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GiuseppeRovani



CENTOANNI




PRELUDIO




Ditutte le forme della letteratura e della poesia il romanzo èla più disprezzatae per alcune classi di persone la piùabborrita. — La lettura di un romanzo si faper solitodinascosto e lontano possibilmente dagli occhi de' curiosipress'apoco come quando si commette un peccato. — Se una ragazza èin odore di gran leggitrice di romanzistorna da sè qualunquepossibilità di matrimonio; la spina dorsale deviatailbroncocelela clorosil'isterismol'epilessiasono in unafanciullacontro i giovinotti assestati che voglion metter casaspauracchi meno spaventosi dell'abitudine a legger romanzi. — Imaestrii pedagoghii prefetti di cameratase colgono ungiovinetto alunno sprofondato nella lettura di un romanzotosto èun tumulto nella famigliaun parapiglia nel Collegio-Convitto;minacce di castighidi espulsionidi collere implacate. — Gliuomini gravii torci-colliquelli che si danno importanzaquelliche vogliono parere senza esserei cultori di matematicaipoliglottiquelli dell'alta e della bassa filologiagli studiosid'economiaquelli che aspiranoper lo menoa diventar socicorrispondenti di un qualche istitutodanno tutti quanti a piùpotere la caccia ai romanzie guardano ai romanzieri con atti dicommiserazione e di sdegno e d'inquietudine; press'a poco come gliesorcisti del bel tempo dell'inquisizione guardavano i sospetti distregoneria. Bene sono esclusi dalla persecuzione e dall'odiouniversale alcuni pochi romanzi celeberrimiche a buoni conti sichiamano libriperchè la parola non corrompa l'opera. —Ma anche questi pochi libriche in Italia crediamo che sommino acinquee in Francia a tree in Inghilterra ai migliori di Scott eai due di Bulwersono concessi in via di tolleranzapress'a pococome al tempo dell'editto di Nantes erano sopportati i protestanti. —Egli è bensì vero che il romanzo storico era comeriuscito in addietro a sottrarsi all'interdettose non altro per ladifficoltà delle ricerche e per la necessità dirovistare negli archivje perchèin una parolala mente ela fantasia erano condannate alla schiavitù della schiena. —Ma dopo che il più grande dei romanzieri venne a condannare ilromanzo storico come una mostruosità della letteraturacomeun ente ibridocome un assurdocome un impossibileil romanzostorico fu cacciato più sotto ancora del romanzo intimo; e ipedanti che non trovarono mai di lodare Manzoniquesta sola voltas'accorsero della presenza del suo genioquesta sola volta che concoraggio inaudito nella storia dell'orgoglio umanoil grande uomovenne a dar di martello all'opera più colossale del suo genioappunto. — Da più anni in fatti il romanzo storico sembrache sia quasi scomparso dalla faccia del mondo; sembra che aicacciatori della fama sia passata la voglia di farne: e colui cheoggi ha la malinconia di pubblicare questo lavoroe chenell'etàdell'innocenzastampò tre romanzi storici uno dopol'altro; quantunque ne avesse avviato un quartodopo il discorsomanzoniano lo converse tutto quanto in fidibus per la sua pipacasalinga. Ma se gli uomini onesti e pacificise i padri difamigliase i prefettise i prevosti possono essere oggimai quasisicuri dall'assalto de' romanzi storicihanno tutte le ragioni diperdere l'allegriase pensano a quell'altro genere di romanzi che siè convenuto di chiamare contemporaneiintimidi costume.Questi romanzi crebbero a dismisura nella persecuzionecome glischiavi d'Egitto e di Babilonia; si moltiplicarono a miriadi sottoalla percossa dei testoni pesanticome le lumache quanto piùsi zappa nell'orto contaminato. In Inghilterra e in Francia èuna produzione di romanzi tale che sembran fatti a gualchieraatranciaa torchioa mulinoa vapore; è un'eruzione perpetuae in tutti modie più invadente che la lavadello spiritoumano contro lo spirito umano. — Che direbbe se comparisseOrazio col suo precetto degli anni dieci?
Equanti ne producon Francia e Inghilterra ajutate dagli Stati Unititanti ne inghiotte il mondoche come sigari li fuma e abbruciae negetta gli avanzi alla bordaglia. Tuona la criticatuonano i pergamile fanciulle son minacciate di celibatogli adolescenti di esserecacciati dai ginnasii giovani di studio d'essere esclusi dal banco.— Ma i romanzi si riproduconosi sparpaglianopenetranodappertuttoe sono letti persino da chi tuona e sbuffa; persinodalle madri sospettose; persino dagli uomini che si danno importanza;persino da quelli che hanno la missione di far prosperare l'altafilologia e la numismatica e la diplomatica e i concimi e il baco eil gelso. Sotto al grosso volume severo noi spesso abbiam vistotrafugarealla nostra visita inattesala leggiadra brochurepariginasu cui di gran volo potemmo sorprendere i nomi orridi epeccaminosi di Gozlandi Gautierdi Kockdi Dumas!!! Oh orrore!!!
Dopotutto ciòè egli giusto codesto dispregio in cui ètenuto il romanzosia storicosia contemporaneosia di costumisia moralesia industrialesia marittimosia dell'altasia dellabassa societàsia didascalicosia psicologico: ramificazionitutte del gran ceppo del vetusto romanzo cavalleresco? — Noicrediamo fermamente di noe fermamente crediamo che il dispregioprovocato dai guastamestieri ingiustamente siasi rivolto contro algenere. Intantoin codesto interesse antico e perpetuo del romanzodev'essere deposta la ragione che storna la sua abolizione. —Intanto i più grandi scrittori del secolo sono romanzieri;FoscoloManzoniGoetheByronScottChâteaubriandVittorHugoBulwer tradussero in forma di romanzo le più splendide epiù consistenti emanazioni della loro mente. Intanto in unlibro di un grand'uomo morto di recenteabbiamo letto che l'Iliaded'Omero è un romanzo storicol'Odissea un romanzointimola Divina Commedia un romanzo enciclopedicoilFurioso un romanzo fantasticola Gerusalemme unromanzo cavalleresco. — Tutte le verità e della religionee della filosofia e della storiase hanno voluto uscire dall'angustaoligarchia dei savjper travasarsi al popolohanno dovutoattraversare la forma del romanzo che tutto assume: — la prosala poesiale infinite gradazioni dello stile; ei si innalzain unbisognonelle più alte regioni dell'ideas'abbassa tra lerealtà del mondo pratico; è elegiaè liricaèdrammaè epicaè commediaè tragediaècriticaè satiraè discussione; al pari dell'irideha tutti i coloried è per questo che si diffonde nel popoloe piove come la luce di luogo in luogo e di ceto in ceto e d'uomo inuomoe per l'onnipotenza sua appunto può recar dannifunestissimi come vantaggi supremi; chè tutto dipende dallamente che lo governa. Così avviene degli elementi piùpoderosi che sono in naturai quali riescono nel tempo stesso ebenefici e pericolosi all'uomo. Il romanzo di Scott invogliòalla ricerca delle memorie rivelatrici del Medio Evoe inspiròil sommo Thierry; Carlo Dickens in Inghilterra propose ed ottenneriforme legaliindarno proposte e domandate dalla scienza in toga.Se non che questi elogi che facciam del romanzo or quasi ci fanparere indegni di esporne uno; mentre prima il quadro detestabile chene abbiam fatto quasi ci faceva venire il rossore sul volto alpensiero che stavamo per ritornar romanzieri anche noi. — Masia qual vuolsiè ridicolo tanto l'abbellirsi di modestiaquanto l'accusarsi di superbia. — Giàogni qualvolta ungalantuomo stampa qualche prodotto della sua menteè reodella più luciferina superbia di cui un uomo può essercapace. — Stampare significa credere bellissimo e utilissimoall'umanità quello che si è pensato e scritto; e chinel punto massimo della più alta stima di sè stessosifa innanzi col capo chino e colle proteste della sua incapacitàè un bugiardo. — Però noi aspiriamo al merito dinon essere mendaci. — Cento Anni è il titolo delnostro lavoroe Cento Anni dovremo veder passar di fugainnanzi a noicominciando dalla metà del secolo andato echiudendo alla metà del secolo corrente. — Vedremo leparrucche cadenti a riccioni stare ostinate contro i topè;vedremo il topè subire più modificazioni e concentrarsinel codino col chiodo; vedremo i ciuffi a campanilei capelli allabrutus e la cerchia del rinascimento; vedremo il guardinfantedel secolo passato attraverso a più vicende venire a patti colguardinfante del secolo presente. — Vedremo la cipriacheimbiancava i capelli neridi mutamento in mutamentosvolgersi inquell'empiastro che oggi fa diventar neri i capelli bianchi.
D'altraparte vedremo il progresso dello spirito umanopur subendo laaltalene di questi matti capricci della modatrovare la sua uscita eandare innanzi. — E vedremo le arti camminare a spina-pesceperchè il nostro romanzo dev'essere anche un trattatod'estetica — e sentiremo a cantare i tenori e i soprani delsecolo passato al teatrino del palazzo Ducale; e prendendo le mosseda essi e con essi e cogli altri che lor tennero dietrocalcheremoper cento anni il palco e la platea dei nostri teatri; e vedremo lospiegarsi e il ripiegarsi e l'estendersi e l'accartocciarsi dellamusica; e nella nostra lanterna magica passeranno le ombre dei poetidei letteratidei pittoridei pensatori; attraverseremodunqueadir tuttoi decorsi cento anniscegliendo i punti salienti dove leprospettive si trasmutano allo sguardoe dove si presenta qualcheelemento nuovo di progresso o di regressodi bene o di malechedalla vita pubblica s'infiltri nella privata; e osserveremo forse perla prima volta fatti e costumi e accidenti caratteristici che nonottennero ancora posto in libri divulgatie di cui la traccia o lanotizia completa rimase o nella tradizione orale che ancora si puòinterrogareo in carte manoscrittequali i processii decretigliatti giuridicile memorie di famigliaecc.o in opuscoli chesebbene stampatipure stettero segregati dal commercio e dallapubblica attenzione e al tutto dimenticatio nei quali si leggonocose da cui derivano idee o più complete o modificateoqualvolta anche affatto opposte alle accettate intorno allecondizioni de' nostri padriper somministrar così criteri piùinteri o più nuovi onde stimare i fatti successivi; peròal fine di tener dietro al movimento storico di periodo in periodoessendosi dovuto rompere le dighe dell'unità di tempo nel modoil più rivoluzionarioabbiamo provveduto a stornare larivoluzione dal campo sacro e inviolabile dell'unità d'azionericorrendo al partitoche è forse nuovo e che ci fu suggeritodal fatto vero di un processo criminale e di un'azione giuridicacivile conseguitanedi svolgere il nodo drammatico nel seno diquelle famiglie più o meno cospicue per le quali quel processoe quell'azione continuarono per settantacinque annicosì chela differenza originale tra il nostro libro e i libri congenericonsistesse in ciò appuntochedove per consueto gli attorisono individui operanti nel tempo limitato d'un periodo della vitanel nostro lavoro gli attori fossero invece famigliela cui vita siprolunga di padre in figlio e cammina colle generazionicogliendo daciò occasione di tener dietro agli svolgimenti graduali ditutte le parti che costituiscono la civiltà di un paese.Vedremo pertanto gli scherzi curiosi che faranno nel corso di unsecolo codeste famiglieappartenenti a varie castedistinte allasorgente e confuse alla foce; e nella vita di un uomo che vissenonagenarioe chenato quasi alla metà del secolo passatomorì quasi alla metà del secolo correntee che parlòe mangiò e bevve e rise con noiavremoci si permettal'espressionela chiave di volta che varrà a tener congiuntoil vasto edificio e a ravvicinare fra loro quattro generazioni;press'a pococome il patriarca Enos che andò a caccia conAdamo e spremette i primi grappoli con Noèe congiunse le duegrandi epoche della creazione del mondo e della dispersione dellegenti.
Lepromesse sono gigantesche e presontuose: ma guai a chi promette poco.Il lettore lo piglia tosto in parola.

LIBROPRIMO


Illago di Pusiano e il vecchio nonagenario. – Il teatro Ducale diMilano nel 1750. — Musicaballocostumipittura scenica. —La contessa Clelia V.... — Il tenore Amorevoli e la ballerinaGaudenzi. — Cinque finestre e cinque lumi. — Il giardino dicasa V… — Amorevoli e i custodi del morto. —Sospettato trafugamento di carte. — Il giudice del Pretorio. —Il caffè del Greco. — Il violino di spalla. — DonnaPaola Pietra. — Gli scolari del Ginnasio di Brera e il nanoguardaportone del senator Goldoni. — La musica sacra e lacelebre suor professa Rosalba Guenzani. — Storia degliavvenimenti di donna Paola Pietra.


I


Convienrisalire a quindici anni addietroallorquando chi scrive trovavasiin quella età felicein cui si è amici di tutto ilmondoe il mondo per contraccambio vuota con noi il sacco dellecortesie; età in cui la bile non è ancora uscita dalsuo sacchetto a invelenir le venee il volto conserva le sue roseele influenze atmosferiche non fanno di noi quel che il rame fa dellerane scorticate; età in cui l'umore è sempre uguale esempre lietoe l'animo si apre a tuttispensierato e fidente; etàin cui sin la bruttezza ha la sua beltà; tanto che tuttivecchi e giovaniuomini e donnematrone e fanciulle si volgono anoichi per consigliarcichi per compatirci amabilmentechi peraccarezzarci senza malizia la barba nascente; età in cuil'uomo è il legittimo re dell'universodel finito edell'infinitoperchè se il presente gli sorride da tutte lepartil'avvenire gli si svolge dinanzi in lungo e in largosenzaconfinetutto pieno di fantasmi dorati. Chi pensa a codesta divinaadolescenza della vitae senza consultare la fede di battesimovedenello specchio che ha tanti anni di piùeguardandoil fumo che esce dalla sua pipapuò esclamar col poeta:


Questodi tanta speme oggi mi resta


sifa silenzioso e tetroe cerca tosto di sommover l'onda delle tristiideemescolandovi lo spirito d'assenzio. Allorchè dunque chiscrive aveva quindici anni menoebbe a far la conoscenza di unvecchioil qual vecchioa quel tempodei due milioni e cinquecentomila abitanti che contava la Lombardiaera forse quello che portavapiù anni sulle spalletanto chese fosse stato poveroavrebbe fatto la prima figura alla lavanda de' piedi. Ma non erapoveroquantunque non fosse nemmen ricchissimo. — Fu presso allago di Pusianoche vedemmo per la prima volta questo vecchioeprecisamente nell'istante che stavamo leggendo l'iscrizione cheaddita a' passeggieri la povera casa dove nacque il grande Parini.
Quelvecchio era là sedutoin mezzo ad alcuni contadini che loguardavano con gran rispettoe sentendo che noi andavam tempestandodi domande i proprietari di quella casaper aver notizie dellafamiglia Parini e per sentire se vivesse ancora in quel contadoqualche parente del poetasi alzò e avvicinatosi a noi:
—Della casa Parinidissenon vive oggi che un preteil quale stafuori di questo territorio. Del resto io ho conosciuto il poetae hovissuto con lui in grande dimestichezza e qui e laggiù aMilanoe ho conosciuto la madre dell'abate.
—Sua madreha ella conosciuta?
—Sua madresì signore. A lei ch'è nato jeriparràstrano ch'io fossi già sul tramonto di quella che si chiama lavirilitàquando Parini venne a morire. Avevo pochi anniquando col poetache di fresco aveva dato fuori l'immortale suoGiornofui a visitare la sua madre decrepita. — Io contooggi i miei ottantott'annicome se fossero ottantotto zecchiniesto bene di stomacoperchè la natura ha messo l'eternitàne' miei denti molari; e sto bene di gambeperchè non ho maipatito d'indigestione e mi giova tuttora il mio vinetto di collina. —Così dicendo si mosse a discendereaccennando ch'io loseguissi. — Io me gli accostai per dargli braccio; ma egliridendo: — Non s'incomodi. Ella potrà stancarsigiovinetto com'ènon io così vecchio... — e sidiscese insieme. Non aprì bocca finchè non si fu albassoe soltanto quando venimmo all'orlo del lagodove moltivilleggianti lo salutarono riverenti:
—Dunqueella vuol bene al mio Parini? Io chinai la testa. —Parleremo di luisoggiunse allora; ed io mi feci ad accompagnare ilvecchio venerabilesenza esser punto maravigliato dell'affabilelibertà ond'egli mi parlava senza conoscermi. Chi ha vissutouna lunghissima vitasta nel mondo come nel proprio dominio e trattagli altri colla cortesia dell'ospite verso i nuovi venuti. —Accompagnatolo ad una sua villettastetti con lui per piùd'un'orae quando presi licenzagli promisi di ritornar il giornodopo; tanto m'interessava. Allorchè poi lasciai Pusianopromisi che in novembre mi sarei recato a visitarlo nella sua casa inMilano. — Ciò che feci religiosamente.
Quelvecchio era un tal Giocondo Brunibenestantedi sufficiente ma nondi eccessivo peculio. — Era piccolo di staturae magrissimo. Lanaturache il volle destinato ad una vita lungalo aveva emuntod'ogni umore superfluoe ridotto come una corda di violino. Potevaspezzarsinon affloscirsi. — Aveva capelli canuti e tuttorafolti che gli coprivan la fronte; occhi neripiccolifondituttoravivissimie che attestavano come gli abbondasse ancora il fosforodel cervello. A ottantotto anni aveva la mente lucidale idee ancoraordinatela memoria fedelissima. Soltanto lo tormentavanellegiornate piovoseun sonno ch'egli chiamava morbosodel quales'inquietava ed affliggeva.
Amavala gioventù con predilezione che pareva originalità dinatura; ma soffriva antipatie ferocitanto che ne' crocchidove mitrovai seco qualche voltainvestiva con rabbuffi insolenti qualcunoche non gli aveva mai fatto offesa. — Ma i vecchicome ifanciulliamano ed odiano per istinto; i fanciulli hanno l'istintodella naturai vecchi quello dell'esperienza; ed il vecchioGiocondoin quelle tali faccie profilatecostrutte e tinte in queltal modoaveva imparato a leggere quel tal carattere; di qui le suecortesie e le sue asprezze. Nato di madre ballerinacome avevapercorso tanta parte del tempoaveva così percorso moltiluoghi dello spazioperchè colla madre sino a dodici anniincompagnia d'un precettores'era trovato in tutte le cittàd'Italia e d'Europadove c'era un teatrodove c'era opera e ballo.— A Milanodove nacquestette per più mesisino adotto volte ne' primi dodici anni; poi vi prese stanzaa compire glistudisino ai venti; poi fu a Parigia Berlinoa Viennacon lamadre che volgeva al tramonto; poi ritornò in Italia e dimoròa lungo in Venezia sempre colla madreche là morìlasciandolo erede di un bell'avere a ventitrè anni. Di questaetà mi mostrò un suo ritratto eseguitogli dalTiepoletto a Venezia. — Faccia bellissima e spiritosissima. —Dai ventitrè anni in poi fermò la sua dimora a Milanorecandosi peròquando occorrevaa vedere altrove le cose egli uomini e le donne degne d'esser osservate dappresso. — Conquesta vitae con quella temprae con quel fosforo della massacerebralee con quello spirito della curiosità edell'investigazione che non lo lasciò mai vivere quietoeraesso la storia universale viva e vera degli ottant'anni che avevavissuto dopo i primi otto. Aveva passato i sette anni quando Federicoil Grande stava disperandosi per gli affari di Sassoniae Pittilpadreveniva rimosso dal ministero britannicoe Caterina II salivail tronoe la Pompadour facea nausea ai galantuominiquantunquepiacesse al re di Francia. Avea quindici anni. quando Pittfigliofacendo stupire i professori dell'Università di Cambridgecollo studio indefesso e coll'intelletto universaleimparava a fardimenticare la fama paterna; quando Foxe nei danari che il piùbizzarro ed azzardoso dei padri gli dava per tentar la fortuna algiuocoe nell'oceano della vitanel quale immaturo si gettòcome a nuototrovò il segreto della futura sua grandezzamescendo il punch alle filippiche nel greco di Demostene; quandoRousseaudando in luce opere di sovrumano concepimento e abbagliantidi forma incomparabilenel punto stesso che scandolezzava le sanementi con atti ingiuriosi alla dignità d'uomopareva ches'affannasse a far creder vera quella definizione del Sarpiesserel'ingegno una malattia del cervello; quando Robespierreancorafanciulloleggendo avidamente Gian Giacomoapprendeva l'odio controtutte le istituzioni socialie l'idea nuda ed innocua del filosofopensava a tradurre in ferro ed in fuoco. Aveva diciassette anniquando per la prima volta s'introdusse la coscrizione militareeventitrè quando Maria Antonietta sposò il Delfino diFrancia e si concluse la pace al Congresso di Teschen. — Eragiovane fatto allorchè a Venezia conobbe Foscarinie ilvecchio Zeno e il Tiepoloil pittore e il poetae il Canalettoel'abate Chiarie Goldoni giovinetto e Carlo e Gaspare Gozzi; a Romaudì il Miserere dell'Allegria Napoli assistette alfiasco dell'Armida di Jomelli. Fece una rissa ferocissima diparole con l'Alfieri a Torino. — A Milano conobbe tutti quanti.— Sparlò del prossimo con Castistette serio con Parinifece pazzie col pittor Londoniosovvenne di danaro il poverissimoBiondiil ritrattista per eccellenzache non mangiava per comperarei pennelli. Quando ci trovammo due o tre volte a fare con esso luiqualche giro sulle mura di porta Orientalene' giorni che le millecarrozze sfilano in galaera bello a sentirlo dire: Di quel signoreho conosciuto il bisavolo; quello lì che or va in carrozzinodee la sua prima fortuna alla roletta; quello là che va coltiro a quattro la deve ad una birbonata. Ne' giorni del perdonoall'Ospedale Maggiorequando sono esposti i ritratti dei benefattoridi tre secolisi piantava con soprassalti di gioia davanti a talunodi que' venerandi vecchioni del secolo passatoe diceva: questosomigliaquello no...; e tosto una biografiaun racconto pieno diaccidenti curiosidi quelli che la storia ignora e pur basterebberoa far la storia vera. Un giorno che si stava innanzi al ritratto deldott. Macchidi colui che visse in povertà quasi d'accattoneper lasciar all'ospedale tutto quanto ebbe dal padre e raccolse dallasua professione di notajodopo averci narrati molti particolari diquell'uomoche peccò d'avarizia in vitaper essere insignebenefattore in morted'improvviso soprastette dicendo: «Viricordate di quel tale che la prima domenica di quaresima abbiamoveduto nel carrozzino di gala sulle mura di porta Orientalee di cuiabbiamo tenuto alcuna parola? — Ebbenequesto notajo fu quegliche scrisse la minuta di un testamento che doveva esser trascritto dauno zio del padre del padre di quel signore». Del qualepronunciò il nome che noi non ripeteremo; chè molti deipersonaggi che faranno parte della nostra epopea in veste da camerahanno l'obbligo di costituire una società anonima.
Quandoil novantenne vegliardo levò gli occhi dal ritratto del dottorMacchi: «Se verrete da mesoggiunsefra qualche giornoviracconterà un fatto stranissimoil qualese puòinteressare la curiosità degli oziosi da caffèpuòinteressare il filosofo che spasima d'affanno per i mali che l'uomoha inventati onde tormentare sè stesso; e può batterealla porta della giustizia e illuminarlae illuminar persino lasapienza legale».
Maqui ci conviene lasciare il nostro decrepito amicoche tante volteaccompagnammo a veder l'Arco della Pace e a far il giro de' bastioni;e poiin più angusto cerchioe sotto i tigli de' pubblicigiardiniabbiam sostenuto del braccio quando non poteva piùsoddisfare al suo orgoglio di camminare isolato; e soltantocontinuava a dispiegarci lo sterminato volume contenente uomini ecose vissuti e avvenute in cento anniripetendo sempre quel suointercalare: La mia memoria è una valle di Giosafat tuttaaffollata di maschere. — E dal bel mezzo del secoloXIX ora ci convien saltare nel bel mezzo del secolo XVIIIe recarcial Teatrino del palazzo Ducalea quel Teatrino chelasciò per molto tempo il nome al successivo della Canobbiana;colà udremo la musica della Semiramide riconosciuta delmaestro Galuppie vedremo a danzare la bellissima Gaudenzi... quellache fu la madre del nostro decrepito amico.


II


Èdunque la fine del carnevale dell'anno 1750e ci troviamo nellaplatea del Regio Ducal teatro di Milanodetto volgarmente ilTeatrino. Mancano pochi momenti alle due di nottele ottodell'odierno orario. — Le sedie della platea sono tutte quanteoccupate; il semicerchio che corre dall'ultima fila delle sedie allaporta d'ingresso è affollato. — Al davanzale deipalchetti s'affacciano dame e cavalieri; e succedein una parolatutto quello che avviene anche oggidì in que' dieci minuti cheprecedono l'incominciamento di uno spettacolo ne' nostri teatri. —Ma se in un teatro e in un pubblico sono perpetue alcune abitudininon per questo si confidi un pittore di poter ritrarre lo spettacolodi quella seraregolandosi con quello che vediamo oggi. — Ilteatro Ducalemeno ampio del teatro Carcanocon quattro ordini dipalchiera sovraccarico d'ornamenti barocchi. — Volute in oro evermicelli e ghirigori e nastricolle indispensabili maschere dellatragedia e della commedial'una trapassata in un occhio dal pugnaledi Melpomenel'altra colla bocca sghignazzante piegata in arco. —Il velario è un Febo in quadrigaa cui s'attraversa Dianacolle bianche sue cerveforse a significare la lotta in cui èimpegnata la notte per tener lontano il giorno; il tutto nello stiledi un allievo di Tiepoloche abbia l'immaginazione e il colore e lapratica e i vizj del maestroinsieme al manierismo ed agli svolazzidel cavalier d'Arpino. — Il sipario rappresenta la primaveratrionfante sopra le altre stagionie coronata da Minerva; bel lavorodei fratelli Galliari che oggi farebbe arrossire i nostricontemporanei della tolleranza onde lasciano che tutti i siparj de'teatri in Milano offrano a' forestieri la più misera ideadelle arti nostre. — Ma se un amante della pittura potevacongratularsi con quel siparioun amante della luce dovevaprotestare contro il nebuloso crepuscolo che avvolgeva tutto ilteatro. — Non v'era lumiera che pendesse dal velario; qualcheluce soltanto usciva dall'interno de' palchettitutti messisfarzosamente; eprima che comparissero i ventiquattro becchi difiamma al luogo della ribaltagettavano intorno un poco di albore lecandelette che alcuniseduti in plateatenevano fra mano perleggere il libretto dell'opera. — L'abitudine a quelle mezzetenebre aveva però avvezzate le pupille del frequentatore delteatro a vedere e ad osservare. Tutta la sala era piena; sui rossiiverdii gialligli azzurrie tutta la varietà dellegradazioni di questi coloriil fiordalisoil pistacchioilvigognail tortorellal'isabellail tanéil testa dipavoneecc.onde in qualche modo aiutavano la poca luce le giubbele marsinei gilets dei messeri buongustaj dell'operaadagiati inplateasi distendeva uno strato tutto biancoed era la polvere dicipro di quelle seicento parrucche di varia foggiaecome alloradicevasicostrutte alla reggenza a tre martellialla circostanza.Se da questa nevicata che coprivatanta varietà di colorisi alzavano gli sguardi ai palchettiil quadro si faceva più ancora stranamente pittorico. Era iltempo in cui le pettinature femminiliche già avevanocominciato a rialzarsi sotto alla reggenzasi spingevano a talealtezzache bene spesso una testa cessava di essere la settima partedel corpo umano. — La contessa Marlianibellissima edelegantissima fra le eleganti di Milanoquando comparve al suopalchetto in second'ordine vicino al prosceniomise in mostra unapettinatura che dalle tempia si alzava quasi un braccioallargandosicome una piramide capovoltasulla piatta superficie della qualeerano fiori e fruttie due tortore imbalsamate che si beccavanogentilmente. Codesta acconciatura veniva denominata il puff disentimento. E se in quella sera il puff della bella contessaMarliani superava tutti gli altri puffla gara aveva generata unatale varietà negli oggetti accumulati su di essiche sarebbesoverchio tenerci dietro colla descrizione. — Pappagalliaironiuccelli di paradisofoglie e fiori e frutti disposti in modoche una testa pareva un capitello corinzio; le quali modesepiacevano alla maggior partetanto che venivano seguiteansiosamentenon per questo cessavano di far ridere gli uomini digusto e quegli altri che ridono anche delle cose serie.
—Che ve ne pare delle nostre Milanesidiceva un giovinotto colla suabianca parrucca ad ala di piccionead un altro che gli rispondeva indialetto veneziano.
—Non sono nè più belle nè più pazze delleveneziane.
—Ma chi è quella dama là che porta la passionata?
Lapassionata era una delle tante denominazioni che si davanoalle mosche e a' nei onde le gentildonne facevanoquel che sidirebbela loro professione di fede; la passionata era lamosca che si portava all'angolo dell'occhiola sfrontata quellache stava sul nasola civetta al labbrola galantealla pozzettal'assassina all'angolo della bocca. E chi odavvero o per bizzarria voleva o intendeva di avere le qualitàmorali rispondenti a quegli aggettiviportava una di queste moschecome un tempo i cavalieri erranti recavano i motti sugli scudi. Ilpiù delle volte però non erano che simulazioniondechi avrebbe dovuto aver l'assassina portava l'appassionatae semprepoi quelle gentildonne cangiavano posto alle moscheonde tuttequante in una stagione riuscivano e passionate e galanti e civette esfrontate e assassine.
Maque' duetenendo fissi gli occhi in quella che recava all'occhio lapassionatae continuando un discorso incominciato: — Colei èuna delle nostre più infocate dilettanti di musica; del restonon v'ha bella signorina in Italiala qualenel ricevere la visitadi un giovane cavalieredopo aver fatto pompa delle sue grazienonpassi al cembalo a cantare un'arietta per rendersi piùamabile. — Quella dama là della passionata pigliòmolti alla rete cantando l'arietta— Se tutti i mali miei— ed è così bizzarra chequando di recente gli fupresentato un giovanotto per essere il suo cavalier serventecosìlo interrogò sulle qualità che lo dovevano far degno diquel posto: Signoresapete la musica?Noquegli rispose. — Ebbene ripigliò ladamaandate ad impararla e poi venite a ritrovarmi. La musicanel mondo galante è divenuta indispensabile; senza di essa unamante corre sovente pericolo di cadere in disperazione per nonessere in istato di cantare un'arietta. — E quel cavalierino cheora siede rimpetto a coleifu respinto più volte dallacrudeleed egli sarebbe morto se non avesse imparato a memoriaquell'aria del Buranello:


Ahche nel dirti addio
Caramorir mi sento...


chegli salvò la vita — e così press'a poco fantutte... E qui cangiando discorsoil giovane di Milano nominòa quel di Venezia tutte le principali beltà che in quella seramostravansi al palchetto: la marchesa Serbelloni con puff a nastriazzurrila marchesa Dadda con puff ad aironela marchesa Litta conpuff a capitello corinziola contessa Borromeo del Grillo senzapuffma con un sistema di riccioni altissimo e intrecciato con diecibraccia di nastroe la contessa Verri e la marchesa Beccariaecc.tutte insomma le arcavole delle nostre più distinte patrizie.— Ma già i suonatoriincipriati anch'essieran tutti alloro posto in numero di trentae il primo violinosignor Bellettiaveva dato un primo colpo d'archetto. Il maestro Galuppisoprannominato il Buranelloil quale era il compositore dellaSemiramide riconosciuta stava già alla suaspinettain tutto quello sfarzo di vestito che era la caricatura ditutte le caricature che si trovavano in teatro. Seduto tra ilcontrabbasso e il violoncelloaveva dietro di sè due viole dagambastrumento soavissimoche scomparve per dar luogo alle catubeai bombardoniai serpentiai pelittonie a tutto il parco diartiglieria della musica di oggidì; e sedevano innanzi a luidue suonatori di fluttedue di oboèdue di corni. Il restoeran contrabbassiviole e violini.
Quandoil maestro Galuppi comparve alla spinetta:
—Costui è il sopracciò di tutte le case di Milanodisseuno de' suddetti interlocutori; chi vuol farsi d'accosto a qualchedama non dee che appigliarsi alle grandi falde quadrate della suamarsinaed è tosto introdotto. Come compositore val piùdel nostro Lampugnanisuo collega concertatoreil quale è unbuon ambrosiano e un forte contrappuntistama quando non assorda fadormire; codesto Buranello invece compone con molt'arteva intraccia dell'espressionee la trova; tuttavia se la sua musica èla scuola dei professorine guasterà moltiperchè hatroppi passi pericolosie convien essere eccellentissimo nell'arteper collocarli a propositocom'egli ha saputo fare.
Inquesta si alzò il sipario e si mostrò allo spettatoreun — Gran portico del palazzo reale di Babiloniacorrispondente alle sponde dell'Eufrate — lavoro diquei fratelli Fabrizio e Bernardino Galliariche furono i primifondatori della nostra scuola scenicache recaron poscia oltremonte.Essi non conoscendo tutti gli stili architettonici e non avendoerudizione archeologicaapplicavano il greco romanodappertuttoin Babiloniaa Menfialla China; ma avevano una talpratica nella prospettiva e una così sterminata immaginazionenel costrutto architettonico e nella combinazione delle lineedeicontrappostidegli interrompimentidelle fugheche lo spettatorene rimaneva abbagliato e anche oggi ne sentirebbe meraviglia. Lescene poi a quel tempo raggiungevano il più completo effettoperchè la quasi oscurità della platea concedeva tuttolo splendore al palco scenicoe la ribalta non ancora riboccante difiamme (chè le lucerne ad argand s'introdusseroposteriormente) permetteva che la distribuzione della luce si facessenel modo più conveniente e più proporzionato alle leggiprospettiche.
Malasciando ora i pittori Galliari e la scenografiadopo la comparsadel palazzo reale di Babiloniacomparve Semiramide tra gli applausidel pubblicoSemiramide in abito virilesotto nome di Ninoed erala virtuosa signora Cassariniche cantò il recitativo: Olàsappia Tamiri con quel che segue; dopo del quale vennefuori Sibario la seconda donna signora Ghiringhellae lìs'impegnava un lungo recitativo intercalato di guaiti di violoncellie violesino al punto che Semiramidecon solenne portamento divocediceva alla seconda donna: T'acchetaecco Tamiri; eusciva Tamiriossia la signora Giuditta Fabiani Sciabrà;e quandodopo alquante parole di complimentoSemiramide s'assidevain trono in mezzo a Tamiri e a Sibarie una guardia recavasi sulponte a chiamare i principi rivalitostopreceduti dal suono distrumenti barbaricipassavano il ponte MinteoScitalce e Ircano.Allorchè questi si mostròsuccesse un movimento nelteatrocome quando il vento investe una selvae scoppiò dipoi un applauso strepitoso e unisono che pareva fuoco di plotonefatto da un reggimento di veterani. L'opera nel complesso annoiavaanzichè nochè il pubblico aveva ancora nell'orecchiel'Olimpiade di Pergolesee l'Artaserse diScarlattirappresentate poco tempo prima; e non era pago granfatto nè della Casserininè della Sciabràperchè esso ricordavasi troppo della voce stupenda dellaTurcottidella grazia dell'Aschieridel prodigio della Tesi checommoveva irresistibilmente al piantoe della soavitàdell'Agujari che veniva chiamata il rossignuolo della scena. —Peròessendo inferiori le prime donne di quella stagionealle altre che aveva già sentiteil pubblico si rivolse alnuovo sole che era Ircanoovvero il tenore Amorevolil'occultapassione delle donne. — Applaudito al suo primo comparirefecefremere d'entusiasmo la platea ad ogni emissione di voce; ma ilsegreto di mettere in pericolo la mente sana degli spettatori se loserbò all'aria:


Maggiorfollia non v'è

Cheper godere un dì

Questasoffrir così

Leggetiranna.  


Allecadenze di questa cabaletta il teatro parve dividersi in due per loscoppio d'applausi.
—Vengano ora i musici — gridava un giovinotto — ora chefinalmente questo Amorevoli canta come un uomo e non come una donna.
Iltenore Amorevoli diffatto fu il primo cheper l'ineffabile dolcezzad'una voce naturale e pel gusto squisitissimo del suo cantofecesperare che col tempo si potesse far senza de' musici. Ma cosìnon la pensavano i vecchiuno de' quali diceva indispettito:
—Tutto va benema bisognava sentire Carestini a cantar quest'aria.Egli aveva gli estremi dei bassi e degli acutitanto che il Ciardinitenore disseche voleva farsi evirare per poter cantare il bassocome lui.
—E dove lasciate Cafariello? — diceva un altro che portava ancorala parrucca a riccioni; — giammai uomo mortale spinse cosìlungi l'audacia del canto.
—E Bernacchi il patetico?
—E dove lasciate Egizielloil grandel'unico Egizielloil redell'espressione? fu egli che nell'opera Artaserse fecepiangere tutta Roma per questo solo accento:


Epur son innocente.


Edopo lui Guadagni e Salimbeni e Monticelli e Reginelli e Garducci el'Elisi; se il men valoroso di costoro fosse quicodesto Amorevolinon piacerebbe nè poco nè assai...
—Intanto si compiaccia a sentirlo.
—Per forzanon c'è altri...
El'opera continuò... e Amorevoli dalla voce piena di fascino edall'aspetto bellissimofu chiamato sei volte al prosceniodopochecon un'espressione e un ardore indicibileebbe cantatoquell'aria con cui finisce l'atto primo:


Empiofato se m'opprime
Seguiràle mie ruine
Chisuperbo mi contende
Labeltà che mi piagò.


Leultime due volte che Amorevoli uscìtenne fisso lo sguardo adun palchetto... Nessuno però nè s'accorsenèprese informazione di quell'atto...
Soloil gentiluomo veneziano che teneva dietro alle beltà lombardeguidato macchinalmente da quello sguardo ad osservare egli pure ilpalchettochiese all'amico che gli serviva d'interprete:
—Chi è quella bellissima dama làal numero quattro delsecond'ordine?
—Bellissimase avesse imparato a sorrideree se ricevesse la graziadalla bontà... Quella è la contessa Clelia V...odiatadalle donne ed anche dagli uomini.
—Odiata?
—Sìodiata... Sa il latinoil greco e la matematica... edall'alto del suo tripode ci guarda tutti come una divinitàsdegnata. — Mentre il cavalier servente è dovunque unmobile di casaed è adottato da chi lo considera comeun'imposizione della moda e nulla piùella non ha mai patitod'averne uno. La natura le ha messo il cuore in ghiaccio perpreservarlo dalle infiammazioni.
—Ha marito?
—Altro che marito! Vedetelo là nel palco dirimpetto... Èun ex colonnello di cavalleriafatto con sangue di Spagna e consangue lombardo. Nobilissimodel restoe ricchissimo; ma serio comeun cavaliere del tempo del Cid. — Sposò la sapienzaperchè s'accorse che la grazia lo avrebbe fatto diventargeloso come il Moro di Venezia...


III


Ilfischio dell'avvisatorepartito dal palcoscenicofece cessare tuttii discorsi che si tenevano nella platea e ne' palchettie si alzòil sipario. Il ballo di quella sera rappresentava La Morted'Ercole del coreografo Pitrautcolui che aveva destatotanto chiasso a Parigi per aver messo in ballo il Telemacodell'arcivescovo di Cambraynel quale ballo la dea Calipsoinconseguenza di un passo falsoavea corso pericolo di perderel'immortalità. — L'azione dell'Ercole si aprivacon un grande strepito guerriero; una folla di popolo annunciava ilritorno d'Ercole che entrava in cocchio tirato da alcuni schiavi dinazioni diverse da lui soggiogate. Jole era strascinata dailottatori; Filoteta ed Ilo stavan seduti sul cocchio ai piedid'Ercole. — Compariva finalmente Dejanirala bellissimaGaudenzi. Questa ballerina destava allora il massimo fanatismo inEuropanon tanto perchè fosse d'una bellezza abbagliantemaperchè nell'arte sua era un'eccezione alla regolaovverossiapoteva servire di regola tra gli abusi. — La critica sapienteche allora usciva a protestare in opuscolettisi lamentava forte chei compositori de' balli andassero lontanissimi dalla natura; ma piùancora si lagnava degli esecutori. Tutta l'arte de' ballerini ingenerale si riduceva alla capriuola. Non si trattava più diballarema di andare in altoe quegli che più s'approssimavaal cielo del teatro passava per il più bravo. Il ballerinoSauterper far vedere al pubblico la forza delle sue gambesipropose in un gran ballo eroicodopo aver fatto duecento capriuoleed altrettanti tours de jambes di cadere in àplomb sul piede drittoe di starvi per otto minuti inequilibrioaffine di dar tutto il tempo alla platea di battere lemani. Questi salti eran tanto pericolosiche bene spesso in teatrosuccedevano grandi inconvenientie in quella medesima stagione a cuici troviamonello stesso ballo della Morte d'Ercole unadivinitàfacendo uno sforzo pantomimoprese così malela sua misurache si precipitò nell'orchestradove ruppe seiistromentidisordinò quindici parrucchegettò a terrail violino di spallacui poco mancò che uccidesse invece difracassare sè stessa; avvenimentoche per quello che poisaprà il lettorefece cadere in deliquio la bella Gaudenzi. —Ma continuando a parlar dell'arte della danza a quel temponon pareavero che i compositori de' balliche volevano far effettoaffrontando qualunque assurdità e mettendo in pericolo la vitadei loro esecutoritrovassero ballerini e ballerinee ricche esospirate dal bel mondoche si adattassero a sfigurarsi e a diventarfurie sulla scena. La celeberrima Campioni e la milionaria Curzaforza di contorsioni e movimenti irregolarifinito il ballodiventavano deformi a segno da far paura; i loro occhi si facevantorti e biechisi tramutavano le loro fattezze e lor fuggiva ilcolore. Non così la Gaudenzi. Il nostro amicoparlandoci ungiorno di sua madreci fece vedere un libroche teneva carissimonel quale davasi di lei il seguente giudizio: «Anche nel belmondo ballante si trovano le rare fenici. La Gaudenzi è una diquelle; ella balla con agilità inarrivabilecon eleganteportamento e con brio vivacissimo; il corpo suo è sìben formato che sembra fatto per ballare. È grande attricepantomima; con un volto oltre ogni dire bellissimo esprime al vivo lediverse passioni dell'animola tenerezzail dolorelo spaventol'allegriail furore». Noi siamo inclinati a credere chel'autore dell'opuscolostampato a Milano dal Mottadove stannoqueste parolefosse uno spasimante della Gaudenzie che peròcaricasse le dosi; tuttavia viene una gran voglia di credergliquando si pensa che tutta Europa andava perduta dietro a codestaGaudenzimentre pure aveva uno stile di danza contrario a quelloallora in voga. Ma se ella poteva danzare con ragionevolezza d'artenon poteva far scomparire le assurdità della composizionecoreografica; però nel nuovo ballo del Pitrautdopo essersigettata nelle braccia dello sposo Ercoledoveva adattarsi a ballareun pas de trois con lui e con Jolee solo poteva mettere inatto tutte le riforme ch'ella avea introdotte nella danza quandoeseguiva l'a solo. — Ella avea compreso che la danza nonè altro che un'arte plastica viva e verain cui la figuraumanadotata di forme bellissimes'atteggia a consigliar pose emovenze e contorni eleganti alla pittura e alla scultura.
Ipittori Galliariche non s'interessavano gran fatto alla musicanell'ora che danzava la Gaudenzierano assidui ad osservarlastandofra le quinte; e noi abbiam veduto un disegno a penna d'uno di lorodove è ritratta la celebre danzatrice in costume di Dejaniraadagiata su d'un letto di cespugliin preda al dolore. Quantunqueperònel massimo imperversare dell'arte baroccaella avessetanta purezza di atteggiamentinon aveva il coraggio di ometterel'entrechat propriamente dettoperchè voleva fartacere le ballerine rivalile qualise ometteva la capriuolal'accusavano di poca agilità nelle gambe. — Sapeva dunquesoddisfare in un punto e alle esigenze legittime della bellezzaassolutarivelando forme d'indescrivibile perfezionee ai capriccidella modae alle pretese dei compositori. — Del restose ellaera abilissima come danzatriceriusciva inarrivabile come attriceesapeva provocare il vero orror tragicoquandonell'ultima scena delballomentre Ercole ardeva nella camicia funestaella entrava comeforsennataenon potendo reggere allo spettacolo straziantesiuccideva. Se non che tutte le sere doveva risuscitar tosto per uscireal proscenio (non si potevano contar le volte)a ricevere ledimostrazioni di un pubblico che andava in delirio; edopo calato ilsiparioil palco scenico abusivamente era invaso dai giovanizerbinottiche recavansi a farle tributo dei loro omaggi e alasciarle un tappeto di rose e viole sul pavimento del camerinodov'ella gentile e spiritosa e vivacissima dava belle parole a tuttie occhiate che parevano significare quel che non volevano dire.Veduta da pressola Gaudenzi non scapitava d'un punto dell'effettoche produceva a chi la guardava dalla platea; chè veramenteera dessa di una perfetta beltà. Aveva la capigliaturabiondo cupa increspata e prolissala quale nella sua schiettanatura non potea vedersi che nel momento in cuiattendendo a darparolescioglieva i capegli per poi foggiarli anch'essa nel puff diconvenzione. — Aveva occhi azzurribocca e mento e contornidella purezza più completa; soltanto il nasocome quellodella greca Aspasiasopravanzava d'alquanto il confine stabilitodalle scuole accademiche. — Ma quegli occhi azzurri e quel nasoerano un argomento di censura per le altre beltà invidiosesegnatamente del ceto patrizio. — La contessa Marlianiaffermavasdegnosissima nella sua convinzioneche non puòessere una beltà perfetta chi non ha gli occhi neri; la qualeasserzione diede luogo ad una disputa de' begli spiriti che recavansialla sua conversazione. — Fu persino convocata una consulta dipittori per decidere in proposito; e avendo essi sentenziato infavore degli occhi azzurriquasi corsero il pericolo di perdere illoro posto alla tavola di casa Marliani. — Ma anche noi chescriviamoavremmo perduta l'amicizia della contessa perchè leavremmo detto chese gli occhi neri lampeggiano in virtùdella legge dei contrastigli occhi azzurri risplendono per virtùpropria; le avremmo detto che la pupilla azzurra sdegna lamediocritàvuol bellezza perfettissima di linee nelsopracciglio e nella cassa dell'occhiomentre la pupilla neras'appaga invece anche di linee irregolari; che l'occhio nero nonavendo un colorenon ha sempre nè varietà nènobiltà nè iridescenza nè riflessisia dallaluce esterna che dall'intima luce dell'anima; ora tutte questequalità avevan gli occhi della Gaudenziocchi esercitanti unfascinoche poteva persino sembrar colpevole a chi non conosceval'indole di quella donna.
Maintanto che i cavalierini incipriati stavano indugiandosi alle sogliedel camerino della Gaudenziin aspettazione dell'ultima occhiataetutti nella speranza che quell'occhiata significasse una sceltasenzadel restoarrivar a comprendere che la Gaudenzi erasudatissima e sentiva il bisogno di spogliarsi e rivestirsie nelsuo segretopur conservando l'amabilità dell'azzurra pupillali mandava tutti al diavolos'intesero voci d'alterco sul palcoscenico. — Ad un illuminatoreche passava in quel puntotuttique' gentiluomini si volsero per domandarli di che si trattasse:
—È il signor Amorevoli che non vuol più cantare...
—Comecome?
—Per questa serano.
—Ma perchè?
—Dice di star malissimoe i medicirichiesti dai cavalieriispettoridichiarano invece che non è mai stato cosìbene; ed egli ha minacciato di bastonar tutti quanticavalieriispettori e medici... — e senza dir altro e sghignazzando digran voglial'illuminatore passava oltre. — Allora glispasimanti della Gaudenzi s'allontanarono dalla loro vittima emossero a spingere un occhio e un orecchio curioso al camerino deltenore. Ma tutto era tornato nella più perfetta calma. Inconclusioneconvenne fare la volontà del tenoreil qualedichiarava chequand'anche non avesse la febbre richiesta dairegolamenti del teatropure non poteva spingere la voce al di làdel solaveva compromesso il lae sarebbe stata unaimprudenza solamente a parlare del si e dei falsetti. Cosìdopo alcuni momentiuscì l'avvisatore a gridare dalproscenioin mezzo ad un silenzio di tomba:
—Per improvviso abbassamento di voce del tenore signor Amorevolisiommetteranno nel secondo e nel terz'atto tutti i pezzi d'Ircano. -
Nonè a dire come rimanesse percosso da questa notizia tuttoquanto l'uditorioil qualeper non saper come sfogare il dispettofischiò disperatamente l'avvisatoreil quale si ritrasse conun volto pieno d'indifferenzadi calma e d'ironia; con un volto chepareva quello di Socrate quando si alzò a sfidare le risatedella folla d'Atene. — Tanto in qualche cosa giova essere gliultimi per assomigliare ai primi.
Matornando all'Amorevolinoial pari dei medici del teatro e deicavalieri ispettorisiamo inclinati a credere che in quella seraegli avesse una salute di ferro e una voce a tutta prova.
Sedutodi fatto nel suo camerino innanzi ad uno specchiostavadisbellettandosi; e ridendo tra sèpareva che godesse di untrionfo ottenuto. — Entrava in quella il servo universale delpalco:
—Si va dunque a casa?
—Prepara il mantello e gli stivaliZampino.
—Gli stivali?
—Gli stivali ed il mantello... Sì.
—Ecco il mantello.
—Tu vuoi assaggiare la mia cannaeh?
—Non sono il medico del palco scenico.
—Porta via dunque questo drappo rossoche fa uscire il sole anche dinotte... e prepara il mantello nerobestione.
—Vuol l'amo o le retisignor Angelo?
—Bada a teZampino. — E Amorevoli si alzava aspergendosi ilvolto e le mani d'acqua odorosae mettendo in mostra una camiciatutta gaja di preziosissime trinee un pajo di calzoni di rasoturchino con punte d'argento. Si adattò il gilèchepareva un mazzo d'ortensiemise gli stivali di rnarocchino nero conrovesci azzurri come i calzoniinfilò la marsina variopintacome una squama di serpentesi calcò il cappellino a trepunte sulla parrucca alla circostanzae si gettò ilmantello sulle spalle. Dopo aver detto a Zampino: — Preparati adaccompagnarmi col lampione — uscì dal camerinoerecatosi sul palco sceniconel momento che era calato il sipariodopo i frammenti del second'attomise l'occhio ad un buco deltelonee guardò al numero quattro in second'ordine. Il palcoera vuoto... egli soffregossi le mani e ripartì quetouscendoper la falsa porta del teatro. Zampino lo seguiva senza far parolacol lampione che già aveva acceso.
Lasciatoil teatroAmorevoli volse il passo verso la contrada Larga... allaquale rispondeva una porta del teatro per dove uscivano i proprietarjde' palchetti. — Molti carrozzoni erano là in filae icocchieri aspettavano di esser chiamati dal lacchè dellapropria casa.
—Casa Borromeocasa Littacasa Marlianicasa GambaranacasaAnnonicasa Belgiojosocasa Sanazzarocasa Bossicasa Taverna...— gridavano essi di mano in mano che i carrozzoni si facevanoinnanzi.
Amorevolisi fermò sull'angolo della contrada delle Oreporgendoorecchio alle voci rauche di quei poveri lacchè che facevanvenire innanzi le carrozze in processione.
—Casa Verricasa Beccariacasa V...
Amorevolistette un istante senza far mottogettò il mantello allaveneziana intorno alle spalleascoltò il cupo e pesante romordelle ruote di quell'ultimo carrozzone che s'allontanava.
—Quante sono le ore? — chiese poi a Zampino.
—Manca poco a mezzanotte.
—Vieni che faremo una passeggiata per la città.
—A quest'ora?
—A quest'ora — e partirono.
Camminaronouna mezz'ora buonamente... Zampino di tant'in tanto diceva adAmorevoli:
—Ma che si fa?...
—Bada a te... e attendi a servirmi bene — e vennero aPoslaghetto. Colà era un'antica osteriadonde partivanograndi schiamazzi e canti e villotte...
—Che diavolo c'è laggiùZampino?
—Siamo agli ultimi di carnevalesignore; saranno i compagnoni dellaBadia de' facchini.
—Benissimo. Ora va' a mangiare il tuo boccone in quell'osteriaeattendimi là...
—Non devo accompagnarla?
—No.
—Ma e se?...
—Va' a mangiare il tuo boccone... — e Amorevoli partìsolo.
Parevapraticissimo di quel gruppo di contradee difilò dritto aduna cinta di un gran giardino. Era il giardino del palazzo V...nomeche dobbiamo tacereavvertendo soloa scansare equivociche avevadesinenza spagnuolae che una volta aveva probabilmente datol'appellativo ad una contrada.
Facevauna notte di febbrajo limpida e stellata... e dal dietro della cintasi vedeva la sontuosa facciata di un gran palazzo antico— Dadue finestreposte tra loro a molta distanzaai lati estremi diquel palazzotrapelavano due lumi. — Un altro lume trapelavapiù in lontananza da una casetta modestache rispondeva ad ungiardino confinante a quello della casa V...il qual giardinoapparteneva al palazzo del marchese F... che era morto la mattina diquel giorno; due lumi luccicavano a due balconi di quello stessopalazzo. Il lume della prima finestra del palazzo V... rischiarava lastanza della contessa Clelia che vegliava...; quello della secondafinestra rischiarava la camera dell'ex colonnello conte V... chegià dormiva; il terzo lumeche traspariva dalla finestradella casa modestarischiarava l'alloggio della ballerina Gaudenziche s'era acconciata là per esser vicina al Teatrino Ducale eche in quel momento stava mutandosi la camicia.
Delleultime due fiammel'una illuminava un lenzuolo in cui era avvolta lasalma patrizia del marchese defunto; e l'altra una mano di gentevenalepagata la notte a far compagnia al morto.
Inquello spazio misurato dall'occhio del tenore Amorevoli nonscintillavano che quelle cinque fiamme... Esso le contòmacchinalmentee scavalcò il muricciuolo di cinta


Econ un'ansia incognita
Ebbela debil orma accelerato
Ein alto..................................
Scintillavail beffardo occhio del fato.


IV


Lacontessa Clelia era sola nella sua stanza da lettodi cui gliaddobbi e gli ornamentisovraccarichi di sfoggiata ricchezzafuordelle leggi del buon gustoè più facile che un uomod'immaginazione se li dipingadi quello che li descriva ungalantuomo di null'altro temente che di riuscir nojoso a' lettori. —Tuttavia in quelle linee contorte e peccaminose del baroccoe inquell'oro condensato senza risparmio in forme d'ornamentic'eraqualcosa che poteva parlare alla fantasiae tanto più inquanto in mezzo ad essi spiccava una donna così severa e cosìbellabella di quella bellezza di rigida perfezione che lasciaplacidissimo il cuorema che provoca lo spirito d'osservazione inmenti avvezze ad esaminare le opere dell'arte. Pure non si potea darfigura che fosse meno adatta a quella stanza; chè l'una el'altra rappresentavano due stili di due periodi opposti e nemici traloro. Il volto della contessa apparteneva a quello stile greco romanoche non sopporta transizioni di scuola; e siccome in quell'ora in cuivegliavaella si era lasciata cadere l'alta acconciatura de'capeglidai qualiravviati un momento prima dalla camerieraerascomparsa anche la cipriacosì a quelle volute contorte delBorromini e del Fumagalli faceano più cruda antitesi quellafronte quadraquei piani delle guancie modellati a rigorecomequelli d'un cammeo anticoquel mento romano che richiamava il mentoappunto della Cleliaquando passa il Teveredisegnatadall'improvvisatore Pinelliquel naso rigorosamente giusto e adangolo rettoil quale insieme cogli occhi grandi e neri e di lentogiroe colle palpebre prolisse e co' sopraccigli arcuati e foltipiù forse che nol comportasse la delicatezza muliebregenerava quel tutto che sarebbe necessario a dipingere una Minervaconvenzionale. Occhi tuttavia e sopraccigli e palpebreche pur disotto al rispetto quasi disgustoso che imponevanoe alla fuga in cuimettevano ogni pensiero giocondo e gaiopotevanoin certi momenti ea seconda di certe natureprovocare strani pensieri e sommovere ilsenso voluttuoso.
Lafronte peròquasi sempre corrugatadi quella gentildonna ecerte protuberanze chepreziose sotto alla mano del frenologorecano sempre offesa alla completa bellezza per l'occhiodell'artistapotevano venir in soccorso onde spegnere la seduzione.— Ma da quella frontesenza saperloi rigidi parenti (di cuiper esser fidi ad un sistema di prudenzasopprimeremo al solito ilnome del casato)avean preso consiglio per dare alla fanciullaClelia una educazione che fosse distinta oltre il consuetoa ciòpoi singolarmente sollecitati da un dottissimo abateun talCarlantonio Tanzistato precettore al fratello della contessinailqualenon trovando più nessuno a cui comunicare la suadottrinapensò fare di lei un oggetto di esercitazionescientifica pe' suoi vecchi annie una meraviglia del gentil sesso.— Ad ogni modol'abitudine di introdurre le fanciulle adiscipline non fatte pel sesso graziosonel secolo passatosecolodelle esagerazioni e delle cose a rovesciofu comune più chenon si creda. — Era il barocco applicato all'educazioneper cuialle fanciulle si gonfiavano le teste a spese del cuoree siriduceva la scienza a ricovrarsi per forza all'ombra de'guardinfanti. Molte donnenel secolo passatostudiarono filosofiagiurisprudenzamatematica; talvoltaqualche stragrande ingegnofece parer sapienza cotale pazziae valga per tutte quel prodigiodella Gaetana Agnese; ma più spesso furono anomalie disterilissima dottrinarigonfiata da orgoglio infelice. La contessinaClelia pertantodal dotto abate che non aveva cavato nessuncostrutto dal fratello di leifu incaricata di far le sue veci e dirappresentarlo al consesso dei dotti. — A dieci anni lacontessinaoltre alla lingua franceseche si parlava abitualmentedal conte padreil quale tante volte s'era trovato a Parigi confusonella folla dei cortigiani del gran Luigiconosceva la lingualatina; e il prof. Brandaquello col quale ebbe accanite dispute ilgiovane Parinifu invitato dal prete Tanzi a sentir la contessinaClelia tradurre l'orazione di Cicerone Pro Archia e il Sognodi Scipione e recitar a memoria uno squarcio di LucrezioDe rerum natura. Non istupisca il lettore: chè Voltairemandava già il figurino da Parigi; e il professor Brandalodata al conte padre la contessina miracolosaconsigliòl'abate Tanzi ad insegnarle anche la lingua greca... e la linguagreca fu imparata; poi quand'ella ebbe sedici anniappresematematica insieme col giovane Paolo Frisiquello che fu in seguitoautore del trattato De gravitate universali corporum ein questa scienzaajutata da un naturale ingegno e sollecitata daquelle prove di distinzione onde si vedeva circondata ogni qual voltatrovavasi colle altre fanciulle patrizie sue coetaneefece taliprogressiche fu introdotta persino all'intima confidenza di Urania;di modo che nella notte a cui ci troviamoquantunque la contessapensasse assai più di quello che leggessepure si teneva sultavoliere di lapislazzuloinsieme coll'opera di Boscovich — Demaculis solaribuse all'altra d'Eulero Novæ tabulæastronomicæil famoso trattato sulla processione degliequinozjche d'Alembert aveva pubblicato due anni prima; del quald'Alembert ella sapeva tener dietrosenza scontorcersialledimostrazioni; tantochè avrebbe potuto ripetere ad un consessodi dotticome gli assi dell'ellisse descritta dal polo dell'equatoresieno fra loro come i coseni dell'obliquità dell'eclittica edi coseni del doppio di questa obliquità. Ma i cosenidell'obliquità dell'eclittica non bastavano a render feliceuna bella donna di venticinque anni. Sette intanto ne eran corsi dache era stata fatta sposa all'ex colonnello conte V...senzamai averlo veduto primasenza avere dell'amore e delle questioniaderentialtre idee che quelle che sono depositate ne' classicilatini; idee che non poterono avere uno sviluppo interocompressecome vennero dall'algebra e dalla geometriadue scienze piùinfeste della brina ai primi germogli dell'affetto. Sposòdunque l'ex colonnello che aveva quattordici anni più dilei. Egli vantava un gran casatouna grande ricchezzae brillavagliinoltre sull'uniforme di parata un segno che attestava il suo valormilitare. Era serioera dignitosoparlava pocoma dalle pocheparole trapelava la stima profonda che aveva della giovinettaprodigiosa. Ond'ellaquando i rigidi parenti proposero ilmatrimonioconsentì e provò anche qualche sussulto chenon veniva nè dalla geometria nè dall'algebrama fu unsussulto di brevissima duratae la scienza dovette colmare i vuotilasciati dall'affetto vero. D'altra parte è a tenerconto d'una cosa. Non tutte le creature umane raggiungono lamaturanza un punto medesimo. L'abitudine agli studi severiquel nonriposarsi mai su pensieri e desiderj eroticiaveva ritardato ilcompleto sviluppo della contessa. Fu necessario il tempopiùche il sole di un'anima appassionataa togliere l'acerbità aquel frutto. La giovane contessa era altaera ben fattaera bella —parliamo d'allora che andò a maritarsi — ma le mancavaquell'arcana virtù della donnache non si sa da chi e da chee come e quando venga provocata.
Noinon possiamo dire precisamente in qual periodo della vita dellacontessa Clelia abbia incominciato codesta misteriosa virtùma pare che sia stato tra l'anno ventiquattresimo e ilventesimoquinto della sua età; nessuno però s'accorsedi questoperchè nessuno poteva sospettare che fosse unavirtù l'eccessiva acerbità ond'ella esprimevasiparlando sia cogli uomini sia colle donne. Un fatto solo notaronotuttie uomini e donne: ch'ella era cresciuta in beltà. S'erafatta più maestosa nel voltos'era arrotondata ne' contornidel corposoltanto negli occhi era diventata più seria. Delrestochi mai non potesse capacitarsi del come una donna possaessere più bella a venticinque anni che a diciottosappia chela contessa Clelia non aveva mai avuto figli; e che i parti e illatte guastano un bel corpo di donna più che i classici latinie i trattati d'astronomia. Quantunque però crescesse dimaestosa bellezza e di attraenti rotonditànon per questonessuno presumeva che la gioventù galante le si facessedappresso. Ella non era che ammirata quando non era temutaed eratemuta quando non era odiata; chè vi sono tali beltà aquesto mondosia maschili sia femminiliche raccolgono tanto menoquanto più hanno di perfezione nel loro aspetto. Sonoconquiste considerate al di sopra di ogni forza volgareepperòlasciate in disparte come imprese disperate; donne condannate tuttala vita a desiderare e ad essere desideratea tormentare e ad esseretormentate per finire i vecchi anni tra le reminiscenze di una gloriavanitosa senza felicità. Nessuno adunque dei bei giovani diMilano osava avvicinarsi alla contessaquantunque taluno de' piùaudaci sì fosse azzardato persino a dire all'amico: Che belladonna!! Nè è da credere che facesse paura il grave esuperbissimo suo marito ex colonnellotutt'altro: la paura nonveniva che dalla maestà soverchia della bellezza di leie daquelle parole piene di sapienza riposta ond'ella faceva ammutoliretutti quelli che le si avvicinavanoe dal sospetto ch'ella fosse piùsapiente ancora di quello ch'ell'era. Ma come potè adunque untenore?... Noi stavamo in aspettazione di questa domandaperòla soluzione del problema eccola qui.
Nelfamoso 18 brumajoBonaparteche pure era passato imperterritoattraverso alla flottiglia inglesefidente nel proprio destinopergiungere in tempo a Parigi onde recarsi in mano le redini di tutta lacosa pubblica; quando si trattò di abbattere il Consiglio de'cinquecentosi smarrì e parve minor di sè stessoenessuno de' suoi coraggiosi fautorinemmeno il fratello Lucianoavrebbe osato disperdere quel formidabile Consiglio. — Chi seppefar tanto? Colui che aveva men testa di tutticolui che ripeteva ilsuo coraggio dalla spavalderia militarescae affrontava il pericoloper non saperne misurar le conseguenze. Fu Muratchealla testa de'suoi granatieria bajonetta in cannaentrò nel Consiglioei membri dovettero discendere dalle finestre... con che le sorti diNapoleone furon fermate. I grandi fatti giovano a spiegare i piccolie viceversaperò la contessa Clelia che riusciva a' cavalierimilanesi più formidabile del Consiglio dei cinquecentononfece nessuna paura al tenore Amorevoliil quale anzi s'incalorìdelle difficoltàe fatto baldanzoso dalla lunga lista de'proprj amori fortunati e reso intraprendente dalle sopracciglia foltedella contessa che gli richiamavano le sue belle compatriotte diTrastevere (perchè il tenore Amorevoli era nato a Roma)fecequello che fece poi Muratmezzo secolo dopocol Consiglio deicinquecento.
Nelleserate musicali che si tenevano o nell'una o nell'altra delle casepatrizie di MilanoAmorevoli era pregatosupplicato a interveniread imbalsamar tutti quanti col suo dolcissimo canto. La contessaCleliacome di prammaticaera sempre intervenuta a quelle serateead onta dell'algebra che le faceva usbergo al cuoresi sentìpenetrare da quella vocenè fu la sola a subire quel fascino.Tutte le gentildonne leggiadre che si trovavan là a beverl'onda soaveavrebber battuto moneta falsa per quel fatal Romanoilquale le saltò via tutte e s'accostò alla sola contessaClelia. — Amorevoli non era uomo di sterminato ingegno —nessuno durerà fatica a crederlo; — non era troppo fortein letteratura — nemmen questo è improbabile; — anzibisognava si facesse ajutare per afferrar bene il concetto deiparagrafi de' contratti teatralie più ancora per comprenderealcune strofe dei libretti di Metastasio; ma l'arte di far all'amoreè appunto un'artee non una scienza; è in essa chel'istinto va innanzi a qualunque studioe l'istinto conosce le viesegrete e le percorre da padrone; d'altra parte Amorevoli non mancavad'una certa drittura naturalee quando parlavaparlava bene e conquell'accento là dei romaneschi...; lingua toscana in boccaromana... il proverbio è anticoe i proverbj sonola sapienza del genere umano... e la verità di quel proverbioriuscì fatale alla contessa... Infelice!!
Perfinoil gobbo Tacchinardigobbo e vecchiofece impazzir qualche donnacol veleno imbalsamato della sua voce: pensi or dunque ognuno chebrecce doveva aprire Amorevoligiovine di ventisei annibelloelegantecon certi occhi in cui la penetrazione pareva nuotare nellavoluttàcon una voce cheanche allora solo che parlavaeragià musicae con quegli accorgimenti del serpe flessuoso cheavvolge e stringe pur continuando a dispiegare la pompa della suavariopinta veste. Così la scienza fu investita dall'ignoranzae la matematica fu messa a giacere dalla melodia. — Il lettorenon può immaginarsi il dolore che noi ne proviamo.


V


Matornando ai fattiin quella notte in cui la contessa vegliavanonper amore della scienzasiccome parema per amore di qualche altrooggettoe in cui Amorevoli stava seduto su d'un sasso cui faceanospalliera foltissimi carpiniche a lui servivano e di paravento e diparaluna nel tempo stessodoveva succedere uno di quei contrattempiche e’ si direbbero espressamente concertati dalla perfidamalizia della fortunauno di que' contrattempi pe' quali si èconvenuto di dire che talvolta il vero non èverosimile. — Non era la prima volta che Amorevolisaltando pelmuro di cintarecavasi nel giardino di casa V... dopo mezzanotteovvero sia dopo finito il teatro; e non era la prima volta che lacontessaquando batteva un'ora all'orologio dell'Ospedale Maggiorediscendeva nella biblioteca situata al piano terreno del palazzolaqualeper un grande finestrone arcuatorispondeva al giardino;finestrone difeso da un'inferriata a modo di cancellotutta messa adoro e foggiata a ricchissimi rabeschi. — La contessastando didentrosentiva le proteste d'amore dell'infuocato Amorevoliilquale protestava inoltre contro quel cancello che non aveva maivoluto essere apertoe che serviva alla contessa e di parlatorio edi fortino. — Comedel restoe quando donna Clelia e il tenoredella stagione di carnevale siensi dati l'intesa per trovarsi a que'notturni abboccamenti è quello che non si sa. — Allorchèil destino iniquo ha stabilito che succeda quello che non dovrebbemai succedereoffre egli stesso le opportunitàconsiglia imezzitende le retisuggerisce le paroleè il Figaro piùscaltro e più disinvolto e più briccone di tuttitradue individui che cogli occhi si son detti quello a cui nonbasterebbero cento sonetti del Petrarca. — Quale adunque siastato il momento e quale il modo con cui que' due concertarono lamaniera per trovarsi insiemenon è ciò che piùimporta di sapere. — Ma il fatto sta che allorchè inquella notte di febbrajo suonò quella tal orala contessadiscesee Amorevoli si alzò dal sedile di sasso e si tolsed'intorno al volto il ferrajuoloe nell'esaltazione affrontòanche il chiaro di luna quando sentì aprir la vetriera; e cosìin meno d'un lampo fu làe nella suasebbene con renitenzaineffabilestette la morbida mano di donna Clelia; di donna Cleliacheignaradi tuttofuorchè di quello che è mennecessario alla donnae versando allora come attonita in un mondo disensazioni non mai esplorato prima da leiriusciva ingenua e quasistolidamente inespertacome una fanciulla quattordicennela qualesebben difesa dal senso arcano del pudorese non è vegliatada esperti custodiconcede improvvida le sue fragranze al primovento protervo che le soffi intorno. — Quella stima eccessiva disè stessa che aveale generato lo studio e la scienzaquell'orgoglio in cui era venutaforse perchè la suaintelligenzasviluppata da infinite curenon era però pernatura forte abbastanza da sostenere il peso della dottrinaquellaacerbezza dei modi e del linguaggioche era l'espressione e dell'unoe dell'altraerano scomparse. Ma ciò non solo con Amorevoli(sarebbe troppo facile a comprendersi)ma con tuttima colle donnedi sua conoscenzama co' gentiluominima con quelli che avea sempretrattati con dispregio e a cui per contraccambio ella era riuscitacosì disgustosa.
Chivolesse dar la spiegazione dell'acredine ond'era involuta l'indole diquella gentildonna nel tempo in cui non si pasceva che d'orgoglioscientificopotrebbe forse assegnarne la cagione a questoch'ellasebbene in confuso e senza nemmeno averne la coscienzasentivafieramente la mancanza di uno di quegli affetti che bastano a colmareun'esistenza; noi per esempio portiamo l'opinione che se essainquei sette anni di matrimonioavesse avuti una mezza dozzina difiglioliil corpo sarebbesi tanto quanto sciupatoma l'animosarebbesi nudrito dei più cari conforti dell'esistenza. —Fu perciò una vera disgraziach'ella per sentire com'èdolce la vita quando è dolceabbia dovuto porre il labbrosugli orli imbalsamati di un vaso che doveva poi esser pienod'assenzio. — La contessa e Amorevoli stavano da qualche tempoinfervorati in un dialogoche noi non riporteremo per quella ragioneche i dialoghi di due amanticome le poesie improvvisateperconservare il loro prestigiohanno bisogno di non essere trascritti.Possiamo però assicurare chechi fosse stato presente aquella notturna confabulazione senza conoscere gl'interlocutoriavrebbe detto che l'ingegno e l'acutezza e l'amabile scaltrezza el'eloquenza appartenevan in proprio a colui che si lasciava allegarei denti persin dalle strofe di Metastasio: e che invece la povertàdelle ideela mancanza di slanciola parola impacciatalatimidezza puerile erano di colei che pure aveva tanta confidenza conEulero e con d'Alembert. E purtroppo l'eloquenza del tenore Amorevoliera come un ferro tagliente che mira a squagliare una corazzamentrela timidezza e il turbamento di donna Clelia rendevano quelcombattimento oltre ogni dire ineguale. — Il cancello doratodella biblioteca stava fra loro due come una guardia di confinemasiccome la contessa ne aveva la chiave e dipendeva dalla sua volontàl'aprirlocosì non potremmo giurare quel che avrebbe fatto lasua timidezza se dal desiderio fosse stata convertita in coraggio. —In una parolaè probabile che sia stata necessaria unadisgrazia per soccorrere la virtù. — Amorevolicolla suavoce soave e colla sua facondia insidiatricetentava di metterlaall'ultime strettecon una argomentazione serratain cui i sofismicomparivano e scomparivano trasportati dalla velocità delleparolel'opposizione sempre più lenta e fiaccadell'avversario... quando di repente... s'udirono a non moltadistanza più voci che gridavano all'accorr'uomoaldàgli dàgli. — Davvero che se quello chestiamo per dire non avesse altro documento che la relazione orale esolitaria del nonagenario da cui raccogliemmo tanto cumulo di fattinoi non avremmo il coraggio di esporre un avvenimentochesiccomeabbiam dettonon parrebbe verosimile. Ma una difesa scritta nelsecolo passatoche reca la firma: I. C. C. Benedictus ComesAresius carceratorum protector... e una sentenza del Senato conmotivazioni profondeci fa vedere che quanto è realmenteavvenutonon può essere rivocato in dubbio. — Peròandiamo avanti coraggiosamenteanche perchèd'altra partese il fatto è stranoriuscì poi fecondo di conseguenzegravissime.


VI


Amorevoliper un movimento troppo spontaneobalzò indietro tre passi aquel dàgli dàgli risuonatoimprovvisamente nel silenzio della nottee s'inferrajuolòsino al viso per un altro movimento spontaneo; nè egli avevafinito di coprirsi la faccia movendosenza proposito determinatoinritiratache la contessa era già uscitaanzi fuggita dallabibliotecaper fermarsi affannata sui gradini della scala chemetteva alla sua stanza da lettocomprimendosi colla sinistra ilcuore che parea volesse scoppiarle. Chiunque attende a far cosa chese potessevorrebbe tener nascosta anche a sè medesimotremadello stormire non aspettato d'una foglia; figuriamoci poi d'unavoceanzi di più voci che squarcino l'aria intera in unmomento che tutto per consueto dev'essere silenziosoe che accusinola piena veglia di molte persone che avrebbero l'obbligo di dormireprofondamente. — Amorevolisgomentatos'accostava al muro dicinta e già stava per tentare il varco; chè le vocianzichè cessarefacevansi più vicinee con esseudivasi un rumore diffusocome di molte pedate che battesserol'ortaglia. Ma un uomoa pochi passi da luiin quel punto stessocolla velocità non avvertibile di un leprecoll'elasticitàdi un saltatore di cordabalzò oltre il muricciuolo; eAmorevolitrattenuto da quell'improvvisa comparsanon ebbe tempo diraccapezzar le ideeche si trovò d'improvviso fra moltiuomini che gli furono sopra afferrandolo pel mantello e gridandoAh... ci sei... è qui — l'abbiam côlto —non ci scappa più; — e in quella sorvenivanoaltri con lumi e con lampionistringendosi tutti d'intorno a luicherischiarato da quelle fiamme messegli al viso per riconoscerloapparve in tutto lo splendore del suo ricchissimo vestitocon granmeraviglia di coloro che gli si serravano a' fianchii quali tostoper la magica virtù di quella serica marsina e di quelle trinesfoggiate e delle catenelle e degli anellimutarono il cisei... nel chi siete e nel chi èlei? Ci fu un istante in cui nelle teste di quanti eranlà corse un pensier soloil pensiero che doveva essere unaltro l'oggetto delle loro ricerche; e questo pensiero apparve cosìchiaro all'esternoche un di loroil più vecchio di tuttiuscì con asprissima voce a ricacciarlo indietro:
—Ma cosa mai vi fa stupirebalordiche state lì acontemplarlo come se fosse un'eccellenza? Che cosa vi credete?... Èappunto questa catena e questa seta e questo bel gilè che civoleva per conoscere il selvatico... È l'uomo senz'altrocostui; vi sono i ladri cenciosi ed i ladri scialosi. Tutto dipendedalla qualità del furto.
Inquesta comparivano lumi a molte finestre del palazzo V... e lo stessoconte ex colonnello s'affacciòdegnandosi di parlare aquella gentementre i domestici erano già chiamati dalrumore.
—Che cosa è successo?
—Eccellenzaci perdonifu côlto questo signorevogliamo direquest'uomonella stanza dell'illustrissimo signor marchese F...morto stamattinacome V. S. illustrissima sa bene...
—Noche non fu côlto nella stanza...usciva un altro adinterrompere...
—Fuggiva quando noi ci siamo accorti del rumore.
—Bisogna dir le cose giuste.
—Perdoniillustrissimo signor conte... ma noi siamo accorsi quandol'uomo fuggiva....
—Ma nonon è così...
—Illustrissimo signor contedee sapere...
Maal signor conte illustrissimo scappò la pazienzae disse alcamerieregià disceso in giardino:
—Vieni su in camerae conduci con te uno di questi uomini.
Mentreil cameriere obbedivagridava uno dalla siepe che divideva ilgiardino di casa V.... dal giardino del marchese defunto:
—Qua tuttipresto.... che è venuto il signor tenente delPretorio.
Amorevolinon aveva mai parlato; nella sua testa era un tal cozzo di pensieriche gli pareva di sognaree solo volse lo sguardo alla finestradella stanza della contessaquando vide uscir molti lumi dallefinestre del palazzo; poi ripiegò il capo come sdegnoso divedere e di esser veduto. Bensìquando sentì nominarel'ufficiale del Pretorioprovò qualche cosa entro di sèche assomigliava ad un sollievo. Ma fu di breve durata; chè unpensiero crudo come la fitta di un coltello gli attraversò lamente.... il pensiero che l'unica giustificazione che gli rimanevaper togliersi da quel tristo impiccio non era adoperabile per nessunmodo. Egli aveva veduto fuggire un uomo; comprendeva che trattavasid'un qualche delittosebbene non sapesse immaginarsi quale; ma neltempo stesso pensava che si poteva fracassargli le ossa colla corda eil cavallettoma non strappargli di bocca il nome della contessa. Visono uominitutt'altro che esemplaripiù donne che uomini sesi bada alla mollezza del costumealle abitudini da cui son trattida condizioni speciali; ma chein certe contingenze della vitasison fatta una legge moralela quale nemmen sanno dove l'abbianoattintama che per loro è incontrovertibile. Una di questeleggi moralia cui Amorevoli obbediva con religione di scrupoloconquella religione onde taluni sono schiavi dei pregiudizji qualisono i padroni più despoti dell'uomoera quella di noncompromettere mai la donna colla quale aveva avuto od aveva tresched'amore. Potea essere debole in tutto; in questo era un eroe; non losgomentava per nulla l'idea della colpa; ma lo facea fremere soltantol'idea che altri potesse mettere in piazza il nome di una donnaamoreggiata. Quando dunque gli si affacciò alla mente ilpensieroche a palesare il motivo della sua venuta in quel giardinotutto si potea sventarelo respinse come una abbominevoletentazione.
—Avete sentito? — fu detto allora ad Amorevoli— venite connoi; suvvia prestoche cosa state pensando?
—Badate ai fatti vostrie statemi un tantino discosti... so far lastrada da mesenza essere sorretto. Spicciamoci.
Amorevolipronunciò queste parole in modoche a quella gente passòla voglia di dir altroe si avviarono.
Peruna callaja che era aperta nella siepe di divisione entrarono nelgiardino del marchese F... Sotto l'atrio del palazzo li attendeva iltenente del Pretorio con un barigelloun guardiano e un fantecomeallora venivano appellati.
Iltenente del Pretorio aveva sentita la storia particolareggiatadell'avvenuto da chi era stato a chiamarlo. Peròquando videAmorevoli: — È costui? — disse.
—Sìsignore.
—No — soggiunse Amorevoli imperterrito. L'uomo che cercate l'hovisto io a fuggire e a saltare il muro di cinta. Tant'è veroche questi uomini mi vennero addosso quand'io stavo di pièfermo.
Senz'essereavvezzo agli interrogatorj come l'uom del Pretorioa chicchessiapoteva riuscir ovvia la dimanda che gli fece infatti il tenente: —Ma voi che cosa stavate facendo là?
—Quest'è un altr'affaree il signor tenente ha ragione dichieder questo; ma io risponderò in Pretoriose vossignoriame lo permette. Intanto è bene che vossignoria sappia ch'iosono il tenore Amorevolial servizio di S. M. il Re di Spagnae cheoggi ho l'onore di cantare al Regio Ducal teatro di Corte.
A'tempi di Tramesanidi Crivellidi Rubiniin qualunquetrambustocostoro si fossero trovatibastava che si nominassero per esseretosto riconosciuti; e lo stesso accadde al tenore Amorevoliche videspuntare sulla faccia dell'ufficiale un sorriso di rispetto e dibonomia.
—Mi rincrescesignorequesto contrattempoma...
—Comanda il signor tenente — interruppe allora il barigello —che si salga nella camera che fu apertao da questo signore o da chiè fuggitoe làalla presenza di tutta questa gentesi stenda tosto la deposizione del fatto?
—Benissimo — rispose l'ufficiale che s'avviòpregando iltenore Amorevoli a seguirlo. Tutti in silenzio salirono lo scalonesfilarono per due o tre anticamereentrarono in un salotto dove erauna gran tavolasulla quale stavan fiaschi e bottiglietazze ebicchieriche attestavano come quella genteche avea vegliato acustodia della salma patriziaavesse passato la notte a tracannareil vino della cantina del quondam marchese. Da questo salottopassarono nella camera in cui giaceva sul lettoavvolto in unlenzuoloil corpo del defunto. Tutti dovettero entrar làcompreso Amorevoli che volea ritirarsi.
—Nosignore; si compiaccia di rimaneredisse il barigellopiùrisoluto e fiero e men musicale assai del tenente del Pretorio.
—Quello è dunque l'uscio che fu scassinato?
—Quellosì signore — risposero tutti ad una voce; e iltenente e il barigello s'affacciarono all'uscioe videro tra moltasuppellettileun rolò aperto.
—È questa la camera?
—Questa.
Eil tenente del Pretorio cogli altri retrocesse nel salottoe làfatte da un lato le bottiglie e le tazzestese la seguente succintarelazione del fattoche è quella che noi abbiam trovatoallegata agli atti del processoil quale diede a far tantoin primaal tribunale criminaledi poi per tanti annie iteratamente e alunghi intervallial foro civile.
«Oggigiorno 11 febbrajo dell'anno 1750alle ore otto italianechiamatidagli uomini che vegliavano in casa F.... per custodire il cadaveredel marchese A. F.morto la mattina del 10 correnteabbiamo trovatoaperto l'uscio della camera attigua a quella dove giaceva ilcadaveree di cui la chiave dal sullodato marchese F.per quantoasserisce un domestico della casaqui presentee per quanto èda verificarevenne consegnata un'ora prima della sua morte al moltoreverendo preposto di S. Nazaro. — Al qual prepostoperasserzione dello stesso domesticoe sempre come sarà averificareil marchese F... disse aver messe carte importanti nelrolò della sua camera da studioil qual rolòfu parimenti da noi trovato aperto. — Raccolte in seguito ledeposizioni concordi delle otto persone qui presentitre domesticidella casae cinque uomini di fuoririferiamo come costorocolpitida un rumore in un momento che cessavano di parlaree spaventatiperchè veniva dalla stanza del mortoaccorserocionulladimenoe videro in quella un uomo che usciva per l'uscio chestava a dritta del capezzale del letto. — Riferiamo inoltre cometutti si rimanessero prima spaventatitemendo non fosse il mortorisortoma che poi fattisi animoinseguirono l'uomo che era uscitoil quale pareva assai pratico della casa; perchè passando pergl'interni corridojgiunse a un mezzaninoe di là saltònel giardino... Che due lo inseguirono saltando pure di là....ma chesmarritolo al salto della siepe... trovarono poi nel giardinodi casa V... e presso il muro di cintauna persona col mantellocheoraalla nostra presenzadice di essere il signor Angelo Amorevolicantante di camera di S. M. il Re di Spagnae primo tenorenell'attuale stagione al Regio Ducale teatro di Corte; il quale peròprotesta di non essere lui altrimenti l'uomo fuggitoed aggiunge diaver visto invece egli stesso a fuggire uno.


«F. Baldinitenente del Pretorio. — F. Rò
barigello.— G. Cialdellaguardiano».


Stesaquesta relazioneil tenente si alzò e disse agli uomini dicasa F...: — Voi tutti domani sarete chiamati al Pretorioenessuno esca dalla città sotto pena d'arresto. In quanto avoisignor Amorevoliquando pure sia vero quanto asseritebisognache veniate a passare una notte al Pretorio... Domani... si faràquel che si farà...
Amorevolinon disse una parola.
Quandotutti furono al portone del palazzotrovarono una frotta di gentechesebbene ad ora tardadalle osterie vicineera accorsa alrumore e alla vista delle guardie. — Tra quella frotta c'eraZampinoil servo del palco scenicoche riconobbe Amorevolied ebbeil coraggio di gridare:
—Che cos'è? che cos'è stato? che diavolo èsuccesso? Ma signor Amorevoli.... Ma loro signori non sanno che èil primo tenore del teatro Ducale? È uno sbaglionon puòessere che uno sbaglio.
—TaciZampinoe va' a casa — gli disse Amorevoli.
Mail tenente gli si rivolsee sentito chi era desso:
—Giacchè sei quisoggiunsela tua presenza può essereopportuna... e vieni con noi anche tu.
—Dove?
—Al Pretorio.
—In prigione?
—Sta' quetoZampino.
—Ma che diamine ha fattosignor Amorevoliin quel poco tempo ch'iostava mangiando il mio boccone all'osteria!... e quasi piangendo loseguì.
Edin breve furon tutti al palazzo del Pretorio.


VII


Ilgiorno dopoa quell'ora in cui si può giurare che tutto ilmondo è svegliatoad eccezione degli ammalati che hanno presola decozione di morfinadei giuocatori che nella notte hanno volutoad ogni costo inseguir la fortuna che li fuggivae di altre centoeccezioni; in quell'orache a buoni conti noi la poniamo due o trequarti d'ora dopo mezzodìchi si fosse preso il diletto dipercorrere la città di Milano in cabrioletfacendo sosta allebotteghe di cioccolatteria e di bottiglieriae aquelle per la vendita del tabacco; in piazza del Duomoin pescheriain piazza dei Mercanti; o fermandosi presso i libraj Agnelli e Mottae Bianchi e Galeazziin Santa Margheritadove facean cerchiomaestriaccademiciletteratipretigiureconsulti; o presso glispeziali Rapazzini nei Tre Ree Archinti in piazza del DuomoeOmodei a porta Romanadove s'adunavano i medici e i chirurghi piùriputati della città; o nelle sale degli AccademiciTrasformati in casa Imbonatisulla piazza di San Fedeleo nellostudio di pittura del Londoniogiovane allora di 22 anniche giàraccoglieva d'intorno a sè i capi più strani e pazzi eavventati della città; o sotto il Coperchio de' Figini nellebotteghe di modefrequentate dalle più eleganti dame; o nelsalon di qualche maravigliosaper esempiodellacontessa Marlianila regina dello spirito e della maldicenza; o inquello della contessa Clelia Borromeo del Grillocalamita deinumerati patrizj dediti agli studje degli abati poetanti e deimaestri di spinetta; ovvero nella bottega del parrucchiere Blanchynato Giuseppe Bianchi in Cordusioma che avea cangiato nome dopo ilsuo viaggio a Parigidonde avea importato nella nostra bella patriaper la prima volta quel tal puff a capitello che era lo spasimo dellenostre dame; nella qual bottega non sdegnavano di soffermarsi i piùsfoggiati cicisbei o per farsi raccomodare un riccioo rimettere unneo cadutoo rimpastare un po' di biacca e belletto...; se qualcunoadunque si fosse preso il diletto di scorrazzare in lungo e in largoper la città a far raccolta dei discorsi che si tenevano inquei tanti centri di buontemponon avrebbe sentito che un discorsosolocome se fosse una parola d'ordine passata dal quartier generaleai soldati del campo; non avrebbe sentito che un nome soloquellodel tenore Amorevoli; e del suo arresto e del sospetto delle cartetrafugatee del prevosto di S. Nazaro. — Codesto tema poigenerale e costantesi sparpagliava in mille ramificazioni; chinarrava la vita del tenore; chi quella del defunto marchese; chi sifermava al giardino di casa V...chi voleva perder la testa aindovinare il motivo per cui il tenore avea potuto trovarsi là;chi passava in rivista tutte le cameriere e le fantesche di casaV...perchè i tenoridiceva un talehanno pur troppo de'gusti plebei; chi tutte le donne del vicinato che per caso avesseroqualche poggiolo o finestra o mezzano a cui si potesse ascendere dalgiardino; giacchè nessunoletteralmente nessunonemmeno perun istante fuggitivopotè credere che Amorevoli fosse l'uomofuggito dalla casa F... e avesse dovuto aver interesse a entrar nellostudio del defunto marchesechè in ciò non v'eraprobabilità di sortae conveniva esser pazzi a supporlo.
Nellacioccolatteria e caffetteria del Grecoin piazza del Duomoil qualecento anni fa era il caffè arcavolo degli odiernidell'Europadel Covadel Martini dovetraeva tutta la gioventù più galante e più pazzae più sfaccendata di Milanoverso le ore due dopo mezzodìsembrava quasi che vi si tenesse un'adunanza solenne. Mezza dozzinadi giovani sedevano là intorno ad un gran braciere; uno tenevala palettae pareva colui cheper diritto di eloquenzadesse l'avviamento a' discorsi; intorno a quella mezza dozzinachepotea passare per il direttoriostavan raccolte da trenta o quarantapersonele quali or crescevano ed or scemavanoa seconda di chiandava e veniva; l'attenzione però era profonda.
—Voi dite — così parlava quel della palettache èimprobabile che il tenore Amorevoli siasi introdotto nella stanza delmorto per rubar carte importanti; e chi non lo dice e non lo crede?bisognerebbe essere un gran mellone solo a sospettarlo. Macarimieimi rincresce a dirveloaltro è che una cosa siainverosimilealtro è che non possa essere possibile. —Chi sa tener dietro alla possibilità... essa è un maresenza fine e senza fondo... e la legge non può pescare in quelmaree i giudici del Pretorio e quelli del tribunale e il collegiodei giureconsulti potranno tenersi le loro convinzioni in pettoebasta lì; ma se non vien fuori l'uomo che davvero ha fatto ilcolpochi si trovò al suo postosuo danno.
—Ma che interesse volete voi che potesse avere il tenore?
—Ma chi parla ora dell'interesse? cosa c'entra l'interesse? Sequalcuno avesse tirato una schioppettata al tenoreperchè iltenore per combinazione venne a trovarsi al posto del birbonefuggitoche cosa valeva il dire — egli era innocente? — Loso anch'io. Ma fu ucciso perchè il maledetto accidente havoluto così... Or fate conto che tal sia della legge: essatira su chi si trova in mal puntoe a chi è toccata ètoccata.
—Basterebbe poia mio rimesso parereche il tenore dicesse il motivoper cui trovavasi là...
—Ora parlate bene; a tal patto la cosa cambia di aspetto...
—Un motivo qualunque...
—Un motivo qualunque no... la giustizia è inesorabile; essa èun ragioniere che tien conto anche dell'ultimo quattrinoe se lasomma non riesceil bilancio non si può fare. — Civuolecaro mioun motivo che possa essere provato come due e duequattro; ea quel che ho sentito da uno scrivano del Pretorio...sapete cos'ha risposto il tenore al primo interrogatorio del giudice?
—Che cosa ha risposto?
—Una assurdissima bestialità. Ma già si sa quel che puòuscire dalla bocca di un tenore...; ha rispostose lo scrivano nonha detto una sciocchezzaperchè anche questi scrivani.... harisposto che nessuno poteva nè può impedirgli dellebizzarrie innocenti; che però gli era venuta vogliapasseggiando in quelle parti là dopo il teatroe vedendo quelbel giardino e quel gran palazzoe giacchè faceva anche ilpiù bel chiaro di luna che maigli era venutacome dicevola voglia di saltar dentro a far una passeggiata...
—E che cos'ha risposto il giudice?
—Questo non si sa. Ma se il giudice è quell'uomo acuto chetutti conosciamogli dee aver detto: — Siete stato disgraziatoa passeggiare in giardinoin un momento che si andava in cerca di unladro... Ora il ladro siete voise non avete qualcosa di meglio dadire al giudice.
—Ebbenesarà come voi dite... osservava un altroe ad uscired'impiccio dovrà pensarci il tenore; ma ora vorrei scioglierel'altro gruppo del nodo. — Che diamine ci poteva essere di cosìimportante tra le carte del marchese?... se ognuno saalmeno lo sidiceva da gran tempoche l'erede universale di tutte le sue sostanzeera suo fratelloil conte Lodovico?...
—Io non so nulla nè del marchese nè del conteeccettoche il primo fu un gran libertino a' suoi giovani annie il secondoè crocese il primo fu lettera. Il conte non èniente di più che un uomo posatomisuratotiratoche stacon quattro cavalli mentre potrebbe averne dodiciperchè s'èfitto in capo che suo figlioil contino Albericoche ha tuttal'aria di voler assomigliare allo ziopossa mettere col tempo laprima casa in Milanoe metter sotto casa Litta e casa Borromea; chebel matto!...
—Jeri è partito per la campagna.
—Tanto per nascondere nella solitudine campestre la gioja che gli deveesser derivata dal dolore provato in città sentendo i tocchidell'agonia suonati per il caro fratelloche Dio l'abbia ingloria...
Ecostui avrebbe continuato per un pezzo a tagliare i panni e al vivo eal morto; chè era di quelli alla cui parlantina velocissimaconviene di tanto in tanto metter la scarpase può passarl'espressioneper dar qualche riposo agli orecchi degli ascoltatorie lena ai volonterosi di contraddire; ma per fortuna s'aprìl'invetriata della bottegae comparve un compagnone della brigatail quale a quei trenta o quaranta che voltarono le faccie a luifeceun paio d'occhi pieni di significazionee gridò:
—Amiciuna grande scoperta!!
—Che? Cos'è stato?
—Chi di voi sa dove alloggia la Gaudenzi?
—Nella contrada dei Moronichi non lo sa? l'abbiamo accompagnata acasa tante volte dopo il teatro fra i battimani e gli evviva...
—Questo va bene. Ma se nessuno sa che la finestra della sua camerettadove riposa il suo bel corpoguarda nel giardino vicino al giardinodove fu colto Amorevolilo so io e l'ho scoperto io... e lo dico avoi tutti.
Quandoa Newton nel pomo caduto balenò l'idea della gravitazioneuniversalequando Galileo nel Duomo di Pisa fu colpitodall'oscillazione della lampadaquando Volta nelle piastrelle dizinco alternate al cartone inzuppato d'acqua salata afferrò ilprodigio delle perpetue correnti elettrichequando... tutti coloroin una parolache fecero qualche gran scopertanon provaronosoddisfazione maggiore di quella a cui si esaltarono que' trenta oquaranta al fiat lux del nome della Gaudenzi e della finestrae del giardino...
—Or ecco sciolto il maledetto enigma.
—La è chiara come il sole.
—Non ci può esser dubbio.
—Ma tucome hai fatto a sapere?
—Vi basti che l'ho saputo... e se non mi credeteandate a verificarevoi stessi.
—Però bisogna confessare che il tenore è un bravogiovane...
—Ma certo che è un bravo giovane.
—Mi rincresce per la Gaudenzi che ho sempre tenuta per la fenice delsuo ceto... Ma vada; allorchè da una scappata si sviluppa unabell'azione... è sempre una cosa che fa piacere... BravoAmorevoli! così va fatto. Giàquando nel canto uno satrasfondere tutta quella dolcezza e quell'affetto e quellapassione... bisogna bene che nel cuore ci sia del buono... non sisbaglia... Oh quanti di questi cavalieriche portano spadaavrebbero gridato là sfacciatamente in Pretorio il nome dellacara beltàpel crepacuore di non poter dormire a proprioletto... Oh sepolcri... Oh apparenze!!
Machi parlavaa queste parole si fermòperchè la suaattenzionecome quella degli altrisi volse al carrozzone delgiudiceche in quel punto attraversava la piazza del Duomo.
Lasciandoora dunque i giovinotti del caffè del Grecoe tenendo dietroal giudice del Pretoriodobbiam dire chesottopostoall'interrogatorio di praticail tenore Amorevoliil quale davveroaveva risposto quanto fu già riferito nel caffè delGreco; sottoposti pure all'interrogatorio gli uomini di casa F...dietro quanto risultava dalla deposizione del tenente Baldini; ilsignor don Antonio De Capitani di Arzagochè tale era ilnome del giudicegiovane d'annima di matura e soda intelligenzapensò bene di recarsi egli stesso a visitare il preposto di S.Nazaroanzichè citarlo a comparire in Pretorioper rispettoalle qualità venerabili di quel degno sacerdote. Smontato allacanonicasi fece annunciaree il pio e umile prete discese eglistesso a riceverlo.
—So già per qual ragione ella s'incomoda a venir da me... —disse il preposto. — Era anzi mia intenzione di venire da leifra poco.
Ecosìprecedendo il signor giudicelo fece entrare in unsalottodove sedettero ambidue.
—Ella dunquesignor prepostosa perchè son qui... La cosa èseria più che non si creda...
—Lo so.
—Ora abbia la bontà di dirmifin dove però glielopermette il suo ministeroin che rapporti ella si trovò colmarchese defunto...
—Non le tacerò cosa nessuna; ella sa quale fu il tenore di vitadi quel benedetto uomo...
—Lo so.
—Or benesette anni sonoda una povera giovineche ebbe ladisgrazia di capitare nelle sue maniebbe un figliuolo...
—Qualcosa ne sapeva...
—Dopo le prime smanieogni affettocome semprevenne a sbollire inquell'uomo volubilissimo; e dato un pugno d'oro a quella poverettasi dimenticò presto e di lei e del fanciullo...
—Siam sempre a queste...
—Quella sciagurata veniva spesso a piangere da me... e a pregarmiperchè pregassi il marchese... Non le so dire quanto mipesasse il recarmi da colui... Spesso... troppo spesso... la dignitàdell'uomonon che quella del sacerdoteveniva offesa. Ma appuntocodesti insultiche per gli altri è una virtù ilrespingereper noi è un merito il sopportare. Insieme collebrusche parole veniva però sempre qualche pezzo d'oroond'iotornavo all'assalto ogni qualvolta la poveretta veniva da me perbisogno. Se non che l'uomo venne a star male un anno fa... unamalattia di generale disfacimento... Allora una fiera tristezza glientrò nell'animoe con quella una arrendevolezza insolita.Dietro le mie preghierevolle vedere quella sciagurata e ilfanciullo; e un giorno più dell'altro lavorando su quell'animoammollitoottenni quel che era nelle vie della giustizia; almeno iovissi nella speranza d'averlo ottenuto. Lo consigliai a nominareerede universale il figlio suochiamandolo all'onore del mondoe adistruggere il testamento fatto primapel quale l'erede universaledoveva essere il suo fratello conte Lodovicouna degna e bravapersonaper veritàma ricca a sufficienza; del rimanente nonaveva dimenticato nemmeno lui... Mi pregò gli facessi venireun notajo... gli ho mandato il giovane dottor Macchiil quale vegliòalla stesa del testamento olografo... perchè quell'uomo nonsapea nulla di nulla. Io seppi dal dottore che quel testamentoinfatti era stato scritto dal proprio pugno del marchesee firmatoe così messo tra altre carte. La cosa rimase segreta tra meil dottore ed il marcheseil quale però soltanto due oreprima di morire: «Do a voimi dissela chiave del mio studio.Là dentro nello scrigno c'è quello che voi avete volutoche si facesse.» Ecco tutto. Del resto io non ho veduto nulla.
—Qui c'è una mano esperta che trafugò il testamentosoggiunse il giudicedopo un momento di pausa. Ma il mare dellecongetture è troppo vasto per scoprirvi il filose non vienfuori l'uomo. D'altra parte il conte Lodovico...
—Partì due ore prima della morte del fratello... egli e suofiglio.
—Per questa parte adunque non c'è a far nulla.
—E poitorno a ripetereil conte è un uomo irreprensibile...
Dopoqueste parole vi furono alcuni istanti di silenziotrascorsi iqualiil parroco:
—Sarebbe bene — uscì a dire — che V. S. illustrissimaparlasse col notajo Macchi... Egli ha letto la scritta del marchesedopo averla dettata... chi sa che il notajo non sappia qualcosa dipiù?
Ilgiudice si alzò e: — Non voglio perder tempo —soggiunse: sull'istante vado dal dottor Macchi...
—Egli sta in borgo delle Grazie.
—Lo so.
Cosìdicendoil giudice si partì dalla casa del preposto di S.Nazaroe quando lo salutò:
—Mi scuseràreverendo signor prepostosoggiunsese per levolute formalità sarò costretto a sentirla anche inPretorio. — Risalì poi in carrozza per recarsi difilatoalla casa del dottor Macchi.
Maquando fu nella viapensò che era più convenientemandarlo a chiamareche andarlo a visitareperchè questapoteva essere una deviazione dalle leggi d'ufficiosoltantocompatibilein via straordinariacon un reverendo preposto. Giuntocosì al Pretoriomandò infatti a prendere in carrozzail notajoil quale non si fece aspettaree ripetè press'apoco le parole del preposto di S. Nazarosenz'altra aggiunta chequesta:
—Del restoillustrissimo signor giudicese io ho dettato iltestamentoe se il marchese lo ha tutto trascritto di suo pugnociònon vuol dire che dopo non l'abbia anche lacerato... perchègià ella sa che il suo costume fu sempre di disfare oggiquello che aveva fatto jeri... onde il trafugamento può forseessere stato un delitto inutile.
—Ma a che propositoosservò allora il giudice al notajoellami dice questo?
—A nessun proposito. Bensì è mia opinione che se mai iprotettori del fanciullo volessero muover lite al fratello delmarchesedi che ho sentito a toccare un tastose il secondotestamento non salta fuoriognuno potrà pensare quel chevuole; ma l'erede è il signor conte di pieno diritto.
Ilgiudice non replicò nullae licenziò il notajo.
Alcunimomenti dopo entrò un usciere ad annunciare all'illustrissimosignor giudice una visita dei cavalieri ispettori del palco scenicodel teatro Ducale.
—So di che si trattadisse fra sè il giudice— e li fecevenire avanti.
Icavalieri ispettori del teatro Ducale erano venuti a domandareformalmente al giudice il permesso che il tenore Amorevoli potessecantar la sera al teatrodimostrando che col pubblico s'eracontratto l'impegno e col pubblico non si scherzava; e chedelrestocome il signor giudice avrebbe ingiuntosi sarebbe seguita lapratica di riconsegnarlo alla giustiziatutte le seredopo finitala recita.
Ilgiudice risposechenon solo non aveva nessuna difficoltà aconceder questoma che anzi era suo debito di fare in modo che ilpubblico si dovesse soddisfare pienamente; che però tuttodipendeva dallo stato di salute del tenorecui mandò infattia riferire la visita e il desiderio degli ispettori cavalieri. Dopoalcuni momenticon loro maraviglia e soddisfazioneAmorevoli mandòa dire che era assai ben disposto a cantar la sera.
Malasciando ora il Pretorio e il giudicevorremmo sapere che cosa fa eche cosa aveva fatto donna Cleliadalle due ore dopo mezzanotte aquell'ora in cui gli ispettori del palco scenico partirono per dargli ordini opportunionde il pubblico fosse avvisato che la sera iltenore Amorevoli avrebbe cantato.
L'infelicein quella giornatapur troppoaveva dovuto recarsi a far visita aduna dama sua conoscente; e ognuno può immaginarsi quel ch'ellaabbia provato udendo i tanti discorsi che si fecero intornoall'avvenimento della notte. E dovette trattenersi colà tantotempoquanto potè bastare per sentire anche la scopertarelativa alla finestra della stanza della Gaudenzi; poichè dalcaffè del Greco quella notizia si diffuse repentinamente pertutta la cittàanche senza il telegrafo elettrico. Al qualproposito è ad osservare che mentre elladonna Clelia e nonla Gaudenziavrebbe voluto giacer mille braccia sotterrapiuttostoche trovarsi in punto che venisse conosciuta la parte che ella avevaavuto in quel fatto misterioso; purein fondo al suo cuore eradeposto un cruccio inavvertito anche a lei; il cruccioil dispettoperchè nessuno avesse mai sospettato che il tenore Amorevolifosse venuto nel giardino per amor suo. L'essere amati da personaamatissima aggiunge un tale orgoglio al cuore in sussultocheadonta di qualunque pericoloesso vorrebbeall'ultimofar noto atutto il mondo il trionfo del suo amor proprio. Malo ripetiamoquesto sentimento giaceva recondito e dissimulato da altre pressurenel fondo del cuore di quella donnae ad ogni sguardo cheinnocentemente veniva a fermarsi su di essamentre il discorsopercuoteva quel tastoella gelava e ardeva di confusione e dispavento; e solosolo allora che sentì nominare la Gaudenziquasi fu per tradirsi; così forte tentazione la prese digridare: No non è lei! Ma le fitte piùcrude le ebbe a subir la seraquando coll'orgoglioso conteex colonnellosuo maritodovette recarsi in teatro adassistere all'opera.
Ilfatto della nottel'arresto dell’Amorevolile mille dicerieil silenzio generoso ond'esso avea reso sempre più difficilela propria posizionela credenza ormai fatta generale degli amori dilui colla bellissima Gaudenzimisero in tutta la popolazione una talvoglia di andare in teatrochela serai soldati del corpo diguardia dovettero accorrere per stornare gravissimi disordini.Nessuno poi saprebbe immaginarsi gli applausi prodigati in quellanotte dal pubblico a colui ch'egli chiamava il re del canto;indescrivibili furono le pazzie che si fecero per testimoniargli launiversale simpatiae per significare la disapprovazione universalealla lettera cruda della legge e al codice delle manette; equanto fu strepitoso il trionfo del tenore arcangelico (perchèl'aggettivo arcangelico fu trovato la prima volta pel tenoreAmorevolie non per Morianicome crede il volgo)altrettanto fuquello della danzatrice olimpica. — Amorevoli e Gaudenzifurono i due nomi echeggiati tutta la serasenza riposocon tuttal'aria che può mettere nelle sue canne la gran gola delpubblico; tanto parea ammirabile il connubio di quelle due belle egiovani persone! tanto sembrò perfetta quell'armonia delladanza e del canto!
Mase l'infelice donna Clelia dall'alto del suo palchetto facea sanguenel suo segretoaltrial cui orecchio eran pur giunte tutte ledicerie del pubblicofremeva in più basso scannoed era ilprimo violino di spallail qualenella sua potenzaa tuttinascostadall'umiltà del suo postoera destinato a gettarfuoco e fiamme nella polveriera di questo dramma. Ma non ètempo ancora ch'ei si faccia innanzi.


VIII


L'amoreè il sole dell'anima ha detto e stampato VittoreHugoquando non contava che vent'anniossia quando nemmeno gliuomini di genio hanno potuto ottenere dall'esperienza il permesso eil diritto di parlar dell'amorenè di nessuno degli altrienti morali che costituiscono l'infesta e crudele famiglia dell'umanepassioni; Vittore Hugo s'attenne poi al metodo più sicuro perdefinire una cosa a rovescioquella di non guardarla che da un lato.— S'egli in quel punto si fosse limitato a descrivere lafelicitàcerto vi sarebbe riuscito; chè egli amavaallorariamatoquella virtuosa e leggiadra fanciullache poi sposòcoll'assenso de' superioricolla benedizione dei parenticon tuttii più felici augurj degli amicicolla contentezza dellaFranciache preconizzò altissime sorti al suo giovine poetail quale si assestava nella vita con tutto il suo agiostornando persemprecoll'applicazione di un matrimonio precocequelle ferociambascie del cuore che troppo spesso hanno la compiacenza persin disfiancare i più robusti intelletti. Così il primo poetadella Francia fece coll'amore la cura dell'amoreeavendolo inisbaglio preso per il solelo curava intanto al pari di unamalattiainnestandoselo come il vajuolo. L'amore è unamalattia; una delle più terribili malattie del genere umanoin quanto i nove decimi degli uomini ne devono essere flagellatialmeno una volta nella vita. Se non è oggisaràdomanima verrà il tuo giorno anche per teo gaudentebevitore di wermuth. Felici noi soltantochegrazie al cielo non siam più di primo pelo echeavendolo subìto a' nostri giovinetti anni colla sequeladi non so quante ricaduteoraal pari di Renzopossiam diguazzarciin mezzo al flagellosicurissimi d'andarne illesi. Ma chi fosseinnamorato della definizione di Hugo e sospettasse il paradosso nellenostre parolea persuadersi rifletta questo fattoche di tantecentinaja di migliaja di suicidj onde l'umanità fu contristatada Adamo in poidi due terzi buonamente ne fu cagione l'amore; acompire l'altro terzopare abbia contribuito la confraternita deidebitori.
Allorchèla favola inventò la camicia avvelenata di Nesso che arse leimmani membra del semidio Ercolecôlto all'impensataseppeben ella cosa faceva; ma in Fedrain Medeain Didonenella Saffoe a voler saltare più di due mila anniin Gaspara Stampa e inProperzia de' Rossi che consolazione e qual sole sia l'amoreognuno lo può vedereperchè l'amorese non trovacontrastisi spegne o si trasmuta in un'infiammazione benigna chenon intacca l'appetito e non infesta le digestioni e allora non èamore; e quando sia tale veramentesi crea i contrasti da per sèquantunque non ci provveda la perfida fortuna; inventa fantasmi elarve e sospetti e affannie si confedera alla gelosia; ed èallora che esso entra nel suo pieno stadionel suo piùcompleto sviluppoche assume le sue virtù piùmicidialiche fa scomparire il color vivo delle frontiche emungele guancieche turba il numero delle battute del polsoche toglieil sonnoche sfila e sfianca anche le vite meglio costrutte dallarigogliosa natura. O giovinettio giovinetteo donneo uominicheversate in qualche periglio amorosoo voi tutti adunque che miascoltatese mai il quadretto che v'ho delineato fosse atto aprodurre alcun effettofate buon pro dell'avvisoe ringraziatemi; echiudete i vostri cuori in frettacome quando si chiudono lepersiane al comparir dell'uragano.
Cosìfossimo vissuti al tempo di donna Clelia e fossimo stati suoi amicie avesse ella potuto bere il contravveleno di queste poche righe! mapur tropponon siamo nati in tempoe l'uragano scoppiòe ilsuo cuorerimasto apertone fu messo sossoprae terribile uscìil malanno; perchè potrebbe darsi benissimo che qualchetestolina leggiera ne avesse a riderema noi non ridiamo: tantoquella donna era diventata infelicechè l'amore esaltatodalle furie della gelosiaera penetrato nel cuor suo per siffattomodoche ben poteva esser definito un tétanomorale.
Inquella notte del trionfo d'Amorevoli e della Gaudenziprevedutonesiamo quasi certidal primoe per nulla aspettato dalla seconda;tanto chenon sapendo darsene una spiegazione a sè stessanerichiesepiena di meraviglialo stesso tenore che non le seppe dirnulla (poichè se arrivava a comprendere il motivo per cui egliera stato così festosamente accolto dal pubbliconon riuscivaa capacitarsi perchè anche la Gaudenzi dovesse avere unaporzione di quegli applausi prodigati in via straordinaria); inquella notte adunque la falsa diceria degli amori della ballerina coltenoreaperse a tutta prima una profonda ferita nel cuore di donnaClelia; chè la gelosiastranamente immaginosa nell'inventarsospettianche allora che nessun fatto vi dà argomentoavevatrovato in quelle voci il naturale suo pascolo; pur tuttaviaper larelazione spontanea della stessa passione ajutata dal desiderioapoco a poco si lasciò persuadere dagli interni ragionamenti acreder false tutte quelle vocie si veniva così rassicurandoe quasi consolando; chè l'idea del gravissimo pericolo in cuiella si trovava in faccia al maritoe in cui si trovava la sua famain faccia al mondose il vero si fosse scopertodopo il primospaventoerasi quasi del tutto dileguata; tanto l'amore èimperterrito. Ma la sventura volle che un cavalieredi quelli che inteatro esercitano l'officio di gazzettino orale eraccolta unanotizietta alla portala sparpagliano di palchetto in palchetto colcinguettio d'una cutrettolavolle dunque la sventura che coluientrasse da leipresente il conte ex colonnelloa raccontarleche il Pretorio in quella sera stessa aveva mandato d'ufficio uninvito cortese alla Gaudenziaffinchè per il giornosusseguente dopo mezzodì volesse aver la compiacenza direcarsi nelle sale della giudicatura per essere sentita intorno ad unfatto in cui essa poteva avere qualche parte. Tale notizia era lapura veritàpoichè il giudiceal cui orecchio dopomolti giri e rigiri capitò pure la fama di quei pretesi amoridella Gaudenzi con Amorevolisospettando nella delicatezza generosadel secondo il motivo del suo silenziopensò che sarebbestato forse più facile cavar la confessione sincera dallabocca della Gaudenzie così poter mandar libero e assolto dauna imputazione gravissima un uomoche in faccia al mondo era fuorid'ogni dubbio innocentema non lo poteva essere in faccia allalegge.
Maquella notizia tornò a suscitar la tempesta nel cuore di donnaCleliache già erasi venuta tranquillando; e le si fisse inpettorelativamente agli amori di Amorevoli colla Gaudenzicontutti i caratteri della certezzadi quel genere di certezza cheproduce la desolazione. Il conte marito e il cavaliere s'accorsero diun certo trasmutamento nel volto di leionde ad una voce ledomandarono s'ella si sentiva malesenza però insistere ditroppotanto erano lungi dal vero. Ma il ballo e l'opera finironoil sipario calòil lacchè entrò nel palchettoil conte e la contessa scesero nell'atriosalirono nel carrozzoneein breveridottisi a casail conte spagnolescamente accompagnòla contessa alle soglie del suo appartamentoed eglicome consuetoritirossi nel proprio. — Or che notte fu quella per la contessaClelia! che irrequietudineche affanno! Coloro che in questo puntostanno comprimendosi le mascelle per uno spasmodico dolor di denti;quelli che all'inattesa notizia di un grosso fallimento guardanospaventati al totale rovescio dei proprj affari; quelli che sisentono annunciare dal medico che bisogna risolversi all'amputazionedi una gambahan tutto il diritto di dire che la contessa avea buontempoe che bisognava aver smarrita la ragione onde pigliarsi tantoaffanno per l'infedeltà di un tenore. — E il medesimoquasi diciam anche noiche non abbiamo nè dolorinègambe in pericolonè fallimenti... Ma non per nulla abbiamdetto che l'amore è una malattiae che la mente cessa diessere sana quand'è investita dai suoi roventi pensieri. —D'altra parte quell'affanno veniva accresciuto alla contessa dal nonavere a chi confidarlo. Un malesoltanto a raccontarlo altruiscemadella sua intensità. Ma la contessa non aveva amichenon neebbe mai: e ciò non tanto per la sua indole naturalmentealteraquanto perchècresciuta tra l'invidia astiosa dellesue pariche non poteano sopportare la superiorità del suoingegno e il prodigio della sua dottrinasi era venutaa cosìdireguastando il sangue in quella necessità continua dirender disprezzo per invidia. Ma qualcosa conveniva pur farepensavala contessa nella veglia angosciosa di quella notte; ma se Amorevoliera stato arrestatoqualunque fossero le sue relazioni collaGaudenziera pur stato côlto in un momento (e tal pensiero labeatificava) in cui stava intrattenendosi seco in affettuosi e caldiparlari; ma se Amorevoli si mostrò così generoso atacere il suo nomeella non doveva permettereserbando un vilesilenzioche quell'uomo avesse a subire tutte le conseguenze d'unaimputazione infame. Nella stretta di tali pensierie nel bisogno chepiù e più sentiva di confidarsi a qualcunosi ricordòd'una donna; di una matrona milanesecolla quale erasi trovata duesole volte a parlare in tutta la sua vita maritale; d'una donna che aMilano era l'oggetto dell'amoredell'ammirazionedella venerazioneuniversalee dal cui colloquio anch'ella aveva raccolto un grandeconforto; così grande che aveva potuto comprendere per laprima volta com'è soave l'amicizia d'una donnaquando questaabbia tutte le virtù che le son propriesenza le suedebolezze. — Sapeva inoltre che coleiquasi per una professionedella vitaera stata ed era pur sempre mediatrice pietosaeccitatrice imperterrita di buone operebenefattrice instancabilein molte gravissime contingenze in cui altri erasi trovato. Risolsepertanto di recarsi da quella signora. — Questa si chiamavadonna Paola Pietra; severa come la vetusta Corneliaincontinuo lutto vedovileandava essa educando severamente due suoifigliuoli.
Leavventure di costeifuori affatto di ogni ordine comunelacostanzala virtùi sacrifizjil coraggio che ebbe amostrare in una condizione di vita specialissima... tutto ciòaveva diffuso la sua fama per tutta l'Italia ed anche per l'Europa;chègià claustrale professa nel convento di SantaRadegondane era fuggita per adempiere il voto fatto in segreto aDiodi far cancellare da più alta autorità gli effettid'una violenza che si era voluto farlespingendola renitente ai votimonastici.
Intornoa questa donna Paola Pietrasta manoscritta una relazione in unaserie di motti volumi miscellanei raccolti da un padre Benvenuto diSant'Ambrogio ad Nemus di Milanoed esistenti nella biblioteca diBrera.
Ilmonaco suddetto comincia dal premettere al suocome egli stesso lochiama — «Succinto rapporto degli avvenimenti dellasignora donna Paola Pietrauscita dal monastero di Santa Radegondadi Milano nell'anno 1730» — scritto di sua propria manoparenel 1766; cominciadiciamodal premettere «un'efficaceinvettiva contro il non mai abbastanza detestato (sono sue parole)edall'Italia principalmente non mai cacciato abuso di sagrificareocogli artifizj o colle violenzele povere fanciulle allo statoreligiosoa cui nè da Dio nè dalla loro inclinazionesono chiamate». Assicurando indi il lettore «che nellarelazione (son pure sue parole) non si dirà cosa veruna di cuinon se ne abbiano autentiche prove» viene a raccontar ilfattodichiarando però di dover passar sotto silenzioper uncerto riguardogli avvenimenti che precedettero la professionereligiosa fatta da donna Paola nel 1718.
Taliriguardi sembra che fossero comandati al monaco di S. Ambrogiodall'esistere in Milanonel momento in cui egli scrivevaedall'avervi grande autorità coloroper colpa de' quali lafanciulla Paola ebbe a sopportare tanta violenza. — Ma quegliavvenimenti in prima da noi sospettatipoi inseguiti e sorpresiadir cosìin alcuni cenni sfuggiti quasi per inavvertenza adaltri paurosi autori di memorie intorno a quel temponoi li verremoesponendogiacchè non siamo condannati dai riguardi chefacevano ostacolo ai contemporanei di donna Paola. — Narrando lastoria della qualese dobbiamo uscire per poco di viadall'altraparte avremo facile il mezzo di rilevare certi atteggiamentiparticolari del pubblico costumein un periodo anteriore al tempoche ci siam proposti d'illustrarema di cui è necessarioconoscere quanto basta per valutare con più sicuro criterio iltempo successivo. Vedrà inoltre il lettorenel rovescio dellamedaglia che offre la monaca di Santa Radegonda di Milano a suorVirginia di Santa Margherita di Monzache mai possa la forte volontàassistita dalla pura coscienzae come il solenne spettacolo d'unasincera virtù sia talora potente a placare anche il decreto diconsuetudini di ferro.


IX


Quandosi pensa che Carlo VIsubentrato ai Re spagnuoli nel dominio diLombardiaera innamorato della Spagna e del suo sistemaèfacile a comprendere come doveva camminare la cosa pubblica inLombardiadurante il regno di luisebbene ei fosse d'indolemitissimo. L'arbitrio dell'autorità costituita tenne allora leveci della giustizia; il diritto storico fu così onnipotenteche il diritto razionale e naturale parve davvero un'utopia difilosofi sentimentali e innamoratiper adoperar la frase di unmoderno statista dalla pelle di cuojo; come pare anche oggidìa qualche sincretico legistache dalla memoria sterminata eprevalente su tutte le altre facoltà dello spiritoebbeguasto l'intelletto e contaminato il cuore. Quel periodo adunque diCarlo VI contrassegnò la massima prevalenza del ceto patrizio.Chi non era nobile era una bestianon tollerabile se non in quantoserviva come un cavallo o come un bue; e se appena appena sirivoltava per l'istinto inalienabile della difesao sbizzarriva perinsipiente indocilitàtosto veniva tolto dal corpo socialecome pericoloso e infesto. Il Senato poi chesotto il dominiospagnuolo (non sono parole nostre)corredato nella sua istituzionedi somma autoritàsi reputava maggiore del Governo stesso;per cui la vitala libertàla fortuna d'ogni cittadinoerano abbandonate al potere illimitato di luiche si credeva scioltodai rigidi principj di ragionee solea dire che giudicava tamquamDeus; sotto Carlo VI vide più ancora accresciutal'autorità propriae perchè le istituzioni mantenutein vigore da chi è innamorato di essenon ponno a menod'invadere un campo maggiore di quello che primamente era loro statoconferito; e perchè inoltrenegli anni di Carlo VInon sipresentarono governatori così prepotenti come quei di Spagnaa respingere l'arbitrio coll'arbitrioed a farsi beffe del tamquamDeus.
Quandoun popolo è condannato a portare simultaneamente il peso didue poteri arbitrarj e iniquima che pure si faccian mutuacontrolleriapuò avere intervalli di sollievo e puòaccidentalmente trovar anche la giustizia; mentre invecese di que'poteri uno solo rimane sul campoallora ai soggetti non resta a faraltro che mordersi le maniperchè loro è impeditoanche di esprimere i gemiti del dolore. Ad onta di ciòqualche uomo di Stato e qualche istoriografo potè lodarsi diquel periodo transitorio; ma la logica rivede i conti alla cronacale cui cifrese non rispondono alla riprova della primaèindizio che sono fallaci. Però il fatto che siamo perraccontare viene a smentire l'asserzione: che sotto il governo diCarlo VI siasi respirato quanto lo comportava la condizione deitempi. — Degli arbitrj inumani del Senatorimasto solo sulcampofu dunque conseguenza un funesto avvenimento che non si èpotuto scancellare dalla tradizione inorriditasebbene siasi fattoscomparire dagli archivj il relativo processo criminale. Peròfurono uomini devoti alla giustizia ed alla santa ragione quelli chepensarono di conservare il dettato della tradizione da essi raccoltadalla stessa bocca di chi era stato testimonio di quel fattoche benpotè chiamarsi la strage degli innocenti; e la conservaronoperchè lo spettacolo dei traviamenti a cui può andarsoggetta un'autorità costituita in arbitrio illimitatorimanesse ad ammonizione ed a sgomento delle future generazioni.
Chiquindici o vent'anni fa era studente al ginnasioal liceoall'universitàavrà sentito parlare di un tempo nonmolto lontanoin cui i giovinetti battaglieri e maneschi solevanoordinarsi in truppae assumevano tra loro un'ostilità diconvenzione per aver un pretesto di menar le mani. — Gli scolaridel ginnasio e del liceo di Sant'Alessandro eran nemici giurati diquelliper esempiodel ginnasio di Santa Martao di quelli diBrera; e questinon volendo patire insultirespingevano i nemiciarmata manovale a dire colle munizioni scolastichequali ipennajuolile righele cinghie di pellei temperini checonvertivano l'ostilità di convenzione in ostilitàverae le antipatie in furoree le ragazzate in fatti gravi e inoccasioni di affanni alle famiglie. Spesso gli assaliti diventavanoassalitorie l'esercito del ginnasio di Brerache aveva la riservaformidabilissima degli studenti di disegnoarmati di squadra ecompassotrasportavan la guerra fuori del proprio nidoeinseguivano i nemici fin nelle loro sedi come gli antichi Romani. Lacontrada del Fieno e la piazza dell'Albergo Imperiale parlano ancoradi queste guerrea chi sa interrogarlecome i campi di Zama e diCartagine. Noi stessi poi ci ricordiamo come alcuni scolari diretoricache avevano appartenuto a quei tempi gloriosiguardasseroa noiscolari novizj di prima classecon quell'aria di pietàe di dileggio con cui un veterano di Waterloo guardava ai molligiovani cresciuti dopo la restaurazione.
Codestapericolosa consuetudinedi che a' nostri tempi fanciulleschi non erarimasto che la ricordanzaricordanza che qualche rara voltaprovocava lo spirito d'imitazioneoraper fortunaèscomparsa affatto; ma invece trovavasi nel suo massimo vigore nelsecolo passato. Quanto più era rigoroso e quasi tirannico ilregime casalingo de' nostri padritanto più i giovanettireagivano a quel rigoreallorchè eran fuori della vistapaterna e materna. Non potendo respirare in casa ragionevolmenteperchè il terribile papàcolla parrucca di Filicaja ocol topè di Scannabueli fulminava con lo sguardosisfogavano irragionevolmente fuori di casae con tanto piùintensaquasi diremmorabbia fanciullescaquanto minore era iltempo di libertà a loro concesso. — Cattivo il sistemad'educazionepessime le conseguenze. — Però avvenivatalvolta che le nature giovanili più vivaci e generoseprorompessero peggio delle altre in atti d'insubordinazione e didisordine. Nè limitavansi a quelle battaglie tra loro; matalvolta quando durava la treguasiccome avevano degli spiritiesuberanti da versar fuoritanto più esuberanti quanto piùsiccome dicemmovenivan compressi in casa dal folto sopraccigliopaterno e in iscuola dall'arcigna canizie del frate professoregesuita o barnabitacosì si sfogavano sui passeggierisuqualche figura barbogia e ridicolasu qualche vecchia che vendesse ilibretti della cabala e avesse odore di sortilegapress'a pococomenon è gran tempopotemmo vedere qualche sucida vecchiardainseguita a dileggi e a fischiate dall'irrompente folla dellafanciullesca marmaglia.
Qualchevolta peròuniti in formidabile truppasegnatamente gliscolari già adulti della rettoricasi dilettavano anche a farqualche atto di giustizia sommariaa fare scherzi e dileggi a coloroche per verità li avevano provocatischerzi e dileggi che nonmancavano di spiritoe mettevano di buon umore tutta la città.Ora avvenne il seguente fatto. Alcuni allievi del ginnasio di Breradelle classi superiorigiovinetti dai quindici ai sedici annifinite le scuoleuscirono un dì in truppa dalla portamaggiore del palazzoe di là traendo per le contradesidilettarono a metterle a rumoretrattenendosi di tanto in tanto afar celie e dispetti ai passantiai bottegajalle vecchieportinajealle livree passamantate di qualche casaai cocchieriailacchèecc.ecc.; quandoun di loroproponendosi qualchesoperchieria più saporitarivolto ai colleghi di scuolacosìdisse: — Andiamo a vedere il nuovo guardaportone del senatorGoldoni. Invece di quel bell'uomo che aveva primail Marchese havoluto seguir la modae s'è provveduto di un nanomail più brutto e laido nano che m'abbia mai visto; non patisceche nessuno si fermi a guardarloe sfido a vincere la tentazione. Achi gli ride in facciaringhia come un canee scaglia invettive atuttie qualche volta mena anche a tondo la lunga canna d'Indiachea chi gli tocca il pomo nelle gambe non è un servizio. Ilsenator Goldoni sa tutte queste cosee va superbo di questo belmobile; e quando sa che il suo nano ha fatto cadere il pomo delbastone su qualche testa o qualche schienagli dà doppiagiornata e doppio pranzo. — Orafatto tesoro di queste parolei compagni mossero tutti e di gran lenasenza nemmeno far precedereuna consultaalla volta del palazzo Goldoni. Giunti di faccia alqualee visto che il nano guardaportone era là tronfio epettorutoe con un faccione protervo e provocatore e ghignosotostosi schierarono in semicerchio innanzi a luie si misero a cantare incoro una villotta allora in vogadove c'erano delle celie cheparevan pensate e messe in musica apposta per esso. Non è adire la furia a cui montò il nanoe come tosto facessesucceder le brutte parole e le minaccie e i fatti; e comeall'ultimosecondo il suo costumesi desse a far girare su quellaschiera il suo lungo e pesante bastone senza modo nè misura.Ma il nano era soloe la schiera era giovane e fitta e forte ebaldanzosaonde fattiglisi intornolo disarmaronolo avvoltolaronocome un palèoe così raggirandolo a spintonia calcia schiaffigli fecero fare il giro di tutta la cittàfra lerisate universaliottenendoquel che oggi si direbbeun verosuccesso d'entusiasmo.
Iltumulto crebbe al puntoe i guaiti del nanoinfuriato e percosso datanti pugnifurono talichecome avviene di consueto in questefaccendeaccorse la sbirraglia. Allora gli studenti abbandonarono ilnano e tentarono la fuga; ma la folla stipatissima essendo statad'inciampo ai loro passigli sbirri s'impadronirono de' piùadultilasciando andare la ragazzaglia minutamentre il nano mezzopesto fu ricondotto al suo portone. I quattro giovinettiche taleriuscì il numero dei disgraziativennero tratti al capitanodi giustizia ammanettati come ladri. — Se quel nano fosse statoun povero del volgoesercitante qualche professioneforse glisbirri avrebber dato una mano agli scolari di Brera; ma avendoloconosciuto pel nano del senator Goldonisi fecero un paléodi difenderlo con devozione di vassallie di accompagnarlo a casacon tutti i riguardi dovuti a un alto personaggio. E se gli sbirri sicomportarono di questa manieranon stettero indietro i giudicigliauditorii notajgli scrivani del Capitano di Giustiziaallorchèmaravigliando e quasi inorridendo del gravissimo insultoguardaronoa quei quattro giovinetti scelleratiche ebbero tanta audacia dipercuotere il Guardaportone del senator Goldoni. Ma la cosa nondoveva fermarsi qui. All'annuncio di quanto era avvenutoquelsenatorepallido d'ira e giurando di trarre una terribile vendettala quale fosse a lezione ed a sgomento della plebesi recòabbandonando il pranzo e lasciando i convitati in gran trambusto ecordoglioal palazzo dell'eccellentissimo presidente del Senatoilquale non meno stupito e convulso d'ira del marchese Goldoniquasiche si trattasse della patria in pericoloconvocòextraordinariamente il Senatoingiungendo che facesse partedell'adunanza il Capitano di Giustizia e il suo Vicariocomepraticavasi nelle bisogne d'urgenza. A chi considera oggi tali fattila storia pare bugiardachè la ragione si rifiuta adammettere tanta demenzapiù quasi che ferociain uominigravicostituiti in autorità. Ora il Capitanoavendo giàesaminati i giovinettilesse in Senato il costitutoesponendo ilfatto come un atto manifesto di pubblica sedizioneed anchesubordinatamentepronunciando il voto per la massima pena dainfliggersi ad essi. Sebbene la maggior parte de' senatoriper lavertigine provocata dall'orgoglio di corporazionegiudicasseroquella colpa gravissimaesmarrito ogni lume di ragionenonsapessero tener conto menomamente dell'inesperienza inconscia e nonresponsabile di quegli adolescentie però non credessero diderogare alla proposta del Capitano di Giustiziapure non mancòin quel consesso di giudici iracondi qualche voce pietosa; e forsequella voce avrebbe potuto stornare la carneficina; poichèessendosi letti a quel consesso i nomi de' giovinettifece senso atutti quello di don Giovanni Pietrafiglio del conte FrancescoBrunon-Pietrae fece senso non per altro che perchè era ilnome di un nobile. Questo incidente bastò a fare aggiornar lasentenza; ma tuttopurtroppofu inutile. Una soperchieria infantiledoveva esser causa di un'ingiustiziae questa doveva provocar poi unatto inumano e veramente inauditoatto inumano chea primo aspettoavrebbe potuto aver sembianze di una virtù somiglianteall'inesorabile giustizia della patria potestà di Roma antica;chè il dì dopoil segretario del Senatolesse inpieno consesso uno scritto sottosegnato dal conte FrancescoBrunon-Pietracol quale ei supplicava che non si avesse riguardonessuno alla nobiltà del suo casatoquando fosse statod'impaccio al corso della giustizia; perchèriferiamo le suestesse parole«l'obbedienza alle leggi e il rispettoall'autorità e segnatamente il culto dell'alta maestàdel Senato doveva andar innanzi a tutto.» Le voci pietose ches'eran fatte sentire il giorno primasi fecero riudire ancorama insegno di dolorosa meravigliainculcando che si dovesse considerarecome non ricevuto uno scritto in cui la devozione all'autoritàfaceva tacere l'umanitàe offendeva le leggi piùantiche e più irrepugnabili di naturama tutto fu indarno. —I giovinetti vennero condannati a morte.
Orche indole d'uomo era quel conte Francesco Brunon-Pietrae come eperchè aveva potuto inviare al Senato quel terribile scritto?Noi abbiamo fatte molte e lunghe e non facili ricerche per scoprirnele cagionie alla finetenuto scrupolosamente conto di tuttociriuscì di cavarne quanto segue.
Quelconte Brunon-Pietra era stato assai famigerato in Milano per le suegalanterie donnescheper la sua vita disordinata e facinorosa; esoprattutto per aver consumato nella prima gioventù l'interopatrimonioche era di qualche milione di lire milanesie ingoiatepoil'una dopo l'altraquattro eredità laterali. Fu alloracheridotto quasi al verdeseppe così ben fare e comportarsinella casa dei marchesi Incisache una graziosa e virtuosissimagiovinetta di quel casatoricchissima di un'eredità legataleda un suo padrinotirata ad arte nelle insidiefinì adinvaghirsi perdutamente di luied a concedergli la mano di sposa. —Da questo matrimonio nacquerone' primi due anniun figlio maschioe una fanciulla che non conobbero la madreperchèvittimadelle furibonde ingiurie maritalimorì tre mesi dopo ilsecondo parto. Pare che le cagioni di quelle ingiurie e di quellamorte immatura sieno state delle tresche scandalosissime con unacontessa Ferrinata Alfieri; poichènon ancora compiuto illutto vedovileil conte Brunonsenza riguardo alcunola sposòe n'ebbe poscia un figliuolo. — Intanto che il primogenito e lafanciulla del primo lettoeredi della ricchezza maternaeranotuttora in cura delle nutriciil figliuolo del secondo lettocresceva in casae la nuova moglie del conteche aveva preso sulmarito quell'impero ch'egli in addietro aveva sempre esercitato sulledonnegli comunicò un tale amore per quel fanciulloch'essoal pari della matrignasentì avversione pei primi dueetutto l'incomodo e il peso della loro esistenza. — Questo nonapparì manifestamente in principioma quando i fanciulliavanzarono in etàtrapelarono al di fuori le intenzioni delcontetanto che i parenti della defunta marchesa Incisafeceroreclami per avocarne a sè la tutela; ma invanoperchèil conteastutissimo e versipelleseppe condursi così beneche furono respinti i reclami e a lui data piena soddisfazione. —Se non che d'allora in poi il conteaffinchè i figliuoli nonsi lamentasserofinse di trattarli bene. La fanciullache era donnaPaolafu messa educandacom'era di consuetudinein un monasteroche fu quello di Santa Radegondail fanciullo fu tenuto in casa; esiccome egli era naturalmente acuto e vivacissimoe si sentiva comeil padrone in casae non poteva soffrir la matrignanè vedeamolto di buon occhio il fratellastroil conte Brunonper non averlocontrarioe perchè non gli uscisse di mano l'amministrazionedelle sue sostanzesi diede ad accarezzarload assecondare ogni suocapriccio. — Quali disegni poi si volgesse in testa non sisa...ma forsesenza che lo sapesse spiegare a sè medesimomeditava di addensar pericoli al giovinettoperchè avesse otosto o tardi a rimanerne travolto. Ed or la mente vorrebberespingere l'idea di un tanto accordo tra il destino e i desiderj diquel padre scellerato.
Primache si eseguisse la pena capitale contro que' sventurati giovanisicommosse tutta la cittàimpietosita e di loro e dei parentidesolati; e nei giorni d'intervallo molte pratiche si tentarono persmuovere l'autorità del Senato da tanta efferatezza. — Ornon è a dire la dolorosa meraviglia di tuttinel sentire quelche era stato scritto al Senato dal conte Francescoil quale soloper la sua nobiltà e per quella del figliuoloavrebbe potutose avesse voluto fermamenteimpedire quella carneficina e salvarecol proprio figliuolo altri giovinetti complici.
Mala costernazione generalese fu sincera e profondanon fucoraggiosaperchè non par vero che lo spettacolo di cosìscellerataripetiamo demenzanon abbia fatto insorgere tutta lacittàper strappare quelle giovani vite dalla mano delcarneficecon tali dimostrazioni solenni dell'ira pubblicachevalessero ad inspirare al Senato stesso quello sgomento che insegnala pietà.
Ilconte Francesco potè dunque veder lieta l'infernal moglie perquel primogenito spentoe spentogli parea quasi — tanto sonoassurdi i sofismi dell'iniquità — per un ordineprovvidenziale; ma restava la fanciullaeducanda in Santa Radegondala giovinetta donna Paola Teresache già toccava i sediciannie doveva fra poco tempo uscire di là per accasarsiconvenevolmenteessendo ricca di buona parte della ricchezzamaterna. Ora quella figliuolasuperstite al fratelloturbòla gioia del connubio infernale. Il conte Francesco ereditava dalfiglio i due terzi della sostanza che aveagli lasciata la marchesaIncisa; — ma questo non bastava alla sua seconda moglielaqualeeccitata da un affetto smodato pel proprio figliole pareache fosse rubato a lui quello che potea pure diventar suose donnaPaola Teresao scomparisse come il fratello infeliceo giacchèera in conventovi rimanesse professa per sempre. — Ma lafanciulla non avea mai dato segno di vocazione alla vita claustrale.Ricca e bella eper soprappiùavendo sortito dalla naturauna grande virtù per la musica e pel canto — virtùfatta poi mirabile dagli insegnamenti della celebre suor professaRosalba Guenzanicantatrice e suonatrice d'organo nel monasteroappunto di Santa Radegonda — aveva già potuto presentirele attrattive del mondo; chè ogni qualvolta usciva diconventoa stare un giorno col padrenella qual occasione recavasianche a far visita a' parentiveniva accolta da tutti come intrionfo; e già le era stato toccato di qualche cospicuomatrimonio; di modo cheper modesta e virtuosa che fosse — edera virtuosissimatanto da esser l'idolonon solo della sua maestrasuor Rosalba Guenzanima delle altre suore e delle amiche colleghe —ogni qualvolta ritornava in conventosebbene le fossero care e lamaestra e le amichepure non desiderava altro che di lasciare quellemeste mura del chiostro e di uscire all'aperto. Or venne il tempo incuifinita la sua educazionedoveva infatti uscire. — Ma fuallora che il conte Francescomesso innanzi il pretesto d'unviaggiocominciò ad insinuare alla fanciulla di rimanervifino al suo ritorno; ed ella vi rimase. — Di poiquando nonvalse più quel pretestone cavò fuori altri molti perpoterla dimenticare colà; ed ella pazientò senzalamentarsima con grande suo affanno. Infine il padre un dìle fece motto della convenienza ch'ell'avrebbe avuto di abbracciar lavita monastica. La fanciulla stupì a quella propostaerispose con sdegnoe risolutissimamente negò. Allora il padrefinse di non adirarsi e di trovar giusta quella fermezza dirisoluzione; onde levatala dal conventola condusse in casa. Se nonchedopo alcuni giorniil portone del palazzo Pietra stette chiusoperchè tutta la famiglia erasi recata in campagna in un luogotra i monti valtellinesi. Passarono così due mesifinchècorse la voce che tutta la famiglia era tornataed anche lafanciulla donna Paola. — Ma con grande meraviglia di tuttiessavenne ricondotta dal padre nel convento di santa Radegondadove lamadre abbadessa sentì dalla bocca stessa di lei che volevafarsi monaca. La poveretta in que' due mesi erasi per tal mododisfiguratache pareva una larva di fanciulla strappata per miracoloalla morte dall'arte medica. Che cosa del resto sia avvenuto in quelluogo del valtellinesecon che atti di crudeltà siasitrattata la giovinetta in quel temponon si sa; onde è liberoil campo alle congetture. Quello che pur troppo avvenne si fuchedopo un annodonna Paola Pietra si professò monaca in SantaRadegonda. — Madice il frate di S. Ambrogio ad Nemusinquella sua succinta relazione:
«Inquello stesso momento in cui la fanciulla non da un solo timoreriverenzialema da una manifesta violenzafu costretta fare nelsuddetto monastero la solenne professione de' votiprotestònell'interno del suo animo a Dio di non concorrere colla volontàad un attoa cui era trascinata dall'altrui volere.» Pagad'aver di ciò chiamato Dio stesso in testimoniosi persuasedi poter conservare intera quella libertà che Dio stesso leavea data. Tuttaviafosse prudenza o un resto del timore onde ellaerasi lasciata obbligare all'atto solennenon confidò cheassai tempo dopoa fide e virtuose personegl'interni suoisentimenti; e come se fosse presaga di quanto doveva poi veramentesuccederenella dolorosa solitudine del chiostro si consolava collasperanza di dover un giorno romper quei lacci che la violenza degliuomini le avevan posto. A tale effetto conservò per molti anniun suo abito secolaredi cui credea fermamente di doversi servire. —Pure in qual modo ella avesse ad uscirne non poteva nemmenoimmaginarseloben conoscendo che era impresa impossibile il tentarloper le solite vie giuridiche. Ma la straordinaria virtù delsuo cantocome l'aveva già espostaquand'era ancoraeducandaall'ammirazione generaledoveva additarlamonacaall'altrui pietà. — Già abbiam detto che tutta lacittà di Milano accorreva nella chiesa di santa Radegonda asentirvi le migliori produzioni della musica per canto ecclesiastico.— Il maestro Predianibologneseche allora era in Milanosolevaper così direstare in giornata su tutto quello cheproducevasi in Italia in questo generee appena venisse in lucequalche composizione squisitaera sollecito di mandarla alla celebresuor Rosalbaaffinchè ella la facesse conoscere ed apprezzarecon quel magistero ch'ella aveva nel toccar l'organo e nel cantareeperchè specialmentese trattavasi di pezzi a due vocivenivasquisitamente assecondata da suor Teresa Paola Pietra. — L'Avemaris stella di Leo era uscito di fresco in que' giorni.
Ilceto distinto della cittàche allora tenea dietro a tutte lenovità musicalie s'interessava anche della musica di chiesaveniva informato dal maestro Predianiche dava lezioni nelleprincipali casedel quando si doveva eseguire qualche gran pezzoistrumentale in Duomoo qualche canto in Santa Radegondaondeaccorse per sentire quella nuova composizione. La follacome suoldirsisi portava a que' trattenimentitanto che l'arte facevadimenticare la devozione; e peròin propositoerano uscitealquante pastorali contro l'uso e l'abuso della musica sacra. —Oratra quella folla stipatissimasi trovò un Inglesechesi chiamava lord Cralluomo straordinario e cavallerescoe portatonaturalmente all'entusiasmo. Egli sentì quella musica e sentìla voce commossa della monaca giovinettala qualeripetendo quelcanto divinovi trasfondeva tutta l'intensità dei proprjaffannie con tal fascinoche tuttimentre atteggiavano il voltoal sorriso per la soavità della melodiapur si sentivanoirresistibilmente inondati di lagrime.
Quelgentiluomo dunquepiù commosso ed esaltato di tuttichiesedi quella monacae udita la storia del fratello di lei e del tristopadree com'ella fosse venuta renitente ai voti; tanto si interessòdi essa ched'una in altra ricercavenne a conoscere i segreti suoipensieried eccitato dalla pietà e dall'entusiasmo per tantavirtù e sventurasi offrì di liberarla e di farla suasposa. La forza di codesta tentazione fu sì gagliarda sullamonaca giovinettache il pericolo della fugai disastri d'un lungoviaggiol'abbandono della patriala diversa religione delgentiluomoe i mille sentimenti di pietà e d'onore chedoveano sostener la sua ragionese la tennero per qualche tempo ingrande sospensione d'animopur non valsero a soggiogarla; poichèall'ultimoella si faceva imperterrita nell'idea d'esser liberainnanzi a Dioe di potere col matrimonio serbare inviolato ilproprio onore. — Rispetto ora al gentiluomo che aveva promessodi liberarlagiova sapere com'egli nascesse da una famiglia illustreinglese passata in Franciae come il padre suopel celebre edittofulminato da Luigi XIV contro gli Ugonottinel 1685siasi trovatocostretto a tornare in Inghilterra; dove morì lasciando duefiglie ed un maschioche fu poi questo lord Crall.
Custodivansile chiavi del monastero nella stanza dell'archivioa cui si entravaper una bussola chiusa da una piccola serratura; fatta per ciòla prova di diverse chiavine fu trovata una che l'apriva. Dopo dichefissato il giorno e l'ora per l'uscitalicenziatosipubblicamente il cavaliere dagli amicipartì da Milano; matrattenutosi segretamente in un casino poco distante dalla cittàvi fe' ritorno pochi giorni appressonella stessa notte stabilitaper la fuga. — Giunta l'ora in cui la si dovea eseguireaccaddero nel monastero alcuni piccoli e curiosi accidenti che nonmette conto di riferirei quali parea avessero ad impedirlamainvece l'agevolarono.
Ilcavaliere si trovòcon altriben armato alla porta delmonasteroed una carrozza stava preparata in vicinanza alla chiesadi S. Paolo; prima d'uscire depose la fanciulla la veste religiosaecomparve in sott'abito da uomo. — Alla presenza di testimonj sirinnovarono allora ambidue la fede ed il giuramento di sposidi cuiil cavaliere avea prima fatto dichiarazione in iscritto; esenz'altro contrattempolasciarono la città.
Lanotizia di codesta fuga fece un tal rumore e provocò tantiparlariche per molto tempo circolarono scritture in proposito epoesie di vario tenore; nelle qualio lo sdegno dell'ascetismoesaltato condannava altamente quella risoluzione della giovanemonacao la pietà spontanea di una ragione più liberaprotestava in sua difesa; ma più di tutti levò grido esi diffuse rapidamente ed ebbe migliaja di copie manoscritte unsonetto ch'ella medesima scrisse in propria difesa: ed èquestochesebbene scorretto e tutt'altro che prezioso in facciaall'arteè preziosissimo in faccia a più graviragioni:


Donden'entraim'involo alla ventura
Portomeco l'onorla fè nel core.
Benchèquesto rassembri un grande errore
Piangerdovrà chi lo mio mal procura.
Soche al mondo non v'è legge sì dura
Ch'obblighiun cuore ad un sforzato amore.
Amoil decoro e son dama d'onore
Ondevincer saprò la mia sventura.
Qualcombattuta nave in mezzo all'onde
Oggiimploro dal ciel soccorsoaìta
Perarrivar le sospirate sponde.
Sefortuna o periglio a me s'impetra
Sianoto al mondo come fui tradita
Seben ebbi nel seno un cor di Pietra.


Mada Milano i due fuggiaschi viaggiarono sollecitamente a Veneziadovesi trattennero parecchi giorni in una casa vicina a quella d'altriInglesinonostante lo strepito che presso la Repubblica faceano ilministro cesareo e il nunzio del papa. Se non cheessendo statiavvisati che non avrebbero potuto fermarsì colà piùlungamente senza pericolola donnavestitacome sempre era statada uomofu condotta di notte sopra un vascello inglese che stavaalla rada; mentre il cavalieredopo averla consegnata al capitanoper una maggior cautelapassò in altro bastimento olandese. Ebene erano stati avvisati in tempoperchè il giorno dopoperordine del Magistratosi fece la ricerca della fuggitiva in quellamedesima casa donde poche ore prima era uscita. Dalla rada di Veneziapassato il vascello inglese a Zante per farvi provvigione di vino perl'equipaggionon potè fermarsi colà quanto bisognavaperchè recatosi di notte al suo bordo il nipote del Consoleinglese in quell'isolaavvisò il capitano che suo zio avevaaccordata al governatore la permissione di far la visita al vascelloper toglierne una religiosa trafugata. Il capitanolevate allora leancoresi allontanò dall'isolaapprestandosi alla difesanel caso che lo si fosse attaccato. La mattina seguente si mostròinfatti una marciliana con altra nave. Ma quellaavendoscorto che l'equipaggio era sotto l'armied essendo il vento pocofavorevole per tentare l'abbordaggio del vascellodopo averlo perqualche tempo inseguitodovette abbandonarlo. Donna Paola intantoera stataper maggior sicurezzanascosta dal capitano nel fondo delvascellodove ebbe a trattenersi parecchie ore. Cessato il pericoloall'uscire di quella sepolturafu salutata con grandi evviva datutto l'equipaggiogià informato delle avventure dellamedesima. Il vino che dovea provvedersi a Zantefu provveduto inaltro porto; e dopo un viaggio non molto lungoil vascello approdòfelicemente a Londra. Qui donna Paola venne accolta dalle due sorelledel cavaliere e ritrovò preparata l'abitazione. Il cavaliereintantoche per maggior cautela s'era trattenuto alle spiaggie diVeneziavenne poi con abito mentito ad Anconadondeattraversataper terra l'Italiagiunse a Livornodal cui porto con altrovascello passò in Inghilterradove sbarcò poco dopol'arrivo di donna Paola.
Sparsasiper tutta Londra la novella di codesto fatto straordinariotostol'arcivescovo di Canterburycon proposte onorevolitentòl'animo della donna ad abbracciare la religione anglicana; ma ladonzella fermissimamente dichiarò chenon essendo passata inInghilterra per motivo di religioneella non era in istato nèin volontà di cangiarla; dichiarazione che ripetèposcia alla regina medesimaquandocon maggiore grandezza diofferteessa le mandò lo stesso invito dell'arcivescovo. Lasola cosa che bramava donna Paola era di convalidare il suomatrimonio colla presenza d'alcuni parroci cattolici di Londra; maquesti avendo ricusato di assisterla finchè Roma non avessedecretata invalida la sua professione religiosaella inviòuna supplica al pontefice allora regnante. Ma o non fosse stata lasupplica debitamente concepitao fosse stata mal direttanon neottenne risposta veruna; per cui deliberò di condursi inFrancia insieme col cavalieree di làbisognandoanche aRomaper implorare personalmente ciò che non s'era potutoottenere per lettere.
Giuntiin una città di quel regnoil vescovoa cui era noto ilfatto già pubblico in tutta Europapenetrando il loro arrivofece qualche passo per assicurarsi della religiosa. Ma essiavutonesentoresollecitamente si ritiraron in Ginevradove dall'istessomagistrato furonopoco tempo doposegretamente avvisati perchèsi guardassero dall'uscirneessendo attesi ai confini; e qui unostratagemma servì loro di scortae preso altro camminodubitando di nuovi incontrise ne tornarono in Inghilterra. Colàsenza nessun avvenimento notevolevisse donna Paola fino all'anno1732con quella tranquillità che le potea permettere la suaspecialissima condizionee il rimordimento che di tanto in tanto lainfestava d'essersi fatta giustizia da sè stessaquantunquepur sempre si confortasse della protesta fatta in suo segreto a Dioe della insistenza e diligenza assidua ond'ella erasi adoperata es'adoperava per riconciliarsi colla Chiesa. Quando finalmente la suafortuna volle che ritrovasse un mercante cattolico di Londrailquale prese l'impegno di scrivere ad un suo corrispondente in Romauomo che si assunse l'incarico con religioso calore; e a servirmeglio e l'amico e la coppia virtuosarecossi a ragguagliarne ilcardinal di Sant'Agnesedi cui aveva la protezioneil qualcardinale era un Giorgio Spinola di Genova. Questiriflettendo allagravezza dell'affarene parlò tosto al Santo Padreed alcardinale Vincenzo Petra penitenzieredal qualecoll'assensopontificiofu per mezzo dello stesso mercante spedito sollecitamentea Londra il solito breve assolutorio col salvacondottoaffinchèla donna nel termine di sei mesi si portasse a Roma. A tale uopofuron dati gli ordini a banchieri di varie città pelsomministramento del denaro e di tutto quello che nel viaggio poteabisognare alla medesima.
All'arrivodi questi ricapitibenchè fosse il cuor dell'invernopartìdonna Paola da Londra con un cameriere cattolico; ed attraversata laFrancia sotto altro nomegiunse a Marsiglianon senza gravipatimenti cagionati dalla stagionee il giorno 8 febbraio 1733 entròin Roma. Il cardinal di Sant'Agneseavvisato preventivamentedell'arrivofe' che le movesse incontro una matrona di esemplaresaviezzain casa della quale donna Paola si trattenne segretamentealquanti dìtrascorsi i qualiper ordine del ponteficepassò al convento del Bambino Gesùsotto apparenza didama fiammingaper ivi addurre le sue ragioni contro la professionde' voti.
Laprima determinazione del papa fu di deputare un congresso dicardinalidal quale si esaminasse se una tal causa dovea agitarsinella Congregazione del concilio o nel tribunale della sacraPenitenzieria. Le gravi e particolari circostanze chea primoaspettosi videro in quest'affarefecero abbracciare il secondopartito. Per operar tuttavia con più cautelaa' giudici dellaPenitenzieria furono aggiunti cinque cardinalifra' quali lo stessoprefetto della Congregazione del concilio.
Dalungo tempo non eravi stata in Roma una causa più intralciatadi simil materia. Tre voltein tempi diversiradunossi laCongregazionee si tennero altresì molti Congressi. Non potèsapersi quel che in essi s'andasse di volta in volta determinando: maquello che si può dire èche le prove delle violenzeda principio accennatefuronodopo quasi tre anniposte in sìchiaro lume chenon potendosene dubitare neppur da' giudici piùausterifinalmentenel mese di settembre dell'anno 1735a pienivoti venne fatto dalla Congregazione il decreto: Constare denullitate professionis. Il papa confermò il decretoedopo risolute altre dipendenzefu data a donna Paola la libertàd'uscire dal chiostroin cui aveva dimorato per tutto quel tempo conuniversale edificazione.
DonnaPaola Pietratoccato così il supremo suo intentoa cuiincessantemente era stata fidapiùquasi diremmoperun'ostinazione della mente che si esaltava nell'idea di aver per sèil diritto e la giustiziache per la probabilità dellariuscitalasciò Romasicurissima di sè medesimapoichè s'era come veduta espressamente protetta dallaprovvidenza; e ritornò in Inghilterra a ricongiungersi concolui che l'aveva tratta in salvoe che sempre le si era mantenutoreligiosamente fedele. Abbandonata poi l'Inghilterravenne con essoa Roma dove solennemente ei la sposò. Ma la fortuna non vollepermettere che tanta felicità fosse duraturaedopo tre annidi convivenza maritaleil virtuosissimo gentiluomo venne a mortelasciandola madre di due figli. Donna Paola per qualche tempo se nestette nelle vicinanze di Romapoinel 1743dopo tredicianni di assenzaritornò a Milano a fermarvi stabile dimora.Un tale ritorno gettò lo sgomento in coloro che l'avevanvoluta sagrificaresapendola così efficacemente protetta dalsanto padre; ma provocò un tripudio universaletanto che lediverse maestranze della città la vollero festeggiare connotturna luminaria. Ed ellase magnanima disprezzò tutte levili paure di chi l'aveva voluta opprimerenon mostrando nemmeno diricordarsi di loro; volle corrispondere efficacemente a quellapubblica estimazione con atti di carità vivacol farsiconsolatrice degli altrui doloricol metter pace nelle trambasciatefamiglie; più spessocol difendere contro l'attentato de'tristi l'innocenza che non si guarda; tra i molti suoi atti meritorjaveva destato gran rumore un viaggio che fece appositamente perottenere da Maria Teresa la grazia della vita per un giovanecolpevole d'aver ucciso un cavaliere che avea fatto contumelia allasua fidanzata. Naturalmente dotata di acuto intellettofortificatadall'esperienzavirtuosa senza rigidezzabenefica senzaostentazioneera essa richiesta di consiglio anche da persone digran riguardo.
Quand'ellarecavasi a passeggiare lungo le pubbliche vieera segno agli sguardidi tutti quel suo grave aspettoin cui serbavansi tuttavia i restidi una maestosa bellezza; aspetto grave di quella placida mestiziache viene dalle angoscie passatedalla memoria di una perditairreparabiledalla severa considerazione della vita; ed ellachenell'animo avea tanta pietà per altruine destava poialtrettanta in tutti coloro che la guardavanoconoscendo il suopassato; poichè facea senso quel perpetuo suo lutto vedovileil quale attestava un dolore che non poteva aver riposo nella vita; efaceva senso quel suo comparire in pubblico assiduamente accompagnatadai due suoi figliuoli già quasi adultie come lei vestiti aluttoe severi e mesti al par di lei. — E davvero che il gruppodi quelle tre figureche si staccava come un simbolo di dolore sulfondo vivace e variopinto e giocondissimo di quel tempogiungeva acompungere di gravi pensieri quella società cosìspensierata e vanala qualeignara delle fiere lotte chel'aspettavanonon attendeva che a darsi buon tempocome chi spendee getta e scialacqua le ultime ricchezzee tuffa nell'ebrietàil pensiero del domani.
Eradunque stato un felice pensiero della contessa Cleliaquello divoler recarsi da questa donna Paola Pietrae per richiederla diconsiglio in un affare dilicatissimo e serioe che poteva averconseguenze luttuosequantunque vestisse le apparenze di un amoregalante; e per versare nel cuore di colei le ambascieche ormai nonpotevano più esser contenute nel suo.



X



Perquanto durante la nottenell'imperversare di un affannoriescaimpossibile di chiuder gli occhi al sonnov'è pure unmomentovicinissimo all'albain cui è convenuto che si debbadormire; ma quel momento pare cheda un genio squisitamente acutonell'inventar mezzi a tormentare l'umanità infelicesia statointrodotto apposta fra il confine della notte e del giornoperchèappuntoal risvegliarsi dopo un fuggitivopiù che riposoassopimentosia ancor più cruda la fitta del dolore.
Felicicoloro che non ebbero mai nella vita uno di questi quarti d'oramicidiali! Ma se la contessa Cleliain cinque lunghi lustrinon neaveva provato neppure unone sentì per la prima voltal'amarezza in quel mattinoin cui il sole di febbraio entratocomeuna punta che scattida un angolo della finestraattraversòla stanza da lettoe a guisa di una lancia luminosavenne acrementea ferirla negli occhi. Ella si svegliò in soprassaltosi alzòsul guancialegirò gli occhi intornoestata un istante inpensieromandò un sospiro amaro; uscì dalle coltripesantie si vestì senz'ajuto di camerierache chiamòpoidando una lieve e lenta strappata al campanello; e mettea lalentezza in tutto quello che facevaperch'era irresolutae voleva edisvolevae pensava e ripensava più cose ad una volta. Lacameriera entrò in silenzioin silenzio l'acconciòchè il tumulto e l'amarezza dell'animo erano sìevidenti nel volto della contessache nessuno avrebbe osato parlarlese non per rispondere alle interrogazioni; e in silenzio sarebbepartitasequando fu per uscirela contessa non l'avesse chiamataper nome:
—Lucia?
—Cosa mi comanda?
Lacontessa stette sopra di sè pensando ancorapoi soggiunse:
—Chiamami Giovanniil figlio del carrozziere.
Dopopochi momentientrò Giovanni — un servitore in livrea.
—Sai tu dov'è casa Borromea?.
—Lo so.
—Lì presso c'è una casa vecchia.
—Lo so.
—In quella casa abita una signorache si chiama donna Paola Pietra.
—La conosco benissimo.
—Bene. Va' là da quell'egregia signora. Bada di domandar primas'ella è alzatae se riceve a quest'orae ad ogni modoaspetta finchè sia possibile di parlarle.
—Sìsignora.
—Quando ti riesciràle dirai che sei una livrea di casa V...e che ti manda la contessa Cleliala quale brama di sapere in qualora di tutto suo comodo può recarsi da leiper parlarle diuna cosa urgentissima. Ma falle capire però che quest'oradev'essere prima di mezzodì in ogni modo. — Aspetta... Semai quella pia e umil donna ti dicesse di voler venir essa da melefarai comprendere essere assolutamente necessario che vada iomedesima in casa sua. Va'e fa' presto.
Ilservitore partì; la contessa si gettò a sedereerichiamò la cameriera... eordinate alquante cosela rimandòsubito. Donna Clelia era più sconcertata che maie non poteastar sedutae l'irresoluzione le rientrò nell'animoepersino il pentimento d'aver inviato il servitore da donna Paola; chèle pareva un atto imprudente e pazzoe tanto più in quantonon aveva parlato che due sole volte a quella donna. Mad'uno inaltro pensierosi fermava a quello della Gaudenzie andavaalmanaccando i gradi di probabilità che ci poteano esserenegli amori di colei con Amorevoli... e si indispettiva pensando chela Gaudenzi non fosse una sua pari; chè alloraalmenoavrebbe potuto avere un pretesto qualunque per recarsi a visitarlaetrovarsi con leie tentare e frugare e interrogare e scoprire ilvero... Ma nel mentre stava dibattendosi in tanto contrasto di ideetornò il domestico a dirle: che donna Paola Pietra era incasae che appunto la stava attendendo allora. La contessa Clelia aquella risposta che pur doveasi aspettaresi sentì dare unnuovo tuffo nel sangue equasi senza vocetanto era oppressa:
—Dirai al carrozzieresoggiunseche attacchi tosto i cavalli; e tusali a prendermi senza perder tempo. — Indi chiamata lacamerierache comparve tosto: — Fa' venir quile disseilcameriere del conte.
Questosi mostrò subitamente.
—Direte al signor conteche questa mattinaper un atto urgentissimodi caritàdebbo portarmi da quella donna Paola Pietra ch'egliconosce; e che prima di mezzodì sarò di ritorno. —Il cameriere accennò col capo che farebbee partì.
Lacontessacominciando dal conte che la stimava forse assai piùdi quello che l'amassee giù giù fino all'ultimogradino della gerarchia di quella casa signorileaveva impresso intutti una così alta idea della sua superiorità mentalee d'un certo carattere fuori d'ogni ordine donnescoeperconseguenzad'una virtù inaccessibile ad ogni sorta dipericolie quasi eslege da tutti i vincoli del galateo femminileche andavastavadava ordini senza dipendere nè in poco nèin tanto da quell'autorità superioreche in tutte le case ein tutti i tempi e presso tutte le nazioniad onta di qualunquerilassatezza indulgente del costumeè sempre il padronemarito.
Ildomestico salì a prenderlaed ella uscìe messasi incarrozzain dieci minuticon nuovissimo suo affannoi cavalli sifermarono innanzi alla porta della casa dov'era l'abitazione di donnaPaola Pietra.
Precedutadal servo che l'annunciòella pose il piede in una anticameraa pian terrenonella qualeuscendo da un salotto vicinole mosseincontro donna Paola.
All'occhioesperto e penetrante di quella grave matronabastò unosguardoun solo sguardoper comprendere che la contessa Cleliaveniva da lei per qualche proprio cordoglio e non per cose d'altri:onde di punto in bianco cangiò il solito formulariogratulatorio e complimentoso del salutoche qualche volta puòamareggiare altrui colla crudezza del contrasto; lo cangiò nelsorriderle soavementee nello stendere la mano per stringer quelladella contessache lasciò fare senza dir verbo. — DonnaPaola intese che in quel momento un tale atto confidenzialeil qualeforse in altr'occasione non sarebbe stato dicevole alla poca intimitàin cui ella trovavasi colla contessaera il solo che potesseriuscire conveniente.
Egliè a questi atti sfuggevoli e che passano inavvertitiall'ottuso vulgoche si riconosce di volo un'indole e un carattereprivilegiato. Egli sta in codesti minimi atti il sintomo di quellasquisita delicatezzasenza di cui non vi può essere interezzad'ingegno.
Entraronosilenziose ambidue in una salae silenziose si posero a sedere. Perqualche tempo stettero così taciturneperchè donnaPaolacom'era naturaleaspettava che parlasse la contessa; ma vistoche la titubanza le facea nodo alla lingua:
—Per qual causaruppe essa prima il silenziola signora contessa havoluto aver la degnazione di venire da me?
DonnaClelia si scossee dopo un istante ancora di titubanza:
—Per un fatto graverisposee nel quale ella sola mi puòaiutare...
Vifu ancora qualche minuto di profondo silenzio. La contessa non sapearisolversi a manifestare il proprio fallo; trattavasi di offuscarecon una parola solae al cospetto di una donna insigne di virtùquell'aureola d'onoratezza distinta e quasi eccezionaledi cui ellasapeva pure d'aversino a quel puntofruito nel mondosebbene ilcicisbeismo avesse trasmutato in peccato veniale e quasi gentilel’infedeltà coniugale; essa lo sapeae ciòl'aveva ad usura compensata spesso di quell'aridezza invidiosa ondesoleva essere trattata dalle sue pari. E dopo tutto questo ell'eravenuta là a distruggere con una parola il solo vanto della suavita; il solodopo quello della scienzadi cuiin quell'istantenon faceva più nessun conto; era venuta là per compirequasi diremmoun suicidio moralecomandato sì dal doveremapur sempre un suicidio violento; onde se titubava e fremeva e avrebbevoluto lasciar quel luogosenza farne altroconvien ben compatirlapoichè è durissima cosa il distaccarsi da quanto di piùprezioso si possiedee di cui il mondo tiene pur sempre conto. Allafine alzando gli occhiche avea sempre tenuti abbassatiin faccia adonna Paolae leggendo in essa come un'espressione non definibiled'indulgenza soave e nel tempo stesso di acuta penetrazioneonde leparve di capire che quella donna venerabile avea in qualche partecompreso di che si trattava: parlò e raccontò tuttoquello che noi sappiamoe conchiusestringendo con forza convulsivale mani a donna Paolaed esclamando: — Or che si fa?
DonnaPaolafattasi forteper non amareggiar troppo la contessaondenascondere il profondo stupore dell'animo a quel raccontostetteanch'ella un momento silenziosapoi soggiunse con un accento blandoe come se volesse far scorrere un balsamo refrigerante sull'aridapiaga di quella che stava innanzi a lei come una colpevole:
—Quel che si dee farevoi già lo sapetepovera e cara donnamia; lo sapete e lo avete pensato.
—Io?
—Voimia cara. Vi sono tali partiti da prenderein alcune gravissimecondizioni della vitapartiti voluti dalla ragionedal doveredalla giustiziadalla generositàcheanche nella piùtempestosa irresoluzione dell'animoè impossibile nonbalenino di colpo alla mente come la luce dell'evidente verità.Però anche a voi dev'essere già venuto in cuore ciòche dovete fare. Le paurei falsi rispettii pregiudizj vi avrannodopofatto rigettare il primo partitoed anzi ve lo avran fattoparer detestabile. Io conosco queste cose purtroppocara miaperchèle ho provate. Ma sempre si mette in salvo chi sa scansar le vietortuosee piglia la strada rettae cerca il giusto. Ditemi ora laveritàmia caranon avete già pensato a un talepartito?
—Ah sìvoi dite il vero; ma nelle conseguenze io vedo unabisso che mi spaventa.
—Lo comprendo... ma ciò che è necessario dev'esserfatto. — E tacque con un'espressione quasi d'autoritàsevera.
—Il silenzio generoso di coluicontinuò poiil qualeperun'inezia (un'ineziaintendiamoci benein faccia all'infame delittoond'è imputato)può condurlovoi già losapetefino alla torturaperchè così comanda laleggela quale vuol far scoppiar violentemente la verità daicorpi umanicome quando si preme la vena per farne uscir sangue...quel silenzio comanda che illuminiate la giustizia. Se voi dunqueconfessando imperterrita e senza rispetti umani il vostro fallosiete la sola che potete salvar coluidovete farlo e tosto. Salvarloe dimenticarloe non voler rivederloe non attendere di esserneringraziatae non riposarvi troppo nella compiacenza d'averlosalvato perchè guai! Vostro marito è sempre il vostromarito.
Questaparola fece dare un guizzo come di paura a tutte le fibre convulsedella contessa... che alzò gli occhi al cieloquasiesclamasse: — Sono perduta!
—Voi trematecara la mia donnatremate come una foglia. Ma abbiatecoraggionon è detto poi... Infine non fu che un colloquio...Ben è vero che l'amor proprio e l'idea dell'onore talvolta èpiù forte e più violentae più inesorabiledello stesso amore tradito. Ma l'atto vostro generoso diminuiràla vostra colpa in faccia al mondoe il mondo può esseremediatore d'indulgenza con vostro marito. Una riparazione fatta concoraggio generosoquasi quasi concilia la colpa medesima col sensomoralee se vostro marito non perdonasseil mondo condannerebbelui. E voi nella stessa solitudine del ripudiosarete ancorrispettata nella vostra nuova virtù; alla quale però èimpostoperchè possiate per sempre e davvero essererispettatadi essere incrollabile per tutta la vita.
Lacontessa taceva e perchè non trovava nulla che le facesseparer men saggio il consiglio di donna Paola e perchèd'altrapartenon sapeva ancora indursi a prometterle di adempire quellarisoluzionenecessaria in faccia al doverema pericolosissima neltempo stesso.
—Quando poi considerocontinuava donna Paolail vostro ingegno e ilvostro sapere straordinarioper cui siete un'eccezione tra le donne;tanto più mi accorgo chenella solitudine della vostra nuovavirtùassai compensi potrete trovare alla vita.
—Questo straordinario sapererispose la contessache il mondom'invidiaè troppo poca cosadonna Paolaper poter riempireil vuoto e il tormento della mia vita avvenirecredetelo a me. Io sod'esser tenuta orgogliosissima; mainvecenon v'è nessunoche possa fare di me stima più severa di quella che faccio iostessa. Una donna non deve penetrare nel campo delle gravidisciplinedove improvvidamente io fui spintase non a patto dipossedere un ingegno sterminatoun ingegno che possa essereun'eccezione anche tra i virili intelletti. Io ho imparato quello chemi fu fatto insegnareprima per obbedienzapoi per puntiglio e percostanza di volontà; ma ora la mia indole di donna mi facadere spossata sotto il peso della mia inutile dottrina; perchèqui dentro ci sono passionidonna Paolachese fossero svampatenella prima adolescenzami avrebbero lasciata ancor libera di me; mainvecetrattenute indietroinconsapevole io stessadall'ordine deimiei studj e della mia educazioneebbero campo di farsi piùforti nel lungo riposo; ed ora che trovarono un'uscitascoppiaronocon tanta violenzache il mio cuore non può fermarlenon puòsopportarle più; onde ormai tremo e temo di me stessa.
Efece una lunga pausa.
—Guardate inveceseguì poiquell'ammirabil donna di GaetanaAgnese. Ella poteva e doveva affrontar la scienza. La natura leconcentrò tutta la forza nella testae lasciò nelcuore una calma inalterabileche la fece inaccessibile ad ogniaffetto umano. È a queste sole condizioni che una donna puòuscire dalla sua naturae può e deve entrare nel campo altruiper raccogliervi compenso e conforto e pace. — L'Agnese non ègià una semplice eccezione tra le donnebensì èun grand'uomo tra gli uominiladdove io non sono che la piùinfelice del mio sesso. Perchèvedetequesta istessa miagrande riputazione di dottadi austera e di superbachè taleio sono riputata pur troppoe sì a tortorenderàancor più vergognosa e più detestabile la mia caduta infaccia al mondo.
DonnaPaola rimase come percossa a quest'ultima considerazione dellacontessae non risposetanto le sembrò amaramente vera; matostoassumendo modi più risoluti e quasi crudicome sevolesse far forza alla propria pietà che l'ammolliva:
—Quando un partitodisseè comandato dalla necessità edal doverenon giova guardar oltre; tutte le conseguenze possibilinon entrano nel conto. Sefatto il dover vostroall'uscio viattendesse la morteconverrebbe morire; dico così per direcara la mia donnasoggiunse poi subitopentita d'aver detto troppo;perchèdel restoio sono convinta che l'applauso generaleaccompagnerà il vostro atto generoso.
Lacontessa Clelia stette alquanto silenziosa a quelle parolepoistringendo nelle proprie la mano di donna Paola con affannosagratitudinesi alzòe disse:
—Quand'è cosìil vostro consiglio saràadempiuto. Oggi stesso mi recherò in Pretorio... e tutto saràfinito.
Aqueste parole donna Paolaabbracciando la contessa: —Permettetele disseche io vi faccia una preghiera.
—Una preghiera?
—Se maifuori di quifoste per cangiar d'avvisoe la desolazione viconsigliasse qualche altro passo... per caritàvenite primada meve ne supplico.
—Ci verròma per dirvi come sia stato seguito il vostroconsiglio.
Nèvi furono altre parolee la contessa partì riabbracciata dadonna Paola Pietra. e risalì in carrozza.




LIBROSECONDO


Laballerina Gaudenzi e Lorenzo Bruni. — I pensatori celebri eoscuri e i nembi precursori della procella sociale. — Lo studiodel pittore Londonio. — Artisti milanesi nel 1750. — Ilpittore Clavelli e le maschere-ritratti. — Gli Zanni. — Lamaschera del Tasca. — Meneghino. — La villotta di CesareLarghi. — La lanterna magica del pittor Londonio. — Ilminuetto. — La prima domenica di quaresima. — Il Capitanodi Giustizia. — Sistema di giurisprudenza. — Il processocriminale. — Venezia. — Il lacchè Andrea Suardidetto il Galantino.



I


Seil lettore desiderasse di tener dietro alla povera contessa Cleliaper conoscer tosto le sue risoluzioni e le conseguenze di essenoici troviamo nella necessità di non poterlo accompagnareperchè siamo invitati da altre personeper esempio dallaballerina Gaudenzila quale in quella sera in cui il pubblicodelirio toccò la sua massima espressione al di lei riguardosi trovò in camerino l'usciere del Pretorio che le presentòuna citazione a comparire; e subito dopo vide il signor LorenzoBruniviolino di spalla per l'operae primo violino direttored'orchestra pel ballo; il signor Lorenzo Bruni venutogli innanziagitatoconvulsoiracondo e cogli occhi stralunati; il qualese inquella sera non proruppe in parole violenti e non fece una scenadietro le sceneè perchè i veglianti regolamentiproibivano a quelli dell'orchestra di andare in camerinoed eglicomprendeva chese i cavalieri ispettori chiudevano per luia lorodispettoun occhio su quella contravvenzioneperchè cosìvoleva la da tutti quanti idolatrata Gaudenziavrebbero còltoperò assai volontieri la prima occasione in cui egli avessecommesso qualche stranezzaper far ritornare nel più crudorigore i regolamenti del palco scenico. Però erasi limitato adir sottovoce alla Gaudenzima con un fremito mal compreso:
—Che cosa dunque è successoMargherita?
—Ma non siete contento? Non vedeteche pazzie fa il pubblico per me?
—Pazzieeh?
—O forse vi dà noia che il pubblico divida le sue grazie in dueesatte porzioni tra me e il tenore?
—Il tenoreeh?... il tenore... Ma sapete che cosa si dice in pubblicodi voi?... Ma sapete perchè il pubblico v'applaudisce?
—Gran novità da domandare e da sapere.... perchè ilpubblico m'applaudisce? Oh curiosa!.... perchè siamo belleperchè siamo divinecome dicono gli allocchi che vengono dame; perchè Tersicore potrebb'essere la nostra fantescacomedice il poeta di teatro; perchèin conclusione... Ma guardateche paio d'occhi mi fate ... Ma sapete che siete bello staseramabello assai... Oh che matto!
—Matto? Or sentirete se son mattoor sentirete che cosa dice ilpubblico di voi... Dice... dovreste per dio sentirvi a scottar lafaccia pel rossore della vergogna... Dice che il tenore stanotte eradisceso dalla finestra della vostra stanzain quel punto che fupreso dal bargello...
—Ora ho capitooh bella!... e una sonora e lunga e giocondissimarisatadi quelle che in buona lingua si chiamano cachinnifu ilcomento che la Gaudenzi fece a quella notizia inaspettata. Poisoggiunse: — GuardateLorenzocosa c'è lì suquel tavolino.
—Che? una citazione?
—Una citazionesì... ma ora comprendo tuttooh bellabelladavvero!
Eper quella sera non ci fu altroperchè il fischio acuto eimportuno dell'avvisatore costrinse Lorenzo ad affrettarsi inorchestra; e la Gaudenziquando il ballo fu finito e rivide Lorenzopiù torbido di prima:
—AddioLorenzogli disse; avete bisogno di dormire... e di far buonacera; a rivederci domattinacaro; e vispa e vivace e saltellante esghignazzante l'aveva lasciato là senz'altro.
Mala mattina venne prestoe quando fu un'ora ragionevoleLorenzoBruni non si fece aspettareed entrato nell'angusto ma elegantissimoappartamento della Gaudenzi:
—È alzata la Margherita? — domandò ad una zia dilei; una zia rachitica e gibbosama piena di acutezzae che stavapresso a quella giovane beltà come il cane che ringhia sultesoro messo sotto la sua custodia.
LorenzoBruni non aveva finito di nominar la Margheritache questacoicapegli mal raccolti dalla notturna rete e fuggenti sulle spalleein veste breve e discintadalla stanza da letto balzò con unsalto nella camera dov'egli trovavasi colla zia; e appoggiandoambedue le mani sulle spalle di luifece due o tre battementsrapidissimidicendogli intanto con aria motteggiatrice ecarezzosa:
—Siete guaritoLorenzo? — e accompagnò queste parole conquella giocondissima e suonante risata a lei abituale; suonante eleggerae nel tempo stesso plebea insieme e gentilecheassomigliava ad una scala musicale o ad un vocalizzoin cui le notespiccansi nette e granite; o chese il confronto non è troppoda naturalistapareva il lieve e oscillante nitrito di una cavallinache si stacchi allora dalla materna poppa. Lorenzovenuto làtorbido e arrovesciatocom'ella ebbe finito di saltare e di riderenon potè a meno di spianare la sua fronte corrugata; tanto eracompleto e ricreante lo spettacolo cheavvolta così abardosso nelle bianche vesti mattinaliofferiva quella regina dellabeltàdella gioventùdella salute e dell'allegrezza.E tale davvero era la Gaudenzicheveduta a quell'oraavrebbefatto girar la testa anche al rettore magnifico dell'universitàdi Bologna. E tanto più riusciva pericolosaquanto piùera inconscia degli effetti che produceva; effetti che potevansuscitare incendj funestiperchè nella vivacitàromorosa e irrequieta equasi diremmoinfantiledel suo carattereella celava una calma profonda e inalterabilmente serenacui nullaavrebbe potuto offuscare.
Ea vedere com'ella moveva e girava quei suoi grandi occhi azzurriecome li fermava negli occhi altrui era imposibile credere che queglisguardi non avessero una significazione profonda; ed era impossibilea non sospettare com'ella non fosse innamorata morta dichiunquesegnatamente se fosse un bel giovaneche stesse parlandoseco; e che il più delle volteinfattibeveva avidamente laluce di quelle pupilleesclamando fra sè con gran tripudio:Son io dunque il fortunato! — Ma ella non ne sapevanullatanto era tranquilla e ingenua!! Ingenuasì signoriquantunque da nove anni(chè allora toccava i diciotto)respirasse l'aria torbida e la polvere corrosiva del palco scenico.Ma oltre ad essere perfettamente calmaera anche perfettamentebuona; e la calma e la bontàmoltiplicate per una salute nonmai stata turbata dal giorno chebambinaaveva finito di metterl'ultimo dentesino a quell'oradavano per prodotto il buon umoreappuntoe l'allegria costante; al chese si aggiunga un'esistenzavissuta nell'agiatezza senza il fastotra gli applausi senzal'invidianell'amore dell'arte che la preoccupava assiduamente senzale amarezze di chi non è al primo postoe tutto ciòcol condimento di un'ignoranza feliceignoranza d'ogni altr'arte ed'ogni altra cosa; il lettore potrà valutare completamente ilfenomeno di questa figliuola ingenua della naturadella natura cheaveva voluto appunto sfoggiare tutti i proprj tesori nel formarla enel crescerla.
Main che rapporti viveva questa giovinetta di diciott'anni con LorenzoBrunie in che tempo si erano conosciuti e in che modo? e da qualluogo erano usciti e l'una e l'altro?
LorenzoBruni aveva avuto per patria Trevisodove nacque da un padre notajotrentacinque anni addietro. Anch'esso aveva atteso allagiurisprudenza nello studio di Padova; ma essendosi applicatocosìper passatempoa suonare il violinoe riuscitovi più chemediocrementee fatto con questo i primi guadagni a Veneziae noncolla giurisprudenzala quale invece lo aveva condannato allasoggezione di un padre insopportabiletempra curiosa d'uomo cheforse suggerì l'idea di sior Todero a Goldoni; risolsedi non farne altroe un bel giornosenza domandare il permessopaterno e senza nemmeno salutare i consanguineifece la scritta conun impresarioe passò da Venezia a Bologna; e cosìd'orchestra in orchestrapercorse le principali cittàd'Italia. A Livorno s'impegnò in seguito con un impresario diMarsigliae da questa città erasi condotto a Parigidoverimase un pajo d'anni. Libero come l'aria e insofferente d'ognibenchè minimo legameaveva scelto la professione di suonatoreappunto perchèindipendente da qualunque padronedaqualunque paeseda qualunque autoritàcittadino di tutto ilmondotrovava dovunque il fatto suo. E oltre a ciòdotato dimente svegliatissima e istrutto più che mediocrementetravasandosi di luogo in luogosi godeva a notare le varietàdei costumidella natura dei paesidell'indole dei cetidelleleggidelle cortide' cortigianidelle artiecc.e a far laconoscenza degli uomini più distinti d'ogni città chevisitasse; a Parigitra gli altriaveva avvicinato Voltaire eRousseau e Diderot e d'Alembert. Quella sua natura inquieta e liberaper la quale non aveva potuto sopportare il giogo paternonèindursi a chiudersi in una città sola per tutta la vitadimostra com'egli fosse più adatto che mai ad esaltarsi alleidee di quei quattro atleti dell'intelligenzache erano destinati afar da leva al mondo invecchiato.
Finda giovinettoquantunque i precetti paterni avessero fatto di tuttoper chiudere il suo spirito in una scatolaegli aveva peròcompresoin confusoche troppe cose non andavano bene intorno alui; a Veneziaper esempiosi era invelenito pensando allaconsuetudine delle denunzie segretee siccome aveva visto che colàal reggimento della cosa pubblica non saliva che il patriziatoadesso dava colpa di tutto e l'aveva preso in odio con tuttal'esagerazione di un giovane più caldo che riflessivoilquale non guarda che un lato unico dei prospetti umani. Nèquando stette fuori di Veneziapotè mai nelle altre cittàtrovar cosa che placasse l'ideale delle sue aspirazioni; e allorchèvenuto a Parigi e lette le prime opere di Voltairee sentitosi presod'amirazione per essoudì poi raccontare il fattoincominciato a tavola del duca di Sullytra Voltaire e l'arrogantemarchese Rohan Chabote finito in istrada con quella bastonatura cheil nobile borioso avea fatto applicareper vendettaa Voltaire;tanto più sentì crescere l'avversione verso quel cetoil quale allora almenose non cercava di aggiungere i proprj aimeriti avitisi ajutava d'orgoglio e di prepotenza per essererispettato. Ein tale avversioneLorenzo non aveva nè modonè misura; e quantunque ricevesse le sue impressioni dallarealtà che lo circondavapuretrascinato dall'imaginazioneo infervorato dallo sdegnodella società di allora facevapiuttosto la caricatura che il ritratto.
Avvenivapertanto che seper esempioraccontavasi qualche bell'atto generosodi un qualche nobiluomoegli se ne rodeva come di una causa perdutae cercava cento modi per offuscarlo; e invecese taluno della bassaplebe si fosse distinto per un qualunque nonnullaei ne menava sìlungo scalporeda provocare lo spirito di contraddizione anche incoloro che pur la pensavano al pari di lui. Era insomma un uomoirrequietoe che malissimo s'adagiava nel suo tempo. — Maditali uominiin quel momento critico della metà del secolopassatone eran nati parecchinon si sapeva comein molte partidell'Europa. Eran come quelle nuvolette bigie che si mostrano agrandi lontananze e a vari punti dell'orizzonte su di un cielo tuttosereno di un giorno d'estate e d'affannosa caldura; nuvolette chesembran comparse a caso e per dileguarsi tosto; ma cheinveces'avvicinano grado a grado enell'avvicinarsis'ingrandisconofinchéa un trattotutto il cielo non è che unanuvolaglia solae intanto il sordo brontolìo del tuono si fasentire in lontananza.



II


Codesticuriosi mortali chedotati d'intelligenza eccedente la sfera comunenon poteano trovarsi bene nel loro tempo e ne sentivano lapesantezzanon sapeano ancoraal punto in cui siamo con questastoriaquel che si volessero. Assomigliavano a chifornito di fibradelicata e straordinariamente eccitabilesi sente dominato da un malessere che non sa spiegaree volendone assegnare la causa all'ariaalla stagionea qualche cosa insommasi vede invece contraddettodal limpido sole e dalla serenità del cielo e dall'allegria diquanti lo circondanoi quali si lodano e del tempo e del sole edell'aria. Tale era la condizione in cui versava la maggior partedelle intelligenze squisitamente acute che vivevano alla metàdel secolo passato. Del restonemmeno Voltaire sapea precisamentequel che si volessequantunque fosse il più maturo di tutti;nemmeno Diderotche si agitava in un'assidua contraddizione eseparlava chiaro negli intimi sfoghi cogli amicismarriva il coraggioquando trattavasi di stampare quel che pensava; nemmeno Rousseauilquale non faceva che accusare un gran dolore senza saper indicarne illuogo. Al pari di costorocheper l'ardimento sin colpevole delleloro operedovevan poi salire al più alto fastigio dellarinomanzaun numero non piccolo d'uomini ignoti e dalle circostanzecondannati all'oscurità perpetua discutevano e si disfogavanone' parlari privati; anzi era codesta massa di uomini ignoti chesomministravano la materiae venivano a determinare i propositi diquelli chiamati a capitanarli. Ed uno di tali uominiche nel sentiree nel considerar le cosenon era inferiore a quegli ingegnipredestinati all'immortalitàera Lorenzo Bruniche forseavrebbe potuto spiccare sul fondo del suo tempo fra i pensatori piùaudacemente liberise invece di suonare il violino in tutte leorchestre delle principali città di Europaavesse atteso aglistudj con volontà costantee avesse avuto pazienza disopportare il burbero padre.
LasciataParigiquando finirono i suoi obblighi contratti coll'impresarioeritornando in ItaliaLorenzo conobbe a Venezia la MargheritaGaudenzi ancor fanciullarimasta due anni addietro orfana del padrestato ballerino grottesco e morto d'una contusione per un saltomortale mal calcolato; e poi anche della madreperita nell'incendiodel teatro di Sinigalliala qualeesercitando la professione difigurante ed essendo stata una bella donnaavea sempre fattole parti d'una qualche deaquando non si trattava nè di agirenè di danzare; e nelle pantomime che finivano coll'Olimpoilluminatocostantemente era stata incaricata di sedere in qualitàdi Giunone accanto a Giove Tonante. La fanciullettaquando rimase orfanaera già tanto innanzi nell'artedaeccitare la meraviglia di quelli della professione. AllorchèLorenzo Bruni la vide per la prima volta a ballare sulle scene delteatro di San Moisène fu anch'esso maravigliatoinsieme colpubblico che accorreva da tutte le parti della città perammirare quel piccolo portento; tuttaviarincrescendogli cheanch'ellacome voleva il pessimo gusto di allorasi lasciasseandare alla danza grottescae ricordevole delle lunghe discussionitenute a Parigi con Rousseau stessosull'origine e sullo scopo delballonell'occasione che al teatro del Re aveva ballato la celebreGuzzani; e abborrendo al pari del Ginevrinoquella danza che non puòal bisognosuggerire movenze e pose e contorni e linee al pittore edallo statuarioe non sapendosi contenere nei limiti di una castaeleganzasi abbandona frenetica e lascivaa inconditi movimentiincui non si cerca che di superare strane difficoltà;dispiacendogli dunque tutto ciòvolle conoscere quellafanciullacolla quale tanto disse e tanto feceche senz'esserballerino e solamente guidato dal buon gusto e dal bisogno chesentiva di riformar tuttola ridusse ad un sistema di danza allorainsolitoma che pure destò ovunque un insolito entusiasmo;tanto è vero che v'è un bello assolutoil qualetrionfa anche ne' più corrotti periodi dell'arte! Basta soloavere il coraggio di promulgarlo.
Eradunque stato in gran parte per merito di Lorenzo Brunise laGaudenzi aveva potuto riuscire un'eccezione gloriosa tra ledanzatrici più celebri del suo tempo. — Ma siccome lafanciulla aveva obbeditofosse per naturale pieghevolezzafosse perun felice istintoalla volontà di Lorenzoe questicompiacevasi del frutto dei proprj consigli; così vennestringendosi tra di essi una spontanea dimestichezzache stava peròne' rapporti di un maestro colla scolarad'un tutore colla pupilla;il qual tutoreguidato da una grande onestà naturaleesollecitato da quel suo spirito irrequieto e originalissimo che lometteva sempre in contraddizione colle opinioni più generali;volleaiutando la custodia vigile della zia della fanciullafarvedere al mondo come la virtù potesse conservarsi intera anchein seno a quella professione checomunementeera creduta il varcodella perdizione. Suonatore di violinoaveva seguìto cosìla fanciullada quell'ora in poidi teatro in teatrofacendolesempre da padre e da tutore e da maestro. Se non che il padre e iltutoreman mano che la fanciulla crescevae l'adolescenza diventavagiovinezzasentì in petto qualche cosa che non era piùnè calma di affetto paternonè severità diprecettore. Gradatamente insomma e inconsapevolmente s'era innamoratodella fanciulla; ma se non aveva mai voluto confessar ciònemmeno a sè stessonon è possibile che volessemanifestarlo alla giovinetta Margheritala quale di qualunque benchèminimo sospetto non aveva neppur gli elementi in sè stessaonde continuò con ingenuità e con obbedienza a nonriguardarlo che come padre e tutore. Se taluno de' nostri lettori ècosì mal andato di salute da rifiutarsi a credere ciòche diciamonon getteremo nè il tempo nè il fiato percercare argomenti a persuaderlo. Non si crede veramente se non ciòche si sarebbe capaci di fare.
Diteatro in teatroeran venuti ambidue la prima volta al Ducale diMilanonel 1748dove erano stati confermati per il carnevaledell'anno 1750. Godeva il Bruni dei trionfi della suadiremo dunquepupilla; godeva a sentirla lodata dappertutto dell'onesta virtùonde conservavasi ornata; perchèanche ne' tempi del piùindulgente galateo moralee del più rilasciato costumelavirtù è sempre applaudita e rispettataal pari delvero bello artistico che trionfa ognorapur nel mezzo delledeviazioni del gusto. Pensi ora adunque il lettore che pugnalata alcuore di Lorenzo dovette essere la prima voce che gli giunseall'orecchio del sospettato amore di Margherita con Amorevoli epiùche dell'amoredella notturna tresca. Per verità che nonprestò fede neppur un istante a quella bugiarda vocee tantopiù chequando entrò nel camerino della Margherita adirle di che trattavasile vide l'innocenza in volto e s'accorsed'un'ingenuità fin quasi stolta in quel suo riderespensierato. Ma che fa l'esistenza delle virtù se nessuno cicrede?
Lorenzopur mettendo da canto ogni altro affettosentiva l'entusiasmo dellavittoria nel poter dire: — Cosa mi diventano tante dame superbeche tutti i giorni cambiano il cicisbeo come la camicia? cosa midiventano al confronto di questa povera figliuola di un grottesco edi una figurante? — E una voce sinistrache in un baleno eracorsa per tutta la cittàaveva bastato a distruggere tuttoea far succedere parole turpi e scherni inonesti al rispetto di prima!Perchè ben è vero che gli applausi della sera trascorsaeran saliti fin al velario per festeggiar la Gaudenzi; ma eran gliapplausi di quella parte di pubblico che avea goduto nello scoprireche la intemerata colombacui bisognava rispettare per forzaerapur essa iniziata ai misteri d'amore tanto allora in voga.
—Cara miadisse dunque Lorenzo alla Margheritaquando questaridendogli domandò se stava bene di salute; voi ridetemavogliatemi credere che non c'è da ridere.
LaMargherita si fece allora un po' seriae soggiunse :
—Caro Lorenzonon vi comprendo; in fin de' conti la verità èuna sola... e quando avrà parlatoperché so parlaralto anch'iovedetequand'è necessarioogni sospetto saràdileguato.
—Cioè volete dire che non avrete più citazioni inPretorioe nessuno potrà insultarvi impunementese non vorràessere passato da una parte all'altraperchè di scherma io sogiocar tanto benequanto suonare un a-solo di violino. Matutto ciò non vuol dir nulla... e fino a tanto che non esca ilnome di colei per la quale il tenore dev'essere venuto in questevicinanzea nessuno potrà esser tolto dalla testa che voieravate l'oggetto delle sue visite notturne.
—Ma perchè io e non altre! Domandate a Zampinoil qualestamattina è venuto per le solite cose del teatroquantedonne furono chiamate a comparire... N'è verozia?
—È verodisse questama la compagnia non vi fa molto onore...Una è la moglie d'un gabelliere che sta lìdirimpetto... L'altra sta lassù al quarto piano e si dilettadi far la cucitrice. Belle e giovani tanto l'una che l'altramadella loro onestà non mi parlate. Chiedetene qualcosa allaGilda che ci servee sentirete... Ben v'è la moglie d'unpittore che gode buonissimo nomee la bella figliuola d'unmercante... della quale non c'è chi dica male... Ma inconclusionevoi vedetesignor Lorenzo...!
—Ma! — esclamò egli strabuzzando gli occhi; e stette unmomento silenziosopoi soggiunse: — In Pretorio v'accompagneròio stessoMargheritae chiederò io stesso di parlare alsignor giudice. Fate adunque di esser pronta fra un'orach'io saròa pigliarvi in carrozza.
L'orapassòLorenzo venne colla carrozzae la Margheritaaccompagnata dalla ziavi salì tosto. — Giunsero tutti etre verso mezzodì al Pretoriodove s'accorsero che una folladi curiosi stava aspettando nel cortile. Quando la Gaudenzi ascese loscalone e corse la voce della sua venuta per tutti gli ufficj delPretoriomolti calamaj macchiarono d'inchiostro atti e processi elibellitanta fu la fretta e la furia degli impiegati per giungerein tempo a vederla. Notajauditoriuscieriscrivanicolla pennanell'orecchio e i paramanica di bambagina verdefacean capolinodagli usci e dalle finestre; altri uscivan sul corridoio per dove laGaudenzi aveva a passarefingendo un'incumbenza di premura. Altri les'attraversavano al passo per guardarla in faccia ben benecon grandispetto di Lorenzo. — Ma questi potè confortarsi quandoall'annuncio della Gaudenziil giudicech'era giovane e di manieresquisitele mosse incontrodicendole alquante cose cortesieconcedendo sì alla zia di lei come a Lorenzo di assistereall'esamee di essere interpellati in proposito.
Ledomande del giudicele risposte della fanciulla Gaudenzileosservazioni di Lorenzole appendici della zia rachiticacostituiscono un dialogo da empire quattro facce di processo verbaledialogo che noi abbiam quie che per molti rispetti non èindegno d'una letturama che potrebbe anche provocar gli zitti diquella parte di pubblico che preferisce la musica veloce di Verdi atante altre musiche; ondesenza riportarloci limiteremo a dire chele sue risultanze furono taliquali ciascun lettore potevaaspettarsele. Il tenore Amorevoliinterrogato prima dal giudice sulfatto della Gaudenziaveva parlato e protestato in modo daimpedirgli una soverchia insistenza nell'ordine delle domande dafarsi alla Gaudenzi stessa. E il giudicequando ebbe praticate tuttele indagini iniziatricicome voleva il suo ufficioaccorgendosi chele cose prendevano una piega ostinatarisolse di non farne altroedi passare al criminale il processo così incoato. Ma Lorenzonon fu pago per nulla di quell'esameperchèsi apponesse onogli parve che il giudiceil quale aveva lasciato andar qui e làqualche epigramma e qualche scherzo gentilenon fosse del tuttopersuaso dell'innocenza della Gaudenzi; e ciò ch'èpeggioallorchèdopo ricondotta al suo alloggio laMargheritaegli si gettò ne' pubblici ritrovi della cittàa sentire come generalmente la si discorressedovette fremere piùd'una volta alle parole che udìe più d'una volta fuper venire a qualche atto violentoondese si contennefu unmiracolo.
Almanaccandocosì mille cosee pensando al modo di far saltar fuori lacomplicese ne tornò in quel giorno verso il quartiere doveera la casetta della Gaudenziil palazzo del marchese F... e quellodella contessa V... Entrò dai portinaj e nelle botteghe làpressointerrogò serve e servitori e lacchè ebarbieriesplorò portecancelli e finestre; chiese conto deisignori padroni del giardino dov'era stato còlto Amorevoliequando sentì a nominare la contessa Cleliae dire ch'eragiovane e bellaegli che non sapeva nulla nè del suocarattere austeronè della sua dottrina astronomicadissetosto fra sè: — Ma perchèla si lasciò daparte costei?... Ma perchè? — Nessuno de' cittadinimilanesii quali erano compresi della fama di quella donnaintemeratanemmen per ombra avean potuto fare un sospetto su dilei... ma Lorenzoil quale era di fuorie non era stato a Milanoche due stagioniese conosceva pittori e poeti e accademicinonconosceva tutta quanta la nobiltànel suo sospetto non fuarrestato neppur da un dubbio; e sdegnato di que' privilegj manifestie segreti che si accordavano ai grandi signoriquasi fu per recarsidal giudice; mapentitosi di quel partitoche poteva aver aspettodi denunciagiurò di venirne a capo in altro modoe quelloche si avvisò di fare e che fecenessuno se lo potrebbeimaginare in mille anni...
Mae la contessa Clelia?... Ah pur troppo che non ebbe il coraggio dimetter tosto in atto il consiglio di donna Paola Pietracomesentiremo poi; e volendo lasciar passare gli ultimi tre giorni dicarnevaleper istornare uno scandalo chesecondo leisarebberiuscito rumoroso in mezzo alla folla dei teatridelle festedellemascherateaveva pensato di aspettare il primo giorno di quaresimaper adempire al dovere... Ma precisamente quegli ultimi giorni dicarnevale le dovevano esser fatali.



III


Lasciandoper ora da un lato l'infelice contessache in ventiquattr'ore ègià dimagrata; e dovendo infingere col conte maritocollacamerieracol parrucchiere seccatore e venditor di frottoleinstancabilecolla sartache in quel dì le portò finquattro vestitil'uno più bello dell'altroper farne sfoggioin teatro e alle festeinfingersi con tutti quanti l'avvicinavanoiquali erano invasi dall'allegria del secolo e dalla pazzia dellastagione; quasi era per morire dello sforzo violento che faceva ondechiudersi in petto la passione. — Ci conviene inoltre lasciarenella solitudine del suo camerino in Pretorio il tenore Amorevolipentito e strapentito d'essersi impigliato in quel terribile vischio;e chea dar sfogo al dispetto che lo rodeva e a passare il tempodella giornata lunghissimasolfeggiava a voce distesaonde tener lagola preparata per la serae talora cantava alcuna cabaletta odell'Artaserseo della Semiramide riconosciutaodell'Olimpiadee si concitava nell'esprimere:


Secercase dice
L'amicodov'è ......
L'amico........


Ecome se fosse in teatroquando era alla cadenzadove azzardavapernon esser al cospetto del pubblicoi passi e le volate piùaudacisentiva le voci e gli applausi di un altro pubblicoloscarso pubblico inquilino insieme con lui de' locali del Pretoriovoci maschie e anche voci femminine; ladri di mezzo carattereetagliaborse novizje debitori insolventi e donne di Pafo ches'attaccavano all'inferriata a strillare il loro bravoappannato dalla raucedine e dall'accento del vernacolo di Cittadella;e a cantare anchecome per corrispondergli un complimentouna diquelle canzoni da orboche in que' dì scriveva Pietro CesareLarghi:


Imparateo peccator
Conla stanga del dolor
Asarà la porta granda
Chea l'inferno la ve manda.


Amorevolitacevasi guardava i calzoni di raso azzurro colle stelle d'argentoe diventava malinconicoindignandosi d'essere stato messo làcon quella gente; chèpur troppose non ci si èprovveduto oggidìtanto meno a quel tempo s'era pensato adun'opportuna segregazione tra le diverse qualità d'imputatietra gl'imputati e i rei. — Ci convien dunque lasciare alle suepene il tenore Amorevoli. E dobbiam privarci della compagniaedificante di donna Paola Pietrae tutto ciò per seguire ilsignor Lorenzo Bruni in san Vicenzinonella casa chemovendo dallacontrada de' Meravigliè anche oggi la quarta a dritta.
Inquella casaa piano terrenoverso il giardinoteneva il suo studioil giovane Francesco Londonioe più forse che studio dipitturavi teneva accademia sempre aperta di allegriae fabbricaoperosissima di scherzi e matterìe; e ritrovoa una cert'oradi tutti i pittori e scultori ottimibuoni e grami che allorapossedeva Milano; e in que' giorni di carnevalequartier generaledella compagnia dei Foghettidi cui esso era ilcapitano.
Lorenzoche già altre volte erasi recato a quello studiovi sidiresse difilato; e indugiatosi un momento all'ingressoprima dibussaresentiva il suono d'una voce che parlavala quale venivasusseguitadi tratto in trattoda una risata unissona di piùpersone. E codesta risata pareva come un intercalare obbligato allepause che faceva il parlatore. Quando tra una mano di persone v'èuna grande allegria e una gran vena di motteggioriesce penosononsi sa bene perchèil farsi tra di loro non chiamato: eLorenzoche pur conosceva que' compagnonistette un momento inforse per tornare indietroma si fece poi animo e bussòforte. — Avantiavantiavanti— gridarono piùvoci ad una; ed egli entrò...
—Oh!! benvenutosignor Lorenzo...
—Benvenuto.
—Benvenuto... signor capitano degli archetti; le presento quinelnostro pittore Gazzettaun buon suonatore di violinoil qualegiacchè le fabbricerie lo lasciano senza lavorovorrebberitrovarsi in orchestra.
Chiparlava era il giovane Londoniola cui figura dovendo comparire apiù ripresein mezzo alle tante che popoleranno il nostroquadro centenarioè bene si sappia quello che ancora non èstampato in nessun librocome cioènato in Milano nel 1723(e fin qui ci arriva anche il Ticozzi nel suo Dizionario de'pittori)fosse discendente di una famiglia originaria spagnuolachesi chiamava Londognosfeudataria di Ormilìaun ramodella quale s'era stabilito in Lombardia al tempo della dominazionespagnuolaquando per la prima volta vi capitò un cadettoinqualità di generale delle truppe spagnuole. Questo FrancescoLondonioquantunque non avesse che 22 anni quando ricevette lavisita del signor Lorenzo Bruniera già noto come pittore disoggetti campestri; ma ciò che allora ne costituiva davvero larinomanza nelle società alte e basseera la sua amenissimagiovialitàper la quale avrebbe sparsa l'allegria anche trale file di un mortorio; pensatore di bellissimi trovatia chi nefacevaa chi ne promettevaonde se egli era un amico carissimoqualche volta riusciva pure un amico molesto; ma quanto era temutoaltrettanto era cercatoe si moriva di noja senza di luiin tuttiquei convegni dov'era solito praticare.
Inquel momento stava adunata nel suo studio quasi tutta laconfraternita dei pittori milanesi.
V'erail maestro di luiFerdinando Portafiglio di Andreascolaro delCerano e del Legnanino; v'era il giovane pittor De Giorgiallievodel pittor Del Cairo; v'erano gli esordienti Bergami e Paganiscolari del pittor Frasa e del Lucini; v'era Angelo Mariani e ZucchiCarl'Antonio già provettiscolari l'uno del Fioril'altrodel Sant'Agostinoscrittore di cose d'artee che s'era dimezzatotra il Procaccini e il Crespi Daniele. V'erano Lucini e Fabbrica eClavelli e Zaccaria Rossi e il Crivellonepittore di trote e diaragoste. V'era il fanciullo Biondiche attendeva allora a macinarcolori: nomi la maggior parte di pittori ignoti a tuttisin anco aiMilanesie che non sono registrati in nessuna storia dell'arte; ede' quali taluno sarebbe forse celebre se fosse nato a BolognaaVeneziaa Firenze; tanto questa nostra città in talune cose ètrascuratissimafino alla barbarie; così che quei che volessefar la storia delle arti milanesipotrebbe bene invecchiar nellericerchepur colla pazienza straordinaria di Muratorima nonvenirne a capo mai di farla completa.
Mache noja! Ci par di sentir a dire; ma che strana idea di regalarciqui una pagina lacera dell'elenco della confraternita de' pittori del1750? — Ma perchè farci camminare fino a san Vicenzinoin traccia di persone nuovementre vorremmo stare colle conosciute?In quanto alla nojarispondiamo dunquechedal momento che la siprovaè inutile dire che c'è a torto; pure dobbiamofar notare che bisognava passare per di quipoichè se allettore noi dicessimo chedall'umile studiolo d'uno dei pittori chesi trovavano là presso il Londonioe da un disegno grazioso eda pochi colori stemperati su di una tavolozzadovrà uscireun risolvente drammatico più possente di quanti ne uscironodal laboratorio chimico di Dumasil lettore non crederebbe. —Ma dal momento che il signor Lorenzoche non era uno sciocco nèun buontemponepur in quell'affanno in cui versavaerasi recato afar visita al Londoniodove sapeva che di solito si riuniva unacongrega di pittoribisogna bene che ne abbia avuto la sua ragione.— Stiamo dunque attenti a tutte le sue parolee non perdiamo latraccia de' suoi passi.



IV


Lorenzodunque era tutto preoccupato del suo gran pensieroil quale avevadue intenti: quello di far sfolgorare all'aperto l'intatta onestàdella sua Gaudenzie quello di tirare in campo una gran damadimettere in pubblico quel che era successo in segretodi tal manierachenè per protezioninè per deferenzenè perprivilegi nè per sotterfuginon riuscisse piùpossibile di salvare da uno scandalo solenne i due blasoni del casatolombardo della contessae del casato ispano del conte colonnello.Costretto pertanto a fermarsi làtra quegli allegricompagnoni del pittor Londonioe ridere insieme cogli altri deipiacevolissimi racconti di luisi tormentava del tempo che passavainutilmentee che era preziosissimo per la natura del suo disegno. —Egli aveva bisogno di trovarsi un momento a solo col Londonioenonvolendo dar nell'occhiogli conveniva aspettare che quella compagniasi sciogliesse. Buon per lui che il Londonio entrò a dire:
—Orsùamicia momenti sarà qui a pigliarci ilcarrozzone per andare al corso di porta Romana; non v'è tempoa perdere e bisogna vestire la divisa dei Foghettiperchèmi preme la riputazione. Dopo il corso pranzeremose vorretetutt'insieme; dopo si andrà all'operadopo alla festa inmaschera. Quante faccende in un sol giorno!... domani poise nonvolete andare alle vostre case per dormire un pajo d'ore... potetedormir qui tutti da me... perchè domani è un altrogiorno pieno zeppo di faccende... e ci converrà non perdercidi vista...
—A dormir quiva beneentrò a dir unoma non si vorrebbe checi trattassi come hai fatto col podestà di Chioggia: perchèsiamo ancora in febbraio.
—Che cosa ha fatto al podestà? domandarono allora tutti ad unavoce.
—Ma come? non la sapete?
—Io no.
—Nemmeno io.
—Racconta.
—Raccontate.
—È un fatto molto semplice; fu l'anno scorsoquando ho passatoquegli otto giornial carnevale di Venezia... che gli alberghi eranozeppi al puntoche a trovar un letto era come trovar un tesoro. Ioperò ne avevo trovato uno allo Scudo di Franciasebben micostasse un occhio. Ora sentite questa. Voi sapete il dispetto cheprovo a trovarmi a tu per tu con una persona non conosciuta;figuratevi poi quando si viaggiae si è in una camera daletto. — Ebbenea una cert'oraquando l'albergo eratutt'occupato dal primo all'ultimo pianodalla prima all'ultimastanzaviene da me l'oste. Forse perchè io era il piùgiovane di quanti eran là e gli avevo ciera da buon figliuoloe mi dice: — Signoreè arrivato il podestà diChioggiae vuole alloggio.
—Buon pro gli facciagli dicodoveva arrivar prima il podestà.Cerchi una gondola e dorma la sua notte sotto il felze.
—Va benema io gli ho promesso... insisteva l'ostee in quella entrail signor podestà in personae tanto fa e tanto insistecheio non posso dire di no. Voi sapete cheper quanta ira uno possaavere in pettoin certi momenti non si trova il modo di scacciare unseccatore. Ma quando fummo solinon potendo resistere all'idea didover dormir con un altrocon un podestà... e tondo e grassoqual era colui di Chioggia... non so se voi lo conosciate (dicevarivolto al Bruni)pensava al modo di disfarmeneperchè avevaanche un gran sonnoper aver ballato tutta la notte al ridotto disan Moisée così nel pensareguardando il soffiettoche pendeva da lato del caminomi viene un'ideae tostorivolgendomi all'amicosì gli dico: — Signor podestà?
—Cosa mi comanda?
—Ho a farle mille scuse anticipate.
—Di che?
—Di questoche vado soggetto a un grave incomodo.
—Ed è?
—Una febbre acutala quale mi ha messo in fin di morte sin dafanciullomi lasciò un vizioun gran vizio.
—Ebbene?
—Vo soggetto a quelli che si chiamano i venti freddi.
Una malattia nuova.
—Nuovissimae chi ha la disgrazia di dormire con me ci soffremaassai. — Ora che cosa avreste fatto voi se foste stati ilpodestà?
—Darvi la buona nottee andar via.
—Così pare almeno; ma il podestà fu di un altro pareree metà credulo e metà noentrò per il primo inletto. Allora io non feci altro che seguirloecosì mezzovestitomi cacciai sotto coltrearmato di soffiettoe spensi illume. Lasciai che il podestà dormisse della grossae poi misiin movimento il mantice... Tirava un ventocari mieiche il lettopareva il Cenisioonde il podestà si risvegliòspaventatoe non potè trattenersi dal dire dopo qualchemomento:
—Ah! è veramente orribile la vostra malattiasignor miopercaritàaccendete il lumech'io vo a gettarmi in lagunapiuttosto che dormire con voi.
Ioobbediiaccesi il lume. Egli si alzònon parlò più;soltanto borbottò tra' dentied uscì chiamando l'ostea tutta voce. Il resto della notte la dormii così assaiplacidamente. Or non temete che io voglia oggi estendere a maggioriproporzioni l'esperimento di Venezia. Voi non siete nèsconosciutinè podestànè ostinatie v'invitoio. Su lestidunquee vestiamoci. La carrozza è qui...sentite. — Poivoltosi al Bruni: — Dovreste venire anchevoigli disse. Qui c'è riserva di vesti e maschere per tuttigli amici che capitano... purchè sien tutti artistinonimporta se di pennello o di scalpello o di arco o di fiato o di golao di rima. Stupisco anzi che non sia venuto oggi il segretarioLarghiil più caro scrittor di villotte che si conosca; ebisogna sentir lui stesso a cantarle! ma lo sentiremo alla festa delteatrino. Risolvetevi dunque. Volete esser Pantalone o Brighella?
—Caro mionè l'uno nè l'altrorispose Lorenzo: e còltoil momento che gli altri attendevano a vestirsicosì glidisse: — Son venuto da voi per un affar di premura.
—Cattivo giornoma non importa.
—Ho bisogno dell'opera di un pittore... ma di tale che sia e valente eimprovvisatoree conosca l'arte di colorir le maschere ad uso diParigi. Ne ho già chiesto altrovee so che a Milano ve n'èuno bravissimo.
—Siete fortunato... eccolo là... È il pittor Clavelli...Ma...
Edicendo questoil Londonio crollò la testa.
—Ma... che cosa?
—Ma non sapete chese l'anno passato tali maschere eran tolleratequest'anno sono proibitedopo il lagrimevole fatto della vedova delDuca di Choiseul?...
—Ma qui non si tratta di far piangerema di far rideresoggiunse ilBruni.
—Fate voi... non so che dire; quel giovine lì vi serviràbene; d'altra parteè in così povere acqueche certodeve aver più paura della bollettache delle ordinanze di suaeccellenza. Or lo chiamo e mettetevi d'accordo. Badate peròch'io non so nulla.
—Fate conto ch'io non v'abbia mai interpellato su di ciò. Peraltro non è e non sarà che uno scherzo.
Ilgiovine pittore Clavelli fu chiamatoil Bruni gli parlail pittoremise innanzi quella difficoltà che sappiamo; ma sentendo chesi trattava di guadagnar beneacconsentìe promise al signorBruni che si sarebbe lasciato trovare al caffè del Grecomezz'ora prima che incominciasse il teatro.
Cosìstretto il contratto col signor Lorenzofinì il pittore diadattarsi i due gobbi di Pulcinellachè tale era la suamascherae si mise in ischiera cogli altrii quali vestivanociascuno il costume d'uno dei Zanniallora tanto in vogai qualieran come i deputati rappresentanti delle principali cittàd'Italia. Il pittore Londonionella sua qualità pur diconfratello onorario della badia de' facchini e nella suaqualità di pittore campestrevestiva la maschera di Beltramedi Gaggianomaschera che di quel tempo sussisteva ancoraquantunqueavesse dovuto cedere il primo posto a quella del Meneghinoinventatagià dal Maggilo splendor di Milano come loaveva chiamato il Redie che fu l'Allighieri del dialetto milanese.Così tutti discesero e salironomeno il Bruninel carrozzonecarico di munizione per la battaglia del giovedì grasso:fioriconfetticoriandolimelarancipomiova; e di buon trottosi gettarono nel fitto del combattimentosul corso di porta Romanaa percuotere e a rimaner percossi dalla pioggia de' pomiaimbrattare e a rimaner imbrattati dalle ovache si rompevan sulleparrucche incipriate a farvi strani empiastri e lorde miscele dituorli e di cipria.
Orasenza perdere il tempo a descrivere il corso del giovedìgrasso dell'anno 1750perchè noi siamo nemicissimi delledescrizionisegnatamente se siano state fatte da cento altriscrittori; ci limiteremo a direa coloro che volessero pur farseneun'ideache a gettare tutti i colori dell'iridecon tutte le loroinfinite gradazionisu quelle ottanta o centomila figure allorastivate lungo il corso di porta Romanae a raddoppiare il frastuonocome se quelle centomila persone avessero due gole enfiate perciascuna; e a lasciare alle carrozzeai padovanelliai calessiaibirbiniai carri convertiti in forma di barche e di vascelli ilpermesso di muoversi a loro beneplacito e di produrre per conseguenzaun disordine molto simile a quello di un corpo di truppe che siapiuttosto in fuga che in ritirata; e a portare a un tre quartibuonamente della popolazione colà affollata il numero dellemaschere d'ogni formad'ogni foggiadi ogni paese e d'ogni colore;a far insomma colla mente tutte queste operazionine puòuscirechiudendo gli occhi e lavorando d'imaginazionelo spettacolod'un corso carnevalesco di quel tempo. Ma noiche non abbiam vogliadi attendere a ciòlasceremo passar l'ora del corsoperrecarci invece in piazza del Duomo al caffè del Grecodove ilpittor Clavelli a un'ora di notte stava aspettando il sig. LorenzoBruniche venne di fatto a pigliarlo puntualmentee a condurlo alteatro Ducale.
—Vi basterà osservar dalla plateadisse il Bruni al pittorenel far la viao sarà necessario salire sul palco scenico?
—Farà bisogno della platea e del palco scenicoperchèa condurre la cosa in modo che l'arte si confonda colla realtàconviene pigliar tutte le misure.
—Andrete dunque in platea e sul palco scenico. Conoscete i fratelliGalliariquelli che dipingon le scene? —
—Li conosco benissimo; ma se non mi vedrannovi saròobbligatissimo.
—Perchè?
—Perchè è bene che la cosa stia fra voi e me; so quelche dico... l'ordinanza parla chiaro; e fu gran tracollo per mevedetequella benedetta ordinanza! fate conto che ne' carnevalipassati io arrivassi a guadagnar sino a cento zecchini venetitantoche avevo lasciato da una parte la pittura di chiesache è lagran pitturaper dir la verità; ma col pane non si scherza...e questi curati di campagna credono di sciupare il pane dei poveri adar da mangiare a' pittorisegnatamente se son giovani e non hannome.
—Abbiate coraggioamicoe se mi servirete benefarete poi ilritratto intero della ballerina Gaudenzi.
—Oh che fortuna sarebbe! sento che è una gran bellezza! unabellezza famosa! Se il ritratto mi riuscissetutte le dame di Milanoverrebbero da me... sono le occasioni che fanno l'uomo. Cosa credetevoi... che tanti pittori famosi sarebbero riusciti talise nonavessero avuto le occasioni? Cheper esempioil cavaliere DelCairoche fu il maestro del mio maestrofosse davvero un granpittore? Non lo credete; ha avuto il vento in poppa; opere di quiritratti di làzecchini a stajae poi l'ordine di sanMaurizio. Maper colpa sua e di qualch'altros'imbastardò lamaniera lombarda cogli innesti della scuola di Bologna; e poi colpigliare qualcosa da Romaqualcosa da Firenzequalche cosa daVeneziane uscì una mescolanza taleche non siam piùnè di qui nè di là... Ma quando un paese haavuto la fortuna di possedere un Leonardoe poi un Luinoe poiquello spavento del Crespi... il Crespi del San Brunone... Non so sevoi abbiate visto quel lavoro a fresco? Quello è un afresco!... Domando io dunquese c'era bisogno di andar altrove a fargli accattoni? Ma la moda fa tutto; ed io che parloson guasto piùdegli altrie col far quello per cui voi m'avete chiamatomi songuasto la manoe poi mi son messo al punto di guastarmi anche lasaccoccia. Seper esempiodomani taluno mi desse a dipingere unaDeposizionefarei le tre Marie col guardinfante. Così vannole cose.
Inquesta entrarono nel teatro già affollatoe nel punto che giàcominciavan le dame a sedere ai loro posti nei palchetti.
—Vedo che in platea non c'è luogodisse il Brunitroveremodunque un posto comodo in orchestradove senza dar nell'occhiopotrete gittar giù sulla carta qualche segno. Quando poi vibisognerà d'andar tra le quinteme lo direte.
LorenzoBruni si recò allora col pittor Clavelli in orchestra; messo asedere l'amicosi mise anch'esso al postoche i suonatori erano giàtutti sulle loro sediee già attendevano ad accordargl'istrumenti. Il teatro era zeppogià faceva quel mezzosilenzio che precede l'alzata del sipario; tutti i palchetti eranooccupati; Lorenzo girò gli occhi lungo le filee il casovolle che fossenel momento che il conte V... e la contessa siponevano a sedere l'uno rimpetto all'altra. Allora sul volto diquestaeglidal suo basso scrannotenne fisso uno sguardo lungo eindagatore.
Allabellezza abituale della contessa Cleliadi cui nessuno erasi primainfervoratoper l'eccesso della sua medesima perfezionesi erasovrapposta una velatura leggiera nel coloree talune indescrivibiliimpressioni nella superficiele qualitogliendole quellaquasidiremopompa orgogliosa della beltà nudrita dalla salute edalla calmavi aveva soffuse le traccie del patimento e di un certolanguore di stanchezzalanguore prezioso (per la poesiaintendiamoci benenon per la realtà)il quale essendoappunto la prima volta che compariva su quella facciavi producevaun contrasto ineffabile e la rendeva oltre ogni dire attraente atutti gli sguardi. Tanto è ciò vero chequasi a unpunto stessoda tutti coloro che la osservarono quand'ella girògli occhi intornosi fecero queste medesime osservazioni a di leiriguardo.
—Ma come s'è acconciata stasera la contessa V...? —Davvero che mi pare un'altra. Se si sapesse ch'ella ha una sorellasi direbbe ch'è la sorella a punto. — È peròsempre bella. — Per medirò anziche è piùbella del solito. — Ahè un gran peccato che l'abbianoinzuppata nella scienzae fatta così indurire come quel legnoche diventa marmo stando nell'acqua!
Mase molti in quel punto la guardavano fuggitivamenteLorenzo tenevagli occhi sempre fissi in lei; e da quel palchetto non li abbassòche per volgersi e girarli torvamente sulla plateacosìparlando fra sè: — Balordi che siete!... si trova un belgiovane in un giardinodi quelli che s'innamorano per professionelo sorprendono al piè del palazzo e della stanza dove sta unadonna che ha quella faccia lì... e si va a turbar la pace dicinque o sei case per trovar la donna de' suoi sospiri... Balordi voie balordo il giudicequando non vi sia di peggio... perchèpare impossibile... una bellezza di quella sorte... che... inconclusione ... qual è la più bella di tutte questeduchesse e contesse e marchese e marchesine che stan qui?... Enessuno è arrivato a pensare che ai tenorisegnatamentequando toccan di quelle grosse paghe che ognun sapiacciono i buonibocconiese furono cullati sul letto di pagliaaspirano aimoschetti di drappo. Ma pazienza fossero tutte Vestali le donne diMilanotutte Lucrezietutte Cornelie... Ma no... perchèanche senza far torto a questa città... si sa ch'è lamalattia del secoloche più si sale e più si pecca...che si è sempre fatto così... Ah sciocchi e balordi...c'è da scavar vicino... ed essino... voglion correr mezzomiglio per le ortagliee far fatica a trovar l'accesso alla casettadi quella povera ragazza... che è pura come l'acqua... E tuttia intestarsi che debba davvero essere la Gaudenzi... come se non cifosse stato tutto il tempo e tutto il comodosupposta una simpatiad'intendersela sul palco scenico!... Ma non piace al signor pubblicociò che è naturale e semplice... siam sempre allastoria del teatro... bisognava che il tenore Amorevoliper essere uncaldo amantesaltasse murisaltasse siepisi lacerasse tra i prunila seta dei gheronicorresse pericolo di rompersi l'osso del collosalendo per qualche scala di seta... allora va bene... allora ilsignor pubblico è contento...
Ecosì avrebbe seguito il corso de' suoi pensieri chi sa sindovese un gran colpo d'archetto del primo violino non gli avessetagliati i pensieri in due. Gettò allora gli occhi sullamusicamise il violino alla ganasciae stette pronto.
Ilsipario si alzòe avvenne tutto quello che era avvenuto lanotte addietro. Uscì il tenore Amorevoli tra un subissod'applausii quali poco ormai lo confortavanoperchèse losi lasciava andar in teatrov'era accompagnato in cocchio daltenente e dal guardiano del Pretorioche stavan con lui in camerinoperchè non parlasse con nessuno; uscivan con luie loaccompagnavano all'orlo del palco scenico e lo aspettavan tra lequinte. Queste cose si sapevano dal pubblicoche le disapprovavaquantunque a torto. E venne l'ora del balloe il momento in cuiusciva la Gaudenzi divina.
Mache è questo? che novità? che segreto? Cos'èsuccesso?... Ah! noi non sappiam cosa direma il fatto è cosìprecisamentelettori miei. La Gaudenzi venne accolta da un bisbiglioostileintercalato da una dozzina di fischi portentosiindarnorespinti da pochi battimaniche si ritirano tostoquasi vergognosid'essersi compromessi.
Dache dunque poteva dipendere questo inaspettato cambiamento delleteste del pubblico? Da un fatto assai semplice: da ciò cheessendosi egli ostinato nel credere agli amori della Gaudenzi conAmorevolie avendo speratoquando sentì ch'essa era statacitata a comparire in Pretoriovolesse confessare ciò chegenerosamente e cavallerescamente il tenore aveva taciuto; gli venneun fiero dispetto di quell'aspettazione delusae più ancoradella supposta ipocrisia della fanciullache si pensò nonavesse voluto corrispondere alla delicatezza dell'amantepercontinuare a godere in faccia al mondo di quella gran fama d'onestàusurpata a troppo buon mercato; la quale onestàin quellauniversale rilassatezza del costumeera così eccezionale estranasegnatamente se la si applicava al teatroche se molti aveanprima potuto apprezzarlaaltri l'avean sopportata di mal animocomeun'ostentazione; e questi altrii quali s'eran compiaciuti dellascoperta che la Gaudenzi fosse pur essa infine una donna da teatrocome tutte le altresi rivoltarono senza ritegno contro al pretesosforzo chesecondo essiella avea fatto per proseguire ad ingannareil mondo. Talvolta un'ideaun'opinioneuna credenza s'impadroniscedi un'intera massa di gente in un modo irresistibile. E gli uomini dibuon senso e di spirito equoche volendo esaminare prima dicondannareazzardano qualche difesa e qualche osservazionesonoquelli precisamente che danno le mosse al temporale.
Cane d'un pubblico scrisse il conte Rostopchin nelproprio epitafioin attestato del suo profondo disprezzoall'opinione pubblica; e Cane d'un pubblicodisse Lorenzo frasè e sè fremendoquando da un collega d'orchestrasentì la spiegazione di quell'improvviso malumore dellaplatea; ma ciò che più di tutto gli fece salire ilsangue alla testae lo raffermò nel suo proposito divendettafu l'aver visto lo stesso signor conte V... a degnarsi diuscire dalla sua orgogliosa gravità per zittire anch'esso.
—Anche tupensò tra sèanche tubufalo bardato diCatalogna! ma non sai quel che ti attende? E quando calò ilsipariotutto convulso si avvicinò al Clavelliperchiedergli se gli occorreva d'andar sulla scena.
—Ho visto benee già ho qui il profilo che non ne scatta unpelotanto che in un bisogno potrebbe bastare. Ma un'occhiataattenta e ben dappresso e tra le quinte gli farà nascere ilgemello...
—E si arriverà in tempo?
—Altro che in tempo! abbiamo due giorni.
—Quando fosse pronto per sabbato a mezzanotteè anche troppo.
—Io vi avrò servito per mezzodì— e Lorenzoaccompagnò il pittore Clavelli sul palco scenicocollocandolopresso una quinta; eprima di discendere in orchestraandònel camerino della Gaudenzila quale piangeva dirottamente.
—Il pubblico di Milanoesclamò allora Lorenzoscoppiandodall'ira e dalla commozionepotrà versare a' tuoipiedi tutto l'oro che costa il suo Duomo... ma faccia conto d'avertiveduta per l'ultima volta. Del rimanente aspetto sabbato...



V


Adun savionon ci rammenta più nè quando nè dovefu domandato: quale può essere la cosa più fatta peraddensare la tristezza nel cuore di un uomo sentimentalmenteintellettuale? — Forse la vista di un campo santoha eglirispostonelle ore notturnecon cielo profondoe luna pallida estelle tremule e fuochi lambenti e strigi volanti? No. — Forsela cima inaccessa delle Alpidove il cacciatore rimane percosso dalmortale solengo? O in una campagna abbandonata e brulla durante ilbigio novembrela vista di uno stagnosull'opache acque del qualeincumba immobileda un ramo che vi peschiun decrepito airone? O lasolitudine infinita del mare ghiacciatodove Alfieripoeta eviaggiatorepotè scoprire com'è tremendo il silenzioquando sta nel suo regno desolato? No. — Forse una cameraanatomicadove il coltello dell'investigatore chirurgo sprigioni igas più letali e più putridi da un cadavere umano? No.— Che luogo dunque? — Una festa da ballo. —Così rispose quel saviocon incredulo stupore di tutti; maper quanto potesse essere uno strano pensatorenoi dividiamoperfettamente la sua opinione. Se fosse possibile scrivere uncompendio della storia dei doloridei disastridelle tragediedegli odjdelle vendettedei delitti di cui il primo filopiùo meno avvertitamentefu gettato nel rigurgito abbagliante dellaluce notturnanel vortice fracassoso delle danzenella polveresollevatanella giojanell'orgianegli scherzi vellicantinelmotteggio maliziosonell'epigramma ambidestronella schiuma dellosciampagnanell'allegria saltantenelle grida inconditenell'ebbrezzanella stanchezzanella dormiveglia di una festa daballo in maschera; quel compendio sarebbe più voluminoso dellepiù voluminose enciclopedie condensatrici dell'umana sapienza.— Chi non vuol crederenon s'incomodi; ma la nostra opinione èquesta.
Quantevolte dalla bocca vermiglia di una faccia di cera uscì lafolgore muta di una parola solama chesolabastò ascomporre per sempre la felicità di due vite; che potèesaltare in un marito il cieco furore d'una gelosia omicida; epersuadere un troppo credulo fidanzato a respingere quella cheindarno fu insidiata da qualche turpe amatore. Quante voltedell'effervescenza del sensoprotetto dalla maschera e liberato perlei dal vigile pudoreMefistofele approfittò per gettar latrama d'un futuro infanticidio! Quante volte una mendace accusa fuportata in alto dalla mascheraa cui nulla è inaccessoperfar percuotere un innocente odiato! e l'iniquitàresainoffensiva dalla viltà nativadiventò di colpo eaudace e micidialecelandosi dietro un volto di cera! Quante voltel'effimera virtù si disciolse tutta in sudore al contatto diquel volto stesso... e la ferma virtù vacillò... ecadde a un tratto chi avea potuto resistere a lungo. Per dio lamaschera ci fa spavento! sicchè riputiamo che sarebbe unbel passo della civiltà se scomparisse per sempre dalla facciadegli uomini; e tanto più che è già una mascherala faccia naturale. — E dopo di ciò una festa da ballo èluogo di mestizia anche senza i volti finti! — Quante infelicipassioni vi s'infiammanoquante felici illusioni scompajono; quantagara funesta di perfide vanità; quanti gentili tessutiaffranti dalla danza frenetica! Chi ha assistito coll'occhioinvestigatore e colla riflessione a quel punto in cui la prima lucedel sole entra a mescolarsi in una gran sala colla fiamma decrepitadei doppieri consuntie un raggio vivo di quella luce va apercuotere le faccie di un gruppo di giovinette chevaghepoche oreprimadelle più fresche rose della salute e della giojanell'abbattimento sorgiuntonella stanchezzanel repentinoavvizzirenella pupilla fuggitanel livido pallorelasciano giàindovinare il processo con cui la dissoluzione s'impadroniràcol tempo dei loro corpie dietro a quella che è quasi larvadi gioventù e di bellezzalasciano travedere con raccapricciola futura vecchia e il cadavere futuro: ci saprà dire inconfidenzase si può raccogliere allegria da una festa daballo! Ma abbandoniamo le inutili digressionie facciamoci con chideve recarsi alla festa da ballo in maschera del sabbato grasso.
Pochiminuti prima della mezzanotte di quel sabbatoossia circaquarant'otto ore dopo che la dea Gaudenzi venne fischiata dalpubblicolasciatosi trascinare da quella infesta precipitazione digiudizj che ha sul collo tante vittime; Lorenzo Bruniun po' colledolci paroleun po' colla finta colleraun po' colla verastavadistogliendo da un ostinato proposito la Gaudenzicheabbigliatacon tutto lo sfarzo di una reginanel punto che stava per salire incarrozza alla festa del teatro Ducaled'improvvisocome una puledrache adombrierasi fermataerisalendo la scalaavea cercata lasua stanzagiurando che sarebbe mortapiuttosto che mostrar lapropria faccia a coloro che aveano potuto insultarla senza ragione.
Avvezzafin dalla prima infanzia alle carezze de' genitorialle gentilezzedi tutti; efatta adultaalle lodiall'ammirazioneagli applausialle adulazioniai trionfi; quel primo insulto la trapassò diuna profonda feritae in modo che la vescichetta del velenoci sipermetta questa espressionedel veleno onde la natura non manca maidi provvedere anche la più soave e mite creaturas'eradischiusa con uno squarcio repentinotanto che lo avea schizzato conveemenza d'intorno a sèal punto da mettere nella piùseria costernazione la vigile zia e Lorenzo. All'invito ch'egli leavea fatto il giorno prima di recarsi all'ultima festa da ballo inmascheraella aveagli risposto con isdegnosa ironia; alle dolcipersuasioni opponendo una fierezza fin quasi selvaggiadi cui ellasino a quel punto non avea sospettato neppure la possibilitàe che aveva dato da pensare all'esperimentato Bruni. Benea poco apocos'era venuta placandoe piangendo e chiedendo perdono concarezzevoli blandizieavea promesso di far il suo desiderio e s'eralasciata ornare dalla sollecita zia di fioridi perledi brillanti;ma la vescica del veleno le si riaprìcome abbiam vedutonelpunto di salire in carrozza.
—SentiMargheritahai tu fiducia in me? le diceva Lorenzo.
—Non mi fido più di nessuno; gli uomini son come i gatti; oggileccanodomani graffiano...
—Ma puoi tu dire ch'io t'abbia mai fatto un torto...
—Chi v'ha detto questo? rispose acremente la Gaudenzi. Voglio direche... — ma qui diede in uno scoppio di pianto. Il pensierodell'insulto ricevutoriassalendolanon le concedeva pace.
—Dammi rettaMargherita; se ciò che è avvenuto tiaffanna tantoe n'hai troppe ragionil'unico tuo desiderio deveesser quello di confonder tutti quantidando modo alla veritàdi mostrarsi intera; ed è ciò appunto a cui hopensato.... Tu sai che non t'ho mai consigliato cosa che non dovesseportare il tuo bene... Potrei dunque eccitarti a venire stanotte inteatrose non fossi certo che all'alba del domanine usciraivendicata da quegli stessi che ti hanno offesa?...
—Ma se è vero quel che mi dite... perchè dunque mi fatemistero del modo?...
—Il perchè lo saprai... ed io pretendo d'aver diritto alla tuafiducia... Suvviaalzatie andiamo.
—Suvviasoggiungeva la ziatorna buona come primae obbedisci chivuole il tuo bene...
LaGaudenzi non risposesi alzòmosse lentamente verso l'uscioe Lorenzo la seguì.
—Andiamodisse il Brunia pigliare il padre della prima donnaches'è incaricato di farti il bracciere alla festa; — epartirono.
Maintanto che Lorenzo Bruni e la Gaudenzi salivano in carrozzadopoun'ora di contrastoin casa V...quasi che da un medesimo filodipendessero i successivi movimenti di due congegnicontinuavaancora un contrasto incominciato dopo. — La contessa Clelialaquale mille volte s'era pentita di non aver tosto messo in atto ilconsiglio di donna Paola Pietrae alle fischiate onde si vollepunire la Gaudenzi aveva provato un cruccioun affannoun'inquietudine particolare; e però non desiderava altrofuorchè spuntasse la prima domenica di quaresima per recarsiin Pretorioo per iscrivere al giudicecontenta di affrontareaffanni peggiori ma di tagliare quel nodo una volta per sempre efinirla; sazia della festa del giovedì grasso e d'un pranzoincomodo di sessanta coperti e d'un'accademia del venerdì edel trovarsi sempre in mezzo a tanti uomini e donnein ciascuno de'quali e delle quali ella vedeva i suoi denigratori spietatiquandola gran notizia fosse scoppiata in piazza; e affranta per di piùda un tedio convulso che la faceva stare di malissima vogliaaveva risoluto di non intervenire altrimenti in quella notte allafesta da ballo in maschera del teatro Ducale. Ma non avesse mai fattouna simile proposta al conte marito! La contessanelle piùcomuni circostanze della vitapoteva in casa far tutto quello chevolevalo abbiamo già detto; ma in certe occasioni specialiguai ad omettere una praticauna consuetudineun cerimoniale.Allora il conterispettosamente ammiratore della contessadiventavail suo despota e il suo tiranno; e per darea modo d'esempioilpermesso alla moglie di non intervenire all'ultima festa delcarnevaledove tra le dame più cospicue si compiva l'ultima epiù fiera battaglia di eleganza e di ricchezzabisognava chela moglie fosse stata assalitaper lo menoda una encefalitefulminante. Il conte era della famiglia di quel tale chepiuttostoche infrangere un cerimonialevolle morire asfissiato da unbraciere.
Fattoadunque il viso più severo che per lui fosse possibilealla mogliee pronunciate quelle parole più irrevocabilmentedi ferro che per lui si potevanopassò nella sala dov'era lamadre della contessauna sorella e un fratello; e tutto aspro:
—Donna Gertrude (disse alla madre)la si compiaccia di recarsi unistante da sua figliala quale pare che abbia volontàd'inquietarmi.
—Che cosa?... Che è avvenuto? rispose donna Gertrudemaravigliata di veder così a rovescio il conteil quale perconsuetosebbene un po' duramentele si era sempre dimostratocortese; ma in quella entrava la contessa.
—Preghi il contemammaa permettermi di non uscire; perchèsto malemale assai.
Ilcolonnello non seppe allora più contenersie strepitòsenza però mancare alla sua gravità.
Main quel punto il fratello di donna Clelia si alzòe di quetole disse non so che parole all'orecchio.
Aquelle parole piegaronsi i ginocchi alla contessae si gettòa sedere.
Lamadre e la sorella si guardavano... Il conte passeggiava... Ilfratello taceva.
Trascorsialcuni momentila contessa Clelia si levò e:
—Andiamodissenon voglio che per sì poco il conte siaffanni.
Unamezz'ora dopopreceduta dal conte marito e dalla sorellalacontessa discendeva lo scalonerallentando il passo per essereraggiunta dal fratello. Quando questi le fu vicino:
—Chi ti ha detto...? gli disse la contessa.
—È un bisbiglio che corre per la città... La tua assenzaavrebbe potuto accrescere i sospetti.... Or pensa a te...
Apiedi dello scalonetra le torcie di due lacchèla contessaattonitasalì in carrozza; il conte lieto e sorridentesedette vicino a lei; la portiera si chiusee via di trotto. Ilconte fratello e la contessina tennero lor dietro in altra carrozza.



VI


Un'oradopola festa da ballo al teatrino era già all'apogeo dellosplendoredella folladella vivacitàdel frastuono. Cosìin quel tempocome oggidìil palco scenico si congiungevaalla platea per mezzo di una gradinata divisa in tre scompartimenti.Gl'intervenuti salivano al palco per quello di mezzoe discendevanoin platea pei due laterali. — Essendo il teatro piùpiccolol'orchestra veniva collocata in una galleria espressamenteeretta sul palco. — Del restonoi uomini della civiltà edel progressoche abbiamo fatto le meraviglie quando il Fetontedegli impresarj introdusse per la prima volta il tappeto verde inteatrodobbiamo sapere chenel 1750i più ricchi tappeti diGand a rosoni variopinti coprivano tutt'intero il pavimento inoccasione delle festee tutto era di conformità con quellaricchezza; dimodochèse la sala tenevasicome dicemmoalquanto oscura durante lo spettacolopel migliore effetto otticodella scena e delle vedute architettoniche e campestri dei fratelliGalliarile fiamme inondavano il teatro di luce quando si convertivain festa da ballo. Ciascuna fila de' palchetti era rigirata da trentalumiere di cristalloportanti cadauna sei torcie di cera; dallavòlta pendevano otto grandi lumiere pur di cristalloedall'interno de' palchetti usciva un'altra luce ausiliaria. Siccomepoi da ciascun davanzale cadevano sui parapetti ricchissimi arazzi ericami d'oro e d'argentoo di broccato tutto d'oro tempestato dipietre d'ogni colore e di luccicanti berillicosì l'effettoche allora produceva lo spettacolo interno del teatro Ducale era digran lunga superiore a quello d'ogni più sfarzosa festa daballo in maschera d'oggidì. E se il lusso e lo splendore eratanto in platea e sul palcole sale del ridotto costituivano davveroun Olimpo di ricchezza e di luce in mezzo a cui sfolgoravano le deitàterrene; chè le dame più cospicue s'addensavano tuttecolào adagiate in apposita salasu scranne doratea bearedi loro presenza chi le adocchiava; o in altra salaaggirantisi inquelle danze passeggiate che si chiamavano minuetto eperigordino. Nè è da credere che le sale delridotto fossero accessibili soltanto alle dame; tutt'altro. Ladivisione che tra ceto e ceto era ancora ben determinatanel secolopassatoin tutte le relazioni della vitae la distanza che trapatriziato e borghesia e plebe era mantenuta inesorabilmente da centoprammatiche e distinzioni e cerimoniescomparivano affatto in quellefeste del carnevale. Era una continuazione modificata del medio evoquando il feudalismo dei padroni e dei servi potè costituirequasi due nature diverse; quando per una legge di compensoa Milanonelle notti fescennine del famoso san Giovannino alla Pagliatuttiquanti si mescolavano in istrane dimestichezze. Ma quei giorni dieguaglianza eccezionale erano in ragione della disuguaglianza legalee consuetudinaria; tanto chemitigandosi e trasmutandosi la secondagrado grado la prima si limitòe di svolgimento inisvolgimento si pervenne al punto che ambedue scomparvero e siconfuserocome vediamo oggidìin una cosa solae tolti gliarginile acque si riunirono. Ma non preveniamo i tempie nonesponiamo al pubblico intempestivamente il dietro le scene delnostro libro.
Inmezzo a quell'Olimpo lucente delle più belle dame milanesicomparvea una cert'orala Gaudenzi accompagnata dal signorCasseriniil marito della prima donnaquella che faceva la parte diSemiramide riconosciuta. Ma appena fu vista dalla folla de' cicisbeicurvati in vari atteggiamenti sulle dame sedutecome statuechefacessero gruppo convenzionale con altre statuesi alzò unbisbiglio ostile. Lorenzo Brunichetutto coperto dal domino nero edalla nera mascherastava dietro alla pupillaquando la videindietreggiare perplessala spinse ad adagiarsi su d'una sedia. LaGaudenzi obbedìed egli si indugiò là unmomento. Seduta tra la contessa Marliani e la contessa Borromeo delGrillo stava la contessa Clelia. — Ferveva un incessante cicalìotra la folla incessante. — Maschere d'ogni generazione passavanodavanti alle dame per avventar loro motti e scherzi e complimenti. —Il villottista cantava il nome e cognome a ciascunae le loroqualità fisiche e morali in accozzamenti strani di idee e dirime; di tratto in tratto fermavasi loro dinanzi un arlecchinounbrighellaun pulcinellaun dottorazzo bolognesea dir lunghefilastrocche nel dialetto della città rappresentata dalla loromaschera. — Intanto sentivasi la musica del minuettola qualecon poche variazioniera quella che introdusse poi Mozart nellafesta da ballo del suo Don Giovannie oggidìconaltre poche variazionirifece Verdi nell'introduzione del suoRigoletto. — Tra quella musica e lo strisciar lento deipiedi e il ronzìo continuos'udiva strillatoconaccompagnamento di chitarraqualche strambotto d'una mascheracuriosache s'intitolava il Tasca e parlava un dialettocompostomescuglio di venezianomilanese e bolognese:


Nolxènol xè pi mondo
Deviver all'antiga
Chino truffa e no intriga
Restain fondo.
Tantola zente xè destomegae
Chepi no l'ha favor la veritae.
Chinegozia col vero
Elxè fallio de botto;
Sedomanda Zinzero
Elxè merlotto
Vedola lealtae scalza e confusa
Perchètutti la lodae pochi l'usa.


Ealtrove gridava Meneghino una filastrocca del Maggi in quel dialettochedopo cent'anniha potuto alterarsi tanto:


.. . . . . . . . . . .
.. . . . . . . . . . .
.. . . . . . . . . . .
Ferre strasccardeghee
Rivendirœupostee
Conche tajee e messò
Garzonsciide sartô
Canajache vivii
Demenuder guadagn
Ecriee per i strad cont i cavagn
Ciovirœude san Sater
Tucccompagnon de better
Elvost car Meneghin
Elva in lontan paes;
Sepu no s'vedaremma revedes.
.. . . . . . . . . . .
Mortadelldi tri Scagn
Buseccade la Gœubba
Passeritdi trii Merla
Moscateldi trii Re
Montarobbidel Gall
Malvasiad'offelee
Tuttcose de tesoree
Elvost car Meneghin
Elva in lontan paes;
Sepu no s'vedaremma revedes.


Ead un certo punto entrò nella sala una frazione dellacompagnia de' Foghetti. — Il pittor Londonioincostume di Beltrame di Caggianomostrava nella lanterna magicaalcune sue bizzarre composizionile quale facevano sghignazzar tuttiquanti e abbassar gli occhi ad alcune dame che s'indispettivano dinon poter comprimere il riso. — E subito dopo Cesare Larghich'era segretario soprannumerario di governoin costume di contadinobrianzoloaccennando di voler cantare una delle sue villotte conaccompagnamento di ribebaimponeva silenzio a quanti eran lài quali gridavano ai suonatori e ai ballerinibastazittosilenzio; — e Cesare Larghivista la Gaudenzieindispettito col pubblico del modo ond'erasi comportato secoleisipose precisamente innanzi ad essaa cantare quella veramente poeticavillotta dettata in dialetto contadinesco... e che fu stampata nellacollezione de' poeti vernacoli milanesi:


Ito oggitt me paren dò bei stelli
Chehin pu lusurient de la lusnava
Equij to ganassitt ch'hin de sgioncava
Ehin inscì svernighenti e tanto belli.
Fammvedècara tiquii to bocchini
Tantostreccit che paren facc col fuso
Chefan ol pover Togn deslenguà in giuso
Evan disend a tucc: femm di basini.


Lacantilena soavemente campestre onde si esprimevano quelle poeticheparolela bella voce e l'accento e il garbo onde il Larghi lacantavain prima avean messo un silenzio così profondo inquelle saleche si sarebbe sentito a volare una mosca; e provocaronopoi un tale scoppio d'applausiche di più non avrebbe potutoottenere lo stesso Amorevoli.
Comeil Larghi ebbe finitoquella dozzina di socj della compagnia de'Foghetti si presentarono alle damee le invitarono aballare un minuetto. Poche vi si rifiutaronoma tra queste vi fu lacontessa Cleliache accusò di star male. Cesare Larghi invitòla Gaudenzila qualeringraziandolo della cortesianon si fecepregare. — Si rimise allora lo schiamazzo nelle salesirinnovarono le gridal'orchestra tornò a suonare; e dodicicoppie strisciarono la danza con mille scontorcimenti leziosi dellatesta e delle braccia che sporgevano rose nel punto che fingevanoinvolarlee sulla punta delle dita deponevan baci incaricati divolar sul volto delle dame danzanti. Lorenzo Bruni che aveva seguitoper poco la Gaudenzi nella sala da balloritornò dove s'eratrattenuta la contessa Cleliae girandole dietro le spalleleaccostò la bocca della maschera nera all'orecchioeparlandole con voce sottomessa e alteratal'invitò a danzare.
—Signoreho già rifiutato un altro gentile invitoperchèsto male.
—Signoradevo parlarvi. — Si tratta di un affar grave...Favorite ad accettare un ballo; avremo agio a stare insieme senzasospetto altrui.
Lacontessa sentì scorrersi un brivido per l'ossae non trovòparola per rispondere; chè quanto aveale detto il fratellol'aveva messa in gravissima apprensione; onde si alzò alloraedetto alla sorella che le sedeva presso:
—Aspetta qui; epregata la contessa del Grillo a tenerle compagnia: —Vengosoggiunse poi alla mascherala quale offrendole il bracciola accompagnò nella sala da ballo.
Siposero così tra le figure danzantie fecero un giro; indiquando le dodici coppie si ritirarono per dar luogo alle altrelamaschera trasse la contessa a sedere nel vano di un finestrone.
—Signorasapete voi chi sono?
—No.
—In mille anni mai più vi apporreste.
—Spiegatevi. Che volete dire?
—Che vi avrei creduta generosa come siete bella...
—Ma chi siete voi?
Lamaschera aspettò che molte persone si fermassero lìpressoe colse il punto che uno degli ispettori del palco scenicoil conte Pertusatigli passasse dinanzi. Allora parlò e gestìin modo da attirar l'attenzione altrui; poi di trattobalzando inpiedidisse ad alta voce:
—Non meritatenoch'altri vi abbia riguardo... Vedete ora dunque chisono; e togliendosi la maschera nerascoprì la mascherabianca. — Balzò fuori alloracome per arte d'incantolafigura del tenore Amorevoli. — Sua la facciasua la staturasuo tutto. Quanti erano là il riconobberoe la contessa nonpotè comprimere un gridoe cadde.
Lamaschera si ricoprì tosto.
—Oravoi tutti che siete quiesclamòpotete attestare qualfu la donna per cui Amorevoli fu arrestato; edetto questos'involòtra la follae scomparve.
Noicrediamo che il lettore avràpresso a pococompreso da unpezzo in che doveva consistere la trama onde Lorenzo Bruni avevapensatocon un mezzo per verità illecitodi far uscire laverità allo scoperto.
Erada circa mezzo secolo che in Franciadove si davano in pubblicopersino otto balli alla settimanasi era introdotta la perversainvenzione delle maschere-ritrattile qualieseguite dapittori esperti e da plasticatorirendevano al vivo la sembianza dichiunque si voleva. Questa maschera-ritratto di solito la sicopriva con un'altra maschera qualunquela qualelevata condestrezzalasciava intravedere il volto imprestato che stava sottoe che ricoprivasi tostoonde impedire si potesse conoscerel'inganno. Questa moda dalla Francia si diffuse tosto in Italiaesegnatamente a Milano e a Venezia. Ma i disordini che ne conseguironofurono tali e tantiche la pubblica morale se ne risentìaltamente. Giovani scaltri assumevano il volto di fortunati amanti aingannar donne e donzelle inesperte. Donne gelose e gelosi amatori emarititraevano in insidia donne e amanti credulidal chederivarono vendette e delitti.
Edue anni prima del tempo a cui ci troviamoalla duchessa diChoiseulcherimasta vedovas'era invaghita d'un giovanecavalierecon atroce giuoco fu fatto comparire ad una festa ilmarito defuntoond'ella ne prese tale raccapriccio e sgomentochecaduta ammalatamorì poi di consunzione. Perciò nellaFrancia stessa s'eran pubblicati editti e pene gravi contro questainvenzione turpe. Poco dopo la proibì anche la Repubblica diVeneziae nel marzo dell'anno 1749 era uscita pure a Milanoinconseguenza di gravi inconvenienti avvenuti in quel carnevalelaseguente ordinanza:


«L'eccellentissimogovernatoreavendocon sua gravissima indignazione sentito ilpessimo e colpevole uso che si è fatto da taluni maleintenzionati e osceni giovinastri delle così dette maschereritrattiha ordinato che ne sia assolutamente vietata ed interdettala fabbrica e l'introduzionesotto pena di sei mesi fino a due annidi carcereda infliggersi tanto a chi ne pagasse o sollecitasse conmale suggestioni l'esecuzionecome a chi vi prestasse l'operadell'arte e della mano per danaro o per qualunque altro compenso.Tanto sia partecipato al senatoai tribunalial pretorio e aigiusdicenti.
Milano12 marzo 1749.»


Algridoalla cadutaallo svenimento della contessa si fermarono ledanzefu fatta tacere l'orchestraaccorsero ad onde uomini e donneda tutte le partiaccorsero le dame dalla sala vicina e la sorelladella contessa e la del Grillo; e tosto il fratelloi parentigliamiciultimo il conte V...la comparsa del quale compresse a tuttila parola in boccasicchè fu il solo cheper il momentononseppe nullae potè così ajutare la contessaquando siriebbea recarsi in palchetto. — Scoppiarono allora le diceriecome una eruzione vulcanica. Da quel punto del ridotto all'ultimoangolo del teatro si propagòcolla rapidità dellalucela notizia che il tenore Amorevoli era in teatro; si propagòla notizia ch'era venuto per vendicarsi della contessa V...; che letresche del tenore erano impegnate con lei e non con la Gaudenzi; einsieme colla notizia corsero e serpeggiarono e s'intersecarono glistupori; le incredulitàle osservanzele testimonianzelepersuasionile irele ingiurie contro quella donna chedicevasialla superbia insopportabile aveva potuto congiungere anche unadetestabile ipocrisia; e colle nuove ire e le nuove ingiurie versatecontro la nuova vittimacominciarono i pentimenti d'aver a tortofischiata la ballerinala vittima di due sere primae i propositidi rimettere in piedi quell'idolo stato rovesciatoe d'andare acercarla e di portarla a casa in trionfo.
Eintanto quella notizia era giunta all'orecchio del signor giudice delPretorioche si trovava precisamente nel palchetto del signorsegretario del Senato. — Còlto come da un colpo difulminee balzato in piedi al sentire che il tenore Amorevoli eravenuto in teatrochiamò un de' tenenti che sopravvegliavanoal pubblicoe lo mandò ad assumere informazionimentre ilsegretario del Senatoindarno trattenuto dal signor giudicechevoleva prima verificar la cosa e aveva paura d'una solenne sgridatasi recòpago di farsi apportatore d'una straordinarianovellanel palchetto dell'eccellentissimo governatoredovetrovavasi il presidente del Senato. Essi erano già informatidi tuttoe facevan chiose e commentie già avean mandato adomandare il giudice stesso del Pretorioche diffatto vennepochimomenti dopotutto confuso a protestare com'egli aveva lasciato iltenore Amorevoli sotto buona custodia. — Tutti stetteroperplessi ad aspettare il tenente ch'era corso al Pretorioil qualesollecito e ansiosoera salito dal custode delle prigionie conesso era entrato nel camerino dove Amorevoli giaceva sdrajato sulletto tra un mezzo sogno e una mezza veglia. E il tenente ebbel'ingenuità di interrogarlo se mai fosse uscito per recarsi alteatroper il che il tenore sospettò avesse quel zelantissimoufficiale dato di volta al cervello.
Allorail tenentefelice che non si fosse verificato lo scandalo d'unprigioniero fuggitosi trovò d'aver gambe velocissime al parid'un lacchèe giunto tutto trafelato al teatrofu introdottoal palco delle loro eccellenze ad annunciarecon gran contento delgiudicema con nuovo stupore di tuttiche il tenore Amorevoli nonera mai uscito dalla sua cella e che quei del ridotto dovevano averpreso uno strano abbaglio. Fu chiamato pertanto il conte Pertusatiuno de' cavalieri ispettori del palcoil quale si maravigliòche il governatore dubitasse della sua asserzione; e furono fattivenire testimonj più di parecchi: tutti si misero la mano alpettoprotestando di aver la vista perfetta e la testa sulle spalle.Governatorepresidentegiudice almanaccarono a lungo. Che è?Che non è? Cosa può essere stato? Pensaripensa etorna a pensare... Maquasi contemporaneamentenella testa delpresidente del Senato e del giudice del Pretorio sorse quel sospettoche poteva spuntare anche più prestoperchè l'usodelle maschere-ritratti non era che del carnevale passatoel'ordinanza non gli era posteriore che di nove mesi. Appena messofuori quel sospettofece tosto presa nella testa del governatoreconte Pallaviciniil quale fattolo diventar certezzasentìil diritto di salire in furoree d'ordinare al signor giudice chepraticasse tosto e in tutti i modi possibili le più rigoroseindagini per scoprire i contravventori dell'ordinanza.
Quandoil giudice uscì dal teatrola primissima luce bigia dell'albasi confondeva già colle torcie dei lacchè cheattendevanopresso le carrozzei loro padroni. In una parte era unoschiamazzo assordante di evviva; in un'altravicino a una carrozzaferveva un alterco vivacissimo tra due gentiluomini su cui siprojettava la luce delle torcie dei lacchè.
Ilgiudice domandò che significasse quel rumore da un lato e quelcontrasto dall'altroe gli fu risposto come alcuni giovinottiaccompagnavano a casacolle torcie a ventola Gaudenzi in trionfo;e che l'alterco era tra il conte V... e suo cognatoperchènon s'era più trovata in nessun luogo del teatronè inpalchetto nè altrovela contessa sua moglieemandato illacchè a vedere al palazzonessuno l'aveva vista ritornare.Il giudice che aveva il pensiero ai contravventorinon badò atal fatto più che tantoe s'affrettò al Pretoriodovespiccò tosto gli ordiniperchè si mandassero achiamare tutti i pittori della città di Milano senza perdertempo. E anche noi senza perder tempo diremoche non batteva ilmezzodìche già il pittore Clavellisemplice eschiettoinvitato a comparire e interrogatoconfessò lacosae nominò il violino per il ballo del teatro Ducale.Questinon trovato in casacome si seppe che praticava presso laballerina Gaudenzicolà appunto fu cercato e trovato edarrestatocon nuovo dolore e spavento e lagrime della Gaudenzilaqualepur troppocominciava ad essere visitata dalla sventura.
Cosìnell'ora trista del tramonto di quella tristissima prima domenica diquaresimail destino di cui abbiam veduto a scintillare in altol'occhio beffardopotè contemplare a un punto solo quattroscene dolorose: una sala del palazzo V... in cui il conte passeggiavainnanzi e indietrorapidissimomentre il furore che lo divorava perla scoperta dell'infedeltà di quella che aveva riputatairreprensibilegli si svolgeva in cuore e gli si tramutava in unsentimento spasmodico di pietà e di costernazioneall'ideache la contessa era scomparsa e non si sapeva nè dove nècomeonde mille orridi timori gli straziavano l'animo; e nella salastessala contessa madre sedeva immobilecoll'occhio impietrito espaventatointanto che la contessina piangeva dirottamentee ilconte fratello stava ritto in gran pensieroguardando macchinalmenteda un finestrone nella via sottoposta. Altrove poila poveraGaudenzi teneva appoggiato il bel volto sulle spalle della zia checosternataosservava la nipote costernatamentre piùlontanoin una povera casupola di legnouna vecchiala madre delpittor Clavellipareva fatta stupidaall'annunzio che l'unicofigliuolo era stato trattenuto prigioniero; e nella casa in contradaBorromeodonna Paola Pietratenendo una lettera spiegazzata sulleginocchiavolgeva gli occhi al cieloesclamando con un sospiroprofondo: Ahi sventurata!
Etutto ciò per un muricciolo saltato... e colui che era statala cagione prima e sola di tanto disordineattendeva placido in quelpuntone' suoi vasti latifondiad esaminare un prospetto di contipresentatogli dal maggiordomodi cui la somma totale veniva a direche l'entrata dell'illustrissimo signor conte era di lire milanesiduecent'ottanta milaa non contare due diritti d'acquache potevanofruttare altre lire venti mila annue.



VII


Dobbiamosaltare alcuni giorni dal tempo in cui avvennero le cose che noiraccontiamo; per ora non son che giornima in seguito ci accadràdi saltar mesi ed anni e olimpiadi e lustrie non è del tuttoimprobabile che si debbano saltar via anche decenni. Egli è aquesto modo che il lettore potrà farsi capace dellapossibilità di passar in rivista gli avvenimenti di cento anniin un sol anno; perchèse dovessimo continuare a tener dietroai giorni colla fedeltà di un calendarioconverrebbe venire apatti colla mortetanto a chi scrive come a chi legge; la qual cosaquand'anche fosse possibilenon sarebbe certo un buon affare...parliamo per noi; de' lettori non sappiamo. Tornato ora a' nostripersonaggia quelli segnatamente che vennero arrestatiil tenoreAmorevoliLorenzo Bruniil pittore Clavellierano stati trasferitial capitano di giustizia; di modo che il primodopo cinque giorniegli altri dopo ventiquattro oreavean lasciato il Pretorio in santaMargherita. — Diciamo in santa Margheritanon giànell'odierno locale della Direzione di Poliziaperchè a queltempo qui sussisteva ancora il convento delle monache Benedettine.Del rimanente codesto fatto del trovarsi il Pretorio nella contradadi santa Margheritain quell'anno o in quel tornonoi lo abbiamoricavato da alcune ordinanze e avvisi a stampa che abbiamosott'occhioordinanze di quella classecheapplicabili al momentofuggitivonon v'è per consueto chi ne tenga contoonde siperdono senza venir raccolte a fermare ne' libri una notizia stabiledi un accidente passeggiero. E da tali ordinanze e avvisi abbiampotuto congetturare appuntocome nel locale assegnato pel Pretoriovi fossero pure delle celle suppletorie pei detenuti. Ognuno sa poiche l'antico Pretorio non era che l'attuale palazzo dell'Archivionella piazza dei Mercantie che là erano i sedili per ilPodestàpei due giudicicosì detti del cavallo edel galloi quali rendevan ragione nelle cause civili ecriminali; infine pel giudice dei dazj e pel vicarioecc. Ma taliordini di cariche e di localitàmodificatesebbenlentamentecol tempo hanno fatto trasportare il Pretorio altroveeforseper un provvedimento provvisorionella contrada di santaMargherita. E pare inoltrechealla metà del secolo passatoil Pretorio non serbasse tutte le sue antiche attribuzionima neavesse invece in gran parte di simili a quelle dell'odierna preturaurbanacon una sezione per le cause criminali.
Colàsi instituivano i primi esami e si assumevano le prime informazioniper passarle poi al capitano di giustizia; sebbene ci siano documentipe' quali è provato cheanche solo dietro relazionedefinitiva del giudice pretoreo dei giudici del cavallo o delgallosi passasse alla condanna degli accusati.
Oralasciando da parte cotali questioni che non hanno che qualche lieverapporto colla natura de' fatti che noi raccontiamoe desiderandosolo voglia taluno stendere una descrizione della cittànostrache completi e continui quella del Lattuadache si ferma al1735; diremo chese Lorenzo Bruni aveva tanto fatto per mettere anudo la veritàe ben potea dire d'esserci riuscito nel modoil più trionfantesebbene illecitocome que' capitani chevincono una battaglia per avere saputo ridersi del diritto dellegenti; la veritàappena comparsafu trattenuta indietro aviva forzae persino si tentò di farla scompariretanto cheLorenzo non aveva altra certezza se non questad'aver saputo trovarla maniera d'andar in prigione e di trarsi dietro il povero Clavellisenza aver trovato poi quella di farne uscire Amorevoli. —Avendo essoal primo interrogatorioper le sue buone ragioniconfessato il fatto senza titubanzae in conseguenza di ciòessendo stato inviatobenchè in carrozzaperchèpagata da luial palazzo del capitano di giustiziaquando colàebbe a subire il secondo interrogatoriola sua condizione si venneterribilmente peggiorando. Fin dalle prime parole che gli rivolsel'attuaroLorenzo potè accorgersiacuto com'era naturalmentee penetrativo e scaltrito dall'esperienzache chi lo esaminava gliaveva una singolare avversione; perchè non era quella consuetaseverità del giudice verso il reoma una severitàspecialetrovata e adoperata espressamente per luirinfocata dallanatura speciale di quella da lui commessa contravvenzione alla leggee più che mai dall'intento di quella contravvenzione stessa.
Lamadre della contessa Clelia aveva un fratello senatorela sorelladel senatore era la moglie del marchese Recalcatiin quell'annoregio capitano di giustiziauomo integerrimo e giurisperitoprofondo. Il marito della contessa aveva un fratelloil qualeavendo provato che la sua illustre casa erasi stabilita a Milano dapiù di un secoloaveva potuto entrare nel collegio dei nobilidottori. Ora questo dottor collegiale era intrinseco del vicario digiustiziacarica corrispondente a quella chese non oggialquantianni or sonochiamavasi di vicepresidente del tribunale criminale.Ognuno può imaginarsi quanto alla contessa madre e al contemarito e a tutto il parentorio premessese non l'innocenza di donnaClelia (ormai improbabileperchè la di lei fuga aveva chiusele porte a tutte le speranze)almeno l'apparenza di quella. Neiprimi giorni adunque dopo la sua scomparsase calde eaffannose e insistenti e continue furono le ricerche praticatedappertutto per poter scoprire dove ella si fosse ridotta; ricerchechesino a quel puntonon avevano fatto altro che accrescere ildolore e la desolazione; furono calde e affannose del pari lepratichele preghierele insinuazioni che la sorella adoperòcol fratelloche il cognato senatore fece pesare gravemente sullespalle del cognato capitanoche il dottor collegialemediatricel'amiciziafece penetrare nelle ossa del vicario; e siccome erantutta gente di leggeossia gente avvezzain mancanza d'un codicepreciso e determinatoa giuocar di testa e d'acume e di sofismi e dicavilli nel labirinto inestricabile delle leggi statutariecosìnon affaticarono a conchiuderechedopo tutto quello che erasuccessonon era ancora provato che donna Clelia fosse quel che sivoleva che fosse; perchè dal suo labbro non era uscitaconfessione nessunaessendo caduta in deliquio; che Lorenzo Brunipotevaanzi doveva essere un briccone matricolatoe Dio sa qualescopo abbominevole aveva potuto proporsie forse della stessascomparsa di lei poteva essere l'autore egli medesimo. È anotare peròche nè il senatorenè il capitanonè il vicario non avean fatto che ascoltaree con aspetto disapienza e di prudenza respingere le insinuazioni de' parenti e degliamiciterminando sempre i discorsi coll'intercalare obbligato: nonsi farà che la pura giustiziae cogli intercalariaccidentali: bisognerà vederebisogneràsentire; non si può aver riguardo a nessuno fosse ilpadrefosse la madre. Ma in conclusione s'eran lasciatipenetrare; perchè gli uomini bisogna che paghino il tributodegli uominie nelle questioni di sangue e di parentado e di ceto ed'onorequando le instituzioni non sono imposte da una giustizia chesia veduta da tutti i lati e in pubblicoil sentimento provoca ilsofismae il sofisma l'arbitrioe tutto a nome del giusto e delrettoe tutto senza che l'onestà dell'uomo prevarichiperchènon è sempre questione di cuor guastoma di testa conturbata.
Crediamosia inutile di dire comenel secolo passatonel sistema dellagiurisprudenza praticae segnatamente del così detto processocriminalenon si fosse fatto alcun passo oltre il secolo XVII. (Ciriferiamo a questo secoloperchè i lettorinelladisquisizione legale di Manzoni intorno alla colonna infameavranpotuto farsi una idea della condizione della giurisprudenza a queltempo). Non v'era un codice scritto ben discussoben formulato e bendeterminato in nessun paese. Le leggi statutarie e il diritto romanoe le varie interpretazioni dei legisti costituivano tutto il capitalegiuridico tanto di un dottor collegialecome di un senatore. Ed erada quattro secoli che ciò continuavasenza che nessuno siaccorgesse che quel sistema fosse irrazionale; irrazionale del pari eassai meno popolare di quello che avea a lungo durato nel feudalemedio evo. Diciamo assai men popolareperchè prima del secoloXIII le cause criminali si trattavano in pubblicoondecome diceSclopismanifesta era l'accusapubblico l'esame de' testimoniaperta e libera così l'interrogazione come la difesa del reo.Ma nel secolo XIII l'eresia suggerì nuove formed'inquisizioneeall'uso de' tormenti preparatoriche fu ilcrudele sistema di prove introdotto dallo studio delle leggi romane(il qualedel restoper tutte le altre parti era stato cosìbenefico)s'accoppiò il segreto nell'orditura del processo.Che se in prima il processo segreto era invalso soltanto nellequestioni ereticali e in via di eccezionecol tempo si diffuse e siallargò a tutte le cause civili e criminalie come regolacostante. In Mario Paganoin Meyerin Sclopis ognuno puòvedere tutte le forme originate da questo principioe comeessendosi voluto corroborare la coscienza morale del giudice collacosì detta coscienza giuridica sottoposta al calcolo dellaprobabilitàsi fosse edificato un corpo di dottrina falsoe pieghevole ad ogni maniera di assurdi e di arbitrj. Per questecosetanto nelle cause criminalicome anche nella trattazione dellecause civilise il giudice o l'avvocato o il patrocinatore chesosteneva un assunto o lo contrastavaera dottoacuto e dialetticoe se per avventura tra la dottrinal'acume e l'eloquenza lavoravanola passionel'ostinazione o l'errore implacabile del giudizioallora la legge statutariail diritto romanoe l'interpretazionedei giuristi facevan la figura e subivan la sorte delle tre pallesotto al bossolo del giocoliere. Per il che ognuno puòconsiderar com'eran degni di pietà coloro dalla cui parte erala ragione. Se poi una tale pratica di giurisprudenza era comune atutt'Italia e a tutt'Europaciascuno Stato vi recava alcune sueforme proprie addizionalie alcune sue proprie modificazioni di vitae di costumile quali rendevano ancor più inestricabile illabirinto degli arbitrj. Per fermarsi a Milanonel secolo XVIIIoltre al sistema del processo segreto invalso dappertuttoe aldiritto romanoe ai commenti dei legistila città siregolava ancora cogli statuti e colle costituzioni criminali di CarloV; ma v'era un fatto chequand'anche il sistema generale fosse statoottimo e gli statuti di Carlo V i migliori possibiliera tale damettere ogni cosa in disordine; ed era che il campo dellagiurisprudenza giudiziaria era tenuto e padroneggiato con manotenacissimameno qualche rara eccezionedal solo ceto patrizio.
Ilcollegio dei dottori era costituito per la maggior parte di nobili. —Da questo collegioche eraquasi diremmoun vivaio perpetuo dicapacità giuridiche più o meno profondeuscivano quasisempre i giudici del cavallo e del galloil giudicedel Pretorioil vicarioil capitano di giustiziai senatoriilpresidente del Senato. — Abbiamo un elenco manoscritto deicapitani di giustizia dal 1750 al 1783da cui risultache tuttiappartenevano alle principali case della città. Si potevapertanto quasi direche la giurisprudenza fosse a Milano unaproprietà di famiglia. Orase a questo fatto si aggiungaquello de' privilegj ancora sussistentiognun vede come potevacamminare il vero dirittoconcesso pure che quei patrizjavessero teste di bronzo e cuori pietosissimi; e potesseroper unprodigio della natura e della fortunaaver tutti la testaperesempiodi Farinaccioe la carità squisitaper esempiodisan Francesco d'Assisi. Ma oltre ai legamiabbastanza forti delcetov'eran quelli della parentela. Bensì qualche voltas'intromettevano le rivalità e i puntigli e gli odj antichitra casato e casato: ma questo non era già un mezzo diequilibriosibbene un'occasione nuova di poter offendere lagiustizia in un altro modo.
Matorniamo a' nostri personaggi.
Nellaprima metà del mese di marzoLorenzo venne condotto dalbarigello al banco dell'auditoreper essere sentito in un secondoesame. Messo a sedere innanzi al bancoil Bruni stette attendendocon impazienza che l'auditoreil quale era intento a sfogliar cartegli rivolgesse la parola. Era ansioso di sapere se gli avevanodestinato un protettore. I protettori de' carcerati (Protectorescarceratorum) erano giovani causidiciche esordivano la carrieraassumendo la difesa degli accusati. Eran nobili per la maggior parteanch'essi e bisognava che passassero attraverso a questa pratica perpoter avere il diritto di essere ascritti col tempo al collegio deidottori. Le difese si scrivevano in lingua latina o in linguaitalianae così venivano presentate al capitano di giustiziaper passar poi anche in Senato.
Quandol'auditore alzò la testavolse a Lorenzo uno sguardo tale dafargli temere il peggio; poi disse:
—Persistete voi dunque nell'asserire che la causa per cui avetericorso ad una abbominevole astuziaal fine di trarre in insidie lanobilissima signora contessa Clelia V...sia stato il desiderio distornare il disonore dalla vostra protetta?
—Non posso che persistereperchè è la pura verità.
—Vogliate però considerare che la cosa è inverosimileeche una tale inverosimiglianza ci consiglierà gravi misure.
—La verità è una solarispose Lorenzo con un certosdegnoe mi pare d'avere già esposto suffizienti argomentiper togliere ogni altro sospetto dalla testa del signor giudice.Torno a ripetere chedal momento che la giustizia trovòd'escluder dagli esaminon so per che sue ragioniprecisamente ladonna che sola era stata la cagione di trarre a mal partito il signorAmorevoliio mi trovai in dovere di illuminarla; prima di tuttoperchè trovavo ingiusto e insopportabile che una virtuosaragazza avesse taccia di disonestà per colpa altrui; insecondo luogo perchè dal momento ch'io potei intravedere chela nobilissima signora contessa avea potuto aver la debolezza...
—Vi intimo di adoperar parole più rispettose.
Lorenzotacque un momentocome per respingere un leggiero soprassaltod'indignazionepoi soggiunse:
—Io ho l'obbligo di difendere me stesso. È un obbligo santocome un altropoichè ciò che mi s'ingiunse qui èdi dire la verità. Però sequand'anche con un mezzoriprovevole ma il solo tuttavia che m'era possibileho potutomostrare a tutto il pubblico da che parte stesse la colpaio non soin che modo debba nominare la signora contessaquando per necessitàdevo parlare di lei.
L'auditorelo guatò biecosenza far motto.
—Siam tutti di carne umanasoggiunse poi Lorenzo sempre piùindispettitoe non è detto che una nobil dama non possa avereuna qualche debolezza... il signor auditore mi perdoni la parola.
—Non è più questa la cosa di cui si tratta. Giànel primo esame avete scagliato abbastanza vituperj contro ilrispettabile ceto patrizio.
—Io non ho offeso nessuno. Ho detto solo che una povera fanciulla nondoveva portar la pena delle colpe altruie chemi perdoni il signorauditore l'amore della veritàla giustizia non doveva averenessun riguardo alla nobiltà della signora contessa; e dalmomento che non aveva dubitato d'interrogare tutte le donne chepossibilmente avean avuto parte nel fattonon c'era nessuna ragioneper cui dovesse omettersi precisamente quellasotto alle cuifinestre era succeduto l'arresto del signor Amorevoli. Se gli uominiche tengono il sacrosanto mandato di rappresentare la giustiziaavessero fatto il loro dovereio non mi sarei trovato al punto dioffendere la legge. Questo solo ho detto e dovevo direper mostrared'altra parteche se ho dovuto ricorrere a un mezzo proibitofu perun fine retto.
—Un fine retto?... esclamò allora l'auditore rompendo le paroleall'accusato; rispondeteora a questa domanda: — Chi ha fattoscomparire dalla saladal teatro e dal palchetto la nobile signoracontessadi cui non si è ancora potuto scoprir traccia?
Questadomanda riuscì così improvvisa e inaspettata al poveroBrunich'ei ne rimase colpitoe tanto più in quanto d'uncolpo d'occhio ne misurò tutta l'estensione pericolosa. Masoggiunse poi subito:
—Cosa poss'io sapere di quel che sia avvenuto della contessa?... Diofaccia che non sia successa una disgrazia... Ma se ella èscomparsa e fuggitail motivo ne è così chiarochenon se ne può cercare un altro.
—Il motivo n'è tanto chiaroche la giustizia v'intima adessodi addurre le prove onde convincerla che non siete stato voi a farscomparir dal teatro la contessa.
LorenzoBruni stette un momento silenzioso poi ripigliò:
—Tocca a chi mi accusa di questo fattoper me impossibile e assurdoa produrre le provenon a me. Io non posso dir altrose non chedopo lo svenimento della contessaavvenuto per l'effetto delle mieparole e della creduta presenza del tenore Amorevoliio non l'hoveduta piùe non seppi che alla mattina com'ella erascomparsa dal teatro e dalla casae non la si ritrovava in nessunluogo.
—La giustizia potrà rendervi ragione in seguitoma per oraessendo voi il solo interessato ai danni della nobile contessalagiustizia è in obbligo di metter voi in istato di accusa perun tal fatto.
Lorenzoa questo diresi turbò forte e non trovò parolesospettando come nell'impegnoforse assuntodi stornare il disonoredella contessa e dal suo casato e da quello del maritosi eradeterminato di prender lui di mira in ogni modogettando nelpubblico false voci e false accuse.
—Cosa dunque potete aggiungere al già detto?
—Nulla... Io non posso che ripetere sempre le stesse parole. Io nonvidi mai più la contessa dal momento che cadde svenuta.
—Quand'è cosìvoi sapete quali mezzi tiene in serbo lagiustizia per fare in modo che una bocca pronunzii la verità.
El'auditoresuonato il campanelloingiunse al custode di ricondurreil Bruni nella sua prigione.
PartitoLorenzol'auditore si alzòe prendendo il processo verbaledalle mani d'un assessore:
—Nessunodissemi leverà dalla testa che costui sia un iniquomatricolato — E con tali parole sulle labbrae coi relativipensieri nella testasi mosse per recarsi nell'auladell'eccellentissimo signor capitano di giustizia. Quando funell'anticamera e già stava per farsi annunziaregli mosseincontro una livrea dell'illustrissimo signor capitano marcheseRecalcatie:
—Per ora non si può entraregli disse.
—Perchè non si può... ?
—Perchè...
Main quella si fecero intorno all'auditore molti notaj e assessori escrivani che si trovavano làe:
—Sapetegli disserochi fu ammesso or ora all'udienzadell'illustrissimo signor capitano?...
—Che cosa posso saper io?... chi dunque?...
—Non lo indovinereste in mill'anni. Quella venerabile matrona chetutti conosconodonna Paola Pietra.
—Ma che relazioni può avere una tal donna colla giustizia?
—Chi lo sa?
—Gli è molto che sta col capitano?
—Se non è di piùnon è di meno di un'ora... Chisa mai cos'è avvenuto di strepitoso?
Main questo punto s'udì una lunga scampanellata dalla camera delcapitanoe accorse le livree ad aprir l'usciocomparve sulla sogliadonna Paolala quale uscìattraversando l'anticamera tragl'inchini riverenti di quanti eran là.
L'auditoreallora si fece annunziareed entrò dal capitano con unafaccia tutta giuliva.
—Ecco il processo verbale del nuovo esame a cui oggi fu assuntoLorenzo Bruni. Ho tali indizjche mi danno la convinzione possacostui essere il colpevole del trafugamento della contessa.
Aqueste parole il signor capitano non fece mottoe preso il fogliodalle mani dell'auditorecontro l'aspettazione di quel giudicezelantenon disse nullae lo licenziò severissimo.
Oraci rimane a sapere per qual fine donna Paola Pietra abbia domandatoun'udienza al capitano di giustiziae che cosa sia avvenuto dellabella e sventurata donna Clelia.



VIII


Taloradà il caso chenella massima esaltazione di un sentimento odi più sentimentiquando tutte le facoltà dellospiritoquasi ubbriacatehanno cessato di agire regolarmenteessendo messe in rivoluzione da una sventurada un pericoloda undoloreda un colpo imprevistooccorra necessariamente di prendereun partito; e in tal contingenza si abbracci precisamente quello cheè il più opportunoe che forse non sarebbe giunto atrovare nè a proporre nemmeno la mente più calma e piùprovvida. — Bisogna adunque che quella esaltazione procellosade' sentimenti assomigli all'acquavite campaleche spinge fin lereclute contro le bajonette d'un battaglione quadrato; eper valercid'una similitudine un po' più gentileconviene chequell'esaltazione produca quasi un sonnambulismo beneficoil qualetogliendo per poco all'uomo la ragionela quale può turbarsiin conseguenza della sua potenza medesima e della sua virtùillimitatagli dà invece l'istinto che va diritto per la suaviamen nobilese vogliamoma più determinata e precisa. —La disperazioneper esempionon accetta mai le sue leggi dallaragionema si sottomettesebbene inconsciaalla spinta ciecadell'istintoed egli è per questo che qualche volta i suoiconsigli sono un sublimato di prudenza.


Unasalus victis: nullam sperare salutem.


Applicandoora queste nostre riflessioni alla condizione speciale della contessaCleliasedopo avvenuta la catastrofe del finto Amorevoli e deldeliquiotre uomini di consigliocome soglionsi chiamaresifossero uniti per risolvere in fretta e in furia quel che lasventurata avrebbe dovuto fareè assai probabile che nonavrebbero dato il più sano parere.
Ein quanto a noisiamo specialmente convinti che si sarebbero benguardati dal dirle: Fuggitee senza perder tempoe sola e inqualunque modo ciò vi riesca. Eppurea pensarci beneeraquesto il partito più conveniente che rimaneva alla contessa.Anche noidobbiam confessarloquando sentimmo per la prima voltache donna Clelia era scomparsa dal teatroabbiamo fortementesospettato non le avesse dato di volta il cervello; ma poia nostrodispettodovemmo convenire che un consiglio di tal fatta non lepoteva esser venuto che da Salomone; tanto la disperazione aveatenuto luogo di sapienza! A rimanere a Milano e nella sua casacomepoteva sopportare la presenza del marito? e poichi sa cos'avrebbepotuto fare quello spagnuolo inferocito? Come sostenere lo sguardodella madre? come risponderecosa dire? Con che fronte uscire inpubblico ad incontrare gli sguardi di tutta la città? Comeresistere all'insultante pietà delle rivali trionfanti? Maella non avea nemmen pensato a tutto ciò. Riavutasi deldeliquio e uscita dal palchettocol domino tra le mani e come perpigliar ariaguizzò tra la folla delle maschere che facevanoingombro al palchetto e assiepavano il corridojoe senza titubanze erispettichè la disperazione è imperterrita e nonconosce ostacoliuscì dal teatro; e làallontanatasidalla porta dell'ingressoavvolta nel domino a bardossoed espostacosì al freddo e al ventoche pareva un Sibilla vaticinantevista la carrozza di casa Cusani che conosceva (per essere la mogliedel marchese Cusani in grande intrinsichezza col Conte V...)chiamòil cocchiere per nome. Quegli si volseecol lume del fanale e delprimo crepuscoloriconosciutasebbene a stentola contessa:
—Cosa mi comanda? disse.
—Sta quetoche già siam d'accordo colla marchesa; ho bisognodella sua carrozza; e di buon trotto accompagnami alla mia villa aGorla...; tu ci sei stato altre volte. Vogliam fare una burla aqualcuno.
Ilcocchiere non rispondevae stava perplesso; ma la contessaapertala porticina :
—Suvvia dunquet'affretta; chè non c'è tempo a perderee se non si correogni cosa può andare a vuoto.
Ilcocchiere si strinse nelle spallema obbedì; e sferzati icavalliin mezz'ora fu a Gorla sul naviglio. Spuntava il primo solequando fece una magistrale voltata entro al portone giàdischiuso della sontuosa villa V... — Colà giuntalacontessa chiamò il castaldoche accorse con di lui grandestupore; fece pagar lautamente il cocchiereal quale impose diritornar subito a Milano; poi rivolta al castaldo:
—Ti farà meraviglia ch'io mi trovi qui? Ma oggi verrà ilconte... e sentirai da lui... or non è tempo a perdere... e faattaccare i migliori e più veloci cavalli che hai nellestalle... e dammi un uomo. — Il castaldo obbedì anch'essoprontissimoper quante congetture facesse. — La carrozza futirata fuorii cavalli attaccatil'uomo fidato fu tosto in serpecolla sua frusta disposta alle battiture. — Donna Clelia intantoaveva scritta una letterachefatto chiamare un contadinodellacui incapacità a leggere e a scrivere volle prima assicurarsigli consegnòperchè la ricapitasse al curato di SantaMaria Podone. — E il contadino era partito sotto gli occhistessi della contessae senza che il castaldo potesse veder laletteradopo ciò la contessa erasi levate le giojeche misein un fazzoletto; poi si sciolse i capeglili abbassòlirese meno appariscentie li nascose in un velo nero che si fece daredalla moglie dell'agente; raccolse infine al possibile la coda delvestito azzurro ricamato in argento e si avvolse tutta come potèmeglio nel dominoadattandoselo alla vita come un vestito comune; ecosì stranamente acconciatachè il tumulto de'pensieri gl'impediva d'avere il capo a tali cosesalìfinalmente in carrozzadicendo forte al cocchiere: Ponte sanMarco. La casa V... aveva un vasto tenimento tra questo luogoappunto e il lago di Desenzanoe se la contessa si diresse a quellavolta non fu per altro motivo che perchè era quella la terrapiù lontana dei possessi di casa V... Il viaggio duròtutto quel giorno e il successivo. — A notte inoltrata donnaClelia giunse alla villatra le solite meraviglie degli agenti edelle fattoresse. All'alba del terzo giornoavuto il modo di cangiarvestiscomparve improvvisa anche dalla villaall'insaputa di tutti.
Sela contessa non avesse pensato a partire inosservata dalla villa diPonte san Marcola sua prima fuga non le avrebbe giovato a nulla;perchèdi fattoda Milano fu spedito sulle sue traccie unuomo fidato sin làe ciò dovea naturalmente succederepoichè il cocchiere di casa Cusanitornato a Milanoquandola marchesa padrona era già a lettodopo essersi sentitominacciare lo sfratto dalla casa del padrone montato in sulle furieraccontò il fatto della contessa V... Allora il marcheseCusaniche già sapeva della sparizione di leimandòil cocchiere stesso ad avvisarne il conte maritoche tosto inviòun servo a Gorlaove ebbe la notizia che la contessa era partita perPonte san Marco; tanto chequando essola madreil fratello e lasorella di donna Cleliaverso l'ora bassa della prima domenica diquaresimaversavano in quell'angoscia che il lettore saun uomodella casa era già in viaggio per quella volta; chè ilconte non avea voluto per nessun modo che partissero nè ilfratello nè la madre; se a ragione o a torto non sappiamomachi s'attenta di discutere sulla ragione e sul torto in momenti ditanto affanno e scompiglio?
Quipoi occorre di notare per la completa intelligenza delle coseche ilfratello della contessaquando sentì dal carrozziere di casaCusani quel ch'era avvenutosi recò insieme con esso dalmarchese medesimoil qualedopo un lungo discorso tenuto col conteingiunse al carrozziere di non lasciarsi sfuggir di bocca quel ch'eraseguitonemmeno colla marchesaalla quale si sarebbe concertatoquel che dovevasi dire. — E la casa V... incaricò dellamedesima incumbenza verso i gastaldi della villa a Gorlal'uomospedito colà e altrove a cercar notizie della contessa. Èa notare inoltre comein sull'ora tarda della stessa prima domenicadi quaresimail curato di Santa Maria Podone avea portato in personauna lettera a donna Paola Pietraed era quella appunto che lacontessa aveva scritto prima di partire per Ponte san Marco. Inquella letteracon un disordine d'idee e di modi che è facileimmaginaredonna Clelia narrava in prima il fatto accaduto inteatropoi veniva prorompendo in questi sentimenti:
—«Così tutto è finito per menè potròmai più mostrare la mia fronte a chi m'ha conosciutachèpiuttosto vorrei trovarmi mille braccia sotto terra. Oh se tostoavessi adempito il suo consigliodonna venerataalmeno il mondo miavrebbe dato il merito di una franca confessionee forse non sareistata disprezzata da coluinè tanto punita; quantunqueperveritànon mi sembri poi di aver meritato così fiero espietato trattamento. Oh potessi far noto al mondo qual era la miaintenzionee come il pensier mio non fosse altro che di scansar pelmomento gli scandali del carnevale... Almeno colui potesse conoscereche la mia intenzione era di salvarlo in ogni modo! Ma faccia ellaper mevenerabile signorail bene che io non ho potuto. La suacarità proveda e accorra e ripari. Se mai credesse di parlarea mia madredi parlare al contelor faccia intendere ch'io non hoveruna macchia grave a rimproverarmie che fui assai piùdisgraziata che colpevoledisgraziata quanto mai si puòpensare... Ma ora vedo di darle un incarico impossibile... perchènon è benee non desidero ch'ella veda nè mia madrenè il conte. Chè lo giuro formalmente a leivenerabilesignoranè ella stessa potrebbe distogliermi da questoproposito... Non sarà mai ch'io ritorni mai più avivere col conte; io non voglio vederlo mai più. Io non l'homai amatonè lo amoquantunque lo rispetti e lo compianga.Ma se egli è or fatto infelice per meson sette anni ch'ioson fatta infelice per lui; e d'altra parte vivo certissima chenemmeno esso non mi ha amata mai. Dunque si rompa una volta e persempre questo nodoil cui solo pensiero mi ha desolataperchè...ma io sento il rossore di quello che stavo per direma io sento ilbisogno ch'ella mi protegga e mi consiglie mandi il balsamo dellasua parola soave sulla piaga insopportabilmente dolorosa del miocuore. Or dove io vada non so. Nè so quello che io sia pertentarenè quello che la disperazione vorrà fare dime. Ma qualunque cosa fosse per succedere; ma dovessi anche morirechè oramai non vedo miglior mezzo d'uscita alla passione chemi divora e al tormento inesprimibile di non poter vivere senzaalimentarlae di dover incontrare il disprezzo di tutti e ilmio stesso; dovessidicoanche morirneio desidero che la suaparolapietosissima signoravenga a confortarmi nella mia orasuprema. Or io parto... Ed ella mi scriva e tosto... e mandi la sualettera a Bresciadove io manderà a levarlae sullasoprascritta metta il nome del mio casato a rovescio.»
Comerimanesse donna Paola al ricevere questa letteraè facileimaginarlo. — Il primo pensiero fu di recarsi tosto a spargerequalche conforto fra coloro che dovevano vivere in angustie per lapartenza della contessa. Ma poi riflettè che ne potevanoscaturire guai più serje che prima di parlare alla madre eal marito della contessa erano indispensabili altri provvedimenti. —Intanto credette bene di rispondere subito a donna Cleliae ditrovare il modo perch'ella si ricoverasse in luogo sicurodovepotesse guardarsi e dalla passione propria e dall'ira gelosa delconte. — Le scrisse dunque di volo una lettera il cui tenore eraquesto:


«Donnatanto infelice quanto a me cara!
«Sela sventura vi ha visitatavoi dovete essere più forte dellasventura. — Se abbiate ben operato ad abbandonare la vostracasanella pericolosa e speciale condizione in cui versatenon miattenterò di recarne giudizio. Ma quand'anche aveste fatto ilpeggiola Provvidenza metterà un riparo a tutto. Viringraziocara donnache il vostro primo pensiero sia stato quellodi scrivere a meed io vi mostrerò la mia gratitudine colfare tutto quello ch'io potrò per voi. Di questo potete viveresicurissimae se per ora non vi è dato altro confortoquestovi sia almeno intero. Da più parole della vostra letteraioscorgo che il vostro cuorepiù assai che dalla medesimasventura e dall'ontaè penetrato da un pensiero troppocostante verso chi è vostro obbligo assoluto di dimenticare. —Cara la mia donnail tempo guarisce di grandi piaghee vogliateaver fiducia nel tempo: ma credetemiche per tornare a rialzarvi indignità di donna onoratae costringere il mondoche siappaga di maldicenza e di disprezzoa tacere e a rispettareve l'hogià dettoconviene che la vostra vita da quest'ora in poiproceda inalterabile e senza un rimprovero. Allora voi troverete cheil mondo è qualche volta tanto giusto ne' suoi giudizjquantopiù spesso è precipitoso e spietato. Allora verranno igiorni in cui amerete la stessa sventuraperchè per suo mezzosarà scaturita la vostra felicità.
«Mapace per orala mia cara donnapace e coraggio...; e giacchènon avete ancor ben determinata la meta a' vostri passie fuggitecosì a casocacciata dalla sola disperazione; e la solitudinepotrebbe trarvi a malissimo partitoDio vi guardi dalle funestetentazioni della solitudine! Io scrivo in sull'istante ad unafamiglia virtuosissima di Veneziaquella dove fui accolta io stessacon carità d'affettoquando ci capitai da Milanofuggita dachi mi teneva in ingiusta prigionia; che rividicome tornai da Romae che l'anno scorso fu a visitarmi a Milanocon sempre costanteamorevolezza. Voi dunque avete a recarvi colàea taleoggettov'accludo un foglio perchè siate riconosciuta eaccolta e abbracciata e consolatae forse guarita coll'insistenzadelle cure amorose. Ricevuta questarispondetemi di voloe Dio vibenedica.


«PaolaPietra»


Questalettera giunse a suo luogo a Bresciae presto arrivò nellemani della contessa Cleliala quale tosto rispose alla donna pietosacon effusione d'affettoe coll'accettare il partito proposto. Cosìella recossi a Veneziadove infatti fu accolta con ogni maniera diaffettuose dimostrazioni in quella casa a cui donna Paola avealaraccomandata.
Machi avrebbe detto che il destinocosì spesso strano ecapricciosocome talvolta provvidodella dimora di donna Clelia aVenezia doveva valersene per iscoprire i capi del filo a cuis'attiene il fatto principalissimo del nostro raccontoe quello percui sino ad ora avvenne tutto quello che avvenne? chè illettoredato cheper un caso de' più straniabbia presointeresse a quest'istorianon deve obbliare chenella stanza vicinaa quella dove giaceva il defunto marchese F... erano state trafugatedelle carte; che probabilmente tra quelle ci doveva essere untestamento; che se era stato commesso un delitto di tanta gravezzaqualcuno necessariamente doveva averlo commesso ese non di certo aMilanoin qualche parte del mondo colui doveva bene esistere estarsene cheto.



IX


Orlasciamo per poco Milanola Babylo minima di Ugo Foscoloerechiamoci a Veneziala città adottiva del chiaro di lunadel romanticismo convenzionale e degli amori pseudo-platonici. OVenezia! Oppure Vinegiacome noi preferiamo di chiamarti perappagare un nostro gusto da antiquarioquante fantasie di poeti haitu stancate; quanti romanzieri hai raggirati lontano dal veroattraverso all'inestricabile labirinto delle tue calli; a quantiesageratori di professione hai fatto prestito grazioso della tragicatinta de' tuoi palagi secolari e dell'onda stigia de' tuoi riisaturi di gas fosforici e di quel jodio che è tanto lodato perla cura della scrofola! Quante bugiesenza tua colpahai fattepronunciare agli storiciche purecon un coraggio da leones'incaricano di dire la verità! Quanti femori e coscie estinchi hai tu infranto colla pietra bianca de' tuoi ponti traditori!A quanti giovinotti hai fatto perdere l'appetito e la salutericoverandoli insidiosamente sotto al felze delle tue gondole! Quantiodorati squisiti e permalosi hai offeso coll'odore infesto del tuobaccalà! Quante spregiate crete Versâr fontiindiscrete dalle tue altane e dalle tue finestre plebee sul capodell'ansioso visitatore delle vetuste tue glorie! O Veneziaocomeci piace meglioVinegiatanto straordinariamente bella e fantasticae divinaquantoin certe partidifettosa e incomoda e talorafetente! O regina dell'Adriaticoo donna di duplice aspettocherendi veraci tutte le descrizioni perchèal pari della fataAlcinati mostri in apparenza di vegliarda a mettere in fuga chipure è venuto a visitarti colle migliori intenzioni; ma perchi ben ti contemplasei bella e giovane ed attraente e divina cosìda ammaliare Ruggero. Ma la colpa è di chi ha sempre volutodescriverti da un lato solo; e dei pittori di prospettiva che nonsanno altro che far ripetizioni eterne della tua piazza e del tuopalazzo Ducale. Così il visitatoretratto in inganno e venutoa te coll'ansietà come di chi vede una terra di consolazionenella fata Morganas'indispettiscesedopo l'incantevol piazza eRialto grande e le colonne del molo e l'ampia lagunanon vede checalli e callettee negri riie casupole miserabilie ballatoj conluridi cencie zucche barucheaddentate ovunque daglisquallidi figli de' tuoi pescatori. Il viaggiatore poetico chepienola testa delle narrazioni convenzionali di Veneziavi capita laprima voltae per una bizzarria dell'accidentein un giorno dipioggia; e prima di vedere le tue ricchezze gloriose s'incontra nellemiserie deplorabilie affacciandosi alla finestra dell'albergononha altra sensazione che di chi abitasse nell'interno d'un pozzotral'acqua in fondo e una pezzetta di cielo bigio su in alto...cheindignazione egli sente contro le guide d'Italia menzognere; cheassalti repentini di nostalgiaquand'anche venisse dalle febbrifererisaje! e l'aspetto di codesta prima impressione è cosìmicidialeche gli dimezza e gli turba l'ammirazione e l'entusiasmoanche pei giorni del sole e per le scene che non hanno riscontro innessun altro luogo del mondo.
Perchèad essere sincerichi mai può dire che sia facile trovare unriscontropur ne' sogni fantastici delle Mille ed una nottialla scena che si svolge innanzi all'occhio di chi s'affacciaperesempioal finestrone della sala degli Scrutinj del palazzo Ducalein un mattino del mese d'aprile o di maggiood anche di settembrequando un leggier vapore azzurro avvolge tutta la prospettiva linearedegli edificj cospicui che decorano la grande e la piccola piazzaeche rende più vaga e indefinita la prospettiva aerea? E adarte accenniamo al finestrone della sala degli Scrutinjperchèil giuoco prospettico riesce tale da quel punto che all'imaginazioneè permesso di sospettare interminabili le fughe delleProcuratie nuove e delle vecchiee più fantastico ilbisantino San Marco e quasi ampia come il Bosforo la lagunae piùgigantesche le cupole del tempio della Salutee quasi alberi annosid'un'aerea selva i campanilii comignolii pinnacoli che spuntanoda ogni parte di dietro al sontuosodiremo sipariocostituito di quelle tante meraviglie architettoniche che l'arteoccidentale innalzòe staccano su d'un cielo che nei giornidella massima vampa solare e del voluttuoso vento africanoparrebbeessere stato trasportato dall'Oriente! Ma cosa diventa il tuo soleoVenezia bellain confronto della tua luna? Qual è regionedella terra dov'ella si mostri con tutti i suoi prestigj come in casatua? in quali altre onde si specchia più volontieri che nelletue? Da che torri d'altre città si mostra con piùattraente vezzo che da' tuoi edificjo regina dell'Adriatico? Se nonchesiccome Byron ha detto che i malefizj della luna sono diaboliciin ragione della sua fama usurpata di castità e di modestiacosì noi dobbiamo credere che gl'influssi della luna diVenezia sui deboli mortali e sui cuori giovanili siano assai piùfunesti e irresistibili di tutti gli altri influssi ch'ella esercitaaltroveper esempio sul lago di Lucerna e di Costanza. O gondolebrune e romite che movete lentetroppo lente per credere chevoghiate con innocenzao nel canale della Giudeccao in quello piùstorico dei Marraniil canal Orfano dei drammaturghi sepolcralionella più espansa laguna delle Fondamenta Nuovein cospettodi San Cristoforo della Pace! come vi giova il pretesto di doverusufruttare l'influsso della luce lunare! — Quanti giovanianche inclinati al puritanismofurono tratti in insidia dalla biancaluna confederata ad una gondola neradal cui felzeove penetrava unsuo raggio maliziosouscì il suono di una qualche vocevellutata o flautatacome vi par meglioperchè le vocifemminili a Veneziaquando si sentono nel canale o nel riosubiscononon sappiamo perchéuna specie di trasformazionee infondono un suono che non ha riscontro in nessun'altra delle cittàa noi note.
Malasciando le gondole e le voci flautatechi vuole a Venezia goderela luna senza pericolinon la contempli che quando ella s'interessaall'incremento delle belle arti; allora egli si rechi a metàPiazzettae la osservi quando il suo raggio attraversa le vetriatedei due finestroni che coincidono all'angolo del palazzo Ducale; e sifermi sotto al campanile quando il disco di essarompendoquasidiremmosul massimo suo verticesembra sciogliersi in raggiinfinitiche piovono da quel punto come una cascata di luce; eascenda al ponte della Paglia a vedere come il contrasto del suobianco raggio che taglia sui marmi anneritiaccresca l'incomparabilebellezza dal lato del palazzo del Dogeche risponde al ponte de'Sospiri; e passi al ponte dell'Arsenale a guardare al suo lume ileoni portati a Venezia dal Peloponnesiacoi quali vegliano allacustodia di quell'edificio da cui uscirono tante navi coraggiose efortunate; e trasvolando più lungi in gondolaentri nel riode' Zecchini a vedere i ruderi di palazzi abbandonati; o passidavanti a S. Giovanni e Paolood agli avanzi del convento de'Servitidove meditava il prodigioso Fra Paolo; e se gli cresce iltemponon ommetta il tempietto di Santa Maria de' Miracolichedirebbesi trasportato a Venezia da uno svolazzo di cherubini fattiarchitetti; e osservi da vicino il giuoco dei tre pontidove la lunasi sbizzarrisce in mille modi con quelle arcate e collo specchio diquell'acqua; e di qui ritraendosi e vogando altrovesi prolunghifino al rio San Poloa vedere il contrasto che produce la luna colleonde d'acciajo e coi palazzi gotici che sembran di pietra dilavagnaecolle fiamme che trapelano dalle finestre sparsamentementre il fondo stacca sul cielo azzurro e stellato il vetustocampanile di Santa Maria de' Frari.
Maa codesta scena appunto che si svolgeva lungo il rio San Polostava intendendo lo sguardo la contessa Clelia dal balcone goticodi una casa di ragione del patrizio Salomonintanto che l'ultimanotte del mese di febbraio sfoggiava tutto il suo serenotutte lesue stelle e tutta quanta la sua luna! Al di sopra della sua testascintillava Giove; ma la contessa era ben lontana dalconsiderarlo astronomicamentecome un tempo avrebbe fatto; nègli dava nessun pensiero che quel pianetasebbene non apparisse cheun semplice punto brillantefosse circa mille volte piùgrande della terra; ed era ben lontana dal notarequantunque inaltra parte le apparisse la costellazione di Cassiope a lei ben notacome il lume di questa costellazionenatante nell'albore della vialatteafosse meno brillante della costellazione d'Andromeda! O tempiper lei felicie forse non redituri che alla più tarda etàtempi feliciquando potea attendere a tali oggetti della scienza piùeccelsasgombra da ogni altro pensiero! O triangoli obliquangolioparaboleo ellissio iperbolio diametri e triametrio assintotirettilineio punti multiplio curve algebraicheo radici dipolinomj irrazionali! chi maipotendo in quel punto esplorare ipensieri di donna Cleliaavrebbe sospettato che in quellatestaora così ardente e fantasticaavessero potutopenetrare e per tanto tempo avere stabile dimora quelle austere formedella scienza più austera? Perchèci rincresce adirlose avessimo saputo che si doveva riuscire a tal puntoquasici saremmo astenuti dal trarre in iscena una donna che per tantirispetti ci è cara; ma purtroppo ella non pensava in quelpunto nè all'astronomia nè alla matematicae moltomeno a suo marito; pensava bensì al tenore Amorevolie tantopiù che il giorno antecedente aveva saputo come non era statoesso a trarla in insidia nel ridotto del teatroe come invece coluistava ancora in prigione; egiacché non è a farmistero di nullase ella a quell'ora si affacciava albalconesebbene spirasse una brezzolina crudettaera perchèda un palazzo vicinodove tutte le sere tenevasi accademia dimusicatra le molte voci cantanti ve n'era una chequantunque inminor suonoparea la voce gemella della voce d'Amorevoli. Ad onoredel vero però e della giustiziadobbiamo dire che se lacontessa stava tutta sola di notte a quel balconeera inoltre perfare un atto di carità squisitache andasse a sconto dei suoipeccati venialiun atto di carità a vantaggio di unagiovinetta tanto bella quanto inespertala quale stava per far lafigura del rossignuolo quando il serpente a sonagli lo incanta perfarselo volare sulla lingua trisulca.



X


Maper spiegare al lettore più cose che forse non ha compreso alprimogiova sapere come la contessa Clelia fosse stata bene accoltadalla famiglia Salomon per virtù della lettera di donna PaolaPietra: giova sapereche se la persona e il nome della contessastettero nascosti per alquanti giorni in Veneziaa poco a poco netrapelò qualche notizia tra persona e persona chefrequentando la piazza di San Marcoportarono in piazza la notiziamedesima; la quale venendo ad intrecciarsi al fatto che siattendevano al teatro di San Moisè in Veneziaper la stagionedi primaverala celebre ballerina Gaudenzieper la stagionefutura di carnevaleil non men celebre tenore Amorevoliprestoinsieme alla notizia ch'era già corsa dell'arresto di luiavvenuto a Milano pel contrattempo d'una tresca amorosae pelsospetto d'un delitto di più grave importanzatali e tantiparlari si sparsero e racconti e congetture e sospetti e domande elettere scritte espressamente a Milanoe risposte avute con gransollecitudineche si diffuse per tutta Venezia la novella che lacontessa Clelia V...la fatale Elena di quella seconda Iliadeerasirifuggita in Venezia appunto e dimorava in casa Salamon. Perònon si può dire quanto fosse generale il desiderio di vederladi avvicinarlapersin di ammirarla; di esaminare dappresso se erapoi tanto bella come si dicevase il tenore era stato di buon gustose non aveva avuto torto a sfidare tanti guaia farsi arrestareaserbare un pericoloso silenzioa rinnovare insomma quasi la tragediadi Antonio Foscarini per amore e rispetto e venerazione di lei. E lacuriosità fu tantache il ponte che attraversava il rio SanPolodi repente si vide frequentato a tutte l'ore del giorno da grannumero di personeper osservare se mai da qualche finestra simostrasse la testa della donna che era l'oggetto del discorsouniversale. La contessa Cleliaa cui la buona famiglia chel'alloggiava riferiva quel che dicevasi nella cittàstavasenecelata dietro le finestre per vedere tutti senza essere veduta; matra i moltissimi notò una figura che assai le diede daalmanaccare. Quella figura era d'un giovane gentiluomogentiluomoalmenoper quanto appariva al di fuorie per la ricchezzadell'abito e pel veladone di broccato e per la spada col fodero divelluto bianco; giovane tanto che forse non arrivava ai vent'anniedoltracciò di tant'avvenenza di corpo e di una bellezza cosìbaldanzosa di voltoche quand'anche ella avesse il pensiero altrovelo avrebbe distinto fra gli altrianche se non le fosse sembratod'averlo visto tante e tante voltee più facilmente a Milanoche in altro luogo. Quel giovane passò un giornopassòduepassò tre giorni per di là e più voltequotidianamente; se non che ella potè accorgersi che nonveniva coll'intenzione della moltitudinela quale attraversava ilponte e gettava un'occhiata al palazzo Salomon; ma sibbene ci venivaper fermarsi a volgere lo sguardo ad una finestra del palazzodirimpetto che stava presso al pontealla qual finestra comparivaanche una fanciulla. Chiesto di chi era il palazzoa donna Clelia furisposto che apparteneva al patrizio Zen; ma non serviva ched'alloggio alle figlie di luile quali per educazione vivevanseparate dal resto della famiglia; chiesto chi era la fanciullalefu detto essere la maggiore delle figliuole di quel gentiluomo; laqual giovinettache forse non aveva quindici anni e rappresentava iltipo più vetusto e più legittimo e più completodella beltà venezianaera la sorella maggiore di quellaCeciliache doveva col temposposata al patrizio Trondiventarcelebre ed ispirare al grande Parini la famosa ode intitolata: IlPericolo.
DonnaCleliaper accertarsi se quel giovane era colui veramente ch'ellasospettavao almeno per raccogliere un indizio di più ondeavvicinarsi alla veritàlo additò un giorno ad unodella famiglia nel cui seno ell'abitava; affinchè senza farsiscorgere lo codiasse e lo sentisse a parlare con qualcuno. L'incaricovenne accettatoe senza molta difficoltàcome ognuno puòimaginarsiin quel dì stesso venne riferito alla contessa checolui parlava il dialetto milanese. Questo bastò perchèdonna Clelia potesse ritenere d'essersi apposta infallibilmente. Inconclusione ella aveva creduto di ravvisare in quel giovane un taleAndrea Suardi detto il Galantinoche a diciasette anni erastato lacchè nella casa del marchese F... ed erasi reso famosoper la straordinaria velocità delle sue gambee per avereriportato tre volte il primo premio e la bandiera bianca nelle corsechesecondo voleva allora il costumele case più ricche diMilanoin certi determinati giorni dell'annofacevan fare ai loropiù riputati lacchèonde vedere chi lo aveva piùabile e più veloce. Quel giovinetto era dunque diventato unaspecie di celebrità del suo cetoe siccome era diun'avvenenza non comunech'egli accresceva vestendo la livrea dilacchè con un'eleganza insolitacosì veniva da tutti igrandi signori e accarezzato e regalato abbondantementema ilgiovinettodi mente svegliata ma di trista indoleera stato guastoda tante carezze e da tanta fortuna. Essendo manesco e rissosoadogni momento il padroneche gli voleva benebisognava pagasse lebussele bastonate euna voltapersino una coltellata cheubbriacoaveva appoggiato ad un collega nell'acciecamento di unarissa. Essendo discoloe ch'era peggioessendo belloaveva messo amal partito più ragazze del popolo; e il padroneil qualeaveva della debolezza per quel fanciullocresciutogli in casa da unvecchio carrozzieres'era trovato costretto più d'una volta apagare indennizzi e a far sospender reclami. A tutto ciòaggiungevasiche diventato anche giuocatore e non bastandogli piùnè il salario nè le mancie ordinarie e straordinarieeavendo debiti di giuoco da pagareun giorno rubò alcunemonete d'oro al padrone; fatto cheper non essere stato scopertorinnovò più volte; ma alla fineessendo caduti isospetti su di lui ed essendo stato perciò tenuto d'occhiofuvisto una mattina da due servitori entrare bel bello nella stanza delsignor marchese mentre dormivaprendere una borsa da un tavoliere evuotatala per una buona metàmettersi il danaro in tasca. Fuallora cheriferito e provato il furtoil giovane lacchèvenne scacciato sui due piedi dalla casa F...
Ilmarchese vietò ai due servitori di raccontare il fatto inpubblicoe per qualche tempo continuò il salario al giovaneSuardiil qualetrovandosi ozioso e fuggito da tuttiognuno puòpensare come potesse avviarsi al ravvedimento. Se non chenell'occasione di una corsa straordinaria avvenuta a Milano tra ilacchè delle varie città di Lombardiaessendo quei diMilanoper esser mancato l'intervento di luirimasti gli ultimicon grave offesa della gloria municipaleil giovane Galantino siofferse allora di battersi coi tre lacchè vincitorii qualeeran di Bresciadi Cremona e di Lodi; e la sfida andò dimanierache la gloria di Milano riuscì per virtù sua arimettersi al primo postotanto che egli ricevette doni da tutte lepartie si rifece in gala. — Inoltreper quella vittoriaungran signore di Napoliche era venuto allora a stare a Milanopreseil Suardi al proprio servigiobenchè dopo pochi mesi loavesse licenziatoonde il giovane ritornò presto alla vitascioperata di prima. — Ora la contessa Clelia aveva veduto moltevolte quel giovinetto lacchèe anch'essapur nella suaseverità scientificaaveva applaudito e di cuore a' trionfidi luicome avean fatto tutte le dame alle qualicom'ènaturaledoveva essere simpatico quel giovane così bello ecosì alacre. — È dunque facile a comprendere comead onta del veladone di broccato e dei due orologi e delle ricchetrine e della parrucca ad ala di piccione e del cappellino a trepunte listato d'oroe di tutta quella trasformazionedell'abitinosuccinto di lacchè all'abitone prolisso di gentiluomoa leifacesse colpo quella figura e quella faccia veduta tante volte;faccia caratteristica quant'altra maiperchè ad un profilofinissimoad una bocca quasi da fanciullaad un incarnato bianco erosatoche parea quello di una educanda non ancora trilustrefaceancontrasto due occhi nerivivacissimi e pieni di fuocoma d'untaglio così traditore e d'una luce tanto sinistrache a lungolasciava disgustato chi lo guardava.
Cheil giovane Suardiossia il Galantinocome veniva comunementechiamato a Milanoda questa città fosse passato a Venezianon ci era nulla di straordinariosebbene non fosse questo il luogopiù adatto alla sua professione di lacchè; ma quel cheragionevolmente doveva promuovere di grandi sospetti era quellosfoggio repentino del suo abbigliamento e quell'aria diprofumatissimo gentiluomo ch'egli si dava. La contessaquando lovide la prima volta sul pontepensò ch'egli avesse fatto unagran vincita al giuocoe bizzarro qual era e amante della eleganza edel lussocome ne aveva dato un saggio anche a Milano pur nell'umilesua livrea di lacchèattendesse allora a gettare i guadagniin fretta e in furia nel recitare per poco tempo la parte del gransignore; ma a questa prima congettura ne tennero dietro delle altreessendole nota la cagione per cui era stato cacciato dalla casa F...e fece così altri sospetti di più grave natura. —Quando poi s'accorse del motivo pel quale più volte al giornocapitava su quel pontee vide la giovane Marina Zen aspettarloansiosa al balconee una nottegettargli anche un letterino;fremette d'indignazionee sentì una pietà profonda perquella giovinettachecedendo alle prime effervescenze del sangueed agli arcani desiderj del cuoresi era lasciata cogliere da quelvago aspetto di giovaneonde impaziente lo attendevae mestissimalo vedeva discendere dal ponte e dileguarsi. — Donna Clelianella sventura congenere in cui versavaaveva trovata quella nuovasollecitudine per i pericoli altruie un timore sinceramenteaffannoso che una fanciulla sbocciante allora allora dall'infanziacresciuta in tanta distinzione di natalibella e fragrante come unarosaingenua al punto di abbandonarsi all'insidia per nonsospettarlafosse per cadere negli avvolgimenti di quel furfantemascherato.
Lospiritola bontà e il senno di donna Paola erano in quelpuntotrapassati nella contessa; tanto riuscì efficace ilcontatto della virtùche per lei fu una consolazionel'imitarla.
Dadue notti il giovane Suardiquando tutto dormivaentrava nel rio ingondola; la fanciulla veniva ad una finestra del pepianocomela chiamano i Veneziani; ed egli salendo al di sopra del felzealzandosi in sulla punta de' piedie protendendo la manopotevatoccar quella della fanciulla chevolendo e disvolendopur glielaconcedeva. La contessa Clelia stava in sull'alie se non s'intromiseprima in verun modo fu perchèdopo pochi minutiin quelledue nottila fanciulla erasi ritiratail giovane era discesoe lagondolamovendo muto il remoerasi dileguata. Pur quelle visitenotturnecontinuandopotevano esser causa d'irreparabili sventureonde la contessa pensò che fosse debito suo il vegliareassidua e attenta. E in fattiin quella notte in cui abbiam visto lacontessa Clelia al balcone mentre le scintillava il pianeta di Giovein sulla testaquel Giove tanto abile a trasformarsi per tendereinsidie alle giovani beltà più celebrate dellamitologia; nel punto che si smezzava in seno la passione propria e lapietà per la passione altruis'accorse della gondola consuetache procedeva nel rio; e di lì a pocoferma che fu lagondolavide affacciarsi la Marinae tosto impegnarsi un dialogosommesso e una corrente elettrica di sospiri affidati all'aria. IlSuardi stavacome di solitosul felze; maad un certo puntocomeun leopardo che spicchi un salto traditoregettò una corda albalconee di slancio fu al contatto del viso della fanciulla. Se nonchequasi contemporaneamentesi spalancarono a battererumorosamente sui marmi le imposte della finestra del palazzodirimpetto; e il Suardi sentì una voce squillante di donna agridargli: Galantino! La fanciulla si ritrasse e chiuse ivetri; egli si volse a saettare la pupilla ardentecome un serpeinferocito percosso nella coda. Il raggio della lunaper unadivisione che era tra palazzo e palazzopenetrato allora nel rioilluminava la finestra dove stava ferma donna Clelia in tutta lamaestà della sua faccia di Minerva. Ci fu un istante diprofondissimo silenzio e quasi terribile. Il Galantino ravvisòla contessa.



