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Luigi Pulci

MORGANTE



CANTAREPRIMO



1.
In principio era il Verbo appresso a Dio
ed era Iddio il Verbo e 'l Verbo Lui:
questo era nel principioal parer mio
e nulla si può far sanza Costui.
Perògiusto Signor benigno e pio
mandami solo un degli angel tui
che m'accompagni e rechimi a memoria
una famosaantica e degna storia.

2.
E tuVerginefiglia e madre e sposa
di quel Signor che ti dètte la chiave
del Cielo e dell'abisso e d'ogni cosa
quel dì che Gabriel tuo ti disse "Ave"
perché tu se' de' tuoi servi pietosa
con dolce rime e stil grato e soave
aiuta i versi miei benignamente
e 'nsino al fine allumina la mente.

3.
Era nel tempo quando Filomena
con la sorella si lamenta e plora
ché si ricorda di sua antica pena
e pe' boschetti le ninfe innamora
e Febo il carro temperato mena
ché 'l suo Fetonte l'ammaestra ancora
ed appariva appunto all'orizonte
tal che Titon si graffiava la fronte

4.
quand'io varai la mia barchetta prima
per obedir chi sempre obedir debbe
la mentee faticarsi in prosa e in rima
e del mio Carlo imperador m'increbbe;
ché so quanti la penna ha posti in cima
che tutti la sua gloria prevarrebbe:
è stata questa istoriaa quel ch'io veggio
di Carlomale intesa e scritta peggio.

5.
Diceva Leonardo già Aretino
che s'egli avessi avuto scrittor degno
com'egli ebbe un Ormanno e 'l suo Turpino
ch'avessi diligenzia avuto e ingegno
sarebbe Carlo Magno un uom divino
però ch'egli ebbe gran vittorie e regno
e fece per la Chiesa e per la Fede
certo assai più che non si dice o crede.

6.
Guardisi ancora a San Liberatore
quella badia là presso a Menappello
giù nell'Abruzzifatta per suo onore
dove fu la battaglia e 'l gran flagello
d'un re paganche Carlo imperadore
uccisee tanto del suo popul fello
e vedesi tante ossae tanti il sanno
che tante in Giusaffà non ne verranno.

7.
Ma il mondo cieco e ignorante non prezza
le sue virtù com'io vorrei vedere.
E tuFiorenziadella sua grandezza
possiedi e sempre potrai possedere:
ogni costume ed ogni gentilezza
che si potessi acquistare o avere
col sennocol tesoro e colla lancia
dal nobil sangue è venuto di Francia.

8.

Dodici paladini aveva in corte
Carloe 'l più savio e famoso era Orlando;
Gan traditor lo condusse alla morte
in Roncisvalleun trattato ordinando
là dove il corno e' sonò tanto forte:
dopo la dolorosa rotta quando...
nella sua Comedìa Dante qui dice
e mettelo con Carlo in Ciel felice.

9.
Era per pasquaquella di Natale:
Carlo la corte avea tutta in Parigi:
Orlandocom'io dicoè il principale;
èvvi il DaneseAstolfo ed Ansuigi;
fannosi feste e cose trïunfale
e molto celebravan san Dionigi;
Angiolin di Baiona ed Ulivieri
v'era venutoe 'l gentil Berlinghieri.

10.
Eravi Avolio ed Avino ed Ottone
di Normandia Riccardo paladino
e 'l savio Namo e 'l vecchio Salamone
Gualtieri da Mulionee Baldovino
ch'era figliuol del tristo Ganellone:
troppo lieto era il figliuol di Pipino
tanto che spesso d'allegrezza geme
veggendo tutti i paladini insieme.

11.
Ma la Fortuna attenta sta nascosa
per guastar sempre ciascun nostro effetto.
Mentre che Carlo così si riposa
Orlando governava in fatto e in detto
la corte e Carlo Magno ed ogni cosa;
Gan per invidia scoppiail maladetto
e cominciava un dì con Carlo a dire:
- Abbiàn noi sempre Orlando a obedire?

12.
Io ho creduto mille volte dirti:
Orlando ha in sé troppa presunzione.
Noi siàn qui contireduchi a servirti
e NamoOttoneUggieri e Salamone
per onorarti ognunper obedirti;
che costui abbia ogni reputazione
nol sofferremma siam deliberati
da un fanciullo non esser governati.

13.
Tu cominciasti insino in Aspramonte
a dargli a intender che fussi gagliardo
e facessi gran cose a quella fonte.
Ma se non fussi stato il buon Gherardo
io so che la vittoria era d'Almonte;
ma egli ebbe sempre l'occhio allo stendardo
che si voleva quel dì coronarlo:
questo è colui c'ha meritatoCarlo.

14.
Se ti ricordagià sendo in Guascogna
quando e' vi venne la gente di Spagna
il popol de' cristiani avea vergogna
s'e' non mostrava la sua forza magna.
Il ver convien pur dir quando e' bisogna:
sappi ch'ognunoimperadorsi lagna.
Quant'io per meripasserò que' monti
ch'io passai in qua con sessantaduo conti.

15.
La tua grandezza dispensar si vuole
e far che ciascuno abbi la sua parte;
la corte tutta quanta se ne duole:
tu credi che costui sia forse Marte? -
Orlando un giorno udì queste parole
che si sedeva soletto in disparte:
dispiacquegli di Gan quel che diceva
ma molto più che Carlo gli credeva.

16.
E volle colla spada uccider Gano;
ma Ulivieri in quel mezzo si mise
e Durlindana gli trasse di mano
e così il me' che seppe gli divise.
Orlando si sdegnò con Carlo Mano
e poco men che quivi non l'uccise;
e dipartissi di Parigi solo
e scoppia e 'mpazza di sdegno e di duolo.

17.
A Ermellinamoglie del Danese
tolse Cortanae poi tolse Rondello
e inverso Brava il suo camin poi prese.
Alda la bellacome vide quello
per abbracciarlo le braccia distese:
Orlandoche smarrito avea il cervello
com'ella disse: - Ben venga il mio Orlando -
gli volle in su la testa dar col brando.

18.

Come colui che la furia consiglia
e' gli pareva a Gan dar veramente:
Alda la bella si fe' maraviglia.
Orlando si ravvide prestamente
e la sua sposa pigliava la briglia
e scese del caval subitamente;
ed ogni cosa diceva a costei
e riposossi alcun giorno con lei.

19.
Poi si partìportato dal furore
e terminò passare in Pagania;
e mentre che cavalcail traditore
di Gan sempre ricorda per la via.
E cavalcando d'uno in altro errore
in un deserto truova una badia
in luoghi scuri e paesi lontani
ch'era a' confin tra' Cristiani e' Pagani.

20.
L'abate si chiamava Chiaramonte:
era del sangue disceso d'Angrante.
Di sopra alla badia v'era un gran monte
dove abitava alcun fero gigante
de' quali uno avea nome Passamonte
l'altro Alabastroe 'l terzo era Morgante:
con certe frombe gittavan da alto
ed ogni dì facevan qualche assalto.

21.
I monachetti non potieno uscire
del monistero o per legne o per acque.
Orlando picchiae non voleano aprire
fin ch' a l'abate alla fine pur piacque.
Entrato dentrocominciava a dire
come Colui che di Maria già nacque
adoraed era cristian battezato
e come egli era alla badia arrivato.

22.
Disse l'abate: - Il ben venuto sia.
Di quel ch'io hovolentier ti daremo
poi che tu credi al Figliuol di Maria;
e la cagioncavalierti diremo
acciò che non la imputi villania
perché all'entrar resistenzia facemo
e non ti volle aprir quel monachetto:
così intervien chi vive con sospetto.

23.
Quand'io ci venni al principio abitare
queste montagneben che sieno oscure
come tu vedipur si potea stare
sanza sospettoché l'eran sicure;
sol dalle fiere t'avevi a guardare:
fernoci spesso di strane paure.
Or ci bisognase vogliamo starci
dalle bestie dimestiche guardarci.

24.
Queste ci fan più tosto stare a segno:
sonci appariti tre feri giganti
non so di qual paese o di qual regno;
ma molto son feroci tutti quanti.
La forza e 'l mal voler giunta allo 'ngegno
sai che può il tutto; e noi non siàn bastanti:
questi perturban sì l'orazion nostra
ch'io non so più che fars'altri nol mostra.

25.
Gli antichi padri nostri nel deserto
se le loro opre sante erano e giuste
del ben servir da Dio n'avean buon merto;
né creder sol vivessin di locuste:
piovea dal ciel la mannaquesto è certo;
ma qui convien che spesso assaggi e guste
sassi che piovon di sopra quel monte
che gettano Alabastro e Passamonte.

26.
Il terzoche è Morganteassai più fero
isveglie e pini e' faggi e' cerri e gli oppi
e gettagli insin quiquesto è pur vero:
non posso far che d'ira non iscoppi. -
Mentre che parlan così in cimitero
un sasso par che Rondel quasi sgroppi
che da' giganti giù venne da alto
tanto che e' prese sotto il tetto un salto.

27.
Tìrati drentocavalierper Dio! -
disse l'abate - ché la manna casca. -
Rispose Orlando: - Caro abate mio
costui non vuol che 'l mio caval più pasca:
veggo che lo guarrebbe del restio;
quel sasso par che di buon braccio nasca. -
Rispose il santo padre: - Io non t'inganno:
credo che 'l monte un giorno gitteranno. -

28.

Orlando governar fece Rondello
ed ordinar per sé da collezione;
poi disse: - Abateio voglio andare a quello
che dètte al mio caval con quel cantone. -
Disse l'abate: - Come car fratello
consiglierotti sanza passïone:
io ti sconfortobarondi tal gita
ch'io so che tu vi lascerai la vita.

29.
Quel Passamonte porta in man tre dardi
chi frombechi bastonchi mazzafrusti:
sai che' giganti più di noi gagliardi
sonper ragion che sono anco più giusti;
e pur se vuoi andarfa' che ti guardi
ché questi son villan molto e robusti. -
Rispose Orlando: - Io lo vedrò per certo. -
Ed avvïossi a piè sù pel deserto.

30.
L'abate il crocïon gli fece in fronte:
- Va'che da Dio e me sia benedetto. -
Orlandopoi che salito ebbe il monte
si dirizzòcome l'abate detto
gli avevadove sta quel Passamonte;
il qualeOrlando veggendo soletto
molto lo squadra di drieto e davante
poi domandò se star volea per fante;

31.
e prometteva di farlo godere.
Orlando disse: - Pazzo saracino
io vengo a tecome è di Dio volere
per darti mortee non per ragazzino;
a' monaci suoi fatto hai dispiacere:
non può più comportartican meschino. -
Questo gigante armar si corse a furia
quando sentì ch' e' gli diceva ingiuria.

32.
E ritornato ove aspettava Orlando
il qual non s'era partito da bomba
sùbito venne la corda girando
e lascia un sasso andar fuor della fromba
che in sulla testa giugnea rotolando
al conte Orlandoe l'elmetto rimbomba;
e cadde per la pena tramortito
ma più che morto partanto è stordito.

33.
Passamonte pensò che fussi morto
e disse: "Io voglio andarmi a disarmare;
questo poltronper chi m'aveva scorto?".
Ma Cristo i suoi non suole abandonare
massime Orlandoch'Egli arebbe il torto.
Mentre il gigante l'arme va a spogliare
Orlando in questo tempo si risente
e rivocava e la forza e la mente.

34.
E gridò forte: - Giganteove vai?
Ben ti pensasti d'avermi ammazzato!
Volgiti addrietoché se alie non hai
non puoi da me fuggircan rinnegato:
a tradimento ingiurïato m'hai! -
Donde il gigante allor maravigliato
si volse addrieto e riteneva il passo;
poi si chinò per tòr di terra un sasso.

35.
Orlando avea Cortana ignuda in mano;
trasse alla testae Cortana tagliava:
per mezzo il teschio partì del pagano
e Passamonte morto rovinava;
e nel cadere il superbo e villano
divotamente Macon bestemiava;
ma mentre che bestemia il crudo e acerbo
Orlando ringraziava il Padre e 'l Verbo

36.
dicendo: - Quanta grazia oggi m'hai data!
Sempre ti sonoo Signor miotenuto:
per te cognosco la vita salvata
però che dal gigante ero abbattuto;
ogni cosa a ragion fai misurata:
non val nostro poter sanza 'l tuo aiuto.
Priegoti sopra me tenghi la mano
tanto ch'ancor ritorni a Carlo Mano. -

37.
Poi ch'ebbe questo dettose n'andòe
tanto che truova Alabastro più basso
che si sforzavaquando e' lo trovòe
di sveglier d'una ripa fuori un masso.
Orlandocome e' giunse a quelgridòe:
- Che pensi tughiottongittar quel sasso? -
Quando Alabastro questo grido intende
subitamente la sua fromba prende

38.

e trasse d'una pietra molto grossa
tanto ch'Orlando bisognò schermisse
ché se l'avessi giunto la percossa
non bisognava il medico venisse.
Orlando adoperò poi la sua possa:
nel pettignon tutta la spada misse
e morto cadde questo badalone
e non dimenticò però Macone.

39.
Morgante aveva a suo modo un palagio
fatto di frasche e di schegge e di terra;
quivisecondo luisi posa ad agio
quivi la notte si rinchiude e serra.
Orlando picchiae daràgli disagio
per che il gigante dal sonno si sferra;
vennegli aprir come una cosa matta
ch'un'aspra visïone aveva fatta.

40.
E' gli parea ch'un feroce serpente
l'avea assalitoe chiamar Macometto;
ma Macometto non valea nïente;
onde e' chiamava Iesù benedetto
e liberato l'avea finalmente.
Venne alla porta ed ebbe così detto:
- Chi bussa qua? - pur sempre borbottando.
- Tu 'l saprai tosto - gli rispose Orlando.

41.
Vengo per farti come a' tuoi fratelli;
son de' peccati tuoi la penitenzia
da' monaci mandato cattivelli
come stato è divina providenzia:
pel mal ch'avete fatto a torto a quelli
è data in Ciel così questa sentenzia.
Sappi che freddo già più ch'un pilastro
lasciato ho Passamonte e 'l tuo Alabastro. -

42.
Disse Morgante: - O gentil cavaliere
per lo tuo Iddio non mi dir villania.
Di graziail nome tuo vorrei sapere;
se se' cristiandehdillo in cortesia. -
Rispose Orlando: - Di cotal mestiere
contenterottiper la fede mia:
adoro Cristoche è Signor verace
e puoi tu adorarlose ti piace. -

43.
Rispose il saracin con umil voce:
- Io ho fatta una strana visïone
che m'assaliva un serpente feroce:
non mi valevaper chiamarMacone;
onde al tuo Iddio che fu confitto in croce
rivolsi presto la mia divozione;
e' mi soccorse e fui libero e sano
e son disposto al tutto esser cristiano. -

44.
Rispose Orlando: - Baron giusto e pio
se questo buon voler terrai nel core
l'anima tua arà quel vero Iddio
che ci può sol gradir d'eterno onore;
e s' tu vorraisarai compagno mio
ed amerotti con perfetto amore;
gl'idoli vostri son bugiardi e vani
e 'l vero Iddio è lo Dio de' cristiani.

45.
Venne questo Signor sanza peccato
nella sua madre virgine pulzella.
Se cognoscessi quel Signor beato
sanza 'l qual non risplende sole o stella
aresti già Macon tuo rinnegato
e la sua fede iniquaingiusta e fella:
battézati al mio Iddio di buon talento. -
Morgante gli rispose: - Io son contento. -

46.
E corse Orlando sùbito abbracciare.
Orlando gran carezze gli facea
e disse: - Alla badia ti vo' menare. -
Morgante: - Andianvi presto: - rispondea
- co' monaci la pace si vuol fare. -
Della qual cosa Orlando in sé godea
dicendo: - Fratel mio divoto e buono
io vo' che chiegga all'abate perdono.

47.
Da poi che Iddio ralluminato t'ha
ed accettato per la sua umiltade
vuolsi tu usi anco tu umilità. -
Disse Morgante: - Per la tua bontade
poi che il tuo Iddio mio sempre omai sarà
dimmi del nome tuo la veritade;
poiche di me dispor puoi al tuo comando. -
Onde e' gli disse com'egli era Orlando.

48.

Disse il gigante: - Gesù benedetto
per mille volte ringraziato sia:
sentito t'ho nomarbaron perfetto
per tutti i tempi della vita mia;
e com'io dissisempre mai suggetto
esser ti vo' per la tua gagliardia. -
Insieme molte cose ragionaro
e 'nverso la badia poi s'invïaro.

49.
E fêr la via da quei giganti morti.
Orlando con Morgante si ragiona:
- Della lor morte vo' che ti conforti
e poi che piace a Cristoa me perdona;
a' monaci avean fatti mille torti
e la nostra Scrittura aperto suona:
il ben remunerato e 'l mal punito;
e mai non ha questo Signor fallito;

50.
però ch'Egli ama la giustizia tanto
che vuol che sempre il suo giudicio morda
ognun ch'abbi peccato tanto o quanto;
e così il ben ristorar si ricorda
e non saria sanza giustizia santo.
Adunque al suo voler presto t'accorda
ché debbe ognun voler quel che vuol Questo
ed accordarsi volentieri e presto.

51.
E sonsi i nostri dottori accordati
pigliando tutti una conclusïone
che que' che son nel Ciel glorificati
s'avessin nel pensier compassïone
de' miseri parenti che dannati
son nello inferno in gran confusïone
la lor felicità nulla sarebbe;
e vedi che qui ingiusto Iddio parrebbe.

52.
Ma egli hanno posto in Iesù ferma spene
e tanto pare a lor quanto a Lui pare;
afferman ciò che E' fache facci bene
e che E' non possi in nessun modo errare;
se padre o madre è nell'eterne pene
di questo e' non si posson conturbare
ché quel che piace a Diosol piace a loro:
questo s'osserva nello eterno coro.

53.
Al savio suol bastar poche parole: -
disse Morgante - tu il potrai vedere
de' miei fratelliOrlandose mi duole
e s'io m'accorderò di Dio al volere
come tu di' che in Ciel servar si suole.
Morti co' morti; or pensian di godere;
io vo' tagliar le mani a tutti quanti
e porterolle a que' monaci santi

54.
acciò ch'ognun sia più sicuro e certo
come e' son mortie non abbin paura
andar soletti per questo deserto;
e perché vegga la mia mente pura
a quel Signor che m'ha il suo regno aperto
e tratto fuor di tenebre sì oscura. -
E poi tagliò le mani a' due fratelli
e lasciagli alle fiere ed agli uccelli.

55.
Alla badia insieme se ne vanno
ove l'abate assai dubioso aspetta;
e' monaciche 'l fatto ancor non sanno
correvono all'abate tutti in fretta
dicendo paürosi e pien d'affanno:
- Volete voi costui drento si metta? -
Quando l'abate vedeva il gigante
si turbò tutto nel primo sembiante.

56.
Orlandoche turbato così il vede
gli disse presto: - Abatedatti pace:
questo è cristiano e in Cristo nostro crede
e rinnegato ha il suo Macon fallace. -
Morgante i moncherin mostrò per fede
come i giganti ciascun morto giace;
donde l'abate ringraziava Iddio
dicendo: - Or m'hai contentoSignor mio. -

57.
E riguardava e squadrava Morgante
la sua grandezza ed una volta e due;
e poi gli disse: - O famoso gigante
sappi ch'io non mi maraviglio piùe
che tu svegliessi e gittassi le piante
quand'io riguardo or le fattezze tue.
Tu sarai or perfetto e vero amico
a Cristoquanto tu gli eri nimico.

58.

Un nostro apostolSaül già chiamato
perseguì molto la fede di Cristo.
Un giorno poidallo Spirto infiammato
Perché pur mi persegui?disse Cristo.
E' si ravvide allor del suo peccato;
andò poi predicando sempre Cristo
e fatto è or della fede una tromba
la qual per tutto risuona e rimbomba.

59.
Così farai tu ancorMorgante mio;
e chi s'emendaè scritto nel Vangelo
che maggior festa fa d'un solo Iddio
che di novantanove altri sù in Cielo.
Io ti conforto ch'ogni tuo desio
rivolga a quel Signor con giusto zelo
ché tu sarai felice in sempiterno
ch'eri perduto e dannato allo inferno. -

60.
E grande onore a Morgante faceva
l'abatee molti dì si son posati.
Un giornocome a Orlando piaceva
a spasso in qua ed in là si sono andati.
L'abate in una camera sua aveva
molte armadure e certi archi appiccati:
Morgante gliene piacque un che ne vede
onde e' sel cinsebenché oprar nol crede.

61.
Avea quel luogo d'acqua carestia.
Orlando disse: - Come buon fratello
Morgantevo' che di piacer ti sia
andar per l'acqua. - Onde e' rispose a quello:
- Comanda ciò che vuoiché fatto fia. -
E posesi in ispalla un gran tinello
ed avvïossi là verso una fonte
dove e' solea ber sempre appiè del monte.

62.
Giunto alla fontesente un gran fracasso
di sùbito venir per la foresta.
Una saetta cavò del turcasso
posela all'arco ed alzava la testa.
Ecco apparire una gran greggeal passo
di porcie vanno con molta tempesta
ed arrivorno alla fontana appunto
donde il gigante è da lor sopraggiunto.

63.
Morgante alla ventura a un saetta:
appunto nell'orecchio lo 'ncartava;
dall'altro lato passò la verretta
onde 'l cinghial giù morto gambettava.
Un altroquasi per farne vendetta
addosso al gran gigante irato andava;
e perché e' giunse troppo tosto al varco
non fu Morgante a tempo a trar coll'arco.

64.
Vedendosi venuto il porco addosso
gli dètte in su la testa un gran punzone
per modo che gl'infranse insino all'osso
e morto allato a quell'altro lo pone.
Gli altri porciveggendo quel percosso
si misson tutti in fuga pel vallone.
Morgante si levò il tinello in collo
ch'era pien d'acquae non si muove un crollo.

65.
Dall'una spalla il tinello avea posto
dall'altra i porcie spacciava il terreno;
e torna alla badiach'è pur discosto
ch'una gocciola d'acqua non va in seno.
Orlandoche 'l vedea tornar sì tosto
co' porci morti e con quel vaso pieno
maravigliossi che sia tanto forte;
così l'abate; e spalancan le porte.

66.
I monaciveggendo l'acqua fresca
si rallegrornoma più de' cinghiali
ch'ogni animal si rallegra dell'esca;
e posono a dormire i brevïali.
Ognun s'affannae non par che gl'incresca
acciò che questa carne non s'insali
e che poi secca sapessi di vieto;
e le digiune si restorno addrieto.

67.
E ferno a scoppiacorpo per un tratto
e scuffian che parean dell'acqua usciti
tanto che 'l can se ne doleva e 'l gatto
ché gli ossi rimanean troppo puliti.
L'abatepoi che molto onore ha fatto
a tuttiun dìdopo questi conviti
dètte a Morgante un destrier molto bello
che lungo tempo tenuto avea quello.

68.

Morgante in su 'n un prato il caval mena
e vuol che corra e che facci ogni pruova
e pensa che di ferro abbi la schiena
o forse non credeva schiacciar l'uova.
Questo caval s'accoscia per la pena
e scoppia e in sulla terra si ritruova.
Dice Morgante: - Lieva sùrozzone. -
E va pur punzecchiando collo sprone.

69.
Ma finalmente convien ch'egli smonte
e disse: - Io son pur leggier come penna
ed è scoppiato; che ne di' tuconte? -
Rispose Orlando: - Un albero d'antenna
mi par' più tostoe la gaggia la fronte.
Lascialo andarché la fortuna accenna
che meco a piede ne vengaMorgante.
- Ed io così verrò - disse il gigante.

70.
Quando sarà mestiertu mi vedrai
com'io mi proverrò nella battaglia. -
Orlando disse: - Io credo tu farai
come buon cavalierse Dio mi vaglia;
ed anco me dormir non mirerai.
Di questo tuo caval non te ne caglia:
vorrebbesi portarlo in qualche bosco
ma il modo né la via non ci conosco. -

71.
Disse il gigante: - Io il porterò ben io
da poi che portar me non ha voluto
per render ben per malcome fa Iddio;
ma vo' ch'a porlo addosso mi dia aiuto. -
Orlando gli dicea: - Morgante mio
s'al mio consiglio ti sarai attenuto
questo caval tu non vel porteresti
ché ti farà come tu a lui facesti.

72.
Guarda che non facessi la vendetta
come fece già Nessocosì morto:
non so se la sua istoria hai intesa o letta;
e' ti farà scoppiardatti conforto. -
Disse Morgante: - Aiuta ch'io mel metta
addossoe poi vedrai s'io ve lo porto:
io porteròOrlando mio gentile
con le campane là quel campanile. -

73.
Disse l'abate: - Il campanil v'è bene
ma le campane voi l'avete rotte. -
Dicea Morgante: - E' ne porton le pene
color che morti son là in quelle grotte. -
E levossi il cavallo in su le schiene
e disse: - Guarda s'io sento di gotte
Orlandonelle gambeo s'io lo posso. -
E fe' duo salti col cavallo addosso.

74.
Era Morgante come una montagna:
se facea questonon è maraviglia.
Ma pure Orlando con seco si lagna
perché pure era omai di sua famiglia:
temenza avea non pigliassi magagna;
un'altra volta costui riconsiglia:
- Posalo ancornol portare al deserto. -
Disse il gigante: - Io il porterò per certo. -

75.
E portollo e gittollo in luogo strano
e torna alla badia subitamente.
Diceva Orlando: - Or che più dimoriàno?
Morgantequi non facciàn noi nïente. -
E prese un giorno l'abate per mano
e disse a quel molto discretamente
che vuol partir dalla sua riverenzia
e domandava e perdono e licenzia;

76.
e degli onor ricevuti da questo
qualche voltapotendoarà buon merito.
E dice: - Io intendo ristoraree presto
i persi giorni del tempo preterito;
e son più dì che licenzia arei chiesto
benigno padrese non ch'io mi perito:
non so mostrarvi quel che drento sento
tanto vi veggo del mio star contento.

77.
Io me ne porto per sempre nel core
l'abatela badiaquesto deserto
tanto v'ho posto in picciol tempo amore:
rendavi sù nel Ciel per me buon merto
quel vero Iddioquello eterno Signore
che vi serba il suo regno al fine aperto.
Noi aspettiam vostra benedizione;
raccomandianci alle vostre orazione. -

78.

Quando l'abate il conte Orlando intese
rintenerì nel cor per la dolcezza
tanto fervor nel petto se gli accese
e disse: - Cavalierse a tua prodezza
non sono stato benigno e cortese
come conviensi alla gran gentilezza
ché so che ciò ch'i' ho fatto è stato poco
incolpa l'ignoranzia nostra e il loco.

79.
Noi ti potremo di messe onorare
di predichedi laude e paternostri
più tosto che da cena o desinare
o d'altri convenevol che da chiostri.
Tu m'hai di te sì fatto innamorare
per mille alte eccellenzie che tu mostri
ch'io me ne vengoove tu andraicon teco
e d'altra parte tu resti qui meco:

80.
tanto ch'a questo par contraddizione;
ma so che tu se' savio e intendi e gusti
e intendi il mio parlar per discrezione.
De' benefici tuoi pietosi e giusti
renda il Signore a te munerazione
da cui mandato in queste selve fusti;
per le virtù del qual liberi siamo
e grazia a Lui ed a te ne rendiamo.

81.
Tu ci hai salvato l'anima e la vita:
tanta perturbazion già que' giganti
ci dèttonche la strada era smarrita
di ritrovar Gesù cogli altri santi;
però troppo ci duol la tua partita
e sconsolati restiàn tutti quanti;
né ritener possianti i mesi e gli anni
ché tu non se' da vestir questi panni

82.
ma da portar la lancia e l'armadura;
e puossi meritar con essa come
con questa cappae leggi la Scrittura.
Questo gigante al Ciel drizzò le some
per tua virtù; va' in pace a tua ventura
chi tu ti siach'io non ricerco il nome
ma dirò sempres'io son domandato
ch'un angel qui da Dio fussi mandato

83.
Se ci è armadura o cosa che tu voglia
vattene in zambra e pigliane tu stessi
e cuopri a questo gigante la scoglia. -
Rispose Orlando: - S'armadura avessi
prima che noi uscissin della soglia
che questo mio compagno difendessi
questo accetto ioe saràmi piacere. -
Disse l'abate: - Venite a vedere. -

84.
E in certa cameretta entrati sono
che d'armadure vecchie era copiosa;
dicea l'abate: - Tutte ve le dono. -
Morgante va rovistando ogni cosa;
ma solo un certo sbergo gli fu buono
ch'avea tutta la maglia rugginosa:
maravigliossi che lo cuopra appunto
ché mai più gnun forse glien'era aggiunto.

85.
Questo fu d'un gigante smisurato
ch'a la badia fu morto per antico
dal gran Millon d'Angranteche arrivato
v'erase appunto questa storia dico;
ed era nelle mura istorïato
come e' fu morto questo gran nimico
che fece alla badia già lunga guerra;
e Millon v'è come e' l'abbatte in terra.

86.
Veggendo questa istoriail conte Orlando
fra suo cor disse: "O Dioche sai sol tutto
come venne Millon qui capitando
che ha questo gigante qua distrutto?".
E lesse certe letter lacrimando
ché non poté tener più il viso asciutto
come io dirò nella seguente istoria.
Di mal vi guardi il Re dell'alta gloria.



CANTARE SECONDO


1.
giustoo santoo etterno Monarca
o sommo Giove per noi crucifisso
che chiudesti la porta onde si varca
per ire al fondo dello oscuro abisso;
tu ch'al principio movesti mia barca
tu sia il nocchiere intento sempre e fisso
alla tua stella e la tua calamita:
che questa istoria sia per te finita.

2.
L'abatequando vide lacrimare
Orlandoe diventar le ciglia rosse
e per pietà le luce imbambolare
e' domandava perché questo fosse;
e poi che vide Orlando pur chetare
ancor più oltre le parole mosse:
- Non so s'ammirazion forse t'ha vinto
di quel che in questa camera è dipinto.

3.
Io fui della gran gesta naturale:
credo che io sia nipote o consobrino
di quel Rinaldouom tanto principale
che fu nel mondo sì gran paladino;
benché il mio padre non fu madornale
perché e' non piacque all'alto Iddio divino:
Ansuigi chiamossi in piano e in monte
e 'l nome mio diritto è Chiaramonte.

4.
Così ci fussi il figliuol di Millone
che fu fratel del mio padre perfetto!
Dehdimmi il nome tuogentil barone
se così piace a Gesù benedetto. -
Orlando s'accendea d'affezïone
bagnando tutto di lacrime il petto;
poi disse: - Abatemio caro parente
sappi ch'Orlando tuo t'è qui presente. -

5.
Per tenerezza corsono abbracciarsi;
ognun piangeva di soperchio amore
che non poteva a un tratto sfogarsi
e per dolcezza trabocca nel core.
L'abate non potea tanto saziarsi
d'abbracciar questoquanto è il suo fervore.
Diceva Orlando: - Qual grazia o ventura
fa ch'io vi truovi in questa parte scura?

6.
Ditemi un pococaro padre mio
per che cagion voi vi facesti frate
e non prendesti la lancia come io
e tante gente che di noi son nate?
- Perché e' fu volontà così di Dio-
rispose presto a Orlando l'abate
- che ci dimostra per diverse strade
donde e' si vadi nella sua cittade:

7.
chi colla spadachi col pasturale
poi la Natura fa diversi ingegni
e però son diverse queste scale:
basta che in porto salvo si pervegni
e tanto il primo quanto il sezzo vale.
Tutti siàn peregrin per molti regni;
a Roma tutti andar vogliamoOrlando
ma per molti sentier n'andian cercando.

8.

Così sempre s'affanna il corpo e l'ombra
per quel peccato dell'antico pome:
io sto col libro in man qui il giorno e l'ombra
tu colla spada tua tra l'elsa e 'l pome
cavalchie spesso sudi al sole e all'ombra;
ma di tornare a bomba è il fin del pome.
Dico ch'ognun qui s'affatica e spera
di ritornarsi alla sua antica spera. -

9.
Morgante avea con loro insieme pianto
sentendo queste cose ragionare
e pur cercava d'armadure; e intanto
un gran cappel d'acciaio usa trovare
che rugginoso si dormia in un canto.
Orlandoquando gliel vide provare
disse: - Morgantetu pari un bel fungo;
ma il gambo a quel cappello è troppo lungo. -

10.
Una spadaccia ancor Morgante truova;
cinselae poi se n'andava soletto
là dove rotta una campana cova
ch'era caduta e stava sotto un tetto
e spiccane un battaglio a tutta pruova
ed a Orlando il mostrava in effetto:
- Di questo che di' tusignor d'Angrante?
- Dico che è tal qual conviensi a Morgante. -

11.
Disse il gigante: - Con questo battaglio
che vedi come è grave e lungo e grosso
non credi tu ch'io schiacciassi un sonaglio?
Io vo' schiacciare il ferro e tritar l'osso:
parmi mill'anni or d'essere al berzaglio. -
Orlando a Chiaramonte ha così mosso:
- Or vi vorrei pregarmio santo abate
che di trovar ventura c'insegniate.

12.
Qualche battagliaqualche torniamento
trovar vorremose piacessi a Dio. -
Disse l'abate: - Io ne son ben contento
e credo satisfare al tuo desio.
Sappi che qua verso Levante sento
che in una gran cittàparente mio
un re pagan vi fa drento dimoro
il qual si fa chiamar re Caradoro.

13.
Ed ha una sua figlia molto bella
onestasavianobile e gentile;
e non è uom che la muova di sella
e ciascun cavalier reputa vile:
s'ella non fussi saracina quella
non fu mai donna tanto signorile.
Dintorno alla città sopra i confini
sono accampati molti saracini;

14.
ed èvvi un re di molta gagliardia
Manfredonio appellato dalla gente:
costui si muor per la dama giulìa
e fa gran cosecome amor consente
ed ha con seco tutta Pagania
per acquistar questa donna piacente:
dicon che v'è di paesi lontani
cento quaranta migliaia di pagani.

15.
E quel re Carador n'ha forse ottanta
di gente saracinaardita e forte;
e Manfredonio ogni giorno si vanta
d'aver questa donzella o d'aver morte
ed or trabocchi ed or bombarde pianta:
ogni dì corre insino in sulle porte. -
Il conte Orlandoquando questo intese
non domandar quanto desio l'accese.

16.
E dopo molte cose ragionate
di nuovo la licenzia ridomanda
dicendo nuovamente al santo abate
ch'alle sue orazion si raccomanda;
che vuol trovarsi fra le gente armate
in quel paese là dove e' lo manda:
che gli lasciassi andar colla sua pace.
Disse l'abate: - Sia come a voi piace:

17.
contento sonse tanto v'è in piacere.
Voi avete apparata la magione:
sarò sempre fidato e buono ostiere:
ciò che ci èè del figliuol di Millone;
ma non bisogna tra noi profferere.
A tutti do la mia benedizione. -
Così da Chiaramonte lacrimando
si dipartirno Morgante ed Orlando.

18.

Per lo deserto vanno alla ventura:
l'uno era a piede e l'altro era a cavallo;
cavalcon per la selva e per pianura
sanza trovar ricetto o intervallo.
Cominciava a venir la notte oscura.
Morgante parea lieto sanza fallo
e con Orlando ridendo dicia:
- E' par ch'io vegga appresso una osteria. -

19.
E in questo ragionandohanno veduto
un bel palagio in mezzo del deserto.
Orlandopoi ch'a questo fu venuto
dismontaperché l'uscio vide aperto:
quivi non è chi risponda al saluto.
Vannone in salaper esser più certo:
le mense riccamente son parate
e tutte le vivande accomodate.

20.
Le camere eran tutte ornate e belle
istorïate con sottil lavoro
e letti molto ricchi erano in quelle
coperti tutti quanti a drappi d'oro
e' palchi erano azurri pien di stelle
ornati sì che valieno un tesoro;
le porte eran di bronzo e qual d'argento
e molto vario e lieto è il pavimento.

21.
Dicea Morgante: - Non è qui persona
a guardar questo sì ricco palagio?
Orlandoquesta stanza mi par buona:
noi ci staremo un giorno con grande agio. -
Orlando nella mente sua ragiona:
- O qualche saracin molto malvagio
vorrà che qualche trappola ci scocchi
per pigliarci al boccon come i ranocchi

22.
veramente c'è sotto altro inganno:
questo non par che sia convenïente. -
Disse Morgante: - Questo è poco danno. -
E cominciava a ragionar col dente
dicendo: - All'oste rimarrà il malanno:
mangiàn pur molto ben per al presente;
quel che ci restafaren poi fardello
ch'io portereiquand'io ruboun castello. -

23.
Rispose Orlando: - Questa medicina
forse potrebbe il palagio purgare. -
Hanno cercato insino alla cucina:
né cuoco né vassallo usan trovare.
Adunque ognuno alla mensa camina:
comincian le mascella adoperare
ch'un giorno avevon mangiato già in sogno
tal che di vettovaglia avean bisogno.

24.
Quivi vivande è di molte ragioni:
pavoni e starne e leprette e fagiani
cervi e conigli e di grassi capponi
e vino ed acqua per bere e per mani.
Morgante sbadigliava a gran bocconi
e furno al bere infermial mangiar sani;
e poi che sono stati a lor diletto
si riposorno intro 'n un ricco letto.

25.
Come e' fu l'albaciascun si levava
e credonsene andar come ermellini
né per far conto l'oste si chiamava
ché lo volean pagar di bagattini;
Morgante in qua ed in là per casa andava
e non ritruova dell'uscio i confini.
Diceva Orlando: - Saremo noi mézzi
di vinche l'uscio non si raccapezzi?

26.
Questa ès'io non m'ingannopur la sala
ma le vivande e le mense sparite
veggo che son; quivi era pur la scala.
Qui son gente stanotte comparite
che come noi aranno fatto gala;
le cose ch'avanzornoove sono ite? -
E in questo errore un gran pezzo soggiornano:
dovunque e' vannoin sulla sala tornano.

27.
Non riconoscono uscio né finestra.
Dicea Morgante: - Ove siàn noi entrati?
Noi smaltiremoOrlandola minestra
ché noi ci siam rinchiusi e inviluppati
come fa il bruco su per la ginestra. -
Rispose Orlando: - Anzi ci siam murati. -
Disse Morgante: - A volere il ver dirti
questa mi pare una stanza da spirti:

28.

questo palagioOrlandofia incantato
come far si soleva anticamente. -
Orlando mille volte s'è segnato
e non poteva a sé ritrar la mente
fra sé dicendo: "Aremol noi sognato?".
Morgante dello scotto non si pente
e disse: - Io so ch'al mangiare ero desto;
or non mi curo s'egli è sogno il resto.

29.
Basta che le vivande non sognai;
e s'elle fussin ben di Satanasso
arrechimene pure innanzi assai. -
Tre giorni in questo error s'andorno a spasso
sanza trovare ond'egli uscissin mai;
e 'l terzo giornoscesi giù da basso
in una loggia arrivon per ventura
donde un suono esce d'una sepultura

30.
e dice: - Cavalierierrati siete:
voi non potresti di qui mai partire
se meco prima non v'azzufferete;
venite questa lapida a scoprire
se non che qui in eterno vi starete. -
Per che Morgante cominciò a dire:
- Non senti tuOrlandoin quella tomba
quelle parole che colui rimbomba?

31.
Io voglio andare a scoprir quello avello
là dove e' par che quella voce s'oda;
ed escane Cagnazzo e Farferello
o Libicocco col suo Malacoda. -
E finalmente s'accostava a quello
però che Orlando questa impresa loda
e disse: - Scuoprise vi fussi dentro
quanti ne piovvon mai dal ciel nel centro. -

32.
Allor Morgante la pietra sù alza:
ecco un dïavol più ch'un carbon nero
che della tomba fuor sùbito balza
in un carcame di morto assai fiero
ch'avea la carne seccaignuda e scalza.
Diceva Orlando: - E' fia pur daddovero:
questo è il dïavolch'io 'l conosco in faccia. -
E finalmente addosso se gli caccia.

33.
Questo dïavol con lui s'abbracciòe:
ognuno scuote; e Morgante diceva:
- AspettaOrlandoch'io t'aiuteròe. -
Orlando aiuto da lui non voleva;
pure il dïavol tanto lo sforzòe
ch'Orlando ginocchion quasi cadeva;
poi si rïebbe e con lui si rappicca:
allor Morgante più oltre si ficca.

34.
E' gli parea mill'anni d'appiccare
la zuffa; e come Orlando così vide
comincia il gran battaglio a scaricare
e disse: - A questo modo si divide. -
Ma quel demon lo facea disperare
però che i denti digrignava e ride.
Morgante il prese alle gavigne stretto
e missel nella tomba a suo dispetto.

35.
Come e' fu dentrogridò: - Non serrare
ché se tu serrimai non uscirai. -
Disse Orlando: - In che modo abbiamo a fare? -
E' gli rispose: - Tu lo sentirai.
Convienti quel gigante battezare
poi a tua posta andar te ne potrai:
fallo cristianoe come e' sarà fatto
a tuo camin ne va sicuro e ratto.

36.
Se tu mi lasci questa tomba aperta
non vi farò più noia o increscimento:
ciò ch'io ti dicoabbi per cosa certa. -
Orlando disse: - Di ciò son contento
benché tua villania questo non merta;
ma per partirmi di quici consento. -
Poi tolse l'acqua e battezò il gigante
ed uscì fuor con Rondello e Morgante.

37.
E come e' fu fuor del palagio uscito
sentì drento alle mura un gran romore;
onde e' si volsee 'l palagio è sparito;
allor cognobbe più certo l'errore:
non si rivede né mura né il sito.
Dicea Morgante: - E' mi darebbe il cuore
che noi potremo or nell'inferno andare
e far tutti i dïavoli sbucare.

38.

Se si potessi entrar di qualche loco
ché nel mondo è certe bocchesi dice
donde e' si vache di fuor gettan fuoco
e non so chi v'andò per Euridice
io stimerei tutti i dïavol poco.
Noi ne trarremo l'anime infelice;
e taglierei la coda a quel Minosse
se come questo ogni dïavol fosse;

39.
e pelerò la barba a quel Caron
e leverò della sedia Plutone;
un sorso mi vo' far di Flegeton
e inghiottir quel Fregiàs con un boccone;
TesifoAlettoMegera e Ericon
e Cerbero ammazzar con un punzone;
e Belzebù farò fuggir più via
ch'un dromedario non andre' in Soria.

40.
Non si potrebbe trovar qualche buca?
tu vi vedresti il più bello spulezzo
pur che questo battaglio vi conduca;
e mettimi a' dïavoli poi in mezzo. -
Rispose Orlando: - E' non vi si manuca
Morgante mio: noi vi faremo lezzo
e nell'entrar ci potremo anco cuocere:
dunque l'andata starebbe per nuocere.

41.
Quando tu puoiMorganteir per la piana
non cercar mai né l'erta né la scesa
o di cacciare il capo in buca o in tana:
andian pur per la via nostra distesa. -
E così ragionandouna fontana
trovorondove due fan gran contesa:
eron corrier con lettere mandati
e come micci si son bastonati.

42.
Orlandocome e' giunsegli domanda:
- Ditemi un pocoperché v'azzuffate?
Voi mi parete corrier: chi vi manda
o che imbasciate o lettere portate?
Venite voi di Francia o di qual banda?
Lasciate un poco star le bastonate:
ditemi ancor se voi siete cristiani
se Dio vi salvi e bastoni e le mani. -

43.
Rispose l'un di loro: - Io son cristiano
e poco tempo è ch'io venni abitare
a un castel chiamato Monte Albano.
Rinaldoil mio signormi fa cercare
d'un suo cugino; e 'l traditor di Gano
lo séguita per far male arrivare:
manda costuiche tu vedicercando
di questo suo cugin c'ha nome Orlando.

44.
A questa fonte a caso ci trovamo
e come egli è de' nostri pari usanza
di domandar l'un l'altrodomandamo:
Che lettera o imbasciata hai d'importanza?
e come stracchi un poco ci posamo.
Costui mi dice che Gan di Maganza
per far morire Orlando lo mandava
e che per Pagania di lui cercava.

45.
E perch'io presi la parte d'Orlando
alzò la mazza sanza dir nïente:
così si venne la zuffa appiccando. -
Orlandoquando le parole sente
diceva: - O Dioa te mi raccomando
da questo traditore e frodolente!
Io pur non truovoovunque io mi dilegui
luogo che 'l traditor non mi persegui. -

46.
Quando Morgante vede il suo signore
che si doleva e contro a Gano sbuffa
tanto gli venne sdegno e pietà al core
che per la gola il corrier tosto ciuffa
cioè quel che mandava il traditore
e nella fonte sott'acqua lo tuffa
calpesta e pigiae per ira si sfoga
tanto che tutto lo 'nfranse ed affoga.

47.
Orlando disse a quell'altro corriere:
- Io son colui per chi tu se' mandato.
Di' a Rinaldo che in questo sentiere
come tu vediil cugino hai trovato:
io son Orlandoe poi ch'egli è in piacere
di Carlovo pel mondo disperato. -
Quando il corrier sentì ch'Orlando è questo
maravigliossi e inginocchiossi presto.

48.

Dimmi a Carlo - diceva ancora Orlando
- che si consigli col suo Gano antico;
ed io pel mondo vo peregrinando
come s'io fussi qualche suo nimico.
Digli dove trovato e come e quando
tu m'hai qui solo e povero e mendico;
e quel ch'io ho fattocorrierper costui
credo che 'l sappi ognunsalvo che lui

49.
che non sa quel che beneficio sia
non si ricorda ch'io sia suo nipote
o ch'i' in sua corte in Francia stessi o stia:
basta che Gan ciò che vuol con lui puote
tanto ch'io me ne vo in Pagania
pur come voglion le volubil rote.
E di' ch'io ho sol con meco un gigante
ch'è battezatoappellato Morgante

50.
e 'l caval che tu vedie questa spada;
altro non ho se non questa armadura;
e ch'io non so io stesso ove io mi vada
o dove ancor mi guidi la ventura;
ma inverso Barberia tengo la strada:
andrò dove mi porta mia sciagura
poi che e' consente a cercar la mia morte;
e che mai più non tornerò in sua corte.

51.
Dimmi a Rinaldo miofigliuol d'Amone
che la mia compagnia che io lasciai
gli raccomando con affezïone;
ch'io penso in Pagania morire omai.
Saluta AstolfoNamo e Salamone
e Berlinghierche sempre molto amai;
a Ulivier di' che la sua sorella
gli raccomandoe mia sposaAlda bella.

52.
Dimmi al Danesecaro imbasciatore
che in Francia a questi tempi non m'aspetti;
e di' ch'io ho Cortana e 'l corridore
acciò che forse di ciò ignun sospetti;
della mia sopravvesta il suo colore
vedi come è dipinta a Macometti;
che si ricordi del suo caro Orlando
che va pel mondo sperso or tapinando.

53.
Dimmi il tuo nome orse t'è in piacimento. -
Onde e' rispose: - Questo è ben dovere
o signor mio: chiamar mi fo Chimento.
Cristo ti muti di sì stran pensiere
ché tua risposta mi dà gran tormento:
questo non è quel che 'l signor mio chiere.
Io voglioOrlandovoi mi perdoniate
e ch'alquante parole m'ascoltiate.

54.
Quand'io da Montalban feci partita
io fui a Parigidond'io vengo adesso:
la corte pare una cosa smarrita
lo 'mperador non pareva più desso
vedovo il regno e la gente stordita.
Gli orecchi debbon cornarvi qua spesso
ch'ognun ragiona della vostra fama
e 'l popul tutto a un grido vi chiama.

55.
Il mio signor con gran disio v'aspetta;
Parigi e Franciaogni cosa si duole.
Or vi vo' dire una mia novelletta
ché spesso la ragion lo essemplo vuole.
Un tratto a spasso anco la formichetta
andò pel mondocome far si suole
e trovò infine un teschio di cavallo
e semplicetta cominciò a cercallo.

56.
Quand'ella giunse ove il cervello stava
questa gli parve una stanza sì bella
che nel suo cor tutta si rallegrava
e dicea seco questa meschinella:
Qualche signor per certo ci abitava.
Ma finalmentecercando ogni cella
non vi trovava da mangiar nïente
e di sua impresa alla fine si pente;

57.
e ritornossi nel suo bucolino.
Perdonimis'io fallochi m'ascolta
e intenda il mio vulgar col suo latino:
io vo' che a me crediate questa volta
e ritorniate al vostro car cugino
se non ch'ogni speranza gli fia tolta:
disse che mai a lui non ritornassi
se meco in Francia non vi rimenassi.

58.

Il grande amor mi sforza a quel ch'io dico:
riconoscete e gli amici e' parenti;
l'andar così pel mondo è pure ostìco. -
Orlandoudendo e suoi ragionamenti
disse: - Chimentotu se' buono amico. -
E gittò fuor molti sospir dolenti;
e da costui alfin s'accomiatava
sanz'altro dirché piangendo n'andava.

59.
Orlandopoi che partì da Chimento
tutto quel giorno seco ha sospirato;
così il messaggio ne va mal contento
non sa come a Rinaldo sia tornato.
Morgante ne va a piè di buon talento
con quel battaglio che è duro e granato;
e in su 'n un poggio le pagane schiere
di Manfredon cominciono a vedere

60.
padiglioni e trabacche e pennoncelli
e sentono stormenti oltra misura
nacchere e corni e trombe e tamburelli
e cavalier coperti d'armadura
vedeancogli elmi rilucenti e belli.
Orlando guata inverso la pianura
e vede tanti pagani attendati
come l'abate gli avea numerati.

61.
Di questo molto se ne rallegròe;
così Morgante; e poi che 'l poggio scese
dinanzi a Manfredon s'appresentòe
ch'era gentilmagnanimo e cortese
e di Morgante si maravigliòe;
e 'l conte Orlando per la briglia prese
e disse: - Benvenuto siabarone.
Dismontae poi verrai nel padiglione. -

62.
Orlando lascia a Morgante Rondello
e va nel padiglion col re pagano;
e Manfredon così diceva a quello:
- Chi tu ti siasaracino o cristiano
ti tratterò come gentil fratello;
e perché il tuo venir non sia qui invano
soldo darottise t'è in piacimento
tanto che tu saraibaroncontento. -

63.
Rispose alle parole grate Orlando:
- Preso m'avete col vostro parlare;
soldo nïente da voi non domando
se non vedete l'arme adoperare. -
E così molte cose ragionando
disse il pagano: - Io vi vo' ragguagliare
di quel che forse per voi non sapete
ché cavalier discreti mi parete.

64.
Io vi dirò la mia disavventura
s'alcun rimedio sapessi trovarmi:
io ardo tuttoper la mia sciagura
d'una fanciullae non so più che farmi;
due volte abbiam provato l'armadura:
ogni volta ha potuto superarmi
sì che da lei vituperato sono
e messo ho la speranza in abbandono.

65.
Egli è ben vero ch'io ho qui tanta gente
che mi darebbe il cuor di superarla;
ma non sarebbe onor certanamente
ché colla lancia intendo d'acquistarla.
S'alcun di voi sarà tanto possente
ch'a corpo a corpo credessi atterrarla
ricomperrollo ciò ch'io ho nel mondo:
ché basta a me sol leipoi son giocondo. -

66.
Orlando disse: - Noi ci proverremo:
ognun ci adoperrà tutta sua possa;
e credo pure alfin noi vinceremo
se femina sarà di carne e d'ossa. -
Disse il pagano: - Ogni cosa diremo.
Prima che la fanciulla facci mossa
manda in sul campo sempre un suo fratello
molto gagliardo e gentil damigello;

67.
e per nome si chiama Lïonetto
ed è figliuol del gran re Caradoro
e non adora alcun più Macometto
che sia sì forteper più mio martoro.
E la sorella ch'io v'ho prima detto
per cui solo ardomi distruggo e moro
gentileonestaanzi cruda e villana
sappi che chiamata è Meredïana.

68.

E veramente è come ella si chiama
perché di mezzodì par proprio un sole.
Io innamorai di questa gentil dama
non per vistaper atti o per parole
ma per le sue virtù ch'udi' per fama
ovver che 'l mio destin pur così vuole;
e da quel giorno in qua ch'amor m'accese
per lei son fatto e gentile e cortese.

69.
Or vo' pregarvifamosi baroni
che 'l nome mi diciate in cortesia. -
Orlando disse con grati sermoni:
- Io vel diròperché in piacer vi sia
benché far vi vorremo maggior doni;
pur negar questo sare' villania
Più tempo ho fatto in Levante dimoro
e son chiamato da ciascun Brunoro.

70.
E questo mio compagno che è gigante
veder potrete quanto è valoroso:
fassi chiamare il feroce Morgante
ed è più che non mostra poderoso.
In Macometto crede e Trevigante. -
Il resentendolmolto grazïoso
rispose: - Per mia féche voi sarete
da me trattati come voi vorrete. -

71.
E quanto può Manfredon gli onorava
e nel suo padiglion sempre gli tenne
e molte cose con lor ragionava.
Ma finalmente un dì per caso avvenne
che Lïonetto quel campo assaltava
e inverso il padiglioncome e' suolvienne
e Manfredon chiamava con un corno
alla battagliaper più beffe e scorno.

72.
E cominciò per modo a muover guerra
che molta gente faceva fuggire:
parea quando alle pecore si serra
il lupoonde 'l pastor si fa sentire;
e qual ferisce e qual trabocca in terra
e molti il dì ne faceva morire
e chi fuggir non può ne va prigione;
onde e' fuggivan tutti al padiglione.

73.
Il conte Orlando udì che Lïonetto
aveva il campo in tal modo assalito
ch'ognun fuggìa dinanzi al giovinetto:
sùbito sopra Rondel fu salito
e disse: - VienneMorganteio t'aspetto:
di Lïonetto non hai tu sentito?
Tu vedrai or di Macon la possanza
e del tuo Cristoove tu hai speranza. -

74.
Dicea Morgante: - Io non ho mai veduto
provare Orlandoio lo vedrò pure ora:
ringrazio Iddio ch'io mi sarò abbattuto. -
Orlando sprona il suo cavallo allora
e sparì via com'uno stral pennuto;
per che Morgante s'avvïava ancora
e col battaglio si viene assettando
e guarda pur quel che faceva Orlando.

75.
Orlando nella pressa si mettea
e pur Morgante guarda dove e' vada
e sempre drieto a Rondel gli tenea
dove e' vedea che pigliava la strada.
E Lïonetto in quel tempo giugnea
ch'aveva in man sanguinosa la spada.
Orlando il vide e la lancia abbassava;
ma Lïonetto un'altra ne pigliava.

76.
Volse il cavallo e 'nverso Orlando abbassa
e vannosi a ferir con gran furore
e l'una e l'altra lancia si fracassa;
ma Lïonetto uscì del corridore
e Rondel viacome il suo nomepassa.
Morgante guata drieto al suo signore
e dice: "Orlando è pur baron perfetto
e Cristo è veroe falso è Macometto".

77.
Ma Lïonetto pur si rilevòe
e sopra il suo cavallo è rimontato
e Macometto a gran voce chiamòe
dicendo: - Traditorch'io ho adorato
a torto sempreio ti rinnegheròe
poi ch'a tal punto tu m'hai abandonato:
l'anima mia più non ti raccomando
ché non are' quel colpo fatto Orlando. -

78.

Poi si rivolse a Orlando dicendo:
- Nota che e' fu del mio destriere il fallo. -
Orlando gli rispose sorridendo:
- E' si vorre' co' buffetti ammazzallo. -
Disse Morgante: - Così non la intendo:
or che tu se' rimontato a cavallo
mi par che sia tuo debitopagano
di riprovarvi colle spade in mano. -

79.
Rispose Lïonetto: - A ogni modo
vo' che col brando terminian la zuffa. -
Disse Morgante: - Per Dioch'io la lodo
ché tu vedrai che 'l caval non fe' truffa. -
Or tuSignorea cui servir sol godo
per cui la terra e l'aria si rabbuffa
guardaci e salva e 'nsino al fine insegna
tanto ch'io canti questa istoria degna.



CANTARE TERZO


1.
Padreo giustoincomprensibil Dio
illumina il mio cor perfettamente
sì che e' si mondi del peccato rio;
e pur s'io sono stato negligente
tu se' pur finalmente il Signor mio
tu se' salute dell'umana gente;
tu se' colui che 'l mio legno movesti
e 'nsino al porto aiutar mi dicesti.

2.
Orlando gli rispose: - Egli è dovere. -
E colle spade si son disfidati.
E Lïonettoch'avea gran potere
molti pensieri aveva essaminati
per fare al conte Orlando dispiacere;
e perché tutti non venghin fallati
alzava con due man la spada forte
per dare al suo cavalse puòla morte.

3.
Orlando vide il pagano adirato:
pensò volere il colpo riparare
ma non potéché 'l brando è giù calato
in su la groppa e Rondel fe' cascare
tanto ch'Orlando si trovò in sul prato
e disse: - Iddio non si poté guardare
da' traditor: però chi può guardarsi?
Ma la vergogna qua non debbe usarsi. -

4.
Poi fra sé disse: "Ove se'Vegliantino?";
ma non disse sì pian che 'l suo nimico
non intendessi ben questo latino:
e' si pensò di dirlo al padre antico.
Orlando s'accorgea del saracino
e disse: "Se più oltre a costui dico
in dubbio son se mi conosce scorto:
il me' sarà ch'e' resti al campo morto".

5.
La gente fu dintorno al conte Orlando
con lance e spadecon dardi e spuntoni;
e lui soletto s'aiuta col brando:
a quale il braccio tagliava e' faldoni
a chi tagliava sbergoa chi potando
venìa le manie cascono i monconi;
a chi cacciava di capo la mosca
acciò ch'ognun la sua virtù conosca.

6.
Morgante vide in sì fatto travaglio
il conte Orlandoe in là n'andava tosto
e cominciò a sciorinare il battaglio
e fa veder più lucciole che agosto;
e saracin di lui fanno un berzaglio
di dardi e lancema gettan discosto;
tanto chequando dove è il conte venne
un istrice coperto par di penne.

7.
Era a cavallo Orlando risalito
e già di Lïonetto ricercava;
ma Lïonettocome e' l'ha scolpito
inverso la città si ritornava
e per paura l'aveva fuggito.
Orlando forte Rondello spronava
e tanto e tanto in su' fianchi lo punse
che Lïonetto alla porta raggiunse.

8.

Volgiti indrieto; onde è tanta paura-
gridò - pagano? - E colui pur fuggiva
perché e' temeva della sua sciagura.
Orlando colla spada l'assaliva
e non poté fuggir drento alle mura
il giovinettoch'Orlando il feriva
irato con tal furia e con tempesta
che gli spiccò dallo imbusto la testa.

9.
Nel campo si tornò poi che l'ha morto;
trovò Morgante che nella pressa era:
ebbe di Lïonetto assai conforto
e ritornârsi inverso la bandiera.
Il caso presto alla dama fu porto
che luce più ch'ogni celeste spera:
graffiossi il volto e straccia i capei d'oro
sì che fe' pianger tutto il concestoro.

10.
E 'l vecchio padre dicea: - Figliuol mio
chi mi t'ha morto? - e gran pianto facea.
- O Macomettotu se' falso iddio
non te ne incresce di sua morte rea?
Che pensi tu ch'onor più ti faccia io
o ch'io t'adori nella tua moschea? -
Meredïana in così fatto pianto
fece trovar tutte sue arme intanto.

11.
Vennono arnesi perfetti e gambiere
sùbito innanzi a questa damigella;
di tutta botta lo sbergo e lamiere
e la corazza provata era anch'ella
elmetto e guanti e bracciali e gorgiere:
mai non si vide armadura sì bella;
e spada che già mai non fece fallo;
e così armata saltò in sul cavallo.

12.
Gente non volle che l'accompagnasse:
uno scudiere a piè sol colla lancia;
e così par che in sul campo n'andasse
se l'aütor della istoria non ciancia
e come giunseun bel corno sonasse
ch'avea d'avoriocome era la guancia.
Orlando disse a Manfredonio: - Io torno
alla battagliaperch'io odo il corno. -

13.
Morgante presto assettava Rondello;
Orlando verso la dama ne gìa
che vendicar voleva il suo fratello;
Morgante sempre alla staffa seguia.
Meredïanacome vide quello
presto s'accorse che Brunoro sia.
Orlando giunse e diègli un bel saluto;
disse la dama: - Tu sia il mal venuto.

