Il figlio del Corsaro Rosso gli si accostò e gli mormorò una parola agli orecchi.

- Ho capito- rispose il gentiluomo francesesorridendo. Se ne parlava già. Signor conteandiamo a fare colazione con vostra sorella e col signor marchese. Ce la siamo guadagnatave l'assicuro.

Mentre Raveneau ed i suoi compagni cercavano asilo in una casa abbandonatai filibustieridiventati ormai padroni dell'ultimo fortesi abbandonavano ad un saccheggio furibondo.

Non possiamo però passare sotto silenzio la bizzarra singolarità di cuiin quella presai filibustieri francesi dettero spettacolopoiché meglio d'ogni altra cosa dimostra l'indole strana di quella razza di ladroni.

Mentre i loro compagni inglesi correvano dietro agli abitanti rifugiatisi nei boschi colle loro ricchezzefacendone ben settecento prigionierii francesi si recavano nella cattedrale della città per cantarvi il Te-deumcredendo cosí di praticare le parti di buoni cattolici e di rispettare in tale modo la religione!...

Ingentissimo fu il bottino raccolto dai filibustiericonsistente per lo piú in una quantità straordinaria di perle e di smeraldiin verghe d'argento ed in settantamila piastre.

Si aggiungano a ciò un cannone d'argento massiccio del valore di ventiduemila piastre ed un'aquila d'oro tempestata di smeraldi che pesava sessant'otto libbredestinati in pia oblazione alla chiesa maggiore della città e presi agli schifi che scendevano il fiume.

Inoltre avevano preso oltre settecento prigionierianche il governatore della città e siccome non trovavano conveniente condurre con loro tante personetanto piú che sapevano essere usciti da Panama grossi corpi di truppe scelte per sterminarli prima che ritornassero verso l'Oceano Pacificomandarono un messo al Presidente dell'Udienza Reale affinché li riscattasse tutti contro la consegna d'un milione di piastre e di quattrocento sacchi di maisessendo a corto di viveri.

Avevano iniziate le trattative e già non dubitavano di ricevere le une e gli altriquando la terza notte dopo l'espugnazione dei forti s'alzò un furioso incendioprossimo al luogo ove i filibustieri avevano accumulate le loro ricchezze ricavate dal saccheggio.

Però non fecero essi alcuna perditaessendo prontamente accorsi a trarre in salvo le loro cosemeravigliosamente affrontando ogni pericolo; rivolsero poi i loro sforzi a salvare la disgraziata città che in piú parti avvampava; però un buon terzo andò distrutto insieme ad un grosso numero di abitanti.

Infettatasi l'aria in causa dei numerosi cadaveri rimasti insepoltie cominciando a patire molte malattie per tale cagione suscitatesiinchiodati i cannoni delle fortezze che loro non erano affatto utiliquei terribili ladroni di mare s'avviarono verso l'Oceano Pacificoconducendo con loro cinquanta ostaggi d'ambo i sessii quali dovevano rispondere del riscatto che doveva in parte essere loro pagato e veleggiarono verso l'isola di Puna dove rimasero un mese

Fu un mese di baldoria e fu insieme un sorprendente spettacolo il vedere quei ruvidi avventurieri improvvisarsi gentiluominiorganizzare danze e banchetti che non avevano mai fineavendo fra i prigionieri moltissimi suonatori di chitarre e di mandole e le piú belle donne di Guayaquille quali non vedevano nei loro rapitori piú i disturbatori della loro città e delle sostanze delle loro famigliebensí uomini per la maggior parte cortesi e rispettosicosicché ebbero quelle disgraziate un non ingrato compenso dei sofferti terrori e poterono godere di quella libertà che tra le domestiche murasotto i gelosi maritil'orgoglio e la severità spagnuola non concedeva alle donne.

L'amenità dell'isola dava d'altronde maggior risalto a quell'avventura né fuvvi mai prigioniaspecialmente per le prigionierepiú divertente.

Verso la fine del mese però quell'allegria fu gravemente turbatain causa del mancato pagamento del riscatto.

Il presidente dell'Udienza Reale di Panama continuava a chiedere dilazionisinché i filibustieri insospettiti chenon difficoltà di trovare il denaro cagionasse quel ritardobensí la segreta mira di defraudarli e di prendere tempo per radunare forze sufficienti a combatterliricorsero ad una crudele risoluzionemalgrado le proteste di Raveneau de Lussan il qualeal pari di Grognerabborriva le crudeltà.

Radunarono perciò gli ostaggi e li obbligarono a tirare a sorteavendo ormai deciso che le teste di quattro di quei disgraziati dovessero essere consegnate all'ufficiale spagnuolo che era giunto per chiedere una nuova dilazione al pagamento.

Purtroppo quegli infelici dovettero sottomettersi alla dura sorte e le quattro teste furono date all'ufficialecolla dichiarazione che se entro quattro giorni il pattuito riscatto non fosse stato saldatoaltre ne sarebbero state mandate al Presidente dell'Udienza Reale di Panama.