XI


Tantola contessa che il Galantino stettero per qualche tempo immobili eperplessila prima al balconeil secondo sul felze della gondola;donna Clelia fu molte volte in procinto di parlaremolte volte ilGalantino fu tentato di avventare ingiurie a quella che in cosìmal punto lo aveva sorpreso. Il pensiero però di essere statoriconosciutolo aveva colpito in modo che gli tolse il coraggio e lasfrontatezza; onde senza dir nullasaltò dal felze alla poppae mosse la gondola. Allora la contessa si ritrasse assai turbataperchè dopo la prima compiacenza d'aver salvata una fanciullainespertagli sorvennero i timori per sè stessa; poichében conoscendo l'indole tristissima di quel giovinettoriflettevachenella condizione in cui ella trovavasida quell'incontrodisgraziato potevano derivarle altri guaj. Donna Clelia non sapevache in parte come stessero e camminassero le cose a Milanoe ciòpel carteggio che teneva con donna Paola Pietrala quale da un latoprudentemente le taceva alcune cosee dall'altro non poteva conoscertutto nemmeno essa. La contessa aveva dunque raccolto dalla terzalettera l'arresto di Lorenzo Brunitutore della Gaudenzi; avevamaravigliato al racconto della maschera di cui era stata la vittima;si era consolata al pensiero che Amorevoli era ancora in prigione;che sorta di consolazione! ma il cuore umano è fatto così.Aveva saputo le pratiche che in sui primi giorni i parenti di leilamadreil marito avean fatto per tentare di venire sulle sue tracciema come s'eran poi racquetati. Se non che donna Paola aveale scrittoche a Milano correva qualche vocenon sapeva poi in che manieradella sua dimora nella città di Veneziae che peròattendesse a stare nascosta e ritirata; che in ogni modo le avrebbefatto noto prestissimo se potesse trattenersi a Venezia con fiduciao le fosse necessario rifuggirsi ad altro luogocon maggiori cauteledi quelle che si erano usate prima. Non è dunque a direquantodopo avere appagato lo slancio generoso della sua pietàsi pentisse del non essersi saputa misurare e tener nascosta pur nelmomento ch'era accorsa all'altrui soccorso. Se avesse saputo chenell'intenzione di tutto il patriziato amico de' suoi parentisidesiderava invece che ella stesse lontana da Milanoe si fingeva dinon conoscere dov'ella si fosse ricoverataperchè alle loromire giovava il supposto che Lorenzo Brunipiù che dellacontravvenzione alle leggi sulle mascherefosse colpevole d'unrapimento eseguito da altri per conto suonon si sarebbe dato tantoaffanno dell'essersi fatalmente incontrata coll'ex-lacchè dicasa F... Del rimanentese donna Clelia poteva aver qualche timoredella presenza del Galantino in Venezianon è a dire quantocostuidopo il sobbollimento della prima sorpresae dopo la primafuriamaledicesse cento volte la coincidenza del trovarsi labellissima giovinetta Zen nel palazzo dirimpetto al quale dovevavenire a dimorare la contessa Clelia V... Ma ciò che lo cocevae gli metteva in cuore di strane paurechè ben egli sapevacome stavaera quell'essere stato sì tosto riconosciutotrasvestito qual era e pur fra l'oscurità; onde mille altrisospetti gli entrarono nell'animo.
Perquanto il Galantino della pravità avesse tutta la naturalevocazione e la sfrontatezzae fosse di quelle complessioni fisichecosì perfettamente costituiteche non sono accessibilinemmeno ai turbamenti morali; talchè ai disappuntiaglisfregial disonorealla cattiva fama aveva fatto il callopure nondormì troppo tranquillo in quella notte. Alla mattina peròsi rinfrancò tutto quantochè coll'aria fresca cheveniva dalla terraferma gli sorvennero anche i secondi pensieri. E simaravigliò di non aver considerato a tutta prima lecircostanze speciali in cui versava la contessa Clelia V...; poichèanch'egli conosceva la storiella di Milanoe la fuga di leiecom'ella se ne stesse in Venezia di contrabbando. Perciòd'uomo assalito qual egli erapensò di farsi assalitorecangiando in sull'istantesul campo di battagliae tattica estrategia; e d'una in altra cosa fermò il partito di recarsi afare una visita alla contessa. Nessuno può imaginarsi lastraordinaria svegliatezza della mente di quel tristo giovinee ilcolpo d'occhio onde sapeva scansare i pericoli nel punto diaffrontarlie comead onta di così poca età e di unaeducazione sì rozzaavesse il senso di quelle cose che nons'imparano che cogli annicolla squisita coltura e con una granpratica di mondo. Aveva poi una memoria prodigiosa e una facilitàstrana d'apprenderetantochèper venire ad un esempioinquel mese da che stette in Veneziasi era impadronito d'una buonametà del dialetto veneziano e già ne faceva qualchesfoggio pe' suoi fini. Non è poi a dire come della propriabellezzadi cui non s'invanivama che valutavaquasi a prezzi distimaaveva stabilito di cavare quel partito che altri trarrebbedalla ricchezza e dalle altre facoltà che hanno peso e misura;sicchècontando sulla forza qualche volta onnipotente d'unbell'esterioreaveva pensato che a lui sarebbero state lecite tantecoseche agli altri potevan venire ascritte a colpa. — Perciòaveva gran cura della propria bellezzae dell'incarnato delleproprie guancie; e dei denti bianchissimiche puliva e curava collasollecitudine del soldato il quale sfrega col pomice la bajonettanon per amore della bajonettama perchè gli deve servire infazione. — La natura insomma aveva largito a lui tutti i suoidonima egli aveva condotto le cose in modo da convertirli tutti inaltrettante armi d'offesae ciò senza nemmeno averne avuto unproposito deliberato; sibbenetorniamo a ripeterloper quellapravità irresistibilmente attiva della sua naturache solosarebbesi mitigatao fors'anco si sarebbe tramutata in qualche altracosase avesse avuto un'altra nascita e un'altra educazione. Alloranon sarebbe stato il Galantino piè-veloceladro e truffatorecome lo vediamo indicato nelle carte che abbiamo sott'occhiomasarebbe riuscito un gemelloper esempiodi Fouché o diTalleyrand. A quell'ex-lacchè travestito occorrevano molte oredi toaletta; e in quel mattino adoperò la pomata di riservaper poter far visita con un certo successosecondo luialla signoracontessa.
Vestìpertanto l'abito più sfarzoso che aveva; un veladone ampiodi velluto nerotutto tempestato di puntine d'orocol panciottod'una stoffa a duplice trama di fil d'argento e di fil di setaazzurrache dava molteplici combinazioni di luced'ombra e dicolori ad ogni screzio di piega; coi calzoni corti di spinoneaventilegacci di velluto a punte d'oro come il veladonee fibbie dibrillantini; tutto il resto faceva corredo e complemento rigoroso alvestito principale.
Nonsolo adunque aveva adottato lo sfarzo e la ricchezzachè aciò poteva arrivare in ventiquattr'ore qualunque villicoarricchito; ma nelle stoffenei colorinel disegno de' ricaminell'eleganza totale dell'acconciaturametteva l'intelligenzadell'uomo squisitoe persino il colpo d'occhio dell'artistatalchèpareva un cavalierino che tenesse il privilegio del buon gusto dallungo uso della ricchezzadalle continue consulte col sartodaiviaggi a Parigiche allora era il quartier generale della modae loera diventato fin dal tempo di Luigi XIVche gli storici sisentirono obbligati a chiamar grandeforse per non averpronta in quel momento un'altra parola. Ma venendo ora al fattoquando il Suardi fu bene in assettodalla casa ove dimoravapressoal palazzo Pisani in campo san Stefanodiscese al rioovel'attendeva la gondola con un gondoliere in livreaal qualenell'entrar sotto il felzegridò: — Casa Salomon.Allorchè la gondola si fermò davanti allo scaglione diquella casaGalantino diede al gondoliere un breve portafoglio diseta legato con nastrifuor del quale spuntava una cartolina.Alloracome ognun sanon c'eran biglietti di visita propriamentedetti e propriamente fattima c'eran i loro precursori; e giacchèera il secolo delle eleganze più profumate e delle caricaturechi voleva farsi annunziare a qualcuno per una visitafacevapresentare al guarda portoneperchè lo facesse avere alpadrone della casaun bigliettino su cui scriveva il proprio nomeil qual bigliettino veniva sempre collocato in un portafoglioin unastuccioin un vezzo qualunque; e tali vezzi qualche volta avevanoun gran valoreessendo d'argentod'oro e persino ornati di pietrepreziose; a seconda della ricchezza del visitatoree del bisogno cheaveva di rendersi gradito e d'imprimersi bene nella memoria di chivoleva visitare; perchè era di prammatica che il padrone o lapadrona di casatolto il fogliettoe letto il nomesi tenesse ilvezzo per sècome pegno e come dono. Il Suardiche conoscevatutte queste bizzarie della modaaveva creduto bene di farne uso inquell'occasione. Il gondolierechiesto pertanto della signoracontessa V...presentò al servo il portafoglio di seta (laprammatica non voleva che in una prima visita si sfoggiassero imetalli fini e le gemme). Il servoil quale era stato indettatodalla padrona di casa fin da quando la contessa le era stataraccomandatarispose non saper nulla di quel nomema che avrebbefatta l'ambasciata alla padrona stessa. Questa era in casae disse:— Va dalla contessae domanda a lei quel che si ha a fare. Dalnome che è lì dentro ella piglierà norma. Cosìentrato il servo nell'appartamento della contessa e fattoseleannunziarele presentò il portafoglio di seta; la contessalevò il fogliettoe lesse — Galantinoper dueparole. — Rimase stupita e sconcertata. Il servoch'era aparte degli arcanile chiese se avesse a licenziare il gondoliere.La contessa non sapeva che risolvere; fremeva e arrossiva al pensierodi dover ricevere una tal visita. Dall'altra parte temeva arimandarlo; peròdopo molte titubanze:
—Fallo entrarerispose.
Galantinoad onta della sua baldanzastava pure in gran paura non gli venisseun rifiuto dalla contessa: perciò quando il suo gondoliere ela livrea di casa Salomon gli dissero di restar pure servitobalzòfuori dalla gondola tutto pago e colla sua baldanza raddoppiataes'avviòpreceduto dal servoall'appartamento della contessaannunciato lungo i corridoj e le vaste anticamere dallo scricchioliodelle sue scarpe di sommacco. Quando il servo spalancò ibattenti dell'uscio della sala ove stava la contessaegli sitrattenne in gran rispettosulla sogliacurvando il tergo echinando la testa fin quasi alle regioni dell'ombilicodi modo chel'elegantissimo fodero della sua spadaalzandosi in quel movimentoveniva colla punta a trovarsi a livello della testa. La contessaCleliastando in piedicolla mano dritta appoggiata ad untavolierecome una regina Elisabetta in atto di dare udienzachinòleggerissimamente il capoin maniera però come s'ellatentasse d'ingannare sè stessa sulla realtà diquell'atto. — Ma Galantino alzatosi tostovarcò lasogliae fu nel mezzo della salafaccia a faccia con donna Clelia.Il servo si ritrassenè la contessa gli osò dir difermarsi. quantunque ne avrebbe avuta tutta la volontà. Passòqualche momento in cui Galantino stette aspettando che donna Cleliasi ponesse a sedere; ma quando vide ch'ella non movevasisenzamostrare il benchè minimo disdegno a quell'attitudine diregina in tronocon una disinvoltura piena di garbo e con un sorrisodolcesebbene un po' affettatole offerse egli stesso una sediarompendo in questi termini il silenzio:
—Signora contessaio non sono più il Galantino di Milanosonoil signor Andrea Suardivenuto a fermar la mia dimora a Veneziaperchè quisecondo il mio gustosi spendono meglio i danarie si gode meglio la vita. La fortuna mi è stata favorevoleele carte e i tavolini verdi hanno fatto venire nelle mie mani ildanaro altrui. Oggi sono benestante e ricco...; col tempo poi non èaffatto improbabile ch'io diventi anche nobile. Conosco due o tre quidi Veneziache cent'anni fa attendevano al miglioramento delle carnisuinema che per aver fatto in processo di tempo un prestito allaserenissima repubblicaoggi son nobilidell'ultima qualitàquesto s'intendema nobili in ogni modo. In quanto a me poil'assicurosignora contessache del mio passato appena mi ricordo.
Cosìdicendoe porgendo la sediacol gesto pregava donna Clelia a volersedere. Per quanto la contessa sentisse dentro di sè sdegno edisprezzo e persino paura di quel vezzoso serpente che le stavadavantipure si lasciò per il momento quasi deviare e placareda quell'aspetto così vago e sorridenteda quell'eleganzacosì profumata; credevama senza che nemmeno sapesse formularla cosa a sè medesimache quel volto genialeque' modieleganti e quel ricco vestito costituissero come un muro di divisionetra lei e l'abbiettezza e la tristizia di quel giovane. — L'uomoè così fatto: anche il più sapienteanche ilpiù astuto ama lasciarsi ingannare dall'apparenzaancheallorquando sa benissimo che di sotto sta il marcio. — Lacontessa dunque accettò la sediae dirimpetto a lei si pose asedere il Galantino.
—Mi rincrescedisse allora questich'io debba incominciare il miodiscorso con un rimprovero... e sorrideva maliziosamentementre lacontessaabbassando gli occhinon rispondeva. — Che malefizioegli è poiseguiva il Galantinoperchè lo si debbarompere in due da chi veglia a notte tardache malefizio puòessere egli mai che un giovinottoil quale non è ammogliatofaccia la sua corte ad una ragazza che non è maritata?
Efece un'appoggiatura su questa parolae nel pronunciarlatutto ildolce che prima avea tentato di accumulare nella sua vivace pupillascomparveper lasciar intravedere un guizzo di luce sinistra eserpentina.
Lacontessatutta rimescolata a quelle parolealzò di repentegli occhi che aveva tenuti abbassatie li fermò con tantaserietà negli occhi mobilissimi del Galantinoche questipensò di ammorbidire la lamae di darle una piega.
—Io non aveva cattive intenzioni (continuava)e non ne ho; ma checolpa è la mia se quella ragazza è la figlia del conteZen? poichèvenga il diavolo a portarmi viama posso giurareche aveva tanto la testa ai tavolini verdi in questi giornich'ionon pensavo a ragazze; ma colei mi parlò tante volte e cosìchiaro con que' suoi occhi da penna di pavoneche a non tenerledietro e a non accompagnarla per vedere dove fosse il suo palazzosarei stato una gran bestia.
Illettore si avvedrà come lo stile di queste ultime parole diGalantino faccia un po' di sconcordanza coi modi eleganti del suoprimo presentarsi; ma un giovane che era nato da un carrozziereedera cresciuto tra le gambe de' cavallie dai dieci ai vent'anni nonaveva fatto altro che correrefacendo a gara con essibisognavabene che di tanto in tantoa sua insaputae ad onta della suastraordinaria attitudine a saper uscire da sè stessolasciasse tuttavia trapelare fra poro e poro l'acre odor di cipolla.
Senon che la contessa non lo lasciò continuaree soggiunse:
—In conclusioneper qual fine voi oggi siete venuto da me?
—Per due oggetti.
—Quali sono?
—Uno è dedicato all'ottima signora contessae s'inchinò;l'altro deve fruttare interamente per me; e del restouna manolava l'altra.
—Non vi comprendo affatto.
—Mi lasci parlaree vedrà la signora contessache forse leverrà fatto di capirmi.



XII


Aqueste parole donna Clelia si alzòfece alcuni passie sirecò in sull'usciocon aria sbadata in apparenzama pervedere se qualche servitore fosse lì presso; poi ritornòall'obliqua scherma di quel dialogodisposta a parlar chiaro e a nonlasciarsi intimorire.
—Sentiamo dunqueella dissequal'è la cosa che pretendeteusufruttare per voi.
—Una cosa semplicissimasignora contessaed è questachedal momento che in Venezia ella è la sola che sappia quel cheio sono stato una voltavoglia così aver la compiacenza dinon guastare con delle importune rivelazioni la mia condizioned'adesso. La qual cosa spero che la signora contessa non mi vorrànegareanche per riguardo a ciòchese ioper esempioandassi a Milanoe qualcuno mi chiedesse dove sta al presente donnaClelia V... io non avrei certamente l'obbligo di tacere; e alloraache scopo mettersi in carrozza; e correre a rompicollo per toglierela lena a chi poteva venir dietrose il signor conte non dovesse faraltro che attaccare i cavalli di postanoleggiar la gondola diMestree venire a Veneziaa ripigliarsi la sua moglie?
—Parliamo di voidisse allora con piglio assoluto la contessa; di voie de' vostri bisognie lasciamo agli altri la cura dell'altre cose.— Il Galantino fu punto dall'accento altero più che dalleparole di lei; onde si alzò anch'essoe volendo comeinsegnarle ad essere un po' più umileassunse un faretriviale e sguajato.
—Ma sapete però ch'è bellasignora contessa?... ditante donne e gentil donnedi tanti guarnelli e guardinfanti chestanno a Milanochi avrebbe detto che la più fredda dovevaessere la più caldae che le balzane meglio impiombatedovevano poi essere le più leggiere? Peròbisognaconfessarlola signora contessa è stata di buon gustoevivano gli artisti da teatro; anch'ioper esempiose trovassi unadonnetta di quelle che s'imbellettano in camerinopotrei mettere daun canto la contessina biondae appagare così i rigori dellasua protettrice.
—SentiGalantinovuoi tu ch'io suoni il campanelloe dica alservitore di condurti alla gondola? Bada che in questa casa capitanopatrizj del Gran Consiglioprocuratori e avogadorie se io dicessiloro chi sei tu e chi eri tu e cosa tu hai fattoe come tu vesta dagentiluomo essendo stato un lacchèper tentar le figliuoledei nobiluomini venezianipresto ti metterebbero al bujo; a Veneziasi fa prestoe sarebbe per loro un tratto d'indulgenza a scrivere alSenato di Milano; e siccome chi si traveste e si vende per quello chenon è mette di grandi sospettinon so quel che il Senato diMilano farebbe di te quando il Senato di Venezia pensasse aconsegnarti al Pretorio del confine del ducatoperchèt'inviasse dritto al Capitano di Giustizia! Sappiche il tuo nomepassò per più bocche la notte che i servitori di casaF... vider l'ombra d'un uomo a fuggire dalla stanza del marchese...
Questeultime parole furono di tanta forzache il volto del Galantinocorrugato allo schernosi spianò a un trattocome se gli sirilasciassero tutti i muscoli; e il colore incarnato e vivaceper laprima volta forsefuggì da quella faccia tanto bella quantosfrontata.
Oraconvien sapereche tra i molti sospetti venuti alla contessa sulconto del Galantinoquando lo vide per la prima volta a Venezia inquello sfarzofece presa nell'animo suo anche questoche laricchezza di lui fosse la conseguenza di quel delittoe ciòper la ragioneche la mattina del giorno successivo all'arrestodell'Amorevoliquando a tutti quanti in casa V... parevainverosimile e assurdo che il tenore potesse aver avuto interesse aquel trafugamentoun servitore tra gli altrientrò a dire:Scommetterei che è stato il Galantino. Quel sospettogettato là da un servitore parve una gran sciocchezzaperchèfu subito fatto osservare che il Galantino non avrebbe mai fatto losbaglio di aprire uno scrigno dove non v'era che della carta scrittaessendo noto il suo attaccamento sviscerato all'oro e all'argentosonante... e una risata generale mandò per allora quelsospetto agli atti di casa V...donde non era mai uscito oalmenonon ne era uscito in modo da poter viaggiare sino al Pretorio. —Orache la contessain quelle strette di cuore e in quella febbred'amoreavesse dovuto occuparsi di quell'indizio criminaleillettore sarà abbastanza ragionevole per non pretenderlo. —Ma quelle parole del servitore— Scommetterei che èstato il Galantino — parole che erano scomparse affattodalla memoria della contessale si riprodussero tali e qualiallavista di lui in Veneziacome quando torna a dar fuori una macchiauntuosa non ben lavata dalla saponaria. Non gliene avrebbe peròmai fatto motto in quel dialogose il Galantino non l'avessestuzzicata con quella baldanza (e qui fece un errore indegno di lui)baldanza che una dama di condizione non poteva sopportare. Dopotuttoconvien confessare che la contessa si comportò con piùfermezza e colpo d'occhio di quello che si sarebbe potuto aspettare;onde ci pare non sia sempre vero che lo studio della scienza deicorpi celesti tolga agli intelletti la facoltà di saperdistrigarsi bene anche delle cose terrestri.
Intantoperò il Suardi aveva avuto tempo di ricomporsie insieme colcolore che gli era tornato sulle guanciegli ritornò anche inpetto la fidanza; per la quale riprese di nuovo il fare squisito delgentiluomo che aveva dimenticato per un momento con tanto suo danno.
Purtroppo un piè messo in fallo può balzare dall'amenitàdi un luogo montano in un precipizio.
—Signora contessadisse poiella mi fa tortooper dir meglioella fa torto a sè stessadando luogo a sospetti di similenatura. Che ho a far io col defunto marchese F...? che interessi milegano a lui? poichèse non mi fu riferito il falsocredoche si tratti di un testamento...; ella dunque vede benesignoracontessache egli è vero ch'io fui il suo lacchèechese quel signore ebbe qualche vanto al mondofu per aver avutoil primo lacchè di Lombardia a' suoi servizjma ciònon fa ch'io sia un suo parente.
DonnaClelia tacevama nella sua testa era penetrata la convinzione chequel che aveva sospettato era vero.
Nellabilancia della giustizia legaleil rossoreil pallore e losmarrimento sono imponderabili morali; ma nella bilancia dell'uomovalgono più della stessa colpa confessata.
Benequalche volta dà il caso chenelle nature eccessivamentesensitiveil rossore ed il pallore compajono per quelle arcanemovenze dello spiritoche si conturba pur al semplice annunzio dellecolpe altruima ciò non poteva succedere in quella natura dicuoio del lacchè Galantino: il qualese potèsgomentarsi alle parole della contessafu perchè eratutt'altro che preparato a sentirlee la sorpresa lo rovinò;chèsotto il lavoro immediato della sorpresal'uomo disolito smarrisce il suo carattere abituale.
Maalle parole del Galantino così rispose la contessa:
—Io ti dico quel che si pensa di te a Milanonon già quelloche ho pensato ionè che penso adesso. Io non sono lagiustiziae basta che io pensi e provveda a me. Ti dico soltanto chepuò bastare un sospetto a perdere un uomoe che perciòti giova arar dritto e prudentee non immischiarti colle famigliepatrizie di Venezia e non toccar le loro figlieperchèl'orgoglio dei Veneziani è taleche guai se scoprisseroquello che tu sei... chè d'uno in altro fatto... sipotrebbe... tu mi comprendi...
—Obbligarmi a non far la corte a nessuna delle belle patrizievenezianerispose il Galantinoè un pretender tropposignora contessanè io so se in questoquando mai sipresentasse una bell'occasionepotrò accontentarla. Pur d'unacosa trovo che è mio dovere l'esaudire i suoi desiderj;perchèse la signora contessa conosce la famiglia Zen e ne hapreso a proteggere la bella figliuolaio mi asterrò da questapraticasicuro per altro di far un gran dispiacere alla ragazzadelqual dispiacere voglia ellasignora contessapigliarsi tutta laresponsabilità.
DonnaClelia non risposee il Galantino si licenziògraziososorridente e gajoin apparenzacome un damerino a cui la damaadorata gli avesse detto di sperare.
Quandola contessa rimase solachiamò il servitore cui raccomandòdi non lasciar mai più entrare quel signorepoi si mise afare tra sè e sè una consulta su ciò che glirestava ad operare in quella circostanza.
Pensòa quello strano e quasi inverosimile concordo di accidentipelqualein un modo lontanissimo da tutte le previsioni imaginabilivenne a scoprireo credeva almenol'uomo che era fuggito in quellanotte fatale dalla casa F... e da cui era nato tutto il parapiglia. —Per quanto però ella ne tenesse la convinzionee a sèstessa avesse potuto giurare che il Galantino e non altri eral'autore del trafugamento; pure rifletteva che la convinzione moraleè una cosa troppo lontana dalla certezza fisicaper potercosì di leggieri mettere nelle mani della legge inesorabile ungiovane cheper quanto fosse tristo e avesse tutta la capacitàa quel delittopure non si poteva assolutamente escludere dallapossibilità la sua innocenza in quel caso speciale.Considerava poi che non era facile a trovare la cagione verosimiledel trafugamento consumato da quell'ex lacchè di casa F...;perchè e documenti scritti e testamenti non avevano nelle suemani nessun valore utile per lui. Ella sentiva inoltre un'avversioneinvincibile a farsi denunziatrice di un fatto a danno altruianchedata la piena certezza della colpaanche data la certezza cheatacerlasi potesse recar mali gravissimi ad altri. Son le solitelotte dell'intelletto e della logica col dominio del sentimento o diquei sentimenti chegenerati da controversi principj e dapregiudizjsi piantano nel cuore dell'uomo a trattenere i consiglidella ragione e della coscienza. Siccome poi la comparsa in giudiziodel lacchè Galantinocome reo imputato del trafugamentopoteva aprir la porta alla prigione del tenore Amorevolicosìl'eccesso di questo desiderio era d'impaccio a donna Cleliala qualeavrebbe voluto che il vero balzasse netto e schietto sul banco delgiudicesenza che ella vi dovesse aver parte. In ogni mododopoaver messo a contatto e in disputa nel suo cervello tutti i pro etutti i contropensò di scriverne alla sua consolatrice econsigliera donna Paola Pietrasotto condizione del piùprofondo segreto.

LIBROTERZO


Ilcapitano di giustizia marchese Recalcati. — I protettori deicarcerati. — Benedetto Arese e Pietro Verri. — Il conteGabriele Verri. — Sistema rigido d'educazione nel secolopassato. — Problema storico. — Pietro Verri e la campanadella piazza de' Mercanti. — Le difese del Verri e dell'Arese. —Lo zio di Cesare Beccaria. — I giuochi d'azzardo e il ridotto diSan Moisè in Venezia. — Una curiosa notizia intorno alSenato di Milano.



I


Primadi partire per Venezia abbiam lasciato donna Paola Pietra che uscivadalle stanze del marchese Recalcati. E quella visita potèrecare un gran benein quel punto segnatamente che il Bruni el'Amorevolinella casa della giustiziaper un perfido giuoco dellasorteerano alle prese coll'ingiustizia. La lettera scrittale dallacontessa nel tumulto della passione le aveva data piena facoltàdi riparare i danni che essa non avea potuto stornare in tempo. Peròdonna Paola assunse quel mandato a rigore di scrupolo e nell'intentodi soddisfare a ciò che era giusto ed onesto in tutti i modipossibili. Si tenne dunque informatissima e delle voci che correvanoin pubblicoe di ciò che facevasi in privatoefin dove erapossibiledell'azione interna delle pubbliche magistrature. Visitatacom'era di frequente dalle persone più distinte della cittàgiunse a subodorare le intenzioni celate dietro alle formalitàapparenti; chè per quantocome dicemmoi processi criminalicamminassero segretipure dov'eran tanti assessori e attuari escrivaniuscivano un po' per volta a circolare tra pubblico epubblico le cose che più volevano tenersi nascoste. DonnaPaola seppe dunque che il parentado della contessa aveva gettato idadi opportuni per far credere ch'ella fosse vittima innocente diqualche terribile intrigo; seppe inoltre che sulla contravvenzionealla legge commessa dal Bruni si volevan edificare altri supposti edaltre coseperchè colui dovesse pagare i debiti di tutti. Delresto donna Paola era quella precisamente che doveva conoscere piùd'ognuno (e il cuore le faceva sangue rammentando il passato) come lospirito di corporazione talvoltaa quel tempofacesse tacere lavoce dell'assoluta giustizia. A prevenire cosìin quantodipendeva da leile conseguenze possibili di quelle obliqueinsinuazioniaveva risolto di far visita ella stessaall'illustrissimo marchese Recalcatiche aveva fama d'uom dotto e direttissime intenzionima per modestia e per bontà erad'indole pieghevolissimae cedeva facilmente a chi stava o piùin su di luiod era pari a lui per grado di magistraturae losoverchiava poi per ostinazione di principj e d'opinionie persuperiorità di ingegno e d'eloquenza. — Donna Paolasapeva poi che i membri del nobile collegio dei giureconsultie igiudici e i senatori (eccettuato qualche uomo specialmente rigidoequel senator Goldonipensando al quale essa fremeva ancora)presiad uno ad unoquando la loro testa e la loro coscienza moveva liberae nell'atmosfera sgombra della giustizia legaletemperata dallagiustizia moralesentivano e vedevano e desideravano e comandavanoil vero benema poiquando si fondevano in quella formidabile unitàdel collegio e del Senatosovente venivano a comprovare quanto fossevera la sentenza ciceroniana de' Senatores boni viricon quelche segue. — Armata dunque di tutti questi dubbj e di tuttiquesti sospettiper tacere del senno e dell'esperienzadonna Paolasi recò negli uffici del Capitano di giustizia. Quando almarchese Recalcati fu annunziata la sua visitainsieme collameravigliaprovò qualche sensazione che non era tutta dipiacerechè ben conosceva anch'esso quella celebre evenerabil matronae la di lei carità operosa e vigile; esapeva inoltre come colei non facesse mai passo che non fosse percosa della più grande importanzae cheallorquando ella siproponeva un fineanimata qual era dalla convinzione e dall'amoredel benenon si rimanesse mai a mezza viaper qualunque ostacoloincontrasse. È poi ad aggiungerechein quel giorno dellavisita di donna Paolala coscienza di quell'ottimo magistrato nonera tranquillissimaonde in tutto ciò che gli si presentavadi straordinariogli parea come d'affacciarsi in un rimprovero
Nulladimenol'illustrissimo signor marchesequando donna Paola Pietra entròle mosse incontro con atto di profondissimo rispettoe avanzato dipropria mano un seggiolonela pregò a sedere.
—Qual grave affaresoggiunse poiha determinato la signoria vostravenerandissima a venire in questa casa della colpa e della sventura?
—Il desiderio appuntoillustrissimo signor marchesed'impedirequalche possibile sventurae di stornar qualche colpa. Ma di unacosa io le debbo innanzi tutto far domanda.
—Parli.
—Vorrei sapere se il signor marchese può ascoltarminon nellasua qualità di capitano di giustiziama come semplice eprivatissimo gentiluomoe al bisogno farsi depositario di unsegreto?...
—È un segreto relativo alle cose della mia carica e alla sortedi coloro che dipendono da me?
—Esso è tale appunto.
—Allora debbo direche se dal fatto che mi venisse rivelatopotessecangiarsi ed anche semplicemente modificarsi lo stato di qualcheprocessoio non potrei più in coscienza conservare ilsegreto.
DonnaPaola stette per qualche momento silenziosapoi disse:
—Parlerò in ogni modo.
—Io sto ad ascoltarla.
—In queste prigioni son detenuti da qualche tempo un tale Amorevolicantantee un tal Bruni Lorenzo suonatore di violino?...
IlRecalcati si scontorsee affermò col cenno.
—Orasiccome è facile congetturare (seguiva donna Paola)chela condizione di costoro può migliorare o peggiorare a secondadelle rivelazioni che qui dentro potessero penetrar dal di fuoricosì venni precisamente a farle una rivelazioneche puòdi subito mandarli ambidue assoluti o quasi... ma il nome ch'io debbopronunziare ha bisogno del massimo riguardoe converrebbe che nonuscisse da quest'aula.
—Vossignoria parli pure con fiducia.
—Il nome è quello dell'illustrissima contessa Clelia V... Seuna strana fatalità non sopravvenivasarebbesi recata ellastessa qui a confessare a V. S. illustrissima com'ella sola fossestata l'oggetto di quella visita dell'accusato Amorevoli. Or io vengoper sua commissione e in nome suo a far questa deposizione appunto.Siccome poi ho sentito a correr tra il popolo la voceanzi lacredenzache quel suonatoresotto la falsa mascheracelasse ilfine di tenderle un'insidia gravissimaed anzi di trafugarla o difarla trafugare; così vengo ad aggiungere che la contessa èfuggita di sua piena volontàsenza aver piegato adinsinuazione d'altricol fermo proposito di abbandonare una casadovesecondo leinon poteva più vivere. Delle quali cosepotrò a suo tempo ed a richiesta della signoria vostraillustrissima esibire le prove.
—Ma dove s'è rifuggita?
—V. S. illustrissima non ha mai sentito a parlare di questo?
—A me finora non consta nessun fatto preciso. Molte voci ne corsero.Ma sa ellarispettabile signoradove di presente si trovi lacontessa?
—Siccome una tale notizia non giova nè nuoce a nessunoesoltanto potrebbe far danno alla signora contessacosì V. S.illustrissima non troverà essere un contrattempo che anch'iopossa ignorarla.
Ilmarchese stette muto per qualche istante; poi disse:
—Io ringrazio di cuorevenerabile donnal'alta e operosa sua caritàper la quale ha voluto venir ad illuminare la giustizia. Soltantodebbo dirle che codesta sua carità la esporrà al graveincomodo d'esser sentita più e più volte in giudizio.
—Ed io sarò sollecitaella conchiusedi far in modo che tuttocorra a vantaggio del vero e del giusto; e ciò detto partì.
Oraquella visita e quella rivelazione cangiò il piano dellaproceduraperchè donna Paola era temuta di quel timore ilquale non è altro che un modo del rispetto. Il capitano digiustizia parlò col vicarioquesto col fratello del conteV...; collegiali e senatori furon sentiti privatissimamentee sirisolse di lasciar che il processo camminasse per la chinasenzapreoccupazionisenza esacerbazionisenza cavilli. Peròfudeterminato chedietro esplorazione degli attii signoripatrocinatori dei carceratida eleggersi all'uopostendessero ladifesa dell'Amorevoli e di Lorenzo Bruni. Del primo fu elettopatrocinatore il conte Benedetto Aresegiovane di non ancoraventicinque annie a Lorenzo Bruni toccò in sorte il contePietro Verriche appena avea varcati gli anni ventidue.
Frai personaggiche sono già molti e saranno numerosissimi diquesta nostra storiae che non tengono da noi altro incaricopurnella loro importanza drammaticache di costituire la moltitudine edil fondo ai veri grandi uomini storici dei cento anni decorsifacciamo oraper la primaavanzare la figura giovanile di PietroVerricome antiste a quella schiera gloriosa di uomini grandiappunto e d'uomini utilii quali e a gruppi e sparsamente e ad unoad uno vedremo sorgerecome alberi di alto fusto tra la fitta selvadelle piante volgari. — Essendoci proposti di mostrare in azioneil più di questi benemeritiper cui Milano e la Lombardiaerispetto a certi elementi speciali della vita pubblical'Italiatutta e persino l'Europa si atteggiò a vita piùrazionalevedrem frattanto il giovane Verri a contrassegnare il suoprimo ingresso tra gli uominicon uno spirito già vigile acombatter le male consuetudiniper cui il secolo non poteva piùreggersie col coraggio ad affrontar tutti gli ostacoli che ipregiudizi della sua casadel suo cetodel suo tempo dovevanoopporgli onde farlo stramazzare a' primi passi.



II


Ilconte Benedetto Areseil giorno dopo che si vide eletto apatrocinatore del tenore Amorevolitrovandosi nelle saledell'Accademia de' Trasformatiprese pel braccio l'amicissimo suoPietro Verrie lo trasse nella libreriadov'era un po' di silenzio.
—Caro Pietromi trovo in un grave imbarazzo.
—Capisco già cosa mi vuoi dire... Non sai da che parteincominciare a scrivere la difesa di cui sei stato incaricato?
—Se tu non mi aiuti mi trovo al punto di rinunciare all'incarico.
Tuttigli amici coetanei di Verri e quelli che erano stati suoi compagniagli studilo avevan sempre riguardato e lo riguardavano come coluiche aveva su tutti un'incontestabile superiorità; acutoargutoepigrammaticovivaceparlatore facilissimoper poco ches'agitasse una questionedi qualunque più lieve cosa sitrattassetirava gli altri facilmente dalla suaoalmenocostringeva tacere gli oppositori; il che se potè stornargliqualche amico che fosse un po' men caldo degli altrise potègenerare qualche antipatiaqualche odiochi ha pratica di mondo selo può facilmente imaginare. In ogni modo per una talesuperioritàtutti lo richiedevano di consiglio.
—Caro Benedettodisse il Verri all'Aresenon far la sciocchezza dirinunziare ad altri il patrocinio a te affidato; perchè se tuti credi in un grand'imbarazzoè questo invece il caso dicavarsela con grand'onore e con poca fatica.
Unadelle qualità caratteristiche del Verri era di non patir quasid'invidia (diciamo quasiperchè è una parolaquesta a cui non vogliamo rinunziaretanto è comoda); provavaesso dunque una gran soddisfazione nel procurare di far figurare benei suoi amici.
—Non so comprendere dove tu trovi sì grande facilità?
—Passano annicaro mioe corrono centinaja di processi prima che sipresenti il caso in cui abbia più desiderio il giudice d'aprirle porte al prigioniero che quasi al prigioniero di uscire; e quelch'è più raro ancorache il giudice sia tanto convintodell'innocenza del costituitoal punto d'indispettirsi che questimantenga un silenzio che è a suo danno.
—Questo lo so anch'ioma che mi fa a me?
—È assai facilecaro miodare a credere al giudice quello cheil giudice stesso pagherebbe qualche cosa per dar ad intendere aglialtri.
—E che ho io da fargli credere?
—Che sia probabileesopratuttoche sia verisimile quel che a tuttaprima pare stranissimo e appena possibile. Fin adesso il tenore si èsempre ostinato ad un sol punto di difesanon è vero? ondeavrebbe sempre ripetutoche passeggiando dopo il teatro e vedendoquel bel giardino di casa V...non volendo perdere l'occasione digodersi tra quelle alte piante un chiaro di luna de' piùlimpidigli venne il ghiribizzo di fare un salto e di passeggiare ingiardino.
—Ma chi può prestar fede a una tale bizzarria?
—Non è detto che una cosa bizzarra non sia una cosa vera. Quista il punto... Quante volte è capitato a mequante voltesarà capitato a tein villadi saltare un fosso per entrarein un parco altruionde guardare cosa c'era di bello e di nuovo.
—Chi non lo sa che un tal ghiribizzo può capitare achicchessia? ma in villama di giorno; non in una cittànondi nottenon nel mese di febbrajo.
—Sia qual tu vuoima tu devi piantarti qui e addurre l'esempio difatti consimili; poi c'è a tener conto della professione dicantantela quale dà il diritto ad esser più mattidegli altri. E poi c'è la vita passata del tenoretutta senzarimproveriper il caso ond'è imputatoalmeno; poi c'èla sua agiatezza e i pingui quartali che vorremmo aver noi giovinottidi famigliache abbiamo i berilli sul borsellinoma di dentro c'èpoco o nullaperchè i nostri buoni padri ci voglion troppobene... non è egli veroBenedetto mio caro? — E poi c'èla sua condizione di forastieroe d'uomo che non è mai statoin Milanoe che per conseguenza non deve conoscer la pianta dellecaseal punto da passeggiarci dentro e passar per le fessure come untopo domestico; e qui non sarà male il mettere un po' diridicolo che faccia rilasciare i muscoli troppo tesi dei magnificisignori senatori. Alle volte val più un epigramma benscagliato e a tempoche tutte e tre le parti d'un'orazioneciceroniana... E poi giànon mi pare che si vorrà startanto sodi sulle formalità; quante volte elle si dimenticanoper peggiorare la condizione d'un galantuomo... A fortiori lesi dovranno dunque dimenticare anche per lasciar respirare libero ungalantuomo... Maper di piùc'è il fatto che iltenore è aspettato a Venezia; e i patrizj venezianiche amanotanto la musicafaranno uno scalpore del diavolo perchè altenore sia data facoltà di cantare a San Moisè... e c'èdi meglio che il tenore è al servizio di sua maestà ilre di Spagnae io so che si è già scritto al re contutte le circostanze mitiganti... e il re scriverà... el'imperatrice ne parlerà al ministro di Vienna... il qualescriverà al plenipotenziario di qui... e... e poi bisognerebbeaver coraggionominar la contessa e tagliar corto e aprir labreccia; e giacchè si è già usciti dallagiustizia per riguardo di leied essi lo sannoquantunque nonvorrebbero farlo sapere all'ariacosì fulminarli con unquousque tandem che non manca mai di fare il suo effettounquousque tandem peròintendiamoci benecondito conattestazioni di gran rispettoe fiancheggiato di magnificentissimi edi eccellentissimitu mi comprendi.
—Io ti capisco benissimo; ma in quanto alla contessa; nemmen perischerzo è a consigliarmi di gettar là qualche cosa sulconto suo. Tu sai che mio padre...
—Ah questi padriquesti padri benedettiche pretendono di pigliarsempre per l'orecchio i figliuolianche quando i figliuoli ci vedonpiù di loro.
Eil giovane Verri si fece serio e tacqueper un momentopoiaggiunse:
—Bastaio son certo che la tua riuscirà una bellissima difesae che la spunteraiperchè ti proteggono il re di Spagnaipatrizj musicanti di Veneziae il desiderio de' giudicii qualiimiteranno quelle dameche nel loro interno sono felicissime di averavuto la sventura d'essere state sorprese da un zerbinottointraprendente e sfacciato. — Ma io sì che tengo i piediin un pantanoda cui sarà difficile uscir nettiperchèse rispetto la verità e la giustizia e la coscienzasonsassate che vanno a cadere sull'invetriate dell'aula deimagnificentissimi senatori; e se mi propongo di lavorar di schermasoltanto per far sentire il suono del fiorettoma senza ferireioavrei vergogna di me stessoe allora sarebbe meglio lasciar ladifesa a un altro.
—Ed io ne' tuoi panni farei questo precisamente.
—Bel consiglio!
—È il migliore...
—E lasciar in balia di qualche scimunito la ragione di quel poverodiavolo di Lorenzo Bruniche ti so dire essere un uomo di propositoe di pensamenti generosi tutt'altro che vulgari! Eppure non èche un povero suonatore di violino; ma quando questo è sano (epicchiava colla punta del dito sulla fronte)e la ragion naturalepuò andar dritta per la sua strada senz'essere trattenutacontrastatadeviata dai pregiudizjoh che sapienza èl'ignoranza!...
—Ma e che dunque ti proporresti di fare?
—Nient'altro che mettere la mia coscienza nel vuoto pneumaticoeliberarla da tutta quella pesantezza che le potrebbe derivare dairispetti umanie allora...
—E allora?
—Sarà quel che sarà. Ma non dir nulla di questi nostridiscorsi nè con tuo padrenè con altrinè colmarchese Beccarialo zio di Cesarino... A proposito del qualCesarinosai tu che egli è un ragazzo adorabilee che tremodi lui soltanto perchè quello zio testardo potrebbe far tantoda riuscire a guastarlo?...
—Oh... sinchè Cesarino sta in collegio a Parmanon èpossibile che lo zio possa far male co' suoi consigli stemperatinelle lettere.
Mentrei due interlocutori stavano così parlando nella sala dellalibreriaudirono un furioso batter di mani che veniva dalla aulamaggiore dell'accademia de' Trasformati. — Si recarono dunqueanch'essi colàe stettero a udirvi dalla viva voce del buonPasseroniun canto del poema il Ciceroneche di quel tempoegli stava componendo. — Quando il Passeroni ebbe finito dileggere l'ultima ottava del cantol'accademia si sciolsee i dueamici partirono insieme cogli altri.
IlVerri passò il resto della giornata meditando il suosubbiettoe la seraquando uscì per fare una passeggiataaffatto solocome solevaverso il borghetto di porta Orientaleglivenne in pensiero che a riscaldare l'eloquenza e a far raccoltad'argomentiper persuadere eall'uopoper intenerire i giudicigli sarebbe stato necessariogiacchè aveva sentito replicatevolte il Bruni nella sua prigionedi sentire anche la Gaudenzichetrovavasi ancora in Milanoquantunque fosse già in sullemosse onde trasferirsi a Venezia per la stagione di primavera. PietroVerriquantunque avesse ventidue annipure non era stato in teatroche poche voltee anche quelle poche voltesempre in compagnia disuo padreil signor conte Gabriele; il quale non aveva mai permessoche il figlio si staccasse un momento da lui per uscire dalpalchetto. Quel rigidissimo uomo non voleva assolutamente che il suofigliuol maggiore si trovasse neppure un istante in compagnia deglieleganti zerbini che passavan la notte in teatro a corteggiar dameagiuocare nel ridottoa dar mezz'oncie alle giovani corifee sul palcoscenico. Perchè è un fenomeno curioso e che puòdar molto a fare alla riflessione d'un filosofoquello chementreil costume generalmente era allora così rilasciatoe letresche amorose costituivan l'affare più importante e piùcontinuo della vitae le dame giovani sfoggiavano tal nuditàche oggi farebbe sensoe le leggi del matrimonio avevano assuntoun'elasticità senza pari (e diciam questo perchè lotroviam detto e ripetuto in storiein libri di costumiin poesieed anche ce ne assicuròoltre al nostro amico Giocondo Bruniqualche altro vecchio viventeche giunse in tempo per mettere illabbro sull'orlo di quei vasi di voluttà); pure dall'altraparte è incontrastabile che l'educazionenell'intimo dellamaggior parte delle famiglie patrizie e non patriziesi mantenevarigidissima; che i padri e le madri attendevan più a farsirispettare e temere che amare dai figliuoli; che il tu di Roma anticae il tu alla quacchera d'oggidì era ignoto tra genitori efigliuolie sarebbe allor sembrata una profanazione l'assumerlo el'accordarlo. Guai se alla mattinaprima dell'ora d'asciolvereleragazze non si recavanocon una prolissa riverenza appresa a scuolada suor'Agata e da suor Martinaa baciar l'anellone d'amatista delsignor papà e l'anellino di brillanti della signora mamma;guai se i ragazzi non imitavan le ragazze; e se ciò non siripeteva e prima e dopo il pranzoe prima e dopo la merendae primae dopo la cena; perchè è un altro fenomeno storico chei nostri avi mangiavano più di noi. Come dunquead onta ditanti rigori e di tanta etichetta casalingae di tanto risparmio disorrisi confidenzialidalla casa uscissero nel mondo tante zucchevuote e tanti scapestrati e gaudenti e voluttuosiè unproblema che mal si riesce a sciogliere; nel modo istesso che nonpossiamo spiegare come ne' libri e nelle satire e nelle operedell'artead ogni quattro parolead ogni pennellata si accennaall'ignoranza classica dei nostri avi patrizjmentre poi il piùde' giovani studiavan legge e si mettevano in lista per entrar alnobile collegio de' giureconsultialle magistratureal Senato? —La spiegazione noi crederemmo di trovarla in ciòche neilibri anche i meglio riputatiil più delle volte le cose egli uomini e i tempi si considerano da un lato solonel che sta ilgran segreto di far scaturire il falso perfino dall'istessa verità.
Matornando al giovane Pietro Verrisebben trattenuto in palchetto dairigori di suo padreaveva però vista e contemplata e quasidivorata la bellissima Gaudenzi... Era giovinottoera vivacissimo. Ela simpatia verso la beltàse non è una provaèsempre un indizio di squisitezza di sentimento e d'animo gentile.
Laballerina Gaudenzi aveva dunque fattose non nel cuoreperchènon sempre si arriva fin làcertamente nell'imaginazione diVerri una fortissima impressione; ond'esso invidiò spesso icavalierini che si recavano a visitarla sul palco scenico — finqui non c'è nulla di male. Nè quella figura gli erauscita di menteanche dopo il tempo trascorso dall'ultima nottech'ei l'aveva veduta in teatro; ed è anzi probabile cheuna odue volte al giornoella facesse una visitasebbene di pochiminutialla memoria di lui; chè le cose straordinariamentebelle si piantano con ostinazione nella mente di chi è nato acomprenderlepur nella sferaintendiamoci beneingenua e pura esgombra dell'estetica.
Pertutte queste cosequando si sentì eletto a difendere ilBrunie da costui ascoltò ripetute le lodi ch'eran giàcorse in pubblico della virtù di quella giovinettavirtùtanto più preziosa quanto ora men facile in quellaprofessione; gli venne il desiderio di conoscerla da vicino e diparlarle. Il desiderio derivava da una fonte un po' sospettama ilgiovine Pietro s'ingegnò a dargli l'ammanto della necessitàimpostagli dal suo delicato ufficio di patrocinare colui che leteneva luogo di padre. — Si recò dunque in porta Romanaed'una in altra contradafu alla casa dove dimorava la Gaudenzi. —Ma tutto il coraggio gli mancò quando fu in veduta dellaporta— indizio che non era proprio convinto della necessitàdi quella visita. Il timore che suo padre potesse mai giungere asapere ch'egli era andato nella casa della ballerina Gaudenziloannientòe al segnoche fu per retrocedere. — Unabatteria di pensieri avversi gli rintronò nel capo per qualcheminuto; ma poi si fece animoe gettata un'occhiata di sopradidietroa drittaa sinistraper assicurarsi se nessun suoconoscente lo vedeva in quel puntoentrò nella porta. —Com'è ingenua e pudica la giovinezza degli uoministraordinarj!



III


Chiestose per avventura trovavasi in casa madamigella Gaudenzie sentitoch'ella non era mai uscita in tutta la giornatail giovane PietroVerri si fece annunciare senza dare il proprio nomema semplicementecome chi aveva cose importanti da comunicare ad essa. — Dopoalcuni momentiinsieme colla fantesca ch'era corsa a riferire quellavisitauscì la Gaudenzi senza nessuna delle affettazionitanto comuni alle donne di teatro di gran cartellole qualiintutti i tempie forse una volta più ancora d'adessoarrivavano a far parer umili fin le dame che serbavan gelose letradizioni dei tre Filippi di Spagna. Ma la Gaudenzi era la figliuolaschietta della naturae l'animo suo versava allora in tal condizionecheall'annunciod'una persona che avea a significarle cose dirilievonon poteva aver sì gelida calma da stare immobilenella camera di ricevimentoposando accademicamente il corpo sulseggiolone e mettendo in vistaimpressa nel cuscino dello sgabellola punta delle scarpine di raso.
—Signoredisse la Gaudenzi al conte Verri con una semplicitàpiena di vezzosi degni di restar servito; e precedendolo eschiudendo ella stessa le portelo pregò ad entrar nellasalae gli presentò la sedia con quella disinvoltura onde unuomo avrebbe potuto comportarsi con una donna. — L'ingenuitàera pari tanto nel giovine Verri quanto nella Gaudenzi; ma il primoera timidissimomentre la secondadall'abitudine ad affrontar lemille pupille del pubblicoaveva contratta quella scioltezzaquasidiremmo virileche forsea chi era avvezzo al profumato galateodelle aule doratepotea parer soverchia; ma che in quella giovinettacosì bellae in quell'eleganza spontanea e quasi non volutad'ogni suo movimentosi vestiva di un incanto specialissimo. PietroVerri la contemplava mutoe andava pensando come non fosse semprevero quel che comunemente avea sentito direche cioè le beltàda palco scenico non debbano mai esser vedute in camera.
—Signora... disse poie stentava a trovar le paroletanto eraimpacciato dalla sua timidezza. Dovete dunque saperemadamigellariprese tostoche dall'eccellentissimo signor capitano di giustiziafui prescelto all'onore...
Quell'onorenon era certamente la parola che più facesse al caso; masovente chi ha l'abbondanza delle idee nella menteaffatica in certeparticolarissime circostanze a trovar la parola adattaquella parolache pur verrebbe sulle labbra di qualunque più meschinosfrontato.
—Io fui dunque prescelto a protettore del sig. Lorenzo Brunivostrotutore...
—Mio padre e benefattor mioassai più che tutorepotete direo signore... Ma in graziachi siete voi?...
—Sono il conte Pietro Verri.
Perquanto egli fosse sgombro da qualunque pregiudizio e da qualunquebenchè minimo orgoglio di sanguepure provò un'internasoddisfazione nel poter pronunciare quella parola conte; etutto ciò perchè sentiva comemettendo innanzi quellaparolaegli veniva a liberarsi dall'importunità della propriatimidezza; mentre forse la ballerina che lo atterriva col suo faredisimpacciatoa quel titolo sonoro si sarebbe potuta mettere in granriguardoe avrebbe subita quella soggezione di cui egli s'accorgevad'aver gran bisogno. Quanti inesplicabili accidenti in questa nostrapovera natura umana!
—Illustrissimo signor conteio la ringrazio della degnazione per laquale ha voluto venire da me; e oragiacchè ella è ilprotettore giuridico del signor Lorenzomi voglia dire la veritàla verità schiettala verità intera. Oh s'ella sapesseda quante persone io mi recai in questi giorniquante preghiere hofatte per vedere di poter conoscere come veramente stesse lacondizione del signor Lorenzo! ma non ho trovato che faccie arcigne eparole freddee giri e rigiri di frasidalle quali appariva chiaroche si voleva piuttosto ingannarmi che dirmi la verità.
—I magistraticara miahanno il debito del segretoe bisogna averloro un certo riguardo… D'altra parte il signor Lorenzo Bruni èin una condizione speciale per aver insultato in pubblico il decorodi una delle più cospicue case di Milano...
—Ma guardisignor conteche tentazione fatalissima è venuta aquel benedetto uomo di mettereper amor mioin così gravepericolo sè stessoe di far tanto male a quella poveracontessa... ch'io non conosco... e per la quale darei la metàdel mio sangue perchè non fosse avvenuto quel ch'èavvenuto. Ma Lorenzo fu tratto di cervello dall'ingiustizia delpubblicoe dal desiderio che lo tormentava di poter trovare il mododi convincer tutti del quanto fosse assurda la diceria che il sig.Amorevoli... — E qui la Gaudenzi abbassò il capotuttasoffusa di rossoree soggiunse tosto: — Ma non è egliverosignor conteche quando un uomoquando una donnaquando unafanciullatrovandosi sola con se stessapuò giurare di nonaver cosa alcuna a rimproverarsinon dovrebbe temer di sfidare tuttele calunnie di questo mondoanche in silenzioperchè quelche non si sa oggi si sa domanie la verità esce in fineall'aperto per sua propria virtù?... Devo peròconfessarlesignor conteche quando il pubblico mi ricevetteschiamazzando e insultandomianch'io non so quel che avrei fattoallora per vendicarmi... e la mia disperazione in quel momentonessuno se la può imaginaree forse fu per avermi veduta inquella condizioneche Lorenzo non badò più ai mezziegiurò di far balzar fuori la verità ad ogni modoe ilmodo fu de' peggioriperchèecco a che s'è ridottopover'uomo!...
Edue lagrime lente le rigaron la guancie.
—Ma iocontinuavanon so farmi capacesignor conteche vi possaessere così grave delitto nell'aver messo una maschera ad unafesta da ballo... In fin de' contiche intenzione era la sua? Quelladi far vedere che il pubblico aveva torto e che io era innocente...Ben è vero che offese gravissimamente una nobil donnamaperquanto sento a direpare che questa nobil donna... fosse davverola... e allora... di chi è la colpa?...
PietroVerri sorrideva e compiacevasi di sentir quel discorso vivo eanimatoe reso più attraente dall'accento venetochèse non lo abbiam mai dettolo diciamo adessola Gaudenzi parlava ildialetto venezianoquantunquepel tramutarsi ch'ella facevacontinuamente di luogo in luogolo avesse tant'o quanto alterato.
—Cara miasapete voi che cos'è la legge?
—Cosa so io? ma la legge dovrebb'essere tutto ciò che ègiusto.
—Ed ella infatti si propone la giustizia... ma non sempre laraggiungenè lo può; perchè la leggebisognerebbe che potesse trasformarsi all'infinito come tutti gliaccidenti umanie tener dietro a tutte le bizzarrie della fortuna.
—E così qualche volta chi ha ragione paga i debiti di chi hatorto... È questo l'intercalare del signor Lorenzo. Ma mivorrebb'ella dire di graziasignor conteper qual motivo il mettermaschere ad una festa da ballo fu posto nel numero dei delitti?
—Per i cattivi usi che se ne fecero troppo spesso dagli uominicattivi.
—Ma allora si dovrebbe punire il cattivo uso e non l'uso delle cose:sarebbe bella che fosse proibito a parlareperchè parlando sipossono dire delle calunnie!
—Oh che sapienza è l'ignoranza! pensava tra sè PietroVerrimentre sorrideva alla Gaudenzi. — Attendete dunquesoggiunse poia mettere il vostro bel cuore in pace; poichèse la legge fu fatta per un fine ragionevolenon è poi dettoche non si debba tener conto della buona intenzione di chi l'hatrasgreditatrasportato da un nobile riguardo e da una nobilepassione...
—E di chi l'ha trasgreditacontinuò vivacissimamente laGaudenziperchè in quel momento non c'era altro mezzo di farcessare una perfida calunnia.
—E per questo io mi confido di poter riuscire ad alleggerire alpossibile la condizione del vostro signor Lorenzo.
—Come ad alleggerirla? domandò piena di dolorosa meraviglia laGaudenzi... Ma non è a sperare che lo possan mandare assoltoin su due piedi?...
—Tranquillatevicara miama per bene che vadan le coseconverràpure che voi siate disposta a un lieve sacrificio...
—Qual sacrificio?... ditedicaio son parata a tutto.
—È un sacrificio che non dipende dalla vostra volontàma solo dalla vostra pazienza; perché mi rincresce a dirvelocara miama per un sei mesi almanco converrà che vi adattiatea restar priva della vista del signor Lorenzo…
—Oh… questo non sarà maisignor conte; io mi scioglieròin lagrime ai piedi del signor governatoree otterrò lagrazia. E se il governatore starà inflessibilemetteròsossopra mezzo mondo.
—Tranquillatevie prima di far passilasciate che io faccia i miei;che se fosse necessaria la vostra cooperazione immediataho io lapersona chese è possibile far miracoliella li sa faredavvero...
Mala Gaudenzi più non badava a quelle paroleealzatasimisurava in lungo e in largo e concitata la cameracogli occhi pienidi lagrime e col labbro inetto a proferir parolaperchè untremito convulso stava per farla dare in uno scoppio dirotto dipianto... Il Verri le teneva dietro coll'occhiopieno di commozioneanch'esso e d'ammirazionee assalito da un sospettocome da unlampo che baleni improvviso.
Leanime squisiteanche senza lo scaltrimento di una lunga esperienzatengono il filo d'Arianna per misuraresenza smarrirsiil labirintodel cuore umano. Diciamo questoperchè di fattoquel ch'eglisospettòera vero. — Un mese primachi avesse detto aquella cara e semplice ragazza: scommettiamo che voi siete innamoratadel signor Bruniella non avrebbe data altra risposta che una dellesue consuete risate baccanti e sonore... Ma il giorno in cui Lorenzovenne arrestatoe i giorni in cui ella provòper queldistaccouna costernazione che mai non aveva provato in vita suanon si potrebbe dir bene in che modoma le si depose inavvertitonell'animo un lieve germe di amoreche fruttificò di dìin dìa seconda della natura appunto dei germi. — Ben èvero che ella non sapeva ancor nullae a chi di nuovo le avessechiestose era innamoratadi nuovo ella avrebbe rispostose noncon una risatacertamente con un sorriso accompagnato da un lieveagitar della testa; main conclusionel'amore lavorava e limavanell'animo suo con tutta la forza di un amore a cui non manca piùnessuna delle sue attribuzioni.
—Sentite...
Interruppeil Verri con questa parola il passo concitato della Gaudenzi. Ella sifermò in faccia a luiattirata da quel sentitee comechi spera sempre qualche consolazione da tutti gli accidenti deldiscorso.
—Da quanti anniegli continuòil sig. Lorenzo Bruni vegliaalla tutela della vostra giovinezza?
—Oh da moltissimi anni! Io era una ragazzina senza padre e senzamadree ballavo a Venezia al teatro di San Moisè... Chi micurava non era allora che questa buona e paziente mia zia... Ma siviveva a discrezione degli impresarj che guadagnavanonon tocca a meil dirloalle nostre spalleeppur non ci facevano che soprusi eangherien'è verozia? Il signor Lorenzo Bruni volledifenderci una volta da un appaltatore usurajo e ottenne di farlostare al dovere... onde ci fece tener tanti danariquanti certamentenon potevo dire d'aver meritati. Ma questo è pocoperch'eglisi prese cura della mia educazione; e siccome ei veniva da Parigiedavea vedute tutte le più celebri ballerine e conosceva ladanza più di chi ne fa professionetanto fece e consigliòche riuscì a tirarmi indietro dall'arte viziata... Onde quelpoco che sonolo voglia credereillustrissimo signor contenon lodebbo che a lui.
—E tuttoentrò a dire la ziasenza neppure un'ombrad'interesseperché i mettimale che vedevan con dispetto quelsuo tanto adoperarsi in pro della ragazzami andavan susurrandoall'orecchio che lo avrebbe fatto per arricchirsi... Ma invecesenon ci ha perdutonon ci ha guadagnatoperchè la bilancianon è più giusta di lui: e i quartali ei non vollenemmen toccarlie collo scrupolo va tanto in làch'ei vuoleche dalle mani dell’impresario passino nelle mie; e se provvedea collocarli a buon fruttodesidera ch'io medesima vada aconsegnarli… Oh… ci credasignor conteche per noi èuna gran disgrazia a rimanere senza quell’uomo d'oro.
—Ho caro d'aver sentito tante lodi di quel bravo uomo; così milusingo di farle comparire opportunamente nella difesa...
—E può aggiungeresignor contei discorsi pieni di consiglidi sapienza e di virtù onde il signor Lorenzo era instancabilea vantaggio di questa ragazza... perchè lo credasignorcontema quel signor Lorenzose è un uomo proboèanche un uomo di gran talento.
Ela bella Gaudenzi stava per venire in ajuto della zia; ma in quelpunto ch'ella stava per parlaregiunsero all'orecchio del contePietro Verriil quale era là quasi in attitudine dimagistratoi primi tocchi della campana della piazza de' Mercanti.Il giovane patrizio si alzòcome scosso disgustosamente daquel suonoetagliando di colpo tutte le fila sospese del discorsosi licenziòe fu molto se ebbe l'animo di rinnovare alcuneparole di consolazione alla fanciulla. Ma che mai c'era di tragico inquella campana della piazza de' Mercantidirà il lettoredamettere i brividi al giovine Verri? — Cari mieisaranno ineziema l'eccellentissimo senatore conte Gabriele era un uomo di ferroeguai se avesse saputo che suo figlio non era già rincasatoprima della campana; che una sera in cui il giovane Pietrotrattenuto in certe calde discussioni al caffè Demetriogiunse a casa un'ora dopo... Filippo II non guatò cosìbieco il grand'ammiraglioquando gli tornò innanzicoll'annunzio d'una battaglia navale perduta e della flottadistruttacome fece allora il conte Gabriele con suo figlio Pietroil quale per rientrare nelle grazie del signor padre dovette mettersossopra tutto il parentado. S'affrettò egli dunque asaltelloni giù per le scaledivorò la stradae tuttotrafelato giunse a casa quando la campana non aveva ancor finito didare i suoi tocchi; si recò a far riverenza e a dar lafelicissima notte al signor papàpoi si chiuse in camera perstendere la difesa di Lorenzo Bruni.





IV


Làchiusosi diede a passeggiare tutto pieno e invasato del suoargomentolodandosi seco stesso dell'aver fatto visita allaballerina Gaudenziperché dall'osservazione attenta di quellabeltàdi quella virtùdi quella schiettezzadi queldoloree dai particolari che in sì caldo accento erano uscitidalla bocca stessa di leie costituivano il più completo eappariscente ritratto di Lorenzo Brunis'accorgeva che gli eranvenute nuove idee e nuovi fervori; però gli pareva di poteralla fine scrivere una difesa tale da conquidere trionfalmentel'animo dei giudicipur senza omettere nessuna verità nuova ecoraggiosa. L'animo e l’ingegno del Verri era di quella temprasaldissimache dal momento che una cosa vera o creduta vera glifacea forzanon gli era più possibileper nessun contonèdissimularla nè tacerlanon che falsarla. Poteva adattarsialla più sommessa obbedienza in casaa non star fuori oltre itocchi della campana della piazza de' Mercantia non andare inteatro soloa non frequentare certe conversazioni; ma non potevapiegarsi a far proprie le idee e le convinzioni di suo padredalmomento ch'egli ne aveva di assolutamente contrarie.
Simise dunque a tavolinoe con velocità animata dallaconcitazione empì tre o quattro fogli di carta. Noi abbiamveduto un ritratto giovanile di Pietro Verriche press'a pocopotrebbe dar l'idea della sua faccia quand'egli era preoccupato diqualche forte pensiero: occhio vivacearguto e tanto quanto espansoche sembra inseguire un'idea balenata d'improvviso; guancia calma efiorentenaso breve e bocca soavissimala quale quasi sempre siosserva in coloro che hanno squisitezza e di mente e di cuore.
Quand'ebbefinita quella non breve scritturase la lesse tutta ad alta voceesi stropicciò le mani come pago d'aver detto tutto quello chevoleva dire; se la rilesse poscia... e cominciò epentirsi di alcune espressioni troppo arditee di quellesegnatamente dove metteva quasi in istato di accusa l'autoritàgiudiziale. Volle rimediarvie cancellò tutto quel brano; mapoi s'accorse che ad ometterlo si distruggeva tutto l'edificioe sitaceva la sola verità insolita e coraggiosa che poteva darealcun merito a quella difesa; onde rifece il periodoammorbidendosoltanto le frasidecorandole di vocativi pieni di sommessioneeconservando intatto il concetto. Infine pensò che il migliorpartito era di far la versione di quella difesa in lingua latina; eciò per due ragioni: la primache l'idioma del Laziocostringendo l'intelletto degli ascoltatori a fare un breve lavoroprima di averlo tutto quanto tradotto in parole schiette e lampantila verità si ammorbidiva nel trapasso dal latino all'italianoe le toglieva di far l'effetto di un sasso scagliato altrui senzapietà; la seconda ragione consisteva in ciòche suopadre era innamorato della lingua latinae le poche volte che loaveva veduto sorridere con insolita compiacenza fu sempre nelleoccasioni che egli stesso aveagli dato a leggere qualche proprioscritto latino. Così dunque pensòe così fece.Ma ci voleva ben altro. Lavorò buona parte della notte e ilgiorno successivo a far la traduzione; poi al terzo dì lapresentò al Capitano di giustizia. Non ci pare qui il luogoopportuno di riportare per intero quella lunga difesanètampoco di darla tradottanel nostro italiano; chè troppecose sono in essa riassuntele quali già furon dette eripetute da noi in più luoghi; soltanto diremo come l'esordiotoccasse alcune idee generalissime intorno alla genesi ed allo scopodella leggenel quale intese a far campeggiare il concettochetutti debbono essere eguali in faccia ad essa; poi venne a parlaredelle leggi statutariepoi delle gride e ordinanze suggerite da casispeciali; poi si fermò all'ordinanza del ministroplenipotenziario governatore di Milanoconte Palavicinorelativaalle maschere-ritrattilodandone assai l'opportunità e lasaviezza.
Maqui parlò dell'intento che aveva quell'ordinanzala qualeproibiva le maschere non per sè stessema per i gravi edeplorabili danni cheadoperate da uomini iniquiavevano prodotto;faceva allora acutamente intendere come la prava intenzione e ildelitto consumato per mezzo di essa erano i soli elementi checostituivano il caso della penalità e della sua misura. E poipiegando la parola al fatto speciale del Brunimostrava che nonavendo egli avuto nessuna prava intenzioneanzi l'intenzione essendostata lodevole come di chi protegge e difende chi sopportaingiustamente una calunnia; eper risultatonon esibendo laconsumazione di nessun delittoma sibbene lo scoprimento di unaverità che ridondava a vantaggio dell'innocente e a danno dichi veramente era in colpa; venivasi con ciò a costituire uncaso specialissimopel quale quell'ordinanza doveva cessare dallasua forza attivaein ogni mododoveva consigliar d'interpellareil voto dell'eccellentissimo governatore per una graziastraordinaria. Ai quali argomenti che mettevano in chiaro l'assenzad'ogni colpa per parte del Brunidi cui tesse l'elogio riferendo leattestazioni della stessa Gaudenzidella quale pure lodò lavita senza rimproverocome portava la pubblica opinione; feceosservare che non sarebbe avvenuta nemmeno la materialecontravvenzione alla leggese la magistratura non si fosse impostaun obbligo che veniva a ferire il diritto comunel'obbligo cioèdi considerare come intangibile dalla legge e persino dai sospetti lanobiltà di una personadalla quale precisamente si dovevanoincominciare le indagini. E qui riferiamo un passoche ci pare assaisquisito: «Nè io credo nemmeno che potesse andar offesoil carattere della nobile contessa se fosse stata interpellata ingiudizio; chè forse quelle voci vituperose che or circolano inpubblico contro di leisarebbero state trattenute da una paroladetta in tempo al giudice; così invecetanto piùl'opinione si compiace a denudare e ad esagerare le colpe diuna personaquanto più s'accorge che la magistratura discendedal suo nobile seggioal punto di tentar di scambiarle le carte inmano e d'ingannarla.»
Questadifesaquando fu lettafece l'effetto che naturalmente doveva farequello cioè di tirar addosso al giovane Verri tuttal'iracondia della magistratura.
Quasicontemporaneamente a questo scrittofu presentata al Capitano digiustizia la difesa di Benedetto Areseuna cosettina magra e che perse stessa non poteva certamente essere il tocca e sana per ledisgrazie del cantante di camera di S. M. il re di Spagna. — Maquanto lo scritto del giovane Verri aveva provocata la collera e lospirito di contraddizione e negli attuari e negli assessori e nelvicario e nell'eccellentissimo capitano marchese Recalcati; eallorchè fece il suo passaggio d'ufficio al Senatoanche intutti i senatori e nel loro presidente; altrettanto trovò lodee fautori quella dell'Arese. — In simile maniera noi vediamonelle accademie e letterarie e scientifiche e artistichele qualiper consuetoportano inalberato sul frontone il vessillo del Cosìfaceva mio padre accordarsi la medaglia d'onore a coluiche nell'opera prodotta lusinga l'amor proprio de' giudici e staligio ai sistemi invalsie non avendo la forza di camminar colleproprie gambes'appoggia al braccio altrui.
Quelladifesa dell'Arese fu dunque taleche dispose gli animi a farmaturare una sentenza d'assoluzione a favore del signor Amorevoli. Senon che un bel giorno fu presentato d'urgenza un libellodell'avvocato Carl'Antonio Agudiopatrocinatore del figliuolo dellasignora Celestina Barogginel qual libello si esponeva il fatto deltestamento olografo stato scritto dal marchese F… dietrodettatura del dottor Macchi notaioa favore del figlio suddettodella Baroggi; riferiva che tra le carte del detto marchese non s'erapiù trovato il testamento in discorso; si conchiudevacheessendo noto il trafugamento delle carte che stavano nello scrittoiodi essol'avvocato patrocinatore e il reverendo proposto di S.Nazarotutore del figliuolo della Baroggifacevano istanza perchèsi rinnovassero le indagini più severeallo scopo dirinvenire il trafugatore; e nel tempo istesso facevan rispettosamenteintendere chesebbene le presunzioni a danno del costituito signorAmorevoli paressero prive di fondamentol'eccellentissimo capitanodi giustiziaquando mai nell'alta sua saviezza credesse di mandarloassoltoadoperasse tuttavia in modo che non potesse evadere dalleulteriori possibili inquisizioni dell'autorità criminale.
Avevain pubblico fatto gran senso chein quel non breve tempo trascorsodalla cattura dell'Amorevolinon si fosse proceduto con tutti imezzi reclamati dall'importanza del casosegnatamente perl'interesse del figlio della Baroggiche dicevasi essere statoistituito erede universale dal marchese F...; e però ilreverendo proposto di san Nazaro aveva ricorso all'avvocato Agudioil quale godeva fama di gran legistae quel che più importadi gran galantuomoe ciò che meglio preme ancoradi grandeostinato; e il solerte proposto avea fatto capo a lui come a quelloche potea aver la forza di conservare nella sua dritta strada latrattazione d'un affare che per mille circostanze poteva esseredeviato.
Tornandoora all'Amorevolis'egli non avea motivo di lodarsi troppo dellafortunavenne però chi dovea trarlo d'imbarazzo. Allorchèdonna Paola Pietra ricevette l'ultima lettera dalla contessa Cleliadovecolla raccomandazione del segretole era fatta la rivelazioneintorno al lacchè Suardi; ella nella sua saviezza pensòche non era a tener conto nessuno di quella raccomandazione disegretezza; invecesenza por tempo in mezzofece una seconda visitaal marchese Recalcatial quale raccontò il fatto delGalantinoe della vita sfoggiata che colui conduceva a Veneziaecome eranvi tutte le ragionevoli presunzioni che il trafugatore fossestato colui medesimo.
Quelnome del lacchè Galantino fu per il marchese Recalcati comeuno di quei lampichesolcando di tratto il fitto bujolascianovedere la posizione degli oggetti circostanti; tanto che uno cheabbia smarrita la viasi raccapezza ed esclama: Oracomprendo per qual parte si dee camminare. — Laonde non sonoa dire le feste e le accoglienze ch'egli fece e i ringraziamenti cheespresse a donna Paola per quella improvvisa e non aspettatarivelazione. — Lasciandolo ora nel pieno godimento di quellascopertasaltiam via due giorniche in faccia a cento anni sonoun bicchier d'acqua in faccia al maree rechiamoci in casaVerriin un giorno che l'illustrissimo signor conte Gabriele dava unpranzo quasi diplomatico.
Lasfera dell'orologio percorreva l'arco di quella mezz'ora o di quelquarto d'ora che precede il momento solennein cui il cameriere ingran livrea diventa un personaggio importantevogliamo direin cuigrida dalla soglia: In tavola. In una sala d'aspettofervevao diremo megliolanguiva la conversazione tra molte personedivise in varj gruppiciascun de' quali constava di elementi traloro affini. — Gravi personaggi di toga e di spadaconti emarchesi e cavalieri che non avevano altro peso da portare che ildiploma d'accademico Trasformatodame e matrone e giovani donne espose — non una fanciulla. — Il conte Gabriele Verri stavaparlando in un angolo della sala col marchese Beccarialo zio diCesare.
—Vedo pur troppocaro marchesediceva il conte Gabrieleche questomio figliuolopel quale non ho risparmiato nè cure nèdispendjvorrà essere la mia croce.
—Ve l'ho detto più volte; bisognava lasciarlo a Roma maggiortempoo a Parma; la sua vivacità fu sempre eccessiva ebisognava metter acqua e cenere sul fuoco. Vi sono certitemperamentichea lasciarli svampare prima del tempodiventanacidi come il vino mal turato.
—Ma... volevate che a ventidue anni lo tenessi ancora in collegio?...
—In collegio no... ma mettergli accanto un uomo di propositounsacerdote di vaglia...
—Se la mia severità non è valsa a nullache cosavolevate che facesse un prete?
—Voi vedrete quel che ne farò io di Cesarinoperchèbisogna che ne prenda io stesso la cura. Suo padre è troppodolce. Se si vuoleil fanciullo è pieno d'ingegnoe incollegio lo chiamano il piccolo Newton; ma quanto è maggiorel'ingegnotanto son maggiori i pericoli; ond'io veglierò...così avessi vegliato ne' giorni che da Parma venne a Milanoquesto carnevale; perchè si trovò spesse volte colvostro Pietro... il quale non so che malefizj abbia fatti a quelragazzoche mi venne fuori un giorno con certi propositii qualinon mi piacquero niente affatto.
—Davvero?
—Per l'appunto.
—È dunque bisogno di qualche provvedimento serio a riguardo dimio figlio... Son dieci giorni che mi venne in mano quella difesaequando l'ebbi letta non ho più permesso ch'ei mi comparissedinanzi. Ma quel che più mi fa dispiacere si èche nonmanca d'ingegno... e quello scritto... mi dà a divedere chese fosse meglio direttopotrebbe...
—Ma dove è andato a pescare tutte quelle ideediciamolo purerivoluzionarie contro i nobili e contro le autorità? Ma sapeteche c'è voluto un bel coraggio?
—È questo appunto ciò che m'affliggee tanto piùche... son cose che si pena a dirle... ma pur troppo s'è fattomale a non far caso della contessain quel malaugurato processo... Amio dispetto devo dirloe Pietro non sbagliò nell'affermarecheconosciuta in tempo la veritàsi poteva sopir tuttosenza che ne trapelasse nulla al di fuori. E così... un dìun fattoun dì un altro... ci ridurremo alla fine... ve lodico con crepacuorea perdere la fiducia del popoloe allora...
Equi si fermò come colpito da una dolorosissima ideaindisoggiunse dopo alcuni momenti:
—E adesso c'è quest'affare del testamento del marchese F... edel lacchè...che è una spina acuta e pericolosalaquale può aprir piaghe profondee trarsi dietro centomalanni. Ahmarchesequi sotto c'è qualcosa di seriissimoeguai se... Il marchese Recalcati me ne fece or ora un motto... chetosto gli ho troncato in bocca... perchè se una parola èpronunciata fuor di tempo e a sproposito... ne scaturisce un'iliadedi sciagure...
Ilmarchese Beccaria guardava fisso il conte come a sorprenderglinell'occhio il segreto del pensiero; poi soggiunse:
—Se un sospetto lo fa unolo può fare un altroe lo ponnofare cento; e tanto più quelli che patrocinano ilfigliuolo della Baroggi... poichèa dir la veritàquesto contrattempo del lacchè... qualcuno già deveaverlo pagato il lacchè a fare il colpo... e chi mai potevaavere interesse a ciòse non...
—Zitto... la marchesa D*... è làe ha intenzione di darla figliuola al figlio del conte e ci potrebbe sentire...
—Ma in conclusioneche si pensa di fare?
—Non ci possono essere due partiti in affare di tanta delicatezza...La giustizia dee fare il suo debito senza essere impacciata da nessunriguardo. Anzi si è già scritto al Senato dellaserenissima Repubblica di Venezia perchèse siamo in tempopassi tosto alla cattura del lacchè; soltanto èmestieri che di tal fatto si mantenga un segreto profondissimoe nonsi facciano scandali; perchè guai se il popolo s'accorge cheil contagio viene da quel ceto a cui la provvidenza ha ordinato diessere d'esempio e di edificazione a tutti gli altri. — Ma c'èun'altra cosamarchese caroche mi ha passato l'animaed ècheieri l'altroPietromentre stava supplicando sua madre a farsimediatrice di pace tra lui e me... d'uno in altro discorso vennero atoccarenon so comeun tal tasto; e a Pietro scappò detta...questa frase ribalda: — Se il conte F... fosse un sensale dipiazzaa quest'ora il capitano di giustizia gli avrebbe giàfatto mettere le manette. Convien dunque che oggi teniamo con lui undiscorso serio e dolce nel tempo stesso. Oggi ho datoposso direquesto pranzo d'invito per luiperchènecessariamentenonne potendo venir escluso per decoroio avrò l'occasione divolgermi a lui senza cedere; ed egli d'accorgersi che io non sono poiun uomo inesorabile. Così dopo il pranzonoi lo faremochiamare in un'altra camerae gli terremo un discorso che valga adinsegnargli la prudenzaed a provargli che è sempre in via dibene tutto quello che noi facciamo; e che finchè uno ègiovanel'esperienza la deve apprendere dai vecchi. Ah pur troppocaro marchesela gioventù ha preso aria in questi tempiebisogna ricorrere all'astuzia perchè non sian crollate le basidi una salda autorità paterna.
Edor lasciando che questi rigidi vecchi se la intendano col giovinettoPietroritorneremo a Veneziae volgeremo i passi verso il calle delRidotto.



V


Rousseauil quale asserì che l'uomo lasciato in balia della sua verginenaturaè una perla immacolatae che dai bisogni fittizjinventati dalla società fu tratto ad inventare egli stessoquei delitti contingenti e convenzionali chevariando di tempo e diluogopossono persino esser chiamati virtùcome il furto inAtene; non pare abbia voluto esaminare tutti i casi in cui l'uomoanche nel fitto della societàsi trova in pieno arbitriodella sua natura liberissima; tra le altre cosenon ha saputoapplicare la sua potente riflessione ai fenomeni d'una bisca.
Unacasa da giuoco è un microcosmo; in essa l'uomo appare in tuttala nudità de' suoi istinti. Nella Francia contemporanea diRousseaulo spettacolo di un gran reintento a passar le nottinonanimato che dalla speranza di spogliare i ciambellani e i confidentidoveva bastare a far vedere al sublime lipemaniaco di Ginevra che nonsono sempre i bisogni quelli che fanno sviluppare sulla testa umanail bernoccolo della rapacità.
Maciòanche prima della storia di Franciaera provato dallastoria di Roma e dall'esempio d'Augusto chepadrone di tutto ilmondopure si compiaceva se l'oro di Mecenate passava nelle suemani; e dall'imperatore Claudioche affidava ai dadi il destinoperfin di quattrocentomila sesterzje dai patrizj romanicheadonta che il giuoco fosse multato d'infamiagiocavan persin neicomizjpersino in Senato; tanto è vero che l'uomopersaziare il suo naturale istintocombatte contro la medesima civiltàe fa il ladro per diporto; chè non a torto ha detto un acutoscrittore inglese: Essere il giuoco un furto mascherato.
Questeriflessioni le facciamo pensando al ridotto di San Moisè inVeneziadovemeno i giuochi d'azzardo che ad ogni momento venivanproibiti dagli illustrissimi Correttoriindizio manifesto chenon eran sempre obbedititutto camminava di maniera da far credereche gli uomini non avessero altra destinazione a questo mondo chequella di passar la vita giuocando. Quel ridottoche doveva diventarcelebre in conseguenza de' suoi peccatie meritare di venirsoppressocome vedremoaveva una libreria al pari di un istituto discienze e lettere; una libreriaintendiamoci benetutta di opererelative al giuoco; tra queste primeggiavano il Ludus chartarumseu foliorumdi Lodovico Vivesstampata a Parigi nel 1545; Lecarte da giuocodel P. Menestrier; La giurisprudenza delgiuocodi Lucio Marineo Siculo; Il taroccodiGebelin; L'invettiva contro il taroccodi Lollio Ferrarese; inumeri del Giornale di Trévouxdov'erano lericerche storiche sulle carte da giuoco; il capitolo del Berniintitolato Il giuoco di primiera; Le carte parlantidi Pietro Aretino; Il trionfo del tresette; la Piazzauniversale di tutte le professioni — ed altre opere molteche venivano consultate nei gravissimi casi dubbj.
Quelridotto era zeppo d'illustrissimi della seconda e della terzaqualitàe in mezzo ad essida qualche giornoaveva fermatol'attenzione il giovane gentiluomo milanesesignor Andrea Suardipel coraggio onde giuocava le più grosse somme e per la suameravigliosa virtù a vincere dieci volte su dodici. Ma comepotevano quegli illustrissimi patrizj di Venezia gettar le loronottied esser tuttavia parati alle gravi cure del governodellapace e della guerra? Non confondiamo le idee: a Venezia vi avevanopiù qualità di patrizjovvero sia due qualitàben distinte quella dei tutto facentie quella dei nullafacenti. Dal dì che Gradenigo aveva decretato come statutofondamentale — che niuno fosse mai più eletto nèeleggibile a sedere nel gran consiglioda quelli in fuori che alloravi si trovavano; — che il loro privilegio sarebbe ereditàai loro discendenti in perpetuo; — che eleggerebbe dal suo corpotutte le magistrature di Stato; dal dì che codestaaristocrazia s'andò sempre più concentrando inoligarchiache persino ai figli del doge fu tolto di poter coprireogni magistratura: lasciato alle poche famiglie vetustissime ilmonopolio del potere trasmissibile di padre in figlio in perpetuotutta la rimanente nobiltà — che era numerosaealla quale in Venezia non rimaneva altro scopo alla vita che l'uso el'abuso di essae l'uso e l'abuso della ricchezza — dov'eragentilezza d'ingegnoell'erasi data all'esercizio delle arti; dovenoproruppe ai godimentie con tanta sfrenatezza spensierata conquanta riflessiva e longanime rigidezza gli oligarchi si tenevansaldi al potere; rigidezza riflessivae che fomentava quel viverleggiero e svagato dei discendenti di coloro ch'erano stati chiamatiuomini nuovi al tempo della prepotenza di Pierazzo Gradenigopelmotivo che non erano più temibili quelli che per costumes'indebolivano nell'inerzia. E tanto più si erano a questaragione di vita abituati i nulla facentisia che fossero discendentidegli esclusi dal gran consiglioo figliuoli dei vetusti pantalonio piantaleoni nelle terre conquistateo figli del doge esclusi dallamagistraturaquanto piùcomportandosi in tal guisavivevanotranquilli della sospettosa vigilanza del tribunale segretoche piùdel capo di Buona Speranza e del Mediterraneo abbandonato e dellapolitica spostatafu causa che si spegnesse la potenza espansiva diVenezia; spenta la qual potenza si troncarono di colpo gli elementigeneratori della sua perpetuità. Fin da quandodopo laforzata abdicazione di Foscariil tribunal segreto rese amarissimo epericoloso l'alto onore di recar servigj alla patriada quel puntocominciò davvero la sua decadenza. Temettero i sospettosioligarchi il possibile soverchiare del vero meritotemetterol'eccessiva potenza del dogee l'uno e l'altro circuirono di arcanepaure; ma non intravvidero la conseguenza finale di tutto ciò;non intravvidero che se i patrizj e i non patrizjdivagati agli ozje alla voluttànon potevano più far paura al Consigliosegretoper la medesima ragione avrebbero cessato di far paura anchea tutta Europala quale non amò giammai Veneziae la guardòsempre gelosamente; e che se ciò le poteva stornare i pericolipresentiaccumulava sovra di essa i pericoli futurirendendo bensìpiù lenta la sua cadutama facendola inevitabile.
Eradunque da quasi tre secoli che la vita interna di Venezia era unavita continua di godimentoche l'allegria de' suoi carnevali eradivenuta proverbiale in tutt'Europache ai tavolini verdi delle casepatrizie e dei pubblici ridotti l'oro aveva imparato a trapassare dimano in manocon più velocità che altrovepel decretodi una carta e della cieca fortuna. Che il giuoco poi abbia trovatoaccoglienza più forse a Venezia che in altri luoghisarebbedimostrato da ciòche taluno dei così detti giuochid'azzardo fu invenzione di Veneziani; che un Giustinianiambasciatore della Repubblica a Parigivi portò per la primavolta la cognizione del giuoco della bassettail quale fu poiaccolto trionfalmente a quella Cortee onorato colà dagliuomini della scienzache pubblicarono considerazioni e calcoli eintrapresero ricerche pazientissime su quel giuocosulle probabilitàdel guadagno e delle perdite.
IlGalantino aveva dunque fatto suo pro di quelle abitudini veneziane; ericevuto al ridotto qual gentiluomo milanese da quell'ospitalitàcortese che sempre distinse i Veneziani tanto d'allora che d'adessopassava colà le sue notti. Ma siccome i giuochi che vi sitenevano non eran d'azzardoessendo recentissima un'ammonizione deisignori Correttori; così a una cert'orain compagnia di moltigentiluominilasciava il tavoliere del tresette e il ridotto pertrasferirsi al di là di Rialtonelle stanze di un umile caffèdetto di Costantinopoli; e làfuori d'ogni sospettoapertala voragine del faraone e della bassettaei passava il resto dellanotte. Munitoquando recossi a Veneziadi molto danaro contanteilGalantinogiocatore tanto esperto che pareva aver gli occhi nelleditagovernavasi però prudentemente al ridottoe in modo dalusingare con mille attrattive i suoi compagni di giuocoperchèrilasciato il freno all'aviditànon potessero andare a lettosenza prima tuffarsi a piene voglie nel flusso e riflussodell'azzardo.
Fornitod'oroegli conduceva le cose in modo da tenere il banco disovente; ed era un tagliatore di tanta destrezza che in pochigiorni erasi messo insieme una bella sommetta. — La notte a cuici troviamo con questa narrazioneera la terza d'aprileed egli piùdel consueto era stato favorito dall'audacia e dalla fortuna: ondein sull'albaquando uscì da quell'umile caffèdopoaver bevuto una tazza d'appiovolle assaporare il piacere d'unapasseggiata solitariaspingendo uno sguardo allegro in senoall'avveniree scorgendovi giàdi mezzo alla nebbia rosataprospettive di palazzi con macchiette di parassiti intorno a sèe cocchi e cavalli e tutte le grandezze della vita. Se ne veniva cosìper ponti e per calliguardando sbadatamente case ed altaneesogguardando alla sfuggita le portatrici d'acqua pienottegiàin volta a quell'ora; fin che riuscito al campo Santo Stefanovolseil passo alla casa ove dimorava; ma in quel punto scorse due uominiappoggiati al murodue uomini che non avrebbe voluto vedereperchèeran due cappe nere del palazzo Ducale. Diede una rapida occhiataall'intornoe vide non molto lungi due guardie che passeggiavanofacendo d'occhio di tanto in tanto alle due cappe. — Cosìqueste come le guardie potevano trovarsi là per tutt'altromail Galantino sentì la certezza che aspettavano lui; gli eracome quando uno si sente colto da un malore anche lieve durante unmorbo contagioso; che in quel maloreprovato spesso senza turbarsisente con isgomento il sintomo fatale. Galantino si fermò unistante su due piedicome per fare una rapidissima consulta fra sèe sè; poiconsiderato che non c'era a far nullamossedifilatosebbene con placida lentezzaverso la porta della suacasa. — Fu allora che le cappevenutegli incontro:
—È elladomandaronoil signor Suardi Andrea di Milano?
—Sono io per l'appunto; in che posso ubbidirle?
—Voglia venir con noi un momento a palazzo.
—Subito?
—Senza perder tempo. Questo è l'ordine.
IlGalantinocon viso calmocon occhio blandoguardò alle duecappee:
—Io sono prontodissequantunque non abbia dormito la notte... Mavogliano permettere ch'io mi serva della mia gondola...
La gondola è già pronta.
—Allora eccomi qui.
Venneroal rio; la gondola e i gondolieri avevano lo stemma di palazzo. IlGalantino fu pregato di mettersi a sedere sotto il felze; le cappenere stettero fuori. I remi toccarono l'acquae via.



VI


Discesoal palazzo Ducaleil Suardi fu condotto negli ufficj del Consigliodei Diecidove da un segretario gli venne fatta lettura d'una notadel Senato milanese che lo riguardava; dopo di che gli fu soggiuntoessere stato deliberato dai signori Dieci di esaudire l'inchiesta delSenato di Milanofacendo scortare il Suardi fino al confinedove losi sarebbe consegnato alle autorità competenti del ducato diMilano. Galantino a quell'intimazionesenza smarrirsi in apparenzaquantunque fosse oltremodo percosso nell'intimo suorispose:Riuscirgli inesplicabile una tale inchiesta; non aver esso fatto attoveruno pel quale potesse aver timore di chicchessia; che peròsi sottometteva obbediente al decreto e della Repubblica e del Senatodi Milanocertissimo che in poco tempo ai signori Dieci sarebbesifatta conoscere la causa dell'errore di cui egli in quel punto eravittima. Il segretario non rispose nullae soltanto chiesto alSuardi se voleva mandare a prendere le sue robese aveva affarilasciati in tronco in Venezia che volesse adempire; e sentito il suodesiderioprovvide a che fosse esaudito. Così in quellostesso giorno venne sotto buona scorta mandato a Milano.
IlGalantinolo abbiamo già dettoaveva una tal tempraadamantina di corpoche per il rapporto necessario che è tramateria e spiritogli rendeva l'animo saldissimo e imperterritoanche nel più fiero conflitto di quelle circostanze cheavrebbero bastato ad abbattere qualunque altro. Avea pureabbiamdetto anche questouna tal prontezza di vedutada fargli pigliaredi volo la misura esatta delle cose; ne sia prova il non esserfuggito innanzi alle cappe della Repubblica.
Sebbenedunque quell'arresto impreveduto lo avesse a tutta prima sconcertatocome avviene di un uomo robusto colto all'impensata da un colpoviolentotuttavia si riebbe dopo la prima scossae si bilanciòper non perdere l'abituale saldezza.
—Chi ne fa una ne fa duepensava intanto fra sè nel fare ilviaggio. E chi non ci mise nè pepe nè sale a tradire ilmaritodoveva ben tradire un lacchè. Ma va pur làcontessa... Se il diavolo mi toglie da questa trappola... voglio beneche ci rivediamoe... allora tu sentirai cosa fa il Galantino quandopensa a vendicarsi. Prima però bisognerà scappar dallatrappola... questo lo capisco anch'io. In quanto a memi aiuterò...ma sarà sempre bene che gli altri non faccian l'asino...perchè di ragionese io taccioessi dovrebbero strapparsi lalingua piuttosto che parlare. Ah signor conte... io penso che la miasalute gli debba star a cuore più che a me... perchè seio cadoanch'esso ha a cadere... e da che altezza! Ben è veroche il conte non mi ha mai nè veduto nè parlatoepotrebbein un bisognolasciarmi solo nell'intrigo... Ma alloraquand'io sappia stare ben sodo nel dir di no... il malanno svaniràda sè. — E qui a codesti pensieri abbastanza gai in mezzoal disastrosuccedevano altri pensieritutt'altro che lieti; e sipresentavano alla fantasia conturbata del Galantino le partisquallide della sua condizionemalediva il giorno e l'ora che si eralasciato pigliare all’amo da chi non conoscevaper tentare unaimpresa delle più pericolose; perchè alle cose che giàsa il lettoreaggiunga ora avere il Galantino aderito a trafugar lecartetra le quali era il testamento del marchese F...perinsinuazione di un uomo che a lui volle tenersi ignoto. Che se egliaveva tosto pensato al conte F...in quella circostanzae peralcune parole scappate di bocca allo sconosciuto e per altri indizjciò non era stato che in conseguenza della sua straordinariaacutezza. Pensando così lungo il viaggio ad un talesconosciutosi turbò alquanto nel sospetto che coluinelfrattempoavesse mai potuto commettere qualche imprudenza; oper ungiuoco non previdibile della maledetta fortunaanche senza suacolpafosse caduto in qualche agguato. Più dunque l'ex-lacchèe l'ex-gentiluomo avvicinavasi a Milanopiù smarriva labaldanza e non per il timore di dover passare troppo tempo inprigionechè a questoin suo pensierosi lusingava di ancheabituarsi; ma ciò che lo cruciava veramente si era che avevacon sè molt'oro e ricapiti di danaro; oro e ricapiti cheavrebbe consegnato al diavolo piuttosto che alla giustizia. Ma aquesto puntoper la solita legge del flusso e riflussogli venneroi terzi pensieriche lo rimisero in calma nel punto che fu in vedutadi Milano. — Il tarocco l'ho ioriflettèe bene io fuidestro nè a cederlo nè ad abbruciarloed èriposto in tal luogoche sfido il diavolo a scovarlo fuori; e primaconverrà parlare con me. — Ma per quanto codestariflessione lo avesse alquanto consolatoquando venne in piazzaFontana e guardando per la contrada Nuova vide la facciata negra eburbera del palazzo di Giustiziauno dei pochi edificjarchitettonici di Milano che abbiano il di fuori come il di dentrola sua faccia rosea diventò color di piombo.
IlSenato di Milanopoche ore primaaveva ricevuto una nota da quellodi Venezianella quale gli si annunziava la cattura fattadell'Andrea Suardi e la sua partenza per Milano; però quandoil Galantino entrò nel palazzo del capitano di giustizialasua venuta era attesa da qualche orae già gli era statopreparato l'alloggio. Il più generoso degli avventori nonpoteva venir trattato con maggior sollecitudine da nessunalbergatore. La notizia intanto che le presunzioni pel fatto di casaF... erano cadute sul Suardilacchè notissimo a tutta Milanoera già corsa per la cittàcome avveniva sempre adonta di tutte le precauzioni di segretezza; parimenti eran note atutti le misure prese contro di luie questa volta pare che ilSenato non abbia desiderato un soverchio segretoe meno ancoraquando il reo convenuto fu catturato; perchè un talavvenimento accresceva presso il pubblico la riputazionedell'autorità criminale. Tutta la città di Milano fudunque piena di un tal fattoe l'aspettazione delle sue conseguenzeerasi convertita in un'ansia impazientissimaperchè da unlato in tutti gli animi era spontaneamente penetrata lapersuasione che il reo doveva precisamente essere il lacchè; edall'altro era universale l'opinione che quel giovane furfante dovevaaver lavorato per mandato altrui. Ma d'un nuovo fatto era in attesala cittàed era la liberazione del tenore Amorevoli; a cuisapevasi già dover essere favorevole la sentenza del Senato.Questoinfattiappena seppe che il lacchè era nelle mani delbarigellosi raccolse a consulta ead una gran maggioranzasentenziò per la liberazione del costituito Amorevoli; coningiunzione però che non dovesse uscire dalla città diMilano fino a tanto che non si fosse iniziato il processo del Suardionde poterloall'uoposentire in giudizio a constatare lasomiglianza o meno tra il costituito Suardi e l'uomo che il tenoreAmorevoli aveva sempre asserito di aver veduto a fuggire.
Mase per il cantante di camera del re di Spagnadopo aver fatto per laprima volta in sua vita una quaresima di tutto rigore in carcereaun tratto era comparso il sereno; per Lorenzo Bruni le cosecamminavano diversamentee tale e tanta era la mala prevenzionedella magistratura contro di luiche non solo venne chiamata assurdala difesa del Verrila quale aveva proposto di mandarlo assoltod'ogni pena; ma contro la verità palmarecontro ladeposizione di donna Paolacontro la irrecusabile prova esibitadalla lettera stessa della contessa Cleliaprodotta in giudiziosivolle capziosamente persistere nell'accusa di tentato trafugamento adanno della contessa medesimao pel mancotrarre le cose in lungoquasi in attesa di nuovi indizj contro il costituito Bruni. PietroVerria cui la cosa fieramente cuocevae voleva purebenchèsolo e giovane e avversato dal padreriuscire a far trionfare lagiustizia assoluta contro la giustizia convenzionalepensò direcarsi ad impetrare per quel fatto la valida cooperazione di donnaPaola Pietra di cui era ammiratore sviscerato. Nemico per istinto eper ragionamento d'ogni pregiudizio e d'ogni schiavitù alleconsuetudini tirannicheaveva ammirato in colei quella potenza diragione e di volontàper cuiconvinta del veroera statafortissima contro l'arbitrio; e per cuiavendo fatto ciò chetra gli spiriti pinzocheri e il vulgo impregnato di idee falsedoveva pure generare scandali e persecuzioninon per tanto s'eracomportata di manierada produrre gli effetti contrarj; ondefuggendo dal conventoed essendo passata dalla vita claustrale aquella del secoloaveva tuttavia fatto forza all'opinione vulgare edera salita in tanta venerazioneche la maggiore non avrebbe potutoconseguirsi in verun altro modo. Il qual caso singolarissimo dellavita di donna Paola aveva fatto più volte considerare algiovane Verri come non fosse poisiccome altri opinavaimpossibileil distruggere i pregiudizj e le male abitudini inveterate delpubblico costume; e come se tutti gli uomini che vedono il giustoavessero vero coraggio e costanza veragli errori non avrebbero maiavuto nel mondo una vita eccessivamente lunga. Fanciullo egiovinettoessendo stato più volte insieme colla contessamadre a far visita a quella venerabile donnapensò dunque chegli tornasse bene parlarle adesso che aveva una cosa importante adaffidarle. Per verità che la casa di donna Paola Pietra erafrequentata giornalmente da un numero così strabocchevole dipersonee le cose a cui ella era supplicata di provvedere eranotante e così continue e intricateche non basterebbe ilportafoglio di due ministri per darne un'idea. Però il lettorepotrà credere che una tal ragione di vita dovesse riusciremolto incomoda e penosa a quell'egregia donnae che a' dar spaccio atutto non le potessero bastare le ventiquattr'ore del giorno. Una talcosa infatti l'abbiamo pensata anche noie al punto da sentircimancare il respiroquel respiro che qualche volta avrà dovutomancare alla stessa donna Paola. Ma a tutto si risponde col dire cheella vi aveva il suo genioe che recava l'entusiasmo nel pensiero dipoter essere utile altrui. Certo che una donna di tal tempra èuna eccezione fuor d'ogni ordine comune; ma è perciòappunto che l'abbiam messa innanzi ai lettori; che gli uomini e ledonne di tutti i giorni non meritano sempre di essere oggetto alleelaborazioni dell'arte. — Fra Cristoforoideale sublimesirifuggì al chiostroperchè il mondo lo sgomentòe non vide che fuori del mondo il da ubi consistam per farfruttare la sua calda virtù a pro de' fratelli. — DonnaPaola Pietra fuggì invece dal monasteroperchè nonsentiva come nel claustro ella potesse esercitare un'azione beneficaa pro dell'umanitàe volle ritornare nel tumulto della vita enel fitto della battagliafelicissima di affrontar pericoli e dimedicare ferite.
PietroVerri si volse dunque alla casa di leie fattosi annunziaresenzatanti preamboli così le disse:
—Molte voltein compagnia di mia madreio venni quisenz'altro fineche di vedere dappresso chianche fanciulloio ammiravo tanto; oravengo per una delle solite cagioni per cui vengon tutti: voglio direper interessarla ad ajutare delle buone personemaltrattate dagliuomini. A me è riuscito di sapere come V. S. siasi giàinteressata a pro del costituito Lorenzo Brunidel quale io fuieletto protettore per sua disgrazia.
—Per sua disgrazia? in che modo?
—È presto detto: per avere espressa la verità interaesenza le solite astuzie della prudenza. Perciò sarebbenecessario che V. S. parlasse di ciò al signorministro-plenipotenziarioil conte Pallaviciniil quale èl'autore appunto dell'ordinanza sulle maschere-ritratticontro laquale il Bruni non ha altra colpa che della materialecontravvenzione. Ma siccome V. S. sa bene che si vuol persistere nelritenerlose non colpevoleper lo meno sospetto d'aver fatto rapirela contessa... così...
DonnaPaola Pietra si alzò a queste parole indignatae:
—Ciò non è possibileesclamò; io stessaprodussi la lettera della contessache toglieva ogni dubbio.
—La luce non c'ètanto per chi non ci vedecome per chi nonci vuol vedere...
—Parlerò al ministro...
—Prima però sarà bene preparare il Senatoche diragione verrà interpellato: e i cavilli non mancanoe isofismi e i soliti giuochi delle carte tramutate e dei bussolotti.C'è poi di piùche la contessaa rigore di processodovrebb'essere sentita personalmente in giudizio... perchè unalettera... la S. V. capisce bene... può essere stata dettata eimposta dalla violenzae la leggequando vuole tienecalcolo di tutto... onde a queste rimostranze il governatorepotrebbe... Ellache ha tanto senno ed esperienzavede bene comevanno il più delle volte a finir queste coseallorchèc'entra di mezzo il puntiglio.
—Voi dite benissimo... ma allora che si fa?
—V. S. mi perdonima mi lasci parlare con libertà.
—Io sono qui ad ascoltarvi.
—È necessario che la S. V. senta la ballerina Gaudenzi allaquale io ho già parlato... Questa ragazza è la pupilladel Brunied è la fanciulla più semplice e piùvirtuosa che dar si possa in seno a qualunque onesta famiglianonche in mezzo alla polvere d'un palco scenico... ed è tantosconcertata per la prigionia di quel bravo uomo di Bruniche darebbela vita onde vederlo rimesso in libertà. A costei ho dunquedetto di venire a raccomandarsi alla S. V.
—Non c'era nessun bisognoio sono disposta a far tutto quello che c'èda fare... anche senza che questa fanciulla s'incomodi a venire dame...
—Questo lo so anch'ioma è un'altra la ragione per cui ènecessario che questa buona ragazza venga consolata dalle parole edai consigli della S. V.
—Ma di che dunque si tratta?
—È un affare assai delicato.
—Sentiamo.
—V. S. sa che il Senato... voglio dire i Senatorialmeno alcuni diloronon sono quelli che precisamente dovrebbero essere... e chetalunoson cose che fa pena a dirlehaper esempiol'abitudine difarebenchè di nascosto... bottega dell'alto suo ministero...
—Oh!!...
—Io non credo d'aver detto cosa che le possa riuscire assolutamentenuova; ella ha provato di peggio.
—Pur troppo. Continuate.
—Il caso poi ha voluto che quelli precisamente che trattan lagiustizia colle ganascie più che colla mente e col cuoresonoi più aperti d'ingegno.... e quel che più fasono ipiù ostinati e violentie hanno l'arte di tirar la maggiorparte a votare con loro... V. S. vede dunque che...
—Vedo tutto e non vedo nulla.
—Converrebbe che la ballerina Gaudenzi in compagnia d'una sua ziafacesse una visita a questi tali... e dopo le suppliche e i sospiri ei pianti... trovasse il modo di lanciar gentilmente deposto sultavolino verdetra la penna e il calamajoqualche rotolettoonnipotente di zecchini. I nomi dei signori senatori a cui l'oro fadir Toma per Roma son questi e questi (e pronunciò nomi chenoi non possiamo ripetere). Macontinuava il Verricome si fa a dirtutto questo alla fanciulladal momento che a meper millerispettiè impedito di toccar un tal tasto?... Nè loavrei fatto oggise non fosse qui ad ascoltarmi la vostra saviezza.
—In conclusionea che volete riuscire con queste parole?...
—La vostra sapienza m'illumini; ma sea mettere in salvo gliinnocentinon ci fosse proprio nessun altro mezzo che il sacrificiodi cinque o sei rotoletti... che sono una bazzecola per chi saltandoin teatro guadagna più di un ministroconverrebbe forsepersoverchio rispetto alla giustizialasciar offendere la giustizia?
DonnaPaola Pietra si alzòe:
—Mandate da me codesta fanciulla. Sentirò e vedrò... macaro miola cosa è così estremamente delicata ch'ionon so quel che sarò per fare. Son propositi che solo atoccarli contaminano la ragione e l'onestà... Un tempo eranocrudeli e feroci. Ora han mitigate le apparenzee son diventati...Oh tempi infelici! Mandatemi dunque la fanciulla.
PietroVerri partì.
Ildialogo surriferito del conte avrà fatto senso al lettoreeanche noi fummo per gran tempo in dubbio di mettere a nudo cotalipiaghe. Ma pensando poi che tutto serve a lezionee che il fattosolo della possibile pubblicità che tosto o tardi viene asvelare le colpe state commesse nella creduta sicurezza del segretopuò utilmente fare il suo effetto in tutti i tempi e in tuttii luoghi; abbiamo creduto opportuno di affidare per la prima voltaalla stampa la notizia di alcuni accidenti della vita pubblica eprivata del secolo passatoche finora non ottennero che di passar dibocca in bocca dall'una altra generazionee di non deviare eperdersi nel trapasso. Ma dove sono i documenti orali di quanto furiferito? Essi sono scarsi e succintima fedeli; essi sono sfoghirepentini della satira platealema che ottennero di perpetuarsiquasi come l'epigrafe della storia in tavola di bronzo. Chè ilpopolo avea l'abitudine di nominare alcuni senatori intinti nellapece della venalità con motti proverbiali; e per citarne unoaveva condannato a subire il disonore della strofa seguente due chein ciò avevan passato il segno:


Divorail C…erro
L'orol'argento e il ferro;
Ilsenator M…tone
Divoraanche l'ottone.


Chepiù? In un vivacissimo diverbio avvenuto nelle aule stesse delSenatoun Morosiniil quale era svizzero (in Senato confluiva lanobiltà non solo del ducato di Milanoma anche d'altri Statidella Toscanaper esempiodella Romagnaecc.)ebbe a dire ad unsenatore che avea gran voce in capitoloma che facilmente silasciava pigliare all'amoCh'egli non aveva i suoi possedimenti aBiassonno ossia che non biasciava o non mangiava allespalle altrui. Se non che quello stesso Morosini che avea la virtùd'essere incorruttibileassaporava poi con truce diletto i tormentifatti subire agl'imputatie assisteva alla tortura sorseggiando lacioccolata.
Edora andiamo a trovare il tenore Amorevoli.



VII


Laletteratura sarebbe assai più feconda se avesse il comodissimoprivilegio della musicanella qualeallorchè un maestro sitrova a contatto di una bella situazione drammaticae si ricordad'aver letto in qualche vecchio spartito un bel motivo che gli pajaben adatto alla situazione stessase lo appropria senza moltiscrupoli e senza timore che gli si possan fare i conti addosso. Ilsommol'unicol'immortale Rossiniallorchè un amico glifece osservarea proposito d'un suo celeberrimo quartettochequella musica trovavasi già in un vecchio spartito di Meyeril maestrone non fece altro che crollare il capoed esprimere la suacompassione per la mellonaggine dell'amico scrupolososoggiungendoper un di piùqueste parole: — Dal momento che a quellasituazione non c'era e non ci poteva essere musica piùacconcia di quella già fatta da Meyerperchè correrpericolo di guastare una situazione per la smania puerile di fare unamusica nuova? — Oh così potessimo godere anche noi di untal privilegioe tanto più che vi avremmo un diritto maggioreper la nostra condizione di non immortali! In virtù di questoprivilegio noi oggi non avremmo fatto altro che riportare come cosanostra quella bella variazione che Goethe mise in bocca al suo Faustosul tèma eterno della primavera: «I ruscelli e itorrenti si disvolgono sotto il soavevitale sguardo dellaprimavera; il vecchio e debole inverno si va ritraendo sull'ispidecime dei monti. Di lassù ci manda ancoranella sua fugaqualche spruzzaglie di geloecc.ecc.» e cosìsenzamolta fatica e colla sicurezza d'un gran successoavremmo fattol'istrumentale d'introduzione all'aria di sortita del tenoreAmorevoliche uscì di fatto di prigione in primaveramentrefaceva una splendida mattina del mese d'aprileun aprile che avrebbeben potuto chiamarsi fiorile anche prima della nuova nomenclaturadella repubblica francese. Oh dev'essere bene esuberante la gioja cheprova un galantuomo il primo istante chepreso commiato dall'amicosecondinoesce all'apertoliberotra gente libera...vogliamo dire senza manette. E una tal gioja non possiamo gustarlache per intuitodal momento che non abbiam mai avutonon sappiamose la disgrazia o la fortunad'andare in prigione; diciamo lafortunaperchè da quel Giuseppe che disprezzò lamoglie di Putifarreal violinista Tartinipare che la prigioniatalvolta faccia l'effetto d'un di que' sogni per la cui virtùdiscendono infallibili ai mortali i numeri del lotto. Maper tornarea’ fatti nostriAmorevoli uscì tutto attillatodallaprigione; chè i secondini pagati lautamente da luigliavean sempre fatto i punti d'oro. Uscìe venendo per contradaNuova e piazza Fontanas'avvide di esser presso alla contrada Largaeper conseguenzavicinissimo al teatro Ducale; però nonebbe allora altro pensiero che di recarsi làe presto sitrovò alla porta del teatro. Zampinoil servo del palcoscenicofu il primo a raffigurarloquand'egli si mostròall'ingressoe fu per cadere in deliquio per la gioja; non c'ènè cane barbonenè cane maltesenè cane pinchche sappia fare smorfie e salti di consolazione alla vista d'unpadrone ritrovatoquanti ne fece quel caro nanerottolo di Zampino avedere la faccia del suo tenoredel signor Angelo Amorevoliilquale era stato la sua risorsa durante la stagione di carnevale. —Nè Zampino si fermò lìma semprecome un buoncane amoroso che corre abbajando in casa per annunciare alla famigliala venuta del padrone aspettatocorse in teatrodove si facean leprove per la stagione di primaverae ad onta che la nuova primadonna signora Amarillide Bagnoli stesse sfoggiando una cadenza diparatagridò con quanta voce aveva in corpo: Signorièqui il signor Amorevoli! è qui finalmente il signor Amorevoli!
Tuttii professori d'orchestrai cantantii coristile comparse nonebber più l'animo alle provee furon tutti intornoall'Amorevoli a tempestarlo di domande e di congratulazioni; tantoche egli si vide obbligato ad invitarli tutti a pranzo all'albergodei Tre Redov'egli era alloggiato e dovepochi momenti doposirecò in compagnia di Zampinode' cui servigj in quellagiornata aveva grande bisogno. — E là non è a direla festa che gli fecero l’ostei camerieriil cuocoil qualeandava superbo della confidenza che gli aveva accordato il primotenore del teatrinoquel tenore tanto affabile che più volteerasi recato in cucinacon insolita degnazioneper ordinargli dopoil teatro il solito brodo a gelatina. — Ma il nostro Amorevolientrò finalmente nel suo alloggiorimasto vuoto da tantotempoe che l'oste aveva voluto a buoni conti chiudere achiave nel tempo della cattura pensando che qualcunoavrebbe pagatoe quando non si fosse presentato nessunosi sarebbepagato egli stesso col baule e coi tre cassonizeppi di roba e divestiarj. A proposito dei qualiZampino fu tosto in faccende per farloro pigliar ariachè questa era sempre stata la suaincombenza; e intanto che il tenore attendeva a dare udienza allevisitedelle qualidopo alcun'oracominciò la processioneera bello vederlo a togliere da un cassone un elmo che aveva servitonella parte d'Alessandro nelle Indiee pulirlo colla seppia;toglier da un altro una daga con lama di damascoche aveva brillatonell'Artasersee strofinarla con panno lano; sprigionare espiegazzare un manto rosso tutto ricamato in orodicevasida unaprincipessa incapricciatasi del signor Amorevoli (manto preziosochemolto aveva contribuito al successo del Ciro in Babilonia)e metterlo a pigliar aria sulla ringhiera; etirar fuori stili e stiletti d'ogni sorta con foderi di velluto ditutti i colori e prepararli per dar loro la polvere di pomiceedisporre tutte in giro a cavalcione della stessa ringhiera quelledieci o dodici paja di magliecolor carnebiancherosseazzurre.— Oh com'era felice Zampino di aver ripigliato quell'operazioneimportante!
Quandole visitefra le qualioltre ai nobili ispettori del palco scenicovi furono molti giovani cavalieri delle primarie famigliesingolarmente innamorati della musicaconcessero un po' di respiroal nostro tenoredivenuto in quel dì il personaggio piùconsiderevole della cittàal punto che se avesse fatto pagareil biglietto d'ingresso per farsi vedereavrebbe guadagnato unabella somma; allorchè dunque tutti coloro lo lasciaronorespirareed ei si trovò solo un istantecolse il momentoopportunoed uscì per recarsi egli stesso a fare un atto didovere con sua eccellenza il governatore conte Pallavicinialle cuifeste aveva cantato più d'una voltae cheper quanto gli erastato riferitoaveva messa una valida parola a di lui vantaggio.Quando dall'usciere fu introdotto nell'anticamera magnadove daqualche ora stavano in aspettazione i molti che si erano dati in notaper parlare a sua eccellenzavide uscire dalla stanza delgovernatore la Gaudenzi appuntoinsieme con la quale trovavasi donnaPaola Pietrach'egli non conosceva. — Si riconobbero tosto el'una e l'altrae pari essendo stata la meraviglia in ambiduesicorsero incontro interrogandosi a vicenda:
—Voi qui?
—Qui voi?...
Etosto la Gaudenzi volgendosi a donna Paola:
—È il signor Amorevolidisse.
—Che oggi per la prima volta respira un po' d'aria liberasoggiunsetosto egli stesso.
DonnaPaolasentendo quel nomenon potè a meno di guardare iltenore con grande curiositàma non disse nulla.
Continuavaintanto la Gaudenzi:
—Sono quicome vedeteperchè la nobile signora (e additavadonna Paola) che si è degnata di accordarmi la sua protezioneha avuta la compiacenza di presentarmi ella medesima a S. E.perimpetrare la grazia del signor Lorenzo Bruni.
—Scusatedisse Amorevoliio vengo dal bujoe veggo ancor bujo;qualcosa ho sentito direma di preciso non so nulla; intanto cheaspettovogliatemi dunque raccontare ogni cosa; e con atto dicortesia presentava una sedia a donna Paola.
—Non vi pigliate incomodoella dissemi attende la carrozza che midee condurre dove sono aspettata. Voi intantocara miasoggiunsevolta alla Gaudenziindugiatevi qui fin che il segretario vi porgail biglietto confidenziale di S. E. per il presidente del Senato... Ein quanto al restovivete di buon animochè prestomilusingosarete uscita da ogni fastidio; che Iddio vi benedica! —E partì.
—Oh che santa donnaoh che donna amorevole è quella che ora ciha lasciati! disse la Gaudenzi. Senza di lei sa Iddio che mai sarebbeavvenuto di Lorenzo! — E si fece a raccontare all'Amorevolitutto l'imbroglio storico che noi sappiamo. Amorevoliche inprigione non aveva raccolto che qualche frammento di notizia daisecondiniil quale gli avea cresciuto la confusione delle ideementre poi coloro che lo avean visitato all'albergo nonl'avevano intrattenuto che di complimenticredette di sognare quandosentì la storia della mascheradel deliquiodella fugadell'arresto.
—Dunque la contessa è fuggita?
—Fuggitasicuro.
—Ma dove?
—Si dice a Venezia.
—Oh!!!...
Amorevolitacque...; la Gaudenzi non parlò. Un eloquentissimo silenziodurò per qualche momento.
—Ma voi dovete ballare al san Moisè questa primaverasoggiunsepoi Amorevoli.
—Sì... e devo partire a giornie faccia la fortuna che Lorenzoci abbia ad accompagnare. Ma ho sentito che anche voi...
—Io sono scritturatoa stagionepel carnevale venturo...; in quantoalla primaveranon sono obbligato che per sei recitee non hopotuto dir di noperchè quei signori patrizj mi hanno mandatouna cambiale colla cifra in bianco; perciò vedete bene che hodovuto lasciarmi vincere.
LaGaudenzi sorrisee non rispose nulla. In quella entrò unsegretario di S. E.e le consegnò una cartaricevuta laquale partì di làinsieme colla zia che l'attendeva inun angolo dell'anticamera.
Amorevolistette aspettando che venisse la sua volta di essere introdotto algovernatore; per il che dovette lasciar passar quasi un'ora avendocangiata la noja dell’aspettare nell'altra noja non meno pesantedi dover subire mille interrogazioni da quanti erano là adaspettare con lui.
Entròfinalmente dal governatoretrovò affabile accoglienzaparlòebbe lusinghiera rispostaprese commiatoepartito di palazzoeadempiute alcune altre faccenderitornò finalmenteall'albergo dei Tre Redov'era già preparata una gran tavolaper più di quaranta posatela quale era la tassa cheAmorevoli doveva pagare per essere stato liberato dalla prigione.
Ilnumero dei convitati l'avea dato Zampinoche in quel giorno fucameriere soprannumerario e sovrintendente. Poco prima delle duetutti i commensali eran raccolti all'albergo. Alle due fu dato intavola. Vi sedevano la nuova prima donnail nuovo primo tenoreilnuovo primo basso. Il primo violino direttore d'orchestrail maestroGiambattista Lampugnanicompositore e concertatore; i rappresentantidi tutti gli ordini della gerarchia teatrale. Il pranzo principiòin silenziosi animò a mezzosi riscaldò poscia;prima cominciarono a parlare alcunipoi ad uno ad uno entraronotutti gli altri col sistema precisamente degli stromenti d'orchestra;e col sistema del crescendo rossinianoallora nemmen sospettato daimaestriquantunque fosse un modo spontaneo della combinazione deisuonitutti si confusero finalmente in quel poderoso e strepitosounisono che compromette il timpano degli orecchi delicati. Quando poicorse il moscadello e il monterobbioe le idee nei cervelliriscaldati cominciarono a far la ruotanon vi fu più ritegnonè di parole nè d'allegria.
—Viva il tenore Amorevoli!
—Viva il re dei tenori!
—La simpatia delle platee.
—Dite piuttosto dei palchetti.
—Ah mio caro Amorevoli amorososaltò su un tal Frontinosecondo tenoreun po' esaltatotu porti il nome con te e dovunquetu vadaquando non fai da Giasonefai da Paride e fai da Enea... Ahdiavolo che tu seiti ho seguito un pezzo per tutti i primi teatri ed'Italia e di fuori... e dappertutto hai sempre fatto l'effetto d'untizzone gettato in una polveriera... Ti ricordi a Roma... ti ricordia Napoli... Oha Napoli... quello fu un contrattempo!... E aMadrid... a propositosei guarito da quella puntura nel collo?...Ah... ecco qui...


Chisi guarda dal guarnello
Piùsi guarda dal coltello....


Ah!ah! ah!… Poveri maritidove tu bazzichi... È peròanche vero che non sei de' più fortunati... Là il collofasciatoqui le mani legate. Ah! ah! ah!e rideva un po' perchèaveva ragioneun po' perchè il vino rideva per lui.
—TacitaciFrontinodisse Amorevolie lasciami in pacee se seiallegro più del solitosta in carattere almeno e parla dicose allegre.
—Ho detto così per diree anche per darti un consiglioil mioAmorevoliperchè so che tu vai a Venezia... e quella èla città dei pericoli e dei trabocchetti amorosi. Peròsta in guardia.
Magli altri compagnonisebbene allegri come il secondo tenore signorFrontinodiedero di svolta a quel discorso malsanoe trovati altripropositiprolungarono sin quasi a sera lo sturamento delmonterobbio; e se ne uscirono tutt'altro che responsabili dellaconservazione del loro centro di gravità. E fu davvero unmezzo prodigio severso mezzanottei suonatori del teatroraccapezzarono tanto di lena e di fiato da mettersi a sedere ad unaorchestra posticcia innanzi alla porta dell'albergo dei Tre Reperfare una serenata di congratulazione e d'addio al celebre tenore cheil giorno dopo doveva partir per Venezia; perchèse illettore non lo salo sappia adessoche prima di abbandonare ilCapitano di giustiziacondotto a guardar la faccia di Galantinoprotestò di non ravvisarlo affatto; onde ebbe licenzasevolevadi partire anche dalla città di Milano.
Laparte giovane e vivace e tanto quanto musicale della popolazione diMilanoche aveva subodorata quell'accademia a ciel serenoaffollòla contrada dei Tre Reesecondo il costume imperscrivibile deigiovinotti di tutti i tempi e di tutti i luoghifecero un baccanodel diavoloe chiamarono a gran voce il tenoreche dovette piùvolte mostrarsi sul poggiolo dell'albergo a ringraziarecome sefosse una testa coronatail buon popolo delle attestazioni dibenevolenza onde gli era cortese; e finalmente potè andar adormire quando i violini cominciarono a sentir l'aria umida dellanottee gli strumenti da fiato cessarono di ricever fiato dai loroproprietarjche sonnecchiavano coi corni e i clarinetti in bocca.
Mav'è chi dorme di nottee v'è chi veglia; eprecisamente quando il tenore Amorevoli potè pigliar sonnovegliava ancora... chi? un uomo di cui il lettore si è forsedimenticato: il conte ex colonnello V...il marito della contessaClelia.
Noilo abbiamo lasciato in un tristo momentoin cui l'ira gli era statadimezzata in petto dalla pietà... Dopodovette cedere allecircostanze... ai pianti della madre di donna Cleliaa quelli dellasorellaai consigli del fratello... D'altra partefuggita lacontessaimprigionato il reo tenorequand'anche avesse voluto farmulinelli collo spadone che aveva portato al reggimentonon avrebbepotuto che farli all'aria: si contenne dunque fremendoal punto chepotè aderire al suggerimento di suo fratellouno del nobilecollegio dei giureconsultie presentar la petizione formale perottenere contro la moglie la divisione giuridica di letto e di mensa.— Essendo poi noto sì a lui come al parentado che lacontessa erasi rifuggita a Veneziadopo il falso gioco tentato perfar credere ch'ell'era stata rapitapiù volte ei fu inprocinto di recarsi colàe solo si trattenne al pensiero chepoteva nascere uno scandalo nuovosuperiore al disonore. Oltre aciòil fatto che l'Amorevoli era in prigionee trovavasi chisa per quanto tempo fuor d'ogni libertà d'azionegli ammorzòil furore per quella parte che bastava onde non lasciarlo partir daMilano.
Madurante quella giornata seppe che il tenore era stato messo inlibertà; seppe inoltre (e a una tal notizia poco bastònon uscisse di cervello affatto)che il tenore era stato scritturatodai messeri ispettori del teatro di Venezia per sei recite. — Unuomo placido e di buon senso e di spiritoche fosse natoperesempioa Parigi e fosse un seguace del sistema onde colàtrattavansi le infedeltà conjugalinon avrebbe fatto altroche recarsi a domandar consigli di prudenza a una mezza dozzina diballerine voluttuose del teatro del Re... Ma egli eraispano-italico.E questo fu il contrattempo. —Perciòdopo il primo subbollimento del sanguesi contenne inapparenzae si finse tranquillissimo coi parenticol fratellocogli amici; e tutto questo per potere annunciar lorosenza generaresospettiche voleva lasciar per qualche tempo la cittàeuscire a diporto... Partì dunque due giorni dopoquasicontemporaneamente all'Amorevoli... epur troppoalla volta diVenezia. Abbiamo pertantolettori amici e nemicitutte le ragionidi credere che la guerra sia tutt'altro che finitae che soltantosiasi trasportato altrove il quartier generale.

LIBROQUARTO


Ilgiovane Parini. — Una lezione intorno ad Orazio. — I duefigli di donna Paola Pietra. — Venezia ed il suo maggio. —La contessa Cleliaed il gondoliere—poeta Antonio Bianchi. —Il conte V... — Preliminari del processo del lacchèGalantino. — Gli statuti criminali di Milano. — Il dirittoromano e comune. — I giurisperiti interpreti. — Il giovaneAngelo Emo. — Il palazzo Pisani e l'architettura a Venezia. —Il conte Algarotti. — Letteratipittori e architetti veneziani.— Il padre Vallotti e il violinista Tartini. — La contessaClelia V...e il recitativo del maestro Vinci. — La suonata deldiavolo. — Il duello e i suoi commentatori del secolo XV. —Il conte V... — Il tenore Amorevoli e il gondoliere—poeta.


I


..............Siet vivo carus amicis
Causafuit pater his; qui macro pauper agello
Noluitin Flavi ludum me mitteremagni
Quopuerimagnis e centuribus orti
Lævosuspensi loculos tabulamque lacerto
Ibantoctonis referentes idibus aera;
Sedpuerum est ausus Romam portare docendum
Artesquas doceat quivis eques atque Senator
Semetprognatos..............


Cosìècari miei; espressamente vi ho fatto tradurre questo passod'Orazio della satira VI del libro primoperchè impariate aconoscere questo poetaosservato in tutte le sue facce... Il vostroprofessore di rettoricail quale fu anche mio professore puòaver ragione... ma non mi par giusto che si debba chiamar vizioso chidel suo padre serba così onorata memoria; e ad ogni momentonon cessa di esprimergli la sua gratitudinee vivendo tra cavalierie accanto a Mecenateesalta il padre libertoe dice:


.......athoc nunc...


Leggetequi:


Lausilli debetur et a me gratia maior.
Nilme pœniteat sanum patris hujus.


Costuinon poteva dunque essere nè cortigiano mai nè vile.
Civuol altro che richiamar sempre l'epistola Cum tot sustineasecc.dove Flacco per la prima ed unica volta esagerò lelodi d'Augustoe della quale fu cagione una lettera minacciosascritta dallo stesso principe a lui; ci vuol altro che dimenticare abello studio il coraggio onde Orazio non dubitò di ricordare isuoi legami con Brutoe di lodare gli ultimi eroi della repubblicaagonizzantee di rifiutare il posto di segretario presso Augustomedesimo. Così èi miei ragazzi; tuttavia io nonvoglio già dire che Orazio fosse senza peccato; chi lo èin questo mondo? chi lo poteva essere in que' tempi? ma dico esostengoe ad ogni occasione vi mostreròche egli fu unodegli uomini più virtuosi e più schivi e modesti e piùliberi di quel tempo e di tutti i tempi. Nè se non fossiconvinto di ciòmi sarebbe sì cara la sua poesianèio sprecherei il mio tempo a spiegarla a voi con tanto amore ecostanzase credessi quello che il padre Branda dice di lui. Io nonposso scompagnare quel che si pensa da quel che si fanèposso dividere la ragione della vita dalla ragione dell'arteperchèchi conduce torbidi i giorni non può aver limpido il pensiero;ondese io pensassi d'Orazio quel che ne pensa il padre Brandagetterei le sue odi e le sue satire da questa finestra; nèvoicari ragazzimi avreste vostro ripetitorese fossi condannatoa magnificarvi la potenza dell'ingegno di un uomo di cui disprezzassila vita. Intanto da questo passo vi è mestieri apprendere comedobbiate onorare la memoria paternacome dobbiate venerare la vostramadre santa.
—Che cosa ha il nostro signor abatedisse in quella donna PaolaPietra che entravanella stanza di studio dei suoi figliuoli....Cos'avetemio caroche tuonate come un predicatore dal pulpito? esorridendo amabilmentestrinse la mano al giovane abateche tutti igiorni veniva a far la ripetizione ai suoi ragazzii qualifrequentavano le scuole Arcimboldi.
—Nullao signorama in talune cose non posso andar d'accordo colreverendo padre Brandache onoro moltissimoe al quale mi legagratitudine di scolaro. E non lo potendoho l'obbligo di parlarchiaro e di dir tutto il mio pensiero anche a questi cari giovinetti.La questione riguardava Oraziodi cuicontro il padre Brandasostengo che non solo era un grande poetama era anche un poetagalantuomoperchè se non fosse così e se intorno a ciònon avessi tranquillissima la mia coscienzanon sarei mai apermettere che dei ragazzi avessero a correre pericolo dicontaminarsi a leggere le opere di taledi cui non si potessevantare una vita complessivamente onesta; perchè è unamia opinione chepur di sotto alle avvenenze della formaserpeggerebbe il veleno funestissimo ai giovani.
L'abateche parlava in tal modoaltoscarnoche nell'esprimersi mandavalampi dai grandi occhi nerie spirava un'aura solenne dall'arcomaestoso del ciglio e dalle forme del volto già austeroperquanto fosse giovanetanto giovane che gli mancavano 25 giorni acompire gli anni ventunoera Giuseppe Parini. Donna Paola sicompiaceva ad assistere ella stessa alle ripetizioni che il Parinidava a' suoi figlie perchè si dilettava di quelleanimosissime digressionie perchè alquanto ne serbava inmente per venireall'uopoin ajuto dei figliuoliquando soliattendevano ad eseguire il còmpito che dava loro ilprofessore. In quanto al Pariniei s'infervorava per tal modo nellaspiegazione de' classici latinie segnatamente del suo predilettoOrazioche il più delle volte bisognava che donna Paola lopregasse a desistereed aversi qualche riguardo; e gli facessepresente dover esso dare altre ripetizioni in altre case prima cheterminasse la giornata.
Ciòche può fare grandissimo un uomo in quelle arti dove la formae il gusto sono indispensabili a rendere efficace ed evidente edamabile il concettoe segnatamente poi s'egli è nato peresser genio di perfezione più che d'originalitàèdiremola fortuna di trovare fra i grandi autori colui che abbiaquasi identiche alle sueoltre alle qualità primitivedell'intellettoanche talune circostanze della vita. Il Parininelsuo presago orgoglio giovanilesi compiaceva forse di quel concorsofortuito di accidenti pel qualesiccome Orazio dalla natia Venosaera stato condotto a Roma dal padre liberto; così a lui eratoccato un padre tanto amorosoche non dubitò di venderel'umile poderetto presso l'Eupilipel desiderio ch'ei potesseattendere agli studj nella capitale del Ducato di Milano.
Applicatosia questi e passato alle lettere umanequando il Parini conobbeOrazioforse credette conoscer di più sè stessoepoter misurare con maggior sicurezza le naturali e caratteristichequalità del proprio ingegno. — Fu quello adunque il suoautore; lo studiòlo tradusselo sottopose alla piùminuta analisidisfacendoloa dir cosìper rifarlo; comechi natoper esempioalla meccanicasi prova a scompaginare esciogliere ad uno ad uno tutti i congegni d'un movimento d'orologioper provarsi a ricostruirlo poi da capo. Egli è a questo modoche lo studioso diventa padrone di una disciplina o di una parte diessaal punto ch'ella si faccia obbediente e docile alla suavolontàe possa così ampliarsi e fruttificare in nuoviaspetti. Egli è di tal modo che nella scienza succedono lescopertee nelle arti le innovazioni e le riforme del gusto. Macodesta indagine insistente intorno agli autori latini e ad Orazioera appunto giovata al Parini dal bisogno inesorabile per cui dovevasalir tante scale al giorno a dar lezioni e ripetizioni a dieci soldil'unaonde soccorrere alla madre poverissima non che a sèstesso. Dovendo spiegare ad altri un oggettonelbisogno di far passare nell'altrui mente le idee e le cognizioni chestanno nella nostrasotto l'assiduo martello dell'analisisisvelano interi e ad uno ad uno tutti gli elementi costitutivi diquell'oggetto stesso. È così che il sapere si trasmutain sanguecome un cibo sano assimilato da uno stomaco perfetto.
Inquelle lezioni e ripetizioni che il Parini dava a non pochisuoi allievisenza ch'egli se ne fosse fatto un sistemapremeditato e discussobensì per la spontanea felicitàdel suo ingegnoera riposto il metodo più sicuro e piùamabile d'istruzione. La bellezza fatta gustare dallavivacità dell'espositore attraeva i giovani ingegnii qualiuna volta fermati nella contemplazione di quella bellezza medesimas'infervoravano negli studjdei quali s'appigliavano poi a talunadelle molteplici diramazioni a cui si volgeva col tempo la specialeloro vocazione. Parini spiegando un'ode d'Orazioper l'associazionespontanea delle idee e per la sua naturale facondiadivagava a piùcose; e gli scolari in quelle divagazioni imparavano ad interrogaresè stessi per determinarsi poi ad una disciplina speciale.Però anche nel maggior progresso de' tempi sarebbe semprestato avverso il Parini a quella infesta enciclopedia onde sicondannano a stanchezza anticipata le menti giovanili nel puntomedesimo che si profumano d'orgoglio; chèper codestaenciclopediasi trascuraquasi come accessorial'arte prima didare ordine logico e forma decorosa al pensierola qualeappresanei classici prosatori e poeticosparge di gentilezza perpetua tuttala vitae da essa scaturisce poi il desiderio di riparare a scienzepiù sodema in quella età che è robustissima acomprenderlea trattarle e a dominarle. Da fanciulli imbrattati dipolvere enciclopedicache hanno ridotto l'intelletto come una pietralavagna continuamente scritta e continuamente cancellata dallosfregatojoe ammaestrati a disprezzare la forma del pensieroquasiche la forma non fosse un modo del pensiero stessonon potrannouscire uomini capaci a far progredire nè un'arte nè unascienza mai.
Mapiù che codesta nostra incompleta e nel tempo stesso troppolunga digressionea mostrare come dovrebb'essere governatal'istruzione letterariabasterebbe che si potesse riprodurre qui alvero e al vivo una di quelle lezioni che il Parini faceva a'giovinetti a lui affidati. Donna Paolaassistendovi quotidianamenteaveva imparato a stimare di giorno in giorno sempre più ilgiovine maestroe tanto più che di mezzo all'esercitazioniletterariequando il tema lo eccitavaegli usciva in certischiantidiremo cosìdi bile generosa e di caldissimaeloquenzaa cui era fomento la nativa severità del suocostume.
DonnaPaola lo ammiravae sentiva pietà del suo povero statoeavrebbe voluto in qualche modo poterlo soccorrerese non vi si fosseopposta la dignitosa fierezza del giovine.
Questiintanto continuava la sua lezioneed ella ascoltava in silenzio. Senon che pareva preoccupata da qualche altro pensiero e quasi letardasse che non si desse fine alla lezione; perciò quando ilParini fece una lunga pausa al discorso:
—Badate che si fa tardiella dissee voicome di solitotrascinatodall'amore degli studj e dallo zelo per l'educazione de' giovanitrascurate il vostro interesse. Per oggi dunque può bastare...e voidisse poi rivolta ai figlipotete fare una passeggiata coldomestico.
Idue giovinetti si alzaronofecero un saluto gentile al Parinibaciarono la mammae uscirono.
—E cosìche vi pare di questi miei figliuoli?
—Io ne spero assai bene. Carlo ha più rapida perspicacia;Arrigo è più tardo. Ma non dubiterei che il secondo nonfosse per lasciarsi indietro il maggiore nell'età del piùcompleto sviluppo... Ma cos'ha ella oggiche mi sembra turbata?...perdoni l'osservazione.
—Lo sono di fatto... anzi... ho bisogno di voi...
—Mi comandi.
—Siete già stato oggi a far lezione al figliuolo della contessaMarliani?
—Ci fui.
—Avete parlato colla contessacol contecon qualcheduno di là?...
—Io sì... ma....
—Ascoltate. Io so che la casa Marliani è in gran dimestichezzacolla casa V... Mi bisognerebbe dunque di sapere se il conte èrealmente partito da Milanocome ho sentito dire ...
—È partito... ed anzi vi dirò che la cosa non èliscia…; la madre della contessa Clelia venne stamattina incasa Marliani... ed era tutta sconcertata... in conclusione si temeche il conte sia andato a Venezia...
DonnaPaola balzò in piedi a queste paroleesclamando:
—Ah il mio sospetto! Macosa pensano di fare coloro... Madresorellafratello... i quali non so se abbian sangue in corpo ostoppa?... Io non ci capisco nulla. Aspettar tanto per accorgersi diciò; e lasciarlo partire senza pensaresenza temeresenzaprevedere... Ah gente stolida e senza cuore!
IlParini facevasi attento.
—Sentitecontinuava donna Paolavorreste voi assumervi unincarico?... È d'uopo che qualcuno apra loro gli occhi... cheuno della famiglia.... Se non può la madrec'è ilfratello... cosa fa qui il fratello?… chè non vola aVenezia a difender la sorella? Stolido!!
—Cosa dunque avrei a far io?
—Parlar alla contessa Marlianisenza nominar me in verun modomostrarle la gravezza del casointeressarla a voler determinare ilfratello della contessa Clelia perchè si rechi a Venezia senzaperder tempo. Io ho già scritto alla contessama che puòmai fare una lettera? Ahcaro miovoi non potete imaginarvi in chetormentoso affanno io mi trovi... io chenell'intento di stornarede' mali gravine ho forse accumulati di gravissimi... Ma che potevofar di più?...
—Ella non doveva e non poteva essere responsabile delle azionialtrui...
—Fui io stessa a consigliarla di riparare a Veneziaperchè làconoscevo una famiglia d'oro a cui affidarla.
—Dunque?
—Chi poteva sospettare e prevedere che l'uomo per cui ella si trovòin così grave intrigoper cui lasciò maritoparentipatriadoveva precisamente trasferirsi a Venezia anch'esso?... Oradunque potete comprendere di che si tratta... e come sia possibile eprobabile eDio non lo vogliaforse vicina una tragediadomestica... Fate dunque presente tutto ciò alla Marlianigiacchè la contessa ama qualche volta intrattenersi con voi;sopratutto mi premerebbe che la raccomandazione fosse fatta in modoche paresse una vostra inspirazione.
—Io farò in maniera che possiate esser contenta...
—Un momento fa vi raccomandava di attender meglio al vostro interessee di non abusare lo zelo a danno vostro e di vostra madre... Ma oradebbo dirvi tutto il contrario... che bisogna mettiate per oggi daparte tutte le cose vostre... Del rimanentechi perde il tempodeeesser compensato... e...
—Che! gridò il Parinivorrebb'ella togliermi la mia parte dimeritoquandosotto a' suoi ordiniavessi potuto cooperare avantaggio altrui?
—Non mi guardate cosìanima fieradisse donna Paolasorridendo lievemente; e giacchè so che avete tanto entusiasmonel fare il bene... andate e siate sollecitoe Iddio vi benedica.
IlParini partì; donna Paola si gettò a sedere in granpensiero. E noi mettiamoci sui passi di coloro per cui la pietosadonna tanto si affannava.


II


SeAmorevoli avesse dovuto partire da Milanolasciandovi quella percuiavendo sopportato un malanno non indifferentegli era cresciutoin cuore l'affetto; certo che il contento di trovarsi finalmentelibero e in piena balia di sè stessogli sarebbe statoamareggiato dal pensiero che forse non avrebbe veduta mai piùcolei che abbandonava; ma invecealla gioja della libertàaquella che gli veniva dalle attestazioni di stima di un pubblicointeroda una salute perfettadalla gloria presente e dalla futura(tutte le professioni dall'astronomo al ciabattino hanno la lorogloria)e dalla ricchezza già in parte accumulata e cheprometteva di cresceree per sè stessa e pel fruttode' capitalisi aggiungevano le speranze agilissime e l'esaltazionecerebrale di chi moveper un felice concorso di circostanzelàprecisamente dove si trova la persona che in quel momento èfra tuttela più desiderata; e per la qualetanto si èprodighi quando l'affetto è in tumultosi darebbero incompenso alcuni anni della vita onde toglier gli ostacoli che sifrappongono al completo suo possesso. Ma per questa giojaper questesperanze appuntoil viaggio di cent'ottanta miglia gli riuscìnojosissimoe s'impazientò più volte col lentopostiglione e colle ardue e tortuose e fangose e ciottolose stradeche facevan bestemmiare alla sua volta anche il postiglionee cheinvocavano quel sistema a cuisiccome vedremofu provvedutofinalmente molti anni dopoper opera di que' nostri concittadinisapientiche misero coraggiosamente la mano ad estirpare tutti gliavanzi della vetusta barbarie. Ma egli giunse finalmente al Dolo etoccò Mestree làcoll'ansia che gli cresceva inpetto in ragione che si avvicinava all'isola incantatanoleggiòuna gondola non avendo voluto entrare nel barcone del procaccio; esentì finalmente sotto di sè il gorgoglìodell'onde di quella tanto decantata e tanto da lui vagheggiatalaguna; chè delle molte città d'Europa che avevano unteatro celebresoltanto Venezia gli rimaneva a conoscerela cittàmusicale per eccellenzaquella i cui giudizj in fatto di musica e dicantoavevano meritamente allora la preferenza su tutti quelli dellealtre città. Peròegli era sollecitato da un'altraansiache gli derivava dall'amore dell'arte e dal desiderio cheanche Venezia suggellasse la di lui celebrità col suo votoautorevole e co' suoi applausi. Chi professa un'arte qualunque pervocazione e con entusiasmonon può mai scompagnare ilpensiero di essa da qualunque altro pensiero. Del rimanenteilgondolieregiacchè trattavasi di un viaggiatoree d'un riccoviaggiatoreper quel che gli parevanon prese nessuna scorciatoiaquando fu presso Veneziae volle fargli gustare lo spettacoloinnanzi al quale avea veduti tutti quanti i foresticom'essidiconoad inarcare le ciglia. È commovente e poeticoquell'amore veramente figliale che hanno per la loro bella patriaanche gli uomini più incolti e più rozzi di Venezia. Ilgondoliere gode e si compiace della meraviglia che vede dipinta sulvolto del forastiero che per la prima voltaentrando nel Canalgrandenon sa farsi capace di una così interminabile schieradi palazzi insignitre o quattro de' quali basterebbero a far onorea qualunque città; del forastiero che s'imagina di trovarsi alcospetto di una scena incantata quando la gondola si ferma al moloed egli uscendone si trova in faccia la piazzetta.
—Ghe piasela sior? disse il gondoliere quando vide il nostro Amorevolifermarsi estatico sulla scalea. No la xe mai stada a Veneziaela?
—Nocaro mio.
—E benla fazza conto che no i xe qua tuti i so tesoricome sevorave da qualche foresto invidioso... Me credelasior?
—Perchè non ho da crederti?
—Se vostra zelenza me permetesegh'avarave vogia de compagnarla mi aveder le maravege de la zittà.
—E vienialla buon'ora... ma prima accompagnami all'albergo... almigliore... capisci tu?...
Ilgondoliere invitò il suo viaggiatore a rientrare in gondolaelo condusse allo Scudo di Francia.
—Vieni a pigliarmi colla gondola fra un pajo d'oreche intanto debbodar sesto alle mie robe. Tu mi hai faccia da galantuomoe avròbisogno dei tuoi buoni servigj... e così dicendo diede algondoliere una mancia oltre al convenuto.
Ilgondoliere vi gettò un occhio di traverso; fu contentissimo epartì.
Etosto Amorevolida un cameriere che non era di Veneziama parlaval'italiano coll'accento di chi è nato in Franciafu condottoin una bella camera al primo piano che rispondea sul rio...
—Le piace quest'alloggio?
—Va bene sì... ma...
—Che?
—C'è qualcosa qui presso che non manda buon odore... Io ho lenaricaro mioassai delicate e permalose... e vorrei...
—Signoremi permetta di dirle una cosa... A Venezia c'è tuttodi grandedi bellodi buonoma bisogna avvezzarsi all'odore dellalaguna. Tutte le città hanno il loro difetto... vorrebb'ellache Venezia ne fosse senza?... A Roma vien la terzana a chi va fuorisulle ventiquattro... A Milano c'è l'aria grossa... A Parigic'è il fango che imbratta le vesti... A Cadicedi nottevolanell'aria un verme assassino che intacca il polmone. Io ho servito inpiù città di Europa... e non v'è luogo che nonabbia il suo malanno. Però mi permettasignorech'io le diaun consiglio.
—Che consiglio?
—Non tocchi un tal tasto ai Venezianiperchè c'èpericolo di perdere la loro amicizia. Ella può lasciarsiandare a criticare il loro teatrola piazzail ponte di Rialtoilcorno del Doge... tutto... ma non tocchi il cattivo odore de' suoirii... Per questo lato è convenuto che debbano esalare essenzadi rose.
Noinon sappiamo se quel cameriereche non era di Veneziadicesse laveritàma in ogni modo si vede che le città son comegli uomini. Canova s'indispettiva se altri non dava alcuna importanzaalle sue povere tele; e non teneva gran conto dell'ammirazione chetutta Italia prodigava alle sue grandi opere statuarie.
Inquanto ad Amorevoliegli non trovò da replicar nulla colcamerieree dato sesto alle sue robe e rimbionditosi con ogni curadiscese a mangiare; dopo di che aspettò che venisse l'uomodella gondolail quale venne in fatto sull'imbrunire.
—Ormai si fa tardicaro mioe ci resta ben poco a vedere...
—Ma no salazelenzache Venezia la xe megio de notte che de zorno...La se contenta de lassarse guidar da mie la vederà che cossegrandisior!
Dopopochi minuti erano al largo verso la Zueca. Il felze era statolevatoe Amorevoli appiccò conversazione col gondolieredacui sperava di raccogliere tutto quello che gli abbisognava.
Lasciamolidunque andare. E noi vediam d'abbandonarci a qualche digressioncinasecondo il solito.
Noisiamo dunque ammiratori entusiasti della città di Venezia.Basta il dire che la nostra fortuna è che Venezia non sia unadonna; diversamente chi sa che tremende pazzie avremmo commesso peramor suo. A dare una prova di codesto amore svisceratochiperesempioa voce e in scritto ha lodato più di noi il suo mesedi maggio? Dappertutto questo mese è tenuto in granderiputazionee i devoti lo chiamano perfino il mese di Mariatanto èsoave e benefico. Con tutto ciò a Milano il mese di maggionel suo carattere verace e completonon lo si conosce che perrelazione e in teoriae per quelle nozioni che si attingono daipoeti classici greci e latinii qualiimbalsamati come erano dalvento che soffiava dal mare Argolico o dal porto di Ostiapoterongustare il maggio in tutto il suo splendore; ma in praticaalmenoper quanto ci constaMilano non sa che cosa sia un tal mesee nontrova in esso che la più completa contraddizione alledescrizioni dei poeti. Invece a Venezia è tutt'altro. Veneziaè la madre adottiva non solo del chiaro di lunama sìanche del maggio; e noi possiam dire d'aver fatto la conoscenza dilui soltanto sotto il suo cielo! Almenonei due anni che vipassammoquel mese fu d'una eleganza così grecad'unamollezza così orientaleche non potremo dimenticarlo cosìfacilmente. Se non chemescendosi all'eleganzacome dicemmolamollezzail maggio di Venezia è un mese pericoloso. LordByronche faceva i suoi computi a seconda del meridiano di Londratrovò essere il giugno il men puritano dei mesi; ma noicresciuti in plaga più mitesiamo stati obbligati a fare iltrasporto di trenta giorni. È a Veneziapur troppoalmenosecondo la nostra esperienzaè nel mese di maggio che l'uomoriscaldato dal sole di una primavera orientalee circonfuso dallemolli aspergini marineprende somiglianza del bacoil qualepasciuto e sazio di foglias'irretisce lieve lieve nel serico filoaspettando di eromperne farfalla. In quanto poi all'anno 1750ilmese di maggio veneziano cominciò appunto co' più lietipronostici del suo limpido soledel suo cielo trasparente edell'aure sue mitissimeattraversate di quando in quandodall'afrodisiaco scirocco.
Peròanche alla contessa Clelianon avvezza al clima venezianopiùche mai parve balsamica in quell'anno la stagione primaverile; econfrontandola alla consueta di Milanole sembrò tutt'altracosa; di modo che parlandone ai signori che la ospitavano:
—A Milanoella dicevala primavera è la stagione in cuis'accumulano tutti i disastri delle altree sebbene anche laggiùla si debba chiamare la gioventù dell'annoè unagioventù infelicetravagliata e disperata. Quasi quasisenon fosse per le buone speranze che dàsarebbe da posporsialla vecchiaja.
Daqueste parole si vede cheanche prima del taglio delle foresteleprimavere milanesi non eran le più accreditate neppure nelsecolo passato; tale almeno era l'opinione e l'esperienza dellacontessa Clelia. Ma ellasiccome spirava il vento più mollepiù carezzoso e più tepido sull'espansa lagunasentivacosì a circolare in sè più rapido il sangue epiù caldoil che le comunicava all'intellettoe piùalla fantasiache è una sezione di quellouna indefinibileesaltazione e un tumulto di desiderj vaghiche le impedivano persinodi dar tutto il peso all'infelice situazione in cui versava. Permolti e molti giorni. avea saputo essere costante a non uscir mai dalproprio appartamentoe ad imporsi tutti gli obblighi di unavolontaria prigione; ma un dì cominciò a crederragionevole di poter far parte della serale conversazione chetenevasi in casa Salomon; e siccome eravi stata accolta con que'segni di stima e di amorevolezza che troppo rare volte avea trovato aMilanocosì non fu per nulla restìa a passare daquella conversazione ristrettatranquilla e casalingaalle altre dicase più cospicue ed affollate del bel mondo. E làfratanti giovani che le fecero cerchio intornotrovò persinoentusiasmo. I romanzi dell'abate Chiari eran letti avidamente allorae avean messo in tutti gli animi giovanili il desiderio delmaraviglioso e dello strano; onde la contessa V... di Milanogiovanebelladottaavvezza a trattare con dimestichezza i corpicelesti (chè di ciò era corsa la voce anche là...)infedele al maritola qual cosain un secolo corrottofaceastupendo giuoco più ancora dell'astronomia; per di piùinnamorata del più bravo e del più bel tenore delsecolopersonaggio che in una città musicale dovea produrrel'effetto di un giovane e prode capitano dei dragoniin tempod’esaltazione guerriera; eper il non plus ultra delromanzescoautrice di una fuga disperata (le fughe hanno sempretrovato entusiasti in tutti i tempiad eccezione di quelle inmusica); tutte queste cose avean dunque fatto sorgere intorno a leiun'atmosfera di splendori così abbagliantiche l'ammirazioneper leiin un periodo in cui le pesanti parrucche ajutavano ariscaldare i cervellidiventòcome dicemmoentusiasmodiventò delirio. Se poi la contessa Clelia si compiacesse diciònon tocca a noi a dirlo. Era la prima volta che provavaquel genere nuovo di soddisfazioni; laonde del non aver essa voluto osaputo ritrarsi da quel vorticenoi non ci sentiamo il coraggio dicondannarla. Per giunta aveva trovata accoglienza e cortesiastraordinaria persin nelle donnefatto piuttosto unico che raro; mabisogna considerare chein virtù di tanto intreccio di coseell'era salita a quel fastigio che toglie perfino il sentimentodell'invidia. Ell'era insomma una specie di lord Byron vestito dadonna e in guardinfante. Però se le altre patrizie bellissimee argutissimechè di tali Venezia ebbe a tutte l'epoche forsela più eletta schieraesercitavano tra di loroe come a direin famigliale loro garele loro invidiele loro guerre piùo meno astutepiù o meno perfidetutte si trovavan poid'accordo nel festeggiare l'ammirabile lombarda.
Macome sappiamoil sole era entrato in gemellie verso notte legondole avevan cominciato a vogare a diporto. Però anche donnaCleliach'era stata chiusa tanto tempoebbe volontà diuscire all'aperto; e per non incomodare la famiglia dov'era ospitatae anche perchè amava di figurare sola (non c'è nèdonna nè uomocompromessi da qualche po' di famai qualisappiano resister sempre all'assalto della vanità)si fecenoleggiare per qualche tempo gondola e gondoliere. I signori dellacasa credettero farle una grata sorpresa mettendo a' suoi servigj ilpiù celebre allora dei gondolieri di Venezia. Ed era quelBianchi Antonio ammirato pel suo raro talento poeticodi cui lasciòprova in due poeminei quali tra molti errori di scienza e dilinguav'è imaginazione straordinaria ed estro vivacissimo.
Iltitolo di essinelle edizioni da noi veduteè: Davide red'Israelepoema eroico sagro di Antonio Bianchiservitor digondolaveneziano (Canti XIIVenezia 1751 in fol.); Iltempioovvero Salomone (Canti XVenezia 1753 in 4.°). Visono poi altri poemetti comiciquali La cuccagna distruttaLa formica contro il leoneoltre l'oratorio drammatico Eliasul Carmelo. Quando al Bianchi che ad onta della sua condizionedi poetanon cessò mai in tutta la sua vita di far ilgondolierefu proposto quel servigio e gli fu nominata la gentildonna lombardanon istette in sulle pretesee fu tosto a comandidella contessa Clelia. Cosìquando Amorevoli capitò inVeneziaera già da tre giorni che la contessa usciva adiporto in gondola tutta sola col suo gondoliere-poeta; e nella seraquasi nel punto stesso che Amorevoli lasciò lo Scudo diFranciaessa discendeva la scalea di casa Salomon ed entrava ingondola. Antonio Bianchi era un giovane di trent'anni appenaveneziano di sangue purotra' più valenti al remoe onoratodi più bandiere nelle celebri regate veneziane; naturaschietta di poetaesso era entusiasta e fantasticodi modo cheavendo saputo anch'esso le avventure della contessaed essendoglistato detto come fosse una gran dottasi compiaceva che gli fossetoccato in sorte di poterle presentare i proprj servigj. Siccome poiin quel periodo di tempo egli stava dando l'ultima mano al poemaDavidecosì aveva pensato di pregarla a legger que'cantie di consultarla in quelle parti del poema in cui egli sentivache l'ignoranza faceva impaccio all'ardua fantasia.
Appenalasciata la casadonna Clelia amava recarsi a diporto in sul Canalgrandescorrendo sola tra l'altre gondole patrizie che le siavvicinavano a garae dalle quali cadevano su di lei sguardi curiosie ammiratori: e per dir la veritàella era tale che perforza doveva fermar l'attenzione. Abbiamo più volteespressa la nostra predilezione per la bellezza delle donnevenezianema nel tempo stesso dobbiamo far luogo ad una nostraopinione che parrà stranama forse traduce il veroed è:che il fondo della città stessa di Veneziacosìpittoresco e così coloritoè il più opportuno afar spiccare una beltà. — Non per nulla i pittori vannoin cerca di quella tal lucedi quel tal raggio azzurropersino diquella tal cornice per dare il miglior risalto all'opera del loropennello; può darsi pertanto che la specialità dellaparte materiale di Venezia giovi alle figure che staccano su di essa.
Moltedonne che altrove non ci avevan fatto nè freddo nècaldovedute a Venezia ci parvero ammirabili. Quale ne possa esserela vera cagione non è provato a rigorema certo che unaragione ci dev'essere. Intanto anche la contessa Clelia è unaltro argomento in nostro favore. Oh qual mirabile effetto facevaquel suo corpo maestosogettato a sdraio sui cuscini della gondolae avvolto in una veste di broccato di stoffa turchina a listed'argentochepel lavoro interno del guardinfanteusciva egalleggiava quasi sugli orli della gondola stessa! come incorniciavabene quella sua testa di Minerva l'indispensabile puff disentimento foggiato a cimieroch'era una delle centoforme allora in voga!... comedi sotto alla polvere bianca onde quelpuff era cosparso e quasi inargentatospiccava il nerissimo arco delsopracciglio e i grandi occhi lucenti! Già ilvero non si può nasconderenoi abbiamo qualche debolezza perdonna Clelia; e se in teoria e coi trattati d'estetica alla manocombattiamo e combatteremo sempre per gli occhi azzurriin praticaabbiam sempre usato i dovuti riguardi agli occhi nerie quelli didonna Clelia poi sono la nostra morte... Ma in prova che non siamo dicattivo gustosi è che piacevano fieramente a tutti igiovinotti veneziani; che piacevano persino al nostrogondoliere-poetapieno di fantasia qual erae di fervorisentimentalie di passione caldissima per la bellezzache èla febbre terzana dei poeti.
Spintodal naturale desiderio di parlare di sè stesso e delle proprieoperedifetto che rende qualche volta importuni gli uominidell'arteil nostro Bianchi gondolieredopo aver lentamentecondotta come in trionfo lungo il canal Grande la contessa padronavenuto a santa Chiarasvoltato nell'aperta lagunae làfermando talora il remocompiacevasi a intrattenere de' propositiproprj la contessache affabilmente l'ascoltava e rispondeva allesue interrogazioni; al punto chein que' tre giornipoteva dired'aver dato tre lunghe lezioni d'astronomia elementare all'autore delRe Davide. Se non che la contessa lasciava poi cadere ildialogoper riconcentrarsi ne' proprj pensieri. Ella sapeva che iltenore Amorevoli doveva venire a cantare a Venezia. Il residenteveneto di Milano aveva scritto che il processo di lui era compiutoch'ei sarebbe uscito presto per venire a tenere il patto ai signoriispettori dell'opera. L'effetto che fece la prima volta una talenotizia sull'animo di donna Cleliache non aveva saputo mai nulla diquelle sei sere di recite straordinarieognuno se lo puòimaginare. I fervori erotici le salirono al visoe mentre la ragionele facea vedere tutti i pericoli che poteano conseguire da quelfattosentiva certi soprassalti di gioja insolitadi gioja nonvoluta; e mentre vedeva che il destino stava forse per tenderle unamala insidiasi fermava con delizia nell'idea che la fortuna avessevoluto espressamente avvolgerle intorno le inestricabili sue reti. Senon che ricordavasi di donna Paola e delle sue ammonizioni; e alvedere coll'occhio della mente quasi impaurita quella santa figurasi vergognava di que' pensieridi que' desiderjdi quella gioja...Amorevoli era atteso di giorno in giorno... ella ne aveva sentito aparlare di volo ad una conversazione seraleda un gruppo digiovinotti spensierati chesperanzosi di far breccia nel cuore dellamirabile lombardaaveano dimenticato quel ch'era passato tra essa eil tenore.
Intantola notte stava per calare affatto... smoriva sempre piùall'orizzonte la luce crepuscolare... i colli Euganeich'ellavedevasi erano scolorati e come confusi col cielo.
Eranouscite le stelle rare e sparse... era uscito un quarto di luna...suonava l'avemmaria a tutte le chiese; il campanone grave e profondodi san Marco parea facesse sentir la voce storica e veneranda dellavetusta Vinegia. Taceva il gondoliere-poetaintento a poter ritrarrequel poetico vero. Tacea donna Cleliaassorta e mestae coll'animosollevato da una commozione ineffabile. Il gondoliereavvisatodell'ora tardagirò la gondola per tornare in canale. Pocoprima era passata per di là anche la gondola ovee fu unpunto se non vi si scontròtrovavasi Amorevoli... di modo chedonna Clelia potè vederla materialmentema senza provareveruno dei soliti sospetti presaghi e dei soliti palpiti arcani; nelpunto medesimo poi ella vide alla sfuggita il lume di un fanalettoche probabilmente doveva essere di una gondola che s'era spiccataallora allora da Mestree soltanto il notò pel giuoco chefaceva col suo luccicore tremulo e intermittente; ned ella da nessungenio dell'ariasegretario delle belle donnevenne avvisata che seinnanzi le correva in gondola la vitadi dietro potea forse venirein gondola la morte.


III


Abbiamoaccennato chequasi contemporaneamente al tenore Amorevolierapartito da Milano il conte colonnello V... Esso infatti lasciòla città all'alba del giorno successivo a quello nella cuisera Amorevoli erasi messo in viaggio. Il conte V... avea detto divoler fare una gita nelle sue terre; i servi però poteronoaccorgersipei preparativi che loro vennero ingiuntiche trattavasiinvece d'un viaggio di qualche importanza e non breve; cosìquel che allora pensarono nel far le valigie lo avesser subitodetto!... macome avviene di consuetoparlarono quando non c'erapiù l'opportunità. E il conte si mise davvero inviaggio per Veneziaed essendo partito dodici ore dopo il tenoretanto martellò e pagò i postiglionich'ei potèguadagnare su chi lo precedeva più di mezza giornata. Ma cheintenzioni aveva il conte? che voleva? che pretendeva? In veritàesso non ne sapea più di quello che ne sanno in questo punto inostri lettori.
Noinon abbiamo avuto mai il tempo di fare uno studio fisiologico diquesto personaggioperchè ogni qualvolta ci capitòinnanzisi aveva tanta carne a bollireche appena appena lo abbiamguardato di traverso; ma oggi convien pure che ne tiriamo il profiloalmen col carbonese non colla matita o col pennello. Quell'uomopigliato in naturanon era un cattiv'uomo; e prima dell'invenzionedegli stemmi e dei quarti di nobiltà e de' pregiudizjprobabilmente non sarebbe stato nemmeno il più orgoglioso trai membri dell'umana razza; sebbene la sua testa fosse molto grossail chestando coi cranioscopiè indizio di gran mentepureconvien che lo spessore della crosta ossea avesse occupato una buonametà dello spazio che bisogna concedere al cervello perchèadempia passabilmente alle sue funzioni. Non vogliamo dire con ciòche esso mancasse al tutto d'intelligenzano. La sua testa avea piùd'uno spiraglio per cui poteva penetraresebbene a stentoqualcheraggio dal di fuori. Ma le poche idee che erano entrate làdentro vi si fermarono con tenacità pari allo stento onde visi erano introdottegenerandovi una durezza ed una ostinazioneindomabile. Se fosse lecito imitare i caricaturisti pariginichecercano nella struttura delle bestie le forme più adatte a daridea di alcune varietà di tipi umania quel conte noitroveremmo il riscontro piuttosto in un bisontein un arietein unmerinos che in altro animale. Apparteneva insomma alla razza dellebestie cozzantila meno intelligente e la men domabile di tutte.Peròa lasciarlo tranquilloera un buon diavolone d'uomo; esoltanto ad aizzarload inquietarlolo si riduceva nella condizioned'un toroche punzecchiatoarrota gli occhi sanguignialza lacodacurva il colloabbassa la testae vibra cornate a tuttiquelli che gli si fanno incontro. Cresciuto in seno ad una famigliail cui sangueper parte di padreera un fiume reale che aveva avutole sue prime scaturigini da un ramo del gran ceppo dei re diSpagna; e per parte di madreda colui che portò dalla terrasanta lo scudo colla biscia; l'idea del suo alto lignaggio fuintrodotta e ribadita per tal modo nella sua testa colle sue ideeconcomitanti e conseguentiche non per sèma per quellosisarebbe fatto mettere in pezzi. A codesta idea convenzionaledell'onor del sangueveniva poi a confederarsi l'altra idea purconvenzionale e parimente indomabilee per la sua naturapiùpericolosadell'onore del soldato. Esso era statocome sappiamocolonnello di cavalleriae le sue fazioni di guerra le avea fattecon coraggio e con fede; e perciò all'assisaagli stivaliallo squadronein certi momentidava assai più importanzache alle nove stelle della corona sormontante il suo stemma. Peròal suo cospetto e quando si parlava con luisiccome era pieno disospetti e non sempre intendeva le cose nel loro vero sensobisognava comportarsi con mille riguardi e precauzioniperchènon pigliasse le parole in mala partee adombrasse al punto dichiamarsi offeso colle formole dell'etichetta militare; chèallora non c'era più rimediobisognava battersi con lui. Benè vero che in molti di tali duelli provocati da luiegliaveva quasi sempre risparmiato l'avversariopago che fosse salvo ildecoro cavalleresco. Ma intanto era un incomodo a trattarlo; ondemolti lo scansavano volontierie quando si trovavano seco pernecessitàdiscorrendogiravan largo per istornare querele;poichètorniamo a ripeterlonel frantendere le questioni enel prendere un violino per un travequell'ex colonnello era unportento. Se dunqueconservando però sempre nell'aspetto unacompostezza ed una severità castiglianaesso pigliavasi tantocaldo per una mezza offesafiguriamoci se l'offesa era evidente edera grave; peggio ancora se l'offesa era di quelle che stanno inprima lista fra i casi contemplati anche dagli indifferenti e daifilosofi della pace; fra i casi per cui anche l'uomo timido diventaferocecom'era il suo caso precisamente! O fortuna tutt'altro checieca ma perfidao fortuna con occhi di lince e piena di sagaciaomicidache attendi a pigliar fuori della folla gli uomini fattiapposta e lasci cader la scintilla dov'è la polveriera!Proprio tra le gambe del conte V... doveva capitare quel fatalromanofatale così per le prime donne del libretto d'operacome per tutte le belle donne che gli piacevano! Tuttavia nemmeno iltenorenato espressamente nel secolo più comodo per gliuomini della sua professione e della sua temprapoteva chiamarsi ilbeniamino della fortuna per essersi incontrato in chi facea terrore atuttiil quale non è a dire che furore sentisse contro iltenore; un miscuglio di furore e insieme di disprezzo che gli faceandesiderare di avere dinanzi il rivalenon per battersi con luichimai poteva imaginarsi una simile ignominia! ma per pagarloa misuracome suol dirsidi carbonea colpi di scudisciodi frustadibastone e di peggiose di peggio ci fosse stato — perchèpiù che contro la propria moglie infedelel'ira sua soffiavatutta come una fornace animata da un mantice contro il tenore; e sel'adagio vulgare che in tali frangenti assegna maggior colpa alladonna che all'uomoera sulla bocca di tutti anche alloraeglituttavia non voleva saper nulla di quel diritto per cui l'uomo puòfare impunemente il cacciatore; — non ne voleva sapere estrepitava. Del rimanente un'altra ragione per cui era sì pocoinclinato alla pietà verso di Amorevoli stava in ciòch'ei non era filarmonico puntoe aveva un orecchio così malcostrutto e anti-musicaleche per lui non c'era differenza tra unacadenza di Caffariello e lo zufolo d'un merlo. A dir tuttonon ècertissimo chepur andando pazzo per la musicaavesse potuto aprirle braccia al tenore protervo; ma in ogni modoquella sarebbesempre stata una ragione mitigante la collera. Infiammatocontinuamente da questaegli erasi messo in viaggio perVeneziasenza veramente un progetto deliberato; ma con piùpropositi in menteil più umano de' qualiaveva perintercalare scudisciate e bastonate.
Malasciando il contedieci ore dopo la partenza di luipartìda Milano per Venezia la lettera di donna Paola Pietraquellaappunto ch'essa accennò al Parini. — La contessa Cleliala ricevette la mattina del giorno successivo a quello dell'arrivod'Amorevolie fu spaventata quando lesse quelle parole: Credo cheil conte V... abbia intenzione di venire a Venezia; e fumaravigliatae nel tempo stesso consolataquando pure vi lesse: Aquest'ora il signor Amorevoli dev'essere a Venezia. Lasera prima ella non aveva sentito a parlare di lui in nessunmodotalchè in quel momento ignorava tuttora il suo arrivo.
Edora dobbiamo tornare a Milanoe dar conto di più cose. Lavisita e le parole di Parini alla contessa Marliani aveano ottenutoil loro effettoquello cioè di determinare il fratello didonna Clelia a recarsi a Venezia. — Il partitoil lettore se neavvedrà facilmenteera stato preso un po' tardise mai ildestino avea fermato di far succedere qualche sventurama lapresenza di lui potea però tornar sempre di vantaggio. In ognimodoper l'onore della famigliaquel viaggio del giovine conte A...era un atto di doveree ciò bastava per far tacere il mondo eperchè egli fosse creduto un uomo di cuore.
Maintanto che il giovine conte A... si affretta verso Venezia abbiaml'obbligo di recarci a prendere informazioni sullo stato delle coserelative al fatto di Lorenzo Bruni.
Ilgovernatore conte Palavicinomesso in cognizione dell'indole genuinadel fattomandò a chiamare il presidente del Senato; questiespose al ministro che essendo messo ad arbitrio del Senato stesso lamisura della pena per la contravvenzione all'ordinanza sullemaschere-ritrattie una tale misura essendo tassativamentedeterminata nell'ordinanza stessa dai sei mesi agli anni dueaseconda del caso; per quantodisse il presidentetutte lecircostanze depongano a favore del costituitopure non si potevamandarlo assolto perchè la contravvenzione era stata compiuta;e solo era il caso di applicare al costituito la minor pena di seimesichegiusta la più ragionevole interpretazioneeraprecisamente la misura voluta per la semplice contravvenzionemateriale della legge senza intenzione criminosa. Il contegovernatore parve soddisfatto di ciòma non già laGaudenzi; la qualeallorchè le fu annunciata una taledeterminazionediede in lagrime disperate e si recònuovamente da donna Paolaonde si degnasse accompagnarla di nuovodal governatore. Era il caso di domandare non già lascrupolosa giustiziama una sentenza in via di grazia. Donna Paolaparlò con eloquenzala Gaudenzi sparse lagrime abbondanti; ilconte Palavicino si sentì commossoe quantunque veramenteuscisse dalle sue attribuzioniperchè l'autorità delSenato nelle vertenze civili e criminali era superiore a tuttipuretrattandosi che l'ordinanza era suache forse aveva abbondato nellapenamandò per un di più a chiamar di nuovo ilPresidente del Senato e lo interrogòma affermativamentesesi potevano ridurre i sei mesi a due solie senza aspettar rispostagli mise tra mano il rescrittoe lo pregò a dargli corsoincontanente. Il presidente mostrò il rescritto in Senatoalcuni senatori strepitarono; altrie forse n'avevano la lororagioneapplaudirono; il conte Gabriele Verriche secondo l'indolesua avrebbe dovuto strepitare più di tuttiperchè guaia toccargli l'onnipotenza dell'autorità senatorianon dissenè sì nè noe finse d'aver tutt'altro per latesta; onde trionfò il partito dell'indulgenza einvece diprotestare contro quel rescritto com'era stato il pensiero di alcunisenatorine fu tosto spedito al Criminale la determinazione inestrattoperchè il capitano provvedesse a darle esecuzione.
Egiacchè abbiamo toccato del Capitano di giustizianonpossiamo tralasciare di tener dietro ai preliminari del processocontro il lacchè Andrea Suardidetto il Galantinoe ciòinnanzi di gettarci fra i personaggi che da Milano passarono aVenezia; perchè abbiam bisogno di dar prima qualche cennointorno alla pratica criminale nel ducato di Milano e di conoscerequalche accidente dell'interrogatorio fatto subire al lacchèper essere poi in grado di dare giusto valore a ciò cheaccadrà in seguito.


IV


AlessandroManzoninella Colonna infamelavoro di breve molemad'importanza grandissimaillustrò per tal modo la condizionedella teoria e della pratica criminale nel ducato di Milanoche dopodi lui non è più possibile dir cosa nuova su taleargomento; e soltanto ci rimane a far le meravigliequando in talunifatti avvenuti e prima e dopo l'epoca sulla quale ei scrisse ilprofondo suo commentosi scoprono le riprove di quanto per la primavolta egli annunciò agli studiosi della giurisprudenza e dellastoriaal fine di distruggere una credenza invalsa per l'autoritàdi uomini riputatissimi; la credenzavogliamo direche le atrocitàassunte per antica e troppo lunga consuetudine nella proceduracriminale fossero suggerimenti de' così detti interpreti deldiritto romano. Questa verità dimostrata dal grande scrittorecostituisce quel che si dice una scoperta; chèè comeuna necessità naturale a quel sommo intelletto di far dono dinuove forme a tutte le sfere dell'arte a cui si è applicatoedi verità non sospettate primae di notizie peregrine operlo menodi questioni nuove a quelle parti della scienza a cui havoluto dare opera. Cento e più anni dopo l'iniquissimacondanna degli untoriovvero sia nel 1750 e per altri molti anniancoravigevano gli Statuta criminalia Mediolani;ed erano consultati ancora e studiati quei medesimiinterpreti del diritto romano e del diritto comune che erano celebrial tempo della peste di Milano del 1630. Non v'era dunque nulla dimutato nè nella scienzanè nella pratica; la prima nonaveva avuto nessun uomo di genio e di coraggio che avesse potutoscoprire la verità tutta intera e prefinire colla sapienzadella filosofia e collo scrupolo della morale i confini dellagiustizia; nella seconda non era penetrata nessuna ordinanza specialea frenare la mano pesante del giudice; tuttaviaguardando i processiposteriori a quel troppo famoso della Colonna infamese gli arbitrjsono sempre eccessivi e il poter discrezionale appar troppo corrivoin molte parti della proceduranon ricompajono piùperquanto almeno ne sappiamo noinegli atti preparatorj dellatortura... Vogliamo dire che non ricompajono più in quellamaniera che si riscontra nel processo degli untori; chèdopole formalità vennero seguite; e bene spesso appare esserestati consultati ed obbediti gl'interpreticonsultando ed obbedendoi qualiil Senato del 1630 avrebbe dovuto mandare assolti i presuntiuntori. Chi volesse dunque conoscere quali norme doveva tenere nelsecolo scorso un giudice prima di sottomettere un imputato allatorturae tutte le condizioni chenon volendo varcare i limiti deldoveresi avevano a seguire per obbedire gl'interpreti della leggeassuntiper consuetudine diuturna ma pur sempre provvisoriainautorità quasi di legislatorinon deve far altro che leggereil capo II dell'Appendice sulla Colonna infame. Là èdimostrato come la folla degli scrittori criminalisti non abbianoavuto altra intenzione che di restringere l'arbitrio del giudiceedi guidarlo secondo la ragione e verso la giustizia; là sonriportate le generose invettive de' più celebri giureconsulticontro i giudici crudeli che si arrogavano il diritto d’inventarnuovi tormenti; làper conseguenzaè provato come nonsolo debbasi togliere dalla testa dei giureconsulti interpretil'odiosità che per tanto tempo le fu lasciata pesar sopra; masi debbano anzi riguardare come i primi che iniziarono la vialunghissima delle riforme; i primi checostretti a render ragionedelle loro decisionirichiamaron la materia a principj generaliraccogliendo e ordinando quelli che sono sparsi nelle leggi romaneecercandone altri nell'idea universale del diritto; i primi cheprepararono il concettoindicarono la possibilità einpartel'ordine d'una legislazione criminale intera ed una.
Lecose nuovee le cose veree quelle che costringono la ragione a dirdi sìdopo averla collocata nel più giusto punto divedutasono tali e tante in quell'opuscoloche lo si legge consempre crescente meraviglia; alla quale vien compagna un'altrameravigliaquando si considera che un tale opuscoloperchènon conta molte centinaja di paginefu poco letto e peggiosentenziato; mentre altre opere d'altri autorile quali assomiglianoa' magazzini di Lambro piratapieni zeppi di roba rubatasonospacciate per tutta Italiaanzi per tutta Europaa togliere lospazio chepur troppomanca ai libri ottimi! Ma questa digressioneha tanto a che fare col nostro libroquanto col regno della lunaonde rientrando in casadiremo ai nostri lettoriper dilucidarequel passo della stessa Colonna infamedoverichiamando gli Statuti di Milanoè detto che essi nonprescrivevano altre norme alla facoltà di mettere un uomo allatorturase non che l'accusa fosse confermata dalla famae ildelitto portasse pena di sangue; diremo dunque che da questeultime parole non bisogna lasciarsi trarre a credere che la torturanon si potesse infliggere che agli imputati di omicidio o d'altotradimento: nole categorie dei delitti portanti pena di sangueerano molteanzi erano troppeprova ne siano gli statuti criminalidove alla rubrica De forma citationisecc.e al capoDe tormentisespressamente si dichiara che la tortura puòessere ministrata «in Casibus infrascriptis videlicet:in crimine haeresissodomiaeturbationis pacifici Status domininostri... crimine homicidiiassassinamentiadulteriiveneficiiprivati carceris falsitatis; schachiseu robariaefurtiecc.». Il che basta per dimostrare che il delittoond'era imputato il lacchè Suardi era di quelli per cui glistatuti avevan decretatoall'uopol'uso della tortura.
Dallamateria giuridica venendo ora agli uomini che la professavano:dottissimo fra i giureconsulti milanesi era il conte Gabriele Verriil padre del nostro Pietro. — Il diritto romanogli statutileopere dei più autorevoli interpreti eran talmente famigliari aluichenei casi dubbjnelle controversieegli citava a memoria esi diffondeva con facondia e con tutti i saliscendi della dialettica.Però gli ammiratori lo chiamavano la biblioteca ambulante delSenato; gli avversi lo chiamavano il sofista. Una testimonianza delladi lui dottrina sono le Constitutiones decretis etsenatusconsultis illustrata curante Comite Gabriele Verro; quibusaccessit Prodromus de origine et progressu Juris Mediol.eodem Verroauctorestampate a Milano dal Malatesta nel 1747. Ma ècosa strana a pensarsi che quell'uomo così dottoe che avevasotto manoa dir cosìil processo lungo e lento del tempo ei lavori interminabili dei legisti per cui la verità el'assoluta giustizia si sforzavano a tentar il varco per uscireall'apertopur si mantenne sempre stazionario ostinato e quasiferoce nelle consuetudini vecchie; mentre il figlio suocheapplicatosi ad altri rami della scienza e dell'amministrazionepubblicaera di tanto men profondo di lui nella materiagiuridicaebbe tuttavia lo spontaneo intuito del vero e del giusto;— tanto nelle cose che interessano il bene dell'umanitàbasta il sentimento a far trovare i rimedj! tantospesse volteladottrina soverchia e frammentarianon rischiarita nè da unvasto concettonè dall'amore degli uominiè impaccioalla scoperta del vero!
Perla sua qualità adunque di biblioteca legale ambulanteilsenatore Verriogni qualvolta trattavasi di qualche fatto fuordell'ordinariocomplicatoinestricabileveniva sempre consultatoconfidenzialmentee come suol dirsiin camera charitatis.Però se già era stato interrogato in prevenzione dalpretore e dal capitano di giustizia relativamente ai costituitiAmorevoli e Brunitanto più lo si volle sentire quando illacchè venne catturatoe prima che lo si sottomettesseall'interrogatorio. Il nome del conte F... era già corsoillettore lo sasulle labbra e del capitano e del conte Gabriele. Maquesti s'affannò a dimostrare che del conte non era punto afar parolacome se nemmeno fosse esistitoe ciò fino atantoei soggiungevache ei non fosse stato messo innanziespressamente dal costituito Suardi. Prima di aprire la proceduracontro il qualecredette bene di sfoderare tutte le sentenze deitrattatistie specialmente quelle relative alla qualità edalla quantità degli indizj necessarj per poter mettere unimputato alla torturaed ai limiti onde si doveva intendereristretto l'arbitrio del giudice dall'osservanza scrupolosa deldiritto comune; insistendo segnatamente sull'autorità delFarinacciodove questo legista raccomandava che il giudice deveinclinare alla parte più mitee regolare l'arbitrio colladisposizione generale della legge e con la dottrina dei dottiapprovati; e riferendo molti passi di quei giurisperiti cheavevano stabilita la regola contraria a quella più comunementeammessa sull'arbitrarietà dei giudizj. — Il ClaroilBartoloil Pozzoil Bossiil Marsiglioil Casonioltre alFarinaccioautore prediletto del conte Gabrielefurono fattipassare tutti innanzi alla memoria del marchese Recalcatiin via diconversazione amichevole e affatto casalingama col fine dipredisporlo all'indulgenzaall'indulgenzas'intendecompatibilecolla giustiziae ciò con tanto più d'insistenzaquanto più forte era la sua convinzione che il Galantino fosseil vero e materiale autore del delittoe che un altrointeressatoall'eredità del marchese defuntofosse stato necessariamentela volontà occulta che aveva guidato i movimenti del lacchè.
Seil conte Gabriele Verri avesse vissuto cento venti anni primaefosse stato senatoree fosse stato interpellato in prevenzione sulfatto degli untori; avrebbe sfoggiata quella medesima dottrina?avrebbe inculcata la scrupolosa osservanza del diritto comune?l'obbedienza alle norme raccomandate da' giurisperiti interpreti?avrebbe insinuata l'indulgenza? Non è facile a risponderesenon aderendo a quanto fa osservare il Manzoniche cioè nel1630 l'universalità del pubblico credeva e voleva le unzionie pretendeva che l'autorità scoprisse il delitto; che per ciòera comune e prepotente l'interesse e del pubblico e dellamagistratura di trovare i rei laddove nel caso nostrol'interesse non è più comune; anzi da parte del Senatoe della classe patrizia è quello di non trovare il colpevole;è una preoccupazione gelosa di far scomparirese fossepossibiletutte le pedatea dir cosìimpresse nel terrenoseguendo le qualisi può giungere al punto donde il verocolpevole s'è mosso; è dunque il caso in cuil'osservanza scrupolosa di tutte le formalità degli statuticriminalidei principj del diritto comunedella mitezzaraccomandata dai giuristi; l'indulgenzain una parolapuòsoltanto far sperare di raggiungere quell'intento... E intal casoc'è l'uomo di buona memoria e di gran dottrina chefa conoscere tutto ciò che la teoria legale raccomanda allapraticae che convertedove precisamente meno occorrein unsistema di prudenza guardinga e miteun sistema di procedura chegeneralmentepel modo onde il più delle volte venivaadottatofaceva spavento a tutti. Tanto è necessario che lalettera della legge sia precisainesorabilegeometrica eche i codici scansino al possibile il bisogno dell'interpretazionese si vuole che la giustizia non sia il balocco della dialetticaambidestra. — Ma veniamo al Galantino.


V


Abbiamoaccennato che prima di lasciare in libertà il tenore Amorevolisi volle ch'ei vedesse il lacchè Galantinodato il caso cheravvisasse l'uomo che egli aveva asserito di aver veduto fuggire esaltare il muricciuolo di cinta del giardino di casa V... Come ognunopuò pensarecodesta non era che una misura di formalitàperchè non era probabile che Amorevoli potesse ricordarsidella figura d'un uomo che di notte gli era passato innanzi a granfuga; nèquando avesse dichiarato di riconoscerlola suadeposizione poteva essere attendibile. Del rimanente poiAmorevoliche aveva una gran smania in corpo di uscire all'apertonon avrebbemai dichiarato di ravvisarloanche se ne avesse avute in memoria lesembianze al pari di quelle di donna Cleliacome fece in fatti.Compiuto dunque quell'attos'incominciarono gl'interrogatorjde'quali non sappiamo se di proprio sennoo per consiglio d'altriilcapitano di giustizia incaricò un nobile Paolo Tradatiauditore di mezzana capacità e notoriamente sprovveduto diquella acutezza legale e segnatamente criminaleonde una domandagettata opportunamente al costituitoè come un randelloscagliato a tempo tra le gambe di chi vorrebbe fuggire.Quell'auditoreonestocortosenza fieledocileera uno di quelfelici mortaliche di quel tempo ed anche in altri tempie forsechi sa maianche nel tempo nostrosono destinati a far carrieraed'uno in altro posto salgononon si sa come nè perchèprovocando continuamente le dicerie del pubblicoil quale non sa chel'incapacità costituisce una preziosa capacità suigeneris e un arme a più taglieccellente nelle mani dichi la sa adoperare. Tuttaviain quanto all'auditore incaricatod'esaminare il lacchènon creda il lettore che fosse privod'ogni sapere e di qualche pratica forense; tutt'altro; vogliamo diresoltanto che tutti gli altri assessori ed auditori del capitano digiustizia ne sapevano più di lui ed erano acuti più dilui.
Chiamatoadunque il costituito Galantino innanzi all'auditore criminale nobilePaolo Tradatipresente l'illustr. signor capitano di giustiziaglifu domandato se sapeva la cagione per la quale era stato arrestato aVenezia per ordine dei Dieci.
IlGalantino rispose di no...perchè il signor segretario delConsiglio non gli avea fatto motto nessunofuorchèdell'inchiesta dell'eccelso Senato di Milano.
Glifu replicatose almeno egli congetturava alcuna cagione.
—Noripetè di nuovo il Galantino... perchè se avessipotuto aver motivo di temere per me... non sarei andato incontro aifanti del Consiglio dei Dieciquando gli ho veduti star fermi sullaporta della mia casa. Tuttaviafacendo il viaggiom'èpassato per la mente che m'abbian voluto arrestare a motivo deigiuochi d'azzardoa cui mi recavo tutte le notti in un caffèremoto di Venezia.
—Come v'è potuto passare in mente un simile sospettose ilsegretario v'aveva detto che l'inchiesta veniva da Milano?
—Il come non lo so... ma il fatto è che mi passò per lamente... Del resto oggi capisco benissimo che ero pazzo a pensarlo...maquando non s'è fatto nulla per cui si abbia a temere lagiustizianell'andare a tentone per cercare un motivo qualunquesidà dentro spesso in una pazzia...
—Voi dunque potete ripetere che non sapete nulla affatto del motivodel vostro arresto?
—Lo ripetodisse asseverantemente il lacchè.
Quisuccedette un momento di pausa. L'auditore guardò il capitanodi giustiziail qualedisse solamente:
—Continuate.
—In che giorno voi vi siete recato a Venezia per la prima volta?continuò l'auditore.
Questadomanda era un colpo maestro... Il capitano stupì... come unoche vede un fiacco giuocatore di bigliardo a tentare un colporiservatoe coglier bene la pallae pensò fra sèstesso: Sta a vedere che costui oggi mi sfalsa per la prima volta...
—Rispondetequando siete partito da Milano per Venezia?
—Il dì preciso non me lo ricordo bene... ma so che delcarnevale di Venezia ho passato nove giornie là finisce almartedìquattro giorni prima di Milano.
Larisposta era più ancora da maestro. L'auditore guardòil capitano di giustizia.
—Come potete provare che voi eravate a Venezia prima del mercoledìgrasso?
—Che cosa so io?... Da Milano sono partito soloperchè avendoguadagnato assai al giuocom'è venuta la tentazione direcarmi in una città dove il giuoco si fa piùlargamente che qui... Sono partito senza dir niente a nessuno... esono arrivato dove non conoscevo nessuno... Però io non sapreicome trovare i testimonj...
—Che somma vi trovavate in saccoccia quando partiste da Milano?
—Cento zecchini veneti...
—In che luogo avete giuocato... con chi li avete vinti?
—In che luogo? in più luoghi... ai Tre Real caffèDemetrioal Gallo... in Ridotto. In quanto alle persone... possonominare il figlio dell'oste dei Tre Real quale ho guadagnato diecizecchini; posso nominare il lacchè di Casa Isimbardial qualevinsi sei mesateossia l'importo di cent'ottanta lire milanesi;posso nominare il mastro di scuderia di casa Littaal quale ho vintoquindici partite al tresette l'una dopo l'altraossia quindicizecchini... Ma la somma più grossa l'ho presa al Ridotto delteatrino... Non mi domandi però nè il nome nè ilcognome di chi ha giuocato con me... perchè non lo so.... echi mai domanda il nome a un forestiero che in teatro c'invita agiuocare?... Pure se costui fosse ancora a Milanonon c'èdubbio che lo riconoscereie sarebbe una fortuna per meche cosìpotrei far persuasa la signoria vostra illustrissima.
—Perchè vi preme tanto di persuadermi? Chi vi ha detto ch'iovoglia farvi colpa dei denari che avevate indosso?... Questeparole mi fanno nascere dei sospetti.
—Vostra signoria illustrissima mi ha chiesto quanti denari avevoquando sono partito... Io ho risposto il veropunto per punto... esiccome chi dice il verovuol essere creduto... così vorreiche alla S. V. ripetesse tale verità quello stesso che hagiuocato con me e che mi lasciò sul tavoliere sessantaseizecchiniecco tutto.
—Voia Veneziai rapporti parlan chiarovi eravate dato a far ilricco gentiluomocon gondola e livrea e il resto. Come si poteva fartutto ciò con mille cinquecento lire di Milano?
—Molti dei nostri più ricchi patrizj non hanno più diduecentopiù di trecento lire al giorno. Vostra signoriaillustrissima vede bene che per dieci o dodici giorni chicchessia chevoglia assaggiare la vita del gran signore ci può riuscire conmille cinquecento lire... Tutto sta a continuare... Questo èil difficile.
El'auditore proseguiva:
—Voi asserite di non aver avuto che cento zecchini in tasca quandopartiste per Venezia... ma da questi ricapiti e chirografi che ilbarigello si fece consegnare da voiappare che sui banchi di Veneziavoi avete messo a frutto più di trenta mila lire.
—Queste le ho guadagnate a Veneziadove mi sono recato espressamenteper moltiplicare al giuoco la somma che già teneva presso dime. Vostra signoria sa che il conte Barbò in una sera guadagnòquaranta mila talleri di Carlo VI. Al giuoco si fa presto...
—Ma perchè dunque mi dicevate che avete voluto provarvi a faril gentiluomo con cento zecchini; mentre potevate dirmi addiritturache non si trattava più di cento zecchini ma di trenta milalire?
—Ho detto così per dire... Del resto vostra signoria non puòcredere ch'io volessi nascondere il fatto dei recapiti che tenevopresso di medal momento che ho dovuto consegnarli al barigelloeche sapevo ch'erano stati consegnati nelle mani dell'eccellentissimosignor capitano di giustizia... Ma ora domanderei licenza a vostrasignoria illustrissima di fare una domanda?
L'auditoreguardò in viso al signor capitanoil quale accennò dilasciar fare e dire.
—Parlate liberamente.
—Vostra signoria mi domandava un momento fa se io conoscevo la cagioneper cui venni arrestato ed ho risposto che non ne sapevo nientecomenon ne so niente; ora si contentisignoredi lasciarmi domandare ilmotivo per cui oggi sono qui.
L'auditorefinse di non intenderefece pausa... e frugò in un fascio dicarte da cui trasse un foglio che pareva una lettera spiegazzataela rilesse tutta attentamente senza dir verbopoi continuò:
—Con quali persone del ducato o della città di Milano vi sietevoi trovato nel tempo della vostra dimora in Venezia?...
—Con una sola.
—Con chi?
—Colla signora contessa V...
—Per quali ragioni vi siete recato a farle visita?
—Dirò tutto; per supplicarla ad avere la bontà di noninterrompere una mia tresca che avevo con una giovinetta che leabitava dirimpetto.
—Come avete saputo che la contessa V... trovavasiin Venezia?
—Era più difficile a non saperlo che a saperlo; tutti neparlavano.
—Ma perchè avete voluto mascherare la vostra condizione inVeneziae supplicare per ciò la contessa a non palesarvi?
—La mia condizione di lacchè non era favorevole per farmi aprirle porte delle prime case di Veneziae nemmeno per entrar nelle saledel ridotto di san Moisè. Se la contessa mi avesse palesatoio avrei dovuto sottostare ad un avvilimento vergognoso; perciòla pregai di taceree di non mettermi in piazza e di lasciar viverese anch'essa voleva vivere.
—Perchè dite: se anch'essa voleva vivere?
—Ma chi non sa la storia della contessadal momento che tutta Venezian'era piena? e appunto per questo le ho fatto intendererispettosamenteche badasse piuttosto a' fatti proprjche non aguastare i fatti altrui. Anzisul proposito della signora contessagiacchè essa ha tentato di rovinarmi...
Quiil Galantino si fermò di punto in biancospaventato dallapropria imprudenzae diventò pallido come un panno lavato.
Ilcapitano di giustizia fece un atto di sorpresa; l'auditore guardòil capitano contentocome un pilota che dopo una lunga bonacciaodora finalmente un fil di ventoe s'accorge che si puòspiegar la vela.
—Come sapete voi che la contessa abbia tentato di rovinarviscrivendosul conto vostro ad una persona fidata di Milanoe mettendo innanzii sospetti che voi gli avete ispirati?
—Io non so nulla.
—Come non sapete nulla? Cosa vi disse la contessa quando vi sietetrovato seco? badate a non dir la bugiaperchè qui c'ètutto... e mostrò una lettera.
—Cosa mi disse? molte cose mi disse.
—Dite tuttoalla buon'oracontinuò l'auditore che in quelgiorno era più coraggioso del solito.
—Io non ho difficoltà nessuna a ripetere tutto il discorso...
—Le cose inutili mettetele da parte e rispondete a me. La contessa viparlò del trafugamento di carte commesso nella casa delmarchese F... nella notte del mercoledì grasso?...
Illettore si accorgerà che l'auditorese fosse stato piùacuto e sagaceavrebbe potuto scansar tante lungagginie cominciarel'interrogatorio da questo punto principale... Buon per lui che ilGalantinoper quanto astuto e destrosi lasciò accecaredall'ira momentanea e perdette la scherma: tanto è difficile anavigar sicuri nell'arduo mare delle bricconate.
—Sìavete detto? continuava l'auditore... Come dunque avetepotuto affermareeinterrogato di nuovoavete avuto la franchezzadi ripetere che eravi ignota la causa per cui siete stato arrestato aVenezia e tradotto a Milano?
IlGalantino aspettò un momento a risponderepoi disse:
—Torno a ripetere che quando V. S. mi domandò se conosceva lacausa del mio arrestoin quel punto era lontano le migliadall'immaginarlae soltanto adesso comincio a capire qualche cosa...
—Ciò è affatto inverosimile... e nelle vostre parole malsi cela una bugia.
—Una bugia? perchè? V. S. illustrissima mi perdoni.
—Se la contessa vi manifestò com'era caduto su di voi ilsospetto del furto tentato e consumato in casa F… in che modonon avete pensato a questa circostanza allorchè fostearrestato?
—In che modo non lo so... Ma il fatto è che non ci ho pensato;perchè le parole e i sospetti della signora contessa non mifecero nè freddo nè caldo. Chi è mai a questomondo che può temere le conseguenze di quel che non ha maifatto? Ea proposito della signora contessaio mi sento in doveredi annunciare un fatto. Un fatto che potrebbe dare un filoa chi ciha l'interessedi scoprire l'autore del delitto commesso in casaF...
—Che?
—V. S. mi permetta di parlare liberamente.
—Ve lo impongo.
—Sappia dunque la S. V. che la contessa V... era l'amante occulta delmarchese defunto.
Quici fu un momento di pausa; il capitano e l’auditore siguardarono maravigliati.
—Come potete asserir questo? La contessa ebbe sempre fama di donnaonestaaustera...
—Della fama io non so niente; guardo ai fattiio; però chi hapotuto avere una tresca con un tenore... non c'è da restarebalordi se potè intendersela prima con un marchese.
Ilcapitano e l'auditore si guardarono di nuovo e raddoppiaronod'attenzione.
—Io era lacchè in casa F... e queste cose posso saperle... Manon è ciò che importa... Una seraprima ch'io partissida Milanovoglio dire molti giorni prima della settimana grassa...io passeggiavo a notte tardain Rugabella... due uomini camminavanoinnanzi a me… intenti a discorreree credendosi affatto soli...non abbastanza a voce bassa; diceva dunque l'un di essi: Io so che ilmarchese F... (il marchese F... allora era gravemente ammalato) halasciato nel testamento alla contessa V... la sontuosa villa che hain Brianza. L'altro che ascoltava si fermò su due piediedisse: A questo modo è un mettere in piazza la contessa...Quasi quasi ci sarebbe da sospettare che ciò possa esser maiuna vendetta del marchese contro il conte V... dal qualeper unaltercovenne insultato e ferito in duello. Ma qui non ho sentitoaltroperchè que' dueaccortisi d'una pedatasi tacquerotosto.
—Ma e che fa tutto questo?
—V. S. mi perdoni... ma se alla contessa potè mai trapelarqualcosa del testamento... è naturale ch'ella dovettedesiderare che il testamento sfumasse per aria. La contessa non avevabisogno delle ville del marchese... ma bensì che a tuttirimanesse celata la sua tresca vergognosa... Se dunque le signorieloro vogliono venire a capo di qualcosa... giacchè hannovoluto mandare ad arrestar mesino a Venezia... me che non potevaaverecome non ho interesse nessuno nelle cose del marchesedefunto... sicchè un tale sospetto mi fa venir voglia diridere; mandino ad arrestare la signora contessae salteràfuorilo scommettoquel che si vorrà. La mia condizione ètale anziV. S. mi perdoniche mi dà il diritto dipretendere che la contessa venga chiamata a Milano... Io che hosopportato e sopporto la pena delle colpe altruiil che non ègiusto... V. S. perdoni questo sfogo alla mia infelice posizione...
L'auditorenon disse nullae si volse al capitanoil quale dopo alcuni momentidi silenzio:
—Potete rimandarlo in carceredisse. Per oggi basta.
IlGalantino fu ricondotto in prigione; il capitano e l'auditorequandofurono soli:
—A me par di sognaredisse l'uno. — Io casco dalle nuvoledissel'altro...
Maintanto che l'uno e l'altro attendono a riaversi dallo stuporenoisiamo sollecitati dall'amore che portiamo a donna Cleliaadichiarare al lettore che tutto ciò che disse il Galantino erauna sua perfida invenzione per vendicarsi della contessa...Invenzione però che fe' presa in giudizioe fu occasione diuna stranissima combinazione di cosenella quale il costituitoSuarditanto esperto giuocatorenon giuocòdi certola suacarta più fortunata.


VI


Lacondizione degli avvenimenti che abbiamo a raccontare è taleche ci conviene viaggiare innanzi e indietro da Venezia a Milano e daMilano a Veneziacome un conduttore di diligenza. Intanto adunqueche a Milano il Galantino sottoponevasi al primo interrogatorioaVenezia il tenore Amorevoli aveva raccolte dal suo gondoliere quantenotizie gli bastavano sul conto della contessa Clelia. Siccome ilBianchigondolierequando non era al servizio di leistava diconsueto al traghetto del molo alla punta dell'isola della Zuecacosì i suoi compagni del traghetto medesimo sapevan benissimochi egli serviva di gondola in quegli ultimi giorni. Amorevoliadunqueper quanto avesse fatto interrogazioni prudenti e velatevenne pure a conoscere ogni cosae della casa ove essa alloggiavaedella famiglia che la ospitava ed anche delle corse che da qualchegiorno ella solea fare a diporto lungo il Canal grande; perchèil Bianchispiccandosi ad ora tarda dal suo postoove stava il piùdella giornata facendo versi sotto il felze negli intervalli diriposoaveva detto più volte:
—Ora andiamo a prendere la nostra bella lombarda.
Peròvolle anch'egli il tenore recarsi tra l'altre gondole in canale pervedere se mai gli venisse fatto d'incontrarsi in quella dellacontessa. Lo scontro potea benissimo succederesenza che fosseroturbate le leggi del possibile o del probabilema il caso volle cheper quel giorno non se ne facesse nullae giuocassero quasi a chi sifuggiva; e anche allora che furono a pochi tratti di distanzalàverso santa Chiaral'uno non avesse sentore dell'altrae buonanotte. Tornò dunque all'albergo e làmessosi in tuttagala si portò poisempre intendesi in gondolaa farvisita al corregidore Pisaniche aveva la sorveglianza de' teatri dimusicae dal quale eragli stato fermato il patto di sei sere direcita a quello di san Moisèperchè solea tenersichiuso in primavera ed estate l'inallora maggior teatro di sanCassiano. Recatosi da quel ricco patriziofu accolto come si potevaaccogliere un celeberrimo artista di canto in un tempo in cui lamusica era tenuta necessaria come l'aria e l’acqua. Il tenore siscusò del ritardodandone cagione a' fatti imperiosiche ilpatrizio venezianosorridendoaccennò di sapere benissimoesi dichiarò pronto ad incominciare i suoi impegni.
Ilcorregidore gli disse che il teatro sarebbesi aperto fra poco perchèdovevasi attendere anche la ballerina Gaudenzila quale avea fattoscriverele si concedessero alcuni giorni prima di partire daMilano.
—Ed oracaro mioho a supplicarvi di un favoresoggiunse il conte.
—Vostra eccellenza mi comandi.
—Domani seraa festeggiar l'arrivo del conte Algarottidoun'accademia di musica a cui interverrà tutto il bello e ilbuono che abbiamo in Veneziae molte preziosità che ci soncapitate di fuori. Voi avete ad essere tra questee dovrestese nonpretendo troppocantare una scenaun'ariache so iounmadrigalettoqualche cosa insomma; v'è qui Luchino Fabrisl'imitatore di Egizielloche vuol sentirvi; e nientemeno che lamoglie di Hassela celebre Faustinavenuta per certe sue faccendedi famiglia dalla Germania; la Faustinaora matura fin troppomachecantando di agilitàè ancora capace di passarsedici crome in una battuta. V'è qui poi la Turcottiche voidovete conoscere perchè mi parlò di voi con entusiasmotale che parrebbe oltrepassare persino i confini delle crome; e ilconte sorrideva. E poi c'è il magoil gran magodell'archettoquel diavolo di Tartiniche v'ha sentito evuol risentirvi. Dunquese mai vi bastasse l'animo di dir nodovreicredervi un uomo ben inflessibile...
—Il vostro desiderioeccellenzabasta perch'io m'induca a far ciòche di solito non faccio di buona voglia; perchèprima difarmi sentire in cameraamo che mi si conosca in teatro...
—Vi comprendo benissimoe tanto più vi ringrazio; ma io soeme lo disse più d'unoche voi siete padrone dell'arte inmodoche la governate a vostro arbitrio e in camera e in teatro.Dunque v'attendo domanicosì verso le quattro di notte...
—Io vi sarò senz'altro... e Amorevoli si licenziavail qualenon avrebbe certo accettato di far la sua prima comparsa in Venezia aquel modose non lo avesse sollecitato la brama di vedervi lacontessa. In questo pensierogiacchè erasi fatto tardi e perquella notte ei non sapeva in che luogo ridursi di Veneziaritornòal suo alloggio allo Scudo di Francia. Làgiacchèl'albergatore gli aveva fatto portare in camerasiccome ne aveaavuto l'ordineuna spinetta da nolo; trasse dal baule la suabiblioteca musicale portatilee si mise a sfogliazzarlaondecercarvi qualche cosa che potesse fare all'uopo per l'accademia delgiorno successivo. Un'aria della Merope di Jomelliperla quale il celebre napoletano tre anni prima aveva fatto impazziretutta Venezia e gli era stato offerto un posto di direttore nelConservatorio delle fanciulle povere; un'altr'aria dell'Achillein Sciro dello stesso maestro; l'aria celeberrimadell'Olimpiade di Pergoleseche già l'udimmo cantarenelle carceri del Pretorio a Milano. Un grande recitativodell'Artaserse del Vinciil maestro perfezionatore deirecitativi obbligati. Alcuni madrigali dell'abate Steffanipassatoda Venezia in Germania ad educarvi Haendelil quale si assimilòle più care imagini melodiche del maestroe infuse per talmodo la psiche italica nell'astrusa compagine germanica; alcuni altriceleberrimi madrigaletti dell'abate Clarisposati per lo piùa giuocherelli di poesia eroticama squisitissimi di stile melodico.D'una in altra cosaAmorevoli cominciò a provare qualchefrase sottovoceaccompagnandosi alla spinetta; ma quando dalle ariepassò al recitativo di Vincila musica declamata eccitandoload entusiasmogli fece mandar fuori tutta la sua voce pienacome sefosse alla ribalta d'un grande teatro.
Erala terza volta che Amorevoli riprovava una nota tenutaunsibemolle prodigiosoalla risoluzione del sublimerecitativo di Vinciquando sentì batter crudamente alla portadella camera. Interrompere chicchessiafoss'anco l'uomo il piùplacidonel fitto d'un'occupazione a cui mette tutto l'interesse etutta l'animaè il vero segreto di farlo prorompere in attid'iradi quell'ira che è deposta in petto a tutti i mortalianche i più linfaticinon essendovi differenza che nelladose. Amorevoli aveva avuto dalla natura una dose d'iracome suoldirsinormalema gli era stata accresciuta dallesuscettività teatrali e dalle diverse liti cogli impresarjedalle controversie coi vestiaristisempre incapaci ad accontentareun cantante; per di più essendo romanoda Transteveredov'era natoaveva portato seco ne' suoi viaggi tutti que' modirisoluti e troppo espressivi onde quella frazione di popolo saimprecare più di tutti i popoli del mondo. Quando adunque sisentì rotto in due il suo preziosissimo sibemolle daquell'importuna picchiatamandò fuori una di quelle talifrasie in quel tono acuto e vibrato che gli era rimasto in gola...e nel tempo stesso andò ad aprire. Era un servo in livreaconbaffidistintivo rarissimo in quel tempoe che per lo piùsoleano portar coloro chedopo aver servito a lungo nella miliziasi riducevano a mestieri ed a servigj comuni della vitapress'a pococome al tempo nostroin cui quanti hanno portato sciabola o fucileal reggimentoo hanno inforcato un arcioneserbano nell'aspettoqualche marchio indelebilepel quale si può quasi indovinarese furon soldati di cavalleria o di fanteria. Quel servo pertantocon un accentaccio lombardo e con parole nelle qualiperindefinibili combinazionisi sentiva un'incondita fusione di Milanodi Spagna e di Veneto:
—Il mio padronedisseè straccoe vorrebbe dormiree glidanno gran noia i vostri gridi. Però uomo avvisatomezzosalvato.
Aquell'intemerata così improvvisa e così villanaAmorevoli s'accontentò in prima di guardare quel servitore contutto il veleno che gli potea schizzare dagli occhipoi soggiunse:
—E chi è codesto capo di popone che ti dà similiincarichi? Esci tostoo non avrai tempo di contare i gradini diquesta scalatanto di fretta io te li farò fare. —E senza piùrichiuse i battenti dell'uscio sulla faccia delservitoree rimessosi alla spinettatornò al suo recitativoazzardando un do sopracuto di pettoche parea volertrapassare il soffitto della camera...
Machi era quel servoe a nome di chi veniva? Già noi nonintendiamo di fare una sorpresa; son cose presto indovinate. Lo Scudodi Francia era allora tra' più sontuosi alberghi di Venezia.Il conte V... ch'era entrato la sera in cittàin quella barcaprecisamente della quale la contessa Clelianon presaga di nullaaveva veduto alla lontana luccicare il fanaleera disceso a prenderealloggio a quell'albergo appuntoe in compagnia del suo piùfido servoil quale era già stato suo caporale al reggimento.Preso uno degli appartamenti più ricchi dell’albergoabitava il piano superiore a quello ove Amorevoli s'era acconciato.La combinazione può parere strana per coloro a cui tuttoriesce improbabile. Ma il tenore non era poi obbligato a prenderealloggio in una bettola e il conteper quanto fosse conte ecolonnellonon aveva diritto nessuno di alloggiare nelle camere delDoge. Onde se si trovarono ambedue in quell'albergola cosa ètanto verosimileche quasi sarebbe inverosimile la sua contraria. Madi ciò non è questione. Il conte V... era dunque venutoa Venezia con intenzioni terribili... in questo almeno era logico: onon muoversi affatto da Milano e bever l'onda di Leteciò cheinvero sarebbe stato atto prudentissimochè il suo decoronon ne andava di mezzo per nulla; ogiacchè erasimossodoveva averlo fatto per qualche cosa. Lungo il viaggio avevameditaticome sappiamoo almeno come si puòcongetturarecento progettiche tutti gli pareano eseguibili etosto: ma appena furon tolte le distanzeche a lui erano sembrate ilsolo ostacolo all'ira sua ed alla sua vendettase gli rimase l'irasi trovò impacciato sul modo di scaricarla agli altrui danni.Bastonarefrustaresfregiare in qualche modo l'effeminato epetulante e plebeo cantorecom'esso lo chiamavaera il voto supremodella sua mente in ebollizionema bisognava pure che si presentasseun'occasione. Bene si ricordava dello sfregio fatto a Voltaire daquel tal duca irritato dalle sue punture; ma cogliere un uomoall'impensata e farlo bastonare da mani prezzolate gli parevaun'azione vilissimae indegna di cavaliere e di soldato. Dovevasipertanto cogliere un'occasione plausibile; ma per coglierla eranecessario che l'occasione venisse e spontanea e taleche il mondopotesse dire: — È giusto che colui sia stato bastonato. —E in quanto alla contessa?... Ahimèche pensando a lei ilcolonnello si smarriva in un abisso di dubbj.
Einon era nè determinatonè focosonèinnamoratonè geloso come Otello. Non era assassino comePietro de' Medici; non efferato come il duca di Guisa; non era cupo etaciturno come Nello della Pietra; non longanime come il Lopez dallavendetta segreta; bensì in quel suo testone di ceppo e inquel suo cuoraccio da galantuomo era una miscela di tutti questiingredienti. Ma val più una goccia di acido prussico aprodurre i subiti effettiche dodici elementi che si faccian guerraa vicenda; onde egli si affannava senza costrutto e senza mai sapersideterminare a cosa nessuna; al pari del tenore Amorevoli avevaanch'essoin quella serapagato lautamentese non un gondoliereun servitore di piazzaper sapere tutto quello che gli occorreva disapere; nè per questo i denari erano stati mal spesi; colverboso cicerone era stato in gondola a visitare i luoghiil rio sanPoloil palazzo Salomonla scaleala finestrala porta del latodella calletutto. Ma più raccoglieva notizie e mezziinsomma più innoltrava nella via ch’egli aveva cercatoepiù crescevano le sue irresoluzioni. Se non chenel fittoappunto di quelle sue accalorate consultesente un suono di spinettadi sotto a sèpoi un cantare sommessopoi una voce che sisnoda e si alzae si diffonde in vibrazioni acute.
Glipare e non gli pare; chiede a sè stesso: chi è maicostui? echiamato il servitorefa domandare il cameriere.
—Chi è costui che a quest'ora grida come se fosse in teatro?...
Ilcameriere mal comprendenon tanto le parole del contequanto ilpiglio sdegnoso onde le pronuncia.
—Eccellenza... è uno dei più celebri cantanti delgiorno... Tutti i forestieri che alloggiano qui... son discesi tuttinel salone che è presso le sue camereper sentirlo piùdappressoe tutti fanno le meraviglie e vanno in sollucheroe sichiamano fortunati d'essere venuti ad alloggiare quie poterlo udireprima che canti in teatrochè egli è la prima voltach'ei ci capita a Venezia.
—Ma chi è dunque?
—È il tenore Amorevoliper servirla.
Eil conte che già ne avea un sentorenon fece atto dimeraviglia nessuna; e rivolto al servo-caporale ch'era lìpresente:
—Va tosto abbassogli dissee di' a costui che a quest'ora altridorme quie non vuol essere messo in soprassalto da' suoi strilli.
Ilcameriere s'intrometteva per impedire un tale attoma ilconte-colonnello:
—Va dunqueruggì al servo-caporalee bada di non farcomplimenti. Parla chiaro e risoluto... e se non obbedisce lavedremo.
Ilservocome sappiamofece quel che fecema quando venne respintodal tenorenon sapendo che risolvereperchè di fuori eranomolti camerieri che adocchiavanorisalì agli appartamenti delpadrone a riferirgli la risposta... Il conte stava in ascolto...quando gli giunse all'orecchio quel do di petto sopracuto chelo fece spiritareondesenza risponderediscese precipitoso eformidabilecome un orso che affamato si rotola dal monte se mai glivenga veduto un giovenco sbandato alla campagna. Discese e bussòsì forteche Amorevoli dovette aprire... e si vide innanzinon certamente aspettato... il conte grande e grosso e fieroilconte che molte volte dalla ribalta aveva veduto in palchetto.


VII


Chela vista improvvisa del conte V... facesse un'ingratissima sorpresaad Amorevoliognuno lo può credere senza fatica. Si scolorònel visofece un passo indietro perplessoein una parolamostròdi fuori tutti i segni di chi si lascia cogliere dal timore; ma tuttodipendeva dalla sorpresa.
—Or che si fa? gli disse il conte.
Ècosì vero che l'effetto della musica deriva tutto dalcoloritoche quella domanda del conteper sè stessa cosìsemplicefece avvicinare di qualche passo all'uscio della camerad'Amorevoli i camerieri che si trovavano là presso e iforestieri ch'eran discesichè l'inflessione della voce el'accento fece parer terribili quelle pur così insignificantiparole.
Unmomento di riflessione però era bastato perchèAmorevoli si rimettessecome suol dirsiin sellaonde a quelladomanda del conte:
—Si canta e si suonarispose.
—Fango salito in scannoal cospetto di chi credi tu di trovarti?
—Al cospetto di chi meriterebbe discendere dallo scanno nel fango.
Ilconte fece un passo innanzie la mossa fu taleche i camerieriaccorsero e lo trattennero.
—Madisse allora Amorevoliche pretendete da mesignor conte? Conche diritto vi siete fatto lecito di mandare ad insultare un uomodabbene? Io sto nella mia cameraio attendo a' fatti miei e all'artemiae se momenti fa colla voce potevo ferire l'orecchio altruipregovi a pensare che non è mezzanotte e siamo in Veneziaedi quest'ora gli è come si fosse di mezzodìinun'altra città. Le costumanzei convenevolii riguardi liconosco al pari di chicchessia. Se mi aveste mandato a pregare coimodi del gentiluomomeno malevi avrei esaudito; ma invece quelvostro domestico si comportò di manierache fu assai se nonl'ho spinto rotolone giù per la scala. Del rimanentese inpoco o in nulla vi credete offesoio son qui pronto a darviqualunque soddisfazione.
—E quali soddisfazioni mi puoi dare tu?
—Quelle dell'uomo onesto in faccia a chi vuol dar spettacolo dicoraggio.
—Ma giacchè ti vanti di conoscere i convenevoli e leprammatichenon sai tuistrione vilissimoch'altri offende sestesso misurandosi co' pari tuoi?
—Pari o no pariquesta la xe ona prepotenza da sior Lelio...
Chidiceva queste parole era un giovane di vent'annipoco su poco giùil quale vestiva l'assisa di soldato di marina. S'era trovato làad udire insieme cogli altri forestieri; ed avendo preso notizia delfattoe parendogli quella del conte un'insopportabile soperchierianon potè più contenersie strillò quelle sueparole con fremebonda concitazione. Il conte si volsee:
—Chi m'interrompe? disse.
—Angelo Emonobile di navedisse il giovine uscendo dal crocchioesaettando la sua giovane pupilla nella pupilla torva del conte.
Eraesso davvero quell'Angelo Emoil futuro assediatore di Tunisicoluiche gloriosamente doveva chiudere la serie degli ammiragli dellaserenissima repubblica. Di quel tempouscito appena dallaistituzione del Bilesimo consultore della Repubblicadel padreLodolialtro consultoree del celebre Stelliniera entrato dapochi giorni nella carriera marittimanella qualità appuntodi nobile di navetirocinio che si faceva durare quattr'annicolsaggio intendimento che i giovani alunni unissero la pratica allateoria. Di que' giorni egli stava coll'equipaggio lungo le costedell'Adriaticoe avendo sentito com'era aspettato a Venezia il conteAlgarottiche fanciullo egli aveva conosciuto nella casa paternaimpetrò dal capitano di nave il permesso di venire a Venezia;e siccome il padreper essere riformatore degli studistavasi aPadova colla famigliaegli avea preso alloggio all'albergodello Scudo di Francia.
—Or come c'entrate ne' fatti altrui? disse il conte al giovinesoldato.
—Quand'uno offende un altro senza ragione e con violenzatutti hannodiritto d'immischiarsi ne' fatti dell'uno e dell'altro. Inconclusioneche v'ha fatto quel signore? Chi mai poteva imaginarsiche la musica vi dovesse far abbaiare alla luna come un cane dapresa? O quel signore v'ha offesoo voi avete offeso lui... Fin quinon c'è nulla di straordinario. Ciò che v'ha di stranosi è ch'egli si dichiari disposto a darvi ognisoddisfazione... e voi la rifiutate. E che vorreste dunque?...ch'egli si ammazzasse per rispetto alla vostra corona di conte?
—Ragazzobadach'io non torca su di te l'ira che mi venne da lui!
—Ed ora son io che vi chiedo soddisfazionesignor conte!... Or non vipuò soccorrere la scusa della mancanza di parità franoi... Voi siete conte ... lo credo perchè lo sento a direepoco me ne importa ... In quanto a me... i miei avi furon reggitoridi quest'isole quando primamente si congiunsero a città. PieroEmo fece prodigi di valore nella battaglia di Chiozza. Altri sionorarono in ambasciate e in magistrature. Molti di quelli che sonoqui presenti sanno chi sonoe ponno fare testimonianza di ciò...però raccogliete questo guanto.
Eil giovinetto generosolevatosi il guanto di dainolo gettòal piede del conte V... che lo raccolse e soggiunse:
—Sta bene. Or pensate al restoperch'io non son di Veneziae nonposso scegliermi i padrini in una città che non conosco.
Illettore si ricorderà d'aver veduto qualche volta addensarsi unterribile temporale al di sopra di un tratto di territorioe d'averdetto in cuor suo: non vorrei aver io il mio grano e le mie vignecolà; ma d'improvviso il vento cangiar direzione alla procellastessae portar lo schianto della gragnuola in quelle parti invecesu cui alcuni momenti prima il cielo si distendeva sgombro etranquillo.
Quandoil conte V... feroce e bestiale discese precipitoso a percuoterecon violenza la porta della camera d'Amorevoliscommettiamo chela metà almeno dei nostri lettori avranno ripreso fiato perassistere alla truculenta scena del tenore fracassato e morto. E difattouna parolaun gesto di piùqualche cameriere di menopiù radi forestieri e più placidi e prudentiuna solainsomma di tali cause potea bastare a far iscattare la molla d'unacatastrofe tragica...
Mainvece un fil di vento e poche parole in dialetto veneziano valsero acambiar la direzione delle cose. — Omnia sunt hominum tenuipendentia filo; e se Amorevoli potè scampare dal pericoloper verità che quasi aveva l'obbligo di far cantare un TeDeum in San Marco.
Delrestoin una relazione storicascritta nel secolo passato da unCadorin padovanodove è parlato di Angelo Emoèriferito codesto fatto del duello ch'egli ebbe nella sua primagiovinezza con un nobile lombardo.
Edora tornando a noiquando il conte V... ebbe raccolto il guantoilgiovine Emocon quella delicata cortesia che accusava in lui e mentee cuore fuor dell'ordine comunedisserivolto ad Amorevoli:
—Mi perdoneretesignorese io ho voluto per ora togliervi di mano ilfioretto. Ma al tempo non manca mai il tempo.
—Per me sono sempre disposto a ripigliare il vostroquando l'abbiateadoperato. La mia nobiltà sta nell'arte mia e nella mia vitasenza rimproveri. Quando il conte accettiio sono sempre qui adattenderlo.
Ilconte non fece motto. Angelo Emo soggiunse qualche altra gentilezzaad Amorevolipoi scambiate alcune parole con alcuni amici che glistavano intornodue di questi si mossero ed accostatisi al conteV...
—Adessogli disserogiacchè noi per parte del nobile Emo loassisteremo sul terreno come padrinivoi sceglierete i vostri fraque' quattro gentiluomini làche sono parati ai vostricomandie intanto ci ritireremo a trattare del come e del dove.
Cosìtutti si ritrasseromentre Amorevoli si rinchiuse nel suo camerino.
Eintanto noi balzeremo da questa notte alla notte successivaper assisterenel palazzo Pisanialla lanterna magicadove sivedranno a passare l'un dopo l'altro i letteratipoetii pittoriimusici


Ledonnei cavalierl'armigli amori


ondein quel tempo Venezia brillava fra le città d'Italia. Nèciò sarà fatto a casoperchè colà sioffriranno forse le occasioni per isciogliere nodi a cui il lettoreprobabilmente tien l'occhio.


VIII


Duepalazzi egualmente celebriche portano il nome dei Pisanivi sonoin Venezia; quello a San Paoloche ha la facciata rispondente sulCanal grande; e quello in Campo San Stefano. Il primoappartenente aquello stile archi-acuto veneziano che ha per distintivocaratteristico il foro quadrilobato interposto agli archima che neipilastri bugnati e nel basamento accenna alle prime transazioni tral'arte del medio evo e il ritorno dello stile romanoè lodatoper l’eleganza nativa dell'ordinamento generale del primo stilee la felice libertà degli innesti del secondo. Ma il palazzoPisani di San Stefano è bestemmiato dalla critica piùrecenteche lo chiamò un'insignificante montagna di pietresagomate. Ognuno ha i suoi gustie noisebbene troviamo pessima distile la facciata di questo palazzogiudichiam d'altra partedegnissima di meraviglia la gigantesca grandiosità di tuttol'edificio; i cortili a molti piani di poderosa strutturale scalegli appartamentile sale che ancora oggipur nel tristo abbandonoin cui giacionofanno rimpiangere allo spettatore quell'avitosplendore ove al tempo nostro è infranta affatto latradizione. Nelle opere dell'artesegnatamente dell'architetturalagrandiosità dell'impianto e l'audacia del concetto sonoelementi che non ponno essere disprezzatibastando soli a dareimportanza agli edifizj. La miscela di più formei giuochi diparolei bisticcile freddure onde pur sono offese le composizionidrammatiche di Shakespearenon tolgono ch'egli giganteggi sututti coloro che non straripano perchè non hanno fantasia cherigurgita. D'altra parte quella miscela ha un valorese non perl'arte almeno per la storia di essaalmeno per le significanzech'ella serba in molte parti della storia generale. I drammi diShakespeare sono l'enciclopedia storica della grammatica inglesechècento autori portarono le diverse loro acque a quell'oceano; e ilmedesimo può dirsi di alcune opere dell'ediliziafatteinnalzare da più volontà e da ingegni diversicheserbano le varie impronte dei tempi in cui hanno operato; onde se ilgusto squisitocontemplando il tuttosi offendenon essendopreoccupato che delle linee e delle forme; l'intelletto abbracciandoinvece più elementinon resta offeso dalle forme imperfetteperchè si lascia preoccupare dai varj significati che offrel'edificio. Nel vetusto San Marcola meraviglia massima dellemeraviglie venezianeè una mescolanza di tutti gli stili e ditutte le idee che quegli stilisecondo alcunidovrebberorappresentare — l'arte cristiana vi transige colla paganaleincondite stranezze dell'impero basso contaminano spesso i simbolicristianila cupola orientale gira sugli archi latinila colonnagreca posa sulle costruzioni bizantine. — La critica inesorabileche è fida al bello assoluto e lo trova nella sola unitàpoderosas'indispettisce di tali mescolanze; ma v'èquell'altra critica più grandepiù intellettualepiùliberaleche trova quell'edificio d'un valore inestimabileper lesue varietà appuntoe perchè l'architettura essendo unlibro di granitocome disse il poetatanto più quel libro èpreziosoquanto più fatti ricorda della storia di un popolo.Tutte queste nostre chiacchiere vorrebbero dire che anche ilgrandioso palazzo Pisaniimperfettodifettososenza caratteredecisoha un meritose non in faccia alla critica dell'arteinfaccia a quella della storiae che per ciò i Pisani che lohanno fatto innalzare e continuarenon hanno mal speso i denaricome taluno ha detto. Cominciato alla metà del 1500 dalSansovinofu compiuto quasi due secoli dopo dal vicentinoFrigimelicaonde codesto edificioesaminato in tutte le sue partipresenta tutte le vicende della grandezza veneziana negli ultimi suoisecolie dei trapassi del gustorappresentati da variarchitetti. Che se anche oggipur nell'abbandono in cui èlasciatoserba ancora qualche significatosi figura il lettore quelche nel secolo passato dovesse parere al visitatore intelligenteinuno di quei giorni in cui la ricchezza del proprietario Alvise Pisanilo apriva alla folla dei patrizj e delle altre classi distinte; quelche dovesse parer nella notte in cui lo dischiuse per festeggiarel'arrivo del conte Algarottiil quale in quel tempoperstraordinario beneficio di fortunasedeva re di tutti i regni dellescienze e delle arti. Erano le tre ore di notte; risplendevano tuttele finestre della facciata che guarda il Campo San Stefano. Le duestatue ozioseche stanno a' fianchi della maggior portaavevanoavuto anch'esse in quella sera l’incarico di portare un granfanale sulla testa; risplendeva tutto il lato del palazzo che guardail rio; e più servi con torcie a vento stavano sulle duescalee per cui si ha accesso al palazzo da quella parte appunto; eratutta illuminata la lunga calletta per la quale il palazzo ha unacomunicazione col Canal grandesulla scalea della quale stavano purealtri servi con torcie a vento per ajutare lo sbarco dalle gondoleaccorrenti. Dalla parte del campo venivano a frotte di duedi tredi quattro gentiluomini e gentildonnepreceduti dai servi collampione. Il Canal grandeper quanto spazio misura la linea di due otre palazziera tutto pieno di gondole con gondolieri schiamazzantiad aprirsi la viachi verso l'approdo della callettachi verso ilrio interno. Gl'invitati che veniano dal campos'incontravanonell'atrio con quelli che arrivavano dal rio; e quand'eranoforestieri o veneti di terra fermasi soffermavano a guardare illeone rampante scolpitoche era lo stemma di casa Pisanicollaspada da un latola mazza e l'elmo dall'altro; e i fanò dellegaleazze che già avevano rischiarate le vittorie del gloriosoVittor Pisani. Tutti costoro poi si incontravano nell'ultimo cortilecon quanti vi approdavano dal canalee insieme salivano lo scaloneed'una in altra anticameraentravano nella maggior salala cuivôltadipinta dal Guaranaè sorretta da molte colonnecorinzieoggi mostranti il gretto legnoallora tutte splendided’oro nel capitellonelle scanalaturenella base.
Inquella sala v'era uno scompartimento apposito per l’orchestra epei clavicembali.
L’accademiadovendosi incominciare ad ora più tardala folla deivisitatori traeva di sala in sala ad ammirare gli sfoggi straordinarjdi quel palazzo e di quegli appartamenti: i dipinti di TiepolodelTiepolettodel Canaldel Rizzidel Cignaroli; i damaschiisoprariccigli arazzi della fabbrica privilegiataalloracelebratissimadelle sorelle Dinile quali ritraevano un assegnoannuo dalla stessa Repubblica. E segnatamente si trattenevano adesaminare a parte a parte le ricchezze d'ogni guisa che risplendevanonella così detta sala d'Apollo dipinta a chiaroscurodall'Amigoni bergamasco. Se non ci tormentasse la noja delledescrizionionde amiamo dipingere a sguazzo con pennelloscenografico e in istile piazzosopiuttosto che col pennello minutodei Fiamminghivorremmo riprodurre così al vivo il palazzoPisani di dentro e di fuori in quella serata musicaleche il lettoredovrebbe confessare che oggidì per questo lato la ricchezzapar miseria; e quando pure dà il caso che taluno vogliasfidare il passato per superarlonon riesce che ad essere la scimiache imita il padronee provoca il riso invece della meraviglia;perchè c'è una cosache distingueva i nostri buonivecchied è l'armonia che univa la loro persona e i lorovestiti colle proprie abitazionile suppellettiligli addobbiletappezzeriegli ornatile pitture onde si circondavano. Oggi inveceil cilindro del secolo decimonono copre una testa colla barba diCarlo Vo i mustacchi a coda di topo di Tamerlano. Oggi il monotonoe gretto frack di panno neroe i calzoni attillati del maritosismarriscono nelle volute e nelle sinuosità del guardinfanterisuscitato dalla moglie ingrossata. Oggi il signore sotto i solid'Italia porta il soprabito di guttapercache ci fa sentire ilribrezzo delle nebbie inglesi impregnate di filigine; mentre poi sulserpe della carrozza parigina il cocchiere reca l'impronta di unavecchiezza anticipata sotto la parrucca a tre giri del senatorTredenti; e nelle case la stessa sconcordanza perpetuae negliaddobbi e negli ornati sempre una ricchezza senza logica e cherinnova l'immagine oraziana del mostro equino.
Rifacendocicoi nostri personaggia tre ore di notte Amorevoli portossi alpalazzo Pisanidove s'incontrò in Luchino Fabrismusico digran meritoimitatore fortunato del celebre Egiziello. Essi eransitrovati insieme viaggiando più voltee avevano strettaamicizia; maper combinazionenon eran mai stati scritturati acantare insieme nè in un medesimo teatro nè in unacittà medesimaonde si conoscevano per famae avevano ildesiderio di sentirsi a vicenda.
—Ho caro assai di vederti quidisse il Fabris ad Amorevoliefinalmente udrò la tua voce.
—Ed io avrò il dispiacere di fartela sentire in un cattivomomentodisse Amorevoli. Non sto niente di lenae cento cose mi dannoja.
—So tuttoamico mioma sono ingredienti quelli che non scemano puntoil colorito al canto. Tu vedrai la contessae...
Amorevolifinse di aver preoccupata l'attenzione a qualche oggettoe nonrispose.
—Credo bene che la bella lombarda verrà stanotte quicome s'è mostrata altrove in questi giorni addietro... Ma tuguardi Apollo in quadrigae non ci senti da quest'orecchio. Puresetu tacitutti parlano. Dammi dunque retta. Sento che c'è quiil marito della contessa...
—Anche questo si sa?
—E che mai? pretenderesti forse che del duello col giovine Emo nonfosse trapelato nullaquando cameriere e cuoco e guattero sono statitestimonj della scena?
—E come si racconta la cosa?
—Sta tranquillo; tu ci fai buonissima figura. Ma ora si vuol saperecome riuscì il duello... è il discorso di tutti... Nonsai nulla tu?
—Nulla affatto. Sono andati in Terra Fermafuori un tratto delterritorio della Serenissima per scansare certa legge che li avrebbecolpiti. Però non se ne sa nulla ancora. Lasciamo dunque chetutto vada a beneficio o maleficio di fortuna; e dimmi chi èquel cosino là smilzo e pallidocolla collana e il medaglionee la croce in petto... Tu hai cantato per due stagioni l'una dopol'altra a Venezia... e questa che s'innoltra sarà la terza...Devi dunque avere la città tutta quanta in sul palmoe sapervita e miracoli di ciascuno come un barbiere.
—Davvero che di questa città ormai conosco il dritto e ilrovescio come se fosse la mia giubba. Ma non domandarmi chi siacoluiperchè non l'ho mai veduto nè qui nèaltrovenè in piazza.
Dicendoquesto il Fabris si volse a chi gli passava pressoe chiese il nomedi quel gentiluomo.
—Chi è colui? rispose l'interrogato con un sorriso secco eamaro. Ma gli è forse permesso ignorarlo? Esso ènientemeno che il re della festa.
—Chi? il conte Algarotti?
—L'Algarotti... sì signori... plebeo di Veneziacontedi Prussiaciambellano di S. M. il Re Federicocavaliere delMeritoconsigliere intimo del Re di Poloniaconsultore del duca diSavojadi quello di Parmadel Papa; membro di tutte le universitàsocio di tutte le accademie che furonoche sono e che saranno:astronomopoetapittorearchitettosuonatore di violino... Dimolti si suol dire che cosa è... di costui bisogna dire checosa non è... Tuttavia quel ch'ei valga davverolo siconoscerà da qui a cinquanta e meglio ancora da qui a centoanni. Intanto ha la tossee un polmone che si rifiuta a fare il suosolito servizio. Padroni riveriti.
Cosìdicendoquel gentiluomo si mescolava tra folla e folla.
—Che costui sia un qualche letterato o poetarazza invidiosa emalefica? disse il musico Fabrisil quale scontrandosi in quel puntofaccia faccia con un uomo tutto vestito di neroalto e magroch'eiben conosceva:
—Signor abatedissevorrei sapere il nome di quel giovinotto lìalto e stecchitocon cui testè ho parlato e che or sorride aquella dama.
—Se non amate ch'altri vi tagli i panni addossofate di scansarlo...Egli è il conte Carlo Gozziil quale ha il cervello fatto difegatoonde se schizza fiele e bile ad ogni parolala cosa ènaturale.
—Addio Luchinoe via.
—Chi è questo prete? domandò Amorevoli al Fabris.
—È il celebre abate Chiari.
—Ma perchè non presentarmi a luiche lo avrei ringraziato?
—Di che?
—Del favore che da qualche anno mi fa tutte le notti. Sullo stipoaccanto al letto io tengo sempre una tazza d'acqua di gomma e unromanzo dell'abate. Prima di dormire bevo due goccie di gommaeleggo due pagine di romanzo. La gomma mi fa morbida la golalepagine mi fan morbido il sonno. Se mi svegliobevo altre due gocciedi gomma e leggo due altre pagine di romanzo; così conservo lavoce e la saluterintuzzando la veglia. Se c'incontriamo ancora inluiti prego di presentarmi. È un mio benefattore.
—Se tu metti i suoi romanzi insieme coll'acqua di gommabuon padrone.Ma non si fa così a Venezia; parlo delle donne e del pubblicoche legge avidamente i suoi libri; che corre in folla alle suecommediee schiamazza d'entusiasmo; e lo supplica a dar semprequalcosa di nuovo; e sì che l'abate sembra una fontanaintermittenteche cala per crescer sempree annaffia tuttiquanti; eppure tutti si senton arsi.
Aquesto punto un maggiordomo della casa s'accostò al Fabrissignificandogli che il signor conte padrone chiedeva di lui edell'amico suo. Questi lo seguirono nella massima saladove il conteAlvise Pisani sedeva accanto al conte Algarottiintorno al qualefacevano ampia corona molte persone.
V'erail Canalettoa lui particolarmente devoto per la protezione che neaveva avuto. Esso tornava allora dall'Inghilterradove avevaraccolto molto danaro; e dalla Sassoniadov'erasi recato a portarvidue suoi quadri per interposizione appunto dell'Algarottiil qualeaveva avuto incumbenza dall'Elettore di acquistar opere adarricchire la galleria di Dresda. Con lui stava discorrendo l'amicosuo Tiepoloquegli che di stupende macchiette gli ornava leprospettive animandole di vita e rendendole più importanti perlo studio dei costumi e delle foggie. Il Tiepolo era tornato difresco da Milanodove avea dipinta la vôlta della maggior salain casa Clerici. De' letterativ'era il Gozzi Gasparee il senatoreSeghezziil quale stava in quel punto presentando all'Algarotti unfanciullo di undici anniautore in quella così giovane etàdi due o tre poesie in dialetto venezianoche aveano fatto il girodella città. Ed era quel Gritti che doveva poi riuscire nelvernacolo veneziano ciò che il Maggi era stato nel milanese.Ma di tutti mancava il primomancava il Goldoniil quale era andatoa Torino a mettere in iscena il Molière. L'Algarottidava belle e graziose parole a tuttima con quel fare di affabilitàconvenzionale chese indispettiva fieramente Carlo Gozzinonpiaceva troppo nemmeno al più mite Gaspareche giuocava discherma coi complimenti onde il conte gli era cortese riguardo allafondazione di quell'accademia de' Granelleschi chefin dal 1740iniziata per celia e portando sempre la maschera della mattagiovialitànel fatto era però diventata ilconservatorio della buona lingua italiana.
—Ellasignor contemi dà lodi che son dovute ad altricosìdiceva Gaspare Gozzi. Ecco il vero fondatore dell'accademiail suomassimo sostegnoil suo principe perpetuo; e dalla schieracircostantepigliando pel braccio un pretino rachiticolo presentòal conte dicendogli:
—Questi è il celebre abate Sachellaril'arcigranellone; siprovisignor contea interrogarloe sentirà parole disapienza.
QuelSachellari era un originale curiosissimopieno di goffaggine e diorgoglio. Quando parlava faceva smascellar tutti dalle risae piùquando recitava gli stolidissimi suoi scritti. Tuttavia quelloscimunito aveva data l'occasione perchè si adunassero lemigliori intelligenze di Venezia. In prima era stata una gara a chilodavalo di più con componimenti berneschi; poi da quella garanacque la celebre accademia in cui risplendette più che mail'ingegnola vena poeticail briolo spirito satirico di GaspareGozzi.
—La testa di costuicaro Algarottiè come quella de' mieidetrattori.
Chidiceva tali parole era il padre Carlo Lodoliche nel convento di sanFrancesco della Vigna teneva aperta scuola privata a molti giovanipatrizj e facoltosied era stato maestro anche all'Algarotti.Istrutto in molte scienze e lingue e nell'arte architettonicaegliaveva ottenuta grande rinomanza per avere tentato di distruggeretutti i principj fin allora invalsi nell'architetturanegandoobbedienza all'autoritàdetronizzando Vitruvioeintroducendo quella filosofia architettonicache turbò disottigliezze e astruserie le mentionde per libidine di opposizionefece poi più tenaci dell'imitazione gli architetti pratici.Del restoquelle parole ch'esso aveva pronunciate erano dirette adue architetti là presenti: il Poleni che avrebbe battutomoneta falsa per Vitruvioe il Temanza che aveva scritto un opuscolocontro di lui e di quellesecondo il parer suodementi dottrine.Il Temanza non rispondevae ammiccava allo zio Scalfurottol'architettore di san Simone Maggiorementre ridevan tra loro ilMassariche stava in quel tempo edificando i Gesuatied ilLucchesi che eresse san Giovanni in Oleo e l'Ospedaletto di sanGiovanni e Paolo. Per altro se il Temanza s'accontentava d'ammiccaree tacere e lasciar che svampasse l'iracondo e dotto fratedipendevada ciòch'ei sapea assai bene come nessuno desse ragione alsuo avversariomentr'egli era lodato ed ammirato dai piùcelebri architetti ed archeologhi d'Italiaed invitato dai piùfacoltosi patrizj di Veneziadelle cui mense ei teneva gran contoperchè s'egli era celebre come architetto civile e idraulicolo era pure come insaziabile mangiatore. Ma il conte Pisanivisti ilFabris ed Amorevolili presentò in prima all'Algarottipoial P. Vallottiil celebre maestro suonator d'organo del Santo diPadovaed a Tartinie disse loro:
—Or tocca a voi. A momenti sarà qui il doge e il procuratoreFoscarini e i signori Diecie converrà incominciare.
Ilmaestro Galuppiche in que' giorni era passato a Venezia aconcertarvi l'opera in musicasi alzòe volgendosi congrande rispetto al P. Vallottiil quale allora era stimato nell'artedei suoni quel che oggi il professor Bordoni è stimato nellascienza dei numerilo supplicò a volere esaminare i pezzi dimusica da eseguirsi in quella sera.
Vallottisi volse a Tartinie:
—Avete vistovoi? gli disse.
—Io conosco la musica che devo eseguir iodell'altra non so. Ma chiha a cantare dee far quello che più gli piace.
—Però sarebbe ottimosoggiunse il P. Vallottiche alla musicadi camera non si mescolasse mai la musica di teatro.
—Io ho alcuni madrigali dell'abate Clari e dell'abate StefanidisseAmorevoli.
—Ecco un artista di buon senso.
—Per metàmaestro. Perchè ho anche un recitativo diVincie due arie del Pergolese e di Jomelli; il pubblico vuol essereaccontentato anch'essoe se dieci gustano Clari e Stefanimillecomprendono la musica teatraleanche perchè l'hanno sentitaad eseguire più voltee vi recano un giudizio piùammaestrato dall'esperienza.
—È questa un'ottima ragionedisse l'Algarotti.
—Pessimaentrò a rispondere il P. Vallotti che aveva la stizzadel fratedel vecchio e del profondo scienziatodisprezzatore degliuomini superficiali e chein quanto all'Algarottinon avea potutosopportar la lettura di quel suo trattatello sulla musica.
Mal'Algarotti non si scontorse punto a quella cruda opposizionemasorridendo blandamente:
—Ognuno porta l'opinione suadisse. Bensì mi rincresce diaverne una che sia opposta a quella di un sì grand'uomo qualsiete voi.
L'Algarottiera statogià ognun lo saalla Corte del Re filosofola cuifilosofia consisteva nel volere all'ultimo essere adulato. Era statocol Re di Poloniail quale non amava certo di essere strapazzato dailetterati. S'era trovato in Francia con Voltairecon Diderotcontutte le altre colonne della Francia nuovae seppe sì benfare che quei grandi uomini avevano lui in conto d'uomo grandissimo.La società di mutuo incensamento non è una invenzionedi questi ultimi anni. Essa fioriva anche nel secolo passatoel'Algarotti ne poteva a buon diritto essere il presidente.
Maintanto che i signori virtuosi maschi e femminee i signori maestridi musica e i signori professori di violinodi violadivioloncellodi contrabassodi clarinodi claronedi flutad'oboèecc.recavansi nello scompartimento a loro assegnatonella gran sala delle colonne; il maggiordomo e i camerieri facevanoun giro per gli appartamenti dov'erano disperse le dame co' lorocavalierionde invitarle a sedere nella gran sala.
Ein poco tempo s'eran tutte infatti messe a seder là in piùfile disposte a semicerchio intorno al seggiolone del doge e delladogaressapress'a poco come le deità dell'Olimpo intorno alGiove nel quadro d'Appiani. E per verità ch'era quello unnuovo olimpoolimpo terrestre e palpabilemigliore assai delmitologico. Olimpo di ricchezzadi splendoredi gioventù edi bellezza.
Amorevoliche stava più in alto sulla gradinata dell'orchestrainnanzial clavicembalovolse lo sguardo in quella via lattea di pupilletremule; ma nella patria dei grandi occhi lucenti non vide gli occhiche cercava. La contessa Clelia non c'era. L'estroche un momentoprima lo aveva eccitatoleggendo col P. Vallotti un madrigaleerotico del Clarigli svampò in quell'infelice ricerca echinò la testa avvilito. In quel punto entrava il doge chegirata intorno la testa e messosi a sedere vicino al conte Alvisetosto gli domandò con grande sollecitudine:
—Non avete ancora veduta la contessa Clelia V... di Milano?
Orche relazioni potesse avere il doge Grimani colla contessa e qualcosa lo sollecitasse a di lei riguardo vedremo fra poco.


IX


Seil labirinto dedaleo in cuisenza sua colpasi trovòimpigliata la contessa Clelianon fosse un fatto incontrastabileche fece parlar tanto i nostri buoni vecchi cento anni fae che unasecca mano registrò in carta grossa; perchè il tempo el'umido de' muri solitari non bastasse a distruggerlae cosìpotesse pervenire alle mani di un postero incapace di custodire isegreti; se tal fatto adunque non fosse una veritàirrefragabilenoi gli avremmo negata ogni fede quando lo avessimoudito da uno di quegli uomini avvezzi a inventar frottole. Perchèpassi pure tutto quello che fin qui è avvenuto a Milanopassila maledetta fortuna per cui un semplice dialogo tagliato in mezzo daun cancello efino ad un certo puntoanche innocentemise inpiazza i pudibondi arcani di una gentildonna; mentre piùspesso quella stessa iniqua fortuna sa conservare intangibilel'aureola penelopea a chi s'intrattiene a lungo in dialoghi senzacancello; passi dunque tutto ciòe passi la fugae passi ilricovero di Venezia: ma ciò che veramente ci fa intolleranti efremebondi per quella sventurata contessaè l'infestacombinazione della scrittura teatrale del tenore che cambiò lasede della malattia senza distruggerlaanzi aumentandola a piùdoppj.
PoveraCleliaseduta presso la finestra della sua cameracolla facciamestissima e gli sguardi profondi rivolti macchinalmente al cieloanzi alla lunaalla luna fredda e incapace d'intenerirsi pernessunomentre pure da tempo immemorabile si gode la fama dipietosa.
Poverainfelice Cleliagettata e trattenuta dalla fortuna tra un amantefatale e un marito funestoin una terribile vicinanza e dell'uno edell'altro; dell'uno e dell'altroche pure coraggiosamente efortemente avea fuggiti.
Almenocoloro che si picchiano il costato per ogni nonnullae sonoinesorabili accusatori delle debolezze altrui le voglianotener contoper tutto quello che potrebbe succedere inavveniredi questa prima violenza usata contro sè stessa!
Chèanzinel punto ch'ella guardava la lunastava precisamentecompiendo contro sè medesima una seconda violenza. Se donnaClelia fosse cotta e stracotta dal desiderio di rivedere Amorevolilo pensino i giovinotti che non hanno ancora venticinque anni e cheper un occhiatasìper un'occhiata (anche noi abbiamo avutoi nostri verd'anni!) farebbero due volte di nottenon che unailtraverso dell'Ellesponto; lo pensino le fanciulle che non hannoinnanzi agli occhi che un unico oggetto; lo pensino anche le donneche hanno più di venticinque anni e son compromesse in qualchepericoloso contrabbandomentre la guardia di finanza batte lacampagna. Donna Clelia dunqueci rincresce dirloma la veritàè una soladesiderava di vedere Amorevoli con un ardorecontale ardoreche noi amanti della buona bottiglia e della coppa dimanzonon possiamo nemmeno concepire. Tuttaviacon sìsmisurato ardore nell'animonon si mosse dalla sua cameraeresistette agli inviti della moglie dell'illustrissimo conte AlvisePisani. Non si mosse per non incontrarsi in coluinegli occhi suoiper non sentir la sua voceper non provocare nuovi parlariper nonessere cagione di nuovi scandali; nè si creda che la paura delmarito abbia potuto influire sulle sue deliberazioni. Noal maritonon pensavanè poco nè assai; lo fuggiva colla mentecome allorquando si torcono gli occhi da una imagine disgustosaepassava ad altro; onde il timore non potè mai padroneggiarla.Solo pertanto il fermo proposito di non voler vedere Amorevoli latrattenne in casa. Però se questa non è virtùnoi non sapremmo invero dove andarla a pescare. Seduta a canto aquella finestraella sentì suonar duetrequattr'ore alcampanile di S. Poloquando un cameriere venne ad annunciarle che ilconte Alvise Pisani domandava d'essere introdotto.
Introdottoch'esso fu:
—Mi rincrescecontessaegli dissed'essere stato costretto arompere il silenzio della vostra camera. Mavoi non avete voluto appagare il desiderio vivissimo che avevamodella vostra presenza nella mia casa in questa sera; vi supplico avoler essere cortese all'invito che per mia bocca vi manda il doge.
—Il doge?... e che... non ho io nessuna volontàcaro contedioccuparmi stasera in discorsi d'astronomia.
Perchèil lettore possa comprendere queste paroledee sapere che il dogeGrimaniuomo dottissimoera particolarmente versatonell'astronomiae però la prima volta che gli vennepresentatain un'altra serata musicalela contessa Cleliasapendoquant'ella fosse istrutta in codesta scienzas'era compiaciuto diintrattenersi con lei in argomenti affini; e per quel discorsoches'era prolungato più di quello che parea comportare unaconversazione di diportoesso avea fatto una così alta stimadella contessache parlandone poi a moltiavea contribuito adaccrescere più che mai la voga in che era venuta la bellalombarda.
—Mi pare che non si tratti d'astronomiarispose il conte Pisani. Ildoge ha bisogno di parlarvi per cosa d'importanza.
—Il doge? ma perchè il doge? domandò allora la contessaalquanto turbatae alzandosi da sedere.
—Vogliate essere tranquillacontessa. Il doge non mi disse veramentedi che si trattassema il suo aspetto era calmo. Onde non è atemere di nulla. Forsechi sasarebbe occorso che vi presentaste aiDieci. Ma i Dieci e il doge hanno forse voluto cogliere l'occasionedi un ritrovo quasi pubblico e di una spontanea intervista perpotervi parlare. Del rimanente un tale desiderio del doge ènoto a me solo. A voi pertanto non resta che di accettare l'invitodella contessa mia mogliee onorare l'accademia della vostrapresenzacome naturalmente avreste dovuto fare se foste stata un po'più amica di noi.
Lacontessa stette un istante in silenziopoi disse:
—Ebbeneverrò...
Eun impeto di gioja occultamente le innondò l'animo; la giojadel trovarsi costretta a far quello che assolutamente non avrebbe maifatto per sè stessama che aveva desiderato con ansiaaffannosa.
Ilconte Alvise partì. Ella chiamò le camerieree:
—Mi è forza andare in casa Pisani; ajutatemi come si puòmeglio e di gran fretta a vestirmi.
Ellatremava in tutta la personae il fuoco dalle membra convulse le erasalito sul volto. La pupilla erasele fatta ardente più delconsuetoe un raggio insolito le lampeggiava tra ciglio e ciglio.
Arecarsi in casa Pisani per volontà propria erale in primasembrato una colpa gravissimaonde s'era trattenuta in casa; ma leparole del conte Pisani le avean fatto parer quella visita un attoindispensabile; sicchè il desiderio le fece afferrare concieca fidanza quel pretesto per illudersi da sè medesima. Nonriflettevanochefermamente volendonon aveva nessun obbligo dipiegare nemmeno all'invito del doge. Ma provava un'esaltazione pienad'ebbrezza e quasi voluttuosa nel pensare d'aver quell'obbligoed'essere costretta a rivedere colui; d'altra parteper le consuetearcane fantasie della mentele pareva quello un decreto espresso deldestinoe si consolava come di un presagio felice.
Nonbastandole il tempo e mancandole la vogliasi scelse vesti eacconciatura semplicissima. Avvolse i capelliche aveva in grandisordine e non potevansi così presto disporre a paratainmolti giri di una ciarpa di pizzo bianco di Gandfoggia alloraparimenti usata; puntandola davanti in sul confine della fronteconun grosso diamante che solo bastava a dar splendore ed aura d'Olimpoa tutta la figurae senza più se ne uscì.
Venutain Canal grandeerano affollate tante gondole nello spazio checorreva presso al luogo dell'approdo dalla parte del canaleche ilsuo gondoliere piegò verso il rio e si fermò alla primascalea.
Lacontessa discesepreceduta dal servoe s’indugiòperplessa sotto l'atrio che mette allo scalone...


Esoffrirò che sia
Sìbarbara mercede
Premiodella tua fedeanima mia?
Tantoamortanti doni!
Ah!pria ch'io t'abbandoni
Peral'Italiail mondo.


Laprima sillaba della parola mondo del celebre recitativo dellaDidone di Vinciusciva dalle finestre del piano superioreportata a volo da quel medesimo do sopracuto onde Amorevoli lasera prima aveva fatto salire in furore il conte V... La contessasubì la sorte di chi s'affaccia per veder la battagliaesenza più è colto nel petto da una palla che fischia.Fu per caderesì le forze le mancaronoa quella vibrazionesonorae dovette appoggiarsi al servo.
Applausifrenetici seguirono quel do privilegiatoche aveva il donodella forza insieme e della soavità. E il recitativo continuòe venne la cadenza alle parole Numiconsiglioin cuila nota tenuta di un si bemolle di prodigiosa limpidezza ecome dicono i maestridi argentina sonoritàattraversògli spazi dell'ariae non pareva voce da uomonoma quella bensìdi un essere soprannaturaleincaricato di dar qualche buona notiziaai mortali.
Insistiamosu codeste qualità della voce d'Amorevoliin prima perchèi suoi contemporanei ne parlano come d'un fenomeno non mai piùudito; poi per far comprendere ai lettori che non v'è nulla almondo di più penetrante negli umani petti di una voce inquella chiave; intendasi sempre quando è bellaperchènon bastano i soli suoni a renderla pregevole. Molti uomini storicidenno ascrivere la loro fortuna all'avere avuto in dono una voce inchiave di tenore. Il re Davide sarebbe stato trapassato dalla lanciadi Saulle impazzitos'egli non lo avesse placato col solcolla e col si d'una soavità arcangelica. Eginardolo storico fu per la stessa ragione se invaghì Emmala figliadi Carlo Magno. Rizio e Monaldeschi erano tenori di mezzo caratteree innamorarono due regine. Sarebbe però stato meglio per lorol'aver avuto tutt'altra vocechè probabilmente sarebber mortiin pace al loro letto. Ma ciò non significa nulla contro ilnostro assunto. La voce di soprano sfogato ferisce le orecchiemanon lascia nulla nel cuore; la voce di basso provoca il rispetto manon l'affetto; ci sarebbe la voce di contraltoma nei sùbititrabalzi dai suoni gravi agli acuti compromette troppo sovente ibuoni successi. Soltanto la voce di tenore impera sugli animi. Ilgobbo Tacchinardigobbo e nanoed arieggiante più ilmandrillo che l'uomopotè ai suoi bei tempi dispiegare lalista di Don Giovannitanti capi femminili ei fece girare! chèl'orecchiolusingato dal suono maliardo della sua vocelavoravainsidiosamente sugli occhiinnanzi a' qualicome a' tempi del magoMerlinousciva il silfo dal nanoil genio alato dal diavolo collecorna. Dopo tuttovogliam dire con ciòche se una donnas'innamora d'un tenorenon pretenda di poter bere l'oblio nemmeno inAcheronte; e se qualche giovinotto ha per rivale un tenorefacciaconto d'esser tisico in quarto gradoe di dovergli senza piùfar la regolare cessione del suo tesoro.
Noncreda però il lettore che codesta sia una malizia di chiscriveper far le lodi della propria voce; tutt'altro; chi scriveebbe in sorte la voce di basso; soltanto gli toccò in donoquasi a titolo di compensoun fa diesis squillantedi cui sigiova per aver ragione nelle dispute fracassose cogli amici.
Matornando a donna Cleliaconquisa dalla voce d'Amorevoliella sitrattenne sotto l'atrio premendosi il cuorefinchè ilrecitativo si svolse nell'aria:


Seresto sul lido
Sesciolgo le vele
Infidocrudele
Misento chiamar.


Eintantoconfuso
Neldubbio funesto
Nonpartonon resto —
Maprovo il martire
Cheavrei nel partire
Cheavrei nel restar.


Doveappar chiaro come i fervori della passione congelassero nell'animafredda di Metastasio in tante formole precise e quasi aritmeticheavverse al genio della poesia e del dramma.
Mala musica di Vinci aveva l'abbandono e lo slancio e il sentimento chemancava a quelle strofe; e Amorevoli vi mise nel renderla la duplicevirtù dell'arte più squisita e dell'animo il piùardente.
DonnaCleliacome i battimani rintuonarono nei cortili:
—Or si può ascenderepensòe fatto lo scaloneentrònelle sale.
Iservi di casa Pisaniche la stavano aspettandomossero a dimandareil conte padroneche accorse tosto a riceverla.
Precedutada lui fece l'ingresso nella maggior sala. Il fremito dell'applauso edell'entusiasmo recente che ancor durava là entrocessòdi colpo alla sua comparsae vi successe un profondissimo silenzio.Tutti gli occhi furono fissi in lei. Il conte Pisaniper toglierladall'imbarazzo in cui la vedeva impigliatasi volse tosto al conteAlgarotti dicendogli:
—Ecco la contessa Clelia V...de' cui talenti avete sentito aparlare. E l'Algarotti si alzò e venne a sedersi vicino a lei.Anche il doge la guardò da lungecon atto di affabilissimacortesiae parve dirle:
—Ci parleremo dopo con maggior comodo.
Lacontessa intantorispondendo macchinalmente alle gentilezze delconte Algarottiguardava di furto allo scompartimentodell'orchestradove Amorevoli era investito dalle congratulazionide' suoi colleghi: da Luchino Fabrisdall'Aschieridalla Turcottidal P. Vallottiche nella sua severità gli batteva una spallain atto di protezione; dal violinista Tartiniuomo di febbrilevivacitàche ad attestargli la sua soddisfazione gli andavasquassando un braccio. Nè Amorevoli erasi ancora accorto dellacomparsa di donna Clelia. Bensì il musico Fabris gli parlòall’orecchioe l'avvisò dell'arrivo di lei.
Amorevolisi volse lentamentequasi che non fosse fatto suo...
Medesimamentela contessa Clelia non fece atto nessunoe stette immobile comeun simulacro marmoreo. Solo incontraronsi i raggi delle loro pupillee benchè gli astantiche da quell'incontro s'erano atteso unacatastrofedicessero fra loro: Bada ch'ei pare non siconoscano nemmenopure l'effetto dell'incontro di que' raggi nonpuò esser reso che in parte da quella strofa fremebonda dellaParisina


Unsospiroun senso arcano
D'unamor maggior d'amore
Trapassòda cuore a cuore
Edi gioja l'inondò.


Intantoil conte Algarotti andava circuendo di domande scientifiche lacontessae d'una in altra notiziarispondendogli ella pure alcunche macchinalmentela intrattenne dell'astronomo Lieberkamconosciuto da lui a Dresdaquegli che nel 1743 avevainventato il microscopio solare; e le parlò del celebreClairutcolui che avea fatta la dimostrazione dello schiacciamentodella terramediante l'attrazione e la forza centrifuga. E lacontessaalla sua voltasi trovò costretta a chiedergliconto di Bougerl'inventore dell'astrometroe ad informarlo d'unlavoro che in que' giorni il P. Frisi di Milano stava meditando sulmoto diurno della terrafacendo uso dell'analisi geometrica diNewtonper mostrare che un tal moto non poteva essere impedito dallemaree. Ma se il microscopio e l'astrometro e la forza centrifuga el'analisi geometrica di Newton fossero compatibili collo statodell'animo di donna Cleliaognuno lo può pensare.


X


Intantoche il conte Algarotti e la contessa attendevano a parlar di scienzeesattepassava quel quarto d'ora o quella mezz'ora di riposoin cuii vecchi pigliano il tabaccoi giovani susurrano qualche parolaall'orecchio delle giovanie queste pigliano il sorbetto o l'acquacedrata.
Tartinicessato di scrollare il braccio ad Amorevoli in segno d'entusiasmo:
—Sentidissequi il nostro Luchino Fabrisquesta seconda edizionedi Egiziellom'ha raccontato le tue storie e i tuoi amorie sonocontentissimo di te. Così va fatto. Anch'io a vent'anni misigli occhi addosso ad una fanciulla dell'alto cielo. Hanno tantoorgoglio questi signori che si chiaman lustrissimi eson così persuasi d'esser fatti di tutt'altra pasta dellanostrache di tanto in tanto conviene che qualcuno metta loro ilcervello a partitoe li faccia persuasi che è piùnobile di tutti chi è più giovanepiù bello epiù bravo. Ecco i tre quarti della nobiltà vera; quelloche manca a fare i quattro quarti sta nella ricchezza che col meritouno s'acquista. Dunque tu sei un nobile degno del tosone; e giacchèa Milano non avevi amorihai fatto benissimo a sceglierti qualchestella del cielo supernoe a dar dentro in un marito borioso. QuiLuchino mi ha detto che jeri tu eri prontissimo a batterti con luied egli ha rifiutato per orgoglioond'altri ha preso le tue veci. Maciò non va bene; voglio conoscerlo io questo signor contelombardo. Già tu sai che la mia prima professione fu quelladello schermidoree fu un tempo in cui volevo metter sala d'armieanche oggi non so chi abbia occhio più acuto e braccio piùfermo del mio. Dunque lascia fare a me a trarre in ballo questosignor conte; che se ricuseràlo assalirò di trattosenza dirgli nè asinonè bestia; ondese gli ècara la vitadovrà pur mettersi in sulla parata. Chi sa maicaro Amorevolich'io debba farti il piatto a doveree che il contesia venuto a Venezia per trovarvi una tomba fatta d'acqua salsa ed'alghe marine? Ma a propositodov'è questa signora contessa?Io sto scrivendo qualcosa intorno ai principj dell'armonia musicalecontenuta nel genere diatonicoe in questo lavoro non possodisimpacciarmi da certe formole numeriche. A lei dunquech'ègran matematichessacome sento direvo' dare a leggere ilmanoscritto. Così farò la sua conoscenza. Io giàho cinquantott' annie tu non devi aver gelosia di me.
Mail maestro Galuppia fermare codesta velocissima parlantina delcelebre violinista:
—Ora è venuto il momentosignor magogli disse scherzandodievocare il vostro diavoloe di mettere lo spavento in tutte questeleggiadre gentildonne.
Percomprendere queste parole del maestro Galuppidee sapere il lettoreche in quella sera Tartini doveva eseguito appunto quella suaceleberrima sonatacosì detta del Diavolo da unostrano sogno ch'esso avea fattoe che gli aveva messo il pensiero ditrarne una composizione musicale.
Avendoil Tartinia queste parole di Galuppipreso il proprio violinol'Algarotti dalle matematiche balzò di tratto a parlar dimusica; che era una sua speciale ambizionequando trovavasi conqualche persona nuovadi percorrere tutto quanto l'ambito dellescienze e delle artiper far maravigliare chi l'ascoltavadella suastraordinaria versatilità.
—Non avete maicontessasentito questo prodigioso violinista?
—Non ancora; bensì ho sentito il Veracinidal quale dicesi checostui abbia molto appreso.
—E il Giardini torinese? Il Giardini cantava col violino; ma costui lofa palpitare e fremere e piangere. Si direbbe che il suo strumentosia un essere animato e dal qualepiù che suonisi debbanoattender parole e discorsi. Quando venne a Pragadove io mi trovavacol principe di Prussiach'ora è il re Federico IIperl'incoronazione di Carlo VInessuno sapeva spiegare il modo concui traeva dal violino tanta pienezza e rotondità disuono. Chi pensava fossero qualità speciali della costruzionee del legno del suo violinochi dell'animale che avea date le corde.E nessuno s'accorgeva che il gran segreto era nell'arconel modo digovernarlonella sua pressione sulle corde. Mi diceva il medesimoTartiniche il suo lungo esercizio in gioventù nel tirare discherma gli ha comunicata una tal vigoria nel braccio e nel polsolaquale gli tornò poi utilissima a tenere l'archetto. Ma or oral'udrete e lo giudicherete nella suonata del Diavolo;perchè tutto dev'essere strano e straordinario in costui.La sua vitale sue vicendetuttopersino i titoli delle suecomposizioni. Doveva essere un fratee rubò una fanciullapatrizia. Studiava a Padova per fare il giureconsultoe dì enotte tirava di scherma e ingiuriava or l'uno or l'altroe lisfidava e li ammazzava a titolo d'esercizio. Va a sentir Veracini aFirenzee ne ha tanto avvilimento che si nasconde in Ancona persette anni a crearsi uno stile nuovo d'esecuzionee fare la famosascoperta del fenomeno del terzo suonoa scrivervi suonate acentinajae un trattato sulle amenità del canto. Infinevenuto maestro di cappella al Santo di Padovavi fa un sogno che loesalta sino alla pazzia e gli fa scrivere questa suonata che or oraudretee che si chiama del Diavolo.
—Ma come fu?
—Sognò d'aver fatto un pattoe che il diavolo era al suoservizio. Però gli diede a suonare il proprio violinoper vedere quel che il diavolo ne avrebbe saputo faree ne udìtal cosa che lo fece trasalire. Risvegliato per così violentasensazionedà di piglio al violino per ripetere quel cheaveva uditoma non seppe riprodurrecom'egli asserisceche iltrillo del diavolo a piè del letto. Il resto non è cheuna composizione di sua fantasiae una variazione su quel temama ècerto la più bella di quante ne ha scritte sin qui.
Aquesto punto il maestro Galuppi si mise al pianofortee facendoscorrere due o tre volte le dita sulla tastierarichiamòl'attenzione dell'uditorioil quale fece un silenzio profondoquando Tartini col violino e coll'arco comparve al parapettodell'orchestra.
Neltempo che Tartini faceva correr l'arco sulle corde e regolava ibischeril'Algarotti ebbe campo di sfoggiare la sua dottrinaarcheologica sulla genesi del violinoconfutando Aristofane e Ateneoche fecero il violino coevo ad Orfeoe confutando quelli che lovollero inventato dagli Indiani e donato all'Italia dalle crociate; epiantandosi nell'opinione che vuole il violino figliuolodell'occidentee probabilmente del principato di Gallesetrascorrendo sui varj tramutamenti della sua formadalla violaprimitivaalla viola da braccioa quella da gamba; i quali a lungoandare generarono poi in Francia il piccolo violino.
—Oh che nojacaro signor conte Algarotti. — Per fortuna cheTartini cominciò l'adagio d'introduzionee il conte dovettepermettere che la contessatrasportata dalla seduzione di quellostile incantatos'immergesse con tutta l'anima nell'onda voluttuosadella sua passione. Dall'adagio d'introduzione passò ilTartini al secondo pezzo che è a due tempi e da questo allaterza partela quale consiste appunto nel trillo del diavolo.
Laforzala soavitàil fremitola grazial'estensioneincalcolabile della voce che usciva dal suo violinoerano cose chenon si erano mai udite anteriormente a luie infatti egli era statoil primo a trovare come la forza che deve spingere l'arco debbaradunarsi tutta nelle falangi delle dita; e a far in modo che lamanoall'attaccaturasia così pieghevole che sembri slogata.Da questi segreti venne senza limite accresciuta la potenza delviolinoil qualeallorchè viene sotto la pressione di unamano così ammaestratama che riceva l'impulso da un grantalento musicaleda una fibra nervosa e da un cuore agitato dallatempesta delle passionicome avveniva appunto in Tartinie come lofu poi in Viotti alcuni anni dopoe al grado massimoe fuori quasidei limiti naturaliin Paganini mezzo secolo dopoè lostrumento che più fruga ne' precordj a mettere in esaltazionelo spirito. Non era dunque codesto il farmaco migliore pei nervi inparossismo della contessa!
Dopoil pezzo di TartiniLuchino Fabrisl'imitatore di Egizielloebbela disgrazia di cantare l'arione dell'Euridice cheper verità era il suo cavallo di battagliama doponondiremo l'entusiasmoma le convulsioni provocate dalla suonata delDiavolo non fece nè freddo nè caldo. Tant'èvero che a questo mondo le cose bisogna saperle fare a tempo. Se lasua voce di musico fosse stata sentita in quella sera prima delleoscillazioni tremende delle minugie incantate del violino di Tartiniavrebbe fatto l'effetto che di solito produceva in teatro; ma purtroppo dovette restarsene avvilito e pieno di dispetto.
Equi un altro riposo succedette all'esecuzione di que' due pezzidurante il quale il doge Grimani si alzòe recossi vicinoalla contessa Clelia.
—Io attendevaserenissimo principeche l'accademia terminasseequesti egregi signori si dilungassero in altre saleper poterviparlaree sentir dal vostro labbro per che grave cagione mi avetemandata a chiamare.
—Io spero che mi vorrete perdonarecontessase vi ho fatta venir quiforse contro vostro genio. Ma d'altra parteanche per adesione deisignori Dieciho creduto di non dover farvi chiamare a Palazzocomepure avrebbe portato il debito. L'eccellentissimo Senato di Milanoscrisse al Senato di quie supplicandoci ad usar con voi tutti iriguardi a che la vostra alta condizione e i vostri meriti specialihanno dirittoci diede incumbenza di provvederecome ci sarebbeparso meglioa mandarvi tosto a Milano.
—Io non comprendoaltezza. Chi mi può impedire di vivere inVenezia?
—Noi no; ma il Senato di Milano dev'essere stato costretto a questadeterminazione da qualche circostanza straordinaria che noiignoriamoe che non potete forse congetturare nemmeno voi. Il Senatodi Milanoserbando il silenzio anche colla nostra Repubblicaquantunque per verità avrebbe dovuto parlar più chiaroci ha fatto intendereessere insorta così grave circostanzaper cui è necessario che voi siate sentita in giudizio.
—In giudizio io?
—Dalla lettera dell'eccellentissimo Senato appare che la necessitàdi sentirvi in giudizio sia una conseguenza della cattura fatta diquel lacchè che voi ben sapete aver dimorato per troppo lungotempo a Venezia. Non crederei che si tratti di cagione piùgrave. In ogni modo è bene che non se ne sappia nulla qui...Se noi vi avessimo fatta chiamare a Palazzola città tuttaquanta sarebbesi tosto gettata in un mare di congetture e di diceriee non crediamo che questo v'avrebbe potuto far piacere. Peròabbiateci per iscusati se abbiamo colta l'occasione di questaaccademia musicaleper mettervi a parte del fattoe persignificarvi che domani occorre che vi mettiate subito in viaggio perMilano. Per verità chead adempiere al mandato in modo chenon vengano frustrate le intenzioni del Senato di Milanosarebbeobbligo nostrodovete perdonarci l'amara paroladi assicurarcidella vostra persona. Ma giacchè il Senato milanese ci pregadi avervi ogni riguardocosì interpretiamo la cosa piùampiamente che sia possibilee mettiamo la nostra fede in voi. IlSenato veneto è così persuasocontessadell'incomparabile vostra lealtà che vi lascia in piena balìadi voi stessa.
Lacontessa Clelia stette per qualche tempo in silenziopercossa daquelle parole del dogepoi rispose:
—Non mi sarebbe difficileserenitàindovinare la cagione ditutto ciòse il Senato di Milano mi avesse scrittodirettamente. La cattura del lacchè dev'essere successa peruna lettera ch'io scrissi a Milano; onde parrebbe probabile che ilSenato volesse sentirmi per raccogliere indizj in una questionegravissimache adesso non occorre menzionare; ma l'avere incaricatodi ciò il Senato di Veneziasenza far scrivere nulla a mestessadistrugge al tutto una tale congettura. Peròaltezzami pare come di essere caduta in un abissosenza sapere chi m'abbiadato la spinta. Abbiate però la mia fede che io sarò aMilano religiosamente nel più breve tempo possibileperquanto dipende da me.
Puòparere strano come in questo breve dialogo nè la contessaabbia mai parlato del conte maritoadducendo al doge il fatto ch'eitrovavasi in Venezia; nè il dogeche pur sapeva tuttonon leabbia mai toccato un tal tasto. Ma la contessa naturalmente scansòdi nominare chi poteva farla arrossire. E il doge a cui era statoriferito il fatto del duellotacque perchè e l'autoritàsuprema di Venezia e tutte le altre autorità subalterne avevanl'obbligo di ignorare una cosa chenotadoveva provocare una pena adanno degli infrattori di una legge della Repubblica contro ilduello. Chè tanto alloracome primae come dopoe come oranon possiam dire come sempreil duello costituiva un fenomeno suigeneris del codice criminalepel quale era esso proibito epunito; e nel tempo stesso era punito e svergognato chi non loaccettavae non adempiva agli obblighi assurdi che traeva seco. Ondel'autoritàcome una mamma innamorata dei figlichiudeva unocchioquando sapeva che un Veneziano dava od accettava un duelloesi compiaceva del suo coraggio; mentre poi esagerava nelle ordinanzepubbliche la severità delle frasi contro i trasgressori delleleggi.
Un'altracosa poi dobbiamo far osservare ai lettori che della Repubblica diVenezia e dei Dieci si son fatti un'idea convenzionaletutta nera etutta cupa. Essi avran fatto le maraviglie a vedere il doge parlarein tanta dimestichezzae quasi da privatoalla contessa. Ma delleterribili apparenze dell'autorità la Repubblica facea contonelle gravi bisogne della patriae non in tutte le circostanze dellavita pubblica e privata. D'altra parte la serenissimaè forzaconfessarlonon era più quella de' secoli antecedenti. Lalettera degli statuti era intangibilema le costumanze s'eranovenute attiepidendo. In una parolas'era messa anch'ella in cipria eparrucca ad onta del canal Orfano e del Ponte de' Sospiriche sonogli spauracchi perpetui de' drammaturghi stranieri e de' nostrali chescrivono per gli anfiteatri.
Tornandoora al doge e alla contessaessendosi mostrato il P. Vallotti abatter la solfaperchè doveva aver luogoa chiuderl'accademiaun suo coro fugatosi disgiunsero con atto di reciprocorispetto.
Eil coro fugato venne eseguito tra gli sbadigli dell'adunanzachèesso stava alla musica come il Pape Satan Aleppe alla poesiasebbene Tartini lo ammirasse e ne fosse compunto.
Anotte alta le sale a poco a poco si vuotarono. Quando Tartini sivolse per cercare Amorevoliquesti era già scomparso;scomparso prima che la contessa uscisse dalla sala.


XI


Abbiamolasciato il conte V... e il giovane Angelo Emo intenti ad adempirealle prammatiche preliminari di un duello: di questo mezzo assurdo diriparare le ingiurieil qualenato in seno alla barbariesi èprolungato insino a noie vi s'è piantato in guisa chemoralisti e filosofi e legisti non arriveranno forse mai a sradicarlodel tutto. Almeno i Barbari erano più logici di noi.Dipartivano bensì da una falsa premessa nell'assegnare imotivi a tale costumanzamadopo la premessacessava l'assurdo ele deduzioni camminavano regolarmente. Nel duelloche per loro nonera altro che un modo dei giudizj di Dioessi ponevano per principioche la divinità avrebbe data la vittoria a chi aveva laragione. Codesta credenza spiega la causa primitiva del duelloilquale poteva sussistere fin che le menti rimanevano acciecate dalpregiudizio; ma non si sa più conciliarlo con verun finelogico dal giorno che tutti furono persuasi che la vittoria dipendedalla fortuna e dalla vigorianon mai nè dalla giustizianèdall'intervento divino. Anzi il fatto diventa ancora piùinesplicabile quando si pensa cheprecisamente allora che il mondofu persuaso che Dio non interveniva in codeste prove a fiaccare ilbraccio di chi aveva tortoe a dar forza al debole che avevaragione; precisamente alloraossia nel secolo decimoquintoquandola civiltà sembrò avviata verso la sua massima altezzasorsero scrittori a decine per comporre quella che chiamarono scienzadell'onore e del duello.
Ilegisti di quel secolovolendo giustificare il duellosi piantaronosull'idea dell'onore convenzionalesenza riguardo nessuno alle leggiinvariabili della morale; onde i celebri giureconsulti PassevinoParide del PozzoBaldiGrimaldi e gli altri seguacioffrono ilmiserando spettacolo della scienza intenta ad accrescere occasionealle aberrazioni dello spirito umano. Così il duellonatospontaneamente in seno a popoli barbaricome un mal frutto d'unamala piantafu innalzato all'onore di sistema scientifico dallaciviltàper cui l'errore insegnato dalle cattedreaccrebbe i modi e i mezzi delle offese. Bensì quarant'anniprima del tempo in cui il nostro conte colonnello dovette accettareil guanto dal giovane Angelo Emoquell'autorità dei vecchilegisti era stata messa in brani da un grande e coraggiosissimoingegnodal marchese Scipione Maffeicol suo libro della scienzacavallerescaa cui appose il bel motto nos nostra corrigimus;e quel libro fece senso in Italia e fece senso in Franciae trovòsostenitore del nuovo assunto Rousseau; e forse Luigi XIVfortedella sapienza dell'uno e dell'altromultò il duello collapena di mortee instituì il tribunale de' marescialli; e ilsuo successore accrebbe nell'applicazione la severità allalettera stessa dell'editto. Ma per quanto in quegli otto lustri sifosse fulminato e scritto e parlato contro il duelloil duello eratuttavia all'ordine del giorno; chè il prestigio del coraggioe dello spregio della morte consigliava indulgenza agli stessiesecutori della legge; e più spessonon potendosi infrangerneil dettatose un duello avveniva a drittal’autoritàcome vedemmoguardava a sinistra.
Nèpur in codesto fattonei cento anni che sono decorsinon si puòdire che siasi fatto un progresso. Sussiste ancora il prestigio delcoraggiosussiste ancora la falsa idea dell'onore. Ed anzi crebberoi sofismi e le sottigliezze e i sotterfugi della mente nel cercare imodi di salvare l’onore senza nemmeno fare appello al coraggio.Son noti i molti duelli a' dì nostridovuti indire edaccettareper far pago il rispettabile pubblico che chiama vile chinon discende sul terrenofoss'anco per un nonnulla; duelli cosìben preparati dai pietosi padriniche la vita de' duellanti fu tantoal sicuro sul terreno della battagliaquanto sull'origliere deiplacidi riposi; onde contemporaneamente alla misura delle pistole eall'assaggio della polveree al giuoco de' bussolotti onde si faceanscomparire le palle micidialiil più celebre ristoratoredella città stava ammannendo il più lauto asciolvereeapprestando sulla mensa lieta lo spumante sciampagna. E ciòtuttavia fu decretato potesse bastare per l'onore. Peròstando così le coseed essendovi nell'umanità malattiedel cervello croniche e incurabilisi può ben profetare uncompleto fallimento alle società che in Franciain Germaniain Inghilterra s'instituirono contro il duello; a meno che non vi siconsocii l'autorità costituita fondando i tribunalid'onoreonde provvedano a riparare coi loro placiti a quelleingiurie speciali che fin qui non si credettero vendicabili che dalduello.
Macomunque fosse e comunque sia di codesta faccendaAngelo Emo lopropose e il conte V... lo accettòsenza darsi un pensiero almondo di quel che se ne giudicava e diceva e scriveva dai loro dottie onesti contemporanei. Anzise non il giovane Emoche eraistruttissimoè probabile che il conte V... non sapesse nullanè di Scipione Maffeinè di Rousseaunè ditutta la parte teorica relativa all'abolizione del duello e soloavesse contezza così in digrosso degli editti dei due ultimiLuigi di Francia.
Sirecarono dunque in compagnia dei loro padrini al confinedell'estuario venetoe là da veri gentiluomini che dovevanferirsi senza aver nemmeno nè il bene nè il male diconoscersisi apprestarono a incrociar le spadefermo dagli arbitriche la sfida dovesse esseresecondo la più generaleconsuetudinea primo sangue; il qualesecondo Rousseauèil modo più assurdo di duellopiù assurdo del medesimoduello all'ultimo sangue. Perchèdiceva esso in uno dique' suoi impeti di generosa facondiaal primo sangue?...gran Dio! e che vuoi dunque tu fare di questo sangue?beverlo forseo bestia feroce? Ma questo primo sangue eruppecon un lieve zampillo dalla clavicola sinistra del conte V... afargli rossa la bianca lattuga che gli usciva dal panciotto; zampillolieve di più lieve ferita e che fu giudicata un nonnulla dalchirurgo ch'era presente.
Manon può immaginarsi il lettore come riuscisse profondissima laferita che ricevette l'orgoglio del contee l'ira che provòcontro la fortunala quale diede la vittoria al suo giovaneavversariodi gran lunga inferiore a lui nel maneggio dellaspada. Quell'ira però dovette chiudersela in pettoperchèle leggi della cavalleria non permettevano checompiuta la provadell'armisi facesse il viso dell'armi all'avversarioal qualedoveva anzi cordialmente stringersi la mano.
Adempiutopertanto alle prammatiche posteriori al combattimentoil conte V...e il giovane Emo e i padrini e il chirurgo ritornarono tutti aVenezia.
Ilconte entrava nella laguna che facevano le tre ore di notte. Torbidocom'erae pur non avendo nessun proposito bene deliberato in testadiscese all'albergoeripartitoandò alla casa Salomon doveaveva in animo di recarsi fin dalla prima seraed erasi indugiatoassalitocome il lettore sada cento pensieri in battaglia. Nècosa volesse fareei lo sapeva nemmenodopo ventiquattr'ore; bensìper determinarsiquando fu làpercosse due o tre volte colmartello la porta che rispondeva alla parte di terra.
Leimposte si spalancaronoe si mostrò il guardaportone.
—Non è in casa nessunodiss'eglisenz'attendere che ilnuovo venuto parlasse.
—Nessuno?
—L'ho già detto.
—Allora aspetterò fin che venga qualcuno.
—Quando non c'è nessuno in casaho l'ordine di non lasciarentrar anima vivasignore.
—Non c'è nemmeno l'illustrissima contessa V... di Milano?
—Nemmeno. Ma anche allora ch'ella è in palazzogli ècome se non ci fosse; e non riceve nessunonessuno affatto.
—Ciò va bene. Ma io sono il conte suo maritovenutoespressamente da Milanoe devo e voglio e ho il diritto d'entrare.
—V. S. illustrissima mi perdonima debbo tenere gli ordini. Io poinon so che V. S. illustrissima sia davvero...
—E credi tu ch'io voglia vendermi per quello che non sono? Va làin malora e lasciami entrarech'io stesso parlerà a' tuoipadroni e alla contessa. E così dicendo sforzòa cosìdirel'ingresso; ed entrò in quel lungo androne chenellecase di Veneziamette in comunicazione la parte di terra con quelladel rio.
—Signorequesta è una violenza di cui il padroneche èsenatore...
—Tacie bada a teche nemmeno il diavolo basterebbe a farmi usciredi quinon che un senatore; e ho nelle valigie il tuo padrone e latua Repubblica e il Senato e il doge e il corno.
Cosìdicendocalcato in testa il cappello a tre punte filettato in oroabbottonatosi il soprabito turchino da viaggioch'era lungo finoagli orli degli stivali e aveva il bavaro pur filettato in oro checopriva le spallemisurava a gran passi quell'androne colla grande egrossa figura; spingendosi di tanto in tanto fin sul primo gradinodella scalea verso il rio a guardare a drittaa sinistraa porgerl'orecchioa stare in ascolto se mai venisse qualcuno; poi tornava apasseggiare innanzi e indietrofacendo risuonare sotto la vôltalo sgarbato scricchiolio de' suoi stivali forti.
Edor lasciamolo passeggiare a sua postachè noi dobbiamoritornare al palazzo Pisani fra i gondolieri schiamazzantia piedidelle scaleenei cortili interniad assistere al passaggio dellebelle venezianee a dare il braccio alla contessa Clelia perajutarla ad entrare in gondola e ad adagiarsi sotto il felze.
Scendevanodunque tutte a quell'ora dallo scalone di casa Pisani le ultime e piùcospicue beltà patrizie convenute all'accademia. Eprecisamente s'eran trattenute le ultime per un tacito accordo dellaloro ambizione e della loro civetteria ad accrescer l'ansia de'giovani cavalieriaspettanti in due schiere sotto l'atrio cheesse facessero loro la carità di qualche occhiata. Discendevala contessa A...quella che possedeva gli occhi più grandi epiù glauchi in tutto l'estuario veneto. Beltàcalcolatrice e perfidache si compiaceva della interminabil schieradelle sue vittimee che bisognava ostentar di sprezzarlaper farlespuntare in cuorese non l'amorealmeno qualche velleità disimpatia. Discendeva la M...bruna beltà capricciosadallapelle di rasoe dall'occhio andalusolucente e tremulo come l'astrodi Veneree che precisamentepari alla dea che imprestòquesto nome a Luciferotrattava lo sposo come Vulcanoquantunquenon fosse zoppoe lo sagrificava a Marteanzi a un drappello disemidei più o meno guerrieri che si movevano in evoluzione infaccia a leie ch'ella cangiava e sprecava come i guanti e lepantofole. Discendeva la B…bellezza epigrammatica e mordaceche già navigava cogli anni verso l'equatore della vitafemminilee copriva di nèi le incipienti rugheche un suoamante corbellato e tradito chiamava i solchi del peccato. Discendevala S…beltà perfettama più carnale chespiritualedall'occhio di capradal collo della Diana efesiadallemembra in cui trionfava la linea curva; sparpagliante a tutti sorrisied occhiatee che era la delizia dei giovinotti in pensionechevarcati i trentacinquegaloppavano verso i quarant'anni.
Disceseroaltre più o meno desideratepiù o meno bellepiùo meno altepiù o meno grasse; sebbene il guardinfante dalcinto in giù le facesse tutte d'una circonferenza... e tral'ultime discese la contessa Cleliache Alvise Pisani e ilprocurator Foscarini accompagnarono alla scaleapresso alla qualesotto l'atriosuccesse come un ingorgo d'uomini e donnementre aldi fuori era una confusione inestricabile di gondole e di gondolierii quali rispondevanoVengoSon quaal servo collatorcia che gridava i nomi dei signori che si presentavano per andarvia: Casa Mocenigoconte Erizzosenator BarbaroPolcastroCaotortaZencontessa Rezzonicocontessa V...e questadopo unquarto d'ora d'aspettazione sentì la voce delgondoliere Bianchich'era scivolato tra gondola e gondola fin lì.Il conte Pisani diede il braccio alla contessache discesefinalmente i gradinie si adagiò sotto il felze.
Intantoda più di mezz'ora Amorevoli stava nella sua gondola ferma inCanal grandeimportunando di continuo il gondoliere:
—Ma bada che non ti sfugga.
—La se fida de mi...
—Ma sai tu ch'è già passata un'ora...
—Gnanca mezz'orasior.
—In tante gondolecome vuoi tu conoscere?...
—La lassa far a mi. Nu altri semo come bracchi… se ghe ze elsalvadego... nol scapa... La se meta intanto a dormir.
—Ho già visto a passare più di trenta e di quarantagondole.
—De zento che ghe ne ze... la fazza contopatronche semo indrio...Ma la guarda che la ze là... ch'el se consolasior. Espingendo la gondola codiò dalla lunga quella della contessaper qualche tempopoiquando gli parve seconda l'occasionele siportò ai fianchi.
—Buon dì... comparedisse il gondoliere al Bianchi.
Lafinestra del felze d'Amorevoli era a due dita dalla finestra delfelze della contessa.
—Donna Cleliaegli disse...
Ellatrasalì a quella vocee non rispose; Amorevoli seguì adire altre parolema la contessa non parlò.
Allorail gondoliere Bianchi chestando in poppas'accorse del silenziodella contessasospettando ch'ella fosse in un malo impaccio...diede due o tre colpi di remi… e si portò innanzi ditutto lo spazio che misura appunto una gondolae disse anche qualchemala parola al gondoliere di Amorevoli; e siccome era di tanto piùrobusto di colui... lo sopravanzò di sì lungo trattoche l'altro indarno s'attentava di raggiungerlo; mentre come un fuocod'artifizio Amorevoli sagrava al lento gondoliere. Infinela gondoladella contessa svoltò nel rio San Polo. Amorevoli dice algondoliere: — Va là e t'affretta che la raggiungeremo. Mail Bianchi era già pervenuto alla casa della contessacheAmorevoli procedeva ancora discosto. Se non chein quel puntoodela voce della contessaanzi un gridopoi una voce d'uomoe unrumore di parapiglia. È vicino alla scalea della casa. Èpresso alla gondola della contessa; vede il gondoliere Bianchi cheappoggia un colpo di remo sul cappello a tre punte di un uomo d'altastaturach'ei ravvisa pel conte marito. Il cappello a tre punteinconscio di tuttofa tre giri grotteschi come un paléoecade in laguna. Il conte sfodera la spada e si fa addosso algondolieree l'uno e l'altro cadono a fascio nella gondolaintantoche la contessa piega come in deliquio sulla prora... Tutto questoavvenne in men tempo che noi abbiamo impiegato a dirlo... eAmorevoliinspirato non si sa da chema pronto come una molla chescattiprende la contessa eajutato dal gondolierela porta dipeso nella propria gondola… mentre dice: — Or t'affretta enon farmi il poltrone.
Nèil contenè il gondoliere Bianchi che stavano a fascio nellagondolanon feriti per fortunama bensì martellandosi senzadistinzione di rangopoterono veder quel ch'era avvenuto; nèil guardaportone accorsointento al parapiglia; onde il gondoliered'Amorevoli si partì senz'impicci... e dopo cinque minuti eragià in Canal grande.
Quandofurono colàAmorevoli respirò; ma non era ancoratranquillosicchè fece intendere al gondoliere che vogassepiù al largo... e il gondoliere si spinse infatti versoil canal de' Marani. Intanto la contessa fu scossa dagli alitifreschissimi della notte e tanto quanto si riebbe; e vedendosi facciaa faccia con Amorevoliraccolse gli sparsi pensieri efatto allameglio il riepilogo di tuttogli strinse la mano. Certo che nonavrebbe fatto nemmeno quest'attoper sè al tutto innocentese fosse stata pienamente in sè stessa; ma dal recenteturbinìo dei sensila ragione non essendosi ancora tuttaquanta sviluppatal'istinto teneva il suo posto; e l'istintoil menche potè farefu di permettere che la sua mano stringessequella d'Amorevoliin segno di gratitudine.
Edopo quella stretta di manoche lasciò un'impressioneindefinibile sulla mano di Amorevolivennero le parole tronchebreviloquentiinfuocateche non ripetiamo perchè per noi nonavrebbero sensotanto ne avevano per quei due! parole chenell'enfasi eroticaper quelli che le profferiscono hanno unsignificato che non è inteso da chi le ascolta nella calma diun cuore senza passione. Bensì nella pienezza luminosa diquella gioja istantaneasapean pur penetrare colla loro acutissimafitta i pensieri del passato e del futuroe i laceranti rimorsi.
Mavi sono momenti della vita in cuial cospetto di un bene presenteinsperato e supremonon possono prevalere tutti gli altri pensieri etutti gli altri dolori. Momenti in cui persino il colmo dellasciagurache pur troppo si presagisce dover essere duraturacomunica al piacere fuggitivo un'esaltazione senza pari.
Equi ci vorrebbero le essenze di rosadi mirra e belgioino distillategià nella fabbrica di Tomaso Moore di Londrae passate poi inItalia nella casa figliale di Prati; qui ci vorrebbero le flebilieleganze di Aleardidi Maffeidi Gazzolettiper cantare ilcantante Amorevoli che muto e pensosostava contemplando l'inclitadonna pensosa e muta; qui ci vorrebbe qualche svolazzo degli altripoeti minoriche appartengono alla famiglia dei pettirossideicanarj e dei capineriperchè aliassero e gorgheggiassero epipilassero in segno di festa intorno a costoroche usufruttano unquarto d'ora di gioja ineffabilea dispetto della loro falsaposizione.
Nottecielo stellatochiaro di lunaVeneziacanal Orfanocanti lontanismorenti nell'ariagondolieri colle sventure d'Erminia in bocca. Dueesseri nell'infelicità feliciun marito terribile lasciatosotto il pugno e il remo d'un gondoliere poetaeccitabile efantastico; un passato con de' rimorsiun avvenire tenebroso: eccoo signoriconsommé di poesia e di romanticismo.
Orqui veniteo giovani fantasiosi e tenerie voi tuttiche se fostefiorinon potreste esser altro che l'erba sensitivavenite evolteggiate a vostra posta e in tutti i modi in codesta azzurra sferache vi appartiene in diritto. Quanto a noinon abbiamo a far altro;chè il nostro cuore è ruvido oggimai come lapelle di un postiglione.
Madove eran diretti que' due felici infelici?... Ma in che ora ilgondoliere rivolse il ferro dentato verso la città?
Larisposta a queste domande il lettore potrà averla assistendoin seguito a strane cose che avverranno nella città di Milanonell'anno 1766. Per ora


Galeottofu il libro e chi lo scrisse

nèpiù vi possiam leggere innanzi.

LIBROQUINTO


Ilconte F... e il suo bisavolo. — I medici MoscatiPatrini eGallaroli. — L'agente Rotigno e don Alberico F... — DonnaPaola e la contessa Clelia V... — L'avvocato Agudio. — Unrotolo di cento zecchini e l'avviso a stampa di casa Morosini. —Il Capitano di Giustizia e la contessa Clelia. — Il Viatico —Il confessore e l'erede. — Storia del Senato di Milano. —La torturail Galantino e il senatore Morosini.


I


Ilgiorno ventitrè o ventiquattro maggio salv'erroreun lungostrato di paglia copriva quasi tutto il selciato della via*...Peccato che gl'importuni riguardi ci proibiscano d'indicarla.
Lecarrozzei carrile carrette cessavano di far rumore appenaimpigliavano le ruote in quello strame. La qual cosatanto alloracome adessovoleva dire che giaceva là presso gravementeammalato un beneficiato della fortuna. La ricchezzalo sfarzolavita gaudentepersino l'orgoglio e la prepotenza fanno men crudosenso sulla moltitudine di tale insegna di ricchezzala quale infine non è che un'insegna di paglia; — e la povera plebeche ha consumata per sè stessa tutta la sua pietàsiricatta spessoe nel passarelanciando all'illustrissimo infermocrudeli epigrammi. Peròse noi fossimo ricchifaremmocollocare verso corte o verso i giardini il nostro lettoelasceremmo la paglia a suo luogoa placare così la pubblicamaldicenzae ad aspettare in segreto che la dea salute tornasse aconfortarcisenza fare oggetto di spettacolo pomposo persin lafebbre e il vomito e il secesso.
Machi giaceva allora a letto obbligato da questi tre incomodi era ilconte F...fratello del defunto marchese.
—Come sta il signor conte? diceva un tale al guardaportoneil qualestava dondolandosi sulla soglia del palazzo.
—Malesempre maleanzi peggio: oggi a mezzodì si terràconsulto tra gl'illustrissimi signori dottori Bernardino MoscatiGuglielmo Patrini e il dottor Bartolomeo Gallaroliche è ilmedico della casa.
—Che Dio vi scampi dai consulti... ma già questo di solito èil malanno di chi ha il diritto di levar colla paglia il rumore delleruote... Più crescon le cure e le premurepiù cresconoi pericoli.
Ea queste parole s'attraversava la domanda d'un altroche passava:
—Come sta il signor conte?
—Trattasi di un consulto...
—Più che la medicina sarebbe meglio consultare la caritàla medicina dell'animala quale non tarderebbe a dirgli cheperguarirebisognerebbe fare qualche atto di beneficenzae non lasciarnella miseria la madre del figlio di suo fratello...
—Queste cose andate a dirle a chi vi piacenon a me che mangio il suopane...
—Voi parlate bene... ma il vostro padrone opera male. Peròstate di buon animoche se mai venisse a morirecome pare chevoglia succedere a tutti gli indizjnon saranno pochi quelli che inMilano berranno alla salute dei medici che lo hanno accoppato.
Comedunque ora ha sentito il lettoreil conte F... non avea nessunabuona fama presso i suoi concittadini. Di lui e delle sue qualitàcaratteristiche non si conoscevano che l'avarizia fastosa el'orgoglio. Era tradizionale il cattivo credito in cui era tenuto ilsuo casatofin dal bisavolo che aveva tormentati i figli cadetti perconcentrare nel primogenito tutte le ricchezze. Codestacome sanno inostri lettori a sazietàcostituiva allora un modoimpreteribile nell'economia della ricchezza patrizia; ma v'eranotuttavia diversi mezzi di farla valeree i mezzi adottati da quelbisavolo furono de' più disumani. Bensì un ricchissimoparenteil quale non aveva avuto buon sangue con quel tristoantenatoper fargli dispettolasciò erede di tutto ilproprio un suo figlio secondogenito; (chè troppo spesso neitestamentii qualiessendo fatti in fin di mortedovrebbero pureessere atti di purificazione di tutta la vitasi condensa invecetutta l'acredine morbosa d'una mala esistenza). E colui vincolòla cosa in maniera cherimanendo senza figli il suo eredelasostanza dovesse passar sempre al secondogenito. In virtù diquesta disposizioneil conte F...dopo averenella sua qualitàdi secondogenitoodiato per cinque anni il primogenito marcheseevissuto in continuo timore che lo zio non morisse abbastanza intempoe potesse mai congiungersi ad una moglie fecondaebbefinalmente la consolazione di sentirsi annunciata la morte dello zioe di andare al possesso di quelle sostanze che gli si competevano perdiritto.
Questofattotogliendo di mezzo le funeste disuguaglianzeavrebbe dovutoscemargli l'avversione ch'egli avea pel fratello marchese; ma fossecheduratagli in petto tanti anniquella fosse passata in istatocronicoo il pingue cibo gli avesse cresciuta la fame; dal giornoprecisamente in cui diventò ricchissimocominciò apensarestruggendosi di desideriocome il casato F... sarebbe statoil più ricco di Lombardia... se le sostanze del marchese e leproprie si fossero unite in una facoltà sola. E a questaconsiderazione tormentosa dava ansa il fatto che il marchese vivevauna vita scostumata e discolae non aveva un pensiero al mondod'accasarsi con nessuna patrizia nè di Milano nè difuori. I luoghi comuni e le tirate sulla virtuale ferociadell'ambizione si trovano in tanta copia presso tutti gli autori dicommedie e di tragedie e di racconti moraliche torna affattoinutile una nuova dimostrazione delle sue attitudini spaventosesegnatamente dopo la famosa parlata del convenzionale Aristodemo;peròil lettore può farsi capace dello statodell'animo del conte F...e come avesse tremato ad ogni annuncio cheil marchese prolungasse di troppo i suoi amori colla tale e collatal'altra; e come si fosse consolato alla novella ch'erasi finalmenterisoluto di mandar al diavolo colei che avea tenuto il segreto didominarlo più di tutte; e come avesse provato gli effetti diun colpo apopletico quando sentì che una amante di coluiaveagli partorito un figliuoloed egli erasi acconciato a convivercon essa e con esso; e come un contraccolpo apopletico gli fosseminacciato dal giubilo che lo fece trasalire alla notizia che il suofratellocome Abramoavea finalmente ripudiata quell'Agar in unocol suo Ismaele; e come poi gl'imperversasse nell'animo una vicendatormentosa di timori e di speranzequandopercosso il fratellomarchese da lunga e penosa malattiail conte sentì avociferarsi d'intorno che il prevosto di San Nazarocogliendo alvarco la di lui naturafatta più mite dal malorelo avesseconsigliato a non lasciare in balìa della fortuna l'innocentefanciullo ch'esso ebbe dalla infelice Baroggie come anzi perdettatura del notajo Macchi avesse scritto di proprio pugno untestamento a favore di quel fanciullo medesimo.
Tuttoil resto è già noto al lettore. Gli rimane peròa sapere che l'agente di casa F... il quale fu l'uomo adoperato dalconte per tentare il lacchè Suardiera un tal GiorgioRotignoche conosceremo meglio a suo tempo. Orase il marchese F...erasi messo a letto molti mesi primaper lasciarsi consumarlentamente dalla ricomparsa di un antico morbo ribelle ad ogni curail conte s'era messo giù invece alquanti giorni prima dellapartenza per Venezia del conte V... e del fratello della contessaCleliaper malattia violenta sopraggiuntagli in giorno di venerdìdopo aver fatto un lauto pranzo di magro.
Mail mezzogiorno stabilito pel consulto non era lontanoe alquantiservitori di casa F... stavano sulla porta attendendo che venissero idue medici consultori e il medico della cura. — Ed ecco che nonsi tardò a sentire il lontano rumore di una carrozzala qualedal lastrico e dall'acciottolato svoltando nella via sullo strato dipagliasmorì in un fruscìo lento e maestosoe sifermò davanti al palazzo. Era la carrozza del dottorGallaroliche dopo pochi minuti venne raggiunta da quella del dottorBernardino Moscatie infine da quella del medico chirurgoPatrini. I passeggieri si erano fermati a veder discendere quelle trecelebrità mediche. Il dottor Moscatipadre di Pietroera unvecchio altoseccoarcignoangoloso. La moltitudine lo guardavacon venerazione insieme e con spavento.
Essoera professore d'anatomia nell'ospedale maggioree veniva chiesto aconsulto in molte città anche fuori del Ducato nei casigravissimi di malattie. Patrini era professore di chirurgia praticatemuto anch'esso per l'imperterrita asprezzaond'era fama chesgomentasse gli amputandi per averli docili e immobili sotto al ferrooperatore. Dalla scuola di lui e del Moscati doveva poi uscire ilcelebre Paletta. Il dottor Gallaroli era un ometto rubicondo eallegroricercatissimo in tutte le case cospicue e un po' agiatedella cittàperchè dicevasi che guariva spesso gliammalati colla sola sua presenza e col buon umore onde purgava l'ariamefitica delle stanze da letto. Smontati i dottori dalle carrozzeescomparsi dalla vista del pubblicola ragazzagliacom'èconsuetosi fermò a vedere le rispettive carrozze e icavalli.
Èdifficile a spiegare il fenomenoma le bestie domestiche ritraggonoassai del carattere dei loro padronio diremo più giustodella professione dei loro padroni; segnatamente i cavalli da tiroche stanno lungo tempo al loro servizio. Il cavallo di un medicoinquartato e ben pasciutoha qualcosa di solidodi posatodiseveroche impone alle moltitudini press'a poco come il cavallo d'unarciprete. Un occhio avvezzosenza conoscere il padronepuòdistinguere al corso e tra la furia delle carrozze il cavallo delmedico dal cavallo del sensaleda quello del patrizio titolatoeperfino può distinguere le gradazioni d'indole e d'etàdi coloro che stanno in carrozza. E i tre cavalli dei tre dottoriacui la ragazzaglia facea circoloconfermavano più che maicodesta nostra opinione. Tutti e tre dell'altezza di più chetrent'oncetutti e tre gravi e vecchiotti e un po' meditabondiparevano direin loro tenoreal vulgo profano: rispettateci chesiamo al servizio della scienza. Oggidì chi volesse fare talistudj sui cavalli dei medici non troverebbe quasi più glianimali da studiare. Non sappiamo perchèma oggi la medicinava tutta a piedi. Non vi sono che i cavalli dei medici condottima essi partecipando della condizione de' loro padroninon sonopiù riconoscibilitanto sono maltrattati; e i cavalli di queimedici cheessendo nati ricchisarebbero andati in carrozza anchesenza la medicinasfuggono all'analisi ed alla fisiologia. Sarebbedunque un problema nuovo e curioso: «Valutare la condizioneattuale della medicinanon come scienzama come professionedalsemplice punto di vista dei cavalli da tiroed esibireconsiderazioni e suggerimenti in proposito.»
Malasciamo i cavalli a scalpitare dignitosamente sulla pagliaaccumulatae vediamo di poter assistereper nostra istruzionealconsulto medico.


II


Entratinella stanza da letto del conte F...la regola generale vorrebbe chene facessimo la descrizione esattaminutacircostanziatacome siusava una volta dai romanzieri che facevano l'esercizio comandati dalgenerale Walter Scotto megliocome si pratica negli inventarj enegli atti di consegna. Noi però lasceremo una taledescrizione a chi vuol fare uno studio di stilee collocare a loroposto le parole registrate nel dizionario domestico del chiaroprofessor Carena; e d'altra parte lasceremo ai pittori la libertàdi volteggiare con tutta la loro fantasia per rinvenire una degnacornice al signor conte F...per sua disgrazia gravemente ammalatotanto gravemente che il dottor Gallaroli ebbe e scrollare piùvolte la testae in fine a trovare la necessità di domandareun consulto per togliersi dalle spalle l'intera responsabilitàdella troppo possibil morte dell'illustrissimo suo cliente. Venuto alletto del qualeil dottor Moscatiche ci vedeva poco e allora nonci vedeva punto perchè la stanza era fatta quasi buja dallepersiane semichiuse e dalle tendine di seta verdeordinòsgarbatamente alla vecchia camerierache stava al capezzalediaprire e di lasciar entrar nella stanza tutta la luce che eradisponibile.
Itre dottori gettarono allora un'occhiata acuta e profonda sullafaccia dell'ammalatoche la teneva sprofondata nel cuscinosovrapposto ad altri quattrotutti messi a merletti e a trine; ma imerletti e le trine facean parere più cruda l'antitesi diquella faccia ossutagiallasolcatadistrutta.
Itre medicia questa prima esplorazionesi guardarono senza farmottoma si compresero; tanto che il Gallaroliil dottor dellacura:
—Eppuredissenon è decombente che da otto giorni.
IlMoscativecchio cinicobisbetico e senza prudenzacrollò latesta e passò a toccare il polso dell'ammalato; atto che fususseguito da un'altra scrollata di testa.
—Che un tale statosoggiunse poipossa essere la conseguenza di unareplezionelo credoperchè lo dite voi; se foste un mediconovizio vi direi che quello di toccar polsi non è il vostromestiere. Cosa m'avete detto ch'egli abbia mangiato?...
—Anguilla di Comacchioprofessore; un suo cibo prediletto. Ma egli èsolito di mangiarne a dismisuraper quanto io ne lo abbia tante etante volte sconsigliato. Tutti i venerdìper sua degnazioneio pranzo qui... e tutti i venerdì mi è toccato dirgli:badi che è troppoe le farà male; e quel che previdi èavvenuto. Ondeche questo sia un caso gravissimo di replezionenonè possibile negarloprofessore. Prima di pranzo il contestava benenon è veroconte?
Ilconte accennò di sìefacendo cenno al dottore chegli si accostassesoggiunse a voce bassa:
—Tant'è vero che ho mangiato troppoperchè credevo dipoter mangiare.
Stia zittosignor conte... Ma tornando a noiegli stava beneprima di pranzoe continuò a star bene anche dopo; anzi vidirò chequando il cameriere che portava lo sciampagnaentròa dar la notizia che ci fece strabiliar tuttiche il lacchèGalantinocatturato a Venezia e fatto viaggiare sotto buona scortaera stato consegnato un momento prima al Capitano di giustiziailconte stava tanto bene chea questa notiziabalzò in piedi edisse: Sono assai contento di questo; da quella canaglia Dio sa chesarà per saltar fuori adesso che è nelle mani dellagiustizia... Io poi ho uno speciale interesse perchè parli esia fatto parlare... — e qui bevve due o tre bicchieri disciampagna l'uno dopo l'altroe si cacciò poscia amotteggiare e a ridere in modo tale che non è del suotemperamento... Figurateviprofessorequanto il conte stessebene... Se non che egli uscìe alcuni momenti dopo... quiquesta donna entrò in sala tutta scalmanata a dirmi: Venga unpo' làdottoreche il signor conte sta malemale assaiepar che gli manchi il respiro e voglia morire. Io accorsi. Eragettato a stramazzone sulla poltronafuggita la pupillafuggito ilpolso. Come vedonosignori professorinon era il caso di unacacciata di sangue. Gli feci dunque servire una limonata acidissima etepidadopo la qualequando si riebbelo feci porre a lettoesebbene la giornata fosse calda per sèprovvidi a farloristorare con panni caldi; e così attesi il beneficio delsonno e delle dodici ore della notte.
—Ben pensatoben provveduto. Non c'era a far altro...
Cosìdiceva il professore Patrini.
—Tutto va benesoggiungeva il Moscatima il giorno dopocome loavete trovato il giorno dopo?
—Peggio che mai. Era bensì tornato in sè stessomaaccusava dolore profondo alla testadolore insopportabile allostomaco. Il polso era duro e inerte... Passammo a' purganti... non sene ottenne nulla. Ed ora sono scorsi otto giornie quasi son venutoin sospetto che l'impedimento sia meccanico. In tanti anni di curanon mi è mai capitato un caso tanto ribelle alla scienza...chè tutto quello che essa può consigliare fuamministrato. Cosa ne pensa il professore Moscati?
—Penso che bisognerebbe conoscere la causa per cui l'anguilla diComacchio gli ostruì il ventricolo.
—La causa è il cibo medesimo mangiatoanzi divorato ineccesso.
—Va bene... ma questa causa essendo conosciutanon dovrebb'essere poitanto intrattabile alla mano risoluta della scienza. Secondo il mioparerequando gli effetti sono permanentie non si modificano nèin più nè in meno sotto al lavoro medicoèindizio che la causa è ignota; ora il nostro studiodovrebb'essere di rintracciar questa causaper conoscere s'ella siadi tal natura da esser poi governata colla medicina.
Ildottor Gallaroli e il chirurgo Patrini si guardarono in faccia comese non avessero ben afferrato il concetto del professore Moscati.
Maa questo punto l'ammalatocon voce fonda e intercalata da riposiasmaticie tuttavia piena di fremito e d'ira:
—Che cosa dunque si conchiude? disseposso guarire o no? Di chenatura è questa malattia?
—Il dottor Gallaroli non ha sbagliatorispose Moscati. La cura a cuiha sottoposta la signoria vostra illustrissima era l'unica eragionevole. Ma se il corpo del signor conte non risponde aitrattamenti medicii medici non possono fare miracoli. Tuttaviasperi; e qui tornò a tastargli il polso.
—La febbre è ferocesoggiunse. Il dottor Gallaroli non puòche continuare nell'intrapresa cura. D'impedimenti meccanici noncredo che sia nemmeno a parlare. Che ne dice il professor Patrini?
—Non c'è sintomo di sorta che accusi un tale impedimento; ondein questo caso non c'è altro che attenersi ad una curad'aspettativa.
Quiil dottor Gallaroli scrisse una ricettatoccò anch'essoun'altra volta il polso dell'ammalatolo tasteggiò alleregioni dello stomacopoi conchiuse:
—Tornerò sul finire della giornata. E partì insieme coidue medici consulenti.
Quandoaprirono l'uscio della stanzaurtarono in un gruppo di persone chestavan tutte origliandoservitori e camerieree confuso con lorol'agente della casasignor Rotigno. — Il figlio del signorcontegiovinetto di vent'anniche in casa era chiamato donAlbericopasseggiava innanzi e indietro per quell'antisalatristoin voltoma vestito con attillatura soverchiae che certocontrastava e colla gravezza della circostanza e col suo voltomedesimo. Ma più di quella medesima attillaturaciòche facea meraviglia era la preoccupazione ch'esso aveva del proprioaspettofermandosi di tanto in tanto a contemplare sè stessonei due specchioni che dall'alto al basso ornavano due pareti dellasala.
Quandoi tre medici uscironoil signor Rotigno tenne loro dietro.
—E così? come si mettedottore? chiese al Gallaroli.
—Malemale assai.
—Tanto malesoggiunse il dottor Moscaticheper ogni buon contosarebbe opportuno mandare pel prete.
DonAlbericocheintento a guardar l'effetto d'un neo applicato per laprima volta in quella mattina dal parrucchiere all'angolo del suoocchio destronon s'era accorto dei tre consulenti ch'erano uscitiin quel puntofu scosso a quella parola pretee si volse e domandò:
—Come dunque hanno trovato il conte mio padre?..
—Fatevi coraggiodon Albericoma non a caso ha detto il dottorMoscati... che c'è bisogno del prete.
Quandoi medici si trovaron soli sotto all'atrio del Palazzo:
—Ora ci spiegheretedottoredisse Patrini a Moscatiquel che avetevoluto intendere quando avete parlato della causa della malattia...
Ildottor Moscati crollò allora la testae rispose:
—Mi accorgo che nel libro della vita si legge meglio quanti piùanni si hanno; e siccome io sono ancora più vecchio di voialtri duecosì mi sono accorto di ciò che voi nonavete intraveduto. Tuttaviacaro dottor Gallarolivoi chesiete della famigliaavevate l'obbligo di accorgervi di qualchecosa. Quando mi avete dettoche il malore scoppiò subito dopol'annuncio della cattura del lacchèho tosto compreso da chetutto deriva.
Ildottor Gallaroli e Patrini tornarono a guardare in faccia aldottor Moscati con quell'atto di chi non comprende nulla.
Eil Moscati:
—Va benissimo che i preparati anatomici e le lezioni di chirurgiapratica e quelle di medicina non ci devan lasciare il tempo dipensare alle cose di questo mondo. Ma il sole e la luna si vedonocome il freddo e il caldo si sentono anche senza volerloperchèsono essi medesimi che si fan vedere e sentire. E così èdel fatto presente. Non sapete dunque quel che si dice in tuttaMilanoche cioè il lacchè Suardi deve aver trafugatoun testamento per insinuazione del... sìsignoridel conte?
—Che? cosa dite?
—Oibò!!...
—Oibò? perchè oibò? vediamo. L'accusa per cui illacchè Suardi è ora al Capitano di giustiziaèprecisamente ch'esso abbia rubate delle carte preziose al marchesedefuntotra le quali un testamentoe un testamento a favore d'unsuo figlio naturale. Questo testamento a danno di chi era? Del conte.La scomparsa di questo testamento a vantaggio di chi era? Del conte.Il lacchè a trafugare delle carte cosa poteva guadagnare persè? Niente. Qualcuno dunque lo dee avere istigato. Chi dunque?Colui solo che ci ha interesse. E chi può essere questo colui?Il conte. Vi parrebbe ancora di sbagliare a credere che non puòessere che il conte?... Suvvia dunque... già io non vadodall'illustrissimo signor capitano a ripetere queste paroleche delresto sono in bocca a tutta Milano. Nè io voglio dire ingiudizio che la causa per cui l'anguilla di Comacchio si fermòsullo stomaco del signor contefu l'annuncio improvviso dellacattura del lacchènel punto precisamente che i fluidigastrici lavoravano a manipolare il suo chilo. Fate che domani illacchè possa escire innocente o dichiarato tale dal Senato...e allora vi accorgerete che siamo ancora in tempo a salvare la vitadel signor conte; perchè tolta la causa permanente che non glilascia aver treguaè salvo. Son morti degli uomini sul colpoper un eccesso di pauradi collerad'affanno. È dunque giàmolto che il conte sia ancor vivo... perchècolleghi mieicarissimiil caso è serio; e se il lacchè dàfuori il nome del contevedete che scandaloche ontachevitupero!! Ma torniamo all'Ospedale il quale in certi casi èpiù allegro del Capitano di giustizia e del Senatoe spessoun forcipe fa meno paura d'un articolo delle istituzioni criminali.
Dicendoquestoaprì lo sportello della sua carrozzatraendoselodietro a richiudersi romorosamente. Gli altri fecero lo stessoe icavalli si mossero con trotto dignitoso e scientifico.