14.
Se se' colui ch'hai morto Lïonetto
ch'era la gloria e l'onor di Levante
per mille volte lo iddio Macometto
ti sconfondaApollino e Trivigante!
Sappi ch'a quel famoso giovinetto
non fu mai al mondo o sarà simigliante. -
Orlando disse con parlare accorto:
- Io son colui che Lïonetto ho morto. -

15.
Disse la dama: - Non far più parole:
prendi del campoio ne farò vendetta.
O Macometto crudelnon ti duole
che spento sia il valor della tua setta?
ché mai tal cavalier vedrà più il sole
né rifarà così Natura in fretta. -
E rivoltò il destrier suo lacrimando;
così dall'altra parte fece Orlando.

16.
Poi colle lance insieme si scontrorno.
Il colpo della dama fu possente
quando al principio l'aste s'appiccorno
tanto ch'Orlando del colpo si sente.
Le lance al vento in più pezzi volorno
e Rondel passa furïosamente
col suo signorche tutto si scontorse
pel grave colpo che colei gli porse.

17.
Orlando ferì lei di furia pieno:
giunse al cimier che 'n su l'elmetto avea
e cadde col pennacchio in sul terreno:
l'elmo gli uscìla treccia si vedea
che raggia come stelle per sereno
anzi pareva di Venere iddea
anzi di quella che è fatta un alloro
anzi parea d'argentoanzi pur d'oro.

18.

Orlando risee guardava Morgante
e disse: - Andianne omai per la più piana.
Io credea pur qualche baron prestante
pugnassi qui per la dama sovrana:
per vagheggiar non venimo in Levante. -
Ebbe vergogna assai Meridïana:
sanz'altro dircolla sua chioma sciolta
collo scudiere alla terra diè volta.

19.
Manfredon dissecome e' vide Orlando:
- Dimmibaroncome andò la battaglia? -
Orlando gli rispose sogghignando:
- Venne una donna coperta di maglia
e perché l'elmo gli venni cavando
su per le spalle la treccia sparpaglia.
Com'io cognobbi che l'era la dama
partito son per salvar la sua fama. -

20.
Lasciamo Orlando star col saracino
e ritorniamo in Francia a Carlo Mano.
Carlo si stava pur molto tapino
così il Danesee lieto era sol Gano
poi che non v'è più Orlando paladino;
ma sopra tutti il sir da Montalbano
AstolfoAvinoAvolio ed Ulivieri
piangevan questoe così Berlinghieri.

21.
Chimento un giornoil messaggioè tornato
e inginocchiossi innanzi alla Corona
dicendo: - Carlotu sia il ben trovato
di cui tanto il gran nome e 'l pregio suona. -
Rinaldoche lo vide addolorato
disse: - Novella non debbi aver buona. -
Donde il messaggio disse lacrimando:
- Io ho trovato il tuo cugino Orlando. -

22.
E mentre che più oltre volea dire
sì fatta tenerezza gli abbondava
che e' non poté le parole finire
quando i baroni intorno riguardava
ch'Orlando ricordò nel suo partire
e tramortito in terra si posava;
per che ciascuno allor giudica scorto
che 'l conte Orlando dovessi esser morto.

23.
Dicea Rinaldo: - Caro cugin mio
poi che tu se' di questa vita uscito
sanza telassoche farei più io? -
ed Ulivier piangea tutto smarrito.
Carlo pregava umilemente Iddio
pel suo nipotetutto sbigottito
e maladia quel dì che di sua corte
e' si partìch'a Gan non diè la morte.

24.
Piangeva il savio Namo di Baviera
e Salamon ne facea gran lamento.
Bastò quel pianto per infino a sera
ch'ognun pareva fuor del sentimento;
e Gan fingea con simulata cera.
Ma risentito alla fine Chimento
levossi e confortò costorpregando
che non piangessin come morto Orlando

25.
dicendo: - Orlando sta di buona voglia -
e tutti per sua parte salutòe.
- Io il trovai nel deserto di Girfoglia
ch'a una fonte per caso arrivòe
dove un altro corrier mi diè gran doglia
(ma nella fonte annegato restòe)
che lo mandava qui Gan traditore
per far morire il roman senatore. -

26.
Gridò Rinaldo: - Questo rinnegato
distrugge pure il sangue di Chiarmonte
come tu vuoio Carlo mio impazzato. -
Gan gli rispose con ardita fronte
e disse: - Io son miglior in ogni lato
di teRinaldoe del cugin tuo conte. -
Rinaldo disse: - Per la gola menti
ché mai non pensi se non tradimenti. -

27.
E volle colla spada dare a Gano;
Gan si fuggìch'appunto il cognosceva.
Bernardo da Pontiersuo capitano
irato verso Rinaldo diceva:
- Rinaldotu se' uom troppo villano. -
Allor Rinaldo addosso gli correva
e 'l capo dalle spalle gli spiccava
e tutti i Maganzesi minacciava.

28.

I Maganzesiveggendo il furore
di sùbito la sala sgomberorno.
Carlo gridava: - Questo è troppo errore!
Rinaldo mette sozzopra ogni giorno
la corte nostrae fammi poco onore. -
I paladini in questo mezzo entrorno
e tutti quanti confortâr Rinaldo
ch'avessi pazïenza e stessi saldo.

29.
Rinaldo dicea pur: - Questo fellone
non vo' che facci mai più tradimento.
O CarloCarloquesto Ganellone
vedrai ch'un dì ti farà mal contento. -
Carlo rispose: - Rinaldo d'Amone
tempo è da operar sì fatto unguento:
a qualche fine ogni cosa comporto. -
Disse Rinaldo: - Ch'Orlando sia morto:

30.
a questo fine il comporti tuCarlo
e che distrugga tela corte e 'l regno.
Io voglio il mio cugino ire a trovarlo. -
Ed Ulivier dicea: - Teco ne vegno. -
Dodon pregò ch'e' dovessi menarlo
dicendo: - Fammi di tal grazia degno. -
Disse Rinaldo: - Tu credi ch'io andassi
che 'l mio Dodon con meco non menassi? -

31.
Chiamò GuicciardoAlardo e Ricciardetto:
- Fate che Montalban sia ben guardato
tanto ch'io truovi il cugin mio perfetto:
ognun sia presto là rappresentato
ch'io ho de' traditor sempre sospetto
e Gan fu traditor prima che nato;
non vi fidate se non di voi stesso
e Malagigi getti l'arte spesso. -

32.
Rinaldo e 'l suo Dodone ed Ulivieri
da Carlo imperador s'accomiatorno;
e nel partirsi questi cavalieri
tre sopravveste verde s'acconciorno
che in una lista rossa due cervieri
v'erae con esse pel camino entrorno:
era questa arme d'un gran saracino
disceso della schiatta di Mambrino.

33.
Così vanno costor alla ventura:
usciron della Francia incontanente
passoron della Spagna ogni pianura:
tra mezzodì ne vanno e tra ponente.
Lasciàngli andarche Cristo sia lor cura
e tratterem d'un saracin possente
che inverso Barberia facea dimoro:
era gigante e chiamato Brunoro

34.
ovver cugin carnale ovver fratello
del gran Morgantech'avea seco Orlando
e Passamonte ed Alabastroquello
ch'Orlando nel deserto uccise quando
il santo abate riconobbee féllo
contento il parentado ritrovando.
Brunorper far de' suo' fratei vendetta
di Barberia s'è mosso con gran fretta

35.
con forse trentamila ben armati
e tutti quanti usati a guerreggiare:
alla badia ne vengon difilati
per far l'abate e' monaci sbucare;
e tanto sono a stracca cavalcati
che cominciorno le mura a guardare;
e giunti alla badiadrento v'entraro
ché contro a lor non vi fu alcun riparo.

36.
E 'l domine messer lo nostro abate
la prima cosa missono in prigione.
Disse Brunoro: - Colle scorreggiate
uccider si vorria questo ghiottone;
ma pur per ora in prigion lo cacciate:
riserberello a maggior punizione:
cagione è stato principale e mastro
che Passamonte è morto ed Alabastro. -

37.
Rinaldo in questo tempo alla badia
con Ulivieri e Dodone arrivava;
vide de' saracin la compagnia
e del signorchi fusse domandava.
Brunor rispose con gran cortesia:
- Io son desso ioe se ciò non vi grava
ditemi ancor chi voicavaliersiete. -
Disse Rinaldo: - Voi lo 'ntenderete.

38.

Noi siàn là de' paesi del Soldano
pur cavalieri erranti e di ventura:
per la ragion come Ercul combattiàno;
abbiamo avuto assai disavventura:
questo ci avvenne perché il torto avàno
e la ragion pur ebbe sua misura;
nostri compagni alcun n'è stato morto
che nol sappiendo difendeano il torto. -

39.
Disse Brunoro: - Io mi fo maraviglia
che voi campassie per Dio mi vergogno
a dirvi quel che la mente bisbiglia:
voi siete armati in visïone o in sogno.
Se voi volete colla mia famiglia
mangiarche forse n'avete bisogno
dismontereteed onor vi fia fatto
e fate buono scotto per un tratto. -

40.
Disse Rinaldo: - Da mangiare e bere
accetto. - Il re chiamava un saracino;
disse: - Costor son gente da godere
e vanno combattendo il pane e 'l vino
e carne quando e' ne possono avere;
non debbe bisognar dar loro uncino
o por la scalaove aggiungon con mano;
dice che son cavalier del Soldano.

41.
Se la ragione aspetta che costoro
l'aiutinoin prigion se n'andrà tosto
s'avessi più avvocatiargento o oro
o carte o testimon che fichi agosto. -
Dicea fra sé sorridendo Brunoro:
A Ercol s'agguagliò quel ciuffalmosto,
o cavalier di gatta o qualche araldo.
Ed ogni cosa intendeva Rinaldo.

42.
Truova cosa che faccin collezione
se v'è reliquiaarcame o catrïosso
rimasoo piedi o capi di cappone
e dà pur broda e macco a l'uom ch'è grosso:
vedrai come egli scuffiaquel ghiottone
che debbe come il can rodere ogn'osso.
Assettagli a mangiare in qualche luogo
e lascia i porci poi pescar nel truogo. -

43.
Rinaldo facea vista non udire
e non gustar quel che diceva quello:
non si voleva al pagano scoprire
per nessun modoe fa del buffoncello.
Ecco di molta broda comparire
in un paiuolcome si fa al porcello
ed ossadove i cani impazzerebbono
e in Giusaffà non si ritroverrebbono.

44.
Rinaldo cominciava a piluccare
e trassesi di testa allor l'elmetto;
ma Ulivier non sel volle cavare
così Dodonché stavon con sospetto:
per che Brunorveggendogli imbeccare
per la visieraguardava a diletto;
e comandava a un di sua famiglia
ch'a' lor destrier si traessi la briglia;

45.
e fece dar lor biada e roba assai
dicendo: - Questi pagheran lo scotto
o l'arme lasceran con molti guai:
non mangeranno così a bertolotto. -
Dicea Rinaldo: "Alla barba l'arai";
e cominciò a mangiar come un arlotto.
Ma quel sergente a chi fu comandato
avea il caval di Dodon governato.

46.
Poi governòdopo quelVegliantino
ch'avea con seco menato il marchese;
poi se ne va a Baiardo il saracino;
e come il braccio alla greppia distese
Baiardo lo ciuffòe come un maschino
e in sulla spalla all'omero lo prese
che lo schiacciò come e' fussi una canna
tal che con bocca ne spicca una spanna.

47.
Sùbito cadde quel famiglio in terra
e poi per grande spasimo morìo.
Disse Rinaldo: - Appiccata è la guerra:
lo scotto pagherai tumi credo io:
vedi che spesso il disegno altrui erra. -
Quando Brunor questo caso sentìo
disse: - Mai vidi il più fero cavallo:
io vo' che tu mel doni sanza fallo. -

48.

Rinaldo fece "albanesemessere";
disse: - Questo orzo mi par del verace. -
Brunor diceva con un suo scudiere:
- Questo caval si vorràché mi piace. -
Rinaldo torna e riponsi a sedere
e rimangiò come un lupo rapace.
Un saracinche ancor lui fame avea
allato a lui a mangiar si ponea.

49.
Rinaldo l'ebbe alla fine in dispetto
però che diluviava a maraviglia
e cadegli la broda giù pel petto;
guardò più voltee torceva le ciglia;
poi disse: - Saracinper Macometto
che tu se' porco o bestia che 'l somiglia!
Io ti promettos' tu non te ne vai
farò tal giuoco che tu piangerai. -

50.
Disse il pagan: - Tu debbi esser un matto
poi che di casa mia mi vuoi cacciare. -
Disse Rinaldo: - Tu vedrai bell'atto. -
Il saracin non se ne vuole andare
e nel paiuol si tuffava allo 'mbratto.
Rinaldo non poté più comportare
e 'l guanto si mettea nella man destra
tal che gli fece smaltir la minestra:

51.
ché gli appiccò in sul capo una sorba
che come e' fussi una noce lo schiaccia:
non bisognò che con man vi si forba
e morto nel paiuol quasi lo caccia
tanto che tutta la broda s'intorba.
Dodon gridava al marchese: - Sùspaccia
lieva sù prestola zuffa s'appicca! -
donde Ulivieri abandonò la micca.

52.
Allora una brigata di que' cani
sùbito addosso corsono a Dodone
e cominciossi a menarvi le mani.
Rinaldo vide appiccar la quistione
e in mezzo si scagliò di que' pagani;
così faceva Ulivier borgognone:
trasse dallato la spada sua bella
ma presto brutta e sanguinosa félla.

53.
Al primo che trovò la zucca taglia;
Dodone uccise un pagan molto ardito.
Brunorveggendo avvïar la battaglia
sùbito verso Rinaldo fu ito
e disse: - Cavalierse Iddio ti vaglia
per che cagion se' tu stato assalito? -
e gridò forte che ciascun s'arresti
tanto che 'l caso a lui si manifesti.

54.
Sùbito la battaglia s'arrestava.
Saper voleva ogni cosa Brunoro;
verso Rinaldo di nuovo parlava:
- Dimmibaronperché tu dài martoro
alla mia genteche troppo mi grava? -
Disse Rinaldo: - Come san costoro
non vo' mai noia quando io sono a desco
e stocome il cavalsempre in cagnesco.

55.
Venne a mangiar qua uno; io lo pregai
che se n'andassie' non curò il mio dire:
mangiato non parea ch'avessi mai
ed ogni cosa faceva sparire.
Le frutte dopo al mangiar gli donai
perché il convito s'avessi a fornire. -
E mentre che e' dicea questo al pagano
Frusberta sanguinosa tenea in mano.

56.
Disse Brunor: - Poi che così mi conti
di questo fatto se ne vuol far pace.
Non siate così tosto al ferir pronti.
Io t'ho fatto piacer: se non ti spiace
i peccati commessi sieno sconti;
rimettete le spadese vi piace. -
Rimisson tutti allora il brando drento.
Brunor seguiva il suo ragionamento:

57.
Detto m'avetes'io v'ho inteso bene
che combattete sol per la ragione:
però d'un altro caso vi conviene
dirne con meco vostra oppinïone.
Dirovvi prima quel che s'appartiene
e voi poi solverete la quistione;
se nontu lascerai qui il tuo cavallo
che ristorò dell'orzo il mio vassallo. -

58.

Disse Rinaldo: - Apparecchiato sono. -
Brunoro allor gli raccontava il fatto:
- Questa badia s'è messa in abbandono
perché due miei frategli furno a un tratto
fatti morir sanza trovar perdono;
ond'iosentendo sì tristo misfatto
venuto sono a vendicarglie preso
l'abate ho quida cui mi tengo offeso.

59.
Se la ragion tu di' che suol difendere
tu doverresti aiutar me per certo
ed a me par che tu mi vogli offendere:
onor t'ho fatto aspettando buon merto. -
Disse Rinaldo: - Falso è il tuo contendere.
Io ti dirò quel ch'io ne 'ntendo aperto:
con un sol bue io non son buon bifolco
ma s'io n'ho dueandrà diritto il solco.

60.
Se due campane l'una odi sonare
e l'altra nochi può giudicar questo
qual sia migliore? Io odo il tuo parlare;
vorrei da quello abate udire il resto. -
Disse Brunoro: - E questo anco a me pare. -
Venne l'abate appiccato al capresto
e liberato fu della prigione
perché e' potessi dir la sua ragione.

61.
Disse Brunoro: - Io ho detto a costui
l'oltraggio che da te ho ricevuto:
contato gli ho come diserto fui
pe' tuoi consigli da chi t'ha creduto.
Or tu le ragion tue puoi dire a lui
che mi pare uom assai giusto e saputo. -
Disse l'abate: - Or l'altra parte udite
a voler ben giudicar nostra lite.

62.
Io mi posavo in queste selve strane
e' suoi frategli ogni dì mi facevano
a torto mille ingiurie assai villane
e spesso i faggi e le pietre sveglievano;
hanno più volte rotte le campane
e de' miei frati con esse uccidevano.
Convennemi alcun tempo comportarli
ché forze non avea da contastarli.

63.
Ma come piacque a quel Signor divino
ch'aiuta sempre ognun c'ha la ragione
ci capitò un mio fratel cugino
il qual si chiama Orlando di Millone;
e come quel che è giusto paladino
ebbe di me giusta compassïone
e in su quel monte andò a trovar costoro
e con sua mano uccise due di loro.

64.
E 'l terzo per suo amor si convertìe
e con quel conte Orlando se n'andòe
verso Levantee da me si partìe
tanto che sempre ne sospireròe. -
Quando Rinaldo le parole udìe
molto d'Orlando si maravigliòe
e non sapea rassettar nella mente
come l'abate fussi suo parente.

65.
E cominciò così al pagano a dire:
- Or ti parrà che 'l solco vadi ritto
or due campane si possono udire.
Tu mi parlavi simulato e fitto;
peròs'a questo non sai contraddire
la mia sentenzia è data già in iscritto:
se vero è quel che l'abate m'ha porto
egli ha ragionee tupaganohai il torto.

66.
E intendo di provar quel ch'io ti dico
a corpo a corpoa piede o a cavallo
perch'io son troppo alla ragione amico. -
Disse il pagano: - E' si vorria impiccallo
con teco. Or guârti come mio nimico:
tu debbi esser un ghiotto sanza fallo. -
Disse Rinaldo: - Come io sarò ghiotto
tu mel saprai dir meglio al primo botto. -

67.
Disse Brunoro: - Noi faremo un patto:
che s'io ti vincoio vo' questo destriere
ch'al primo so ti darò scaccomatto
colla pedona in mezzo lo scacchiere. -
Disse Rinaldo: - Come vuoi sia fatto:
se tu m'abbattiquesto è ben dovere;
ed anco a scacchi ti potria dir reo
ch'io fo i tuo' par ballar come il paleo.

68.

Ma voglio un altro pattose ti piace:
che s'io ti vincerò nella battaglia
l'abate liber sia lasciato in pace
dalla tua gente sanz'altra puntaglia.
Cosìse 'l mio pensier fussi fallace
questo caval ch'io hocoperto a maglia
vo' che sia tuo; ma s' tu m'abbatterai
a ogni modo che dich'io l'arai. -

69.
Poi che l'accordo così si fermava
ognun quanto volea del campo tolse;
come Brunoro il suo destrier girava
così Rinaldo Baiardo rivolse.
Il saracin la sua lancia abbassava:
sopra lo scudo di Rinaldo colse
passollo tuttoe pel colpo si spezza.
Rinaldo ferì lui con gran fierezza

70.
e passagli lo scudo e l'armadura:
per mezzo il petto la lancia passava;
due braccia o più d'una buona misura
dall'altra parte sanguinosa andava;
e cadde arrovesciato alla verzura;
l'anima nello inferno s'avvïava.
Gli altri paganiveggendol morire
Ulivier presto corsono assalire.

71.
Rinaldo non avea rotta la lancia
e 'l primo ch'egli scontra de' pagani
gli passò la corazza e poi la pancia;
poi con Frusberta sgranchiava le mani;
ed Ulivierche è pur di que' di Francia
que' saracini affetta come pani
e sopra Vegliantino era salito
e del diciotto teneva ogni invito.

72.
Allor Dodone all'abate correa
il quale era legato molto stretto:
tagliò il capresto e le mani sciogliea.
L'abate presto si misse in assetto:
uno stangon dalla porta togliea
ch'a un pagan levò il capo di netto;
poi nella calca in modo arrandellollo
ch'a più di sei levò il capo dal collo.

73.
I frati ognun la cappa si cavava:
chi piglia sassi e chi stanga e chi mazza;
ognuno addosso a costor si cacciava
molti uccidean di quella turba pazza.
Rinaldo tanti quel dì n'affettava
che in ogni luogo pel sangue si guazza:
a chi balzava il capo e chi il cervello
come si fa delle bestie al macello.

74.
Ed Ulivierch'aveva Durlindana
tu dèi pensar quel che facea di loro:
e' fece in terra di sangue una chiana.
Dodon pareva più bravo ch'un toro.
Missesi in fuga la gente pagana
ché non potean più regger al martoro.
L'abate all'uscio per più loro angoscia
s'era arrecatoe nell'uscir fuor croscia.

75.
Sùbito la badia isgomberorno:
molti ne fecion saltar le finestre;
fino al deserto gli perseguitorno
poi gli lasciorno alle fiere silvestre.
E' monaci la porta riserrorno
e rassettârsi all'antiche minestre.
Poiriposatoall'abate n'andava
Rinaldo prestoe così gli parlava:

76.
Voi diteabateche siete cugino
se bene ho inteso tal ragionamento
d'Orlando nostrodegno paladino;
però di questo mi fate contento:
donde disceso siete e in qual confino
e che cagion vi condusse al convento? -
Disse l'abate: - Se saper t'è caro
quel che tu di'tu sarai tosto chiaro.

77.
Io fui figliuol d'un figliuol di Bernardo
che si chiamò dalla gente Ansuigi
fratel d'Amone (e fu tanto gagliardo
ch'ancor la fama risuona in Parigi)
d'Ottone e Buovos'io non son bugiardo.
E la cagion ch'io vesto or panni bigi
fu dal Ciel prima giusta spirazione
poi per conforto di papa Lïone. -

78.

Rinaldoudendo contar la novella
con molta festa lo corse abbracciare
e ringraziava del cielo ogni stella;
e disse: - Abateio non vi vo' celare
poi che scacciata abbiam la gente fella
il nome mioch'io nollo potrei fare
tanta dolcezza supera la mente:
son come Orlando anch'io vostro parente:

79.
io son Rinaldoe fui figliuol d'Amone;
e come a luia me cugino ancora
siete! - e piangeva per affezïone;
per che l'abate lo strigneva allora
e mai non ebbe tal consolazione.
- O giusto Iddio ch'ogni cristiano adora
dopo tante altre grazie e lunga etate
veggo Rinaldo mio- dicea l'abate

80.
ed ho veduto il mio famoso Orlando
benché del suo partir sia sconsolato;
nunche dimitte servum tuum quando
omai ti piaceSignor mio beato. -
Rinaldo allor soggiunse lacrimando:
- E questo è Ulivierche è suo cognato;
questo è Dodoneil figliuol del Danese. -
L'abate abbraccia e Dodone e 'l marchese.

81.
I monaci facevan molta festa
perché partito è il popol saracino
e che per grazia Iddio lor manifesta
che Rinaldo è dell'abate cugino.
Ma perch'io sento la terza richiesta
di ringraziar Chi ci scorge il camino
farò sempre al cantar quel ch'è dovuto.
Cristo vi scampi e sia sempre in aiuto.



CANTARE QUARTO


1.
Gloria in excelsis Deo e in terra pace
Padre e Figliuolo ed Ispirito santo;
benedicimus teSignor verace
laudamus teSignorcon umil canto
poi che per tua benignità ti piace
l'abate nostro qui consolar tanto
e le mie rime accompagnar per tutto
tanto che il fior produca alfin buon frutto.

2.
Era nel tempo ch'ognun s'innamora
e ch'a scherzar comincian le farfalle
e 'l solch'avea passata l'ultima ora
verso il Murrocco chinava le spalle;
la luna appena corneggiava ancora
de' monti l'ombra copriva ogni valle
quando Rinaldo all'abate ritocca
che 'l nome suo non tenessi più in bocca.

3.
Rispose: - Chiaramonte è il nome mio -
benignamente a Rinaldo l'abate.
Dopo alcun giornoacceso dal desio
disse Rinaldo: - Io vo' che voi ci diate
omai licenzia col nome di Dio:
io ho a Parigi mie gente lasciate
per ch'io non credo che 'l dì mai veggiamo
di ritrovar colui che noi cerchiamo. -

4.
L'abatech'era prudente e saputo
disse: - Rinaldobenché duol mi fia
ché mai qui mi saresti rincresciuto
credo che questo buon concetto sia.
Io son contento poi ch'io t'ho veduto:
so che questa sarà la parte mia
di rivedervi piùch'egli è ragione;
però vi do la mia benedizione.

5.
Se di vedere Orlando è il tuo pensiero
vattene in pacecaro mio fratello;
Dio t'accompagli per ogni sentiero
o come fece Tobia Rafaello. -
Disse Rinaldo: - Così priego e spero:
rivedrenci nel Ciel sù presso a Quello
che de' suoi servi arà giusta merzede
che combatton qua giù per la sua fede. -

6.
Rinaldo si partì da Chiaramonte
ed Ulivieri e Dodonsospirando;
va cavalcando per piano e per monte
per la gran voglia di vedere Orlando:
Quando sarà quel dì, famoso conte
dicea fra séch'io ti rivegga, quando?
Non mi dorrà per certo poi la morte
s'io ti ritruovo e riconduco in corte.

7.
Era dinanzi Rinaldo a cavallo
ed Ulivier lo seguiva e Dodone
per un oscuro bosco sanza fallo
dove si scuopre un feroce dragone
coperto di stran cuoio verde e giallo
che combatteva con un gran lïone.
Rinaldo al lume della luna il vede
ma che quel fussi drago ancor non crede.

8.

Ed Ulivier più volte aveva detto
sì come avvien chi cavalca di notte:
- Io veggo un fuoco appiè di quel poggetto:
gente debbe abitar per queste grotte. -
Egli era quel serpente maladetto
che getta fiamma per bocca ta' dotte
ch'una fornace pareva in calore
e tutto il bosco copria di splendore.

9.
E il lïon par che con lui s'accapigli
e colle branche e co' denti lo roda
ed or pel colloor nel petto lo pigli;
e 'l drago avvolta gli aveva la coda
e presol colla bocca e cogli artigli
per modo tal che da lui non si snoda;
e non pareva al lïone anco giuoco
quando per bocca e' vomitava fuoco.

10.
Baiardo cominciò forte annitrire
come e' conobbe il serpente da presso;
Vegliantin d'Ulivier volea fuggire
quel di Dodon si volge addrieto spesso
ché 'l fiato del dragon si fa sentire.
Ma pur Rinaldo innanzi si fu messo
e increbbegli di quel lïonche perde
a poco a poco e rimaneva al verde.

11.
E terminò di dargli alfin soccorso
e che non fussi dal serpente morto:
Baiardo sprona e tempera col morso
tanto che presso a quel drago l'ha porto
che si studiava co' graffi e col morso
tal che condotto ha il lïone a mal porto;
ma invocò prima l'aiuto di sopra
che cominciassi sì terribile opra.

12.
Ed adorando sentiva una voce
che gli dicea: - Non temerbaron dotto
del gran serpente rigido e feroce:
tosto sarà per tua mano al disotto. -
Disse Rinaldo: - O Signor mio che in croce
moristiio ti ringrazio di tal motto. -
E trasse con Frusberta a quel dragone
e mancò poco e' non dètte al lïone

13.
Parve il lïon di ciò fussi indovino
e quanto può dal serpente si spicca
veggendosi in aiuto il paladino.
Frusberta addosso al dragon non s'appicca
perché il dosso era più che d'acciaio fino;
trasse di puntae 'l brando non si ficca
che solea pur forar corazze e maglie:
sì dure aveva il serpente le scaglie.

14.
Disse Rinaldo: "E' fia di Satanasso
il cuoio che 'l serpente porta addosso
poi che di punta col brando nol passo
e che col taglio levar non ne posso";
e lascia pur la spada andare in basso
credendo a questo tagliare alfin l'osso:
Frusberta balza e faceva faville;
così de' colpi gli diè forse mille.

15.
E quel lïon lo teneva pur fermo
quasi dicessi: "S'io lo tengo saldo
non arà sempre a ogni colpo schermo".
Ma poi che molto ha bussato Rinaldo
e cognoscea che questo crudel vermo
l'offendea troppo col fiato e col caldo
se gli accostava e prese un tratto il collo
e spiccò il capo che parve d'un pollo.

16.
Fuggito s'era Ulivieri e Dodone
che i lor destrier non poteron tenere.
Come e' fu morto quel fiero dragone
balzato il capo e caduto a giacere
verso Rinaldo ne venne il lïone
e cominciava a leccare il destriere:
parea che render gli volessi grazia;
di far festa a Rinaldo non si sazia.

17.
Ed avvïossi con esso alla briglia.
Rinaldo disse: - Virgin grazïosa
poi che mostrata m'hai tal maraviglia
ancor ti priegoRegina pietosa
che mi dimostri onde la via si piglia
per questa selva così paürosa
di ritrovare Ulivieri e Dodone
o tu mi fa' fare scorta al lïone. -

18.

Parve che questo il lïone intendessi
e cominciava innanzi a caminare
come se "drieto mi verrai" dicessi.
Rinaldo si lasciava a lui guidare
ché i boschi v'eran sì folti e sì spessi
che fatica era il sentiero osservare;
ma quel lïone appunto sa i sentieri
e ritrovò Dodone ed Ulivieri.

19.
Era Ulivier tutto malinconoso
e del cavallo in terra dismontato;
così Dodonee piangea doloroso
e indrieto inverso Rinaldo è tornato
per dar soccorso al paladin famoso;
ed Ulivieri aveva ragionato:
- Penso che morto Rinaldo vedremo
da quel serpentee tardi giugneremo. -

20.
E non sapean ritrovar il cammino;
erano entrati in certe strette valli.
Ecco Rinaldo e 'l lïon già vicino:
maravigliossie cominciò a guardalli;
vide Ulivier non avea Vegliantino;
disse: "Costoro ove aranno i cavalli?
A qualche fera si sono abbattuti
dove egli aranno i lor destrier perduti".

21.
Ulivierquando Rinaldo vedeva
non si può dir se pareva contento
e disse: - Veramente io mi credeva
ch'omai tu fussi della vita spento. -
E poi che allato il lïone scorgeva
al lume della lunaebbe spavento.
Disse Rinaldo: - Uliviernon temere
che quel lïon ti facci dispiacere.

22.
Sappi che morto è quel dragon crudele
e liberato ho questo mio compagno
che meco or vien come amico fedele
ed aren fatto di lui buon guadagno:
prima che forse la luna si cele
tratti ci arà questo lïon grifagno
del boscoe guideracci a buon camino.
Ma dimmihai tu perduto Vegliantino? -

23.
Ulivier si scusò con gran vergogna:
- Come tu fusti alle man col dragone
i destrier ci hanno grattata la rogna
tra mille sterpi e per ogni burrone;
ognun voleva far quel che bisogna
per aiutarticome era ragione
ma ritener non gli potemo mai
tanto che forse di noi ti dorrai.

24.
Noi gli lasciamo presso a una fonte
perché pur quivi si fermorno a bere:
quivi legati appiè gli abbiàn del monte
ed or di te venavamo a sapere
se rotta avevi al serpente la fronte
o da lui morto restavi a giacere. -
Disse Rinaldo: - Pe' cavalli andiamo
e tra noi scusaUliviernon facciamo. -

25.
Ritrovorno ciascuno il corridore.
Dicea Rinaldo: - Or da toccar col dente
non credo che si truovi insin che fore
usciàn del bosco o troviamo altra gente.
Così stessi tuCarlo imperadore
che vuoi ch'io vada pel mondo dolente!
così stessi tuGancom'io sto ora!
Ma forse peggio star ti farò ancora. -

26.
E così cavalcando con sospetto
Rinaldo si dolea del suo destino;
e quel lïone innanzi va soletto
sempre mostrando a costoro il camino;
e poi ch'egli hanno salito un poggetto
ebbon veduto un lume assai vicino:
ché in una grotta abitava un gigante
ed un gran fuoco s'avea fatto avante.

27.
Una capanna di frasche avea fatto
ed appiccato a una sua caviglia
un cervioe della pelle l'avea tratto.
Sente i cavagli al pestare e la briglia:
sùbito prese la caviglia il matto
come colui che poco si consiglia:
a Ulivieri furioso più che orso
addosso presto la bestia fu corso.

28.

Ulivier vide quella mazza grossa
e del gigante la mente superba;
volle fuggirlo: intanto una percossa
giunse nel petto sì forte e sì acerba
chebench'avessi il baron molta possa
di Vegliantin si trovava in sull'erba.
Rinaldoquando Ulivier vide in terra
non domandar quanto dolor l'afferra;

29.
e disse: - Ribaldonghiotton da forche
che mille volte so l'hai meritate!
Prima che sotto la luna si corche
io ti meriterò di tal derrate. -
Questo bestion con sue parole porche
disse: - A te non darò se non gotate.
Che se' tu trattodel cervio a l'odore?
Tu debbi essere un ghiotto o furatore. -

30.
Rinaldo ch'avea poca pazïenza
dètte in sul viso al gigante col guanto
e fu quel pugno di tanta potenza
che tutto quanto il mostaccio gli ha infranto
dicendo: - Iddio non ci are' sofferenza. -
Pure il giganterïavuto alquanto
arrandellò la caviglia a Rinaldo
ché d'altro che di sol gli vuol dar caldo.

31.
Rinaldo il colpo schifò molto destro
e fe' Baiardo saltar come un gatto:
combatter co' giganti era maestro
sapeva appunto ogni lor colpo ed atto.
Parve il randello uscissi d'un balestro.
Rinaldo menò il pugno un altro tratto
e fu sì grande questo mostaccione
che morto cadde il gigante boccone.

32.
E poco men che non fe' come e' suole
il dragoquando uccide il leofante
che non s'avvedetanto è sciocco e fole
che nel cader quello animal pesante
l'uccideché gli è sottoonde e' si duole:
così Rinaldo a questo fu ignorante
ché quando e' cadde il gigante gagliardo
ischiacciò quasi Rinaldo e Baiardo.

33.
E con fatica gli uscì poi di sotto
e bisognò che Dodon l'aiutassi.
Disse Rinaldo: - Io non pensai di botto
così il gigante in terra rovinassi
ond'io n'ho quasi pagato lo scotto.
E' disse ch'a l'odor d'un cervio trassi:
alla sua capannetta andiamo un poco
dove si vede colassù quel fuoco. -

34.
Allor tutti smontaron dell'arcione
alla capanna furono avvïati;
vidono il cervio; diceva Dodone:
- Forse che mal non saren capitati. -
Fece d'un certo ramo uno schidone.
Rinaldo intanto tre pani ha trovati
e pien di strana cervogia un barlotto
e disse: - Il cervio mi sa di biscotto. -

35.
Erano i pan come un fondo di tino
tanto ch'a dirlo pur mi raccapriccio.
Disse Rinaldo: - Se ci è il pane e 'l vino
ch'aspettian noiDodon? Qua sa d'arsiccio. -
Dicea Dodone: - Aspetta un tal pochino
tanto che lievi la crosta sù il riccio. -
Disse Rinaldo: - Più non l'arrostiàno
ché 'l cervio molto cotto è poco sano. -

36.
Disse Dodone: - Io t'ho intesoRinaldo:
il gorgozzul ti debbe pizzicare:
se non è cottoe' basta che sia caldo. -
E cominciorno del cervio a spiccare.
Rinaldo sel mangiava intero e saldo
se non che la vergogna il fa restare;
e de' tre pan fece paura a uno
ché col barlotto non beve a digiuno.

37.
Poi che fu l'alba in levante apparita
si dipartiron da quella capanna.
Dicea Dodon: - Questa fu buona gita
poi che da ciel sopravvenne la manna
e quel gigante ha perduta la vita.
Vedi che pure ingannato è chi inganna:
quel bacalareUlivierti percosse
a tradimentoor si sta per le fosse. -

38.

Disceson di quel monte alla pianura
e il lor lïone innanzi pur andava.
Dicea Rinaldo: - Questa è gran ventura! -
ed Ulivier con lui se n'accordava;
tanto ch'usciron d'una valle oscura
ove poi nel dimestico s'entrava:
cominciono a veder casali e ville
e sopra a' campanil gridar le squille.

39.
E poco tennon più oltre il camino
che cominciorno a trovar de' pastori
presso a un fiume ch'era lor vicino;
e poi sentirno gran grida e romori.
Baiardo aombra e così Vegliantino.
Ed ecco uscir d'una valletta fuori
una gran turba che s'era fuggita
ed a veder parea gente smarrita.

40.
Rinaldo allora a Dio si raccomanda
e intanto appresso s'accosta un pagano.
Allor Dodon di sùbito domanda:
- Che caso è questo in questo luogo strano
che par che tanto romor qua si spanda?
Per cortesianon voglia esser villano. -
Rispose il saracin presto a Dodone:
- Io tel dirònon è sanza cagione.

41.
Del mio dir so che ti verrà pietade:
per una figlia nobile e serena
quasi è disabitata una cittade
perch'una vipra crudel ci avvelena.
Il re Corbanteper la sua bontade
la sua figliuola detta Forisena
a divorar vuol dare a questa fera:
la sorte tocca a leivuol che lei pèra;

42.
e di noi altri ha già mangiati assai:
ogni dì ne vuol duesera e mattina.
- Dimmi- rispose Rinaldo - s' tu sai
questa città come ella ci è vicina? -
Rispose il saracin: - Tu la vedrai
tostola terra misera e meschina;
ma guarda che tal gita non sia amara:
ella è qui pressoe chiamasi Carrara.

43.
Io ve n'avviso per compassïone
ch'io ho di voi per Macometto iddio
che voi non vi lasciate le persone
poi che d'andarvi mostrate desio.
La città troverrete in perdizione
e molto mal contento il signor mio
per questa cruda fera e maladetta
che debbe divorar la giovinetta.

44.
Come egli è dìse ne viene alle porte;
se da mangiar non gli è portato tosto
col tristo fiato ci conduce a morte:
convien ch'un uom gli pognàn là discosto.
Questa fanciulla gli è tocca la sorte
e 'l padre suo di mandarla ha disposto;
il popol gridae quella fiera rugge
tanto ch'ognun per paura si fugge.

45.
Credo che sia sol pe' nostri peccati
perché Corbante uccise un suo fratello
che fu tra noi de' cavalier nomati
il più savioil più giusto e forte e bello;
noi consentimo a tutti questi agguati
però che il regno apparteneasi a quello:
la vipera è venuta a purgar certo
questo peccato e rendeci tal merto.

46.
Ed è tra noi chi abbia oppinïone
che lo spirito suo drento vi sia
in questa feradi questo garzone. -
Disse Rinaldo: - Di tua cortesia
io ti ringrazio. Aiutivi Macone
da questa feras'ella è tanto ria.
Ma dimmisaracinquesta donzella
come ella è giovinettae s'ella è bella. -

47.
Disse il pagan: - Non domandar di questo
ché non si vide mai cosa sì degna:
un atto dolceangelico e modesto
di virtù porta e di biltà la 'nsegna
ne' quindici anni entratae va' pel resto;
e 'l popol pur di camparla s'ingegna.
Se tu credessi quella bestia uccidere
tu puoi far conto il reame dividere. -

48.

Disse Rinaldo: - Io non cerco reame:
io n'ho lasciati sette in mio paese;
io mi diletto un poco delle dame:
se così bella è la figlia cortese
a quella fera taglierò le squame. -
E poi si volse al famoso marchese
e disse: - Andianneché la dama è nostra
alla città che 'l saracin ci mostra. -

49.
Come e' furno in Carrara i paladini
ognun volgeva a guardàgli le ciglia:
preson conforto tutti i saracini
e del lïon ne prendean maraviglia.
Rinaldo giunse al palagio a' confini
e salutò Corbante e poi la figlia.
Corbante disse: - Tu sia il ben venuto
se per la fera a dar mi vieni aiuto. -

50.
Allor Rinaldo rispose: - O Corbante
il nome mio è il guerrier del lïone
e credo in Apollino e in Trivigante;
e non vorreipel nostro iddio Macone
avere a capitar certo in Levante
poi ch'io senti' della tua passïone. -
Quel disse fortee quest'altro bisbiglia:
Anzi, poi ch'io senti' della tua figlia.

51.
Ulivier gli occhi alla donzella gira
mentre Rinaldo in questo modo parla;
sùbito pose al berzaglio la mira
e cominciò cogli occhi a saettarla
e tuttavolta con seco sospira:
Questa non èdicea "carne da darla
a divorare alla fera crudele
ma a qualche amante gentile e fedele".

52.
Corbante aveva intanto così detto:
- Sia chi tu vuoio famoso guerriere
basta sol che tu credi in Macometto.
Se tu credessigentil cavaliere
uccider questa feraio ti prometto
di darti mezzo il reame e l'avere;
e se tu il vuoi ancor tuttoi' son contento
pur che mi tragga fuor d'esto tormento.

53.
Come tu vedila terra è condotta
d'un bel giardinospilonca o diserto.
La mia figliuola s'appressa già l'otta
che morir dèe sanza peccato o merto. -
Ma Ulivier nella mente borbotta:
Non mangerà sì bianco pan per certo
questo animal, ch'egli è pasto d'amanti,
se noi dovessin morir tutti quanti.

54.
Dimmi pur tosto qual sia il tuo pensiero-
diceva il re - ch'ella è presso alle mura
ch'io sento il fiato incomportabil fero
e voi il dovete sentir per ventura. -
Disse Rinaldo: - Io non vo' regno o impero:
per gentilezza caccio e per natura;
e per amor della tua figlia bella
la vipera uccidren crudele e fella. -

55.
Ulivieri era un gentil damigello
e tuttavia la fanciulla vagheggia.
Rinaldo l'occhio teneva al pennello:
con Ulivieri in francioso motteggia;
disse: - Il falcone ha cavato il cappello:
non so se starna ha veduta o acceggia;
ma parmi questo chiaro assai vedere
che noi sarem due impronti a un tagliere. -

56.
Ulivier nulla rispose a Rinaldo;
abbassò gli occhiche tenea sì fissi.
Corbante un bando mandò molto caldo
che nessun più della terra partissi
tanto che 'l popol comincia a star saldo:
Rinaldo volle così si seguissi;
e fece fare un guantos'io non erro
coperto tutto di punte di ferro.

57.
E prese poi da Corbante licenzia
che gli fe' compagnia fino alla porta
con molta gente e con gran reverenzia;
poi gli diceva: - Io non son buona scorta.
Io ti ricordo tu abbi avvertenzia
alla tua vita- e così lo conforta
- e in ogni modo te salvar mi piace;
poi sia che vuol della fera rapace. -

58.

Queste parole furon grate tanto
che se l'affisse Rinaldo nel core;
e disse: - Il capo arrecarti mi vanto
in ogni modocortese signore.
La tua benedizion mi da' col guanto;
conforta il popol tuo per nostro amore. -
Corbante il benedì pietosamente
e priega Iddio per lui divotamente.

59.
Ed Ulivieri ancor fece orazione:
raccomandossi al Salvator divino.
Dinanzi andava il feroce lïone:
verso la fera teneva il camino;
drieto seguiva Rinaldo e Dodone.
Era a vedere il popol saracino
chi in sulle mura e chi presso alle porte
desiderando all'animal la morte.

60.
E la fanciulla nobile e serena
era salita in sur una bertesca.
Disse Rinaldo: - Vedi Forisena
o Ulivierche di te par gl'incresca:
amore è quel ch'a vederti lei mena. -
Ulivier disse: - La danza rinfresca:
tu hai disposto di darmi oggi noia.
Attendiàn pur che questa fera muoia. -

61.
Dicea Rinaldo: - Sarai tu sì crudo
che tu non guardi questa damigella?
Tu non saresti d'accettar per drudo.
Che crederres' tu far se la donzella
avessi in braccio per tua targia o scudo?
Atterreresti tu la fiera o quella? -
Disse Ulivier: - Tu se' pur per le ciance
e qua sa d'altro già che melarance. -

62.
E come e' disse questoil lïon mostra
il serpente che fuoco vomitava.
Disse Ulivier: - Questa è la dama nostra
e di vederlaRinaldomi grava. -
Disse Rinaldo: - O Ulivierqui giostra
Venere e Marte - e di nuovo cianciava.
La vipera crudel tosto si rizza
e fuoco e tòsco per bocca gli schizza.

63.
Parea che l'aria e la terra s'accenda.
Rinaldo aveva spugna con aceto
e tuttiperché il fiato non gli offenda;
e disse: - O animal poco discreto
che pensi tuche noi siàn tua merenda
poi che tu vieni in qua contra divieto? -
E detto questo del cavallo scese
e così fece Dodone e 'l marchese.

64.
Non fu prima smontato di Baiardo
ch'a Dodon giunse l'animal addosso:
dèttegli un morso sì fiero e gagliardo
che l'arme gli schiacciòla carne e l'osso.
Dodon gridava: - Omè lassoch'io ardo!
AiutamiUlivierché più non posso! -
e cadde tramortito e stramazzato
sùbito in terra pel morso e pel fiato.

65.
Ulivier tardi aiutarlo si mosse
ed a Dodon non poté dar soccorso:
adunque il primo ch'assaggia si cosse
ed anco ci è per un compagno un morso:
perché il serpente un tratto il capo scosse
e poi pigliava Ulivier come un torso
e per ventura alla gamba s'appicca
e i denti tutti nell'arme gli ficca.

66.
E' si sentì l'arnese sgretolare
che non isgretolò mai osso cane;
e poi pel braccio lo volle ciuffare.
Ma Ulivieri adopera le mane
ch'avea quel guanto Rinaldo fe' fare
e non è tempo a questo a dar del pane
o dir che san Donnin gli alleghi i denti
ché converrà pur che facci altrimenti:

67.
missegli il guanto e la man nella strozza
però che molto lo sgrida Rinaldo
tanto che tutto il serpente lo 'ngozza
e strinse; ed Ulivier lo tenne saldo
e colla spada la testa gli mozza;
ma nel morirpel fetor e pel caldo
Ulivier cadde tramortito in terra.
Ma il capo del serpente non si sferra:

68.

ché nel finir la bocca in modo strinse
ch'Ulivier trar non ne poté la mano.
Rinaldo tutto nel viso si tinse
e sferrar lo credette a mano a mano;
ma non poteatanto il dolor lo vinse
del tristo caso d'Ulivieri e strano;
pur tante volte la spada v'accocca
che gliel cavò con fatica di bocca.

69.
Ma quel lïon ch'egli avevan menato
si stette sempre di mezzo a vedere
perché se fussi d'alcun domandato
di questo fattoil voleva sapere.
Era Dodon già di terra levato
ma Ulivier pur si stava a giacere.
I saracin corrien fuor della porta
faccendo festa che la fera è morta.

70.
Venne Corbante con molta brigata
a veder come questo fatto era ito:
vede la bestia in terra rovesciata
vede Dodon sanguinoso ferito
vede Ulivier colla mano affocata
che morto gli pareanon tramortito;
vede la terra per la fera arsiccia
della qual cosa assai si raccapriccia;

71.
vede la testa del fero dragone
che gli parve a veder mirabil cosa;
vede Rinaldo turbato e Dodone
perch'Ulivieri in terra si riposa:
ebbe di questo gran compassïone;
vedevagli la gamba sanguinosa
e non sapea con che parole o gesti
si condolessi o ringraziassi questi.

72.
Abbracciò infin Rinaldo lacrimando
e poi Dodondicendo: - Baron degni
come potrò mai ristorarvio quando?
Da Macon credo che tal grazia vegni
che in queste parte vi venne mandando.
Eccola vita e tutti i nostri regni
e la corona collo scettro nostro
disposto sono ogni cosa sia vostro.

73.
Ma sempre piangerò se questo è morto
che par sì degno e gentil cavalieri. -
Disse Rinaldo: - Redatti conforto
ché pianger di costui non fa mestieri.
Il tuo parlare assai ci mostra scorto
che tu sia gratoe giusti i tuoi pensieri.
La tua corona e 'l regno l'accettiamo
e come nostro a te lo ridoniamo. -

74.
Non aveva Rinaldo appena detto
ch'Ulivier cominciossi a risentire;
e risentitoe 'l re veggendo appetto
e tanta gentecominciò a stupire
come chi nuove cose per oggetto
vede in un puntoe non sa che si dire;
ma a poco a poco rivocò la vita
ed ogni ammirazion fu disparita.

75.
Il popolo era orrore e maraviglia
veggendo quel c'han fatto i paladini.
Era venutaper vederla figlia
del re Corbante con que' saracini
che 'l solquando è più lucentesimiglia
e tutti gli atti suoi paion divini;
ed Ulivier questa donzella guarda
che non s'accorge ancor che 'l suo cor arda.

76.
Il re Corbante al popol comandava
ch'a la città portato sia il serpente;
e poi Rinaldo per la man pigliava
e torna alla città colla sua gente;
e come e' giunse alla terraordinava
di lasciar parte d'un tanto accidente
al secol nuovo; e quella fera morta
col capo fe' appiccar sopra la porta

77.
e lettere scolpite in marmod'oro:
Nel tal tempodicea "qui capitorno
tre paladini" (e scrisse i nomi loro
perché in secreto gliel manifestorno)
che liberaro il popol da martoro
per questa fera, a cui morte donorno
ch'era apparita là mirabilmente
e divorava tutta la sua gente;

78.

e come il giorno alla fanciulla bella
toccava di dover morir per sorte
che i tre baron vi capitorno in sella
che liberata l'avean dalla morte.
Per lunghi tempi si potea vedella
la storia e l'animal sopra le porte
che così morto faceva paura
a chi voleva entrar dentro alle mura.

79.
E nel palagio Rinaldo menòe
e grande onor gli fece e lietamente;
e medici trovava e comandòe
che medicassin diligentemente
Ulivieri e Dodonché bisognòe
ch'ognun più giorni del suo mal si sente.
E Forisena intanto come astuta
dell'amor d'Ulivier s'era avveduta.

80.
E perché Amor mal volentier perdona
che e' non sia alfin sempre amato chi ama
e non sare' sua legge giusta o buona
di non trovar merzé chi pur la chiama
né giusto sire il buon servo abandona
poi che s'accorse questa gentil dama
come per lei si moriva il marchese
sùbito tutta del suo amor s'accese;

81.
e cominciò cogli occhi a rimandare
indrieto a Ulivier gli ardenti dardi
ch'Amor sovente gli facea gittare
acciò che solo un foco due cori ardi.
Venne a vederlo un giorno medicare
e salutòl con amorosi sguardi
ché le parole fur ghiacciate e molle
ma gli occhi pronti assaicome Amor volle.

82.
Quando Ulivier sentì che Forisena
lo salutò così timidamente
fu la sua prima incomportabil pena
fuggitach'altra doglia al suo cor sente
l'alma di dubbio e di speranza piena;
ma confirmato assai pur nella mente
d'essere amato dalla damigella:
perché chi ama assaipoco favella.

83.
Videgli ancorpoi che più a lui s'accosta
il viso tutto diventar vermiglio
e brieve e rotta e fredda la proposta
nel condolersi del crudele artiglio
dell'animalche per lei car gli costa
e vergognosa rabbassare il ciglio:
questo gli dètte massima speranza
ché così degli amanti è sempre usanza.

84.
Ella avea detto: - Il mio crudo destino
i fati e 'l Cielo e la spietata sorte
o qual si fussi altro voler divino
m'avean condotta a sì misera morte.
Tu venisti in Levantepaladino
mandato certo dalla eterna corte
a liberarmie per te sono in vita:
dunque io mi dolgo della tua ferita. -

85.
Queste parole avean passato il core
a Ulivieri e pien sì di dolcezza
che mille volte ne ringrazia Amore
perché e' cognobbe la gran gentilezza.
Are' voluto innanzi al suo signore
morirché poco la vita più prezza
e poco men che non disse nïente;
pur gli rispose vergognosamente:

86.
Io non fe' cosa mai sotto la luna
che d'aver fatto io ne sia più contento:
s'io t'ho campata da sì rea fortuna
tanta dolcezza nel mio cor ne sento
che mai più simil ne senti' alcuna.
So che t'incresce d'ogni mio tormento:
altro duol ci èche chiama altro conforto.
Così m'avessi quella fera morto! -

87.
Intese bene allor quelle parole
la gentil damae drento al cor le scrisse:
sì presto insegna Amor nelle sue scole!
e fra se stessa sospirando disse:
E di questo anco altro tuo duol mi duole.
Forse non era il me' che tu morisse.
Non sarò ingrata a sì fedele amante,
ch'io non son di dïaspro o d'adamante.

88.

Partissi Forisena sospirando
ed Ulivier rimase tutto afflitto
della ferita sua più non curando
ché da più crudo artiglio era trafitto.
Guardò Rinaldoe quasi lacrimando
non poté a lui tener l'occhio diritto
e disse: - Vero è pur che l'uom non possa
celar per certo l'amore e la tossa.

89.
Come tu vedicaro fratel mio
amor pur preso alfin m'ha co' suo' artigli:
non posso più celar questo desio;
non so che farmi o che partito pigli.
Così sia maladetto il giorno ch'io
vidi costei. Che fo? Che mi consigli? -
Disse Rinaldo: - Se mi crederrai
di questo loco ti dipartirai.

90.
Lascia la damamarchese Ulivieri:
non fu di vagheggiar nostra intenzione
ma di trovare il signor del quartieri. -
E 'l simigliante diceva Dodone:
- Tanto si cerchi per tutti i sentieri
che noi troviamo il figliuol di Millone. -
Ulivier consentia contra sua voglia
ché lasciar Forisena avea gran doglia.

91.
E poi che fu dopo alcun dì guarito
così Dodoneinsieme s'accordaro
lasciar Corbante per miglior partito
e che si facci de' lor nomi chiaro
sì che e' possi saper chi l'ha servito;
ed oltre a questo ancor deliberaro
tentar se il re volessi battezarsi
col popol suoe tutti cristian farsi.

92.
Avea Corbante fatti torniamenti
e giostre e balli e feste alla moresca
per onorar costor colle sue genti;
ed ogni dì nuove cose rinfresca
perché partir da lui possin contenti.
Ma Ulivier pur par che 'l suo amor cresca.
Finalmente Rinaldo un dì chiamava
il re Corbantee in tal modo parlava:

93.
Serenissimo re- fu il suo latino
- perché da te ci tegnamo onorati-
questo gli disse in parlar saracino
- sempre di te ci sarem ricordati.
E poi ch'egli è così voler divino
che i nomi nostri ti sien palesati
io son Rinaldoe fui figliuol d'Amone
bench'io m'appelli il guerrier del lïone;

94.
e questo è Ulivier che ha tanta fama
e cognato è del nostro conte Orlando;
costui Dodonfigliuol d'Uggiersi chiama
che venne Macometto già adorando.
Orper seguir più oltre nostra trama
così pel mondo ci andiam tapinando
perché di corte Orlando s'è partito
né ritrovar possiam dove e' sia gito.

95.
Detto ci fu che qua verso Levante
era venutoda un nostro abate
e ch'egli aveva con seco un gigante:
cercando andian drieto alle sue pedate.
Or ti dirò più oltreo re Corbante:
perché pur Macometto qua adorate
siete perdutie il vero Iddio è il nostro
che del vostro peccar gran segno ha mostro.

96.
Non apparì questo animal crudele
sanza permissïon del nostro Iddio
a divorare il popolo infedele;
ma perch'Egli è pietoso e giusto e pio
t'ha liberato da sì amaro fele
perché tu lasci Macon falso e rio:
fa' che conosca questo beneficio
sanza aspettar da lui maggior giudicio.

97.
Lascia Apollino e gli altri vani iddei
e torna al nostro padre benedetto
e Belfagorre e mille farisei;
batteza il popol tuoche è maladetto.
Di ciò molte ragion t'assegnerei
ma tu se' savio e intendi con effetto:
so che conosci ben che quel dragone
non apparì qua a te sanza cagione:

98.

ogni cosa ti avvien pe' tuoi peccati:
tu sei il pastor che gli altri dèi guardare
e molto più di te sono scusati.
Non t'ha voluto Cristo abbandonare:
vedi ch'a tempo qua fumo mandati
ché la tua figlia ha voluta salvare:
dunque ritorna alla sua santa fede
di quello Iddio ch'ebbe di te merzede. -

99.
Parve che Iddio ispirassi il pagano
e rispose piangendo e così disse:
- Dunque tu se' il signor di Montalbano
al qual simil già mai nel mondo visse!
E questo è Ulivierch'udito abbiàno
nomar già tanto! Il vostro Iddio permisse
che voi venissi certoe non Macone. -
Ed abbracciòglie così ancor Dodone.

100.
E pianse i suo' peccati amaramente
e disse: - Io veggo in quanto lungo errore
istato son con tutta la mia gente;
e così il nostro etterno Salvatore
per molte vie allumina la mente
e desta in qualche modo il peccatore
e spesso d'un gran mal nasce un gran bene:
ch'ogni giudicio pel peccato viene. -

101.
Corbante fece venir Forisena
e disse ancora a lei chi son costoro
che l'avean liberata d'ogni pena;
e poi mandò per tutto il concestoro
tanto che presto la sala fu piena
parata tutta di be' drappi ad oro;
poi salì in sediae fe' tale orazione
che tutto il popol volse a sua intenzione.

102.
E fece battezar piccoli e grandi;
per tutto il regno suo fu ordinato
ch'ognun seguissi i suoi precetti e bandi.
E poi ch'ognun così fu battezato
la fama par che per tutto si spandi
de' tre baron che vi son capitato;
ma i nomi lor quanto Rinaldo volle
celò Corbante a tutto il popol folle.

103.
E riposârsi alquanto a lor diporto
e tutta la città facea gran festa
tanto del vero Iddio preson conforto
della sua grazia e della sua potesta;
come nell'altro dir vi sarà porto
dove la storia sarà manifesta.
E priego il Re della gloria infinita
che vi dia pace e gaudio e requie e vita.



CANTARE QUINTO


1.
Pura colomba piena d'umiltade
in cui discese il nostro immenso Iddio
a prender carne con umanitade
giustosantoveraceetterno e pio
donami graziaper la tua bontade
ch'io possi seguitare il cantar mio
pel tuo Iosef e Giovacchino ed Anna
e per Colui che nacque alla capanna.

2.
Rinaldo e 'l suo Dodone e 'l gran marchese
gran festa fanno co' nuovi cristiani;
e battezato è già tutto il paese
del re Corbante e' suoi primi pagani.
Ed Ulivier per la dama cortese
ogni dì fa mille pensieri strani
ed ora in torniamenti ed ora in giostra
per piacere a costeigran forza mostra.

3.
E benché assai lo pregassi Rinaldo
non si sapeva accomiatare ancora
ché la donzella lo teneva saldo
come àncora la nave tien per prora.
Quanto è più offeso il focoè poi più caldo:
così più sempre Ulivier s'innamora
quanto Rinaldo il partir più sollecita;
ed ogni scusa gli pareva lecita.

4.
Quando fingea non esser ben guarito
quando fingea qualche altra malattia
(e dicea il verch'egli è nel cor ferito)
quando pregavaquando promettia:
- Doman ci partirempreso ho partito. -
Lasciàn costornel nome di Maria
ed Ulivier così morire amando
e ritorniamo ove io lasciai Orlando.