I sospetti dei filibustieri non erano d'altronde senza fondamentopoiché il giorno seguente riuscivano a catturare un corriere che da Guayaquil andava a Limaapportatore di lettere nelle quali era detto chiaramente come in aspettazione dei soccorsi attesi si sarebbe mandata qualche somma a Puna per tenere a bada i corsariaggiungendo che l'esterminio di costoro stimavasi ben piú importante sacrificio che la perdita di cinquanta prigionieri.

Come abbiamo dettofra gli ostaggi vi era il governatore di Guayaquil e siccome ci teneva a non perdere la testaincaricò un frate che era della brigatauomo tenuto in molta considerazione presso gli spagnuoli e lo mandò sul continente con pieni poteri perché accumulasse a tutti i costi quanto denaro occorreva per saldare il riscatto.

Nell'atto però che il frate partivagiungeva all'isola uno schifo il quale portava ai filibustieri ventimila piastre in oro e venti sacchi di farina. L'ufficiale che lo montava chiedeva nel medesimo tempo una dilazione di altri tre giorni pel resto del riscatto.

I filibustieri non furono renitenti a concederladichiarando però che se gli spagnuoli avessero mancato alla promessa avrebbero fatta una nuova visita a Guayaquil e che l'avrebbero distrutta da capo a fondo.

La risposta che ne ebbero non poteva essere piú risoluta.

Un nuovo messo di chi amministrava le cose di Guayaquil giunse qualche giorno dopodicendo che per tutto ciò che rimaneva a pagarsi gli spagnuoli offrivano solamente ventiduemila piastre e che se i filibustieri volevano riattaccare la città vi erano cinquemila uomini agguerriti pronti a riceverli.

Nessuno può sorprendersi se a quella dichiarazione vi fu fra i corsari di Raveneau chi proponesse di tagliare all'istante la testa a tutti i prigionierile donne comprese. Si opposero molti altridicendo che una tale crudeltà nessun vantaggio avrebbe recatoperciò accettate le ventiduemila piastre e messi in libertà gli ostaggiripresero il mare per ritentare nuove e piú stupefacenti imprese.

 


CONCLUSIONE

Due giorni dopo la caduta di Guayaquilil conte di Ventimigliasua sorella ed i tre spadaccini lasciavano la città con una scorta di trenta corsari e di dieci filibustierii quali avevano deciso di far ritorno in Europaavendo ormai accumulate sufficienti ricchezze per potere vivere comodamente nei loro paesi.

Il marchese di Montelimar era partito il giorno innanzinon senza pronunziare parole di vendetta contro la giovane meticcia e anche contro il conte.

La traversata dell'istmo di Panama fu compiuta a piccole tappeper non stancare eccessivamente la sorella del contee dodici giorni dopola piccola carovana giungeva felicemente nel minuscolo porto di Riva dove da tre mesi trovavasi all'âncora la fregatainnalzando lo stendardo di Spagna per farsi crederedai pochi abitanti della costauna nave incaricata d'impedire lo sbarco dei legni filibustieri provenienti dalla Tortue.

Una scialuppa già aveva raggiunta la spiaggia e si preparava ad imbarcarliquando il guasconeche durante tutto il viaggio pareva avesse perduto il suo buon umoretrasse in disparte il conte e Mendozae disse loro:

- Signoriio devo dichiararvi che non ho alcun desiderio di far ritorno in Europa. Per me è questo un grande colpotuttavia sperocol tempodi potermi consolare. Non dimenticate peròsignor conteche la mia spada sarà sempre a vostra disposizione nel caso che vi fosse ancora necessaria.

- Che cosa ditesignor di Lussac! - esclamò il figlio del Corsaro Rosso veramente sorpreso. - Oggi siete abbastanza ricco per riparare il vostro castelluccio di Guascogna e coltivare tranquillamente viti e mele.

- Che cosa voletesignor conte? Ho quarant'anni e sento un desiderio irresistibile di avere una famiglia.

- Ah!... Birbante! - gridò Mendozamentre don Ercoleil quale si era avvicinato al grupposcoppiava in una risata. - Si è innamorato della bella sivigliana!...

- Avete indovinatocompare- rispose don Barrejo. - Di quella graziosa vedova ne farò una signora de Lussac e venderemo vini di Spagna e di Francia all'insegna della Draghinassa guascone!


L'indomanimentre don Barrejo o meglio il signor de Lussacdopo commoventi addiiriprendeva la via di Panama per raggiungere la sua bellala fregata spiegava le veledirigendosi verso il Capo Tiburon.

Anche il figlio del Corsaro Rosso aveva lasciatoal pari del guasconeuna gran parte del suo cuore in Americama voleva riportarlo in Europa unitamente ad un altro che già da tanto tempo batteva insieme al suo: quello della marchesa di Montelimar.

E cosí infatti avvenne.

Venti giorni piú tardi la magnifica fregata del conte lasciavadurante una notte oscurissimaper sfuggire le crociere spagnuolel'isola di San Domingoportando con sé una signora di piú e tre uomini di meno.

La bellissima marchesa aveva dato senza rimpianti un addio all'isoladopo aver affidate le sue immense piantagioni a Buttafuocoa Mendoza ed al fiammingotre amici che al pari del guascone non avrebbero ormai piú potuto trovarsi bene fra la civiltà europea.

Rivedremo un giorno quei bravi? È probabilepoiché la storia dei filibustieri non è ancora terminata.