III


Edora tornando nella camera del conteci accorgiamo che ènecessario di spiegar nettamente molte cose che lo risguardanoincontinuazione a quel po' di schizzo chequalche pagina addietroabbiam dato della sua vita e dell'indole sua. Non sappiamo perchèogni qualvolta ci occorse di parlare del conte F... e della parte cheebbe nel trafugamento delle carte di suo fratellolo abbiamo semprefatto con una circospezione che non potremmo nemmen spiegare a noistessi. Parrebbe quasi che il desiderio onde il senatore GabrieleVerri e gli altrii quali erano più o meno in parentelapiùo meno in dimestichezza col contee chemeglio ancora che perl'onore di luispasimavano per il decoro e la buona fama dellacastasia passato nel nostro sangue come un male attaccaticcio;tanto chese il lettore si ricordaabbiam sempre parlato a mezzaboccae gettatigli innanzi in cumulo i fatti senza divisarli benequasi timorosi che il conte potesse risuscitare a farci pagar cara lanostra imprudenza. Ci vergogniamo dunque di questo nostro modo diprocederee vogliamo parlar chiaroe senza l'ajuto de' personaggima per la nostra bocca medesima. Il conte F... avendo dunque saputoqualche giorno prima che morisse il marcheseche il prevosto di SanNazaro era riuscito a fargli stendere un testamento a favore delfiglio della Baroggi; avendo saputo inoltre che il testamento non erastato consegnato a nessunoe che anzi il marchese aveva dichiaratoal prevosto stesso: trovarsi nello scrittojo del suo studioin mezzoa molti documenti di famigliaanche le disposizioni dell'ultima suavolontà; il dì medesimo che esso morì e che inotai del Pretorio apposero i suggelli allo scrignoparlò colsuo agente signor Rotigno (che per lui aveva il merito d'avergliridottocon un'amministrazione inesorabilea un terzo di piùil valore de' suoi possedimenti)parlò un lungo discorso checondusse il Rotigno a fargli la proposta di tentare il lacchèSuardistato tanti anni al servizio del marchesee cheper essererespinto da tutti e non aver più nè dove dormire nèdi che mangiaredalla disperazione facilmente sarebbe stato persuasoad accettare buoni patti. La sostanzain palazzicasevilleterrenicapitalidiritti d'acquaecc. del marchese F... eravalutata a circa dieci milioni di lire milanesi. Il conte promise alRotigno lire 200 mila di regaloquando l'impresa fosse riuscitabene; in quanto al lacchèavrebbe dovuto ricevere sessantamila lire di compensocompiuta ogni vertenza; quando cioèfosse tolto di mezzo ogni pericolo d'investigazione criminalee dopoun lasso di sei mesi; delle quali sessanta mila lire se glienedovevano anticipare due mila prima di tentare il fatto; altrevent'otto mila subito dopo consumato il trafugamento; il restocomedicemmomaturati i sei mesi.
Questecosesecondo le regole della drammatica e de' suoi sospensorjillettore avrebbe dovuto saperle in altro luogo e tempoquando cioèdopo un lungo ordine di anni e di vicendeogni segreto dovràsaltar fuori all'aperto per uno di quegli accidenti che non sannouscire che dalla bisaccia agitata dalla cieca fortuna. Ma siccomequeste cose noi le sappiamo giàavendo sott'occhio trequinterni di carta gialla e tarlatatutta nera d'inchiostro svanitodove la storia del processo c'è tutt'interacosì nefacciamo una graziosa anticipazione ai nostri lettorianche perchèpossano così valutar meglio la portata di questi duepersonaggi: il conte F... e l'agente Rotigno.
Compiutoil fattoseppellito il marchesepagato il lacchèil conte el'agente respirarono. Del qui pro quo provocato dagli amori di donnaClelia col tenore gioirono in segreto di una gioja profondadi unadi quelle gioje onde nelle vecchie leggende della nubilosa Germaniavediamo esaltato il maligno spirito quando riesce a trarre aperdizione qualche innocente; gioirono in segretovogliamo dire chenon si comunicarono le loro gioje; perchè e l'uno e l'altroevitarono sempre di parlare di quant'era avvenutoe per qualchegiorno parve anzi che si scansassero. Un'avversione misteriosa gradogrado era nata tra di essi; e tanto più implacabile quantol'uno era più avvinto all'altroe quanto più dovevanodissimularla con degnazione cortese per un latoe con profondorispetto per l'altro. Sul resto erano tranquillimeno peròsul fatto del lacchèil qualedopo aver mostrato iltestamento originale al signor Rotignoostinatamente volle tenerloper sèlimitandosi a trarne di proprio pugno la copia. Tantoil conte che il Rotigno avevano conosciuto il Galantino per unafaccia solaper quella della ribalderiadell'audacia e dellamiseria; ma non sospettarono affatto quella dell'ingegnodell'acumee dell'astuzia naturale. Davvero che non s'era adempiuto per partedel lacchè alla più grave delle condizioni. Ma diecimilioni erano guadagnatiil fatto era corso tanto beneche parevaespressamente comandato dalla fortuna. Il capriccio del lacchèpoteva essere un capriccio senza pericolo di conseguenze gravie delresto anch'esso era interessato a tacere. Non si pensò dunquead altro che a dar corso alle faccende domestichee giacchèsolo il conte era chiamato all'ereditàa procacciare gliopportuni provvedimenti per andare al possesso di essa.
Pertutte queste circostanze adunqueci pare sia facile a capacitarsidel terribile effetto che dee aver fatto sull'animo del conte F... lanotizia inaspettata della cattura; ella veniva a dire in conclusionesecondo le consuete risultanze de' processiche fra pochi giornitutto sarebbe stato paleseeinsieme coll'edificio che veniva acrollare dalle fondamentail decoro del casatoil decoro apparentegià s'intendeveniva ad essere oscurato per sempre. Lavivacità lieta che il conte mostrò a' commensali quandola notizia venne annunciatae le parole che pronunciò nonerano state che un effetto dell'esaltazione della paura edell'astuzia istintiva e quasi meccanica che ha chiunque per trarrein inganno gli astanti intorno a cosa che vuolsi tenere nascosta e sitrema possa venir palesata pur dal menomo turbamento esternodalcolore mutatodalla voce indebolita. L'uomo allora finge ed esagerasentimenti in tutto opposti a quelli che gli si agitano in pettodimodo che talvolta ei si rivela per l'eccesso appunto della finzionemedesima; e il conte si rivelò in fatti a molti de' commensaliche notarono ogni cosa e tacquero; si rivelò persinochi mailo crederebbeallo stesso dottor Gallaroliuomo naturalmente acutoe scaltrito da una lunga esperienzatanto acuto e tanto scaltrochefinse di esser caduto dalle nuvole quando il sincero e sciolto eburbero dottor Moscati non dubitò di dire quel che pensava. Mase quella notizia fu tanto micidiale al conteda fargli l'effettodell'acqua dei Borgia e dell'arseniconon lasciò intattonemmeno l'agente Rotignocome è facile a credere. Benchèfornito com'era dalla natura di un corpo robusto e inquartato comequello d'un cavallo da stangae avendo colorito il volto da quelcolore permanente che par vernice metallica e che non permette didistinguere un uomo in deliquio da uno che ha ben bevutonon nelasciava trapelar nulla all'esterno. Nessuno però dei nostrilettori più infelici e malcontenti della vita avrebbe potutoinvidiarlo; chè in otto giorni e otto nottise riuscìa sfiorare tre o quattr'ore di dormiveglias'arrischia a dir troppo.
Benè vero ch'egli aveva prese tutte le precauzioniondeanchenel caso che il Galantino fosse stato posto alle strettenon potessenominare l'uomo da cui aveva tenuto il mandatoperchè eglinon gli s'era dato a conoscere; ma nel tempo stesso avea potutoaccertarsi che il lacchè aveacome suol dirsimangiata lafogliae nel caso di un buon tratto di corda che gli avesse fatteveder le stelle anche di giornoavrebbe presto dato fuori i nomi percercar sollievo o trarre altrui nel laccio. Il fatto peròd'una malattia grave e pericolosa del conte gli aveva messo in cuorequalche speranza. — Se mai fosse per morirepensavaprima cheil lacchè ci tiri in balloa me non riuscirebbe difficiletrarmi d'impaccio. Il lacchè nominerà il conte... ma ilconte morto non potendo comparire in giudizio... il tutto finiràcolla restituzione del testamento... e chi deve esser ricco saràriccoe buona nottee don Alberico s'accontenti di quello che ha.Per tali considerazioniil signor Rotigno si consolava ogniqualvolta il dottor Gallaroli gli dava pessime informazionidell'ammalato; e arrivò perfino a stropicciarsi le mani per unsoprassalto repentino di giubilo quando sentì annunciato ilconsultotanto avea buona opinione dei consulti medici!!! Se non chequesto fresco venticello che gli soffiò sull'animo agitatovenne respinto da una frase sola del dottor Moscati: — Èmestieri del prete. — Egli non avea pensato che alla morte delcontee non all'agonia nè a' suoi preliminaritalchènon avea mai considerata la necessità della confessione edell'olio santo. Però quella parola prete gli penetrònel cuore coll'effetto di un cuneo che squaglia un ceppochèpensava egli: La vita eterna farà parere al conte un nonnullai dieci milioni del marchese... e per alleggerir l'anima verseràtutto nelle orecchie del prete... — Insomma lo spavento chegl'indusse quella parola fu tale che se in quel punto avesse mangiatoanch'esso due o tre rocchj d'anguillal'indigestione lo avrebbesoffocato. Tant'è vero che fare il galantuomo è lamigliore speculazione di questo mondo.


IV


Lasciandoadesso le nostre digressionie venendo a' fatti; quando il signoragente Rotigno e don Alberico tornarono nell'antisala:
—Bisognerà dunquedisse il secondomandare a chiamar donGiacinto.
DonGiacinto era il vicario di Santa Maria Podonedipendente dal curatodi Santa Maria Porta; era il prete di casaossia quello che piùfrequentemente aveva a che fare col signor conte padrone; non tantoa dir la veritàper le faccende dell'animama per levertenze di un beneficio di jus patronalepel quale il conte F...aveva diritto di nomina.
—Don Giacinto è stato qui sin dall'altro jeririspose ilsignor Rotignoma ho creduto bene di rinviarlo. Queste sottane nerecaro don Albericofanno un tristo effetto sugli ammalati. Dopo ipurganti e gli altri argomenticiò che procura la guarigionedi un ammalato è la faccia gioviale del medico e la speranza.Ma a che amministrar purganti e confortiquando un prete dee venirea mettere spavento? Che effetto farebbe a leidon Albericose dopoil quarto o quinto giorno di malattiail prete venisse a farlevisita subito dopo il medico?
—Che effetto? si sa... Ma quando il medico lo consiglia...
—Il dottor Gallaroli è un furbo che vuol darsi importanza e amafar correr la voce per Milano ch'egli è l'uomo dei miracoli...e saanche dopo l'olio santorinnovare la vita; gli altri dueènaturale... son della professionee una mano lava l'altrae ilmestiere non vuol essere rovinato — però son venuticomesuccede sempreper dar ragione al medico della curail qualea dirla veritàmi par il prete che canta messamentre gli altridue fan da diacono e gli tengono il piviale. È sempre lastessa storiaperò bisogna saperli interpretaree nonseguirli testualmente questi signori.
—Bastafate voi. Badate però che stasera il dottor Gallarolinon faccia strepito del non essere stato obbedito.
—Vedrà che il dottore non dirà nulla... E poi io vivocerto che il conte debba migliorare...
—Fate purefate pure... Ora sentite ...
—Che cosa?
—Fatemi contar dal cassiere un cento talleri di Carlo Sesto.
—Siam sempre a questedon Alberico.
—Sono otto giorni che ne ho di bisogno.
—Il signor conte mi proibì di darle altro danaro prima cheincominci il mese di giugno.
—Il giugno è qui presto... è un'anticipazione di pochigiorni...
—Eppoi?
—Eppoifate presto. Non mancano usuraj a Milanoe se batto di piedesaltan fuori talleri da tutte le parti. Non è la prima volta.Ma che maledetto gusto è questo di costringermi a pigliardieci per restituir venti! Non c'è al mondo uomo piùavaro e più sucido di mio padre; e voi gli tenete la staffa. Ètempo di finirla. Ho ventun'annie colla nuova eredità sonoil figlio unico più ricco di Lombardia. Venti milioni... unapiccola bagattella... e sempre aver bisogno di denari come se fossiun pezzentee domandar la carità a voi. Ma chi siete voi?
L'agentesorrisee:
—Sono il suo umile servitoreche ama lo splendore della casaedesidera che l'unico erede di tanta facoltà non trovi d'averdecimato nulla quando sarà egli il capo della casa e ilpadrone assoluto di tutto. Perògiacché veramente leoccorronovado a farle contare i cento talleri.
—Sentitese fossero centocinquanta non mi lamenterò; anziorache ci pensomi lamenterei se fossero appena cento.
Ilsignor Rotigno discese nello studio dov'erano molti impiegatisubalternicassiereragioniere e scrivaniperchél'amministrazione della casa era vasta e complicata. Si fece contaredal cassiere i centocinquanta tallerili fece notare alla partita didon Albericoincaricando uno scrivano di stendere una ricevuta cheil figlio del padrone avrebbe firmata per la necessaria regolaritàe perchè voleva così il signor conte padrone.
Mentreil signor Rotigno s'indugiava là per tale occorrenzaentròun commesso di studio seguito da un facchino portante un sacco didenaro; entrò e disse:
—Gran novità.
—Che cosa?
—È tornatapochi momenti sonola signora contessa Clelia V...
—Tornata?... ma perchè?
—S'ella voleva tornar così prestotanto aveva a non fuggire.
—Oh bella! il conte marito volle andare dov'ella si trovavaed ellaritornò dove non si trova più suo marito. Fin qui nonci vedo nulla di stranoed è facile a capire.
—Che cosa è facile a capire?
—Quello che voi non sapetesoggiunse il commesso. La contessa ètornata perchè fu fatta ritornare.
—Da chi?
—Da chi ha l'autoritàs'intende; voglio diredal Senato. Masapete il motivo? è il motivo che vi farà strabiliaretutti.
—Sentiamoparladi' presto.
—Il motivo è che il Galantino ha dato fuori il suo nome; e inconclusioneè dessa che lo ha pagato a rubare il testamento.E si sa anche com'era il testamento. Eredegià s'intendeilnostro illustrissimo signor padronee diversi legatitra' qualiunoe il più vistosoall'egregia contessa... in compensodi... mi capite... Altro che Urania e Minerva e che so iocome lachiamava il vicario don Giacinto: ah! ah! ah!... a dire che midivertono tali intrighiè dir poco.
—Ed ella deve aver fatto trafugare un testamentoperchè iltestatore ha voluto regalarla? Ma c'è sale in zucca a crederqueste fandonie?
—Altro che sale! Il testatore assegnò il premio... ma assegnòanche i servigi... vedete che scandalo. Ah ah ah... Ma già èsempre stato un po' matto il signor marchese. Non somiglia per nienteal nostro illustrissimo signor padrone.
Ilsignor Rotigno intanto ascoltava e taceva; e siccome era informato inparte del processo del Galantinoe già avea sentito toccareun tasto di una simile deposizionecredette a mezzoe quasi quasisi sarebbe confortatose non gli fossero tosto sorgiunti i secondipensieri a fargli capire che l'inganno poteva durare per poco e nonper sempre. Tuttavia pensò di farne parola al conte. Preseallora i centocinquanta scudisalìentrò nella saladove ancora stava passeggiando don Albericogli consegnò idenari colla ricevuta che don Alberico sottoscrisse; e quando questipartìpensò di entrare nella camera da letto delconte... Se non cheallorquando fu per apriresi fermò edisse tra sèanzi pensò... perchè certe cosenemmeno i bricconi di cartello le osano dire neppure in soliloquio: —Questa notizia potrebbe consolarlo un po' troppoe aprire il varcoalla salute... un'inezia accoppaun'inezia fa rinascere. Èdunque meglio tacere. — E così ridiscese nello studioprese il cappellino a tre punte e la sua canna d'Indiae uscìad appurare le notizie della giornata.
Intantoche il Rotigno se ne va pe' fatti suoifacciamoci colla contessaClelia. Il commesso di studioraccontando che era tornata a Milanoavea detto il vero. Al serenissimo doge Grimaninelle sale delnobile Alvise Pisaniella avea promesso che il giorno successivoimpreteribilmente sarebbe partita da Venezia; e il doge aveale detto:confidare interamente nella sua parola e non volere per verun contocommetterla a scorta nessuna. Queste furono le parole: ma i fatti nonvi corrisposero esattamente. Chè alla contessa Clelia il dìdopo fu reso al tutto impossibile di lasciar Veneziaper varjaccidenti sorvenuti all'impensatae chescorsi che saranno sedicianni dal tempo in cui versa il nostro raccontoil lettoreprobabilmente saprà indovinare. In quanto al doge incaricòl'ufficio de' corregidori di far tener dietro ai passi dellacontessa; e allorchè seppecon sua grande meravigliach'ellatrovavasi ancora in Veneziaalla promessa che donna Clelia rinnovòdi partire fra breve temponon fu tanto credulo; e sotto specied'onorarlala fece accompagnare sino al confine del ducato di Milanoda messer Zuane Pizzamanocamerlengo di Comunee dalla nobile suamoglie. Onore chegiunto al confinele fu rinnovato dal signorluogotenente di Pretoriodottor Rocco Orlandiil qualeespressamente a ciò incaricato da lettera senatorialedomandò con rispettosa deferenzama con quel modod'interrogare che significa essere il provvedimento già statoventilato e ingiunto dall'autoritàle domandò adunquese ella desideravagiungendo a Milanod'essere alloggiata nellacasa dell'egregia donna Paola Pietra sua conoscente.
Main che modo l'autorità provvide a far alloggiare la contessapresso donna Paola Pietra? Il fatto è chiaro. Dopo che ilSenato fu istrutto della strana deposizione del lacchè Suardie riputò indispensabile di sentire di presenza in giudizio lacontessa V...l'illustrissimo capitano di giustiziadopo unaconferenza col presidente del Senato e col senatore Gabriele Verrimandò a chiamare donna Paolaa cui fece palese la deposizionedel Galantinoe insieme la risoluzione in che era venutol'eccellentissimo Senato d'interessare il Consiglio Veneto a mandarea Milano la contessa.
Cheterribile colpo facesse una tale notizia sull'animo di donna Paola èfacile immaginare.
Dopoil primo turbamento e dopo quella tremenda confusione in cui lepersone educate da una lunghissima esperienza son gettate al sentireimputato di una colpa detestabile chi si ama e si proteggeappuntoperchè alla predilezione ed alla stima si mesce sempre ildubbio dell'umana perversità e delle apparenze ingannatrici;donna Paolanel fondo dell'animo suorifiutossi a prestarfede all'oscena accusa. Disse poi tali cose al signor capitanoe leespose con tanta eloquenza e fervoreche lo stesso marcheseRecalcatich'era un eccellente galantuomofu presto dell'avvisoessere infondata l'accusa del Galantinoe dovere anzi l'accusamedesima servir col tempo alla riprova della di lui ribalderia.Perciòalla profferta che donna Paola gli fece di ricevere incasa la sventurata contessa sotto la sua protezione e sorveglianzanon potè che accondiscendereonde al luogotenente di Pretorioal confine del Ducato furono inviate istruzioni in proposito. Nèqui si fermò la caritatevole donnama affannata di avere colproprio consiglio peggiorata la condizione della contessapensòdi non omettere cosa nessunala quale potesse giovare alla causa diquella sventurata ein ogni mododovesse giovare al trionfo dellaverità. A tale oggetto si recò dall'avvocatopatrocinatore del figlio della Baroggiperchè vedesse dipoter raccogliere una o più testimonianze ad indicare eprovarenon essere altrimenti vero che il lacchè Galantino sitrovasse già a Venezia prima degli ultimi otto giorni delcarnevale di Milano. E l'avvocato si prese l'assuntoe in pochi dìfu sulla via di far qualche preziosa scoperta.
Sedunque queste ultime pagine furono noiose anzi che noci lusinghiamoche il ritorno della contessae la sua chiamata in giudizioe lesue confidenze a donna Paola e le sue ansie: come pure la scopertadell'avvocato patrocinatoree i nuovi interrogatorj imposti alGalantinoe le lotte in Senato sul proposito della torturae irisultamenti provvisorj di codesta matassasaranno


Vastamateria di sermon futuro.


V


Ilgiorno stesso in cui si tenne il consulto medico in casa F...donnaPaola Pietracon lettera confidenzialevenne avvisatadall'illustrissimo signor marchese Recalcatiche il giorno dopoaccompagnata dal luogotenente del Pretorio di confinesarebbe giuntaa Milano la contessa Clelia V... Per ciò ella si trattenne incasa onde adempire all'ufficio cui si era spontaneamente offerta.
Lepersone chesollecitate da una stragrande bontà di cuore edall'amore degli uominis'interessano con operosità alle cosealtruiquando le loro premure non hanno riuscitasi sentonotravagliate da insopportabili inquietudinie taloraper quantoinvase dallo spirito di caritàprovano il pentimentod'essersi volute adoperare a vantaggio degli altri. In una talecondizione d'animo trovavasi appunto donna Paola nelle ore che stavaaspettando la sua protettae tanto più si affannavaquantopiùripensando le cose avvenute (e non conosceva il peggio)vedeva che i buoni consigli non assicurano sempre la felice riuscitadelle cosee talvoltapur troppocome nel caso suopartorisconoeffetti al tutto opposti ai desiderati. A taluno de' nostri lettoriparrà strano che siasi voluta mettere innanzi donna Paolasiccome l'ideale della caritàun surrogato in terra allaProvvidenzaquando poiin sulle prime operazionidoveva fallireagli intenti desiderati. Ma innanzi tuttoquando un fatto èrealmente avvenuto con quelle circostanze specialiimpreteribili alraccontatoreun personaggio non può sempre appagare idesiderj di chi legge. D'altra parte una storia come la nostra non èche uno specchio più o meno tersopiù o meno ondulatoin cui si riflette la prospettiva della vita. Ci può esserequalche deviazione di lineaqualche raggio che s'interseca o prima odopoma l'immagine riflessa in poco può variare dal vero. C'èdi piùche un personaggiotanto nei lavori dell'arte comenella vita realeil quale si distingua per carattere segnalato divirtùsi fa manifesto per l'intenzione ed il fervore dellavolontà di operare il benenon già per l'ultimariuscitala quale non è mai la vera misura onde valutare ilgrado della virtù stessa. Coloro che pretendessero dovere lacomparsa di donna Paola Pietra stornare sciagure e peccati e cadutemostrerebbero di non conoscere la differenza che passa tra ipersonaggi della vita vera e gli dei d'Omero. A questi era permessofar scomparire Paride in una nube e involarlo all'ira di Menelao perstornar l'asta del Telamonio dallo scudo di Ettore; ma ai nostripersonaggivogliam dire ai buoninon sono obbligatorj che ildesiderio del bene e la facoltà di sudare per correre sullasua traccia; non già la sicurezza di conseguirlo.
Maciò non toglie che donna Paola fosse afflittissima e siriputasse quasi colpevole di quanto era avvenuto. Tuttaviaquel chepiù le cuocevaera il dubbio che di tanto in tanto veniva agalla delle sue medesime persuasioni e de' suoi raziocinj; il dubbiovogliam direche donna Clelia fosse ben altra da quella ch'essaaveva creduto; e che quanto potè sembrare un trascorsoaccidentalefosse invece un'abitudine perversa dell'intera vita. —Inoltre la passione violenta ond'era stata assalita al cospetto di uncantantecircondato dal fascino della gioventùdellabellezzadell'eccellenza dell'artelasciava trovar scusa e perdonopur nell'animo del più inesorabile censore; ma le relazionicol defunto marcheseperduto di costuminè giovanenèattraenterendeva turpe e non perdonabile la colpa. Se non chenelpunto che donna Paola stava dibattendosi fra cotali pensieriilservo entrò a dire che la contessa V... era discesa dallacarrozza.
DonnaPaola alzossi quando quella entrò.
Illettore si ricorderà delle caldissime espansioni di affettodell'abbraccio tenero e commosso onde queste due donne si lasciaronodopo il primo loro dialogo. Chi ora dunque crederebbe cherivedendosidovessero tanto l'una che l'altra mostrare una freddezzariguardosae proferir parole e saluti a cui non corrispondeva lagelida espressione del volto e degli occhi! Ma nell'una era unsospettonell'altra era una recente memoria che la faceva timorosadella presenza di quella venerabile donna. — E codesta peritosafreddezza della contessaaccrebbe in quel punto i dubbj di donnaPaoladi maniera cheper un movimento istantaneoil suo voltoassunse l'espressione della più severa austerità.
Partitoil servorimaste soleaspettando la contessaaltre paroleevedendo perdurare donna Paola in quella gravità ch'ella nonsapeva spiegare:
—E che cosa è avvenutoesclamòperchè io nonveda più il sorriso benevolo su quella vostra santa faccia?
Dirqueste parolegettar le braccia al collo di donna Paola e proromperein pianto fu un punto solo. La mestizia acerbissima del viaggiosolitarioi timorile rimembranze che da molte ore le avean fattonodo insopportabile al cuoresi sciolsero in quello scoppio dilagrime.
DonnaPaola sentì sottentrar tosto la commozione alla severitàe riabbracciando la sventurata:
—Ohfate animodisseio sono sempre la stessa per voi. Sedete etranquillatevi... e faccia Iddio che...
Equi s'interruppeperchè non le parve il momento opportuno diuscire con disgustose interrogazioni.
Mase donna Paola per allora aveva creduto bene di tacerela contessadopo qualche momento:
—Or io vorrei saperedissela cagione per cuicon gravissimoscandaloil Senato sollecitò il doge di Venezia a farmipartire da quella città esebbene con apparenze onorificheamandarmi qui custodita e guardatain conclusionecome si praticacoi malfattori.
—Ma non sapete nullacontessa? disse donna Paolaveramente nulla? ela mirava fissaquasi a passarla fuor fuoricome dicono iFiorentini.
—Nulla io sobensì mi perdo inutilmente in un mare dicongetture. Il doge Grimani non sapeva nemmeno esso la causa di talemisuraed anzi ebbe a lamentarsene. Il camerlengo di Comune cheinsieme colla nobile sua moglie mi accompagnò sino al confinedel Ducatocom'è naturalene sapeva meno del doge. In quantoal signor luogotenente di Pretorioche dal confine mi accompagnòsino alla porta di questa stanzami sembrò bene che fosse alfatto della cagione verama scansò sempre le mie domandeequando gli manifestai il mio sospetto di una qualche falsadeposizione di quello scellerato lacchè: — Potrebbe darsibenissimodisse; che il Galantino non sia straniero a questafaccendama io non so nulla; e dicendo questo si capiva troppo benech'ei sapeva tuttoma gli era stato ingiunto di tacere. Intantoappena m'ebbe lasciata alla porta di questa stanzasi recòdal capitano per annunziare il mio arrivoe presto sarà diritorno. Ora ditemi voi in che consiste questo mistero.
DonnaPaola tornò a guardar fissamente la contessa; posciaprendendola per manole disse affettuosamente :
—Sedete e ascoltate;... eprima ch'io parlifatemi una promessa.
—Che promessa?
—Di non tacere il verodi non mentire (perdonatemi questa parola)diconfessar tuttoquando pure si trattasse di cosacheapronunciarlavi dovesse abbruciare la lingua.
—Ma parlatein nome del cielo; voi mi spaventate. Di che dunque sitratta?... Io non conosco fatto nessuno che possa recar tali effetti.
Equi donna Paolacon voce bassamanifestò alla contessa ladeposizione del Galantino.
DonnaPaolaproferita ch'ebbe la trista parolaavvezza a leggere neirepentini guizzi del volto quel che passava nell'animo altruiallorchè la contessa balzò in piedi saettando lei d'unosguardo che dell'orgoglio offeso avea persino la ferocia; d'unosguardo cheincredibile a dirsiesprimeva quasi un iracondodisprezzo per lei medesima; d'uno sguardo che sembrava persinominacciare un atto violento; si alzò di colpotanto si tennesicura dell'innocenza della contessale buttò le braccia alcollola baciò e la ribaciò in voltopoi disse:
—Che voi siate mille volte benedettacara la mia donnaho avutotorto di credere a una tale accusaor vogliate perdonarmi. Mapurtroppodovevo parlar chiaro e così.
Lacontessa si buttò allora a sederecome spossata. Successe unlungo silenzio... Cadevano intanto le lagrime a dirotta sulle pallideguancie della contessache il suo labbro convulso bevevaquasi atentar di nasconderle. E donna Paola s'era volta altrove per nonturbare quel profondissimo dolore... e quando macchinalmente prese eaprì un librone bagnò le pagine di due grosse lagrimerepentinamente sgorgate anche a lei.
Inquesta fu bussato alla portaesenz'attender altroentrò unvecchietto colla zazzera del tempo del senator Filicaja e con unagiubba stata già rossa color fuocoma pel lavoro degli annidiventata color zenzuino. Eglisenza cavarsi il cappellino a trepunte e appoggiato alla canna d'Indiacome stesse in casa propria osulla pubblica via:
—Buone nuovedonna Paoladissebuone nuove!
Eral'avvocato Agudioil patrocinatore officioso del figlio dellaBaroggi. Uomo burberobisbeticocinicoma galantuomouna speciedi Paletta applicato al ceto legale. Rigido di una rettitudineinsolitache traeva all'ideale e si spingeva fino al cavillo;affettava trascuratezza di tutte le convenienze socialiandando inciò fino alla caricatura ed alle aperte lesioni del piùdozzinale galateo. Vestiva male e all'anticaquasi ad attestardisprezzo al tempo che correva; magrosanofortecome se fossed'acciajoera di una operosità prodigiosa; tenace del suoproposito fino ad esser caparbioinasprito inoltre da quel demoniointerno che si chiama spirito di contraddizionefaceva paura alCollegio dei dottorial Pretorioal Capitano di giustiziaalSenato medesimoche aveva in esso un controllore indomabile; esiccome a tali qualità congiungeva una gran dottrinagiuridicacosì era il più riputato e temuto del fòromilanese.
Allasua improvvisa comparsala contessa Clelia balzò in piedievergognosa delle proprie lagrimesi ritrasse in un'altra camera.
DonnaPaola Pietra si volse e vide lui che ripeteva:
—Buone nuove!!...
—Buone nuove davvero? chiese donna Paola.
—Buone vi dico.
—Or raccontate e sedete...
—Non ho tempo da perderee vo via subito; uno de' miei giovani distudioche ha trovato il modo di essere astuto insieme e onestos'èmesso al punto di far saltar fuori la veritàperchèdice d'averlo veduto egli stessoil Galantino all'albergo dei TreReprecisamente un giorno della settimana grassaquantunque nonsappia giurarlo. Però l'altro jeri andò a mangiare unboccone a quell'albergo e làd'una in altra parola ebbe ilpiacere di sentire confermato il suo sospetto da un cameriere. —Questo cameriere venne da me stamattina e ripetè quanto aveadetto al giovane di studio... Ben è vero cheallorquando glidomandai s'ei sarebbe disposto a ridire le stesse cose al signorcapitano di giustiziaparve tentennare e voler ritirarsi... Ma lafortuna ha voluto ch'egli nominasse un altro cameriereil quale percombinazione cangiò in questi giorni osteria e cittàed è andato a Cremona; lo nominò dicendo che coluiaveva giuocato in una di quelle notti col Galantinoe siccome eraamicissimo del lacchè così avrebbe facilmente saputoogni affar suo... Intanto il cameriere di qui sarà sentitooggi stesso dal capitano... Spero che non saprà ritrattarsiperch'io gli ho fatto pauramettendogli innanzi tutte le conseguenzedel non dire la verità... Egli è bensì aconsiderare che la sola sua testimonianza non basta all'intento... Maho mandato or ora a Cremona il giovane di studioe ritorneràsperocol cameriere che passò in quel luogo... Se i due vannod'accordo... la volpe è presa... e il Senato dovràdecretare la tortura... Sino a questo puntoper veritànonsi verificarono gli estremied il senator Verriche conosce ildirittoha messo a tacerecom'io seppiil senator Morosini chevorrebbe cominciar sempre dalla torturatanto ci si guazza dentro...e il Verri ha tirato dalla sua tutti gli altriperchè la suachiacchiera quando ha preso il vento è una tempesta che dovetocca lascia il segno. Bensì il Morosini tentò rifarsiproducendo casi criminali a dozzine in cui la tortura venne inflittaanche senza quegli estremi dai quali il Verri non decampae il Verria ripetere che gli errori passati non devono essere esempio a nuovierrorie qui ha ragionema sibbene un salutar avviso per scansarli.E intanto c'è un altro fattodi cui la città èpiena. Sentiteche questa è nuovae giudicate voi... Èun avviso a stampa su tutti gli angoli della cittàcol qualeil maggiordomo di casa Morosini invita il proprietario di un rotolodi cento zecchini veneti stati mandati all'indirizzo del senatoreavoler rimandarli a pigliare. La folla è stipata a tutti icanti e chi ne dice una e chi un'altra... Il Morosinise non èun gran giureconsultoè un furbo matricolato... e... odiatutti i suoi colleghisegnatamente il Verrie... voi giàcapite dove va a parar la cosa. Or io voe voi state di buon animo edite lì alla... (e qui fece un lezio curioso accennando laporta della camera per cui la contessa era dileguata) che dopo iltemporale viene il sereno... È ben la contessa V.... non èvero? soggiunse poi subito.
—Sìla contessaarrivata or ora da Venezia.
—Povera donnaè la vittima di un assurdo arbitrio... Ma lostudio fu di gettar la polvere negli occhie di rivolgerel'attenzione altrove... Però non ci riusciranno. Nonon ciriusciranno... Far venir con violenza una persona che sta altrove dipien dirittoperchè un ladro briccone inventa una frottola asuo danno... e pazienza avesse dettoil ladro bugiardod'aver vistoegli stessod'essere stato testimoniomezzanoche so io... Ma notutt'altro... Ora basta... la verità dee balzar fuori...Intanto buon dì e buon anno — e l'avvocato Agudio uscì.
Quandol'avvocato attraversò il cortileincontrossi nel luogotenentedel Pretorio che tornava dal palazzo del Capitano di giustizia.
Questilo inchinò con atto di profonda devozioneesclamando:
—Signor avvocatoi miei rispetti...
—Oh addio... non ti conoscevo... Or dove sei tu?
—Luogotenente di Pretorio al confine.
—Bravoma cosa fai qui?
—Ho accompagnato a Milano l'illustrissima signora contessa V...edoraper commissione dell'egregio signor capitano di giustiziavengoa portarle l'ordine scritto di recarsi domani per essere sentita ingiudizio... E stasera torno donde sono venuto... Presto poi spero divenir traslocato a Milano... Mi conservi la sua protezione...
—Addio... E l'avvocato uscì sulla viae attraversata la piazzaBorromeo e santa Maria Podonese ne venne al Brolettoal Cordusio ealla piazza de' Mercantisalutato per via rispettosamente damolte persone di cappa e di spadacome suol dirsiai quali egli noncorrispondeva che il più confidenziale salutoe tirava viaparlando fra sè e borbottando tra' denti.
Quandofu in piazza de' Mercantila folla non era scemata innanzi ad unode' pilastroni del palazzoin oggi dell'Archiviosul quale eraimpastato l'avviso firmato dal maggiordomo di casa Morosiniche diceva così:
«Ilsottoscrittod'ordine dell'illustrissimo senatore Morosinisuopadroneinvita il proprietario di un rotolo di cento zecchini venetimandaticerto in isbaglioall'indirizzo del sullodato suo padronea voler recarsi dalle ore 12 alle ore 3 nello studio della casa perritirare il detto rotolo.
«Milanodi casa Morosini28 maggio 1750.»
L'avvocatosi fermò perchè si dilettava dei discorsi del pubblico.
—Creditu che sia stato per isbaglio? diceva un giovinotto ad unaltro.
—Se è stato uno sbagliocerto che non è stato l'unicoe usciranno altri avvisi.
—Può bastare anche un solodiceva un terzo. Ma invece delmaggiordomo di casa Morosini dovrà sottoscriversi il custodedel palazzo del Senato.
—Non ti capisco...
—Oh bella... Vuoi tu che chi ha fatto il dono sia così dolce dacredere che possa bastare l'aver pensato a un senatore solo?...
—Poteva anche bastare... giacchè si trattava di rompere ilsasso più duro...
—Io per me credo che non usciranno altri avvisi. Intanto l'affar si faserio... e comincio a dire che il conte F... ha perduto laprudenza...
—Che prudenza! è moribondo... eppoi non si può dire...
—Che?... bisognerebbe esser orbi... od esser qualcuno di coloro chehanno l'obbligo di veder più degli altri... Altro chefandonieamico caro!
L'avvocatosi partì ghignando e proferendo tra sè e sè:
—Sciocchii quali credete di menar il mondo per il naso... costuiv'ha già letto in fondo all'anima... però arivederci al sabato; ed entrò sono i portici del nobileCollegio dei giureconsulti.


VI


Com'èfacile a credereil pubblicochenel caso nostroeral'aggregato di tutti coloro i quali non aveano parte veruna nellamagistratura e molto meno nella giudiziariae che senza nessunostudio preparatorionè teorie discusseprocedeva avanticoraggioso nel giudizio delle cose colla sola guida del senso comuneerasi fatto un concetto a modo suo dei fatti che abbiamo raccontati edelle conseguenti tesi criminali; ecosa stranail concetto delpubblico riuscì precisamente la camicia del vero. Vogliamodire che esso opinava per la reità del Galantinocome opinavaper la reità del conte F...; anziquando mai avesse dovutoessere indulgente con uno dei duepropendeva piuttosto a favore delprimo che del secondo; in quanto poi all'accusa che il lacchèavea gettata contro la contessamentre e capitano e vicario eattuario e auditori e assessori e senatoria primo colpo ne furonoinfluenzati al punto da ammetterlae in conseguenza da trovarnecessario il sentir di presenza la contessa in giudizio; ilpubblicovogliamo dire la maggioranzanon credette nulla affatto;chè il senso comune rifiutavasi a vedere tresche amorose làdove correva un divario di più che trent'anni d'etàtresche venali dove la ricchezza era pareggiatatresche turpissimedovecessa anche la fragilità umanaera peròinnegabile l'ottima fama della contessal'ottima fama del casatocospicuo a cui apparteneval'educazione avutala specialitàsublime degli studj fatti. Però quelle ragioni medesime percui il pubblico non avea sospettato mai che Amorevoli si fossetrovato nel giardino per leitornarono a ricomparirequasiindignate della prima sconfittaa ricomparire per difenderefervorosamente la sventurata contessae per isparlare con iracondiadel procedere della giustizia.
Ec'è di piùche al pubblico si confederò per laprima voltanel desiderio di difendere la contessaindovinate chi?tutte le donne più o meno cattivepiù o meno giovanipiù o meno belle del ceto patrizio e anche del ceto solamentericcoche un tempo erano sempre state le naturali nemiche dellasuperba contessa. Fu una specie di diserzione inattesaun cambiarrepentino di propositi e d'opinioniun mettersi tutti da un lato aprotestare in favor suoe in modo di far salire in orgoglio coloroche hanno buon concetto dell'indole femminina.
DonnaPaola chenel tempo dell'assenza della contessamediatore ilgiovane Pariniera andata a visitare la madre di leipartiti chefurono per Venezia il conte V... e il conte fratellocredette benequalche ora dopo l'arrivo di donna Cleliadi rinnovar la visita allacontessa madree d'invitarla a venire ad abbracciar la figlia perconfortarla. Molte dame trovavansi per caso colà... e tuttefurono intorno alla contessa madrela qualenei dì dellafuga e dell'assenza di donna Cleliaavea protestato di non voler maipiù riconoscerla per sua figlia; tutte adunque le furonointorno per supplicarla a cedere alle preghiere di donna Paola. Chepiù!.... talune espressero persino un desiderio vivissimod'andare a far visita alla fuggitiva ripatriata.
Inquel giorno adunque madre e figlia si riabbracciarono; in quel giornola contessa del Grillo andò a far visita a donna Cleliae lerasciugò il pianto e la consolò riferendole quel che sidiceva di lei per la cittàe come avesse mille difensoriedesortandola a star lieta. E donna Clelia infattise non lietaalmeno placidadormì la notte; e soltanto quando si risvegliòfu percossa acerbissimamente dal pensiero che in quel giorno dovevacomparire innanzi al Capitano di giustizia.
Èun pregiudizio e un errore della mentema i luoghi dove siamministra la giustizia criminale incutono un vago sgomento anchenelle persone più intemeratese per caso son esse chiamate apresentarsi ai giudicisia pure per una semplice testimonianzaperun'informazione di poco contofin anco pel proprio vantaggio. Sedunque la contessa Clelia non potea sopportare il pensiero di doversipresentare al Capitano di giustizia per un'accusa e una presunzionegravissimaquantunque ella si sentisse innocentela cosa èragionevole. Confortata però dal reintegrato amore dellacontessa madresostenuta da donna Paolasi ricomposee pensòad assumere quel contegno che dovesse comandare alla sua volta ungran rispetto ai giudici medesimi.
Versomezzodì la contessa madre le mandò un carrozzone dicasa. Di concerto coll'illustrissimo marchese Recalcatierasistabilito che donna Paola avrebbe accompagnata la contessael'avrebbe assistita di presenza anche nella sala degli interrogatorj.Partirono dunque di casa e l'una e l'altra poco dopo il mezzogiornoe presto il carrozzone entrò nel cortile del Palazzo diGiustizia. La livrea pavonazza coi galloni gialli del cocchiere e deidue servitorifece tosto conoscere a quanti trovavansi colàch'era la carrozza di casa A...chè la stessa donna Paolaavea consigliata quella specie di pubblicità fastosaperchèin simile circostanza doveva riuscire assai significante.
Ilcapitano marchese Recalcatiche stava in aspettazione di essequando sentì il loro arrivocredette bene di uscire insiemecol vicario e cogli assessori a riceverle in capo allo scalone. Erauna degnazione insolitama che all'ottimo Recalcati era statasuggerita dalla specialità del casoedopo i discorsi tenuticon donna Paola e le pubbliche dicerie pervenutegli all'orecchiodalla persuasione che la contessa meritava il suo rispetto piùche la sua severità. Dopo que' primi atti di ricevimentoaiquali però non fu straniero un certo sussiego di cerimonialetutt'altro che adatto a mettere altri di buon umorele signorefurono fatte entrare in una salanella quale comparvero poco dopo ilcapitanoil vicarioun attuariodue auditori e due assessoriponendosi a sedere presso una gran tavola coperta dal tappeto verde esu cui stava una croce d'ebano col Cristo d'avorio. I due assessoripregando la contessa ad accostarsiessi medesimi le portarono ilseggiolone a bracciuoli.
DonnaClelia era vestita con austera semplicitàper quanto potevaesser permesso dalle foggie del tempo. Quand'ella si mosse tenendodietro agli assessori che le portavano il seggiolonela severissimaregolarità del suo voltofatta allora più grave dallacondizione dell'animola fronte cheper l'azione dell'orgogliooffesole si aggrondava in quel puntoraccostandole i nerisopraccigli al vertice del suo naso romanoi labbri e il mento chemodificati dai muscoli in soprassaltoparvero assumerefuggitivamente il disegno della bocca e del mento del giovaneBonaparte cogitabondo e cupo; tutto ciòanzi che farlacredere una donna chiamata a rispondere in tribunalele aveacomunicato l'aspetto della istessa dea Temide convenzionalepersuadente col severo simulacro l'inesorabile giustizia.
Quandola contessa fu sedutal'attuariodopo avere scorse alcune carte eguardato con significazione in faccia all'illustrissimo signorcapitanoquasi a diresiamo a tempo? incominciòl'interrogatorio dal consueto punto di partenzadomandando cioèalla contessa se ella sapeva la cagione per cui era stata citata ingiudizio.
—La cagionerispose donna Clelial'ho saputa ieri dalla venerabildonna Paola qui presenteed è tale che mai non avrebbe potutoesser materia di una congettura a chiunque non sia offeso nellamente.
(Dalcostituto che abbiam sott'occhio crediamo bene trascrivere le preciseparole pronunciate dalla contessale qualiper una nota apposta incalce dall'attuaro signor Bignamisiamo avvertiti essersi volutotrasportarle e conservarle per intero nel processo verbale.)
Dopoquell'esordiorivoltasi la contessa al signor capitano:
—Or io domando a vostra signoria illustrissimasoggiunsese mi dàlicenza di parlare con libertà.
Ilcapitano con atto benevolo accennò che dicesse. Allora lacontessa incominciò; e un auditoreintinta la penna nelcalamajosi mise a scrivere come sotto dettatura.
—Più vo pensando al fatto per cui sono quidisse la contessameno so farmi capace delle cagioni che possono avere spinto questotribunale a credereanche per un momentoalle deposizioni infondatedi un costituito notoriamente malvagiogià più voltevenuto nelle mani della giustizia e più voltecredopunito.
L'illustrissimosignor capitano interruppe a tal punto la contessa. dimostrando comela deposizione a cui essa alludeva non aveva già ottenutafedema bensì aveva costretta la giustizia a non trascurarenemmeno quel filoper quanto potesse parere assurdotrattandosi diuna causa della più grande e delicata importanza.
—Di nuovo mi trovo costrettareplicò allora la contessaadomandare se mi si dà licenza di continuare a parlar conlibertà.
Edi nuovo accennatole dal capitano affermativamente:
—Io non mi lagnocontinuò la contessache la giustizia abbiafatto quel che doveva fare; mi lamento bensì che nell'intentodi rintracciare il capo di quel filo assurdo che venne messo fuoridal costituito Suardisiasi incominciato di là dovealpeggioavrebbesi dovuto finire. Comprendo assai bene quanto possanoparere e siano ardite eciò che più montaintempestive e dannose le parole di chiinvitato a difendersi ingiudiziovuol farsi censore dell'autorità; ma ci sono taliingiuriecheda qualunque parte venganonon è permesso nonrespingerle con coraggio. La colpa di che obliquamente mi si vuoleimputaree che in uomini gravissimi e sapienti come voi potèpure prendere stanzaè di tale natura che ogni prudenza siribella; e l'onestàcrudamente offesasi rivolta iracondanon solo contro l'accusatorema anche contro chi ha potuto credereall'accusae così procedere di conformità... Questa èforse la prima volta che da chi sta al mio posto è tenuto unlinguaggio di tal natura a chi sta al vostroma io confido chel'illustrissimo capitano vorrà tener conto della specialissimacondizione in cui mi trovo.
—Vi ho lasciato parlarecontessaprese a dire allora il capitanoperchè ve ne avevo dato licenzae perchè è atener conto della condizion vostra appunto. Ma la giustizia non puòavere de' speciali riguardi per nessunonemmeno per l'innocenzafosse pur veduta con certezza quando da circostanzeeccezionali è tratta a comparire come rea convenuta innanzialla legge. Però la signoria vostra or si compiaccia dirispondere alle domande che le farà l'attuaroper risponderealle quali era necessarioillustrissima contessala vostrapresenza; onde l'autorità non poteva operare diversamente daquel che ha fatto. Del restosia un attestato codesto della buonastima che si ha di voiillustrissima contessase l'autoritàmedesima si degna di venire alla giustificazione de' proprj atti.
Lacontessa si rimise in calmae:
—Vi ringraziodisseeccellentissimo signor capitanodi questadegnazione.
Quici fu un po' di pausa.... indi l'attuaro continuò:
—L'illustrissima signora contessa ha conosciuto il defunto marcheseF...?
—L'ho conosciuto ... maquasi potrei diresoltanto di nome e divista... dico quasiperchè a una festa in casa Borromeotreanni faesso mi rivolse la parolaed io di conformità glirisposi... e d'allora in poise l'ho visto spesse volte e spessevolte ho risposto al suo saluto stando in carrozza al corso dellastrada Marinanon gli ho parlato mai piùnè mi sonotrovata mai con lui nè tanto nè poco nè punto.
L'auditoreallora chiese alla contessa: quale a suo giudiziodoveva essere lacagione per la quale il costituito Suardi fu tentato di scaricare sudi essa la colpa ond'egli era imputato.
—Nella lettera che scrissi alla venerabile donna Paola qui presenteeche so essere stata deposta nelle mani delle signorie vostremi parerisulti evidente la cagione per cui il costituito Suardi ha messoinnanzi il mio nome. È questa una cagione di vendetta e dirappresagliacome suol dirsi. La sua cattura essendo avvenuta subitodopo la visita ch'egli venne a farmiper indurmi con impudenzainaudita quasi a rendermi complice dell'insidia in cui egli stava pertrarre una inesperta fanciulla veneziana di casato patrizioch'ioper avventura potei giungere in tempo a salvare dalle scellerate suemani; dovette necessariamente fargli credere che l'accusa potesseessere venuta da meessendosi egli smarrito contro la natura suaeavendo perduto la sfrontatezza e l'audacia quand'iocon suasorpresagli toccai del sospetto che si aveva di lui pel fatto deldefunto marchese. Chiunque avesse osservata la faccia di quelribaldoquando io lo colpii all'impensatanon potrebbe oggidubitare nemmen per ombra della sua reità... Per tutte lequali cose persuaso il costituito Suardi che da me gli sia venuto ilcolpoha voluto vendicarsi eingegnosissimo qual è eastutissimoha saputo sì ben fare e sì ben direch'èriuscito a trarre in inganno anche voi. Del rimanentequand'ioscrissi quella lettera alla venerabile donna Paolala pregai di nonfarne motto con verunoperch'io non intendevo di farmi accusatricedi nessuno al mondonemmen de' ribaldi; ma ellache ha piùsapienza di meha pensato chequando l'indulgenza verso i tristitorna a dannoe a gravissimo danno di sventurati innocentitosto siconverte in colpa; e però di quella mia lettera fece un attod'accusa.... accusa che oggi maturatamente io rinnovosupplicandol'alta giustizia di questo tribunale a non intralasciare indaginenessunaa non fermarsi alle ingannevoli apparenzea inseguire ilvero con insistenzaperchè trattasi di un povero fanciulloderelittotrattasi di una sventuratissima donna lasciata nellamiseria a macerarsi della colpa altrui. Il testamento fu dettato dalnotajo Macchie scritto dal defuntoe deposto fra le sue carte piùpreziose; jeri la contessa del Grillo mi assicurava di ciòavendone parlato collo stesso notajo. De' riguardi troppo giusti allafama di famiglie cospicue possono far peritosa la giustizia nelfrugare colà dove precisamente dev'essersi appiattata lacolpa... Ma testècon sapienzal'illustrissimo signorcapitano dicevami che nemmen l'innocenza può lasciarsi inriposo quando da fatti eccezionali è chiamata siccome reaconvenuta innanzi alla legge: tant'è vero ch'io sono qui...Per tutte le quali cose codesto tribunale voglia provvederenell'alta sua saviezzaperchè la giustizia abbia l'intero suocorso. Al qual fine io sono qui sempre disposta a dar ragione d'ognimio fatto... Dirò di piùtanto sono persuasa di poteressere utile a degli sventuratiche io sono dispostagiacchèho superato il primo ribrezzo di venire a questi scannia sopportarela vista del costituito lacchè... Io porto opinione che la miapresenza e le mie parole e la ricordanza de' fatti avvenuti glifaranno smarrire l'audaciae la verità balzerà fuori.
Ela contessa tacque in mezzo al silenzio de' giudici.


VII


Ellavedendo che l'auditore scrivente aveva deposta la pennaaspettava diessere di nuovo interrogata dall'attuaro. Ma questo invece si fecedare il processo verbalee lo passò all'illustrissimo signorcapitanoil qualedopo averlo letto attentamentesi alzò ecosì disse alla contessa :
—Il tribunale ha compiuto l'ufficio; dolente per un lato di avervisottoposta a gravi disturbifelice per l'altro di aver consolatoqueste aule dove risuona di continuo la voce della colpad'averleconsolatedicocolla vostra presenzacolla vostra coraggiosafranchezzacoi vostri savj ragionamenticolle vostre caldepreghiere. Spero che vi sarete fatta capace della necessitàche si aveva di sentirvi in giudizio di presenza. Se il vostro sennoe le vostre fervide sollecitazioni potranno far sì che lagiustiziaper quanto spontaneamente solertepure accresca il suozeloemessa in guardia dai vostri consigliscopra il lato giustoe sorprenda il varco che mette alla scoperta della veritàvoistessa dovrete ringraziare l'eccellentissimo nostro Senato se daVenezia vi ha obbligata a venire tra noi.
Cosìdicendosi mosse dalla seggiolasi accostò a quella dovestava donna Cleliale porse il braccio a sorgeree insieme con leivenne a donna Paolala quale strinse affettuosamente la mano allacontessa.
Cosìe l'una e l'altra furono accompagnate fino al capo dello scalonedove il signor capitano marchese Recalcaticon un profondo inchinole lasciò. E donna Cleliache nel punto in cui la carrozzaentrò nel palazzo s'era sentita a coprire il cuore perribrezzoprovò in quel momento una soddisfazione insolitauna compiacenzadi cui da molto tempo non aveva provata l'eguale.Così avviene spesso nelle cose di questo mondo; e in quel modoche dagli indizj di felicità scaturisce talvolta l'affannolepaurose aspettazioni si convertono sovente in occasioni di contento.Intanto uno de' servigià salito con essediscese a farvenire la carrozza ai pie' dello scalone e a tener aperto losportello. Le donne salironoadocchiate da cento curiosi che s'eranoaffollati lì presso; e tosto lo scalino fu ripiegato conrumorelo sportello si richiuse con solennitàil servitoresalì a far compagnia al collega. Il cocchiere sollecitòi cavallie di rumor di ruote e di scalpiti risuonò tutto ilpalazzo all'uscire del carrozzone patrizio.
Maquello non era giunto in piazza Fontanache tosto svoltò nelcortile un altro carrozzone non patrizioma che era unrappresentante legittimo del popolo; un carrozzone da nolodallacassetta del qualedove s'era assiso baldanzosamente insieme alcocchierediscese un domestico colle gambe arcuateportante unalivrea azzurra passamantata di rosso fuocola quale gli scendevafino ai piediad attestare come essasenza fargli carico dellastaturaappartenevanè più nè meno delcarrozzonea tutto il rispettabile pubblico pagante.
Eil domestico disceso ad aprir la portiera era nientemeno che l'amicoZampino del teatrino Ducalee la signora che ne uscì era laballerina Gaudenzia cui tenne dietro l'indispensabile zia.
Allacelebre danzatrice trattenutasi a Milano con permesso scritto esottoscritto dagl'ispettori del teatro di san Moisè diVeneziascadeva in quel dì appunto il termine estremoondeil giorno dopo doveva partire per Venezia. Ella veniva a trovare ilsignor Lorenzo Bruniche stava adempiendo alla sua quarantena làdentroe raccomandato dal ministro governatorevi era ancheben trattatoavuto riguardo alla qualità della locanda.Quelle visite della Gaudenzi si rinnovavano spessoe siccome essalargheggiava di mancie a dritta e a sinistracosì accorse ilcustode del palazzo appena ella discese; accorsero gli uscieri appenaella salì; accorsero i secondini appena ella si mostròall'anticamera del signor carceriere in capo. Ed or lasciamola andareal suo destinochè la raggiungeremo tra poco.
Nelcortile trovavasi contemporaneamente una mano di giovinottibuontemponicon cui ci siam già affiatati altra volta alcaffè del Grecoci pare al mercoledì grasso; e chesenon è assolutamente necessarionon è nemmeno tempogettato a sentirli anch'essie tanto più che ci troviamoavere a' nostri comodi un quarticello di ricreazione.
Eradunque la solita compagnia del caffè del Grecotrascinatadall'ozio e dalla curiosità fino al Capitano di Giustizia perappurare le notizie del giorno indietro e per raccogliere quelledella giornataun po' tempestando il custodeun po' qualche usciereche per caso discendesse; un po' qualche assessoreo auditoreonotajoo scrivano amico. Tra quella schiera di buontemponi felicisi trovavagià s'intendeanzi stava a capo di tuttiquelchiacchierone indomabile che già vedemmo seduto colla palettain mano al braciere d'inverno del caffè.
—Ma sapete che è una giornata curiosa questa! (era esso cheparlava). Il palazzo del Capitano di giustizia ha cambiato faccia...e se la va innanzi di tal passoil teatrino si trasloca qui.Carrozzoni con tre livreecontesse in gran galaconti e contini ebaroncini e marchesini che passeggiano su e giù per gli atri eper le scale. (Erano infatti i nobili praticanti e i patrocinatoridei carcerati). Per ultimo ballerine col carrozzone del teatro... èqui Zampino in personaZampino in livrea... Sta a vedere che frapoco questo cortile sarà la plateae le celle dei detenutisaranno i palchetti. Ma va benissimo così. È assaimeglio che il palazzo di Giustizia metta il parrucchino e il bellettoe diventi allegro come il palco scenico di quello che presentano letragedie asmatiche di Corneille; men male quelle di Racineil qualepar che faccia il disperato o pianga per diportotanto ècalcolato in tuttoonde si direbbe che paga il fiaschetto dellelagrime un tanto all'oncia.
—Ma cosa fai quiZampinoe come puoi abbandonare il teatro?
—Meglio servitore di carrozzache servitore di palco scenicoquandonon è stagione di carnevale. Allora gli artisti son tutti dicartelloe pagano senza contare... Adesso sono straccioni che nonhan di proprio nemmen le maglie; perciò di giorno servo ilcarrozzone del comune e conduco in giro i forestieri... Men male peròstavolta che s'è fermata a Milano... questa cara biondalaquale non guarda pel sottile... e insieme coi denari vien anche robae cibo e vino... Ah... questa ragazza e il signor Amorevoliper farstar bene chi li servenon c'è chi li somigli.
—A propositoche è avvenuto del tenore?...
—È a Venezia... ed or sa Dio quando torneràperchèquando un tenore di quella vagliapiglia il volochi puòsapere dove andrà a finire? Inviti di quainviti di làse poi vanno alla Corte di Franciao alla Corte di Spagnao allaCorte di Vienna... a rivederci all'altro mondo... E dire che m'avevapromesso di condurmi con lui... perchè gli piaceva il mioservizio... ma... È stato un tal diavolo a quattro questocarnovale passatocon tante disgrazie... che... basta!... Ora sonqui.
—Povero Zampinoe cosa viene a fare in questi luoghi la tua bionda?
—Bella domanda! a trovar il signor Bruniil violino di spalla... e losposeràappena uscirà all'aperto. Sìsignori.Così rimarranno con tanto di naso quei cari cicisbeispasimanti che credevano abbagliarla collo specchietto degli anellidi brillante e coi titoloni; e va benissimoe mi fanno ridere questiruba occhiate... Ma il signor Bruni è un altro galantuomo chepaga bene.... e che è quel che si direbbe una mosca bianca frai suonatori... bollettoni eterni che portano in deposito alpignoratario persino il contrabasso e il corno quando non c'èteatroe non sono chiamati a far baldoria a qualche festa di chiesadi campagna.
Tuttala brigata volle smascellarsi dal ridere a codesta espansionefuribonda del nano Zampino contro gli stracci teatrali; ma vedendoche scendeva dallo scalone un auditoreil quale era uno degli amicifuron tutti colà a tempestarlo di domande:
—E così? non si sa nulla della contessa che fu lasciata partirecom'è entrata?
—E che diavolo! volevate che le si mettessero le manette come a unborsaiuolo?
—Chi ha mai pensato e detto questo? entrava lesto il chiacchierone; ioanzi ho sempre detto che a mandar a prender la contessa per forzalagiustizia avrebbe fatto un buco nell'acqua.
—E se non la si fosse mandata a pigliareavreste detto che erano isoliti riguardi paurosi che l'autorità ha verso i titolati.
—E voi altri dottoroni della leggeper far vedere che siete uominiintegerrimiavete cominciato a dar prova d'imparzialitàprecisamente dove non occorreva... Così siete caduti dallapadella nella brace!
—Che brace e che padella?
—Brace e padellasì... Prima si poteva dire che eravatemaligni ma acutioggi si può dire che siete galantuomini mabalordi... Ma già è un destino che non abbiate aimbroccarne mai una.
—Tacitacibuontempone... che se il mondo dovesse regolarsi achiacchiere.... tu saresti il Giove in cipria; fortuna che ti silascia dire e dire... e chi deve fare fasenza il tuo parere...
—E per questo le cose camminano come camminano; piuttosto è chead un bisogno sapete essere e bricconi e balordi — cosìsi pigliano più piccioni a un favo... bravissimi! e mentres'importuna la Repubblica di Venezia per importunare la contessa chestava benissimo là col suo bel tenore... qui non si pensa cheil conte F... è il fratello del marchese; e chedata pure perassurda e impossibile la presunzionesentirlo in giudiziobisognavaben sentirlo... Ma invece... se il conte F... fosse morto da centoanni non si potrebbe dimenticarlo meglio...
—E puoi tu dire di sapere quel che si farà?
—Che cosa so io?... Quand'anche si finisse coll'impiccarlolagiustizia avrebbe sempre il torto di avere aspettato troppo tardi...E poi che bel merito... Di qui soffia uno e discopre gli altarinidilà l'avvocato Agudio spicca un libello e mette sossopra lacittàe cerca e trova testimonj. Capisco anch'io che a questomodoa calci nel sederedee camminar la giustizia anche a Milano...Oh ci vuol proprio un gran merito...
—Ma intanto il cameriere dei Tre Re....
—Che cameriere?
—Diavolotu che sai tutto... non sai che il testimonio ingaggiatodall'avvocato Agudio è il cameriere dei Tre Re? e domani saràmesso agli interrogatorj un altro cameriere che si mandò apigliare fino a Cremona?
—Oh ora va bene... e questo primo cameriere?...
—Fu messo alle strette... e disse che il lacchè Suarditrovavasi in Milano e bazzicò più volte all'albergonella settimana grassa. Questo basta perchè il Galantino siatrovato in mendacio... bastacioèsino ad un certo segno...perchè poi c'è un altro guajo...
—Che guajo?
—Che nel punto in cui il cameriere doveva confermar tutto congiuramentoei fece di tratto un gran passo indietro e protestòche la memoria poteva forse ingannarlo... e in ogni modo non sapearisolversi a giurare a danno altrui... e qui non c'è nèche dire nè che fare... Ma domani si sentirà l'altro...e se mai parlasse come questo... e per soprappiù giurasse...emesso in confronto col Galantino... Bastavedremo... Ora tucontinua a dire che noi vogliamo chiuder la porta al veroe tenermano a' birbanti. Il contrattempo sai tu piuttosto in che consiste?consiste in ciò che il conte F... è a malissimopartito. Ma voi... mi fate perder tempomentre sono aspettato inPretorio. Addiobuone lane.
El'auditore partìe la brigatasalutato il Zampinose neandòindovinate dove?... verso le parti di Santa MariaPodoneper raccogliere notizie intorno alla salute del conte F... Manon avevan voltato il canto di Santa Maria Fulcorinache sentirono aqualche distanza i suoni intermittenti di un campanello scosso amanouna voce acuta che spiccava nel silenzioper esser tostoseguita dal rumore di cento voci. Sancta Mariaacclamava lavoce bianca; ora pro eorispondeano le altre in sordobrontolìo. E il campanello intercalavasi a quelle voci: Salusinfirmorumora pro eoRefugium peccatorumora pro eo— Consolatrix afflictorumora pro eo... e cosìfinchè i nostri compagni giunsero in veduta del santissimoViaticoil quale entrò nel portone di casa F...
—Si vede che il conte non sta benissimo di salutedisse ridendo ilpiù assiduo interlocutore. Ora guardatecheallorquando unuomo è nato sotto la protezione della ruffiana fortunamuorenel punto preciso che la morte è un colpo orbo alla bassetta.
Maper vedere in qual condizione si trovi precisamente il moribondoconteentriamo anche noi in casa F... insieme col Viatico.


VIII


Quelloche don Alberico avea pronosticato al maggiordomo di casache cioèil dottor Gallaroli avrebbe fattotornando alla visita della seraun grande scalpore al sentire che non s'era ancor mandato a chiamareil preteavvenne per l'appunto.
Ilconte F...in quelle sei o sette ore che erano passate dal consultoal suono della campana seraleaveva peggiorato a furia; onde ilbisogno del prete erasi fatto più necessario che mai. Comedunque montasse in collera il medico della curasebbene perabitudine gioviale e cortese ed anche un po' adulatoreèfacile imaginarsi. Si trattava di spargere di sè e delle sueosservanze religiose un'opinione favorevolela quale lo avrebbeingraziato al clero in cura d'animecerto che un medico deenecessariamente tenersi confederato; e il dottor Gallaroli tanto piùsalì sulle furiequanto più era straordinaria ecospicua l'occasione. Data pertanto una buona sgridata almaggiordomoperchè in quel momento la collera serviva al suointentocome altre volte la giovialità e la condiscendenzapartì facendosi promettere obbedienza interaeraccomandandosi in ispecial modoe qui cangiando tono e frasi efacciaa don Alberico. Non però cessarono le dispute traquesto e il maggiordomodopo che il medico si fu partito. E ilRotigno non faceva che ripetere i paralogismi sfoderati fin dalmattino col figlio del signor contedifendendo il suo proposito contanto maggiore insistenza e caparbietàquanto piùdisperava della possibilità di potervisi mantenere; anzil'insistenza e la caparbietà crebbe al punto che diventòiraconda petulanza; tanto la considerazione del pericolo vicino loavea fatto uscire da quelle misure di rispettosa convenienza che purgli erano comandate dalla sua condizione e da quella di don Alberico.Ma ciò gli partorì appunto l'effetto contrario a quelloper cui si crucciava; che don Albericoinasprito da quella cosìaudace contraddizioneordinò a' domestici che tosto andasseroa chiamare don Giacinto di Santa Maria Podone.
Idomestici di casa F... non erano mai stati i più prontiesecutori degli ordini di don Albericoperchè il conte padree il maggiordomo erano sempre stati i soli a far paura alla servitù;ma in quel momento successe una repentina diversione. Il contepadrone potea morire; e allora il maggiordomocessando a un trattodi essere dopo di lui la persona più autorevole della casadoveva diventare invece il servitore devoto di don Albericononrimanendoin quanto al restoche l'uomo il più abborrito daidipendenti; perchè questise lo avean sempre obbedito conprontezzalo avevano anche sempre odiato con effusioneper quellerelazioni di sudditanza oppressa e di tirannia che intercedono quasisempre tra un maggiordomo e le livree d'una casa. Don Giacinto fudunque mandato a chiamare. Il vicario di Santa Maria Podoneindignato di essere stato messo alla porta dal maggiordomo quandoerasi presentato a visitare il contenon s'era più mossomasentendo peggiorar sempre le notizie della salute del conteaspettava di venir invitato. Quando pertanto il servo di casa fu adirgliche venisse subito perchè il conte padrone stava amalissimi terminitosto accorse.
Ilmaggiordomoallorchè vide il prete entrar nella stanza daletto del conte F...provò quell'oppressione di cuore equello sgomento onde è assalita una moglie infedele chesorpresa dal maritolo veda entrar nella stanza dove avea creduto dipoter nascondere il furtivo amante.
DonGiacinto il qualeper una lunga abitudine al letto degli ammalatiaveva fattocome suol dirsil'occhio medicoavvistosi tosto delmassimo pericolo in cui versava il contesenza por tempo in mezzogli propose la confessioneche dall'ammalato incadaverito fuaccettata.
Quandola vecchia cameriera uscì per lasciare il padrone da solo asolo col pretetrovò il maggiordomo che s'indugiava nellasala vicina.
—Or come sta il padrone? quegli le chiese.
—Sta con don Giacinto e si confessa. Usciamo tutti di quie non silasci entrar nessuno.
—Io mi fermeròe non entrerà alcuno; disse ilmaggiordomo preoccupato; euscita la vecchiain prima egli si diedea passeggiare per la camerarallentando di tratto in tratto ilpassoper finire a fermarsi poi del tutto in un angolo della salaraggruppato in un atteggiamento che significava la piùprofonda concentrazione in un pensiero unico. Ma a riscuoterlo entròimprovviso don Alberico che gli disse con accento di meraviglia:
—Or che fate lì rincantucciato? E la sua voce risuonò inquel profondo silenzio: chè tutti i servi si eranoallontanati.
Allavoce di don Albericola quale distintamente arrivò finall'orecchio dell'ammalatorispose un sospiro graveanzi un gemitorantoloso dell'ammalato stesso. I duescossi da quel gemitostettero un momento immobili e senza quasi tirare il fiato.
—Or sucoraggiodica pur tutto.
Erail prete che parlava; ma il prete quasi nel punto medesimo uscivaevedendo i due:
—Prestosi chiami qualcunoche al padrone è sorvenuto undeliquio. — E diede egli stesso una strappata al campanelloes'udì lungo le sale silenziose l'oscillazione prolungata delfilo metallico.
Accorseincontanente la vecchia camerieraed entrò colprete nella stanza del conte.
—Or vedetedisse allora il Rotigno a don Albericoi buoni effetti dame pronosticati di queste negre sottane.
—E che si doveva fare? rispose il giovane.
Dopouna mezz'ora il conte erasi tanto quanto riavutoonde don Giacintofatta di nuovo uscir la vecchiaripigliò la confessione.
Maora non creda il lettore di potereintrodotto da noi in quellastanza di mortemettere la testa tra le orecchie del prete e labocca del conte. No; di quella confessione noi non sappiamo nèprincipionè mezzonè fine. Chè il sacramentodella penitenza non è costituto criminalee non si traduce inprocesso verbale a saziare la curiosità dei posteri curiosi.Soltanto possiamo dire cheallorquando il prete uscìilmaggiordomo che lo attendeva alla porta per leggergli in volto epenetrargli l'animanon vi potè legger nulla; odiremo piùgiustonon vi notò altro che quell'abituale tranquillitàdel sacerdote che ha fatto il suo dovere; ed anzi quella tranquillitàera tale che se la sentì trasfusa in se medesimo. In quanto anoivolendo avventurare qualche congetturaregolandoci con quelloche avvenne dopoci pare di poter sospettareche il conte fosse alpunto di fare al sacerdote la rivelazione intera d'ogni cosa; ma lacombinazione fatale avendo voluto che in quel punto la vocedell'unico erede gli suonasse all'orecchioquella bastò perimpietrargli il segreto in gola. L'indomita ambizione e il pensierodella grandezza del casato perpetuata nel figliuolofu piùforte d'ogni altra angustiae tacque; vogliamo direè assaiprobabile che sia avvenuto cosìperchèdel rimanenteripetiamonon sappiam nulla di preciso.
Lamattina successivasacerdote e dottore furono al letto del conte; eil maloredurante la giornataprogredì al punto cheneldopo pranzofu indispensabile accorrere col Viaticoin vista delqualecoi cappelli devotamente levatici staccammo da quellaschiera di giovinotti avventori del caffè del Greco. Ma comeessi per raccoglier novelle della salute del conte F... lasciarono ilpalazzo del Capitano di Giustizia; a noi conviene invece ritornare dinecessità in quel luogonell'aula degli interrogatorj. Edobbiamo ricordarci anche della Gaudenzivenuta colà avisitare Lorenzo Bruni. Se non che il dialogo che s'impegnòtra questo e la bellissima danzatricee il terzetto a cui si allargòil duettoal sorgiungere di Pietro Verriinteressa un ordine difatti che qui potrebbero far sbadigliare il lettoretutt'altro chedisposto a tener dietro al corso generale delle cose di quel secoloin un punto che più ci attirano le particolarità delprocesso; per la qual cosa omettiamo un tal dialogoreclamando ildiritto ai ringraziamenti.
Dall'auditoreche parlò nel cortile del palazzo di Giustizia cogli amici delcaffè del Grecoabbiamo sentito come il primo camerieredell'albergo dei Tre Re messo agli interrogatorj abbiain primadeposto contro il lacchè Suardidicendo di aver giuocato conlui in una delle sere della settimana grassa; posciainterpellato sefosse disposto a raffermare la deposizione col giuramentosiasiritratto di un passoaccusando la possibilità che la memoriaavesse mai potuto tradirlo. In tal guisa veniva a riuscire secondol'espressione dell'attuaroirrita affatto la sua primadichiarazionee però a risolversi in un indiziopiùche insufficientenullo. Se non che il causidico praticante nellostudio dell'avvocato Agudioche era un tal Gerolamo Benagliarecatosi a Cremonaaveva trovato all'albergo del Sole il secondocamerieree interrogatololo aveva sentito confermare l'asserzionedel primodichiarandosi inoltre pronto e a giurare e a sostenere ilconfronto col medesimo Galantino; perciòsenza por tempo inmezzoavealo condotto seco a Milano; del che avendo dato avviso alsignor capitano di giustiziaquesti avea ordinato che il dìdopo dovesse comparire per essere sentito in giudizio.
Ilmarchese Recalcatise per le molte circostanze sorvenute eradisposto a lasciar corso liberissimo alla giustizia senza riguardiobliqui per nessunoe nel bisogno a parlare anche in Senatodove ilcapitano spesso era chiamato e sentito; non però aveva maiavuto gran voglia di comunicare una velocità straordinariaall'andamento del processo. La sua natura onestissima era pur semprealle prese con quella sommessa deferenza ch'egli sentiva per chivoleva virare il naviglio in modoche finisse per perdersi in altomarelontano dalla vista del pubblico.
Mal'esame fatto alla contessa Clelia V...le franchissime parole dileile calde sue sollecitazioni raddoppiarono la sua onestà escemaron la deferenza ch'egli avea per altri. Però venne inpensiero di dar corso più rapido al processoe a tal finevolleche il secondo cameriere venuto a Milano col causidicopraticante Benaglia dovesse comparire in giudizio quel dìmedesimosenza attendere il giorno successivo; e siccome l'ora erasifatta tardacosì dispose che l'esame si avesse a fare dopo ivespri a chiaro di lucernae gli esaminatori dovesseroal bisognovegliar la notte perchè «col sorgere del sole(togliamo queste parole dal processo) qualche lume diverità dovesse rischiarare la casa della giustizia».


IX


Perl'ora prima di notte fu dunque invitato a comparire innanzi al signorcapitano di giustiziacome testimonio contro il costituito Suardidetto il Galantinoil già cameriere nell'albergo dei Tre ReCipriano Barisone.
Questicomparve di fatto in un col causidico praticante Benaglia. Aperto ilcostitutol'attuaro domandò al Barisone se conosceva ilSuardi.
—Lo conosco fin da due annifin da quando esso era al servizio delmarchese F...
—In quali relazioni vi siete trovato con lui?...
—Io ero cameriere all'albergo... equando lo conobbi per la primavoltaesso era un avventore che scialava e mangiava i miglioribocconie beveva il vin migliore... Di poiallorchè vennescacciato da quella casasi astenne per qualche tempo di venireall'osteria; e quando ci tornòse prima faceva il signore enon giuocava che cogli avventoridopo ha dovutodi necessitàse voleva trovare un compagnomettersi a far comunella con noi gentedi servizio... e a notte tardaquando i più degli avventorieran partitigiuocava con noi alle carte; e siccome a quell'ora sicenavaegli non aveva schifo di mangiare nei nostri piattiperchèsi capiva benissimo che capitava all'Osteria senza che nè unacrosta di pane gli avesse toccato un dente. Si rifece però unpocoe lo vedemmo con de' zecchini d'oro assai in quell'occasioneche vinse la corsa co' lacchè di Brescia e di Cremona. Ma fuun'allegria cortaperchè presto tornò ad aver bisognodegli avanzi della nostra cucina.
Quil'auditore l'interruppe.
—Di qualche cosa però avrà dovuto vivere; con che dunqueesso mantenevasi?...
—A dormir sul fenile dell'osteriaa mangiare nell'altrui piattoadavere i piedi fuor delle scarpemi pare a meche non debbaoccorrere gran cosa per vivere. Tuttaviase mai capitava ch'egliavesse qualche lira tra le manile guadagnava al giuoco delle cartenel quale aveva sempre ragionee quando non era la fortunaeglistesso faceva le parti di lei.
—Spiegatevi meglio.
—È presto spiegato: s'egli faceva il mazzole buone carte eransempre le suee in ciò nemmen chi giuoca ai bussolotti inpiazza poteva essere più svelto di lui.
—Ma conoscendo questoperchè avete continuato a giuocare conesso?
—Che cosa vuole? ci sono a questo mondo de' buoni semplicioni coiquali non si vuol aver a che fare per la ragione dell'antipatia.Parimenti vi sono de' mariuoli che più te ne fannopiùti innamorano di loro. E il lacchè era uno di questi... Cirubava i puntifaceva scomparir le carteci mangiava il bocconmiglioretalvolta ci portava via qualche camiciaqualche calza...che so io.... e tuttaviaquando non lo si vedeva a comparirall'osteriasi pareva senza una mano... Era pieno di piacevolezzedi pazziedi invenzioni... e perfino il padrone dell'albergo che èun uomo col viso sempre aggrondato e che non ride maiarrivava adomandar conto di quel briccone se passava una giornata senzavederlo. In quanto a me peròultimamentene avrei fattoanche senza.
—Or dunquevenendo al fattoquando fu l'ultima volta che voi avetegiuocato seco all'albergo dei Tre Re?
—L'ultima volta fu la domenica grassa.
—Come potete provarlo?
—Provarlo? colla buona memoria... io non ho altro... perchè miricordo benissimo come se fosse adessoche la domenica grassa hogiuocato con luied era quasi la mattina del lunedì... E ilfar tanto tardi non succede che in tali giornate di gran faccende...E poi c'è un altro fatto... Giuocavano con noi due camerierisoprannumerarji quali non sono venuti che in settimana grassaeprecisamente alla domenica. Ma chi li va a prendere adesso questicamerieri i quali ora sono quaora sono là... e spesso sefanno il cameriere in settimana grassafanno il facchino a sanMichele... e non si riconoscon più nè al viso néal vestito?...
—Ma voi sapreste sostenere tutto quello che avete detto fin qui anchein confronto del lacchè?
—Perchè no?... s'io parlo... è perchè trattasi didir la verità... e se dico la verità... è perchèil signor causidicoche venne a pigliarmi a Cremonami haassicurato che a dir la verità tutta quanta si reca vantaggioa delle persone oneste e povere...e a tacerlasi tiene invece ilpiatto a' birbanti.
L'attuaroche avendo proposto il giuramento al primo camerierelo avevasentito a ritirar la parola per ispavento della solennitàdell'atto; credette di non farne motto al secondo testimonioe diprovocar prima il confronto di lui col Galantino. Di fatto avrebbedovuto incominciare anche coll'altro da questo attopreterendo ilgiuramento; ma sbaglia anche il prete a dir la messa.
Ilcameriere Barisone fu dunque fatto uscirepel momentodalla saladegli interrogatorje fu mandato a prendere il costituito Suardi. —Questi comparve nella sala un quarto d'ora dopoin mezzo a duesecondinio come chiamavansi allora più comunementesbirri.
Lafaccia del Galantinoquando si mostròera sorridente; losguardo di lui lampeggiava a dritta e a sinistra con vivacitàgioviale. Un occhio esperto però avrebbe dovuto comprenderech'ei sorrideva vivacementeperchè la sua forte volontàmoveva i muscoli del viso e degli occhi. Erase ci si passa lasimilitudinecome un caratterista brillante di una compagnia comicail quale ha i creditori alle calcagna e gli arresti personaliintimati per debitie tuttaviasul palco scenicoride e fa rideree par l'uomo più allegro del mondo. Del rimanentequel roseoincarnato che avea sempre colorito il volto bellissimo del Galantinoera scomparso per dar luogo a un lieve palloreinsolito su quellafaccia trionfante di sfrontatezza e di salute.
L'attuarofatta una lunga pausadurante la quale guardò il Galantinocon una significazione severissimarilesse ad alta voce il primocostituto stato già sottoscritto dal Suardipoi soggiunse:
—Avete ancora il coraggio di sostenere tutto quello che avete detto edeposto qui in processo verbale sottoscritto?
—La verità è una solae io non posso già direche non è avvenuto quello che realmente è avvenuto.
—Voi sapete che chi spontaneamente confessa la propria colpa allagiustiziaha meritato che la giustizia alla sua volta gli si mostriindulgente. Vi esorto adunque di nuovo a dire la veritàsevolete che la giustizia non faccia uso contro di voi di tutto il suorigore.
—La giustizia può fare quello che vuole; ma io non possocambiare quello che è stato.
—Ebbenesappiate che abbiamo assunte testimonianzedalle qualirisulta che voi avete mentito. La domenica grassaa notte tardaavete giuocato alle carte all'albergo dei Tre Re... Vedete dunque chenon è verosimile che voi foste allora a Venezia già daotto giorni.
IlGalantinobenchè fosse di bronzonon potè a meno dicommuoversi a quelle parolee fu una sua fortuna s'egli erailluminato dalla fiamma della lucerna piuttosto che dai raggi delsole; si ricompose però sull'istantecome un cavalierofattopiegare indietro da una lanciache tosto si rimette in sella; erispose con asprezza:
—Non sarà mai vero che alcuno possa direch'io mi trovassi aMilano la domenica grassa. Torno a ripetere ch'io andai a Veneziaotto giorni prima. E quegli che a loro signori avesse detto ilcontrario è un bugiardo infame.
L'attuarotacque un momentopoi disse ad un usciere:
—Fate entrare il testimonio.
L'usciereentrò col Cipriano Barisone cameriere.
IlGalantinoche nel frattempo aveva almanaccato per indovinare chi maipoteva essere venuto a deporre in giudizio contro di luie quasierasi accostato al verosi trovò parato a sostenere la primavista del cameriere Ciprianoe tanto chedalle difesecon unasfrontatezza senza ugualepassò alle offese.
—Ah è costuidissequegli che viene a inventar fandonie perfarmi danno. Ma non mi fa meraviglia. No... È naturale... peròbisognava essere un birbone come lui. Sappiano dunque loro signoriche costui ha parlato per vendetta... perchè più volteha detto che volea vendicarsi di me... Or di' un po' tu se questo nonè veroo ribaldo.
L'attuaroassalito anch'esso e sorpreso da quell'inattesa franchezza delcostituto:
—È verochiese al Barisoneche voi avete potuto dire altrevolte di voler vendicarvi di lui?
—Sìsignoriè veroe ne ho le ragionie gravi. Primadi tutto costui... che regala del proprio agli altri... e non èmai stato innocente nemmen quando poppavaperchè vi son deiserpenti che avvelenano appena usciti al sole... costui dunque non mirestituì mai cinquanta lire che gli ho prestatee una serache gliele richiesiin faccia agli avventorimi appoggiò unpugno qui... cheeccomi spezzò questo dente. Poi... ma...
—Taci lìche continuerò ioaggiunse il Galantinocacciandosi a ridere nel profferir quelle parole.
IlBarisone fremeva...
—Sappiano dunquesignori... e innanzi tutto già si sa che si èdi carnee dove c'è carne c'è sangue. Ebbenequestobel pappione s'è fitto in testa di sposare la figlia dellalavandaja dell'albergo. Un fior di ragazzottagiovane e fresca...una gioncata colle fragole. Il marito dunque era costui... ma...
—Taci...
—Dopo qualche mese la bella sposa... si guardò dunque intorno evide chein conclusioneci voleva qualche cosa dolce per farpassare l'amaro dell'aloè. Il caso ha voluto che io glicapitassi innanzi nel momento appunto che era presa dalla nausea diquesto gabbiano... Ora chi non lo sa? l'uomo è cacciatore... equando l'allodola è novella... va presto nel carniere... Delresto la colpa... (e qui si diede a sghignazzare come se fosse inpiazza) è di costui che una notteinvece di stareall'osteriaè venuto a casa due ore prima del consueto... esi cacciò a strepitare come uno spiritato ed io a dar giùbotte da orbi... perchè questi mariti gelosi van tenuti insoggezione. Così la bella lavandaja tornò a picchiarsulla pietrae costui giurò di vendicarsi di me. Ecco tutto.
Aqueste parole del Galantinoe il viso tra il goffo e l'iracondo chefaceva il Barisonesulla faccia dell'attuaro guizzò unsorriso fuggitivoch'esso respinse a forza aggrondando ilsopracciglio; l'illustrissimo signor capitano guardò conseverità l'attuaroquasi ad ammonirlo perchè dessesulla voce al Galantino e lo richiamasse al dovere ed al rispetto; madue giovani scrivanicheper fatalitàs'erano adocchiatisi comunicarono a vicenda quella volontà contagiosa di ridereche cresce in ragione diretta della sconvenienzadella gravitàdella circostanza e della severità dei superiori. Ben lanascosero in prima con tali conati da meritare ogni maggior elogio dachi tien conto dell'intenzione; ma i conati e gl'impedimenti nonfecero altro che accrescere gl'impeti convulsidi modo chedopoessersi soffocati per qualche tempocome si fa colla tosse quandopotrebbe tradire un segreto pericolosoalla fine scoppiarono in unoschianto così scandaloso e indecenteche la terribilitàdel luogola gravità del signor capitanol'aggrondaturaartificiale dell'attuarol'inerte serietà dei due sbirri nonvalsero a salvare la solennità della dea Temide.
Accorseperò al riparo l'attuarogridando bieco al Galantino:
—Basta cosìe attendete a rispondere ai giudici voi quandosarete interrogato; indi voltossi al testimonio:
—È vero quanto ora fu detto?
—È vero.
—Perchè dunque non lo avete esposto prima?
—Vostra signoria mi perdonima quando io era per continuare e dirtuttoho dovuto rispondere ad altre domande.
—È egli vero altresì che siete stato eccitato contro ilcostituito qui presente da spirito di vendetta?...
—Ho detto più volte di voler vendicarmi di luiquesto èveroma non furono che parolee sarebbero sempre state tali. Ciòperò non ha nulla a che fare con tutto quello che ho depostocirca il fatto di aver giuocato con esso la domenica grassaperchèquesta è la pura veritàe quando io stavo a Cremona efui chiamato e interpellato dal signor causidico Benagliaeralontano mille miglia dal credere ch'io dovessi venire a Milanoond'essere sentito in giudizio per cosa che risguardava costui.
—Ma come avete potutocol malanimo che avete secogiuocare ancoracon lui?
—Chi si poteva salvare dalla sua importunitàe anche dalle sueprepotenze? d'altra parte i compagni ridevano di me quando facevo ildispettoso con esso... ondepel quieto vivere... bisognava adattarsia giuocare e a lasciarsi incantare anche le carte... Ma se V. S. noncrede alle mie semplici paroleio sono disposto a giurare tuttoquello che ho dettoperchè non sarà mai che permalanimo io voglia inventar storie a danno di chicchessia.
—Ora parlate voidisse l'attuaro al lacché.
—Quel che ho dettolo ripeto. La domenica grassa io stava aVenezia... e costui è un bugiardo... e s'egli èdisposto a confermare le sue fandonie col giuramentonon è laprima volta che a questo mondo si sente a giurare il falso conindifferenza.
L'attuaroa queste paroleguardò al signor capitano di giustiziache aquella tacita interpellazione:
—Or si rimandi in prigionedisse.
Egli sbirri condussero fuori il Galantino.
—Che vi rimane adesso da aggiungere? disse l'attuaro al cameriere.
—Io non ho niente da aggiungere; son uomini questi che farebberoperdere la testa a chicchessia. Del resto io vivevo tranquillo inCremonaall'albergo del Solee non avrei mai voluto recar danno nèa lui nè ad altri nè a nessunose non fossero venutiespressamente a cavarmi di là e a tirarmi a Milano per forza.Questo io dico perchè V. S. si persuada della veritàdelle mie parolee che non ho mai ingannato nessuno al mondoevorrei che il Signore Iddio mi castigasse qui se mai ho detto ilfalso.
Aqueste parole venne rimandato anche il testimonio Barisonefattagliintimazione di non uscire da Milano fin che non ne avesse avuto ilpermesso dall'autorità; per la qual cosa venne chiamato nellasala anche il giovane causidico Benagliaa cui fu parimente intimatochesotto la sua responsabilitàil cameriere dovesse restarea Milano sino a nuove disposizioni.
Eil capitano di giustiziache si attendeva di venire al chiaro d'ognimistero in quella nottetrovò invece d'aver raggruppato dipiù il nodo nel tentare di scioglierloavendo bensì laconvinzione morale invincibile della reità del Galantinomanon avendo le prove legali per condannarlo; anzi non avendo raccoltoa rigorenemmeno gl'indizj legittimi per metterlo alla torturacomeegli avrebbe creduto opportunoe come e l'attuaro e gli assessori egli auditori consigliavano ad una voce.
Peròad onta che gl'indizj non fossero a rigore di scrupolo i piùlegittimiperchè dei due testimoni necessarjuno erasiritiratoe il secondo aveva infirmata la sua deposizione colsospetto di malanimo contro il costituito; e prescindendo anche daciònon potea bastare come testimonio solonon verificandosiin lui gli estremi voluti dagli statuti e confermati dagliinterpretiperchè la sua condizione non era tale che sipotesse dichiararlo superiore ad ogni eccezione; tuttaviaavutoriguardo che i due camerieri in massima erano andati d'accordocheil secondo era disposto a giurareavuto riguardo inoltre alledeposizioni della contessa Clelia V... e all'abito criminoso delSuardil'illustrissimo signor capitano marchese Recalcati pensòdi portar la cosa in Senatoaffinchè quella supremamagistratura provvedesse in proposito; e il referato che fusteso e spedito il giorno dopovenne chiuso col voto espresso cheappoggiava l'applicazione della tortura al costituito di cui sitrattava.


X


Quandocodesta relazionecol voto dell'illustrissimo capitanodi giustizia e colla nota — d'urgenza — fuportata in Senatocorreva il primo di giugno. Essendo giorno dimercoledìcheal pari del lunedì e del venerdìera riservato alle cause civilii segretarj del Senato la misero frale cause da trattarsi in consiglio il giorno dopo (chè neigiorni di martedìgiovedì e sabato si discutevanoesclusivamente le cause criminali). Ed ora giacchè si ha adassistere allo spettacolo di questo Senato in sessionedi questoSenato che sta vivendo gli ultimi anni della sua vita (e dovremoassistere fra non troppo lungo tempo al suo totale scioglimento); percoloro che non hanno letto la sua storia scritta da Orazio Landinèil commentario del Garoninè le memorie di don Martino deCollanè il Lattuada; o cheanche avendoli lettinon liserbano tutti in memoriaè bene che riassumiamo qui conbreviloquenza da telegrafo: che l'origine del Senato di Milano risaleal primo duca Giovanni Galeazzo Viscontiquandonel 1390ottennetitolo e dignità ducale dall'imperatore Venceslaonon avendoallora che l'appellazione di Consiglio; — chenel 1499questoConsiglio ebbe titolo di Senato da Lodovico XII di Francia ed era unConsiglio di diciasette Senatori presieduti dal Gran Cancelliere;chenel 1522ritornato Francesco II Sforza in Milanoun nuovoregolamento portò a 27 il numero dei padri coscritti; —chenel 1527venuto a pigliar possesso del Ducato di Milano ilBorbone in nome di Carlo Vvenne sconvolto il regolamento sforzescoe fu costituito il Senato da un presidentequattro cavalieridodicigiureconsulti con sette segretarjper tramutarsi poscia e stabilirsinel presidente con quattordici giureconsulti; di modo che al tempo incui ci troviamo colla nostra storiail Senato constava delpresidente e di quattordici senatoriuno de' quali aveva titolo disenatore reggente o vicepresidentecome decano. Di quattordici perònon risiedevano che dodiciperchè due venivano sempreimpiegati nelle preture della città di Pavia e di Cremona. Aquesto illustre corpo si univano sei segretarj e nove portierivestiti di divisa color violetto cupo e portanti collane d'oro alcollo nelle pubbliche comparse. Giova inoltre sapereper coloroalmeno che pel momento non hanno cosa di maggior importanza daimparareche i senatori cambiarono due volte il vestitoperchèsotto i duchi e i re di Francia portavano berretta o giubbone colledivise bianco rosse; e al tempo del dominio spagnuolo assunserole toghe foderatein tempo d'invernocolle pelli di zibellino(ponticus mus) come lo chiama il Garoniil qualzibellino distingueva i senatori dagli altri magistrati togationdeè probabile che i più vanitosi dovessero nutrire unacerta avversione per l'estate.
Ecome l'eccellentissimo Senato cambiò titolonumeroingredientivestitopiù d'una voltamedesimamente dovettecangiare spesso il luogo delle sue adunanze; onde sotto il primo ducaprobabilmenteedi certosotto l'ultimosi radunava in portaVercellina presso la parrocchia di san Protaso al Foro; poisotto ire di Francianella casa pure in porta Vercellina assegnata al grancancelliere: infine si traslocò in una parte del medesimoreale palazzo.
Edè in questo luogo che noi adesso dobbiamo recarci. Un'ora dopomezzogiorno del primo giovedì del mese di giugnoilpresidente e i senatori intervenutiche in quel giorno erano innumero di otto (non era necessario che tutti quanti intervenissero)dopo avere ascoltato la santa messa nella cappella del palazzomedesimocome voleva la consuetudineentrarono nella gran salachenel 1750 si denominava ancora delle udienzeperchè sotto iduchi e i re di Francia vi si tenevano infatti le udienze pubbliche;entrarono e si posero a sedere intorno ad una gran tavola con tappetoverde; i senatori si assisero quattro per partenelle cattedre chesi chiamavano ancora de' padri coscritti; il presidente nella piùrilevata cattedra posta in capo alla tavola. Dietro di luiad unatavola più piccola sedette uno de' sei segretarj. Tutto eraaugusto e solenne in quell'aula. Al disotto dei dipinti a frescodella metà superiore delle pareti si vedevano cinque grandiquadridov'erano dipinte ad olio le proprietà dellagiustiziaportanti al disotto dell'ampia cornice i titoli latini acaratteri cubitalicioè ÆquitasLegislatrixDistributivaCommutativaVindicativadel che ha lasciatomemoria il Lattuada. Intercalati a queste tele si vedevano i ritrattidi Giovanni Galeazzo Viscontidi Francesco II Sforzadi Carlo VFilippo IIFilippo IIIFilippo IVCarlo II di Spagnaedell'imperatore Carlo VIche stava in faccia alla cattedra delpresidente. Più bassoa coprire in parte i magnifici arazzirigiravan l'aula alcuni quadri con cornici ad intaglio messo ad ororappresentanti i principali misteri della passione di GesùCristotra' quali spiccava per eccellenza d'arte quello di Gesùportante la Croce sul Calvariodipinto dal Daniel Crespie regalatoal Senato dall'arcivescovo di Milanocardinale Monti successore diFederico Borromeo. Vedevasi pure un altro gran quadro rappresentanteil trionfo di san Michele sopra Luciferoquasi a simboleggiare latrionfante giustizia.
Apertadall'eccellentissimo signor presidente la sedutail segretario misein prima sul tappeto due o tre cause criminali estranee affatto alnostro argomentodi quelle cause che non provocano discussionee incui le opinioni e tutti i sistemi si mettono d'accordo; indi poseinnanzi all'eccellentissimo signor presidente le carte relative alprocesso del lacchè Suardidichiarando ad una ad una lepezzea dir cosìdi tutto il costitutoe domandando sedoveva far lettura del rapporto presentato dal signor capitano. Ilpresidentecom'era di praticaaccennò che facesse; e ilsegretario lesse adagio adagio il rapportofacendoquel che inmusica si direbbedelle appoggiature sui punti che costituivano lesaglienze della tesi; ed esponendo il voto del capitano con unachiarezza particolareche potea significare la deferenzadell'egregio signor segretario per quel voto medesimo.
Finitache fu una tale letturaprese la parola il senator M ...tone che eradecano.
Dopoil senator Morosinisvizzero ticinese (perchè i senatoricome già notammosi eleggevano da tutte le città ecapiluoghi del Ducato ed anche da altre città fuori del Ducatostesso)il M...tone era il più caldo partigiano dellagiustizia armata di cavalletto e di scureonde propendeva al rigorenon per l'indole perversama per quell'impulso che viene da ciòche oggi si chiamerebbe l'arte per l'arte. Per di piùnon essendo di Milanonon era in gran dimestichezza col patriziatomilanese e però non era nè intrinsico nèconoscente del conte F... Questi elementi dovevan dunque farlopresumere più propenso che mai al voto del capitano digiustizia. Ma forse perchè non avea avuto torto il popolomilanesequando col suo senso comune vendicatore lo aveva feritoavventandogli l'aculeo di quella strofa che già abbiamoaccennato in addietro; v'era probabilmente una ragione per cui laspinta naturale in lui si trovava in lizza con una controspintaavventizia. Del restocomunque fosse la cosaegli cominciò aparlare cercando di giustificare i motivi che dovevano aver provocatoil voto del capitanoma conchiusedichiarando che non trovava gliestremi per decretar la tortura al costituito Suardi.
Senon chenon aveva esso finito di parlareche il senatore Morosinidi temperamento impetuoso e biliosopronunciòaffoltandolemolte parole che parevano schiumaquand'esce a dirotta da unabottiglia dove ha dovuto per troppo tempo fremere chiusa. Nèin prima quelle parole parevano aver sensoma a poco a pocorallentandosisi disposero in ordine e il discorso procedetteperfettamente intonato colla solennità del luogo.
—I sommi capicosì egli proseguìpei quali non sitroverebbe di sottomettere alla tortura il costituito Suardisiridurrebbero dunque al non aver avuto il Suardi per proprio vantaggioun eccitamento al furto; all'avere nel primo interrogatorio rispostocon tale aggiustatezza e conseguenza alle domande del giudiceda farpresumere in uomo indotto quella tranquillità d'esposizioneche deriva dal non aver altro a fare che ripetere la pura verità;alla ritrattazione del primo testimonioalla proposta delgiuramento; al non poter bastare le sole deposizioni del secondopernon verificarsi in lui la qualità dell'essere superiore aqualunque eccezione; equand'anche vi si verificasseroall'esserestate infirmate dalle cagioni di vendetta che dovevanopresuntivamente aver eccitato il secondo testimonio a danno delcostituito. Ora dunquein quanto al primo punto mi meraviglio comeancora possa mettersi in campo la mancanza d'una causa chedirettamente e spontaneamente sorta in lui stessodoveva eccitare illacchè al furto; quasi che non fosser noti a migliaja i casidi sicarj prezzolatii quali assassinaron persone da essi nemmenconosciute. Il vantaggio che doveva raccogliere il costituito Suardidal furtonon deve cercarsi nel furto in sè stesso e per sèstessoma nel premio che presuntivamente deve essergli stato dato opromesso da chi poteva avere interesse a far scomparire le carte piùpreziose del defunto marchese. In quanto al secondo puntose nelprimo interrogatorio appare l'astuzia del costituitofaccioosservare che non ci appar sempre la coerenza là doveeccitato dall'iraesce a dire che la contessa lo ha tradito...(prego l'egregio segretario di leggere quel passoch'io notaiappena le carte furono portate in Senato e di cui non ricordo bene leparole).
Ilsegretario cercòtrovò e lesse il passo.
—Or mi pare che sia difficile il dimostrare esserci coerenza quiquantunque subito dopo il costituitocon arte diabolicatorca leparole a diverso significato. Ora la mancanza di coerenza in un uomodi sì manifesta astuziafa presunzione che vi sia colpa.Venendo ora ai testimonj: se il primo si è ritrattatoaccusando una memoria infidaper la paura che nelle personeignoranti desta l'idea di dover giurare; pure le sue deposizionifatte prima vanno d'accordo colle deposizioni del secondo testimonioil qualeper soprappiùspontaneamente dichiara di volereconfermare gli asserti con giuramento. Bene io sento a dire che ilsecondoessendo solo a testimoniarenon basta a formare un indizioperchè non si verifica in lui la qualità di esseresuperiore a qualunque eccezione. Ma perchèdomando ionon siverifica? Ma quand'è che un uomo è superiore aqualunque eccezione in faccia a un tribunal criminale? Io credoallorquando la sua vita è senza macchie criminali di sorta. Èla vita senza rimproveri che costituisce la qualitàdell'essere superiore a qualunque eccezione; non la condizione altanè la ricchezzanè i titoli. Il marchese Alfierichel'anno scorso ebbe il bando dalla Repubblica di Venezia per attentatodi veleno contro il marito della sua amantenon è piùoggi superiore a qualunque eccezionesebbene sia titolato ericchissimo. Due anni or sonoil sagrestano di San Satirosolotestimonio contro il Faldella che rubò la lampada dell'altaremaggiorebastò a formare legale indizioperchè fudichiarato superiore ad ogni eccezione. Perchè dunque non lopotrà essere anche questo Barisone Cipriano? In ogni modononmerita si dica neppure una parola a dimostrare l'assurditàdell'essere egli stato mosso da spirito di vendetta; sopratutto èa considerareeccellentissimi colleghiche egli trovavasi aCremonadove tanto era lontano dal pensare a vendicarsichesi dovette andarlo a chiamare e pregarlo per farlo venire a Milano. Èa considerarefinalmentese mentre questo Cipriano Barisone non hanote criminali di sortail costituito ha contro di sè lapessima sua famae il fatto d'aver già commesso un furtonella casa stessa del suo padrone chenotoriamentepur lo amava elo proteggeva.
Ilsenatore Morosini avendo a tal punto fatto pausa:
—Se bastassegli subentrò tosto il senatore conte GabrieleVerrila morale convinzione di un giudice a determinare lalegittimità degli indizj per mettere un uomo alla torturaioper il primo non esiterei a farla applicare al costituito Suardi. Maquesta convinzione non bastaperchè può procedere daerrore di giudizioda false parvenzedall'impossibilità divedere tutti i lati delle cose. È dunque necessitàl'aderire in tali casi quasi passivamente alla legge.
—E sia fattoosservò il Morosinigiacchè la leggerimette gl'indizj all'arbitrio del giudice.
—Ma il nostro predecessore senator conte Bossiribatteva il Verrinel suo aureo trattatoal titolo De indiciis ante torturamassegna all'arbitrio del giudice l'obbligo di esaminare con coscienzala verisimiglianza e la probabilità (indicium verosimile etprobabile sit). Ora la coscienza ci ammonisce di non prestar fedesoverchia alle convinzioni moralietorno a ripeteredi aderirpositivamente alla legge. Ma giacchè la legge nuda e neldiritto romano e negli statuti criminali di Milano lascia questiindizj all'arbitrio del giudicebisogna chieder consiglio a coloroche hanno continuata la legge stessainterpretandola.
—Ma la parola degli interpretiinterruppe il Morosininon èVangeloe tanto si può esser tratti in errore dalle loroconvinzioni come dalle nostre.
—C'è un divario notabile. Essiinterpretando la leggenonerano circoscritti da un fatto speciale; bensì eranorischiarati da un complesso di fatti molteplici che hanno la virtùdi costituire una norma assoluta. Noi inveceal cospetto di un fattosolitariosiamo trattinon volendoloa decisioni condizionate erelative. Gl'interpreti hanno questo vantaggio su di noidi avermeditato e scritto in circostanze lontane dall'influenzapervertitrice della passione fuggitiva del momentodalle opinionicorrenti e dai pericoli che presenta all'intelletto un fatto unico;epperò essi hanno il diritto di essere ascoltatinoil'obbligo di ubbidire; di modo che assumono virtù di legge inmancanza d'una legge scrittadeterminatasanzionatacomandata; ecome avviene delle grideche le ultime possono derogar le prime esostituirlee peròcome talisono le sole che devono essereseguite; così avvien degli interpretide' quali gli ultimipiù acclamati dal consenso universale dei giurisperiti e deimagistratidevono essere di preferenza consultati e seguiti. Ora ilconsenso più generale è pei due celebri giureconsultiil Casoni e il Farinaccio; e costorospaventati dagli eccessi a cuinell'amministrar la tortura furon tratti giudici o troppo crudeli otroppo confidenti nelle loro convinzionio troppo ciechisonogiunti a conchiudereil primo: che la tortura non èarbitraria; il secondoche non sono arbitrarj nemmeno gli indizj.Communis error judicum putantium torturam esse arbitralem —dice il primoe non sbaglia; — Non immeritoaudivi plures jurisperitos dicentes posse melius formari regulaminditia ad torquendumnon esse judici arbitraria dice ilFarinaccio chiarissimamente. Però dal processo verbalerelativo al costituito Suardi non risulta provata la bugiadell'accusatoche sarebbe uno degli indizj legittimi; perchèmancano i due testimoniquali son voluti dal Farinaccio che qui fatesto di legge. Può esser vero che il primo testimonio nonabbia giurato per sgomento. Ma può esserenon vuol dire è.— Può esser vero che il secondo testimonio abbia abito dionestàma intanto sussistono presunzioni contro di luiprovocate da gravi disgusti passati prima del preteso furto traaccusato e testimonio. Eanche quiil può essere nonvuol dire è — poichè la giustizia ècome l'aritmeticanella qualese manca la verificazionenon puòasserirsi che il calcolo sia giusto.
Dettequeste paroleil conte Verri si tacque; e quasi nel momento istessoentrato nell'aula uno de' segretarjs'accostò al segretarioin sedutachealzatosiparlò all'orecchiodell'eccellentissimo signor presidenteil qualerivoltosi aisignori senatori :
—Un'ora fadisseha cessato di vivere l'illustrissimo conte F...Come l'egregio segretario Carlo fu sollecito di portarne l'avvisocosì io lo ripeto ai senatori qui congregati; faccio presenteche la morte del conte F... nella causa che ora qui si stadiscutendo... può essere forse un fatto significante.
Questoannuncio fece l'effetto di quei congegni dell'arte nauticache dipunto in bianco fanno galleggiar ritto e baldanzoso un naviglio cheappena uscito dal cantiere dell'arsenaleprocedeva impacciato epiegato sull'un dei fianchi.
Idiversi pareri degli otto senatori tacitamente si armonizzarono in unconsiglio unicoquantunque due o tre altri senatori prendessero laparolaparlando con varia sentenza. Se non chementre il Morosiniin quel giornotornò impetuoso a ribattere gli argomentidegli avversariil conte Gabriele Verri parve minor di sèstessoe lasciò dir gli altri; nè più parlòil senator M...tone. Per le quali circostanzevenuta la votazionela determinazione del Senato fu che il costituito Suardisoprannominato il Galantinosi dovesse sottoporre alla tortura lievee semplice. La voce pubblica che cominciava a parlar alto contro lalentezza onde si procedeva verso il Galantinoe dicea chiaro che sivoleva salvare il lacchèper non compromettere la riputazionedel conte F...fu per il momento placata dal decreto del Senatodiche tosto gli eccellentissimi membrial cui orecchio eran giunte lepubbliche querelefecero divulgar la notizia. E per quel giorno epel successivo tutta la città di Milano non s'interessòche a quell'unico tema della tortura del Galantino e della morte delconte F...
Ilgiorno 3 giugno la piazza Borromeo era tutta gremita di popolochèsi celebrarono le solenni esequie del defunto nella chiesa di SantaMaria Podonesulla cui facciatatutta coperta a nero e ad orosileggeva il seguente cartellone sormontato dalla corona e incorniciatodagli stemmi:


comitia… f…
eq.hierosol
piomunifico
charitatein egenos ex corde
domesticamgerenti felicitatem
excessoanno lv
ætatissuæ
filiuscomes albericus moerens
fideliumpreces poscit


Duegiorni dopoal costituito Andrea Suardichiamato a nuovo esamevenne intimato si risolvesse a dire la veritàaltrimentiverrebbe messo alla cordacosì portando la determinazionedell'eccellentissimo Senatopel concorso di molte circostanze atte aformare indizio; segnatamente per le deposizioni del BarisoneCiprianoconfermate con giuramento. Nel rescritto del Senato erastato ingiunto al capitano di giustizia di far adempire al secondotestimonio l'atto formale del giuramento prima d'esaminar di nuovo ilcostituito.
Questiche nel confronto col Barisone avea creduto di essere riuscito atogliere ogni forza alle di lui deposizioni; cheper soprappiùstando in prigione e tastando gli sbirri e mettendo insieme le sparseparole che loro eran cadute di boccacome chi si affanna di riunirei minuti pezzetti di un foglio laceratoera riuscito a sapere che ilconte F... era mortoe però erasi lasciato andare alle piùallegre speranze; rimase come sbalordito a quegli inattesi propositidel giudice; e lo sbalordimento fu di tal naturada preparar la viaad una susseguente indignazioneanzi ad una esasperazione cosìaperta e dichiaratache potea benissimo parer quella di un innocentecalunniato. Le parole pertanto che rispose al giudice furono quelledella collera che non ha nè ritegno nè riguardi; equesta volta non già pel calcolo consueto del suo ingegnolungoveggente e scaltroma per l'accensione spontanea del sentimentooffeso. Erasi messo al posto dell'innocentes'era lusingato d'averfatto per potersi fermare a quel posto usurpato; di piùattendeva a raccogliere il frutto dei suoi calcoli e della suafortunaallorchè di punto in bianco e crudissimamente si videfrustrato nella sua aspettazione; l'ira sua doveva dunque esserenaturale e spontanea.
Seun ladro giunge a involare con fortuna una somma di denaroeavendola nascosta in luogo da lui creduto sicuroallorchè vaper riprenderla non la trova piùil dolore ch'ei ne provaèsimile in tutto a quello del legittimo proprietario stato derubato. Ecosì nè più nè meno avvenne del Galantinoal cospetto dell'accusa e del giudice; egli sentì ed espressetutti i fenomeni dell'innocenza oltraggiata; li sentì anzi eli espresse in modo che il capitano di giustizia ne fu colpito.
Ilmarchese Recalcatid'indole miteaveva avversione a quella barbaraeredità del diritto romanola tortura; tanto è ciòvero che al Suardi la volle decretata dal Senatomentre egli stessoavrebbe potuto infliggerla; e quidi passaggiodobbiamo notarechela maggior parte dei giudici del suo tempo che avevan viscereavevano cominciato a detestarla. Viveva essa gli ultimi annia dircosìdella sua vita ferocee lo spirito pubblicosenzadichiararlo manifestamentele s'era rivoltato controa preparare ead accelerare quella morte che le doveva poi venire dal colpomeditato e risoluto di un grand'uomo.
Imedesimi sostenitori d'essaa forza di commentarla e confortarla emostrarne la validitàfacendo passare e ripassare innanzialla mente degli ascoltatori non propensinei momenti piùcaldi della disputala lettera del diritto romano e quella dellostatutario e quella dei criminalistiavean fatte balenare molteverità che dimostrarono la fallacia; verità inchiuse inquegli articoli medesimi stati scritti per darle vigore.
Moltevolte il senator Gabriele Verriche era un partigiano della torturaaveva detto e ripetuto in Senato quel titolo cospicuo del Digestodove è parlato della fragilità e del pericolo dellatortura; esso lo aveva ripetuto perchèavendo fede in quelmezzopretendeva che si adempissero tutti i suoi preliminari conrigore di scrupolo; persuaso com'egli eracheadempiendo conesattezza a tutti i dettami della leggeprima di decretar latorturaquesta non poteva infliggersi che al veramente reola cuiostinazione poi era presumibile potesse domarsi solo coi tormenti.L'uomo dialettico e preoccupatocorrendo con precipitazione alleconseguenze ultimenon aveva mai saputo fermarsi un momento di piùsu quel titoloch'ei non adduceva che per provare la necessitàdell'esattezza aritmetica nel raccogliere indizj; ma chein realtàinchiudeva già tutta quanta la condanna della tortura nelpunto stesso che le dava sanzione; bensì vi s'erano fermatigli uomini meno preoccupati e meno oppressi dal cumulo della dottrinae più illuminati dal raggio del sentimentoe ne eran rimasticolpitie tra questi il marchese Recalcati appuntoil qualeperconsuetoandava sempre a rilento e come di malavoglia quandotrattavasi di ministrare la tortura.
Sedunque stette perplesso e quasi pauroso di quanto egli stesso avevafatto allorchè sentì prorompere il Galantino con tantasincerità di sdegnoè facile a comprendersi. Se nonchea confortarlo ne' suoi dubbj e nelle sue ansieentròqualche momento dopo nella sala stessa degli interrogatorj il senatorMorosini; colui che propugnava la torturanon per una convinzionescientifica al pari di Gabriele Verrinè per considerarla unafatale necessità della procedura criminalema per una diquelle arcane voluttà della menteanzi del senso viziatochepur talvolta si riscontrano in individui non affatto pervertiti etalvoltacome nel caso nostropersino onesti; una di quelle arcanevoluttà onde si spiega il fenomeno di qualche fanciullo che sigode a denudar la farfalla delle sue alio a spennare il pulcinovivoo a percuotere fieramente in sull'aja il pollo in fuga. Taleera il senator Morosini. Egli veniva in carrozza al palazzo delCapitano di giustizia ogni qualvolta trattavasi di qualche belcaso di tortura. Compiacevasi a far egli stesso le partid'auditore e d'attuaroabilissimo come era a gettar scaltre insidienegli interrogatorj; più abile a farle riuscireaccennandoagli stessi aguzzini i modi dell'atroce arte loro; press'a poco alpari di un maestro di musica (ci fa ribrezzo l'apatica e spietatasimilitudinema un carattere dev'essere messo a nudo tutto quanto)al pari dunque di un maestro compositore che all'orchestra imponga efaccia sentire gli accelerati e i rallentati. E tantodilettavasi quel senatore di sì feroce passatempoche sifaceva portar la cioccolatagià lo abbiam dettonelle aulemedesime del capitanoe l'assorbiva lentamente dove s'interrogavadove davasi la corda.
Quandoil senator Morosini entròtutticompreso l'illustrissimosignor capitanosi alzarono; ed eglinella seggiola che gli fumessa innanzisi calòa dir cosìcon quellapesantezza convenzionale che quasi sempre affettano gli uominicostituiti in una gran caricaanche allorquando non hanno a portarenè il peso degli anni nè quello dell'adipe. Si assisedunquee nel punto che dal panciotto cavò la scatola d'orotutta a figure ed ornamenti in rilievo e a smaltoe porse il tabaccoall'illustrissimo signor capitano:
—È il lacchè? domandò; e al cenno del marcheseRecalcati non rispose che caricando a più riprese di rapatovecchio le ampie narici di un naso abbastanza senatoriale.
IlGalantino intanto s'era fatto tranquillosquadrando solo il nuovovenuto (che non era in togama in giubba rosso fuoco gallonatae panciotto di teletta d'oro) con certe occhiate fra l'iracondo e ilbeffardoche parea dicesse:
—Oh se fossimo noi due a quattr'occhinon so come l'andrebbecaronasonecon quella carta d'oro che hai sulla trippaeccellente peravvolgere il mandolato di Cremona!
Mal'attuarocome tutto tacque e il senatore ebbe rimessa la scatolanell'ampia saccoccia del panciotto:
—Ancora dunquecosì parlò al Galantinovi esorto adire la verità; e a risparmiarci il dolore di dovervi farmettere alla corda.
—Quello che ho detto ripeterò semprerispose il costituitoperchè è la pura veritàe sfido qualunqueprepotenza a farmi dire quello che non è.
—Prepotenza di chi? domandò blandamente il senatoresebbenefosse per indole focoso.
—Di chi ha la forzae l'adopera per tormentare chi non l'ha.
—Ma che ostinazione è la vostrasoggiunse allora con lentezzaquasi soave il senatoredi non voler confessare quel chemanifestamente risulta dai fatti e dalle deposizioni di testimonigiurati?
—Che cosa risulta? vostra signoria illustrissima mi illuminiperchèda quello che io so e ho l'obbligo di sapere non risulta nullanullaaffatto contro di mee sino ad ora non sono che la vittima di unamaledetta calunnia. Io sono accusato d'aver rubate delle carte almarchese F... ma chi può asserirlo? chi m'ha visto arubarle?... Dove sono questi pretesi testimonj?
—Se qualcuno v'avesse vedutocaro mionon farebbe bisogno dimettervi alla tortura. Sareste condannato addirittura come convinto.Ma voi avete detto una bugia... asserendo di trovarvi altrove nellanotte del furto mentre eravate a Milano. Però se avete negatoquesta verità secondariavuol dire che avevate interesse anegarla… Dunque se si procede oltreè perchècolla vostra ostinazione voi stesso comandate la severità allagiustizia.
—Io ero a Venezia otto giorni prima della settimana grassae ripetoche chi dice di no è un bugiardo infame.
—E questo è quel che si vedràsoggiunse l'attuaro.
Allorail senator Morosini parlò sottovoce al capitano. Questi sialzò. L'attuaro fece un cenno ai due sbirri che stavano dietrole spalle del Galantino; ed essipresolo per le braccialo trasserofuori di quella sala per condurlo nella vicinadove soleva darsi lacorda. Il senator Morosiniil capitanogli altri entraronoanch'essi in quel tristo cameronee si posero a sedererinnovandoin prima l'attuaro al Galantino l'esortazione di dire la veritàposcia accennando agli sbirri di fare il loro dovere.
Questiavendolo pigliato di sorpresagli levarono il vestito e ilpanciottoe l'afferrarono per le bracciatraendolo presso la cordache pendeva dalla carrucola.
Ilvolto del Galantino chesiccome dicemmos'era da qualche tempofatto pallidosi caricò allora improvvisamente di un rossocupo che gl'invase la fronte e gli orecchi; e l'occhionaturalmentebieco e serpentinovibrò sugli sbirri uno sguardo cosìinfuocato di furoreche fece un'impressione strana sugli astanti;posciaflessuoso e forte come un leopardodiede uno squassoirresistibile ai manigoldiavventando loro bestemmie a furia. Per unistante fuggevolissimo ei si tenne discioltoma i manigoldi loripresero ead un cenno dell'attuaroaltri due sorvennero adajutare i primi. Ned egli perciò si ristava dal dare squassiformidabili. La camiciaslacciata e laceratasi in que' fortisbattimentimetteva a nudo collopettobraccia. La chiomasollevata e scomposta e gettata or da un lato or dall'altro dellatesta in movimento assiduoor copriva or lasciavagli scoperto ilviso. L'animale uomo non comparve mai così bellocosìsfolgorantecosì formidabile nella sua giovinezza come inquel punto. Nella pelle e nella tinta v'era la delicatezza di unafanciulla; nelle formene' muscolinelle proporzioni perfettissimel'aitanza di un gladiatore giovinetto. Il medesimo senator Morosinirivoltosi al capitanonon si potè trattener dall'esclamare: —Che bel ragazzo!
Mail bel ragazzo fu incontanente tratto in alto come un fascio difieno; e un gemito ferino che sordamente gli muggì in golaperchè una volontà di ferro avea tentato ditrattenerloaccusò il dolor fisico derivatogli dalle bracciasquassate.
Cosìsospeso per ariaall'attuaro che gli ripeteva se risolvevasi a direla verità:
—La verità l'ho dettarisposeanzi urlò.
Ilsenator Morosini suggerì allora ai quattro manigoldi di alzarela vittima più presso la carrucolae accompagnò leparole caricando di nuovo le nari di rapatoe scuotendo colla puntadel pollice e dell'indice la cadente polvere dalle ampie lattughe dipizzo di Fiandra della camiciaasperse di oscura goccia.
Rialzatocosì il Galantinopotè sentirsi lo stridere dellacarrucola e il fruscìo della corda; non però un lamentodi luichealla sempre uguale domanda rinnovataglirispose semprele stesse parole.
Atal puntoper ingiunzione del capitanovenne calato giù.Sotto al labbro inferiore del Galantino i giudici videro una strisciarossa. A respingere il dolore col dolore s'era ficcati i dentisuperiori nel labbro inferioreal punto di farne sprizzar vivosangue.
Alloravenne di nuovo ammonito con mitissimo linguaggio dal marcheseRecalcatiil quale gli mise innanzi il pericolo cheper la suaostinazionesi sarebbe dovuto passare alla tortura grave col canape;ma di nuovo rispose il Galantino chegiacchè essi volevanosapere la veritàquesta l'aveva già detta; e nemmenoabbruciandolo a fuoco lentosarebbero riusciti a fargli dir labugia. Nè il capitano avrebbe insistito più oltre; mail senatore Morosini lo interrogò di nuovoe di nuovo lo fecemettere alla cordasempre però infruttuosamente; laondequando il Galantino fu rimandato in prigioneil capitano e l'attuaroe gli auditori espressero il dubbio che il costituito potesse peravventura essere innocente.
—È giovane e forteforte di corpo e d'animodisse il senatorMorosini. La tortura semplice non basta. Vedrete che confesseràtutto alla tortura grave.
Eal Senato fu spedita relazione del fattocon interpellanza se sidovesse passare alla tortura grave appunto.
Mail senatore Gabriele Verri parlò e parlò forte e mostròcome tutti gli interpreti andassero d'accordo nel proibire di passarealla tortura gravese non fossero sopravvenuti altri indizj; ondeper mancanza di essila giustizia dovette accontentarsi delrisultato della prima tortura.
Equi ci conviene tagliar crudelmente il filo del raccontoe dare unaddio all'anno 1750; perchè un altro periodosecondo noiabbastanza curioso della storia della città nostrac'intimadi affrettarciessendo ben lungo il còmpito che cisiamo assunto.

LIBROSESTO


Gliattori del secondo atto. — I due mondi. — Il Galantino. —Gli appalti delle Regalìe. — Ferma generale. — Ifermieri GreppiPezzolioRotignoMellerio. — Stranarisoluzione del popolo milanese. — La contrada delle Quattroganasce. — Editto del 7 aprile 1766. — Il tabacco dicontrabbando e la beltà adolescente. — Il monastero di S.Filippo.



I


Sonotrascorsi sedici anni. Saltano fanciulli e parlano adolescenti di cuii genitori nel 1750 o non si conoscevan tra loro affattoo nonsapevano di dover diventare marito e moglieo i loro nomi non eranostati ancor gridati da nessuna balaustra di altar maggiore; songiovinotti maturi quelli che alla metà del secolonon avendoche venti annieran chiamati fanciulli dai giovinotti maturi delloro tempo. Le belle donne cheallora nella canicola dei venticinqueannifacevano girar la testa a chi le avvicinavaora hanno varcatoil quarantesimo anno e qualche ruga incipiente hafatto caderea loro dispettoil termometro fin quasi a zero; e nonosano più sfidare le lucide e bianche mattinee molto meno ilperfido sole di mezzogiornoma amano di preferenza le luciartificialimodificate dalle seriche cortine piuttosto color rosso orosa o violaceoche gialle e verdi; ese escono a passeggisollazzevolibenedicono gli smorenti crepuscoliincaricati digettare una benefica confusione tra i confini che dividono lagioventù dalla maturanza! E chi era maturo ora èvecchio e chi vecchio è decrepito: l'avvocato Agudioperesempionon può più recarsi nemmeno in carrozza nèin lettiga al collegio dei giureconsultieobbligato al letto dalfemore cronicamente offesoserba però ancora lucidissima lamente e inesauribile la dottrina legalee dà consulti a chine vuole. Il dottor Bernardino Moscati si fa ajutare dal figlioPietro e il giovinetto Giambattista Paletta lascia la giurisprudenzaper la chirurgia superiore. Il pittor Londonio ha sparpagliato pertutta Lombardia una popolazione di vacche e buoi e asini e capre contanta verità e in tale quantitàda essere chiamato inquesto genere il primo pittore del suo tempo. Pietro Verri non èpiù il destituito patrocinatore dei carceratima unex-ufficiale ripatriatoeda cinque mesiconsigliere del consigliosupremo d'economia; e Beccaria non è più fanciullomaun giovane di trent'annigià rinomato in tutt'Italia e intutt'Europa per un libro che fu alla scienza del diritto quello chemolti anni dopo fu la pila di Volta alle scienze fisiche. E giacchèl'accennare a questo libroinsieme col libro ci fa uscire da Milanoe dall'Italiavoglia ricordarsi il lettore che poco oltre la metàdei tre lustri decorsi erasi pubblicata a Parigi l'Enciclopediaa gettare in tutto il mondo un filo di congiunzione e difratellanza tra tutti gli uomini del pensieroquel pensiero cheirretì e dominò e generò poi l'azione. FedericoII aveva fatto le sue grandi prove di valore nella guerra de' setteanni; ma la preponderanza del pensiero cominciava ad essere cosìinvadenteche il re soldato pareva spesse volte un suddito alcospetto dell'ironia dissolvente di Voltaireil Mefistofele in carneed ossaal cui confronto impallidisce e si dilegua il postumo idealedel poeta di Weimar. E il genio del sentimentointinto di pazzia earmato di sofismaaveva già dettato a Rousseau tutti i suoicapolavori e il Contratto sociale in cui stava ilgerme di Robespierre e la profezia della rivoluzione francese; ed eramorto papa Lambertinil'epigrammatica sapienzaed eragli successocolui che doveva essere perpetuato dal genio di Canova; e giacchèla chiesa ci allarga a tutto il mondovoglia ricordarsi il lettoreper farsi un'idea del colore e della densità dell'atmosferaond'è tutt'all'intorno vastamente circondata la nostra piccolasfera drammaticavoglia ricordarsi chenel frattempo da noisaltatol'Inghilterra aveva già fondata la sua compagnianelle Indiee cercato di sottrarre le mogli indiane al rogovolontarioe i fanatici al carro di Jaggernath; mentre Spagna avevaordinato il battesimo ai Cinesi delle Manillequasi nel tempo stessoche scopriva il nuovo Messico ed ordinava il censimento delleFilippine; e voglia ricordarsi che Caterina II era successa a PietroIII sul trono di Russiaed erasi fatta la pace tra la SvezialaPrussia e la Russia; e un'altra ne facevano AustriaPrussia eSassoniae un'altra ancora InghilterraFrancia e Spagna; e aproposito di Spagna e Franciai gesuiti della seconda avean depostol'abito regolarementre quelli della prima erano stati mandati permare nelle terre del papa; che nell'anno anteriore a quello a cui citroviamo oggi colla nostra storiacominciò l'insurrezionedelle Colonie Inglesi nell'America settentrionale quando appunto erauscita l'opera Dei Delitti e delle Pene. Due fatti che nonhanno in apparenza parentela nessunama che purein cosìdiverso modovengono a mostrare la scienza dell'uomo solitario el'istinto delle moltitudinianelanti alla riconquista del dirittorazionale e naturale. Ma se il nome di Beccaria ci fece uscir daMilanoora con lui dalle lontane regioni dei due mondicollavelocità quasi della lucerivoliamo in casa nostraa tenerdietro ai personaggi a noi già famigliariche cangiarono etàaspettocondizionefortuna; e a far la conoscenza dei nuoviperdominare così gli atteggiamenti di due generazioni.
Edora si ripigli il filo del quale abbiam reciso un capo.
Èprobabile che taluno dei più fantasiosi tra i nostri lettoriqualche volta abbia pensatocome sarebbe vario e bizzarro eproficuose fosse possibilelo spettacolo che si presenterebbe achi avesse facoltà in un dato punto di simultaneamente girarl'occhio e penetrare nell'interno di più luoghi e di piùdimoread assistere dall'alto alla varietà delle scene edelle azioni di molti uomini intenti a disparate cose in uno stessomomento. Tale spettacoloche è e fu sempre un assurdoimpossibile se non nelle ballate nordiche o nelle leggende del medioevonoi vogliamo presentarlo a' nostri lettori oggisenza esseremaghi e senz'avere nessuna scopa ai nostri comandi; e questo negiovaperchè sorprendendo alcuni de' nostri personaggi diantica conoscenza e alcuni de' personaggi nuovi in quell'attitudineonde ci si mostrerannovedremosenza perder tempoche intenzionihanno e da che punto prendon le mossee a che accennino.
Collochiamocidunque in altoe volgiamo l'occhio ad osservare le molteplicimacchiette delle figure che stanno e s'agitano e formicolano albasso.
Gettiamolo sguardo nella camera di ricevimento di donna Paolae la vedremoimpegnata in un dialogo seriissimo con una damadell'etàpress'a poco come la suae che è la contessa Areseconservatrice del monastero di san Filippo Neri.
Ese dopo gli occhivogliamo far lavorare gli orecchiecco quel cheal lettore potrà giovare per conoscere di che si tratta. Cosìdunque sta parlando la contessa Arese:
—Io ho creduto benedonna Paoladi renderla avvisata di questa gravecircostanza. La fanciulla è troppo bellavivace e troppoardenteperchè la si possa trattenere più oltre inmezzo alle altre educandee tanto più con quell'inconvenienteche le ho detto. D'altra parteproibirle di passeggiare in giardinoinsieme colle sue compagneprendere per lei misure particolarisarebbe un gettare lo scandalo nel conventosarebbe mettere inallarme tutti i parenti delle fanciulle... Giacchè dunque laragazza è già per varcare i quindici anniio sarei diparere che vostra signorianella sua saviezzala levasse di làe la tenesse qui sotto ai suoi occhi.
—La ringraziocontessadell'avviso e del consigliorisponde donnaPaola; ma non è cosa che si possa fare con precipitazione. Secoluich'ella diceha fatto acquisto della casa e del giardinocontiguo al convento con manifesta intenzione di gettare insidie allaragazzami pare che all'amministrazione del conventopel pericolo acui potrebbero essere esposte tutte le monache e le educande inconseguenza di questa comunicazione immediata coll'altrui dimorapotrebbe far murare una cinta ed isolare il monastero affatto. Iostessa ne farà parola... Intantodomani che è giovedìparlerò alla ragazza; sentiròe vedrò poidipieno accordo colla signoria vostraquello che si dovrà fare.
Main questo puntoin cui la nobile conservatrice del monastero di sanFilippo sta parlando con donna Paolanoigirando l'occhio efacendolo penetrare entro al monastero stessopossiamo vedere unafanciulla trattenersi nel dormitoriomentre le sue compagne educandene escono a coppie; indugiarsi un momento davanti uno specchioaccarezzarsi le chiome quasi a migliorare la gretta acconciatura delconventolevarsi il grembialetto di levantina neraassottigliarsila vita stringendo la cintura oltre il punto voluto dalla governantedel dormitorio; efatto questoaccostarsi al proprio lettotirarla stringa della fodera del guancialelevarne un gelsominoappassitoodorarlocon una inspirazione lentaestaticavoluttuosache finisce in un lungo sospiro; poi rimetterlo di furtoguardandosi in tornosotto la copertina del guancialee con passolieve lieve e quasi trasvolante uscir dal dormitoriodiscender lescale e farsi colle compagnebaciando sulla guancia la prima che lesi fa incontroma con un trasporto e con un atto cosìparticolare e curiosoche sembra quasi chebaciando materialmentequella facciacoll'intelletto del senso ne baci un'altra.
Tentaredi tradurre al vivo il profumo incantevolela vaghezzadiremotrasparentema che parrebbe voler dissimulare i tratti piùrisentiti di quell'adolescente beltà; rendere quella grazialieve e quasi fuggitiva e che lascia indovinare comescorrendoqualche lustroella potrebbe forse ritrarsi per lasciar luogo aforme più compiutepiù sodepiù solenni;tentare adunque di tradurre ciò in sembianza di veritàvivaè impossibile. Anche ai pittori è malagevole piùche mai il far ritratto della beltà femminile adolescente;forse perchè presenta il fenomeno d'un'assidua ineguaglianza.
Manel punto che questo lavoro ineffabile della natura artefice bacia ilvolto della fanciulla compagnalungi da Milanoa Bolognain unadelle aule assegnate alla facoltà matematicala laureatacontessa Clelia V...seduta nella cattedrasta leggendo ad unuditorio di trentacinque giovani studenti le seguenti parole:
«Galilæusad Magni Verulamii votum deterso scholarum situ veterum geometrarumseveritate ratiocinari homines edocuitet quadam veluti expeditionein lunamveneremsolemjovemet fixas usque feliciter absolutaad reformandam physicam et mechanicam delapsus genuina principiaaperuitquibus problemata motus omnia expedirenturecc.»
Eintanto che la laureata contessa sta recitando la sua prolusioneaMonaconella casa vicina al teatroil tenore Amorevoliinvariopinta veste da camerasta scorrendo questo brano di lettera delsignor Brunimarito della signora Gaudenziil quale brano dicecosì:
«Lasciandoper ora il discorso della mia Gaudenziche ha fatto furore a Napoliquantunqueper veritànon sia più giovanevi diròche essendo io venuto a Milano per trattare con questi signoriinteressati all'appalto del regio Ducale Teatro la scrittura di miamoglie pel prossimo carnevale 1766 67ho raccolte le notizieche m'avete raccomandato. La fanciulla è tra le educande delmonastero di san Filippo Nerie porta il nome del conte V...e cometale anzi fu collocata colà; il conte che vive ancora quihafatto causa per declinare la legittimità di detta suafigliuola... La causa dura da quindici anniavendo il conterinnovata la lite più volte per essergli sorvenuti semprenuovi documenti e testimonianze da persone di Milano e di Venezia. Mail Senato ha rigettato le sue domande ed ha pronunciato sentenzacontrariadichiarando sua figlia legittima quella che voi sapeteeavente per conseguenza pieno diritto al nome del casato del conteall'ereditàalla successione.»
Scorsala qual letterail tenore non fa altro che sorridere e dallapoltrona passare alla spinetta a ripetere de' vocalizzi per tenere inesercizio la sua trachea oramai di quarantadue anni.
Edalla casa attigua al teatro di Monacopiegando ancora l'aladell'occhio verso Milanoe fermandola al disopra di una casa incontrada di Pantanodopo aver percorsa una fuga di stanze apianterrenoin ciascuna delle quali stanno seduti giovani scrivanicol capo chino su grossi libri maestrivediamo in un salotto unbellissimo giovane di trentacinque annivestito riccamenteovverosia vediamo il signor Andrea Suardidetto il Galantinoorabanchieresuccessore al signor Rocco Rotignoquale altro degliimpresari della Ferma generale del saledel tabacco e dellemercanzie del ducato di Milanointento a dir queste parole ad un suocommesso:
—In forza dell'articolo ottavo della grida del 7 aprile di quest'annofarete oggianche per ordine del presidente cameralecome appare daquesto foglio che terrete con voiuna rigorosa perquisizione nelmonastero di san Filippo Neridove sappiamo essersi nascosta unagran quantità di tabacco di Spagna. Nel fare taleperquisizionetrattandosi d'un luogo privilegiato e godente delsacro asiloper vostra norma vi farete leggere prima dal capo dellostudio il disposto nell'ultimo concordato colla santa sede.
Licenziatoil qual commessoil nostro ex lacchè tira il campanelloe al servo gallonato che gli compare innanzi:
—Fa mettere la sella al cavallodiceche voglio uscire a fare unagaloppata.
Euna galoppata in questo medesimo istante la sta facendo un giovane diventisette anniil quale chi ha veduto il ritratto di Shelleyilfantastico amico di Byronè costretto a dire che gli somigliain tutto e per tutto.
Edi fatto il giovane è figlio di padre ingleseossia èlord Guglielmo Crallossia è il figlio maggiore di donnaPaola Pietra. E il giovine caccia il cavallo a furiaavendoprobabilmente per isprone e per iscudiscio un pensiero che lo esaltae dopo aver fatto il giro di tutte le mura della cittàse nevien giù per porta Romanae d'una in altra viafa sentire loscalpito suonante del suo cavallo nella contrada Nuovadov'erasituato il monastero di san Filippoe nella qualevenendo dalnaviglio di porta Tosaentrapur galoppandoil signor AndreaSuardiincontrandosi in lord Crall appuntoe voltando subito doponella porta d'una casa.
Edora che abbiam fatto sfilare la maggior parte degli attori delsecondo attoimitando i direttori delle compagnie equestri cheallorchè danno spettacoli nell'arenaprima d'incominciarefanno caracollare in giro i così detti artisti che devonoprodursi sulla cordasui cavalli e sulle bighe; ora dunquepreviealcune spiegazioni troppo necessarie al lettoreper comprenderetalune inaspettate trasformazionistiamo attendendo quel che saràper succederegiacchè pare che il celebre sestetto dellaCenerentola — O che nodo avviluppato — sia statoscritto espressamente dal maestrone per essere poi applicato comeepigrafe al nostro libro.



II


Eintanto ci rimetteremo in compagnia del sig. Andrea Suardi che ful'ultimo rimasto sul palco scenico. Il lettoredopo aver lasciatocostui nelle stanze del Capitano di Giustiziain una condizionetanto prossima alla berlinaavrà fatto le maraviglie nelvederlosedici anni dopolibero e sano e più bello di primae colle apparenze della ricchezzae avente un servitore coi gallonial proprio servizioe un cavallo da sella per le passeggiate didiporto. Ma la fortuna e il diavoloin tutti i tempihan sempredato il braccio a' furfanti.
Edora è probabile che il lettore si lamenti dell'aver noitroncato il processo del nostro eroe. Peròa confortarloloconsigliamo a pensare alla noja che avrebbe dovuto subire se avessimoriprodotto qui tutto quello che fu scritto dagli attuari e dagliauditori del criminale dopo l'ultimo tratto di corda dato alcostituito lacchè; lo preghiamo a considerare cheda tantacarta e tanto inchiostro il solo fatto importante che ne risultaèchenon essendo sorvenuti nuovi indizjsi dovette desistere dallatortura grave; e che dopo sei mesi di indaginirequisizioniinterpellanzedi esami fatti a gentiluominiservicamerieriecc.non essendo saltato fuori neppure un appiglio importante a danno delcostituitoesposta in ultimo ogni cosa al Senatoquesto sentenziòche il reo convenuto Andrea Suardidetto il Galantinodovesserimandarsi in libertàmancando le prove reali del delittoond'era stato imputato.
IlSuardiappena uscito dalle carceri del Capitanodal quale gli furonconsegnati i chirografi del denaro che esso aveva depositato sulbanco di San Marco a Venezianon pensò che ad abboccarsi colsignor Rotignoagente della casa F...
Dopola morte del conteche nel testamento gli ebbe assegnato un legatodi milanesi lire 200 milal'ex-agente avea abbandonato la casa F...e si era congiunto al suo fratello Rocco per intraprese commerciali.
Orasi venne maturando un fatto pubblico che diede poi un avviamentospeciale e curioso ai fatti privati. In quell'anno medesimo 1750anno fatale a quelle persone di cui abbiamo fatto la conoscenzailgenerale Pallaviciniministro plenipotenziario a Milanocome sa illettoreabolì i separati appalti delle regalie del saledeltabaccodella polvereecc.e formò la così dettaFerma generaleriunendo tutte le suddette regalie in un sol corpoed affidandole ad una società costituita in prima da treBergamaschiquali erano Antonio GreppiGiuseppe Pezzolio e il dettoRocco Rotignoa' quali in seguito si aggiunsero Giacomo Mellerio dival VegezzoFrancesco Antonio Bettinellicremoneseed altrifracui il fratello di Rocco Rotigno.
Premessaquesta notiziae tornando ai nostri personaggise il Galantinoappena uscito di prigionepensò all'agente di casa F...;questi non era mai stato un giorno solo senza pensare al detenutochiara ragione che dalle risultanze del processo dipendevano quasiimmediatamente le condizioni della sua vita. Ben è vero cheappena venne in possesso della somma legatagli dal conte F...domandò licenza all'erede di ritirarsi dall'amministrazionedella casaaccusando il desiderio di voler ridursi a vivere aBergamopresso il fratello Roccoche vi teneva commercio di seta;ma in realtà per trovarsi lontano dal ducato di Milanodi cuifin che gli pendeva sul capo la spada di Damoclegli bruciava sottoil terreno.
Maun dì gli giunse la notizia che il lacchè Suardi erastato rimesso in libertà per mancanza di prove legalie peravereanche sotto la duplice prova della tortura semplicecostantemente respinta ogni accusa. Il Rotigno respiròcom'èben naturalee per tal fatto gli si mise una tale bonarietànel sangue e s'atteggiò a tanta condiscendenzache quando ilfratello Roccoche spendeva più di quello che guadagnava eche trovavasi in qualche disordine commercialegli propose d'entraresecolui in una impresache doveva essere lucrosissimapurchèegli fosse disposto ad esporre alla fortuna la metà almeno de'suoi capitaliegli vi annuì senz'altro.
Codestaimpresa così vantaggiosa era appunto l'accessione che egliilRotignocome altro de' socjdoveva fare alla Ferma generale deltabaccosale e merciecc.istituita dal conte Pallavicini. L'anno1750 era in sullo scorcio quando i tre fermieri generali GreppiPezzolio e Rotigno vennero a trattare i patti col ministroplenipotenziario. Entrava l'anno 1751 quando i loro nomi furonopubblicati quali assuntori dell'impresa. E in quel torno appunto ilSuardi s'eradopo sette mesi di detenzionetrovato sotto il liberocielo.
Questifermieriintanto che scadeva il termine imposto dall'abolizionedelle regaliee prima d'entrarea così direin caricasitrovarono aver bisogno d'un gran numero d'impiegatidi commessidiesattoried anche di socj ausiliarji qualicongiungendosi ad essicon qualche piccolo capitalericevessero da' fermieri principali unsalario congruo e una data quota sugli utili annui.
Quandosi pensa ai miracoli che sa far la fortunaallorchè hafermamente deliberato di prendere alcuno a proteggeresi rimanepercossi di maraviglia vedendo come quegli accidenti stessi che perla maggior parte degli uomini sono colpi mortali e ostacoliinsormontabilidiventino per i suoi beniamini occasioni difelicissimi avviamenti. E così avvenne del Galantino. Cercatodel signor Rotignocome sentì ch'esso erasi ritirato aBergamoandò colàtrovollo senza difficoltàebbe lunghi abboccamenti seco; e il fine di questi abboccamentiessendoper parte del Galantinoquello di riscuotere da lui ilresiduo della somma di compenso che gli era stata promessailRotigno di necessità lo soddisfecee per soprappiùimportandoglicome se si trattasse di salvar gli occhi e la vitadimettere a tacere per sempre quel serpe velenoso da cuivolere o nonvolereegli dipendeva; gli propose appunto di entrare come esattorea servizio della Ferma generaleinvestendo in quella una parte delsuo danaroond'essere accettato come uno de' soci secondarj.
IlSuardialla cui intelligenza balenò tutta l'importanza diquella vasta aziendaaccolse il partitosiccome suol dirsia boccabaciatae impiegate nella Ferma lire quindici mila milanesientròin carica quale altro degli esattori. Essendo uscito innocente persindalla prova della torturaegli non provò rossore nessuno atornare a fermar stanza a Milano. D'altra partecomunque fossero lecoseil pudore era un elemento del tutto straniero alla natura sua.Venne dunque a Milanosi diede al suo ufficio con alacritàinsolita e con un'attivitàquasi diremmofebbrile. La spintaprepotente d'ogni suo attofin da quando era fanciulloera semprestato l'amore del denaro. Venuto pertanto al posto di esattorefutanta la sua abilità e scaltrezza nel trovar modo di cavarsangue anche dalle rapechementre riuscì il piùpronto e il più efficace degli esattori della Fermatanto darecare a questa vantaggio grandissimo; indirettamentecon astuziespeculative che a nessun altro sarebbero venute in pensierointascava lautissimamente anche per sè. Col tempo impiegònella Ferma altre lire ventimiladalle quali e dalle altrequindicimila ritraeva il cinquantail cento per cento. Pietro Verriin una memoria inedita di cui è riferito un brano dal baroneCustodiparlando dei fermieridice che «costoro avevano pocoo nulla al mondoma affrontarono arditamente la fortuna. Essipagavano alla Camera cinque milioni all'anno e ne ritraevano di nettoprodotto sei milioni e mezzo. Indirettamente poi essi avevano postetali angarie alla filanda delle seteche buona parte della raccoltadei bozzoli del paese cadeva nelle loro filandele quali eranosparse nello Statoe comparivano col nome di supposti proprietarj.»Avvenne pertanto chenon volendo figurare il Rotigno Rocco qualeacquirente di una vastissima filanda di setasul confine delBergamascoper le ragioni addotte sopra dal Verriil Suardi nefosse investito apparentemente; ed anche da ciòalla suamanieraritrasse vantaggi quanti ne volle. Avvenne inoltre che ilfratello del Rotigno Rocco venne a morire nel gennajo dell'anno 1752la qual cosa produsse altre conseguenze vantaggiosissime al Suardi:ed eccone la ragione. L'impresario Roccoche già era venutoallorchè attendeva al semplice commercio delle setea tristiterminiper la sua abitudine allo spendere più delle entrate;fatto fermiere ein poco tempotrovando di poter raccogliereguadagni al di là d'ogni preventivoerasi dato alla largavitaal banchettareal signoreggiaresenza darsi più unpensiero al mondo del governo della casaperchè di ciòera specialmente incaricato il fratello ex agenteprudenteamministratore. Di modo che pare che un giornale di quel tempointitolato il Corriere Zoppoalluda a lui in quel numero delmese di dicembre dell'anno 1753dove è stampato che ifermierioltre i gran profitti che traonopascono la propriaambizione nel signoreggiare e nel farsi servire alla sovrana da unatruppa di commessi.
Mortoglipertanto il fratelloe datosi a sfoggia bagordia giuochiascialacquie non avendo più mente per governare il fattopropriofececome suol dirsicarta bianca al Suardidi cui quantole mani fossero fedeliil lettore lo sa al pari di noi.
Dal1752 pertanto al 1754per parte del signor Rocco Rotignonon fualtro che un guadagno continuo e senza misura e uno spendere inproporzione; e da parte del Suardiocchio dritto e mano dritta delsignor Rocconon fu altro che un usufruttare il capogiro del suoprincipaletanto da far entrare in casa propriasenza che nessunose ne accorgesseo almeno senza che se ne accorgesse chi potevaimpedire tal fattobuona parte dei redditi annuali di coluia nontener conto de' guadagni legittimie non legittimich'egliqualeesattore e cointeressatofaceva per se stesso. Questa cuccagnacontinuò senza interruzione e senza importuni timori sino almese di agosto del 1754. Ma in questo tempoil popolo milaneseindignato dalle espilazioni sistematiche della Ferma generalefecetale risoluzione e la attuò con tale fermezza e concordia divolontàche le casse dei signori fermieri per qualche tempone dovettero sopportare gran danno.
Larelazione manoscritta di questo fatto sussiste nella biblioteca diBrerae fa parte della raccolta di quel monaco Benvenuti disant'Ambrogio ad Nemusda cui abbiamo tolta la storia di donna PaolaPietra; e su questa relazione sarebbe stato nostro pensiero dicondurre un quadro disegnato e colorito in modoche il lettorefossecome a diretrasportato in mezzo a que' fatti. Ma unistancabile scrittoremolti anni sonoavendo pubblicato gran partedi quella cronacanon ha lasciato che noi potessimo far cosa nuova.Però ci limiteremo a riassumere i fatti principali di quellarelazione stessa con quegli intendimenti che non sono in essa e chenon si propose chi la diede in luce; riporteremo poisempreriassumendoquelle parti della cronaca stessa che il suo editore hacreduto bene di ometterema che al fatto nostro riescono preziose ecaratteristiche. Nell'azione così di un astuto furfante (ilSuardi) infaticabile a frodare il danaro pubblico per la protezioned'improvvide leggie nella reazione oculatasapienteed ugualmenteinfaticabile di un generoso e vigoroso intelletto (il Verri) che sipropose di difendere la pubblica ricchezza dalla mano rapace dipochivedremo un atteggiamento curioso di quel tempoe la crisibenefica operarsicome in quasi tutti i membri della societàd'alloracosì anche in codesta parte della pubblicaamministrazione.



III


Piùdunque era il guadagno de' fermieri e degli interessati della Fermapiù cresceva in essimeglio che il desideriola libidine delguadagno e la gelosia sospettosa che il pubblico frodasse loroqualche cosa. In quell'anno 1754 erano diventate frequentissime evessatorie le perquisizioni nelle botteghene' magazzininelle caseprivatepersino in quelle delle più cospicue famigliepersino ne' conventi e nei monasterii privilegi de' qualiinfaccia alle inesorabili esigenze della Fermavenivanotransitoriamente sospesi dalla sacra Congregazione. L'avarizia el'auri sacra fames de' fermieri aveva loro consigliato unsistema di prodigalità nella corruzionevogliamo dire cheessi facevano regali così lauti e pesanti ai pochi nelle cuimani stavan le redini principali della cosa pubblicache questiinteressati indirettamente negli utiliaprivano le mani per starpronti a chiudere gli occhie a proteggere gli abusile prepotenzee le esorbitanze colla legge e colla forza. A Ferragostoa Nataleogni qualvolta era opportunosi mandavano a coloro che potevano quelche volevanocasse di cioccolata sopraffina di Caraccai cui panidovevano far l'ufficio di coprire un sedimento di tallerio dizecchinio di oggetti preziosi in oroin argentoin gemmeaseconda del grado e dell'indole dell'uomo. Una volta tra l'altre —e crediamo sia stata la sola perchè l'occasione e il bisognofu della massima importanza — un servizio da tavola tutto d'orodel valore di circa ottantamila ducativenne avvolto nella bambagiadissimulato appunto dalla fragranza del cacaodel thè e delcaffè; e così spedito al ministro Kaunitz. Nel torbidoadunque si pescava chiaro; e il sinedrio dei divoratori sedeva atavola con formidabili ganasciementre i loro commessi entravanodappertutto insolentemente a metter sossopra mercimasseriziemobiglieper cercare quel che talvolta non c'erae spesso per averel'occasione di metter l'indulgenza a caro prezzo.
Unatale tempesta imperversòcome dicemmoin quell'anno 1754 piùancora degli anni addietroal punto da costringere i cittadini aperdere la pazienza.
Inpoco spazio di tempodice il cronista di sant'Ambrogio ad Nemusla città in ogni ordine di persone si vide tutta contro ifermieri. Non potendo privarsi degli oggetti utili eindispensabili per privare i fermieri del guadagno che ne ritraevanorisolsero di smettere l'uso del tabaccodal quale appunto ricavavala Ferma il principale provento. Sembra incredibile ma fu verocontinua il cronistaed in poco più di quattro giornitantonella città capitale che in altre città del Ducatol'impresa del tabacco rimase quasi del tutto abbandonata. Sibruciarono in piazza mucchi di tabacchiere di legno; quelle d'argentofurono mandate in offerta al sepolcro di san Carlo; si stamparonopatenti scherzevoli sopra il tabaccoe motti derisorj da mettersinelle scatole vuote e da inviarsi a chi si fosse pensato di nonobbedire al voler generale; si scrissero componimenti poeticisonettischerzi d'ogni sorta che rapidissimamente facevano il girodi tutto il Ducato. All'ingresso dell'Impresa generale del tabaccosituata in Pescheria Vecchiafu appeso un cartello colle parolecubitali: Bottega d'affittare fuori di tempo; fu gettato unarcolajo tra gli assistenti della Ferma che sedevano in essa bottegaper indicar loro che attendessero a far giù filonon avendopiù occasione di vender tabacco; s'indirizzò da essiuna frotta di contadinevenute a Milano per vender filo; di nottes'affiggevano in molte parti della città iscrizioni d'ognifoggiarelative tutte al medesimo oggetto; fu fatta circolare unaleggenda erudita contro il tabaccoestratta dalla scuola del BuonCristianostampata nel 1733 dal Marelli; fu diretto un sonetto a suaeccellenza il signor conte don Beltrame Cristianicapo della Giuntagovernativasostenitore de' fermierie mangiatore anch'esso allabuona tavola comunesebbenedel restofosse un egregio ed abile edotto uomo; le quartine del qual sonetto erano le seguenti:


Ilvolere arricchir troppo le Imprese
Èun vero impoverir tutti i mercanti
Èun voler che Milan fra stenti e pianti
Vadail vitto a cercar fuor del paese.
Mancail danaro e non si guarda a spese
Perarruolare battidori e fanti;
Giurose va cosìper tutti i santi
CheMilan diverrà come Varese.


Sullanuova fabbrica del palazzo dello stesso conte Cristiani in Monfortefu appesa l'iscrizione: Sumptibus Firmaræ generalis; laqual contrada di Monforteappunto per esservi il palazzo del conteCristianida qualche anno veniva chiamata dal buon popolo milanese:Contrada delle Quattro ganasceadoperando esso al solitoquella satira gioviale che è una qualità caratteristicadella sua indole e di cui è tutto quanto condizionato il suodialetto.
Persei mesi continuò così la popolazione ad astenersi daltabacco. Se non che i lamenti essendo stati rivolti anche allacattiva qualità di quello che si vendeva prima dell'anno 1754i fermieri cominciarono a introdursi con destrezza tra persona epersonaa donare alcune prove di tabacco veramente perfetto a variedelle più cospicue e nobili casele quali a poco a poco siarresero. E Andrea Suardicon insolita scaltrezzaper ricattarl'impresa e ricattar sè stesso del danno passeggieroproposeai capi della Fermaal fine di rimuovere il popolo milanese dallarisoluzione di non prender tabaccodi farlo venire da altroveperqualche tempocome se fosse di contrabbando.
Edegli s'impegnò di governare il nuovo stratagemmae di vincerela universale fermezza coll'inganno. Di tal modo l'astuto ottenne digabbare e la popolazione e la stessa Ferma; chè l'una el'altraprese come furono all'amolavorarono a tutto suo vantaggio.Ed ecco in qual modo.
Damolto tempo egli erasi accorto del quanto avrebbe guadagnato chi sifosse posto a capo di un vasto contrabbandomettendo in lizza l'odioche la popolazione avea contro la Ferma; ma un tale assuntooltreche era pericolosissimo per chicchessiaa lui riusciva impossibileimpegnato com'era colla ferma stessa; perchè necessariamenteavrebber dovuto dar nell'occhio le sue pratiche coi capi deicontrabbandieri di confinedetti volgarmente spalloni. Quandopertanto gli parve che il contrabbando poteva servire a far credereal popolo che a prender tabacco frodato si perdurava nelladimostrazione contro i fermierie che ciò intanto venivaopportunissimo a far ripigliare un'usanzacheper puntigliopoteafacilmente andare in dissuetudineegli lo propose ai capia cui ilnuovo trovato parve una scoperta mirabile. Il Suardi in tal modosotto gli occhi e per volontà degli stessi fermierisi misein relazione coi così detti spalloni di confinerelazione che non abbandonò piùanche allorquandodopo un annoogni cosa tornò alla condizione primiera; per ilche e da una parte e dall'altra i guadagni fioccarono nella suacassa.
Mandavainesorabilmente i suoi fanti a sequestrare nei magazzini e nellebotteghe il tabacco e le altre mercanzie di contrabbando; ed eraspesso quel tabacco ed eran quelle mercanzie stesse de' cuicontrabbandi egli era il manutengolo supremo. Così era pagatolautamente dai capi della Fermae nel tempo stesso era ringraziatodagli spalloni che guadagnavano per lui e con lui. Faceva da Giasonee facea da Medeafacea da Paride e Menelao. Tanto il diavolo potevaparere un semplicione al suo confronto.



IV


Rimessasila popolazione milanese in tranquillitàsbolliti gli odjalmeno in apparenzaricomprate le tabacchiereriscossi i nasi dalsemestrale riposoi signori fermieri e compagnia tornarono adassidersi a tavola coll'appetito accresciuto e coi piloriinstancabilie più il tempo fuggiva dal temuto agosto del 54più si facevano imperterriti alle espilazioni ed allevessazioni. La miniera dell'oro e dell'argento a loro medesimi parevacosì esorbitantemente riccache pel timore che da un giornoall'altro loro potesse mai venir toltafacevano in fretta e infuriaa così direle scorte per ovviare ai pericolicontingenti. Un tal timore crebbe nel 1758in conseguenzadell'abolizione de' fermieridecretata negli Stati Pontificj il 12dicembre 1757e delle lodi che da tutte le gazzette e dai foglipubblici vennero al capo della chiesaBenedetto XIV. Segnatamentenel Corriere Zoppo o Mercurio storico di Lugano fustampato un lungo ed assennato articoloche fece gran senso; e nelqualetra l'altre cosedopo dimostrati i vantaggi che dovevanoconseguire negli Stati romani alla risoluzione pontificialeggevansiqueste considerazioni:
«Chiunquesi fa a vedere que' paesine' quali è libero tal genere(ossia il commercio del tabacco dalla Ferma)a prova conosce che lelusinghevoli esibizioni de' fermieri non finiscono poi che aspopolare e ad inquietare le cittài cittadini e iforestieria tutto loro profitto e con iscapito del principe a cuiservono.»
Esoggiunge (alludendo senza dubbio al ducato di Milano): «Si èsperato in un luogo fioritissimo d'Europa poch'anni fache sidovesse abbracciare l'opportuno partito preso ora dal Pontefice. Lecompensazioni proposte al Re per reintegrare le sue finanze delprodotto di tale appalto e i beni che ne sarebbero avvenuti nelloStatoerano posti in tal chiarezza da un gran personaggioche ipopoli credevano da un giorno all'altro di sentirne l'abolimento.
«Oraperòconchiudeche il capo della Chiesa ha dato un cosìbell'esempioè credibile che sarà da altri principiimitatoe che essi approfitteranno dei vantaggi che puòprodurre il dilatato commercio d'un genere reso tanto comune. Se iltutto si riducesse ad appaltile città più fioritediverrebbero solitudinirestringendosi a poche case quel che èil sostegno di tante famiglie.»
Ilfatto adunque del decreto pontificiola voce pubblicale gazzettemisero in tale apprensione i signori fermieriche questi presero ilpartito di Wallensteinil quale saccheggiava i paesi quando vedevadi non poter fermarvisi a lungo coll'esercito.
Fratutti i fermieri e gli addetti alla Fermaquel che viveva in minortimore era pur sempre il Suardiper le ragioni sopraccennateedanche perchè in quell'anno medesimo il signor Rocco Rotignoin conseguenza di una prodigalità forsennatadei colpimaestri che egli il signor Suardi aveva dato al di lui navigliopericolantecarico di debiti enormisparì improvvisamente daMilano nel mese di ottobre. La favola del cavalier Beltrame e diRoberto il Diavolo s'era verificata nell'intimità del Suardicol Rotigno; e questi dovette perder tuttosollecitato dalle maligneinsinuazioni del suo amministratoreche comparve in prima lista fra'creditori quando il fallimento venne pubblicato.
Riguardoal detto Rotigno è curioso il Monitorio pubblicatonelle parrocchie della città di Milanosegnato dal canonicoBazettacancelliere arcivescovilee stampato in Milano perBeniamino Sirtoritipografo arcivescovile. È diretto a tuttii reverendi abatiprioriprevostiarcipretirettoricurati evice curati delle chiese tanto regolariquanto secolariecomincia così: «Ci è stato esposto per parte dicerti signori di questa cittàche alcune personeli nomidelle quali non si sannoin perdizione delle anime loro ed in grandanno dei creditori del signor Rocco Rotignoindebitamenteoccultanodetengonooccupano o sanno chi indebitamente hadetieneoccupa ed usurpa oro ed argentodenariferrolegnobronzostagnoramelinosetasuppellettili di casaistromentiscritturelibri de' contiragionicrediti ed altri beni spettantial detto signor Rocco Rotignonon curandosi di restituiresoddisfare e rivelare come devono...»; e continuacomandandoai sopraddetti«che in virtù di santa obbedienza esotto pena di sospensione a divinis nelle loro chiese inpresenza del popoloavvisino pubblicamente le persone diqualsivoglia statogrado e condizione le quali occultanousurpanoecc.che in termine di nove giorni debbanosotto pena di scomunicaaver interamente restituito a' detti creditori ciò chedetengono»ecc.; e conchiude invitando anche i soli aventinotizie di qualche mal attoa far le debite rivelazioni in mano delcancelliere arcivescovile o del vicario foraneocolla dichiarazioneche delle rivelazioni non si potesse agire che civilmente e per solointeresse civile.
Perverità non constama ci pare chetenuto conto dei fattiprecedentie avuto riguardo agli istinti rapaci del nostro ex lacchèGalantinoegli avrà dovuto essere uno di quei tali detentoriminacciati di scomunica. Ma nessuno si occupò di farrivelazioni a danno suonè egli si prese premura alcuna diconsegnare o al cancelliere arcivescovile o al vicario foraneooggetto di sorta; nè la scomunica lo colpì mai nèallora nè dopo. Bensì fu notato com'essoda una certamagrezza accidentalema che non fu troppo fuggitivala quale avevaalterato di qualche poco la sua bellezza giovanilecominciò ariaversi alquanto dopo la morte del primo Rotigno; se ne rifece quasidel tutto dopo la scomparsa del Rotigno secondoe trascorso un annogli si soffusero di novello incarnato le belle guancecheritornarono tumidette e rigogliose di beata salute: press'a pocosiccome avvenne di alcuni famosi eroi delle antiche e delle modernestoriei quali dalla squallida magrezza onde furono investiti sottoall'azione violenta dell'insaziato genio della conquistasi riebberoquando poterono appagare la loro ambizionee raggiunger l'ultimointento.
Eotto anni passarono così al Suardi tra la giovinezza chebaldanzosa gli maturavae la salute che continuavae l'allegria checrescevae la ricchezza che s'accumulava. Ma a un tratto lapopolazione milanese sbuffò come nel 1754e fu nell'occasionein cui venne pubblicato l'editto del 7 aprile 1766provocatocertamente dai fermiericoi soliti mezzi onde sapevano otteneretutto quel che volevanoe forse da essi medesimi imaginato escrittoperchè l'assurda violenza che v'è comandatanon può spiegarsi se non facendone autrice la loro insaziabileingordigia. L'editto consta di ventotto articoline' quali ètenuto contocon minutezza cavillosadi tutti i casinon soltantoprobabilima semplicemente possibili in cui la Fermarispetto allaregalia del tabaccopotesse menomamente venir danneggiata. Le peneper la detenzione clandestina di tabacco frodatovarcanosenzanessuna apparenza della benchè menoma giustizia legaleognimisura di proporzione colla colpa; poichè si estendono dallamulta di scudi cento per ogni libbra di tabaccoa due tratti dicordaa tre anni di galerapersino alla confisca dei beni; equelche è incredibile a dirsiquesta pena veniva minacciata a'padroni per la possibile colpa dei serviai padri per la colpa deifiglicome dichiarava la lettera del capitolo primo. E la soladetenzione di tabacco esteropur in quella piccola quantitàche non potea passare il privato consumoveniva punita colla frustacolla cordacol bandoe quando si trattasse di nobilicollarelegazione in fortezzaa tenore dell'articolo terzo. E davasifacoltà agli ufficiali e deputati della Ferma di entrared'ogni ora e tempoa loro beneplacito in casa di qualunque personadi qualsivoglia statogrado e condizione... come in qualunque luogoesente di rispetto e privilegiatoa sensi dell'articoloottavo; e persino di far perquisire nei castelli e nei quartierimilitariinfliggendo la pena dell'indennizzo del quadruplo del dannoe del sequestro del soldo ai castellanicapitanitenenti edufficialicome ingiungeva l'articolo undecimo.



V


Orpiegando dai fatti pubblici ai privatialcune pagine addietroabbiamo udito il Suardi a dar gli ordini ad un suo commesso per unaperquisizione da farsi nel monastero di san Filippo Neri. Pareadunque che il tabacco di contrabbando sia per aver qualche relazionecoll'adolescente beltà che già abbiamo delineato conmatita color di rosae che forse avrebbe avuto tutt'altro avviamentonella vita se non ci fosse stata la Ferma generale del tabaccoe senon fossero stati pubblicati i ventotto capitoli dell'editto del 66.Gli amanti delle salsette piccantiche odiano il tabacco edhanno in orrore i capitolativogliano compiacersi a crederequalche volta che alle cose più scabre si connettono le piùvaghe e gentilie che se un libro dovesse tutto quanto esserecosparso di amori e sospiri e baciprovocherebbe una sazietàda far desiderare l'abolizione dei bacidei sospiri e degli amori.
Dopodi ciòil nome di quella beltà adolescente era Adanome cheper quanto ci constanon fu portato che da due donnecelebrivale a dire dalla moglie giovinetta di Caino e da unafigliuola di lord Byron. Come poi le sia stato imposto quel nomepochissimo usato adesso e allora forse ignotonon essendo ancorauscito il mistero di Byron a renderlo popolarebisognadomandarlo a sua madreche un dìleggendo la Bibbia perconsigliarsi coi proverbj di Salomonenello sfogliare il librolecorse all'occhio la parola Ada che è nella Genesi e fu cosìcolpita da quella parola soave pel duplice a e per laconsonante di greca mollezzache ricercando da qualche tempo un belnome da imporre a chi ella doveva mettere in luce fra pochi dì:— Ecco quel che cercavadisse fra sèpel caso che chinascesse avesse la fortuna sì poco benigna da essere piuttostofemmina che maschio. — E così avvenne di fattoe lafanciulla fu chiamata Ada. Portata al sacro fontela neonataquandol'inconscia sua testolina sentì il freddo battesimalemandòguaiti sì acutiche pareano persino presaghi di futuriaffanni. Dopoper tutto il tempo ch'ella pendette dalle poppematernefragranti come quelle d'Andromacaobbedìsaporitamente alle leggi fisiologiche di quel periodo di sedici mesi.Indi subì le malattie inevitabili dell'infanzia; subìun croup assalitore che mise in disperazione l'amor materno ein moto tutta la facoltà medica di Milano; ebbe le ferseche minacciarono di rientrare per un colpo d'aria infesto. Poi fudivisa da sua madre che andò a Bolognaperchè suamadre era donna Cleliacome il lettore sa sebbene non glielo abbiamoancor detto. Quando la contessa passò in quella città(perchèin conseguenza di talune bizzarrie delconte colonnelloche non basterebbe chiamar taliessendo statepiuttosto atti pericolosi di feroce escandescenzaella dovetteabbandonare Milano)la fanciulla aveva cinque anni; quattro nescorsero prima che donna Clelia vi ritornasseper rivederla dipassaggio e di gran premuracogliendo la propizia occasione che ilconte V... era andato per diporto a Parigi. E allorchè lavideammirò beata quel suo capolavoro di bellezza infantile;tanto più beata quanto più le pareva di veder nel lumedi quegli occhi giovinetti balenare un raggio d'altri occhibenchènell'insieme la fanciulla fosse tanto somigliante a sua madre come laparte più piccola somiglierebbe alla parte maggiore di unagemma preziosa che si potesse dividere in due. E la passione chepellavoro del tempos'era in lei tanto quanto attiepidita rispetto acolui che sa il lettoreriproruppe nell'intimo suo un dì chela fanciulladandosi a ridereriprodusse una lieve e fugacealterazione delle linee del visoche era caratteristica in suopadre; diciamo — in suo padrenon nel conte V...
Ècosa dolorosissima a pensarsimatroppo spessoella è vera.Le passioni nate e cresciute e alimentate in onta al gridodell'opinione pubblicae al decreto dell'assoluto doveree alsoliloquio assiduo della coscienzasono le più ardue asradicarsi da un cuoree spesso non si sradicano che colla vita. Unamore invece che sia stato protetto anche dalle sospettose madriebenveduto dai padri perplessie che abbia meritato lecongratulazioni di tutto il parentorioper quanto ei sia fervidoagli esordjè destinato a svamparead addormirsia morireappena abbia percorso il suo periodo fisiologico; a morire in pacebensì e a suo lettocome suol dirsima pur sempre a morire;press'a poco forse come i conforti incessanti di una vita agiataafflosciano l'esistenzae i leni tepori del caminetto ponnoaddormentare dopo il pranzo anche uomini attivi e impazienti comeGiulio Cesare e Napoleone. Davvero che c'è da gettar via latesta meditando su codesti arcani del cuore umanoma la colpa non ènostra se gli amori benedetti muojono in pacementre le maledettepassioni vivono in guerra. Ora quella indefinita alterazione nellevaghe linee della fanciulletta Adache riprodusse al vivo il sorrisodi Amorevolifece nel cuore della contessa l'effetto di un metallorovente cheimmerso nell'acqua alquanto sbollitaritorni a farlastridere. O cara e sventurata Cleliaindarno protetta dai logaritmie dalle ipotenuse! Divisa da colui da otto annitroncato ognicarteggio seco per uno sforzo violento della sua volontàossia per un atto di virtù vera...che brividi ella sentìcorrersi pel sangue nel sorprendere il fuggitivo baleno diquell'antico sorriso! Fu allora che l'affetto anticorisortotutt'interonon trovò altra via di sfogo salutare chenell'abbracciare e baciare e stringere a sè quella soave suaAdaper la quale in quel momentosentì cresciuta latenerezza al puntoche l'amor materno sembrò quasi assumereper un istantei fervori di una violenta passione! Ma ora dovevandividersi.
Lacontessa tornò a Bologna; Ada fu ricondotta in monastero. Orche lume d'intelletto risplendeva entro al leggiadro velo di quellafanciulletta? che spontanea virtù di natura avea sortito? checuoreche sentimentiche istinti? Ahinata di passionepurtroppoil germe di essa le si depose inavvertito nel sanguequasicome avviene de' malori gentilizj! germe destinato a dar subiteespansioni e precocia guisa di un fiore cheaffidando all'ariaancor fredda le sue prepostere fragranzeprecorraannunciandolalaprimavera; — e all'occulto germe doveva dar forza e riceverne agaraper le consuete rispondenze arcaneuna non comune svegliatezzadi menterecando essa nell'ingegno un abito spontaneo a manifestarsicol linguaggio dell'arte! Tutte queste cosequando la fanciulla nonavea che otto anninon furono intravedute che dalla penetrazioneprofonda di donna Paola; ma a dieci anni vennero consideratee coninquietudine sospettosaanche dalla madre superiora del monastero disan Filippo. L'ingegno straripava in insolita vivacitàecerte baldanzose interrogazioni della fanciulletta turbarono spessol'insipienza bigotta delle monache maestre. Per di piùcomevoleva l'uso del tempo e la consuetudine dei monasteriallafanciulla fu insegnata la musica; domandando ella stessa un talestudioperchè un naturale istinto ve la portavaedesiderandolo anche donna Paola Pietraper essere ella medesimacome sa il lettoretanto insigne in quest'arte.
Unbello e acuto ingegnoma piuttosto amico del paradossos'èmesso in testa di voler provare che la musicafra tuttesia l'artereligiosa per eccellenza. Il valent'uomo ha sfoggiata a ciòmolta dialettica e maggior dottrinama non è riuscito apersuaderciquantunque abbia santa Cecilia per sua naturaleprotettrice. La musicaonde giungere all'intellettodeveattraversare necessariamente i sensi; e non rendendo essa nessunconcetto preciso e determinato che attragga l'intelletto convelocitàspesso avviene cheindugiandosi troppo a lungo coisensi stessismarrisca poi la via di pervenire allo spirito. Perònon a caso ha detto un savio dell'antichitàche la musicafeconda il senso prima del tempo; ondestando così le cosenon vediamo come la teologia possa giovarsi troppo del suo ajuto. Macomunque sieno per sentenziare i saggi su di ciòe limitandola questione ad un solo esempioa quello esibitoci dalla giovinettaAdaella mostrò in sè stessa che quel saviodell'antichità aveva pronunciato il vero. Anzior che cirammentaella non vien nè sola nè prima a dar ragionea colui; ma vien seconda a una certa duchessa Elenadi nostraintrinseca conoscenza. Al pari di questa adunquecome la fanciullaAda toccò i tredici anniossia come le si dischiuse ilperiglioso crepuscolo dell'adolescenzaallorchè per istudio eper diporto facea scorrere la mano sui tasti dell'organopiùnon istette paga ai suoni tesi ed agli accompagnamenti solenni delTantum ergo; ma con estro inventivo traendone suoni della piùfantastica inspirazionequesti le rivelarono la confusa iride di unavita di cui non aveva ancora notizia. Siamo sempre ai soliti misteridella vita.
Inseguito a tali ideela fanciullauscendo al giovedì dalmonastero per recarsi alla casa di donna Paolacominciò aguardare il mondo circostante con un occhio che non era piùquello dell'infanzia; così l'anno tredicesimo sfumòespuntò il quattordicesimo; e trascorse anch'essoe labellezza intanto cresceva e il lago del cuore non era piùcalmoe vennero gli anni quindici. Ahi! che un giorno il Suardiilquale già l'aveva adocchiata altre voltee aveva notizia dilei e dell'origine suasi fermò a contemplarla con perfidaintenzioneguardandolo pur essa con innocenza mal presaga; chèil volto e gli occhi del Suardi erano di quella fatale qualitàche dove cadono lasciano il segnoquantunque non fosse piùgiovinetto; ma anche Adalgisa cantava:


Etutta assorta in quel leggiadro aspetto
Unaltro ciel mirar credetti in lui.


pensandoa Pollioneil quale aveva trentacinque annigiusta un computoesattissimo. Del rimanenteguai se una giovinetta trova di riposarl'occhio in un giovane che tramonta. Ella è perdutase altrinon la strappano. Un giovane che quasi ha finito d'esser giovaneeannuncia già la calva e bigia virilitàaduna tutte lesue forze e i suoi prestigj in sull'estremoe combatte come unsoldato il quale sa che il ponte gli fu tagliato alle spalle. Peròguardatevio giovinette caredalle tentazioni di un giovane che amomenti non sarà più tale. Il diavolo stesso vi potràessere men funesto. Fuggiteo fanciullei giovani vecchi. Èquesto un parere da vero amicoche vi scongiuro di ascoltare.



VI


Molteerano le ragioni per cui il Galantinodescritta che ebbe quellastrana parabolaper la qualedopo essere nato da un cocchiere nellestalle del marchese F...ed essersi dilettato a frugar nellesaccocce del suo padrone protettoree aver mostrato la gamba piùveloce tra quelle dei lacchè di tutto il Ducatoed aver fattoil ladro commissionario per compensi non vulgarie avere indossata aVenezia la serica velada di lustrissimo per frodare l'altruial giuocoe aver subìto la tortura col coraggio ondequell'antico Romano mise la mano ad ardere nel bracieree averlasubìta e vinta per uscir dalle mani della legge netto epurgato come un lebbroso da un bagno di zolfoera pervenuto adessere uno degli addetti alla Fermaa possedere tre case in Milanodue grandi magazzini di varie merci nei Corpi Santidue filande diseta tra Palazzolo e Bergamouna villa ridente e voluttuosa traGorla e Crescenzagoun'altra villetta in Brianza; a nuotare in sommanell'oroa dormire sotto il moschetto di damasco violettoa portareuno splendido anellone di lapislazzuli sull'indice ed un altro didiamante dalla più pura e bianca goccia sul medioe dueorologi d'oro a ripetizione nel taschinoperchècome alloravoleva il costumel'uno facesse la controlleria dell'altro; acalzare gli stivaletti di sommaco filettati d'orocol fiocco d'oro egli speroni d'argentoper caracollare su d'un bellissimo puledronormanno color isabellaa lunga criniera nera e coda lunghissima chesommoveva la polvere del corso di via Marina; lungo il qualetra lefile dei carrozzoni patrizjfaceva leggiadra mostra di sèmentre le giovani dame gli lanciavan guardi furtivie i maritibestemmie e dileggi che non trovavan eco nelle mogli (e qui ci siapermesso tirar il fiatoperchè abbiam fatto un periodo allaGuicciardini); molte dunque erano le ragioni per cui aveva messol'occhio sulla fanciulla Adaeducanda nel monastero di san Filippo.Egli ricordavasi troppo del dialogo avuto colla contessa Clelia aVeneziae s'era fitto in capo che le rivelazioni di essa fosserostate la causa della sua cattura. Aveva pertanto fermato di trarnevendettae se questa non gli riuscì la prima volta che l'ebbetentatanon vuol dire ch'ei dovesse deporne il pensiero. Ben èvero ch'egli non era uomo da trascurare i propri affari per un talfinee nemmeno di cercarne affannosamente le occasioni; ma tuttaviaavea sempre pensato chese un'occasione qualunque gli si fossepresentata spontanea e nei momenti d'ozioegli sarebbe sempre statodisposto a coltivarla. Oltre a ciòe indipendentemente dairancori colla contessa Cleliaeglisebbene avesse avuto unprotettore nel marchese F... e un compenso in danari non dispregevoledal conte fratello di essoportava un'avversione profonda alla castapatriziapel semplice motivoma significantissimoche dai crocchjdei gentiluomini al teatroal ridottoalle case di giuocoaipubblici convegni era sempre stato e veniva sfuggito con disprezzomanifestoin ispecial modo dal conte-colonnello. Poco curandosi delresto del conte colonnellogli era nato un desiderio vivissimouno di quei desiderj che diventano irrequieti perchè nasconodi puntiglidi regolarsi in modo cheo una qualche dama vedovadelle primissime famigliela quale per combinazione fosse strariccae fosse ancora giovane e ancora bellacadesse per avventura nellesue insidie amorose; oppuree per lui era il disegno piùconvenienteinvece della vedovavenisse a trovarsi nel laccio unaqualche contessina o marchesina giovinetta e inespertae le cose siriducessero al punto che il matrimonio fosse reso indispensabile.
Atutto questo pensò per lungo temposenza tuttavia darvi unagrande importanzae solo in quei momentiin cui beveva il caffèdopo il pranzoo cavalcava solitarioo stava cosìsottocoltre alla mattinaaspettando che il servo gli recasse l'acquafresca inzuccherata. Se non che il destin volle che un giornosedendo a pranzo in casa d'uno dei capi della Fermatra i varjparlariil discorso cadesse sulla contessa V... e da uno deicommensali venissero dette queste precise parole: «a propositoho visto jeri la figliuola di leiquella che fu messa in SanFilippo; oh che bella e graziosa tosina!... È tutta sua madrese forse non ha una certa grazietta inesprimibileche sua madre nonaveva!»
Nonci ricorda in qual battagliama in una delle più celebriNapoleoneil quale non vedeva ancora ben chiaro sull'esito di essaa un trattosentite le relazioni d'un suo ajutante che accorrevasbuffantebalzò in piedi e gridò: — La vittoria ènostra. — Ora il Suardi non balzò in piedi e non gridòma pensò tra sè: Adesso vedo quel che si ha a fare—e fermò un mezzo partito. Cosìotto giorni dopoossiaquando ricorse l'altro giovedìgiacchè dal commensaleamico aveva sentito anche i particolari della giornatasi trovòin luogo ed in ora opportunae videanzi guardò lafanciulla. Gironzando poi là in vicinanza del monastero di SanFilippoosservata un'ortaglia con casamentoentrò cosìa caso a dimandare di chi fossee giacchè da qualche tempoandava cercando un vasto luogo in Milanonon molto distante dal suostudio in Pantanoper deposito di mercanziechiese se ilproprietario sarebbe disposto a vender quel luogo. Il proprietarionon era spontaneamente dispostoma il Suardi esibì di pagarloqualcosa più del valoree alcuni giorni dopo egli ne eradiventato il padrone. Quando lo comperònon aveva per veritàaltro fine che di farne un deposito di merci; dell'averlo poi sceltoinvece d'un altro non aveva una ragione precisaquantunque ne avessemolte d'indeterminate. Ma nell'ora e nel luogo acconcio ei si mostròalla fanciulla un altro giovedì; e la fanciulla lo guardòancora più attentaed egli la ferì d'una di quelleocchiate cheogni qualvolta in simili contingenze le ebbe direttecon ferma intenzioneal pari delle frecce di Guglielmo Tellnon glierano mai fallite; e sorse un quarto giovedìe il Suardi sicomportò di maniera che la fanciulla s'accorgesse com'egliuscisse da una casa accosto al monastero.
Entraval'estate dell'anno 1766e quotidianamente cominciò a recarsicolàverso le ore in cui le monache e le educandediscendevano a passeggiar per diporto in giardino. Se si dovesse direche il Galantinonella vaga confusione de' suoi disegninon avessealtro scopo che di soddisfare a' suoi rancori colla contessasidirebbe il falso. In realtàquando vide la fanciullaequando la fanciulla guardò luisegnatamente alla seconda edalla terza voltaegli sentì nel sanguese non precisamentel'amorequalcosa certo di molto affine ad essoe l'avrebbe sentitoe coltivato quando pure non si trattasse della figlia della contessa.
AlSuardiil lettore già lo saera sempre piaciuta la bellezzafemminileeavvenente qual eranella sua progressivatrasformazione di lacchè in vagabondoin fermiereinnegoziantein ricco possidenteebbe tante avventure amorose quantene volle. S'era poi sempre mostratofin dall'età adolescenteassai propenso a innamorarsi di chi era di qualche grado superiorealla sua condizione. Orasiccome le facce del poliedro umano sonotantee fu già dimostrato dalle prove e riprove de savj cheun uomo non è mai tutt'affatto cattivo nè tutt'affattobuonoe che anche nel sangue più guastosapendo adoperarenell'analisi di essola virtù degli agenti e reagentichimicisi rinviene sempre qualche dose più o meno abbondantedi buon sanguecosì il Suardinelle contingenze amoroserecava spesso una gentilezza chequasipotea dirsi quella di ungentiluomo squisito.
Amandole donneanzi idolatrandoleallorchè s'aveniva in quelgenere di beltà che aveva potenza di su di luilasciavasivincere da essadominare equasi diremmotramutare. Era forsequella medesima cagione recondita per cuifin dalla fanciullezzaavendo sempre ambito il vestire eleganteavea frugato nelle saccoccedel padronevinto dalle tentazioni di parere in faccia alle donnepiù di quello che era. Qualunque poi fosse la cagioneserbando esso un abito di gentilezza nel fare all'amoretrovandosilà soloall'ora dei miti crepuscoli estivisu d'un balconeche rispondeva sul muro di cinta dell'ortaglia del monasterolaquale non frequentata che dall'ortolanoserviva come d'antemurale algiardino stesso dove passeggiavano le monache e le educandeei sideliziava nel sentire le voci frescheche l'aria gli portavadellegiovinette convenute là a sollazzarsi; e si compiaceva neltentar d'indovinare e distinguerefra tutte le altrela voce dellafanciulla che da qualche tempo gli si era piantata immobile infantasia. Del restoper astuto che fosse e ricchissimo di trovatiegli veniva là tutti i giornisenza saper ancora perchèe quasi per aspettar dalla fortuna il premio dell'insistenza; press'apoco come un astronomo che tutte le notti appunti il telescopio inqualche plaga sospettata del cielonella fiducia che un astronovello ci cada dentro a dargli il vanto di scopritore. Ma chevoleteo lettori? È tanto vero che la fortuna èl'alleata più fida del genio del maleche un dìl'astro aspettato brillò veramente agli occhi del Suardi.
Edecco in qual modo. Se il Suardiscaltrito da lunghissima esperienzapreoccupato da tanti affarisacerdote anziano del tempio di Gnidocol cuore fatto a squama di coccodrilloper quantocome dicemmolospettacolo della bellezza avesse scoperto il suo lato molle epenetrabileerasi tuttavia lasciato dominar tanto dal pensiero diquella fanciulla; è troppo facile imaginare come stesse ilcuore e come tumultuasse la fantasia della quindicenne Adaappenal'occhio maliardo del bellissimo Suardi la ebbe penetrata.
Novain quella nova regione dell'amoresebbene da lei presentita inconfuso per la misteriosa intuizione del senso precocementeriscaldato dall'ingegno e dallo studio di un'arte che recava in sèstessa la seduzioneella provò tosto quell'intima giojamista di compiacenza e persino d'orgoglioche non si confonde connessun'altra gioja al mondoe quell'irrequietudine particolare esenza riposo la quale spesso converte l'amore in ciò che puòchiamarsigià lo dicemmoil tetano morale. Sapeva checolui abitavaoalmenoveniva spesso in un sito contiguo almonasterochè in questo il Suardi aveva ottenuto il suointento. Passeggiando ella dunque nel giardinocominciò adilungarsi dalla giovinetta schiera delle compagne alunnee adesplorare d'ogni intorno per iscoprire se mai le potesse pervenirequalche sentore di colui. Quando facevasi sommesso o taceva del tuttoil cicaleccio delle amichestavacome suol dirsiin sull'alequasi sperasse che quell'insolito silenzio venisse mai rotto daqualche voce che non fosse quella delle amiche o delle maestre;allorchè un giornopervenuta all'ultimo lembo del giardinodov'era come una baraccala quale serviva di legnaja e diripostiglio per gli strumenti rurali dell'ortolanopenetrò inessa come un viaggiatore sempre in cerca di una terra inesplorataes'affacciò così a caso ad una rozza finestretta coninferriata. S'affacciò e fuggì e cadde a sedere su deicovoni di pagliaquasi svenuta. Il Suardi era al balconee videquel raggio balenare di trattoe svanire come una stella disant'Elmo.

LIBROSETTIMO


Ada.— Il Galantino e l'ortolano del monastero di San Filippo Neri. —Guglielmo lord Crall. — La casa Ottoboni Serbelloni. —Pietro Verri e il bilancio dello stato del commercio nel ducato diMilano. — I commissarj della Ferma. — Una loggia di LiberiMuratori nella contrada di san Vittorello. — Il Galantino e ilfiglio della Baroggi. — La madre priora di San Filippo. — Icommessi della Ferma e i Liberi Muratori.


I


Ilgiorno dopo (e correva la prima metà del mese di giugnodelche non a caso facciamo avvertito il lettore) il Galantino ritornòcom'è naturalea quella sua vedetta.
Ritornòma non uscì sul balconebensì stette nascosto dietrole griglie. Per quanto ei fosse fiducioso di sè e dellapropria avvenenzae fosse reso baldo dalle molte e continue e facilisue vittoriepure non avrebbe saputo giurare a se stesso d'averfatto nella fanciulla quella profonda impressioneda cui dovesse poiprorompere la necessità d'una corrispondenza. Era ingegnoso eacutolo abbiam detto cento voltee conoceva le anomalie dei cuorifemminili; ma d'altra partenella interminabil lista delle sueavventurenon ancora era comparsa una figura sì giovanesìolezzante di fragranza virginea.
Eraquella la prima volta ch'ei trovavasi al cospetto d'una innocenzatanto puramentre egli era di tanto più provetto di leicheavrebbe potuto essere suo padre. E congetturava che l'innocenza puòparere audacepuò sembrar perfino d'esprimere desideri nonpurie ciò per l'eccesso appunto della illibatezzala qualeprocede spensierata e confidente; e pensava che poteva essersiingannatoe l'apparizione repentina della fanciulla e la repentinasua scomparsa riuscirne una prova fedele. Però disse tra sèquando si pose ad aspettare in silenzio dietro le griglie: — Seella oggi ritornaallora non c'è dubbiosarà quel chesaràe nessuno m'incolpi se farò quel che saròper fare. Se poi non ritorna...
Ela fanciulla Ada ritornò e s'affacciò: s'affacciòe si ritrasseper affacciarsi e ritrarsi ancoracome fa lacapriuola cheirresolutasporge la testa dalla rupequasi odorandoil vento se gli porta rumor di cacciatorie fugge precipitosaperritornar tosto a rigirar l'occhio sospettoso finchèrassicurataspicca il salto e procede. E anche Ada ritornòlàe girato l'occhio intorno e non vedendo nessunosi fermòe alzò lentamente lo sguardo al balcone poco discostolasciandovelo riposare a lungoe quasi dimenticandolo su di essoassorta in una immobile contemplazione! Oh divino spettacolo dellagiovinezzadella beltà e della innocenza! Oh spettacolodoloroso della tentazioneche sorge lenta lentae inavvertita siassocia a così dolci compagne!
Ovoi che avete i cuori fatti d'agatae dal gelo del sangue vi fu resoarcigno e spietato il giudizionon vogliate abborrire inanticipazionequasi fosse una figliuola del diavoloquestaleggiadra figura chesenza sua colpaportò dalla naturastrani fervori nel sangue. Costeicredo bene di dirvelo anche acosto di prevenire gli eventiperchè se avete degli odj ausufruttarene scagliate altrove il veleno; costeipur attraverso aun doloroso tramite di pericoliè predestinata alla sinceravirtùse la virtù sta nel far violenza a se stessienon nel portarne la maschera senza volere il vero beneanzi senzanemmeno comprenderlo. Questo sia detto senza andare in colleraperchè non veniate a turbarci coi vostri obliqui affanniolividi fariseie coi sospetti di chi non vede che colpa emaledizione in ogni spontanea effervescenza dell'affetto.
Orcontinuandoil Suardi uscì sul balconee contemporaneamentealla sua comparsa gettò una carta entro alla finestradoveAda stava in contemplazione; ed ellaarrossendoancora si ritiròraccogliendo però la cartanella quale era quel fiorequelfiore che noi l'abbiam già vista a levare di sotto alla teladel guanciale del suo lettuccio collegialeed a fiutarlocoll'olfattodiremodell'anima. Allora il Suardi si tenne certo diessere rimasto nel cuore della fanciullae su tale certezza ordìun disegno che mai non gli era venuto in mente sino a quel punto. Euscito di làe recatosi alla sua casa civile in Pantanomandòsenza perder tempoun suo uomo di studio a cercaredell'ortolano del monastero di San Filippocon ordine che gli dessequalche danaro a persuadergli d'andare a luiquando per caso sifosse mostrato restìo. Ma l'uomo di studio si portòbenee l'ortolanosenza farsi troppo pregaresi accompagnòcon essoe venne alla presenza del Suardinel suo gabinettosegreto.
—Oh bravo! così disse il Suardi seduto all'ortolano che stavain piediquando l'uomo di studio uscì dal gabinetto; tiringrazio dell'essere stato così sollecito. Ma prima ditutto... ti piace il vin di Cipro?
—Per dire che mi piace penso che bisogna aver buona memoria. Me ne hadato un bicchiere tre anni fa il cameriere della marchesa Ottoboniquando portai in quella casa un mazzo di fiorinell'occasione che sifaceva sposa la marchesina ch'era stata educata in convento.
—Rinfresca dunque la memoria e riscalda lo stomaco con questo.
—Obbligato alle sue grazie... buono! Ma ora posso sapere per cosavossignoria mi ha fatto chiamare?
—Dimmi un po'il mio uomosei tu ammogliato?
—Mancherebbe anche questacaro signorecon quella miseria di salarioche si ha in convento. È già molto se posso provvederea me e alla mia vecchia madre. Per la moglie e per i figliuoli nonc'è posto davvero.
—Guarda moil mio uomoio credevo che tu stessi benissimo colà...perchè conosco molti altri ortolani e giardinieri che hanno iltuo e poi ancora il tuo. Ma come va dunque la cosa?
—Come vada ora lo so io... come è andata una volta non lo so...Ma pare che non si sia pensato all'ortolanoquando si fondòil monastero... Tanto che la dama conservatrice mi dà qualchecosa del suo... e del resto vivo d'incerti che capitano quandocapitano; e se mai dà il caso d'un'annata in cui le educandenon escano in molte dal conventoper ritornarefatte grandi e bravenelle loro famiglienon c'è nemmeno il pretesto di far loroqualche bel regalo coi fiori del giardino che è il solo miovantaggiodal momento chenon per superbiama son piùgiardiniere che ortolanoed è questa ancora una fortuna;perchè fagiuolicavolicarote e cipolle van tutte a finirenella cucina del conventodove il cuoco par che mangi anche la partedelle reverende e delle educande.
—Quand'è cosìva benone. La mia paura era che colàtu stessi troppo bene.
—Paura? ma perchè paura?
—Perchèper una villa che ho in Brianzaho bisogno di ungiardinierema di un bravo giardiniere. Io lo pagherei bene. Oltre aciò avrebbe i proventi dell'ortaglia per luie le mance de'mazzi di fiori che di tanto in tanto si mandano a regalare alle belleche escono a villeggiare. Io t'ho vistoe mi sei parso il mio uomo.Non vecchionon giovanebuone spallecera lustraocchio furbo magalantuomo. E allora potresti prendere anche moglie. Scommetto chepiù di una volta t'è venuto il ghiribizzo di prendermoglie...
—Il signore scherza.
—Io non ischerzoil mio uomo. Ma se ti piacciono i pattidomani odopo esci in campagna con me... ed oggianzi adessoprima che tuesca di quiti doa titolo di caparrauna mezza dozzina dizecchini. Ti piacciono i zecchini?
—Più ancora del vin di Cipro.
—Dunque ci stai?
—Ci sto.
—Ecco i zecchini. Unoduetrequattrocinquesei. Va bene?
Elicenziò l'ortolano; nè per quel dì gli dissealtro; ch'ella è astuzia antica e greca il non parlar mai insulle prime della cosa che più importa.
Intantoil giorno successivoall'ora consuetail Suardi fu al balconeconsuetooper dir megliostette ancora nascostoper vedere se lafanciulla ricomparivae per non darle soggezionequando mairicomparisse. E Ada ricomparvee si fermòe il Galantino lerivolse una parolauna parola vaga e insignificantetanto perprovar la voce; e Ada rispose una parola anche essama nonintera; e soltanto per far sentir la voce; una voce dimezzo contralto vellutatala quale compì l'operamettendo alla massima bollitura il sangue di Galantino.
Ein quel dì stesso egli fece chiamare di nuovo l'ortolano delconventoe:
Sentigli disseprima che ce n'andiamo in campagnaho bisogno chetu mi faccia un piacere.
—Vossignoria non ha che a comandarmi.
—Prima di tuttohai tu accesso libero in convento?
—Fino ad un certo puntosì.
—Già s'intendesino ad un certo punto. Ma fin doveperesempio?
—In cucinain legnajain cantina... e qualche voltaquando lemonache sono in refettorio o in giardinosi va a far pulizia ne'dormitoj; e quando le ragazze sono a lettosi va a farla inrefettorio.
—Sei tu solo a far questo?
—Io e il facchino del convento.
—Ma va benone. Or vedi che si ha a fare. Vieni intanto con me.
El'ortolano seguì il Suardi in un camerone terreno.
—Vedi tu tutta questa roba?
—Vedo e sento. È un tale odor di tabacco che si starnuta anchesenza annasare.
—Ebbeneho bisogno che tutta questa robagià non è poigran cosatu la distribuiscaun po' per giornoin molte parti delconventoin quelle parti che sono fuori della vista giornaliera.
—Oh... questo è impossibile.
—Per chi ha buona volontà non c'è niente di impossibile.
—Anche questo può esser vero... ma...
—Che ma?
—Vossignoria sa cosa c'è di nuovo.
—Vuoi tu che non lo sappia? Sono uno di quelli che hanno fatta lalegge.
—Capisco.
—Non c'è dunque per me nessun pericolo a contravvenirvi.
—Per vossignoriano; ma per quelle del convento...
—Ma sei forse innamorato delle monache?
—Io? oh!...
—Lascia dunque andaree piglia questi due zecchini che cogli altrifaranno otto... Finita la cosate ne darò altri quattroecosì faranno dodici. Trovami fuori or tu un ortolano in tuttoil Ducato che in ventiquattro ore guadagni dodici zecchini.
—A far l'ortolanono; ma nemmeno io ci riescoperchè mi parech'oggi non si tratti nè di cipolle nè di lattughe.
—Dunque...
—Eh... basta... quando si tratta di cambiar statosi può fareun tiro anche alle monache.
—Sicchè?
—Sicchè... se vossignoria ha altri affari a cui pensarecipensi pure... che in quanto a questo è bell'e spicciato.
—L'ho detto io. Cera lustraocchio furbo e galantuomo.
Furbo sì... galantuomo non si può sempre viver sicuridi esserlo...
—Va làva là... e non farmi lo scrupolosochèson tutte ineziee già non si ha a far male a nessuno. Delrestofatta la cosatu viaggi in collinae un altro verràal tuo posto. Anzidovresti pensare fin d'ora al sostituto.
—Oh non occorre pensarci. Ci sono aspiranti a trentinechètutti credono che il convento ingrassi e l'orto delle monache sia unbel zapparlo...
—Ah furbo che tu sei... dunque siamo intesi.
El'ortolano partì.
Oraper non trarre il lettore per le lunghegli basti sapere chesiccome il Suardi vollecosì venne fatto; chèl'ortolano distribuì il tabacco tanto equabilmente in tutte leparti del conventoche non ne andarono senza nè il refettorionè i dormitoj.
Eil lettore durerebbe fatica a prestar fede a questose non loavessimo informato appuntino degli abusi e delle enormezze ribaldeche si commettevano in Milano per mettere i cittadini incontravvenzione rispetto al nuovo editto sulla Ferma. Nèsoltanto si faceva entrar di soppiatto il tabacco nelle case de' gransignori e dovunque si presentava una facile occasioneo un servovenale o un portinajo più venale ancora che facesse ilmanutengolo; ma ne' giardini si buttavan da' muricciuoli di cintaanche sacchetti di saleonde poter così gettar la colpa sulpadrone di casasul prevosto della parrocchiasul priore delconvento: perchè la voracità de' fermieri s'era diffusaa tutta la folla de' loro satellitii qualianche senza averne ilcomandocommettevano inaudite nefandità per intascare lequote che loro eran dovute sulla esazione delle multe; esoventeancoraper altri fini indiretti che sapevano iniquamente dissimularesotto colore di dover fare inesorabili perquisizioni nelle internedimore; delle quali esorbitanze or appunto ci porse un saggio ilGalantino. Ma che intenzioni aveva egli? ma perchèsottopretesto di frugare onde cercare il tabacco di contrabbandoavevapensato di mandar volpi e faine nell'ovile intemerato?
Questoè ciò che vedremo in seguito. Intanto ci convienrecarci in casa di donna Paolanegli appartamenti del suo figliomaggioredi quel Guglielmo lord Crall che noi abbiamo giàvisto a venir di gran trotto per via Nuovaverso le parti appuntodel monastero di San Filippo. E ci convien far la sua conoscenzaintimaperchè non dobbiamo attenderci cose indifferenti daquesto bel giovane biondocostituito dalla duplice natura d'italianoe d'inglesenato da genitori di tempra fuor dell'ordine comunecaldo di mentecaldo di cuorescolaro di Parinilettore diRousseauentusiastamisantropoche dovea presentire quellamelanconia destinata dal secolo a certi spiriti eccezionalidondepoi scaturì il concetto del Werther di Goethee quellache si potrebbe chiamare la moda del suicidio.


II


QuestoGuglielmo lord Crall lo abbiam già veduto adolescente di dieciin undici anni a tradurrein compagnia del suo minor fratellounasatira d'Orazioessendone istitutore ripetitore il giovaneabate Parini.
Oradevesi sapere che il marito di donna Paola lasciò morendo unaricca facoltà ai due figli; che mancato a Londra nel 1762 unfratello di essoaccrebbe di tanto gli averi dei due suoi nipotiche questi potevano stare a fare coi più ricchi di Milano; cheil minore di lorodue anni prima del tempo a cui ci troviamosirecò a Londra per compiacere alla tendenza che sentiva in sèirresistibile per i viaggi e la vita avventurosa; e che il maggioreprescelse di starsi invece con sua madre a Milanotutto infervoratocom'era di lettere e poesia e speculazioni filosofiche. Di questoGuglielmo lord Crall abbiamo anzi sott'occhio un volumettostampatodel Galeazzidi poesie latine (Carmina Latina — DominiGulielmi Cralii — E Londino oriundi — Mediolanityp.Jos. Galeatii 1765)poesie tibulliane assai più che orazianesebbene di mestissima venae qua e là soffuse di una misticanebbia che non poteva appartenere al genio di nessun poeta pagano elatino. Ma de' suoi versi tibulliani modificati dallo spleeningleseil quale dal sangue del padre era passato nel suoparleremo in altra circostanza. Per ora ne basti sapere chementreegli attendeva alla stampa de' proprj versis'innamoròcomepuò innamorarsi un italiano moltiplicato per un inglesediuna fanciullala qualee chi non l'ha indovinata prima? era appuntola crescente Ada.
Visono personeper lo più femminiliqualche volta maschililequalitrovandosi giovani in presenza di giovani dell'altro sessonon possono nè muoversi nè respirare nè guardaresenza nuocere all'altrui buon umoreossia senza destare qualchefurente passionela quale poiallorquando non è corrispostafinisce per essere incomodissima e molestae qualche volta persinopericolosa a chi l'ha innocentemente provocata. Egli è perciòche sono talora degni d'invidia quelli che dalla natura fisica nonricevettero tutt'intero nè perfetto il loro appannaggioedebbero qualche occhio di menoo qualche protuberanza di piùe dalla rachitide e dalla scrofola furono preparati in modo daservire di controstimolo a chi è nato per amare. Costoroalmenose hanno il diritto di lagnarsi di molte cosenon hanno asubire la sorte di esser vittima dell'altrui simpatia!
Tornandoora al giovane Guglielmo e alla fanciulla Adala disgrazia fu cheegli stette assente da Milanoper essere stato alle piùcelebri università d'Italiauna mezza dozzina di anni; e chenon potè assistere al graduato sviluppo della fanciulla;bensìlasciatala ragazzettala rivide adolescenteanzi contutti i prestigi d'un'adulta. Noi non pretendiamo che sia un rimediosicuro per non innamorarsi di una fanciullal'averla vista anascerea crescerea piangere colle lagrime dell'infanzia. Gliuomini non vedono all'ultimo che il frutto maturoe non rinunciano amangiarlo per averlo visto acerbo. Tuttaviaqualche voltagiovòquesta circostanza a serbare illesi de' giovani maturi dai tormentosiaffetti per fanciulle adolescentie forse avrebbe giovato anche algiovane Guglielmo. Ma per fatalità quando ei ritornòaventisei annivide Ada che ne aveva quattordicicon tutti gliattributi esterni dei quindici e quasi anche dei sedici anni.Allorchè la videe fu appunto un giovedì di vacanzala prima di lui sensazione fu di rimanere abbagliato e scosso; lasecondadi non credere che fosse quella stessa Ada che l'avea spessofrastornato co' suoi trastulli infantili. Se non chepassando iltempoe vedendola altre voltee sentendola parlare con garbo assaie ascoltandola cantare e suonarecon quella voce di mezzo contraltovelata di voluttàcon quelle mani bianchelunghesottiliintellettualise può passar la parolal'incanto cessòdi esser passeggiero. Per di piùmovendo ella gli occhi conuna espressione di guardatura tenerissimaegli si confidòd'interpretare quell'espressione a proprio vantaggio ogni qualvolta ilenti e grandi occhi di Ada riposavano inconscj su di lui. Ma nonbisogna fidarsi dei begli occhi delle bellechè il lorolinguaggio somiglia molto a quello della musicala quale possiede unlinguaggio universale che può dir tutto e può dirnullae guai se le parole del libretto non vengono in soccorso dellenote. Peròcari i miei giovinottiche cantate vittoriaperchè un'occhiata v'ha lusingatovogliate credere a chi hapiù esperienza di voi: Non vi fidate. E a buoni contiper lavostra tranquillitàfate venire in soccorso degli occhi unaesplicita dichiarazionela qualese sarà scritta e in cartabollatameglio.
Mase oggi possiamo venire in aiuto de' nostri giovani amicici stringeil cuore di non aver potuto aiutare il cogitabondo Guglielmo lordCrallil quale prestò una fede così illimitata agliocchi di Adache ne rimase ferito incurabilmente; gli occhi di Adai quali erano ben lontani dal credere di doversi compromettereadempiendo alla necessità del loro ufficio. Ned egli confidòa nessuno il suo segreto; onde la passione tanto più fremevaquanto più era compressa di dentro. Nè mai pensòdi farne motto alla fanciulla. Le pareva di troppo acerba. E quandopure avess'egli saputo passar sopra a tal fattolo faceva ritroso lacondizione di educanda in cui Ada trovavasi ancora. Ma il suosilenzio se valse con tutti non valse con donna Paola. Gli occhidelle madriquando trattasi di figli amatissimicomprendono coseche nessun occhio acuto non potrebbe mai decifrare. Ma ella puredalcanto suonon solo non ne fece motto al figlioma dissimulòprofondamente d'essersene accorta. Ella non poteva veder di buonocchio quest'affettoe si crucciò amarissimamente appena neebbe sentore. Le parea come di farsi rea di lesa delicatezzasoltanto a pensare alla possibilità cheritornando a Milanola contessa Cleliala quale con sì fiducioso abbandono leavea lasciata la cura della figliatrovasse poi nella casa medesimadi donna Paola già adulto un amore tra la propria figliuola eil figlio di lei. Perciò taceva e speravae quando la nobildonna conservatrice del monastero di San Filippole parlòdell'indole troppo vivace e risentita dell'educanda Adae le proposedi ritirarla dal collegioella amò di lasciar cadere queldiscorsoperchè tutto avrebbe voluto anzichè tenersiin casa quell'occasione di contrattempi e di sciagure possibili.
Atal punto eran dunque le cosequando Ada alle tentatrici parole delSuardi ebbe risposto più col suono della voce che con altreparole. Ma il dramma sollecitava il suo gran colpo di scena.
Tuttii giorniessendo entrata l'estateil giovane Crall soleva recarsiin sul tramontare della giornata in casa della marchesaSerbelloni Ottobonidov'era il convegno di tutti i beglispiriti della città di Milano. Il dì stesso in cui ilSuardiper ingiunzione dei capi della Fermae per decreto dellamagistraturae con permesso della sacra congregazionetrattandosidi luogo eccezionaleaveva stabilito di mandare la solitasgherraglia a perquisire il monastero di San Filippo Neri; quel dìstesso lord Crall non credette di rompere le sue abitudini e si recòin casa Ottoboni. Era l'ora in cui cominciavaa dir cosìlaprocessione delle carrozze patrizie dirette al corso di via Marina; edal terrazzo di casa Ottoboni vedendosi le carrozze che di tanto intanto si soffermavanoe i cavalcatori eleganti che facevano pompa disè e dei preziosi puledrie i passeggieri pedestrisi traevapartito da questa congiuntura per passare quelle ore che precedevanla cenadimezzando così il tempo tra la conversazione in salae lo spettacolo del pubblico che moveva a diporto.
Inquel giornotra gli altriv'era là l'abate Pariniv'eraPietro Verriv'era il suo intrinsicissimo Padre Paolo Frisiv'eraCesare Beccariail segretario Cesare Larghiv'era la sorella diGaetana Agnesela non meno rinomataalmeno alloraMaria Agneselasola compositrice di musica drammatica ricca di fantasia e didottrina che vanti ancora la storia dell'arte; v'era quel maestroGalmini destinato a fare il quarto con AdamoMatusalem e Noè;chè di quel tempo aveva settantanove annie tenne dallanatura un piloro di bronzo così poderosamente costruttocheper morire dovette aspettare altri cinquantanove anni ancoraessendomorto nel 1825 di centotrentotto annie avendo così potutoabbracciare in un amplesso quasi tutta la scala ascendente dellevicende progressive dell'arte suadal rivoluzionario Monteverde alrivoluzionario Rossini. V'era il pittor Londonioil tormento deipretidei fratidei vecchidi tuttie cheper farlo starealquanto in riga a quella conversazione quotidiananon ci voleva chela graziosa dignità della marchesa padronae l'occhiofulminante dell'austero Parini. Era quella insomma una bella e buonacompagniae non sapremmo se oggi se ne potrebbe mettere insieme unamigliore.
IlParini aveva allora trentasette annie quantunqueper mangiaredovesse ancora arrabbattarsi a dar lezionechè assai poco glifruttava l'avere avuto dal conte Firmian l'incumbenza di stendere laGazzetta Ufficiale di Milanopure era già la figurapiù gloriosa della città. Erano usciti il Mattino eil Mezzogiorno; e risuonava delle sue lodi tuttaItaliaed avea già ottenuto di frenare il mal gusto che avevastraripato a furia per un secolo e mezzo; di ricondurre l'arte allesue limpide e severe sorgentie di farsi odiare da una mezza dozzinadi nobilissimi milanesiche ebbero l'orgoglio di voler vedere sèstessi nell'ideale dipinto dell'immortale poemetto; tra' qualispiccava quel conte Alberico F...con cui ci troveremo; il qualconte Alberico volle disputare al principe B... il vanto di avertentato di consacrare ad una vindice bastonatura le povere spalledell'abate scellerato.
Mal'abate impazienteirrequieto e versatilepassava cosìzoppicando da un crocchio all'altroparlando di musica colla bellaAgnesee digredendoa proposito della mano di lei che scorreva suitasti di un gravicembalosulle qualità indispensabilicostitutive d'una bella mano; e contraddicendo Londonio che volevasfoggiare la sua dottrina in ciòe contraddicendolo conapparenza di violentissima enfasiper finir tutto in celia e lasciarscornato l'avversario comicoil qualequell'unica voltaaveaparlato sul serio; chè era codesto un modo caratteristico delconversare di Parinicome ci vien riferito anche dal suo scolaro ebiografo Reina. E dalla musica e dall'estetica delle mani eglipassava a parlare col Larghischizzando spirito e bile in qualchefuggitiva questione di letteratura e poesia; anche qui alzando lasonora sua voce a far tacere quanti parlavano nella salai qualisebbene conoscessero quella sua abitudine bizzarrasi mettevano ingrave apprensionenon fosse mai per impegnarsi qualche lottaviolenta e scandalosa. Soltanto tra Parini e Pietro Verri i ragionaricorrevano in un modo speciale. Quel venerabile vecchio Brunicheabbiam conosciuto a Pusianoe che fu per noi il libro parlante chepiù ci istruì intorno a buona parte delle cose giàdescritteci disse più volteparlando di Parini e Verri coiquali e tra' quali si trovò soventech'eglino si stimavanoassai vicendevolmentema si temevano forse più di quello chesi amasseroe che però ei sarebbe stato disposto a crederefrugando in fondo a' penetrali della coscienza di ambiduechequalche spruzzo di celata antipatia avesse leggermente inacidito illoro sangue. Parini primeggiavaeavea il diritto di primeggiare.Verri voleva primeggiaree ne avea il diritto. Era dunque invidiaera gelosia?... chi lo sa?... Ma anche gli uomini piùintemerati e santi sono uomini; e non ponno frugar ne' cuori de'benemeriti mortali se non gli acuti contemporanei che hanno potutoleggere attentamente ne' loro occhi. Or mentre Parini tuonavailconte Verri era impegnato in un discorso colla marchesa Ottobonialla quale proponevaessendo essa letteratissimadi tradurre ilteatro francese applauditoe segnatamente le ottime commedie diMolièreper tentare in tal guisa di purgare anche il teatrocomico a Milano dalle scipite laidezze ond'era contaminatochiamandocosì il Verri in ajuto delle sue idee innovatrici l'operaaltrui; applicando la sua immensa attività a infondere vitanuova a tutto quello che invocava una riforma nella sua patriaeamando che fosse applicato a sè quel passo di Sofocle:


Permeper voiper tutta
Lacittà mi travaglio ......


Inaltra parte poiCesare Beccariaseduto soloanzi sdrajato su d'uncanapègià annojato del peso della sua precocecorpulenza e della gloria che non aveva cercatodissimulavasottol'aspetto d'una indolenza invincibilel'attività prodigiosama intermittente di uno spirito che conflagrava a sbalzieprorompeva poi come la lava; einertepareva non avesse nèpensieri nè volontà di pensaree non badasse a nessunodei discorsi che si facevano intorno a lui; chè giravavagamente la semichiusa pupilla di cosa in cosacome uno che abbiapiuttosto volontà di dormire che d'operare; ma in realtàascoltando tuttoe avvicinando le idee estreme che tumultuavano inquella sala nel cicaleccio di tante personee di ciascuna idea chegli paresse non rigettabile facendo base alla feconda generazione ditutte le idee conseguenticolla prontezza d'una facoltàinduttiva prodigiosa.
Oranel punto che codesto quadro animato si moveva in salasulterrazzone agitavasi un altro quadro animatopiù attraente diquello che stava in salaessendo costituito di belle e giovanigentildonne.
Idiscorsi che volavano all'aria dalle lor bocche leggiadre nonassomigliavano a quelli che facevansi al di dentro. Non un tèmaindustrialenon un tèma scientificonon uno di belle artinemmeno di musica; se pure alle arti non si volessero ascrivere i beigiovinotti attillatissimi che passavano a cavallo per di là.Tenendo dunque dietro quelle care donne ai cari giovanid'improvvisochi stava in sala sentì esclamare da mezza dozzina di bocche:Guardaguarda — guardate il Galantino. E tuttimeno il Beccariache non avrebbe lasciato il molle canapè pertutto l'oro del mondosi fecero al terrazzoai balconiallefinestretanto quel Galantino era diventato un oggetto di modauncapo d'arbitrio come suol dirsi; tanto era essopresente alla memoria di tuttipoichè l'eccesso della suafamigerata ribalderiaquasi redenta da una smodata fortunala qualepareva si dilettasse a camminar sfacciatamente sul collo alla virtù;e l'origine abbiettissima di luicome veniva giudicata dalla castapatrizia preponderante e trionfante in quel secolodissimulata dallapiù bella faccia di giovine che mai abbia adornato corpo diduca o di marchesee dalle più belle gambe che mai abbianofatto risaltar forme greche e guizzar muscoli gladiatorj sotto amaglie di seta biancaproducevano un tale imbroglio e generavano unaconfusione nelle teste di quelle giovani damele quali cavavano pureil fazzoletto canforato se mai bottegajo o bracciante lor passassed'accostoche a vantaggio del Galantino avrebbero rinnovate lesommosse cruente di Roma antica per mettere la plebe sulla testa deipatrizi.
Ilnostro vecchio amico Bruniche conobbe il Galantino e lo vide piùvolte in Milano tanto a cavallo che a piediun dìmentrestava raccontandoci i suoi fasti più celebrici fece il suofisico ritratto senza trascurare la ricchezza degli accessorj. «Ionon mi ricordo — riportiamo le precise parole del Bruni —d'aver mai veduto più bell'uomo vestito piùsfarzosamente; e quando esso cavalcava per la cittàprecedutoda un servo gallonatoil suo nobile aspettolo sfarzo de' suoiabitila ragazzaglia che spesso gli traeva dietrotutto questoadun forastiero che lo avesse visto la prima volta senza conoscerlopotea facilmente darlo a credere pel governatore della città oper qualche altro distinto personaggio. Eppure era quello che eraemio padrecol quale mi trovavo a Milano nel '66mi disse d'averloveduto più volte aiutare il mozzo di stalla dell'albergo deiTre Re ad attaccare i cavalli alle vetture».
Venendoora al fatto nostrola comparsa del Galantino sotto i balconi dicasa Ottoboni Serbelloni diede una repentina diversione a tuttii discorsi che si facevano dalle persone là convenuteassociandole tutte in una discussione sola. Pochi momenti prima eraentrato in sala lord Crall. Il fasto del Suardi fece mettere sultappeto l'editto del '66. Parlò il Verriparlò ilPariniparlò Beccariaparlò il giovane Guglielmo. Eil dibattimento fu taleche merita la pena che noi lo riproduciamotanto più che la conseguenza di esso fu una pericolosarisoluzione presa dal figlio di donna Paolarisoluzione cheaggruppòfacendolo più serioil dramma.


III


—Bello eh?... disse ironicamente il segretario Cesare Larghiilcelebre villottistaalla figlia maggiore della contessa Marliani chesomigliava alla madre.
—Altro che bellobellissimo... rispondeva la contessina; guardate làil marchese Sannazzaro e don Glicerino Brebbìa che figurafannocavalcando poco discosti da lui.
—Io scommettoentrava a dire una assai matura damala quale era peròstata molto giovane e molto bellae s'era giovata troppo bene edella gioventù e della bellezza; io scommetto che venne fattouno sbaglio o dalle comari o dalle baliee che colui fu tramutato incuna con qualchedun altro... perchè il sangue sopraffino siconosce alla sua pelle. Guardate là il conte V... che glipassa accosto galoppando... Chi venisse oggi a Milano per la primavoltae non sapesse niente di nientecome mai potrebbe dire checolui è un grande di Spagnaa dispetto di tutto quell'oro...e che il Galantino è quello che è?
—Sapete cosa c'è di nuovocara contessa?
—Sentiamo.
—C'è di nuovo che tanto il conte V... quanto il Sannazzaro edon Glicerino e il conte Alberico che vedo laggiù e gli altrifarebbero assai bene a studiare un certo epigramma che so ioe ametterlo in praticagià s'intende colle opportune varianti...
—Sentiamo l'epigramma...
—Scusate se vi richiamo un nome che puzza di scandalo... ma chi non haconosciuto la Valaperta?...
Ladama torse il viso con un lezio della bocca che significava schifo eribrezzo...
—Ehnon occorre che mi facciate quel visoamabile contessa. Mavolere o non volerese la Valaperta girò da una manoall'altra per vent'anni e su tutte le piazze come una cambialetempestata di accetto e di firme; ciò non vuoldire che non fosse molto bella e in ultimo molto riccae chescarrozzasse su e giù per di qui e per il corso di via Marinacon gran treno e livree rosse...; ma un bel giorno si videro scrittesu tutte le cantonate della città queste parole chiare etonde:


LaValaperta infame
Oggitrionfa in cocchio.....
Andatea piedio dame.


El'epigramma fu così efficaceche una gridacon minaccia dimulta e prigionia e cordanon poteva essere eseguita piùpuntualmente; tanto che per una quindicina di giorni non si videropiù carrozze al corsonè dame in volta... e laValapertavedutasi sola e saputa la congiuralasciò Milano esparì... Ecco dunque quel che dovrebbero fare questicavalierini sciocchi...
—Scusatema se le dame avevano ragionei cavalieri avrebbero torto;credereste forse voi chescomparendo i cavalieriil Galantinovolesse scomparire per puntiglio?...
—Per puntigliono certo... non è un uomo tanto sottile dipelle. Tuttavia la ribalderia scornata in pubblico farebbe sempre ilsuo buon effetto...
—Caro il mio Larghientrava a dire il Londonio pittorenon ètroppo facile a scornare la ribalderia quando mette gli speroni e vaa cavallo; e cavalca meglio della virtù....
—Vi prego di andare adagio colla virtùfaceva osservare ilPariniperchè non mi pare che nel conte V...per esempioenel conte Alberico F... e nel principe B... ella abbia deirappresentanti troppo legittimi. Quando si nasce sul materassotrapuntato di zecchinia non commettere ladrerie e trufferie nonoccorre di essere nè sant'Ambrogionè san Carlo...
—Sono anch'io del vostro parere... ma giacchè si parlava discornare i ribaldi... io li ho ben tratti nell'agguato l'altrojeri... e senza pigliar le cose sul serio... anzi...
Ilvecchio Galminiamicissimo di Londonioproruppe in una risata aqueste parolesoggiungendo poi:
—Questo l'ha proprio trovata fuori di conio; e dimostròl'inutilità delle dimostrazioni in pubblico… e lasciocchezza dell'astenersi dal piacere di tirar tabacco per farla aifermieri.
—Ma cos'ha fatto? dissero molti ad una vocecos'ha fatto?... qualcunadelle suegià m'immagino... Orsùraccontate...
—Ma non san nulla... lor signori?...
—Davvero che è stata belladiceva il Larghima non tuttihanno il coraggio e la vena e il buon tempo di questo bel mattoqui...
—Raccontate dunque...
—Ma io stupiscodiceva il Londonioche non se ne sappia ancoraniente... Però m'accorgo che quelli stessi che furono presi intrappola sono andati d'accordo nel non lamentarsi in pubblico... Ahah ah!!
—Sentiamo dunque...
—Care damine gentili... abbiano pazienzama non son cose da dire aloro... I loro nasi ne soffrirebbero più che i loro cuori; ealtro che canfora ci vorrebbe...
Macontinuando il Galmini a sganasciarsi dal riderecresceva nelle damela volontà di ascoltarementre il Londonio si faceva seriodi quella serietà comica che mette il buon umore negliastantie accennava di non rompere il silenzio.
—Suvviadunqueparlate...
—Ma e poise mi fan mettere alla porta?
—Non lo faremo.
—E poise venendo per far loro una visitaordineranno ai servi didirmi che non sono in casa?
—Non lo faremo.
—E poise non permetteranno mai più ch'io parli alla loropresenza?...
—Lo permetteremo sempre.
—Sempre?
—Sì.
—Lo promettono?
—Lo promettiamo.
—Ebbene... si tratta di...
Etutte le damea sentir la parola che noi non vogliamo trascriverema che uscì dalla bocca di Londoniofuggirono chi in un latochi in un altro della salagridando ad una voce: Uh!...
—Or basta cosìdisse allora seriissima la marchesa Ottobonima nascondendo i guizzi del riso sotto a muscoli protesi a gravità.Basta così...
—Adesso poimi permettamarchesama voglio andare innanzi io...Sappiano dunque che lunedìla direzione dell'ufficio dellaFerma generale ricevette una lettera anonimache io naturalmenteavevo letto prima che fosse ricapitata. Nella qual lettera era fattala denuncia «Qualmente che in casa del pittore Londonio fossenascosta una quantità considerevole di tabacco da nasotabacco di Spagna di prima qualità... e che era nascosta neitali e tali luoghi...» Ora la lettera anonima fece presa... etantoche nell'ora in cui si stava a tavolatre commissarj dellaFermadue tenenti della giuntadue bargelli del capitano digiustizia si presentano al portinajo di casail quale tuttoscalmanato entra e dice: — È qui la forza... coll'ordinedi fare una perquisizione in tutti i locali della casa... — Orviene il buono. Dietro la scorta di una carta che avevano tra manosi dirigono a luogo sicuro... e in un sottoscala vicino al mio studiotrovano una dozzina di boetteo almeno d'involti che a loropareano boette forestiere; e insieme con quelle tre grandivasi coperti; e dal sottoscala passando in giardino trovano altreboette e altri vasi in un ripostiglio del corridojo... e cosìaltrove. Scoperto il corpo del delittofatta portar pennacarta ecalamajodue de' commissarj della Ferma e un tenente della giunta siaccingono a stendere il processo verbale... ma primaa constatare laqualità del tabaccoque' tre personaggi graviarcigniterribilifatto scoperchiare un vasoimmergono le loro sei ditacontemporaneamente come se facessero l'esercizioportando poiciascuno le due dita al loro naso magistrale; se non chepurcontemporaneamentesi guardarono in faccia con un talescontorcimento del viso e tali smorfie straneche per quanto iofossi preparatonon potei trattenere gli scoppj del ridere...Allora... quei tre minossicompromessi nel decoroproruppero inbasse villanie contro di me... ma io intimai loro il rispetto allacasa altruimentre li invitava a spiegarmi il motivo della lorovenuta... E cosìdopo molto tempestaredovettero partirescornati; chè in conclusione non era tabaccoma fimopolverizzato di stambecco e di bue e di cavalloecc.ecc.e queisignori credo che avranno dovuto consumar molto ranno e sapone perlavarsi le manie purgare le narici autorevoli. Del restola cosami pare che abbia fatto un cert'effetto... perchè è datre giorni che non si sente a parlare di perquisizioni domiciliari.
Cosìparlò il Londoniotra il riso mal celato delle dame permalosee curiose; e noi lo abbiamo lasciato dire perchè il lettoresapesse un fatto chepropalato allora dal Londonio stessomenòrumore per tutto il Ducato. Del rimanentequando mai avessimo offesala delicatezza squisita de' nostri lettorila colpa non ènostrase dovendo porre in iscena la vena epigrammatica del pittorLondonioil quale fece tanto ridere il suo secolonon abbiam potutofar peccare quest'uomo per abuso di acque nanfementre fu una suaabitudine costante il non lasciar mancare mai l'odor d'ammoniacanegli intingoli delle sue incessanti celieche mettevano di buonumore anche le dame più accigliate.


IV


—Bravo il nostro pittoredisse lord Crall; il vostro spiritopermaturareha bisognocome i cavoli dell'agro lombardodi essereingrassato dal concime. Voi avete trattato da pari vostro questafaccendama io la tratterei da par mioossia con tutta la serietàdi cui può essere capace un uomo che ride due o tre volte inun anno; e vorrei che i signori commissarj della Ferma venissero unaqualche volta in casa mia; una volta solae vi assicuro chesenzatener conto delle conseguenzeio farei tal cosa da insegnar lagiustizia col mezzo della violenza. Giacchè pur troppo miaccorgo che contro a certi mali ci vogliono rimedj speciali. Maintanto mi scusi l'abate Parinise questa volta me la piglio anchecon lei.
—Con me?
—Precisamente con lei per quanto io le sia obbligato da tantagratitudine. Prima di tuttoa che essere ammessope' suoi meritistraordinarj alla confidenza del conte Firmianche mi dicono averel'istinto del benesenza parlargli chiaroe senza dimostrargli loscandalo dell'ultimo editto? In secondo luogoa che avere tra lemani l'arme onnipotente di una gazzettalasciata in suo arbitriosenza adoperarla quando più freme il bisogno? A Roma la Fermavenne abolita in virtù delle gazzette; è una gazzettache fuori di qui scarica assiduamente le sue armi per ferire laFerma. Ma le armi degli ignoti valgono poco. Vuolsi che la veritàsia fatta risuonare da un uomo venerato dal pubblico e rispettatodagli stessi uomini del potereperchè sia riconosciutasiccome tale da tutti; ed io sono certo che se nel gazzettino diMilano uscisse una catilinaria dell'autore del Giorno controagli arbitrj de' fermieriquesti si conterrebbero alquantool'autorità penserebbe a contenerli.
—Mi piace la vostra franchezzagiovane generosorispose il Parinima quel che torna inutile non va fatto. L'autorità che un uomod'ingegno e di cuore s'è legittimamente acquistatafinisce aspuntarsi quando il pubblico s'accorge cheper quanto ella siagenerosanon viene ascoltata. Avete veduto che risultamenti ebbe lanotizia che ho spacciato sull'abolizione de' castroni. Lodi daVoltairelodi da Federico di Prussialodi da tutte le teste quadred'Europa. Fin qui va benissimo. Ma gli elefanti canori continuano acontaminare le scene; e tutti gli anni genitori spietati offrono sulbacilein sacrificio all'arte musicalela parte migliore de' lorofigliuoli... ed io... io son posto nella schiera di coloro chetengonoda quelli che in apparenza lodano l'ingegnosprezzandolo infattoil permesso di garrire a deserto. Del rimanente ho parlato alconte Firmian di quello che tanto vi cuocee per consolarvivi diròche qualche cosa si faràe l'editto verrà in granparte riformato; e poi c'è qui il consigliere Verri che...
—Io speroprese la parola il Verridi poter venir in aiuto delloscherzo serio del nostro pittor Londonio e della vostra giustaindignazionelord Crall. L'abate Pariniprotestando sul gazzettinoe contro l'autorità di chi ha fatto l'editto e contro ifermieri che lo usufruttano colla più schifosainterpretazionesapete che avrebbe raccolto gran lode dai buoniebasta lì... ma si sarebbe inimicato il governatoree sarebbestato perseguitatoDio sa in che mododagli interessati alla Ferma;e il pubblico non ne avrebbe avuto nessun vantaggio. Queste cosecaro miobisogna pigliarle blandamente; e poi quando si vuoleinoculare ai grandi e ai piccolia chi comanda e a chi obbedisce ilsenso della giustizia e della moralitàsapete che cosabisogna fare? bisogna far sì che la giustizia e la moralitàtrovi un posto sul libro mastro del dare e dell'averee farlecomparire non più austeramente vestite e colle mani vuotemaaddobbate sfarzosamentee col cornucopia versante dobloni nellecasse dell'erario. Non è che la finanza laquale in certi casiconfederandosi colla giustiziapuòfacendo i proprjfar anche gl'interessi della povera compagnaquasisempre derelitta. È un pezzo che lavoro a queste cosee giàho aperto gli occhi a chi li aveva chiusi naturalmente e a chi liteneva chiusi per convenienza. Persuaso di questoho cominciato afare indagini insistenti per redigere un bilancio dello stato delcommercio nel ducato milaneseche feci pubblicare senza perdertempo. Io sapevo benissimo chea discoprire gli altari e a togliereil velo ai misteripiù di uno avrebbe guaitoe qualchedunoanche di quelli che stanno più in su. Il che di fatto avvenneed ebbi accusa d'avventato e d'imprudente; perchè non sivoleva che io mettessi il pubblico a parte delle mie rivelazioni; esi amava piuttosto che dalla mia testa le versassi nella testaaltruisenza che nemmen l'aria se ne accorgesse. Ma io sapevo quelche mi facevoprima di tutto perchè fatto palese il falsomovimento di un congegno della gran macchina civilechi la governa ècostretto ad operare a suo dispettoe a suo dispetto spesse voltes'incammina a raccogliere gli applausi della moltitudine; poiperchèdi questi applausigiacchè avevo fatto la faticadesideravoaverne anch'io la mia quota; e ciò mi pare che siaragionevole. Intanto sono riuscito a far comprendere che l'innocentediletto di far strillare il pubblico sotto alle battiture deifermieri costava allo Stato due milioni all'annoe che peròl'abolizione d'infinite vessazioni ne faceva entrar due nelle casseerariali. Quando gli atti magnanimi fruttano danari è facile afarli diventare contagiosi. Ecco perchè senza perdere grantemposono riuscito a insinuare l'idea della Ferma mista. Questoè il primo passoed era il più difficile; il restoverrà da sè.
—Ma come avvennedomandava il Pariniche i ventotto capitolidell'editto del mese d'aprilei quali hanno messo la costernazionein tutto il popolosono posteriori alla vostra nomina di consiglieredel Consiglio d'economiae alla vostra elezione a rappresentare ilGoverno nella Ferma mista?
L'editto era già stesoe per quanto io abbia strepitatolosi volle far impastare sulle cantonate della cittàperchèi fermieri furono più forti d'ogni più forte ragione.
—E perchèper il momentosoggiunse il Beccaria colla solitasua aria sbadatadue mila ducati nelle saccocce di chi portal'armellino sotto la togapesano di più che due milioni nellecasse forti della finanza. In ogni modo puoi chiamarti fortunatoilmio Pietroperchè appunto hai trattato una questionein cuil'amore per il pubblico bene si trasmuta in oro sonante. Cosìpotessi anch'io provare che la riforma del diritto penale è unbuon affare di commercio da convertirsi in danaro; che inquarantott'ore scomparirebbero dai crocicchj gli squallidi apparatidella tortura... Così qui il nostro abate Parini avesse potutodimostrare che l'abolizione de' castroni è un lauto affare difinanza; chè allora avremmo veduto un decreto del Ganganelli aprecedere gli encomi di Voltaire. — Così il suo Giornoe le sue Poesie... Ma che cos'è successo che lord Crallgrida come uno spiritato?
Codestarepentina diversione del discorso di Beccaria era infatti provocatadalla voce di lord Crallche tuonò improvvisacome allorchèsorviene qualche disastroo corre qualche ingiuria tragl'interlocutori.
Cheèche non ètutti si misero ad ascoltare. Ungiovinottoentrato allora in casa Ottoboniavea raccontato checavalcando lungo il corso di porta Romanae piegandoper la stradadel naviglioverso san Barnaba e le vie lì pressoaveaveduta accorrere gran folla di gente per quei luoghi quasi sempreabbandonati; ed egli per curiosità tenne dietro allamoltitudinee venuto al monastero di San Filippoavea sentito comei commissarj della Ferma colla sbirraglia erano entrati a perquisirein convento; e siccome ad onta delle mille esorbitanze de' fermieripur era quella la prima volta che si attentavano di introdursi in unmonasterocosì la voce corsa v'avea chiamato e vi chiamavagran gente.
LordCrall a quel raccontoin prima era rimasto immobilepoi non aveapotuto trattenersi dal rompere in parole della più violentaesasperazione: e Spada e pistola ci sonogridò... equalcuno oggi la pagherà per tuttie così dicendocalcandosi il cappello a tre punte in testauscì come uninvasato dalla casa Ottoboni.


V


Ilgiovane Cralluscito dal Palazzo Ottoboni Serbellonifece lavia con quell'affannosa sollecitudine di chi non ha altro timore ched'arrivar tardi. Passando a volo tra gente e gentevenuto allacorsia de' Servisvoltò a sinistra nella contrada de'Pattaripassò per piazza Fontanavenne in contrada Largaattraversò la contrada Velasca eriuscito a Porta Romanapiegò a destrae svoltò infilando la viottola di sanVittorellogiunto alla metà della quale entrò in unaporta larga e tozzaquella porta medesima su cui oggi si legge —Vettura per città e per campagna. Attraversato ilcortilesi fermò davanti ad un ingresso chiuso da dueimpostenella destra delle quali era infisso un pendulo martello aserpente. Diede due gran colpil'uno vicinissimo all'altropoiattese alquanti secondie diede un terzo colpo più deciso epiù sonoro dei due primi. Allora le imposte si spalancaronocome se un nascosto congegno le avesse fatte giraree com'egli fuentratoquelle si chiusero dietro lui. Il luogo dove lord Crall aveainoltrato il piedeera un'aula vasta; tre lampade pendevano dallavôlta. Questa e le pareti eran tutte tappezzate di drappo nero;scheletri interi e frammenti di scheletri umanicostatibracciastinchiteschi erano appesi intorno intorno come trofei. Una grantavola coperta di panno nero era ad un'estremità dell'aula.Assiso innanzi ad essa stava un vecchiod'aspetto gravecon duealtri seduti alla destra ed alla sinistra di lui. Sulla tavoladavanti all'uomo seduto nel mezzoera un teschiouno squadrounacazzuola ed altri ordigni. Dietro a luimolto in altopendeva dallaparete un quadro che rappresentava i ruderi di un gran tempiosulledue colonne anteriori del quale si leggevano queste parole: —Iachin e Booz. — Sotto ad esso era un tripodee sultripode una lampada funerariada cui guizzava una gran fiammaverde azzurra che rischiarava misteriosamente quel quadro etutta l'aula e le faccie dei tre che stavano innanzi alla tavolaele trenta o quaranta faccie degli altriseduti in ampio cerchiorimpetto ai tre. Quando il giovane Crall fu entratopronunciòle stesse parole che si leggevano sul quadro — Iachin e Booz— e tutti si alzaronoed egli prese posto tra gli altri. Maoraperchè il lettore non sospetti che lo si voglia divertirecolle fantasmagorie della lanterna magicasappia che era quellaun'adunanza di uomini appartenenti a quella società segretaicui fastigiusta la credenza di alcuni dei suoi più fanaticiseguacisi sprofondavano nella più remota antichitàsocietà che si vantava discendente persin dai vetusti Braminidai Ginnosofistidai Druidi remoti; che credeva procedere daimisteri eleusini; che venerava qual suo gran maestro capostipitel'architetto Hiramil costruttore del tempio di Salomone; ed eccoperchè sulle due colonne superstiti del portico del tempiodistruttocui figurava il quadro che abbiam descrittovedevansi leparole Iachin e Boozle quali vennero fatte scolpireda Hiram sul tempio di Gerusalemmeper accennare alle idee dellaedificazione e della forza. Mentre però quellasocietà gloriavasi d'una nobiltà tanto anticacheall'uopo non bastandole di fermarsi ad Hiramrisaliva a trovar lesue origini fin nella torre di Babelecompiacevasi pure di procedereda più umile ma più prossimo e più sicurostipite; chè dopo il secolo VIII e nei secoli XII e XIIInell'occasione segnatamente che fu innalzato il tempio di Strasburgofu dessa rappresentata e diffusa vastissimamente da quellaconfraternita di capimastri e muratori che lavorarono ai piùcospicui edificj di tutte le parti d'Europae impressero dappertuttocon opera continua ed uniformequello stile d'architettura chefalsamente detto lombardo in Italia e falsamente gotico inFrancianon fu altro che il neogrecoil qualeabbandonato ilPartenonesi era appreso al tempio cristiano. Se non che il fattodell'architettura murale s'era convertito in simbolo dell'idea diciviltà e di progresso; epperò tutt'Europa aveabrulicato di tante figliazioni di quella societàquanti eranouomini invaniti della persuasione di poter essere illuminatori delloro secolo.
Unatale società chesenza essersi mai spenta del tuttoebbeperò de' periodi del più inerte languoresi ridestòtutt'a un tratto verso la metà del secolo passato inInghilterra primapoi in Franciae colla più rapidamoltiplicazione poi in Italia. Nel 1732 avea stabilita una loggia aRoma. Nel 1747 ne piantò una a Milano (si chiamavano logge iluoghi delle sue adunanze). Nel 1766 ella viveva ancora ed avearesidenza appunto nella contrada di san Vittorello. L'autoritàconosceva l'esistenza suama non ne pigliava gran fastidio perchèda essa non era mai derivato danno di sorta; d'altra parte sapeva chela moltitudinealla quale era pur nota l'esistenza di leiladerideva manifestamentee perchè non avea mai vedutoprocedere da essa atto veruno chein poco o in tantoinfluisse sulbene pubblico; e perchè sapeva come quelle serali e notturneconventicole si sciogliessero spesso in pranzi lauti e ceneprolungate. Comunque del resto fosse di ciònel tempo a cuici troviamo colla nostra storiaquella societàingrossata difresca schiera e sollecitata da qualche spirito fervorosoavea presoun avviamento un po' più determinato e serio. A noi non constache il Verri v'appartenesse. Il suo ingegno acuto e pratico econsistente gli avrà fatto riconoscere e deridere l'inutilitàdi tali riunioni. Ma vi appartenevano molti suoi amicie di quellich'egli stimava e che stimavano luitra' quali il giovane Crallch'era il più caldo di tutti.
Questidomandata ed ottenuta la parola dal gran maestro presidentecosìparlò a quell'adunanza:
—Venerabile maestro del grand'Orientemaestri fratellicompagni ediniziatila causa che qui m'ha oggi mandato è della piùalta importanzaed ha bisogno della vostra forte e prontacooperazione. Nelle ultime adunanzea voti unanimifu determinatoche la nostra loggia sarebbe d'ora innanzi intervenuta immediatamentea soccorrere il prossimo in pericolonon soltanto coll'operadel pensieroma anche con quella della manoesponendo al bisognoanche la vitaquando l'occasione fosse stata grande ed urgente.Venerabili fratelliquest'occasione è venuta! Tutte le casetutti i cetitutte le confraternitetutti i corpi sacri e moralidella città di Milano sono da più giorni esposti alleviolenti soperchierieed alla rabida fame de' fermieri. Sono espostieziandio agli arbitrjai capriccialle voglie talvolta oscene deglisgherri della Ferma. Finora vennero risparmiati gli asili delle sacreverginidove si raccolgono per educazione le fanciulle delle piùdistinte famiglie della città. Ma oggi per la prima volta sipenetrò in essi. Il monastero di San Filippo Neri fumomentisonoinvaso dalla sbirraglia de' fermierisotto pretesto che vi sianascosta mercanzia di contrabbando. Propongo adunque che quanti siamoqui tra i più giovani e i più avvezzi all'armeusciamtosto per recarci colà a respingere la violenza colla forza. Ènecessario un esempioè necessario che qualche vita sisacrifichi alla giustiziaè necessario che qualche fattoenorme scuota dal colpevole letargo coloro che pur tengono il mandatodel pubblico benema cheimpinguati dalle volpichiudono gli occhie lasciano fare. Quelli che sono del mio avvisopermettendolo ilmaestro venerabilesi alzino dunque e mi seguano.
Aqueste parole così determinateproferite con voce sonora econ accento caldissimosuccesse un bisbiglio fra quanti erano làradunati nell'aula. Il maestro venerabilecon placido discorsotentò dissuadere il fratello Crall da quell'impresaarrischiata; il maestro oratore venne in soccorso del venerabilecosì pure il maestro tesoriere e il segretariotutte personeche probabilmente non volevano compromettere i pranzi e le cenefuture con qualche passo arrischiato.
—Ma a chegridò allora il giovane Crallabbiamo pronunciatocon tanta solennità il giuramento dell'ordine? Dimmi tue quisi rivolse ad un giovane vicinodimmi tu che l'altro giorno non eriche un lupicino venuto a cercar qui la luce (si chiamavanlupicini i candidati prima di essere ricevuti in quella società)dimmi ora dunque: che cosa hai giurato quando fosti trovato degno diessere ammesso fra gli adepti? Parlache cosa hai giurato su questaspada?
—D'amare i miei fratellie soccorrerli a norma delle mie facoltà.
—E a che hai acconsentito quando mai tu non sapessi mantenere ilgiuramento?
—Che mi sia troncato il capostrappato il cuoreabbruciato il corpoe gettate le ceneri al vento.
—E perchè dunque una così atroce sentenza?…soltanto forse per togliere la possibilità che qualcuno di noimanchi al convegnoquando si tratta di sedere a mensa per divorarecon formidabili ganasce le più saporite imbandigioni? Èforse ai cuochi soltanto o ai vinattieri che abbiam giurato di esserutili? e per così poco mettere a repentaglio e testa e cuori eceneri? Suvviadunqueche si fa?
Alvenerabile mancò la parolatacquero l'oratore e il tesoriere.Una dozzina di giovinotti si alzaronosfoderando le spade egridando: Noi siam tutti prontise lo permette il venerabile. Questicrollò il capoe disse: Andateche la fortuna vi salvimaricordatevi del segreto. L'adunanza si sciolsee ne uscirono unadecina di giovani armati di spada e di proposito deliberato.
Orlasciamo che costoro s'avviino verso il monastero di San Filippoprontissimi a cavar dal fodero di pelle bianca inverniciata la spadanon ancor molto cruentae in procinto di produrre un tal disordineda far strillare di spavento la madre badessale monache e leeducande e da costringere le leggi tapine a dar la testa nellemuraglie per la novità del caso. In questo frattempo noidobbiamo recarci altrove ad assistere a un dialogo tra il Galantinoed un personaggio che comparirà per la prima volta in iscenama che fu da noi tante volte nominatoe chea tutto rigorepotrebbe reputarsi il primo personaggio del drammao per lo meno ilpersonaggio indispensabile; perchè se costui non fosse natonon sarebbe avvenuto nulla affatto di tutto quanto abbiamo raccontatoe racconteremo. Egli è il figlio della Baroggiil pupillopatrocinato indarno dal galantuomo Agudio. Noi l'abbiamo nominato piùvolte quand'esso non aveva che cinque annied ora che dobbiamoconoscerlo di presenza ha compiuti gli anni ventunoed èsotto-tenente nelle guardie di confine della Ferma generale; caricache press'a poco ora corrisponderebbe a quella di sergente nelleguardie di finanza. Ma in che modo questo disgraziatissimo giovaneche pure fu a due dita di essere uno tra i pochissimi benedetti dallafortuna e dalla ricchezzapassò i sedici anni dal 1750 al1766? in che modo il Galantinoper le sue buone ragioniandòa soccorrere la povertà infelicissima della madre di lui e adoffrire al figliuolo un posto tra le guardie della Ferma? a che cosaor lo vuole adoperareper usufruttuare il beneficionel colpo chesta per tentare? che effetto sarà per fare in convento lacomparsa d'una dozzina di giovani guardie della Fermaprotette dallaleggeprepotenti e viziate? che sarà per nascere dalparapiglia guerresco tra i compagni della loggia di san Vittorellocapitanati da lord Cralle che stranissimo qui pro quo potràgenerarsi da tutta questa arruffatissima matassa?


VI


Intantoprima di assistere al dialogo tra il Galantino e il figlio dellaBaroggie a sapere in che modo incominci la relazione tra l'uno el'altro ed inoltre com'erano riuscite infruttuose le cure delprevosto di san Nazaro e dell'avvocato Agudio per far constare lapaternità del defunto marchese F... a favore del fanciullostato battezzato nella parrocchia di san Nazaro sotto il nome dellamadre; così avendo voluto il marchese stessoprevia unadichiarazione orale fatta dal medesimo al prevostocolla quale aveapromesso di volere a tempo migliore dargli il proprio nome. Èa sapere altresì come la testimonianza solitaria del prete nonavea avuto nessun peso in giudizioperchè la consuetudinevoleva che insieme col parroco testimoniasse anche il padrino ilquale mancò; e nemmeno ebbe valore la testimonianza del notajoMacchiquello ch'era stato chiamato a stendere il testamento nelquale veniva istituito erede il figlio della Baroggipur nominatoqual figlio dal marchese testatoreed assunto al diritto eall'obbligo di portarne la parentela; e tutto questo ad onta delpatrocinio dell'avvocato Agudioche invano aveva adoperato tutta lasua sapienza e sagacia legale per far che quelle due testimonianzeavessero valore a provare la paternità che si negava dagliavversarj. Ma gli avversarj erano riusciti a convincere i giudicioalmeno i giudici avevano avuto il loro interesse a lasciarsiconvincerecome quelle testimonianze dovessero valutarsiseparatamente e al cospetto di due circostanze diverse e che peròprese isolatamentenon dovevano e non potevano avere nessuna forzadi prova; e tanto menoin quanto il registro battesimale era il soloatto scritto legittimo e pubblico a cui doveva aversi riguardo nellatrattazione di quella causa. Bene l'Agudio aveva insistito nelladimostrazione chesebbene fosse veroper essere la testimonianzadel notajo Macchi relativa alla scritturazione d'un testamentoequella del parroco relativa ad una dichiarazione orale fatta dalmarchese in tutt'altra circostanza e per tutt'altro intentochedovessero prendersi isolatamente; non di meno venivano esse come aconfederarsi ed a costituire la validità della duplicetestimonianza quando si guardava al solo ed esclusivo fatto dellapaternità.
Perdutaadunque la lite dalla Baroggisentenziate insussistenti le suepretese a favore del di lei figlioella si venne a trovare nella piùdeplorabile condizione.
Ilprevosto che l'avea presa a proteggereerale sempre stato liberaledi qualche soccorsoanche dopo svanita ogni speranza; ed aveaprovveduto eziandio a far educare convenientemente il fanciullo. Maper disgraziavenuto a morte anch'essonel 1761la Baroggi sitrovò derelitta del tuttocon un figlio che avea sedici anninon in posizione di continuare nell'educazione incominciatanon attoa guadagnarsi tosto il vitto per sè e per la madredimostrando bensì le più belle attitudinimanell'incapacità di poterle far maturare e condurre aperfezione.
Allorala sventurata Baroggi erasi rivolta allo stesso conte Albericoilqualeper levarsi l'importuna d'attornoordinò che ilmaggiordomo le contasse qualche danaro. Ma il maggiordomosborsatoper quella volta la somma di che aveva avuto l'ordineprovvide daquell'ora in poi a sbarrar la porta alla sventuratae a spuntaregl'improvvisi affetti di quella pietà superficiale e sbadatache pur sorgeva in petto al giovine conte ogni qualvolta gliperveniva qualche supplica straziante di quella povera donna.
Questofatto provocò un certo rumore nella cittàtanto chegiunse all'orecchio anche del Galantinoil quale di quella faccendane sapeva qualche cosa più di tutti. Ora la notizia dellacondizione deplorabile in cui versavano la Baroggi e il figlio di lei(e difficile a dire se per un senso di pietà spontaneao perqualche altra causa meno generosa benchè più forte)gli fece una profonda impressionetanto profonda che pensò dimandare un suo commesso dalla madre a proporle se voleva impiegare inqualche modo il figlio presso gli ufficj della Fermache gli sarebbedato un salario sufficiente onde provvedere a sè ed allamadre. In tal guisa il giovinetto Giulio Baroggi fu impiegato inprima siccome scrivano; poi avendo mostrata assai svegliatezza esolerziavenne promosso a commesso delle esattorieinfine asotto-tenente nelle guardie della Ferma; carica che gli fruttava unnon dispregevole salariouna bella divisae molti di que' guadagniche soglionsi chiamare incertisia per le quote che gli eran contatesulle perquisizioni e contrabbandisia pel soprassoldo che toccavaquando aveva il mandato di percorrere alla testa di un numerosodrappello di guardie tutta la linea del confine.
Senon che la necessità di vegliare le nottidi vivere tra lapiù rozza gentagliae più di tuttoi tristi pensieriche gli derivavano dal confronto tra quello che era e quello cheavrebbe potuto esseregli fecero contrarre la mala abitudine dellagozzovigliadel beredell'uso e dell'abuso dell'acquaviteper dartono alla vitaper mettersi all'unisono e acquistar baldanza traquelli a cui comandavae più ancora per scacciare i molestipensieriche si facevano sempre più intensi quando lareazione che succedeva all'esaltazione provocata dalle bevandespiritosegli lasciava infiacchita la fibra e più disposta asubir l'influenza della tristezza. Codeste sue abitudini nongl'impedivano però di essere zelantissimo alle sue incumbenzeperchè la natura gli aveva pur concesso saldezza di mente esaldezza di carattere. Bensì lo avevano condotto al puntod'impegolarsi nei debiti e tantoche non sempre i suoi guadagnipoteano bastare a conservare alla madre quella vita modestamenteprovveduta che pure fervorosamente egli desiderava nella quietedell'animo suoma di cui si dimenticava tra i bicchieri e tra icompagni. Da ciò dovettero originare disgusti e malumori ealterchi tra lui e la madrela quale finiva in pianto le suequerelelasciando il figlio desolato e pentito e pieno diproponimenti di cangiar vita. Però la tristezza gli si eraconfitta nell'anima al puntoche la giocondità anchepasseggiera non era più una condizione naturale del suospiritoma un effetto artificiale delle bevande spiritosedellequali ormai non poteva più far senzaperchè erano ilsolo mezzo che gli era rimasto a dar qualche istante di requieall'anima travagliatapress'a a poco come chi fa tacere lo stridoredei denti col versarvi sopra l'alcool addormentatore.
Insistendosul qual fattoegli è a considerare come dall'infanzia allafanciullezzaalla giovinezzaavendo egli sempre avuta dinanzi lafigura turbata e piagnolosa della povera sua madrenecessariamente gli si venne invelenando l'esistenza; sentendo aparlar sempre di miseriee vedendo sempre la disgrazia in casailsuo spirito aveaper questo latocontratta quasi l'abitudine deltimorecome que' fanciulli chepercossi continuamente da madrispietatesi rannicchiano tremanti ad ogni alzar di braccio che pursi mova per tutt'altro. Così anche allora che non v'eranooccasioni che potessero presagire infortunjegli viveva col sangueagitatoe paventava miserie che non solo non eran probabilimaimpossibili. Su questa condizionediremo fondamentaledella suaesistenzasi vennero poi radicando altri sentimenti profondi. Unodio implacabile contro ai ricchi e ai nobiliche usciva affattodalla ragionevolezza e dalla giustiziama che pur troppo eraspiegabile in chi era stato ed era ancora la vittima d'uno di loroepareva dovesse portarne le conseguenze in perpetuo. Il marchese F...aveva ingannato sua madree sebbene il Baroggi credesse che coluiavesse testato a favor suotemeva tuttavia non fosse stato anchequello un giuoco ingannatore per togliersi d'attorno gl'importuniiquali volevano impedirgli di lasciar tutte le sue ricchezze alfratelloe di appagar la boria coll'accrescer sempre piùl'importanza del casato. In quanto al conte Albericoèinutile a dire com'egli lo abborrisse con tutta l'esaltazione di unsentimento implacabile. Se non che d'accosto a tant'odio contro di unceto in genere e di que' due uomini in ispeciequasi per concedereun po' di riposo al suo spiritoil quale sarebbe stato consumato daquell'assidua acredinevenne spuntandolo abbiamo già dettoil sentimento della gratitudine per colui che solo fra tutti —egli poi ne ignorava la vera cagione — aveva pur provveduto asostenerload ajutarloa beneficarlo. E questa potrebbe parere unafortunase la disgrazia non avesse fatto che un tal protettore fossedi quelli appunto che si chiamano piaghe e vituperi dell'umanità.
Questipoi alla sua volta tenevasi caro il Baroggiperchè si valevadi lui in quelle circostanze dove era necessaria una stoffa d'uomopiù sopraffina del consuetouna cera più gentile emodi più delicati di quelli che mostravano comunemente i bassiimpiegati e le guardie della Ferma. Dopo tutto alfine è aconfessare che il Suardi si compiaceva dei beneficj che faceva al suogiovane protettoe che in cuor suo lo compiangevae non pensava enon guardava a quel giovine senza sentirsi tanto quanto commosso. Lanatura del Galantino era tristissimail lettore ne ha delle proveper fin soverchie; ma avendo il dono di una mente svegliataquestadi tanto in tanto mandava sul cuore di lui un raggio beneficoche lorendeva migliore. Si addomestica il leone e l'orso neroperchèun certo loro istinto d'intelligenza permette all'uomo di ammansarnela ferocia. Ma l'orso bianco è implacabileperchè èil più torbido di tutte le fiere. Il Galantino tristissimoaveva pur pensato a cercare e della Baroggi e del figlio suo. Ilconte Alberico invecedopo un pugno d'oro concesso per forzaliaveva lasciati alla loro miseria.
Benè vero che il Galantino più di tutti doveva misurarel'infortunio di quella madre e di quel figlio. Ma il conte Albericosapeva pure che il defunto marchese ne era il padresapeva pure cheun testamento era stato scritto a suo favoresapeva pure che queltestamento era stato trafugatoe che credeva che fosse distrutto;sapeva pure che la fortunail solo giuoco della fortuna aveva messea sua disposizione le ricchezze che avrebbero dovuto appartenere alfiglio Baroggi. Ma una volta che si sentì protetto e salvo eassolto dalla leggee che la legge avea alzato un muro di divisionetra lui conte e il Baroggi finanzierenon pensò mai che dallesterminate sue rendite che ascendevano a lire milanesiseicentotrentamilapoteva levarnesenz'accorgersiuna lievissimaannatache pure avrebbe bastato a sostentar due vite e a stornare lamaledizione dal capo dello zio defuntoe da quello del padre e dalproprio. Or chi dunque può dirsi più tristotral'ex-lacchè Galantino e il conte Alberico F...?


VII


Tornandoora al raccontoquando il Galantinopassando a cavallo sotto albalcone di casa Ottoboniattrasse gli sguardi e provocò iparlari delle donne allegre e voluttuose che vi stavano radunate; inquel puntoagitando molti disegni in capopensava di volgere lacorsa verso la casa propriadove avea fatto dire al sotto-tenentedella FermaGiulio Baroggiche si trovasse in sul tramontare dellagiornatache egli avea gran bisogno di parlargli. E il Baroggi fupronto alla chiamatatanto chequando il Suardi scavalcò nelcortile della propria casaquello lo stava aspettando da quasimezz'ora. Il Suardi salì appena il portinajo gli nominòil sotto-tenenteed entrato nell'anticamerae vistolo a passeggiareinnanzi e indietro:
—Attendi un istante che vengo subitogli disse.
—Faccia i suoi comodirispose queglilevandosi il cappellinoecalcandoselo di nuovo in testa quando il Suardi si ritirò.
Vestitodella sua verde assisacoi rivolti bianchi al pettoalle maniche edalle faldecolle uose di panno nero che gli giungevano a mezzacosciacolla sciabola cinta non senza una certa trascuratezza cheaveva il suo vezzocol cappellino a tre punte tanto piegato in sullabanda destrache il sopracciglio veniva quasi tagliato a metà;nel passeggiare innanzi e indietro per l'anticamera presentavaquell'aspetto eteroclito cheassunto per una consuetudineindeclinabilesembra farsi quasi una seconda natura in tutti quellichesenza appartenere alla milizia regolareportano divisa ed armiin servizio degli ordini civilie nelle frequenti scaramuccie coicontrabbandierisono esposti ai pericoli della guerraessendoascritti al men glorioso esercito della pace. Tuttavia le mosse ch'eifaceva nel passeggiarepiù che quelle di una guardia difinanza vera e realeparevano quelle di un attore che ne caricassele apparenze per rappresentare un personaggio. Chè di tanto intantoe per atti fuggevolissimila trivialitàquasi assuntaper propositotradiva una certa eleganza nativaavendo esso lataglia spigliata e leggiadramente costituitae la fisonomia e icontorni e i tratti del volto belli e gentili. Bensì sul fondobianco e pallido della faccianella regione dei zigomaticisegnatamentesi vedea soffusa una tinta come di rosso di mattonelaquale non pareva naturalesibbene artificiosamente sovrappostaedera infatti l'insegna dell'acquavite e del rack di cui faceva tantoabuso. Esso non contava che ventun annima ne dimostrava buonamenteuna mezza dozzina di piùperch'era torbida la tintadell'occhioil quale peròsotto all'ampio e puro arco delsopraccigliogirava con guardatura intelligente ed espressiva esoavequando era in calma.
Dopobrevissimi istanti rientrò il signor Suardie disse lesto esommesso al Baroggi:
—Andiamo di là che t'ho a parlare di un affare urgentissimo...Quante ore abbiamo? aspettae già tardi... — e cosìdicendo condusse il Baroggi in un gabinetto vicino.
—Saicontinuava il Suardiche in sull'imbrunire i commessi dellaFerma devono fare una minuta perquisizione nel convento di SanFilippo Neriperchèper sicurissime informazionisappiamoche v'è nascosto in gran quantità del tabaccoforastiero.
IlBaroggi guardò il Galantino con un lezio del voltosignificantissimo.
—Chi ve l'abbia gettato non si sa... perchè non par veronemmeno che la madre badessaper il suo privato consumo e per quellodelle suore coadjutrici... basta... qualcuno sarà stato... e anoi non importa nè di chi nè del come nè delquando; quel che preme si è che la perquisizione non torniinutile... E voglio che anche tu sii presente... essendo necessarioche quella gentaglia di commessi e guardie e sbirri sia tenuta infreno... tu mi capisci.
—Capisco benissimo. Ma capisco anche che si può fare un buconell'acqua.. e che questa volta era meglio chiudere un occhio elasciar che il tabacco marcisse in conventoanzichè liberareil volo ai falchetti e gettarli tra quelle povere rondini. Ilmalumore della città è al puntoche un minimo fatto dipiù basta a convertirlo in una tempesta da ammaccar il capo dichi si lascerà cogliere. Figuratevi poi questa bagattella. Finad ora non fu mai fatta perquisizione in nessun monastero... Torno aripeteremi pare che questo voglia essere un colpo falsodi quelliche feriscono e fanno saltar le dita a chi tiene l'archibugio.
IlGalantino tacque un momentocon un certo atto di preoccupazionepoisoggiunse:
—Macaro miola legge c'èe se ci fu pel convento deiCappuccinie per quello dei Barnabiti... e per casa Visconti e percasa Arconati... ci può e ci dev'essere anche per la casadelle monache. Chi sono infine quelle pettegole? i signori che hannofatta la legge dovevano pensarci loro...
—Ma sapetesignor Galantino... già qui si può parlarchiaroche nessuno ci sente... sapete che quell'editto fu una grandeiniquità... e dacchè Milano è Milano non s'èmai vista la magistratura a tenere il sacco ai... che cosa si ha dadire?... ai birboni e ai ladri... come in quest'occasione?...
—Come? ai birboni e ai ladri?
—So quello che dico... e quand'esce una legge di quella conformitàchi ha l'incarico di farla eseguire ha naturalmente il mandato difare il ladro e il birbone... Ed io dichiaro di aver dovuto essere el'uno e l'altroquantunque a mio dispetto. Egiacchè si ha adire la verità tutta quantaho avuto caro che voi m'abbiatefatto chiamaredal momento che avevo un ardente desiderio diparlarvi...
—Parlarmi? e di che?
—Di questoche se fosse possibile farmi passare dal corpo delleguardie negli ufficj d'amministrazionea me parrebbe di toccare ilcielo col dito.
—Io t'ho fatto nominar sotto-tenente perché sapevo che un talposto impingua le saccocce.
—E ve ne ringrazio e tantochèdopo mia madresiete voi ilsolo uomo a cui mi professi obbligato in tutta questa mia vitamaledetta...
—Maledetta... perchè tu l'hai voluto... tu bevitu giuochitugozzoviglitu spendi e spandie poi tua madre piange... ed io...
—Voi mi avete sempre soccorsoe torno a ripetere che a voi solo iosento l'obbligo della più profonda gratitudine... ma...
—Che?
—Quando un uomo è nato per correre ad un fine e riesce ad unoopposto; quando un uomo si sente la mente e il cuore fatti perriuscir bene in una certa vitae dal bisogno è invececostretto a far quello che gli ripugna... allora è necessitatoa violentar la natura propriaubbriacandolaaffinchè non sirisenta del peso insopportabile che gli è imposto. Quando hobevuto e la testa mi si esaltaposso vivere tra quella masnada dibriganti che ho d'attorno. Quando ho bevutoe il mio cuore èaddormentato e i miei sentimenti sono soffocatiposso anch'io darmano alle nequizie che si compiono per obbedire la legge. Delrimanentesarebbe ora minor male se ci fosse il pericolo diaffrontarla: ci sarebbe almeno il merito del coraggio. Ma cosìè una vigliaccheria senza esempio. Io so che il boja èpiù abborrito dell'assassino... il mondo almeno la pensa cosìe c'è il suo perchè... Ora noi siamo ancor peggiori diluichèse non altroegli uccide i colpevolimentre noi cifacciamo il più tristo giuoco de' galantuomini.
—Non so che diree può darsi benissimo che tu abbia ragionema se domani vuoi lasciar giù questa giubba color pistacchio equesta sciabolabisogna che tu staseraanzi fra pochi momentilorfaccia guadagnare il ben servito.
—Vale a dire?... Non afferro bene.
—Vale a dire che tu devi far parte della spedizione del monastero.
—Io?
—Tu.
—Ma perchè?
IlGalantino stette un momento perplessopoi soggiunse:
—Perchè voglio che il conte Alberico F... vada al diavolo ecrepi di bile.
IlBaroggi si fece attento.
—Caro Giuliotu sei il primo al quale faccio una tale confidenza; main conclusione ho stabilito di prender moglie...
—Niente di più naturale e di più facile.
—Naturale sìfacile no... Non per la mogliema per quella chevoglio io; e quella che voglio io è nientemeno che la promessasposa del conte Alberico (il lettore comprenderà come questafosse un'invenzione del Suardi)e tutto è prontoe si diceche il bello e leggiadro e profumato e viziato contemessi da partei suoi cento amorie lasciatine gli avanzi alla servitù comesi fa cogli stivali e colle calze smessesiasi innamoratoperdutamente di quella che piace a me. Ma il conte non l'avràe non la sposerà... e tu mi devi ajutare.
—Io?... Ma che cosa posso far io?
—Sai tu dove sta di casa quella che piace al conte e piace a me?...non lo sai? ebbene te lo dirò io: sta di casa nel monastero diSan Filippoed è piaciuta anche a te...
—A me?
—Tu l'hai veduta e guardata e lodata un giorno in cuimentrepasseggiavi con meella mi passò vicinoaccompagnata dallalivrea di casa Pietra Incisa.
—Chi?... quell'angelo?...
—Quello appunto... ma oggi ha da volar viae sei tu quello che glidee fare spiegar l'ali e farlo uscirenon dalle finestre... guai! mada un uscio che t'indicherò.
—Ma che vi pensate? Io non sarò mai per far questo.
—Tu lo farai.
—E quand'anche avessi tutta la miglior volontà di obbedirvinon vedo nessuna via da poterne uscir fuori ... Prima non la conoscocolei... ed ella non conosce me ... e poi una fanciulla non èuna puledra da farsela venir dietro passo passo soltanto col darle aveder lo zuccaro.
—SentiGiulio; la cosa non è facile ese vuoinemmen troppoprobabile; possibile però mi pare che sia. Forseda che cisono al mondo conventi di monacheè la prima volta che undecreto della magistratura ingiunge ad una truppa di giovinettiarmati e caldi d'acquavitedi entrare tra la santità el'innocenzacome se fosse in caserma; non s'è mai sentito cheil pastore il quale ha in custodia le pecore si confidi alle volpi edai lupi per guardarle dai cani. Non c'è che dire. L'autoritàha perduta la testa... ma conviene approfittare di questo capogirodi questa ubbriachezza non mai uditaperchè scommetto che ciònon sarà mai per avvenire una seconda volta. Ora tornando anoila novità del caso metterà una tal confusionenella testa di quella povera badessae di quelle semplici e buonesuore maestre e coadjutrici e sorvegliantiche le monache e lemonachelle giovani e le educande si spanderanno per i corridoj e peri cortili con un gusto matto. Tu un momento fa hai parlato dipuledre: ebbene... metti che il fuoco s'appigli ad un fenilee daquello ad una scuderia. È già molto che i palafrenieripensino a salvar la pellesenza tener dietro ai cavalli cherottala catena e la cavezzasi spanderanno per la città con trottovivace e allegroe coi nitriti della libertà. Ho tenuto contodi tuttoe il mio piano non è una pazzia.
—Quasi.
—La possibilità della riuscita c'èe ciò mibasta. Dunque cosa intendi di fare? Bada intanto che è unaffare d'urgenza e non c'è tempo da perdere.
—Non so che dire... io non mi prendo questo impegno.
—Che?
—Dite quel che voletechiamatemi ingrato... sconoscente. Diròche avete ragionema per quest'impresa io non mi movo. Mi son datoalla crapula per stordire la testa e far il callo alle bricconatelegali....figuratevi se nel giorno stesso che voglio cangiarprofessione e vita... posso commettere una vilissima scelleraggine...posso ingannare... trafugare una povera ragazza... per metterla nellemani di chi... domando mille perdonima di chi non ècertamente un santo.
IlSuardia queste paroleguatò in prima torvamente il Baroggipoi fece due o tre passi per la camera concitato e convulso; poi sipiantò in faccia al sotto-tenentepigliandolo per mano collasinistrae mettendogli la destra sulla spalla.
—Tu crediGiulioche di questa fanciulla io voglia farmi un giuocoosceno e crudele. T'inganni. Pure mi piacie ti voglio bene ancorpiù di primae ammiro il coraggio onde rifiutasti di dar manoa un'azioneperchè temevi fosse per essere scellerata. Mat'inganniGiulio. Io ho trentacinque anni... e in parte puoiimmaginarti e in parte lo saiquante e quante donne mi corserodietro... semidee e semidonne; la lista di Don Giovanni potrebbeparer la polizza del tuo pranzo in confronto. Ebbene... questa èla prima volta ch'io mi sento innamoratoinnamorato alla folliainnamorato al punto da compromettere tutta la mia esistenzae tuttala mia ricchezza accumulata con tanti pericoli e con tanta faticaper il desiderio che mi tormenta di poter avere in moglie questoangelo del paradisoche è venuto quaggiù per fare ilmiracolo di convertire al bene i demonj dell'inferno. Io non vantonessuna nobiltàmasiamo sinceriil mio blasone potrebbesempre essere la coda del diavolo in campo rosso. Eppureda qualchetempoio mi sento tutt'altr'uomo... e se questa fanciulla potessemai diventar mia moglie... certo che il mio avvenire sarebbe la piùluminosa ammenda del mio passato. Dunque?...
—Posso ammirarviposso anche compiangervima non posso ubbidirvi...ve l'ho già detto. Sono stanco di fare il servitored'anticamera nel palazzo dell'iniquità. Io non nego che voiabbiate delle buone intenzioni... ma ingannareinsidiare unafanciulla... perchèin fin dei contivoi siete padrone diessere innamorato di leima ella non è poi obbligata adiventar vostra moglie.
—Quella fanciulla è innamorata di mecome non lo fu mainessuna delle tante donne e fanciulle che ho conosciute....
—Quand'è cosìandate voi stesso; la vostra presenzafarà certo più effetto della mia. Tutto quel che si puòfare... è che... indossiate la mia monturae facciate suonarquesta sciabola sul lastrico del convento; giacchè mi sembrache vi prema di non essere riconosciuto... e ciò ètroppo naturale.
—Caro miotu hai studiato più di mema sei più giovanedi me... e sarai sempre men drittomeno esperto e men ragionevole dime. Sei contento a prestarmi sciabola e monturae non vuoi prestarmila mano. Ma giacchè abborri il malee non vuoi commetterlocredendolo talese ritiri la mano devi ritirare anche la sciabola.In conclusione hai paura di esporti per me.
—Paura? lo sanno i contrabbandieri di confine... lo sanno gli spalloniche sono armati di tutto puntoquasi come i soldati del reggimentoClerici.
—Se dunque non hai paura... prestami manochè a far riuscirbene l'impresa non basto io solo; ma guarda come sei caparbio e atorto. Tu facendo il mio piacere fai quello della fanciullafaicrepare di rabbia il conte Alberico; tu che l'hai tanto colla castadei nobilifai sì che un ramo d'un loro antichissimo alberos'innesti su d'un albero plebeobenchè carico di frutti e difiori: tutto ciò tu fai ajutandomi.
Equi si fermò come colpito da un forte pensieropoi continuò:
—Infine... sai tu quel ch'io posso fare per te?... sai che da un attoda un atto solo e rapido della mia volontàdipende che tudall'oggi al domani diventi a un tratto uno de' più granricchi del ducato di Milano...!
IlBaroggi si scosse a tali parolee lo guardò fissoe collapupilla penetrativa parve addentrarsi in quella del Suardiche sifermò ad un tratto impallidendopoi:
—Vieni con mesoggiunse; e lo trasse in una camera attigua.
IlSuardi si tolse allora una piccola chiave che aveva in uno dei duetaschini dei due orologi; salì su di un seggiolone di cuojoaccostò la mano per alzare un lembo della tappezzeria didamasco verdefoggiata a tenda; poi si rivolse ancora piùpallido di primae ridiscese... e accostò la boccaall'orecchio del Baroggi. Questi era mutoe il cuore gli batteva perl'affanno della curiosità e dell'aspettazione.


VIII


Quandoil Suardi ebbe messo il labbro all'orecchio dei Baroggisi trattennedi colpocome se un secondo pensiero avesse istantaneamentedistrutto il primo; si trattennee a colui che stava in sull'ale:
—Quel che ti volevo dire te lo dirò domani. Il tempo passaese si giunge tardi non si fa nulla. Per oraaffinchè tu mettail cuore in pace riguardo alla purezza di quella fanciullatipropongo questo partito: se mai si riescecome spero (chèallorquando una cosa la si vuole la si ottienepurchè lavolontà sia quella tale)se mai si riesce dunque a trarla dalmonasteroella rimangafinchè sarà bisognopressotua madre. Tua madre che colle ginocchia logora i gradini deglialtarie si macerapoverettanelle preghiere e nei digiunipentita e strapentita e troppo pentita di avere... ma non richiamiamoil tristo passatochedel restos'ella fu ingannatanon haragione di credersi colpevolementre non fu che una vittima. Tuamadre sia dunque la sua custodia. Così tu non potrai avere piùscrupoli... e mi presterai quell'ajutosenza del quale non si puòfar nulla. Suvviacoraggio... e pensa al tuo avvenire.
Capitòa moltianche tra uomini i più tenaci del loro propositodiavere a lungo respinte le insidiose insinuazioni degli scaltri confranchissimo coraggioe che poio per qualche accidente inaspettatoo per la stanchezza della lottasi sentiron costretti a lasciarsitrarre nel laccio senza dir di sì e senza dir di noe diseguiresebbene contro geniola volontà altrui. Èsempre la storia del diavolo e delle sue tentazioni. Un tal fenomenolo dovette subire anche il Baroggi. Quella uscita inaspettata delSuardi sulla facoltà che aveva detto d'averedi potercambiare dall'oggi al domani la fortuna di lui; le parole e i modimisteriosi onde egli avea toccato quel tastola tappezzeria rimossadalla sua manoquasi fosse per discoprire cosa della più altaimportanzae fino a quel punto gelosamente celata; tutto ciògli mise una tale agitazione nel sangueuna tal commozione nelcuoreuna tal confusione nella mentechein una parolanon sitrovava nella condizione di prima. Egli sapeva la storia delGalantinoe la sua prigionia e la tortura subita e sopportatae lecarte importanti trafugate al defunto marchesesicchè aqueste cose egli corse di slancio col sospettoappena il Galantinogli parlò con quel piglio misterioso. Allorchè poiquegli troncò il discorsoesvoltandolo in un altroproposeal Baroggi di affidar la fanciulla a sua madre; non ebbe in quelmomento il coraggio di costringerlo a palesar tuttoe d'altra partenon seppe persistere nel rifiutargli il proprio ajutoperchènon voleva lasciarsi fuggir di mano l'occasione e il merito di poterpenetrare in quel segretoche era stato ed eraesino a quelpuntogli pareva che avesse dovuto continuare ad essereil segretodi tutta la sua vita. Non rispose dunque nulla all'ultimo eccitamentodel Suardibensìcome questi si mossegli tenne dietrosbalordito e pensoso e disposto a far tutto quello che colui avrebbevoluto in quel giorno. Così usciti dalla stanzadiscesi incortilesalirono nella carrozza che li aspettavadicendo il Suardi:
—Strada facendo ti spiegherò il mio piano.
Mentreil signor Suardial pari di un comandante in capoinsieme col suoajutante di campoguardando di tratto in tratto l'orologiosirecava al quartier generalelontano dalla mischiae nel tempostesso in situazione di accorrere al riparoe d'improvvisare sulmedesimo campo di battaglia un nuovo colpo strategicoquando mai unrovescio inaspettato fosse per mandare in dileguo il primo piano giàda lungo meditato; i commessi incaricati della perquisizioneleguardiegli sbirriquelle col loro archibugio ad armacolloquesticolla sola sciabola girata dietro le renierano usciti dal palazzodella Ferma generalee si avviavano difilati alla volta delmonastero di San Filippo Neri. Le ventiquattro erano passatee giàstava per compirsi l'ora che ad esse succedeva. Il sole primaverileilluminava per carità qualche camerotto al quinto pianodovedegli estremi raggi stava approfittando con ansiosa sollecitudinequalche povera cucitricela quale voleva compir l'orlo di qualchecamicia per risparmiare i tre soldi della popolana candela di sego.In quell'oranella chiesuola del monastero di San Filipponellaparte ch'era segregata dal pubblicoerano discese la madre badessale suore maestrele monache semplicile conversele incipientieil drappello delle educande. Il mantice dell'organo veniva caricatod'aria da due grosse e ottuse converse; intanto chequasi a provarela quantità d'aria che era entrata nelle cannee la propriavalentia nell'arteuna mano percorrendo agilissimamente i tastiaiprofondi suoni della canna maggiorecon netta e rapidissimadecrescenzafaceva succedere il sibilo acuto e flautato della cannaottavino. L'organocome al solitodava in sulla parte dellachiesa aperta al pubblicoe i pochi che a quell'ora eranointervenutiguardando attraverso la griglia di legno che dalparapetto dell'organo si alzava fino a due terzi della cannamaggiorevedevano per la luce di due cerii quali erano accesi aldisopra della tastieramuoversi tre teste. Ed eran le teste dellasuora maestra di canto fermo e d'organoe di due fra le allieve piùdistinte in quell'arte. Di queste duequella cheseduta allatastierasbizzarriva colla mano velocissimaera la giovinetta Ada.Poco dopodall'altarecollocato dietro al muro che divideva lachiesa in due parti (e faceva riscontro all'altro posto oltre ilmuroed al quale si ufficiava per il pubblico)una suora intuonavale litanie della Beata Vergine; ad essale altre monacheleeducandeil pubblico rispondevanomentre l'organo colle sueecheggianti variazioni interpolava ogni tema di que' predicaticoiquali la più sublime poesia sgorgata dall'entusiasmo dellafede e dell'amore decorò il nome di Maria.
Diqui passando altroveil lettore può accompagnare di nuovo icommessi della Fermausciti dal palazzo dell'amministrazionegenerale per recarsi al conventoquando le litanie potevano essereal loro termine. Allorchè dunque il primo dei commessilasciati i compagni nella via di san Barnabaentrava nell'ortagliadov'era il nuovo casino del signor Suardiper abboccarsi con luicome aveva avuto ordine; la suora inginocchiata all'altare cantavagià il concede nos famulos tuosecc.e quandodopo avergli parlatoil commesso usciva frettolosoin compagnia delsotto tenente Giulio Baroggiaveva già rintronato sottoalle vôlte della chiesa il sub tuum e l'a periculiscunctis libera nos semper.
Unamezz'ora dopoil commesso e il Baroggi e gli altri erano giàentrati in monasteroe fu allora che quel gentiluomo amico di casaOttobonigaloppando per diporto in quei luoghie saputa la cosas'era affrettato a raccontarla agli amicie innocentemente a metterela tempesta nell'anima del giovane Crallche divorando e tempo estradacorse alla loggia dei compagni Frammassoni di SanVittorello.
Ilsole era scomparsoda qualche tempoe anche i luminosi crepuscolidi quella serena giornata s'erano spenti affattoe qua e làlasciavasi veder nel cielo qualcuna delle stelle piùpremuroseallorchè sboccò dalla contrada di SanVittorello quella scelta schiera di Frammassoni giovani efrementiarmati tutti di spade e qualcuno anche di pistola;dispostissimi tutti a far nascere un tale scompiglio e un taldisordineche fosse poi atto a provocare un ordine. Ed ora dobbiamodire quello chesebbene non sia indifferentepur ci fuggì dimemoria allorchè parlammo di quella loggia di Muratori; ed èche fra coloro i quali si trovavano presenti alla tornatav'era unuomo che abbiamo conosciuto fin dall'anno 1750e chese non fu ilprimonon fu nemmeno l'ultimo ad aver parte attiva negli avvenimentid'allora; vogliamo dire il signor Lorenzo Bruniviolino di spallaper l'operae primo violino del ballo al teatro Ducale. Il lettoredeve ricordarsi e della lettera che lo stesso Bruni scrisse da Milanoal signor Amorevolitenore al teatro di Dresdaper dargliinformazioni intorno alla figliuola della contessa Clelia V...; ecom'egli fosse venuto a Milano onde conchiudere di presenzaco'signori ispettori del teatro Ducalela scrittura di sua mogliemadama Gaudenzi-Bruniper la prossima stagione di carnevale.
Ordunque si aggiunga al resto che il Brunivenuto a Milano soloerastato poi raggiunto dalla moglie e da un suo figlio giovinettoilquale non aveva ancora tre anni (Chi avrebbe detto a noi che questofanciullofiglio di un tal uomodovevamo poi conoscerlo vecchionovantenne in riva al lago di Pusianoperchè ci fosse anellodi comunicazione tra il passato e il presente!) Aggiunga inoltre illettoreche il Bruniper esser diventato marito e padrenon avevacangiato carattereideeaspirazioniabitudini. Che anzi in queglianniavendo percorso mezz'Europapiù e più s'erainfervorato nelle sue opinioni; chesiccome voleva la nuova ondadelle coses'era ascritto alla loggia dei Frammassoni diParigiche s'era messo in comunicazione colle logge erette nelleprincipali città d'Europae che arrivato a Milanoe saputodella loggia milaneseavea sollecitato di mettersi in comunicazionecon essa; ch'era stato de' più caldi ad esortarla perchèdall'inerte discussione passasse all'azione pratica. Infine chesebbene non avesse più trentacinque annima cinquant'unopure alla proposta di lord Cralls'era messo in compagnia de'giovani più deliberatisfoderando anch'esso la spadaegiurando su quellacome voleva il formulare.
Edor presto vedrà il lettore fino a che punto sappiano giungerei maledetti ghiribizzi della fortuna e gli strani giuochi dellacombinazione; e come il signor Bruni ogni qualvolta inciampava neiciottoli delle contrade di Milanoavesse a dar della testa anchenelle corna del diavolooccasionando trambusti serje dovendo allasua volta rimanerne vittima.


IX


Ilgenerale in capoossia il Galantinocheal pari del duca diWallensteincombatteva per proprio contoaveva dato ordine al suoajutante di coglieresenza sgarrare d'un minutoquell'istante incui le monache e le educandeuscite appena dalla chiesuolasisbandavano per diportoa sparsi gruppilungo i corridoj ed iportichetti del monasteroaspettando che la campana le chiamasse inrefettorio per la cena. E un tal ordine venne di fatto eseguitopuntualmente; chè il giovine Baroggi era di quella temprad'uomini che ponno dubitare a lungo prima di accettare un incarico;ponno anche averlo accettato contro la propria convinzione: ma unavolta che hanno promesso di mandarlo ad effettonon disputano piùse sia buono o cattivoonesto o turpeutile o dannoso; sidimenticano delle proprie persuasioni e di se stessinon da altrosollecitati che dal desiderio di farsi riconoscer degni dell'altruifiducia. Avea insomma le qualità d'un perfetto soldatoilquale può disapprovare una battagliauna mossa strategicamasi lascia tagliare a pezzi piuttosto che mancar menomamente ad uncomando ricevuto; con tali norme erasi comportato infatti nella suacondizione di sotto tenente della Ferma; disapprovavaquell'istituzionee vituperava le malversazioni legali; ma quando alconfine comandava un picchetto di guardiei contrabbandieri avevanocon lui un malissimo giuoco. Allorchè dunque il piccoloesercito che era sotto la sua direzione fu alla soglia della portadel conventola prima cosa fu di posare due guardie rappresentatedal loro fucileai due lati di essa; poi il primo commessoseguitoda tutti gli altrientrò nel camerotto della vecchia custodedel conventoche trasalì nel veder quell'uomo seguito datanti altri armati. Ma il commessoalla vecchia cheper unmovimento istintivosi alzò da sedere e fece alcuni passi perpiantarsi in luogo da sbarrar loro l'entrata:
—Siamo i commissarj della Fermaprecedetecichè vogliamoparlare alla madre priora del convento. Fate presto e non temetechènon si vuol mangiarvinè voi nè la madre priora nèle monache; e senza dir altrosforzòa così direilpasso e varcò la sogliaed entrò procedendo fino alsecondo cortiletto del monasteroseguìto dal secondocommessoda un sergentedalle guardiedagli sbirri e dalsotto tenente Baroggi che veniva ultimo e colla testa bassa.
Chiavrebbe detto alla pia fondatrice di quelle sacre mura che dovevavenir giorno in cuisenza un rispetto al mondoavevano ad essereviolate da uomini profanianzi dalla più ribalda feccia degliuomini profani? Ma la vecchia custodevolendo essere la prima acomparire innanzi alla reverenda madre priorastupita e barcollantes'affannava a precedere que' giovinottidi cui sentiva glisghignazzi protervi.
Lemonache e le fanciulle educande sfilavano in quel punto lungo unportichettoper dove avevasi a passare. La vecchiacon quellospavento di chi ha in cura una nidiata di pulcini e osserva un gattoche li guarda e li fiuta:
—Aspettate! esclamò con un certo accentonel quale si sentivache il tremito della paura materiale era confuso all'indignazione.Aspettate! chè la reverenda madre priora viene in coda aqueste.
V'èuna certa specie di rispetto e di riguardo che è provato ancheda' più ribaldipersino allora che sono ubbriachi. Tuttiadunque si fermaronomentre il Baroggiche stava dietro a tuttisiportò anch'esso in linea per guardar le fanciulle chepassavano: e guardò infattie vide quella che cercava.
Intantoallo spettacolo nuovo e inaspettato di quelle facciedi quelle armidi quelle canne lucenti d'archibugis'era messo uno strano bisbiglioe scompiglio tra quella lunga fila di monache e ragazze; e s'udironoanche esclamazioni di sgomento; e si videro anche alcune uscir dallafilae affrettare il passoe svoltare chi per una partechi perl'altra.
Sostatii commessi e il sotto tenente Baroggi alla testa delle guardiela vecchia portinaja volgendosi alla madre priorache giàaveva intraveduto quegli uomini armaticon quel senso di stupore chenon era e non poteva essere sgomentoma somigliava piuttosto alturbamento confuso di un cattivo sogno:
—Reverenda madrele disse con voce gutturale e pecorinaquestiuomini sono entratiperchè hanno voluto entrare e perchètengono un ordine da quelli che comandano.
Lamadre priorafattasi presso ai commessi della Fermache alla lorvolta si avanzarono verso di lei:
—Che cosa voglionoloro signori? disse.
Leparole non erano che questema le pronunciò con quel pigliograveseveroburberodi chipreposta da trent'anni al governo delmonasteroteneva l'abitudine del comando più assoluto einesorabileed era avvezza ad essere impreteribilmente ubbidita.
Sela madre priora avesse avuto maggior pratica di mondoè certoche non avrebbe parlato con quell'accento a quei rozzi uominiiquali erano usi anch'essi a non sentirsi contraddetti.
—Noi siamo i commissarj della Fermarispose con piglio piùrozzamente burbero il primo dei commessi; e se siamo quivuol direche ci possiamo stare; del restoper un di piùveda vostramaternità l'ordine che teniamo dai nostri padroni.
Lareverenda madre lesse l'ordine scrittopoi soggiunse: Questo nonsarà mai.
Ilprimo commesso guardò in faccia al collega a quell'uscitainaspettata della priora; il secondo commesso guardò alsotto-tenente Baroggiil qualelevatosi già da qualche tempoil cappellino a tre puntesi avanzò facendo un profondoinchino alla reverenda.
Lagioventùil bell'aspetto e gli atti di cortesia costituisconosempre una buona raccomandazione in quasi tutti i casi della vita: etanto ciò fu vero in quell'occasioneche alla reverendasenza ch'ella il volesseanzi senza che nemmeno pensasse a volerlosi spianarono di tratto gli aggrottamenti del ciglioe si sciolserodue profonde rughe che le si eran fatte ai lati della bocca contorta.
—A vostra maternitàcontinuava il Baroggiraddolcendo piùche poteva la vocedev'essere noto l'editto pel quale è datafacoltà alla Ferma generale del tabacco di mandare i suoicommessi anche nell'interno de' monasteri a fare perquisizioniquando vi sia presunzione che in qualcuno di essi siasi nascosto deltabacco proibito.
—Che... che cosa... cosa mi tocca di sentire?
—Vostra maternità si degni ascoltarmi; la colpa non è nèdella Ferma nè di noie molto meno della vostra maternitàreverenda se fu riferito trovarsi appunto nascosta in questo conventouna grande quantità di tabacco proibito. Io sono persuaso chequesta possa essere stata una denuncia infondata... fors'anche lacalunnia di qualche malevolo: ma siccome la legge parla chiaroeparla chiaro e forte anche contro di noi se ci rifiutiamo a fare ilnostro dovere; così vostra maternità deve permettereche la legge venga in tutto e per tutto eseguita.
Quantunqueil Baroggi parlasse a voce altaveniva essa però soverchiatadal bisbiglio e dalla pispilloria di tutte le monache e fanciulle chesi erano affollate sotto al porticotanto che le arcate echeggiavanodi quell'insolito frastuono raccolto in un sol punto. Le monachellepiù paurosein prima fuggiteeran tornateattratte dallacuriosità irresistibile; le più audaci s'erano stipatein densa schiera presso ai nuovi venuti; le più adulte fra lesemplici educande facevano luccicarementre parlavanoi loro vivacie non più timidi occhi sul bello e giovane soldato cheparlava. E non si può nemmeno sgridarlepoverettegiacchèdal momento che non erano destinate alla vita claustralela figuradel giovane colla sua assisa brillante e la sciabola lucentechestaccava sovra di un fondo cupo occupato dalle figure severe dellapriora e delle suore maestre e dalle nere loro vestiquasisomigliava all'effetto che un cielo azzurroriflesso da un lagoprodurrebbe su chi uscisse da un luogo tenebrosodove sia stato alungo per altrui volontà.
Mala reverendadopo aver girato un severissimo sguardo su quellatruppa di giovinette che facevano tanto rumoree intimato loro ilsilenzio:
—Non nego la leggedissenè l'ordine che tenete da chi l'hafatta; ma prima che io vi permetta di passar oltredovròparlare alla nobil donna conservatrice di questo sacro asilo.L'autorità sarà informata di tutto... e allora...quando essa persista nel suo comando... voi potrete adempire aldebito vostro.
Ilprimo commesso a queste parole si permise di ridere villanamente; eper ispirito d'imitazione fecero lo stesso e il secondo commesso e leguardie e gli sbirri. Per verità che la reverenda madrel'aveva detta grossa; ma ella non era poi obbligata ad intendersimolto dei diritti della finanza.
—Madre reverendasoggiunse allora il Baroggimentre saettavaun'occhiata come di rimprovero a quei profani irrisorinoi non siamoobbligati ad aspettare altri ordini dell'autorità; anzi ilnostro obbligo preciso è di non aspettarne alcuno. Bensìvostra maternità potrà sempre raccontar l'accaduto allanobile conservatrice del monasteroperchè essa provveda a farmettere questo convento sotto la protezione di un privilegiostraordinario.
Ilsotto tenente non avea quasi finito di pronunciare questeparoleche il commessoperduta la pazienza:
—Orsùandiamo! disse al collega ed alle guardie. Noi sappiamomadre reverendadove fu nascosto il tabacco; non abbiamo nemmenobisogno di scorta; e così dicendo varcò l'arcata delporticoseguito dai soldati.
IlBaroggi lasciò faree si ritrasse in coda. La madre badessacoraggiosa della propria autorità e di quello zeloardentissimo di religione che mette agli ultimi gradi tutti gli altririspettifecequantunque vecchiadue passi rapidi e si piantòinnanzi al commissarioe:
—Nè voi nè i vostri passerete per di quidisse. Ma inquella le suore maestre e coadjutrici le si fecero intorno come pertrattenerla onde il commissario e le guardie passarono oltrefulminati dai solenni anatemi di leifino a chenell'eccessodell'affannosa sua indignazioneella cadde come spossata e svenutanelle braccia di quelle che la circondavano. Allora crebbe piùche mai il susurro delle suore atterrite e indignate; alloras'udirono voci alte e querule; e persino qualche scoppio di pianto diqualche fanciulla commossa; allorachi si fosse trovato làavrebbe potuto assistere al vario modificarsi delle varie indolidelle fanciulle ivi raccolte: chè alcune eran passivamenteatteggiate; altrenon trattenute da nessun riguardosi sentivanotratte a seguir quelle guardie per ispiare i loro passi; altreosavano perfino di far sentire qualche mal compresso cachinno diriso; ed eran forse le più riottose tra le educandequelleche più spesso avevan subita la severità della madresuperioraed erano incoercibili dai castighie sospiravano diuscire a respirar l'aria libera del mondo.
Quandoi perquisitori si trovaron soli in un androneil Baroggi litrattennee disse:
—Or che volete fare senza la presenza di tre o quattro di codestesuore maestregiacchè alla reverenda superiora èvenuto un deliquio? Sapete bene cheaffinchè la perquisizionesia legittima e non dia luogo a recriminazioni ed a gravami per partede' perquisitibisogna che il processo verbale venga sottosegnato daqualcuno di loro. Perciò è necessario che facciantestimonianza del nostro operato tre o quattro di codeste suorelequalise sono ragionevolinon devono ritenersi in pericolo pertrovarsi in mezzo a noiprotette come sono naturalmente dalla lorovecchiaja e dalle grinze impresse nella loro faccia dalla devozione edalla penitenza. Or lasciate che io vada a supplicarle perchèvogliano seguirciintanto che la reverenda superiora attende aricuperare i sensi smarriti.
Ecoloroa tali parolesi fermaronoed il Baroggi retrocesse per farquanto aveva dettoma più ancora per ripassare tra la schieradelle giovinette educandein mezzo alle quali il suo occhio acutoaveva già scorto quella per cui era stata ordita una tramatanta complicata e pericolosa. Ritornato così nell'atriodiede un'occhiata ai varj gruppi che s'eran sparpagliati qua e làsotto ai portici; s'accostò a quello dove rivide l'Ada;rispettosamente e col miglior garbo s'accostòe:
—Dove si son ritratte le reverende suore maestre? domandò.
Piùd'una rispose a quella domanda; e il Baroggi sentì anche lavoce della fanciulla Ada; e più d'una si mosse per andar acercare di quelle venerande chenella confusione e nellapreoccupazione del deliquio della madre superioranon avean pensatoa non lasciar sole le loro giovinette allieve; e si mosse anche Ada.Se non che il Baroggicolto il puntolesto e sommesso: «Ellaaspetti... le disse; nell'ortaglia v'è chi dee parlarle. Sivolga per di làla supplico...»e via ratto come senulla fossecamminando sui passi delle giovinette che s'eran mossein cerca delle maestre.
Adaa quelle parole del Baroggitrasalì e stette immobile alcuniistantie pareva un leggiadro simulacro marmoreo che rappresentassel'incertezza. Se non cheallorchè vide ritornar ilBaroggi seguito da tre fra le venerande madriella uscì dallaimmobilitàsenza però uscire dalla perplessitàaffannosa.
Inquel punto la confusione nel convento era giunta a quel grado che nonpareva potersi dar la maggiore. Chi andava da una partechidall'altra; chi stava origliando presso l'androne dov'erano entrati iperquisitori; chisalito che fu il Baroggi coi compagni e colle tresuore nella parte superiore del monasterotenne lor dietro per nonsaper vincere la curiosità; chi si recava a domandar dellasalute della madre superiora; chitra le giovinette piùottusepiù apatiche e più sensualigiacchè eral'ora della cenaaveva messo il piede in refettoriosollecitata dalgiovanile appetito che non lasciava scorgere al mondo cosa verunalaquale avesse maggior importanza d'una buona minestra; chi tra le piùmaliziose e ribaldelle s'ingegnava a far chiose astute edepigrammatiche sull'avvenuto. Solo Ada non faceva parte nèdell'una nè dell'altra schiera.
Damolti e molti giorni ella avea cessato di mettere in comune i proprjcoi pensiericolle cure e colle abitudini infantili delle compagne.Ella avea smarrita l'allegria delle amiche spensierateavea perdutol'appetito delle amiche prosperose e placide; non sentiva latentazione d'imitare le più astute e le più riottose;in una parolanon trovavasi più in monastero che collapresenza materialeperchè col pensiero e col cuore trovavasiassiduamente altrove.
Daalquanti giorni non aveva potuto vedere il giovane Suardiperchèsiccome sa il lettore per le parole che la nobil conservatrice delmonastero disse già a donna Paolaera trapelato qualche vagosospetto alle monache maestree questetenutala d'occhiononl'avean mai lasciata sola; però la fanciulla si crucciavaecontinuamente andava almanaccando sul modo di poter eluderequell'assidua vigilanza. Nè mai si era attentata di affidareil suo pericoloso segreto a nessuna delle compagnenemmeno ad unachepari a lei d'età e sua vicina nella camerataavea presoad amarla svisceratamenntesebbene coll'amore più d'una madreo d'una sorella maggiore che d'una compagna. Codesta sua amicafigliuola d'un marchese Crivelloera piuttosto cagionevole disalutegraziosa nel voltoma tanto quanto deformata dallarachitidefornita d'ingegno fuor dell'ordine comunee infervoratadi così religioso zeloche quasi parea tramutarsi in quelloche suol chiamarsi abito bigotto e scrupoloso. Essa erasi accorta delsegreto di Adama avea taciuto. Amorosaprevidente e prudentepensava di vegliarla dappresso e di fareper quanto era in leilacura di quel male senza avvisarnela. Interrogata dalla superiora edalle maestre sul conto di Adaquando s'eran messe in qualcheapprensionee interrogata appunto perchè la conoscevano comela miglior sua confidenteella tacqueed anzi cercò stornarei sospettiper stornare i castighi dall'amica. Bensì coi modipiù gentili nel discorso abitualeavea tentato distogliere ipensieri di Ada da quella direzione che loro avea comunicata lapassione. Sempre adunque trovandosi secoperché anche Ada laricambiava d'affetto sinceroe in que' giorni le stava piùdel solito accostoaccadde chenel momento in cui il Baroggi s'eraavvicinato al gruppo delle educande dove di volo avea veduto lafanciulla Adaquesta parlasse precisamente colla Crivello. Benel'inchiesta del Baroggi aveva diviso quel gruppo di fanciulleed Adaera rimasta sola un istante fuggevolissimo con luima la Crivellos'avvide che era corsa qualche parola. S'avvide e tacquee sidilungò facendo mille pensierie fermandosi non veduta aguardare Ada rimasta immobile e concentrata.
Aquesto punto eran le cose nel monasteroquando un sordo muggito divoci confuse di popolo affollato e battimani e fischiatecontemporaneamente rintronarono nel monastero; poi fu sentito uncolpo secco d'archibugio squarciar l'ariaripercosso in degradateoscillazioni.


X


Quellegridaquello scoppio di fucile giunsero fino al dormitorio dellemaggiori educandedove i commessi della Ferma avevano giàtrovatolungo il cornicione che lo rigiravabuon numero di boettedi tabaccocon gran meraviglia delle tre suore vegliarde cheassistevanodichiarando ad ogni minuto la loro assoluta ignoranza diquella contravvenzione; e le grida e la detonazione inaspettatacolpirono di vario stupore i commissarjle monache e il Baroggichesenza dir parolauscì e discese precipitoso nel cortile.Accorreva in quel punto la vecchia portinajaaccorreva una delle dueguardie state collocate ai lati della porta del monastero. Sottol'androne della porta si sentiva un crescente frastuonoin mezzo alquale spiccavano voci d'ira veementissime; e quasi contemporaneamentefu invaso il cortile dalla folla. Il Baroggi stupefatto si guardòintorno e cercò la via dell'ortaglia che gli era notaequando fu in quellavide una fanciulla che fuggiva seguita daun'altra che cercava trattenerla. Egli credeva che Ada si fosse giàrecata nell'ortagliama la ravvisò in quella che affannatacorreva precipitosaquasi si schermisse dall'altrae la raggiunse.
—Siete la signora Adadisse quando le fu presso. Suvviaaffrettatevi. Un gran precipizio vi sta sopra. Ma chi ècostei?
L'Adae la Crivello non parlavano. Allora il Baroggi prese la prima permano e la trasse con sè.
—Che tentate di fare? disse allora la Crivello.
—Zitto... voglio salvarla.
Allorala Crivello afferrò con quanta forza aveva la vestedell'amica. Questa tentò sciogliersiesclamando sommessa: —Deh lasciamiper carita! Ma la Crivello si avvinghiò ad Adacon invincibile tenacitàe:
—Bada a tedicevala mia povera Ada. Maintantol'una fuggendol'altra trattenendoil terzo inseguendoeran tutti pervenutinell'ortaglia. Una voce maschile fu udita in quel punto. Il Baroggila riconobbe; Ada ne trasalì.
—Sei tu? ripeteva quella voce: era il Suardi.
—Son iorispondeva il Baroggi.
—Or che avvenne di Ada?
—Zitto. Ella è qui; e il Barogginon sapendo che faregiacchèla fanciulla a lui ignota teneva strettamente abbracciata Adaleprese ambedue in un fascioe di peso le portò fino a quellaparte del muro di cinta dove era un uscio. Là stava in piediil Galantinotra il muro e un'imposta semichiusa.
—Siete voi? esclamò allora il Baroggiecco qui. Ma sono dueinvece d'una sola. E dal peso mi pare che sieno svenute el'una e l'altra.
—E che vuol dir ciò?
—Che quando si vuol strappare una rosa di furto e in frettadue o trese ne strappano in una voltae si rovina l'arbusto. Ecco quied orprendetechiudetemettetele in carrozza e via come il fulmine; seno va a succedere un gran precipizio.
—Ma che vuol dire che ho sentito un colpo di fucile?
—Vuol dire che la faccenda è seria più di quel che paree v'è un mistero che non comprendo... m a sostenete questeragazzee salite in carrozzae sopratutto badate a non passareinnanzi alla porta del convento. Il popolo par che sia uscito daigangheri affattoed è penetrato in convento.
IlGalantino non risposeprese in braccio quel fascio di due fanciullee quando fu per richiuder l'uscio di cui gli aveva data la chiave ilribaldo ortolano:
—Vieni anche tudisse al Baroggi.
—Non sarà mairispose questi; il Baroggi non è maifuggito innanzi al pericoloe or vedo che si ha a menar le mani.Addio dunquee se nella mischia si dovesse lasciarci la pelle... chisa mai? fate che quella fanciulla non mi maledica... rispettatela efatela felice... Poveretta!... Addio dunque.
IlGalantino non aggiunse verboe chiuse l'uscio del muro di cinta. IlBaroggi stette fermo un istante ancora a quel posto. Tesel'orecchio... e raccapricciò nell'udire una confusione distrilli femminili; e gli parevano ululati di naufraghe che simescolassero al muggito di un mare tempestoso. Tese l'orecchioesentì il precipitoso trotto di due cavalli e il rumore di unacarrozza. Allora volse gli occhi al cielo tutto stellato: — OhDioesclamòche mai feci? Oh povere ragazze! e ripetèla via dell'ortaglia desolato e cupo.
Allorchèpoi dall'ortaglia ei mise piede entro il recinto del monasteroque'dieci o dodici campioni della frammassoneria cheseguiti da unadensa onda di popoloavevano forzata la porta del monastero eatterrataanzi uccisa quella guardia che aveva lasciato partire ilcolpo d'archibugiosi trovarono dirimpetto alle guardie della Fermale qualipartito il Baroggi e sentito crescere il tumultoeranodiscese a furia sotto il portico. Impegnatasi una fiera mischiacomese il cortile del monastero fosse un campo di battagliale monache ele fanciulle atterrite affacciandosi agli ingressifuggendo su e giùper le scaleattraversando i corridoj continuavano ad assordarl'aria di grida di spavento. Il Baroggivista quella scena eosservando i proprj compagni impigliati in quella lotta disugualechè il popolo ajutava gli assalitorionde le guardie dellaFerma erano percosse da tutte le partisentì il sangue salirealla testae cieco di furoresfoderando la sciabola si fece largotra il popolodando giù a dritta e sinistra; ma qual fu lasua meravigliaquando si vide dirimpetto que' gentiluominideiquali conosceva alcuni che erano delle prime famiglie di Milano! Icolpi erano corsi senza pietàonde il sangue non mancava;vide cadere due dei proprjvide atterrati tre degli avversarj. Edegliparando colla sciabola un colpo di spada che gli veniva calatodal giovine lord Crallch'ei conosceva benissimo:
—Ma che demonio v'ha inspirato? gridò. Che c'entrano le guardiedella Ferma se adempiscono gli ordini della superiorità?Dovevate andare al palazzo dell'ammistrazionese avevate senno ecoraggio e...
Ein quella si sentì gridare: «lasciate il passoilpassoil passo.» Poi una voce sgangherata che tuonava: «Fermituttio vi faccio abbruciare in questo cortile a schioppettate.»
Ilpopolo naturalmente fece ala. Due padri cappuccini entravano insiemecon un grosso picchetto di soldati del reggimento Clericicomandatida un tenenteche era quello che gridava stentoreamente.
Quellaquarantina di soldati di milizia regolareche i cappuccinisaputolo scompiglioerano andati a prendere alla vicina caserma di SanBarnabacircondarono le guardie assalite e i gentiluominiassalitorie i colpi cessaronose non cessò il sangue discorrere. La folla cheallorquando i soldati fecero largoebbeteste e stomachi e ventri percossi e scompigliati spietatamente daicolpi di calciodi necessità si fece più rada. Un po'di calma sottentrò al tafferuglio inaudito di primaun po' disilenzio successe al frastuono che parve aver voluto far crollare lemura del monastero. Cinque uomini erano stesi sul selciato delcortile; nè in quel primo istante si ebbe tempo di vedere seerano morti o feriti.
—Che cosa dunque è stato tutto questo fracasso? domandòil tenente a quelli ch'eran là accerchiati.
—Noi non possiamo saper nullarispose il Baroggi. Noi siamo qui perordine della superiorità. E s'è scoperto molto tabaccoproibito in convento. Ecco tutto. Cosa poi sien venuti a fare questisignori non si sa.
—Siamo venuti a far giustizia noigridò lord Crallgiacchènessuno non sa più farla qui. Siamo venuti a dare un esempioe a lasciare un segno che faccia risensare gli stolidi che hannovoluto sguinzagliar questa canaglia nell'asilo delle sante vergini.Ecco cos'è stato.
Iltenente del reggimento Clerici non rispose nulla nè alBaroggiche nella sua qualità di soldato urbano al serviziodella Ferma era tenuto in dispregio dagli ufficiali della miliziaregolare; nè a lord Crallche conosceva e stimavama alquale non poteva dar ragioneper la gran ragione che in faccia allalegge colui aveva torto. Soltanto si limitò a dire:
—Io non sono un auditorenè un attuaro del Capitano diGiustiziae non c'entro a metter parole in questa faccenda. Bensìè mio dovere di farli scortar tuttiillustrissimi signoriedi farli consegnare al Capitano di Giustizia per l'appunto. Mirincresce che sia toccato a me un così odioso incarico. Ma lorsignori farebbero lo stesso se fossero ne' miei panni.
—È giustodisse lord Crall; e noi promettiamo di consegnarcial Capitanoe diamo perciò la nostra parola d'onore. Soltantovi prego di prestare soccorso a questi carissimi miei amici che sonolì distesi per terra. L'uno è don Giorgio Porrol'altro è un conte Ruscaquello làche mi par mortoè uno Stefano Pecchio.
IFrammassoni superstiti partirono poco doposeguiti alla lontana dauna mano di soldati. Le guardie della Fermai commessiil Baroggiuscirono anch'essicon promessa di esser pronti alla chiamata delcapitano.
Icinque stesi per terraassistiti dai due cappuccinivennero fattiporre su altrettante barellee trasportati nel loro convento.
Quellamedesima notte nel palazzo del Capitano di Giustizia furono esaminaticoloro che si consegnarono e fu steso il processo verbalepresenteil signor tenente del reggimento Clericiche nel processoveduto danoiè firmato tenente Angelo Birago di Casal Monferrato. Ilprocesso reca anche i nomi degli accusatie sono i seguenti: donGiorgio BrentaniGuglielmo lord Crall Pietra IncisaGaspareAntolini avvocatoCarlambrogio Negri negozianteLorenzo Bruniprofessore di violinoAmilcare de BrèmeVincenzoGhisalberti.
Nellamedesima notteuno dei due cappuccini accorsi al trambustoperordine della reverenda superiora del monastero di San Filippo Neririferì al Capitanocon nota scritta e firmata dalla madrepriora e da tre suore maestrecome non s'eran più trovate inconvento due tra le maggiori educande del monastero. Donna GiacomaCrivello dei marchesi Crivelloe donna Ada V...figlia dellacontessa Clelia V...tutelataper esser assente la madreda donnaPaola Pietra Incisa.
Ilgiomo dopotutta Milanoanzi tutto il Ducatofu pieno di codestoavvenimentoecom'è naturalefu portato a cielo il coraggiodi quelli che avevano affrontata la guardia della Ferma per dare unesempio solenne. Ma insieme colle grandi lodi e coi lamenti pel loroarrestocorse anche la voce che coloro erano frammassoni; perchèad onta che il cardine fondamentale della frammassoneria fosse ilsegretopurenei tre periodi dell'esistenza di quella societàin Milanoanche per testimonianza di molti vecchi che vivono oggiil pubblico conosceva molti degli ascritti ad essaond'eranoadditati comunemente siccome oggetti di speciale osservanzaadispetto del tanto raccomandato segreto. Se non che una tale notiziafu un lampo che suggerì al Suardi il modo di gettar laconfusione nelle teste del pubblico e dell'autorità.
Inquel dì stesso trovatosi insieme col Baroggidopo averparlato molto di molte cose con esso luiil Suardicacciandosi ditratto a ridere:
—Ma sai tudisseche quegli originali pare che siano stati pagatiespressamente da noi?
—E in che modo?
—È presto capito. All'autorità ora è noto checoloro sono Frammassoni. Tu sai che se molti dicevano che la loroesistenza avea per iscopo la propagazione dei lumi e il vantaggio delpopoloaltri assicuravano che celavanosotto questa bellaapparenzafini turpi e disonesti. Or è facile far penderetutti i sospetti da questa parte. A che sono venuti ad assalirci? percogliere l'occasione di gettar lo scompiglio in tutti e trafugar duefanciulle. Va benissimo; ciò almeno par assai chiaro. Ma c'èdi più; e un sospetto ne genera sempre degli altri. Sappidunqueche quel lord Crall lo vedevo a galoppar di frequente nellevicinanze del monastero. Ora ho pensato che potesse essere innamoratodi Ada... e ciò è naturalissimoessendosi egli trovatoseco spesse volte nella casa della propria madre. Del restoche ciòsia o non sianon importa; basta che sembrie che l'accusa lanciatacontro lui d'aver tese le insidie per farla trafugareabbia tutte leapparenze della verità... Una nota di tal generesenza firmadi nessunosta da qualche ora nelle mani del signor Capitano... Ah!ah! va benissimo... E a teche ne pare? È bella sì ono? Ma davvero che la fortuna è la mia schiava piùdevota... e t'assicuro che darei del capo nel muroquasi incredulodi così strana combinazione! Or che fai tu che stai cosìserio?
—La rete è lunga e largarispose il Baroggie ci siam dentroanche noi... e quella povera mia madre. Ah noper Dioche non c'ètanto da ridere.
—Sta tranquilloGiuliote l'ho già detto jeri: il mio blasoneè la coda del diavolo in campo rosso.

LIBROOTTAVO


Idiscorsi di casa Ottoboni. — Parole di donna Paola Pietraintorno all'impresa dei Liberi Muratori contro i commessi dellaFerma. — La contessa Arese e le dame del biscottino. —Dialogo tra l'Arese e donna Paola. — La calunnia. — Ilcaffè Demetrio e il maggiordomo Carlantonio Baserga. —L'abate Parini. – Il pubblico e il Galantino. — Donna AdaV... e donna Giacoma Crivello. — Il conte V... e il decreto delSenato. — Un sermone morale. — Il lago di Como. — Lacontessa Clelia V... — L'abate Frugoni e Condillac. — DaCasal Pusterlengo a Lodi. — Il figlio di Lorenzo Bruni. Suoracconto. — Donna Paolala contessa Clelia e la Gaudenzi. —L'avvocato Strigelli. — Cattura de' Liberi-Muratori. — IlGalantino e il Baroggi.