5.
Meredïanala dama gentile
manda a saper se volea la battaglia
a corpo a corpocon almo virile.
Orlando dice: - Io non vesto di maglia
per contastare una femina vile
ch'i' prezzo men ch'un bisante o medaglia. -
Sì che per questo e pel suo Lïonetto
troppo si duol costei di Macometto

6.
dicendo: "Almen facessimi morire
poiché sprezzata son da quel villano;
ché mai più ebbe cavaliere ardire
combatter meco colla lancia in mano".
Ma in questo tempo si facea sentire
la fama del signor di Montalbano
come Corbante avea seco un barone
che si chiamava il guerrier del lïone

7.
e ch'egli era uom ch'avea molto potere
e come morto ha il serpente feroce.
Meredïana a un suo messaggiere
impose e disse ch'andassi veloce
al re Corbantee faccigli assapere
come per tutto è vulgata la boce
di questo cavalier che è tanto forte
il qual con seco teneva in sua corte;

8.

e come Manfredonio alla sua terra
ha posto il campo con crudele assedio
e tuttavia con sua gente la serra
e non ha ignunper tenerla più a tedio
ch'a corpo a corpo con lei vogli guerra;
che gli dovessi mandar per rimedio
questo guerrier ch'avea tanta possanza
pel parentado antico ed amistanza;

9.
però che già per tutto l'Orïente
la fama di costui molto sonava.
Il messaggier n'andò subitamente:
al re Corbante si rappresentava
e spose la 'mbasciata saviamente.
Per che Corbante a Rinaldo parlava
come il re Carador quel messo manda
e la sua figlia a lui si raccomanda.

10.
Se tu credessi da questo martoro
liberar la donzellaio ti conforto -
dicea Corbante - andare a Caradoro;
però ch'io so che Manfredonio ha il torto
ed ha menato tutto il concestoro.
Forsese fia da te punito e morto
re Caradoro si battezeràe
come ho fatto ioe Cristo adoreràe. -

11.
Rinaldo dall'abate prima intese
che in quel paese avea mandato Orlando;
rispose: - A Manfredon - molto cortese
- la testa leverò con questo brando
o re Corbante: ch'a sì giuste imprese
sarò sempre disposto a tuo comando. -
Dicea Corbante: - Caradoro è antico
parente nostro e discreto all'amico. -

12.
Disse Rinaldo: - Or rispondi al valletto
che per amor di te ne son contento;
ed ho speranzae così gli prometto
di salvar la sua gente fuori e drento;
e Manfredonio il campo a suo dispetto
leverà presto e le bandiere al vento. -
Corbante il ringraziò benignamente
delle parole che sì grate sente;

13.
e poi si volse al messo saracino:
- Dirai che volentier la impresa piglia
a Caradoroquesto paladino;
e del suo ardir si farà maraviglia
sia chi si vuol del popol d'Apollino
ch'a nessun questo volgerà la briglia;
se fussi Orlandoquel ch'ha tanta fama
nol temerebbe: così di' alla dama.

14.
Vedi il lïon che tuttavia l'aspetta:
non è baron di cui nel mondo dotti.
Vedi que' due che son là di sua setta:
questi fanno assai fatti e pochi motti. -
Il messaggier si dipartiva in fretta:
Corbante disse che e' voli e non trotti;
tanto che presto tornò a Caradoro
e referì come e' vengon costoro;

15.
e che parea quel guerrier del lïone
un uom molto famoso in vista e forte;
e d'Ulivier diceva e di Dodone:
- Non è baronCaradoroin tua corte
da metterlo con questi al paragone.
Corbante dice che tu ti conforte
perché colui che si chiama il guerriere
non temerebbe Orlando in sul destriere. -

16.
Rinaldo da Corbante accommiatossi
e molte offerte fece al re pagano
che sempre sare' suodovunque e' fossi;
né anco il re Corbante fu villano
alla risposta; e così si son mossi
e benedetti e baciati la mano;
ed Ulivieri avea potuto appena
- Addio! - piangendo dire a Forisena.

17.
La qualveggendo partire Ulivieri
avea più volte con seco disposto
di seguitarlo e fatti stran pensieri;
né poté più il suo amor tener nascosto;
e la condusse quel bendato arcieri
per veder quanto Ulivier può discosto
a un balconee l'arco poi disserra
tanto che questa si gittava a terra.

18.

E 'l padre suoche la novella sente
corse a vederla e giunse ch'era morta:
alla sua vita non fu sì dolente;
e intese ben quel che 'l suo caso importa
e come Amore è quel che lo consente;
e se non fussi alcun che lo conforta
e chi la mano e chi il braccio gli piglia
uccider si volea sopra la figlia;

19.
e dicea: - Lassoquanto fui contento
quel dì che morta l'aspra fera vidi;
ed or tanto dolor nel mio cor sento!
E così vuogliAmorcosì mi guidi!
Ogni dolcezza volta m'hai in tormento.
O mondotu non vuoi che in te mi fidi.
Lasciato m'haio misera Fortuna
afflitto vecchio e sanza speme alcuna. -

20.
Fece il sepulcro a modo de' cristiani
e missevi la bella Forisena
e lettere intagliò colle sue mani
come fu liberata d'ogni pena
da tre baron di paesi lontani;
e come a morte il suo distin la mena
pur finalmentecome piacque 'Amore
nel dipartirsi il suo caro amadore.

21.
Non si può tòr quel che 'l Ciel pur distina
e 'l mondo col suo dolce ha sempre amaro:
questa fanciulla così peregrina
il troppo amare alfin gli costa caro;
ed Ulivier pe' boschetti camina
e non sa quel che gli sare' discaro
e chiama Forisena notte e giorno.
E in questo modo più dì cavalcorno.

22.
Un giorno in un crocicchio d'un burrone
hanno trovato un vecchio molto strano
tutto smarritopien d'afflizïone:
non parea bestia e non pareva umano.
Rinaldo gli venìa compassïone:
Chi fia costui?fra sé diceva piano;
vedea la barba arruffata e canuta:
raccapricciossie dappresso il saluta.

23.
E' gli rispose faccendo gran pianto
per modo ch'a Rinaldo ne 'ncrescea:
- Per la bontà dello Spirito santo
abbi pietà della mia vita rea:
uscir di questo bosco non mi vanto
se non m'aiuti - e del tristo facea.
- Lasciami un poco in sul cavallo andare
per quello Iddio che ti può ristorare. -

24.
Rinaldo disse: - Molto volentieri
ché tu mi par'vecchierelmezzo morto. -
E sùbito si getta del destrieri
perché e' vi monti e pigliassi conforto.
Intanto vien Dodone ed Ulivieri.
Rinaldo dice questo fatto scorto.
Disse Dodon: - Tu se' molto cortese -
e del caval per aiutarlo scese.

25.
Rinaldo tien Baiardo per la briglia
e Dodon piglia questo vecchio antico.
Baiardo allor mostrò gran maraviglia
e 'l vecchio schifa come suo nimico.
Rinaldo strette le redine piglia
e Dodon pure aiuta come amico.
Baiardo allor più le redine scuote
ed or col capo or co' calci percuote.

26.
Ma poi che pur si lasciò cavalcare
quel vecchierel come e' fussi una foglia
teneal a briglia e faceval tremare:
poi correr lo facea contra sua voglia.
Disse Rinaldo a Dodon: - Che ti pare?
Io dubito che mal non ce ne coglia:
il vecchio corree non mi pare or lasso
che non parea da dovere ir di passo.

27.
Dismontao Ulivierdi Vegliantino. -
Ulivieri scendeva da cavallo.
Rinaldo dietro pigliava il camino
a questo vecchioe comincia a sgridallo:
- Aspettatu ti fuggican meschino
sì che tu credi in tal modo ruballo. -
Ma nulla par che con quel vecchio avanzi
che sempre più gli spariva dinanzi.

28.

E Vegliantin sudava per l'affanno
e va pel bosco che pare uno strale.
Disse Rinaldo: "Vedrai bello inganno
ché questo vecchio par che metta l'ale;
io fui pur mattoed aròmene il danno";
e chiama e gridama poco gli vale:
colui correva come un leopardo
anzi più fortes'egli avea Baiardo.

29.
Ma po' ch'egli ebbe a suo modo beffato
Rinaldoalfin se gli para davante
e in su 'n un passo del bosco ha aspettato.
Vegliantin tanto mostrava le piante
che lo giugnevae Rinaldo è infocato.
Disse Malgigi: - Che faraibrigante? -
Quando Rinaldo sentiva dir questo
lo riconobbe alla favella presto;

30.
e disse: - Tu fai pur l'usanza antica:
tu m'hai fatto pensar di strane cose
e dato a Vegliantin molta fatica. -
Allor Malgigi in tal modo rispose:
- Tu non sai ancorainnanzi ch'io tel dica
di questo testoRinaldole chiose. -
Dodone in questo e 'l marchese giugnevano
e Malagigi lor ricognoscevano.

31.
Gran festa fecion tutti a Malagigi
d'averlo in luogo trovato sì strano.
Disse Malgigi: - Io parti' da Parigi
e feci l'arte un giorno a Montalbano;
volli saper tutti i vostri vestigi:
vidi savate in paese lontano
e che portato avate assai periglio
e bisognava ed aiuto e consiglio.

32.
Per questa selva ove condotti siete
non troverresti da mangiar né bere
e sanza me campati non sarete:
di questa barba vi conviene avere
che vi torrà e la fame e la sete;
vuolsene in bocca alle volte tenere. -
E dètte loro un'erba e disse: - Questa
usate insino al fin della foresta. -

33.
Mangiaron tutti quanti volentieri
dell'erba che Malgigi aveva detto
e missonne poi in bocca anco a' destrieri
ch'era ciascun dalla sete costretto.
Disse Malgigi: - Per questi sentieri
serbatenevi dicoper rispetto;
e destrier sempre troverran dell'erba
ma questa per la sete si riserba.

34.
Non vi bisogna d'altro dubitare.
Con Manfredonio è il roman sanatore
Orlandoe presto il potrete trovare. -
E dette molte coseun corridore
sùbito fece per arte formare
tanto ch'ognun gli veniva terrore:
ché mentre ragionare altro voliéno
apparì quivi bianco un palafreno.

35.
Disse Malgigi: - Caro mio fratello
tò'ti Baiardo tuoch'io son fornito. -
Rinaldo guarda quel caval sì bello
e dicea: - Questo fatto come è ito? -
Malgigi presto montò sopra quello
e fu da lor come strale sparito;
a tutti prima toccava la mano
e ritornò in tre giorni a Montalbano.

36.
Dumila miglia al nostro modo o piùe
era da Montalbansi truova scritto
dal luogo dove accomiatato fue.
Rinaldo el suo fratel lasciava afflitto
e molte volte ha chiamato Gesùe
che lo conduca per sentier diritto.
E già sei giorni cavalcato avia
drieto al lïonche mostra lor la via.

37.
Il sesto dì questo baron gagliardo
in uno oscuro bosco è capitato.
Sente in un punto fermarsi Baiardo;
vede il lïon che 'l pelo avea arricciato
e che faceva molto fero sguardo;
e Vegliantin parea tutto aombrato;
e 'l caval di Dodon volea fuggire
e raspa e soffia e comincia annitrire.

38.

Disse Rinaldo: - O Iddioche sarà questo?
Questi cavalli han veduta qualche ombra. -
Intanto un gran romor si sente presto
che le lor mente di paura ingombra:
ecco apparire un uom molto foresto
correndoe 'l bosco attraversava e sgombra;
e fece a tutti una vecchia paura
ché mai si vide più sozza figura.

39.
Egli avea il capo che parea d'un orso
piloso e fieroe' denti come zanne
da spiccar netto d'ogni pietra un morso;
la lingua tutta scagliosa e le canne;
un occhio avea nel petto a mezzo il torso
ch'era di fuoco e largo ben due spanne;
la barba tutta arricciata e' capegli
gli orecchi parean d'asino a vedegli;

40.
le braccia lunghesetolute e strane
e 'l petto e 'l corpo piloso era tutto;
avea gli unghion ne' piedi e nelle mane
ché non portava i zoccol per l'asciutto
ma ignudo e scalzo abbaia com'un cane:
mai non si vide un mostro così brutto;
e in man portava un gran baston di sorbo
tutto arsicciatonero come un corbo.

41.
Questo una buca sotterra avea fatto
e sopra quella forato un gran masso:
quivi si stava e nascondevail matto;
verso la strada avea forato il sasso
e per un bucolin traea di piatto
e molta gente saettava al passo:
facea degli uomin micidial governo
e chiamato era il mostro da l'inferno.

42.
Rinaldoquando apparir lo vedia
diceva a Ulivieri: - Hai tu veduto
costuiche certo la versiera fia? -
Disse Ulivieri: - Iddio ci sia in aiuto!
Credo più tosto sia la Befanìa
o Belzebù che ci sarà venuto. -
Guardava il petto e la terribil faccia
e 'l baston lungo più di dieci braccia.

43.
Questo animal venìa gridando forte
e come l'orso adirato co' cani
ispezza i rami e' pruni e le ritorte
con quel bastonco' piedi e colle mani.
Disse Dodon: - Sare' questa la Morte
che ci assalissi in questi boschi strani?
Se tu ragguardiRinaldoi vestigi
de' compagnon mi par di Malagigi. -

44.
Disse Rinaldo: - Non temerDodone:
se fussi ben la Morte o 'l Trentamila
lascial venire a me questo ghiottone
ch'a peggior tela ho stracciate le fila. -
Intanto quella bestia alza il bastone
e inverso di Rinaldo si difila.
Rinaldo punse Baiardo in su' fianchi
acciò che 'l suo disegno a colui manchi.

45.
Dallato si scagliò come un cervietto:
giunse la mazza e dètte il colpo in fallo.
Rinaldo intanto si misse in assetto:
corsegli addosso presto col cavallo
dèttegli un urto e colselo nel petto
per modo che sozzopra fe' cascallo;
e nel cader questo animale strano
forte abbaiava come un cane alano.

46.
Dodonche vide quel diavol cadere
diceva a Ulivier: - Corriàgli addosso
acciò che non si lievi da giacere. -
Disse Rinaldo: - Ignun non si sia mosso:
tìrati addrieto e statevi a vedere
ch'io non sono uso mai d'esser riscosso. -
In questo l'uom salvatico si rizza
col sorbopien di furore e di stizza;

47.
e scaricava un colpo in sulla testa
per modo tal chese giugnea Rinaldo
e' gli bastava solamente questa
e non sentia mai più freddo né caldo.
Rinaldo non aspetta la richiesta
ché come argento vivo stava saldo:
or qua or là facea saltar Baiardo
avendo sempre al protino riguardo.

48.

Pareva un lïoncin quand'egli scherza
che salta in qua e in là destro e leggieri;
alcuna volta menava la ferza
poi risaltava che pare un levrieri.
Era già l'ora passata di terza
e pur Dodon dicea con Ulivieri:
- Io temo sol Rinaldo non si stracchi
tanto ch'un tratto quel baston l'ammacchi. -

49.
Colui non par che si curi un pistacchio
perché Frusberta gli levi del pelo
e pure attende a scaricare il bacchio;
e la spada del prenze torna al cielo.
Misericordia! di questo batacchio
aiutaIddiochi crede nel Vangelo!
Quel baston pare un albero di nave
arsiccioduro e nocchieruto e grave.

50.
Avean già combattuto insino a nona
Rinaldo e quel dïavolo incantato:
Rinaldo gli ha frappata la persona
e molto sangue in terra avea gittato
e tuttavia con Frusberta lo suona.
Un tratto quel baston è giù calato;
Rinaldo per disgrazia gli era sotto
e non poteva fuggir questo botto:

51.
attraversò la spada per coprire
il capoché del colpo ebbe riprezzo;
giunse il bastone: or qui volle alcun dire
già che Rinaldo gliel tagliò sol mezzo
ma poi si ruppe il resto nel colpire;
chi dice che di netto il mandò al rezzo;
donde e' s'è fatta gran disputazione
come quel fatto andassi del bastone;

52.
ma questo a giudicar vuol buon gramatico
s'egli tagliò tutta o mezza la mazza.
Quel maladetto e ruvido e salvatico
ed aspro più che 'l sorbo che e' diguazza
arrandellò quel tronco come pratico:
dètte a Rinaldo una percossa pazza
tanto che caddee dipoi si fuggìa.
Ma Ulivier lo segue tuttavia.

53.
Trasse la spadache par che riluca
più che non fece mai raggio di stella
acciò che 'l cuoio con essa gli sdruca.
Questa fera bestialcrudele e fella
si fuggì come il tasso nella buca.
Ulivier si rimase in su la sella
e ritornossi dove era caduto
Rinaldoche già s'era rïavuto.

54.
Disse Rinaldo: - Vedes' tu mai tordo
ch'avessicome ebb'iodella ramata?
Costui pensò di guarirmi del sordo
se fussi rïuscito la pensata. -
Disse Dodon: - Quand'io me ne ricordo
io triemo ancor di quella randellata.
Che hai tu fatto di luiUlivieri?
Tu gli corresti drieto col destrieri. -

55.
Disse Ulivieri: - Egli è nato di granchi:
egli entrò in una buca sotto un masso
mentre ch'io gli ero colla spada a' fianchi
o e' si tornò in inferno a Satanasso. -
Intanto colui par ch'un arco branchi
ed uno stral cavò d'un suo turcasso
avvelenatoe fessi al bucolino
e trassee dètte in un piè a Vegliantino;

56.
e se non fussi che giunse al calcagno
quanto poté più bassoall'unghia morta
non bisognava medico né bagno.
Disse Rinaldo: - In pace te la porta:
co' pazzi sempre fu poco guadagno.
Il mio lïon non ci fa buona scorta. -
Poinon veggendo ond'egli avessi tratto
ognun restava come stupefatto.

57.
Disse Rinaldo: - A quel sasso mi mena
Ulivierdove tu il vedesti entrare.
Veggiam se questa bestia da catena
si potessi alla trappola pigliare;
ch'io so ch'io gli darò le frutte a cena
s'io lo dovessi col fuoco sbucare. -
Salì sopra Baiardoe insieme andorno;
e come al monimento funno intorno

58.

colui ch'è dentro assetta lo scoppietto
e stava al bucolin quivi alla posta:
trasse uno strale a Rinaldo nel petto
che si pensò di passargli ogni costa;
ma la corazza a ogni cosa ha retto.
Rinaldo allor dalla buca si scosta
e disse: - Costì ancor non se' sicuro
se 'l sasso più che porfir fussi duro:

59.
poi che tu m'hai saettatoribaldo
e randellatoche mai più non fue
gittato in terra in tal modo Rinaldo
io ti gastigheròpel mio Gesùe. -
E così tutto di tempesta caldo
con ambo man Frusberta alzava sùe:
rizzossi in sulle staffee 'l brando striscia
che lo facea fischiar come una biscia

60.
tanto che l'aria e la terra rimbomba
e si sentiva un suon fioco e interrotto
come quando esce il sasso della fromba:
are' quel colpo ogni adamante rotto;
giunse in sul masso sopra della tomba
e féssel tutto come un cacio cotto;
partì il cervello e 'l capo e 'nsino al piede
al crudel mostro; e sciocco è chi nol crede.

61.
Le schegge di quel sasso a mille a mille
balzorno in qua ed in làcome è usanza
e tutta l'aria s'empié di faville.
Disse Dodone: - O Diotanta possanza
non ebbe Ettorre o quel famoso Achille
quanto ha costuich'ogni lor forza avanza. -
La spada un braccio sotterra ficcossi
e Baiardo pel colpo inginocchiossi.

62.
A gran fatica poté poi ritrarre
Rinaldotanto fitta erala spada
e disse: - Tu credevi che le sbarre
non ti tenessinmascalzon di strada!
Chi si diletta di truffe e di giarre
così convien che finalmente vada:
de' tuoi peccati penitenzia hai fatta.
Così fo sempre a ogni bestia matta. -

63.
Dodon guardava nella buca e vede
tutto fesso per lato quel ghiottone
dal capo insin giù per le gambe al piede
e stupì tutto per ammirazione
dicendo: - Iddiode' tuoi servi hai merzede!
Questo stato non è sanza cagione:
a qualche fine tal segno hai dimostro
acciò che a molti essemplo sia quel mostro. -

64.
Poi colla punta della spada scrisse:
Nel tal tempo il signor di Montalbano
ci arrivò a casoed ogni cosa disse
come in quel sasso stava un uomo strano
e come tutto Rinaldo il partisse;
ed èvvi ancora scritto di sua mano
le letter colla punta della spada;
e puossi ancor veder sopra la strada.

65.
E chiamasi la selva da l'inferno:
chi vuole andare al monte Sinaì
vi passaquando e' va che sia di verno
per non passare il fiume Balaì;
e leggesi quel diavol dello inferno
come Rinaldo quivi lo partì;
e vedesi ancor l'ossa drento al fesso
e sèntivisi urlar la notte spesso.

66.
Poi si partirno; e il lïoncome e' suole
sempre la strada mostrava a costoro.
Era di notte: Rinaldo non vuole
che per le selve si facci dimoro
tal ch'Ulivieri e Dodon se ne duole
ché cavalcare a stracca è lor martoro.
Tutta la notte con sospetto andorno
insin che in orïente vidon giorno.

67.
Come e' fu fuor dell'occeàno Apollo
si ritrovoron sopra a un poggetto;
questo passornoe poi più là un collo
d'un altro monte ch'era al dirimpetto;
e poi ch'a questo dato ebbono il crollo
vidono un pian con un certo fiumetto
trabacche e padiglioni e loggiamenti
e cavalieri armati e varie genti.

68.

Quivi era Manfredonio innamorato
che lo facea morir Meredïana
con tutto quanto il populo attendato.
E la fanciulla al suo parer villana
al re Corbante avea significato
ch'assediata è della gente pagana
e come Manfredon si sforza e ingegna
tòrgli d'onor la sua famosa insegna;

69.
ed aspettava il guerrier del lïone
che dovessi venirla a liberare;
e stava giorno e notte in orazione
e molti sacrifici facea fare
pregando umilemente il lor Macone
che sua virginità debba servare;
com'io seguiterò nell'altro canto
colla virtù dello Spirito santo.



CANTARE SESTO


1.
Padre nostro che ne' cieli stai
non circunscrittoma per più amore
ch'a' primi effetti di lassù tu hai
laudato sia il tuo nome e 'l tuo valore;
e di tua grazia mi concederai
tanto ch'io possi finir sanza errore
la nostra istoria; e peròPadre degno
aiuta tu questo affannato ingegno.

2.
Era il soldicoal balcon d'orïente
e l'Aürora si facea vermiglia
e da Titon suo antico un poco assente;
di Giove più non si vedea la figlia
quella amorosa stella refulgente
che spesso troppo gli amanti scompiglia;
quando Rinaldo giù calava il monte
dove era Orlando suofamoso conte.

3.
Come egli ebbe veduta la cittade
disse a Dodone: - Or puoi veder la terra
dove è la dama c'ha tanta biltade.
Vedi che il re Corbante già non erra
ch'io veggo di pagan gran quantitade:
quivi è quel Manfredon che gli fa guerra. -
Mentre che dice questoed Ulivieri
conobbe Orlando sopra il suo destrieri.

4.
Vide ch'a spasso con Morgante andava
e che faceva le genti ordinare
per la battaglia che s'apparecchiava
e già faceva stormenti sonare.
Ma del gigante ammirazion pigliava
e cominciollo a Rinaldo a mostrare:
- Quello è Morgantee 'l conte Orlando è quello
ch'è presso a lui: non vedi tu Rondello? -

5.
Rinaldoquando vide il suo cugino
per gran dolcezza il cor si sentì aprire
e disse: - Poi ch'io veggo il paladino
contento sono ogni volta morire.
Or oltre seguirem nostro camino:
a Carador promesso abbiam di gire;
tosto sarem con Orlando alle mani
e con questi altri saracini o cani. -

6.
Come entrati fur poi drento alle mura
domandoron del re subitamente
dicendo: - Cavalier siàn di ventura
dal re Corbante mandati al presente. -
I terrazzan fuggivan per paura
di quel lïonsanza dir lor nïente.
Rinaldo tanto innanzi cavalcòe
che in sulla piazza del re capitòe.

7.
E come e' furon veduti costoro
sùbito fu portata la novella
dentro al palazzo al gran re Caradoro.
Rinaldo intanto smontava di sella
Ulivieri e Dodon non fe' dimoro.
Ognun dintorno di questo favella:
- Questo debbe esser - dicean - quel barone
ch'è appellato il guerrier del lïone. -

8.

Meredïanach'era alla finestra
fece chiamar sue damigelle presto
ché d'ogni gentile atto era maestra;
fecesi incontra col viso modesto
con accoglienza sì leggiadra e destra
che nessun più non arebbe richiesto
tra le ninfe di Palla o di Dïana
che si facessi allor Meredïana.

9.
Rinaldoquando vide la donzella
tentato fu di farla alla franciosa;
a Ulivieri in sua lingua favella:
- Quant'ionon vidi mai più degna cosa! -
Disse Ulivieri: - E' non è in cielo stella
che appetto a lei non fusse tenebrosa. -
Rinaldo presto rispose: - Io t'ho inteso
che 'l vecchio foco è spento e 'l nuovo acceso.

10.
Non chiamerai più forsecome prima
la notte sempre e 'l giorno Forisena
ch'a ogni passo ne cantavi in rima:
non sente al capo duol chi ha maggior pena;
veggo che del tuo amor l'hai posta in cima
e se' legato già d'altra catena. -
Ulivier disse: - S'io vivessi sempre
convien sol Forisena il mio cor tempre. -

11.
Eran saliti già tutta la scala
e grande onor da quella ricevuto
che insino a mezzo gli scaglion giù cala
e rendutogli un grato e bel saluto.
Intanto Caradoro in su la sala
con tutti i suoi baroni era venuto.
Rinaldo e gli altri baciaron la mano
come è usanza a ogni re pagano.

12.
Fece ordinar di sùbito vivande
e' lor destrier fornir di strame e biada;
per la città la lor fama si spande
e per vedergli assai par che vi vada.
Venne la cenae fuvvi altro che ghiande;
Ulivier pure alla donzella bada.
Poi che cenato fure Caradoro
in questo modo a dir cominciò loro:

13.
Io vi diròfamosi cavalieri
quel che 'l mio cor da voi disia e brama.
Per tutti i nostri paesi e sentieri
dell'Orïente risuona la fama
di vostra forza e de' vostri destrieri
e questa è la cagion che qua vi chiama.
Come vedeteogni campagna è piena
di gente qua per darci affanno e pena;

14.
ed ècci un re famosoantico e degno
che innamorato s'è d'esta mia figlia
e vuol per forza lei con tutto il regno
e molti ha morti della mia famiglia;
ogni dì truova qualche stran disegno
per oppressarcie 'l mio campo scompiglia;
e per ventura un cavaliere errante
v'è capitato con un gran gigante:

15.
con un battaglio in man d'una campana
sia che armadura vuolche ne fa polvere
e molti già di mia gente pagana
ha sfracellati e dato lor che asciolvere;
ovunque e' giugnela percossa è strana:
non c'è papasso che ne voglia assolvere;
io il vidi un giorno a un dar col battaglio
e 'l capo gli schiacciò come un sonaglio.

16.
Se con quel cavalier vi desse il core
a corpo a corpoché così combatte
e col gigante d'acquistare onore
le genti mie non sarebbon disfatte.
Ed io vi giuro pel mio Dio e Signore
s'alcun di voi di questi ignuno abbatte
ciò che saprete domandare arete
se ben la figlia mia mi chiederete. -

17.
Era presente a quel Meredïana
ed una ricca cotta aveva indosso
d'un drappo ricco all'usanza pagana
fiorito tutto quanto bianco e rosso
come era il viso di latte e di grana
ch'arebbe un cor di marmo ad amar mosso;
nel petto un ricco smalto e gemme ed oro
con un rubin che valeva un tesoro

18.

ed un carbonchio ricco ancora in testa
che d'ogni oscura notte facea giorno;
avea la faccia angelica e modesta
che riluceva come il sol dintorno.
Ulivierquanto guardava più questa
tanto l'accende più il suo viso adorno
e fra suo cor dicea: "Se tu farai
quel che dicestiretu vincerai".

19.
Rinaldo vide Ulivier preso al vischio
un'altra voltae già tutto impaniato
e dicea: "Questo ne vien tosto al fischio";
cognobbe il viso già tutto mutato
vedeva gli occhi far del bavalischio;
disse in francioso un motto loro usato:
- A ogni casa appiccheremo il maio
ché come l'asin fai del pentolaio.

20.
Ma non vagheggi a questa volta come
solevi in corte far del re Corbante;
ché se ti piace il bel viso e le chiome
piace la spada a costei del suo amante:
queste son dame in altro modo dome.
Non c'è più bello amar che nel Levante! -
Ulivier sospirò nel suo cor forte
quasi dicessi: "Sol non amai in corte".

21.
E ricordossi allor di Forisena
che del suo cor tenea le chiavi ancora;
ma non sapevaomèdella sua pena:
- Prima consenta il Ciel - dicea - ch'i' mora
che sciolta sia dal cor quella catena
che sciòr non puossi insino all'ultima ora;
e se fra' morti poi vorran gli dèi
che amar si possiamerò sempre lei.

22.
Non si diparte amor sì leggiermente
che per conformità nasce di stella:
dovunque andremoin Levante o in Ponente
amerò sempre Forisena bella
però che 'l primo amor troppo è possente;
non son del petto fuor quelle quadrella
ch'io non credo che morte ancor trar possa
prima che cener sia la carne e l'ossa. -

23.
Lasciam costoro insieme un poco a mensa.
Aveva alcuna spia re Manfredonio
come colui che' suoi pensier dispensa
d'aver di ciò che si fa testimonio;
e poichi amagiorno e notte pensa
come e' si tragga l'amoroso conio:
non si può dir quel ch'un amante faccia
per ritrovar della dama ogni traccia.

24.
Detto gli fu come e' son capitati
tre cavalier famosi a Caradoro
e paion molto arditi e bene armati;
ma non sapeva alcun de' nomi loro
se non che tutti assai s'eron vantati
alla sua gente dar molto martoro;
e ch'egli avevon sotto corridori
che mai si vide i più belli e maggiori.

25.
Orlando pose orecchio alle parole:
Sarebbe questo Rinaldo d'Amone?.
Ma poi diceva: "Rinaldo non suole
come color diceanmenar lïone".
Poi disse: - Imbasciador mandar si vuole
per uscir fuori d'ogni suspizione
a Caradoroe dirgli così parmi
ch'io vo' con questi cavalier provarmi. -

26.
A Manfredonio piacque il suo parlare
e sùbito mandorno imbasceria.
Erano ancor coloro a ragionare;
Caradoro a Rinaldo si volgìa
dicendo: - Pro' baronche vuoi tu fare? -
Rinaldo sfavillava tuttavia:
pargli mill'anni d'esser con Orlando
e disse: - Io sono in punto al tuo comando. -

27.
Ed Ulivier soggiugneva di costa:
- Del diciannove ognun terrà lo 'nvito
e così fate per noi la risposta. -
(AhUlivieriamor ti fa sì ardito!)
- Dite che al campo ne venga a sua posta. -
Lo imbasciador tornòch'aveva udito
e disse a Manfredonio: - E' son contenti
e prezzan poco te colle tue genti.

28.

E' mi parevaa guardàgli nel volto
che tra lor fussi del combatter gaggio
ch'ognun pel primo volessi esser tolto:
tanto fier si mostravan nel visaggio. -
Rispose Orlando: - E' non passerà molto
che parleranno d'un altro linguaggio. -
Disse Morgante: - Io vo' con un fuscello
di tutti a tre costor fare un fardello

29.
e vòmegli alla cintola appiccare:
lascia pur ch'egli assaggino il metallo
e ch'io cominci un poco a battagliare.
Che penson di venir costoroal ballo?
Or oltreio vo' col battaglio sonare
perché e' non faccin gli scambietti in fallo. -
Ma in questo tempo Rinaldo era armato
e dal re Caradoro accomiatato;

30.
ed avea fatte cose in su la piazza
che 'l popol n'avea avuta maraviglia:
di terra collo scudo e la corazza
saltato in sella e pigliata la briglia.
Carador disse: - Questa è buona razza. -
E molto lieta si fece la figlia
ch'era venuta per diletto fore
a vedergli montare a corridore;

31.
ed avea prima aiutato Ulivieri
armarche molto di questo gli giova
e saltato di netto è in sul destrieri
e fatto innanzi alla dama ogni pruova
che far potessi nessun cavalieri;
e Dodone anco nel montar non cova:
ognun di terra a caval si gittòe
e tutto il popol se ne rallegròe.

32.
Aveva fatti tre salti Baiardo
ch'ognun fu misurato cento braccia
tanto fiero eraanimoso e gagliardo;
ed Ulivierperché alla dama piaccia
di Vegliantin faceva un leopardo;
Dodon al suo gli spron ne' fianchi caccia;
e finalmente dal re Caradoro
a lanci e salti si partîr costoro.

33.
Poi che furono usciti della porta
fino alle sbarre del campo n'andorno.
Rinaldo tanta allegrezza lo porta
che cominciò a sonar per festa un corno.
Fu la novella a Manfredon rappôrta;
Orlando presto e Morgante n'andorno
dove aspettavan questi tre baroni
e salutorno in saracin sermoni.

34.
Non ricognobbe Orlando il suo cugino
perché Baiardo è tutto covertato
e lui parlava al modo saracino;
vide il lïonee molto ha biasimato:
- Non è costume di buon paladino
aver questo animal seco menato:
non doverresti a gnun modo menarlo;
per carità degli uomini ti parlo. -

35.
Disse Rinaldo: - Buon predicatore
sarestipoi ch'hai tanta carità.
Non ti bisogna aver questo timore:
nel tuo parlar si dimostra viltà.
Se tu sapessibaron di valore
per quel ch'io il meno ed ogni sua bontà
non parleresti in cotesto sermone:
sappi che ignun non offende il lïone

36.
se non chi a torto quistion meco piglia
ovver chi fussi traditor perfetto. -
Il conte Orlando ha seco maraviglia;
poi gli rispose: - Vegnamo all'effetto:
se vuoi combatter sanz'altra famiglia
a corpo a corpomettiti in assetto;
ché in altro modo combatter non voglio.
Farò di te come degli altri soglio. -

37.
Disse Dodon: - Tu sarai forse errato. -
Il gigante gli fece la risposta:
- Tu non cognosci il mio signor pregiato
però facesti sì strana proposta.
Io non son come tubaronearmato
e proverrommi con teco a tua posta. -
Dodone allora pazienzia non ebbe
e pure stato il miglior suo sarebbe.

38.

La lancia abbassa con molta superba
e percosse Morgante in su la spalla:
e' si pensò traboccarlo in su l'erba;
Morgante non lo stima una farfalla
ed appiccògli una nespola acerba
tanto che tutto pel colpo traballa;
e come e' vide balenar Dodone
se gli accostava e trassel dell'arcione.

39.
Al padiglion ne lo porta il gigante;
a Manfredonio Dodon presentava.
Manfredon rise veggendo Morgante
e per Macon d'impiccarlo giurava.
Morgante indrieto volgeva le piante
torna a Orlando ch'al campo aspettava.
Rinaldo irato a Orlando dicìa:
- Io ti faròcavaliervillania.

40.
Aspettamise vuoitanto ch'io vada
a qualche cosa a legar quel lïone
poi proverremo e la lancia e la spada
per quel ch'ha fatto il gigante ghiottone. -
Rispose Orlando: - Fa' come t'aggrada
o lancia o spadaa cavallo o pedone. -
Rinaldo smonta e la bestia legava
poi verso Orlando in tal modo parlava:

41.
Non potrai nulla del lïon più dire.
Oltreprovianci colle lance in mano:
vedren secome mostrihai tanto ardire
ché 'l can che morde non abbaia invano. -
Volse il destrier per tornarlo a ferire:
Orlando al suo Rondel gira la mano
del campo prese e con molta tempesta
si volse indrieto colla lancia in resta.

42.
Non domandar quel che facea Baiardo
con quanta furia spacciava il cammino;
e Rondello anco non pareva tardo
anzi pareva quel dì Vegliantino.
Rinaldo aveva al bisogno riguardo
dove e' ponessi la lancia al cugino;
ma cognosceva ch'egli è tanto forte
che pericol non v'è di dargli morte.

43.
A mezzo il petto la lancia appiccòe;
Orlando ferì lui similemente
e l'una e l'altra lancia in aria andòe:
non si cognosce vantaggio nïente;
e l'uno e l'altro destrier s'accosciòe
e cadde in terra pel colpo possente;
tanto che fuor della sella saltorno
i due baronie le spade impugnorno.

44.
E comincioron sì fiera battaglia
che far comparazion non si può a quella;
perché Frusberta e Cortana anco taglia
e 'l suo signorche con essa impennella
disaminava e la piastra e la maglia.
Rinaldo sempre all'elmetto martella
perché e' sapeva ch'egli è d'acciaio fino
ché fu d'Almonte nobil saracino.

45.
Pur nondimen si voleva aiutare
però che Orlando vedea riscaldato
e cognosceva quel che sapea fare
il suo cuginquand'egli era adirato.
Ma Cristo volle un miracol mostrare
acciò che ignun di lor non abbi errato;
e perché de' suoi amici si ricorda
il fer lïone spezzava la corda.

46.
Venne a Rinaldoed Orlando dicìa:
- Per Diobarondi te mi maraviglio:
questa mi par da chiamar villania.
Ma questa volta non hai buon consiglio
ché a te e lui caverò la pazzia. -
Rinaldo indrieto volgea presto il ciglio:
vide il lïone e funne mal contento
e cominciò questo ragionamento:

47.
Aspettacavaliertanto ch'io possi
questo lïon rimenar alla terra.
La mia intenzion non fuquand'io mi mossi
di venir qui col lïone a far guerra. -
Rispose Orlando: - Qual cagion si fossi
non soma infine è l'errato chi erra:
s'io ti volessi guastare il lïone
guarda battaglio che ha quel compagnone. -

48.

Disse Rinaldo: - Noi farem ritorno
tu al tuo re ed io nella cittade;
e domattinacome scocca il giorno
ritornerò per la mia lealtade
e chiamerotticom'io fe'col corno
e proverremo chi arà più bontade:
questo di graziabaronti domando. -
Tanto che fu contento il conte Orlando.

49.
E torna con Morgante al padiglione
e per la via si doleva con quello
e dice: - Maladetto sia il lïone!
S'avessi Vegliantin come ho Rondello
partito non saria questo barone;
o segnato l'arei del mio suggello
s'avessi la mia spada Durlindana. -
E duolsi assai ch'egli aveva Cortana.

50.
Ulivieri e 'l signor di Montalbano
si ritornoron verso la cittate.
Or ritorniamo al traditor di Gano
ch'avea per molte parte spie mandate;
ed ecco un messaggiero a mano a mano
a Carador con letter suggellate;
e per ventura al marchese s'accosta
dicendo: - In cortesiafammi risposta.

51.
Come si chiama la terra e 'l paese
e 'l suo signorse Dio ti dia conforto?
Io ho paura indarno avere spese
le mie giornate e di scambiare il porto. -
A lui rispose il famoso marchese:
- Alla domanda tua non vo' far torto:
non so il paese come sia chiamato
ma il suo signor ti sarà ricordato.

52.
Sappi che il re si chiama Caradoro
e la figliuola sua Meredïana:
per lei tal guerra ci fanno coloro
che tu vedi alloggiati alla fiumana. -
Disse la spia: - Macon ti dia ristoro
e guardi sempre d'ogni morte strana. -
E finalmente al palazzo n'andòe
a Caradoroe da parte il chiamòe.

53.
Disse: - Macon ti dia gioconda vita.
Io son messaggio di Gan di Maganza
e quand'io feci da lui dipartita
questo brieve mi dièch'è d'importanza:
vedi la 'mpronta sua qui stabilita
perché tu abbi del fatto certanza. -
Carador ricognobbe quel suggello
del conte Gantraditor crudo e fello.

54.
La lettera apre e 'l suo tenore intese.
La lettera dicea: "Caro signore
sappire Caradorquel ch'è palese:
che venuto è Rinaldo traditore
nella tua terra e nel tuo bel paese:
io te n'avvisoch'io ti porto amore;
e seco ha Ulivierche è uom di razza
col suo compagno Dodon della mazza.

55.
E nel campo è di Manfredonio Orlando
e l'un dell'altro ben debbe sapere;
e so che tutti a due vanno cercando
o Caradordi farti dispiacere:
vengonvi insieme alla mazza guidando;
quanto fia tempovel faran vedere.
Non piace al nostro re qua tradimento
però ch'io ti scrivessi fu contento.

56.
Ed ha con seco menato un gigante
chese s'accosta un giorno alle tue mura
e' le farebbe tremar tutte quante.
Abbi del regno e di tua gente cura;
e' son cristianie tu se' affricante;
guarda che danno non abbi e paura
ché so ch'alfin n'arai da molte bande.
Or tu se' savio e intendie 'l mondo è grande".

57.
Era quel re pien d'alta gentilezza
e ben cognobbe ciò che Gan dicea:
fece pigliarlo con molta prestezza.
In questo tempo Rinaldo giugnea
ed ogni cosa con lui raccapezza
ed in sua man la lettera ponea
e d'Ulivierch'è nella sua presenzia
per dimostrare ogni magnificenzia.

58.

Quando Rinaldo intese quel ch'è scritto
ringrazia il suo Gesù con sommo effetto;
a Ulivier si volse tutto afflitto;
disse: - Tu vedi quel che Gano ha detto. -
La damigella tenea l'occhio dritto:
quando sentì che 'l suo amante perfetto
era Ulivier che tanta fama avia
non domandar quanto gaudio sentia.

59.
E poi mandò nel campo un messaggiere
al conte Orlandoe in questo modo scrisse:
Poi ch'abbiam fatto triegua, cavaliere,
acciò che grande inganno non seguisse,
contento sia di venirmi a vedere
alla città sicuramentedisse:
cose udirai che ne sarai poi lieto;
ma sopra tutto sia presto e secreto.

60.
Il messaggiero Orlando ritrovava
che si chiamava nel campo Brunoro;
segretamente la lettera dava.
Orlando lessee sanza più dimoro
a Manfredon la lettera mostrava.
Manfredon disse: - Forse Caradoro
potrebbe qualche inganno fabricare
e quel baron tel vorrà rivelare:

61.
mentre che è trieguava' sicuramente.
Chi sa chi sia quel guerrier del lïone?
Pel mondo attorno va di strane gente.
Io ti conforto d'andarvibarone. -
Morgante a ogni cosa era presente
e disse: - Forse ch'egli ha del fellone:
egli ebbe voglia insino oggi di dirti
qualche trattatoe 'l suo segreto aprirti.

62.
Io vo' con teco alla terra venire
che non ci fussi qualche inganno doppio
e in ogni modo con teco morire;
e insin del campo udirete lo scoppio
se col battaglio s'avessi a colpire:
perchése bene ogni cosa raccoppio
di chieder triegua e tornarsi oggi drento
segno mi par di qualche tradimento. -

63.
Alla città n'andorno finalmente.
Rinaldo immaginò la lor venuta:
fecesi incontro al suo cugin possente
e giunto appressoin francioso saluta.
Orlando rispondea cortesemente
quel che gli parve risposta dovuta;
e pur parlava come saracino
ché non cognosce il suo caro cugino.

64.
Dicea Rinaldo: - A Caradoro andremo
se non ti fussicavalierdisagio. -
Orlando disse: - A tuo modo faremo
ché di piacerti mi sarà sempre agio. -
Disse Morgante: - Andatenoi verremo. -
E finalmente n'andorno al palagio.
Rinaldo a Carador gli rappresenta
perché e' voleva che ogni cosa senta.

65.
Re Caradoroquando Orlando vede
tosto della sua sedia s'è levato;
Orlando gli volea baciare il piede
ma Carador l'ha per la man pigliato;
disse: - Macone abbi di te merzede.
Il tuo venir m'è troppobarongrato
per veder quel che non ha pari al mondo
come se' tuBrunorbaron giocondo. -

66.
Meredïanaquando fu in presenzia
d'Orlandosospirò la damigella.
Orlando prese di questo temenzia;
verso la dama in tal modo favella:
- Are'ti io fatto oltraggio o vïolenzia
che tu sospiri sì? Dimmeldonzella. -
E ricordossi ben di Lïonetto
tanto ch'egli ebbe al principio sospetto.

67.
Disse la dama: - Tu m'innamorasti
quel dì che insieme provamo la lancia
e con quel colpo l'elmo mi cavasti
tanto che ancor n'arrossisco la guancia
e questa treccia tutta scompigliasti
come se fussi un paladin di Francia;
poi mi dicesti: "Tórnati alla terra
ché con le dame non venni a far guerra".

68.

Questo mi parve un atto sì gentile
che bastere' che fussi stato Orlando:
tu disprezzasti una femina vile:
per questo venni così sospirando. -
Orlando è corbacchion di campanile
e non si venne per questo mutando;
e disse a Carador: - Séguita avante
quel che vuoi dir dopo mie lode tante. -

69.
Carador disse: - Tu lo intenderai
da questo cavalier che t'ha menato. -
E disse al prenze: - Tu comincerai
a dir perché per lui fussi mandato. -
Ma tuSignorche i sempiterni rai
governie reggi il bel cielo stellato
grazia mi dona che nel dir seguente
segua la storia ch'io lascio al presente.



CANTARE SETTIMO


1.
Osannao Re del sempiterno regno
che mai non abandoni i servi tuoi
e perdonasti a quel che gustò il legno
che gli vietasti giàper gli error suoi;
aiuta mesovvien tanto il mio ingegno
che basti al nostro dircome tu puoi
sì ch'io ritorni alla mia istoria bella
cogli occhi volti a te come a mia stella.

2.
Rinaldo il conte Orlando rimirava;
Orlando non sapea di tale effetto;
ed Ulivieri spesso sogghignava:
non gli cognoscech'avevon l'elmetto.
Allor Rinaldo a parlar cominciava:
- A questi dì trovamo in un boschetto
tre cavalier cristian feroci e forti
e tutti a tre gli abbiam lasciati morti.

3.
Per certo oltraggio che ci vollon fare
a corpo a corpo insieme ci sfidamo
e cominciamo le spade a menare;
finalmente di forza gli avanzamo.
Credo che' lupi gli possin trovare
ché nel boschetto morti gli lasciamo.
Ma cavalier parean da spada e lancia
ch'eran venuti del regno di Francia. -

4.
Orlandoquando udì queste parole
rispose presto: - Ben avete fatto:
tutti son rubator; non me ne duole;
io n'ho già gastigati più d'un tratto:
così sempre a' nimici far si vuole.
Ma dimmicavalierea ogni patto
i nomi lorper veder s'io cognosco
di questi alcun ch'uccidesti in quel bosco. -

5.
Disse Rinaldo: - Egli ha nome Ulivieri
l'un di costorche dice era marchese;
l'altro da Montalban quel buon guerrieri
ch'aveva fama per ogni paese;
credo che 'l terzo anco era cavalieri
Dodon chiamatofigliuol del Danese. -
Orlando udendol si maravigliava
ma del lïon con seco dubitava.

6.
Seguì più oltre il suo ragionamento
Rinaldo: - Io intendo mostrarvi i cavagli. -
Orlando disse: - Io ne son ben contento
che' nomi lor non posso ritrovàgli. -
Vanno a vedere. Orlando ebbe spavento
sùbito come comincia a guardàgli
perché e' conobbe presto Vegliantino
e disse: "Il ver pur dice il saracino".

7.
Alla sua vita mai fu più doglioso
e poco men che in terra non cadea.
Ulivierche 'l vedea sì doloroso
drento all'elmetto con seco ridea.
Tornano in sala. Il paladin famoso
vendetta farne fra sé disponea
e disse: - S'altro tu non vuoi parlarmi
a Manfredonio al campo vo' tornarmi. -

8.

Disse Rinaldo: - Alquanto v'aspettate -;
e menò in una camera il barone;
e poi che l'arme sue s'ebbe cavate
la sopravvesta e l'altre guernigione
mostrava le divise sue sbarrate;
trassesi l'elmoe così il borgognone.
Orlandoquando Rinaldo suo vede
per gran letizia tramortir si crede.

9.
Abbraccia mille volte il suo cugino;
Ulivieri abbracciava il suo cognato;
diceva Orlando: - O giusto Iddio divino
che grazia è questach'io t'ho qui trovato! -
Poi domandò dell'altro paladino:
- Dodon dove èche tu m'hai nominato? -
Disse Rinaldo: - Sappi che Dodone
è quel che venne preso al padiglione. -

10.
Morgante vide costoro abbracciare
e disse al conte: - Per tua gentilezza
chi son costor non mi voler celare
che tu gli abbracci con tal tenerezza. -
E poi che udì Rinaldo ricordare
ed Ulivieriavea grande allegrezza
e inginocchiossi e per la man poi prese
Rinaldo presto e 'l famoso marchese;

11.
e pianse allor Morgante di buon core.
Re Caradoro in zambra era venuto.
Dicea Rinaldo: - Cugin di valore
per mio consiglios'a te par dovuto
non tornerai nel campo: io ho timore
che Manfredon non t'abbi conosciuto
o come a Carador Gan gli abbi scritto.
Ma Dodon nostro ove riman sì afflitto? -

12.
Disse Morgante: - Lascia a me il pensiero:
io lo condussi al padiglion di peso
così l'arrecherò qui come un cero. -
Orlando disse: - Morganteio t'ho inteso
e del tuo aiuto ci fa qui mestiero. -
Morgante più non istette sospeso;
disse: - A me tocca appiccar tal sonaglio;
ma ogni cosa farò col battaglio. -

13.
A Manfredonio andò caütamente
e per ventura giugneva il gigante
che Dodone era a Manfredon presente
che lo voleva impiccar far davante
al padiglion; Dodone umilemente
si raccomanda; in questo ecco Morgante
e disse a Manfredon: - Che vuoi tu fare? -
Manfredon disse: - Costui fo impiccare.

14.
Non lo impiccar: - disse Morgante presto
- dice Brunoro ch'io il meni alla terra
e dè' saper per quel che faccia questo:
tu sai ch'egli è fidato e che e' non erra. -
Rispose Manfredon: - Venga il capresto;
io vo' impiccarlo come s'usa in guerra:
sia che si vuole o seguane alfin doglia
ch'io mi trarròMorgantequesta voglia. -

15.
Dicea Morgante: - Il tuo peggio farai
ché si potrebbe disdegnar Brunoro
e se tu perdi luitu perderai
me e 'l tuo stato col tuo concestoro.
Io il meneròse tu mi crederrai.
Credo che accordo tratti Caradoro
e forse ti darà la sua figliuola
ch'io n'ho sentito anco io qualche parola. -

16.
Manfredon disse: - Per lo iddio Macone
è già due dì ch'io giurai d'impiccarlo
come tu vediinnanzi al padiglione:
non è Macone iddio da spergiurarlo. -
Allor chiamava il suo Cristo Dodone
che non dovessi così abbandonarlo.
Morganteudendo far questa risposta
a Manfredon più dappresso s'accosta

17.
e 'l padiglione squadrava dintorno:
vide ch'egli era un padiglion da sogni;
prima pensò d'appiccarli un susorno
al capoe dir ch'a suo modo zampogni;
poi disse: "Questo sare' poco scorno
e credo ch'altro unguento qui bisogni".
E finalmente il padiglion ciuffava
di sopra e tutte le corde spezzava.

18.

Dètte una scossa sì forte e villana
ch'arebbe fatto cadere un castello
o s'egli avessi scossa Pietrapana
arebbe fatto come e' fece a quello.
Così in un tratto il padiglion giù spiana
e d'ogni cosa ne fece un fardello
e Manfredonio e Dodon vi ravvolse
e fuggì viae 'l suo battaglio tolse.

19.
E in su la spalla il fardel si gittava;
dall'altra man col battaglio s'arrosta
e 'l capo a questo e quell'altro spiccava
di que' pagan che volevon far sosta;
talvolta basso alle gambe menava
tanto che ignuno a costui non s'accosta
e teste e gambe e braccia in aria balzano:
la furia è grande e le grida rinnalzano.

20.
Sùbito il campo è tutto in iscompiglio
e corron tutti come gente pazza.
Morgante fece il battaglio vermiglio
di sangue e intorno con esso si spazza
ed a chi spezza la spallaa chi il ciglio.
E Manfredon quanto può si diguazza
e grida e scuote e chiamava soccorso;
Dodon più volte l'ha graffiato e morso.

21.
Morgante il passo quanto può studiava
ed a dispetto di tutti i pagani
passato ha il fiume e 'l fardel ne portava
tanto menato ha il battaglio e le mani.
Ma finalmente Dodone affogava
onde e' gridò: - Se scacciati hai que' cani
posami in terrach'io son mezzo morto
per DioMorgantee donami conforto. -

22.
Morgante in terra posava il fardello
ché non aveva più dintorno gente
e confortava Dodon cattivello.
Ma poi di Manfredon poneva mente
ch'era ravvolto come il fegatello:
vide che morto parea veramente
e disse: - Te non porterò alla terra:
poi che se' mortofinita è la guerra. -

23.
Disse Dodon: - Dehgettalo nel fiume. -
Morgante vel gittò sanza più dire.
Ma presto ritornâr gli spirti e il lume
però che l'acqua lo fe' risentire
come egli è sua natura e suo costume
e Manfredon comincia a rinvenire;
e corse là di pagani una tresca
tanto che infine costui si ripesca.

24.
Morgante con Dodon suo se n'andava
e rimenollo a Rinaldo ed Orlando
e la novella a costor raccontava
come il pagan venne al fiume gittando
e che sia morto con seco pensava
e come il padiglion venne spianando:
non dimandar che risa fuor si caccia.
E Dodon mille volte Orlando abbraccia;

25.
e intese tutto ciò ch'era seguito
e come Gan gli seguitava ancora.
Re Manfredonche s'era risentito
con gran sospiri in sul campo dimora
maravigliato del gigante ardito
e come uscito dell'acqua era fora;
e d'ogni cosa che gli era incontrato
gli pareva a lui stesso aver sognato.

26.
In questo giunse un messaggier di Gano
che l'avvisava come Caradoro
e come e v'è il signor di Montalbano
ed Ulivieri e Dodon con costoro
e nel suo campo il sanator romano;
e che cercavan sol del suo martoro
e come il tradimento doppio andava
per pigliar due colombi a una fava.

27.
Ah!disse Manfredonio "or la cagione
so perché Orlando è ito alla cittade;
e quel prigion doveva esser Dodone.
Or si conosce la lor falsitade;
or son traditoor son giunto al boccone
e vassi pure a Roma per più strade.
Ma traditor non credevo che 'l conte
fussi né ignun del sangue di Chiarmonte.

28.

Ora aremo acquistata qua la dama
e Caradoro vinto con assedio:
questi son paladin di tanta fama
ch'io non cognosco al mio stato rimedio.
Questo gigante ha condotta la trama
perché più in dubbio mi teneva e tedio
che fussin tutti baroni affricanti
ché tra' cristian non suole esser giganti".

29.
Ebbe re Manfredon tanta paura
che si pensò la notte di fare alto;
poi disse: "Noi siàn sì sotto alle mura
che non si può spiccar qui netto il salto:
e' ci bisogna provar l'armadura
ed aspettar de' nimici l'assalto;
non sarà giornoche Rinaldo e 'l conte
ed Ulivieri scenderanno il monte

30.
e tutto il campo mio sarà in travaglio;
e ne verrà Dodon per far vendetta
e quel dïavol con quel suo battaglio
alla mia gente darà grande stretta.
Pur ci convien stare fermi al berzaglio
e Macon priego che le man ci metta".
E mentre che e' dicea queste parole
tutti i baron per suo consiglio vuole;

31.
ed accordârsi che si stessi saldo.
Tutta la notte stetton con sospetto.
Morgantech'era di potenzia caldo
la sera al conte Orlando aveva detto:
- Poi ch'egli è morto Manfredon ribaldo
non sarà prima dìch'io vi prometto
ch'io voglio andar col mio battaglio solo
tra que' pagani in mezzo dello stuolo

32.
ed arder le trabacche e' padiglioni:
colla granata gli voglio scacciare.
Vedrete che bel fummo da' balconi
e tutto il campo a furia spulezzare:
io gli farò fuggir come ghiottoni.
Le pecchie soglion pel fuoco sbucare:
io porterò il battaglio e 'l fuoco meco;
vedrete poi che mazzate di cieco.

33.
Mancato è il capomale sta la coda:
adunque male star dèe tutto il dosso.
Per gli occhi a tutti schizzerà la broda;
io schiaccerò la carne e' nervi e l'osso
quand'io darò qualche bacchiata soda.
So ch'al principio n'arò molti addosso
ma tutti poi gli vedrete fuggire. -
Orlando per le risa è in sul morire

34.
e disse: - Va'ch'io ne son ben contento -;
e poi si volse ove Caradoro era
e sì dicea: - Questo ragionamento
so che saranno parole da sera
che come fummo ne le porta il vento
o distruggonsi al sol qual neve o cera.
A me parCaradoroda vedere
quel che fa il campo e le pagane schiere.

35.
Se per se stessi si dipartiranno
lasciàgli andarche mi par più sicuro
però che sempre è nel combatter danno
e solo Iddio sa il tutto del futuro.
Vedren pur che partito piglieranno
e starenci doman qui drento al muro.
Non si partendo il dìpoi gli assaltiamo
ché in ogni modo te salvar vogliamo.

36.
Poi ci darai la tua benedizione
e cercheremo ancor meglio il Levante. -
E così disse Rinaldo e Dodone
ed Ulivier; ma non v'era Morgante.
Vannosi a letto con questa intenzione
ch'avevon tutti cenato davante;
e Caradoro avea massimo onore
a tutti fatto e con allegro core.

37.
Morgante avea mangiato quel che vuole
un gran castron che gli fu dato arrosto;
andossi prima a letto che non suole
ché come e' disse fare era disposto.
Né prima in orïente apparì il sole
l'altra mattinache e' si lieva tosto;
prese il battaglio e certo fuoco in mano
ed avvïossi nel campo pagano.

38.

E saracin trovò ch'erano armati
ma pure il fuoco in un lato appiccòe
dove erano i destrier sotto i frascati
tanto che molti di quegli abbruciòe.
Ma furon presto scoperti gli agguati
e in mezzo a più di mille si trovòe
e tutto il campo a furia sollevossi:
ognuno addosso al gigante cacciossi.

39.
E gli feciono intorno un rigoletto
che lo faranno cantare in tedesco:
al ponte di Parisse era in effetto
in mezzo a' saracinie stava fresco!
Chi getta lance e chi sassi nel petto;
pure al battaglio stavano in cagnesco;
ma tanta gente alla fine v'è corso
che gli bisogna a Morgante soccorso;

40.
e tuttavia più la turba s'affolta.
Era sì grande e sì grosso il gigante
ch'ognun che getta facea sempre còlta.
Pur molti morti n'aveva davante
ché chi toccava il battaglio una volta
lo sfracellava dal capo alle piante;
e spesso tondo il battaglio girava
e cento capi per l'aria balzava

41.
tanto che 'l cerchio facea rallargare;
alcuna volta menava frugoni
che si sentien le corazze sfondare
e pesta loro i fegati e' polmoni;
quando si sente arnesi sgretolare
e d'ogni gamba farne due tronconi.
E grida e mugghia il gigante feroce
tanto che assai ne stordisce la voce.

42.
E' pareva ogni volta che mugghiava
quando Cristo - Quem queritis - diceva
ch'ognuno a quella voce stramazzava.
E tanti morti dintorno n'aveva
ch'ognun discosto alla fine lanciava
e chi con dardi e chi archi traeva;
tal che Morgante di molte uova succia
per le feritee come orso si cruccia.

43.
Egli era come a dare in un pagliaio;
e già tutto forato come un vaglio
e' si volgeva come un arcolaio
a' saracin che faceano a sonaglio;
e mai non uccideva men d'un paio
quando e' menava più lento il battaglio;
e più di cinquemila n'avea morti
ma ricevuto da lor mille torti.

44.
Avea nel dosso migliaia di zampilli
che gettan sangue già per le punture
ch'erano state d'altro che d'assilli;
chi dà percosse di mazze e di scure
chi il petto parchi le gambe gli spilli
chi dà sassate che parevon dure:
era un diluvio la gente ch'è intorno
per ammazzare il gigante quel giorno.

45.
E già pel campo il romore è sì forte
ch'alla città ne fu tosto sentore;
le guardie ch'eran lasciate alle porte
cominciorno a gridar con gran furore
come Morgante era presso alla morte.
Diceva Orlando: - Vedrai bello errore:
che Manfredonio sarà iscampato
e questo matto ha il suo campo assaltato.