I


Nellanotte in cui avvennero i gravissimi disordini raccontatilaconversazione di casa Ottoboniche sul tramonto era sparpagliata invarie sale e sui terrazzisi raccolse tutta in due salottiin unodei quali continuarono i discorsi; nell'altro gli abitudinarj siunirono per giuocare all'ombretta spagnuolaall'arduo taroccoalloscientifico scacco.
Aquei convegni serali interveniva anche donna Paola Pietrae nellasua tarda etàper consuetosedeva al tavoliere e giuocava atarocco col padre Frisicol questore conte Pertusatiche allora erail prefetto della nobilissima scuola di san Giovanni alle Case Rottecol maestro Galminied altri; e qualche rarissima volta si faceva alpianoforte colla contessa Agnesela maestra di musica già danoi nominatasorella della celebre Gaetanaquando quella supplicavad'eseguire qualche pezzo celebre o dell'abate Stefanio diScarlattio dell'abate Clario di Hasseo d'altri. Ci pare di averdetto più d'una volta come tutta la città di Milanotanti anni addietro chiamata dalla valentia straordinaria di donnaPaolaaveva avuta l'abitudine di accorrere in folla alla chiesuoladel monastero di santa Radegondaquand'ella monaca professa ocantava mottetti e responsorjo suonava l'organo. Però ellanon aveva dismessa affatto la pratica di quell'artee anche nellasua vecchia etànei ritrovi più intimisi lasciavaindurre a dar saggio della sua ancor abile manoquando ne venivapregata o importunata.
Quasidunque ogni sera ella interveniva in casa Ottoboni; vi si fermavafino al tocco della campanaalla qual ora o veniva a prenderla lacarrozzao se il tempo era bello e l'aria miteveniva a pigliarlail suo figlio Guglielmoil quale viveva con essa nel piùammirabile accordo; e così pedestriseguiti dal servitore collampionesi rincasavanoper ritirarsiella a riposarelordGuglielmo a studiare fino a notte tardissima.
Anchein quella sera donna Paola Pietrasul tardicome solevarecossi incasa Ottoboni. Essendo stata bellissima la giornatalord Guglielmoaveva detto al carrozziere di non attaccare per quella serach'egli stesso avrebbe accompagnato a casa sua madre. Spesse voltepoi il padre Frisi e il Parini e l'avvocato Fogliazzi si facevan conloroe così lentissimamente passeggiando e qualche voltascegliendo apposta la strada più lungacontinuavano laconversazione e qualche volta anche salivano tutti in casaPietra Incisa a bere l'acqua cedrata. La partenza precipitosa dilord Crallall'annuncio che il monastero di San Filippo era statoinvaso dalle guardie della Ferma aveva provocato i parlari e messo inmovimento le congetture fra quanti erano là radunati in casaOttoboni. Peròquando venne donna Paolafu un accordo tacitodi tutti di non farle motto alcuno di quel ch'era successo.
Soltantoquand'ella si fu adagiata nel salotto da giuoco a farvi una partitaal tarocco coi soliti suoi competitorila ciarla continuò piùabbondante e più investigatrice e più fiscale di primanella sala della conversazione. In tal modo era trascorsa qualche oradi notteallorquando entrò l'avvocato Rejnail padrecrediamodel noto bibliofiloche di quando in quando aveval'abitudine di frequentare quella casa. Entrò circospetto econ un'aria di mistero che svegliò la curiosità intutti quantichiamò in disparte l'abate Parinie:
—Guaicaro abateguai serj. Un disordineun parapiglia da nonimaginarsi il secondo in mille anni.
—Che cosa è successo? — domandò il Parini.
—Prima di tutto... è qui donna Paola?
—È qui.
—Male. Avrei voluto che fosse a casa sua.
—Ma di che si tratta?
—Una compagnia di cavalieri e d'uomini civili con spade e pistole sonoentrati nel monastero di San Filippo.
—C'era lord Crall?
—Sì... e sono entrati coll'intento di dare alle guardie dellaFerma una lezione che loro lasciasse il segnoe da far nascere untale scompiglio da costringere l'autorità ad abrogare l'edittodel mese di aprile; e lo scompiglio è nato in fattima di talsorta che sono rimasti in terra cinque tra morti e feritiedovettero accorrere i soldati del reggimento Clerici... e lordCrall...
—Che? È forse morto?
—Noma fu condottoanzi scortato al Capitano di giustizia insiemecon altri sei o sette... tra cui vi sono due che furono vostriscolarie v'è il figlio del banchiere Negri...quell'accattabrighe...
—Oh che caso!
—Or cosa credete di fare? Dobbiamo dire il fatto a donna Paola?...
—Domando a voi come si fa a serbare il segreto con quella donna; conquella donna che avanza gli uomini in consiglio e prudenza efermezza. E poi già... quello che non saprebbe staserasaprebbe domattinae avrebbe ragione di lamentarsi con noi; e poinon vedendo a comparire suo figliopasserebbe una notte di spasimo.Un male che si conosce è sempre meglio di un disastro che siteme e si ingrandisce coll'imaginazione.
Lafaccia espressiva del Parinie il suo grand'occhioin quel puntoinsolitamente espansoe la fronte spaziosa e pura su cui apparivaquasi a dirla fuga dei veloci suoi pensieri; e ciòdopoquell'aria di mistero onde lo aveva chiamato in disparte l'avvocatoRejnaprovocò l'attenzione di quanti stavano parlando nellasala; di modo che la marchesa Ottoboni s'accostò ai dueinterlocutorichiedendo che cosa era avvenuto; e quasicontemporaneamente quanti eran seduti si alzaronoe alle lorodomande l'avvocato dovette ripetere quello che aveva detto al Parini.
—Ah me l'era imaginatodiceva uno.
—In quanto a me avrei sospettato qualunque cosa fuorchèquesta...
—Ma che interesse... che desiderio... che smania... Non ci capisconiente affatto io...
—Quello che non avete capito voi aveva capito io da un pezzo... (e chiparlava era una dama).
—Che cosa avete capito?
—Lord Guglielmo ha ventisei anni ed è letterato... ed èfantastico... e in monastero c'è qualche ragazza che ha piùdi quindici anni.
—E che?... Volevate che fosse geloso delle guardie della Ferma?...
—Altro che gelosia... paura e spavento... e fin qui non ha torto... Dasoldati in convento non c'è da attender nulla di buono.
—Donna Gioconda egregiadisse il Parini con ironia severa alla bellae giovane e maliziosa dama che parlava sommessoma non abbastanzaperchè non fosse intesa da quelli che le stavano vicino; donnaGioconda egregiaabbiate la bontà di credere che qualche raravolta gli uominie specialmente i giovaniaffrontano il pericoloper impulso spontaneo ad operare il bene e ad operarlo a vantaggioaltruianche senza il secondo fine di qualche interesse proprio chetoglie merito a qualunque bella e coraggiosa azione; e mi pare chequesto sia precisamente il caso. Vogliate dunque essere cortese conlord Guglielmoconcedendogli la virtù del disinteresse.
—Chi affronta il pericolofoss'anco per il solo intento di proteggeredall'altrui violenza qualche cara personami pare sia degnod'ammirazione anche senza andare a cercar altrorispose donnaGioconda puntaed arrossendo di dispetto sotto il minio e i due nèiposticci cheappiccicati all'angolo dell'occhio sinistro e sullapozzetta della sinistra guanciale alteravano l'armonia del belvoltorendendolo però più piccante.
—Donna Gioconda è tanto spiritosache mi obbliga a concederequesta gentile interpretazione a' suoi arguti sospetti.
Ea questo punto successe nella sala un generale silenzio che lasciòsentir le voci di quelli che giocavano nell'altra.
—Abbiamo tempo di far la pacediceva il padre Frisi. Lord Guglielmonon è ancora venuto.
—Come volete... ma non capisco perchè stasera tardi tanto.
IlParini sentì esenza dir nulladignitosamente zoppicandoattraversò la sala e si recò nell'altra dov'era donnaPaola Pietra.
Lamarchesa Ottoboni gli tenne dietro.
Fattosipresso al tavolieredove stava seduta donna Paola:
—Lord Guglielmole disse il Parininon può venire stasera peressere trattenuto altrove da un affare urgentissimoche le diròdopo.
—Che novità? ha mandato qualche servitore?
—No... ma finisca la partita e dopo le dirò di che si tratta.Spicciateviil mio caro padre Paoloche quand'anche foste percommettere uno sbagliogettando giù una cattiva cartanon sitratta di un calcolo matematico.
—Un poeta non ci perde nulla se confonde il re di spade col re d'ororispose il padre Frisicolla sua consueta facezia; ma un professoredi matematica... ci va dell'onor suo... Ah!.... Donna Paola... nonavrei mai pensato ch'ella avesse il ventuno... Caro abatemi sonocomportato da poeta questa volta...
Lapartita finìil padre Paolo Frisi si alzòsi alzaronogli altri e donna Paola con essila quale voltasi impaziente alParini:
—E che cos'è quest'affare di tanta urgenza?
—Lord Guglielmo ha voluto impegnarsid'accordo con alcuni altrigentiluominie metter mano in quella brutta pasta dei fermieriperl'utilissimo intento di convincere l'autoritàcon qualcheatto clamorosodei pessimi provvedimenti da lei presi. Peròtrattandosi stasera di una perquisizione in luogo dove la Ferma nonaveva mai osato penetrare...
—Ah... me l'aspettavo... Ho compreso tuttosi è dunque volutoassolutamente far resistenza alla forza pubblicae Guglielmo...
—Guglielmo si trovò impegnato cogli amici e... già èfacile imaginarsi che queste cose non vanno via lisce... insomma...hanno dovuto tutti quanti presentarsi al Capitano di giustizia.
IlParini chein primaaveva proceduto con lentezza guardinga nel darquel tristo annuncio alla madre di Guglielmocontinuò piùspedito e più franco quando si accorse che ella non ne eragran che percossa. Tutti poi rimasero assai meravigliati allorchèdonna Paolasentito il fattosul voltoconservatosi calmo eserenomostrò gl'indizj di qualche cosa che somigliava allacompiacenza.
—Cari amicisoggiunse ella poigiacchè le soperchierie eranprocedute al punto chea sopportarlepotevano col tempo generarmalanni ancora più terribilied era necessario che qualcheuomo coraggioso e fermo protestasse forte e senza quelle benedettemezze misure che finiscon quasi sempre a lasciar le cose peggio diprima; così vi confesso la veritàsebbene qui questacara ed ottima marchesa mi guardi stupitache ho gran piacere ci siaentrato mio figlio. Prevedopur troppoche ci saranno travagliseriissimi da incontrare; ma... penso che il mondo sarebbe cento milavolte peggio di quello che èse di tant'in tanto non cifossero quelle felici e generose tempre d'uomini che danno da pensarealla prepotenza e spaventano i pregiudizj. Così è...sono contenta di Guglielmo... Pur troppo l'audacia gli costeràcara... ma verrà il buon mercato... e gli altri godranno...
Cosìesprimevasi quella donna forte e singolarissimae tra ciglio eciglio le brillava quel raggio antico dell'intelligenza coraggiosache si conforta nella convinzione del giusto —quell'intelligenza coraggiosa onde aveva saputo vincere e far piegareinnanzi a sè consuetudini e pregiudizi inveteratisiccome sail lettore.
—Ed oracontinuava donna Paolaè necessario ch'io mi riduca acasaperchè è probabile che là vi sia qualchelettera del signor capitano di giustiziao qualche avviso diGuglielmo... Vedremo. Chi dunque mi accompagna?
Tuttisi offersero. Ma il Pariniil padre Frisi e il conte Pertusatiprefetto della confraternita di san Giovanni alle Case Rottesidisposero a farle seguito di fattodandole braccio l'avvocatoFogliazzi. Quando poi tutti furono per uscirela marchesa Ottobonila padrona di casache aveva coltissimo l'ingegno come ottimo ilcuore:
—Donna Paolapermettete che v'accompagni anch'io. Verrà piùtardi a prendermi la carrozza a casa vostra.
Ecosì se ne partirono tuttifacendo la via lentissimamente:donna Paola tra la marchesa Ottoboni e l'avvocato Fogliazzie ilParini che incedeva lor pressoappoggiato al braccio del PadreFrisi.
Quandovenuti a santa Maria Podoneattraversarono la piazzavidero fermatoun carrozzone innanzi al portone di casa Pietra. Il lacchècol piede sullo scalino del cocchiotenendo nella sinistra la torciaaccesa che rischiarava di una luce rossastra gran tratto di quellabuia contrada Borromeoattendeva a far chiacchiere col cocchiere. Iservitoriche precedevano coi lampioni i nostri personaggifurono iprimi a direravvisandola a quel chiarore: È la livrea dicasa Arese.
—Ahidisse donna Paolaquesto mi è di cattivo augurio. Èla contessa.
Ein fattiquando furono al punto da svoltar nel portonemettendosiin filaper passare tra la carrozza e il muro di casa Pietraillacchèritraendo il piede dallo scalinoe cavandosi ilcappello a tre punte:
—La signora contessa mia padrona è entrataed aspetta da quasimezz'ora...
—Ahimè... replicò donna Paola... davvero che prevedodisgrazie...
Seil lettore si ricordala contessa Aresedama della croce stellatapriora di molte congregazioniera la protettrice e conservatrice delcollegio di san Filippo Neri.



II


Questanobil damasupplicata per letteraqualche ora primadallareverenda badessa a recarsi al monasterosenza perdere un minuto ditempoaveva sentito con grande indignazione il gravissimo disordineavvenutoe con stupore la scomparsa delle due fanciulle educande.
—E l'avea pur avvisata io quella signora donna Paolaesclamòal racconto; l'avea pure avvisata a ritirare la fanciulla dalconvento. Ma colei vuol sempre fare a modo suoe non m'ha datoascoltoed ora ecco che cos'è avvenuto.
—Questo può andare per donna Adanobilissima contessaavearisposto la madre badessama chi può spiegare la scomparsadella Crivellola perla delle educande? Ahche disonoreche smaccoper il conventonobile contessaper questo convento che godeva diuna così grande e meritata riputazione!
—Pur troppomadre reverendapur troppo! Ed or che si fa?... Quellasignora donna Paolache entra dappertuttoche dà consigli atuttiche dispensa grazie e favori e soccorsi a tuttivedremovedremo ora quel che saprà fare. Senza perder tempo io mirecherò da lei. Voi intantomadre reverendaspedite tostoqualcuno del convento de' cappuccini ad avvisare i signoriCrivello... Oh che diranno mai quegli egregi signoriquell'ottimamarchesa! ahè questo un grande scompigliomadre reverenda!E così dicendoaveva lasciata la superiora e le altre suorein lagrime; e messasi in carrozzase ne venne alla casa Pietra.
DonnaPaola era veduta con segreto rancore dalla contessa Aresee da tuttequelle altre dame segnalate per titolie investite di qualcheimportante incarico relativo alla carità od alla beneficenzapubblicapriore di sacre congregazioniprotettrici d'orfanotrofjraccoglitrici di largizioni della carità privatae cheinvirtù di tali incarichierano ossequiatesupplicatetemute.La cagione di quel segreto rancore era che quella donna singolare nonaveva mai voluto appartenere a nessuno di quei corpi moraliavendosempre preferito di esercitare la beneficenza in un modo eccezionalee ne' casi eccezionaliperchè soleva dir sempre: «aibisogni e alle disgrazie comuni e di tutti i giorni v'è chi cipensa; e perciò è necessario che qualcuno provveda aquei casi a cuiper essere insoliti o per trovarsi in contrasto conqualcuno dei pregiudizi più radicati nel mondonessuno vuolpensare». Sin qui però quelle donne esimie si sarebberoanche tranquillatema il loro dispetto più forte nasceva daciòche sebbene donna Paola non avesse veste nessuna dipubblico incariconè titolo sonoro che la distinguesse fra ledamenè croci stellatenè altropure ogni qualvoltasi mostrava in pubblico o appariva tra la minuta gentea preferenzadi tutte lororaccoglieva le più segnalate dimostrazionid'affetto; e spesse volte i poveri e gl'infelici che ricorrevano adessese mai insorgeva qualche difficoltà di soccorsomettevano innanzi il nome di donna Paolaquasi lor domandandoconsigliose era il caso di ricorrere a quella come a supremaautorità. Codesto fatto era il colpo più crudo perquelle esimie dame; e spesso i poveretti cheper inesperienzaingenuaavevano proferito quel nome veneratosi sentivanolicenziati con solenni rabbuffi e peggio. Tanto s'infiltra ovunque ilperfido amor proprioequand'è offesomette il turbamentopersino negli atti di carità!
Matornando ai fattidonna Paolaaffannata ed ansiosasalì lescale preceduta da tutti gli altri. Il servo gallonato della contessaArese era in anticamerae con esso un servo di donna Paolaallaquale e l'uno e l'altro contemporaneamente dissero:
—La signora contessa Arese è nella sala di ricevimento.
Ilrumore dei passi e delle voci fecero alzare la contessa dalseggioloneove erasi messa per meditare la formola migliore da dareal tristo annunciodi modo chequando donna Paola entròquella gli moveva incontro:
—Qual grave motivo vi ha costretta a venire da me in ora cosìtarda?
Lavoce di donna Paolala qual non s'era per nulla turbata quando ilParini le aveva narrato il fatto di suo figliotremavanell'esprimere quella domanda.
Unvago presentimento l'affannava eper di piùvedevasi innanziuna donna colla quale non s'era mai trovata d'accordo un momentosolo. V'hanno persone cherelativamente o assolutamentenellafaccianei modinelle paroleserbano un'impronta indefinibile chearrovescia l'anima di chisenza volerloè costretto atrovarsi con esse. E donna Paola era precisamente in questacondizione al cospetto della contessae per quell'impulso naturaleed invincibile dell'antipatiala quale spesso èun'ingiustiziama qualche volta è pur salutare comel'istinto; ed anche perchè sapeva come l'Aresedi cheto esott'acquafosse la sua perpetua avversariae si adoperasse amantenere contro di lei i rancori delle dame vegliarde sue degneconsociee soffiasse astutamente nelle irevelate di pretestidevoti.
Quandouna persona versa in tali relazioni affettive con quella a cui deveannunciare una disgrazianon è possibile che trovi in quelpunto il modo da farsi ben volere.
—Donna Paola si ricorderà dell'ultima mia visitarispose dopoqualche pausa la contessa.
—Me ne ricordosìsoggiunse con impazienza donna Paola.
—Si ricorderà anche del consiglio che rimessamente mi sonpermessa di darle... Ahi!... perchè mainella sua saviezzadonna Paolanon ha creduto bene di ascoltarmi! e mandò ungrave e lungo sospiro.
Davveroche si potrebbe forse scommettere che in fondo all'animo dellacontessa c'era un sentimento di compiacenzache le faceva trovareunaquasi diremovendetta nel dar quell'annunzio a donna Paola; unsentimento irresistibile e cheper mancanza di espressioni piùproprie e precisesi potrebbe chiamar fisico. Infattise non fossecosìperchè incominciare il suo discorso a quel modo?
—Ma in nome di Dioparlatecontinuava donna Paola; che cosa c'entrail vostro consiglio di tanti giorni facolla vostra visita diquest'oggi?
—Se quella fanciulla da voi protetta fosse stata ritirata dalmonastero in tempo...
—Che?...
—Quest'oggi non sarebbe scomparsa...
—Scomparsa!... Ma chi scomparsa? ma da dove? ma parlate piùchiaro e più spiccio.
—Donna Paola si tranquillizzi... Vi deve essere nota la visita de'fermieri in convento e il parapiglia con alcuni... non diròcattivima certo turbolenti e avventati giovinotti... LordGuglielmovostro figlioha voluto onorarli della propriacomplicità... e ciò mi rincrescemi rincrescedavvero... un così distinto giovane! Ma per non lasciarvi inpenevi dirò chementre avveniva il più strano eterribile caso che mai abbia sconvolta e funestata la santatranquillità di un conventoscomparvero due educande; donnaAdafiglia della contessa Cleliae una Crivello... della quale poinon mi so far capace in nessun modo... perchè era chiamata laperla delle educande.
—Scomparsa!!!... esclamò donna Paolalasciandosi cadere sulseggiolonee girando lo sguardo attonito su tutti gli astanti chepercossi e muti e immobiliguardavano lei.
Allorail più profondo silenzio si prolungò sino al punto chedonna Paolaalzandosi da sedere e stringendo le mani della marchesaOttoboni colle proprie convulse e tremanti:
—Povera infelice contessa proruppe... or che le diremo?... Ah! èuna disgrazia maggiore di tutte le disgrazie!
Eil silenzio continuò ancorafinchè fu rotto dalleparole della contessa Arese:
—Donna Paolanon v'è chi misuri e trovi giusto il vostrodolore più di me... ma se è permessa una riflessione incosì tristo puntolasciate ch'io ridica quello che ho semprepensato e detto. Non era convenienteper nessun contoche una donnavostra pari si desse tanto pensiero della contessache Dio peròle perdoni; nè che vi pigliaste tanta cura di quellafanciulla... molto meno poi fu conveniente il metterla ad educare nelmonastero... La nobil donna che m'antecedette come protettrice econservatrice di quel santo luogo... ha voluto fare a modo suo... hatrovato giusto che voi... che la contessa... ma in conclusione fu unoscandalouno scandalo inaudito che... e molti infatti dei nobili edottimi genitori che misero ad educare le loro fanciulle làdentro... se ne lamentarono e se ne lamentano.
DonnaPaolasprofondata nel doloroso suo pensieroa tutta prima non avevaprestato orecchio alla contessa Arese; ma arrestata da quella parolascandalosi scosse e comprese e si mise a guardar fissa lacontessaaspettando attonita la conclusione delle sue parole; se nonche non le bastò la pazienza di lasciarla finiree:
—Che mi tocca di sentire? proruppe; di che scandalo mi parlatedi chelamenti? Vorrei che parlassero a me questi signori padri e questesignore madri che voi mi nominate! Ma dov'è la legge delperdono? ma che nuova dottrina è la vostrama chi vel'insegna? La contessa Clelia è oggi un esemplare di virtùe di scienza. Ella ha provato al mondo chese si può fallireben si può rompere una mala praticaed oggiesponendo altruiil tesoro faticoso de' suoi studi severiè più utileal mondo che voi tutte colla vostra carità falsaper la qualevorreste messa alla gogna anche in fasce una creatura innocenteperchè... ma che perchè? La fanciulla Ada è lafiglia del conte V...chi può negarlo? voi soleegregie damedella caritàsiete state a far sorgere gli scandaligettandonel mondo le avventate congetture che la coscienzal'onestàla bontà dovrebbero sempre respingere. Ma sta a vederecontessache voi sareste capace di pensaree anche di volerlo farcredere a meche questa sventura possa essere un indiziodell'ammonizionedella punizione del cielo; perchè tra lealtre vostre abitudini avete anche quella di dar ad intendere diessere confederata al cielo in tutto quello che dite e fatee sieteper dire e per fare; così il cieloal cospetto del poverovulgo ingenuoingannato dalle false apparenzequasi parrebbecomplice della cecitàper non dire del pervertimento delvostro giudizio. Ed ora vi debbo direchedacchè ilmonastero di san Filippo Neri fu eretto dalla sua pia fondatricelavigilanza fu sempre così esemplare che non è maiavvenuto che scomparissero o vi si trafugassero fanciulle. L'esimiasignora che vi ha preceduto nell'incarico di proteggere quel sacroasilolo mise in tanta floridezzache da tutte le parti del Ducatofu una gara il mandarvi ad educar fanciulle. Ora è sotto lavostra tutelaed è per la prima volta che avviene unasventura di tal fattauna sventura la quale non puòascriversi che a disordine di regolamentoa incompleta sorveglianzaa incapacità tollerata nelle superiorealla insufficientecustodia del luogocose tutte di cui voivoi sola dovete renderragione... Ed ora che diremoche dirò io a quella poveracontessa Cleliala cui vita travagliata eadessodi tuttosacrificionon aveva altro conforto che l'esistenza di quella suaunica ed angelica figliuola?... che le dirò io? con che parolele scriverò? Ah!... avrei voluto morir primapiuttosto chesentire una simile disgrazia...
Ecosì dicendocadde spossata sulla seggiola.
—Condono al doloredisse la contessa rivolta agli astantidignitosamente burbanzosal'amarezza delle sue espressioni; eadditava donna Paola; ma nè la conservatrice del monastero nèla prioranè le suore maestre potevano rispondere dell'ordineconsueto del monastero in una notte di tanto trambusto. Chi potevaprevedere una perquisizione in convento?... chie fu il peggiolavenuta di que' giovani armati che tramutarono il monastero in uncampo di battaglia? E non posso tacere la voce che ormai circola perMilano... che quei giovani siano entrati in quel sacro asilo percoprire un colpevole intento con un atto coraggioso... Non possodissimulare essere generale la persuasione che quei giovani fosseroappartenenti alla pericolosa e iniqua società deiLiberi Muratori... Vi fu perfino chi... ma io non vogliocredere... vi fu dunque chi mise innanzi a tutti il nome di lordCrall...
DonnaPaola si volse a quelle parolee un lampo le balenò nelpensiero e un sospetto. Ellaavendo letto in cuore al figlioGuglielmo l'amore per Adaera la sola che di necessità dovevaessere più vicina ad ammettere quell'accusaripensando laquale e misurandola in tutta la sua gravezza si trasmutò invisoed essendosi sforzata a parlarenon potè.
Alloracorsero diverse parole tra la marchesa Ottobonila contessa Areseil Pariniil Frisi e gli altri. In fine la contessaavvicinandosi adonna Paolacon accento dignitosoma in cui fremeva l'aria deltrionfo:
—Io ho fatto il mio doverele dissese fui sollecita nel venirvi adavvisare di tutto. Credo che non avrete rancore con mese homanifestato le mie opinionicome io non ho nulla con voi se avetemanifestate le vostre. Io vi lascio intantopregando il cielo perchèvi dia buoni pensieri e la calma di sostenere un tal colpo.
—Abbiate i miei ringraziamentirispose donna Paolaalzandosi estringendo sbadata la mano che quella le porse. E la contessa uscìaccompagnata dalla marchesa Ottoboni sin sulla soglia della sala.Quando la marchesa tornò indietrodonna Paola stavainterrogando il Parini se fosse conveniente o no avvisare la contessaClelia di quella sventura.
—Bisogna scriverle senza perder temporispose il Parinianzisupplicarla di venir tosto a Milano. Io non m'arrogodonna Paoladidar consigli a voi; ma per quanto segnalata sia la vostra prudenza efeconda di consigli la vostra esperienza e operoso il vostro amorepure è necessario che in tal caso la madre sia qui. L'amormaterno serba delle virtù arcaneche talvolta arrivano adottenere quel che parrebbe impossibile ad ogni altra volontàintelligente e infervorata. Io ho un presentimentotorno aripeterloche soltanto la madre troverà sua figlia.
—Scrivetele dunque subitodisse donna Paolama non spaventatela. Unpretesto... una malattia... che so io?... ma badate di nonspaventarla... Povera Clelia!! ed abbassando la voce e facendosiall'orecchio di Parini: — Ed orasoggiunseio sono piùpovera di lei!
Pocotempo dopola carrozza venne a prendere la marchesa Ottobonia cuidonna Paola diede un bacio; anche gli altri partirono; e noi pureusciremo all'aperto.



III


Lacalunnia è un tema inesauribilepress'a poco come quellodell'amore. Si credeva che essadopo essere stata svergognatanell'ideale di don Basilioe messa in musica da Rossiniavrebbecessato di somministrar nuovi concetti al filosofo ed all'artista. Masiccome gli uominise appena appena si elevano di tantoquantobasta a destare invidiane hanno sentito nelle reni il coltellotraditorecosìanche dopo il fa diesis che Rossiniapplicò al colpo di cannonevi si fecero intorno deglistudji quali se non valgono ad esprimere con novità ilconcetto generale della calunniane mostrano però semprequalche nuovo carattere speciale e peregrino degno sempre di unparagrafo in un trattato di patologia sulla natura intellettuale emorale degli uomini.
Ilfiglio di Lorenzo Bruni che fanciullo conobbe donna Paola di personaci raccontò come anch'essaa sessantasei annidovettesentirsi avvolta dalla bufera della calunnia. Un nuovo modo dellaqualee si manifestò la prima volta allora per ferire quelladonna singolareconsistette in ciò chead assalirlacolseil punto in cui la virtù di lei aveva mandato il suo raggiopiù vivo e più caratteristico. Noi abbiamo veduto cheallorquando l'abate Parini le annunciò guardingo la cattura dilord Guglielmoellainvece di provare quella costernazione chetutte le madri nella sua condizione avrebbero provata a quellanotiziamostrò invece un vivo soddisfacimentoe disse taliparoleper cui fu manifesto che posponeva la tranquillità delsuo carissimo figlio all'idea generosa di vederlo in pericolo peressersi adoperato a vantaggio altrui. In quel secoloo per dirmeglioin quel periodo di secolo poltronela madre romana cheuccise il proprio figlio in punizione d'aver gettato lo scudo inbattaglia non potea avere dall'opinione codarda dei più che ungrado distinto tra le pazzie celebri; e però doveano fare unostrano senso le parole di donna Paola. Gli intelletti e i cuorisquisitichecome sempre e dovunquecostituivano una desolataminoranza anche nella società di casa Ottobonirimaseroammirati e commossi a tanto slancio d'insolita magnanimità; magli altriovvero sia i nove decimi di quella società stessasubirono una meraviglia ottusa e cretinaper la quale non poteanocapacitarsi che una madree una madre di quel senno tanto decantatodovesse esprimere così avventati sentimenti.
Guaise un atto qualunquesia pur originato dal più generosoimpulso e venga dall'uomo più incorrottosi eleva oltre lasfera delle abitudini vulgariin modo da non poter essere piùseguito dall'ala del senso comune! quell'attodi repentegirando dibocca in boccaè soggetto a mille esami fiscali; i piùviliche non possono nemmeno concepire le buone azioni comunisirivoltano come serpenti alla buona azione eccezionalela quale ègettata innanzi al tribunale della pubblica opinione come una colpavituperosa.
Maper vedere come la calunnia abbia lavorato ai danni di quella donnainsigneentreremo nel caffè Demetrio per assistere alprocesso con cui l'ozioonde canzonare il temposi spassa a farrotolare innocentemente le accuse a cui diedero la prima spinta ivili.
Dopoquella tal giornata memorabile del mese di marzo del 1750noi nonsiamo mai più entrati nel caffè del Greco o Demetrio.Bensìin sedici anninon mancarono di intervenirviquotidianamente quasi tutti coloro che abbiamo udito a far commentiintorno al tenore Amorevolistato colto dal barigello nel giardinodi casa V... Continuava ad intervenirvi anche quel tal chefind'alloraabbiam veduto sederequasi al banco presidenzialeinquell'assemblea di sfaccendatia tener la paletta e a ventilare ilbraciere delle novità e della maldicenza. Coluise nellerughe agli angoli esterni degli occhispiegatesi in forma diventagliomostrava che i tre lustri non avevano mancato di fare illoro doverenel rimanenteper saluteabitudinispirito eparlantinasi conservava perfettamente lo stesso. Ai vecchiavventori se ne erano poi aggiunti di nuovitra gli altri un talCarlantonio Basergastato già ragioniere maggiordomo incasa Origopoi venuto agli stipendj del monsignor G...ricchissimoprelatoprimicerio della Metropolitana. Quel signor Baserga venivadopo mezzodì a sorbire la cioccolata al caffè Demetrioe per essere un collo tortoe per aver fama d'essersi arricchitonell'amministrare le altrui sostanzeingannando i buoni padronicoll'ostentazione delle più devote pratichecoll'abbandonareper esempioun pranzo in venerdì o in sabatose mai avesseveduto qualche cappone mostrare i suoi pingui gheroni sulla tavola diun ricco gaudente; per essereinsommatenuto in conto d'astutoipocrita e d'indefesso procacciatore d'acqua pel suo mulinoeramalissimo veduto da quella società di gente allegra e un po'libertina.
Contutto ciòguardate caso stranola prima volta che coluisentendo a commentare in caffè l'avvenimento del monastero e aparlare di lord Crall e degli altripronunciò blandamente unaparolache cangiando di punto in bianco tutta la direzione dellecongettureschizzò uno spruzzo di veleno risolvente sullariputazione del figlio di donna Paola e su quella di lei medesimainquell'occasione tuttio quasi tuttiaguzzarono l'orecchio e loascoltarono ansiosi eosiamo direcon piacere; con tanto piacereche tacque pel momento l'invidiabile antipatia che avevano per esso.
DonnaPaola dovette allo slancio più luminoso della sua generosaindolese nella maggior parte che l'ascoltarono nacque un primosenso di maraviglia diffidente e di ripulsione. Il collaroneBasergaesoso a tuttinel punto che con più ardimentospiegava la sua mala naturaprecisamente in quel punto i credenzonigli si volsero più benigni. A seguire colla riflessionecodeste bizzarre contraddizioni della società che si piega adogni ventochi vive d'entrata può divertirsi tantoquantobasta per purgarsi delle amarezze che vi si raccolgono ad ogniminuto!
Un'oradopo mezzodìi nostri vecchi avventori erano dunque tuttiseduti in caffè; il nostro amico presidente passeggiavainnanzi e indietrocolle braccia conserte al pettocome se il mondoposasse tutto quanto sovra i suoi larghi omeri. Solo in un angolol'amico collaroneil signor ragioniere Basergasorseggiava lacioccolata.
Aquell'oracom'è naturaletutta la città era piena deifatti avvenuti la notte antecedentefiguriamoci poi se non ne dovevaessere completamente informata quella società di compagnonicacciatori instancabili di notizie e di pettegolezzi.
—Avete ragionediceva il presidente; il fattoanzi l'intreccio de'fattiè stranoè curiosoè avviluppato fino aparere inverosimilema è ancora un niente per sèstesso. Quel che fa strabiliare si è cheper questi fattitornino oggi in ballo precisamente coloro che tanti anni faprovocarono tali e tante ciarle da andarne sottosopra tutto ilDucato. Che la signora contessa Clelia abbia dato al mondo una bellafigliuola... niente di più naturale. Ma quel che fa senso èche da un monastero dove non è mai avvenuto scandalo di sortadebba scomparire una fanciullae che questa fanciulla siaprecisamente la figlia della contessa! Se ciò fosse successonel monastero di Santa Radegonda... non poteva andar meglio... DonnaPaola lo rese celebre per esserne fuggitae per aver avuta tantadrittura di cervello e forza e coraggio da farsi dar ragione anchedal papa... onde la fuga della figliuola di donna Clelia avrebbefatto di quel monastero un istituto sui generisda essere dipreferenza visitato dai forastieri.
—Se mi permetti di contraddirtisoggiungeva un altrosarebbe statoben più strano e inconcepibile che donna Paola avesse mandatoad educare la suadiròpupilla in quel convento stessodoveella aveva passata una gioventù tanto infelicee che lapupilla fosse poi fuggita di là appunto per imitare chil'aveva in tutela.
—Come vuoi tu...? Ma tornando alla scomparsa o alla fuga dellaragazzanon poteva al certo avvenire in un modopiù clamoroso; perchè gli ingredienti e della Ferma edelle guardie e delle schioppettate nel recintoe dell'interventodei Frammassonise sarà veroe del giovane lord Crallprecisamente di un figlio di donna Paolafanno un tal garbuglio e untal nodoche sfido la fantasia del prete Passeroni a inventarmeneuno più intricato... e scommetto checoll'andar del tempoqualche bizzarro ingegnose mai verrà a conoscere tuttaquesta matassae sia di quelli che o bene o male sanno tenere unapenna in manone stenderà la storia in modoche inipoti dei. nostri nipoti sentiranno il desiderio di essere natitanti anni prima.
—Ahè una gran donna quella donna Paola...
—Cosa c'entra adesso la gran donna?
—C'entra tanto chesenti un po'caro miogiacchè ti dispiaceche una notizia venga da una bocca che non sia la tuama l'hosentita stamattina nello studio dell'avvocato Fogliardi....
—Sentiamo; che cosa?
—Che invece di lamentarsi della disgrazia toccata al figliuolodonnaPaolajeri serain casa Ottobonise ne gloriava. e diceva che essoaveva fatto benissimo a comportarsi a quel modo...
Coluiche parlava non incontrava di solito l'approvazione dei compagnoniaffaccendati. Può darsi che forse rappresentasse il solitariobuon senso in perpetua lotta col senso comune; però fucontraddetto anche in questa occasione.
—Oh... tu la dici grossa... bada che donna Paola non avrà dettocosì... non è possibile....
—Se lo dicoè perchè lo so....
—Allora si vede che anche donna Paola può dir dellesciempiaggini... e cheper distinguersi dalle altre dameha volutofar la parte di Spartana. Io abborro tutto ciò che sa diostentazione...
—Ma che ostentazione?...
—Rallegrarsi perchè il figliuolo va in galera... ma sai tu cheè nuova di conio?
—Cosa c'entra la galera?... È motivo che la si deve guardare.
—Che motivo?... Già io non sarò mai per approvare checoloro siano andati con violenza a portar il campo di battaglia in unmonasteroper fare il bulo coi finanzieri. Non si potevanoaspettar in istrada... od assalirli nel loro nido?
—Bravo! per rimanere schiacciati dal numero. Saresti un generale assaiastuto... Bravo!
—Ma che bravo! Credi tu ch'io solo sia di questo parere?... tutti lodividono con me... E sfido io a pensar altrochi ha la testa sullespalle....
—Grida pure a tua posta; ma intanto ti prego a considerare che nonbasta aver la testa sulle spalle... quel che importa è diavere una buona testa.
—Signor buona testa... mi perdonidunque.... ma quando tu mi proveraiche la prepotenza di quei giovinotti...
—Ma ho da sentir a parlar di prepotenzaquando si trattava di sbarrarle bocche a quei cani de' fermieri...
—La questione non è sui fermieri... la questione è sesia stato bene entrar in un monastero a fare il gradasso... e a farstrillar le monache... bel gusto!... bell'onore!...
—Sono andati a cercarli dove si trovavanoe per coglierli nel puntocheper la prima voltaebbero la sfrontatezza di entrar in un luogoconsacrato alle sante vergini.
—Ma che sante vergini!...
—Sta a vedere che adesso l'hai colle sante vergini!... mentre primadisapprovavi chi aveva loro turbato il sonno. Ma dov'è laconnessione delle idee?
Ilpresidentemesso alle strettefaceva gli occhiacci all'avversarioquando l'amico collarone entrò a parlare:
—Con buona pace di loro signori... se mi permettonodiròanch'io il mio parere.
Tuttisi volsero.
—Trovo che il signore ha ragione nell'asserire che donna Paola nonaveva poi tanto a gloriarsi che suo figlio siasi cacciato inmonastero per calar la spada sulla testa de' fermieri.
—Diavolo!... si può pensar diversamente?... e il presidentechiacchierone guardò con amabilità insolita l'ipocritacollaronea cui aveva pur sempre e fatto e detto delle scortesie.Maper un'altra delle tante debolezze umanequando uno è acapegli con un avversario in una disputa qualunqueevolendo averragione ad ogni costosi sente a dar torto con virulenzanon tardaun minuto a farsi amico del primo che venga in suo soccorsofossepure colui il peggiore suo nemico.
—E trovo inoltre di direcontinuava il signor Basergache lord Crallnell'entrare armata mano in monastero ha commesso una solenneprepotenza.
—Diavolonon si può avere un'altra opinione.
—E i fermieriche Dio però li tenga lontani dalla mia casadovevano essere attratti in altro modoe sfidatise pur si volevanosfidarein altro luogo.
—Così è certissimamente; allora avrebbe potuto dire diaver saputo respingere la violenza stando sul terreno della legge. Èchiara come il sole.
—Sicurocertonon c'è che diresoggiunsero allora tutti incoro.
—Non c'è che dire? Adagiosoggiungeva l'uomo del buon senso;c'è da dir qualche cosaperchè quando sento a parlardi leggeho l'onore di dire che a bastonare le guardie della Fermaanche in un'osteriail terreno della legge sarebbe stato invasotantoquanto ad averli percossi in convento... e che dall'istanteche si doveva dar di cozzo e nella legge e nell'autorità vivae recente e calda di un editto che non parla a mezzaboccatantovaleva un'osteria quanto un monastero; anzi il monastero spiega laragione e della difesa e della protezione dei deboli; e l'osteriainvece avrebbe presentato il sospetto di una rissa plebea e villanae tutt'altro che degna di gentiluomini...
—Se il signore mi ascolta... sentirà che non si trattava didifesa... bensì era una trappola tesa da lontano...
—Che? come?
—Ma innanzi tutto devo dire chese loro signori sono tra i caldiammiratori di donna Paolaio ho l'obbligo di tacere.
—Ma parlima parligridava il presidente. Ohsarebbe bella che...Vi rammentate quel che ho detto un giorno in cui abbiam veduto donnaPaola nel carrozzone scopertoseduta insieme colla figlia dellacontessa Clelia che le stava pressoe col giovane lord sdraiatodirimpetto?... Io le vedo da lontano le cose... Ma se sta ilsospettola contentezza mostrata da donna Paola deve aver bene lasua ragione.
—In fatti non è senza ragione. Ascoltino.



IV


«Nonso se loro signori conoscano il fatto della lite intentata dal signorconte V... alla contessa sua moglieriguardo alla figliuola che fumessa ad educare nel monastero di San Filippo.»
—Altro che conoscerlorispose il facente funzione di presidente degliavventori del caffè; per non esserne al fatto bisognerebbeaver viaggiato tutti questi anni lontano da Milano.
—Tanto meglio... ma forse non conosceranno la parte attivacontinuacaldainstancabile che donna Paola ha avuto in questa faccenda;tanto chesebbene il conte fosse dalla parte della ragionee perquanto la contessa fosse convinta... del suonon si può ameno di direvergognoso trascorso... pure... l'illustrissimo signorconteper sentenza del Senatovenneor non sono molti giornicostituito nei diritti e negli obblighi della paternità versola figlia della contessa... Questo forse loro signori non losapevano.
—Lo si sapeva assai benee quasi avevam stabilito di fare unaserenata di congratulazione al signor colonnello...
—Ella ridesignore; e fa beneperchè non si trova ne' pannidel colonnello; ma lasciando lo scherzoche ne pensa ella dellasentenza del Senato?
—Che può far numero colle tante e tante altre ingiuste eassurde che ha pronunciate in trecento anni.
—Bravo!
—Chi bravo? il Senato? disse l'uomo dalle opinioni solitariesorridendo ironicamente.
—Cosa vorresti dire tu?
—Che non divido il tuo parerenè il parere del signoree cheil Senato...
—Or sta a vedere che costui è capace di farci il panegiricoanche del Senato...
—Va adagiocaro mioe se hai buona memoriadevi ricordarti che adodiare il Senato t'ho insegnato io... Dunque non c'è pericoloch'io voglia lodarlo adesso... Ma altro è avergli avversionealtro è dire che siano ingiusti tutti quanti i suoi atti.Diavolo! non volete voi che qualche voltaper isbaglionon possaanche il Senato servire alla giustizia? Questoper esempioèun caso.
—Giustizia l'aver dichiarato che il padre della figlia... sìinsommaci comprendiamodeve essere il signor colonnello?...
—Giustiziasì... e chi non lo crede si diverta; ma se tuttihanno gli occhi nella testanon tutti li hanno nella mente... e sevoi altri...
—E che fa a noi il vedercise tu ci vedi per tutti?
—Non andare in collerae ascolta: già la giornata èlungae al terzo pasto ci mancano molte ore; ascolta dunquee sicompiaccia d'ascoltare anche quel signoree prima di tutto vorreipregarlo a provarmi che la sentenza del Senato è ingiusta.
—È una cosa così chiara e lampanteche è piùfacile vederla che dimostrarla. Come farò io a dimostrare e aprovare a lei che oggi è una giornata caldase ella mi diced'aver freddo?...
—Il signore conosce l'arte delle anguille... me ne congratulo tanto...ma qui non si tratta nè di caldo nè di freddo... sitratta di torto e di ragionee di un fatto in cui ci son gli indizje le prove palmari e dell'uno e dell'altra... Ho dunque l'onore didirle che nelle consuetudinie negli statutie negli interpretiifigli di un matrimonio appartengono tutti a quel padre che non s'èmai diviso dalla moglie in faccia alla leggee che dalla legge nonfu dichiarato prosciolto dai vincoli di marito... Oradurantel'intero anno 1750il signor colonnello non fu mai legalmente divisodalla signora contessa.
—Questo è vero... ma...
—Che ma? in aggiunta poi ho il piacere di dirle che il signorcolonnellotanto è più grande e grosso quanto menoacutoper paura forse che la pratica del foro milanese non bastassea salvar la riputazione della moglieandò espressamente avisitarla in Venezia... e più d'una volta fu alla casadov'ella alloggiava; il che venne constatato dalle testimonianze e diquei padroni di casae dei servie del guardaportone... Ècontento ora?....
—Tutt'altro; bensì le dirò che il signor contedifesodall'avvocato Rapazziniche è l'avvocato di monsignore miopadroneha opposto al fatto dell'essersi presentato due volte allacasa della contessa in Veneziaquello del non essersi mai trovatodavvero con lei.
—Davvero?... cosa significa davvero?... Ha prodotte testimonianze ilconte?
—No.
—Dunque?
—I testimonj furono interrogati capziosamente...
—Cioè?
—Cioè... cioè... S'ha proprio a dir tutto?
—Se ci dobbiamo intendere!
—Dunque le diròche la formola dell'interrogatorio fu regolatain modo da voler manifestamente giovare alla contessa...
—Chi lo ha detto a lei?
—Dal processo verbale appare che i testimonj non dovettero rispondereche a questa semplice domanda: È vero che il conte sipresentò in Venezia alla casa della contessa? e itestimoninaturalmenteanche senza pericolo di dire il falsohannorisposto di sì... e su questo «sì» venneinnalzato tutto l'edificio della ragione della contessa e del tortodel conte. Ed ecco come si fa a dar di gambetto alla giustizia... Efu donna Paola a subornare i giudici; ella che li invitava a pranzo eli regalavae...
—E perchè doveva far tutto questose anche senza le visite delconte alla casa della contessa in Venezia la pratica del foro lodichiarava padre della nata... e per conseguenza...
—Che conseguenza?...
—Una bellissima conseguenzaed è questache la figlia dellacontessa sarà un giorno una delle più ricche dame dellacittà.
—Ah... qui ci siamo e qui lo volevo! gridò allora ilmaggiordomo Baserga con un impeto che tradiva la sua natura chiusasubdola e circospetta.
—Ecco perchè donna Paola s'interessò tanto in questafaccenda... La cosa che più di tutto premeva a quella donnaerache la figliuola della contessa potesse recare una pinguissimadote al futuro marito. Comprendono ora loro signori?
—Guarda un po' se io mi sono apposto bene? soggiungeva il facentefunzione di presidente. Or ecco com'è la cosa...
—È vero...
—Non può essere diversamente...
—Peròo in un modo o nell'altroquella donna è sempreuna donna di gran testa.
—Questo è un altro pajo di maniche; altro èl'essere una gran testaaltro è l'essere una santaun'eroina... unache so io?... perchè qualche volta il mondoimpazzisce... e c'è da stupire pensando che doveva meritarsiil nome di venerabiledi santadi miracolosachi avea saputofuggir da un conventodi notte e coll'amante!
—Mi stupisco molto di leirispettabilissimo signor maggiordomodiceva il solito contraddittoremi stupisco molto di lei chementrecon tanta edificazione del pubblico suda a tenere uno degli ottobastoni del baldacchino del Duomo nell'ottava del Corpusdominiparliin tal modo di una dama che meritò sì distinti riguardidal santo padre e dal suo concistoro...
—L'astuzia può arrivare ad ingannare chicchessiamio signore.
—Non il pontefice però... badi chea contraddirmiellaincorre in eresia...
—Ma lasciagli continuare il discorsoseccatore eterno che sei!
—Continui pure... Son curioso anch'io di sentire a che conseguenze eici vorrà tirare.
—E non ha già compreso ogni cosa la tua buona testa?
—Questa volta non ci arrivo proprio; ho bisogno che il signore sispieghi in lungo e in largo.
—Il signor maggiordomo vuol direche alla esimia donna Paola premevache la figlia della contessa fosse dichiarata legittima figliuola delsignor conte colonnelloperchè così sarebbe stataricchissima; e ciòcom'è ovvio a credereper aver intutela la futura moglie del proprio figliuolo. Hai capito adesso?
—Precisamentecosì...soggiunse il maggiordomoed ioperpoter dir questoho dei riscontri che non sbagliano.
—Ma volendo pur concedere che la cosa sia come ella dice... io nontrovo poi che nel desiderio di accasar bene il figliuolo ci sia colpadi sorta; nobile e ricco l'unonobile e ricca l'altragiovani ebelli ambedue. Che ci trova ella a dire in contrario?
—Quando il signore sia capace di provarmi che è un atto divirtù e generosità il lavorare assiduamente e in unamateria così delicata per arricchire la propria casa a spesealtruiper me non ho nessuna difficoltà a lasciarmiconvincere. Prima però faccio osservare che la contessinaaveva avversione al giovine milorde non mancò dimanifestarlapoverina! ed io so chein propositoci furono deidisgustidei gravi disgusti in casa. Donna Paola vagheggiava laricchezza futura e la splendida posizione del figlio... troppogiusto! il figlio vagheggiava la bellezza della ragazzadella quales'innamorò pazzamente... è da compatire. Il cocchieredi casa Pietra è fratello del cocchiere di monsignore... ecome loro sannoi segreti dei padroni son sempre messi in piazza daiservitori. Così dunqueper continuaremadre e figlio sistrinsero in lega per tirar nella rete la giovinetta inesperta...Questasgomentatal'ultimo giovedìgiorno in cui era solitauscire per andare in casa Pietravolle di forza rimanere inconventoe resistette alle sgridate della madre superioraignaradei lacci; e respinse le preghiere della governante di donna Paolache era andata a pigliarla in carrozza. Loro signori mi guardanoattenti e maravigliatima non aggiungo nè un punto nèuna virgola alla verità. Ma i sepulcra dealbata sonoantichi come la lettera del vangelo; e finchè una persona nonè mortanon la si può giudicaree spesso la fortuna ètanto benigna con certuniche aspetta il punto in cui vien loro datol'olio santo per alzare il bianco lenzuolo che da anni ed anninascondeva le nere magagne. Che se donna Paola non ha potuto aspettarl'oliovuol dire che la fortunala quale è capricciosas'èdisgustata seco tutt'in un tratto. Così èsignori; delrimanenteche la fanciulla sia scomparsa dal monastero è unfatto che tutti conoscono fin da jeri; che poi sia stato lord Crall afarla scomparire è il fatto che io ho l'onore di raccontareoggi per la prima voltae se non credono a mevadano al criminale einterroghino qualche attuaroe sentiranno; sentiranno chi èstato a ordir la cabalaa riscaldare quegli otto o dieci giovinotticontro le guardie e i commissarj perquisitoria far nascere tantodisordine e tanto scandalo in convento; sentiranno e confesserannoper la seconda volta che donna Paola Pietracome ha detto questosignoreè proprio una gran donna! Ma con quello spiritoturbolentoaudaceirrequietoe con quell'astuzia in corpo sarebberiuscita assai meglio nei panni di un uomo; e seper un modo didireavesse abbracciato il mestiere delle armichi sa mai?...Federico di Prussia avrebbe forse avuto un competitore.
Questeparole del maggiordomocalmecontinuestringentipenetrarononelle menti degli ascoltatori ad imbeverle tutte quantecome quellepioggerelle minute e fitte dell'aprile che infiltrano la terra;aggiungeremo anzi cheper un istantene rimase penetrato anchecolui che pur s'era preparato a far testa al maggiordomo con tuttigli sforzi d'una incredulità sistematica; di modo chementregli altri si ricambiavano a vicenda delle esclamazioni di meravigliapiombando tutti in colonna serrata sulla riputazione di donna Paolacolui passeggiava silenziosonon sapendo a tutta prima comeribattere le velenose insinuazioni del collarone del Duomo. Mainfinecaldo di sdegnosi piantò nel mezzo del caffèe:
—Caro signoreesclamòpermettetemi di dirvi che io non credonulla di tutto quanto avete raccontato. Ci vuol altro che qualchechiacchiera sciocca della servitù ignorante per martellarecosì su due piedi una riputazione di cinquant'anni. Eppoicome farete a spiegare il modo con cui lord Crall in quel serra serraavrà potuto trafugare o far trafugar la fanciulla tutt'altroche dispostacome voi stesso avete detto ad uscir dal monastero? Econcesso pure che tutto fosse stato concertato per fare il colpo consicurezzacome c'entrarono i commissarj e le guardie della Ferma?Pretendereste forse cheper fare un favore a donna Paola e al figliodi leiabbian voluto aver la compiacenza di farsi pestare e ferireed uccidere dagli assalitori amici di lord Crall?... Abbiate dunquela bontà di ponderare un po' meglio la storiella... e vedreteche tosto si risolverà in una favoletta alquanto scipitasevoletema molto maligna.
—Io ho raccontato quello che so.... quello che non so... non posso nèdire nè spiegare.
—Ma io spiego benissimo quel che a voi sembra intricato e oscurosoggiunse allora il facente funzione di presidente. Dal momento chelord Crall e donna Paola avevano stabilito di fare il colpoaspingere le guardie in convento bastavacom'è chiarissimouna denuncia segreta all'amministrazione del tabaccoa carico dellesignore monache... Dunque..
—Va adagio coi dunque… e piuttosto pensa alle conseguenze... epensa alla consumata esperienza di donna Paola; la qualequando maiciò che non si deve ammettere nemmen per celiafosse cosìastuta ed iniquanon avrebbe mai voluto compromettersi in un modotanto vituperevole e scandaloso; perchè la fanciulla dovràpure saltar fuorie alla fanciulla non si può mettere ilbavaglio alla bocca; e se lord Crall gli era odioso primatanto piùgli diverrebbe odioso dopo. Insomma l'assunto di questo signore e lavostra credulità mi riescono tanto assurdicheanche solo agettare il fiato per confutarlomi par di dividere la vostrabalordaggine.
Costuinon avea finito di parlareche da uno stanzino contiguo alla saladel caffèdove i riguardosi sedevano a bever la cioccolatauscì piantandosi sulla soglia l'alta e magra e dignitosafigura dell'abate Pariniil qualedopo un po' di pausamaestosamente zoppicando si fece presso a quello appunto che avevaparlato ultimo e:
—Amicodissestando di là... v'ho sentito e lodato: maseavete senno e rettitudinecontinuando a star con costorofinireteper perdere e l'uno e l'altra.
Esenza piùvolgendo in giro sugli astanti il suo grand'occhiopieno d'espressione severaattraversò la sala ed uscìdal caffè Demetrio; e un lettore d'Omeroguardandolobenpoteva ripetere


Indicoll'ira
Dichi vibra dall'alto armi celesti
Taciturnocon lente orme si tolse.



V


Quandoil Parini fu uscitoaveva lasciato dietro a sèquasidiremmoil profumo della sua nobile natura. Quanti erano raccolti incaffè stettero alcuni istanti senza parlareassorti in quellanuova atmosfera; così se una elegante gentildonnapassando inmezzo ad una frotta di rozze contadine che alterchinoavvien che leavvolga nella fragranza lasciata dalle sue vesticoloro si taccionoirresistibilmente comprese di quell'aura odorosa. Quel silenziorispettoso però non durò moltochè al paridelle rozze contadinele qualisvanito il profumoderidono lasquisitezza di chi lo ha lasciato indietroanche quei compagnoni sirivoltarono contro l'autorità dell'alto poetae:
—Bella anche questacominciò a dire il ventilatore delbraciere; curiosa davveroche uno si creda in diritto d'insultareuna società di galantuomini perchè ha stampato de'versi chese i suoi amici dicono il verosaranno immortali.
—Ma è assai più stranosoggiunse il Basergache chi siarroga d'insegnare i buoni costumi a' ricchisi trattenga poi in unabottega ad origliare i discorsi altrui. Del rimanente loro signorisapranno che l'abate Parini è stato il precettore de' figli didonna Paolae che anche adesso frequenta assiduamente quella casa.
Proferendoqueste parole il signor Baserga si alzò ed uscì. Coluiche il Parini avea onorato del nome di amico uscì purepernon intrattenersi in nuovi ed inutili alterchi. Gli altri poi sifermaronoeliberati dalla controlleria d'un contraddittoreperpetuoridussero a più chiara e speciosa lezioneerimpolparono colle loro congetture il racconto del maggiordomoperchè potesse circolare con miglior successo fra il popoloed essi medesimi s'incaricarono di farne gli spacciatori; press'apoco come gli editori francesiquando hanno ridotto in formadi libro accessibile a tutti qualche nuovo trovato della scienza.
Edora dirà il lettore: come mai in tanto cicaleccio del pubblicoattento ai fatti che abbiam narrati e ai personaggi che ligenerarononon saltò fuori un sospetto che venisse apercuotere e a trarre innanzi al tribunale dell'opinione pubblicaanche la persona del Galantinoche necessariamenteperl'associazione delle coseper la memoria del passatoper la suacondizione che lo faceva quasi vivere una vita pubblica al cospettocontinuamente del pubblicodoveva essere ricordato inquell'occasione?... Come mai dunque ha potuto passarsela nettasenzache nessuno pensasse a luipur dal momento che si voleva andare incerca di un rapitore qualunque della fanciulla? che si conoscevano lesue abitudini libertinee l'audacia sfrontata onde solea valersianche in quelle tresche che per lui non erano che un divertimentodagli affari; cheed è il piùa tutti era noto averesso abitazionegiardino e deposito di mercanzie in luogo attiguo almonastero di San Filippo Neri? Dare a questa domanda una risposta chesia l'espressione del vero non è possibile; ma volendo purarrischiare un'opinioneci parrebbe di poter dire che il pubblicod'allorail qualecome quello di tutti i tempitalvolta ècapriccioso al pari di un ragazzodi quel personaggio eteroclito delGalantino aveva tanto parlato e straparlato; lo aveva accusatomanomessovituperatomaledetto in tanti modi e a tutte l'orecheoramai era quasi sazio di occuparsi di lui. Così vediamoqualche fanciullo dimenticare in un angolo della camera da giuoco ilfantoccio col quale s'era scapricciato a strappargli testabraccia egambe sotto gli occhi stessi dell'ajo; ma di soppiatto poi farsi arompere un prezioso oriuolo per vedere com'è fatto di dentro.Che che ne siail pubblico vuol variare le vittime; talvoltastancodi percuotere i tristi passa a maltrattare i buoni. La storiad'Aristide rimane sempre là ad ammonirci di questo fenomenoperpetuo.
Ortornando al Galantinose il pubblico non pensava a luipensava benegli a se stessoe più seriamente che non avesse mai fatto intutta la vita. La passioneche è come l'ubbriachezzaloaveva portato fuori alquanto della sua natura. Sebbene astuto eantiveggente per una straordinaria saldezza d'intellettopureprimadi compire il fatto del trafugamentoaveva creduto che nella solariuscita di quello vi fosse l'adempimento de' suoi desiderje sidovessero trovare tutti gli elementi necessarj per mandare ad effettoogni suo disegno. Madopo qualche tempodopo che ebbe messo alsicuro d'ogni ricerca le due fanciulledopo che ebbe finito dipensare alla prima partediremo cosìdella sua impresalaquale per verità era la più arrischiata e la piùdisperata; forse anche dopo che il Baroggiinvece di confortarlo losbaldanzìebbe campo di considerare più freddamentetutte le conseguenze possibili di quel primo audacissimo passoe siturbò. Il fatto segnatamente che dominavae quasi atterrivala sua audaciaera il contrattempo della fanciulla dei marchesiCrivelloche non s'era potuta svincolare dall'altra. Pensava che lapropria ricchezza avrebbe reso meno odiosa la proposta d'unmatrimonio agli occhi della nobiltàche l'amore appassionatodella fanciulla per lui avrebbe intenerito i cuorionde facilmentesi sarebbe messa una pietra sui fatti avvenuti; ma a guastargliquesta speranza e queste belle idee ridenti entrava il pensiero che iparenti della Crivello avrebbero reclamato dall'autorità lapiù severa punizione del trafugamento. Benedopo l'assaltoimpetuoso di questi timorila sua mente feconda almanaccavaimprovvisando progetti di difesa e di nuovi inganni e d'insidienuove; ma colla stessa facilità con cui li aveva improvvisatili rifiutava poi uno dopo l'altrocon dispetto iracondoal pari diun poeta chenell'ansia della composizionenon trovi un'idea chegli attalenti.
Inconclusionese i nostri lettori hanno potuto maravigliarsi edolersiche un così astuto ribaldo sia stato sempre fin quiportatocome suol dirsiin braccio dalla fortuna; possono oraconsolarsi nel vederlo finalmente esso alle prese con un pericolo chenon sembra voler offrire un varco probabile di salvezza.
Quandola mattina del giorno successivo al tafferuglio del monasterol'abbiamo udito a parlare col Baroggiei ci dovette sembrar ancorpieno di sicurezza e baldanza; ma ciò dipendeva che non s'eraancor trovato al cospetto delle due fanciulle dopo riavute dallostupore e dallo spavento che nella notte le aveva oppresseal puntoda non poter parlare fino a tanto che videro un volto di donna. Maallorchè si recò nella casa del Baroggie parlòalle ragazzequeste si comportarono di manierache sentì lanecessità di allontanarle da Milano; e quando egli stesso inpersona e con cautela le ebbe accompagnate in un luogo in riva allago di Como insieme colla madre del Baroggipotè accorgersiche la presenza della Crivello rendeva pericolosissima la custodiadelle fanciulle; e tanto più avuto riguardo allo spiritoreligioso e bigotto della donna a cui le aveva affidatela qualeeccitata dagli scrupoliavrebbe potuto parlare e metter fuori il suonome.
Eperciò avea pensato di non condurle in nessuna delle terre cheaveva in proprietàma sì in un luogo d'affitto pressoTornoborgo ch'egli conosceva assai beneper avere avuti affarinegli anni addietro col proprietario d'una fabbrica di lanal'ultimarimasta delle tante di cuiprima delle guerre de' ComaschiTornoera pieno. Il luogo poi dove aveva loro trovato stanza eraMontepiattosituato sopra Tornoe noto per esservi stato unconvento di monache. Queste circostanze del sito preciso dove donnaAda della contessa V... e donna Giacoma dei marchesi Crivello vennerocollocate sotto la custodia della Baroggisono esattamente riferitedal monaco Benvenuto di sant'Ambrogio ad Nemus; e diciam questoperchè non si creda che da noi siasi scelto quel luogosoltanto per aver l'opportunità di fare una nuova descrizionedel lago di Como. Il classico Lario stancò la penna di tantiscrittori di prosa e di versoe i pennelli di tanti paesistichenon è possibile che chi non aspira ad assere nojoso creda diringiovanire tra congetture della causa del fonte intermittente dellaPliniana e l'etimologia della parola Tivano. Bensìquando ci fosse capitato una landa uggiosa della bassa Lombardiaforse ci saremmo fatto un grande onore a descriverlaper la ragioneche ci piacciono i temi dimenticati dagli altri; ma il monacoBenvenuto ci ha condannati a non poter scegliere un paesaggio dinostra fantasia.
Senz'obbligodunque di far descrizionirechiamoci a Tornoovvero sia aMontepiattoa toccare il polso febbrile della giovinetta Ada...
Senon che questo nome ci ammonisce d'una dimenticanzaper la qualedobbiamo indugiarci ancora un istante a Milanoe dir qualche paroladell'illustrissimo signor conte colonnello V... per tanto tempotrascurato da noicon un dispregio che parrebbe superar quello dellacontessa.
Questafermatina ci torna inoltre necessaria a far conoscere una nuova emicidiale bocca da fuocoapertasi all'impensata per rendere ancorapiù difficile la posizione del Galantino. Dal ragioniereBaserga abbiamo saputo cheper decreto dell'eccellentissimo Senatodi Milanoera stata dichiarata la paternità del conte V...rispetto alla fanciulla Ada. Dio sapenserà il lettorediche scoppio di furore avrà dato spettacolo il conte allanotizia di quel decreto! ma in vero che avvenne il contrarioed eccocome. La natura del conte ci è nota. Forza muscolareassorbente l'intellettualecuore schiettonascosto ed avviluppatoin mille modi dall'orgoglio di castadall'intolleranzadallaspavalderia soldatesca; e nel tempo stesso un corredo di pregiudizjcosì inveteratiche lo facevano devoto al principiodell'autorità. I senatoriad uno ad unoei li avrebbein unbisognofatti correre a squadronatema il Senato tutt'insiemeraccoltoma il presidente di essocircondato dalle piùpompose apparenze del pubblico ossequioche veniva chiamato Quasirex e pareva un semidioimponeva alla sua imaginazione; ildecreto pertanto che emanò da quel formidabile consessofirmato da coluiche solo col suo carrozzone lentamente tirato daquattro cavalli aveva il privilegio di poter interrompere l'ordineregolare delle carrozze sul corso di via Marinagli fece un talsensoche credette più a quel decreto che a sè stesso.A questo però conviene anche aggiungere che il furore divendetta aveva avutoin quindici anniil tempo di svaporare; chel'avvocato il quale difendeva il suo diritto e gli altri causidiciconsulenti non gli aveano mai data per sicura la vittoria sulla parteavversaria; che (e forse questa fu la causa prevalente)avendo avuto più volte occasione di veder la fanciulla Adaquell'aspetto leggiadroattraversando soavemente gli orgogliidisdegnii pregiudizjgli penetrò fino al cuoree visi fermò. Spesse volte nella solitudine della sua casavedovilepensando a quel vago angelosi sentiva commossorimeditando le sventurele quali non vollero che la sua casa fossebenedetta. Un giorno perfino si pentì d'aver gettato loscandalo nel mondo con quella lite giuridicae si corrucciòd'aver voluto respingere per sempre da sè quella creaturainnocente.
Oarcani dell'umana naturaper cuitalvoltacolui che sembra il piùimmiteal contatto di contingenze speciali diventa il piùaccessibile alla tenerezza! E questo appunto era avvenuto del contedi modo cheallorchè uscì il decreto del Senatoquasine provò gioja. Però fu il colpo più spietatodella fortuna quello per cuidopo tre giornila fanciulla che perforza gli era stata imposta dalla legge ed egli l'aveva accettata inpaceimprovvisamente scomparve! Quando gli amici stolidicredendodi fargli piaceregli recaron l'annunzio di quel fattoil suofurore non proruppema scoppiò con tal impetoche quasiparve presentare i sintomi della forsennatezzae gli astanti nestupirono come quelli che non potevano comprender tutto. Cosìun nuovo formidabile avversario sorsenon sospettatoa far piùimpacciata la condizione del Suardiche contro di tutti si sarebbemesso in guardiafuorchè contro di lui.
Edor che sappiam questopossiamo recarci in riva al Lario afare una visita alla povera Ada.



VI


Ogiovinette leggiadrefiorentiappetitoseche avete tanta virtùda fermar l'attenzione persin di coloro chesotto il cumulo degliaffannidel tediodelle disillusionimetterebbero volentieri lavita all'asta! o giovinette care e troppo care cheper le vostrequalità attraentivi trovate nella condizione precaria delleallodoledelle quagliedelle gallinelledei tordi e delletordellequando i cacciatori battono la campagnae son tese nelleampie tenute le brescianelle e le ragnaje! O giovinetteascoltate ilparere di un galantuomo. Non vi fidate mai della bella faccia e delbel vestito di un giovane ignoto che vi segua al corsoche vi aleggiintorno quando sedete a rinfrescarvi col sorbettoche rinnovi lepazzie del conte d'Almaviva sotto al vostro balcone. Non vi fidate eprudentementeprima di lasciar cadere su di lui una di quelleocchiate eloquenti e compromettentiche quasi hanno la forza di unacambialepigliatevi l'incomodo di domandar conto di essodi farneassumere le più minute informazioni coll'esattezza di unimpiegato di circondario. Io so quello che dico. Il viso ingenuopotrebbe essere la maschera di un perfido mascalzone. Il frac dipanno sopraffino potrebbe coprire un debitore cronicoun avventoreassiduo della Pretura Urbana. La faccia giovanile potrebbeappartenere al padre di una mezza dozzina di figli mantenutipiùche da luidalla moglie venutagli a noja. Però vogliate averla bontà di confidarvi colle vostre madri e colle vostresorelle maggiorise non amate comprarvi affanni e spasimie correrpericolo di smarrir la freschezza e la beltà!...
Coloroche furono sì ciechi da credere immorale il nostro librosiaffrettino ad ammirare il sermone or ora fatto e non perdano questabella occasione di cambiar di parere. Povera Ada! è dessa checi mise sul labbro le caritatevoli parole.
Sele prime volte che ella vide la figura del Galantinoe sopratuttoquando cominciò a sentire sommosso il sangue da quel leggiadroaspettoavesse domandato conto di colui alla governantecheinsieme colla livrea di casa Pietra Incisaandava a levarla dalconvento; certo che la storia dell'ex-lacchè le avrebbe fattotorcere il viso inorriditatutte le altre volte che si fosseincontrata in esso; perchè la forma esteriore non basta adacciecare anche la più inesperta delle fanciulle; tanto piùpoi quando l'amore è ancora nel primo stadio della simpatiaenon è penetrato nel più profondo del cuore. Ma invecedi parlare si tacqueper quell'astuzia istintiva che si mescolaanche all'innocenza più ingenuae pel pudore di nominare unbel giovane alla governante. Se per colui non avesse provato che unacuriosità indifferenteil pudore non l'avrebbe trattenuta el'astuzia non l'avrebbe costretta a tacere per tema che lagovernantemessa in sospettonon fosse per cambiar strada inavvenire.
Main ogni modoella è degna di pietàpiù che dibiasimose inciampò nell'agguatoal pari di un'augellettacheimmatura sporgendo il capolino dal cavo dell'alberoètosto ghermita dal cercatore di nidi.
Bensìd'ora innanzi saranno più degne di biasimo che di pietàquelle fanciulle chedopo aver fatto conoscenza colla giovinettaAdanon vorranno ascoltare i nostri consiglied apprendere dallesventure di lei l'utile lezione.
Intantonoi dobbiamo far silenzioseascendendo verso Montepiattovogliamovedere un quadro mobile e quasi immobile di tre figure femminili. Unadonna di quarantacinque anni circaseduta sotto il pergolato diun'umile casetta; a qualche distanza da leiall'ombra di uncastagnoadagiata sull'erbauna giovinetta piccola e rattrattaconun visino in cui brilla una vivace sebben mesta intelligenzavisinoche sarebbe bello se non fosse troppo acuto; più in giùverso il lagoassisamedesimamente sotto un castagnoun’altrafanciullala nostra Adaassortamutache volge lo sguardosull'onda sottopostae lo gira lento lentoma con moto macchinalea seguire qualche vela che si dilunga.
Ègiorno di domenica: è quell'oradopo i divini ufficjin cuila gente del contado è raccolta nelle casupole intorno alpovero descoe in cui il silenzio è profondo e diffuso intutta la solitudine del lago; e per renderloa così direpiùpresente al senso e penetrante più addentro nell'animodalgiardino di qualche villa signorile par che apposta s'innalzi diquando in quando lo strido acuto di un pavoncelloingrato come unatrombetta fessa.
Chiè fresco d'un'eredità o ha vinto una lotteriaquegli acui per una special benedizione del cielo la vita scorre normaleregolareinfallibilecome la sfera di un orologio a cronometrotanto chese c'è un pericoloè forse che la soverchiapace gli può rallentare la circolazione del sangueal puntoda metterlo all'impensata sotto la protezione di Sant'AndreaAvellinoe felice notte! coloro che sono circondati da una prolesana e da una densa moglie fedele e a cui sono fedeli; coloro chebenedetti dal papàdalla mamminadai parentidallo ziofacoltoso stanno beatamente sfiorando il primo quarto della luna dimielesi capisce benissimo come possano lodare i romitaggi al montee al lago; ma in quanto a noi comprendiamo assai meglio come fossepiù che mai accresciuta la tristezza e l'infelicità diAda dal momento che fu tratta a vivere in quella solitudine diMontepiatto.
Tornandoal lagofu sempre per noi un oggetto di maraviglia e un fenomenodegnissimo di studio lo spettacolo di quegli uomini dell'Inghilterrache un bel giornodalla loro capitale di due milioni d'abitantifuggono per ritirarsi sul lago di Comoe colàeccettuate leore consacrate al sonnovivono continuamente nel loro canottosolitra il cielo e l'acquaveri nautili umanie pensano e pensano senzariposoquando però non pescanosinchè arriva ilgiorno che un temporale spietato porta via e sommerge Inglese ecanotto!
PoveraAdate felice se la sorte ti avesse fatto dono delle qualitàminerali di un Inglese in ritiro sul lago di Como!... Maquanto eri diversa! e quanto la tua triste condizione doveva fartiparere insopportabile quella sempre uguale solitudinequelle sceneognora le stessequel cielo sempre riflesso da quel lagoquelguizzasole ognor ripetuto dall'increspare dell'ondequelle barche equelle vele andanti e ritornanti alla lontanaquella silenziosanaturaquelle voci di uomini così rareremote e sonanti alunghi intervalli! — Allora l'incessante cicaleccio delle suecolleghepersino le gutturali sgridate delle suore maestre leritornavano in memoriagradite e desiderate in confronto! e nellasolitudined'accosto al trasporto che le cresceva in petto perquegli che l'aveva ridotta in quel luogosorgeva un desolantesospetto... La Baroggi aveva nominato il Suardi; quel nome non eragiunto nuovo alla Crivelloche nella casa paterna aveva sentito aparlare di essoe però nelle sue assidue esortazioni perdistogliere Ada dall'affetto colpevolesi valse di quanto sapevaonde salutarmente sgomentarla.



VII


L'amoretalora è più funesto dell'antipatia e dell'odio; cipare di averlo detto un'altra voltasebbene in diverso modo. Egli èper questo chein quella medesima occasioneda bravi conseguenzarjabbiam tosto soggiunto che l'imperfezione del corpo reca spesso assaipiù vantaggio che la più completa bellezza. Una gemmapreziosa che brilli in dito a un galantuomouna catena d'oro chesfolgoreggi tra il nero di un gilet di velluto e il bianco di unacamicia di batista rendono pericolosissimo il passeggiare ne' vicolidopo la mezzanotte. La cosa è chiaraper la sicurezza delpasseggio notturnobenedetta la giacchetta di fustagno e il cappelloa larghe falde. Non ci ricorda in qual libroma certo abbiam lettoin un libroche un uomo di spiritotediato delle querele di unbellissimo giovinevittima della gelosia delle donne— Fa chet'assalga il vaiuologli dissee t'imprima nel viso a centinaja isegni del suo passaggioe sarai felice! — Quantunque un talrimedio possa parere troppo eroicoe troppo paradossale il nostroesordioil fatto è intanto che quelle due fanciulledonnaGiacoma e donna Adanacquero per appoggiare la nostra opinione.
DonnaGiacomafin dalla prima infanzia meno accarezzata delle fanciulleche recavan nell'aspetto una bellezza regolare e i vezzi a lei negatidalla naturae però meno viziata da' parentiquando passòin convento per esservi educatanon sentì come le altre ecome Ada in ispecie il crudo passaggio dalle amorevolezze casalinghealla severità del contegno delle maestre del monastero; anzitenendosi più tranquilla per non sentire il bisogno dirivoltarsi impaziente contro una vita nuovale parve di trovare inconvento una cortesiauna mitezzauna dolcezza che prima non avevamai provato. Fornita di molto ingegnolo aveva adoperato permostrarsi grata a quelle premureapprofittando più che lecompagne dell'insegnamento che le veniva dato; fornita di grandebontà e di una gentilezza squisita di spiritosapeva all'uopoplacare colle sue preghiere la madre superiora e le suore inclementiverso le più riottose alunne. Per questa ragioneanzichèesser segno all'invidia eper conseguenzaal motteggio altrui peldifetto del corpoera amata da tutti e rispettata. Ed ellacertosenza volerlosi avvezzò per tempo ad esercitare in conventouna specie di superiorità premurosae dolce bensìmapur sempre una superioritàche da tutte le veniva accordata edi cui ella sentiva una interna compiacenzache però non eraorgoglio.
Adala più vivace e tempestosa di tutte e la piùfrequentemente sgridata e punita dalle superioreera perciòappunto stata presa sotto la sua particolare protezione; e siccome lepreghiere della Crivello avevano sempre avuto il loro effettoed'altra parte essa era riuscitapiù che le superiore nonavrebbero mai saputoa rendere Ada più docilepiùobbedientepiù pacata; così tra le due fanciullesebben coetaneesi era impegnata quella corrispondenza affettuosache non intercede già tra due egualima sì tra unaprotettrice e una protetta. La Crivello poicome avviene delle madriche spasimano dietro a que' figliuoli che più le han fattevegliare e più loro costarono di fatiche e d'affanniposedavvero in Ada un affetto che ben si potea dire materno.
Adolescentie quasi adulteambedue crebbero in questo affetto. Donna Giacomadalla modestiadall'intelletto acutodalla religiositàconvinta che per lei nella vita non vi sarebbero stati altriconforti se non in occupazioni congeneri a quelle che esercitava inconvento; per di piùavvisata dal senso e dallamisteriosa intuizione di esso di quel che era serbato alle altre nelmondosi pose intorno ad Ada (è strano ma è edificantee commovente a dirsi)precisamente con quella preoccupazione di unamadre che è sollecitata dal pensiero per la felicitàdella figlia. Queste cose noi avremmo dovute dirle prima cheavvenissero i disastrosi fatti del monastero perchè illettore si sarebbe fatto capace allora di ciò per cuiforse gli è rimasto qualche dubbio; ma quelli erano momenti digran trambusto e premura; in ogni modopuò provvedere laspiegazione d'oggi al silenzio d'allorae può provvedere aspiegare la tenacità onde la Crivello si strinse ad Ada pernon abbandonarla piùil motivo per cuiin carrozzaavendodirimpetto il Suardimentre il cocchiere sferzava i cavalli afiaccacollosi tenne abbracciata ad Ada come chi vuol salvar la vitaa una figliuola minacciata di morte da un assassino.
Tuttaviaquando si trovò nella casa della Baroggiavendo sentito iltenore onesto delle parole del Suardied esplorato il contegno delladonnamiteriguardoso ed educato; e poscia avendo notate leabitudini devote di essasi tranquillò e tacque; quando poiavendo insinuato ad Ada l'idea di supplicare quella donna perchèvolesse condurle alle loro casel'innamorata fanciulla protestòcon pianti di non voler per nessun conto fuggir prima che il Suardinon fosse tornato; ella si trattenneed aspettò prudente elasciò fareguardinga però e sospettosa; ed avendosentito a parlare il Suardiquasi anch'essa si lasciò andarea credere alle maliarde parole di luie non si rifiutòd'andare a Montepiatto per non abbandonare la sua cara Ada. Ma quine' discorsi fatti colla Baroggisentendo il nome del rapitoresirisovvenne di quanto sul conto di quel nome avea udito piùvolte in casa; e col coraggio di una madre che è spietatacolla figlia in ragione dell'amore che le portale manifestòtutti i suoi sospettie le raccontò le storie che conoscevain parte; e le dimostrò che non poteva essere se non un tristocolui che aveva potuto osare una così scellerata impresa dirapire a tradimento una fanciulla da un monastero.
Unmomento prima che noi vedessimo quel quadro di tre figurelaCrivello avea fatto appunto un lungo discorso di tal genere all'Adae questairaconda del sentirsi penetrare dal sospetto contro ilgiovane di cui le sembianze non le partivano mai dalla caldafantasiaindispettita si era disgiunta dalla Crivelloe sola erasiadagiata a pensare e a ripensarescorata e confusa. E la Crivellostata pietosamente a contemplarla per qualche tempoal fine si alzòe lentamente fattasi presso ad Adae cingendola del suo braccio:
—E così come staile dissecara la mia Ada? Sei ancoraadirata meco?
Adasi volse e:
—Come ho da starerisposee perchè ho ad essere adirata conte?... Ma le labbra le tremarono per la commozione enon potendocontinuareguardò la Crivello colle lagrime negli occhi; poitutt'a un trattoabbassando il capo e nascondendolo in senoall'amicadiede in uno scoppio di pianto.
Enoidopo questo piantodolenti di non poterlo asciugarenèdi poter fermarci a Montepiatto per sentire i lunghi dialoghi tra laCrivello ed Adanè di recitar insieme con esse e colla devotaBaroggi la terza parte del rosariodobbiamo recarci di premura aBologna.
Lacontessa Clelia tornava una sera dalla casa Bentivoglio doveconvenivano il fiore de' gentiluomini e delle gentildonne bolognesii più distinti professori dell'universitàgli artistipiù notii pittori incaricati di sostenere con uno sforzoestremo il tramontante splendore della scuola caraccesca; tornavadunque alla sua dimoralieta e paga oramai della propria condizione.Gli uomini della scienza le davan prove quotidiane della loro stimale gentildonne giovani e belle l'ammiravano senza invidiarlaperchèpiù non temevano in lei chi potesse loro disputare il primatoo rubar qualche amante sul terreno sdrucciolevole della galanteria.Ben è vero che quella sua poderosa beltà romanacolcrescere degli anninon avea punto scematose forse non eradiventata più solenne; ma la toga scientifica e la cattedradove saliva a dettar matematicala facea considerar loro come unadonna sui generispiù atta a destare il sensodell'invidia nei colleghi professori che in esse.
Igiovani galanti poi la circondavano con un'ammirazione piena dipremuraammirazione in cuise non per tuttiper alcuni almenosinascondeva pure qualche altro sentimento; ma quelli che lo nutrivanoin secreto rimanevano paghi d'un discorso che loro ella rivolgessed'una approvazione che accordassepersino anche dell'opposizione chelor facesse in una disputa qualunque. Magnifica e severa precisamentecome una Minerva (perchèse come tale l'abbiamo dipinta ne'suoi anni giovanilinell'età matura non v'era chi potessecontrastarle un tal predicato)ella serbava un contegnoche algiovane più fervido ed audaceperfino alla stessa ebrietàtracotante avrebbe fatto gelar la parola in bocca.
Ellaperò (le donne sono sempre donneed anche gli uomini noncanzonano) si compiaceva tra sè e sèindovinando quelche si celava sotto quell'ossequio. Per tutto ciò adunqueritornando quella sera a casasi lodava della propria sorteepensava che quasi poteva chiamarsi felice se avesse avuto seco la suaAdae d'uno in altro desiderioaffrettava il giorno di farla uscirdi convento per tenersela ognora a fianco e deliziarsi tutta in essa.
Pienadi questi pensieriche erano gli abituali della sua vitasalìnel suo appartamentodove trovò una lettera con un Preme agrandi caratteri sulla soprascritta. Quella parola bastò peragitarle il sangue e per far ch'ella aprisse la lettera con manotremante. Non sappiamo se il fatto sia comune a tutti o a moltimala presenza di una lettera che non si aspettaanche allora che nonreca quel terribile Premeil ManeThechelPhares dellesoprascritteproduce una sensazione disgustosa e angustiosa; forseciò avviene in coloro che non hanno avuto nella vita chemaledette battiture dalla fortunadi modo che ad ogni indizio di unfatto che ancora non si conoscesi paventa una nuova sciagura. Dopoquestonon sappiamo quel che la contessa Clelia pensasse inpropositonè se a lei la vista di una lettera facessecostantemente quel senso disgustoso che produce in altri e in noisegnatamente; il fatto sta che quando vide quella lettera deposta sultavoliereper la ragione forse che non l'attendevavolontieri neavrebbe fatto senza. Ma qual fu il suo parossismoquandolettala erilettalanon seppe afferrar bene la cagione per la quale venivapregata a recarsi senza perder tempo a Milano. Non sappiamo se ilfoglio fosse stato scritto di proprio pugnoo soltanto dettatoosemplicemente consigliato dal Pariniche ne era stato incaricato dadonna Paola; ma con accorto ingegno era parlato in esso di unamalattia della fanciulla Adaper la qualementre si raccomandava lasollecitudine della contessa a mettersi in viaggiole si facevariflettere tuttavia che non v'era nulla di grave e di pericoloso;tutto questo poi era espresso con tale arteche la contessa nondovesse rimanere percossa con violenza da un troppo crudo annunzioma nel tempo medesimo giungesse a comprendere che oltre la malattiatrattavasi di qualche altro fatto che richiedeva la sua presenza.Comunque pertanto sia la cosa e comunque fosse savio il consiglio cheaveva dettato quel fogliosi mise una tale impazienzaun'ansiaun'irrequietudine sì forte nella povera contessa chedi puntoin biancoscrisse un letterino al marchese Bentivogliodalla cuicasa era uscita un momento primacon cui lo pregava a passare unmomento da lei; il marchese non si fece troppo attenderee sentitodalla contessa comeper un affare urgentissimole occorresse direcarsi a Milanole ottenne in quella notte medesima dal cardinaleLegato un foglio di via per Milano.
Allaprim'albacoi cavalli di postaa tutta carrieradando epromettendo mancie a' postiglioniche allora avevano a lottar dicontinuo colle scabre stradeviaggiò per Milano. Da Bolognavenne a Modenada qui a Parmadove passò la notte e dovevolle il caso che si sapesse della sua venuta. Il nome dellacontessanon ci ricorda se lo abbiamo già dettoe per il suocasato e per quello del maritoe per la sua bellezzae perle azioni che se n'eran fattee per le sue avventure eccezionali edegne di storiae per la sua qualità di scienziatae peressere successa in Bologna nella cattedra di matematica alla grandeAgnesiera divenuto celeberrimo in tutta Italia ed anche fuoritanto che molti uomini di Bologna e d'altre città avevanoambito di far la sua conoscenza o per lo meno di vederlaaspettandola quando usciva di casaquando si recava all'universitàmescolandosi fra gli studenti per sentirla a parlare. Per queste coseadunqueallorchè corse la voce ch'ella era in Parma e chealloggiava all'albergo ducaletosto fu una folla di persone intornoalla porta dell'albergo stesso per poterla vedereetra le altrepersone cospicuefurono a visitarla l'abate Frugoni in compagnia delcelebre Condillacstato precettore del figliuolo del duca di Parmamorto alcuni giorni prima.
IlFrugoniche già s'era trovato colla contessa in Bolognae neaveva tenuta parola spesse volte con Condillac quando con essos'intratteneva alla corte del ducafu sollecito di farglielaconoscereperchètorniamo a ripeterela contessa CleliaV... era divenutacome si direbbe con frase modernaunamaravigliosa tanto in vogache molti andavan superbi soltantoa poter dire: Ci ho parlato anch'io.
IlCondillacsebbene fosse amico della vita ritirata e fosse grave edaustero al punto che nella medesima Corte ducaleper insolitoprivilegioera stato esentato da tutti quegli obblighi consentaneiad un precettore di un principe Infantepure molte volte aveaespresso all'amico poeta il desiderio di conoscere quella donnasingolarenella quale per lui era inconcepibile il contrasto tra lascienza grave che professava ed insegnavae la storia delle sueavventurose vicende. Andò dunque assai volontieri a farlevisita. Ma questa circostanza accrebbe più che mai l'imbarazzodella contessa che aveva tutt'altra volontà che di ricevervisite d'uomini illustrichè il suo pensiero assiduamenteassorto dalla sollecitudine che la spingeva verso Milanosi trovòinsopportabilmente angariatocostretta com'era a stare in guardiaper non perdere la scherma e conservarsi nella sua riputazioneparlando con un uomo che tutt'Europa esaltava. Il Frugoniquantunquetoccasse i settantaquattro annivivaceepigrammaticomotteggiatoreparlatore instancabilecom'era stato instancabile einesauribile produttore di versigiovò ad empir le lacune chetroppo spesso intercedettero tra le parole del Condillac e lerisposte lente della contessa distratta altrove; ma non fu cosìabile che il filosofo francese non si lamentasse poi dopo coll'abatepoeta di aver trovato una donna più bella e superbachesimpatica ed eloquente.
Inogni modo la contessa respirò più libera quando sitrovò solae quandoalla prim'albapotè finalmenteriprendere il viaggio. Venuta a Piacenzapassato il ponte di barchesul Porimessi i cavalli al trottolungo la strada da CasalPusterlengo a Lodial rumore di altra carrozza che le venivaincontromise fuori la testa dallo sportello per quel movimentoirresistibile onde chi viaggia è spinto a guardare ipassaggeri che battono la stessa stradae s'incontrò quasifaccia faccia col passeggiero che stava nell'altra carrozza e chemedesimamente sporgeva la testa a guardare dallo sportello. Le duecarrozzeche erano tratte velocemente dai cavallinon lasciarono aquello scontro la durata di un minuto secondo. Ma questo bastòperchè e l'una e l'altro si ravvisassero. Il viaggiatore erail Galantino. Or non è a dire che turbamento mise in cuor allacontessasenza che n'avesse una ragione precisaquella vistainaspettata; ma ciò che veramente la colpì fu che nelretroguardaresporgendo di nuovo la testa dallo sportello per unacuriosità che non seppe vincerevide che il postiglionefaceva dar di volta ai cavallie la carrozza del Galantino allalontana teneva dietro alla sua.



VIII


Orcome avvenne che il Galantino si trovasse sulla strada che da Lodi vaa Casalpusterlengo? Ecco il fatto. A Milanodopo che il conte V...seppe del trafugamento della fanciulla Ada; furibondo e nel tempostesso sospettoso che chi ci aveva interesse avesse voluto offenderelui stessocol togliergli i diritti della paternitàmentresi era voluto imporgliene gli obblighi; esaltato inoltre dallaperversa voce che rapidamente era corsa per tutta Milanoa dispettodelle objezioni degli increduliche donna Paola di concerto colfiglio Guglielmo avesse tentato il mal colpo; aveva fatto tantoscalpore presso il Senatoche il capitano di giustiziail qualemesso già sulla falsa via dalla lettera anonima del Galantinoaveva sottoposto ai più severi interrogatorj lord Crall e icomplici suoinon tanto pel reato dell'aver assalito a mano armatala forza pubblicaquanto per l'accusa dell'aver ricorso a quellaviolenza per rapir due ragazze dal convento; dovette invitare acomparire indilatamente anche donna Paola Pietra Incisaper essere sentita in giudizio. Come è naturalee per lacattura del figlio e per la fuga di Adail giorno dopo ella stessaavea pensato di rivolgersi al capitanoe perchè s'incaricassetosto di pubblicare un bando a rintracciar le fanciullee perinformarsi della condizione in cui trovavasi suo figlio; se non checon sua sorpresaquando già stava per uscire e per recarsidall'eccellentissimo capitanoricevette un foglio sottoscritto daessonel qualeomesse le formole dell'etichetta epistolarela sicitava d'ufficio a comparir tosto innanzi a quel tribunale.
DonnaPaolastupita del modo onde le veniva fatta l'intimazionesi recòal Palazzo di Giustizia senza farsi aspettare; e colà venne atrovarsi al cospetto del signor capitanoil qualedismesse lerispettose parolela sottopose ad un interrogatorio che sarebbeprezzo dell'opera il riportare quiperchè la pazienteassennatezza di donna Paolal'eloquenza efficaceil disdegnosublimema calmo e soffocato dalla preoccupazione dell'ultimointentoil rimprovero temperato di umiltàma forteabbastanza per compungere altruivi risplendono in tal modo che èun'edificazione a leggerlo. Il capitanocom'è facile asupporsine rimase penetrato; allorafatto venire innanzi anche ilconte V... che era là ad attendere donna Paolaquesta giunsea persuadere colui stesso dell'ingiuria inaudita che le si era volutofare col crederla rea di un sì turpe ed empio attentato. Ilconte V... non fece altro che unire le proprie sollecitazioni aquelle di donna Paola affinchè il capitano volesse tosto faruso di tutti i mezzi che aveva a disposizione perchèmentresi pubblicava il bandos'incaricassero il pretorio della capitale etutti i pretori delle altre città del Ducatoe i pretorjsuppletorj di confine a spedire per ogni dove uomini esperti eguardie a rintracciar le fanciulle. In quel dì stesso anche ilmarchese Crivelloavendo presentata una furibonda querela al Senatoquesto tanto più si trovò obbligato a intimare allostesso capitano di giustizia che col più formidabile apparatoche non si fosse mai praticato in altre circostanze similisifacesse dalle guardie frugare in tutti i luoghi della città edei corpisantie batter la campagna in lungo e in largoepercorrere tutto il Ducato e i luoghi confinantise fosse statonecessario.
Diquesto bandoper decreto del Senatofurono alcuni giorni dopo messigli affissi a tutti gli angoli della città e delle borgatevicine; per lo che il Galantino si trovò in una terribileapprensione. Pensando che a Tornoe per la vicinanza di alcune villesignorilie per la prossimità della città di Comolefanciulle potevano troppo presto venire scoperte dagli agenti e daifanti del capitano e dei pretorjsenza perder tempo le levòdi là e le trasferì in un luogo remoto dellaVallassinacon promessa che sarebbe tornato subito; e che recavasiintanto a Bologna per parlare alla contessa madreonde ella medesimavenisse in persona a toglier la figlia da quelle solitudiniperricondurla poi fidanzata in cittàe benedire a' prossimisponsali. Difattovenuto a Milanovisto che sino a nuovecircostanze non vi era più aria sana per luipensò ditrasferirsi senza perder tempo a Bolognadi presentarsi allacontessae quando maiciò che secondo lui non eraimprobabileella avesse ricevuto l'avviso della scomparsa di suafigliaconsolarla col darle notizia che per suo mezzo era statarinvenutae cogliere l'occasione per domandargliela in isposa. Conciòinnanzi tuttoegli pensava ad attuare il propriodesiderio ardentissimo; in secondo luogo provvedeva anche avendicarsi della vecchia ingiuria. Di tal modo ei si lusingavainoltre cheuna volta che la contessa avesse annuito al matrimoniospinta dall'amor maternomessa in altalena tra la paura di perderper sempre la figlia e la consolazione di riabbracciarla tosto; conlei si poteva anche concertare il mezzo di dare un altro colore alfatto del trafugamento e far tacere l'autorità. Con questipensieri pertantonon essendo ancora stato colpito da sospetto disortefece disporre una carrozza da viaggio degna del conte diFirmianper poter abbagliare altrui colle apparenzepiù cheera possibilesignorili; e si mise in viaggio per Bolognasicurissimo di trovarvi la contessa. Or ecco in che modoviaggiandodifilato a quella voltas'incontrò nella carrozza di lei chericonobbe con sua gran sorpresaonde fece rivoltare i cavalli pertener dietro a leie raggiungerla e parlarle alla prima fermata.
Lacontessa Cleliatraguardando di tanto in tanto dal finestrino dellacarrozzavedeva che quella del Galantino seguiva la suaplacidamentecon tutti gl'indizj di non voler cambiar strada.Alloratra i molti pensiericongetturando che colui avesseviaggiato per venir sulle sue traccieDio sa per quale intentoingiunse al postiglione di mettere i cavalli alla più velocecarriera che fosse possibile: comando che fu tosto adempiutoperchènon c'è al mondo uomo più docile e piùcondiscendente d'un postiglione quand'ha ricevuta una buona mancia equando sa di doverne ricevere di più grosse. Se non che lacontessaguardando indietrovide che il postiglione del Galantinoaveva fatto il medesimo co' suoi cavalli. Allora non dubitòpiù di essere inseguitae ne fece motto alla cameriera.
ALodiil suo postiglione svoltò nel portone dell'albergo delGambero per cambiare i cavalli; e dopo pochi minuti fece lo stessoanche il postiglione del Suardi; e come la contessa Clelia salìin una camera perchè si doveva fare una fermata di un'oraanch'esso salì in un'altra.
Dopopochi minutiun cameriere si presentò alla contessadicendole che un signore arrivato in quel punto all'albergo e chestava in una stanza lì presso desiderava di parlare con leiedomandava perciò licenza di poter entrare.
Lacontessaa tutta primaquasi fu per acconsentirvi; ma poscianauseata di quel che le era occorso a Veneziae nel tempo stessotemendo da quell'uomo ogni peggior cosagli mandò a dire chenon riceveva nessuno lungo il viaggio; ch'ella si recava a Milanoeche là egli avrebbe potuto parlarle. Il Galantino insistetteancorae a tal segnoche la contessa dovette interporrel'albergatore medesimoper non essere importunata d'avvantaggio.
IlSuardiall'imbasciata dell'albergatorecon ostentato sussiego:
—Dite alla signora contessarisposeche l'oggetto per cui aveva aparlarle interessava lei e non me. Non si trattava che d'un atto diriguardo che m'ero imposto. Pur faccia come vuole. A Milano siaccorgerà di aver fatto male a non ascoltarmi. Riportatelequeste mie parolee fate attaccar subito i cavalli.
L'albergatoreriferì tutto alla contessama ellasebbene le si fosseaccresciuta l'affannosa curiosità a quelle parolenon sismosse e rispose:
—Va bene.
IlSuardisconcertato nel suo disegnodovette ritornare a Milanoinbocca al lupocome si suol direma non gli rimaneva a far altro.Lungo il viaggio pensò come quel primo tentativo fallitoglipotevaarrivata che fosse la contessa a Milanoofferire un indizioper mettere gli occhi su lui. «Mi son trovato in impacci benpiù gravi di questo (rifletteva egli tra sè) e non mison lasciato mai intimorire da nessun ostacolo. Anzi gli ostacoliquanto più eran serj mi servivano quasi di mezzo ad otteneretutto quello che volevo. Cos'è dunque questa paura che miassale tutt'a un tratto? Non sono io più il Suardi di unavolta? Non sono or forse in possesso di quella ricchezza colla qualesi rimedia a tutto e si fanno tacer tutti? Coraggio dunquee avanti.Mi fa ridere questa contessa orgogliosa... perchè se vuol benealla sua figliuolabisognerà pure che per forza o per amoreella venga a patti con me. Mi fa ridere quel signor capitano diGiustizia col suo bando! Un po' d'unto alle mani di qualche senatoreun po' di unto alle mani di qualche barigello... Senatori ebarigelli!.. va benissimo! quand'io mi sono assicurato di chi dàgli ordini e di chi li eseguiscemi pare che non mi rimanganull'altro a fare. La mia cassa rigurgita di ducati e di talleri diCarlo VI. Coraggio dunquee non ci si pensi più.»
Eil Galantinosebbene tanto perspicacenon arrivava a comprendereche quella ricchezza medesimache gli pareva un'arma onnipotenteera la vera cagione de' suoi insoliti timori. Egli nuotava nell'oroe perciòdata l'ipotesi di un passo falso e di una cadutaaveva da perder troppo. Il coraggio intero e sfrontato lo ebbe quandonel mondo nulla aveva da perdere e tutto da guadagnare. Alloraprocedeva sicuro e colla forza invincibile dell'istinto che losollecitava a ghermir la fortuna in qualunque modo.
Mezz'oradopo del Suardi si rimise in viaggio anche la contessache entròin Milano per Porta Romana un paio d'ore innanzi seradiscendendopoco dopo alla casa Pietra.
Nellasala di ricevimentoimpegnata in gravi discorsi con donna Paolastava da qualche ora la Gaudenzi la quale aveva condotto seco l'unicosuo figliuolo. La Gaudenziignara di tutto quanto era avvenuto edavveniva in Milano che non le appartenessee d'altra partememoredel cortese ajuto ricevuto fin dal 1750 da donna Paolaaveva pensatodi rivolgersi ancora a leidopo che le erano riusciti infruttuositutti i passi mossi presso il capitano di Giustizia onde aver nuovedel marito e saper in che condizione ci si trovasse. Sentito anominare lord Crall fin dal giorno che dall'attuaro erale statocomunicato l'arresto del Bruniquel cognome di suono straniero nonle avrebbe mai potuto far sospettare chi veramente colui si fosse.Però alle prime parole che ella tenne con donna Paola fureciproca la meraviglia in entrambe.
DonnaPaola stupì che il marito della Gaudenzi fosse impigliato nelprocesso di Guglielmo; e la Gaudenzi si meravigliò piùancora nel sentire che lord Crall era figlio di donna Paola. Perquesta circostanza singolare crebbe più che mai l'interessedell'una per l'altra a vicenda; però era da un pezzo ch'ellenostavan parlando del doloroso accidente e del modo di ripararviallorchè il servitore entrò e disse:
—È arrivata la signora contessa Clelia V... in questo momento;eccola.
DonnaPaola si alzò turbata a quel nomeal punto che parve lefuggissero le forze. La buona Gaudenziinformata d'ogni cosa unmomento primafu invasa da tanta pietà per la contessaquando la vide entrareche dimenticò quasi sè stessa.
Eil suo figlioche poteva avere dodici anniabbastanza svegliato percomprendere tuttosi mise anch'esso in aspettazione e in apprensionea quella venuta.
Edoggiquando noi pensiamo che abbiam conosciuto quel fanciullostessofatto vecchio decrepitosiamo esaltati da un tal senso dimeraviglia che quasi diventiamo increduli verso noi stessi. Peròsenza alterarle d'un puntovogliamo riferire le parole stesse delfiglio di Lorenzoquando ricordandosi di quel fattoe di quellascenae di quelle donnece le dipinse con tale schiettezza esemplicità che quasi in ascoltarlo ci pareva di vivere conesso in quell'anno 1766; e tanto più che abbiamo stretto piùvolte la mano e baciato il venerando volto di quell'uomo chefanciulloera stato baciato da donna Paola e dalla contessa.



IX


«Settantasetteanni faprecisamente in questo stesso mese di giugnonon mi ricordobene il giornoma press'a poco intorno a quest'oraverso iltramontoio mi trovavo in casa di donna Paola Pietra con mia madrequand'entrò in quella sala terrenadove mi par di trovarmiciancorala contessa Clelia V...ed era la prima volta che la vedevo.Io non avevo che dodici annipoco su poco giùed ora chesiamo nel 1842potete immaginarviin tanto numero d'anniattraverso a tanti avvenimentiessendomi trovato in tanti luoghid'Europache sterminata folla di gente m'è passata innanziagli occhi; pure la figura di quella donnacome l'ho veduta nelpunto che metteva il piede in quella salanon mi è maiuscitae non m'uscirà mai più dalla memoria.»
Diqueste precise parole del signor Giocondo Brunianche noi cirammentiamo tanto bene che ne par di sentirle ancora; e ancoradoposedici annine sembra di veder vivo quel vecchio quasi novantennenel punto chefatto pausa alle ultime parolesocchiuse un momentogli occhidisturbati dalle persone che ci passavan davanti(trovandoci noi adagiati sur uno dei sedili delle mura di portaOrientale che guardano il Resegone); socchiuse dunque gli occhi estette così un momentoquasi contemplasse coll'imaginazioneriproduttrice quel quadro ch'ei voleva dipingere a noichenellacuriosità giovanilelo andavamo importunando di milleinterrogazioni per addentrarci nei minimi particolari di que' fatti.
«Iostavo sedutocosì continuava il signor Giocondo Brunisud'una gran seggiola coi cuscini di marocchino entro ai quali miperdevoe di dove mia madre m'aveva ingiunto di non muovermiperchèin quella mia etàcurioso qual eraandavo guardando etoccando gli oggetti ch'eran deposti su' tavolierievisto unaspinetta apertam'ero provato a far correre la mano sulla tastiera.Ma quando entrò la contessail suo aspetto era talech'ioper la meraviglia non potei trattenermi dal sorgere in piedi. La suabellezza era di quel genere che io chiamerei terribilee forse me neson fatta questa idea perchè entrò cosìcorrucciata e stravolta da mettere in apprensione chi la guardava.Ella non videalmeno mi parvenè mia madre nè me; e adonna Paola che le mosse incontro:.
«—Come sta dunque mia figliachiese tostoe si lasciò andaresul canapè.
«—Stavamo appunto parlando di ciò qui con madama Gaudenzirispose donna Paola che non sembrava aver più la voce diprimatanto le si era affievolita.
«—È dunque gravemente ammalata?
«DonnaPaolaa queste parolepassò la propria mano sulla frontedella contessae con un fare dolce dolce:
«—Ho bisogno che vi mettiate in calmala mia cara Clelia. Nonon sitratta di malattie...
«—Ben m'accorsi dalla lettera che ci covava sotto qualche mistero. Ordunque?
«—Or dunque vi supplico a star forte contro quello che sono per dirvi.
«Aqueste parole la contessa balzò in piedie:
«—Ditemi adunque tutto ad un trattoe ammazzatemi con un colpo solo...io sarò forte.
«Edopo di ciò torse la testae guardava precisamente menelpunto chemandando un gran sospirooh Dio!! esclamò. E donnaPaolacon una calma che certo doveva costarle sudori:
«—Tutto è però dispostodisse. Ioil conte vostromaritoil signor capitano di Giustizia... il Senato... abbiamofattosi è fatto tutto quello che dovevasi in questacircostanzae da un momento all'altro aspetto una buona notizia;perchè non è possibile che tanta gente spedita in tuttele parti sulle loro tracce non giunga a trovare la figliuola delmarchese Crivello che è scomparsa dal monastero insieme collavostra...
«DonnaPaola non ebbe finito di parlare che la contessamandandonon giàun gridoma un singhiozzo rantolososi rovesciò indietro...io credetti... morta. Mia madre e donna Paola le furono tostointorno; mia madre sostenendoladonna Paola chiamandola per nome ebaciandola. Io era tutto spaventato; e a riscuotermila medesimadonna Paolala quale a un tratto pareva diventata un'altraessendoscomparsa ogni traccia della sua soavità:
«—Dà una strappata a quel campanellomi gridòquasifosse in collera con me. Io obbedii... e comparve una livrea chevista la scenaritornò tosto con due donne.
«Questeessendosi fatte presso alla contessa con acque odorose ed altroedaccingendosi a spogliarlaio fui mandato fuori; e mi ricordobenissimocome se fosse adessochepassando vicino alla contessanon potei a meno di soffermarmi a guardarla. Il vestito di drappoazzurroilluminato da un ultimo raggio di sole che entrava per lafinestra del giardinodava a quel volto una tinta di cielo eavvolgeva quel gruppo di donne come in un'atmosfera di luceparticolarissima.
«Uscitoe messomi a sedere in anticamerasur una di quelle cassapanchevecchie cogli stemmi che si vedon nelle case de' gran signoriconfuso e sbalorditoassistetti alla scena della servitù cheandava e venivariceveva ordinili trasmetteva d'uno in altro. Dopoqualche tempouna di quelle cameriere ch'erano state chiamate asoccorrere la contessauscìenominato un servitore: —Fate attaccar subitodissee andate allo studio dell'avvocatoAgudio dove troverete il giovane avvocato Strigelli. Gli direte chela signora padrona lo prega di venir tosto qui. Dopo andrete dalsignor abate Parinie pregatelo pure a voler lasciarsi vedere entrola giornata. Rientrata la camerierapartito il domesticopassòuna mezz'ora buonaed io fui lasciato là solo con un altroservitore; nè mia madre uscivanè io sapeva quel chesuccedesse di dentroed ero pieno di inquietudine e d'impazienza.Quando volle Iddiouscì mia madre finalmenteechiamatomimi disse d'entrare a fare il mio dovere colle signore prima dipartire; Allorchè rientraila contessa era seduta sul canapèalquanto ricompostase voletema abbattuta così da farcompassione. Donna Paola le sedeva presso e le teneva stretta lamano. Nel punto che mia madre mi sospingeva leggermente verso lacontessaquesta mi guardò e mi sorrise in prima sbadatamente;poscia tornò a guardarmi con più attenzionee mi detteun bacio; finalmentecontinuando a guardarmivoi non sarete percrederediede in uno scoppio di piantonascondendosi la faccia nelfazzoletto. Ed ioche cosa volete? mi diedi a piangere anch'iodirottamente. Forse vedendo me fanciullo presso mia madrepiùinsopportabile erale ricorsa l'idea della sua figliuola smarrita;forse pensando che io era il figlio di quel Bruni che era stato lacagione d'ogni suo disastroe fors'anco associandosi il pensiero dimio padre coi fatti di tanti anni prima e col pensiero di Amorevoli;di nuovoper tutto questo cumulo di memorie e di dolori e d'affettisentitasi a lacerare il cuorela disperazione s'impadronì dilei e le lagrime le sgorgarono a furia. Questo ho pensato molti annidopoperchè allora io non ho saputo che piangere. Mia madrenon avrebbe mai dovuto ricondurmi innanzi a quella infelicissimadonna. Ma pochi sono così esperti del cuore umano e degliumani dolori da conoscere quelle squisite delicatezze onde si rompela via a nuovi affanni. Così dunque passò quel giornoe venne l'ora che mia madre ed io uscimmo di là; fu nel puntoin cui v'entrava l'avvocato Strigelli che ho sentito a nominare;quello appunto mandato a chiamare molto tempo prima.»
Staccandociintanto dal nostro buon Giocondo Bruniil racconto del qualeperquanta cura gli abbiam messo intorno a conservarlo nella sua evidenteed affettuosa semplicitàci accorgiamo di aver non pocoguastatotorniamo a ripigliar la parola noi medesimi.
L'avvocatoStrigelligiovine di venticinque anniera l'occhio diritto deldecrepito avvocato Agudio. Quando entròsapendo naturalmenteogni cosa ed avvisato inoltre dal servo che la contessa era arrivatae che aveva voluto morir di dolore alla terribile notiziasicontenne come voleva la circostanza.
Inquel momento la contessa Cleliaappoggiato il braccio al dossale delcanapènascondeva ancora la faccia nel fazzolettoecontinuava a singhiozzare. Donna Paola allora si alzòe stesala mano al giovine Strigelli: — Non potete immaginarvidisseche strazio mi dà questa infelicissima donna; poi parlandoglisommessa all'orecchio e volgendo gli occhi al cielocon attoanch'ella di sconsolata: Se questa benedetta fanciullasoggiunsenon si rinviene tostocostei non può certo resistere a sìfiero colpo. Ah è stata una gran disgraziacaro miouna grandisgrazia! e quasi mi pento d'averla fatta venire a Milano prima chenon si fossero esaurite tutte le indagini... e a queste parole sivolseguardando a lungo la contessa che continuava a singhiozzare.Il giovane Strigelli la guardava esso pure tutto compunto.
—È però sempre meglio che si trovi quiegli osservòpoi.
—Voi mi consolatetogliendomi il rimorso di tante lagrime. V'hoinoltre mandato a chiamare per un consiglio. Ah confesso che dopotante sventure non mi fido quasi più di me stessa. Ora sentitelei.
Esi avvicinò a donna Cleliae dopo averla riabbracciata ebaciata e fattale come una soave violenza:
—Fatevi coraggiocarale disseè qui l'avvocato che v'hapatrocinata e difesa. Parlategli dunque.
Alloradonna Cleliaasciugatasi gli occhi e lasciando cader la mano inabbandonoalzò un viso tutto scombujato e guardò loStrigelli.
—Perdonatemidissese vi ricevo così. Vi ringrazio che siatestato così sollecito.
—Ma che mai dicecontessa? Sarei volato ad una sua parolae sono quitutto per lei. Or si degni di comandarmi.
Ricompostasialla megliodonna Clelia ripetè all'avvocato Strigelli quelche prima aveva detto a donna Paola dell'inaspettato incontro colGalantinodell'insistenza importuna onde colui aveva tentato diavere un abboccamento con lei a Lodie come tutto la induceva acredere ch'esso era partito per recarsi espressamente a Bologna percercare di lei.
LoStrigelli ascoltò attentamente e con grande stuporepoisoggiunse:
—Altro che accordargli un abboccamentosignora contessaquando ilSuardi si presentasse! anzi il mio parere sarebbe quasi di mandarlo acercare quando non venisse subito... Si sa maicontessa! Tutto puòservire in questa circostanza e bisogna metter da parte ogniriguardo. Ma perchè non sentirlo a Lodisenza perder tempoquand'egli chiese di parlarvi?
—E chi si poteva fidare di quel ribaldo?
—Comprendo benissimo... tuttavia... ma qui si fermò conquell'atto di chi improvvisamente è assalito da un pensierocurioso e stranonon mai avuto nè sospettato primaedopoaver fatti due o tre passi per la camera:
—Ma sa cosa devo dirle?... esclamò tutt'a un tratto.
—Che?...
—Un filo è trovatocontessa. Or tutto è chiaro. Vuolella sapere chi ha fatto scomparire le fanciulle dal monastero? Magià lo ha indovinato...
—Il Galantino?... esclamarono ad una voce la contessa e donna Paola.
—Il Galantinosì signore. Sono tanto sicuro di ciò comedi nessun'altra cosa al mondo... e non averlo mai pensato primanèionè loronè altriciò pare impossibileeppure il fatto mi par così chiaro!...
DonnaPaola e la contessa si guardavano stupefatte.
—Non si ricorda forse donna Paola d'avermi detto un dì checostui fece intendere più volte di voler pure vendicarsi dellacontessa?...
—Sì...
—Non è noto a tutti che questo ribaldo fortunato fa apertaprofessione di sedurre donne e fanciullee con tanto più divoglia quanto più sono al disopra di lui? E non è disua proprietà un'ortaglia e un casamento per deposito dimercanziacontiguo affatto al monastero di San Filippo?... e lavisita de' fermieri non può forse essere stata fattaespressamente per provocare un disordine che desse luogo eagevolezza?... loro mi comprendono. Ma ora è caduto eglistesso nelle sue medesime insidie... Ohsi consolicontessa.
L'idead'aver trovato il filo che potea guidare a scoprir tuttoin sulleprimecome avea messo in bocca al giovane Strigelli quel siconsolimise pure un soprassalto di gioia repentina e nellacontessa e in donna Paola. Ma fu un sentimento fuggitivochèquasi contemporaneamente:
—Ahimè! uscì con accento di disperazione ad esclamar lacontessa mettendosi le mani ai lati della fronte.
Esenza che aggiungesse altrotosto la compresero e divisero il suoribrezzo il giovane Strigelli e donna Paola.
—Eppureche volete? soggiunse l'avvocato dopo un lungo silenzio. Ioho de' felici presagi. Io soe lo sanno tuttiche il Suardidacchès'è fatto così riccodesidera ardentemente di fardimenticare il passato col presentecon beneficjcon caritàcon atti generosi; che volete? ho sentito a benedire il suo nome daquelli che lautamente furono soccorsi da lui nell'occasione che inborgo San Gottardo avvennenello scorso mese di marzoquelterribile incendio di cui rimangono ancora i guasti. Io ho de' felicipresentimentie prego la contessa a sperar bene.
—Ma che presentimenti?
—Codesti ribaldi saliti in fortuna son capricciosi... chi sa che nonabbia voluto vendicarsi per aver poi l'orgoglio di confortarlacontessa?... Le faccio osservare che insieme colla sua figliuola èscomparsa una figlia de' Crivelli cheper la forma infelicissima delcorpoè tutt'altro che atta ad ispirare amore in chicchessia.
—E dunque?....
—E dunque conviene aspettare ch'ei si presentimandarlo a chiamare;se non chepensandoci meglioè più conveniente cheesso venga di sua voglia.
—Ma io non posso resistere a questo tormento dell'aspettare.
—Non tarderà a lasciarsi vederelo creda a me. Si figuricontessase chi per veder lei s'era messo espressamente in viaggioper Bolognavoglia lasciarsi attendere adesso ch'ella e in Milano.
LoStrigelli parlava in tal modocom'è facile a crederenon giàperchè fosse certissimo di quello che pensavanè dellecongetture che aveva fatto e nemmeno di ciò che aveva dettoparergli cosa tanto chiara; ma vedeva la necessità diconfortare la contessa in qualunque manieraanche con pietosiinganni. Non per nulla però donna Paola avealo mandato achiamareconoscendo la straordinaria acutezza e la prontezza diveduta prodigiosa di quel giovane giureconsultoche abbiamconosciuto un po' tardima che vedremo in seguito aver molta partein questa azione. Avealo poi anche mandato a chiamare perchè asuo tempo informasse la contessa del come era corsa ed erasi chiusala lite giuridica col conte V... Inoltre avea bisogno di lui perl'intralciata condizione in cui versava lord Guglielmo; ed affinchèvolesse prendersi egli l'assunto di farsene difensore innanzi alcriminalechè lo Strigellinon avendo peranco varcato iventicinque annitrovavasi ancora nel tirocinio di protettore deicarcerati al Capitano di Giustizia.
Laseraquando venne l'abate Parini e Paolo Frisi e l'avvocatoFogliazzie gli altri intrinseci di casasi tennequasi a direconsulta su tutta quella matassa di cose. È a sapere chedopogl'interrogatorj fatti subire e a lord Guglielmo e a Lorenzo Bruni eagli altri detenutierasi constatato appartenere essi veramente allasocietà segreta dei Franchi Muratori. Anzi in quel dìstesso da un notajoda un attuaro e da una mano di fanti delbargello era stata improvvisamente invasa la loggia di SanVittorelloe quanti si eran trovati in quel convegnotutte personee giovani delle prime famiglie di Milanotra gli altri un figliodello stesso capitano di Giustiziafurono tutti quanti tradottinelle carceri suppletorie del Pretorio. Non mai s'era veduta tantaseverità contro una conventicola che per tanti anni era statase non permessatollerata; onde pareva che tutto in que' giornivolesse piegar terribilmente al peggio.
Eadesso uscendo da casa Pietra e recandoci in Pantanoin casa Suardinoi vi udremo il padrone di casatutt'altro che di buon umoreinserio colloquio col sotto tenente Baroggi.
—Già io v'ho fatto riflettere che non c'era poi tanto dariderediceva il Baroggie che la cosa era e doveva diventare benpiù grave di quel che pareva.
—Se non hai altro a direpuoi anche tacere.
—A questo mondo è meglio temere assaiche sperar troppo. Nonsi sa mai quello che può succedere.
—Io so prevedere i pericoli da uomo ragionevole. Ma ho peròanche una gran fiducia in me. Guai chi si perde d'animo.
—Questo lo so.
—Ma dimmi un po' tu... Sei di parere che ella mi riceveràquando sarò alla sua anticamera?
—Mi parrebbe di sì.
—Aspetta. Giacchè m'hai dato mano una voltanon ti rifiuteraiad ajutarmi anche adesso. In conclusione sei un po' compromesso anchetu in questa faccenda. Se io cado... tu mi comprendi... giùtutti e due.
—Non vedo questa necessità...
—Giù tutti e due... e addio per sempre alla tua fortuna... Tusai quello che voglio dire.
—So quello che volete dire; ma non credo nienteperchè èda troppo tempo che mi andate conducendo di camera in sala; e qualpossa essere codesto gran segreto che deve fare la mia fortunanoncomprendo.
—Comprenderaima ora pensiamo ad altro. Domani mattina tu metteraigiù questa tracolla e questa sciabolae vestirai una dellemie più sfarzose marsine con panciotto di telettad'argento: lascia fare a me. Voglio che tu veda in anticipazione lafigura che farai a Milano fra una decina d'annicosì in viad'esperimento. In tal modo trasfigurato ti rechi in casa Pietrae tifai annunciare per parlare alla contessa.
—Ma perchè tutto questo?
—La ragione è semplicissima. Non voglio più affrontareun altro rifiuto. Mi scapperebbe la pazienzae... guai se mi scappala pazienza! Tu dunque ti presentiella ti riceveràtu ledirai le mie intenzionicioè che debbo parlarlema per cosache deve premere più a lei che a me. Una volta ch'ellam'accolgasta pur tranquilloniente mi può resistere e lavittoria è miaanzi nostra.
—Ebbeneio anderò.
—Domani mattina.
—Non si può tardare di più.
—La mia guardaroba è tutta a tua disposizione.
—Un vestito semplice sarà meglio d'uno sfarzoso.
—Ognuno ha i suoi gusti. Fa dunque quello che più t'aggrada. Esi lasciarono.



X


Lamattina seguenteil Baroggi in abito civile e sempliceper quantolo comportava il costumesi recò alla casa Pietrae domandòse si poteva parlare alla signora contessa V...
Ilportinajo che aveva ordine di lasciar passar tuttilasciòpassare anche il Baroggiil qualevenuto in anticamera e detto ilproprio nome a un servitoredi là venne introdotto in saladove trovò la contessa insieme con donna Paola.
Questaallorchè vide il Baroggi:
—Oh... voi? disse.
Seil lettore si ricordadonna Paola s'era adoperata in pro suo e dellamadre.
—Non vengo per mesoggiunse il Barogginè per darle nessundisturbo. Vengo a nome del signor Andrea Suardi per dire una parolaalla signora contessa V.... chese non isbaglioè quellainnanzi a cui ho l'onore di trovarmi.
—Ditediterispose la contessa pallida e tremantechè ilnome del Suardi le avea fatto rifluire il sangue al cuore.
—Veramente il signor Suardi m'avea raccomandato di non parlare che alei sola... ma io credo che in quel momento non pensasse a donnaPaola; e per questo io credo d'interpretare il desiderio di luianche parlando in sua presenza. Il signor Suardi domanda pertantoalla signora contessa il favore di poterle dire una parola in tuttasegretezzaper cose della più grave importanza.
—Gli avevo già detto a Lodi che a Milano avrebbe potutoparlarmi liberamente. Però venga e tosto.
—Sapete la disgrazia da cui è afflitta la contessasoggiunsedonna Paola; cento cose abbiam da fare nella giornata. Dunque sarebbenecessario che venisse qui subito.
IlBaroggia quelle parolesapete la disgrazia da cui èafflitta la contessadivenne rosso come una bragia; cosa chediede nell'occhio a donna Paola ed anche alla contessala qualesommessamente disse alcune parole a donna Paola.
—Sì... è il figlio della povera Baroggirispose quellaad alta voce. Maa propositoda che dipende che vi vedo in abitocivile?
—Fu per rispetto a questa casa che ho messa giù la casacca dafinanziere. Anche questo è stato un desiderio del signorSuardi.
—Ma siete a' suoi servizj?
—No: bensì la mia professione porta che molte volte debbatrovarmi con lui; egli ha della bontà per me e per la poveramia madre. Se dunque mi dà qualche incombenzanon mi facciopregare ad eseguirla.
DonnaPaola si alzò a queste parolequasi che una molla le avessedato la spinta; ed era infatti un movimento comunicatole da unpensiero improvviso che era già per tradursi in una domanda alBaroggi; ma si trattennee dandole tosto di svolta:
—Affrettatevi dunque; dite al signor Andrea Suardi che la signoracontessa lo sta aspettando. Affrettatevi.
IlBaroggi s'inchinò e partì.
Quandofu uscito:
—Costui sa tutto di certoosservò donna Paolae forse haprestato mano al trafugamento. Egli è un sotto tenentedelle guardie di finanza al servizio della Ferma. Povero Baroggi!...ed era un fanciullo di buonissima indole; ma il bisogno lo ha spintoa quel pericoloso mestieree s'è dato alla crapula... e poivennero i debiti... e poi... Ecco gli effetti. Ah! è megliomorire quando mancano i mezzi di soccorrere a tutte le miserie!
Lacontessa non risposee quasi non sentì tali paroleperchèera tutta sossopra per l'ansia dell'aspettare; e nel frattempo nonfece altro che sederealzarsipasseggiare senza mai potere averrequie.
Finalmentedopo una mezz'orail servitore annunciò:
—Il signor Suardi.
Ledue donne si alzarono. La contessa incrocicchiando le dita d'ambo lemanile strinse le une contro le altre con forzadistendendosimultaneamente le bracciacome fa chi tenta sciogliersi daun'oppressione convulsa; poi disse:
—Ah! non vi allontanatedonna Paola.
—Lasciate farestarò nella camera vicinaessa le rispose;abbiate coraggio e sperate bene.
DonnaPaola uscì. La contessa Clelia si appoggiò al canapèe stette ritta in piedi. La porta s'aprìed entrò ilSuardi.
Sela contessa tremavail Suardi non era tranquillo. Bensì laprima mostrava nel volto e nella persona tutta quanta la condizionedell'animo proprio; mentre il Suardisotto al calmo sorriso dellesue labbra lievemente arcuatecelava compiutamente l'intimabattaglia de' pensieri. Le parole però non gli vollero venirtostoonde la contessa fu la prima a rompere il silenzio:
—Or dunquecosa avete a dirmisignore?
—La supplico di sederecontessa. Il discorso non può esserbreve... Intanto la ringrazio dell'avermi accordato questoabboccamento. La ringrazio non per me... ma per lei.
—Dovevate parlarmi per cosa di gravissima importanza? Sappiate dunqueche una sola è tale per me.
—Ed è la sua figlialo so; ecco perchè son qui e perchèl'ho pregata a volere ascoltarmi a Lodi. Ma ora... per rasserenarlale diròcontessache ho la speranza di poter forse prestomeritarmi i suoi ringraziamenti.
—E dov'è dunque mia figlia? chiese allora impetuosamente lacontessacon un accento iracondonon mitigato che da un tremito disinghiozzo.
—Si rimetta in calmasignora contessae speri bene; perchè sela sua figliuola le comparirà presto innanziio confido chequesto avverrà per mio merito.
—Ma dov'ella è? torno a domandarvi.
—S'io lo sapessivossignoria avrebbe avuto a domandarmelo? Essatroverebbesi già nelle sue braccia.
Aqueste parole la contessa guardò il Galantino con un volto tral'attonito e lo spaventato; poi soggiunse disperatamente:
—Ma e che dunque siete venuto a far quise non sapete dove sia? ma edove mai può essere adesso? O mia Ada!! — e cadde sulcanapè.
Quelladisperazione fece colpo al Suardie si sentì sinceramentecommosso; onde alzandosi da sedere ed avvicinandosi alla contessa:
—Ma non stia a travagliarsi cosìtorno a ripeterle; perchèforse e presto e per opera mia ella potrà rivedere sua figlia.All'annuncio della disgrazia avvenutaio che ho gente sparsa intutte le parti del Ducatoe mezzi di comunicazioni a centinajaedesploratori pei contrabbanditosto ho detto fra me: Ben io larintraccerò questa ragazzae così vedrà lacontessa Clelia come fa a vendicarsi un mio pari... Ed ho giàde' contrassegnicontessae mi par bene che oggi o domani si verràa capo di tutto e si verrà a saper tutto. Si consoli dunque erisparmi le lagrime. Vuol ellacontessach'io debba essere venutoqui per nulla? Per consolarla sono venuto qui. Onde capacitarla poich'io sono un galantuomoe non un tristo nè un ribaldoledirò che di noi due non so chi più desidera di venir acapo d'ogni cosa. Si consoli dunquecontessae rasciughi le lagrimee m'ascolti.
—Ma per darmi una così lieve notizia vi siete messoespressamente in viaggio per Bologna? rispose la contessarimettendosi in qualche calma. È ciò verosimile? Possoio prestar fede alle vostre parole?
—Chi v'ha dettocontessach'io andassi a Bologna? Io trovavami ingiro per affari miei particolari. Dato fine ai qualirecavami aPiacenza così per diporto. Di modo cheallorquando vi hovedutasospettando o che foste già al fatto della disgraziao foste per saperlaho creduto dover mio il mitigarne il colpocercando di dirvi quel che io aveva fatto per voi e le speranze chene concepivo; ecco tutto.
Quandoil Suardi ebbe ciò dettodonna Clelia fatta certa dalleparole dell'avvocato Strigelli che il rapitore non poteva esserech'egli solofu per investirlo con impeto e parlar chiaroepigliarlo di fronte; ma si trattennepaurosa di irritarlo e dipeggiorare la condizione delle coseonde si tacque perplessa. Nèdal canto suo il Suardi sapeva tirare innanzi il discorso. Egli erapiantato maleed aveva fatto un passo falsoe una passione glilavorava terribilmente di dentro; una passione di cui non aveva maisubìto il dominio in tutta la sua vita. Egli era venuto lìper manifestare l'animo proprio alla contessaper dirle quel ch'erapassato tra lui e la fanciulla Adaper ottenere da lei pacificamenteuna parola che togliesse ogni ostacolo a' suoi desiderj. Ma quando fual punto di parlarenon si sentì la sfrontatezza di farlo.D'altra parte non volea confessare d'essere stato l'autore delrapimentoperchè pensava alle conseguenzee volea purserbarsi un varco alla ritirata; e nel tempo stesso rifletteva cheper costringere la contessa ad una risoluzionebisognava pure che lefacesse toccar con mano come la fanciulla fosse in suo pienoarbitrioe che un matrimonio era pure il solo mezzo per finir tuttosenza scandalo e in pace.
Qualchenostro lettore potrà dire chein uomini della natura delGalantinoè impossibile una passione amorosa di quella forzadi quella intensitàdi quella durata; e che l'abito dellasfrontatezza così vecchio in lui doveva soccorrerlo anche inquella circostanza. — Il lettore può aver ragionema ilvero è che il Galantinoal contatto di quella passioneaffatto nuova per luie in conseguenza di quella sua condizionemutatasubì veramente in parte quella trasformazione. Alfatto della ricchezzaalle apparenze del gentiluomoeranosusseguiti in lui anche i sintomi di una natura quasi nuova. Le faccedell'uomo sono molteplicie sbaglia chi lo considera da un latosolo. Non v'è mortaleper quanto tristoche non abbia in sèun germoglio di qualche virtù. Ciòper fortunalohanno detto cento altrionde ne sarà più facilel'essere creduti. Però non è detto che un talgermoglio non possa fruttificare col tempoe al contatto dicircostanze speciali; sebbene l'uomo antico di quando in quando tornipur sempre a far capolino attraverso alle cangiate abitudinidell'uomo nuovo.
Eccoperchè tra questo colloquio del Galantino colla contessael'altro ch'ei tenne con lei medesima a Venezial'intonazione ècosì diversache ci par quasi di trovarci al cospetto diun'altra figura. Ma non si tratta di un dramma in cui l'azione sisvolga in ventiquattr'ore; in un giorno un uomo non puòmenomamente modificare il suo carattere: ma nel corso di una vitaintera ben si può dire chedall'adolescenza alla gioventùalla virilitàalla vecchiaiaegli presenta nell'animo tantealterazioni quante appaiono nella sua faccia. Non è che l'artedi convenzione quella che considera un uomo come se fosse fattod'agatae come l'agata impenetrabile dal tempo.
Chiapplicò alla vita l'osservazione continuaci sapràdire se abbiam ragione.
Continuandoadunque il silenzio più che la circostanza lo avrebbe dovutopermetterela contessa ebbe campo di volgere in mente piùpensierie infine:
—Sentitesignoregli disse.
L'iracondiaera scomparsal'accento mutatoe ad infletterlo non era rimasto cheun fremito lieve lieve e quasi non avvertibile di singhiozzo; ecoll'accento mutato erasi mutata anche l'espressione del volto dellacontessa. Esso appariva sconvolto ma tranquilloma soffuso di unlanguore soavee il labbro per la prima volta schiuse al Galantinoun mesto sorriso. Il Galantino non aveva mai vista che la severitàla più arcigna nella bellezza solenne della contessa; ondequel sorriso gli fece un senso nuovo e gradito.
—Jericontinuò la contessaun uomo stimabile mi parlòdi voi lodandovi.
—Di me?
—Di voi... e mi disse che molti sventurati hanno benedetta la vostracarità.
—Io non so...
—Lo sapete e ne dovete sentire una gran compiacenza. Ah... io vi pregodunque di continuare in questa vostra bella disposizioned'animo. Pensate che è una madre che ha perduta la sua unicafigliuola quella che vi prega. Ditemi dunque tutto sinceramente; ionon proferirò parola per lamentarmi. Quel ch'è stato èstato. Foste voi dunque a levarla dal convento? Ditemi tuttotutto.
Dopouna pausa significantissima:
—Io norispose il Suardiquantunque l'avrei voluto.
—Volutoma come voluto? Io vi comprendo meno ancora di prima.Voluto?...
—Sì... perchè...
—Perchè? dite.
—Quando io ci pensocontessaquasi non posso crederlo a me medesimo;ed ora ascoltatemima senza andare in collera.
—Che?...
—Io sono perdutamente innamorato della vostra figliuola.
—Ah!! e la contessa mandò un respiro affannosoe torse losguardo dal Galantino.
—Con ciò vi sia spiegato l'interesse che mi son preso per ladisgrazia avvenuta alla vostra figliuolae l'essermi potutodimenticare dell'ingiuria che mi avete fattoe della posizioneorribile in che mi avete posto. Con ciò potete credere allemie parolee vivere sicura che tutto quello che ho fatto per venirsulle tracce della vostra figliuolanon l'ha fatto nè ilSenatonè il Capitanonè altriad onta dei lorobandi e di tante guardie mandate dovunque. Io ho scoperto tuttoioso tutto. Ed ora credetemi e consolatevi; la vostra figliuola èin salvoe consolatevi di piùpensando ch'ella è oggiquel giglio puro e immacolato ch'ella era quando uscì dimonastero. Consolatevi e credete alle mie parolechèperDionon sono un bugiardo.
Lacontessa si alzòe per un istante fuggitivo brillò unraggio di contento su quel suo viso augusto; ma poi si rabbujòdi nuovoe:
—Finchèdissevoi non mi diate la spiegazione del fatto daparte a partegiacchè asserite di saper tutto; e laspiegazione non sia tale che mi si snebbii la mente e mi si dileguiogni misteroe non vi sia nulla più per me d'inverosimileperdonateio non vi credo.
—Questo è giustoma prima è necessario che io apratutt'intero l'animo mioe vi esponga la vera e prima cagionel'unica ragione per cui son venuto quie ho tanto insistito perpotervi parlar prima a Lodi.
—Parlatein nome di Dioch'io sto ad ascoltarvi.
IlGalantino fece due o tre passi per la camerapoi disse:
—L'amore che mi ha inspirato quell'angelo della vostra figliuola ètalequale non ho mai provato in tutta la mia vita: esso è diquella forza che non può esser vinto senza che... ma voi vicorrucciate. Io taccio. E si diede a passeggiare innanzi e indietrorannuvolandosi anch'esso.
—Continuatecontinuatedisse poi la contessariassumendo nel visola più completa espressione della severità edell'orgoglio; chè essa voleva sentir tuttoe nel tempomedesimo voleva quasi porre un freno alle parole del Galantino.
Maquesti si piantò in faccia a leie come tediato della propriaperplessità e di quella delicatezza riguardosa di cui eglistesso era maravigliatotentò quasi a dire un colpoarrischiato e risoluto.
—È inutile ch'io vada in cerca di parole e di modi nuovi perfar dei lunghissimi giri intorno al mio solo desiderio senzaesprimerlo. Parlerò dunque schietto e breve. Il mio desiderioè di unirmi in matrimonio colla vostra figliuola. Ecco tutto.
DonnaClelia che stava ritta in piedi appoggiata al canapè colbraccio sinistroavendo al lato destro il Galantinoal quale nonguardavaosservando in sua vece un quadro che aveva dirimpettopiegò un momento la testa a quelle parolee con quei suoigrandi occhi neri saettò il Galantino d'uno sguardo cosìdiremogonfio di sprezzo e d'orgoglioche valse per mille paroled'insulto; e il Galantino si sentì ferito al punto da smarrireogni pazienzaogni riguardo.
—E ben questo m'attendevo! così proruppe egli di fatto. Voialtre signore dame potete morire per la perdita delle vostrefigliuolepotete gettarvi dalla finestra per la disperazionema neltempo stesso il vostro orgoglio farebbe morir le figliuole diconsunzione e di crepacuoree le metterebbe al punto di darsi lamorte piuttosto che appagare un'affezione innocente del loro cuorequando di questa affezione ne sia oggetto un giovaneun uomo che nonappartenga al vostro ceto. Crepi la figliuolava benissimoma guais'ella non si marita a un contea un marchesea un duca; crepi lafigliuolanon c'è nulla in contrario; la tenera madre hasempre tempo di piangere dopo con comodo. Siete tutte fatte cosìvoi altre signore dame. Orgoglio e niente di piùe affezionifinte e dolori affettati e lagrime da commedia. Tutte così;scioccheignoranti e dottenella boria andate tutte d'accordo. Delrimanente mi fate riderecontessa. Se si presentasse a domandar lamano di vostra figlia il conte M... per esempio (e pronunciòintero quel nome)o il barone C... (e nominò anche costui peresteso)od altri di tal fattai cui padricinquantasessant'annicento anni favoglio essere abbondanteappartenevano alla piùmarcia plebe; e comprarono poi i titoli coi danari o con servigiequivalentiservigi non gloriosiintendiamoci bene... perchèso distinguere anch'io cosa da cosa... e allora si vedrebbe cheedificazioneche complimentiche festache allegria in casa per lagrande fortuna della sposina!! Ma se tutto l'ostacolo sta quitranquillatevi contessaprovvederò io al resto... ho larghetenute anch'ioe ville e case e oro e carrozze e cavalli... e tempradi salute invidiabile... e freschezza di gioventù ancor saldae avvenenzaper Dio. Sappiatemi dire di grazia se quell'omettoridicolo del conte M... può valere l'unghia d'un mio dito;sappiatemi dire se il barone C... con quel suo naso pavonazzoch'èlo stemma al naturale della sua casa arricchita nel vender vinopuòvantare questa mia fronte... ampia e nobileper Dio... Anche labella apparenza è qualche cosasignora contessa; che se a leipreme davvero che il marito della sua figliuola sia nobilecipenseremo anche a questo; e se non io precisamente... mio figliooil figlio di mio figlio saranno conti... e questa condizione lametteremo nel patto nuziale.
Codesteparole in bocca del Galantino è indubitabile che denno farsenso. Ma coloro a cui per avventura potessero riuscire ingratesiconsolino pensando che le ha pronunciate un ribaldo in collera;quelli poi che ci vedessero balenar dentro pur qualche barlume diveritàriflettano che la verità non ha paura di farsiannunciare nemmeno dalla bocca dei tristitanto ella èinvulnerabile.
Mala voce del Galantinoin ragione che parlavas'era venuta alzandogradatamentetanto chealle ultime sue paroledonna Paola comparveall'ingresso della sala. — Ah! esclamò allora la contessanel vederlasentite anche voi... sentiteajutatemiconsigliatemi;e fece tre o quattro passi rapidi dal canapè alla soglia dellaporta su cui donna Paola stava ritta e severae le presestrettamente la manotraendola nell'altra camera e dicendo alGalantinomentre gli si rivolgeva: — Aspettate.
Passaronoalcuni minuti. Il Galantinoalterato nel viso e parlando tra sèe semisurava nel frattempo a gran passi la camera. Ricomparve pocodi poi donna Paola sola. Ricomparvee mettendosi a sedere e facendosedere il Galantino:
—Scusatesignoredissese mi prendo la libertà di dirvi chedovevate avere maggior riguardo al dolore profondo di quella poveradonna. E pronunciò queste parole in modo che al Galantinosbollì ogni sdegnoe si sentì umiliato.
—Vostra signoria mi perdonima io venni qui con tutte le miglioriintenzionie se ho potuto far dispiacere all'egregia signoracontessane sono sinceramente pentito. E di che sorta fossero le mieintenzionidonna Paola può averlo appreso dalla contessas'ella ha detto a vostra signoria come la fanciulla sia ora in salvoe tutto per opera mia.
—Questo me lo ha detto... e se ciò è il veroche non nedubitoabbiate la bontà di riflettereperdonate se parlosincerissimache le buone opere e i beneficj non hanno piùnessun merito quando se ne chiedeanzi se ne pretende un compensoeun compenso che soverchia il potere e le forze di chi dee darlo;poichè dovete sapere che non è nella contessa lafacoltà di accordare o negare la sua figliuola in isposa achicchessia; ma nel conte V... suo marito. Il decreto del Senato vidovrebbe esser noto.
IlGalantino non aveva in quel punto la mente al decreto senatorioedera lontano le mille miglia dal pensare al conte colonnello V...;ondeessendo rimasto fieramente colpito e sconcertato a quel nomenon seppe a tutta prima che cosa rispondere.
—Vedete ora dunquecontinuava donna Paolache a voi non rimane che acompire l'opera meritoria e ricondurre la figliuola nelle braccia disua madre.
IlGalantino guardò per qualche tempo donna Paola; ma poidandoa un tratto in uno scoppio d'ira:
—Ebbeneproruppegiacchè non si vogliono le vie tranquille...venga l'inferno ad aiutarmi. Giacchè non si vuole che quellafanciulla sia mia per sacramentonon sia più di nessuno; nèdi menè di sua madrené di suo padrenèd'altri. So io quel che farò. Lascio tutta la mia ricchezzaall'ospedale perchè i poveri sguazzino un momento; e fuori ioe lei da questa vita maledettadove senza ricchezza non si fa nullae quando c'è non vale a nullae la gioventù èun martirioe la bellezza un'occasione di tormentie l'orgoglio ilcarnefice universale. Fuori di questa vita io e la fanciullae ilconte e la contessa rimangano a consolarsi coi loro quarti. Cosìè e così saràlo giuro...e vogliateperdonarmi questa visita inutile.
Ciòdicendo si volse per partiree già era alla portaquando lacontessauscendo con violenza dall'altra camera:
—Nogridòcon accento disperato. Nofermate. Aspettate.
IlSuardi si fermò.
Continuavala contessa:
—Voi vedete la condizione mia infelicissima; parlate voi al conte.
—Io non parlo più a nessuno. So quel che debbo fare.
Fermosulla porta il Suardi; muta a guardarlo la contessacon uno sguardodella più intensa preghiera; pensierosa donna Paola col mentoabbassato sul petto... Codesta scena si prolungò per qualchetempo. Infine donna Paola disse:
—Io stessa parlerò dunque al conte. Siete contento di ciò?
—Fate puresignora.
—Domani tornate qui?
—Ci tornerò...
—E mia figlia quando potrò rivederla? esclamò lacontessagiungendo le mani.
—Quando lo vorrete voiquando lo vorrà il conte; ma badi quelsignore di non far motto di tutto ciò all'autorità.Tutto sarebbe perduto irremissibilmentequando ei fosse per crederedi aver tutto salvato.



XI


Qualcheora dopo il colloquio or ora riferitol'avvocato Strigellitornatoa far visita a donna Paola e alla contessasentì da loro ciòche era avvenuto; sentì e ponderò il tuttosi feceripetere da donna Paola qualche brano dei discorsi del Suardilainterrogò parte a parte sul modo onde questo s'era comportatosulla qualità del calore che aveva messo nelle sue parolesulla qualità del colore che aveva mostrato sul viso; tenneconto delle angosce che invece di cessare erano accresciute nellacontessa; ma fece precisamente come un medico esperto e risolutocheassicuratosi della condizione d'una malattia gravissimae dovendoprocedere a mezzi eroici e di dubbio eventoma i soli tuttavia dalui adottabiliinterroga quei della casa sul grado di fiducia chehanno in luie se sono disposti a lasciargli fare tutto quello ch'eivuole. Disse dunque lo Strigelli.
—Da quanto mi avete raccontato mi pare che questo scellerato beniaminodella fortuna abbia stancato anche sua madree tanto che parevoglia abbandonarlo. La passione gli ha penetrato il cervello inmanierach'ei non ha più il colpo sicuro d'una volta. Giàa quest'ora ha commesso tante imprudenze che davvero non so farmicapace del come ei si pensi di far tutto quello che vuolequasi chenon vi sia più un'autorità al mondonè un buoncapitano di Giustizia con barigelli e fantiche se possono metterele manette a qualche facoltososi comportano senza nemmeno pensareall'interessema pel solo e semplice amore dell'arte. Pare adunqueche questo sia il momento di coglierlo questo signor Suardi. Quando iserpenti stanno facendo la loro digestionequello è il puntoche i cacciatori se ne impadroniscono. Donna Paola egregiaqui nonbisogna avere scrupoli. Signora contessaqui bisogna aver coraggionè credere che il signor Suardi possa far quello che haminacciato. Voglio bene che la passione gli abbia fatto girare ilcervelloma se può commettere delle imprudenzenon vorràcommettere dei fatti gravi. D'altra parte ha promesso di venirdomaninon è vero?... Queste ventiquattro ore d'aspettazionesono un tesoro... per chi le sa valutare. Ma bisogna lasciar fare ame e fidarsi di me.
Lacontessaa queste parole del giovane Strigelliopponevanaturalmente l'invincibile sgomento in cui versava per la vita el'innocenza della sua Adasgomento che nel suo massimo accessoarrivava perfino a far tacere il ribrezzo che del pari irresistibileprovava per il Galantino. Donna Paola poitanta era l'emancipazionedella sua mente e de' suoi generosi principjemancipazione cheraggiungeva un ideale quasi non valutabile nemmeno dagli intellettipiù indipendenti del tempoun ideale che talvolta parevapersino trascendere all'intemperanzaopponeva alle paroledell'avvocato e al ribrezzo della contessa queste ed altreconsiderazioni:
—Voi diteavvocatoessere così manifesti nel Suardi glieffetti della vertigine della passioneche tutto induce apersuadervi essere venuto il momento di coglierloper la ragione chenon sembra più in possesso de' suoi naturali mezzi didifesa...
—Certamentedonna PaolaSansone fu potuto mettere in ceppidall'astuziaquando gli cadde la chioma.
—Ma ciò mi ripugnae tanto più che il Suardi si ècome confidato in noi. Le ultime sue parole erano d'uomo che ècosì penetrato dall'amoreche a questo sembra posporre ognialtra cosa; che per questo parrebbe quasi essersi operata in lui unacompleta trasformazione morale. Egli è riccole ultime suelargizioni ai danneggiati per l'incendio del borgo san Gottardoaccusano esservi in lui qualche sentimento generoso. Se un amoresincerolegittimamente appagatopotesse mai tradurre a benefiziodegli uomini quelle sue qualità particolari per cui una voltapotè loro riuscire dannosissimo; non provate voiavvocatouna certa titubanza nell'assalirlo in questo momento appunto?Troncare e distruggere un frutto che può essere buono non peraltro motivo che perchè nasce da un albero che in addietro nediede di cattivinon mi parrebbescusatenè sapienza nègiustizia.
—Io ammirodonna Paolaqueste vostre considerazioni. Le animenobilissime sono condotte dal desiderio del bene ad illudersi sulleapparenze delle virtù in altri; ed a credere nella durata diquelleche non sono altro poi che un'accensione subitaneaavvenutaper circostanze tanto speciali quanto passeggiere. Se ci potesseessere una certezza assoluta di codesta completa trasformazione dellaperversità nell'onestà; io direisi faccia quantodite. Ma c'è questa certezza? Possiamo noi dire che di unaardente passione possono essere perpetui i beneficj effetti? o nonpiuttosto chedileguandosi essa nell'atto stesso del suosoddisfacimentoabbiano a sparire simultaneamente anche quelle larvedi virtù che s'erano mostrate alla sua comparsa?
DonnaPaola a queste parole si alzòe:
—Avete ragioneavete ragionedisse; io mi lascio sovente trasportaredi troppo. Ah se il mondo fosse come io vorrei; se fosse vero chesiccome talora fantasticola virtù potesse essere un prodottodella volontà costante di chi la sente e la vede; e fosseerrore il crederedarsi nature così terribilmente guaste datornare impossibile il placarle pur sotto i più beneficjinflussi... che consolazione sarebbe!... Ma io fantastico talvolta...lo so bene; dunque fate voi... se qui la contessa lo permette.
—Libertà di operazione bisogna concedermied io confido chetutto debba piegar in bene.
Lacontessa tornava ad opporsi.
—Ma a respingere ogni obbiezioneritenete voidisse lo Strigelliche il conte voglia permettere quel che il Suardi domanda? Èuna pazzia il crederlo. Dunque lasciate fare.
Lacontessarassegnatasi affidò alle promesse incoraggiantidel giovane avvocatoa cuimentr'esso si accomiatavastrinse lamanoquasi facendo con quell'atto una nuova preghiera. E donna Paolalo seguì fin nell'anticameraper dirgli cosa che non volevafosse sentita dalla contessa:
—Oggi medesimo ho risoluto di recarmi dal conte V...
—E che? pensereste mai d'indurlo...
—Nono. State tranquillo. È un altro il mio fine. Io voglioindurlo a venir qui domani. All'idea di umiliare il Suardicertoch'ei ci verrà. In ogni modovoi mi comprendete... qualeconsolazione sarebbe se la contessa avesse mai a rappattumarsi colmarito... e dopo tanti anni si ricongiungessero! che consolazione permepei parentiper gli amici! Quale edificazione per tutta lacittà! che insegnamento solenne ai calunniatori farisei! Alconte ho dovuto parlare in più di un'occasione... ea dir ilverol'ho trovato migliore di quello che me l'avean dipinto...
—Oh certosotto a quella scaglia tutta irta di petulanza feudaleinfondochi sa pigliarlo pel suo versofinisce a trovare un buonbestionedisse lo Strigelli sorridendo; e per certe sue espressionia cui si lasciò andare parlando con mequasi non sareilontano dal credere... ma temo della contessatemo assai...
—La contessa farà quello di cui la supplicherò... e iventicinque anni sono passatied anche i trenta...
—Tutto va benema la disuguaglianza non sta negli anni ma nellatesta.
—Eppure è un tentativo che sento l'obbligo di non tralasciare.
—Troppo giustotroppo giusto.
Eil giovane Strigelliinchinando profondamente donna Paolasi partì.
Edora dovremmo parlare della visita fatta in quel giorno dalloStrigelli all'eccellentissimo capitano di Giustizia e il lungocolloquio avuto secoma troppe pagine si consumerebberoe non c'ètempo a perdere. Poi dovremmo riferire un altro lungo discorsoinvestigatore tenuto dal medesimo Strigelli nel dì stesso alsottotenente Baroggicui espressamente andò a trovare incaserma. Poi la visita di donna Paola al colonnello V.... el'escandescenza di lui alla notizia della sfrontata pretesa delSuardi; ma anche per ciò ci vorrebbe troppo tempo e spazio.Pensiamo inoltre che tutto questomeno il piacere ch'altri potrebbeavere a legger dialoghisarebbe al tutto superfluoperchè inseguito dovendo veder le conseguenze di queste visite e di questicolloqujdi necessità potremo indovinarne il tenorecome sefossero stati riferiti. Bensì ne giova assistere a una mezzadozzina di soliloquj successi nella notte di questo giorno pieno diaffannose faccende.



XII


Inquesta notte adunque alcuni de' nostri personaggi passarono le ore inuno stato di continua dormiveglia; vogliamo dire: l'avvocatoStrigelliil Galantinoil conte V...donna Paola Pietralacontessa Clelia V...; nè potè dormir benissimo nemmenoil sotto tenente Baroggi. Vi fu un'ora in cuiquasicontemporaneamentenon potendo chiudere occhioanche perchèil caldo era salito ai ventisette gradi di quel termometro cheRéaumur aveva inventato nel 1731e di cui l'uso s'era diffusoin Italia da pochi annii più di loro si alzarono sui gomitia seder sul lettoe acceso il lumesi misero a conversare con queipensieriche ronzando intorno siccome insetti importunilor avevanorotto il sonno; così tutti feceroquel che si suol direilloro soliloquio.
Illetto del giovane avvocato praticanteche già prometteva divoler diventare un luminare della giurisprudenzaera postovicinissimo ad un tavolone sul qualetra il Corpus juris e leIllustrationes ad Constitutiones Mediolanenses di GabrieleVerrie il volume della Praxis et Theoricæ criminalisdi Prospero Farinaccio aperto alla Quæstio XVII De delictiset pœnistrovavasi un cumulo di libelli e processi. LoStrigellinon potendo dunque dormirelesse attentamente due fittecolonne di quell'irto latino; eppoi:
—Tutte queste cose vanno benedisse tra sèma un avvocatoallorchè trattasi di vertenze criminalie gli premono i suoipatrocinatideve recarsi egli stessocome un buon generalesuiluoghi minacciatiper veder tutto dappresso; e deve far egli i pianie metter egli medesimo i giudici inquirentiquasi senza che sen'accorganofaccia a faccia cogli indizj della verità; dimaniera che siano costretti a vederli e a non poterli respingere.Ecco qui: il signor capitano di Giustizia non avrebbe mai pensato alSuardie anche dopo avervi pensatonon volea saperne di fargli unasorpresa. Or io ho tanto tempestato che l'ho indotto a fare il miovolere... Domani mattina la vorrà esser bella! Sta volta soncerto che il Suardi cadrà nella rete... Così potessigovernar io gli interrogatorj!... chè d'una in altra cosa...senza che se n'avvedalo ricondurrei al primo processo... Inconclusione quel processo fu sospesonon fu chiuso. Sarebbe ungrande avvenimento secol pretesto di far la difesa di lord Crall edei Frammassoniriuscissi a far fuori tutto il vero intrigoe farstupire tutta la città dell'insperata scoperta. Chebell'ingresso nella carriera d'avvocato! La lega tra il Suardi e ilBaroggi non è a caso. Peccato che questo giovane sia onesto!!Ma guarda a che conduce l'amore della professione! Mi fa dispetto lasua onestà perchè gli vieta di dir tutto quello che saa danno del Galantino. Egli ha ricevuto de' beneficj e teme dinuocere al protettore. Or ecco combinazione... fra una cosìfitta e ognor crescente schiera di scellerati che contaminano ilmondo ha a capitarmi innanzi un giovine onestoche è cosa sìraraprecisamente allora che m'è d'impaccio. Oh un indizioun indizio soloma grave e intero... e un buon interrogatorioe unarisposta del Galantino che implicasse contraddizione... e allora...mi ripugna ad essere costretto a trovaresia pure per questo solocasola necessità della tortura... ma il caso eccezionale diquesto astuto lacchè arricchito giunge a far rimanereperplessa anche la sapienza. Il Galantinoor più avanzatod'etàpiù ammorbiditopiù infiacchito dallaricchezza e dal lussonon potrebbe più resistere alla torturae parlerebbe.
Ladisgrazia è che il Baroggi gli diede mano attiva nel raptovirginumche è fra i crimini più gravi... ed iopur non vorrei mettere in ballo quel povero diavoloil quale non èche la vittima della prepotenza altrui... Del restoDio sa come ècorso il fatto precisamentee però converrebbe sentir lefanciulle. Ah! trovar le fanciullequesto è il problema. E aquesto dev'esser tutto posposto. Domanidopo il colpose riusciràparlerò ancora al Baroggie giacchè ha voluto ajutareil Galantinofarà la penitenza ad ajutare anche me.
Ecosì proponendo e rifiutando e ponderandoa poco a poco isuoi pensieri s'intersecarono fra di loro e si confusero in una vagae disordinata mescolanza; mentre gli occhiavendo di troppoduranteil lavoro della mentefissata la fiamma della fiorentinanerimasero sopraffatti e stanchie si chiusero e stettero chiusi finoall'alba.
Maun momento primanella propria stanzanella caserma della contradadegli Stampili aveva aperti il Baroggiperchè essendoandato a letto inquietissimoi tristi pensieri lo molestarono nelsonno sotto tante formeche al fine si svegliò nell'ora chedi solito cominciava il bello del dormire. E aperti gli occhidopoun momento di torporei pensieri a un tratto gli si levarono comeuno stormo di passere sgomentateed: — Oh maledetta la visitad'jeri! esclamò. Io mi sono lasciato indurre a parlar troppodalle sue domande insidiose... e non accorgermi a bella prima edaspettare adesso a pentirmene! Eppure non posso credere ch'egli mivorrà tradire. Educato da quel buon vecchio dell'avvocatoAgudionon vorrà fare un tristo giuoco a me e a mia madreche il vecchio ha sempre protetto con tanta caritàe feliceil mondo se l'avesser sempre anche i preti... Se il vecchio ètalenon dovrebbe essere diverso da lui il suo giovane allievo... ei giovani... Ah che vorrei crederlo! ma qualche volta i giovani sonopeggiori dei vecchi. In conclusione però... che cosa hodetto?... La verità intera non l'ho confessata... e dalla miaboccaper quanto l'avvocato abbia fattonon è riuscito acavare quel ch'egli voleva... e quasi quasi io era lì perfarlo... chè mi pareva di trovare una consolazione adabbandonarmi tutto in lui... tanto mi pareva sincero! Ma egli pur sache sono entrato in convento nella mia qualità di guardiadella Ferma! e questoprima di venire da mel'ha saputo daltenente... Ecco il sospetto... si sarebbe comportato di tal modol'avvocatose avesse avuto delle buone intenzioni a mio riguardo?Qui sta il punto... Ah... maledetto il giorno e l'ora che ilGalantino è venuto a cercare di mia madre e di me... Cosa mihanno fatto i suoi beneficj? eppoi che beneficj? Quando un birbonematricolato fa qualche cosa che sembra una buon'azioneèproprio allora il momento di stare in guardia. Or ecco come andòa finire... aveva bisogno d'uno strumento nelle sue mani... bestioneche sono stato a lasciarmi indurre!... Pazienza fossi io solo... mac'è quella povera donna di mia madre... tirata anch'essa nellarete... Ah che imbroglio! che imbroglio!... Ma anche tu ci sei dentroperòbirbone scellerato; ed or quasi son contento d'averpensato anch'io a rovinarti... Oh come mi guardò fisso ilgiovane Strigelliquando gli ho parlato del giorno in cui il signorSuardi pareva in procinto di svelarmi una gran cosa! Come sicompiaceva il signor avvocato a farmi ripetere le parole con cui ilsignor Suardiin tuono di profeziami parla sempre della miaricchezza! Ah! se questo giovaneastuto e svegliato com'èfacesse balzar fuori... e il signor conte Alberico dovesse vomitartutto quello che ha mangiato... oh che caso!... Ma io peròdoveva tacere... Ah doveva tacere... Ho fatto un'azione infame agettar quel sospetto... perché poi i beneficj son semprebeneficje chi ci cavò di miseria fu lui... Guarda un po' sequella maledetta faccia del conte Albericoimpiastrata di bellettocome se fosse quella d'una ballerinaha sentito un'oncia dicompassione per noi? Or che sarebbe stato se il Suardi non fossevenuto?... eppoi non sono io quello a cui egli ha dato e da danari esoccorsi... È però anche vero che io ho parlato a mezzaboccae chi parla a mezza bocca può sempre dar del matto achi pretende d'aver capito troppo. Pure doveva tacere. Ho fatto unacattiva azione; ma come resistere alla tentazione di scoprir terrenosu di ciò che più di tutto deve interessare la miaesistenza? Perchè un mistero c'èe il testamento delmarchese qualcuno lo ha di certo; ed io dovrei essere uno dei piùricchi del ducatocon carrozze e cavalli... se...
El'occhio del giovane Baroggimentre pensava queste ed altrettalicosesi fermò sulla sciabola appesa al muro per la tracolladi pelle gialla; e dalla sciabola a contemplare un ritratto appeso làpressoed era quello di sua madre quand'era giovane; e il raggiodella candelaccia di sego che diradava di poco l'oscuritàdella stanzaammorbandola di odor grassosi rifranse nelle grosse epoche lagrime che lentamente calarono in quel punto sul volto alBaroggi; e così stando in sui gomiti e colla testa appoggiataal muro che faceva di spalliera al lettotra una borsa di pelledonde spuntava il calcio di due pistolee una borsa di tabaccogrado grado si riassopì in un sonno affannoso.
Everso le tre dopo mezzanotteora che probabilmente potevacorrispondere a quella in cui il povero Baroggi s'era svegliato perl'inquietudinee si era di nuovo addormentato nel dolorelacarrozza del Suardi svoltavasterzando pomposamente nel portonedella sua casa in Pantanomentre spalancavasi con rumore lapusterlaspinta dalla mano del portinajo accorsocogli occhi ancorsonnolentiall'iterato fischio del cocchiere.
IlGalantino aveva passato la notte gozzovigliando e giuocando e bevendopiù del consueto nell'allegro convegno dei ricchi amici e dialcuni regj impiegati della Giunta d'Economia e di Governo chefrequentavano la casa del milionario Mellerio. E vi avea giuocato etracannato ad ampj sorsi per affogare il dispetto e la rabbia delgiorno e i mille presentimenti vaghi che gli davan noja; e chequanto più egli si sforzava d'irridere e rintuzzaretanto piùritornavano poderosi e sempre in maggior numero all'assalto. Mutodiscese dalla carrozzamuto salì lo scalonemuto entrònella sua stanza da lettonon rispondendo nulla al servitore cheprecedutolo ad accendergli i lumi della caminieralo aveva lasciatosolopronunciando il consueto saluto: Buona nottesignorpadrone. L'allegro sciampagna non aveva lasciato nessun depositod'allegria in luichè il vino eccellentequando lo spirito èin affannofa l'effetto dei bei giorni sereni e dei limpidi soliiquali arrovesciano un animo già mal dispostopeggio che igiorni tetri e piovosii qualimettendosi all'unisono con l'animanon la turbano almeno coll'importuna antitesi. Meditabondo e col capograve si spogliòe si gettò nel lettospenti che ebbei lumi; ma sporse alcuni momenti dopo il braccio dalle cortine didamasco per dare una strappata al campanelloe per dire al servoriaccorso tutto sollecito: Accendi ancora quelle candele.
Statoadunque così un po' colla testasprofondata ne' guancialis'accorse che per quella notte avrebbe potuto fare qualunque cosafuorchè dormireonde si mise a seder sul lettopuntando ilgomito sinistro ne' cuscini e reggendosi la testa colla sinistra manocome portava quella posizionee lasciando il destro braccioabbandonato sulla copertina di seta:
—Domani a quest'ora tutto sarà decisopensava; o uno di quegliscandali da mettere sottosopra tutta la cittào allegriagenerale. Spero poco peròpoco assai; in conclusione mi pardi essere nella condizione di un giuocatore impazzitoche abbiamesso su d'una carta tutto quello che possiede. E fosse davvero unacarta!... io le ho educate a servirmi... Ma che cosa si puòsperare da quella bestia feroce del conte?... E doveva il Senatomettere in sua balìa la ragazza?... dichiararlo suo padre? Cherazza di dichiarazioni e di decreti! Decretare che il sole non èpiù il sole ma è la luna!... Perchè?... voltapure e rivolta e rimescola la cosa... la conclusione è questa.Ma c'era un grande ricchezza da conservaree Dio sa come avrannolavorato sott'acqua i parenti della contessa!... Ecco qui; se ilSenato avesse dato causa vinta al contem'accorgo che collacontessaad onta della nobiltà del suo casatojeri si potevafinir tutto... e mi pare che donna Paola Pietra non avrebbe messomale. E in fattise si considera la cosa da tutti i lati possibili econ tutta la tranquillità imaginabileed anche concedendotutta la tara ai fumi del sangue patrizio... la mia pretesa èonesta... nè solo onestama necessaria... Se io avessi fattoportar via la fanciulla per un mio gusto scellerato... via... non cisarebbe scusa... Ma quel caro angelo divino... quel fiore cosìbellocosì puro e fragrante si è piegato verso di meper un movimento spontaneoe comunicatoglinon è possibiledir di noda una forza chese non è precisamente il destinodev'essere certo qualche cosa che gli somiglia... Io suo marito... edella mia moglie... O guarda come questa idea mi fa arrossire del miopassatoe mi mette addosso una smania di poter diventare il re deigalantuomini! Ma noquesto maledetto bue catalano colla corona anove punte deve aver il diritto di mandar tutto al diavolo! Questaidea mi mette addosso l'infernoe arrivo ora a comprendere come perun'idea si può diventar matti!
Eparve che un diavolo azzurrosentite le ultime parole del Galantinoe volando da Pantano alla contrada non discosta dov'era il palazzoV...recasse quelle stesse parole nella stanza del conte in quelpuntoper gettargliele sgarbatamente in faccia. Onde il contecomeriscosso da un sogno perversobalzò ritto sul letto a mezzavitae:
—Stupido sfrontato! quasi gridò. Domani la vedremoe sentiraicome pesa il bastone di un mio pari. Perchè sei diventatoriccofacendo il birboneneppur di nascostoma in piazza e di pienmeriggioosi chiedere la mano di quella che dee portare il mio nome!il mio nomeper Dio... Scommetto che dacchè al mondo ci sonpadroni e servipatrizj e plebeinon s'è mai dataun'impudenza com'è questa. Un giovinastro nato in una stallaprocessato per ladro... Ahi l'ira che ne provo è tale che senon arrivo a farlo in pezzi questo scellerato inauditoe a dare unesempio solenneio scoppio; per veritàch'io scoppio! e lafanciulla ha a trovarsi in suo potere?... e di necessità si haad aver la pazienza di tacere e di dissimulare per timore... Ah!questo è troppo. Ma io ammazzerò la fanciullapiuttosto che vederla contaminata da un matrimonio simile... Chemaledetto destino è il mio!... e mi dev'esser venuta in pettoda non so dove tanta predilezione per quella figliuola! e per amorsuo ho potuto lasciarmi strappar la promessa d'andar domani làdov'è la contessa... Oh che casoche scandalo!... e come neparlerà e ne sparlerà il mondo... Ma tanto peggio perquell'abbominevole lacchè ch'io stritolerò sotto aipiedicome si fa coi rospiquando si va a caccia in paludee cistriscian sugli stivali. Voglio dare un esempio ioun esempio vogliodare.
Epensando e dicendo questoe tra per l'ira e tra pel caldo nonpotendo star sotto coltrene uscìnon possiam dire ne balzòfuoriperchè la sua grande e forte corporatura non gliconcedeva troppa agilità di movimenti; e messasi la veste dacamerasi diede a passeggiaree per pigliar frescopreso il lumepassò in altre camere. In una v'erano i ritratti nuziali dilui e della contessa. Ma quello della contessaa pompa di cordoglioe forse a segno di condannafino da quindici anni addietro era statocoperto da una tela nera. Fermatosi a guardar sè stesso nelritratto dipintogli dal Portagli venne la tentazionecerto inconseguenza del pensiero che il dì dopo doveva recarsi dov'erala mogliedi alzar quella telae l'alzò infatti; e si mise acontemplar la contessa effigiata al vivoe bella della trascorsabellezza di diciotto anni. Strane idee gli passarono in mente aquella vistae fisso in quella contemplazione si mise a sedere sud'un'ampia poltrona che strascinò rimpetto al ritratto.
Lamattinaquando il servo entrò nella stanza da letto perisvegliarlosecondo l'ordine avutonon avendolo trovatopassòcosì a casod'una in altra cameraintimorito e pieno dimeraviglia quando vide il padrone addormentato in faccia al ritrattodella padronasu cui la candela di ceraquasi tutta sgocciolatamandava la luce di una fiamma intermittentelarga e rossastra.
Pureil conte V... e il Galantino e il Baroggi e l'avvocato Strigellisefurono turbati nel sonnopoteron pure sfiorarlo qualche pocoo lastanchezza chiudesse loro per forza gli occhio l'inquietudine fosseplacata da qualche pensiero confortevolevero o falso che fosse; mala contessa Clelia era da quasi cento ore che non poteva dormire;aveva viaggiato senza riposo; appena giunta a Milano non ebbe cheoppressioni assidue di corpo e di spirito; la stanchezza fisica nonle concedeva quasi più di reggersi in piedi; tanto chenell'ultimo giorno di quando in quando le cadevano le palpebreoppresse da una pesantezza invincibilema tuttavia non fu maipossibile che il sonno la involasse un momento al suo affanno. Ellaaveva nello spirito quel dolore spasmodico che è in alcunimalori acutionde la vita è sempre desta per tormentare lavita. Chi non s'è mai trovato in questa condizione amara dicader sfilato dalla stanchezza e dalla veglia diuturnae non potertuttavia dormireper sua fortunanon può dire di avermisurata in tutta la sua crudele intensità la potenza deldolor morale. E donna Clelia non s'era nemmeno coricata in quellanottema così discinta se ne stava un po' sedutaun po' inpiediun po' in ginocchio. E pel caldo affacciatasi alla finestravolgendo gli occhi al cielo sereno e sgombro e tutto stellatonell'esaltazione dello spirito provocata dalla medesima stanchezzafisicastette assorta nella contemplazione di quel cielo e le parvecome di trovarsi faccia a faccia con Dio; onde gettatasi inginocchiosi mise a pregare con un fervore intenso come il suoaffanno.
—Io non chiedo altro se non che mi sia ridata la mia figliuola viva epura. Se per la gioja di poterla rivedere io dovessi morir subitodopo... benedetta la morte con cui avrei pagata tanta consolazione divita... Venga la mia figliuolae purchè sia felice... deh sifaccia il miracolo che mio marito rompa una volta l'ostinata crudeltàdel suo orgoglio... Io non so come vorrei scontare quell'istante disuperbia onde mi parve che avrei anch'io voluto qualunque cosapiuttosto che la felicità di mia figlia nel modo onde mi venneimposta. Ma ella viva e ritorni a mee sia felice... Questo solo iodesidero e supplico.
Ecosì pregando e gemendonon potendo più reggere inginocchio a quel modocadde accosciata su sè stessae deposela testa sul cuscino del davanzale della finestralasciando penderein abbandono le braccia in posizione simmetrica.
Allorchèdonna Paolaalla prim'albale entrò in stanzaaccorse asollevarlavedendola colà immobile; la sollevò e labaciò in frontee la portò di peso sul lettosenzachèquella sventurata si svegliasse.
—Infelicepensava donna Paolaguardandola in silenzio. La stanchezzafinalmente fu più forte del tuo dolore; e la Provvidenza forseti ha concesso questo momento per farti più valida a sostenerele terribili scosse che ti si apprestano in questa dubbiosa giornatache sorge. Pensando a' tuoi travagli è da più notti cheanch'io non chiudo occhi... ma sono io forse più fortunata dite?... Di due figliuoli carissimiuno è ramingo pel mondospinto dalla sua irrequieta naturain cerca di pericoli e diventure; l'altro... Ahipensando al cuor suo e al dolore che avràprovato e in cui sarà immerso tuttora al pensiero che la suaAda fu rapita... la sua Ada per cui... Oh inestricabile intrecciod'affanni... Oh avvenire incertissimoche la mia vecchiaja paventadi non giungere in tempo per vedere snebbiato!


LIBRONONO


Ilvecchio Agudio e il Baroggi. — Dopo quindici anni. — Maritoe moglie. — La gran voce del pubblico. — Origine deibanchetti generali notturni. — La città di Milano e unverso d'Alfieri.   Il Collegio dei giureconsulti. — Leuniversità degli oreficidei mercanti d'oroecc.ecc. —L'accademia dei Trasformati e il conte Imbonati. — La scuoladegli scultori in Camposanto. — La piazza del Duomo. — Unprogetto architettonico. — Le badie dei bergaminidei caserie dei facchini. — L'accademia dei Fenicj e l'abateOltolina. — Una colonia dell'Arcadia nel palazzo Pertusati. —Don Alberico marchese e conte F... — Triplice eredità. —La casa del diavolo. — La cantante Agujari e il cavallo arabo. —Adadon Alberico e il Galantino.


I


Lamattina l'avvocato Strigelli si alzò per tempissimoe si recòcon gran sollecitudine dal suo vecchio maestro Agudiocome soleachiamarlo. Aveva cangiato parere su molte parti del suo pianoedurgendo il tempovoleva essere rassicurato anche dal senno diquell'espertissimo giureconsulto. Avuto il piacere di sentireapprovato il proprio disegnosi trasferì difilato al Capitanodi Giustizia per parlare all'attuarodi concerto col quale ecoll'eccellentissimo signor capitano si era provveduto ad aprire unnuovo varco al processo di lord Crall e di Lorenzo Brunie deglialtri Frammassonicheconfessando quel che non potevano negareemanifestandosi anzi con coraggio e con fermezza contro lesoverchierie de' fermierifuron tutti saldi e d'accordo nel negared'aver avuta parte veruna nel fatto della scomparsa delle duefanciulle dal convento di san Filippo Neri. E l'attuaroinconseguenza delle parole dell'avvocato Strigellimandò achiamare il tenente dei fanti di giustizia per trasmettergli nuoviordini.
Dopodi ciò l'avvocato recossi alla casa di donna Paola Pietraperprendere lingua su alcune cose che non avea potuto sapere il giornoprima.
—Al conte ho parlatogli disse donna Paolae l'ho indotto a venirquie l'aspetto anzi a momenti. Davvero che mi pare d'aver fatto unmiracolo. Non vorrei però che fosse per nascere qualche scenascandalosa e terribilemessi il conte e il Galantino al cospettol'uno dell'altro.
—State tranquilladonna Paolachè abbiamo pensato ad ovviareanche a questo inconveniente.
—Ma in che modo?
—Vedrete... e spero che forse avrete a lodarvi di me... Confortateintanto la contessae fatele coraggio.
—Caro avvocatoche pena mi ha fatto la contessa un momento faquandoho dovuto pur dirle che il conte oggi veniva qui!
—Già v'ho detto che tutte le difficoltà per questovostro nuovo e giustissimo intento sarebbero insorte dal lato dellacontessa. Ciò era ben naturale.
—Nonocaro mionon si tratta di questo. Ellasentendo che ilconte s'era lasciato indurre a venir quitosto s'è fissatanella persuasione che il conte fosse disposto ad accogliere leproposte del signor Suardi. Figuratevi com'io mi sentissi di dentrorimeditando la furia onde ieri proruppe il conte nel sentire lepretese del Suardi! Ma la contessa non sospira che la figliuolaeper rivederlanon so quel che farebbe. Davvero che fa pietà.
—Torno a ripeteresupplicatela ad aver coraggio; so io quello chedico. Ieri ho parlato al Baroggi...
—E così?
—Sa tuttoquantunque non voglia dirlo; ma quel che non ha voluto direierilo dirà oggiso ben io il perchè. Sa tuttoripeto... e ho potuto comprendere che le fanciulle sono davvero insalvoe che non è che la pura verità quello che ilSuardi ha esposto. Ma non sentite? — è una carrozza cheentra dal portone.
—È il conte senz'altro. — E donna Paola diede unastrappata al campanello.
—Ma che ora può essere adesso? chiese lo Strigelli.
—Sentite che batte la campana dell'orologio.
—È tardi... io devo essere altrove; perdonateio vado. Diofaccia che fra un'ora possa essere portatore d'una buona novella.
El'avvocato Strigellinell'uscires'incontrava nel conte V...
Quest'ultimonell'entrarediedeper un moto che gli era abitualeun'occhiatad'alto in basso all'avvocatoe:
—Chi è colui? chiesementre salutava donna Paola.
—L'avvocato Strigelli.
—Ahah... il giovane praticante dell'avvocato Agudiocolui chescrisse tanti atti contro di me; lo conosco assai bene. Scusatedonna Paolama venendo in casa vostraposso dire d'esser venuto nelcampo nemico.
—Nel campo di un alleatodite megliodove i parlamentari si sonradunati per venire a patti e per cedere volontieri le armi. Quelgiovane vi stima assaie fu egli a consigliarmi di venire da voiegli e la contessa... L'uno e l'altra si trovaron d'accordo nelpensare che voi solo potevate incutere timore al Suardi.
—Ribaldo sfrontato!... esclamò il contee si mise a sedere.
Lavasta poltrona di marocchino entro la quale s'era come perduto ilpiccol corpo del nostro Giocondo Bruni ancor fanciulloappena bastòper contenere la colossale persona del conte. Era esso vestito damattinaossia portava un soprabito color turchino con baverinafilettata d'argento che gli scendeva oltre la spalla; aveva stivalicorti di pelle di cordovano pur filettati d'argentocon spronicorti; all'occhiello del soprabito portava il nastro dell'ordine diSan Jagoe teneva nelle mani un grosso scudiscio da maneggio.Non gli mancava che le spallette e la sciabola per essere creduto unmilitare in servizioe tanto più quando si guardava a quellafaccia burberaatteggiata ad una fierezza di convenzione sullaqualetra il bianco della parrucca ad ala di piccione e il rossocolor mattone equabilmente soffuso senza gradazione sulla frontesulle guancesul nasospiccava il nero di due baffi cortipiuttosto che ai quali avrebbe rinunziato alla corona di conte o perlo meno all'ordine di San Jago. Come poi fossero neri non losappiamoperchè il loro obbligo sarebbe stato di esserealmanco grigichè nell'anno di grazia 1766 i cinquant'annidoveva averli passati da molto tempo. Ad ogni modofosse ilprivilegio ordinario di naturao fosse la virtù parigina diqualche pomata che potrebbe forse venire a gara colle miracolosed'oggidìi baffi erano nerie basta di ciò.
Dopoaver giratosenza parlarelo sguardo intorno alle pareti perosservare i ritratti di famiglia della casa Pietra Incisa:
—Quanto potrà tardare a venire questo mascalzone? domandòegli.
—All'ora di ieri...; però mi pare che potrebbe mancarpochissimo.
Ilcolonnello si alzòe fatto come un giro intorno a sèstesso:
—Le paresoggiunseche dobbiamo riceverlo qui in anticamera?
—Le convenienze ci vogliono anche con costoro. La contessa jeri gliparlò qui... la contessa ed io...
Ilcolonnello stette muto qualche momento.
—Ma c'è da impazziredonna Paoladisse poipensando chenelle mani di costuiprecisamente nelle mani di costui doveva caderequella... quella ragazza...
—Ahfu davvero una gran disgraziaconteperchè temo cheanche quando avremo riconquistata la ragazzapur troppoci saràpericolo di perdere la contessa.
Ilcontea quelle parole di donna Paolanon afferrandone bene ilsignificatoe tuttavia rimanendone turbatofu in procinto didomandarle una spiegazione; ma si trattenne... e volse altrove lafaccia... e fece alcuni passi per la camera; e come per dare sfogoall'ira che provava nel sentirsisuo malgradocommossoed ancheper quell'indole sua militarmente bruscalasciò cadere uncolpo di scudiscio sulla spinettache risuonò come unghitarrone sfregato nelle corde.
—Scusatedisse poima costui si fa aspettare un po' troppo.
—Abbiate pazienzaconte... e vogliate perdonarmi se vi lascio unmomento solo. Vado a vedere come sta la contessaperchè pocofa era a mal partito assai. Sono tre giorni e tre notti che nonmangia e non dormee non fa altro che disperarsisospirare epiangere. Stamattina soltanto si lasciò andare ad un sonnoinvincibileriposando la testa sul davanzale della finestra ad ariaaperta. Il che le ha fatto malissimo; ondepochi minuti sonofucolta da un deliquio e da un sudore mortaleche ce ne volle aritornarla in sè stessa. Scusatevado e torno.
Ilpiglio burbero e fiero che appariva ognora sul volto del conteerail più delle voltelo abbiamo già dettoun piglio diconvenzione. Quasi tutti coloro che passarono la loro gioventùfra le arminei bivacchie sui campi di battaglia hannol'abitudine di sfoggiare un tale frontispizio e di caricarlo talorafin quasi comicamenteper far colpo; press'a poco come i bassiprofondi chequando parlano in pubblicoalterano la voce in modoche sembrano uomini soprannaturali. Ma in quel modo che i bassiprofondiquando sono in veste da camera e si trovano al cospetto dipersone che non hanno a far nulla col teatrolasciano uscir la vocesenza pretesa e a beneplacito della natura; così anche imilitari in quiescenzaquando son solipermettono che i muscoli delviso si rilascino alquanto come comanda la natura. E cosìavvenne della faccia del conte colonnello. Quella specie di veloartificiale ed avventizio lasciò allo scoperto la nudae schietta tinta della bonarietà che la natura gli aveva purdatadi maniera che quel suo faccione parve per un istante quello diun sempliciotto contrito e commossotanto commosso che gli occhi glisi inumidirono.
DonnaPaolache conosceva l'uomonon a caso avea detto quel che aveadetto. Fin dal giorno prima ella erasi accorta come in lui fossesbollito ogni sdegno contro la contessa. Non si trattava or dunquepiù d'altro che di penetrare più addentro che fossepossibilemettendo in movimento la compassionein quel terreno giàtutto quanto smosso e rammollito.
Enon a caso lo avea lasciato soloperchè avvedutasi che ilracconto del misero stato della contessa lo aveva messo sottosoprapensò di non avviare altri discorsicheinterrompendo quelpensierolasciassero tempo al cuore di rimettersi in calma e diriassumere la consueta padronanza; e intanto erasi recata infattinella camera della contessa cheper veritàstava malissimotrovavasi in una prostrazione di corpo e di spirito da farcompassione a chicchessia.
—Come vadonna Clelia?
Quellarispose crollando il capo.
—Sapete chi è venuto?
—Chi?
—Il conte!
—Oh Dio!! Ma non è necessario ch'io sia presente al colloquio.
—Non è necessarioma sarebbe utileepiù che utileconveniente e generoso.
—Generoso?... ma credete che il conte... nonodonna Paola. Voi nonlo conoscete. Dio sa che scena orribile sarebbe per fare.
—Io non sono della vostra opinione; e quando debbo dirvi la veritàinteras'io fossi ne' vostri pannialla notizia ch'egli si lasciòindurre a venir qui... io sarei volata nella sala dov'egli si trova.In conclusionebisogna esser giustidonna Clelia. Chi si deveumiliare per il primo? Chi? E l'interesse vivissimo che ha preso eprende per la vostra figliuolaci dev'essere per nulla? So quel chevolete direlo so. Ma in quanto a luidimenticate il passato erammentate il presente. E in quanto a voiper quest'oggettononabbiate in mente che il passato. Perdonatela mia cara Cleliase viparlo così in questi momenti. Ma io prevedo che immensaconsolazione sarà per riempire il vostro cuore quando visarete risoluta a rivedere vostro marito.
—Io sono pronta a fare tutto quello che voletema per oggi no. Peroggi non mi sento disposta. Lasciate prima che io possa riabbracciarela mia Ada.
—L'avvocato Strigelli m'ha ingiunto di rassicurarvi su di ciò;perchè da jeri ad oggi ha trovatoegli stesso me lo ha dettola via giusta per venire a capo di tutto. Ma zittoche sento parlarenella sala di ricevimento; fosse mai venuto il Suardi? Mi rincrescedi non essermi trovata là prima ch'egli entrasse.
Ecosì dicendo lasciò sola la contessae tornòdov'era il conte.
Attraversaterapidamente le camere interpostequando entrò nella sala diricevimentosi maravigliò di trovarvi l'avvocato Strigelliinvece del Suardi. Onde gli chiese:
—In che modo voi siete quie perchè colui si fa aspettartanto?
—Chi... colui?
—Il Suardi.
—Lo aspetterà per un pezzodonna Paola. Ma sieda quidigraziae sentirà.
—Sentitesentitedonna Paolasoggiunse il conte con una schiettezzadi gioja insolita. Sentite.
Mail lettoreinvece di ascoltar l'avvocato Strigellisi compiaceràse è di comododi ascoltar le nostre parole.



II


Noisiamo avversi a quella che noi chiameremo morale di convenzionelaquale non è già quella che Mirabeau chiamava lapiccolae che secondo lui non faceva gli interessi della moralegrande; quasi che vi possano essere più categorie di moralinel mondo assoluto delle idee; ma è bensì quella che fustabilito di adottare nelle opere dell'artee per la quale ipersonaggi più o meno scellerati dovrebbero ricevere la loroconveniente punizione prima che cali il sipario o si chiuda il libroaffinchè la lezione balzi di tratto dall'opera alla testa dellettore anche il più volgare e ottuso. Questa moraleodiremo più giustoquesto modo di far uso della moraleèspesso erroneoperchè se l'arte dee riflettere i fenomeni delmondo e della vitasarebbe costretta ad alterare la veritàogni qualvolta non trovasse che nella vita e nel mondo i galantuominisiano premiati e i perversi puniti. — La moralità stanell'ordine delle idee e non nel campo dei fatti; — perciòall'assoluta moralitàper esempiodel don Giovanni Tenorionon era per nulla necessario che il convito si trasmutasse in unascena infernale coi diavoli tormentatori; nè era necessarioalla moralità dell'Otello che Jago venisse ferito dallascimitarra vendicatrice del geloso Africano.
Quantiuomini noi abbiamo vedutonoi e i nostri amiciad attraversare lavita gloriosi e trionfanti delle loro medesime cattive azionisenzache la legge abbia potuto ghermirlisenza che nemmeno l'opinionepubblica abbia potuto sfogarsi rumorosamente contro di lorosenzache nè in iscritto nè in istampa rimanga pur una notad'esecrazione contro di essianzi rimanendo invece qualche elogioscolpito nel marmoper abuso di postuma pietà! E per questola morale ha forse cessato di essere la morale? è ella cosìimpotente e miserabilecosì relativa e precariacheper darsegno di vitadebba essere in obbligo di aggiustar le partite atutti gli uominiprima che escano da questo mondo? E in quanto alleopere dell'arteperchè possano scansar la taccia d'immoralidovranno essere impreteribilmente costrette a mandarenel puntodella catastrofetutti i galantuomini all'osteriae tutti i birboniall'inferno? Noi crediamo fermamente di noe per questo di malavoglia oggi prendiamo la penna in manoperchè dobbiamraccontar cosa che parrebbe introdotta appositamentenon per altroche per fare un po' di corte alla così detta morale diconvenzione. Ma quel benedetto frate di sant'Ambrogio ad Nemustenendo conto con molta precisione di tutto quello che avvenne delSuardi e che giunse a di lui notiziaregistròsebbenemeravigliandosi anch'esso (il che proverebbe che al pari di noi nonavesse molta opinione della giustizia relativa)registrò talfatto che non possiamo assolutamente levare da questa storiaadispetto de' nostri principj d'arte: e perchè il vero non èuna cosa che a capriccio si possa pigliare quando ci torna utileerespingere quando è incomodoe perchè da questo fattotanti altri ne dipendono per conseguenza necessariacheadalterarlo o a distruggerlobisognerebbe poi far tutto il resto disola fantasiail che è assolutamente contrario al nostrointento.
Abbiamodunque lasciato il Galantino sotto al baldacchino di drappoinseriissima consulta co' suoi pensierii qualisotto diverse formegli ricomparvero poi nei sogni dell'albaquando finalmente potèchiudere gli occhi a dormire. Ma ad onta della veglia durata si destòprestoe si alzòe discese nello studio. L'aria elastica delmattinouna tazza d'acqua freschissima bevuta in un fiatoun'occhiata ai libri mastridue parole fatte col giovane di studioche teneva la corrispondenzalo misero in tônotanto che uscìpersino in qualche celia.
Esaminaticosì i mastri e rallegratosiperchè l'idea di una granricchezza che va sempre crescendo ravviva lo spirito anche piùdell'aria sana e dell'acqua frescaritornò all'appartamentosuperioree si dispose alla toilettela quale non ostante lagioventù ancor viva e la bellezza che non avea bisognod'ajutopure gl'involava tutti i giorni un'ora buonaper quella suainnata predilezione allo sfoggio e alle delicatezze profumate delvivere. Guardandosi dunque nello specchio intanto che lo andavaimpolverando il parrucchiere Castini (il quale era tra i piùrinomati del rione di porta Romanae di cui noi abbiam conosciuto ilfigliocelebratissimo anch'esso a' suoi bei giornifinchèrimase oscurato dalla fama irrompente degli ScandelarideiMigliavacca e dei Brambilla); guardandosi dunque nello specchiomoltiplicando l'idea di gioventù e di beltà che sivedeva innanzi agli occhi in tutta la sua seducente apparenzaperl'idea di ricchezza di cui un momento prima aveva veduto le cifreespressive sui mastrine cavò un prodotto che mise in fugatutti i timori e le incertezze provate durante la notte; e persoprappiùdalla finestra vedendo nel cortile il carrozzino digala verderigirato intorno intorno da una ghirlandella dipinta adorocolore e ghirlanda che erano all'ultima modanon gli sembròvero cheinvestito dall'eloquenza di tutta quella pomposa apparenzae di quella innegabile sostanzail conte V... potesse rimanereostinato nel negargli quello che in fin de' contisecondo luibisognava concedere. Con queste allegre idee pertantoacconciato chefue mandato a dire al cocchiere che attaccassediscese ancora unmomento in istudio per dare alcuni ordinipoi salì nelcarrozzinoe di buon trottopassando il crocicchio del Bottonuto einfilando i Tre Ree giù per la contrada degli Speronari eSpadarie svoltando sulla piazza della Rosae quasi radendol'edificio della Biblioteca Ambrosianariuscì sulla piazza diSan Sepolcro. Ma qui avvenne quel che Galantino non avrebbe mai nècreduto nè voluto che avvenisse. Un'ora prima che egli uscissedalla sua casaagli sbocchi della contrada di Pantanostavan fermia quello verso l'Ospedaledue uomini adagiati in sediolospecie di curriculo che allora era molto adoperato dai viaggiatoricommerciantie in generale dagli uomini d'affari; allo sbocco poiche metteva alla contrada Larga stava un uomo a cavallo in abitocivile. Quest'ultimoquando vide uscir la carrozza dalla casaSuardidiede di sprone al cavallofacendogli fare due o trecaracollatee tosto si mise in coda al carrozzinomentre quasicontemporaneamente veniva raggiunto dai due uomini del sediolo.
—Or che si fa? disse uno di questi ultimi.
—Aspettate che si sia usciti di queste contrade di genterisposel'uomo a cavallo; s'egli sa ove deve andarepasserà di SanSepolcro. Quello è il luogoe attenti.
Quandoappunto la carrozza del Suardi attraversava la piazza di San Sepolcroe stava per svoltare nella contrada del Bollol'uomo a cavallo sispinse al galoppoe si accostò allo sportello abbassando latesta e dicendo:
—Signor Suardisi compiaccia d'ascoltarmie nel tempo stesso intimòal cocchiere di fermare i cavalli.
Inquel punto il sediolo si fermò presso i cancellidell'Ambrosianae mentre un uomo teneva il cavallol'altro si alzòda sederestando così piegato in sul dorsoe coll'occhiointento alla carrozza del Suardinella posizione di chiad uncennoè disposto a balzar giù per accorrere.
IlSuardi si volseil cocchiere tirò le redinil'uomo a cavallocontinuò:
—Mi perdonisignorese sono costretto a tenerla qui impacciata; mal'eccellentissimo signor Capitano di Giustizia la invita a recarsi dalui un momento per un affare di urgenza; perciòse non lerincrescela pregherei di far subito voltar indietro la carrozzaedi andare al palazzo. Io la seguirò da lontano.
Quandoun uomo è colto da un colpo inaspettatoin quel minutosecondo in cui balza da un ordine di pensieri ad un altro affattooppostole facoltà dello spirito assumono una velocitàinconcepibile. La memorial'associazionela riflessioneilgiudiziofanno in quel minuto secondo quello che tante volte nonarrivano a fare in un giorno. La luce non è così rapidaa correre di cosa in cosae a rischiararle tutte in un baleno. Ecosì avvenne in quel punto del Galantino; si ricordòs'interrogòsi rispose. Vide che quello era un agguatopensòche qualcuno poteva e doveva aver dato un consiglio alla contessa;per la prima volta riconobbe con rabbia furibonda tutte le imprudenzeda lui commesse; misurò il pericolocalcolò quel cheera da fare e non da fare; e pensato e riflesso tutto ciòcolla velocità del lamposi contennee calmo e gentile esorridentequantunque fosse pallido come la mortetremante come unparaliticorispose all'uomo a cavallo:
—Non occorre altro; e disse al cocchiere: torna indietroe va inpiazza Fontana.
IlBenvenuti nel conciso suo ragguaglio intorno a questo fatto diceche«Alcune persone che erano in piazzafurono presenti a quellafermataeavendo riconosciuto che la carrozza era del Suardiappaltatorehanno potuto credere che quell'uomo a cavallo e quellinel sediolo fossero suoi addetti al servizio della Fermageneralee fossero accorsi per dargli qualche grossa notizia che nonpatisse ritardo. Solamente qualche ora dopo si è saputo che ildetto signor Suardi era stato condotto al Capitano di Giustizia nelsuo stesso carrozzino di gala. La qual cosa arrecò granstupore a tuttie per il modo irregolare con il quale era statafatta la capturae per essere stato così trattato un uomo checon li danari e la prepotenza faceva stare tutti in gran rispetto».
Nonsiamo arrivati a capire che cosa il frate di sant'Ambrogio ad Nemusintendesse di dire colle parole: il modo irregolare con ilquale era stata fatta la capturasalvo che non abbia volutoalludere all'uomo travestito a cavalloe ai due altri travestiti insediolo i quali probabilmente saranno stati ilbarigelloo qualche tenentecon due fanti di Giustizia; e forsenella cattura avranno pensato di valersi di questo modo insolitoavendo un ragionevole sospetto che il Galantino potesse mai opporsialla forza o deluderlaquando fosse stato colto in casae da uominiportanti insegne dell'autorità criminale. E recano purmeraviglia quelle altre parole del frate raccoglitorecon cui sembraquasi lamentarsi che la Giustizia non abbia portato rispetto a unuomo che aveva molti denari ed era prepotente. Sono esse peròun segno fedele di quel tempodi quegli uomini e di quei costumi;giacchèo siano un'espressione sincera del frate oun'espressione ironicaquel che risulta si èche il piùdelle volte la Giustizia chiudeva un occhioo lasciava fareo sicomportava con gran riguardo ogni qual volta trovavasi al cospettodei ricchi e dei prepotenti. Ed ora ritorniamo di volo in casaPietraper dare ascolto a quel che dice l'avvocato Strigelli.
Ditutto quello che abbiamo raccontatorecando in mezzo latestimonianza d'un contemporaneoegli stava intertenendo il conteV... e donna Paola; lo Strigelli aveva mandato il proprio portinajoche gli faceva anche da servitoree uno scrivano del vegliardoAgudiol'uno in contrada di Pantanol'altro nel cortile del palazzodi Giustizia ad osservare e a tener nota di tuttoperchè neportassero poi la notizia allo studio dell'Agudio medesimo. Ed eccocome spiega il brevissimo tempo in cui lo Strigelli stette lontano dacasa Pietraperchèrecatosi allo studio del suo maestro incontrada di Zecca Vecchiacolà trovò e il portinajoche gli raccontò come avea visto ad uscire la carrozza delSuardi dalla di lui casae a mettersi in coda ad essa l'uomo acavallo e i due uomini in sediolo; e lo scrivano chegli disse di aver assistito all'ingresso della carrozza del Suardinel cortile del palazzo di Giustiziae al discendere del Suardidalla carrozza per salir tosto lo scalone.
—Orasoggiunse lo Strigelli a conclusione della sua relazionesiamoal sicuro da ogni colpo del Galantinoil quale potevaegli èverofermarsi alle sole minaccie; ma poteva anchenell'esasperamento della passionemandare ad effetto quel che avevaminacciato. Ecco perchè s'è creduto bene di coglierlocosì di sorpresaperchè guai se fosse sfuggito allaGiustizia! Sarebbe stato pericoloso come un toro feritoche chi glisi trova dirimpetto può far subito l'atto di contrizioneenon pensare ad altro. Ed ora non ci rimane che mandar sulle tracciedella fanciullae già confido di averne il mezzoe chedentr'oggi otutt'al piùdomaniella debba essere qui inquesta casa sana e salvaesperiamoanche contenta. Dico anchecontenta perchèper più riscontrimi pare che lafanciulla si fosse davvero invaghita di quel ribaldo seduttoremavoglio sperare chequando avrà saputo chi esso èveramenteogni illusione scompariràe il cuore saràguarito.
—E qual è questo mezzo col quale credete di potere dentr'oggitrovar traccia della fanciulla? chiedeva il conte.
—Permettetemi di non aggiunger altro per oraperchè non possoarrischiarmi a dare una promessa formale; però un tal mezzo èquello per cui domando licenza di partir subito di qui; perchèl'uomo che deve servire al mio intentocredo chea quest'orasitroverà ad aspettarmi nello studio Agudio.
Elo Strigelli partì.
L'uomosu cui faceva conto lo Strigelli e cheper le sue eccellentiragioninon aveva voluto nominare al conte V...era il Baroggialqualein quel colloquio con cui gli guastò il sonnoavevaraccomandato di recarsi il giorno dopo nello studio dell'avvocatoAgudio in quell'ora che le sue incumbenze di finanziere gli avrebberopermessomase fosse stato possibilenon molto dopo il mezzodì.Se il lettore si ricordal'Agudio aveva tentato di beneficare ilBaroggi in tutti i modi possibilie per sostenere le sue ragionicontro il conte Alberico F... aveva messo sottosopra il dirittoromanolo statutarioil diritto razionaletutti gli interpreti;aveva dato un'occhiata alle leggi dei re longobardimesso acontribuzione persino le opere di etica allora più riputatedomandato persino un soccorso alla teologia; insomma tentati tutti ivarchi per riuscire ad assediare la mente dei giudici colle forzecombinate del diritto purodel diritto positivodella buona moraledel timore della vita eterna. Tutto indarno. Queste cose il Baroggile sapevae però nutriva una gratitudine profonda per quelvegliardo così burbero e brusco in apparenzacosìretto e pietoso in realtà. Per questa circostanza dunqueeper lo sgomento che aveva in pettofu assai sollecito di mettersi inlibertà per recarsi da lui.
Ilvecchio Agudiopiù che ottuagenarionon poteva piùmoversi dal letto. Non gli era rimasta che la lucidezza della mente ela dottrina. Teneva seco due giureconsulti praticanti che sotto ilsuo consiglio facevanocome suol dirsiandare lo studiotra' qualilo Strigelli era il suo prediletto.
Quandolo scrivano gli annunziò che era venuto il Baroggiegli se lofece venire innanzi e seder vicino al letto.
—Lascia che ti guardi in facciagli disse appena gli fu presso. Lafaccia è un frontispizio più sincero di quello de'libri. Peròsenza tanti preamboliti dico che solo aguardarti si capisce che tu in questi giorni hai commesso qualchecosa che ti morde la coscienza.
IlBaroggi tacevaonde l'avvocato continuava:
—Non hai nulla di nuovo da raccontarmi?
—In caserma non si sanno le notizie del Capitano di Giustizia.
—Ah! dunque sai qualche cosa... Perchè dunque non mi dicinulla?
—Ho saputo adessoprima di uscire dalla casermaqualche cosa cosìin confuso; del resto vedo che il signor avvocato sa tutto.
—Sicuro che so tuttoe so anche che i birbonise non è oggisarà domanisarà l'altroma viene il giorno checonvien pure che paghino i debiti. Chi lo avrebbe detto che coluifosse per aprirsi una buca da se stessoe lasciarsi cader dentrocome un semplicioneessendo pure più astuto del diavolo! Maquasi sempre ai birboni avviene così. Il mondo non arriva aghermirlie si feriscono poi da sè medesimiche è poitutt'uno. E per un capriccioper un amorettoper una fanciulla. Aforza di far birbonate impunemente e di credersi invulnerabilifiniscono a rimanere ubbriacati dalla medesima fortuna; perchècome mai si può credere che quel dirittone non sapesse che leragazze non si possono rubare così per passatempo? Ma lafortuna gli ha dato alla testa; e così oggi è ritornatodonde per miracolo ha potuto uscire quindici anni sono. Tu alloraavevi cinque anni. Che bella cosa se in questa circostanza tu avessiavuto ancora quell'età! È cosìcaro mioècosì; e non farmi l'attonitoperchè so tutto; ed orabisogna rimediarciperchè quella povera donna di tua madre mifa compassione; capisci?... mi fa compassione.
IlBaroggi si alzò da sedere inquietissimopoi disse:
—Giacchè quel ch'è stato è statoho caro che ilsignor avvocato sappia tutto. Ma vorrei anche che ella si persuadessech'io non ci ho colpa; colpa propriamente no.
—Ma dimmi un po'balordo. Se un tale ti dice: Dammi un momento la tuasciabolaperchè mi occorre di ammazzare uno che mi dànoja; e tu non ti fai pregare e gli presti l'armacrederesti dipotertela cavar così per le belle?...
—Capisco bene; e pareva che il cuoreme lo dicesse.
—Ma infine c'è questa fanciulla?
—Ohper questo c'è.
—Ma ci son molte maniere di essere.
—Che ho da dire? Si figuri che fu affidata alle cure di mia madrelaquale ora è una santa... e fin troppo.
L'avvocatoa queste parole si alzò ritto in sulla vita come una viperapercossae:
—Anche tua madre mi dovevi tirare in ballo. Anche tua madre!insensato! — Questo è un precipiziosoggiunse poi; maraccontami or dunque tutto l'avvenimentosenza ometter sillaba;tuttocapisci?
Eil Baroggi raccontò al vecchio Agudio tutto quanto noisappiamo.
Inquesta il giovane Strigelliche non soleva nè farsiannunciare nè fare anticameraentrò in stanzaeveduto lì il Baroggi:
—E così? domandò.
—L'affare è più serio di quel che avrei credutorisposel'Agudio.
LoStrigelli si spaventò a tali parole.
—Parlo per questo ragazzo senza testasoggiunse poi subito ilvecchio. Tuttavia la figliuola c'èe costui sa dove si trova;ma ora stupirai a sentire che sta in compagnia della madre di costui.Tu rimani di stucco... sfido io!... Imbrattarsi peggio di cosìnon era proprio possibile; non ci voleva che questo balordo. Questobalordo che dovrebbe arar dritto più di tutti; e direun'avemaria prima di fare il benchè minimo passoprima dimangiareprima di bereprima d'andare a letto; perchè èdi quei tali che son nati colla disgrazia in cuna; anzi colladisgrazia bell'e preparata nel ventre della madre; e a non camminarecon tutte le precauzioni dell'equilibrioo da una parte o dall'altrabisogna pure che caschinoperchè il maledetto destino non liabbandona mai un momentoe al primo scappuccio li agguanta. Or chesi facaro mio?
—Intanto mandar tosto a pigliar le ragazze.
—Io stesso ci andròdisse il Baroggi: basta che il signoravvocato Strigelli s'incarichi d'ottenermi il permesso dal mio capo.
—Tu starai quidisse l'Agudio. Poi soggiunsevolgendosi alloStrigelli: Se le ragazze lo riconoscononon c'e altro. Basta checostui dia l'indicazione precisa del luogoe il signor conte manderàla sua carrozza a pigliarle; e tu stesso mi capiscisi tratta diprepararletanto la madre di costui che le ragazzeprepararlesiintendea regolar le parole; ci andrai dunque tu stessoe qui ilBaroggi se ne starà a Milano ad aspettar che Dio gliela mandibuona. Vadunquee pel rimanente ascolta ciò che' ti diràquella perla di donna Paola; vae fa cheper questo latola finerimedii al resto. In quanto a teconchiuse poi rivolgendosi alBaroggipuoi tornare in casermae se mai in questi giorni ci fosseda perlustrare il confine e da far le schioppettate coicontrabbandieriva alla buon'orache non sarà mal fatto; euna volta che ti trovi al confinecosì a cavallo dei dueStatipensa che quella è aria sana... e tira colà lecose in lungo più che puoifinchè qualche amico non tifaccia sapere che l'aria sana tira anche a Milano; ma saràdifficile. Or vachè per te ho fatto fare anticamera a tre oquattro signori che aspettano da un pezzo.



III


L'avvocatoStrigelli uscì dallo studio Agudio colla contentezza di unpoeta che ha finito in quel punto un componimento al quale sia statad'impaccio una strofacheper essere la conclusionaleaveval'obbligo di riuscire la più felice di tutte. Uscìcolla nota e l'indicazione del luogo in cui il Baroggi avea dettotrovarsi le fanciulle insieme con sua madree tornò in casaPietra. Il conte non era ancora partito; e l'avvocatoentrando nellasala colla gioviale baldanza di chi si sente quasi più padronedei padroni di casainterruppe un discorso che colui aveva avviatocon donna Paolaesclamando:
—Or tutto è fattoed ogni nodo è scioltoe ormai nonrimane al signor conte che di far attaccare i cavalli; a donna Paoladi mettere in mia compagnia quella buona vecchia che fu già lagovernante della fanciullae a me di pormi tosto in viaggio. Da quia Comotrottando con focosi cavallici voglion sei ore; da Como adAsso... Ahvedo che per oggi non si arriva in tempoe non si fanullae bisognerà che la signora contessa abbia la pazienzadi aspettar fino a domani ad abbracciare la sua figliuola... Ma noistiamo quie non pensiamo a dar questa notizia alla contessa... Madov'è la contessa?... Voglio sperare che risorgerà damorte a vitaquando sentirà di che si tratta. Mi conducadunquedonna Paoladalla contessa... Signor conte... andiamo atrovar la contessa.
El'avvocatosenz'altrotant'era trasportato dalla compiacenza d'averfatto quello che forse nessun altro avrebbe saputo faregiàs'avviava all'appartamento dove sapea trovarsi la madre di Ada. DonnaPaola si mosse ella purevolgendo al conte un'occhiata piùeloquente di qualunque discorso; e il conte la comprese e guardòa lungo donna Paolae questa volta anche l'occhio di luiperconsueto insignificantissimoespresse mille cose; e seguìdonna Paolaa passo lento e colla testa piegata sul pettoeattraversò insieme le stanze intermedie. Ma quando ella entròin camera della contessaprecedendo l'avvocato e il conte perannunziarli; nel punto chedopo quindici anniegli sentìstando di fuorila voce di donna Cleliasi trattenne un momentoelasciò che entrasse lo Strigelli. E stette così un pocoperplesso; poicome se a un tratto fosse respinto indietro dapiù uomini vigorosi sbucati d'improvviso per scacciarlo di làretrocessee con passo concitato ritornò nella sala diricevimentoe si gettò a sedere nella poltronapercuotendogli stivali con forti colpi di scudiscio; si alzò di nuovo esi mosse per ritornare dond'era fuggitoe di nuovo retrocesseetornò a sedere nella poltrona. Lo Strigelli e donna Paolaintantofattisi intorno alla contessa con quell'impazientesollecitudine dei buoni che non vogliono ritardare altrui unaconsolazionenon si accorsero al primo che il conte fosse rimastofuorie:
—Or dunque si rallegrisignora contessadisse lo Strigelli.
—Coraggiola mia cara Cleliadisse donna Paola. Qui il nostroavvocato parte a momenti colla carrozza del conte per andar aprendere la vostra figliuola.
Lacontessaalzandosi a quelle parole dalla seggiolarespinse conviolenza la cameriera che in quel punto stava ravviandole alla megliolo scompigliato tupèe:
—Voi andate a pigliar mia figliadomandò all'avvocato; masapete dove si trova?
—Ecco qui... rispose l'avvocato. Da Como bisogna andare in Vallassinaa una villetta in riva al Lambro tra Scarenna e Caslino. Làvivono in solitudine e in devozione la vostra figliuola e la figliadel Crivelloessendo state affidatecosa di cui stupireteallacustodia della madre del Baroggi; la qualecome ognun saètra quelle che oggidì a Milano logorano di più lepanche delle chiese.
Lacontessa non ebbe tempo di maravigliarsi di questache pur dovevaessere per leistranissima notizia. Ma rivoltasi alla cameriera:
—Spàcciati dunqueche non c'è tempo a perdere. Credobene che si partirà subito subito? soggiunse poi rivolgendosiallo Strigelli.
—Quel che si dee fare si dee far tosto. Ma la signora contessagiacchè ha avuto tanta pazienza fino ad oggila prolunghifino a domanie voglia persuadersi che è molto meglio che ioparta solo colla cameriera qui di casache fu già governantedella ragazza. Anche il signor conte voleva venire in persona adaccompagnarmied io l'ho persuaso... Ma dov'è il signorcontedomandò a donna Paolanon è egli entrato quicon noi?
—S'è fermato di làella risposeperchè non sipermise d'entrare prima che...
Edonna Paolainterrompendosi ad arteguardò la contessapigliandola per mano e stringendogliela con gran significazionesenza dir altroperché non voleva che lo Strigelli fossetestimonio di quella soverchia ostinazione della contessa.
Maquestasenza dar peso nè alle occhiate nè alle parolenè alla stretta di mano:
—Non sarà maiavvocatosoggiunseche io debba fermarmi aMilano ad aspettare. Non sarà mai.
—Quand'è cosìfaceva osservare donna Paolastiamo aquanto vorrà il conte... Lasciate fareavvocato... Se ella sapregare il conte in modo che esso le permetta d'andare a prendere lafigliuolalasciate fare. Suvvia dunqueandiamo di làcaraCleliae giacchè avete questa smaniatroppo giusta delrestod'andare voi stessa in compagnia dell'avvocatosaprete trovarle parole da persuadere il conte. Non è veroavvocato? e acostui ammiccòvolendo significargli che venisse in suosoccorso. Io vado di là e vi precedo... e la mia cara Cleliaavrà la bontà di venir subito a parlare al conte...Così si parte... sull'istante... e riabbraccerete la vostraAda stasera invece di domani.
Esenza attendere rispostadonna Paola uscìrecandosi nellasala di ricevimento.
Ilconte era ancora seduto in poltronacolla testa appoggiata albraccio sinistro puntato sulla sinistra cosciamentreper unmovimento macchinaleandava percuotendo collo scudiscio che avevanella dritta il soppedaneo della sala.
—Signor contedisse donna Paolaparlandogli stando di dietro deldosso della poltronaquella povera contessa vorrebbe pregarvi...anzi sta per venir qui...
—Che!?esclamò il conte alzandosi di subito e volgendo in giro gliocchi torvi.
Gliuomini della natura del conte V... sono sempre perplessi intorno aquello che debbono fare; inoltre avendo una debole intelligenzafinchè il cuore può andar liberissimo ne' suoi slancitutto va benee qualche volta da uomini di tal fattaa pigliarlicon garbose ne cavano grandi cose; ma guai se d'improvviso tra glislanci del cuore si inframmette qualche bisbetica riflessione dellamente! Di tratto s'impennano e retrocedono da quella via su cui ilsentimento spontaneo gli avea fatti correre fin con troppa velocità.S'impennano e non sono poi capaci di dissimulare pur un pensierofuggitivo da cui sieno molestati. Un altro uomonella condizione delcontedal momento che si fosse indotto a recarsi in casa Pietrafatto quel primo passonon avrebbe esitato a far tutti quelli altriche erano comandati come una conseguenza necessaria. Ammesso ilprincipio di voler essere indulgentee mostrarsiquel che suoldirsiun uomo di mondoe di concedere tutto il suo pieno sviluppo aquella pietàa quell'affetto che spontaneamente eragli purnato in cuoretoccava a lui a pigliar l'iniziativa in tuttotoccavaa lui a prepararese va l'espressioneil piano inclinato per cui lacontessasenza il pericolo di troppo gravi scossepotessedopoquindici anni d'assenza e dopo quanto era successonon sentirsiumiliata a venire in apparenza di penitente contrita al cospetto delmarito oltraggiato.
Mail conte si comportò tutt'all'opposto. Aveva lasciato in primache il cuore facesse quel che volesse; poial contatto di alcunecircostanze che trattennero il libero slancio del cuoresottentròla riflessione; e questa riflessionenon essendo quella di unintelletto forte fece sì ch'eglial fatto del non aver maiveduto a comparir la contessa in tutto quel tempo che stette in casaPietranon desse nè la più ragionevole nè lapiù benigna interpretazione.
Quandofu per entrare nella camera di lei e ne ebbe sentita la voceretrocessepercosso improvvisamente dall'idea che fosse peraccoglierlo male; e questo argomentava da ciò appunto ch'essala contessamentre sapeva ch'egli era lì da tanto temponons'era mai degnata di uscire dalla sua camera e di venire a luichepure s'era mosso per amore e di lei e della sua figliuola. Retrocessedunque con dispetto a questa ideae si pentì d'esser venutolì; e un pensiero portandone seco altri della stessa naturadi quel complesso di cose che alla mattina lo aveva inteneritoglisi mostrò in quel momento il rovescio che gli rinfocava invecegli sdegni. Ma in quel punto comparve sulla soglia della sala lacontessa Cleliapreceduta d'un passo dal giovine avvocato Strigelli.
Erada quindici anni che il conte e la contessa non si vedevano. Peròquand'anche e l'uno e l'altra si fossero trovati in una diversacondizione d'animo e di cosesarebbe sempre stato pieno diturbamento e di solennità quell'istante del rivedersi dopo chede' fatti gravissimi li avevan tenuti divisi per tanto tempo. Orpensi il lettore come si accrescesse quel perturbamentoe come fossefatta angosciosa e terribile quella solennitànellastanchezza di spirito onde era sopraffatta la contessanel fremitoiracondo onde era colto in quel momento il conte.
Lafaccia di luiil suo corpo stettero immobili alla vista dellacontessacome se una virtù arcana vi avesse comunicata larigidezza inalterabile di una figura marmorea. In quanto allacontessachee per le parole di donna Paola e per quelle delloStrigellisi attendeva dal conte il più benigno accoglimentosi rattenne più attonita che spaventatavedendo quell'occhiotorvo e quel viso arcignoe non osò fare un passo di piùe si volse allo Strigelli come se gli dicesse:
—Or che v'ho detto io?...
DonnaPaolache non s'era atteso quel repentino mutamento nei modi delconte; lo Strigelliche aveva incoraggiata la contessa a venire alcospetto del maritocoll'assicurarla ch'esso la stava attendendocolla più benigna disposizione d'animonon seppero trovarparole per togliere la contessa dal suo imbarazzoper ispianare lafronte accigliata del conte.
Maquesti che era impacciato al pari degli altrivedendo la pallidezzasepolcrale della contessa e gli occhi di lei notabilmente alteratidalle traccie del piantosentiva in sè il ritorno d'unairresistibile compassionee il dispetto di non poterla tenerlontanaonde quasi per deviarla:
—Or perchèproruppe con iracondia che varcava ogniconvenienzanon mandate tostosignor avvocatoa far attaccar icavalli... invece di star qui a far... a gettare il tempoinutilmente?
Acodesta esclamazione del contela contessaconsigliata Dio sa dachee probabilmente dalle continue esortazioni di donna Paolauscìdalla propria immobilità e si avvicinò al maritoe:
—Giacchè vi pigliate tanta premura per la mia figliuola...lasciate che vi ringrazii...
Questesemplici parole proferite in suono di pianto dal labbro dellacontessa cangiarono a un tratto l'espressione alla faccia del conte.
Edonna Paolala quale stava come attendendo quella risoluzione:
—La contessaentrò sollecita a direvi prega di volerleconcedere d'andare ella stessa in compagnia dell'avvocato a prenderla figliuola.
—Mae tocca a merispose il contea dare un tal permesso? e non èella sua madre? E ciò disse con voce alterata ed altama conquell'accento particolare degli uomini burberii quali non hannoaltra paura che di parer buoni; accento in cuidi sotto al suonodell'ira che soverchia per l'atto della volontàsi sente comea fremere il suono della pietà che il cuorea dispetto deldissenso mentalenon può a meno di lasciar trapelare. E ilconte non potè proseguireperchè la contessaabbracciando donna Paoladiede in un violento scoppio di piantochefu l'ultimo di quei procellosi giorni e di quel giorno; chèsenza più oltre protrarre una tal scenatrattandosi che anchenoiche abbiamo i nostri fastidjsentiamo il bisogno di confortarelo spirito con qualche spettacolo un po' più lietodiremo chefu mandato un servitore a far attaccare i cavalli alla carrozza daviaggio del conte; che la carrozza entrò dopo qualche temponel cortile di casa Pietra; che la contessa vi salìdandoleil braccio lo stesso signor conteil che è un gran buonindizio; che l'avvocato sedette alla sinistra di leie cosìpartirono ambidue di trotto serratorimanendo il conte per tuttoquel giorno ed anche a pranzo insieme con donna Paolaa parlare ditante e tante coseper le quali possiamo sperare di poter assisterefinalmente ad una giornata del tutto sgombra e serenadopo tantigiorni di pioggia inclemente.



IV


L'arrestodi Andrea Suardidel quale il pubblicoper uno di quegli sbagli chenon si sanno come spiegaresi era dimenticato in que' giornifecel'effetto d'un congegno che s'intrometta fra i raggi della ruotacentrale d'un mulinola quale ferma di punto in bianco tutte leruote minori che in essa imboccano. Vogliamo dire che la calunniacolossale che avea investita la riputazione persino di donna Paolafermandosi di colpoarrestò tutte le mille congetture chefigliarono da quellacon gran dispiacere di coloro che le avevanomesse in corsoe vedevano crollare come per incanto un edificio acui tanto volentieri avevano portato la loro pietra. Econtemporaneamente alla fermata di quella ruota che aveva giratovelocissimamente e aveva fatto girar tante teste e muovere tantelinguequel nome del Galantino balzato fuori all'impensata fu causache una quantità innumerevole di persone si dessero delbalordo a vicendaperchè a tutte quante non sembròvero di non aver tosto messi gli occhi su colui chesolo fra tuttipresentava i veri requisiti indispensabili per essere il primo acadere sotto al pubblico sospetto. E nel tempo stesso vi fu unrinnovamento di tutte le dispute calorose che si eran fatte pochigiorni prima tra coloro che stavano contro donna Paola e quelli chela difendevano; i secondiriscaldati dal trionfosi ricattavanodelle offese ricevute; i primiumiliati dalla sconfittasiritraevano affannandosi di dare speciose interpretazioni a quantoavevano detto. Però i rabbuffi cessaron prestoperchèil ritorno del Galantino alle camere dell'albergo del Capitano diGiustiziacome lo chiamavano i buontemponi giovialifu unavvenimento così saporito per tutto il rispettabile pubblicomilaneseche tutti furono ben contentiper un così lautocambiodi dover rinnovare e rinfrescare la loro stima e venerazioneche avevano per donna Paola Pietra. Il pubblico è talvoltacome i fanciulli: — ha bisogno d'aver qualcosa in bocca darosicchiaree qualche oggetto tra mano da stritolaresempredisposto ad abbandonare quello che ha in proprio poterequando segliene getti un altro su cui sfogarsi come gli par meglio. Questocaso poi del Galantinoper il pubblicotorniamo a ripeterloeradavvero un piatto appetitoso. La ricchezza del Suardie le altre suequalità abbaglianti compreso il magnifico suo cavallo normannocolore isabellacol collo ad arco e la prolissa criniera brunaaveva come imposto alla pubblica opinione; e se tutti strillavanocontro i fermieri ladricome di consueto que' signori venivanochiamati dalla ciurmaglia che non misura le parolel'ira erapiuttosto rivolta contro i tre capi principali che contro delGalantinoil quale veniva come scusato dalla sua condizione diappaltatore in secondo. Qualche volta è una compiacenzacuriosa che ha la moltitudine di far la corte all'uomo chemanifestamente è protetto dalla fortuna; ma guai se ellas'accorge che la fortuna abbandona il suo protetto! Allora fa in unistante quella diversione per cui la fortuna ha impiegato moltotempoe si rivolta infuriata contro quello stesso che in prima avevablanditotalchè se le parole del pubblico fossero sassateilderelitto cadrebbe morto in piazzaprima che la giustizia arrivassein tempo a giudicarlo.
—Birbone lo si conoscevama scellerato fino a questo punto nodicevan gli uni. E all'ombra delle foglie di tabacco doveva giungerefino a questo di diventar sacrilegodicevan gli altri. Questo èil caso di dar un esempiogridavan tuttie giacchè in piazzac'è la ruotafarlo andare come al girarrosto: lui e i suoitre colleghi. Questo s'intende. Ma lui al primo posto. Ohquestavolta non gli sarà così facile di canzonar la giustiziae l'aspettazione pubblicacome ha fatto tanti anni fa. Se il Senatolo rimanda assoltoè il caso di rivoltarsi contro al Senato.Chi si fa pecora la mangia il lupo. Chi vuole può. Latrambussata nel convento di San Filippoi cinque morti e il coraggiodei frammassoni hanno fatto l'effettoe l'editto del 6 aprile fulevato jeri da tutti gli angoli della città. L'editto èdel 6 aprile... e il birbone acquistò la casa presso alconvento pochi giorni dopo. La trama era dunque già bell'eideata da questo scellerato.
Questidunqueo di tal genereerano i parlari del pubblico; e in ragioneche l'odio cresceva e si versava tutto sulla persona del Galantinonasceva l'entusiasmo per gli altri; nasceva per i Frammassoni di cuis'era chiusa la loggia di San Vittorello; prorompeva per il giovanelord Cralldi cui si esaltavano a cielo le virtù; cresceva lavenerazione per donna Paola Pietra a un punto che non èimaginabile. Quando poi corse per tutta la città la notiziache l'avvocato Strigelli aveva scoperto il luogo dove le fanciulleerano state nascostee chein compagnia della contessa Clelia V...nella carrozza del medesimo signor conte colonnelloera partito perricondurle a Milano; fu un delirio universalee più ancoraquando si vociferò dell'acutezza sapiente e mirabile di donnaPaola che aveva ella sola provocato tutto questoe aveva coltol'occasione d'una sventura gravissima per far venire a Milano lacontessa V.... e perciò aveva ottenuto quel che nessunoavrebbe potuto aspettarsi; che cioè il conte colonnello V...dopo quindici anni si trovasse insieme colla mogliee dessero cosìil buon esempio della riconciliazione e del pentimento e del perdono.Perchè i servi di casa Pietra avevano palesato ogni cosa; iservi chese non sanno tacere gli scandali segreti dei padronihanno poi anche la smaniabisogna dir il verodi propalare le lorovirtùse ve ne sonoe i loro bei fattie persinod'esagerarli. Però gli elogi che corsero quella sera dellacontessa Clelia V... varcarono la misura iperbolica di un panegiricoconvenzionale. Essa era più grande quasi dell'Agnesialcospetto della scienza; più degna di compassione che la MariaStuardaal cospetto della sventura e della persecuzione; piùrassegnata e più costante di tutteal cospettodell'espiazione; se niente niente continuava di quel passopotevaaspirare ad un posto nel martirologio. Quanto poi a bellezzale piùfresche e leggiadre giovinette potevano nascondersi tutteeclissatedagli splendidi avanzi della sua: ad eccezione però della suafigliuoladi quel caro angelo di Adala qualeinsieme colla madrepoteva bastare a provar che la città di Milano era la primanel vanto della beltà femminile; che Venezia non poteva avernulla da contrapporre di meglioche Genova e Bologna e Ferraralequali menavano tanto scalpore per le loro donneavrebbero dovuto darle manivinte nel veder queste due. Con tutta quella buonadisposizione del pubblico all'entusiasmo verso le persone che abbiamonominatefra cui è pur da includere il conte colonnello V...che è tutto diregiacchè aveva un segreto affatto suodi saper venir in uggia ai conoscentiai parentiagli amiciatutti; si figuri dunque il lettore l'effettodiremoinvadente chefece quando si sparse per la città la notizia che la signoracontessa V... e l'avvocato Strigelli erano tornati in compagnia dellefanciulle. E tanto più fu grande l'effettoin quanto era purstato generale il dubbio sulla difficoltà di rinvenirle;generale il timorechenel punto stesso di ritrovarlefossero perdar fuori nuovi disastri e nuovi affanni. Appena dunque si sparsequella felice nuovafu un accorrere di tutti i parenti dellacontessadella madredella sorelladel fratelloper congratularsicon essa; fu un affaccendarsi di tutti gli amici del conte perlodarsi di lui e della sua generosità. E la cosa andòtant'oltreche l'intensa gioja di pochi si comunicò a tuttala popolazionee quella gioja fu così vivachesiccomevoleva un costume curioso venuto dalla Franciasi credette perfinodi dover palesarla con atti di pubblica esultanza.
Nel1735quando Luigi XVil predilettofu assalito da unapericolosa malattia che aveva fatto temere della sua vitanel puntoche stava per toccare l'età maggiorela costernazione ditutto il popolo parigino fu taleche si manifestòrivoltandosi contro il reggente duca d'Orléanssul qualeaveva pesato la più atroce calunniaper essere avvenuta quasisimultaneamente la morte della madredel padredel fratellomaggiore di Luigi. Gli odj del pubblico contro il Reggente eranoanche rinfocati dai disordini che in Francia aveva prodotto ilsistema di Lawche il duca aveva protetto. Tutti adunquecredendonella scellerata ambizione del Reggentetenevano per certa la mortedel giovinetto re. Ma la fortuna volle che un salasso opportunamentee coraggiosamente ordinato dal medico Helvetiuscontro il parere deicolleghisalvasse invece i giorni di Luigi. È indicibile iltrasporto che ebbe il popolo per tale notizia. Il Reggenteaconfondere la calunniapresentò il giovane re al popoloradunato. Fu in quell'occasione che la fantasia parigina trovòdi manifestare l'insolita allegrezza in un modo insolitointroducendo per la prima volta i così detti banchetti difamiglia fatti alla porta delle case col favore delle belle nottid'estate.
Ipubblici d'Europaquando seppero le novelle di Parigi e laguarigione del giovine monarca e il modo nuovo e bizzarro difesteggiarlanon sappiamo fino a che grado dividessero laconsolazione del popolo pariginoma sentirono un sincero entusiasmoper coloro che avevano inventato quel nuovo metodo di stare allegrie una smania chesi presentasse presto un'occasione appena appenaragionevole e plausibile per introdurre in patria quel cosìsplendido trovatoe per applicarlo in modo da non rimanere addietrodegli inventori.
Lacittà di Milano fu probabilmente la prima in Italia chetentasse in ciò di emulare la maggior Parigi. Se le invenzioniveramente utili all'umanità fossero sempre tanto fortunate erapide nella loro diffusione quanto questa dei banchetti di famigliaalle porte delle casecome si tormenterebbero meno i veri amanti delben pubblico! Quanto risparmio di paroledi discussionidi guerredi odjdi contumelie. Quante ossa di meno sarebbero state slogate;quanti dolori e ingiustizie risparmiate a molti innocenti sventuratise il libro dei delitti e delle peneper esempioavesse avuta unacosì sollecita applicazione come codesta invenzione parigina!
Lacittà nostra attese dunque impaziente la prima occasione perpoter farsi onore a banchettare in istrada col favore delle bellenotti e delle stelle e della luna. In mancanza di un re adolescenteche scampasse da mortesi accontentòtanto per far prestodella nascita del primogenito di qualcuna fra le più ricche ecospicue famiglie; di qualche splendido matrimonio che avesse fattosbattere le ali e spiegare il canto di tutti quanti i cigni delDucato; in un bisogno (e allora i banchetti si limitavanoal girodel rione o della parrocchia) si accontentarono anche dell'ingressosolenne di qualche nuovo curato o prevosto alla sua chiesa. Coltempose mai nell'anno non si fosse presentato uno di que' talimatrimonj che fanno epocao la nascita di qualche primogenito piùaspettato del solitocelebrarono invece la vigilia di qualchesolennità festiva. A quella di san Pietroper esempiochecadeva in estateera diventato di pratica il banchettare alla serenaper tutta la città. Di tali banchetti generali v'erano quelliche riuscivano più o meno splendidamentee questo dipendevadalle maggiori o minori elargizioni dei festeggiatii qualiincerte contingenzeavrebbero forse preferito di essere in odio alpubblicoperchè le casse forti se ne risentivano di queltripudio universale. Celebre tra gli altri era stato il banchettogenerale dato a Milano nel 1760 per la nascita del primogenito delleloro eccellenze don Alberico conte di CunioBarbiano; LugoBelgiojosomarchese di Grumelloecc.e donna Anna Ricciardaprincipessa d'Este e del sacro romano Imperoal quale fu padrino S.E. il signor conte Carlo di Firmiane che fu cantato da molti cignii quali deposero le loro uova in una raccolta poeticain cuifratanti nomi oscurissimicompare ultimo il Pariniforse perchèallora non era che semplice abate e non era ancora uscito ilsuo Mattino. Guai dunque che si trascurasse l'occasione diconvertire in allegria pubblica una gioja domestica!
Lasmania del divertirsi era molto maggiore nel secolo passato che nelnostroe nel popolo v'era una corrente assidua di buon umore e dibonarietà che oggidì venne languendo per millecircostanze; per di più il popolonelle sue relazioni col piùricco e cospicuo patriziatosi trovava quasi nella condizione degliantichi clienti di Roma: provava davvero una gran gioja allegioje dei principali casatisi gloriava delle loro glorieparevaquasi che le loro ricchezze fossero sueonde si affannava adecantarlea magnificarlead esagerarle a' forestieri. Le nuoveideedi cui il lievito andava gonfiandosi a Parigis'erano trasfuseallora soltanto in alcune teste che avevano imparato a girare losguardo in una sfera di che il vulgo non sospettava nemmenol'esistenza. Con questa bonarietà nativanon turbata danessun grave avvenimentocon questa prosperitàmateriale della vitacon questa tranquillità dello spiritomantenuta nei più bassi ordini dall'ignoranza che li facevacontenti di quello che avevano e della protezione de' gran signoricon questa smania per l'allegria che dai padroni era passata ne'servie da un ordine all'altro; per quell'agiatezza conservata dallecompatte e numerose confraternite e maestranze di tutte le arti emestierionde ciascuna aveva sempre in pronto grosse somme didenaroraccolte dal contributo di tantie che talvolta volentierisi erogavano per star allegrisotto pretesto di qualcosa di piùimportante; è facile a comprendere come il pubblico prendesseamore ai pubblici festeggiamentie andasse perciòcontinuamente a caccia di buone occasioni.
Nelgiugno di quell'anno 1766 era da qualche tempo che non si offriva unmotivo plausibile per far qualche cosa. Ora mancavano due giornialla festa di san Pietro quando venne a Milano la contessa CleliaV... in compagnia della sua figliuola Ada e di donna Giacoma deimarchesi Crivelloe si sparse la notizia del comedel dovedelquando erano state ritrovate; e alla moltitudine parve quasi di vederun miracolo in ciònon sapendo spiegare come quelloscellerato di Suardi avesse potuto affidarle alla custodia di unaSanta: indizio manifesto che un angelo custode si era espressamenteincaricato di esse.
Tuttipensarono di conseguenza essere quella una occasione mirabile perdare un banchetto generale che superasse in isplendore tutti i giàfatti. Il conte colonnello V... per aggiunta si chiamava Pedro.Potevansi così celebrar più fatti in una volta: ilritorno della contessa V... a Milanola sua riconciliazione colmaritola salvezza miracolosa di quell'angelo della fanciulla Adala salvezza della figliuola del Crivelloil giorno onomastico di donPedro conte V...la solennità della festa di san Pietro. Gliingredienti erano piuttosto troppi che pochi.
Lanotte era già altaquando una fitta moltitudine di personedi quelle cheo per mandato altrui o per volontà propriasono sempre alla testa delle pubbliche manifestazionisi portaronosotto le finestre del Palazzo Pietra Incisa a gridare con tuttaquella voce che loro era disponibile: — Viva donna Ada V...viva donna Paolaviva la contessa Cleliaviva il conteviva tuttiin una parola; e l'entusiasmoil quale si condensa per virtùpropriaandò al punto che alla contessa Clelia e a donna Adafu necessità il mostrarsi dal balcone alla moltitudineschiamazzante.
Quandole due figure della contessa e della sua figliuola comparvero tra duelivree che portavano i luminon è a dire a che diapasonsalissero le acclamazioni della moltitudinetrasportata da quellospettacolo commovente e leggiadro. La faccia di donna Cleliacolorata in quel punto da tante emozioni e lumeggiata per soprappiùdalla tinta calda della fiammaanzichè la madresembrava lasorella maggiore di Ada. E questa osservata colà presso lacontessapotea sembrare una copia più in minuto diquell'augusta figuracopia eseguita da un artista più morbidoe più squisito. Il suo volto giovinetto raggiava di una giojaalquanto soffusa di mestiziae con ambedue le sue leggiadre maninetenendo la mano della mammapareva quasi che si ricoverasse pressodi leicome sopraffatta da tanta moltitudine che la chiamava a granvoce. Ma per dipingere degnamente codesta scena ci vorrebbe ilpennello di Gherardo delle Notti; in quel modo che ci converràdomandar consigli alla tavolozza del Canaletto e del Guardiquandotra pocofaremo il giro della cittàpassando in carrozza inmezzo ai banchetti notturni in compagnia della contessa e della suafigliuola: — noi intenti a certi nostri studj specialiessetutte occupate a rispondere ai saluti e agli applausi del pubblicomangiatore e bevitore.



V


Visono città la cui storia è tutta una disgraziacome labiografia di qualche infelice nato sotto la cattiva stella; cittàche nemmeno coi sacrificj possono placare la maldicenza; di cui imeriti e le virtù reali e le apparenti sono disconosciute epassate in silenzio; di cui i benefizj sono retribuitid'ingratitudine; città cheal pari di qualche padrediqualche madreson disprezzate e bistrattate persin dai medesimifigli. Ci vorrebbeper esempioun bel talento a sostenere che lacittà di Milano sia stata il beniamino della sorte. Ella haavuto le sue grandi pagine storiche al pari di chicchessia. Ella haavuto qualche momento in cui fu piuttosto la prima che l'ultima; equesto momentosebben sien corsi molti secoliè statosalvoerroreforse il più glorioso di tutta la storia d'Italia.Ella ha dovuto ed ha voluto patire e dissanguarsi per sè e pergli altri. Ella ha dato il suo contingente d'uomini grandi a tutte lediscipline che fanno la civiltà; ella ha murato i suoigiganteschi edifizjella ha dato la sua schiera eletta di artistiper decorarli; ella fu così gentile e così amante delgrandedel bello e del buonoche qualche nobile intellettomalcompreso e infelicissimo altroveraccolse qui le sue tendee quidiventò famoso. Dopo tutto ciò è una garauniversale di ripetere quel che Alfieri già disse in quelcelebre sonettodovelacerando le genti d'Italia come pagine di unlibro che si disprezzasentenziò che i Milanesi non sanno faraltro che mangiare:


Ibuoni Milanesi a banchettare;


sentenzache Foscoloforse a gratificarsi la grande ombra del suo modellopeggiorò e trasmutò e condensò in quel talpredicato disprezzativo che non amiamo ripetere. È dunquedestino l'essere maltrattata in verso e in prosal'essere ingiuriataanche dagli uomini sommi e santi. Persino i suoi figli fanno a garanel percuoterle ad ogni ora il seno abbondantissimo di lattenutriente; e noi stessi che diciam questo e parrebbe quasi volessimoprenderci l'impegno di difenderlanoi stessi ci assumiam l'incaricoper usare una frase d'ingegnere di campagnadi ricevere la consegnadi tutti i suoi elementi materiali e morali che la compongonoin unmomento che tutta quanta ella sta abbandonandosi ai piaceri delbanchettare. Tuttavia noi non crediamo di offenderlaperchèavesse ella pure avuta in addietro questa geniale tendenzae chevuol dire perciò? Non sempre si deve creder nell'allegria dicoloro che sembrano allegri; spesso l'uomo da cui piùscoppietta la faceziaè il più melanconico di tutti:talvolta è un modo tutto suo di salvarsi dalla pressuradell'affanno. Chi più si tuffa nell'onda di Lieocreperebbed'amarezza se non esilarasse con esso il percosso ingegno. Ci fu unsavio che quando vedeva taluno ebbro più del solitoe per glieffetti dell'ebbrezza intento a tenere in giocondità labrigata: Dio sa quanto costui ha sofferto! pensava tra sèeconvertiva in pietà quel primo senso di gajezza che in luidestava la presenza dell'uomo eccitato dai vapori del vino.
Lacittà nostra sotto il martello di Urajanell'eccidio delBarbarossain mezzo ai cani di Bernabònei tradimenti ondeabortì il triennio decorso dall'ultimo Visconti al primoSforzafra i pidocchi dei lanzichenecchi e le atroci guasconate deigendarmi dei re di Franciaquasi a dare uscita all'affanno cheminacciava di scoppiarle di dentroebbe sempre pronto l'aculeo dellasua strofa vernacola che celò il pianto sotto alle risategioviali e sonore; e lo celò al punto che quasi parveindifferente alle vecchie ingiurieai dolori nuovialle minacciedel peggiore avvenire; e forse fu allora che cominciarono a tenerlain basso conto quelli chenon sapendo che piangere come fanciullibattutinon riuscivano a comprendere come si possa bere la cicutaironicamente ridendo come Socrate. Da queste riflessioni il celebreverso d'Alfieri potrebbe dunque ricever l'ultimo e il più verosuo commentoe l'insulto di Foscolo verrebbe a ribadire il fronsprima decepit multos di Fedro. A ogni modonel secolo passatol'allegria della nostra città era sulla sua superficie com'eranelle sue viscere. Ella si era dimenticata delle sue antiche miseriee non viveva in timore d'un peggiore avvenire. S'era adagiata sultriclinio in pacee non attendeva che a darsi buon tempo. Ma tuttal'Italia e tutt'Europa facevan lo stesso. Venezia bella pareva nonvoler più ricordarsi di Venezia forte. Parigi tripudiava comeuna baccante ubbriacaeppure se ancor non le muggiva il vulcanodappressogià ne usciva il fumo dal cratere. Ma ècodesta una condizione inevitabile così dei popoli come degliindividuidi non pensar più alle cose serienel punto stessoche lor si stanno maturando i gravi avvenimenti. Ed ora ritornandodonde siamo partitialcuni fra quelli che più avevanoschiamazzato sotto al balcone a cui dovettero affacciarsi donnaClelia e donna Adaentrarono nella casa e domandarono di poterparlare alla padrona. Erano alcuni priori di maestranze che chieseroaffermativamenteben s'intendedi festeggiare nell'occasione dellaprossima vigilia di san Pietro il ritorno della contessae il feliceritrovamento della sua figliuola. Noi crediamo che la contessaavrebbe volontieri fatto senza di quella pubblica dimostrazioneeprobabilmente anche il conte; ma non essendo di prammatica ilrifiutarsiperchè il rifiuto non significava che il desideriodi risparmiare quel migliajo di zecchinidi cui tante quoteentravano in quante erano casse di maestranze; espressero a queibravi maestri operajcolla consueta fraseologia della modestia diconvenzionela loro gratitudine; e si chiamarono assai feliciquantunque non meritevolidi essere tanto onorati. Onde quei prioriusciti di casa Pietrasi recarono tosto alla casa Crivello a farvianche colà un'abbondante messe di gratitudine.
Adempiutoa questi preliminarisu tutti gli angoli della città siaffissero gli avvisi che la vigilia della festa di san Pietro visarebbe stato banchetto generale notturno alle porte delle caseequesto a glorificazione del Santoe ad esultanzapubblica pel miracolo avvenuto nelle persone delle nobilissimezitelle donna Ada del conte V... e donna Giacoma dei marchesiCrivello.
Insabato dunque era stata fatta la dimostrazione sotto al balcone dicasa Pietra. Alla domenica furono pubblicati gli avvisi. Al lunedìtutta la città non fece altro che pregustare l'allegria dellaprossima nottee darne le disposizioniperchè la festa disan Pietro cadeva in martedì.
Chivuol farsi un'idea del trambusto giocondo che era in tutta la cittàin quel giornonon deve far altro che esagerare l'idea della giojache penetra in tutte le famiglie alla vigilia e all'alba del dìdi Natalegioja temperata soltanto da qualche velo di melanconia neicapi di famiglia i quali devono dar le mancie e son fuori affatto daltiro di poter ricevere regali. E dalle intime consolazioni passandoal movimento materiale della cittàper farsene una imaginenon si deve che esagerare il quadro del giorno del Corpus Dominiin quelle contrade e in quelle case dove e innanzi a cui passa laprocessione; ese occorrerisalire colla memoria a qualche annoaddietroquando in codeste faccende delle pubbliche processioni lacittàe segnatamente il popolo minutopigliava un interesseche più non suole avere oggidì: giorno solenne in cuiquelle case che guardano nelle contrade privilegiate si riversanoper così diretutte al di fuorie segnatamente le popolane.La coperta gialla di filugello assume nuovo incaricoe va a servirdi tappeto alla finestra e al poggiuolo; le secchie di rame e lesecchioline di latta emigrano dalla cucina e vanno ad appendersiall'archetto della portafatte più lucenti del solito dallacenere e dal pomiceper esser pari all'onore di tenere in frescoqualche mazzo d'ortensie appariscenticircondate d'arundini listate.
Ilcanarinoil fringuelloil capineroil merlosoliti a farcompagnia alle vecchie casalinghelasciano anch'essi la cucina e ilterrazzoe vanno a pigolare al pubblicosulla porta della casaonelle gabbie messe a nuovo e guernite di foglie di lattuga ed'indiviaornamento e cibo al tempo stesso. Giorno solennein cuichi possiede qualche vecchio arazzo è sollecito di decorarnele pareti esterne della casa; e la solerte fanciulla espone alpubblico il tuo tappeto a scacchiera d'arlecchinofatto coi ritaglidi panno a vario coloresfuggiti già in più anni allaforbice paterna.
Sedunque per una festa che deve durare mezz'ora è tanta lagiocondità che percorre le caseed esalta segnatamente lepersone giovani e i ragazziè facile imaginarsi checommozione febbrile ci doveva essere nei preparativi di una festapubblica che aveva a distendersi da un capo all'altro della cittàe in cui la devozione pel santo festeggiato e le congratulazioni peralcune persone a cui si credeva che in quei giorni la fortuna avessevoluto dare una beneficiatadovevan ricever la loro sanzione edessere documentate da tante cene quante eran case in Milano; e in cuitutti gli stomachicome avviene nel dì di Nataleavevano ilpermesso di affrontare tutti i pericoli di una replezionee gliaridi esofaghi d'inaffiarsi al punto che cessasse il buon accordo trale teste e le gambe. E le case si riversavan davvero tutte al difuorie tutte si affannavano di parere sempre qualche cosa di piùdi quello che erano. Chi era avvezzo a mangiare in piedi e sulla nudatavola di peccia plebeasfoggiava la tovaglia e i tovagliuoli; chimangiava per consueto ne' cucchiali di legno sfoggiava i cucchialid'ottone luccicanti e tersi. Tra le case signorili poi era una gara achi metteva in mostra più ricchezza e più varietàdi vasellame d'oro e d'argento. Tutto il giorno di lunedì fupassato in apparecchi; i cuochi patrizj si apprestarono a dar saggiodi tutte le risorse dell'arte loro; i maggiordomi discesero nellevietate cantine a farvi una meditata scelta delle bottiglie piùdecrepiteconsultando ed esplorando in cento modi il turacciolo semai desse indizio che la soverchia vecchiaja del vino non lo avessemai convertito in aceto. E nelle case medie e nelle povere e nellepoverissime era un affaccendarsi in altro modo. Le oche e le anitreplebee erano state fin dall'alba prese d'assalto dalle solerti madrie dai padri ghiottoniche dalla bottega giravano l'occhio anche incucina. Gli splendidi tacchini di otto in dieci libbredistintivodella classe mercantile che aspira a regioni più eccelseerano scomparsi tutti fin dal giorno antecedente dal VerzajodalCascinottoda san Clementecontrada riputatissima fin d'alloranell'industria dei polli ben purgati e nell'arte di condurre al puntosupremo la putrefazione della beccaccia; e le beccaccie e lebeccaccine e i fagiani e i francolini e le folagheecc.e tuttaquella specie e sottospecie d'uccelliche costituisconoquasi adirel'alta nobiltà del regno ornitologico e che perciòhanno il diritto e l'obbligo di puzzar più degli altrierangià tutte passate dalle panche della piazza alla prelibatamoscajola della cucina patrizia.
Senon che ad intorbidare tutto questo allegro movimento della cittàavvenne quello che avviene quasi sempre allorquando il bel tempo e lapiù perfetta serenità del cielo è un elementoindispensabile al buon andamento di una festa pubblica. La statisticadelle illuminazionisebbene non si possa garantire della suaesattezzaporta che una buona metà vennero offuscate dallenebbie e dalle nevie spente sgarbatamente dal vento e dagliacquazzoni. Nei giorni della canicola e negli eterni del giugno eluglioin cui il sole par che faccia di tutto per provocarel'ingratitudine de' mortali; chè dalle quattro del mattino hal'indiscrezione di risplendere fin quasi alle nove della sera: inquesti giorni in cui la pioggia è invocata come un beneficiosalutareessa è inflessibilee non cade mai e sembra quasicompiacersi del tormento dei postiglioni che affogano tra i vorticidella polvere delle strade postalie dell'ira dei poeti che nontrovano la rimaimpediti dall'afa e dalle cattive digestioni. Masolo allora che per un pubblico spettacolo si voglia approfittare diquesta troppo cortese disposizione del cielostate bene attenti chedi punto in bianco si lascerà scorgere sull'orizzonte qualchenuvoletta bigia a sgomentar gli appaltatori che sospirano ilguadagnoe il pubblico che sospira il divertimento.
Malasciando questa oziosa digressionecapitò dunque che in queldì della vigilia di san Pietrodopo che il sole perventicinque giorni aveva infuocata la cittàdardeggiandosenza interruzione per sedici ore al giorno; precisamente verso ilmezzodìper la prima volta e senza avvisi erasi ritiratodietro a un gruppo di nuvole di cattiva qualitàle qualimisero l'incertezza in tutti quanti e fecero nascere molti alterchinelle famiglieperchè gli spiriti eran diventati acri peldispettodacchè i banchetti non avrebbero avuto la metàdel loro prestigio senza luna e senza stellee la pioggia li avrebberesi affatto impossibili.
Lafortuna però volle chedopo essere stata la cittàcontinuamente in forse fin oltre al tramonto sulle mutazioni delcieloal segno che alcuni pensavano per fino di trasportare al dìdopoe di pieno giornoe nell'interno della casa la loro quota digiubilo da consumarsi a pranzo; verso un'ora di notte un venticelloinaspettato rendesse affatto sgombro il cielo; e la luna fosse prontaal suo postoe le stelle popolassero il firmamento. Onde tornòla lena ne' pettie giacchè le cene dovevano incominciare altocco della mezzanottequelle ore intermedie si impiegarononell'apparecchiar la tavola fuori delle porte di ciascuna casaed ametter la facciata delle case in quella maggior gala che eraconsentita dalla condizione dei padroni e degli inquilini. E venneanche la mezzanotte. E allo scampanamento che si fece sentirecom'era di praticaagli orologi pubblicitutta la città simise a tavolasenza che fosse più incomodata da cavallidacarrida carrozzeperchè era severamente proibito achicchessia d'uscire a quel modo nè per diporto nè perbisogno; rimanendone il privilegio a coloro soltanto per cui sifaceva la festa; i quali anziqualche tempo dopo lo scocco dellamezzanottedovevano per consuetudine fare il giro di quasi tutta lacittà in carrozza. Così dunque le carrozze di casa V...e quelle di casa Crivello si misero in movimentoallorchèqualche bottiglia era già stata vuotata tanto alla tavola deiricchi che a quella dei poveri.
Edorase il nostro racconto fosse un poemal'invocazione della Musasarebbe indicatissima. Ma invecequando il lettore ce lo permettaessendo assolutamente necessario di animare gli estri per riprodurreal vivo e al vero quella scena notturnabeveremo anche noi inanticipazione una buona bottiglia d'un vino che oramai più cheall'enologiapuò appartenere all'archeologiaquasi come ilfalerno d'Orazio; un vino che fu spremuto dai grappoli nelvendemmiale del primo anno di questo secolo. Per quello che dobbiamofar noiche teniamo al guinzaglio cento annicinquanta del secolopassato e cinquanta del secolo correntel'ispirazione non puòvenire da Musa più propizia di questa bottiglia contenente ilNapoleone dei vinimaturato anch'esso tra due secoli e capace dispumeggiare arbitro tra l'uno e l'altro.


VI


Versole sette oreovvero sia un'ora dopo mezzanotteil carrozzone digala scoperto che il conte V... mandò in casa Pietra Incisauscì trionfalmente dal portone di questa. La contessa Clelia edonna Ada vi stavano adagiate sole senz'accompagnamento di cavalieri.Donna Paola se ne stette nelle sue stanze perchèsebbenefosse paga della buona riuscita di ciò che le avea dato tantoaffannopure aveva troppi dolori proprj per poter essereperfettamente all'unisono colla gioja universale. Anzi dopo che leultime tormentose sollecitudini furono cessateil pensiero rimastosolo della condizione di suo figlio parve che fosse più fortedi tutti gli altri dolori che in cumulo aveva prima provati. Elladunque se ne stette in casa; nè il conte V... uscì delproprio palazzoo fosse determinazione suao fosse consiglio anchequesto di donna Paolaperchèdopo tuttose riusciva unfatto edificante la riconciliazione tra lui e la moglienon era poila cosa più conveniente che in quella notte il conte figurassein carrozza colla contessa. Il mondo nella contemplazione di alcunispettacoli trova il modo di ammirare insieme e di deridere; trovadegno del più grande elogio che una cosa sia stata fattaenon sa nel tempo stesso capacitarsi che vi possano essere statiuomini di pasta così molle da lasciarsi indurre a farle.
Lacontessa e la giovinetta uscirono dunque sole; la prima in tuttoquello sfarzo imposto dalla solennità; la seconda in quellasemplicitàben s'intende riccamente decorosavoluta dallasua condizione non ancor cessata di educandae fors'anchechi losa? dal desiderio materno che la semplicità facesse parereancora più giovane d'anni quella beltà adolescente. Iltopè necessariamente ci doveva esseree la polvere di ciproaveva dovuto imbiancare quelle chiome di seta brunala cui bellezzaera un geloso segreto di cui non era a parte che la governante e lamamma; ma il grembialetto di levantina nera colle spalline non vennedimenticato; tanto era piaciuto a donna Clelia che l'aura infantilecircondasse quella sua figliuola più di quello che l'etàcomportasse. Una rosa purpureaintrecciata nei capelliera il soloornamento accessorio che alterava di qualche poco la sobrietàdi tutto il resto.
Vicinaalla contessaa cui lo sfarzo sovrabbondante aveva come scemataquella perfetta somiglianza che due sere prima mostrò d'averecolla figliaquesta poteva rendere l'imagine dell'arte pura delquattrocento posta a raffronto coll'arte sfoggiata di poi a Veneziada Tiziano e Paolo; pareva — già le similitudini noncostano niente — la giovinetta e primitiva Etruria messa a parocolla Roma imperialedecadente sotto il manto di porpora e d'oro. Nèil cocchiere tutto passamantato in argentoe checome un oggettopreziosopoteva far gola ai ladri e venir rapitoseduto in altosulla cassetta a drappi e a frangie del carrozzonee i tre servitoriritti in piedi di dietrogallonati senza risparmioanch'essicolloscialacquo della prodigalità che ha smarrito il senso delgustole facevano il fondo più adatto.
Lacorsa della carrozza ne' luoghi principali della città dovevaassomigliare ad un lungo viaggioperchè i cavalli avevano acamminare di passocome avviene negli ingressi trionfalie perchèad ogni momento era d'obbligo una fermata per rispondere agli evvivaed alle cortesie di chi stava banchettando; e precisamente in piazzaBorromeoappena uscite dal portone di casa Pietrale due donnedovettero sostarsi innanzi al palazzo Borromeoonde ricevere lecongratulazioni del conte padrone. Nel mezzo della piazza era statoeretto un obelisco di legno posticcio tutto coperto dal vertice allabase da cento fiammelle in vetri di vario colore che rischiaravanoall'intorno la piazzae davano migliore aspetto alla facciata ondeFabio Mangone decorò quella chiesafondata tanti secoli primada quel figliuolo di un soldato di Carlo Magnoche si chiamavaPodone. Di qui svoltando a sinistra e procedendo lentamente tra iconsueti evviva che passavano di mensa in mensala carrozza non fecealtra fermata se non quando arrivò nella piazza dei Mercanti.
Lascena che in quella notte offriva questa piazza era in vero delle piùpittoresche. Qui non v'erano banchetti di famigliama quelli dellerappresentanze del nobil Collegio de' giureconsultie delleUniversità dei librajdegli oreficidei mercanti d'orodeibindellaj. Attraverso alle colonne dello splendido edificio che PioIV fece murare con disegno del Seregno per le adunanze de'giureconsultistando in piazza si vedeva al vivo quella scena che cisi offre nelle cene di Paolo Veronese; chè le mense eranostate disposte sotto ai portici stessiper quanto erano lunghi. Illusso dell'architetturale colonne doriche binate che tagliavan lascena ad intervalli; la luce delle lumiere che pendevan dalla vôltala fiamma dei doppieri che stavan sulla mensa; quei cinquanta osessanta parrucconi bianchique' colori delle giubbe d'ognigenerazioneil fumo delle vivande che involgeva quelle testetuttein agitato movimentola luce in tremolìo che sbizzarriva permille accidenti fuggitivi e tramescolava tutte quelle tinte vivaci efortitra cui dominava segnatamente il rosso fiammail verde pomo epistacchioil fiordalisoil crocoecc. — chè lagiovialità del secolo pareva quasi cercare la sua espressioneanche nel colore de' panni — tutto questo miscuglio di coseproduceva in vero un effetto de' più bizzarri e pittoreschi.
Albasso poiintorno ai portici del Pretoriooggi Archivio generaleerano apprestate quattro lunghe mense; verso il lato che guardava ilCollegio dei giureconsulti stava seduta a tavola in gran numerol'Università dei Libraj e Stampatori; al lato che prospettal'ingresso all'Archivio v'era la mensa dell'Università deimercanti d'oro e chincaglieecc.; al lato verso la loggiadegli Osiila numerosa Università degli orefici; aquello guardante lo sbocco nella contrada dei Profumieril'Università dei mercanti di cordaria e canevazziecc.
Ilpalazzo dell'Archivio aveva smarrita l'unità della primitivaarchitettura che fu convenuto di chiamar longobarda; il tempo epeggio del tempogli uomini lo avevano già reso informe percattivi riattamentiper aggiunte importuneper la preoccupazione diservire al comodo passeggiero senza rispetto di sorta alla formadecorosa; purecon tutto questonella sua apparenza di un edificioche aspetta di essere compiutamente ristauratopresentava ancoraalcune parti solenni della vetusta architetturae segnatamente ifinestroni sopra i portici. Per questa stessa mescolanza poi di piùelementiil talento pittorico ne avrebbe al certo potuto cavarqualche bizzarro partito per una scena prospetticaquando si fossesaputo fare una bella scelta del punto di vista.
Queisei finestroni aperti in alto nei lati più ampi dell'edificiobastavano a ricordare e il tempo in cui esso era stato innalzatoetutte le idee concomitanti che quello svegliava: finestroni aperti agrand'arco tondocircoscrivente tre bassi e piccoli archettiaddentrati e sostenuti da due leggiere colonne. Tanto i pittori peròche gli architetti di quel tempoerano così lontani dalvedere con buon occhio la conservazione di quellesecondo lorobarbariche finestrequanto noi dal congratularci cogli architettivandalici che fecero poi scomparire quelle aperturerichiamantil'età splendida dei liberi Comuni ed apersero nel pianoaggiunto i giganteschi occhi di bue i quali comunicarono a tuttol'edificio quella pesantezza goffaonde tutta la piazza e i decorosie squisiti edificj di essa par come che ne rimangano oppressi. Nègli architetti nè i pittori di allora sapevano veder di buonocchio nemmeno la loggia degli Osiila quale per miracolo rimasesalva dal compasso devastatore degli architetti posteriorii qualiportarono la confusione delle lingue in tutti i luoghi che ebbero aristaurare. E la loggia degli Osii era allora in tutta la suaprimitiva schiettezzanè erano anco restate incastrate nelmuro aggiunto le colonne su cui posano gli archi acuti. Madell'essere rimasto incolume questo squisitissimo pezzod'architettura nessuno si congratulava in quel tempoperchè iBibienistiche erano sul tramonto della loro gloriaerano benlontani dall'amare quello stile; e la nuovadiremosetta deiPacistiche spuntava allora a Roma ed in breve ebbe eco pertutta Italiaprese una tale avversione a tutto ciò che nonera greco e romanoche guai se invece di pacifici architetti fosserostati conquistatori armati: dell'Italia non sarebbe rimasta salva cheuna metà. Ma nè la contessa Clelia nè la suafigliuola Ada ebbero tempo di far queste considerazioniarchitettonichee dopo aver risposto agli evviva dei Giureconsultiche sorsero tutti in piedi a far libazioni gratulatorie al passaggiodella carrozzae dopo che la fanciulla Ada colla sua gentile maninamise il rotolo di prammatica nell'urna che stava sotto alla bandieraportante il nome delle Universitàe in quella chestava ai piedi di un Sant'Eligio di legno doratoil santo protettoredegli orefici; la carrozza svoltò in santa Margheritae passòinnanzi alla chiesa di santa Maria alla Scalae traendo per le CaseRotte nella piazza san Fedelevenne a fermarsi davanti al palazzoImbonati che allora era tra i più splendidi della cittàe oggidì mal si ravvisa in quella casa che sta rimpetto a sanFedele.
Innanzidunque alla porta di casa Imbonatidove era distesa una lunga mensache occupava tutta la sua frontedovette necessariamente arrestarsila carrozza delle festeggiate. Su quella mensa v'eran tutti glisfoggi della ricchezza che converte in eleganzadiremointellettualeanche le imbandigioni. Intorno ad essa erano seduti ipiù segnalati fra gl'ingegni di Lombardia. L'antica accademiadei Trasformatisorta per la prima volta a Milano nel 1546peropera di dodici letterati insignifra cui il Majoragio e ilGalleranoe in breve tempo venuta in gran fama in tutta Italiaaveva dovuto per l'avversa condizione dei tempi ammutire e spegnersinè per un secolo e mezzo non vi fu chi più tentasse arinnovellarla. Soltanto nel 1743 il conte Giuseppe Maria Imbonatiincui la squisitezza dell'ingegno era pari alla squisitezza dell'animoavendo pensato di farla sorgere a nuova vitaper raggiungere questointento si associò alcuni fra i più alti ingegnimilanesied aprì nella propria casa le aule per i convegnide' socj. Gli statuti dell'accademia antica avean dato aitrattenimenti più ampio cerchio di quello che comunementeallora era adottato; onde non solo s'era occupata di letteraturaamenama aveva dato opera anche alla filosofia morale ed alle altrescienze.
Lanuova società inaugurata da Giuseppe Imbonati si proposedunque i medesimi scopied anzi ne allargò la sferae tostodivenne celebre per gli uomini eminenti che furono ascritti ad essa.A quella mensa sedevano Pietro VerriGian Rinaldo Carliil TanziCesare Beccariail professore Teodoro VillaPaolo FrisiGiuseppePariniil conte Giorgio Giuliniil Quadrioil Barettie visarebbe seduto anche colui che dalla bontà prodigiosa delcuore sembrò aver attinto l'ingegnovogliam dire Gian CarloPasseronima in quel tempo viveva a Colonia qual segretario dimonsignor Lucininunzio apostolico presso gli elettori e principipel circolo del Basso Reno; vi sedeva il poeta Balestrieriilsuccessore del più grande Maggi: il Fogliazziil Guttierezed altri molti. Nell'aula di questa società si puòdunque dire che furono primamente ventilate quelle questioniorganiche che si proposero il più razionale ristauro dellavita civile. Qui il Parini si consigliò spesse volte colPasseroni sull'orditura del suo Giorno. Qui il Passeroni fecelettura del suo poema il Ciceronedovedissimulato dallaforma semplicissima fino a parer disordinatae dall'ingenuagioconditàe da quella bonomia di chi è e non vuolparereè sì prezioso tesoro di sapienzadi sanamorale e di coraggio. Nell'attrito della discussione qui si mostròl'acuta penetrazione di Pietro Verriqui il più giovaneBeccariasollecitato dall'amicoimparò a liberare ilpotentissimo ingegno dall'indolenza. Però ripensando a questecosee al tanto bene che iniziarono alcune accademie in Italiaesegnatamente questa dei Trasformati a Milanonon par vero come siasipotuto avvolgerle tutte quante in un fascioe multarle di ridicolotutte; ma la storia delle pecoree quel che fa la prima e l'altrefanno — si presenta sempre a ripetere qualche sbagliataopinione pronunciata per la prima voltae messa in corso non si sada chi e perchè.
Nelmezzo dell'ampia mensafra vasi d'argentodi cristallodiporcellanasorgeva un ramo di platano portante scritto su di unlargo nastro il motto virgiliano: Et steriles Platani malosgessere valentesche era l'impresa dell'accademia. Al fermarsidella carrozza s'alzaron tuttie il conte Giuseppe Imbonati insiemecoll'unico figlioe col genero don Francesco Carcano e colla mogliecontessa Bicettianch'essa valorosa poetessasi tolsero dallatavola e si recarono allo sportello della carrozza: i primi a fare iloro speciali complimenti a donna Clelial'ultima a deporre un baciosulla fronte della fanciulla Ada. Nel tempo che succedeva questaamorevole intervistastettero in silenzio tutti i commensalidell'Imbonatiintenti a guardare le festeggiatecommosse a tantabenevola accoglienza. E mentre si faceva silenzioin quel punto sisentiva il vasto e vario rumore che l'aria vi portava da tutti ipunti della città. La scena era grandiosa e interessante tantoper l'udito che per la vista. La maestosa mole del palazzo Marino erailluminata dalla luna. In quel tempo non era ancora stata edificataa toglier la prospettiva del tempio di san Fedelequella casa chenel 1814 doveva poi essere l'orrida scena di un gran delittopubblico; però la piazzase si eccettui il palazzo dellaBella Veneziastato costrutto in seguito dall'architetto Zanojaoffriva press'a poco l'aspetto d'oggidì: l'aspetto di una gransala a cielo scopertosolenne ed elegante pei due cospicui edificisenza contare la facciata di casa Imbonati che presentava lineegrandiose e ricchezza di ornatolinee e ornato che scomparvero nelristauro che se ne fece molto tempo dopo.
Mala carrozza passò oltree giù per san Raffaello se nevenne al Duomoe giacchè il cocchiere aveva come a direl'itinerario e quasi la nota dei luoghi dove aveva a far le fermatedeviò verso Camposanto dov'era un altro banchetto che meritavauna distinzionequello della scuola degli scultorila quale avevasede precisamente in quel luogo. A quella mensa insieme cogliscultori si trovaron alcuni architetti. Tra i primi v'era il Franchie il Bussie con essi un fanciullo di nove in dieci anniAngeloPizziche lavorava in qualità di garzone scarpellino per lafabbrica del Duomoe che avendo poi mostrato uno straordinarioingegno per l'arte figurativainvece di fermarsi a far gli spigolialla pietra di Viggiù e al granitoera destinato a competerecon Canovae forse a superarlo nel ritrarre in apoteosi e indimensioni gigantesche la figura di Napoleone ottimo massimo. Tra gliarchitetti poi sedevano il prospettico Bibiena sessagenarioe ilgiovane Simone Cantonii quali rappresentavano in sè stessiil tramonto dell'arte che sbizzarrisce e si perde per eccesso difantasia e di audaciae il sorgere della scuola severa inaugurata aRomaa cui sono impacciati i voli per l'esclusiva adorazione delletradizioni italo greche. Vicino a questi sedeva un fanciulloanzi un abatino di dodici anniche il Bibiena sessagenario avevacarissimo per l'acutezza d'ingegno che mostravae per la non comuneattitudine che aveva alle arti del disegno. Quel fanciullo eraGiuseppe Zanoja d'Omegna.
IlBibienache aveva condotto alcune opere nel palazzo del conte V...si alzò e si mosse e s'appressò allo sportello perinchinarsi alla contessala quale nel girar lo sguardo su tuttiquegli artisti là riunitinon potè a meno dichiederglimaravigliandoper qual motivo fosse tra loro quelpiccolo abatino; e l'abatinochiamato dal suo maestrodovettelasciar la tavola e farsi innanzi e rispondere alle domande dellacontessasenza saper togliere gli occhi dal volto della fanciulla.Ed ora se il lettore sente le minacce della nojacostretto com'èa passare in rivista tante cosedi cui probabilmente gli importapoco o puntolo consoleremo con un po' di pausae colla promessa diun avvenire migliore.


VII


Sealcuni dei nostri lettoriquando non sien tuttiil che non èlontano dall'improbabilesi annojano a tener dietro allacarrozza delle nostre due eroinevuol dire che per questa volta sitrovano in una condizione peggiore dei due lacchè che laprecedevano colle torcie a ventoe che obbligati in quella notte acamminare di passorespiravano invece a tutto loro agiovuotavano ibicchieri di vino che loro venivano sporti dai banchettanti e sidivertivanosenza faticaritardando con quell'impreveduto riposol'inevitabile ernia dei vecchi anni. I quali due lacchèquando il cocchiere applicò leggermente alle loro gambe loscoppiettante spago della frusta (perchè era un vezzo deicocchieriquando erano di buon umore e andavan d'accordo coi lacchèdi far loro quel complimentocredendo così d'innalzarli finoal grado dei cavalli)lasciarono quelle catapecchie del Camposantodove a stento la carrozza si era internataed ajutando a mano icavalli ad uscirneprecedettero il carrozzone lungo i fianchi delDuomoed entrarono trionfalmente su quella che anche alloracomeadessocon un coraggio degno di miglior causasi chiamava la piazzadel Duomo; ma foss'ella o non fosse una piazzaalla vista delcarrozzone di casa V...sorse tutta come un sol uomomandando talievviva da intronarne l'aria e da minacciarese non i pilastroni delDuomoalmeno le impalcature che stavano a molte parti di essoesegnatamente alla guglia massima che era ancora in costruzione. IlCoperchio de' Figiniilluminato a giornodentro e fuoripresentavaun ordine lungo di banchettied eran quelli dei proprietarj dellebotteghe colle loro moglicoi loro figliuolicolle loro fantesche.Il rumore delle voci e le liete strida infantili e le trombetteacutissime onde i papà eran stati indulgenti ai figliuolisoverchiavano tutti gli altri suonie rendendo inutili le orecchiela libertà di scelta non rimaneva che agli occhii qualidaibanchettisituati sotto il coperchiogiravano a veder una lungafila di tavole che dalla porta maggiore del tempio andava a finirealla porta della casa che le sta dirimpettoalle quali tavoledivise in più scompartimentisedevano altre universitàd'arti e mestieri: l'università dei ricamatoridei tessitoridei mercanti di lanadei sellari. Tutta sola poie quasi sdegnosadi star colle altresedeva in quell'appendice della piazzache eraincorniciata dal palazzo Ducalecolle proprie insegne e i proprjtitoli fatti con lumini in vetri colorati estesi nella lingua delLaziol'Abbatia et Universitas Salsamentariorum et Postariorumpinguedinis civitatisecc.
Lacontessa Clelia chetenuto conto di tuttoera piuttosto seria inquella notte e meditabondasebbene avesse vicino a sè etenesse per mano quel caro angelo della sua Adasentì gliassalti del buon umore a leggere quelle parolee si diede a rideredi cuoreriso che i rispettabili membri dell'abbazia interpretaronocome un segno della gratitudine e dell'affabilità di quellaegregia damae strepitarono per acclamarla e batterono palma apalma; e misero poi coi loro baci riconoscenti in gravissimo pericolola bianca manina di donna Adaquand'ella depose un rotolo dizecchini sovra il bacile d'argentopresso cui posava l'enorme testadi un cignale incoronato di salsiccia.
Liberatala bianca mano di donna Ada dai baci micidiali dei Salsamentariorumla carrozza tirò innanzi; ma fu trattenuta dalle acclamazionispeciali che s'innalzarono da una gran tavola numerosa di conviviedisposta in modo che girava come un semicerchio irregolare intornoalla testadiremodell'informe corpaccio dell'isola del Rebecchinonella parte che guarda la facciata del Duomo. Quei convivi erano gliavventori del caffè del Grecogiovinotti liberi per lamaggior parte e senza famigliae che anch'essiquantunque senzastatuti nè scritti nè stampatie senza privilegjd'abbazia e d'universitàcostituivano di fattoin unaparolase non di dirittola più felice università deibenestantidei nullafacenti e dei maledicentitra' quali abbiamoalcuni nostri conoscenti vecchi. Avevano tutti una gran voglia diveder dappresso tanto la contessa che la sua figliuolaperchèla curiosità è il carattere dominante di coloro per cuiil problema più arduo della vita sta nel come si possonopassar senza noja le ventiquattr'ore del giorno astronomico.
Ilchiacchierone di nostra conoscenzache ben potea essere il priore dique' socj più o meno felicis'incaricòsenz'esserepregatodi parlare per tutti; e a nome di tutti espresse allacontessa la gioja ond'erano compresi al vedere ridonata a Milano unacosì celebre damada cui la città riceveva sìgran lustro e decoro; e soggiunse che tanto più sicongratulavain quanto la vedeva felice appresso alla sua giovinettae bellissima figliuolala qualenon ancora uscente dallafanciullezzaaveva già patito la sventura; ma qui facevaconsiderare che per ciò appunto ella aveva ragione d'esaltarsiavendo vedute le prove manifeste del come la Provvidenza vollepigliarsi di lei una cura speciale; il che rendeva poi ragionevole lapresunzione che fosse per essere chiamata a grandi destini chi avevaavuto così solenni principj.
Lacontessaun po' annojataun po' imbarazzataun po' eccitataall'ilarità da quell'orazione gratulatoria pro formarispose quattro parole complimentosee due ne aggiunse come seppe lapiù confusa Adae il cocchiere frustò cavalli elacchèe tirò innanzi. E appena la carrozza fu a unadistanza convenientetutti quanti liberarono una risata compressa astentoe:
—Bravoil nostro oratoreesclamarono; bene il nostro cicerone. Altroche monsignor Bovio quando predica in Duomo!
—Vi pare!...
—E come!
—E se non c'era iofaceva una bella figura la società delcaffè Demetrio tanto rinomata per il suo spiritocheper darspaccio al suo giornaleVerri stesso ha stimato bene di dar adintendere che venga pensato e scritto qui.
—Tu però che assordi gli amici e chiacchieri di tutto e fai loscalmanato su tuttoanche di mattinaquando nello stomaco non haiche cioccolata... si può dire che eri in soggezionese dopotanto Monterobbio hai pronunciato quel così goffo e mal unitodiscorso. Oh come deve aver riso la contessa!
—Riso? tu parli per invidia.
—Sarà per invidiama son contento del mio umile postodi nonaver fatto altro che ridere insieme colla contessa. Ma a propositodella contessadove diavolo è andato a finire il tenoreAmorevoli. di cui non si sente a dir più parola? Questosarebbe per lui il momento di tornare a Milano.
—Sìper cogliere la buon'occasionee andare in prigioneun'altra volta.
—Perchè?
—Perchè?... vedo che tutti quelli che andarono in prigione nel1750 tornano in prigione nel 1766. Guardate: — Lorenzo Bruniilviolino del teatro Ducaleè ancora sotto custodia. AlGalantino non bastò la ricchezza per tenere in rispetto ilbarigello. Quasi quasi mi parrebbe che invece di sedici anni nonsieno passate che ventiquattr'ore. È tutto precisamente alposto di prima; onde torno a ripetere che se il tenore capitasse aMilano... non sarebbero staccati i cavalli dalla sua vetturache ifanti dell'eccellentissimo capitano andrebbero a fargli visita. Oh seci fosse l'arte di tirarlo qui... che bella cosa! tutto quello chepar finito scommetto che rincomincerebbe da capo. E per noi che nonabbiam nulla a fare sarebbe una risorsa. Tornare al prologo quando sicrede che manchi poco a calare il sipario!
Echi parlava avrebbe continuatoma le sue parole non essendo stateraccolte da alcunocaddero naturalmente in terrae i compagnonirimessisi a sederepassarono ad altro; onde noi non avremmo altroobbligo di lasciarli in compagnia delle loro bottiglie e della loroallegriae dopo aver girato un altro sguardo alla piazza al Duomo incostruzionealla sua facciata di cui non sorgevano che le porte delPellegrinistupende in sè stessema cheper aver volutocontraddire ad Orazioriuscirono ad essere la Prima e solacagion d'ogni sventura; — ai due piloni del Buzziquellidel secondo progetto; alle tracciediremo cosìsbozzatedegli errori futuri; dopo aver data un'occhiata all'architetturagotica e poderosa del palazzo ducaleun'occhiata tenera perchènon la vedremo piùchè il Piermarini saràincaricato di scopare via la facciatail nostro obbligo or sarebbedi tener dietro alla contessa e alla contessinama un discorsocurioso ci trattiene ancora in piazza.
—Che bella cosa (saltò su a dir unoche non s'era mai mosso dasederee tutto assorto nella contemplazione della scena che gli sispiegava dinanzinon s'era nemmen lasciato tentare dalla curiositàdi veder dappresso la contessa e la sua figliuola); che bella cosadissese invece di questa miseria di piazzachi ha pensato a farsorgere questa montagna lavorataavesse anche provveduto adistenderle intorno uno spazio convenientedecorato di edifizidegni della città!... in una notte come questa imaginatevi chemagnifico effetto farebbe.
—Quando il Duomo sarà finitosta tranquilloche chi verràdopo di noi penserà a far quello che non si poteva e non sidoveva fare tre secoli fa.
—Perchè non si poteva?
—Ma vuoi tu che si pensasse a fare la cornice prima di veder l'effettototale del quadro?
—Può darsi che tu abbia ragionema una piazza non è unacornice; e il popolo passeggia e si ferma e si trattiene in piazzaprima ancora di entrare in chiesasicchè l'opportunitàdella piazza è contemporanea al tempio che vi devecampeggiare. Dirò di piùche se si fosse pensato find'allora a distendere la piazza per tutto lo spazio necessario a sìgran moleanche il Duomo vi avrebbe guadagnatoe non sarebbe venutoin mente agli ingegneri del secolo passatoquando vennero a cessargli scalpori sui tre progetti del Castellidel Richini e del Buzzidi impiccolire e immiserire il progetto dell'ultimorespingendol'idea dei due giganteschi campanili ai fianchi della facciata. Lapiazza regolare avrebbe mostrato che i due piloni laterali chevediamo adessonon adempiono alle leggi della proporzione con tuttoil resto del tempio. Che volete? la mia sarà un'idea strambama due anni faquando Paolo Frisi si oppose alla determinazionedegli ingegneri ed architetti del Duomo di innalzare la massimaguglia sul lucernario prima di compire le altre parti del tempioioho detto: il padre Frisida quel grande uomo che èharagionema avrebbe più ragione ancora se dicesse: signorcapitolo del Duomosignora fabbriceriasignori architetti eingegnerinon abbiate tanta fretta; aspettate a far la guglia;aspettate a far la facciata; einnanzi tutto sollecitate il pensierodi distenderle innanzi una piazza. La prima operazione dev'esserquesta.
—E dove si troverebbero i danari?
—Dove? nelle saccocce dei cittadinis'intende; son diecison dodicison quindici milioni? Ebbene; i decurioni aprono un prestitoegiacchè sento che tanti e tanti temono sempre di non poterimpiegare il danaro con sufficiente sicurezzaqual ci puòessere garanzia più valida della città stessa? Ma diciò non mi voglio impacciare io. Molti sono i mezzi per erogardanaro; e purchè ci sia la buona volontà e il buonaccordo e la fermezzala questione del danaro... a voi parràch'io dica una sciocchezza... ma la questione del danaro èancora l'ultima. Ed ecco là che sorge gigante la provaperpetua di quel che dico. Mancavano i danari due anni faquandotutti gli architetti strepitarono a favore della guglia e ottenneroil loro intentoe il padre Frisi alla testa di pochi altri voleva lafacciata? Noma mancava il buon accordo. Mancavano i danari nel1656quando sorsero tante dispute sui tre disegni presentati? ancheallora era il buon accordo che mancavae segnatamente nella schieradegli uomini dell'arte; perchècome può darsi che imigliori architettialmeno i più famosie tra gli altrianche Lorenzo Berninilodassero quella ridicola bombonieradell'architetto Castelli; e tutti poi si gettassero addossoinviperiti al progetto del Buzzi? Or che n'è derivato? Gliuomini della scienza e dell'arte protestarono. Ma l'occhio che vuolla sua parte fece sì che i fabbricieri e il capitolo e idecurioni stessero per il Buzzie adottassero il suo progetto. Matanto per venire a patti coi pregiudizjlo corressero in variepartie più e peggio dove c'era il pensiero più belloe più splendido. Ed ora ecco lì... due piloni meschiniche fanno sperar pochissimo dell'avvenire di questa facciatalaquale allora fu continuata di mala voglia perchè lafabbriceria non era soddisfattae rallentò le operazionicolla speranza forse che il tempo correggesse gli spropositi. Ma civuol altro...
—Tu dici benissimoosservava un altroe giacchè si parlava dipiazzase io fossi quello che comanda e che paga... il mio primopensiero sarebbe rivolto alla piazza appuntoe farei sospenderetutti gli altri lavori. Un gran portico tutt'all'ingiroe chegirasse la più grande area possibile.
—Alloramio carocomincerebbe subito l'opposizioneperchè seanch'io fossi quello che comanda e che pagafarei di tutto perchènon andasse il tuo progetto.
Queglichedopo aver appoggiate le parole del commensalechea quantoparerubava all'ozio quotidiano qualche ora a pigliarsela calda peiprogetti architettonici della città di Milanosi sentìa titolo di ringraziamentoda lui così crudamentecontraddetto:
—Ma perchèdissetu saresti un mio oppositore?
—Perchè piuttosto che vedere un grande spazio tutto circondatoda portici uniformi con edifizj tutti d'uno stile e tutti d'unamedesima altezzami accontento della piazza che vedo adesso.
—Sarà bene che tu abbia ragione... ma se non ioc'è lapiazza di San Marco di Venezia che ti dà torto da quasi tresecolie c'è la piazza di San Pietro a Roma che te lo dàda cento anni.
—Domando mille perdonima la piazza di San Marco è sempre làinvece e a darmi ragione; in quanto poi a quella di S. Pietrosonben contento ch'essa mi dia torto. Essa è l'opera piùassurda del Bernini; basti il dire chepasseggiando sotto i porticiad ogni momento fugge di vista il tempio per cui la piazza fu fatta.
—Lascia da parte la forma ellitticaed è subito toltal'assurdità.
—Sì... in quanto alla vista del tempio; ma resterebbe peròsempreinvece d'una piazzaun gran cortile quadratoche puòparere anche un cimitero.
—Torno a rammentarti la piazza di San Marco.
—Bisogna distinguerecaro mio.
—Distinguiamo pure. Non ho niente in contrario.
—Dunque è da considerare chequando si dice piazza di SanMarcol'imaginazione corre subito al suo quadro totale; vale a direall'unione della piazza colla piazzettala qualesiamo sincerièquella poi che fa le spese di tutto.
—Come fa le spese di tutto?
—Sìperchè se non ci fosse la piazzettati regalo lapiazzache per me è davvero un cortilegrandiosovastosplendidoornatissimoma sempre un cortilee guaidicose non cifosse la piazzetta a darci vita.
—Ma che cosa ci vuole per teaffinchè una piazza debba essereuna piazza?
—Prima di tutto che non sia chiusavale a direche manifestamentepresenti gli sfogatoj e gli sbocchi alle altre parti della città;in secondo luogo che offra la maggior varietà possibile tantonegli stiliquanto nelle elevazioniquanto nell'indole degliedifizj ond'è determinata.
—La confusione di Babelein una parola; va benissimo.
—Mi parecaro mioche tu prenda la piega di spropositare.
—Bada che ho viaggiatoe ho buona memoriae ho tutte le piazzed'Italia in testa e ho sempre avuto una certa inclinazione perl'architettura.
—E nemmeno io posso dire d'esser sempre rimasto a Milanoe se ti citoSan Pietro e San Marcovuol dire che li ho visti; in quanto poi alrestose tu sei amico dell'architetturame ne congratulo tanto; maanch'io schiccherocosì per passare questi giorni lunghiqualche quadruccio di prospettiva sotto la direzione del Bibienacheha ingegno da vendere e fantasia da regalare al tuo Cantoni. Tutta lasua disgrazia sta che la moda or pare che abbia preso di mira il suogenere; e la peggior disdetta è che la moda non si fermi alleparruccheai topèai puffma pretenda di sedere in cattedraa dar le leggi dell'arte.
—Ma a che cosa vuoi riuscire con tutte queste?...
—A ciòche non basta nè l'aver viaggiato nèl'aver studiatoma bisogna avere quel che si chiama buon occhiobuon gusto e criterio.
—E tu sei così riccamente provveduto di queste tre cosecheper gli altri non è rimasto indietro nulla. Anche questo vuoidire?
—Non pretendo tanto; ma mi viene bensì qualche assalto disuperbia quando mi trovo in faccia ad uno il quale mi dice che lavarietà ha per conseguenza la confusione; e che ignora quelgran principio dell'arte verae quel segreto con cui il genioesenza incomodare il genioanche l'ingegno riesce a colpire dimeraviglia gli osservatori; ed è quello appunto di saper farsì che l'unità trionfi nella varietà—questo è il problema da sciogliere.
—Ma spiegati meglio.
—Mi spiego subito... e mi spiego pigliando per punto di appoggioprecisamente la piazzetta di San Marco. Perchè tutti iforestieri d'ogni paesed'ogni generazioned'ogni levaturasonocostretti a confessare che in quell'aggregato d'edifizj è iltrionfo dell'architetturae che forse in nessuna parte del mondo puòtrovarsi una scena più maravigliosa di quella che si presentaa chi approda sulla scalea del molo della piazzetta di san Marco?perchè appunto trova l'unità nella varietà. Adestra il palazzo Ducale del Calendario; vicino ad esso le prigionidel Da Pontedirimpetto l'edificio della libreria del Sansovino;vicino a questo il palazzo degli ufficj. E se dal primodiròcosìsipariosi spinge l'occhio oltre le colonne di Todero edel Leoneecco la basilica di San Marco a dritta colle sue cupolebisantineecco la torre dell'orologio di fronte e un brano delleProcuratie nuove de' Lombardi. Nientemeno che sette edifizjsettestilisette varie altezzee una schiera d'architetti di tempidiversi e di diverse scuole che vi portarono il vario contributodella loro ricca fantasia. Orase invece di tutte queste cose non sivedesse che un portico lungo ed ampio a tiro d'occhiolo spettatoresarebbe già addormentato prima di avere il tempo d'andar inentusiasmo.
—Lo credi tu?
—Lo credo perchè ciò mi accadde precisamente a Romastando sulla piazza di San Pietro.
—Ora sentiamo che cosa faresti tu se la cassa pubblica avesse ilghiribizzo di vuotarsi tutta per il piacere di nominarti architettodella gran piazza del Duomo; perchè bada che questa piazzaper esser degna del tempiobisogna che giri un'area immensae cheperò dovrebbe andar giù tutto il Coperchio de' Figinitutta quest'isola del Rebecchino; e si dovrebbe lavorar di martellofino alla Doganademolire il corpo delle case che dividono la piazzade' Mercanti da quella del Duomo.
—Se questo fossetanto andrebbe per la piazza a portici uniformicome per la piazza a varietà d'edifici. Ma non è cosìcaro mioed è precisamente coll'idea del variare stili ealtezze e indole d'edificie col gran segreto dei giuochiprospettici che non è necessaria tant'area; perchècoll'artistica illusione della varietàl'occhio crede sempredi girare uno spazio infinitamente maggiore del vero. Che se fosseindispensabile quello che tu diciil miglior architetto della piazzadel Duomo sarebbe il parco d'artiglieria del re di Prussia. Ma standoa quel che io dico e che diceva appunto il Bibienafa in modo direndere regolare la piazzafa che la facciata del Duomo si mettad'accordo col suo assee passeggiando sotto agli archi dei variedificj si vedano i fianchi del tempio. Fa scomparire quest'isolottoe innalza da questa parte due corpi di diversa architettura: unogreco romano puroper esempiosormontato da due statue che fannosempre effetto con poco; l'altro più bassopiù gentilecon dei portici leggieri bramanteschi; lega i due edificj con unterrazzoperchè così di sopra e di sotto appaja lafuga delle altre contradecon che si ottiene d'ingrandir la piazzaall'occhio; innalza dirimpetto al Duomo qualche edificio con quellostile che più ti garbama il di cui organismo sia tale chesembri come a traforo con fughe d'archi e di colonne nella baseconopportuni interrompimenti nelle elevazioni onde appajano cosìdalla lontanae quantunque per isghemboi fastigj dell'archivio edella torre dell'orologio della piazza de' Mercanti; allora la piazzade' Mercantisenza accorgersiverrà in ajuto di questa;demolito poi il Coperchio de' Figinifa in modo che in quel latosorga qualche palazzo a servizio di Pubblici uffizjla di cuiarchitetturaper esempiosomigli...sei stato a Mantova?
—Sì.
—Beneal palazzo Ducale di Mantova. Per introdurre poi de'cambiamentifa che il palazzo sia come diviso in due alee che laparte di mezzo sia una galleria ad ampi ed alti finestronii qualirendano come trasparente l'edificiochè in tal maniera a suotempoanche la luna potrà venire in soccorsodell'architettura. I fianchi del Duomo finalmente sieno illustratiqui dal palazzo Ducale come stasebbene invochi un compiutoristauro; làda qualche altro palazzo che abbia una frontemolto ornata. A questo modo abbiam anche il vantaggiodi poter faretutto a poco a pocoe senza che si stanchi il pubbliconell'aspettazione di veder compiuto un sistema unico di costruzioneche per la sua natura può stancar la pazienza di piùgenerazioni.
—A dire la veritànon afferro bene quest'ultimo tuo pensiero.
—Voglio dire chese venisse adottato un progetto sontuoso di unapiazzaper esempiocome tu hai dettotutta a portici uniformi e adelevazioni egualisubordinate ad un'idea sola architettonicafinchèl'opera tutta quanta non è condotta a compimentolegenerazioni che ne vedono il principio e la lenta continuazioneavranno sempre innanzi agli occhi qualche cosa che li disgusta. Colmio pensiero invece dei molteplici ordini d'edificjquello con cuisi dà avvio alla piazza può essere finito in brevetempo; e presentando un tutto armonico e compiuto in sèstessosoddisfa appieno quelli che hanno avuto il meritod'innalzarloed è come un compenso dell'opera loro. Ma questoè nulla; c'è un altro vantaggio ben maggiore: c'èche sulla piazzapotendosi innalzare più opere di variaarchitettura e di varia sontuositàqualche ricco privatopotrà sentir la tentazione di sfoggiarvi la sua ricchezza e ilsuo buon gusto; e l'esempio provocar l'imitazione; e la cassacittadina venir così in gran parte risparmiata per laspontanea concorrenza dell'oro privato; con che si otterrebber neltempo stesso due intenti: l'uno di render la piazza piùmagnifica mettendo in lizza le gare; l'altro di ridurla a compimentonel più breve tempo possibile. Or che te ne pare?
—Che bisogna aver la fantasia molto riscaldata per poter fare diquesti conti.
Malasciando che questi due s'arrabattino tra di loronoi raggiungeremoil carrozzone di casa V...senza entrar arbitri in codestaquestionesolo dicendo a coloro i quali fossero nemici delle piazzeaperte ed a varietà d'edifizjche possono consolarsi pensandoche il prolisso interlocutore in quella notte dei banchetti eraesaltato dai vapori della cena; quelli poi che fossero del suo pareresi rallegrino pensando che le lucide cene sono eccitatrici mirabilidi fantasiasenza della quale non si fa mai nulla di grande nelleopere dell'architettura.


VIII


Spaventatidallo spavento onde possono essere compresi i nostri lettoriibenevoliintendiamoci benepel dubbio che questa nostra corsanotturna attraverso alle contrade dì Milano abbia aprolungarsi oltre i limiti della discrezioneabbiamo supplicato ilcocchiere di casa V... a sollecitare al trotto i cavalli e acostringere al corso anche i due lacchèsebbene dondolantipel troppo vino bevuto. Non occorre dunque che ci arrestiamo inpiazza Fontana dove banchettano l'illustre badia dei Bergamini edei Caserie la più celebre dei Facchinitrecaste poderoseche costituivano l'aristocrazia della forzamuscolaree cheguardate anche di fugapur bastavano perdistruggere tutte le opinioni di un filosofo persuaso della gradualedecadenza della razza umana. Nè occorre che la carrozza sitrattenga nel classico Verzajodove in quella notte imperversaronopiù dell'usato tutte le ricchezze del vocabolario milanese;madopo aver fatto una visita in Chiaravallealla tavola dovesedevano i soci dell'accademia dei Fenicjdi cui il segretarioperpetuo era l'abate Andrea Oltolinaeruditobibliografopoetavernacolo e pedagogoproceda oltre verso porta Romanaperchèlà bisognerà pur troppo che si trattenga innanzi aqualche banchetto patrizio. E casa Annoni ecco che si mostra per laprima volta alle due donne che si sentono acclamate avanti quasi diessere vedutee a qualche distanza dirimpetto a quellaecco la casadei Mellerioil fermiere milionario che manda fuoco e fiamme asoverchiar lo splendore di casa Annoni. Nell'umile prospetto dellaqual casa (chè il Cantoni non era ancora stato chiamato arifabbricarla)contrastante colla pompa sibaritica che sfolgoravaalla portaappariva come in evidente compendio la storia perpetuadella ruota della fortuna. E innanzi ad essachiamate ad alta vocedal ricco e pomposo padronecircondato da numerosa folla didipendentidai tosatori di seconda mano e dalle ausiliariesanguisughe del pubblicodovettero pur fermarsi le due donnedopoessere state un momento prima baciate e ribaciate dalla contessaAnnonivecchia damatutta compresa della propria posizionee quasifatta più rispettosa verso se stessa per la considerazionedella grande nobiltà del casato in cui la Provvidenza l'avevafatta nascere. Adempiuto a questi convenevolila carrozza procedettecon trotto normale fin oltre il pontenon arrestandosi che innanzial palazzo Pertusatiovvero sia all'albergo delle Musecome essoveniva chiamato per antonomasia. Coloro che sedevano a quel banchettoerano tutti pastori e pastorelle d'Arcadiadella così dettacolonia milaneseintrodotta fra noi dal padre GiannantonioMezzabarba fin dal 1704. A questa colonia il conte Carlo Pertusatistato presidente del Senato e gran cancelliereaveva dato per sededelle adunanze il proprio palazzo. Ad imitazione degli orti Rucellajvi aveva poi fatto disporre un giardinoil più squisito nelDucato per piante rare ed esotichedove gli Arcadi si raccoglievanoin estate a recitarvi i loro componimentie dove don Luca Pertusatiad alternare la scienza colla poesiaaveva radunati i piùvalenti cultori di botanica per mettere in comune i loro studj. Maciò che costituiva la rinomanza di quel palazzo era la copiosabiblioteca che il conte Carlonel tempo ch'era stato reggente delconsiglio d'Italiaaveva arricchito di opere onnigene e delle piùriputate edizioni. Chi avesse detto al conte che quella bibliotecaera destinata a diventar la base di quella che fu in seguito labiblioteca di Breraper lasciar poi che si sperdesse nell'obblio ilnome del suo primo padre!
Ricevutele più calde congratulazioni dal conte Pertusaticonservatoredi quella coloniae chenelle solenni adunanzedimentico quasidella sua qualità di questore del Senato e di prefetto dellacompagnia di San Giovanni alle Case Rottenon si gloriava che diessere un pastore; accolti i complimenti degli altri arcadiesopportata con aspetto ridente la tempesta dei baci di quella dozzinadi pastorelle che sedevano al banchetto; la contessa e la contessinacolle guancie fatte frolle dalle impronte di tanta cordialitàsi partironoingiungendo la contessa al cocchiere di tirar viadritto pel corso senza tornare indietrodi pigliar la via de'bastioni di porta Romanae per di là passare a portaOrientale; chè sentivatanto essa che la figliuolaun granbisogno di respiraresalvandosi per un momento dal pubblicoentusiasmo. Come furono sulle murai loro occhi riposarono da tantalucee gli orecchi da sì prolungato frastuono. Bene dalbastionegirando lo sguardo sulla città sottopostasivedevano gli sparsi splendori di tante e tante cenema resisopportabili agli occhi stanchi dalla vaporosità interposta; emedesimamente il vario e vasto concento in cui si confondevano tantemigliaja di voci e di grida saliva fin làma fatto piùfioco dalle distanze.
Icavalli intantoannojatissimi anch'essi dell'aver dovuto andare apasso per tanto tempoo tutt'al più ad un mezzo trottinosislanciarono a carriera appena il cocchiere ebbe loro liberato ifreni; e i due lacchè agitando le torcie a vento si spinseroanch'essi al corsocon una velocità a cui erano obbligatirare volte ma che pur bastava per assicurare e l'asma e l'ernia alloro deplorabile avvenire.
Perun raccoglitore d'impressioniquel carrozzone sfarzoso che confragor cupo rotolava sul terreno nudo e brullo e ineguale e gibbosode' bastioniallora incolti e senza fronda d'albero; e quei duelacchèchecolla zazzera a riccioni svolazzanti (perchèi lacchè così come i cocchieri portavan quasi sempreuna foggia di pettinatura già respinta dalla modaper uncapriccio della moda stessa)correnti a rompicollo e colle torcie alarghe fiamme lascianti indietro odor di resina e favilleparevanoveduti a qualche distanzaquasi due furie anguicrinite dell'infernopaganomal dissimulate dalla livrea del secolo XVIII; e il fondobizzarro su cui staccavano queste figure volantifondo luminoso eromoroso da una partesmorto e silente verso la vasta campagna; e sunel cielo e luna e stelle e pace infinitae ai lembi estremidell'orizzonte i primi annuncj della luce crepuscolarecheaggiungeva una tinta nuova ai lumi artificiali che apparivano datutti i punti della cittàcome onde chiazzate di un lago;tutta questa scena dunquediciamodoveva necessariamente fareeffetto in un poetico raccoglitore d'impressioni. Ma la carrozzaadonta del terreno che si affondava spessopercorse in breve tutto ilbastione di porta Romanae giunse a quello di porta Tosae trasvolòinnanzi alla cupola della Passionee in breve fu alla portaOrientale. Arrivata dove il bastione inclina alla cittàunosplendore straordinario che usciva dalle piante di un giardino e unaconfusa armonia di voci e canti e suoni colpirono l'attenzione dellacontessache domandò al cocchiere:
—Or che è questo?
—È il signor marchese Alberico F... insieme colla solitabrigatarispose il cocchiere.
—Allora fermati quigli disse la contessa nell'udire quel nome.
Icavalli si fermaronotrattenuti da una forte imbrigliata. I lacchèsostarono anch'essiansando come due mantici di maniscalco quandosoffiano nella massima furia del lavoro notturnoed asciugandosi ilsudore che pioveva di sotto alla prolissa cesarie.
—Non si può entrare in cittàscansando di passare perdi qui? chiese poi la contessa.
Eil cocchiere che aveva compreso dove andavano a finir quelle parole:
—Non pensi a nullasignora contessachè ioanche passando inmezzo a costorotirerò via di buon trottoe la carrozza nonsarà trattenuta da nessuno.
—Benema aspetta un momento.
Eintanto s'udiva la musica d'un minuetto; ed era quella precisamenteche Mozart trasportò molti anni dopo nel suo Don Giovanninella scena della festa; perchècome abbiamo già fattoosservareil grande Mozart prendeva spesso in piazza i motivi giàfatti popolariaffinchè trionfasse la verità in tuttala schiettezza ne' suoi drammi sublimi.
Malasciando Mozart e il minuettogià diffuso dappertutto primach'egli lo rendesse celebre e lo perpetuasse nel Don Giovanniper qual motivo la contessa s'era come sgomentata al nome delmarchese Alberico F...? Cari lettorinon fu per un motivo solomaper due; il primo era ovviovale a dire che il marchese Alberico erain voce del più sfrenato libertino della cittàesapevasi che i suoi pranzile sue cenele sue feste somigliavanotroppo ai lupercali di Romae spesso vi danzavano a tondo le alunnedi Tersicore involate alle scene dei principali teatri d'Italia.Donna Clelia non voleva dunque che la sua Ada neppur dalla lontanaavesse a intravedere quelle baraonde; la seconda cagione poi nonavrebbe saputo spiegarla a sè medesima nemmeno la contessa; maall'annuncio ed al cospetto di cose e di persone che neppure si puòdir di conoscerecoloro che hanno sentimento squisito provanotalvolta delle ripugnanze invincibilialle qualisecondo il nostrodebole pareresi deve dar sempre ascolto anche alla cieca. Sonoessequasi potrebbe dirsile arcane ammonizioni che il destinoneisuoi momenti pietosidà come di sfuggita a coloro checontrosuo genioè incaricato d'insidiare e d'affliggere.
Maintanto che la contessatenendosi stretta la sua Adatendel'orecchio a quei suoniperplessa di far retrocedere o di mandarinnanzi la carrozzanoi la precederemoper soddisfare anche allacuriosità del lettorese mai ne avesse alcunae


Colfavor della Musa o del demonio
Cheil crin ne acciuffa e là ne scaraventa
Cicacceremo in mezzo al pandemonio.


IX


DonAlberico F...il quale è pur quegli chea perfettavicenda col finanziere Baroggidee dividere il seggio diprotagonista in questo lungo dramma; fino a questo punto lasciòche tutti gli altri personaggi facessero liberamente e con tutto agiole loro evoluzioni sul davanti del prosceniosenza ch'eglinellasua indolenzasiasi mai mostrato un istante in prima fila. Soltantoha permesso che lo nominassimo spesso e senza lode; e una volta solaquando non aveva ancora vent'anniè comparso in iscena perpochi minutia contemplare nello specchio la sua bella faccia congran compiacenzatutto preoccupato ad aggiustarsi un neocrediamo alla destra pozzetta; e tutto ciò nel punto solenneche all'illustrissimo suo padre il conte F... stavano per suonare itocchi dell'agonia a Santa Maria Podone.
Eriepilogando il già detto ed aggiungendo quello che non fuancor detto; quando don Alberico marchese e conte F... rimase eredea vent'annidelle grandi ricchezze del padre e delle maggiori dellozio marcheseliberato dalle stringhe paterne e dalle piùtenaci dei maggiordomi che s'eran proposti di gratificarsi il contepadronefin che fu vivocoll'imitarlo; fu repentina e compiutal'eruzione di tutti suoi istintie di tutte le suenon lechiameremo nè facoltà nè dotima semplicementetendenze; i quali istinti e le quali tendenzeun po' native un po'acquisiteparve che si fossero accumulate in lui precisamentecom'era avvenuto della eredità del padre e dello zio. Il padreera stato il più indomabile egoista del suo tempo; riservatopacatoavaronon erasi occupato che ad ammontare ricchezze; alquale intentocon tutte le arti e con astuzia squisitaogniqualvolta si presentò il pericolos'era adoperato affinchèil fratello non riuscisse a sperdere altrove i suoi grandi averi conqualche matrimonio. Questo egoismo orgogliosointeso soltanto allaprosperità del casatoaveva fatto le spese di tutti gli altrisuoi vizj. I preti non avevano mai potuto rimproverargli un peccato:le Lidie astute e le crescenti Cloe non arrivarono mai adinvolargli uno zecchino. Il più ricco fratelloall'oppostoin bagordiin cenein giuocoin donneaveva profuso largamente ilsuo; e sesparnazzando a dritta e a sinistra le copiose entratenonera mai riuscito ad intaccare il capitaleera perchè ilfratello potè sempre accorrere a prevenire i disastricon unaprontezza e una importunità da provocar la collera e glistrapazzi e le ingiurie violenti del marcheseingiurie ch'eisopportava senza turbarsinon fedele che all'ultimo intento. Diquesti due fratelli ognuno dunque può vedere che la pasta delmaggiore era stata di gran lunga meno trista di quella del cadetto.La prodigalità talvolta avrebbe condotto il marchese a qualchebeneficio; e la sensualità talora lo avrebbe messo al tu pertu di provare qualche meno impuro sentimentoqualche affetto; equantunque fosse assiduamente passato di amori in amoricome fosserolarve d'una lanterna magicacon una incostanza sempre sazia di tuttoe sempre sitibondapure era stato spesso al punto di fermarsi in unaaffezione durevolee più specialmente dopo che era cadutanelle sue insidie l'infelice che fu poi la madre del Baroggi. Se ilconte cadetto non fosse sempre accorso a recitar le parti di Creontequando vedeva il vizio disposto a capitolarec'è dascommettere cento contro uno che la povera Baroggi sarebbe riuscita adiventar la moglie del marchese. Ma abbandoniamo i due fratellimorti; è dell'erede vivo che dobbiamo occuparci. Le qualitàdel padre e dello zio confluirono dunque tutte in luicospirando afarne un originale stranissimo; poichè egli era avaro efastosoprodigo e taccagnocontinuamente raggirabile dalle protervebeltàma pur sempre presente a sè stesso quando alcunaminacciava di voler durar troppo in carica; splendido mecenate dicantanti e di ballerine ed anche di artistie sovventore spontaneodelle loro povere famiglie; e pur nel tempo stesso egoista espietatochè il beneficio era apparentee non si risolvevaall'ultima che in una paga anticipata alle insidie future. Avaro eprodigocome dicemmoad onta della contraddizione per soddisfare adun capriccio fuggitivo avrebbe gettato un tesoro colla spensieratezzadi un fanciullo; ma era poi capace di condurre i creditori di camerain sala per mesi e mesi onde usufruttare la loro bisognosaimpazienzae angariarli in mille modi coll'aviditàinsaziabile di un usurajo.
Dopotutto ciòegli aveva qualche non vulgare qualità;qualitàstate bene attentinon virtù; conosciamobenissimoil valore delle parolee le misuriamonon volendo che ifarisei fiscalizzinoper trovarci lodatori di quella chevituperiamo; e codesta qualità era un'abitudine di eleganzache aveva recata nella sua vita orientalmente voluttuosa. In Milanopossedeva due palazziquello del padre e quello dello zio. La casapaterna era stata da lui abbandonata. Invece aveva arricchito ilpalazzo dello zio di statue e quadri e vi dimorava nell'inverno. Perla stagione estiva s'era poi fatto fabbricare appositamente unpalazzino sibaritico tra platani e tigliin una parte di quell'areache fu poi tutta occupata appresso dai pubblici giardini. Ifratelli Galliari e il Bibiena vi dipinsero prospettive; del Tiepolojuniore di Venezia vi erano raccolti quadretti di genererappresentanti scene di una giocondità tutt'altro cheirreprensibile. Aveva fatto acquisto d'una Galatea del Marattadellatoilette di Venere del Lazzarinidi una bellissima Leda col cignodello Zuccarie di altre tele molte d'antichi e contemporanei. Avevacommesso al giovinetto Biondiscolare del vecchio Portauna copiadel ritratto della Fornarina di Raffaelloun'altra della Gioconda diLeonardo. Amava dunque l'arte e se ne circondavaquantunque lapagasse scarso e lento. E come amava l'artecosì prediligevala beltà femminilenella stima della quale poteva sostenerela discussione con un intero corpo d'artisti accademici; e lagiudicava anche di sotto alle dubbie apparenze col colpo d'occhiod'un trafficante di schiavecommissionario d'harem; o come unmercante di puledreestimatore infallibile d'incollature e terga efianchi e popliti e garetti. Frequentatore assiduo del palco scenicoquantunque fosse intendentissimo di musica e della grande arte dellecapriolepure non era già nè il trillo piùagilenè la scala più granitanè la notatenuta più limpidanè il salto più imperterritoche lo esaltavano; bensì era capace di attaccarsi consembianza d'amore (aprendo però sempre la borsaper la granpratica che aveva nel mondo) anche alla stonatrice piùperversapurchè avesse il collo di Diana; di scegliere anchel'ultima danzatrice in linea d'artepurchè fosse la primanella linea del corpo.
Incodesta sfera di erudizione nessuno lo vinceva; qui era tutta laforza del suo genio.
Circondatoda' suoi colleghi di stravizzoil signore del luogotra le alunnedi Citerea e le bottiglie di Sciampagna e le carte micidialivipassava in trista gioconditànon i giorni ma le notti quandotrovavasi a Milano. Diciamo le notti perchè di giorno tuttotaceva colàe nelle ore in cui tutta la città eraoperosaquel luogo poteva meritar l'appellativo di Casa delsonnoquantunque il popolo per antonomasia continuasse achiamarla argutamente La casa del diavolo.
Abbiamodetto che vi passava le notti quand'egli trovavasi a Milanoperchèspesso trovavasi in fazioneaggiunto al presidio militare di qualchecittà del Ducatonella sua qualità di capitano delreggimento Clerici. Chè egli aveva a danaro comperato quelgrado nella miliziaessendo vaghissimo di sfoggiar le insegnemilitari come quelle che più che mai lo rendevano accetto alledonne. E non sempre eran le venali alunne di Tersicore e di Pafoquelle di cui si compiaceva; ma faceva la corte anche alle dameespesso accompagnava al teatro la pudica d'altrui sposa a lui carache capricciosamente cangiava quasi ad ogni cangiar di luna: el'assisa e le spallette e gli speroni facevano l'effetto delguizzasole negli occhi ingenui anche di qualche fanciulla inespertae qualche fratellorovinato da lui al giuoco e da lui soccorso condiabolica intenzionediventava spesso il funesto intermediariod'amore.
Adonta di tutte queste scellerate qualitàil più dellevolte protette dall'oscurità e dal silenzioperchè ildanaro faceva miracolied era interesse della vergogna di nonlasciarsi vedere in pubblico; esso non erapur troppocome sisarebbe meritatoin odio alla moltitudine. I suonatori d'orchestraper esempioparlavano benissimo di luiperchè quando tacevail teatroera per lui se scansavano il pericolo di andar ad impegnaril contrabbasso o il violino; i portinai del teatro lo portavano acieloperchè non c'era nessuno che lo superassenell'abbondanza e nella frequenza delle mancie. Gli impresarjimediatori teatrali che da lui avevano tante incombenze d'ingaggio ederano ben pagatitra le altre cose ebbero persino a lamentarsiperchè non fosse nominato direttore perpetuo del regio ducaleteatro. Ed anche fuori di Milanoanche nelle altre città delDucato non si parlava male dì luiperchè se alla testadei suoi soldati non vi recava la scuola dei buoni costumivimetteva bensì in movimento molto denaro; chè s'eraproposto d'imitare il celebre general Clericiil qualequando simovevatrasportava seco un'intera compagnia teatrale d'opera e ballopur nelle stesse fazioni di guerraavendo fatto erigere piùvolte a proprie spese dei teatrini posticci per rallegrare i bivacchinotturni. Fido infatti a questa imitazioneil marchese Albericoaveva lasciato buonissimo nome di sè anche fuori d'Italiaquando nel 1759giovane di ventott'anniaveva militato adHohenkirchen sotto al generale Lascyil Vauban della Germania.
Dopotutto ciòquesto Sardanapalo cogli spallini e in calzettinadi seta; questo Baldassare non minacciato da nessun motto arcano enon intercedente spiegazioni da verun profeta di sventurein quellanotte dei banchetti generaliper mantenersi nel suo primato disibarita scialosoaveva aperto intorno a sè una specie dicorte bandita. Alla mensa apparecchiata per lunghissimo trattoinnanzi al suo casinomezzo nascosto dalle alte piantei convivisedettero in gran numero. Se vi fu profusione d'imbandigionivi fubuon gusto straordinario nella disposizionediremoornamentale delbanchetto; vi fu originalità nel modo onde venne servito; chèin luogo di camerieri incipriati e livreati e passamantatidodicidonzellepræstanti corporealla più maturadelle quali la Parcaappena appena — Il decimo ed ottavoanno filava — dodici donzelle foggiate in vario costume ediscinte anzichè no facevano il servizio della tavolae ad uncenno degli invitatida espertissime Ebi a cinquanta soldi algiornoversavano spumante lieo nei calici lucenti. Allorquando poi iconvitati furono saturie la mensa presentò come la scena diun campo di battagliae rovine di pasticcie ruderi di bombonieree una selva inestricabile di bottiglie e di vasi e di caliciallora cominciarono le danzee più decine di cavalieri colleloro ballerine intrecciarono quadriglie ed eseguirono il lento minuètanto propizio alle digestioni.
Innanzia questo banchettocon pochi amici e col bicchiere alla manocontinuò a star seduto il marcheseintanto che fervevano ledanzee negli intervalli la bella e capricciosa Agujari cantavanell'aperto salone del palazzino mettendo il delirio in tutti gliascoltanti; la bella Agujari che costava tesori a chi la volevacorteggiaree che da poco tempo s'era degnata di accordare la suabenevolenza allo splendido marcheseperchè un giornodopo ilpranzole aveva concesso di fracassare un ricchissimo servizio diporcellana del Giappone; e un altro giorno che don Alberico erasmontato da un bellissimo cavallo araboottenne da luise nonvoleva ch'ella il piantasse sui due piedidi poter tirare un colpodi pistola nell'orecchio di quel nobile animale.
Mentreadunque l'orchestra suonava e i ballerini ballavanooppure quellaviziata virtuosa sfoggiava sghiribizzando le note più acutedella voce più estesa cheal dire degli espertiallora vifosse al mondo; egli s'indugiava a tavolae precisamente peraspettare l'arrivo della carrozza della contessa Clelia e della suafigliuola. — Don Alberico quasi poteva dire di non conoscere laprima e non aveva mai veduta la seconda; onde per le avventure stranedell'una e dell'altrae per la gran fama della loro bellezza avevauna grande curiosità di vederle e di complimentarle; e tantopiù che s'era banchettato per loro e bevuto alla loro salute.
Aspettavadunque da qualche tempoe si maravigliava cheessendo giàtardinon si vedessero ancora a comparire; quandoall'improvvisofortissimi evviva e battimani che venivano da coloro i quali avevanoestese le danze fin quasi alla porta della cittàloavvisarono che ciò doveva essere pel loro passaggio.
Infattiallorquando la contessa diede ordine al cocchiere di procedere perporta Orientale col trotto il più serratoil cocchiere spinsei cavallisicuro della felice riuscita; ma appena dal bastione ebbesvoltato verso il borghettoche le loro signoriela contessa e lacontessinafurono salutate con urla di gioja matta da quelli cheballavano sub luna; e le danzatrici ebriosealcune fermaronoi lacchè con violenzalor togliendo le torciee agitandolecome tirsi con faunina protervia; altre si fecero imperterrite almuso de' cavalliquasi offrendo quella scena che si presenta alviaggiatore nauseatoquando nella città di Napoli siavventura a passar per via Capuana. Puread onta di tutto questolacarrozza potè andare innanzisebbene con lentezzae quandofu per passar presso la mensa abbandonatail marchese Albericocircondato da' suoiquasi diremmocamarlinghisi presentòallo sportello.
Orguardate caso stranissimo! — Adanel vederlotirò lamano intrecciata a quella di sua madree mandòun'esclamazione di maraviglia paurosa che a tutti sfuggìcom'è naturalema non a sua madrela quale si volse a quelsommesso gridointerrogandola cogli occhi indagatori più checolle parole.
Chedunque significa ciò? Significava.... ma non mettiamoci inapprensionesignificava un fatto naturalissimo. La giovinetta Adaquando vide il conte Albericocredettea tutta primadi vedersiinnanzi il Galantino in divisa militaree ciò per la ragionecheinfattitra il Galantino e il marchese Alberico era una gransomiglianzadi quel genere però che forse poteva passareinavvertita agli indifferentima non a chi aveva imparato apalpitare per la prima volta sotto il fascino di quelle tali formedi quelle tali linee caratteristiche e distinte.
Orche cos'èdirà il lettorecodesta storia dellasomiglianza? È anche questa una conseguenza d'un altro fattonaturalepoichè bisogna ricordarsi che l'Andrea Suardi eranato in casa F... da un Giovanni Suardi stallieresalito poi algrado di cocchiere. E ora è da aggiungere che il cocchiereGiovanniquando da una bellissima moglie del contado di Cremona glinacque il fanciullo che fu il primo e l'ultimonon potè piùsalvarsi dalle celie de' suoi compagni di scuderia e di rimessa e ditutta la servitù di casa F...; e le celie crebbero colcrescere del fanciulloil qualese il marchese avesse avuto moglietutti avrebbero detto che era suo figlio. Al conte Alberico chesiccome avviene sovente tra consanguineiper le misteriose bizzarriedella naturarendeva più le sembianze dello zio che delpadretoccò dunque in sorte di somigliare al figliuolo d'uncocchiere; somiglianza che andò dileguando col tempoe cheadir cosìnon guizzava che di sfuggita dai muscoli dei lorovolti e da certi movimenti caratteristici dei loro corpi; perchèil lacchèanche per quelle ragioni fisiologiche sviluppatedal bastardo Filippo Faulconbridge nel Re Giovanni diShakespeareaveva sortito due gambe poderose dove l'altro avevaavuto de' fuseragnoli; due braccia atletiche dove l'altro avea dovutoricorrere alla correttrice ovatta; un viso della più bellatinta incarnata e porporina dove l'altro non aveva potuto rinunciareai beneficj del minio. — Ecco dunque come nacque lo scambio chemise sottosopra il sangue della povera Adae la rituffò ne'suoi tristi pensierionde sollecitò la mamma di partire dilàgettando però alla sfuggita un'occhiata al protervomarchese; come chi non può staccarsi dalla contemplazione diun ritratto che ricorda un originale il qualea proprio dispettonon si può dimenticare.


LIBRODECIMO


L'anno1797.   Il ballo del papa.   La predica dell'arcipreteBesozzo in San Lorenzo.   Il teatro della Scala nella sera delladomenica di quinquagesima.   Il programma del cittadino Salfi.  Il coreografo Lefèvre.   Giuseppe PerucconedettoPasqualino.   Le cittadine: signora R...; contessa A...;avvocatessa F...;   Il figlio del finanziere Baroggi.   Unafiglia della contessina Ada.   La Libertàl'Eguaglianzala Dionisa.   Rappresentazione del ballo.   Scioglimentocon perigordino. - Andrea Suardi e Marchese F...



I



Saltandocoraggiosamente sei lustridobbiamo entrar e piantarci nel fittodell'anno 1797nel carnevale di tale annopigliandolo precisamentealla sua domenica di quinquagesimaper stare più in regolacol calendario ecclesiastico e col nostro fedele Pescatore diChiaravalle. Trent'anni sono trascorsi dal giorno che la contessaAda fu perduta e trovata; quarantasette da quella notte memorandaquando il tenore Amorevoli saltò il muro di cinta del giardinodi casa V... Quante vicendequanti affanniquanti mutamentipubbliciche procelleche trasformazioni! Ben si può direchein questo intervallol'umanità ha cambiata tutta quantala sua pelle come il serpente. Eppure dei nostri personaggi non èancor morto nessuno. Nessunotranne la venerabile donna PaolaPietraperchè era già vecchia quando ne abbiam fattala conoscenza; tranne l'avvocato Agudioperchè era decrepitoquando lo scontrammo sull'uscio di casa Pietra; tranne il giovanelord Crallperchè ebbe la malinconia di voler fare ilprecursore di Werter e di Ortis: gli altri sono tutti ancora viviilche vuol dire che la natura umana è ben tenacee i suoidolori pajono piuttosto dolori teatrali che veri; se si eccettuinoquei della renella e quei della gottae gli spasimi dei dentimolari!!
Oraessendo quasi tutti vivi i personaggi di nostra vecchia conoscenzaènaturale che da loro e per loro sien nati altri personaggiche neltempo a cui siamo saltatisono giovani e adolescenti e fanciulliei qualil'uno dopo l'altrodovranno pur passareper forza o peramoresotto la nostra mano. Noi ci troviamo nella condizione delcavallerizzo che attende nel circo ai giuochi romani. Ei comincia condue cavallipoi sottentra un terzopoi un quartopoi dued'aggiuntae un altroe due altri ed altri ancorafinchè sitrova aver tra le mani un grosso manipolo di redini refrattarie equasi insensibili alla manocon dodici o quattordici cavalli da farcorrere nell'arringocol pericolo di stramazzare ogni momentoe divedere qualche indocile corridore uscir dal sistema e trascinare ilunghi freni per la polvere olimpica ad impacciare la corsae adassicurargli le fischiate del caro Pubblico che guarda all'esito enon alle difficoltà superatee ne ha tutte le ragioni.
Matirando innanzise la società cangiò facciae ilpensiero umano fu tutto messo sottosoprail resto ha seguito le suesorti. Le vestile foggie non sono più quelle d'una volta; lemura stesse della città non sono più quelle. -Molti edifizj scomparveroaltri ne sorsero di nuovi. - Ungalantuomodefunto nel 1750 o nel 1766risuscitato per incantononavrebbe più trovato modo di raccapezzarsi passando in quellamattina di marzo per la via della Scala. - L'antica chiesa erascomparsa; trent'anni prima avrebbe lettopassando per di lìsulla facciata di essao un Pax vobiso una Indulgenzaplenariao un Pregate per l'anima ecc.ecc. Inquel dì invecealzando la testaavrebbe dovuto far lemeraviglie vedendosi innanzi un gran teatrocon un gran porticoconun gran terrazzocon un frontone greco romano chiudente inbassorilievo un Febo auriga che sferza i cavalli. Altro che idee ecose di chiesa! E sottoinvece del cartellone della confraternitadel Santissimo Sacramentoun cartellone pendente dall'arco di mezzosul quale il Pubblico affollato nella mattina di quinquagesima del 97leggeva queste parole:



ilballo del papa

ossia

ilgeneral colli in roma

pantomimo

eseguito

dalcittadino lefèvre


Piùbassoimpastati sui due estremi pilastri del portico alla portatadella vista di un uomo d'ordinaria staturasi vedevano due piccoliaffissisenz'eleganza nè di carta nè di carattere. Ilgesso non aveva ancor invaso la manipolazione degli stracci. Bodoninon era ancor comparso. Su quei due affissidopo il titolo generaledel nuovo balloe il nome dei personaggi e degli attorispiccaval'epigrafe dantesca:


AhiCostantin di quanto mal fu matre


conquel che segue; poi si leggevano queste parole del cittadino Salfi alpopolo di Milano:
«Questopantomimoche annunzia il regno della ragionenon èun'invenzione semplicemente ingegnosama il risultato di quei fattie di quei caratteri che formano la storia più interessantedegli ultimi tempi di Roma. Si potrebbero verificare le piùminute circostanze con quei monumenti che debbono oramai esserenotissimi al pubblicoe che si conservano sparsi nel giornaleintitolato Termometro politico della Lombardia. Possa questoprimo lampo della verità incenerir l'impostura ed ilfanatismoe far trionfar la religione e la pace.
Salutee fratellanza.»


Correndoil marzocome abbiamo dettofaceva una bella giornata limpida etrasparentee per soprappiù soffiava un vento marino tepido econsolante. Esso era annunziatore della primaverae poteva ancheannunziare un ultimo saluto di neve. Gli uomini che non vantavano ilpiè veloce di Achilleo andavano soggetti a flussioni dentaliperiodicheerano anzi di questo parere. In ogni modoessendoci ilsereno e l'almo solee soffiando i tepidi favonjgli avventoridella bottiglieria Cambiasiche era celebre di quel tempo peri suoi rosoljsegnatamente per il latte di vecchia eil perfetto amorestavano fuori della bottega divisi ingruppiparlando precisamente del ballo andato in iscena il dìprima. - Il che medesimamente succedeva innanzi al vecchiocaffè così detto dei Virtuosi. La Cecchinanon era ancor natae forse nemmeno sua madrea proporreuna variante di quell'appellazione. - Ora le insubre puledrecalpestano l'area dove sorgevano quegli incliti ritrovi. Davvero chepensiamo a ciò con crepacuorequantunque la colpa sia tuttanostra. La descrizione di Persepoli riesce più difficile alpoeta senza le venticinque superstiti colonne; ma giacchè ilprogetto di demolizione è venuto da noital sia di noidunquee andiamo avanti.
Ivecchioniancora tenaci del cappello a tre puntee del topèad ala di piccionee della faccia sgombrae del mento rasopassando per di là rimanevano scandolezzati a vedere le nuovee strane foggie de' giovanotti. I cappelli espansi a caldaiaalti elarghi con nastroni di vellutofuor de' quali faceva capolino ilcoccardone repubblicanocelavano fino all'occhio quelle faccieatteggiate ad un cipiglio di convenzione; fedine larghe e foltecoprivan le guancierendendo la figura di due pere crinite chescendendo dal cappelloandassero a nascondersi in un enormecravattone biancoentro il quale stavano fasciati e collo e mentofino ad invadere i diritti del lobo auricolare. Gli occhi soltanto eil naso erano lasciati in libertà; ma di sotto all'ombra fittadel cappelloche radeva il sopraciglioavevano un'apparenza truce esospetta.
Irivenduglioli di carte e stampe e bullettini gridavano intanto sullapiazza: «Signori! Il credo del Papa per due soldi; Ildiscorso dell'Ussarosignori! - Il sogno dell'arciducaFerdinando. - La bolla di Pio VI. - Avantisignorichi comperasignori?» Poi tutt'a un trattotra lediverse voci di quei pubblici schiamazzatori se ne sentì unapiù forte e più invadente di tuttee veniva da un nanotutto copertodalle spalle alle pianteper nascondere il perfidosistema delle sue gambedi un soprabito rosso color fuocosormontato al petto da un gran medaglione inargentatoavente nelmezzo un occhio del Padre Eterno: A S. Lorenzosignori!gridava quel nano: - Il cittadino arciprete farà amomenti la predica del papa. - A S. Lorenzoa S.Lorenzo!
Ilsignor Giocondo Bruniquel nostro vecchio amicoche non avrebbe maidovuto morire; quella storia animata ed ambulante che il lettore benconoscee che ci raccontò tante e tante cose che non stannonei libriperchè i libri troppo spesso sdegnano diraccogliere gli sparsi minuzzoli del verosenza dei quali il veronon è però mai completo: il nostro signor Giocondodunquesi trovava anch'esso quella mattinainsieme cogli altrisulla piazza della Scalaanch'essogià si sacol suocappellone e il suo coccardone e il suo cravattone e anch'essoatteggiato al burberoperchè un legittimo repubblicano nonpoteva aver sorrisi e grazie senza correr pericolo di parer untepidoequando l'altrui malumore l'avesse volutoanche unpericoloso cittadino. Egli ci raccontò che si sapeva fin dallasera primache l'arciprete di San Lorenzo aveva promesso di fare alpubblico una predica relativa al papa e alla sua temporalità ealla sua infallibilitàper animare i cittadini timidiscrupolosi e bigottia recarsi a vedere il nuovo gran ballo dellaScalae che peròquando il nano della bussola di San Lorenzocomparve a gridare in piazzala piazza rimase subito vuotae tutticompresi gli avventori del caffè dei Virtuositra i qualitrovavasi anche il cittadino Lefèvreil coreografochefaceva la parte di Pio VIe il signor Raimondo Fidanzacherappresentava il personaggio del general Collisi avviarono a SanLorenzo tra gran folla di persone chestrada facendosi facevasempre più stipata; tanto che ci volle gran fatica e ajuto digomiti e d'urtoni a farsi largo tra le colonne di San Lorenzo; e fuun'impresa veramente erculea il tentar di penetrare sotto gli archidella rotondanella quale echeggiava già sonora e concitatala voce dell'arciprete Besozzocaro ai professori di rettorica perla sua eloquenzarispettato anche dai bigotti per la sua dottrina indivinità e la profondità in patrologia; temuto dagliaristocraticiesaltato dai patrioti.



II



Quandoil Bruni si trovòdopo lungi stentisotto ad uno degli archidella rotondafu adocchiato alla lunga da suo padre; sìsignorida suo padre ancora vivoossia dal signor Lorenzoildecrepito marito della ballerina Gaudenzi; colui chese il lettorese ne ricordaera un giacobino nato fattoprima che dei giacobininessuno sospettasse per ombra nè l'esistenza nèl'appellazione; il signor Lorenzo Bruniche contava i suoiottantadue anni come se fossero ottantadue zecchini l'uno sopral'altroe cheavendo visto di presenza a nascere la rivoluzione inFrancias'era consolato nel vedere l'attuazione di quelle cosech'egli in confuso aveva pensato e desiderato quarant'anni prima.Vicino a lui era il prevosto Lattuada di Vareseprete fenomenoeche poteva parere esaltato tra gli esaltati. V'era il frate somascoCarreracheeducato ai rigori della vita claustraledi tantolasciò prorompere alla libertà la sua indoledi quantoera stata violentemente compressa.
Adocchiatodunque dal padre e dagli amiciil nostro Giocondoche sta fra noinon vecchi e i nostri vecchissimi avicome Enoc stette fra Adamo eNoèvenne invitato e fu soccorso anche da un sagrestano atrascinarsi fino a quella cappella privilegiatacollocata neirapporti col pulpito in modoche della voce del predicatore non siperdesse alcun suono.
Mail predicatore continuava la sua predica da qualche tempoonde inostri ascoltanti lo seguirono coll'attenzioneappena sepperotogliere il bandolo del discorso:
«Recadolorecosì parlava il famoso arciprete di San Lorenzorecadolore il mettere in vista cose di sì poca edificazioneetemo che chi mi ascoltapiù fornito di pietà che dilumiprenda occasione di scandaloe pensi che convenissedissimularle; ma chi parla al popolo credente deve dire la veritàtutt'intera. Un tale esempio ce lo danno gli storici sacri. Mosènon dissimula i delitti del popolonè le proprie sue colpe;Davide volle che il suo peccato fosse reso palese; gli evangelistinel Nuovo Testamentorappresentarono concordi l'infedele caduta diSan Pietro.
«Ioso che alcuni uomini ammalati di pregiudizj e d'ignoranza incurabileperchè non amo credere ad altre cagioni meno onesteandaronoinsinuandoe dal pulpito quando avevano coraggioe dalconfessionale quando avevano paurache non bisognava dare ascoltoalle mie paroleche io non possiedo nè sapienza nèdottrinache abuso di quella autorità di che sono statorivestito. Ebbeneio voglio dar ragione anche a costoro; io voglioche non crediate alle mie parole; io stessodirò di piùnon mi attento di star sicuro della mia sola opinione: ma che diretequando i più grandi luminari della storia ecclesiastica midaranno ragione? che direte quando parleranno gli evangelistidaiquali io non ho fatto che attingere quello che già vi hodetto? che direte quando verranno gli stessi santi padri ad accusarela condotta della curia pontificia? che direte quando gli stessipontefici confesseranno il vero in danno proprioe non avranno pauradi annunciarlo?
«Perchèchi vi ha detto che il papa sia infallibileha detto menzogna.L'infallibilità da G. C. non fu data che alla Chiesa.Quotiescumque congregati eritis in nomine meoin medium vestrumero.
«Isanti Padri hanno osservato un profondo silenzio sulla pretesainfallibilità del papa.
«S.Basileo accusò vivamente Damaso papaperchè andava incollera contro chi diceva la verità. Se San Basileo avessecreduto il papa infallibileavrebbe egli accusato il ponteficeDamaso?
«Rusticoe Sebastiano sostennero che il papa Virgilio aveva combattuta ladefinizione del concilio di Calcedoniacosa che fece dire ad Eumaroarcivescovoche questo papa era veramente eretico.
«Iosono sommamente scandalezzato da voiscrisse San Colombano aBonifacio IVimperciocchè la vostra condotta ègrandemente sospetta d'eresia. Se volete essere giudicato successoredi Pietrodovete essere custode della di lui fede: Doleo deinfamia cathedræ Petri: ut ergo honore apostolico noncareasconserva fidem apostolicam.
«Puòesservi espressione che più radicalmente distruggal'infallibilità pontificia? «Agostino Trionfatuttochègran partigiano del papanella sua opera Clavis Scientiæha detto chiarissimamenteche il papa è fallibile: Papapotest errare.
«Lostesso Innocenzo III ha affermato che il papa può errare comequalunque altro: facile crediderimut Deus permitteretromanum pontificem contra fidem posse errare.
«Matant'è vero che i papi sono fallibiliche la storia registrai loro errori e i loro disordini. E anche intorno a ciòsenon volete credere a mese avete in sospetto i libri profanisecredete ch'io parli per bocca dei nemici della chiesaudite i suoiadoratori.
«Alcuinoscrivendo a Carlo Magno sulla corruzione della corte di Romagli faintendereche in essa non vi regna nè pietànègiustizianè carità; che egli non ha altro rifugio chericorrere alla di lui saviezzae pregarlogiacchè Roma nonvuole porre argine a siffatti disordinidi trovar mezzo con cuirimediarvi. — Ecce in te solo tota salus ecclesiarum Christiinclinata recumbit.
«Chinon sa quel che scrisse S. Bernardo a Innocenzo III? Fideliterloquor quia fideliter amo.
«Parlavasincero perchè amava sinceroe diceva che la cagione deldecadimento della Chiesa universale doveva trovarsi nella corruzionedella curia romana: In vospontificescuriamque romanam. Enella lettera ad Eugenio IV egli dice ancora di più.
«Nelconsilio Remenseconvocato nell'anno 992è detto con tuttaquanta la libertàche Roma era divenuta venale e che tuttodicevasi e facevasi colà secondo la quantità dell'oro edell'argento: Roma venalis exposita; ad nummorum quantitatemjudicia trutinat.
«AdrianoIV ha detto che la corte di Roma era macchiata di morali disordini:Scimus in hac sancta sedealiquot jam annis multa abominandafuisseet omnia in perversum mutata.
«Nonsono io dunque che parlo; non è a me che voi avete obbligo diprestar fede. Ma se venerate San Bernardose avete fede nei papiInnocenzo e Adrianose avete rispetto alla parola inappellabile deiconciljdovete dire che io non ho fatto che ripetere contro la curiaromana e il potere pontificale quelle accuse che furono giàscagliate da quei grandi e santi uomini. - Ascoltate dunquecolorose non volete ascoltar me.
«Laveneranda Chiesa cattolicaegli è G. C. che la istituì;le diede precetti fondamentali di umiltàdi giustiziadicarità; la premunì pien d'amore per essadi tantissimisacramenti; la fecondò coi suoi divini esempjcollapredicazionecogli stenticolle fatiche; la consolidò colsangue e colla morte. Ma guardatevidisse a' suoi discepoliche travoi non escan fuori uomini scellerati e perversi; tenteranno costorodi perturbarladi disordinarladi distruggerla: Nascentur exvobis viri peversi ut abducant post te discipulos suos. -Il testo è di S. Paolo.
«Mache cosa dunque si deve fare per ovviare a tanti disordini?Richiamare il pontificato alla santa semplicità delle sueorigini;. fargli restituite i doni funesti che ebbe dai re dellaterra. Costringerloper dir cosìad esser santoobbligandolo alla sola giurisdizione spirituale. Uomini e sacerdotiignoranti e pregiudicati vi hanno detto chetentar di smuovere latemporalità del potere papaleè atto sacrilegoe taleda meritarsi la pronta punizione di Dio. Ma costoro come faranno achiamar sacrilego G. C.? come faranno a invocar su lui l'ira divina?Dabo tibi claves regni cœlorumha detto G. C. a S.Pietro; e quando il popolo stupito de' tanti miracoli cheoperavavoleva farlo reche cosa fece G. C.? Fugit ne eumfacerent regem; e che disse quando fra' suoi discepoli si agitòquistione di maggioranza? Qui major est inter vosfiat sicutminor; e di che parole fece uso quando parlò dei re dellaterra? Reges gentium dominantur eorumvos autem non sic.Com'è dunque chese i comandi e gli esempj dati personalmentedal Redentore sono precisicomandi ed esempj da doversi fedelmenteseguirecom'è chementre e G. C. e San Pietro hanno avuto inorrore ogni sorta di dominio sopra gli altriil papa potràpretendere monarchia terrena?
«Allapodestà temporale si oppone dunque il caratteredell'ecclesiastica societàla dottrina e l'esempio di G. C.gl'insegnamenti degli scrittori e dei Padrila pratica fedelmenteseguita nei primi secoli della Chiesa.
«Lasocietà ecclesiastica non si propone altra cosache disporreil cuore de' popoli a vivere secondo le massime del Vangeloecondurli alla vita eterna.
«GesùCristo non dà a' suoi discepoli altra autorità ched'istruirepredicare e battezzar le nazioni: docete omnes gentesbaptizate eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.
«GesùCristo non concede a' suoi discepoli altra podestà che dilegare e sciogliere dai peccati gli uomini: Amen dico vobisquæcumque ligaveritis super terramerunt ligata; etquæcumque solveritiserunt soluta. Dal che ognuno ben vedeche una simile podestà riguarda unicamente la salvezza eternadegli uominied ha soltanto di mira il dominio spirituale.
«Quandogli apostoli dissero a Gesù Cristoallorchè iSamaritani non l'hanno voluto ricevere: - Fate scendere ilfuoco dal cielo e inceneriteli- «Che dite mairisposeloro G. C.e di che spirito siete? il figliuol dell'uomo non ègià venuto a perdere uominima a salvarlifilius hominisnon venit animas perderesed salvare». E quando Pietrotroncò l'orecchio a Malcoche gli disse il Cristo? Mittegladium tuum in vaginaomnes enim qui acceperint gladiumgladioperibunt.
«Ei santi Padri? Udite i santi Padri; ascoltate Sant'Ambrogio: -Tutte le ricchezze della santa Sede non consistono in altro se nonnella fede. Ecclesia nihil sibinisi fidem possidet.
«ES. Fulgenzio che cosa dice? Udite S. Fulgenzio: - Tutta quantal'autorità del pontefice riguarda lo spirituale e nulla più.In sæculo nemo rege celsior» E Innocenzo III diceche l'autorità temporale compete al solo re: Rex intemporalibus neminem superiorem habet.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
«Edopo tutto ciòsino a quando si vorrà far servire ilsupremo sacerdozio all'errorealla passioneai disordini? Sino aquando chi è supremo pastore delle animesi avrà avederlo disposto a servirsi della religione come d'appoggio perestendere i suoi temporali interessi a taccia propriaa scandalouniversalea distruzione della cattolica Chiesa?
«Masinora abbiamo udito Gesù Cristoi santi Padrii ponteficipiù sapientigli apostolii concilj. Udiamo adesso coloroche pretendono di saperne più di loro.
«Sesi tolgano al papadicono essile ricchezze e il temporale dominioRomail papala Chiesa cadranno in disprezzoquando invececonviene che sian sempre presso i popoli cristiani in sommavenerazione.» Ma non sentite voi tutti come sia questa unamanifesta follia? la disistima e il disprezzo non dipende tantodall'influenza delle umane ricchezzequanto dalla mancanza delleevangeliche virtù; la stima e la venerazione che si porta achi abbonda di ricchezzeè una venerazione e una stimaapparenteeffimera e falsa; quandoall'oppostoquella che procededa una vita ricolma di virtùè realeèsinceraè soda; questa riflessione ci somministra una praticaveritàla qualesenza che l'accenniamoognuno puòfacilmente congetturarla.
«Tolgansipertanto da Roma codeste terrene ricchezzetolgasi al papal'affluenza dei beni che godeed ecco rinascere ne' sommi ponteficiil primitivo amoreed eccolo riacceso anche nel cuor dei fedeli.
«Maper conchiudere su questo punto delle ricchezze e del temporaledominio del papavoglio che sentiate quello cheal suo segretarioEginardoha detto in punto di morte Carlo Magnocolui che esercitòla sua liberalità facendo grandi donazioni al papa:
-Rispetto alle mie militari imprese ed alle imprese politiche -ripeto le precise sue parole- niuna cosa è per cuitanto tema di avermi tirato l'ira di Dioquanto le cose che ho fattoin Italia. In quella occasione la mia ambizione mi precipitòin mille iniquità. Ho ajutato i papi; ho rottoa persuasionedi essiil matrimonio colla figlia di Desiderio; l'ho rimandatadisonorata al padre.
-Per colmar lo stajo delle mie reitàmi sono lasciato indurrea far signori i pontefici romani di una gran contrada d'Italiaconche veggo d'aver gettato i fondamenti della di lei totale rovina. Perla qual cagione mi debbo aspettar da Dio un castigo severissimoe lamemoria mia sarà avuta in abbominazione dalla italianaposterità. Il dominio di tante città e provincieinmano di un ecclesiasticonon può produrre che maligravissimi. Come mi giustificherò io dunqueo Diodi tantiguaidelle tante guerree delle tante calamitàcheper ladonazione che feci alla Chiesa di S. Pietrosovrastano all'Italia? -
«Questeparole di Carlo Magno sul letto di morte fanno piangere a ripensarleoggi. Però non è fanatismo nè errore il direche la soppressione del dominio temporaleossia la distruzione ditutto ciò che portò seco la fatale donazione di CarloMagnoè l'unico rimedio per far cessare gli orrendi abusidella corte di Roma e per salvare l'Italia.
«Sonosecoli e secoli che la Chiesa mortalmente geme sotto i disordinidella corte di Romaprodotti dal temporale dominio del papa; tempo èdunque oramai che si dia contro di essi un colpo vigorosorisoluto edecisivo. I disordini allora cesseranno; la Chiesadepurata da'pregiudizjtrionferà; gli Stati saranno tranquilli; la pacesarà nel mondo; l'umanità potrà finalmenteprovare tutti i beni dell'esistenzae Dio sarà glorificato.»
Aquesto punto l'arciprete predicatoreil qualeesaltato dal suotemaaveva percorso tutto il diapason della sua voce sonoracangiòtono e modi a un trattocome se l'oratore ecclesiastico cessassedalle sue funzioni e sottentrasse il cittadino consigliere ed amicodel popolo; cangiò tono e modie così prese a dire:
«Acoloro i qualisiccome ho già fatto osservarehanno piùpietà che lumi e buon sennofarà meraviglia che io viabbia chiamati qui per invitarvi ad assistere ad una rappresentazionein teatrodove il pontefice è messo in scena. Ma siccome ècorsa voceche alla persona del pontefice fosse fatta ingiuriaeche una satira indecente lo esponesse al dileggio del popolocosìvi esorto a credereche questa non è che una menzogna deireligiosi fanaticie una vana paura degli spiriti deboli. Il papa viè rispettato. Bensì la rappresentazione ècondotta in modo che serva di ammaestramento al popoloe propongautili consigli a coloro che hanno promesso di voler chiuderefinalmente le vecchie piaghe d'Italia.»
Eil predicatoredopo queste parolescomparve dalla vistadell'uditorio affollatoil quale cangiò l'attenzionesilenziosa in un bisbiglioche man mano si fece sempre piùrumoroso; chè le varie opinioni vennero manifestandosi in talidiscussionida far credere che la rotonda di San Lorenzo fossepiuttosto un'aula parlamentaria che una chiesa. Questa nullameno siandò vuotando a poco a pocosenza disordine di sorta. Bensìavvennero disordini gravi sulla piazza della Scala e nelle contradelaterali al teatroper la gran folla che vi si accalcò versole ore tre dopo mezzodì. Lo spettacolo davasi gratis ea porte apertee tutti volevano giungere in tempo per trovar posto.Vi furono risse e percosse. La guardia nazionale accorsa vi lasciòqualche fucile e qualche lume e qualche falda del marsinonebianco verde. Molti veli e drappi e sottane furono messe alembi; molte donne furono portate semivive fuori della folla.
Ifortunati siamo noi solichesenza fare anticamerapotremo recarciin teatro un momento prima che si alzerà il sipario; eprobabilmente avremo l'accesso a qualche palchettoo troveremo unposto in orchestrao sul palcoscenico addirittura. Da questi puntioltre lo spettacolo teatralegodremo lo spettacolo del pubblicoepercorrendo col cannocchiale le cinque file dei palchifaremo diriconoscere i vecchi amici dai loro discendentie qualche carabeltà; e spingendo l'occhio indagatore nell'indistintobrulicame della plateavi scorgeremo qualche elmo a crinierachecoprirà la testa giovanile di chisebbene uscito di plebe



Forseè chiamato a non oscuro imene.



III


Lapredica fatta in San Lorenzo aveva dunque raggiunto l'intento volutodal predicatoreil quale era di mandare in teatroad assistere alballo del papaquel maggior numerò di persone che fosse statopossibile. La verità dimostrata a parole non penetra interache negli intelletti robusti e liberi da pregiudizj; ma la veritàrappresentata dall'azione palpitante del dramma e affidata apersonaggi viviottiene più facilmente il libero ingressonell'intelligenza di tutti. D'altra partel'idea trapassa al popoloquando è sazia di soffiare inutilmente nelle alte regioni. Atre ore dopo mezzodìcome dicemmola piazza della Scala eratalmente stipata di pubblicoda presentare tutti i pericoli di unfiume straripato e irruenteche non trova il suo sfogoe chefinoa tanto che non gli è dischiusa una vianon manca di lasciarequalche traccia e qualche vittima dell'impeto suo.
Tuttaviadopo molto tempestare e urtaredopo che la follarappresentataatleticamente dagli uomini che erano riusciti a collocarsi collaschiena alla porta tanto della platea che del loggionedandovi di tanto in tanto degli urtoni e delle scosse formidabiliebbe esaurite tutte le intimazioni minacciose di aprirele portefinalmente si dischiuseroma non là precisamente dove lafolla s'era di più accalcatama bensì agli aditilaterali di quell'angusto e basso e prolungato andronechel'architetto Piermarini sembra avere ideato e disegnato in un momentodi collera contro il pubblico milanese e coll'intento di vendicarsenetutte le volte che si recasse alla Scala per divertirsi.
Codesteirruzioni di pubblico nel teatrole quali presentano i pericoli diuna battagliadopo la decadenza dell'artenon si verificarono piùaffatto; e i giovani ventenni chea spettacolo incominciatooggipossonoanche in una prima seraavere accesso in plateacrederannoesagerata la nostra relazione. Ma noi avemmo più voltecompresse le costole agli spigoli dell'anditolà dove svoltaa mostrarci la faccia burbera del portinajoquando adolescenti cirecammo ad assistere agli ultimi splendori dell'arte vera. Non delrestoin quella sera di quinquagesimatrattavasi d'arte. La musicae la danzale trachee e le tibieche per un secolo intero avevanotenuto il mondo nel loro dominioavevano dovuto cedere il campo allegrandi cose e ai grandi fattitanto che la musica serviva piùd'occasione che di scopoe se voleva attrarre la gente e scuoterlabisognava che si facesse ausiliaria della politica e dei fastimilitari. La scienza e l'arte della parola avevano precedutoanziavevano generato i fattima le altre arti sorelle dovetteroaspettareper trasformarsila piena maturità di essi. Ma diciò parleremo in momenti di minor premurae quando la follanon ci assorderà col suo vasto mormorìoda farlaparere un mar tempestoso.
Appenainfatti la folladopo l'ultima lotta e le ultime violenze incontratenel prender d'assalto le sedie della plateapotè espandersiin lungo e in largo e respirare; e quelli che avevano sofferto dipiùpoterono tastare le membra indolenzite per valutare ilgrado di importanza delle contusioni ricevutee dare una occhiata diriassunto ai vestitiper verificare se le falde strappate eranoancora capaci di un ristaurose gli orologi non si erano dileguatistrada facendose le ciarpe e i veli erano stati irremissibilmenteinvolati dalla bufera; cominciarono i discorsile discussioniidiverbigli alterchisegnatamente fra i crocchi e i gruppi diquella parte di pubblicochead onta di essersi trovata sullapiazza col boccone in bocca e sotto il sole ancora brillante delleore trenon era stata molto esperta nel regolare le mosse durante lacrisi dell'ingressoe aveva dovuto accontentarsi di stare in piediesposta alla perpetua ondata di cui era vittima e cagione nel tempostesso.
Comeil lettore sa benissimoil teatro prima dell'ora dellarappresentazione non era illuminato che da due povere fiamme ad oliole quali spargevano un pallido albore per tutta la vastità delvaso; albore ajutato in gran parte dai ceriniche i seduti in plateaavevano accesiper potere intanto passar la noja dell'aspettare colleggere il programma del nuovo ballo di monsieur Lefèvre. -Veduta quella scena dall'altezza del loggioneintorno intornoal quale era stipata la moltitudine due volte repubblicanaparevacome di vedere un'acqua stagnante e cupain cui si riflettessero lestelle senza l'aerino del cielo; o meglio un pavimento a traforodacui trapelassero qui e qua delle fiammelle. - Ma anche illoggionenella sua dignità repubblicana e nella suaavversione d'istinto al terzo stato che sedeva in plateaad ontadell'albero della libertà e della cambiale non girabiledell'eguaglianzavolle fare a gara con lui e accese i suoi cerinisugli orli del parapetto.
Senonchèl'illuminazione suppletoria fatta dalla platea e dal loggione siconsumò colla lettura del programmae vi fu un momento in cuitutto ritornò nel bujo crepuscolare di primail quale duròpiù di un'ora. Il signor Giocondo Bruni cheper essere amicodell'impresario e del coreografo Lefèvree del primo violinoper i ballisignor Giuseppe Perucconedetto Pasqualinoavevalibero accesso in teatrovi si recò a tutto suo agioversoquell'ora appunto in cui dovevano tardar pochissimo ad entrare isuonatori in orchestra e a popolarsi i palchettie a scattar fuorile fiamme della ribalta. Mosse innanzi tutto al palcoscenico asalutare i suoi amici e a dare una stretta di mano a monsieurLefévregià vestito in abito pontificale; poi spinseattraverso al pertugio del teloneun'occhiata su quel cupo maremagnodella platea muggente; poiquando vide che i professori d'orchestraerano tutti ai loro stallie che l'esimio signor Luigi De Baillouprimo violino per l'operaultimo era entrato a metter piedesull'alto suo seggioe stava dando la pece greca all'archettoindignitosa posa e con burbero ciglioombreggiato dal cappellone concoccarda e con fibbia d'acciaio lucentein cui faceva il guizzasolela luce della ribalta; discese anch'egli in orchestrae si mise asedere fra due contrabbassi suoi amicisotto alla cui protezioneaveva l'abitudine di godersi lo spettacolo degli spettatoripiùche quello del palco scenico.
Standocosì fra que' due amiciporgendo l'orecchio attento al vastofrastuono che faceva il pubblicosentiva da molti punti spiccarsinetto il suono di varie paroleche servivano quasi ad indicarl'argomento dei molteplici discorsi che si facevano. Bonaparte -Alvinzi - Caldiero - Arcole - Tedeschi -Pio VI - Mantova - Tolentino - Arciprete Besozzo- Repubblica Romana - Francesco - Arciduca Carlo- Aristocratici - Morte - Inferno - Papa- Capitale del mondo - le quali paroleprese cosìal volo da un uomo di garboe cucite insieme con della frangiapotevano bastare a fare il riassunto dello stato delle cose in Italiain quel momento.
DifattiBonapartenell'anno antecedentedal maggio in poicome sanno anchei fanciulliaveva del tutto ricacciati i Tedeschi dall'Italia collebattaglie di Caldierod'Arcole e di Rivoli. Dopo s'era dato a far laguerra al ponteficeaveva vinto il generale Colli alla battaglia delSevioaveva provocato la pace di Tolentinonel febbrajo del 97togliendo le Legazioni agli Stati della Chiesa. Ma l'Austriadopotutto ciòe precisamente in quei giorni di marzomandavanuove genti in Italia sotto la condotta dell'Arciduca Carlo. Peròda una parte speranze illimitate; dall'altra timori nonirragionevoli; e gli odj quasipiù che contro l'Austriaerano contro il ponteficenemico di repubblicanemico del nomefrancesenemico di civiltà e di progresso.
Maintanto che la gran caldaja del teatro bolliva e gorgogliavarepubblicanamentea dare una piega più morbida a queipensieria quei discorsia quei progettile belle milanesi siaffacciarono a brevissimi intervalli l'una dall'altraai palchettisfoggiando quasi tutte il berretto frigiospecialmente quelle che siritrovavano in prima filatra le quali ve n'erano alcune che s'eranomesse alla testa dei rivolgimentiin gran parte per convinzionecome vogliamo crederema anche per modama anche per ingraziarsi laparte più giovane dell'esercito vittoriosoe per far pompadella loro giovanile beltà. Comparve prima in un palchetto inprima fila una donna straordinariamente bella e straordinariamenteseminudadella quale non solo taciamo il nomema non metteremmonemmeno l'inizialese la consonante R non ci facesse forza; diremopoi che essa capitò tra noi dalle beate sponde del Verbano arecarci la spettacolo della più splendida vegetazionefemminile; che di essa noi conosciamo i figli de' figli de' figli;che noi stessi ne abbiam visto il ritratto dipinto dall'Appianidigrandezza al naturalein costume di una Diana che entra nel bagnosenza sospetti d'Atteoni che la stiano mirando; che... ma èmeglio finirla coi soverchi indizj.
Tantecose fece e disse quella donnatanti peccatisebbene gentiliellacommisetante teste fece girare; tanti affanni diede ai figli edalle figlie di alcuna di que' personaggi che già abbiamconosciutichein quanto al nomeè meglio lasciarlo nelmistero.
Emedesimamente nella prima filaquando si mostrò al palchettofece voltare a sè tutte le teste un'altra giovane donnaditanta bellezza cheper il momentofece dimenticar la rivale; ma piùche la bellezzala cagione di tanta attenzione era il suoabbigliamentochecontinuando essa a stare in piediappariva infaccia al pubblico in tutta la licenziosa esattezza del costumed'allora. - Portava il berretto rosso; le spalle e le bracciadi greca perfezioneaveva nudissime; una veste di lana biancafermata al sommo delle spalle con chiovi romanidiscendeva inquattro ampie liste senza cintura; quelle listeal moversi di leisi scomponevano e si aprivanolasciando travedere come di furto ecol passaggio repentino del baleno le linee e l'incarnatodella sottoposta nuditàla qualeper chi non sapeva nullapotea parerepiù che altroun sospetto da verificarsi; maper chi aveva intimità colle mode e col figurinonon eraillusionema realtàquantunque le maglie incarnatinecoprissero la pelle; ma ciò non certo a custodia di pudoresibbene ad obliqua lusinga di desiderioe a tentazione del sangue.Anche di costei dobbiamo tacere con gran riguardoavendo solo ilpermesso di dire che l'iniziale della parentela di suo marito era laprima lettera dell'alfabeto.
Euna terza comparve pure a fermar l'attenzione generale. Meno belladelle altreanziper certi guizzi fuggitivi delle linee del voltotale da parere irregolaredi quella irregolarità che lasciasospetto di deformità morale; era però maestosa eplastica delle forme del corpo. Ella si assise girando intorno suglispettatori il suo occhio d'aquila. Veniva colei dai bassi fondi dellasocietàma dotata di scaltrissimo ingegno: seguì es'accompagnò alle sorti di un avvocatofurboacutoavaroladro; fu una delle dee infernali dell'eccidio del Prina. Mabasti anche di questa donnae tiriamo innanzi.
Icinque ordini dei palchiin un quarto d'ora di tempoapparverodunque tutti splendidi di beltà più o meno giovanisormontate tutte quante dal rosso berrettoad espressione nonproblematica di colore politicoe sovente a tutela della sicurezzapersonale. E in ragione che salivano gli ordini dei palchettiscemava il valore nominale delle donne repubblicane; le modesteleprudentile timorose temevano più che mai la berlina dellaprima fila; medesimamente le foggie si facevano tanto meno obbediential figurinoe il pudoretanto più ci guadagnava quanto piùsi ascendeva; ma il pubblicoquantunque non in tutto approvassequella trionfante protervia e delle tre dee e delle altre che facevancerchio in prima filapur le festeggiavacome succede sempredell'arte falsa messa in concorso coll'arte vera.
Alleore setteil direttore De Baillou diede dell'archetto in sullalattae tra il costante mormorio della platea l'opera incominciòe i cantanti si sfiatarono senza che il pubblico si desse nemmeno perintesoperché era venuto in teatro pertutt'altroe i consolidati dei soprani e dei tenoriavevano in quel biennio sofferto un ribasso formidabile. Soltantoattrasse l'attenzione la fine del primo atto dell'operama non giàper il merito del dramma e della musica dell'Ademiramasibbene perchè e dramma e musica e maestro pensarono beneastornare le fischiatedi trasformarsi in una strofa d'occasione.L'atto normale si chiudeva cogli affanni e le lagrime della primadonnae colle parole:



Quest'acutagelosia

Nellatomba mi trarrà


matutti i cantanticompresa la prima donna in lagrimee i coristiproruppero invece di punto in bianco nei seguenti versi:



Asuon di violini

Dicorni e clarinetti

Congiubili perfetti

Andiamoa festeggiar;

Eper render la gioja palese

D'unbel canto patrioto francese

L'ariaintorno facciam risuonar.


Eil canto patriota finiva con questa stanza:



D'âgeen âgede race en race.

Quele plus brillant souvenir

Portejusqu'au sombre avenir

Lesprodiges de notre audace!

Quenos neveuxleurs enfans

Parnous à jamais triomphans

Nousdoivent leur indépendance!

Quele monde brise ses fers!

Etque ce jour cher à la France

Soitla fête de l'univers.


Siccomee strofe e musica erano conosciutissimeperchè state compostee cantate fin dall'autunno dell'anno primaed appiccicatesenzabadare al sensocon violenza demagogica all'ultima scena dell'Astutain amoredi Fioravanti; così gli applausi da tutte leparti del teatro scoppiarono contemporaneamente alle prime battutedel canto patrioticoe lo accompagnaronocon quel crescendonaturale che poi diventò arte con Generali e con Rossinifinoalle ultime note. Le grida di Viva la FranciaViva1'Italia succedettero a quel canto con tempestosa irruenzaeinsieme i Viva la libertà e l'eguaglianza; alle qualivoci fuse in una sola onda sonoracome quella del mugghiante oceanosi sovrapposepartendo dalle alte vettenon dell'Olimpoma delloggioneuna voce stentorea di trachea taurinache gridòViva la Dionisa. La tremenda satira popolanaconbreviloquenza inimitabilein quel detto avea saputo condensare lacritica delle esorbitanze generali onde i perpetui guastamestieriche s'introducono nel santuario del progressoaveano cercato dicontaminare il nuovo ordine di cose. La Dionisa era il nome diuna donna paffica del Bottonuto. Applicando questo nome alla figurache rappresentava la libertà sullo stemma dei venditori ditabacco e saleil popolocol prepotente intuito del giustostigmatizzava quella libertà fescenninatanto deplorata dalParini e tanto contraria alla libertà vera.
Mapoco a poco si rimise la tranquillità nel pubblicosegnatamente quando il primo violinosignor Perucconecomparve alsuo seggioe dalla boccascena l'avvisatore battè palma apalmaper significare che l'orchestra poteva cominciare il preludiodel nuovo ballo.
Inquesto intermezzo il signor Giocondo Bruni puntò il suocannocchiale monocolo verso un giovane dragone dall'elmo lucente;indi lo drizzò a un palchetto in terza filapoi a quella frale tre dee della prima chesiccome dicemmofu dipinta dall'Appianiin costume di Diana. - Il dragone guardava al terz'ordine. Dilà una giovinetta guardava lui; il Bruni si accorse che la deadel frigio berretto fremeva nel sorprendere lo scontro di quei duesguardi furtivi.

Ildramma domestico ha i suoi ritorni storici come la vita dellenazioni. Nell'esordio del nostro racconto abbiamo visto il tenoreAmorevoli a guardare la contessa Clelia V… - ora il tempodei tenori è passatola musica ha dato luogo all'artebellica: chi è senz'elmo e senza speroni disperi di piacere albel sesso. Ma dopo tutto ciòi cuori e le passioni sonosempre le medesimee quello sguardo del dragoneil quale ènientemeno che un figlio del povero Baroggiincontratosi con unafigliuola nientemeno che della contessina Ada... intersecato daglisguardi iracondi della Diana della prima filaprodurràmutatis mutandisun affastellamento di casi taliche lapronipote ne gemerà come la nonna. - In quella serav'era anche la contessa Ada in teatro; e v'era anche il banchiereAndrea Suardipiù che sessantenne; e v'era il marchese F....sessantenne esso pure; e tutti si guardavano per mille cagioniricordando il passato e congetturando il futuro; e in alto ancoracome in quella tal notte di cui dee rammentarsi il lettore




Scintillavail beffardo occhio del fato.



IV


Intantoche quell'occhio beffardo scintillavail primo violinosignorPerucconefatto d'occhio al buttafuorimise lo strumento allaganasciae accennò che si desse principio al preludio delnuovo ballola musica del quale era stata scritta dal signorPontelibero Ferdinando.
LaCerrito e la Taglioni crediamo sieno giunte in tempo per essereaccompagnate dal suo violino; chè egli fu il successoreappunto del professore Peruccone. Lo spirito repubblicano e le ideedemocratiche che fin dal 1750 bollivanonon si sa come e per unarcano presagio de' tempi nuovinel signor Lorenzo Brunipassaronocomunicate forse allo sgabello teatralefino al signor Ponteliberocheleggendo Rousseau al pari del signor Lorenzofu de' primi atendere l'orecchio avido alle cose di Francia; de' primi a desiderareche l'ondata rivoluzionaria venisse a gettarsi con impeto sulle costed'Italia; de' primi a far festa all'ingresso delle truppe francesiea portarsi fin sotto allo scalpito del cavallo bianco di Bonaparteper vedere dappresso il giovane imberbe checolla severa maestàdel sopraciglio e colla preponderanzaquasi pareadi un Diotenevain timorosa obbedienza i più anziani eroi sanculottiirti dichiome e di basette.
Delrimanentese mai il lettore ci domandasseper qual ragionespendiamo tante parole pel signor Pontelibero; diremo chetrattandosi dell'autore della musica coreograficache fu certo unavvenimento di quel periodo di storia italianabisognava bene che sisapesse con che ideecon che convinzioni il suo autore abbiainfiammata la propria inspirazione nello scriverla. Cosìpotessimo dire altrettanto del signor Lefèvre; ma se molti lohanno conosciutonessuno trovò una variante alla notizia nudae crudach'esso era un galantuomoconvertitodi semplice mimo cheera statoin coreografoquando s'accorse che per vivere ci volevail concorso di due mestieri. Il pensiero del Ballo del Papaequello di portare sulla scenaconcentrata in dramma visibileunadelle questioni più gravi suscitate dagli avvenimentid'alloraera venuta dal cittadino Salfiche aveva steso esceneggiato il programma; e questoper un'idea balenata nella testafervida del prevosto Lattuada di Varesela quale ideachi saeraforse stata suggerita dalla perfetta somiglianza che la figura delballerino Lefèvre aveva con quella del Pontefice Pio VI.
Maa proposito del libretto del balloimmaginato e scritto dalcittadino Salfi dietro suggerimento del prevosto Lattuada: comeavvenne che di seimila e più copie che ne furono stampatealloratutte siano scomparse oggi? nelle numerose collezioni de'magazzini librarj e delle case private che noi abbiamo esplorateinquellevogliamo diredove era presumibile la possibilità dirinvenire un tal documento curioso; nelle stesse collezioni dellepubbliche bibliotecheabbiamo trovato un salto e una lacunaprecisamente alla sede del famoso libretto.
Sefosse stato ritirato o fatto abbruciare in piazza per comando dellapubblica autoritàla cosa sarebbe ben chiara; ma non avvennemai nulla di simile: che cosa adunque è a conchiudere da untal fatto? che le coscienzeappressodevono aver subìta lalegge della paura; che i proprietarj de' libretti devono aver fattoin segreto il loro auto da fèper timore cheil papail quale avevacome per tanti anni pretese il pubblicopregiudiziomandate a male le sorti del primo Napoleonecompromettesseper vendicarsi di quel libretto conservatoanche iloro affari privati. Così i libretti sparirono tuttie se noine abbiamo trovato unoè perchè il libraio Silvestrigli risparmiò il rogoe gentilmente ce ne fece tener lacopia.
Maor tornando in teatrole cadenze del preludio finirono tra gliapplausi del pubblico; e il sipario si alzò.
Comparvela sala del concistoro in Vaticano; il papa era assiso sul trono; icardinalii vescovii prelatii teologisecondo l'ordine lorogli sedevano intorno; il nipote del papa e il principe romano stavanoai due lati del trono.
Laplatea applaudì alla stupenda scenaimaginata e dipinta dalfantasioso Landriani; ma di mezzo agli applausi si fè sentirela nota tenuta di un fischio acutola quale andò smorendo apoco a poco nel vasto recinto. Nè quel fischio era uscito perfar opposizione al pubblico. Chi lo aveva emesso non s'intendeva granfatto di scenografiae non era nemico del Landriani; maveduto ilponteficenon volle tardare a manifestargli le sue simpatie.Quest'incidente lo sappiamo dalla bocca dell'amico Brunichedall'orchestra vide l'uomo che fischiavaed era il gobbo Rigozzinoto allora e dopo per la sua procellosa maldicenzapel suo spiritoirrequietoe per la foga onde s'era dato a diffondere le ideeparigine del tempo del terroreidolatra qual era di Robespierre e ditutti coloro che avevano inteso di disfare a colpi di scure e dirifare il mondo incancrenito.
Maqui ci conviene seguir passo passo il programmaperchè illettore d'oggi veda se meritava poi che ne fossero distrutte le seimila copie.
L'azioneadunque s'apriva nel momento in cui il papa stava consultando unacongregazione straordinaria di cardinaliprelati e teologisugliarticoli della paceproposti dalla repubblica francese. Questiarticoli si leggevano e si rigettavano con indignazione generale comecontrarj all'autorità della corte pontificia. Ma in questomezzo un frate domenicanogenerale dell'ordineacceso di zelosigettava a' piedi del papa per dimostrargli che in quella decisionec'era più il voto degl'Inglesi e degli Austriaci che degliApostoli e dei Cristiani; onde il papamaravigliato di trovare ne'suoi teologhi lo zelo di S. Paolodomandava ancora il voto deglialtriche di bel nuovo proclamavano la guerra. E tosto il cardinalesegretario Busca stendeva il decreto della S. Congregazione dopo diche il papa brandiva la spada fra gli applausi dei cardinali.
Aquesto puntoper produrre l'effetto volutoe per mettere nelpubblico la massima esaltazione ed esacerbazioneil coreografoaciò sollecitato dal prete Lattuadaaveva raccomandato allecomparseincaricate di far le parti di cardinalidi applaudire conimpeto e con insistenzaper rendere il vero con quell'interezza datrarre in illusione la platea; ma tra la platea e tra il palcoscenico s'impegnòpur troppouna lotta di fischi ed'applausi talida minacciare di uscire dalla sfera coreograficaperchè il pubblico pretendeva che i cardinali cessassero diapplaudire mentre questi non se ne davano per intesisapendo di fareil loro dovere; e la cosa andò tant'oltreche le piùbasse ingiurieaccompagnateper parte del loggionedaalquanti pezzi di munizione di bocca convertiti in proiettilifuronoscagliate contro quella trentina di poveri diavoliobbligati pertrenta soldi a far il cardinale e il teologoe a farsi odiare senzacolpa e maltrattare dal pubblico. Gli uomini sensati peròs'intromisero a gettar acqua sul fuoco; eper quella legge inversaonde talvolta i meno tirano i piùriuscirono a ricondurre latranquillità e a far proseguire il ballo.
Eil ballodopo molto tempestarecontinuava colla spedizione delmesso incaricato di partecipare la mente infallibile del S. Padreagli agenti della repubblica francese. E qui si scioglieva lacongregazione; dopo di che si cambiava la scena in un interno dellacorte pontificiadoveper far luogo alle inevitabili donnesirappresentava un intrigo tra la principessa Braschinipote del papala quale aveva una speciale predilezione per la guerrae laprincipessa Santa Crocela quale invece si dilettava della pace. Senon che il papaadulato e dall'una e dall'altraspediva il senatorRezzonico e il brigadiere Gandini per le opportune disposizioni diguerra. Maa questo puntodi bel nuovo il generale dei Domenicanieccitato a parlar chiaro dalla principessa Braschiprorompeva adaccusare francamente l'inganno e l'impostura dei cortigiani cheaggiravano il papa; e coi gesti si affannava di esprimere quello cheper fortuna diceva chiarissimamente il libretto: Il ministro diuna religione di pace non deve che abjurare ogni pensiero di guerra.- Il successore di S. Pietro deve maneggiare le chiavie non la spada. - Bisogna seguire le massime degliapostolie non quelle dei cardinali. - L'ereditàdel papa è la Chiesae non già l'impero temporalealtrui usurpato.
Maa tutte queste sentenze belle e buoneil papa rispondeva cheavendoparlatoex-cattedrala vittoria era assicurata: e cosìfiniva l'atto primonel momento che Pio VI partiva da una parteseguito dalla principessa Santa Crocee il generale dei Domenicanipartiva dall'altraseguito dalla principessa Braschi.
Finqui può dunque vedere il lettoreche l'azione coreograficapiù che le intenzioni di una satira scandalosaracchiudevaquella di una ragionevole dimostrazione del vero e del giusto.
Ecominciò anche il secondo attoil qualese si conservòfedele alle buone intenzionisi ribellò al buon sensodrammatico; etanto per tirare innanzi fino all'inevitabile quintoattopresentava un miscuglio triviale di qui pro quofacendo che laprincipessa Braschi ad arte svenisse nelle braccia del generale deiDomenicanionde determinare il convenzionale colpo di scenapermezzo del cardinal segretario chefurtivamente sorprendendo eprincipessa e frateandava ad avvisarne il papail quale comparivain iscena a risolvere la situazionee a minacciare il generale deiDomenicani di punirlo colla soppressione dell'ordine; e quidopo unaltro parapiglia indispensabile per mettere insieme un be1 gruppoeche non merita la pena di riferiresi sentiva in lontananza unacornetta da postiglione epochi istanti dopoentrava in iscena ilbrigadiere Gandiniad annunciare l'arrivo del general Collimandatodall'Austria per essere il campione del papa. A questo punto cadevail siparioper dar tempo di preparare il grandioso atto terzo.



V



Nell'intermezzofurono fatti circolare nei palchetti e nella platea molti fogliettistampatii quali contenevano il famoso proclama del cardinal Buscasegretario di Pio VIchenel febbraioprima della battaglia delSevioera stato affisso su tutti gli angoli della città diRoma. Ci fu un momento di silenzioin cui non s'udì che ilfruscio de' fogliettiche passavano di mano in mano; poi seguìil mormorio di tanto pubblico leggente; poi parole altee commenti erisate sonore.
Ein un lato della plateaa un tratto si sentì a declamare adalta voce alcuni brani di quel proclama; onde tutti volsero le testea quel puntoe si misero in ascolto:
«L'Europada un estremo all'altrotien fisso in voi lo sguardo (nei soldatidel papa); non dubita del vostro coraggio e d'un esito felice che glicorrisponda.
«L'ottimoimperatore d'Austria»e qui ci fu una salva di fischiate....«L'ottimo imperatore d'Austria Francesco IIil difensoremagnanimol'avvocato della Chiesa romananel tempo stesso che mandain nostro aiuto gl'intrepidi volonterosi ungaritransilvanicroatie alemannivi ha speditoalla prima richiesta del santissimo nostroaffettuoso padre Pio VIuno de' miglioripiù pregiatipiùsperimentati di lui generali... (e qui un uh!... sonoro eprolungato di quanti ascoltavano)che solo vi mancavachebramavate. Ei venne sollecito; è fra voi. Il nome solo diColli non vi commovenon v'infonde spiritonon ravviva gli animi ditutti i popoli?... (A queste parole s'innalzarono da varj punti dellerisate sonore).
«L'onorcomune vuole da voi che lo stimiate un nuovo Cesareonde per mezzovostro vengavedavinca. Fortunati voi che potete sperarlocon tanto fondamento...»
Ele risate continuaronoe intercalate ad esse de' sibili e deibasta!!! I quali basta cominciarono a prendere ilsopravvento.
Purla voce continuava: «Voisotto l'immagine di quella Verginemedesimache vi ha eccitati a questa impresapotrete dubitaredell'amoroso efficace di lei patrocinio? Voigenerosi cavalierichenelle vostre insegne portate lo sfolgorante segno della crocenonvorrete augurarvi a credere fermato ne' divini decreti chesiccomeCostantino il Grande vinse il tiranno Massenzio in virtù diquel segno comparsogli al ponte Milvioe per tal vittoria eglistabilì nella capitale del mondo...»
Aqueste parole il declamatore fu interrotto da un nocciolo chescagliato da uno di coloro che stavano in piedi nella destra corsiadella plateavenne a colpirlo netto secco nella frontecontemporaneamente al grido: Abbasso Costantino!
Ildeclamatore naturalmente s'interruppe; nella corsiavicino e intornoa colui che avea lanciato il projettonacque un alterco e unparapiglia terribile; ai basta di prima successe un'esplosionedi avantiavantiavanti!
«Evoi del pari (continuò dopo alcuni istanti il declamatoreimperterritoad onta della sorba che si andava sviluppando sullafronte)voi del parida questo segno salutare protettitrionferetedi più empj e brutali nemici...»
Maa queste paroledi nuovo tornò a dominare il campo unaesplosione simultanea di bastasilenziozitto; e la voce deldeclamatore ne fu soffocatain quel momento stesso che il buttafuorifece capolino dal proscenioe diedebattendo le maniil solitosegnale al primo violinoil quale percosse con forza la latta dellettorino.
Alloradal loggionequella medesima voce taurina che giàaveva gridato viva la Dionisa gridò silenzio!squarciando l'aria teatrale con tale risolutezzada nonammettere la possibilità che si potesse disobbedire; esilenzio fu fatto; e si udì netto il fischio che annunziaval'alzata del siparioil quale si alzò infattie comparve lapiazza di S. Pietro in Roma. Il pubblico mandò quella concordeesclamazione di maraviglia onde anche oggi suol salutare la discesadella lumiera; esclamazione che fu susseguita da applausi prolungatial bravo Landrianiil quale stupendamente aveva dipinta quellascena; e il Landriani dovette mostrarsi a ringraziare il pubblico.
Lapiazza di S. Pietro era ingombrata da immenso popoloimpazientecome diceva il librettodi godere del general Colli. Dopo alcunimomenti d'aspettazioneconceduti al pubblico appunto per ammirare lagrandiosa prospettiva della città eternacomparve il papasulla sedia gestatoriae venne portato nel mezzo della piazza: lasua cortein tutto lo sfoggio delle vesti ecclesiastichelocircondava; le guardie d'onore e le guardie svizzeresfolgorantid'oro ed argento con esagerazioneintrodotti a beneplacito delvestiaristache volle farsi merito e contendere la palma al pittorscenicogli sfilarono ai lati in duplice ala. - Tutte lealtre truppe in armi si schierarono sul fondo del palco. Anche quiper conceder tempo al pubblico di ammirare ed applaudirefuronolasciati trascorrere alcuni minuti; e il pubblico ammiròinfatti ed applaudì vivamente; e il pontefice Pio VIossiamonsieur Lefèvreil quale si dimenticò del suocaratteresi alzò dalla sedia gestatoria e fece tre riverenzealla plateache lo avea preso a ben volere; ma la platea tacque ditrattoperchè non desiderava che s'imbrogliassero le idee.Monsieur Lefèvre ne fu alquanto mortificato; ma di chiera la colpa?...
Inquel puntoal suono di una marcia militarespuntòdall'ultima delle quinte a destra la testa piumata di un cavallobianco; ed era il cavallo del general Colliil quale finalmente simostrò fra due soldati che gli tenevano le staffecoll'incarico di regolare il passo della bestiain modo da noncompromettere i vetri della ribalta. Alla sinistra del general Colliossia del signor Raimondo Fidanzaprocedevapure a cavalloilsenator Rezzonicocomandante delle truppe pontificieossia ilsignor Luigi Corticelli.
Eil general Colli discendeva da cavalloe con incesso il piùconvenzionalmente teatralesi portò innanzi alla sediagestatoria del ponteficeepiegossi a baciargli la santissimapantofola. Il pubblico non applaudìnon fischiòe sicontenne in un silenzio dignitosointanto che il ponteficepresentava ai cortigiani il general Collisiccome la speranza delVaticano. Il pubblicoche s'era già sfogato contro l'arringafamosa del cardinal Buscadalla quale appariva come lo spiritoprofetico non fosse più il lato forte dell'ordine jeraticoassistette a questa scena con indifferenzanon sapendo determinarsicon risolutezza piuttosto a ridere che ad andare in collera. Ma forsel'allegria e la collera si sarebbero confederate a provocare unaprocella popolarese non ci fosse stata la valvola di sicurezzadegli indispensabili amori della prima mima col primo mimoossiadella signora principessa Braschi col general Colli; ai quali bastòlo scambio fuggitivo di un'occhiata per intendersela tosto. Ben èvero che la principessa lavorava per progettoperchè lepremeva di ammaliare il cuore del novello campione e volea prevenirela Santa Crocesempre disposta a tagliarle la strada sul camposdrucciolevole dell'amore e della politica; e per assicurare il buonesito di quella guerradalla quale sperava tanto. Stando dunque cosìle cosela sedia gestatoria del papa veniva alzata da robustebraccia; e però accennando il sovrano di partirei cortigianie i sudditi e i militi non poterono star fermie lo seguironoeinnanzi a tutti il general Colliservendo la principessa Braschi piùda Cupido che da Martee provocando un terribile dispetto tanto nelnipote del papa quanto in un certo conte Antonioi quali non eranoindifferenti ai vezzi della bella principessa.
Cosìamorosamente finito il terz'atto in piazza San Pietroragion volevache la scena posteriore fosse un magnifico interno; e il quart'attoinfatti si aprì con una gran sala del Vaticano splendidamenteadornatacon una mensa in fondo lautamente imbandita. -Intorno a questa si elevava una gradinataoccupata da musici esiccome garantiva il librettoda eunuchi. Diversi trionfi dilumiper usare una frase allora in voga nel linguaggio dei pittoriteatrali e degli attrezzistirischiaravano a giorno tutta lagalleria.
Dopol'aspettativa di prammaticaentrava in iscena il papain compagniadel general Colliil quale riceveva molti segni di stima e diriconoscenza. - Se non che il quart'attoessendo destinatoalle indispensabili danzee la prammatica dovendo per forzaescludere il buon senso e il verosimile; il pontefice si metteva asedere in tronocircondato da tutta la sua corte; e il corpo diballo e le bis septem præstanti corpore nymphæd'allorae le tre emerite di magazzinoe la coppia danzante dicartelloattesero a far pompa innanzi al papa di tutte le lorograzie palesi ed anche segretedi tutta la loro abilitàcompreso il ballerinoin costume d'eunucoil quale saltando afuriaaccennava di voler appartenerea dispetto dell'arte sinceraall'atletica confraternita dei grotteschi. - Il programma delcittadino Salfi ci assicurache il papa spiegava in questo mentretutta la passione che aveva per le gambe più gentili e megliotorniteapplaudendo chi più si distingueva; e non omette difare una particolare menzione di monsignor Buscail cardinalesegretarioil quale non si risparmiavanè risparmiavaaltrui. - Ma intanto che ferveva la baraonda ballanteilgeneral Collida buon strategonon perdeva nessun momento che glioffrisse occasione di sacrificare i suoi piani di guerra a quellid'amore; e ovunque continuava a perseguitare la Braschila quale benvolentieri si lasciava perseguitarealla barba del principe marito edel vicemarito conte Antonio. Se non che la festa e l'amore venivanointerrotti da un'altra marcia militaree a tutti conveniva partire;e primo il generale Collicolla duplice felicità del dioMarte checercando Bellonavolentieri s'intrecciava nelle reti diVulcano.
Efinalmente siam giunti al quint'atto; all'atto risolutivoallacatastrofea quello che deve spiegare tutto il concetto e l'intentodella rappresentazione coreografica. - Siamo ancora nella granpiazza di S. Pietroancor più folta di popoloancor piùfitta d'armi e d'armati. Il papadal general Colli e dal senatorRezzonicoè accompagnato a cavallo sulla sua sediagestatoria. Colli fa la rivista delle truppee ne preconizza leglorie; tuttiinginocchiatipresentano le armi a terrae il papadà la benedizione alle bandiere; indismontatofa un donodella sua spada al general Collichein riconoscenzagiura dicombattere per la causa del fanatismo della schiavitù. -Se non che quando si dà il segnale della marciaun corriereimportunamente reca al santo padre alcuni dispaccila cui vistaproduce lo svenimento di lui e la costernazione di tutti gli astantichè i dispacci annunziavano la resa di Mantova e le altrevittorie francesi.
Main questo frangente torna in iscena il generale dei Domenicaniilquale dal poeta compositore e dal coreografo tiene la duplicemissionee di rappresentare l'alta ragione del drammae di produrrea luogo e tempo i colpi di scena invocati dal colto pubblico. Essodunqueavendo la virtù di sacrificare i sentimentiparticolari all'amore del prossimoe amando sinceramente i veriinteressi pontificjall'improvvisa novella pensa di recarsianch'esso dal papa. Qui nasce un terribile contrasto d'ideed'opinionidi passioni. Il general Colli vorrebbedopo il primocolpo della sorpresafar credere ch'ei solo può bastare acambiare l'aspetto delle cose; ma il paparinvenuto dal suodeliquioondeggia fra il timore e la speranzae mostra in tutti gliatti della sua costernazione ch'egli è soggetto a tutte lepassioni di un mortale fallibile. Peròdopo lungo esitaresiabbandona fra le braccia del generale dei Domenicani; il quale loconforta cristianamente a provvedere una voltaqual degno successoredi san Pietroalla gloria della Chiesa ed alla salvezza del popolo.«Rinunciateesclama altamente il Domenicanorinunciate alfasto ed al regno di questo mondo che non è quello del cielo;deponete la tiarae mettetevi invece il berretto della libertàch'era certamente quello degli apostoli pescatori (e qui gli offrivaquell'insegna); riconoscete insomma i diritti inalienabili delpopoloche è la vera Chiesa di cui dovete esser padre e nongià despota.»
Aqueste parole il general Colli si slanciava contro il berretto dellalibertà; ma il popolocompreso della verità piùche dell'imposturarivoltava le armi contro di lui. A questoprodigio il papa riconosceva la libertàdi cui cingevasi ilberrettodeponendo il simbolico triregno.
Equi avvenne quello che non avrebbe dovuto avvenire. Al gruppo analogoche tutti i personaggi e le comparse fecero intorno al papaabbracciato col generale dei Domenicanie col general Collicheaveva transatto anch'essoil pubblico non potè a menod'applaudire freneticamente; e la frenesia passò il segno.Veramente la mozione venne da un ufficiale franceseche gridò:Vive le pape; vive le général - maisnous voulons un périgordin entre le pape et le général.Allonsvite - un périgordin. E quella partedi popolo che ama sempre di strariparesi mise ad assecondare lamozione del bizzarro ufficiale; e allonsviteun périgordinfu il grido frenetico che invase platea e palcoscenico; grido chenon essendo tosto adempiuto dai signori attoriminacciò diconvertirsi in atti violenti. Se il papa fosse stato il papacertoche avrebbe resistito alla pubblica violenzae avrebbe piuttostovoluto morir martire; ma monsieur Lefèvre non aveva nèquesta smanianè una eccessiva devozione per la dignitàpontificale; cosìper stornare i projettili dell'irapubblicasi mise a danzare col signor Raimondo Fidanza unperigordino che andò alle stelle. La strana danzainaspettata provocò una sconcia ilarità generalealpunto che scoppiavano dalle convulsioni del riso anche quelli che neavevano dispetto e quasi paura.
Maa far cessare lo scandalo provvidero i direttori del palco scenicoordinando che si calasse il sipario. Il pubblico mandò degliurli a quella calatastrepitò per lungo tempo ancora;minacciò e fu in procinto di tradurre le minaccie violentisedi nuovo i pompieri metafisicigettando acqua su quel fuocononfossero riusciti a spegnerlo del tutto.
Talenelle sue generalitàfu l'andamento del così dettoBallo del paparappresentato al nostro massimo teatro dellaScalacol titolo di General Colli a Roma; ballo piùfamoso che conosciutoperchè appena qualche storia stampatane toccò di volo; e qualche cronaca tuttora manoscrittae trale altre quella del canonico Mantovanine ha somministrate alcunestrane circostanze. Del restodi questo ballo si parlò alungo nel mondoe allora e dopocome di una enormitàinaudita. Ma ciò avvenne per quella indecente applicazione acui lo trasse violentemente in quella sera una parte di pubblico. -Tant'è vero che lo stesso prevosto Lattuada di Vareseel'arciprete Besozzo e il cittadino Salfii quali ebbero tanta operain quel lavoronella persuasione cheparlando visibilmenteall'imaginazione popolaregiovasse a raddrizzar le idee in granparte ancora pregiudicateinstarono con sollecitudine pressol'autorità perchè lo proibisse - come in fattivenne proibito. Temettero e il Besozzo e il Lattuada che di quellascandalosa piega che avea presoloro malgradoquellarappresentazione coreograficase ne giovasse pe' suoi obliqui finiuna conventicola di aristocratici frementi e di frati abolitiche siradunava di soppiatto in una casa situata in Santa Maria Fulcorinadella qual conventicola era il raggiratore supremo (chi mai loavrebbe immaginato nel 1766?) quell'istesso marchese F…quelsacerdote perduto dietro ai riti pafficialle cui orgie abbiamoassistito nell'ultimo capo del libro nono; quel marchese che vedemmoa trattener la carrozza in cui si trovava la contessa Clelia V…colla sua figliuola Ada. Per che piano inclinato sdrucciolevoledaquei riti colui sia passato ai tenebrosi misteri dell'aristocraziaclericalelo vedremo in appresso. Anzi farem di assistere ad una diquelle conventicolele quali s'eran proposto di mandar a fascio ilnuovo ordine di cose. Oggi son passati più di sessant'anni daquell'epoca; ma sembra che in mezzo non sia corsa che una notteaffannosa. Anche oggi ci troviamo in cospetto dei medesimi fatti; citroviamo di contro e di dietro gli stessi nemici; siamo sollecitatidai medesimi problemi.





LIBROUNDECIMO



Ilbanchiere Andrea Suardi e il marchese F... - La reazionearistocratico-clericale. - Un vescovo e un monsignore. -Frati aboliti. - La contessa A... - La congregazionebonapartista. - Il colonnello Landrieux. - Il capitanoGeremia Baroggi. - Gli anni 1750 1766 1797. -La contessa Clelia V... - La contessa Ada S... - DonnaPaolina. - Il Dragone benefico commedia diMirocleto Ghedini.


I


Allorchèla folla fu quasi tutta uscita dalla platea e si riversava nellapiazzettail banchiere Andrea Suardi era disceso dal suo palchettoin quarta fila a sinistraed usciva dal corridoio della primamettendo piede nell'atrio quasi nel punto stesso che il marchese F...faceva altrettantospuntando fuori dal corridoio della prima fila adestra. L'uno e l'altro erano vestiti come voleva la legge rigorosadel costume repubblicano: gran marsinone a larghe faldeampiacravatta bianca con cappellone e coccardone. L'uno e l'altro avevanosessantott'anni per ciascuno; la perfetta loro somiglianza era datafuori coll'etàperchè il marchese F... avendo messotrippapresentava anch'esso quel beato embonpoint che avevasempre distinto il florido Andrea Suardi dall'asciutto marchese.
Disceserosi fermarono ambidue all'ultimo gradinocome se fossero i dueguardaportoni di quelle soglie; si guardarono scambievolmente esembròcon qualche significato; poi volsero altrove la testatenendo dietro alle code estreme della folla che uscivae osservandole voluttuose e seminude marchese e contesse democratizzatecheattendevano la venuta del non ancora abolito e non mai aboliturococchiere. Chi si ricorda la faccia dell'attore Bonquandorappresentava il personaggio di Ludro nella sua gran giornatapuòfarsi una qualche idea di quei due gemelli sessagenarj; colladifferenza peròche l'ex stalliere e lacchè e ladroprocessatoe contrabbandieree fermieree finalmente banchieremilionariocittadino Andrea Suardiadocchiava le dame seminude conisfacciata protervia; e l'ex amante non mai amato di quante ballerinepeccatrici e peccatrici cantanti calcarono il palco scenicoconvertito poi in fabbriciere di S. Maria alla Porta e condirettoredell'Orfanotrofio della Stellale sbirciava con quel ghigno onde ilTartufo di Molière guardava la bella moglie d'Orgone. Ma i dueLudri a perfetta vicendasebbene usciti da due alvi diversi e noncongiunti in parentela di sangue che da un duplice atto paternol'uno legittimol'altro di contrabbandoe di cui non eraconsapevole che la misteriosa naturauscirono dal teatro senzaaspettare che le loro carrozze si presentassero in regolareprocessione sotto al porticoma andandole a cercare pedestri nellacontrada di San Giuseppedove avevano l'ordine di star ferme adattenderli. Coloro sapevano benissimo di non essere molto amati dalpopoloe però non desideravano di lasciarsi cogliere a salirein carrozza in mezzo alle ondate della folla chein nome dellalibertà e dell'eguaglianzaavrebbe potuto prevenireappositamente per essi l'invenzione della tassa sui cavalli. Comefurono uscitisi avvicinarono a pochi passi dal servochesenzalivrea ma colla sua brava coccarda tricolore anch'essoli stavaaspettando da più d'un'ora. Il marchese F... disse sommesso alsignor Andrea:
-Domani vi aspetto all'ora solita.
-All'ora solita io sarò là.
-Che ne dite del ballo?
-Mi sono divertito assai.
-Ma che cosa ne pensate?
-È quello che ci voleva... I curati di campagna potranno cosìspaventare i villani coi terrori della religione; e tirarli dove noivorremo.
-E intantoper fortunal'arciduca Carlo vien giù con unesercito fresco e numeroso. Questo lo sapete?
-Credo d'avervela data io questa notizia.
-Oh se queste maledette acque che han rotto gli arginipotesseroritornar presto nel loro letto!! Che respiro!!!... Che ne ditevoi?
-Dopo la piena vien la magra; ho sempre visto così. Ma salitein carrozzache io farò altrettanto; e a rivederci domani.
Aquesto punto il lettoreche si ricorda della condizione speciale incui lasciammo questi due personaggie della distanza non facilmenteavvicinabile che intercerdeva tra l'uno e l'altrospontaneamentedomanderàin che modo accadde codesto loro avvicinamento eper quali processi psicologici e fisiologici si venne cangiandol'indole del marchese F... Dietro alla qual domanda ne dovrebberovenire altre molte. Che cosaper esempiosia avvenuto dellacontessa Clelia V... e della contessina Ada? estando alle ultimeparole con cui abbiamo commentato il fortuito incontro del marcheseF... colla giovinetta Adaquali rapporti passarono in appresso traloro due? e giacchè il banchiere Andrea Suardi era stato messouna seconda volta nelle carceri del Capitano di giustizia per accusadi rapimentopro rapto virginummossagli controdall'avvocato Strigellicon quali mezzi lo stesso banchiere abbiapotuto uscirne? e giacchè costuifin da quando era lacchèaveva involato il testamento olografo dello zio del marchese F...fatto che costituisce il perno capitale intorno a cui s'aggira tuttala matassa arruffata degli avvenimenti che abbiamo preso araccontare; che cosa avvennein trent'annidi un tale testamentoappuntoe della madre del Baroggie di questo sventurato giovanetirato nel trabocchello dal Suardi? E se il marchese F... ha presomoglie? e se l'ha presa il banchiere Suardi? e come si chiamanodigraziacodeste loro consorticoncesso che essi abbiano incontratomatrimonio? E se la contessina Ada siasi congiunta a qualcunoed achi? Egiacchè abbiam sentito nominare un Geremia Baroggiesappiamo che è il figlio del sottotenente di finanzain chemodo nel 1797 si trovasse già capitano dei dragonistando aquello che fu già accennatoecc.ecc.?
Siccomea voler rispondere a tutte queste domande col mezzo dell'azionedrammaticaci vorrebbe un ben grosso volumecosìgiacchèil tempo incalzaquando verrà il momento opportunononfaremo che ripetere ai lettoriconcentrato e condensatoil raccontochein diverse ripresefece a noi stessi il signor Giocondo Bruni.Per orasgruppiamo la nuova matassa.


II


Findai tempi più remoti dei Braminiil tirannico proposito dispaventare le moltitudini coi terrori della divinitàavvolgendole in una catena inestricabile di riti arcaniche avesserola forza della leggecorroborata dalla minaccia di orribili penepassò di generazione in generazionequasi per fedecommessoagli ordini sacerdotali di tutte le religioni. Il cristianesimo solonella sua prima istituzione e nei primi anni della sua vitarecòe mantenne nel mondo una luce serenaa consolazione dell'umanità.Ma fu per poco. I sacerdoti snaturarono l'istituzione; - lalettera mite del Vangelo fu torta a diverso significato. - Lascienza della teologia turbò di commenti tortuosi lasemplicità del testo. Allorchè il successore di S.Pietro si dimenticò della povertà primitivae dellaprima rete e della prima navicellae vestì la pompa mondanadei re e dei sacerdoti di Babilonia e di Niniveil limpido zampillodella parola di Cristo scomparve nell'onda impura dell'interesseumano. Il potere temporale del papa fu la più grande sventuradel cristianesimo. Quei ponteficiche gli diedero la massimaespansioneintentarono alla religione una guerra funesta. GregorioVIIche venne canonizzato santonon fu che un genio d'ambizione ed'astuzia; egli offese non solo la religione verama offesel'umanitàcondannando i sacerdoti all'assurdo obbligo di uncelibato impossibileche gli avvezzò ai raggiridell'ipocrisiaall'odio dei fratelli più privilegiati. Purtroppodal giorno che il monaco Ildebrando cinse la coronalastoria della corte romana è uno spettacolo che contrista laragione.
Senzarammentare le pagine più cupe di codesta storia; senzaripensare ai più tortuosi avvolgimenti della politica deipontefici; senza rinnovarci il fremito dei patiboli e dei roghi daessi accesi; senza ponderare i due memorandum delle Marche edelle Legazionidove sono consegnate tutte le accuse e le proveirrefragabili dei delitti ufficiali dell'ultimo periodo del poterepontificio; per rimanere percossi di stuporebasta scorrere soltantoun libroche pur si limita a prudenziali intenti: questo libro èl'Indice dei libri proibiti.
Nonricorriamo ad altri documentinon sommoviamo la storialasciamo gliapostoli e i santi padri in pace. Questo libronella sua semplicitànumericanella sua laconica grettezzaè il riassunto ditutti i capi d'accusadi tutto il corpo delle citazioni eruditeditutte le argomentazioni della sapienzadi tutte le strettoje dellalogica inesorabile. Il potere pontificale è giudicato inultima istanza dal suo Indice dei libri proibiti. L'uomo coltosi faccia passare innanzi alla memoria tutte le opere del pensieroche più hanno beneficato l'umanitàquelle che hannodeterminato un nuovo atteggiamento della civiltàche aperseronuovi mondi alla scienzache vivificarono coll'incanto dellinguaggio poetico i pericolosi ozj della vita; eppoi considerichequasi tutte codeste opere furono messe all'indice pontificio deilibri proibiti: le più splendide emanazioni delle mentiprivilegiatetutte son segnate a condanna in quell'Indiceche si riduce ad essere il rifiuto documentato dei doni piùinsigni del genio chein terraè l'ombra più sublimedella divinità.
IParia erano maledetti dai sacerdoti del Dio Brama: gli uomini piùbenemeriti della società lo sono dal potere pontificale. Pernegare questo fatto spaventosobisogna mettere sul rogo il librodell'Indice. La più sofistica dialettica del piùastuto figlio di Lojola non può che ammutolire al cospetto diquesta verità.
QuandoGioberti consolandosiper un violento artificio del suo forteintelletto e delle sue generose aspirazionicol primo jeraticoposseduto in proprio dall'Italiacosperse di lodi convenzionali ilpontefice e la sua cortecoll'intento di placarlo e di renderlopropizio all'Italia e al mondomise per condizioneche fosse tuttaquanta ristaurata l'educazione dell'ordine sacerdotalema senzapensare che era impossibile la florida vegetazione degli sparsi ramisenza provveder prima al tronco dell'arbore vetusto. Ben se neaccorse dieci anni dopoe con ritrattazione coraggiosa scomposetutto quanto il suo edifizioe propugnò la necessitàinevitabile della distruzione del poter temporale del papae venne aconchiudereche l'ordine sacerdotale non avrà mai educazionepropizia al sincero progresso dell'umanitàse non siprocederà innanzi tutto alla riforma radicale della corteromana.
Daquella fonte corrotta derivano tutte le torbide gare che infestano illibero progresso.
Neiseminarjla scienza che si amministra ai giovani adepti è unascienza intralciata e caoticaquando non è mendace esovversiva. Se gl'intelletti che vi si abbeveranohannoper unaparticolare benedizione del cieloil privilegio della serenitàe della forzacol dono del sentimento e dell'istinto del beneisacerdoti ne escono intattinon conservando che la vestesacerdotalema senza appartenere in realtà all'ordineclericale; soltanto allora che vi si raccolgono menti volgari efiaccheoppure ingegni forniti di quella prontezza meccanica dellefacoltà con cui s'imparano e si esercitano molte disciplinema senza il benefizio del buon senso e del sentimento-soltanto allora dai seminarj escono i sacerdoti nel mondosecondol'intenzione di Romaciechi al progressotestardi di falsa scienzapropugnatori crudeli di oscurantismonemici degli uominicontristatori assidui delle povere anime ingenuealleati naturali ditutti i tristi.
Diquest'ultima classeerano alcuni sacerdotichenel lunedìdella settimana grassa del 1797si trovaronoverso il mezzodìin quella tal casa in Santa Maria Fulcorina; casa che noi nondobbiamo designare esplicitamenteper un riguardo ad uomini morti direcenteconsanguinei di persone tuttora viveeci confidiamobenpensanti e ben volenti.
Inun ampio salottoa pian terreno verso cortestavanoalcuni sedutialcuni in piedida dieci a dodici tra preti e fratiuniti in quelpunto in domestichezzaquantunque vi fosse tra loro la discrepanzaportata dai diversi gradi della gerarchia ecclesiastica a cuiappartenevano. Quei dieci o dodici preti e frati erano tutti in abitosecolare completamente nerocol cappello tondoprotettodall'inevitabile coccardaincaricata di stornare dalle loro schienele probabili bastonature della folla capricciosa. Quello di loro chestava seduto nel mezzoera nientemeno che il vescovo di... di unacittà non molto distante da Milanoe non era di quelli che lanaturane' suoi momenti di probitàcompone appostaperchèil mondo esperimentato non rimanga ingannato dalle apparenze; testagrossafronte ampia e fatta a cofanonaso corto e quadroboccalargacon labbra sottili e in tutto rendente la somiglianza di unasferla fatta con un coltello in una zucca; gli occhi sivedevanoe basta. L'uomocome vescovoera giovanevale a dire nonvarcava i quarantatre anni; era di corporatura brevema densa epettorutacon un lieve sintomo di quella rachitideche distingue inani tarchiati e petulanti dai gobbi mingherlini e gentili. -Colui era stato uno dei migliori allievi usciti dal Seminario diMilano. Avendo predicato nella chiesa di S. Gottardo a Corteebbe laprotezione dell'arciduca Ferdinandoe quindi dell'arcivescovodelvecchio Kaunitze di Leopoldo II; e in brevedi curato fattoprevosto e arcipretebalzò alle insegne vescovili. Allescuole ginnasiali era stato l'antipatia de' suoi condiscepoligiovinettiche l'avevano odiato perchè aveva avutol'abitudine di far la spia presso al maestro; ed anche perchèfornito di gran memoria ed essendo un gran sgobboneera salito algrado d'imperatorecome voleva il costume a que' tempi.
Venutoalla scuola di belle lettere in Brerail Parinilettore sagacissimodi fisionomiee acre e bisbeticolo ebbe talmente in sulle cornache lo espose spesso alle risate della scolaresca. Dalla giovinesocietà che lo aveva circondatonon ebbe mai dunque che segnid'antipatia e di disprezzo in tutto il tempo de' suoi primi studj.Però il seminario riuscì per lui un luogo di sicurezzae di tranquillitàdove fu ben felice di sentir l'odore de'sornioni suoi pariche l'odorarono a garae gli si accostarono e sistrinsero in lega seco. In simile maniera s'accovacciano insiemenelle cantinee accanto ai focolari delle vecchie pinzochereigatti sorianiin odio al mondo e all'allegra brigata dei canibarboni.
Vicinoa quel vescovo v'era un monsignore del Duomostato professore inseminario di lingua ebraicapoi di casistica; dottissimo interpretedi scritture antichee forte in numismaticaspecialmente nellaromana. Costui era dotato di quell'ingegno specialissimoa cuiriescono agevoli tutte quelle discipline che non hanno visceree cheal più degli studiosi presentano insuperabili difficoltà.Era un uomo non cattivo; viveva e lasciava vivere; era modestopacatonon pretendeva nullanon offendeva nessuno. Ma sebbeneparesse fatto di ghiaccioe nella maggior parte delle quistionifosse inclinato alla mitezza la più indulgente cogliavversarjtoccato nelle cose di religionemandava di repente fuocoe fiammeecontrariatomuggiva come un tigre ferito. Inconclusionepare che fosse un po' tocco nel cervelloe che lefacoltà dello spirito che più aveva ricevute perfettedalla naturae più aveva esercitateavessero provocato unostrano squilibrio nelle altre. Barnaba Orianiche aveva studiatosecolo qualificava per quel furioso cretino pieno di sapere.Gli altri astanti erano stati frati di varj ordini regolaridiquelli che Giuseppe IIil quale aveva fatto male anche il benedall'oggi al domani aveva gettati senza ricovero e senza pane sullepubbliche vieprovocando per essi nelle moltitudini una pietàche quei frati aboliti non avevano meritato per sè stessimache meritavano come uomini aventi il diritto di viveree di nonsentire la necessità di confederarsi alla colpa per vendicarsidei concittadini secolarie di quel monarca esaltato e presuntuosoche fece parere atti di tirannia crudele e insopportabileanche lepiù benefiche riforme volute dalla filosofia. Quei fratidopoaver passato un pajo d'anni in una vita che non fu certo unameraviglia nè d'agiatezza nè di buone azioniavevanofinalmente trovata la protezione di quel monsignor vescovo edell'altro monsignore del Duomoe furono messi curati e vicarj inalcuni villaggi della diocesi milanesecoll'incarico di guastar leteste della povera gente. Di coloro uno era anche buon predicatoreper quella partegià s'intendeche non sta nel raziocinioma nell'aria del polmone.
Asospendere i discorsi di costoroentrò nel salotto conburbero cipiglio il marchese F...accompagnato da un conte T...dalmilionario Mellerioda un tal Vincentiprovveditore dellarepubblica di Veneziae dal banchiere Suardi.


III


Tuttiquelli che hanno imparato a leggere ed hanno un po' di memoriaedebbero appena un mediocre desiderio di conoscere le vicende dellapatria durante il periodo napoleonicodevono conoscere i fatti piùimportanti e più rumorosie che furono ripetuti da tutti glistorici di quel tempoe però devono essere informati dellesommosse avvenute a Bergamoa Cremaa Brescianel marzo del 1797;medesimamente devono saperee sarebbe cosa vergognosa se non losapesseroche quelle città facevan parte del dominio di terraferma della repubblica di Venezia. In conseguenza di tutto ciòdeve aver fatto senso che la conventicola di Santa Maria Fulcorinairaconda delle cose nuoveimpiombata con malvagia caparbietàal passatomeditasse il disegno di far nascere una rivoluzione inquelle città appunto che abbiamo nominate; dovechènelle storie è scrittoed è verissimoche le sommossein quelle città vi furono eccitate per latente favilla deiFrancesi stessie di quegli Italiani che più eranoinfervorati di libertàe più idolatravano Francia eBonaparte e tutto ciò che di nuovo e di strano aveva quirecato l'impetuosa onda repubblicana.
Mail fatto della società segretache noi chiameremo deiretrivicon vocabolo nuovo di zeccasurta a Milanocontemporaneamente ad una congregazione segreta dei Bonapartisti emediante una rivoluzione ben contraria agli intenti di quellaèappunto ciò che di nuovo e di non ancora stampato viene a direal lettore la nostra musa storica in sottana di bigello; la nostramusache si propose l'intento speciale di raccogliere tutti iminuzzoli di carta che la storia aulica lacerò e gettòvia con improvvido disprezzo.
Eprima ne giova di ripetereriassumendoquel che è narratodal Botta e da altricome la città di Bergamo fosse stataoccupata in que' giorni appunto da Bonapartequale strumento avolgere a sua devozione i popoli della terra ferma veneta; comeBaraguay d'Hilliers avesse guidato i repubblicani in quella cittàcon cannoni e miccie acceseintimando al podestà Ottolini difar sgombrare dalla terra tutte le truppe venete; come appunto inquei giorni si fosse creata a Milanoper opera stessa di Bonaparteuna congregazione segretanella quale entravano in gran numero irepubblicani italianiil cui fine era di portare la rivoluzione nelpaese veneziano. Di quella congregazionecomposta del conte Caleppiobergamascodei Lechi e dei Gambara di Bresciadel Porro di Milanoecc.ecc.facevan parte anche molti Francesitra cui il colonnellodi cavalleria Landrieuxche era stato eletto dalla congregazionequale operatore principale. Il capitano Geremia Baroggiche erasotto gli ordini di questo colonnelloera entrato anch'egli inquella società. Andrea Suardiil qualecome spiegheremo asuo luogoaveva fatto educare quel giovanee lo teneva secosoventee gli aveva dato alloggio in una delle sue caseper suomezzo seppe di essae v'entrò; or vedremo perchèentrasse poi a far parte anche di quell'altra consorteria.
Maprima è necessario di saperecome Andrea Suardiquantunquenon avesse più nè venti nè trentacinque annimasi trovasse sotto al grave pondo dei sessant'ottoeuscitoinvirtù della sua astuzia e della sua buona fortunadalleunghie tenaci della leggesi adagiasse beato nella sua ricchissimacondizione di banchierepure la sua antica natura ricomparissesempre alla provaedotato di una penetrazione d'ingegnoincomparabilecontinuasse imperterritoun po' per una tendenzairresistibile del carattereun po' perchè della ricchezza nonera mai sazioa convergere ai proprj intenti le vicende succedentisinel paeseusufruttando quelle piaghe che negli svolgimenti gradualidella cosa pubblica pur rimanevano e nelle leggi e nelleconsuetudiniad onta di riforme e di progressoe si aprivanoimprovvise per la comparsa di qualche fatto nuovo. In quella guisache nel 1766 si era attaccato a quella profonda piaga del sistemadelle Fermeper arricchir sè a danno del paesecosìnel 1796appena il terreno d'Italia brulicò d'armi ed'armatiaccostatosi ai commissarj di guerra e ai fornitori ditruppetosto odorò come in quella nuova sfera di cose sipotesse divorare a quattro ganasce; ondefattosi innanziassunseappalti che parevano arrischiatissimima chein sostanzaglifruttavano il quarantail cinquantail sessanta per cento. Lepubbliche vicendela rivoluzione francese il general Bonapartel'albero della libertàla democrazial'aristocraziailprogressoil regressole vittorie e le sconfitte non entravano granfatto a determinare per se stessi le sue affezioni e le sue simpatie;bensì stavano nella sua testa come oroscopi da consultarepervedere sino a che punto e in che modo poteva regolare le manovre de'suoi furti. Era sempre colui che aveva fatto il suo ingresso insocietàvuotando la borsa dimenticata nel panciotto delmarchese F...suo antico padrone. L'ingegno era il medesimo; ladiversità non stava che nelle proporzioni.
Senon che quell'acutissima vista che gli faceva trovare speculazioninemmen sospettate dagli altrie quella confidenza in sèstesso che gli comunicava un'audacia di cui nessuno sarebbe statocapacelo spingevano nel fitto dei pericolidove altre menti piùlimitatema più prudentinon si sarebbero mai avventurate.Se fosse nato più cauto non sarebbe stato in prigione duevoltenon si sarebbe mai trovato al limitare dell'ergastolo e alpiedestallo della berlina; nemmeno però avrebbe accumulatotanta ricchezza. Queste parole ci conducono a dire che il signorAndrea Suardinell'appalto dei foraggiaveva tentato a que' dìuna impresa arrischiatissima. Amicoanzi ammesso alla confidenza deicapi dell'esercito austriaco; nel tempo stessoamico e conoscentedei capi dell'esercito franceseaveva maneggiato un appalto in modochedata la sconfitta di Bonaparte e governando egli le spedizionidei carriaggisi potessero far passare alla parte austriacadopoessere stati pagatigià s'intendedalle casse francesiusufruttando a tal uopo qualche istante di crisio l'impetopassaggiero di una sommossa popolare possibile sul teatro stessodella guerra; o la connivenza della repubblica di Venezia; qualchefatto insomma che potesse onestare la scomparsa dei trasporti divittovaglieper prendere così dalle casse austriache laseconda volta il prezzo già ricevuto dalle casse francesi. Seil lettore si ricordaè ancora lo stratagemma medesimo per ilqualetrent'anni primaesso era stato a parte degli utili dellaFerma del tabaccoed esercitava per proprio conto il contrabbandodel tabacco stessocontro il quale i fermieri avevan pur fattopromulgare leggi tanto severe.
Cisi dirà ch'egli è un fenomeno troppo strano e quasiinverosimileche un'intelligenza così perspicace giocasse lapropria condizione per accrescere una ricchezza che era giàesuberante. E siamo anche noi di questo parere; ma nel medesimo tempofacciamo osservareche l'amore del denaro è insaziabileel'ambizione che per esso si lusinga di toccare le massimesoddisfazioniogni qualvolta raggiunge un'altezza desiderata alungoe nella quale gli sarebbe sembrato di riposareal di sopra diquell'altezza ne vede un'altrae un'altra ancora: e se nonsopravvenisse la morteo la vendetta della società adaggiustar le partite e a metter senno negli uominiqualunque piùfeconda fantasia non arriverebbe a congetturarenemmeno nei limitidella possibilità metafisicaquello che l'ambizione trova didesiderareed anche di acquistare nel campo della possibilitàreale.
Bisognapoi sapere che il nostro Andrea Suardi si era avvezzato ai fumipersino dell'aristocrazia nelle lunghe sue conversazionicoll'arciduca Ferdinandoil qualecome ognuno saessendosi datointemperantemente al commercio dei graniebbe a trovarsi spesso incompagnia di negozianti e di sensalitra' qualiper la suabell'apparenza e pe' suoi modi insinuantie più ancora pergli eccellenti affari che gli aveva procuratoil nostro Galantinosedette per molti anni ai primi posti. E fu anzi in quell'occasioneche egli si trovò spesse volte a contatto col parroco dellachiesa di S. Gottardonel palazzo di cortequel parroco fattovescovodi cui abbiamo or ora fotografato il ritratto; e il qualegiacchè l'ex lacchè e ladro era piaciuto all'arciducanon mancò di farselo piacere anch'essoe gli piacque difatto;perchè quando un uomo non è sinceroe si proponed'ingannar tuttied è dotato di seduzione diabolicariesce afarsi amare anche da coloro cheper istitutoodiano tutto il genereumano.
Ein quell'occasione ebbe a trovarsi spessissimo col marchese F...e astringersi con lui in qualche familiarità. - Ma quinon potendo dir tutto quello che al lettore sarebbe necessario ondefarsi capace di tante coseper quella ragione che il carciofo nonpuò essere mangiato che foglia per foglialo introdurremointanto nel mezzo di quel conciliabolo.


IV


-E che si famarchese?
-Monsignoreche si fa?
-Meno chiacchieree più fatti.
Cosìcolla franchezza petulante dell'uomo avvezzo a padroneggiare glialtri uominiil vecchio Galantino ruppe in mezzo le mutueinterrogazioni di quei due titolati della gerarchia civile edecclesiastica.
Ei due titolati lo guardaronosenza poter dissimulare il dispetto cheprovarono all'urto di quelle risolute parole.
-Suggerite voi dunque i fatti; e suggerite il modo di prepararli senzachiacchieredisse poi il monsignoreaprendo leggermentecon unlezio crudo delle lineequella sferla ad uso boccache avevanella zucca ad uso testa.
-I fattiper parte miali avrei preparati; ma ho bisogno che ivostri preti inventino delle spaventose fandonie pei villani dellavostra diocesi; e che esercitiate la vostra ben nota influenza sulleterre veneziane. In quanto a meho una fabbrica di carta sul Brembo;ho un filatoio di seta presso Bergamoche mantiene qualche migliaiod'uomini avvezzi ad obbedirmi. Tengo pure a' miei comandi qualchecentinajo di spallonisoliti a far le schioppettate coifinanzieri. Costoroin un bisognopossono spingere avanti a calcinel sedere quelle carogne di contadinichese hanno paura deldiavolohanno paura anche delle armi francesi.
Naturalmentese insorge tutto il paese veneto colle marrecolle zappecoibadili; se di ciò è avvisato l'arciduca Carlo; se silasciano senza vettovagliefoss'anche per sole ventiquattr'oreletruppe del generale Bonapartevedete chein un momentole partitesi mutano. Fate che il generale Bonaparte tocchi una buona rottaeaddio simpatie e adorazioni e campane a festa e Tedeum e falòdi consolazione. Conosco il mondo.... e chi più ha gridatoèil primo a metter le armi a terra... Questi chiacchieroni di patriotili conosco benissimo.
Maanche voisignor provveditore (e qui si rivolgeva al Vincenti)dovete adoperarvi con energiase volete che la vostra repubblica nonvada all'aria o non sprofondi in mare. Scrivete al podestàOttolini di Bergamoche è un uomo forte ed è fedele alleone; scrivete al Battaglia di Brescia chea dirla cosìtra noimi sembra un gran tentennone; e tenetelo in rigae ad unbisognofate sapere al vostro senato che farebbe bene a internarecolui in lagunae a nominarlo ispettore dei fanghi del canale.Credetelo a me: questo Battaglia si è lasciato cogliere comeun luccio nelle reti di Bonapartee lì a Bresciaquantunquesia un mellonepuò produrre l'effetto di un alleato diFrancia. - Animo dunque; bisogna far presto; bisogna dire aque' vostri senatoriche è tempo di tirar su la sottana lungadella togache consiglia i comodi della vita e impedisce dispacciarsi. Bisogna esser lesti a questi dìse non si vuolesprofondar nel pantano; perchèanche a correr velocièun affar serio a tener dietro a questo maledetto levriere diBonaparteche salta siepi e fossati e vignee divora campi ebrughieree non s'arresta se non ha preso la lepre per l'orecchio.Ha bisogno di scuotersi un po' quella vostra vecchia repubblica daisuoi lunghi sonni senili.
Quandoil Suardi troncò il suo discorsouno di quei frati abolitiche si trovavano làe che era in quel tempo vicario d'unapieve sul confine del vecchio ducato:
-Madisserivolgendosi prima a monsignor vescovocome perchiedergli il permesso di parlareavrei anch'io il mio debole parereda dare.
-Ma dica puremolto reverendoesclamò colla solita vivacitàil Galantino.
-Non è egli verocontinuava l'ex frate di S. Damianochesarebbe una gran bella cosa se si potesse ottenere il nostro intentoe glorificare la nostra santissima religionee tagliar la stradaalle opere del diavolosenza dare incomodo a tanta gentee senzamettere in pericolo tante vite?
Monsignorvescovo lo guardò e tacque. Il marchese lo guardòpoiguardò il Galantino; questi pure lo guardòesoggiunse:
-Il convento in cui siete stato educato mi fa sperar molto dai vostriconsigli. Parlate dunquee sbrighiamoci.
-Non è egli veromonsignoreche Giuditta fu venerata daiseniori di Betuliae che tra le eroine della sacra Bibbia èriconosciuta santissima per aver troncata la testa d'Oloferne?
-Ma terreste voi mai a vostra disposizione una qualche Giuditta nellavostra pieve? domandò il Suardi facendo d'occhio al marchese;se è cosìsarebbe bene cheprima di mandarla al suodestinola faceste conoscere a me e al marchese. Le daremo deipareri.
Monsignorvescovo tacque; tutti tacquero; ma prese la parola il monsignore delDuomoil professore emerito di lingua ebraica e di casuistica.
-Io mi meraviglio molto col signor marchesee non so come spiegare lapresenza in questo luogo di monsignor vescovo illustrissimoquandosento a parlare in questo modoe con parole cosparse di maledettamiscredenzaal cospetto di sacerdotial cospetto di dignitàecclesiastiche reverende. Ma a che scopo ci siamo uniti qui? pertentare di mettere un riparo ai pericoli che da ogni partecircondano la nostra santissima religioneo per sentirla avituperare e a metterla in canzone?
-Reverendo monsignoredisse il vescovomettete in calma il vostrospiritoriposate tranquillo su di me: perchè in veritàvi dicoche non permetterei che questo secolare fosse quise i suoipensierise i suoi disegni non fossero precisamente i nostri.
Ilmonsignore del Duomoche già abbiamo dato in nota per quelbigotto furiosoforte di quella dottrina che viene dalla solamemoriachinò il capo sul petto a tali parolee senzaaggiungere altroincrociò le mani e si mise a sedererecitando sommesso delle orazioni.
IlGalantino fu in prima tentato di levarlo di peso con una violentarimbeccatamalimitandosi a guardarlo fisso per un pezzosi volsepoi al marchesedicendo sommesso:
-Che bestia!?
-Abbiate pazienzagli accennò il marchese; ma bisognacompatirloperchè è un sant'uomo; e poi è ancheun gran sapiente.
-Alla largacaro mio; ma se avessi saputo di compromettermi conquesti stolidiavrei fatto i miei affari altrove. Gli altri almenosono impostori; ma costui ci crede davvero.
Tuttisi rimisero in silenzio: poco dopo monsignor vescovo invitòl'ex frate di S. Damiano a continuare il suo discorsoe a metterfuori le sue proposte.
-Quand'io ho nominato Giudittariprese l'ex fratenon l'ho fatto perindicare che ve ne fosse una rediviva; così l'avesse concessola Provvidenza; cosìnel tempo medesimola Provvidenzaavesse decretato che questo giovane Côrso fosse arso anch'essodalla salacità orientale di Oloferne! Il peccato avrebbe fattola vendetta del delitto. Ma egli è temperanteèsobrioè freddoè casto. Egli non ha altra voglia chedi distruggere gli uomini e di far guerra a Dio. Però benmeriterebbe degli uomini e di Dio chi trovasse il modo di togliere dimezzo questa fatale esistenza. Giuditta fu acclamata dai senioriquando mostrò al popolo di Betulia il teschio d'Oloferne. Chiuccidesse il generale sarebbe benedetto da tutti gli uominidagliuomini d'Italia ed anche dagli uomini di Francia.
Quiil Galantino interruppe l'ex frate:
-Main conclusionevi proporreste voi stesso di far le parti diGiuditta?
-Io?
-Voimolto reverendo.
-Io no.
-Allora sarà difficile di trovar l'assassino.
-L'assassino!?... balzò in piedigridando come un energumenoil monsignore ex professore di casuistica. - Ma chi ècostui che parla di tal modo qui? ma che parte è la sua? Èun nemico di Satana costui? o è un nemico nostro? Ma èassassina la legge quando fa morire un nemico della società?Ma perchè da tanti secoli tutta l'umanità ha convenutodi venerare come eroine fortissimeinspirate dal divino volereeGiuditta appunto e Giaele?
­-Io ho poca intimitàmonsignorecon queste due donnerisposeil Galantino: e non ho la vostra sapienza; ma se sono disposto abatter le mani alla legge quando fa morire un assassinotrovo poiche è sempre tale chi ammazza altrui a tradimentoper quantoottimo ne possa essere il fine... Io sono piuttosto ignorantee nonsono molto addentro negli affari di questa signora Giuditta e diquell'altra che si chiama Giaele. Ma siccome ho sentito la Betulialiberata del maestro Guglielmidove cantava l'Agujari... chevoce eh... marchese? che vocalizzi! che trilli! quelli eran tempi!...ma tornando a noiso benissimo chi era anche Giaeleperchèho visto il ballo grande di monsù PitrauxintitolatoDebora e Sisara e so i meriti di colei; e piùancora quelli della mima che la rappresentavala Giuliana Bidòfamosissima e cara e tonda tutto quel mai che si può dire;qui il marchese lo sa meglio di me...
Avendodunque visto assai bene quel che han fatto e l'una e l'altradico esostengoe mi pare che l'ignoranza giovi a qualche cosache oggitutte le Giuditte e tutte le Giaelicolte sul fattoe anche colsolo appoggio d'un pajo di testimonjdiventerebbero proprietàdel tribunale criminale... Perchè bisogna tener conto anchedella distanza dei tempi e degli usi... che so io? di tante cosebisogna tener conto. Io non so niente; ma ne so abbastanzaper direal molto reverendo ex padreche su questo progetto non c'intendiamo;e che per ora basterebbe che tornasse alla sua Pieve a metterl'inferno nella coscienza delle sue pecoreper farle diventar lupi eorsi contro i Bonapartisti; e così e altrettanto facesseroquesti reverendi sacerdoti. All'illustrissimo monsignor vescovoionon m'attento di dar parerima poco su poco giù quel che siha a fare si sa. Quanto finalmente a monsignorementre la prego aperdonarmila supplicherei anche a tornare in Duomoe a pregare peri suoi devoti ese gli cresce il tempoa pregare anche per mecheper ora basterebbe.
Dunqueveniamo a noiperchè sino adesso mi pare che si perda iltempotorno a ripeterein chiacchierementre occorrono fattipronti e naturali e spontanei. A tutte le apparenzepare cheBonaparte si voglia ingoiar la repubblica di Venezia: bisogna dunquefar insorgere tutto quel paese contro di lui. La repubblica soffieràdi lànoi soffieremo di qui. Il marcheseche ha ventimilioni in terrepuò disporre de' suoi terrieri. Io faròla mia parte. Ma sopratutto sono i preti che ci debbono ajutare. Loscandalo del ballo granderappresentato in questi giorni sulle scenedel teatro della Scalaè tale cheesagerato dal pulpitocome sanno fare loro signorialle popolazionipuò metter lafebbre nei credenzonimi perdoni monsignore; sopratutto bisognaspaventare la coscienza delle buoni madrile qualivolere o nonvolerehanno una grande influenza sui figli coscritti. Alla primarotta che può capitarequesti la danno a gambee... undisastro tira l'altro.
-Se mi permettemonsignor vescovotornò a parlare l'ex frateio insisto ancora sulla mia propostae vi insisto perchèsembra che la Provvidenza abbia voluto espressamente darmenel'occasione.
IlSuardi si scontorceva.
Monsignorvescovo soggiunse:
-Sentiamo.
-Uno di questi giornicontinuava il vicariomi si presentò alconfessionale un mio devotoun giovane di vent'anniche findall'ottobre milita nell'esercito repubblicano. Suo padrenel paeseov'è natoè priore della confraternita del SS.Sacramento; sua madre è una santache si confessa e sicomunica ogni otto giorni. I figliuoli e le figliuole somigliano alpadre e alla madre. Famiglia più religiosa di questa credo nonse ne trovi nè qui nè altrove. Ora il giovanecoscrittopresentatosicome ho dettoal confessionalemi dice: -Reverendo signor vicariosono qui da lei per consiglio. Ho fatto unsognouno di quei sogni che Dio espressamente manda agli uominieson qui a raccontarloed ecco precisamente quel che ho visto esentito: - Il generale Bonaparte era nell'acqua sotto al ponted'Arcoledove ho combattuto anch'ioma l'acqua non era acquaerasangue. Il generale vi nuotava a faticaallorchè io vidivicino a lui quel granatiereche ho visto infatti sulla riva delfiumequando salvò il generale. Nel tempo stesso sentii unavoceuna voce chesecondo l'idea che mi son fatta leggendo i libridevotideve esser quella degli angeli che stanno a' piedi del tronodi Diocolle ali spiegate e pronte per volare ad eseguire i suoidecreti. Quella voce esclamò: «Colui chenato di madreitalianaha tratto il figliuolo di Satana dalle onde di sanguesaràperduto in eterno. Ma starà invece tra i beati del paradisochiuccidendolosalverà l'Italia e il mondo.» Iodunque sono qui per consiglioio mi sento da tanto da mandare adeffetto i divini voleri.
-E voiche cosa avete risposto? domandò monsignor vescovo.
-Nulla ho rispostobensì gli ho detto: Tornate da me fra tregiorni.
Monsignorvescovo non parlava. Non voleva dar consigli.
Egliera profondo in divinitàma la scienza non gli avevastravolto il cervello! Se il disegno progettato si fosse giàcompiutoavrebbe trovato i sofismi per giustificarlo; ma trattandosidi consigliarlonon osava. Era stato educato in seminarionon a S.Fedelenè a S. Damiano.
Maintanto che tutti tacevanol'ex professore di casuistica esclamò:
-La scienza approva un tal disegno. I libri santi ne offronol'esempio. Abramo non istette in dubbio di uccidere Isacco.
Aquesto punto il Suardiperduta la pazienzaesclamò conforza:
-Ma ioche non sono Abramonon dubito di non voler fare unaminchioneria. - Il coscritto è certamente un poveropazzo. - Quando ritorna al vostro confessionale insegnateglila via di porta Tosa. È tutto quello che si può fareper quel povero dementevittima certo e del padre prioree dellamadre santae delle santocchie sorellee dei pretie dei fratigabbamondi.
L'exprofessore di casuistica si alzò inferocito; fulminòd'uno sguardo terribile il Suardi; guardò altiero il vescovo;poia un trattopiegò il capo sul pettocongiunse le duemanie:
—Io parto di quidisse.
Nessunolo trattenne.
Orparrà strano che il vecchio Galantino irritasse colle sueparole i preti ch'erano là a congiurare con lui; ma egliquantunque fosse quello che fossesentiva per i cattivi sacerdoti eper i bigotti una decisa avversione. - D'altra parteèun fenomeno da non lasciar senza studioche un frateun preteuntorcicolloquando sono tristisuperano la tristizia di qualunquealtr'uomo. Nel caso attualeper esempioal Galantino facevaribrezzo l'assassinio; all'ex frate di S. Damiano pareva invece unatto meritorio; al professore di casuistica pareva un corollariodella scienza. - Il vescovo poisenza compromettersi a darconsigliavrebbe veduto assai di buon occhio che il disegno si fossecompiuto. In quanto al resto poiè da aggiungere che ilSuardi non solo non odiava il giovane Bonapartema ne aveva unacerta ammirazione. E si può giurare chese non ci fosse statodi mezzo l'appalto dei foraggiavrebbe figurato fra i suoipartigiani.
Quandoil monsignore del Duomo fu partitoil vescovo di... prese consussiego la parola per assicurare il marchese F... che tutti i benpensanti e i veri amatori del paesedei buoni costumi e dellareligione avrebbero trovato in lui un efficacissimo appoggio.
-Quand'è cosìsoggiunse il Marchese F...saràbene che voimonsignore illustrissimovi troviate alla vostra sedeperchè la guerra corre velocissimae in un giornoin pocheore le cose possono mutare. Anch'io mi recherò dove tengo imiei più vasti possedimentiattento a cogliere l'occasione.
-Alloracontinuò il vescovorivolto ai sacerdoti che sitrovavano làritornerete alle vostre arcipretureai vostrivicariatialle vostre cappellanie; quando il momento saràgiuntoriceverete da me le opportune istruzioni. - E ilsignor Suardi? disse poi voltandosi a lui con dignitàostentata.
-In quanto a me lasciate che mi regoli da meche regoleròanche loro signori. - Il generale Bonaparte percorre come unfulmine tutti i punti della base della guerra; ma ha anche 27 anni.Ma anch'io mi troverò dappertuttoe non lascerò temponemmeno al temposebbene abbia i miei sessant'ott'anni passati. Arivederci dunque.
Ilmarchese rimase. - Il vescovo e gli altri uscirono. -Dopo pochi minutiquand'era uscito anche il Suardis'udìsotto l'androne del cortile lo scalpitio de' cavalli e il rumoredelle carrozze che dovevano condurre al loro destino quei reverendicongiurati.
Quandoil marchese fu soloavendo sentita nell'anticamera una vocefemminilesi alzòfacendo un gesto di malcontentoe dissetra sè:
-Cosa diavolo viene adesso a far qui mia figlia?
Orchi era questa figlia?
Erala contessa A…che noi abbiamo già conosciuta edescritta la sera del ballo del papa; la bellissima delle tre deequella che lasciò vederestando in palcola massima partepossibile della sua nudità.
Laquale contessa A...incontratasi nel Suardi:
-Come siete quicittadino? gli disse con una disinvoltura gaja ebaccanteperchè i suoi vent'annie la folla deicorteggiatorie la schiera scelta e squisita degli amantie l'amorproprio femminile perpetuamente lusingatola tenevano in unacontinua condizione come di vanitosa ebbrezza. - Come voisiete qui? e che cosa vogliono dire quegli uomini neriche un dopol'altro sgusciarono dall'appartamento del marchese mio padre?
-Contessaio non li conosco; ma saranno preti venuti a prendere laloro quota dei benefizj ecclesiasticiche l'illustre casa F...distribuisce di jus patronato...
-Ahah... va bene. Ma sapete cos'è che va megliocaro signorAndrea Cittadino?
-Che cosa?
-Che voi avete un bellissimo e interessantissimo nipote.
-Io non ho nipoti.
-Ma chi è quel bel dragone che vedo spesso con voi in carrozza?
-Chi è?.. è un mio protetto.
-Vorrei che si facesse proteggere anche da me.
IlSuardi stette un momento sopra di sè... un baleno gli avevaattraversato i pensieri; e in un balenofatto un calcolo e undisegno:
-Ebbenele risposedivideremo la protezione in due metà.Accettatecontessa?
-Sì che accetto!
-Ho un mazzo profumato di violecolte nel mio giardino d'Inzago.Manderò il mio bel capitano a farvene un presente.
-Benecaro signor Andrea; e la contessa gli strinse le mani in segnodella più grande soddisfazione.
IlSuardi partìrecandosi difilato dove si raccoglieva l'altracongregazione segreta.
Edoracari lettorise non state attentiperderete il filo del piùbello imbroglio che mai sia capitato e capiterà dadisimbrogliare.


V


Pochepagine addietro abbiamo parlato d'un colonnello Landrieuxcapo dellostato maggiore della cavalleriastato eletto dalla congregazionesegreta stabilita in Milano per volere di Bonapartequale operatoreprincipale onde promuovere rivoluzioni nello Stato di Venezia.
.Questocolonnello Landrieux abitava in casa Annonie làquotidianamente si radunava la congregazione bonapartista. Qui sirivolse dunque il cittadino Suardi.
Entratonel palazzoquando mise il piede sul primo gradino dello scalonesentito che alcuno parlava al disopra della propria testasi fermòper un atto macchinalee ascoltò il seguente dialogo:
-Tutto va benetutto procede colla sicurezza di un esito felice. Maprima di venire agli atti definitivic'è un passo da fare.
-Che passo?
-È necessario lasciar da parte il banchiere Suardi. Io non soancora come costui abbia potuto introdursi nella nostra società.
IlSuardi naturalmente aguzzò le orecchieanche per sentire segl'interlocutori discendevano.
-Tu hai ragionecontinuava uno di quegli interlocutori; ma come si faadesso?
-Come si fa? Non gli si dice più nullae si fa tutto senza dilui. Se le cose andassero benecome pareil Suardi ne menerebbegran vantoperchè costui non fa nulla senza il suo perchè;e il general Bonaparte non mancherà di rimproverarci d'avermesso a parte di un'impresa così solenne un uomo che... giànon è possibile che il generale non venga a sapere all'ultimola vita e i miracoli di questo furfante milionario.
IlSuardi si ritrasseperchè sentiva che gli interlocutoridiscendevano. Si nascose in un andronee stette là sin chevide a partire i due maldicentiche eran Porro e Caleppio.
Quandoil Suardi entrò nel palazzo Annoninon aveva nessun disegnonuovo in testa; era venuto là per assistere alle dispute dellacongregazionea cui era stato ammesso dal colonnello Landrieuxenulla più. Ma le parole udite e il dispetto che ne provògli fecero spuntare in testa improvviso e adulto un pensiero.
Avendopotuto stringersi in amicizia col colonnello Landrieux per mezzo delcapitano Baroggivolontieri aveva fatto parte della congregazioneperchècol conoscere per disteso i piani degli avversarjegli avrebbe potuto governare più sicuramente i proprj. Madopo ciò per lui sarebbe stato meglio che la congregazionebonapartista non potesse dare effetto ai suoi maneggi; per la qualcosa sarebbe stato necessario che chi ne aveva la direzioneprincipaleall'insaputa dei colleghivirasse di bordo e cangiassestrada. Il colonnello Landrieux era stato introduttore al Suardi pergli appalti dell'esercitoe però aveva avuto dal Suardistesso il suo lauto boccone da mangiare.
Quelcolonnello non era più dunque nè trasparente nèliscio come uno specchiobensì presentava delle scabrositàalle quali un uomo abile poteva attaccarsi.
Un'altraqualità distingueva quel colonnelloqualità che potevariuscire eccellente nelle mani del Galantino. Esso era un giuocatoredisperato. Bensìper essere piuttosto valente e fortunatonon esibiva sempre quegli angosciosi alti e bassi che offrono ilcuore insanguinato agli avoltoj di professione. Il Galantino siricordò pertanto del passatoe rammentatasi la propriaabilitàrisolse di tenerla in pronto per il bisogno.
Improvvisatocosì a mezzo un progettoil Suardi ascese lentamente loscalonee quando fu alla porta dell'appartamento del colonnellos'incontrò negli altri soci della congregazione segretacheuscivano in quel punto.
-Troppo tardicittadino Suardi.
-Non è mai troppo tardi. Quel che avrei dovuto dire a voi tuttilo dirò al colonnelloche poi ve ne faràcomunicazione. Ma dov'è il capitano Baroggi?
-S'è fermato col colonnelloper cose che riguardano ilreggimento.
-A rivederci dunque stasera in teatrodove ci sarà un chiassodel diavoloperchè so che è stato proibito il nuovoballo di Lefèvre.
-A rivedercitutti risposero; - e il Suardifattosiannunziareentrò dal colonnello.
Quandofu in camerasalutato in prima il colonnellosi rivolse poscia alBaroggie:
—Ho un'incumbenza da dartigli disse.
Ilcapitano Baroggi si alzò da sederespiegandosenza volerlo esenza pensarcitutta l'aitanza disinvolta e leggiadra della suagiovanile figuranata fatta per l'assisa e gli spallini e i calzonidi pelle e gli stivali alti. Aveva nel corpo quella eleganza poderosae accentata del discobulo greco; con una di quelle facciecare lemie donneche non si sanno definire; perchè c'era in quellevaghe linee la sprezzatura del soldatola severità e persinol'asprezzasea un guizzo repentino dei muscolitutte quelleimpronte non fossero scomparse per dar luogo ai loro opposti; perchèla frontese si spianavaera serena come quella d'una fanciulla; ese l'occhio perdea il lampo virile e crudo di chia cavalloeccitaalla carica e alla strage lo squadroneassumeva una soavitàquasi infantilenella quale tuttavia parevano nuotare l'arguzia e laseduzione. Il ritratto in miniatura che noi possediamo di questo belcapitanoeseguito in allora dal distinto pittore ed incisoreEvangelistici fa trovare qualche somiglianza tra la sua faccia equella del Tancredi che il pittore Riva dipinse nelsuo quadro di concorsopremiato dall'Accademia di belle arti tantianni sono.
Macom'èdirà talunocodesta strana combinazione per laquale tutti i giovani personaggi che entrano successivamente iniscena in questo librohanno tutti ricevuto dall'autore l'obbligo diessere bellissimi e carissimi e interessantissimi?
Iltenore Amorevoli faceva diventar matti soltanto a vederlo; ilGalantinoquando fu spogliatoper esser messo alla cordamostròun tal collo e un tal petto e braccia taliche persino il senatorMorosini ne mandò un'esclamazione di maraviglia. La contessaClelia pareva una Minerva perfezionata. La contessina Ada era suamadre ingentilita. La ballerina Gaudenzi aveva i capelligli occhi eil naso della Diana Efesia. Recentementeovvero sia nella sera delballo del papail tumulto della folla fu placato dalla comparsa ditre donne in costume di libertàdelle quali se l'unaera bellal'altra era più bella ancora.
Edora compare in iscena questo capitano dei dragoniil cui volto e lacui persona son fatti cogli ingredienti degli dei e degli eroi piùriputati; e precisamente col sistema onde fu messa insieme la Veneregrecache ebbe in prestito le cosce appetitose di Taidela schienaprovocatrice di Frine e le diverse bellezze di sette fanciulle.
Com'èdunque questa faccenda? La faccenda è naturalissima; e se illettore ne stupiscevuol dire che l'ultima fase dell'arteche hamesso in trono il bruttodal Triboletto e del Quasimodo diVictor Hugo al gobbo Esopo di Bartolinilo ha preparato a credereimpossibile la bellezza perfetta. Ma questa bellezza c'è eper trovarlabasta cercarla.
Nelcaso nostro poioltre la testimonianza del Bruniche sta garanteper noidi alcuni dei nostri personaggi esistono ancora i ritrattieseguiti per mano di pittori più o meno distinticompresoappunto questo del capitano Baroggi.
Ortornando ai fattiil Galantinocol permesso del colonnellodisseal Baroggi:
­-Ho un'incumbenza da dartila quale chi sa quanti te la invidieranno.
-Di che genere ella è?
-Del miglior genere. Si tratta di portare un mazzo di viole ad unasignora.
-È proprio necessario per questo la persona di un capitano dicavalleria?
-Non è necessarioma è utile; seppure è utilefar la conoscenza della più bella donna di Milano.
-Ma chi è questa donna?
-È la contessa A...che desidera proteggerti. Ella stessa melo disse ora colla sua bocca di rose. Va e ringraziami; trent'anni faavrei finto di non capiree ci sarei andato io stesso.
Ilcolonnello Landrieuxmessosi a ridereed entrato a far parte diquel discorso:
-Ahahdissese a voi dispiace l'incumbenzail mio caro capitanopassate il mazzo di viole a monsieur Chapierl'intendente di guerrache è innamorato pazzo di questa vostra bella contessalaqualementre sciala con tuttis'è messa in testa di farl'avara e la pinzochera con lui. Tanto che tutti ridono alle suespalleed egli si dà per disperatoe dice di voler uccideretutti gli amanti di lei.
IlGalantino era benissimo informato di tutto questoe allorchès'incontrò colla contessase fu sollecito a prometterle chele avrebbe mandato il bel capitanofu perchè aveva bisogno edella contessa e del capitano per tirare in ballo l'intendenteChapieril solo che gli fosse d'impaccio nel fatto degli appalti.Peròseguendo le parole del colonnello:
-Se la cosa è cosìdisseallora bisogna esserepietosiil mio bel capitanoe tentar di placare la bella contessae introdurre da lei monsieur Chapier.
-Perchè no? disse il giovine Geremia; e cosìsbadatamente rispondendosi calcò l'elmo in testae mosseper uscire.
-Va dunque entr'oggi da coleigli replicò il Suardie fa inmodo che lo Chapier sia introdotto in quella casa. Certo che cidivertiremo.
Intantoche il capitano partivail colonnello Landrieux disse al Suardi:
-Voi volete che quell'istrice d'intendenteoltre alla ferita dellacontessariceva qualche colpo anche dallo squadrone del capitano.
-Oh! soggiunse ghignando il Suardinon ne avrei nessun dispiacere. Edora parliamo dei nostri affaricolonnello.
Maintanto che que' due parlanopensiamo che or ora entrò inscena un personaggio nuovoanzi più d'un personaggio; e coinuovi personagginuovi annunzj di curiose combinazioni. -Prima una congiura; poi una contro congiura; poi un amore nonplatonico subodorato; poi la minaccia di qualche duello che facciachiasso; poi il Galantino che va tentando successivamente varjuominiper ottenerealmeno paredi farli lavorare tutti in unaevoluzione grandiosa. - Davvero chemettendoci nei panni deilettorici par di camminare colla benda agli occhitenuti a mano dagente maliziosa; ma possiamo anche assicurareche èvicinissimo il momento che lor si toglierà il fazzolettoevedranno chiarissimamente dove si trovano.


VI


Nonè poco il direcheper ottanta pagine circaun libro che ibibliotecarj metteranno sempre nel dipartimento della Phantasiasiasi occupato esclusivamentee quasi ex cathedra distoria vera e di politica veratirando in ballo il papa ed il suopotere temporalee congiungendo non a caso il passato col presente;e citandocome un dottor della Sorbonae Apostoli ed Evangelisti esanti Padri e pontefici galantuomini; e parlando del vecchioNapoleone Bonapartee delle sue insidie politiche e dei colpi econtraccolpi rivoluzionarjecc. ecc. Di queste ottanta paginecrediamo che i lettori gravie che tirano il rapècivorranno essere gratie tanto da credere che il nostro lavoro possaesser letto anche da quelli che hanno in odio le produzioni dellafantasia. - Ma la storiala quale rifà la vitaperesser completadeve rifarla di dentro e di fuori; e se quasi semprecome un ciambellanosegue devota i re dell'azione e delpensieroche vissero e furono proclamati in pubblicoe dei qualicon atto pubblico si fece il trapasso alla posterità: come unbenefattore deve poi entrare nelle dimore private a cercarvi quellefigure che vissero non abbastanza note o ignote all'universaleperindagare come la vita intima della società segua l'impulsodella vita pubblicae come persino le virtùi vizjgliaffetti e le passioni ripetano da essa il modo di manifestarsi; chènon tutte le virtù nè tutti i vizj sono possibili intutti i tempie il dramma domestico si atteggia senza volerloall'epopea storica. - Lasciamo dunque per ora le piazze e iteatri e i luoghi pubblici e gli uomini che operarono cose giàdivulgate dalla storiae penetriamo nel silenzio di una privatadimora a vedere la progressione di un dramma domesticoche simodifica lungo il camminoe piega a seconda dei pubbliciavvenimenti.
Nelpalazzo situato nella contrada della Spigaappartenente al maritodella contessina Adain una sala a terrenoverso il giardinorispondente al naviglioin sul tramonto d'un giorno di marzo del 97stavano tre donne. - Quelle donne rappresentavano tre etàe tre periodi diversi; ed erano precisamente la contessa Clelia V…la contessina Ada... e donna Paolina S...
Laprima aveva settantadue anni; la seconda quarantasei; la terzadiciasette.
Èpieno di tristezza quel momento in cui si vede nell'estremadecrepitezza una creatura umanadi cui siasi fatta conoscenzaquand'era nello splendore della beltà.
Noinon abbiamo ancora potuto fare sul vero un tale esperimentoperchèbisognerebbe che avessimo almeno i nostri settant'anni; mentreinveceper sciagura nostrane siamo distanti al puntoda misurarecon ispavento la vita lunga che ancora ci rimane a percorrerese unasaetta benigna non ci viene a cogliere strada facendo. - Maoltrechè un tale esperimento lo fecero altrii quali ci hannoassicurato non esservi niente di allegronoi lo abbiamo tentatoconfrontando di una medesima persona i ritratti eseguiti a periodidistantidove si vedeva riprodotta l'immagine fresca e ridente dellacara giovinezzae le alterazioni estreme della triste vecchiaja.
Èdoloroso a vederee nel tempo stesso non è senza un certointeresse l'osservare come il tempopur non toccando l'ossatura e ildisegno di una facciala vada totalmente contraffacendoimperversando sulla liscezzasul coloresugli accessorj: -il lento processo della dissoluzioneesaminato su di una medesimafacciaè certocaro il mio gaudente lettoreche turberebbeanche la tua allegria.
Orvenendo a donna Cleliaun tale esame potevasi fare guardando il suoritratto ad olioopera del pittore Portache pendea da una paretedella salaed era lo stesso innanzi al quale abbiam vistoaddormentarsi in torbido sogno il conte colonnello V…. Ella noncontava che ventidue anni quando avea posato innanzi al pittore.Erano dunque trascorsi cinquant'anni; mezzo secolo! una piccolabagatella. Nè tuttavia potea dirsi che il tempo distruttoreavesse cavato tutto il partito possibile della sua forza crudele. Nola dissoluzione non aveva fatto miracoli; perchè i capellibianchi anche nella giovinezza per la polvere di ciproerano rimastifoltissimie le loro onde argentine scaturivano da una cuffiatagliata a foggia di camauro; i sopraccigli si erano conservati neri;bensìcome avviene nella tarda etàcresciuti infoltezza e diventati ispidiadombravano cupamente l'occhioinfossatoe imprimevano a tutta la faccia una terribilitàindescrivibile; così quella cara trasparenza del coloritochenella prima gioventùcomunica una tal quale bellezzaperfino alle tinte più aborritesi era cangiata nella rigidaopacità della cartapecora; il mento e la boccasiccomedicemmo altre voltedi linee severe e ricordanti il profilonapoleonicoma che nell'età prima avevano esercitato unfascino strano per il contrasto colle altre parti floridissime diquella bella donnaavevano raggiunta la massima angolosità.Tutto quel complesso poi di disegnodi colored'espressioned'atteggiamentoera taleche imponeva altrui un rispettoil qualesarebbe stato disgustoso e pesantese dopo il primo urto non vifosse letto il riassunto di un'intera vita di pensieridi sventure ed'affanni.
Questavegliarda severa stava seduta a lato di un tavolino sul quale eradischiuso un libro; portava gli occhiali d'ebano inforcati sul nasoetenendo alzati gli occhi al disopra delle lentiguardava fissa daqualche tempo la figlia della propria figliadella contessina Adaai freschi e leggiadri quindici anni della qualeche appena contavaallorchè la vedemmo l'ultima voltase ne erano aggiuntitrentuno; il che vuol dire chenel 97aveva quarantasei anni:età incomoda e nojosa tanto per gli uomini che per le donne;chè i primi hanno cessato di amarele seconde di essereamatemesse in discredito dai reumatismidalla gotta incipienteedall'età critica. Tuttaviase questa è la regolageneralele eccezioni non mancano; e in quanto alla contessa Adasenon avesse avuto tutt'altro per la testaben avrebbe potutosuscitare ancora qualche simpatia in coloroalmenoche perbizzarriasono capaci di anteporre le bigie giornate d'autunno e lacascata delle foglie ai soli sfacciati del giugno e del luglio. Essanella personaserbava intatta la leggiadria d'un tempoe nel voltomobilissimo aveva qualcosa che in parte nascondeva quell'età.
Anzia spiegarci meglioquel voltoper la mobilità accennataeracosì inegualeche pareva cangiare età ad ogni lieveguizzo di muscoli. Certo che non avremmo consigliato mai lacontessina Ada ad esporsi al perfido sole di mezzodìe moltomeno ai fatali riverberi di un muro tinto in giallochèallora il lavoro che il tempo aveva fatto su quella facciasaltavafuori da tutte le partie tradiva cento macchiette cutaneeequalche ruga ribelle ai lati e sotto gli occhie qualcosa come dipesto e di frollo e di sciupato nelle guancieserbanti peròsempre la giovanile pozzetta; ma tutti questi guasti scomparivanoappena un raggio propizio di luce pittorica avesse investito quelvoltoo un riflesso benefico di qualche tenda sericaazzurra orossa; omeglio di tuttoquell'albore annacquato che è inuna camera illuminata di notte da una lampada. Allora pareva quasicheper incantosi togliesse il melanconico sipario degli anniquarantaseiper iscoprire il sotto tessuto di una faccia ditrent'anni al più. Nel momento in cui l'abbiamo sorpresa perfarne la descrizionesiccome era verso seraese non c'era il solevivonon c'era nemmeno nè la luna nè la fiamma dicandelamostravasi così mezz'a mezzotra gli estremi cheabbiamo delineatoe piuttosto più vicina ai trenta che aiquaranta; perchè in quel punto era concitata dall'artee daqualche cosa di più forte ancora. Seduta innanzi alpianofortestava provando la musica della Marsigliese cheteneva aperta sul leggioe si esaltava nell'interpretazione di essa.
Maintantoche la nonna guardava come perscrutando non sappiamo checosae la mamma passava al cembalo la MarsigliesedonnaPaolinache tale era il nome della figliuola di donna Ada (non simeravigli il lettore di sentire ancora i titoli sonanti di marchesedi conte e contessa e don e donna in un tempo che i titoli di nobiltàerano stati messi inesorabilmente al bando dalla Libertà edalla così detta Eguaglianza; perchè nell'intimo dellavita domesticadal periodo della loro invenzione fino ad ogginonfurono mai sospesi nemmeno un minuto; e i servitori e le cameriere ei cocchieri hanno sempre continuato a dare del don e della donna edel conte e della contessa ai loro padroniperchè era unaquestione di pane come un'altra. Anche fuori delle pareti casalinghee anche fuori della schiera infelice delle fantesche e dei servitoripropriamente dettii servi dilettanti e devotissimi di tutto ilmondoe i pagnottisti perpetui hanno sempre continuatoanch'essi a dare i titoli a chi toccavano per diritto di blasoneanche in piazzaanche in teatro; ad una condizione perògiàs'intendeche nessuno dei democratici sfogati li sentisseroperchèle bastonature erano in vogae la prudenza e il parlare sommessoerano consigliati dalla pubblica intimidazione; e qui mettiamo ilclaudite alla parentesiche ci portò fuori affatto ditraccia)dunque donna Paolina (che così venne chiamata alfonte battesimaleperchè la nonna e la madre volleroperpetuare in essa la cara memoria di donna Paola Pietra; ed ecco unaltro claudite)donna Paolina dunqueessendo aperto unfinestrone che dava nel giardinoperchè il marzo non erafreddo e si voleva usufruttare l'ultima lucestava appoggiata ad unaspalla di essoin una posa tutta sua particolare ediremoaffattomaschileperchè aveva il tergo appoggiato a un punto del muroche non era sufficiente per concederle di star ritta in piedi; ondecolle gambe tese e i piedi puntati al basso del muro oppostosegnavauna diagonale. -
Orvenendo alla descrizione di quella fanciullavorremmo che il lettorel'avesse veduta cogli occhi proprjper capacitarsi che non ègià per amore di convenzionalismo che noi regaliamo a tutti inostri giovani personaggi una bellezza incomparabile; ma sibbeneperchè se quella fanciulla era bella veramentenon èin nostro diritto di contraffarla e peggiorarla per intento divarietà; la varietà è infinita in naturaanchesenza incomodare la scrofola e la rachitide.
Amisurarla dunquecosì a calcolo d'occhioquella fanciullapoteva essere alta come un uomo di statura regolare; ma siccome avevala testa leggera ed il collo non cortoe le mani ed i piedi piccolied una vita che si poteva stringere in due manie la vesta lungacosì potea sembrar alta fino all'eccedenza; alta e sottile elunga come una frusta; se non che le maniche di seta strettecomeallora voleva il costumerivelavano un braccio sviluppato e denso; ele sottane di levantina cheper quella strana positura di leicascando mollementeprofilavano le sue gambe teselasciavanotrapelare forme così aitantida parere un’esagerazioneper una ragazza di anni diciasette. Quando ci si permettesse ilconfrontosuggeritoci dal più gretto naturalismonoidiremmoche se coleiinvece di una fanciullafosse stata unapuledraben poteva valere i duecento mila franchi della Katinkadi Abdul Megid. Ma donna Paolinache da un pezzo stava immobilein quella strana posituraconcentratissima com'era in un pensierodi slancio si rizzò in piedie fece due o tre passiaggirandosi intorno a sèsciolta ed elastica e come snodata.
Lacontessa Adain quel puntocontinuando a provare sul cembalo laMarsiglieses'era concitata nell'esecuzionee facendo interal'emissione della voceespresse con accento verace tutta laconcitazione selvaggia di quel grido di guerra.
Lafanciulla si fermò di colpo; diede manifestamente un guizzo.Quella musicaquelle parolequel grido le avean messo addossol'inferno.
Cadutala nottesi recarono i lumi. Dopo qualche tempo venne gente inquella casae si vegliò fino oltre le undici. Tutto quantoavvenne in quelle ore per noi è affatto indifferentebensìterremo dietro a donna Paolina quandodato il bacio della nottefelice alla nonna e alla mammaprese un lumeeaccompagnata dallacamerierasi recò nella sua camera da letto.
Mutasi lasciò ravviare e intrecciare e mettere nella rete icapelli; muta lasciò che partisse insalutata la cameriera.
Doposi spogliò adagio adagiosempre fantasticando e osservandomacchinalmente il ritratto di suo padreche pendeva dalla parete dicontro al letto; il qual padrelo diremo così di fuga erimettendo le indispensabili spiegazioni e dilucidazioni ad altrotempoera il conte Achille S...ricchissimo patrizio milaneseilqualedopo essersi mangiato un lauto patrimoniofatta l'ereditàdi un secondosposò impaziente e furente di passione lacontessa Adaper amareggiare poi tosto di cento infedeltà iltalamo nuziale e la pace di quella povera donnainnamorata finoall'infelicità. Sciupato il secondo patrimoniostrano ebisbetico qual eraaveva abbandonato e casa e moglie e figliuolaedera corso a prestare i suoi servizi militari fin dal 92 nell'esercitodi Francia. - Fatta una terza ereditàaveva lasciatol'esercito; ma i parenti avendolo interdetto per prodigalitàindispettito tornò a riprendere il suo grado nell'esercito delRenodove trovavasi ancora. Più giovane della contessa Adal'avea sposatavedovo già da due volte e dopo aver fattal'infelicità di molte e molte donne; chèad onta dellasua torbida famaaveva sempre esercitato sul sesso debole un fascinoirresistibile.
Questoera il padre di donna Paolinaosservando il cui ritrattoella s'eravenuta a grado a grado spogliando. E qui i giovani lettori nonisperino una descrizionechè ci preme troppo la calma delloro sangue.
Soltantodiremo chequando mise il ginocchiooh che ginocchio!!! sul lettoa un tratto balzò giùe tratto un cassettone di unguardarobane levò.... che cosa? Un elmo con criniera;un'assisa verde coi risvolti bianchi; un pajo di calzoni di dainobianco; un pajo di stivali; una sciabola.
Maa chi appartenevano? a lei. Ma in che modo? ecco.
Nelcarnevaleal collegio dond'ella era uscita pochi mesi primas'erandate alquante rappresentazioni comiche; di quelle che un certoprofessor Ghedini Mirocleto allora scriveva apposta pei collegipress'a poco come sarebbero oggi quelle del Genuino.
Fraquelle commedieche noi abbiamo lettoe che sono d'una miseriaincomparabileesso ne aveva scritto in quel tempo una d'occasioneche s'intitolava Il dragone benefico; una bestialità inpunto e virgolama che era piaciuta alla direttrice del collegiolaquale pregò donna Paolinaallieva emeritaad assumere laparte del protagonista. La fanciulla accettòcol permessodella nonna e della mammae ottenne che le si facesse fare unvestito completo da dragone. Quando comparve sul palco scenicoabbigliata a quel modogli spettatoriche non eran tutti donneandarono in visibilio. Però donna Paolina prese maggior stimadi se stessae s'innamorò di quell'abbigliamento militare; ese ne innamorò per una ragione più pericolosa di quelloche pare. Allorchè dunque trovavasi solaed era sicura di nonessere scortasi dilettava a rivestire quelle armie se necompiaceva orgogliosamenteguardandosi nella specchiera che tenevanella camera da letto; ma pazienza fosse qui tutto! il peggio èche quel vestito le suggerì...
Apensare che una simile inezia doveva essere la cagione di conseguenzetristissimedavvero che c'è da rimanere increduli; ma nelcarnevale istesso avea visto più d'una volta il capitanoBaroggi. Oh non l'avesse mai veduto! Noi che sappiamo quel cheavvenne doponon possiamo vincere la commozione. E orao lettorefermando lo sguardo a contemplare il leggiadro spettacolo di questodragone che sta specchiandosipreparati a stupire; e se hai il donodelle lagrimeanche a piangere.


VII


Inuna tragediacelebre e mediocre nel tempo stessoperchè fuil lavoro di un giovane ignaro della mappa del cuore umanofuscritto che chi sostenne d'aver amato due voltenon ha mai amato.Queste cose si possono dire a sedici annianche a ventianche dopose la faccia di un galantuomo sia così eteroclita da stornarel'ago calamitato delle femminili beltà; ma in circostanzeordinariee allorchè e uomini e donne abbiano qualitàsufficienti da provocare e mantenere la corrente elettricaquantevoltein una vita di trent'anni ed anche di quarantala specieumana può amaresenza compromettere il vivo interesse diciascun amore! anzi noi pregheremmo gli uomini e le donne di moltaesperienzae che dalla indulgente natura sortirono delle dotiappetitosea saperci direin tutta segretezza già s'intendese non è possibile manovrare duetreanche una mezza dozzinadi amori simultaneamenteconservando il nativo galantomismoe uncuore ben fatto ead un bisognoanche poetico.
C'èuna condizione però da osservare (di questo almeno ciassicurano gli esperti)ed è che bisogna guardar bene diperdere l'equilibrio nel governo di codesti amori. Se un giorno solodi quei tre o quattro affetti che si hanno nella propriagiurisdizioneuno sorge più alto degli altri esenz'avvederceneci lasciamo andare a star con lui in troppo lungadomestichezzaalloracorrendo esso il pericolo di diventarsolitariopuò tramutarsi in quell'amore acuto al quale èpiù conveniente un posto in un trattato di patologia. Ciòpremesso veniamo ai fatti. Il capitano Geremia Baroggi avendoventitrè annied essendocome fu notatobellissimoe perdi più esercitando una professione che allora era di ultimamodae appartenendo alla cavalleriae perciò avendo ildiritto di portar gli speroniera appunto nella opportunitàdi poter manovrare la sua mezza dozzina d'amori senza turbarsicomeuna volta l'incomparabile Cocchi della compagnia Guerra guidavaimperterrito la sua mezza dozzina di cavalli bianchi a dorso nudo.Non so per che cosamaa parte anche la giovinezza e la beltàe gli altri fascinigli speroni hanno un potere irresistibile suinervi delle donnetanto maritate che zitelle. È un fattoprovatissimo chea parità di circostanzeun ufficiale difanteria passerà ai secondi posti e andrà soggetto adelle mortificazioni inaspettatese appena balzerà fuori amettersi in suo confronto un ufficiale di cavalleria. Il suonodell'arpa era indicatissimo una volta perchè i giovinetti sitrovassero bell'e innamoratisenza vedere nè la faccia nèle mani della bella incognita; ma anche il suono semplice e purodegli speroni bastò più d'una volta a far risolvere deicuori femminili a battere a favore di un ignoto che a caso passassesotto le finestre cogli stivali tintinnanti. È un fenomenostrano e d'origine arcana; ma non per questo cessa di esser vero.
Lasciandoora gli speroniè a sapere che il capitano Baroggisenza chefosse vaghegginonè vanitosonell'ultima volta che venne aMilano di presidioe fu per tre mesisi trovòsenzaaccorgersiingaggiato in tre amori che gli serrarono addosso inpochi dì l'uno dopo l'altro. Non eran moltia dir veroperla pace del cuorema siccome le donne che lo avevano inspirato eranotutte belle a perfetta vicendaed egli aveva saputo dividereequabilmente le sue ore d'ozio con ciascuna di essecosì aveavissuto felicissimo i suoi novanta giorni. Nell'ultimo mese peròs'era incontrato nella signora R...che gli penetrònon dirònel cuorema nella simpatia un po' più delle altreed eglistesso se ne accorseciò che fu un eccellente indizio. Peròquando il signor Andrea Suardi gli propose di fare una visita allacontessa A…che per turno divideva colla R... il seggio dellaregina del torneo milanesefu contentissimopresentendo che a quelmodo ei si sarebbe rimesso in equilibrio. Ma non si perde mail'equilibrio quando si sente e si vede il pericolo. L'affare bensìdiventa seriissimo allorchèfrugando così a casointorno a qualche rosaioti si ficca inavvertita una spina nel dito.Un bel giornonon si sa da che cosa dipendema la mano ègonfia e il braccio è al collo. Ora il nostro bel capitanomentre era contento di potere colla bellissima e voluttuosissimacontessa A...fintanto almeno che sarebbe rimasto a Milanofarsiscudo e riparo contro alle invasioni ognora più minacciosedella bella R...non sapeva che appunto una spina gli era penetratatra pelle e pelle pochi giorni prima.
Nelcarnevale dello stesso anno 97 si diedecome fu dettoun corso dirappresentazioni drammatiche in un collegio femminilefondatonell'anno antecedente in Milano da una dama franceseper nomeBlanchardvenuta da Parigi con fama di gran letteratadi grandesventurataperchè suo padre era stato ghigliottinato e le dilui ricchezzealmeno così ella asserivasi erano dileguatein mezzo ai furori popolari. - Quella donnacapitata inmomenti opportunivenditrice insigne di vento e di fumoenominatasi direttrice del nuovo collegioottenne di vederlo in brevepopolato dalle figliuole appartenenti alle più ricche famigliedi Milano. Parve alla maggior parte che colà potesseroricevere un'educazione più liberalepiù scioltapiùsvariatapiù conveniente insomma ai tempi nuovi. I parentistessimessisi d'accordo per giovare a quello stabilimento con lautecontribuzioniin breve gli diedero un impianto così ricco efastosoche quando trattavasi di esamidi accademiedi musicadiballopareva di trovarsi piuttosto nelle sale di un ricco pomposoche tra le pareti di una sala di educazione. Le giovani mammine viaccorrevano in gara di bellezza e di ricchezza; e col pretestodell'educazione e dell'amor maternovelate di devota incontinenzanon tutte già s'intendema alcune e non poches'ingegnavanoa piantare qualche mirto tra le innocenti ajuole di quel giardino. -Siccome poi un passo ne chiama un altrocosì la vivaceufficialità dell'esercito repubblicanoche aveva alloggio etavola presso le più facoltose case di Milanoaccompagnandoqualche volta le mammine a quei domenicali e serali ritrovitrovavano il loro conto a fermarsi colà; tanto eran fattipremurosi del buon'andamento della pubblica istruzione!
Allorchèpoi s'intavolò la storia di un corso di rappresentazionidrammatiche per la stagione di carnevalenelle sere del giovedìe della domenicariusciva un'impresa molto affannosa quella diottenere un biglietto di ingresso a quel collegio; perchè vierano poi anche rinfreschie pei brillanti ufficiali s'introdussecosì un po' per volta anche il fervido sciampagnail qualeverso mezzanotte metteva in giro un'allegria bacchica tutt'altro cheirreprensibile.
Inquel collegio v'eranocome accadegiovinette di quattordicidiquindicidi sedici anni.
Aqueste erano affidate le parti più difficili e importantidelle commedie scelte a rappresentarsi.
Lemamme di quelle giovinettenon potendo vincere nella gara muliebrele mamme delle bambine di quattro o cinque anniquantunque amasserole loro figliuolepure erano le meno assidue a quei trattenimentiserali. Oraquando le fanciulle quindicenni si trovano lontanedall'occhio della mamma e subiscono l'influsso diabolico di altriocchisonoparliamoci schiettimolto vicine all'orlo delprecipizio. Quelle ragazzenegli intermezziescivano come puledresbrigliatea precipitarsi qualche volta perfino nel giardinoperchèv'era anche il giardino.
Certoche venivano seguite e vegliate dalle governanti. Ma le governantierano o troppo vecchie o troppo giovani. Nel primo caso riuscivanolente alla corsa e un po' balorde; nel secondo caso pensavano tanto asèche dimenticavan le alunne. Queste poiper legge digalateodovevano spesso fermarsi ad ascoltar gli elogi di quelli frai più gentili intervenuti che si godevano a intrattenerle. Nona caso ci arrestiamo a lungo su queste cosee le assennate madri cicomprenderanno. Ad ogni modoanche disprezzando ciò che inqueste righe si adombra a combattere certe consuetudinidovevamo dirtutto per far vedere in che collegio donna Paolina aveva passato gliultimi diciotto mesi della sua educazionee su che palco sceniconella sua qualità d'allieva emeritaera venuta a rappresentarla parte di protagonista nel Dragone benefico del prof.Ghedini.
Richiameremoora al lettore come la prima sera che essa andò in iscenainquel costumesuscitòplasticamente considerataun talecapogirochenelle successive rappresentazioniil teatro dellaScala e della Canobbiana e di Sant'Anna e di San Martino rimaseroabbandonati dalla parte più scelta della cittadinanzae dallaparte più giovane e più brillante dell'ufficialitàdi modo che le mammine leggiadre si trovarono spostate e puntee silamentarono di avere edificato a vantaggio altrui.
DonnaCleliaallorchè nel segreto delle pareti domestiche videatitolo di provaquel diabolico angelo di diciasette anni in quelcostume provocatoreil quale faceva risaltare voluttuosamente delleformeil cui obbligo era quello di rimaner celate; protestòaltamentee disse che non ne voleva altroe che la signoradirettrice provvedesse a cambiare il protagonista. Ma la fanciullache era già stata lodata alle proveperchè possedevaun talento drammatico assai distinto; e guardandosi nello specchioquando le fu recato l'abitoscoperse di esser molto piùavvenente di quello ch'ella stessa credevadiede in taliescandescenze a sentire quel veto inatteso della nonnache lamammala nostra cara Adala quale era meno rigida di donna Cleliae aveva il suo amor proprioe sentiva la compiacenza d'aver ellastessa messo insieme quella leggiadra figuracompiacenza che era unmisto d'amor di madre e d'amor d'artista; si sentì commossaalle lagrime iraconde e agli strepiti della sua Paolina; e tantodisse e feceche la contessa Cleliacrollando la testalasciòche la cosa andasse.
Ecosì non fosse andata! I consigli dei vecchipiù chenon si credevogliono essere ascoltati. Come dicemmo adunquee peril suo talento drammaticoe per le sue qualità plastichedonna Paolina fece un tal furore (non possiamo sostituirealtre parole a questo motto convenzionale)che diventòl'idolo della platea. Allorchè poinegli intermezzielladiscendeva nell'anticamera del palco scenico a ricevere i complimentidelle mamminei cavalieri serventitanto militari che borghesisiaffollavano intorno ad essa per poter vederla da vicino.
Nonoccorre che qui ci diffondiamo in minuti particolari per mostrarecome donna Paolinaallieva emeritae le altre fanciulleadolescentiancora convitte e prigionierepotessero discenderenelle anticamere della sala che serviva di platea e ne' corridoj dovela folla si stipavae scivolassero così di contrabbando anchenel giardino. Chi ha avuto pratica di collegi e conservatorj dove ilpubblico può penetraree dove l'adolescenzatenuta insoggezione con ferule più o meno indulgentiaspiraimpazientee talvolta rivoluzionariaalla libertàsabenissimo in che modo avviene quel che non dee avveniree comespesso anche l'oculatezza la più insistente èsopraffatta dalla malizia giovanile checome un fluidoimponderabilesguiscia e fugge e va dappertutto. Nei principj delmarzo di quell'anno 1797soffiando i venti che una voltaannunziavano la primaverae che ogginon sappiamo perchèsison come involati dalle nostre spiaggequelle fanciulle chesentivano la primavera anche di gennajoper mille ragionisigodevano a recarsi di soppiatto nel giardino. Nèperchèfosse la maggiore delle altredonna Paolina si stava nascosta. Lacontessa Cleliaquando interveniva a que' trattenimentifermavasiin platea; e la nostra soave Ada si teneva dietro le sceneintenta asorvegliare la toilette delle giovinette artiste. Collalestezza adunque del contrabbandiereche misura il tempo e fiutal'ariadonna Paolinaquando le pareva il momento acconciorecavasilontana dagli occhi della mamma e della direttrice.
Nonè a dire quantosebbene innocentissimamentesiringalluzzasseallorchè una schiera di giovani le si aggiravaintorno in corona a colmarla di elogi e di motti leggiadri e diambidestre espressioniche ella non comprendeva interamentemacomprendeva abbastanza! Di quello sciampagna chenella salacorrevain giro per gli spettatori mascolinile sue compagnetrionfanti diqualche furto tentato in cucinafacevano parte a lei come amaggiorecome a protagonistae sopratutto come a dragone. Oraquella spuma gasosa le metteva nel sangue una vivacità cosìbaldacosì imperterritache le concedeva di lasciarsi andaread atti briosi e alquanto scompostie di movere in girosu quellefaccie marzialidelle occhiate affascinantie che parevanosignificar quello di cui ellapossiamo giurarlonon aveva nemmenola coscienza.
Quandoabbiamo detto che nel collegio si recavano alquanti ufficialinonabbiamo detto che vi andasse tutta la guarnigione. La fortuna dunquee il destino che spesso si mettono d'accordo per tender le reti aimortaliconcertarono fra loro di far che il Baroggi fossetragl'intervenutiil solo che appartenesse all'arma dei dragoni. Spessoun'inezia basta per avvincere due persone dell'uno e dell'altrosesso. Una serache il giovane capitano potè uscire unmomento di fazionea cui era obbligatocolla bella signora R... sirecò dove si recaron gli altri; e naturalmente si trovòanch'esso in giardino a far corona intorno al suo commilitonefemminile. Lo sguardo della fanciulla corse di preferenza all'elmodel giovine capitanoe spiritosa com'era e un po' eccitatale venne detto:
-Ecco finalmente un camerata.
-Così fosserispose il Baroggi. Sul campo di battagliacon untal cameratasarei invulnerabilechè mi proteggerebbe unangelo custode cogli stivali e cogli speroni.
Lafanciulla non risposema guardò il bel capitano con unaocchiata lenta e piena d'espressione.
Gliastantiuomini e donnea quelle parolea quell'occhiataprovaronounanimi un senso di simpatiaecosa stranale donne a favore dellafanciullagli uomini a favore del giovane soldato. Ogni sentimentod'invidia era scomparso e negli uni e nelle altrechèl'invidia non sorge se non quando spunta l'idea della gara. Bensìcorse in tutti simultaneo e concorde il giudizio: non potersi darcoppia più adatta e più attraente di quella.
Etutto finì per quella sera; donna Paolina venne chiamata dallavoce stridula della governante. Rapida s'involò da quelcrocchioguadagnando la gradinata che metteva nelle scalecon unsalto a piedi giuntiche fece risuonar gli speroni sulla pietrapercossa.
Èsingolare chenel tempo in cui il Baroggi si staccava dalle suequattro Aspasiedelle quali era pur tenerissimoper tornare allesue occupazioni militario alla manovra in piazza Castelloo allacancelleria del colonnello Landrieuxo alla scuola di maneggioeglidimenticavasi compiutamente e della primae della secondae dellealtre donne che usufruttavano in quote proporzionali il suo cuore diconvenzione; e questo avveniva anche perchèoltre allasimpatia esplicita e dichiarata e documentata di quelle quattrosignorestrada facendoe al passeggioe ne' pubblici ritrovienei teatri quotidianamenteavea occasione di compiacersi di centoaltre dichiarazionifatte cogli occhi se non col labbro. Di quellecare e bellissime signore si occupava dunque con fervidissimaespansione finchè trovavasi con loro; madopoil suopensiero rimaneva sgombro e netto come una tavola rasa. Questosalutare fenomeno era quello chead onta delle molte fatiche dicampo e di cameragli conservava quella vivacità e freschezzadi coloritoil qualeforse un quarto di secolo dopogli sarebbestato ascritto a difetto e quasi a colpa dalle donne sentimentaliche nell'Ildegonda di Grossi e nel Tu vedrai la sventuratadi Belliniappresero a mettere in voga i colori sepolcrali e latisi tubercolare. Mapur troppoil sereno non può essereperpetuo. Nella sera stessa dello spettacoloquando accompagnòa casa la signora R... nella stessa carrozza di leinon ebbe tempodi ricordarsi dell'allieva emerita. Dormì anchecom'ènaturaletranquillissimo tutta la notte; si alzò dal suoletto di casermalietofloridoraggiante e con quell'appetitomodello che può avere un giovane di ventitrè anniilquale nel trotto e nel galoppo trova il tocca e sanaindarnopromesso dalle acque ferruginose. Mache voletelettori carissimi?allorchè egli discese nel Maneggio ad assistere il sergenteistruttore di cavallerizzae prese egli stesso il frustone percomandare una ballottatanel guardare a' giovani coscrittiche duri e inerti stavano sul cavallo come fantocci inchiodati; alpari di un'apparizione diafana e vaporosa gli si presentò allamemoria la figurina leggiadra del dragone del collegio di madamaBlanchardgli si presentò alla memoria insieme col desideriodi vederla seduta in sella caracollare sotto alla di lui istruzione.Quella comparsa improvvisa assimigliò molto (volendo trattarl'amore come una malattiaconvien ricorrere a similitudiniippocratiche)assimigliò molto a quegli esantemi fatali checompajono inaspettati per significare a un povero infelice che non hapotuto involarsi all'invasione di una epidemia o di un contagio.
Percolpa adunque della sua memoria e della sua fantasiasentì ildesiderio di tornare un'altra sera al collegio di madama Blanchardecon certi sotterfugi riuscì d'andarci solo. Ma si preparòtroppo bene a quella comparsaperchè la fortuna gliarridesse. Si postò ne' corridojsi recò nelleanticameres'introdusse fino alla soglia del palco scenico sottoalla protezione di due mammine alle quali ei non dispiacevanient'affatto; andò in giardino: ma tutto fu invano; perquella sera donna Paolina non gli si mostrò che sul palcoscenico; ond'egli si partì di là rovesciato e lentotraendosi dietro il lungo squadronecome Fingallol'eroe di Ossian.Uno dei segreti perchè una ragazza si fissi in pianta stabilenella testa di un giovinottoè il non averla veduta dopo averdesiderato ed essersi tenuta in tasca la certezza di poterlarivedere. Il capitano stette dunque di malumore tutta nottestettedi perfido umore il giorno dopo... e non mancò di chiedereinformazioni e di colei e della famigliae che so io. Ma ciòche seppe non valse a rasserenarlo; perchè la quasi clausuraonde la contessa Clelia aveva circondato e sè e la figlia e lafanciulla non era molto opportuna a mettere di buon umore ungiovinotto intraprendente. Matanto era destinato l'intreccio e lacatastrofe di un dramma serioche si apprestò in que' giorniappunto la prima delle due sontuose feste da ballo che si dovevanodare nel palazzo Busca Serbelloni.
Ilnostro capitano vi andò in calzoni di spinone e incalzettine di seta; perchè il giovane Bonapartein fondo infondo alla sua ambizione fiutando già l'imperoin quel breveanno di vittorie favolosedall'irta Sparta erasi già conversoalla geniale Atenee gli scapigliati e squallidi sanculotti avevacangiati in damerini ad allettamento delle moltitudini. Ora noi nonsappiamo come sien corse le cose tra donna Clelia rigidissima e donnaAda; ma il fatto sta chein mezzo alle belle dame e alle fanciulleche sedevano intorno intorno alla sala da ballo sui bianchi sedilitrovavansi donna Ada appunto e donna Paolina. Questa anzinell'istante che il capitano Baroggi mise piede nella salastavasorgendo perchè un gentile ufficiale le porgeva la manoinvitandola ad un perigordino. Il Baroggi non la conobbe al primoperchè le vesti femminili la facevano parer diversa da quellache a lui era comparsa nella verde giubba e nei calzoni di pelle didaino; ma la ravvisò poie si ravvisarono e danzarono insiemee contradanze e perigordini e monferrinee si parlarono a lungo econcertarono...
Madriamorose e sollecitele quali vivete in timore d'ogni nonnulla chemai possa avvenire alle vostre figliuoleascoltate un nostro parere:tenetele ben lungi dalle feste da ballo. Nell'ebbrezza della danzavorticosain quel tepore cheal pari di una corrente elettricaèmandato e rimandato da corpo a corpo stretti in artistico abbracciov'è un veleno assassino che basta per intorbidare le puresorgenti dell'innocenza inconsapevole!...


VIII


Dimolte guerre e catastrofi di popoli la storia più volteregistra che la prima causa impellente è stato un bacio fattoscoccare in un cattivo momentoun'infedeltàuna gelosiaecc. Se l'incendio di Troja e l'Elena divina e il dandy Alessandronon fossero stati citati in tanti e tanti libri fino alla nojanoisaremmo capaci di citarli ancora. Peròtanto per contrapporrequalche cosa di più nuovo alla guerra di Trojasappiano gliinvestigatori delle cause primeche l'eccidio del ministro Prinache fu uno de' fatti più dolorosi e più terribili dellacittà nostraè avvenuto non per altro che perchèuna moglie non plebea ebbe un bacio fuggitivo da un amante regio. Peroggi non possiamo dire di più. Il tempo di svelare i misterifinora rispettatidi quell'orribile tragedia non è ancorgiunto; ma verràe il lettore saprà da noi cose chenemmeno sospetta. Intanto torniamo a donna Paolina ed al Baroggidalla simpatia de' quali divenuta per gradi un amore incandescentescaturiranno tali conseguenzeche non saranno certo una bagatellanemmeno per coloro che hanno passata la loro vita a contar le epochedelle rocce graniticheo ad accrescere l'elenco delle stelleo aindagar gli effetti dell'acido prussicoo a cercar un rimedioall'idrofobia.
Caradonna Paolina!!! più bella e più formidabilenelnostro concetto almenodelle stesse eroine guerriere dei nostri dueepici sovranianche noi cominciamo a sentire per te una certaaffezione; ed è invero una fortuna l'innamorarsi delle personemorteche risorgono come creazioni della nostra fantasiaperchèciò almeno non danneggia nè la nostra salutenèla nostra borsa.
Alquantepagine addietro abbiamo di gran fretta abbozzato il ritratto fisico emorale del conte Achille S...il padre di donna Paolinacollapromessa che a tempo debito ne avremmo fatto il ritrattone ad olio.Fu quella un'informazione un po' allarmantee che in coloro i qualicredono al sistema dei trapassi morali deve aver generato qualcheapprensione anche a riguardo della figliuola: Talis paterconquel che segue. Ora non possono immaginarsi quei signori con chepiacere noi vorremmo dir loro che si sono ingannati; mapur troppociò che è non si può negare. Quell'avventatezzaonde il padre aveva fatto saltare in aria due o tre patrimoniquell'impeto di sangue ondesenza badare alle conseguenzeaveafatto tutto ciò che il capriccio istantaneo gli avevasuggerito; quella spensieratezza imperterrita onde aveva abbandonatopatriacasamogliefigliuolituttipur tropposi trasfuserosebbenecon modificazioni benignenella fanciulla Paolina. Lacontessa Adacon quel suo cuore nato fatto per le profonde e ardentiaffezioniinnamoratasi al delirio di quello scavezzacollo pienodi fascinone avea riprodotte le stigmaticome si riproduce unavoglianel corponell'intellettonel cuore della figliuola.Solo in cuoreper lasciarle un impronto anche di se stessaledepose una forte sentimentalità affettiva. Della bontànon parliamoperchè (e come potrà ora crederlo illettore? ma lo vedrà a suo tempo) essa esistevasebbene infondo in fondo e sotto mille piegheanche nell'inestricabileguazzabuglio del cuore di suo padre. Ora fu con queste disposizionielementari che la fanciullarinnovando le danze fatali col capitanoBaroggi alla festa in casa Serbellonisentì per la primavolta da colui il linguaggio esplicitoardenteentusiasticodell'amorecon dichiarazioni da far girar la testa anche a unamarmotta; con promessecon propostecon insinuazioni che potevanoparer armi ed artificj e insidie perfino di un'anima corrotta eribaldase il giovane Baroggi non fosse stato in piena buona fedeeseriscaldando la fanciullanon se ne sentisse riscaldato a garaal punto da smarrire la prudenza e il senno.
Noivorremmo riprodurre per intero il dialogo di fuoco che avvenne traloro; quel dialogo vertiginoso che li trasportò in un mondofuori del mondose non avessimo fiducia nella sagace interpretazionede' nostri più giovani lettori. In conclusioneper nonperdere il tempo in eccessive chiacchiere preparatorieil Baroggiaquella festa in casa Buscadisse alla fanciulla ch'egli tra pochigiornied era veroavrebbe probabilmente dovuto partire per seguirele truppe; che non poteva o non voleva lasciarla a Milano; che s'ellasi rifiutavaeglial primo scontro in campo apertonon avrebbefatto altro che gettarsi sulle baionette nemicheper esalar l'animaa un tratto; che un'altra giovine milanesee alludeva forse alla bennota signora Scanagattaerasi fatta soldato; ed altre aveanseguiti gli sposisenza mettere in pericolo il decoro; che ildestino e la Provvidenza (che spalle grosse ha costei!) avevanomostrato a più segni di volere ciò ch'ei proponeva; cheil fatto stesso dell'avere essa un completo abito militare e dellamedesima arma in cui egli servivaera un indizio manifestoche lafortuna voleva in tutti i modi agevolar la via della fuga. Lafanciulla non avea risposto a tali parole; ma nel cuor suo presefermissima risoluzione di seguirlo in ogni modoper quanto serie nepotessero essere le conseguenze. Anzinei giorni consecutivise ilcapitano Baroggi fu assalito più e più volte da milledubbj e paureella non ebbe mai in mente altro pensiero che quellodi mettere quandochesia in esecuzione quel partito disperato.
Versola metà di marzo eran venuti di Francia nuovi battaglioni emolta cavalleriala qualedovendo partire da un giorno all'altrofu messa a serenare nei giardini pubblicicome praticarono e prima edopo e sempre quasi tutte le truppe venute qui in momenti burrascosiper passare altrove. Il capitano Baroggiper le incombenze portatedalla sua condizione d'ajutante del colonnello Landrieux dello statomaggiore di cavalleriadue o tre volte al giorno recavasi aigiardininel breve periodo che il nuovo reggimento dragoni stanziòa Milano. Passando lungo il navigliovedeva due o tre volte algiorno la fanciulla che stando continuamente alla vedetta e quasiindovinando l'ora e il puntousciva in giardino quando occorrevaspingendosi sino ad una ringhieretta mascherata di carpinila qualesi protendeva molto sul naviglioe però non era a moltadistanza dalla sponda opposta. Il Baroggi guardando il naviglio cheera asciuttoper gli spurghi chesiccome è d'antica praticavi si cominciano nel mese di marzo; e osservando chein molti puntigettandovi mattoni o ceppi grossipotevasi attraversaresenza lanecessità d'immergere nell'acqua quasi nemmen la punta deipiedi; pensò che la fuga della fanciulla tentata per quellavia non presentava nè difficoltà nè pericolo disorta. L'irresoluzione in cui da più giorni ei versavadipendeva in gran parte dall'idea delle difficoltà chenaturalmente si opponevano al suo disegno. Ora quella specie discoperta lo sollevò al puntoche stabilìrisolutissimamente di mandarlo ad effetto. Scrisse dunque allafanciulla una letterala quale come sia stata ricapitata non losappiamoperchè non si può saper tutto. Ella risposee la risposta avea qualcosa di determinatodi fierodi romanopercosì direche egli stesso ne dovette maravigliarema d'unamaraviglia che gli accese più che mai il cuore e la testa.
Aquesto punto eran le cose quando noi vedemmo per la prima volta donnaPaolina appoggiata alla spalla del finestrone della sala terrenaverso il giardinoin una posa affatto maschile. Allora ci pared'aver notato come ella fosse concentrata in gravissimi pensieri; cipare d'aver notato come si scuotesse tutta a sentir la Marsiglieseeseguita sul cembalo e cantata da sua madre. Ora dobbiamo aggiungerechedopo avere scritta quella lettera di risposta al capitanoBaroggiavea pensato di proporgli cheprima di partireprovvedessea sposarla. Codesta idea sorse in leie per quel senso profondo didecoro e di pudore che è in tutte le fanciulleancheallorquando sono esaltate e traviate dalla passione; e peresperimentare se le proteste ardentissime del Baroggi non fosseroproteste oblique e malfide. Il dubbio o il sospetto èinseparabile da qualunque passionenel soddisfacimento della qualesi ripone ogni maggior bene. Elladel rimanenteaveva sentito adire che i matrimonjsenza il consenso dei genitorierano nulli perlegge; ma avendo pur lettonon sappiamo in qual libroche in alcunicasi non è necessario il loro consensointelligente eacutissima qual'eraandò a squadernar il catalogo dei libridella biblioteca ricca e sceltaraccolta dalla dottissima contessaClelial'ex lettrice di matematica nell'archiginnasio bolognesepervedere se mai vi fossero delle opere che trattassero del matrimonio.Squadernò dunquee ne trovò più d'unae direcenti: tra l'altrele Considerazioni attribuite a don GiovanniBovara sopra l'imperial regia costituzione del giorno 16 digennaio 1783risguardante i matrimonjstampate a Milano dal Mottanel 1794; i due opuscoli dell'abate segretario GiudiciSullacivile potestà del matrimoniostampati pure a Milano inquel medesimo anno 1797; e un altro sul medesimo soggettod'ignotoautorestampato a Brescia nell'anno stesso.
Lesseavidamente quei librima per quanto ella fosse colta e intelligentequella materia mista di giurisprudenza e di teologia era alquantosuperiore alle sue forze: e tanto più che così ilBovaracome l'abate Giudici e l'anonimo di Brescia non ebbero certoin mente di scriver per le ragazze. Lesse dunque molto e capìassai pocoma per quel poco comprese che l'affare era disperato e sisentì venir freddo.
Matutt'a un tratto balzò in piedicome se avesse fatto unascopertamandando un lungo respiro di soddisfazione. Aprendol'opuscolo di Brescias'imbattè nella pagina 23dove lessequel passo che per lei era davvero un passo d'oro: - Ognunosa che il concilio di Trento volle stabilire che valido sia ilmatrimonio dei figli anche senza il consenso de' genitori. -Ciò le bastò; chiuse il libro; ripose tutti gli altrinella libreriae non ne volle saper altro; e su quel passo solitarioe sgranatocome praticano molti dotti che vogliono fondare unsistema nuovo a qualunque costoe storpiano i fatti per farli staresul loro letto di Procustefondò la sicurezza del suomatrimonio col bel capitano.
Scrisseallora al Baroggi una seconda letteranella quale metteva ilmatrimonio come indispensabile condizioneanzi come condizionepreventiva alla partenza e alla fuga. Il capitanoche ignorava ildecreto del concilio di Trentoma senza saperlosapeva benissimoche la sostanza di quel decreto non era mai stata ricevuta da nessungoverno; e recentissimamente il general Bonaparte avea promulgato lalegge del matrimonio civileper il qualeessendosi fissato ilprincipio del contrattole difficoltà erano accresciute peicontraenti; volle darsi per disperatoe tanto più che leparole della fanciullamentre pure esprimevano il turbine dellapassioneerano parole di ferro in quanto al matrimonio.
Codestoostacolo improvviso gli accrebbe la smania di riuscir nell'intento; ela tempesta fu tale in luichesapendo come il vecchio Suardipoteva dar punti al diavolorisolse di aprirsi a lui per ajuto.
Sirecò pertanto a trovarlo sull'istante; ma volle lacombinazione che entrasse nelle sue camere in malissimo punto. Controil consueto e con suo gran stuporetrovò il signor AndreaSuardi in un terribile abbattimento. Che cosa era successo? Dalsignor Andreacom'è naturalenon potè saper nulla; siritirò dunqueene chiese qualcosa ai servitorima anchequesti non sapevan nulla. Discese nello studioparlò a unoscrivano. Il Baroggida quanto colui gli dissepotèargomentare che una cattiva notizia aveva cagionata la costernazionedel Suardi; ma non potè nè saperenè indovinarequal fosse codesta notizia. Noi però non abbiamo bisogno diandare a tentone; ed ecco che cosa c'era di nuovo. Da un messovelocissimo e clandestino gli venne riferito alla mattina di quelgiornoesser caduto prigionenelle mani dei francesiil generaleaustriaco Scultzmorto poi per le ferite; il quale era il suomanutengolo nelle manovre degli appalti; chenel tempo stessodopoun'amputazioneera morto anche un ufficiale del treno franceseilqualeprima di morireavea scritto una lettera all'intendente diguerra franceseresidente ancora in Milanonella quale pareva sifacessero importanti rivelazioni sul fatto degli appalti e deiforaggi. Or vedrà il lettore che tempestoso viluppo sta perammassarsi da tutto ciò; e come il Baroggi finisse a giovareal Suardie questi al Baroggi.


IX


Ilcapitano Baroggiquando non stava in castelloalloggiavaloabbiamo già dettoin una delle case che il Suardi possedevain Milanoe spesse volte andava a pranzo da lui. Il giorno stesso incui era andato a visitare il suo protettoree contro il solitoloaveva trovato così mal dispostoricevette poco prima dipranzo un biglietto d'invito del Suardicon preghiera di nonmancare. La preghiera era superflua. Il capitano non desideravaaltro.
Inquel dì non ci furono commensali. Il Suardi e il Baroggipranzarono solil'uno in faccia dell'altro. Il signor Andrea eratornato calmo e lieto come d'ordinario; questa almeno eral'apparenza.
-Caro capitanocome vanno le faccende colla bella contessa?
-Nè benenè male; anzi piuttosto male che bene; nècolla R... vanno megliochè dice di esser gelosae minacciascandali. In conclusionesignor Andreasono abbastanza annojato delmio quadruplice impiegoe vorrei domandare la giubilazione. D'orainnanzi non voglio più saperne di tali donne. Ambizionicapriccidispettifinzioniecco ciò che ho raccolto inquesti novanta giorni di guarnigione.
-Col tuo metodo di tenerle tutte a bada in un tempo solonon sipossono che raccoglier dispetti e malumori. Credi tu che l'una nonviva in sospetto delle altree che ignori?... È un miracoloche t'abbiano sopportato fino adesso.
-Ma io non mi sono ingaggiato con nessuna... non ho nessun patto discrittura che mi obblighi piuttosto all'una che all'altra. Io vadonelle loro case come ci va un amico comune. Quanti altri ci vanno!Sarebbe bella che...
-Non voglio entrar in dispute...nè insegnarti cheoltre aipatti scrittivi sono i tacitinè convincerti che gli amantisono come gli avvocatii quali non possono simultaneamente prenderla difesa di due parti avversarie tra loro. Sarebbe uno scandalo.Oggi perògiacchè dici che vuoi domandare la tuagiubilazionedesidero che ti meriti un ben servito. Lo avrai dunqueda mema a un patto... che tu conduca questa sera stessa allaCanobbiana la cittadina contessa... (guai se i repubblicaniarrabbiati ci sentissero a mettere insieme queste due parole!); tudevi dunque recarti in sua compagnia alla Canobbianae farle tuttala tua corte... e spingerla fino all'esagerazione quando ti troveraivicino al tavoliere dove di solito il colonnello Landrieux giuocaalle carte con monsieur Chapier.
-Ma perchè tutto questo?
-Il perchè lo so io... In quanto agli scandali della signoraR...se hanno a succederelascia che succedano... Saranno essi unospediente per romperla con tutte e quattroe finirlagiacchène hai tanto desiderio.
-Il parere non è cattivo; ma tutto sta che la signora contessaabbia volontà di venire. Perchè siam sempre lì...:se si chiedenon si ottiene.
-Chi vuole può. È un proverbio che non falla. Con questoproverbio alla mano mi sono governato tutta la mia vita. Colle donnepoi è un vero tocca e sana.
-Quando sono semplici e buonepuò andare benissimo. Ma voi nonconoscete nè la A... nè la R... Non c'è nèsemplicitànè bontà vera in loro. Superbiairainvidiasono i peccati capitali che la loro gioventù ela loro bellezza e il loro ingegno e il loro spirito fanno lavorarecontinuamente a danno del prossimo e dei poveri bietoloni che hannola debolezza d'innamorarsi davvero. La R... la conosco da un pezzo...La A... la conosco da poco tempoe voi ne avete tutto il merito; mala seconda non fa che spiegare la prima e completarla. Se io so starbene in staffa con loroe se le loro signorie non mi hanno ancoramandato al diavoloè perchè non sono innamoratoedesse ben se ne accorgonoad onta delle mie parolonee speranotuttora di poter ridurmi allo stato di vittimaper abbandonarmi poidi punto in biancoe farmi cader dall'altotra le risate degliastanti e il sorriso trionfante del mio successoreil qualedopoesser rimasto in carica più o men tempofarebbe la mia finemedesimae così di successore in successorefino alladispersione della loro carne fresca e color di rosa.
-Bravo il mio capitanovedo che sei matricolato la tua parte. Ma checos'è che poco tempo fa non parlavi così?… sarebbemai...?
-Che cosa?
-Che cosache cosa... Non si comincia a prendere avversione alleamanti vecchie se non quando sottentra qualche amante nuova. Inquesto genere ho cominciato i miei esercizj a sedici anni; e men'intendo. Ma che cos'è successo? Il mio bel dragone si faserio... Or benesi può sapere o no di che si tratta?
IlSuardi insistette perchè il Baroggi si svelasse. Questi stettesodo e serio un pezzopoi si sciolse alla finee si svelò edichiarò di avere finalmente provato che cosa sia uninnamoramento. Sviluppò di poi delle teoriee volledimostrare che un giovane non può innamorarsi davvero chedelle ragazze.
Dissein appresso il nome di battesimo della fanciulla. e come l'aveaconosciuta vestita militarmente; infine mise fuori anche il casato.
IlSuardia quella rivelazionestette muto qualche tempo per la grandesorpresapoibattendosi la frontee gettandosi a sdraio suldossale della sediarimase un pezzo cogli occhi rivolti allasoffitta della sala; poi si alzò e passeggiòesclamando di tanto in tanto:
-Oh che caso! Oh che combinazione!
IlBaroggi lo guardava con meraviglia.
-Ma in fine che c'è egli di così strano? gli chiese poi.
-Ahse tu sapessi! Tu non conosci niente di tutto quello che... Ahquesta è la più curiosa di tutte le combinazioni... Vapoi tu a fischiare in teatro quando la compagnia Fabbrichesi tirecita una commedia inverosimile... Ma l'ora è tarda; e nonc'è tempo da perderee per condurre la contessa in teatroalle ottobisogna cominciare a corteggiarla due ore prima. Vadunquecapitanova e sbrigatie fa di non mancare perchè...
Proferendoqueste parole il Suardi si era fatto seriochè davverol'impaccio in cui si trovava non era tale da passarci sopra ridendo.
IlBaroggiche avrebbe voluto continuare a manifestare al signor Andreai proprj pianiein propositodomandargli dei consigli e degliajutidovette tacere per forzarimettere ad altro giorno il seguitodel discorsocingersi tosto lo squadronee prendere il caffèstando in piediperchè il Suardi era diventato persinostucchevole nel raccomandargli di far presto e d'andare.
Suonavanole ore sei quando il capitano uscì per recarsi difilato incasa A...
Ilcostume d'andare a tavola alle ore quattroper quella classe dicittadini che non mangia più di tre piatti; alle cinque perquella classe di negozianti e di pubblici funzionarj che hannoquattro piatti oltre la frutta e formaggio e la bottiglia dicontrafforto; alle sei per gli uomini altolocati e i milionarjpatrizj che hanno piatti senza numero fissoe che studiano lageografia coi viniè un portato del nostro secolo. Negliultimi anni del secolo passato v'era tuttora nelle case popolane laconsuetudine del pranzo a mezzodìe della merendae dellacena.
Soltantonelle classi distintela rivoluzione - che non era penetratanel resto - penetrò invece nell'orario del pranzo.Questo però non avea oltrepassato ancora le ore quattro.Vogliamo dire con ciòche quando il capitano fu annunziato incasa A...la dea del loco co' semidei e le semidee commensali eranogià tutti assisi nel salone del chilo a sorseggiare il caffè.
Allorchèil capitano fu annunciato nella salale sedie degli adoratoriestaticidegli incensatori mutie degli adulatori ciarlieriche insemicerchio concentrico stavano intorno al seggiolone aurato dellabellissima e voluttuosissima deasi ritirarono tutte come sedipendessero dall'impulso di un unico congegno. Allorchè unabella donnavenuta in gran voga ed a cui si convergono tutte lebussole dei navigatori avventurosiha scelto un predilettocostui èriguardato comunemente come il padrone di casa; è piùrispettato o più abborrito del marito medesimoa secondadegli umoridelle condizionidegli affettidelle aspirazionidiverse. Che il Baroggi fosse divenuto tale da pochi giorniera lacertezza di quegli astantie fu il motivo onde tuttiper un motomacchinalesi ritrassero non senza bestemmiarlo in segreto.Spessissime volte capita chein circostanze consimiliquando ilfavorito vien scelto da una bella signoratutti gli adoratori chehanno inoltrato il loro ricorso e che hanno vissuto in isperanza perqualche tempodileguano in massacome le rondini in autunno. Oraquesto fatto non si verificò nel caso del nostro Baroggiperchè tutti sapevano che fra pochi giorni essovolere o nonvolereavrebbe dovuto andarsene al campoe che probabilmente potevaessere portato via da una cannonata. Per quanto quegli adoratorifossero in fondo giovani non perversituttaviasiccome eranogiovani e pretendentinon potevano veder di buon occhio chi aveatali qualità da costringerlisul loro terrenoa una perpetuaritirata. Paganini era l'idolo del pubblicoma non dei suonatori diviolino. La Malibranquando morìfece piangere in palesemaridere in segreto tutte le prime donne assolute che viaggiavano collacarrozza propria. La speranza adunque che quel Ganimede stivalatopotesse essere involato al mondo da una palla micidialesenzaricorrere nè all'aquilanè a Giovefece sì chei signorii quali allargarono il cerchio de' sedili allorchècomparve il Barogginon solo non avessero abbandonata la casamaaccogliessero anche con sorrisi e complimenti il bel capitano. Inquanto alla contessa A…non ostante cheper la qualitàspeciale del suo sanguesi trovasse benissimo tra tanti beigiovinotti traspiranti desiderio e ardorenon potè a meno discuotersi tutta nel sentire la voce e nel veder quella per lei tantoattraente figura del Baroggi. Il nostro amico Bruniche fu sempre ungran fisionomista e che per gli occhi vedeva i cuorici ebbe a diretante voltea proposito di quella contessala quale fece parlartanto di sè che egli non la vide nè primanèdopo a comportarsi verso altri amanti (di cui la listapur tropporiuscì innumerevole) con quella speciale e delicata deferenzaondepel breve tempo ch'egli potè esserne spettatoresicomportò col Baroggi. - «Si vedevariportiamo leprecise sue paroleche quella era stata una simpatia invincibile eingenuatanto che se il capitano non le fosse stato tolto dallecircostanzela cronaca scandalosa non avrebbe avuto a empir tantepagine.» Però da quello che il Baroggi ebbe a dire sulconto di essa al Suardisi vede che eglio non la seppe conoscereo fu ingiusto seco; l'ardente passione per donna Paolinanon sologli rese uggiose le pratiche vecchiema superficiali e insipide lerelazioni nuove.
Diciamoquesto perchè vorremmo che nel giudicare gli uomini e ledonnesegnatamente quando si tratta di trascorsie debolezzeepeccatiche non intaccano nè la vitanè la borsa delprossimosi facesse sempre uso di una certa indulgenza. - Maè assai probabile che la bella e spiritosa e ardente figliuoladel marchese F...se invece dello sposoche il padre fatto bigottole mise innanzi come un medicinaleavesse trovato un giovane chenell'insieme avesse arieggiato il Baroggicon quel corredoagro dolce di qualità intellettuali che valgono a tenerein freno una signorina facile ai capogiri ed a renderla invulnerabilealle tentazioniella non avrebbe forse cercato altroe sarebbestata una donna esemplare.
Maper lasciare la moralità in paceil bel dragone si mise inprima a sederepoidovendo rispondere a cento domande che lerivolse la contessafu costretto a piegare la testa verso di lei;poipiegando la contessa la propria per dirgli qualche cosa insegretocontro le prime regole fondamentali del galateole duepersoneche si trovavano fra lei e il Baroggidovettero alzarsi perforzae avviare la conversazione in un altro crocchio; esempio chel'uno dopo l'altrotutti imitaronomaledicendo l'importuno e ancheodiando un po' quella capricciosa donnache non temeva di farsiscorgere da tutti. Il Baroggifinchè stava con leitanto eraaffascinante quell'atmosfera ond'ella avvolgeva chi le stava pressosebbene pensasse a troncare ogni relazione con la contessapure nonpoteva a meno di cercare quelle espressioni e quelle parole chepiaciono tanto alle donne innamoratee alle quali esse danno qualchevolta l'importanza di un contratto firmato. Or avendo parlato in modoche la contessa se ne sentisse tutta quanta inzuccherataella nonpensò un momento solo a stare in sulle ripulse quand'ei lapregò a voler permettere che per quella sera l'accompagnassein teatro.
-Che cosa dirà la cittadina R...? gli chiese peròla contessasorridendo.
-Pensi pure e dica quello che vuole.
-Il cittadino R... e il general Lechi sono tornati a Milano.
-Da quando?
-Come? non lo sapete?
-Davvero che non so nulla.
-Non è una bugia questa?
-Da soldato d'onore torno a ripetere che non so nulla.
-Quand'è così... - e qui lasciando in sospeso ildiscorsogirò l'occhio nella sala sui varj gruppi di personeche lontani da loro due attendevano a ciarlare; e visto che nessunoguardavacolse il puntoe di volo gli dette un bacio.
Lagrazial'incantol'abbandono pieno di ingenuità insieme e dimaliziaonde la contessa mise la sua bocca di rose sui baffi deldragoneavrebbero messo il disordine nella sistole e nella diastoledi qualunque cuorefosse stato anche quello di un protocollista; chèquel baciomesso all'astaavrebbe potuto salire a un prezzofavoloso. Pure il Baroggi ne arrossì senza contento.
Quelbaciodel rimanentenell'intenzione della bella contessadovevaessere un premio. - Ella aveva creduto in principio che ilBaroggi le si fosse profferto ad accompagnarla in teatro pervendicarsi della cittadina R…che la pubblica maldicenzapretendeva avere avuto qualche tresca col general Lechied essereper rinnovarla ora che il generale da Brescia era venuto a Milano. -Conosciuto pertanto che il Baroggi non ne sapeva nullae non avevasecondi finigli volle attestare la propria gratitudine.
Questecoserelle ci rivelano che la contessa faceva proprio da senno.Peccatotorniamo a ripeterloche il bel dragone fosse tiratoaltrove!
Mal'ora d'andare al teatro venne presto; la carrozza fu in un momentoin contrada Larga. Al palchetto della prima fila la contessa e ildragone s'affacciarono nel punto che il telone s'alzava. -Tutte le teste che erano in platea e nei palchetticol movimentosimultaneo di un battaglione che faccia l'esercizio si voltaronoissofatto per vederla. - Ma appena comparve il dragonecomequando ne' campi si levan gl'incastriche tosto si sente il fremitoe il mormorio delle acque irrigatriciproruppero in chiacchierelespiritose invenzionile congetturei sospettile calunnielequali s'intrecciarono poi in mille combinazioni e varianti quando funotato che il signor Andrea Suardi era entrato in palchettoanch'esso: il signor Andreache in quella seracome il Beltrame delRoberto il Diavolo lavorava colle occulte sue armi perspingere tutti a perdizionese ci fosse stato il bisognoondesalvare se stesso.
Allorchèdopo l'intermezzoil pubblico si rimise a sedere per vedere ilballoche non era più quello del Papa; la contessaA... e il capitano Baroggi erano usciti dal loro palchettocircostanza comunissimache non fece nè freddonècaldo. - E il ballo andò fin quasi alla fine; quandonel momento che la coppia danzante stava facendo le sue pose digraziala platea fu tutta in scompiglio. Quelli che stavano in piedifuron visti uscire repentinamente; i seduti si alzarono per domandaredi che si trattasse; corsero voci diverse; si parlò di unalterco avvenuto in ridotto. La coppia danzante cessò i suoivaghi giri; tacque l'orchestra.


X


Gliscellerati per vocazione e per artei quali di ogni cosa si fannoun'arme per raggiungere i proprj intentispesse volte nella raccoltadei mezzi somigliano a quella classe speciale d'avari che sono avididell'oro e lo accumulano affannosamentenon perchè aminol'oro in se stessoma perchè temono sempre di essere sorpresida improvvisi bisognie però non vogliono lasciarsi coglieresprovvisti. Il vecchio Suardinella sua speciale condizioneassimigliava a questi avari. Nel dubbio che i suoi disegniincontrassero ostacolinel sospetto anche lontanissimo che un uomopotesse diventare un suo oppositoresubito pensava agli schermialle ritiratealle armi di difesa e d'offesacome se il suosospetto si fosse già avveratoe se il suo possibile nemicolo avesse già colpito. Al pari di un feudatario del medio evoasserragliava il proprio castello anche allorquando non gli era postol'assedio da nessunoma soltanto nel timore che ciò potessesuccedere. Allorchènelle faccende degli appalti per l'armatarepubblicanasi trovò la prima volta a contatto conmonsieur Chapiercomprese che con quell'uomo non avrebbe mai potutotrovarsi d'accordoe pensò tosto ai mezzi di potereall'occorrenzadisfarsi di quel francese. Ne studiò l'indolee le debolezze; studiò le relazioni in cui trovavasi con altriuomini; in che grado fosse rispettatoamatoodiato; su questeosservazioni abbozzò i proprj disegniche modificòperfezionò o cangiò addirittura a seconda dellecircostanze sorvenienti.
Inprincipioappena ebbe fatta la conoscenza del colonnello Landrieuxpensò se mai fosse stato possibile di far le parti di Creontetra il colonnello e l'intendenteper suscitare tra di loro una taleavversioneche l'uno dei dueo l'uno e l'altro insiemepotesseroandar colle gambe in aria; s'accorse però presto che delLandrieuxper quell'affare specialenon c'era da cavare nessunpartito; onde se lo tenne buono per qualche altra cosae lasciòandare. In appresso s'avvide che monsieur Chapiercon cui la naturaper ciò che riguarda l'avvenenzanon era stata corteseguardava di pessimo occhio i bei giovinottie all'uopo anche nesparlava e li metteva in dileggio. A questa scoperta presto ne tennedietro un'altra; e fu che monsieur Chapier andava perduto dietro albel sessoeper quanto parevacon tanto maggior fervore quanto piùera implacabile il loro gelo a suo riguardo; e che durante ilcarnevale avea tentato ogni sforzo per rendersi amabilevale a direavea tentato l'impossibile; e che si era in sul serio riscaldata latesta quando vide quel portento di bellezza che era la contessa A...Indida certe contrazioni di muscoli e da certi sguardi obliqui chel'intendente gittò sul capitano Baroggiuna sera che nellaplatea della Scala gli era passato innanzipotè indovinarech'ei lo avrebbe voluto piuttosto morto che vivo. Gli uominidisgraziati colle donne portano un'avversione singolarissima a quelliche ne sono la calamita. Su questi dati adunque il signor AndreaSuardi fece i suoi calcoliin conseguenza dei quali approfittòdell'amabile invito della bella contessa per mandarle tosto ilcapitanoavviare tra loro un amore qualunquee farlo luccicare poisugli occhi dello Chapiercon quell'insistenza onde il monellopersecutore spinge al suicidio l'improvvido merlotormentandolosenza posa coi raggi del sole raccolti nello specchietto. Il Baroggifu per ciò messo da lui al posto dove il Landrieux non avrebbesaputo far nulla; fu da lui messo a quel posto coll'intento onde unpiantatore americano mette il generoso cane di Terra Nuova sulsentiero dov'è la traccia del leopardo o del giaguaroperaver tempo di porre sè stesso in salvodato un repentinoassaltoe senza pigliarsi gran pensiero del pericolo del canefedele.
IlSuardi aveva preso a proteggere il povero figliuolo del disgraziatoBaroggi; lo aveva fatto educare senza risparmi; aveva sentito esentiva per lui qualche affezioneche in certi momenti diventavaanche caldissima. Ma egli era avvezzo a sagrificare tutto ai proprjfini; avrebbe sagrificato anche i figlise ne avesse avuti; onde nonvi poteva essere un'eccezione nemmeno pel Baroggi. Se non c'era lanecessità di adoprarlolo risparmiava ed era contento; ma sela necessità facevasi imperiosasentivasi disposto adimmolarlo freddamentee addio affezioni. Nella categoria degliuomini belve il Suardi poteva essere qualificato come il leone messoa raffronto col tigre: il primo divora per fame; il secondo perrabbia e voluttà di strage.
Oratornando al teatro della Canobbianala contessa A... assaporòa lungo il piacere di sedere in palco dirimpetto al bel capitano; chètutte le donne che fanno all'amore per passione e per diportoesultano nel mostrare al mondoquasi in atto di trionfol'ultimaloro conquista: in ciò non molto dissimili dai fanciulli checon giubilo fanno vedere a tutti l'ultimo loro giocattolo. Ragionvolle però cheuscendo dal palchettodove erano entratialtri aspirantilasciasse lo strenuo dragone per farsi accompagnareda loro in Ridotto dovedi quel temposi raccoglieva il fiore dellacittadinanzae doveanche dopo finito lo spettacolo teatralesiprolungavano sino ad ora tardissima la conversazione e il giuoco.
IlSuardicolto il momento che il Baroggi fu sololo prese sotto ilbraccioe così gli disse:
-Caro Geremiac'è un originale di francese al quale ènecessario che tu dia una lezione piuttosto grave.
­-È borghese o soldato?
-È un anfibio.
-Come un anfibio?
-Voglio dire che veste la monturama quando gli altri si fannoammazzareegli conta i denari e prepara i pacchi per le truppe. Èun intendente.
-Ahahmonsieur Chapier. Lo conosco benissimo. Al teatro di S.Martino c'è uno scimiotto vestito da generale che sulla cordava dal palco scenico alla soffittail quale sembra suo fratellogemello. Ha la debolezza di voler piacere alle donne. Oh... loconosco benissimo.
-Che tu lo conosca va bene; ma va male che egli sparli di te.
-Come fa a sparlare di mese io non gli ho mai tôrto uncapello?...
-Ha sparlato di te e ha sparlato di lei...
-Di lei? di chi?
-Della contessas'intende. Ha detto che la contessa paga gli amantie che ti...
Quiil Baroggi mandò un'esclamazione che si sarebbe sviluppata inun fremito ferinose il Suardi non lo avesse frenato.
-Che cosa gridimatto? Lascia gridar chi è sporco. Piuttostova a pigliar quel furfante pel collo e…
IlBaroggisenza rispondereaveva già saltato tre gradini. IlSuardi lo trattenne ancora.
-Ma dove corrise non sai nemmeno dov'egli si trova?
-Sarà in Ridottocome al solito. Eppoidovunque ei si fossecacciatolo troverò io in ogni modo.
-Chi ha fretta va adagiochi vuol vendicarsi manda giù l'ira esi arma di sorrisi. Non occorre che a un soldato tuo pari io dia deisuggerimenti; ma colui non deve sentire dalla tua bocca la cagionedel tuo sdegno. Sopratutto che il nome della contessa sia rispettatocol silenzio. Sorridendo gli si va vicino e lo si guardacome adirgli: Mi fai ridere e mi fai compassione nel tempo stesso; se nons'accorgesi torna da capo; se non bastapassando vicino allasediagli s'urta dentro; se non basta ancoragli si pesta un piedein guisa da fargli comprendere che non è stato uno sbaglio.Già quando un cane guarda un gattonon occorronoraccomandazioni per farli venire alle prese. Il resto vien da sè.
Quelche il Suardi aveva dettoera il vero. Monsieur Chapier avevainfattimomenti primasparlato del Baroggi a quel modo che furiferito. Il Suardiche stette in sull'ale tutta la sera per nonlasciar sfuggir nullasapute quelle ingiuriecorse a farlefruttaree fruttarono infatti più di quello che si sarebbepensato. Il Baroggi quando salì in Ridottotraspirando ira datutti i porinon disse nulla; mapassando vicino alla sedia dov'eramonsieur Chapierla urtò di tantoche spostandola un buontrattoil Francese sarebbe cadutose un ufficiale non l'avessepreso tra le braccia. È inutile il dire che gl'insultiscoppiarono senza farsi aspettare. Tutto il Ridotto fu sottosopraela prova delle armi sarebbesi fatta là issofattose non sifossero intromessi ufficiali e cittadini a metter pace pel momentoea trasportar la questione sul terreno del così detto onore.
Lecose erano a tal punto quando la platea sorse tutta quanta.


XI


Nonoccorre l'aggiungereche il pubblicoaddensatosi nell'atrio delteatroperchè la notizia del fiero alterco dalle sale delRidotto in un baleno avea disceso le scalecome seppe le cagioni esentì che gli effetti si erano risolti in un duello dadefinirsi all'alba del dì prossimoa poco a poco si diradòperchènon passando quasi giorno senza qualche duello traborghesi e soldatitra Italiani e Francesivi aveva fatto l'abito enon ci annetteva moltissima importanza. Ma se non ci annettevaimportanza il pubblico indifferentenell'eccesso medesimo della suaperpetua curiositàben v'era chi doveva sentire tutta lagravezza di quel doloroso incidente.
Ilsignor Giocondo Bruni abitava in una casa nella contrada della Spigaalla distanza di tre porte dalla casa S... Orasiccome egli eraamicissimo di donna Clelia e donna Adaper quello che sa il lettore;anzi tutti i venerdìquand'era a Milanoandava a pranzo daloro; così per appagare un desiderio di quelle due donnequando si rincasava un po' per tempoentrava prima a visitarleperdar loro le ultime notizie della giornataquelle segnatamente chevenivano dal campoe che egli raccoglieva dalla fonte meno incertadei capi militari coi quali trovavasi in teatro. Quella sera adunquedell'alterco avvenuto tra il Baroggi e l'intendente di guerrailsignor Bruni verso le undici ore entrò un momento in casaS...e passato nella sala a terrenosenza nemmeno sedersiperchèera un po' tardi per le consuetudini di quella casaraccontòalla contessa che il generale Massena aveva ottenuto una vittoria aRaibelfacendo prigioni 4000 soldati con quattro generalietogliendo al nemico 25 cannoni; che Bonapartecongiuntosi conJoubertera entrato vittorioso a Klagenfurt; che a Brescia erascoppiata la rivoluzionee che il conte Lechivenuto a Milano divoloera partito a precipizio. In ultimo poiquando era giàin sulle mosse per partireraccontò l'affare dell'alterco trail capitano Baroggi e monsieur Chapieraggiungendo come essiall'alba sarebbero venuti alla prova delle armi fuori del Portello dipiazza Castelloluogo da più mesi diventato famoso pei nonpochi uomini lasciati colà sul terreno morti di punta e ditaglio.
-Ma si sa almeno la causa di quest'alterco? chiese donna Ada.
-La causa? è presto domandata la causa; ma chi ne dice unachiun'altra. I più però pretendono che sia statogiàè sempre lì che si cascaper cose d'amore e digelosia.
DonnaPaolinache da molti giorni e da molte nottinon avendo in menteche un oggetto soloe non ruminando che un disegno unicoeradiventata indifferente a tuttosi sentì spezzare il cuore aquell'ultima notizia; e certamente donna Clelia si sarebbe accorta diqualche cosase la fanciullaalzatasi un momento primanon fossestata per uscir di cameraquando il signor Bruni nominò ilcapitano Baroggi. Si scosse dunque tutta e si fermò a quelnome e stette ad ascoltare il resto.
-Non si sa benecontinuava il signor Giocondoma egli è da unmese che il Baroggi sta sempre in palco al parapetto colla signoraR...; ma questa sera cambiò bandiera e passò sotto agliordini della contessa A…seppure è veroperchèil pubblico fa presto a parlare. Monsieur Chapierche s'èmesso in testa di poter piacere alla contessasi lasciòandare a dir non so che ingiurie contro il Baroggi; e questisaputala cosanon si fece aspettare in Ridottoe per non farsi scorgerediede un calcio nella sedia dov'era monsieur Chapieril qualesarebbe caduto stramazzonese altri non lo teneva sollevato. Ilfatto è tutto qui... Ma domani uno dei due o saràmortoo penserà a guarire.
DonnaPaolina uscì di là precipitosasi chiuse nella propriacamerasi lasciò cadere sul letto colla testa volta in giùsulle coltriversò lagrime d'iraconda angoscia.
Lamamma entrò a vederla un'ora dopo.
-Che cosa fai qui?... le dissee perchè ci hai lasciate senzauna parola?
DonnaPaolina finse di svegliarsi allorae:
-Avevo sonnorispose; poi si alzò e gettò le braccia alcollo di sua madree la baciò forte.
Adafece altrettantoinconsapevole di quel che la figliuola avevadeterminatoe lasciolla colla buona notte.
Mache divisamento aveva fatto donna Paolina in quell'ora didisperazione e di lagrime?... Nientemeno che d'uscire di casa inquella notte medesimatravestita da dragoneper cercare delcapitano Baroggi e parlargli. La notizia del duello le aveva in primamesso nell'animo un dolore pieno di paura e di pietà; poi inomi della R... e della contessa A... le sollevarono nel sangue unaprocella nuovauna procella di sospetti e di gelosie. Quelle donnele conosceva da tempo; ma allora per la prima volta le suonaronoall'orecchio come due nemiche; cheper essepotè credere cheil capitano Baroggi fosse un traditore scelleratonon intento che asorprendere al varco l'inesperienza che non si guarda. L'idea cheforse il giorno dopo esso poteva rimanere uccisoo feritogravementein modo che ella avrebbe dovuto aspettare a vederlo Diosa fin quando; l'idea che essendo eglicom'ella pur non volendosospettavaun traditore di donne per indole e per abitudinepotessemai approfittare di quella circostanza del duello per partir subitoe addio promesse e impegni e giuramenti; tutti questi pensierilavoravano siffattamente sulla di lei fibra eccitabilissima efremebonda chese in quella notte non avesse potuto vedere ilcapitano e sentire da lui ogni cosaforse poteva correr pericolo dismarrir la ragione. Per lei dunque non esistevano più nèostacolinè riguardinè paure di conseguenze funeste.Inoltre è da aggiungere chea cagione della torbida eprocellosa vita che suo padreil conte S...avea sempre condottosin tanto che stette a Milano in casa propriae a cagione delleinqualificabili di lui stranezzeche soltanto quell'angelo soave didonna Ada aveva potuto sopportare; si pensò fin quasi dallefasce di far educare altrove la fanciulla. Avendo ella dunque vissutopiù di quindici anni lontana dalle pareti domestiche e dallecure maternee l'educazione cominciata fuori di casa essendosidovuta compire fuori di casadonna Paolina stava da troppo pocotempo presso la mamma e la nonna. Certo che il germe dell'amorfigliale c'era tuttoma non aveva potuto diventare adulto e forte etenace a segno che fosse superiore ad ogni altra passione. La colpanon era di nessunonon era che della maledetta fatalitàdicui la vittima prima aveva ad essere donna Paolina appunto.
Ortornando al momento in cui ci troviamoella aspettò che lacasa fosse tutta nella più profonda quiete del sonno; poi uscìad esplorar la notte all'esterno; discese nella consueta sala terrenae leggerissimamente aprì le imposte del finestrone che mettevanel giardino.
Entròin quello; andò a guardare se il fondo del naviglio eratuttora asciutto: lo era in fatti. Diede un'occhiata all'ingironeigiardini attiguialle' finestre ed ai terrazzi delle case vicineper accertarsi se tutto fosse perfettamente in riposoe se nessunovegliando a quell'orapotesse vedere e notare e riferire. Alloraprese una breve scala a manodi cui in que' dì aveva fattouso il giardiniere per potar le piantela calò fuori delparapettofino a toccar il fondo del naviglio stesso; poi risalìprestissima nella propria stanza.
Làin tutta frettachè l'impazienza e la fibra tutta convulsa edesaltata non le concedevan riposovestì i calzoni di pellemise gli stivaliinfilò l'assisasi cinse lo squadronesicalcò l'elmo in testaprese poi dodici zecchini di Veneziache erano il suo peculio d'avanzoe ridiscese. Quando fu alparapetto del giardinosi fermò perplessa; era il primodubbio che l'assaliva; ma fu anche l'ultimo. Lestissima venne albasso esplorò il fondo del naviglio dov'era piùasciutto; lo attraversòtraendo seco la scala a mano;appoggiò la scala alla riva opposta; fu tosto sulla stradache percorse di fugafinchè giunse agli archi di porta Nuova;di là in un attimo fu in piazza Castello. Sapeva che daqualche giorno il Baroggiper le incumbenze derivategli dalle nuovetruppe venutealloggiava appunto in Castello. Questo nel 1797 nonera ridotto in istato di casermaquale si vede oggidì; macome ognuno può osservare nelle vecchie piante di Milanoeratutt'all'intorno circondato da costruzioni fortiliziein modo dapresentare cogli ultimi rivellini la consueta forma stellare. Conquelle fortificazioni estreme arrivavadalla parte della cittàfin quasi alle case che gli stanno di fianco e dirimpetto. -Ai cittadini era conteso l'ingressosalvo che non avessero unalicenza del comandanteo entrassero accompagnati dagli ufficiali chevi avevano stanza. Ad onta degli ordininon v'erano rigori di sortaperchè ai molti ufficiali che alloggiavano colàe siritiravano ad ora assai tardapremeva che così fosse. Peròquando donna Paolinaprotetta dalla divisa di dragonerispose alchi va là delle sentinellequeste la lasciarono andar avanti.- Altri soldati stavano di custodia alla porta d'ingressocompresogià s'intendeil sergente d'ispezioneche aveva laconsegna del posto e i diritti e gli obblighi inerenti. I fortidolori e le passioni forticome tutte le escandescenze nervosecomunicano agli uomini una specie di coraggio spensierato e ciecoinfaccia al quale non v'è nulla d'impossibile. Donna Paolinatrovavasi in questa condizione; ondecome aveva risposto allasentinellasi presentò anche al sergente. Si presentòe gli chiese in francese del capitano Baroggi. Il sergente si alzòla squadrò così in di grosso al lume del fanale cherischiarava fiocamente l'androne; poi la osservò più alminutoirradiandola colla fiamma della lanterna cieca ch'ei presedalla panca ov'era posatae che gli serviva per le ispezionispeciali. Tra i soldati adolescenti ve n'era più d’unochenon avendo ancor messo barbaavrebbe potuto arieggiare lagentilezza femminile; ma la bellezza di donna Paolina era di ungenere troppo elevato per mentire la figura di un giovane. -Quel sergente poi sembra che avesse fatto l'occhio praticopoichèdisse tra sè (egli era italiano): «Se c'è un capofinoè di legge che vada a cascar nelle mani di colui.»Forse egli aveva saputo qualche cosa della contessa A... e dellaR...e a questi pensieri avrebbe fatto seguire altre parole e altredomande; ma il rispetto pel capitano lo teneva in soggezioneondecon tutto il garbo di cui era capacee che in tale circostanza eraaccresciuto da quella naturale raccomandazione che di sèmedesima suol fare la beltà e la giovinezzadetto alcaporale: Bada e sta attento- si profferse ad accompagnareil bel dragoneprotendendogli innanzi con più che soldatescacortesia la lanterna per illuminargli il bujo cammino che dovevafare.
Quandocolui fu nel secondo cortilefermatosi sotto alla terrazzadomandòad alta voce il capitano. Venne un'ordinanza in sua vecea vederechi fosse; poi uscì il Baroggi stessoancora compiutamentevestito.
-Chi è lì? domandò.
-Sono il cittadino S...rispose donna Paolina. Scendete subito.
IlBaroggi trasalìma tacque e discese. Quantunque fosse lungile mille miglia dall'aspettarsi una tal visitapure conobbe la vocee si appose; e tutto tramescolato venne abbassoe si avvicinòalla fanciulla travestita.
Quelgiovane e prode soldatosebbene indurito dalla milizia e derisored'ogni pericolopur tremava come una foglia e la voce gli uscìfioca quando ingiunse all'ordinanza ed al sergente di andar pei fattiloro: tanto era commosso!
Ildialogo che seguì fu breve e rotto ealle prime inchiestepieno di fremente orgoglio per parte della fanciulla. Ma i modi delgiovanema le sue parolema le promesse da esso a lei rinnovatesciolsero quell'orgoglio in un pianto dirotto. Ellaabbracciata dalgiovane soldatodi cui l'impeto della tenerezza comunicava qualcosadi santo pur a quell'atto di eccessiva confidenzagli appoggiòsugli spallini le sue mani bianche e minuteinchinando sul di luipetto affannato il caro capo coperto dall'elmo.
Laprospettiva del vetusto Castello faceva pittorico fondo a quelgruppoche parea riprodurre le fantasiose avventure del cavallerescomedio evo.
Ilsilenzio della notte era profondo. Nè i due giovani lointerrompevanoassorti come erano in un entusiasmo particolarechericeveva la sua esaltazione dalle paure stesse dell'avvenire.
Allafine il capitano si scossee guardando al cielo e passando la manosulla fronte:
-Ora che si fa? disse. All'alba io devo battermi e tu?…
-Io aspetterò lì pressorispose la fanciulla; se tumuoriio morirò; se tu rimani feritoti assisterò. Ilmio destino è questo e deve esser questo.
IlBaroggicommosso a tali paroleed abbracciando onestamente lafanciulla:
-Non moriròdissenon è possibile; tu sei il mioangelo tutelareed io tengo sicuri i miei colpi. Ma ora dimmi: v'èqualche personaqualche donna pietosaqualche uomo d'autoritàe di sennoche entri qualche volta nei consigli della tua famiglia;che sia richiesto ed ascoltatoe in cui la madre tua riponga interala sua confidenza?
Lafanciulla sentì un colpo inaspettato a quel nome di madredella qualepur troppoda qualche ora viveva smemorata. Ma quantofu lunga la dimenticanzaaltrettanto fu cruda la fitta delrisovvenirsenee:
-Povera madre mia! esclamò.
Estette mutae in quell'atto di chi cerca e non trova un rimedio auna gran sciagura.
Edi lì a poco:
-Che cosa dicevi tu? soggiunse. Io conosco molte persone amicissime dicasa; ma perchè domandi questo?
-Perché qualcuna di esse potrebbe metter riparo a tutto.
-E in che modo?
-Il modo lo so io.
Alloradonna Paolina nominò molte persone; nominòfral'altredonna Gaetana Agnese; la contessa del Grillo; la duchessadel Sesto; l'avvocato Strigelliecc.ecc.; in ultimo nominòanche il nostro amico Giocondo Bruni. A questo anzi si fermònotando che esso abitava nella medesima contrada della Spigaa dueporte dalla propria casae soggiungendo altri particolari.
Naturalmenteil capitano Baroggi mise gli occhi sull'ultimo nominatoe disse:
-Senticarahai tu coraggio?
-Tu l'hai veduto.
-Ti basterebbe l'animo di fermarti qui fin ch'io ritorno?
DonnaPaolina lo guardò dubitosa...
-Non ci vuole che il tempo di far la strada... Ora sono le quattro...Io volo da questo amico di casa tua... Giacchè dici che èuomo da gettarsegli in braccio interamente... gli dico tutto... edegli s'incaricherà del resto. Speriamo; forse il partitodisperato che hai preso fu un'ispirazione del Cielo.
Ciòdettoinvitò la fanciulla a salire nella propria camera.
DonnaPaolina gli fece osservare che non avrebbe patitomentre aspettavadi star chiusa in una camera; bensì avrebbe aspettatopasseggiando nel cortile.
Allorail capitano chiamò l'ordinanzache venne tosto.
-Senticameratagli disseio esco un momento e torno subito.Intanto non scostarti da questo mio amico. Se qualche ufficialeentrassedomandasseche so io... tu mi capisci.... di' che ilcapitano Baroggi risponde per luie basterà.
Eil capitano salì in frettaridiscese con elmo e squadronestrinse con mano forte la mano alla fanciulla; diede di nuovoun'occhiata d'intelligenza all'ordinanzae partì di volo.
DonnaPaolina non si mossee tenne l'orecchio in ascolto finchèsentì a morire in lontananza il suono dello squadrone e deglisperoni.


XII


Aquesto puntoper non perder tempoci conviene riprodurre larelazione che lo stesso signor Giocondo Bruni ci fece dei fatti diquella notte.
«Iodormivo profondamente (son sue parole) uno di quei sonni del mese diaprile che rifanno il sangue anche a noi vecchi; quando fui scossoviolentemente da replicati colpi di martello dati alla porta. -M'alzo e vado a vedere che cosa significasse tanta furia; enell'affacciarmi alla finestra vedo un dragone alla portae sentoimpegnato un dialogo tra lui e il portinaioe nel dialogo ripetutospesse volte il mio nome. - Io grido dall'alto: «Chi èlì? chi mi chiama? chi ha bisogno di me?» Il dragoneche non mi conoscevacomincia a far mille scuse; poi mi prega divolergli accordare un abboccamentoe mi prega con tali modich'iosenz'altro gridai al portinaio: «Apri tostoe fallo salire.»Mi butto sulle spalle la veste da camera e vado ad aprire. -Al lume della candela chèessendo le quattro e mezzo dinottefaceva ancora assai bujovedo un bel soldatoil quale tuttoalterato mi dice:
«-Ho bisogno di parlarvi di gran premura e in tutta segretezza.
«Iolo faccio venire nella mia camera da lettoe gli domando in che cosaposso servirlo. Eglisenza sederemi racconta la storia di donnaPaolina S... e di lui.
«Rimasidi sasso. - Voicaro capitanogli dissi poichiedete il mioappoggioe il mio consiglio? - Ma io non ne ho che uno dadarvene. - Andiamo a pigliar la ragazzae riconduciamolasubito a casa.
«-Ciò non è possibilemi risponde. La fanciulla èdi quelle indoli estremechea contrariarlapotrebbe balzarmi giùda una finestra.
«-Ma sapete voi a che pericolo?...
«-So tutto. Ma io non ci ho colpa. Giuro al Cielo cheper quanto ioami quella fanciullanon l'avrei mai consigliata a venire da me intal modo. Ma ora non c'è più rimedio. Il ponte èrotto dietro le spalle.
«-E dunque?
«-Dunque tocca a voi a proporre... Voi che siete amico dellafamiglia... La mia condizione di soldatola mia povertà…io non possiedo altro al mondo che la paga; la mia bassa origine....mio padre non era che un finanziere; tutto ciò mi fa temere dicommettere quasi un atto di pazzia a chiedere di poter issofattounirmi in matrimonio colla fanciulla.
«Ioalzai le spalle.
«-Credete voi dunquemi chiese egli allorache quel ch'io domando siaassolutamenteimpreteribilmenteimpossibile?
«-Bisognerebbe cambiar la società e le teste degli uominiiorisposi secco.
«Eglistette muto qualche tempoin atto di profonda costernazione. A diril vero mi faceva pietàperchè mi accorsi di trovarmiin presenza di un giovane onesto e sincerissimo. Alloracome atemperare la mia asprezza. gli chiesi il nome suo. Si puòimaginare la mia meraviglia quando udii ch'era il figlio del poveroBaroggi. Quel nomeper la catena di tutti gli antecedentimi piegòa nuovi consigli. - Io intanto stavo pensandoe si taceval'uno e l'altro. Suonavano le cinque ore. Egli si dà un colpodi mano sull'elmo e dice: Non c'è tempo a perderenon mancache un'ora; sono aspettato per un duello. Io mi ricordai d'averneinfatti data la notizia in casa S....
«-Che si fa dunque? esso continuavaio non mi posso fermar qui piùa lungo.
«Nonaveva finito di dir queste paroleche quel buon vecchio di miopadreche avea allora precisamente quell'età che io hoadessovale a dire i suoi ottantatrè anni colla buona misurachiamato dal rumore insolitoentra improvviso in camera.
«Ilcapitano Baroggi lo guarda impacciato; io gli dico. State tranquilloche è mio padre... Anzidopo alcuni momenti soggiunsi: -È meglio per voi s'egli è venuto qui. Egli solo puòottener quello che nessun altro potrebbe. E senza piùmifaccio a raccontar l'accaduto a quel sapiente e acutissimo vecchionedi mio padre.
«Questiascoltò non senza un grande stupore; poidopo essere stato unpezzo in consulta con se medesimo:
«-Giàprese a direè ormai tempo di finirlache quandole ragazze sono contessei mariti debbano a tutti i costi esserconti o marchesi. Per che cosa avremmo fatto tutto questo fracasso dirivoluzionese si fosse ancora al punto di partenza? - Sono onon sono aboliti i titoli di nobiltà? Gli editti parlanochiaro. - Un giovinotto che a 24 anni è alla testa diuno squadrone di dragonimi pare a me che non debba andare in cercadi blasoni. - Se si trovano dei denarimeglio; ma le coroneoramai sono mercanzia da rigattiere. Caro capitanoio ho conosciutovostro padree per verità che non ho mai conosciuto uomo piùdisgraziato di lui. Chi sa dunque che la parte di fortuna che a luimancò non debba toccare al figliuolo? Speriamo. Io parlerò.E a questo puntorivoltosi a me: - SentiGiocondodissetuaccompagnerai questo signor capitano dov'è la ragazza; estarai con lei finchè non sarà finita questa storia delduello. Dopo penseremo al resto.
«-Ma intantoio feci osservaresarebbe una santa cosa l'andar subitoqui presso in casa S... per disporre la nonna e la madre.... e peravvisarle che la fanciulla è trovata prima d'averla perduta. Aquest'ora tutta la casa è in sonnoe nessuno non si saràaccorto ancora della fuga della fanciulla.
«Miopadre stette pensoso alcuni momentipoi:
«-Nodisseno. - Conosco la contessa Cleliaconosco lacontessina Ada. Careangeliche donne.... ma... sono nate in seno aquella benedetta nobiltàe il peccato d'origine tanto quantovuol sempre farsi sentire. È meglio dunque tirarle per la viadel dolore ai consigli della sapienza. Dopo che avranno cercato lafanciulla e non l'avranno trovata; dopo che l'amor materno avràfatto tacere ogni altro sentimentoqualunque proposta potràparere un consiglio del cielo; facendo diversamentesi arrischia ditrovar de' rimbrottiinvece di ringraziamenti. Vi sono talipregiudizii e tali fumi di boriacheal pari di certi fenomenidell'alienazione mentale e di certe malattie curiosenon siguariscono che con un colpo inaspettato e forte. - Lasciatefare a me; non inutilmente ho ottantatrè anni.»
Dopoaltre parole e altre proposte e osservazioni di tal genereilcapitano Baroggi e Giocondo Bruni partirono.
Èinutile che riferiamo tutto quello che il nostro vecchio amico ciraccontò minutissimamente intorno alla sua andata in castello;all'incontro di lui con donna Paolina; alle smanie della fanciullaquando il capitanoin compagnia dei padriniuscì per andarea battersi. È inutile che ci facciamo a descrivere gliaccidenti di quel duelloil quale non fu che uno dei tanti chesiccome dicemmoavvenivano giornalmente a que' dì in Milano.L'Ariosto e il Tassoin fatto di duellihanno esaurita la materiaal puntoche non c'è il prezzo dell'opera a contraffarli. Èinutile parimenti che noi ci indugiamo a studiare psicologicamente lagioja della ragazzaquando il Baroggidopo una mezz'oraritornòsano e salvo e colla notizia d'averesebbene a malincuoreferitogravemente il commissario di guerra. E se non è inutileèintempestivo il parlar qui delle conseguenze che quel duello recòper le faccende del Suardi.
Bensìora ci converrà accompagnare in casa S... il vecchio LorenzoBrunil'uomo del popolo per eccellenzail qualerappresentandone iliberi germi per intuito spontaneo di fortissima e acutaintelligenzadesideròpresentìvide la rivoluzionedelle idee e dei fatti; e ne gioverà accompagnarlo perassistere all'interloquio avvenuto tra luila vecchia contessaCleliae la non più giovane contessina Ada.


XIII


QuandoLorenzo Bruni entrò in casa S.... usciva un servo tuttoscalmanato a cercare del figlio di lui appunto; il servo gli dissequel che egli sapevae il vecchione salìe vide le due donnein preda a quel dolore disperato e violento che il lettore puòimmaginaree che noi non osiamo e non vogliamo descrivere. Tantevolte ci trovammo al cospetto di dolori consimilie tante volte liabbiamo anatomizzati con mano convulsache or ci pesa di rifarne ilprocesso.
-So tuttodisse il vecchioappena vide quelle due donne affannate; eso più di quello che voi sapete (e brevissimamente espose lorodi che si trattava); ma il rimediosoggiunse poiè ovvio enaturale. - Mio figlio Giocondo è già sulletraccie della vostra figliuola; ella dentr'oggi puòessere fatta sposa.
Lorenzoerasi accorto che il dolore aveva abbastanza lavorato sul cuore diquelle due donnee non amò di prolungarloquantunque eglivolessecolla pietosa inflessibilità del medicousufruttarlotuttoper preparare poi con esso le vie della salute. Egli conoscevanell'intimo quelle due donnee le amava e le stimava in preferenzadi tante altreperchè una vita lungamente travagliata leaveva fatte accessibili a molte di quelle verità che ipregiudizjaccumulati per tante generazioni in seno alla piùalta societàavevanoo celate del tuttooquel ch'èpeggiofatte passar per errori.
-Sperateripetè il buon vecchio; la vostra figliuola a momentipotrete vederla.
-Mae chi mai ha osato?
-Nessuno le ha fatto violenza; fu ella a lasciare la propria stanza ela propria casa. Pur vi consiglio a non rimproverarla quando larivedrete. Io non so se a voi sia trapelato mai nulla di quello cheda qualche tempo succedeva nel suo cuore; maanche a non saperlobisognava sospettarlo; all'età della vostra figliuolanon puòessere che per un'eccezione viziata della natura umanase lefanciulle hanno il cuore muto e il senso inerte; per lo piùsono perversequando sono di ghiaccioDio salvi l'umanità dauna giovinezza che sembra la vecchiaia. Tutte quelle madri badesseonde ora si vanno svelando le storie arcanee sotto il cui governoclaustrale si murarono fanciulle delle quali ne' conventi smantellatisi scoprono gli scheletri; tutte quelle spietate badesseio dicodevono avere avuto una giovinezza senza cuore e senza palpito. Iospero bene della vostra figliuola. Ella amò con sinceritàe non interrogò che il cuoree il turpe tornaconto non ebbeposto ne' consigli della sua intelligenza adolescente.
Quandoalla scoperta improvvisa di una sventuradi cui è arcanal'origine e sono ignoti i particolarisuccede la notizia certa eprecisa del fattoper quanto esso appaia gravel'animo tuttavia siricomponee all'angoscia disperata tien dietro un dolore tranquilloe riflessivo.
Ciòavvenne precisamente nel cuore di donna Clelia e della contessinaAda.
Quest'ultimadomandò al Bruni come si chiamava il giovane che avevaprovocato un sì doloroso accidente.
-È il figlio di un uomo sventuratissimoche morì primache la giustizia abbia trovato il tempo di far le di lui vendette. -Cara contessina Adaricomponete i vostri spiriti; e preparatevi asentire nel cognome che vi pronuncierò qualche cosa che pareannunciare una volontà espressa della Provvidenza.
-Ma chi è dunque?
-È il figlio del Baroggi.
-Del Baroggi? e donna Ada fece un viso e un gesto in cui apparivadisgusto e ribrezzo.
LorenzoBruni disse tra sè: Cominciamo male.
-Quel Baroggisoggiunse poinon era che una guardia di finanzaloso; e visse povero come Giobbe. Ma in tutto questo non v'ènulla per cui debba arrossire nè il morto nè il vivo. -In quanto al suo figlioè un nobile e valoroso soldato. -A soli 24 anni è già capitano dei dragoni. Tra pochianni può essere colonnellopuò essere generale. Neitempi avventurosi e grandi in cui viviamoe in cui pur contento iotrascino la mia vecchia etàcodesta professione di chi cercae trova la gloria sui campi di battagliaè la piùgenerosaè la più nobile di tutte. Il vostro maritochi è? Il giorno meno sciagurato della sua vitae che forsegli varrà qualche indulgenzafu quel solo in cui sotto iltitolo di capitano andò a nascondere quello di conte.
DonnaAda si riscosse tutta a queste parolee non disse nulla.
Parlòper lei la contessa Clelia:
-Voicaro Lorenzoavete nominato il conte mio genero; ma aveteprecisamente nominato l'unico ostacolo a quanto avete proposto... Voisapete al par di meal pari di questa povera disgraziatal'indoleviolenta di quell'uomo. - Se mai venisse a sapere d'un similematrimonio... da Parigi o dal Reno dove ora si trovapiomberebbe quicome una saetta a metterci tutti sossopra... Questa poveradisgraziata ha troppo sofferto... Voi già sapete tutto...
Lacontessa Clelia finiva appena di dire queste paroleche s'udìuna carrozza fermarsi alla porta. Tutti e tre furono in piedi. ecorsero alla finestra.
Ortorniamo indietro un momento.
DonnaPaolinadopo il primo orgasmo che l'aveva spinta a un passodisperato; dopo che ne furono scomparse le più forti cagioniquali il sospetto d'essere traditae il terrore che forse all'albail suo Baroggi sarebbe rimasto sul terreno; in una paroladopo chefu cessato quella specie di deliquio intellettuale che le avevacoperto ogni lume di ragionesi trovòper così direfaccia a faccia con sè stessa; allora quegli affetti che eranocome cessati sotto al colpo d'altre passioni più impetuoselerifluirono a furia nel cuore; e con quelli il pentimentoaffannosissimo d'aver potuto abbandonare così crudamentequell'angelo di sua madreda cui tanto era amata. Per ciòavendole il Bruni consigliatoper togliere ogni occasione discandalodi ritornare fra' suoiellacon quella smania medesimaonde a notte era fuggita di casapregò e volle chesenzaperder tempola si riconducesse presso la sua cara mamma. Qui peròa dir tutta la veritàbisogna soggiungere che non la potevanofar ritrosa a tal passo le parole del Bruniil quale aveale promessodi adoperarsi col più vivo interesse a sollecitare quellenozze che il giovane Baroggi ed ella chiedevano; e di piùl'aveva assicurata che il proprio padre Lorenzo a quell'ora stavacertamente parlando di ciò colla nonna e colla contessa Ada.Egli è un fatto che anche negli slanci più spontanei eimpetuosi del cuore umanol'interesse e il calcolo trovano sempre ilmodo di farsi sentire e di dar pareri.
Unamezz'ora dopo che il capitano Baroggi fu tornato in Castelloesso eil Bruni fecero venire una carrozzae partirono colla fanciullasenza por tempo in mezzo. - Giunto il Bruni alla casa propriafece fermare i cavallichiese di suo padre esentito ch'era andatoin casa S...consigliò il capitano Baroggi a salireetrattenersi nelle di lui stanze finchè fosse stato chiamato. -Così fu fattoe la carrozza toccò via e si fermòinnanzi al portone di casa S...
DonnaPaolinapreceduta dal Brunibalzò a terrapassò avolonon amando farsi vederedinanzi al portinajo; fece a salti loscalonequasi a stento seguita dal Bruniil quale non sapendo comeeran corse le cosenon voleva discostarsi da lei; e non se ne staccòinfatti se non allorchè seppe che il suo padre stava presso ledonne da qualche ora.
DonnaPaolinaquando vide il vecchio Lorenzo a moverle incontroaffannatagli chiese di que' di casae contemporaneamente si precipitònella salaecome se stramazzasseandò a cadere nellebraccia della mammachenon sostenendo l'urtoricadde sullaseggiola; così che la fanciullasenza volerlovenne apiegare i ginocchi e il corpoe a nascondere la faccia lagrimosanelle vesti materne.
Nonci furono parole per parte di nessuno. La fanciulla singhiozzava; lamadreabbracciando e baciando quel caro caponèsinghiozzavanè faceva mottoma inondava di lagrimesgorganti a furia la propria faccia ancora bellaquasi ancoragiovanile. Donna Clelia non piangevanè quasi guardava; mavolgendo in alto gli occhi e il volto severissimo e venerandotenevaintrecciate le vecchie mani tremanticome chi prega o ringraziaIddioo recita cose devote.
Ilvecchio Lorenzo chiese allora sottovoce al proprio figlio dov'era ilcapitano; esentito che s'era ritratto nella stessa casa Bruni: Vatosto a chiamarlosenza perder tempo. Se non si coglie al volol'affetto e la pietànon si fa più nulla.
GiocondoBruni uscìe tornò tosto col giovane Baroggi.
AlloraLorenzosentito dall'anticamera il tintinnio degli speronidissealla contessa Clelia: C'è qui il capitano Baroggi. Io stessol'ho fatto venire. Accoglietelo come vi consiglia la vostra sapientebontà. - Così dicendo uscìe condussecon sè a mano il giovane soldato. - Donna Paolina alzòil capo e guardòe rattenne il singhiozzoe sorriseguardando il caro giovane.
Codestascena intima di famigliatradotta e fermata dall'arte figurativaben potrebbe sembrare un'allegoria storica per chi si rifiuta acredere che dal semplice caso sieno generati uomini e cose.
Nellacontessa Clelia pareva rappresentata la vetusta aristocrazia cheadonta della dottrina delle sventuredelle lezioni dell'esperienzadegli stessi affetti più nobili e più disinteressatipure si ostina a star separata ancora dall'elemento popolare.
LorenzoBruni raffigurava codesto elemento appuntopiù antico ditutte le aristocrazie; e il cui lavoro incessante in tutti i tempisebbene più o meno celato e più o meno efficaceeraprossimo a dominare gli altriin virtù di una legge naturalepiù legittima di tutte le leggi storiche sorvenute.
Lacontessina Ada adombrava un'epoca di transizione emersa dal connubiodel patriziato e della plebe. Il capitano Baroggila forza dellearmi e l'incanto della gioventùche esercita un potereirresistibile su tutto quello che avvicina. La fanciullainginocchiata e sorridente sulle lagrimegli effetti ultimi dellalegge d'amore che toglie gli ostacoli posti tra stato e stato dallaprepotenza o dall'ambizione.
Oralasciando l'allegoriaallorquando quella specie di gruppo plasticodi figure variamente atteggiate si sciolse e si scomposeLorenzoBruni avviò un discorso per ravvicinare il capitano Baroggialla contessa Clelia e a donna Ada; la bellezza del giovane e quellatinta d'ingenua onestà che gli colorava il voltoreseroefficacissime le parole del vecchio; e donna Adaintenerita dallelagrime e dalle preghiere della figliuolaproruppe finalmente inqueste parole che sciolsero ogni viluppo:
-Ebbenese il destino vuole che ciò sia fattosi faccia.
Allequali parole la contessa Clelia lanciò alla figlia un'occhiataseverama non osò parlare.
-Alloraconchiuse il vecchio Lorenzolasciate a me e a mio figlio lacura di tutto il resto... per una vera provvidenza del Cieloalconte vostro marito non fu levata l'interdizione; così non hanè il dirittonè l'obbligo di dare o di togliere ilsuo assenso; per un'altra provvidenzain virtù della nuovalegge che decreta essere il matrimonio un contratto civilequelloche si dee fare lo si può fare prestissimoe senza tantelungaggini e cerimoniee prima che il capitano parta pel campo.
Nessunocontraddisse alle parole del vecchioe così si sciolse quellagiornatache sorse tanto sinistra e sembrò minacciare casifunesti e inestricabili viluppi. - Ma la vita non consiste inun giorno.
Quandoil capitano fu partitoe la vecchia contessa Clelia pur nella suacupa severitàche pareva quasi un affanno profeticosilasciò intenerire fino a deporre un bacio sulla fronte dellafigliuola che consolata l'abbracciava; donna Adaaccompagnato ilpadre e il figlio Bruni fino alla porta dell'appartamentodissequeste parole:
—Io faccio il desiderio della mia figliuolaperchè ho fiduciadi fare il suo bene. Ma temo guai; guai terribili per me. Per quantone sappiate e ne abbiate sentito direvoi non conoscete il caratteredel padre della mia figliuola. Pensando a ciò che avverràquand'egli verrà a sapere di questo matrimoniovi confessomiei cariche mi vengono i brividi. Nèdel restose per unatto di estrema delicatezza si fosse mandato a chiedergli il suoassensomai non lo avrebbe dato. Bastala sola cosa che miconfortaè che il dovere delle madri è di sacrificarsiinteramente pe' figliuoli; e in quanto a mequalunque danno sia percapitarmiè dover mio di affrontarloper il bene della miafigliuolae per preservarla da pericoli che potrebbero trarla inrovinase ora non la si compiacesse in un desiderio che èlegittimo.
Edette queste parole con pacata rassegnazionecosì conchiusedopo un momento di pausa:
-In quanto a me non so quando finirà codesto strazio continuo acui fu posta la mia vitanella quale non appena è finito unmalannoche un altro sopraggiunge più spaventoso del primo.Voi altriamici fedeliche conoscete tutti i casi della mia vitapotete dire se vi è stata donna più tribolata di me almondo...
Equasi singhiozzandostrinse la mano al vecchio Bruni e li salutòambiduelasciandoli addolorati e pieni di tristi presentimenti.


XIV


Leultime parole della contessa Ada S... relative alle vicende della suavita passataci consigliano a cogliere questo momento per raccontarequanto avvenne nel tempo decorso dalla notte del 1766 in cui si tennel'ultimo banchetto pubblico alle porte delle case di Milano al giorno12 marzo del 1797.
Lanarrazione di un tale intermezzose a tutta prima puòsembrare un inciampo per que' lettori che hanno volontàd'andar sempre avantiè qui necessariaperchèsenzadi essamancherebbe lume ai fatti che descriveremo in appresso e aipersonaggi che compariranno in iscena per la prima volta. E questanarrazione la faremo riproducendo una specie di promemoria che ilsignor Giocondo Bruni stese per noiquando gli abbiamo manifestatoil pensiero di pubblicare un libro relativo a ciò che a mano amano ei c'era venuto raccontando.
Ecredemmo bene di riprodurlo tale e quale fu steso da quell'ometto digarboma non in tutto fornito di quella che chiamasi perizialetteraria; non arrogandoci altro diritto che di far scomparire glierrori più solenni di sintassi e quelli d'ortografiae diaggiustare alla meglio il contesto della narrazionelà doveci parve che alla memoria o al periodo fosse scappata qualche maglia.
Adoperandodi questa manierase dubitiamo di non poter piacere a quelli cheamano la più completa armonia nei costrutti architettonici;siamo però certi di riuscire accetti a quantinel timore divenire ingannati dai libri stampati e dalle storievanno negliarchivi a cercar la riprova del vero nei documenti originali.
Eccodunque la narrazione del signor Brunitrascritta qui letteralmente:
«Lafesta di S. Pietro dell'anno 1766che fu il giorno successivo allafesta cittadina dei banchetti notturniio fui insieme con mia madrea far visita alla contessa Clelia e a donna Paola. Là per laprima volta vidi la contessina Adache io guardai con aviditàpiù di giovane che di fanciulloinnanzi tutto perchèfino a quel giornoio non avevo mai visto niente di piùbello; in secondo luogoperchè me la rendevano attraente insommo grado le strane avventure e il pericolo che aveva corso. Inquel giorno stesso e in quel luogo stesso conobbi anche il marcheseF....che io scambiai pel Suardi. A proposito di che mi ricordod'aver domandato sottovoce a mia madre che cosa mai era successo alsignor Suardi per essere diventato così pallido e cosìmagroma secondo il costume delle mammeella per tutta risposta miguardò severissimae mi mise a tacere; tanto che non seppi senon tornato a casa chi era davvero quel giovane tutto tempestato diberilli e colle dita piene d'anelli.
«Perlo scrittore o per il pittore che di costui volesse di fantasia fareun ritratto in punto e virgolacredo bene di darne qui ladescrizione:
«Eraun giovane di statura piuttosto alta; aveva la faccia regolarenasoaquilinobocca ben disegnatama lievemente piegata verso gliorecchi come quella di un fauno; aveva occhi neri e piccoli e lucenticome quelli di un topo di chiesa; quando sogghignava d'improvviso glisi spiegavanoai lati della boccadue rughe che non si vedevanoallorchè stava serio. Quandoa casaseppi chi era coluipensai tra meda qual cosa dipendesse cheessendovi pure tantasomiglianza tra il Suardiavanzo di galerae lui cavalierenobilissimopure si guardava il primo con una certa soddisfazionedell'occhiodove il secondo riusciva diabolicamente antipatico.Metto qui codesta considerazioneperchèfatta allora da unfanciullo senza esperienza e senza l'abito di riflettereviene adacquistare un certo significato.
«Perquell'anno io non vidi più nè quella casanèquelle personenè la giovinetta Adala qualequantunque ionon contassi che dodici anniavrei visitata assai volontieri. Dopoper tre anni successivi. vissi con mia madre e mio padreun po' aParigiun po' a Berlinoun po' a Napolie non ritornai a Milanoche nel 1770. Io avevo allora sedici anni.
«Aquesta età chi è stato a Parigi e ha viaggiatomezz'Europa e non è nato scimunito e ha sfregate le quinte ditanti palchi scenicinon è più un ragazzoma ungiovane fatto. Noto questo perchèquando seppi che mia madreera andata sola a far visita in casa della contessaio mi lamentaidell'essere stato dimenticatoesenza chiedergli nè unpermessonè un parerepensai di recarmi là io solo.
«Primad'andarem'informai di ciò ch'era avvenuto di tutte lepersone che componevano quella casa. Rimasi assai maravigliato quantoseppi che la contessina Ada la chiamavano già la sposina; chèdopo molti dispetti e lagrime della fanciullafinalmente eranoriusciti a farle dire che era contenta di concedere la mano almarchese F... Tutti però mi assicuravano ch'ella avrebbevoluto andar piuttosto alla morteche a quelle nozze. A tale notiziaio rimasi ancora più stupitoperchè non mi pareva veroche donna Paola Pietrae la contessa Cleliache avrebbe dato ilsangue per la sua figliuolafossero e l'una e l'altra congiurate aidanni della medesima. A tutta prima dunque pensai che non era quelloil momento opportuno per andare in quella casa; chècertissimamente sarei stato accolto malissimo come una persona di piùin quel parapiglia domestico. Tuttaviadopo alcuni dìsfacciatello com'erami risolsie un bel mezzogiorno entro in casaPietra.
«Annunciatoe introdotto dal servomi trovo innanzi a donna Paola; fresco diParigi e colla fumana degli adolescenti che vogliono far l'uomodissi in sull'istante mille cose a quella donna venerandae senzapiù avventuro una congratulazione sul matrimonio dellacontessina. Donna Paola non rispose al primopoi soggiunse: -È vero - ma non si fermò su quel tastoe passòad altroe mi chiese dei viaggi fatti da me col papà e lamammae del come erami venuto educandoe che cosa avrei voluto farein avvenireecc.ecc. - Io risposi di conformitàepartiima col fermo proposito di ritornare ancoraperchè erapur sempre quella cara Ada ch'io volevo vedere.
«Quisebbene mi sia proposto di essere brevissimoperchè toccheràpoi allo scrittore a distendere in lungo e in largo e a far diventarearte questo cencio di cartapure non posso far a meno di dir qualchecosa di me stesso. Sono le consolazioni della vecchiaja che si voltaindietro a dare un'occhiata al passato. Devo dunque dire chesenzach'io stesso lo sapessiio era un po' innamorato di quella ragazza.- Vedutala quand'io non avea che dodici anni ed ella quindicim'avea lasciato di sè una tale impressioneche la sua carafigurina mi rimase sempre innanzi agli occhi per tutto il tempo chestetti fuori di Milano co' miei parenti; venuto poi coll'etàil primo rigoglio del sanguequel rigoglio che ti fa desiderare perfin ciò che non si conosce; non avendo mai avuto occasione difermare a lungo la mia attenzione su fanciulla nessunaperchèoggi si era quadomani làinvece di crearmi un idealecomefanno i giovinetti quando il sentimento si sviluppa e non si conoscenessuno con cui alimentarloio nella mia memoria mi ero messo a fareconversazione perpetua coll'imagine di colei; cagione codesta perchètanto desiderai di rivederlaquando ritornai a Milano. Fatto cosìil primo tentativo e non vedutalatornai altre volte in casa Pietratornai solo e tornai spesso con mia madree mi consolai vedendo chenoi eravamo benissimo accettie mi consolai tanto più quandomi accorsi che la contessa Clelia fece delle confidenze nonindifferenti a mia madre. Questa però non mi disse mai nullaperchè voleva tenermi all'oscuro di tutto. - Fortunache mio padre Lorenzo non la pensava come leie voleva che ungiovane sapesse tutto quello che si può sapere. Egli dunquefilosofandocom'era il suo costumemi disse tutto quanto eraavvenuto e avveniva in quella famiglia; mi disse che donna Paola nondovevasi incolpare se non si era opposta a quel matrimonio. GuglielmoCrall suo figlio amava donna Ada con tanta maggior passione quantopiù la giovinettasebbene egli potesse vantare tutte le dotidella gioventùdella bellezzadell'ingegnoaveva dimostratodi sentire un'invincibile ripugnanza per lui. Perciò donnaPaola desiderava chegiacchè erasi presentato un partito piùche convenientelo si affrettasse al più prestonellafiducia chetroncando al figliuolo ogni speranza e togliendoglil'occasione di veder la fanciulla ogni dìegli alla fineavrebbe fatta la cura del cuore col rimedio del tempo. In secondoluogonon potevasi ascrivere nè a crudeltànèa pregiudizio l'aver cercato di costringere la fanciulla ad accettarela mano del marchese F...ricchissimonobilissimoancor giovaneancora avvenente; e tanto più che bisognava pure cercar ditoglier di mezzo quel fatale amore del Suardi; amore cheessendostato il primoed avendo incontrato tanti contrastis'erasprofondato tantoche pareva divenuto incurabile. Su questo fattopoiper dare una novella prova del cuor generoso di donna Paola edella sua mente spregiudicata e indipendentemio padre mi raccontòcheparlando con essa di quest'affare intralciatol'udì unavolta ad uscire in queste precise parole:
«-Vi assicuroche se questa Ada fosse mia figliao se credessi lecitodi consigliare altrui in una cosa così delicata e pericolosaio lascerei strillare tutto il mondoma accontenterei la fanciullaanche perchè ho la convinzione che il Suardia diventare unperfetto onest'uomonon ha bisogno che di questo matrimonio. Finchèil mondo continuerà a contrariarloa sprezzarloadabborrirloeglidi necessitàsapendo di essere in guerracon tuttideve trattar tutti come nemici; essendo poi naturalmentescaltro e facoltosoa lungo andare è lui che si vendicheràdegli altri. Se l'opinione pubblica non fosse cosìimplacabilequanti iniqui di meno ci sarebbero a questo mondo! Peròio temerò sempre dal Suardi qualche colpo terribileo a dannodella fanciulla o a danno della contessa Clelia; però lafanciulla non potrà mai essere felice con questo marchese cheper dirvelo a quattr'occhie purchè non lo ripetiate anessunomi sembra ben più tristo di quell'altro. Ma il belmondo applaude a queste nozzeperchè ci son venti milioniperchè il casato è cospicuoperchè èdisposto a perdonare al marchese tutta la sua vita scapestrataessendo come attratto simpaticamente verso un certo genere di colpe;e credendo di conciliar l'indulgenza colla moralecoprendo tantevergogne con un matrimonio degno di festa pubblica e di pubblicailluminazione. -
«Cosìpensava donna Paola; ma ora bisognerà dir qualche cosa delSuardie di quel che avvenne di lui dal maggio del 1766quando fucarcerato pro rapto virginumcome portava la denunciadell'avvocato Strigelli.
«IlSuardia malgrado della sua posizionedelle sue ricchezzedellesue conoscenzestette otto mesi interi nelle prigioni del Capitanodi Giustizia. Fu generale il desiderio così del pubblico comedell'intera magistraturache quella vecchia volpe lasciassefinalmente la coda nella trappola. Ma la vecchia volpe fu superioreperfino alla propria fama; ma la fortuna e le speciali circostanzegiovarono alla volpe più di quello che si sarebbe creduto. IlBaroggisottotenente di Finanzaera innocentemente complice diquanto il Suardi aveva ordito e consumato; ora l'innocenza innegabileper l'avvocato lontano dal tribunale e per l'uomo che giudica le cosefuori delle aule della giustizia costituitanon era una moneta incorso nelle mani del Capitano di Giustizia. La complicitàc'erae per provar tutto a danno del Suardi bisognava provar ilresto a danno del Baroggi. L'avvocato Strigellivolendo risparmiarecostui per cento buone ragionisi trovò dunque impacciatonella procedura. Accadde poitanto quel Suardi era protetto dallafortunache la madre del Baroggila qualeper l'eccesso della suasemplice natura avrebbe potutouna volta chiamata in giudiziofardelle rivelazioni dannose al Suardima più dannose alfigliuolo; accadde adunque ch'ella venne a morire sette mesi dopo lacarcerazione del Suardi; e cosí mancando le prove effettiveincontrovertibilil'accusato diventò quasi innocente il mesedopoe venne rimesso in libertà.
«Quiperò giova tener conto di una cosaanzi di un sistema di cosein forza del quale la giustizia a Milano non rimase che inistato d'emblema là dove sedeva l'autoritàma cessòaffatto di essere un ente realepraticoefficace. Mi spiego in dueparole.
«Glistoricil'uno dopo l'altroallorchè pervengono a quelperiodo della dominazione austriacaquando Kautniz aveva in mano leredini di tutto l'imperoe il conte di Firmian quelle del ducato diMilanonon hanno che parole di lodi enfatiche per questi dueministri. Non è qui il luogo di parlare di Kautnizmaperdirla così di passaggioquesto troppo a torto veneratopersonaggio era di tal naturache per denaro si lasciava tentare achiudere un occhio sulle piaghe più profonde dello Stato.
«Ioho letto delle sue lettere di ringraziamento dirette al conte Greppiil quale ogni annod'accordo coi colleghi della Fermagli mandavadei regali del valore di più migliaja di liredove eranoconsegnate le prove e della colpa e della complicità. Su unadi esse ho notato questa fraseche è degna invero di donBasilio: Voi avete degli argomenti ai quali non si risponde.Tali lettere furon viste dai giovani di studio del conte Greppinell'atto di deporre quei documenti negli archivj di casa. Loscrittore faccia di una tale notizia quell'uso che vorràmase non vuol essere un copista pecorone e adulatore come tutti glialtriapprofitti di quanto gli dico. Or veniamo al conte di Firmian.Molte voltea proposito di codesto Tirolesecosìconcordemente lodato dagli storiografimi vennero in mente queiversi dell'Ariosto stupendissimi:


Nonfu sì santo nè benigno Augusto
Comela tuba di Virgilio suona:
L'avereavuto in poesia buon gusto
Laproscrizione iniqua gli perdona.


«L'averdunque avuto o mostrato di avere qualche interesse per la poesiaenon essendo stato scortese con Parinifu la causa per cui quelministro trovò tanta indulgenza negli scrittori. Ma egli eraignorantesospettosovendicativoprodigo e ladro - mi pareche basti. Per di piùe questo fu il colmo del disastroaveva a' proprj stipendj un ex barbiere di Trentoche innalzòal grado di suo segretario privatoun tristo arnese della stampa delbarbiere di Luigi XI. Esso per molti anni fu il mestatoreprincipalissimo delle cose di Lombardiae segnatamente della cittàdi Milano.
«Selo scrittorein vista dell'enormità di queste accusefossetentato a non prestarmi fedeper buona fortuna può leggere unlibretto postumo di Pietro Verridove si dice precisamente quelloche dico io. Non già che Pietro Verri sia piùgalantuomo di mema avendo più autoritàtoglieràdi mezzo qualunque dubbio. A proposito di codesto signor Dilettiioho saputo dalla bocca del signor Giovanni Ambrogio Rosnatiragioniere in capo della Banca Suardicomeavuto il permesso diabboccarsi col proprio principalequando questi trovavasi ancoranelle carceri del Capitano di Giustiziaei gli fece comprendereinun momento che i secondini si erano allontanatifatti piùmorbidi dal consueto unguentodi tentare il Diletti con promessa didanaro; il qualedopo essersi dimostrato inespugnabile in principiodiventò arrendevolissimo dopo; tanto che in più ripresericevette da lui fino a quattromila zecchini di Venezia. Queste coseio le seppi dal detto ragioniere quando il Firmian era giàmortolegando un debito di un milione di lire milanesie lasciandonella miseria più d'una famiglia perfidamente ingannata dalsegretario Dilettiche per il prodigo e fastoso padrone aveva fattoil sensale onde ottenergli molte somme in prestito. Della qualenotizia lo scrittore approfitti per cavarne qualche situazioneinteressantecollocandola in quella sede del suo racconto che piùgli parrà adatta.
«Tornandoal fattose io ho aspettato molti anni per sapere dalla bocca delRosnati la riprova delle pubbliche dicerie; già sin dal giornoche il Suardiimprovvisamenteper decreto del Senatovenne rimessoin libertàtutto il mondo sapeva che ciò era avvenutoper ordine espresso del conte di Firmianil quale voleva quel chevoleva; e tutto il mondo vociferava che il cameriere Diletti erastato impinguato dal Suardi.
«Oragiacchè mi trovo sotto la penna questo nomedirò chemio padreallorchè venne per certi nostri affari a Milano eandò a visitare donna Paolaseppe da quella veneranda signoracome il Suardidue mesi dopo essere stato rimesso in libertàe dopo aver trovato il modo di diventare accetto al popolo conabbondanti largizioni di denarodi grano e miglionell'occasioneche il calmiere del pane diventò insopportabile per lacarestiacredendo di esser diventato nobileebbe l'animo di recarsida donna Paola per chiederle di bel nuovo la mano della contessinaAda. In quella casa dove assiduamente frequentava il marchese F...per necessità il Suardi non poteva essere accolto. La servitùpropalò poi per la città come fosse avvenuto un altercoscandalosissimo tra que' duee come il tutto finisse collo sfrattodel Suardi. Dico che fu la servitù a propalare la notizia diquest'altercoperchè donna Paolaquantunque si sprigionasseaffatto con mio padreche era uomo da comprenderlanon gli dissemai nulla di tutto ciò.
«Oraè tempo di raccontare quanto avvenne in quella famigliaquasidireisotto alla mia testimonianza.
«Comedissiessendo io fortemente preso di simpatia per quella fanciulladico simpatia perchè non oserei dire se fosse precisamenteamoremi recava in casa Pietra soventi voltee più forse chenol comportasse la convenienza e la mia speciale condizione. Ma midava coraggio quella santa donna di donna Paolae trovavaindulgentissima e cortese anche la contessa Clelia. Bensìquella carogna odiosissima (sic) del marchese poteva bastareper farmi star lontano mille migliatanto ei mi guardava d'alto inbasso al punto da toccar la manifesta villania; ma questa medesimainvincibile antipatia mi comandava di non abbandonar quellafanciullae di tentar di consigliarla a star forte e a rifiutare lamano di quello stupido spavaldo. Un dìche per caso mi trovaida solo a sola con leimi feci animo a interrogarla per tastarleacosì direil cuore. La risposta fu quella che mi attendevo;ella si adattava a sposare il marchese perchè sua madre lodesideravaed ella non aveva cuore di contrariar sua madre. Io ledissi che si trattava della condizione di tutta la vitae chenessuno ha diritto d'imporci la nostra infelicitànè ipadrinè le madrie che però stesse salda e siconsigliasse con donna Paola. - Ahmi risposese quelladonna fosse sola quisolami capitecerto che mi ajuterebbe;ma.... - e qui troncò le parole con un sospiro. Entròin quel momento la contessa Cleliache addatasi del colloquiocolseil pretesto di far uscire la figliapoi mi domandò di checosa stavamo parlando. Io risposi franco e nettoe con impeto e conira le dissi che era un'indegnità il voler sagrificare a quelmodo la sua unica figliuola. La contessa alle mie parole rimase comepercossa dal fulminee non replicò; ma tutto fu inutileevenne stabilito per le nozze il giorno 7 di luglio del 1770.
«Bisognasapere che mio padreil quale era molto accetto a donna Paolaeanche alla contessa Clelianon ostante tutto quello che eraavvenutofu pregato e dall'una e dall'altra a lasciarsi vederespessoperchè essendo uomo disinvolto e scaltrissimoe neltempo stesso di una rettitudine specchiataamavano adoperarlo neldisbrigo di molte cose necessarie a farsi in quella circostanza delmatrimonio. È inutile il dire che mio padre avea sempretempestato perchè si mandasse al diavolo il marchese; ma comes'accorse che non c'era versoe che v'erano circostanze taliinfaccia a cui non era più possibile scansare il malesiadoperò col più sincero interesse perchè almenopotesse rendersi più sopportabile. L'avvocato Strigellicheper celia chiamava mio padre il suo consultatorelo richiese dasenno del suo parerequando si trattò di stendere ilcontratto nuziale. Il marchese F... vedeva ciò di malissimavogliaperchè tra mio padre e lui c'era un'avversionecordiale; ma siccomenon dirò l'affettoma la sua passioneper la contessinaapparteneva alla categoria dei furorionde eraimpaziente e convulso d'ogni benchè minimo indugiocosìtaceva e lasciava andaree non aveva objezioni da farecomunquefossero i patti. Per tutto ciò e per le mille gentilezze dicui colmava la contessina e pei regali veramente principeschi cheaveva messo a' piedi di lei; inoltreper una giocondissima amabilitàche gli era data fuori e gli andava crescendo in ragione che siavvicinava il giorno del matrimonio; per tutto questo adunque erariuscito a metter la pace e l'allegria in tutti; e m'accorgevo ches'era fatta abbastanza lieta anche la fanciullae quasi eradiventato sopportabile anche a me. Torno a ripetereio sentivo moltasimpatia per quella ragazza; ma era una simpatia molto somigliante aquella che un uomo ragionevole e povero ha pei cavalli e le carrozzeche cioè ne ha il desideriosenza per questo dar la testanelle muraglie se deve andare a piedi. Perciògiacchètutti erano contentiio assistevo in pace all'allegria generale.Così dunque camminavan le cosee non mancavano che tre dìa quello stabilito. La sera del terz'ultimo io vado in casa Pietra.Mio padre era con me. Mi ricordo di quella sera come se fosse adesso.Entro in salaedopo aver data un'occhiata in giromi faccio tostoall'orecchio di mio padree gli dico: Che cosa diavolo èsuccesso? Mio padre non risposema aveva capito anch'esso che c'eraqualche novità. Quando entrammoc'era il marchese F...lacontessinadonna Paoladonna Clelial'avvocato Strigellituttiquelliin conclusioneche ci dovevano essere. E tutti parlavanoetutti erano tranquillie non mancavano nemmeno i sorrisi. Chiinsomma non era pratico della casa e dell'indole delle personenonavrebbe avuto a fare osservazioni di sorta. Ma noi che avevamoassistito alla giovialità eccessiva sviluppatasi nel marchesealcuni giorni prima; noi ci accorgemmo precisamente che il marcheseparlava per parlare e sorrideva per obbligo di galateoma eramanifestamente impacciato e preoccupato; del che accortisi gli altriper consenso necessario erano preoccupati e impacciati del pari.Quando una conversazione procede per la sola virtù legale deireciproci riguardisi prova un gran desiderio di trovarsi altrove.Pare che l'avvocato Strigelli fosse di questo parereperchèdi repente si alzòaccusando di essere chiamato altrove peroggetti della sua professionee nel tempo stesso guardò miopadrecome a dirgli: Usciamo insieme. Mio padre non si fece pregareesebbene donna Paola lo invitasse a rimanereeglipromettendo ditornar tostosi alzòe fatto segno a me di seguirlouscìcoll'avvocato.
«Quandosi fu nella pubblica viaparlò prima l'avvocato:
«-Vi siete accorto che ci deve essere qualche novità?
«-Qualche cosa sì; mi pare ci sian dei nuvoli. Ma che mai èsuccesso?
«-Che cosa possa essere successo non lo soma si direbbe che ilmarchese abbia veduto il diavolo.
«-In conclusioneche ha detto?
«-Nulla affattoma è appunto perchè non ha detto nullache non si sa cosa pensare.
«-Dunque?
«-Il dunque lo lascio a voi da spiegare. Però un sospetto l'hoanch'io.
«-E quale?
«-Che il Suardi lo abbia minacciato di fargli qualche mal gioco sesposa la ragazza.
«-Il Suardi non è tale da compromettersi con una minaccia che loritornerebbe diritto al Capitano di Giustizia.
«-Il Suarditra l'amore che lo cuoce sempre più e il puntiglioche lo agita e la rabbia di essere stato scacciato dai servitori delmarchesepuò essere in tale condizione da non saper piùquel che si faccia.
«-Non sono del vostro parere…
«Edopo aver ciò dettomio padre tacque e almanaccò unpezzo prima di parlare... Io stava attento. Alfine così presea dire (mi ricordo delle sue parole come se mi suonassero ancoranell'orecchio. Povero uomonon era possibile trovare chi fosse piùonesto e nel tempo stesso più furbo e acuto di lui!):
«-Caro avvocatodisse dunquea questo mondo bisogna aver buonamemoria. È il passato che fa lume al presentee se siamo nel1770 è una minchioneria dimenticarsi del '50. Però sonotanto certo che il mio sospetto è la veritàchescommetterei centomila talleri di Maria Teresa per sostenere il miopunto.
«-Non vi capisco.
«-Se nel '50 invece di aver sette anni aveste avuta la mia etàcerto che capireste. Ora ascoltate. Io ho sempre creduto che lo ziodell'attuale marchese abbia realmente istituito erede il figlio dellaBaroggi. Io ho sempre credutoche alla morte di colui il testamentofosse chiuso nello scrigno del suo studio. Io ho sempre creduto cheil Suardi l'abbia trafugatoe ho sempre creduto e credo che iltestamento sussista ancora.
«Aquesto punto mio padre mi guardòcome se si fosse pentitod'aver parlato in mia presenzae peròscostatosi due o trepassicontinuò a parlar sottovoce allo Strigelliil qualefacendo le meraviglie e fermandosi ad ogni quattro passiripetevacome per intercalare:
«-Ma sta a vedere che la indovinivolpone!
«Iocom'è giustonon capii più nulla; onde m'entròaddosso tanta curiositàche quando mio padre ebbe lasciatol'avvocato sulla porta della sua casaio lo tormentai perchèdicesse qualche cosa anche a me. Ma mio padredopo aver tentato ditirarmi più volte giù di stradaconchiuse bruscamentecol dirmi: La cosa di cui si tratta è un'inezia. Ma tu per oranon la devi sapere.
«Perquel giorno dunque non si parlò oltre di quell'affare. -Il giorno dopo l'avvocato venne da mio padree stettero insieme unpezzo: ma io non potei penetrar nulla. - Mi recai in casaPietra per vedere se mai le nubi del giorno prima si fosserocondensate in temporale. - Ma con mia grande sorpresa eratornato il sereno. - In ogni modo passò quel dìe un altro e il terzoe spuntò quel delle nozze. - Eraricomparsa l'allegria. Le visite di tutto il parentado affollavano lacasa. - La matrina della sposache fu donna Valcalzel DeCordova marchesa dello Balbases e duchessa del Sestoveniva daqualche giorno a star colla sposina e accompagnarla. I testimonjerano stati sceltie furono don Giacomo Sanazzari e il marchesePaolo Recalcati Cernuschi. - Era un andare e venire continuodi carrozzoni e carrozzini di tutta la nobiltà di Milano. -Nè mancavano i pretie segnatamente i due parrociperchèallora v'erano due parrocicosì detti porzionarjdellaparrocchia di Santa Maria alla Portache si chiamavano donGiambattista Redaelli e don Felice Temperati. - Alla vigiliadelle nozze ho visto anche l'abate Parinima era accigliatoedopopoche parole con donna Paolacolla contessa e i saluti diconvenienza al marchese e alla sposinase ne andò con quelsuo zoppicare caratteristicoche pareva piuttosto un movimentodell'orgoglio che un difetto del corpo. Venne la sera; le nozzedovevano essere benedette alle due di notte all'altar maggiore diSanta Maria alla Porta dal parroco Redaelli. - Gl'inviti eranostati numerati per ordine severissimo del marchese F... Mio padrenaturalmente fu messo nel numero degli invitati; ed iodubitando diessere escluso perchèper uno di quei pregiudizj sciocchi cheerano tanto in voga nel secolo passatonon si voleva che gliadolescenti assistessero a simili cerimonieio dunque supplicaidonna Paola perchè mettesse una buona parola per me. -Non era possibile che quella cara donna mi dicesse di no.
«Maveniamo a quella sera memoranda di cui mi ricorderò per tuttala vita. - Il matrimonio del marchese F... colla contessa AdaS... era da molti giorni il discorso di tutta la cittàditutti gli ordinidi tutti i luoghi. - La grande ricchezza delmarito e la sua vita passata; la gran bellezza della sposina e le sueperipezie sofferteaccrescevano quell'interesse volgare ches'attacca pur sempre a un matrimonio d'alta sfera. - Insull'imbrunire v'era la folla alla porta di casa Pietra per tentaredi poter vedere la sposina; v'era la folla alla porta maggiore dellachiesa; la folla alla porta sussidiaria che risponde sulla contradadei Meravigli e a quella del vicolo del Teatro. - Come quandosi attende la lepreche s'appostano i cacciatori dov'èprobabile di sorprenderla al varcoil pubblico adocchiava impazienteed avido tutti i pertugi per dove credeva che la sposina potessepassare.
«Quandosi fu presso alle due di nottel'onda del popolo che da Santa MariaPodone veniva impetuosa verso la parrocchia e il rumore dellecarrozze fecero muovere il sagrestano e i chierici che stavano allaporta maggiorei quali entrarono tosto per andare a chiamare ilparroco. - Io era già entrato in chiesae mi ero messotra quei chierici. - Vennero dunque presto le carrozzeederan sei. - Tre svoltarono ne' Meravigli. La sposina era inuna di quelle. - Le altre si fermarono innanzi alla facciatae ne discesero tutti quelli che erano ammessi alla cerimonia. Leguardie urbane nella strada tenevano indietro la folla che facevaimpeto ein un batter d'occhioappena gl'invitati furono in chiesasi chiusero tutte le portee solo fu lasciata dischiusa quella chemette al vicolettostandovi a guardia il servitore del parrocochein quella solenne occasioneaveva messa vesta e cotta. - Quelservitore non lasciava passar persona che non presentasse unviglietto di casa F… Io era tutto intento a guardar lacontessina nel punto che colla duchessa del Sesto e i testimonj e ilmarchese F... entravano in sagrestia per adempire alle cerimonied'usoquandoa un trattovedo un parapiglia sull'ingresso dellaporta segreta tra il servo in cotta ed uno che voleva entrare. -Sull'istante abbandono una scena per l'altra; eavvicinatomivedoil signor Suardi in personail quale lascia andare sulla faccia delservo in cotta uno schiaffo così sonoro e potente che me losbatte dietro la bussola; e buon per lui che strisciò lungo lapattonala quale gli tolse il colpo nella caduta. Tuttoquesto avvenne in un batter d'occhioe il Suardi fu subito inchiesae si collocò presso la predella dell'altar maggiore(scoperto allora di frescoed era lavoro di Agostino Agrati)tra lostupore dei signori invitati. - Passò un quarto d'ora.- I chierici si schierarono intorno all'altar maggiore colletorcie accese. - Il parroco Redaelli salì l'altare. -Dalla sagrestia uscirono nel tempo stesso gli sposi col seguito.
«Lacontessina Adatenuta a mano dalla matrinafu messa ainginocchiarsi sul cuscino preparatole. Contemporaneamente l'altroparroco don Felice Temperati invitava il marchese a inginocchiarsisul suo. Com'è naturaleio m'ero collocato ben presso allabalaustrae dal momento che il signor Suardi era entrato in chiesaio non l'aveva mai perduto d'occhio. Ora nel momento che il marchesestava per inginocchiarsim'accorsi ch'ei vide per la prima volta ilSuardiil quale gli teneva gli occhi fissi in volto. Il modo diguardare del Suardi e la sua curiosa immobilità mi fecerodico il veroun senso di pauraquantunque io non sapessi nulla; maera la scena dello schiaffo che m'aveva fatta impressione. -Com'io guardava intantoguardavano tutti e guardava il parrocoRedaelli.
«Ilfatto sta che tutt'a un tratto il marchese si alza e dice non so checosa all'orecchio d'un chierico. - Questi parla al parrocoche lascia l'altaresi fa presso al marchesee dopo un momentorientra in sagrestia con esso.
«Pocoappresso furono chiamati in sagrestia i due testimonjdon GiacomoSanazzari e il marchese Recalcatiuno de' quali uscì peraccostarsi alla duchessa del Sestoche non s'era mai staccata dalfianco della sposina; - la sposina e la duchessa uscironosull'istante. Di lì a poco il parroco don Giovanni Redaellifattosi alla balaustra: - Per oggigridòèsospeso il matrimonio. Loro signori possono andare.
«Perquanto la stranezza del caso mi facesse attonitopure non ho maitolto l'occhio dalla figura del Suardiche non si era mai mosso dalposto dove si collocò in principio. Tranquillo e grave lo vididunque a muoversi per la prima voltae levarsi di làquandoil parroco disse quelle parole agli intervenuti.
«Oraè facile imaginarsi la meraviglia di tutti costoroe ilbisbiglio e il malcontento che ne seguìquasi che ilmatrimonio lo dovessero far loro; è facile imaginarsi comequel bisbiglio e quel malcontento passasse dalla chiesa al piazzalealle vieal vicolo dove tanta folla aspettante e curiosa erastipata. Ma più di tutti gl'intervenuti e della follaquelliche rimasero veramente colpiti dallo stupore furono mio padre el'avvocato. Quand'io m'accostai ad essiper domandar qualcheschiarimentoessi stavano guardandosi muti con quell'espressione chehanno le statue. Uscendo dalla chiesa insieme con essiudii miopadreche fu il primo a rompere il silenzioa dire queste preciseparole: - Non c'è Cristi che mi possa far cambiar diparere. Non può essere stata che la virtù magica didieci milioni quella che ha spezzato in un istante i legami di unmatrimonioa preparare il quale ci son voluti quattro anni. Ilmarchesecoi suoi stravizj degni d'un imperatore della decadenzahascantonata la propria ricchezzacome fanno gli ebreiquando tosanogli zecchini. Se veniva a questo nuovo scappellottocerto che loavremmo veduto all'ospizio di S. Vincenzo. Lo Strigelli crollava ilcapo ripetendo:
«-Non è possibile.
«Emio padre:
«-Per che cosa volete dunque che il Suardi abbia avuto quel lungocolloquio col marchese?
«-Ma ne siete poi sicuro?
«-Il guardaportone di casa F... l'ho fatto cantar io. - Ilcarrozziere del Suardi cantò lui.
«Com'ènaturaleio ascoltai questo dialogosenza comprenderlo. -Quanti anni dovettero passare prima che mi si porgesse la chiave peraprire quella serratura congegnata a segreto!
«Equi finiscoperchè di tutto quello che avvenne dopoin quelperiodonon mi riuscì d'esser testimonio oculare. - Ilmatrimonio non fu solamente sospesoma troncato. Il marchese siastenne affatto dalla casa Pietra. La contessina Ada rimase ancorauna fanciulla da marito.»
Questarelazione del Bruni sarebbe rimasta in troncose noi non lo avessimopregato a stenderne un'altra per que' fatti posterioritropponecessarj al complemento della nostra storia; e che avvennero viventeluie che sentì egli stesso a raccontare o dalle parti o daitestimonj o dalla pubblica voce. Eccolaconservatissima nelcontestosebbene alquanto raccomodata nella forma:
«Nell'anno1776 cominciò a fermare l'attenzione del pubblico milanese ungiovane patrizioil conte Achille S... Questo giovane allora potevacontare ventitrè annied era già tornato dall'Americadoveavendo sentito che Lafayettenon ancora diciottenneaveva giàfatto abbastanza per la gloriasi mise in testa di emulare ilfrancese sul campo dell'onore. - Ma la differenza stava inciòche Lafayetteoltre il coraggio e il desiderio dellavita avventurosapossedeva una grande uguaglianza di carattere e unacostanza inalterabile; dovechè il nostro giovane patrizio erauno di quei caratteri inestricabiliin faccia ai quali anche ilgiudice più sapiente e più tranquillo non sa chesentenza pronunciareperchè se da un lato gli sembra scorgerele qualità di un eroedall'altro gli pare d'intravedere itristi istinti di uno scellerato. - Infattirimastoadiciasette annisenza padre e senza madreed erede di una sostanzaingentenon tollerando i consigli e l'autorità del tutoreche fu il conte Sanazzarocon questi venne a tali escandescenzedapercuoterlo violentemente e da lasciargli le impronte del propriofurore. - Fu dopo codesto fatto chepentito dell'avvenuto eiracondo di non poter spendere e sciuparecome volevai proprjaverilasciò Milanopassò in Franciain Inghilterrae di là in America. - I giornali dell'una e dell'altranazione in più circostanze ebbero a fare onorevole menzione dilui pel coraggio dimostrato in molte battaglie; ma dopo due annicomparve sulla Gazzetta di Sciaffusa la relazione di untremendo alterco avvenuto tra esso e un colonnello americanopelqualevenuti alle manipur in mezzo alla festività di unbanchettoil sottotenente milanese uccise il suo capoondesenz'altro se ne dovette fuggire e ritornare in patrialasciandocolà una giovane moglie che morì di lì a pocotempo.
«Reducea ventidue anni compiutitrovò che il conte Sanazzaro eramorto; il pretore ducale invitò allora altri tra i parenti delconte S... perchè ne volessero assumere la tutela; ma nessunoamando togliersi quel carico per cui erano in pericolo anche lespallee il giovane tempestando di non voler tutela in nessun modo;esso in via d'eccezione e per decreto del presidente del Senato fudichiarato maggiore prima dell'età legale.
«Riccocome ho dettodi una sostanza ingentecominciò una vita dipazziedi scialacquodi giuochid'amoridi scandali a tal puntoda destare un gran rumore non solo in Milanoma anche fuori delducato. - Ed io mi ricordo che nella settimana grassaalcarnevalonequando da tutte le città della provincia e daquelle del Veneto affluiva la folla a Milano e nel teatro Ducaletutti gli sguardi erano appuntati al palco dove questa bestia ferocesedeva insieme co' suoi degni colleghi. - Mi sono dimenticatodi notare che questo giovane aveva qualità straordinaried'avvenenzad'ingegno e di spirito. - Pareva insomma che lanaturain un momento d'esaltazioneavesse vuotato il sacco permetterlo insieme; e che dall'altra parte il diavolo o qualche suoagente si fosse messo in testa di assassinare l'opera geniale dellanatura stessa. - Maper queste qualità appuntoanziper la loro contraddizione violentanon è a dire quantocostui riuscisse caro alle donne. - Posso assicurare che moltemarchese e contessein fama d'invincibile castitàsmarrironola tramontana per questo scavezzacollo; posso assicurare che moltimatrimonj avviati da lunghi e casti amori si turbarono di punto inbianco al comparire di questo Lucifero vivo e veroil quale aveval'incarico di portare il disordine e il peccato ovunque sipresentasse.
«Senon che una vita così turbolenta e pazza doveva portare le sueinevitabili conseguenze. Infatti non passarono tre anni cheindebitato fin sopra la testaipotecati tutti i fondisi trovònella condizione di chieder soccorso a un suo vecchio ziocol qualeera già venuto a terribili alterchi. - Lo ziocom'ènaturalefu sordo a tutte le preghiere dei parenti e degli amicitanto che il giovane dovette un giorno seguire le guardie urbane erecarsi nelle carceri del pretorio alla Malastalla. - Idebitil'avvilimentola prigione non mancarono di fare un certoeffetto sull'animo di quel giovaneil qualecosa stranasiacconciò a scrivere una lettera allo zio. Siccome erad'ingegno e d'animo versatilee dall'oggi al domani si trasformavacome un camaleontecosì trovò il modosecondodicevasi per la cittàdi scrivere una lettera allo zio cosìaffettuosatoccante ed eloquenteche lo zio si lasciòsmuovereechiamati i creditorivenne con loro a convenzioneeaggiustato alla meglio il disastro economico del nipotegli assegnòuna pensione ragionevole perchè potesse vivere con decoro econ tranquillitàpromettendo che a seconda dei diporti lapensione avrebbe anche potuto crescere. Infattiritiratosi incampagnail giovane visse per quasi un anno una vita esemplare;tanto chequando veniva a Milanoo lo si vedeva in teatrociascunolo compiangevae malediva l'avarissimo zio perchè locondannava a vivere così allo stecco; e allora lo zioa cuivennero all'orecchio codeste dicerielo mandò a chiamare perfargli una proposta.
«Laproposta fu chegiacchè per molti indizj avea mostrato dipoter essere anch'egli come tanti altriun giovane savio eassestatocosì si preparasse a prender moglie; in tal caso ilsignor zio gli avrebbe fissata una rendita degna della sua condizionee della sposae per di più lo avrebbe nominato suo erede. Ilnipote accettò; la sposa era già preparatagiovanebellaricca. Il matrimonio si fece; ma colla ricchezzaricominciarono i capogiri del giovinotto; e gli scialie i giuochie le donne e il diavolo a quattro; e non finì un annoche laconsortela quale fu donna Giulia Rodriguez de Arevolofigliuolaunicamorìil mondo disseper un calcio dato dal maritofurioso a lei che era incinta. - Rimasto vedovo con unragazzinoperdette di lì a poco anche questoond'egliereditò tutti gli averi della moglie; ma li ereditò perbuttarli all'aria come avea fatto con tutto il resto. Alloratornando i dissesti economicie le angustiee l'assedio deicreditorilo zio dovette ricomparire ancora a sanar le piaghe.Siccome poi quello zio era ciambellanoe avrebbe fatta moneta falsaper l'arciduca Ferdinandocosìquella voltain pagamentodel beneficiopretese che il signor conte nipote entrasse tra leguardie d'onore di Sua Altezza serenissima. Quelle guardieperl'eccesso del lussoe perchè nelle solennitàquandoin chiesa sfilavano a lato dell'arciducadagli spallinidallaspadadai ricami d'argento riverberavan le fiamme delle torcievenivano chiamati i candellieri d'argento; appellativo che rimase poialle guardie d'onore fin sotto al Regno italico. Ora fu nella suaqualità di candelliere d'argento chea una festa da ballodata dall'arciducadanzò per la prima volta colla giovanecontessa Ada. Vederla e andarne presoe con quel suo sistema diportar tutto all'esagerazione e al deliriodichiarare che si sarebbeammazzato se ella non corrispondeva all'amor suo; e recarsi dallozioe far mille protestee supplicarlo perchè siinteressasse a rendere possibile quel matrimoniofu una cosa sola.Lo zio non desiderava altro. La prima volta avea durato fatica aindurre il nipote ad accasarsi; ora veniva lo stesso nipote achiedere e pregare. Era un fatto superiore ad ogni speranzaera unavera conversione. La contessina Adasi sanon aveva più nè16nè 18nè 20e nemmeno 25 anni; macorrendo il1780era prossima a' suoi 28. Ben è vero ch'ell'era ancorabellissimae le giovinette sedicenni potevano ancora invidiarla; maa quell'età le donne ancor nubilicominciando a capire chedopo il mezzodì viene il tramontosentono nelle ossa laminaccia d'una diminuzione di prezzoe diventano impazienti tantoche se hanno passato la miglior parte della vita a dir di nosospirano qualunque occasione per poter dire di sì. Lacontessina Adapoidi sopraggiuntasi era veramente invaghita delconte Achille S.... nè più dovea temersi la competenzadel Suardiil quale aveva toccato i suoi quarantanove anni. Ben eglicontinuava ad essere un bellissimo uomoprosperosovegetovivace.- Ma il colore del volto aveva perduta la trasparenza; mal'occhio aveva smarrito il fosforo; ma la pancia aveva varcata lalinea accademica. È sempre la pancia quella che chiude ilprotocollo degli amori. Dunque la contessina Ada era guarita diquell'affezione infelice.
«Neltempo che avvenivano queste coseio non mi trovavo a Milano. Da unanno e più stavo a Venezia per assistere la povera mia madreche morì poi in ancor fresca etàcompianta edesiderata da quanti la conobbero. Stavo dunque a Veneziaquando migiunse come un colpo di fulmine la notizia che lord Crallil qualeda qualche tempo erasi ritirato in una sua villetta presso Milanofutrovato morto in cameraimmerso nel proprio sangue. Colla notiziacorsero anche manoscritte le copie di alcune lettere ch'esso aveascritto per donna Ada: lettere che si faceva a gara a rubarsele dimanoperchè a Venezia destavano un grande interessenontanto per sè stessequanto perchè n'era eroina lafigliuola di quella contessa Clelia che molti anni addietro avevalasciata tanta impressione in quella città. Fu allora cheintanto che mio padre recavasi a Genova per certe somme lasciate damia madre su quel Bancoio tornai a Milano coll'intento di conoscereappieno e dappresso i particolari di tanta sventura; e fu allorach'io sentii per la prima volta la storia dei nuovi amori del conteAchille S... e delle prossime nozze di lui colla contessinaeappurai essere stata questa la vera cagione del suicidio di lordCrall. - Le ultime lettere di questo infelicepubblicateoggifarebbero ancor sensoad onta delle famosissime di Werther eOrtis; ma iodopo averne con religiosità conservata copia permolti anninon so comele ho smarrite; nè mi venne mai fattodi rinvenirle altroveper quanta cura ci abbia posto; specialmenteallorchèdiscorrendo un dì con Ugo Foscolo di quelfatto e di quelle lettereegli mi mostrò un gran desiderio divederle.
«Saputotutto quello che si poteva sapereiosebbene sentissi l'obbligod'andare a trovare e a confortare in qualche modo la madre infelicedel povero estintopure stetti lontano dalla casa Pietra; perchèse mi aveva annojato in addietro il trovarmi a contatto col marcheseF...ben più m'avrebbe pesato il trovarmi allora insieme conquel petulantissimo conte S...; nè troppo a me importava ch'eifosse un candelliere d'argento dell'arciducae molto meno che fossebello come un dioe meno ancora che avesse in sulla coscienza unamezza dozzina di cavalieri ammazzati da lui in duello; circostanzacheinvece di far ribrezzoaccrescevatanto il mondo ècuriosoil prestigio che lo circondava; bensì lo abborrivo ditutto cuoreperchèpieno com'ero io delle idee di mio padrenon potevo soffrire che coluidopo essere stato in America abattersi per la libertàfosse poscia tornato piùgonfio che mai di vento aristocraticoe si comportasse con tutti dimanieracome se il mondo fosse suo vassallo. - Tornando aifattiper essere colui impastato di contraddizioni e delle cose nonamando che gli estremiio seppi da chi lo avvicinava in quel tempoche il suo amore per donna Ada portò tutti i caratteri di unaprocellaprocella che continuò nel medesimo orgasmo per moltotempo; anche perchèquando tutto era disposto per ilmatrimonioe lo zio gli aveva assegnato una rendita degna di lui edella sposala morte di donna Paola Pietra che tenne dietrodopo unanno di languore e d'abbattimentoalla misera fine di suo figliovenne a sospendere ogni cosaperchè donna Clelia volle che illutto per quella santa donna fosse intero e solenne. - Neigiorni estremi di quella vita preziosa e veramente eccezionaleioritornai finalmente in quella casa e fui testimonio di scene sublimid'amore e di dolore. - Allorchè la veneranda donnamandò l'ultimo respirosembrò davvero che allacontessa Clelia fosse strappata l'anima. In mia vita non ho maiassistito a più profondo cordoglio; e la prova ne fucome giàho dettocheper quanto ella conoscesse e compassionasse lacondizione d'animo della propria figliuolae per quanto potessetemere le violenze del conte S...pure volle che per un anno interonon si parlasse di nozzee si onorasse la defunta anche co'sagrificj del cuore.
«Quelmatrimonio non ebbe dunque luogo che nel giugno dell'anno 1780contutta la solennità e le pompe d'uso. Ma trascorsa la lunad'obbligola procellosa passione del contenel soddisfarsisispense; e la tetra nojaassediando ancora quell'incontentabilenatura d'uomolo spinse a cercare nuovi stordimenti nel giuoconelle donne; a portare la desolazione nel proprio talamo maritaleafunestar la pace dei talami altruiprovocando irevendettetafferugliduellie giungendo a mettere sossopra persino la Cortedell'arciduca.
«Atante pazzie presto tennero dietro i dissesti domestici e i dissaporicol vecchio zioil quale riuscì a fargli decretarel'interdizione. Dopo questo fatto esso diventò cosìacre e turbolentoche tutti facevano a gara per iscansarlo. Fuallora che nacque un accidente per cui dovette abbandonar Milanoelasciar la casa e la famiglia. Quell'accidente peròbisognadirlo ad onor del verogli recò molto onoree fu tale chegli acquistò la simpatia anche di quelli che l'odiavano e loscansavano. - Ecco di che si tratta. È un fatto di nonpoca importanzae che si connette coi grandi interessi del paese.
«GiuseppeIIquando salì al tronovi recò l'orgoglio delsovrano assoluto e la presunzione di saperne più di tutti. -Una tempesta doppia. - La seconda fu assai peggiore dellaprima giacchè per essa egli applicò le riforme con taleviolenza e impazienzada mandar disperso il bene a cui miraronocoloro che le avevano inventate. Per fermarci al ducato di MilanoGiuseppe II fu il primo sovrano austriaco che abbia manomessodispoticamente questo inesauribile salvadenaro dell'Impero. Fu perlui che la Lombardia ha cessatoallora per la prima voltadi viveredella vita propria. Per lasciar da parte tutto il restoe per venireal caso nostrol'abolizione del Senato di Milanoche stava in piedida tre secolifu un avvenimento che mise il malumore in tutta lapopolazione. - Ben è vero chedi quel Senatonoistessi da moltissimo tempo avevamo vedute le piaghe; macomeavvieneil nostro legittimo orgoglio nazionale fu punto e si risentìquando venne offesa da altri quella nostra unica rappresentanza. Nonsi aboliscema si riformase c'è da riformare; ma sirispettano le più antiche e le più care tradizioni diuna cittàdi una patria. In famiglia si puòrimproverar la sorellala madrema non si sopporta che altri leschiaffeggino. È codesta una legge di natura. È dunqueuna mia opinione che l'odio dei Lombardivoglio dire dei Lombardiitalianiper il dominio austriacose non cominciò affattocon Giuseppe IIs'inviperì allora per la prima voltae simanifestò per mille indizi. Il mezzo più sicuro con cuiun governo può inimicarsi i governati è quello diattestar per essi in pubblico il proprio disprezzocol rifiutare erespingere tutto ciò che fu il portato delle loro consuetudinie della loro sapienza tradizionale. I sudditi ragionevoli possonoacconciarsi a pagar tasse esorbitanti; possono chiamarsi gloriosi dimettere ai piedi del trono i loro averiperchè un talsagrificio è giustificato dalla necessità o dalle sueapparenzee perchè la dignità di una nazione o di unaparte di essa non ne rimane offesa. Ma guai se si pretende disconquassare ciò che costituisce la fisionomia caratteristicad'un paese.
«Iveri sapienti onde allora era cospicua la città di Milano benpotevano essere incaricati non della distruzionema della riformaragionevole del Senatoed essi medesimi dovevano poi venir chiamatia farne parte e ad esserne il decoro e la gloria. - MaGiuseppe II si credeva al disopra di tuttianche per l'intelligenza;e quanto alla Lombardiasenza conoscerla mostrò didisprezzarla in più d'un'occasione. Mi ricordo cheallorquando venne a Milano per la prima volta e s'incontrònell'aula massima del Senatonel presidente Motoneguardandoall'altissimo topè che colui portavaebbenon dubito di cosìchiamarlala vile sfrontatezza di rivolgergli queste precise parole:Davvero che voi mi sembrate un buffone. - Questa frasedi quel presuntuoso monarcariferita dai testimonje messa in giroper tutta la cittànon è a dire quanta indignazione erancore e dispetto abbia recato in tutti gli animi dei buoniMilanesi; quei Milanesi che pure in molte circostanze avean giudicatocon molta severità quel presidente. - Matorno aripeterloi Milanesi non potevano biasimare quel loro magistrato; madovevano indignarsicome feceroquando lo sentirono insultato cosìvituperosamente da un sovrano straniero.
«Ortornando al Senatoo meglio tornando al conte S...candellieredell'arciducain uno di que' giorni in cui tutta Milano parlavadella soppressione del Senatoa una festa di Corteaccostatosi a uncrocchio di ciambellani che lodavano a cielo quell'attodell'imperatoreegli investì tutti quanti con parole cosìacerbe e veementida far credere ch'ei non avesse altro desiderioche di esser tradotto in carcere; e tanto più quando prese pelcollare inargentato il conte Mellerioe lo scrollòallegramente allorchè quel ladro in carta bollata ebbeil coraggio di rispondergli con altrettanta veemenza. Tutti disseroallora che il conte S... era alterato dal vinoche era fuor de'gangheri per aver perduto al giuocoche cercava mille modi di farnascere degli scandaliquasi a vendicarsi di essere stato interdettodal nuovo Tribunale succeduto al Senato; masia pure come vuolessereio provo sempre una grande soddisfazione quando penso aquella scena violentae mi lodo della fortuna quando considero cheper parlar alto a quel modonon ci voleva che un uomo di quellatempra. Le prime sassate nei vetrianche allora che si vuol fare unadimostrazione legittimason pur sempre gettate dalla canagliainferocita. E il contead onta di tutte le sue pessime qualitàpur serbava in fondo in fondo all'animo qualche cosa di generoso;soltanto ce ne voleva a farlo balzar fuori. - E qui mettocodesta osservazionea mitigare in parte il giudizio severissimo cheho dato più addietro di quest'uomo; ma dico il verochequella furiosa scrollata data da lui al bavero inargentato del conteMellerio m'ha disposto all'indulgenza.
«Ilgiorno dopoil barigello della Pretura con una mano di guardieurbane fu alla casa S... per condurre seco il padrone. - Maquestoin fretta e in furiamesso in sull'avviso non si sa da chiera partito la notte; nè d'allora in poi non fu mai piùveduto a Milano; nèdopo una sola lettera che da Parigiscrisse alla contessa sua moglienella qualecom'ella più epiù volte mi raccontò piangendo dirottamenteleraccomandava di dare un bacio alla piccola Paolinanon scrisse maipiù alla famiglia; nè mai più per sua partegiunsero notizie di lui in patria.»
Quifinisce la seconda parte della relazione lasciataci dal signorGiocondo Bruni.
Edora dovremmo tornare indietroovverosia andare avantie risalire incasa S...e collocarcicome il vecchio Simeonetra il capitanoBaroggi e donna Paolina per metter l'anello in dito alla sposina econgiungere le due mani. Ma il genio della storia e della rivoluzioneci sollecita e c'invita ad un teatro più grande che non èMilano; in mezzo a scene più solenni; e tanto più chesu quel teatro e tra quelle scene ritroveremo ancora i nostripersonaggie per la prima volta finalmente ci si presenteràla strana figura del conte Achille.


LIBRODUODECIMO


Roma.- Il Colosseo e S. Pietro. - Il Camillone diTrastevere. - Pio VI. - Pio VII. - Napoleone I.- La Chiesa e l'Italia. - Le idee rivoluzionarie a Romae a Milano. - Il popolo romano. - I Trasteverini. -Gli artisti. - L'avvocato Corona. - L'albero dellalibertà. - Il Campidoglio. - Il generaleCervoni. - La Repubblica Romana. - L'anfiteatro Flavio.- La Morte di Cesare di Voltaire e la statua di Pompeo.- Il colonnello Achille S... - Donna Paolina S... -Il capitano Baroggi.


I


Ditutte le città cospicue del vecchio e del nuovo mondoduesole tengono i caratteri e le virtù e il diritto di esserecome in un'orbita ellitticai due fochi dell'umanitàRoma eParigi. Queste città esercitano sugli uomini che vengono daaltre patrie un'attrazione così prepotente e irresistibileche quasi li seduce a non tornar più a casa loro.
Tuttiquelli che sono affetti di municipalismo croniconon è che aRoma o a Parigi dove possono sperar di guarire. Tutto sta a nonerrare nella scelta.
Igaudenti che antepongono il Bordeaux al vino d'Orvietoe che paurosidell'avvenire e smemorati del passato voglionoper tutto quel chepuò succederegodersi tutti i beni che loro può dareil presentevadano a Parigi; coloro che sono ascritti all'ordinedella cambiale e interroganoquotidiano oroscopoil listino dellaBorsavadano a Parigi; coloro cheper fermarci alla città diMilanoodiano l'autore di questo libroperchè difese laconservazione dei portoni di Porta Nuovavadano a Parigi; a Romapotrebbero morir d'indigestione archeologica. Ma coloro chevolendofar la cura del municipalismonon voglionoessendo italianimettere a repentaglio il nazionalismo vadano a Roma.
Vadanoa Roma coloro i quali credono che si possa assicurare il futurocoll'amore tenace delle grandi tradizionie hanno fede neiritornelli storici. Vadano a Roma i prosciugatori di paludiibonificatori di terrenii cercatori d'una città capitale perl'Italia quando sarà rifatta.
Èpur sempre dal monte Pincio e dall'umile quarto piano dove abitaval'indefesso Winkelmann che si può ancora appuntare iltelescopioper scoprire quella stella che sgombrerà del tuttole nubi d'Italia.
Magiacchè il nome di Winkelmann ci venne sulla pennaesso chepassato a Romanon seppe più dipartirsene se non per morire;che cosa significa codesta irresistibile attrazione che l'eternacittàdal centro d'Italiaprecisamente come al tempo che eral'Urbe dell'Orbe esercita ancora sugli animi piùnobili e sugli intelletti più privilegiati di tutte lenazioni?...
Gibbontrovandosi a Romaseduto sulle rovine del Campidogliomentre ifrati cantano vespro nel tempio di Giovequella strana antitesi lopercuotee per vent'anni non vive che sprofondato nelle memoriedella città eterna.
Byronindarno trattenuto da colei che per la prima volta riuscì afar parer legittima l'infedeltà conjugaleviaggiaappositamente a Roma per dedicare alla regina delle cittàl'ultimo canto del suo Childe Harold immortalee al cospettodelle sue rovinela saluta Niobe delle Nazionie sente peressa quell'entusiasmo di amante che non ebbe mai per la fredda suapatria. Perfino i figliuoli di Veneziaper consueto innamorati dellacara madre al punto da far piegar in passione il naturale affetto delluogo nativoa Roma dimenticano e San Marco e Canalazzo e Giudeccae vi conducono in gloriosa e feconda prosperità la partemigliore della loro vita.
Ilveneziano Piranesi è così pieno dell'ariadel cielodel suolo di Romada ritrarla con prodigiosa fedeltàe dafarla comparire come per incanto innanzi agli occhi di chi non l'haper anco visitata.
Canovavive di Roma e per Romae qui vince nella gara l'invidioso daneseche in essa dimorò tutta la vita per tentare di rapire lapalma al veneziano.
Magiacchè il rivale di Canova ci fa pensare agli artisti delsettentrioneBruloff e Bruni dalla gelida Neva venuti a Romacrescono pittori grandissimi nel fecondo tepore del suo cielotantoche se l'artista è cittadino di quella patria da cui tienel'inspirazione e l'esempionon sono essi che legittimi romani; eBruloff lo confessava e lo volevae il corpo atleticoaffranto dalsoverchio peso del suo ingegno sterminatosperò di ritornarloa salute ricoverandosidopo lunga assenzaa Romanella fiducia chelà soltanto gli soffiasse quell'aere nativoestremo rifugiodelle vite per cui l'arte medica non ha più consigli.
TuttoCorneliusche alcuni esteti nostrali proclamarono antistitedell'arte contemporaneaquand'era di moda non vedere e non sognarche l'arte e la scienza germanicae sotto la maschera della scuola edel gusto cercavano onestare la colpevole adulazione e le maledetteschiene curvatetutto Cornelius non è all'ultimo che unrivenditore eclettico dei tesori raccolti a Roma.
Ilsommo Delarocheil più originale forse e il piùperfetto dei pittori contemporaneigiunse a vestire della piùdecorosa forma i nuovi concetti per aver ripensato tutta la vita eRaffaello e Roma.
Chepiù? Una popolazione di giovani artisti di ogni linguad'ogninazionesotto l'egida dell'artestornatrice dei sospetti clericaliqui rappresentano la parte più eletta dell'umanitàocome espressione sincera delle loro patrie progressive e liberaliocome eccezione gloriosa delle loro patrie corrotte.
Ein quella scienza della storia e dell'indagatrice filologiauominid'ogni nazione dimenticano le origini e la storia delle loro patrieper cercare e rifar quella di Romae comparire in faccia al mondogloriosi di una dottrina che qui soltanto hanno trovato. Niebuhrs'innamora di Roma e si sprofonda a perdita d'occhio nelle sue piùremote originisotto la scorta del romano Vulpiotanto letto nelmondo quanto derubatoe men celebre de' suoi saccheggiatori astuti.
Senon che tutti costoro stettero al cospetto di Romasenza speranza esenza fedecome al cospetto di un cadavere imbalsamatoancor belloe ancora coperto di porpora e di gemme. Alcuni anche vi stetterosenza doloree solo coll'intento d'involarne i tesori sotto specied'ammirazione. E i più generosi e sentimentalicome Byron eChateaubriandnon manifestarono che un dolore sterile e senzaconforto.
Byronchiamando Roma la Niobe delle nazionivolle conchiudere chenon v'era speranza ragionevole di veder risorgere i suoi figlisaettati da un Dio nemico.
Chateaubriandpur nello sfoggio del suo entusiasmo e di poeta e di cristianoalcospetto di Roma non fa che ripetere l'Inania regna d'Isaiaeconchiudere declamando il Rem plenam miseriæspembeatitudinis inanemdi S. Agostino.
Madopo tuttochi resta ultimoa perder la speranza vicino al lettodel moribondo parente non è che il devoto consanguineo. Peròad aver fede nella risurrezione di Roma è necessitàessere uomini d'Italia. È già molto che lo stranierorammenti con ammirazione il suo passatoe s'assida con poeticacommozione presso le sue rovine.
Lateoria storica dell'impossibile risurrezione delle nazioni tramontatepuò essere ammessa da chi trionfa nella massima piena dellafortuna; ma la respinge con sapiente orgoglio chicaduto da altogeme in non meritata sventura.
Puretanti anni sonogli stessi Italiani che deploravano la patriainfelice e divisaallorchè visitavano Romase il pensierodella giustizia e la forza del dolore generavano un qualche barlumedi speranzala ragione calcolatrice degli ostacoli faceva sbollireogni entusiasmo destato dagli avanzi del passato e dall'idea che nonindarno fosse pur rimasto ancor tanto di tanta grandezza.
Quandoi congressi scientifici non avevano ancor maturato il fruttopolitico; quandodopo la fatale dispersione dell'esercito del regnod'Italiala coccarda italiana stava ancora celata nel confidentescrigno di qualche superstite veterano del Raabe il tricoloreitalico non veniva ancora trapuntato dalle generose lettrici deicanti patriottici del milanese Berchet; e le cinque proverbialigiornate che lo dovevano per la prima volta far sventolare in Italiaerano ancora in mente Dei; un giovane milanesee a chiscrive era ben nototrovavasi precisamente a Trinità diMonti per godere lo spettacolo di un tramonto romano; e mentre unartista andava additando l'antico foro e il Campidoglioe coi ruderiinfranti ricostruiva a mano a mano la Roma realela Romarepubblicanala Roma imperialeil giovane milaneseguardando oraal cupolone di S. Pietroche pareva nuotare in un oceano d'orooraal Colosseoche sorgeva gigante ma tristo e infranto e nellacondizione di un'architettonica cava di marmo: - Eccodissele due costruzioni più gigantesche di mole e piùsontuose d'ornato che mai siano sorte al mondo. In nessuna partedella terra non v'è nulla che possa paragonarsi a questi dueedifizjche sembrano rappresentare l'evo antico e l'evo moderno.Peccato che il Colosseo rimanga smantellato a mezzo. La grandezzaromanase ciò non fosserivivrebbe tutta in lui.
-Così fosse affatto scomparsoesclamò allora conveemenza un abate in mantelletta che per caso era là presenteche almeno non rimarrebbe più traccia della feroce èrapagana e dei tanti martiri qui immolati agli dèi bugiardi.
-Ma perchè allora non v'è chi smantella il Vaticano?esclamò il giovane milanese.
L'abateguardò stupito quel che così parlava; poi soggiunsequasi gridando: - Chi bestemmia così?
-Nessuno bestemmia. Ma se volete distrutto il Colosseoio vi domandoperchè si lasciano sussistere tante testimonianze dei delittidei pontefici? L'altro giorno mi fu mostrato un luogo dove Paolo IIstava ascoltando i gemiti delle migliaja di prigionieri stipati incastel Sant'Angeloonde il popolo atterrito dal notturno ululatoebbe a chiamar questa mole per antonomasia il toro di Falarideingigantito.
Questeparole provocarono una discussione tra quel giovane e l'abate.
-Da quanto avete dettocontinuava il primomi accorgo che hannoragione que' dotti scrittori che della colpa d'aver smantellata Romaassolvono e le invasionie i saccheggie i Barbariperfino icataclismi naturalii terremotie gl'incendj spontanei.
-Chi dunque può aver fatto questo?
-Il cristianesimo corrottola malvagità pretinal'ignoranzadel popolo credenzone.
-Mi piacerebbe sentire come si può far ora ad assolvere iBarbari.
-Col dirvi che i Barbari nel furore dell'avidità ben ponnoessersi attaccati all'oroall'argentoalle gemmeal ferroalrameal piomboalle belle donnea tutto ciò che voletemanon alle colonne di granitonon ai massi di travertinonon aifrontoniagli atticiai capitelli. Giàtutta la storiadelle rovine romane non a caso fu riassunta nel Quod non feceruntBarbarifecerunt Barberini. Ma lasciando i Barbaril'ultimosaccoche fu il più terribile di tutti e che duròtanto tempo e dischiuse una tal voragine di miseria che ci volleroanni ed anni a porvi riparochi lo ha volutochi lo tirò incasa? Rispondete a me adesso.
-Vi rispondo col farvi una domanda. Di chi fu la colpa se inquell'altro sacco?...
-Qual è quest'altro sacco?
-Quello del 1798. Quello chesotto specie di protezionedibeneficiooperarono i rivoluzionari di Francia e d'Italia. Di chidunque fu la colpa se le più stupende opere degli ultimisecoli adunate in Roma per la magnificenza pontificia; se le piùfamose statue dell'antichità raccolte ne' musei furonodepredate e trasportate in Francia?
Ilgiovane milaneseche in tutte le storie contemporanee aveva trovatointorno a quel fatto e relazioni e giudizj sempre concordied eglistesso non sapeva dar ragione a quanti storici e a quanti uominivituperarono le estorsionile rapinele concussionii disordinid'ogni maniera che avvennero di quel tempo in Romaprima sottoBerthierpoi sotto Massenasi trovò sconcertato a quelladomanda improvvisa dell'abate; e andavatanto per non parer vintobiascicando una risposta che però si rifiutava ad uscir dallabocca. Ma allora venne in suo soccorso l'artista che in quel crocchiofaceva da Cicerone per tutti.
-Troppo spessoprese dunque a dire coluinelle storie molto lodate emolto divulgate la verità si cerca e non si trova. Certo chequei disordini sono avvenuticerto che le concussioni furono fattecerto che i capolavori furono rubati; ma bisogna portarsi a queitempima bisogna conoscere le nefandità che prepararonoquelle vendette. Oggi non v'èper esempiochi non chiami PioVI e santo e martire. Ma dove si legge quel ch'egli fece prima ditoccare gli ottant'anni? Caro signor abateella è ancoragiovanee poi non è alla segreterianè alla curiadove si legge la vita ai papi. Non è alla curia dove siconoscono gl'insidiosi intrighi dei cardinali e dei vescovi e deglialtri prelati di tutti i colori... Ma cangiamo discorsoche sealcuno riportasse le mie paroleanche nella mia condizione dicittadino francesepotrebbero assassinarmi colla mordacchia;chè i sacerdoti di Cristo hanno trovato il modo disuperare la feroce antichità nel tormentare i galantuominiquando manifestano opinioni contrarie a quel ch'essi vogliono.Discendiamo dunqueche è disceso anche il soleed èscomparso dietro la palla di rame.
L'abatetacque. Discesero tutti. Strada facendol'artistache si diede aconoscere per un tal Baldaniemigrato lombardo fin dal 1814diventato suddito francesee allora dimorante a Roma per collaborarea un'opera sulle antichità romane che doveva uscire a Parigirivoltosi al giovine milanesegli disse che se voleva conoscere isegreti del tempo in cui si piantò a Roma l'albero dellalibertà gli avrebbe fatto conoscere un popolanofigliuolo diun tal Camillone di Trastevereper mezzo del quale avrebbe saputoquello che non c'è in tutte le storie.
Ecosì fu fatto. L'architetto Baldani condusse il Milanese inTrastevere e lo presentò al figlio già maturo dell'unavolta famoso Camillone; diciamo una volta famosoperchè oranon v'è più chi lo nomini nè si ricordi di lui;sebbene negli ultimi dieci anni del secolo passato abbiarappresentato a Roma quella parte che Ciceruacchio rappresentònei primordj del fatale pontificato di Pio IX; ed abbia dettato indialetto romano un curioso diario dell'ingresso dei Francesi in Romanel 1798e di tutto quello che avvenne colà in quel periodofamoso. Del qual diario il giovine milanese ottenne di potertrascrivere gran parte.
Senon che di questo Camillone noi abbiamo cercato il nome coninsistenza in tutte le storie più o meno celebri che parlanodelle cose generali d'Italia a quel tempo e delle speciali di Romacompresa la postuma di Alessandro Verriil qualeper aver dimoratotanti anni in quella città e per essersiper ciò cheaspetta ai Francesi ed alla repubblica colà improvvisatadiffuso in insoliti particolariavrebbe potuto parlarne con piùragioni e con più mezzi degli altri. Ma non ne abbiam trovatoneppur un cenno fuggitivoil che ci sembrò tanto stranochesiamo venuti perfin nel sospetto che fosse un'invenzione e l'uomo diTrasteverealmeno per l'importanza che gli si volle daree ilmanoscrittoalmeno per la sua autenticità; chè a Romaè frequente la professione di vendere vesciche ai forastieriche vanno a caccia di notizie e di scoperte. Maun mese farovistando in Bibliotecaabbiamo trovato un opuscolo stampato aBologna nel 1800relativo ai fatti di Romadove il Camillone diTrastevere è nominato in lungo e in largoe vi èrappresentato come l'uomo a cui l'autorità stessa dovevaricorrere quando si voleva metter pace nella moltitudinela quale inlui solo avea fiducia. Questa scoperta distrusse tutti i nostridubbje ci animò a ricostruir questa parte dell'edificiochequasi lasciavamo andar in ruina. Ed ora il racconto quasi assumeimportanza di epopea; feconda epopeaperchè fu nel 98 e inRomadove per la prima volta deliberatamente venne vibrato il colpoche avrebbe potuto ferire a morte il nemico più formidabiledell'Italiache da tanti secoli si tormenta per ritrovare sèstessa e per riavere quel posto che le si compete fra le nazioni; eperchè l'Italia presente dee guardare quell'anno memorabilenon per ripeterloma per emendarlo e compirlo; ma per convincercichefinchè rimarrà il poter temporale al ponteficelaquestione italiana non sarà mai risoluta davvero; e anche nelcaso che l'aspetto della nostra nazione potesse presentare i segnidella salutein quel potere starà chiuso il germe del morboanticopronto sempre a pigliar forza dalle possibili occasioniperprorompere più minaccioso e funesto.


II


PioVI e Pio VIIavendo usurpata una fama mille volte superiore almeritoe comparendo al cospetto della storia in sembiante dioppressidi martiridi eroi del cattolicesimoriuscironofunestissimi all'Italiae furon cagione che si prolungassero nelmondo i falsi concetti sulla natura e sui diritti del papato. Ma piùancora di Pio VI e Pio VIINapoleone fu quegli che imbrogliòil pubblico giudizio relativamente alle quistioni della Chiesaeconsacrò nella maggior parte del mondo cristiano una specie dimistica paurache rese formidabile il re pontefice; e nellamoltitudinela quale si lascia sopraffare dalle catastrofideposela persuasione che le basi del poter temporale fossero inconcusse. Laluce della ragione indipendente chein sul finire del secolopassatodai pensatori solitarj era passata alle assemblee nazionalida queste agli esercitidagli eserciti alle popolazionisi spensetutt'a un trattoper concentrarsi ancora nella chiusa lanternad'alti pensatori aspettanti con fiducia i tempi migliori. Bonapartefu il gran colpevole. La risoluzione ch'ei prese contro a Pio VIossia contro al poter temporale del papaquando nel 98 da Roma lofece portare a Sienainvece di sembrare al mondosiccome erailcolpo deliberato della sapienza checonfederata alla forzavolevarichiamare una istituzione degenerata alle sue origini primitiveparve un'ingiustissima violenzaallorchè col concordatoconchiuso nel primo anno del secolo corrente egli mostròo dinon aver saputo quel che si facesseo di pentirsi di quanto avevafatto. Il mondo in quella fatale transazione imparò arispettare il poter temporaleal quale s'inchinò sempre piùquando vide Napoleone inchinarsi egli stesso al Chiaramonteper poiritornare agli atti della prima violenza. Questa ineguaglianza dicondotta fu quellalo ripetiamoche imbrogliò il pubblicogiudizio; perchè i disastri sorvenuti e il grande eroefulminatonell'opinione del vulgoparvero vendette del cielo; ecome ai tempi di Samuele e di Saullesi riputò che Iddioavesse colpito il re della terra che avea osato offendere il suoluogotenente.
Maqual fu la causa di quella strana condotta di Bonaparte? Quella causastava intera nel pubblico europeoche non tutto si era lasciatopersuadere dalla parola dei savjperchè dieci anni nonbastarono a mettere in fuga i pregiudizj di dieci secolie perchèla rivoluzione delle idee non si era attuata che alla superficiesenza penetrare nella carnenelle ossa e midollo delle moltitudini.Bonaparte ebbe dunque paura della gran massa del pubblicoperconseguenza di quella sagacia che non gli permetteva d'illudersisulle apparenze. Ma la sagacia del tornaconto non è il geniomagnanimo del sacrificio; però i calcoli dell'ambizione gliconsigliarono le transazionisebbene gli sdegni naturali dell'uomosalito al massimo potere gli consigliassero poi le violenze. Se nonfosse stato ambiziosonon avrebbe avuto paura della moltitudinelaqualealla sua voltanella imperterrita continuità degliatti di luiavrebbe trovata la riprova dei principj annunziati daipensatorie avrebbe finito a liberarsi dai pregiudizj. Cosìil pubblico corruppe l'uomo di genioe questidi rimandorituffòil pubblico negli errori secolari; così rimase interrotta lapiù radicale riforma chequando sarà adempiutasaràla più gran pagina della storia moderna.
Maritorniamo a Pio VI. Questo ponteficeessendo morto ottantenne e inesiglio e inflessibiletrovò gli storici indulgenti fino adessere dissimulatorifino ad essere bugiardi; trovò ilpubblico europeo disposto a non vedere in lui che un'altra vittimadella prepotenzaun altro martire glorioso del cattolicismo. E anchein ciò gli storici imitarono Napoleone I; vogliam dire cheanch'essi ebbero paura del pubblico e tacquero la veritàlaqualese avessero adempito all'obbligo dell'indagine scrupolosacertissimamente lor si sarebbe data a conoscere. Or chi era Pio VI?ovvero sia: chi era l'uomo chesotto tal nomedoveva rappresentareuna delle parti più vistose del suo tempo? È subitorisposto: - Coluise non fosse salito al poteresarebbestato gettato alla rinfusa nel carnajo degli uomini piùspregevoli.
Lanatura che fu avara seco delle doti della mente e del cuorevolleinvece essergli liberalissima di doni fisici. L'avvenenza fu la solaqualità che in lui poteva valerese fosse stato e rimasto unuomo privatoa distinguerlo dagli altri. Ma di essa egli s'invaghìal puntoche mal non si appose chi nel tempo ch'egli era semplicevescovolo chiamò il Narciso mitrato. Adunquepersin laforma decorosache è sempre un pregiocome è unbeneficio della cortese naturatrovò il modo di tramutarsi inluise non in un viziocerto in una debolezza vituperosae perl'eccessiva importanza ch'ei le diedee più di tutto perchèaccarezzata a quel modofaceva uno scandaloso contrasto colcarattere ch'egli vestiva. Ma se questa tuttavia rimaneva unadebolezza facilmente condonabileben v'erano nello spirito diquell'uomo altre abitudini assolutamente perverse. Egli era vanoinvidiosoorgoglioso; e fin da quando salì al vescovadoossia fin da quando potè esercitare qualche autoritàsui soggettisi mostrò bisbeticooppressoreingiusto. Permancanze leggerissime maltrattava coloro che avevano la dura sorte diservirlo o come prelati di camera o come semplici domestici. Ma se unuomo collerico è facile a dar corso agli impeti primieglinon aveva poi quella qualità che per consueto è ilcompenso degli uomini irascibilila generosità prontissima ariparar le ingiurie; bensì una volta che avesse punitoqualcunoquand'anche se la verità fosse venuta a galla amostrare l'innocenza del povero malcapitatoegli faceva il sordoalla voce della giustiziae lasciava che i suoi atti di violenzaavessero intero corso. Avvenne un giorno (ed egli era giàsalito alla sedia pontificia) che uno de' suoi camerieri venisseaccusato di grave colpa. Pio VI precipitosamentesenza esamesenzaprocessonon solo lo discacciò da sèma lo fecesottoporre ad una gravissima pena corporale. Ora l'accusatore futrovato bugiardo; che risultò evidentissima l'innocenza delpovero sventuratoe cheper necessità legalelo si dovetterimetter libero. Tuttavia Pio VI non pensò mai a ritornarloalla sua prima condizionee per quanto colui avesse pregato e fattopregare la Santità Suae messo Roma sottosopra per ottenereuna graziache infine non era che nuda giustiziaPio VI non nevolle sapereed avendogli detto taluno che quell'uomo perl'insopportabile angoscia avrebbe potuto tentare qualche partitodisperatoil padre santissimo non si mosse punto a pietà; equando gli venne riferito che colui si era affogato nel Tevereascoltò quella notizia senza riscuotersi nè poconèassaie tosto si volse ad altro.
Diquesti atti di vilissima crudeltàil santissimo Pio VI necommise più d'uno.
Senon chedopo quanto abbiam dettosentiamo la necessità diconvalidare le accuse con delle testimonianze; le quali accuse sonodi tale enormità chesenon avessimo avuto per testo che ilDiario del citato Camillonegli avremmo quasi negato fede; oper dir meglionon l'avremmo spinta al punto da farne un usopubblico.
Mala testimonianza del Camillone si trasmuta in valida autoritàe perchè è appoggiata dalla testimonianza d'un altroeperchè è aiutata dalle qualità insigni diquest'altro appunto.
Essoè Alessandro Verri; la sede dove depose quella testimonianza èla sua Storia delle vicende memorabili dal 1789 al 1801.
Nessunosperi però di trovarla nei due volumi usciti in luce due annisono; chè coloro i quali tennero il manoscritto dall'egregionipote di Alessandrostettero intorno ad esso colla preoccupazionegelosa di chi compilava i libri ad usum Delphinie perònon ebber cura che di amputare crudelmente dal corpo del libro quelladozzina di pagine le quali si riferivano appunto alla vita privata diPio VIpagine che per la novità inaspettata delle notizie eper l'amore coraggiosissimo del vero onde venivan pôrterisolvevansi in quella che si chiama una rivelazione. Per casoperòanzi per cortesia dell'editore tipografonoiabbiamo veduto quel manoscritto e lette quelle paginee ne abbiamtenuto conto pel nostro libro. Ad ogni modopreghiamo coloro cheoperarono la barbara amputazionea porvi riparocol pubblicare inseguito la parte espunta o nelle copie rimasteo in una nuovaedizione di quella storia.
Equesto nostro desiderio è tanto più caldo in quantonon avendo potuto serbare a memoria quelle pagine prezioseoggisiamo stati costretti a limitarci all'unico fatto dianzi citatoilquale sta nel Diario di Camillone; e ad omettereper timoredi alterarli in qualche partealtri fatti simili e peggiori che ilVerri racconta distesamente.
Oranon v'è considerazione di sorta che valga a scemar fede alleparole del Verrichè anzi tutto concorre a comunicar loro unaautorità incontrovertibilee perchè Alessandro Verridimorò costantemente a Roma durante il pontificato di Pio VIe ha potuto conoscere di presenza tutti quei fatti intimi chesebbene importantissimi e di gran peso nelle valutazioni storichepure sono di tal natura che non varcano sempre il recinto dellacittànè talora quello del palazzo; e sono poigelosamente mantenuti all'ombra da uomini interessati; e perchèil Verri era uomo tutt'altro che avverso al potere pontificale; e delnuovo ordine di coseche procellosamente si annunziarono alla finedel secolo passatoera estimatore severo e sospettoso e timorosoespesso anche denigratore; non per difetto della sua mentenèper mal animoma per il punto di vista a cui si trovò o sipose per osservare la prospettiva che gli si svolgeva d'intorno;punto di vista disadatto a comprenderla tutta e a giudicarlaspassionatamente.
Peròtanto più fa senso che un tal uomoil quale si atterriva aipericoli di Roma e della santa Sedeabbia riferite tante cosepregiudicievoli alla fama di Pio VI; ma tanto più anchebisogna convincersi della verità di essequando siconsiderano le parole onde conchiuse la sua relazione; paroleche noi non possiamo ripetere testualmentema delle quali il senso èprecisamente questo: «Tale è la virtù dellagrazia divinache di un uomo (Pio VI) per sè stesso tantospregievole ha saputo farne un eroe e un martire del cattolicismo.»
Oralasciando da un lato la grazia divinaalcuni potrebbero dire che nonsempre le debolezzele tristi abitudinile colpe della vita privatapossono impedire che un uomo si faccia glorioso nel mondo; e a provadi ciò si potrebbero addurre esempj cospicui della storia. Maconcedendo pure che questo sia possibile in cento condizioni specialidella vita pubblicacome nella milizianella politicanellescienzenelle arti; non può assolutamente esser fattibilenella vita di chi assume il nome di padre santo. In tutti i modi peròsiamo d'avviso che in nessuna condizione chi è tristo nellavita privatapossa farsi veramente grande in pubblico ed esserebenemerito dell'umanità; chè ad onta degli esempj dellastoriamal citati perchè male interpretatiesplorando conprofonda sagacia nella vita degli uomini grandieziandio di colorocheo per prepotente invito delle circostanzeo per momentaneoerrore di giudizioo per impeto di naturapoterono commetterequalche atto colpevole; nella vita furono esperimentati continuamentebuoni e miti e generosi; per la ragioneche è ben piùfacile che le intime virtù si corrompano nell'attrito esternodegli uomini e degli eventidi quello che un'indole viziata sitrasformi in virtù quand'ella esce all'aperto.
Ela vita pubblica di Pio VI viene appunto a prova di questo; e neglianni in cui il pontificato stette sotto alla sua amministrazioneilcristianesimo fu in Roma sempre ingiuriatoal cattolicismo non siebbe riguardo nè puntonè poco; e soltanto sisollecitarono i bassi interessi terrenial segno che indirettamentela santa Sede tentò di portar soccorso anche ai Turchiallorchè minacciarono di rovina gli uomini che volevano leriforme invocate dalla civiltà.
Questenotizie e le altre che daremo ci serviranno di norma quando si dovràentrare in Roma cogli uomini della Francia e dell'Italiarivoluzionaria. In quell'occasionese avremo reso sempre piùevidente il fatto che Pio VIad onta de' suoi ottant'anninon fudegno di quella pietà onde si fece tanto scialacquo nellestorie; rispetteremo rigorosamente il veropur narrando le enormitàe di quei generali e di quei soldatiper vedere come una perversaesecuzione di un disegno sapientissimo rovinò le cose talmentechespostandosi i termini e scambiandosi le sortichi doveva esserecondannato dal pubblico giudiziofu al contrario chiamato martire ederoe.
Sulqual fondo procelloso e grande nel tempo stesso compariranno alla lorvolta i personaggi che per poco abbiamo abbandonatia proseguirviun'azioneche loro malgrado dovrà respirare ed inspirarsi diquella pubblica tempestae pigliare senza volerlo delle proporzioninon indegne di quel suolo romano e delle sue memorie.