46.
Tanto andata sarà la capra zoppa
che si sarà ne' lupi riscontrata.
Questa sua furia alcuna volta è troppa;
e fece pure inver pazza pensata
d'ardere un campo come un po' di stoppa
e come a' topi far colla granata;
ma il topo sarà egli in questo caso
al cacio nella trappola rimaso. -

47.
Sùbito fece i suoi compagni armare
e Caradoro le sue gente tutte
perché Morgante si possi aiutare
da' saracin che gli davon le frutte:
così avvien chi pel fango vuol trottare
e può di passo andar per le vie asciutte.
E fece a Vegliantin la sella porre
Orlandoché 'l destrier suo vuol pur tòrre;

48.

a Ulivier si fe' dar Durlindana
ed a lui dètte Cortana e Rondello;
e la bella e gentil Meredïana
Ulivieri armache è 'l suo damigello.
Corsono al campo alla turba pagana
sì presto ognunche pareva un uccello.
Morgante vide il soccorso venire
e col battaglio riprese più ardire.

49.
E cominciava a sgridar que' pagani
e far balzar giù molti della sella
e capi e braccia in tronco e spalle e mani:
tocca e ritocca e risuona e martella
e' saracini uccide come cani:
un mezzo braccio v'alzâr le cervella;
e sopra i corpi morti si cacciava
addosso a' vivie la rosta menava;

50.
ed ogni volta levava la mosca
ma ne portava con essa la gota
o dove e' par che bruttura cognosca
sempre col pezzo ne lieva la nuota.
L'aria pareva sanguinosa e fosca
sì spesso par che 'l gigante percuota;
balzano i pezzi di piastra e di maglia
come le schegge dintorno a chi taglia.

51.
E spesso avvenne ch'un capo spiccòe
e poi quel capo a un altro percosse
sì forte che la testa gli spezzòe
e morto cadde che più non si mosse.
Oh quanti il giorno all'inferno mandòe!
Quanti morti rimason per le fosse!
E Manfredonio già s'è messo in punto
con molta gentee in quella parte è giunto.

52.
Dall'altra parte Orlando è comparito
e 'l sir di Montalban tanto gagliardo
che accetta prima ch'uom facci lo 'nvito;
e fece un salto pigliare a Baiardo
in mezzo dove il gigante è ferito:
sopra gli uomin saltò sanza riguardo
e ritrovossi al rigoletto in mezzo
de' saracinch'omai faranno lezzo.

53.
Quando Morgante vedeva quel salto
parve che 'l cuore in aria si levasse
ché più di dieci braccia andò in aria alto
Baiardoprima che in terra calasse.
Or qui comincia il terribile assalto.
Rinaldo presto Frusberta sua trasse
quella che fésse il mostro da l'inferno
per far de' saracin crudo governo:

54.
punterovescitondistramazzoni
mandirittitraverse con fendenti
certi tramazzicerti sergozzoni:
in dieci colpi n'uccise ben venti;
e chi partiva insin sotto agli arcioni
chi insino al pettoe 'l manco insino a' denti;
e le budella balzavan per terra:
mai non si vide tanto crudel guerra.

55.
Orlando nostro sprona Vegliantino:
giunse d'un urto tra quel popol fello
che più di cento caccia a capo chino;
poi cominciava a toccare a martello:
non tocca il polso sopra il manichino;
facea de' saracin come un macello;
ed avea detto: - Non temerMorgante:
Cesare è teco ove è il signor d'Angrante. -

56.
Queste parole avean sì sbigottiti
i saracinche assai del popol fugge;
e buon per que' che son prima fuggiti
tanto i nostri baron già ciascun rugge:
e' ne facean gelatine e mortiti;
a poco a poco la turba si strugge.
Ed Ulivieri e Dodon giunti sono
con romor grande che pareva un tuono;

57.
e Manfredonio in sul campo scontrava:
la lancia abbassaché lo conoscea.
Re Manfredonio il cavallo spronava
ed Ulivieri allo scudo giugnea
e insino alla corazza lo passava
tanto che tutto d'arcion lo movea:
e sì gran colpo fu quel che gli diede
ch'Ulivier nostro si trovava a piede.

58.

Ed ogni cosa la donzella vide
ch'era venuta con sua gente al campo
e fra se stessa di tal colpo ride.
Ulivier come un lïon mena vampo
e per dolore il cor se gli divide
dicendo: "Appunto al bisogno qui inciampo:
caduto son dirimpetto alla dama
donde ho perduto il suo amore e la fama".

59.
Guarda se a tempo la trappola scocca!
Non si potea racconsolar per nulla.
Sempre Fortuna alle gran cose imbrocca
e insin sopra la soglia ci trastulla.
Non domandar se questo il cor gli tocca.
Per gentilezza allor quella fanciulla
se gli accostava e diceva: - Ulivieri
rimontavuoi tu aiuto?in sul destrieri. -

60.
Or questo fu ben del doppio lo scorno
e parve fuoco la faccia vermiglia:
are' voluto morire in quel giorno.
Meredïana pigliava la briglia
dicendo: - Montacavaliere adorno. -
Or questo è quel ch'ogni cosa scompiglia
e per dolor dubitò sanza fallo
non poter risalir sopra il cavallo.

61.
Morgante aveva ogni cosa veduto
come Ulivier dal gran re Manfredonio
del colpo della lancia era caduto
e la donzella vi fu testimonio;
e disse: "Io proverròcome è dovuto
s'io gli potessi appiccar questo conio:
io intendo d'Ulivier far la vendetta";
e inverso Manfredon presto si getta.

62.
Meredïanache 'l vide venire
gridava: - Indrieto ritornaMorgante! -
e Manfredonio correva assalire
per far vendetta del suo caro amante.
Morgante pur lo veniva a ferire
e come e' giunse gridava il gigante:
- Tu se' quire di naibi o di scacchi?
Col mio battaglio convien ch'io t'ammacchi! -

63.
Disse la dama: - La battaglia è mia;
e se ci fussi al presente qui Orlando
non mi faresti sì gran villania:
tìrati addrietoio ti darò col brando.
Venuto è qua colla sua compagnia
la fama e 'l regno di tòrmi cercando. -
Morgante indrieto alla fine pur torna
per ubbidir questa fanciulla adorna.

64.
Trovò Dodone in luogo molto stretto
ch'era venuto tra cattive mane:
pur s'aiutava questo giovinetto;
e cominciava a dar mazzate strane
a questo e quello spezzando l'elmetto
tanto che gli elmi faceva campane
quando egli assaggion di quel suo picciuolo;
ma dà di sopra come allo orïuolo.

65.
E rimaneva il segno ove e' percuote:
quanti ne tocca il battaglio feroce
non si ponea più le mani alle gote
ché ne facea com'e' fusse una noce;
alcuna volta facea certe ruote
ch'a più di sette domava la boce;
com'un nocciol di pèsca ogn'elmo stiaccia
e fa balzar giù capi e spalle e braccia;

66.
e rimisse Dodon sopra il destrieri.
Dodon gridava: - Ahpopol soriano!
io ne farò vendetta e d'oggi e di ieri
quando impiccar mi volea quel villano. -
In questo tempo il famoso Ulivieri
era pel campo colla spada in mano
e dove Manfredon combatte arriva
colla donzella florida e giuliva.

67.
Una ora o più combattuto insieme hanno
e non si vede de' colpi vantaggio.
Ulivier tutto arrossìcome fanno
gli amanti presso alla damail visaggio
e disse: - Damanon ti dar più affanno:
lascia pur me vendicare il mio oltraggio.
Io vorrei esser morto veramente
quand'io cascai che tu v'eri presente.

68.

Alla mia vita non caddi ancor mai;
ma ogni cosa vuol cominciamento. -
Disse la dama: - Tu ricascherai
se tu combatticento volte e cento;
e sempre avvenir questo troverrai
a cavalier che sia di valimento:
usanza è in guerra cascar del destriere;
ma chi si fugge non suol mai cadere.

69.
Io vo' con Manfredon tu mi consenti
che la battaglia mia sia in ogni modo
per vendicar non una ingiuria o venti
ma mille e millee che paghi ogni frodo. -
Disse Ulivier: - Se così ti contenti
che poss'io dirse non ch'io affermo e lodo? -
Re Manfredonche le parole intese
in questo modo parlava al marchese:

70.
Per Dio ti priegobaron d'alta fama
tu lasci me come amante fedele
perdere insieme e la vita e la dama
ché così vuol la Fortuna crudele.
Cercato ho quel che cercar suol chi ama:
trovato ho tòsco per zucchero e mèle;
e poi che la mia morte ognun la vuole
per le sue man morir non me ne duole.

71.
So ch'io non tornerò più nel mio regno;
so che mai più non rivedrò Soria;
so ch'ogni fato m'avea prima a sdegno;
so che fia morta la mia compagnia;
so ch'io non ero di tal donna degno;
so ch'aver non si può ciò ch'uom desia;
so che per forza di volerla ho il torto;
so che sempre ove io sia l'amerò morto. -

72.
Non poté far Meredïana allora
che del suo amante pur non gl'increscessi
e disse: "Così va chi s'innamora!
Se mille volte uccider lo potessi
per le mie man non piaccia a Dio ch'e' mora
quantunque a morte si danni egli stessi".
E piansesì di Manfredon gli dolse
ché essere ingrata a tanto amor non volse.

73.
E ricordossi ben che combattendo
l'aveva molte volte riguardata;
dicea fra sé: "Perché d'ira m'accendo
contro a costui? Perché son sì spietata?
Ciò che fatto hacom'io pur veggo e intendo
è per avermi lungo tempo amata:
non fu lodata mai d'esser crudele
alcuna donna al suo amante fedele;

74.
questo non vuol per certo il nostro Iddio".
Non sa più che si far Meredïana
e disse: - Manfredonse 'l tuo desio
è di morirnon voglio esser villana.
Se tu facessi pel consiglio mio
per salvar te con tua gente pagana
tu soneresti a raccolta col corno
e in Orïente faresti ritorno.

75.
Poi che non piace al tuo fero distino
ch'io sia pur tuacome tu brami e vogli
perché pugnar pur contra al tuo Apollino?
Io veggo il legno tuo fra mille scogli:
tórnati col tuo popol saracino
e 'l nodo del tuo amor per forza sciogli. -
A questo Manfredon rispose forte:
- Non lo sciorrà per forza altro che morte. -

76.
Allor seguì la donzella più avante:
- O Manfredondi te m'incresce assai! -
e diègli un prezïoso e bel diamante:
- Per lo mio amor dicea - questo terrai
per ricordanza del tuo amor costante;
e pel consiglio mio ti partirai.
E se tu scampi e salvi le tue squadre
d'accordo ancor mi ti darà il mio padre.

77.
Ogni cosa si placa con dolcezza
e chi per forza vuol tirar pur l'arco
benché sia sorïansai che si spezza;
ogni cosa conduce il tempo al varco.
E priego te per la tua gentilezza
che tu comporti ogni amoroso incarco
e sia contento di qui far partita
e in ogni modo conservar la vita.

78.

La dipartenzaperché e' non ci avanza
tempoch'io veggo morir la tua gente
tra noi sia fattae questo sia abbastanza
poi che più oltre il Ciel non ci consente.
E quel gioiel terrai per ricordanza
ch'io t'ho donatosempre in Orïente;
e se Fortuna e 'l Ciel t'ha pure a sdegno
aspetta tempo e miglior fato e segno. -

79.
Questa ultima parola al cor s'affisse
a Manfredonioudendo la donzella
che mai più fermo in dïaspro si scrisse;
volea parlare e manca la favella;
ma finalmente pur piangendo disse:
- "Aspetta tempo e miglior fato e stella
poi ch'al Ciel piacee tórnati in Soria":
quanto son vinto da tal cortesia!

80.
Quando sarà quel dì quando fia questo?
Or quel che non si puòvoler non deggio.
Io torneròper non t'esser molesto;
ricòrdati di mech'altro non chieggio;
col popol miocon quel che c'è di resto
ché molti morti pel campo ne veggio
ritornerò sanza speranza alcuna
nel regno miose così vuol Fortuna.

81.
E per tuo amor terrò questo gioiello:
questo sempre sarà presso al mio core.
S'io ho peccatolasso meschinello
contra al tuo padre e contra al mio signore
incolpane colui ch'è stato quello
che m'ha condotto dove e' vuoleAmore;
e in ogni modo a te chieggio perdono
e viver per tuo amor contento sono. -

82.
E poi si volse al marchese Ulivieri
e chiese a lui perdon del cadimento;
Ulivier gli perdona volentieri
ché del suo dipartir troppo è contento
perché eran due gran ghiotti a un taglieri
ed era stato alle parole attento
che dette avea Meredïana a quello
e confirmato e postovi il suggello.

83.
E poi ch'egli ebbe lacrimato alquanto
re Manfredonio alfin s'accomiatava;
e la donzella con sospiri e pianto
- Addio! - dicendola man gli toccava;
e dèi pensar se si cavorno il guanto.
Ulivier presto Orlando ritrovava
e dicea ciò ch'egli avea fermo e saldo;
e molto piacque a Orlando e Rinaldo.

84.
Venne per caso quivi Caradoro
e intese come l'accordo era fatto.
Morganteinsieme veggendo costoro
inverso lor col battaglio era tratto
e quel che fussi saper vuol da loro;
ma col battaglio non dava di piatto.
Orlando disse: - Non far piùMorgante. -
Allor più forte combatté il gigante.

85.
Re Manfredonio e la sua compagnia
contento è di lasciar Meredïana -
diceva Orlando - e tornarsi in Soria. -
Morgante allora il battaglio giù spiana
e disse: - Orlandoquesta era tra via -
e dètte a uno una picchiata strana;
un altro ammacca che parve di cera
ed anco questo ne' patti non era.

86.
Orlando disse: - Il battaglio giù posa:
assai morti n'abbiàn per questo giorno. -
Re Manfredon sua gente dolorosa
per tutto il campo rauna col corno.
E così la battaglia sanguinosa
a questo modo quel dì terminorno
come nell'altro dir seguirò poi.
Cristo vi guardi e sia sempre con voi.



CANTARE OTTAVO


1.
Virgine santamadre di Gesùe
madre di tutti i miseri mortali
per cui salvata nostra prole fue
perché tu ci ami tanto e tanto vali
donami grazia e tanto di virtùe
ch'io mi ritorni a' baron nostrii quali
nella città tornar volevan drento;
e Manfredon ne va poco contento;

2.
anzi chiamava morte a ogni passo
dicendo: "Omèquanto pensai felice
esser per teMeredïanaahi lasso
ch'io t'ho lasciata or misero e infelice!".
Arebbe fatto lacrimare un sasso
per le parole che talvolta dice;
e tuttavia la gente rassettava
e inverso il suo camin tristo n'andava.

3.
Or chi avessi il gran pianto veduto
che nel suo dipartir fa la sua gente
certo ch'assai gliene saria incresciuto:
chi morto il padre lascia e chi il parente
e così morto l'ha ricognosciuto
onde e' piangea di lui miseramente;
chi il suo fratello e chi l'amico abbraccia
chi si percuote il petto e chi la faccia.

4.
Eravi alcun che cavava l'elmetto
al suo figliuoloal suo cognato o padre
poi lo baciava con pietoso affetto
e dicea: - Lassofra le nostre squadre
non tornerai in Soria piùpoveretto.
Che diren noi alla tua afflitta madre
o chi sarà più quel che la conforti?
Tu ti riman cogli altri al campo morti. -

5.
Altri dicea pel camin cavalcando:
- Non si dovea tanta gente pagana
menar però così qua tapinando:
certo non era la dama sovrana
di tanto prezzo quanto or vien costando.
Ora hai tuManfredonioMerediana?
Or se ne va la tua gente sbandita
e mancò poco a lasciar qua la vita.

6.
Teco menasti tutta Pagania
come tu andassi per Elena a Troia:
or hai tu sazia la tua voglia ria?
E se' cagion che tanta gente muoia. -
E così Manfredon ne va in Soria
afflittosconsolatoin pianto e in noia:
così chi segue ogni sfrenata voglia
lasciando la ragionsente alfin doglia.

7.
Orlando con Rinaldo ed Ulivieri
si ritornorno e Dodone e Morgante
con Caradoro e tutti i cavalieri
colle bandiere al vento trïunfante.
Gran festa è fatta a' cristian battaglieri
da tutto quanto il popolo affricante;
suonansi corni e trombette e tamburi
fannosi fuochi e balli sopra i muri.

8.

Essendo molti giorni riposati
la damigella un dì chiama il marchese;
in una cameretta sono andati;
e poi che tutta nel viso s'accese
i suoi sospir tutti ha manifestati:
priega ch'a lei sia cavalier cortese
e che 'l suo amor negar non debbi a quella
che nel suo cor sentia mille quadrella.

9.
Ulivier dice: - Io nol farò per certo
perché se' saracinaio son cristiano:
dal nostro Iddio so ch'io sarei diserto;
prima m'uccidi qui colla tua mano. -
Ella rispose: - S' tu mi mostri aperto
che 'l nostro Macometto iddio sia vano
io mi battezerò per lo tuo amore
perché tu sia poi sempre il mio signore. -

10.
Ulivier disse della Trinitate
come era una sustanzia e tre persone
di lor potenzia e di lor deïtate;
e poi gli fece una comparazione:
- Se d'essere uno e tre pur dubitate
si mostra per essemplo e per ragione
ch'una candela accesa mille accende
e il lume suo pure all'usato rende. -

11.
De' miracoli disse fatti al mondo
e come Lazar già resuscitassi
come E' fu crucifissoe nel profondo
del limbo a trar molte anime n'andassi.
Disse la dama: - Più non ti rispondo. -
E fu contenta che la battezassi.
E dopo a questo vennono alla cresima
tanto che infine e' ruppon la quaresima.

12.
Più e più volte questa danza mena
Ulivier nostro pur celatamente:
non si ricorda più di Forisena
che la soleva aver sempre alla mente;
e la fanciulla leggiadra e serena
ingravidata è di lui finalmente;
e nacquene un figliuoldice la storia
che dètte a Carlo Man poi gran vittoria.

13.
Uscendo un dì d'una zambra la dama
Rinaldo s'accorgea di questo fatto
ed Ulivier segretamente chiama:
- Che fai tu? - disse - Tu mi pari un matto. -
Ulivier gli contò tutta la trama
com'ella è battezata e con che patto.
Rinaldo disse: - Se cristiana è certa
fa' che la cosa almen vadi coperta. -

14.
Or lasciamo Ulivier fornir la danza
e riposarsi alquantoe gli altri ancora
e ritorniamo al signor di Maganza
Gan da Pontierche non si posa un'ora.
Avuto avea del suo messo certanza
come impiccato fu sanza dimora
da Caradoroonde e' n'ha gran tormento
e pensa pur qualche altro tradimento.

15.
E perché egli era maestro perfetto
si ricordò d'un gran re saracino
lo quale Erminïon per nome è detto
nimico di Rinaldo paladino
perché Rinaldo gli fe' già dispetto
quando dètte la morte al re Mambrino
perch'egli avea per moglie la sorella
detta dama Clemenziasavia e bella.

16.
Avea più tempo questa donna eletta
come fanno le moglie col marito
pregato che far debba la vendetta;
Erminïon non l'avea consentito
come colui che luogo e tempo aspetta
sì come savioa pigliar tal partito.
Gan da Pontieri avea per alfabeto
ogni trattato palese e secreto;

17.
e dove e' possa seminar discordia
nol ritenea pietà né conscïenzia
ché lo facea sanza misericordia:
sapea il pensier della dama Clemenzia
e scrisse un brievee dopo lunga essordia
gli ricordò l'oltraggio e vïolenzia
del buon Rinaldoe che non debba starsi
però ch'egli era il tempo a vendicarsi:

18.

A te, Erminïon di gran potere,
il conte Gan mille salute manda
sempre parato a ogni tuo piacere,
ed umilmente a te si raccomanda.
Credo tu debbi ogni cosa sapere
dove Rinaldo si truovi e in qual banda,
e com'egli è sbandeggiato di corte;
e dètte al re Mambrin pur già la morte.

19.
Pel mondo va come un ladron di strada;
Orlando è seco e Dodon per ventura,
ed Ulivier con lui credo ancor vada:
non ti bisogna aver di lor paura.
Lascia il tuo regno ed ogni tua contrada,
a Montalban te ne vieni alle mura:
Alardo e Ricciardetto v'è a guardarlo,
e non potre' più in odio avergli Carlo.

20.
Se tu vien presto col tuo assembramento,
in poco tempo so che 'l piglierai:
gente non v'è ne vettovaglia drento;
e in questo modo ti vendicherai;
però che fe' pur troppo tradimento
ucciderlo nel modo che tu sai.
Io te lo scrivo per antico amore;
e so che vuole il nostro imperadore.

21.
E' si vorrebbe dinanzi levare
tutti que' della casa di Chiarmonte,
ma con suo onor non l'ha potuto fare;
ora ha sbandito Rinaldo col conte
per fargli sol, se può, mal capitare;
e se tu vien colle tue gente a fronte,
Carlo sarà giustificato in tutto
che per tua man sia Montalban distrutto.

22.
La lettera suggella e manda il messo
che non debba posar notte né giorno;
e se farà il suo debitoha promesso
cento talenti Gan nel suo ritorno.
Il messaggier vuol far quel ch'è interesso:
sùbito tolse la taschetta e 'l corno
e dopo lungo e spiacevol camino
si rappresenta al gran re saracino.

23.
Erminïone a questo pose orecchio
e tutte le ragion gli son capace
benché cognosca Gan traditor vecchio;
dama Clemenzia questo assai gli piace.
E finalmente feciono apparecchio
di gente franca saracina audace:
ben centomila sotto un gonfalone
in poco tempo accozza Erminïone.

24.
E poi che tutti furono assembrati
con trentamila giunse un amirante
e d'archi sorïani erano armati
e per nome si chiama Lïonfante;
avea per arme due lïon dorati
nel campo azurroe ciascun par rampante;
era venuto sanza aver richiesta
e molto Erminïon ne fece festa

25.
ed arrecossi in buono augurio e segno
la sua venuta e quella gente franca.
L'arme d'Erminïon famoso e degno
nel campo rosso era un'aquila bianca
salvo ch'aveva un altro contrassegno
una rosetta sopra l'alia manca.
E Fieramontesuo fratello adorno
appella Erminïonee Salincorno;

26.
e disse a Salincorno: - Tu verrai
in Francia bella; e tumio Fieramonte
la mia corona in testa serberai
tanto mi fido alle virtù tue pronte
né mai del regno ti dipartirai
fin che passare in qua mi vedrai il monte:
a te confido tutto il mio reame
e la giustizia fa' che osservi ed ame. -

27.
Dama Clemenzia d'allegrezza ha pieno
il coree fece al messaggier di Gano
nel suo partir donare un palafreno;
cento bisanti poi gli pose in mano
e d'un bel drappo splendido e sereno
gli dètte un ricco e gentil caffettano
e disse: - Questo per mio amor ne porta.
Saluta Gan mille volte e conforta. -

28.

Erminïon gli fe' donare ancora
molte cose leggiadre alla moresca;
e 'l messaggier partì sanza dimora
colla rispostae non par che gl'incresca.
La qual risposta Ganellon rincora
come il nocciolo arà tosto la pèsca
e come centotrentamila avea
di cavalierie come e' si movea.

29.
In pochi dì ritornò il messaggieri
ed al suo Ganellon si rappresenta;
Gan la risposta lesse volentieri
quando sentì di centomila e trenta.
Disse il messaggio: - O signor da Pontieri
di quel che m'hai promesso or mi contenta.
Erminïon non vuol di lui mi lagni. -
E mostrò i don c'ha ricevuti magni.

30.
Gan gli donò quel che promesso avea
e tutto pien d'allegrezza era quello;
a Montalbano a Guicciardo scrivea
che ne veniva Orlando e 'l suo fratello
e presto sarà in Francia; e ciò facea
per certa astuziail maladetto e fello
perché e' tenessin la terra e le mura
più sprovvedute e stien sanza paura.

31.
Intanto Erminïon si mette in punto:
apparecchiò navil gran quantitate;
e come e' vide il vento per lui giunto
sùbito furon le vele gonfiate
e giorno e notte non si posa punto.
Le navi a salvamento son giostrate
e in pochi dì questa brigata magna
si ritrovava ne' porti di Spagna.

32.
Fu la novella sùbito a Marsilio
come in Ispagna è venuta gran gente;
maravigliossi di questo navilio
e cominciava a temer fortemente;
ebbe consiglio e tutto il suo concilio
e manda imbasceria subitamente
che lo debba avvisare Erminïone
della venuta sua che sia cagione.

33.
Erminïon rispose come saggio
che inverso Francia con sua gente andava
per vendicarsi d'un antico oltraggio
e come il passo sol gli domandava
ch'a' suoi paesi non faria dannaggio.
Marsilio della impresa il confortava.
E presto fu avvisato Carlo Mano
come e' passava gran popol pagano.

34.
Carlosentendo sì fatta novella
non ebbe alla sua vita un tal dolore;
Turpino e Namo e Salamone appella
e raccontava del fatto il tinore
dicendo: - Orlando non sarà qui in sella
non c'è Rinaldoonde e' mi triema il core
né Ulivieril nostro paladino.
Che faren noio Namoo mio Turpino?

35.
Or si cognosce il mio nipote caro
or si conosce Rinaldo e 'l marchese! -
Turpino e gli altri insieme s'accordaro
che si dovessi stare alle difese
e in questo modo Carlo confortaro.
Namo per tutti le parole prese
dicendo: - Le città difenderemo
e intanto aiuto al papa chiederemo. -

36.
Per tutta Francia fecion provedere
le cittàle fortezze e le castelle
ed ordinorno mandar messaggiere
al papa a dir le cattive novelle.
Intanto Erminïon con sue bandiere
presso a Parigi son sopra le selle
e fan tremare e 'l monte e la pianura
e tutto il regno sta con gran paura;

37.
e pel paese trascorrendo vanno
rubandoardendo e pigliando prigioni
e mettono ogni cosa a saccomanno:
dove e' s'abbatton questi mascalzoni
in ogni parte facevon gran danno.
Erminïon fra tutti i suoi baroni
elesse Lïonfanteche ponessi
a Montalbano il campo e intorno stessi.

38.

E lui si stette con sue gente al piano
appresso a poche leghe di Parigi;
e manda imbasciadore a Carlo Mano
a dir che gli movea questi litigi
per vendicar Mambrindegno pagano
e Montalban disfare e San Dionigi;
e Mattafolle fu suo imbasciadore
un re pagan che non gli triema il core.

39.
Giugnendo a Carlo Man quel Mattafolle
fe' come matto e folle veramente:
ché quando e' gli ebbe detto quel che volle
e' cominciò a minacciarlo aspramente.
Carlo pur rispondea timido e molle.
Astolfo a questo non fu pazïente:
trasse la spada fuor con gran tempesta
per dare a Mattafolle in su la testa.

40.
Ma non poté perché e' lo prese Namo
e disse: - L'onestà questo non vuole
che a 'mbasciadore oltraggio noi facciamo.
Lascialo farché fa come far suole
sì che al suo re non ne faccia richiamo. -
Mattafolle tagliava le parole
e disse: - Astolfoin sul campo ti voglio
e forse abbasserò questo tuo orgoglio. -

41.
E dipartissi da Carlo adirato
benché il Dusnamo si scusassi assai.
Al grande Erminïon si fu tornato
e disse: - La 'mbasciata tua contai
e molto fui da 'Stolfo ingiurïato;
ond'io ti priegos'a te piacqui mai
che domattina sia contento io m'armi
e vo' con tutti i paladin provarmi. -

42.
Rispose Erminïon: - Tu non sa' bene
ancor chi sieno i paladin di Francia
e per questa cagion sì spesso avviene
che molti n'hanno forata la pancia.
Sappi che Carlo Man questi non tiene
se non fussino ognun provata lancia.
Tu ti potrai provarse n'hai pur voglia;
ma guarda ben che mal non te ne coglia.

43.
E se non v'è Rinaldo ed Ulivieri
e se non v'è Orlando tanto forte
e' v'è quel valoroso e franco Uggieri
ch'a tanti saracin data ha la morte
e quel famoso e degno Berlinghieri
Ottonee tanti altri baroni in corte.
Per mio consiglio al campo ti starai;
purse ti piacea tuo modo farai. -

44.
Astolfo in quella notte cavalcòe
inverso Montalban tutto soletto:
perché e' non v'è Rinaldodubitòe
d'Alardodi Guicciardo e Ricciardetto.
Ma giunto ove era il camporiscontròe
certi pagani e fu preso in effetto
e fu menato preso all'amirante
ch'era chiamato il fiero Lïonfante.

45.
Lïonfante comincia a domandare
di Carlodi sua gente e sua possanza;
e la cagion che vengon per guastare
Montalbancome tosto avea speranza
dice che voglion Mambrin vendicare
perché Rinaldo fe' troppa fallanza
a tradimento uccider quel signore
e mancò troppoal suo parerd'onore;

46.
e che per questo saria tanta guerra
per vendicar questo peccato antico.
A lui rispose il signor d'Inghilterra:
- AscoltaLïonfantequel ch'io dico.
Pel mio Gesùche chi dice ciò erra
perché e' l'uccise come suo nimico
a corpo a corpo e sanza tradimento
e non vi fu difetto o mancamento. -

47.
E raccontò la cosa in tal maniera
che Lïonfante restò pazïente
e disse: - Poi ch'io so la storia vera
per mia féorach'io ne son dolente
aver condotta qua la mia bandiera:
esser vorrei in Soria con questa gente
ché poi ch'a tradimento e' non fu morto
Erminïonper Macomettoha il torto.

48.

Io conobbi Rinaldo già in Ispagna
e per mia fémi parve un uom gentile
da non dovere aver questa magagna
di far con tradimento opera vile;
anzi pareva una persona magna
e franco e forte e giusto e signorile.
E increscemi di lui che non ci sia;
ma per me tanto oltraggiato non fia;

49.
e s'io potessi Montalban pigliarlo
io nol faròpel giusto iddio Apollino;
e in qualche modo si vorria avvisarlo
che ritornassi in qua col suo cugino.
Ma dimmiprigionier col quale io parlo
se tu se' cavaliere o paladino. -
Astolfo il nome suo gli disse allora;
il perché Lïonfante assai l'onora;

50.
e fece accompagnarlo alla cittate.
Era quel Lïonfante un uom discreto:
mandò con lui molte sue gente armate
fino alle murae poi tornano indrieto.
Astolfo truova le porte serrate:
furono apertee molto ognun fu lieto.
E Ricciardettoquando ha questo inteso
parve dal cor gli levasse ogni peso.

51.
E domandò se sapeva nïente
del suo fratelloe disse come Gano
gli aveva scritto molto chiaramente
Rinaldo saria tosto a Montalbano.
Astolfo indovinò subitamente
la sua maliziae scrisse a Carlo Mano
che certo il traditor di Gano è quello
ch'avea condotto là quel popol fello.

52.
Gano in que' dì parea maninconoso
più ch'alcun altro di sì fatto assedio
e spesso il viso facea lacrimoso
dicendo: - Carloio non veggo rimedio
a Montalbanoond'io ne sto doglioso:
credo che poco vi staranno a tedio. -
E poi la notte nel campo avvisava
Erminïonciò che Carlo ordinava.

53.
Carlo un dì per ventura vide indosso
a quel corrier ch'egli aveva mandato
al re paganoun certo vestir rosso
di camuccàch'e' gli aveva donato
e fra se stesso diceva: "Io non posso
pensar donde costui l'abbi arrecato";
e domandonne alcuna volta Gano
ond'egli avessi quel vestire strano.

54.
Gan gli avea detto: - A questi dì il mandai
nel tal paeseper saper d'Orlando
novelle; e perché poco ne spiai
non te lo dissi; e 'l messaggiertornando
per quel ch'io intesiché nel domandai
un dì in un bosco un pagano scontrando
credo che disse lo fece morire
e trassegli di dosso quel vestire.

55.
Vera cosa è ch'io scrissi a questi giorni
a Ricciardetto per dargli conforto:
Rinaldo e gli altri paladini adorni
sappi che in Francia saranno di corto:
questo è perché e' non credon mai che torni
ed hanno dubitato che sia morto. -
Carlo ogni cosa nella mente avea
e 'l messaggier d'Astolfo allor giugnea;

56.
e non credette a quel ch'Astolfo scrisse
perché il parlar di Gan si riscontrava;
e risposegli indrietoe così disse
quand'egli scrisse questose sognava
a dir ch'Erminïon per Gan venisse:
così Fortuna Carlo traportava;
o forse ch'era permesso dal Cielo
ciò che Gan dice gli paia il Vangelo.

57.
Or ritorniamo a Mattafolle un poco:
egli era contro Astolfo inanimato
per quel che fe'che non gli parve giuoco.
La mattina seguente si fu armato
però che l'ira riscaldava el fuoco.
Così soletto si fu invïato
e venne presso al muro di Parigi
dove è la chiesa detta San Dionigi;

58.

ed un suo corno cominciò a sonare
chiamando Astolfo che debba venire
se vuol con esso in sul campo giostrare.
Carlo comincia col Dusnamo a dire
e Salamonquel che par lor di fare
se Mattafolle si debba obedire;
e finalmente per partito prese
ch'a lui si mandi il possente Danese.

59.
E 'l Danese s'armò con gran furore;
e 'l suo caval d'acciaio era guernito.
Chiese licenziae dallo imperadore
subitamente e dagli altri è partito.
Vide dove è Mattafolle il signore
che rifaceva col corno lo 'nvito:
maravigliossi che 'l vide soletto
e non pareva ch'avessi sospetto.

60.
Giugnendo a Mattafolleil franco Uggieri
lo salutò con un gentil saluto;
poi gli diceva: - O nobil cavalieri
per combatter con noi se' qua venuto?
Io sono stato per tutti i sentieri
de' saracinie mai non fu' abbattuto.
Che pensi tucon ispada o con lancia
esser venuto acquistar fama in Francia?

61.
Io son de' paladini il più codardo
e non ti stimopaganoun bisante.
Se tu se' purcome credigagliardo
prendi del campobarone affricante. -
Rispose il saracin: - Per certo io guardo
se tu se' quel cavaliere arrogante
che mi volesti far villania in corte
per darti in ogni modo oggi la morte. -

62.
Disse il Danese: - Troppa pazïenza
ebbe con teco il nostro imperadore
che ti dovea punir di tua fallenza
se stato tu non fussi imbasciadore.
Colui che fare ti volea violenza
Astolfo èd'Inghilterra alto signore.
Io son chiamato per nome Danese.
Il saracino allor del campo prese.

63.
Poi che fu dilungato il saracino
più d'una arcatavolse il suo cavallo;
dall'altra parte il franco paladino
tosto tornava indrieto a contastallo;
furno scontrati a mezzo del camino
e nessun pose la sua lancia in fallo.
Ma del Danese la lancia spezzossi
sopra lo scudoe quel pagan piegossi.

64.
Il saracin ferì con maggior forza
sopra lo scudo il possente barone:
passollo tuttoe trovava la scorza
della corazzae passala e 'l giubbone;
Uggier piegossi ora a poggia ora a orza
e finalmente cadde dell'arcione.
Re Mattafollequando in terra il vide
maravigliossi e di ciò forte ride;

65.
e disse: - Or non vo' più che tu ti vanti
che mai più non cadessi del destriere;
e di' che ci hai provati tutti quanti!
provato non m'avevicavaliere.
Vedi che Cristo e tutti i vostri santi
non t'han potuto aiutar di cadere.
Renditi a mecome tu dèiprigione. -
Disse il Danese: - Questo è ben ragione. -

66.
La spada per la punta il paladino
dètte al pagan che l'aveva abbattuto.
Menollo in San Dionigi il saracino
e disse: - Qui t'aspettaché è dovuto. -
Poi cominciava: - O figliuol di Pipino
sappi ch'Uggier della sella è caduto
e per prigion l'ho messo in San Dionigi.
Mandami un altro baron di Parigi. -

67.
Quando udì Carlo risonare il corno
non fu mai più dolente alla sua vita
e ragguardava per la sala intorno
dove era la sua gente sbigottita.
Dusnamo e gli altri tutti consigliorno
chepoi che 'l saracin così gl'invita
un altro cavalier mandar bisogna
se non che gli saria troppa vergogna;

68.

ed accordârsi che v'andassi Namo.
Namo v'andòsì come gli fu imposto.
Giugnendo a Mattafollecosì gramo
lo salutò e dissegli discosto:
- Prendi del campo; alla giostra vegnamo
ché dir parole assai non son disposto. -
Il saracinche la sua voglia intende
subitamente allor del campo prende.

69.
Namo si volse tutto furïoso:
e' si credette inghiottir Mattafolle;
giunse allo scudo un colpo poderoso:
l'aste si ruppeché passar nol volle
e 'l saracinch'è forte ed animoso
nulla non par che dell'arcion si crolle;
e prese il savio duca a mezzo il petto
e della sella lo cavò di netto.

70.
Namo si vide superato e vinto
e così disse: - Io ti comincio a credere
poi che tu m'hai fuor dell'arcion sospinto
ch'ogni altro saracin tu debba eccedere. -
E 'l brando presto dallato ebbe scinto
e disse: - A te prigion mi vo' concedere. -
Disse il pagano: - Orse non t'è fatica
il nome tuobaronvo' che mi dica. -

71.
Namo rispose: - Questo poco importa.
Sappi ch'io sono il duca di Baviera. -
Disse il pagan: - Per Maconti conforta
ch'onorato sarai fra la mia schiera. -
Di San Dionigi il condusse alla porta
dove il Danese nostro prigione era;
e ritornossi al campo e 'l corno suona
Carlo sprezzando e sua santa corona.

72.
Era Carlo a vederlo cosa oscura
e tutti i suo' baron similemente;
ognuno avea già in Parigi paura.
Berlinghier nostroquando il corno sente
tosto apportar si facea l'armadura
e montò sopra il suo destrier possente.
Nella sedia fatal rimase Carlo
e' suoi baron dintorno a confortarlo.

73.
La lancia di ciresse aveva in mano
la spada allatoe cintosi un trafiere;
brocca il cavallo e giugneva al pagano
a lanci e saltiche pare un levriere
e disse: - Se' tu quel baron villano
che così sprezzi il famoso imperiere?
Se tu sapessi chi sotto è in queste armi
tosto perdon verresti a domandarmi.

74.
Se tu scampi da metu sarai il primo
tanti n'ho morti già con questa spada:
non domandar s'ogni peluzzo cimo
con essa in ariain modo par che rada. -
Disse il pagan: - Per Maconpoco stimo
chi troppo sta la notte alla rugiada!
Manda pel prete e fa' trovare i moccoli
ché tu mi pari una bertuccia in zoccoli. -

75.
Berlinghier si crucciò come un dïavolo
e disse al saracin: - Matto uom bestiale
che se' tu uso a mangiarcrusca e cavolo?
Co' pazzi sopra il carro trïonfale!
Non potre' farlo Macone o 'l suo avolo
o Apollinch'io non ti facci male. -
Disse il paganpoi che molto ebbe riso:
- Deh dimmi un pocohai tu sotto altro viso? -

76.
Rispose Berlinghier: - Non più parole:
e' ti parrà ch'io sia come un gigante.
Il molto rider segno esser non suole
però di cavalier saggio o prestante.
Non so quel che tu di'rugiada o sole
e zoccoli non ho sotto le piante;
ma nella punta del mio brando forte
so ch'io vi portobaronla tua morte.

77.
Sares' tu mai Rinaldo o quel marchese
ch'ha tanta fama al mondo o 'l conte Orlando-
disse il pagano - o puoi più che 'l Danese
che nella punta la morte hai del brando?
Dehfammi il nome tuose vuoipalese. -
Berlinghier gli rispose minacciando:
- Non son RinaldoOrlando o Ulivieri
ma il franco e forte e gentil Berlinghieri. -

78.

Il saracinsentendo nominarlo
rispose: - Sia nel nome di Macone!
Dunque tu se' de' paladin di Carlo:
so che non tien sì fatto compagnone
in cortese non usa di provarlo.
Io t'ho squadrato dal capo al tallone
per veder quanto discosto gittarti
voglio in sul campoe in su l'erba posarti.

79.
Prendi del campoch'io scoppio di ridere
pensandocavalierquel che tu hai detto
che tu mi credacosì al primouccidere:
non potre' farlo tuné Macometto!
Se tu non soldi gente da dividere
ovver se tu non voliio ti prometto
in San Dionigicavalier di Francia
portarti in sulla punta della lancia. -

80.
Rispose Berlinghier: - Degli altri matti
ho gastigati a' miei dì mille volte
e te gastigherò. Vegnamo a' fatti
ché le parole tue paiono stolte. -
Disse il pagano: - Io vo' far questi patti:
che tu mi lascia sol due dita sciolte
e mettami in un sacco il resto tutto
e mosterrotti ch'io ti stimo un putto.

81.
Prendi del campo - disse Berlinghieri:
- forse che tu ti troverrai in un sacco. -
E sùbito rivolse il suo destrieri
dicendo: - Mattafolletu m'hai stracco:
tu se' come tu hai nomee volentieri
non gittian qui le perle in bocca al ciacco. -
E 'l saracin del campo prese e tolse
poi con la lancia a Berlinghier si volse.

82.
Berlinghier ne venìa come un colombo
e 'l saracin ne vien come un falcone:
da ogni parte si sentiva il rombo
de' lor destrierch'ognun pare un rondone;
poi lasciaron cader le lance a piombo
ognuno in resta la sua tosto pone.
Ma quella del cristianche è di ciresse
tosto si ruppe e pel colpo non resse.

83.
Il saracin ferì sopra lo scudo
Berlinghier nostro e come fussi cera
sùbito il passae 'l ferro acuto e ignudo
passò la corazzina e la panziera:
fino alla carne andò quel colpo crudo;
e perché soda e verde la lancia era
per la percossa che fu molto acerba
Berlinghier franco si trovò in su l'erba.

84.
E in su la punta più di dieci braccia
lo portò in ariae poi lo lasciò andare
e disse: - Sempre avvien che chi minaccia
ne suol la pace a casa poi portare. -
Berlinghier mano alla sua spada caccia
e volle la battaglia rappiccare;
sùbito del terren ritto si getta
per far di Mattafolle aspra vendetta.

85.
Ah! - disse il saracin - tu falli troppo:
usanza è sempre di gentil baroni
che que' che son caduti al primo intoppo
porghino il brando e diensi per prigioni.
Or ch'io t'ho vintofracassato e zoppo
a quel che vuol la giustizia t'opponi
ed hai cavato fuor lo spadaccino:
questa usanza non è di paladino!

86.
Io t'avevo sentito ricordare
fra tutti gli altri un cavalier virile
che non sapessi in nessun modo errare
onestosaggiopulito e gentile;
or fatto m'hai di te maravigliare:
questo mi pare un atto stato vile. -
Rispose a Mattafolle Berlinghiere:
- Io ti darò col brando e col trafiere. -

87.
Mattafolle non ebbe pazïenza
e disse: - Poi che tu se' in tanto errore
io ti gastigherò di tua fallenza. -
E punse sopra i fianchi il corridore;
dèttegli un colpo di tanta potenza
sopra l'elmettodice l'aütore
che Berlinghieri in terra inginocchiossi
e non sapeva in qual mondo si fossi

88.

Renditi tu prigion? - diceva allora
il saracino. - Oì - tosto rispose
il paladin sanza far più dimora;
e 'l brando per la punta in man gli pose.
Ed ècci un aüttor che dice ancora
e così truovo nell'antiche chiose
che ginocchion lo fe' star quel che volle
colle ginocchia ignude Mattafolle

89.
e disse: - Questo sia pel tuo peccato
ché tu volevi far le fusa torte. -
E poi che gli ebbe il suo brando pigliato
non per la puntaché v'era la morte
anzi dal pomecome e' gli fu dato
lo misse drento a quelle sante porte
di San Dionigi; e Namoche vedea
il suo figliuol prigionseco piangea.

90.
Era d'ogni eccellenzia e di costume
Berlinghier sopra tutti un uom dabbene
di gentilezza una fonteanzi un fiume
a luogo e tempocome si conviene
tanto che scritto n'è in più d'un volume.
Or se lo stil della ragion non tiene
è che cognobbe ch'ogni gentilezza
perduta è sempre a chi quella non prezza;

91.
e reputava Mattafolle un matto
come il nome sonava veramente
da non servàgli né ragion né patto:
così lo scusa ognun che è sapïente.
Poise gli fussi rïuscito il tratto
era salvato Carlo e la sua gente;
e lecito ogni cosa è per la fede:
adunque chi lo 'ncolpa il ver non vede.

92.
Carlo sentì ritoccare il cornetto
e disse: - Questo mi par tristo segno:
caduto è Berlinghier tanto perfetto;
non so chi abbi a' suoi colpi ritegno:
venuto è questo pagan maladetto
per distrugger mia gente e tutto il regno. -
Avin s'armòsentendo che 'l fratello
era abbattutoper vendicar quello.

93.
Avin si ritrovò sopra la terra.
Venne in sul campo il valoroso Ottone
il famoso signor là d'Inghilterra
e finalmente si trovò prigione:
tutti gli abbatte il saracin da guerra.
Venne TurpinoGualtier da Mulione
Salamon di Bretagna e 'l buono Avolio:
tutti prigion n'andâr cheti come olio.

94.
Di Normandia il possente Riccardo
venne in sul campoe con gran sua vergogna
al primo colpo rimase codardo.
Tosto s'armava Angiolin di Guascogna:
volle provar come e' fussi gagliardo
e ritrovossi come gli altri in gogna.
Carlo rimase sconsolato tutto
veggendo il popol suo così distrutto.

95.
Restava appunto il traditor di Gano:
Carlo non volle ch'egli uscissi fore.
Tornossi Mattafolle a Montalbano
presso alla terraove era il suo signore
e presentò i prigioni al re pagano.
Erminïon fe' lor massimo onore
e nel suo padiglion gli ha ricevuti.
Cristo del ciel vi conservi ed aiuti.



CANTARE NONO


1.
felice alma d'ogni grazia piena
fida colonna e speme grazïosa
Vergine sacraumìle e nazarena
perché tu se' di Dio nel cielo sposa
colla tua mano insino al fin mi mena
che di mia fantasia truovi ogni chiosa
per la tua sol benignitàch'è molta
acciò che 'l mio cantar piaccia a chi ascolta.

2.
Febo avea già nell'occeàno il volto
e bagnava fra l'onde i suoi crin d'auro
e dal nostro emisperio aveva tolto
ogni splendorlasciando il suo bel lauro
dal qual fu già miseramente sciolto;
era nel tempo che più scalda il Tauro;
quando il Danese e gli altri al padiglione
si ritrovâr del grande Erminïone.

3.
Erminïon fe' far pel campo festa:
parvegli questo buon cominciamento.
E Mattafolle avea drieto gran gesta
di gente armata a suo contentamento;
e indosso aveva una sua sopravvesta
dov'era un Macometto in puro argento;
pel campo a spasso con gran festa andava;
di sua prodezza ognun molto parlava.

4.
E' si doleva Mattafolle solo
ch'Astolfo un tratto non venga a cadere;
e minacciava in mezzo del suo stuolo
e porta una fenice per cimiere.
Astolfo ne sare' venuto a volo
per cadere una volta a suo piacere;
ma Ricciardettoche sapea l'omore
non vuol per nulla ch'egli sbuchi fore.

5.
Carlo mugghiando per la mastra sala
come un lïon famelico arrabbiato
ne va con Ganellonche batte ogni ala
per gran letizia; e spesso ha simulato
dicendo: - Ah lassola tua fama cala!
Or fussi qui Rinaldo almen tornato!
Ché se ci fussi il conte ed Ulivieri
io sarei fuor di mille stran pensieri. -

6.
E dicea forse il traditore il vero
ché se vi fussi stato pur Rinaldo
al qual non può mostrar bianco per nero
morto l'arebbe come vil ribaldo.
Carlo diceva: - Io veggo il nostro impero
ch'omai perduto ha il suo natural caldo
poi che non c'è colui ch'era il suo core
cioè Orlando; ond'io n'ho gran dolore. -

7.
Lasciàn costor chi in festa e chi in affanno
e ritorniamo a' nostri battezati
che col re Carador dimora fanno
e de' paesi ch'egli hanno lasciati
e delle guerre mosse lor non sanno.
Eron più tempo lietamente stati
col re paganoe pur volean partire
e cominciorno un giorno così a dire:

8.

Assai con teco abbiàn fatto dimoro
ed onorati da tua corte assai:
la tua benedizionre Caradoro
dunque ci donae in pace rimarrai.
Del tempo che perduto abbiamristoro
sarà buon faree me' tardi che mai:
qualche paese ancor cercar vogliamo
prima che in Francia a Carlo ritorniamo. -

9.
Carador consentì la lor partita
e ringraziògli con giusti sermoni
dicendo: - Il regno mio sempre e la vita
in tutto è vostrodegni alti baroni. -
Poi fe' venir la donzella pulita
e fece lor leggiadri e ricchi doni.
Ma la fanciulla chiamò poi da canto
Ulivier nostrofaccendo gran pianto

10.
dicendo: - Lassaio non ho meritato
che m'abbandonimio gentile amante!
Dove lasci il cor mio sì sconsolato?
Tu mi dicevi sempre esser costante;
or tu ti partied io non so in qual lato
da me ti fuggain Ponente o in Levante;
e quel che sopra tutto m'è gran duolo
è del tuo sventurato e mio figliuolo.

11.
Vedi che sola e gravida rimango
sanza sperar più te riveder mai;
però del mio dolor con teco piango.
Ma questa grazia mi concederai:
chepoi che pur di duol la mente affrango
con teco insieme me ne menerai;
e in ogni parte ove tu andrai cercando
ne vo' con teco venir tapinando. -

12.
Ulivier confortava la donzella
e dice: - Damae' non passerà molto
com'io son ricondotto in Francia bella
ch'a te ritornerò con lieto volto;
però non ti chiamar sì tapinella
ch'io son legato e mai non sarò sciolto;
e 'l figliuol nostroquando sarà nato
per lo mio amor ti sia raccomandato. -

13.
Con gran sospir lasciò Meredïana
Ulivier certo in questa dipartenzia
con isperanzaal mio parerpur vana.
Re Carador con gran magnificenzia
con molta gente dintorno pagana
poi che più far non poté resistenzia
gli accompagnò con tutta sua famiglia
fuor della terra più di dieci miglia.

14.
Pur finalmente toccò lor la mano
e quanto può di nuovo a lor s'è offerto.
Via se ne vanno per paese strano;
e come e' furno entrati in un deserto
subitamente quel lïon silvano
da lor fu disparitoe questo è certo
e volse a tutti in un punto le spalle
e fuggì via per una oscura valle.

15.
Disse Rinaldo: - Caro cugin mio
vedi il lïon come è da noi sparito!
Questo miracol ci dimostra Iddio:
non è sanza cagion così fuggito;
ma quel Signor ch'è in ciel verace e pio
a qualche fine buon l'ha consentito. -
Rispose Orlando: - Se 'l tuo dir ben noto
molto se' fattoal mio parerdivoto.

16.
Lascialo andar con la buona ventura
ché 'l suo partir più che 'l venir m'è caro
ché molte volte m'ha fatto paura. -
Così molte giornate cavalcaro
tanto ch'al fin d'una lunga pianura
un giorno in Danismarche capitaro:
questo paese Erminïon tenìa
ch'a Montalbano è con sua compagnia.

17.
Poi ch'egli ebbon salito sopra un monte
si riscontrorno in saracini armati;
e poi che furno più presso da fronte
furon da questi baroni avvisati
che il lor signor si chiama Fieramonte
e quattromila avea seco menati
uomini tutti maestri da guerra
ch'a vicitare andava una sua terra.

18.

Questo è colui che Erminïon lasciòe
quando e' partìper guardia del suo regno.
Fieramonte Baiardo riguardòe:
sùbito sù vi faceva disegno;
verso Rinaldo in tal modo parlòe:
- Dehdimmicavalier famoso e degno
onde aves' tu questo caval gagliardo? -
E finalmente gli chiedia Baiardo.

19.
Dicea Rinaldo: - Assai me l'hanno chiesto
ma a nessun mai non lo volli donare. -
Disse il pagan: - Se tu non vuoi far questo
dehlasciamelo un poco cavalcare. -
Rinaldo intese la malizia presto
e disse: - Un bello essemplo ti vo' dare
saracinprima ch'io ti dia il cavallo. -
E raccontò della volpe e del gallo:

20.
Andandosi la volpe un giorno a spasso
tutta affamatasanza trovar nulla
un gallo videin su 'n un arborgrasso
e cominciò a parer buona fanciulla
e pregar quel che si faccia più basso
ché molto del suo canto si trastulla.
Il gallo sempliciotto in basso scende.
Allor la volpe altra malizia prende

21.
e dice: "E' par che tu sia così fioco;
io vo' insegnarti cantar meglio assai:
questo è che tu chiudessi gli occhi un poco:
vedrai che buona voce tu farai".
Al gallo parve che fussi un bel giuoco.
Gran mercédisse "che insegnato m'hai";
e chiuse gli occhi e cominciò a cantare
perché la volpe lo stessi ascoltare.

22.
Cantando questo semplice animale
con gli occhi chiusicome i matti fanno
la volpecome falsa e micidiale
tosto lo prese sotto questo inganno
e dové poi mangiarsel sanza sale.
Così interviene a que' che poco sanno;
così faresti tuchi ti credessi:
ben sarei sciocco se 'l caval ti dessi.

23.
Se vuoi giostrarloio sono al tuo comando:
se tu m'abbatti per la tua virtù
su questo prato con lancia o con brando
sia tuo il cavalnon se ne parli più. -
Fieramonte rispose rimbrottando
e disse. - Poltonierche parli tu?
come hai tu tanto ardirmatto villano?
Quel che tu di' nol direbbe il Soldano!

24.
Se tu sapessi ben con chi tu parli
non parleresti così pazzamente;
quantunque io soglioi pazzigastigarli.
Il mio fratello Erminïon possente
farebbe a tutta Francia e sette Carli
guerracome or vi fa colla sua gente;
ch'a Montalbano ha posto già l'assedio
tanto che Carlo non ha alcun rimedio;

25.
e tante schiere e giganti ha menati
per la vendetta far di quel Mambrino
ch'uccise il fior de' traditor nomati
Rinaldoche pel mondo or va meschino;
e sbattezar vuol tutti i battezati. -
Disse Rinaldo: - Bestial saracino
sia chi tu vuoiche per la gola menti
ché mai Rinaldo non fe' tradimenti.

26.
Per forza o per amor del campo piglia:
io vo' pigliar per Rinaldo la zuffa
ch'io so ch'egli è di sì nobil famiglia
che mai non fece tradimento o truffa. -
E detto questogirava la briglia.
Veggendo il saracin com'egli sbuffa
disse: "Sarebbe il diavolo costui?
Mai più smentito in tal modo non fui".

27.
Volse il cavallo e tutto acceso d'ira
prese del campoe poi si fu voltato.
Rinaldo a l'elmo gli pose la mira
e 'l ferro della lancia v'ha appiccato
tanto che Fieramonte ne sospira
perché dalla collottola è passato
sì che per gli occhi gli passò la fronte;
e morto cadde in terra Fieramonte.

28.

I saracinche questo hanno veduto
comincioron pel colpo a sbigottire;
e come avvien chi il signore ha perduto
pel prato cominciâr tutti a fuggire.
Aveva un certo baron molto astuto
Fieramontee veggendo quel morire
venne a Rinaldo e ginocchion si getta
e disse: - Fatta haibaronmia vendetta.

29.
Se vuoi ch'io parli arditamente il vero
io ti dirò di questo traditore
il qual tu hai mortogentil cavaliero.
Sappi che 'l suo fratelche è qua signore
lo lasciò qui a governo del suo impero
e mossa ha guerra a Carlo imperadore
e come e' dissea Montalban si truova
per pigliar quelloe faranne ogni pruova.

30.
Poi che costui si vide qua il messere
ha fatte cose contra ogni giustizia
rubato il terrazzano e 'l forestiere
mostrato in molti modi sua nequizia
a nessun fatto ragione o dovere;
e per più chiar mostrar la sua tristizia
s'alcun pur ne volessi dubitare
le nostre donne cominciò a sforzare;

31.
e perché alcuno non avea pazienzia
e' lo faceva morir di segreto
tanto che assai per questa vïolenzia
per la paura si stavan di cheto.
Trovato ha il suo peccato penitenzia
e tutto il popol nostro ne fia lieto.
Volle sforzare anco una mia sorella
e non potendoimprigionata ha quella.

32.
Se tu se' cavalier ch'abbi potesta
come mi parve veder poco avanti
togli il cavallo e la sua sopravvesta:
noi ti faren compagnia tutti quanti
e tutta la città ti farà festa;
noi siàn tutti baron de' più prestanti:
sanza colpo di spada o altra guerra
a salvamento ti darem la terra.

33.
Noi v'abbiàn degli amici e de' parenti:
tu ti potrai fermare in su la piazza
e mosterren far giostre e torniamenti;
e intanto faren metter la corazza
a' più fidatiche ne fien contenti;
tu terrai a bada quella gente pazza
e tutti saran presi così in zurro.
Ed ora il nome mio saprai: Faburro. -

34.
Allor Rinaldo rispondeva a quello:
- Prima ch'io t'abbiFaburrorisposto
o mentre i miei compagni a questo appello
parmi tu fermi questa gente tosto:
vedi che vanno via come un uccello;
un mezzo miglio già ci son discosto;
e sanza lor non si può far nïente. -
Disse Faburro: - Tu di' saviamente. -

35.
E cominciò a spronare un suo giannetto.
Rinaldo Orlando chiamava e Dodone
ed Ulivierie contava ogni effetto.
Orlando orecchio alle parole pone
e intese ciò che quel pagano ha detto
e disse: - Forse Iddio sanza cagione
non ci ha mandati in questa parte strana
ma per ben sol della fede cristiana. -

36.
Ma si dolea ch'e' non v'era con loro
Morganteil quale ha lasciato Ulivieri
colla figliuola del re Caradoro
ch'era rimaso con lei volentieri
per aspettar che tornassin costoro;
ed anco parve al marchese mestieri
perché il figliuol di luiquando nascessi
re Caradoro uccider nol facessi.

37.
Meredïana avea chiesto il gigante
a Ulivier per un segno d'amore
per ricordarsi del suo caro amante
poi che montato fu in sul corridore;
ed Ulivieri avea detto a Morgante:
- Ben puoi restar dove resta il mio core.
Ritornerotti a veder con Orlando
e 'l mio figliuolo e lei ti raccomando. -

38.

Di questo Orlando si doleva a morte
dicendo: - Se Morgante mio ci fosse
egli è tanto feroce e tanto forte
che fare' rovinar con poche scosse
il mondonon che le mura o le porte;
a molti so faria le gote rosse.
So che saremo in sì fatto travaglio
che molto sarebbe util quel battaglio. -

39.
Faburro in questo mezzo è ritornato
ed ordinato ciò che bisognava.
Rinaldo a Fieramonte avea cavato
la sopravvesta e l'armi che portava
e sopra il suo cavallo era montato
tanto che tutto il pagan rassembrava.
E inverso la città sono invïati
come Faburro gli avea ammaestrati.

40.
Grande onor fanno tutti i terrazzani
a quel che credon Fieramonte sia.
Rinaldo in su la piazza a' suoi pagani
facea far giostra e festa tuttavia.
Faburro intanto menava le mani:
truova gli amici e' parentie dicìa
come egli è morto il lor crudo tiranno
e come ben le cose passeranno:

41.
che liberi sanz'altro impedimento
tosto saranno; e fe' sùbito armare
gran quantitàch'ognuno era contento
di voler la sua patria liberare.
Mentre che in piazza si fa torniamento
e 'l popol tutto stava a baloccare
giunse in un tratto con gran gente armata
Faburroe tosto la piazza ha pigliata.

42.
E saracin che con Rinaldo sono
comincion tutti a 'nsanguinar le spade:
chi morto resta e chi chiede perdono;
e cominciorno a correr la cittade
con gran tumulto e gran furore e tuono:
già son di gente calcate le strade
e non sapendo ignun questo trattato
dicevan: - Fieramonte fia impazzato. -

43.
Rinaldo corse al palazzo reale
dove era la reina e' suoi figliuoli;
e come e' giunse in capo delle scale
disse la donna: - Perché i nostri stuoli
son sì turbatie perché tanto male?
Così farFieramonte mionon suoli.
Che caso è questo e chi muove tal guerra
che sottosopra così va la terra? -

44.
Rinaldo di Frusberta gli menòe
un colpo tal che gli spiccò la testa;
prese i figliuoli e tutti gli ammazzòe.
I saracin dicìen: - Che cosa è questa? -
E finalmente la terra pigliòe
con quella gente che drento vi resta.
Poi trasse di Faburro la sorella
della prigioneafflitta e meschinella.