III


Chidovesse definire il cattolicismonon tenendo conto che del valorepratico che gli comunicarono gli ultimi ponteficipotrebbe farloconsistere nell'intento di perseguitare la civiltàovunqueella si manifesta o in sostanza o in apparenza; ossia diperseguitarla universalmentevivendo in sospetto di tutti ipopoli e col proposito costante di staccarsi da quelli chein virtùdella parola dei savjpiù si lasciano riscaldare dal caloredella ragionee più son fatti capaci di usufruttare i tesoriche la divinità donò agli uomini; e che una scienzagelosatirannatentò involare e disperdere.
PioVI in ciòpiù forse che i suoi predecessorihapassato il segno; esso ha mostrato evidentissimamente a chedeplorabili esiti doveva ridursi il poter temporaledacchè losi lasciò infettare la purezza del cristianesimo.
PioVI è il nemico di tuttifuorchè dei nemici dellaciviltàfuorchè dei nemici della religione di Cristo.Il suo cuore non ha simpatie per nessuno; oggi è nemicodell'Austriadomani lo è della Francia; e se nell'odio èvolubile con tutte le nazioni stranieresolo è costantecoll'Italia. La prima volta poi che si risolve a stendere il braccioa qualcunoegli si volge alla Turchia e patteggia con Maometto.
QuandoGiuseppe IIcon un'attività ed un'irrequietudine febbrilestava tentando e operando riformesebbene tedescamente; e inoculavaall'Austria Voltaire e Rousseauper salvarla da un'esplosioneviolentaecomunque si comportassemostravase non altrodi avercompreso che l'umanitàcorrosa da tabe senileaveva bisognodi essere tutta quanta rifattaPio VI protestò contro letante innovazioni di quel sovrano in materia di disciplina e dicultodispettoso di veder prossimo il fine del traffico delle suecarte e delle pergamene della Dateria. Fu allora che si mise inviaggio per Viennacol proposito di riuscire a spaventare GiuseppeIIe farlo desistere dalle prescritte formole di giuramento peivescovidall'abolizione dei monasteri e dei conventi. Se non cheandò per ispaventarema ritornò spaventato; e due annidopoquando lo stesso Giuseppe II recossi a Romapiuttosto chemettere in pericolo i proprj interessi terreni minacciati da quelsovranorinunciò alla nomina dei vescovadi della Chiesamilanese e mantovana. Si vide allora a che veramente si riducesse ilpoter temporale. Si vide allora come codesta assurda larva non avesseefficacia che nel contaminarenon diciamo la dignità dellaChiesama quella dell'uomo; perchè se la ipocrisiase lemenzognese le false accusese le insidie oblique rendonodetestabile qualunque uomoquando anche costituito in privata e nonautorevole condizione; che cosa si dovrà dire di chi leadopera essendo costituito in qualche dignità; che parolebasteranno a qualificare l'uomo chesalito al grado piùeccelso della gerarchiaoffende sè e la dignitàpropria col ricorrere costantemente a tali armi? Pio VI incaricòdunque i suoi cardinalii suoi vescovi; incaricò preti efrati d'ogni risma; incaricò i suoi cortigianii maestri dicamerai curiali d'inventare calunnie e satire d'ogni genereespargerle pel mondo ad ingannare i credenti intorno alla veritàdei fatti. Egli intanto sottomano cercava stringersi sempre piùcoi due rami borbonici di Francia e Spagna; soffiava sul fuoco delladomestica discordia acceso tra le due regine di Napoli e di Madrid. Eallorquando l'imperatore intraprese la guerra contro i Turchi afavore di Caterina di Russiapermise che in Roma per la prima voltas'invocassero Cristo e Maomettouniti in istrana mescolanzae siinvocassero ai danni di chi aveva voluto sottrarre una partedell'umanità alle funeste consuetudini della barbarie.
MonsignoreSaluzzoche era nunzio a Varsaviae che era un agente di cambiopolitico e un mestatore de' più scaltri e de' piùsubdolifu incaricato di tentare ogni mezzo per indurre i Prussianie i Polacchi ad attraversare le imprese dei nemici della Turchia. Gliex gesuiticapitanati dall'energumeno Spedalierimagnificavano per le stampe le imprese dei Musulmani; esageravanol'importanza dell'irruzione che operarono nel banato di Temeswar; neltempo stesso che il papa spediva un breve iniquo e sovversivo alprimate di Malines perchè incoraggiasse la sollevazione deiPaesi Bassi; e l'Arteagaprezzolato da luifaceva affiggere sututti i canti delle vie di Roma la notizia della provvidenzialemalattia di Giuseppe IIcolla consueta epigrafe sempre abusata dagliimpostori - Ecco la mano dell'Altissimo. -Se non che un nuovo e più terribile sgomento venne asconsigliare tanto odio; e la corte pontificiacolla sua abitualeipocrisiatentò a un tratto di riavvicinarsi alla casad'Austria; e fu quando giunse a Roma la notizia della rivoluzione diFrancia. Pio VI dissimulò allora i suoi rancori verso unnemicoper garantirsi colla forza del medesimo contro le idee deifilosofi chetrasmutatesi in fattiminacciavano l'esterminio degliaffigliati alla confraternita della vecchia menzogna. Quel che allorafece Pio VIcooperato dal satellizio dei cardinalidei frati e deicurialinon è che un complesso di violenze e di moralideformità. Si perseguitaronos'imprigionaronosiassassinarono tutti coloro che venivano accusati di esser seguacidelle nuove idee. Il Sant'Uffizio ebbe un lavoro incessante ecrudele. Promiscuamente col famigerato Cagliostro fu arrestato ilBalio dell'ordine de' cavalieri di Maltaper l'accusa d'aver tentatodi rimettere in piedi le così dette Logge egiziane; e sarebbestato arrestato anche il marchese Vivaldise non fosse giunto intempo a fuggire e a porsi in salvo a Trieste. Quasi tutti gliscultoripittori ed architetti francesi (riportiamo le parole di unarelazione storica allora stampatala quale non è cheuna replica di ciò che è detto nel citato Diario)spogliati di tuttovennero arrestati ed accompagnati ai confinidella Toscana.
Intantoquei medesimi predicatori e missionarjche già avevanotentato di esaltare i popoli a favore del trionfo della Mezzalunacontro i Fedelid'improvvisomutato propositosi misero a girarper le vie e per le piazzeesortando il popolo stesso a star saldonella fede cattolicadipingendo alle menti coi più vivitocchi gli errori dell'anarchia e della disobbedienza. Mattinagiorno e sera rimbombavano per ogni angolo le stesse vocile stessetetre descrizioniingrandite dalle più artificiose ipotiposi.Si vedevano stampe e quadri ove i membri dell'assemblea nazionalestavan dipinti colle ale di pipistrello e gli altri segni dati dalvulgo al demonio; ed al contrario si osservavano i più famosiborbonici effigiati colle ali e colle attribuzioni beate degliangeli. E se qui non occorre di richiamare l'assassinio famosissimodi Bassvilleinspirato dall'atroce cardinale Zeladail bracciodestro allora di Pio VIben giova riferire le cose che pochissimioggi e forse nessuno conoscevogliam dire le vessazioni a cui fusegno il medico Bussanper la colpa di avere assistito il feritosino al punto di morte; e l'imprigionamento e le esasperazionicrudeli inflitte allo speziale Meli e al chirurgo Liborio Angelucciper la medesima ragione.
Comelocuste assassine si moltiplicarono allora le spie del Sant'Uffizio edel governoche si trovavano dappertuttos'introducevanodappertutto; onde riuscì innumerevole la quantità dellevittime o innocenti o incaute; incredibile la diffidenza e la paurapenetrata in tutte le classi della società romanadi modo chel'amico più non si fidava dell'amicoil fratello delfratelloil marito della moglieil devoto del confessoreil figliodegli stessi genitori.
Eallora quella simpatia che il Santo Padre avea mostrato per i Turchie per Maomettofu tutta quanta concessa alla Casa d'Austria e aFrancesco II: al qualeessendo Pio VI venuto nella determinazione divalersi delle armi temporalichiese ufficiali per addestrare leavvilite sue truppe e un comandante per guidarle in campo; e liottenne col profondere a quel giovane sovranodestinato a far pesaresull'Austria l'antonomasia di spavento della civiltàtanti elogi quanti vituperj avea scagliati a suo padre e a suo zio.
Senon che la pessima amministrazione interna dello Stato non concedendodi erogare sufficiente denaronemmeno coi balzelli duplicatipermantenere un esercito proporzionato e allo Stato e al bisognosidovette ordinar tosto un disarmamento generalelasciando come perl'addietro allo scellerato Barbèriche era il Nardoni di queltempol'esecuzione dei decreti dei tribunali di giustizia.
Magnificavanointanto le solite penne venalicome già s'era fatto coiTurchii vantaggi riportati dagli Austriaci sul Reno. Ma i fattierano più eloquenti delle parolee le vittorie di Bonapartefecero ammutolire il ponteficee consigliarono la fuga al cardinaleHertzanministro plenipotenziario cesareo. Ora se ognuno sa (chètutte le storie ne parlano) come Bonaparteper mediazionedell'Azaraaccordasse allora al papa l'armistizio di Bolognadietrola pattuita provvisione di cinque milioni di scudidelle dueprovincie di Bologna e Ferraraecc.; non fu molto divulgata lanotizia chedopo il pagamento della prima ratanel punto medesimoche il ministro francese Miot entrava in Romaper adempiere e faradempiere ai patti del trattato; Pio VI con fede peggiore della grecaincaricò il numeroso suo satellizio di sollevare il bassopopolo per spingerlo all'eccidio e del ministro e dei commissarjfrancesi. E per ottener ciò si ricorse alle solite armi dellabarbara superstizione. Versò allora lagrime vive la MariaVergine di Anconadella realtà delle quali il vescovoCalcagnini rilasciò un attestatodi cui vennero diffuse perle vie di Roma migliaja di copie a stampa. Fu allora che tutte leMadonne di Romamesse in puntiglio da quella d'Ancona e gelose einvidiosequasi fossero prime donne di teatro (a queste turpissimederisioni l'ipocrisia del santissimo Pio VI martire ed eroe esponevala madre del Cristo!)piansero lagrime bianche e lagrime rosse. Eaffinchè il popolo in quelle lagrime vedesse la virtùdel miracolosi fece circolare una falsa lettera di monsignoreAlbaniauditore di Rotadimorante a Veneziache raccontava lacompiuta disfatta delle truppe francesi e Massena ucciso e Bonapartefatto prigioniero; e perchè l'ipocrisia pontificale fosseancora più squisitamentre quelle sconce e bugiarde scene simacchinavano in segretoin pubblico si fece comparire un editto colqualesotto comminatoria delle più gravi penes'intimavaalla popolazione di rispettare ogni persona che fosse addetta allaFrancia.


IV


Abbiamodetto che nell'atto stesso di sborsare la prima rata dei cinquemilascudi imposti dall'armistizio di Bolognail governo di Pio VI tentòdi far assassinare dal popolaccio il ministro francese e i commissarjincaricati di ritirarla. Purese questa volta il tentativo andòa vuoto e i primi denari dovettero esser sborsatiben si pensòdi non adempiere alle condizioni rimanentie di trarre in lungo iltempo per non pagare la seconda rata; e invece si fece circolare unmanifestoil quale invitava tutti i cittadini atti alle armi adaccorrere al suono delle campane nel caso che le truppe repubblicaneavessero invaso il territorio romano.
Noinon siam disposti a concedere troppa sincerità agli atti delprimo Bonaparte; ma egli è un fatto checonfrontata la suacolla condotta del Santo Padrefanno pietà e schifo gliingiusti giudizj dell'epatico Botta. E Bonaparte infatti scrisse alpapa per sapere se quel manifesto era stato promulgato d'ordine suo;ma il santissimo padre non ebbe nemmeno il coraggio nè diaffermarenè di negaree si chiuse in un pauroso e traditoresilenzioriponendo la sua fiducia nell'ajuto del Borbone FerdinandoIV; e attendendo prodezze e dalle reclute che andava mettendo insiemed'ogni conio e di ogni rismae dalla sapienza di un consiglio diguerra fatto di cardinali e vescovi e frati e preti; edall'esperienza strategica di un nipote di papa Rezzonicoe dalvalore di un brigadiere Gandinisotto del quale i soldati del papaper assicurazione non sappiamo se di Marforio o di Pasquinoebberofama di portare quella famosa patta di ramecustode di cogliee di ernieche diventò proverbiale.
Mail papa chese era fedifragoera anche incauto e per nullaconoscitore degli uomini e delle coseben presto dovette accorgersiche conto potesse far egli dell'ajuto del Borbonequando pervennenelle sue mani un proclamache pubblicamente leggevasi per Napoli enel qualetra l'altre cosedicevasi: «che importa a noi che iFrancesi entrino in Roma e che in quella città penetri larivoluzione? Si pianti pure l'albero della libertà inCampidoglioin piazza Navonain piazza San Pietroe venga intantoil papa a rifugiarsi tra noie faccia circolare nel nostro regno letrafugate ricchezze. Un paese privo di derratedi coltivazionedicommerciospopolato e mancante di bracciadee presto o tardiriuscire a carico della repubblica conquistatricee spogliato chesianon potendo mantenersi senza il papadee cadere nelle nostremanicome ai tempi di Robertodi Ladislaodi Giovanna.»
Efin qui abbiam creduto bene di diffonderci sulle cose romane e sullevertenze tra la Santa Sede e le armi repubblicane; per essere fedeliall'intento principalissimo di questo lavoroche costituisce la suaragione di essereed è quello di pubblicare ciò che sitenne celato o nei manoscritti o in quegli opuscoli coraggiosicheavendo circolato liberamente allorchè il tempo lo concedevafurono poi violentemente messi sotto chiaveosenza piùvennero abbruciati dalle gelosiedalle ire e le vendette posteriori;e ciò facciamo per rimediarein parte almenoalle bugiealle simulazionialle dissimulazioni di alcune tra le storie piùriputate e più lettee cheprotette dalla bandiera dellaveritàportarono in giro molta merce di contrabbando. -Non parleremodunque dei fatti che conseguirono alla subdolacondotta del pontefice; nè della rotta vergognosissima che alSenio toccò alle armi romane; nella qual circostanza fumanifesto che il potere temporaleaffidato al sacerdoziomentresnatura e deturpa il sacerdozio stessodegradacorrompe tutto ciòche viene nelle sue mani; e ha il funesto privilegio di avvilireeziandio quelle nobili e generose schiatteche sonoa dir cosìla gloria della natura; e tra le qualiper testimonianza di tantisecolila romana conquistò appunto il primato. Di quellarotta vergognosanoi dunque non parleremoperchè èregistrata in tutte le storie; come non parleremo del famoso trattatodi Tolentinoe perchè si legge dovunquee perchè noistessi già ne abbiam fatto cennoquando assistemmo al ballodel Papa rappresentatosi al teatro della Scala; il qual ballofu suggerito appunto e da quel trattato e dell'avvilimento in cuivenne la Santa Sedee dall'onta che toccò al generale Collida cui tante cose attendevasi il papa e i suoi cortigiani e i suoifautorie che in allora rappresentò nel dramma italianoquella parte che oggi vi rappresentò l'avventuriereLamoricière.
Maa proposito di codesto trattato di Tolentinoche cominciò ascassinare di fatto il poter temporaleossia a dimostrare che ciòche per donazioni o per forza si acquista o si conquista nel temposi può perdere col tempo; alcuni scrittoria provare cheBonaparte non ebbe mai di mira quella riforma radicalecitano unalettera di lui al pontefice scritta durante le negoziazioni deltrattatoe una risposta di Pio VI a lui. E veramente quelle duelettereconsiderate oggi nel silenzio del gabinettocol propositodi non tener conto che del valor delle paroleparrebbero quelle didue innamoratie per la dolcezza dello stile e per la qualitàdelle espressioni e per l'espansione delle proteste. Ma quando sipensa da che uomini erano scrittee in che circostanzedavvero checi fanno ridere coloro che da esse vorrebbero indurre una reciprocasimpatia esistente tra Pio VI e Bonaparte. Se vi fu uomo simulatoree pronto a fare tutt'all'opposto di quel che diceva e scriveva eprometteva e giuravafu Pio VI appuntoe ne è prova laprontezza con cui fu sottoscritto l'armistizio di Bolognae lamaggior prontezza onde fu messo sotto i piedi; in quanto a Bonapartenon ci par vero cheper dare un valor letterale alle parolesipossa dimenticare la preoccupazione ognora vigile di lui a celarsi inperpetuo misteroper riuscire ne' suoi intenti tanto sicuro quantoinaspettato. Madopo tuttoper dare il giusto valore alla letterabonapartianae per non ingannarsi e non ingannare altrui sullapretesa propensione di Bonaparte a conservare alla Santa Sede ilpoter temporaleoltre al fatto delle molte provincie tolte da essoal Papail quale basta a toglier di mezzo ogni dubbio; v'è unaltro fattoche rimase tra i segreti passati di bocca in boccaedomessi dagli storici o per proposito deliberato o per ignoranza: ed èche egli incoraggiò a perdurare nelle sue sedute il sinodo diPistojaaperto molti anni prima dal vescovo de' Ricci; il qualsinodo si proponeva di discutere tutte le questioni relative allaChiesa romanatra le quali primeggia quella del potere temporale; eoltre a ciò fu sollecito nell'incoraggiare la pubblicazione diun voluminoso manoscrittoche nel marzo del '96 era stato presentatoa Pio VIintitolato: Disordini morali e politici della corte diRomaesposti dai difensori della purità della prima Chiesacattolica; e che infatti venne poi stampato a Siena nel principiodell'anno 1798; nel qual librocon dottrina non facilmentesuperabilee con tranquilla dignità pari a quella dottrinaecon tutti gli attributi di uno zelo intrinsecamente religiosoad unaad una si passavano in rivista tutte le piaghe della Chiesae aciascuna si suggerivano rimedj salutaridandosi la parte massimaalla questione del poter temporaleche trionfalmente vi eradimostrato illegittimoassurdo e funestocon una potenza diargomentazione avvalorata da citazioni infinitetolte da GesùCristodagli Apostolidagli Evangelistidai santi Padridaipontefici stessi più benemeriti dell'umanità edell'Italia e della religione.
Richiamandoora alla mente del lettore quel che abbiamo detto di Bonaparte alcunepagine addietroessoper acutissima sagaciasi accorse che ditutti gli elementi della vita sociale ristacciati dall'indaginecoraggiosa dei pensatoril'elemento religioso era il solo chenellapersuasione della maggior parteera rimasto ai vecchi pregiudizj;però sentì la necessità di preparare il popolo acomprendere interamente quelle quistioni con libri popolaricompilati da penne d'uomini di Chiesa; chè manifestamentevedeva chein tal materiala volontà e le leggidell'autorità civile non potevan nulla sulla convinzione deivulghi; nè sopra di sè volendo prendersi cosìpericoloso caricodesiderava che il terreno si preparasse in paleseda altriquantunque in segreto i consigli venissero da lui.
Infatticol trattato di Tolentino dischiuse per la prima volta il varco aglielementi necessarj a compire la riforma della Chiesa romana; quandopoi si ritrasse dall'Italiachiamato da gravissimi eventi inFranciacondusse le cose in modoche il fratello Giuseppeil qualeera docile a' suoi volerifosse spedito a Roma; poiquando ilDirettorio formò di mandare un esercito contro il papa avendicare le vecchie e le nuove ingiurietroviamo scritto in unopuscolo di quel tempoche fu Bonaparte stesso ad eccitare a ciòil Direttorio; fu Bonaparte a proporre che il generale dellaspedizione fosse Berthierper la ragione cheessendo questiobbediente ad ogni suo consiglioal pari di Giuseppe Bonapartenonsi sarebbe dipartito per nulla dalle sue vedute; in ultimo fu egliche mise accanto a Berthier il côrso Cervoniconoscendo glispiriti risolutissimi di quel suo compatriotail quale era di talnatura da far nascere o presto o tardi di quegli scompigli che ilsenno e la giustizia debbono biasimare e proibire; ma che quando sonoavvenutisi comprende che erano indispensabili per risolvere certequistioni.
Peròse va il paragoneBonaparte fece come chicredendo necessariaun'inondazionetogliesse gl'incastri di propria manoper recarsipoi altrove nel punto che le acque irrompono dappertuttoonde nonessere costretto a rimediare ai disordini istantaneipersuaso che daquestilasciando andar le cose a beneficio di naturasia pergenerarsi quell'ordine che nessuna antiveggenza e fermezza di volontàvorrebbe mai produrre. Ma per che cosadomanderanno alcunialgiovane Bonaparte doveva premer tanto di toglier di mezzo latemporalità del papase questa fu ed è una piaga nonfatale che all'Italiae perciò stesso opportuna aglistranieri che vogliono tenerla in soggezione? Una tale questione nonpotendo essere sciolta risolutamenteè permessa unacongettura. Nel primo fervore della gioventùe nell'impetoprimo e spontaneo del genioe nella sua natura italianamente eromanamente costruttaBonaparte deve avere provato per la sua patriavera una simpatia irresistibilela qualeguidata dal fortissimogiudiziogli deve aver mostrato la massima piaga di leie fattoglisentire il desiderio di sradicarla. Testimonj di vista e di uditadei quali citiamo un Porroche fu prefetto del Larioci assicuranoche a Mombellonel '97discorrendo Bonaparte dell'Italiain unmomento di quegli impeti generosichecome un lamporischiarano unimmenso buio e svelano cose nemmen sospettateegli uscì inqueste memorabili parole: - In Italia non devono stare niFranciosi ni Todischi. - parole chepronunciate risolutamentedalla profonda e rauca sua vocee in un pessimo e quasi selvaggioitalianocolpirono gli astanti in modo da lasciar loroun'impressione per tutta la vitatanto in que' detti e nel modo ondefurono pronunciati sembrò fremere l'affetto e il dolore alcospetto di una gran patria avvilita. Come è amaro il pensieroche una smisurata ambizione abbia poi soffocato questo naturaleaffetto!!


V


Berthierebbe dunque dal Direttorio l'incarico della spedizione romanaperchècosì avea consigliato Bonaparte; e l'italiano di CorsicaCervonifu l'alter ego di Berthierperchè Bonaparteavea voluto che Berthier lo volesse.
Ilvincitore di tante battaglie deve aver previsto che quella non dovevaessere una spedizione nè disastrosa nè difficilemasoltanto un viaggio militare.
Ciòper altro non aveva pensato Berthierche si mise alla testa delletruppe affidategli come se andasse ad una assai ardua impresaepassato Anconadove non accolse i messi del papae inoltratosi inmezzo alle gole degli Appenninitrasse innanzi con grandecircospezionetemendo ad ogni piè sospinto ostacoli edagguati. Macon grande sua meravigliagiunse fin sotto a Roma senzatrovare un drappello di soldati papalinitanto che vide non rimanerea lui per allora altra cura che di provvedere all'ingresso trionfale.
NelDiario del Camillone leggiamoche primi ad entrare in cittàper la porta del Popolo furono due squadroni di usseri. Ei sidiffonde a parlare del colonnello che li comandava«il qualesoggiungeera un milanese di Milanoil più belsoldato che mai si vedesse al mondo». E poco appresso gli fa ilnome; così che non abbiamo nessun dubbio di asserirech'essoera nientemeno che il conte S...il marito di donna Ada e il a padredi donna Paolina.
Quicomincia per noi l'opportunità di far camminare di pari passoe senza fatica i pubblici avvenimenti coi fatti privati.
Chivolesse sapere in che modo esso venne a trovarsi a Roma in queltemponoi siamo in grado di poter dare delle notizie anche suquesto. Il lettore sa comenegli ultimi mesi dell'anno 1797improvvisamentee per cagione ancora misteriosasia venuto a morireappena ventottenne il generale Hocheche comandava l'esercito delReno. Il capitano S...per la sua indole procellosa e pe' suoidisordini d'ogni manieranon aveva mai potuto andar d'accordo connessuno dei suoi capi; tanto chesebbene essi non potesserodisconoscere la sua straordinaria prodezzapure tuttil'uno dopol'altropensarono a disfarsi di luicercando pretesti per farlogirare di luogo in luogoe passare d'uno in altro corpo d'armata. Ilsolo Hoche aveva saputo ammansarlo; tanto che egli stette benvolontieri sotto quel giovine eroeil quale lo promosse al grado dicapo squadrone. Allorché dunque Hoche morì eAugereau venne in suo luogoil capo squadrone S...che giàavea avuto mille alterchi con quel generaled'indole difficilissimae irrequieta al pari e più della suase fosse statopossibilesollecitò di uscire dal corpo dov'era; e ottenutoil permesso d'andare a Parigisi trattenne colà qualchetempofinchèsaputo che Berthier era stato prepostoall'impresa romanae che lo seguiva il generale Cervonicol qualese l'era sempre intesa assai beneforse per una certa eguaglianzad'indole; tanto si adoperòche ottenne non solo di seguirlonel suo grado di capo squadronema di essere innalzato acolonnelloe posto al comando di due squadroni di un corpo di usseridi recente formazione.
Esi può asserire che Bonaparte favorì questadestinazionedesiderando per quelle ragioni che son facili acomprendere che non mancassero italiani a far parte della spedizionedi Roma.
Illettore vedrà in appresso come un tal fattoil quale nelcumulo de' pubblici avvenimenti non era tale da lasciar gran tracciadi sèfosse destinato ad essere occasione di tremendesventure domestiche.
Orritornando al governo di Romagiova che il lettore si rammenti comeancorchè Berthier non avesse ammessi a colloquio i messaggierida quel governo mandatigli incontroe ad Ancona avesse promulgato unbandoin cui aveva minacciate cose terribilipure il ponteficeerasi lusingato che il generale francesepago di ottenere unacompensazione pei tragici fatti di Bassville e Duphotnon sarebbeentrato in Roma altrimenti; e come per ciò sia stato tanto piùgrande lo stuporelo sgomento e l'ira di luiquando seppe checontemporaneamente all'intimazione data al presidio romano diabbandonare Castel Sant'Angelo e all'occupazione fatta dalle armirepubblicane dei bastioni di quel forteil resto delle truppe eraentrato in città.
Aquesto punto dell'occupazione di Roma cominciano le declamazionifuribonde di quasi tutti gli storici che narrarono quel periodocaratteristico e famoso con intenzioni partigiane.
IlBottapur tanto avverso al governo pontificalee che nella suacontinuazione della storia di Guicciardiniquando parla dellenequizie di qualche papaha la cura assidua di far campeggiare ilpredicato di Padre Santoa titolo di scherno e asignificazione efficace di ideeperchè alla mente del lettorerisalti crudamente la scandalosa antitesi tra la parola e la cosa; aquesto punto par cangiare a un tratto opinioni e convinzioni; pardiventare a un tratto e papista e bigottoe ciecoe smemorato; e sicompiace a sfoggiare indignazione pietosae si ferma con insistenzad'autore tragico e d'artista che vuol fare effettosulla tarda etàsul venerabile aspettosulla inferma salute di Pio VI; e prorompefuriosamente perchè alcuni dei cardinalii quali avean sempresostenuto dei loro obliqui consigli l'obliqua ragione di quel papaeall'uopo eransi fatti provocatori di popolari ferocie e di eccidjsieno stati messi sotto vigile custodia dalle armi repubblicane.
Mail repentino mutamento di quello storico tanto celebratosi spiegacon ciòch'egli era così pregiudicato estimatore diquei tempi rivoluzionarj e odiatore tanto astioso di Bonaparte e de'suoi seguaciche tutti gli altri suoi odj dovevano tacere in facciaa questo; e al suo occhioin confronto d'ogni impresa e d'ogni attodi Bonaparte e delle armi rivoluzionarieanche le colpe altruiparevano trasmutarsi in virtù.
EAlessandro Verri non si dilunga da lui. Ben è vero che egli simostrò veneratore sempre costante dell'autoritàtemporale della Chiesaed è per questo appunto che le accusescagliate da lui contro la vita privata di Pio VI fanno testoautorevolissimo; ma le sue idee fisse e i suoi sistemi e i suoi amorie i suoi odj sono così tenaci e implacabiliche la memoriadel passato pare che gli annebbii nella valutazione dei fattiposteriorie il lavoro della logica gli proceda a rovescio; talmenteche non par vero che chi ha detto tanto male di Pio VIdopo siaffannial pari di Bottaa metterlo nella miglior luce possibile;ed esprima un'ira spasmodica contro tutte le idee rigeneratrici chetradotte in fattivennero ad assalire l'errore nella sua sede piùantica e più formidabile. Perchè bisogna bene che igalantuomini tentennanti si persuadano di questochesiccome abbiamfatto vedereil germe rivoluzionario portato a Roma colle armierae doveva riuscire un'impresa salutare all'Italia e all'umanitàe al medesimo sacerdoziose non si fosse trasmodato nell'esecuzionela qualesiccome avviene spesso anche nelle opere dell'arteguastae snatura le più squisite invenzioni della mente. Facendo usoadunque con somma precauzione di questi autorid'altra partemeritamente reputatissimie continuando a far loro la piùoculata controlleria colla scorta di coloro che parlarono e scrisseroe stamparono senza speranzesenza timorisenza pregiudizjsenzaaver riguardo a chi sta in altosenza le funeste paure dei giudizjdel pubblicosenza i pericolosi intenti della gloriaentriamo anchenoi in Roma a vedere e a sentire quel che vi succede.
Einnanzi tuttonon bisogna credere che le idee rivoluzionarie fosseropenetrate in Romae avessero attecchito con quel rigoglio legittimodi sviluppo che si verificò a Milano. A Milano i nostripensatori avevano tentate e sciolte le questioni più connessealla vita praticae però avevan saputo illuminare le masse; aRoma per contrario la scienzalimitandosi all'archeologiaallafilologia e all'erudizione in genereera rimasta perfettamenteoligarchicaed aveva lasciato il popolo qual era. Bensìavvenne colà un fenomeno singolare.
Gliartisti di Franciapensionati e dimoranti in Romafurono i primi amettere in circolazione le idee francesi; ma queste non passando perlo staccio dei pensatoriinvece di miglioraretemperandosi neltrapassopeggiorarono esagerandosi. Eran giovani bollenti edesaltati dalla natura stessa de' loro studjche si trovarono avernelle mani delle armile qualiadoperate senza riflessionepotevano diventare pericolosamente micidiali. Quanto ai popolani diRomasenza che fosse stata necessaria l'Enciclopedia e Voltaire eRobespierre ad aizzarli contro il clericalismoodiavano i pretinonper l'effetto delle idee importate e trovate nei libri; ma perchèerano scaltriti dallo spettacolo quotidianoe da mille fatti di cuierano testimonj e vittime; era un odio cresciuto per virtùspontaneae però più potente d'ogni altro.
Cheeffetto dovesse dunque produrre la domestichezza chesiccome se chiè stato a Romaè di vecchia consuetudine tra glistudenti di belle arti e la plebe di Trastevereognuno lo puòpensare. Diciamo questo perchè di molte enormità cheavvennero nel tempo in cui le truppe repubblicane stettero in Romabene spesso complice e guida fu quella plebe appunto; l'inettezzacolpevole del governo temporale del papa aveva fomentata inanticipazione l'ira dei popolanii qualianche allora quando nellavendetta passarono il segnonon fecero che continuare ad esservittima di un'autorità assurda e corruttrice.
Aldisopra di questa classe v'era poi quella schiera numerosa d'uominiche non manca mai in tutti i paesi di questo mondoperchè èla natura che li mette insieme. Uomini che hanno il privilegio diveder giusto nelle coseed hanno in sè l'antidoto sicurocontro i pregiudizj e le cattive istruzioni; ma che nel paese ovestannoarrischiano qualche volta di essere odiati dai partitiestremi non per altra ragione che perchè tengono la mediaproporzionale. Costoro sono sempre disposti a festeggiare tutte lenovitàper l'istinto che hanno del progressoe tanto piùquanto più si accorgono di vivere in mezzo ad uomini e cosesopraffatti da una decrepitezza incurabile. Costoro dunqueseguitida quella parte di popolo che nella prima allegrezza è semprebuonoma che può imperversare nell'ubbriachezzafecero festaall'esercito repubblicano quando entrò in città; fecerofesta a Berthiera Cervonial colonnello S...e a tuttiquegl'Italiani militanti cheparlando la lingua comunedicevano diessere venuti a infondere sangue nuovo nella vecchia Roma.


VI


Ilterzo giorno dopo l'ingresso delle truppe francesinel qualericorreva l'anniversario dell'incoronazione di Pio VIfuasignificazione d'antitesidedicato invece alla solenne instaurazionedella repubblica romana.
Igrandi ritorni della storiaesaltando l'immaginazionecommuovonogli uomini ad insolito entusiasmoanche allora che non arrecanovantaggio. Se poi la grandezza si marita all'utile o alla speranza diraggiungerlol'entusiasmo non ha più limiti. Un sublimedelirio investe le moltitudinisenza che occorra a ciò nèpotenza di fantasianè straordinaria squisitezza disentimento. Quelli che insieme con noi nell'anno 1848 a Venezia hannovisto balzar fuori di repente l'alato leone di sotto alle aquileaustriachee l'antico stendardone risventolare davanti a San Marcoe i gondolieri e i pescatori e i vecchioni di Canareggio e di SanPier di Castello comparire in piazza colle vecchie stampetenute inserboeffigiate di dogipossono far testimonianza più sicuradi codesto fenomeno.
Peranalogia dunque ognuno potrebbe immaginarsianche senza che ci fosseattestato da testimonj di vedutaquale sia stata l'esaltazione deiRomani il giorno in cui risalendo il corso di mille ottocento annisi trovarono a faccia a faccia col loro grande passato.
Quandodiciamo i Ronaniognuno lo pensa giànon vogliamo dire tuttii Romani. Anzi bisogna fare l'esclusione quasi totale dei due estremidella scala sociale; ossia della più alta gerarchiaecclesiastica e civilee dell'ultima feccia del popolaccio al di quadel Teverea cui quella gerarchia medesima avea spesso ricorso pertentar di stornare con opere scellerate i nuovi giorni.
Acoloro poi bisogna aggiungere un'altra classe di Romani: ed eraquella costituitain primada alcuni letterati ed eruditi diprofessionequali il Guattanil'Orlandiil Cicogniniecc.ecc.uomini innamorati del quieto viveredel silenzio e del pranzosettimanale in casa Braschiin casa Albaniin casa Massimi: tuttagente che idolatrava Roma antica nei librinelle lapidinellemonetein tutto ciò che era morto; ma non avrebbe mai fattosacrificio di un solo pranzo per rivederla viva e risorta; in secondoluogoda altri letteratichiari d'ingegnoe galantuominie ancheindipendenti da cardinali e da principi e da duchima nonindipendenti da sè stessi e dai caparbj pregiudizj; tracostoro certamente primeggiava il nostro Verri Alessandroin moltecose tanto simile al fratello Pietroe in troppe altre cosìdiverso; il quale Alessandroad onta delle sue Notti Romaneavrebbe voluto veder ruinare tutta Romapiuttosto che esserespettatore dell'invasione ognora crescente delle idee rivoluzionarie.Finalmente venivano alcuni artistiarchitettiscultoripittori giàsaliti in gran famae già adagiati nella ricchezzae chedell'una e dell'altra eran debitori alla protezione e del papa e deicardinali e dei ricchi patrizjtra' quali si distingueva il celebreMariano Rossi e il Tofanelli e il Nocchi scolare del Battonie ilPacetti Vincenzo chequantunque fosse un ottimo uomoavea semprecrollato la testa alle notizie di Franciae avea consigliato Canovache non si fece molto pregarea cavarsela da Roma prima chearrivassero i tempi bruschi. Queste categorie d'uomini non sentivanodunque l'esaltazione generale. Gli unio stavan celatiopasseggiavano nelle vie remoteo tutt'al piùse eranosollecitati dalla curiositàtraevanosempre però auna rispettosa distanzadove traeva il pubblico schiamazzanteeguardavano e notavano ogni cosa senza aprir bocca; o se l'aprivano aqualche evviva forzatoera perchè s'accorgevano che qualcunoli guardava in cagnesco.
Pura dispetto di tutti costororimanevano quanti bastavano per affollarpiazze e contradee per empir l'aria romana di acclamazionidievvivadi grida. V'erano intanto tutti gli uomini di Trastevereneiquali il vecchio sangue latino è trapassato senza alterazionid'innesti spurj; uomini ignorantissimi di tutto quello che sta oltrela cerchia romanae che credon che il Tevere vada in Francia e inInghilterra e in America e in tutto il mondo conosciuto; ma perciòappunto orgogliosissimi di esser romani. La storia della loro patriaè per essi passata di bocca in bocca attraverso a ventisecoliper raccogliersi e far sosta nel loro rione; onde parlanoancora di Giulio Cesaree Ciceronee Catilinae Brutoe CatoneePompeo come se fossero loro fratelli e li avessero visti a cresceree avessero bevuto con loro il falerno nell'anfora stessa; uomini cheper questa parentelasentono il privilegio di un'aristocraziaspeciale e guardano d'alto in basso quanti straniericomunque grandie illustrivanno per curiosità a visitarli; e lor parlano coltu di Roma anticae ad un bisognosenza tanti rispettianzi inatto di protezionemettono loro sulle spalle le mani poderose. -«Come staire Michele?» diceva ai nostri giorni unbeccajo di Trastevere a don Miguel; e mentre con una mano gli battevauna spallacoll'altra gli porgeva l'ampia caraffa rasa d'orvieto; eaccompagnava quest'atto con tale posa e tale espressione di voltoche pareva dicesse: Io mi degno di abbassarmi fino a te.Quest'ignoranza e questo costume non impedisce però che essiabbiano acutissimo l'intelletto; e giova poi a conservar loro uncarattere interoil qualenella sua medesima fierezzaèspesso custode di nobili affettidella santità dell'amiciziadello scrupolo della fede. I giovani artistiche anche alloracomeadesso e come sempremescolandosi a quella gente per gl'intentidell'arteerano i loro più intimi amicie però liavevan messi a parte di tutte le belle e grandi cose che l'ondarivoluzionaria avrebbe portate in Romali trassero adunqueentusiasti e plaudenti sulle piazze. Quegli artistiad onta deitempi burrascosisoverchiavano sempre le due e le tre migliajaequantunque di tutte le città d'Italia: di Napolidi Bolognadi Firenzedi Veneziadi Milanodi Genova; e di tutte le nazionid'Europa: di Russiadi Spagnad'Inghilterradi Germania; purdall'arte e dalla gioventù bollente e dalle aspirazioni messein comune eran ridotti come se fossero figli di una patria solaeseguaci di una sola bandiera. Essi bastavano a mettere sottosopratutta Romae con tanto più di esaltazione e quasi di furorein quanto che i pensionati delle accademie di Francia e tutti gliartisti di colàpoco tempo primaerano stati violentementeespulsi dal governo pontificiosiccome fu già riferito. Ducedegli uomini di Trastevere era il Camilloneil Ciceruacchiod'allora; quello di cui teniamo parte del Diarioch'eglidettò per non saper scrivere; uomo tanto amato da quelli delsuo rionee perciò di tanta autoritàche il governostesso dovette più volte far capo a lui per riuscire a sedaredei tumulti.
Fragli artisti v'era il famoso Pinelligiovanissimo allorama giàdi fantasia così potentecosì feconda e velocenell'improvvisazione di disegni istoriatiche quando volevalavorando in piazza Navona sotto gli occhi del pubblico e dei tantiforastieri che accorrevano a quello spettacolo per loro insolitoraccoglieva tante monete d'oro e d'argento da empire il propriocappello; oro e argento ch'egli convertiva poi tosto in tante misuredi vino; perchè la sua compiacenza e la sua gloria era dipoter dar da bere a tutto il popolo romano con lucullianamunificenza. Amico del Pinelli e amico del Camillonei quali eranocome i re confederati di due schiatte diverseera quel Coronagiureconsultoal quale spontaneamente si trovarono uniti tutti igiovani avvocati e tutti gli studentie tutti coloro che eran natiper andare avanti e per affrettarsi a qualunque costoanche conpericolo di stramazzare e fiaccarsi il collo.
Tutticostoro uniti insieme costituivano buonamente una truppa di cinque oseimila personesufficientiin qualunque città anchepopolatissimaa rappresentarlaa comunicarle la propria volontàe il proprio impeto; e a condannare all'inazione e al silenzio tuttiquelli che per combinazione non dividessero cogli agitatori leopinioni correnti.
Findall'alba dunque del terzo giorno quella folla capitanata dalCamillonedal Pinelli e dal Coronamosse festosa a piantarel'albero della libertà nelle piazze principali di Roma.
Erada quasi due anni che sentivano a parlare con invidia della nuovacondizione delle città dell'alta Italiae di Milanosegnatamente; della libera vita che vi si godevadell'utile dellenuove istituzionidella pubblica felicitàdei clubsdei teatridella libera stampadei discorsi in piazzadei nuovicostumi introdotti; e la famamagnificando ed esagerando il benesenza toccar punto del suo contrarioe dissimulando gli abusiglieccessii disordiniaveva talmente esaltati i desiderj e lesperanze di que' cittadiniche quando finalmente le videro appagatela loro gioja non ebbe più ritegno e proruppe con un impetoche la stessa Milano non avea mai sorpassato.
Maseguiamo l'onda del popoloe fermiamoci con essa nel foro romano persentirvi il discorso che l'avvocato Corona improvvisònell'istante che si piantò colàper la prima voltalasimbolica pianta coi motti: libertàeguaglianzavirtùpatria.
Coluisalito sopra un capitello corinzio rovesciato che giaceva da tempoimmemorabile tra la colonna di Foca e le tre della Curiacosìprese a dire:
«Romanisiete liberi. L'albero della libertà è piantato.Libertàeguaglianzavirtùpatria; - ecco lequattro pietre su cui s'appoggia a perpetua durata il sacro vessillodella comune nostra rigenerazione.
«Libertàè questala quale non iscuote il ferreo giogo della tiranniacon altro fine che con quello di garantire a ciascun uomo i suoidiritti naturali inalienabili.
«Eguaglianzaè questala qualesantamente sprezzando e privilegi etitolicolla bilancia del diritto e della leggeeguaglia l'uomoall'uomo; e non sanon puònon vuole conoscere altradistinzione che quella che passa tra il vizio e la virtù.
«Virtùè questala qualedivinizzando l'uomofa che egli non trovila felicità se non se nel far felice altrui; ond'è chel'uomo veramente virtuoso si crede fatto più per la patria epe' suoi simili che per sè stesso.
«Patriaè questa risorta a nuova vita.
«Virtùpremiatavizio disonoratomerito riconosciutovanitàcadenteverità svelataipocrisia vilipesainnocenza sicuraoppressione banditaemblemi tirannici distruttiumanitàvendicatagiustizia imparzialesantuario restituito all'anticapurezzagenio marziale ridestato. Ecco i frutti che oggi ne promettequesta patria risorta.
«Falsisacerdotisuperbi patrizjtirannucci iniquiipocriti maliziosiimpostori ignorantiintendete qual libertàqualeeguaglianzaquale virtùqual patria servano di base algrande edificio della nostra rigenerazione? E voianime timide edebolisentite quali sono le radici che prodigiosamentealimenteranno la simbolica pianta?»
Questeparoledette con enfasi e con quell'accento speciale che significala sincerità e la convinzione profonda di chi le pronunciafurono coperte da una salva di applausi e di viva la libertàviva l'eguaglianzaviva la repubblica viva Roma.
«Eviva Roma» continuò allora l'avvocato Coronaapprofittando di quel grido per dare una piega al discorsoe dallegeneralitàche parevan quasi divenute di convenzionevenivaa cose particolari e di utilità più pratica edevidente. «Viva Roma. Seinfattiv'è città nelmondo alla quale la rivoluzione attuale torna vantaggiosa dipreferenzaè questa appunto; è questa Romaa cuidavvero oggi comprendo perchè si competa il predicato dieterna. Dopo l'avvilimento in cui la gettarono gli ultimipontefici; dopo la fuga ignominiosa di Annibale Albaniche feceparere i Romani vilissime pecore; dopo l'ultima rotta del Seniodovesi raddoppiò quella prima ignominiaqual posto potea vedereper sè nell'avvenire quest'infelice città?
«Odirò meglio: che cosa sarebbe stato di leise gli avvenimentisi fossero troncati di colpo; e se la fortunaobbedendo allaProvvidenzanon avesse fatto in modo che l'errore e il disordine el'ingiustizia nel proprio eccesso medesimo trovassero la morte? PioVI ricorrendo alle ambagialle subdole scaltrezzeal tradimentonella speranza di poter riuscire ad arrestare il corso fatale degliavvenimentie non potendo ottener ciò colla forza del propriopotereossia colle proprie armiha messo in evidenza che codestalarva di potere a cui i papidal giorno che tennero il dono funestodai re della terra e non dal cielostanno attaccati coll'avida egelosa cura onde gli avari guardano l'illegittimo tesoronon èche un'occasione perpetua di disordinidi ingiustiziedi viltàdi delittinon è che un potere che svela l'impotenzaeintacca la pura santità del Vangelo e della Chiesa primitiva edei primi pastorii quali tengono il santissimo mandato di guardaree provvedere alle anime e alle coscienze; ma non già ai corpinon agli interessi terreninon all'uso della forza per respingere laforza. Se fosse vero che la divinità avesse decretato che ilsuo rappresentante in terra avesse a farsi temere coll'uso dellaforza materialeavrebbe permesso che i più degli altrimonarchi fossero materialmente più forti di lui? Avrebbepermesso che la maestà e la santità del re ponteficepotesse rimaner vinta e avvilita dall' altrui preponderanza?
«Malasciamo una tal questione a chi non parla in piazzama scrive peilibri. Piuttosto diròche il vantaggio maggiore che produssela pessima condotta di Pio VIfu di aver stancata la pazienza di chiappunto era materialmente più forte di lui; e nel tempo stessoche era più forteera anche più pietoso dell'umanitàconculcatapiù vergognoso della vergogna d'Italiapiùinnamorato della grandezza e della gloria di questa Roma; e Italianodi avi e di nascita e d'intelletto e d'animaha sentito la necessitàdi ajutare la sua vera patria sollevando il cuore di essa dall'incuboassiduochealterando la completa e libera e normale circolazionedel sangueviziava e rendeva inette tutte le altre sue membra;perchè Romaquesta Roma che fu l'urbe dell'orbe; questa Romacheper antonomasiafu chiamata la città eterna; questa Romachead onta della sua degradazioneè ancora la prima cittàdel mondoo per dir più giustoserba ancora intero il germee le condizioni del suo primato; questa Roma è veramente ilcuore dell'Italia; onde per far la cura dell'Italia non si dee faraltro che ristorarne il cuore.
«ORomanie voi uomini di Trasteverenelle cui faccie e nelle cuimembra vedo rivivere l'antica saldezzaguardate ai miseri avanzi diquesto fòro romano; e se siete capaciricostruitevi inpensiero la solenne maestà dei tanti edifizj chesulle variee graduate eminenze nei collid'ogn'intorno un tempo gli faceancorona; edifizj di marmo e d'orociascuno dei quali era la dimora diun numedi un semidiodi un eroe.
«Làin alto stavan gli edifizj dell'Arce Capitolina: più sottoingradazioni succedevoliil tempio di Giove Tonante e quel di Saturno;qui nel mezzo era il cavallo gigantesco di Domizianoe dietrogliantichi rostri; più in alto era il portico del Tabulariosotto del quale stavano i due templi di Vespasiano e della Concordia;e dietro all'arco di Settimionella parte più eminenteiltempio di Giove Capitolinoche soprastava alla basilica Emilia; ev'eran gli edifizj del Palatino e la Curia Giulia e la basilicaGiulia e il Miliario Aureo e la basilica di Costantino; e statueequestrie colonne commemoratricie bighe e quadrighe e sestighetrionfali... Ma seguardando le presenti rovine di questo fòrodieci anni fadue anni faun anno faripensavate con rammaricoalla folla dei vostri gloriosi avi irruenti a quei rostrifamosi che ora non sono più; oggi è cessata la cagionedel rimpianto; un anno fa pareva impossibile in perpetuo il ritornodell'antica gloria di Roma; ma ora possiamo vedere in un futuro nonremoto la prospettiva rinnovata e accresciuta e migliorata dellagrandezza antica. Tutte le città d'Italiasoli minori girantiin astronomica armonia intorno a questo massimo sole di Romaquimanderanno i loro figli più preclari di virtùdioperositàd'intellettodi genio; qui si faranno le leggi;qui si tratterà della guerra e della pace; qui si decreterannole leve; qui si distribuiranno gli onori ai generosi che sarannostati prodighi del loro sangue per l'indipendenza della gloriosanazione; e il pontefice intantoritirato a pregare nel suo Vaticanocolle porte apertesenza satelliti e senz'armatibenedirà eringrazierà quel Dio di cui ora è rappresentanteindegno; lo benedirà e lo ringrazierà di aver decretatigli avvenimenti che gli tolsero il potere e la forza materialeperfargli il dono più prezioso della venerazione dei popoliiquali non sentiranno più le coscienze contristate da colui chetiene il mandato di consolarle.».


VII


L'alberodella libertàper il quale l'avvocato Corona improvvisòil suo discorsofu il primo che sia stato piantato in Roma; e lo sipose appunto là dove si riputava trovarsi il sitodell'antico fòro romanogiusta le conclusioniarcheologiche allora pronunciate dagli eruditi più stimatisegnatamente dal Piranesi e dal Visconti; conclusioni che vennero poimodificate in qualche parte dagli eruditi posterioritra cui ilVenutiil Nibby e il Caninache portarono le congetture fino allacondizione della certezza. Quel sitocon cerimonie quasi ritualivenne allora determinato e segnato con una barriera che ne girava laperiferia; e la quale venne coperta con drappi a tre coloribiancorossoneroi colori emblematici della Repubblica. Adempiuto a ciòtutta la folla lasciò l'antico fòroper recarsi nellealtre principali piazze di Romadov'eran già scavate le bucheper ricevere le radici degli altri alberi di libertà chealpari dell'anticoben potevano simboleggiare la scienza del bene edel male. Salita finalmente al Quirinaledopo un'altra breveallocuzione all'albero e una specie di ballo rituale saltato dai piùenfatici intorno ad essostette aspettando il generale Berthierchealloggiava nel palazzo apostolicocol suo stato maggiore. Essoallatesta delle truppedoveva in quel dì salire in Campidoglio adinstaurarvi solennemente la repubblica romana.
Lanotizia di quella solennità chiamò tanta gente dallecittà vicine e lontane che a memoria d'uomini nessuno siricordava d'aver veduto sì numeroso popolo in Roma; e gliosservatori sagacii quali guardando al presente miravano al futuropensarono all'attrazione irresistibile che quella cittàavrebbe esercitata su tutti gli Italiani d'Italiaquando fossedivenuto il teatro principale de' fasti nazionali; diremo che coloroi qualiper aver molto viaggiatohanno pronte e sicure le occasionid'instituire confrontisi accòrsero del quanto Roma vincessetutte le altre più celebri città nella maestàsolenne del suo aspettoquando assistettero allo spettacolo chepresentò il Campidoglio allorché Berthier salìsul poggio del palazzo del Senatoree tutta la truppa si schierònella piazza sottopostae l'onda del popolo si agitò in tuttele direzionie su tutte le salite che mettevano a quel luogoeminente; e sull'alta ed ampia scalinata che dalle falde delCampidoglio ascende fino alla chiesa d'Ara Cœlioffrìl'aspetto di una cascata che ribollisse in sè stessaperprecipitarsi sulle onde sottoposte; e quando un cosìformidabile movimento e fremito di vitae frastuono di voci e digrida si arrestò di colpo nell'immobilità e nelsilenzioappena che la parola sonora del generale Cervoni tuonòdall'albero della libertà eretto nell'aja capitolinatra icolossi di Lucio e Cajo e i trofei di Augusto e la statua equestre diMarco Aurelio.
Delrestoil profondo silenziofatto da tanto popolo accorso non giovòche a coloro che si trovavano sull'aja propriamente detta; agli altrifu molto se l'onda sonora portò qualche perduto monosillabo; ein questa condizione ci troviamo anche noiposteri non lontani; chèquel discorso non fu messo a stampanè serbato manoscrittoonde non possiamo farlo riecheggiare agli orecchi dei nostri lettori.Nè il Camillone di Trastevere che lo sentì a suo agioperchè stette ben vicino al generalesi occupò diriferirlo; bensì conchiude con queste segnalate parole: «Chipoi si lamentasse del tacere nostropensi a credere che dopo leparole del nostro buon Coronaquelle del generale ti paiono piùche altro fuochi di festa e di luminaria che rintronano nell'ariasenza lasciare traccia nè di lume nè di colpo.»Stando infatti anche al giudizio d'altri testimonjil generaleCervoni deve aver dette tante e tante cose in quell'occasionee contale esagerazione e di pensiero e di paroleche nel troppo andòperduto anche il pocoe nelle pompose generalità rimasecelato il concetto chiaro delle cose. Ma ciò ènaturale: Cervoniquantunque fosse italiano eal pari di Bonapartesentisse tutta l'importanza della questione romanapure parlandosotto l'orecchio di quell'oca di Berthier (è Napoleoneche così lo chiama)non voleva parlar dell'Italia in modo cheil Francese si adombrasse.
Compiutala solennità dell'instaurazione della repubblica romanaallaquale assistettero cinque pubblici notaj che rogarono l'attoin quelmedesimo giorno il generale Cervoni si presentò a Pio VI perintimargli a nome della repubblica franceseche si preparasse alasciar Roma e a partire per Sienafacendogli sentire come il papatoavesse a entrare in una nuova fase e l'Italia fosse chiamata a nuovie grandi destini. Tutti coloro che hanno letto le storie conoscono larisposta del ponteficee il suo contegno in quel momento; tuttidalle storie stesse furono tratti come a sentir l'obbligazione divenerare il pontefice per la sua fermezza di non voler cedere quelche gli era stato tramandato da' suoi antecessori; eper l'oppostoa biasimare la condotta di Cervoni per ciò che ha fatto inquella gravissima quistionee per il modo con cui lo ha fatto.
Maci troviamo sempre allo stesso nodo; chè la venerazione e ilbiasimo non sono altro che le conseguenze del diverso modo divalutare i fatti. Certo chese la condotta del pontefice fosse statasempre irreprensibilese tutta la sua vita privata e pubblica fossestata l'attuazione continua di quanto costituiva il carattere e ildovere della sua dignità; se fossero stati palesi e innegabilii beneficj e i sacrificj da lui resi e da lui fatti alla religione dicui era capoalla nazione di cui doveva essere il figlio piùdevoto per essere il padre più amorosoall'umanitàintera alla qualecome rappresentante del Dio in terradovevarivolgere tutte le sue curela pietosa commozione che si proverebbeper luidovrebbe essere pari all'indignazione provocata dallacondotta del generale Cervonio da chi gli aveva dato quel mandato:ma le parti si tramutano compiutamente alla vista di chi considera ifatti coll'inesorabile sindacato del vero e del giusto; tanto chemettendoci a contatto con quei fatti stessisenza attraversare ilprisma fallace delle interpretazioni degli storiciben si ètratti a conchiudere che il generale Cervoni non fece nè piùnè meno di quello che aveva dovuto fare; e che nè l'etàottantenne del papanè il suo venerabile aspettonèle sue infermità stesse sono motivi sufficienti per placarsial cospetto di una non interrotta serie di debolezze e di colpe. Chesemesse le cose a un punto ancor più alto e piùsolenne di vedutala tarda età del pontefice e le sueinfermità corporali si dovessero mettere in cumulo colledebolezze e colle colpe medesimeper farle tutte insieme oggetto diuna suprema pietà filosofica; anche in tal caso la pietànon escluderebbe la giustizia; anche in tal caso la condotta diCervoni sarebbe giustificata dal dovere e dalla necessità.Dovere e necessità che si verificherebbero pur nel suppostoche Pio VI fosse stato lo splendore del pontificatola gloria dellanazionel'onore dell'umanitàperchè non era piùla persona del pontefice che entrava in questionema sì lecondizioni alterate del pontificato che invocavano una riforma; nonera già Pio VI a cui si faceva ingiuriama era il poteretemporale chesentenziato assurdo e infesto dal voto concorde deisavjdoveva essere abolito per semprea beneficio dell'umanitàed a vendetta della stessa religione.
Senon cheper le ragioni medesime che ci comandano di giustificare ilgenerale Cervoni nel suo colloquio con Pio VInon troviamosufficienti parole di biasimo e di condanna per la condotta delcommissario Haller che ebbe l'incarico di provvedere all'arresto delpontefice; per verità che quell'uomo non fu pari alladelicatezza del suo mandato; e Pio VInel modo onde si comportòcon coluidiede prova di una dignità che sembròpersino una deviazione dall'indole sua; ma sempre avviene che chi nonsa usufruttare della buona causacostituisce in un'apparenza diragione anche chi è dalla parte del torto. Cosìfu percolpa di quel volgarissimo commissario francese se un fremitoirresistibile d'indignazione corso nel sangue degli uomini intemeratipel modo onde fu eseguito un disegno necessariomodificò igiudizj anche sul disegno stessoe non lasciò veder piùchiare le cagioni primee diede pretesti e capi d'accusa ed armi ainemici del sincero progressoe preparò le vie delle storichemenzogne.
Malasciando il paparipercorriamo la città di Roma nei giornipiù agitati della sua vita repubblicanaper far tesorod'esperienzae per vedere come l'ottimo può diventar pessimose una cauta prudenza non governa le cosee se gli uomini non sipreparano con sapienza a godere dei frutti della libertà.


VIII


Laconfutazione più trionfante che si possa fare all'asserzionedi Bottail qualeprestando volontieri la più cieca fede nonsappiamo a che falsi testimonjnon ebbe vergogna di stampareche intutta Roma non v'era chi amasse veramente il nuovo ordine di coseeche in essa non si trovò che un solo democratail qualepropose a Berthier di mettere in libertà duemila condannatidell'ergastoloper trovar gente che sapesse eben pagatavolessefar festa all'ingresso delle armi repubblicane; la confutazionediciam dunquepiù trionfante che si possa dare a codestestolide menzogne sta nella insolita esultanza cheinstaurata larepubblica e partito il papas'impadronì di tutta lapopolazione di Romasalvo le eccezioni che abbiamo già fatto;salvo quei ricchi patrizj venuti in uggia al popolonelle cui case isoldati si adagiarono come in caserma; salvo i pingui agenti deiprelati fuggitinelle cui cantine la plebe di Trastevere penetròa conquista e a strage di botti.
Chela popolazione stesse queta fin tanto che il presidio pontificiotrovavasi sugli spaldi di castel Sant'Angelo e gli sgherri assassinigironzavano per la città e le spie lavoravano d'olfatto comecani codianti la lepreè cosa naturalissima. Pretendeva forseil Botta che la popolazione di Roma offrisse pronta il collo aicarneficiper esibirgli i documenti del suo odio al governo pretinoe delle sue ispirazioni all'aere libero che da più mesi leventava dal di fuori?
Laprova che quell'esultanzauna volta che cessarono i sospetti e lepaurediede fuori con tutti gli attributi della natura che non puòpiù nascondere un sentimento antico e tenuto per troppo tempocompressosi è che toccò tutti i suoi eccessi. Se nonfosse stata sincera sarebbe stata guardinga. Tutti i cittadinitrovandosi dunque in piena balìa di dare sfogo alla propriacontentezzaquesta nelle proprie manifestazioni si atteggiava e sialterava e si modificava a seconda del caratteredel sentimentodell'ingegnodell'immaginazione di ciascuno. Trattandosid'instauramento di repubblicae di repubblica romanai moltissimi acui non è concessa un'intelligenza privilegiataattesero dipreferenza a mettere in trionfo piuttosto le forme repubblicane chela sostanza; attesero più ad evocare un passato impossibileche a preparare con sapienza le nuove vie dell'avvenire. Sitrascurarono le grandi idee del sincero progressoper rimettere invoga teatralmente i nomi degli uomini e delle cose passatee icostumi e le foggie e i vestiti e le armi e le abitudinisenzaaccorgersi dell'improvvido e assurdo anacronismo. Il primo a dare lostrano esempio fu l'architetto Barberache comparve togato inpubblicoaccompagnato dalle sue tre figlie avvolte nel peplodichiarando di rinunciare da quell'ora alla propria parentelae divoler essere chiamato Ctesifonte.
Bastòquell'esempio perchècon una rapidità impossibile aqualunque impresario o coreografo o vestiarista di teatrosiproducesse per le vie e per le piazze la storia romana antica. Coloroche credevano di assimigliare piuttosto a questo che a quelpersonaggio dell'antichitàsi mostravano in piazza adarieggiarne il gestol'incessola dignità. Chi aveva icapelli neri e crespi e la barba spessainvadente le guancie finsotto gli occhi e vantava l'ampia personaera Muzio Scevolasenzatante titubanze; chi aveva la chioma fulva e foltissima oltre ilconsuetoe la barba intera e inanellatasi nominava Lucio Verosenza farsi pregare; si videro Collatini e Lucrezie in buon dato; eGracchi non pochi e Cornelie di convenzionee Clelie e Tullie eTulliole con pepli indulgenti e coscie e popliti in voluttuosatrasparenzae braccia nude fin sopra la spalla. Di Bruti poicosìdella prima che della seconda qualitàovverosia cosìdi Giunii che di Marchil'assortimento era così vario enumerosoda poterne fare un emporio per tutti i casi futuri. Manemmeno a pagarli a peso d'orosi sarebbe potuto trovare nèun Giulio Cesarenè un Augusto; erano merce proibitae guaia cui si fosse attentato di passeggiare in piazza tramutato in que'personaggi. Che più? Allo stesso fondatore di Romache ètutto direnon fu fatto buon viso; e il primo Romolo che si lasciòvedere in piazza Navonaper la gran ragione di essere stato il primodei refu colto a fischi e preso a torsi di cavolopeggio di untenore stonato; tanto che di tutta fretta rifugiatosi in unabottegae per di là passato a casa suaricomparve il giornodopo in costume di Mario. Nè codesta fantasmagoriarappresentata in piazza con intento serio e colla ferma fiducia dionorare e puntellare e difendere la patriadeve parere una cosainverosimile ai lettori che vivessero nel 48e furono a Milano e aVenezia; e videro giustacuori e batticuli e maglie del Quattrocento;e tôcchi e robe del Cinquecento; e gorgiere e mantellette ebrache e stivali del Settecento; e spadoni e manopole ed elmi tolti apolverose armerie.
Chese a Roma Marforio e Pasquino eccitavano la pubblica ilaritàrivelando che il tale passeggiava in piazza portando l'elmo involatoalla guardaroba del teatro Valle o Tordinonae che già aveaposato sulla testa del castrato Crescentini negli Orazj e Curiazjdi Cimarosao nell'Attilio Regolo di Jomelli; che il talaltro cingeva la spada cinta già dalla mima Pitrot nelleAmazzoni del coreografo Ferlottiecc.ecc.: questi scandalisi rinnovarono precisamente ai giorni nostricon qualche cosa di piùsaporito ancora; perchè lo scrivente si ricorda benissimo diaver veduto un impresarionominatosi da sè stesso colonnellopasseggiare in piazza San Marco con spallini dorati e galloni doppj etriplifacendo battere sul lastrico la sciabola stessa che pochigiorni prima al San Samuele aveva adoperato il conte d'Almaviva perspaventare don Bartolo; e abbiamo visto un duce improvvisato ditrenta improvvisati eroi sedere al caffè coll'elmo crestato diun Nabuccodonosor che già avea tuonato in teatro col Tremangl'insani di Verdi; ma purtroppo codesti scandali che offendonola maestà dei grandi avvenimenti sono malattie inevitabili deipopoli chetenuti in lunghissima schiavitùvengono assalitida una specie di capogiro nel respirare le prime aure della libertà;come chi rimasto a lungo nell'oscurità della prigionehaoffesa la vista dalla repentina luceo avendo lo stomaco estenuatodall'imposto digiunosente sconvolgersi dal primo vino a morbosaubbriachezza. Ma il tempo e l'esperienza e i ripetuti disinganniinsegnano sapienza ai popolie gli errori del 96 e del 98 e del 48saran forse per essere lezioni salutarise il destino vorràconcederlo. Ma tornando a Romae rifacendo settant'anni indietro ilvolo della mentepur troppo quella grande paginache la Provvidenzasembrò voler preparare alla storiafu deturpata ben dapeggiori cose che da quelle teatrali stranezze.
Abbiamodetto di voler dire intera la veritàe mettere in palese lecolpe di tuttisenza intenzioni partigiane. Perciòse da noifu alzato il panno misterioso onde si vollero tener celate ai profanile vere sembianze di Pio VI; se riputammo giusta e necessaria lacondotta di Cervoni; se trovammo indispensabile l'avere allontanatoil papa da Roma; se riputiamo essere stato una misura di giustiziala quale se è assoluta dev'essere anche inesorabilel'averearrestati tutti i cardinaliarcivescovivescovi e prelati checomponevano la romana corteperchè complici tutti ecospiratori a danno della nazione e dell'umanità; perchèinteressati tutti a mantenere nell'ignoranza e nella schiavitùle moltitudinie a volerle piuttosto colpevoli e scellerate cheistrutte e felici; non è poi possibile comprimerl'indignazione pensando che da questi atti giustissimiquantunqueseverinon si seppe cavar l'utile che si doveva; nel tempo stessoperò che la massima parte di questa indignazione deve ancoraandar a cadere sul papa e la sua corte e sull'assurda istituzione delgoverno clericale. In fattida quel governo pauroso d'ogni liberopensiero e della scienza multilatere e fecondaessendosi interdettoin Roma ogni altro studio che non fosse la sterile erudizioneoalcuna di quelle discipline che non hanno irradiazione sulla vitapratica nel momento di assestare il nuovo ordine di cosei migliorichiamati al potere legislativo e consultivotra' quali primeggiaval'archeologo Visconticonoscendo poco il presente e non curandosiaffatto dell'avvenireper disperazione si rifuggirono nel passatoche era il solo loro dominioe nel riprodurlo non sepperoatteggiarlo e piegarlo ai nuovi bisogni dell'umanità; nedebbero riguardo alla sostanzala quale avea fatto la grandezza e lapotenza degli antichi; ma soltanto ai nomialle formealleapparenze; perciò nei quattordici titoli della costituzionericomparverocome se fossero scavi archeologici e colonne e statueinfranteil senato e il tribunatoe pretori consolari e questori eedili: nomi che si guastarono con certe strane definizioni chederivavano da una scienza impregnata di rettorica e d'Arcadia; ondeil tribunato fu chiamato l'immaginazione della Repubblicae il senato la ragione della Repubblica. Il primodovea farsi un onore e un dovere di mandare le sue proposizioni alsecondoacciò maturamente le ponderasse; onde tutti i giornivedeansi i messaggi che conducevano l'immaginazione a umiliarei suoi complimenti alla ragione.
Maci voleva ben altro che forme e pompe e cerimonie arcadiche; il malgoverno papale aveva lasciato vuoto l'erarioe un abisso di povertàe di miseria pubblica. Però i consoli che sapevano il greco eil latino e tutte le vesciche della scolasticanon essendo mai statiassunti in addietro ai pubblici impieghiperchè questistettero sempre nelle mani dei pretinon seppero omegliononpoterono provvedere alla mancanza delle derratedel panedelle cosepiù invocate dalla plebe affamata; nè potendo farscaturire la moneta tanto necessaria alle pubbliche contrattazioniin prima pensarono di far fondere il vasellame d'oro e d'argento chesi trovava nei palazzi pontificj e in quelli dei cardinaliposciatutti gli utensili domestici di rame e le campane delle chiese degliotto dipartimenti del nuovo Stato.
Questadeplorabile misurache però era ingiunta da una terribilenecessitàe di cuipercorrendo la catena delle causesitrova pur sempre la prima cagione effettiva nel mal governopontificalesedusse al furto i popolani chiamati ad operare quellefusioni; sedusse al furto e al saccheggio i soldati chiamati a farloro la guardia; sedusse e persuase i capi stessi dell'esercito aprevenire quei furti con furti più colossali e vistosi perconto proprio; e siccome quei capi seppero che di ciò simandavano querele al Direttoriofurono solleciti di spedire a Parigii tesori dell'arte italicaperchè lo splendore di quellasterminata preda abbagliasse gli occhi e respingesse i rimproveri etrattenesse le punizioni.
Sitolsero a Romacome ognuno sapiù di cinquanta fra le piùcelebri statue dell'antichità;. tutti i busti famosi degli dèie degli eroi greci e romani; i più riputati capolavori diRaffaello e di Domenichino. La qual preda rappresentava un valoremedio valutato dagli esperti in cento milioni di franchi; ma di cuiil prezzo d'affezione era incalcolabile dalla stessa immaginazione.
Setanti disordini e malversazioni e depredazioni furono in gran parteconseguenze inevitabili di cause antiche e funestissimecerto chevennero accresciute dalla presenza di due uominidi cui l'istintorapace pareva aver raggiunto i gradi della ferocia e della demenza.Codesti uomini furono il commissario Hallerche essendo stato ilprimo a rubare sfacciatamenteincoraggiò all'imitazione tuttol'esercito; poi il generale Massenache non aveva bisogno di essereincoraggiatoe che quandopartito Berthierrimase solo al comandoe fu padrone delle casse pubblicheda quella piena balìa disè stesso fu sedotto a scaricarle tutte in casa propria senzatanti rispettitanto quella sua furibonda passione dell'oro non glilasciava pensare alle conseguenze. Queste infatti scoppiaronoterribili; perchè i soldati non ritraendo denaroe gliufficialiavidi al par di Massenanon sopportando di dover rimanerecolle tasche vuotecondotti dal colonnello S... (il conte Achilleche finalmente potremo conoscere di presenzail qualerotto algiuoco e a cento altri disordiniera diventato furioso per lamancanza di denaro)si radunarono nella rotonda del Panteone làriscaldati ed arringati da essoinvasero le stanze di Massenacheopponendo a quella furia una furia ancor più tremenda e unaostinazione incrollabile e un coraggio incredibilecorse pericoloche la sua piccola figura venisse tagliata in due dalla sciabola delnostro S...se non fosse stato strappato di là per forza dalgenerale Marat.
Madopo tuttonon creda il lettore che l'aspetto di Roma fossediventato squallido per queste cose; certo che furono frequenti itumulti del popolo; frequenti le vendette e le uccisioni; che lamiseria c'era; e la fame c'era. Ma la veste che copriva queste piaghee queste ferite e questi cenci continuava pur sempre ad essere diporpora e d'oro. E per chiamar gente in Roma e mettere incircolazione qualche denaroe abbagliar quei di dentro e quei difuorisi davano spettacoli d'ogni sortaspettacoli pomposi cherammentavano la grandezza antica. Per citar quello che fece piùsensola notizia cheper la prima volta dopo tanti secolisisarebbe aperto al pubblico l'Anfiteatro Flavio perrappresentarvi la morte di Giulio Cesare a piedi di quellamedesima statua di Pompeoche aveva veduto estinto il vero Cesarefece affluire gran gente in Roma da luoghi anche lontani. Di codestofatto noi non abbiamo trovato parole nè in Bottanè inVerrinè in altri; ma il Camillone nel suo Diario sidiffonde a parlarne per molte pagine; e tra i celebri scrittori lordByron è il solo chein una delle note eruditissime intorno aRomaapposte al canto quarto del Child Harold parladi questo spettacoloe della statua di Pompeo stata inquell'occasione trasportata dal palazzo Spada nel Colosseo.
Anchenoi dunque ce ne occuperemoma non tanto per l'interesse che puòdestare in sèquanto perchèinvitati da quellacircostanza straordinariail capitano Baroggi e donna Paolina S...che trovavansi a Bolognasi recarono a Romae furonosenzavolerlogli sventurati attori di una scena realela quale staccòl'attenzione di trentamila spettatori dalla tragedia di Voltaireperrivolgerla tutta su loro e sul colonnello S...


Ilfatal Dio pur degli Dei sgomento.





LIBRODECIMOTERZO


Romae Chateaubriand. - Voltaire e Shakespeare. - Massena edonna Paolina. - Padre e figlia. - L'attore Rosier. -La statua di Pompeo. - L'antico Cesare e il repubblicanoBonaparte. - I colonnelli Paoli e Ballabio. - Ilsepolcro di Cecilia Metella.


I


Siamoancora in Romala città eterna; che consolazione! il solodolore è che non ci siamo che colla fantasia. O Romaal parie più di Veneziacom'è naturaletu fosti descritta eillustratae ben trattata e maltrattatae contraffatta e svisata damigliaja di scrittori. Degli eruditi non parliamo; dal più almeno s'attennero al positivo e ai documenti; ma gli scrittori poeti!che scempio ne han fatto... ovvero siacome si mostrarono amantiinfidi e bugiardiforse per eccesso d'entusiasmo! L'ultimo deiceleberrimi e dei più immaginosi fu Chateaubriandil qualedi certocol suo largo pennello e co' suoi colori smaglianti neritrasse la prospettivalasciandone sulla tela la macchia generaleforse con più verità di tutti; ma nei particolarimanelle considerazioni poetico istorichequante falsitàquante alterazioniquante allucinazionicrediamoinvolontarie!
Alloscopo di esagerareper l'amore delle antitesiche sono il deliriodei poetila decadenza materiale di Romaincaricò persino ilTevere di essere afflitto e di aver voluto ritirarsiper la granvergognain un angolo della cittànon d'altro occupato chedi somministrare le sue acquechesolerimasero bionde come inanticoa lavare i lini sudici dei neonati Quiriti. Ma noi ci siamrecati a bella posta sul luogocome un ingegnere di campagnaperverificare co' nostri occhi se davvero il Tevere avesse assunto lepassioni e i dolori di un poeta sentimentale; ma possiamo assicurareche il Teverenei diciotto secoli che sono decorsinon ha fattoaltro che rimanere un fiumee non sentì nessuna vergognaforse presago del possibile risorgimento della sua città; enon si ritirò in nessun angolo e non diventò piùpiccolo. Visto dal ponte Elio e dal ponte Senatorioè ancorail più maestoso fiume d'Italia che attraversi una città.A ripa Grandela selva delle antenne e il biancheggiar delle vele ei fumi densi delle vaporiere lo fanno parer davvero un porto di mare;il che è ben altra cosa dall'esser ridotto un rigagnoloavvilitonon visitato che dalle lavandaje!
Diciamquesto perchè quei che si impennarono alla idea di doverportare la capitale a Romae la chiamarono un'idea stracca direttorica ammuffitae una specie di regresso al paganesimo e alclassicismo spento; e credettero opporsi e vincer l'onda impetuosa ditutta Italia concorde nel tendere le braccia affannate alla suacapitalepotrebbero inorgoglire e fidarsi d'aver un confederatoonnipotente in Chateaubriandche vedeva anche il Tevereimpicciolito.
MaRoma dissanguata dal malgovernonella sua terza parte abitata haancora più di 200.000 persone; e in pochi annisotto il nuovosole della libertà e dell'indipendenzaespandendosi ariconquistareper dir cosìle parti desolatepotrebbetoccare facilmente la popolazione di 600.000 anime. Ci pare che peruna capitale possa ben bastare. La popolazione di Londraeguale aquella di tutta Lombardiaè un'esagerazione inutileeprovocatrice di disordini non possibili che in quella inconditavastità. Ma lasciando la popolazionee trascurando anche lemaestose antichità che pur fecondano intelletto e cuorequantunque a moltisegnatamente a qualche ingegnere della cittàdi Milanosembrino incomodi ingombri di utili spazj; in quante equante cose Roma è superiore a tutte le altre cittàd'Italia! Equidistante dai punti estremi d'ItaliaessaperCivitavecchiaè in comunicazione diretta col Mediterraneoche ritorneràper l'istmo di Suezil gran lago storicoromanodatore di ricchezze infinite. È dunque vicina alloscalo marino per tutti i vantaggi che le possono derivare; e ne èabbastanza lontana perchèin una guerra o in un assaltofortuitoi primi colpi non debbano toccare a lei.
Tuttequeste cosese possono andar bene anche adesso; se andavano tantobene ai tempi degli antichi Romaniche piantarono in quel sitofatale le loro tendeperchè l'istinto felice e la sapienzaspontanea loro fecero comprendere che non v'era punto migliore perdominare da tutte le parti la penisola della media e della bassaItalia; come ai Galli fece comprendere che non v'era punto miglioredel sito di Milanobenchè dalla natura paresse in ispecialmodo maledetto; perchèdiciamonon dovranno andar meglio inun prossimo avvenirequandoper le ferroviedal Po al Tevere sivolerà in un giorno? Ma la questione è cosìchiaraè così nettamente veduta da tuttiècosì risolutache non sappiamo perchè noi l'abbiamoritentata ancora; se non fosse chetrovandoci in Romail discorsodoveva cadere spontaneamente su Romaprima di recarsi al Colosseodove uno spettacolo insolitodopo quasi sei secoli che non se nedavan più in quell'anfiteatrochiamò da tutte levicinanze dell'eterna cittàe da altre città d'Italiauna folla infinita di popolo italianoinvitataanzi attratta perquell'occasioneanche alloracome adessoa respirare in quellalucein illa luceper ripetere il motto di Ciceroneun'aurapiù liberapiù forte e più feconda.
Illettore conosce per qual ragione entriamo nel Colosseo e ci occupiamodi descrivere l'ultimo spettacolo che là siasi dato.
Ilgiorno 17 ottobre dell'anno 1798intorno alle ore ventunatutta lacittà pareva che si fosse versata nelle adjacenze delColosseo. Una compagnia drammatica francesediretta dal capocomicoRosierdi quelle compagnie che fiutano da tutte le parti la pubblicapassioneper atteggiarsi a quellae saziarlae cavar denari eapplausi anche senza il prestigio di una grande abilitàavevaottenuto dal generale Massena il permesso di rappresentare nelrecinto dell'anfiteatro Flavio La morte di CesarediVoltaire. Tutto fremeva di repubblica allora; chi avesse osatomanifestare delle simpatie monarchichesarebbe stato pugnalato inpiazza. Lo stesso Bonapartechefrementechiudeva in sèl'esagerazione del dispotismopur s'inchinava al simbolico berrettoe gridava repubblica anch'esso; chechi vuol dominare lamoltitudinecomincia dall'accarezzarla e accontentarla in tuttocolsistema onde i seduttori blandiscono le amantiper ottenerleedisprezzarle dopose mai dà il caso. Se dunque fra letragedie di Voltaireallora tanto in vogafu scelta La morte diCesarela cosa è naturale. - Non ci poteva essereargomento più di quello adatto all'onda dei tempi e allapubblica aspirazione.
Peccatoche Voltairedopo aver usufruttato Shakespeare e spogliatolo dituttoabbia avuta tanta malizia di gettare a piene mani il disprezzosu quel barbaro che non mancava d'ingegnoonde la tragediaoriginalemal nota al pubblicofu riposta negli scaffaliel'imitazione scaltra ma servilema guasta dal convenzionalismononpermise che il pubblico assistesse alla rappresentazione delcapolavoro del sommo Inglese. Che spettacolo grande e compiutosarebbe stato! Come Roma anticaper quel miracolo di poeticadivinazionesarebbe riapparsa viva e vera e moventesiagli occhidegli spettatori!
Nell'anno1798 il Colosseo era nella più deplorabile condizione di unmonumento rovinato nella massima partee che minaccia di rovinareanche nelle parti superstiti. La prima scarpa che fermò lagrande muraglia rimasta intattanon fu eseguita che nel 1805 pervolontà di Pio VII; l'altra venne ordinata da Leone nel 1813.Tutta la parte esterna adunqueche anche oggi permette di misurarel'altezza di quell'edificio unico al mondoabbandonata a sèstessafaceva paura a' riguardantiperchè visto da lontano edal basso in profilonon parea vero che quell'enorme paravento ditrentatrè archi a tre piania non contare l'atticogigantesconon dovesse crollare da un momento all'altro. Ladescrizione del Colosseocosì in istato di rovinacome neglistudj architettonici che ne porgono il ristauro completovenne fattada tanti scrittoritante volte e in tanti modiche ci par tempogettato il rifarla oggi per quei pochi lettori che in proposito nonsapessero nulla. Soltanto ripeteremo quello che fu detto da coloroche si recarono a visitare quel prodigio architettonicodell'antichità; che cioèper quanto uno ne abbiaun'aspettazione immensaessa è sempre di gran lunga superatadallo stupore che colpisce anche l'uomo il più freddo e piùpreparato.
Perdarne un'idea a chi non l'avesse mai vedutobasti il direcheosservando la parte superstitedall'esterno e dal bassol'occhiodifficilmente arriva al fastigio; che ciascuno dei grandi archi (edegli ottantasette non ne son rimasti che trentatrè) èd'un terzo più alto della porta maggiore dell'Arena milanese;che con questi archi s'innalzano tre piani a diversi ordinidoricojonicocorinzio; e che l'attico coi clipei è alto quantociascuno degli altri piani; tanto che si può asserirechel'Arena milanese ripetuta in altezza sei volteappena darebbel'altezza del Colosseo.
Quandoin fantasiasi arriva a immaginare il ristauro completo di questamolee si ricostruiscon in mente gli ottantasette archi completiele colonne dorate del secondo e del terzo pianoe le statue d'oroche posavano in mezzo a ciascuna di quelle arcate; e nell'interno lafuga delle gradinate dal basso in alto delle tre precinzioni; collepareti del podio tutte rivestite di marmoe i balteiche dividevanole precinzioni stessetutti coperti di smalto e d'oro e di gemme


Balteusen gemmisen illita porticus auroetc.



eal sommo della cavea un portico tutto a colonnee statue di marmobiancoe di porfidoe di verde anticoe di bronzo doratodispostesparsamente lungo i baltei; e vasi e tripodi diffondenti odori diessenze bruciate;... davvero che la mente calma si rifiuterebbe a darfede al volo della fantasiase i poderosi avanzi non fossero undocumento fedele per le indagini dell'arte e della scienza.
Malasciando la fantasia e gli splendori antichi per venire agli avanzipresentiè certo che torna assai più difficiledescriver questi che quelli; perchè l'arte completa ha misuree contorni e linee e forme determinate; mentre i disastri del tempoe della barbariee degli smantellamentie dei cataclismi lascianoun tal disordine caoticoche s'invola ad ogni descrizione precisa.
Altempo in cui nel Colosseo si rappresentò La morte di Cesaredi Voltaireil disordine era ancora maggiore. In molti spazjinternidove le cavee e le gradinate eran cadute nella massimarovinai monacicustodi dell'edificioavevano coltivato e broli egiardinie innalzate capannuccie e pagliaj. Se non che tutti questiingombriche parevan voler nascondere l'origine e la destinazionedell'anfiteatrovennero fatti scomparire dall'appaltatore dellospettacolo. Così furon poste gradinate di legno dove quelle disasso non eran più servibili in verun modo; così condrappi e sostegni e pulvinari si resero ancora praticabili legradinate più basse del lato dell'edificio men rovinato.
Allorchèil pubblico penetrò nell'anfiteatroe venne quel momentovicinissimo alla rappresentazionein cui tutte le parti occupabilisi videro gremite di gente; certo chese la architettura non aveva alodarsi di quelle rovinela pittura non poteva trovare spettacolopiù fantasticopiù grandiosopiù variopiùstrano di quello. Nelle prime gradinate più vicine al circodove Bruto doveva congiurare contro Giulio Cesarev'erano legerarchie militari del presidio comandato da Massena. -Generalicolonnellicapi squadroni; - dragoniusseriartiglierigranatieri; già s'intende la sola ufficialità;perchè la repubblica democraticaè aristocratica alpar di chicchessia. Presso gli ufficialie insieme con essilematrone e le donne romane della classe più elevata; ma diquelle cheo per amore di sè stesseo per inclinazione aglialunni di Martecheguerrescamente gentiliavevano invaso tutte lecaseo per una tendenza spontanea alla libertà pubblica eprivataavevano applaudito all'ingresso delle armi repubblicane inRoma; e tutte in costume press'a poco come le tre dive che abbiamammirato nei palchetti del Teatro alla Scalain occasione del ballodel papa. - Mescolati ai soldati ed insieme colle donneibuoni mariti borghesicoi capelli alla Brutus sulla fronte esul ciglio; coi cravattoni nascondenti mento e orecchioe colla grancoccarda sul cappellone tondo. In altra parteper far contrastouomini e donne di Frascati e d'Albano e di Tivolicoi loro costumiinvariabili; e altrove le Trasteverine coi loro uomini in giacchettadi velluto e le faccie in cagnesco; una folla poi di ragazziseminudia dispetto dei custodiin quel parapiglias'eranointrodotti ed erano iti ad arrampicarsi sulle parti più altedell'edifizio. In mezzo a tutta questa moltitudine variopintaunventi o trenta di que' cari originaliche comprendendo meno dituttisembrano i più caldi e fanatici di tuttivestivanocome dicemmoin costume di antichi Romanie facendo da Collatino eda Muzio Scevola e da Curzioparevano aver la speciale incombenza diravvicinare in quel recinto le distanze di venti secoli.


II


Ilpalco scenicodove gli attori della compagnia Rosier dovevanodeclamare stentoreamente i versi di Voltaireper farsi sentire dachi stava sulle più alte gradinatenon era che un impalcatodi forma ellitticainscritto nella proporzione di due terzinell'ellissi dell'anfiteatro. Era dunque un palco che si vedeva datutti i latisenza siparjsenza scenarjsenza nulla di tutto ciòchecomunementecostituisce un palco scenico. Bensìquell'impalcatodovendo rappresentare il Campidoglioaveva dellegradinate di legnoe dei portici rivestiti di tela imitante ilmarmoe sotto agli archidelle statue con pallj di canovacciospalmati di gesso e di creta. Gli attori dovevano aggirarsi tra queiporticiintorno a quelle statuediscendere da quelle gradinate. Perverità che c'era qualche cosa di nuovoese vogliamoanchedi più naturale del solito. La cosa poi che più ditutto giovava a crescere quel che si chiama l'illusione teatralee aravvicinare più che mai il finto al veroera la statuacolossale di Pompeoquella veramenteai piedi della qualecomevoleva e vuol la famavenne ucciso Giulio Cesaree che è lastessa che oggi ammirasi ancora in una delle sale del palazzo Spada.Essa era stata collocata presso al portico costrutto appositamente; el'importanza che le si volle daree le lettere cubitali con cuinell'avviso al pubblico venne accennataquasi ci trarrebbe a credereche siasi voluto rappresentar la tragedia per usufruttare la statua.
Madomanderà talunoi signori comici che dovevano per un pajod'ore trasmutarsi in Giulio Cesare e Marcantonio e Bruto e Cassio eDolabellada qual partein mancanza di quintedovevano uscire perfare i colpi di scena con qualche illusione degli spettatori? Aquesto bisogno si adempì con più naturalezza espontaneità che non si crederebbe; sotto all'impalcatura dellegradinate e dei portici avevano il loro dietro le scenee làaspettavano il momento opportuno di uscire sul palco e far la loroparte.
Lospettacolo finalmente incominciò in mezzo al silenziogeneraleche durò pochissimo; perchè dei trentamilaspettatori accorsiventimilaad essere cortesinon comprendevannulla; altri perchè non capivano il francesealtri perl'inevitabile rumore che vi si faceva. I ragazzi del popoloches'eran arrampicati fin sulle ultime gradinatedopo essere statiattenti un momentoper l'istinto della novitàal compariredi Antonioche aveva il manto turchino filettato in biancoe diGiulio Cesare che lo aveva color porporasi diedero a schiamazzaresenza tanti rispettie a correr innanzi e indietroa sfoggio diagilità e di coraggiosui cornicioni praticabili. Ad ognimodo. Antonio potè declamare la prima parlata:


Césartu vas regner...
sinoal verso:
Quipeut à ta grande âme inspirer la terreur?


eCesare potè rispondere quasi d'un fiato:


L'Amitiécher Antoine:



eattraverso a sessanta e più versi conchiudereabbracciandoAntonio:


Tapromesse suffitet je la crois plus pure
Queles autels des dieux entourés du parjure.


Quellitra gli spettatori che avevano un postoabbastanza vicino persentire le vocie intelligenza sufficiente per afferrare il concettodelle paroleequel che più importala conoscenza dellalingua franceseascoltarono tutta la prima scena senza annojarsi esenza divertirsie senza dar segni nè dell'una cosa nèdell'altra. Necessariamentequand'anche Giulio Cesare fosse statorappresentato da Garrikda Keanda Talmada Modenaun buonrepubblicano non poteva applaudirlo in coscienzae meno ancoraquello scellerato adulatore di Marcantonio. L'indifferenza continuòfino alla scena terzaquando CassioCimbroCinnaCasca e Brutoentrarono in iscenae schieraronsi innanzi a Giulio Cesare assisosotto ad uno degli archi.
Brutoavrebbe dovuto uscire insieme cogli altri colleghi ed amicichènon v'era nessuna necessità drammatica di far diversamente; maBruto era il primo attore della compagnia; doveva produrre un grandeeffetto soltanto col farsi vedere; uscì dunque ultimodopoqualche momento d'aspettazione ad arte prolungata. I battimaniscoppiarono strepitosilunghisusseguiti da migliaja di grida: Vivela républiquevive la libertévive l'égalité.Perfino i seminudi birichini correnti e ricorrenti sulle cornicidell'anfiteatrosi arrestarono anch'essi schiamazzandoevviva! EBrutoche non s'inchinò mai nemmeno a Giulio Cesarefeceun inchino a tutti costoroe li ringraziò.
Cessatolo strepito e gli evvivaricominciò la recita. Anche ilCamilloneche pur non sapeva il francesema che aveva perinterprete uno scultore di Parigi che da più anni dimorava aRomaci racconta che si sentì trasportato a tutto ciòche Bruto nella scena terza disse a Giulio. Aggiunge poi chel'entusiasmo di tutto il pubblicoanzi la frenesiaandò alcolmo a quei versi onde si chiudela scena:


Toutmon sang est à toisi tu tiens ta promesse;
Situ n'es qu'un tyranj'abhorre ta tendresse:
Etje ne peux rester avec Antoine et toi.
Puisqu'iln'est plus Romainet qu'il demande un roi.

Dopouna tal scenanon ci fu più interesse di sorta; e il primoatto si chiuse tra una specie di bisbiglio sediziososoverchiatodalla voce sonora di un uomo del Trastevere il qualeallorchèCesare e Antonio uscirono dalla scena:
-E che ve pigli un accidente- gridò tra lerisate universali e le interrogazioni dei soldati francesichedomandavano che cosa significasse quel motto.
Trail primo e il secondo atto ci fu un intermezzo abbastanza lungoilqualepur troppoper la nostra storiaha un interesse assai piùgrave che la recita del Giulio Cesare e l'esposizione dellastatua di Pompeo Magno.
Inmezzo all'ufficialitàpresso a Massena e al generale Cervonisedeva colui che il lettore forse desidera di conoscere da un pezzo:il colonnello Achille S...
Vestivala divisa d'ussarotutta coperta di argento; stava sedutomilitarmentesenza tanti rispetti forse per essere seduto a malagioteneva con un braccio il ginocchio della gamba destrache erapiegata sin quasi a toccargli il mento; la gamba sinistrastrettanei calzoni rossi e negli stivali succintisi stendeva quant'eralunga a toccare il gradino sottoposto. Un raggio importuno di soleattraverso una tenda stata innalzata per far ombraannaspandogli lavistalo aveva costretto a piegare innanzi il caschetto piumato e atirar l'ala fin quasi sul naso. Della faccia si scorgevano perciòsoltanto i baffi enormi congiunti a delle enormi fedineche finivanoprecisamente alla regione della boccalasciando rasa la parteinferiore delle mascelle e il mento. Chi lo guardava dal basso inalto vedeva a girare di sotto all'ala del caschetto un pajo dipupille piene di lampo provocatore e protervoal quale aggiungevanouna tinta sinistra tutte le parti alterate della cassa dell'occhiocome di chinon ostante una tempra robustissimadeve adattarsi aportare in qualche parte le impronte degli stravizjdelle veglieabusatedegli abusati liquori. Quell'uomo aveva allora quarantottoannima non ne dimostrava quarantaperchè la barbafoltissima e perfettamente nera faceva le spese delle parti alteratedel visoe la corporatura lungaeleganteforteasciuttacomequella di un tigre reale maschiocon delle coscie atletiche di cui imuscoli si pronunciavano di sotto alla pelle di daino tinta in rossofaceva le spese di tutto il resto. Eglidurante l'intermezzo dalprimo al secondo attosenza cambiare posizioneteneva fisso losguardodove lo tenevano fisso quasi tutti gli spettatori che sitrovavano presso a lui o in quel raggio di veduta. Ciò cheattirava quegli sguardi e provocava le domandei discorsi e icommenti di tante personeerano due persone. È quasi inutileil dire chi fossero. Il Baroggiin completa divisa di capitano deidragonia non molta distanza del colonnello S...stava sedutovicino ad un militeche a tutta prima sembrava un giovinettoma checiascunodopo un'occhiatariconosceva benissimo per una fanciulla;ed era infatti donna Paolina in assisa di dragone. Il veder fanciulletravestite militarmenteseguaci di mariti ed amantiera un fattocosì comune allorache per sè solo non avrebbe fermatol'attenzione di nessuno. Ma se un vestito portato da una persona nonfa nè freddo nè caldoportato da un’altra puòmettere l'entusiasmole vertigini e il capogiro anche negli uominipiù calmi. Un effetto di questo genere produceva appunto sututti la giovinetta compagna del capitano Baroggi. Donna Paolinanoil'abbiamo già delineata in addietro; ma il ritratto si risolsepiuttosto in quattro segni generalitirati giù colla matitatanto per fermar la macchia e il contornoche in un quadro disegnatoe colorito coll'intenzione che debba essere messo in una cornice. Chici fece a voce la descrizione della figura di donna Paolina S...cimostrò anche la copia a lapis rosso di un ritratto che ilgiovine Pinelli fece di lei dal vero in Roma stessa. Quello chedunque noi stiamo per delineare colla pennanon è altrimentiuna creazione di fantasia; ma una riproduzione esatta del verosebbene sia una copia di un'altra copia.
Illettore si ricorderàcheessendo essa della statura di unuomo comuneparesse eccessivamente alta come donnaanche per lapiccolezza della testala qualea misurar la figura interasarebbestata un'eccezione a quella regola che decretò dover essere lasettima parte del corpo umano. Ma tutta la persona s'illeggiadrivadominata da quella testina eleganteaerea; sebbene le forme delcorpoal primosembrassero sottili e quasi graciliosservata poiparte a parte apparivano consistenti e ampie più di quello checomunemente suol presentare una fanciulla di diciott'anni. Vestita dadragone coi calzoni di daino stretti alle cosciee gli stivaloni peiquali riusciva ancor più attraente il contrasto del piccolopiede muliebrevi assicuroi miei cari amicii quali ponete ancoraqualche interesse in questo genere di studjche c'era da perdere latesta. Seduta sugli scaglioni del Colosseoteneva così abardosso su d'una spalla il mantello verde; aveva l'elmo in testapiantato assai indietro colla criniera che le cadeva sullo spallinosinistro. Colla gamba destra sormontata dall'altra stava movendomacchinamente il piccol piede. Quello però che più ditutto fermava gli sguardi altruiera il volto dilicato e finoincorniciato dall'elmo; volto pallido con linee squisitesebbeneaccentatissimesegnatamente alla linea del mento; con un giro dibocca di eleganza ineffabile e con un naso (il naso ha un gran postonelle quistioni della simpatia)con un naso chesebbene piccolo edeleganteaveva però una forma specialeperchè le narisi disegnavano più alte del setto divisoreil qualemostravasi troppo più di quello che avrebbe voluto la regolaperfetta.
Mache mestizia meditabonda e accorata era su quel volto; ma quante equante cose pareva volesse dir l'occhio eloquentissimo ogni qualvolta lo girava a guardare il suo Baroggi!
Operchè tanta mestizia? e non eran forse marito e moglie?
Ohno... non lo erano; non si volle che lo fossero... Avevan dovutofuggiree viaggiavano incalzati da timori e da sinistri presagi. DaBologna eran giunti a Roma in quel dì che il Baroggi avevaottenuto dal suo colonnello alquanti giorni di permesso.
Equi è necessario che col racconto noi ritorniamo indietro...Oh come la commozione ci assale pensando a quanto era avvenutoaquello che avverrà di loro! Davvero che la fortuna scelleratapar che provi una compiacenza crudele nel perseguitare quelleesistenze squisitamente infeliciche la naturala sola naturanonla legge umana inesorabileha mostrato per mille indizj d'averevoluto espressamente avvicinare e legare in nodo non dissolubile.


III


Lacondizione in cuinell'ultimo librolasciammo il Baroggi e donnaPaolina rispettivamente all'ava e alla madreerasi presentata comeuna delle più felici risoluzioni di una crisi pericolosa.Pareva che l'intromissione del vecchio Lorenzo e di Giocondo Bruniavesse in realtà fatto un miracolo. L'orgoglio di donnaCleliache in lei era andato crescendo colla vecchiaia al pari dellesue folte sopracciglia; la paura che Ada avea de' suoi rimbrottiepeggio del lontano maritoaveano ceduto innanzi allo spettacolopresente della figliuolache avrebbe potuto soccombere all'affetto eal dolore epiù ancoraal fatto del grave pericolo in cuiella s'era messafuggendo così imprudentemente dalla casa.Sotto all'azione di una gioja inaspettatae nel primo istante checessa la causa di un grande doloretutti gli uominianche i piùostinatisono disposti a concedere quello che mai non vorrebbero innessun altro momento della vita; un avaro può fare un atto dicarità; un uomo aspro e intrattabile può diventarpietoso; a un padre snaturato può essere strappata una parolaindulgente. Tuttaviase questo è veroè ancheverissimo che quegli attiimposti dalla violenzadiremo cosìdel fatto eccezionaleportano con sè il carattere dellaviolenza stessache è quello di non poter durare. Cessate lecagioni che agli uomini fecero come cangiar naturala natura ritornatosto alla provae spesso con più fierezza di prima; quasi avendicarsi di chi avea saputo sopraffarla e domarla.
Lacontessa Cleliadopo aver concesso che il capitano Baroggi sposassedonna Paolinatentò ogni cosa per trarre in lungo l'attoindiscutibile del matrimonio. Sperava che il tempo e la fortunapotessero improvvisare e mettere innanzi qualche ostacolo ugualmenteindistruttibile. L'orgoglio del sanguepur troppoera in leitenacissimo. Diremo di più: la rivoluzione di Francia e lenuove idee e le leggi nuove che decretarono l'abolizione dellanobiltàle avevano inasprito quell'orgoglio stesso; comeavviene sempre di un sentimento antico e profondo che viencontraddetto e vietato dal comando della forza pubblica.
Donnadi forte ingegnoconvalidava l'opposizione al nuovo ordine di cosecon tutto l'apparato del sofisma scientifico. Però sostenevale idee vecchie delle caste privilegiate col duplice elementoe delsentimento naturale che non può distruggere sè stessoe dell'amore del sistemachenelle persone di scienzasi poneinnanzi a tutto il restocon ostinazione e persino con ira. Non siricordavala vecchia contessadiventata crudeleche nei giovanianni non aveva consultato il blasone allorchè la voce di untenorefigliuolo di un sartole sussurrò all'orecchio paroled'amore. Quando pensiamo alla tenerezza speciale che noi sentivamoper questa donna allorchè aveva venticinque anni; quandopensiamo che avremmo fatta moneta falsa per lei onde aiutarla inquell'amore di contrabbandonon ci par vero che dovesse venir iltempo d'odiarla; di odiarlasìperchè noi odiamo contutta l'enfasi di un odio implacabile tutti coloro che voglionodistruggerecolla violenza di una falsa leggel'unica leggelegittima della naturache suscita gli affettie li riscalda es'affanna perchè trovino il loro adempimento. Ah! vecchiacontessa scelleratae comeriandando nella memoria tutti glispasimi atroci della tua violenta passionenon imparasti ad averepietà delle passioni altrui! come anzi imparasti a fartitorturatrice longanime di due cuori predestinati ad intendersi! Edoveva egli esser questo il modo di compensarci della cura assiduache ponemmo nel tentare di renderti in addietro così cara eattraente ai lettori?
Maellache comandava in casa e dominava la figliuolae quando parlavametteva a tacere tutti quelli che non volevano quel ch'ella volevatrovò dunque il modo di trarre in lungo il matrimoniosenzaquasi accorgersiperchè la crudeltà pregiudicata èciecache la povera Paolina languiva e consumava in quella comandataaspettazione di ciò che era la condizione della sua vita. Delrimanentele considerazioni della contessa non in tutto derivavanoda male intenzioni; bensì da quella consueta falsissimacredenzache il tempose mai si riusciva a dividere quelle duecreatureavrebbe fatta la cura radicale d'ogni piagae impedito chisa quanti guai possibili nell'avvenire. Modo assurdo di ragionareche è invalso nei padrinelle madrinegli zii e nei tutorionde s'affannano a provocare nel presente un dolore fortissimo einevitabileper stornare dei dolori futuri ipoteticiche forse nonnasceranno maie che non vivono se non nell'immaginazione di quantiabusano dell'autorità che la legge umana loro ha accordato. Mail fatto è talee per ora non c'è rimedio.
Ela contessa si appose nelle sue speranzechè l'accidentepreparò infatti l'occasione di prolungare di più quelmatrimonio.
Siccomeeran tempi di guerravenne al capitano Baroggi l'ordine improvvisodi partire col reggimento entro ventiquattr'ore per Piacenza. Oh Dio!che colpo orrendo fu quello per la fanciullache colpo per ilBaroggiquantunque se l'aspettasse.
Queldistacco sembrò loro non una sospensione più o menolunga dei loro desiderjma un colpo di scureuna condanna di morte;e si tennero perdutiperduti irremissibilmente. Chi consideracodesti affanni nella calma di un'anima indifferentepuòriderne e crollare il capo di pietà sprezzantema chi soffree si tormentanon per questo cessa di soffrire e di tormentarsi. Ilmondo ha pattuito di sentir compassione e di attestarla perfino inpubblicoanche fingendose uno è assalito da una fieramalattia corporale; ma le malattie dell'animoil mondo ha stabilitodi pigliarle in canzone; a meno che la portantina dell'infermiere nonvenga a trasportare al desolato manicomio chi ha smarrita la ragionespaventata dal peso insopportabile della sventura.
Unordine di guerra non potendosi trasgredire per nessun contoilcapitano Baroggi dovette partiree partì. Al paridell'accusato innocenteche sente chiudersi dietro l'uscio delcarceredove ha da rimanere Dio sa per quanto tempocosìrimase donna Paolina nella casa maternadisperatatrasognataquando all'ora consueta della visita quotidiana non vide entrar piùil suo giovane amico dalla solita portaalla quale il suo sguardoirrequieto volgevasi più e più voltese la sferadell'orologio mai avesse segnato un minuto di più!
Primadi partirecom'è naturaleella e il Baroggi fermarono discriversiper trovarsi in quella comunicazione spirituale ed'immaginazioneche è l'unico sollievo nel dolore dellalontananza. Ma anche qui nacque un incaglioche la nonna pretese dilegger prima le lettere così del capitanocome della nipote.Pretesa assurda e tirannicae tale da rendere illusoria ai fidanzatila consolazione dello scrivere. Le lettere ove due innamorati siversano interi nell'effervescenza dell'affetto e dell'affannopossono elle subire prima la censura dei vecchi rugiadosi e deigiudici indifferenti e spietati? Di quelle lettere adunque non nefurono scritte che un pajoe anche queste per obbedienza; poi donnaPaolinanella più fiera desolazione dell'animosi concentròin sè stessa e si tacque. Piuttosto che scrivere quello chenon pensava e non sentivapiuttosto che distruggere la parte piùviva di ciò che le dettava il sentimento in tumultosiaccontentò del silenzio. Ma che nacque da ciò? Nacqueche il Baroggiper molti e molti giorni aspettando lettere indarnocolla immaginazione inesausta dell'amore chenon pago de' suoinaturali affanniinventa sciagure e miserie che non ci sono efantastica sospetti d'ogni sortasi mise in testa che donna Paolinain quel breve lasso di temposi fosse cangiata a suo riguardo. Giàqualcuno che praticava in casa V...ed altri che conoscevan lui e lafamigliaavevangli sussurrato all'orecchio qualche amoretto che lafanciulla aveva avuto fin da quando trovavasi in collegio; gli avevannominato qualche giovane patriziochenelle vacanze autunnalitrovandosi a villeggiare sul Larios'era inteso con lei molto beneonde eran corse letteree si erano ricambiati saluti e sospiri eaddii.
Qualcunopretese persino d'essere stato testimonio accidentale di colloqujfurtivie d'aver visto la fanciulla a notte alta uscireclandestinamente sull'aereo terrazzo ad aspettar l'amante. Avevanoesagerato l'indole troppo espansiva e tumultuosa della fanciullae ibollori del suo sangue adolescentepiù forti di quello checomportasse l'età e l'educazione casalinga. Avean gettatosospetti di una eccessiva volubilitàper cui la fanciullapotè avere molti amanti in poco tempo. Il bel mondoinsommacom'è suo costumenon avendo a far altrosi dilettòanche alloracome semprea passare il tempo lacerandosenzadarsene per intesoquella giovinetta riputazione; come una manovillanaquasi senza saperlova sfogliando una rosa appenasbocciata.
IlBaroggifinchè s'era trovato in compagnia della fanciullabevendo la voluttà dell'affetto corrisposto non aveva mai datoimportanza a quelle diceriesolo accagionando di mal animo ed'invidia quelli che gli avevan parlato in quel modo. Ma tutte quelleaccuseche non gli avevan lasciato che una traccia lieve nellamemoriaquando vennero a mancar le letterelevarono il volorepentinocome augelli di sinistro augurioad oscurargli la vista ea circondarlo di sospetti orrendi. Un sospetto basta che appenaspuntiche tosto è gigante e velocee trascina laimmaginazione spaventata a inventar fattiche non stanno nemmeno alpossibile.
Lacosa si prolungò per qualche tempo. Il capitano non scrissepiù lettere nemmeno lui. Il silenzio del Baroggi provocòin donna Paolina i medesimi sospetti ch'egli provava per lei. Ellaricordavasi degli amori galanti che aveva avuto colla contessa A…colla R…con altre di Milano. - «Quel che ha fattoquipotrà farlo altrove»pensava; e si tormentavapensandoloe non aveva requie e non mangiava e non dormivaedimagrava un giorno più dell'altro... ma continuava in leil'ostinazione di tacere e di non scriver più lettere...Codesta ostinazione era generata dall'idea che il suo Baroggi (e ciòavveniva nei momenti meno infeliciche non dubitava di lui)stancodi quella lontananza senza corrispondenzaavrebbe preso qualchepartito disperato e risolutivo.
Incasaintantola contessa Cleliavedendo quella sosta delleletterequel silenzio della fanciullache non parlava maiche nonsi lamentava maiperchè il dolorequand'èprofondissimoè mutosi argomentò di poter finalmentetentare una parola per dissuaderla da quel matrimonio.
Malo sguardo onde la disgraziata fanciulla saettò la nonnaappena si accorse dove andava a finire il suo discorsofu talechela contessa non ebbe più il coraggio d'andare avantie non nefece altro per allorasenza però dimettere la speranza che ungiorno o l'altro si sarebbe piegata al suo volere.
Quantoal Baroggidopo aver continuato per tanti giorni a sopportare undolore morale superiore a qualunque spasimo fisicorisolse dimandare a Milano un giovanecol quale erasi stretto in amicizia aPiacenza e al quale aveva confidato la condizione deplorabile in cuitrovavasi. L'amico accettò l'incaricoe venne a Milano.Recossi in casa V…perchè non c'era nessuna ragione chela visita fosse clandestina. Trovò le tre donne insieme.Naturalmente il discorso cadde sul Baroggie sul quando sarebberofinite le pratiche per conchiudere il matrimonio. La contessa Cleliacolse un pretesto per far uscir di camera la fanciullala qualeobbediente in apparenzacome una pecora avvilitauscì senzafar motto. Ma quanta disperazione l'amico del Baroggi lesse inquell'obbedienza muta!
Questavolta però la contessavolendo tropporuppe l'incantesimodella sua inesorabile autorità. Se donna Paolina non fosseuscita in quel puntonon sarebbe nato quello che nacque.


IV


Quandodonna Paolina fu uscitasi ritirò nella propria stanzaeprese subito il partito di scrivere questo letterino al Baroggi:
«SeDio mi ajutaspero che potrò consegnare all'amico che qui haimandato queste righeche finalmente scrivo perchè non sarannolette che da teil solo che abbia diritto di leggerleed il cuoreper comprenderle. Non valgo a dirti quello che ho sofferto in questiorribili giorni; credo che le pene dell'inferno possano essere unsollievo in confronto. Ho perfino dubitato anche di te. Chi moltoamamolto dubita. Tra mia nonna che non sa vietarema che non vuoleil nostro matrimonioe la povera mia madre che vorrebbema non hail coraggio di opporsi alla nonnaio ho vissuto in continuosilenzionel quale il mio cuore lacerato non trovò mai riposoun istante.
«Èquesto il primo minuto che un raggio improvviso illumina il mio cuoree la mia mente. Ho risoluto. Lascerò questa casa; il come e ilquando non lo so. Ma ho risolutoe nessuno potrebbe distruggere glieffetti del mio proponimento se non coll'ammazzarmi. Per Diovorròben vedere sino a che punto saprà giungere la crudeltàdi una vecchia testa piena di pregiudizj. Che nobiltàchericchezzeche leggiche autorità! Soltanto il mio cuore hala autorità legittima di comandarmi di amarti e di seguirti edi distruggersi per te. Degli altri tutti respingo ogni comando.Sfiderei Dio stessose mi ingiungesse di dimenticarti e di fuggirti.Ma Dio è buono; così lo fossero i padri e le madrichepur troppocredono di fare il nostro bene col farci morireperpiangerci poi quando non si può più risuscitare. Sentorumore. - Oh Dio! - Non posso continuare. Ripeto dunqueil giuramento di fuggire di qui e venire da tee nasca quel che vuolnascere.»
Intantoche donna Paolina scrivevail discorso tra l'amico del Baroggi e lavecchia contessa Clelia era tenaceforte ed eloquente dall'una partee dall'altra. La contessa colla sua dialettica fredda ed inesorabilecome l'algebra e la geometriache rimasero le consolatrici estremedella sua tarda etàsi provò a dimostrare coll'amicodel Baroggiche se si fosse riuscito a togliere di mezzo quelmalaugurato matrimoniosi sarebbero scansati infiniti guai; chèessendo tempi di guerrae il Baroggi essendo un soldatoed unvalorosissimo soldato (qui la lode fu abbondante perchègiovava al suo intento)le probabilità della morte eranotante e così vicineche la povera fanciulladato cheavvenisse quel che tutti i giorni avvenivacerto ne avrebbe dovutosoffrire assai più che col cercar di dimenticare quel giovane.Parlò inoltre della mancanza dell'assenso del padre dellafanciullail conte colonnello S...del carattere suoonde non sisarebbe mai piegato a concedere quel permesso; degli affanniinterminabili che sarebbero sorti per la fanciullapel Baroggiperla famigliaquand'anche la fortuna avesse conservata la vita algiovane capitano.
L'amicodel Baroggi rispose di conformitàcon abbastanza eloquenzaanche luianzi con un'eloquenza più lisciapiùspontanea e più naturaleperchè la ragione era dallasua parte; ma la contessa Clelia non si lasciò smuovere perquestoe:
-Lasciate fare a me e al tempodissee tra pochi anni la fanciullami benediràe il capitanoo sarà mortoo ne avràsposata un'altrae della figlia di mia figlia appena si ricorderà.
-Che cosa dunque devo dire al capitano? conchiuse il di lui amico.
-Tutto quello che avete udito.
-Ma la fanciullasignora contessanon deve essere sentita per nessunconto in una cosa che tanto la riguarda?
-Le ragazze devono obbedire e lasciar fare a chi ha la sapienza el'esperienza. In ogni modoè giusto che mia nipotev'incarichi de' suoi saluti al giovane capitano...; e cosìdicendodiede ordine alla cameriera che andasse a chiamar lafanciulla.
Lafanciulla entrò lenta e pallidacol letterino giàpiegato fra le mani.
-Il signore parte per Piacenza; se hai qualche cosa da dire alcapitanoegli s'incarica di esserne il relatore.
DonnaPaolina tacque un momentoirresoluta e tremante; poicome animatada un coraggio insolito:
-Quello che dovrei dirglil'ho scritto qui; e così dicendodiede la lettera all'amico del suo Baroggi; indi soggiunse consignificanza che aveva del terribile: Nessun altro che lui deve e puòleggere queste parole.
Quegliprese la letterae senz'altro la ripose. Aveva capito tutto.
Lacontessa Clelia fulminò la fanciulla d'uno sguardo minaccioso.Ma non osò dir nulla. Sentiva d'aver torto a domandar di volerleggere prima lei quella lettera.
L'amicopartìpromettendo di ritornare il giorno dopo; partìe il primo suo atto fu d'impostare tosto quella lettera per Piacenzaalla direzione del capitano Baroggi.
Sedonna Paolinasempre silenziosa ma risolutadovette sostenere unatempesta di rimbrottiottenne però il suo fine. La letteragiunse a Piacenza; annunciata da quella dell'amicoil capitanol'aperse tremando; perchè chi ha l'animo agitato teme sempresventure! Ma qual fu la sua gioja nel leggerlaquanta allorchèl'ebbe letta! Un primo raggio di sole che compajadopo molti giornidi una pioggia inclementea rischiarare la terraè unparagone ben misero per dare una minima idea del trasmutamento cheavvenne nel cuore accasciato del giovine capitano. Baciò eribaciò quella letterachiamò mille volte cara caracara la sua Paolinacon una espansione delira che non puòdescriversi a parolee che è troppo sublime perchè ilmondo indifferente meriti di conoscerla appieno; si rimproveròdei tanti sospetti avuti e ingranditi ed esasperati con quell'affannoonde il sofferente sfrega la piaga che lo tormenta. Giurò divolare in soccorso della sua Paolinadi mettere sossopra cielo eterra per riuscire nell'intento. E vi riuscì. Allorchèdue si amano intensamenteed hanno fermo di scuotere il giogo che litiene in schiavitùsu cento tentativiin novanta trovano lafortuna propizia. E donna Paolina e il Baroggi furono tra i suoiprotetti.


V


L'amicodel Baroggiche era partito per Piacenzaritornò presto aMilano; una vecchia portinajala quale era stata sgridata da donnaClelianon sappiamo per quali mancanze e minacciata di espulsionefu proposta da donna Paolinatutt'altro che tarda ne' suoiconcepimenticome assai adatta a far da manutengola. L'amico delBaroggi pagò la portinaja in modo da lasciarla sbalordita. Unamattinamentre suonavano le prime ave marie a San Pietro Celestinodonna Paolina discesetrovò la porta chiusama lo sportellospalancato per dimenticanza pensata; e di làpiù lestadi una capriolacorse ad una vettura che la stava attendendo a pochipassi dalla casa. Quando la fanciulla si presentòla portierasi aperse per chiudersi tostoe via di furioso trotto.
Edora ritorniamo a Romae rientriamo nel Colosseo.
Coloroi quali sono d'opinione che tra figli e genitori corra quel sensoarcanoche volgarmente passa sotto il nome di moto del sanguein virtù del quale essi si presentono e s'indovinanomutuamenteanche allorquando non si conoscono; coloroa nostrodebole parerepossono essere messi in compagnia di quanti credononella bollitura del sangue di S. Gennaro. Il colonnello S...intantoper parte suasentiva così poco i moti del sanguepaternoche adocchiava la giovinetta militarmente vestitacon unsenso di desiderioci rincresce a dirlodi desiderio sensualeilquale in ogni modo ben poteva essere perdonato dal momento ch'egliavrebbe credutonon sappiamo qual'altra cosa piuttosto che quellapotesse essere sua figlia. Dalla curiosità che per qualchetempo si limitò al guardarepassò a quella di volersapere chi fosse quella bella ragazzae come si chiamasse il giovanecapitano che stava con essa. Interrogò alcuni ufficiali chestavangli intornoma nessuno aveva il piacere di saperne di più.Quel desiderio si comunicò allo stesso generale Massenailqualesebbene amasse le doppie di Genova più delle fanciullepure non potè essere indifferente all'aspetto di donnaPaolina.
Ladomanda fece in breve il giro di tutto l'anfiteatroma rimase senzarispostaperchè non v'era spettatore che conoscesse ilcapitano Baroggiarrivato in Roma la sera prima. Allora il generalMassenachein tuttoanche nelle inezievoleva quel che voleva edera irrequieto e impazienteordinò a un ufficiale di prendernotizia di quel capitano non appartenente a nessuno dei reggimenti dipresidio in Roma; e gli ingiunsead un bisognod'interrogare ilcapitano medesimo sull'esser suo.
L'ufficialenell'intermezzo tra il secondo e il terzo attosenza aspettar altrosi recò presso il Baroggie fattogli il saluto militare:
-Scusatema il generale desidera sapere chi sietee sono qui perordine suo.
-Io sono il capitano Geremia Baroggi di Milanodel 7.° dragoniche ora sta di presidio a Bologna; sono qui in permessoe ho giàpresentato i miei recapiti al comando militare di Roma.
-Non è per questocapitano; già si sa che un bravosoldato fa il suo dovere; ma è perchè il generalevorrebbe conoscervi.
-Io mi presenterò al generale domani... Credo che i suoialloggiamenti siano in piazza Cavallo.
-Al Quirinalecapitano.
El'ufficiale s'indugiavaadocchiando avidamente la giovinettacheaffettavaper togliersi d'impacciodi stare attentissima aicambiamenti che si stavano facendo sul palcoscenico.
-È per voiproseguì l'ufficialeuna combinazionefortunatache il colonnello del mio reggimento sia un vostrocompatriota.
IlBaroggi guardò l'ufficialesenza riuscire del tutto anascondere l'espressione di un sospettoche a quelle parole glibalenò d'improvviso.
DonnaPaolinasenza volgere la testaanzi continuando a fingere di essereattentissima a tutt'altrofu scossa anch'essa a quelle parole dicolonnello e di compatriota.
Èstrano che lungo il viaggiotra le tante agitazioni e paure a cuifuron sempre in predanon avevano pensato mai alla possibilitàdi avere a trovarsi un dì o l'altro col colonnello S...cheessi credevano in Francia o al Reno.
Mail Baroggiricomponendosiinterrogava alla sua volta l'ufficiale:
-Io non posso conoscere tutti i miei compatrioti che entrarono a farparte dell'esercito repubblicano; ma come si chiama questocolonnello?
-È il colonnello S...ed è quello làprecisamente che sta seduto alla sinistra del generale comandante.Esso avrà gran piacere di conoscervie però nontardate domani a presentarvi... Ma il generale m'aspettaed io vilascio.
Ecosì dicendosalutò militarmente il capitano e la suagiovinetta compagnaintorno alla quale non gli era bastato l'animodi chieder nulla.
Orail lettore s'immaginerà facilmente lo scompiglio che si misenell'animo e del Baroggie più ancora di donna Paolinaaquella improvvisa rivelazione; scompiglio stranissimo e che era fattodi spaventodi curiositàed anche di qualche gioja. Ella nonaveva mai visto suo padrealmeno non se ne ricordava; e il ritrattodi luidipinto ad oliofatto venti anni addietroe che era statoappeso alla parete della sua camera da lettose il lettore se nerammentanon aveva quella perfetta somiglianzada far tostoravvisar l'originalese altri non ci mette in sull'avviso. Ellaintanto che l'ufficiale s'accomiatava dal Baroggiguardò concuriosità intensa il conteeper quanto lo permetteva ladistanza e la posa in cui esso era adagiatoandava come spiando nelvolto di luise ad onta di tutto il male che ne aveva sentito direvi era ancora qualche traccia di quella bontà che la poverasua madre Ada più e più volte le avea assicuratotrovarsi in lui. Esenza ch'ella medesima quasi il sapessepensavagià a tener conto di quella bontàa tentare dirivolgerla tutta a proprio vantaggio; mapur troppoin quellosguardo fiero e saettante del colonnelloin quell'attitudine troppomilitarmente spavalda e come provocatricenon gli parve ravvisare unsegno solo che la incuorasse.
-Ed ora che si fa? disse rivolgendosi al Baroggi quando l'ufficiale fupartito. Io mi sento opprimere... Oh Dioche cosa abbiamo maifatto?...
IlBaroggipiù che per lo sgomentorabbrividì a quelleparoleche rivelarono per la prima volta un sintomo di pentimentonella sua Paolina.
-Che si ha a fare? soggiunse poi con calma ostentata; partire senzaperder tempo. Io non ho nessun obbligo di presentarmi al generale.
DonnaPaolina tacquee piegò la faccia sul petto.
Eil suo volto erasi coperto di quel pallore madidoche accusa unvicino abbandono dei sensi.
L'ufficialeintanto aveva fatto il giro dello scaglionee stava giàparlando al generale Massena. Il Baroggi guardava attentoe videdopo brevi istanti alzarsi il colonnello.
Questiinfattisentito dall'ufficiale che quel capitano dei dragoni era unBaroggi di Milano:
-Oh è gran tempotroppo tempo che non vedo la faccia di unMilanese; son curioso di sapere da lui molte notizie di laggiù:vorrei sapere anche qualche cosa della mia famiglia; così misi risparmierà la noja dello scriveree la peggiore diricevere delle risposte.
-Ha paura di annojarsiprese allora a dire ghignando un colonnello difanteria che gli stava pressoe sono più di tre anni che nonscrive una riga a sua moglie; e l'unica sua curaquando cambia diguarnigioneè di non far mai sapere a casa dove èstato traslocato il suo reggimento.
-Ed oggi invece mi viene una strana tentazione di saper qualche cosa.
-Va lava làcolonnelloche ho già capito tutto: a tenon dispiace niente affatto quel caro dragoncino là... Peròti avvisocaro il mio colonnelloche hai passato da un pezzo lalinea equinozialee quella ragazza làse ha diciott'anni èmolto; e per quanto io giri gli occhi sugli ufficiali che ci stannoqua intornonon vedo giovane più bello di quel capitano.
-Chi giuoca di gioventùchi giuoca di astuzia... e in questogenere di cose chi ultimo arriva meglio alloggia. Ma e poichi hadetto a te ch'io abbia di queste intenzioni?... oibò... quelche mi preme è di saper nuove di Milano e di casa mia... Maguarda che colei si alza... Davveroche ragazza più bella nonho mai veduta al mondo.
-Si direbbe però che è ammalata...
-Ammalata o sananon so cosa dirti; ma la vista di costei mi dàquel tal genere di noja che... Ahcapisco che io non ho mai dadiventar vecchio.
Cosìdicendo il conte si alzòrifece il giro dello scaglionepercorso prima dall'ufficiale di ordinanzae si fermò pressoal capitano Baroggi. Messi in rispetto dalla sua divisa tutta aricami d'argentogli spettatori ch'erano là affollatiprovarono la felicità di potergli dar luogo.
DonnaPaolina erasi riavuta dal suo malore istantaneoe peròraccolse tutte le sue forze quandoavvisata dal Baroggivide ilconte lasciare il suo posto e farsi alla loro volta.
-Caro capitano (il primo a parlare fu il conte)ho piacere distringere la mano di un compatriota.
IlBaroggistando in piediin quell'atto militare che vuol dire che uninferiore sta davanti al suo superiore:
-Io ringraziodissela degnazione e la bontà del signorcolonnello.
-Sedetesedetemio caroe parliamo un po' tra noifinchècada morto questo Giulio Cesareche io odio non tanto per quello cheha fattoquanto perchè oggi mi ha condannato a tante ore dinoja.
Ecosì dicendosi gettò trascuratamente a sedere suicuscini dello scaglione...
-È di Milano anche la signorina che sta con voi? Credo bene dinon sbagliarmi a crederla una signorina... Ah! andate poi a dire chele donne non stanno bene che colle sottane... Davvero che v'invidioil mio caro capitanov'invidio la fortuna d'avere con voi una cosìleggiadra recluta... Ne tenevo una anch'iovedetedue anni faunafanciulla di Bordeauxche ho vestito all'ussara come me... unaragazzotta stupendache fermò l'attenzione perfino delgeneral Bonaparte... Peccato che una bella mattina non siasi lasciatatrovar piùessendo fuggita con un giovane caporale del 17.°- Ah! cara la mia ragazzacredo però bene ch'ellavorrà mantenersi un po' più fedele. Ma è diMilano anche lei?
-Di Milanoveramentenofu presto a rispondere il Baroggima deidintorni.
-Ahahè poi lo stesso... ma ditemi dunque qualche cosa diMilano... Vive ancora quel bestione del conte Mellerio? Che cosa hadettoeh?... quando il suo caro arciduchino ha dovuto pigliare ildazio... Gran brava gente c'è a Milano... gran bravigiovinotti... Masiamo sincerici sono anche delle gran carogne...Tuttavia desidero di vedere gli amici vecchi... Ma sapete voi daquanti anni manco da Milano?... ecco qua.... unoduetre…sicuroquattordici anni… una piccola bagatella…; e sìche vi ho moglie e figlia e suocera. Ma che cosa volete? vivendo allalontanai matrimonj vanno meglio... Non c'è il tempod'odiarsi. Mi dicono infatti che mia moglie mi voglia ancora bene...povera donna... è una bella donnavedetela mia moglie... Mavoicaro capitanoavete un certo cognome che... Di qual ceppo diBaroggi uscite voi? ci sono i Baroggi banchieri... quelli li conosco;c'è un altro Baroggi... un uomo della mia etàche fucon me guardia d'onore dell'arciduca. C'è... quel Baroggi percui è nato tanto scompiglio per l'eredità del marcheseF... A propositocome va quella faccenda?... è una faccendacuriosavedete... Mae quel birbone del Suardivive ancora?...dev'esser vecchioperdio!… gran bel birbone però... viassicuro che un uomo di quella fatta può far l'onore diqualunque capitale.
IlBaroggi tacevadonna Paolina non parlava e tremava; guardando peròsempre in faccia al conte con un sorriso artificialeche le costavatutti i sforzi dell'animo.
Cessataquella tempesta di parole del conte S...la quale significava unagran baldanza:
—Iorispose il Baroggisono appunto il figlio di colui pel qualenacque lo scompiglio dell'eredità F...
-Ahah!... ho capito; disse il conte.
Ilmodo onde il conte proferì queste paroledinotavamanifestamente un senso di disprezzo.
-È morto vostro padre? continuò poi.
-È morto in Milano dieci anni or sonopoverissimo; e mia nonnamorì l'anno passato... e il marchese F... intanto sciupamilioni a mantenere preti e frati e spie.
-Ma e come siete entrato soldatoe in così giovane etàsiete già capitano?
-Io fui più fortunato di mia nonna e di mio padre. E se laverità non dev'essere nascostaguai per mese tutti a Milanofossero stati galantuomini!
-Vale a dire?...
-Vale a dire chesenza gli ajuti del banchiere Suardiio avreidovuto passare qualche anno a San Pietro in Gessate.
Aquesto puntole trombe della banda militare avendo annunziato cheincominciava il terzo attoe tosto essendo usciti sulla scenaCassioCimbroDecimo e gli altri congiuratiil dialogonecessariamente fu sospeso. Così lo fosse stato per sempre!


VI


Ilcolonnelloal ricominciare dell'azionesi alzòe detto alcapitano che lo consigliava a recarsi la sera a veglia negliappartamenti del generaledove per consueto si raccoglieva il fiorede' cittadini e dei forestierisi allontanò lentamenteeritornato al suo posto presso al general Massenagli parlò inmodoche questi impose all'ufficiale d'ordinanza di recarsiprimache finisse lo spettacoloa invitare formalmente il capitano Baroggie la sua donna.
Proseguivaintanto l'azione. GiàCassio aveva declamato tra gli applausigenerali que' versi:


Enfindonc l'heure approche où Rome va renaître:
Lamaîtresse du monde est aujourd'hui sans maître.


GiàBrutonel dialogo con Giulio Cesareaveva destato entusiasmoestrappato le lagrime ai veraci repubblicanisegnatamente a quelpasso dovegettandosi ai piedi di Cesareesce in quelle parole perverità sublimi:


Césarau nom des dieuxdans ton coeur oublies;
Aunom de tes vertusde Rome et de toi-même
Dirai jeau nom d'un fils qui frémi et qui t'aime
Quite prefère au mondeet Rome seule à toi
Neme rebute pas!...


Ilterz'atto adunquefino a questo puntopiacque assai piùdegli altri duee lo spirito repubblicano si era talmenteimpadronito di tutti gli spettatoriche anche alcuni patrizj dellepiù illustri case di Romae che non era usciti senza fede innessun Dioma per non sapere a che appigliarsi; anche qualche dottomemore ancora della protezione pontificia e cardinalizia; anchequalche pagnottistadi quelli che hanno l'intelletto e ilcuore nel ventrepur si sentirono scossi a quelle parole; e coltiall'improvviso in quel momentoe costretti a votarecerto avrebberomessa la palla bianca nell'urna repubblicana. Se non chetuttoquesto entusiasmo finì per produrre un uraganonon moltopiacevole al capocomico Rosier e all'appaltatore.
Comefu già dettodal palazzo Spada era stata trasportata sullascenache rappresentava il Campidogliola statua di Pompeo.
Laparte men colta del popolola quale costituivacom'ènaturalei quattro quinti del pubbliconon avendo letto prima latragedia di Voltairecredevae per verità ne aveva tutte leragioni (chè per una semplice esposizione poteva bastare ilpalazzo Spada)che la statua di Pompeo non a caso fosse statatrasportata sul palco; e perònell'estrema accensione dellasua ira repubblicanaaveva rivolta tutta l'aspettazione al momentoin cui i congiurati avrebbero trafitto il tirannoed essodignitosamente avvolto nella togasarebbe caduto a' piedi delsimulacro del rivale.
MaVoltaire aveva troppo studiato Orazioed essi non conoscevano quelpasso:


………Nontamen intus
Dignageri promes in scenam......
Necpueros coram populo Medea trucidet. -


Comedunque sanno tutti coloro che hanno letto la tragedia di Voltairequesticolto il punto in cui Dolabella intrattiene i Romani collelodi di Cesarefa scoppiare di dietro alle scene le grida deicongiurati:


Meursexpiretyran; courageCassius;


efa usciremomenti dopoquesto Cassio appunto col pugnale in mano agridare come un invasato:


C'enest faitil n'est plus;



eimpegnasi tra Cassio e Dolabella una gara a chi più riesce atirare a sè il popolo:



-Peuplessecondez moifrapponsperçons ce traître.
-Peuplesimitez moi: vous n'avez plue de maître.


Mail popolo vivo e presentech'era assai più repubblicano delpopolo romano della storia e dell'archeologiadando ragione a Cassioe a tutti i suoi amicinon voleva però che dell'uccisione diGiulio Cesare se ne facesse un segreto di consorteria; onde da unpunto all'altro dell'anfiteatro cominciò una tempesta digrida:
-E muoja dunque Giulio! muojamuoja!
-È morto! gridò allora stentoreamente uno del popolo.
—E risorgaper Cristo... vogliamo vederlo noi a morire... vogliamo.
Gliattori si arrestarono a quel tumulto inaspettatosenza conoscere diche si trattasse. Qualcuno s'interessò a far loro sapere lacagione dell'ira pubblica. E qui si avviò un dialogo trapubblico e attori. Gli attori eran forti dell'autorità diVoltaire; il pubblico accennava la statua di Pompeoe voleva cheCesare fosse trascinato làe là fosse trafitto...
Ein quella un uomo di Trasteveretarchiato e terribile e con unatesta da Caracalla:
-E son qua iogridòper Cristaccio! dov'è sto Giulio?dov'è? ch'io lo spaccerò iolo spaccerò.
Quelpopolano di Trastevere fu in breve seguito da gran moltitudine dicompagnoniche tutti si misero a gridare ad una voce: morte aCesare! vogliam vedere Cesare morto!
Iltumulto andò tant'oltreche l'appaltatore si recò dalgenerale Massenasupplicandolo perchè provvedesse ametter fine colla forza a tanto disordine.
-E che ci ho a far io? Tocca a voi a tirarvi di impacciorispose ilgenerale. Dopo tuttoche difficoltà avete a improvvisare invista del pubblico e ai piedi della statua di Pompeo la scena cheavete gridato di dentro?
-Nessuna difficoltàma Giulio Cesare è fuggito.
-Come fuggito?
-Per paura che il popolo lo pigliasse davvero per il Cesare didiciotto secoli falasciò andar giù in fretta e toga emantorivestì i proprj panni e se ne andò.
-Ma in che modo se ne andòse il palco è nel mezzodell'anfiteatro?
-Tanto fanon c'è più. Bisogna che il popolo nonl'abbia riconosciuto.
Ilfatto strano fece ridere anche il generaleche rideva poco e avevatutt'altro per la testa; poi soggiunse:
-Se l'antico e vero Cesare avesse fatto come costuiforse il mondoavrebbe pigliata un'altra strada.
-Ma or che si fagenerale? Sentite come il popolo urla laggiù.Guardate che già piglia d'assalto il palco scenico.
Ilgenerale non si movevae guardavae non dava ordini. Pareva cheprendesse gusto a quella scena.
Difattoil popolo penetrò a furia nell'edificio capitolinoinnalzatocon trabacche per far scena; ne snidò tutti i congiurati intoga: CassioCascaCimbroil medesimo Brutoche è tuttodire; investendoli e lor domandando fieramente che cosa avevano fattodi Giulio Cesare.
Senon che a un altro uomo del popolo scappò detto:
-Ebbenese è fuggito il tirannopigliamoci questoMarc'Antonio che sta qui e ammazziamo lui.
Nonl'avesse mai detto! Tutta la furia del popolo si rivolse di colpocontro il povero comico incaricato di quella parte odiosa; il qualecadde svenuto per la gran paura.
Fuallora che il general Massena mandò tosto colà unpicchetto di granatieri a far finire l'atroce burla.
Perchi dall'alto del Colosseo avesse guardato con intento filosoficoquella scenaquel miscuglio d'antico e di moderno; quella statua diPompeo che parea davvero far retrocedere tutti gli spettatori adiciotto secoli addietro; quelle toghe e quei manti misti allegiacchette de' Trasteverini; in ultimo i granatieri della repubblicanuova che vennero a spianar le bajonette contro un popolo chemostrava d'amar tanto la repubblica vecchiae che voleva saziar lavista nello spettacolo della morte di Cesareben poteva trovare.argomento di peregrine considerazioni.
Orchi avrebbe mai pensatotra quanti erano congregati in quel famosoricintochenonostante la memoria di Giulio Cesare fosse tantoodiata da destare un commovimento per tutta Italiae un rigurgito ditutti gli Italiani repubblicani in Romaper assistere ad unospettacolochedato nel Colosseopareva dovesse riuscire solenne epieno di grande significanza; chi allora avrebbe pensatoripetiamoche fra poco stava per scaturire dal repubblicano Bonaparte laseconda edizione del Cesare antico?
Malasciando le inutili considerazionie tornando ai nostri personaggil'ufficiale d'ordinanzanel momento che i granatieri del generalMassena comparvero sul palco scenico a respingere i popolaniinferocitisi recò di nuovo presso il capitano Baroggialquale richiamò in prima le parole del colonnello; poi sirivolse a donna Paolinaper significarle che il generale Massenainvitava anche lei a volere onorare la consueta vegliach'essooffriva ne' suoi appartamenti ai repubblicani di Romad'Italia e diFrancia.
Oraquando il Baroggi e donna Paola lasciarono il Colosseo e si trovaronodistricati dalla follache a vortici li aveva circondati e oppressifinchè si trovarono in quelle vicinanzericominciarono piùseriamente che mai la loro consulta.
-Il mio partitodiceva il Baroggiè che si debba partireesenza perder tempoe meglio stasera che domattina.
-Così si fugge il pericolo presentequesto èvero; ma nemmeno si provvede all'avvenire.
-Ma com'è che non dividimia carail mio pensierose purealla sola vista di tuo padre minacciavi di cadere in isvenimento?
-E che vuoi? Questo mio padreho un presentimento che pure debbaesser lui quello che ci debba far uscire da questa condizione di penae di paure continue. Egli mi pare uomo più bizzarro checattivo. È un soldato valorosoquesto lo dicon tutti; di piùè un repubblicano caldissimoe fu dei primi a far guerra allanobiltà. Oraqual fu la nostra più gran nemica?codesta nobiltà appunto che alla contessa Clelia sembraVangelo.
-Tu parli benissimo: ma io ne ho conosciuti assai di questirepubblicani stati ricchi e stati nobili... Ho provato anche astuzzicarli. Or piglia la più superba e pinzochera damazzadel biscottinoe crediche in confronto può parere unsanculotto. Non hai veduto come egli si scontorsequando gli dissich'io non era altrimenti nè il Baroggi figlio del banchierenè un parente del Baroggi guardia d'onore? Anche a te èriuscito di veder questo?
IlBaroggi in quel breve colloquio col conte aveva perfettamenteindovinato il vero; ma donna Paolinaper sua disgrazianon fu dellostesso pareree tanto disse e ridisseche la sera e l'uno e l'altrafurono nelle sale del general Massena.
Illettore non si metta in isgomentochè noi non descriveremoquelle gioconde veglie. Già quasi tutte le grandi celebritàartistichecome letterariee patriziee muliebrierano uscite diRoma. Il Canova era andato a pigliar aria nel Veneto: Pompeo Battonistava godendo il fresco alla Riccia: il Piranesi erasi riparato aErcolano: Vincenzo Montimutati i pannigià assisteva aMilano al rogo cui venne condannata la sua Basvilliana:Winkelmann moriva asfissiato per non poter più bere l'acqua diTrevi. Solo era rimasto in Roma a far il triumviro l'archeologoVisconti. In quanto ai cardinali (parliamo dei dotti e dei celebriedi quelli che si ha la curiosità a vederli e a sentirli aparlare)innanzi tutto non sarebbero mai andati a far la loro cortequotidiana a un soldato; ma quel che meglio si dee sapereèche in Roma non ce n'era più nemmeno unoanche a metter fuorila mancia d'un milione di scudi romani. Delle donneceleberrime percasato e per beltàle Braschile Borghesile MassimileBuoncompagnile Santa Crocele Rezzonicoecc.ecc.avevan tuttepreso il volo ben lungiin coda ai loro zii e cognati e fratelliprincipi; non rimaneva dunque che la nobiltà dei gradi piùbassi; poi le bellezze borghesi nate in seno alla ricca mercaturaeche vedute dall'occhio dell'artista e da un amante sincero dellebelle donnefacevan lo stesso effetto delle assenti. Diciam tuttoquesto perchè il lettore comprenda il motivo della descrizionemancata. Se presentassimo l'elenco di tutti gli intervenutiegli nonconoscendo nessuno di costoronon potrebbe prendervi interesse disorta.
Inogni modocolle belle donne patrizie e mezze patriziee collealtregli ufficiali dell'esercito repubblicano passavano le loronotti lietissimamenteprolungando i giuochi e le danze ad oratardissima. Nè il colonnello S...sebbene avesse toccato isuoi quarant'otto annisi era ancora ritirato dal camposdrucciolevole della danza e della tresca amorosa. La cosa èprecisamente così; nè serveo lettoricrollar latesta in aria d'increduli. Ma egli era ancor bello ed elegante dellapersona; ma egli era snello e nerboruto; maa lume di seraduelustri buonamente scomparivano dalla sua faccia; ma innanzi tuttosicredeva giovane; e a questo mondo ognuno è quello che crede diessere. Intanto già qualche beltà di prima filasebbene non più celibeguardate che errore! gli si erasfregata presso lusinghiera e carezzosa; intanto già qualcheufficialettoche contava venti o venticinque anni menoavevaricevuto da lui qualche colpo invincibileed era stato messo fuoridi partita. Intanto... ma intanto fece senso a tuttiche donnaPaolinal'angelico dragone che aveva fermato l'attenzione di tuttigli spettatori del Colosseola prima sera stessa che venne a quellavegliabella di quella bellezza fatale che fa classe da sè enon appartiene a nessuna scuolacome il genioavesse mostrato giàtanta propensione per quel colonnelloche poteva essere chiamato laNinon del suo sesso e della sua classe; tanta inclinazione daballare con esso lui quattro contraddanze in due ore; e da lasciarein un canto il bellissimo capitano Baroggi.


VII


Unodei più grandi spropositioper dir megliouno dei tiri piùassassini che la natura ha fatto all'umanitàè quellodi non aver volutoattraverso alla vitatener sempre in accordo lefacoltà della mente e del sentimento colle qualitàappariscenti del corpo. Il corpo invecchia e perde d'anno in annotutte le sue seduzioni; e perchè la crudeltà riescaancora più squisitail voltoche è sempre in vistale perde ancor più presto. Nel tempo istesso che l'intellettopuò sfolgorare in tutta la sua forza giovanilee ilsentimento può ancora esaltarsi colla foga di un'esistenza ches'affaccia per la prima volta al tumulto della vitail corpo mostrai segni della dissoluzioneche stornano ogni simpatia. Allorchèun uomo viene a trovarsi in codesto funesto sbilancio tra leattrattive corporee e i desiderj dello spiritopuò ben dired'esser tisico in quarto grado. Una tale condizione si rende semprepiù gravequando negli anni della giovinezza abbia avuto ildono o il malefizio della beltàche è il bigliettod'ingresso al teatro delle seduzionidegli incantidella voluttàdell'esistenza; e diventa ancora peggiorepericolosa e inquietantequando un uomopur in quell'età in cui non sono permessi chegli affetti per i beefsteak e il vino di dieci anniconservatuttavia qualche raggio della gioventù. Quei raggise purvibrano splendidi e ardenti quando vibranoserbano però lapessima qualità dei soli di temporaleche vengonoma vannotostoe lasciano lo spettacolo della natura più desolante diprima. Nell'istante che quei raggi brillanola giovinezza inespertae ardente può mostrare per essi delle tendenze affettuose; eallora chi ha avuto la disgrazia di non saper stare sul propriosepure riesce a sentir rinnovate per un momento le gioje degli annigiovanilipuò anchequando non sia uno storditocontaresulla certezza di essere in brevissimo tempo abbandonato esoppiantato. Il conte Achille S... si trovava nel colmo di tutte lecondizioni suaccennate; e per disgrazia aveva anche l'ultimadi nonessere uno storditoe di essere espertissimo della vita. Sapeva diaver passata la gioventù; sapeva chetutt'al piùpoteva far l'effetto di un fuoco d'artifizio; ma conoscendo dipossedere ancora dei bei momentiper usare una frase da teatrocercava le tentazionie si adagiava in quellee amava illudersi.
D'indoleirritabilissima e bisbetica fin dalla prima giovinezzaossia fin daquel tempo che tutto gli andava a gonfie velequei caratteri gli siinviperirono durante la sua più matura virilitàe trale cause di ciò vi fu appunto quella particolare condizione incui venne a trovarsi ad onta della sua vita distratta in molteoccupazioni e specialmente nelle cure della milizia e della guerrala quale era in lui una vera passione. Lusingato ancora dalle donneperchè gli rimanevano delle qualità attraenti ebrillantiegli sentendosi del sangue e della foga giovanilesilasciava attirare nel loro vortice; ma poipensando ai proprj anni ealla distanza che intercedeva tra l'età e l'impeto delsentimentonon si fidava della sorte che gli era pur sempre cortesedi lusinghiere avventuree viveva continuamente in timore del domanie sempre iracondo e geloso. Il fatto dell'abbandono della bellavivandiera di Bordeauxche lo aveva posposto ad una recluta del 17°finì a renderlo sempre più diffidente. Ma il decrepitoe volgarissimo adagioche il lupo lascia il pelo e non il viziobasti a spiegarecomenonostante l'età e la recentesconfittae la sfiducia di sè e d'altruinon sapesseresistere alla tentazione di avvicinarsi alla fanciulla Paolinaenon potesse poi raffrenare l'esaltazione della gioja e della vanitàsoddisfattaquando nel contegno di colei gli parve di scorger tuttii segni di una vera simpatia.
Chiunquein fatti si fosse trovato ne' panni del conte S... poteva avereragionevolmente tutto il diritto di creder che donna Paolina gli sifosse repentinamente incapricciata dietro.
Tantoè ciò veroche tutti gli astanti credevano lo stessosebbene alla maggior parte non paresse nè naturale nègiusto.
Allastessa fanciullauna notteper una sola parola che le disse ilconteil quale del restoin ogni cosasempre erasi comportato secocoi più squisiti riguardibalzò repentinamente unsospettoche le fece gelare il sanguee che la persuase senza piùa mettere in esecuzione il proprio disegno.
Quandola fortuna ci è nemicadi quanti elementi si ajutae come saconvergerli tutti a danno nostro!
DonnaPaolinastaccatasi dal conte S... un momento dopo sentita quellaparola che la mise in iscompiglios'avvicinò al capitanoBaroggie gli disse in tronco:
-Stanotte quando partiremo di quivoglio finir tutto e palesarmi amio padre.
-Bada a teche ciò non sia per il peggio.
-Continuar questa vita non è sopportabile in nessun modo.Meglio star peggio che star così.
Dettoquestosi distolse da lui e si gettò a sederepensandoseriamente quello che doveva fare.
Ellaquantunque fosse assai giovinepure aveva già quel che sidice un caratteree quell'altra dote ancor più raranell'adolescenzala sicurezza determinata delle azioni.
Fermòdunque risolutamente il partito di palesarsi in quella notte stessaal padre; pensò al modo più conveniente di prepararlo;s'immaginò il dialogo che ne sarebbe derivato; le conclusioniche si sarebbero sviluppate. - «Egli ha per me unadeferenza specialepensava; di questo posso esser certa; d'indolebisbeticairacondainsofferentecome lo vuole il giudizio comune;con mecon me sola è gentileamabilequasi direi cedevoleobbediente. Quando sentiràquando saprà ch'io sono lasua figliuolanaturalmente dovrà crescere in luiin forza diquesta rivelazionequell'affetto che senti spontaneamente senzaconoscermi. Non si protragga dunque più oltre un tempo cosìpreziosoe forse domani sarò felice.»
Maqui si fermòe ripensando l'ultima parola che il conte leaveva rivoltasi andava conturbandoe diceva fra sè stessa:- Io ho tardato forse un po' troppo. - Dovevo parlarglijeri - l'altr'jeri. - Ma forse a quella parola io hodato un significato di cui egli non aveva l'intenzione. Main ognimodoquand'anche fosse vero quello che pensonon è possibileche si converta a mio danno. - Non è possibile. -
Nonsapeva la fanciullaperchè la naturale acutezza non potevatener luogo d'esperienzache l'amore è l'idealedell'egoismo e dell'avidità; che vuol tutto per sè e amodo suo; che essofintantochè gli affari vanno a secondaèlietoè caroè soaveè condiscendenteètutto quello che si vuole che sia. Ma se la fortuna gli voltal'occhio e gli succede un rovesciole medesime furie sono lenteministre ai suoi comandie diventa un tiranno crudelevendicativoimplacabile.
Orcontinuandodonna Paolinamentre stava meditabonda e grave in quelmodoerasenza che se ne accorgessel'oggetto degli sguardi ditutti.
-Oh beato coluidiceva unoche la rende cotanto pensierosa!
-Oh come è caraseduta così in quell'abbandono!
-Oh guarda com'ella sembra la meditazione travestita da soldato!
Eil conte che la vide in quella posa e la contemplò a lungolentamente poi le si accostòe: - A che pensate? -le disse.
-Pensavo a una cosarispose donna Paolinaper cui mi ènecessario parlare con voi a lungo.
-Io sono sempre disposto all'obbedienza. Partendo di qui con vostromarito e col resto della compagniafaremo la via più lungadel solitoe avremo tempo di parlarci.
Ilconte S…dando all'aria estremamente pensosa e preoccupatadella giovinetta un'interpretazione troppo lontana dal verocredetteche le parole di lei non fossero altro che un piano inclinato ad unadichiarazione esplicita. L'amore è poeta liricoe i suoi volisono spesso temerarj.
Orvenne l'ora che gl'intervenuti alla veglia lasciarono gliappartamenti del general Massena. Come avviene in tali ritrovinelpartire si univano in varie compagniea seconda che portava ilbisogno di far la medesima via per la vicinanza delle dimore. Ilcapitano Baroggi diede il braccio ad una Aldobrandinibellissimadonnala quale credendo che donna Paolina si fosse incapricciata delcolonnelloe ciò al capitano non desse molt'ombraavevamesso l'occhio a quel postoquando mai fosse rimasto vacante; anziaveva già inoltrato la sua petizione ambidestracon quelgarbo astuto e insidioso di cui le donne sono maestre inarrivabili.Altri s'erano uniti ad altre. E donna Paolina s'era appoggiata albraccio del conte S...il qualerallentando il passolo misuròin modo da rimanere l'ultimo della processione.
-Dunqueo carache cosa avete a dirmi? Così il conte pelprimo cominciò un dialogodal quale si attendeva di esserfatto retrocedere al mondo primiero della sua fortunata gioventù.
-Oh! io sono infelicerispose donna Paolina.
Tantole donne esperte quanto le fanciulle inesperte vanno sempre d'accordonel mettere innanzi quest'antifonaallorchè voglionostringere qualcuno nella loro rete. E però il conte S…che in tanti amori passati ricevette sempre quelle petizionimuliebrisegnate appunto col perpetuo bollo dell'infelicitànon ebbe torto se a quell'esordio del dragone angelico: - Orci siamopensò; ma non poteva andare altrimenti! -Tanto si teneva certo!
-Io sono infelicecontinuava la fanciullae voi solouna vostraparola può farmi la più felice delle donne.
Aqueste parole fece succedere alcuni istanti di pausaperchèun grande spavento l'assalì nel punto di avviare un discorsocon cui giocavaa dir cosìtutta la sua fortuna. Alla suavoltail conte S... stava in sull'alenell'aspettazione ansiosa diquella sentenza risolutiva chesecondo luidoveva cangiare incertezza il suo desiderio e la sua speranza.
-Perdonatemicolonnelloriprese poi donna Paolinase oso farvi unadomanda: Che cosa avete pensato di me la prima volta che mi vedeste?
-Che cosa ho pensato... non saprei dirvelo: cento cose e nessuna. Maspiegatevi meglio.
-Voglio direche giudizio avete fatto di mevedendomi in compagniadi un giovane capitano?
-Ma non siete voi sua moglie?...
DonnaPaolina taceva.
-Il mio giudizio dunque fuproseguiva il conteche il capitano fu ilpiù fortunato degli uomini nel trovare una cosìavvenente e cara sposa.
DonnaPaolina tacque a lungo; poitutto a un trattofermandosi estringendo fortemente la mano al conte:
-Ahnon è vero che noi siamo marito e moglie! Non lo si volleda chi aveva l'autorità di volerlo. Noi siamo fuggiti insiemeper non morire d'affanno.
Ilconte cominciò a non capiree a turbarsi senza sapere perchè.
-Questa nostra condizioneseguiva la fanciullaè tale che nonpuò continuare. Io mi figuro un giorno o l'altro di venirstaccata per forza da lui; Dio! che sarebbe mai di mese ciòavvenisse. Certo che non potrei più vivere.
Ilconte pensava intanto fra sè: - Dunque mi sonoingannato!
Ilpensiero formulato non fu che questoma l'animo del conte erarimasto stranamente percosso; tanto il colpo era stato inatteso; nèsapeva trovare una parola per risospingere il discorso dellafanciullache ancora s'era messa a tacere.
Alfineper non sembrar dappoco e anche per tirare indietrose fosse statopossibilequel po' di sospetto che già aveva gettatonell'animo della fanciulla con quella tal parola che il lettore sariassunse il consueto suo fare disinvolto e bizzarrospingendolo finquasi alla caricatura:
-Cara la mia ragazzadisse poivi siete messa in un brutto impiccio;brutto assaicara. E in un impiccio ancor peggiore si trova ilcapitano - perchèin conclusionevoi siete minorennee il capitanovolere o non volerevi ha portato via colla forzadella seduzione. Capisco che sarà stato colla miglioreintenzione. Diavolo! sono incapace di dubitarne. Capisco che ilcapitano non avrà dovuto pregar troppo; non è verocara mia? Siamo sinceri qualche volta. Voglio anche ammettere che iparenti avranno tutti i tortie che l'autorità farebbe meglioa non impicciarsi in queste cose; ma i parenti ci sonoe l'autoritàdà sempre ragione ai parenti. Povero capitano! Mi rincrescemi rincresce davvero. Mi rincresce per voimi rincresce per luitanto mi è simpatico. Ma oraalla mia voltadevo domandarviper che ragione avete detto tutto questo a me?
-Per che ragione? perchè so che voi conoscete quei di casa miae che...
-Che cosa?
-E che siete conoscentissimo di mio padre.
-Io conosco vostro padre?... Ma chi è vostro padre?... Maperchè non mi avete mai detto niente?...
-Perchè avevo pauracome ho paura...
-Paura di che?
Quila fanciulla fermò il passo. Erano ai piedi della scalea diTrinità de' Monti. Gli altri della compagnia erano giàsaliti.
Ellatirò a sè d'improvviso il braccio che il conte tenevasotto il proprio; con ambe le mani prese e strinse la mano del conte;poigettandosi in ginocchiola baciò bagnandola di lagrime.
-Ma che è questo? ma che fate? diceva il conte. Ma badate chepotete esser vista...
-Ah! prima ch'io continui a parlarvidatemi una promessa.
-Ditemi di che si trattae vedrò...
-Promettetemi di aiutarmie di far tutto dal canto vostroperchèio e il capitano possiamo diventar marito e moglie.
-Ma come posso dare una promessa senza conoscere alcuna dellecircostanze che...
-Vi assicuro che voi potete tutto; vi assicuro che una parola vostrapuò bastare a renderci felici..
Econtinuava a stare in ginocchioad onta degli sforzi del conte perrialzarla. Ma il contea un trattoritirò a sè lemani che la fanciulla stringevalasciandosela cadere ai piedi comeuna Maddalena penitente.
Unlampocome quello che viene dal fulmineaveva di repente solcato ilbujo del suo pensiero.
Spessevoltenelle vicende umaneun fatto istantaneoun mottoun gestorischiara a un tratto una successione di accidentisui quali pergran tempo il pensiero era trascorso inavvertitamente. Quando ilconte sentì dalla bocca del capitano Baroggi ch'esso eranativo di Milanoe che era di Milano anche la fanciulla che aveasecodovendo pure risovvenirsi d'avere una figliuola di quella etànon par verocome un tal pensiero non lo dovesse grado grado guidarea scorgere nel volto della fanciulla le traccie evidenti dellasomiglianza propria e della materna; non par verocome non abbiasentito la tentazione di domandare qual era il cognome della famigliadi lei; non par verocome lo stesso attaccamento eccezionale estraordinario ch'essa avea mostrato per luinon dovesseinsiemecolle altre circostanzecondurlo sulla via giusta per la quale sipoteva arrivare a scoprire la verità.
Ecertose non ci fossero stati gli estremi avanzi della gioventùche lo portarono issofatto su di un altro terrenoegli avrebbesaputo ogni cosa prima che altri avesse parlato. Ora gli ultimi attidi donna Paolinarimovendo appunto ogni idea d'amoregli fecero dicolpo balenare dinanzi quella verità che non aveva maicercata; di modo chequando donna Paolina tremante singhiozzante gliconfessò di essere sua figliala rivelazione fu inutileperchè egli aveva già tutto indovinato. Se non chequella parola pronunciata tolse il conte dall'affannoso stupore incui trovavasiesenza alcun riguardomandando un gridoche eratra l'esclamazione dell'uomo e il fremito della fierarespinse diforza la figliache cadde stramazzoni sul terrenoed egli fuggì.


VIII


Nonessendoci noi mai trovati nella condizione del conte S...la sua cisi presenta come una malattia affatto nuova del cuore umanosullaquale non abbiamo mai avuta l'occasione di esercitare nessun studioanatomico. Bisogna adunque che tiriamo ad indovinare e a congetturaree a slanciare ipotesi; e poicolla sfacciataggine di un filosofo chesi diverte ad andare a caccia del vero primovendere per coseprovate le persuasioni del nostro pensiero.
Quandoil conte S...lasciata cadere la propria figliuolasi diede afuggire come un uomo uscito di sennobisogna confessare che lecagioni di quella repentina esaltazione erano state cosìforticosì eccezionalida rimanere in dubbio chi fosse inquel momento più degno di pietàse lui o la figliuola.E tra le cagioni mettiamo anche quelle che procedevano dalle cattivee inveterate abitudini della sua vitadal carattere speciale dellasua mente e del suo cuoredai pregiudizi naturali e avventizj dellasua educazionedalle medesime sue colpe. Al cospetto di un morbofisicograve e dolorosoil paziente desta sempre compassione inchiunque non appartenga al tribunale della Santa Inquisizione. Pelfilosofo che osserva i dolori umani coll'intendimento della cura enon della vendettail primo suo sentimento è la pietàe il desiderio di alleviar le pene. Egli assomiglia al medicorazionale e galantuomoche non abbandona l'ammalatonè lomaltrattaquand'anche sia stato la cagione del proprio male.
Unpadre anche il più mite di carattereche trovi una propriafigliuola nella posizione di donna Paolinacerto che non potràmai reprimerea tutta primail dolore e l'indignazione. Ora ilconte S... era tutt'altro che mite. In aggiuntaquantunque egliostentasse il più radicale repubblicanismopur s'indispettivaquando alcuno affettava di non sapere ch'egli era nobile. Era unfatto internoch'egli medesimo quasi ignoravama non per questo eramen forte. Amava la nobiltàe con dispiacere vedeva abbattutii suoi privilegi; e se in una garain un duello tra un nobile ed unuomo senza titolivinceva o perdeva il primosenza sapere ilperchèei gioiva o s'indispettiva per lui. Era quella unamalattia del sangue insieme e dell'educazione.
Orala sua figliuolasecondo lui e secondo tuttis'era disonoratafuggendoe si sarebbe disonorata anche fuggendo col piùillustre personaggio; ma ciò non bastandoper rendere ancorpiù grave la colpaessa era fuggita con un giovane di tantoinferiore alla sua condizione; con un figlio di una guardia difinanza.
Nèqui finivano le esacerbazioni; ma al dolore paternoche ha unamaniera affatto propria di manifestarsivenivanell'istantefuggitivo almenoa mescolarsi un altro doloreaffatto nuovoacutoe spasmodico più ancora del primo; eciò che èpeggioun dolore che si vergognava di sè stessoper trovarsial cospetto e in compagnia di quell'altro doloreil quale almenoseera acutoera anche legittimo. Oh! mettiamoci un momento ne' pannidel contee se non siamo fariseiconfessiamo che era ben degno dicompassionee che nessuno più di lui poteva rendereverosimile l'iperbolica similitudine del poetacheperrinfrescarsisi sarebbe gettato in un vetro bollente.
Lasciandoora da parte le cagionie concentrando tutta la riflessione suglieffetti che provò il conte S... quando da Trinità de'Monti volse il passo accelerato alla caserma dove aveva l'alloggiopossiamo assicurare che la conflagrazione del suo cervello fu taleche un minimo grado al di là di quella misura sarebbe bastatoper farne un caso interessante per lo studio di un alienistapsicologo. La caserma era presso San Pietro in Vincoli; quel lungotratto di strada lo fece senza accorgersiportato macchinalmentedalle gambe. La sentinella che gli gridò il chi va làlo fece fermare dinanzi alla porta. Qui stette un momento sopra disèpoi rifece quasi di corsa tutta la strada giàfatta. Nel silenzio della notte produceva uno strano effetto in chivegliava il tintinnio de' suoi grossi sproniche fioco si annunziavada lungifacevasi forte e aspro da vicinoe tosto decresceva emoriva nell'aere lontano.
Nelprimo tumulto e nel primo scoppio dell'irasenza quasi la coscienzadi quanto operavaera fuggito lasciando la figliuola svenuta; malungo il camminoquel nodo orrendo di tanti affetti si venne comesciogliendo ne' suoi diversi elementitanto che presentandoglisi aduno ad uno alla riflessione che ritornavaegli potèraccogliere qualche ideae pensare e prendere alcun partito.
Abbiamodetto in altra occasioneche sotto al cumulo di tante male tendenzeond'era viziato il carattere del conte S…in fondo in fondosipoteva rinvenire anche qualche bontà e qualche affettogeneroso; egli è per questo chedopo il primo schiantodell'iragli entrò nel cuore un impeto di pietà.Alloracome a rifasciodietro al pensiero della figliuolaconosciuta in così strana guisagli si schierarono nellamemoria e l'immagine dell'angelica sua Adae i tanti affanni chequella poveretta ebbe a provare per luie l'idea della disperazionein cui essa doveva trovarsi in quel punto per la fuga dellafigliuola; e per questa medesima figliuolaattraverso al dolore eall'irametteva in lui una affannosa mescolanza di compiacenzapaterna e di compassionela quale grado grado crebbe al punto che fututto in affanno pel timore ch'ella avesse dovuto soffrire troppo eper la caduta e pel deliquioe cheabbandonata e respinta da lui inquel modo spietatodovesse poi morirne d'angoscia.
Ritornòdunque fino al piede della scala della Trinità de' Montimanon vi trovò piùcome avrebbe dovuto aspettarsisefosse stato più in calmanè la figlianèaltri. Pensò allora di recarsi alla casa di lei; ma fu ilpensiero d'un istanteperchèsubentrata l'iralo risospinsealla casermadove entrò a notte altissimaaspettatodall'ordinanza che da tante ore sonnecchiavasvegliandosi spesso disoprassaltoper tema dei rimbrotti di lui.
Eglientròe:
-Vae chiamami qui subitodisse all'ordinanza. il colonnello Paoli eil Ballabio.
-Essi sono già a letto da più ore.
-Va e sveglialiti dico! - Maaspetta che ci andrò io.
Dettoquestouscì seguito dall'ordinanza che gli faceva lume. Bussòalla porta dell'alloggio del colonnello Paoli. Non essendoglirispostopicchiò fortetanta era l'impazienza ond'eraagitato. Alfine s'aprì l'uscioe comparve l'ordinanza delPaoli; e si sentì la voce iraconda di lui che gridava:
-Che cos'è? chi batte a quest'ora?
-Abbi pazienza! gridò allora colla sua voce sonora ilcolonnello S...; abbi pazienza; ho bisogno di te.
Leparole contrastavano col tono altoasproiracondo.
Nondimenoil colonnello Paoli:
-Evviaentrarispose.
Ilconte entrò.
-Scusamiripetè poi. Domani avrò un duello. - Lovoglio io; faccio conto su di te e sul Ballabio. Saretecome tantealtre voltei miei padrini.
-Va bene; ma che diavolo è successo? Due ore fa eri l'uomo piùgajo e più lieto del mondo.
-Gajosì gajo - sentirai. Ma il duello sarà amorte; a mortecapisci tu? Voglio che Roma ne abbia a inorridire.Oradisse all'ordinanzava a chiamare il colonnello Ballabio. Digliche venga qui subito.
L'ordinanzapartivae un quarto d'ora dopo entrava il Ballabio in mutandecoglistivali alla dragona e il mantello sulle spalle. Intanto ilcolonnello Paoliseduto sul lettoseguiva coll'occhio il conteS...che passeggiava fremebondo.
-Che cosa è successo? chiedeva il giovane Ballabio alla suavoltamesso in apprensione da quella scena muta.
Ilconte si fermò - guardò fisso il colonnellomacchinalmentetanto era sprofondato ne' propri pensieri:
-Siedigli disse poisiedi. Domani il capitano Baroggi morirà- o morirò io. - Tucome al solitofarai dasecondo insieme col Paoli.
-Sempre disposto. - Ma che cosa è avvenuto?
-È quel che voglio sapere anch'ioprese allora a dire ilPaoli. - È mezz'ora che il colonnello è quienon m'ha ancor detto di che si tratta. - Nè vorrei chefosse poi un nonnullaun affare da ragazze; perchè alloracaro colonnelloscusamima è tempo di finirla.
-Tempo di finirla?
-Sìcolonnellose mai quella fanciulla cogli stivali e glisproni t'avesse riscaldato il cervello...
Ilconte si piantò allora nel mezzo della stanzae:
-Sapete voi altri chi è quella ragazza? Voi altri non losapete.
-No.
-Essa è mia figlia.
-Oh!!...
-Essa è mia figlia - e il capitano l'ha sedotta afuggire. Ma il capitano moriràmoriràmorirà...
Enel ripetere quella parolala voce gli si andò innalzandofino all'urlo... dopo di chespossato dall'angosciacadde a sederesul letto dell'amico.
Icolonnelli Paoli e Ballabiopassate alquante ore della notte incompagnia del conte Achillee tentato indarno di ridurlo a piùmiti e ragionevoli consiglialla mattina del dì successivonella loro qualità di padrinisi recarono dal capitanoBaroggiche alloggiava in piazza del Popolo.
Ilcapitano e donna Paolinain quella desolata condizione che èfacile imaginarestavano risolvendo di lasciar Roma in quel dìstessoquando i due colonnelli si fecero annunciare. - Nonera il caso di rimandarliper quanto i due giovani desiderassero distar solie così furon fatti entrare. - Donna Paolinaera in veste femminilee sul viso portava i segni del piantorecente. - Il giovane capitano era tutto scombujato estravolto; peròinfilata in fretta l'assisa di dragoneaccolse i due venuti con tutta quella cortesia che gli fu possibilee li fece sedere.
-Signor capitanodisse il Ballabiocredo che indovinerete il motivodella nostra visita.
-Potrei sospettare qualche cosa; ma cogliere nel punto giusto nonsaprei veramente. Sareste forse colleghi ed amici del conte S...?
-Per l'appuntocapitanoe ci rincresce di esser qui con un'altravestedi cui volontieri avremmo fatto senza.
-Parlatesignori.
-Il conte colonnello S... si crede e si chiama offeso e disonorato davoi; disonorato nei rapporti della famiglia e nella fama dell'unicasua figliuola. Perdonisignoradisse poi il Ballabio rivolgendosi adonna Paolinas'io mi faccio lecito di parlare così. Ma purtroppo abbiamo dovuto accettare da vostro padre il delicatissimomandato. La fortuna potrebbe però fare in modo che ciòsia per il meglio.
-Comprendo tuttorispose accigliato il Baroggi. Ma il conte avrebbealmeno dovuto sentir noi due prima. Io non ho disonorato nessunoefu appunto per conciliare ogni cosa col decoro del casatoche infaccia a Dio e alla santità delle intenzioni ed alla sapienzadegli uomini non guasti dagli infesti pregiudizj di castaiosolennemente dichiaro costei mia moglie; è appuntoripetoper conciliar tutto col doverecol decoro della pubblica opinioneche noi intercediamo il perdono e l'ajuto del conte colonnello.
-Il nostro mandato non ci permette di entrar giudici in materia.Soltanto devo dirvie potete immaginarvi se ciò mi addolorache il conte colonnello S... vuole da voi una riparazione d'onoreecol solito mezzo delle armi.
DonnaPaolinaa queste parolesi alzò di slanciofece due passiverso il colonnello Ballabiotentò di parlarema si mise dinuovo a sederemandando un lungo sospiro e premendo la fronte sulpalmo della mano destra.
IlBallabiodopo aver sogguardato a lungo quell'infelicefece segno alBaroggi che desiderava continuar a parlare fuori della presenza dilei. Mail giovine capitanosempre ad alta voce:
-Vi comprendovi ringrazioesclamò. Ma ella può e devesentir tutto. Non a caso veste l'assisa e cinge lo squadrone; hal'intelletto e l'anima affatto virilie può sentir tutto. Chec'è altro adunque di così gravech'ellas'ella nonfossedovrebbe lasciarci soli?
-Giacchè lo voletedevo dirvi che il duello porta unacondizione.
DonnaPaolina alzò la testa e stette attenta.
-E quale?
-Che il duello dev'essere...
-All'ultimo sangue?
-A morte!
-Nè ciò bastasoggiunse l'altropadrino.
-Proseguite.
-Dobbiam dirvi che il duelloquando non avesse un esito definitivo laprima voltadovrà ripetersi finchè uno dei duecombattenti rimanga morto sul terreno.
-E così siaproruppe eccitata donna Paolina; ma dite a coluiil quale non solo non è padrema non è uomoche aquesta condizione se ne contrappone un'altra (e qui donna Paolina sialzò terribile nell'atteggiamento e nella guardatura)equesta èche se il capitano rimanesse uccisola figliasulmedesimo terrenodebba combattere col padre. Così faremoinorridire anche Romache fu la patria d'ogni più mostruosavirtù.
IlBaroggi guardò a lungo la sua Paolina con un atteggiamentoche non si può rendere a parole; la prese per manola baciòsulla fronte; poi si rivolse ai due padrinicome per volger loro laparolama stato un momento sopra pensierosi cavò l'assisaaperse la camicia sul pettoe:
-Guardate quisignoridisse... Tolga il cieloe spero che voi micrederetech'io voglia adesso vantarmi di ciò che non èaltro che la conseguenza del mio pretto dovere; ma soltanto mi premefarvi sicuri che io non fui mai un vilee che non temetti e nontemerò mai i pericoli. Tre volte io caddi ferito...
-Non abbisogna che lo diciate. Bastaguardarvi in viso...
-Vi ringrazio... ma orain questo momentoal cospetto di codestacircostanza affatto nuova e inattesa e inauditanon si tratta giàdi affrontar pericoli vantaggiosi all'umanitàpericoli chepossono essere una virtù e una gloria...; si tratta bensìdi acconciarsi a diventar un assassino... un parricida... qualchecosa di ben abbominevole...
-Che dite... capitano? interruppe il Paoli; vi prego a non ripeterequanto avete dettoperchè...
-Vi comprendocolonnelloe vi domando perdono!... Ma vi supplico neltempo stesso a ponderare seriamente il caso in cui ci troviamo.
-Ho pensatoabbiamo pensato a tutto; potete ben crederlo; ma vi sonocircostanze e consuetudini e leggi speciali alle quali bisognapiegarsi e obbedire.
-Consuetudini e leggi dell'arbitrio e del pregiudizioche sonoun'offesa dell'ingenua natura e della ragione assoluta... Diteadunque al colonnello S... che mi domandi un'altra riparazioneesarò sempre disposto a fare il suo desiderio.
Aqueste paroleil Ballabio guardò in faccia all'altro padrinoquasi a dire: - Pur troppocostui ha ragione. E quegli sialzòe dopo aver misurato la camera innanzi e indietrosiaccostò al Baroggi e dolcemente lo prese per mano.
-Molte campagne ho fattegli disse poi; ho quarant'anniattraversaila vita di affanno in affannoed ebbi nove duellisempre provocatodagli altrie colla persuasione di essere sempre io dalla partedella ragione; una volta poi mi son trovato in una circostanzapressochè uguale alla vostra. Ci ho pensatochiesi consiglivolli e disvolli... ma alla fine... mi sono battuto. Io abborro ilduello e i duellantie il mondo che chiama vile chi rifiuta dibattersi... ma non importa che un uomo sia o non sia un vile; importache sia creduto tale. Ascoltate dunque mecapitano; non rifiutate;battetevie mettete ogni cosa nelle mani della fortuna.
-Se si hanno ad osservare i patti come furono posti dal conteallafortuna non rimane a far nulla. Uno dei due ha da moriree lecondizioni non sono uguali tra noi. S'io vengo uccisoche saràmai di questa mia donna? S'io uccido il contecome potràpatire costei di vivere coll'uccisore di suo padre? Egli è perquestoo signorich'io non potrò mai battermi a giusta garacon lui. Non è questo il momento delle vanterie; ma costei losanelle sale di scherma io fui chiamato l'invincibile. Non credoche ciò costituisca nessun meritoci vuol ben altro; èun'abilità affatto materialee di cui non tenni e non tengonessun conto; ma è però una circostanza per la qualesecondo tutte le probabilitàio posso dire di portar sicuri imiei colpi. Oraaccettando di misurarmi col padre di costeiiosentirei obbligo di lasciarmi ammazzaree di condurre l'orribilgioco in modocome se io non sapessi tener ferro in mano. Eccoperchè mi rifiuto. Vi prego adunque di riferire tutto ciòal conte; vi prego di protestarglich'io non ho mai creduto diportar offesa nè all'onor suonè a quello della suacasa. Credevo inoltre che un prode soldato della repubblica francesenon dovesse avere gl'illiberali pregiudizj di quella castaperdistruggere la quale una falange gloriosa di pensatori e di eroiriputò azione santa il versar torrenti di sangue sull'altaredella patria. Vi ripeto di ripetere ciò al conte; e mi lusingoche vorrà cambiar propositi.


IX


IlBallabio e il Paoliammirati dalle parole del capitano Baroggiriferirono tutto al conte S…e si giovarono dell'influenza chesapevano di potere esercitare sull'animo di lui per placarlo edistoglierlo da quel partito disperato ed inumano; e ci fu un momentoin cui il conte parve piegarsi a tante rimostranze; e davvero che sei padrini avessero in quel punto troncato ogni discorsoforse ognicosa sarebbe finita; ma il Ballabioe fu una mancanza di tattochenon è possibile perdonarglivenne a toccare al contedell'incomparabile bravura che il Baroggi aveva nell'uso della spadae dello squadronee che per ciò appunto esso aveva protestatodi voler piuttosto lasciarsi ammazzare che opporre colpo ai colpi delconte. Un razzo scagliato in una polveriera non può eccitareincendio e rovina più di quello che le parole del Ballabioprovocarono nell'animo eccitabile del conte.
Essobalzò da sederecome se un colpo di scudiscio gli avessetagliata la faccia; quasi fu per avventarsi e pigliar per il collo ilcolonnello collega; poi si scaricò con una tempesta tale diingiuriedi villaniedi bestemmie plebeedi gridadi strepitibestialiche chiunque avrebbe potuto credere fosse impazzito ditratto; non però i colleghi suoiche lo conoscevano troppobene econtinuando a fumar le loro pipeaspettarono in silenzio chedesse giù la bufera.
Eil conte infatti alla fine si calmòe incrociando le bracciae accostandosi a lento passo al colonnello Ballabioche stavaseduto:
-Giacchè dunquegli disse con sarcasmocolui è unAchille senza il tendine; e un Orlando prima di esser diventatofuriosoho piacere di toccar io stesso con mano se ciò èvero. Però il duello deve andareed ora più di prima;e perchè non si vada in cerca di altri pretestisia desso alprimo sangue. Così la vita e la mortecome allo scaccocomeal bigliardocome al tiro a segnostarà nelle manidell'abilità e della fortuna. Va bene così? Sietecontenti ora?
-Siccome è a tutti noto che tu sei la prima sciabola delladivisionecosì non si è creduto d'offenderti a dirtiogni cosa. Se colui fu chiamato l'invincibilenessuno puòancora vantarsi d'averti vinto. Ed ora quasi attendo con impazienzaun tale duello; e giacchè è al primo sanguemi confidoche colui accetterà.
-Quand'è cosìgiacchè aveste una volta lacompiacenza di recarvi al suo alloggionon vogliate ora perdertempoe tutto sia concluso dentr'oggi.
-Dentr'oggi tutto sarà concluso. In quanto alla sceltadell'arma...
-Il capitano scelga: è il suo diritto; per mespadasciabolae squadrone son tutt'uno.
Sulfinire di questa giornataun'ordinanza entrò nell'alloggiodel colonnello S... a comunicargli di recarsi subito al Quirinaledove il generale Massena lo chiamava. Il conte non mise tempo inmezzosalì a cavalloe fu dal generale. Questiallorchèil colonnello entròstava seduto su di un'ampia poltronatutta a oro e a velluto rossosormontata dallo stemma pontificio;era in manica di camiciacoi calzoni di daino e gli stivaloni alladragona. Il generale era sì piccolo e mingherlinoche potevasmarrirsi tra gli stivali e la poltrona; ma aveva una facciasanguignaaccentatagelosacon due occhi neri e lampeggianticheben si faceva scorgere nonostante la sua piccolezza.
-Vi ho mandato a chiamare perchè ho da parlarvie non èil generale Massena che dà degli ordini al colonnello S...maun borghese nato a Nizzacheda uomo di mondo e d'esperienzae cheha riconosciuto tutto quanto fu promulgato dal giudizio universaledell'ottantanoveparlaparla a un conte nato a Milano; il qualecredendo forse che i suoi avi sieno più antichi del padreAdamopare che non voglia capire sin dove giunga la portata dellaparola repubblica.
-Generale...
-Vi ho detto che in questo momento non sono generale... ma un semplicerepubblicano... Voi domani dovete battervi.
-Battermi?
-Sìbattervi col marito di vostra figlia. Voi vi stupiretech'io sappia tuttomalgrado il gran segreto in cui vi siete celatitutti quanti. Ma sapete come vanno queste cose... Parlano anche imurie allora non serve più che gli uomini tacciano. Ma diciò poco importa... il consiglio dunque che vi dòèdi non battervi... di riconoscere per marito di vostra figlia ilgiovane capitanoche mi si dice essere un valoroso soldato e unperfetto cavaliere... e di finir tutto senza scandalo.
Ilgeneraledetto questos'appressò al colonnelloed era sìbasso che non gli arrivava agli spallini:
-Questo che vi dò non è che un consiglio: io non comandoche nelle cose della guerra e sul campo di battaglia; non crediatenemmeno ch'io pensi a punirviquando mai foste per fartutt'all'opposto di quel che v'ho detto; fate quel che volete; tuttoquello che mi riserbo è di continuare a stimarvi o di cessaredi farlo. Ora andate. Nè sappia alcuno per che oggetto sietevenuto qui.
Leparole del generale erano uscite decisesecchea intervallicomepalle da fucile.
Ilconteil quale sapeva che il generale non amava nèchiacchierenè replichee una parola detta in fallo lopoteva far salir tosto in furorenon osò risponderefece ilsaluto del soldato e partì.
Ornon occorre il direche in quel giorno la stessa donna Paolina inpersona erasi recata dal generale Massenaed aveva saputo sìben fare e sì ben direche il terribile generale si lasciòpenetraresebbene fosse fatto a scaglia di coccodrilloepuressendo alienissimo dall'impacciarsi negli affari altruicredetteopportuno di far quel che fece.
Uscitodal palazzo del Quirinaleil conte pensava tra via chi mai avessepotuto parlare del duello al generale; ma presto si appose al veroonde sentì crescersi l'ira contro la figliala quale avealoesposto ad essere trattato dal generale come una recluta. Punto daquell'accoglimento da caserma che lo feriva nell'orgoglioeripensando alle lodi che il Ballabio incautamente aveva fatto dellavalentia del capitano Baroggifermo di mettere sotto i piedi iconsigli di Massenaal qualebestemmiando tra sè e sèscagliò tali ingiurieche guai se fossero state sentite daquel tremendo repubblicano nizzardo; e ridottosi al proprio alloggiosi recò nelle camere dei due padriniper sentire se tutto erastabilito. Essi gli risposeroche il Baroggi accettava le nuovecondizionich'esso aveva scelto i proprj padrini; che l'ora erasifissata al primo sorgere del dì successivoe il luogo a duemiglia fuori di porta S. Sebastianodietro il sepolcro di CeciliaMetella.
Ledue parti non avevano che a far altro che aspettar l'alba. Ma non eracosì di donna Paolina. Essa tenevasi certa che l'autoritàdel general Massena sarebbe stata più che sufficiente a mandara vuoto il duelloe forse ad ottener dal conte che di nemico sifacesse amico e protettoreepiù che gli orgogli di castasentisse i doveri di padre. Ella dunque provò fino allospasimo il martirio dell'aspettare; ad ogni scalpito di cavalloadogni rumor di ruotead ogni aprirsi di portestava in sull'aletremanteconvulsanella credenza che fosse un messo beneficoapportatore di una felice notizia. Ma passò tutto il giornopassò la serala notte si fe' altae nessuno vennee il suotormento era accresciuto dal non poterlo manifestare altruiessendosi ella recata dal general Massena all'insaputa del capitano.In quanto a quest'ultimoei non s'inquietava che dell'irrequietudinedi donna Paolinala qualeper quanto si sforzassenon sapevavincersi e non aveva posa un momento; per sè era tranquilloavendo una ragionevole coscienza della straordinaria sua perizia nelmaneggio dello squadroneche era l'arma scelta; e pensando che ilconte S....più abituato alla sciaboladovevasecondo laprobabilitàaver la peggioper la differenzabenchèminimache passa tra l'uso dell'una e dell'altra arma. Oltrecciòpoi lo rassicurava l'idea di potereappunto per la propria bravuramisurare i colpi in modo da portare la più lieve ferita al suoavversario.


X


Vennel'alba; il capitano e donna Paolina si alzarono. Di lì a pochiminuti due carrozze entrarono nell'albergo dov'essi alloggiavano. Idue padrini salirono. Donna Paolinaindossata l'assisa di dragonepassò nel salotto dove il Baroggi erasi già recato asalutare e ringraziare e stringer la mano ai due ufficiali. DonnaPaolina ebbe moti e accenti tranquilli e solenni. Perduta ognisperanza di riconciliazionein lei era cessato l'orgasmodell'aspettazione e dell'incertezza; d'altra parteanche l'affannoavendo la sua stanchezzaaveva dato luogo a un sentimento tuttointerno e senza espansionea un sentimento molto simile a quello diun ammalato cheessendosi illuso di poter riacquistare la salutesente invece che per lui non ci sono che pochi giorni di vita; e inquesto pensieroper le arcane leggi della natura compensatrices'adagia in silenzioe aspetta l'ora del proprio fine. Essa dunqueera muta e immobile. I due ufficiali la guardavano con ammirazione econ pietà; nulla v'ha di più bello e affascinante dellabellezza femminile e della gioventùquandoad onta dellacalmarivela nel proprio aspetto le impronte di un immenso dolore.
-Vedrete che tutto finirà benele disse uno degli ufficiali.
-Non spero nulla. Soltanto vi supplico a ottenermi qui dal capitano ilpermesso di venir anch'io presso al luogo del duello. Vi prometto chestarò immobile al mio postocome uno de' sepolcri che stannolungo la via Appia. Qui sola non potrei resistere allo spasimo. Làa due passi dal sito fatalela notizia dell'esito potràessermi recata da voi in pochi minuti. Non credo che ci sia nessunasconvenienza in ciò.
-Capitanosoggiunse allorauno de' due padrininoi portiamo lapersuasione ch'ella possa ben venire a pochi passi di distanza danoi. Costei è una donna uomo. Vi supplichiamo aconcederle quanto ella chiede.
-Essa faccia quel che più desiderarispose il Baroggiprendendo per mano e baciando la sua Paolina. Costei non saràmai per far cosa che possa compromettere d'un punto la fama dell'uomodi cui ebbe la generosa bontà di voler dividere i destini.
Proferendoqueste parolepreceduto dagli altriuscì e discese; poiquando fu al piede dello scaloneriabbracciando e ribaciando esalutando la sua donnala mise a star sola in una carrozzaponendoa' suoi ordini un uomo che serviva nell'albergoed egli salìnell'altrainsieme coi due ufficiali padrini.
Daporta Pinciana dovendo attraversar tutta Roma per andare a porta S.Sebastianoe poi percorrere quasi due miglia e mezzo della via Appiaper recarsi al sepolcro di Cecilia Metellail viaggio duròqualche tempo. Il capitano Baroggiad ostentare indifferenzalaquale nelle ore che precedono un duello è comandata dallaconsuetudine e dalla prammaticaper quanto le più legittimeapprensioni debbano travagliare un animo giusto e non spensieratos'intrattenne con gran disinvolturalungo il camminodelle rovinedi Roma; del comein poco tempodovendo essa diventare la capitaled'Italiala popolazione avrebbe potuto ascendere facilmente acinquecentoa seicento mila animee tutta la parte desolatadell'eterna cittàche dal suo centro per più di duemiglia si prolunga fino alla porta Appiaavrebbe potuto empirsi digrandiose abitazioni. Fuori di portapoiconsideròpoeticamente e storicamentecome sullo stesso acciottolato su cuirumoreggiava la carrozza in cui esso trovavasiavevano giàrotolato i carri degli antichi Romanie le bighe e le quadrighetrionfali di Cesare e di Pompeo; edimenticandosi per poco dellapropria condizionefece voti che la grandezza futura di Roma edell'Italia potesse divenir taleche a poco a poco dovesse poiscemare il culto idolatra che si aveva per ogni minima pietrainfranta del suo passato. Di tal modo esso giunse a distrarre e adissimulare l'intima preoccupazione. Ma non potè farealtrettanto donna Paolina; sola nella propria carrozzadallacampagna solitaria che le si stendeva dintornoe dai ruderi e daicippi e dagli avelli infrantiche ad ineguali intervalli profilanola vetusta vianon le derivavano che tetre sensazioni che sempre piùl'accasciavano; oltredichè l'abbattimento fisico per la nottevegliata nell'irrequietudine del pensiero l'avevan ridotta sin quasialla condizione febbrile; e presto sul cielo essa vide staccarsil'antico sepolcro di Cecilia in sembianza di un torrione merlatoepochi momenti dopo vide due carrozze ferme nella campagna a sinistradel mausoleo. Mandò un lungo sospirovolse gli occhi alcielosi contorse le manicolle quali poscia si cinse le tempiaesi rannicchiòcome per spaventoin un angolo della carrozza.
IlBaroggi e i due ufficiali disceseroe fecero fermare la carrozzapresso all'altra dove stava donna Paolinaalla quale il capitanostrinse fortemente la mano incoraggiandola collo sguardo senzaaggiunger parola. S'avviarono nel campo dove eran già glialtri. I padrini delle due parti si salutaronostettero insieme aconsulta qualche momento; uno dei padrini del conte S...presi duesquadroni di identica forma e lunghezzali porse ad uno dei padrinidel capitano Baroggi dalla parte dell'elsaperchè a casoscegliesse il suo. I due avversarjsvestita l'assisalevato ilfazzoletto dal collorimboccate le maniche della camiciasipiantarono rimpetto l'uno dell'altro nei due punti della zonadeterminata dai padrini. Un medicoun chirurgodue soldatid'ordinanza delle due armi dei dragoni e degli usseri stavano aqualche distanza.
Selo spettacolo di un duelloper minima che sia la cagione che l'haprovocatoper indifferenti che sieno i combattentiper poca onessuna che sia la valentia ch'essi abbiano nell'uso dell'armadestasempre un vivo interessee tiene sempre gli astanti in affannosaapprensioneè facile immaginare che interesseche ansiaquali emozioni debba suscitare quando le cagioni onde nacque sienogravissimequando sia noto che gli avversari devono essere agitatida fortissimi sentimenti; quando per di più la fama ch'essihanno di valentissimicomunichi all'interesse consueto l'interesse el'aspettazionequasi diremmodi uno spettacolo d'arte! Di questogenere era il duello che sotto il cielo di Romapresso ad uno deipiù famosi e vetusti monumenti di quella classica terra chedelle proprie memorie investe e fa grandeggiare anche il presentestava per incominciare.
Unamanteanzi un maritomarito in faccia alle eterne leggi dellanaturase non in cospetto delle transitorie consuetudini socialistava a fronte al padre della propria sposa; la gioventù nelprimo suo vigorela bellezza nel massimo suo splendoredi controalla virilità chepresso alla sua decadenzasembravariassumere in un estremo sforzo i varj momenti dell'etàtrascorsae celare i guasti del tempo sotto un aspetto affattoeccezionale di jattanza poderosa. Da un lato un raggio calmo dionesta bontàche rendeva più interessante la gioventùla bellezzala sventura; dall'altro un'apparenza fiera eprovocatriceche stornava da sè ogni simpatia ed ogniindulgenza.
Datoe ricambiato il saluto di costumegli squadroni si toccarono. Iltintinnio risuonò nella profondità del silenziogenerale. Quel sonito passò il cuore della sciagurata Paolinache si gettò in ginocchiofermandosi in questa posa comeun'estatica.
Manoi non riferiremo tutti gli accidenti del duellotutti i colpilemossele gare tra la forza e la destrezza. Soltanto diremo chesenza ferir colpoi combattenti dovettero riposarsi fino a cinquevolteriuscendo manifesto agli astanti ed allo stesso conte S...che il capitano avrebbe potuto percuoterlo gravemente una volta allatestaun'altra al petto. Gli squadroni al sesto assalto si toccarondi nuovo.
IlBaroggiin tanti assalti rinnovatiaveva studiato i tiri abitualidel contee scoperto le vie d'entrata per aggiustargli quel colpoche lo ferissesenza fargli gran danno; ed in ciò consistevaquella suprema e quasi già prodigiosa valentia nell'artedicui nessuno può esser sicuro… e l'ingresso fu lasciatoapertoed egli fu lesto ad approfittarne; manel misurargli ilfendente con tal arte da scemargli la gravezza del colpoperdettequel prezioso minuto secondo che può dar la vittoria; e ilconte in quel punto gli calò sulla spalla un forte colpopurriparato in tempoma non così che non gli ferisse la spalladestra.
-Sangue! gridarono ad una voce i padrini; fermibasta.
Ilconte abbassò lo squadroneil capitano fe' altrettantoe sivolse verso il padrino che gli denudava la spalla. Macchinalmentealzò poi gli occhi al cielo con quell'atto che dinota ira edisprezzoe lasciò cadere a terra lo squadrone. Accorsero ilchirurgo e il medicoe il conteappoggiato sull'elsa del propriosquadroneguardava e non si movevae quasi non respirava. Vi fu unmomento solenne di silenzio generale... ma a romperlo con violenzadal ciglio della via balzò nel campo donna Paolina... fu tostopresso al capitanoguardò la feritaguardò nellafaccia del chirurgoe lettavi la espressione di chi teme piùche di chi sperabalzò in piedi come una dementeesguainato lo squadronefu sì prestamente addosso al padreche questo appena ebbe il tempo di parare il colpoe certo avrebbedovuto pararne altrise la figliuola nel gridare: - Moriteora voiscellerato- non fosse caduta sul terrenoistantaneamente e priva di sensi; caduta come piombocome una statuamarmorea che d'improvviso si rovesci; e colà stette.
Adeccezione del medico e del chirurgoche non si staccarono dalcapitano feritotutti furono allora intorno a quella sventurata.Solo il conte... puntato lo squadrone a terrasi appoggiò dinuovo sull'elsae stette immobile così. Se non chevenuto aluidopo alcuni secondiil colonnello Ballabioquesti con pietosameraviglia vide che dagli occhi fissi e attoniti cadevangli a dirottale lagrime sulla corrugata facciaancora atteggiata alla fierezza.Il cuoreimpietritogli si era come smosso e squagliato sotto aquel colpo estremo. Le emozioni provate da tante ore continueperfino il suo orgoglio lusingato dall'apparente vittoriaavendogliammorbidita la fibraaprirono di repente un varco a que' sentimentiche la natura pareva avergli negati. In un baleno il suo pensieropercorse infinite cose; si rifece indietro tanti e tanti anni;comprese tutti i proprj torti; avrebbe voluto aver lì presentela dolce e pur sempre a lui cara Ada; avrebbe dato tutto il suosangue perchè non fosse avvenuto tanto disastro; si tormentavadi non aver consolata la propria figliuola nel punto ch'ellasupplicanteerasi gettata a' suoi ginocchi; di non averle detto: Siila moglie felice del tuo felice marito. Pensò a tutte questecoseche in folla gli si addensavano in petto tremendamenteaffannose. Pensò e piansee dopo aver fissato per qualcheistante il Ballabio:
-È viva? esclamò. Ohfaccia Dio ch'ella sia viva!
Ognicura possibile in que' momenti fu amministrata. La fanciulladopoassai tempodiè segni di vita. Era stata una sincopepericolosa e quasi mortale... Ma il padre non osò avvicinarsia lei... Soltantocon parole che non parevano compatibili con quellasua natura di ferro e di fuocopregò il Ballabio di chiedereal ferito capitano se gli permetteva di stringergli la mano. IlBaroggialla domanda del Ballabioil quale prima aveagli detto chela donna sua stava riavendosinè presentava pericolo alcunochinò la testa in segno di adesione. Il conte S... siavvicinòs'inchinò a luigli prese la mano... IlBaroggi se la lasciò stringerema non disse nulla.
Ilconte interrogò poscia il chirurgo sulla condizione dellaferita.
-La ferita è grave... forse sarà indispensabile ladisarticolazioneche è una delle più difficilioperazioni.
Ilconte tacque e si fe' cupo.
DonnaPaolina fu messa in carrozza; in una lettiga fatta venire dalla cittàfu posto a giacere il Baroggi.
Cosìfinì quella triste giornata.
Edora dovrà passare assai tempo prima di trovarci ancora conquesti personaggi.



LIBRODECIMOQUARTO


Unafesta a palazzo di Corte a Milano nell'anno 1810. - Il vicerèBeauharnais. - La principessa Amalia. - Ministrisoldati. - Letterati. - Poeti. - Il pittorBossi. - Il conte e la contessa Aquila. - L'avvocatoFalchi e l'infernal Dea.


Nelpunto di affidare a un libro stampato tutte le notizie arcane che siriferiscono all'estremo periodo del regno italico che tramontòcupamente coll'eccidio del ministro Prinaci tenne sospesi il timoreche la rivelazione di alcuni fatti straordinarj potesse suscitarequalche scandalo e turbare la quiete di alcuni uomini ancor vivi chenon ebbero una parte troppo netta in quella orrenda tragedia. Unaltro motivo per cui fummo in forsestava nella qualità dialcuni documenti che abbiamo tra mano; documenti scrittima dinatura al tutto privata eper dir cosìnon ufficiali;documentiper conseguenzanon bastevoli a convertire le congetturestoriche in legale certezza. Se non che abbiamo pensato che anche lesemplici congettureanche le sole opinioni e le credenze degliuomini che furono testimonj di grandi fattisono materia legittimaalla storiaperchè rappresentano tutto intero il pensieroilgiudizio dei contemporanei; e perchè d'altra parte si dannocerte verità che non si consegnano ai pubblici ed officialidocumentie delle quali tuttavia la posterità non dev'esseredefraudata. Se la storia non può giurare sulla veritàdi alcuni fatti e sulle loro cagioniha però l'obbligo dipubblicare e mettere in ordine tutti gli indizji qualise sonomoltiplicatipossono talvoltanella sfera morale almenoquasi farvece di prova. È il caso di un tribunale che non puòcondannare un colpevole perchè gli manca la suprema provairrefragabile; ma tuttavia dal cumulo e dalla qualità degliindizj gli è imposta la convinzione che l'accusato èreo del delitto imputatogli.
Persuasidi questoci siam determinati a pubblicare questa parte del nostrolibrosopprimendo i nomie talvolta anche le iniziali che possonocondurre a indovinarli. Se i lettoritenendo dietro a quantopubblicheremodaranno il vero nome ai personaggi che noinasconderemo sotto artistici pseudonimiciò vorrà direche anche a loro di padre in figlio son pervenute quelle veritàche nessuno ebbe sin qui il coraggio di manifestarese altri poi noncomprendesse nullae fosse per rimanere spaventato da certicaratteri troppo infernali e da alcune perfidie cheanche essendoveresembrano inverosimilisi dia pace e si consoli col credere ecol dire che tutta la nostra storia non è che un romanzo.


I


Siamonel carnevale dell'anno 1810. Anche la storiain carnevaleassumequalche cosa di giocondo e di rumorosoper cuismesso l'eccessivosuo rigore e le sue cautele che non si tranquillizzano se non sugliatti notarili e sui documenti degli archivj aspersi di molta gocciasi fa più sincerapiù alla manopiù ciarliera.È un momento prezioso questo di starle ben pressod'interrogarla e di farla cantare.
Soncorsi dodici anni dagli ultimi avvenimenti a cui abbiamo assistito.Grandi cose sono avvenute in questo intervallo. Prima la repubblicacisalpina si trasmutò attraverso al diaframma degliAustro Russi e della battaglia di Marengoin repubblicaitaliana; poi il 18 brumajo portò di punto in bianco Bonapartead essere il padrone del mondo; ed è strano come la fortunaquasi a vendicarsi della prepotenza onde il genio di lui la ebbecostretta ad impegnarsi al suo serviziosi dilettò di farloparer minore di sè stesso in quel giorno appuntoquasivolesse mostrare che senza l'ajuto di lei sarebbe forse caduto persempre; e infattiallor fu chiaro come il sole che quando essa si fal'alleata del destinoil male partorisce il bene; gli errorisembrano ardimenti di intelletto; l'ignoranza e l'imprevidenzarisolvono problemi non possibili alla ragione calcolatrice. Quell'ocadi Berthier scongiurò Bonaparte a tacereper non provocarel'ilarità ed il disprezzo dei Cinquecento. Quel gallo boriosodi Muratnon comprendendo nulla e però facendo entrare igranatieri a bajonetta in canna a far saltar giù dallefinestre i membri rappresentanti la maestà della repubblicatagliò il nodo inestricabilee liberò il voloall'aquila di Bonaparte.
Al18 brumajo avea tenuto dietro il consolatoe l'imperatore di fattoerasi già rivelato nella unità di Bonaparte collocatofra gli zeri di Cambacerès e Lebrun; e in seguito vennel'impero e il regnoe l'annuncio di una monarchia universalee ilGiove Ottimo Massimocogli stivali alla dragonae la non olimpicaventrajaed il capolavoro della battaglia d'Austerlitzcheal pardi tutti i capolavori dell'arteinfranse le regole della grammaticacampalefin quella che ingiunse agli eserciti di non prendere lemosse che in primavera. Al capolavoro d'Austerlitz e alle altrebattaglie prodigiose avea seguito quella pace di Tilsitche segnòil punto più eccelso dell'ascensione di Napoleone; e làse egli si fosse fermatoben altri avvenimenti la storia avrebbeavuto da raccontare ai posteried il cammino dell'umanitàavrebbe forse dovuto piegare per sentieri non sospettati da noi. Mal'eccessiva altezza mise il massimo degli uomini troppo presso allafonte della luceed ei ne rimase così abbagliato da nonvedere più le proporzioni degli uomini e delle cose.
Siamoin Milanola capitale del regno italicola regina di settantanovecittàla sede del governola gran fiera dei pubbliciimpieghiil convegno di tutti gli ambiziosi d'Insubriail palcoscenico di tutti quelli che devono o vogliono rappresentare qualcheparte nella grande epopea drammatica di quel tempo; la Babylo Minimain una paroladi Ugo Foscolola quale faceva da succursale allaBabylo Maxima di Parigi. Ci troviamo confusi nella folla davanti alpalazzo di cortein una notte di febbrajo. I dragoni reali rasentanola punta dei piedi dei curiosiche si accalcano per vedere gli dèie gli eroile dee e le semidee a discendere dai cocchi. L'aerenebbioso risuona dei boati plebei di cocchieri impacciati a stare infilaperiglianti nelle voltateattraversati dai gendarmi a cavallourlanti e minaccianti come Argivi e Trojani nel fitto della mischia.
Edor s'è fatto un po' di largo; procedono le carrozze. Eccoquella del duca Melziil guardasigilli della Corona. Le due livreegallonate e passamantate balzano a terra. Si spalanca la portieralagradinata si snodae si riversa sino a terra. Sua Eccellenzalentissimamente discende a mostrare una testa venerandache nascondela santa calvizie sotto una crosta fatta di cipria a ricordare itempi lieti del topé; S.E. è coperta da unaassisa ampialargalungatesanon suscettibile di piegaturacomese fosse foderata di legno; tutta quanta aspra di ricami d'oro arilievoa somiglianza d'un piviale del Corpus Domini. Egliascende lo scalone; parte la sua carrozza; altre subentrano. Igenerali Pino e Solaroli smontano e ascendono a lievi salti. ArrivaFontanelliil ministro della guerra; arriva il marchese Cagnolanella duplice sua qualità di signore e di artista. Arrivano inun fiacre di gala il medico Monteggia e lo speziale Porati.Arriva il gran giudice Luositutto sprofondato nel suo immensocravattone bianco. Vaccari e Bovara e Birago e Marescalchi sono giàsaliti da mezz'oradicono gli spettatori irremovibiliindarnoammaccati dal calcio del fucile del granatiere.
Arrivala carrozza del conte Aquila con sua moglie (diciamo Aquilaper non dire il vero nome di questo conte)il quale dell'aquilaaveva l'occhioil naso e la tendenza a volare in altissimo. Suamoglie (che chiameremo la contessa Amalia) è unaleggiadra giovinetta di vent'anni. Essa porta un berrettoncino allagrecadi seta ponsòcon una stella nel mezzodi rasobiancodove un grosso diamante rifrange la luce in iridi fuggitive.Ha un soprabito di velluto ponsò ricamato in argentoda cuitrapela un sottabito bianco di stoffa alla grecatutto con righe alamapure d'argento. Il conte Aquila ha l'abito nero di setaconricamo color verde a foglie di querciacon bottoni e spada inacciajo; cappello con piume bianchebottone e cappio in acciajo efibbie d'argento.
Questacoppia giovaneche ben potea rappresentare la forza e la grazialaviolenza e la sommessioneè trattenuta in sull'ingresso delloscalone da un'altra coppia discesa allora allora. Era l'avvocatoFalchi con sua moglie detta: l'Avvocatessa. CodestoFalchi è un pseudonimo; se il lettore ci sa pescarecipeschie si diverta. Del rimanente questa donna noi l'abbiamo giàvista al teatro della Scala la sera del ballo del papaed era unadelle tre dive seminude. Essa in poco tempoinsieme col suo maritoera ascesa



Dalnulla avito al milionario onore.


L'avvocatessaFalchidette alcune parole alla contessina Aquilae chiesto a unaguardia se S.E. il ministro Prina era già venutoed avutanela risposta affermativaascese con ostentata lentezza le scaleguardando con invidia la giovane contessina. La Falchi aveva passatiquei trentacinque anniche per l'uomo sono il mezzo della vitasecondo il computo dantescoma per la donna ne son quasi i dueterzi. Bella veramente non era mai stata; ma le forme del corpo ebbemaestose e dense e appetitose; e nel voltodal naso adunco e dagliocchi grifagniscorreva una certa protervia salaceche nondispiaceva agli uomini poco esteti e frollii quali antepongono lostrutto all'olio di Nizza! E altre dame dell'antica e della recentearistocrazia vennero in seguito; e per più di mezz'ora laprocessione delle carrozze sostava ogniqualvolta c'era da deporre oqualche principeo qualche marcheseo conteo generaleocolonnelloo capo squadroneo tenenteo sottotenente che appenaavesse avuto da pagare il fiacre.
Maè tempo di uscir dalla folla esclusa dalle aule regali; ed'involarci alle morbose influenze dell'aere nebbioso e rigidoe diapprofittare del nostro invito e del nostro frack per salire al pianosuperiorea diguazzarci nel mare luminosodove la storia puòfare i suoi riassunti ballando la contraddanza o bevendo un bicchieredel napoleonico Chambertin.
Entrandonelle sale del palazzo reale di Milano nel 1810la recentemagnificenza era taleche per alcuni momenti lo sguardo si fermavaalle vôltealle paretiagli arazziagli specchiallestatueai dipinti prima di guardare alle persone che l'affollavano.Fra tutte poila sala del trono era quella per entrar nella qualebisognava attender qualche oraperchè da non molto tempoerano stati scoperti i dipinti a fresco dell'Appianirappresentantil'Apoteosi di Napoleone colle figure simboliche che le fannocorredo. Il cav. Lamberti ne aveva stesa l'illustrazionechestampata in una splendida edizione italo francese e filettata inoro e rilegata in raso e vellutopassava a migliaja di esemplari perle mani degli intervenuti. Allora quell'illustrazione del letteratoprofessorebibliotecariocavaliere e cortigiano parve degnadell'opera pittorica; oggi fa compassione a leggerlatanto dallinguaggio convenzionale e dalle frasi adulatorie e dalle generalitàestetiche trapela l'ignoranza di chi parla d'arte senza averne lacognizione. Ugo Foscolo in abito nero civilecol cappello piumatosotto il braccioe spada coll'elsa d'acciajoconfuso tra imoltissimiguardava i dipinti e leggeva l'illustrazione e parlavasommesso al cavaliere Brunetti e all'avvocato Marliani. Ma la suavoce era di quella tempra leoninasonora e profondache le sueparole non si fermavano all'orecchio degli amici a cui le volgeva inconfidenza; tanto che i Creonti ne approfittarono per riferirne ilsunto al medesimo cavaliere Lambertiche insieme col cavaliereVincenzo Monti stava in un angolo di quella sala stessa.
-Lascia gracchiare Nicolettodisse allora Monti a Lambertiil qualesi scontorceva per le parole sprezzanti di Foscolo che gli eranostate riportate. Ben io scuoterò la polvere de' suoi Sepolcria suo tempoe vedrete che quella fama ch'egli s'ebbe per meper medileguerà.
-Anche senza che voi scuotiate quella polvereil vento la porteràseco. Or finalmente venite tutti nel mio parerenon essere costuiche un gran ciarlatanoe non essere poeta chi ha potutodettare quell'intralciato e indigesto e fumoso carme deiSepolcri. Lascia dunqueLambertich'egli disapprovi la tuaprosa. Egli non avrà mai nè la tua linguanè latua correzionenè la proporzione del tuo disegno.
Cosìparlava l'arcigno e livido ed esagerato Giordaniche nella criticanon aveva nè misuranè giustizia rigorosama silasciava prendere dai consigli che gli venivano dal fegato morboso. Equesto fegato stillava un fiele tutto speciale ai danni di Foscoloperchè questi nella sua prolusione sull'ufficio dellaletteraturaprofessando il proprio disprezzo ai panegiriciimplicitamente aveva condannato anche quello con cui Giordaniillibero Giordaniprosternandosi innanzi a Napoleoneavevasfoggiato un'adulazione che avrebbe fatto ribrezzo anche ai tempi diRoma imperiale.
Alcrocchio di Monti e di Lamberti e di Giordani si unirono ilfrate prete spretato Lampredie Mario Pieriil quale eraindignato con Foscolo perchè non gli aveva mai accordatol'ingegno ch'ei pretendeva di avere; e vi si aggiunse Brunacci ancorasbuffante degli schiaffi che Ugosotto gli atrj dell'Universitàpavesegli aveva promessi; e fecero circolo don Marzio Anelli e unamezza dozzina di membri dell'Istituto nazionale.
UgoFoscolo in quell'anno aveva perduta la cattedraera in ira alvicerèera lautamente indebitatodisperatamente innamorato:avverso era al mondo e avversi a lui gli eventi. Irritatodalle recenti offesesparlava del governo; onde tutti coloro chesperavano e temevano tutto dall'altoed erano protetti ericompensati ed onoratilo scansavano come pericolosissimo. E adaccrescergli tanta indignazione s'aggiunse precisamente a quei dìla sua rottura con Vincenzo Monti. La causa era stata Omero. Chi mailo avrebbe detto al cieco d'Ascra? I più allora accusaronoFoscolo d'invidia. Ma oggi possiamo noi dir questo? oggi checonfrontando i sei canti dell'Iliade da lui tradotti conquelli del Montisi vede quanta differenza interceda tra i duelavorie come sia stato un vero danno che la eccessiva facilitàdi Monti abbia scoraggiato il suo rivale di perdurare lunghi anni inquell'impresache davvero pareva fatta per lui solo; per lui che erapoeta per lo meno quanto Montied aveva più passione e piùvisceree possedeva il privilegio di essere davvero italo greco.
Malasciamo la sala del trono e dell'apoteosie rechiamoci a vederealtre sale ed altre faccie.


II


Nellasala delle Cariatidinon al tutto allora compiutama cosìornata di velluti e veli e frange auree e festoni e fioriche anessuno appariva qual parte di essa avessero lasciato in sospesol'architettura e le arti sorellefervevano le danzema fervevanopiù nei cuori caldissimi degli ufficiali e delle damesospiranti in segreto agli spallini ed ai petti onorati di aquileferreeche nel muover dei passi misurati a convenzionale lentezza.La musica era diretta da Alessandro Rolla e dal Pontelibero.
Ivecchiche erano vivissimi nel 1810e vivono ancora oggie tennerodalla natura una tempra così robustae il tubere dellagiovialità così pronunciatoe pilori a macina dicostruzione così prodigiosa che ancora s'arrischiano avegliare ad ora tardissima; e se c'è una festa che esca dallasfera comuneson là pronti in cravatta bianca prima deigiovani ad assaporarlaci assicurano colle mani sul pettoche se lebeltà femminiliper qualità e quantitàsonooggi in una condizione ancor molto prosperamezzo secolo fafiorivano con insuperabile rigoglio; ma sopratutto ci assicurano cheoggidì la razza grande è quasi spenta affatto -la razza delle donnevogliamo diredai colli e dalle braccia diGiunone; o chevolendo lasciare in pace le olimpiche deitàpotrebbero servire allo statuario per modellare qualcuna delle virtùteologali.
Diquel tempo splendeva una Falchignoniche poi fece da Semiramide inteatro per usufruttare i grandi occhi e il naso d'antica perfezione ele ineffabili spalle; splendeva una Doria alta trentasei onciecomeuna cavalla normanna; splendeva oper dir meglionereggiava unaR...che al pari di Cleopatra avea fermata l'attenzione di Cesare.Splendeva una donna che vive ancorae serba nella facciasettantennepiù che l'arco di Tito e di Costantinole proveirrefragabili d'una sontuosità senza esempio. Ella partorìa tutto vantaggio delle arti belle un'inclita figliache proseguìpoi alla sua volta il lavoro e le benemerenze materne.
Splendevanodue contesseil cognome delle quali cominciava dalla lettera A...sacerdotesse assidue alle are di Ciproe velate di devotaincontinenza nei riti notturni della pallida Diana.
Inquella parte della sala delle Cariatidiche veramente potevachiamarsi il dipartimento olimpico della reggiacircondata dalledame di palazzoche erano la marchesa Parravicinila contessaCarcanola contessa Montecuccolila contessa Gallo d'Otimolacontessa Aquilasedeva la viceregina principessa Amalialeggiadra esoavissima d'aspetto:


Novellaspeme
Dinostra patriae di tre nuove Grazie
Madree del popol suo; bella fra tutte
Figliedi regi e agli immortali amica;



comealloraad onta dei rancori col vicerè e dell'opposizione cheesercitava contro il governo imperialeaveva dettato Foscoloinspirato e placato dalla bellezza e dalla virtù.
Affollatissimiintorno a quel gruppo di stelle si vedevano i senatorii contiibaronii commendatori di fresca data. Dei senatori si distinguevanoVeneriBoaraPrinaBorioli arcivescovo d'Urbinogiovane dibell'aspettotrasmutato nelle vesti in modo che di vescovile nonmostrava più nulla se non forse il bianco della camiciatrinata; Boara e Brême portavano il gran cordone della coronadi ferro. Cavalieri recentissimi erano il marchese Trivulziilcugino del ministro Prinache era provveditore del liceo di Novarail ciambellano Martinengoi professori Borda e Tamburini brevettatitutti nella grande sfornata dell'ottobre 1809insieme con tantialtri che avevano avuto il merito di essere arrivati in tempo. Acostoro e dalla sala e dalle tribune guardava la curiositàmaschile; ma la femminile pareva concentrasse il fuoco collettivodelle sue pupille sull'alta maestosa figura del pittore GiuseppeBossiche in assisa di panno color caffè a bottoni d'acciajovolgeva la parola ad un ometto piccolotutto vestito di nero coneletta semplicità.
Ilpittor Bossi poteva contare trentadue annie quantunque fosse tantotrasandato nel vestitoche comunemente lo chiamavano il foldoneera caro alle dame; caro tantoche i mariti ringhiavanosordamente alla sua comparsa come cani sospettosi. Ma egli era bellodi una bellezza all'anticain istile greco romano. Portava icapelli alla brutus fittilunghiriccifulvo cupicadenti a ciocche pittoresche sulla fronte fino a toccare la regionedei sopraccigliche aveva folti e piegati in così elegantearcocome se Fidia ci avesse messo lo stecco. E come augusto eral'arco del sopracciglioinsigni erano la linea del naso e i contornidella bocca e del mento; dalla qual cosa ognuno può farsicapace guardando uno studio fatto sul vero dal pittore Appiani. Aduna bellezza così eccezionale dava risaltoe fors'egli losapevala negligenza medesima che metteva nell'acconciatura;negligenza portata a tal segnoche molti sospettavano costasse moltopensiero precisamente a lui che ostentava di non pensarci; ma anchenoiai nostri giorniabbiamo conosciuto un elegante giovanechepoi uscì dalla follail quale faceva tali studj sullanegligenza del vestitoche tutti i giorni rinnovava sempre lo stessosbaglio nell'abbottonarsi il bianco panciotto alla Robespierre.
Contutto ciò le fisiche qualità del pittor Bossi nonavrebbero bastato a mettere il capogiro nel bel sessose non cifosse stata in lui quella prodigiosa versatilità di intellettoe di attitudiniche ne costituivano un'individualitàveramente distinta. Dopo Leonardosebbene in una sfera meno eccelsaegli fu il primo fra gl'illustri italianiche abbia rappresentato insè solo i caratteri di cinque o sei uomini. Pittorepoetascrittoreoratoremusico. Come pittore ci diede il disegno delParnaso; come scrittore i suoi studj d'alta critica intorno aLeonardo; come oratore i suoi discorsi accademici; come poetasegnatamente nel vernacolofu emulo di Portae tale emulo che Portamedesimo ne ingelosì; della musica sapeva quanto potea bastareper innestare sul piano delle variazioni leggiadre a quelle poesiechenel crocchio amico e per puro passatempoimprovvisavadeclamando.
Aciò si aggiunga una vena inesauribile di epigrammi arguti e dibuon genereuna grande scorrevolezza di spiritoun fare penetrantee lusinghieroun'amabilità continua. Ma rare volte èinamabile chi fu il prediletto della natura e della fortuna. Civorrebbe un'indole da cannibale per essere arcigni e rozzi sotto allapioggia dei dolci sguardi e dei cari sorrisi e delle lodi edell'ammirazione universale. Diciam questo perchè non si credache noi facciamo il panegirico al pittor Bossiil quale aveva poi ungran difettoquello di lasciarsi troppo facilmente vincere dallecontinue tentazioni; anzi se ne gloriava e vantavae ci annettevatanta importanzada tener nota delle sue più minute avventuree speranze amorosein un diario ch'egli giorno per giorno scrivevae che noi abbiam potuto vedere. Eccone un saggio: Questa seraalteatro della Scalanel corridoio dei palchiho baciato la marchesaP... ed ella mi strinse fortemente la mano: All'ertaadunque e avanti. - La moglie del comandanteBaraguais d'Hillier è tanto bella e cara quanto èodioso il marito. Ieri sera mi ha pregato e ripregato dilasciarmi rivedere. Io dunque la rivedròma non perniente. - La principessa D.... di Roma fuieri la regina della festa. Che maestà cheorgoglio! Mi si dice che sia invincibile; ma altre fortezzecapitolarono ed io le ho da fare il ritratto. -Esco adesso dalle stanze della Grassini divina. Chi me loavesse detto! Ed ora sono cognato di sua Maestà.
Nonoziosamente ci siam diffusi nel parlare del pittor Bossi; anzipreghiamo il lettore a tener nota di quanto abbiam dettoper tuttoquello che accadrà in avvenire. Ma egli continuava a parlarecol suo amico e collegail cav. Zanojacanonico di S. Ambrogiopredicatoreprofessore d'architettura in Brerae poeta satirico. Lasaetta dell'epigramma mordace e l'acredine della satira gli sivedevano in voltosegnatamente nel labbro inferiore piùsporgente del superiore.
-Sua Altezza pare di buon umorediceva Bossi.
-Tutte le cingallegre son liete.
-Egli non ha motivo d'esser triste.
-Colla sua testa e col suo cuore no.
-Voi alludete al divorzio cui fu costretta sua madre; ma giàera indispensabile.
-Lo soma non toccava a lui a far in Senato l'elogio dell'imperatoreperchè ripudiava la madre.
-Oracredete voi che il divorzio avrà per tutti un posto nellalegislazione?
-Toccherà al ministro Prina a pensarci.
-Volete dare al dicastero delle finanze gli attributi del culto?
-Quando occorreranno altri danarie col sistema corrente non c'èoro che bastiil ministro Prina consiglierà la sanzione deldivorzio; e valutando la consolazione di tanti mariti liberati unavolta per la virtù d'un paragrafo dai ceppi sacramentalimetterà sulla universale consolazione tali tasse da empire dueerarj. Avete visto come egli ha fatto l'anno scorso colla caccia?Prima era un privilegio di pochiche nessuno osava toccare; ma alministro occorrendo danariIl tempo dei privilegi èfinitoproclamò; tutti gli uomini sono egualitutti devono dunque andare a cacciae mise una tassa enorme sullelicenze. Quando una misura finanziaria può comparire inmaschera di salute pubblica e di umanitàè certo cheprospera. Così il divorzio entrerà nel regno italicosotto il braccio del ministro di finanza e il settimo sacramentoriceverà scacco matto dall'erario esausto.- E chi sache il primo ad imitare S. M. non debba essere Sua Altezza?
-Bisogna bene che il divorzio gli abbia dato alla fantasiaperdimenticare così indegnamente i riguardi dovuti alla propriamadre. Se poi al fatto del divorzio aggiungete l'aumento di unmilione all'anno con cui S. M. gli pagò la perfida mediazioneè facile a comprendere l'allegria che brilla sulla faccia delvicerè.
-Caro cavaliere professorenon deve esser questa la ragioneio civedo altro. Ma io posso penetrare in luoghi che son vietati a uncanonico di S. Ambrogio. Or fatemi un piacere. Per qualche tempotenete d'occhio il vicerè e la contessa Aquilache oggi haricevuto la nomina di dama di palazzoe sappiatemi dire il vostroparere. Or va ad avviarsi una monferrinae il vicerè stainvitando la contessina a volere ballar seco. Credetemi chel'allegria di questa notte non gli deriva nè da Giovenèdal tesoriere Plutone.
-FauniSatiriSilvaniDei cornuti... e che cosa diràil conte Aquila.... il Vice Lucifero?
-L'osso da rodere sarà più duro degli. altri. Mal'orgoglio del conte lo salverà da qualunque sospetto.
-Ma guai se il sospetto romperà nel suo orgoglio!
-Io mi meraviglio però come esso abbia concesso alla propriamoglie di accettare la carica di dama di palazzo.
-È presto pensato.
-Cioè?
-Perchè facesse più rumore il suo rifiuto alla carica diciambellano. Siccome poi è voce che circola in piazzache ilvicerè è il gallo della Checcail conte avràpensato di stornare la taccia di marito geloso coll'ostentarenoncuranza e disprezzo. Costui è giovane della piùstrana e straordinaria natura. È un miscuglio di Catilina e diGiulio Cesare. Ora ei si tiene in disparte dalla cosa pubblicarifiuta caricherespinge onori per il solo motivo che non èvacante un posto d'imperatore. Per quello presenterebbe volentieri lesue petizioni. Io lo conosco benissimo.
-Lo conosco anch'io assai bene; e tanto chese sua moglie fosse miasorella o mia figliaio vivrei dì e notte in continuo timore.
-Vada per la mogliema la cosa più pericolosa è ilnascere suoi figli.... il suo primogenito lo ha provato.
-Possono esser calunnie.
-Lì c'è il dottor Monteggia. Interrogate lui. La cosa fumessa a tacere; ma quel che è avvenuto non si puònegare. Pare che il conte abbia voluto imitar Giovanni de' Mediciquando per interrogar l'avvenire ed esplorare a che cosa eradestinato il suo unico figliuoloingiunse alla moglie digettarglielo giù in braccio dalla finestra. Ma se Cosimobambino fu accolto sano e salvo dalle braccia paterneperchèdoveva diventare il Tiberio della Toscanaal figlio del conte nontoccò la stessa fortuna.
-Il conte però non fece come il Medici...
-No; ma gettando egli stesso in alto il bambinocome se fosse unapallae ripetendoad onta degli strilli infantiliil giuocospietatovenne la volta che gli cadde in terrae là giacque.
Mentrecostoro parlavanoavendo il maggiordomo di corte fatto segno aldirettore d'orchestra Alessandro Rolla che annunciasse unamonferrinaprimo il vicerèdando braccio alla bellacontessina Aquilas'avanzò nel mezzo della sala per aprire ladanza.
Beauharnaisquantunque contasse appena ventinove anninon aveva nessuna fisicaattrattiva; era già calvoera atticciato. Maper compensoaveva modi gentili e insinuantie una grand'arte nel darla adintenderespecialmente alle donne. Era francese in tuttal'estensione della parolacon un viso a zigomatici rilevati e a nasorivoltatodi quelli che tanto abborriva l'italico Alfieri; mapersua fortunale donnenon essendo sempre profonde in estetica elasciandosi lusingare troppo facilmente dalla possanzadalla gloriao dalle sue apparenzedalle vesti pomposelo giudicavano assaifavorevolmente. Egli poi aveva la prerogativa di esseresul terrenod'amoreun cacciatore instancabile; ben potevano le beccaccie e lebeccaccine deviarenascondersitentar voli subdolifargli perdereinteri giorni; egli non abbandonava la predafinchè veniva ilpunto d'aggiustar bene il tiroe di lasciar la fuggitiva con qualcheala infranta.
-Queste salecontessaposso giurare d'averle aperte espressamenteper voi (così nel suo francese diceva Beauharnais allacontessa Amalia). In febbraio io vi attesi invano tutta la notte alballo che mi diede il Senato: peròquantunque fosse miaintenzione di non dar feste altrimenti in quest'annoperchèdevo partir subito per il matrimonio di S. M.pure ho cambiatoconsigliosapendo che la vostra novella carica vi costringeva aintervenire alle feste di corte.
-Se sono venutadisse gentilmente la contessaè perchèmio marito me lo ha permesso.
-Se vostro marito ve lo ha permessoè perchè non potevaimpedirlo.
-Poteva impedirmi di accettare la carica di dama di palazzo.
-Io dunque non ringrazierò che vostro marito.
-Oh.... ma non fatealtezzach'io debba lamentarmi della suacondiscendenza....
Ilvicerè si sentì esaltato da queste paroledando lorola più ampia interpretazione.
Dallosguardo che solo aveva insinuante ed espressivogli trasparival'intima gioja. Nel passare in mezzo alle vive cariatidi dell'imperoe del regnovolgeva parole amabili a tutti e loro comunicava quellenotizie che potessero dar piacere e soddisfazione.
-Eccellentissimo signor ducadicevapassando dinanzi al granciambellano Littada questo momento ho finito di chiamarvi marchese.Il governo di S.M. ha riconosciuta la dote che voi avete assegnata alducato cui foste innalzato fin dall'ottobre passato. - Caromarchese Trivulzioggi è venuta per voi la nomina diciambellano; preparate le chiavi. - Il signor conte Annonipermetterà che lo saluti commendatore; - e via suquest'andare.
MaRolla diede il segnoe il vicerè aprì la monferrina.Assai presso al vicerè e alla contessa Aquilatrovavasimadama Falchiatteggiata anch'essa per la danza. Il pittor Bossiamico suo di casastaccatosi dal collega Zanojas'era messo asedere al posto di leiintanto che ella erasi alzata. Appena lamonferrina finìil pittore fu presto a levarsi perrestituire il posto a madama.
-Manon ho volontà di sedere- essa gli disse; -piuttosto accompagnatemi a fare un giro per le sale. Se il pittorech'era ottimo di cuoreavesse saputo di che si trattavacerto nonavrebbe accompagnata quella donna. Però non lamentiamoci dellasua condiscendenza fatale; la Falchi in ogni modo avrebbe trovatol'accompagnatore. In quanto a noistiamo attenti a ciò chesarà per fare coleiche fu davvero in quell'occasione:



L'infernaldea ch'alla vedetta stava.


III


Mentrela panterafiutata l'orma della gazzellasi appiatta adocchiando edaspettandodiciamo qualche cosa della contessa Aquila; teniam contode' suoi diporti in casa e in collegio; interroghiamo i suoi maestrila sua governante; tentiamo di eccitare il suo confessore a svelarqualche segreto; sopratutto vediamo di far cantare qualcuna delle suepiù intime amichedi quelle che dall'infanzial'accompagnarono fino ai quindicifino ai vent'anni.
Cheinteresse desterebbe il nostro racconto se ci fosse concesso dimanifestare il nome e cognome di questa nuova eroina! Quando si pensache vivono ancora tante persone che l'hanno conosciuta più omeno dappressoed è infinito il numero di quelle che laconobbero di vistaè un dolore per noiche siamo artistinemicissimi del convenzionalel'essere costretti a trattare questopersonaggio come se fosse un idealementre fu vivo e vero erealissimo. Ma se è un dolorenon è un ritegno; anziper consolarciè un'occasione di più per lasciarlibera l'uscita a tutta quanta la verità e per mettere alloscoperto tutti i segreti. Peròse non potrà essereappagata la curiosità del bel mondotroverà maggiorpascolo il filosofo investigatorecheal pari del medicohabisogno di conoscere i più minuti elementi che produssero edesacerbarono malattie ed ammalati celebri.
Cominciamointanto dal direche il titolo di contessinaessa lo trovòin casabell'e fatto da molti secoli. Il suo casatose nonricchissimoera cospicuo. I suoi genitoritanto il maschio che lafemminafurono buoniper taluni anche ottimie di costumi assairigorosi: così rigorosida non parer contemporanei di quellagenerazione lieta e gaudente che inventò il topée la cipria. Le amiche della fanciullache vissero con lei gli annidell'infanzia nel monastero di S. Giuseppe (d'una delle quali noiabbiam conosciuto il figlioche dalla madre tenne molte notizie)furon tutte d'accordo nel direche indole più mitepiùsoavepiù angelica della sua non ci fu mai; aggiungendo peròche tutte queste qualità erano mantenute nel loro piùperfetto stato di conservazione da una gran dose di ghiaccio nativo:press'a poco come avviene di alcuni prodotti vegetalichese non sitengono in frescosi corrompono.
Nonera per altro del parere comune la madre di quel tal figlio che noiconoscemmola quale per combinazione fu la sua amica piùintima e più costante. Per suo mezzo potemmo raccogliere chela calma serafica era tutta nell'apparenza di quella creaturama disotto all'onda gelatanon ostante una gran bontà e gentilezzadi naturaferveva e bolliva e scorreva la lava. Di questo peròil mondo non ne seppe nulla. Bensì quand'ella fu uscita dimonasteroe dopo cheavuta in casa una educazione diperfezionamento più variapiù ampia e piùsquisitatoccò i quindici annifu generale la voce chetrale adolescenti da maritonon v'era in tutta Milano fanciulla piùeducatapiù bellapiù santa. Orain quel periodoappuntotra i giovani patrizj milanesiper vigore d'intellettopersuppellettile di cognizioniper energia di volontàperprepotenza d'orgoglio aveva un assoluto primato il giovane conteAquila. E poichè in tutto ei voleva essere il primo -mise gli occhi su quella che si diceva essere la più elettatra le maritande del patriziato milanese.
Mapiù che tutte le distinte qualità della contessinaciòche davvero aveva determinata la scelta del conte Aquilaera lagiovinezza di lei. Tra le fanciulle da marito ch'ei conosceva degnedi luiera la sola che avesse compiuto da pochi giorni gli anniquindicil'età legale. Se la leggecome in SiciliainEgittoin Arabiaavesse permesso di sposare una fanciulla a dodicianniegli avrebbe scelta quella che non avesse sorpassata quell'età.E a ciò era portatonon già perchè fosse amantedell'eccessiva giovinezza: il suo gusto lo portava anzi a vagheggiarela donna cheal pari di una mela e di una pescaavesse tocca la piùcompleta maturanza; ma sì perchèconoscendo il mondo egli uomini ed anche le donnepensava chea sorprendere in sui primialbori una rosa sbocciata di notteancor madida delle gemme dellarugiadasi poteva quasi esser certi che altri non aveva potutoaccostarvi le nari.
Erasempre l'orgoglio che lavorava; era il tormento del primato. Il conteponeva lo sguardo alla futura sua sposapress'a poco come unbibliomane lo pone a un libroche è avido di acquistare nongià per la materia che contienenè per il pregio deldettato; ma perchè sa che dell'edizione principefatta inpochi esemplari e involata dal tempoè l'unico che siarimasto. Quando una ragazza che va a marito è destinata a farla figura di un libro in cartapecorail lettore può bencomprendere che nemmeno la prima luna abbonderà di miele.
Oraper disgrazia della giovinettail signor conte Aquilaricco ditutte le doti che possono rendere appetitoso uno sposopiù aipadri e alle madrigià s'intendeche alle figliuolechiesela mano di leiche senza un ostacolo al mondo gli venne concessa daiparentie così fu conchiuso e stretto il matrimonio;matrimonio modelloperchècome un contratto di compra evenditacome un atto ipotecariocome un passaportorecava tutte lefirme e tutti i bolli voluti dall'autorità.
Gliuomini che portarono dalla natura il dispotismo e la gelosiaedhanno sì poca fiducia nelle donneche se la civiltà lopermettesseadotterebbero volentieri il sistema orientale deglieunuchi custodi e spie; o rimetterebbero in vigore le consuetudinidei baroni del medio evoche chiudevano sotto chiave la fedeltàmuliebrehanno sempre fatto malissimo i loro conti. Essi non hannopensatoche non è il possesso materiale della donna cheimporta; ma il suo affetto. Ora l'affetto non s'imponenons'imprigionanon s'ipoteca; come tutti gl'imponderabiliesso nonpuò essere contenuto in nessun recipiente. I poeti e glistorici ci hanno assicuratoche la donna non fu mai tantoidealizzatarispettataidolatrata come nel medio evoperchèin quel tempo s'introdusse l'invenzione delle così detteregine delle feste e dei cuori. Ma se i nomi sono speciosi elusinghierie se le apparenze sono belle e buonecari i miei poetisempre pronti a scaldarvi d'entusiasmostorici egregi sempre corrivia far dei sistemiabbiate la bontà di considerare che invecenon fu mai tanto materializzata la donna come dal giorno cheperassicurare la loro fedeltà corporeafu messa la ceralacca sulloro pudorecome se si trattasse di uno scrigno da consegnarsi altribunale. Non è così che si rispetta la donnasignoristorici e poeti.
Gliuomini del mondo romanoche voi avete condannati come dispregiatorie conculcatori della dignità delle donnesi fidavanoofingevano almeno di fidarsidella loro parola. È un beltratto di cortesia. Le donnesul terreno dell'amore e della fedeltàeran le sole custodi responsabili di sè stesse. È aquesto patto che si rispettano. Ora il conte Aquila era un verobarone del medio evo. In attestato della più profondadevozione all'onore di sua mogliese avesse dovuto fare un viaggioarmato in Terra Santaavrebbe prese tutte le misure per assicurarsiche non sarebbe stato violato il casalingo tesoro. Ma il signorconteal pari di qualunque cavaliere della spedizione di Palestinafaceva i conti senza l'oste. Considerando la donna come se fosse unastatua d'inestimabile pregioma senz'anima e senza sanguenonpensava che la fedeltà si può rompere con un desideriocon uno sguardo; non parliamo dei baciDio ci liberi; e che idesiderj vengono e che gli sguardi si comincia a mandarli in giroallora appunto che si sente il peso delle catene. Non c'ènessuno che più del prigioniero sia avido di cielo e d'aria.Ben è vero che il proverbio: l'occasione fa l'uomo ladroconsigliò molti mariti a non lasciar mai sole le propriemoglia vegliare dappressoa farle vegliare. Ma se questo proverbiopuò dar molto da pensarenon fa minor senso quell'altro: laproibizione genera l'appetito. Comprendiamo assai bene che unmaritocollocato tra questi due proverbjsta peggio di un soldatocollocato tra due fuochi. Ma bisogna pur pensarci e prendere unarisoluzione. Il conte Aquila non ruminò che il primoproverbioe a quello s'attennee non ascoltò che le sueinspirazionie qui fu il danno. Quanti guai di meno se da filosofoindulgenteche vive e lascia viverenon si fosse regolato che colsecondo!
Quandola contessina entrò sposa nella casa di luioltre ad esseregiovine come l'acquaaveva tutte le virtù di cui puòandar fornita una fanciulla. Mase la soave timidezza del suocontegno poteva far sospettare quel ghiaccio di cui abbiamo parlatoil ghiaccio non c'era. Noi confessiamo di portare una avversionespecialeaccanitaper tutti gli uominiper tutte le donne che sonbravi e virtuosi perchè sono gelatiche non bevono perchènon hanno mai sete. Ora la contessina aveva la sua setecome il suosangue aveva i suoi bolloricome il suo cuore i suoi sussulti e isuoi slanci. È appunto per questo che ella era una carafanciulla; una fanciullacioè secondo naturae secondo lapiù perfetta e la più florida natura. Tutto peròera in germenulla v'era di sviluppato. Quindici anni son pochi; eun marito che si piglia in casa una creatura da far crescere esvilupparese non ha una dose abbondante d'intelligenza ed'esperienzama sopratutto di bontà e d'amabilitàèun affar serio tanto per il coltivatore che per la pianta.L'intelligenza nel conte c'erac'era l'esperienza; ma la bontàmancava affattoe l'amabilità. Il conte era un uomoloripetiamoorgoglioso ed ambizioso; sempre tormentato dall'idea chein tutto il regnoper quanto girasse lo sguardonon v'era un postodegno di lui; sempre pensieroso del fatto chefin che duravaquell'ordine di cose di cui Napoleone era stato il generatore e ilpadronela fortuna stava tutta per quegli uomini che erano sorti conlui e per lui. Codesto tormento ei lo sentiva tanto più fortein quanto non vedeva per allora nessuna nubenessun lamponessunsegno atmosferico che accennasse a un cambiamento di tempo. Ilbarometro segnava sereno costante. Guai per chi desiderava untemporale! Fantasticava ei dunque continuamentetrasportato dastrani desiderj in campi ignoti; press'a poco come chi ambendovivamente una prodigiosa ricchezzapensa a fortune ed ereditàsenza sapere da che parte gli possano venire.
Semprepieno di queste ideeera meditabondo e cupo. Non era cortese se noncon quegli amici chetirati nel vortice delle sue ideela pensavanocome luie lo applaudivano quandomettendo l'ipotesi d'unapossibile caduta di Napoleonecon quella fantasia e quell'eloquenzache deriva dal pensiero più costante della vitaaccennava afuture combinazioni europeealla caduta di tutti quelli che chiamavaadulatori e satrapi e schiavi e vili. Una fanciulla di quindici anniche abbia un simile maritosi trova ben peggio che inmonastero o in casa. Esso non si pigliava veruna cura della felicitàdella contessina: a lui bastava che fosse virtuosafedeleintangibile. Credeva che non avendo mai conosciuto il mondo nonl'avrebbe desiderato; ma spesso la vegetazione prospera in sèstessa e per le occulte virtù della natura; ma il non aver maiprovato le passioni prima di quindici anninon vuol dire che non sidebbano provar dopoperchè l'isolamento non basta a preveniredei maliche sono sfoghi necessarj nella vita moralecome certiesantemi nella vita fisica. Il vajuolo può investire anche chivive da molto tempo isolato dagli uomini; e spesso l'elementovenefico vien recato da regioni nemmen sospettate. E così fudella contessina. Se il conte avesse saputo da che periglio ell'eraattesal'avrebbe piuttosto gettata nelle braccia di mille spasimantivolgari.


LIBRODECIMOQUINTO


SOMMARIO


Ilfiglio del conte Aquila. - L'anno 1809 e il vicerèBeauharnais. - Una festa in casa Litta. - Don Giovannie fra Cristoforo. - Il vicerèle classichereminiscenze e il medio evo. - Beauharnais e la Falchi. -Il conte Aquila e il vicerè. - Ugo Foscolo. - Ilcolonnello Baroggi. - Un bacio e un colpo di scudiscio. -Il ministro Prina.


I


Ilconte Aquilaorgoglioso di posseder la contessina Amaliain quellaguisa onde un Arabonell'idea di perpetuare la celebritàdella razzatien preziosa una puledra nata in incliti presepj dainclita coppianon desiderò altro che di avere un figliuolo:maschiogià si intendefortebelloingegnosostraordinario. Se gli avessero detto: «per adunare nel tuoprimogenito tutte codeste qualitàè necessario che lamadre muoja nel parto»ei non avrebbe esitato un istante arispondere: Muoja. In simile maniera un possidente non hanessuna pietà del baco morituroper l'aurifera seta che glidee produrre.
Davero fisiologo e teologoei non considerava il matrimonio in sèstessoma pel suo fine. Il multiplicamini della Bibbia non fumai interpretato con più spiegato rigore scientifico. Lascienza non ha viscere. E il suo desiderio fu presto appagato;appagato in massima; e perchè il figliuolo fu esatto nelvenire in luce nel più breve tempo possibilee perchèfu un maschio. Ma la forzafin dal primo momento che il fanciullofece capolino dal nullanon si rivelò nè al padreansiosonè all'ostetrico esperto. Non la forza e non labellezza: due cose chead onta della speranza che stava sempre inaspettativa di qualche benefica sorpresa della natura onnipotentenon comparvero nemmeno in un annonemmeno in due.
Ilconte Aquila cominciò allora ad amar la madre più delfigliuoloil qualeper dispettonon accusava neppure svegliatezzadi spirito. Il conte diventò cupo più che maiebisbeticoed anche un po' inumano. Voleva come sciogliere edisnodare quella natura inerte e disadatta.
Senzavolerloegli sfogava l'interna stizza quando al fanciulloconintento ortopedicostirava e gambe e braccia e colloper vedere dimigliorare coll'arte lo scarto della natura. Il lettore si ricorderàdel dialogo tra il pittor Bossi e il canonico Zanojadove vennero atoccare della morte di quel fanciullo. Pur troppo il fatto era vero.Avendo egli l'abitudine di far subire al fanciullo una ginnasticaintempestivaqualche volta lo palleggiavalo forzava a star drittosul palmo della manolo gettava in alto per riprenderlo nelleproprie braccia. La contessina Amalia tremava e pregava e piangeva aque' giuochi perigliosi; il fanciullo strillava; ma il padre erairremovibileperchè tenevasi certo di giovare allo sviluppodel figliuolo. E venne il dì chesiccome sappiamogli caddein terrae là giacque. - La nutrice accorsemaindarno; la madre svenne; il conte rimase attonito e atterrito. Fumandato a chiamare il dottor Monteggia. Ma la scienza non risuscita imorti. Al racconto che fecero e nutrice e madre e astantiil celebrechirurgopreso di sdegnostette per rimproverare acerbamente ilconte. Ma il conte lo saettò collo sguardo in modoche alprofessore non bastò l'animo di parlare. D'altra partedalrimprovero non scaturiva un rimedio.
Dopoquesto caso funestola contessina Amalia sentì nascersi incuore un'irresistibile avversione; per il conteprimanon avevaprovato che rispettostimasoggezioneamore non mai; nemmenoquell'attrazione istintiva equasi a diremeccanicache unagiovinetta può sentire qualche volta per un uomo giovaneperfettamente costituito. In ogni modo quandodopo qualche tempovenne diminuendo in lei il rammarico per la morte dell'unicofigliuolodiminuì anche l'avversione. Le rimase perònell'animo quanto basta per renderle incresciosa la vita maritale. Nèil conte desisteva dal suo contegno ottomano; la contessina eratenuta in casa il più del tempo; quand'ella riceveva visitecosì d'uomini come di donne (e a ciò v'era l'orastabilita)egli non la lasciava mai sola; segnatamente colle donneche dal punto di vista dei cattivi consigli e delle tentazionieicredeva assai più pericolose degli uomini stessi; e in questonon aveva forse torto. Quand'ella poi usciva di casa senza il signorconsorteper l'igienica necessità da lui ben compresa dicambiar ariac'era l'obbligo della carrozza. Guai s'egli avessesaputo cheper snodare un po' le gambeella avesse osato farqualche passo nei pubblici giardini o sulle mura!
Perquesta operazione era indispensabile l'accompagnatura maritale. Iltempo peròche cambia tutte le cose di questo mondoe inducequalche lassitudine perfino negli uomini più rigidi e piùtenaciallentò le redini anche nelle mani del conte. Dellasua giovane moglie egli non ebbe mai a lagnarsi; non mai unadisobbedienzanon un atto di malavoglianè un segnofossepur fuggitivo e involontariodi malumore. Ben rassicurato adunque diavere per compagna una donna marmoreacominciò a lasciarlasola qualche volta in conversazione; le permise d'andare a trovarsola qualche amica. Nell'occasione di alcune feste straordinarienongià permiseperchè ella non gli domandò mainullama le ingiunse espressamente di comparire in esse pomposamentefoggiata. Assaporando il trionfo di sentirla lodata e ammirata ecitata dagli uomini e dalle donneperfino dai galanti ufficialicome un modello insuperabile di virtùanzi come un'eccezionerinnovò quei comandi. Era sempre la smania del primato che loconsigliava. Nè la contessasebbene qualche volta girando losguardo sentisse qualche lampo istantaneo di desideriopotevacorrere nessun pericolo. Quantunque bella e leggiadra e soave esimpaticissimaellain quanto agli effettiera nella condizione diuna donna diabolicamente deforme; chè nessuno dei giovinottipretendenti e battaglieri osava accostarla con intenzioni oblique;nessuno si sarebbe fatto lecito di rivolgerle una di quelle frasiche sono gli scandagligli ami e le reti della galanteria.
Nonsi spera se non ciò che è possibileanche dando allapossibilità il più esteso confine. Ma l'impossibile nonentra mai nel giro delle nostre ambizioni. Bonaparte quand'eracolonnello a Tolone non sognò mai di diventare imperatore; malo sognòlo desiderò e potè sperarlo quando fuconsole. Ora la conquista di quella donna era considerata dal belmondo fuori affatto di ogni sfera di probabilità. Ella eraforte e impenetrabile come il diamante; ed'altra parteil maritofaceva assolutamente paura; paura mescolata di ammirazionequandoanche non voluta. Egli era uno di quegli uomini rariche esercitanosugli altri un fascino arcanosebbene potesse essere un fascinoodioso. Anche il duellista più intraprendentepiùsfacciato e provocatorenon avrebbe mai voluto aver brighe conquell'uomo là.
Eil conte si accorse di tutto ciò; ed anche la contessinaleggiadra se ne accorseediciamolo purecon un certo rammarico.Aveva toccati i venti anni; lo sviluppo fisico avea raggiunta la suamassima pompa; il sangueche non domanda il permesso al signorcuratocominciava a bollire fieramentened ella conosceva ilsegreto del ghiacciotanto usufruttato da S. Francesco. Vedevapertanto e guardava e contemplava gli attraenti splendori della vitavivacome il povero Mosè condannato a vedere in lontananza igrappoli della terra promessaed a morire senza poter mettervi illabbro. Povera contessina Amalia!
Perqualche tempo i nuovi pensieri passavano e ripassavano nella mente dilei senza fermarsi. Ella versava in quello stato di apatiaincresciosasenza gioja e senza doloreche lascia gli occhi oziosial pianto e rende il labbro incapace al riso. Stato molto simile aquel malessere indefinitoche alla lontana suole annunziare nelcorpo umano lo sviluppo di una malattia di carattere. Ma se la curaprofilattica e l'acqua imperiale può giovare talvolta neiturbamenti fisici a far dileguare il germe d'una infiammazionefuturapei turbamenti del cuoreche sono necessità dellafisiologia sentimentalenon v'è acqua imperiale che giovi. Senon è oggi sarà domani; ma il giorno dell'eruzione èinevitabile.
Senzaannojare il lettore col richiamargli alla memoria le grandi battagliee le vittorie luminose ottenute da Napoleone nel 1809gli diremosoltanto che quelle vittorie dovevano portare il disastro nel cuoredella contessa. Che colpa ne avea Napoleone? D'altra partecherelazione può avere la tattica e la strategia e il valormilitare con una donna che vive in ritiro? In apparenzanessuna. Senon fosse cheverso la fine del 1809il vicerè EugenioBeauharnais ritornò in Italia. Questiper quanto ne portòla fama e per attestazione concorde dei prodi che avevano militatosotto di luisi era coperto di gloria. I cittadini e gli uominidella paceche da qualche tempo avevano cominciatoper dellecagioni anche giustead avere in qualche uggia il vicerèdovettero subirevolere o non volerequel fracassìo digloria. Gli uominiche si erano intiepiditi a suo riguardolocelebrarono; i maldicenti cangiarono argomento; gli odiatoricompresero le ire. Tutto questo in quanto al sesso forte. Rispetto alsesso debolele cose avean proceduto e procedevano diversamente.Talune delle cagioni giustissime per cui i maritigli amantiifratellii cognati avean preso avversione per il vicerèeranquelle cagioni medesime per cui alle donne invece era riuscito eriusciva tanto simpatico. La cosa è naturale. Il difettocapitale nel vicerèlo abbiamo già dettoconsistevain un sistema continuo ed esagerato d'infedeltà conjugali. Ilsuo lato vulnerabile si scopriva ogni volta che veniva alle prese colnono comandamento. Ma le donnein generaleche sono dispensate daquel paragrafo del decalogohanno un gusto matto che esso vengainfranto dagli uomini. Le donne hanno tutti i torti; ma è unaquestione di gusto come un'altrae bisogna lasciar andare.
Lagloria esercita sulle donne un fascino speciale. Sia dessa d'oro o diprincisbeccofa sempre su di loro il medesimo effetto. Se poi èuna gloria cogli spallini e gli sproninon c'è piùnessuno che le tenga. Povere donnenoi almeno le sappiamo compatire!Ad un uomo circondato di gloriapurchè sia un po' giovane(qualche cosa già ci vuole)le donne sono capaci di perdonarela calvizie incipientela ventraja incipientei labbri grossiunnaso che non sia perfettamente in regola col codice dell'arte grecaecc.ecc. In questo esse sono assai più soprasensibili espirituali degli uominii quali di solito preferiscono la bellafacciala pelle frescae delle linee curve afrodisiache.
Premessotutto ciòquando Beauharnais fecedopo il suo ritornolasua prima rivista in piazza Castellogli istoriografi notarono chele mani che più applaudirono furono di femmine; notarono chela loro maggioranza aveva conchiuso col direche le fatiche dellebattaglie lo avevano reso più simpatico; sopratutto che loavevano fatto dimagrare. La magrezza è un altro ingredientechein generalenon dispiace alle donne. Paride era magroLeandroera magroAbelardo era magroRomeo era magroJacopo Ortis nonlasciò nemmen tempo al tempo di farlo ingrassare; se poi ilPetrarca era grassoè perchè non doveva esserecorrisposto; ma andiamo innanzi.
Alleriviste militari tennero dietro le feste a corte; le feste in qualchecasa patriziadove il vicerè si compiaceva d'intervenire. Fratutte egli preferiva la casa Litta: casa proverbiale allora per laricchezza e la cordialità. Il marchese Litta gran ciambellanocreato duca nel 1809aveva una sostanza di più di 30 milioniche oggi equivarrebbero a 60. Aveva il primo guardaportone del regnoitalico; il primo cuoco con nove mila lire di stipendio (la paga diun capo divisione di ministero); sopratutto possedeva il piùsontuoso vasellame d'oro e d'argento che allora si conoscesse. Lacasa reale non arrivava a tanto. Baldassare avrebbe dovuto ricorrerea lui per adornare il suo festino. Il vicerèche amava lepompe e gli scialie teneva dall'imperatore la commissione dieccitare il ricco patriziato a spendere e a rovinarsiaffettava peril duca Litta un'assoluta predilezioneallo scopo di far nascereimitatori e gare. Il vicerè si recò pertanto una nottead una festa in casa Litta. Il conte Aquila chesdegnando le aure dicortesi faceva sempre desiderare alle feste vice realiostentò di figurare in casa Litta tra i primi amici del ducanon solo facendovi intervenire la mogliema adornandola con tantapompa di gemme e di trineche fu proclamata la regina della festa.Il vicerè che l'aveva vista altre volte in occasioni comuni epartecipava per lei al sentimento generaleediciamolo pureancheun po' alla paura del maritoin quella notte si sentìfieramente colpito dalla contessa Aquila; non gli era mai sembratacosì bella; era la prima volta che la vedeva splendida divestiben si poteva direregali.
Ilrispetto e la paurache quasi sempre trattengono dal volerconquistare le cose che piacciono indifferentementesi trasmutano ditratto in incentiviche inviperiscono ed esacerbano il desideriosel'oggetto altre volte veduto ci sembra diventato prezioso oltrel'usato. Ed il vicerè sentì il coraggio e lairritazione degli ostacoli; e portata repentinamente l'indole suagià baldanzosa e temerariaall'estrema sua espressionecolseun momento che il conte non trovavasi nella sala dov'era la contessa:fu guardingo anche nel cogliere il punto che altri non potessesentire; e con quell'accento francese pieno di fascino e di graziach'egli aveva ereditato dalla madre Giuseppina e teneva in serbonelle grandi occasionile rivolse poche parole: poche e tronche edove l'audacia d'una dichiarazione non preparata da nessun antefattoe che poteva anche venir giudicata come una scortesiaraggiunseinvece quell'effetto che viene dall'ispirazione; press'a poco comecerti trovati del genioche sembrano spropositie sono miracoli.
Ilvicerè parlò e partì e lasciò la festaed anche questo fu un capolavoro d'astuzia. Egli conosceva le donne.Povera contessa Amalia! Quelle parole essa non le aveva mai sentiteda nessuno. Il superbo marito non ne ebbe mai. Quelle parole furonocome un raggio azzurro di cieloche si rivela dopo una lungaaspettazione a delle pupille desiose! Oh fatalità! Ohtradimento della nemica fortuna!


II


Lagioja più intensa e sopracuta che fa provare l'amorecosìalmeno ci assicurano i professionisti e i dilettantisuccedequand'esso fa la sua annunciazionecome l'arcangelo Gabriele; quellagioja è d'un prezzo inestimabileperchè in quellaprima ora non vedendosi che la faccia radiante della novellacondizione in cui l'ingaggiato viene a trovarsiquella gioja non èalterata da nessun elemento eterogeneo; non ha lega nessuna nèdi ramenè di zinco; è oro puro a mille. Ma l'oro puroa mille convertito in moneta si piega nelle manie va soggetto adelle avarie. Gli usurai tosarono senza pietà gli zecchini diVenezia. Ora anche la prima gioja dell'amore si riduce presto aiminimi termini. La giojaintendiamo benenon l'amore; questo anzicresce a dismisura e in ragione inversa della gioja stessa. L'amores'alimenta d'affanni e di spasimi. Chi ci ha trasmessaquest'asserzioneci disse altresì di fidarci della suaparolasenz'altre indagini. Dunque proseguiamo. La contessa Amaliaappena il vicerè fu partitosi sentì come tuttainondata dal calore e dalla luce di quella gioja. Fu una rivelazionefu una scopertafu un genere di sensazione intorno a cui ella avevapotuto in addietro far delle congetture in via filosofica. Ma quandoquella sensazione si rivelò e la invasela contessa siaccorse che la filosofia era stata assai lontana dal vero. Per dareuna giusta idea di quella sensazionenoi avremmo in pronto unasimilitudine precisa e calzantema non potremmo dirla cheall'orecchio di un professore di fisiologia. Essa poi è taleche produce per consueto un fenomeno specialemigliora cioèdi tratto l'indole di quanti la subiscono; chi è chiusodiventa loquace e aperto; chi è acre e mordace diventa allamano e indulgente; chi odia si placa e transige. Però lacontessinaquando si trovò col conte maritofu dolce seco epiena di grazia e pazzericcia anche un poco. Il conte non aveva maitrovata la moglie tanto cara e carezzevole come in quella sera.
Quandole mogli si mostrano cortesi coi mariti oltre l'usatonon èsempre una ragione perchè questi debbano rallegrarsi.
Unatale esaltazione continuò nella contessa tutta la notte; neltempo dell'apatia e della noja matrimoniale ella aveva sempre dormitole sue otto ore saporitamente e d'un fiato solo; diciamo ore ottoperchè il conteche s'intendeva d'igienedecretò chela moglie non dovesse dormire che quelle ore. Se la camerieral'avesse svegliata qualche momento dopopoteva correr pericolo diessere scacciata. Tuttavia se esso poteva impedire alla moglie didormire nove orese la sua giurisdizione era implacabile sul piùbisognava pure che si adattasse sul meno. Se gli occhi si fosseropotuti chiudere e mettere sotto custodiacerto ch'egli ne avrebberitirata la chiave; ma per combinazione la natura decretòdiversamente. Ecco perchè la contessa ebbe diritto in quellanotte esagitata di non consumare nel sonno nemmeno una di quelle orestatele concessee di lasciar vagare liberissimamente il pensieroper campi che non aveva mai nè percorsinè sospettatiin addietroed anche di gettaredurante la veglia rischiarata dallanotturna e opaca lampadaqualche occhiata sulla faccia del conteaddormentato. Vi sono dei casi in cui tanto più si guarda unoggetto quanto più dispiace; questo fenomeno strano èforse fratello di quell'altro per cui chi soffre il mal di dentiritorna spesso colla mano quasi ad esacerbare la parte addolorata.Ella dunque guardò e riguardò e ritornò aguardare il conte; e che frutto ne ricavasseognuno lo puòpensare. Fu per quella vista eper quell'esame ripetuto che la primagioja solennesopracutacompletaquell'oro a millesenza leganon potendo snaturarsi affattos'accartocciòsi raggrinzì;fece come il soleche non si oscurama le nubi temporalesche non lolasciano più vedere. Ed infatti sul sereno tutto raggiante delsuo pensiero si alzò una fitta nube d'affanno e di spavento.La contessina provò quello che tutte le anime caldeappassionatema generose ed onesteprovano ogniqualvolta sonoassalite da uno di quegli amori per cui i mariti e le mogli possonogettare e gettarsi dalla finestra; per cui il confessore non suoldare l'assoluzione alle sue divote; per cui gl'interessati possonoadoperare i fulmini delle leggi: gli uomini e le donnei quali nonhanno altro pensiero che quello della digestioneadoperano paroled'ironia e di scherno; e i bigotti inquisitori avventano maledizionie saette; di quegli amori per cui non sente pietà che qualcheuomo il quale tenga un piede nella filosofia e l'altro nel bel mondoed abbia potuto essere a un tempo e don Giovanni e fra Cristofaro.
Quandole donne vengono assalite dal tifo eroticosi trovano sempre in unacondizione molto più grave e allarmante degli uomini. Questipossono far nascere gli avvenimenti; le donne devono aspettarli:d'altra partea meno che non siano vedoveil quale statodev'esserea parer nostroil non plus ultra della felicitàmuliebrenon possono nè andarenè starenèuscire quando vogliononè penetrare in certi luoghinèpasseggiare sub lunaecc. Le pene così dettedell'inferno debbono avere qualche analogia con quelle di una donnachesia essa nubile o maritatanon aspira che a vedere e trovarsicon colui che gli sta sempre in pensiero. Nè la contessaAmalia potè andar sciolta dalla legge comune. Sebbene in sulprincipiocome avviene sempre delle donne che non fanno all'amoreper capriccio e passatempoella avesse fatto proponimento di nondare alcun alimento a quella passionedi troncare di colpo ogni viadi comunicazione tra il desiderio e il suo adempimentodi fingersiammalatadi non uscir più di casadi non recarsi piùa nessuna festaperfino di palesar tutto al maritoonde terminarogni cosa in un momento; pure non fece nulla di tutto ciò.Certo che avrebbe fatto assai bene a mettere in atto quei propositie chi non lo sa? Ma la cagione del non esserci riuscita sta nel fattoche erale davvero entrato in petto il demonio della passioneilquale vuol quel che vuoleed è onnipotente. Taluno potrebbedomandare in che modo alcune poche paroledette in un momentofuggitivoabbiano potuto suscitare un incendio così pronto ecosì generale; ma noi risponderemo appunto colla teoria degliincendj. - Una favilla di sigaro accesola quale voli percaso in un covone di pagliabasta a distruggere un villaggio; mentretalvoltase ci proviamo ad accender fuoco per il bisogno diriscaldarciun mazzo di zolfanelli è poco per arrivare a farsorgere qualche fioca fiammella dalla catasta indarno disposta conarte sugli alari. Quel che è degli incendj materiali èdegli incendj morali.
Orcontinuandose la contessa non aveva nessuna virtù di farnascere una combinazione per cui potesse rivedere il vicerèquesti non istette oziosoe dispose le reti in maniera che nondovessero rimaner sempre vuote. Egli aveva bisogno di avvicinarsialla contessa; di avvicinarsi al conte; di trovarsi un po' a lungo ecoll'uno e coll'altra; aveva bisogno che il luogo del ritrovo fossenumerosissimo di persone come una festa; ma che avesse anche una based'operazione infinitamente più estesa. Pensò quindi aduna partita di caccia. In una partita di caccia c'è rumore edisordine: le compagnie dei cacciatori si sparpagliano; chi va da unapartechi dall'altra; la maggior parte degli amori del medio evo simanipolarono a caccia sotto gli auspicj degli alani e dei falchi.Virgilio non trovò miglior modo di mandare a perdizioneDidoneche con una partita di caccia ajutata da un buon temporale.Noi non sappiamose Beauharnais fosse ben forte nelle classichereminiscenzenè se avesse pensato ai baroni e ai trovatoridell'evo medioche ingaggiavano amori col corno da cacciail fattosta che pregò il suo carissimo duca Litta a dare un invito peruna partita di quel genere a Lainate.
Ilduca Littache era felicissimo quando poteva appagare un desideriodel vicerènon si fece pregare due volte; e mandòfuori gl'inviti. Anche il conte Aquila lo ricevette e lo accettòper la solita ragione di far vedere a tutti che egli non odiava nèle festenè i numerosi convegnima che soltanto si astenevada quelli che si davano a corte.
Oraseinvece di scrivere oggifossimo addietro quarant'anniquandoWalter Scott era l'autore più avidamente letto in Europa e gliscrittori di Francia e d'Italia se la godevano ad imitarloce lagodremmo anche noi a descrivere quella caccia in ogni suo momentoinogni suo accidente; a fare il nome di tutti i cacciatori illustri chev'intervennerodi tutte le Diane seguaci col cappellino allaBolivar; a dar l'elenco di tutti i levrieri più celebri cheaddentarono l'orecchio alle lepri fuggitive.
Sopratuttopoi non ci lasceremmo sfuggire la bella occasione di descrivere partea parte la villa di Lainateche allora era in tutta la sua voga e lasua celebrità. Maper nostra fortunala moda delledescrizioni interminabili è passata; ondelasciando ailettori il permesso di dipingersi il fondoci occuperemo soltantodelle macchiette e dei gruppi che staccano su di esso.


III


Cisiamo diffusi a far la storia dei principj e del processo dellamalattia di cuore sofferta dalla contessa Aquila non per altromotivoche perchè fu una delle cagioni che prepararono eresero irreparabile uno dei più funesti avvenimenti che maiabbiano contristata la città di Milano.
Quandodi un fatto storico segnalato e celebre s'è rintracciata unadelle prime causequestasebbene possa essere lieve in sèstessaassume di tratto un grande interesse per le conseguenze chesono derivate. Nè crediamo di offendere menomamente la memoriadel personaggio realecheper la necessaria delicatezzaabbiamonascosto sotto il pseudonimo assunto. La contessa Aquilacome noil'abbiamo rappresentataci pare sia un modello della donna completadella donna cioè chead onta e della virtù nativa edella educazione squisita e della vita senza rimproveriebbe taleesuberanza di sentimentoda accogliere in petto la piùpossente delle umane passioni.
Gl'ipocritiche biasimano le anime passionatepronti a far sempre da Tartufi eda nascondersi sotto il tavolino dei perpetui Orgonidovrebberocompiangere ed ammirare invece la condizione di una donna cheardente di fantasiad'affettodi sanguepur riescedopo lunghebattagliea star salda nella propria virtù.
Questecose le abbiam dette altre volte; ma pare che non sia bastatol'avvisonè basterà mai. I corvi calanti alle carognecondannano sempre le donne fatte di carnedi sangue e di cuore.
Quandoil duca Litta mandò a invitare per la grande caccia da darsipresso la villa di Lainatequanti conoscenti patrizj e non patrizjaveva in Milanosi dimenticòo espressamente omise dicomprendervi l'avvocato Falchi con sua mogliequantunque liconoscesse assai bene.
Siccomegl'inviti furono mandati fuori molti giorni primae l'avvocatessapotè vederne alcuniella salì in furore per esserestata dimenticata; ed a questo punto giova che il lettore abbia unaidea dell'indole di una tal donna.
L'ambizionedi lei era di quella natura che non riposa mainè siaccontenta di un ordine solo di cose. Ella pretendeva di essere lapiù bellavoleva essere la più corteggiataambivad'essere la più ricca; voleva essere tutto e comandare intutto. Dava consigli al maritoe guai se non l'obbediva; e ilmaritoche era volpe e lupofaceva qualche volta anche l'asinoostentando di adattarsi a fare assai cose per un'eccessivacondiscendenza alla mogliema in fattoperchè eran atti chegli piacevanoatti d'avidità e rapacità; ella davaconsigli anche non pregataanche allorquando era scansataa quantile andavano per casa.
Sepoi qualcheduno aveva avuto con essa e coll'avvocato qualche rapportod'interessedi clienteladi sudditanzacomandata dalla necessitàdegli affariella era la padrona di tutti lorofaceva la padrona intutte le loro famiglie; negava l'assenso ai matrimonjimponeva ellale mogli; teneva la giurisdizione persino sulle vesti e sulle foggie.Conoscere l'avvocatessa Falchi significava aver rinunziato allalibertà personale.
Siccomeperò era stata assai bellabella nel senso mercantile ecarnosonon già nella sfera dell'accademia e dell'arteedera ancor bellae veniva molto corteggiata; così quando lasua vanità e i suoi appetiti venivano lusingati e soddisfattiaveva dei momenti di lieto umoreed anchema questo avvennerarissime voltequalche lampo di bontàdi generositàdi cortesia. Appena però la si contrariassediventava a untratto una tigre reale ferocissimadi quelle del Senegal. Anche ilmarito aveva un bel da fare in quei giorni per sopportare queltemporale in casa. Persino il ministro Prinache era di Novaracomel'avvocatoed era suo intrinsecoe frequentava quotidiano quellacasae perchè aveva molti affari con luie perchèanche si giovava dell'acutezza pratica di quell'uomospesse volteebbe a subire le tempeste dell'avvocatessacheda uomo di mondo eda uomo superioresopportava e compativaed anche derideva.
Questadonna singolare era stata sposata in seconde nozze dall'avvocatoFalchiauspici l'avvocato Prina appunto e l'avvocato conteGambarana. Il Falchi fece passar brevi ma amarissimi giorni allaprima moglieche era nativa del Genovesatoe che gli avea recate indote lire d'Italia trecentomilala spina dorsale deviatae quellabontà che deriva dalla natura e si fortifica cogli abitireligiosi. Quantunque non si possa ben asserirepare però chel'avvocato Falchi abbia avuta l'intenzionefin dal giorno cheaccettò quel partitodi svincolare le lire trecentomila dallaservitù della rachitide e dalla noja delle giaculatorie.Quando un uomo giovine sposa per la dote una vecchia o una rachiticasi può giurare che quell'uomo è perverso. Intanto cheall'altarein abito festivomette l'anello in dito alla compagnaeode dal curato la figura rettorica del cresciteegli pensagià ai buoni servigi della mortee in quel crescitemendace sente invece in embrione il requiem æternam.Questo sia detto in via di passaggiocome diciamo di passaggio chela morte fu lesta a servire l'avvocato Falchiquasi avesse ricevutouna mancia anticipata.
Èun fatto stranoma pur degno della riflessione dei legislatorichedalla casa della maggior parte di coloro che sposano per la dote unadonna o vecchia o deformein pochissimo tempo la donna scompare. Noiabbiamo conosciuta una mezza dozzina di cacciatori di dotichearrivarono giovani ancora alla seconda od alla terza moglie. Saràuna combinazionesarà un fenomeno puro e semplice; maabuoni contise noi avessimo una sorella od una figliaciguarderemmo bene di gettarla alle bramose canne di questigalantuominial cui confronto noi sentiamo quasi una certa simpatiapei famigerati Scorlini.
Viventeancora la prima mogliel'avvocato Falchi avea adocchiato sulle rivedel Verbano quella che diventò poi la secondala qualeasoli quindici anniveniva già chiamata quella bellagiovinottaalta qual'era e rigogliosa e densa e protervae cheaveva già tenuta a bada la sua mezza dozzina di amanti.L'avvocato se ne invaghìe appena fu libero la sposò.Era il rovescio della medaglia della sua prima moglie; era unatacchina grassa e appetitosa e fragrante di rosmarinoin confrontodi un osso già gettato a' cani. Il dì delle nozzelacombinazione volle ch'egli in un affare guadagnasse trenta mila lireitaliane per fortuito intervento della sposa. La freschezzaifianchi baldanzosila petulanza allettatrice di leie quella speciedi buon augurio ch'entrò seco in casafecero sì ch'eisi gettasse corpo ed animaper allora e per semprenelle ampie suebraccia. Per dare un'idea del genere d'accordo che passòsempre tra l'avvocato Falchi e la nuova mogliela quale dalla suaciarla perpetua e dal suo ficcar il naso in tuttovenne daiconoscenti cognominata l'avvocatessanoi non possiamo che richiamarealla memoria dei lettori i coniugi Macbeth; con questa differenzache se lady Macbeth per riuscire nei suoi intenti ebbe l'ajuto diEcate e di tre streghel'avvocatessa Falchi fece anche la partedelle streghe di Ecate.
Oraè da ricordare un fatto. Nel primo anno che il principeBeauharnais fu installato vicerè d'Italiae cominciònel tempo che risiedeva in Milanoquel sistema di vita discola edonnajola chegrado gradodoveva poi addensargli contro tantinemiciebbe ad adocchiare anche l'avvocatessa Falchi. Allora ellapoteva contare ventinove annied era nel massimo fiore della suabeltà da baccantesenza linee grechenè etrusche;lineecome tutti sannocaste e severee che non possono farnascere che amori seri; ma pomposa invece di quelle forme portatedall'arte carnale della decadenza; la quale se sarebbe fuor di postonei riti di Vestapotrebbe fare da frontispizio ad una illustrazionedelle feste lupercali. Il vicerè dunque la adocchiò el'avvicinòed ellaquantunque fosse orgogliosa come unaGezabelefu benigna e cortese con quell'Acabbogran cordone dellaLegion d'onore e della Corona ferrea. Che a lei piacesse il vicerècome uomocome giovanecome cavalierenessuno lo voglia credere.Ella sorrise al vicerè perchè era il vicerèsenza considerare che avesse piuttosto ventiquattr'anni che sessanta.Il vicerè poteva essere cagione che la ricchezza giàconsiderevole dell'avvocato Falchi crescesse a dismisura. Per suomezzo infattinella compra e vendita di beni nazionalinel girodelle carte pubblichenegli appaltil'amicizia del vicerèequivalse ad una lauta eredità.
IlFalchi era un po' geloso di sua moglie; specialmente se i giovinottiper cui ella poteva avere qualche debolezzanon presentavano alcunasperanza di speculazionenè assomigliavano a carte direnditanè a beni demaniali. Peròquando si accorseche le maritali corna potevano fruttare qualche migliajo di pertichedi prati irrigatorjegli tosto offerse il fenomeno di un amoreeccezionaledi un amore cioè che cresce col cessare dellagelosia. Lasciò pertanto andarechiuse un occhioanzi tuttie duee solo si accinse a cavare il maggior profitto possibile daquella nuova posizione. Tutto questo in quanto ai conjugi; in quantoal vicerè è facile comprendere com'egli non dessenessuna importanza a quella relazionecome per conseguenzaplacatoil capriccio e satollato a piena golasentisse tedio di quellavivanda più nutriente che pruriginosa. La Falchiinsieme alpensiero dell'utile che potea ritrarre dai rapporti col vicerèsi sentiva anche lusingata dalla vanità. Ella non aveva avutanessuna educazione squisitae la sua stoffa morale era volgarissima;simili nature sentono la vanità più di tutte; a leipareva di essere la viceregina. Benchè tanto astuta eperversaconvien confessare che in ciò era stolida la suaparte. Pavoneggiandosi dunque come se fosse una vicereginanonpensava a quel che era davveroa quel che si diceva di leiallatrista figura che faceva il suo signor marito. Una donna volgareamoreggiata da un alto personaggioda un vicerèda unimperatoreal giudizio degli uomini onesti appar più trivialee disonorata che se fosse amoreggiata da tutt'altra persona.
Lagrandezza in questo caso e la possanzainvece di dar la luceottenebrano e corrompono. La ragione è che la donna non sembraattirata che dall'interesse; la ragione è che l'amore pare unacosa imposta come un tributocome una tassa. Il sentimentoreciprocoche spesso comanda l'indulgenza anche sui trascorsi esulle colpein questi casi non è nemmeno sottintesopur sefosse vero.
Tornandoa Beauharnaissebbene colle donne fosse ognora gentile e cortese fina toccare le linee barocche del Galateoavvenne che arrivò iltempo che non potè più nascondere il senso d'uggia e dinoia che gli destava la presenza dell'avvocatessa Falchi. Com'ènaturaleella se ne accorsee fremette. Diciamo fremetteperch'ella non era capace di altra sensazione; non fu abbattimento ilsuonè dolore; non sentì che quell'irala quale ècapace di ulcerare e tormentare come la pece greca.
Nonsappiamo in che dramma Metastasio abbia detto che:



.......L'offensoreoblia

Enon l'offeso il ricevuto oltraggio.


Questoè sì veroche il vicerèil quale in cinqueanni ebbe tante volte a lasciar Milanodovette combattere in tantebattaglieadempire a tanti mandati dell'imperatoresi dimenticòquasi affatto della signora Falchianche perchè lacombinazione volle che non si avessero mai a vedere. Ma se il vicerècheper certi principj strani di diritto privatoera l'offensoresi dimenticò di tuttonon se ne dimenticòl'avvocatessa. È certo che non dimagròanzi ingrassòvistosamente; è certo che continuò a goderegiocondamente il bel mondo e il bel tempo e le ricchezze checrescevano in proporzione geometrica; ma è certo altresìchese anche in mezzo alla gioja convivalese anche nell'ebbravivacità provocata dal Gattinaraper cuida vera laghistaella aveva una passione dichiarataun discorso fortuito lerichiamasse in memoria quel fattoella sentiva ancora fitto in golaquell'ossoche non voleva andar giùper quanto Lieo civersasse sopra.


IV


Uditigli scalpori della Falchi per quella fortuita omissione del ducaLittail ministro Prinache stava una sera giuocando all'ombrettaspagnuola coll'avvocato:
-La si tranquillizzisignora Teresadiss'eglicosì tra ilbuffo e il serio; il signor duca la inviterà. La caccia deveessere dopodomani; dunque a quest'ora tutti gl'inviti non possonoesser fuori. Chese mai fosse stata dimenticatagià ella sache chi manda fuori gl'inviti è il maggiordomo della casailquale è un balordoe si regola così a vista di nasoepuò benissimo essersene dimenticato. Il maggiordomo ha passatoi sessantacinque anni; ha altro per la testa che le belle donne dellacittà (il ministro calcò su questa fraseperchèridendo fra sè stessosapeva che quello era il lato dasolleticare per far cessare il temporale). Ma in ogni modosignoraTeresafaccia conto di essere bell'e invitata. Prima di andare aletto devo passare dal ducae tutto anderà a suo posto.
-Ma che il signor duca non creda poi che io faccia impegni…
-Il duca non crederà niente... lasci fare a mesignora Teresae cessi di riscaldarsi.
-E non vorrei che quelle smorfiose dei quattro quarti venissero asapere...
-Mae che vuol maiche si venga a sapere?... Cara la mia signoram'accorgo in conclusione che ha ragione Andreail camerierequandodice che la signora padrona ha buon tempo...
-Comecomeil cameriere ha avuto coraggio?... Ma io lo scacceròsu due piedi.
-La signora Teresa non verrebbe con ciò che a dare ragione aquel buon diavolo di Andreail quale disse per giunta che tutte lebelle donne dal più al meno hanno un poco del matto e che chile rovina sono i cicisbei che lor dànno l'incenso.
L'avvocatessaFalchi si placò di colpo; il ministro partìpassòal duca Littail qualeessendo buonissimo e non dando moltaimportanza a cosa nessunaaccontentò i desiderj e dell'amicoe dell'avvocatessa.
Sorseil giorno della caccia: al mattino di quel giornodal palazzo dicorteda quasi tutti i palazzi della città uscivano lecarrozze col tiro a seicol tiro a quattrocol tiro a due; uscivanoa cavallo i giovinotti ufficiali e non ufficialiin costumi stranicosidetti alla cacciatoracome allora portava il Corriere delleDame del Lattanzi; il poeta Monti sorse anch'egli mattutinoevenne a pigliarlo la carrozza del conte Paradisi; il Foscolocheallora corteggiava la contessa A...galoppò a cavallo insoprabito di panno verdolino con pantaloni di casimiro color piombo estivali a trombini.
Lacontessa A...bellissima fra le belleaveva molto spiritomoltoingegnomolta coltura (parlava quattro lingue); era buonagenerosae affabile; costituiva insomma il complesso rarissimo di egregiequalità; ma tutte parevano sfasciarsi sotto all'uragano di undifetto solo. Ella faceva dell'amore l'unico passatempo; ma unpassatempo tumultuosofremebondoirrequieto; nè occorre ildire che quell'amore era parente di quello rimasto nudo in Grecia enudo in Romacome disse Foscolo; e chemancando di un candido velonon era stato meritevole di riposare in grembo a Venere celeste. MaFoscolononostante la sua poetica distinzionesi trovò unbel giorno avvolto e impigliato nell'ampia rete che la contessateneva sempre immersa nella grande peschiera della capitale lombarda.
Illettore non può immaginarsi quanti belli e cari giovinetti sitrovarono a sbatter le pinne convulse in quella rete ognora protesa:giovani cari e bellieciò che fu il dannosenza puntod'esperienzache pigliando fieramente in sul serio le care lusinghedi quella sirenaebbero poi a subire disinganni orridi e desolazionilipemaniache! Ma non solo i giovinetti di prima cotturanon solo ipaperi innocenti del ruscelletto; ma frolli don Giovannistati piùvolte immersi nel fiume Lete; ma grossi topi veterani del Sevesodovettero sovente parer novizj al contatto maliardo di quella donna.Coleilo ripetiamonon era cattivama nel suo intelletto e nel suocuore non era mai penetrata l'idea della costanza in amore. Nèè a credere che non amasse; amava assaiamava ardentemente; enei primi istanti che le entrava nel sangue la scintilla incendiariaella non aveva pacee si struggeva finchè non avesse potutoaccostare l'oggetto de' suoi desiderj. Ma un amante nelle sue maninon era nè più nè meno di un cappone messo insul piatto di un ghiotto. In pochi momenti non rimanevano che leossae la fame chiedeva tosto altro cibo. Povero Foscolo! indarno tistettero intorno le sante muse


Delmortale pensiero animatrici.


Aogni modo quella contessasebbene fosse così eccezionalmentevolubile e cangiasse gli amanti come i guanti e le scarpeaveva peròle sue predilezioni. Nella lunga sfilata dei suoi adoratoriella sirammentava di taluno che davvero amòe che forse avrebbevoluto aver sempre secosotto condizione peraltro che si adattasseai capricci suoie chiudesse un occhio quando ella sorrideva aglialtri. Com'è naturalenon trovò mai nessuno che siacconciasse a codesto patto. Ella era tanto bella e cara e seducentee nel periodo acuto del suo innamoramento faceva provare tali estasia chi ne era il passeggiero oggettoche questi subiva tosto quellapassione acuta che non soffre commensali alla medesima tavola. Ognunovoleva essere il solo possessore di quel caro bene. Ma il caro benenon volendo vincoli di sortae dando accademia d'amorecome la sidarebbe di poesia estemporaneametteva tosto alla porta ipretendenti che ambivano un trono assolutoed erano avversissimialla monarchia mista.
UgoFoscoloche aveva una predilezione particolare pei grandi occhilucenti guardò spesso in teatro coleiche in verone possedeva un pajo di primissima qualità. Eglisentendo asparlare di quella divinità volubile da coloro che erano statie trionfatori e vittimene assunse la difesa con quella suaeloquenza procellosa e invadentefatta di sentimento e d'erudizioneclassica. Tuonava in favore del genere di vita ch'ella conducevaela raffrontava alla greca Aspasiache diede lezioni d'amore anche aSocrate. La contessa seppe di quelle arringhe di Foscoloe comedonna di vivacissimo ingegno e di molta colturaessendo innamoratadell'Ortis e dei Sepolcri e dell'Ode per laPallaviciniun giorno scrisse un letterino a Foscolopregandolo apassare da lei. Foscolo ci andò; le prime parole che lacontessa gli rivolseappena esso comparve sulla soglia delgabinettofurono precisamente queste: «Ho sentito che voi michiamate Aspasia; accetto la lode epurtroppoanche il biasimo; mavoiche siete grecodovreste fare assai bene la parte di Pericle;se ci staterinnoveremo i bei tempi di Atene; fra tanti asini che lestanno intornose Aspasia è volubile non è poi dacondannarla; si provi adunque Pericle a far miracoli.»
Certamenteche una dichiarazione così esplicita e più che audacefatta da donna ad uomoera un fatto che doveva peggiorare ilconcetto ch'altri potesse avere di leie anche a Foscolo avrebbedovuto non far buona impressione. Ma se avrebbe dovutonon lo fu.Con quell'animo ardente di Ugocon quel temperamento in esaltazionecon quell'entusiasmo per la bellezzacon quel naturale orgoglio chegli fece tosto trovar spiegabile e giusto quella specie di privilegioin cui la contessa costituiva lui solo a petto di tanti; allelusinghiere parole della contessaei si sentì di punto inbianco preso d'amore; uno di quegli amori roventi che lasciano segnoe solco e piaga. Povero Foscolo!
Quandoci fu la caccia a Lainategià da quasi un mese era eglil'assiduo cavalier servente della A...e in quel tempo non era maicomparsa nessuna nube ad intorbidare quel nuovo cielo in cui laprocellosa anima di lui erasi rasserenata. La contessa in sulprincipio sentì l'orgoglio di avere nel proprio dominio quellafiera generosa e indomita; si compiacque di quei tête à têteche per lei riuscivano una rivelazione. I dialoghi erano vericapolavori di eloquenzadi poesiadi sentimento. È facileimmaginarlo. Se Foscolo non aveva quella che comunemente si chiamabellezza; anziallorchè stava immobile e taciturnopotessesembrare passabilmente brutto alle ragazze che prediligono il belnasino e i mustacchietti; assumevaper dir cosìuna bellezzatransitoriaallorchè animavasila quale gli derivava dalraggio dell'intelletto che gli balenava tra ciglio e ciglio;oltredichè era ancor giovane d'anni e ben costrutto di membrae una selva pittoresca di capelli fulvi e inanellati gli comunicavaun aspetto poeticamente selvaggioche lo faceva diverso da tutti glialtri.
Lungolo stradale egli galoppò accanto al carrozzino della contessa.Altri cavalieri avrebbero assai volontieri fatto corteggio a lei; madal giorno che Foscolo fu in caricanessuno osò piùaccostarsiperchè era nota l'indole del poeta soldatoe ilsuo coraggio e le sue furie e la storia dei duelline' quali a' suoiavversarj non era mai riuscito di ferirlo. Tra via furono raggiuntidalle carrozze del vicerèche salutò cortesemente lacontessae non rispose al saluto di Foscolo. Di lì a pocopassò la carrozza della contessa Aquila. Il conte la seguiva acavallo insieme con altri suoi amici. La contessina Aquila e la A...si salutarono gentilmente nell'avvicinarsi delle carrozze. Quando laA... tornò ad esser sola con Foscolo:
-Conoscete voi la contessina? gli disse.
-Non la conoscoma la vidi più voltee mi piacee mi commovela sua santa virtù...
-Siete tanto devoto dei santi?
-Ammiratorenon devoto. Quella donna non mi farebbe mai impazzired'amore; ma la onoro e l'ammiro e sento una pietàprofondissima quand'odo a dire che il marito la tiene in dominio ditirannia. Essa mi fa pietà anche perchè mi son fitto intesta che sia una di quelle creature nate sotto alla cattiva stella!
Cosìparlava Foscoloed era così difatto; chi avrebbe pensatoallora che persino la generosa pietà dell'autore dei Sepolcridoveva riuscire a danno di lei?


V


Lacaccia era incominciata fin dall'alba. Anzi i cacciatori entusiastidella specie di coloro che opprimono gli amici obbligandoli a starsempre in ascolto di racconti venatorje darebbero dei punti adEsaùpronti a cedere un regno per una starnas'eran trovatisul posto che era notte ancora. Però quando i personaggi dinostra conoscenza arrivarono a Lainategiunsero più in tempoper far colazione che per empire il carnajo. Tra questi personagginon si poteva defraudare il primato al conte Paradisia VincenzoMontial librettista legulejo Anellie ad altri dell'inclita classedei letteratiche il duca Litta voleva invitar sempre. In quanto alvicerè ed ai giovani ufficiali del suo stato maggioresebbene sentissero l'obbligo di fare entro la giornata la loro mezzadozzina di fucilateavevano altro per la testa. Essi eranocacciatori in ogni modo; ma cacciatori di cacciatrici. Le piùeleganti e desiderate di questedalle carrozze passarono sulle selleinforcate dei leardi più o meno docili ed ammaestratiche ilduca Litta aveva fatto loro apprestare.
Cosìvenne preparandosi una cavalcatache poteva assomigliare a qualcunadelle più pittoresche del medio evo. Dopo qualche tempo laschierache era numerosacominciò a scomporsia dividersia sciogliersi in vari gruppi di ottodi seidi quattro...
Dopoqualche tempo ancora si potè notare che non v'erano piùgruppi ma coppiee che taluna di queste coppiea scoprir nuovoterreno e a veder nuovi accidenti di prospettives'era sbandatasenza domandare il permesso a nessuno. Il vicerè per lungotratto di via s'era sempre intertenuto a parlare col ciambellanomarchese conte Pallavicini; poi a un certo puntocome se fosse percasosi portò di slancio vicino al conte Aquila. Lacontessina Amaliache cavalcava anch'essaerasi dilungata di tantoquanto misura un cavalloperchè un suo fratello l'avevasoffermata per raccorciarle la staffa. Il vicerè disse unaparola di complimento al contee fece fare nello stesso tempo alcavallo due o tre impennateche lo portarono innanzi d'un grantratto e si volse come ad attendere il conte; il qualesebbene dimalavogliasi trovò costretto a portarsegli di fianco. Cosìl'uno e l'altro si trovarono lontani dalla schiera comune.
-Giacchè i cavallidisse allora il vicerè al conteAquilaci han tratti fin quiassecondiamo il loro capriccioeteniamoci un po' in disparte dagli altri.
Ilconte non risposeperchè non comprese. Beauharnais miseallora il cavallo a un trottino sollecitoche costrinse il conte afar lo stesso. Così in pochi secondi furono fuori affattodella vista altruie si trovarono in solitudine perfetta.
-Perdonatesignor contese vi ho tratto fin qui.
Ilconte volse al vicerè uno sguardoin cui la sorpresa nonbastava ad ammorbidire l'orgoglio e un non so che di sdegnosamenteimperioso da far dubitare chi dei due fosse il vicerè.
Questicontinuava:
-Sapetesignor conteperchè oggi il duca Litta ha dato questacaccia?
-Norispose asciutto il conte.
-Perchè io ne l'ho pregatosoggiunse il vicerè.
Ilconte fece un movimento lieve colle spallequasi pensasse: E chem'importa?
-E sapete perchè l'ho pregatoe a qual condizione?
Ilconte taceva.
-L'ho pregato perchè desiderava di trovarmi con voi; e lacondizione fu appunto che egli facesse di tutto perchè voi nonmancaste. Mi rincresce che la illustrissima signora contessa abbiadovuto affrontar l'aria del mattino; ma io credevo che aveste a venirsolo.
Ilconte capiva sempre meno; fermò uno sguardo acuto sulla facciadel vicerèe nel punto stessoper un movimento spontaneofermò il cavallo. Beauharnais fece altrettantomentrecontinuava:
-È precisamente cosìcaro signor conte. Egli èda qualche tempo ch'io doveva parlarvi. Voi siete stato un mese fa ilsoggetto interessante di un lungo dialogo tra me e l'imperatorechedurò più di due ore.
Ilcontesebbene non amasse l'imperatore e tenesse in basso conto ilvicerèprovò a quelle parole una soddisfazioned'orgoglio che non aveva mai provato in tutta la vita. La sua facciasi coloròla circolazione del sangue gli si accelerò.
-Per cagion vostra ho dovuto sentir dei rimproveri da Sua Maestà.
-Per cagion mia?
-Vi ripeto le sue parole testuali: - «Io so che a Milanonella classe dei nobilic'è un giovine di una straordinariacapacità e di un carattere antico. Perchè non me neavete mai parlato?» - L'imperatore mi disse precisamentecosì. Io gli risposi che non glie ne ho mai parlato perchèsarebbe stato inutilee gli toccai del tenore della vostra vita edell'ostinazione a tenervi in disparte da ogni pubblico ufficio. -So anche questomi replicò allora l'imperatoree ne so anchela ragioneaggiunse. Ditegli adunque che egli giri uno sguardo pertutto l'impero e tutto il regno; consideri i seggi piùdifficilie ne scelga uno. Questo ebbi io l'incarico di riferirvi.
Gliodj e le antipatie bene spesso non sono altro che una conseguenzadell'amor proprio offeso. L'uomo che è avido della stimaaltruisente un'avversione invincibileper chi egli sospetta non neabbia punto per lui. Quando uno dice: quel tale mi èorribilmente antipaticoe non so il perchè; non gli credete;il perchè lo sa benissimo; egli teme che colui non lo tenga inquel conto a cui egli aspira. Ma in conseguenza di ciòappuntose per caso quel talecontro l'aspettazionesi fa innanzicon degli attentati di grande considerazionel'antipatia scompare dicolpo e si converte nel suo contrario. Ecco perchè soventivolte vediamo diventare amicissimi due che si scansavano perantipatia. Dopo tuttonon è facile dar l'idea della repentinatrasformazione che avvenne non solo in tutti i pensierimaquasidiremmonello stesso carattere del conte Aquiladurante lo stranocolloquio avuto col vicerè. Il suo orgoglio non fu mai sìappagatolusingatogonfiatocome in quel giorno. Quello fu per luiil più grande dei suoi trionfi; fu un trionfo inatteso che lomise sossopra tutto quanto. Fece l'effetto di quei poderosi agentichimici che improvvisamente decompongono e snaturano una sostanza.Nulla però ne trasparì al di fuori; il conte Aquila sicontennee rispose pacato:
-Mi fa meravigliaaltezzacome l'imperatore abbia potuto avere iltempo di pensare a me; come altri abbia osato fargli perdere il tempoparlandogli di me. Mi rincresce però che ciò siaavvenuto; che S.M. mi abbia dato un valore mille volte superiore alvero. Il fermo proponimento di rimanere nell'oscurità in cuimi trovo potrebbe parere scortesia e peggio; mentre non è cheun bisognouna necessità della mia vita fisicamoraleintellettuale. Io amo l'oscurità.
-Perdonateconte; ma lasciatemi dire che è l'oscuritàdell'orgoglio.
-Siete in errorealtezza. Dite piuttosto: della disperazione.
-Disperazione... ma di che?
-Dispero degli uomini e delle cose. Gli eventi che la fortunaonnipotente ha scatenati nel mondo da gran temponon appagano la mianatura; nè io ho tanta forza da mettereper trattenerlalemie braccia tra i razzi della sua ruota. Se però io vivonell'oscurità e nell'inazioneS. M. mi deve ringraziare.
-E perchè?
-Perchè sarei pericoloso se operassi. Pericoloso a luipericoloso alla patria.
-Non vi comprendo.
-Vi dirò tutto. Ancora io dubito... se le mie opinioni avesseroraggiunta la certezzaio sarei già stato un ribelle. Cosìversando ancora e nell'incertezza e nell'investigazione affannosa dichi cerca e ancora non trovafaccio atto di sapienza a star celatoin casa nell'aspettazione della parola estrema che mi spieghi tuttoil passato; nell'aspettazione dell'ultima paginain cui siaconsegnata la prova e la riprova dell'idea madre di tutto il libro.Se domani io potessi convincermi che il costrutto architettonicodell'edificio napoleonico è perfettoio sarei il piùoperoso capomastro dell'architetto sovrano. Speroaltezzache voimi saprete grado della mia sincerità. Io non potrei mai essereuno strumento nella mano di chi non comprendo.
Seil lettore è stato attento alle parole del conte Aquilasisarà accorto come il disegno del suo edificioch'egliimprovvisò dopo che la sua ambizione venne lusingata daldiscorso del viceréfosse fatto in modo da lasciarel'addentellato per un edificio di tutt'altro stile. Ècarattere dell'ambizionequello di non aver nessun sistemaprestabilito e inconcussoma di odorare il vento e virare eatteggiarsi a seconda degli avvenimenti e dell'invito dellecircostanze. Al conte Aquila non parea vero che Napoleone avessepotuto parlare di lui in quel modo e avere di lui quel concetto;peròquando ebbe quella rivelazione inattesail suo pensierofu tosto di approfittare della fortuna e di giganteggiare con Giovegiacchè era assai arduo il rinnovar l'impresa dei Titani. Cosìparlò in guisa da innalzarsi sempre più nel concetto diBeauharnais; facendo vederecoll'apparenza della massima sinceritàquanto egli poteva essere pericolosoe per conseguenza che magnificoe solenne compenso ci sarebbe voluto per renderselo amico; nel tempostesso poi lasciò aperto un varco ad una nobile ritirata inquelle parole: Ancora io dubito. Il vicerè rispose:
-Io vi ringrazioconte; ma posso sapere se questi vostri sentimentili avete manifestati ad altri prima che a me?
-Ad altri sarebbe stato inutile; con voialtezzaera indispensabile.
-Io dunque vi ringrazio: ma ben più vi ringrazierò ilgiorno che vi compiacerete di uscire da una oscurità dannosa.Tutto quello che mi avete detto oggi stessolo scriveròall'imperatoree mi lusingo che ci rivedremo presto. Ma ora ciconviene raggiungere il campo di battaglia. - Sento lefucilate. - Ecco l'Ajace dei cacciatori: il marcheseSannazzaro... È meglio che ci dividiamocaro conte; questadev'essere l'ala destra della caccia. Io vado a capitanare lasinistra; a rivederci in casa Litta.
Ilmarchese Sannazzarogiovinotto altofortebrunopeloso come unEsaùera assai intrinseco di Beauharnaise suo ajutante dicampo nelle battaglie di Pafo e di Cipro. Beauharnaissenza dirgliil perchèlo aveva incaricato di non lasciar più inlibertà il conte Aquilaquando gli fosse comparso innanzi. Ilvicerèche era stato tante volte a caccia nei dintorni diLainatee conosceva benissimo i luoghiera andato d'accordo colSannazzaroil quale co' suoi cani lo attendeva da qualche tempo a unposto determinato della campagna. Il conte Aquilache era amico delSannazzarorimase così dunque con lui.
-Se vuoi fare qualche colpodisse il Sannazzaro al contequesto èun bel posto. I cani sono in lavoro. Discendi da cavalloe dàllolì al palafreniereche lo condurrà in quel pagliajo.
Ilvicerè intantodi generoso trottopreso per una scorciatoiache conoscevaraggiunse il grosso della comitiva.
Algenerale Saint Hilairesuo ajutante di campoaveva datoincombenza di farsi presso al cavallo della contessa Aquiladiallontanarlacon qualche pretestodal resto della schiera. Nonvedendo adunque nè il Saint-Hilairenè la contessachiese agli altri dov'era il suo ajutante.
Lacontessa A...che parlava enfaticamente con un colonnello deidragoni reali:
-Sono andati per di quirispose; c'è il poeta Foscolo conloro.
Ilmotivo per cui Foscolo s'era staccato dalla contessa A... fu perchèvide che il generale Saint Hilaire s'era fatto a parlare collacontessa Aquilae manifestamente aveva voluto allontanarla dal restodella compagnia. Come sa il lettoreegli aveva espresso all'amica ungrande interesse per quell'infelice signora. Vedendola cogitabonda emestissimagli parve che fosse quel genere di mestizia a lui tropponoto: al vedere poi il vicerè parlare al conte Aquila e trarlosecogli entrò il sospetto e si confermò in essoquando osservò l'ajutante di campo di Sua Altezza farealtrettanto colla contessa. Non sapeva nullanon capiva nullamadeliberatamente spronò il cavalloe si portò aifianchi della contessa Aquilala quale un momento prima gli avevadomandato qual'era l'edizione più compiuta e piùcorretta dell'Ortis. Egli non poteva spiegarlo a sèstessoma conoscendo il vicerè e sapendo che l'ajutante loserviva nelle tresche amorose più che sul campo di battagliaquei movimenti lo misero in apprensione. Ugo Foscolo poteva essererimproverato di tutti i peccatima era generoso; generoso oltre lasfera comunegeneroso e cavalleresco.
OrcontinuandoBeauharnais mise il cavallo al galoppo. Dopo pochisecondi vide infatti la contessa tra Saint Hilaire e Foscololiraggiunsesaettò con occhio iracondo l'ajutante; non osòfar nessun atto dispettoso con Foscolo; disse alla contessa:
-Il signor conte vostro marito vi chiama.
Saint Hilairerallentò il cavallo: Foscoloincertolo rallentò essopuree si fece a parlare con Saint Hilaire.
Ilvicerè si pose a lato della contessa. Foscolo l'avea vedutasmarrirsi alla comparsa di lui. Stette attentissimo durante il brevetempo che si trovò con loro. Quando Foscolo tornòpresso alla contessa A...:
-Sentitele dissese voi siete pentita di qualche vostro peccatooggi potete acquistarvi mille anni d'indulgenzafacendo una carità.
-Di che si tratta?
-Quel che vidi e quel che sospettolo terrei chiuso in me per sempre;ma tacendo si può lasciar aperta la via ad un gran disastro.Voi siete amica della contessa... Se le siete amicaditele dunqueche stia in guardia. Ditele che quel gallo furfante di vicerèvuol disonorarla; che però sappia ritirarsi a tempo da unvergognoso abisso. Io abborro il conte; ma più di lui abborroil vicerè.
-Ma come ora potete dirmi tutto questomentre un momento fa nonsapevate nulla?
-Ho l'occhio medicomadamae quando lo fermo sulla faccia altruitutto quello che è di dentro m'appare di fuori. Avvisatedunque la contessa. Ma che ogni cosa stia segreta fra me e voi. Nèche la contessa venga a sapere mai ch'io ho parlato. Siete voi cheavete vistovoi che date i consigli. Intanto fate in modo che lacontessa ed il vicerè non stiano più soli. A me nonconviene accompagnarvi. A rivederci alla villa.
UgoFoscolo avrebbe fatto molto meglio a tenere in sè il sospettoe non a incaricare una donna di dar consigli a una donna. Èsempre un'impresa pericolosa. Ma è l'indole degli uominigenerosi di mettere tutta la propria confidenza nella persona amatadi metterla a parte di tutti i proprj segretidi desiderare cheinloro veces'innalzi con azioni gentili nell'altrui concetto. UgoFoscolo della contessa A... volea farne una gentildonna perfetta; maera arrivato troppo tardi.
Inogni modoessa che non amava il vicerè (la ragione giàci sarà stata)acconsentì al desiderio di Foscologirò intorno gli occhichiamò il colonnello deidragoni reali che già abbiam visto seco: - Mettetegente insiemegli dissee seguitiamo il vicerè.
Emolti si misero al galoppo. Il colonnello stava ai fianchi dellacontessa A...
Edora è certo che il lettore farà gli occhi attonitiadonta di tutto quello che abbiam detto sul conto della A...; ma purtroppo le faccende non eran nette con quel colonnello; JacopoOrtis e all'Ombra dei cipressi non furono rimedjabbastanza eroici per far la cura radicale di colei. Essa in quelgiorno sentì per il dragoneche aveva visto altre volteunadi quelle accensioni di cui già parlammo; di quelle accensioniche le facevano cacciar dietro le spalle ogni rispetto. Senza perdertemposecondo il suo costumecon quei suoi modidove lasfacciataggine (già non c'è altra parola) si rendevaamabile per un garbo tutto suo proprioaveva fatto la suadichiarazione al colonnelloil quale dal canto suo pare che abbiavoluto tener conto del proverbio che a caval donato non si guardiin bocca.
Raggiunseroil vicerèche rimase sconcertatoe a tale che a un certopunto dovette lasciar la contessa. Questa si mise con altre dame. LaA... era tanto infervorata del colonnelloche non si curò piùdella raccomandazione di Foscolo. L'ora si fece tarda. Scavalcaronoalla villa Litta a Lainate. La contessa A… condusse le cose inmodo da rimaner sola sotto un androne col colonnello. Questotiratonel vorticebaciatobaciò; ma in quella una scudisciata dacavallerizzo infierito fischiò e piombò sul tergoafrodisiaco della contessa A... Era Foscoloil quale avea vistoeche accompagnò la scudisciata che fu il fulminecon paroleorride d'ingiurie che furono la gragnuola.
Ilcolonnello guardò Foscoloche lo guardava furibondo.
Vifu un momento di silenzio.
-Io sono il colonnello Baroggi.
-Ed io sono Ugo Foscolo.
-Allora a domani.
-A domani.
Fuun parapiglia di un istantenessuno vide. La A... entrò nellesale infuocata di erotismo insaziatodi vergogna e di rabbia.
Maè possibile e probabile questo fatto che abbiamo narrato? Ècodesta una questione inutile. Dal momento che un fatto èrealmente avvenutopotrà essere stranoinverisimileincredibile; tutto ciò che si vuolema non cessare per questod'essere avvenuto.
Foscolopoeta sentimentale; Foscolocavaliere degno della Tavola Rotonda;Foscolo che aveva tuonato nei caffè per difendere la redivivaAspasiaha potuto percuoterla come una cavalla da maneggio? Èun tormento a pensarcima non c'è rimedio. Egli ècerto che non fece bene; è certo che egli doveva appagarsi didisprezzarla e di abbandonarla. È certo che anch'egli se nepentì e se ne vergognò nel punto stesso che videcontorcersi sotto il flagello spietato le bianche spalle tanto careun minuto prima. Ma si può disfare e rifare un verso; nondistruggere una battitura. D'altra partevolendo metterci un istantene' panni di Foscolo; volendo considerare che il suo temperamento eratutto di materia incendiarianon è possibile pretendere cheall'inatteso spettacolo dell'amante che bacia un dragone dovesseimitare quel professore di diritto romano che si accontentò dimostrare al ganzo della moglie infedele che cosa un marito offesoavrebbe potuto fare se si fosse attenuto al codice Giustiniano.
Mache Foscolo abbia avuto ragione o tortoè una questioneaffatto secondaria. Le serie conseguenze furono che il segretoch'esso per generosità comunicò alla A... cessòdi essere un segreto; che la contessa in quel dì stesso locomunicò alle altre sue amiche e alla Falchi e...
Vedremoin seguito quel che avverrà di questa istoria.


VI


Dopola cacciaverso seravi fu un sontuoso banchetto nella gran salaterrena del palazzo di Lainate. Uno di quei banchetti cheperconsuetofacevano ombra ai medesimi di cortee che contribuironotanto a dare alla casa Litta quella fama di ricchezza stragrandechepassò persino in proverbio.
Ilpranzo fu dei più fracassosi e giocondi. Solo quattro faccieerano aggrondate e scomposte: quella del vicerèquella dellacontessina Amalia Aquilaquelle di Ugo Foscolo e della contessa A...I loro volti erano trasvolti e abbattuti al punto da dar nell'occhioanche dell'osservatore meno esperto. Altri aspetti non troppo lietie che non parevano partecipare della gioja comuneerano quelli delcolonnello Baroggiper una ragione gentile che sapremo dopoequello dell'avvocatessa Falchi. Non era per altro malinconia quelladi costei; ella non sapeva dove stesse di casa; non era nemmenomalumore. La Falchi aveva precisamente quella che i Milanesinonsappiamo con quanta proprietàchiamano luna; lunabisbetica che la spinse fino al punto di uscire in qualcheespressione scortese col vicerèchestralunato qual eralamise a tacere con delle parole che manifestamente valevano uninsulto. L'avvocato sentì e non sentì; il ministroPrina sentì e crollò la testa; tutti i commensalisentirono ed ebbero un gusto matto di vedere umiliata quella superbasfrontata.
Allorchèsi levarono le mense (questa frase è di conio classico) etutti i convitati passarono nelle altre salel'avvocatessa Falchisimulando indifferenza e disinvolturasi accostò allacontessa A... e:
- Che diamine vi è capitato oggi? le disse: siete infuocata comeun basilisco e mandate saette dagli occhi. E che diavolo ha in corpoil vostro Foscoloche non disse una parola in tutto il tempo delpranzo? Qualche cosa vi dev'essere successo. Già ve l'ho dettoche non è possibile vivere in pace con quello stravagante.
LaA...buonissima in fondoe di quelle nature aperte che non sannotener nascosto nulla anche a loro dannosenza rispondere alle paroledella Falchisi volsee alzando lo scialle di casimiroond'erasicoperte le spalle:
-Guardatedisse.
-Che diamine è questo? chiese la Falchi; avete tutta quantasollevata la prima pellecome se vi avessero messo un settone. Mache cosa è stato?
-Vi dirò piuttosto chi è stato.
-Chi dunque?
-Foscolo.
-Ma perchè?
-Per niente.
-Oh!...
-Non vogliono capirla questi uomini pretensiosiche da noi si vuoleavere la nostra libertà. Curiosa davvero. C'era forse un pattoscritto tra me e lui? Eppoi che pattiche scritti! Oggi mi piace unpoeta coi capelli rossiperchè in tutto c'è il suobuono; ma se l'ingegno e la fantasia e il sentimento e l'eloquenza eil diavolo che li porta possono piacere un giornouna settimanaunmese; viene poi quel dì che si sente proprio la necessitàd'un bel giovane e d'una bella faccia e di una bocca con dei baffi sucui dare dei baci; io già son fatta cosìe non possocambiarmi.
-Ma insommache cosa avvenne?...
-Una cosa naturalissima. Il colonnello Baroggi mi piace da un pezzoimmensamente. Già è un gran bel giovane. Oggi mi sontrovata con lui. Ci siamo subito intesi. Gran difficoltàeh?Qui presso l'uscio dell'anticamera grande l'ho baciato... Ecco tutto.Già tu sai che i baci sono la mia morte...
-Ma e così?...
-E cosìFoscolo ha veduto. Se avesse avuto la sciabolacertoche m'avrebbe tagliata in due. - Nonocon tutt'altri potreifare la pace... Con luino. La vita è in pericolo. Che pazziafu la mia di mettermi a far all'amore con un leone in frac... Maosserva il colonnello! - Come è caro! Oh! guardando epensando a luinon sento più nemmeno il dolore della pelle.
Inquesto mentre la Falchi fece notare alla A... che il principeBeauharnais da qualche tempo era stretto in colloquio col conteAquila.
-C'è un mistero che non so comprenderesoggiunse poi.
-Il conte fu sempre nemico e denigratore del vicerèed oggipare che sia tutt'altro. Questa mattina cavalcarono in disparte esoli per lungo tempo. Adesso mi sembrano più amici che mai.Come può essere questa faccenda?
-Come può essere... volete saperlo?...
-Il contecon tutta la sua prosopopeaè caduto nella retecome un barbagianni... La contessacon tutta la sua santità...sta per abbracciare un'altra religione... Vi dirò anzi cheperciò appunto io ebbi un incarico da... da Foscolo... sìda Foscoloil quale volea che io facessi l'angelo custode di questadonna che è alle prese col diavolo...
-Ma in conclusionedi che si tratta?...
-In conclusioneil vicerè desidera una delle soliteconclusionie Dio sa che cosa dà ad intendere al marito perincantar la moglie. Ma non sarà mai che alla contessina iostia a dare i consigli di Foscolo... Già questi letteraticontutta la loro pretesanon hanno nessuna esperienza di mondo...Adorano le donne inginocchiatema per farne delle schiave... Bellamaniera di compensarle... Chi sono le donne? C'è libertàper tuttici sia dunque anche per loro. E in piena regola. Seperesempiola contessina Amalia è sazia di quell'originale disuo maritofa bene a volgersi a un altro; e perchè no?Certamente che io non avrei scelto il vicerèma se a leipiace... tocca a me a dirle: fate male? Fa benissimo. Giàioabborro tutte le marmotte superbecheperchè sono di sassocredono di essere sante... Ora sapetesignor Foscolocosa diròalla contessa? Le farò innanzi tutto i miei complimentipoimi lamenterò con lei perchè non abbia incominciatoprima... poi se le mancasse il coraggio... le farò animo io...e...in un bisognole presterò anche mano.
LaFalchi stette un momento senza parlare; poi disse:
-Non credo niente di tutto ciò. Il conte Aquila non è unuomo come un altro. In quanto al vicerènon sono le donne ditale stampo quelle che piacciono a lui...; che cosa volete che nefaccia di questa santa Cecilia in convalescenzacogli occhi semprerivolti al cielo? Finchè ci sono donne della nostra strutturami fanno pietà codeste etiche sparutebuone tutt'al piùper i collegiali che hanno il capo nella Teresa e Gianfaldoni.
LaFalchiche aveva importunato il ministro Prina per essere invitatadel duca Littacolla speranza di trovarsi ancora col vicerè eritessere la calza di cui eran cadute le magliesi sforzò anon voler credere alle parole della A...; ma in conclusione capìche ci doveva essere qualche cosa davvero; e diede il giusto valoread alcune circostanze che dapprima le erano sembrate enigmi; infinene ebbe un tal dispettoche le si converse in arsenico tuttal'abilità del cuoco di casa Litta.
Gliuomini e le donne che hanno l'indole della Falchi non è facilemisurare fino a che punto possono riuscire infeste al prossimo. Lebestie feroci c'è l'usanza di chiuderle in gabbia. Idelinquenti si mettono in prigione; ma che provvidenza sarebbe se sipotesse fare altrettanto cogli uominila cui ferocia è diquel genere latente che dilania e divora alla sordina e salta a pièparisenza nemmeno rasentarlitutti i paragrafi del codicecriminale? La Falchi era ignorante e trivialema aveva ingegno acutoe forte; ingegno fatto di perfidia e di velenoma ingegno sempre. Lasua indole l'abbiamo analizzata alquante pagine addietroe illettore si ricorderà come l'ambizione e la smania disoverchiare altrui in tutto fosse la febbre acuta che non la lasciavamai tranquilla. Così fosse stata una febbre acuta da gettarlain un letto e da metterla presto nelle braccia d'una mortebenefattrice. Ma secome la tigre realeella aveva indosso unarabbia cronicacome la tigre reale aveva una forza poderosa e unasalute inalterabile e un piloro di porfido da macinare anche ildiamante. Ella viveva di rabbia mantenutagli costantemente dalla suaeccessiva vanità. Questa vanità chead onta dellamente svegliatala vediamo sovente nelle persone ignoranti epresuntuose e che hanno la villania nell'intellettofu tale chequando il vicerè gettò gli occhi sulla sua faccia roseae sulle sue spalle classicheella sognò addirittura e troni edominazioni e sa Dio che altre strane cose.
Eccoperchè le riuscì così amaro l'abbandono delvicerè; ecco perchèammirando sè stessa nellospecchio e parendole di veder conservata tutta quanta la propriafreschezza voluttuosacoll'aggiunta di certe rotonditàrecategli in dono dalla completa maturanzasi tenea certa che ungiorno o l'altro il vicerè sarebbe ricascato; ecco perchèquando invece potè convincersi che Beauharnais avea messo gliocchi su di un'altrae s'accorse (perchè una volta messa invia aveva l'occhio acuto) ch'esso era sollecitato e riscaldato edesaltato da qualche cosa di diverso dal solitoella avrebbe datoscacco matto anche a Medea per vendicarsi di quel nuovo Giasone.
Maoratralasciando tutte le cose inutilidobbiamo ritornare allafesta di cortecon cui abbiamo incominciato questo episodio.


VII


Giovaintanto sapere che questa festa fu posteriore di qualche mese allacaccia di Lainate. In tale frattempo le passioni dei personaggiprincipali del nostro dramma subirono quelle modificazioni ealterazioni che il tempo suol sempre produrre. La contessina AmaliaAquila era stata fatta dama di corteannuente il marito che nonvolle nulla per sèma che attendeva ben altre cosedall'avveniree fiutava gli eventi come il leone fiuta il vento cheinveste la selva; la viceregina Amalia Beauharnais supplicòella stessa il conte Aquila perchè concedesse alla moglie diaccettare il posto di dama di corte. Veramente fu il vicerèche indusse la vicereale consorte a far quella preghiera; ma ancheessa ebbe piacere di accondiscendere al maritoperchèingenua e virtuosissima qual eravedeva nella contessina Aquila unadelle più splendide e gloriose eccezioni in quella schiera divoluttuose donne che stavano alla contessina come le abitatriciolimpie a qualcuna delle martiri cristiane.
Quellamartire peròdegna d'essere dipinta dal Beato Angelicodaqualche tempo volgeva e rivolgeva nell'animo pensieri ed aspirazionie desii e voti che non eran certamente quelli del paradiso celestema di quell'altro paradiso che si trova dappertuttoanche in untugurioanche nelle lande della pianuraanche in una risajapurchèvi siano un uomo e una donna che si vogliano bene con ardore e congentilezza. Davvero che la contessina fece malissimo a riposarsitroppo su quei pensieri; davvero ch'ella avrebbe fatto meglio agettarsi ai piedi di un confessore oblatoe a flagellarsi settevolte al giorno per trenta giorni; ma in conclusione ella non uscìmai dal segreto de' suoi pensieri; ma in tutto e per tutto si ridussea far dei conti senza l'oste.
Tornandoindietroabbiamo vista la contessina a ballare la sua quadrigliad'obbligo col vicerè; però possiamo congetturare leparole che il vicerè le deve aver dette all'orecchio neiriposi alternati della danza.
Quandouna donna ha pensato molto ad un uomo nella solitudine non maisvegliata della casa; ed è stata gran tempo senza vederloecol desiderio di vederlola prima volta che si trova con lui subisceuna tale ebbrezza vertiginosache non è più capace digovernare sè stessamalgrado di tutta la sua virtùnativa. Ella si lascia trascinare dal suo affascinatore come unabambina infatuata. La stessa innocenza della vitala stessaingenuità dell'indoleinvece di essere armi di difesaespongono i lati più deboli alle ferite. La contessina dunquedanzò e ascoltò le parole del vicerè senzasapere quel che si facesse; senza ricordarsi più in che mondosi fosse. Vi fu persino un momento in cui si lasciò andare adun abbandono così spensieratoche il vicerè medesimosi fece guardingo e riservato per paura che troppi se neaccorgessero. Tanto l'innocenza assume talvolta la sembianza del suoopposto. Alle altre dame e alla Falchi non sarebbe mai capitato ditrovarsi come la povera Amalia nella condizione del rosignuolo chetrepidando e inconscio sbatte l'ali per volare sulla lingua delcrotalo. Ma non si scansa che chi conosce il pericolo; e se èun pericolo ambitolo vuol rendere più appetitosoprotraendolo!
Piùd'una voltaanche senza essere stati il vicerènèavere avuta un'assisa tutta carica d'orosarà capitato a voituttii miei cari giovinettiche oggimaial pari di mesiete inliquidazioned'avere avuto sotto il braccio o tra le braccia talunadi quelle care giovinette o donne sature di sentimento e d'indoleingenuache per un momentonell'entusiasmo dell'affettovannosoggette ad una specie di sincope mentale; ese siete statigalantuomininon avrete abusato di quei momentiperchè nonc'è nè coraggio nè gloria a vincere chi non èin parata. Ebbenela contessina Amaliaalla festa del 1810assomigliò appunto per un istante ad una di codeste donne; nelmedesimo tempo che il vicerè non pensò nemmeno per unminuto a sfoggiare quel galantomismo del quale voi ed ioprobabilmenteavremmo dato un così bel saggio. Egli si misesoltanto in gran riguardofinchè stette nell'affollatissimasala delle Cariatidima appena cessò la musicae i danzatoriricondussero agli aurei sedili le sudate Alfesibeeegli passo passodopo aver dette due parole al generale ajutantetirò di lungocolla bella contessina sotto il braccio eadagio adagioscivolòcon essa attraverso ad una delle porte e passò nelle altresale. Fu allora che l'avvocatessa Falchicome fu già dettoattaccatasi sotto al braccio del pittor Bossiseco lo trasse suipassi della povera contessina.
-Venite con me un momentoavea detto la Falchi al Bossi.
-Dove?
-Si sa; a far un giro per le sale.
-Rechiamoci allora nella sala del buffetche ci ristoreremo diquesto caldo africano.
-Al buffet ci andremo dopo. Venite ora con me...
-Sempre disposto all'obbedienza. Ma di che si tratta?
-Di nulla o di molto. Ma non vorrei che stanotte nascesse qualchetragedia.
-Tragedia?
-Il conte Aquila è quie non è cieco; la contessina haperduta la testa; e quella frasca di vicerè vuolcomprometterla in ogni modo.
-Vivere e lasciar viverecara signora. Che cosa vuol ella fare? Ilconte è là che parla con Marmont da più diun'ora. Ella sa ch'ei non bada più a nulla quando èsprofondato in una disputa. Lasci dunque andare.
Ilpittor Bossi conosceva troppo la Falchi e non si fidavaecomprendeva che tutte quelle premure non derivavano da buoneintenzioni.
-Sa ella che cosa dovremo fare piuttosto? soggiunse poi.
-Sentiamo.
-Recarci là presso al contee quando Marmont si staccasse daluimetterci tosto al posto del generale; e non lasciar solo ilcontee trattenerlo e annaspargli la vistae dar tempo al tempo perlasciare che chi vuol cavarsi un piacere se lo cavi senza pericolo esenza conseguenza.
-Ma che propositi son questisignor pittore? Per chi mi credete?
-O propositi o spropositiio non disfaccio mai il piatto altrui. Chiha appetito mangie buona notte. Ho altro per la testa io.
Ilpittor Bossi non parlò certo con gentilezza cavallerescamadisprezzava la Falchidi cui non poteva sopportare la capricciosa evanitosa burbanza. In quanto a leicon sgarbo plebeo e da fantescasi staccò da luilo piantò in mezzo alla salae mosseincontroimponendo il proprio braccio a un giovane patrizioilquale allora poteva avere dai ventiquattro ai venticinque annieoggi vive ancora con quasi sessant'anni di piùe sta benonedi salute.
Questovecchioche nel 1810 era un giovaneveniva da' suoi conoscentisoprannominato il Milordino perchè aveva fattodue volte il viaggio di Londraperchè aveva portatodall'Inghilterra tutte le caricature che là si erano diffusecontro Bonaparte generaleconsoleimperatore; perchépreferiva il roast beef alla nostrana coppa di manzoeperchè portava nel taschino del panciottoche aveva dovutofar ingrandireun grosso orologio inglese da capitano di navecomperato a Londra da un ajutante di Nelson. Non era troppo benveduto dal governo; ma siccome era tutto dato a cavallia donnealgiuococosì non era per nulla temutoe lo lasciavan fareoper esprimerci più giustolo lasciavan dire. Fra tutti quelliche da qualche tempo avevano sulle corna il vicerèegliprimeggiava incontestabilmentee ciò per il disdoro toccatod'essere stato messo alla portasenza nemmeno il ben servito nèla concessione degli otto giorni di praticadalla sua troppo bellaamanteche riuscì troppo cara a Beauharnais. La Falchi sapevaquesti antecedentionde quando lo vide spuntar da una portapensòtosto di abbandonare il buon Bossi per attaccarsi a un confederatopiù disposto ad una lega offensiva e difensiva. Nèancora la sua mano era appoggiata al braccio del Milordinoche giàquesti le aveva detto:
-Ha vistomadama? quasi quasi sarei tentato di andare ad avvisare ilconte e di farlo venir qui.
-È facile ingannarsicaro conte. È meglio primaaccertarsi...
-Accertarvi?.. ecco... avete visto?
-Davvero che ho visto... Masapete che se da una parte la petulanzaha passato ogni ritegnodall'altra l'inesperienza e la leggerezzasono tali che una collegiale di S. Filippo potrebbe darle deipareri!...
Questeparole furono provocate dal fatto che il vicerèquando fu inquella camera che precede l'attuale stanza da lettononostante chele livree di corte stessero immobili a guardia delle portenonostante che alcuno degli intervenuti fossero là per trovarequalche ristoro al caldo soffocante delle sale affollatenon seppevincersi cosìche non baciasse sulla gota la trasognatacontessina Amalia. Fu l'atto di un minuto secondo; ma fu tale che lacontessina parve come svegliarsi di colpo da quello stato ditrasognamento deliro in cui versava da qualche tempo. Si svegliòsottrasse la gota alla bocca del vicerèe si sciolse dallebraccia di lui con un movimento così risoluto e quasiguerrieroche il vicerè non valse a trattenerla. I servitoridi corte che stavan là immobili addossati agli stipiti delleportecome statue di terra cottavidero ogni cosa; magl'intervenutii quali erano aggruppati in un angolo confabulando incrocchionon ebbero il tempo di voltarsiche la contessinainseguita dal vicerèera già uscita. La Falchi e illord contino tirarono di lungo come se fossero dell'altro mondoeritornando nelle sale affollatesi confusero al mare magno.
Un'oradopo la contessina Aquiladama di corteera seduta presso laviceregina Amalia; chenella sua angelica bontàle diceva lepiù gentili parolele faceva le più affettuosecarezze. Il vicerèin altra partediventato di mal umore easprissimosi rendevasenza volerloantipatico e uggioso a quantiebbero a parlar seco. La Falchiseduta col ministro Prinagli stavanarrando e descrivendo quanto aveva vedutoe il ministrocrollandola testa:
-Che queste coseosservavale diciate a mecara signora Teresastabene- ma per carità non vi venga la tentazione didirle ad altri... È già una disgrazia che abbiate avutoun testimonioe che testimonio!... A propositovoi dovreste fareuna cosa: pregare il conte a non dir niente a nessuno di quanto havisto. Capisco che sarà difficile chiuder la bocca a unfarfallino tale... In ogni modogiacchè voi avetedell'ascendente su costuiperchè le belle donne fanno faretutto quello che vogliono ai giovanottipotreste indurloper lomenoad essere un po' circospetto... In conclusionequando avesseparlato e avesse fatto in modo che il conte venisse a saper tutto...su chi verrebbe a cadere la tempesta?... Sulla più innocentedi tutti... Nè stia mai a credere di poter vendicarsi delvicerè... Pretendereste che il vicerè potesse averpaura del conte? Ma non state mai a credere una simile corbelleria.Tutto quello che potrebbe succedereavuto riguardo all'indolesuperba e terribile del contesarebbe di far nascere uno scandaloinaudito da far parlare tutto il paese; il conte potrebbe sfidare ilvicerè... e il vicerècome vicerènonaccetterebbee lascerebbe il conte scornato più che maie intale stato d'esacerbazione da far nascere una tragedia domestica. Èsempre la povera contessina che ne va di mezzo; la sola contessina.Abbiate pietà di leiper carità; fate capire alMilordino che a parlare commetterebbe un atto di viltàinaudito... Pigliatelo da questo lato... Lusingatelo nel suocarattere di gentiluomo e di cavaliere... Vedrete che vi ubbidirà;facendo credere agli uomini che noi siamo intimamente persuasi cheessi possedono qualche virtù che non hannofiniscono adassumerlaper il momento almeno. - Ditegli adunque che uncavaliere onorato e squisito come lui non può trovare nessunacompiacenza a compromettere una povera donnache è giàinfelice abbastanza. Che se poi volesse vendicarsi del vicerè...è subito fatto. Si faccia innanzie gli rubi alcuna delle sueamanti... È questo il solo genere di sfida e di duello che ilvicerè non può rifiutare. Guardate che il contino èlì. Non perdete tempo. Attendete ch'io gli faccia cenno.Eccolo... parlategli chiaro e fortecome sapete far voi. Addio -siamo intesi; e si alzava dicendo al contino che si avvicinava:
-Madama ha bisogno di parlarvi. Io vi lascio con lei.
Ilministro Prinada uomo di mondo e di retto senso e buono di quellabontà che non vuole gli scandali e le sventure inutiliperoròcosì fortemente perchè l'avvocatessa serbasse ilsilenzioche ella infattiquantunque fosse d'una caparbietàper lo più invincibileobbedì per allora e indusseanche il Milordino ad obbedire. Egli è vero che il giovinottoaveva già detto qualche cosa a taluno de' suoi amiciegli èvero inoltre che anche altri in quella notte s'accorsero che qualchecosa c'era stato tra il vicerè e la contessina. Ma le diceriesi fermarono tutte a molti passi di distanza dal conte; ma se il belmondo parlò e sparlò dell'avvenutoil conte per assaitempo visse nella più profonda oscuritàe lacontessinaritornata nei silenzj casalinghidopo aver ripensato conorrore al pericolo fuggitogiuròper quanto il cuore legemesse e la passione la straziasse in mille modidi non mettersimai più al punto di trovarsi da sola a solo col vicerè.E attenne la promessa e il giuramento; e non ebbe in seguito adincolparsi d'altro che di pensieri ed aspirazioni sentimentalie futanto modesta secoche non si ascrisse a meritocome bene avrebbepotutol'essere fuggita così deliberatamente dal vicerèche volea trarla a perdizione. Tutto adunque sembrò finito inquella notte. Il dramma incominciato con grande aspettazione erasisciolto in nullatra un pentimentoun dispetto fuggitivounosbadiglio e un consiglio prudenziale. Ma sinchè si èvivise durano le speranzesono anche incessanti i timori e ognorpresenti i pericoli: e dovevano trascorrere due anni prima che quelbacio fatalecome una morsicatura di cane idrofoboavesse aricomparire nelle sue conseguenze con sintomi i più esiziali.
Chiavrebbe detto al ministro Prinaquando perorò a vantaggiodella felicità domestica dei conjugi Aquilache piùche mai aveva perorato per sè? Chi avrebbe detto ai piùveggentiche la prima volta che fosse giunta all'orecchio del contela notizia di quell'avventura galanteil destino avrebbe in quel dìstesso segnata una sentenza di morte; e che del famoso eccidiosarebbesi in quel giorno cominciata a tessere la prima trama?Saltiamo ora dunque due anni di piè pariper trovarci in sulprincipio dell'anno 1813sotto la luce sinistra della stellatramontante di Napoleone.