45.
E poi che furno alcun dì dimorati
e con Faburro ognun si fu scoperto
ed hanno i nomi lor manifestati
e 'l popol vide ogni segreto aperto
furon tutti d'accordo battezati
rendendo a Gesù Cristo grazia e merto
che liberati gli ha da quel crudele
e fatto a sé questo popol fedele.

46.
Poi con Faburroche sapeva il fatto
sì ragionò dell'oste che è a Parigi
e come Gano avea aspettato il tratto
e mosso guerra e discordia e litigi
per dare a Carlo Magno scaccomatto;
e che soccorrer si vuol San Dionigi.
Faburro s'accordò che vi si vadi
subitamentee che più non si badi.

47.
Orlando disse: - E' mi dispiace solo
che noi lasciamo il possente gigante
a Caradoroond'io n'ho molto duolo. -
Disse Dodon: - Se tu vuoisir d'Angrante
andrò per lui come un falcone a volo:
in pochi giorni sarà qui Morgante. -
A tutti piacque che per lui s'andassi
e per far presto Baiardo menassi.

48.

Così fu fattoe missesi in camino;
e tanto va questo baron gagliardo
ch'a Caradorfamoso saracino
giunse un dì in su la piazza con Baiardo.
Ricognosciuto è presto il paladino;
diceva Carador: - Se ben riguardo
questo è Dodon che ci torna a vedere;
e quel par di Rinaldo il buon destriere. -

49.
Meredïanache 'l cognobbe presto
giù per la scala correva abbracciallo
dicendo: - Dodon mioche gaudio è questo!
Io ti cognobbi sùbito e 'l cavallo.
Ch'è d'Ulivier? Dehfammel manifesto
ché di saperlo ho voglia sanza fallo. -
Disse Dodone: - Ulivier tuo ti manda
molte salutee a te si raccomanda. -

50.
Or chi vedessi la dama amorosa
sùbito come di Dodon s'accorse
farsi nel volto come fresca rosa
e come presto abbracciarlo poi corse
e domandò dove Ulivier si posa
non istarebbe del suo core in forse.
- Ch'è di Rinaldo- dicea - baron franco?
Tu debbiDodon nostroessere stanco.

51.
Ch'è di quel paladin ch'ogni altro avanza
Orlando nostro famoso e possente?
Ché di saper di tutti ho disïanza. -
Intanto Caradoro era presente
e salutò Dodon come è usanza;
poi domandava di tutta la gente.
Dodon rispose: - In paesi lontani
gli lasciaiin Danismarchesalvi e sani.

52.
E la cagion che a te son qui venuto
è che mi manda Rinaldo d'Amone
e 'l conte Orlandoe che bisogna aiuto
al nostro Carlo Manché Erminïone
a Montalban più giorni ha combattuto
ed assediato col suo gonfalone:
convien ch'io meni tue genti e Morgante. -
In questo tempo comparì il gigante

53.
e corse presto Dodone abbracciare
e mille volte domandò d'Orlando.
Dodon gli dice come e' vuole andare
in Franciae come e' lo manda pregando
che in Danismarche lo vadi a trovare.
E tutti insieme vennonsi accordando
che si raguni il lor popol pagano
per dar soccorso presto a Montalbano.

54.
In pochi dì fur fatte molte squadre
per dover tutti inverso Francia gire.
Meredïana dice: - O caro padre
non mi volere una grazia disdire:
io vo' provar le mie virtù leggiadre
in Franciaben s'i' dovessi morire;
s'io debbo aver da te mai alcun piacere
fa' ch'io sia capitan di nostre schiere. -

55.
Re Caradoro avea tanto disio
di ristorar del beneficio antico
Rinaldo e gli altriche rispose: - Anch'io
m'accordo al tuo parer; però ti dico
che tu ti vadi nel nome di Dio
perché Rinaldo è stato buono amico:
quando fu tempoci dètte il suo aiuto:
di ristorarlo al bisogno è dovuto.

56.
Orlando ed Ulivier se come amici
ci hanno trattatisa tutto il mio regno
ne' casi avversimiseri e infelici:
adunque il priego di Dodone è degno
e ricordar si vuol de' benefici
ch'essere ingrato Iddio l'ha troppo a sdegno. -
Meredïana fu troppo contenta
che in dubio stava alla risposta attenta.

57.
E poi si volse a Morgante e dicìa:
- E tu con mecogiganteverrai. -
Dicea Morgante: - Da tua compagnia
non dubitar ch'io mi diparta mai:
così ti giuro e do la fede mia. -
Disse la dama: - Io ne son lieta assai.
Parmi mill'anni rivedere il conte
e l'ardito Rinaldo di Chiarmonte. -

58.

Questo dicea con la lingua la dama
ma "Ulivier" diceva col suo core.
Morganteche sapea tutta la trama
rispose: - Dove lasci il tuo amadore
che so che giorno e notte ancor ti chiama?
Hai tu sì tosto lasciato il suo amore? -
Disse la dama: - Ulivieri è qui meco
però nol dissied io son sempre seco. -

59.
In poco tempo furono ordinati
quarantamilae fatte dieci schiere
e dal re Caradoro licenziati
e date tutte al vento le bandiere;
ed eron bene in punto e bene armati
come conviensi a ciascun cavaliere:
cavalli e scimitarre alla turchesca
e scudi e targe ed archi alla moresca.

60.
Meredïana aveva un palafreno
quartato che pareva una montagna;
e ciò che questo mangiavaorzo o fieno
con acqua fresca prima gli si bagna;
e non era cavalma nondimeno
e' non se gli poteva appor magagna
se non che 'l capo aveva di serpente;
e molto destro e forte era e corrente.

61.
Questo in un bosco già facea dimoro
e nacque d'un serpente e d'una alfana;
mugghiava forte che pareva un toro:
mai non si vide bestia così strana.
Un che lo prese il dètte a Caradoro
e Caradoro il diè a Meredïana;
nelle battaglie sempre lo menava
e molta fama con esso acquistava.

62.
Tanto cavalca questa franca gente
che in Danismarche alla fine arrivorno.
Quando Rinaldo la novella sente
una mattina in su l'alba del giorno
chiamava Orlando e 'l marchese possente;
e presto quel che fussi s'avvisorno
perché di lungi si vede il gigante
che col battaglio veniva davante.

63.
Diceva Orlando: - Ecco Morgante nostro
ed ha con seco gran gente pagana;
e Caradoro grande amor ci ha mostro
che la nostra amistà non sia lontana. -
Disse Ulivier: - S'egli è Morgante vostro
dove è la bella mia Meredïana?
Io il bramo tantoch'io la veggo e sento
e par ch'io sia di questo error contento. -

64.
E poi che furon più pressovedea
Ulivier questache 'l passo studiava:
la qual cognobbe al caval ch'ella avea
ovver ch'Amor così l'ammaestrava.
Meredïanaquando lui scorgea
come stella nel viso fiammeggiava
e del caval saltò subitamente;
ed Ulivier facea similemente;

65.
ed abbracciolla con gran gentilezza;
prima baciolla a suo modo francese.
La gentil dama per gran tenerezza
non poté salutartanto s'accese!
Ed Ulivier sentia tanta dolcezza
che le parole sue non sono intese
e pur voleva dir: "Ben venga quella
che sola agli occhi miei fia sempre stella".

66.
Gran festa fu tra' pagani e' cristiani
e molto Carador fu commendato
che si ricorda in paesi lontani
de' benefìci del tempo passato.
Dicea Faburro: - O cavalier sovrani
sempre ho sentito un proverbio provato
e tengol nella mente vivo e verde:
che del servire alfin mai non si perde. -

67.
Nella città più giorni si posaro;
e intanto i nuovi cristian sono in punto:
quattromila in un oste s'assembraro.
Dicea Faburro: - Or che Morgante è giunto
è da partirsi; e molto mi fia caro
Orlandose tu m'ami o stimi punto
ch'io sia di questa gente conduttore;
e mosterrotti in Francia il mio valore. -

68.

Orlando disse: - E' non è cosa ignuna
ch'io ti negassiFaburro possente.
Allor Faburro sua gente rauna;
e poi ch'egli ebbe assettata la gente
volle portar per insegna una luna
sur una sopravvesta riccamente
di seta bianca lavorata e d'oro
sì che due corna pareva d'un toro.

69.
Or lasceremo il popol saracino
il qual di Danismarche già s'è mosso
e ritorniamo al figliuol di Pipino
che piange e dice fra sé: "Più non posso!
Non c'è Rinaldonon c'è il suo cugino
e tutto il mondo qua mi viene addosso.
Non gli conobbi mentre erano in corte;
or me n'avveggo e dolgomene a morte".

70.
Gan traditor lo riguardava fiso
e con parole fitte il confortava
e simulava uno sforzato riso:
- O Carlotroppo di questo mi grava:
perché pur bagni di lacrime il viso? -
E trentamila de' suoi raünava
e disse: - Io voglio andare - il traditore
- a Montalban con questiimperadore. -

71.
E tutti a Carlo gli menava avante
e fece suo capitano il Magagna
dicendo: - Io voglio assalir l'amirante
con questa compagnia che è tanto magna;
e so che noi piglieren Lïonfante:
io lo farò darCarlonella ragna. -
E seppe tanto acconciar ben l'orpello
che Carlo si togliea per oro quello.

72.
A Montalban n'andò con questo inganno:
e' si pensò pigliarlo a salvamento
e tutti all'amirante se ne vanno
e disse: - Io ti darò per tradimento
la terra e' tuoi nimici che vi stanno
e metterotti questa notte drento. -
Ma Lïonfante era uom troppo dabbene
e fece quel ch'a' suoi par si conviene;

73.
e disse: - Io ti vo' dire una novella.
La volpe un tratto molto era assetata:
entrò per bere in una secchia quella
tanto che giù nel pozzo se n'è andata.
Il lupo passae questa meschinella
domanda come sia così cascata.
Dice la volpe: "Di ciò non t'incresca:
chi vuol de' grossi nel fondo giù pesca:

74.
io piglio lasche di libbracompare;
se tu ci fussitu ti goderesti;
io me ne vo' per un tratto saziare".
Rispose il lupo: "Tu non chiameresti
a queste cose il compagnocomare?
E forse che mai più non lo facesti?".
Disse la volpe maliziosa e vecchia:
Or oltre, vienne, enterrai nella secchia.

75.
Il lupo non istette a pensar piùe
e tutto nella secchia si rassetta
e vassene con essa tosto giùe;
truova la volpe che ne vien sù in fretta
e dice il sempliciotto: "Ove vai tue?
Non vogliàn noi pescar? Comareaspetta!".
Disse la volpe: "Il mondo è fatto a scale:
vedicomparchi scende e chi sù sale".

76.
Il lupo dentro al pozzo rimaneva.
La volpe poi nel can dètte di cozzo
e disse il suo nimico morto aveva;
onde e' risposebenché e' sia nel pozzo
che 'l traditor però non gli piaceva;
e presela e ciuffolla appunto al gozzo
ucciselae punì la sua malizia:
e così ebbe luogo la giustizia.

77.
Se tradimenti hai fatti alla tua vita
già mille voltea questa datti pace:
tu non farai di qui già mai partita
per nessun modotraditor verace
ch'ogni tua colpa vecchia fia punita
ché 'l traditor per nulla non mi piace
e piglierotti al gozzo col capresto. -
E preselo e legar lo fece presto.

78.

E poi mandò di sùbito un messaggio
a dire 'Astolfoch'era in Monte Albano
cheperch'egli era di nobil legnaggio
benché e' sia saracino e lui cristiano
a tradimento non vuol fargli oltraggio
o in altro modo; e ch'avea preso Gano
e impiccherallopur che lo consenti;
e disse tutto de' suoi tradimenti.

79.
Il messaggiero 'Astolfo se n'andòe
e disse come ha detto il suo signore
e tutto il tradimento gli contòe.
Astolfo fece a quel messaggio onore;
e poi Guicciardo e gli altri a sé chiamòe
e referì di questo traditore
e chiese a tutti consiglio e parere
quel che si faccia di Gan da Pontiere;

80.
e che per se medesmo gli parrebbe
che si risponda che lo 'mpicchi presto.
Poi s'accordorno che util non sarebbe
ché 'l tempo avverso non pativa questo
ché la sua gente si ribellerebbe
quantunque Gan meritassi il capresto;
e ringraziorno il famoso pagano
e chiesongli di grazia vivo Gano.

81.
Astolfo dètte al messo un palafreno
e disse: - Questo tien per amor mio. -
Il messaggier ritorna in un baleno
e raccontò d'Astolfo il suo disio.
Lïonfanteuom di gentilezza pieno
rispose: - Come Astolfo vuol voglio io. -
E contra suo voler Gan liberava.
Gano a Parigi sùbito arrancava;

82.
e disse a Carloil traditor fellone
ch'aveva fatta certa sua pensata
come ingannar potessi Erminïone;
ma poi era la trappola scoccata
e come preso fu nel padiglione:
così la sua tristizia ha covertata
dicendo: - Un tradimento facea doppio
che insin di qua ne sentivi lo scoppio. -

83.
Carlo il credette benché il ver dicea
che 'l tradimento doppio era ordinato.
Astolfo in questo tempo gli scrivea
come questo fellon l'avea ingannato.
Carlo all'usato a Ganellon credea
ché così era ne' Ciel distinato;
e conferiva con lui come prima
ogni segretoe così facea stima.

84.
Erminïon colla sua gente bella
sempre più inverso Montalbano è ito.
Era per Pasqua; giunse la novella
d'un messaggier ch'è tutto sbigottito
tanto chegiuntoa gran pena favella;
poi dissetutto per duolo smarrito:
- Erminïonmale novelle hai certo:
sappi tu se' col tuo popol diserto;

85.
e 'l tuo fratello è mortoFieramonte
ché combattendo un dì con un cristiano
gli passò l'elmo e ruppegli la fronte;
e dice che è il signor di Montalbano
ed ha con seco quel famoso conte
Orlandoche tremar fa il monte e 'l piano;
la città presa ed abbruciata è tutta
e la tua gente scacciata e distrutta.

86.
Faburro è quel che 'l tradimento fe':
tutti i suoi amici ha fatti far cristiani
e tutto il regno in preda a costor diè.
Gran quantità son morti di pagani
sanza trovare o rimedio o merzé:
io gli ho veduti tagliar come cani
e la tua donna in molti affanni e duoli
uccider crudelmentee' tuo' figliuoli.

87.
E sòtti a dir che ti vengono addosso
con ben quarantamila cavalieri
ed era il campoquand'io parti'mosso.
Faburro è capitan di que' guerrieri
che di sua gente ha fatto capo grosso
e vien con lor per mostrare i sentieri. -
Quando il pagan sentì quel ch'egli ha detto
bestemiò forte lo iddio Macometto

88.

e disse: - Traditor crudele e rio
mai più t'adoreròcosì ti giuro:
io vo' che Satanasso sia il mio iddio
o se v'è altro diavol più oscuro.
Che t'ho io fatto? Dove è il fratel mio
ch'io lasciai pur nel suo regno sicuro?
Dove è la donna mia ch'io ti lasciai
e' miei figliuol ch'io ti raccomandai?

89.
Che farò iose in qua ritorna Orlando
e se torna Rinaldoil mio nimico?
Or verrò le mie ingiurie vendicando
contra costui del mio Mambrino antico! -
Quivi era Salincornoe lacrimando
dicea: - Fratelloascolta quel ch'io dico.
Dove è la fama e tua virtù fuggita?
Hai tu perduto il tuo campo o la vita?

90.
E' si conosce nell'avversitade
il savio sempre; e nel tempo felice
non si può ben veder chi ha in sé bontade:
questo sai tu ch'ognun che intende dice.
Se Fieramonte è morto e la cittade
distruttacosì misera e infelice
tu hai qui tanta gente di tua setta
che d'ogni cosa si farà vendetta. -

91.
Erminïon per ira fe' venire
tutti i baron legatie poi scrivea
a Carlo Magnoe manda così a dire
che gli farà morir di morte rea
con gran vergogna e con istran martìre
se non gli dà Parigiconchiudea
e 'l suo tesoro e tutto il suo paese;
e che il primo impiccar farà il Danese

92.
anzi squartarperché e' fu già pagano
e rinnegato avea lo iddio Macone.
Il messo giunse presto a Carlo Mano
e la 'mbasciata fe' d'Erminïone.
Carlocome uom già disperato e insano
nulla rispose alla sua orazione;
e 'l messaggiero indrieto tornò ratto
dicendo Carlo gli pareva un matto.

93.
Carlopoi che 'l messaggio fu partito
a un balcon si stava addolorato
né sa più che si fartutto smarrito.
Ma il suo Gesù non l'arà abbandonato:
ch'Orlando in questo tempo è comparito
com'io dirò nell'altro mio trattato
col suo fratello e col pagano stuolo.
Cristo sia sempre il vostro aiuto solo.



CANTARE DECIMO


1.
Te Deüm laüdamussommo Padre;
te confessiam Signor giusto e verace;
laudata sia la tua benigna madre;
donami graziaSignorse ti piace
ch'io conduca a Parigi le mie squadre
e tragga Carlo fuor di contumace
e ch'io ritorni ov'io lasciai il mio canto
colla virtù dello Spirito santo.

2.
Era già presso a Parigi a tre miglia
Faburroch'era innanzi all'altra gente.
Mentre che Carlo voltava le ciglia
vide le schiere e gli stormenti sente:
non sa che fussin della sua famiglia
e più che prima fu fatto dolente;
purcosì afflittoalla sua gente è corso
e chiama Gan che debba dar soccorso.

3.
Gano appellò il suo capitan Magagna
e disse: - Presto alla porta n'andate
ché nuove gente vien per la campagna:
quivi la vostra prodezza mostrate
ché starsi drento poco si guadagna. -
Furno in Parigi molte gente armate:
ognun del caso nuovo si sconforta
e tutti si ridussono alla porta.

4.
Faburro è giuntovalorosoardito
che cavalcava un possente cavallo;
la lancia abbassaun cristiano ha ferito
e morto in terra faceva cascallo.
Gan di Maganza incontro gli fu ito
e disse: - Aspettatraditor vassallo! -
La lancia abbassa e lo scudo percosse;
ma dell'arcion Faburro non si mosse.

5.
Al conte Gano un colpo della spada
dètteche presto trovò la pianura;
molti cader ne fece in sulla strada
tanto ch'assai ne fuggon per paura.
Gan si rilievae non istette a bada
e riprovar volea la sua ventura;
e fece quel che poteail fraudolente.
Ma in questo tempo giunse l'altra gente.

6.
Per Parigi era levato il romore
e Carlo era montato in sul destriere.
Giunto alla porta con molto dolore
sùbito ricognobbe le bandiere
del suo nipote Orlando e 'l corridore
ch'avea scoperto il segno del quartiere;
e già Faburro incontro gli è venuto
e dismontato e fatto il suo dovuto

7.
e detto: - Carloch'io bramato ho tanto
di vedere una voltaor son contento.
Non dubitarpon fine al lungo pianto:
qua è Orlandoche già presso il sento. -
Carlo si trasse per dolcezza il guanto
e disse: - Lievabaron d'ardimento -
ed a Faburro toccava la mano.
In questo giunse il sir di Montalbano

8.

e saltò di Baiardo e inginocchiossi.
Ecco Ulivier che facea similmente.
Non sapea Carlo in qual mondo si fossi
tanta allegrezza nel suo petto sente.
Non si son questi pria di terra mossi
che 'l suo nipote giugneva presente
e saltò armato fuor di Vegliantino
e inginocchiossi al figliuol di Pipino.

9.
Carlo gli abbraccia con amor perfetto
e benedice mille volte o piùe.
Meredïana giugneva in effetto
e dismontata poi che in terra fue
s'inginocchiò dinanzi al suo cospetto.
Disse Ulivier: - Questa crede in Gesùe
e sua prodezza non ha pari al mondo.
Viene a veder teimperador giocondo;

10.
ed è figliuola d'un gran re pagano
e molta gente ha qui del suo paese
e vengono aiutar teCarlo Mano. -
Sùbito Carlo le braccia distese
e prese la donzella per la mano
e ringraziolla di sì fatte imprese;
e grande onore alla gente pagana
facea far Carlo di Meredïana.

11.
Disse Ulivieri alla gentil donzella:
- Che ti pardamadello imperadore? -
Disse la donna grazïosa e bella:
- Degno di gloria e di pregio e d'onore;
e certo chi di sue laude favella
al mio parer non può pigliare errore;
non minuisce già la sua presenzia
la fama e 'l grido e la magnificenzia. -

12.
Carlo la fece cavalcar davante
e poi appresso il duca borgognone.
Ecco apparir col battaglio Morgante.
Carlo guardava questo compagnone
e disse: - Mai non vidi un tal gigante! -
Ebbe di sua grandezza ammirazione.
Morgante ginocchion lo superava
e così Carlo la man gli toccava.

13.
Verso il palazzo Carlo s'invïòe
più che mai fussi in sua vita contento.
Gancome Orlando videsi pensòe
che questo fussi il suo disfacimento;
e come disperato a sé chiamòe
Magagna e fece un altro tradimento
dicendo: - Poi che questa gente pazza
entrata è drentosoccorriàn la piazza:

14.
gridiàn che Carlo tradimento ha fatto
e ch'egli ha dato Parigi a' pagani
e come alcun di lor v'è contraffatto
che pare Orlando e gli altri capitani. -
E tutto il popol sollevò in un tratto;
corse alla piazza con armate mani;
e 'l popol parigin dava favore
a Ganchiamando Carlo traditore.

15.
Non si cognosce ancor per molti Orlando
o gli altriperché l'elmo aveano in testa.
I Maganzesi la piazza pigliando
fu la novella a Carlo manifesta
che tutto il popol si veniva armando:
parvegli segno di cattiva festa.
Rinaldo presto correva alle sbarre
co' saracinch'avien le scimitarre.

16.
Furno in un tratto le sbarre tagliate
e in ogni parte ove Gan fe' serraglio;
Meredïana è tra sue gente armate
e fe' gran cose in sì fatto travaglio;
Orlando corse coll'altre brigate;
giunse Morgante e diguazza il battaglio;
ed Ulivieri innanzi alla sua dama
dava gran colpi per acquistar fama.

17.
Rinaldoin mezzo di que' Maganzesi
quanto poteva Frusberta operava
tagliando a chi i braccialia chi gli arnesi

18.

e molti in terra morti ne cacciava;
molti ne fur feriti e molti presi.
Ecco il Magagna che quivi arrivava:
Rinaldo al capo un gran colpo gli mena
e féssel come tinca per ischiena.

19.
Ma poi che fu cognosciuto Rinaldo
e gli altriognun per paura fuggìa
ché lo vedieno infurïato e caldo.
Tosto la piazza sgomberar facìa
dicendo: - Ove è quel traditor ribaldo
Gan da Pontier? - Ma fugge tuttavia:
non si fidò di star drento alle mura
perch'egli avea di Rinaldo paura.

20.
Così fu presto cessato il furore.
E conosciuti i nostri buon guerrieri
ognun gli abbraccia con molto fervore;
tutto il popol gli vide volentieri;
ognun si scusa collo imperadore;
nessun si vede di que' da Pontieri;
e con gran festa e piacere e sollazzo
tutti n'andorno a smontare al palazzo.

21.
Era venuta intanto Alda la bella
per rivedere Orlandoil suo marito.
Rinaldo una corona ricca e bella
donava a questaove era stabilito
un bel rubin che valea due castella:
Alda la bella col viso pulito
gran festa fe' del marito e di quello
e d'Ulivieriil suo caro fratello.

22.
Poi che furono alquanto riposati
queste parole Rinaldo dicìa:
- O Carloio non ci veggobench'io guati
Uggieri o Namo o l'altra baronia.
Che n'hai tu fatto? Ha'gli tu sotterrati?
O son prigioni andati in Pagania? -
Carlo a Rinaldo sùbito ha risposto:
- Tutti son vivie qui gli vedrai tosto. -

23.
E raccontò come andava la guerra
e ciò ch'è stato dopo il suo partire:
come il re Erminïon Montalban serra
e' suoi baron minaccia far morire;
e come Astolfo è drento nella terra
e Ricciardetto suoc'ha tanto ardire.
Parve a Rinaldo e gli altri il caso strano
de' paladini e sì di Monte Albano.

24.
Diceva Orlando: - Presto i paladini
si bisognaRinaldoriscattare.
Io vo' che 'l campo là de' saracini
domani a spasso andiamo a vicitare
ch'a trenta miglia son presso a' confini. -
Meredïana cominciò a parlare:
- Io vo' venirse la domanda è degna;
e 'l mio Morgante vo' che meco vegna. -

25.
Così Faburroe così il buon marchese.
- Vedremo un poco come il campo sta -
diceva Orlando; e 'l partito si prese.
Ognun presto apportar l'arme si fa.
Così coperti di piastra e d'arnese
usciron tutti fuor della città
una mattina al cominciare il giorno
e inverso Montalban la via pigliorno.

26.
Eran qualche otto leghe cavalcati
quando a lor si scoperse il padiglione
d'Erminïondove stavan legati
Berlinghier nostro e Namo e Salamone
e 'l buon Danese e gli altri sventurati;
e se non fussi che 'l re Erminïone
sentito avea come Orlando venìa
tutti impiccare e squartar gli facìa;

27.
ma dubitò di quel che gli bisogna
dicendo: "Se morir facciàn costoro
e' ne potre' seguir danno e vergogna;
ch'Orlando vendicar vorrà poi loro
e metter ci potrebbe in qualche gogna
che ci darebbe qualche stran martoro.
Se vivi sonqualche bel tratto fare
si può con essie' prigioni scambiare".

28.

Vide tante trabacche e padiglioni
destrier coperti d'arme rilucenti
e sentia trombe sonare e busoni
e far pel campo variati strumenti
per Montalbangattigrilli e falconi
da combattervi sù poi quelle genti;
e disse: "Erminïonper Diosollecita
pigliar la terrae parmi cosa lecita".

29.
Meredïana disse al conte Orlando:
- Se ti fussi in piacercaro signore
una grazia mi fa' ch'io ti domando.
Io vo' pel mezzo entrarcol corridore
del campo tuttoe venirlo assaltando
e trapassarlo via con gran furore
e fare un colpo degno alla mia vita -
così pregò questa dama gradita.

30.
Ma vo' che presso Morgante a me vegna
se bisognassi pur qualche soccorso;
e forse arrecherotti qualche insegna
anzi per certobench'io te lo inforso. -
Rispose Orlando: - La preghiera è degna
d'avere il campo in tal modo trascorso.
Non dubitarsicuramente andrai;
e tuMorgantel'accompagnerai. -

31.
Meredïana allor prese una lancia
brocca il caval c'ha serpentina testa
e grida: - Viva Carlo e viva Francia! -
Quando fu tempomisse l'aste in resta;
truova un pagano e per mezzo la pancia
gli misse il ferro con molta tempesta;
poi trasse fuori una fulgente spada
e fe' pel mezzo del campo la strada.

32.
E come morto fu questo pagano
fu la novella a Salincorno detta
ch'egli è venuto un cavalier villano
e molti in terra col suo brando getta.
Salincorno s'armava a mano a mano
però che far ne voleva vendetta;
verso Meredïana il camin prese
questo giovan gentilsaggio e cortese;

33.
e molta gente che fuggiva scaccia:
- Tornate addrietoper un sol fuggite?
Arebbe costui d'Ercul mai le braccia? -
Fugli risposto in parole spedite:
- Egli è il dïavol che tua gente spaccia;
se nol credetea vederlo venite:
egli ha cacciato in terra ognun che truova
e parci cosa inusitata e nuova. -

34.
Rispose Salincorno: - Io vo' vedere
chi è costui ch'ha in sé tanta arroganza
che sia passato tra le nostre schiere.
Orlando non arìa tanta possanza. -
Meredïana rivolse il destriere
come di Salincorno ebbe certanza;
Salincorno la lancia abbassa in quella
e ferì nello scudo la donzella.

35.
La lancia in aria n'andò in mille pezzi.
Disse la dama: - Ahcavalier codardo
a questo modo la tua fama sprezzi?
Questa usanza non è già d'uom gagliardo
ch'a ferir con la lancia alcun t'avvezzi
che sia col brando; e tu non v'hai riguardo.
Volgiti a mepoi che tu m'hai percossa:
vedrai che dell'arcion non mi son mossa. -

36.
Ebbe vergogna Salincorno allora
e ritornava indrieto a fare scusa
dicendo: - Io non avea veduto ancora
se tu t'avevi lancia o soda o busa. -
Meredïana a quel sanza dimora
rispose: - In Danismarche così s'usa?
Così fanno i baron d'Erminïone?
Tu debbi esser per certo un gran poltrone.

37.
Ma non si fa così di Carlo in corte
dove fiorisce ogni gentil costume.
Vedren se tu sarai cavalier forte
e s'altra volta poi vedrai me' lume:
prendi la spadaio ti disfido a morte
e farotti assaggiar d'un altro agrume. -
Salincorno la spada trasse fore
per racquistarse potevail suo onore.

38.

Poi che più colpi insieme si donorno
né l'un coll'altro guadagna nïente
un tratto volle ferir Salincorno
la gentil donnae dètte al suo corrente;
e molto biasimato fu dintorno
ché gli spiccava il capo del serpente
e ritrovossi in su l'erba la dama:
or questo è quel che gli tolse ogni fama.

39.
Morgante volle il battaglio menare
per ischiacciar la testa a quel pagano;
Meredïana gridava: - Non fare!
Vendetta ne farò colla mia mano. -
Salincorno s'aveva a disperare
e duolsi molto di quel caso strano.
I saracin ferno a Morgante cerchio
tanto ch'alfin saranno di soperchio;

40.
e misson lui con la donzella in mezzo
e cominciorno una fera battaglia;
ma a molti dava il battaglio riprezzo
a molti trita la falda e la maglia.
Dicea Rinaldo: - Or non istiàn più al rezzo
che non è tempose Gesù mi vaglia:
io veggo a piede là Meredïana
in mezzo a tutta la turba pagana. -

41.
Orlando sprona sùbito il destrieri
e 'nverso il campo girava la briglia
e 'l simigliante faceva Ulivieri:
così tutto quell'oste si scompiglia.
Erminïon sentì che que' guerrieri
eran venuti e fanno maraviglia
e disse: - Traditor di Macometto
e' fia Rinaldoper più mio dispetto

42.
e 'l conte Orlandoche tornati sono:
altri non so ch'avessin tanto ardire
di metter qua la vita in abbandono. -
Sùbito incontro gran gente fece ire;
e disse: "Io credo ancor che sarà buono
ch'io m'armi tosto"e l'arme fe' venire
e 'l suo caval di fine acciaio coperto;
ché vincere o morir dispose certo.

43.
Orlando in mezzo alla sua gente entrava
ed una lancia ch'egli aveva abbassa
e 'l primo ch'a lo scudo riscontrava
lo scudo e l'arme e 'l petto gli trapassa;
poi trasse Durlindana e martellava:
quante arme truova tante ne fracassa;
fece un macel di gente in poca d'otta.
Rinaldo n'avea già morti una frotta.

44.
Ed Ulivier facea quel che far suole;
ma tuttavia tenea gli occhi a colei
ch'era sua scorta come agli orbi il sole
colpi menando dispietati e rei
perché soccorrer la sua donna vuole:
ovunque e' guatafacea l'agnusdei
rivolto sempre alla sua dama bella
e quanto può sempre s'appressa a quella.

45.
E non poteva ancor romper la calca
che tuttavolta si facea più stretta;
pur sempre innanzi a suo poter cavalca
e 'n qua e 'n là come un leon si getta
e molti colla spada ne difalca
della turba bestiale e maladetta
e tristo a quel ch'aspettava Altachiara
che gli facea costar la vita cara.

46.
Morgante in mezzo stava dello stuolo
e col battaglio facea gran fracasso.
Meredïana sentiva gran duolo
ché 'l corpo feminile già era lasso;
né fuggir può se non si lieva a volo
perché e' non v'era onde fuggirsi il passo.
Ma pur Morgante spesso la conforta
e molta gente avea dintorno morta.

47.
Ed era tutto da' dardi forato
e lance e spiedi e saette e spuntoni
e tutto quanto il corpo insanguinato
che le ferite parevan cannoni
che gettan sempre fuor da ogni lato;
avea nel capo cento verrettoni;
ma tanti intorno avea fatti morire
che già del cerchio non poteva uscire.

48.

L'un sopra l'altro morto era caduto
e gli uomini e' cavalli attraversati
tal che miracol sarebbe tenuto
quanti furon poi morti annumerati.
Avea cinque ore o più già combattuto:
or pensi ognun quanti e' n'abbi schiacciati
che non potea più aggiugner colle mani
tanto discosto gli erano i pagani.

49.
Meredïana assai s'era difesa
ed or da' dardi attendeva a schermirsi;
avea la faccia come un fuoco accesa
né potea più collo scudo coprirsi
tanto era stancaperché troppo pesa;
e non poteva del cerchio fuggirsi;
e così afflitta e sventurata a piede
morir vuol prima che chiamar merzede.

50.
E pure ancora in Morgante si fida
e dicea spesso: - Il mio fallar ti costa
ch'io temo questa gente non t'uccida. -
Ecco Rinaldo ch'al cerchio s'accosta
e come e' giunsemetteva alte grida
tanto che molto la gente si scosta:
- Oltregente bestial sanza vergogna
poi ch'a due a piè tanto popol bisogna!

51.
Fatevi addrieto! - e Frusberta menava:
- Tutti saretesaracinqui morti. -
Meredïanaquando l'ascoltava
sùbito par che tutta si conforti.
Allor Rinaldo i colpi raddoppiava
e vendicava di lei mille torti;
e poi in un trattocome un leopardo
in mezzo il cerchio fe' saltar Baiardo.

52.
E fe' saltar Meredïana in groppa
che si gittò di terra come un gatto
nimica parve affaticata o zoppa;
e fuor del cerchio risaltò in un tratto:
così con essa pel campo gualoppa.
Ognun che 'l vide ne fu stupefatto:
- Questo è Rinaldo o 'l gran signor d'Angrante -
dicevan tutti; e lasciorno il gigante;

53.
e molti a' padiglion si ritornorno
veggendo cose far sopra natura.
In questo tempo giunse Salincorno:
Meredïana il vide per ventura.
Rinaldo nostrocavaliere adorno
che non tenea la spada alla cintura
gli trasse d'un fendente in sull'elmetto
che gli cacciò Frusberta insino al petto;

54.
e Salincorno cadde in sul terreno
e vendicata fu la damigella.
Rinaldo prese il suo caval pel freno
e fe' montar Meredïana in sella
che vi saltò sù in manco d'un baleno.
Ed Ulivierche vide la donzella
disse: - Io venivo ben per darti aiuto
ma le schiere passar non ho potuto. -

55.
Avea FaburroUlivieri ed Orlando
morti quel dì migliaia già di pagani
e tuttavia ne venien consumando.
E' saracini ancor menan le mani;
ma tanto e tanto i paladini il brando
insanguinato avevan di que' cani
che per paura assai n'eran fuggiti
a' padiglionie gran parte feriti.

56.
Erminïon dicea pur: - Chi vi caccia? -
ché gli vedeva fuggir d'ogni parte.
E' rispondieno a quel che gli minaccia:
- Fuggiàn dinanzi alla furia di Marte;
e' non c'è uom con sì sicura faccia
che si confidi di sua forza o arte:
qua son venuti nuovi Ettorri al campo
né contro a' colpi lor si truova scampo.

57.
Noi vedemo Rinaldoo fu il cugino
in mezzo un cerchio saltar col cavallo;
quivi era tutto il popol saracino
e non potemo tanto contastallo
che pose in groppa un altro paladino
ch'era assediatoe saltò fuor del ballo
ed a dispetto nostro il portò via:
mai vedemo uom di tanta gagliardia.

58.

E Salincorno ha mortoil tuo fratello.
Erminïone allor si dolfe forte
e così disse: - Poi che morto è quello
ch'era il più fier pagan di nostra corte
a tradimento quel Rinaldo fello
o 'l suo cugin gli arà data la morte. -
Fugli risposto: - E' non fu a tradimento
ché chi l'uccise n'uccidrebbe cento. -

59.
Allora Erminïon: - Sia maladetta
tua deïtàMacon! - più volte disse;
e giurò far del suo fratel vendetta
se mille volte come lui morisse.
Dove è Rinaldo a gran furia si getta
ed una lancia ch'aveain resta misse;
e come egli ha Rinaldo conosciuto
lo salutò con uno stran saluto:

60.
Dio ti sconfonda- disse Erminïone
- se tu se' il prenze sir di Montalbano
colui che porta sbarrato il lïone;
ch'ancor lui sbarrerò colla mia mano. -
Rinaldoudendo sì fatto sermone
a lui rispose: - Cavalier villano
che di' ture di farfalle o di pecchie?
Io t'ho a punir di mille ingiurie vecchie. -

61.
Rispose Erminïon: - Del tempo antico
a vendicar m'ho io de' miei parenti:
tu uccidesti come reo nimico
il re Mambrin con mille tradimenti. -
Disse Rinaldo: - Ascolta quel ch'io dico:
per la tua golaErminïonne menti;
ch'a tradimento vien tu quapagano
perch'io non c'eroassediar Montalbano.

62.
Ma tanto attraversato ho il piano e 'l monte
ch'io t'ho trovatoe non ti puoi fuggire;
e 'l tuo fratello uccisiFieramonte
e dètti al popol tuo giusto martìre;
a Salincorno ho spezzata la fronte;
or farò te col mio brando morire. -
Quando il pagan sentì rimproverarsi
tant'alte ingiuriee' cominciò a picchiarsi

63.
e in su l'arcion percuotersi l'elmetto
e bestemiar Macon divotamente
e battersi col guanto tutto il petto:
are' voluto morir certamente;
e poi rispose: - D'ogni tuo dispetto
che fatto m'haine sarai ancor dolente. -
E misse come uom disperato un grido:
- Prendi del campo tostoch'io ti sfido. -

64.
E poi soggiunse: - Facciàn questo patto
dacché tu m'hai cotanto offeso a torto:
che Montalban mi donis'io t'abbatto;
e se tu vinci medatti conforto
che' tuoi prigion ti renderò di fatto
ché nessun n'ho danneggiato né morto;
e che s'intenda per un mese triegua
e poi ciascun quel che gli piace segua. -

65.
Rinaldo disse: - A ciò contento sono. -
E poi voltava in un tratto Baiardo
e dice: - Se mai fusti ardito e buono
a questa volta fa' che sia gagliardo. -
Poi si rivolse che pareva un tuono
né anco Erminïon parve codardo;
e quando insieme s'ebbono a colpire
parve la terra si volessi aprire.

66.
Erminïon con la lancia percosse
sopra lo scudo il franco paladino:
l'aste si ruppee d'arcion non lo mosse.
Ma il pro' Rinaldo giunse al saracino
d'un colpo tal chebenché forte fosse
si ritrovò in su l'erba a capo chino;
e disse: "O Dio che reggi sole e luna
può far ch'io sia caduto la Fortuna?

67.
Egli è pur ver quel che si dice al mondo
che questo è il fior de' cavalier nomati!".
Rizzossi e disse: - Paladin giocondo
or son puniti tutti i miei peccati
e come dianzi più non ti rispondo
d'avere i miei congiunti vendicati.
Io ho perduto ogni cosa in un punto;
d'ogni mia gloria e fama il fine è giunto.

68.

Or sarà vendicato il mio parente
or sarà vendicato Fieramonte
e Salincorno e tutta l'altra gente:
però chi fa vendetta con sue onte
al mio parere è matto veramente
e spesso avvien che si batte la fronte.
Or pel consiglio di dama Clemenzia
del suo peccato ho fatto penitenzia;

69.
ché chi governa per consiglio il regno
di feminanon può durar per certo
che' lor pensier non van diritti al segno:
qual maraviglia s'io ne son diserto?
Or si cognosce il mio bestial disegno:
ogni cosa ci mostra il fine aperto;
così convien che spesso poi si rida
di quel che troppo a Fortuna si fida.

70.
Quel ch'io promissibaronvo' servarti
come pur giusto re ch'io sono ancora
e tutti i tuoi prigion vo' consegnarti:
andianne al padiglion sanza dimora.
E la promessa tua vo' ricordarti. -
Disse Rinaldo: - Per lo Iddio ch'adora
re Carlo Magno e tutto il cristianesimo
ciò che tu vuoi chiederai tu medesimo. -

71.
Inverso il padiglion preson la volta.
Erminïonch'era uom molto dabbene
fece pel campo sonare a raccolta
poi che Fortuna nel fondo lo tiene.
La gente sua parea smarrita e stolta
come ne' casi sùbiti interviene.
Rende i prigionch'avea legati e presi
co' lor cavalli e tutti i loro arnesi.

72.
Chi vedessi la festa e l'allegrezza
che fanno i nostri possenti baroni
sare' costretto per sua gentilezza
di lacrimar con pietosi sermoni.
Diceva Uggier: - Rinaldotua prodezza
ci ha tratti fuor di molti strani unghioni:
a questa volta aremo tutti quanti
la vita data per quattro bisanti.

73.
Noi abbiàn sentito sì fatto romore
oggi pel campoch'io pensai che 'l mondo
fussi caduto e giunto all'ultime ore
e lo stato di Carlo fussi al fondo.
Ognuno avea della morte timore
ché 'l saracin crudele e rubicondo
d'impiccar tutti ci avea minacciati
e della vita savàn disperati. -

74.
Namo diceva: - Il nostro buon Gesùe
vi mandò qua per nostro aiuto solo;
e siàn salvati per la tua virtùe
e liberati da gran pena e duolo. -
Diceva Orlando: - Non ne parliàn piùe.
Lasciàn pur tosto de' pagan lo stuolo:
Carlo non sa quel che seguìto abbiamo;
però verso Parigi ce n'andiamo. -

75.
Erminïon rimase assai scontento
e' paladini a Carlo ritornaro.
Carlo gli abbraccia cento volte e cento
e fu cessato ogni suo duolo amaro;
fecesi festa per la città drento.
Ma questo a Ganellon fu solo amaro
che per paura fuor s'era fuggito
e dubitava non esser punito.

76.
Poi ch'alcun giorno insieme riposârsi
dicea Rinaldo un giorno a Carlo Mano
ch'avea pur voglia da lui accomiatarsi
e ritornare insino a Montalbano
e qualche dì colla sua sposa starsi.
Carlo contento gli toccò la mano.
E menò solo un servo molto adatto
del conte Orlandodetto Ruïnatto

77.
ch'era scudier compagno di Terigi.
E mentre che cavalcas'è abbattuto
forse sei leghe discosto a Parigi
dove giaceva un bel vecchio canuto:
questo eratrasformatoMalagigi
tal che Rinaldo non l'ha cognosciuto
sur una riva appoggiato alla grotta
e d'acqua piena aveva una barlotta.

78.

Rinaldo il salutò cortesemente;
e' gli rispose: - Ben venuto siete.
Se voi volessi berbaron possente
d'una certa cervogia assaggerete
che doverrà piacervi veramente. -
Disse Rinaldo: - Io affogo di sete
e di bere acqua di fossato o di fiume
quando cavalconon è mio costume. -

79.
Quando Rinaldo ha beuto a suo modo
a Ruïnatto il barletto porgeva
dicendo: - Peregrindi te mi lodo. -
E Ruïnatto come lui beeva;
e non sa ben di Malagigi il frodo.
Malagigi il barletto ritoglieva.
Rinaldo poco e Ruïnatto andava
ch'ognuno scesee di sonno cascava.

80.
Addormentati posonsi a giacere.
Malagigi gli segue come saggio
e non poteva le risa tenere
veggendo quel c'ha fatto il beveraggio.
Tolse la spada a Rinaldo e 'l destriere
e prese inverso Parigi il vïaggio;
misse Frusbertala spada sovrana
nella guaina ov'era Durlindana;

81.
così Baiardo ov'era Vegliantino;
e ritornò a Rinaldo che dormia
e dèttegli la spada del cugino
così il cavallo; e poi disparì via;
e misse sotto il capo al paladino
una certa erbache si risentia.
E risentitoseco poco bada
che del caval s'accorse e della spada;

82.
e volsesi a quel servo Ruïnatto
e disse: - Tu debbi essere un ghiottone.
Dove è Baiardo mio? Che n'hai tu fatto?
Questo è il caval del figliuol di Millone. -
Rispose lo scudiere stupefatto:
- Io ho dormito qua come un poltrone
ché 'l sonno come te mi vinse dianzi
e non sono ito più indrieto o più innanzi. -

83.
Disse Rinaldoravveduto un poco:
- Questo arà fatto far per certo Orlando:
e' vuol pigliar di me sempremai giuoco
e fatto m'ha scambiar Baiardo e 'l brando. -
Tutto s'accese di rabbia e di fuoco
e fra sé disse: "E' ti verrà costando".
A Montalban pien di sdegno n'andava
e Ruïnatto indrieto rimandava;

84.
e scrisse al conte Orlando: "Tu m'hai tolto
a tradimentopel camindormendo
la spada e 'l mio cavalloe come stolto
sempre mi tratti e poi ne vien' ridendo;
e perché più d'una volta m'hai còlto
di sofferirlo a questa non intendo:
mandami indrieto e la spada e 'l cavallo
se non che caro ti farò costallo".

85.
Orlando per ventura avea trovato
il destriere e la spada di Rinaldo
ed era forte con seco adirato
e tutto quanto inanimato e caldo
dicendo: "Come un putto son gabbato
e parmi un atto stato di ribaldo
e più che 'l fatto il modo mi dispiace";
e non potea fra sé darsene pace.

86.
Intanto Ruïnatto gli portòe
la lettera che 'l suo cugino scrisse.
Orlando molto si maravigliòe
e inverso Ruïnatto così disse
se sapea nulla come il fatto andòe
e quel che per camino intervenisse.
E Ruïnatto rispondeva presto:
- Io ti dirò quel ch'io ne so di questo. -

87.
E raccontò come e' trovò quel vecchio
e come poi si posono a dormire.
Orlando pone al suo parlar l'orecchio:
di maraviglia credette stupire.
Ma poi diceva: "Un pulcin fra 'l capecchio
par che mi stimi Rinaldo al suo dire".
E così indrieto a Rinaldo scrivea
che del suo minacciar beffe facea;

88.

e che quando e' partì da re Carlone
esser dovea per certo un poco in vino:
però scambiò la sua spada e 'l roncione;
e che sia verche dormì pel camino.
Poi gli diceva per conclusïone:
Perché tu se', Rinaldo, mio cugino,
voler con teco quistion non m'aggrada:
però ti mando il cavallo e la spada.

89.
Ma se 'l mio indrieto non rimanderai,
io ti dimosterrò che me ne duole;
e se quistion di nuovo cercherai,
tu sai che io so far fatti e tu parole;
e poco meco alfin guadagnerai,
ché sai che gnun non temo sotto il sole:
or tu se' savio e so che tu m'intendi,
e 'l mio cavallo e la spada mi rendi.

90.
Tornato Ruïnatto a Montalbano
colla risposta del suo car signore
sùbito il brando suo gli pose in mano
e consegnò Baiardo il corridore.
Rinaldo sbuffa come un leo silvano
per quel che scrisse il roman sanatore
e rimandava indrieto un suo valletto
a dir cosìchiamato Tesoretto:

91.
che non volea la spada rimandare
né Vegliantinse non gli promettea
con lui doversi in sul campo provare;
che di minacce sa che non temea;
e che nel pian lo voleva affrontare
di Montalban con l'armiconcludea.
Tesoretto n'andò presto a Orlando
e la 'mbasciata venne raccontando.

92.
Orlandoch'era e discreto e gentile
ma molto fier quand'egli era adirato
tanto che tutto il mondo avea poi vile
a Carlo tutto il fatto ha raccontato
e come e' fece la risposta umìle
credendo aver Rinaldo umilïato;
ma poi ch'egli è per questo insuperbito
d'andarlo a ritrovar preso ha partito;

93.
e che non ricusò battaglia mai
ché non intende aver questa vergogna.
Carlo diceva: - A tuo modo farai:
se così stacombatter ti bisogna. -
Orlando disse a Tesoretto: - Andrai
al prenzee di' ch'io non so se si sogna;
ma se davver m'invita alla battaglia
doman lo troverròse Dio mi vaglia;

94.
e che m'aspetticome e' diceal piano
dal campo un poco de' pagan discosto. -
Tesoretto ritorna a Montalbano
e disse quel che Orlando avea risposto.
Armossi col nipote Carlo Mano
poi che lo vide al combatter disposto:
però che Carlo molto Orlando amava
così nel suo segreto il prenze odiava.

95.
Are' voluto Carlo onestamente
un dì Rinaldo dinanzi levarsi
e cognosceva Orlando sì possente
che dice: "In questo modo potre' farsi".
Rinaldo era inquïeto e impazïente
né Carlo volse di lui mai fidarsi
rispetto avendo alle sue pazze furie
poi gli avea fatte a' suoi dì mille ingiurie

96.
e tratto la corona già di testa.
E' si perdona per certo ogni offesa
ma sempre pur nella memoria resta
e così l'uno all'altro contrappesa.
Carlo pensossi di farne la festa
veggendo Orlando e la sua furia accesa.
Orlando tolse Rondello e Cortana
ché non ha Vegliantin né Durlindana.

97.
Meredïana e Morgante v'andorno
con Carlo e con Orlando per vedere.
E paladini assai lo sconfortorno
che non si lasci il signor del quartiere
combatter col cugin suo tanto adorno;
ma contrappor non puossi allo imperiere;
e molto Carlo Man fu biasimato
quantunque s'è con lor giustificato.

98.

Tutta la corte s'avvïava drieto
per veder questi due baron provare.
Morgante aveacome savio e discreto
isconfortato molto il loro andare.
Gano il sapeva e molto n'era lieto
dicendo: "Orlando so che l'ha ammazzare
quel traditor di Rinaldo d'Amone
il qual d'ogni mal mio sempre è cagione".

99.
Altri dicìen pur de' baron di corte:
- Carlo mi par che perda il sentimento:
se muor Rinaldoe 'l conte sia più forte
non una volta il piagnerà ma cento;
se 'l prenze déssi a Orlando la morte
Carlo a' suoi dì non sarà più contento.
Vennon pur ier di paesi lontani
per salvar noi dall'oste de' pagani

100.
e tutto il popol rallegrato s'era:
ora è in un punto perturbato e mesto.
Erminïon colla sua gente fera
non s'è partitoe car gli sarà questo. -
Così si parla in diversa maniera:
tanto è che 'l caso a ciascuno è molesto.
E sopra tutto la gente pagana
si condoleva con Meredïana;

101.
e dicean tutti a lei: - Magna regina
dehnon lasciate seguir tanto errore;
adoperate la vostra dottrina
col conte Orlando e collo 'mperadore:
benché noi siam di legge saracina
e' ce ne incresceanzi ci scoppia il core. -
Meredïana con parole accorte
Carlo ed Orlando sconfortava forte.

102.
Orlando non ascolta ignun che parli
e dice: - Io intendo una volta vedere
s'io son Orlandoe vo' il suo error mostrarli
di ritenermi la spada e 'l destriere:
non ch'io volessi però morte darli
ma farlo discredente rimanere. -
E tanto finalmente cavalcorno
ch'a Montalban furno il secondo giorno.

103.
Rinaldo stava più che in orazione
d'appiccar con Orlando la battaglia
(vedi che razza d'uomo o condizione!
vedi se sbergo era di fine maglia!);
e dice: "S'io lo truovo in su l'arcione
noi proverrem come ogni spada taglia".
Ma poi che vide Orlando già in sul piano
sùbito armato uscì di Montalbano;

104.
e tolse Durlindana e Vegliantino
seco dicendo: "Se m'abbatte Orlando
arà e 'l cavallo e 'l brando a suo dimìno".
Erminïonche veniva spiando
ch'egli è venuto il figliuol di Pipino
e la cagioneun messo vien mandando;
e dice a Carlo Manse gli è in piacere
che vuol venir la battaglia a vedere.

105.
Carlo rispose a lui cortesemente
ch'a suo piacer venissi Erminïone.
Vennee con seco menò poca gente
per gentilezza e per sua discrezione.
Carlo lo vide molto lietamente
e sempre a man sinistra se gli pone
quantunque il re pagan ciò non volia
ma Carlo gliel domanda in cortesia.

106.
Rinaldo vennee seco ha Ricciardetto
in compagnia e 'l signor d'Inghilterra
che molto gli ha questa impresa disdetto
che con Orlando non debbi far guerra:
abbraccia Orlando quanto può più stretto
ed Ulivieri e Morgante poi afferra;
Meredïana quanto puote onora
perché veduti non gli aveva ancora;

107.
e poi diceva: - O nostro Carlo Magno
come hai tu consentito a tanto errore?
Tu non ci acquistial mio parerguadagno
e non sai quanto tu perdi d'onore:
se tu perdessi un sì fatto compagno
quanto è Rinaldosaria il tuo peggiore;
se tu perdessi il tuo caro nipote
di dolor poi graffieresti le gote.

108.

Che cosa è questa? Un sì piccolo sdegno
per due paroleancor non si perdona?
O Carloimperador famoso e degno
questa non è giusta impresa né buona;
per Diodella ragion trapassi il segno. -
Carlo diceva fra sé: "La corona
non mi torrà di testa più Rinaldo"
e stava nel proposito suo saldo.

109.
Orlando intanto a Rinaldo s'accosta
e dice: - Se' tucuginoostinato
combatter meco? Se vuoglia tua posta
piglia del campo e ciascun sia sfidato. -
Rinaldo non gli fece altra risposta
se non che presto il cavallo ha voltato.
Carlo diceva: - Io ne son mal contento. -
Dicea di fuorma nol diceva drento.

110.
Mai non si vide falcon peregrino
voltarsi così destroo altro uccello
come Rinaldo fece Vegliantino
o come il conte Orlando fe' Rondello:
maravigliossi il gran re saracino
dell'atto fiero e valoroso e bello.
Rinaldo volse a Vegliantino il freno
e così il contein manco d'un baleno.

111.
Un mezzo miglio s'eran dilungati
e ritornavan con tanta fierezza
che' saracin dicìen tutti ammirati:
Fólgore certo va con men prestezza:
se questi son pel mondo ricordati
è ben ragione, e se Carlo gli apprezza.
Erminïon tenea ferme le ciglia
ché gli parea veder gran maraviglia.

112.
Ma quello Iddio che regge il mondo e' cieli
mostrò ch'Egli è di giustizia la fonte
e quanto Egli ama i suoi servi fedeli.
Mentre che Vegliantin va inverso il conte
par che in un tratto se gli arricci i peli
e volse indrieto a Rinaldo la fronte
come se 'l suo signor riconoscessi
e d'andar contra a lui si ritemessi.

113.
Gridò Rinaldo: - Che diavolo è questo?
Vòltati indrieto! che fai turozzone? -
Orlando gittò via la lancia presto.
In questo apparve alla riva un lïone
il qual poi ch'ognun vide manifesto
ebbe di questo fatto ammirazione;
il fer lïone a Orlando n'andòe
ed una zampa in alto sù levòe;

114.
nella quale era una lettera scritta
che Malagigi a Orlando mandava.
Orlando la pigliò colla man dritta
e come e' l'ebbe lettasogghignava.
Rinaldo colla mente irata e afflitta
di Vegliantin di sùbito smontava;
vide il lïonche gli pareva strano
e come Orlando il brieve aveva in mano.

115.
Maravigliato inverso lui venìa.
Orlando a dir gli cominciò discosto
come Malgigi ingannati gli avia
e tutto il fatto gli contava tosto:
e poco men che per la lor follia
non avea l'un di lor pagato il costo.
Quando Rinaldo la lettera intende
tosto il cavallo e 'l brando al conte rende;

116.
e ringraziò l'etterno e giusto Iddio
ch'avea questo miracol lor mostrato;
e disse: - Or mi perdonacugin mio
e Carlo e gli altrich'io ho troppo errato.
Ma Gesù Cristo nostroumile e pio
veggo ch'al fin m'ha pur ralluminato! -
E riguardando ove il lïone era ito
non lo riveggonch'egli era sparito.

117.
Carlo e' baroni avìen tutto veduto
e come Malagigi scrive loro
che fu quel vecchio ch'e' trovò canuto
ch'avea scambiati i cavalli a costoro;
e ringraziava Iddioc'ha proveduto
che' due baron non si dessin martoro.
Erminïonche vedea tutto aperto
parvegli questo un gran miracol certo.

118.

E cominciò a dolersi di Macone
dicendo: "Tu se' falso veramente
e quel che ci ha mandato quel lïone
è il vero Iddio e 'l Padre onnipotente:
s'i' ti fe' sacrificio o orazïone
alla mia vita maine son dolente
e in ogni modo Cristo vo' adorare";
e cominciò con Carlo a lacrimare:

119.
Carlo avventuratoo Carlo nostro
ogni grazia per certo a voi procede
per quel ch'io veggo omaida Gesù vostro;
veggo ch'egli ha de' buon servi merzede
e 'l gran miracol ch'egli ha qui dimostro
e che Macone è falso e chi gli crede:
da ora innanzidegno Carlo Mano
io mi vo' battezar colla tua mano. -

120.
Carlo abbracciò con molta affezïone
il reche tutto parea già cambiato
nel volto e pien di molta contrizione;
e disse: - Oh! Cristo sia sempre laudato!
Se vuoi ch'io ti batteziErminïone
andianne al fiume che ci è qui dallato. -
E così finalmente andorno al fiume
e battezòl secondo il lor costume.

121.
Così fu battezzato il re pagano;
e battezossi il famoso amirante
ch'era stato allo assedio a Montalbano
com'io già dissidetto Lïonfante;
e s'alcun pur non si vuol far cristiano
de' saracinsi ritornò in Levante.
Carlo a Parigi con gran festa torna
dove co' suoi baron lieto soggiorna.

122.
Ma il traditor di Ganch'era fuggito
fuor di Parigi e stava di nascoso
poi ch'egli intese come il fatto era ito
drento al suo cor fu molto doloroso;
e pensa come Carlo abbi tradito
e giorno e notte non truova riposo:
sente che in corte si facea gran festa
la qual cosa più ch'altro gli è molesta.

123.
Pensa e ripensa e va sottilizzando
dove e' potessi più metter la coda
o dove e' venga la rete cacciando:
d'ira e di rabbia par seco si roda.
Pur finalmente si viene accordando
con seco stessoe in su questo s'assoda
di tentar Caradorose potessi
tanto che qualche scandol si facessi.

124.
E scrisse il traditor queste parole:
O Carador, di te m'incresce assai,
che la tua figlia, bella più che 'l sole,
in Francia meretrice mandata hai,
e gravida è già fatta: onde e' mi duole
che tua stirpe real disprezzi omai.
Come hai tu consigliato mandar quella
tra gente strana, sì giovane e bella?

125.
Per tutta Francia d'altro non si dice
che femina tua figlia è diventata
d'Ulivieri, anzi più che meretrice.
Dove è tua fama già tanto vulgata?
Dove è il tuo pregio e 'l tuo nome felice,
che la tua schiatta hai sì vituperata?
Ciò ch'io ti dico è il ver della tua figlia.
Se tu se' savio, or te stesso consiglia.

126.
La lettera poi dètte a un messaggio
che a Carador ne va sanza dimoro
e in poco tempo spacciava il vïaggio
e rappresenta il brieve a Caradoro.
Il qual sentì di sua figlia l'oltraggio
e mai non ebbe sì grave martoro;
e la sua donna ne fu molto grama
però che al tutto ingannata si chiama;

127.
e la figliuola sventurata piagne
dicendo: - Lassaperché ti mandai
poiché scoperte son queste magagne?
Mentre tu eri quine dubitai
perché già tese mi parvon le ragne
e' tradimenti; ma pur non pensai
che tanto ingrata fussi quella gente.
Ma chi tosto erraa bell'agio si pente.

128.