LIBRODECIMOSESTO




SOMMARIO


Ilgenio di Napoleone. - Spagna e Russia. - Il corriereBarbisino. - Le satire milanesi. - Il conte Aquila emadama Falchi a Parigi. - Il colonnello Baroggi e il vicerè.- Il testamento del marchese F... e il tribunale di Milano. -I nemici di Beauharnais. - Una vittoria di Napoleone. -I vecchi e i giovani. - La famiglia Baroggi. - Ilmaestro Galmini. - L'Europa e il Nihil. - Ilministro Prina e il dott. Scappa. - Due milioni. -I coniugi Falchi nella camera da letto. - Ricomparsa delvecchio Galantino.


I


Neltempo in cui Beauharnais diede quella festache fu l'ultima delregno italicola gloria e la potenza di Napoleone avevano raggiuntoil loro apogeo. L'adulazione dei letterati cesareiche si eran fattiimprestare dal Giove d'Omero i classici predicati d'Ottimo e diMassimoper darli a Napoleonerappresenta compiutamente quelperiodo. Al pari e più di Nabuccodonosoresso allora potevadire: Non son più reson Dio. Ma è unalegge eterna della natura e dell'umanità che il grado massimodelle cose sia transitorio. Bonaparte impiegò quindici anni atoccare il vertice supremo d'una onnipotenza umanache quasi rendeal'ideale dell'onnipotenza divina; ma in quindici mesi tuttoprecipitò. Il simbolo biblico del colosso dal capo d'oro e daipiedi di creta è la formola perpetua che riassume la biografiadi coloroi quali abusarono d'un genio smisurato per far violenza aiminori viventiandando a ritroso delle leggi economiche dellasocietà. Con ventotto mila uomini in ciabattae dodicicannoni stracchiBonaparte in tre mesi spaventò l'Europa. Conottocentomila soldati e milleduecento cannoni provocò ilbarbarico ghigno dei pidocchiosi Cosacchi.
Macoi laceri e mal pasciuti battaglioni il genio aveva operatomiracoliperchè trovò un ausiliario nelle aspirazionidell'universalità. Armato di una forza materiale quale nons'incontrò mai nella storiail genio si degradò e fuumiliato perchè pretese di soffocare i desiderj legittimidelle nazioni. Assecondando le leggi della naturaun fanciullo puòfar portentimovendo una macchina ben congegnata; ma un bracciod'atleta si spezza se pretende arrestare una ruota mossa dal vapore.
Ilgenioessendo l'espressione massima della potenza delle facoltàmentali che si corroborano e si esaltano a vicenda per la virtùdi una conflagrazione eccezionale che quasi esce dalla condizionefisiologicase appena d'un grado sorpassa quell'espressionetostosi altera in modo da diventare un accidente patologico. L'ingegno eil geniogià lo scrisse il Sarpinon sono altro che unalenta infiammazione del cervello. Concesso che ciò possa esserveroappena quell'infiammazione cresca di qualche pocosiamo giàallo stato dell'encefalite. Romoloche senza dubbio fu un uomo digenionegli ultimi anni del suo regno ebbe tali afflussi di sanguealla testa e diventò così prepotente e insoffribileche i padri coscrittitanto per respirarecogliendo l'occasione diun temporalelo fecero scomparire dalla terra e lo trasmutarono inuna stella meno incomoda a loro e ognor cara alle credule plebi. Ilgenio di Alessandro il Grande subì a trent'anni una cosìtremenda flogosiche trucidava gli amici a titolo di passatempo.Alla possibile encefalite di Giulio Cesare apprestarono i congiuratila cura preventiva di ventitrè salassi.
Tornandoa Napoleonecome è noto che a Parigi vi fu un momento criticoin cui si pensò a farlo scomparire al pari di Romolocosìè un fatto che dopo la pace di Tilsitquando si vide aiproprj piedi i troni degli altri ree ricevette fumate di incensoadulatorio dal fallace Alessandro; e vestì la polacca divelluto verde coll'ermellino e l'oro e i rubini per sembrare piùavvenente alla malfida di Varsaviaei ritornò a Parigi tuttotrasmutato e così furioso d'orgoglio che gli si oscuròla vista e non discerse più il vero.
Nellespedizioni fatali della Spagna e della Russia son consegnate le provedella non breve malattia del suo genio. Ognuno sa come i suoiluogotenenti ad una voce si lamentassero ch'egli fosse diventatoinerte e torbido e strano sui campi di battaglia. Ognuno sa come Neyabbia detto che sarebbe stato ben meglio ch'esso si fosse fermato aParigi a far l'imperatore. Bensì la sventura doveva risanarlo;il ghiaccio di Russia e i disastri di Spagna dovean ricondurre lacalma e l'equilibrio nelle sue prodigiose facoltà mentalisebbene sia stato indarnoperchè fu troppo tardi. Il sansonericuperò la forza fatalema non gli valse che ad infrangerele colonne per rimanere anch'egli schiacciato sotto alle rovine deltempio.
Piegandoal concreto delle cosetutt'Europanegli ultimi giorni del 1812era variamente attonita per la notizia degli orrendi disastri diRussia. Più di settecentomila famiglie gemevano in quei giornio sconsolate o tementi; in quanto all'esercito d'Italiasapevasicome fosse ognora avvolto in tutti i pericoli d'una disastrosaritirata. Tutta Milano era in lutto; disotto al lutto scoppiavano gliodj e le ire in addietro compresse. I lodatori del nome napoleonicotacevano per paura; i giusti estimatoriche non si lasciavan vincerenemmeno dalla mutata fortunasi chiudevano in se stessiper noninsultare alle piangenti famiglie; e tuttistanchi delle voci vaghee generali che accrescevano le proporzioni della sventuracol nondefinirlaaspettavano notizie più particolaripiùesatte; aspettavano lettere di qualche attore del sanguinoso dramma;aspettavano con impazienza carriaggi di feriti. Il primo di gennajodel 1813 verso sera si sparse finalmente la voce che era giunto aMilanoinsieme collo scudiere Alemagnail notissimo corriereBarbisinofamosissimo allora per la sua robustezzafisica e per aver fatto più volte quasi d'un fiato il viaggioda Parigi a Milano. Durante la notteil cortile dell'albergo dei TreRedove il Barbisino alloggiavafu per più ore gremito digente che si rinnovava ogni minuto. Il corrierementre cenavadescrivevaraccontavarispondeva a cento domande.
Latavola a cui esso sedevaera tutt'all'ingiro circondata da una follastipatissima di ascoltatori.
-SentiTrasella (così parlava il corrieree Trasella era ilnome del maneggione dei Tre Re)giacchè l'ora ètardadovresti far chiudere l'osteria e mandar a casa tutta questasanta croce di genteche con tanto freddo sta lì ad aspettarein corte. Già è impossibile che io abbia potuto vedertutti i loro parenti e figliuoli che hanno militato in Russia...Bisogna dir loro che si preparino a non veder più nessuno. Diseicento o settecento mila uomini è molto se rivedranno leloro case da dieci a dodici mila giovani. Per duecento leghe continueio non ho visto che morti. Morti di freddodi famedi malattia. Chiè morto è mortoe non c'è rimedio. Io credochedal diluvio in poinon sia mai successo un disastro cosìspaventoso. Il mio collega Brioschi è morto di freddo pocolontano da Vilnae il corriere Rampini che viaggiava con lui hadovuto di propria mano scavargli la fossa e seppellirlo. Bisognaaverle viste e passate a cavallo quelle pianure sterminate dighiaccio e di neve. Bisogna aver provato l'effetto di quellesolitudini immensee di quel silenzio profondo e misteriosoche mifaceva credere d'esser fuori di questo mondo. Vi basti il dire chepersin la vista dei cadaveri mi alleggeriva dallo spavento e mifaceva compagnia. Era per essi se m'accorgevo d'essere ancora aquesto mondo.
-Mae Napoleone?... chiedeva un ascoltatore.
-E di tanto in tanto quell'orrido silenzio veniva rotto da scoppjviolentii quali mi facevan credere che da lontano continuasseancora la battaglia… E dite un po'che cosa era? Erano i tantie tanti cavalli mortiche imputriditi e gonfiati e ingrossati comeelefanticrepavano per dar sfogo ai gas in fermentazione...
-Mae Napoleone? chiedeva per la seconda volta il solito ascoltatore.
-Questo signore l'ha sempre con Napoleone. Napoleone sta orascaldandosi al caminetto... Per adesso non le posso dir altro... Ma aParigi si sparla assai del suo contegnoe dell'aver abbandonatol'esercitoe dell'aver lasciato tutto nelle mani di Muratche poise la cavò per lasciar nell'impaccio il vicerè... Maaproposito di caminettoNapoleone ha detto una parola che irritòtutti i Pariginie segnatamente coloro che hanno perduto e piangonoo aspettano i loro figliuoli assassinati.
-E che cosa ha detto Napoleone?
-Ha dettofregandosi le manich'ei si trovava assai meglio alcaminetto di Parigi che al ghiaccio di Russia...
-Fin qui non poteva dir altrimenti. Sfido io!
-Certe cose si pensanoe non si dicono... Madopo tuttonon sarebbemai escito in quelle parole se fosse stato in mezzo ai soldati.Sapetea propositoche cosa mi raccontò lo scudiereAlemagnache ho trovato a Parigie che ha perduto a Brescia idispacci del vicerè? Mi raccontòdunqueche l'ira ela disperazione e l'insubordinazione erano a tal punto fra gli stessisoldati della guardiai quali per il freddo soffrivano fino allospasimoche non seppero tollerare che Napoleone stesse chiuso incarrozzae gli gridarono minacciosi: Giù dalla carrozza!e Napoleoneatterrito di quella dimostrazione per lui strana enuovissima più che del pericolo di cadere nelle mani di Pultow(il qualese non lo sapeteè un generale cosacco tutto pienodi pidocchi e in tanta famigliarità con essi che allorquandosta riposando si diverte a farne la caccia sulla propria testa)...Dunque... che cosa dicevo? Ahdunque Napoleone fu cosìatterrito da quel grido d'indignazione disperatache discese apiedicalcando la neveinsieme cogli altri. Ma nemmeno questobastòperchè essendo tutto imbacuccato nellapellicciai soldati tornarono a gridare: Fuori la pelliccia!Ed egli si mise in redingoteperchè i soldati loguardavano come chi ha volontà di metter altrui le maniaddosso. Questi fatti precisi li seppe il conte Alemagnadall'ajutante del vicerè.
-E che cosa dicono i Parigini?
-Che cosa dicono? Se non fosse per la linguaun forastiero potrebbecredere di essere piuttosto a Londra che e Parigi.
-Cioè?...
-Cioè... non mi capite? Voi altri sapete quanto Napoleone siaodiato dagli inglesi. Ebbenefate conto chein confronto deiPariginigli Inglesi possono passare per adulatori. Inquarantott'ore che mi son fermato a Pariginon ho sentito chebestemmiee ingiurie e satire. In ogni modotorneranno a tacereperchè il ministro Fouché è l'uomo dei miracolie fra pochi dì chi non saprà parlar benestaràin silenzio. Intanto è pericoloso a pigliar le difese di S. M.nei pubblici convegnitanto è vero che (e questa che vi vendoè nuova di zecca) il nostro conte Aquila che trottò aParigiper vedere più dappresso il temporalecosìalmeno mi fu dettoe in un caffècon quel suo fare altero edispoticodiede sulla voce a un Francese perchè insultavaalla sventura (tali erano le sue parole)poco mancò nonvenisse maltrattato da quanti erano presenti. E vi diròinoltre che fu esclusa da qualche casa quell'intrigantepetulantissima della moglie dell'avvocato Falchila quale andòa Parigi invece del marito; e colà faceva da profetessaeassicurava vittorie grandi e prossimee tutto ciò perchèle premeva di smerciar i boni del tesoro che l'avvocato ebbe troppapremura di acquistare. Queste cose io le sentii a Parigi da uncommesso viaggiatoree vi ripeto che due o tre case di banchieridove probabilmente ci sarà stato da piangere qualche giovanesoldato morto sotto il ghiacciola misero sgarbatamente alla porta.
Questeparole franchissimepronunciate in una pubblica osteria da uncorriere pagato dal governodimostrano come fosse cessataper ilmomento almenol'idea della sterminata autorità napoleonicae come ognuno desse libero sfogo ai proprj sentimentiavendoritornato il dio alle proporzioni dell'uomo. I cittadini milanesiseguendo l'impulso di quell'indole che ne costituisce il caratterespeciale (ed è quello di trar materia di ridere anche daqualunque sventura)ricamavano di barzellette e dicerie ed epigrammila tremenda epopea tragica di Napoleone; ma perchè non sicreda che fossero spietati dell'altrui sventuraconvien dire checontinuavano le celie anche allorquando del grandisastro napoleonicoessi insieme col resto dell'imperodovetteroadattarsi a pagar le spese per tentar di rifare il disfatto colosso.
Ognunosa comeappena Napoleone fu giunto a Parigia tutt'i sudditi delvasto impero fu fatto intendere dai ministridai prefettidaisottoprefettila necessità di fare a Sua Maestà delleoblazioni volontarie. Per fermarci a Milanotutti i corpipubblici mandarono copiosi doni all'imperatore; tutti i magistratitutti gli impiegatitutte le classi cittadinei banchieriinegoziantii giojellierigli orefici; gli ordini degli avvocatidei notaidei ragionieridei medici fecero a gara nell'offrirdanari e doniin virtù di quella volontà comandatache spesso è più forte della volontà spontanea.L'Ospedal Maggiore e quello di S. Corona concorsero anch'essipermezzo degli amministratoriispettori e giù giù finoagli infermieria quello scopo. Gli stessi preti in cura di animenei due nosocomj si tassarono soldi quindici per ciascuno.L'impresario della Scala diede una serata a beneficio di S.M.e inquella sera tutti i virtuosi di canto e di ballo fecero una collettache trasmisero alla direzione del R. Teatro. Mad. Ribiermodistadella vicereginamandò al ministro la oblazione di franchitrecento. Macome dicemmose i Milanesi si distinsero perl'abbondanza delle elargizioninel tempo stesso se ne ricattavanocon satire. Una mattina di gennajo molta folla s'accalcava perleggerne unache a grandi caratteri era stata impastata sul portonedi mezzo della Metropolitana. La satira era questa:


Milanl'è de vend:
Inquaresma l'istrument.
Generale uffizial
Hintucc all'ospedal:
Desoldaa ghe n'è pû;
Bonapartel cerca sù.


Questaera l'espressione comica del sentimento generale dei Milanesisegnatamente della classe operaja e della gente minuta. Ma sel'espressione era comicaconteneva nella sostanza qualche cosa diterribilmente profeticoche potea dar da riflettere agli uominiserj. Il verso - Milan l'è de vend -come un'effemeride astronomicaannunciava gli accidentidell'anno successivo.
Aqueste satire in vernacolorappresentanti l'acume popolano cheriassumeva il vero senz'odio e senza menzognafacevano contrappostoaltre satire che circolavano manoscritte e si leggevano ne' crocchjdel teatronelle conversazioninei caffè; ed eranol'espressione delle ire e delle antipatie di qualche patrizioincarognito pel passatodi qualche letterato testardodi qualcheprete che aveva perduto la prebenda.
Giàfin dal dicembrequando Napoleone a grandi giornate s'affrettava aParigierano corsi per tutte le mani i seguenti distici:


Napoleonquondam Magnus cognomine dictus
Nuncmerito in castris dicitur exiguus.
Coeloipsum petiit furibunda superbia regis
Dementemregem deprimit ipse deus.
Funditusabsorpta estBonaparsvictoria; avitos
Sipoterissatis esttutus adire lares.


Neiprimi mesi dell'anno 1813 il cavaliere Aldini scrivevaincessantemente ai ministri del regno italicoperchèsollecitassero indirizzi da tutte le parti a felicitare l'imperatoread assicurargli attaccamento e fedeltàa lodarlo dell'averesaputo scappare perfino all'ira degli elementia far voti per nuovee più gloriose vittorie; e tosto corse per Milano unepigrammache si disse mandato da Roma da Alessandro Verri alfratello Carloche fu poi presidente della reggenza. Il conte Carlolo lesse in privato a pochi e fidatissimi amicicoll'esortazionepreliminare di non parlarne in pubblicoo almeno di tacernel'origine. Macome al solitoil segreto fu sparpagliato ai quattroventie l'epigramma lo ebbero anche i cioccolattieriche se lofecero tradurre da qualche canonico. Eccolo nell'originale latino:


NapoleonRegum dedecusfurumque magister
Quemtota abhorret progenies hominum.
Attamena cunctis laudari mandat et ambit.
Necpudet heroem se celebrare virum.


Apoco a poco però le satire scomparvero; un po' gl'indirizziun po' i giornaliun po' le notizie che venivano da Parigiun po'il falsoun po' il vero; ma più di tutto il fatto cheNapoleone delle oblazioni dei sessanta milioni di sudditi e dei mezzifinanziarj improvvisati per miracoloe del novello esercito che sivedeva a comparire da tutte le partiaccennava di ristaurare ilcrollante edificio; tutte queste cagioni insieme fecero tale effettoche l'ammirazione compressa ricominciò ad espandersiche gliamori che parevano spenti si rinfocaronoche i suoi nemici vecchi sirintanaronoche i suoi devoti intiepiditi si riscaldarono ancora. Edi giorno in giorno ritornavano gli avanzi dell'esercito italiano. Ilpopolo andava ad incontrarli alle porte; erano ovazionierano sfoghid'affetti. Alcuni mesi prima Napoleone veniva maledetto; mentreadonta di tanti antecedenti avversiil principe Beauharnais venivaesaltato pei suoi sagrifizjper la sua costanzaperchè soloera rimasto a proteggere la ritirata degli estremi avanzi delgrand'esercito.
Mai convogli dei reduci feriti vennero a cambiare il favore popolare inodio; si raccontarono le ingiustizie fatte da Beauharnais ai soldatiitalianisi raccontavano le controversie avute col general Pino;l'iniqua malizia con cui impedì alla divisione di quelgenerale di segnalarsi in più fatti d'armi ove il suo aiutosarebbe stato tanto salutare. In una parolaNapoleone fu rimesso sulpiedestalloe il vicerè fu generalmente detestato. Adaccrescere quest'odio giunsero da Parigi a Milano il conte Aquila ela moglie dell'avvocato Falchi. Essi avevano fatto il viaggio incompagnia. L'ambizione che aveva spinto a Parigi il conte Aquilae iboni del tesoro per cui la moglie dell'avvocato erasi recata ascandagliare le banche francesifurono le cause funeste degliavvenimenti che racconteremo.


II


Comedunque abbiam sentito dal corriere Barbisinoil conte Aquila el'avvocatessa Falchi erano andati a Parigi sulla fine dell'anno 1812quando appunto sapevasi che Napoleone a grandi giornate vi ritornavadalla Russia. - Essi eransi recati nella capitale dell'imperoper diversi intentie senza che l'uno sapesse dell'altra. Il conteAquilache non erasi mai più trovato col vicerè ed erastracco di fiutare l'avvenireed era più stracco di vivere inun non glorioso riposoalla notizia dei disastri inauditi del grandeesercito che in pochi mesi aveva rovesciato l'edifizio miracoloso ditanti annisi affrettò a Parigi per vedere piùdappresso le coseper affiatarsi coi personaggi più vicini altrono e più addentrati nella cosa pubblica. L'uomo ambiziosoche non aveva potuto trovare un seggio abbastanza alto per sèfinchè durò la gloriosa fortuna di Napoleonesperòche quel repentissimo cambiamento di cosequella procella furiosache aveva soffiato nelle viscere del mareavrebbe slanciato allasuperficie tutto ciò che per le circostanze era rimasto alfondo. Le sue idee e le sue aspirazioni però erano tutt'altroche determinate.
Piùangustepiù mercantilima più preciseerano lecagioni per cui l'avvocatessa Falchi erasi anch'essa recata a Parigi.L'avvocatospeculando sul cattivo andamento delle cose di Spagnaaveva comperato per bassissimo prezzo una grande quantità diboni del tesoro. Secondo il suo modo di vedereavvalorato assai daiconsigli del ministro Prinaerasi tenuto certissimo che le continuedisfatte della guerra di Spagna sarebbero presto state riparate daitrionfi del Nord; si gettò dunque audacemente in quellaspeculazionela qualese avessero côlto nel vero le sueprevisioniavrebbegli portato in cassa un pajo di milioni. Ma per leinattese rotte di Russiache nell'opinione degli uomini nonavrebbero dovuto succedere colla presenza di Napoleoneche eramancato in Ispagnala carta moneta correva pericolo di rimanercarta semplice. L'avvocatessa chesiccome suol dirsiera una donnacoi calzonie voleva far l'uomoe l'uomo d'affarie ajutava ilmarito in tutti i modisi profferse a fare il viaggio di Parigieperchè l'avvocato era più necessario a Milanoe perchèa leidonna ancora avvenenteesecondo la sua particolareopinioneancora tale da trovar aperte le porte che comunemente sichiudono in faccia agli uominiil còmpito sarebbe riuscitoassai più facile che al marito. A Milanose il conte Aquilaconosceva la Falchi e s'era trovato secolei in qualche pubblicoconvegnonon era però null'affatto nè suo amico nèintrinseco; di piùil suo orgoglio e il suo rigorearistocratico gli rendeva spregevole quella donna di plebeo casato edi modi più ancora plebeial punto che vietò allapropria mogliech'era d'indole gentile e affabile oltre l'ordineconsuetodi non far troppe parole con quella donnaquando percombinazione si fosse trovata seco in qualche ritrovo.
Quest'avversionesuperficiale sembrò scomparire quando il conteper casoebbead incontrarsi colla Falchi a Parigi. Un uomo che in patria appena siconosca di vistaquando s'imbatte a vederlo in terra lontana trafaccie straniereimprovvisamente si trasmuta in vecchio conoscente.Se una persona di consueto la si scansava per antipatia invincibilediventa per lo meno tollerabile alla distanza di cinquecento oseicento miglia. Se con un amico ci siam guastati il sangue e s'èvenuti alla risoluzione di levarci il salutoappena lo si vedespuntare da una via d'un paese lontanoogni rancore scomparesenzabisogno d'intermediarje tutto finisce con una risata sonorachevale per cento scuse e cento dilucidazioni. In virtù di questofenomeno umanoche si ripete e si verifica costantementeallorquando il conte vide la Falchi al teatro imperialemalgrado ilproprio orgoglio e la nessuna stima che aveva di quella donnasirecò a farle una visita.
L'avvocatessanaturalmentepoliticava e spoliticavatrinciava sulle questioni lepiù ardue con una sfacciataggine beatache qualche volta lepermetteva persino di dir qualche cosa di buono. Il conte si sarebbeturate le orecchie per non sentirla; ma quella rosea facciottaequel dialettoe quel pezzo di patria vivo e veroche valeva almenocome una veduta del Duomo di Milanogli faceva sopportabile epersino amabile quella compagnia. Siccome poisempre in virtùdi quella sfacciataggine beataella si mescolava a tutti i crocchj erecavasi dappertutto e un po' per commendatizie del ministro Prinaun po' per l'amicizia del cavaliere Aldiniaveva potuto parlare eavrebbe parlato ancora con qualche alto personaggioe anche contaluno di quelli che stavano vicinissimi all'imperatorecosìamava di sentire da lei che cosa aveva pescato nel mare dellapolitica ancor burrascosa; e con tanto più di interesse facevaquestoin quanto considerava che quei personaggi si sarebberoabbottonati con lui che era patrizio ed elettore e tenuto in contod'uomo di gran levaturamentre si sarebbero lasciati coglierespensierati dalle interrogazioni di una donna che a tutta primapareva una chiacchierona insulsama che all'ultimo era scaltra esvegliata fino a non lasciarsi sopraffare dai monosillabi diTalleyrand.
Perqueste ragioni quotidianamente egli andava a visitarlae piùspesso quando l'imperatore tornò a Parigi.
Èinutile il dire che il conte si accontentava delle sole notizieneltempo stesso chese il galateo lo avesse permessosi sarebbelicenziato tutte le volte che cominciavano le di lei considerazioni econgetture e ipotesi e profezie. Era ben contento d'imparar la storiada leima la filosofia della storia assolutamente non potevamandarla giùtanto più ch'egli era di opinioni affattoopposte. Ad ogni modoe l'uno e l'altranonostante una cosìdiverga tempra d'ingegnosi sarebbero anche avvicinati nelle vedutese l'uno e l'altra si fossero posti a giudicare a sangue freddo; mal'avvocatessa dovendo smerciare quel milione di boni del tesoroavendo urgente bisogno che tutto piegasse in benesi sforzava cosìa non vedere che rose nell'avvenire: mentre il contea cui premevache il disastro napoleonico continuassenemmeno un momento seppecredere che l'edifizio in isfacelo potesse ricostruirsi. In due altrecose inoltre differivano affatto. Ella voleva che Napoleone sirimettesse sul piedestalloe cadesse Beauharnaissenza che a ciòvi fosse ragione di sortama soltanto perchè lo desiderava;laddove il contevedendo inevitabile l'ultima rovinadell'imperatorefaceva dei conti su Beauharnaisdopo le paroleavute con esso luie su Milano e sul regno italico.
Orfermiamoci quiin quanto a pubblici affarie vediamo come una lievenotiziadi indole affatto privatacambiando le passioniabbiainfluito con tanta efficacia a cangiare anche le opinioni e lesimpatie politiche del conte.
Unasera il conte Aquila disceseinsieme con madama Falchialla tavolarotonda dell'albergo di Marengodov'era alloggiato e dove erasitrasferita anche madamaper essere stato chiusoper ordine delministro di polizial'albergo di Montmorencydove alloggiava primaperchè l'albergatore fu indiziato di aver avuto parte nellacongiura Malet. Fattasi ora tardal'avvocatessache beveva fortecome un'ostessa del lago Maggiorealzò la mano più delconsuetoeccitata da un eccellente chambertin vecchionesoprannominato il vino Napoleonedall'uso che ei ne faceva dipreferenza ne' suoi pasti campali. Il discorso naturalmente era lapolitica del giorno. Il conteper le ragioni addottene sopportavala chiacchiera intemperanteperchè tra tante cose nojose estrambene raccoglieva qualcuna che faceva per lui.
-Mi fa sensoella venne a dire a un certo punto del suo articolo difondo improvvisatocome il signor conte non abbia nessuna fiducia inun completo risorgimento della potenza napoleonica. Mi fa piùsenso ancoracome un uomo del suo talento possa mettere gli occhiaddosso a quel gallo insuperbito di Beauharnaisnel caso che dovendoandar per aria il trono di Franciadebbano gl'Italiani pensareseriamente ai casi proprje piantare il regno d'Italia su dellefondamenta ben solide.
Ilconte non rispondeva quasi mai alle continue domande di madamaFalchie la propria politica se la teneva per sè. Ma inquella sera non avendo saputo schermirsi abbastanza ogni qualvoltal'avvocatessa gli aveva colmato il bicchiere di vin Napoleonefuespansivo e men chiuso del solito: però a quelle parole dellaFalchiridendo e celiando ed esprimendosi con modi affatto nuovi inlui:
-Già io so il perchèdissea lei sta tanto a cuore lafortuna dell'imperatore.
-Perchè?
-Quando glielo avrò dettoella avrà la bontà diconfessare che ho côlto nel segno. Ma non vada in collera. Seella non avesse nello scrigno tanta cartail cui valore non aspettal'esito delle cannonatenon spasimerebbe tanto per S. M. Vorreivederecara signora napoleonistase suo maritoinvece diacquistare dei boni del tesoroavesseprima del sistemacontinentaleinvestito un grosso capitale in qualche fabbrica diLondra; vorrei vedere se adesso si tormenterebbe tanto a veder tuttobello e lucido e sereno.
-Cosa c'entra il tormentarsi?
-Ma la mi lasci finire... Io già so come sono i capitalisti chefanno speculazione di borsa. Le loro opinioni politiche durano dallamattina alla serae al dì dopo se soffia una inattesanotiziavolano via tutte le simpatie del dì prima.
-Questo va benema....
-Altro che andar bene! ma se mi ascolta andrà meglio. Io dunquecredo fermamente che Napoleone non può più star inpiedi: prima però ch'ei cada affatto ella ha tempo di venderebenissimo tutti i suoi boni. È probabilissimo che Napoleonerientrando in campagnaabbagli ancora il mondo con qualche brillantevittoria. Quello è il momentocara signoradi vender bene lasua carta. Tutto il mondo crederà che a una vittoria terràdietro un'altracome una volta; ma le vittorie non saranno moltesifidi di me. Ho parlato a due o tre generali dei più intimi diNapoleone: ebbene? crollano la testacara signorae criticano ilpadroneperchè son sazj. Non c'è piùentusiasmoperchè non c'è più fedeepeggioancoraperchè non c'è più speranzaossiaperchè la speranza non ha più niente da fare. L'uomomette in pericolo la vitafinchè la vita non val nullaecolla lusingachese la fortuna è propiziapossa col tempovaler molto. Ma quand'uno ha raggiunto quello che è al di làd'ogni desiderioche volontà si ha ad avere di farsiammazzare per un uomo il quale è persuaso che le donne debbanosciuparsi a fabbricar soldatiper dare a lui solo lo spettacolo diuna strage perpetua?... Vedrete quel che vi dico io. Vi do tempo seimesiun anno; e poi giùe per sempre.
-In ciò ch'ella dicec'è del vero. Ma io mi sonlimitata a credere e a dire che Napoleone farà ancora tremarel'Europa. Non ho parlato della durata io...
-Ahdunque siamo d'accordo! Lei s'accontenta del tempo che ènecessario per liberarsi di tutta la sua carta. Voglia dunque essersincera; già io non vado a dirlo all'imperatoree nemmeno alministro Prina.
LaFalchi era esaltatae un pochino ebbrae però aggiunsequello che coll'acqua fresca non avrebbe mai detto.
-Al ministro Prina ella può dire benissimo quello che ha dettoa me. In fin dei contipiù della metà di questi boni èproprietà del ministro.
-Passa il milione?
-Son più di due milioni...
-Me ne congratulo tanto.
-Era un avvocato... fu messo a fare il custode della pubblicaricchezza... Doveva starsene forse colle mani in mano?
-Va benissimoe buon pro gli faccia. Pur farebbe meglio a nonrovinare il proprio paese... Dato un rovescio napoleonico... quandonoi fossimo per riuscir ad aggiustar le cose a casa nostra...quest'uomo potrebb'esser utilissimo. Ma è necessario che sistacchi da Napoleone e appoggi il vicerè.
-Ellasignor contel'ha sempre col vicerè. Per me dicoe oranon parlo per l'interesseche vorrei che andasse tutto a soqquadroanche per noipiuttosto che veder quell'uomo a diventare il nostropadrone.
-Non è necessario che sia il padrone.
-Voi non lo conoscete.
-Lo conosco benissimo.
-Scusisignor contema certe cose noi donne le sappiamo meglio diloro signori. E se le dicessi quello che io socerto che il signorconte cangerebbe d'opinionequi sull'istante.
IlConte Aquilaessendo in quella sera di un umore eccellente fuordell'usatoerasi divertito a discorrere colla Falchie rideva nelvederla così un poco ebbra ed espansiva. Pure all'ultima suaparola cessò di pigliarla leggermente:
-E che cosa sapete ch'io non sappia? domandò con una certaapprensione.
Senzasaper nullaei sentì corrersi qualche brivido per le ossacome allorquandoanche sotto il limpido sole e il ciel serenoilcorpo fa le veci del barometro e presente che il tempo vuolguastarsi.


III


LaFalchi era in quella condizione di mezza ebrietàche nonconcede più alla lingua di esser cautache addensa le tintead ogni nostra qualità caratteristicaese un'indole non èbuonala fa diventar bieca e pericolosa:
-Così ècaro signor conteessa continuava: se ioarrivo a dire che Beauharnais sarebbe un pessimo rebisogna proprioche questa sia una verità chiara come la luce del solelaquale non si può negarequalunque sia il colore degliocchiali che portiamo; perchèse dicesse questo il mio signormaritovadasi potrebbe dire che parla per dispetto... Ma son ioche parlo; io chesiamo sincerinon mi sono poi fatta pregar tantoallorquando... Il signor conte ride... pure non vorrei per tuttol'oro del mondo che un soldato petulanteun francese che cidisprezzaun re nominato da noi avesse il diritto di penetrar nellefamiglie a mettere sottosopra la pace domesticaa canzonare imaritiad insultare i fratellia farsi beffe degli amanti... e cheso io. Torno a ripetere che non parlo per me; nè me la pigliocalda per il mio avvocato... che è il marito più caro epiù comodo di questo mondo... un vero scaldaletto... chequando annoja lo si dà alla cameriera da portare in cucina...
Ilconte Aquilacontro il suo solitonon potè trattenersi dalridere a queste parole.
-Or tornando alla prima mia ideaquantunque io non abbia studiatomoltoe non conosca molto la storiapiù d'una volta hosentito a dire che fu sempre per cose di donne che i principi e itiranni furono creduti impossibilie furono messi fuori dicombattimentoda chi non pativa che venisse offesa la nazione nellasua parte più viva e più delicata.
-È veroo non è vero?
-Dunquein questo genererelativamente al vicerèio so tantee tante coseche sarebbe veramente pericoloso per noi il metterenelle sue mani il nostro paese. In questi ultimi anni poifors'ancheperchè i Milanesi s'inasprirono secoegli è diventatomanifestamente nemico degli Italiani. A tutti è noto quel cheavvenne col general Pino: tutti sanno le ingiustizie d'ogni sortafatte da lui ai soldati italianiquando per qualche cosa sitrovavano in competenza coi soldati francesi. E da qualche tempopercoronar l'operaè diventato anche avaro fino allaspilorceria. Il signor conte si ricorderà bene del modosaporito con cui l'incisore Rosaspina si vendicò della di luiavarizia.
-Non me ne ricordo.
-Oh è bellabella davvero. L'incisore dedicò due annifa una sua stampa al vicerèil quale non si degnònemmeno di far rispondere all'artistanè di mandargli queldono consueto per il qualein conclusionesi fanno le dediche. Orche cosa fece il Rosaspina? quando pubblicò ultimamente unanuova incisionedica un po'signor contea chi ne fece la dedica?
-A chi?
-A Sua Altezza l'uomo di Pietra. Vi piace?
-Davvero che è saporita. Matornando a noise le troppofrequenti ingiustizie fatte dal vicerè ai nostrisel'ostentazione di un disprezzo che sinceramente non puòsentirese la grettezza e l'avariziadelle quali però èla prima volta che sento a parlarepossono e devono dar da pensareseriamente a chi volesse mettere quest'uomo sul trono d'Italiaperil resto non state a darvi un pensiero. Cara signorase voi stessanon mi aveste preceduto col dirmiche sarebbe toccato al vostrosignor marito a far di questi lamentidavvero che mi fa senso comeuna bella signora come voitutt'altro che disposta a imitar lesantesiasi messa a sfoggiar tanta morale sul fatto che al vicerèpiacciono le dame. E a chi non piacciono? Bisogna poi tener contodella posizione e delle tentazioni. Seper un suppostoal luogo delvicerè si potesse mettere S. Luigi Gonzaga o S. Francescod'Assisiin meno d'un mese vedremmo impegnati l'uno e l'altro inqualche avventura galante. Sono cose da non badarci nemmeno. Eppoibisogna considerare che il principe venne giovanissimo a Milanoecol tempo daranno giù i bollori; d'altra partesentitechi èpadreo maritoo fratelloo amorosoci pensino loro. Statetranquillache chi sa fare il padre e sa fare il maritopuòmettere alla porta anche il vicerè. Diavolo! non è piùil tempo del diritto di coscia.
-Caro conteio sono disposta a credere e a giurare in tutto quelloche ella dice; perchè fui assicurata da chi ne sache ella èuna gran testa; mi accorgo però che in queste faccende la suasapienza non vale la mia. Oh... è un pezzo ch'io sento a direche i buoni mariti fanno le buone moglie che quando essicustodiscono bene la casanon c'è ladro che possaintrodursi... Ma c'è un malecaro signor conteun gran male;ed è che questa sentenza venne pronunciata dai soli uominisenza sentire il parere delle donneche in tali argomenti hanno vocein capitolo... Ora io le so dire che è precisamente quando imariti stanno sempre intorno alle loro mogliche a queste viene unagran voglia di cambiar ariae ai cacciatori di professione entra lasmania addosso di tentare la caccia proibita. Mi ricordo del mioprimo anno di matrimonioquando anche il mio signor avvocato si misein testa di fare il cane da pagliajoe ringhiava se qualche altrocane di razza più fina entrava in casa; ebbenepossoassicurarlache se ho lasciata passare la luna di miele fu un veromiracoloe che appena spirato quel termineproprio in un giorno chemio marito mi fece una scena tragicache mi pareva il Blanes quandoha il turbante di Frosmaneproprio allora gli piantai il mio primocorno; carissimo cornosaporito tutto quel mai che si puòdire. Fu precisamente così; e ancora mi vien voglia di riderequando penso a quell'avventura.
-Tutto va benerispondeva il conte ridendo e divertendosi molto dellospettacolo di quella insolita sfacciataggine; ma pensate cheparlandosiete uscita di stradae avete trovato la maniera di darvitorto da voi stessa.
-In che maniera?
-È presto capito. - Se voi trovate tanto giusto che ledonne facciano il loro comodo...
-Io non ho detto questo...
-Ma all'entusiasmo con cui ne parlate... bisogna conchiudere...
-Io parlo di quello che ho fatto io... eppoi sì... giacchèè detta... la lascio andare... Le donne hanno tutto il dirittodi fare il loro piacere; e in ogni modoanche senza averel'approvazione del ministro di giustizia e dell'arcivescovononverranno mai da voi altri a chiedervi il permesso quando...
-Ebbenevi piglio in parola; e tornando al punto da cui siamopartitiil principe Beauharnais è nato fatto per convertirein obbligo legale i vostri desiderj.
-Ed ecco ciò che non voglio. Credevatesignor contechequeste tre bottiglie da me vuotate mi avessero fatto uscire di testail mio argomento... Tutt'altro... Anzi sento che lo chambertin miha rischiarato mirabilmente le idee... Torno adunque a dirvi che conquella facilità che abbiamo noi donne di fare spuntar le cornaanche sulla testa la più grandela più nobile e la piùperfettaè necessario che il vicerè vadaall'inferno...
-Ma non vi accorgete della contraddizione?
-Che altri non mi abbia a comprenderepuò esser possibile...ma che voisignor contecol vostro ingegno non mi arriviateèassai strano.
-E vi capisco sempre menocontinuava il conte con quel sorriso tra losprezzo e l'indulgenza onde si tien conto delle parole di chi sembrasoverchiamente esaltato dai vapori vinosi.
-Oh adesso poi mi sentirete a sfoggiare eloquenza; mi sento in venaevoglio ripetervi le parole dette una sera da Ugo Foscolo... Aproposito del quale mi fanno ridere gli asini che pretendono gli siastata tolta la cattedra per incapacità. Altro che incapacità!Badate: io che non ho fatto nessun studio e non ho mai potuto pigliargusto a nessuna letturapure ho imparato infinite cose quella solavolta che per tutta una sera l'ho sentito parlaree a gridaree atuonaree a mettere in un sacco tutti quelli che stavano inconversazionecompresi i chiacchieroni di mestieree i colleghi dimio maritoche per la smania di contraddirenon so che cosadirebbero. Ebbenesapete che cosa ha detto Foscolo? mi pared'avervene già parlato; ha dettodunqueche un principedonnajuolo e che pretende abusare della condizione regia nel fatto didonneè il più detestabile tiranno che mai possadarsi... e citò non so che fatto della storia romanaper cuii re se ne andarono a spasso per una bricconata di un giovinotto cheaveva tutto il carattere di Beauharnais.
Ohguardate che cosa vi arrivo a dire... Vi arrivo a dire che se miomaritofingendo di conoscere il vicerègli avesse regalatoun carico di legnatequando mi faceva la cortequella sarebbe statala prima e la sola volta che la gelosia d'un maritoche di solito mifa rideremi avrebbe dato piacere. Un marito puòanzi devechiudere gli occhi su tutti gli zerbinotti che pizzicano suamoglie... ma quando è il vicerè che pizzica... e ilmarito lascia fare... il marito è un asino se non èun... voi mi capite.
-Qui cominciate ad aver ragione... Ma voiche sfoggiate delle teoriecosì splendide… perchè non avete messo alla portail vicerèquando...?
-Oh bella! perchè tutte le cose lasciate sono perdute... eperchè le donne hanno l'obbligo di esser deboli... Ci chiamateil sesso debole per disprezzoe poi pretendete che si debba esserforti soltanto allora che preme a voi. Siete veramente curiosiimiei cari uomini... Ma ripigliando il filoecco perchè èda mandar al diavolo chiabusando della debolezza delle donnevuolschiaffeggiare sfacciatamente tutta la nazione nelle persone deimariti e degli amanti... Ho parlato bene adesso?
-Benissimo... ma mi permettete di dirvi una insolenza?
-Questa sera permetto tutto.
-Ma non andar poi in collera...
-State tranquillo...
-Se molte donnesenza aver le vostre teorievi assomigliano inpraticave ne sono però alcunee non pochedi tale e tantavirtù e tanta dignitàda far arrossire eindietreggiare anche un principe il quale avesse tutte le voglie etutta la forza di farle valere.
-Non sono del vostro parere; in coscienza non posso esserlo. Tutte ledonnedal più al menosono le stesse; la virtù cheoggi fa meravigliacade domanie non c'è da farsene stupore.Nella mia esperienzatutte le donne che ho conosciutod'ogni rismae d'ogni conioanche di quelle che parevan nate per far la madrebadessala santa Teresala santa Ceciliae che so io... ebbenevenne il loro giorno... e alle tentazioniquando furono fatte da undiavolo simpaticonon seppero resistere e...
-Oh... qui poi vi sfido.
-Accetto qualunque sfida.
-E torno a dire che chi fa la moglie è il marito...
-Davvero?
-Sì.
-Ebbene... io mi do vinta..: se però mi saprete accennare unasola di queste eccezioniuna sola di queste donne che nacquero santee rimasero sante per la virtù del marito.
Ilconte Aquilaquantunque tenesse conto della sbilanciata loquacitàdella Falchipure fu punto da quell'insistenza. Non gli pareva verochealmeno per complimentoquella donna non avesse fatto eccezionedella moglie di lui. - Stette così alquanto insilenzioperchè avrebbe voluto sentire da altri quello ch'eifermamente pensava; ma poiad onta del suo carattere orgoglioso eduronon seppe dominarsi così che non prorompesse con accentosevero e con voce alterata:
-Ebbenesignorache cosa mi sapreste direper esempiodi miamoglie?
Aqueste parole la Falchi diede in uno scroscio di risa sfacciato einfernale; così infernale che il conte impallidì inmodo da parere un cadavere. Succedette un terribile silenzio. LaFalchi vuotò un altro bicchiere di chambertin.


IV


Quand'ellalo ebbe vuotato e deposto sulla tavolaetornando a guardare ilconte con occhi lucentissimiaccennava di voler continuare aparlare:
-L'ora è assai tardadisse il contecon una calma profondaecome se avesse assistito ad un discorso indifferente. È tardie ho bisogno di riposo.
-Ma aspettatecaro contechè a me pare d'incominciare adessola mia giornatatanto sono in lena...
-Voi potete aver ragionema io devo andare a dormire - e tiròfuriosamente il campanello per chiamare il cameriere.
Asentire la voce bassa e lenta e quasi dolce del contee a vedere ilfurore convulso con cui non tirò ma strappò ilcampanellonon parea vero che quei due diversi atti venissero da luisolo.
Ilcameriere entrò.
-Fatemi lumeche voglio salire in cameragli disse; e anche voivogliate fare altrettantosoggiunse poi piegandosi tranquillamenteverso la Falchi. E si alzò e partì. - Buonanottemadamaesclamò quando fu sulla soglia del salotto.
LaFalchiuscito che fu il conte: «Che originale è costui!pensò tra sè. Un altro mi avrebbe tempestato didomande... Egli invece se ne va a letto... Non avrei mai creduto cheun uomo così duro e severocome mi diconofosse anch'essouna così buona stoffa di marito!»; e fermandosi suquest'ideae pensando ad altre cosea poco a poco il vapore dellochambertin le lavorò sugli occhi in modoche chinòil capo e s'addormentò e così profondamenteche ladonna di servizioavvisata dal cameriereche era stanco di far laguardia fuori dell'usciodovette entrare per svegliarla e condurlaposcia in camera.
Maseguiamo il conte Aquila nella sua camera.
L'orgogliogli aveva comandato di far tutto perchè non uscissero altreparole dalla bocca oscena della Falchied in sul primoera comefuggito da colei. Non pertantoquando fu soloripensando a quellerisa infernalisi sentì assalito da un desiderio furibondo diappurarne le vere cagioni; e fu per uscire ed entrare dalla Falchiper chiederle conto de' suoi modi oltraggiosi... ma si trattenne e unraggio lieve e fuggitivo di consolazione gli rischiarò l'animaaffannata. Si consolò pensando che la Falchi eramanifestamente ubbriaca; cheper conseguenzanon era a far casonessuno delle di lei parole; ch'egli era stato un pazzo a darci peso;che non meritava la pena di più oltre pensarvi. Ma quel lampolo ripetiamodileguò nel punto che aveva guizzatoe:
-Se non fosse stata ubbriacaavrebbe taciuto- pensò...e una tale idea lo percosse in modoe il dolore che ne provòfu di quel genere che mette gli uomini nella tentazione diammazzarsi.
Simise a sederee fece ogni guisa di congetture. Riandava collamemoria tutta la vita della contessa sua moglie e non giunse atrovare un momento solo in cui gli sembrasse avere colei meritato unrimprovero; considerava che il metodo rigoroso ch'egli avea impostoalla vita di leiche il non averla mai perduta di vista un momentoe il non averle mai lasciata libertà di sortarendevaassolutamente impossibile che quella donna desse esca alla calunnia ealla maldicenza. E si confortava un istantema per immergersi poisubito nei più disperati e strani pensieri. L'indole dura efortissima del conte Aquila piegò in quella notte allo spasimodel sospetto - del sospetto che è sovente ancora piùtormentoso della più crudele verità appurata. Eppurenon amava sua moglie; non l'aveva mai amata. Non era mai stata perlui che la donna incaricata di portargli dei figli; il solosentimento ch'essa ingenerava in lui non era che l'orgoglio di chipossiede una rarità universalmente apprezzata edesiderata. Ma è appunto l'orgoglioma è l'amorproprio offeso che alimenta la più tremenda gelosia... perchèla gelosia che non deriva dall'amorenon potrà mai essereplacata dalla pietà.
Ilgiorno doponell'ora della colazionein cui il conte soleva vederela Falchi alla table d'hôte aveva pensato di nonvederla altrimentie giacchè non c'era più nessunmotivo di trattenersi a Parigiaveva presa la risoluzione di partiresenza nemmeno salutarlaper rompere di colpo ogni relazione conquella donna perversa. Ma la puntura tormentosa del dubbio non glipermise di fermarsi in quella risoluzione; e si venne anzi cambiandoal punto da sentire irrequietudine ed impazienza nell'aspettazionedell'ora consueta. Giacchè la Falchi aveva lanciato un primomottoegli voleva saper tutto il restoe si affannava nel desideriodi conoscere ogni cosa con certezza. E venne l'oravide la Falchisedette a tavola con lei; ostentò umore lieto e cortesia; el'impazienza lavorò tanto sull'animo di luiche fu il primo ariappiccare i fili del discorso lasciato sospeso la notte prima.
-Sono contentomadamache le vostre belle guance abbiano ripreso illoro incarnato naturalee che beviate acqua fresca. Jeri nottebisogna confessarloeravate un po' sostentatae ho troncato lacontinuazione di un certo discorso che... voi mi capite... jeri nottec'era pericolo di sentir le cose alterate... mentre è laverità rigorosa e intera ch'io voglio conoscere. Voi siete unadama piena d'esperienza. Io sono un uomo di mondo e filosofoeinquanto alle donneso compatirle ed amo l'indulgenza. Abborro imariti che vanno in furore e sono capaci di commettere delleviolenzeseper combinazionele loro mogli hanno guardatopiuttosto a dritta che a sinistra. Catone il Censoreuomo duro einesorabile in tuttoe un modello di virtù romana perfino coiRomaninelle cose che interessavano sua moglienon guardava tantoper il sottile; bensì amava di sapereper poter perdonare esapersi regolare. Era un vero filosofo. Dunque vogliate spiegarmi.madamala ragione del vostro strano ridere di jeri sera.
LaFalchi tacque un momentopoi disse:
-Mi rincrescecaro signor contedi non aver saputo trattenermi. Maanche voi un momento fa avete detto ch'io era un po' sostentata.Quando si è un po' allegrinon si misurano le parolee fannomale a chi le sente. Ma ora non vogliate dare alcuna importanza aquanto io dissi jeri sera. In una certa sfera di cosenon avendonessuna opinione delle donnecominciando da meho osato di tirardentro nel coro anche la vostra signora. Ecco tutto. Sia dunque pernon detto quello che fu dettoe cambiamo discorso.
Ilcontestato un momento perplessosoggiunse poi:
-Jeri notte avete fatto male a ridere in quel modo; ma oggi fatepeggio a tacere. Se non parlateio andrò fantasticando coseche forse non son veree che possono aggravare la condizione di chipuò essere l'oggetto de' miei dubbj.
-Un momento fa mi avete detto che siete filosofoma ora parlandocosìmi fate vedere che siete un uomo come gli altri.
-Il filosofo non ama l'ignoranza; bensìquando intravvede unfatto qualunquevuol conoscerlo appienoper sapersi regolare concalma e con sapienza. Parlate dunque e dite tutto.
LaFalchi stava per risponderequando entrarono nella sala comune altriforestiericoi quali così il conte come la Falchi avevano inquei giorni fatto conoscenza. Il colloquio adunque fu sospesoe perpiù di un'ora il conte dovette adattarsi a parlar di cosechedeviandolo dal suo pensiero fissolo annojavano terribilmente. Traquei forestieri v'era l'avvocato Gambaranavenuto da Milano echiamato a Parigi dal marchese F... che ci stanziava da qualchetempo.
-E cosìavvocatogli chiese la Falchiche effetto ha fattoal marchese F... la notizia del testamento trovato?
-Quando un ricco signore è in pericolo di perdere la metàdi quello che possiedevedete bene che non può essere moltotranquillo.
-Mae credete voi?...
-Io non posso parlaremadamae molto meno con voi; già visarà noto che il colonnello Baroggi scelse per avvocatopatrocinatore il vostro signor marito?...
-Avete ragionee non vado innanzi.
-Ma questo testamento da che parte è saltato fuori? chiese ilconte Aquila che conosceva il marchese F...
-È quello che non si sa. Il giorno 14 del passato gennajoilpresidente del tribunale civile di Milano riceve un grosso piegoloapree nell'interno dell'involto trova scritto: Testamentoolografo del marchese F... morto il 21 febbraio dell'anno1750. È una bagatella di sessantatrè anni fa. Daquesto testamento appare che l'erede universale del marchese defuntoè un tal Baroggiche morì nel 92 caposquadradelle guardie di finanzae che fu il padre del colonnello Baroggiche noi tutti conosciamo.
Trai forastieri che alla tavola comune mangiavanosentivano e nonparlavanov'era il noto giojelliere e minutiere Giovanni Manini diMilanoil quale aveva bottega sotto il coperchio de' Figini eserviva la Corte. Era venuto a Parigi per liquidare de' contiarretratie il giorno prima avea parlato al vicerèBeauharnaistornato allora allora dalla Russia a Parigi.
Eglidunque ascoltò per un pezzo; poi disse con quell'accento dicompiacenza orgogliosa d'un negoziante alla moda che per la suacondizione è ammesso alla confidenza dei grandi che serve:
-Di quest'affare me ne parlò jeri il vicerè stesso. Lorosignori già mi conoscono. Io sono il giojelliere di corte.
-Ah sì!… disse il conte Aquila.
-Io ebbi l'onore di fornire le gioje all'illustrissima contessa suamoglie.
-E come ha fatto il vicerè a sapere e a interessarsi giàdi questa notizia?
-Pochi giorni fa ritornò di Russia lo stesso colonnello Baroggicolla bella sua moglie. Il vicerè ha della predilezione perquesto colonnello; le male lingue dicono che sia per la moglie; ma ionon so niente. Quello che so è che il vicerè mi dissejeri queste precise parole: «Voiche non siete piùgiovanedovreste sapere qualche cosa di un testamento stato rubatodallo scrigno del marchese F... nel 1750la notte stessa della suamorte.» Nel 50io non ero natogli risposima di questofatto mi parlò cento volte mio padrenominandomi il pretesoautore del furto.
-E chi sarebbe questo autore preteso? domandò il vicerè.
-La cosa è delicataaltezzaallora io dissi. Le dicerie fannopresto a compromettere un galantuomoe non vorrei che un vecchioilquale deve aver passato di un pezzo gli ottant'annidovessepercagion miaavere dei dispiaceri in sull'orlo del sepolcro.


V


Inuovi interlocutori che nella sala dell'hôtel Marengointerruppero il dialogo tra madama Falchi e il conte Aquilasecondo le consuetudini dell'arteavrebbero dovuto essere introdottiin altra occasionequandoalmenoil dialogo avesse toccato la suaconclusione. Ma noi non amiamo le consuetudinie spesso ci piaced'andare a ritroso delle stesse leggi. In questo caso poisiccomenella realtà storica le cose camminarono precisamente come leabbiamo espostee l'innesto inaspettato della nuova notizia relativaa quel testamentofu ed è il perno maestro di questo lavoroebbe una grande influenza su altri fatti importantissimi; cosìsiamo perfettamente in regola se abbiamo obbedito alla leggerazionale del vero piuttosto che all'arbitraria dell'arte. Intantoprima di trovarci soli col conte e colla Falchie prima di assistereai loro intimi discorsigiova sapere che il conte Aquilache s'eraspesso congratulato col marchese F...perchè una grandericchezzaforse destinata a una famiglia oscura e plebeafosserimasta in quella casa patriziasentì con dispettoche ilvicerècontro il suo istitutovolesse far pesare la suaautorità nelle decisioni giuridiche che i tribunali avrebberoproferite per la inattesa ricomparsa d'un documento stato smarrito.
Ildiscorso intorno al testamento del marchese F... si prolungòpiù tempo che al conte Aquila sarebbe piaciutotanto egli eraimpaziente di trovarsi da solo a solo colla Falchi; tuttavia vi preseabbastanza interesse per dire all'avvocato Gambaranaquando lacompagnia si sciolseche avrebbe desiderato di trovarlo il giornodopo nell'alloggio del marchese F...nel desiderio di conoscere conprecisione quel fattoe di far sentire in proposito il proprioparere. Dopo di ciòquando tutti furono uscitie la Falchistava per salire nella propria camera:
-Permettetemidisse il conte a madamache io vi segua. Ho bisogno diparlarvi a lungo.
-Signor contesono ai vostri ordini.
Insilenzio salirono le scale; in silenzio entrarono nell'appartamentodi madama Falchisi misero a sedere in silenzio. Finalmente cosìprese a dire il conte:
-Vi ripetomadamache so di parlare con una signora di grandeesperienzae che sa dare il giusto valore e alle cose...
-Vi ringraziosignor conte.
-Fate in modo che piuttosto io debba ringraziar voi; intantocomprenderete che io ho ragione di non lasciar cadere in terra iltema che ieri notteforse contro la volontà vostraavetemesso sul tappeto.
-Voi ne avete tutte le ragioni; ma devo anche dirvi che voi avete datasoverchia importanza alle mie parolee che io sono sicura di vedervitranquilloquando conoscerete i fatti precisamente come stanno.
-Dunque?
-Dunque comincio a dirvi che ho avuto torto di ridere quando miparlaste della virtù di vostra moglie; io non so nulla e nonposso dire nulla contro di lei.
Ilcontea queste paroleche per verità dovevano esseretranquillantisi turbò e si sconvolse invece come se avesseudita una verità crudele. La dissimulazione della Falchi glifece pensare che trattavasi di una cosa assai più grave de'medesimi suoi sospetti. Egli si alzò agitatissimo:
-Per caritàmadamaparlate. Col taceresapete che cosa fatevoi?... Mi costringete a partir subito per Milano... e là...Non credo cheper quanto abbiate poca stima di mia moglievoidesideriate ch'io l'ammazzi.
LaFalchiad onta del suo animo perversorimase percossa a questeparole del contee:
-Ma io non vi ho detto che avrei taciuto; vi ho detto soltanto che nontrattavasi di una cosa seria… e aggiungo adessoper mettervitosto in sulla via giustache tutta la colpa è del vicerè.
-Del vicerè?... ma come c'entra il vicerè?...
-Se credete alle mie parolenon cominciate a contraddirmi. -Vi ripeto adunque che se la fama di vostra moglie fu in pericolo diessere appannatala colpa non è di leipovera donnama diquell'imbecille impudente e invanito.
-Ma che diavolo può essere avvenutoche nulla me ne siatrapelato? - Ciò è inverosimile.
-Vi ricordatesignor contedell'ultima festa di corte?
-Sono già trascorsi tre anni.
-Ciò non importa...
-Ebbene…
-Ascoltatemi tranquillo... Il vicerè in quella notte diede unbacio a vostra moglie; ecco tutto.
-Il vicerè baciò mia moglie?...
-Un vostro amico era con mee vide con me tutto... egli è ilconte X che potete interrogare.
-Dunque fu uno spettacolo pubblico?...
-Noil fatto avvenne nelle sale più interne del palazzo. Noidue soli abbiamo vedutoe si voleva in quella notte stessa farveneavvisato... appunto perchè vostra moglie era innocentedell'avvenuto... e forse occorreva che voiper vostra normaavestea saper tutto.
-E perchè non avete parlato?
-Perchè si è poi creduto di far meglio a tacere. E sitacque... scrupolosamente... tanto io che il conte... E ciò ècosì veroche il fatto rimase sepolto in modo che non netrapelò mai nulla a nessuno...
Ilconte Aquila si alzòe passeggiò qualche tempo senzaparlare; poi:
-Oh fossi precipitato dal Cenisio col corrierepiuttosto che metterpiede qui e veder voi e aver sentito quel che ho sentito!...
Eindi dopo qualche pausa:
-E ora che si fa? soggiunse.
-Vendicarsi di quel furfante vicerealee mandarlo colle gambe inaria...
-Vendicarsi di un uomo perchè ha baciato una donna? laavrebb'egli baciata se lei...
Esedette innanzi ad una tavolaappoggiando su quella i due pugnistrettie tenendo fissi gli occhi sulla parete opposta come seguardasse un oggetto.
-Quando il vicerè osò baciarlacontinuava la Falchiella si sciolse da lui con violenzae lo lasciò senz'altroeretrocesse sola. Questa è la pura verità.
-Sì?...
Eil conte guardava macchinalmente la Falchicome chi sembra inteso aduna cosa e ne pensa un'altra.
-Davveroessa continuavache non avrei mai creduto che un fattosimile fosse per darvi tanto fastidio... Già si sa che quandouno sfacciato s'è messo in testa di baciare una donnanon habisogno d'interpellare il suo consenso... È come se unborsaiuolo vi rubasse l'orologio... Sarebbe strano se si pensasse cheil derubato è complice.
Statoassai tempo sopra pensieroil conte a poco a poco si ricomposesifece dignitoso e quasi solenne:
-Voi avete ragione. So chi è mia moglie e di lei non faccioalcun sospetto... Ora soltanto vorrei che il vicerè fosse unuomo che a ricevere uno schiaffomandasse il dì dopo ipadrini a casa mia.
-Sarebbe uno schiaffo gettato. Egli è il vicerè... voisiete un privato... quindiperdonatemisareste trattato come unpazzo... E non avreste nemmeno la compiacenza d'andare in prigione...perchè per qualche tempo dovreste assoggettarvi all'ariamalsana della Senavrae a sentire gli urli dei furiosi... Il poveroCelestino Marellimercante di pannine (credo bene che vi sia notaquella storia)il quale bastonò il vicerè in borghesefingendo di prenderlo per un altro quando usciva dalle stanze di suamoglie... ha dovuto adattarsi a vivere coi matti sei mesi. Capiscoche voi appartenete ad uno dei primi casati di Milano... Capisco chesiete riverito in paese pel vostro nobile carattere e per la vostrasapienza... main faccia a chi è padrone d'uno Statoed hala forza ed è prepotentecosì i grandi come i piccoliquando stanno al disotto ed hanno ragioneson tutti eguali.
-Di che paese è padrone il vicerè?... Vorrei saperlo.Noi siamo i padroniperdioe con un calcio io sbalzerò coluilontano mille miglia.
-Ahadesso parlate benee cominciamo ad intenderci.
-Fra un anno Napoleone sarà all'inferno; e fra un anno ilvicerè non sarà più nè padrone nèservo.
-A questo solo si deve provvedere.
-Ma i servi del servo devono tutti andar a spasso con lui.
-Purchè si sappia fare.
-E cominciando da uno dei più cari e più assidui amicidi casa vostra...
-Io non ho amici.
-Se non voiche non amate i vecchisi sa però che vostromarito accende tutti i giorni la sua candela all'altare del Prina.
-Se la accendenon è per devozionefidatevi di me. Eppoi cisono delle novità. Ecco quel che mi scrive mio marito...guardate quileggete: da qui a qui.
Ilcontedopo aver letto un brano di letteralevò gli occhi infaccia alla Falchi e disse:
-Io me l'aspettavo. Tuttaviaconosco i Milanesie i loro malumorisono fuochi di paglia.
-Ma voltate la carta e vedrete di peggio...
-Sì... vedo che due volte hanno affisso sulla porta della suacasa in S. Fedele...
-Avete visto?... un cartello colle parole. Prina Prinail giorno si avvicina.
-Oh… ci dò poco valore. Son le solite pasquinate… iMilanesi in ciò son famosima cane che abbaia non morde.
-Sarà come voi dite. Ma io ho scritto a mio marito di pregareil Prina a star lontano da casa nostra.
Intantoche la Falchi parlavail contea caso scorrendo il resto dellaletteras'imbatté in queste parole che gli fecero senso: Ohse andasse al diavolo prima della scrittura.
LaFalchivedendo che il conte fermava l'occhio oltre il passo dellalettera da lei segnatoglifu presta a cogliere un pretesto perlevargliela di mano; ciò che accrebbe la prima sorpresa dilui. Per verità egli non aveva traguardate che quelle soleparole; ed esse potevano riferirsi a tutt'altra persona che alministro Prinama uno strano sospetto gli era penetrato in mente;sospetto che noi ora non possiamo nè distruggere nèaccertaree intorno al quale lasceremo che il lettore pronunziispontaneo il proprio giudizioquando si troverà in cospettodi altri fatti.


VI


Lasciandoquesto incidentee tornando al tema del precedente dialogo:
-Domani andrò a Milanoproseguì il conte. L'umore d'unapopolazione non si può conoscere davvero se non le si vive inmezzo. Vedrò e sentirò. Tutto per altro dipendedall'esito delle nuove battaglie; l'esito momentaneointendiamociperchè del finale mi tengo sicuro.
-Se andate a Milanofate di vedere il Milordino che fu con metestimonio della sfacciataggine del principe. Sentendo lui prima diparlargli di mevedrete che alla pura verità non ho aggiuntanè levata una sillaba. Ed ora vorrei pregarvi di una cosa.
-Che cosa?
-Che la buona e brava signora contessa non debba avere nessundispiacere per quello che vi ho riferito.
-Siate tranquilla; io sono sicuro della sua innocenza. Io non leparlerò giammai di questa avventura. E voimadamadovetepromettermi di non parlarne mai con nessuno. Il vostro silenzio visarà compensato... con usura... quando si tratteranno cose diben più grave momento.
-Ho taciuto tre anniposso ben tacere tutto il resto della mia vita.
-Mi annoja però che il Milordino siasi trovato con voi quellanotte.
-Esso è vostro amicoed è nemico del vicerè.Quando io lo pregai di taceremi rispose che se si fosse risolto diparlarenon lo avrebbe fatto che con voi solo.
Dopoqueste paroleil conte Aquilaserio ma tranquillo in apparenzasilicenziò da madama Falchi.
Abbiamodetto in apparenza; e in fatti quando fu solo passeggiòagitatissimo lungo la Senna. Il suo orgoglio non gli aveva permessodi dare alla Falchi lo spettacolo d'un marito gelosofurioso etradito. Eglicome Alboinonon voleva degnarsi di domandar conto adaltri della fedeltà della moglie; egli lo dicevae dovevabastare. Ma quell'orgoglioin ragione che gli avea comandato diatteggiarsi da uomo calmogli avea addensato tanto livore e fielenel fegatoche sentiva la tentazione di mordersi le mani per dargliuno sfogo meccanico qualunque. Egli pensava che se sua moglie fossestata innocentesarebbe stata e avrebbe dovuto essere la prima amanifestargli l'atto sfacciato del vicerè; pensava che questidoveva avere troppo timore di luiper osare quell'attose non fossestato certo che la contessa avrebbe taciuto. E quirichiamandosi inmente le parole del vicerèe le lodi da lui ricevute a nomedello stesso imperatoresi sentiva doppiamente umiliatoperchèsospettava che quella grande stima di S.M. poteva essere invenzionedel vicerè stesso per abbonirlo e ingannarlo e tradirlo.
Sentivaper conseguenzache non solo il vicerè non lo stimavama lodisprezzava come qualunque altro uomo volgarecredendolo degno diprenderlo al laccio e di scornarlo poi. E quiinvece di provarecompassione per sèche si era lasciato ingannare; di nutrireira pel vicerèche lo aveva disprezzatosentiva colmarsi ilpetto di un veleno e di un odio mortale contro la propria moglie;argomentando che per sola sua colpa era nato tanto scandalo. -Povera donna! ed era innocentissima!…
Ilgiorno dopo si recò a far visita al marchese F...nella cuicasa trovò anche l'avvocato Gambarana di Pavia:
-Prima di tornare a Milanosono venuto a trovartimarchese.
-Ti ringrazioe ti prego di un piacere. So che qui l'avvocato t'hainformato della lite che m'è stata intentata dal Baroggi.Ebbeneavrei bisogno che tu parlassi al ministro di giustizia; soche lo conosci... e che ti mettessi in comunicazione coi duepresidenti del tribunale e con quanti giudici tu puoi. Quiall'avvocato fu scritto che il vicerèin tono minacciosohagià fatto sapere a quei signori ch'egli voleva essereinformato dell'andamento di tutta la procedurae che avrebbevegliato perchè si adempisse alla più scrupolosagiustizia. E anch'io voglio la giustizia; ma dico nello stesso tempoche il vicerè comincia ad infrangerla col far pesare lapropria autorità sull'opinione dei giudici.
-Il ministro di giustizia è più tremante del vicerèche dell'imperatore. I due presidenti poi tremano del ministro.Dunque per quella via non c'è da fare nullamarchese: ma iome ne occuperò in ogni modo; è tempo di farla finitaanche con questo asino prepotente di vicerè. Eppoieppoi...le liti giuridiche sono solite ad andare fino alle calende greche.Dio sa dove sarà Beauharnais quando uscirà la sentenzafinale dei tribunali!
-Ma non vorrei che intanto mi si sospendesse l'amministrazione dellasostanza in quistione... Starei frescocaro conte!
-È qui il nodosoggiunse l'avvocato.
Esu questo tema quei signori continuarono a parlarne per un pezzoene parlarono ancora quando accompagnarono il conte fino all'Ufficiodelle Messaggerie del Moncenisioil giorno della partenza di lui perMilano.
Comeallorquando vediamo un piccolo nuvolo in sull'orizzonteche nonsembra dover turbare per nulla la tranquillità del cielo; mapoi quasi facendosi incontro ad altro nuvolo che non si sa dondesiasi spiccatosi congiunge e s'ingrossa con quelloe a poco a pocoaltri si accumulano in modo che chi guarda può benissimo avertimore di un temporale; cosìper casovennero a congiungersiin Parigi e il conte Aquila e la Falchipoi l'avvocato Gambarana eil marchese F... e il vicerèe il colonnello Baroggicherimasto pochi giorni a Parigiera tosto partito per Milano.
Larivelazione di un fatto improvvisò di punto in bianco unnemico implacabile a Beauharnais; una quistione giuridica di indolepuramente privataper influenza onnipotente dell'interesseavvicinòun altro patrizio al conte Aquilanel desiderio di vedere in rovinail figlio adottivo di Napoleone; la Falchisollecitata dall'aurisacra famesci fece presentire un altro temporaleche dovràscaricarsi su altre teste. Vedremotornando a Milanodi che qualitàsarà la grandine.


VII


Lasera del 12 aprile il conte Aquila entrava in Milano da PortaVercellina. Egli aveva già dato avviso al maggiordomo delproprio arrivo e indicatone anche il giorno e approssimativamentel'ora. Dopo il dialogo avuto colla Falchi non aveva piùscritto alla moglie; soltanto nelle lettere dirette al maggiordomogli aveva sempre lasciato l'incarico di porgere alla contessa iproprj saluti. Come un re di Spagna non poteva mancare a nessunalegge del cerimoniale domestico; d'altra parte non voleva tradirealle persone di servizio i proprj segreti. La carrozza di casa era apigliarlo all'Ufficio delle Messaggerie. Era notte tarda quandol'androne del suo palazzo risuonò del rumore delle ruote edello scalpito dei cavalli.
Lacontessa si sentì rimescolare il sangue a quel rumore. Eragioja? era dolore? Non lo sappiamo. Probabilmente era l'effetto d'unodi quei sentimenti indefiniti che da qualunque cagione derivinononfanno mai bene alla salute.
Perquanto ci dà la nostra esperienzaben di rado avviene che alritorno d'un marito in casa propria da una lunga assenzarisvegli ilbuon umore in coloro che hanno l'obbligo di aver sentito un granvuoto per la sua lontananza. Spesso noi abbiamo assistito al ritornopiù o meno atteso di qualche maritoe sempre abbiam dovutoconchiudere che colui avrebbe fatto un gran buon effetto a nonritornare così presto. Per caro che sia un maritoper quantopenelopea possa essere una mogliela presenza di lui implica sempresudditanzaobbedienzaimpaccio. Perfino gli amici e le amiche dicasa se ne risentono. Quante volteseduti a lieta mensaa mensainnocenteintendiamoci benedove l'allegria la più schiettaanimava la brigata invitata dalla vice gerente moglie; a untratto vedemmo dileguare la generale festività all'improvvisoannunzio recato in tavola insieme colla zuppiera: Èarrivato adesso il signor padrone!
Benè vero che all'entrare che fa il padrone nella sala comunelamoglie gli si fa tosto incontro con mille gentilezzeed èperfino capace di baciarlo; gli amici e le amiche di casa vanno incerca delle più belle espressioni per festeggiarlo; ma nonbisogna fidarsi delle apparenze; ma dopo pochi minuti i visi sonotutti aggrondaticominciando da quello del maritoche non erapreparato a trovar tanta gente in casa. Il lettore non puòimmaginarsi l'avversione chein generalenoi abbiamo per i mariti;essi sono i veri autocrati della vita intimasenza sindacato e senzaequilibrio di poteri; è tanta la paura che abbiamo di loroche abbiamo paura persino di noi stessi; giacchè il lettoredeve saperee lo diciamo perchè si accorga che siamo in buonafedeche anche noisebbene senza vocazioneci troviamo ascrittialla sterminata camorra di coloro che hanno rinunziato allalibertàper il barbaro diletto d'impacciare l'altrui.
Nonè dunque ad immaginare come si respirò in casa Aquiladurante la lontananza del conte; come la servitù sentìtutta la beatitudine dell'obbedienza volontaria che avea prestato aquell'angelo della contessa; come questa fosse lieta di trovarsi inmezzo a tanta gente che la servivano adorandola; come ella poitrovandosi a tutto suo agio e libera dall'orrido incubo maritaleavesse già messo sulle guanciefatte più pieneunlieve color di rosail quale era scomparso dal giorno che dalcollegio passò nelle spire del suo serpente sacramentalestato benedetto dal signor curato!
Quandosi pensa alla leggerezza crudele onde i genitori gettano le lorofigliuole inesperte nelle mani del primo che capitasenza esaminarepreviamente il carattere intimosenza conoscere le abitudinispessoanzi non curando la pubblica fama chese non semprequalche volta èun surrogato delle leggi impotenti: quando si pensa al numerosterminato di agonie tormentose e lunghissime subite da tante e tanteinfelici che i mariti hanno ammazzato in tutta pacee persinonell'apparente e recitata bonomia delle pareti domestichee senzanessuna revisione legale; quasi si dura fatica a trovareindispensabile l'instituzione del matrimonio; e senza quasilacoscienza spaventata si ribella ai codici invalsi.
Allorchèil conte Aquilasalito lo scalonefu per entrare nel proprioappartamentola contessainsieme colla propria madreche per casoquel giorno trovavasi làfu sollecita a muovergli incontro.Ma il conte la salutò severamentesecondo il suo costume;salutò la madre seccoe comandò al maggiordomoch'eralà anch'essodi seguirlo in camera. Dopo alcuni minutistando la madre e la figliuola nel gabinetto di questa ultimasentirono la voce del conte alterata e iracondae il maggiordomo chedi lì a poco uscendo dalle stanze del padronedicevasottovoce:
-Non si può più vivere in questa casa.
S'egliè vero cheper consuetoi padroni di casacome tutti coloroche esercitano un'autorità qualunqueprovocano in chi liavvicina un sentimento il qualeanche allorquando le indoli sonbuoneinsieme coll'amore e col rispettotien tuttavia in depositoqualche elemento di tedio e di pena; figuriamoci poi che tristissimoeffetto essi sono destinati a produrre quando i caratteri sonoorgogliosiacri e tempestosie l'affetto non li riscaldò mainemmeno durante il fuggitivo corso della luna di miele: un sensoassiduo come di paura impaccia ogni pensieroogni gestoogni attodella povera moglie e di quanti sono condannati ad obbedire ed aservire in casa. Il conte Aquilagià lo sappiamoappartenevaa questa genìa spaventosa dei tiranni domestici. Ilmaggiordomo non aveva ricevuto dal padrone che rabbuffi e parolecrude per ogni menoma cosa che non gli fosse piaciuta; o un avaro edun austero silenzio quando ne aveva indovinata ogni volontà. Iservi e le cameriere si presentavano ai suoi ordini con paurosorispetto; la moglie non differiva dai servi che per il postogerarchicoil quale però contribuiva ad accrescere la suarispettata servitù.
Lacontessina chiamò in gabinetto il maggiordomo:
-Che cosa ha il conte? gli disse.
-Io non so piùsignora contessache cosa fare. Nemmeno ilPadre Eternose venisse al mio postopotrebbe accontentarlo. Èandato in sulle furie perchè ho affittato al colonnelloBaroggi l'appartamento del secondo piano. E considerisignoracontessache prima di partirefu egli stesso a darmi l'ordine diaffittarlo anche a qualche ufficiale dell'esercitose si fossepresentato. Adesso si lamenta perchè ci sarà l'incomododelle ordinanze e dei cavalli che vanno innanzi e indietro. Ma dovevasaperlo anche primami pare.
-Abbiate pazienza. Domani non si lamenterà piùquandosaprà che il colonnello e sua moglie sono due buonissime egentilissime persone... Ora andrò là io a dirglienequalche cosa.
-Signora contessala consiglio a non andarci. Mi ha detto che erastancoe voleva andar subito a lettoe mi ordinò di nonlasciar entrar nessuno da lui: chiunque sia.
-Ma io non sono un conoscente qualunque che venga a fargli visita.
-Questo lo so... ma volevo direche nemmeno lei lo troverebbe dilieto umore.
Lacontessa stette in forse perchèpur troppoconosceva suomarito; ma d'altra parte pensò che a non farsi vedere la primaora del di lui arrivoera un atto di trascuranza non perdonabile aduna moglie; si recò dunque al di lui appartamento; bussòleggermente alla portae con quel suo accento naturalmente soaveein quel punto fatto più tenue e gentile dalla titubanza:
-Si può entrare? domandò.
-A domanicontessarispose bruscamente il conte; sono già alettoe voglio dormire.
Ellatacque: stette ancora in forse; poi con voce che quasi non si potevasentire:
-Felice notte- dissee partì assai pensierosaperchèil conte non si era mostrato mai come allora tanto scortese con lei.


VIII


Ilgiorno dopo il conte ricevette molte visite di conoscentie fu conloro affabile e loquacissimo; tra le altre ebbe anche quella delconte X.
-Chi mi avvisò del tuo arrivo fu la moglie dell'avvocatoFalchila quale mi scrisse da Parigi. M'annunzia che s'è giàmessa in viaggioe mi prega di passare da te.
-Non ti scrisse altro?
-Null'altro. Di che si tratta?
-Di un'inezia. - Siedi. - Madama a Parigi mi raccontòla scena comica dell'ultima festa da ballo data a corte.
-Che scena comica? Non so niente io...
-Allora vuol dire che sarà tragica. Tutto dipende dal modo concui si piglian le cose.
-Ti prego a spiegarti.
-Diavolo! non hai tu visto il vicerè a far la corte a una damae a darle un bacio?
-Ah... sì... ma passò tanto tempoche quasi non me nericordava più...
-È dunque vero?
-Quello che è vero è vero. Ma la moglie dell'avvocato hafatto male a mettertene a parte.
-Ha fatto benissimo. - E tucome amicoavresti dovuto essereil primo a parlarmene. Vedi bene che mia moglie non ci ha nècolpa nè peccatonè io non avrei mai potuto adirarmicon lei; peròcredimiche se tu avessi detto tutto quellanotte stessasarebbe stato meglio.
-Son sempre cose che fanno dispiacere... Ma tua moglie non te ne dissenulla?
-Veramente no... cioè... mi diede a capire qualche cosa… epiù d'una volta mi fece sentire la sua avversione per ilvicerèe un'altra volta si rifiutò di venire a unpubblico convegno dove il principe doveva venire... Ma io ci passaisopranè feci domande... e se non era madama Falchinonavrei saputo precisamente com'è corso il fatto. In ogni modobada di non parlar mai di ciò a mia moglie. Il tempo stringegli avvenimenti incalzano; e si vuole mandare colle gambe in aria ilvicerè; nè vorrei mai che mia moglie e i suoi parenti egli amici credessero che io sono diventato un nemico del vicerèper quest'avventura tutta da ridere. Zitto adunquecaro conteepensiamo a far cambiar faccia al paese. - Fra due o tresettimane l'imperatore entra in campagna. - Dei prodigi nefarà ancorane son certo; ma sarà per poco. -Il suo tempo è finitoe deve cominciare il nostro. Glielementi devono essere al tutto nuovi. Nessun uomo dovràsalire al potereil quale sia stato adoperato e straccato dalgoverno imperiale.
Inquesto mentre un servitore bussò alla portaentròedisse:
-È in anticamera il signor colonnello Baroggiil quale pregadi essere introdotto.
-Digli che sto chiuso con un amico per affarie che se vuolritornare... Ma noè meglio farlo entrar subito.
-Pare anche a me.
-Ma è il Baroggi dell'eredità?
-Non ce n'è altri; è il colonnello.
-Ma sai tu che tutta Milano parla di questa faccenda?
-È naturale... Ma il testamento anderà in fumo... Sonopassati sessantatrè anni; e come si fa ad asserire che ildocumento presentato in tribunale non sia una mistificazioneunacontraffazioneuna commedia?
-Sono curioso di vedere in faccia questo signor colonnello.
-Fermatie lo vedrai.
-Esso è il marito della contessina S...
-E chi non lo sa?
-Quella ragazza stravagante e pazzadegna veramente di esser figliadi quello scavezzacollo del conte S...porta ancora l'elmo e glistivali alla dragona?
-Essi abitano in casa mia al secondo piano. Capitando qui potraivederla.
Ilservitore spalancò la portae si presentò ilcolonnello Baroggi col braccio destro avvolto in una custodia dicuojo e appeso al colloe tenendo l'elmo nella sinistra.


IX


Illettore chedopo i fatti di Romavide già il Baroggi allacaccia di Lainate impegnato in un grave alterco con Foscoloche finìpoi colla più calda amicizia per parte d'ambedueed oggi lorivede in casa Aquila; avrà desiderio di sapere che cosa èavvenuto di lui e di donna Paolina in tutto il tempo decorso. IlBaroggisubita l'operazione della spallaguarì compiutamentein capo a due mesi. Il colonnello S... in quell'occasione fu piùvolte a visitarloe ne' giorni chedopo l'operazione chirurgicaparve che il capitano versasse in grave pericolo di vitaesso fu ilprimo a proporresposasse dal letto donna Paolina. Le destre furoncongiuntetra le lagrime degli sposi e degli astanti e il dolore piùcupo del conte S...; chè in quel dì appuntoinfierendol'infiammazioneil chirurgo avea quasi tolta ogni speranza diguarigione. Ma tante angosce si rivolsero nella più schiettagioja quando il pericolo cessò. Il conte S... parve trasmutatoin tutt'altr'uomo e non v'erano carezze che non facesse allafigliuola. Ma venne il dì del distacco. La divisione delgeneral Massena lasciò Roma; e il colonnello S... dovettepartire col reggimento.
Ilcapitano Baroggiperfettamente ristabilito in saluteraggiunse ilpresidio di Bolognalasciando la moglie in Romadove diede in luceun figliuolo. Nei rovesci del 99 lasciò l'Italia con lei. Nel1800 passò il gran San Bernardo col primo console; allabattaglia d'Austerlitz ebbe il piacere di rivedere il suoceroalloragenerale di brigatama dal dì stesso divise colla moglie ildolore per la morte di lui sul campo di battagliadove una palla dacannone lo rovesciò da cavallo. Venuto a Milanonell'occasione che Eugenio Beauharnais fu fatto vicerèd'Italiaentrò nel suo stato maggiore. In quel tempo collocòa pensione nel collegio Calchi Taeggi il proprio figlioraccomandato alle cure speciali della contessina Adacherimastasola a Milanoper esser morta nel 1801 in vecchissima età lacontessa Cleliaripose in quel fanciullo ogni affettoed ebbe perlui tutte le sollecitudini. Seguito il vicerè in tutte lebattaglie in cui questo si trovòebbe parte con esso anchenella campagna di Russiadove fu colto nel braccio da una palla difucile rimbalzata.
L'accoglimentoche il conte fece al colonnello fu quello di un re non costituzionalee affetto dal mal di fegatoche adempie all'etichettasenza direnessuna parola confortevole a chi si presenta all'udienza. Discorserodella campagna di Russia; del generale Pino e de' suoi disgusti colvicerè; il conte domandò al colonnello in che luogo ein che modo egli era stato ferito; parlarono anche del testamentoeil conte non mancò di significare al colonnello che laprotezione del vicerè gli pareva dover riuscire più didanno che di vantaggio; gli chiese inoltre se esso sapeva da cheparte e da che mani quel testamento aveva potuto sbucar fuori. Dallato suo il Baroggidisgustato di quell'accoglimentorispose seccoe stando sempre sulle generalie infine si accommiatòsoggiungendo che si recava negli appartamenti della signora contessaa levare la propria moglie. Il conte alloraspinto dalla curiositàpiù che dai riguardi del galateosi alzò anch'essoeseguì il colonnellodicendo che gli piaceva di far laconoscenza di una donna ch'era stata di sì forte animo daseguir sempre il marito alla guerra.
DonnaPaolinavestita nella sua completa divisa di dragonestava sedutaaccanto alla contessina Aquilae teneva la mano di lei nellapropriaquando il conte ed il colonnello entrarono. Chi non avesseconosciuto l'esser suol'avrebbe creduto un giovinotto amantetuttointento a corteggiare la propria dama. Donna Paolina si alzòall'improvvisa comparsa del conte; alta e snella e leggiadrae cogliocchi saettanti come quelli della Camilla di Virgilio. Il contechenon l'aveva mai vedutafu colpito da quello spettacolo. Esso eraduro e non avea cuore; ma il sangue lo avevae quella donnavestitain quella foggia e così diversa da tutte le altregli misesossopra il sangue. Se non checonsiderandola una conquistaimpossibilel'ebbe tosto in avversionecome un fatto che umiliavail suo orgoglio; e parendoglisotto il lavoro di quella stessaumiliazionech'ella fosse altera e sprezzantesentì crescerela tentazione di nuocere a lei e a suo marito in quanto poteva. Ilconte Aquila era un perfetto cavalierenè mai sarebbesidegnato adoperare armi oblique e insidiose a danno di chicchessia; main quell'occasioneanche perchè gli premeva che la ricchezzarimanesse al patriziato e non alla gente oscurasi sentìirresistibilmente portato a volere il loro danno.
Inquel giorno non avvenne altro di considerevole; i coniugi Baroggi sirecarono dall'avvocato Falchiper sentire in che posizione simettevano i loro interessi; l'avvocato Falchi diede loro le piùbelle parole del mondo; ma in quel dì stesso invitò apranzo l'avvocato Gambaranaperchè non c'è legge laquale proibisca ad un avvocato di mangiare un boccone in compagniadell'avversario.
Ilconte Aquilaincumbenzato dal marchese F…fece una visita algiudice a cui dal presidente del tribunale era stata affidata latrattazione dell'eredità Baroggi; quel giudiceche era ilcavaliere F...aveva tanto ingegno e criterio e sapere legalequant'era scialacquatore e dissestato ne' proprj affari; circostanzadi cui il conte Aquila era stato informatoe della quale aveapensato di trar profitto. Il signor giudice fece intendere al conteche quell'affare era stato chiamato espressamente dal ministro Luosi;non ommettendo però di conchiuderecon quell'arte fina cheaccenna senza lasciar traccie le quali possano compromettereche ilLuosi doveva pensare ai casi proprjper la medesima ragione onde ilvicerè non era ben sicuro sul proprio cavallo. Per questoaffare privatoche pure doveva avere la sua influenza sulla pubblicacosail conte non ebbe dunque motivo di lagnarsi in quel giorno;come ebbe assai ragioni di portar la testa più alta e di averegli occhi più provocanti del solitoallorchèparlandocogli amicisentì da tutte le parti che gli elementi delpubblico malumore erano sufficienti a rovesciare due governinon cheuno. Sentì con gioja i fallimenti colossali di tre o quattrocase commercialiche avevano rovinato per consenso tutto il piccolocommercio dipendente; tra gli altri quello del negoziante Bignamiche dovette fuggire perchè già da un anno era creditoreverso il governo di più di un milionee il suicidio d'unfratello di lui; sentì con piacere come il ministro Prinaconacutissimo ingegnoinventando sempre nuovi modi vessatorj per cavardanarofosse stato cagione che in quei giorni una grossa mano dipopolo tumultuasse minaccioso innanzi al palazzo del Broletto; e inpiù borgate e villaggi contemporaneamente i contadiniinsorgesseroe si presentassero al Comune armati di badili e forcheper l'accrescimento del testatico.


X


Ilcielo rimase così per molto tempo ingombro di nubi minaccioseal governo francese; ma un giornoe fu il 5 maggiocorse una vocechedel restoda molti era aspettata; la voce di una clamorosavittoria riportata da Napoleone; essa venne confermata dal bullettinodella grande armatae cento colpi di cannone annunciaronoofficialmente la vittoria di Lutzen. Il cielo si rischiarò. Ilvicerè Beauharnais ebbe l'accorgimento di ritornare a Milanosubito dopo i cento colpi. Il negoziante Bignamiche era fuggito aParigi e che era stato visto dal vicerè stessofu da questoconfortato a ritornare subito a Milanocolla promessa che tosto ilgoverno lo avrebbe rimborsato; e Beauharnais mantenne la promessa edajutò la casa Bignami; lo che fece pure con altre dittecommercialiche avevano dovuto soffrir danno per i mancati pagamentidelle casse governative.
Inque' giorni avvenne a Milano un rivolgimento strano.
Nonpochi dei vecchi padri di famigliache nel 96 potevano contare daiquaranta ai cinquant'anniavevano serbato qualche simpatia per ilgoverno di Maria Teresa sotto cui eran natiper il governo diGiuseppe II e di Leopoldo sotto cui eran cresciuti. Parliamo dellaparte meno squisita della popolazione; di quegli uomini di pastavolgareonesti ma pregiudicatiinaccessibili alle idee nuovetestardi nelle loro consuetudini; di quelli che andavano ancora incalzoni cortiin calze e scarpe con fibbie; che portavano ancora lacoda col chiodoche per lungo tempo avevan serbato un austerosilenzio con quei figliuoli che l'avevan tagliata senza il permesso;e che avean minacciato di scacciare il giovine di banco se mai avesseosato lo stesso: presso a poco comein tempi a noi vicinissimi edanche oggidìsebbene rarissimamentenon si vuole da qualchepadrone di negozio che il maneggiante porti i baffiperchècrede incompatibile colla onestà il labbro coperto di peli. Ifigliuoli di costorocresciuti nelle idee nuove e attratti dallosplendore della gloria di Napoleonenon avean parole ched'entusiasmo per luie avean costretto a tacere i padriincorreggibili che crollavano la testama che avean paura dicompromettersi a parlar chiaro. Orapel cambiarsi dell'orizzontepolitico dalla fine del 12 ai principj del 13s'era cangiato scenaanche nell'interno delle famiglie. I padri che credevano d'aversempre avuto ragionecominciarono a investire con sarcasmo e peggioi figliuoli. Questiche per tanti anni s'erano avvezzati a non avermai tortonon voleano lasciarsi soverchiare dalle vecchieostinazioni ricalcitranti. Insomma l'ora del pranzoche per consuetoè consacrata alle consolazioni dello stomaco e alla pacedomesticadiventò invece l'ora più tempestosa dellagiornata.
Noneran molte quelle case dove ogni giorno non succedessero litid'inferno per argomento politico. E per veroil pubblico disastro inquegli ultimi giorni era andato tant'oltreche a poco a poco aigiovani venne a mancar l'eloquenzacrescendodi rimpattolapetulanza dei vecchi e dei codini (allora questo vocabolo erain senso proprio e non traslato)al punto che non si poteva piùvivere nelle loro mani.
Orapuò immaginarsi il lettore come le acque che s'eran gonfiateper deflusso retrogradorifiorirano impetuose e rumoreggianti quandovenne la notizia della vittoria di Lutzenquando s'udirono dalCastello i cento colpi di cannone; quando ritornò il vicerè;e come questi ebbe medicatecoll'intento di abbagliare il facilevolgomolte piaghe pubbliche e privatevenne vivamente applauditoda quella parte di pubblico che gli stava d'intorno nell'occasioneche comparve a una rivista militare. I giovani tornarono ad avere ilsopravvento sui vecchi; i gallomani fecero tacere tutti quelli cheerano affetti dalla tabe austriaca. E il medesimo avvenne in senoalla terza fazionela quale era men frequente di uomini di veroingegno: la fazione di coloro che ripugnavano dai ricordi austriacicome da un cadavere; e volevano sferrarsi dalle braccia della Franciaimperiale come da un prepotente. Il conte Aquilache era il capo diuna dozzina di patrizj i quali costituivano appunto il nerbo diquesta fazionericevette un colpo mortale dagli ultimi fattisebbene gli avesse e preveduti e pronosticatie fosse persuaso chenon dovessero aver che l'effetto di una meteora. Ma non s'eraaspettato che il pubblico dall'oggi al domani si trasmutasse cosìrepentinamentema non s'era immaginato che il vicerèdelquale negli ultimi mesi si era detto tutto il male possibilee chepartendo nel 1812 per la guerraaveva attraversata la folla in mezzoal più cupo silenziodovesse al suo ritorno essere ricevutoda così festose acclamazioni.
All'intentodi scrutare il pubblico pensieroegli s'era confuso nella follaquando il vicerè si mostrò alla rivista. Insieme colseguito di lui aveva veduto il colonnello Baroggi con accanto lamoglie in assisa militare: gli parve il vicerè guardassetroppo spesso a quella viragoricordante i tempi greci e romani; ealloraricordandosi di ciò che aveva udito a Parigi dalgiojelliere Manini relativamente alla protezione che Beauharnais aveaaccordato al Baroggisentì un nuovo e fortissimo dispetto pertal fatto. Non aveva veduto che una volta sola la moglie del Baroggie sarebbe morto piuttosto che rivolgere a lei una parola sola chesignificasse ammirazione e simpatiatanto egli era superbo e duro estrano; pure il pensare che quella donna poteva essere possedutaprecisamente da colui ch'egli da un mese abborriva con tutta la forzadi un odio roventegli fece provare una sensazione indicibile.
Lamoglie del Baroggi apparteneva a quel genere di donne fataliche perdove passano lasciano il segnoanche a loro insaputaanche control'espressa loro volontà. Il suo fascino consisteva nonnell'esser più bella delle altre; chè anzia rigore diregole accademicheparecchie potevano superarla; ma nell'essere unaspecialità che si distingueva da tutte; specialitàaccresciuta dal suo vestire soldatescoe dall'elmo e dagli stivalialla dragona.
Adun maestro di pittura e scultura che avesse voluto far la criticaartistica di quella donnasi poteva rispondere quel che risposeCherubini al suo allievo Halévyquando questi diceva cheRossini non sapeva l'armonia: Se non la sala inventa.
Illettore però non voglia accogliere le dicerie che alloracorsero sul conto di lei. Donna Paolina non aveva amato che il suoBaroggi; esso era stato il primo e l'assiduo amor suo; era stata laliberissima scelta del suo cuore; il matrimonio venne fatto senzainterrogar l'interesseil dio consueto dei connubj; lasimpatia reciproca di quei due giovani fu così forte elegittima e onnipotentech'era riuscita a superare tutti gliostacoli che il mondo si affanna ad inventarequasi iracondo che lanatura possa qualche volta avere il suo libero corso. La vita delcampoe i pericoli continui delle battaglieche alimentano tra isoldati le più profonde amiciziecontribuirono a mantenere edaccrescere quel santissimo affetto. Per quanto e per quante voltequella donna fosse stata tentatae per quante splendide e genialiapparenze di amatori le fossero comparse dinanziella non sentìper nessuno mai neppure una simpatia leggera; a Roma un ufficialefrancese s'era gettato nel Teveredisperato ch'ella non volessecorrispondere all'amor suo; ella fu dolente di quella sventuramanon si cangiò. A Dresda un giovane generale di brigatadopoaverle indarno protestato amoreminacciò di vendicarsilegiurò che avrebbe trovato il modo di rovinare la carriera disuo marito; se non che avendo tentato di mettere su di lei le manivillaneessa col piatto della sciabola gli ammaccò il viso inmodoche comparve deriso fra gli squadroni di cavalleriae fuposcia degradato.
Inquanto al vicerèè facile imaginarsi comecon quellasua indole procace e sulfurearimanesse preso la prima volta chevide quella donnaemisurato il terreno in lungo e in largo consguardo rapidissimofacesse mille disegni di vittoriadi conquistee d'impero; perciò promosse il Baroggi da capo squadrone acolonnello; gli fece tenere la Corona ferrea cheper veritàavea meritata più voltema che allora come adesso e comesemprequando si tratta di decorazionese non c'è chi lacerchi e la voglia per forzanon cade mai spontaneamente dall'altocome l'acqua piovana. Ai bivacchi militari e alla tenda vicerealeinvitò sempre luiperchè c'era lei. Venne peròa sapere le storie di Roma e gli fu poi riferita quella di Dresdalaquale gli fece l'effetto come di chi ha comperato uno stupendocavallo e poi sente che ha il mal del montone; ed accostatosi a lei etenutole più d'un discorso e calato qui e là loscandaglionon tardò molto ad accorgersi di fenomeniinsoliti; d'un clima straordinario; della presenzainsommadeldiamante che tagliama non si lascia tagliare.
Nèil vicerèin questa circostanzasi comportò cometutte le altre volte che gli era riuscita a male una conquista. Nonsi sentì offeso; non si allontanò dispettosamente dalladonna desiderata; non si vendicò gettando insidie ai parentiai fratellial maritoo col sospenderli da qualche impiegoocoll'impedire una promozione. Per la prima volta non fece nulla ditutto ciòe stette contento a poter veder spesse volte quelladonna eccezionalea sentirla parlarea vederla sorridere. Siccomepoi gli giunse all'orecchio che qualche voce maledica aveva messaanche colei nel novero delle donne ch'esso aveva corteggiate e gliavevano corrispostosi sentì completamente appagatonell'orgoglioe non cercò altrosenza tentare di distruggerequelle dicerie; che anzi fece di tuttoper quanto era in luiondeaccrescere le apparenze che potessero ajutare l'altrui credulità.
Inquanto a donna Paolinaella si sentiva così in regola collapropria coscienzacosì forte e superioreche non si dava unpensiero al mondo dei sospetti e delle dicerie; nè altrimentisi comportava il colonnello suo marito. Eglicome Bajardoera uncavaliere senza paura e senza macchiamalgrado quel tal bacioricevuto dalla contessa A...che per certe leggi del galateomascolino non aveva potuto rifiutare; e ai più caldi tra isuoi amicichepresente donna Paolinagli avevano fatto osservarecome taluno avesse notato la eccessiva deferenza che il vicerèmostrava per lororispondeva chea voler tener dietro a tutte lefluttuazioni dell'opinion pubblicanon era sperabile di avere treguamai; ch'egli non aveva altro fine al mondo che di essere contento dise stesso; che tutt'al piùse qualche voce più precisagli fosse andata all'orecchioe avesse conosciuto l'uomo che avesseparlato di loroil suo squadrone avrebbe fatto giustizia.
Malasciando il sereno ambiente della famiglia Baroggipassiamo adelinear le scene dell'estrema catastrofe del regno italico.


XI


Siamoai 27 dicembre dell'anno 1813. Il teatro della Scala è apertoal pubblico; è incominciata la stagione di carnevale; nonostante la notte chiusa e nerae la neve che cade a larghi fiocchiil pubblico vi si è affollatoe la fila delle carrozze nonmanca di far ingombro alle vie del Giardino e di S. Giovanni alleCase. L'opera è l'Aureliano in Palmira del maestroGioachino Rossini; il ballo è l'Arsinoe del coreografoGioja. Calata la tela dopo il primo attofra clamorosi applausi allaCorrea ed al Vellutiqualche frazione della platea e alcunipalchettisti si versano nelle sale del Ridotto dovefin dalle setteaccigliati e cupistanno i professionisti e i dilettanti dellarolinaindifferenti ai progressi della musica ed alle coscie dellaballerina Millier.
Inquella sala del Ridotto che sta dietro alla sala maggioree chenell'invernoè confortata dalla presenza del caminouncerchio di persone tutte in piedi stavano intorno ad un cerchiominore di persone sedute al caminosul quale ardeva della bragia inconsunzione. Tra le persone sedutechi attirava l'attenzione ditutti era un vecchio di anni 127 (diciamo centoventisette anni)edera quel maestro Galminidi cui parlammo già indietrochenato nel 1687doveva morire 138 anni dopo; e fu il caso piùstraordinario di longevità che siasi presentato nell'evomoderno. Ancor sano e vegetosebbene un po' indebolito nelle gambeda Parigi era venuto a Milano nell'autunnoed aspettava la primaveraper ridursi finalmente a Firenze sua patria.
Nonaveva mai sentito la musica di Rossinie quella sera volle recarsiin teatro per farsi un'idea del genio del maestro ventiquattrennedicui si pronosticavan prodigi.
-Mi ricordodiceva quel vecchiocon voce un po' fievolemi ricordodello scalpore che si fece quando il maestro Monteverdeio alloraera un ragazzottomise in rivoluzione tutta la musica; son passatipiù di cento anni da quel tempo. In confronto di questogiovinottoche è come l'organo di una cattedralequelmaestro assomigliava agli organetti che insegnano il canto agliuccelli; eppure allora era detestato da tutti i suoi colleghi per iltroppo rumore che aveva introdotto nella musica. Ora io sento a direlo stesso di questo giovanee i vecchi gli sono tutti avversieanch'io lo sareise avessi la metà degli anni che ho. Ma aquesta età trovo giusto quello che non mi sarebbe sembratomezzo secolo fa. In che modo stia quest'affarenon so. Ma forseavendo vissuto il doppio deglialtrior mi trovo d'accordo coigiovani; press'a poco come chialla corsa dei fantiniavendoavanzato gli altri d'un giro interofinisce col trovarsi incompagnia degli ultimi. E questo non avviene soltanto in musica;parlo della musica perchè sono in teatroe perchè fula mia professione; ma in tutto il resto m'è riuscito così.Mi ricordo quando giunsero in Italia le prime opere di Rousseau e diVoltaire. Io allora viaggiavo dai cinquanta ai sessant'annie queilibri mi scandolezzavano assai mentre la gioventù vi spasimavadietro. Or venne il famoso 89; io aveva vedute a quel tempo tante ecosì orrende cose nel mondoe comprendendo tutt'intera laveritàcompresi anche quello che non piaceva agli uomini di60 anni e metteva in esaltazione i giovani di venti. I giovanicapivano per istintoio per esperienza. Avevo fatto mezzo giro dipiù che tutti gli altri uomini. Il sangue che si versava inFrancia alloratrovavo che non era una strage inumanama bensìla cura dei salassi abbondanti fatti all'umanità minacciata diapoplessia. Io mi trovai d'accordo coi giovani in quest'idea. Eadessoanche adesso mi accorgo che io non vado d'accordo che collagioventùsempre per la medesima ragione. Tutti i giovanimeno i coscritti che scappano perchè son fatti scappare dagliuomini maturi e dai vecchitutti i giovani vedono con dolore idisastri dell'imperatorementre i vecchi e gli uomini maturiancheallorquando non lo diconodanno a divedere che non hanno altrodesiderio che di vederlo cadutoe per sempre. Vissi in questi ultimimesi a Parigi; nel ritorno ho attraversato lentissimamente laFrancia; mi accorsi che dappertutto è così. Ora iodomando: che cosa sarà per succedere di bello quando Napoleonesarà caduto? Se adesso mi sento giovane colle ideealloraritornerò giovane di fattoperchè il mondo avràfatto un passo indietro di cento anni. Mi si dice che Napoleone èun tiranno. Ma si diceva lo stesso anche di Giulio Cesare; e vorreisapere che cosa avvenne di bene nel mondo dopo che quelle testeesaltate di Bruto e Cassio e compagnialo han mandato al diavolo?
-Ma se egli cadeperchè i suoi nemici sono più numerosidi lui e perchè l'Europa è straccadi chi è lacolpasignor maestro?
Chiparlava era il conte Aquila. Il vecchio Galmini volse a quelle parolela testa verso il conte che stava dietro di luie gli disse:
-Il signore che parlaquanti anni hase è lecito?
-Trentasettemaestro.
-E allora è troppo vecchio per me. Non è possibile chec'intendiamo; e si alzòun po' tremolantee dicendo algiovane che gli stava presso e lo ajutava del braccio: - Ètempo di ritornare in palcoperchè il secondo atto saràincominciatoe la musica è men pericolosa della politica.
Lamaggior parte degli astanti tennero dietro a quel vecchio degno deipatriarchi e della Bibbiae che faceva l'effetto di un indice e diun sommario storico. Non rimasero vicino al camino che il conteAquila con cinque o sei amicitra i quali trovavasi quel GiocondoBruni di nostra antica conoscenzache in quel giorno stesso eraarrivato da Parigi e da quel tal contecognominato il Milordinoera stato presentato all'Aquila.
Trail conte Aquila e il Bruni si avviò allora un dialogoche noiabbiamo la fortuna di poter riportare quasi testualmente perchèci fu riferito dal Bruni medesimo.


XII


-E cosìincominciò il conte Aquilache cosa ci portadi bello da Parigi?
-Le porto un NIHILsignor conte.
-Che cosa significa questo nihil?
-La vera posizione dell'Europadella Francia e dell'Italia in talmomento.
-Vale a dire?
-La parola nihil è composta di cinque lettereciascunadelle quali rappresenta un regnante che se ne va a spasso. Questanuova interpretazione della parola latina fu fatta a Parigi in questiultimi giorni. Dieci dì fain tutti i caffè di Parigiuna tale parola metteva in esercizio l'acume di tutti gli avventori.
-Or che cosa le paresignor conteche possa significare N?
-Oh! Napoleone.
-Benissimoella è già in viae può andareavanti da sè... dunque prosegua: che cosa significa I?
-Re che comincino coll'I non ne conosco.
-Traduca il nome in latino.
-Allora sarà un fratello di Napoleone.
-Benissimo.
-Joseph.
-Josephre di Spagna; poi viene un'H.
-S'ha ancora a far la traduzione latina?
-Mi pare.
-Dunque sarà l'altro fratello: Hieronimusil red'Olanda.
-Ottimamente.. e l'altro I?
-L'altro fratello è Luigi... Ludovicus.
-Lo tengo per l'ultimoe avremo provveduto alla lettera L. Orrimane l'I di mezzo.
-Non può essere che MuratGiovachinoJoachim.
-Ecco fatta la spiegazione del nihill'estremo risultato ditanta potenzae di tanti re sfumati in nebbia. Queste satire bastanoa dimostrare qual è lo spirito pubblico di Parigi. Ma qui netengo un'altraed è il ritratto dell'imperatore.
-Oh vediamo!
-Ecco qua.
-Come? l'imperatore con quattro gozzi?
-Bisogna guardare a quello che 'è scritto su ciascuno di essi.
-Veggo un Sun Iun Run E.
-Che vuol dir Sire.
-Il sale non abbonda in questa combinazione di lettere.
-Adagiosignor conte. Tutte insieme significano Sirema aduna ad una hanno altri significati: S vuol dir SpagnaIInghilterraR RussiaE Egittoossia tutti i regni eimperi che Napoleone s'è provato di ingojaree gli sifermarono nella golatrasformandosi in quattro enormi gozzi.
-Caro signor Brunila ringrazio dei nihil e dei quattrogozzi imperiali. Queste satire sono più fedeli delbarometro. I giornali possono dir quello che vogliono; i bullettinidell'armata possono divertirsi ad alterare le cifre del dare edell'avere come un contabile del demanio; ma la gran voce delpubblico europeo non inganna e non s'inganna quando appende sui cantidelle pubbliche vie le sue sentenze capitali in istile bernesco.Anche la mano di Meneghino può scrivere il suo mane thechelpharese consacrare a morte i contemporanei Baldassari. Oggiallorchè il domestico venne a riferirmi quel che fu scrittosulla porta della casa del ministro delle finanzeho pensato che perquell'uomo tutto è finito.
-Io giunsi in tempo di leggere il cartellone.
-Che cosa vi si diceva precisamente?
-Ohuno scherzo semplicissimoma tremendo. V'era scritto: Casad'affittare: Ricapito al dottor Scappa.
-Il pubblicomalgrado di tutte le bugie del Giornale Italiano;malgrado ch'abbia sempre sentito a magnificare le luminose e continuevittorie dell'esercito franceseè riuscito a comprenderesenza tanti studjche un esercito di 500 mila uomini che dallaSlesia ritorna al Reno e si concentra nelle fortezze della Francianon va innanzi ma indietro; e nel tempo stesso ha capito che èun modo affatto nuovo di vincere quello del vicerèil quale aforza di battere il generale Hillerha dovuto cedergli il TiroloilMincio e il territorio Veneto. E la viceregina fu fatta partireimmediatamentenonostante il suo stato di salute. Ho sentito direche il ministro Veneri s'è messo giù colla febbre; cheLuosi è diventato graziosissimo co' suoi subalterni. Soltantoil ministro Prina è insensibile a tuttoe ride dei colleghitremanti; e questa sera ha voluto perfino mostrarsi dal suopalchetto.
-Egli si diletta a sfidare l'opinione pubblica. Ultimamentequando sitrovò scritto su tutti i muri: PrinaPrinail giorno siavvicina; poco tempo dopo inventò la tassa sui capitaliipotecarj. Ora non mi farebbe gran sensose presto mettesse unatassa sugli affittia proposito della sua casa d'affittare.
-È una gran testa peròbisogna confessarlo.
-Una gran testa! e chi non saprebbe fare altrettanto? non èquestione di testa quima di coscienza. Allorchè la forzacostringe all'obbedienza i cittadininon c'è sacrifizio chelor non si possa imporre. Il talento d'un finanziere non consiste inun sistema perpetuo d'espilazioni vessatorie; ma bensìnell'aprire nuove fonti di pubblica ricchezzagiovando allo Statosenza nuocere al cittadino. Ora il ministro Prina fece tuttoall'opposto: non ha servito che ai capricci istantaneidell'imperatoresenza pensare alle conseguenze; egli ha fatto comequegli agenti cheper non sentire i rimproveri del padrone giocatoree violentoinvece di pensare a migliorare le campagnemettono milleangherie sui contadinii quali un bel giorno finiscono poi col darfuoco al fienile e col mettere la falce al collo dell'agente. Ora sequi sta la testaio non so che cosa dire. Ma oramai siamo allostringere del nodo.
-Dopo tuttose c'è un uomo al quale il regno d'Italia dovràrender grazie infiniteè appunto il ministro Prina.
-In che modo?
-È presto capito. Avendo messo le mani in tasca a tuttihadisgustato tutti; e così dato un disastroha reso impossibilela durata del governo.
-Per questo lato merita una statuaè verissimo.
-Ma ora mi permettasignor contedi fare alcune considerazioni.Quand'io sento parlare d'un governo che cadedomando sempre qualsarà il suo successore. Io vengo da Parigi. A Parigi giàsi pensa ai Borboni. Posso dire che non v'è altro pensierocolà. Ma c'è una cosa che mi rincresceed è chevogliono intrigarsi dei fatti nostri; e pretendono non ci sia altriche l'Austriala quale possa sanare le nostre piaghe. A Parigi cisono degli agenti austriaci. Io ne ho conosciuto unochese non misono sbagliatomi pare d'averlo visto là in fondo a untavolino da giuoco. Sarebbe bene che ciascuno di noi lo avvicinasse.Egli va facendo reclute.
-Fatemelo conoscereche lo tasterò iodisse il conte Aquila.
-Or vado ad assicurarmi se è lui; dopo il signor conte potràfare il resto.


XIII


Nelmentre costoro lasciavano il caminoentrava il ministro Luosiaccompagnato dal giudice cavaliere F...
-È arrivato oggi; e stasera è a teatro; diceva ilsecondo.
-In teatro?
-Ritenete che questo è stato un felicissimo pensiero; ful'avvocato Strigelliche lo ha suggerito.
Egliconobbe assai dappresso il Suardie non è la prima volta chegli ha teso le reti. L'uccello però è di rapinae hasempre rotte le maglie col becco.
-Stando a quello che mi disse lo Strigelliquest'uomo dovrebbe essereben vecchio.
-Credo che possa avere da 83 a 84 anni.
-A questa età la testa si confonde; e se la cosa viene da luiparleràlo vedrete.
-Non è facile però a capir la ragione dell'avere essotenuto presso di sè il testamento per tanti anni.
-La ragionese non è chiara per gli altriegli l'avràavuta.
-E alloraper che motivi ha pensato di mandare il testamento altribunale?
-Il motivosecondo l'avvocato Strigellici sarebbe.
-E quale?
-Una vendetta.
-Converrebbe ch'io parlassi allo Strigelli.
-Vi dirò io tutto. Il marchese F... possedeva nel Piacentino unfondo limitrofo a un altro del Suardi. Ora ci fu tra loro una liteper un diritto d'acqua che importava la somma di un mezzo milione; ilmarchese vinse la litee fu lo stesso avvocato Strigelli che lo haassistito. Il Suardiil qualenon so per che ragioniha semprefatto dei dispetti al marcheserimase scornato e indignato per ilmal esito della causa; ecom'è probabileavrà pensatoa rovinarlo col far saltar fuori il testamento trafugato. Cosìalmeno la pensa l'avvocato Strigelli.
-La congettura è acuta. Ma non posso credere che un banchierein ritiroun vecchio di 80 annipadrone di due o tre milionivoglia rischiar d'andare in galeradopo averla cansata tante volte econ tanta abilitàse almeno si vuol credere a quel che siraccontava e si raccontaper il dispetto d'aver perduto mezzomilione.
-Sapetesignor giudicecosa dovreste fare?
-V. E. comandi.
-Tentar di parlare al Suardi questa notte medesima. L'ora tardalaconfusionelo sbalordimento del teatrola vecchiaja che cede allastanchezzail trovarsi con voi non preparato... potrebbe finalmentevincere la natura della volpee lasciar aperto uno spiraglio allaverità.
-Davvero che ci ho pensato.
-Se riuscite a fare il colpovoi fate sbalordire tutta la cittàe non so che ricompense potreste aspettarvi dal vicerè...
-Il mio attuaro è in platea; per suo mezzo mando pregare ilSuardi a darmi un abboccamento.
-Fate; io ritorno nel mio palchetto.
Partitiche furono il ministro Luosi e il giudice F...entrarono nella salae sedettero al camino il ministro Prina e l'avvocato Falchi.
-In questa lite tra il marchese F... e il colonnellodiceva il Prinacontinuando un discorso incominciato primaun avvocatocredetelo amepuò farsi un onore immortale.
IlFalchi ascoltava e tacevama con una certa espressione del voltodaindicare che era tutt'altro che disposto a far tesoro degli altruiconsigli. - Non però sappiamo se il ministro se nefosse accorto.
-Tutta Milano parla di questa lite; l'importanza le viene innanzitutto dalla ingente ricchezza che è in controversia; poi dallepersone che sono in conflitto. Il marchese F… colle sueoriginalitàcol suo carattere duro e pretinoco' suoi viaggiin Europacolla sua antipatia al governoha dato nell'occhio atutti i suoi concittadini; il colonnello Baroggiper le sue storiepassateper le scene tremende avvenute col suoceroper l'indoleromanzesca di sua moglie e per la sua bellezzaha provocatol'interesse e la simpatia dell'universalità. È una verafortuna che a voi sia toccato di patrocinarlo. Ma ciò cherende ancor più interessante questo fattoè la storiaanticae che si credeva dimenticatadi questo testamento; ed oggi èl'improvvisa comparsa a Milano del banchiere Suardiche sessanta osettant'anni fa era lacchè in casa F...ed ebbe poi asostenere un lungo processo per essere stato fortemente indiziatod'aver fatto scomparire il testamento del suo padrone.
-Causa più bella e più strana e più atta a farrumore di questa non mi è mai capitata... Voi dite benissimoEccellenza. Ma la decisione di essa non può dipendere che dauna perizia calligrafica. L'avvocato ci ha poco o nulla a fare.Aggiungete che questa medesima perizia sarà difficile acompirsi; perchè non si può dare una perizia senzaconfronto; e del marchese F...il quale si presume aver lasciato untestamento olografonon rimangono scritture di sorta. Esso era ungaudente ignorantissimo e fannulloneche non adoperò quasimai nè penna nè calamajo.
-Ma qui appunto può mettersi in mostra l'abilitàdell'avvocato.
-Qui.... dove?
-Nel tentar la via per venire al possesso di qualche sua scrittura;intanto fu un pensiero quello del cavaliere F...
-Quello forse d'aver intimato al Suardi di comparire in tribunale?ScusateEccellenzama a me sembra un'idea assai storta. Il vecchioSuardi (io ebbi a che fare con lui) è tal volpe da mettercitutti in sacco.
-L'avvocato Strigelli non è del vostro parere.
-Mi piacerebbe tanto a sapere che cosa sia riuscito a far loStrigelliquando fu alle prese col Suardi. Costui era un lacchè...ed ora è un milionario beato e trionfante... e se ha qualchecosa di cui debba lamentarsi... è la vecchiajala quale nongli fu inflitta nè per l'acume giuridico dello Strigellinèper sentenza del tribunale.
-Caro avvocatoio non ho fatto che mettervi in sull'avviso; voisapete che questa causa sta molto a cuore al vicerè... Eglistesso ha saputo dalla mia bocca che era nelle vostre mani... eVedremomi dissese colui ha l'abilità che tutti dicono.
-Eccellenzavoi potete bene imaginarvi s'io ho volontà difarmi onore in questa faccenda...
-E allora sono sicuro dell'esito. Or venendo ai fatti nostridomaniverrò a casa vostra. Abbiamo da ultimare quell'affare dei bonidel tesoro che la vittoria di Lutzen ci ha fatti vendere cosìbene... C'è poi anche quel capitale... non indifferente... cheè lì da un pezzo... fin da quando i fondi del monasterodi S. Giuseppe e di S. Prassede furono incamerati.


XIV


Comechidovendo governare una operazione di guerraspedisce unadivisione in un dato puntoun'altra in un altro; dispone una brigataa dominare una via; un distaccamento a proteggere un passo; ciascunodei quali corpiin sul primosembrano non aver relazioni tra diloronè mirare ad un intento comune; maa suo tempodovranno congiungersi per spiegare le loro forze riunite in unabattaglia decisivacosì dobbiamo fare anche noi coi diversidrappelli dei nostri personaggi.
Nell'ultimocapitolo abbiamo spediti il conte Aquila co' suoi aderenti a vegliarei passi di un emissario austriaco. Poi abbiamo messo il lettorenell'aspettazione di due colloquj: l'uno tra il giudice F... e ildecrepito Galantino; l'altro tra il ministro Prina e l'avvocatoFalchi. Abbiamo inoltre accennato a nuove cose e nuove persone.
Questedisposizioni sembrano estranee affatto l'una all'altra; ma se illettore avrà pazienza e starà attentovedràesservi un punto in cui tutte verranno a convergere e ad unirsi.
Cominciamointanto dal promesso colloquio tra il ministro Prina e l'avvocatoFalchi. Il fatto che ne costituisce il tema non risulta legalmenteprovato da documenti scritti e d'irrefragabile autoritàmasoltanto dalle relazioni di testimonj auricolari e d'uomini degni difede. Noi sentiamo l'obbligo di avvisare di ciò il lettoredichiarando che lasciamo a lui la piena libertà di dare alfatto stesso quella valutazione che gli parrà meglio; solobastando a noi di consegnare alla storia nuovi datichepossano condurre a trovare il valore di alcune incognite daessa contrapposteper tutta rispostaalle domande dei contemporaneie dei posteri.
Secondol'intelligenzala sera dopo il dialogo nel ridotto della Scalailministro Prinapoco oltre le undici di nottes'incamminòpedestre alla casa dell'avvocato Falchiche non era lontana nèdal teatro della Scalanè dalla piazzetta di S. Fedele.
L'avvocatolo attendeva nel proprio studio. Madama Falchi era ancora in teatro.
Nell'anticamerasedeva un servitoreche si chiamava Camillo Guerriniuomoobbedientepazientefedeleimperturbabile agli strapazzi dimadama; ma curioso fino all'indiscrezionee che senza volerlomasolo per un bisogno dell'indole suaaveva l'abitudine di raccontarea' suoi amicitutta gente inscritta nella camera dei cocchieri e deicuochiogni minimo interesse de' suoi padroni; eperchè nonmancasse mai materia alle sue chiacchierenon perdeva mai nèd'occhio nè d'orecchio tutto quanto si faceva e si diceva incasa Falchi.
Quelservo aprì la porta al ministrodopo averlo annunciato. Indiritornò in anticamera e si mise a sedere conquell'atteggiamento floscio e cascante di chinon potendo maidormire abbastanzaha sempre sonno e sempre dorme. Il lettore peròvoglia ricordarsi del proverbio: Uomo che dormegatto chesbircia. E per ora basti di lui.
Ilministro entrò e disse:
-Bravoavvocatosiete stato di parola.
-E quando ho mancato?
-Sono venuto a piedie non mi son fatto accompagnare da nessunonemmen dal servitore. Di più ho lasciato il teatro primadell'arione di Vellutiperchè so che vostra moglie da quelmomento non si potrebbe staccarla dal parapetto del palco nemmencogli argani. È necessario che siam soliaffatto soli.
-Qui non c'è nessuno.
-Voglio che mi promettiate inoltre che vostra moglie non debba sapernulla degli affari nostri. Ecco perchè ho lasciato il teatroun'ora prima.
-Io non dirò nulla; ma sapete com'è quella donna; eppoibisognerebbe che non avesse saputo mai nulla...
-Allorquando abbiam comperato per un milione e mezzo in tanti boni deltesoro...
-Non dovete ignorareeccellenzach'ella stessa andò perquest'oggetto a Parigi...
-Lo so... ma vi avevo raccomandato di farle credereche eranoo proprietà vostrao di qualche altro vostro cliente.
-Ho fatto quello che ho potuto... ma non posso assicurarvieccellenzach'ella non abbia sospettato sieno roba vostra.
-Ebbenefin qui non c'è gran male; soltanto ènecessario che non sappia il resto. Ed ora veniamo a noi: -per quell'affare si è quasi raddoppiato il capitalenon èvero?
-Ve l'ho già detto: io tengo in deposito due milioni ecentocinquantamila lireche ho collocate sul banco di Genova. Eccoqui la regolare ricevuta e i documenti relativi ch'io depongo nellevostre maniper tutto quello che può succedere.
-Se li avessi volutive li avrei già cercati; ma per ora nonvoglio tener nulla presso di me. Vi conosco per uomo onesto erettissimoe mi fidostarei a direpiù di voi che di me.
-Eccellenzavi ringrazio... ma dalla vita alla morte... èsempre bene...
-Come avvocato dovete avere il vostro repertorio; per conseguenza nonpotrà esser mai che il mio possa parer vostro...
-Questo è vero... ma... per tutto quello che puòsuccedere... torno a ripetere... amerei di essere in regola.
-Questi sono altri ricapiti.
-Che cosa avete quieccellenza?
-Guardate.
-Un vaglia del banchiere Bignami per lire quattrocentosessantamila. Unmese faeccellenzapotevate accendere la candela con questo vaglia.
-Ma oggi invece lo dò a voiperchè domani mandiate alsuo banco a riscuotere il denaro. Se la casa Bignami s'èrifatta da morte a vitalo deve a me. Sono io che ho scritto alvicerè. Sono io che ho consigliato ad ajutar quella casa. Seil fratello del Bignami avesse domandato prima il mio parerenonavrebbe fatto la corbelleria di bruciarsi il cervello. Voi dunquedomani vi farete sborsare il denaro: il signor Bignami è giàavvisato.
-Sarete obbeditoeccellenza!
-Or veniamo alla conclusione. Io ho potuto salvare la casa del Bignamied altre case bancarie e commercialiperchè il vicerèha eseguito il mio consiglio. Ma non ho potuto salvarle tutte. Iltempo dei miracoli è passato. La casa Bonel ha dovuto fare uncapitombolo. Gorioper le sue prodigalitàè statomesso sotto amministrazione. Raschisi ha rassegnato tutti i suoibeni. Guglietti vuol vendere la sua villa e i suoi fondi sul lagoMaggiore. La somma che tenete in mano e i danari che riscuoteretedomanidovrebbero bastare per far l'acquisto delle case e dellecampagne di costoroprima che vadano all'asta pubblica. I danaripronti e sonanti potrebbero essere un'esca alle amministrazionienoi potremmo fare un buonissimo affare. Pensate voi a questoecomperate tutto a nome vostroo per persona da dichiararsi. Di menon voglio che si sappia e si dica nulla. Non è il momento.
-Eccellenzacon queste vostre disposizioniche quasi mi sembranotestamentarievoi mi mettete in grande timore. Main conclusioneche cosa pensate sarà per nascere da questo orrendo temporaleche ci minaccia e continua da tre mesi?
-Quello che suol sempre succedere dopo i temporali. L'aria piùfrescail sereno più nettoil sole più ridente.
-Uhm!!! Vorrei crederlo anch'io. Ma intantoperchè mi avetedato gli ordini che mi avete dato?
-Ma per potere appunto godere a suo tempo dell'ariadel sereno e delsole che verrà. Ora non posso dissimularmi ch'io sonodetestato dai Milanesi. È fuoco di paglialo so; com'èun fuoco di paglia l'odio che si porta all'imperatore e al vicerè.Ma intanto convien mettere al sicuro quella ricchezza colla quale siè tutto quello che si vuolee senza della quale si ènulla.
-Ma che cosa dunqueeccellenzasarà per succedere?
-Io voglio pensare al peggio possibile...
-Ebbene...
-L'imperatore sarà battuto e costretto a ritirarsi in Francia.
-E poi....
-Non vi basta? Ma credete voi che l'imperatore d'Austria voglialasciar senza regno il marito di sua figlia? Tutto ciò adunqueche può accadere di peggio è che Napoleone debbaaccontentarsi della Franciae restituire quanto ha tolto agli altri.In questo caso le sconfitte frutteranno a lui e ai sudditi unbenessere che non si sarebbe mai potuto ottenere colle vittorie. Levittorie e le conquiste sono acque di fiume che straripa; tutto èminacciatotutto va sossopra. Solo la calma ritorna quando le acquesi acquietano nel loro letto naturale.
-Ciò potrà andar bene per la Francia. Ma il regnod'Italia? Questa è roba rubata.
-Rubata? a chi?
-All'Austriache la reclamerebbe per diritto.
-Essa non può vantar diritti nè maggiori nèminori di quelli di Napoleone; ma non parliamo di diritti. Non cisono diritti a questo mondo. Soltanto s'insegnano nelle Universitàe si parla d'essi nei codici; e anche alle Università ed anchenei codicivediamo che non sono altro che un complesso dei fattistati imposti primitivamente dalle autorità arbitrarie e dellaforza e della scienza. Matornando al regno d'Italiase FrancescoII non vorrà che sua figlia rimanga senza coronalaviceregina Amalia starà garante perchè suo marito nonresti nè a piedi nè a cavallo. Soltanto ènecessario che gl'Italianie segnatamente i Milanesinon faccianol'asino e cheper giuocar di puntiglionon si rovinino per sempre.Ma ciò non accadràlo spero; essi saranno fortunati aloro dispetto. Napoleone sarà l'imperator della FranciaBeauharnais sarà il re d'Italia. Fate che vada questacombinazione di coseed avremo una pace lunga e beata. Allora siaccorgeranno i Milanesi che ho adoperato i loro danari per fare laloro fortuna. Oggi Napoleone dee essere sostenuto. Il pubblico danaroè indispensabile a ciò. Solo allora che l'imperatorestarà chiuso nella sua Franciae Beauharnais sarà ilre d'Italiatutte le tasse saran diminuite della metà e piùse sarà bene. Tutte le classi dei cittadini ad un tratto sitroveranno allora più ricchee proveranno la consolazione diquei pupilli sempre torbidi e malcontentii qualigiunti all'etàmaggiorennesi accorgono finalmente che il tutore aveva ragione dinon aver lasciato loro troppo denaro in tascae d'averlo inveceimpiegato a lauto frutto. I Milanesi mi benedirannone son sicuro.Ma intanto bisogna aver pazienza e stare in guardiaperchè sel'amore è futurol'odio è presente.
Dettequeste paroleil ministro si alzòsalutò l'avvocatoFalchi e partì.
L'avvocatouscì con lui dallo studioordinò al domestico chesonnecchiava in anticamera di far lume a sua eccellenza; l'accompagnòegli stesso fin sul pianerottolo della scalapoi si ritirònella stanza da letto. Guardò le ore: erano le dodici e mezzo.


XV


Madamapuò tardar pochissimo a tornarepensò tra sè. Èinutile ch'io vada a levarla. Una buona fiammatae andiamo a letto.
Ravvivòil fuoco; mise due fascinetti sugli alarisedettescorse le ultimenotizie del Giornale Italianosi alzòe colle spallerivolte al caminostette pensando molte cose; infine si spogliòsi calcò fin sotto le orecchie la berretta da nottee sicacciò sotto le coltri.
Mezz'oradopo entrava madama.
-Già a lettoeh? disse ella all'avvocato con accento agro.Potevo dormire in teatro stanotte se aspettavo te.
-Con tanti cavalieri serventi che ti fanno avanguardia e retroguardiaera certo che non avresti dormito in palchetto. E così come hacantato il musico Velluti?
-Sempre come un dio. La R... ne è innamorata.
-Davvero? Bravissima! questo è un buon affare per suo maritoche si lamentava d'aver troppi figli. Il Velluti è un amanteda coltivare; per lui non crescerà la famiglia.
-Che maniera di parlare!
-Sta a vedere che madama si scandalizza...
Madamanon risposeperchè nello spogliarsi e nello slacciarsi ilbustos'incontrò in un nodo così fisso e testardo chela fece prorompere in una filza di bestemmie degne di qualunquebriffalda.
Vistadiscinta a quel modomalgrado le bestemmie e la faccia proterva e labeltà assai maturanon era niente affatto una donna da gettarvia.
Allafine diede una strappata robusta e violenta alla cordicellache sispaccòe potè levarsi il busto.
Alloras'accostò al camino; con un movimento affatto virile e plebeopestò con un piede sulla legnaper accostarla e riadattarla;fece un po' di fiamma; poi:
-Staseradisseè stato qui il ministroeh?
-Chi te l'ha detto?
-C'è stato o non c'è stato?
-Sì che c'è stato.
-Dunqueche fa a te se l'ho saputo piuttosto dal Biggia che dalportinajo.
-Niente mi fa.
-Ma quandostando nel tuo studioti capiterà qualche sassatanei vetriallora ti farà qualche cosa.
-Faremo aggiustare i vetri.
-E la testa te la farai aggiustare quando te l'avran rotta bene?
-Se ho da dirti la veritànon ti capisco.
-In teatro più d'uno e più di due e più di tremi han detto che tu fai malissimo a continuare questa maledettarelazione col ministro; m'han detto che perderai ogni clientela ediserterai lo studio; e quando tutti i leccazampa imperiali evicereali dovranno far fagotto e mettersi in coda ai carriaggi delvicerèanche tu dovrai fare i tuoi bauliperchèl'aria di Milano diventerà assai malsana per te. E queste soncose che io già ti dissi mille volte.
-S'io dovessi ascoltar tefarei dei bellissimi affari.
-Come sarebbe a dire?
-Sarebbe a dire chetanto a te che a' tuoi calabronis'èriscaldato un poco il cervello.
-Se io ho il cervello riscaldatotu hai un cervello d'asino.
-Obbligatissimo alle sue grazie. Deve sapere peròmadamachese il ministro è stato quiè perchè si trattòd'affari importantissimi; la mia professione la conoscodiscretamentee non son di quelli che piglian mosche.
-Cogli altri lo so... ma col ministroin tanti anni che lavori perluinon ho sentito che aria ed odor di fumo. Non v'è al mondouomo più sordidopiù avaro e indiscreto di lui.
-Tu parli perchè hai la bocca.
Quimadama investì il marito con parole della più insolentetrivialità. L'avvocato sentiva e non parlava. Madama continuòper un pezzo a sagrare con la rapidità di un mulino a vento.
L'avvocatoche subiva al pari di uno schiavo l'influenza e il dominio di quelladonna uomo:
-Viale disse per calmarlavieni a lettoe dormi tranquillachedomani ti dirò qualche cosa che non ti spiacerà.
Madamatacque un momentosi mise la cuffia da nottegettò la ceneresulla bragia del caminoed entrò nel letto maritale.
L'avvocatodormiva già. Ella stette un momento tranquillapoi riscosseil marito... che si svegliò.
-Quello che volevi dirmi domanipuoi dirmelo adesso.
-Che cosa? domandò l'avvocato tra sonno e veglia.
-E che hai detto un momento fa?
-Oh lasciami un po' dormire!... che impazienza! da qui a domani non cisono che poche ore.
-Non dormo sinchè non so tutto.
-Oh che tormento!
-Parla dunque.
L'avvocatoche avea promesso al ministro di non dir nullastette un momento inforse; poicome sempre aveva fattomise a parte la moglied'ogni segretoe concluse con queste parole:
-Se il ministro fin qui non ha mai compensato le mie prestazionibisogna però considerare quanti affari vantaggiosissimi hofatti per suo consiglio e per suo intervento; in quanto poi allafaccenda di staseratu vedi che a far passare per le mani piùdi due milioni e mezzo deve ad esse restare attaccato qualchecosa; perchè bisogna anche confessare chese quell'uomo èavarofa eccezione fra tutti gli avari in questoche non èper nulla diffidente ese si mette nelle altrui manilo faocchi chiusi. Ne vuoi una provae una prova incredibile? Non havoluto nemmeno la ricevuta de' suoi capitali che ho nellemani; e la compera dei beni stabilifino all'ammontare della sommache tengodevo farla in testa mia. Vedi or tu ches'io fossi unbirbantepotrei fare un brutto tiro al ministroe senza un timoreal mondo e senza nemmeno il pericolo ch'egli avesse a parlare;egli ha troppa paura del pubblico in questi momentie non vuol chesi sappia ch'egli ha accumulato tanta ricchezza. Credo persino chese ha rifiutato la ricevutagli è perchè teme possamai essere veduta da qualcuno. Quell'uomoche ha tanto ingegno eacume veramente straordinarioin certe cose è piccolo comeuna donnicciuola. Ma è il solito sistema di compensazione cheva.
MadamaFalchi ascoltò tutto attentamentee non disse nulla; maquando l'avvocato dormiva profondamenteella vegliava ancoraecolla sua mente infernale andò almanaccando sinistri disegni.
Aquel modo che lady Macbeth fu la rovina del re Duncanoper unaragione della stessa natura il ministro Prina sarebbe forse morto asuo letto se l'avvocato Falchi avesse taciuto quel fatto alla perfidamoglie. Diciamo forseperchè altre detestabili furie entraronseco in concorrenza.


XVI


Ritornandotre ore indietroe rientrando nel teatro della Scalasaliamo lescale de' palchetti fino alla quarta fila e facciamo capolinoall'ingresso del N. 18 di facciata. Per una strana combinazione letappezzeriegli specchile dorature di quel palco anche oggi sonoancor quelle dell'anno 1813e se il lettore se ne vuol persuaderene esamini lo stile decorativoguardi gli specchi pallidie smonticonsideri l'oro ridotto al punto da sembrare un signore decaduto. Alparapetto di quel palco sedevano il colonnello Baroggiche per laferita ostinata e ribelle non aveva potuto seguire al campo ilreggimento; sedeva donna Paolina femminilmente abbigliatacon grandispiacere di chi amava vederla sempre in assisa di dragonemarilevante la nudità delle sue olimpiche braccia in compensodelle gambe scomparse sotto la veste prolissa. Vicino a donna Paolinastava il vecchio Andrea Suardiil Galantino del 1750.Sessantatrè anni eran passati sulla sua persona; ma nellalunga lotta con essi egli era rimasto in pieditutt'altro chedisposto a lasciarsi atterrare. Gli occhi aveva vivissimi e viperinie l'abitudine a volgerli obliquiper quell'espressione indefinibiledi astuzia maligna e sardonica che fu sempre il carattere dominantedella sua bella facciaerasi impadronita dei muscoli al puntochequel modo di guardaturain gioventù fuggitivo e a guizziinvecchiaja era divenuto costante.
Ilcolore della sua pelle chese il lettore se ne ricordasi protrassecon molle freschezza quasi muliebre fino agli anni viriliavevacessato di essere equabilmente diffuso su tutta la facciama s'erainvece come rappreso e ritirato agli zigomaticicon lieviscrepolature salsedinose. Le guancie si erano emuntemancato ilsostegno di parecchi denti molari; a malgrado di ciòla boccaavea conservata qualcosa della prisca eleganza. I capelli aveabianchi come l'argentoma lucidi come quelloma ancor fitti einanellati e cadenti in una ciocca tra le tempiea lambire ladivisione de' sopraccigli. Era insomma un bellissimo vecchiocom'erastato un bellissimo giovane; nèin quanto alla foggia delvestires'era dimenticato dell'eleganza onde gli venne ilsoprannome. Portava una giubba color oliva a larghe faldegiusta leprescrizioni dell'antipenultimo figurino di Parigi; calzava stivalidi sommacco con fiocco agli orli delle gambiere e increspature alcollo del piede. Dai taschini gemelli de' calzoni uscivanodi sottoal panciotto di casimiro biancodue catenelle con suggelli dicorniola e d'ametistaad indicare il costume non ancora cessato deidue orologi in vicendevole controlleria.
Ilmusico Velluti aveva finito di cantare il suo arionequando entròin palco un servitore di teatro per dire al Suardi che un signoredesiderava di parlarglie domandava il permesso di entrare.
-Ma entri puredisse Galantino.
Pocodopo entrò infatti il signor attuaro Tagliabueche ilGalantino si fece seder vicinocol solito:
-In che posso servirla?
-Ella avrà ricevuto dal tribunale civile di Milano l'invito acomparire innanzi al signor giudice cavaliere F…
-Per l'appuntosignore; sono arrivato oggi stesso e domani mi lasceròvedere.
-Il signor giudiceche è in teatro e ha saputo che V. S. eraquia guadagnar tempo e a levarle il disturbomi ha mandato adirlech'egli era disposto a parlarle questa sera stessae cheperciò l'attendeva nella sala del Ridotto.
-Per me tutti i momenti son buoni.
-Allora io l'accompagnerò.
-Mi rincresce che l'opera non sia finita...
-Ella faccia come crede...
-Nono - andiamo pure - a Milano mi fermeròalcuni giornie avrò tempo di sentire il resto un'altravolta.
Conqueste parole il Galantino si alzò; disse a donna Paolina:torno subito - e partì coll'attuaro.
Ilcavaliere F... era seduto al camino nella solita sala del Ridotto;mosse incontro al Suardiquando questi entrò in compagniadell'attuarose lo fece sedere vicino e:
-Ella mi perdoneràdissese l'ho costretto a mettersi inviaggio di questa stagione.
-Non stia a darsi fastidiosignor giudicefu anzi per me una buonaoccasione di scuotermi d'addosso la poltroneria.
-Quand'è cosìtanto meglio. Intanto mi figuro che ellaavrà già indovinato il motivo per cui l'ho fattochiamare.
-Avendo saputo che la causa del colonnello Baroggi era stata affidataa leicavalieretosto ho imaginato che la mia chiamata dipendesseda questo oggetto. Le dirò anziche sarei venuto a Milanoanche senza essere chiamato; perchè ho pensato che avrei forsepotuto gettare qualche luce in quella materia imbrogliata. Or dunquecome stanno le cose? Ho sentito dal colonnelloche il suo avvocatonon gli dà troppe speranze.
-Non so che dire. Se non si sa da qual parte è saltato fuori iltestamentotanto fa che avesse continuato a dormire dove dormìper sessant'anni.
Quiil giudice diede al Suardi una di quelle occhiate che assomiglianoagli specilli dell'arte chirurgica. Essodal marchese F... per mezzodel conte Aquilarecentissimamente aveva ricevuto una lauta caparrain anticipazione d'un più lauto compenso finale; di manierache le bilancie della Giustizia nelle sue mani eran ridotte allacondizione di un orologio le cui sfere si menano a ditoa secondadell'ora che meglio si desidera. Ma contuttociòsiccome erastato criminalista e aveva sortito dalla natura la smaniadell'indagine legalee aveva sempre riposta tutta la sua compiacenzanell'abilità di far cantare un delinquente; così e perimpulso naturale e per abitudine di mestieresentì latentazione di gettare un laccio al vecchio Galantino. Ma siccome letrappole anche meglio dissimulate sono viste alla lontana e scansatedai topi veteranicosì il Galantinoridendo fra sè edelle parole e dell'occhiata del giudice:
-Eh... pur tropporisposesono anch'io del suo pareresignorcavalieree mi rincresce pel colonnello che ho visto nascere e a cuivoglio bene; il qualebenchè siasi imparentato con una dellepiù nobili famiglie di Milanoil fumo non gli ha lasciato maiveder l'arrostoperchè quello scavezzacollo di suo suocero haportato via tutto ed ha mangiato tutto. Ma capisco anch'io che tuttii buontemponiche si divertono alle spalle del prossimopotrebberotutti i giorni inventare dei testamenticosì a titolo dipassatempomettere la confusione nei tribunali e la disperazionenelle famiglie.
-In questo caso però dovrebbero essere stati i buontemponi disessant'anni fa.
Eil giudice scandagliò ancora acutissimamente il Galantino.
-Questo io non lo posso sapere. Bisognerebbe cheal pari del signorgiudiceavessi potuto vedere il testamento. La cartail caratterel'inchiostro… che so io… Io ho delle scritture di quarantadi cinquant'anni fache nessuno direbbe essere di quest'anno. Unatale diversitàsecondo medovrebbe già costituire unindizio...
-Come fa ella a dir questo?
-Io sto alle parole del signor giudice; per qual cosa ella ha parlatodei buontemponi di sessant'anni fa?
-Così per modo di dire…
Quiil Galantino diede al giudice una di quelle sue occhiate obliquesaettantilunghe. Parveper un momentoche si fossero scambiate leparti.
Ilcavaliere F… taceva.
-Orase è lecitocontinuava il Galantinodomanderei a cheoggetto ella mi ha fatto venire a Milano?
-Per sentire da lei tutto quello che potrebbe sapere in proposito.
-Ciò che so io è ciò che dovrebbero sapere tuttiquelli che possono vantare una fede di battesimo al pari della mia...
-Ella però...
-Continui pure; cavalieree non abbia paura d'offendermi. Sì…io ebbi più volte dei replicati incomodi per questomalaugurato testamento... e parrebbe di dovere ch'io dovessi sapernepiù di tutti... ma in conclusioneio non posso dir altro senon che i giudici e avvocati e criminalisti sono come i mediciiquali in presenza di certe malattiesi trovano imbrogliati al paridi qualunque idiota.
-Come sarebbe a dire?....
-Mi perdonisignor giudice; ma che in sessant'anni non si abbia maipotuto scoprirne nulla... è cosa che fa senso… per cuidevo dire che quell'avvocato e quel giudiceil quale in taleoccasione arrivasse a coglierne qualche filomeriterebbe un postod'onore vicino a quel professore di Pavia che ha inventato la pila.
-Non occorre che sia nè giudice nè avvocato... Ella chefu contemporaneo alla scomparsa inesplicabile di quel testamentoella solo potrebbe avere i mezzi di acquistare tanta gloria...
Equi un'altra occhiata acuta e profonda.
-Tutto quello che potrò farelo faròperchè mista veramente a cuore la sorte del Baroggi e di sua moglie; ma avreibisogno di essere ajutato.
-Si spieghi.
-Intanto non reticenze.
-Vale a dire?
-Vale a dire che io vorrei sapere da lei se il testamento che tiene insua mano ha i caratteri di essere stato fatto sessant'anni addietro oadesso? Un momento fa mi pare d'averglielo domandatoe non mi harisposto.
-Davvero che non dovrei parlare. Ma a lei diròche queldocumento ha tutti i caratteri della vecchiaia. La carta èingiallital'inchiostro è svanito.
-Allora siamo in casa.
-Cioè?
-Bisogna cercare altre carte dell'autore del testamento.
-È un provvedimento che viene in testa a chicchessia... Ma nonc'è più nullae non s'è trovato nulla...
-Io m'impegnerei a trovarne.
Aqueste parolesul volto del cavaliere F... si svolse un'espressioneinvolontaria che fu notata dal Galantino; non era l'espressione di ungiudice che deve essere soddisfatto nel sentire che c'è unospiraglio per riuscire a scoprire la verità.
Peròil Galantinoche conosceva il marchese F…ed aveva l'ideafissa che i giudici fossero tutti venalisi mise in sospetto.
-Suvvia dunquecontinuava il cavalieresentiamo i suoi disegni.
-Sono semplicissimie non mi par vero non siano già venuti inmente ad altri.
-Ebbenesentiamo.
-Tutta Milano saperchè è un fatto che fece granrumoree perchèse la maggior parte dei padri sono mortiifigli hanno sentito a parlare i padri di tutte le circostanze di quelfatto stesso; che il notajo che assisteva il marchese F.... era ildottor Macchimorto nel 1802e di cui ogni due anni vedesi ilritratto esposto sotto i portici dell'Ospedale Maggiore. - Iosoe tra gli altri deve saperlo anche l'avvocato Strigelliil qualeora è conte del Regnoche fu lo stesso Macchi che stese iltestamentoperchè il marchese lo copiasse di proprio pugno.Quel notajo era tanto esatto checertissimamentedeve aver tenutocopia di quello scritto; di piùè assai probabile chenelle cartelle abbia serbato anche qualche lettera del marchesedefunto.
-Tutto va benema se il notajo è morto...
-Mi lasci dire: io so che il notajo Agudionipote del famosoavvocatoche fece pratica presso il Macchiacquistò tutti ilibri e tutte le carte di lui. C'è dunque da mettere centocontro uno che presso l'Agudio si deve trovare quanto basta perdistruggere ogni dubbio.
-Se tutti i disegni di lei stanno quirispose il cavaliere F...accigliatonon ne faremo nullacaro signore. L'Agudio avràconservato le carte di qualche valorenon delle lettere inutilinèuna minuta inutile di testamento. In ogni modo vedremo.
Eil giudice si alzòassumendoper la prima volta in faccia alSuardiquella dignità gerarchica che prima non avevamostrato; e dicendo per conclusione del suo discorso:
-Nonostante le parole che abbiam tenute questa seraavròancora ad incomodarlasignor Suardi; però la pregherei avolersi trattenere a Milano per qualche giorno ancora.
-Per un pajo di settimane io mi fermerò qui.
-Spero che basterà; e intanto le do la buona notte.
Ciòdettopartì.


XVII


IlSuardi si alzòlo inchinòe pensando fra sè:
-Vedo che siamo nel bosco della Merlatae converrà tenere ilpollice sul grilletto - uscì anch'esso a lenti passidal Ridotto e risalì in palco.
Ilgiudice F…appena partitosi recò nel palco del ministroLuosi a riferirgli il colloquio avuto col Suardi del quale peròsoppresse tutta l'ultima parte relativa al notajo Macchi ed al notajoAgudio. Lasciato il ministro andò poi subito in tracciadell'avvocato Gambaranache era in teatro. Trovatololo informòdel dialogo avuto col Suardima esponendogli invece esattamentequella parte che aveva taciuto al Luosi.
-Questo è un contrattempodisse il Gambarana.
-Io non credo però che possano essere rimaste delle cartepresso il notajo Agudio.
-Può essere e non essere; in ogni modo converrebbe che noifossimo i primi a poter esplorare l'archivio del defunto Macchi.
-Fatelo.
-A menon conviene.
-Con dei denari...
-Non mi conviene.
-Dunque?...
-Dunque tocca all'avvocato Falchi a tentare le indagini colà.Fatto da luinella sua qualità di patrocinatore del Baroggiè un atto giusto e naturale.
-Ma non bisogna perder tempo.
-Domani mattina parlerò all'avvocato.
Scambiatisidi fuga tali disegniil giudice e l'avvocato si lasciaronoentrandol'uno in un palchettol'altro in un altro.
Ilgiorno doponelle ore pomeridiane (notiamo questo perchèsefosse stato di mattinai fatti avrebbero forse avuto altroavviamento)il Suardi si recò dal notajo Agudio.
Sifece annunziarefu ricevutocom'è naturale; ma trovòun uomo di un'agrezza quasi villana.
-Ella mi conoscerà.
-Non lo conosco niente affatto.
-Allora le dirò che è il medesimo signor giudice F...che m'ha fatto espressamente venire a Milanoper l'oggetto di cui leparlerò; e che sono qui perchè è giàcorsa intelligenza con lui.
-Dica prestodunquein che cosa posso servirlaperchè non hotempo da perdere.
-So che ella ha conservato tutto il repertorio lasciato dal dottorMacchi.
-Ho conservato quel che ho conservato.
-È probabile peròcheavendo il Macchi prestato permolto tempo l'opera sua al marchese F... defunto sessantatrèanni fasieno rimaste nelle sue cartelle e lettere e carte edocumenti di spettanza di quella casa.
-Può essere benissimo. Ma io non sonè ho tempo di farricerche. D'altra partesiccome tutto quello che ho acquistato èdi mia proprietàcosì io non ho nessun obbligo nèdi conservare quello che tengonè di mostrarlo altruinèdi cederlo.
-Non c'è nessuno che voglia venir qui a fare il padrone in casasuasignor dottore; ma è affare di coscienzae una solacarta trovata può far saltar fuori quello che si pena atrovare da sessant'anni.
-La pregosignorea non pigliarsi briga della mia coscienzaperchèdi questa ne sono il custode io.
-Non voglio farmi padrone nemmeno della sua coscienzacaro il miosignor dottore; masiccome non deve costar molta fatica a guardare oa far guardare nelle cartelle che devono portar la data dell'annocosì pregherei la sua gentilezzachedel restoverrebbepagata come si merita e profumatamentea fare questa ricercalaqualein un minutopotrebbe risolvere tuttoe determinare lasentenza dei tribunali intorno alla causa ch'ella ben conoscerà.
-La risposta che io ho dato a leiche in faccia mia non ha vestenessuna nè di giudicenè d'avvocatonè diparte interessatala darei anche all'autorità se venisse quiad impormi quello che non ha il diritto d'impormi.
Ilcontegno e i detti dell'Agudio parveropiù che straniinverosimili al Suardi; peròdopo aver taciuto un istante:
-Dunqueho capito tuttosignor notajoproruppealzandosi; hocapito tutto.
-Che cosa ha capito?
-Che è vero quel che mi fu detto. Sappia adesso ch'io non sonovenuto qui che per fare una verificazione. Ora so di che si tratta...Le carte ed i documenti di cui le parlavaella li ha giàcercati e trovati e ceduti stamattina a chi non si doveva...
Ilnotajo Agudio fu scosso da queste parolee si confuse al punto dafarne accorto il Galantinoche rimase sorpreso alla sua voltaperchè avendo slanciata quell'asserzione all'avventataesoltanto per tentare il terrenonon avrebbe mai creduto di dovercogliere così preciso nel segno. Ma rimase ancor piùstupito per l'improvvisa scoperta di un turpe intrigodi cui gliparve complice anche l'autorità.


LIBRODECIMOSETTIMO


GiocondoBruniil conte Ghislieri e il conte di Domodossola. -Un'adunanza in casa del conte Aquila e il regno d'Italia. -Milano nel 1813. - I partiti. - Un dialogo tra il conteAquila e madama Falchi. - Il vetturale Bernacchi Giosuèe il colonnello Annibale Visconti. — Il giorno 20 aprile 1814 eil ministro Prina. - Il capomastro Granziniil ritratto diNapoleone dipinto dall'Appiani e il busto in gesso di Beauharnais.


I


Abbiamlasciato i coniugi Falchi al loro sonnoche non fu certamente quellodel giustoper ritornare in teatro onde assistere al colloquio trail Galantino e il giudice F… e tener dietro alle sueconseguenze; ed ora ci convien staccarci dal notajo Agudio e dalGalantino per rifarci ventiquattr'ore addietro e ritornare di nuovonelle sale del Ridotto.
Ilnostro amico Giocondo Bruni erasi fatto guida al conte Aquilaalconte milorded agli altri che costituivano il partito italicoassolutoper vedere la faccia di un conteche il Bruni avevaconosciuto a Parigi come emissario austriaco.
-È luiassolutamente luidisse il Bruni al conte Aquilaallorchè furono vicini a un tavolino da giuoco
-Quell'ometto là piccino?
-Quello là appunto.
-Con quella faccia da coniglio?
-È una maschera naturaleche a lui serve benissimo.
-Gli avete parlato voi qualche volta?
-Non ho mai voluto mangiare di quella carne; però l'ho sentitoa parlare molte voltenè egli lo sanè mi conosce.
-Che cosa credete voi che sia qui per fare?
-Quello che faceva a Parigi: giuocareperdere spessoe mettersi alparetajo come la civettaper attirare gli uccelli di brocca. Adessogiuocapoi perderà. Scommetto che è già inperdita... Ecco quisentitesignor conte?...
Questainterruzione derivò dalle parole di due astantii qualidicevano:
-Ha un gran sangue freddocolui... È già la terza voltache mette sul tappeto cento napoleoni d'oro; e al risolino continuoche fa si direbbe che è in guadagno.
-Vedete se ho detto verosignor conte?... ebbenefra un'ora va acena con tutti quelli a cui ha riempito le saccoccie; e làparla di politica; compera per un pezzo; poi vende e fa propaganda.Alla mattinapoicredo che riferisca il risultato dell'opera sua emandi la cacciagione a Metternich e a Bellegarde.
-Converrebbe renderne avvertita l'autorità.
-Converrebbe certo. Ma chi se ne piglierebbe l'incarico? Ionodavveroche stetti fuor di paese troppo tempo.
Inquesto punto entrò nella sala un personaggio ancor giovanebene incravattatoche il conte Aquila salutò edavvicinò.
-Guarda un po'gli disse questitu che sostenevi avere l'Austriadeposto ogni pensiero della Lombardia.
-Che cosa?
-Vedi quell'ometto làche giuocaperde e ride?
-Sì che lo vedo... lo vedo e lo conosco.
-Oh!... Lo conosci davvero?
-Sì... è un prodigo senza testa. È venuto aMilano da poco tempoe s'è innamorato della cittànostra. Ha voluto persino farsi inscrivere nella guardia civica; perla sua generositàlo si voleva nominare ufficiale; ma egli siaccontentò di essere sergente.
Ilconte Aquila guardò il Bruni come se pensasse: or chi di voidue dice il vero? Il Bruni non disse parola.
Questoci raccontò posciatanti e tanti anni dopocome ebbe ascoprire esservi stato accordotra quell'emissario austriacoecolui al quale il conte Aquila aveva parlato. Chi poi fosse quelpersonaggioè subito fatto intendere al nostro lettoreseappena egli ha l'abitudine a sciogliere sciarade e logogrifi.
Coluidunquenoi lo abbiamo visto molte volte; e alla processione delCorpus Domini e ai Te Deum per glianniversarj ed i giorni onomastici austriacicol suo collo tortocolla sua aurata assisa di consigliere intimoe colla sua fasciatraversale bianco rossa dell'Ordine di Maria Teresa. Egli eracontequantunque i suoi avi di sessant'anni prima avessero fattocarbone presso Ossola. Era ricchissimoe di una ricchezza ereditatada un padre chepur avendo usufruttata la pubblica fameebbe famadi uomo onestoforse per l'effetto dei confronti. Ma siccomedev'essere vero che la farina del diavolo si converte in cruscacosìtutta quella ricchezza fu da esso adoperata per la massima parte adalimentare i magazzinieri delle indulgenze plenariead ammorbare lepusille coscienze di pregiudizj e di bigottismoa scapito dellareligione vera e del sincero progresso.
Eil conte Aquila continuava ad interrogarlo:
-Sai tu almeno come si chiami questo prodigo sventato?...
-Il nome non me lo ricordo. Ma non credo ne valga la pena.
-E voi lo sapete? domandava poscia al Bruni.
-Sto appunto tormentando la memoria per richiamarmeloma non miriesce. So per altro che è un contee un conte che contaassai poco in quanto a ricchezza; per ciò non si sa bene a chetesoreria vada a prender il danaro che sparpaglia a piene mani.
-Mi sembracaro miocontinuava il conte Aquila rivolto all'altroconteche questo signorevenuto or ora da Parigine sappia piùdi te.
-Può darsi anche questo; ma torno a ripetere che non vale lapena di far tante indagini sul conto suo. Gli ho parlato due o trevolteed è un uomo perfettamente nullo.
Quiun'onda di pubblico entrò nella salae scompaginò queigruppi di persone che stavano intorno ai tavolieri.
L'Aquilail Bruni e gli altri si trovarono divisi dal futuro consigliereintimoe lasciarono il Ridotto.
Dilì a pocoil conte Ghislieri (che così chiamavasiquella civetta al paretajo):
-Per questa nottedissepossiamo spegnere i lumi: chè s'èperduto abbastanza. Orase questi signori mi favorisconopotrempassare il rimanente della notte al Gallo.
Ilfuturo consigliere intimo trasse allora per un momento indisparte il conte emissarioe:
-Stanottegli dissecontinuatela pure in compagnia di quest'allegrabrigatama domani partite.
-Perchè?
-Qualcuno ha messo gli occhi su di voi.
-Davvero? ma come mai?
-Il come non lo so; ma se vi avvisoè perchè desideroche le cose ben avviate non si guastino.
-Se partoparto per ritornare.
-Ritornatema a suo tempoma quando il frutto sarà maturo.Intanto vogliate passar da meprima di lasciar Milano. Èarrivato da Parigi il marchese F...chequantunque sia unconsigliere di Statoè dei nostri. Troverete pure in casa miaalcuni de' meglio pensanti. Or vi saluto.
Eil piccolo contino Ghislieriemissariospia di prima classeanziGran Cordone di quell'Ordinee sergente intruso della guardiacivicaritornò alla sua brigata e lasciò il teatro.
Ilconte Aquila intantoaccompagnato da dieci o dodici del suo partitoera ritornato a casa. Com'era suo costume far sempre colla servitùentrò accigliato e burbero nella stanza del guardaportonechestava inferraiuolato innanzi ad un gran braciere:
-Tirate la campanae chiamate i domestici di settimana. Presto.
Ilguardaportone obbedìs'affrettòsuonò lacampana. Discesero i servi.
-Accendete fuoco nel camerone terreno. Presto.
Idue servi obbedirono.
Ilconte entrò coi colleghi nel camerone. Dopo alcuni momentiuna gran catasta di legna crepitava già e mandava scintille super la cappa di un camino monumentalecon iscolture rappresentantigli stemmi del casato.
-Andate a dormiredisse il conte ai due domestici. Solo ilguardaportone stia sveglio finchè questi signori partiranno.Andate ad avvisarlo.
Quellasocietà che s'era adunata in casa del conte Aquilaeracomposta da dodici a quindici personela maggior parte patrizjquasi tutti ricchissimie per ciò influenti sul popolo dellacittà e sugli abitanti della campagna. Tra essi v'era un B…capo battaglione della guardia civica; un E... V…giovane distraordinario ingegno e di altrettanta colturama eccentrico estrano; un G... di Como; un V... di Lodi; il conte milordl'avvocato Gambaranaecc. ecc. Il nostro Giocondo Brunidal qualesappiamo tutto quanto verremo raccontandofece parte anch'esso dellacomitivae come amicissimo del conte milorde perchèaveva espresso degli intendimenti assai conformi a quelli del conteAquila.
Intornoal gigantesco camino eran state disposte in semicerchio delle vecchiesedie di bulgaro a bracciuoli. Tutti sedettero. La catasta accesailluminava la scena. La parte accessoria e pittorica diquell'adunanza pareva ne accrescesse l'importanza e il mistero.
L'E...V…che era un ingegno letterario e causticoe soleva parlarecon epigrammatica amenità anche delle cose gravissime:
-Chi ora ne sorprendessecominciò a direci piglierebbe peraltrettanti personaggi del Noce di Benevento. Peròsarebbe bene per un'altra volta radunarci più presto escegliere un luogo men fantastico.
-Più presto non è possibileosservò il conteAquilaperchè ci bisogna a noi tutti di lasciarci vedere inteatro. In quanto al luogonon fu fabbricato appostae poi ha ilvantaggio di essere lontano da chi può vedere e sentire. Maveniamo a quel che importa. Che cosao signoripensate di fare?Jeri non si trattava che di cogliere l'opportunità che laFrancia si sfasciper liberarci di lei e fare da noi le cose nostre:oggi ci siamo accorti chedi dietro alla Francia che si vasprofondando come un fantasma da palco scenicotorna a spuntare lospettro dell'Austria.
-L'affare è spinosoosservò l'E... V...; purese ilduca di Lodi avesse vent'anni di meno e non soffrisse di gottapotrebbe raccogliere nelle proprie mani il supremo potere nel puntoche tutte le acque fossero in alluvione. Il fatto di Bernadottecheera un mangia carte e diventò re di Svezianon farebbeparer strano che un privatoil quale è stato ilvice Napoleone durante la Cisalpina e il Consolatopossa un belgiornodal voto nazionaleessere eletto re d'Italia.
-Il duca di Lodiosservò il conte Aquilasarebbe sempre unuomo straccoquand'anche fosse sano e contasse vent'anni meno.
-Questo non sarebbe un ostacolobasterebbe che piacesse al popolo.
-Ma se non può piacerenon se ne parli più.
-Per tener lontana l'Austriae per disfarci di Beauharnaisbisognerebbe almeno che ci fosse un italianoil qualeo negliordini civili o nei militariavesse talmente fermata l'attenzionedei suoi connazionaliche l'imitazione dei Longobardi cheinnalzavano sugli scudi il loro re eletto non sembrasse unaburattinata. - Ma dov'è quest'italiano? Lo domando atecheper un mal inteso orgogliocome ti dissi mille e millevoltehai voluto sempre vivere in disparte.
Ilconte Aquila tacquema il petto gli ansò forte per la sistolee la diastole dell'ambizione.
Chiaveva parlato non era adulatoree sebbene per ingegno non fosseinferiore al contepur aveva di lui una stima gigantesca.
Questofenomeno avviene spesso tra gli uominiche taluni vengono apprezzatiin ragione del nulla che feceroe solo perchè alcune loroattitudiniviste in iscorcio e sotto ad una luce passeggeralasciarono un'impressione di una grandezza virtuale non provata maialla cote dell'azione e dei fatti. A ciò si soggiunga cheseessi hanno dato segno di qualità incontestabilmente superiorie pur tuttaviain opposizione della tendenza del più degliuominisi tennero celati o comparvero in pubblico qualche volta periscomparir subitocome il sole temporalesco; il buon prossimo se neesagera talmente la potenzada crearne tosto una divinità infieri. Questo era veramente il caso del conte Aquila. Il suocarattere alterola sua coltura ampiala sua parola fortecrudataglientee quel mai non aver voluto imbrancarsi col resto deiviventiavevano fatto concepire di lui un'idea così altachequalunque più eccelsa opposizione non pareva soverchia perlui.
-Io non credodisse egli poi all'E... V...che tu voglia pigliarmiin canzone: ma se hai la persuasione chese io mi fossi accostatoalle cariche o civili o militariavrei fermata l'attenzione de' mieiconnazionalipensa che non avrei potuto farlo se non imitando tuttiquelli che diedero nell'occhio al pubblico: col girarecioècome un satellite intorno al sole di Napoleone. Ed è ciòappunto che non ho voluto fare. Se ci ha ad essere un capo italianoun presidenteun dittatoreche so io? la parola re mi fa ribrezzo(il lettore non ci creda)deve essere appunto un uomo nuovoche nonabbia servito a nessunoche non abbia avuto onorificenze da nessunoche non sia stato nè Gran Cordonenè Grande Ufficialedi nessun Ordine. Tu mi dirai che pure è necessario aver fattoqualche cosa in passatoa saggio e a prova dell'avvenire. Ma inquesto caso ritieni che una pagina bianca vale meglio di una paginatutta coperta di caratteridove alcuni luminosi pensieri sienodeturpati da propositi e da concetti servili.
-Tu parli benema bisognerebbe farla intendere al popolo; mabisognerebbe che Iddio volesse di nuovo pigliarsi l'incarico diungere i re per mano di qualche Samuele. Anziil popolo oggidìnon crede più nulla ai sacerdotipoco a Dioe vuol fatti efatti e poi fatti. Non occorre che essi siano meraviglie sostanzialima che abbiano almeno la virtù di abbagliare il mondo.
-Tu hai ragionee parli da quell'uomo che sei. Ma io ti so direchese in questi giorni io fossi elettoper esempiocolonnello dellaguardia civicacon questa semplice caricaio saprei far miracoli.
-Lo credoma il colonnello non è morto e non vuol morire; nèvuol nemmeno cedere il posto.
-Io soentrò allora a parlare il B...capo battaglione dellacivicaio so che tu sei nella terna per essere nominato capitano delmio battaglione...
-E domenicanell'occasione della rivistauna fascia ricamata in oroda mia moglie sarà appesa alla vostra bandiera e benedetta inpiazza Castello…
-Ebbeneallorchè tu sarai nominato capitanoti cedo subito ilmio posto di capo battaglione. Io non faccio nessun sacrificio; enelle tue mani può essere utile ciò che nelle mie nongiova a nulla.
Aqueste parole succedette un po' di silenzio; l'avvocato Gambaranauomo torbidonon amiconè ammiratore di nessunoeistintivamente oppositore:
-Faccio osservareuscì a direche nelle osterie e nellebettole si parla talvolta degli interessi del paese con piùacume che altrove.
Eglipronunciò queste parole con una certa asprezza sardonicaperchè era stato nauseato dall'eccessiva ammirazione chel'E... V... avea mostrato pel conte Aquila; e perchèpiùche stranegli erano sembrate ridicole (e non aveva tutti i torti)le mal dissimulate aspirazioni di quest'ultimo.
-Allora tocca a voicaro avvocatosoggiunse tosto l'E... V... collasua causticità consuetaa fare in modo che noi possiamo averl'onore di pensare come i frequentatori delle bettole e delleosterie.
-Vi è andata la mosca al naso più che a un filosofo nonconvengasoggiunse il Gambaranama io non ho fatto che ripetere unpasso d'oro di quel Rousseau pel quale voi andate in deliquio.
-Non mi ricordo del passo d'oro; ma quand'è cosìcontinuate.
-Una di queste seremi trovavo all'albergo del Gallo col miopraticante Valesi. V'era gente di tutte le qualità; ma il piùeran mercantigiovani di bancobottegajgente che voi altrisignori avete il torto di non voler mai nè avvicinarenèsentire. Parlavan tutti alla distesa e alla libera; e parlavanoappunto del tema corrente; si venne persinocome abbiam fatto noistanottea mettere in questione: Chi mai fra gl'Italiani avrebbeavuto le qualità necessarie per tenere in manopel momentoalmenole redini del governoquando mai le grandi potenzetroppocaricate d'affarici avessero lasciati in vacanza. Tutti tacevano epareva che nessuno sapesse dove dar la testaquando uscì adire un giovinotto:
«Diavolo!a me pare poi che d'uomini adatti ce ne sia più d'uno. Maacaso disperatov'è un tale che non può a meno disaltare agli occhi di tutti. - Sentiamosentiamogridavangli altri. - Non è veroproseguiva coluiche Muratil quale nacque in casa di un oste e fece il postiglione per qualchetempodiventò poi re di Napoli? I tempi si sono cambiatieNapoleone ha fatto vedere che non è più necessario ditrovar la corona bella e fatta nel ventre della madre. Or benenoiin casa nostra abbiamo un tal uomoche nacque di casato distintoche ebbe un'educazione compiutache fece prodigi di valorenon inuna nè in duema in una dozzina di battaglieal punto dadestare l'invidia persino del vicerè; un uomoun soldatoungenerale che è adorato da tutto l'esercito italiano. E nonpotrebbe dunque costui essere il re d'Italia? Viva il re Pinogridò allora un altro... Vivavivagridarono tutti. -Finalmente abbiamo trovato il re e un re di cavalli!
«Èun gran difetto che abbiam noi Italianiquegli proseguivadidisprezzare tutto ciò che è nostranoe di volere atutti i costi fare acquisto della roba forastiera. E com'èdegli uominicosì è delle mercanzie e di tutto. Ilvino di Francia ci avvelenama si paga mezzo marengo al boccale: noicon sedici soldi si beve un vino che fa resuscitare i morti: sevenisse di Francianon lo beverebbero che i gran signori. Mavivaddioche il re è trovatoe se il nostro disgraziatopaese arriverà finalmente ad avere e ad apprezzare un renostranotutto il resto verrà da sè e tutte le piaghesi chiuderanno.» - Così diceva quel giovinenonso se mercante o lavorante; ed ora domando a voi tutti se non parlavacon fior di senno?
-Molte volte ho pensato anch'io al general Pinoosservò ilconte Aquila; ma senza giro di frasivi dichiaro schiettamente cheio abborro il regno della sciabola. Quando un soldato si fa capo diuno Statotutti gli ordini della società vanno a fascio e lacaserma diventa il Sancta sanctorum.
«Delrimanente (continuò) qui non si tratta di andare a cercare deire; si tratta di provvedere al modo di tener lontana l'Austria; ed'impedire che l'incapacissimo Beauharnais abbia ad acquistare unregno nel punto stesso che Napoleone perde un impero. Pino sia purechè lo meritail generalissimo delle truppe italiane; ma loStato deve essere governato dalla toga e non dalla spada. Che se sivolessero ancora dei re ose anche non volendolici fossero impostidalle grandi potenze vittoriose e tutte monarchiche e tutte paurosed'altre forme di governo; v'è pure in Italia e a poche migliada noi un re di antichissimo ceppo italianola storia della cuidinastia è una epopea continua di battagliedi vittorie e digloria. Ma questoper oraè un discorso immaturo. Ciòsolo che dobbiam pensare a far oggi è di premunirci contro gliattentati dei servilii quali rappresentando la nazione senzaregolare mandatopotrebberodata l'opportunitàmercanteggiarla a loro beneplacito e per loro uso e consumo. Ma perciò fareconviene appunto metterci in possesso di qualcheforzadi una forza materialevoglio diredi una forza armata;questa noi l'abbiamo in una istituzione a cui oggi nessuno pensaperché è considerata come uno spettacolo da parata e dateatro; ma che nelle mani di chi avesse la virtù di pensaredi calcolare e sopratutto di volerepotrebbe diventar poderosa eonnipotente da un momento all'altro. Ecco perchè desidero chevoi altri tutti entriate a far parte della guardia civica; eccoperchè m'affannai per avervi grado di capitano; ecco perchéda mia moglie feci trapuntare una ciarpa da consacrarle indono; ecco perché avrei carissimo se potessi essere capobattaglione o colonnello. Or m'avrete compresoo signorie arivederci domani».
Laseduta fu sciolta; tutti partirono; il conte stesso li accompagnòal portone. Disse al custodesempre in tuono burbero: - «Orapuoi andare a dormire»; e senza più altrosalìnei proprj appartamenti. Quantunque fosse ora tardissimail conteentrato in cameranon andò a letto. L'opposizionedell'avvocato Gambarana gli aveva dato gran nojae in quanto a sèpentivasi di aver messo innanzi il nome del re di Piemonte.All'intento di mascherare le proprie aspirazionipiù chetemerariestrane ed incredibiliegli aveva giuocato didissimulazione e d'astuzia. Ma gli pareva d'essere andato troppooltretanto più che quella proposta ei la stimava di talnatura da mettere d'accordo tutte le opinioni controverse. Esso aveval'ingegno robusto e la veduta sicura equasi diremmoinfallibileogni qualvolta pensava e giudicava senza passione. In quel momentocheper mettere a tacere vittoriosamente l'avvocatogli era occorsodimenticarsi di sè stessola sua mente sgombra gli avevafatto vedere d'un colpo ciò che nessuno allora avrebbepensatoe che doveva poi sembrare una scoperta tanti anni dopo; maappena fu solo e lasciò le verità generali perl'interesse proprio; e l'ambizione che in lui quasi toccava il gradodi quel che si chiama ramo di pazziatornò ad esaltarlononsappiamo qual cosa avrebbe fatto per ritirare quella proposta.
Ainostri lettorial pari che a noiun tal fatto potràsembrarepiù che incredibileassurdo: ma quanti abbiamointerrogato di coloro che avvicinarono il conte e poterono leggergliin fondo all'animaalla quale di tanto in tanto eran guida edinterprete alcune sue fuggitive espressionici assicurarono chel'idea di poter mettersi alla testa degli Italiani e di recarsi inmano la somma del poterelusingò davvero per qualche tempol'amor proprio di quell'uomo stranole di cui più alte e piùnobili attitudini vennero turbate dall'eccesso dell'orgoglio e dallamancanza di cuore.
Quandoil conte fu per mettersi a lettorammentandosi della ciarpadestinata per la guardia civica; si recò nel gabinetto dellacontessascoperse il telajoe gli sembrò che il lavoro fossein ritardo e mancasse il tempo necessario ad apprestarlo pel dìdella rivista. Il sangue a tal pensiero gli andò al capo;tiròstrappò più volte il campanello. Comparveun servitore in mantello e mutandetutto rabbuffato.
-Chiama qui la Mariapresto! gli disse il conte.
Venneuna donzella discinta e sgomenta.
-Tu e la tua padronache avete fatto in questi giorni? Nemmeno in unmese avrete finito.
Leparole non eran che queste; ma l'aspetto del conte faceva pauramala sua voce era così fortecosì furibondo l'accentoda mettere a rumore tutta la casa.
Destatainfatti da tutto quello schiamazzocomparve la contessa frettolosa etremantee avvolta in un ampio scialle.
Ilconte la guatòla saettòla coperse di contumelie.
Elladiede in un dirotto pianto; piangeva la donzellal'una e l'altrasupplicavano e promettevano.
Tuttala famiglia era in iscompiglio.
Quasici fu men terrore nelle case di Priamoquando le fiamme avvolseroTroja.
Tantoè feroce e spietata e demente un'anima ambiziosa!


II


Lacondizione della città di Milanonel dicembre dell'anno 1813presentava i sintomi di una malattiacome suol dirsidi caratterema di cui era difficile a prevedersi e a prefinirsi la qualitàla gravezzala durata e la riuscita. Lavoravano in lei molteplicielementi occultiche ad esplodere o a ritirarsi inoffensiviaspettano l'esito di circostanze superiori e fatali.
Neiprimi mesi dell'anno successivoquei sintomi si vennero sempre piùaggravando. Le cause nascoste di tanti effetti futuri e contingenti aseconda delle funeste notizie che venivan dal campo della guerrauscivano dallo stato d'aspettazione nel quale ad intervalli siadagiavanoper agitarsi nel campo dell'azione ed accelerare idesiderati rivolgimenti.
Abbiamodetto che molti partiti in quel frattempo si vennero costituendo inMilano. V'era quello di chi voleva un regno d'Italia indipendente conBeauharnais sul trono. E chiamavasi il partito delle marsinericamate; ma vi appartenevano tutti coloro cheper combinazionidirette e indiretteavevano potuto raccogliere molte ricchezze sottoal governo francese. A tale partito (ciò che a tutta prima puòdestar meravigliama che diventa chiaro dopo qualche esame)appartenevanopure sebbene col semplice desiderio e senza azioneefficacetutti quelli che dalla natura avevano sortito il sensoretto dello coseche nella vita avevano imparato a fare i contisempre in compagnia dell'oste; e chevivendo di libere entrate o dipensioni molto ipotecateo di proventi non attaccabili dal flusso eriflusso degli eventi socialipotevano vedere la condizione dellapatriacome spettatori seduti in plateai quali giudicano il drammasenza essere nè parenti nè amici dell'autore.
Macostorocom'è naturalenon solo erano in pochissimo numeroma conducevano una vitache equivaleva al non essereperchènon parlavano mai con nessunonon dicevano mai il loro parere anessuno; e se al teatroall'osteriaal caffè venivanotrascinati repentinamente nel vortice del tema consuetosfoggiavanotosto tutta la loro bravura nella così detta arte dellecavatine. Care personema meno utili delle cariatidi di molera;orologi perfetti e precisima senza sfera che indichi l'ora.
Unaltro partito era quello dei vilidegli indifferentidegliimmobilidei materialonidegli imbecilli e dei bigotti; perconseguenza era il partito monstre epur troppoera quelloche aspettava l'Austria come un tocca e sana.
Quasitutte le casane milanesi che avevano i servitori coipassamani; quasi tutti i monsignorii mezzaconicii canoniciicappellani corali del Duomodi S. Ambrogiodi S. Babila e di S.Celso vi erano naturalmente aggregati. Un terzo era il partito di cuiabbiam già parlato e del quale conosciamo i personaggi: ilpartito italiano puro; puro però sino ad un certo segno;perchè il suo agitatore principalese aveva la mente sanaaveva il cuore guasto. Gli uomini poi di grande ingegnodi grancuoreinfervorati dell'amor di patrianon costituivano veramente unpartito; tanto era scarso il loro numero! Essi vedevano l'Italia inquel periglio che avevano prevedutoma non nutrivano speranze perl'avvenire e non si attentavano di suggerir rimedj. Erano irritati ditutto e contro tuttiesebbene lor paresse che delle sventure lamen grave fosse ancora il principe Beauharnais fatto re d'Italiapure non osavano consigliare ai mali d'Italia un rimedio nonitaliano. Ugo Foscolo era tale da rappresentare la schierameditabonda e disdegnosa di questi solitari.
Tornandoal primo partitoa quello che veniva generalmente chiamato ilpartito delle marsine ricamate; dobbiamo aggiungere che sel'appellazione era giustaera pur vero che in mezzo a quelle marsinev'erano degli odiatori accanitissimi del vicerè e del nomefrancese e di quanti venivan denominati i servili. Odiatorinon liberi nè indipendenti nè equima sovreccitati dainteressi privatida offese ricevuteda speranze frustrate.
Tuttigl'impiegati che non erano stati nominati al posto ambito; che s'eranpresentati inutilmente a qualche udienza vicereale; che dal principeo da qualcuno dei ministri avevano ricevutoo credevano d'averricevutodelle ingiustizietutti costoro soffiavano a piena golanel pubblico malcontentoper tenerlo sempre desto e perchè sirisolvesse alfine in un vasto incendio.
Percitare qualche esempioil giudice cavaliere F... da qualche tempoera diventato il più feroce e il più impaziente ditutti. E la ragione ne era chiara. Egli era stato chiamato dal Luosia dar conto del suo operato nel fatto della causa Baroggi: consorpresa udì dal ministrocome il vicerè avessescrittocheal suo ritorno a Milanoavrebbe dato corso rapidissimoalla giustizia; con terrore apprese inoltre che il colonnello Baroggie il signor Andrea Suardi s'erano espressamente recati a Lubiana perparlare al vicerèal quale avean espostocome nello studiodel notajo Agudio dovevano esser state acquistateallo scopo difarle scompariredelle carte d'importanzasufficienti a comprovarel'autenticità del testamento; del qual fatto forseconsigliatore e compliceper più indizjpareva essere lostesso giudice del tribunale.
Beneavea dovuto accorgersi che il Luositimoroso di sè per lefuture contingenzementre con insolita severità gli aveaparlato della collera del vicerèavea tuttavia dato adivedere di non voler farsene l'interprete nè il piùattivo nè il più sollecito; e a prova di questo glibastò avere il gran giudice lasciato passare alcuni giorniprima di chiamare a sè e d'interrogare il notajo Agudio; forseper dar tempo di far scomparire le traccie del fatto a chi avevapotuto aver mano in esso. Ma se il vicerè tornavama sequelli che lo volevan re d'Italia avessero avuto il sopravvento; inche tremendo spineto egli veniva a trovarsi! E nello stesso pericolotrovavansi pure avvolti e fatti compagni solidali l'avvocato Falchiepiù di tuttiil marchese F...avuto riguardo alla suacarica di consigliere di Statocui era stato nominato dallo stessoNapoleonea dispetto e all'insaputa di Beauharnais chenon si saper quali ragioniavea sempre detestato quel patrizio milanese.
Immaginiamociora dunque quale efficace e terribile influenza dovessero esercitaretutte queste persone variamente autorevoli e potenti su tutto ilpubblico vessato ed espilato in cento modie più recentementepercosso da un'ultima requisizione sterminatriceche fu l'uno percento messo ai capitali impiegati con ipoteca sui fondi deidebitorie da pagarsi dai medesimi in proporzione che si spogliavanoi registri; requisizione che doveva involare al popolo altri sessantamilioni. Al cospetto di questo fatto enormetutti i partitituttele classi si fondevano in una massa solavastacupa e mugghiante. Eil ministro Primache era l'autore spietato e imperterrito di quelletassericeveva sopra di sèperché era presentetuttii colpi dell'odio pubblico preparati per il vicerè assenteinnome del quale venivano estorte.
Lacosa pubblica e le vicende private de' nostripersonaggi versavanoin queste condizioni alla seconda metà del mese di marzodell'anno 1814. La campagna di Francianella quale Napoleoneinutilmente era stato soprannominato il Centomila uominiprecipitava al suo fine. Il cielo politicolungo tutta la zonad'Italia e Franciaandava sempre più tempestosamenteannottando. In quella notte buja gli uomini dell'azione lavoravancelati. La guerra dei partiti e degli uomini individui checapitanavano opposte fazioni veniva fatta all'oscuro. Il conteGhislieri sotto mentite spoglie era tornato a Milano in fretta e infuria. Era il corvo che chiamava altri corviper calar tutti insiemee d'accordo dello Stato alla carogna. Il conte Aquila coi suoiaderentidal proprio palazzo avea trasportato la sede dei convegniin casa Falchispecie d'albergo politicomolto simile a quelleosterie sinistredove l'oste e l'ostessa fanno da manutengoli aicontrabbandierie in un bisogno scannano anche gli avventori.
Unasera appunto del marzo di quell'anno fataleil conte Aquilatrovavasi in casa Falchisolo con madama.
-Sono già le undici e non si vede nessunoella diceva.
-Nè verrà nessuno per questa sera. Ho detto ai solitiamicich'era meglio sospendere questi ritrovi serali. Nel pubblico ètrapelato qualche cosa. È meglio stornare ogni sospetto.D'altra partegià son gente che bisogna condurli a manoenon c'è nessuno che abbia iniziativa.
-Me ne sono accorta anch'io. Son brave personema da adoprar solo almomentosenza preavvisi. Ma intantosignor contecome vanno lecose e come stiamo a notizie? Lo sparo del cannone di jeri mattina hafatto cessar per un istante il fermento della popolazione.
-Non ci credete.
-Non ci credo.
-Sono gli estremi giuochi del bussolottiere. Si ha bisogno che ilpubblico rimanga sopraffatto dalla notizia di nuove vittoriee credain Napoleone sempre morto e sempre vivo. Ma la Pasqua di risurrezionenon fu che una privativa di Gesù Cristo. Intanto con questistratagemmila popolazione pagherà senza andare in collera latassa dei capitali ipotecati che ci ruba una cinquantina di milionie la nuova contribuzione di sette milioniposti sull'estimosuipiccoli mercantie sui possidenti. Intanto la campagna provvederàle recenti requisizioni di frumentofieno e biadasenza osare dirispondere colle forche e colle zappe.
-Jeri io fui in campagna.
-E così?
-È tutta una polveriera. Un po' di paglia accesae lo scoppiosi ha da sentir fino a Parigi. Quei villani irritati hanno detto chealla prima mia parola saran tutti qui.
-Lo stesso succede nelle campagne degli altri nostri amici. Ma nonbasta.
-Come non basta?
-Se io fossi il general Pinoo soltanto il colonnello della Civicaallora direi d'aver le redini in mano e di poter frustare i cavalliper dove meglio mi parrebbe.
-Ma non fate voi le funzioni di capo battaglione?
-Sì... finchè B... si trattiene a Parigi. Ma ciònon basta; caporale e capo battaglione vale lo stesso. Bisognerebbeche tutta la Civica dipendesse da me.
-Se il colonnello Visconti fosse dimessoo si ritirasseo glivenisse un accidentedico così per direvoi sareste sicurodi salire a quel posto?
-Avrei per me il novanta per cento.
-Allora bisogna pensarci.
-Non c'è via nessuna; è un'idea da mettere in disparte.
MadamaFalchi non rispose nulla a quelle parole del conteperchè nonc'era da risponder nulla. Ed in quella sera divagarono ad altriargomenti; nè forse avrebbero pensato mai più allacarica di colonnellonè al marchese Visconti che lasostenevanè alla possibilità di rimoverlo con qualchestratagemmase non fosse sopravvenuto un accidente dei piùstranie fuori affatto da ogni previsione. Ecco ciò cheavvenne.
Treo quattro giorni dopomadama Falchi ebbe occasione di far dellevisite. Non avendo ancor messo carrozzaogni qualvolta non volevaandar a piediprendeva a nolo un fiacre di lusso da un talvetturale che stava in Santa Maria Podone e si chiamava BernacchiGiosuè. Era questi un bel giovinotto di trent'anni; sedevaegli stesso a cassetta quand'era ai comandi di madama equantunquefosse il padroneindossava in quelle occasioni una magnifica livreacon lavorinipanciotto rossolucerna con passamani e stivalia trombini. Quando madama mandava a chiamarlosoleva egli stessodue o tre ore prima del bisognoandare in persona a prendere gliordini da lei. Quest'incomodo che si pigliava non era indispensabilema a quel vetturale giovinotto e benissimo piantato piacevamoltissimo madama. Era una bizzarria come qualunque altra; ma anchele bizzarrie hanno le loro origini prime e le loro cause remote. Èdunque a sapersichemolti mesi addietrointanto che madama stavaabbigliandosiil Bernacchi venne a prender gli ordini; ed ellatrasandata com'era e protervalo aveva fatto entrar senza tantecerimonie.
Coluistuzzicato da un certo spettacolo voluttuosoebbe l'ardire di fardei complimenti a madama con certe frasi involute di scherzo e dirispettoma non senza qualche presa di petulanza. Madama sorrisegli diede del mattoma non andò in collera. Ella era diquella medesima stoffa carnale onde la natura avea largheggiatoallorchè mise al mondo colei che doveva diventar la donnadell'impero vastoche fu l'eroina del Poema tartaro diCastie per le solite viltà degli uomini abbacinatidovevadalla storia venire giudicata una sovrana di genio. E la Falchimenol'impero e meno i granatieriandava molto soggetta agli estri diCaterina la Grande.
Tornandoal fattomadama Falchi mandò a chiamare il vetturale. Questisecondo il solitovenne di mattino a prendere gli ordini. Fu fattointrodurre. Essa era a letto.
-Oggigli disseverrai alle due dopo mezzodì col tuo piùbel fiacre.
-Alle due io sarò a' suoi comandi.
-Hai molto a fare in questi dì?
-La miseria va crescendo tutti i giornisignorae chi non ne hamoltiama d'andar a piedi. Perfino i gran signoriquando hannobisogno di menon vogliono pagar quasi più nulla. Anche ieripoco mancò non venissi alle mani con un prepotente.
-Ohcom'è stata? racconta.
-Se mi son frenatoè perchè colui aveva le spalline.
-Qualche generale francese?...
-No... un nostro milanese... il marchese Visconti...
-Quale?
-Il colonnello della guardia civica.
-Hai fatto male a non lasciargli un ricordo.
-Sìper andare in galera...
LaFalchi tacque un momento; era sopra pensiero... infine si alzòin sui gomiticome per cambiar positura; in quell'atto le trinedella camicia si scomposero alquanto.
-Signoraio vado via subito.
-Che diavolo hai?
-Quando mi trovo in questa stanzami par di girar sullo spiedo e misento bruciare...
-Oh diamine!
-Voglia almeno aver la bontà di nascondersi nella coltresinoalla testa. Ah signorache cosa io farei per...
-Badabricconeche tiro il campanello; e qui avendo ella steso ilbraccio e la mano verso la cordarivelò delle proporzioniromane e delle tinte venete.
-Senticontinuò poise io venissi a sapere che tu hai datauna buona bastonatura al colonnelloe fosse tale da obbligarlo aletto per qualche meseti assicuro che verrebbe la mattina in cui tusaresti contento di me.
Dettequeste parolealzò dietro il capo simmetricamente ambe lebracciaquasi per accomodarsi le treccie; il qual movimento lerovesciò fin alle spalle le maniche della camicia.
-Tu dunque devi avermi compresoproseguiva intanto; e lo guardòa lungocome chi adopera gli occhi invece delle parole.
Lafaccia del giovane vetturale erasi infuocata come quella di unubbriaco.
-Ora puoi andaresoggiunse. Alle due non mancare; domani o dopo avròancora bisogno di tee ti manderò a chiamare.
Eglila salutò e partìe quando fu per lasciar la casasbagliò l'uscio e si trovò in cucinatanto eraattonito e fuori di sè.
Questocolloquio tra il Bernacchi Giosuè e la Falchi avvenne il 19marzo. La sera del 25 la bottiglieria del Cambiasi dirimpetto allaScala era piena zeppa di curiosi che parlavano e s'interrogavano avicenda.
-Ma dove avvenne l'aggressione? chiedeva uno.
-Precisamente sulla piazzetta del Bocchetto presso al Demanio.
-Il ladro si avventò con uno stilo.
-E il colonnello?
-Il colonnello era stato ad ispezionar le ronde e le pattugliee sen'andava pei fatti suoi. Sebbene colto all'impensatafu lesto acavar la pistola che mise alla faccia del ladroil quale venneferito in una mandibola.
Questevoci corsero la sera del 25 marzo; e il dì successivodopoche il chirurgo Monteggia ebbe estratta la palla dalla guancia delpresunto ladrosi seppe che l'aggressore non era un ladroaltrimentisibbene un vetturale che faceva buonissimi affarie sichiamava Bernacchi Giosuè.


III


Quandola notizia dell'aggressione del colonnello Visconti e del colpoandato a vuoto e della pronta di lui difesainsieme colla piùgrave che l'aggressore era stato il vetturale GiosuèBernacchivennero all'orecchio della Falchiellaper quanto fosseperversa e imperterritane ebbe un tale sgomento da sentire per laprima volta in vita sua che cosa fossero le irrequietudini convulse.Per un momento ella si tenne perdutapensando che l'aggressoresottoposto a un esame criminaleprobabilmente avrebbe messo fuori ilsuo nomeesponendola ad uno scandalo inaudito e facendola segnodell'ira pubblica. Ma la fortuna maledettache si compiace di farl'interesse dei malvagicondusse le cose in maniera che ilBernacchio fosse veramente in una violenta alterazione mentaleprovocata da una eccezionale esaltazione eroticaquando pensòdi assalire il colonnello; o l'operazione chirurgica della mandibolafracassatainteressando le parti più delicate del capo eaffini del cervello gli avesse prodotta una infiammazioneviolentissimail fatto sta che ei diede in tali escandescenzedelireche dalla perizia medica fu giudicato essere in istato dialienazione mentale; e peròtolto al processo criminalevenne trasportato al manicomio della Senavraper essere assoggettatoa cura normale. La Falchi a questa notizia si riebberespiròe riacquistò quell'appetito vorace ch'erale abitualee chel'oppressione patologica delle facoltà digestive le aveva peralcuni giorni sospeso.
Èinutile il dire che il conte Aquila in quella congiunturacome diconsuetovenne a farle visitae solo e insieme con qualche suocollega; è inutile il dire che il ferimento del colonnelloVisconti fu più d'una volta il tema dei loro discorsi. Magiova che il lettore sia messo a parte della seguente frazione d'unodi quei dialoghi.
-Anch'iodisse un dì il conte Aquila alla Falchivo d'accordoin questo con Napoleone. Voglio dire che ho una grandecredenza nel destino. Però questo fatto del colonnello mi hamesso sottosopra. Si vede che il destino ha fatto di tutto pergiovarmie tentò quella via appunto che a me pareva la solaefficace. Ma non c'è riuscito nemmeno lui. Bisogna dunquecambiar strada. Oggi mi dimetto dalla supplenza di capo battaglionee rassegno anche il grado di capitano. O tutto o niente - giàlo dissi. O aver la Civica in pugnoo uscir dalle sue fileperchènon voglio trovarmi obbligato all'altrui comandonè essereimpedito di tentare quel che ho in testa.
Eil conte fece infatti come disse. Prodotta una ragione plausibilelasciò il grado di capitanoe si recò per alcuni dìin villa a meditare un nuovo piano di battaglia.
Intantoi tristi giorni si venivano avvicinando. Si era già oltre lametà d'aprile; il conte Aquila fece venire a Milano a propriespese alcuni uomini che vivevano di contrabbandofuriosi tutticontro il governoe segnatamente contro il ministro Prinaperchèda qualche tempo faceva esercitare dalle guardie di finanza chestavano al confine svizzero una vigilanza così insistente erigorosache a coloro non rimaneva più che consegnarsi omorir di fame. Il conte chee per il fatto del colonnello Visconti eper altri ostacoli che non gli pareva di poter superare a secondadelle proprie vedutes'era venuto attiepidendosi sentìriardere d'ira e di vendetta a certe parole della Falchi cheastutamente gli tornò a parlare dell'offesa fatta dal vicerèalla povera contessa di lui moglie.
Allasua voltal'avvocato Gambarana avea fatto venire in cittàalcuni barcajuoli del Ticinoche dalle nuove gabelle erano statiridotti a mordersi le mani per mangiare. La vasta polveriera dell'irapubblica era dunque tutta spalancata ai quattro ventiquantunque itizzi incendiarj stessero in mano di pochi. Non si aspettava cheun'estrema notizia da Parigila qualecome un colpo di cannonefosse il segnale di lasciarveli cader dentro. E il colpo alfinetuonòche doveva provocare il dì nefasto del ventiaprile.
Giànoi ci siam diffusi intorno ai varj partiti che s'eran costituiti inMilano durante la rovinosa guerra di Francia i qualinell'aspettazione quasi generale di una catastrofe che inghiottissel'imperatore e l'imperostavan tutti in agguatocoll'arme albracciopronti a balzar fuori improvvisi e ad operare giusta ipreparati disegni e i diversi intentiall'estremo segnale che fossevenuto da Parigi. Codesto segnalesebbene per Napoleone fosse tuttofinito sin dal giorno 11non giunse a Milano con tutti i caratteridella certezza che il 16 aprile. I partiti principali e d'azioneillettore non se lo sarà dimenticatoerano tre. Quello dellemarsine ricamateossia dei sostenitori del vicerè;quello del regno d'Italia indipendente con un re italiano; il partitoaustriaco. Il più numeroso era l'ultimoè inutiledissimularlo. Il più possente avrebbe potuto essere il primo.Ma il secondo partitonon avendo un piano ben determinato e negliestremi giorni essendosi ingrossato di uomini più odiatori delnome francese che desiderosi del bene della patrianon servìche a togliere ogni potenza al primo partitoper darla tutta alterzoil quale essendo già il più numerosodiventòpresto il più potente. Il partito italiano puro ebbe inoltre asubire delle defezioni in sull'ultimo. Tra gli altril'avvocatoconte Gambaranao perchè non patisse la preponderanzasoverchiatrice del conte Aquilao perchè veramente avessecangiato opiniones'era staccato da esso e dai colleghiper unirsial consigliere di Stato Marchese F... suo clienteed al conte diDomodossola. Nella casa di costui iva e redivacolla alternaprestezza di un postiglionequel marchese o conte Ghislieri diBolognail quale metteva in comunicazione la tenda campale diBellegardecol quartier generale del partito austriaco residente inMilanoe capitanato appunto da due patrizjper storturad'intelletto funestissimi rinculatori del secolo e ristauratoriinclementi di ogni ordine antico che la libertà redentrice delpensiero aveva respinto.
Nèquesto partito era destinato a prevalere per le sole ragionisuaccennate; ma più ancora perchè l'azione impaziente efuribonda dei capi del secondo partito doveva cadere a suo totalebeneficio.
Ognunosa come il duca Melzinella notte del 16mandasse invito aisenatori perchè si radunassero il dì dopoaffine dideliberare intorno ad un suo progetto di decretoe spedire unadeputazione alle alte potenze per chiedere la cessazione delleostilitàl'indipendenza del regnoed un re nella persona diBeauharnais. Ognuno sa che Prina e Paradisinel desiderio del Melzie di tutti i fautori del principedovevano essere i deputati. Ognunosa che il conte Guicciardi fu il più fiero impugnatore delprogetto del duca Melzi; e che il conte Carlo Verri esplicitamentedichiarò in Senatoche il principe non avrebbe mai avuto ilsuffragio della nazionechè troppi e da troppo lungo tempoerano i dolori e i lamenti e gli odj che aveva provocati in paese.Ognuno sa inoltre chesebbene il presidente del Senato Veneri avesseraccomandato che ogni discussione e deliberazione rimanesse nell'altosegreto dell'aula senatoriapure il pubblico venne invece a saperetutto quello ch'era avvenuto là dentroal punto che allaseranel ridottonella plateanei palchetti del teatro dellaScalanei caffènelle osterienelle bettolela condottadel Senatoil caratterei diportamentile parole di ciascunsenatore furono i temi generali di tutte le discussioni e di tuttigli alterchi.
Daidiffusi rumori di questa gran voce del pubblico si potè alloracomprendere che il senatore Carlo Verri aveva avuto ragione; si potècomprendere che la maggioranza assoluta dei Milanesi era cosìavversa al nome di Beauharnaische i suoi nemici dovevano averefacilissimo il giuoco nell'abbatterlo; e che i due partitiquellodell'indipendenza e l'austriacocosì contrarj negli intentis'eran trovatisenza saperloconfederati ed uniti nel tentarl'ultima prova sul campo di battaglia. I villici e i barcajuoli delTicino assoldati dal conte avvocato Gambarana furono per tal modosostenuti dai contrabbandieri del conte Aquilae da un capomastroguidatore di una coorte di muratori pagati dalla Falchi.
Sorsecosì il giorno 20 aprile. Era un giorno cupo e piovigginoso.Si sapeva che il Senato doveva adunarsisecondo il consuetoversoun'ora dopo mezzodì. Lungo i boschetti vicino al palazzo delSenato da qualche tempo prima di quell'ora passeggiavano sparsidrappelli di persone. Quegli sparsi drappelli rappresentavano tuttele gradazioni della societàtutti i toni dello spiritopubblico; dall'apprensione calma e ragionevole di chi pensa e ponderail male ed il bene senza passione e senza irafino all'impazienza ealla concitazione fremebonda di chi vuol tagliare ogni nodo senzaindugio e senza ponderare nè il meglio nè il peggio. Sivedevano uomini ben vestitigiovinotti elegantiparecchi ufficialidella guardia civica in uniforme; si vedevano gironzare lungo laroggia che lambe il giardino della Villa Reale alquante giacchette divelluto e di fustagnoche di tant'in tanto si fermavano adadocchiare d'intornocon guardature sinistre e provocanti.
Alcunepersone d'aspetto tranquillo e signorilmente vestitetenendosidiscoste dagli altri crocchjdiscorrevano fra di loro.
-La giornata vuol essere torbida.
-Oggi i senatori pagheranno anche la sopratassa del loro stipendio.
-Pare anche a me. Più d'un'uniforme deve andare all'aria.
-Ma quel che più mi fa senso è chementre da noi tuttisi sente il temporale nelle ossal'autorità non se ne diapunto per intesa.
-E a me par tutto il contrario.
-Come?
-Può darsi che io mi pigli un abbaglio; ma l'autorità...voglio dire la polizia e il comando militare... par che desiderinodar mano a quelle berrette e cappello che vedete laggiù.Stamattina dunque tutta la gendarmeria è uscita da portaOrientale; perchè? in Milano non vi è un mezzobattaglione di coscritti; perchè? mentre a Cremona ci son duereggimenti di granatieri e due squadroni di cavallerianon sipotevano far venire a Milanodopo tutto quello chein seguitoall'ultima seduta del Senatoad alta voce si disse in pubblico?
-Il general Pino è venuto jeri.
-Questo lo so; ma a far che?
-Che sia stato lui a fare uscire la gendarmeria di città?
-Potrebbe darsima a qual fine?
-Gli avranno scritto che tutta la popolazione di Milano èavversa alla nomina di Beauharnais e vuol fare una tumultuosadimostrazione al Senato; ed egli avrà pensato di lasciarla inpiena libertà di tentar tutto quello che vuole.
-Chi sa che cosa rumina nella sua testa il general Pino?
-Che abbia preso sul serio il progetto di alcuni matti?...
-Non sarei lontano dal crederloquantunque ei sia buonosemplice eliberale; ma egli ha tanto il vicerè sulle cornache perpotergli dire: - Ioche tu volevi umiliaresono diventato ilre d'Italiae tu sei una livrea in fuga- potrebbe perderela tramontana e mettersi a discrezione dei matti.
-Frattantoin tutto ciò che si sta preparandoio vedo unarovina irreparabile.
-Prima di far cattivi pronosticistiamo a vedere il risultato delladeputazione.
-Che risultati vuoi tu attendere? se oggi il Senato va all'ariadomani i Tedeschi son qui. Quel capitano dalmatocol quale fummojeri sera al caffè dei Servi (mi pare che si chiamasseRadonich) e mi ha tutta l'aria d'essere un emissario e un emissarioastuto ed espertoha detto che vi è un patto segretod'alleanza tra l'Austria e le alte potenzepel qualequando la pacefosse fermataessa può conservare dell'Italia soltanto laparte che avrebbe conquistata durante il tempo della guerra.
-Ma questo mi parrebbe un vantaggio per noi.
-Se si stesse quetisì... e se il Senato avesse ottenuto diproclamare Beauharnais a re d'Italia. Quel Dalmato rivelò ilpasso del trattato segretoper stornare ogni sospetto d'ingerenzaaustriaca. Ma quando parla un agente prezzolatoun emissariounaspiasi coglie la verità a interpretare tutto al rovescio.Bellegarde ha dunque bisogno di trovarsi a Milano prima che la pacesia conchiusa. Vi pare che ciò sia chiaro?
-Fino a un certo punto sì. Ma se Beauharnais si è resoodioso e insopportabile a tutti; che pro se ne avrebbe ad assumerloper re?
-Allora non si parli d'indipendenza; giacchè per scartareBeauharnaisbisognerebbe che noi avessimo in guardaroba una scortadi re italiani belli e fattiperchè le alte potenze potesseroscegliere. Mi fanno ridere quelli che propongono il general Pino; maci vogliono dei precedentii miei carie il solo Beauharnaissarebbe possibilee perchè ha ancora un esercitoe perchèè parente di ree perchè si sa che è carissimoall'imperatore di Russia. Molti dicono: Murat era un postiglioneBernadotte era un avvocatoed hanno potuto diventar teste coronate;e il general Pinose si guarda alla schiattaè in migliorcondizione di loro. Ma fu una mano onnipotente che coronò queipriminon un popolo in ribellioneche non sa nemmeno quel che sivuole.
Intantoche questi tre galantuomini parlavano tra loro con tutte le doti chedovrebbe avere lo storico di Quintilianoossia con tantatranquillità e freddezza chese tutti gli abitanti di Milanofossero stati della loro tempra non sarebbe mai avvenuto nulla disinistro; gli altri sparsi drappelli avean lasciati i boschettisolitari. E a un tratto s'udirono alquanti fischi acutissimi chevenivano dalla parte del navigliointerrotti da alcuni fuggitivibattimani. Quelle persone accorsero allora per vedere di che sitrattava. Dinanzi alla porta del Senato era addensata una mediocrefolla di popolo. Coloro si avvicinaronoe per quanto fossero amicidel quieto vivereattratti dalla curiositàs'internarono fraquella al punto da mettersi in prima fila. Da varie parti venivano icarrozzoni dei senatori. La folla faceva ala alla lor venuta. Un uomoche alcuni affermarono essere un cameriere del conte Aquilaaltri unservitore del conte Castiglioniteneva tra mano uno scaleo dasagrestiae ad ogni carrozzone che si fermavavi salivaguardavadentro lo sportelloe diceva ad alta voce i nomi dei senatori che adunoa dueperfino a tre vi eran seduti. - PresidenteVeneri - gridava quello con voce stentorea. - Unlungo fremitocon fischi lacerati e tali da passar le orecchieful'ora pro eo di quella nuova litania. - ConteArmaroli Condulmer Bruti - altri fischicome sopra. - Conte Cavriani - nuovi fischi conesacerbazione. L'astronomo Oriani - battimanid'entusiasmo. La gloria della scienza non aveva lasciato tempo dipensare al colore politico. - Conte Carlo Verri -qui la folla non solo battè palma a palmama quando il Verridiscesemolti gli furono intorno a complimentarlo in cento maniere ea raccomandargli la salute del paesee che continuasse a tener leredini a tutta quella canaglia di senatori.
Dital modo e con tal processo e successo sfilarono quasi tutti icarrozzoni senatorj. - A questo punto la folla era cresciuta.A questo punto quel capo mastrodi cui un nostro amico ci diedeil nome e cognomeed era un Antonio Granzinistaccatosi di mezzo a'suoi compagnoniandò chiedendo a tutti se non era ancorvenuta la carrozza del ministro Prina. A questa domandachi sialzava nelle spalle come a dire: ne so molto io? Chi rispondeva: saràentrato cogli altri senatori. Ma dalla maggior parte de' discorsi edelle risposte colui potè arguire che il ministro Prina nonera venuto altrimenticome non era venuto nemmeno il conte Paradisiforse perchèessendo stati esclusi dall'incarico delladeputazionealla quale avevali proposti il duca di Lodie avendotrovato una concorde opposizione in tutti i colleghiavevano credutobene di non presentarsi in Senato. Quel capomastro rimase assaisconcertato a tale notiziae ritornò accigliato in mezzo aldrappello dei suoi. Questo gruppo d'uominiche per la qualitàspeciale del vestito furono dagli astanti giudicati muratori efacchinifinchè non avvenne nulla di nuovo in quella follaognora crescenteeran l'oggetto degli sguardi e delle congettureuniversali. Ma a un tratto ogni attenzione si distolse da loroperchè da Sant'Andrea sboccò sulla piazzetta unacompagnia di guardia civica a farsi strada fra la turbaa collocarsidavanti al portonea dire al capitano di piazza Mariniche volevanoessi far la guardia al palazzoe che però venissero rimandatii soldati di lineaper la maggior parte coscrittia cui erasi datoquell'incarico.
Ilcapitano di piazza salì allora nell'aula senatoria apresentare quella domanda al presidente Veneriil quale subitoaccordò che il palazzo venisse custodito dalla guardia civicapiuttosto che dalla truppa di linea. In questo frattempo il conteDurinipodestà di Milanoaveva spedito al presidente delSenato quella famosa dichiarazioneche venne firmata da piùche 140 personenella quale si rappresentava al Senato stesso che«nelle straordinarie vicende in cui versava il paeseeranecessario invocare straordinarj provvedimentie che però isottoscritti credevano necessarioin coerenza dei principj dellacostituzioneche fossero convocati i collegi elettoralinei qualisolamente risiedeva la legittima rappresentanza della nazione.»La notizia di questo messaggio del podestà corse tosto tra lafolla. Si dicevano i nomi dei primi che comparivano in quella listae fece senso che il general Pino fosse in testa a tutti.
Aquesto puntodisceso il capitano Marini col permesso del presidentela guardia civica scacciò bruscamente dai loro posti i soldatidi lineae strappò i fucili a quelli ch'erano alla portaimmediata della sala della seduta. Avvenuto questocome quando iltemporale s'addensa ed è prossimo lo scroscio della gragnuolacorse un orribile fermento nella follache s'addensava sempre piùe si stringeva presso alla porta del palazzo. Al di sopra del vastomormorio della moltitudine si faceva sentire la voce tuonante delconte Aquila: - «Noi vogliamo la convocazione deicollegi elettorali; noi vogliamo che si richiami tosto la deputazionedel Senato.» E qui tra il capitano Marini e lui avvenne unfiero alterco. Diceva il capitano al conteche il Senato era giàentrato in sedutae che invece d'innalzare delle grida plebeemanifestasse i suoi voti ai senatori stessi. Rispose il conte che ciònon potea fareper non avere nessuna veste di rappresentanza; esenza dar più retta al capitano Marinicontinuò per unpezzo a parlar alto al popoloil qualeeccitato dalle sue paroleirruppe a furia nel palazzoper impedire che il Senato continuassenelle sue deliberazioni.
Alrumore che si udiva nell'aula senatorialeagli urli di minacciailconte Verricome quello ch'erasi accorto d'essere in molta graziadel popolosi offrì di uscire a parlargli e acquietarlo.Prima comparve accompagnato dai senatori Massari e Felici. Alla vistadi lui scoppiò un applauso generale; egli tentòparlarema il rumore vasto copriva la sua voce. Rientròallora nell'aula; e crescendo gli urli e le minaccietornò aduscir solo. Ma parlò ancora inutilmenteperchè non erapossibile intendersi tra chi aveva bisogno di calma e una turbad'uomini che schiamazzava per tirar tutto al peggio. Questa intantoche per un pezzo si era trattenuta nel gran cortileanimata dallastessa guardia civicama più che mai dal conte Aquilachepallido e tremendo come Catilinala eccitava «a salvare ilpaese dall'assassinio dei ladri togati che tentavano di scavarel'ultimo abisso alla patria col volerla prostituita al piùscellerato di tutti»ascese irruente le scaleinvase icorridojsi addensò nell'anticamera dell'aula. I senatoritremavano; le parole di minaccia erano esplicite. Allora col conteVerri entrarono nella sala della seduta il capo battaglioneBallabiol'amico del conte Aquilae il qualecome uomo di miteanimotremava di dover essere complice di una strage; ed entròcon lui il capitano Bossi. Gridavano molti senatori: Che cosainfine si vuole da noi? Rispose il Bossi: Richiamate ladeputazione. - Convocate i collegi.
Ilconte presidente Veneri non era della tempra del senatore Romano chepercosse quel Gallo il quale aveva osato toccargli la barba; ned eradisposto a morire con arte come un gladiatore. Tremava come unafogliae si voleva salvare senz'arte e a qualunque costo. Alleparole del capitano scrisse dunque tostoe senza nemmenointerpellare i colleghi: «Il Senato richiama la deputazionee riunisce i collegi» e consegnò il foglio al Bossi;e allorchè questi rientròdichiarando al presidenteche il popolo voleva sciolta la sedutail presidentea cui tardavadi respirare un po' d'aria aperta e sanaincontanente tornò ascrivere con una rapidità desiderabile in uno stenografo: «IlSenato richiama la deputazione riunisce i collegi elettoralie scioglie la seduta.» Di questo decreto trenta copiefurono fatte in sull'istante dai segretarj e distribuite al popolo.
Isenatori allora usciron tutti queti queti per una porta segreta. IlVerri prese con sè tre o quattro dei più odiatie perconseguenza dei più tremanti; li raccolse nel propriocarrozzonee come il Ferrer di Manzoni aveva fatto col poverovicario di provvisioneraccomandò loro di rannicchiarvisi infondo in fondomentre egliaffacciandosi alternativamente ai duesportelliavrebbe tentato di stornare la vista del pubblico.
Nèalcun senatore ebbe a patir violenze nè offesese non aitimpani delle orecchieorribilmente percosse dai fischi estremi.
Tuttoadunque pareva che dovesse esser finito; ma il popoloquando si èaccesoè come un ebbro: più si tenta di placarlo e piùgli si dà ragionee più s'infuriapeggio poi se c'èqualcuno che ad arte lo riaccenda.
Ilconte Aquilaappena irruppe nell'aula senatoriain capo alla follaululantesi avventò percuotendo col pomo di uno scudiscio latesta del busto in gesso di Beauharnaische rotolò giùper i gradini dell'impalcamento dov'era il tavolone presidenziale; ementre altrisalendo sul tavolone stessostrappò dallaparete da cui pendeva e trapassò con un colpo d'ombrello ilritratto ad olio di Napoleone dipinto dall'Appianiegli stette acontemplare quella testa divelta dal bustola fracassò d'uncolpo di piedee disse: Or regna e bacia le donne altrui. IlBruni eragli al fianco e udì quelle parolee supplicandolo dirimettersi in calmaquegli invecepiù esasperato che maiafferrò alcune suppellettili dorate e le scagliò fuoridelle finestre. Il popolo lo imitò. Sedietavolespecchistufeorologiperfin le vetriereperfin le portetutto fumanomessofracassatogettato nella strada sottoposta.
Nèbastò ancora; il furore aveva messo la benda a tutti; i piùscellerati approfittarono di quella cecità ubbriaca. Gliemissarj austriaciche non pochi erano già in Milanoghignavano che gli uomini dell'indipendenza lavorassero cosìefficacemente a pro dell'Austria.


IV


Appenal'aula senatoria fu smantellatae le suppellettilistate gettatesulla via che rade i boschettifuron raccolte da coloro che nonmancano mai alle dimostrazioni tumultuosecome gli stelloni alleastela folla si diradò e si disperse affatto. Ma c'era queldrappello d'operai in giacchettache lasciando il palazzo del Senatoe prendendo per la via di S. Andreacamminava di mala voglia perchènon pativa che il tumulto dovesse finire così presto; e ciòche più loro cuocevache l'oggetto principale a cui volevanodar la cacciamiracolosamente non fosse comparso in iscena. Giuntinella via della Salatrovarono altri sparsi drappelli che sifermavano di tant'intanto. Avevano anch'essi quell'aspettoquell'andaturaquel piglio tra il tediato e l'iracondo che di solitoassumono i bassi operaj quando hanno abbandonato il lavoro consueto equotidianoe aspettano impazienti di poter dar opera a qualche cosadi straordinario e di sedizioso. Il capo-mastro Granzinicheinmezzo a dieci o dodici uomini suoi dipendentivide coloro da lungecapì che eran pasta da usufruttare assai bene e da mescolare aquella ch'egli aveva già sotto mano: affrettò quindi ilpassoe come fu loro presso:
-E che si fa? gridò.
Quellisi volseroe si fermaronoguardando biechi chi loro parlava a quelmodo.
-E che si ha da fare? Quel che fatto è fatto.
-Il bello non è ancor venutogalantuomini. Sudunqueandiamoa fare una visita al ministro Prina; e se il ministro non c'èandiamo a vedere il suo appartamento.
Allorchèquella squadra d'uomini fu allo sbocco della via della Salaun'altraaccozzaglia. procedente dalla corsia dei Servis'addensava nella viadell'Agnello. Quantunque fossero persone di apparenza civile etenessero spiegati gli ombrellipur camminavano concitaticoll'irruenza di un torrente in alluvione. Gridò allora ilcapo mastro in mezzo a suoi: Alla casa del Prina! Al qualgridocome se fosse una parola d'ordine: Alla casa del Prina! furisposto da una voce sonorae che molti asseriscono essere la vocedel conte Aquila. Questo grido ebbe l'effetto di un comando militare;tutti si mossero uniti come ad assalto determinato: Il ministronon è in Milano - s'udì allora agridare un'altra voce. Nessuno seppe da chi fossero pronunciatequelle parolema dev'essere stato un cocchiere dello stesso Prinacheuscito un momento prima dalla casa in cui servivae sentendoquelle minaccieritornò a corsa indietro e giunse in tempoper avvisare il portinajo di sbarrar subito le imposte. Ecco perchèquando quella torma si presentò e si fermò innanzi allacasa del ministroognuno si meravigliava che fosse già chiusaa quel modo. Le persone dalle seriche ombrellestettero allorairresolutequasi pensando che non c'era a far altro. Maconsorpresa generalequei dieci o dodici uomini in giacchettaa guisadi soldati che sfoderano le armi al comando del capoprima agitaronoin alto i martelliche seco avevano portato con premeditatoproposito; poi si scagliarono percuotendo di conserva sui battentidella porta e gridando: Aprite. E in quel punto per disgraziavenne loro un ajuto inaspettato. D'improvviso fu vista la figura diun vecchio altoin maniche di camiciacol capo scopertocanuto edarruffato. Egli s'era fatto largo tra la folla con impeto giovanile.Volgeva intorno sguardi da ossessoe colle due braccia alzatemostrava a tutti una spranga di ferrodi quelle che servono di leva;una tanagliadei chiodie una cordae gridava a tutti con unaconcitazione furibondache faceva sgomento e ribrezzo a un tempo: Loinchioderemo qui su questo battente appena lo avremoammazzato. Avanti or dunque e sfondiamo la porta.
Vorremmosapere se Manzoniquando con tanta efficacia di pennello descrissequel vecchio vituperoso che aveva proposto di fare altrettanto collosventurato vicario di provvisioneabbia disegnata l'orrida figuracolla reminiscenza di questo modello tolto dal vero.
Mache cosa avveniva nell'interno del palazzo? Una di quelle scene cherinnovano sempre i brividi nel ripensarle. I servi erano entratinello studio del ministrotremanti anche per sè stessi.Signor padrone gli dicevanosi nasconda sisalvi - scappi. Insieme col ministro era un suocuginoche per la pietà del parente aveva assunto un aspettominaccioso con tutti: minaccioso ed iracondo persino col ministro.Ecco il frutto della vostra ostinazione maledetta. Ecco a che citroviamo per non aver voluto partire. Vi fu un momento disilenzio. Si sentiva dal basso la furia dei martelli percuotenti laporta. La figura alta e scarna del ministro era appoggiata alloscrittojo. L'atteggiamento rivelava uno sforzo di dignitàsuperstite; ma tremava come una foglia dalla testa ai piedi. E inquel punto stessoperchè un lampo fuggitivo di speranzavenisse ad accrescere l'orrore di quella scenacessò a untratto nella via il rimbombo dei colpi di martellotacque il mugghiodella follae si sentì invece a qualche distanza lo scalpitoprolungato della cavalleria. Erano infatti i dragoni della guardiareale che attraversavano la piazzetta della Scala. Come la follaerasi dileguata al sonito della cavalleriae i manigoldi avevano perpoco abbandonata l'infame impresacosì il ministro ebbe untremito di reazione e si credette salvo. Ma i dragoni della guardiareale procedettero quieti per S. Margherita come se nulla fosse;laonde la folla tornò indietroe i manigoldi con piùfurore di prima tornarono all'assalto. I colpi spesseggiarono con piùorrendo frastuono. Il ministro uscì allora in uno di queigridi soffocati che mandano gli epilettici quando vengono assalitidal loro malore; piegò le ginocchia e sembrò svenire.Il cugino e i servi lo preserolo trassero fuori dello studioabraccia lo portarono all'ultimo piano. Incuorato dai servitoriilministro si riebbe alquanto e tornò in sè. Ma in quelmomento tutti si accorsero al rumore più intenso e vicino cheil palazzo era invaso. I servi fuggirono. Il cugino disse alministro: Nascondetevi là in quel camino presto.Poi uscì anch'essocalcandosi il cappello in testaesenza essere notato da nessunos'imbrancò poscia collamarmaglia che ululante saliva per le scale come fiamme di un incendioche già raggiunge e soverchia il tetto.
Quandoil popolo invase la casa del Prinasi credeva generalmente che ilministro non fosse in Milano; tanto è vero che in sul primosenza più darsi pensiero del ministrotutti quelli che eranoentrati si diedero tosto ad abbattere usci ed antiportia fracassarvetrierea gettar nel cortile e nella via tutte quelle suppellettiliche non eran portabili a manoa depredare e ad appropriarsi le piùpreziose. Quei manuali poimuratori o fabbri che fosserocapitanatidal Granzini e da quel vecchio vituperoso che si chiamava Fontanae da un figlio di costui feroce come il padre e notissimo a Milanoper la sua vita di prepotenze e di misfattisalendo sul terrazzodella casa costrutto a giardino pensile e tutto all'intornocircondato da grandi vasi d'agrumisi diedero tosto a lavorare perdemolireprecisamente come se fosse loro stato ordinato da qualcheautorità di atterrare quel palazzo per lasciar sgombraun'area. Cominciarono dal levare l'inferriata che circondava ilfastigiodallo smuoverne le pietre che servivano di tetto e dipavimentodallo scoprirne e denudarne la travatura. Compiutaquest'opera con rapidità non credibilediscesero agli altripiani a levar tutte le inferriate delle scaledelle ringhieredeipoggiuoli. In questo frattempo il general Pinochiamato dallagravità enorme del fattopedestre era accorso colà edera entrato in palazzo. Egli sapeva che il Prina era a Milanocredeva inoltre che fosse in casaonde s'affrettò persalvarlo; ma dopo aver sfidato tutto l'urto spaventoso della folladalla qualeper quanto ei fosse carissimo ai Milanesiebbe purequalche insultopartì per avere sentito che il Prina eraaltrove. Una orrenda fatalità avea davvero decretato l'eccidiodello sventurato ministroperchè se il Pino si fosseindugiato appena alcuni minutiforse colui sarebbesi potutostrappare al furore del popolo. Ma il Pino non poteva esser giunto infine della via del Marinoche una voce gridò: Badate cheil Prina è in casa nascosto.
Questavoce in un baleno passò di bocca in bocca. Il Granzinicapo mastro la sentì e gridò subito ai suoi: Sec'è si ha a trovare. Cercate e frugatedappertutto. Il Fontana padre e figlio stavano in quel puntostrappando l'inferriata della scaletta che metteva alla camera doveil Prina erasi rifugiato. Giunsero in capo alla scalettalàv'era un uscio: l'uscio era chiusochiuso per di dentro;l'atterrarono di un colpo; pareva che quelle belve avessero sentitol'odore della preda. Pochi uomini erano là. Una personacivileche i Fontana non conoscevanoentrò quasi nelmedesimo tempo in quella camera con loro. Entrò nel punto cheil ministro stramazzone stava per essere azzannato. Quell'uomo convoce soffocata: Centomila franchi disseduecentomilaun milione per voi se tacete e lo salvate.
IlFontana figlio mandò un grido feroce a quelle parole; losconosciuto atterrito fece in due salti la scaletta e fuggì.(I due Fontana narrarono quel fatto qualche tempo dopovantandosid'aver rifiutato un milione. Chi fosse poi quello sconosciuto non sipotè mai sapere; forse era lo stesso cugino del ministro.)Scoperto il Prinaafferrato da quei ferocitutto fu finito per lui.Lo fecero discendere. Alle grida: È trovato ètrovatosi empì di gente il corridojo che metteva allascala ed alla stanza fatale. Contemporaneamente il general Pinosentito da altre voci che il Prina non era uscitoaveva tostospedito il general Peyrimantovanoper placar la folla e salvare ilministro. Ma lungo la viail generaleraffigurato da taluni per lostesso Prina a cui somigliavanon sarebbe riuscito a salvarsisenon fosse accorso lo stesso Pino per toglierlo all'ira pubblica coltestimoniare chi esso era veramente.
Nèpiù nessuno ormai avrebbe potuto stornare la catastrofe dellatragedia orrenda. Nell'interno del palazzo aveva giàcominciato a sfogarsi l'ira pubblicadiventata repentinamente unafuriosa demenza. Cogli ombrellicoi bastonicoi pugnicoi piedipercuotono il ministrolo strascinano nel cortilelo denudano daipanni ond'è copertolo portano in una stallatutto sudicio eimmelmatolo mostrano per ischerno alla folla da una lurida finestradella stalla medesima. Un urlo spaventoso di gioja diabolica alza laturba a quella vistamentre quelli che lo tenevano lo lascian caderea capo in giù tra quella turba istessa.
Nell'atroceparapigliaalcuni uomini forti e generosiinsieme con altri cheforse avevano altro finelo strappano alle mani della folla e lotrasportano nel palazzo Blondel già Imbonati. Ma i due Fontanae gli assassinivedendo quel fattofuribondi discendono sulla viaspezzano la calca a minaccie di martellis'avventano alla porta dicasa Blondel. La porta si riapresuccede una mischia; i piùferoci vinconoe preso ancora il ministrolo trascinano di nuovotra la folla che mugghiante prende per piazza S. Fedele e S. Giovannialle Case Rotte. Il Prina domandava il confessore. Lo siconsegna per questo a un vinattiereche aveva bottega sull'angolodelle Case Rotte. Succede un po' di tregua. Qualche pietà sifa strada negli animi della moltitudine. Il padrone della botteganasconde il Prina sotto un tinocolla speranza di salvarlo. Ma ilvecchio Fontanache per poco s'era allontanatoritornò trala folla e sembra che della propria rabbia inesplicabile riaccendatutti quanti. Si chiama a gran voce il Prinasi assalta l'usciodella bottegasi minaccia ferro e fuoco al proprietario - labottega è aperta - entra il Fontana cogli altricercano dappertutto e trovano il Prina che loro si offre semivivo.Qui ebbe fracassata la testavuotata una occhiajasfiancate le reni- e qui spirò.
Ilcadavere fu preda della bordaglia inferocita per altre quattr'ore.Nelle vie per dove esso veniva trascinatole donne ches'affacciavano esterrefatte cadevano svenute.
Battevanole ore nove all'orologio della piazza dei Mercantie il cadaverestava ancora nelle mani della folla. Allo sbocco della via deiBossi... una squadra di guardie civiche sentì il lungoululatoe vide le fiaccole che rischiaravano l'orribil scena.Deliberarono di farla finita; incrociarono le bajonetterespinserola follas'impadronirono del cadavere.... lo trasportarono nelBroletto; di qui a notte alta fu trasferito e deposto nella chiesadel Carmine; verso l'alba nel Campo Santo detto La Mojascia.
Ein quella sera stessae non molti se lo rammentaronosi videro giàin volta per la città alquante assise bianche d'ufficialiaustriaci. Il conte Aquila si rincasò in preda alla piùcupa costernazione. Ma la Falchianche dopo aver veduto a passarepiù volte sotto le proprie finestre la folla assassinapotètuttavia dormire indifferente la consueta sua notte.
Fidial nostro intento di non rivelar che cose nuove o assai pococonosciuteavevamo divisato di omettere la relazione di questafamosa giornata; ma assai ragioni ci determinarono a scriverla. Diquella funesta sommossa uscì a Parigicome i piùdevono sapereuna memoria storica con documenti fin dal novembre del1814; nella stupenda lettera apologetica del Foscolo vi sono alquantepagine dedicate a quel fatto; esiste una relazione di esso stesadallo stesso Carlo Verriche fu presidente della Reggenza; sul finedell'anno 1859quando la verità della storia potèuscire all'apertovenne pubblicato a Milano un breve racconto diquell'avvenimentoscritto da un cittadino brescianoche ne futestimonio oculare; a Novaranel 1860coi tipi di Agostino Pedrolivenne in luce un volume intitolato: Milano e il ministro Prinanarrazione storica tratta dai documenti editi ed inediti per M. Fabi.Libro commendevole come riassuntonel quale senza rivelazioni nuovevenne raccolto in fascio tutto quello che prima era stato scrittosparsamente. In tutti questi lavori è depostoper cosìdireil processo verbale di quanto succedette all'aperto e sotto imedesimi occhi del pubblicoma non si penetra nella vita intimadegli uomini e delle famiglie. Sono vedute prospettiche della parteortografica dell'edificio: ma l'occhio non intravede spaccati; vi sinarrano gli effetti e le conclusioni ultimema delle origini primenon si toccama non si risale alle cause; o se qualche volta loro siaccennasono esse volgarissime e già da molti anni di dominiopubbliconel medesimo tempo che non bastano a sciogliere nessunnodonè a distruggere nessun dubbio; nè per lororimanendo pur sempre alla superfice delle coseci è dato digettar mai uno scandaglio nel profondo del terrenoche non funemmeno smosso. Colla varia forma d'artenoi dunque abbiam tentatodi adempire a ciò che in quelle memorie indarno si cerca.
Edora dobbiamo aggiungereche il sig. Giocondo Bruni seppe da quelGuerrinidomestico in casa Falchiche all'alba di quel dìstette a lungo colla padrona un uomo mal vestito e di tristo aspetto;che alla sera di quel dì medesimoallorchè l'orribiletragedia era finita e il cadavere del ministro Prina già stavanella sala anatomica della Mojasciaquell'uomo ritornò incasa Falchi; ch'egli ebbe un lungo alterco colla padrona; che perparte di lei e di quell'omaccio s'udirono frasi e parole che parevadi essere all'ergastolo; e che tutto finì in un lungosilenzionon rotto che dal suonoper alcuni istanti continuatocome di monete che si contassero.
Equise si chiude il periodo storico che potrebbe intitolarsi dalministro Prinaci rimangono però a fare altrerivelazioniper mettere a nudo alquanti misteri ond'è ancorbuja la catastrofe di quella tragedia. Macome vedrà illettorela sede naturale di tali rivelazioni non può esserequestama la successivache potrà essere designata sotto ilnome della Compagnia della Teppa. In essa verrà in iscenal'uomo ignoto che all'alba ed alla sera del 20 aprile ebbe collaFalchi lunghi e torbidi colloqui; in essa farà una nuovacomparsa il vetturale Giosuè Bernacchinell'occasione che dalmanicomio della Senavra sarà licenziato come ristabilito insalute; in essa verranno ripigliate tutte le fila che in questarimasero sospese.
Intantocome conclusione al presente episodionoi faremo al lettore ledomande seguenti:
Ilconte Aquila sarebbe diventato un così fiero nemico diBeauharnaisse questi non avesse baciato la moglie di lui alla festadi corte dell'anno 1810?
Senzadi ciònon pare al lettore che il conte sarebbe stato inveceun gran sostenitore del vicerè?
Secoluisempre per avversione al vicerèche aveva il bruttovizio d'impacciarsi per simpatie ed antipatie degli interessi privatie influire arbitrariamente sul corso della giustizianon avessesubornato un giudice assai autorevole allora a Milanoe ridottolo alpunto di abusare della propria caricaavrebbe trovato in esso uncomplice tanto attivo da rivoltare contro al governo francese quasitutta la massa dei pubblici funzionarj di secondo e terzo ordine?
Seil conte Aquila avesse adoperato per sostenere il vicerè tuttaquell'energia di volontà che adoperò contro di luiilprincipe Beauharnais sarebbe caduto? il regno d'Italia sarebbe andatoa fascio? gli Austriaci sarebbero ritornati?
Sei due milioni e mezzo del ministro Prina non fossero stati affidatinelle mani dell'avvocato Falchi; oppure se questi avesse serbato ilsegreto colla moglieil ministro avrebbe potuto scampare dall'irapubblica?
Perquanto lo sdegno pubblico fosse generale e forteesso avrebbe potutoscoppiare ed operare nel modo onde operòsenza i pochi che logovernarono a loro voglia e per i proprj interessi?
Seil vicerèdai collegi elettorali e dal voto dellapopolazionefosse stato proclamato re d'Italiae le potenzeeuropeerispettando tal votolo avessero confermatov'erano poigli elementi duraturi di un governo forte e sapientedi una nazionerisorta e felice?
Lateoria inflessibile della provvida sventura non verrebbe quiopportuna per giudicare quei tempi e quegli avvenimenti?
Noiponiamo tali quesiti al lettoresenza comunicargli le nostresoluzioni. Egli deve esser libero di valutare i fatti e di profferirela sua sentenza.
Anoi bastò d'aver recato in mezzo nuovi datiche chiameremostoriciquantunque non sieno desunti che dalla tradizione orale edal vago mormorio del pubblico contemporaneoe da relazioni privatee da racconti di testimonj. Non sempre i documenti legali e depostinegli archivj svelano intera la verità. Talvolta laintorbidanoperchè la loro serie non è completa.L'induzione soltanto è un documento razionale e perpetuocheal pari di un grimaldellopuò aprir tutte le porte.


LIBRODECIMOTTAVO


Lanotte del 9 marzo 1820. - Una serenata. - StefaniaGentili e la Giulietta e Romeo di Zingarelli. - GiunioBaroggi. - Il figlio del Galantino. - Una notte nellacasa di Giocondo Bruni. - Il marchese F. - MonsignoreOpizzoni. - Waterloo. - Prometeo e lo scoglio. -Francesco I e la città di Milano. - La gioventùlombarda. - Origine della Compagnia della Teppa. - Suegesta.


DeiCento anniquasi sessanta hanno ormai compiuta la loroevoluzione innanzi a noi. Tre generazioni sono scomparse; tre periodistorici esaurirono il loro processo; a chiudere il centenario cirimangono poco più di trent'anniuna generazione e unperiodo. Chi scrive potrà dunque aver la consolazione dideclamare tra poco quei versi con cui il maledetto Oreste inauguròil suo ritorno in patria; e l'altra non men dolce compiacenza diripetere il distico famoso che l'autore della Secchia rapitafece incidere sotto al proprio ritratto:


Dexteracur ficum quæris mea gestet inanem?
Longioperis merces hæc fuitetc.


Mapassiamo al nuovo periodochein mancanza di un altro battesimo piùcomplessoabbiamo intitolato dalla Compagnia della Teppa.
Diquesta compagniache fece gran rumore in Milano dal 1818 al 1821non rimane altra memoria che nella tradizione orale o nellatestimonianza di alquanti galantuomini ancor vivisebbene non piùgiovaniche nella loro diversa qualità di bastonatori o dibastonatifurono o parte attiva di essa o vittime tragicomiche. Nonv'è libro stampatonemmeno tra i più fuggitivi di queltempodove se ne tenga parola; soltanto ne esiste il processofirmato dall'attuaro Lomazzi; vi è una relazione scritta da untal Milesiche abbiamo tra mano; e se ne parla nel diariomanoscritto del canonico Mantovani. Sul Giornale di Napoliappena quel periodico venne a sapere (com'egli disse con parole pernoi lusinghiere) che noi attendevamo a trattarne distesamenteuscìun articolo sulla Compagnia della Teppa. Quasicontemporaneamente ne uscì un altro sul Pungolomilanese.
Manoiringraziando que' due periodici delle parole gentili espresse anostro riguardoosiamo asserire che il ritratto che essi fecerodella famosa compagnia non è conforme all'originalee cheperò siamo indotti a credere l'abbiano confusa con qualchealtra. Essi la fanno scaturire come una guasta propaggine dellaCarboneriae pongono la sua durata dal 1821 al 1829. Ma non c'ènulla di men vero; chèsorta invece nel 1817essa era giàdispersa e soffocata nell'anno 1821. E fu precisamente nei giorniestremi della sua vita che la parte più generosa di quel corpoimmoralesotto la falsa luce delle orgie e delle prepotenze(che il governo austriaco tollerava e forse ajutava)si convertìrepentinamenteprestando mano a quella società segreta che sicostituì allora tra noi non già col nome di Carbonarima di Federalie tramutando le così dette Vendite inaltrettante Chiesedi cui la principale era a Milanolefigliali in tutte le città dell'Alta Italia e dell'Emilia.
Sela Compagnia della Teppa non avesse avuto un tale esitoperverità che non meritava la pena che la storia e l'arte se neoccupassero. Come episodio comico avrebbe forse potuto provocarequalche ilarità; ma gl'intenti quasi sempre bassi e trivialia lungo andareavrebbero soffocato anche il riso nelle bocche deilettori onesti. Soltanto essa diventa un fatto assai degno dellariflessione dei pensatoriquando la si considera come una occasionesebbene fortuitadi gravi avvenimenti.
Deiperiodi storici onde constano i Cento anniquesto èforse il più importante; è il punto massimo dellaparabola. In tutte le sfere e le forme e gli svolgimenti del pensieroe dell'azionetutto si rinnovasi nobilitasi rafforza. Sorgononuovi pensatori; una rivoluzione mirabile si compie nellaletteratura; le altre artiquelle del disegno e dei suoniprocedonocon essa e per essa. In poche parolela forza espansiva del corpoitaliano tanto più si fa poderosaquanto più èviolenta la pressione del governo straniero.
Il21 è il padre del 48è l'avo del 59. Peròond'essere fedeli al programma del nostro lavoronoi terremo contoanche di questi elementi. Inoltrecol sistema empirico dell'azionedrammatica e senza avvilupparci nel paludamento scientificoproporremo al lettore alquanti problemi sul diritto di testaresulmatrimoniosulla patria podestàsulla maritale. La nuovaimbandigione adunqueper la qualità della materiae per ilbuon volereci lusinghiamo vorrà esser presa in qualche contodai lettorii quali vorranno fingere almeno di non esseremalcontenti di noi. Non si è mai sentito a dire che unAnfitrione sia stato bastonato dai commensalinemmen quando ilpranzo è riuscito cattivo.


I


Leprime scene dei periodi storici fin qui da noi rappresentatisiaprirono sempreper combinazioneo in teatro o in qualche festa daballotra la musicala danza e la bellezza. Sempre si cominciòcoll'allegria e il geniale buon tempoper finir sempre coll'affannocolle sventure e col beccamorto. Possiamo assicurare che questo pernoi non fu mai un sistema adottato. Bensìcontro ognidisegnofu una riproduzione spontanea della maggior parte dellevicende onde è contesta la vita pubblica e privata degliuomini. Troppo spesso si comincia colla gioconditàcollesperanze e coi castelli in aria; quasi sempre si finisce coidisinganni e colla disperazione.
Eanche questa voltase precisamente non ci è dato rimetterci asedere o in teatro o all'osteriadobbiamo però incominciareil preludio della nuova opera seria con un andantino allegroma chepur troppoè destinato a preparar dalla lunga e attraverso aprocessi e a successioni inattese di tonile frasi strazianti di unacatastrofe degna di un Romeo moltiplicato per tre. A noi vengono ibrividi al solo pensarci.
Lanotte del 19 marzo 1820giorno consacrato a San Giuseppeilsanto nel cui nome l'autore dei Cento anni è statobattezzato; sulla piazzetta dei santi Pietro e Linodueinservienti dei Regi Teatri prepararono in gran segreto unaorchestrina sotto al balcone di un primo piano d'una delle case cherispondevano su quella piazzetta.
Quasicontemporaneamente vennero là portati un contrabbassounvioloncelloquattro cassette da violino e violaecc. Di lì anon molto sopraggiunsero gli egregi suonatorio professoriquasitutti appartenenti all'orchestra della Scala: Merighi ilvioloncellistaRabboni il professore di flautoYvon d'oboeCorradoil suonatore di clarinettoCavinati e Migliavacca incliti violini dispallaMajno prima viola. Tra una schiera eletta di dilettantivennero in ultimo il tenore della stagioneClaudio Bonoldicantanteinsignee più insigne bastonatore di uomini e di giornalisti.Tra lui e il basso Fioravantistretti in grande dimestichezzacomparvero due belli ed eleganti giovani; uno era il conte EmilioBelgiojosol'altro il figlio del colonnello Baroggi e di donnaPaolina S...che noi non conosciamo ancorae che era nato nel 1798a Romadopo le luttuose scene dell'avod'ingrata memoria. Il suonome di battesimo era Giunioperchèessendo stato battezzatonella chiesa d'Ara Cœlisul Colle Capitolinosventolando glistendardi repubblicanisi volle dargli un nome che ricordassel'eterna città e l'instauratore della repubblica romana.Questo sia detto di passaggioe torniamo all'orchestra.
Iprofessori e i dilettantimessisi al loro postodiedero principioalla serenata colla sinfonia dell'Aureliano in PalmiradiRossiniche d'allora in poiper più di trent'annicontinuòad essere la sinfonia d'obbligo di tutti i ritrovi musicali. Comeavviene in tali occasionila piazzetta e la via dei Meraviglichein principio erano al tutto solitarie per la notte assai inoltrataapoco a poco si animarono di tutte quelle persone cheavvezze arincasarsi ad ora tardissimas'erano accortechiamate dai suonilontaniche la loro giornata non era ancor finita. Le finestre e ibalconi delle case rispondenti sulla piazzetta si popolarono d'uominie donneche staccavano come ombre sul fioco albore degl'interni lumitrapelanti dalle aperte imposte. Curiosa platea e più curiosiordini di palchettidove le acconciature più appariscentierano bandeaux e berrette da nottesottanini emutande. La sinfonia dell'Aureliano fu applauditissima dalpubblicoche cominciò a diventare affollatoperchèmolti giovinotti che abitavano nelle vie circonvicine ebbero ilcoraggiogiacchè era una bella notte di marzodi rivestirsie discendere in istrada. Il tenore Bonoldi cantò di poil'arione dell'Otello: «Vincemmoo padri». Ilconte Emilioche diventò in seguito il principe EmilioBelgiojosoeseguì in unione col basso Fioravanti il duettodel Mosè: «Parlarspiegar non posso». Adogni pezzo gli applausi erano strepitosi e meritati. E negliintermezzi d'aspettazioneil pubblico faceva le chiosenon tanto aimotivi dei pezzi eseguitiquanto al motivo di quella serenata.
-È strano (notava uno degli ammiratori) che la signorina non sifaccia vedere.
-Che signorina?
-Diavolo! quella per cui si canta e si suona. Credi tu che si vogliacompromettere la trachea di un tenore di cartelloe far gettare iltempo ai professori della Scalaper solo amore dell'arte? Làal primo pianodove c'è quel poggiuoloabita quellagiovinetta che in queste ultime tre sere ajutò l'impresariodel teatro Re e il Don Giovanniche faceva fiascocolcantare in costume l'ultima scena della Giulietta e Romeo diZingarelli.
-Ah! la Gentili!
-Madamigella Stefania Gentilisissignorela qualese continua comeha cominciatoche Pisaroni e che Colbrand e che Catalani! Ed èla prima volta che mette piedi sulla scena. Qual voce e qualsentimento!
-E quanta bellezza!
-Per caritànon tocchiamo questo tastoperchè mi va ilsangue alla testa; in costume di Romeocoi capelli cadenti... conquella figura divinacon quelle gambecon quelle maglie di setabianca... torno a pregarti…cangiamo discorso.
-Madi ragionesarà il suo amante quello che avràfatto allestire una tal serenata.
-Amanti son tutti quelli che l'hanno sentita. Quando penso chenelmomento in cuidisperataella si lascia cadere sulla tomba diGiuliettaio ho visto a piangere perfino il barone Gehausendirettore di polizia! Che cosa vuoi di più? Questo è ilsuo massimo elogio.
-La presenza però del conte Emilio Belgiojoso mi darebbe acredere...
-No. A quanto mi disse ieri in teatro il primo oboe dell'orchestrache è quel giovinotto là coi baffi nerichi avrebbedato in qualche furore per lei sarebbe quel giovane lì che stapresso al conte Emilio Belgiojosoe che ora prende in mano laviola... probabilmente suonerà un a solo... Èuno dei più bravi dilettantiallievo del professore Majno chegli siede lì presso. È figlio di quella tale che seguìil colonnello Baroggi in Russia e che vestiva l'uniforme di dragonecome il marito... Te ne devi ricordare...
-Sìsìne ho qualche barlume...
Maquii zitto! e i silenzio! della follatroncarono ditratto questo dialogo; e il Baroggi incominciò il suo a solosul tema della romanza di Garciainnestata nel Barbiere diRossini.
L'a solofu suonato a meravigliaperfino a compiacersene lo stessomaestro Majno; se non cheproprio nel punto che si era alle ultimecadenze delle variazionidal vicino vicolo Porlezza una schiera didodici o quattordici giovinotti irruppe nella viasi rovesciòcome una tempesta maggenga sulla piazzettaimprovvisando una cadenzadi legnate formidabilidedicate al merito insigne di queifilarmonici notturni.
Iltenore Bonoldiche era altonerboruto e prepotentee chefigliodi un vetturale di Piacenzaera avvezzo alle baruffe fin da ragazzonon si lasciò smarriree lavorò di rimando colla suacanna d'India; la sua canna d'India fedele ch'egli avea sempre secoper tenere in soggezione la critica. Il suo esempio animòtutti. Il conte Emilio armeggiò benissimo con una sedia dibulgaro. Il Baroggi con un leggìo. I più offesi furonoi suonatoriche erano seduti; e in modo speciale se ne risentìla schiena del professore Majno; perchè l'amore svisceratodel genere dell'amor maternoche egli portava alla sua viola diStradivarilo rese dimentico di sè stesso; ondeincurvatosisu di essa e strettasela al senonon pensò più che laschiena rimaneva affatto senza difesa e tutta esposta alle percossenemiche. Tutto questo parapiglia avvenne in un minuto. Strillavano ledonne dai poggiuoli e dalle finestre; piangevano i ragazzi che sierano alzati colle mamme; tumultuavano e si scompaginavano efuggivano molti della folla raccolta in piazza.
Maad un tratto gridò uno della schiera degli assalitori: Fermitutti! - e fu una voce sonorapienaautorevole; tutti sifermarono infatti. Esso guardava il Baroggie il Baroggi lui.
-Ma come sei qui tu fra costoro?
-Diavolonon è permesso fare una serenatatanto per goder lestelle e provar l'istrumento? Ma costoro poiche cosa hanno fatto ate?
-Nulla m'han fatto; non li conosco nemmeno - se ne togli qui iltenore della Bianca e Faliero che canta bene e bastona meglio.
-Dunque?
-Dunque si era là all'osteria del Galletto fuori di portaVercellinaannojati tutti maledettamenteperchè son giàtre giorni che non s'è rotta nemmeno una testa... e ve ne sonocentotrentamila in Milano. Io dico: che cosa si fa stanotte? Èuna vergogna per la compagnia... guai s'ella va perdendo del suocredito. Allora questo signoreche è il conte Alberico B...ed è il nostro decanoperchè ha trentasett'annicompiuti... ci sarebbe una serenata da mandar all'aria- cidice - una serenata sulla piazzetta di San Pietro e Lino.Bastò la proposta. Non si stette nemmeno un minuto a farconsulta; e via tuttisenza nemmen pagare l'oste... La cosa èsemplicissimae non ho ad aggiunger altro.
Dettequeste parole all'amico Baroggidel quale teneva stretta una manonella propriacolui si rivolse alle due schiere nemiche che avevanoabbassate le armicome quando sui campi trojani Ettore o Ajace davansegno alle falangi di sospendere la pugna:
-Tutto quello che fu detto e fattosoggiunse poisia per non fatto enon detto. Questo è un mio caro amicoe costoro si sonodifesi in modo che hanno diritto a tutta la nostra stima econsiderazione. Giù dunque le armivia gli strumenti eritorniam tutti insieme a santificare la pace all'osteria...
Siccomenon v'erano antecedenti rancori né cagioni di odio profondol'aspettola voceil contegno del giovine amico del Baroggicosìfra il farabutto e il bizzarromise in un istante la pace el'allegriadove un momento prima aveva infuriato la tempesta.
Essipartirono. L'orchestra e gli strumenti furon levatii rimasti dellafolla si allontanaronole finestre si chiuserole virili berretteda notte tornarono a comprimere i guanciali accanto ai muliebribandeaux; e i silenzj profondi di quella notte non furono piùturbati da rumori nè lieti nè tristi.
Giunteche furono le due schiere rappacificate al canto dei Meraviglicherisponde al corso di porta Vercellina:
-Per andare all'osteriadisse il professore Majnol'ora ètroppo tarda. Domani alle 9 debbo dar la solita lezione alConservatorio. Proporrei dunque di trasportare ad altro giorno lacelebrazione della pace.
-Allora troviamoci tutti domani alle ore quattro all'osteria delGallettosoggiunse il conte Emilio Belgiojoso.
-Domanisignor conteè l'ultima sera della stagioneosservòil tenore Bonoldi. Ella sa che in queste benedette ultime serebisogna cantar due volte lo spartitoe contendere colla Camporesi lamia parte di corone e di fiori.
-Ebbenedopodomani.
-Dopodomaniripetè il conte Alberico B...e pregotutti questi signori ad accettare il pranzo da me. La proposta dimandare all'aria la serenatadisgraziatamentefu miatocca dunquea me a pagar la multa. È giusto?
-È giusto. E qui vennero i salutii buona nottegli arivedercigli addio. Il conte Alberico prese per via diBrisa; alcuni pel corso; altri per Santa Maria Porta. Il Baroggicolsuo amicocol conte Belgiojosocon Bonoldi e i professorid'orchestraritornarono nella via dei Meravigli. Sulla piazzettadella ScalaBonoldi diede un fischioe un servo facendogli lume dauna finestra della casa dove ora è la spezieria del RivaPalazzigli gettò giù la chiave. Altri saluti ed altribuona notte come sopra. Il conte Emilio fu accompagnato al suopalazzo in piazza Belgiojoso. Ultimi rimasero il Baroggi col suoamicoi quali s'avviarono per San Paolotirarono innanzi per SanMartinosvoltarono in San Zenoe qui si fermarono davanti alportone d'una casa molto vecchia.
-Abiti qui?
-Sì... sto in casa del signor Giocondo Bruniche tu conosci;un caro vecchioche mi fa da padreda tutoreda amico e daconsigliere. Mia madrech'è andata a Parigilasciò alui in custodia tutta la nostra robacon cui c'è da empire unmagazzino da rigattiere e da fare una pinacoteca sussidiaria allaraccolta dei quadri dell'Ospedal Maggiore. Anche il signor Bruni hauna raccolta di oggetti curiosissimi. Anzi ha un ritratto di tuopadre... eseguito a pastello da uno scolaro del pittore Porta...quando tuo padre non aveva che venti anni... Esso è in costumedi...
-Di che cosa? Mio padre faceva il lacchè a venti anni. Credi tuch'io abbia paura di perdere la nobiltà? Ma davvero che vedreivolontieri quel ritratto… mi somiglia?
-Un gemello non somiglia all'altro come tu a lui...
-Già il sangue non traligna mai nella porca plebe... a cui mivanto d'appartenere... Mio padre era bello come un angeloera fortecome un leoneera veloce come un cervo... Ed io non canzono... Mifanno ridere questi nobili che piangono sui casi della Fuggitivadel Grossie si purgano tutti i giorni per diventareinteressanti... Ma giacchè siamo giunti fin qui... si potrebbedormire da te questa notte?... Mi rincresce di andar laggiùsino a Sant'Ambrogio; d'altra parte ho bisogno di star teco a lungo.
-Letti non ne mancano. Aspetta che apro lo sportelloe fa conto dientrare in casa tua.
Giunioaperto lo sportello:
-Va innanzidisse all'amico.
-È meglio che tu mi preceda. Fino al primo d'aprile la miacoscienza non è mai tranquilla abbastanza per quel cheriguarda la cura delle mie gambe.
-Perchè?
-Perchè in quel giorno c'è una corsa di fantini a piedida porta Orientale fino a Loreto. Ho fatto una scommessae giàsono venute a Milano le gambe più veloci del regno LombardoVeneto. In questi giorni si concertarono due prove e cosìnell'una come nell'altraquand'io era già di ritorno allaportai miei competitori arrivavano allora a Loreto. Or si aspettavaun Vicentinodel quale si raccontan meraviglie; ma io sono figlio dimio padrecome Achille era figlio di Peléoe me ne rido.
Giunioandò innanziaccese un cerinorischiarò la scalaall'amicoe aperse l'uscio della casa. Entrarono ambiduee passatedue o tre stanzesi fermarono in una sala. Giunio accese unafiorentina d'argento.
-Vedi tu questa fiorentina? disse. Ebbeneessa rischiarava le vegliedotte della madre della madre di mia madre. Eccola lì viva eparlante in quel ritratto. Guarda...
-Se questa fiorentina avesse la parolachi sa che corriere delledame!...
-Zittoe rispetto ai morti...
-Ma sai tu che questa tua bisnonna aveva una faccia da far girare latesta anche ad un mazzaconico?
-Lo so bene. E quella lì?
-Oh... cara...
-Questo cara lo disse un altro prima di te trenta oquarant'anni sono.
-Zittoe rispetto ai morti.
-Questa poi è mia madre.
-Non ha la regolarità nè dell'una nèdell'altra... ma con quell'elmo alla dragona...
-Rispetto ai vivi: ella è una santa.
-Intercede pro nobis.
-E quello lì?
-È il conte colonnello V...
-Quegli che avrebbe dovuto essere il padre di tua nonna... se...
-Che faccia curiosanon è vero?
-È un testone bovino... Nel contemplarloil pensiero corre piùfacilmente al macello che alla casermasiamo sincericaro Giunioelasciando da parte i pregiudizj... Dimmi dunque: se tudopo di mesei il più bel giovane che abbia conosciuto... a chi ne vaidebitore? Vien giù liscio. Fu un peccato in cipria e parruccache si introdusse con garbo nella casa del conte colonnello a far leveci della commissione d'ornatoe aggiustò i profili aiposteri. Guarda che bel naso hai tu! Greco d'alta scuola. Che maisarebbe stato di tese questo faccione da profossogiù peril naviglio del tempo fosse rotolatocome un pioppo del lagoMaggiorefino in casa Baroggi?... Ma tu fai delle smorfiee mi faicapire che questi discorsi non ti piacciono punto... Ah!... oracomprendo tutto... Qui vedo gli Inni sacri di AlessandroManzoni.
-E che c'entrano adesso gli inni? ma taciche sento la voce delsignor Bruni...
Eil signor Bruniin vesta da camera e in berretta da nottecomparvesulla soglia d'uno degli usci della sala.
-Sei tuGiunio? egli disse.
-Son io...
-È tardicarotroppo tardi. Manca un quarto alle quattro...Guaj se tua madre sapesse...
-Chi ha imparato a suonar la viola (e questo fu col permesso di miamadre) si espone al pericolo delle serenate... e le serenatecominciano sempre dopo mezzanotte. E oggi ce ne fu una colla coda...
-La coda del diavolosoggiunse l'amico di Giunio.
-Ma chi è questo bel giovinotto?
-Non lo ravvisa?
-Ah... il figlio del Galantino... oh come mi fa diventar vecchioquesto diavolo... Ma da quanto tempo siete a Milano?
-Da più d'un mese.
-E perchè non siete mai venuto qui?
-Precisamente per la grande necessità che ho di intrattenermicon voi e con Giunio a lungo.
-È una ragione curiosa.
-È naturalissima. Ogni qualvolta c'è un affar gravedifficile e disgustoso da disbrigarelo si tira sempre per lelunghe. Gli è come quando c'è la necessità diun'operazione chirurgica. Si teme più la guarigione che vienecollo spasimoche la cancrena che si sviluppa senza dartropp'incomodo. Ho trovato due o tre volte Giunioe sempre l'holasciato andar pe' fatti suoi senza dirgli nulla... E se non fossestata la bell'occasione di questa notte...
-Oh bella davvero... (disse Giunio ridendo)ed io non so trovar leparole per ringraziarti come meriti. Sa ellasignor Giocondoin chemodo ci siamo incontrati stanotte? Non lo indovinerebbe in centoanni. Intanto che io suonavo le variazioni del professor Majno su untema di Garciacostuiin compagnia di altri dieci o dodiciammiratorimi attestò il suo entusiasmo a colpi di bastone.
-Ma tu non sei ragionevoleil mio caro Giunio. Dal momento che unoappartiene ad una corporazionebisogna bene che ne adempia le leggi.Questa notte toccò a te e a' tuoi amici. Un'altra nottepotrebbe toccare allo stesso signor Giocondose non si facesseconoscere in tempo. La Compagnia della Teppa bastona tuttiquantie non ha nessun obbligo di assumere informazioni preventive.
-Ahsiete anche voi uno della compagnia? domandò il Bruni.
-Diavolo!
-Me ne congratulo tanto; è però una gran vergogna per lacittà di Milano...e mi fa meraviglia come l'autoritàe la polizia non ci provvedano. Main conclusionea che oggettoquesta compagnia s'è instituitae in che modo va ingrossandotutti i giorni?
-La cosa è semplicissima. Domeneddiopentito d'aver creato gliuominimandò il diluvio per sterminarli tuttisenza averriguardo ai tanti innocenti chesenza dubbioci saranno stati ancheallora; perchè la cura doveva essere perentoriaradicaleassolutainesorabile. Se il Padre Eterno avesse dovuto istituireprima delle commissioni di sceltasarebbe stato fresco lui piùche le vittime del diluvio... vi pare o non vi pare?
-Va bene... e così?
-E così la Compagnia della Teppaumilmentesi èproposto il santo scopo di bastonare senza distinzione tutti gliuomini che di notte trova per istrada. Non vi sembra giusto?
-Ma se è cosìperchè non cominciate a bastonarvitra di voio membri effettivi della compagnia?
-Potrà darsi che a ciò si provveda in seguito... ilprogresso va per gradi. Per ora bastoniamo gli altri. Ed io nonstetti in dubbio un minutoquando fui invitato a far parte dellanobile compagnia.
-Ma non pensate quante brave personequanti padri di famiglia chehanno bisogno di essere lasciati vivere in pacesaranno vittimadella vostra brutalitàben più facilmente che i beonigli oziosii prepotenti?
-Idee piccolecaro signor Giocondoidee storte; è impossibilegiudicare i tristi dalle apparenze. Chi sa quante ingiustizie unpadre collo torto commette in famiglia? Chi sa quantistranguglioni costa alla moglie un marito che logora ilconfessionale? Chi sa come alla sordina succhia il sangue dei pupilliun tutore che porta il baldacchino? La legge non ha gli occhi d'Argonè le braccia di Briareo; non può veder tuttonon puòtoccar tutto... Ora un buon bastone che alla cieca e indistintamentecada sulla testa di quanti s'incontrano a casoè l'imaginenodosa e reale della fatalità vendicatricetanto rispettatadagli antichiperfino dagli dèiperfino da Giove.
-Io sarei disposto ad accettaredisse Giuniotutti questi tuoiprincipj di filosofia comicase nella Compagnia della Teppa non vifossero che buontemponi colla fedina criminale netta;ma ognuno sa che vi sono furfanti d'ogni risma e d'ogni conio.
-È un errore. Sicuro che nessuno di noi aspira a morire inodore di santità. Una certa inclinazione al buon vino e allebelle donne non mostrerebbe in noi alcuna vocazione ad accettar laregola di S. Francesco; ma furfantinel senso che comunementesi suol dare a questa parolanon ne conta la compagnia.
-Ti convinco subito del contrario... Qui il signor Giocondo ti potràdire chi sia quel conte Alberico B...i che tu m'hai presentato comeuno dei vostri decani.
-Che cosa so io...? È nobileè milionario... pagapranzi e cene... è prodigofa il democraticoaspira allapopolarità... giuoca alla morra anche coi facchini e coitoffi... racconta frottole con garbo... è stato aCostantinopoliè stato in Egitto... fu impresario divirtuosifu direttore di palchi scenici...
-Fu cortigianolasciate che continui io adessosoggiunse il Brunifu cortigiano e galoppino di biglietti amorosi al servizio diBeauharnais. Fu spia per diporto. Fu Creonte e Jago e Tersite tutt'inuna volta. Fu manipolatore di discordie tra amici e amici. Libertinoe osceno come Tiberiocome il re di Bitiniaa trent'anni avea giài denti spazzati via dal calomelano. Prepotente e crudele con quelliche hanno bisogno di luivile e tremante coi generosi e coi forti;sposò due mogli... che morironol'una e l'altraassassinateda lui alla sordinasenza coltellosenza velenosenza laccio;perchè in maschera spesso d'onesto uomoessendo volpeastutissimateme la legge e sa scansarla; ha sentito parlar dellaforcae sa come le si gira d'intorno senza toccarla.
-Vi faccio i miei complimentisignor Giocondo. D'ora innanzi verròda voi a imparare lo stile delle lettere commendatizie.
-Dunque?... disse Giunio.
-Dunqueanche in questo caso non voglio discostarmi da una miateoria... ed è che quando si scopre che un conoscenteuncollegaun amicoè uno scelleratobisogna fingere di nonsaper nullabensì tenerlo d'occhio e averlo sottomano.
-Non si può esprimere con paroleproseguiva Giuniolaripugnanza ch'io sento per colui. Senza conoscere affatto i suoiantecedentimi ricordo che mi rifiutai di sedere ad una mensacomuneper la sola ragione che anch'esso era fra gli invitati. Nésapendo trovar ragione ad un'antipatia così invincibilee nelmedesimo tempo fidandomi assai delle antipatieche per me son comeavvisi del cielone chiesi conto qui al signor Giocondoil qualepress'a poco mi disse quello che ha ripetuto un momento fa.
-Ehcaro miose si dovesse sempre far caso alle antipatieerespingere da sè tutti quelli che per un verso o per un altrohanno bisogno d'un bagno di zolfo o di acqua ragiasarebbenecessario di ritirarsi in una grotta a viver di radici come isantoni della Tebaide. Ma lasciamo da parte costui; e parliamopiuttosto di ciò che ben più ti deve interessare.
Ea questo puntodopo una lunga pausail figlio di Andrea Suardi sicavò di tasca un portafoglio; lo aprìlo svolsenetrasse un involto che spiegòlevandone una carta.
-Vedi questa cartaGiunio? disse poi; la vedesignor Giocondo?Ebbenedarei la metà della mia fortuna perchè non mifosse mai stata consegnata da mio padre. Sono sei anni che l'ho conmeed è dal giorno precisamente in cui esso morì.Appena l'ebbi lettail mio primo pensiero fu di volar subito aMilano per consegnarla a' tuoi parenti; ma mi trattenni. Doposorvennero gli intrighi dell'eredità; e la storia d'unafamiglia e d'una ragazza che pretendeva avere dei diritti al pari dime: poi la vendita ch'io feci dei possedimenti che mio padre avevasul Modeneseperchè non volevo in nessun modo aver a che farecon quel duca infame che fa da despotada papa e da boja; poivennero i miei viaggi... e sapete perchè ho viaggiato pertanto tempo? per togliermi appunto alla tentazione di cavar fuoriquesta carta e farla di pubblica ragione...
-Ma e che diavolo c'è in quella carta?
-La tua fortuna e il mio disonore.
IlBruni si alzò aspettando e indovinando. Il giovane Giunioperun movimento naturalestese la mano su quella cartama la ritrassesubitoquasi vergognandosi di un tale atto.
-Molte volte io fui per abbruciarlacontinuò il Suardi; e senon ti avessi conosciuto davvicino... se non mi facesse dispetto quelmarchesonegesuitaipocritascelleratoche fu tra quei ch'hannoajutato i Tedeschi a tornar quie il cui avo fu la rovina della tuacasae il disonore della tua bisavae la cagione per cui mio padrefu messo alla torturacerto che l'avrei abbruciata. Ora leggete.Sono tre facciatescritte tutte di proprio pugno da mio padre... equi c'è la sua firma...
Giunioprese la cartae la lesse con attenzionecon affanno e conimpazienza. Il signor Giocondo Brunimessisi gli occhialisicollocò dietro la testa del giovane Giunio per tentare dileggerla anch'esso. Il giovane Suardi intanto s'alzòe dopoaver fatti alcuni passi per la salasi piantò innanzi alritratto di donna Clelia colle braccia incrociate sul petto. Labaldanza provocatrice e gioviale che abitualmente saettava da tutti imuscoli della sua bella faccia era scomparsa affattoper dar luogoad una concentrazione accigliata e cogitabonda. Sì volse poidi tratto a queste parole del signor Giocondo:
-E dire che ci vollero settant'anni per verificar quello che mio padregià aveva indovinato il dì dopo il fatto avvenuto!...ma or venite un momento nella mia camera da letto.
Idue giovani seguirono il signor Giocondo.
-Quello là è il ritratto di mio padredisse il Bruniadditando un dipinto ad olio dentro una gran cornice barocca. -Quell'altro è il ritratto della celebre Gaudenzimia madrequella per cui fu creduto avesse il tenore Amorevoli scavalcato ilmuro di cinta del giardino del palazzo V... in contrada Velasca... lanotte che vostro padre trafugò...
Ilgiovane Suardi si scosse.
-Vostro padreeccolo lì... continuò il Bruni. Guardateche bell'aria di testa. Aveva vent'anni allora. E adesso vi faròvedere una cosa rara... molto rara oggie aperto un armadio etrattane una scatola:
-Questadisseè una maschera ritrattodi quellech'erano in gran voga a quel tempo; è della piùperfetta somiglianzacome fui assicurato; mio padre se la mise sullafaccia a un veglione del teatro ducale per ingannare la contessaClelia... e costringerla a palesar la verità. È ilritratto del celebre tenore Amorevoli. Guardate bene! è operadel pittore Clavellifamoso allora in questo genere di lavori.
Cosìdicendoil Brunigettatosi un ferrajolo intorno alle spallesiadattò quella maschera al volto. Pareva un'ombra evocata eriplasmata di formedi carne e di vita.
Idue giovani provarono una sensazione che non era di piacere.
-È questa un'ora ben solenneesclamò il Bruni. Vivi emortici ritroviamo qui tutti uniticome in un consulto difamiglia.


II


IlGalantinocome abbiamo udito dal giovane Suardiè dunquemortoassolutamente morto. Gl'impazienti della lunga eper essitroppo lunga sua parte sulla scena di questi Cento annipossono ora consolarsi. Noi qui aggiungeremo chenato nel 1730morìnel 1815 a Modenad'anni 85lasciando quel figlio che abbiamoconosciuto; figlio naturalema ch'ei volle battezzato col proprionome e cognomee al quale lasciò tutto il proprio avereammontante in terre e capitali a quasi tre milioni di lire milanesi.
Eun altro schiarimento è più che mai necessario a questopunto. Che cos'era e che mai stava scritto in quella carta che ilgiovane Suardi aveva mostrato a Giunio Baroggi e al Bruni?
Iltestamento che fin dall'anno 1813 Andrea Suardisenza scoprirsiaveva spedito in originale al giudice del tribunale civile nelle cuimani era stata posta la causa tra il Baroggi e il marchese F…non aveva ottenuto l'effetto che il Suardi se n'era aspettato. Idenari del marchese avevano corrotto il giudiceavevano corrotto ilnotajo Agudioche a prezzo d'oro aveva vendute le carte e idocumenti relativi a quel fattoe che si trovavano da sessant'anninell'archivio privato del dottor Macchi. I periti calligrafi nonavevano potutoper mancanza di sufficienti confronticonstatare chela scritturazione di quel testamento fosse di proprio pugno deldefunto F... In conseguenza di tutto ciòper sentenza deltribunal civile venne dichiaratoche «in mancanza di proveassolutenon potendosi asserire essere quel testamento olografoedautografo del marchese F...; ed anzidovendosi ragionevolmentesospettare fosse una carta ad arte falsificataa tale sospetto dandofondamento il modo misterioso onde quel documento era statopresentato al tribunale; ripugnando inoltre l'idea che potesse esserein buona fede e avesse in petto i sacrosanti fini della veritàe della giustizia chi aveva pensato a stare occulto con tantacircospezionesi respingeva fino a nuove dilucidazioni l'atto dipetizione del colonnello Baroggirimanendo intanto legittimopossessore dell'eredità F... il marchese F... ecc.ecc.»
IlSuardi chenell'auge della propria fortuna e negli anni dellavirilità e della ancor verde vecchiezzaaveva tenutogelosamente presso di sè il prezioso documentosempre colpensiero e col proposito di farlo comparire all'apertoinaspettatamentequando si fosse presentata l'occasione favorevolee quando il molto tempo trascorso avesse potuto ragionevolmentestornare da lui ogni sospettosi era accorto in che pericolo erasimesso nello spedire al tribunale di Milano quel documentoe comedato un altro giudice ed altri avversarj e men corrompibile lagiustiziaavrebbe potuto scontare sessant'anni dopo la pena scansatacon tanta accortezzaarte e fortuna; ondedopo la sentenza deltribunalesenza darsene per intesoe proponendosi di non metterepiù le mani in quell'intrigoritornò alle proprieterre che aveva acquistate nel Parmigiano e nel Modeneseper viverefuor della cerchia e della vista di Milano che lo aveva conosciutociliegiacome dice la frase paesanae dove vivevano ancortroppi de' suoi coetanei a rinfacciarglisoltanto col guardarlolasua originela sua vita e il libro nero delle sue azioni.
Rincrescevaperò al Galantino che la fortuna del Baroggi dovesse rimanerecosì inevitabilmente rovinatae tanto più che dellericchezze del conte V...il marito di donna Cleliaper ledilapidazioni continue e forsennate del marito di Adanon erarimasto quasi più nulla. Come il lettore deve ricordarsiilGalantino aveva protetto il Baroggicapo delle guardie di finanzaed erasi preso cura del figlio di luie in ogni occasione aveva datoa divedere di desiderare il loro vantaggio: al punto cheperrimediare al fatto del testamentoera una volta venuto in pensierodi lasciare a loro tutta la propria sostanza. Maper una delle piùconsuete combinazioni della vitaa Parma conobbe una donna e daquesta ebbe un figlioil qualecom'è naturalegli fececambiar proposito.
Efu precisamente in quella occasione chealmanaccando dì enottenon sapendo in che altro modo giovare al Baroggivenne nelladeterminazione di spedire il testamento olografo al tribunale. Lanatura del Galantino non era al tutto perversa; egli non aveva fattoe non faceva il male per il male. L'arte per l'arte veniva detestatada lui. Egli era stato uno scelleratoma per un finema con logica.La sua individualità lo aveva portato ad amar l'eleganzaavolere la ricchezza e il fasto; per raggiungere questo scopo avrebbesacrificato tutto il parentadocompreso il padre e la madre; maappena l'ebbe toccatoe con quella solidità da non fargli piùtemere un capitomboloegli diventòquasi potrebbe dirsiunbuon uomo: generosocaritatevoleaffabilecortese. Non era diquegli scellerati chepur nel mezzo dell'abbondanza e di tutte lecortesie della fortunapur nel fasto e tra le grandezzesono semprerabidi di far male altruial pari delle tigri cheanche nella pienasazietà del cibo e colle zanne ancora insanguinate di predarecentesi avventano tuttavia sul primo che passanon per altroche per metterlo in brani. Il Galantinocrediamo di averlo giàdettoassomigliava al leone chequando ha ben mangiatovive elascia vivere.
Pertutte queste coseil Suardi ebbe amareggiata la vecchiaja da questoassiduo pensiero di una famiglia che amavae cheper colpa suatrovavasi sul pendio della povertàsenza ch'egli potessevenire in suo soccorso. Più volte aveva pensato di istituireeredi in due eguali porzioni il proprio figlio e la famiglia Baroggi.Ma quando il figlio divenne adulto e crebbe in modo da lusingargli edesaltargli il paterno orgoglionaturalmente mise da parte anche queldisegnoe provvide ad accrescere anzichè a diminuire lericchezze da lasciargli. Godeva di vedersi così fedelmenteriprodotto nell'aspetto fisico del giovane Andrea; si esaltavaall'idea che questosimile a lui per tutti i doni materialipiùattraente per quelli di una educazione compitanon aveva bisogno dilacerarsi la fama onde mettere insieme quella ricchezza che a lui eracostata l'intero sacrificio del buon nome. Così il Suardipassò gli ultimi anni della vita. E nell'ottantesimoterzocominciò a guastarsegli la salute. Allorché la salutediventa mal fermae gli organi della digestione vengono adinfiacchirsil'uomo si fa più apprensivoil mondo gli siscolora; retroguardando sul proprio passatoha noia e pentimento erimorso di quegli atti perversi che in una eccezionale vigoria fisicae nella baldanza di una natura ambiziosa non ha avuto il minimodubbio di commetteree tanto più questo rimorso si fa acutoin quanto vede perdurare ed esacerbarsi in altri le tristiconseguenze di quegli atti stessi.
Fuallora chedopo avere stancata la propria mente in cento consultemeditò di fare un'ammenda postumacollo stenderecioèla storia del fatto clamoroso togliendola dal mistero in cui eraancora avvoltae col fare la confessione più ampia dellaparte principale che in essa egli aveva avuto. Questo disegno loeseguì compiutamente; scrisse con brevità e conchiarezza la storia del fattola convalidò colla formula delsuo giuramentoe la suggellò con questa soprascritta: «Amio figlio Andreamio erede universaleperchè la spedisca altribunale civile di Milano».
Nellostendere e nel suggellare questo scrittoeglia tutta primaavevafermato di non farne parola al figlio; ma quando fu colto dall'ultimamalattiacangiò d'avviso; chiamò il giovane Andreapresso di sèe dopo avergli detto checome avrebbe trovatonel testamentolo instituiva erede universale di tutte le propriesostanzelo mise a parte dell'alto segreto; dissuggellò lascrittae gliela diede a leggeresoggiungendo: «Il miodesiderio sarebbe che tu spedissiappena sarò mortoquestodocumento al tribunale civile di Milanoo alla famiglia Baroggi. Undesiderio però non è una volontà. Lascio a tedunque di fare di questa carta quello che ti parrà meglio».
Algiovane Andrea era nota in gran parte la vita del padre; era noto ilfamoso processo (non poteva essere altrimenti) in cui esso era statoavvolto; ma ripugnandogli l'idea che avesse dovuto trafugare untestamento chi non poteva vantare alcun diritto all'ereditàdella casa F...egli avea creduto che il padre fosse al tuttoinnocente di quell'imputazione. Però è facileimaginarsi qual colpo gli desse la rivelazione inattesa. La tempradel giovane Andrea era di quelle così eccezionalmente sane erigoglioseche per la via della robustezza e dellaa dir cosìbaldanza fisicaesercitano una influenza sullo spiritosulsentimento e sulle idee moraliinducendovi quel cinismo equell'indifferentismo che fa guardare con eccessiva indulgenza tuttele azioni umanee definisce per scrupoli e idee piccole e cavilliquei principj di squisita moralità che rendono inesorabili igiudizj e le sentenze; laonde non si affannava troppo al pensiero chesuo padre avesse accumulato tanta ricchezzasenza aver tropposottilizzato sui mezzi; e che in un mondo così pieno dibricconi e di raggiratori e di ipocriti e di ladri larvatiegli sifosse sempre regolato in modo da non cader mai nelle altrui retiadottando invece il sistema di tenderle egli stesso a tuttiper ognibuon conto. Nei giocondi ritroviquando eglistudenteall'università di Paviaspendeva e spandeva a manate le lautemesate che il padre gli mandavapel desiderio ch'ei facesse la primafigura pure tra i giovani delle più ricche famiglie patrizieegli non si era mai acceso d'ira contro chi più voltequasi aricattarsi della propria inferioritàavevagli ripetuto ilnoto adagio: Benedetti i figli dei padri che vannoall'inferno. Invece avea presa la celia pel suo verso erincarando la doseaveva esternata la propria pietà per queipoveri giovinotti che avevano i parenti in paradiso.
Nonostanteperò una coscienza così elasticasi corrugò efremette quando il vecchio padre gli affidò l'inattesascritta. Il mondo si abitua allo spettacolo di quelle tante azionicheturpi e vergognose e infeste al pari di qualunque delittopercosso dalla leggepure non furono contemplate in nessun codicedel mondo; ma non soffre la compagnia di coloro che ne abbianocommessa alcuna di quelle le quali figurano nella tariffa delle leggicriminali. Quasi si crederebbe che agli uominiin generalenonfaccia orrore nè l'idea della colpanè la colpa in sèstessa e per sè stessa; ma sibbene per la pena che devesubire.
Unfornitore d'armata chesomministrando vettovaglie avariate ecorrotteespone un esercito al flagello dei morbi castrensi ed èla causa certa di più migliaja di mortinon fa quel ribrezzoche comunemente suol eccitare uno sciagurato che sia stato cinqueanni in galeraper averenel furore d'una passione o nell'impeto diuna rissaammazzato un uomo.
Ilgiovine Andreail quale considerava senza turbamentocome suopadreallorchè imperversava il sistema delle fermeavevaespilato il pubblico a proprio vantaggio; e come in quindici giornisotto Mantovapel tritello guasto da lui somministratoeran mortidi colica più di cinquecento vigorosi giovani; non seppevincere il ribrezzo all'idea che esso aveva trafugato un testamentoe ciò per il pensiero che un tal delittoprima del codiceGiuseppinoera punito colla forca.
Orripigliando i fattiil Galantino morì: e dalla straordinariaacutezza della mentealla quale era stato debitore della propriafortuna durante una lunghissima vitapotè dipendere se lacura che lo aveva affannato negli ultimi annigli si alleggerìal letto di morteperchè colla condizione di lasciar arbitroil proprio figlio intorno alla decisione di quell'affare intricatoesso aveva trovato il modo di liberar la propria coscienzaed'impedire nel tempo stesso che il figlio gli portasse un postumoodio.
Ilgiovane Andreainfattise gli fosse venuta la volontàavrebbe potuto dare alle fiamme il misterioso documentoe lasciareche la fortuna e la contingenza dei casi portassero una decisionedefinitiva sull'avvenire della famiglia Baroggi.
Ecome abbiamo sentito da lui stessofu sovente tentato di liberarsi edi quel documento e delle cure conseguenti; e la lotta tra ildesiderio del buon nome paternoda cui dipendeva anche il proprioela coscienza che gli mostrava trovarsi tutta nelle sue mani lafortuna di un'intiera famigliafu così forte e cosìlungada lasciar trascorrere sei anni prima di prendere unarisoluzione. E senella notte del 19 marzoei non si fosseincontrato col giovine Giunio Baroggi in quello strano modo chesappiamo; se l'aver fatto offesa all'amico non gli avesse ingeneratoil desiderio di ripararvi; se la stessa esaltazione mentale provocatain lui dall'orgia antecedente e dal tafferuglio notturno non loavesse tolto a quell'eccessiva cautela chemantenendo l'uomonell'egoismolo fa spesso autore di molte ingiustizie; forse sarebbetrascorso assai tempo ancora prima che il segreto si sprigionasse dalui e tutto fosse rivelato al Baroggi e al Bruni.
Ea quest'ultimo egli dissedopo un lungo silenzio:
-Ora cessate di fare il morto risuscitatoe provvediamo a regolarquest'affareche è gravetanto graveche a dispetto dellamia natura che sfiderebbe a duello anche il diavoloe troverebbe lavolontà di ridere anche nel dì del giudiziopure ditanto in tanto mi sconvolge il buon umore e mi amareggia l'esistenza.
IlBruni si tolse il ferrajuolo e la maschera; ripose questa nellascatolala rimise nell'armadioe:
-Non c'è poi tanto da amareggiarsi la esistenzarispose; ifigli non sono solidali delle azioni paterne; e voi avete fatto ilvostro dovere.
-E se poi tu fossi pentitosoggiunse con slancio il giovane Giuniotutto si può finir qui colla fiamma di questa fiorentina. Percampar la vita a mia madre è rimasto quanto basta; in quanto ame...
-In quanto a te mi farai il favore di deporre quella carta nelle manidel signor Bruni. Nelle tue non è sicurae so bene chesaresti capacissimo di commettere anche questa pazzia. No. Lagiustizia deve avere il suo corso; e penso poi che se a me devedolere della fama paterna... anche il marchese F... dovràadattarsi a veder messi alla berlina tutti i suoi quarti dinobiltà... Che cosa vuoi? questo pensiero mi consoladell'altroe mi rimette in allegria.
-Ed or mi viene un'ideadisse il Bruni.
-Quale?
-Che si potrebbe finir tutto alla sordinasenza rumori e senzascandalie senza che nulla ne trapeli al pubblico.
-In che modo?
-Con una transazione.
-Parlate.
-Da questa relazione risulta che fu il conte F... a tentar vostropadre ed a spingerlo a far quel che ha fatto.
-Ebbene?
-Andate dunque voi stesso in persona dal marchese e lasciategli andardi tutto peso sul capo la notizia di questa carta. Voi avete dettobenissimo: se a voi preme la fama del nome vostroa colui devepremere quella del suo... e tanto più che essendo gesuita esanfedistaha bisogno d'ingannare il mondo e d'imbiancare isepolcri.
-Caro signor Giocondomeritate un bacio per questo consiglio: ed ècosì semplice ed ovvioche non capisco come non mi sia giàvenuto in testa. Domani vado dal marchese. È in Milano?
-Lo credo.
-Come voglio divertirmi allo spettacolo della sua umiliazione!...
-Per questo non sperate molto... Bisogna conoscerli costoro... Ma ormi viene un'altra idea... Io conosco un tale che ha delle rugginicolla moglie dell'avvocato Falchi... Quest'avvocato e l'avvocatessadevono sapere il come e il quando dal notaio Agudio furon venduti idocumenti che si trovavano nell'archivio Macchie forse anche essine furon complici... Questo tale ha un segreto da spaventarl'avvocatessa; così egli mi disse. Or se una scoperta aiutassel'altrache bel colpo!
-Ma chi è questo tale?
-È un tal Granzinigià capomastroed ora appaltatore.Un birbone matricolato che ebbe mano nel fatto del Prina. Ma nonbisogna aver paura d'imbrattarsie tutto serve.
-Io lo conosco. È un socio della compagnia della Teppa.


III


Siamoin casa del marchese F... nella via di... (quasi ci dimenticavamoch'è proibito il dirlo). La stanza dove siede il marchese inmezzo a cinque o sei personeè la stessa che mezzo secoloaddietro aveva servito di camera da letto al conte F...; dove eramorto imitando Cosimo de' Mediciil qualepiuttosto che abdicare alpotere per ricevere l'assoluzione dal confessore Savonarolavolse latesta dall'altra partenon parlò piùe rinunziòall'assoluzione. Il conte F...infattinel punto di svelare alcurato di Santa Maria Podone il segreto del testamento fattotrafugareudendo la voce del proprio figliotacquee si risolse apartire per l'infernopiuttosto che scemare di tanti milioni laricchezza dell'unico erede. Rammentiamo queste cose alla memoria dichi leggeperchèattraversando tanti anniè permessonon ricordarsi più della pagina dove si parla di questo fatto.
Ilmarchese F...in presenza del quale or ci troviamoè dunquefiglio del figlio di quel conte F...e pronipote del marchese F...che per insinuazione del prevosto di S. Nazaroprevosto galantuomoaveva lasciato erede l'unico figliuolo natogli dalla sventurataBaroggicon testamento olografo steso sull'abbozzo minutato dalnotajo Macchi. Questo marchesecome aveva riunita in sè solola ingente ricchezza provenutagli da due larghe sorgenticosìaveva congiunti nel proprio esteriore fisicoin un complesso che nonmancava di una tal quale unità di stilei varj tratti dellafisonomia del padre e dei due avi: l'occhio grigio del marchese senzacuoreil mento quadrato ed ampio del nonnoil naso aquilino delpadre. Rispetto alle qualità moraliinsieme coll'occhio bigioaveva ereditato dal prozio l'indifferenza spietata; col mentoquadrato l'ostinazione del nonno; col naso aquilino l'orgogliopaterno; superando poi tutti e tre gli antenati per le facoltàintellettualie più per la coltura letteraria e scientifica.
Ondenon dilungarci in una troppo lunga e minuta analisie renderetutt'intera la sua fisonomia con una pennellata a guazzodiremo ches'egli fosse nato re o ducasarebbe riuscito il facsimile delpresente re di Prussiao di Ferdinando IV di Modena. Ci pare che nonci sia molto da consolarsi. Viaggiatorepoliticanteeconomistabibliofiloaveva scritto e stampato parecchi opuscoli; avevaraccolta una biblioteca. Era ambiziosissimoe desiderava che ilmondo si occupasse di lui. Parlava di tutto con sentenze recise.Radunava intorno a sè alquante notabilità del terzo edel quarto ordine. Come dottol'oblato bibliotecariodell'Ambrosiana; come bibliofiloil librajo Brizzolara; comedirettore di coscienzemonsignore Opizzoni; come letteratoFrancesco Pezziestensore della Gazzetta di Milano; perla parte poi che potevano avere nella cosa pubblica e nella miliziaaccoglieva nel proprio palchetto il generale Bubna e il baroneGehausen.
Laconversazione enciclopedica quasi quotidianamente ei l'apriva inpropria casa dopo il mezzodìe la chiudeva verso le ore treper uscire in carrozza o a piedionde dar aria al polmonemetterein movimento il sanguee preparare lo stomaco a trovare eccellentel'opera del cuoco.
Nelgiorno in cui ci troviamoche è il successivo allatragi comica serenata di S. Pietro e Linola conversazioneverteva su cose d'ordine privatoe il marchesecontinuando undiscorso coll'Opizzoniveniva alle conclusioni seguenti:
-Insommacaro monsignoregiacchè ella è l'uomo dellareligione e della caritàè necessario si pigli ilfastidio di finir questa faccenda. Mio cugino è stato quelch'è stato; pur troppo non è possibile dimenticarsene.Ma ella m'insegna che il futuro fa spesso l'emenda del passato.Perchè mio cugino metta la testa a partito e diventi un uomocome tutti gli altrinon c'è rimedio migliore che questomatrimonio. Il mondo potrà dire che c'è la figliadell'ultimo lettoe con un nuovo matrimonio si verrebbe adanneggiare la sua condizione pecuniaria. Ma a queste cose monsignorenon suolecome non deveaver nessun riguardo. Val piùun'anima salvata che la prosperità materiale di cinquantafigliuoli. C'è la mortepur troppoe la ricchezza èuna larva. D'altra partea rifletterci beneiocome tutore dellafanciullapenso che con un matrimonio fatto fare a tempo a questostranissimo uomo di mio cuginosi può arrivare a salvarequalche parte di quei due milioni che ancora gli rimangono e checolsuo sistema di prodigalità forsennatae colle cappellatecolme di zecchini che profonde sul capo di tutte le donne che glidanno in fantasia (lascio da parte i peccati mortali)finiranno asvanir tutti ben prestoed a lasciare a me l'obbligo di fargli lacarità di due o tremila lire all'annoperchè non abbiaa correre in pubblico la voce che un cugino del marchese F... furicoverato a San Marco.
-Caro signor marcheserispose l'Opizzonise io mi lascio indurre aframmettermi in quest'affarenon è tanto (mi perdoni se dicotutto quel che penso) non è tanto per riguardo del conteAlberico suo cuginoquanto per riguardo di quella povera ragazza.Quella ragazza nacque sott'al Duomoe l'ho battezzata io... unapasta eccellenteben avviatareligiosatimorata... Or che va asaltar in testa a suo padre e a sua madre (che pur sono bravissimagente)di farle imparar la musica e di metterla sul teatro?... Fuuna vera ispirazione del diavolo... ed ebbi perciò un altercovivissimo col maestro Brambillaquello che è organista a SanSimpliciano; perchè fu lui che consigliò i parenti afar fare quel pericoloso passo alla figliuola. Il maestro che misentì a sgridare di ciò i parentiebbe un dì ilcoraggio d'apostrofarmi con ingiurie... Io già gli hoperdonato tutto... è il mio dovereè questa unacondizione del nostro carattere e del nostro istituto... ma da quelgiorno tra me e lui s'impegnò una lottauna lotta terribileuna di quelle chese non fosse superbia il dirloe tanto piùad un ministro di Dio meschino e indegnissimo come io sonosi vedonoimpegnarsi nelle sacre istorie tra Satanasso e san Michele; ma vogliovedere chi la vinceràse un monsignore del Duomoo unsuonatore di organo chedi sopramercatoscrive la musica per iballi di Viganò.
Presentea questo dialogo trovavasi Francesco Pezziil proprietario edestensore della Gazzetta di Milanoe il critico teatrale piùin voga e più temuto ein gran partepiù indipendenteche allora si conoscesse. Avendo esso officiato qualche tempoaddietro il marchese F...perchè lo raccomandasse alGovernatore di Milanoquando appunto la Gazzetta era statamessa al concorsoil marchese ammise in seguito il giornalista allapropria intimitàper averne ammirata la coltura e lo spiritoe più di tuttoper essere stato preso dalla di luicortigianeriamolto lusingatrice del suo amor proprio letterario escientifico. In quanto al Pezzise adoperò tutti i mezzi etutte le seduzioni per rendersi sempre più accetto alfacoltoso ed autorevole marchesela cosa era naturale. La Gazzettagli rendeva da trenta a quarantamila lire all'annoed egli avevabisogno di tutti coloro che lo tenessero sempre raccomandato pressola presidenza del governo.
Ilmarchesequando l'Opizzoni si tacque:
-Ma elladisse rivolgendosi al Pezziella come giornalista e criticoteatraledi ragione deve conoscere la signora Stefania Gentili.
-La conosco benissimoed è un prodigio di natura e d'arte. Maè costei che il conte Alberico vorrebbe sposare?
-Costei per l'appunto.
-Ed è contenta la ragazza?
-Il conte direbbe di sì... ma ellacaro signor Pezziconoscemio cugino... e sa bene che per conoscere la veritàbisognasempre pigliare a rovescio le sue parole. Ha sempre avuto questodifettoe convien regolarsi... Ma in conclusioneche ne penserebbelei di questa idea di mio cugino?...
IlPezzi stette qualche momento senza parlare... Egli conoscevaabbastanza il conte Alberico; al pari di chicchessialo disprezzavae detestava; inoltrecome intelligente ed amantissimo dell'arteteatraleessendo anch'egli preso d'ammirazione per le dotistraordinarie di madamigella Gentiligli aveva fatto addirittura unsenso di dispetto e di ribrezzoche precisamente al piùspregevole uomo tra quanti ei conoscevafosse venuta l'idead'impadronirsi di quel vago e rarissimo fiore di bellezzadi bontàe di ingegno. Ma non era il caso di manifestar per intero la propriaopinione. Relativamente a monsignor Opizzonibisognava diportarsicon gran riguardo; e se il marchese tagliava spesso a dritta e asinistra sul carattere e sulle qualità del suo nobile cuginofacilissimamente si sarebbe adontato di chisenza essere un parisifosse messo a fare altrettanto in sua presenza.
-Non credereidisse poiche madamigella Gentilialla quale hoparlato sul palco scenico del teatro Repossa per ora avere volontàdi prendere marito. Non ha che diciasette annied è tuttaassorta nelle cose dell'arte... Tuttavia... trattandosi d'unmilionariod'un uomo che ha tante parentele cospicue... potrebbebenissimo... Ella sa benesignor marchesecome vanno a finir questecose...
IlPezziche aveva incominciato il suo discorso coll'intenzione didargli una conclusione ben diversa di quella che gli diedecangiòintonazioneessendosi accorto che il marchese erasi giàrannuvolato.


IV


Manon aveva ancora finito di dir queste paroleche un servitoreannunciò il lupus in fabula: il conte AlbericoB...i.
-Addiomarchesedisse questi entrando... - Ah! Bravomonsignore... Spero che il marchese le avrà detto che mioccorre di lei... Signor Pezzila riverisco. Sono contento divederla qui per poter farle i miei complimenti pei suoi bellissimitre articoli contro il Carmagnola di Alessandro Manzoni. Ohquella è la maniera giusta di adoperar la critica! Coloro cheper avere assistito al parto e aver fatto da levatricepretendevanoche la nuova creatura fosse una divinità non mai piùvedutaa quest'ora sono tutti ammutoliti... A propositoconosceleisignor Pezzil'epigramma che su quest'argomento ho scritto efatto inserire nel Corriere delle Dame?
-Un epigramma l'ho visto infatti... mase è quello ch'iolessi... mi fu detto essere di Davide Bertolotti...
-Il mio è questo...


Sileggeva il Carmagnola
Grantragedia al mondo sola:
Chidormiachi sbadigliava
Unosolo lagrimava;
Piangodisse quel buon sere
Perquel prode cavaliere
Cheda quanto or qui si sente
Messoè a morte malamente.


-È questo appunto l'epigramma che mi fu detto...
-Essere mio... Quello di Bertolotti non lo conosco.
IlPezzi tacque.
-Eppure alcuni pretendonoproseguiva don Albericoche il signorAlessandro Manzoniper questo sistema di poesia tragica ad usooppiosia destinato a diventare il Dante Alighieri del nostrosecolo... Povero secolose il pronostico andasse bene!...
-Di questa tragediaentrò allora a parlare il marcheserivolgendosi segnatamente al Pezziieri sera ebbi a discorrernelungamente nel palchetto del governatore.
-Del governatore...?
-Del governatoresìche ha voluto leggerla da capo a fondoperchè qualcuno gli aveva sussurrato all'orecchioconteneredei passi pericolosi e offensivi al governo. Or sapete che cosa midisse sua eccellenza?... L'ho trovata tanto cattivami dissechesebbene ci sia da notar qualche cosa sulla maniera di pensaredell'autorepure non ho creduto di dare alcun rimprovero al censoreche gli ha accordato l'Admittitur. È una produzionenata morta; a proibirla si correva pericolo di farla vivereanche inmancanza di fiato.
Cosìnell'anno 1820 venne accolto e giudicato tanto dall'autoritàcensoria quanto dalla critica superficiale e sistematica quel lavoroletterarioche piantava in Italia le prime basi di una letteraturanuovala qualeripudiando le leggi del convenzionalismo arbitrariosi proponeva di non essere fedele che alla ragione e alla verità;ma per tal modo fu lasciata uscire in pubblicocol famoso coro dellabattaglia di Maclodiola lirica più altapiùindipendentepiù rivoluzionaria che mai abbia avuta l'Italia.
Quelcoro fu la prima protesta scritta e divulgatasotto gli stessi occhidell'autoritàcontro il dominio straniero. Da quella poesiaper la prima voltaspiccò il volo il pensiero emancipatoreche non si fermò più. Una fatalitàprovvidenziale avea decretato che la stolidezza di un governatore el'ignoranza di un censore proteggessero quel volo inaspettato eincompreso.
Maquesta breve discussione letteraria fu troncata di colpo dal solitodomesticoche entrò a dire al marchese:
-C'è un signore che ha bisogno di parlarle.
-E chi è?
-Ecco il suo biglietto di visita.
-Diamine! esclamò il marchese gettandovi l'occhio erivolgendosi al conte Alberico: ma non è morto il vecchioSuardi?
-Il vecchio Suardi? Che dite mai? Chi sa da quanti anni non c'èpiù nemmeno la polvere!
-Ma qui leggo Andrea Suardi.
-Andrea Suardiva bene: è suo figlio.
-Ma aveva un figlio il vecchio Suardi?
-Chi sa quanti ne avrà avuti! Ma questo è il solo che siconosce.
-E che mai può volere da me? Io lo rimandoche te ne pareAlberico?
-Uhm... è un furfante prepotente e manescoche potrebbemettere sossopra tutto il palazzose gli negaste di riceverlo.
-Allora gli faccio dire di tornare un altro giorno.
-Fate quel che voletema io conosco la bestia; è razza distallieredi lacchè e d'ergastolo. Non si sa mai quel che puòsuccedere.
-Ma tu lo conosci?
-Lo conosco benissimo. Chi vive in pubblicocome faccio iobisognabene che si trovi spesso questa canaglia fra le gambe.
-Allora va tu stesso a dirgli di tornare un altro giorno.
Ilconte B...ich'era intrigante e curioso per naturae avrebbe volutosapere a ogni costo il motivo di quella strana visita del consociodella Teppasi pigliò l'incarico di fare l'ambasciata eglistesso.


V


IlSuardiintantofatto entrare in una antisalastava guardando iritratti della casa F... Marchio F... leggeva in uno scudodipinto nell'angolo destro al basso del ritratto ad olioed era ilmarchese nella cui casa suo padre era nato e aveva servito. ComesF... lesse sotto a un altro ritrattoed era il conte rapaceilvero ladroil fur magister: stette poi a guardare alungo il ritratto del nonno del marchese a cui doveva parlare.
-Se l'erede ha il muso di costuipensava tra sèora capiscoperchè mi si costringe a un'anticamera così lunga; efece due o tre giri per la camera impaziente. In questa entròil conte Alberico.
-Tu qui?
-Qui tu? domanderò piuttosto. Il marchese è mio cuginoed è tutore di una mia figliuola. Ecco perchè troppospesso devo sopportar la presenza di questo gesuita in cravattabianca. Ma tuche puoi vivere lontano da questiche son come isuccursali del Sant'Uffizioche pessima tentazione hai avuta? Ora ilmarchese è là con un monsignore del Duomo: unbacchettone inferocitoche farebbe abbruciare tutte le ragazzequando son belle... e non darebbe quartiere che alle sciancateallegobbealle oppilate. Per accrescere il divertimentoc'èanche un oblato di S. Sepolcroun erudito che non parla mai; eaffinchè poi l'intingolo riesca più saporitoc'èquel chiacchierone superficiale di Francesco Pezziche mentre dàgiù botte da orbo a quei poveri diavoli che cantano e ballanoper cavarsi la famevien qui tutti i giorni a dare il turibolo sottoal naso del marchese... il quale l'ha preso a proteggere presso ildirettore di Polizia. Figurati che società! Ti consiglio atornare un altro giorno.
-Non ho tempo d'aspettare; devo parlare al marchese oggi.
-Ma dimmi tutto a me. Di che si tratta?
-Si tratta che devo parlare al marchesea luia lui soloa luisubitoper un affare della più grande importanza... e sonostanco di fare anticamera; ma che diamine aspetta a tornare ilservitore che mi ha annunziato? Teme forse il marchese che io lomangi?... Non lo mangerò... Va dunque tu stesso a dirglielo.
Ilmodo riciso ed asproonde il Suardi aveva risposto al conteAlbericodeterminò quest'ultimo a far l'ambasciata presso ilmarchesein maniera da sollecitarlo ad accordare l'udienzadomandata; e ciò anche pel desiderio di venire a saper subitoegli stesso di che grave affare potesse trattarsi. Il marchese dissedunque al domestico di far passare in un'altra sala quel signore cheaspettava.
Ilservo fece il suo dovere; il Suardi fu introdotto in un'altra camera;poco di poi v'entrò anche il marchese.
Lapresunzioneche il vecchio Galantino avesse avuto la parte esecutivain quella faccenda del testamentoche era la storia arcana difamiglia; e l'altra presunzioneche il conte F... ne fosse stato laparte principale e direttivaper cento ragioni e cento indizj e perdelle rivelazioni sfuggite ai vecchi servitori di casaeransiradicate nella mente del marchese; ed eran passate al grado diconvinzioneallorchè venne presentato al tribunale iltestamento in originale. Un'altra sua convinzione poi erache fossestato lo stesso Galantino a metter fuori quel documento. A talipresunzioni e convinzioni s'aggiungeva la coscienzaper la quale bensapeva il marchese di averea forza di corruzionefatta violenzaalla giustizia; e che però il vecchio Suardicon cui era giàstato in lizza per altre vertenze privateavrebbe potutosollecitato dal puntiglioche è implacabile più delmedesimo interessetrovare il modo di far saltar fuorisenzaproprio dannotutta la cabala ascosa. Per tutte questeconsiderazioniallorchè venne a sapere che il vecchioGalantino era mortorespirò e si tenne salvoalla scomparsadi quella spada di Damocleche per tanti anni gli erarimasta sospesa in sul capo.
Nonci vuole pertanto un eccessivo sforzo d'induzioneper imaginarsiche effetto dovesse produrgli quel biglietto sul quale era il nome ecognome di Andrea Suardi; che effetto ancor peggiore l'avere appresodal conte Alberico B...i che quel nuovo Andrea era figlio del famosoGalantinoe che in un bisognopoteva riuscire assai piùformidabile dell'antico.
Questieffetti peròse furono acuti e lancinanti come le fitte di undente molare guastoinvestito da un colpo d'ariafurono anchepasseggieri. Era troppo l'orgoglio suotroppo grande l'idea cheaveva della propria autorità e del nome influentissimo delproprio casatotroppo tenace la sua ostinazionetroppo profondo losprezzo che sentiva per chiunque fosse sorto dall'infima plebeperchè egli pensasse in prevenzione a metter giù learmi in faccia a quel nuovo nemico. Tuttaviase non ebbe questopensiero in prevenzionesentì però un astio furiosoper quello che era un giovinastrosecondo le informazioni delmaldicente Alberico; che era sorto dal più corrotto fangomache era milionario al par di lui; milionario e prepotentee cheveniva d'improvviso a turbare i nobili ozj del suo fastoso erispettato ritiro.


VI


Ilmarcheseentrandopercorse con una rapida occhiata riassuntivatutta la persona del Suardi dalla testa ai piedi.
Ilgiovane Suardiad un aspetto bellissimouniva una eleganzanaturalmente signorileaccresciuta dal suo vestito all'ultimafoggia. Portava un abito di panno turchino con bottoni di metallodorati; un panciotto di velluto verde a stelline d'oro; pantaloni dicasimiro color persico. Il cappello che teneva fra le mani era difelpa plumée. Era questo un distintivo di tutti gliaddetti della Compagnia della Teppa. La differenza dei lorocappelli non consisteva che nella preziosità della stoffalaquale dipendeva dalla varia facoltà di ciascuno; ma diqualunque colore fosse la felpail pelo ne doveva esser lungo esollevato e scomposto. Secondo alcuni etimologistiè anzi daquesta usanza che derivò l'appellativo alla compagnia; i qualietimologisti stanno contro ad una schiera più numerosalaquale pretende che un tale appellativo sia invece derivato dai verdiprati di piazza Castellosituati presso i palazzi Dal Verme e Littadove i socj avevano cominciato a tenere le loro adunanze.
Quandoil marchese entròil Suardi stava in piedi. L'uno salutòl'altro con modo assai contegnoso; era evidente come adempissero allaprammatica del più vetusto galateoma nel tempo stesso comela loro espansione cordiale fosse molto simile a quella di dueduellanti che si salutano prima di uccidersi. Il marchese perònon disse nemmen di sedersi al Suardidopo di avergli domandato inche cosa poteva servirlo.
-Il discorso che ho da fareillustrissimo signor marcheserispose ilSuardi con ostentata gravitàdev'esser lungoperchèla materia è intralciata e seria; peròse mi permettemi metto a sedere.
Ilmarchese non disse parolanon fece nemmeno alcun cenno; lasciòfarema rimase in piedi.
-Ella mi ha chiesto in che cosa può servirmi? continuava ilSuardi. La ringrazio della domandama le dirò che ho deimotivi di credere d'essere invece venuto io stesso a fare un buonservizio al signor marchese. Vostra signoria sa chi sono. Sa inoltrelo credo almenodi chi sono figlio. Mio padre poi èconosciuto dalla illustrissima casa F... da più dinovant'anni... è una bella tirata! È dunque per questavecchia conoscenza ch'io son qui; per dei rapporti intimitroppointimie così non fossero mai esistitipassati tra mio padree il nonno di vostra signoria illustrissima.
-Io non so nulla e non capisco nullarispose il marcheseappoggiandosi ad una poltronasenza però sedersi.
-Eppureella dovrebbe saper tutto e capir tutto... Io non era natoquando vostra signoria avrà sentito a parlare di cose ch'iovenni a conoscere tanti e tanti anni dopo. Io non era nato quando lacasa F... era già in questione colla casa Baroggi per unaeredità contestata... Questo vossignoria lo sapràcomesaprà che nel 1813 fu presentato al tribunale il testamentoolografo in originale del suo prozio marchese... Ella poi deveconoscere più di me e più di tutti in che strano modo eper che vie arcane siasi riuscito a far sentenziare dal tribunale chequel testamento era una carta falsificata.
-Di tutto questo io ne so tanto quanto gli altri. La sentenza non l'hoproferita io. Se quel testamento fu giudicato essere un documentofalsofu perchè le prove ne risultarono numerosechiarepalmari. Però non comprendo a che conclusioni il signor Suardivoglia tirare le sue parole.
-Le conclusioni sono che oggi saltarono fuori dei fatti da cui risultache quel testamento era tutt'altro che un documento falso; e che perconseguenzadopo settant'annila casa Baroggi deve andare alpossesso di quanto le appartiene per diritto.
-Se ciò èrispose con agrezza e con sarcasmo ilmarchesenon so per che cosa V. S. sia venuta da me. Io non sono iltribunale.
-Se V. S. non è il tribunaleè però il marcheseF...; vale a dire che è il pronipote del conte F...del qualele deve premere la fama.
-La fama del mio avo?
-Se quello che oggi io so... e che domanioccorrendopotràesser fatto noto all'autoritàsi fosse conosciutosettant'anni sonol'illustrissimo signor conte F... avrebbe perdutala nobiltà per sè e pei suoi discendentie sarebbestato condannato ad una pena infamante.
-Signor Suardidisse il marchese alteratissimomi lusingo ch'ellanon vorrà abusare della mia tolleranza.
-Voglio vedere invece s'ella saprà far uso della sua sapienza.Io non venni qui per insultar nessuno. Che pro ne avrei per me e pergli altri? Venni invece per proporre al signor marchese i modi diovviare a tutti gli scandali.
-La mia coscienza mi dice di non avere nessun timore d'affrontarscandali. Chi li temeprovveda a scansarli.
-Ma qual compiacenzadisse il Suardi indignatopuò trovare ilsignor marchese nel sentire che si abbia a sapere da tutto il mondoche il suo signor nonno è stato un ladro!
-Mi stupisco come questa parola debba uscire dalla bocca del figliodel Galantino. Vostro padre fu scacciato dalla casa del mio prozioper infedeltà.
-Ed io so che il vostro nonno eccitò mio padre a togliere iltestamento dallo scrigno del defunto fratello. So che per spingerlo aciò gli fece tenere del denaro; so cheper mezzo del suomaggiordomogli promise ventimila lire milanesi di regalo ad operacompiutae quando fossero superati tutti i pericoli. So chescomparso il testamento e rimasti in casa F... quei milioni chedovevano passare in casa Baroggiil signor conte vostro nonno non siricordò più nemmeno della promessaconsiderato che amio padre non rimaneva modo di far valere le proprie ragioni innanzialla giustizia; motivo per cui mio padre tenne sempre presso di sèil testamento involatonel pensiero che col tempo si sarebbepresentata una occasione di punire la vilissima azione del signorconte. Durante la sua vital'occasione non si presentò mai;ma il vostro nonnoaccecato dall'avarizianon fu previdenteed iosono qui a far le veci di mio padre. Questi lasciò scritta larelazione ampia e circostanziata di tutto ciò che èavvenuto; in essa espone e confessa la parte che ebbe in quel fatto;convalida il tutto con giuramentoe medesimamente asserisce e giurache il testamento stato depositato presso il tribunale è ilvero testamento scritto di proprio pugno dal prozio di V. S. Ill...
Unatale relazione mio padre la rimise nelle mie mani al letto di mortelasciando a me piena facoltà di fare di essa quello che mifosse parso più conveniente. Ora il signor marchese puòdire di essere al fatto di ogni cosa; può indovinare il motivoper cui sono qui; può pensare a condurre le cose in modoperchè un tale misteroche per settant'anni rimase nel bujocontinui a rimaner nel bujo per sempre. Il signor marchese concedaalla famiglia Baroggi la metà dell'eredità contestata.I tribunali non devono saper nullaperchè è unatransazione da farsi e compirsi in via amichevole. Io tacioilsignor marchese tacela casa Baroggi tacee tutto resta finitocolla soddisfazione e l'utile di tutti. Che ne pensa il signormarchese?
-Pensorispose il marchese dopo qualche tempoche chi ha potutoinventare il testamento e presentarlo al tribunale come un documentoautenticopuò bene avere inventato anche il romanzo di cuivossignoriacosì in digrossomi ha dato il suntoe che misembra degno della fantasia dell'abate Chiari.


VII


IlSuardi rimase muto; l'ira che lo investì alle parole delmarchese fu di quel genere che pel momento toglie al labbro lafacoltà di parlare.
Maoltre il dispetto che gli venne dall'imperterrita tracotanza delmarcheseciò che lo fece ammutolire fu il ritorno di unpensiero che già gli si era sollevato in mente; checioèl'autorità giudiziariacome aveva sentenziato essere falso iltestamentopoteva per le ragioni medesime sentenziare essere unainvenzione perversa anche la relazione e la confessione di suo padre.La pessima fama paternal'antecedente giudicatola riputazionelanobiltàl'autorità di casa F... costituivano degliantecedenti e delle circostanze tutte favorevoli al marchesetuttecontrarie al Baroggi.
Allorchèsi è convinti che un fatto è vero; che una ingiustiziasi compie; che altri stanno commettendo un'azione iniquaagravissimo danno di qualcunoe nel tempo stesso si considera come lalegge non sia sufficiente a venire in soccorso di chi ha ragionecome la fortuna abbia saputo congiurare in tutti i modi perchèla verità stessa e la stessa giustizia si presentino sotto unafalsa lucel'animo riman colto da una specie di disperazione chescompiglia lo spirito e fa dare in tali schianti d'ira da farciuscire dalla necessaria moderazione e da spingerci a commetter degliatti che quasi ci costituiscono in colpa.
Infattiil Suardidopo aver taciuto per un pezzo:
-Or ben mi accorgoproruppe alzando e guatando con occhi biechi ilmarchese dal capo alle piante; ben mi accorgo che ella è ildegnissimo figlio di suo padre e il più degno nipote di suononnorazza d'infami e di ladriche protetti dalla nobiltàdalle apparenzedai milionidalle parenteledagli amici satellitidai clienti vilidalla stessa autorità che si lasciacorrompere volontieri; che facendo l'ipocritabiasciando ostie suglialtari per dare pubblico spettacolo di religione e di santitàal popolo credenzonecommettono impunemente ogni sorta di colpe.Ladro fu il vostro nonnoladro il padre vostro e più ladro dituttivoisignor marchese; e ve lo dico a chiare notee se vicredete offesovi sfido. In questa faccenda io non ho interesse disorta. Anzi è a mio danno se mi son lasciato indurre a metterenelle mani dei Baroggi quella carta di cui io poteva disporre a miobeneplacito. Ma l'idea di una iniquità rimasta impunita pertanti e tanti anni; ma il pensiero che quella povera donna statatradita dal vostro infame prozio meritava una vendetta postuma; ma ilconsiderare che il vostro padre scellerato non ha mai saputo darenemmeno un soldo di carità a chi era stato defraudato di tantimilioni; ma più di tuttoil vedere che anche oggi l'ultimodei Baroggiche è un mio amicoè sul pendìodella povertà insieme colla madrenata di famiglianobilissima e che s'illustrò gloriosamente insieme col maritosui campi napoleonici; tutte queste cose mi han fatto risolvere a darcorso a questa giustiziami han fatto risolvereperfino a turbar lamemoria del padre mio. Or vedesignor marcheseche disprezzo ellami deve inspirare; ma già dovevo sapere che non era a sperarnulla da un nemico del paeseda uno che ha fatto tornar qui quellamaledetta peste dell'Austriada uno che congiura coi Gesuiti ainfestar le coscienzea guastare la gioventùa corrompere lagenerazione. Razza di ladri siete voi tutti; razza di ladri ein unbisognoanche di spie.
Ilmarchese aveva gli occhi fuor delle orbite; spalancò l'usciochiamò i servi a gran voce.
Tuttala famigliaaccorse.
-Scacciategridò il marchesequesto furfante dalla mia casa.
Iserviin quattro o in cinquesi accostarono al Suardi; ma esso nonci vedeva più; e al primo sentirsi tocco dalle loro manialzòil nodoso bambùlasciandolo cadere come un flagello sulleloro schiene passamantate. Nacque un parapiglia e uno strepito chemise a rumore tutta la via.
Lafolla si fermò sotto le finestre e innanzi al portone.
Moltisalirono le scale ed entrarono nell'appartamento. E di lì anon molto un picchetto di poliziottidi quelli che vennero chiamatiin seguitocon poco gloriosa antonomasia i soldàa dellasgiaffacapitanati da due gendarmientrarono presso ilmarchese; edopo aver sopportate alquante percosse dall'inferocitoSuardis'impadronirono di lui e lo trassero a Santa Margherita.