Caradoro mioquanta fatica
quanti disagi e quanti lunghi affanni
sofferti abbiàntu 'l sai sanza ch'io il dica
per allevar costeida' suoi primi anni!
Poi la dài in preda alla gente nimica
piena di frodi e di doli e d'inganni.
Non rivedrai mai più tua figlia bella;
e se pur tornasvergognata è quella. -

129.
Queste parole assai passano il core
al tristo padree non sapea che farsi
di racquistar la sua figlia e l'onore
perché tutti i rimedi erano scarsi.
Purdopo molti sospiri e dolore
colla sua donna in tal modo accordârsi:
che si mandassi Vegurto il gigante
a condolersi delle ingiurie tante;

130.
e che dovessi rimandar la figlia
e s'egli è imperador giusto e dabbene
del tristo caso assai si maraviglia
poich'Ulivier per femina la tiene
di che per tutta Francia si bisbiglia;
e che il gigante per sua parte viene:
che sùbito gli dia Meredïana
e rimandassi sua gente pagana;

131.
e che se mai potrà farne vendetta
che la farà per ogni modo ancora
ma come savio luogo e tempo aspetta.
Il fer gigante non fece dimora:
subitamente una sua alfana assetta
e presto uscì de' pagan regni fora;
tolse la fromba ed altri suoi vestigi
e in poco tempo a Carlo fu a Parigi.

132.
Tutto il popol correva per vedere
questo gigantech'era smisurato:
Morgante non pareva un suo scudiere.
A Carlo nella sala ne fu andato
e con parole assai arrogante e fere
in modo molto stran l'ha salutato:
- Macon t'abbatta come traditore
e disleale e ingiusto imperadore.

133.
Il mio signor mi manda a teCarlone
che sùbito mi dia la sua figliuola
e tutto quanto il popol di Macone
che ti mandòsanza farne parola;
ed Ulivierquel ribaldo ghiottone
colle mie mani impicchi per la gola:
così farò come e' m'ha comandato
e punirollo d'ogni suo peccato.

134.
A Caradoro è stato scrittoo Carlo
o Carloo Carlo- e crollava la testa -
della tua corte (che non puoi negarlo)
della sua figlia cosa disonesta:
non doverresti in tal modo trattarlo.
Quel ch'io ti dico è cosa manifesta:
Ulivier tuo la tien per concubina
così famosa e nobil saracina.

135.
Questo non è quel ch'egli are' creduto;
questa non è gentilezza di Franza;
questo non è l'onor c'ha' ricevuto;
questa non è d'imperadore usanza;
questa non è giustizia né dovuto;
questo non è buon segno d'amistanza;
questa non è più la figliuola nostra
poi ch'ella è fatta concubina vostra;

136.
questo non è quel che promisse il conte
quando e' partì cogli altri del suo regno. -
Così dicendo scoteva la fronte:
ben parea pien di furore e di sdegno.
Carlosentendo ricordar tante onte
rispose: - Imbasciador famoso e degno
per quello Iddio ch'ogni cristiano adora
di ciò che di' nulla ne 'ntendo ancora:

137.
tu m'hai fatto pensar per tutto il mondo
e cosa che tu dica ancor non truovo.
Però questo al principio ti rispondo
come colui che certo ne son nuovo:
il tuo signor famosoalto e giocondo
per vero amico e molto caro appruovo;
alla sua figlia ho fatto giusto onore
per mia coronacome imperadore.

138.

Né Ulivieri ha fatto mancamento
per quel ch'io sappio palese o coperto;
che se ciò fussi io sarei mal contento
e non sarebbe giusto o degno merto. -
Quando Ulivier vedea tanto ardimento
gridava: - O imperadortroppo hai sofferto!
Che dice questo traditor ribaldo? -
Così diceva il Danese e Rinaldo.

139.
Meredïanach'era alla presenzia
non poté far non si turbassi in volto
quando sentì trattar di sua fallenzia
che tal segreto stimava sepolto:
- Perdonimi - dicea - la reverenzia
del padre mioe' parla come stolto:
ché sempre in questa corte sono stata
da Ulivier più che d'altro onorata;

140.
ed orche Carador facci richiamo
di questotroppo in ver mi maraviglio. -
Disse Ulivier: - Che tanto comportiamo? -
Sùbito dètte 'Altachiara di piglio;
ma tosto gliela prese il savio Namo
dicendo a quel: - Tu non hai buon consiglio:
questo gigante è di natura acerbo
e però parla arrogante e superbo.

141.
Non si vuole agguagliar la lor natura
con la nostraUliviernella fierezza
però che non risponde tal misura
come non corrisponde la grandezza.
Lo 'mbasciador dèe dir sanza paura
e vuolsi sempre usargli gentilezza. -
Ma manco pazïenzia ebbe Vegurto
e volle a Ulivier presto dar d'urto:

142.
come un dragon se gli scagliava addosso
e trassegli d'un colpo d'una accetta
credendogli ammaccar la carne e l'osso.
Ma Ulivier dall'un lato si getta.
Carlo fu presto della sedia mosso.
Ma 'l gran Morgante gli dava una stretta
e corselo abbracciar subitamente
benché Vegurto assai fussi possente.

143.
Vegurto prese lui sotto le braccia.
Or chi vedessi questi due giganti
provarsi quivi insieme a faccia a faccia
maravigliato sare' ne' sembianti.
Ma pur Morgante in terra alfin lo caccia
tanto che rider facea tutti quanti:
ché quando e' l'ebbe in su lo smalto a porre
parve che 'n terra cadessi una torre;

144.
e nel cader percoteva al Danese
tal che il Danese sotto gli cascava.
Orlando molto ne rise e 'l marchese;
ma Namo presto Carlo consigliava
che si levassin così fatte offese.
Così Vegurto ritto si levava
e come ritto fugridava forte
e tutti i paladin disfida a morte.

145.
Disse Ulivier: - Sares' tu Brïareo
con Giupitero Fialte famoso
o quel superbo antico Campaneo?
Da ora innanzigigante orgoglioso
io ti disfidose tu fussi Anteo.
Lo 'mperador possente e glorïoso
mi dia licenziae vo' teco provarmi;
e fammi il peggiopoiche tu puoi farmi. -

146.
AhUlivieri! amor ti scalda il petto
che sempre fa valoroso chi ama:
tu non aresti di Marte sospetto
pur che vi fussi a vederti la dama.
Disse Vegurto: - Per dio Macometto
questo più ch'altro la mia voglia brama. -
Ulivier prestamente corse armarsi
ché col gigante voleva provarsi.

147.
Morgante non poté più sofferire
e disse a Carlo: - O imperadoreio scoppio
s'io non lo fo colle mie man morire.
Lascia ch'io suoni col battaglio a doppio:
al primo colpo il farò sbalordire
che ti parrà ch'egli abbi beuto oppio. -
Carlo rispondema non era inteso
tanto ognuno era di furore acceso.

148.

Non potea star Morgante più in guinzaglio:
non aspettò di Carlo la risposta
ma cominciava a calar giù il battaglio;
e 'l fer Vegurto a Morgante s'accosta.
Or chi vedessi giucar qui a sonaglio
non riterrebbe le risa a sua posta:
l'un col battaglio e l'altro colla scure
s'appiccon pèsche che non son mature.

149.
Non era tempo adoperar la fromba:
e' si sentiva alcuna volta un picchio
quando Morgante il battaglio giù piomba
che quel Vegurto si faceva un nicchio
e tutta quanta la sala rimbomba;
ma coll'accetta ogni volta uno spicchio
del dosso leva al possente Morgante
però che molto è feroce il gigante.

150.
Ulivieri era ritornato in sala
armatoe con Vegurto vuol provarsi;
ma quando e' vide Morgante che cala
il gran battaglioe insieme bastonarsi
si ritenea volentieri in su l'ala
però che tempo non è d'accostarsi.
Vegurto grida e Morgante gridava
tanto ch'ognun per la voce tremava.

151.
E' non si vide mai lïoni irati
mugghiar sì forte o far sì grande assalto
né due serpenti insieme riscaldati:
sempre l'accetta o 'l battaglio è sù alto;
alcuna volta invano eron cascati
i colpi e fatta una buca allo smalto.
Due ore o più bastonati si sono;
ma del battaglio raddoppiava il suono.

152.
Benché Vegurto assai più alto fosse
che 'l gran Morgantee' non era più forte.
E già tutte le carne avevon rosse;
ed a vedergli era tutta la corte.
Morgante un tratto a Vegurto percosse
diliberato di dargli la morte
e 'l gran battaglio in sul capo appiccòe
tal che Vegurto morto rovinòe.

153.
E parvenel cader quel torrïone
ch'un albero cadessi di gran nave:
fece tremar la terra il compagnone
non che la salatanto andò giù grave;
dovunque e' giunselo smalto e 'l mattone
fracassò tuttoe ruppe una gran trave
tanto che 'l palco sotto rovinava
e molta gente addosso gli cascava.

154.
Così morì il superbo imbasciadore
e non tornò colla risposta addrieto.
Meredïana pur n'avea dolore;
ma Ulivier di ciò troppo era lieto.
Molto dispiacque a Carlo imperadore
benché nel petto il tenessi segreto
perché pure era imbasciador mandato;
e pargli a Caradoro essere ingrato.

155.
Caradoro aspettò più tempo invano
che ne dovessi la figlia venire.
Lasciàn costoroe ritorniamo a Gano
che non vide il disegno rïuscire;
e manda così a dire a Carlo Mano
come nell'altro canto vo' seguire;
ché so ch'io v'ho tenuto troppo a tedio.
Cristo sia vostra salute e rimedio.



CANTARE DECIMOPRIMO


1.
santo pellicanche col tuo sangue
campasti noi dalla fera crudele
dal suo velen come pestifero angue
e poi gustasti l'aceto col fele
tanto che la tua madre afflitta langue;
manda in mio aiuto l'arcangel Michele
sì ch'io riporti di vittoria insegna
e seguir possa questa istoria degna.

2.
Gano scriveva a Carlo in questo modo:
O Carlo imperador, che t'ho io fatto?
S'io non commissi inganno mai né frodo,
perché consenti tu ch'io stia di piatto?
S'io t'ho servito sempre, assai ne godo:
tu mostri essere ingrato a questo tratto,
e sanza udir le mie ragion, consenti
che' miei nimici sien di me contenti.

3.
Quel dì ch'io presi in Parigi la piazza,
che sapevo io chi drento era venuto,
o se pur v'era gente d'altra razza,
che ti paressi Orlando sconosciuto?
Per riparare a quella furia pazza
corsi alla piazza, e parvemi dovuto.
Che sapevo io se tu t'eri ingannato
o che nella città fussi trattato?

4.
Rinaldo non istette mai a udire
le mie ragioni, ma furiando forte
mi minacciava di farmi morire:
io mi fuggi', temendo della morte.
Tu ti stai in festa, ed io con gran martìre;
e tanto tempo è pur ch'io fui in tua corte
de' tuoi baroni e del tuo gran consilio:
or m'hai scacciato e mandato in essilio.

5.
Carlo lesse la lettera piangendo
però che molto Ganellone amava;
ed ogni cosa per fermo tenendo
ch'e' gli scrivevaindrieto rimandava
dicendo: "Il tuo partirGannon commendo
e la distanzia tua troppo mi grava.
Torna a tua posta e come caro amico
come stato mi se' pel tempo antico".

6.
Gan ritornòcome scriveva Carlo.
Carlo lo vide molto volentieri
e corsecome e' lo videabbracciarlo:
- Ben sia tornato il mio Gan da Pontieri. -
Gan come Giuda in fronte usa baciarlo.
Dicea Rinaldo al marchese Ulivieri:
- Vedi che Carlo consente ch'e' torni
e ritornianci pur ne' primi giorni.

7.
Io vo' che 'l capo Carlo Man mi tagli
se non è quel ch'a Caradoro ha scritto
e che lo 'mbasciador fece mandàgli:
non so come guardar lo può diritto.
Ma metter lo potria in tanti travagli
che qualche volta piangerà poi afflitto. -
Così pareva al marchese ed Orlando;
tutta la corte ne vien mormorando.

8.

Ma come avvien che sempre la Fortuna
si diletta veder diverse cose
e sempre volge come fa la luna
mentre che Carlo par così si pòse
sanza più dubitar di cosa alcuna
ma sanza spine godersi le rose
ed ogni dì fa giostre e torniamenti
e tutti i suoi baron vede contenti;

9.
un giorno a scacchi Ulivier borgognone
in una loggia con Rinaldo giuoca;
vennono insiemegiucandoa quistione;
e tanto ognun di parole rinfuoca
ch'Ulivier disse a Rinaldo d'Amone:
- Tu hai talvolta men cervel ch'un'oca
e col gridar difendi sempre il torto.
Non so se m'hai per tuo ragazzo scorto. -

10.
Rinaldo rispondea: - Tu credi forse
perché presente è qui Meredïana
ch'io ti riguardi? - E tanto ognun trascorse
d'una parola in un'altra villana
che Ulivieri il pugno innanzi porse:
la damigella gli prese la mana;
Rinaldo si rizzò subitamente.
Ma Ulivier non aspettò nïente:

11.
sùbito corse per la sua armadura;
torna a Rinaldo e trasse fuori il brando:
Rinaldo non l'aveva alla cintura
ma in questo mezzo si cacciava Orlando.
Meredïana triema di paura;
Carlo Rinaldo venìa minacciando:
- Ogni dì metti la corte a romore
e 'l torto hai sempree fa'mi poco onore. -

12.
Rinaldoch'era tutto infurïato
rispose a Carlo Magno: - Tu ne menti
ché 'l torto ha egli ed hammi minacciato. -
Carlo gridava a tutte le sue genti:
- Fate che presto costui sia pigliato
se non che tutti farò mal contenti! -
Dicea Rinaldo: - Ignun non mi s'accosti
ché gli parrà che le mosche gli arrosti! -

13.
Orlando vide il cugino a mal porto
e così disse: - Piglia tuo partito:
vattene a Montalban per mio conforto
ch'io veggo Carlo troppo insuperbito
sanza voler saper chi s'abbi il torto. -
Rinaldo s'è prestamente fuggito;
tolse Baiardo ed ubbidiva Orlando
e inverso Montalban va cavalcando.

14.
Carlo si dolfe con Orlando molto
perché l'avea così fatto fuggire
dicendo: - Il traditor dove m'ha còlto
che per la gola ogni dì m'ha a smentire?
Io l'ho a trattare un giorno come stolto. -
Sùbito fece il consiglio venire
e disse in brieve e soluta orazione
quel che far debba del figliuol d'Amone.

15.
Diceva Orlando: - A mio modo farai:
lasciagli un poco uscir questa arroganza
ed altra volta ginocchion l'arai
e faren che ti chiegga perdonanza. -
Carlo rispose: - Ciò non farò mai
che di smentirmi più pigli baldanza:
io vo' perseguitarlo insino a morte
né mai più intendo tenerlo in mia corte. -

16.
Namo alla fine dètte il suo consiglio
che si dovessi di corte sbandire
acciò che non seguisse altro periglio
ché qualche mal ne potrebbe seguire;
e dicea: - Tutto il popolo è in bisbiglio
ch'altra gente pagana dèe venire
e forse potria farne novitade
ché molto amato è pur nella cittade. -

17.
Astolfo non volea che si sbandisse
ma che gli fussi in tutto perdonato;
ma Ulivieri incontro 'Astolfo disse
tanto che molto di ciò fu sdegnato;
e Carlo comandò che si seguisse
il bandocome Namo ha consigliato.
Gano avea detto solo una parola:
- Se t'ha smentitoimpiccal per la gola. -

18.

Poi che più Astolfo non vide rimedio
e che Rinaldo è sbandito da Carlo
si dipartì sanza più stare a tedio:
a Montalban se n'andava avvisarlo
che consigliato s'era porgli assedio
ed accordati poi di sbandeggiarlo;
e ciò ch'aveva detto a Carlo Mano
per suo consiglio il traditor di Gano.

19.
Rinaldo mille volte giurò a Dio
che ne farà vendetta qualche volta
di questo fraudolenteiniquo e rio
se prima non gli fia la vita tolta;
e poi diceva: - Caro cugin mio
so che tu m'amie pertanto m'ascolta:
io vo' che tutto il paese rubiamo
e che di mascalzon vita tegnamo;

20.
e se san Pier trovassimo a camino
che sia spogliato e messo a fil di spada;
e Ricciardetto ancor sia malandrino. -
Rispose Astolfo: - Perché stiamo a bada?
Io spoglierò Otton per un quattrino.
Doman si vuol che s'assalti la strada:
non si rispiarmi parente o compagno
e poi si parta il bottino e 'l guadagno.

21.
Se vi passassi con sua compagnia
sant'Orsola con l'agnol Gabrïello
che annunzïò la Virgine Maria
che sia spogliato e toltogli il mantello! -
Dicea Rinaldo: - Per la fede mia
che Dio ti ci ha mandatocar fratello:
troppo mi piacie savio or ti conosco.
Parmi mill'anni che noi siàn nel bosco. -

22.
Quivi era Malagigie confermava
che si dovessi far come egli ha detto.
Rinaldo gente strana raünava:
se sa sbandito ignungli dà ricetto;
gente ch'ognun le forche meritava
a Montalban rimetteva in assetto
donava panni e facea buone spese;
tanto che assai ne raünò in un mese.

23.
Tutto il paese teneva in paura;
ogni dì si sentia qualche spavento:
- Il tal fu morto in una selva scura
e tolto venti bisanti. - Al tal cento
insin presso a Parigi in su le mura. -
Non domandar se Gano era contento
acciò che Carlo più s'inanimassi
tanto che a campo a Montalbano andassi.

24.
E perché più s'accendessi Rinaldo
diceva a Carlo un dì: - La corte nostra
par tutta in ozio per questo ribaldo
che co' ladroni alle strade si mostra.
Io sono in questo proposito saldo
che si vorrebbe ordinare una giostra
per sollazzar la corte e 'l popol prima
e non mostrar far di Rinaldo stima. -

25.
Carlo gli piacque quel che Gan dicea
e fe' per tutto Parigi bandire
come il tal dì la giostra si facea:
che chi volessipotessi venire.
Tutta la corte piacer ne prendea.
Ganper potere ogni cosa fornire
e per parere a ciò di miglior voglia
in punto misse Grifon d'Altafoglia.

26.
Questo era della schiatta di Maganza.
Orlando s'era di corte partito.
Gan gli diceva: - O Grifon di possanza
poi che non c'è Rinaldoch'è sbandito
con tutti gli altri accettar dèi la danza
ch'Orlando non si sa dove sia ito. -
Grifon rispose al suo degno signore:
- Io farò sì ch'io vi farò onore. -

27.
Venne la giostra e 'l tempo diputato;
ed ordinò lo 'mperadorper segno
d'onore a quel che l'arà meritato
un bel carbonchio molto ricco e degno
che in un bel gambo d'oro era legato.
Fuvvi gran gente di tutto il suo regno
e molta baronia viene alla giostra;
Grifone il primo in sul campo si mostra.

28.

Rinaldo un giorno un suo falcon pascendo
ecco venire il fratel Malagigi
e come e' giunsediceva ridendo:
- Non sai tu come e' si giostra a Parigi?
Che tu vi vadi in ogni modo intendo
iscognosciutocon istran vestigi
ed una barba d'erba porterai
che cognosciuto da nessun sarai. -

29.
Tutto s'accese Rinaldo nel core
e missesi di sùbito in assetto
di sopravvested'arme e corridore
e disse: - Io intendo menar Ricciardetto
e d'Inghilterra il famoso signore.
Alardo rimarrà qui per rispetto. -
Missonsi in punto tuttie l'altro giorno
iscognosciuti a Parigi n'andorno.

30.
E solean questi sempre per antico
dismontare alla casa di Gualtieri
ovver di don Simonlor caro amico:
a questa volta trovorno altro ostieri
fuor di Parigich'era assai mendico:
quivi smontorno e missono i destrieri
per fuggire ogni tradimento reo;
e l'oste appellato è Bartolomeo.

31.
E poi Rinaldo Ricciardetto manda
in piazza per veder quel che faciéno.
Ricciardo aveva a traverso una banda
alla sua sopravvesta e al palafreno
e in certa parte una gentil grillanda
di fiorche quasi il petto gli copriéno;
di bianco drappo era la sopravvesta
a nessun mai più non veduta questa.

32.
Una grillanda aveva alla testiera
ed una in su la groppa del cavallo
di varii fiorcome è di primavera;
la coverta è di color tutto giallo.
Vide la giostra che cominciata era
né poté far non entrassi nel ballo;
e 'l primo ch'egli scontra in terra ha spinto
e poi il secondo e 'l terzo e 'l quarto e 'l quinto.

33.
Poi si partì e tornava al fratello
e disse ciò che al campo aveva fatto.
Rinaldoch'era armato come quello
e 'l duca Astolfo n'andaron di tratto;
e tutto il popol si ferma a vedello
perché parea nell'armi molto adatto.
Ulivieri era già venuto al campo
e con la lancia menava gran vampo.

34.
Rinaldocome giunseal suo Baiardo
una fiancata dètte cogli sproni;
vennegli incontra il marchese gagliardo;
non si conoscon questi due baroni;
due colpi grandi sanza alcun riguardo
a mezzo il corso dèttonsi i campioni:
le lance in aria pel colpo ne vanno
ma l'uno all'altro facea poco danno

35.
salvo che ginocchion vanno i destrieri;
e nel cader l'elmetto si dilaccia
al valoroso marchese Ulivieri
tanto che tutta scoperse la faccia.
Videl Rinaldoe fece assai pensieri
di darli morte e fuggir via poi in caccia;
pur si ritenne per miglior partito.
Ulivier si rizzò tutto smarrito.

36.
Allor Rinaldo un'altra lancia prese
e rivoltossi col cavallo a tondo;
vide venire un certo Maganzese
che si chiamava per nome Frasmondo:
sopra lo scudo la lancia giù scese
gittalo in terrae poi gittò il secondo
cioè Grifonch'avea molta possanza
ch'era mandato da Gan di Maganza.

37.
Quivi combatte il signor d'Inghilterra
ed or questoor quell'altro manda al piano:
molti n'aveva cacciati per terra.
Rinaldo guarda se cognosce Gano:
videlo un trattoe Baiardo disserra;
e come e' giunse al traditor villano
per fargli il giuocose potevanetto
gli pose alla visiera dell'elmetto.

38.

Gan si scontorse tutto in su l'arcione;
la lancia si spezzò subitamente
e 'l suo forte destrier Mattafellone
s'accosciò in terrase Turpin non mente.
E come e' fu caduto Ganellone
sùbito intorno gli fu molta gente
de' Maganzesie corsono aiutallo
e rilevato fu sù col cavallo.

39.
Quanti ne scontra Rinaldo quel giorno
tanti per terra par che ne trabocchi;
Alda la bella al cavaliere adorno
sempre teneva quel dì fiso gli occhi;
e quanti cavalier con lui giostrorno
parvon le lance gambi di finocchi;
tanto che molto piacque a Gallerana
ch'era con Alda e con Meredïana.

40.
Fatta la giostrafu dato l'onore
al buon Rinaldoche lo meritava.
Alda la bella al baron di valore
un ricco dïamante poi donava
dicendo: - Questo porta per mio amore. -
E Gallerana un rubin suo gli dava
tanto lor parve un cavalier possente.
Rinaldo gli accettò cortesemente.

41.
Tornossi all'oste di fuor della terra
Rinaldo con Astolfo e col fratello.
Ganperché avuta vergogna avea in guerra
vituperatodrento al suo cor fello
pensò di far con sua gente tal serra
al paladin ch'egli uccidessi quello
acciò che tanti cavalier prestanti
d'aver vinti quel giorno non si vanti.

42.
Sùbito fuor di Parigi son corsi
e giunti all'osteRinaldo trovaro
e cominciorno co' graffi e co' morsi
a volerlo atterrar sanza riparo:
così con esso a battaglia appiccorsi
tanto ch'Astolfo per forza pigliaro;
e con fatica Rinaldo è fuggito
con Ricciardetto che l'avea seguito.

43.
Gan fece 'Astolfo l'elmetto cavare
con intenzion di dargli poi la morte
ma saper prima ben d'ogni suo affare
e del compagno suo ch'è tanto forte.
Come il cognobbecominciò a parlare:
- Tu se' quel traditor che nostra corte
vituperasti sempre e Carlo Mano
e malandrin se' fatto a Montalbano!

44.
I tuoi peccati t'hanno pur condotto
dove tu mertise tu guardi bene
alla tua vitae pagherai lo scotto
di quel che hai fattocon affanni e pene. -
Astolfo per dolor non facea motto.
Gan di Maganza a Parigi ne viene
e giunto a Carlo tutto in volto lieto
gli dètte Astolfo in sua man di segreto.

45.
Questo facea perché non abbi aiuto
né per la via scoperto l'ha a persona
acciò che non sia tolto o cognosciuto;
e dice: - O Carlo Magnoalta corona
fallo impiccarché tu farai il dovuto:
alla sua vita mai fe' cosa buona;
se tu ragguardinel tempo passato
per mille vie le forche ha meritato. -

46.
Carlo lo fece mettere in prigione
per ordinar di farne aspra giustizia.
Mentre che questo ordinava Carlone
e Gan tutto era acceso di letizia
Rinaldoch'era pien di passïone
sentia d'Astolfo al cor molta tristizia
e pensa pur come e' possa aiutarlo
ché dicea: "Carlo Man farà impiccarlo".

47.
Orlando appunto a Montalban giugnea
quale era stato per molti paesi
e rivedere il suo cugin volea;
e Ricciardetto e lui truova sospesi.
Rinaldo poi d'Astolfo gli dicea:
or questo par ch'al conte molto pesi
ché in Agrismonte stato era di Buovo
e non sapea di questo caso nuovo.

48.

Ed accordossi con Rinaldo insieme
che non gli fia la vita perdonata;
e Malagigi ha perduta ogni speme
però che Carlo un'ostia consecrata
gli ha messo addossoché dell'arte teme
di Malagigie la prigion guardata
in modo avea che non si può aiutare
né con ingegni o spirti liberare.

49.
Diceva Orlando: - Io per me son disposto
insieme con Astolfo ire a morire. -
Disse Rinaldo: - Ed io. Facciàn pur tosto
però che non è tempo da dormire. -
Come il sol fu nell'occeàn nascosto
sùbito l'arme si fecion guernire
e Ricciardetto con seco menorno
e cavalcâr la notte insino al giorno.

50.
La mattina per tempo capitati
furon fuor delle porte di Parigi;
e non si sono a gnun manifestati
ma stettonsi nascosi in San Dionigi;
e certi vïandanti son passati:
Orlando drieto mandò lor Terigi
a domandar se novelle sapiéno
di cortee quel che i paladin faciéno.

51.
Fugli risposto: - Niente sappiàno
se non ch'egli è certo mormoramento
ch'un de' baroni impicca Carlo Mano
questa mattina per suo mancamento:
le forche qua su la strada veggiàno.
Altre novelle non sentimo drento. -
Terigi presto ritornava al conte
e di Parigi le novelle ha conte.

52.
Disse Rinaldo: - E' fa pur daddovero!
Ben debbe godere or quel traditore! -
Diceva Orlando: - E' fallerà il pensiero
se tu mi seguicugindi buon core. -
Disse Rinaldo: - Morir teco spero
e 'l primo uccider Carlo imperadore
prima ch'Astolfocome Gano agogna
vegga morir con tanta sua vergogna.

53.
Io trarrò a Gano il cuor prima del petto
ch'i' sofferi veder mai tanto duolo:
così la fedeOrlandoti prometto;
io verrò teco in mezzo dello stuolo
così sbanditosanza alcun sospetto
s'io vi dovessi morto restar solo. -
E così insieme congiurati sono
di mettersi alla morte in abandono.

54.
E stanno alla veletta per vedere
qualunque uscissi fuor della cittade;
così Terigich'era lo scudiere
aveva gli occhi per tutte le strade;
ognuno in punto teneva il destriere
ognun guardava come il brando rade.
Diceva Orlando a Terigi: - Sarrai
sul campanilee cenno ci farai.

55.
Ma fa' che bene in ogni parte guardi
acciò che error per nulla non pigliassi;
se tu vedessi apparire stendardi
o che alle forche nessun s'accostassi
sùbito il di': che noi non fussin tardi
che 'l manigoldo intanto lo 'mpiccassi.
Maa mio parersanza dimostrazione
s'ingegnerà mandarlo Ganellone. -

56.
Gan la mattina per tempo è levato
e ciò che fa di bisogno ordinava:
insino al manigoldo ha ritrovato;
non domandar come e' sollecitava.
I paladini ognun molto ha pregato;
ma Carlo chi lo priega minacciava
perch'ostinato era farlo morire
tanto che pochi volean contraddire.

57.
Avea molto pregato l'amirante
che con Erminïon si fe' cristiano:
questo era quel famoso Lïonfante
che prese Astolfo presso a Montalbano;
Meredïana pregava e Morgante;
ma tutto il lor pregare era alfin vano.
Gan da Pontieri in su la sala è giunto
dicendo a Carlo: - Ogni cosa è già in punto. -

58.

E taglia a chi pregava le parole
dicendo: - O imperadorsanza giustizia
ogni città le barbe scuopre al sole;
per non punire i tristi e lor malizia
vedi che Troia e Roma se ne duole;
e sanz'essa ogni regno precipizia.
La tua sentenzia debbe avere effetto
e non mutar quel ch'una volta hai detto. -

59.
Carlo rispose: - Gansia tua tal cura:
fa' che la giustizia abbi suo dovere;
quel che bisogna a tutto ben procura. -
Gan gli rispose: - E' fia fattoimperiere:
di questo sta' colla mente sicura.
S'Astolfo prima volessi vedere
ch'io il meni viail trarrò di prigione
per isfogarti a tua consolazione. -

60.
Rispose Carlo: - Fatelo venire. -
Astolfo innanzi a Carlo fu menato.
Carlo comincia iratamente a dire
poi ch'a' suoi pie' se gli fu inginocchiato:
- Come hai tu avutoAstolfotanto ardire
con quel ribaldo tristoscelerato
venire a cortee già circa a tre mesi
mettere in preda tutti i miei paesi?

61.
Perch'io avevo Rinaldo sbandito
quando io pensai tu mi fussi fedele
a Montalban con lui ti se' fuggito
e fatto un uom micidiale e crudele:
del tuo peccato è tempo sia punito
e dopo il dolce poi si gusta il fele.
Della tua morte e di tue opre ladre
non me ne increscema sol del tuo padre. -

62.
Otton fuor di Parigi doloroso
s'era fuggitoper non vedersolo
afflitto vecchio misero angoscioso
morir sì tristamente il suo figliuolo.
Astolfo allor col viso lacrimoso
rispose con sospiri e con gran duolo
e disse umilemente: - O imperadore
io mi t'accuso e chiamo peccatore.

63.
Io non posso negar che la Corona
non abbi offesa assai col mio cugino;
ma se per te mai cosa giusta o buona
ho fatto mentre io fui tuo paladino
per lunghi tempiCarloor mi perdona
per quel Gesù che perdonò a Lungino
pel padre miotuo servo e caro amico
se mai piaciuto t'è pel tempo antico

64.
pel tuo caro nipote e degno conte
per quel ch'io feci già teco in Ispagna
s'io meritai mai nulla in Aspramonte
per la corona tua famosa e magna.
E pur se morir debbo con tante onte
quel traditor ch'è pien d'ogni magagna
più ch'altro Giuda o che Sinon da Troia
per le sue man non consentir ch'i' muoia. -

65.
Carlo diceva: - Questo a che t'importa? -
Gan da Pontier gli volse dar col guanto;
me 'l duca Namo di ciò lo sconforta.
Astolfo fu da' Maganzesi intanto
preso e menato inverso della porta;
e tutto il popol ne facea gran pianto.
Uggier più volte fu tentato sciòrre
Astolfoe a Ganellon la vita tòrre;

66.
ma poi di contrapporsi a Carlo teme
e non pensò che rïuscissi netto.
I Maganzesi son ristretti insieme
perché de' paladini avean sospetto
e d'ogni parte molta gente preme.
Quel traditor di Gan per più dispetto
come un ladrone Astolfo svergognava
e 'l manigoldo pur sollecitava.

67.
Avea pregato Namo e Salamone
lo 'mperador che dovessi lasciarlo;
AvolioAvinoGualtier da Mulione
e Berlinghier si sforza di camparlo
dicendo: - Abbi pietà del vecchio Ottone
che tanto tempo t'ha servitoCarlo. -
Tutta la corte per Astolfo priega;
ma Carlo a tutti questa grazia niega.

68.

E finalmente a Gan fu consegnato
che facci che far dèe di sua persona.
Gan sopra un carro l'aveva legato
e 'n testa gli avea messa una corona
per traditoree 'l giubbon di broccato;
e gran romor per Parigi risuona;
ed un capresto d'oro gli avvolgea:
or questo è quel ch' 'Astolfo assai dolea.

69.
Fe' per Parigi la cerca maggiore
le trombe innanzi e stendardi e bandiere
minacciando e chiamandol rubatore.
Ma nondimen del signor del quartiere
e di Rinaldo temea il traditore
e tuttavolta gliel parea vedere.
Terigi presto del fatto s'accorse:
al conte tosto ed a Rinaldo corse.

70.
Orlando sopra Vegliantin s'assetta;
Rinaldo stacome suole il falcone
uscito del cappelloalla veletta.
Ma per aver più salvo Ganellone
che si scostassi di Parigi aspetta
tanto che fussi giunto allo scaglione
dicendo: - Quanto più si scosta Gano
tanto più salvo poi l'aremo in mano.

71.
Lasciàgli pure alle forche venire
che se noi gli assaltassin così tosto
nella città potrebbon rifuggire:
io vo' che 'l traditor tarpian discosto.
Astolfo in modo alcun non dèe morire:
noi giugneren più a tempo che l'arrosto.
Forse verrà a veder lo 'mperadore
e vo' colle mie man cavargli il core.

72.
I Maganzesi so che sgomberranno
come vedranno scoperto il quartieri
o 'l lïone sbarrato mireranno. -
Così si furno accordati i guerrieri
e come i can cogli orecchi alti stanno
per assaltare o lepretta o cervieri.
Gan traditor con molto oltraggio e pena
Astolfo inverso le forche ne mena.

73.
Non potre' dire il signor d'Inghilterra
come schernito sia da quella gente:
per non vederlagli occhi spesso serra
e come agnello ne venìa paziente
già tanto tempo in corte stato e in guerra
sì degno paladin tanto eccellente
morti a' suoi dì con le sue proprie mani
per salvar Carlomigliaia di pagani.

74.
Carlo imperadorquanto se' ingrato!
Non sai tu quanto è in odio a Dio tal pecca?
Non hai tu letto che per tal peccato
la fonte di pietà sù in Ciel si secca?
e con superbia insieme mescolato
caduto è d'Aquilon nella Giudecca
con tutti i suoi seguaci già Lucifero?
Tanto è questo peccato in sé pestifero.

75.
Tu hai sentito pur che Scipïone
sendo di senno vecchio e giovan d'anni
'Anibal tolse ogni reputazione
di che tanta acquistata avea già a Canni.
Furno i Romani ingrati alla ragione
onde seguiron poi sì lunghi affanni.
Questo peccato par che 'l mondo adugge
e finalmente ogni regno distrugge;

76.
questo peccato scaccia la giustizia
sanza la qual non può durare il mondo;
questo peccato è pien d'ogni malizia;
questo peccato a gnun non è secondo;
Gerusalem per questo precipizia;
questo peccato ha messo Giuda al fondo;
questo peccato tanto grida in Cielo
che ci perturba ogni sua grazia e zelo.

77.
Quel c'ha fatto per te già il paladino
credo tu 'l sappima saper nol vuoi
mentre che fu tra 'l popol saracino:
so che fra gli altri assai lodar quel suòi.
Non ti ricordifigliuol di Pipino
de' beneficie penter non val poi.
E pur se fatta ha cosa che sia atroce
del tuo Gesù ricòrdati già in croce

78.

che perdonava al popol che l'offende
raccomandàlo al Padre umilemente.
Astolfo in colpa ginocchion si rende
e chiede a te perdon pietosamente;
e pur se 'l giusto priego non t'accende
di grazia ti domanda finalmente
che per le man di Gan non vuol morire:
e tu nol vuoi di questo anche essaudire.

79.
E non sai ben chese quel guida a morte
Astolfocosì guida teCarlone
e' tuoi baroni e tutta la tua corte.
Fa' che tu creda sempre a Ganellone:
ben ti conducerà fuor delle porte
quando fia tempo ancorquesto fellone.
E pel consiglio suo ti fai crudele
e 'ngrato contro al servo tuo fedele.

80.
Astolfopoi che si vide condotto
presso alle forchee gnun per sé non vede
un pianto cominciò molto dirotto
quando in sul primo scaglion pose il piede
e' Maganzesi il sospignean di sotto;
e disse: - O Dioè spenta ogni merzede?
Non è pietà nel mondo più né in Cielo
pe' tuoi fedel che credon nel Vangelo?

81.
S'io ho tre mesi assaltata la strada
per disperato e pien di giusto sdegno
consenti tu ch'alle forche ne vada?
Io ho tanto assaltato il pagan regno
e tanti per te morti colla spada
che di misericordia ero pur degno.
Come un ladron m'impicca Carlo Mano;
e per più ingiuria il manigoldo è Gano:

82.
quel che t'ha fatti mille tradimenti
e mille e mille e mille alla sua vita
e tanti ha già de' tuoi cristiani spenti!
Ove è la tua pietàs'ella è infinita?
A questo modo ch'io muoia or consenti?
Per la tua deïtà ch'è in Ciel gradita
per la tua santa e glorïosa Madre
abbi pietà del mio misero padre

83.
se per me stesso non l'ho meritato
per le sue opre degne e giuste e sante.
Ma tu sai pur se pel tempo passato
combattuto ho nel Ponente e Levante:
tal ch'io pensavo d'avere acquistato
altra corona o carro trïunfante
altri stendardi di più gloria e fama:
or col capresto Gan ladron mi chiama. -

84.
Avino era venuto per vedere
quel che veder non vorrebbe per certo;
ma 'l grande amor lo sforzae più tenere
non poté il piantotanto avea sofferto.
Guardava Astolfo contro a suo volere
le forche in altoe 'l camin gli pare erto
e quanto può di non salir s'attiene
ché di morir non s'accordava bene.

85.
I Maganzesi gli sputan nel viso
come facieno a Cristo i farisei;
diceva alcun con iscorno e con riso:
- Or fien puniti i tuoi peccati rei!
Ricòrdati di me sù in Paradiso. -
Altri dicea come ferno i Giudei
mentre ch'ognun quanto può lo percuote:
- Dimmis' tu saichi ti batte le gote!

86.
Tu 'l doverresti saperpaladino
tu doverresti conoscer la mano
se se' profetaastrolago o indovino.
Che guati tu? Del senator romano
o che ti scampi il figliuol di Pipino?
Ch'aspetti tu? Il signor di Montalbano?
E' verrà a te quando a' Giudei Messia;
ed anco Cristo chiamò in croce Elia. -

87.
Era a vedere Astolfo cosa oscura;
e 'l manigoldo tirava il capresto
dicendo: - Vien sùcon buona ventura. -
E 'l traditor di Gan dicea: - Fa' presto. -
Astolfo avea della morte paura
perc'ha diciotto in volta e vanne il resto;
e tuttavia di soccorso pur guarda
e quanto più poteadi salir tarda:

88.

con le ginocchia alla scala s'appicca
e 'l manigoldo gli dava una scossa;
chi qualche dardo alle gambe gli ficca
ma sosteneva in pace ogni percossa:
malvolentier dagli scaglion si spicca
e cigolar si sentian prima l'ossa.
Pur per la forza di sopra e di sotto
sopra il terzo scaglion l'avean condotto.

89.
Diceva Gano: - Alla barba l'arai!
tira pur sùribaldo traditore
che più le strade non assalterai. -
Or questo è quel ch' 'Astolfo passa il core
e dicea: - Traditor non fu' già mai;
ma tu se' traditore e rubatore
e quel che tu fai a memeriti tue.
Ma contro al mio distin non posso piùe.

90.
Io non posso pensar come il terreno
non s'apre e non iscura sole e luna
poi ch'a tetraditor d'inganni pieno
m'ha dato così in preda la fortuna.
O crocifisso giusto Nazareno
non è nel Ciel per me difesa alcuna?
Questa è pur cosa dispietata e cruda
da poi che traditor mi chiama Giuda.

91.
Dove è la tua giustiziaSignor mio?
Non è per me persona che risponda?
Che questo traditor malvagio e rio
m'uccidae con parole mi confonda
nol sofferirbenigno etterno Iddio! -
E tanto sdegno nel suo core abonda
che con quel poco vigor che gli resta
si percotea nella scala la testa.

92.
Ma il manigoldo tuttavia punzecchia
ed or col piedeor col pugno lo picchia
quando nel volto e quando nell'orecchia;
e pure Astolfo meschin si rannicchia
e tuttavolta co' pie' s'apparecchia
di rappiccarsi a scaglione o cavicchia.
Ma con le grida la gente l'assorda;
e 'l manigoldo scoteva la corda;

93.
alcuna volta la gola gli serra:
non domandar s'egli era un nuovo Giobbe.
Un tratto gli occhi abbassava alla terra
ed Avin suo fra la gente cognobbe:
or questo è quel dolor che 'l cor gli afferra;
fece le spalle pel gran duol più gobbe;
raccomandògli sopra ogn'altra cosa
il vecchio padre e la sua cara sposa.

94.
Talvolta gli occhi volgeva a Parigi;
quando guardava inverso Montalbano:
non sa che 'l suo soccorso è in San Dionigi.
Diceva allor per dileggiarlo Gano:
- Che guardi tu? Se ne vien Malagigi?
E' fia qui tostoegli è poco lontano.
Perché con mecoAstolfocosì adiriti
che liberar ti farà da' suoi spiriti? -

95.
E nondimeno un'ostiacom'io dissi
gli avea cucito di sua mano addosso
nella prigionche caso non venissi
che Malagigi l'avessi riscosso
acciò che in ogni modo quel morissi.
Diceva Astolfo: - Omè! che più non posso
rispondertraditorquel che tu meriti
de' tuoi peccati pe' tempi preteriti! -

96.
Gan lo schernia di nuovo con parole
e pure al manigoldo raccennava;
e 'l manigoldo tira come suole.
Astolfo a poco a poco s'avvïava
però che solo un tratto morir vuole
e così finalmente s'accordava.
E' Maganzesi pur gridan dintorno
e sbuffan beffe con ischerno e scorno.

97.
Orlando in questo Astolfo in alto vide
e disse: - Tempo non è da star saldo:
non senti tu quel tumulto e le gride? -
e 'l simigliante diceva Rinaldo:
- Io veggo il manigoldo che l'uccide
e già il capresto gli acconciail ribaldo:
non aspettiàn che gli facci più ingiuria. -
Così di San Dionigi escono a furia.

98.

Rinaldo punse in su' fianchi Baiardo
che non si vide mai saltar cervietto
ch'a petto a questo non paressi tardo;
così faceva Orlando e Ricciardetto:
non è lïon sì presto o lïopardo;
Terigi drieto seguivail valletto.
Rinaldo scuopre il lïone sbarrato;
Orlando il segno ha del quartier mostrato.

99.
Astolfo pure ancora stava attento
come chi spera insino a morte aiuto:
vide costor che venien come un vento
non come strale o come uccel pennuto:
furno in un tratto i lupi tra l'armento
che quasi ignun non se n'era avveduto;
ma poi ch'Orlando e Rinaldo conosce
fu posto fine a tutte le sue angosce.

100.
E' parén proprio un nugolo di polvere;
giunse in un tratto la folgore e 'l tuono.
Il manigoldo si facea già assolvere
al duca Astolfoe chiedeva perdono
ché gli volea poi dar l'ultimo asciolvere;
e messo avea la vita in abbandono
e domandava di grazia che in modo
far gli dovessiche corressiil nodo.

101.
Guarda fortuna in quanta estremitate
condotto avea col capresto alla gola
il paladin di tanta dignitate
che non facea di morir più parola!
Avea mille vittorie già acquistate
e domandava ora una cosa sola:
che 'l manigoldo acconciassi il capresto
per modo che corressi il nodo presto.

102.
Giunto che fu tra' Maganzesi Orlando
- Ahpopol traditor! - gridava forte;
e misse mano a Durlindanail brando.
Rinaldo grida: - Alla mortealla morte! -
e poi si venne alle forche accostando;
trasse Frusbertae legami e ritorte
tagliò in un colpoe le forche e la scala
ed ogni cosa in un tratto giù cala.

103.
Mai non si vide un colpo come quello
tanto fu l'irala rabbia e 'l furore.
Astolfo cadde leggier come uccello
tanto in un tratto riprese vigore;
il manigoldo si spezza il cervello.
Gan da Pontier fuggivail traditore;
Avinche 'l videdrieto a lui cavalca;
ma non potieno uscir fuor della calca.

104.
Orlando è in mezzo di que' di Maganza
e mena colpi di drieto e davante
con Durlindanae faceva l'usanza:
quanti ne giugneal ciel volgon le piante.
E Ricciardettoch'ha molta possanza
molti n'uccide col brando pesante.
Come un leon famelico ognun rugge.
Gan da Pontier verso Parigi fugge.

105.
E' si vedea in un tratto sbaragliare
i Maganzesi e fuggir per paura
chi quachi làpur che possa scampare.
Trasse Rinaldo un colpo per ventura:
un Maganzese morto fe' cascare
e tolsegli il cavallo e l'armadura
e rassettava Astolfo d'Inghilterra;
e corron tutti poi verso la terra.

106.
E' Maganzesi innanzi si cacciavano
come il lupo suol far le pecorelle
e questo e quello e quell'altro tagliavano
e braccia in terra balzano e cervelle;
fino alle mura i colpi raddoppiavano
cacciando i brandi giù per le mascelle;
altri avén féssi insin sopra gli arcioni
chi insino al pettoe chi insino a' talloni.

107.
Astolfopoi ch'a caval fu montato
tra' Maganzesi a gran furor si getta
gridando: - Popol crudo e rinnegato
gente bestialeiniqua e maladetta
io ti gastigherò del tuo peccato! -
e con la spada facea gran vendetta
e molta avea di quella turba morta
prima ch'entrati sien drento alla porta.

108.

Ricciardetto era a Ganellone a' fianchi
e col caval lo seguia a tutta briglia:
dunque convien che 'l traditore arranchi
perché da lui non levava le ciglia.
Giunti in Parigi i baron degni e franchi
sùbito tutto il popol si scompiglia;
e come e' fu saputo tal novella
sùbito i paladin montorno in sella.

109.
Carlosentendo come il fatto era ito
e che in Parigi era Rinaldo e 'l conte
e come Astolfo è di sua man fuggito
con ambo man si percosse la fronte:
esser gli parve a sì tristo partito
che si fuggì per non veder sue onte
e la corona si trasse di testa
e 'ndosso si stracciò la real vesta.

110.
Era Rinaldo già in piazza venuto
col conte Orlandoe sollevato tutto
il popolche d'Astolfo gli è incresciuto;
e disïava Carlo sia distrutto
da poi ch'a Gano avea sempre creduto
e seguitato n'era amaro frutto.
Preso la piazzaal palagio corriéno
là dove Carlo Man pigliar crediéno.

111.
Dicea Rinaldo: - Ignun non mi dia impaccio:
io intendo a Carlo far quel ch'è dovere;
come vedete ch'io le man gli caccio
addossoognun da parte stia a vedere.
La prima cosa il vo' pigliar pel braccio
e levarlo di sedia da sedere;
poi la corona di testa cavargli
e tutto il capo e la barba pelargli;

112.
e mettergli una mitera a bendoni
e 'n sul carro d'Astolfo farlo andare
per tutta la cittàcome i ladroni;
e farlo tanto a Gano scorreggiare
che sia segnato dal capo a' talloni;
e l'uno e l'altro poi fare squartare
ribaldo vecchio rimbambito e pazzo! -
Così con gran furor corse al palazzo.

113.
Carlo la sala aveva sgomberata
perché e' conosce Rinaldo assai bene.
Vide Rinaldo la sedia votata;
sùbito fuor del palazzo ne viene
e per Parigi fece la cercata
e minacciava che chi Carlo tiene
nascoso o sa dove e' si sia fuggito
gliel manifesti: se nonfia punito.

114.
Carlo a casa d'Orlando per paura
s'era fuggitointeso la novella
come Rinaldo drento era alle mura;
e nascoso l'avea Alda la bella
che 'l dì venuta v'era per ventura;
e triema tuttavia questa donzella
che non vi corra il popol a furore
e che sia morto il vecchio imperadore.

115.
Gan si fuggiva innanzi a Ricciardetto;
ma poi che più fuggir non può il fellone
e già Rinaldo si vedeva appetto
al conte Orlando si dètte prigione.
E 'l conte Orlando rispose: - Io t'accetto
per far di te quel che vorrà ragione. -
Diceva Gano: - Io mi ti raccomando
che tu mi salvi almen la vitaOrlando. -

116.
Come e' fu preso il traditor ribaldo
ognun gridava: - Fagli quel che merta! -
Non si potea rattemperar Rinaldo
che lo voleva straziar con Frusberta
e come il veltro non istava saldo
quando la lepre ha veduta scoperta.
Diceva Orlando: - Aspetta d'aver Carlo
ch'io vo' in sul carro con esso mandarlo. -

117.
Per tutta la città tutto quel giorno
cercato fu di Carlo; e finalmente
non si trovandoal palagio n'andorno
e 'l conte Orlando è in suo luogotenente.
Alda la bella col suo viso adorno
la notte se n'andò celatamente
ed ogni cosa diceva al suo sposo
com'ella avea lo 'mperador nascoso.

118.

Orlando disse: - Fa' che tu lo tenga
celato tanto che passi il furore;
e fa' che in modo nessun non avvenga
che nulla manchi al nostro imperadore
acciò che ignun disagio non sostenga:
ch'egli è pur vecchioe mio padre e signore; -
così diceva - e fa' che sia segreto. -
Vedi s'Orlando nostro era discreto!

119.
E' gl'increscea di Carlo quanto puote
e di Rinaldo dubitava forte
e per pietà ne bagnava le gote
che non gli dessi alla fine la morte
perch'era vecchioe lui pur suo nipote
e sa che guasta sarebbe la corte.
Così furno alcun giorno dimorati
e' Maganzesi morti e chi scacciati.

120.
Rinaldo pure Orlando ritoccava
che si dovessi con ogni supplicio
uccider Ganché così meritava
e che dovessi a lui dar questo uficio.
Astolfo d'altra parte il domandava
di graziain luogo di gran beneficio
ché di sue ingiurie far volea vendetta.
Orlando rispondea che Carlo aspetta

121.
e che farebbe sì crudel giustizia
di lorch'ognun ne sarebbe contento.
Gan nel suo core avea molta tristizia
e dubitava di molto tormento
come colui ch'è pien d'assai malizia.
Orlandoch'era savio a compimento
e di Rinaldo conoscea l'omore
lasciava pur raffreddarlo nel core.

122.
Dopo alcun giornoquando tempo fue
gli cominciò così parlando a dire:
- Di Carloomaidimmiche credi tue?
Per disperato dovette morire;
ucciso si sarà colle man sue:
fuor di Parigi non si vide uscire.
E quel che più mi dà perturbazione
è che stanotte il vidi in visïone.

123.
E' mi parevaa vederlo nel volto
che fussi tutto afflitto e doloroso
di quel color ch'è l'uom quando è sepolto
la barba e 'l petto tutto sanguinoso
e tutto il capo arruffato e ravvolto;
e con un atto molto disdegnoso
mi guardassi nel viso a mano a mano
un crucifisso ch'egli aveva in mano.

124.
Dond'io n'ho tutto questo giorno pianto:
chécome desto fu'disparì via;
ed io temendo mi levaie 'ntanto
feci priego alla Vergine Maria
al Padreal Figlioallo Spirito santo
che 'nterpetrar dovessi quel che sia;
e parmi aver nella mente compreso
che Carlo è mortoe Cristo abbiamo offeso.

125.
Non si dovea però volerlo morto
però che pur tenuta ha la corona
già tanto tempoe pur si vede scorto
quanto Iddio amassi la sua stirpe buona
ché dal Ciel lo stendardo gli fu porto
che non fu dato al mondo mai a persona.
Temo ch'offeso non abbiam Gesùe
pe' suoi gran merti e per le sue virtùe.

126.
E credo che sarebbe utile ancora
che si mettessi per Parigi un bando
che chi sapessi ove Carlo dimora
o vivo o mortolo venga insegnando;
e come giusto imperador s'onora
che si venissi il sepulcro ordinando;
però che 'l Cielse ha conceputo sdegno
della sua mortemosterrà gran segno. -

127.
Quando Rinaldo le parole intende
subitamente nel volto cambiossi
e di tal caso sé molto riprende
dicendo: - Io non pensai che così fossi! -
E nel suo cor tanta pietà s'accende
che gli occhi già son lacrimosi e rossi
e disse: - Orlandoquel che detto m'hai
mi pesa troppoe dolgomene assai.

128.

Ma non credetti già che tanto male
di questo caso seguitar dovessi;
ma dopo il fatto il penter poi non vale.
A me par verisimil s'uccidessi
perché pursendo di stirpe reale
arà voluto uccidersi lui stessi
più tosto ch'altri vi ponessi mano
come d'Anibal sai che letto abbiàno.

129.
Mandisi il bandoal mio pareree tosto
che lo riveli sanza alcun sospetto
chi l'ha tenuto o tenessi nascosto;
però che di dolor mi s'apre il petto
e d'onorarloper Dioson disposto
siccome imperador magno e perfetto;
e sempre piagnerò questo peccato
e vo' al Sepulcro andarcome è trovato.

130.
E dico ch'a voler bene onorallo
e' si raguni tutto il concestoro
e che si facci sùbito scultallo
non di marmo o di bronzoanzi sia d'oro
con la corona sopra un gran cavallo
come ferno i Roman d'alcun di loro
e lettere scolpite etterne e salde
della sua gloria e fama e pregio e lalde;

131.
e come il Ciel già mandassi il vessillo
ch'è stato in terra assai più avventurato
che quel ch'a Roma riportò Camillo
allor che 'l Campidoglio era occupato. -
Orlandocome savioalquanto udillo;
poi prestamente il bando ebbe ordinato.
E come e' fu per tutto andato il bando
Alda la bella ne venne a Orlando

132.
e disse come Carlo in casa avea
e come per dolor non parea vivo.
Tutta la corte gran festa facea
perché credean di vita fussi privo;
Rinaldo molto lieto si vedea
accusando sé misero e cattivo;
e fu menato a corte a grande onore
e posto in sedia Carlo imperadore.

133.
Astolfo chiese a Carlo perdonanza
e Carlo perdonanza chiese a lui
ed accusava il conte di Maganza
dicendo: - Consigliato da quel fui. -
Quivi alcun giorno si fece l'usanza:
ognun si scolpa de' peccati sui
come nel dir seguente dirò in versi.
Guardivi il Ciel da tutti i casi avversi.



CANTARE DECIMOSECONDO


1.
fonte di pietàfonte di grazia
madre de' peccatornostra avvocata
di cui la mente mia mai non si sazia
di dir quanto tu sia nel Ciel beata
tu redemisti nostra contumazia
dal dì che 'n terra fusti annunzïata:
non mi lasciareo Virgine di gloria
tanto ch'i' possi ordinar questa storia.

2.
Troppo sarebbe lungo a dire in rima
di tanta gente appunto le parole;
e d'ogni cosa far non si dèe stima.
Rinaldo il traditor Gan morto vuole;
Carlo di grazia l'avea chiesto prima:
della qual cosa il popol se ne duole.
Pur lo lasciâr con questa condizione
che mai più in corte non istia il fellone.

3.
Rinaldo mal contento si ritorna
a Montalban con Ricciardetto insieme.
Ma 'l traditor di Ganche non soggiorna
e sempre inganni della mente preme
cominciò presto a ritrar fuor le corna:
perché Rinaldo non v'eranon teme;
e Carlo l'ha salvato dalla morte
ed or cacciare nol sapea di corte.

4.
E cominciò di nuovo a far pensiero
che Carlo gli credessi al modo antico
per distruggere alfin tutto il suo impero;
e Carlo ritornato è già suo amico
e ciò ch'è bianco gli pareva nero.
Diceva Gano: - Intendi com'io dico.
Se viver non vuoi sempre con vergogna
Rinaldo al tutto spegner ti bisogna. -

5.
Carlo diceva: - Alla fine io la lodo
perché tu vedi ben quel ch'e' m'ha fatto.
Ma non ci veggo ancor la via né 'l modo
e molte cose con meco combatto. -
Diceva il traditor pien d'ogni frodo:
- Io credo satisfarti a questo tratto.
Come scacciato da te me n'andròe
a Montalbano e secreto staròe;

6.
e manderotti lettere poi scritte
che parrà che sien fatte nella Mecche:
dirò che le mie gente sieno afflitte
e che punite omai sien tante pecche
e molte altre parole a te diritte:
ch'io vo' tornare a dir salamalecche
peccaviDominemiserere mei
delle mie colpe e de' processi miei.

7.
Tu mosterrai le lettere palese:
Rinaldo crederrà ch'io sia lontano
e ch'io non torni più in questo paese.
Un dì ch'egli esca fuor di Montalbano
sùbito insieme saremo alle prese
e so ch'io l'uccidrò con la mia mano;
e come morto fiasai che 'l tuo regno
sicuro è poi e tuimperator degno. -

8.

A Carlo piacque alfin questo consiglio
e fece vista Gan da sé scacciare.
Gan dètte presto a' suoi arnesi di piglio:
prima fingeva sé raccomandare;
Carlo mostrava con turbato ciglio
che 'n corte più non lo vuol raccettare
e che cercando sua ventura vada
e ritrovassi sùbito la strada.

9.
Partissi il traditor celatamente
e presso a Montalban fece un agguato;
e scrisse a Carlo come la sua gente
e lui in Pagania era arrivato;
e mostrava pregare umilemente
che perdonar gli debba ogni peccato;
e Carlo avea le lettere mandate
a Montalbanoe molto palesate.

10.
Rinaldo s'era un giorno dipartito
per passar tempo con un suo falcone
e Ruïnatto con lui era gito
verso Agrismontea lor consolazione.
E Ricciardetto un dì ne giva al lito
del fiumeove nascoso è Ganellone
in una valle ove è certo boschetto
presso a quel fiumeappiè d'un bel poggetto.

11.
E mentre in qua e 'n là s'andava a spasso
Gan si pensò che Rinaldo quel sia:
uscì del bosco con molto fracasso
ed assaltollo con sua compagnia
tanto che preso rimaneva al passo.
La notte inverso Parigi ne gìa
e dètte Ricciardetto preso a Carlo
ed ordinorno presto d'impiccarlo.

12.
Orlandopoi che questo fatto ha inteso
molto pregato avea lo 'mperadore
che non guardassi d'aver costui preso
e non gli facci oltraggio o disonore.
Carlo risposedi grande ira acceso:
- Io vo' impiccarlo come traditore
perché d'Astolfo impedì la giustizia
con esso insiemeper la sua nequizia. -

13.
Diceva Orlando: - E' non è ancora spento
il fuocoCarloch'arder potre' ancora.
Se tu l'uccidiio non sarò contento;
Rinaldo ne verrà sanza dimora.
Vedi che Gan già fatto ha tradimento
e sanza lui non puoi vivere un'ora. -
Carlo dicea: - Traditor non fu mai
e ci c'ha fatto è perché m'ama assai.

14.
E tu te l'hai recato in su le corna
tu e Rinaldoperch'egli è fedele
e dì né notte già mai non soggiorna
di spegner chi contro a me fu crudele. -
Partissi Orlandoestato un pocotorna
e disse: - Io giuro alle sante Evangele
che se tu uccidiCarloil mio cugino
io ti farò della vita tapino. -

15.
E trasse fuor la spada Durlindana
e colla punta una croce fe' in terra
e 'n su la croce poneva la mana;
e dipartissi ed uscì della terra.
Ma la regina savia Gallerana
pregava insieme col sir d'Inghilterra
e 'l duca NamoUlivieri e 'l Danese
ch'almen la morte gl'indugiassi un mese.

16.
Carlo le forche in sul fiume di Sena
fece ordinare e ciò che fa mestiero.
Gan traditor grande allegrezza mena
perché e' pensò rïuscissi il pensiero.
Tutta la corte di sdegno era piena.
Rinaldo e Ruïnatto il suo scudiero
intanto a Montalbano era tornato
e Ricciardetto suo non v'ha trovato;

17.
e scrisse 'Astolfo come il caso stava:
che l'avvisassi e stessi proveduto
però che molta gente ragunava
per dare a Ricciardetto presto aiuto.
Astolfo d'ogni cosa lo 'nformava
e come Carlo gli avea conceduto
un mese tempo a mandarlo alla morte;
ma duolsi sol ch'Orlando non è in corte.

18.

Or questo è quel ch'a Rinaldo dolea
che si fussi partito il conte Orlando
ché sanza lui di camparlo temea;
pur la sua gente veniva assettando.
E Galleranache gliene 'ncrescea
ogni dì Carlo veniva pregando
che Ricciardetto libero lasciassi
acciò che Orlando in corte ritornassi;

19.
e non tentassi tanto la fortuna
e non credessi tanto al conte Gano;
e se mai grazia far gli debbe alcuna
che Ricciardetto gli dessi in sua mano.
Ma non poteva ancor per cosa ignuna
rimuover dalla 'mpresa Carlo Mano.
Rinaldo pur quel che seguissi aspetta
e tuttavia la sua brigata assetta.

20.
Era già presso il giorno diputato
e Smeriglione e Vivian di Maganza
come Carlo avea detto hanno ordinato;
e Ganellone avea tanta arroganza
ch'ognun che priega è da lui minacciato:
lo 'mperador gli avea dato baldanza
tanto che Namo per nulla non v'era
e per isdegno n'era ito in Baviera;

21.
e Berlinghieri ed Ottone ed Avino
s'eron partitiAvolio e Salamone
e 'l figliuol del DaneseBaldovino
veggendo a Gano tanta presunzione.
Erminïonche fu già saracino
era con Carlo pien d'afflizïone
e l'amico d'AstolfoLïonfante
famoso e degno e gentile amirante.

22.
Èvvi Morgante con la damigella
Meredïana e col suo concestoro:
ognun di Ricciardetto assai favella
che Carlo a torto gli dava martoro.
Gan da Pontier sua baronia appella
quando fu tempoe comandava loro
che Ricciardetto sùbito legassino
e 'n sul fiume di Sena lo 'mpiccassino.

23.
Rinaldo era venutocome scrisse
Astolfoe con sua gente stava attento
aspettar che 'l fratel di fuor venisse.
Vide in un tratto gli stendardi al vento
prima che fuor Ricciardetto apparisse
e Smeriglion che si facea contento
e molto a quel mestier pareva destro
e 'l buon Vivianch'era l'altro maestro.

24.
Non aspettò che come Astolfo venga
fino alle forchema tosto si mosse
acciò ch'alcuno scherno non sostenga
che nella fronte sputato gli fosse:
verso la porta par che 'l camin tenga;
tra' Maganzesi in un tratto percosse;
e Ricciardetto suo fu sciolto presto
che come Astolfo al collo avea il capresto.

25.
Or qua or là si scaglia con Baiardo
e fece cose quel dì con Frusberta
che chi il dicessi fia detto bugiardo.
Ma come e' fu la novella scoperta
ognun fuggiva. In questo tempo Alardo
Ismeriglion colla zucca scoperta
trovavae con un colpo che diè a quello
gli partì il capo e féssegli il cervello.

26.
E poi si volse con molta tempesta
verso Vivian da Pontier ch'era presso
e colla spada gli diè in su la testa:
l'elmo e la cuffia insino al mento ha fesso.
Rinaldo a Gan terminò far la festa
e finalmente s'appicca con esso:
e 'n su 'n un braccio un colpo l'ha ferito
che cadde in terra pel duol tramortito;

27.
e fu portato come morto via.
E Ricciardetto sopra un destrier monta
che Smeriglione abandonato avia
e colla spada tra costor s'affronta:
e colpi e le gran cose ch'e' facìa
per non tediar chi legge non si conta.
Carlo era corso già insino alla porta:
vide Rinaldoe molta gente morta

28.

e disse fra suo core: "Io ho mal fatto:
ecco di nuovo il popol sollevato";
e fuor della città si fuggì ratto.
Rinaldo drento in Parigi era entrato
e grida: - Popolazzo vile e matto
come hai tu tanto oltraggio comportato?
A saccoa fuocoalla mortea furore! -
e misse tutto Parigi a romore;

29.
e cominciò in un certo borgo il fuoco
appiccaree rubar botteghe e case
tanto ch'a' parigin non parea giuoco:
non si facea qui le misure rase.
Così il furor cresceva a poco a poco
tanto che pochi drento vi rimase
sentendo - Al fuoco! - gridare e - Alla morte! -
e per paura uscien fuor delle porte.

30.
Non vi rimase un Maganzese solo
che non fuggissi per la via più piana;
e molto pianto si sentiva e duolo.
Ma la reina presto Gallerana
si misse in mezzo di tutto lo stuolo
e come saviabenigna ed umana
pregò Rinaldo che fussi contento
che 'l fuoco almen dovessi essere spento.

31.
Rinaldo aveva sentito ogni cosa
ciò che per Ricciardetto fatto aveva
l'alta reina degna e gloriosa:
sùbito un bando per tutto metteva
chepoi che piace alla donna famosa
ognun si posi; e 'l fuoco si spegneva.
Prese la terra quel giorno a suo agio
e Gallerana lo menò al palagio.

32.
E fu quel dì Rinaldo incoronato
ché contraddir non lo poté persona
e nella sedia di Carlo è posato
e messogli poi in testa la corona
e d'una vesta reale addobbato;
e di sua forza ognun quivi ragiona
perché egli aveva quel dì fatte cose
ch'a tutto il popol fur maravigliose.

33.
Gano in Maganza si fece ritorno;
benché portato vi fu come morto
dalle sue gente che l'accompagnorno.
A Gallerana non fu fatto torto;
ognun come a reina gli è d'intorno:
così Rinaldo comandava scorto
che fatto fussi alla reina onore
come se Carlo fussi imperadore.

34.
Vero è ch'un altro che ne scrive dice
che sùbito ne venne Malagigi
e menava con seco Beatrice
che di Rinaldo madre eraa Parigi
perché esser volea lei la 'mperadrice;
ma 'l prenze si ricorda de' servigi
e vuol che Gallerana sia in effetto
perché molto aiutato ha Ricciardetto.

35.
Tornò a Parigi Namo e Salamone
e Berlinghier famosoe Baldovino
ch'era figliuol del sir dello Scaglione;
tornò Gualtieri a cortetornò Avino
tornò con gli altri insieme il franco Ottone
e tutto quanto il popol parigino;
e Maganzesi ognun nettò la soglia
che non ve ne rimase seme o foglia.

36.
Fecionsi fuochi assai per la cittate
fecionsi giostre e balli e feste e giuochi;
furon tutte le dame ritrovate
e gli amadorche non ve n'era pochi;
tanti strambottiromanzi e ballate
che tutti i canterin son fatti rochi;
sentiensi tamburelli e zufoletti
lïuti ed arpe e cetre ed organetti.

37.
Era Rinaldo molto reputato
e più che fussi mai contento e lieto
se non ch'Orlando suo non v'ha trovato
dond'egli avea gran duol nel suo segreto.
Orlando con Terigi è cavalcato
più e più giorni già contra divieto
e 'nverso Pagania n'andava forte
con intenzion mai più tornare in corte.

38.

E tuttavolta piangea Ricciardetto
dicendo: "Io so che Carlo l'arà morto
ond'io n'ho tanto dolor nel mio petto
ch'io non ispero più trovar conforto;
e 'l traditor di Gan per mio dispetto
fia stato il primo a così fatto torto".
E 'l simigliante Terigi dicea
ché Ricciardetto troppo gli dolea.

39.
Avea già cavalcato più d'un mese
e finalmente in Persia si trovava;
e come e' fu condotto in quel paese
sentì che gran battaglie s'ordinava;
e poi ch'un giorno una montagna scese
una città famosa ivi mirava
là dove era assediato l'amostante
dal gran Soldano e da un fer gigante.

40.
Aveva una figliuola molto bella
che luce più che stella mattutina
l'amostantechiamata Chiarïella
tanta leggiadraaccorta e peregrina
che per amor di lei montato è in sella
il Soldan con sua gente saracina
per acquistarse puòsì bella cosa;
e 'l gran gigante non trovava posa

41.
ch'era detto per nome Marcovaldo
venuto delle parti di Murrocco
di gran prodezza e di giudicio saldo;
ma per amor di lei pareva sciocco
come chi sente l'amoroso caldo:
ché solea dare a tutti scaccorocco
ma tanto il foco lavorava drento
che per costei perduto ha il sentimento.

42.
Cavalcava una alfana smisurata
di pel morelloe stella aveva in fronte;
sol un difetto aveach'era sboccata
e pel furor gli par piano ogni monte:
arebbe corso tutta una giornata
tant'eran le sue membra forte e pronte.
Giunse Terigi e 'l figliuol di Mellone
dov'era del gigante il padiglione

43.
ch'era tutto di cuoio di serpente
con certi Macometti messi ad oro
con gran carbonchise Turpin non mente
zaffirbalascie valeva un tesoro.
Orlando al padiglion poneva mente
dove il gigante faceva dimoro
e stava tanto fiso a mirar questo
che Marcovaldo s'adirava e presto:

44.
perché e' giucava a scacchi a suo sollazzo
sì com'egli è de' gran signor costume.
Volsesie disse con un suo ragazzo:
- Chi è quel poltonier che tiene il lume?
Cacciatel viae' debbe essere un pazzo.
Donde è venuto questo strano agrume? -
Fu preso a Vegliantin tosto la briglia
ch'Orlando al padiglion tenea le ciglia.

45.
Terigiquando vide il saracino
ch'avea preso la briglia al conte Orlando
come fedele e servo al paladino
sùbito trasse alla testa col brando
e quel pagan gittava a capo chino
che le cervella fuor vennon balzando.
- Ah- disse Orlando - come bene hai fatto
a gastigarTerigiquesto matto! -

46.
Marcovaldo colui vide cadere:
maravigliossiché non parve appena
che Terigi il toccassi: - Ahpoltoniere! -
gridava forte - matto da catena! -
e poi si volse a un altro scudiere:
- Piglia quel - disse - e drento qua lo mena
ch'io non intendo sofferir tal torto
ch'egli abbi in mia presenzia colui morto. -

47.
Allora Orlando prese Durlindana
ché tempo non gli par di stare a bada
ed accostossi alla turba pagana:
Terigi s'arrostava colla spada.
Quanti ne giugnein terra morti spiana
tal che non v'è più ignun che innanzi vada:
Orlando a chi non era al fuggir destro
facea col brando il segno del maestro.

48.

Maravigliossi tanto il fer gigante
di quel che vide in un momento fare
al conte Orlando a' suoi occhi davante
che cominciò così seco a parlare:
E' basterebbe al gran signor d'Angrante,
che in tutto il mondo si fa ricordare,
quel ch'ha fatto costui qui col suo brando.
Della qual cosa molto rise Orlando.

49.
Fate venir - gridò - tosto mie armi
ch'io ho di questo fatto maraviglia.
Io vo' con questo cavalier provarmi
che tutta quanta mia gente scompiglia:
veggiàn se ardito sarà d'affrontarmi. -
E la sua alfana pigliò per la briglia;
prese una lancia e 'nverso Orlando corse
ma 'l buon Terigi del fatto s'accorse.

50.
A un pagan di man tolse una lancia
e disse: - Pigliapiglia tostoconte!
Le gentilezze son rimase in Francia.
Ecco il gigante che ti viene a fronte
né per vergogna arrossita ha la guancia
di venirti a trovarche pare un monte
tu con la spada e lui con l'aste in resta:
vedi che genteanzi canaglia è questa! -

51.
Rispose Orlando: - Sia quel ch'esser vuole
che in ogni modo non lo stimo un fico.
Vero ch'egli è sì grande che mi duole
ch'a pena gli porrò l'aste al bellico
ma il brando taglia pur come e' si suole:
con esso il tratterò come nimico. -
Terigi stava a diletto a vederlo
e Vegliantin ne va come uno smerlo.

52.
E poi in un tratto la lancia abbassava
e va inverso il pagan di buona voglia
e 'n su lo scudo basso lo trovava:
questo passò come fussi una foglia
e la corazza e lo sbergo passava
tanto che Marcovaldo ebbe gran doglia;
e ruppe la sua lancia a mezzo il petto
al contebestemiando Macometto.

53.
L'alfanache pel colpo ebbe paura
perché e' gli parve di molta possanza
era di boccacom'io dissidura:
sùbito fece col morso l'usanza
e cominciò a sgomberar la pianura.
Ma il conte Orlando seguiva la danza:
egli e Terigi i cavalli spronorno
e drieto a Marcovaldo s'avviorno.

54.
Poi che tutto ebbe attraversato il piano
giunse l'alfana appiè della montagna;
quivi alfin pur la ritenne il pagano
però che tutta di sudor si bagna.
Orlando grida: - Saracin villano
ben t'ho seguito per ogni campagna.
Questo è quel dì che ti convien morire:
volgiti indrietotu non puoi fuggire. -

55.
Sentendo il saracin così chiamarsi
volsesi indrieto e trasse il brando fore
e disse: - Al mondo ignun non può vantarsi
ch'io lo fuggissi per viltà di core.
Ma sappi che' rimedi son sì scarsi
di questa alfana a frenare il furore
quand'ella piglia colla bocca il morso
che insin dove tu vedi son trascorso.

56.
Ma tu se' qua condotto dove io voglio
e 'l tuo compagno ch'uccise il mio servo.
S'io son quel Marcovaldo ch'esser soglio
non lascerò a tagliarti osso né nervo:
a più di sette abbassato ho l'orgoglio;
e sempre col nimico questo osservo
ch'io non mi curo per la lancia in fallo
ma con la spada mi serbo ammazzallo. -

57.
Rispose Orlando: - Tu il di' per vergogna
ché tu rompesti un gambo di finocchio
a gran faticae scusa or ti bisogna;
ed ioch'allato a te paio un ranocchio
so che col ferro ti grattai la rogna
e corse il sangue più giù che 'l ginocchio.
Così t'avessi veduto la dama
che Chiarïella per nome si chiama! -

58.

Disse il pagano: - Or donde hai tu saputo
chi tenga del mio cor le chiavi e 'l freno?
Sappi che molte volte m'ha veduto
gittar più cavalier morti al terreno
e mai però di me non gli è incresciuto;
ma pur per compiacergli nondimeno
s'io gli credessi dar sollazzo e festa
di tepoltrongli manderei la testa. -

59.
Rispose Orlando: - E' fia più bel presente
la tuagigantech'è maggiore assai.
Oltreveggiam come sarai valente
e quel ch'a Chiarïella manderai. -
E Durlindana alzò subitamente
dicendo: - Or Macometto chiamerai! -
e diègli un colpo in su la destra spalla
che 'l fer gigante in qua e 'n là traballa;

60.
e fece lo spallaccio sfavillare
ma pure al taglio della spada resse.
E 'l saracin si volle vendicare
e par ch'un gran fendente al conte desse:
Orlando con lo scudo vuol parare;
ma la pesante spada e dura il fésse
e due parte ne fe'se 'l dir non erra
e l'una delle due balzava in terra.

61.
Orlando per grand'ira l'altra getta
e battélla al gigante nel mostaccio;
poi Durlindana in pugno si rassetta
e trasse un colpo al saracino al braccio
che benché l'arme assai fussi perfetta
parve che fussi di cera o di ghiaccio
e 'l braccio gli tagliò presso alla mano
tal che un gran mugghio metteva il pagano;

62.
e la spada e la man vide cadere
e cadde per dolor giù dell'alfana
e disse: - Io mi t'arrendoch'è dovere
ch'io veggo ogni speranza in Macon vana.
Per grazianon per mertocavaliere
dimmi se se' della legge cristiana
poi che tu m'hai così condotto a morte:
ch'io non trovai pagan mai tanto forte. -

63.
Disse Orlando: - Da poi che tu mel chiedi
per graziaio userò mia cortesia:
io sono Orlandoe questo che tu vedi
è il mio scudierch'è meco in compagnia.
Tu se' morto e dannatos' tu non credi
presto a Colui che nacque di Maria;
battézati a Gesùcredi al Vangelo
acciò che l'alma tua ne vadi in cielo.

64.
Macometto t'aspetta nello 'nferno
cogli altri matti che van drieto a lui
dove tu arderai nel foco etterno
giù negli abissi dolorosi e bui. -
Disse il pagan: - Laudato in sempiterno
sia Gesù Cristo e tutti i santi sui!
Io voglio in ogni modo battezarmi
e per tua manoOrlandocristian farmi.

65.
E ringrazio il tuo Diopoi ch'io son morto
per man del più famoso uom che sia al mondo:
s'io mi dolessiio arei certo il torto.
Battezami per Diobaron giocondo
ch'io sento già nel cuor tanto conforto
ch'esser mi par d'ogni peccato mondo. -
Orlando al fiume sùbito correa
trassesi l'elmo e d'acqua poi l'empiea;

66.
e battezò costui divotamente.
E come morto fusentiva un canto
ed angeli apparîr visibilmente
che l'anima portâr nel regno santo.
E d'aver morto costui fu dolente
e con Terigi faceva gran pianto;
e feciono una fossa addrento e scura
e dèttono a quel corpo sepultura.

67.
Ma una graziaprima che morisse
al conte chiese quel gigante ancora:
che se per caso già mai avvenisse
che parlassi a colei che lo innamora
che gli dicessi come il fatto gisse
e come sempre insino all'ultima ora
di Chiarïella e del suo amor costante
si ricordò come fedele amante;

68.

e che per merto di sì degno effetto
dovessi qualche volta venir quella
dove il suo corpo giaceria soletto
e chiamassi e dicessi: "Chiarïella
ti piangeMarcovaldo poveretto
qual ti parve nel mondo troppo bella":
ch'avea speranzase costei il chiamassi
che l'anima nel corpo ritornassi

69.
come fece appiè del gelso moro
Pirramoquando Tisbe lo chiamòe
ch'era già presso all'ultimo martoro
così fare egli. Orlando il confortòe
dicendo: - Io lo faròse pria non moro
ché alla città son certo ch'io n'andròe. -
E così fece a luogo e tempo Orlando
per venir sempre la sua fé servando.

70.
Terigi aveva veduto andar via
l'anima in ciel con molti angeli santi
sempre cantando dolce melodia:
tutto smarrito par ne' suo' sembianti
quando e' sentì dir: - SalveaveMaria -
con armonia celeste e dolci canti:
disse a Orlando: - Io ho invidia a costui
che come lui da te morto non fui.

71.
Da ora innanzi tra' pagani andiamo
ch'io non istimo più di stare in vita
pur che per la tua féCristomoiamo
poi che quell'alma vidi alla partita. -
Diceva Orlando: - Al campo ritorniamo:
questa novella non vi fia sentita;
non ci dèe riconoscer quella gente
né di costui non sapranno nïente. -

72.
Così pel mezzo del campo passaro
che conosciuti non fur da persona;
e 'nverso la città poi se n'andaro
dov'era l'amostante e sua corona
e del palazzo real domandaro;
poi inverso quello ognun di loro sprona
tanto che sono al palazzo arrivati
e innanzi all'amostante appresentati.

73.
A un balcon l'amostante si posa.
Chiarïellaveggendo il conte Orlando
ch'era più fresca che incarnata rosa
molto lo squadra e venìa rimirando
e dice al padre: - S' tu guardi ogni cosa
quando costor si vennono accostando
come stava costui sopra l'arcione
tutti i suoi segni son d'un gran barone.

74.
Così fussi egli Orlandoquel cristiano
c'ha tanta famacome e' par qui desso:
ché non saria pien di stendardi il piano
non ci starebbe il campo così appresso
ché non ci arebbe assediati il Soldano. -
Orlando udiva e ridea fra se stesso.
L'amostante parlò cortesemente:
- Ben sia venutocavalier possente;

75.
Macon sia sempre la vostra difesa.
Se voi cercate da me soldo avere
ché vedete il mio caso quanto pesa
io vel daròe più che volentiere.
Costor venuti son qua per mia offesa;
èvvi il Soldan con tutte sue bandiere
venuto qua del corno egizïano
e cuopre con sue gente il monte e 'l piano;

76.
e raccozzato ha qua tutto il Levante
e vuol per forza pur questa mia figlia;
e per ventura ci venne un gigante
che dà terrore a tutta mia famiglia:
sopra una alfana ognun si caccia avante
molto sboccatae corre a sciolta briglia;
e già delle mie gente ha strutte molte;
or va guastando tutte le ricolte. -

77.
Orlando disse: - Il gigante c'hai detto
non temer più che in su l'alfana vada;
non ti farà più dannoti prometto
non tornerà in suo regno o in sua contrada:
appiè della montagna al dirimpetto
oggi l'uccisi con questa mia spada;
io te lo dicoreper tuo conforto
che quel gigante giace in terra morto. -

78.

Non potea l'amostante creder questo
e domandava pur per più certezza:
- Di' ch'uccidesti il gigante molesto? -
Poi l'abbracciò per la molta allegrezza
dicendo: - Poco mi curo del resto. -
La damigella con gran tenerezza
corse abbracciare Orlando incontanente
ch'a dire il vero non gli spiacque niente;

79.
e men saria dispiaciuto a Rinaldo.
Dove se' tu, signor di Montalbano?
diceva Orlando. "Tu staresti saldo
s'ancor più oltre stendessi la mano".
- Dunque tu di' c'hai morto Marcovaldo-
disse la dama - cavalier sovrano?
Sia benedetto chi t'ingeneròe! -
e mille volte Macon ringraziòe.

80.
Avea già Chiarïella posto amore
al conte Orlandotanto gli è piaciuto
e già Cupido la saetta al core.
Or ritorniamo al Soldanc'ha saputo
che Marcovaldo è della vita fore
e gran dolor n'aveacome è dovuto
e 'l viso tutto di lacrime bagna
quando e' guardava inverso la montagna.

81.
Ma chi l'uccise saper non potea:
detto gli fu ch'egli era un vïandante
e questo verisimil non parea
sappiendo quanto era fiero il gigante.
E per ventura seco al campo avea
un savioantico e sottil nigromante
e disse: - Fa' ch'io sappi per tua arte
chi è colui ch'uccise il nostro Marte. -

82.
Il nigromante allorper ubbidire
ch'era maestro di somma dottrina
sùbito fece per arte apparire
quel che bisogna con sua disciplina:
trovò come un cristiano il fe' morire
che si facea di legge saracina
e come egli era col grande amostante:
così trovò chi avea morto il gigante.

83.
Quando il Soldano il nigromante udìo
dolor sì grande non sentì già mai
e disse: - O Macomettoo pazzo iddio
a tuo diletto consumato m'hai. -
E scrisse all'amostante il caso rio
dicendo: "Re di Persiatu non sai
che quel c'ha morto il gigante pagano
è quel ch'è teco; e sappi ch'è cristiano

84.
e qualche tradimento farti aspetta.
Da ora innanzise questo ti piace
io vo' di Marcovaldo far vendetta
e far con teco a tuo modo la pace".
La lettera suggella e manda in fretta.
All'amostante il caso assai dispiace
quando sentì come cristiano è quello
chiamandol traditorribaldo e fello;

85.
e la risposta faceva al Soldano
che vuol far pace e triegua a ogni modo
purché punito sia questo cristiano:
così la pace si metteva in sodo.
Poi prese Orlando un giorno per la mano
e disse: - Cavaliersappi ch'i' godo
ch'io ho col gran Soldan la pace fatta
e partirassi questa gente matta. -

86.
Orlando non pensava tradimento:
disse che molto se ne rallegrava
e di tal pace troppo era contento
dicendo: - Del tuo caso mi pesava;
or tutto alleggerito il cor mi sento. -
Poi l'amostante pel Soldan mandava;
e lui vi vennee montò presto in sella
per vedere anco la fanciulla bella.

87.
Segretamente il trattato ordinaro:
di pigliare il cristian preson partito
quando fia a letto e non arà riparo;
e così fu tra loro stabilito.
Venne la nottea letto se n'andaro.
Orlando alla sua camera n'è gito
e disarmossie crede esser sicuro:
ma non sapeva del suo mal futuro.

88.

Quando più fiso la notte dormia
una brigata s'armâr di pagani
ed un di questi la camera apria;
corsongli addosso come lupi o cani.
Orlando a tempo non si risentia
che finalmente gli legâr le mani
e fu menato sùbito in prigione
sanza ascoltarlo o dirgli la cagione.

89.
E dopo lui Terigi fu menato
e messi poi nel fondo d'una torre.
Orlando era di questo smemorato:
per quel che fussi non si sapea apporre
che l'amostante l'avessi ingannato;
ma disse: "E' mi vorrà la vita tòrre"
come nell'altro cantar vi fia detto.
L'angiol di Dio vi tenga pel ciuffetto.



CANTARE DECIMOTERZO


1.
Virgine sacrad'ogni bontà piena
madre di Quel per cui si canta osanna
Virgine puraVirgine serena
dammi la tua cotidïana manna;
colla tua mano insino al fin mi mena
di questa storiaché 'l tempo c'inganna
e la vita e la morte e 'l mondo cieco
sì ch'io faccia ascoltar ciascun con meco.

2.
La damigella con dolce parole
con motti ben cogitati e soavi
diceva al padre: - Così far si vuole
e punir sempre i frodolenti e pravi:
però di questo caso non mi duole.
E vo' che lasci a me tener le chiavi
e governargli e serrare ed aprire
acciò che non ci possa ignun tradire. -

3.
Di questo l'amostante s'allegròe
che quello uficio pigliassi la dama
e le chiavi a costei raccomandòe.
Or questo è quel che la donzella brama:
sùbito al conte Orlando se n'andòe
alla prigioneed umilmente il chiama
dicendo: - Cavalierdi te mi pesa
e ciò che vuoi farò per tua difesa. -

4.
Orlando quanto può costei ringrazia
e disse: - Dimmi: sai tu la cagione
perché il tuo padre in tal modo mi strazia
e messo m'ha di sùbito in prigione?
Di questo fa'per Diomia voglia sazia:
tra'mi di dubbio e di confusïone.
E s' tu non mi puoi trar di questa torre
non mi lasciar almen la vita tòrre. -

5.
Rispose Chiarïella al paladino:
- La cagion che 'l mio padre t'ha qui preso
è che 'l Soldano da un certo indovino
come tu sia cristian par ch'abbi inteso
benché tu mostri d'esser saracino;
e perché del gigante tiensi offeso
ha fatto pace col Soldano e saldo
di vendicarsi del suo Marcovaldo.

6.
Ogni cristian che uccide un affricante
secondo nostre legge morir debbe;
tu uccidesti adunque quel gigante:
la vita al nostro modo te n'andrebbe.
Ma perch'io t'ho già eletto per mio amante
tolsi le chiaviché di te m'increbbe;
e di morir non dubitare omai
ché tu se' salvoe libero sarai.

7.
Io ho tanto sentito ricordare
quel cavalier ch'Orlando è nominato
che sue virtù m'han fatta innamorare
e per suo amor non sarai abandonato.
Del nome tuodi me ti puoi fidare:
dimmelbaronch'assai mi sarà grato. -
Orlando rispondea: - Gentil madama
io son colui ch'Orlando il mondo chiama.

8.

Guarda dove condotto m'ha Fortuna
ch'appena il crederrai ch'io sia quel desso.
Io mi parti'né di mia gente alcuna
vollise non qui il mio scuedieroappresso;
ho cavalcato al sole ed alla luna:
ora il tuo padre a forza m'ha qui messo.
Ma se pensato avessi il tradimento
per lo mio Iddio non mi mettea qui drento.

9.
A te mi raccomandopoi ch'io sono
dove tu vedi; e fa' che 'l mio destriere
sia governato; e poi sempre ti dono
l'anima e 'l cuore e ciò ch'è in mio potere.
E vo' che 'ntenda ancor quel ch'io ragiono:
se tu potessi questo mio scudiere
in qualche modo di qui liberarlo
manderei per soccorso in Francia a Carlo. -

10.
Non poté sofferir che più parlassi
la damigellaudendo ch'era Orlando:
parve che 'l cor nel petto si schiantassi
per gran dolcezzae disse lacrimando:
- Io credo che Macon qua ti mandassi
per mio amor solma non so come o quando
ché sempre disïato ho di vederti.
Ma in altro modo qui vorrei tenerti.

11.
S'io dovessi il mio padre far morire
con le mie proprie mantu non morrai:
Amor comandaed io voglio ubbidire
che tu sia salvoe salvo te n'andrai;
quando fia tempoti saprò aprire.
E 'l tuo cavalcontento ne sarai;
e lo scudier fia franco a ogni modo
e che tu il mandi in Francia affermo e lodo. -

12.
Poi ch'ebbe Chiarïella così detto
lasciava Orlando e vanne al padre tosto
e dice: - Quel sergentepoveretto
si morrà certoché mi par disposto
di non voler mangiar: come folletto
gittato ha via ciò ch'io gli ho innanzi posto;
e colpa inver non ci ha da gnuna banda
ch'ubbidir dèe quel che 'l signor comanda. -

13.
Rispose l'amostante: - Mandal via:
se si morissee' ci sare' vergogna;
fa' che quell'altro ben guardato sia:
di questo non aremo altro che rogna. -
Disse la dama: - Per la fede mia
ch'io non so se farnetica o se sogna:
quand'io domandoe' guata come un matto
e non rispondeanco sta stupefatto. -

14.
E poi tornava alla prigion ridendo
e disse come il fatto era fornito.
Diceva Orlando con Terigi: - Io intendo
che presto insino a Carlo ne sia gito
e che tu meni Vegliantin commendo
e dica il caso come io son tradito
dall'amostante e truovomi in prigione
e quel che stato ne sia la cagione.

15.
Così a Rinaldo mio dirai ancora
a Ulivieri e tutta nostra corte
che mi soccorran prima che qua mora
ché tutti so poi piangerien tal morte. -
Terigi si partì sanza dimora;
sella il cavallo ed uscì delle porte;
e tanto cavalcò per monte e piano
che giunse ove non era Carlo Mano:

16.
perché e' pensava a Parigi trovarlo
ma col suo Ganellone era a Pontieri;
sentì come Rinaldo è fatto Carlo;
a lui n'andavae così a Ulivieri.
Rinaldocome e' giugnevaa guardarlo
sùbito pien fu di tristi pensieri
perché e' piangeva sì miseramente
che in modo alcuno non potea dir niente.

17.
Gridò Rinaldo: - Che è del mio cugino?
Tu debbi certo aver mala novella. -
Allor Terigi quanto puòmeschino
a gran fatica in tal modo favella:
- L'amostante di Persia saracino
l'ha incarceratoe guardal Chiarïella
una sua figlia nobile e gradita
quale ha promesso campargli la vita.

18.

Questo è perché egli uccise Marcovaldo;
onde il Soldano aveva un negromante
e che cristian quel fusse intese saldo
che l'avea morto; e fe' con l'amostante
la pace e' pattiil traditor ribaldo
che fussi preso il buon signor d'Angrante.
La notte tutti a due fumo legati
e in un fondo di torre incarcerati.

19.
Orlando s'accomanda a Carlo Magno
a teRinaldoovver santa Corona
al suo cognatoall'amicoal compagno
prima che così perda la persona.
Vedi che di sudor tutto mi bagno:
volato son non come fa chi sprona
tanto ch'i' son come tu vedi giunto.
Or tu se' savio e 'ntendi il caso appunto. -

20.
Alla sua vita tanto afflitto e gramo
non fu Rinaldo quanto a questa volta
e disse sospirando: - Di' tuNamo
ch'io ho già per dolor la mente stolta. -
Quel savio vecchio disse: - Noi intendiamo
s'io ho questa imbasciata ben raccolta
ch'aiutar ci bisogna Orlando presto.
Or ti dirò com'io farei di questo.

21.
Ogn'altro aiuto che lo imperadore
ed Ulivierialfin sarebbe vano
perché qui è la forza e 'l grande amore.
Direi che si mandassi a Carlo Mano
e che ritorniall'usatosignore
per la salute del popol cristiano;
e ciò che tu vorraicontento fia;
e voi n'andiate presto in Pagania.

22.
Astolfo sia gonfaloniere eletto
ché so che Carlo fia contento a quello
per quel c'ha fatto a lui e a Ricciardetto.
Gan sia sbandito all'usato e ribello. -
Rinaldoappena aveva Namo detto
che disse: - Così posto sia il suggello. -
Così da' paladin fu posto in sodo;
e scrisse un brieve a Carlo in questo modo:

23.
Perché se' vecchio, io t'ho pur reverenzia;
e 'ncrescemi tu sia sì rimbambito
ch'a Gan pur creda e la sua frodolenzia,
che mille volte o più t'ha già tradito
sanza trovar l'error suo penitenzia;
e per suo amor di corte m'hai sbandito:
Astolfo e Ricciardetto a mille torti
volesti uccider pe' suoi mal conforti.

24.
Degno saresti d'ogni contumace;
ma perché mio signor fusti già tanto,
io ti perdono, io fo con teco pace,
e 'l tuo pristino imperio giusto e santo
ti rendo e la corona, se ti piace,
e' tuoi baroni e 'l tuo reale ammanto,
la sedia tua, l'antico e degno scetro,
sanza più ricercar del tempo addietro.

25.
Sappi ch'Orlando è preso in Pagania;
vieni a Parigi tuo liberamente;
ed Ulivieri ed io di compagnia
soccorrer lo vogliàn subitamente.
Astolfo tuo gonfalonier qui fia.
Quel traditor non vo' qua per nïente.
Gallerana reina è riservata,
come fu sempre, e da tutti onorata.

26.
La lettera suggella e manda il messo;
sùbito a Carlo Man si rappresenta.
Carlo fu lieto e in ordine s'è messo:
Gan nel suo petto par che assai duol senta.
Tornò a Parigie 'ncontro venne a esso
tutta la corteassai di ciò contenta
e tutti l'abbracciavan lacrimando;
e gran lamento si facea d'Orlando.

27.
Quivi piangeva il marchese Ulivieri
né riveder credea più il suo cognato;
piangeva Astolfo e 'l valoroso Uggieri
e Salamon pareva smemorato;
piangeva Baldovino e Berlinghieri;
ma il savio Namo ognuno ha confortato.
Rinaldo con solenne e degno onore
ripose in sedia il magno imperadore.

28.

Poi misse al suo cavallo il fornimento;
ed Ulivier con lui volle partire;
Terigi s'assettava in un momento;
e Ricciardetto disse: - Io vo' venire. -
Rinaldopoi ch'e' vuolne fu contento.
Ognun pur si voleva profferire
ma 'l prenze non volle altri per compagno.
Così si dipartîr da Carlo Magno;

29.
e fecion sopravveste divisate.
E cavalcando per la Spagnaun giorno
il re Marsilio e certe sue brigate
in un bel piano a cavallo scontrorno;
e con parole saracine ornate
come fur presso a luilo salutorno.
Disse Marsilio al prenze: - Il tuo cavallo
troppo mi piaces'a me vuoi donallo.

30.
Questo mattino mi venne in visione
ch'io guadagnavo sì nobil destriere.
Se me lo doniper lo iddio Macone
tu mi trarrai fuor d'uno stran pensiere
cioè di non aver meco quistione:
però fa' gentilezzacavaliere;
ché purs'altro rimedio a ciò non veggio
combatterolloe tu n'andrai col peggio. -

31.
Disse Rinaldo: - E' fu già temporale
che si fossi il destrier di chi il sognava:
chi possedeva quella cosa tale
qual fosse per quel sogno gliel lasciava;
onde un borgesenon ti dico quale
un paio di buoi dormendo imaginava
d'un suo vicinche gli teneva cari
e volevagli pur sanza danari

32.
anzi voleva pagarlo di sogni.
Colui dicea: "Del mio gli comperai
e così credo ch'a te far bisogni
se non ch'alfin sanz'essi te n'andrai".
Mentre che par che in tal modo rampogni
si ragunò dintorno gente assai;
e non sapendo solver la quistione
n'andorno di concordia a Salamone.

33.
E Salamoneperch'era sapiente
con questi due se n'andò sopra un ponte
e fevvi i buoi passar subitamente;
e poi si volse con allegra fronte
a quel che gli sognò disse: "Pon mente:
vedi tutte le lor fattezze pronte
laggiù nell'acqua?"; e l'ombra si vedea
di que' buoi che colui sognati avea.

34.
Disse colui: "E' paion proprio i buoi
ch'io vidi". E Salamon risposeil saggio:
Tu che sognasti, tò'gli, ché son tuoi;
colui che gli pagò, dè' aver vantaggio:
non bisogna sognargli, ché son suoi.
Così sta la bilancia di paraggio.
Così dich'io a tenotapagano
che 'l mio cavallo arai sognato invano.

35.
Se volessi altro dirdel campo piglia;
questo destrier si sia di chi il guadagna. -
Il re Marsilio si fe' maraviglia;
disse: "Questo è da bosco e da campagna;
non ho nessun qui tra la mia famiglia
ch'avessi tanto ardirné in tutta Spagna
quanto ha costui; e mostra esser uom forte";
poi gli rispose: - Oltreio ti sfido a morte. -

36.
Rinaldo non istette a parlar troppo:
le redine girò del palafreno;
poi ritornava per dargli d'intoppo:
facea tremare il ciel non che il terreno
perché Baiardo non pareva zoppo.
Diceva alcundi maraviglia pieno:
- Sarebbe questo del cristian concilio
che così fiero va a trovar Marsilio? -

37.
Quando Marsilio vide il cavaliere
fra sé diceva: "AiutamiMacone!
ché poco val qui contro al suo potere
allegar Trismegisto o vuoi Platone".
La lancia abbassa e pugneva il destriere:
a mezzo il petto di Rinaldo pone;
e benché il colpo fussi ostico e crudo
ruppesi in pezzi l'aste nello scudo.

38.

Rinaldo alla visiera pose a quello
e fece fuor balzar tante faville
che mai non ne fe' tante Mongibello:
are' quel colpo gittati giù mille;
l'elmo rimbomba e 'ntronava il cervello;
e sanza fare al testo altre postille
Marsilio rovinò giù dell'arcione;
e fu pur sogno il suonon visïone;

39.
e disse: - Dimmiper la tua leanza
chi tu se'cavalierper cortesia
ché mai più vidi a uom tanta possanza. -
Disse Rinaldo: - Per la testa mia
io tel diròperch'io non ho dottanza:
non guarderò s'i' sono in Pagania.
Sarà quel ch'esser può: franco pagano
sappi che 'l signor son da Monte Albano. -

40.
Ed alzò la visiera dello elmetto
per dimostrar che non avea paura.
Disse il pagano allor: - Per Macometto
ogni suo sforzo in te mostrò Natura. -
Dicea Rinaldo: - E questo è Ricciardetto;
andiàn cercando la nostra ventura;
questo è Terigid'Orlando scudieri
e questo è il nostro famoso Ulivieri.-

41.
Marsilio guarda questi compagnoni;
disse: - Voi siete così travisati
voi mi paresti quattro ragazzoni:
non vi conobbiin modo siete armati.
Ben posson sicuri ir questi campioni;
e' ci sarà degli altri arreticati
che rimarranno a questa retestimo.
Dimmi s'i' sonRinaldostato il primo. -

42.
Disse Rinaldo: - Il primoper mia fé
da poi che tu domandiio ti rispondo;
e stato è buon principio un tanto re;
ma qualcun altro ancor sarà il secondo.
Or se tu vuoi il caval ch'io non ti diè
perché tanto il tuo nome suona al mondo
io tel daròmagnanima Corona. -
E poi soggiunse: - E l'arme e la persona. -

43.
Marsilio era uom generoso e discreto;
molto gentil risposecome saggio:
- Io non son ragazzin d'andarti drieto.
S'io lo togliessiio farei troppo oltraggio
però che 'l tuo valor non m'è segreto
ch'io n'ho veduto a questa volta il saggio;
e 'l sogno è verch'acquistato ho il destriere
poi che mel dài; ma non sognai cadere.

44.
E vo'Rinaldouna grazia mi faccia:
che meco venga a starti a Siragozza
co' tuoi compagni; e ciò non ti dispiaccia
benché a te nostra terra parrà sozza
né creder ch'a Parigi si confaccia
dove ogni gentilezza si raccozza;
pur qualche giorno ti darò diletto
quant'io potròper lo dio Macometto. -

45.
Rinaldo disse: - Tanta cortesia
per nessun modoreconfonder voglio.
Ma s'io t'ho fatto al campo villania
di questo quanto posso or me ne doglio
e dicone mia colpa o mia pazzia
ché così far per certo mai non soglio:
non ti conobbi allorpel mio Gesùe. -
Disse il pagan: - Di ciò non parlar piùe;

46.
non ti bisogna di ciò scusa prendere:
usanza è dimostrar la sua prodezza
e sempre non si può di pari offendere.
Bench'io cadessi per la tua fierezza
io ne volevo in ogni modo scendere. -
Rinaldo rise di tal gentilezza
e disse: - La risposta tua significa
quanto la tua Corona è in sé magnifica. -

47.
Rimontò a caval Marsilio allora.
Così Rinaldoperché e' n'era sceso
come colui che' suoi maggiori onora.
Marsilio per la man poi l'ebbe preso
ed Ulivier volea pigliare ancora
ma Ulivier s'è scusato e difeso;
e poi che i convenevoli fatti hanno
inverso Siragozza se ne vanno.

48.

E dismontati al palazzo reale
Marsilio sempre tenne per la mana
Rinaldo per le scale e per le sale.
La sua figliuoladetta Lucïana
ch'ogn'altra di bellezza assai prevale
fecesi incontra benigna ed umana
e salutò Marsilio e' suoi compagni
con atti onesti e grazïosi e magni.

49.
Né prima questa Rinaldo vedea
che si sentì da uno stral nel core
esser feritoe con seco dicea:
Ben m'hai condotto dove vuoi, Amore,
a Siragozza a veder questa iddea
che più che 'l sol m'abbaglia di splendore;
e rispondeva al suo gentil saluto
quel che gli parve che fussi dovuto.

50.
Quivi alcun giorni dimorâr contenti.
Non domandar se Cupido gualoppa
di quadi là con suoi nuovi argomenti;
e la fanciulla serviva di coppa
Rinaldo sempree' begli occhi lucenti
alcuna volta con esso rintoppa:
or questo è quel che come zolfo o esca
il foco par che rinnalzi ed accresca.

51.
Mentre che sono in tal consolazione
un messaggiero al re Marsilio venne
e gettasegli in terra ginocchione
e dice come un gran caso intervenne:
che morti ha cinquecento e più persone
un gran caval co' denti e colle penne
ch'era sfrenatoe fu già di Gisberto
e pareva un demòn là in un deserto.

52.
Noi savàn cinquecento cavalieri-
diceva il messo - e giunti alla montagna
fumo assaliti da questo destrieri:
non si potea fuggir per la campagna;
missesi in mezzo fra' tuoi cavalieri.
Non fu mai lupo arrabbiato né cagna
che così morda e divori ed attosche;
né anco i calci suoi paion di mosche.

53.
Io il vidio re Marsiliorizzar dianzi
ed accostarsi a un pagano appetto
e poi menar delle zampe dinanzi:
che pensi tu ch'e' gli dessiun buffetto
da far cadergli di capo due schianzi?
E' gli schiacciò le cervella e l'elmetto
e balzò il capo più di dieci braccia.
Pensa co' pie' di drieto s'egli schiaccia!

54.
Se dà in quel muro una coppia di calci
e' farà rovinar questo palagio.
Io feci presto mazzo de' miei salci
ché lo star quivi mi parve disagio
però che contro a lui poco arme valci
tanto superbo parbravo e malvagio:
sanza pietà mi pareva Brïusse.
Io mi fuggi'ch'attorno andavon busse.

55.
Né credo che vi sia campato un solo;
e 'l tuo nipote vidi morire io
afflittopoverettocon gran duolo. -
Quando Marsilio queste cose udìo
che così tristamente tanto stuolo
vi fussi morto: - O Macon nostro iddio-
dicea piangendo - come lo consenti
che così sien distrutte le tue genti?

56.
Questi eran purMaconde' tuoi pagani
che così morti son come tu vuoi.
Sares' tu mai d'accordo co' cristiani?
Ma se tu se'che arai tu fattopoi
che tutti saren morti come cani?
Arai fatti morir gli amici tuoi;
sarai tenuto alfin pur tu crudele
poi che fia spento il popol tuo fedele. -

57.
Rinaldo vide Lucïana bella
dolersi con parole inzuccherate;
verso Marsilio in tal modo favella:
- Manda con meco delle tue brigate
un che m'insegni questa bestia fella.
Non ti doler delle cose passate:
que' che son mortiIddio gli facci sani.
Vedrai ch'io l'uccidrò con le mie mani.

58.

Tra pazzi e pazzo e bestie e bestia fia
ché ci è ben di due gambe bestie ancora:
forse a qualcuna uscirà la pazzia. -
Il re Marsilio consentì allora
quantunque far gli parea villania
ché di Rinaldo suo già s'innamora;
e dèttegli alla fine un suo valletto;
ed Ulivier volle ire e Ricciardetto.

59.
Volevalo Marsilio accompagnare.
Rinaldo disse: - Io non voglio altro meco -;
se non che ancor Terigi volle andare
ché sa ch'egli è suo debito esser seco.
Vedevasi Rinaldo sfavillare
come volea colui ch'è pinto cieco.
Dicea Marsilio: - Io priego il nostro Iddio
che t'accompagnicar Rinaldo mio. -

60.
Rinaldo se ne va verso il diserto
e 'l messaggier mostrò dove e' credea
che sia il cavalbenché nol sappi certo.
Rinaldo allor di Baiardo scendea.
In questo il gran destrier si fu scoperto
che già pel bosco sentiti gli avea.
Ma quel pagancome vide il cavallo
sopra un gran cerro terminò aspettallo

61.
ed anco s'arrecò sù bene in vetta.
Disse Ulivier: - Per Diotu mi par pratico:
a questo modo ogni animal s'aspetta. -
Disse il pagano: - Egli è pazzo e lunatico
e so quel che sa far colla zampetta.
Questo è colpo di savio e di gramatico:
saprò me' dir poi come il fatto è ito
al mio signor: però son qui salito. -

62.
Ricciardettoveggendo il saracino
che come il ghiro s'era inalberato
diceva: - Esser vorrebbe un orsacchino
che insin costì t'avessi ritrovato. -
Disse il pagan: - Va' pure a tuo cammino:
il giuoco netto piace in ogni lato.
Io temo il danno e 'l pentersi da sezzo;
della vergognaio mi vi sono avvezzo. -

63.
Come Baiardo il caval bravo vede
non l'arebbon tenuto cento corde:
a guisa di battaglia lo richiede;
corsegli addosso e tempestava e morde;
e l'uno e l'altro si levava in piede:
parean le voglie lor del pari ingorde;
chi annitriscechi soffia e chi sbuffa;
e per due ore o più durò la zuffa.

64.
Rinaldo un poco si stette a vedere;
ma poiveggendo che 'l giuoco pur basta
e che co' morsi quel bravo destriere
e colle zampe Baiardo suo guasta
dispose fare un colpo a suo piacere;
e mentre che Baiardo pur contasta
dètte a quell'altro un pugno tra gli orecchi
col guantotal che non ne vuol parecchi;

65.
e cadde come e' fussi tramortito.
Baiardo si scostòch'ebbe paura.
Gran pezzo stette il cavallo stordito;
poi si riebbee tutto s'assicura.
Rinaldo verso lui presto fu gito
prese la bocca alla mascella dura
missegli un morso ch'aveva recato;
e quel cavallo umìle è diventato.

66.
Maravigliossi Terigi e 'l marchese.
Rinaldo sopra Baiardo montava
né per la briglia il caval bravo prese
ché come un pecorin drieto gli andava.
E 'l saracin del cerro allora scese
ch'a gran fatica ancor s'assicurava
tenendo sempre in cagnesco le ciglia
e di Rinaldo avea gran maraviglia.

67.
Per Siragozza fuggiva la gente
come Rinaldo fu drento alla porta;
ma quel caval se n'andava umilmente.
Fu la novella a Marsilio rappôrta:
venne a vedere; e la dama piacente
di questo palafren già si conforta
e domandò con parole leggiadre
che gliel donassin Rinaldo e 'l suo padre.

68.

Rinaldoche gli avea donato il core
ben poteva il caval donare a quella.
Trovossi un fornimento al corridore;
Rinaldo addosso gli pose la sella
e lasciossi trattar dal suo signore
come si mugne una vil pecorella;
poi vi montavae preso in man la briglia
gli fe' far cose che fu maraviglia.

69.
Un giorno ancora insieme dimoraro
ch'Amor pur lo tenea legato stretto;
poi da Marsilïon s'accomiataro.
Marsilio consentirgli fu costretto
quando sentì d'Orlando il caso amaro
e ciò ch'aveva gli offerse in effetto.
La damigella sospirò alquanto
dinanzi al padre; ma poi fe' gran pianto;

70.
ed ogni giorno con seco piangea
ch'era già tutta di Rinaldo accesa.
Ventimila baron gli profferea
dovunque egli volessia sua difesa;
e ringraziata Rinaldo l'avea
e nel partir molto il suo cor palesa:
- Quando fia tempo- disse - per lor mando:
e sempredamaa te mi raccomando. -

71.
Passoron tutta la Spagna costoro
ed arrivorno un giorno in un gran bosco;
gente trovorno ch'avean gran martoro.
Dicea Rinaldo: - Nessun ci conosco. -
A sé chiamava un vecchio barbassoro
ch'era tutto turbato in viso e fosco
e disse: - In cortesiadi' la cagione
che voi parete pieni d'afflizione. -

72.
Rispose il barbassoro: - Tu il saprai
perché si fanno qui questi lamenti.
Noi siàn d'una città che tu vedrai
tostoche miglia non ci è lungi venti:
Arma si chiamacome intenderai;
tutti siamo scacciati e mal contenti
sanza sperar che nulla ci conforti
se non che insieme piangiam mille torti.

73.
Nostro signor si chiama il re Vergante
più crudele uom che forse al mondo sia:
non crede in Cristoe meno in Trivicante.
Questo ribaldo per sua tirannia
le nostre figlie ha tolte tutte quante
per isforzarlee noi cacciati via;
ed ogni dì fa dare aspro martìre
a quelle che non voglion consentire. -

74.
Rinaldo gli dispiacque tal matera;
partissi e seguitò la sua giornata
e lascia il barbassor che si dispera
con l'altra gente così sconsolata.
Alla città s'appressa in su la sera;
verso la porta la briglia ha girata
e disse: - Andiamo a veder questo fatto:
forse che far si potrebbe un bel tratto. -

75.
Giunti alla terraa un oste n'andorno
che tutto pien si mostrava d'affanno;
della cagion del fatto domandorno:
costui contò del lor signor lo 'nganno;
tanto che tutti si maravigliorno
come sofferto sia questo tiranno.
Venne la cenae furono onorati
e' lor cavalli e lor ben governati.

76.
Parve a Rinaldo l'oste un uom dabbene
e 'ncrebbegli sentendo una sua figlia
il re Vergante ha tolta a forza e tiene;
e diceva: - Ostesare' maraviglia
s'io dessi al re Vergante tante pene
ch'al popol tutto asciugassi le ciglia? -
e cominciava l'oste a confortare;
com'io dirò nel seguente cantare.



CANTARE DECIMOQUARTO


1.
Padre del cielo e Re dell'universo
sanza il qual non si muove in aria foglia
non mi lasciar perduto ire a traverso
mentre ch'ancora è pronta la mia voglia;
poi che tu m'hai cantando a verso a verso
condotto in sino al mezzo della soglia
con la tua man mi guida a salvamento
insino al porto con tranquillo vento.

2.
L'oste rispose: - Chi la mia vendetta
facessiadorerei sempre per santo. -
Disse Rinaldo: - Domattina aspetta
e tutti a riposar ci andiamo intanto;
come fia giornoi destrier nostri assetta:
vedrò s'io dico il vero o s'io mi vanto. -
Così Rinaldo se n'andava a letto;
e fecee rïuscigliun bel concetto.

3.
La mattina per tempo fu levato.
L'oste i cavalli apparecchiati aveva
e da costor non volle esser pagato
ma di sua povertà lor proffereva:
guata Rinaldo ed Ulivieri armato
e molta ammirazion seco prendeva
ché gli pareva ognun fiero e gagliardo
e Vegliantin vagheggiava e Baiardo.

4.
Rinaldo se n'andò verso il palazzo;
al re montava il baron valoroso;
era a vederlo tutto il popolazzo.
Quivi sentiva un pianto doloroso
delle donzelle. Il re superbo e pazzo
vide costoroe tutto disdegnoso:
- Chi siete voi- domandava Ulivieri
- così presuntüosi cavalieri? -

5.
Rinaldo gli rispose: - La risposta
farò io per costui che tu domandi. -
E poi che presso alla sedia s'accosta
disse: - Per certo di te fama spandi;
non so come il Ciel facci tanta sosta
ch'a Belzebù giù in bocca non ti mandi:
della tua tiranniacan traditore
dieci leghe lontan mi venne odore. -

6.
Era la sala piena di pagani;
non gli rispose alcunch'avieno sdegno
e divorato l'arien come cani
quel signor tristo d'ogni morte degno.
Rinaldo seguitò: - Con le mie mani
per gastigarti solVergantevegno:
ciriffo sonoe per divino effetto
mi manda in questa parte Macometto.

7.
Adulterosfacciatoreoribaldo
crudo tirannoiniquo e scelerato
nato di tristo e di superchio caldo
non può più il Ciel patir tanto peccato
nel qual tu se' pure ostinato e saldo
lussurïosoporcosvergognato
poltrongaglioffopoltoniere e vile
degno di star col ciacco nel porcile!

8.

Dunque tu porti in testa la corona?
Va' mettiti una miteraghiottone
nimico d'ogni legge giusta e buona
in odio a Dioal mondoalle persone.
Ben verrà la saettaquando e' tuona
perché e' non paghi il sabbato Macone
e 'l fuoco etterno rigido e penace
lupo affamatoperfidorapace.

9.
Non pensi tu che in Ciel sia più giustizia
malfussoladrostrupatore e mecco
fornicatoreuom pien d'ogni malizia
ruffianbriccone e sacrilego e becco?
Non potrebbe scusar la tua tristizia
d'una parola sol la voce d'Ecco:
tener le nobil donne saracine
virgini e 'ntatte per tue concubine!

10.
E batterle ogni dì sì aspramente
ch'io non so a chi pietà non ne venissi
s'alcuna pur di lor non ti consente
e come il centro non s'apre e gli abissi! -
Vergante uscito parea della mente;
ognun tenea a Rinaldo gli occhi fissi
e dicean molti: "Costui vien da cielo
ché ciò che diceogni cosa è il Vangelo".

11.
Non sapea che si dir Vergante; e tanto
multiplicò la furia e la tempesta
che Rinaldo lo prese dall'un canto
e la corona gli strappò di testa
e tutto gli stracciò il reale ammanto;
ognuno stava a veder questa festa;
poi lo portò tra quella gente pazza
e d'un balcon lo gittò in su la piazza.

12.
Tutti color che l'avevon veduto
a gran furore sgomberati la sala
dicendo: "Da Macon questo è venuto!".
Beato a chi poté trovar la scala!
Rinaldocome savio uomo ed astuto
che le parole e l'opere sue insala
sùbito andò dove le damigelle
avea sentite battermeschinelle

13.
e vide ch'eran dispogliate ancora
e tutto il dosso vergheggiato aviéno.
Partissi e del palagio usciva fora
e vide il popol d'allegrezza pieno
e come volentier ciascun l'onora
che tutti reverenzia gli faciéno;
ed accostossi ove era alcun barone;
poi cominciò questa degna orazione:

14.
Quel vero Iddio che fece prima Adamo
poi pel peccato suo volle morire
perché allo 'nferno dannati savamo
(e non si può con ragion contraddire)
benché alcun saracin mi fe' richiamo
del vostro requi m'ha fatto venire
per liberar non sol le figlie vostre
ma perché a gire a lui la via vi mostre.

15.
La qual voi avete per certo smarrita
per lunghi tempi; e Macon falso e rio
conoscerete dopo la partita.
Ma 'l mio Gesùbenigno e giusto Iddio
per la sua carità ch'è infinita
perché egli è grazïoso e santo e pio
alluminar vi manda e darvi segno
ch'alfin v'aspetta nel suo etterno regno.

16.
Non ha voluto comportar l'oltraggio
che vi faceva il signor vostro a torto:
questo esser debbe a ogni savio un saggio
di sua potenziapoi ch'io l'ho qui morto
nella presenzia del suo baronaggio:
da Lui sol venne l'aiuto e 'l conforto
Lui mi diè forza che così facessi
e fe' che ignun non si contrapponessi;

17.
Lui vi spiròpotete intender certo
ch'alla giustizia dar dovessi loco
però che troppo l'aveva sofferto;
ed or per trarvi dello etterno foco
vuol ch'io vi mostri il vostro errore aperto
nel qual cresciuti siete a poco a poco.
Però tornate tutti al cristianesimo
ché non si può in Ciel ir sanza battesimo. -

18.

Finite le paroleil popol tutto
cominciava a gridare a una boce:
- Sia benedetto chi il tiranno ha strutto
ch'è stato a' suoi suggetti tanto atroce!
E poi che dè' seguirne un maggior frutto
adorian tutti Quel che morì in croce.
Dicci il tuo nomesol tutti preghiamo
e poi per le tue man ci battezziamo:

19.
ché poi che morto hai il traditor ribaldo
vogliamper sempiterna tua memoria
un simulacro farti d'oro saldo
dove sia disegnata questa istoria. -
Rispose il prenze a tutti: - Io son Rinaldo
da Montalbanche v'ho data vittoria;
ed or v'arreco l'ulivo e la pace
dal mio Gesùche d'adorar vi piace. -

20.
Allora il popol cominciò a gridare:
- Viva Rinaldoe viva il tuo Gesùe!
Ognun qui t'ha sentito ricordare
già mille volte per le virtù tue. -
E così cominciava a battezzare
Rinaldo alcun baron con le man sue;
ognuno a' pie' suoi ginocchion si getta
e 'l primo voleva esser per la fretta.

21.
In pochi dì fur tutti battezzati.
L'abergator che ritenne costoro
quanto poteva più gli ha ringraziati.
Questa novella sentì il barbassoro
e gli altri che Rinaldo avea trovati:
alla città venien sanza dimoro;
e 'l barbassoro avea nome Balante
e molto gaudio avea del re Vergante.

22.
Or chi vedessi quelle damigelle
venirsi a battezzar divotamente
e quanto allegre parevano e belle
di lor s'innamorrebbe certamente:
elle parien del ciel le prime stelle;
le madre e' padriognun n'era gaudente.
Gran festa si facea per la cittade
e le castella e l'altre sue contrade.

23.
Il barbassoro della gran foresta
diceva al prenze: - Quanto ti so grado
ch'a quel ribaldo rompesti la testa!
Sappi ch'i' son di nobil parentado:
ogni cosa sia tuo ch'è in mia potesta. -
Dicea Rinaldo: - Intender mi fia a grado
questa città quanti uomini farebbe
da portare arme qual si converrebbe. -

24.
Rispose il barbassoro: - Questa terra
ha sotto sé cinqu'altre gran cittate:
centomila pagan faran da guerra
sanza molte castella e le villate;
io so che la mia lingua in ciò non erra
ma tu potrai veder le schiere armate. -
Rinaldoudendo ciò che quel dicea
a Gesù Cristo grazia ne rendea.

25.
E stettesi alcun giorno a riposare
Rinaldo e' suoi compagni allegramente.
Il popol lo voleva incoronare
ma Rinaldo non volle per nïente
dicendo: - In libertà vi vo' lasciare;
e 'l signor vostro è Cristo onnipotente. -
Poiquando un tratto vide tempo ed agio
il popol ragunò tutto al palagio;

26.
e ragunatofece parlamento
e disse: - Or che di voi fidar mi posso
io vo' che voi intendiate a compimento
per che cagion di Parigi son mosso
e perch'io vivo nel cuor mal contento
d'un peso che mi grava insino all'osso:
l'amostante di Persia ha imprigionato
il mio cugin ch'Orlando è nominato.

27.
Vorrei che mi facessi compagnia
tanto ch'Orlando mio si rïavessi. -
Poi che finita fu la diceria
fu commesso a Balante che dicessi
e che per parte della baronia
ciò che chiedea Rinaldo gli offeressi.
Allor Balante ritto si levòe
e come savio a parlar cominciòe:

28.