VIII


Talunopotrebbe lamentarsi chedopo sette capitolila Compagnia dellaTeppache fu messa in cima a questo libro come un frontespizioappetitoso per attirar gentenon sia ancora entrata regolarmente infazione. Ben è vero che nel bel primo capitolo ella ècomparsa al mostronee ha fatta anche qualche evoluzionecolle sue armi di precisionequantunque non dotte; ma conosciamo ilettori e bisogna accontentarli.
Senon chesiccome abbiam dovuto segnare i contorni delle figureprincipali del quadroprima di arrischiare le linee del fondo; e inun angoloper le nostre buone ragionici convenne far trapelare digià il gruppo futuro dedicato ai sentimenti del cuore; e nelmezzo alcune aspre figure incaricate di rappresentare tre o quattrode' più formidabili peccati capitali; e in altro latoperl'equilibrio necessario della lineaalcune facce di diversissimocarattereonde obbedire alla legge estetica dei contrasti; cosìora ci sarà necessario di metter giù la tinta generaledell'ambiente storicoprima di far sfilare regolarmente innanzi anoi le macchiette più o meno strane e bizzarre di coloro ondesi venne costituendo la veramente brusca Compagnia della Teppa.
CadutoNapoleone a Waterlootradito sul Bellerofonte incatenatocome Prometeo allo scoglio di Sant'Elenatutt'Europa in un giorno sitrovò arretrata d'un secolo. La fortuna porgendo ajutiinattesi agli errori militari del mediocre Wellingtonaveva fattocadere il capolavoro campale dell'inarrivabile Bonaparte. Ilprogresso del mondo chevenuto nelle mani di un genio armato einesorabilepareva non dovere trovar più ostacolinell'avveniredi improvviso si mostrò al sole come un mucchiodi rovineal pari della Roma di Nerone distrutta dalle fiamme in unanotte. Tre secoli di preparazione coraggiosainsistenteindomabileuna schiera di genj emancipatorisempre decimata e sempre rinnovatacome il drappello della morteerano trascorsi indarnoavevanolavorato indarno. WellingtonSchwartzenbergBlüchervale adire un uomo di second'ordineajutato da un bue e da un cignaleaveano bastato a tanto. Davvero che a pensarci cadon le bracciae isupremi concetti della veritàdella giustizia e dellagrandezza sembran larve e menzogne.
PioVIIrinnovatore di tenebreera tornato a Roma per ispegnereriabilitando i Gesuitila luce feconda uscita dal Breve Dominusac Redemptor di Clemente XIV. A Vienna l'alleanza dei nemicidell'umanità s'era chiamata santaquasi acompromettere il calendario e il martirologio. Il parricidaAlessandro era diventato il dittatore d'EuropaFrancesco d'AustriaTiberio casto e bigottoma più crudele dell'anticoricuperava la facoltà di assicurare al suo impero la fama dispavento della civiltà. Tutti i Borboniin FranciainSpagnain Italiaerano ricomparsicome il ritorno di uncontagiocome la peste del bubbonecome il colèra.
Quellodi Napolimorto che fu Murats'affrettò a decretar onori a'suoi assassini. Ristaurato era il granducato di Toscanaristauratoil ducato di Modena. Già il re Emanuele di Piemonte aveva conun decreto fatto scomparire tutto quanto il sedimento fecondolasciato giù dal regno italico. Già Francesco d'Austriae il re di Napoli s'eran trovati a Roma intorno al papa. Giàla città di Milano era stata visitata dall'Imperatoreche aveva nominato il vicerè del regno Lombardo Veneto.Il governo austriaco in Lombardia era compiutamente costituito eordinato e di qui influiva direttamente e indirettamente su tuttaItalia.
Giàla popolazione nella sua più larga generalitàstancadi così lungo e incomodo scombussolamentosi era adagiataintenta ai proprj interessi individualinel nuovo ordine di cose.Già nella classe dei pubblici funzionarjdei nobilideinegoziantifatte sempre le debite eccezionierasi svegliato ungermogliose non di simpatiadi tolleranza almenoverso ilritornato dominio. Ad omettere i frequentati Tedeum ufficialicomandati sempre dai dispacci governativii ciambellani abbondavanointorno al sorridente vicerè Ranieri; le dame di corteaffluivano intorno alla vicereginagiovanebella ed alta come ungranatiere. La popolazione accorrente alle processioni della SantaCroce e del Corpus Dominitrovava ameno e soave l'eternosorriso dell'arcivescovo Gaisruck.
Inaltra parte e in altro tempo era una gara per ottener biglietti ondeassistere alla lavanda dei piedi nella sala delle Cariatidi a corte.Il popolostanco di disinganniaveva trovato il modo di mettere inpratica il detto vetusto: «accontentati di quello che hai»;onde potè acconciarsi a mangiare di buon appetito anche lesemplici patatementre in addietro gli erano venuti a noja perfino ipruriginosi tartufi.
Laplatea del teatro della Scalapur troppobatteva le mani alcomparire delle Loro Altezze nel duplice palchetto.
Lefaccende del mondo teatralesegnatamente dell'opera in musicaavean cominciato a diventar l'occupazione principalissima del belmondo; però se otto e dieci anni prima era un assiduo tenerdietro ai movimenti delle truppealle nomine dei marescialliaibullettini della grand'armataquesto medesimo interesse erasi tuttorivolto a sapere inveceseper esempioGioachino Rossini scrivevapiuttosto per la fiera di Sinigaglia che per il Tordinona di Roma; adisputare se Mozart aveva avuto più fantasia di lui; adomandare se Filippo Galli era di nuovo stato scritturato per laScala; se si poteva sperare che Tacchinardi avrebbe cantato al teatroCarcano; e sopratuttoper qualche tempoa chieder notiziesull'incendio del teatro San Carlo di Napoli; e se una volta nelleosterie e nei caffè nascevan feroci dispute per dare lapreminenza piuttosto a Ney che a Massenapiuttosto a Murat che aBessièrecaricatori incliti di cavalleriaor quasivenivasi alle mani per la preferenza da darsi piuttosto alla Catalaniche alla Pisaronipiuttosto a Nozari che a David.
Ciòin quanto alla generalità del bel mondo; rispetto aglispecialistitra chi portava un certo amoreper esempioall'artedrammaticaera un discorrere assiduo di De Marini e Modena eBarlaffae della esordiente Marchionni e dei due Righettiilmilanese e il veronese; e del caratterista Pertica e del padre nobileVerzuraecc. ecc.; e un discutere alquanto appassionato se idilettanti del Filo drammatico fossero migliori di quelli delFilo Gambaro o del Filo Fuston odel Filo-Navascteatrini di dilettanti allora in granvoga in Milanoed ora scomparsi tutti. - Se poi eranoantiquario proprietarj di quadrio incettatori di nummi e cammeinon facevano che parlare del ritorno di Canova a Roma cogli oggettidi belle arti restituiti dalla ristorazione francesee dellafondazione del Museo borbonico a Napolio del Leone alato rimessosulla colonna della piazzetta di Venezia. - Di tutti costoroche formavano i quattro quinti del mondo colto e gli undicidodicesimi della popolazionenon v'era chi punto si occupasse dellecose di politica; era un terreno che avea scottato e disgustatotroppo: però era molto se correva sottintesa la nozione dellaCarboneria; quasi ignote eran le sêtte dei Sanfedisti e deiCalderari; il nome poi di Adamo Weishaupt e del suo Illuminismochi lo avesse proferitopoteva essere compreso come un professore dimeccanica celeste da quelli che appena conoscono le quattrooperazioni aritmetiche.


IX


Questofenomeno storico s'era prolungato dal 15 al 18; soltanto i movimentidi Rimini avevan fatto nascere alquante bolle fuggitive sull'ampiagora stagnante; il tentativo di Macerata aveva per poco sospesal'attenzione esclusiva per la Gazza ladra di Rossini. Gliarresti dei Carbonari di Rovigo avevan fatto più senso dellamisera fine di Aristodemo. Ma la calma rimettevasi presto.
Codestacalma tuttavia non piaceva alla gioventùa qualunque classeappartenesse; a quella gioventù chenell'infanziadallescuoledai collegidal recinto domestico aveva assistitoconprepostera alacritàma senza poter avervi parteallaturbinosa epopea napoleonica; e nell'assiduo desiderio di uscire unavolta dalla condizione di fanciulli e di adolescentid'improvvisotrovarono che tutto era finitoquando appunto anche per essi pareavenuto il momento di pigliar le armidi aspirare alle spallettealla Corona ferreaalla Legion d'onore. I più ardenti chenon sospettando un così repentino cangiamento di coseaveanoadoperato ogni cura per essere più preparati alla lottanelladelusione rimasero iracondi. Quel che avviene nell'ordine fisicoavviene nell'ordine morale: se un giovane di tempra robustissimaabbisognevole di moto e attività ed espansioneviencondannatoper circostanze non prevedutead un tenore di vitasedentario e tranquillo e chiusoè facile assai che da quellamedesima robustezzada quel medesimo rigoglìo del sanguecompresso e respintogli derivi qualche maloreche lo renda dannosoa sè e agli altrimentre sarebbe stato utilissimosel'indole sua naturale e le occupazioni a cui si era preparato fosserostate assecondate e adempiute. Così press'a poco avvenne dimoltissimi tra i giovani lombardichenel punto di lasciare ilcollegio e l'università per vestir l'assisa militare epasseggiar l'Europa militandosi trovarono condannatiall'immobilitàsenza sapere a che appigliarsi.
Tuttiquesti giovinottiche per essere naturalmente accattabrighe eturbolenti e maneschiavevan tutta l'attitudinese fosse continuatoil tempo delle guerrea saltar in mezzo a un battaglione quadratoed afferrare un caporale austriaco per la cravattaa far prodigiinvestendo il nemico a bajonetta in canna; costretti invece a rimanerchiusi in casabisognò pure che sfogassero il loro prurito inqualche modo; in quella guisa onde spesse volte le adolescentimonacandenei silenziosi chiostrinon essendo mai consolate danessun bel viso di giovaneeccitate dall'istintivo ardore delsanguearrivano a trovare appetitoso perfino il faccionedell'ortolano e dello spaccalegna del convento. Se a un torrente sichiude lo sbocco da una parteesso irrompe da un'altra. Èantico l'adagioche quanto non va nella suolava nel tomajo. Tragli anni 1816 e 1817 non pochi di codesti giovaniattratti daun'indole congeneresi trovarono insieme e si confederarono; e nonavendo un nemico propriamente detto da combatteresi accinseroperpassatempo e a sfogo di umori acria tribolare il prossimo.Cominciarono dapprincipio con alcune rissespontaneamente offertedall'occasione; di poil'esito più o meno fortunato di quelleli venne impegnando grado grado a un sistema di offesa e di difesa;in seguitoacquistatisi qualche fama per frequenti e chiassosevittoriesi diederocome avevan fatto un tempo i paladini e posciai capitani di venturaa fiutare dappertutto dove vi fosse da menarle manida metter la via in rumoreda portar lo scompiglio inqualche pubblico o privato convegnoda disturbare qualche crocchiodi persone. Codeste loro impreseal pari dei melodrammisidividevano in seriesemiserie e buffe. In generale perònella loro intenzionemeno qualche caso di vendettanon avevano maifini nè serjnè colposi; bensì avveniva spessoche una soperchieria fatta da essi per ridere e passare il tempoproducesse poi degli effetti gravie qualche volta anche funesti.
Pertrovar le prove di ciò in un fatto a cui abbiamo assistito; seil bastone della compagnia brusca avesse fracassata laviola Stradivari del professor Majnoche a lui era costata liretremilaper metter insieme le quali aveva dovuto sottostare a milleprivazioni e tenere allo stecco tutta la famiglia; il mondo potevaridere fin che volevama l'egregio professore del Conservatorioavrebbe dovuto passare lunghi giorni di lutto e ritornare alleprivazioni di primae far gemere di nuovo la famiglia; chènon per nulla aveva sagrificata la schiena al troppo caro istrumento.Ma questo è ancor nulla; ma i socj della Teppa avevano ungusto matto di bastonare i mariti per toglier loro le mogli. Non saràstato frequente il caso che un marito idolatrasse la moglie come ilMajno idolatrava la viola; main ogni modoessere assalito di notteall'impensatasentirsi bastonato moltotrascinarsi a casa a passolento come il Cucullino di Ossiantastarsi le doglieprepararsil'empiastro d'olio e ceraapplicarsi le fasciature; in ultimotrale fitte in crescendo del dolor fisicovolgere intorno losguardoe trovar la casa desertae non veder più la mogliee domandarla indarnocome Enea aveva fatto colla sua Creusa; e poipensareoh orrore! che i rapitori eran tutti giovani e anche bellie che la cara moglie era bella e molto giovane eper certi sintomi


Forsenon nata a fedeltà modello;



carolettoresiamo giusti e non neghiamo la nostra pietà a quelmigliajo di maritide' quali il citato non è che uno smortoideale.
Questesoperchierie quotidiane avevano suscitato un certo spirito guerrieroanche in molta parte di quella popolazione che non apparteneva allaTeppa; chè non creda il lettore che i compagnoni di essafossero invulnerabili come Achilleconcessa la sanatoriaanche del tendine. - No - le rappresaglie nascevanoefrequenti e feroci. E molte volte quelli che s'eran mossi per romperela testa altruieran andati a casa colla testa rotta. Per averun'idea di codesto spirito guerriero passato di quel tempo dai campiaperti delle battaglie europee nelle anguste vie della tortuosa cittànostrabasta dare un'occhiata ai bastoni dei nostri padri: bastoniche da quarant'anni giacciono polverosi e dimenticati in qualcheangolo di qualche vecchia casa; bastoni di frassino o di spino o delpiù formidabile corniolocon pomi d'avorio grossi comebigliee puntali lunghi di ferro. In quella guisa che gli spadoni adue maniadoperati dai catafrattiche si trovano in qualchepolverosa armeriaci danno idea dei feroci costumi del medio evo;così que' bastoni ci insegnano senza parlare la storia diquarant'anni fa. Un nostro amico più che ottuagenarioilquale ebbe il vanto di conservare una fanciullache si chiamava labella Celestinaall'affetto di un celebre suonatore di flautolavorando senza pietà sulle terga dei rapitorici mostròil suo storico bastone che aveva servito a quell'impresae che noiabbiamo guardato ed ammirato e palleggiato con quella divozione ondei visitatori della cappella di Aquisgrana toccano e sollevano laGiojosa di Carlomagno.


X


Peròla Compagnia della Teppafra tante ribalderie poteva ancheaintervallivantarsi d'aver compiuto qualche fatto che collimavapersino cogli intenti supremi della giustizia assoluta. I suoi mezzicome al solitonon furono mai nè legali nè legittimie nemmen lodevoli; ma per quanto un filosofo sentimentale avessepensato e ripensatonon avrebbe mai trovato il modo di far lagiustizia più prontamente e più compiutamente che conquei mezzi. Siamo sempre alla vetusta teoria della giustiziasommariache sola riesce a tagliare dei nodi che nessun codice umanosi attenta nemmen di toccare. Però più di un birbonesotto mentite spogliedi quelli che alla sordina rovinano la societàcome fanno i topi nei bastimenti; più d'un funzionariopubblico noto per abusi di potere non intaccabili dalla legge; piùd'un padre tirannopiù d'un marito assassino fu messo aldovere dalla minaccia e dall'assaggio del notturno bastone. Questeimprese eccezionali non avvenivano per merito dell'instituzionemabensì per la inclinazione speciale di alcuni pochi individuiche ne eran membri: giovinotti ardentima acuti e generosimadotati di tempra e d'ingegno affatto eccezionali.
Nessundi costoro eranocome si suol direpersone serie. Tutt'altro: nonavrebbero potuto appartenere alla Compagnia della Teppa; eran tuttiuomini dediti al buon tempoai bagordial fracasso. Talunofornitoad esuberanza del tubere della giovialità e della potenzacomica e della virtù della satira empiricaper distinguerladalla poeticatutti i giorni inventava qualche stranezzagettavaqualche insidia che con modi berneschi andasse a ferire in sul serioqualche mala bestia della società patrizia o dellaburocratica; o mettesse in ridicolo qualche fatto del pubblico o delprivato costumequalche stolta consuetudinequalche provvedimentosciocco.
Dital tempra eratra gli altriun certo Mauro Bichinkommerincisoredi cifremilaneseche aveva dimorato per molti anni a Torinoeposcia di là aveva dovuto ridursi a Milanoin conseguenza dialcuni scherzi serj fatti subire a personaggi collocati in alto.Costui era un famoso imitatore d'ogni mano di scritto. Usando di talesingolaritàuna voltaa Torinoaveva spedito un ordinecome se fosse del primo ministro di cortecon cui comandava alcastellano di recarsi sulla piazza di Madama Reale nel mattino colletruppevolendo il re fare una rivista generale. (Il recontro ilgenio storico della dinastia Sabaudas'intendeva di milizia comed'astronomia). La seconda burla fu un invito segnato dal principe diCarignano al provinciale dei Cappuccinidi recarsi alla casa delprincipe per trasportare alla chiesa la povera principessa sua mogliemorta di parto. (Il Carignano non aveva ancora avuto figli). Labuffonata ebbe luogo con grande scandalo della casa principesca edinfinite risa del pubblico. La terza burla fu un invito a pranzofatto a diciotto curati della città e sottoscritto dalsegretario di quell'arcivescovo con ordine contemporaneo aipasticcieriai pizzicagnoliagli osti di mandar dolcisalsicciemanicaretti. (L'arcivescovo era famoso per la sua sordida avariziaei diciotto curati erano stati scelti fra i più ghiottoni).
Vedremoin seguito come i fili della nostra azione drammatica si verrannoarruffando per la bizzarria della sua indole e del suo ingegno.


LIBRODECIMONONO


MauroBichinkommer. - Francesco I e i Milanesi. - Il conteAlberico B...i. - I genitori della Stefania. -Monsignore Opizzoni e il filosofo Cardano. - Ritratto diGiunio Baroggi. - L'impresario Barbaja. - Il MonteTabor. - L'Ildegonda di Tommaso Grossi e il Corodella battaglia di Maclodio. - Rossini e Carlo Porta. -Gaetano Donizetti. - Giunio BazzoniPozzone e Redaelli diCremona. - Francesco Hayez e Pompeo Marchesi. - Laviceregina e Stefania Gentili. - La Compagnia della Teppa e iconjugi Falchi. - Il Palazzo della Simonetta. -Rapimento di dodici nani. - Vendetta longobarda. - IFederati. - Conferenza in casa del calzolajo Ronchetti.


I


DiMauro Bichinkommer giova delineare e colorire il ritratto piùaccuratamente che ci sarà possibiletenendo conto di tutte lenotizie che intorno a lui ci diede il vecchio Giocondo Bruni che fusuo amicissimo.
Ilsuo cognome stranoaspro e di germanica desinenzapotrebbe a tuttaprima indisporre il lettore italiano contro di lui. L'Austria ci hatalmente guasto il sangueche ogni qualvolta ci compare innanzi ungalantuomo con cognome tedescoil cuoreinvece di espandersiimitale corna delle lumache quando sentono il tatto di un corpo straniero.Ci ricorda cheviaggiando in Italia nel 1848 in compagnia d'unnostro caro amico italianissimoma che aveva la disgrazia di uncognome che finiva in erogni qualvolta ei presentava lacarta di passo alla porta di qualche cittàtosto era unaggrinzar di ciglia nell'impiegato che guardava la cartaunrientrare sollecito per darne avviso al capo d'ufficioe quasi unbatter a raccolta prima che l'amico indispettito e fuor de' gangherinon avesse dato conto dell'esser proprioe mostrato di esserenientemeno che un incaricato del governo provvisorio di Venezia.
Nonmettiamoci dunque in agitazione se il nuovo nostro personaggio sichiama Bichinkommer. Egli era di origine svizzero; il suo bisavo percommerci era venuto a Milano nella prima metà del secolopassato; qui si era fermatoqui aveva preso mogliee come di cosanasce cosacosì d'uno in altro parto venne la volta anche peril nostro eroeche nacque a Milano in via de' Pennacchiari. Anche lavia giova a provare ch'esso era milanese in tutta l'estensione ondesi può esserlo. - Messo a scuolaerasi distinto nellacalligrafia e nell'imitare con straordinaria esattezza ogni sorta dicaratteri sì stampati come manoscritti; era passato poi nellescuole di Brera a studiare l'ornato sotto Giocondo Albertolli: inseguito sotto a Longhi a imparare l'incisione; ma nel 1808coltodalla coscrizioneabbandonò l'arte grande ed entrato negliufficj del genio militaresi applicò a disegnar mappepianiad incidere carte geografiche e topografiche. - Nel 1814tornato a Milano da Laibachdove erasi trovato collo stato maggioredi Beauharnaissi diede all'incisione di caratteri e d'ornamenti perindirizziper cifreper oggetti d'oreficeria e d'argenteria.Lavorando per tutto e per tutti con inarrivabile prontezza e bravuraguadagnava spesso la sua mezza sovrana al giornoimpiegando tre oquattr'ore soltanto della mattina; a mezzodìsgombro di curee libero e colla borsa pienatrovavasi già nel cortile delFalcone a bere la sua mezzetta di vino bianco razzente. All'esercitoaveva acquistato una certa celebrità per i suoi talenti comeincisore topografico; poi perchè a Wagram nel 9a Fortolivonel 12quando occorse anche a lui di spianare il fucileerasimeritate le lodi speciali dei capied era anche stato proposto perla Corona ferrease per una delle tante combinazioni che avvengonsempre in tali coseil suo nome non fosse stato dimenticato sotto lospolverino del quartiermastro. Ma la dote per cui era prediletto daicamerati e dai colleghie benvoluto e festeggiato perfino da' suoisuperioriera la perpetua sua piacevolezzaerano i suoi trovatistrani messi innanzi ad ogni occasione per tenere allegri bivacchi ecaserme. Sopratutto aveva un'attitudine specialissima ad imitarealtrui; e copiava le scritture d'ogni genere da parer facsimili i piùperfetti; così contraffaceva la voceil gestol'incessolostilele frasile smorfie caratteristiche di chicchessia. Allorchègli ufficiali superiori sedevano a qualche banchettonell'allegriadei bicchierinon isdegnavano di mandare ad invitare il sergenteBichinkommer dell'ufficio topografico. Brilli e un po' fuori dibilicoapplaudivano a furia quando ei metteva in caricatura qualchegenerale assenteil vicerè BeauharnaisMuratqualche voltaperfin l'imperatore.
Notissimoper tutte queste cose ai generali dell'esercito italianoesso ebbeoccasione di trovarsi frequentemente con loroquando ripatriarono.
Nellacongiura militare del 1815essendo conosciuto come uomo discaltrissimo ingegno e fermezza di carattere (chè questa raraqualità bene spesso si trova nelle nature apparentemente piùbizzarre)venne adoperato dai generali Bellotti e Fontanella permissioni di grande delicatezza. Veramente ei non era stato messo aparte della congiura; ma aveva compreso tuttoe i suoi committentisapevano cheavendo gli occhi di linceavrebbe penetrato qualunquebujo; segnatamente poi lo avevano caro e prezioso perchèmentre nelle loro mani era un congegno che lavorava mirabilmentenoncorrevano pericolo di compromettere e di compromettersi. Quando lacongiura venne scoperta per opera di quel falso personaggio parentedel Bellegardeche costui con astuzia felina aveva fatto venireespressamente a Milano a rappresentare la parte di un messo delgoverno francese onde riscaldare ed incoraggiare i congiuratiall'intento di scoprirliil Bichinkommerche era stato il primo asussurrare all'orecchio del Fontanella come colui avesse faccia datraditorefu anche il primo ad evadere da Milanoallorchès'avvide che la polizia militare era stata informata di tutto. DaMilano passò a Torinodove si fermò qualche tempo; poitornò a Milano come negoziante di minuterie per vedere chearia tirassee per fiutare davvicino la polizia nel punto dilasciarsi fare un passaporto in regola pei suoi viaggi commerciali.Accortosicon sua grande consolazionedi essere perfettamenteignoto all'autoritàripartìma per ritornare erifermare a Milano la sua dimoraripigliando la vecchia professione.
Quest'uomodetestava la nazione tedesca quant'altri mai poteva detestarla. Avevadapprincipio cominciato col disprezzarla considerandone gl'individuidall'unico lato di una caricatura goffadurasciocca e ridicola.Quando egli imitava i modila lingua e l'accento di un ufficialeaustriacose di ciò avesse dato accademiaavrebbe potutomettere a un tallero il biglietto d'ingresso. Ma il suo disprezzo siconvertì in un ben diverso sentimento dopo l'astuzia ondel'Austria aveva ripigliata la Lombardia dopo la sconfittadegl'Italiani di Muratdopo le inqualificabili canzonaturediplomatiche con cui si era promesso tanto per non mantener nulla;segnatamentedopo la trappola tesa con sì pieno esito dalmaresciallo Bellegarde. Non poteva capacitarsi che gl'Italianiavessero potuto acconciarsi a vivere tranquilli sotto il dominio digente che aveva apparenza più di bestie che d'uomini. Sirodeva entro sè stesso pensando che alcuni uomini italianiespecialmente alcuni Milanesiavevano potuto pensare al modo di farrisorgere il governo dei buoi della Carinziacom'egli lo chiamava; erodevasi tanto più quando vedeva che tutta quella immensamandra di buoi ch'era venuta a provocare colle inerti e antiestetichefigure le più grasse risa dei Milanesi rifatti lor schiaviera dominata da due o tre uomini chesenza meriti realisenzanessun vero ingegnonè virtù nessunanèdiritto a stima di sorta; pure a forza di ostinazionedidissimulazionedi taciturnitàcolle doti del gattoin unaparolaerano riusciti a canzonare i più scaltri e ad averlisottomano. Queste idee ei le teneva per sèe non sisprigionava con nessunoperchè conosceva il mondoe degliuominiin generalenon aveva buona opinionee non si fidava dichicchessia. Peròvalendosi della sua giovialitàsarcasticaalimentata dal suo cervello sano in perfetto accordo conun fegato di diamantesi vendicava di tuttimettendo tutti incanzone.


II


Neltempo che Francesco I venne in Italiaeglicome tutti i Milanesiaveva di quell'imperatore quel concetto che si esprime col disprezzo.Ancora non sapevasi nel mondo quantorimanendo pur sempre ignorantee inetto a qualunque lodevol cosacolui fosse astuto e crudele.Prima del 1820 tutte le qualità morali e intellettualidell'imperatore vennero espresse con inarrivabile breviloquenza daquella parola che finiva in onuscita dalla bocca dell'ombradi Prina. A questo giudizio dei Milanesi dava appoggio il giudiziostesso degli Austriaci e dei Viennesi. Nel tempo che l'Austria erastata messa al più duro partito dalle vittorie di Napoleonesul piedestallo della statua equestre di Giuseppenella piazza diquesto nome a Viennafu posta una iscrizione che diceva così:«Discendio imperatore Giuseppedal tuo cavallo di bronzoeriprendi le redini del governo. Francesco starà sedutoimmobile al tuo posto finchè dureranno i travaglidell'impero.» Or quando Francesco fece il viaggio in Italiavennevide e non fece nulla; onde i Milanesi ribadirono il giudiziodella Prineide di Grossi. Molti epigrammi corsero allora inpubblico intorno a luie il nostro Bichinkommerche non conosceval'arte di fare versi giustima che facilmente infilava la rima edera poeta nell'intimosenza palesarsi mai con nessunocome alsolitone fece parecchi che fecero ridere tutta la città. Percitarne alcuniegli attaccò una notte al piedestallodell'uomo di pietra questo disticoche fu letto a lume di sole:


Tuttisi lagnano; io non mi lagno
Perchèho Francesco per compagno.


Unaltro dìquando si seppe che Francesco Idopo avere visitatotutti gli stabilimenti di Milanoaveva lasciato ogni cosa comeprimascrisse egli stesso sui muri delle vie più frequentate:


Nuovaaritmetica di fresco:
Zeroe zero fa Francesco.


Medesimamentead un serraglio di belve ch'era stato aperto al pubblico in SanRomanoappose per affisso il motto:


«consiglioaulico in vienna.»


Maquel che maggiormente fece chiasso e corse di bocca in bocca per grantratto di paesefu il seguente epigramma ch'egli dettòquandopartito Franceschino dall'Italiaognuno commentaval'accoglimento che gli era stato fatto alla sua venuta ed alla suapartenza.
L'epigrammaera questo:


Veronacittà giuliva
L'applaudequando arriva;
Milanoche sa l'arte
L'applaudequando parte;
Lealtre cittàche la pensan bene
L'hannoin c... quando parte e quando viene.


Iversi non sono tutti versi; ma le rime ci sono e la sostanza fa lespese della forma. Nè si limitava ai versima metteva glischerzi in praticae sempre con qualche intento che racchiudesse unalezione.
Auna festa che il Casino dei negozianti aveva sfoggiatoperfesteggiare l'arrivo delle LL. AA. il vicerè e la vicereginale carrozze di corte tenendo ingombra tutta la via di San Paolo coninsopportabile disagio degli accorrentiegli si presentò albattistradae parlandogli in lingua tedescach'egli aveva imparatofin da fanciulloappartenendocome sappiamoad una famigliad'origine svizzera tedesca; gli ingiunsemettendo innanzi un ordinedel conte Settalagran cerimonieredi far tornare tutte le carrozzeal palazzo di corte. - Il battistradasentendosi parlartedesco e col piglio autorevole di chi comanda perchè sa dipoterlo fareobbedì e con tanta esattezzache il vicerèe la viceregina col seguitoquando uscirono dal Casinonontrovarono più le carrozze. Non si può immaginare ilfurore in cui salì l'ispettore delle stalle vice realieil rabbuffo che ne ebbe il battistrada; e il pestar dei piedi onde sisfogò l'impazienza della viceregina italicaindarno tentandod'acquietarla quel sornione ipocrita dell'arciduca Raniericheaspettando senza far mottoandava dondolando il capo come un orsobianco del Baltico.
Nèsolo esso prendeva di mira il governo e i personaggi pubblicima sidilettava di ferire colle sue canzonature anche le persone d'ordineprivato. Infiniti aneddoti potremmo raccontare in proposito da farneun opuscolettoma li teniamo in serbo per qualche compilatored'almanacchie tiriamo innanzi.
Allorchènel 1818ei tornò a Milanola Compagnia della Teppa era giàsalita in qualche famaed eglimentre si meravigliava che lapolizia le lasciasse commettere tante soperchierie impunementeementre in cuor suo disapprovava che la tranquillità pubblicavenisse turbata a quel modo senza ragione e senza scopovollenondimeno aggregarvisinella persuasione che col tempo avrebbe forsepotuto recare anch'essa qualche utile. - Sono i piùprepotenti e più maneschi della cittàegli riflettevache imparano la solidarietà dell'associazione; quantunque perfini indegnipure si avvezzano ad una scuola perpetua di coraggio edi pericoli; e con tutto ciò l'autorità e la polizia lilascia farenell'idea chefinchè la parte più giovanee più ardente del paese spreca le proprie forze nei vizjneibagordi e nei tafferugliil governo può dormire piùtranquillo i suoi sonni. Ma il governo s'inganna; e quando venisse ilbisognoquesti giovani educati a dare alle gambe dei passeggiericome cani da presapossono diventar formidabili per qualche cosamigliore. Tutto dipende dal comando e dal fischio del padrone. -Così il Bichinkommer la pensavae così una seratrovandosi a mangiare all'osteria del Galletto fuori di portaVercellinadove quei della Teppa solevano radunarsi quando in estatetornavano dal bagno o dal nuoto nella vicina Olonaegli fececonoscenza con essie fu giudicato da tutti loro aver tali qualitàda meritare di essere piuttosto un generale che un gregario.
Neiprimi giorni ch'egli entrò in fazione con alcuni di lorodiede un diverso avviamento alle impresee avvennero cose che nondispiacquero nemmeno ai cittadini più tranquilli e piùtimorosi della bastonatura notturna. Fu per lui infatti se unamattina la folla si accalcò alle sbarre di quel tratto dinaviglio che corre dal Palazzo del Senato a Porta Nuovaper vedervigalleggiar sull'ondecome se fosse un canotto americanouna garittadipinta in giallo e nero. Quella navicella di nuovo genere non volevadir nulla per sè; ma il gran ridere che faceva il pubblicoaccorsodipendeva da ciòche sapevasi come quei dellaCompagnia della Teppacolta l'occasione che la notte era statapiovosa e che la sentinella col suo cappotto erasi messa al copertopresero la garitta e la gettarono con gran disinvoltura nel navigliotutt'insiemeguscio e lumaca; con gran stupore di quel biondogregario del Baumgartenil qualetemendo l'acqua piovanasi trovòinvece inzuppato in un bagno più fittoe buon per lui chenelle acque del patrio Inn aveva imparata l'arte del nuoto!
Espostiquesti preliminaricon cui il lettore può farsi un'ideaabbastanza compiuta del carattere eccezionale di questo Bichinkommeraggiungeremo quiche eglinello stato maggiore di Beauharnaispermotivi di servizioaveva avute intime relazioni col colonnelloBaroggicon sua moglie e col figlio; che nel 1815avendo ilcolonnello avuto parte nella congiura militarefu per un consiglioavuto dal Bichinkommerse potè fuggire in tempo e riparare aParigi. Aggiungeremo altresìed è ciò che piùmontache a Milano spesse volte andava a far visita al figlio delBaroggiin casa del Bruni; ch'egli era per i rapporti dellaCompagnia della Teppa in grande intimità col giovine Suardi.Orasenza dilungarci a dipanare tutti i fili accessorj dellamatassadiremo chedopo il fatto dell'arresto del Suardiegli ebbea trovarsi insieme col Bruni e col Baroggi appunto; chesaputo daessi com'era corso il fattoe le cagioni che l'avevano provocatoetutti gli antecedenti del marchese F...dell'avvocato Falchidelconsigliere F…del notajo Agudiomeditò un piano diguerra affatto nuovoil quale ci lusinghiamo farà strabiliareanche il lettore più preparato alle sorprese.


III


Comequandoappena alzato il siparioalla rappresentazione di un'operain musicasi sente al di là delle quintecome se venisse daun camerinoil vocalizzo di una voce femminileche si sospettaesser quello della prima donna e della quale il pubblico è ingrande aspettazione; cosìsenza vederlanoi abbiam giàsentita la presenza della giovinetta Stefania Gentili; ne abbiamoudito gli elogj; e in parteper bocca del pubblicone abbiamconosciute anche le qualità dell'ingegno e del cuore. Ma ora ètempo che anch'essa compaja in iscenacol privilegio quasi sempreaccordato dai drammaturghi convenzionali al protagonistadilasciarsi vederecioèdopo che tutti gli altri personaggihanno fatta la loro comparsae piuttosto al second'atto che alprimoper dar tempo al pubblico di condensare la propria impazienza.
Nellavia dei Mercanti d'oroin una di quelle case dove il portinajo èimpossibile; case vecchiesudice e fetenti; piene zeppe d'inquilinida sembrare alvearila notte del 10 luglio dell'anno 1803CaterinaFrigerioricamatrice in oromoglie di Giacomo Gentiliimpiegatod'ordine presso il tribunale civile di Milanodiede in luce unabambina. Una certa Stefania Coralicantante in quiescenzae chealloggiava i virtuosi e le virtuose di terzo ordine che venivano acantare nei teatri di Milanofu la matrina che la tenne a battesimo.Il battezzatore della neonatagià lo sappiamofu monsignorOpizzoni parroco della metropolitananotissimo fin d'allora per lasua vita rigorosamente ascetica e per l'instancabile zelo adoperatonella cura delle anime. Monsignore volle egli stesso battezzar lafanciullaper una predilezione speciale in cui aveva i conjugiGentili; due ottimi cristianidi costumi irreprensibili e diesemplare pietà. Essi si confessavano e si comunicavano unavolta al mese; piuttosto che mangiare una fetta di salame in venerdìo in sabatosi sarebbero messi in nota per la palma del martirio;astinenza che praticavano rigorosamente tutte le vigilie dei santi digran riguardonelle quattro temporatutta la quaresimatutto ilmese di Mariaecc. Della settimana santa non parliamo; il signorGiacomoche era piuttosto gracile e cui lo star tante ore altavolino dell'ufficio a trascriver minuteaveva fiaccato lo stomacoebbe spesso in quella settimana turbate le digestioni dal troppoolio. Ascritto alla confraternita del Santissimosospiròconun ardore che non è facile concepireil felice momento dipoter essere uno degli otto che portano il baldacchino; e per unintero anno si astenne dal bere vinomettendo tutti i giorni nelsalvadanaio i risparmiati otto soldi onde in capo all'anno avere idanari per farsi un completo abito nero. Il primo giorno che vestìquell'abitoe chenella sacrestia occidentale del Duomoinfilòi guanti bianchi di filugello colla rosetta ricamatala sua gioja fuuna di quelle che non comprende umana idea.
Lasignora Caterina era perfettamente della stoffa del maritoe bastacosì. - Queste due perleche avevano quasi la medesimaetàs'eran sposati trentenni. Avevano passati tre anni senzaaver prolecon vero rammarico di tutti e due; ma il dì dellaMadonna della Ceriolaavendo fatto accendere in Duomo due candeledi quelle di cera fina miniateuna mattina la signora Caterinacosìtra il pudore e la soddisfazionesussurrò all'orecchio delsuo Giacominoch'ella credeva finalmente d'avere avuta la grazia percui tanto erasi rallegrata la moglie d'Abramo. In quel giorno icolleghi di ufficio del Gentili s'accorsero ch'egli aveva in corpouna allegrietta insolitae si dava spesso delle vivacissimefregatine di mano; onde taluno dei più celiatori si fe' didomandargli se aveva vinto al lotto. - E veramente la signoraCaterina aveva indovinato; la gestazione fu delle meno incomode; ilparto fu un capolavoro di spontaneità; e venne in luce unabambina che si chiamò Stefania; fu data a baliae dopo ventimesi tornò a casabellatonda e grassina come un puttinodell'Albani; bianca e rasata che parea carta da scriverecon dueocchi poi che parevan due stelle. Siccome il signor Giacomino erapiuttosto bruttofors'anche per le abitudini devote che gli avevantolto ogni attraenza; e la signora Caterinaad eccezione di unacerta aggiustatezza d'ossaturanon aveva nulla di straordinariocosì avrebbero dovuto esultare di quel piccolo prodigio; matant'egli è vero che se si ottiene moltosubito si vuole averdi piùessi trovarono d'affliggersi perchèin mezzo atante bellezzela ragazzina avesse il nasino troppo piccolo ealquanto schiacciatello. Bene le donnicciuole blaterone del vicinatoli assicuravano che tutti i nasiquando sono destinati a diventarbellii fanciulli debbono averli a quel modo. Bene lor citavanomolti quadri di chiesadove gli angiolini avevano il naso simile aquello della loro bambina; ma essi non si capacitarono di ciòse non allorquandoverso gli anni ottoil nasino di Stefania simise nel più perfetto accordo colle altre parti del suo visoea tutti i sintomidava indizio di diventar ancora piùbello.
-Che te ne pareCaterina? disse un dì il marito a sua moglie;avevan proprio ragione quelle donne.
-Sì davveroGiacomino. Ma bada che Stefania non ci sentaperchè comincia a mettersi in superbia.
Nonancora tredicenneStefania aveva raggiunta una sì compiutaarmonia di bellezza e di leggiadriacon tale espressione nellosguardoinnocente e affatto inconsciama per ciò stessoesercitante un caro fascino su quanti la vedevanoche divennel'oggetto della predilezione di tutti. A ciò si aggiungachetrovandosi nella casa dell'ex cantante Coralidove provavansiogni giorno sul pianoforte i pezzi delle opere in musica allora piùcelebriellaper sola virtù d'imitazioneripeteva tuttoquello che sentivacon una voce così toccante nella suaacerbezzacon una intonazione sì perfetta e una espressionetanto superiore alla sua etàda fermar l'attenzione di queimedesimi cantanti che nelle stanze della Corali attendevano alle loroesercitazioni mattinali. Se non chedobbiamo qui tener conto di unfatto stranoed è chein ragione che ella diventava semprepiù cara e interessante a quanti la vedevanoveniva percontrapposto a perdere sempre più della benevolenza di unuomo.


IV


MonsignorOpizzoni aveva l'abitudine di visitare una volta o due alla settimanaquelli tra i suoi devoti che più aveva in petto. I conjugiGentili erano tra gli elettie come esso prediligeva i genitoricosì per qualche tempo prodigò le sue gentilezze santeanche alla bambinaregalandole Agnus Deiimmagini di santilibretti da messaecc. ecc.; madi trattoe quasi senzaaccorgerseneegli provò una certa avversione per leiquandoappunto si vennero in essa sviluppando tutte quelle qualitàper cui era diventata tanto cara agli altri. Quell'uomo aveva sortitodalla naturae aveva avvalorate colla più rigida costanzanelle abitudini della vitatutte le qualità che costituisconoi santi; ma i santi senza talento. Il sentimentoil cuoreleintenzioni erano mirabili; ma la mente non era di quelle cheRomagnosia scrupolo di scienzachiamò sane.
Egliaveva preso con soverchio rigore matematico il detto e il fattocheil mondo non è che un luogo di passaggio. Per questaragioneriputando che l'uomo non deve mai nè pensare nèoperare se non nell'intento supremo di meritarsi un posto nel regnode' cieliaveva sgomento e avversione di tutto ciò che puòrendere più cara e più attraente ai mortali la vitamondana; in certi momenti in cui lo invadeva più del consuetoil sacro furore dell'ascetismoavrebbe voluto che la luce delfirmamento fosse lugubre e uggiosache le stelle inviassero sullaterra un raggio sinistroche i fiori non avessero fragranzeche ledonne non avessero avvenenza. A forza d'adorare Iddiodi non pensareche a luidi credere che ogni cosa si dovesse fare quaggiùonde glorificarloper uno strano pervertimento del suo giudiziodicui non aveva la consapevolezzaveniva di tal modo ad offendere Diostessorifiutando e biasimando gran parte delle opere sue mirabili.Non arrivò mai a sospettare che il fattore del mondose hadato alla più squisita delle sue creature tanti doniseducentinon lo deve aver fatto a caso; che il rifiutare quei donistessi era un cessare dalla sua adorazione. Ma sopratutto egli avevaun'istintiva ripugnanza per le donnesempre intesoquand'eranogiovani e belle; aveva paura di lorocome di un serpente insidioso;paura non egoistica ma tutta oggettivaconvinto come era che lamaggior parte dei peccati ricevevano da esse il più succosoloro alimentoche esse erano le confederate più attive e piùfedeli del diavolo; chepur senza volerlo ed anche colle piùvirtuose attitudini del mondoma soltanto collo spettacoloinevitabile delle loro grazie e delle loro attrattiveriuscivanofuneste agli altri eper consensoanche a se stesse. Dopo labellezza egli temeva l'ingegnosempre inteso quando usciva dallamisura vulgare. Ei soleva dire che per amar Dio non occorreva tantasublimità di mente nè tanto slancio di fantasia; senzaaver lette le opere del Cardanoe con tanta discrepanza diintelletto e d'intendimentiegli concordava con lui in quellabalzana e audace opinioneche le condizioni della societàfurono sempre peggiorate dalla comparsa degli uomini di gran talento.
Contutto ciò egli era un lettore indefesso di quanto si venivapubblicando per le stampe; non v'era opera o brochurefranceseper quanto eterodossae rivoluzionariae diabolicach'egli non raccogliesse nel proprio studio. Chisenza conoscerloavesse dato un'occhiata alla sua libreria segreta avrebbe dettoch'essa apparteneva a qualche volterriano libertino. Nè in ciòv'era contraddizione. Per far la caccia al demonioei lo inseguivadappertuttoonde non perderlo di vistae attraversarsi in unbisogno alle sue insidie perverse; e come un processante attivo einesorabileteneva sempre i corpi del delitto sul suo tavolino.Paventava dunque l'ingegno e non amava la bellezza. Delle arti poifra tuttedetestava la musicaquella che usciva dalla sfera delcanto fermo e del Pange lingua. Epiù della musica dacameraabborriva la teatraletanto cheper questo latoavevafieramente in sulle corna l'Italia stata inventrice di quel mostroinfame del melodramma.
Conquesti precedenti il lettore può immaginarsi con che cipigliomonsignore si trattenne stupefatto sulla soglia della casa deiconjugi Gentiliquando sentì la loro figliuola cantarequell'aria fatta celebre dalla Gafforini


Chivuol la bella Rosa
L'ortolanellaè qua.



Ariache più volte la fanciulletta aveva sentito a cantare da unmezzo soprano in casa Coralie cheinconscia e innocentissimama solo eccitata dall'istinto prepotente per l'arteripeteva aperfezione con un certo garbo pieno di smanceria onde risultava lostile di quell'aria proterva. Cogli occhi aperticome chi ècolpito da una scena d'orroreesso lasciò che la teneracantatrice terminasse l'aria fino all'ultima sua cadenza per vederefino a che punto il diavolo l'aveva assassinata; poi irruppe nellacasacon voce asprissima intimò alla fanciulla di tacere e dinon cantare mai più quell'aria; il suo rabbuffo fu cosìviolentoche la ragazza si mise a piangeree tanto piùch'ella aveva una terribile soggezione di monsignoreil quale daqualche tempo non aveva più avuto nè un sorriso nèuna parola dolce per leiper la ragione che non gli piaceva nienteaffatto quel suo modo di volgere gli occhi pieno di grazia e dimollezza affettuosa.
Nèl'Opizzoni si fermò quima diede una tremenda lavata di capoai genitorie tenne loro sospesa l'assoluzione quando gli sipresentarono al confessionale. Ebbe anche il coraggio (il vero zelo èimperterrito) di entrare dalla signora Corali a intimarle cheproibisse ai suoi alloggianti di scandolezzare il vicinato con quelleinvereconde canzoni. La signora Coralicom'è naturaleglirispose che aveva buon tempo; da quel giorno monsignore circuìla casa Gentili e la piccola Stefania di mille precauzionivessatorie.


V


Alcuneegregie persone che conobbero dappresso questo personaggiodistintoper celebrità municipaleci dissero molte cose in lode sua.Esse ci fecero sapere che monsignorenei penetrali domesticieratutt'altro che un uomo da spaventare col suo rigoroso ascetismomache anzi si mostrava sovente pieno di amabile gajezza; ciassicurarono inoltre cheper quanto a loro constònon eraper nulla avverso alle cose mondanein prova di che addussero cheera contrario al monachismo; ein quanto alle fanciulledesideravache si maritassero e presto. Ma ora noi vorremmo pregare quelleegregie persone a voler credere chea tutto rigore di coscienzanoiabbiamo appurato sul vero le nostre asserzionia tener conto delleconsiderazioni che faremo in propositoa valutare i fatti che cifurono riferiti da uomini degnissimi di fedee che da noi stessifurono verificati. - Abbiamo detto che quel personaggioseaveva il cuoreil sentimento e le intenzioni ottimenon aveva poiquella che il Romagnosi chiamò mente sana. Ciòlasciando intatta la santità dell'uomonon viene a toccareche i suoi errori di giudizioi qualiper loro naturacome ognunosanon lo costituiscono in colpa. A mostrare com'ei fosseeccessivamente rigoroso nel suo ascetismo e nel mettere in praticagli assunti del suo arduo ministeroannunciamo questo fattochesiamo sicurissimi di poter garantire. Ad una ragazzetta di diecianninell'occasione che si presentò per fare la primacomunioneei negò inesorabilmente il permesso di presentarsialla mensa eucaristica insieme colle altre sue coetaneeper la solaragione ch'ella era avviata ad una delle carriere teatrali. Noi nonfacciamo commenti: giudichi il lettore.
Sel'età infantilese l'innocenzase l'adempiuto sacramentodella penitenzase l'assoluzione ricevuta permisero ad essa diricevere l'ostia santa a un altro altareperchè ciò ledoveva essere conteso all'altare apprestato per le sue giovinettecompagne? Un fatto può bastare a svolgere un ordine completodi principje in questa circostanza i principj dell'Opizzoniper unerrore della sua mentelo portarono all'ingiustizialo portarono afare un privilegio d'un sacramento; a far credere che vi fossero dueCristi e due ostie diverse. Esso era avverso al monachismoci viendettoe consigliava le fanciulle a prender marito piuttosto chefarsi monache. Questo è vero. Main troppi casiper losgomento che aveva della pericolosa condizione delle fanciulle troppoa lungo lasciate nubiliinfluìbenchè ognoracoll'intento del benea combinare e ad accelerare matrimonjchequalunque altro uomo più esperto di lui della vita e piùscaltrito dalla scuola delle umane passioni e degli interessi umaniavrebbe fatto di tutto per stornare e rompere a mezzoscorgendo inessi i germi di disastri futuri inevitabili. In quanto alla suaamabile gajezzaquesta non è sempre il sintomo dellaspregiudicata indulgenza. La coscienza tranquilla può dare lacontentezza e l'amabilità. Ma la coscienza scrive sotto ladettatura del criterio. Se questo sbagliala coscienza si atteggiaalla sua misura. San Carloquando comandò i roggi dellaValtellinaera tranquillo e pago.


VI


Premessequeste considerazioniproseguiamo con fiducia la nostra narrazione.Non per obliquo desiderio di offendere un uomo di chiesaabbiamostimato a proposito di mettere in iscena quel monsignore dipopolarissima famama per un intento chea parer nostroben ci puòdare il permesso di rinnovare il sindacato su tutti gli uomini cheesercitarono una forte influenza sul pubblico e privato costumesulla pubblica e privata felicità.
Ortornando alla fanciulla Stefaniaessa per molto tempo stette zitta enon cantò più. Il signor Giacomo e la signora Caterinadopo che eran rimasti in asso una volta coll'assoluzioneprovaronouna specie di terrore nel pensiero che quel fatto potesse mairipetersi. In casa della signora Corali però continuavasi afar musicacome suol dirsi; ed or dall'una or dall'altra cantantevenivan ripetuteper eserciziotutte le cavatine e tutte le ariedel repertorio musicale allora più in voga. È inutileil dire che trattavasi quasi sempre di qualche pezzo di Rossini. Lapiccola Stefania poteva bensìper obbedienzatener chiusa labocca; ma l'orecchio era indipendente da qualunque comandoprecettoe volontàe non poteva rifiutarsi a sentire; e la memoriaper suo mezzonon poteva rifiutarsi a ricevere le successiveimpressioni delle note e delle frasi e dei concetti musicali. Oraavvenne che quando la sua memoria fu piena di quella folla di motivideliziosi onde rigurgitano le opere di Rossini della prima manieraella provasse come una specie di replessione dolorosa a contenerlecon violenza entro di sè. Allora si verificò anche inlei quella legge di natura espressa così bene dall'expellasfurca del poeta. Seguendo così il sistema delle capinere edelle filomele e di tutti gli augelli canoriche stanno muti e mutiun pezzoper dar fuori poi tutt'a un tratto con una piena repentinadi pipillamenti e di gorgheggi e note tenutea svegliare ilvicinato; la fanciulla una seraessendo salita su un terrazzoinsieme con alcune sue amichecredendo di non essere sentita daigenitorisi mise a eseguire per la prima voltaquasi a titolo diprovala famosa aria del Tancredi:


Ditanti palpiti
Ditante pene
Dolcemio beneecc.


Ela prova le riuscì così a meravigliache tutte le suegiovinette amiche smisero ogni lor giuocoper stare attente a udirlaa bocca aperta; i casigliani che avevano qualche pratica del teatro edel loggione della Scalae vi avevano spesso fatto capolino persentire o la Belloc o la Camporesi o la Catalaniecc. ecc.sifecero tutti alle finestre e alle loggieattratti irresistibilmentedall'incanto che esercita una voce soave quando esprime soaviconcenti musicali. E il signor Giacomo e la signora Caterinaascoltarono anch'essie come no? In que' sei mesi che la fanciullaaveva taciutodal gennajo al giugno circaessa aveva varcati itredici anni e s'innoltrava ai quattordici; in tutto il suo organismoera avvenutosebben precocissimouno sviluppo completo; la voce nonera più acerbama erasi fatta rotonda e flautata. Quel riposodi sei mesi fece sì che il suo svolgersi non venissemenomamente offeso da un soverchio esercizioche poteva riuscirefunesto in que' mesi della crisi corporea. Il più guardingomaestro di canto non avrebbe potuto essere più sapiente delsemplice caso. Monsignor Opizzonicondannandola al silenzioottenneeffetti non sempre concessi al prof. Bordogni. Quando la fanciullacessò di cantareuominidonnevecchifanciullidallefinestredalle loggiedai poggiuolisi diedero a batter le manicon quella sincera esplosione d'entusiasmocosì raramenteaccordata anche agli artisti di professione. In quanto al signorGiacomo e alla signora Caterinaavvenne un fatto singolare. Al primoudir la voce della figliuolasi sentiron tentati a salire persgridarla; ma Stefania aveva cantato in modoche essicontrovogliastetter fermi al loro posto; poiquando risuonò peril recinto della casa quello strepitoso e concorde applausol'uno el'altraguardandosi scambievolmente in facciasi trovarono gliocchi pieni di lagrime.


VII


Quandola fanciulla discesenon la sgridaronoma tacquero e stetterochiusi come se non avessero sentito nulla.
Lasignora Coralichepiù di tutti quegli uditoripotevaapprezzare quella straordinaria vocazione della fanciulla all'artedel cantone parlò un giorno al maestro Brambillail qualeper casoavendola sentitaanche luisenza aspettar altrosalìin compagnia della Corali a fare una visita ai genitori di Stefaniaper proporre loro di farle studiar la musica e il canto; eadistruggere tutte le objezioni che a quella proposta essi gli feceroegli stesso si esibì ad istruirla gratuitamente fintanto chefosse stata al punto di salir le scene; chè allora soltantoavrebbe richiesto un compenso delle sue fatiche. Ma nemmeno a questagenerosa esibizione i signori Gentili per allora si lasciaronopersuadere.
-Io non comprendodiceva il maestro Brambillamaravigliato di tantaostinazione; non comprendo come si possa dir di no a chi in pocheparole vien loro a proporre nientemeno che di diventare ricchissimi.Loro signori saranno contenti del loro stato; ciò va bene; mase hanno il diritto di far tutto quello che vogliono per sènon hanno poi quello di rubare alla loro figliuola quella ricchezzache la natura le ha dato. Mi perdonino senon avendo il bene diessere un loro amico intimoparlo con tanta franchezza. Maripetoche è un peccatoun sacrilegio il lasciare che vada perdutoun talento così straordinario. Questa ragazzain un anno ditempo (so quel che dico e non posso ingannarminè voglioingannar nessuno) può essere in grado di guadagnare ventitrentacinquantamila lire all'anno. Mi pare che non sia unabagatella da guardare con occhio indifferente.
-È verorispose il signor Giacomo; ma è quellabenedetta carriera teatrale che mi fa paura.
-Bisogna che sappiatecaro maestroentrò allora a parlar laCoraliche queste due perle hanno la disgrazia di conoscere unpreteun monsignore del Duomoche viene spesso a scompigliar lorola testa e a spaventarli con cento scrupoli.
-Non dica cosìche è anche troppo un sant'uomomonsignoreosservò la signora Caterina.
-Sarà un santovoglio crederlo; sarà tutto quel chevoletema meno preti vengono per casae meglio si sta. Figuratevicaro maestroche un bel giorno m'entrò in casa a farmi ladottrinetta e pretendeva nientemeno che proibissi a' miei dozzinantidi cantar le arie amorose per non scandolezzare il vicinato.
-Ma è dunque perchè hanno paura di questo monsignore chenon sanno risolversi a fare quel che ho proposto? Ma non èpossibile chese loro vuol beneesso non veda di buon occhio laloro fortuna. E non è poi sempre vero che il teatro sia tantopericolosocome generalmente si crede. Quando poi una prima donnadiventa di gran cartellopuò passeggiar sicura su tutti itrabocchetti. È ben più pericolosa la povertàper una fanciullachecome sento direè di una bellezzastraordinaria.
-Ebbenefaremo cosìrispose allora il signor Giacomo; domaniprobabilmente monsignore verrà qui; sentiremo lui.
-E se dicesse di no?
-Allora bisognerà aver pazienza.
-Allora gli farò dir di sì ioconchiuse il maestroBrambillae partì colla signora Corali.


VIII


Allorchèmonsignore Opizzoni capitò in casa dei conjugi Gentiliquestidopo una lunga titubanzagli fecero motto della proposta delmaestro Brambilla. L'Opizzoni salì sulle furie al sentirequelloper luipiù che strano progetto; e disse cose chepersino al signor Giacomo parvero eccessive. In altri casise ilreverendo personaggio avesse trasmodato nel suo rigoroso ascetismoegli non si sarebbe mai accorto della stortura di quel cervello; manel caso presenteil paterno orgoglio e le straordinarie attitudinidella figliuola e la conseguente idea della ricchezza stata cosìasseverantemente promessa dal maestro Brambilla (le informazioniassunte sul quale lo avevano pienamente rassicurato) gli servironocome di lume e di scorta per distinguere il vero dal falsoe percomprendere che nel modo di vedere del venerabile uomo c'era qualchecosa di esagerato e di stravolto. Quest'idea lo padroneggiò alpunto che per la prima volta da che era nell'intimità dimonsignoresi fece lecitoquantunque rimessamentedi fare qualcheopposizione alle sue parole. È facile immaginarsi come siasirisentito monsignore a quell'inattesa resistenza; se non che aportare un improvviso ajuto al signor Giacomo gli entrò incasa il maestro Brambillail qualeavendo visto salir l'Opizzoni inun momento ch'ei trovavasi in casa Coralipensòfrancocom'era e risolutoa coglier subito quell'occasione per trovarsi colprete e giungere in tempo ad impedire che per eccesso di zelorovinasse una famiglia.
-Ecco il maestro Brambilladisse tosto il signor Giacomoall'Opizzonifelice di vedere un soccorso inaspettato in un momentoche non sapeva più cosa rispondere alla tempesta deirimproveri e delle argomentazioni onde l'Opizzoni lo andavasoffocando.
Nelloro generecosì il maestro come monsignoreavevanoquell'individualità distinta e caratteristicada meritare diessere collocatisecondo l'espressione volgarenella classe deglioriginali.
Tantol'uno quanto l'altro erano due galantuomini della piùspecchiata onestà; tanto l'uno quanto l'altro eranocontinuamente sovreccitati dagli slanci del cuoreal punto da uscirequasi sempre da quei confini che la prudenza dell'egoismo suoleimporre agli uomini: ma l'uno era agli antipodi dell'altro in quantoal modo di pensare. Questi due originalise non si conoscevanoancora di vistasi conoscevano per famaonde al primo trovarsi acontattosi diedero un'occhiata vicendevole lunga ed acuta. Cometutti gli uomini di cuoreche sono convinti delle proprie ideeessierano intrepidiper così direed espansivie nonbalbettavan mai quando si trattava di esporre il loro pensieronèsi lasciavano imporre da nessun ostacoloda nessun rispetto umanoda nessuna autorità. Però non è a fare alcunameraviglia se alle prime parole l'Opizzoni investì il maestroex-abrupto e senza flessuose circonlocuzioni.
-Ella è il signor maestro Brambilla?
-Per l'appunto.
-Ella ha dunque voluto togliere a questa buona famiglia quella pacemodestache nella vita mondana si cerca sempre e non si trova quasimai?
-Io faccio il maestro di musicae non faccio il prete; ma avendocongrande mia soddisfazionescoperto nella loro figliuola un veroprodigio di naturacosì ho creduto mio dovere di avvisarne igenitorii quali lo avrebbero certamente trascurato.
-E adesso questi due cristiani hanno già per la testa deigrilli che non ebbero mai; e già son tutti agitati da centodesiderj e certe speranzee vedono già la loro figliuoladiventare una principessa. Se poi tutto questo andasse in fumoellaavrebbe fatto veramente un'opera meritoria.
-Io non ho detto a questi signori che la loro figliuola diventeràuna principessa; ho detto chemettendo a buon partito le qualitàstraordinarie che la natura le ha datodiventeràcertissimamentecollo studio e col tempouna grande artista: questoio ho detto e promessoe questo oggi ripeto e mantengo.
-E quandoconcedendo pure tutto ciò ch'ella dicecostei saràdiventata una grande artistache cosa crederebbe lei d'aver fatto?
-Che cosa ho da credere?... Credo che se io fossi venuto in questacasae dopo aver sentito a cantare questa ragazzaavessi taciuto enon avessi fatto quel che ho fattosarei stato o un grand'asinooun gran birbone; sempreintesonella mia qualità di maestrodi musicache conosce l'arte propriae l'amae desidera il suomaggior progresso.
-Sarebbe ben meglio che quest'arte non fosse mai venuta nel mondo.
-La musica?
-La musicasìla musica.
-Ma davvero che ellamonsignorenon mi sembra quel prete dotto cheho sentito tanto a decantare! Ma la creazione non è forseun'armonia sola? E non si suol sempre dire: il concentol'armoniadelle sfere? Ma gli angioli non cantano in cielo? E non si vedono asuonare la viola e il violoncello in tanti quadri di chiesa? Il reDavide non cantava? Santa Cecilia non ha un posto riservato inparadiso come suonatrice d'organo emerita? Ma cosa dice maimonsignore? bestemmiar la musicavolerla proscriverecrederlafunesta al mondo!... Ma so bene che mi canzona... A questi pattibisognerebbe mettere in pensione anche il Padre Eternoche èil primo maestro di musica!
-Ella ben sasignor maestroch'io non parlo della musica sacra. Cosìla musica non fosse mai uscita di chiesa! Parlo della musicateatrale; parlo dell'arte melodrammatica. La corruzione del costumel'effeminatezzai peccati divenuti oggetti di moda e di gara nel belmondodatano precisamente dal giorno che la più pericolosadelle umane passioni fu portata sul palco scenicoevestita dimelodie maliardeaccese di più fatali ardori il sangue dellagioventù.
-Main questo casomonsignorebisognerà incolparne il sangueche si lascia accenderee non la musica. Del rimanentequando lapioggia di fuoco cadde sovra Sodoma e Gomorrail melodramma eraforse stato inventato da Peri? la Gafforini aveva cantato? Rossiniaveva scritto il Barbiere di Siviglia? Se si dovessero aboliree manomettere e distruggere tutte le cose che possono diventarepericolosenon so più che cosa dovrebbe conservarsi.Taglieremo i vigneti perchè vi sono degli uomini che siubbriacano? Estirperemo i gelsi perchè vi sono delle donne chevestono di seta a scapito della saccoccia dei mariti? Romperemo lafaccia a tutte le belle ragazzeperchè i giovanotti corronpericolo d'andar in rovina per loro? Idee piccolemonsignoreideefalseidee storte.
-Io sto in confessionalecaro signor maestroe lei sta all'organo.Dal confessionale io vedo tutto il mondo sotterraneo che agli altrinon è dato di penetrare. Io posso sapere quali sono le classisocialiquali le professioniquali le condizionidove il cattivocostume si fa strada più facilmente. Ora devo dirlesignormaestroche per la mia esperienza ormai lungami riesce provato chela corruzione imperversa colla sua massima forza appunto in quellaora pur troppo numerosissimaschiera d'uomini e donne cheocantando o recitando o ballandodivertono il pubblico in teatro.Queste orecchie hanno sentito orrori da far fremere non solo unpretema anche un libertino a cui fosse rimasto appena un barlume dionestà. Se pertantoconoscendo questa buona famiglia; seassistendo con vera e continua mia gioja ad uno spettacolo quotidianoe veramente esemplare di pace domesticadi onestàdimodestiadi abitudini religiosee per conseguenza d'inalterabilecontentodesidero col più intenso ardoree Iddio mi ètestimonioche ciò si mantengami pare d'aver ragione. Ondefarò uso di tutte le mie forze e di tutta la mia fermezzaaffinchèper un apparente fortunache io ritengo invece unadisgrazia sostanzialeper la porta dell'arte corruttrice e dellaricchezza non entrino in questa casa tutte le miserie di cui il mondosi lagnae che sino ad oggi questa casaper una benedizionespeciale del cieloaffatto non conosceva.


IX


Questeparole monsignore le proferì senza quel consueto impeto acreonde soleva esprimersi allorchècolla convinzione di averragionecredeva di combattere il male; ma le porse invece conmansuetudinecon emozionee con un certo tremito nella voce; ilquale significava che quanto dicevalo sentiva con vivissimapassione.
Lostesso maestro Brambilla ne fu commosso; onde si tacque per unmomentopensando al bene che quel reverendo personaggio avrebbepotuto farese la sua testa avesse sortita la forza e la virtùdel suo cuore.
-In ciò ch'ella dicemonsignoreci può essere qualchecosa di vero. Ma risponda intanto ad una mia domanda: se questisignori avessero fatto una pingue ereditàli consiglierebbeforse a rifiutarlaper la paura che la ricchezza potesse maispostare ed alterare la loro beata condizione di adesso?
-La ricchezza nelle mani di questa buona gente non potrebbe essere cheun mezzo felice di beneficare largamente il prossimo.
-Dunque non è sempre vero che la ricchezza sia corruttrice.Dunque l'essere essa di vantaggio o di danno non dipende che dallaqualità delle persone che la posseggono. E quale èdella ricchezzatale è pure d'ogni altra cosa del mondo.L'abuso che si fa di tuttonon vuol dire che sia impossibile un usoragionevole e lodevole. Io conosco delle donne di teatroche nonsono certo un esempio da proporsi; ma ne conosco anche di tali chese fossero imitate da tutte le donne delle altre classiil mondosarebbe una meraviglia di costumatezza. E son qui con un esempiomonsignore. In questi due anninell'arte drammaticaèdivenuta celebre una giovinettaquella che l'anno scorso recitòcon grande successo al Lentasio la Francesca da Rimini diSilvio Pellico: Carlotta Marchionniinsomma. Questa giovinetta èun modello di virtùe il suo esempio frutta alle altre suecompagne; perchè il proverbio dice che i buoni fanno i buonie perchè anche la virtùper fortunaèattaccaticcia. Siccome questo teatro c'èperchè cidev'essere ed è una necessità inevitabile dellaconvivenza sociale; cosìper purgarlo della corruzione cheella teme tantoil miglior mezzo è quello di avviarvi anchele persone cheavendo un talento fatto apposta per far prosperarl'artehanno anche sortito un'indole così buonaed hannoavuta un'educazione così costumatada far venir di moda lavirtù anche là dovesecondo quello che troppofacilmente crede il mondosarebbe impossibile.
-Di questa Marchionni ho sentito anch'io parlar con gran lode. Ma soanche che ella non ha il dono funestissimo dell'avvenenza. Quantiguai si stornano allorchè una ragazza non fa nè freddonè caldo! ma la bella ragazza provoca la tentazione; e latentazionese non trionfa oggitrionfa domani...
-Per la medesima ragione trionferà sulla figliuola di costoroqualunque fosse il tenore di vita che dovesse seguireancherimanendo in casaanche fuggendo il teatroanche trascurando queltalento straordinario che la natura le ha dato. Queste due onestepersonesenza loro colpanon sono ricche. Leimonsignorem'insegna che la povertà è l'ausiliaria piùobbediente della tentazione. Se la fanciulla avesse a far laricamatricecome sua madreo la sartao la modistacrederebbemonsignoredi poterla salvare da tutti i pericoli del mondo?
-C'è il matrimonio per questo... basta ch'ella trovi un uomodella sua condizione... e tutto è aggiustato; e per questom'impegnerò sempre io.
-Mi pare che dovrebbe toccare alla fanciulla a scegliersi il marito...non al parroco della metropolitana. Non mancherebbe altro che i pretidovessero avere il diritto di far da arbitri anche nelle questionidell'affetto! Ma ellainsommaa forza di zelovuol condannare allamiseria questa famiglia; vuol negare alla fanciulla il diritto piùincontrastabile che ha di non sprecare quel talento onde laProvvidenza le fu benefica; vuolinfineimpacciarla anche nel fattodel suo marito futuroe condannarlase le venisse mal sceltoaduna vita perpetuamente scontenta e infelice.


X


Aquesto punto s'impegnò più viva che mai la lotta tramonsignore e il maestro Brambilladopo la qualenessuno dei due sismosse dalle proprie idee. Monsignore dichiarò solennemente aiconjugi Gentiliche se essi avessero avviata la loro figliuola sulteatronon avrebbero mai più veduta la sua faccia; perchèegli non voleva essere testimonio inerte e complice indiretto ditanta disgrazia... Così dicendopartìlasciando isignori Gentili immersi nella costernazionenell'esitanza enell'imbroglio; e raddoppiando nel maestro Brambilla la voglia e ilproposito di liberare quella buona famiglia da una protezione cheseera santa nel desideriopoteva riuscire dannosissima nelleconseguenze.
Passaronopiù mesi. La fanciulla compì i quattordici anni.Siccome aveva assai svegliatezza d'ingegnocosì cominciòa comprendere di avere il diritto di esprimere la propria volontà.I genitori non le avevano mai detto del diverbio avvenuto per lei tral'Opizzoni e il maestro Brambilla; ma ella seppe ogni cosa dallasignora Coralionde un giorno ebbe il coraggio di risentirsi con suamadree lamentarsi che la si sacrificasse in quel modocolrifiutare le generose esibizioni del maestro Brambilla d'istruirlanel canto. Era quella la prima volta che essabuona qual'era esommessa per indole e per educazioneparlava in tuon sì altoa sua madrelaonde questapel dispettosebbene la mattina si fosseconfessata e comunicatale diede due sonori schiaffi. Non ci mancavaaltro! lo seppe la signora Coralila quale fece gran chiasso; loseppe il maestro Brambillache rimproverò la madregiàpentita d'aver percossa la propria figliuola; la qualealla suavoltatenne il broncio per un pezzodicendo e ripetendo e gridandoche se avessero continuato ad attraversarsi così ostinatamentealla sua inclinazioneun bel giorno sarebbe fuggita di casa.
Questenon erano che paroleed ella era tanto buonache non so che cosaavrebbe fatto piuttosto che abbandonare i genitori. Ma alla fine iparenti si risolsero a prendere un partito. Mandarono a chiamare ilmaestro Brambilla; questiper tranquillare la loro coscienzaliconsigliò a sentire anche qualche altro preteun uomo divagliae propose loro il prevosto di San Simplicianodella qualchiesa egli era l'organista. Per tagliar cortouna mattina ilmaestro Brambilla fece portare un pianoforte in casa Gentiliecominciò le sue lezioni. I progressi furono rapidi estraordinarj. Di lì a un anno fece sentire la sua allieva invarie accademie: la giovinetta sorprese tutti. Cantò al Casinodei Negoziantie la vice regina le regalò uno smeraldo ela baciò in volto; chè la bellezza di quella fanciullaera di quel genere che eccita la simpatia e l'ammirazione perfinonelle donne. Cantò più volte al teatro Filodrammatico;là i giovinotti galanti cominciarono a farle intorno le loroevoluzioni d'idolatria e di spasimo; i socj del Casino s'addensaronosul palco scenicoper vederla dappresso e farle i loro complimentinel punto che rientrava nelle quinte. I mercanti della via deiPennacchiari s'accorsero presto che più d'un damerino passavae ripassava per di làonde cogliere il momento fortunatoch'ella s'affacciasse; e molti s'accontentavano persino di far lasola conoscenza dalla finestra.
Ditutte queste evoluzioni galantiellaassorta come era nell'artesuae naturalmente modestanon se ne dava nemmen per dedita. Bensìdi quanti complimenti le avean fatti i giovani nelle sale accademichedove aveva cantatoella non tenne a mente che quelli d'un solo; nonci fu nulla di serioperò; ella vide colui più voltee lo sentì a suonar la viola con un interesse specialemavago e non profondo; colui le rivolse più volte la parolamaellacontegnosa e riservatanon adempìrispondendoglichealle leggi imprescindibili del galateo.
Nèsi ricordò di lui soloma con più frequenzasebbenecon suo gran dispettosi ricordò delle parole enfaticheincui eran trascorse più gocce corrosive di lubricitàche le aveva rivolte il conte Alberico B...i sul palco scenico delTeatro Filodrammatico.
Equi dobbiamo occuparci un po' a lungo di questo conte: il crotaloinfestodestinato a spander bava e veleno su quanti lo avvicinano.


XI


Diquesto personaggio abbiamo già avuto un abbozzo fatto allasfuggita dal signor Giocondo Bruni. Ora tocca a noise ci riusciràa farne il ritratto compiuto.
Visono famigliesegnatamente patrizie (e ciò per la ragione chedànno più nell'occhioe il pubblico ha il modo diseguirle coll'attenzione)nelle quali s'è potuto notareessere ereditarie certe tempre di caratterecerte qualitàmoralicerte attitudini d'intelletto. La dinastia sabauda conta unaserie non interrotta d'uomini di studio. La casa Capponida coluiche fece cader la cresta dello spavaldo Carlo di Francia al viventeGinonon annovera che uomini di gran senno e di gran propositi.
Incasa Belgiojoso si può far conto del perfetto gusto musicaledelle voci di basso e di tenore sempre avvicendate e di unaintonazione impuntabileche in questi tempi può diventare unoggetto d'affezione. In certe case è


D'etàin età

Ereditaria

L'asinità.



Inalcune l'avariziain altre la prodigalità; in questel'orgoglioin quelle la modestiaecc. ecc. Il contino AlbericoB...i nacque in una casa dove dal capostipite fino a lui sialternaronocol sistema delle piastrelle e della pila voltaicaunbirbone d'ingegno e un birbone volgare; un ramo pronunciatissimo dipazzia esaltata dalla protervia era poi stato comune a tuttie fucome il cartone bagnatomantenitore della corrente elettrica. Ilcontinofin da ragazzoa chiarissimi segni mostrò di nonessere un bastardo; mostrò di poter appartenere alla classedei birboni volgarissimi. Manesco e crudele coi fanciullini piùpiccoli e più deboli di luiper trafugar loro un baloccofucolto spesso dai servitori e dall'ajo a commettere tali atti da farraccapricciaree quando questi venivano riferiti alla madrepiuttosto severaallora dava saggi così cospicui d'indolebugiardache non era possibile cavargli di bocca la veritànemmeno a strozzarlo. Maciò che è peggioquesta suaavversione a confessare la verità non si limitava a difenderesè stessoma invadeva il campo dell'invenzione; pervendicarsisi godeva a raccontar cose gravissime a danno deiservitorie con tale malizia e astuziachea tutta primanon erapossibile negargli fede; quindipiù d'una voltaaccadde chequalche servitore venne scacciatoche qualche frequentatore dellacasa si videsenza poter mai indovinare il perchèmaleaccolto dai padronie anche messo alla porta.
Collocatoin un collegio di gesuitiprimeggiò fra i condiscepoli peruna memoria straordinaria. Delle facoltà dello spiritoinquell'età che esse si spiegano e si sviluppanodiede poi adivedere di non avere di distinta che quella sola; le altre eranotutte mediocrissime. Peròquando fu a quel punto degli studiche non basta soltanto imparare e ritenerema bisogna produrre; piùdi un condiscepolo lo sopravanzò e di molto; e alloraquell'orgoglioche in lui non aveva potuto destarsi primabalzòfuori di colpoe insieme coll'orgoglio anche l'invidia; bugiardocom'erae in quel modo più infesto che abbiamo detto dianzimise sovente i condiscepoli in gravi condizioni al cospetto deimaestri. Scopertoebbe più d'una voltadai compagni piùgenerosi e più espansividelle formidabili tambussatech'egli subiva a capo chino senza far mottoper rapportare poi tuttoai superiori. In un collegio di gesuiti poteva essere tollerata labugiala calunniala viltàla denunzia; ma i cazzotti datia buona guerra non potevano figurare mai nella tabella delle cosepermesse: onde esso riusciva sempre a trionfaree i generosi aportar sempre la pena di tutto.
Uscitodi collegiopassato all'universitàrisparmiato dallacoscrizione militare per esser figlio unico; studiò leggedapprincipiopoi si ascrisse alla facoltà medicasollecitatonon già dal nobile amore della scienzama da un intentostranissimo e turpeche noi non troviamo la parola per poterdefinirlo. Egli nella sala anatomica si pasceva della vista deicadaveri muliebri sottoposti alla sezione; nè l'indole suasimulatrice bastò a nascondere ai condiscepoli quella orridasua bramosia; perciò un suo compagnoosservatore acutolochiamò la satiriaca jena. E questo fu l'altro istintoche si sviluppò tra gli anni dell'adolescenza e dellagiovinezza; «chè ad ogni fase della vita era destino chegli desser fuori tutte le prave tendenze ondenei tristiciascunaetà dell'uomo può essere contaminata. Fu dunque unlibertino dei più dissoluti e oscenie dello spettacolo delledonne andava sì presoche le divorava cogli occhie i suoiocchi assomigliavanonella movenza maligna e procace e in quel sensod'ineffabile disgusto che eccitavaa quelli dell'ourang-outang e delmandrillo. A ventun anni s'invaghì d'una bellissima giovinettadi nobile casato. Il suo non fu l'amore che deriva dalla squisitezzadel sentimento; ma quel furore voluttuoso fatto di grascia bollente;quel furore ributtante chein alcuni quadri barocchivediamo neifauni che inseguono qualche ninfa.
Siccomeera profondamente dissimulatoree nel collegio dei gesuiti avevacondotta all'ultima perfezione quella sua qualitàcosìnella casa di lei recitò così bene la parte di bravogiovineche alla fanciulla non dispiacque del tuttoe i parentifurono contentissimi di dargliela in isposaquand'egli ne fece ladomanda. Povera giovinetta! Un canarino gentile dato in dono a unfanciullo perversoche in sul primo lo accarezza e lo bacia per lanovitàpoi gli strappa la codapoi gli spenna le alipoigli cava un occhio con uno spillopuò dare qualche idea delcome si trovò quella disgraziata nelle mani di quel tartufomaniaco inferocito. Di tal modo ella visse con lui cinque annieper sua fortunamorì di febbre perniciosa. Egli stette soloper assai tempodurante il quale gettò dietro alle donnedanari a manate; poivenutogli un altro capriccio indomabilmenterapidoprese in moglie un'altra giovine e ricca. Contava alloraventisette annie di fresco aveva accresciuto l'asse paternoalquanto dilapidatocoll'eredità di un grosso milione. Questaseconda moglie era di carattere altero e forteed a coloro che sifecer lecito di dirlesi guardasse bene di unirsi a quella bestiaferocerispose: la domerò io.


XII


Quandoal conte B...i morì la prima mogliesi disse da taluno chequella morte immatura era stata la conseguenza degli assiduipatimenti onde il marito l'aveva torturata. Questa diceria peròera corsa vagamente pel mondo; chi lo conosceva intimamentenon sirifiutava a prestar fede a quanto si andava buccinando; quelli che loconoscevano superficialmentee che al teatroal caffènelleliete brigate lo trovavano uomo compagnevole e festosocredettero enon credettero; nessuno però diede a quella voce l'importanzache meritava. Nessuno sapeva immaginarsi in che modo l'avesse potutatorturare al punto da farla morire. Agli egoisti gaudenti del belmondo non pareva vero che si potesse uccidere una donna senzapistolasenza coltellosenza cordasenza veleno... La novellasposa pensò anch'essa come costoroe piena di fiducia entrònella casa maritale. Per qualche tempo le cose camminaron bene; anzitrionfalmenteal segno che essa ebbe a dire che tutti gli uominipossono essere e buoni e cattivie che dipende dalle donne il farlipiegare piuttosto in un verso che nell'altro.
Mai gaudj non si protrassero nemmeno un anno. La nuova donna avevacessato di piacere al conte; però dalle gentilezze ei passòtosto alle persecuzioni. Queste persecuzioni non erano gravi; anzieran minute; ma quotidianeassidueincessantie non lasciavantempo al fiato di rifarsi nel polmone. L'indiano si difende e sisalva dal leone e dalla tigrema cade affranto se nugoli di vespe loassalgono e gli avventano senza tregua il loro pungiglione. Il conteAlberico contraddiceva a tutto: il suo studio maligno consistevanell'osservare che cosa piacesse o non piacesse alla moglieper farsempre tutt'all'opposto; se essa prediligeva la compagnia di qualchecara amicaegli si comportava in modo che questa fosse costretta anon entrargli più in casa. Se a lei era antipatico qualcheomaccio parassita e vileche facesse la corte a lui per scroccarglii pranziei gli prodigava ogni maniera di gentilezzee sopratuttolo voleva aver sempre seco in casain carrozzain palcoin villa.
Maquello che costituì il tormento massimo di quella donna chenonostante la sua forza d'animocominciò a perderel'allegriala freschezza e la rotonditàfu la continuaburrasca in cui venne a trovarsi avvolta per ciò cheriguardava la servitù. Egli pretendevasenza dirlo (maciascuno se ne accorgeva) che la servitù odiasse e trattassemale la padrona; e siccome ciòse avveniva per qualche poconon poteva continuareallora egli si rivoltava contro la servitùed or con un pretestoor con un altroscacciava la camerierascacciava il cocchierescacciava il cuoco. I servi si rinnovavano;sobillati da luiin sul principio si comportavano indegnamente collapadronama prestoaccorgendosi della tristizia inqualificabile diluipiegavano pentiti verso di leie si studiavano di risarcirladell'offese. E allora egli ricominciava le persecuzionigridavastrepitavaqualche volta percuoteva; e i servi si licenziavano unodopo l'altroed altri comparivanoe si tornava sempre al medesimobarbaro giuoco. In un mese si cambiarono tanti servi e camerieri ecuochiche la casa del conte B...i pareva l'ufficio d'indicazionedel mediatore Mustorgi. Nè le vessazioni dovevano fermarsiqui. La signora si trovò incinta. In quella circostanza i suoiportamenti furono talia giudizio dei servi impietositida farsospettare che egliintendente com'era di medicinacogliesse ognioccasione per sconcertarla nella gestazione.
Quandogiunse il giorno che la signora si sgravòegli col pretestocheinvece d'un maschioera venuta in luce una bambinas'infuriògridòululòsbattè imposteea tuttigl'indizjparve checoi sussulti e gli sgomenti tanto pericolosialle puerperemirasse a provocare una flogosi violenta che gliportasse via la moglie in poco tempo. Il professor Strambiochiamatodalla levatrice inorriditaprese allora di fronte il conte Albericoe gli diede un lavacapo con minaccia di peggio. E allora colui ainfingersia umiliarsia protestare un immenso affetto per la suacara mogliea dichiarare ch'egli era tutto stravolto pel timore cheaveva di perderla; laonde il dottor Strambionon sapendo a chicrederese ne andò crollando il capoe non si fece piùvedere.
Questescene atroci si ripeterono: la madre e la sorella di quella poveradonna stavan sempre in timore di qualche sventura quand'ellatrovavasi incinta; condizione già pericolosa per sèstessama che in quella casa e con quel marito assomigliava ad unasentenza di morte sempre sospesa sul capo. Di tre figlie che ebbel'ultima nacque mortae la disgraziata madre ebbe a subire unamalattia lungache le guastò al tutto la complessione.


XIII


Inquesto tempoil conte parve più sopportabile in casa;ma ciò potè dipendere da un nuovo vizio datogli fuori:il vizio dell'ambizione. - Presentato a cortedesideròdi essere qualche cosadi esser fatto ciambellanodi averdecorazionidi aver titolo di duca come il Littadi esser fattoconsigliere di Stato. Ea quest'intentoperchè quando unapassione l'invadevaei le si dedicava corpo ed animasi accostòal vicerèe fu il suo lecca zampa più fedelepiùobbediente e più vile. Indovinando le voglie di luispessocon impudenza codardafu il suo manutengolo in tresche amorose;spessoe ciò con maggior danno del prossimoo riferendo ilvero che non poteva piacere al vicerèo inventando cosecompromettenticon ingegno diabolicamente astuto mise in gravissimiimbarazzi conoscenti e amici. Ma il vicerè se lo adoperavalodisprezzava anchee non gli concesse mai nulla di ciò che coninsistenza domandava; laonde nel 1814 il conte B...i se gli voltòcontroe sebbene respinto dai galantuomininondimenoscaltrocom'era e matricolato nella simulazioneriuscì a ingraziarsial partito italico.
Nellafamosa giornata del Prinaa rendersi accetto al popolaccioinferocitofisse e rifisse nel cadavere sfigurato il puntaledell'ombrello. Ritornati gli Austriacifu presto ai pranzi diBellegarde; poscia alle feste di cortequando vennero il vicerèe la viceregina. Nel tempo stesso però aveva fatto di tuttoper aver parte nella congiura militare del 15; continuava ainfastidire con proteste di devozione gli uomini del partitoitalico. Era una pecora codarda ed importunache ad ogni costovoleva introdursi tra le gambe dei cavalli generosi.
Quandoquelli di cui si vantava amicolo respingevano con qualche sgarbo;quando non trovava il modo di ficcarsi dov'egli volevaallora imalumori e le procelle e le tempeste casalinghe ricominciavano.
Nel1817 ci fu altro cambiamento di scena. Esso venne ad incapricciarsibestialmente di una giovine cortigiana di meravigliosa bellezzavenuta allora a tender le sue reti ai paperi milanesi della classenobile e ricca. Al solitoquel capriccio fu una mania e un furore.Mantenne leiil padrela madrele sorelle di lei; le apprestòcarrozzecavallipalco in teatrovilla sul lago di Como. Ma inbreve venne a mancare il denaro per la moglie e per le figlie; ma iservi non eran pagati puntualmente; ma il fieno fatto passar nellestalle della cortigianavenne meno al servizio della casa. E qui ilamenti della moglie e le querele dei parenti di lei; e i furori dilui e minacce ogni sortae più che minacceperchè unanotte misurò sulla testa della disgraziata moglie un colpocolle molle del caminettointanto che vi stava attizzando il fuoco.
Questofattosaputo dai parenti di leili determinò a procedere peruna divisione legale di mensa e di letto. La petizione fu presentataai tribunali. Chiamato a dar conto di sèesso calunniòla moglie con oscenissime invenzioni; ma non operò che a dannoproprioperchè i giudici indignati sentenziarono per ladivisione legaleper la pensione alla moglieper l'interdizione dilui. Questa volta tutto camminò col trionfo della giustizia.Ma fu per poco. Essa morì in capo all'annolacerata d'animodisfatta di corporidotta a tal condizione che pareva una larvaanzichè una persona viva. Quando gli giunse la notizia dellamorte di lei diede un banchetto ai contadini della villa dov'eglierasi ritirato colla concubinae la notte volle che il palazzo fosseilluminato a giorno.
Vedremoin seguitocomenonostante questi orribili precedentiquest'uomoin conseguenza di pessime istituzioni socialiper alcune leggiimprovvideper una podestà lasciata con soverchio abbandono achi non deve averla e non la merita; per l'onnipotenza del denaro chedà la ragione a chi ha torto; per la viltà degliuominicomplice troppo spesso l'autorità stessafu lasciatoancor padrone del campo: come un lupochedopo essere stato lospavento delle madri e dei bambini nel villaggio remotonon siprovvede a prenderlo nel laccionè a coglierlocoll'archibugioma lo si lascia ancora vagar liberamente per lecampagne.


XIV


Quandovedemmo il conte Alberico mescolato ai soci della Compagnia dellaTeppa sulla piazzetta di San Pietro e Linoegli era nella massimaesaltazione di un furore amoroso per madamigella Gentili; aveva giàmandato persone a parlare ai parenti di leia far proposte dimatrimonio. Aveva anche ricevuto due rifiutiche sempre piùgl'irritarono quel suo desiderio ardente; era inoltre tutto sossopraper le smanie gelose che alcuni suoi conoscenti gli avevano messo incuorecol dirgli che la fanciulla era innamorata di un altro. Fuallora che avendo sentito a parlare di una serenataaveva eccitato icompagni per scompaginarla a suon di bastonenella speranza che sisarebbe potuto spezzar la testa anche al rivaledal qualepresuntivamente quella serenata doveva essere stata ordinata. Le cosecamminarono come camminarono: avendo scorto tra i suonatori e icantanti il conte Emilio Belgiojosoa tutta prima s'era perduto dicoraggiovedendo in lui un rivale formidabile; ma poiassicuratodal suonatore d'oboeYvonil quale aveva una speciale predilezioneper la cronaca urbana e s'interessava d'ogni fatterello privatocheil conte aveva tutt'altro per la testae che invece il presuntoamante doveva essere quel Giunio Baroggi dilettante di violailconte Alberico a tale notizia si sentì riposto in sellaperchè comprese che coi milioni non era difficile a scavalcareun giovine non ricco. Tornò pertanto a tempestare il cuginomarchese F...tutore delle sue figlieperchè s'interessassea tal faccenda; il marchese aveva creduto benecome sappiamodiparlarne a monsignor Opizzonisuo conoscente intimosiccomeall'unico personaggio adatto a compor simili negozj. Le cose erano aquesto puntoquando avvenne la scena procellosa tra il giovineSuardi e il marchese F...
Questascenanon tanto per sè stessama per le sue conseguenzevenne a sconcertar le speranze e i disegni di Alberico. Ma prima dispiegarne il mododobbiamo intrattenere il lettore d'altri fatti.
MonsignoreOpizzoni erasi assunto l'impegno di parlare coi conjugi Gentilidimenticonella sua qualità di santodi ogni rancore avutosecoloroe certo d'altra parte di fare un'opera meritoriacolsalvare cioè un'anima già ipotecata al diavoloe coltogliere con un colpo maestro una fanciulla ancora innocente dagliorrendi pericoli che la carriera del teatro le veniva minacciando.Salvare un'anima perdutae assicurare il paradiso a un'anima natafatta per essofurono le due idee che esaltarono la caritàentusiasta di monsignore. A ciò s'aggiunga una specie dipuntigliochea sua insaputagli si era fitto nell'animoe nollasciava tranquillo da un pezzodi riuscire ad avere il disopra suquel petulante di maestro Brambilla. Il conte Albericodal cantosuoavendo recitato maravigliosamente con lui la parte d'impostorecol protestare d'essere stanco e pentito della propria vitapeccatricecoll'assicurare di sentirsi purificato da quell'amoreedi non scorgere per sè altra via di salvamento che nelmatrimonio con quella fanciulla santaera pervenuto a far vederchiaro a monsignore che la Provvidenza in quella occasione aveavoluto dar la più evidente prova della sua presenzae cheperò bisognava assecondarla con tutta l'anima e con tutto lozelo.
Quandomonsignor Opizzoni riprese le sue visite ai conjugi Gentili per farequella proposta chesecondo il suo concettodoveva riuscir salutarecome un miracolo di Gesù Cristo; madamigella Stefania stavaper conchiudere una scrittura coll'impresario Barbaja. Quest'uomoche avea cominciato la sua carriera col fare il guattero nei fondacidelle bottiglieriepoispinto dal suo genionell'anno medesimo cheVolta inventò la pilascoperse l'alto segreto di mescolare lapanna col caffè e colla cioccolata onde nell'imperitura paroladi barbajata si fece un monumento più saldo delgranito; poidiventato appaltatore dei giuochi d'azzardo nel ridottodella Scalaarricchì straordinariamentedi modo che prestoassunse l'impresa del teatro stesso e quella del San Carlo di Napoli;quest'uomo dunquemeno le sue speciali cognizioni sul cacao e sulmokaera di una ignoranza mitica; ma aveva il genio del far danarosenza guardare ai mezzisenza idee di onestànon fido cheall'ultimo intento; come un condottiero il quale divorato dal furoredelle conquistemove innanzi senza badare al dirittocalpestando lepopolazioni e moltiplicando le stragi. Nella sua condizioned'impresario era perciò uno strozzino inesorabile di maestridi cantanti e di ballerini. Fiutava così in di grosso il veromeritocome una volpe checosì anche da lontanoalzando ilmuso nell'ariasente odor di pollastro; e tosto gli era sopra perimpadronirsene e divorarlo. Quando sentì l'entusiasmo chemadamigella Gentili aveva destato al teatro Resenza por tempo inmezzopensò ad ipotecarla a suo vantaggio. Si recòdalla fanciullala lodòma in modo da farle capire chevaleva molto meno di quello che essa potesse credere; le fece capirecosì vagamente chese possedeva una voce simpaticaessa eraperò debolesegnatamente nelle corde di mezzoe per di piùaveva un certo tremulo che a luipratico del mestiereaccusava isintomi di un facile e vicino scadimento. Dietro questo esordio lepropose una scrittura per sei anninel primo dei quali le avrebbecorrisposto lire cinque milasei nei tre successiviotto mila negliultimi due.
Igenitori rimasero sbalorditi di così misere propostee siguardarono in faccia quasi a dire: Il maestro Brambilla ci ha dunqueingannati. - E madamigella Stefania rispose che non potevaaccettare quei patti in nessun modoe che piuttosto avrebberinunziato per sempre alla carriera teatrale: l'impresario replicòragionò e sragionòe conchiuse che sarebbe tornatoentro tre giorni a sentir la risposta definitiva. Ma nel secondo diquesti giorni comparve invece monsignor Opizzoniimpresario d'animea fare la sua proposta inaspettata. I parenti della ragazzaconoscevano il conte B...i appena di nome; tuttaviaper quantovivessero fuori del mondoera giunta fino a loro la notizia dellatorbida vita di coluie ne fecero motto a monsignore; ma egli tostolor contrappose. che se esso aveva avuto un cattivo passatoera daascriversi al bollore della gioventùall'inesperienzaall'essere stato disgraziato nella scelta delle mogli; chedipresentequantunque fosse ancora in freschissima etànon eraperò più in quella procellosa stagione della vitaincui tutti gli uominiquelli eziandio destinati a diventaresapientissiminon mancano di fare sovente i loro stramazzoni; cheesso avea parlato in modoaveva espressa una tale deferenza per lafanciullaaveva così altamente protestato che soltanto perquel matrimonio avrebbe ottenuta quella tranquillità d'animoche non ebbe mai prima e per mancanza della quale potè farcose di cui tanto si vergognava e si pentiva; che meritavaassolutamente di esser preso in considerazione; e per conseguenzadal lato di loro e della ragazzal'annuire a una tale propostanonera soltanto un colpo di fortuna inaspettatoun beneficio dellaProvvidenzala quale esibiva alla ragazza tutti gli agi della vitamentre le faceva scansare tanti pericoli; ma era una buona azioneun'opera meritoriaun mettersi sicuramente sulla via del Signore. Igenitori guardarono alla figliacome a dire: Che te ne pare? Ma lafiglia non rispose nulla: onde monsignoreconchiudendo chein ognimodola questione di un matrimonio essendo sempre una cosagravissimameritava il più maturo consigliosi licenziòdicendo ai genitori che sarebbe ritornato a sentire le lorodeliberazionie che intanto egli avrebbe pregato il cielo perchèvolesse inspirarli.


XV


L'ideadella ricchezza possibile aveva in addietro lavorato cosìfortemente nella testa di quelle due sante persone del signorGiacomino e della sua metàch'eransi rassegnati a non piùveder monsignore per casae a lasciar che la fanciulla seguisse lapropria vocazione. Ma l'idea della ricchezza certasubentrata in unmomento che l'impresario Barbaja aveva ridotta ad una inaspettatadiminuzione di prezzo il merito vocale di Stefaniafu cosìforte e formidabile da far loro conchiudereche i figliuoli devonosempre obbedire; che la giovinezza non sa quel che si fa; che seStefania aveva tanta passione per il cantopoteva continuar acantare anche in casa del conte B...i. Ma Stefaniainterrogatarispose ricisamente che non voleva maritarsi; che quel signore loconosceva di vistae non gli piaceva niente affattoperchèera brutto e perchèper certe parole che aveva avuto lasfacciataggine di rivolgerle sul palco scenico del teatroFilodrammaticodoveva anche essere disonesto. Allora il signorGiacomino che frequentava le quarant'ore montò sullefurie; disse che il conte Alberico era abbastanza un brav'uomo edanche un bell'uomosenza essere una meraviglia; che in quanto alleparole dette o non dettetutti i giovanotti quando parlano a donnedi teatro hanno sempre quei modi e quello stilee che era ridicoloil pigliarne scandalo.
Stefaniarispose con un certo slancio stizzosoche all'uomo delle quarant'oreparve insopportabilee al tutto sconveniente col rispetto che ifigliuoli devono ai genitori; onde su quella cara e leggiadra testinalasciò andare uno scappellotto plebeoche fece dar lafanciulla in un dirotto pianto di dolore e di rabbia. Il diavoloinsomma era rientrato in casa Gentilinascosto sotto la sottana delsuo gran nemico Opizzoni. È difficile immaginare le vessazioniassidue che quei due santi fecero soffrire alla loro figliuola. Unamattina la madre la prese alle stretteperchè confessasse semai avesse un altro amante: Stefania rispose di no; e alle replichematerne protestò e giuròper finire a piangere comeuna disperata. Nel frattempo monsignore tornò più voltein casa Gentili. I genitori parlarono sempre in nome della figliuola;e questa sentì una mattina che monsignore tutto beatificato: -«Ah son ben contentoesclamòch'ella sia feliced'accettar la mano di colui.» Il conte B...i ebbe cosìil permesso d'andarle in casa. E i modi di luisiccome avevadell'ingegno ed era educatissimo ed ipocritissimofurono cosìcortesi ed anche così ameni e disinvolti cheper la primavoltaStefania si sentì alquanto placata e risolse di dir disìanche per fuggire le domestiche torturee benchènon le paresse vero di dover sposare un uomo la cui boccaallorchès'aprivapresentava il desolante spettacolo dei troppo feliciesperimenti dell'in allora celebrato dentista Bonella.
Iparenti di Stefania chefinchè durò l'opposizione diessaavean sentito in fondo alla coscienza certe fitte intermittentidi rimorsopur nell'esaltazione e nel dispetto che provavano neltrovare la figliuola tanto indocile e nella certezza di far l'uso ilpiù legittimo della potestà paterna; assaporaronol'ebbrezza di una felicità non mai provata primanel vedereche finalmente non solo ell'erasi piegata al loro desideriomapareva anche contenta: onde diede lor fuori un amor paterno e maternocosì sviscerato che le prodigarono ogni sorta di carezzedigentilezzedi delicatezze. Pareva quasi ch'ella fosse diventata lapadrona di casaperchè la madre adempiva ad ogni suodesiderio colla sollecitudine e la sommessione quasi d'una fantesca;e il padre era diventato dell'umore il più gajoe al descoquotidiano era sollecito di servir la figliuola per la primachiamandola già contessa Stefaniacosì tra il serio eil buffo. Monsignor Opizzonicheessendosi accorto in principiodell'avversione della fanciulla per quel matrimoniorigorosamentecoscienzioso com'eraaveva già pensato di non parlarne altro;provò una soddisfazione ineffabile quando fu convinto che lafanciulla era contenta. Ringraziò il cielo con tutta laespansione del suo animo santoe recatosi in casa del conteAlbericogli fececome suol dirsiuna paterna così caldacosì eloquentenel mettergli innanzi tutti gli obblighi a cuiandava incontro nel legare per sempre alla propria vita quella dellafanciulla; gli parlò con tanta effusione delle qualitàsquisite e maravigliose di leigli raccomandò con un fervorecosì appassionatoperfino colle lagrime agli occhi diprovvedere con ogni sforzocon ogni cura a farla feliceche perveritàchi avesse ascoltato quel discorsoavrebbe dovutopiangere di tenerezza.


XVI


Inquanto al conteil delirio che lo invase nel pensiero che avrebberealmente posseduto quel capolavoro di bellezza femminilefu taleche in realtà era diventato quasi buono; non era piùinvidioso di nessunoaveva smesse le menzogne e le calunnie; estette intorno alla fidanzata con ogni maniera di gentilezze.Chicchessia pertanto (non chi scrive peròperchè ditali cose se ne intende troppo) avrebbe dovuto invidiare quellagiovane creatura cullata dai genitori come se fosse una neonataraccomandata espressamente al cielo dalle preghiere di un venerandosacerdoteidolatrata dal futuro sposo; al che si aggiunga lasplendida prospettiva del cocchiodel palco in teatrodelle livreedei viaggi a Parigia Londraa Madriddelle conversazioni serali evocalidov'ella necessariamente sarebbe stata la regina legittima eperpetua della festa.
Esultavanodunque tuttima tutti a danno di una solae precisamente quellicheesaurita la maggior parte della vitaavean raggiunta l'etàin cui gli uomini non dovrebbero avere altro obbligo che diprovvedere al bene della gioventù che sorgedi apprestarletutte le occasioni della felicità possibiledi soccorrerladi salvarladi colmarla di beneficj. Esultavano tutti a danno di unasola. La giovinetta Stefanialeggiadrabella fra le bellissimedotata di un talento straordinario e in quella sfera dell'arte che èla più lusinghiera e la più affascinante di tutte;essendo alimenti naturali di questo medesimo ingegno il sentimentol'entusiasmol'amore ardente del belloe attraverso e intorno edentro a tutte codeste attitudiniuna serpigine occultapersino alei stessama prepotente e fortissimadi una sensualitàgentileche non offendeva la castità nativama le metteva inebollizione il sangue con tentazioni arcane; l'unica figliuola di duesanti testardi e inconsciamente spietatieletta creatura checresceva allora e per la quale quanti le stavano intorno aveanl'obbligo di sacrificarsiera predestinata invececome Ifigeniaper i fatali responsi di un sacerdotead essere immolata sull'arapaternae a diventarecome Andromaca o come Angelicapastoconsacrato alle zanne d'una belva affamata.
Ela belva affamatadivenuta transitoriamente mansuetanell'aspettazione del pruriginoso cibo adocchiato e presentitosirecò una mattina dal suo nobile cugino marchese F...amministratore della di lui sostanza e di quella delle sue figlieper pregarlo di anticipargli un centinajo di mila lire per le spesedegli sponsali. Ma il marchesecontro ogni sua aspettazione e consua dolorosa sorpresa:
-Io non ti anticipo nulladisse. - Ho altro per la testa inquesti dì.
-Mae che è avvenuto?
-È avvenuto che non ho danari da dare altrui: segnatamentequando si tratta di soddisfar capriccie probabilmente di farnascere dei disordini.
-Disordini?
-Peggio che disordiniperchè una bellissima ragazza didiciott'annivagheggiata e desiderata dalla più avvenentegioventù di Milanoe che si adatta a congiungersi con un tuopariè una tale anomalia da non potersi comprendere. Io ti horaccomandato a monsignoreperchè credevo che quel sant'uomoliberando me dal fastidio di fare il sensale di matrimonjavrebbedetto tutto ai parenti della fanciulla; non omettendo di far loropresente che a soli trentasei anni ti son già morte due mogligiovanissime l'una e l'altra.
-Ma che discorsi son questicaro marchese? Ma quando uno sposa unadonnaha forse l'obbligo di garantirle la vita?
-Non so nulla. Ma io non darei mai mia figlia ad un uomo ancorgiovineche si è già trangugiato due mogli come dueuova fresche. Ma queste sono parole; il fatto è che i danarinon te li do.
Questorepentino cangiamento nell'umore del marchese F…che in quellamattina si mostrò col conte Alberico bisbetico fino allaprovocazione e all'ingiuriae che il conte Alberico sopportòper quella viltà che lo faceva tacer sempre innanzi a quelliche potevano più di lui e non dipendevano da luiera statoprovocato da un incidente tutt'altro che atteso dal marcheseilquale si trovò risospinto nel mare pericoloso del tribunaleesi vide di nuovo nel pericolo di perdere quei tanto contestatimilioni della lite centenariaper una lettera che il notajo Agudioda una sua campagna presso Varesedove era gravissimamente ammalatoaveva scritto al Direttore di polizia.
Ilmarchese nell'ozio fastoso della sua ricchezza non contrastatanellacompiacenza beata d'essere un gran facoltoso rispettato e temutosoleva assecondar volontieri chi gli si raccomandavae non silasciava troppo pregare nel far piaceri a parenti ed amicie perciòaveva trovato giustissimo che suo cugino si preparasse ad assassinareun'altra moglie. Ma l'inatteso pericolo sorgiunto gli rovesciòl'animolo fece diventare bisbetico e intrattabile. Parendogli chetutti fossero in miglior condizione di luisentì il morsodella più dispettosa invidia pur contro quel vile briccone diAlberico chesenza cure di nessun generepensava a soddisfare anuovi capricci. Non sperar nulla peròo lettore di buoncuore; bensì preparati a fatti strani.


XVII


Unaquarantina d'anni sonoil corso festivo del popolo milanesedisertato dall'antica via Marinae poscia dai giardini e dalbastione di porta Orientaleerasi ridotto a porta Romana. Pare chequesta deviazioneche infranse per cinque o sei anni la secolareconsuetudinesia stata occasionata da un talecheavendo viaggiatoin Russiaintrodusse nell'osteria del Monte Taborposta ai fianchidella porta Romanail divertimento della slitta. Costuitraendoprofitto degli accidenti di giacitura di quella parte di bastione chesi venne col tempo addossando ed innalzando sulle vetuste mura diMilanovi praticò una discesa precipitosa di centocinquantapassipavimentata in legno liscio con solchi paralleliin cuiscorrevano delle ruotelle in ferro portanti una seggiola per unapersonaod anche per duequando l'una avesse caro di sedere ingrembo all'altra.
Questodivertimentoper quanto fosse puerilecome dicevano gli uominigravi e non più giovani d'allorafu potente a far cambiardirezione a centomila gambe. Fosse la novità della cosa; fosseche (siccome si usa nelle feste da balloche il cavaliere si pigliaseco la dama o la damigellae anche senza conoscerladalla usanzatiene la sanatoria di danzare con essa e di abbracciarla asuon di musica)fosse dunque che i giovanotti e i cacciatori d'amoreavessero il permesso di tirarsi in grembo le signore più omeno maritatele fanciulle più o meno custoditee che allefanciulle e alle signore non dispiacesse niente affatto di sedere aquel modoil fatto sta che l'insolito gioco ebbe un successo dientusiasmo e di delirio. Nelle giornate di giugno il concorsocominciava all'alba e finiva a mezzanotte; cosa che si comprendefacilmente quando si sappia che con soli 50 centesimi si pagaval'ingresso e tre slitte.
Neigiorni di festa e di giovedì l'affluenza delle carrozze erataleche dal ponte alla porta dovevano procedere lentissime in duefileed anche far lunghe soste. Il fortunato importatore di questaslitta senza ghiaccio guadagnò per molto tempo più dimille lire al giorno. Quando unonel caso di metter fuori una dittasceglie per socio il peccatoè quasi sempre sicuro di farfortuna. In conseguenza però di parecchi disordini avvenutila polizia dovette sospendere quel divertimento per qualche tempo; enon ne concesse di nuovo l'esercizio che col primo maggio del 1820.Fu allora che il Monte Taborabbellito di nuove piantagioniornatodi pergolati e padiglionirallegrato dalle bande musicalicollibero ingresso alla slitta accordato a chi desinava inquell'osteriatornò ad attirare a sè tutta la follagaudente della città di Milano.
Neldopopranzo del 24 settembregiorno di domenicaeracome diconsuetoaffollatissimo lungo il corso di porta Romana il passaggiodei pedoniprolungato e lento e ad ogni istante interrotto ilprocedere delle carrozzedei pesanti e maestosi landòdei bombé non ancora scomparsidei birbinidei cabriolets; piena la corsia interposta tra le due file dieleganti cavalieriche si fermavano al fermarsi de' cocchia' cuisportelli apparivano tutte le foggie dei cappelli femminini che inquei giorni erano stati incisi e dipinti sul Corriere delle Dameredatto allora da Angelo Lambertini; cappelli di crepondirasodi treccie di cotonedi paglia di Firenze con penne distruzzocon maraboutscon piume scozzesiecc.ecc. Pressoall'osteria del Monte Tabor era un ingombro inestricabile di cocchidi cavalli tenuti a mano dai palafrenieridalla più minutagente del popolola qualemancante degli indispensabili cinquantacentesimi per entraresi accontentava di vedere lo spettacoloesterno e di sentire la musica delle due bande militarichecollocate alle parti estreme dell'osteriasi alternavanonell'eseguire i pezzi delle opere teatrali allora più in voga.In quel dopopranzoil concorso alla slitta era forse maggiore delsolitoperchè si sapeva cheper la prima voltavi dovevanointervenire il vicerè e la vicereginai quali tenevanodall'imperiale parente il mandato di aspirare alla popolaritàmescolandosi ai cittadini e al popolo.
L'internodell'osteriadai bassi pianidalle falde sino all'ultima vetta delTaborera un vero alveare rumoroso e gozzovigliantepercorso eripercorso senza posa da camerieri trafelati. Verso le ore seiarrivaronopreceduti dal giallo battistradai due tiri a seivicerealiil che sepel momentoprodusse una sosta nella agitatafaccenda della cucina e della cantinaaccrebbe il movimento e ilfracasso del pubblico accorsoe non mancaronopur troppoibattimani prolungati all'entrare delle loro Altezze Imperiali nellocale della slitta. Vi fucom'è naturalequalche facciapestaqualche costa indolenzitaallorchè i curiosi preteserotutti di vedere dappresso la viceregina ad assidersi nel calessinodella slittaed a fare i suoi cinque o sei giri in pochi minuti.Possiamo assicurare che la viceregina ebbe un successo di fanatismoanche perchè era una bellissima donnapiù alta di unaPatagonae perchè forse nella rapida discesasquarciando ilventopermise che le candide gonnealzandosi in barocchi svolazzilasciassero vedere un pajo di gambe dense e poderosedi quelle chedi solito non sembrano concesse alle Altezze Imperiali. Non maiartistanè cantantenè ballerino o cavalcatorenemmeno la Malibrannemmeno la Elsslernemmeno Miss Ellafecerogirar la testa al pubblicoaffrontando tutte le difficoltàdell'arte e il pericolo di rompersi il collocome la vicereginasedendo comodissimamente in slitta.
Qualunquestranierodi quelli che non stancano gli occhi sui giornali e nontengon dietro alle politiche altalenese si fosse trovato allora inMilano raggirato nel vortice di quella baraondaavrebbe dovuto direche l'età dell'oro era tornata fra noi; che i sudditi italianiandavano in amore per i sovrani tedeschi; che questi non avevano atemere più nulla; che il barometro della storia assicurava unsereno dei più costanti; che una specie di beatitudineasinesca aveva avvolto nella sua tepida atmosfera tutta la nostrapopolazione. Eppure non era cosìanzi era precisamente ilcontrario. Pochi giorni prima era stata mandata ai parroci unanotificazione da leggere in pubblicoportante obbligo a tutti dinotificarlapene gravi ai delinquentiperdono e impunità aicomplici che li denunziassero.
Numerosetruppe e treni d'artiglieria arrivavano e passavano per Milanodiretti a Pavia a guardare il Ticino ed il Po. Al console di Napoliera stato ingiunto di partire immediatamente da Milanoquasi che lacostituzione imposta al suo reper suo mezzo dovesse diventarcontagiosa qui come la febbre gialla e il vajuolo nero.
Inquanto all'ordine interno e alla sicurezza pubblicale stradesuburbane eran continuamente infestate da bande di assassini; nellacittà quasi quotidiani gli assalti notturnile uccisioni e ifurti. L'allegria cittadina assomigliava dunque alla luce del soleche rischiara indifferentemente tanto il male quanto il bene.
Comequando il corpo umano dev'essere travagliato da qualche malorecriticoche porterà lo scompiglio in tutte le sorgenti dellavitaper ispegnerle o per rinnovarle tutteche il colore vivacedella salute è mantenuto in viso pur dalle stesse accensionidella febbrecosì appariva alla superficie lo spirito dellasocietà di quel tempoin cui diedero fuori i primi sintomi diuna profonda trasformazione in tutte le sfere della vita pubblica eprivatadel pensiero e delle aspirazioni nazionaliin tutti i ramidella scienzain tutti i campi dell'arte.
Inquella stessa gazzarra del Monte Tabor erano ostensibili tutti glielementi vivi della rigenerazione che stava per succedere in tuttol'organismo della società.
GiunioBaroggisalito sur uno dei poggi più elevati dell'osteriadacui si poteva dominare tutta la scena che gli si svolgeva dintorno edi sottoguardando ora a un gruppo ora all'altrostava immobileriflettendo appunto al contrario tra l'apparenza e la realtàdi quello spettacolo.


XVIIII


Madi questo Giunioche è destinato ad essere una specie diChilde Harolded avrà poi l'incarico dicongedare i cari lettori del nostro librone pareche prima dicontinuare ad accompagnarlo ad ogni passosia necessario sapereminutamente com'egli era fatto di fuori e di dentro.
Giàne uscì dalla penna la notizia ch'egli era un bel giovane;bello al punto che l'Accademia di belle arti e l'Ateneo delle donne edelle fanciulle milanesi avrebbero dovuto disputare assaiprima diconchiudere se il primo premio in beltà doveva concedersi alui o al conte Emilio Belgiojoso o al Marliani.
Coloroche propendevano per le proporzioni atleticheavrebbero scelto ilconte Emilio; quelli per cui non v'è bellezza se non ègarantita dai capelli neri e dagli occhi neri stavano pel Marliani;ma quanti propendevano per quella beltà che riceve tutta lasua espressione dal sentimento e dallo spiritonon avrebber tardatoun minuto a dar la palma al nostro Giunio. Concepito nel 1798quandola giovinetta sua madre era tenuta in continuo sussulto da centoansie e paureerasi insinuato nel suo organismo una taleeccentricità chesebbene ei fosse sanissimo e perfettamentecostituitopur gli dava talvolta l'apparenza di un giovanetravagliato da qualche malore. Maper sua fortunacol tramontaredel classicismo carnaleallora era già incominciata la modadelle faccie languenti; la sua poi era di quelle che non son sempreeguali; la mobilità dello spirito e le varie impressionil'alteravano in un momento. I pensieri si vedevano a passare tutti sudi essacome le nubi sul cielo. - Codeste alterazioni eranotali e sì fortiche in certi istanti il suo voltotanto eralo spostamento e la battaglia dei muscolipoteva persino parerbruttoper lo meno disgustoso. Se però una subita gioja loesaltavas'egli animavasi in qualche disputa gentilese trovavasial contatto di una persona carase una musica agitante gli mettevail tumulto nel sanguetosto pareva che gli si togliesse dinanzi comeun velo cupo; tutta la sua fisonomia si esilaravale linee quasisgominate ripigliavan di tratto il loro posto regolare; gli occhimandavano lampi ed esercitavano un tal fascinoche quanti lovedevano e lo ascoltavanosi animavan seco.
Codestaeccitabilitàche alterava sì facilmente il suoaspettoalterava e modificavacom'è naturaleanche lemanifestazioni della sua mente e dell'animo suo.
Talvoltaera chiusotaciturnotristetimidocircospetto; talvolta ilareespansivoloquaceepigrammaticoimperterrito. Talora il suoingegno era riflessivoprecisomisurato come la geometria: piùspesso traboccantedisordinatoconcitatopieno di voli audaci comela poesia lirica. Impressionabile qual era al pari di un barometroriceveva e riteneva tenacemente in sè le impronte di tutte leparvenze anche fuggevolissime del mondo oggettivo. Dotato di unospirito d'osservazione acuto e penetranteun'occhiata dal capo alpiè bastava sovente a rilevargli un uomo; da ciò unastraordinaria facilitàche potea parer precipitazioneaportar giudizio degli altri; da ciò altrettanta facilitàa sentire propensione o avversione per quelli che avvicinava;propensione che si cangiava tosto nella più calda amicizia;avversione che lo portava spesso a non dissimulare le piùviolenti antipatie. Nei lunghi e frequenti viaggi in compagnia delpadre e della madreaveva acquistata esperienza di mondo oltre ildiritto dell'età sua. Datosi agli studj con intensitàquasi febbrilene' due anni che dimorò a Parigi (chèera nell'indole sua il portar tutto all'eccesso nel tempo cheapplicava la mente e il cuore a qualche cosa)s'era cosìarricchito di cognizioniche in una compagnia di letterati e didotti potea giocar buonamente la sua partita con chicchessia.
Latempra però del suo ingegno e del suo sentimento lo inclinavapiù al culto dell'arte che a quello della scienza. La sua eraanima di poetae idolatrava il grato della beltàspettacolo e credeva che i prodotti dell'arteconsolassero l'umanità più direttamente e piùistantaneamente che quelli della scienza. Nella sua mente avevaspinto fino alle più esagerate conseguenze quel detto diFoscolo «che le discipline più utili ai mortali sonquelle che diradano gli affanni e le noje della vita.» La suaeccitabilità stessache lo rendeva sensibilissimo aipatimenti altruie per conseguenza manteneva lui medesimo quasisempre in uno stato di dolore moralelo aveva confermato sempre piùin quell'opinione. «Val piùegli solea direlacorrente elettrica messa in movimento in tutti i teatri dei due mondidalla musica poderosa di Rossiniche quella eccitata dalla pila diVolta.
«Collascienza arida e solal'umanità rimane sempre infelice;soltanto per mezzo dell'arte può avere dei quarti d'orapassabili.»
Riferendoquesti suoi dettinon crediamo di metterci la nostra firma;intendiamo soltanto a mostrare che strana tempra di giovane era ilnostro Giunio.
Essendositrovato più volte in compagnia di Ugo Foscoloquando questial pari di tanti altrisebbene indarnoaveva fatto la corte a donnaPaolinala sua fantasia adolescente era stata scossa e penetratadalla fiera e generosa misantropia di colui. Peròfosse chel'indole sua lo avesse portato spontaneamente a pensare come Foscoloo un po' di vanità giovanile lo avesse spinto ad ostentard'imitarloabborriva romanamente ogni sorta di tirannide; sentivaun'avversione invincibile per l'invadente autoritàfosse purquella che deriva dalla superiorità dell'ingegno. Degliuominiin generaleavea disistima e sgomentosalvo i pochissimiche gli paressero egregi; questi poi amava con entusiasmo e conefficacia operosae credeva con ciò di confortarli edajutarlie di stringersi ad essi quasi in lega di mutua difesacontro all'attentato dell'universalità.
Allorchègli pareva che uno fosse buonissimolo frequentava con intimitàfosse il falegnamefosse il calzolajosegnatamente se mostravad'avere abbondanza d'ingegno naturale: chè l'ingegno spontaneoe il vergine buon senso anteponeva a qualunque dottrina.
Portatoa studiare gli uominicome un medico che si affanna nello studio diuna malattia creduta incurabileli andava a cercare in tutte leclassi della società. Oggi passeggiava sotto al braccio delduca Littadel conte Belgiojosodell'Archinto; domani sedeva nelcortile del Falcone a bere il vin bianco magro col Bichinkommercheprediligeva in modo particolarissimo. Dopo aver passata qualche orain discussioni letterarie al caffè della Palladoveconvenivano parecchi professori del ginnasio e del liceo diSant'Alessandrolo si vedeva al caffè della Cecchina aintrattenersi a lungo con cantanti e ballerini. Rimaneva spesso delleintere giornate nella Biblioteca Ambrosiana a leggerea studiareaconsultare gli Oblati che ne erano i dottori. Un altro giornoammesso a suonare il quartetto in casa Castelbarcosideliziavacolle composizioni di Beethovendi Kromerdi HaendeldiBoccheriniecc. Sosteneva lunghe discussioni estetico musicalicol maestro Solivacon Minoiacon Federicicon Alessandro Rollacon Lichtenthalcoll'energumeno Prividaliagentegiornalista-librettistache dalla cronica bolletta e dal fegatoguasto era mantenuto in continua esacerbazionee nella disputaschizzava veleno e acido solforico. Un altro dìassistendoalle prove del circo equestre ai Giardini pubbliciperchè eragrande conoscente di Alessandro Guerraallora primo cavallerizzodella compagnia di Bach di Viennavi si tratteneva a lungosuggerendo pose eleganti alle belle amazzoni cavalcantieincoraggiando il Guerra al non ancora tentato Non plus ultra.Codesta varietà di studj vivi e di divagazioni gli era impostanon tanto dalla mobilità dell'indole che non gli permetteva difissarsi troppo a lungo in una occupazione esclusivama dalproposito che vagamente gli era sorto in mentedopo aver letta latraduzione squisita del Viaggio sentimentale di Sterne fattadal Foscolodi portare cioè alle più ampie proporzionipossibili quel modo di componimentoe di fare un lavoro letterarioche riflettesse gli infiniti colori dell'umanità.
AVeneziadove noi conoscemmo il Baroggi del 1849abbiam potutovedere l'abbozzo ed alcune parti compiute di quell'opera vasta. Esecondo il parer nostroquel lavoro condotto a compimentoavrebbefatto un gran rumore nel mondo letterario; l'Italia avrebbecertissimamente avuto un uomo illustre di piùse eccezionalisventure e dolori fierissimi non avessero affranto quel generoso edoriginalissimo ingegno.
Intantoche il Baroggi stavacome fu dettoguardando ora una parteorl'altraor l'altra del fracassoso spettacolo del Monte Taborsentìbattersi una spallae contemporaneamente udì la voce diAndrea Suardi. Con questi trovavasi un giovane di aspetto e di modiassai distinti.
-Eccovi il vostro amicogli disse questi. Stando laggiùviabbiam conosciuto. Si veniva in cerca di voi appunto... Siamo giàstati alla vostra casae non avendovi trovatoabbiam detto chesiccome tutto il mondo corre quicosì vi sareste venuto anchevoi. Non è un'ora del resto che il vostro amico ha potutolasciaree speriamo che sarà per semprela sua cella diSanta Margherita. Io mi lodo di aver potuto giovare tanto a voi che aluie mi lodo tanto più che avendovi promessa la miaassistenzaquesta ha portato il miglior frutto possibile.
Edecco un altro personaggiodirà il lettore. Sìunpersonaggioe di che importanza e di che natura fatta apposta peresercitare lo spirito d'indagine di chi studia gli uomini nella vitaviva!


XIX


Ilgiovine che con tanta gentilezza di modi e di parola presentòil Suardi al nostro Giunioera impiegato nell'alta gerarchia dellapolizia di Milano. Benché fosse noto che egli era ammesso allafamigliarità del barone Gehausenallora direttore di queldicasteroe amico intrinseco del Paganiconsigliere di governo evicem gerens del Gehausenpure la sua presenza non soloera tolleratama ricercata nelle conversazioni delle case piùdistinte e nei crocchi degli uomini più intemerati e illustri.Per assai riguardi noi non ne diremo il nomequantunque crediamo cheriuscirà ben facile d'indovinarlo a quei lettori che non sonopiù giovanied hanno chi sa quante volte parlato con lui. Diaspetto simpaticissimo ed attraentedi modi gentili ed insinuantidi ampio ingegno e di eguale colturasegnatamente nelle cose dellagiurisprudenzache era stata prima e diventò poscia la suaprofessioneera uno di quegli uomini che dalla natura tengono unaspecie di sanatoria di poter fare tutto ciò chevoglionosenza incontrare la così pronta e inesorabilecensura pubblica. Chi avesse occupato il suo postoanche senza ilpericolo d'incontrar l'odio altrui (perchè quel posto eranella pianta del dicasteroe qualcuno bisognava pur chel'occupasse)sarebbe stato per lo meno gentilmente sfuggito daquanti non amavano il governo austriacoe guardavano il palazzodella polizia con quell'apprensione indefinibilema molto simileall'istinto onde la lepre scansa il levriere; chiunque poi avesseavute le pratiche cittadine ch'esso aveva e fosse stato come luitanto intimo delle persone ch'erano in uggia al governocertissimamente che non l'avrebbero scelto a sedere tra il baroneGehausen e il consiglier Pagani. Ma egli aveva quel - parlarfacondo lusinghiero e scorto - ond'è caratteristicol'Alete della Gerusalemmesebbene non fosse sorto come Aletetra le brutture della plebechè anzi era nato da una famigliaonestissima e stimatae non fosse perverso e calunniatore come quelpersonaggio del Tasso.
Mail suo parlar facondo e i suoi modi flessuosi e un visodove pareva che la sincerità e il candore avessero posta laloro sede preferitafacevan di specchietto incantatore con tuttielo mettevan tosto nelle grazie di quanti avvicinava. Avendo fattoletture svariateessendo fornito di straordinaria memoriadipercezione prontissima e sagaceparlava d'ogni cosa e in qualunqueramocome se quello fosse l'oggetto appunto della sua professione.Dato il caso cheper modo d'esempioil discorso fosse caduto suicinti elasticiavrebbe dato da pensare anche al Pioronianche alCorbetta. Questa eccezionale qualità gli metteva nelle maniquasi a dire il biglietto d'ingresso per tutte le classiper tuttele professioniper ogni qualità di personesapendoopportunamente toccar le corde che oscillavano più grateall'orecchio di ciascuno. E codesto ei faceva anche senza intentispecialima soltanto per appagare un bisogno spontaneo della suamente e dell'indole sua.
Sene vogliamo una provapossiamo ottenerla subito a proposito delnostro Baroggi.
Dopoavere intrattenuto quest'ultimo colla relazione delle pratichech'egli aveva fatto presso il marchese F...affinchè questisi piegasse a levar la querela mossa contro il Suardi; dopo averglidetto come la prima volta lo aveva trovato inesorabilee la secondainvececon sua gran meravigliaarrendevolissimoal punto che gliparve avesse più volontà il marchese di far mettere inlibertà il Suardiche questi di uscire all'aperto; dopo averdato le più belle speranze al Baroggi relativamenteall'eredità in contestazione pel fatto inatteso che il notajoAgudio aveva scritto una lettera al direttore Gehausene un'altra alpresidente del Tribunale Civileinformandoli come egli avesseconsegnati nelle mani dell'avvocato Gambarana e dell'avvocato Falchidei documenti importanti trovati nell'archivio del defunto dottorMacchidopo aver risposto ad alcune domande del Bichinkommerche inquel punto erasi presentato per congratularsi e stringer la mano alSuardi:
-Ma io scommettereiconcluseche con quell'anima di poeta che avetee coll'amore che portate all'arte e alla gloriavoi cedereste tuttii vostri diritti alla ricchezza che probabilmente vi aspettaperassaporare un giorno solo di compiacenza letteraria simile a quellaonde oggi esulta il nostro Tommaso Grossiche siede laggiùcome potete vederein mezzo a quella schiera numerosa di donne chegli fanno crocchio intornoe lo guardano e lo esaminano e loperlustrano da tutte le parti per vedere se chi ha scrittol'Ildegondae in questi giorni ha saputo far versare tantelagrime alle nostre belle impietositeabbia gli occhio il nasoola bocca diversi da quelli di tutti gli altri. Sono tre dì chela novella è uscitae l'edizione è quasi tuttasmaltita. Ben m'immagino che voi l'avrete letta e straletta.
-L'albero del Conciliatoreosservò il Baroggisebbenevandalicamente troncatocomincia a dare oggi frutti saporiti ematuri; in aprile uscì il Carmagnolain settembrel'Ildegonda. Due battaglie e due vittorie in un anno solononè pocoper Dio; e non so che cosa dirà il Montichevedo laggiù in carrozza in compagnia dell'avvocato Marliani.
-Il Carmagnola non fu che una battaglia indecisa. Ma lavittoria compiuta è dell'Ildegonda.
-Il genio di Napoleone sfolgorò più assai nei capolavorisventurati delle battaglie di Francia che nell'orbatafortunatissima di Marengo.
-Che cosa vorresti dire?
-Ch'io vorrei aver fatto fiasco con Manzonipiuttosto che avertrionfato con Grossi. Mi conforta però che il campo dell'artenon è quello della politica e della guerra. Qui l'esitomomentaneo è tutto; làse non è duraturononpuò deporre nessun germe che fecondi l'avvenire.
-Dunque voi non sieteun ammiratore dell'Ildegonda.
-Immensamente l'ammiroe mi godo che l'esito suo fortunatissimotroncherà tutte le questioni di colpo; ma sostengo altresìche gli elementi legittimi del trionfo completo della rivoluzioneletteraria son deposti soltanto nel coro del Carmagnola.
-Potete aver ragioneed io non m'attento di confutarvi. I paragrafidel codice non mi danno tempo di percorrere da padrone il campovostro; peròsenza poter percorrerlomi basta la vista permisurarloe da tutti i sintomi mi par di vedere che in tutte le cosenostre è incominciata una primavera novella. Guardate làa quel circolo di persone che stanno intorno al Grossi... Lacombinazione ha voluto che in questo momento si trovino riuniti tuttii portabandiera del nostro avvenire; parlo del pensieroe delleartie della civiltà.
-Se mai vi fosse Manzonivi prego a farmelo conoscere
-Il Manzoni non c'è. Ma v'è uno de' suoi piùgrandi amiciGiovanni Torti; e v'è Pietro Borsierigiovanedi altissimo ingegno e checome saprete meglio di mesta attendendoa un gran lavoro letterario... una trilogia intitolata: TorquatoTasso.
-Che non compirà mai. Io ebbi a parlar seco più voltema non mi sembrò di trovare in lui le più legittimequalità dell'ingegno. Ha molta memoriamolta facilitàdi parolauna grande smania di primeggiare nel crocchio e dibrillare contraddicendo a tutto e a tutti. Posso sbagliarema costuinon farà mai nulla di veramente grande in letteratura.L'opuscolo che pubblicò qualche tempo faha spolveroechiacchiera superficiale; ma nulla più. All'età sua(credo bene ch'egli abbia passato i trentacinque anni)bisognerebbeaver già dato fuori qualche frutto maturo. Costui è unodi quelli che han l'arte di metter in movimento la famafacendo pocoo nullae tenendo sospeso il mondo con grandi promesse e colossalifrontispizj. Sapete piuttostoegregio signorechia mio pareresarà per far parlar molto de' fatti proprj?... èGiovanni Berchet.
-Anch'egli ha i suoi trentasei annie secondo la vostra opinionenonavendo ancor fatto nullanon potrà più far nulla inavvenire.
-Badate però a tutto quello che ha scritto nel Conciliatoresotto il pseudonimo di Giovanni Crisostomoe forse sarete perdir meco ch'egli ha già fatto moltissimo; nella sfera almenodella teoriase non in quella dell'esempio pratico. Ermes Visconti elui sono i veri evangelisti della nuova legge che si promulgònel mondo letterario; Manzoni è il Cristo che illuminacoll'esempiolasciando agli altri l'incarico di dettar la legge.
-Per questa parte io credo che il Visconti sia il più grande ditutti.
-Divido perfettamente la vostra opinione; ingegno straordinarioconoscitore di tutte le letteratureacutopenetranteintollerantedalla stessa eccentricità dell'indole portato necessariamenteal novo e all'intentatoegli è forse quegli che primo gridòl'en avant a tutta la nostra gioventù. Ma temoch'ei sia per somigliare a quegli eroi che cadono sotto alle muraprima che sia compiuto l'assalto; o a quegl'infusorj cherimangono estinti nell'atto della fecondazione.
-Vi sono gl'ingegni che additanoe gli ingegni che fanno. I primihanno il meritoi secondi la ricompensa.
-Benissimo detto. Masenza i secondii primi sarebbero inutili. Ache sarebbe valso 1'Orlando del Bojardosenza il Furiosodell'Ariosto; a che la leggenda del Faust senza il drammadi Goethe; a che il crescendo di Generalisenza Rossini che lo hafatto trionfare?
-A proposito di Rossiniguardate che entrò adesso Carlo Porta.
-Mi piace quell'a proposito. Carlo Porta è davvero ilRossini della nostra poesia vernacola. Questi due ingegni siassomigliano così negli ultimi risultati a cui portano l'artelorocome nelle precedenze storiche che li hanno preparati. IlMaggiper l'originalità e la potenza dell'invenzioneèil più grande poeta in vernacolo che mai sia esistito; come inmusica il Marcelloche viveva contemporaneo al Maggiè ilpiù sublimeil più originale e il più lirico.Ma Rossini e Porta sono più trasparentipiù velocipiù lusinghieripiù popolari. L'arteche non èaccessibile alla moltitudinequasi cessa di essere arte e peròrimane solitaria e non compensata. Se alcuno ci udisseforse siriderebbe nel sentirci a mettere in compagnia Maggi e MarcelloPortae Rossini. Ma l'arte è sempre la stessanonostante l'infinitavarietà de' suoi mezzi; e chi si sgomenta dei troppo arditiravvicinamentinon è nato nè all'arte nè allacritica. Ma chi è quel caporale dei granatieri del Bellegardeche ora sta parlando con Grossi?
-È un giovanotto di Bergamoche ha studiato musica sottoSimone Mayr. Eglinon potendo andar d'accordo col padreil qualenon voleva assolutamente che si dedicasse alla musica teatraleuscìdi casa e si fece militare un anno prima della coscrizione. Il Mayrperòche è il più buon tedesco del mondo ed èil padre dei suoi scolarilo ha raccomandato caldamente al generalBubnae questi ha dato ordine che si desse tempo e modo al giovanegranatiere di scrivere pel teatro.
-Ma sarebbe mai quel Donizettiche scrisse già il Falegnamedi Livonia per il San Moisè di Venezia; e chequest'invernofece fanatismo a Mantova colle Nozze in villa?
-È lui appunto.
-Il Falegname di Livonia l'ho sentitoed è una musicapiena di vivacità e d'estro.
-Or chi direbbe che un granatiere sì grande e grosso erubicondopossa essere un maestro melodrammatico? ma la musicadev'essere un'arte che ingrassa come il lichene. Cimarosa era tondoal pari di un pallone; Jomelli aveva parti così colossalicheci volevan due scranne per dargli agio a sedere. Rossini ha unfaccione sì paffuto e lucenteche non si sa capire come abbiapotuto far piangere Desdemona a quel modoe dar tinte cosìterribilmente tragiche a tutto il terzo atto dell'Otello.
-Le battaglie dello spirito possono essere dissimulate anche dalla piùgioconda maschera carnale. Al genio basta anche un momento fuggitivoin cui gli si riveli il doloreo un altro sentimentopercomprendere tutta l'estensione ed applicarlo all'arte. Anzilacondizione essenziale del vero genio artistico è questa. Ilgenio è un'arpa a mille corde. Ciascunaalla sua voltamandail suo suono. La luce dell'umanità si decompone nell'anima suain raggi infinitioper dir meglioi raggi infiniti dell'umanitàvanno tutti a metter capo nell'anima suache li rimanda e liriverbera e li restituisce al mondo sotto le molteplici formedell'arte. È a questo modo che si comprende Shakespeare. Èa questo modo che si dee comprendere Rossini.


XX


IlBaroggi non aveva finito di pronunziare il nome di Rossiniche labanda del reggimento Bakonyper indulgenza al gusto pubblicosimise a suonare la sinfonia della Gazza ladra; diciamo perindulgenzaperchè il maestro direttore di quella bandacresciuto alla scuola esclusivamente germanica e alla frazione diquella scuola stessa che farebbe inscrivere la disciplina dei suonitra i rami della facoltà matematicadetestava Rossinieperchè questoalle prove della Bianca e Falierocollasua celia mordace lo aveva preso di mirae aveva fatto ridere allesue spalle tutto il palco scenico. Allorchè si fu al passo dicarattere della celebre sinfoniadove l'immaginazionela forzal'eleganzala grazia si fondono in quel complesso maravigliosononraggiunto fin qui che da Rossiniemettendo in effervescenza ilsanguepar che comunichi allo spirito insolite attitudini:
-Ecco l'arteesclamò il Baroggialzando gli occhi esorridendo coll'esaltazione dell'ebbrezza; ecco l'artel'arte veral'arte sola; quella checostringendo a commuoversi anche il maestrodella cantoria del Duomoperchè i sensi non hanno scuola nèsistemi e si esaltano a loro beneplacito senza domandare il permessoa nessunoarriva ad agitaresenza che ne abbia neppur la coscienzaanche il facchino di doganaanche il beccajo. Se l'arte non arriva atenere nel proprio dominio gli estremi della scala intellettualedall'alfa fino all'omegaè una cosa bastardache importuna igalantuominie non ha nessuna ragione di essere; un maestro chetedia e disgusta e tormenta gli uditori in nome della dottrina e deldiploma ottenuto dal padre Matteivorrei che fosse contemplato daqualche paragrafo del codice penale.
Cosìparlandosi misero a passeggiare in su e in giù pei vialiinmezzo alla folla ognora crescentetra la quale incontrarono PompeoMarchesi.
-AddioGiunio.
-AddioPompeocome va coll'arte?
-Potrà andar bene col tempoma ora le acque son basse; vengoanch'io al Monte Taborperchè con cinquanta centesimi mi pardi esser ricco.
-Canova è morto; e tutte le arti si rinnovano. È ilmomento questo di tirare alla fortuna che passa veloce. Quel diavoloche ha fatto questa musicaha sfidato il passato che parevainsuperabilee ha vinto. Tutta Milano è sottosopra; e leragazze singhiozzano e si tormentano se han le guancie rubicondeperchè Ildegonda doveva averle pallidissime; Hayez quest'annoha trionfato nelle sale di Breraelasciando l'antichitàhafatto il suo ingresso nel medio evo. Non si parla piùd'Appianimeno di Bossi. Camuccini è un pedante; Benvenuti èconvenzionale. Landi e Serangeli fanno pietà; Palagi siarrabatta nel circo per atterrar l'avversario di Venezia; ma non ciriuscirà; or dunque tocca a te a dar le mosse al terremoto; eva pur làche non sei uomo da perderti nella polvere.
-Non pare nemmeno a me; e Pompeo Marchesicoi capelli dietrol'orecchiocadenti sulle spallecolla testa alta e come fiutantel'aria del proprio avveniretirò innanzi facendo far la ruotaa un modesto bastonedi quelli che si chiamavano pagadebitiperchè anch'essoinsieme col pittore Comerioappartenevaalla Compagnia della Teppa; memori e orgogliosi entrambi dellepericolose fazioni compiute quand'erano studenti a Romadove peraver insultato un cardinalesarebbero stati chiusi in CastelSant'Angelose il console di Francia non li avesse fatti fuggirnottetempo.
Eil Baroggi tirò innanzi passeggiando e chiacchierandoe di lìa poco s'incontrò in due giovani da lui amatissimi: il BazzoniGiunio di Milano e l'abate Giuseppe Pozzone; nato il primo a lasciartraccie luminose nella poesia italianase l'indole austerae unamodestia eccessivae una misantropia selvaggia non gli avesseroimpedito di alzare più audace e più lungo il suo volo;e il secondocarissimo anch'egli alle Musedi gusto piùsquisitoe che se l'abito sacerdotale non gli avesse contristata lavitaavrebbe avuto salute più floridavita più lungae fama poetica più duratura. Con questi il Baroggi continuòparlando di letteratura e discutendo sul merito del poeta Redaelli diCremonamorto giovanissimo due anni primae già celebreallora per alcune anacreontiche leggiadreper delle terzine suidisastri della campagna di Russia; ma specialmente per uncomponimento a tinte lugubriin cui si cominciava ad aprire il varcoalle nordiche influenzealla moda dei singulti disperatie dove siaccennava che il chiaro di lunale ombrele upupe e le strigiimmondedovevano essere i novelli ingredienti dell'estro poetico; diquell'estro però che non è genioma una specie diconvulsione intellettuale e di lusinghiero pervertimento del gusto.
Intantoche il Baroggi e il segretario di governo e gli altri passeggiavanodiscutendodietro di loro venivano il Suardi e il Bichinkommertutt'intesi essi pure a parlar di cosechese non erano tantoideali ed alteavevano però un'importanza più vicinapiù diretta e più necessaria. Il motivoanziper cuiil Baroggi si lasciò andare alle sue volateletterario artistiche senza intrattenersi col suo amico uscitoallor allora di Santa Margheritaera perchè il Bichinkommerlo aveva tratto da parte come per comunicargli cose d'interesseprivato.



XXI


Illettore che sia avvezzo al metodo onde generalmente son fatti i libricome il nostrosi sarà annojato delle digressioni delBaroggíe avrà fatto le meraviglie nel trovarsiinvitato all'osteria del Monte Tabor per sentir poi a parlare diletteratura e d'articome se si fosse a qualche ateneo od accademia;ma gli elementi della vita pubblica e privata sono infinitie noi cisiam proposti di tener dietro alla maggior parte di essi ogniqualvolta ci si presentan spontanei. Nella societài fattipiù disparati succedono simultaneamentee senza che l'unoattraversi all'altro. Intanto che un negoziante rimane atterrito allanotizia di un fallimentoun verseggiatore è capace di essereinfelice perchè non gli vien spontaneo un tronco che glichiuda la strofa.
-Hai fatto malissimodiceva il Bichinkommer al Suardia venir qui incompagnia di questo signor segretario.
-Fu egli stesso che venne a levarmi dalla mia cella; fu lui che mi usòtutte le gentilezze di cui può esser capace il piùcompìto gentiluomo; fu luiinfineche si esibì diaccompagnarmi fino alla casa del Baroggi e fin qui.
-Di costui non ho sentito che parole di elogio dappertutto e da tutti.Ma io non posso capire come il mondo trovi giusto che uno oggipasseggi sotto a braccio del diavolodomani di Sant'Antonio. Non tipar egli cheper riuscir gradito tanto al diavolo che al santobisogna che di necessità inganni qualcuno?
-Generalmente parlandosì; ma costui mi sembra qualche cosa dieccezionale. - D'uomini me ne intendo anch'ioe ti assicuroche io vidi sulla sua faccia i segni più manifesti dellasoddisfazione e della contentezzaquando mi lesse la lettera con cuiil notajo Agudio domandava la mia liberazioneed esponeva il fattod'aver ceduto al marchese F... i documenti trovati nell'archivio deldottor Macchi. Maa proposito di questo Agudiocome spieghi tuch'egli siasi preso tanta cura di mementre io non so nemmen chiegli sia?
-In che modo la lettera venne nelle mani di questo segretariomentrefu indirizzata al direttore di polizia?
-Il direttore lascia far tutto al consiglier Pagani. E questipercerte materielascia far tutto al segretario. Ecco spiegata la cosa.
-Costui ha detto un momento fa ch'erasi recato dal marchese F... perofficiarlo a tuo vantaggio.
-È cosìinfatti; e col mostrare la lettera al marcheseottenne tutto quello che domandò. Il marchese ne fuspaventatoe si recò issofatto dal barone Gehausen a levar laquerela contro di mee a intercedere perchè fossi tostorimesso in libertà.
-Ma che si fece della lettera spedita dal notajo Agudio?
-Io non so più niente.
-Qui c'è sotto un nuovo imbroglio. Son due giorni che lalettera venne recapitata al direttorecontemporaneamente ad un'altrache fu spedita al tribunale civile; maad eccezione della tualiberazionenon vedo gli effetti che quelle lettere dovevanoprodurre. Pur troppo il marchese è onnipotentee...
-Pare che questo segretario voglia avviare un aggiustamento tra ilmarchese e il Baroggi...
-Che aggiustamento! Se i documenti saltan fuori il Baroggi deveottenere tutto il fatto suosenza bisogno di transazioni.
-È vero... e allora posso prepararmi a godere una parte dellospettacolo tutto a mio beneficio...
-Quale?
-Lo spettacolo d'un marchese collarone e gesuita che percombinazione possa aspirare alla berlina. Che cosa vuoi? Io amo ilBaroggie desidero che si volti e rivolti in mezzo a zecchini... maciò che più esalta la mia fantasiae mi mette lasmania in corpo è il progresso dell'umanità...
-E che c'entra adesso il progresso dell'umanità?
-Nel trovare il modo che i titolile aderenzela ricchezzanonbastino più a coprir le magagne degli uomini e a far chiuderela bocca anche alla legge.
-Il desiderio è bello e buono; ma i titoli e la ricchezza avransempre in saccoccia il ventun di tarocco.
Aquesto punto i quattro passeggianti salirono fin sulla rotonda apiattaformadove si entrava nella slitta e da cui si poteva dominarela sua discesa precipitosa. Quella rotonda era quasi sempreaffollata; in quel momento poi era stipatissima di spettatori perchèle Loro Altezze Imperiali trovavansi là. Ci pare di aver dettocomein una delle accademie vocali date a Milanodov'eraintervenuta la vicereginaquesta aveva donato a madamigella Gentiliun grosso smeraldoaccompagnando il dono con parole cortesi ecarezze senza fine. Ora in quel dopopranzo del 24 settembreiconiugi Gentili vollero condurre la loro figliuola a queldivertimento popolare. Come dicemmola notizia dell'intervento delleLoro Altezze aveva fatto accorrere al Monte Tabor quasi tutta Milanoe la madre di Stefaniaa cuidopo il fatto dello smeraldoparevad'essere diventata un po' parente della viceregina e sentiva unsegreto orgoglio di avere una figlia stata onorata di tantadistinzionepregò il docile marito a non lasciar passarequell'occasione. Il conte Alberico B...iche aveva saputo la cosaerasi trovato là colla carrozzae nella sua qualità difuturo sposoquantunque i parentiper certi riguardi portatiall'esagerazionelo tenessero alquanto discosto dalla figliuolaerasi tuttavia accompagnato seco loro. In una parte della rotondav'eran delle sedie privilegiateche si pagavan due lire austriachel'una; e il conte Albericocom'è naturalene pagòtreperchè madamigella potesse sedere tra il papà e lamammae godere agiatamente lo spettacolo.


XXII


Oraavvenneche quando la viceregina tornò colassù perassistere alla corsa che dovevan fare alcune sue dame di compagniagirando l'occhio intornovide madamigella Gentilie ravvisandolale si accostòrinnovando seco le affabili cortesie dellaprima volta. La folla s'era stipata in giro a quel gruppoemadamigella divenne l'oggetto dell'attenzione universale. Essavestiva un bianco abito semplicissimo di mussola d'India conguarnizione ricamata e foratae con una lieve orlatura di rasoceleste; un nastro parimente di raso celeste le cingeva la vitaunavita sottileleggiadracome snodatadi quelle che i francesichiamano à guêpe. La testa della Gentili (noiabbiam visto il suo ritratto miniato dal Romanin) era di quelle chedisarmano anche la critica; aveva capelli neri lievemente crespipettinati come portava la più semplice delle mode d'alloraepress'a poco come li ha la Tersicore o l'Ebe di Canova; bianchissimaavea la pelledi quelle che non hanno color fissoed oraimpallidisconocome il chiaro di lunaora s'invermigliano come ilcarmino; agli occhi neri e vellutatidove di tanto in tanto parevascorresse una lieve scintilla quasi a scuotere un languore abitualeche poteva essere desiderio e poteva essere noncuranzasovrastavanodue sopraccigli neri e folti oltre le leggi della bellezzaaccademicama per ciò stesso produttori di quel fascino chederiva dal contrasto: sopraccigli neri e foltie di quelli che fanfare dei computi indiscreti. Su quel caro viso era soffusa una tintadi bonarietà chenel momento del massimo languorepoteaparer persino melensama che in certi istanti scompariva di trattoe dava luogo a una vivacitàche parea perfin maliziosa.
LaGentiliinsommaera di quelle beltà che non vanno soggette ascrutinioma ottengono la maggioranza assoluta di voti e vengonoprescelte per acclamazione; di quelleinoltrechese lo abbiam giàdettolo ripetiamopiacciono anche alle donne. Alla vicereginapoiche aveva diciannove anni appenaed era bella anch'essae nonpoteva sentire invidiaquella fanciulla aveva fermato l'attenzionein un modo particolarissimoonde le carezze che le aveva prodigate ela prima volta e questa erano affatto naturali e cordialissime. Peròle fece molte domande; tra le altrese pensava ad accasarsi; al chela madre rispose tosto di sìparlando in luogo della figliacome le madri fan sempree additando nel tempo stesso il futurosposo Alberico B...ich'era lì presente. La viceregina diededall'alto al basso una rapida occhiata a coluie a' segni manifestine rimase disgustataquasi sdegnata. Non disse nulla peròquantunque fosse vivacissima e baldaead onta della educazioneprincipescaancora in quell'età che si lascia trasportarealle imprudenze. Mafosse che anch'ella avesse dovutoper obbedireai regi parentisposare un marito chequantunque grandegrosso esanonon erale mai entrato in fantasiae perciò le venisseagevole il sospetto che alla povera fanciulla si facesse forza; fosseche il conte Alberico le riuscisse in ispecial modo antipatico peristintivo presentimentoil fatto sta cheaccostando il labbroall'orecchio della giovinettale domandò s'ell'era contentadi quello sposo.
Laviceregina aveva sempre a' fianchi il marito arciducachestandoalla stregua del volgoera un bell'uomo dal lato della salute e deltrabucco. Grandefloridorobustocon un volto in cui la fisonomiacaratteristica della dinastia lorenese aveva trovato il modo diridurre alla maggior possibile regolarità le sue forme;l'ogivale della sua faccia non era così eccezionalmenteoblungo come quello di Francesco I; il labbro inferiore non era sìgrosso come quello di tutti gli altri arciduchi fratelli; ma questaregolarità era tutta a spese dell'intelletto e dello spirito;egli era un uomo semplice e melenso; piacendogli assai quella suagiovane sposaaltabellarigogliosavivacesi compiaceva a farda testimonio a tutto quello che ella facevaanche allorquandouscisse dalla misura che l'etichetta impone alle Altezze Imperiali.Egli teneva dietro a tutti i passi di leicon quell'apparentebonarietà onde il can braccoquando non è preoccupatodalla cacciasegue obbediente il padrones'adagia tra le sue gambecambia posizione ad ogni suo movimentoe gli tien sempre l'occhio involto con un misto di amorevolezza e d'indolenza. La viceregina nonpoteva adunque aver soggezione alcuna di quel placido ed annuentemaritoe nei pubblici convegni ella si prendeva sempre l'iniziativadi tutto. Quando pertanto s'accostò alla Gentiliil vicerènon fece altro che stare un passo indietro di leie guardareanch'essonon senza un certo piacerequel caro volto di fanciulla;nè trovò da opporsi in nulla quando la viceregina dissea colei:
-Ora vi troverò io chi vi farà da cavaliere in slitta.
Invitatadalla follala folla sempre più cresceva e s'accalcava pervedere che cos'era avvenuto di nuovo. Anche il Baroggi in compagniadel signor segretarioanche il Suardi in compagnia del Bichinkommers'introdussero tra gente e gentee si portarono sulla prima fila delsemicerchio fittissimo di spettatori. Il Baroggianimatodall'artistico colloquio avuto col segretarioconcitato dalla musicarossinianapiù concitato dalla vista inattesa della Gentiliera in uno di quei momenti in cui gli occhi e il volto glifolgoreggiavano di sensazioni vivissime. La vicereginache volendosoddisfare un capriccio quasi infantilema pur generosodi fare undispetto a chi le pareva indegno di metter le mani su quel fiorevaghissimo e fragrantevoleva scegliere il più bel giovaneche per avventura si trovasse là tra gli altrisentìfermarsi lo sguardo dallo sguardo lampeggiante e da certa audaciapiena di onestà ch'era improntata in viso del giovane Baroggiil qualeper soprappiùaveva aspetto assai signorileevestiva con eleganza e all'ultima foggia.
Fissatoadunque il viso del Baroggiche avrebbe assai di buon gradotrascelto anche per sèperchè tra gli occhi delgiovane milanese e quelli del vicerè passava la differenza cheesiste tra un carbonchio e un opalecoll'avventatezza che dàl'inesperienza giovanile e col piglio autorevole che l'alta suaposizione e la maritale condiscendenza le concedeva:
-A voidisse rivolgendosi al giovane; vogliate essere il cavaliere diquesta fanciullae accompagnatela in slitta.
Lastrana propostamessa innanzi colla solennità del comandofece senso a tutti gli astantistupore ai genitori bigotti dellaGentilidispetto al conte Albericoe mise in un grande imbarazzo ilBaroggiil qualeassalito repentinamente in quel punto da quellatimidezza passeggiera che talvolta lo rendeva impacciato e inerteedera così in opposizione col fondo dell'indole sua francacoraggiosa e talvolta persino audacenon seppe nè muoversinè rispondere. In quanto alla giovinetta Stefaniaor guardavaperplessa la vicereginaora interrogava coglii occhi i parentiorafissava il Baroggicon una espressione indefinibile. Solo il crotaloAlberico rimase dimenticato da leidalla vicereginada tuttifuorchè dai parentiche lo guardavano come a dirgli:«Provvedete ora voi ad impedire questo scandalo». Ma ilcrotalo si rannicchiò in se stessocondensando veleno e bavaper il futuroe lasciò fare.


XXIII


IlBichinkommerche stava seduto dietro al Baroggi:
-Su viacoraggiogli disse; mi sembrate un collegiale: lasciateviajutare da questa pollastrona di sangue realeche mentre non sa quelche si fapare incaricata dal destino a strappare la tortorelladagli artigli del nibbio. Avantie disinvolturae siate quel chesiete. È una viceregina che vi fa da mezzana. Il gran Luigi diFrancia non poteva pretendere di più.
Comeaccade quasi sempre degli uomini eccitabiliallorchè vengonosopraffatti da quella timidezza che può chiamarsi fisicachese arrivano a dominarla colla volontàpassano di punto inbianco al suo eccesso opposto; così fu del Baroggiil qualeuscito di tratto dalla sua immobilitàringraziòinchinandosi alla vicereginasi volse alla Gentilile porse lamanole disse molte cose cortesi ed eleganti; eppoiquando ilcalessino della slitta fu apprestatola invitò ad entrarvi.Dopo i disordini avvenutiquando si riaperse il giuoco nel 1820nonvenne più permesso agli uomini di farsi sedere le donne ingrembo lungo il corso della slitta; bensì le donnes'assidevano sole nel calessino e gli uominicome i napoletaniguidatori del curricoloo come i cosacchistavano in piedi didietro. Madamigella Gentili s'assisecome voleva l'usanzae ilBaroggi le si pose a tergoe di tal modo discesero insieme lungo laprecipitosa curva. Egli aveva ventidue anni ed ella diciasette;l'affare era piuttosto serio. Il termometroimmerso nel sangue diquei due giovaniin due secondi sarebbe di certo salito al gradodella massima ebollizione. Al di fuori però non apparivanulla. Eglicolla faccia inclinata sul capo leggiadro dellafanciullainspirava con ineffabile voluttà la fragranza cheusciva dalle sue chiome inanellate. Non si sa da che dipendemal'odore che esala da una giovane chioma femminea puòassassinare un galantuomo più che la punta di un pugnale diDamasco vibrata da un traditore. Il giovine s'inchinò ancoradi più; osò varcar la linea della convenienza; baciòquei capegli; la fanciulla tacquema un brivido sacro la percorsetutta lungo la colonna vertebrale.
Inpochi minuti due o tre giri furono compiuti. Nel discendere dallaslitta: - Fate di svincolarvi da quello scellerato! -disse il Baroggi alla fanciullaaccennando al conte Alberico. -Ahnon s'è più in tempo! - risposeStefaniasenza guardare in volto al Baroggiperchè era giàin presenza dei genitori e del futuro sposo. La vicereginache eragià in pronto per partire col seguitoquando Stefania fu diritornole mise in dito un anello di brillantila baciò infronte e le disse sommessa: - Se qualcuno vi facesse violenzae vi costringessecontro il vostro genioa sposare quell'uomo làfate conto della mia protezione. - Stefania non fece mottolaCorte partì. I signori Gentili e il conte Albericochiudendoin mezzo la fanciullaquasi temessero che qualcuno la trafugasselatempestarono di cento interrogazioni. Sulla faccia del contealterata dal dispetto e dalla gelosiasi poteva leggerecome su diuna tabellal'elenco di tutte le sue perfide qualità.Stefania lo guardò con ribrezzoe quasi contemporaneamenterivolse e posò uno sguardo lento sul gruppo di persone inmezzo alle quali spiccava ancora la bella figura del Baroggi. Nèaltro avvenne per allorama quel complesso di accidentiben lieviin sè stessibastò a gettar le fila d'altri accidentifuturi.


XXIV


Frattantoil sole era tramontatoe cominciava ad imbrunire. Due uominis'accostarono al Bichinkommere lo trassero in disparte:
-Ci sonogli dissero ad una voce.
-Chi?
-La Falchi e l'avvocatoma sono in compagnia di molti altri.
-Son venuti a piedi o in carrozza?
-In carrozza.
-Dei socj chi è con voi?
-Il Milesiche è disposto a fracassarli a stangate. IlPaltumiche non può più dalla smania di pigliare aschiaffi quella sfacciata pu... L'Inverningoil Carulliil Besozzociascuno dei quali val per tre e per quattro.
-Le stangate e gli schiaffi bisogna tenerli in serbo. Altre occasioninon mancheranno; quel che oggi più importa è di averl'avvocatessa tra le mani.
Idue che parlavano col Bichinkommer erano nientemeno che quelvetturale Giosuè Bernacchiche in un momento di esaltazioneencefalicaprovocata in lui dalle messaliniche promesse dellaFalchiaveva tentato di assassinare il maresciallino Viscontiedera stato sì fortunatoche la perizia medicainvolandoloalla forcalo aveva fatto passare al manicomio della Senavra.L'altro era il capomastro Granziniche nella notte successivaall'eccidio del ministro Prina aveva avuto quel misterioso altercocoll'avvocatessa nella medesima sua casa.
Costoroappartenevano alla Compagnia della Teppae in diverse occasioniquando il tema s'era offerto spontaneoparlando col Bichinkommergli manifestarono tutte quelle cose che credettero di non tacererelativamente all'avvocato Falchi e sua moglie. Sopratutto espresseroil desiderio di vendicarsi di lei. Il Bernacchi disse i fatti comestavano; ma il Granzinicapomastrodiventato appaltatore e ricconon disse che quanto gli accomodava. Tanto però bastòperchè il Bichinkommer facesse assegnamento su di loro. Eglisapeva come nel fatto dell'eredità contestatal'avvocatoFalchisebbene patrocinatore del Baroggiaveva avuto mano nel farscomparire dall'archivio del dottor Macchipassato in proprietàdel notajo Agudioi documenti che potevano risolvere definitivamentela questione. Sapeva come l'avvocatessa fosse a parte d'ogni segretodel marito. Aveva dunqueper l'amore che portava alla casa Baroggi eper l'avversione profonda che nutriva naturalmente contro i birbantifortunatipensato più volte alla possibilità di fareuna sorpresa a coleidi averla tra le manidi costringerlacoltimorea confessare e a rivelare quello che in nessun altro modolegale s'era potuto verificare.
Eprima di ciòper preparar meglio la stradaaveva messo gliocchi sul medesimo notajo Agudio. Essendo riuscito a poter vedere etener presso di sè due o tre lettere che quel notajoper glielementi preliminari di un rogito di compra e venditaaveva scrittoal fittabile signor Mario Bosiosuo grande amico; conquell'attitudine straordinaria che aveva ad imitare tutti i carattericalligraficicome il lettore ben sastudiò attentamenteanche la scrittura e la firma del dottor Agudio; scrisse quelle dueletteredi cui più volte abbiamo parlatouna diretta aldirettore di polizia Gehausenl'altra al presidente del tribunale.Peròse il lettore avesse potuto credere che quelle fosserodi mano dello stesso Agudioora può accorgersi d'essersiingannato a partito. Il notajo da qualche tempo giaceva malato in unasua villa presso Varesee il Bichinkommer approfittò anche diquesta occasione per colorir meglio il proprio disegno; del qualdisegno egli non fece parte a nessunonemmeno al Baroggi; fido alvetusto adagio:


Nonlo saprai perchè son solo.


Eisapeva assai bene che quelle lettere a suo tempo sarebbero statedisconfessate dall'Agudio; ma pensava anche che cento inattesecombinazioni potevan sorgere dalla comparsa di esse; che gli aventiinteresse alla perpetrata frodesgomentati dall'apparenteconfessione del notajopotevano essere indotti a fare unaconfessione sostanziale e decisiva; cheinfinela periziacalligrafica avrebbe dovuto penar molto per trovar il modo di darragione al notajoquando questichiamato in giudizioavessesconfessate quelle lettereanche colla formalità delgiuramento.
Nonsi può negare che un tal piano di battaglia era degnodell'astuzia di Annibale e di Napoleonecolla differenzacheaccresce sempre più in loro confronto il merito delBichinkommerche cioè questi lavorava in segreto e allasordinasenza pretesa nè di fama nè di gloriama pelsolo desiderio di fare il vantaggio di un altrosenza chequest'altro potesse nemmen ringraziarlo; per l'intento ancor piùnobile di tentar che la giustiziasvincolata dagli ostacolidalleinsidie e dai trabocchetti dei tristipotesse finalmente avere ilsuo libero corso; e nel pericolosebben lontano e improbabilemache stava pur sempre nella sfera del possibiledi essere condannatoper falsarioseper circostanze fatalil'opera sua avesse maipotuto venire scoperta.
Giustale informazionicheadoperando que' mezzi che erano in sua manoaveva potuto assumerequelle lettere non avevano prodotto tutti glieffetti ch'egli erasene aspettato. Già prima che il Suardiavesse parlatoseppe come il segretario del consigliere Pagani avevafatto una visita al marchese F...; seppe che il marchese erasi recatotanto dal direttore di polizia quanto dal Presidente del Tribunale;da un giovane di studio dell'avvocato Falchi venne a conoscerecheil marchese aveva invitato a pranzo l'avvocato medesimo; dalcavallante del borgo dove il notajo Agudio teneva la villa e giacevaammalatoseppe che presso colui erasi recato un attuaro deltribunale civile; ma che il medicoper la gravezza del malenonaveva permesso che il signor notajo gli desse udienza. Tutti questifatti indicavanoche per quel sasso da lui scagliato nel torbidostagnola belletta era venuta a galla; ma ciò non potevabastareonde credette che per dare una risoluzione pronta a quellamalattia misteriosalunga ed ostinatala Falchi poteva riuscireopportunissima secedendo alla necessitàavesse cantato efatto cantar altri.
Dadue o tre giorni egli e i compagnoni sunnominati stavan sulle pestedei signori Falchi per coglierli alla impensataeprevio un burattopiù o meno incruento all'avvocato maritopigliar lei diforzacome erasi fatto dalla Compagnia della Teppa con tante altremogli e amanti; e tirarla in luogodove l'ingiustizial'illegalitàe l'arbitriodivenuti onnipotentipotessero far le veci dellagiustizia troppo spesso nominale e invalida.
Conquesti pensieria guisa di un generale che ha da comandare unadifficile e importante fazionedisse ai due: aspettatemi fuoridell'osteriaraccoglietevi prima intorno tutti gli altrieconfusinella follanon perdete mai d'occhio la carrozza della Falchi. Èbene cheper oraio non sia visto con voi. In ogni modoqualunquecontrattempo possa nasceresapete che il luogo dove ella dev'esserecondotta è alla Simonettadove quel pazzo di... haorganizzato un'altra strana burlala quale gioverà anche anoiperchèdato mai che la Falchi strillasse elasciata poiin libertàfacesse chiasso presso le autoritàdi cuiconosce tutti gli aditil'apparenza della pazzia e dello scherzo edel disordine senza costrutto e senza scopopotrà dare unaltro colore ad un'impresa fatta sul serio e per un intento serio.Andateche vengo subito.
Quellipartironoe il Bichinkommer s'accostò al Baroggiil qualeparlava ancora col Suardi e col segretario del Pagani. La Gentili erapartita co' proprj genitori nella carrozza del futuro sposo. Questierasi fermatoe simulando il più lieto umore del mondoerasiavvicinato a quel crocchiosotto pretesto di fare le piùsentite congratulazioni allo scarcerato Suardi. Il Baroggivisto ilBichinkommergli disse piano all'orecchio: Stasera non ci vedremo. -Nemmeno io posso vedervi.
-Ho già parlato di te al conte; oggi sarai formalmenteaccettato; domani verrai anche tue farai la nota di tutti quellidella Compagnia della Teppa che sono degni di lasciare le birbonateper le grandi azioni.
-Va bene; e dov'è il luogo del convegno?
-Stasera in casa del calzolaio Ronchetti. Domani in casa del conte. Illuogo si cambia sempre. Addio.
Esi lasciarono.
Quantacarne a bollire! dirà il lettore. Ma non si sgomentichèla legna non manca.


XXV


IlBichinkommercongedatosi dal Baroggidiscese all'ingressodell'osteriaper vedere co' propri occhi dov'erasi fermata lacarrozza dell'avvocato Falchi. Era quella un phaëtonfoggia di cocchio estivo venuto allora dall'Inghilterra. Nonaveva cocchiere a cassettama un jockey in livrea dipostiglione con calzoni di daino bianco teneva i cavalli.
IlBichinkommer disse al Bernacchi vetturale:
-Sarebbe stato assai meglio se fossero venuti a piedi.
-È facile a capirsi.
-Voglio direche bisogna governarsi in mododa rendere questacarrozza inservibile.
-Come si fa?
-Far nascere qualche scompiglio... spaventare i cavalli... qualchecosainsomma; i milionarj non amano di affrontare i pericoli.
-Questo si sa...
-Per combinazioneci sarebbe qui tra gli altri qualche fiacreguidato da qualcuno de' tuoi uomini?
-Più d'uno ce ne sarà.
-Fa dunque in modo che si trovi un fiacre fuori della portasulla strada di circonvallazione che mette a porta Tosa.
-È presto fatto.
-Ora io rientro nell'osteriae mi metto sui passi loro.
-Son là sedutipresso la banda militare... Ella momenti faparlava col general Bubna.
-Per fortuna non mi conosconoe potrò tenerli d'occhio senzametterli in sospetto. Or lascia ch'io dia una occhiata alpostiglione.
Dettociòfece tre o quattro passiattraversò il bastionee si piantò presso la carrozzaambe le mani nelle saccoccie eil cappello bianco plumé in sugli occhi. Pareva unmercante di cavalli che esaminasse le sue bestieper accertarsi sepotevasi fare un negozioma di sott'occhio egli sbirciava ilpostiglione.
-La faccia è abbastanza di mammaluccoei diceva fra sè.Va benone. Questi milionarj di nova data si fan sempre scorgere aqualche indizio: il phaëton è inglesema iljockey è tolto di certo al cavallo dell'erpice. L'abitoè nuovo e ben tagliatoma la schiena tradisce l'abitudinedella vanga. Può darsi che mi sbaglima questo villanzonedeve sgomentarsi per nulla.
Ciòdettoo megliopensatosi ritrasse lentamentee come chi vaalmanaccando tra sèdiede di nuovo un'occhiata d'intelligenzaal Bernacchial Granzini e agli altri; rientrò nell'osteriae si portò sull'ingresso della cucina. Colàsenzaperder mai di vista il pergolato presso la banda militaredovetrovavasi la Falchidisse alto al cuoco:
-Avresti ancora del fegato crudo?
-Aspetti... sì... c'è quest'ultimo pezzo... Vuol forseuna buona frittura?
-Dammelo come sta. Ognuno ha i suoi gusti.
-Ma...
-Te lo pagherò come se fosse fritto e rifritto; sta di buonanimo.
-Si serva; badi a non imbrattarsi.
Eil Bichinkommernascosta la mano che teneva l'involto sotto la faldadella giubbauscì di nuovo.
L'osteriadel Monte Taboralle ore settequando cessò il giuoco dellaslittacominciò a versar fuori gentegente e gentecon quelrigurgito profluente onde la birra in fermentazionetolto ilturacciolosi versa in quella misura che par superare le proporzionidella bottiglia. Il fiacre del vetturale Bernacchi era giàfermo fuori della porta; e un altro fiacre fu mandato adaspettare sul bastione per il caso che d'improvviso si dovessecambiare il piano di battaglia. Presso alla carrozza della Falchiaconveniente distanzastavano quelli fra i compagnoni della Teppach'erano men noti al pubblico. Altri s'eran recati a bere adun'osterietta posta allo sbocco della strada di circonvallazioneeche serviva di succursale al Monte Taborquando questo minacciava dilasciar morire di sete la folla soverchiante. Il Granzini capo mastropasseggiava sul bastione a drittail Bernacchi sul bastione asinistra della porta. Il Bichinkommercol cappello sugli occhiteneva tutto nel dominio del proprio sguardolasciandosi sospingeree respingere dalla follacome uno di quei ceppi del lagoa cui fancapo le retie che vengon di continuo sobbalzati dall'onda. A misurache i signori proprietari delle carrozze uscivan dall'osteriaicocchieriavvisati dal noto fischio delle livree che ricevevanl'ordine dai padronifacevano avanzare i cavalli. In quel momentoadunque l'ordine delle file non poteva essere molto rispettato. Evenne anche la volta del phaëton di casa Falchi. Iljockey venne chiamato. Questi d'un tratto fu al suo posto. IlBichinkommercolto a volo quell'istantes'era recato presso alcavallo che doveva portare il jockeye intanto che questomesso il piè sinistro nella staffacolla gamba dritta giravala sellaper mettervisi a sedereei gl'intromise di volo l'involtodel fegato insanguinatosenza che colui nè altri se neavvedessero. Il jockey fece avanzare i cavalli; il Falchicolla moglie salirono; il phaëton si rimise nella filade' cocchi che procedevano non senza disordine. Ma a un tratto imonelli spettatori gridano: Fermaferma. - Guardaguarda. - È ferito. - Sieteferito; versate sangue da tutte le parti. Il jockeyalla luce crepuscolaresi volgeguardasi spaventasi smarriscegrida ajutoe governa sì male le briglieche i cavallis'impennanosconvolgono le filefanno urlare donne e ragazzechesi mettono in fugamentre altri accorrono. Nel disordinenellaconfusione e nel parapigliaalcunied eran socj della Teppapigliano nelle braccia il jockey quasi svenutofermano icavallifingono di far coraggio ai seduti in carrozza; intanto ilBernacchidietro consiglio improvvisato lì per lì dalBichinkommermonta in sellaguida i cavallili fa uscir di filaeapprofittando dello scompiglio generaleli spinge a gran carrierafuori di Porta Romana.
Senzaperder tempoil Bichinkommer dà ordine al Milesi e a duealtri di salir nel fiacre che stava fermo sul bastionee diuscir tosto per mettersi in coda al phaëtone diconcerto coll'altro fiacrefar nascere un nuovo parapigliasimulare un altercouna rissaun qualche infernoper ottenerl'intento di tagliare in due il matrimonio seduto in cocchiotrasportando la Falchi alla Simonettae lasciando per una notte inpiena e desolata vedovanza il milionario avvocato. Audaces fortunajuvat; le cose camminarono a seconda delle previsioni e deidesiderj. Il fiacre situato sul bastione tenne dietro alphaëton; dopo qualche istanteil fiacreche attendeva sulla strada di Circonvallazioneavvisato in tempodebitosi mise a carrieracome per inseguire le altre due carrozzesotto pretesto d'esser stato attraversato e insultato. Inquest'ultimo erasi gettato il Bichinkommer. Egli vomita ingiuriecontro quelli dell'altro fiacre; questi rispondono diconformitàe versano tutta la colpa sul guidatore delphaëton. Il Bernacchirecitando benissimola propria partesi mette a sagrare come un indemoniato. Tutte e trele carrozze si fermano. Gli uomini nei due fiacres discendonoe fanno le viste di assalire il Bernacchi. La Falchi gridal'avvocato strepitae tutti si volgono a quest'ultimoportandolo diviva forza fuori della carrozza. Il Bernacchiavvertito dalBichinkommerfinge allora di svincolarsi dall'impaccio dei duefiacrese mette i cavalli alla più precipitosacarrieraindarno gridando la Falchi che il marito era rimasto aterra. Il qual maritodopo essere stato urtato e riurtato e anchetambussatofu lasciato solo in mezzo alla strada e all'oscuritàdella notte già caduta; e i compagnoni della Teppa risalironotutti nei fiacres e via di gran galoppo.


XXVI


Tuttiquesti fatti seguirono con tanta rapiditàche coloro i qualidovettero subirli per forzanon ebbero il tempo necessario nèdi fermarlinè di comprenderne lo scoponè diconoscerne gli autori. Tanto il Falchi quanto sua moglie rimaserocosì sbalorditi e confusiche non raffigurarono il Bernacchiquando questi montò in sellae non s'accorsero d'essereportati piuttosto fuori che dentro la città. E dopo ilsimulato altercoa tacere dell'avvocato cherestato solo nellasolitudine e nell'oscurità della Circonvallazionenon mise iniscritto per nostro uso le sue impressionila paura s'era persiffatta guisa impadronita dell'animo di madama Falchiche la suacarrozza svoltò entro il portone di un palazzoprima che sifosse riavuta; sebbene confidasse nelle parole del Bernacchida leinon ravvisatoil qualelungo la precipitosa corsaandòammonendola e persuadendola ch'ei l'avrebbe tratta in salvo. Alrumore della carrozza accorsero i famigli del palazzoche era quellodella Simonetta appuntosituata tra porta Tenaglia e porta Comasinae celeberrima per il suo eco. Parve che quella visita fosseaspettata. La Falchi fu fatta discendere. Giosuè Bernacchiallora le si presentòe dandosi a conoscere: -Ringraziatemile dissese ho saputo trarvi di pericolo.
Dilì a poco giunsero gli altri due fiacres. Ne uscirononove uominifra i quali il Bichinkommer. Tutti fecero cerchiointorno alla Falchi chevedendo il capomastro Granzinisi smarrìsenza che però potesse comprender nulla.
Arendere più ampia la linea del semicerchio discese un uomoalto e di forme robusteaffatto calvoquantunque ancor giovanetinto fortemente di quel color di mattoneche di consueto èil deposito della triplice concorrenza della salutedel sole e delvino. Sebbene in abiti da cacciaaveva aspetto e modi signoriliindarno dissimulati da unapoteva dirsiabitudine di prepotenzaostentata e da uno sguardo particolarissimonel quale un osservatoreesperto poteva vedere a lampeggiare un duplice raggio di sinistragravità e di vivezza comica. Pareva un miscuglio d'innominatoe di don Giovannicol naso pavonazzo di Falstaff e il ghignoprovocatore di don Cesare di Bazan. Colui aveva due soprannomi; da'suoi pari e in città veniva chiamato il barone Bontempo; invilla e dai contadini era denominato El Mazzasesper averucciso sei aggressorimentre viaggiava affatto solo in sediolo. Nonera il padrone della Simonetta; ma la teneva soltanto a pigione e dapoco tempo; e ciò sia detto a scanso d'equivoci.
-Quantunque non abbia il bene di conoscervidisse egli alla Falchinè voi sappiate ch'io mi siaho caro siate venuta a trovarmi.Qui avrete buonissima compagnia d'uomini e donne; donne degne di voiuomini superiori ai vostri desiderjsebbene forse contrarj ad ognivostra aspettazione. Non parlo di quelli che vedete quinoi siamouomini volgari.
LaFalchibenchè fosse compresa di sgomentofissò involto l'interlocutore con una cert'aria di sussiego.
-Voi dite di non conoscermidisse poied io pure non vi conosco.Abbiate dunque la bontà di dirmi per qual ragione adesso io mitrovo in questa casachea quanto mi sembraè casa vostra.
-Parlate voisignor Giosuèdisse il barone al Bernacchi.
-Mi riconoscete voi? chiese allora il vetturale alla Falchi.
-Sìella rispose.
-Per colpa di chi un certo tale ha dovuto passare due anni nelmanicomio della Senavra?
-La colpa dovrebbe essere di quel talese i pazzi fossero colpevoli.
-Se dunque i pazzi non sono colpevolila colpa sarà di chi conarti diaboliche incaricò un pazzo di ferire un uomo. Signoriecco la strega infame che spinse un giovane onesto a vibrare il colpodell'assassino. Il resto lo sapete.
-Avete dunque capitoo signoraesclamò il barone; siete quiper essere giudicata e condannata.
-Mi riconoscete voisignora? le chiese allora ad alta voce il capomastro Granzini.
-Sìvi riconosco.
-Ebbene?
-Non so che vi vogliate dire.
-A poca distanza di qui c'è il cimitero della Mojascia.Fra i mille cadaveri che giaciono colànon ve n'è unoche vi tolga il sonno la nottee vi assedii con paure e con rimorsi?
-Non vi comprendoe non so nulla.
-Si tratta dunque di far sapere a tutti quello che voi dited'ignorare.
-E noi la giudicheremo e la condanneremoesclamò il barone convoce profonda e con gravità ostentata.
-Conoscete voientrò allora a parlare il Bichinkommerconoscete voi il notajo Agudio?
-Non lo conosco.
-Voi lo conoscetee sapete anche in qual modo si comperarono da luidelle carte preziosea danno di una povera famigliae a vantaggiodi un ricco potente.
-Io non so nulla.
-Allora si troverà il modo di farvi confessare la veritàvostro malgrado.
-E noi la giudicheremo e la condanneremoconcluse il baronecaricando la profondità della voce e mettendo fuori le parolecome se fossero una formola tremenda della Santa-Vehme.
Lanotte era profonda; i fanali dei fiacresportati a mano daquattro socj della Tepparischiaravano lugubremente quella scena. LaFalchi pareva la Lucrezia Borgia nel famoso sestetto dell'opera diDonizetti.
Mala varietà del finale del sestetto consistette in ciòche la Falchi venne condotta in una gran sala terrena tuttailluminatadove alcune belle donnemostranti tutt'altro cheallegriasedevano in mezzo a dodici mostruosissimi nani. Ed oranarreremo la storia dei nani.
Unanotte s'impegnò un vivissimo alterco tra alcuni soci dellaTeppa e un nano assai noto nella via dei Pennacchiarisoprannominatoel nan Gasgiottil quale lavorava a far fiori artificiali.Apparteneva esso alla specie superlativa di que' nani cheneldialetto milanesecon vocabolo intraducibilesi chiamano besios:forti di salutetarchiati di spallepresuntuosi e maneschie che diventan feroci se alcuno ha l'audacia di arrischiar qualchecritica sul sistema delle loro gambe. Questo nano era prepotente anconon provocatoe faceva professione di tentar tutte le donne delcircondario con parole e con fattipe' quali avvennero innumerevolirissee si appoggiaron randellate famosee corse anchequalche coltellata. Tra i socj della Teppa che s'incontrarono incostui quella tal nottev'era l'atletico Milesiil qualeamoreggiando una servotta che stava ne' Pennacchiariaveva sentitoda lei che el nan Gasgiott le aveva dette parole non micabelle. Ognuno può immaginarsi che tempesta di cazzotticadde sull'ampia schiena del nanoe come esso non riuscisse asvincolarsi dalle ferree mani del Milesiche lo trasportòseco all'osteria del Falconee quiincontratosi coi baroneBontempoquesti propose al Milesi di portare il famoso nano incampagna e colà sottoporlo ad un regime severoche lopreparasse a diventar più calmo e trattabile per l'avvenire.
Siccomeda pensiero nasce pensierocosì nelle teste di queigiovinotti buontemponiche talvolta spingevan le pazzie finoall'ingiustizia ed alla crudeltànacque la idea diorganizzare un rapimento di tutti i nani più vistosi dellacittà. I Romani fecero il ratto delle Sabine; i pirati greci eturchi rapivano le beltà delle isole greche e dell'Eritreo odella Cascemira per provvedere odalische ai voluttuosi emiri. LaCompagnia della Teppa tese invece i suoi agguati a quanti ebberogambe tortuose e menti da gnomo. Se il fatto fosse continuato permolto tempoi nanidiventati oggetti di lussosarebber saliti aprezzi d'affezione.


XXVII


Comegià fu dettola polizia austriacacosì instancabile evessatrice nel sorprendere e punire le azioni che più o menole paressero dannose al governochiudeva poi un occhiocon iscopodeliberatosu tutti quegli atti che turbavano la pace e la sicurezzacittadina. Non è possibile ammettere che la polizia austriacanon abbia repressa e distrutta in sul primo suo nascere la Compagniadella Teppa per aver trovato degli ostacoli insormontabili. Comevedremoappena lo vollepotè farlo. Ma a lei premeva dideviare la gioventù dalla serietà della vita; e godevache si fiaccasse nella corruzione e nel disordine; e peròpertre anni consecutivipermise che i placidi cittadini fossero espostiad ogni sorta d'insulti e di soperchieriele qualise non toccavanola sfera rigorosamente criminaleoffendevano però il pubblicoe privato costumee più d'una volta furon cagione di maliassai gravi.
Nèai reclami de' cittadini la giustizia provvide mai a soddisfarecompiutamente. A ciò s'aggiungache le ingiurie e lepersecuzioni di cui tante buone persone eran fatte segnoappartenevano a un ordine di cose che insieme colla pietàprovocavano anche il ridicolo.
Quindinella maggior parte un'invincibile ritrosia a mettere in pubblico gliscandali ch'erano avvenuti nelle tenebre; perchè piùd'una volta accadde cheportate ai circondarj le querelei pubblicifunzionarjper quanto fossero onesti e disposti a far giustizianonseppero sempre comprimere gli scoppî di risaallorchègli offensoriquasi tutti giovinotti senza pensieri e senza curepieni di salute e di allegria e di comica giovialitàesponevano le loro storie di fattoa rettifica delle quereleavversarie; onde succedeva chea processo chiusochi aveva avuto ildanno in segretonon avea ottenuta altra soddisfazione che ditrovare anche le beffe in pubblico. Per questa condizione di coseidisordini vennero ad aggravarsi ed a moltiplicarsi sempre più.Quasi tutta la gioventù di Milanoquella eziandio che eraportata alla vita ragionevole e tranquillatrovò opportuno diaggregarsi alla Compagnia della Teppase non foss'altroper essererispettata dai colleghi prepotenti; laonde sempre più venneroa mancare i difensori alle persone oltraggiate. Una tale comoditàimbaldanzì ad affrontar imprese d'un ordine piùpericoloso e più alto; si pensò a maltrattare anchepersone distinte; si concertarono vendette d'ogni generecontrouomini e donne della classe ricca e patrizia; se non cheperfortunala famigerata compagniain questo medesimo eccessovenne atrovare il germe della propria distruzione. E un fatto curioso èda notareche negli ultimi mesi della sua vitaper insinuazione deimiglioritra' quali il Bichinkommeressendosi voluto assegnarequalche scopo utile alle imprese bizzarre e violentie quasi tentardi giustificare col fine l'iniquità dei mezziquesta peravventura fu la causa principalissima che le diede il tracolloperchè avendo essa preso di mira alcuni uomini tristi epotentiincontrò in essi quella reazione valida edistruttrice che non trovò mai nel tribolare il prossimoinnocente e tranquillo. Tra le ultime imprese bizzarre e comichemanel tempo stesso violenti e turpiquella che abbiamo incominciato araccontare fu probabilmente la più efficace ad accelerare ilsuo termine; e fu precisamente allora che si adoperarono i mezzi piùstrani ed iniqui coll'intento di fare la giustizia piùgenerosa.
Ilrapimento del nano fiorajo della via dei Pennacchiari e la suadeportazione alla Simonettasuggerì dunque a quei capi straniil ratto dei nani più noti e più velenosi che possedevaMilano. La caccia durò qualche tempo; le imboscate furonomolte; i nani celebrii quali sapevano che si volevano metter lemani su di lorogiocarono per un pezzo di astuzia onde involarsi etrafugarsi; ma i monelli della città tenevan bordone allacompagniae al pari dei levrieri e dei bracchi che avvisano ilcacciatore della presenza del selvaticosvelavano il nascondigliodei nani inseguitiil come e il quando ne uscivanoecolto ilpuntoeran tutti addossocome sul cignalequandotentato eritentatofinalmente sbuca infuriato dal covo. Allorchè icompagnoni ebbero messo insieme una cacciagione di una dozzina dinanipensarono di non farne altroe di raccoglierli tutti in unluogo solo per dar loro un lauto banchettoe poi rinviarli in pacealle loro dimore. Ma il Bichinkommer fu causa che di quella schieradi gnomi si cavasse un partitoe si venisse in seguito a stabilireil modo onde poter dare una pratica applicazione a quella stramberiache non aveva nessun fine in se stessa.


XXVIII


-Molte volte ho pensato fra medisse un giorno il Bichinkommer albarone Bontempocome si potrebbero punire quelle donne che fanno usodella propria bellezza per tormentare e tener continuamente in sullacorda i giovani inesperti; quelle tra le elegantissime patriziechedopo aver dato un calcio al maritoall'amante italianofannosfacciatamente all'amore coll'ufficialità austriaca; come sipotrebbero punire quellechesebbene agiatepermettono che igiovani vadano in malora per soddisfare alla loro ambizione e ai lorocapriccierovinatili abbandonano poi alle risatealle fischiatedel bel mondo. Come si potrebbetanto per venire a qualche casopraticofar piangere a calde lagrimesiano poi d'ira o dipentimento non importaquella signora C... (e qui nominò unafamosissima beltà perfidadella quale noi dobbiamo tacere ilcognome) che fu vista a ridere in palchetto il dì dopo che ilsuo adoratore erasi abbruciato il cervello per lei; e ballar tuttanotte al veglione con un ulanoil quale sparlava poi animalescamentedi tutte le nostre donnefacendo un sol fascio delle Messaline edelle Lucrezie? E non converrebbe una lezione tremenda a quellacontessina che rubò il fidanzato alla figliuola dell'avvocatoB... e fu causa che si sciogliesse un matrimonioquasi pervenutoalla presenza dell'altarenon per altra ragione che perchèquell'innocente ragazza aveva meritate le lodi del suo cavalierservente? La legge non arriva e non può arrivare sin quimanel tempo stesso è duro che certe colpe speciali non debbanoaver pene speciali e proporzionate. Queste donne io vorrei che sipotessero condannare a un perpetuo disonorema a un disonor fisico ematerialenon ideale; ci vuol altro. Ioper esempiole metterei incompagnia di questi gnomi ributtanti e furibondifarei chiudere leportee buona notte. Non capiscocome nell'Inferno di Dantechesebbene ignoranteho voluto leggere per averne un'ideanonsiasi immaginata una pena consimile per tormentare sino alladisperazione l'orgoglio e la crudeltà di tali scelleratissimecarogne.
Questastrana idea il Bichinkommer la mise fuori così per passatempoe senza credere che si potesse in nessun modo attuare; ma il baroneBontempo:
-È un peccatosoggiunseche un progetto simile non abbia adeffettuarsi. Però bisogna pensarcicaro mio; come si sontrafugate altre donne e ragazzetrafugheremo anche queste; cosìrideremo noi e vendicheremo gli altri.
-La cosa è pericolosa più di quel che sembra. Son tuttesignore altolocatee che hanno aderenze cospicue e potenti.
-Tanto meglio; l'auto da fè sarà cosìpiù segnalato e meritorio.
Equi adesso non istaremo a raccontare minutamente come questo disegnomesso là per bizzarriafu poi maturato seriamente e messo inesecuzione con tutti i mezzi necessarj perchè riuscisse. Leinsidiegli agguatii trabocchettii rapimenti hanno un modo quasisempre uguale di processo e di sviluppoondesenza annojare illettorelasceremo la sua fantasia in piena libertà di far lenostre veciconcludendo solo che quando la Falchi fu tratta allaSimonettaquelle donne di cui parliamo più sopravi eranostate trasferite fin dal giorno prima.
Esseerano tutte della classe più alta e più ricca; sceltetutte fra le più orgogliose e beffarde che avevano abusatodella beltàcome i più tristi dei dodici Cesariavevano abusato del potere. Non parliamo delle tre nominate dalBichinkommere che furono le prime ad esser rapite e trasportatealla Simonetta. Quelle eran già famigerate in Milano per lecolpe che sappiamole altre avevan tutta la capacità adelinqueree se non si erano segnalate per la profonditàdella perfidiaera estesissimo il terreno sul quale l'aveanoesercitata. Una poi era stata amante riamata del barone Bontempo; madopo le più fervide protestedopo il più infuocatoepistolariodopo l'assicurazione di un amore duraturo vita naturalduranteun bel dì il barone si trovò accolto come unestraneolicenziato su due piedisenza nemmeno il beneficio degliotto giorni che suole accordarsi ai servitori; e tutto ciòperchè un principe di Lichtensteinche vestiva la sfarzosauniforme d'usserosembrò più conveniente alle miredella damina.
Ilbarone Bontempoquantunque avesse fermato di non vendicarsialtrimenti di quell'ingiuriariputando essere la vendetta indegnad'un gentiluomonon seppe poi resistere alla tentazione di mettercolei nel novero delle condannatequando il Bichinkommer confantasia ariostesca gl'improvvisò lo strano progetto. E cosìanch'essacome una starna feritafu messa nel carnaio ed inviata alcuoco perchè l'acconciasse in salmì. Allorchè laFalchicondotta a mano dal baronecon apparenza di cortesiacavallerescacomparve sulla soglia della salaquelle donne avevanl'aspetto di altrettante regine Zenobie trascinate dietro al carrodel trionfatore; ed eran cupe ed acide come le Longobarde quandovidero le proprie dimore invase dai Franchi. I dodici naniperun'altra idea bizzarraerano stati travestiti in abiti teatralisomministrati dal vestiarista della Scalae potevan benissimo far laprima figura in qualunque cenacolo di Paolo Veronese.
-Eccovio nobilissime signoredisse allora il baroneun'altracompagna assai degna di voi. Credo bene ch'ella vi sia nota. Fu peraspettar lei che vi ho fatto attendere quarantott'ore in questa casa.Non credo però che vi possiate lamentare. Ora vi annunzio chedomani potrete far ritorno alle vostre casee intanto vi prego adaccettare una cena. Ho anche pensato a non lasciarvi sole; ma siccomenè io nè questi miei amici non siamo abbastanza degnidi voicosìcome vedeteho fatto ricerca dappertutto permettervi in mezzo ad una schiera d'uomini rari e sperati comeova di Pasqua. Ciò che determina l'alto prezzo delle cosepiùche la bontà e la bellezzaè la rarità. Tuttoquello adunque che si è potuto fare per vois'è fattocon amore e con coscienzae mi lusingo che ci sarete grate. Questisignoriche per renderli sempre più degni delle vostresignorie ho fatto vestire in costumi di redi duchidi baronispero sapranno rendersi amabili al vostro gusto squisito; e tanto piùquando si saran diguazzati come anitre nel fumoso liquore spremutoda' miei vignetie quando sentiranno gli effetti di un certoingrediente gentileche è tratto da quell'insetto che inaturalisti iscrissero nell'elenco dei Coleotteriedappartiene alla famiglia degli epispastici. Or vi lascio allegioje che vi ho preparatee la fortuna vi sia propizia.
Quandoil barone ebbe ciò dettoun servo gallonato spalancòuna portada cui trapelava un gran chiarore; vi si fermòedisse ad alta voce: In tavola signori.


XXIX


Ilprecetto di Orazio - Nec pueros coram populo Medeatrucidetci comanda di calar il sipario e d'impedire chel'occhio del pubblico penetri ad assistere all'orrenda cena che icompagnoni della Teppa imbandirono alle colpevoli dame che feceroparlar troppo di sè nell'anno 1820e delle quali non vogliamoche oggidì si sospetti nemmanco il nome. La cena d'Alboino eil cranio di Cunimondo poterono esser narrati e descritti e dipinti;ma la vendetta dei Teppisti non potrebbe trovar grazia pressonessun'artenè posto in alcun libro che non venisse inspiratodalla nefaria musa dell'Aretino. Che se noi l'abbiamo accennata divolo e in ombrafu solo per mostrar come un governo corruttorelasciando libero il freno al disordine ed alla scostumatezza peravvelenare tutte le fonti della virtùsia occasione che anchedegli uomini non perversi e perfino onestitentati dall'invito odalle circostanzepossano di cosa in cosa e di abuso in abusopervenire a tali eccessiche essi medesimi ne debbano poi rimanerpentiti. Il Bichinkommer fu il primo ad accorgersi che si era andatotroppo oltre nell'esecuzione di quel disegnoch'egli avrebbe volutonon aver mai pensato; e fu anche il primoquandoper molti indizjpotè intravedere che la barbara commediain quella notteminacciava di convertirsi in un'atrocissima tragediaa consigliaredi entrare presso le dame e i loro commensali onde impedirconseguenze ancor peggiori.
Perfortuna esso fu ascoltato ed obbedito; le dame furon fatte uscireei nani inferociti si dovettero placare a bastonate; tanto èvero che troppo spesso una serie di violenze non può esseretroncata che da una violenza estrema.
Ilgiorno dopotutte le signorein altrettanti fiacres chefurono fatti venire dal Bernacchivennero rinviate a Milanocontutte le precauzioni necessarie perchè non potessero sapere inche luogo erano state. Madama Falchi fu trattenuta per l'ultima allaSimonettaonde sottoporla alle interrogazioni del Bichinkommer edalle intimazioni del Granzini e del Bernacchie cavarle di boccacome furon fatti sparire i documenti appartenenti all'archivio dellostudio Macchi Agudio. Se non che la Falchidotatacomesappiamod'una natura assai affine a quella delle tigriinvece disubire l'effetto delle umiliazioni e degli insultis'era venutainferocendo pel dolore stesso delle ferite. Così stette fortee chiusa e imperterritae perfino minacciosatanto che fu rimandataanch'essa in città senza nessun'utile conclusione. Icompagnoni tornarono a Milano; il barone Bontempochead eccezionedel Granzini e del Bernacchiera il solo conosciuto dalle damelasciò a buoni conti il Palazzo della Simonettae si recònel Cantone Ticino ad aggiustare i conti col fattore delle terre chepossedeva a Mendrisioe ad informarsi come era andata la vendemmiain quelle parti là. Ma se il palazzo della Simonetta e il suoeco rimasero silenziosiun rumor sordo era già corso pertutta Milano. I padrii maritii fratellii parenti delle damemalcapitatesebbene queste avessero volontà di tacerelecostrinsero a parlaree il poco che palesarono di quel ch'era loroseguitobastò perchè tutte quelle famigliestrepitassero: e rimostrando questi e tanti altri disordini avvenutidi quei giorni per opera della Compagnia della Teppacon un ricorsosottoscritto da molte personeinvocarono dalle autoritàcompetenti un provvedimento che mettesse fine a quel flagello pari epeggiore d'ogni altra peste. È poi facile immaginare ciòche fece l'avvocato Falchisebbene la reduce avvocatessaper timoredelle rivelazioni del Granzini intorno all'assassinio del ministroPrinaraccomandasse il silenzio e la prudenza.
Equesta voltatutta l'astuzia e il talento e il fervore generoso delBichinkommer non valsero che ad accrescere le disgrazie vecchie ed acrearne delle nuovecome già era accaduto al grandeNapoleoneche nelle battaglie di Franciache sono il capolavoro delsuo genionon trovò che disastri e l'ultima rovina.
Ilnotajo Agudiomigliorando di salute e fatto interrogare dal marcheseF... sul fatto delle lettere che aveva scritto al barone Gehausenmandò a dire e a protestare ch'egli non sapeva nullae chequegli scritti presentati in suo nome e colla sua firma non potevanoessere che una falsificazione. Le minaccie fatte dal Bichinkommeralla Falchi e riferite da lei al maritomostrarono che ci dovevaessere un piano prestabilitoin cui più d'una persona potevaaver parte a danno del marchese F... e a vantaggio del Baroggi; e perultima conclusione si venne a sospettare di quest'ultimosiccomedella sola persona interessata in quest'intrigo. Il crotalo Albericoche strisciava sott'erba e tirava a farsi prestare i centomilafranchi dal marchese; e che dopo la scena del Monte Taborvolentieridata l'occasioneavrebbe messo l'arsenico nel bicchieredel Baroggilavorò con perfidissima e vile astuzia contro diluiper rovinarlo in tutti i modi.


XXX


Queldì stesso il Bichinkommer e il Baroggi pranzarono insiemeall'osteria della Stadera. Il secondo non sapeva nulla di quello cheaveva fatto il primoe tutto sprofondato com'era da qualche giornonei pensieri e nelle cure del paesenon conosceva nulla affatto delcosì detto Gazzettino di quel mondo chequando non fanullafa peggio. Ma alla tavola ove pranzavano e a tutti i tavoliniche lor stavano intorno e dappressonon si parlava che del rapimentodei nani e dello scandalo fatto subire ad alcune dame milanesi.Questecom'è naturaleavevan taciuto quello che ai nanipremeva invece di raccontareperchè un certo senso d'orgoglioe l'idea di una specie di trionfo aveva fatto passare il dolore el'avvilimento delle bastonate ricevute. Tenuto conto di tuttoemesso insieme il dare e l'avereall'ultimo essi furono ben contentid'essere stati rapiti; onde fu precisamente per opera loro se loscandalo venne a propalarsi. Il Baroggiche non comprendeva nulla diquei discorsine domandò la spiegazione all'amicoche glieladiede amplissimaconfessando la brutta parte checolle buoneintenzioni del mondoesso aveva avuto in quel fatto.
-Oh mi pento davveroesclamò allora il Baroggidi aver datoascolto al Suardi e d'essere entrato a far parte di questa compagnia;ma come ti dissi già altre volteper ammenda degli altruifalli e dei nostricome si pensa a convertire in medicina anche ivelenibisogna provvedere a convertire in qualche bene anche questomalanno. Molti giovani gli ho già convertitie trovaibuonissimi terreni. Adesso bisognerà pensare a cavar partitoanche dalle schiume più ribelli. Tu ci penserai. Staseraverrai con mee ti presenterò alla società. Ti faròconoscere a suo tempo anche il conteche è quello che sta altimone e governa tutti gli avvenimenti. Abbiamo bisogno di qualcunoche conosca il Piemonte come la Lombardiae sia pronto a viaggiareinnanzi e indietro per tutto quello che può abbisognare. Hogià parlato di tesei già noto ed accettato; per cuistasera non ci sarà che la formalità dellapresentazione. Intanto è bene che sappi quali sono tra noi isegni di riconoscimento. Eccoti spiegato il tutto in poche parole: -Tu vaiper esempioin un luogo ignotoe ti trovi tra personeignotenel tempo stesso che desideri sapere che aria tiri e chediscorsi si possono arrischiare e che reti gettare: ebbene: se tuadocchi uno che ti dia nel genio più degli altrie ti vengain sospetto che per avventura sia un affigliato alla Societàdei Federatinon devi far altro che unire ambe le mani nell'atto disalutarlo; se l'altro non ti comprendeè indizio che bisognaparlar di cose indifferentie troncare ogni discorso pericoloso; mase invece quegli a cui tu guardi si pone la mano destra al fiancocome facendo mostra di mettersela sulla spadaallora è segnoche è un federatoe cheall'occorrenzapuoi far capitale dilui.
-Ma questa società chesiccome ho sentito direè assaidiversa da quella dei Carbonari e dei Frammassoniha peròalpari di quellauna gerarchia?
-La Società dei Federati non ha che due gradi: quello dicapitano e quello di semplice addetto.
-Ma in che differisce il capitano dal semplice federato?
-In ciòche il primo ha il diritto o l'obbligocome tu vuoidi far quattro proseliti. Ioper esempioson capitanoe tu sei ilquarto dei proseliti che ho fatto.
-L'altro dì m'hai detto che la Società si convoca incasa del calzolajo Ronchetti?
-Le adunanze generali si tengono sempre in un sito; le speciali invarj luoghi. La casa del calzolajo Ronchetti è uno di questi.Devi inoltre sapere che questa Società si divide in duecentriquello dei nobili e quello dei plebei.
-Ahimècaro Giuniosi comincia male.
-Comprendo che cosa vuoi diree sono anch'io del tuo sentimento; maho dovuto accorgermi cheper oraquesta distinzione era necessaria.
-Mae perchè?
-Gli uomini che amano la patria sono più frequenti di quelliche odiano i privilegj. Ecco perchèonde attrarre nell'arduaimpresa anche i nobilibisognava far loro toccar con mano checoll'entrare nella nuova Società e col far parte dei lavoriche devono concorrere alla creazione vera e non fittizia della nostrapatriai blasoni rimanevano intatti. Col tempo andranno per ariaanche questi. Un tal tempo però sarà lungolungoassai; press'a poco come uno dei sette giorni o delle sette epochedella creazione. Noii nostri figlii figli dei nostri figliecontinua pure colla litania delle generazionisaremo morti tuttieancora ci saran duchi e marchesi e conti. Bisogna adattarsicaromio; chèse cominciamo a prender ombra dei titoliaddiosperanze; non si fa più nulla.
Continuandosu quest'andareessi finirono di desinarelasciarono l'osteriapasseggiarono per qualche orasi recarono fuori di Porta Orientaleall'osteria dei Tre Merliallora famosissimaa bere un bicchiere diVillacortesepure di quel tempo in gran voga; finalmenteverso leore ottoentrarono nella casa Ronchettiin via della Cerviasituata in quell'angolo vicino alla chiesacheper il consueto altoe basso delle cose umane e divineora somministra le legna a quantifanno bollire pentole in casae si riscaldano al caminetto ed allastufa.


XXXI


Milanonel principio di questo secoloforse per essere stata la capitaledel regno italicoebbe il privilegio di raccogliere in sè iprototipi dell'intelligenza italiana in tutte le sue sfere emanifestazionidall'alfa all'omegadalla testa ai piedi: daVincenzo Monti e Romagnosi e Sabatelli e Appiani e Carlo Portaecc.sino al calzolajo Ronchettiprototipo dell'intelligenza operajadell'onestà plebeadell'espansione popolana. È notocome questinato a Parabiagoper infortunj domestici sia statocostretto a riparare a Milanoe quisotto la scorta di una madretanto bella quanto virtuosaper trovar pane prontoabbia dovutoacconciarsi alla professione di calzolajola quale per sua virtùmeritò quasi di ottenere un posto nell'Istituto enell'Accademia delle Belle Arti; dell'Istituto di Scienzeperchècoll'invenzione delle forme e con appositi congegni consolò leconformazioni viziatele perfide gottei calli inclementi;dell'Accademiaperchèfacendo risaltare tutta la bellezzache può avere la linea di un piede sì maschile comefemminilel'occhio imparò ad innamorarsi di qualche carapersona cominciando dai piediinvece che dalla testa.
Malasciando da parte la calzoleriaciò che rendevadistintissimo il Ronchetti era la svegliatezza del suo ingegnoel'amore quasi febbrile per tutto che v'è di grande tra gliuominile idee e le cose: per codesta qualitàsiccome egliambiva di avvicinare le persone più eminenti del suo tempo;così queste facevano a gara nell'avvicinar luinelcomplimentarlonell'esaltarlo; i poeti gli mandavavano le loroopere; i pittori e gli scultori le produzioni del loro pennello e delloro scalpello; gli alti dignitarj lo onoravano di lettere; cosìche la raccolta degli autografi posseduti dal Ronchetti parrebbequella di Voltairedell'Algarottidi Talleyranddi Nesselrode;tanto è vero che un primatoqualunque sia la sfera delleumane disciplinepuò mettere un individuo al livello e aldisopra di chicchessia. Aveva ragione il ciabattino del GiulioCesare di Shakespearequando esclamòpieno di giustoorgoglio: «Io sono il primo cittadino di Roma; tutta Romapasseggia sull'opera delle mie mani». Matagliando cortolasua umile casetta fu scelta anzi da lui stessotanto amava ilprogresso e il bene del paese fu esibita per conventicolosegnatamente dagli operaj ed industrialie di quanti s'eranoincaricati di fare entrare anche costoro nella santa impresa dirigenerare la patria comune. In quella sera molti eransi làraccolticompresi il padre Ronchetti e il maggiore dei suoi figliancora adolescentema di tale ingegno e di tempra cosìseverache quanti lo conoscevano tra i Federati frequentatori dellacasa Ronchettipermisero che anch'egli assistesse alle conferenze.
Enoi adessocome parrebbe farci invito l'argomentonon cidilungheremo a parlare dei Federatinè della loro origine edei loro intenti. Sul movimento italiano fu parlato con tantaabbondanza e da tanti autoriche non c'è lettoreper quantoscarsamente istruitoche non ne conosca tutte le vicende e le fasiprincipali. Qualche cosa peròche non è senzaimportanzafu omessa nelle opere stampate. La conferenzaperesempioche si tenne quella sera in casa Ronchettie che a noi furiferita oralmente dal Bruni che vi assistettemette in luce qualchefatto sfuggito altrui; ed ecco perchè amiamo accompagnarcicolà insieme col Baroggi.


XXXII


Dopoi preliminari d'ordine e dopo alquanti discorsi vaghi e varjGiunioBazzoniche trovavasi là insieme col Marlianicol preteCamisanache fu poi vice prefetto del ginnasio diSant'Alessandroe con altri giovani ingegni i quali volevano che ilprogresso si facesse forte attraversando le vie delle classi operajecosì prese a parlare:
«Siccomealcuni son d'opinione che a scacciare i Tedeschi è cosafacilee che tutto il difficile sta nel trovare gli uomini che poisappiano governare il paesecosìin più conferenzetenute in casa del conteabbiamo passato in rivista tutti i nostriuomini più distintiefatte le debite valutazionie tenutoconto di ciascuna specialitàsiam venuti redigendo questoelenco della reggenza o governo provvisoriocome lo volete chiamareche dovrà succedere al governo austriacoappena questo saràdecaduto.
«Ministriper gli affari esteri sarebbero dunque il marchese GiorgioTrivulzio e il conte Federico Confalonieri. Per gli affari internil'avvocato Carlo Marocco e il consigliere aulico Paolo DeCapitani. Per la giustizia e la legislazione ilconsigliere Alberti e il Bellani. Per le finanze il Pecoroni.Per la guerra il colonnello Arese e il Locatelligiàcommissario generale nel ministero della guerra. Pel cultomonsignor Sozzivicario della Metropolitana.
«Perla sicurezza pubblica si è pensato al barone Smancinigià prefetto del dipartimento dell'Adige; oppure al Luinigiàdirettore generale di polizia. Segretari degli ordini e dellacorrispondenza sarebbero poi Carlo De CastilliaPietro Borsierioraprotocollista di consiglio all'AppelloTagliabò e Berchet.»
IlBazzoni fece pausae invitò gli astanti a fare le loroosservazioni. Allora sorse il Baroggie disse:
«Nonsi può negare che quest'elenco sia stato redatto con sapienzae con sufficiente cognizione degli uominima mi sembra che siasidata più importanza alla posizione già occupata daidiversi nominatiall'alta loro condizione sociale e alla ricchezzache alla prevalenza dell'ingegnoavuto riguardo segnatamente acoloro che godono già di una gran fama in Europa e in Italia.- Mi fa sensoper esempiocome pel ministero di giustizia elegislazionenessuno abbia pensato a Romagnosiper i consigli el'assidua collaborazione del quale il mediocrissimo Luosi sembròl'ideale del giustiziere; e invece che a luisiansi gettati gliocchi sovra un semplice amministratore d'ospedale. Non comprendoperchè siasi dimenticato il barone Custoditanto amato estimato da Pietro Verrie il quale fu presidente del Magistratocamerale e l'innovatore più coraggiosopiù fecondo epiù utile che abbia avuto la Lombardia in tutto ciò cheriguarda l'erogazione della ricchezza pubblica. Il consiglierePecoroni è un uomo di pratica e non di teoriae se la secondanon va senza l'ajuto della primanegli alti ordinidell'amministrazione finanziaria non è possibile che chi èsprovveduto di apparato scientifico riesca mai a far cose grandi.Così come non comprendo l'omissione del Romagnosi e del baroneCustodinon comprendo la dimenticanza di Melchiorre Gioja.
«Delministero della guerra non parloperchè bisogna star paghi diquello che si ha in casa; non parlo dell'interna amministrazioneperla quale però l'avvocato Marocco e il De Capitani mi sembranopiù che sufficienti. In quanto al cultoperchè farcapo a monsignor Sozzi? Non sarebbe forse più adatto ilprofessor Prina dell'Università di Pavia o il consiglierGiudici? Un'altra ommissione mi fa sensoed è quella delministero importantissimo d'istruzione pubblica. C'è forsemancanza d'uomini per questo? Vincenzo Monti è forse morto?Ermes Visconti non ha forse dato il più vigoroso impulso atutta la nostra gioventù studiosa? Dunque io penso che sidebba provvedere anche ad instituire il Ministero della pubblicaistruzione.
-Di tutte queste osservazioni sarà tenuto contorispose ilBazzonie le svilupperete di nuovo in una delle adunanze generali.Ora vi leggerò l'elenco della guardia nazionale.
«Ilcomandante in capo sarebbe dunque ancora il marchese AnnibaleVisconti; l'Arese il quartier mastro generale; colonnelli sarebberoil cavalier Vacani barone di FortolivoGaleazzo FontanaBianchid'Adda e Litta Pompeo; tenenti colonnellii banchieri SoresiCiani e Ballabio; capi battaglioniil marchese ArconatiD.Benigno BossiEmilio BelgiojosoRenato BorromeoGiorgioPallavicini e Raffaele Bossi; capitani sarebberotra gli altriilvisconte d'AragonaLeopoldo Incisail Prinettifiglio delbanchierei due Negri banchieriil Manziil Zoppisil figliodell'avvocato Maroccoecc.ecc.»
Dopoalquanti commenti fatti dal Bichinkommerperchè avevaappartenuto alla miliziasul carattere e sui meriti degli ufficialisuperiori della guardia nazionalela conferenza politica si sciolsein una conversazione comunee il discorso cadde segnatamente sugliultimi fatti della Compagnia della Teppa.
-Pur troppodisse il Baroggiquesta compagniaalla quale io e moltidi quelli che stanno qui apparteniamoin questi ultimi tempiraggiunse l'estremo della prepotenzadell'arbitrio e della violenza.
«Alpari di molti uomini generosii quali rimediarono alle intemperanzedella gioventù colla virtùcoi nobili propositi e conaltre imprese degli anni maturicosì dovremo fare anche noi.Propongo pertanto si conducano le cose in modo che un massiccionumero di compagnoni si riunisca in uno dei soliti convegnipertentare di dare un nuovo indirizzo alla nostra esistenza. La Societàdei Federati ha bisogno così delle forti intelligenze comedelle braccia robuste e dei cuori imperterriti. Nella nostracompagnia vi ha un gran numero di giovani chebene indirizzatipotranno essere di gran vantaggio alla patria comune. E con questeparolese l'egregio Bazzoni lo vuolepossiamo chiudere l'adunanzadi questa sera.»
Edessa si chiuse di fattoe tutti uscirono e si dispersero.
Ein quella seranell'umile casa dell'ottimo Ronchetticonquell'adunanza si venne a rappresentare la crisi che subiva lasocietà milanese in quel periodo storico. I membri dellaCompagnia della Teppache pure si erano ascritti alla Societàdei Federatirappresentavano in sè medesimi la lotta tra glisforzi di un governo che voleva portare in tutto la corruzioneel'elemento anticoindistruttibileognora risorgente sotto lamedesima pressione della tirannideche si opponeva a questi sforzicon altrettanti e più tremendi; e che a lungo andare dovevanorimaner vittoriosi sul troppo a lungo conteso campo di battaglia.
Senon chei rimedj che il Baroggi allora aveva propostiriuscironointempestivi. Gli ultimi arbitrjprobabilmente il fatto enorme delledame disonorate provocò una tale tempestache il governo e ladirezione della polizia stabilirono finalmente di distruggere quellacompagnia con un colpo improvviso e decisivo. Allora fu manifesto chel'autorità non aveva mai voluto quello che potevaperchèin una giornata sola fece eseguire l'arresto di più chesessanta individuii qualiper mancanza d'altro locale adattofurono in prima tutti chiusi nel convento di San Marcoe in seguitoinviati a Szegedin e a Komorno costretti al servizio militare.Altri molti arresti si compirono dopoa non contare un numerostraordinario di giovanotti cheavvisati in temporipararonoaltrove fuggendo. In quanto al Baroggiuna mattina il suo amico etutore Giocondo Bruni ricevette un letterinonon firmato da alcunonel quale gli si raccomandava di far fuggir lui e i suoi amici.Baroggi conobbeesaminando la letterail carattere del segretariodi governo presso la poliziache aveva agevolata la liberazione delSuardi.
Essopertanto lasciò Milanoe il Bruni venne a saper poi che ilconte Alberico B...i aveva ajutato il marchese F...facendo ciòche il marchese per se stesso non avrebbe mai voluto fare. Qualealtro dei compagnoni della Teppasotto colore di essere indignato ditanti scandali e di sentir l'obbligo di farli cessarein unaconversazione tenuta nel palazzo del governatoreparlando colconsiglier Pagani e simulando di raccomandargli molti giovani suiquali la polizia avrebbe potuto far pesare la propria severitàli venne nominando tuttie calcò principalmente sul Baroggiil solo che gli premeva fosse tolto di mezzoe per odio del qualenon ebbe ribrezzo di commettere quella vile perfidia.

LIBROVENTESIMO


Lacittà di Parigi. - La lingua e l'indole francese. -L'Italia e gli Italiani illustri. - Detto di Ugo Foscolo. -Chateaubriand e gli scolari della Politecnica. - Heine eRossini. - Il Guglielmo Tell. - Serenata aRossini sul boulevard des Variétés. GiunioBaroggi e i suoi amici d'Italia e Franciaal caffè Tortoni. -Parole di Giunio Baroggi sull'arte italiana. - L'avvocatoMontanara e l'eredità F... - La contessa Stefania B...iGentili. - Del divorzio. - I giuristi e i teologi. -Il quarto piano e il cannocchiale. - Il dott. Broussais. -Il biglietto della lotteria di Baden Baden. - Il Viatico.- Il Baroggi e il conte B...i.



I


Lamassima parte della nostra storia si svolse a Milanouna parte aVeneziaun'altra a Romanè ciò per sfuggireall'accusa di non presentare che un interesse municipalemaveramente perchè quanto avvenne a Roma e a Venezia non avvennealtrove; e perchè la necessità del vero e del reale cicomandò di tramutarci ora in un luogoora nell'altro. Ed oraper la medesima ragionecorrendo l'anno 1829dobbiamo recarci aParigi e dimorarvi per qualche tempo.
MilanoVenezia e Romasenza nessun merito nostrobastano a far sìche il presente lavoro assuma un interesse quasi italico. Ed orasedall'onda impetuosa degli avvenimenti ci troviamo trasportati aParigi ciò significa che la fortuna sospettando che non cibastassero i confini italianiha fatto di tutto per metterci incomunicazione con tutt'Europa.


II


Parigiè la capitale del mondo; anche senza essere francesi bisognaconfessarlo. Essain questo primatoè succeduta alla vetustaRoma. Nè vale che Londra abbia un milione d'abitanti piùdi lei; se il numero degli abitanti fosse il sintomo dellasuperiorità d'una capitalei Chinesigià orgogliosid'aver avuto un Adamo di dieci millenarj più vecchio delnostropotrebbero contendere questo vanto così a Londra comea Parigi. - Ma questa è la capitale del mondo per ilfatto della lingua; della sua linguache successe alla latina.Quand'essa diventò l'indispensabile interprete nei bisognidella diplomazianella necessità delle comunicazioni delsapere universaleallora Parigi fu dichiarata erede della fortuna diRoma. - Un dottoun letteratoanche senza l'obbligo dirinnovare il miracolo di Mezzofantipuò conversare con tuttii tesmofori dei due mondii quali in quella perpetua fornace delpensierospogliati della vesta nativalasciano vedere trasparentela sostanza dell'ideache talvolta si migliora colàrendendosi meno scabra e più accessibile. Il longanimealemanno chenelle ricerche ostinate della scienza e dell'arteepiù dell'erudizionemostra tutti i caratteri d'una affannatamonotonianon varcherebbe i patrj confinise l'agile franceseliberandolo delle scorie importunenon ne presentasse al mondo ilcarbonchio lucente.
L'altraragione del suo primato sta nel sapersi espandere compenetrando.
Pariginella schiera delle città illustriassomiglia a quegliingegni fortunati che sanno approfittare delle fatiche altruieriproducono assimilando e completando. - Se la si consideracome un individuonon ha il genio della invenzionema dellaperfezione. Non è il Boiardo che inutilmente per sècrea e trova i personaggi dell'Orlandoma è l'Ariostocheadottandoli e trattandoli come figli proprjli rende immortalie appena permette che il suo antecessore abbia un posto fra i poetidi terz'ordine.
Pariginon è l'ignoto autore della prima leggenda del Faustma èGoetheche trovando un edificio compiutoma chiuso da tutte lepartilo aprelo adornalo illumina e lo rende accessibile atutt'Europa leggente. ­- Non è Galvanima èVolta. - Nell'89 essa non ha fatto che dar consistenza eattitudini pratiche al pensiero rivoluzionarioannunciato giàtre secoli prima da altre nazioni che maltrattarono i loro veggentie dai veggenti che pagarono le divinazioni colla testa. -Rousseau e Voltairepreparatori dell'89non dissero nulla di nuovo;ma il loro eco poderoso perfezionò i rauchi suoni dei loropredecessori e li converse in una vasta e tremenda armonia checomela Marsiglieseconflagrò tutte le mentile qualitrovandosi confederatediventarono invincibili.
Parigiè la capitale del mondoperchè in ogni tempo e perqualunque circostanzasi fece il suo interprete perfino del malees'affrettò a mettere in esecuzione gli sparsi e mal repressidesiderj della società. È la capitale del mondoperchèil suo genio è tale da spingerla a maltrattare anche sèstessaper l'ambizione d'essere la prima a convertire in fulminel'elettricità che ognora serpeggia nel serbatojo terrestre. -Nel 1815 essaal pari di Saturnodivorò il proprio figlioonde placare tutta Europa allora fremente. La borghesia mercante diParigi comprese la classe usuraja di tutto il mondoe sacrificòla gloria all'interesse e alla certezza di un tanto per cento.
Oltrea ciòè la capitale del mondoperchè seppecostituirsi in patria universale di tutti i grandi ingegni.
Parigivenera l'intelligenza da qualunque parte vengacomunque si presenti;già s'intendequando esca dalle mediocri proporzioniequando la sua virtù non stia soltanto nella formama nellasostanza.
Heinescacciato da Berlinopovero ed ammalato ricovera a Parigi; e qui èprovveduto di quattro mila lire all'annomalgrado che nella Luteziaegli sfoghi la sua gratitudine dicendo tutto il male possibile de'parigini. - Un'altra nazione non l'avrebbe tollerato.
Mentreun critico in Sicilia ostentavaor non son molti annidi appenaconoscere Manzoni; mentre il napoletano Emiliani Giudici loinsultava obbliquamente in un libro che ebbe spaccio in Italia; e iltoscano Ranalli lo copriva d'ingiurie; a Parigi Artaud l'aveva giàchiamato il primo de' poeti viventi; Chateaubriand l'aveva dichiaratopiù grande di Scott; Dumas diceva che da Davide a lui nonaveva mai trovato inspirazione lirica più potente della sua.«Apprendeteo Italiania rispettare gl'ingegni»tuonava Foscolo mezzo secolo fae mezzo secolo dopo si èancora condannati a dire che a Parigi trova ricovero e giustizia chiè svillaneggiato o maltrattato in casa propria. - Nègiova che altri c'interrompa mettendo innanzi il pretesto dellecredenzedelle scuoledelle fazioni. - Questo pretestosarebbe una colpa di più; e quando pure non fosseil veromerito copre e scuole e sêtteed una nazione deve rispettaresempre il merito dell'ingegno e della virtùin qualunque fedeei versi. Nelle tre giornate di luglio gli studenti della Politecnicaportarono sulle braccia in trionfo Chateaubriandche pure avevaparlato contro di loro. È a questi patti che una nazione èuna Nazione. - O Italiani rispettate gliingegni! - ripetiamo le parole di Foscolosenza dellequali le nostre andrebbero disperse o fraintese.
Rossiniin dodici anni scrive quaranta spartiti che fanno di lui il piùrivoluzionarioil più immaginosoil più versatileilpiù grande dei maestri melodrammatici d'Italia e d'Europa; mapresto la sua patriavolubile come l'antica Greciaannojata di luie de' suoi trionfilo coglie al varco in un momento di stanchezza ed'indolenzae lo umilia con quel trasporto onde in addietro lo avevaesaltato; poscia ostenta di non comprenderlo nel punto massimo dellasua sterminata abbondanzaallorchè nella Semiramide avevagettate a profusione le ricchezze della sua fantasiacome i principidel medio evo in un giorno di corte bandita; e lo lascia delusoiracondo e ancora povero.
GliItaliani trattano gl'ingegni come gli agricoltori i filugelli:arricchiscono della loro seta e li gettano poiconversi in bruchinel letamajo. - Ma Parigi accoglie Rossiniil quale in quellaBabilonia era andato a cercar nuovi amori per divagare gl'importunipensierial pari di un amante che ha trovato la sua donna infedele;e la capitale del mondo lo vendicalo esaltalo tratta come untrionfatore coronatoerigendo simulacri marmorei a lui vivoeintitolando le pubbliche vie del nome suo.
Parigiè la capitale del mondoperchè nelle cose dellascienza e dell'arte l'entusiasmo sempre sveglio non permette mai disconfessare la verità che sfolgora. A Viennain tanto oceanodi note rossinianeappena si trovò grande la prima metàdella sinfonia del Guglielmo Tell: a Berlinoun'accademia dimaestri algebristi quasi fu per negargli l'onor del ritratto nellaserie dei grandi compositorie stette in procinto di punirlo comeMarin Faliero.
Mavediamo Parigi nel momento appunto che a Rossini si tributano onoripiù che a un mortalee l'Italiaper consensoviene esaltatanel trionfo di lui.



III


Erala mezzanotte del 10 agosto 1829; una folla immensa erasi raccoltasul boulevard des Variétésinnanzi alla casa diRossiniessendo corsa la voce che gli artisti dell'Opéravolevano offrire una serenata al re della musica contemporaneaall'autore del Guglielmo Tell. A mezzanotte infatti cantanti esuonatori occupavano una delle terrazze dell'elegante abitazione diRossinie allora al tumulto popolare della folla impaziente successeil più profondo silenzio. L'orchestra incominciòcoll'eseguire la stretta della sinfonia del Guglielmo Tellcheridomandata a forti gridavenne di nuovo eseguita e di nuovoricoperta d'applausi. Dopo questo pezzo fu cantata la tirolese Unoiseau ne suivrait pasche rapì di piacere la platea acielo apertoe i cantanti dovettero ripetere questa musicatantoavea infuriato la tempesta del bis. In seguito fu cantato ilcoro dei balestrierie quellosenza accompagnamentodel Conte Ory:Noble Châtelaineche le voci sonore di NouritdellaDebadie e di Levasseur fecero giungere fino all'orecchio dei piùlontani spettatori.
Lanotte molleil cielo stellatola musica incantevole eseguita conamore specialel'attenzione religiosa di un intero popolo didilettanti entusiastitutto concorse a rendere straordinaria esolenne quella festa del geniola quale era nel tempo stesso lafesta dell'addio; chè Rossini doveva fra poco lasciar laFrancia.
GiunioBaroggiche dimorava a Parigi da qualche tempotrovavasi compresotra quella follainsieme co' suoi amici di Parigi e d'Italia. Vi eraNodierIngresHalévyMarlianiSuardi. Dopo la serenata sirecarono tutti al caffè Tortoni. - Com'ènaturaleil discorso cadde sull'arte e su Rossini e sull'Italia.Halévy sosteneva che il Guglielmo Tell era ilcapolavoro di Rossinie che se questi non avesse dimorato a lungo inFranciail suo genio sarebbe rimasto incompleto.
Baroggiesaltato dalla serenataversava in uno stato eccezionale divivacitàd'estro e di vena. - Si mise a parlare perrispondere ad Halévy ed agli altri:
-Non è possibileei dissenon dividere in gran parte lavostra opinione - il Guglielmo Tell è un serbatoiod'inesauribile arte e di scienza musicaledove un'intera generazionedi maestri potranno attingere la loro parte di melodia e d'armoniaper acquistar fama e denaro; dove anche un maestro di scarsalevaturain un momento di peritanza e di dubbiopotràpigliarsi quello che farà pel caso suosenza nemmeno parereun copista. Sìio sono felice che codesta specie di Bibbiadell'arte musicale sia uscita dalla testa prodigiosa di Rossini; manon sarò mai per sacrificarle il Mosèdove ilgenio lampeggia di una luce ancora più abbaglianteabbagliante sì che par quasi eccedere la natura umana. Ma trail Guglielmo Tell e le altre opere della scuolagermanico francese e i capolavori della scuola italiana correquella differenza che intercede fra il dramma diffusofatto per laletturae il dramma concentratofatto per la rappresentazione. Maio non posso ammettere che sì debbano far drammi per la solaletturaperchè allora vien più opportuna un'altraforma dell'arte; e per la stessa ragione non posso ammettere che cidebbano essere opere in musica che condannino il pubblico a starconfitto sulle panche cinque o sei ore; perchè la lunghezzanon è una condizione dell'arteperchè nemmeno il geniosa scongiurare la nojae la stessa bellezza genera sazietàquando non sappia scomparire a tempo.
-Voi altri Italianidisse allora Halévy col modo il piùeducatoma con tale accento che rivelava qualche dispetto; voi altriItaliani avete ragione di aggrapparvi unicamente e sempre al giganteRossinicome alla nave ammiragliaperchè egli è ilsolo che anche oggidì rappresenti l'Italia con anticagrandezza.
-Norispose il Baroggicolla prontezza e l'impeto onde Massimosoleva rimettere un pallone traditore. Non posso ammettere chel'Italia non abbia nelle altre arti un genio che faccia degnocorteggio a Rossini. - Intantotra le spire della colonnaVendômeil bassorilievo della battaglia d'Austerlitzscolpitoda Bartoliniè il vanto di quella colonnae la piùgran cosa che in scoltura siasi fatto in Europa dopo la morte diCanovaanche a fronte della grandezza di Thorwaldsen. - Manella poesia e nella letteratura v'è un uomo in Italia che puòbenissimo far degno riscontro a Rossini; ed è Manzoni; e se lafama di quest'ultimo non risuonò così rapidamente evastamente come quella del primobisogna trovarne la ragionenell'indole e nella diversa fortuna delle due arti. - Il primofatto intanto per cui Rossini e Manzoni si fanno riscontro l'unl'altro è il primato che ciascuno occupa in Italia e fuori perconsenso universale e concorde. - Ma lasciando da parte lafama e la gloriache sono le conseguenze e i compensi del meritoanzichè il merito stesso; è nella sostanzaènell'originalitàè nella grandezza che Rossini eManzoni sono veramente i re di due diversi regni. - Un'altravirtù caratteristica poi che hanno in pari grado (ed èil distintivo dei veri genj nell'arteperchè li fa esser varje vasti come il pensiero e la vita)è la potenza diesercitare il riso ed il piantocome se in ciascuno fosse unita lanatura di due uomini diversi. - Gl'ingegni i quali non sannofare altro che ridere o piangerenon sono completisono uomini amezzoperchè della vita non riflettono che un lato solo -Dante piange e ridealla sua foggias'intende; è sublime edè grottesco; accanto alle creazioni più pure ecelestiali pone le più strane figure; Michelangelo nel suoGiudizio sotto al Cristo ha messo in caricatura il diavolo;Ofelia e Falstaff uscirono dall'unica mente di Shakespeare. -Il largo al factotum e il pianto di Desdemona da quelladi Rossini. - Così è il Manzoni; l'elementocomico corre e serpeggia per tutto il suo romanzosbizzarriscepersino tra le lugubri scene del Lazzaretto. È alle spalle didon Abbondio che un'intera generazione ha riso e rideranno i futuri.- Ma se questa figura ci allarga i precordi di giovialitàCristoforo e Federico ci appianano il volto di una severitàcompunta; e nell'Adelchi il dolore raggiunge una grandezzatragicache non si trova nemmanco in Alfierima è quellamedesima altezza tragica cheallorchè vien raggiunta dalgioviale Rossinilo fa superiore allo stesso Gluck appassionato.
«Un'altraqualità caratteristica per cui Rossini e Manzoni nonpossono confondersi cogli altri ingegni che fioriscono in questotemposta in quell'originalità indipendenteper la qualediedero un movimento affatto nuovo all'arte loro; sta in quellapienezza di facoltà per la qualeanche allorquando nonriformarono del tutto un ramo dell'artelo completarono almeno.Monti riprodussenon completònon riformò.
«Inesso vedonsi distinti tutti gli elementi coi quali eran nati moltipoetiprima di lui; ma non ebbe mai la virtù di assimilaretanta varietà di caratteri in una pasta unicada cui potesseuscirese non la novità assolutaalmeno l'apparenza dellanovità. Non così fu di Manzoni; egli fece inletteratura precisamente quello che fece Rossini in musica. Mise acontribuzione tutti quantima lo fece in modo che non apparisse piùtraccia d'essi nel nuovo edificio letterario ch'egli costrusse sulleloro fondamenta e coi loro materiali; egli non invase allaspicciolata i dominj altrui per trasportare in casa propria un'ibridavarietà di maniere e una veste screziata di più colorima trasse gli altri nel proprio dominio e li sottomise alle proprieleggiunificandoli. È precisamente la stessa grandeelaborazione che operò Rossini in musica. - Ecco perchèquesti uomini nella storia del pensiero vanno collocati a paro. Lamusica fu condotta all'ultima maturanza da Rossinicome da Manzonifu condotta all'ultima maturanza la letteratura.»
Gliastanti applaudirono vivamente alle parole del Baroggi. -L'Italia in quel punto veniva glorificata in Francia.


IV


Anotte altissima (erano le tre passate) il Baroggiaccompagnato daMussetda Vignyda Nodierda Armand Carrelda VernetdaDelarocheda Rossettidal milanese Berchetdall'amico AndreaSuarditornò al suo alloggio che era un terzo piano d'unacasetta semplice ed elegante situata nella Cité pressoal ponte Double. Al caffè Tortoni egli aveva comandatal'attenzione e spesso l'ammirazione a quanti lo circondavanocollasua faconda ed inspirata parola. Al pari di un termometro chesecondo le circostanzediscende sino al freddo di Danzica o salefino al calore del Senegalin quella notteesaltato dalla musica diRossinidallo spettacolo dell'entusiasmo frenetico che tutta Parigiaveva mostrato al Maestrone con quella serenata musicaleenonpossiamo tacerloesaltato dal vapore generoso di un bordeaux cheun segretario d'ambasciata aveva potuto avere dalle stesse cantine diCarlo X; le sue facoltà intellettuali avevano raggiunta lamassima effervescenza. La mente del Baroggi assomigliava a que' foglibianchi sui quali è stato scritto con inchiostro simpatico;perchè sul bianco risaltasse il nero e perchè se nepotessero leggere i caratteriera necessario un reagente chimico.Toccato da circostanze specialiil suo ingegnochiuso nel silenzioe nella mestiziaerompeva di tratto come un congegno pirotecnico ched'improvviso mandi un'eruzione di razzi e stelle e colori bengalini.- Accompagnato fino alla porta della sua casafu salutato contrasporto e lasciato coll'amico Suardi quando battevano le tre emezzo all'orologio di Notre Dame.


V


Entratonella propria camerauna voce dalla vicina gli gridò:
-Ben venuto! Pare che manchi poco all'alba; e sì che ho sentitoche a Parigi c'è l'abitudine di rincasarsi per tempo.
-Caro mioè stata una notte eccezionale questa. Ho assistitoal trionfo dell'Italia in Franciae se tuuscendo dal teatrom'avessi accompagnato alla serenata fatta a Rossini e al brindisi delcaffè Tortoninon avresti perduto il tuo tempo.
Edicendo questo entrò col Suardi nella camera di chi avevaaperto il dialogo.
Quegliche stava a letto era l'avvocato Montanara di Milanovenutoespressamente a Parigicome arbitro nelle ultime vertenze dellacausa F... Baroggi.
-Hai gli occhi che mandan raggi e la faccia color di carminodissel'avvocato al Baroggi. In che felice maniera è scomparsa latua pallidezza abituale?
-Attendi un momentorispose Giunioe la pallidezza ritornerà.Questo rosso fuggitivo che mi riscalda le guanceassomiglia ad unamaschera modellata al risoe gettata per passatempo sopra una testada morto. Sento già gli effetti della reazione nervosa. Iltempo di far sei scale e due minuti di silenzio bastarono perritornarmi al tristissimo vero dond'era uscito:


Sentogli avversi numi e le segrete
Cureche al viver mio saran tempesta.


-Io so che tu dici la veritàpovero Giunio; eppure qui inParigi quanti mi han parlato di tecredono che tu sii uomo piuttostostrano che infelicepiuttosto spensierato che cogitabondo.
-Lo crede questo volgo elegante e ricco del caffè Tortonich'io rallegro spesso coll'epigramma che mi è abituale; ma noni pochi che hanno l'attitudine del pensaree coi quali alcuna voltami sprigiono.
-Eppure cagioni reali e visibili d'infelicità tu non ne hai.Sei nel fiore della giovinezzasei avvenentee di quell'avvenenzanon pomposa la quale tanto piace al sesso gentile che tu non odii;sei d'ingegno acutissimo e di facile e simpatica facondia. Per dipiùse in addietro non hai conosciuto la povertàsebbene costretto a viver parcod'ora innanzi ti adagerai nellaricchezza.
-Ventimila lire di rendita!... esclamò il Suardi.
-Dite trentamilaosservò il Montanara. Ma questo Giunio èsempre stato dello stesso umore. Ci siam conosciuti a Pavia; iostudiavo il quarto di leggelui il primo. E fin d'allora vedendolosì tristo e sospettandone la cagione: Quando saròlaureatogli dissie passerò avvocatopenserò io adistrigarti di tutto. E così fu.
-Mae come maidomandava il Suardi all'avvocatoa voi riesce nellavostra professione di ottener cose che per gli altri son dichiaratequasi impossibili?
L'avvocatoMontanara in fatticome sapranno tutti i nostri lettori che lo hannoconosciuto o ne han sentito parlareoltre a una gran dottrinalegalepossedeva un tatto così squisito e acutoche a luiriusciva spesso di dipanar matasse credute inestricabili.
-Un avvocato è come un generalerispondeva il Montanara. Eglinon dee limitarsi a conoscere la propria professione; ei dev'essereversatiledeve conoscer gli uominideve trar partito da tutte lecircostanze anche non legali che gli si presentano. Ad un avvocatonon dee bastare d'esser reputato un gran giureconsulto. - Inquesto caso scriva opere giuridichesi sfoghi nella teoriama nons'impacci della pratica. - Egliprecisamente come ungeneraleinnanzi deve vincere. - Giulio Cesare a Farsagliasapendo che i giovani patrizj che appartenevano alla cavalleriaromana avevano cara la freschezza del visodisse a' proprj veterani:Abbiate cura di rivolger l'arme alla faccia di costoro; e lacavalleria fu tosto sgominataperchè i bellimbusti d'alloraavrebber fatto qualunque sacrificio piuttosto che avere il voltosfregiato. Ora questa regola non la troverete in nessun trattato distrategia e di tattica. - Tornando ora all'avvocato e tornandoa meanche senza la conoscenza del codiceavrei ottenuto quel cheottenni; perchè più di tutto mi valse il conoscer gliuomini e l'arte di saper pigliarli dov'è il loro lato debole.- Nel caso qui del mio Baroggisaputo che il marchese erasipiegato verso la chiesae più ancorasaputo che il suo piùintrinseco amico era più bigottoe diciamolo purepiùgalantuomo di luimi rivolsi ad esso innanzi tuttoschierandogliinnanzi tutta la batteria buona e non buona dei miei argomentilegalie dei tanti indizj che sussistevanoma che tutti insieme noncostituivano una prova. Chiesi inoltre un'udienza privata alpresidente Mazzettiche fin dal 1820 era stato a Milanocredo comeispettore dei tribunali. - Gli parlai in modo che rimaseconvintoperchè l'esistenza del testamentotuttochègiudicato apocrifoe parecchie deposizioni di due scrivani delnotajo Agudiosebbene insufficienti a far prova rigorosamentelegalenon potevano a meno di piantarlo nella persuasionechel'edificio che durava da tanti anninon doveva essere affatto unedificio immaginario. Dichiarai inoltre ch'io era disposto a trattarla causa ab ovoe che infinite cose avrei rivelateche almarchese non sarebbero certo piaciute. Il Mazzettinelle sale delgovernatoreparlò all'amico del marchesee questidopoalcuni giornimandò a chiamarmie sotto colore di cederealla gran bontà dell'animo suomi invitò a far delleproposizioni: siamo a casadissi fra mee cominciai dal chiederemoltissimo. Il marchese s'impennò di nuovo. Io stetti forte eirremovibilee non mi lasciai più vedere. Ma un bel giornoricevo un bigliettino dal conte amico del marchesecol quale miinvita a casa sua. - Ci vado senza farmi aspettar troppo. -Il conte mi dice: il marchese è pronto a pagare settecentomilalire milanesi al signor Giunio Baroggi. Per finirlarispondogiacchè vi spaventa la cifra del milioneaggiustiamola innovecentomila lire. Il conte non disse nè sì nèno per allora; madopo molto tempestaresi concluse che stava egligarante di tuttoe si sarebbe finito l'affare a quel modo. -Ora sai tucaro Suardiperchè ho dovuto venire a Parigi?Perchè dalle lettere di risposta di questo originale di Giunioio non poteva raccogliere nessun costrutto. Mi trovavo d'aver fattoun miracoloe costui quasi lo rifiutava. Però appena giunsi aParigilo costrinsi a farmi la sua buona procurae così saràricco a suo dispetto; non è veroil mio caro originale?
-Se tu ti trovassi continuamenteal pari di medisse il Baroggisotto l'incubo di un affanno al quale non c'è rimedionondiresti cosìcaro avvocato.
-Main conclusionedomandò l'avvocatoche diamine t'èmai capitato che l'animo tuoad eccezione di alcuni istanti digioconditàche dirò artificiale e meglio ancoramorbosaè avvolto in una perpetua tetraggine? Negli ottogiorni che son teconon mi è riuscito di cavarti una parola.Parla dunque una volta. Io ho l'abitudine di vedere e giudicar lecose non colla stregua volgare del mondo incarognito ne' pregiudizjma coi criterj del buon diavolo che è filosofo e nel tempostesso ha viscere. Parla.
-Dunque vi dirò tuttoi miei cari amicima se ne avretetedionon incolpate me.
-Sta pur tranquillo su ciò. Noi non desideriamo che di potertigiovare in misura del poter nostro.


VI


-E allora ascoltate: Io vivo come un uomo cheper necessità dicircostanzedeve attendere di essere percosso da un dìall'altro da una sventura suprema e irreparabile; da una di quellesventure che fanno incanutire in ventiquattr'ore. La mia vita èattaccata alla vita ognora in pericolo di una donna bella e leggiadrafin dove può immaginarsi; virtuosa sino ad essere in assiduaviolenza tra le aspirazioni più legittime del cuore e le leggicrudeli di un dovere arbitrario; infelice in tutta quell'intensitàed estensione che può derivare dalla più sensitivaindole propria e dalla più spietata persecuzione altrui. Ioamo questa donna; ed ellapur senza volerlomi ama; dico senzavolerloperch'ella condanna codesto amore e vorrebbe liberarsenemadeve subirlo come un morbo affannosocome uno spasimo fisicoperchèi preti le spaventarono la coscienza fino a farle credere ch'èvietata ogni spontanea affezionepur se rimanga nella sfera piùalta ed immateriale. I preti hanno fatto il sensale di matrimonionella sua casa. I parenti le han fatto violenza perchèsposasse un uomo che i preti hanno scelto; i preti l'avvolsero in unarete di paure inestricabili. E l'uomo alla cui vita essa fu legatacome quando s'intrecciavan le membra de' condannati nella ruota deltormentatorequest'uomo è un assassino; ma un assassinoprotetto dalla leggetitolato milionario; che ha voluto impadronirsidi questa donna divinamente bellanon per altro che per placare imomentanei ardori del senso lascivoe punirla poi di mortesaziatala fame; press'a poco come quando l'orrida Caterina si facevaaccarezzare dall'improvvido coscrittoper consegnarlo poi al boja.
«Quest'uomoaveva già ammazzate due donne prima di sposarequest'infelicissima. Per il complesso delle sue abitudini perversenel momento d'andar all'altareera l'oggetto dello schifo e delribrezzo generale. Or sai tu per che strano motivo i preti non solopermisero ma vollero questo? il motivo è specioso e acuto. Conun matrimonio provvidenzialepensaronoplacando la torbida naturadi un tal uomopotremo salvare un'anima. - A questepossibilità fu sacrificata l'innocenzacome quando nellagabbia del leone febbricitanteper tentar di placarne leirrequietudinisi mette una gazzellanella presunzione che il leonela risparmii e faccia amicizia seco.»
-Madomandò il Montanaraconosco io le persone di cui parli?
-È facilissimo che tu le conosca. L'assassino è il conteAlberico B...i - La vittima infelice è quella StefaniaGentili che avrete sentito a cantar al teatro Rese siete arrivatiin tempoperchè non vi cantò che due o tre sere solenon avendo i preti permesso che si contaminasse sul palco scenico.
-Ma chi sono questi preti?
-Ho detto i pretima il prete veramente fatale fu uno solo: unmonsignore del Duomo.
-Ma ora dove stanno costoro?
-Il monsignore è a Milanovivo e vegeto e santo; tutt'intentosenza saperloa rovinar famigliea guastar testea spaventarcoscienze. Il conte Alberico è qui in Parigi con sua moglie;se voi spingete l'occhio oltre il ponte esaltando due caselofermate all'angolo della terzapotete vedere dove abita. È alterzo piano di quel palazzo barocco. Col cannocchiale io posso vederela leggiadra figura di quella vittima moribonda. - Egli lacondusse qui; innanzi tutto perchèfuori dell'aria nativaella non può avere il più efficace dei rimedj al maleche l'affligge; in secondo luogo perchèsotto colore diviaggiarenon ha preso con sè nè servinècameriereche la proteggessero e curassero; poi perchènonessendo conosciuto a Parigipuò dar ad intendere tutto quelloche vuolepuò persino calunniare sua moglie ed esserecreduto; infine per non aver testimonj agli assidui maltrattamentiond'egliesacerbando di continuo il malore di leiriuscirà atroncare prestissimo quel tenue filo di vita che ancora le èrimasto. E nemmeno vuol permettere che ella si ponga sotto la cura diun medico valente. - Men danno che io la faccio visitare daldottore Broussais; ma ella è condannata a medicarsi dinascostoperchè il contedopo aver scialacquato due o tremilioniora è diventato avaro fino alla demenzae mette arumore tutta la casa e rovescia tavole e sbatte usci e minacciatuttise gli è posta tra le mani la polizza dello speziale.
-Ma in che relazione sei tu con lui?
-Ora in nessuna; benchè egli sappia che io mi trovo a Parigiefors'anche per qual ragione son qui.
«Peramor di lei io ebbi in addietro la debolezza di farmi intrinseco suosebbene sapessi quant'egli mi fosse avversoe come in piùcircostanze avesse tentato di rovinarmi in tutti i modi possibili. Matrovatomi seco nell'occasione d'un viaggio che insieme colla moglieei fece a Firenzeaccolti come buona moneta i complimenti della suabocca bugiardafinsi di non sapere nulla; e per pietà di leiedirò ancheper l'estrema simpatiachecome sempre ellami aveva ispiratam'ispirava ancoraebbi per molto tempol'abitudine della sua casadove con tutti gli sforzi dell'animoond'io ero capacecomprimeva gli sdegniper tentar colla miapresenza di rendere più ammansata quella bestia feroce.
-E cominciò allora il tuo amore con lei?
-Amore no. Ella mi pareva troppo bella e troppo preziosa per me. Nonera che amicizia e pietà. Bensì il mondoconsiderandole apparenzecredette altrimentima s'ingannò... e se voinon mi credeste oraascoltatee ne avrete le prove. LasciataFirenze per certi miei affarie passato a Napoliqui la mia avversafortuna mi diede a conoscere una giovinetta; infelicissima quando iola conobbiperchè ciò avvenne nel punto che ilfidanzato l'aveva abbandonata. È il mio destino di noninteressarmi che agli infelici. Questa fanciulladopo qualche tempomi fece capire cheper trovar paceella riponeva ogni sua speranzain me. Bellissima qual'era e d'indole straordinaria e di cuoreardentissimomi mise addosso un sì terribile incendiocheallora per la prima volta compresi l'antica sapienzala qualeinventò la formola della camicia di Nesso che arse ed esulceròle membra del fortissimo Ercole. Tutto l'entusiasmo che puòsuscitare l'amorelo provai a quel tempo. Credetti di averefinalmente raggiunto un lato della possibile felicità.
«Mafu per poco; e quella felicitàcotanto acutasembra che lanemica fortuna abbia voluto farmela assaggiare compiutamenteperchèmi dovessero poi riuscire più terribili le amarezze deldisinganno. Assentatomi da Napoli per poco tempoquando ci tornaitutto era cangiato. Quella fanciulla erasi lasciata cogliere dalleinsidie di un altroche pure l'abbandonò prestissimo; e fu sìprocelloso il travolgimentoche quando ella mi rivide ne fuatterritae non ebbe nemmeno le forze di dissimulare un istante. Iomi trovai così posposto ad uno scalzacane mentitoreche a leisi era annunziato addirittura come sposoe ai parenti di lei comemilionariosenza voler far l'una cosa ned esser l'altra. Chiusidentro di me tutto il mio tormentoe mi affrettai per le posteondeparteciparlo a colei chesentendo per me la santitàdell'amiciziasola mi poteva consolare. Quell'angelo di donna miconfortòe mi disse ch'ella non mi avrebbe di certo trattatocosì; e me lo disse in modo da farmi comprendere ciòche mai non avrei sospettato. Ti ripeto che io non sapeva credere chequella donna potesse degnarsi di amar me.
«Lacosa si rinfuocò sempre piùsebbene ella nonesprimesse chiaramentenè io parlassi. Passò qualcheanno. Io frequentava la casa. Il conte perdurava nelle sue assiduevessazionied io gli venni in odionon per altro motivo che perchèvedeva in me un naturale protettore di sua moglie; chè di me edi lei non potevaper altre ragionilamentarsi in nessun modo. Undì si venne a un sì fiero altercoche non mi fu piùpermesso di vegliar da vicino quella cara ed infelicissima donna. Ilconte abbandonò Firenzelicenziò tutti i servi; seppidappoi da un amico che egli pretese che ella viaggiasse affatto solacon lui a Parigiper fermar in questa città la loro dimora.Ed ecco perchè son qui. Ed ora voglio tu mi dia il tuo parerein una grave questionetu che sei fortissimo in giurisprudenza.»


VII


«Ilpensare continuamenteproseguiva il Baroggialla condizione orrendadi quella infelicissima donnami popolò la mente di tanteideeper le quali io mi attenderei di scrivere un libro cosìlogicocosì facondocosì rovente d'ira generosa etenero di pietàda costringere tutti quanti a riconoscere lanecessità del divorzio. - Se ci fosse il divorzioquella donna sarebbe salva; e chi sa quante e quante migliaja didonne vanno consumandosi nel perpetuo tormento di questa vera Gehennadel matrimonio indissolubiledove l'uomo è iltiranno protetto dalla leggee la donna è la schiava inlagrimea cui la legge non si degnò mai di volgere unosguardo affettuoso. - Ah pur troppoe già altri lodissedopo tante migliaja di volumi compilati dai giuristimancaperfino la definizione esatta dei diritti e dei doveri degli uomini;restano ancora da determinare l'origine e i limiti della patriapodestà; e l'autorità coniugale vacilla in mezzo alleeterne dissensioni dei legistii qualiper consuetotrattando lepiù gravi quistioni dell'umanitàstudiandolanell'interminabile apparato d'una fossile dottrinae non nella vitae non nella verità checercandola con amoresi presentacontinuamente agli occhi nostri.
«Chene pensi or tu?»
-Io concordo perfettamente nella tua opinione; ma le persone dicarattere severo e d'imaginazione paurosa si schierarono tutte adifesa del matrimonio indissolubile. - Esse credettero chegettato il divorzio in mezzo alla societàdovessero tostosciogliersi tutte le famiglie e brulicar le piazze di vedove afflittee di figli abbandonati; il timore tenne luogo di ragionee furiguardato come la miglior risposta alle objezioni degli avversarj. Ivecchiin cui tutte le abitudini sono catene infrangibili e cheguardano con invidia i piaceri che non possono più gustaresenza rammentarsi che spesso la sola stanchezza della vaga venere licondusse al talamo nuziale; i vecchi tacciarono il divorzio di novitàscandalosae credettero che questa taccia bastasse per proscriverlo.I teologisenza pensare che altro è lo statoaltro laragionepretesero che le loro idee fossero norma a tutto l'universo.
-Mapiù che coi giuristi (disse il Baroggi)io l'ho coiteologii quali audacemente si misero a trattare quest'arduo edelicato argomento senza conoscerne la materia. Solitarjsenzafamigliasenza affettiessi non seppero e non poterono contare lasomma de' tormenti che portava seco il matrimonio indissolubile.
«Nonè l'ordine domestico che predicano i teologima l'assolutatirannia. Non s'accorsero chein quel modo che l'esservi il padronein casanon porta la conseguenza che i servi debbano star sempresotto il suo dominio quando egli viola i diritti della servitùcosì la donnala moglieche è qualche cosa piùdi un domesticodovrebbe per lo meno essere costituita nei dirittidi un servo volgare.
«Ilcontratto matrimoniale racchiude un impegno di protezione ed'obbedienza. Se il marito cessa di proteggere la mogliequestadovrebbe essere dispensata dall'obbedire. Se la protezione si cangiain tirannianon si dee condannar la donna ad essere perpetuamente lavittima.
«Lacoscienza respinge tra ira e pietà quella legge che riduceallo stato passivo di schiavitù quel sessoa cuiattesa ladebolezza e i bisogniè necessaria la protezione dellagiustizia più che all'uomopiù forte e naturalmentesoverchiatore. I teologi parlano delle donne come un sultano in mezzoal serraglio.
«Magiacchè parliamo di teologiche sono gli avversarj piùostinati del divorzioio voglio per un momento mettermi nei loropannie far da teologo. Peròal pari di un uomo in curad'animecome un sacerdote pio e castoche cosa mi dovrebbe premeredi piùse non che le leggi divine e umane siano tali darendere meno ovvio il sentiero de' peccati? Avendo perciò inorrore l'adulterioio devo dunque suggerire una leggechespontaneamente gli tolga le occasioni più tentatrici. Eappunto col divorzio ottengono questo. I teologiajutati daigiureconsulti teoristi e senza viscerehanno creduto di accordarmolto proponendo e sancendo la semplice separazione a mensa etthoro. E nella loro cecità non si sono accorti che hannoaperto con questo mezzo un varco sterminato all'adulterio. Ingenerale i teologiatrofizzati dall'ascetismoperchè voglioconcedere che non sieno impostori; e i legulejsotto l'inspirazionedi una coscienza senilehanno meditato sugli interessi piùgravi dell'umanità senza tener mai conto del fatto capitaleche l'uomo innanzi tutto è fatto di carne e d'ossa; cheperuna legge naturalenecessariairrevocabileha delle tendenze chenon dipendono dalla sua volontàma dall'economia fisiologicadel corpo umano...»
-Tanto è ciò veroosservò l'avvocatoche questiavversarj del divorzio ebbero la franchezza di dir seriamentecheogni donna separata dal suo sposo dovrebbe ritirarsi in una societàreligiosache è la sola alla quale possa ancora appartenere.Essi dissero che questo asilo aperto al pentimentoalla debolezzaalla infelicitàle offrirebbe nell'unione più intimacolla divinità la sola consolazione che debba ricercare e chedebba gustare una donna virtuosa che si è disgiunta da unmarito ingiusto; così si farebbe sparire dalla societàlo scandalo di un essere che è fuori del suo posto naturaled'una sposa che non è più sotto la dipendenza del suosposod'una madre che non ha più autorità sopra ipropri figli.
-Ma sai tu che cosa fu già risposto a questi sragionatori diprofessione? fu risposto che essi sentenziano colla logica di quelchirurgoil quale facendo un'operazione sopra una mano fratturatadopo aver tagliato quattro ditatagliò in seguito anche ilquinto affatto illesoadducendo per ragione che quel ditorimanendosolopotea sembrar ridicolo. Macontinuando il nostro discorsosela filosofia razionale aprì le porte dei monasteri allevittime della superstizionee ricusò di sancire dei votieterni chedettati da un momentaneo entusiasmosono quasi sempreseguiti da un lungo pentimento; perchè ciò non deesuccedere anche per lo stato conjugale? La debolezzal'errorelepassioni inseparabili dell'uomo sembrano annunziare che un contrattoconjugaleche tiene il marito congiunto indissolubilmente allamoglie per tutta la vitain tutte le vicende variabilissime dellafortunaè imprudentee crudeleè assurdo.
«Nèla semplice separazione distrugge tanto male. Essa vieta ad una donnaonoratadisgiunta da un marito brutalei sentimenti d'un nuovomatrimonioche soli possono consolarla; per essa ciascuno deglisposi isolatoin preda alla nojaal doloreal vuoto dell'animorespinto da una nuova legittima unionecostretto a fuggir sèstessoa cercar distrazionisi trova insensibilmente trascinato inmezzo alla dissipazione ed alla dissolutezzagiacchè sussistein esso ed agisce con tutta forza ciò che Tacito chiamairritamenta malorum
-Mi ricordo d'aver letto in un librodove tra l'altre cose sisvolgeva tale questionequeste parole che tenni a memoriadove c'èil rigore scientifico e la filosofia del sentimento: «Se lalegislazione si propone il problema: dato un desiderio costante negliuominifare in modo che venga soddisfatto con pubblico vantaggiosenza pubblico pregiudizioo col minor pregiudizio possibileildivorzio viene appunto a soddisfare i desiderj più costantidel cuore umanonon solo senza pubblico pregiudizioma in modovantaggioso alla società; mentre la semplice separazionetormentando questi desiderjnel soffocarli li costringe a sfogarsiin un modo scandaloso e nocivo.»
-E ad onta di tale evidenzarimane ancora nel mondo questa piagatremenda della società; nè valsero i consigli dellastoriache ha sempre dato ragione ai propugnatori del divorzio.Percorrendo in questi giornialla biblioteca realeun libro cheparlava della giurisprudenza romanalessicheavendo l'imperatoreGiustino ristabilita la legge che autorizzava il divorzio di buonagraziadopo aver protestato che operava contro il propriovolereche riconosceva giusta l'abrogazione fattane da Giustinianoconchiudeva d'esser stato costretto a ripristinarlaper i mali cheimmediatamente erano avvenuti dopo l'abrogazione.
«L'esperienzalo aveva persuaso che quando i conjugi avevan concepito vero odiol'uno contro l'altroera impossibile riconciliarlie che un talodio cagionava una guerra domesticacrudele e perpetua.»
-In coda al divorzio viene poi la tremenda questione del celibato. Ègrande il numero dei celibiperchè sono spaventatidall'indissolubilità del nodo conjugalee perchèingeneralesia che si parli di matrimonjdi servigidi condizioniodi paesila proibizione d'uscire equivale alla proibizioned'entrare.
-E ciò è tanto veroche voglio raccontarvi un fattolievissimo in sèma che viene a provar moltoe si puòriferire a un infinito ordine di cose. Nell'occasione di una vittorianapoleonicaa Fontainebleau si doveva dare uno spettacolo di fuochid'artificio. La quantità della popolazione accorsa fu taleche un segretario di Corte propose all'imperatore di chiuderel'ingresso ai nuovi accorrenti. - Non è giustorisposeNapoleone; piuttosto fate una cosa: alle porte di Parigi i gabellieridicano ai cittadini chechi vuol uscireper tutta la notte nonpotrà rientrare. Quest'ordine bastò. Una follainnumerevole ritornò indietroanzi che divertirsi a quellacondizione.
-Un tal fatto rivela la penetrazione e il tatto sicuro di quel geniouniversale.
-Se la giurisprudenza avesse i mezzi di prova che ha la matematicailmatrimonio indissolubile non sarebbe entrato nel mondo ad accrescerele miserie dell'umanità. Madopo tuttose i piùostinati avversarj del divorzio potesseroanche per pochissimoassistere alle scene che tuttodì avvengono nella casa delconte B...iscommetterei che non rimarrebbe più unsostenitore del matrimonio indissolubile.
-E intanto quella donna non può essere strappata al suodestinoed io devo tormentarmi senza speranza di poter alleviaretanta miseria; ora invidiatemise potetee continuate a dire chesono un capo stranoun uomo incontentabile. Anche senza tener contodi questa piaga speciale e tutta mianon potete immaginarvi chestrazio orrendo mi dà lo spettacolo di tante miserie che lasocietà ha inventateche l'ingegno umano si affaticòad accresceree per le quali il buon senso impietosito non puòversar che lagrime impotenti.
IlMontanara e il Suardi non seppero che cosa aggiungere. Il discorsolanguì. - Il Suardi andò a dormire. -L'avvocato uscì a prender aria e a veder com'era fatta unabell'alba di Parigi.


VIII


Trattenutisiin questa città parecchi giorni ancorail Suardi partìposcia per Londra in compagnia di Giovanni Berchet; e l'avvocatoMontanara tornò a Milano.
Isoli intimi amici che rimasero al Baroggi tra i Parigini erano ildottor Broussaisautore del celebre libro Della Irritazione edella Pazziaallora medico in capite e professore all'Ospedalemilitareuomo d'ingegno sterminatodi costumi semplici e di cuoreeccezionalmente buono. Esso era a parte d'ogni segreto del Baroggiinsieme col poeta Mussetgiovanissimo allora e di una talequasidiremmoammalata squisitezza di sentimentoche accresceva anzichèalleggerire le pene del nostro Giunio.
Questiper coloro che si accontentavano di giudicare un uomo dal di fuori enella sola stima della condizione fisica e materialeparevainvidiabile. Il bel mondo pariginotra cui qualche volta egli simescolavafacea le meraviglie nel vederlo così spessomeditabondo e chiusoe talora stravolto. Anche i più leggierie increduli osservatori dovevano persuadersi ch'egli soffrivasinceramenteed era ben lontano dal recitar la parte dell'infelicecome allora correva la moda tra' giovaniper rendersi piùinteressanti ed andare a seconda di quel dolor tragico che alloras'era accampato nelle produzioni dell'artespecialmente della musicae della letteratura.
Allorchèun mese dopo che l'avvocato Montanara era venuto a Milano collaprocura di conchiudere amichevolmente ogni controversia col marcheseF...ei ricevetteinsieme coll'avviso che tutto era finitoanchele credenziali per ritirare dal banchiere Aguado le convenutenovecentomila lire; si diedecom'era naturalea più largoviveree si acconciò d'un cavallo da sella e d'un calessino;ma i suoi conoscentii quali avevan sospettato prima che qualcheangustia domestica potessefra l'altre cagioniavere influenzasull'umor suotanto più si meravigliaronoquanto piùvidero accrescersi la sua tristezza insieme collo spettacolo diquella nuova ricchezza.
Insul principioa dir tuttoegli ne aveva provato qualchesoddisfazione e contento; ma fu per poco. Egli si era illuso unistante che con quella ricchezza avrebbe potuto di punto in biancocangiar la propria e l'altrui condizione; ma è anche vero chenon sempre l'oro è onnipotenteperchè con esso non sipiegano certe volontà inflessibilicome non si scongiura lamorte.
Trovandosiqualche voltainsieme colla contessa Stefaniamanifestò alei con una certa gioja le conclusioni definitive di quella tanto alungo disputata lite giuridica; ma la sua gioja derivava solo dallasperanza di poter finalmente tradurre in atto alcuno almeno di queitanti castelli in aria fantasticati durante l'aspettazione di quellaricchezza.
Egliaveva pensato: se la contessa fosse ricca del proprioseun'improvvisa ereditàse qualunque altra inattesa fortuna ledesse il modo di svincolarsi dal maritoe di provvedere col propriodenaro al mantenimento dei proprj genitorile cui pensioniperl'arte infesta di un notajoservo devoto della ricchezza e nemiconaturale dei poverierano state vincolate in modo nel rogitoinsidioso che tuttipadremadre e leidovessero ripiombare nellamiseriasenza l'adempimento di certi patti; se dunque fosse riccadel proprioegli aveva pensatocesserebbe di tratto ogni cagione ditormento; ora non potrò ioripensò poiquandoricevette le credenziali sulla banca dell'Aguadocondurre adesso lecose in modo chesalvando tutte le apparenzeella raggiungaquell'agiatezza sufficiente per diventar libera e padrona assolutadella propria volontà? Nel punto però che il Baroggimanifestò alla contessa l'avvenimento della sua mutatafortunasorpreso di colpo da un pensiero della più scrupolosadelicatezzae sapendo quanto ella fosse naturalmente dignitosa efieranon osò al primo farle quella propostaed aspettòsi presentasse un'occasioneche rendesse l'animo di lei piùaccessibile ad accoglierla: e l'occasione venne.


IX


IlBaroggi dimoravacome sappiamopresso al ponte Double chemette in comunicazione l'atrio di Notre-Dame col QuaiMontebello; egli aveva scelto quel luogo e s'eraacconciato in un terzo pianoperchè di là potevaspingere lo sguardo fino all'angolo della Rue du Plâtredov'era la casa in cui abitava il conte Alberico; e ad una delle cuifinestre potevacol cannocchialevedere la contessala qualeallasua voltaallorchè era sicura di non essere sorpresa dalmaritofaceva lo stesso per vedere il Baroggi quando s'affacciava.Questi fervidi e gentili sotterfugiche fanno tanto ridere i cuoriadiposi e le menti obesee provocano le sacre escandescenze nellepersone rese crudeli dalla falsa pietàcostituivano il soloconforto di quelle due anime addolorate; tutte le domeniche poiquando la contessa recavasi a sentir messa in Notre Dameeglil'attendeva in una viuzza poco frequentataonde parlare per alcuniminuti fuggitivi; e codesta era per loro la sola e la supremaconsolazione. Ora avvenne che una domenica ella non comparve inNotre Damee il povero Baroggiche viveva continuamentenell'affannosa aspettazione di una qualche disgraziarimase percossoda quel senso profondo di desolazioneche nell'ordine moraleassomiglia allo spasimo fisico.
Risalìin camera; s'affacciò alla finestraappuntò ilcannocchialenè in molte ore gli venne fatto di veder mai ladesiata figura di Stefania. - Temette il peggio - fecemille congetture e mille disegni; e sebbene riguardoso fino alloscrupolo per non compromettere in nulla la sua cara donnasi recòsino alla casa dov'era l'abitazione del contecon quella speranzairragionevolema che è appunto un delirio del desiderioirrequietoche i murile portele finestrei balconi avessero inloro qualche cosa che valessero a dargli alcuna notizia.Abbandonata ogni idea di precauzionesi sentì persin tentatodi aspettare ed affrontare il conte; lo scandalo che con ogni arteaveva sempre scansatoe del quale era in una continua apprensionein quel momento gli parve assai desiderabilein confronto diquell'orrido ignoto in cui dibattevasi indarno. Tornato piùvolte in quella viaquando Dio vollevide finalmente uscir dallacasa del conte il dottor Broussais. La vista del medicosebbenerecasse con sè l'annunzio di una disgraziapure gli feceprovare un soprassalto di gioja. Il dottore lo scorse esenzaaspettare d'essere interrogatoleggendo tutto nel volto stravolto diGiunio:
-Tranquillatevidissela contessa è a lettoma non c'ènulla di veramente serio.
IlBaroggi respiròe trasse di lungo in compagnia del dottore.
-Non c'è nulla di seriocontinuò questima se non sirimove la causala gravità del male può diventareirreparabile. Quell'infelicissima donna ha bisogno del ristoro dellapace domestica. Vi assicuro che con sei mesi d'inalteratatranquillità essa potrebbe guarire radicalmente. Bisognadunque che pigliate una risoluzionese volete salvarla. Siete riccoinvolatela a suo dispetto; l'amore che vi porta è immenso;l'occhio medico me ne avvisa; ma è un ardore che la divoraperchè è combattuta da una trascendente idea deldovere.
-Lo so.
-Dunque ci vuole una risoluzione e un colpo inaspettato. La mano delchirurgo assale spesso a tradimento l'ammalato che si rifiuta asottoporsi ad un'operazione dolorosa. Io parlo da medico; il solomodo di guarire coleiè di trasportarla violentemente da unordine ad un altro d'ideee di toglierle d'attorno la vistaabborrita di quell'uomo infame di suo maritoil qualenonostante lesue inconcepibili stranezze e una morbosa volubilità dicaratterein un certo ordine di cose e d'intentiè longanimee irrevocabile. Quel che voi mi avete dettol'ho giàverificato. L'odio ch'ei sente per quella donna gli prorompe da tuttigli attida tutti i movimentida tutti i muscoli della sualaidissima facciasebbene talvoltafisicamenteei l'adocchi ancoracon bramosia. Pare che voglia disfarsi di lei in ogni modo; maessendo vilissimo senza essere scemosa trattenersi sempre conastuzia d'inferno entro i limiti di certe azioniche sembranoimposte dall'autorità maritale; ma non abbandona mai unmomento la sua vittimache investe e solca e scava col lentomacerto lavoro della sega e della goccia.
Aqueste parole il Baroggi si scolorava e rabbrividiva.
-Fra pochi giorni potrete riveder la contessaproseguiva il dottorBroussais; il solo rimedio efficaceve lo ripetosta in un atto diviolenzache si risolverà in un atto supremo di pietàe di carità.
IlBaroggi accompagnò il dottor Broussais fino alla portadell'ospedale militareemesso sulla via delle speranzeandòtutto solo a passeggiare ai Campi Elisiingolfandosi in una fitta dipensieri e di progetti.


X


Passaronosei giorni; rivide la contessa.
-Se il dottor Broussais non mi avesse ogni dì informato dellostato della tua salutecerto sarei morto di affanno.
Lacontessaguardando il suo Giunio coll'espressione indefinita diun'anima innamorata che sente la più profonda gratitudineglistrinse la mano.
-Or vedo che stai meglio.
-Sto meglio di fatto.
-E come si porta colui?
-Da qualche giorno sembra un po' ammansato; il dottor Broussais ebbeun lungo dialogo con lui; non so che cosa gli abbia dettoma mi paregli abbia messo qualche spavento nell'animo...
-Ammansato per un giorno o dueritornerà prestocome diconsuetoalle sue demenze omicide.
-Pur troppo!
—Dunque bisogna prendere un partito.
-Gli è un pezzo ch'è preso.
-Quale?
-Aspettar la morte.
-Ed è così che cerchi la via di consolarmi?
-Piuttosto che vivere d'inutili speranzeè meglio tenerl'animo preparato.
-Se al tuo male non ci fosse un rimedioavresti ragione di dir così;ma il rimedio c'è; e se tu lo rifiutiti fai rea di suicidio.
-E dunque?
-Dunquedimmi se il tuo amore per me è sincero e profondo.
-Non farmi ridire quello che sai: sentire una affezione è unfatto irresistibile del cuoreche può essere perdonato;esprimerlaspiegarlariposarvi sopra colle parole è unaccrescere la colpa.
-Non parlare di colpa; e che cosa haida rimproverarti?
-Guarda al modo onde tutti quelli che passano ci guardano. La lorocuriosità indiscreta e beffarda ti avvisache hanno giàcompreso quel che passa tra me e te. Pensa a quel che direbbero sesapessero chi sono iochi sei tu... Spesso tu tenti di fareopposizione alle mie convinzioni religiose... Il mondo vuol le cose amodo suoed è più inesorabile dello stesso Iddio chepunisce i peccatori coll'inferno. Tutti quelli che entrarono nellamia casa e conoscono il contesono convinti che sono stataspietatamente sacrificata; ma non mi risparmierebbero perònessun biasimo se sapessero in che condizione il mio cuore èverso il tuo; ma c'è di più: essi m'insulterebberonelloro pensiero almenosospettando cose che non avvennero e nonavverranno mai. Voi altri increduli l'avete sempre col Dioinesorabile e colla religione di spavento e coi sacerdoti funesti; mase Dio punisce le sole colpe consumateil mondo va piùinnanzi di Lui; esso inventa e punisce le colpe che non furono maicommesse.
-Dunque non bisogna curarsi del mondoe non pensare ad altro che adessere in regola con noi stessi. Il tuo confessorequando non sia uncretino inferocitocredo non avrà potuto rimproverare la tuacondotta.
-Mi rimprovera la debolezza onde son troppo indulgente col mio cuore;mi rimprovera questa praticaquantunque non sia mai uscita dallasfera della più pura simpatiaperchè dice che èun atto d'orgoglio l'affrontare i pericolie il tenersi certi dipoterli sempre superare… mi riprovera…
-E non ti ha rimproverato il disprezzo che hai per la tua salute? enon ti ha detto che non a caso Iddio deve averci fatto dono dellavitae che è nostro primo dovere il conservarla con ognicurae che è un disprezzar Dio il non tener conto di tuttociò che ci diede in dono? Io parlo adesso come un preteevorrei ben sapere come farebbe il tuo confessore a rispondermi. -Ma lasciamo codeste inutili discussionie pensa a prendere unpartitoe a lasciar la casa di tuo marito. Tra me e te c'èuna tale solidarietà di affetto purissimo e fuori affattod'ogni ordine volgareche non devono esistere tra noi queimiserabili rispetti umani per cui talvolta si respingono gli ajutifraterni per un mal inteso orgoglio. Tu avrai dunque da me centomilafranchi; nessuno saprà mai da chi li hai avuti. Scegli per tuadimora quella città che ti parrà megliofai venir tecoi tuoi parenti. Avrai giorni tranquillise non giocondie il mondoche tanto teminon avrà mai nulla a dire contro te... Io miriserberò soltanto il puro diritto di venire a vederti qualchevoltacome un amico che non si dimentica degli amici.
Neldir queste cosegli occhi del Baroggi s'inumidironoe due lagrimelente gli corsero sulle guancie.
Stefanianon seppe rispondere che versando altre lagrime uguali.
-E che risolvi?
-La tua immensa bontà ti fa prestar fede a cose impossibili.
-Possibili non soloma di facilissima esecuzione. Tutto dipende daltuo volere; per caritàrispetta e pensa a conservare quellavita da cui dipende la mia. - Se tu persisti nel rifiutoèindizio manifesto che credi di amarmima non è vero. -L'amore è imperterritoe non trova ostacolo in cosa nessuna.
Quellaproposta di Giunio aveva sollevato nell'anima di Stefania una folladi speranze nuove. Compresa d'una insolita giojae parendoled'intravedere un avvenire del quale non aveva mai sospettato nemmenla più lontana possibilitàsentì la tentazionedi accettarla e di far pago il generoso desiderio di Giunio; maassalita da nuove pauresi tacque crollando la testa.
-E che pensi di fare?
-Non so che cosa risponderti; la mia testa è confusa. -Lasciami tempo a riflettere. - Domani uscirò di casa;alle ore due mi troverò nel tempio della Maddalena.
Esi lasciarono.
Ildì dopo venne; ma Stefania era tutta mutata; non vedeva che ipericoli ed occasioni di disonorarsi in faccia al mondo..
IlBaroggi si aperse allora col dottore Broussaise lo supplicòd'adoperare la sua autorevole parola di medico e di filosofo perindurre quella donna a salvare se stessa.
Ildottore parlòma con poco frutto; e Stefania trasse innanziassai temposempre tentennando tra il desiderio ardente di appagareil suo Giunioe lo sgomento di compromettersi e di fare un passofalso.


XI


Unamattina il Baroggi sente picchiare all'uscio dell'abitazione. -Era il dottor Broussais.
-Caro Giunioforse ho trovato il mezzo di poter indurre quella vostrainfelice donna ad accettare la proposta. Un tal Samuele Mirckibanchiere di Berlinosi ammalò a Parigied è in miacura da un mese. Della lotteria di Baden-Baden possiedetra glialtriil biglietto che gli dà la vincita di quarantacinquemila fiorini. Stamattina mi parlò egli stesso di questavincita. Questo fatto mi fece balenare un pensiero. Voi pagate albanchiere i quarantacinque mila fiorinie ritirate il biglietto.Siccome è da un anno che su tutti i canti di Parigi l'avvisogigante di tal lotteria offende gli occhi anche dei ciechie lacontessa può benissimo aver preso di que' biglietti; cosìvoi lo passate a lei; ella lo mostra al marito; niente di piùnaturale che chi ha comperato un bigliettopossa anche vincere. Ilsegreto rimane fra noi due. Nessuno potrà sospettar nulla. Edella si capaciterà che a questo modo non c'è piùnessun pericolo di provocare nè dicerie nè scandali.
-La vostra fu un'inspirazione del cielo!!
-E così?
-Tutto è fatto. Ora esco per prendere i danari che tengo pressoAguado.
-Portateli a codesto signor Mirckie ritirate il biglietto.
-E quella povera troppo squisita mia donna vedrà in questastrana combinazione un espresso ajuto del cieloe si piegherà.- Oh quante obbligazioni vi hocaro dottore; ma voi avetel'ingegno sterminato come immensa la bontà del cuore!
Quest'affarecom'è facile a comprenderefu tosto combinato e conchiuso;Baroggi ritirò il bigliettoe quando potè parlare allacontessa:
-La fortunaper un indizio manifestoha voluto ajutarci. Ecco di chesi tratta; e mostrando il bigliettole raccontò com'era corsala cosa.
-Or vedi che non è possibile salvar le apparenze più dicosì. Il conte non potrà nemmeno far le meraviglie. -Di queste vincite a Parigi se ne fanno ad ogni momento. L'annopassato la modista che sta presso il teatro delle Variétésguadagnò centomila lire a questo modo... Che mi rispondiadunque...?
-Mi par di sognare.
-Accetti? per caritàparla... bada che se tu stai ancor fortein sul negareio farò certissimamente quello che potràgettarti nella disperazione...
-Accetto...
-Che tu sii ringraziata... sei libera finalmente... potrai svincolartidai nodi del tuo serpente... Per caritànon pentirti dinuovo; prendi il biglietto e provvedi tosto a convertirlo in danaro.È un'operazione che devi far tuperchè così èchiusa ogni via al benché minimo sospetto; puoi andare daqualunque banchiere. - Addioper ora; non puoi immaginarti lamia gioia... Riavrai la salute; sarai felicemeno infelice almanco.


XII


Stefaniasbalorditaconfusacommossasi avviò a casa. Mille volteaveva pensatoche se fosse stata riccaavrebbe potuto esser padronadi sè e ridursi a viver sola; ed ora che aveva in mano lafacoltà di farlonon sapeva come risolversi; non sapeva comedirlo al conte; le pareva che questi dovesse leggerle in volto ognimisteroogni segreto. Venne l'ora del pranzo..
Ilconte e la contessa sedettero a tavola. È inutile direche il conte da anni non aveva mai una parola cortese per lei. Nelleoccorrenze quotidiane della casaquando la necessità volevache si parlasseroeran risposte tronche e acerbe per parte di luierano sguardi obliqui e severi. Sedettero adunque a tavolalacontessa taceva; il tumulto che aveva nell'animo le aveva colorite leguancie straordinariamenteond'essa pareva tornata alla soavefreschezza de' suoi diciott'anni. La leggiadria del suo volto e dellasua figura era un incanto anche allorquando il pallore del patimentoinvestiva le sue guancie; possiam dunque immaginare quel che dovesseparere con quelle rose ricomparsesebben fittizie.
Ilconte la guardò di sott'occhioe la riguardò piùvolte:
-Che cos'hai oggi che sei così rossa? le disse. So che ilprincipe Demidoffche ha dieci milioni di rendita ed è un belgiovaneti ha lodata... Sei stata forse a fargli visita?...
-Non so nemmen chi sia questo principe Demidoffe non capisco checosa tu voglia dire...
Ilconte si diede a ghignare con disprezzo.
Lacontessa si alzò da tavolasaettando il conte con uno sguardodi nobilissimo sdegno. L'esordio strano con cui il conte l'avevainterrogata relativamente al suo rossorediede a lei il coraggio diparlare.
-Sai tu perché sono infuocata in viso?
-Che?
-È la gioia che provo nel doverti dare una consolazione.
-Oh!
-Sìsignore; potrò finalmente liberarti della miapresenza odiosa...
-Diamine! che cosa è successo?
-È successo chesiccome non passa giorno che non ti lamentid'aver dovuto spendere e spandere per meal punto da ridurti quasiin miseria per colpa mia il cielo ha voluto ajutar te e me.
Ilcontesenza parlareguardava fissa la contessa.
-Su tutti gli angoli di Parigi avrai visti gli avvisi della grandelotteria di Baden Baden...
Ilconte si alzòprotendendo il collo e il musoe strabuzzandol'occhio felino...
-Un dìsaranno or due mesientrai da un cambiavalute cheteneva quell'affisso a' lati della bottegapresi un biglietto diquindici franchi. Stamattina passando da quello stesso cambiavaluteseppi d'aver guadagnato quarantacinque mila fiorini -novantamila franchi circa. - Ecco tutto. - Ora possocessare di vuotare la povera tua cassa.
Ilconte si staccò dalla tavola repentinamentee misuròtre o quattro volte innanzi e indietro la cameracome una jena ingabbia.
-Perchè non m'hai detto mai nulla? gridò poscia.
-Perchè era inutileesecondo il tuo costumepotevirimproverarmi d'aver sciupato quindici franchi; or te lo dicoperchèti deve far piacere che anch'io possieda un capitale che dàun'entrata sufficiente per vivere con decoro.
Larisposta che diede il conte fu un calcio nella tavola che rovesciòin terra piatti e bottiglie.
Accorseuna fantesca.
-Che volete voi qui? le gridò il conte; e accompagnòl'urlo ferino collo scagliarle dietro una terrinache le s'infransesulla schiena.
Lacontessa dignitosamente e fieramente atteggiataera riparata dietrouna poltrona; teneva fra le mani un trinciantenon a caso ma adarteperchè sapeva che al contetanto vile quanto perversobisognava far paura in qualche modo. - La sventurata peròtremava dal capo a' piedi come una foglia investita dal vento.
Edora chiederà il lettore: come si può spiegare quellarepentina escandescenza del conte?
Unainfesta mescolanza di cause tutte morbose aveva fatto impeto sul suosangue.
Egliaveva bisogno di una vittima su cui sfogare i suoi perversi umori;quella povera donnae perchè era moglie e perchè erainesorabilmente avvinta alla povertà dei genitoriera la solasu cui potesse esercitare un'autorità assoluta e continua; idomestici potevano schiaffeggiarlo e piantarlo su due piedicom'erasuccesso tante volte. Ma la moglie bisognava che s'acconciasse a starlì sempre stretta a quella catena d'inferno.
C'eraun altro fenomeno stranissimoma vero. Eglinei momenti men truci equando nel corpo incarognito gli si ridestava il titillamentoeroticoconsiderando la bellezza sempre superstite della moglie eudendola lodare da quanti la vedevanosentiva l'orgoglio diessere nel pieno dominio di quella creatura; peròmentre la martoriava di continuopur talvolta si compiaceva dipossederlae nei giorni cheper il malorela bellezza di leiscompariva nella pallidezza eccessivala insultava con parole dispregioma non perchè la spregiassesì perchèsebbene ei ne fosse la causa volontariavedeva checontinuando ellaa dar giù a quel modoei non avrebbe potuto piùdire: - Fra quante donne conoscola mia è ancora lapiù leggiadra di tutte. Ora all'annunzio inaspettato ch'ellapossedeva quasi centomila franchicomprese di colpo tutto quello chepoteva nascer da ciò. Non poteva più insultarlaperch'ella era in condizione di abbandonarlo quando voleva;vedendolaper quel rossore che aveva provocate le sue prime straneinterrogazionipiù attraente del consuetole parve piùtormentosa l'idea di doverla perderee per conseguenza di esserecostretto a deporre le armi ai piedi di leise pur volevaconservarla; oltre a ciò sentì anche la fittadell'invidia nel pensiero ch'egli non poteva più umiliare lamoglie col richiamarle la sua povertà; e prima e dopo e inmezzo a tutto ciò serpeggiava anche il truce pensiero cheellamettendosi in salvopoteva guarireonde a lui non rimanevapiù mezzo di disfarsene. Queste cause che noi designiamo aduna ad unalo assalirono insieme e lo irritarono sino aquell'estremo da dar prova di tutti i fenomeni della vera pazzia. Maegli non era pazzo nè sempre nè abbastanza per esserechiuso in un manicomio; come non era così legalmentescellerato da poter essere appeso ad una forca.
Ah!pur troppo quell'improvvisa scoperta del dottor Broussais e l'attodelicato e generoso ed eccezionale del Baroggiche pareva dovessetogliere di mezzo ogni ulteriore occasione di sventure possibilifuinvece la causa definitiva di altri e irreparabili disastri.


XIII


Quelleespressioni dei fatalistitrovate al tempo dell'astrologia: -Egli è nato sotto la cattiva stella. - Ella èla vittima degli astri -e che tanto ripugnano al buonsenso ed alla schietta ragionetroppo spesso par che abbiano la lororiprova nel labirinto delle miserie umane.
Ilconte non fu più sopportabile; la contessa in quella casafatale si trovò condannata ad una specie di quaresima diGaleazzo applicata all'ordine delle pene morali. Ciò che ilconte ebbe detto per uno scherzo atroce allorchè domandòalla contessa s'ell'erasi forse recata a far visita al principeDemidofflo replicò sempre e con tutta l'apparenza di parlarsul serio in tutti i momenti delle sue furiose escandescenze. Gridavacome un ossessoe in modo da farsi udire da quanti abitavano nellasua medesima casae adoperando l'idioma francesenell'intento dipassar egli per vittima e di render la contessa dispregevole edobbrobriosa in faccia agli altri.
Ellaraccontò tutto al Baroggiil quale rimase costernato eincertissimo su quel che dovesse consigliarle; tuttavia continuòad esortarla perchè si determinasse all'unico partito utile esi staccasse dal marito carnefice. Ma ella non ebbe mai il coraggioe sotto al lavoro assiduo di quell'orribile contrastoil suo fisicosempre sofferente e sempre più indebolitonon resse. Non potèpiù uscire di casa; il malore aveva ripresa la sua invasionedevastatriceed ella non si alzò più dal letto.
Ildottor Broussaischiamati a consulta anche i suoi piùriputati colleghinon omise studio di sorta per vedere di salvarequella povera e preziosa esistenza.
Enoi possiamo immaginarci come il Baroggi disperatamente traesse lavita in que' lunghi giornisenza poter veder mai la contessa; e colsolo malinconico conforto delle quotidiane informazioni del dottoreil qualementre desiderava sostenere le di lui speranzenon volevanel tempo stesso far sì checolpitonon preparatoda unaestrema sventuradovesse poi rimaner vittima di un'angosciainsopportabile.


XIV


Dall'agostoin cui c'incontrammo per la prima volta a Parigi col Baroggisivenne sino al giorno sette novembre. Era un'alba pariginadell'estremo autunnonebbiosa e fuliginosa. Il Baroggi dormivamadi quel sonno che è piuttosto un sopore patologicoe sidirebbe prodotto più dalla virtù di un narcotico chedall'intima legge del corpo tranquillamente stanco. Era da moltenotti ch'ei non poteva chiuder occhioe da molti albori chesonnecchiava per qualche istante in quell'ora appunto.
Aun tratto si sveglia e balza giù dal letto: un suono specialelo aveva scossoma egli non lo sapeva. Stette così un poco sudue piedi come smemoratoma nella viaintercalato a un sordomormorio come di vento che mugghia in basso tonosente lo squillo diun campanello. Un brivido gelato lo percorre tutto... Spalanca ivetri della finestra e s'affaccia. Era il viaticoche venendo daNotre Dame passava sul Pont Double. Moltevolte il viatico era passato per di làe non c'era ragionech'egli ne rimanesse tanto atterrito; ma l'irrequietudine convulsache lo agitò fu taleche quasi senza mettere a consulta iproprj pensierisi vestì frettolosamente per usciree lemani gli tremavano come a paraliticonell'abbottonarsi il pastrano.Escee dette alcune cose al domesticodiscende le scale asaltelloni. - Pareva uscito di ragione affatto. - Seguela processione del viatico. - Ahpur troppo tra l'affannosaalternativa di un baleno di speranze che rischiarava il suo sgomentoei vede che il viatico tien la via che dal Pont Doublemette alla Rue du Plâtre. Tende l'orecchio confaticosa attenzione alle voci delle devote del Santissimocherispondevano in lugubre cadenza alle litanie intuonate da unavecchia:
-Consolatrix afflictorum - Ora pro ea.
-Refugium peccatorum - Ora pro ea.
Sifa ancor più attento per accertarsi se le devote mormorasseropro eo o pro ea; ma nell'afferrare quell'orrendacertezzacollo scarso lume degli occhi che per lieve deliquio glifuggivavede nel tempo stesso piegare il baldacchino verso la casadel conte.
Nonera più il caso d'attenersi a quella scrupolosa osservanzad'ogni riguardosa cautela per non scoprire sè stesso e per noncompromettere la contessa. - Il dolore soverchiava. -Egli entrò nel cortile della casain coda alle devote. Stetteun momento perplesso sul limitaree fece alcune confuse domande alportinajocheindifferente come lo stipite di sasso al quale siappoggiavarispose che il viatico era per la contessa B...i.gravemente ammalata. Intanto il parroco di Notre Dame erasalito. Il Baroggisenza pensare ch'era in mezzo a una fitta dipersone che lo vedevanomisurava a gran passi il cortile. A untratto si ferma parlando tra sèe facendo gesti come se fosseimpegnato in un discorso con qualcuno; poirisolutoa duea tregradini per voltaascende le scale. È all'usciodell'abitazione del conte. Era spalancatoma alcune donne inginocchio ne ingombravan l'ingresso. - Egli va oltrepassad'un'in altra camera. Le donne di casavedendolo e conoscendoloperchè i domestici sanno tuttonon sapendo che si pensarelolasciano fare e andare innanzi. Quando il Baroggi s'accorse d'esserpresso la camera dove la contessa giaceva a lettoe dove era entratoil parrocosi fermò quasi colpito da un sacro spavento.
Allafine entrò; la contessa travide e vides'alzò in sulgomito raccogliendo tutte le sue forzemandò un gemito nelquale pur si ripercuoteva un suono ineffabile di giojae ricadde colcapo indietro sul guanciale. Il Baroggi s'accosta al lettocade inginocchiole prende la manoche bacia e ribacia e torna a baciare.
Ilparrocoche era un prete gallicano dei più tremendie cherappresentava la vendetta di Dio più della misericordia: Cheè questo? gridò; e afferrò un campanello.
Accorsela servente; dopo alcuni istanti si fermò sulla soglia ilpadrone di casail conte B...i.
Lacontessa aveva la testa abbandonata sul guancialee di traversofissava uno sguardo lento e profondo in volto al Baroggichetenendo il labbro sulla mano di leila fissava terribilmente immoto.
D'improvvisogrida il conte: - Chi è l'infame che profana la miacasache profana la dimora di una moribonda? Leiche rappresentaIddio quiscacci l'abbominando sacrilego. - Il pretecheaveva l'aspetto di un Domenicano inquisitorecolla pretenziosaprepotenza di chi ha fede di tenere dall'alto un mandato sacrosantomise la scarna sua manocome se fosse quella di Samuelesulla spalla del Baroggie lo rovesciò sul pavimento. Ma ilBaroggirovesciatosi rialzò di tratto... Il conte intantoaveva aperta la finestra e gridava all'accorr'uomo. Cessòil mormorio devoto nelle anticamere e nel cortile. Il contecontinuava a gridare.
Lacampana minore di Notre-Dame suonava a lenti rintocchi. Stefaniaspirò in quel punto.
Ilparroconel benedirla: - Voi avete forse impeditodisse alBaroggiche quest'anima volasse in cielo.
L'appartamentodel conte erasi affollato di gente accorsa alle grida.
-Questo scelleratodiceva il conte a quanti gli entravano in casaèvenuto ad assassinare la povera mia moglie.
IlBaroggi non si moveva - guardava attonito; sentivamacchinalmentee taceva.
Ilconte ebbe l'audacia di accostarseglie di mettergli una mano sulbracciocome per iscacciarlo.
Aquell'atto il Baroggi si scosseafferrò il conte per ilcolloe di peso l'alzòtrasportandolo presso la finestra. Ilsuo primo pensiero fu di rovesciarlo nella via sottoposta. Ma sitrattenne.
Lepersone astantiimprecando al Baroggigli si serrarono intornotentando di strappare il conte dalle sue mani.
Eglitaceva e guardavae tenendo colla sinistra sempre il conte per ilcollocolla destra vibrò a rovescio uno schiaffo furibondo adun giovinotto che osò toccarloe lo respinse fino a percuoterla testa in una delle pareti della stanza.
Scorseroalcuni minuti d'immobilità generalequando il Baroggi trasseviolentemente il conte nella camera attigua. Tutti lo seguironomanessuno osava nè farglisi pressonè parlare.
-Assassino di tre mogliurlò allora il Baroggioggi tupagherai tutti i tuoi misfatti. E in te sia punita la legge chepermette ai tuoi pari di vivere e di operare impunemente a danno ditutti; e in te sia punita la vile umanità che alla solaricchezza si prostra e si fa complice d'ogni suo delitto; e in te siapunito il prete funesto che legò quella povera vittima al tuocorpo infraciditoe all'anima tua più laida del tuo corpo.Una lezione voglio io oggi dar qui a tuttie sia di me quello chevorrà essere.
Eaccostatosi a un caminetto su cui ardevano tre pezzi di legnoneprese uno pel capo ancora intattoe prima che alcuno sospettassequel che fosse per farecompresse la parte infuocata con violenzarepentina nelle occhiaie del conteche grugnì come una scrofascuoiata; e caddeabbandonato che fu dalla ferrea mano del Baroggiad arrotolarsi urlando sul pavimento.
Entròin quella il dottor Broussais.
CONCLUSIONE


Venezianel 1849. - La Germania e l'Italia. - Hegel e i suoiproseliti. - La scienza e il senso comune. - La cameradi Winkelmann a Roma. - Un'iscrizione latina nel cimitero delPère Lachaise.



I


Nell'agostodell'anno 1849dimorando a Veneziaentrai una nottein compagniadi alcuni amicinell'osteria del Cavalletto. - V'erano làufficiali di tutte le armicostituenti il presidio di quellagloriosa e sventurata cittàchein que' giornistavadibattendosi tra la vita e la morte. V'erano Italiani di tuttaItalia: PolacchiUngheresiDalmatiGrecimilitanti per noi.
Veneziain que' dì offeriva uno spettacolo sublime insieme edangoscioso. Milano era ricaduta sotto il gioco austriaco; Toscanaerasi ridata al granduca; Romaindarno difesa da Garibaldierastata occupata da Oudinot: Italia tutta era sommersa. — Veneziasola sporgeva ancora il capo dall'onda mugghiantema le bracciaspossate più non potevan reggere contro all'impeto di essa.
Inquell'osteria era incessante il fracassìo di chi andava evenivadei tanti che parlavanodei camerieri che servivano egridavano: a tutti i tavolinipur fra tanta varietà didiscorsicampeggiava sempre il tema unico della patria in pericolo.- A una tavola stavano il colonnello Belluzzi e il colonnelloMorandimio amico. - Sedeva con loro un uomo tra iquarantacinque e i cinquant'anniin abito nero. - La figuradi luile poseil piglio erano giovanili ancora; ma i capelliprolissi erano sparsi di striscie senilila fronte solcata da lungherughel'occhiosebben di linee grandiose e pureera patito estanco.
Salutatoil colonnello Morandisedetti lor presso; feci portar un pan frescodi tritelloche in quell'estreme traversie del bloccopoteva dirsiun pane di lusso; e un bicchiere di vino di Barlettail qualecostava quanto lo Château Lafitte delle cantinedell'imperatore dei Francesi; e stetti così ascoltando idiscorsi avviati.
-A quanto m'avete raccontatodiceva quel signore in abito nerovedoche la difesa non potrà prolungarsi molto.
-Due o tre settimane al piùe non c'è altrodisse ilMorandi.
-Purtroppo! soggiunse il Belluzzi.
-È una fatalitàosservò quel signoreche inquest'annodovunque io capitidebba sempre essere l'augello delmalaugurio. Arrivai a Torino due giorni prima del disastro di Novara.- Giunsi a Roma e mi son messo con Garibaldi poco tempoinnanzi la sua caduta. - Or venni qui per mettermi con voicolonnello Morandi...
-E non c'è a far altrocredetelo a me. La difesa potevaprotrarsi molto più a lungo; ma il Governo non seppe e nonvolle.
-Maninrispose quel signoreera convinto (e lo provano le sue notealla Francia e all'Inghilterra) che Veneziaper un riguardo dovutoledalle potenzesarebbe stata costituita come città anseatica:e questa speranza fu appunto cagione degli errori del governo. -La conveniente posizione politica che Manin era certissimosarebbesi data a Veneziagli ha fatto credere impossibile un lungoassedio; è per ciò se la marina non fu allestita intempo; se l'esercito non fu bene organizzato; se la guardia civicanon fu resa abbastanza numerosa; se le provvigioni da guerra nonfurono accumulate in tempo e in quantità sufficiente asostenere l'assedio anche per qualche anno.
-E cosìosservò il colonnello Belluzzidi questapopolazione straordinaria nella costanza; dei soldati venuti datutt'Italiagloriosi per prove di coraggio uniche nella storianonsi trasse il vantaggio che certamente si sarebbe potuto; ed oggi lecose sono al tutto disperate.
Ilcolonnello parlava ancoraquando entrò a cercarmi il filologoe poeta Sternitzprussianocol quale io m'era stretto in amicizia;uomo di grande ingegnodi vasta dottrina e d'abitudinisemplicissimesebbene talvolta alquanto strane ed eccezionali. -Dimorava da anni a Veneziaed era innamorato dell'Italiadellaquale conosceva profondamente la letteraturaed era iracondo verso iproprj compatrioti.
-E che fate quimi dissecon questa caldura che opprime? Usciamoall'aperto.
Iochiesi al colonnello Morandi s'ei voleva uscire.
-E si escaei mi risposecon quel suo fare schietto e soldatesco.
Belluzzie il signore vestito di nero uscirono del pari; e cosìtutt'insiemecollo Sternitzil capitano De Luigi della legionelombardaed altrice ne andammo a passeggiare sul molo.


II


Iochiesi allora al Morandichi era quel signore vestito di nero.
-È un lombardo; io l'ho conosciuto prima a Parigipoi inAtene; è un signore assai distintoe si chiama GiunioBaroggi.
-Che? io esclamai commosso; io so la storia della sua vita; ioconobbi un vecchio che fu amicissimo suo. Quasi glielonominereima non so che ben fare; non potete immaginarvicolonnelloil vivo interesse che m'ha inspirato e m'inspira questosignore.
-Comportatevi con gran riguardomi disse allora il Morandiperchèa toccargli certi tasti del suo passatosi riscuote tutto e siconturba e si sprofonda in una tristezza senza pari. In conseguenzad'un fatto orribileè stato rinchiuso un anno nel manicomiodi Parigi; e fu il celebre dottor Broussais che di tal modo lo hasalvatofacendolo passar per demente onde liberarlo da un processocriminale.
-So tuttoio dissie so anche che lo scellerato che egli punìabbruciandogli gli occhimorì nel 1839.
-Nel '31 io vidi coluiaffatto ciecotrascinarsi lento per le vie diParigiappoggiato a un servo.
-Un fatto orribilema fu anche una giustizia.
-Ad ogni modoabbiate gran riguardo nel parlargli.


III


Passeggiandolungo il moloi discorsi continuarono sempre sul medesimo tema diVenezia. - Si parlò dell'origine e del procedimentodella sua rivoluzione; si parlò di Daniele Manin e diTommaseo. - Il colonnello Morandi non aveva grande stima diManined essendo venuto a Venezia assai tardinon conosceva iprecedenti storicie giudicava con troppa severità il popoloveneziano. - Su tal proposito udii il Baroggi a fare leseguenti osservazioni:
-Avendo ioegli disseviaggiato tutta Italiaprima che scoppiassela rivoluzioneall'intento di veder dappresso le popolazioni e diesplorare i sintomi della crisi italianami trovai a Venezia neiprimi mesi del 1848; quel che avvenne in que' mesi di preparazionefuori di Venezia non è noto che in parte. - Lecarneficine di Milano e quelle di Padova assorbivano alloral'attenzione generale. - Ma ioche in quel tempo ho potutoosservar da vicino quel che qui si operòdebbo dire che iVenezianiuna volta messi in viaguadagnarono con alacritàstraordinaria il tempo prima perduto. - A mantener vivo lospirito pubblico e ad incuorare Venezia ad operare più che afar dimostrazionicontribuì principalmente la prigionia diManin e di Tommaseoe la loro dignità affatto antica infaccia alla ingiustizia e alla sventura.
«Crocchisegreti d'uomini pronti se ne improvvisarono molti; alcunipiùesperti dei mezzi speciali che Venezia aveva in sèguardavanoalla marina veneta; considerando quello chevolendoavrebbe potutovedevano facile la riuscitase si fosse tentata qualche impresaaudace. - A tale intentoalcuni più astutamentevolonterosis'accomunavanoquantunque la diversa condizione nonparesse comportarloai soldati della fanteria di marina; e versandocon essi in famigliare colloquio nelle taverne del buon popoloemescendo loro con mano liberaleli mettevano a parte de' proprjpensierili istruivano intorno alle pubbliche faccendee liesortavano a star pronti. E così facevasi cogli arsenalottisiccome quelli che potevanoall'occasioneimpadronirsi del puntopiù importante della città.
«Diquesti sforzi veneziani e di questo senno che mostrarononell'adoperare quei mezziè tempo che si parliperchèfin qui si è creduto e si crede anche da parecchi chedappresso esplorarono il movimento italianoche la rivoluzione diVenezia sia stata l'affare d'un giorno; e che la sua riuscita cosìfelice e completa sia dovuta a fortuna più che a fatica.Credetelo a me: in que' giorni pieni di vita e di speranzail popoloveneziano e i suoi capi fecero prodigi. Tommaseo e Manin furonveramente benemeritie Manin ebbe istanti luminosi ed eccezionali diprontezzadi sagacitàdi coraggio.»
-Maa parer mioosservò il Morandifu atto improvvido l'averproclamata la repubblica prima di sentire il voto delle altre cittàd'Italia.
-Oggi è facile dir cosìrispose il Baroggimabisognava trovarsi qui allora. È necessario tener conto delletradizioni speciali di questa cittàe allora converrete chese quello fu un errorefu però un errore sublime.
IlBaroggi tacque un momentoefermatosi tra le colonne di Todero edel leonegirò l'occhio sugli edifizj augusti della piazzettae della piazza. Muggiva cupo il cannone di Campalto e Campaltone. Nelsilenzio e nella solitudine della notte si sentiva ad intervalli quelsuono particolarecome di stoffa serica laceratache produce l'ariaquand'è investita da una palla. Da un mese i cannoni allaPexenscollocati a quarantacinque gradipercorrevano quattromila ecinquecento metri di spazioe tenevano in assiduo pericolo due terzidella città.
IlBaroggi era come assorto e gli altri per un istante lo guardarono insilenzio.


IV


-Oh! voiproruppe di poinon eravate qui nel marzo dell'anno scorso.Che giorno sublime fu il 22 di quel mese!
Quifece ancora una breve pausa; poicome se leggesse una paginaconaccento d'entusiasmo continuò:
-Allorchè Manin fu padrone dell'arsenalee fu sicurodell'ajuto di tutti i soldati della marina venetache avevano saputouccidere il maggior Bodai quando loro comandò di far fuocosulle guardie cittadine; infiammato d'entusiasmo per un concorsod'accidenti così fataleche parve davvero che in questa cittàsi fosse allora rinnovato il prodigio delle trombe di Gerico; allatesta delle sue guardie portanti un'asta sormontata dal simbolicoberrettovenne in piazzae làsalito su d'una tavolaallapresenza di non molto popoloproclamò la repubblica.Alla parola repubblica di San Marcofatta risuonare dallapoderosa e veramente rivoluzionaria voce di Daniele Maninunavertigine sublime occupò tutte le menti. Non era quello ilmomento delle misure prudenziali. La realtà aveva sembianza diuna visione. Questa repubblica gloriosa di una vita di quattordicisecolifatta segnoè verodi gravi accuse dalla storiatroppo severama per le stesse colpe imputatepoeticamentemisteriosaenon ostanteammirata da' suoi detrattori eidoleggiata poi dalle più squisite intelligenzeera scomparsain un giorno obbrobrioso; caduta e scomparsaerasi dettoper sempredalla faccia del mondo politico: e invece la si udiva proclamataela si vedeva risorta. Allorchè disotto alle aquile tedeschein un baleno atterrate e sparite quasi per virtù d'incantosivide balzar fuori l'alato leone di bronzo che non s'era osatodistruggere; e sulle antennea un punto rovesciate e svestite dallabandiera non nostrae a un punto rialzatesventolò ilvessillo del vetusto San Marcoe tutte le campane delle chiese diquesta tanto storica Vinegia risposero in giocondo e vasto concentoai più profondi rintocchi del campanone maggioreche primaaveva comunicato ai venti la novella inaspettata; e sulla piazza unpopolo fittissimo si vide inginocchiato innanzi alla metropolitanaperchè nell'avvenimento straordinarioforse gli parea vedereil Dio degli eserciti; in presenza di questo continuo prodigiocredetelo a mel'entusiasmoil delirio non poteva più avermisura; ed oggipensandovi nell'aspettazione in cui siamodell'estrema sventurail sangue si gonfia nel cuoree la memoria habisogno di velarsi un trattoperchè il giudizio riprenda lasua calma.


V


IlBaroggi a queste parole s'interruppe; edopo un breve silenziocontinuò:
-Da quel giorno gli errori si accumularono agli errori. Ma tutti igoverni d'Italia ne commisero. A Milano si lasciarono in ingiustadimenticanza gli uomini cheper la vastità della mentepiùeran fatti per governare la cosa pubblica. Il popolo sapiente ebbecolà dei capi incompleti. Quandonell'aprile da Veneziapassai a Milanola piaga pubblica era già per incancrenirsilà. - A Firenze invece un popolo troppo simile allagarrula e volubile Atenenon volle aver fiducia nel fortissimoingegno di Guerrazzi. Qui in Venezia i ladri si introdussero amanomettere il pubblico danaronon accorgendosene l'intemeratoManindall'ideale della sua onestà fatto incapace asospettare l'altrui perfidia. In pochi giorni scomparvero diciasettemilioni dalla cassa dell'erario: - a Parigi vive un ricco cheprima era un povero operajo quie non si sa dove abbia preso idenari. Io non lo nominoma voi già sapete a chi accenno. Iovorrei che i giuristi inventassero una pena specialeinfamantestrazianteper questi ladri del pubblico patrimonio. In quanto aManin e Tommaseocerto che furono i primii più coraggiosi epiù virtuosi cittadini di Venezia; ma la fatalità volleche tra loro ci fosse uno strano squilibrio di pensiero ed'aspirazioni. Manin innamorato di questa sua cara Venezia smarrìnell'intensità dell'affetto municipale l'estensionedell'ambito italiano; ecco perchè respinse in principio laproposta di un governo lombardo veneto; poi di far centroVenezia di un governo italiano; in ultimo di aderire allaCostituente. Tommaseo inveceportatodalle contratte abitudinidella sua mente e de' suoi studja percorrere le indefinite regionidell'idealeed a considerare l'umanità nel suo piùvasto significatonon istette contento ai limiti della sua caraItalia; ma delle affezioni sue amò far parte a tutti i popolidella terra. Scrisse note diplomatiche di consiglio e d'amore atuttiperfino alla Germania. - Non vi scuotetesignorSternitzio vi conoscovi amoe vi ammiroperchè non misembrate un uomo nato in quelle parti là; ma io non amo laGermanial'incorreggibile Germaniaincorreggibile perchè lasede del suo morbo cronico sta nella testa de' suoi pensatori e nellasua filosofia. Quasi dappertutto la scienza va innanzi beneficando;là invece si affatica a' danni dell'umanità.


VI


«Agliindirizziproseguivache l'anno scorso i più generosiItalianipur nell'impeto del combattimento e nell'odio implacabiledel dominio austriaco inviarono a tutti gli Stati di quella nazione aproposta di fratellanza; la patria di Schilleril poeta piùinnamorato dell'umanitàlasciò cadere indifferentequelle parole d'invitoe si chiuse sospettosa in sè stessa.Il canto di Manzoni dedicato a Koerneril Tirteo della Germanianontrovò un eco in mezzo ai cuori fatti muti dalla passione edall'egoismo.
«Ilnostro popoloche ha sentito a parlare della Germania comedell'officina più operosa della scienza e del centro piùfitto d'instancabili cercatori del verodomanda come un sìtristo frutto abbia potuto uscire da così faticosepreparazioni.
«Questadomanda del popolo incolto rivela chenella sua intuizionespontaneaha compreso ciò che gli uomini dotti non sepperoscorgere nell'abbagliata ammirazione per una scienza chenelle sueintemperanze e nelle sue improbe elucubrazioniha smarrito il sensorettoed è rimasta senza viscere.
«InGermania è la così detta filosofia quella che governa eimpiglia la politica. Filosofia e politica si abbracciano colàe si compenetrano. Guai se la prima si contorce nell'indeterminato enel falso! la politica ne risente il contagioe il senso giusto epratico della vita si adultera e si smarrisce.
«Hegelil Maometto della Germaniale comunicò un sentimento cosìentusiasta per sè stessaun'idea così orgogliosa dellasua missione nel mondoche tutte le altre nazionispecialmentequelle del mezzodìdebbono parere agli occhi di lei comenazioni diseredate e decadutee perciò indegne di risorgere arifare una grandezza che comprometterebbe il nuovissimo genio delNordal qualesecondo le enfatiche parole del suo falso profetaèassegnato l'incarico nientemeno che di rifare Iddio.
«DopoHegeli suoi proselitidilungandosi da lui e più che maicompromettendo le teorie del maestrosi divisero in piùsêttele qualisforzando a sempre nuove trasformazioni iprincipj raccolti dalla bocca di luimisero dapprima il capogironelle menti giovaniliper non lasciar poi negli animi che ariditàe indifferenza.
«L'ateistaFeuerbach giunse a combattere perfino il sentimento della patriaedi cosa in cosa a propugnare principj che derivano dall'infame teoriadell'homo sibi deus.
«Nelleteorie di Stirnerche sono un tessuto cangiante delle enormitàdi Feuerbachsta il codice completo dell'egoismo.
«Rougeprovò come due e due quattro che l'amore della patria èun sentimento ipocrita ed una virtù impossibile; perchèl'amoresecondo luiha orrore delle astrazioni e vuole delle viverealtà. E così d'argomento in argomentovenne asantificare l'inesorabile tornaconto.
«Nelcampo dell'economia politicaFederico Lizt; il più celebratodella sua nazione perchè ne lusingò più di tuttil'egoismocolla sua dottrina isolatricerinserrò la Germaniain sè medesimabarricandola colle dogane protettiveedammonendola a non ammettere sul suo mercato roba stranieraper nonintrodurre nelle mura della patria il perfido cavallo di Troja (sonsue parole).
«Lagiurisprudenza respinse colà dalle cattedre il dirittonaturale e razionaleincatenandosi schiava dell'unico dirittostorico.
«Perfinola filologianel labirinto di una prodigiosama gelida dottrinaaffogando le più care e generose aspirazioni della fantasiainventrice e del sentimentotolse allo studio dell'arte classical'intento suo più legittimo: quello di educare al belloesteticocheingentilendo gli animili prepara al bello morale.
«L'Eneidedi Virgilio non fu più il poema latino-italico pereccellenzail modello eterno del più perfetto stilemaun'occasione di sommovere questioni di geografia e di etnografia.
«L'Iliadedi Omero parve più preziosa ai filologi tedeschi per ilcatalogo delle navi che per la preghiera di Priamo ad Achilleo perl'addio di Ettore ad Andromaca.
«Enella storia e nella letteratura e nella poesialo studio del medioevoche in Italiaevocando le memorie della Lega Lombardapreparòle libere aspirazioni del periodo in cui viviamolà invecenon servì che ad innamorare le menti delle consuetudinifeudalia far desiderare il ritorno di un passato impossibilee aconsigliare l'anacronismo dell'immobilità delle caste.
«Questohanno fruttato le intemperanze di una dottrinache del proprioeccesso fa velo ai limpidi giudizj del senso comune.
«Oravoisignor Sternitzche tanto amate l'Italiae avete tantoingegnodovreste parlare in questo tono a' vostri. - UnTedesco di mente e di cuoreche severamente ammonisse i suoicompatriotipotrebbe finalmente ridestare qualche eco generoso.»


VII


Spuntavanoi primi crepuscoli; lo Sternitz che era un Tedesco straordinariostrinse lagrimando la mano al Baroggi.
-Piangoesclamò poiper la mia patria che abborritee perquesta Italia tanto sventurata!
Unatal scena ci commosse tutti. - Si partì muti e pensosie per quella notte dai nostri labbri non uscirono che le paroleultime dei vicendevoli saluti.
Ildì dopo io fui sollecito di vedere ancora il Baroggi. -M'intrattenni a lungo con lui. Mi sprigionai; si sprigionò; equantunque io fossi giovinissimo e di tanto inferiore a luinell'esperienza e nella dottrinavenne spesso a cercarmie si degnòmolte volte di parlar meco a lungo. Fu in una di queste volte chediscorrendotra le altre cosedella condizione della letteratura inItaliami fe' cenno di quel suo lavoro del quale abbiamo parlatoalquante pagine addietro. - Pregato e ripregatomi diede undì a leggerne gli sparsi frammenti. - Che originalitàche grandezzache vastitàche sentimento! Io passavocontinuamente dalla meraviglia al doloredal dolore alla meraviglia;perchèesaltandomi in una sfera altissima di bellezzeconsideravo poi cheper la condizione infelice dell'animo suonongli sarebbe mai stato possibilecom'egli disse molte voltedicondurre a termine quel lavoro.
Lasventura lo aveva percosso in modoche il dolore per lui erasi fattonatura. Bensìfacendo uso di liquori generosicon abitudineche pareva toccare il soverchiotalvolta assumeva l'apparenza dellagioconditàche si espandeva in un profluvio d'epigrammi. Madi trattoa una svolta inattesa di qualche parola che gli facesserisentire la fitta del dolore inclementesi concentrava in sèstessosi faceva cupo e taciturnoe qualche volta dava anche inlagrime dirotte. - Un dìessendogli ciòavvenuto in mia presenza: - Non vi faccia meravigliamidisse; è questo una specie di vomito morale cheprorompendodagli occhi a furiapermette poi allo spirito di rifarsi alquantoedi respingere la tentazione del suicidio.


VIII


Venneroi giorni estremi per Venezia liberail cannone tacque per la primavoltadopo tanti mesi che aveva tuonato incessantemente. -Quel silenzio insolitocome il silenzio della mortepiombòsugli animi di tuttiproducendovi un'angoscia che non ha riscontri.- Una commissione veneta già erasi recata al quartiergenerale austriaco ad offrirvi la sommissione dei Veneziani. -La capitolazione venne segnata. - Il dì 27 agostoperla via di terra io uscii da Venezia per ridurmi a Genova. IlBaroggi m'avea salutato ed abbracciato prima di salire a bordo d'unvapore da guerra inglese; chè aveva stabilito di recarsi inInghilterra. - Nè più lo vidi. - Seppi inseguito che da Londra erasi tramutato a Romaper applicare di nuovol'ingegno alle lettere e alle artia sollievo dei proprj dolori edelle sventure della patria. - Nel 1850 ebbe un duellose nonerrocol segretario dell'ambasciata di Russia; e nell'ottobre diquell'anno stesso morì di febbre intermittente.
Ai27 di quel meseun nostro amico di Roma ci dava il doloroso annunziodella morte di quell'uomo straordinario. Ecco un brano di quellalettera:
...«Ieriè morto Giunio Baroggi in età di 52 anni. La sua camerachecome sapeteera quella che già aveva appartenuto aWinkelmannera ieri piena d'amici e d'ammiratoriche piangevano nelvedere vicinissimo il termine di quell'uomo raro. - Negliestremi momentifece aprir le finestre per vedere il sole che dietrola cupola di San Pietro tramontava in globi di fuoco; le ultime sueparole furono: «Il sole di Roma vecchia è in tramonto;sorgerà il sole di Roma nuovae tutta Italia verrà ariscaldarsi in hac luce - Exoriare aliquis


IX


Nell'anno1862trovandoci noi a Parigici recammo al Père Lachaiseelàcercando con insistenza una lapide di cui ci aveva parlatoil Brunici venne fatto finalmente di rinvenirla tra quella selva ditombe e cippi e statue. - Su quella pietra leggemmo laseguente iscrizione:


stephaniagentili
comitissab…
decoraforma
animasuavi
ingenioin melodia præclaro
liberaliseam fecit natura
interfecitdira fortuna
annomdcccxix


Equi la nostra storia si chiude. Ripetere gl'intenti che sisono avuti nello scriverlae le lezioni che se ne volevano farscaturireè inutile. - Se il lettore non le vedenonvale che l'autore le manifesti.