Rinaldopoi che liberati ci hai
da Maconda Vergante e dallo 'nferno
non pensi tu che noi siàn tutti omai
sempre tuoi servi e schiavi in sempiterno?
Ciò che domandia tuo piacere arai
ed ora e semprevivendo in etterno:
faccisi tosto come vuoi la 'mpresa
ché di tal caso a tutti assai ne pesa. -

29.
Rinaldo ringraziava tutti quanti.
E poi per tutti i paesi n'andava
subitamente messaggieri e fanti
e molta gente tosto s'ordinava.
Vennono a corte a Rinaldo davanti:
in men d'un mese vi si raccozzava
novantamila cavalieri armati
e tutti in guerra ben disciplinati.

30.
E poi vi venne due giganti fieri
con diecimila armati in sull'arcione
in punto ben di ciò che fa mestieri
che rinnegato avien tutti Macone;
e servivon Rinaldo volentieri
l'uno e l'altro gigante o torrïone;
de' quali aveva l'un nome Corante
e l'altro s'appellava Lïorgante.

31.
Costuiche molto amò già il suo signore
poi che vide Rinaldo che l'ha morto
non poté far non si turbassi il core
e disse con Balante: - E' morì a torto;
e perché io fui suo amico e servidore
mal volentier questo oltraggio comporto
né posso far ch'i' non ne pigli sdegno.
Per la mia nuova fécon voi non vegno. -

32.
Disse Rinaldo: - E' sarà forse il vero
che meco non verraicome tu hai detto
e morto resteraigigante fero
ché tu non credi in Cristo o in Macometto. -
Era il gigante superbo e leggiero
e disse: - S'io ti piglio pel ciuffetto
io ti farò sentir ch'io son gigante
e forse vendicato fia Vergante. -

33.
La poca pazïenzia s'accozzòe
di Rinaldo e 'l gigante appunto bene:
Rinaldo la sua spada fuor tiròe
ed una punta crivellando viene
tanto che in mezzo il petto gliel cacciòe
e rïuscì di drieto per le rene;
né poté Lïorgante alzar la mazza
ché come un pollo morto giù stramazza;

34.
e parve che cadessi una gran torre.
La gente corse a sì fatto romore
e domandava ognun che quivi corre:
- Che vuol dir questo? - e 'nteso poi il tinore
dicevan tutti: - E' non vi si può apporre
poi che Vergante amavail traditore
e dicea che fu a torto il dì ammazzato. -
Così Rinaldo assai fu commendato.

35.
Poi col consiglio del savio Balante
Rinaldo a Siragozza un messo manda
a Lucïana famosa e prestante
e quanto più potea si raccomanda
che venga presto con sue gente avante
e di tal cosa romor non ispanda;
che si ricordi quel ch'ella ha promesso.
E in pochi giorni compariva il messo.

36.
E Lucïana il vide volentieri
e disse al padre quel che scrive il prenze.
Disse Marsilio: - Che' tuoi cavalieri
tu metta in punto e tutte tue potenze;
ch'io arò sempre in tutti i miei pensieri
Rinaldo nostro e sue magnificenze:
troppo mi piacquon l'opre sue leggiadre. -
E così in punto si misson le squadre.

37.
Diceva Lucïana: - Io voglio ancora
che mi conceda che con essi vada;
e se per me il tuo sangue non si onora
non mi lasciar mai più portare spada;
ma questa è quella volta che rinflora. -
Disse Marsilio: - Fa' come t'aggrada
pur che e' si faccia piacere a Rinaldo
ché di servirlo son più di te caldo. -

38.

Diceva la fanciulla a Balugante:
- O Baluganteio vo' che meco vegna
con questa gente ch'io meno in Levante
acciò che sia quest'opera più degna. -
Egli rispose: - Pel mio Trevicante
volentier ne verrò sotto tua insegna. -
Così furno ordinati prestamente
ventimila a caval di buona gente.

39.
Così la dama da Marsilïone
si dipartì co' cavalieri armati;
e per insegna nel suo gonfalone
eron due cuori insieme incatenati;
e portò seco un ricco padiglione
del qual saranno assai maravigliati
ché non si vide mai simile a quello
tanto era lavorato ricco e bello.

40.
E 'n pochi giorni volava la fama
al prenzecome e' vien la damigella:
subitamente molti baron chiama
e fece i principal montare in sella
e così incontro n'andarno alla dama
Rinaldocome appariva la stella
dicea: "Rinato è Cristo veramente
ché apparita è la stella in orïente".

41.
Giunse la donnae 'n terra è dismontata:
della qual cosa Rinaldo si duole
ché la sua gentilezza è superata;
dismonta prestoe con destre parole
si scusae parte la fanciulla guata
come sta fissa l'aquila nel sole;
e dè' pensar che la dama il saluta
e ch'e' rispose: - Tu sia ben venuta. -

42.
Rimontati a cavaltutti n'andorno
nella città con festa e con onore;
e poi ch'al gran palagio dismontorno
disse la dama: - O mio caro signore
io t'ho arrecato un padiglione adorno
il qual sempre terrai per lo mio amore:
con le sue mani l'ha fatto Luciana
contesto d'oro e seta sorïana. -

43.
E fecelo spiegare in sua presenzia.
Quando Rinaldo il padiglion vedea
maravigliossi di tanta eccellenzia
e disse: - Certoio non so qual iddea
avessi fatto tal magnificenzia
se fussi Palla. - E grazia gli rendea
dicendo: - Per tuo amor tal padiglione
sempre terròché così vuol ragione. -

44.
Egli era in questo modo divisato:
in su la sala magna fudisteso
in quattro parteov'era figurato
quattro alimenti; e 'l primo parea acceso
ch'era per modo ad arte lavorato
che si sare' per vero fuoco inteso
pien di faville e raggi fiammeggianti
ch'ognuno abbaglia che gli sta davanti.

45.
Quivi eran certi carbonchi e rubini
che campeggiavan ben con quel colore
certi balasci e granati sì fini
che in ogni parte rendeva splendore.
Quivi eran cherubini e serafini
come è nel foco dello etterno amore.
Quivi è la salamandra ancor nel foco
che si godea contenta in festa e 'n gioco.

46.
Nella seconda parte è l'aire puro
azurro tuttoe 'l ciel con ogni stella
la luna e 'l sole e Venere e Mercuro
e Giove appresso e Vulcan che martella;
Saturno e Marte in aspetto più duro
dodici segni ed ogni cosa bella
che tutto non è tempo a raccontare.
Poi gli uccèi sotto si vedean volare.

47.
L'aquila in alto con sue rote andava
guardando fiso il solcom'ella è avvezza
tanto che 'l sol le penne gli abbruciava
e rovinava in mar giù dell'altezza;
quivi di nuove penne s'adornava
e riprendeva poi sua giovinezza.
E la nuova fenicecome suole
portava il nido alla casa del sole;

48.

ed avea tolto incenso e mirra prima
e cassia e nardo e balsamo ed amomo
ed arsa e poi rinata in su la cima.
Quivi è il falcon salvatico e quel domo
e l'un par che' colombi molto opprima
e l'altro fa con l'aghiron giù il tomo.
Quivi è l'astor col fagianoe 'l terzuolo
che drieto alla pernice studia il volo.

49.
Quivi era lo sparvierquivi la gazza
che par che si volessi inalberare
e mentre che fuggìaforte schiamazza;
quivi è l'allodoletta a volteggiare
e drieto il suo nimico che l'ammazza;
e lo smeriglio si vede squillare
di cielo in terrae la rondine ha innanzi
e par che l'uno all'altro poco avanzi.

50.
Quivi si vede i gru volare a schiera
e quel che va dinanzi par che gridi;
e l'oche han fatto alla fila bandiera
e come questi par che l'una guidi.
Quivi è la tortoletta a primavera
e par che 'n verdi rami non s'annidi
più non s'allegri e più non s'accompagni
e sol nell'acqua torbida si bagni.

51.
Quivi si cava il pellican del petto
il sanguee rende la vita a' suoi figli;
èvvi l'ostardo e la starnain sospetto
ch'ogni uccel che la vede non la pigli;
e 'l nibbio si vagheggia a suo diletto
a ogni mosca chiudendo gli artigli;
e gira l'avoltoio e l'abuzzago
e 'l gheppio molto del vento par vago.

52.
Ed anco il milïon si va aggirando
e la ghiandaia va faccendo festa
e la gazza marina vien gridando
e scende in basso con molta tempesta;
e la cutretta la coda menando
si vedee rizza la pupa la cresta;
quivi si pasce di sogni il moscardo
perché e' non è come il fratel gagliardo.

53.
Il picchio v'erae va volando a scosse;
che 'l comperò tre lireè pocoun besso
perché e' pensò ch'un pappagallo fosse:
mandollo a Corsignanpoi non fu desso
tanto che Siena ha ancor le gote rosse.
Quivi è il rigogolettoe 'l fico appresso;
e 'l pappagalloquel che è daddovero
ed èvvi il verde e 'l rosso e 'l bianco e 'l nero.

54.
Gli stornelletti in frotta se ne vanno
e tutti quanti in becco hanno l'uliva;
le mulacchie un tumulto in aria fanno;
la passer v'èmaliziosa e cattiva
e par sol si diletti di far danno;
e 'l corbocome già dell'arca usciva;
èvvi il fatappio ed èvvi la cornacchia
che garre drieto agli altri uccelli e gracchia.

55.
Quivi superbo si mostra il pagone
e grida come gli occhi in terra abbassa
garzetto e l'anitrella e 'l grande ocione;
quivi la quagliache pareva lassa
volando d'una in altra regïone;
quivi è l'oca marina che 'l mar passa;
l'anitra bianca e 'l maragon calarsi
pareache in giù volassin per tuffarsi.

56.
L'acceggiala cicogna e 'l pagolino
la gallinella con variate piume
l'uccel santamaria v'era e 'l piombino;
e 'l bianco cignoche dorme in sul fiume
parea che fussi alla morte vicino
però cantassicome è suo costume;
quivi col gozzo e col gran becco aguzzo
si vedea l'anitroccolo e lo struzzo;

57.
barattolegermani e farciglioni
altri uccèi d'acquaio non saprei dir tanti;
certi ugelletti che si dice alcioni
che fanno al mar sentir lor nidi e canti;
altri uccellacci chiamati griccioni:
lungo sarebbe a contar tutti quanti
che stan per fiumi e per paludi e laghi
perché de' pesci e dell'acqua son vaghi;

58.

e 'l marin tordo e 'l bottaccio e 'l sassello
la merla nera e la merla acquaiuola
poi la tordela e 'l frusone e 'l fanello
e 'l lusignuolch'ha sì dolce la gola;
e 'l zigolo e 'l bravieri e 'l montanello
avelia e capitorza e sepaiuola
pincione e niteragno e pettirosso
e 'l raperugiolche mai intender posso.

59.
Quivi era calandra e 'l calderino
e 'l monacoche è tutto rosso e nero
e 'l calenzuol dorato e il lucherino
e l'ortolano e 'l beccafico vero
insino al re delle siepe piccino
la cingallegrail luìil capinero
e pispolcodirosso e codilungo
ed un uccel che suol beccare il fungo.

60.
Rondoni e balestrucci eran per l'aria.
Poi in altra parte si vedea soletta
la passer penserosa e solitaria
che sol con seco starsi si diletta
a tutte l'altre nature contraria.
Èvvi il cuculio con sua malizietta
che mette l'uova sue drento alla buca
della sua baliache è detta curuca.

61.
E 'l pipistrello faceva stran volo;
e degli uccèi notturni sbandeggiati
l'alloccoil barbagianni e l'assïuolo
civetta e gufo e gli altri sventurati:
non ne mancava al padiglione un solo
di que' che fur nell'arca numerati.
Ultimamente v'è il cameleone
bench'alcun dice vi fussi il grifone.

62.
Vedeasi in mezzo rilucente e bella
nella sua sedia Giunon coronata
e Deiopeia e l'altre intorno a quella
e molto dalle ninfe era onorata.
Eol parea che tentassi procella
e che picchiassi la porta serrata
e Noto ed Aquilon già fuori usciéno
ed Orïon d'ogni tempesta pieno.

63.
Poi si vedeva Dedalo che 'l figlio
avea smarritoe batteasi la fronte
ché non credette al suo savio consiglio;
vedesi il curro abandonar Fetonte
e 'l fero Scorpio mostrargli l'artiglio
e come e' par che in basso giù dismonte
e la terra apre per l'ardor la bocca
e Giove il fulminava della ròcca.

64.
La terza parte è figurata al mare:
quivi si vede scoprir la balena
e far talvolta navili affondare
e dolcemente cantar la serena
e' navicanti ha fatti addormentare;
il dalfin v'èche mostrava la schiena
e par ch'a' marinai con questo insegni
che si provegghin di salvar lor legni.

65.
Il marin vécchio fuor dell'acqua uscìa
e 'l pesce rondin si vedea volare
ma il pesce tordo così non facìa;
vedeasi il cancro l'ostrica ingannare
e come il fuscelletto in bocca avia
e poi che quella vedeva allargare
e' lo metteva nel fesso del guscio
e poi v'entrava a mangiarla per l'uscio.

66.
Raggiata e romboocchiata e pescecane
la trigliail ragno e 'l corvallo e 'l salmone
lo scòrpin colle punte aspre e villane
ligusta e sogliaorata e storïone
e 'l polpo colle membra così strane
e 'l muggin colla trota e col carpione
gambero e nicchio e calcinello e seppia
e sgombero e morena e scarza e cheppia.

67.
E tonni si vedien pigliare a schiere
e cornioletti e lamprede e sardelle
ed altri pesci di tante maniere
che dir non puossi con cento favelle
per fiumi e laghi e diverse peschiere
però che son più i pesci che le stelle;
anguille e lucci e tinche e pesci persi
pensa che quivi potevon vedersi

68.

e che vi fussi boncio e barbio e lasca.
Alefe finalmente v'era scorto
e come sol dell'acqua quel si pasca
e tratto fuor di quella parea morto.
Vedevasi la manna che giù casca
e 'l pesce per pigliarla stare accorto;
e come il pescator molto s'affanni
con rete ed esca e con mille altri inganni.

69.
Poi si vedea Nettunno col tridente
guardar con atti ammirativi e schifi
quando prima Argo nel suo regno sente
che lo voleva a Colchi guidar Tifi;
Scilla abbaiar si sentia crudelmente
e' mostri suoi digrignavano i grifi;
vedeasi Tetie vedevasi Ulisse
come più là che' segni d'Ercol gisse.

70.
Cimoto e Trìton placar la tempesta;
Glauco poi si vedeva ondeggiare;
Èssaco afflitto con molta molesta
cercando Esperia ancor sotto acqua andare;
talvolta Galatea fuor trar la testa
che fe' già Polifemo innamorare;
notavan per lo mar con ambo mane
converse in ninfele nave troiane.

71.
Poi si vedeva nave in quantitate
gir sopra l'acquae molti legni strani:
baleniergrippi e galeazze armate
e brigantincarovelle e marrani
lïutisaettiegonde spalmate;
e sopra fuste menarsi le mani;
battelli e paliscarmi e schifi e barche
d'uomini e merce e varie cose carche.

72.
L'ultima parte toccava alla terra:
quivi si vede tutte l'erbe e piante
e come il globo si ristrigne e serra
e le città famose tutte quante
e gli animalie come ciascuno erra
chi quachi là per Ponente e Levante
per Mezzogiorno e chi per Tramontana
ogni fera dimestica e silvana.

73.
Il lïofante parea molto grande
calloso e nero e dinanzi d'un pezzo
e come quegli orecchi larghi spande
e stende il grifo lungoch'egli ha a vezzo
pigliar con esso tutte le vivande
e nol potea toccar se non un ghezzo;
fuor della bocca gli uscivan due zanne
ch'eron d'avorio e lunghe ben sei spanne.

74.
Èvvi il leonee 'l dippo gli va drieto;
èvvi il caval famoso sanza freno
e l'asinelloe 'l bue sì mansüeto
e 'l mul che tutto par di vizi pieno.
Vedevasi il castor molto discreto
che de' suoi danni eletto aveva il meno
e strappasi le membra genitale
veggendo il cacciatorper manco male.

75.
Il leopardo pareva sdegnato
perché e' non prese in tre salti la preda;
e 'l lïocorno è in grembo addormentato
d'una fanciullae par ch'egli conceda
esser da questa tocco e pettinato
ma non si fidi all'acqua e non gli creda
se non vi mette il corno prima drento;
e se quel suda sta a vedere attento.

76.
Tutto bizzarro e pien di furia l'orso;
e 'l lupo fuor del bosco svergognato
gridato dalla gente e da' can morso;
e 'l porcoche nel fango è imbrodolato;
quiv'era il cavrïuol che molto ha corso
e poi s'è posto a ber tutto affannato;
e 'l cervioche 'l pastor che canta aspetta
insin che l'altro intanto lo saetta.

77.
E 'l bufol che ne va preso pel naso
e la capretta e l'umil pecorella
ch'avea le poppe munte e 'l dosso raso;
la lepre paürosa e meschinella
par che si fuggatemendo ogni caso;
quivi era il dromedario e la camella
che collo scrignomansüeta e doma
lasciava ginocchion porsi la soma.

78.

La volpe maliziosa era a vedere
e 'l can pareva fedele e leale;
èvvi il coniglioe scherza a suo piacere;
molto sentacchio pareva il cignale;
poi si vedeva la damma e 'l cerviere
che drieto al monte scorgea l'animale;
quivi era il tasso porco e 'l tasso cane
che si dormien per le lor buche o tane.

79.
E lo spinoso e l'istrice pennuto
e sopra il bucolin del topo il gatto
con molta pazïenzacome astuto
tanto che netto rïuscissi il tratto;
beveroe 'l ghir sonnolente e perduto
e puzzola e faina e lo scoiatto;
èvvi la lontra e va cercando il pesce
ed or sott'acqua ed or sopra rïesce;

80.
gattomammonbertuccia e babbuïno
mufocamosciomoscado e zibetto
la donnoletta e 'l pulito ermellino
che parea tutto bianco e puro e netto;
la martora si sta col zibellino;
eravi il vaioe stavasi soletto
e molto bello e candido il lattizio
ed altre fiere poipiene di vizio.

81.
La lonza maculata e la pantera
e 'l dracoch'avea morto il lïofante
e nel cadergli addosso quella fera
aveva ucciso luicome ignorante
ché del futuro accorto già non s'era;
èvvi il serpentesuperboarrogante
che fiammeggiava fuoco per la bocca
e col suo fiato attosca ciò che tocca.

82.
E 'l coccodrillo avea l'uom prima morto
poi lo piangevapien d'inganni e froda;
e 'l tirch'avea lo 'ncantatore scorto
acciò che le parole sue non oda
aveva l'uno orecchio in terra porto
e l'altro s'ha turato colla coda.
Poi si vedea col fero sguardo e fischio
uccider chi il guardava il bavalischio;

83.
con sette capi l'idra e la cerastra
la vipera scoppiar nel partorire;
la serpe si vedea prudente e mastra
tra sasso e sasso della scoglia uscire;
l'aspido sordofreddo più che lastra
che con la coda voleva ferire;
la bisciala cicigna e poi il ramarro
e molti altri serpenti ch'io non narro.

84.
Ienna vediesi della sepultura
cavare i morti rigida e feroce
la qual si dicechi v'ha posto cura
ch'ella sa contraffar l'umana voce;
la cientro colla faccia orrida e scura
e iacultanto nel corso veloce
e la farea crudel che per Libia erra.
L'ultima cosa è la talpa sotterra.

85.
Poi si vedeva andar pel mondo errando
Ceres dolentemisera e meschina
e in ogni parte venìa domandando
s'alcun veduto avessi Proserpìna
dicendo: - Io l'ho perdutae non so quando. -
E la fanciulla bella e peregrina
vedevasi di rose e vïolette
contesser vaghe e gentil grillandette;

86.
poi si vedea Pluton che la rapia.
E così stava il padiglione adorno;
e' carbonchi e le gemme ch'egli avia
facean d'oscura notte parer giorno
tal che sì bel mai più vide Soria:
trecento passi o più girava intorno;
le corde aveva e gli altri fornimenti
di seta e d'oroe più che 'l sol lucenti.

87.
Non si potea saziar di mirar fiso
Rinaldo il padiglion; poi disse: - Certo
questo fe' Lucïana in paradiso
non fu già Filomena in un deserto.
Né mai sarà il mio cor da lei diviso.
E so che per me stesso ciò non merto;
ma minor dono e di manco eccellenzia
non si convien già a tua magnificenzia.

88.

Questo sempre terrò per lo tuo amore;
questo terrò sopra ogni cosa degno;
questo terrò con singulare onore;
questo terrò di tue virtù per segno;
questo terrò ch'albergherà il mio core;
questo terrò perché del tuo sia il pegno;
questo terrò vivendo in sempiterno;
questo terrò poi in cielo o nello inferno. -

89.
Disse la dama: - Ascolta quel ch'io dico.
Io ti vorrei poter donare il sole
e non sare' bastante a tanto amico:
il tuo cor generosocome suole
si mostra pur magnalmo al modo antico.
Ma intenderchi l'ha fattoil ver si vuole:
s'io dissi Lucïanaio presi errore:
con le sue proprie man l'ha fatto Amore. -

90.
Or qual sare' quel cor qui d'adamante
di porfiro o dïaspro o altra petra
che non s'aprissi e mutassi sembiante?
E' traboccò giù l'arco e la faretra
e le saette d'Amor tutte quante.
Volea pur dir (ma la voce s'arretra)
Rinaldo qualche cosa alla donzella;
ma non potéché perdé la favella.

91.
Ben s'accorse coleich'era pur saggia
che per soperchio amor non rispondessi
e disse: "Sarei io tanto selvaggia
ch'a così degno amante non piacessi
purché mai tempo e luogo e modo accaggia?
E qual sare' colei che nol facessi
salvando sempre e l'onore e la fama?
E 'ngrato è quel che non ama chi l'ama".

92.
Rinaldo ringraziò pur finalmente
delle parole grate ch'avea dette
ultimamente la donna piacente
bench'egli avessi al cor mille saette.
Fu commendato da tutta la gente
il padiglionee 'n camera si mette.
E cominciossi a trattar molte cose
che fien nell'altro dir maravigliose.



CANTARE DECIMOQUINTO


1.
Benigna MaestàVita superna
ch'allumi questo e quell'altro emispero
principio d'ogni cosa santa etterna
donami grazia che nel giusto impero
a' tuoi pie' santi l'anima discerna
tanto ch'io riconosca il falso e 'l vero;
e 'nsino al fine il mio debole ingegno
ti priego aiutise 'l mio priego è degno.

2.
Fecion consiglio Rinaldo e Balante
che si movessi la gente cristiana
e che s'andassi a trovar l'amostante;
e così confermava Lucïana.
Fu la novella in Persia in poco stante
che ne veniva gran turba pagana;
e l'amostante ancor non sapea scorto
che gente fussie che Vergante è morto.

3.
Partîrsi dunque centoventimila
di gente valorosa e fiera e magna
per quel che l'aütor nostro compila
con que' che Lucïana avea di Spagna;
né creder ch'egli andassino alla fila:
coprieno i montiil piano e la campagna
tanto che sono in Persia capitati
e presso alla città tutti accampati.

4.
Rinaldoche dì e notte non soggiorna
per rïavere il suo cugin perfetto
poi ch'attendata fu la gente adorna
all'amostante mandò Ricciardetto
dicendo: - A lui va' prestoe qui ritorna
con la rispostae conchiudi in effetto
ch'a corpo a corpo oppur campal battaglia
sùbito fuor ne venghi alla schermaglia. -

5.
E Ricciardetto andò come e' gl'impose
e fece all'amostante la 'mbasciata.
Il qual molto superbo a lui rispose
che non sa chi si sia questa brigata
e molta maraviglia ha di tal cose;
che la Corona suasempre onorata
combatter non è usa mai in Levante
con qualche vile arcaìto o amirante:

6.
che truovi uom simigliante a sua Corona
e poi verrà di fuorcomunche e' vuole
a corpo a corpo a provar sua persona;
ma di campal battaglia assai si duole
sanza giusta cagion lecita o buona;
e poi soggiunse ancor queste parole:
- Se tu non fussi messaggier mandato
colle mie man so ch'io t'arei impiccato.

7.
Non lascio per amorma per vergogna.
A quel che t'ha mandato fa' risposta:
domandal s'egli è desto oppur se sogna;
ché molto pazza fu la sua proposta.
Né d'aspettar qui altro ti bisogna:
questo ti bastie vattene a tua posta. -
Ma Ricciardetto non fu pazïente
e così disse disdegnosamente:

8.

Se conoscessi ben chi a te mi manda
nol chiameresti arcaìto per certo
e pazza non terresti sua domanda;
ma si conosce il tuo vil core aperto.
Sappi ches' tu se' re da questa banda
quand'io t'avessi pur molto sofferto
o amostante vilsuperbo e sciocco
il mio signore acquistato ha il Murrocco

9.
e di Carrara e d'Arma è coronato
e molti altri reami tiene al mondo;
e non sarebbe Marte biasimato
combatter con tal uom sì rubicondo. -
L'amostanteveggendol furïato
rispose: - In altro modo ti rispondo:
ritorna al tuo signor che ti mandòe
e di' ch'un gran baron gli manderòe. -

10.
Ricciardetto tornò nel campo tosto
e disse come il fatto era seguìto
e quel che l'amostante gli ha risposto.
Lasciàn costor posarsi un poco al lito
ché 'l messo ha fatto quel che gli fu imposto;
torniamo all'amostante sbigottito
che non sapea che farsi e sta sospeso
e di tal caso avea nel cor gran peso.

11.
Veggendol così afflittoChiarïella
diceva: - Io ci conosco un buon rimedio.
Tu sai che 'l miglior uom che monti in sella
si dice ch'è Orlando; ond'io più a tedio
non ti terrò- dicea la damigella
- poi che tu se' condotto a questo assedio:
sappi che quel che tu tieni in prigione
il conte Orlando èfigliuol di Mellone;

12.
e credo che farà sol per mio amore
ciò ch'io vorròché così m'ha promesso
più e più voltech'io gli ho fatto onore
sempre dal dì che in carcere fu messo. -
Sùbito crebbe all'amostante il core
e disse: - Può Macon far che sia desso?
Troppo mi piace tu l'abbi onorato
ché 'l Ciel per nostro ben l'ha riservato.

13.
Ma vo' che mi prometta ritornarsi
finita la battagliapoi in prigione
ché 'l gran Soldan potre' meco adirarsi
ché sai ch'io il presi a sua contemplazione;
e qualche modo poi potre' trovarsi
per questo mezzo alla sua salvazione. -
E Chiarïella a Orlando n'andò presto
e d'ogni cosa gli chiosava il testo.

14.
Se tu volessi per mio amoreOrlando
combatter con costui che vuol battaglia
questo servigio io lo verrò scultando
nel cor per semprese Macon mi vaglia:
io te ne priegoio mi ti raccomando.
Un destrier ti darò coperto a maglia. -
Rispose Orlando: - Sia quel che ti piace:
meglio è morir che stare in contumace.

15.
Ah! - disse Chiarïella - è questo quello
ch'io t'ho promesso mille volte e mille?
Tu m'hai passato il cor con un coltello.
Io verròdicoqueste porte aprille
come a te fia in piacersignor mio bello;
ma sol per ricoprir molte faville
Carlo aspettavo che di qua passassi
acciò che più sicuro il fatto andassi.

16.
Non ti curar prometter ritornarti
nella prigionpoi che 'l mio padre vuole
ch'io verròper Maconea liberarti
prima che molti dì s'asconda il sole.
Io vo' il destrieri e l'armi apparecchiarti. -
Così furon finite le parole
e di prigione Orlando liberato
e innanzi all'amostante appresentato.

17.
L'amostante l'abbraccia umilemente
e quanto può del suo fallir si scusa;
e se gli ha fatto oltraggioche si pente
e 'l gran Soldan di ciò ne 'ncolpa e accusa;
e che per far la pace il fe' vilmente
come per suo miglior talvolta s'usa
e lecito operare era ogni ingegno
e tradimentoper salvar sé e 'l regno.

18.

Orlandocome saviofu contento
e disse: - Per amor della tua figlia
farò sol quel che ti fia in piacimento
ché così Chiarïella mi consiglia;
ché so che sanza lei morivo a stento
e ch'io sia vivo mi par maraviglia. -
Armossi tutto innanzi al re pagano
e Chiarïella l'armò di sua mano.

19.
Come fu armatosaltò in sul destrieri
e Chiarïella gli fe' compagnia
armatacon trecento cavalieri;
così dall'amostante si partia
verso dell'oste pigliava il sentieri.
Come Rinaldo apparir lo vedia
che stava attentoarmatoal padiglione
subitamente montava in arcione.

20.
E Lucïana anche lui aveva armato
e datogli il destrier che gli donòe
a Siragozzae poi l'ha accompagnato
e molti cavalier seco menòe:
adunque il giuoco è molto pareggiato!
E così inverso Orlando se n'andòe
Rinaldoe salutò cortesemente
e la risposta fu similemente.

21.
Ma l'uno e l'altro quanto può s'ingegna
non essere alla voce conosciuto
acciò ch'al suo disegno ognun pervegna.
Dicea Rinaldo dopo il suo saluto:
- Io credocavalierch'al campo vegna
per far coll'arme in man quel ch'è dovuto:
piglia del campoognun mostri sua forza. -
E volson l'uno a poggia e l'altro a orza.

22.
Orlando volse con tanta destrezza
nel dipartirsi al suo caval la briglia
che non si vide mai tal gentilezza;
e Lucïana affisava le ciglia:
parvegli un atto di molta prodezza;
ma Chiarïella con seco bisbiglia:
Questo è pur quel che 'l mondo grida certo
nell'arme tanto valoroso e sperto.

23.
Rivoltava il destrier Rinaldo prima;
comincia al modo usato a furïare.
Orlando che sia vòlto anco si stima
sùbito indrieto lo venne a trovare.
Ma non potre' qui dir prosa né rima
qual sia il valor ch'ognun usa mostrare:
s'Anibal parea l'unl'altro è Marcello;
se l'un volavae l'altro era un uccello.

24.
E' si vedea sol polvere e faville:
non credo ch'a veder fussi più degno
alla città famosa Ettorre e Achille:
ognun di grande ardir mostrava segno.
Ma che bisogna far tante postille
o dar per fede a chi nol crede il pegno?
Non son costor de' paladin di Francia
e' miglior cavalier che portin lancia?

25.
Le lance si spezzorno parimente
sopra gli scudie' destrier via passorno
come fólgore va molto fervente.
Poi colle spade a ferirsi tornorno;
or quivi s'accostò tutta la gente
quivi la zuffa insieme rappiccorno.
Era venuto a vedere il gigante
con Lucïanachiamato Corante

26.
e stava in piè come un pilastro saldo
a veder di costor la gran tempesta.
E Lucïana avea messa a Rinaldo
indosso una leggiadra sopravvesta;
Orlandoch'era insuperbito e caldo
con Durlindana avea stampata questa;
e Lucïana si doleva a morte
dicendo: "Mai non vidi uom tanto forte".

27.
Egli eran l'uno e l'altro sì infiammati
Rinaldo e 'l conte Orlandoche l'un l'altro
non iscorgeatanto erano infiammati!
Né si vedea vantaggio all'uno o l'altro;
ferivansi co' brandi sì infiammati
che nel colpirsi dicea l'uno all'altro:
- Aiùtati da questocan malfusso! -
e detto questosi sentiva il busso.

28.

Rinaldo dètte un colpo al conte Orlando
sopra il cimierche gli fece sentire
Frusbertache ne venne giù fischiando:
non ebbe alla sua vita un tal martìre
e 'nsino in su la groppa vien piegando
e disse: "O Dionon mi lasciar morire!
Aiutami tuVirgin benedetta!";
e 'l me' che può nell'armi si rassetta.

29.
E trasse con tanta ira Durlindana
al prenzeche lo giunse in su l'elmetto
il qual sonò che parve una campana
e con fatica alla percossa ha retto;
ed ogni cosa vide Lucïana
tanto ch'ell'ebbe del colpo sospetto
ché 'nsino al collo del destrier piegossi
Rinaldotal ch'a gran pena rizzossi.

30.
Non n'arebbe però voluti tre
ch'uscito sare' fuor del seminato;
pur si rïebbee ritornava in sé.
Il brando a' crini il cavallo ha trovato
sì che due parte del collo gli fe'
e 'nsieme con Rinaldo è rovinato.
Gridò Rinaldo al conte: - Traditore!
Tu l'uccidesti per viltà di core. -

31.
Rispose: - Traditore - Orlando - o vile
non fu' mai reputato alla mia vita
ma semprein veritàbaron gentile.
Or se mi venne la mazza fallita
e' me ne 'ncrescee però parlo umìle.
Ma innanzi che da me facci partita
io ti farò disdir quel che tu hai detto! -
e poi saltò del suo caval di netto.

32.
E cominciorno più aspra battaglia
che si vedessi mai tra due baroni:
lo scudo in pezzi l'uno all'altro taglia;
non cavalier parienoanzi dragoni;
e benché e' regga la piastra e la maglia
pe' colpi spesso cadean ginocchioni;
e l'uno e l'altro soffiava e sbuffava
come un leone o altra fera brava.

33.
Dànnosi puntedànnosi fendenti
dànnosi stramazzondànno rovesci;
fannosi batter drento all'elmo i denti
frugano in modo da sbucare i pesci
alcuna voltaco' brandi taglienti
acciò che meglio il disegno rïesci:
raddoppia il colpo l'uno a l'altro e piomba
e l'aria e 'l cielo e la terra rimbomba.

34.
Rinaldo un tratto Frusberta disserra
per dare al conte Orlando in su la testa:
Orlando si scostòdonde il brando erra
e cadde in basso con grande tempesta
che si ficcò più d'un braccio sotterra:
pensa se fatto gli arebbe la festa
e se fu grande il furore e la rabbia
ch'appena par che la spada rïabbia!

35.
Orlando allor se gli scagliava addosso
e grida: - Or potre' iocome tu vedi
tagliarti con la spada insino all'osso
poi che tu hai confitto il brando a' piedi;
ma basta che tu intenda sol ch'io posso
ch'io non son traditor come tu credi. -
Disse Rinaldo: - Ogni ragione hai tue
e che sia traditor mai dirò piùe. -

36.
Era già serae 'l sol verso la Spagna
nell'occeàn tuffava i suoi crin d'oro;
e Chiarïella graziosa e magna
benignamente parlava a costoro:
- Perché e' si fa già bruna ogni campagna
ponete fine a sì fatto martoro;
e per mio amor così vo' che si segua:
che venti dì facciate insieme triegua. -

37.
E l'uno e l'altro rimase contento.
Diceva Chiarïella: - Al mio parere
non vidi mai più a due tanto ardimento
né mai più penso a' miei giorni vedere:
io triemo tuttaquando io mi rammento
de' colpi fatti e del vostro potere;
e perché tanta virtù si conservi
ho chiesto triegua e vo' ch'ognun l'osservi. -

38.

Rinaldo si tornò col suo Balante
al padiglionee la sua Lucïana
gli trasse l'arme ch'avea messe avante.
Orlando torna alla città pagana
e Chiarïella disse all'amostante
che gli pareva oltre ogni cosa umana
quel ch'avea fatto in sua presenzia Orlando
dicendo: - Quanto so tel raccomando. -

39.
Orlando volle in prigion ritornarsi
e rende Durlindana e l'armadura
e sta con Chiarïella a ragionarsi.
Or ritorniamo al campo alla pianura.
Corante l'altro giorno fece armarsi
dicendo: - Io intendo provar mia ventura. -
Ed accostossi alle mura alla terra
e mandò a dir che cercava di guerra.

40.
Aveva cinquecento scelti quello
de' miglior ch'egli avessi nel suo campo;
era montato in su 'n un suo morello
nato d'alfanae menava gran vampo
chiamando l'amostante e tristo e fello
dicendo: - Contra me non arai scampo
né triegua o pace o pattiné concordia
ch'uom non se' degno di misericordia. -

41.
Erano usciti già certi pagani
della città col gigante alla mischia
ma tutti gli straziava come cani:
a qual le spallea chi il capo cincischia
colpi menando sì aspri e villani
che per paura nessun più s'arrischia
a dieci braccia accostarsi alla mazza;
e bisognavacon sì fatta razza.

42.
Chiarïella sentì che 'l saracino
a molti il capo ha schiacciato come uova
e fa fuggire il suo popol meschino;
sùbito Orlando alla prigion ritruova
e dice: - A questa voltapaladino
aiutamipoi ch'altro non mi giova:
sappi ch'egli è comparito un gigante
ch'ammazza ognun che se gli para avante.

43.
A te ricorro come mio refugio
che non mi lasci in questi casi stremi:
e' debbe avere un poco il cervel bugio
ch'ognun minacciae 'l Ciel non par che temi.
E' ti convien soccorrer sanza indugio
ché tutto il nostro popol par che triemi
e per paura ognun tornato è drento
ché del bastone hanno avuto spavento.

44.
E' n'ha già bastonati centinaia
e trita lor le carnii nervi e l'ossa. -
Rispose Orlando: - Sempre ove a te paia
la mia personaChiarïellaè mossa;
e so chese m'aspetta a la callaia
vedrai che la tua gente fia riscossa. -
Fecesi l'arme trovare e 'l cavallo
e Chiarïella sua sol vuole armallo;

45.
e fece armare alquanti cavalieri.
Orlando disse volea poca gente:
che lasci col gigante a lui i pensieri.
Armossi Chiarïella incontanente
e con Orlando montava a destrieri
anzi sù vi saltò molto attamente;
e 'l suo fratelch'era ardito e gagliardo
n'andò con leiche avea nome Copardo.

46.
Era il gigante alla porta aspettare;
vide costoro e innanzi si facea.
Ma Chiarïellache 'l vide accostare:
- Io vo' con esso provarmi- dicea
- se questa graziaOrlandomi vuoi fare. -
Orlando ch'è contento rispondea.
Allor la dama va inverso il pagano
che se n'avvide e prese un'aste in mano.

47.
Abbassa la sua lancia Chiarïella
e poi nel petto al gigante la spezza;
ma non si mosse punto della sella
per sua gran forza e per la sua grandezza;
e giunse nello scudo la donzella
con l'aste dura e con molta fierezza
e fecela cader fuor dell'arcione
che molto spiacque al figliuol di Millone.

48.

Corante la volea pigliar pel braccio
e come il lupo portarnela via.
Diceva Orlando: - Non gli dare impaccio:
se tu la tocchiper la fede mia
per mezzo il petto la spada ti caccio!
Oltregaglioffo pien di codardia!
Della tua gran viltàper Diom'incresce
ed è ben ver ch'ogni trista erba cresce.

49.
Non ti vergogni tu donna sì degna
volerne via portarcan peccatore
che in tutte quelle parte ove il sol regna
non è donzella degna di più onore?
Né vo' che 'l suo cader tuo pregio tegna
ché fu difetto del suo corridore. -
Disse il gigante: - Per Maconch'io sono
contentoe per prigione a te la dono. -

50.
Orlando disse: - Tu mi pari or saggio
che quel che non puoi vendervuoi don farne.
Se tu vedessi costei nel visaggio
diresti: "Cibo non è da beccarne
un uom sì rozzorustico e selvaggio";
ch'io so che' denti tuoi non son da starne.-
Allor Copardo addosso a quel si getta
per far della sorella sua vendetta;

51.
e l'uno e l'altro una lancia pigliava
e di concordia insieme si sfidaro;
ma alfin Copardo in terra si trovava
e restò prigionier sanza riparo;
per che Corante a Orlando parlava:
- Che costui sia prigion tu intendi chiaro. -
Cosìper non opporsi alla ragione
Copardo n'andò preso al padiglione.

52.
Disse il gigante: - Ed anco la donzella
è mio prigionma non la vo' contendere
però ch'io la gittai pur della sella;
e s'io volessiio te la farei rendere;
che tu dicesti ch'io ti donai quella
per questoch'io non la potevo vendere. -
Orlando disse: - Sia come si vuole
con l'arme arai costeinon con parole. -

53.
Disse il gigante: - Disfidato sia
da poi che tu m'hai tolto la mia preda
poi mi minacci e dimmi villania
e credi per viltà te la conceda:
io t'ho donato per mia cortesia
questa donzellae par che nol creda. -
Orlando al suo caval la briglia volse
ed una arcata o più del campo tolse;

54.
poi ritornava per dargli la mancia;
e 'l saracin con la lancia s'abbassa;
ma 'l conte Orlando gli pose alla pancia
e 'l petto e 'l cuore e le reni gli passa:
due braccia o più rïusciva la lancia
e parve allor rovinassi una massa
perché Corante abbandonava il freno
e dètte un vecchio colpo in sul terreno.

55.
Rinaldo al padiglione aveva detto
quando Copardo prigion fu menato
che andassi tra le squadre a suo diletto
ché gl'increscea di tenerlo legato;
e giurato gli avea per Macometto
se dal gigante non è liberato
rappresentarsi a ogni suo volere;
e va pel campo veggendo le schiere.

56.
In questo tempo la novella viene
come Corante caduto era morto
e che passato è il ferro per le schiene.
Ebbe di questo Rinaldo sconforto
e volle chi l'uccise intender bene
giurando vendicar sì fatto torto;
e minacciava e' facea gran tagliata
comunche e' fusse la triegua spirata.

57.
Copardo già pel campo aveva inteso
come questo era d'Orlando cugino;
però veggendo Rinaldo sì acceso
rispose: - A me perdonapaladino:
per quel ch'i' ho da tua gente compreso
la pace si farà con poco vino;
io t'ho a dir cose che ti piaceranno
e fia silenzio posto a tanto affanno.

58.

Sappi che quel c'ha combattuto teco
è 'l conte Orlandoche preso dimora;
ed a tua posta il menerò qui meco
per quello Iddio che la mia gente adora. -
Rinaldoil dì che combatté con seco
di sua gran forza era ammirato ancora
e cominciossi tosto a ricordare
ch'altri ch'Orlando nol poteva fare.

59.
E se non fusse la sorella mia-
dicea Copardo - che s'è innamorata
della sua fama e di sua gagliardia
sarebbe or la sua vita annichilata
perché il mio padre non lo conoscìa.
Ma poi che vide la terra assediata
gli dètte Chiarïella per rimedio
di liberarlo per levar l'assedio;

60.
ma per paura lo tien del Soldano
e non gli dà di partirsi licenzia.
Ma or tu se' qui con armata mano:
io ti darò la città in tua potenzia
tanto m'incresce di tal caso strano
d'un uom sì degno e di tanta eccellenzia;
la mia sorella tanto amor gli porta
ch'a tradimento darenti una porta.-

61.
Rinaldoch'avea già legato il core
per gran dolcezzaabbracciava Copardo
e disse: - Io sento già tanto fervore
del mio cuginche tutto nel petto ardo.
So che tu parli con perfetto amore
se bene alle parole tue riguardo;
e Chiarïllaper la fede mia
si loderà della sua cortesia.

62.
A mio parerritorna alla cittate
e di' con Chiarïella questo fatto.
Quando fia tempo poi me n'avvisate
ch'io so che rïuscir ci debbe il tratto;
ch'io mi confido nella tua bontate
sanza far teco altra convegna o patto. -
E dèttegli il cavallo e l'armi sue
e presto al padre suo dinanzi fue.

63.
L'amostante dicea: - Chi t'ha mandato? -
Copardo disse: - Da me son fuggito. -
Rispose l'amostante: - Tu hai fallato! -
poi disse: - Forse è pur miglior partito
che non t'avessi un giorno là impiccato. -
Copardo a Chiarïella sua n'è ito
ed ogni cosa ragionorno insieme
e la fanciulla d'allegrezza geme.

64.
Erasi Orlando tornato in prigione
quel dì che al campo avea morto Corante.
La damigella fe' conclusïone
di tradir la sua patria e l'amostante
e rinnegar con questo anco Macone:
or vedi questo amor quanto è costante!
Lasciò Copardoe vassene a Orlando
che si vivea all'usato sospirando

65.
e disse: - Che diresti tubarone
se fussi il tuo Rinaldo qua venuto
per liberarti e trarti di prigione
e se tu avessi con lui combattuto
e mortogli già sotto il suo roncione
acciò che non ti possi dare aiuto?
Non sarebbe ragion tu confessassi
essere ingratoa chi ne domandassi?

66.
Or oltreio ti vo' dir presto ogni cosa
e darti una novella che fia buona
ch'io veggo la tua vita assai dogliosa:
sappi che 'l tuo Rinaldo ci è in persona
per trarti di prigion sì tenebrosa
come colui che 'l grande amore sprona:
per questo all'amostante ha mosso guerra
e per tuo amor si combatte la terra.

67.
Copardo è ritornato e detto questo.
E perch'io t'ho donato il mio amor tutto
l'anima e 'l cuore e s'altro ci è di resto
m'accordo che 'l mio padre sia distrutto
e dare al tuo cugin la città presto
acciò che del mio amor tu vegga il frutto
ch'io non ti pasca più di foglie e fiori
e che tu esca omai di carcer fuori. -

68.

Orlandoquando intese Chiarïella
rispose: - Io credo tu fussi mandata
il primo dì dal Ciel una angiolella
ch'a la prigion mi ti fusti mostrata;
e se' sempre poi stata la mia stella
e la mia calamita a te voltata.
Qual meritoqual fato vuol ch'io sia
in grazia tanto a Chiarïella mia?

69.
Io ti dono le chiavi in sempiterno
della mia vitae tien' tu il core e l'alma:
io vo' che 'l nostro amor si facci etterno.
Tu se' colei che l'ulivo e la palma
m'arrechie che mi cavi dello inferno
e la tempesta mia converti in calma. -
E non poté più oltre Orlando dire
tanta dolcezza gli parea sentire.

70.
Chiarïella a Copardo ritornava
ed ordinò che la notte seguente
Rinaldo vengaed Orlando cavava
di fuor della prigion segretamente;
ed a Rinaldo un messaggio mandava
e scrisse che venissi arditamente;
e soggiugnea queste parole appresso:
Giunta la letter, sia impiccato il messo.

71.
Rinaldoch'a questa opera era attento
aveva in punto già le genti armate;
la lettera ubbidiva a compimento:
al messo sue vivande ebbe ordinate
e fecegli de' calci dare al vento;
poi se n'andò alla porta alla cittate:
quivi trovava insieme armati in sella
Copardo con Orlando e Chiarïella.

72.
Preso la portalevorno il romore:
- A saccoa sacco! Alla mortealla morte!
E muoia l'amostante traditore
e' suoi seguaci e tutta la sua corte! -
Il popol si destò tutto a furore:
vide i nimici già drento alle porte
e chi fuggivae chi per arme è corso
chi si nascondee chi chiama soccorso.

73.
L'amostante si desta spaventato
e sente tanta gente e tante grida;
sùbito alcun de' servi ha domandato:
- Che vuol dir questoche 'l popolo strida? -
e 'l me' che può si lieva e fussi armato
e corre come cieco sanza guida
e non sapea lui stessi ove e' si vada
ch'avea smarrita e la mente e la strada.

74.
Pur s'avvïava ove e' sentia gran zuffa
e riscontrossi appunto in Ulivieri
ch'era nel mezzo di questa baruffa
e della spada gli dètte al cimieri
tanto che 'l colpo ne lieva la muffa;
ma non poté piegarlo in sul destrieri.
Ulivier lo conobbe incontanente
e trasse della spada un gran fendente.

75.
Aveva un cappelletto di cuoio cotto
l'amostante la notte in testa messo;
ma Ulivier lo passava di sotto
e 'l capo e 'l collo al saracino ha fesso
e fecelo d'arcion giù dare il botto.
La gente si fuggìche gli era appresso
piena di doglia e terrore e sconforto
sì come avvien quando il signore è morto.

76.
Rinaldo avea veduto cader quello:
- Benedetto ti sia - gridò - la mano
ch'a quel canaccio partisti il cervello!
Tu se' pur de' baron di Carlo Mano. -
Or qui comincia avvïarsi il macello.
Era venuto un gigante pagano
che si chiamava il feroce Grandono
e gettasi tra questi in abbandono.

77.
Ulivier riscontròquel maladetto
e trasselo per forza da cavallo
però ch'al colpo suo non ebbe retto;
poi si gittava in mezzo a questo ballo
e perché il popol molto è insieme stretto
colpo non mena che giugnessi in fallo
e spesso dava anche a' suoi di gran botte
ché d'error pieno è il furore e la notte.

78.

E mentre che 'l gigante pur combatte
vi sopraggiunse a caso Lucïana;
ma quel Grandoncome a costei s'abbatte
gli dètte una percossa assai villana
però che le picchiate sue son matte
e finalmente in terra giù la spiana;
e non sentia mai più né gel né caldo
se non che corse a quel furor Rinaldo;

79.
e ripose a caval questa e 'l marchese
e domandò chi l'aveva abbattuto.
Disse Ulivieri: - In terra mi distese
un gran gigantee poi non l'ho veduto. -
Mentre che sono in sì fatte contese
Orlando a Ricciardetto s'è abbattuto;
e perché e' nol conobbe nella stretta
lui e 'l caval d'un colpo in terra getta.

80.
E poi trovò Terigi suo scudiere
e sopra l'elmo gli appiccava il brando
per modo ch'e' rovina del destriere
benché l'elmetto non venga spezzando.
Quando Terigi si vide cadere
dicea fra sé: "Dove se' tuOrlando?
Ché s' tu ci fussiio non sarei cascato
e pur cadendoio sarei vendicato".

81.
Orlando il riconobbe alle parole:
dismontò presto e chiesegli perdono
dicendo: - Del tuo caso assai mi duole.
Ma che tu monti in sella sarà buono.
Così sempre la notte avvenir suole. -
Diceva Orlando: - Or gli altri dove sono?
Aresti tu veduto Ricciardetto
o Ulivier? ch'io ho di lor sospetto. -

82.
Disse Terigi: - Ulivier vidi dianzi
che cacciava una turba di pagani;
ma Ricciardetto è in terra qui dinanzi
e stato sarai tu colle tue mani.
Credo che poco di vita gli avanzi:
morto l'aranno questi cani alani. -
Orlando guardae Ricciardetto vede
che si difende con la spada a piede;

83.
e grida: - AhRicciardettohai tu paura?
Orlando è tecotu non puoi perire
ché sai ch'io ho fatata la ventura.
Quel che t'ha fatto della sella uscire
è stato un gran tuo amicoo tua sciagura. -
Quando Ricciardo sentì così dire
disse: - Per certo io mi maravigliai
ché con un colpo io e 'l caval cascai;

84.
e dissi fra me stesso: "Ècci pagano
il qual dovessi aver tanto valore?" -
Allora Orlando strigne il brando in mano
e gettasi là in mezzo del furore
e grida: - Ahtraditor popol villano
con un soletto acquistar credi onore?
Addrietosaracincanagliaporci
che Ricciardetto mio credete tòrci. -

85.
E Ricciardetto in sul caval rimonta
e di Rinaldo cercan per la terra
tanto ch'Orlando e Rinaldo s'affronta
e cominciorno a rinforzar la guerra.
E Chiarïella i suoi peccati sconta
ché spesse volte si truova a gran serra
e con fatica ha salvata la vita
ché da Copardo e gli altri era smarrita.

86.
Combatteron costor tutta la notte;
ma i terrazzani alfin domandon patti
ch'avén le membra faticate e rotte
e dubitavan non esser disfatti.
Era tra lor delle persone dotte:
poson giù l'arme con questi contratti:
che la città sia lor liberamente
salvando tutta la roba e la gente.

87.
Era apparito in orïente il giorno
e Chiarïella a Rinaldo ne viene
e sì diceva: - Cavaliere adorno
le cose veggo omai che vanno bene. -
E tutti insieme al gran palazzo andorno:
Rinaldo per la man Copardo tiene
e molte cose con esso favella;
Orlando sempre allato ha Chiarïella.

88.

Vennevi il popol tutto la mattina
a visitar costor come signori.
Rinaldo parla con molta dottrina:
- O Chiarïellaquanto m'innamori!
Di questa terra vo' che sia reina
pe' benefìci e' servigi e gli onori
per non parer per nessun modo ingrato;
e 'l tuo Copardo re sia coronato. -

89.
E fe' dell'amostante ritrovare
il corpoe poi gli dètte sepultura
e tutta la città fece ordinare.
Orlando d'ogni cosa gli diè cura
e sta con Chiarïella a motteggiare;
quando cavalca insin fuor delle mura
ed ogni dì se ne vanno a sollazzo:
Rinaldo governava nel palazzo.

90.
Or ci convien lasciar costoro un poco.
Il Soldan si tornava a Bambillona
fatta la pace e messo Orlando in loco
che pensò che lasciassi la persona;
sentì come era acceso un altro foco
e come egli era morta la Corona
dell'amostante e presa la sua terra
e cominciava a dubitar di guerra.

91.
Indrieto verso Persia ritornava
col campo tutto per miglior partito
e presso a poche leghe s'accampava
e 'ntese meglio il caso come era ito.
Un suo messaggio alla città mandava
e duolsi l'amostante sia perito
ma che comunche la cosa si sia
che s'appartiene a lui la signoria.

92.
E se Rinaldo la terra non lascia
che s'apparecchi di difender quella;
se non che gli darà di molta ambascia;
e troppo biasimava Chiarïella
che come meretriceanzi bagascia
d'Orlandoil tradimento avea fatto ella;
ed era un barbassor molto stimato
colui che imbasciadore avea mandato.

93.
Giunse al palazzoove ciascun dimora
il barbassoroe spose la 'mbasciata:
- Quel Macometto che per noi s'adora
distrugga questa gente battezata;
e 'l mio signorch'è nel campo di fuora
e la sua figliac'ha l'arme incantata
famosa e forteche si chiama Antea
salvi e mantenga- in tal modo dicea

94.
e guardi e salvi ciascun saracino
e spezialmente que' del gran Soldano;
e viva Trevicante ed Apollino
e sia distrutto ogni fedel cristiano
e sopra tutti Orlando paladino
e 'l superbo signor di Montalbano
Astolfo col Danese ed Ulivieri
e Carlo e Francia e tutti i cavalieri. -

95.
Rinaldo non poté più tanto orgoglio
sofferir del pagan bestiale e matto
che par che gli abbi trovati tra 'l loglio;
disse a Orlando: - Io vo' fare un bel tratto
ch'io so punire i pazziquand'io voglio:
vedrén come a saltar costui fia adatto
o come egli abbi la persona destra. -
E 'n piazza lo gittò d'una finestra.

96.
La novella al Soldan n'andò di volo;
donde il Soldan si duol molto aspramente
e minacciava apparecchiar lo stuolo
e la città assediar con la sua gente.
Veggendol la sua figlia in tanto duolo
diceva: - La ragion ti reco a mente
che non dovea però il tuo barbassoro
parlarcome si dicein concestoro:

97.
per quel ch'io intendoe' disse cose strane.
Se vuoi che la 'mbasciata da tua parte
udita sia dalle gente cristiane
non ti bisogna altro messaggio o carte:
lascia andar meche con parole umane
dirò con miglior modo e miglior arte;
e so ch'io tornerò con la risposta. -
Donde il Soldan rispose: - Va' a tua posta. -

98.

Questa fanciulla udito avea per fama
Rinaldo nominar molto in Soria
e perché le virtù molto quella ama
s'innamorò della sua gagliardia.
Or s'alcun vuol saper come si chiama
quantunque il barbassor detto l'avia
replicheren ch'ell'avea nome Antea;
e tutte sue bellezze eran di dea.

99.
E' parevon di Danne i suoi crin d'oro;
ella pareva Venere nel volto;
gli occhi stelle eran dell'etterno coro;
del naso avea a Giunon l'essemplo tolto
la bocca e' denti d'un celeste avoro
e 'l mento tondo e fesso e ben raccolto;
la bianca gola e l'una e l'altra spalla
si crederia che tolto avessi a Palla;

100.
e svelte e destre e spedite le braccia
avevae lunga e candida la mana
da potere sbarrar ben l'arco a caccia
tanto che in questo somiglia Dïana.
Dunque ogni cosa par che si confaccia
dunque non era questa donna umana:
nel petto larga è quanto vuol misura;
Proserpina parea nella cintura;

101.
e Deiopeia pareva ne' fianchi
da portare il turcasso e le quadrelle;
mostrava solo i pie' piccoli e bianchi.
Pensa che l'altre parte anch'eran belle
tanto che nulla cosa a costei manchi:
a questo modo fatte son le stelle;
e vadinsi le ninfe a ripor tutte
ché certo allato a questa sarien brutte.

102.
Avea certi atti dolci e certi risi
certi soavi e leggiadri costumi
da fare spalancar sei paradisi
e correr sù pe' monti all'erta i fiumi
da fare innamorar cento Narcisi
non che Gioseppe per lei si consumi;
parea ne' passi e l'abito Rachele;
le sue parole eran zucchero e mèle.

103.
Era tutta corteseera gentile
onestasaviapura e vergognosa
nelle promesse sue sempre virile
alcuna volta un poco disdegnosa
con un atto magnalmo e signorile
ch'era di sangue e di cor generosa:
eron tante virtù raccolte in lei
che più non è nel mondo o fra gli dèi.

104.
Sapeva tutte l'arti liberali;
portava spesso il falcon pellegrino;
feriva a caccia lïoni e cinghiali;
quando cavalca un pulito ronzino
(e correr nol faceama mettere ali)
da ogni man lo volgeva latino
e nel voltarchi vedeva da parte
are' giurato poi che fussi Marte.

105.
Questo cavallo al Soldan fu mandato
che gliel mandò l'arcaìto mansore
di Barberiae in Arabia era nato
né mai si vide il più bel corridore;
e 'l padre a questa l'aveva donato
però che molto l'aveva nel core;
tra fàlago e sdonnino era il mantello
né vedrà mai Soria simile a quello.

106.
Egli avea tutte le fattezze pronte
di buon cavalcome udirete appresso
perché nato non sia di Chiaramonte:
piccola testae in bocca molto fesso
un occhio vivouna rosetta in fronte
larghe le narie 'l labbro arriccia spesso;
corto l'orecchioe lungo e forte il collo;
leggier sìch'a la man non dava un crollo.

107.
Ma una cosa nol faceva brutto
ch'egli era largo tre palmi nel petto
corto di schiena e ben quartato tutto
grosse le gambe e d'ogni cosa netto
corte le giuntee 'l piè largoaltoasciutto
e molto lieto e grato nello aspetto;
serra la coda ed annitrisce e raspa
sempre le zampe palleggiava e innaspa.

108.

Il primo dì ch'Antea volle provallo
fe' cose in Bambillona in su la piazza
che fur troppo mirabil sanza fallo.
Quand'ella vide così buona razza
e le virtù del possente cavallo
vennegli voglia portar la corazza
e da quel tempo cominciò armarsi
e in giostre e 'n torniamenti a sprimentarsi.

109.
Poi cominciò in battaglia andare armata
come Camilla o la Pentessilea;
e la sua armadura era incantata
che nessun ferro tagliar ne potea;
era in Domasco suta lavorata
fornita d'oroe più che 'l sol lucea;
e quanti cavalier giostran con quella
tanti gittati avea fuor della sella.

110.
Eran venuti di tutto Levante
di Persiadi Fenicia e dello Egitto
ed alcun cavalier famoso errante:
ognuno aveva abbattuto e sconfitto;
nessun baron più gli veniva avante
che con la lancia non lo facci al gitto;
e 'nsino al ciel la fama risonava
e Bambillona e 'l Soldan l'adorava.

111.
E maraviglia non è che l'adori
ch'ogni suo effetto pareva divino
al tutto dello uman costume fuori;
massime là quel popol saracino
ch'era già avvezzo a mille antichi errori
come si legge di Belo e di Nino:
donde e' credevon certo che costei
fussi nata del seme degli iddèi.

112.
E' si potre' mill'altre cose ancora
delle virtù di questa donna dire;
ma perché e' fugge il tempo e così l'ora
la nostra storia ci convien seguire;
e se talvolta un bel canto innamora
pure alfin piace nuove cose udire:
così diren nel bel cantar seguente
acciò che a tutti consoli la mente.



CANTARE DECIMOSESTO


1.
glorïosa figlia di Davitte
ch'ogni emisperio allumi e 'l ciel fai bello
per cui salvate fur tante alme afflitte
quel dì che ti disse "Ave" Gabrïello;
insino a qui son nostre storie pitte
col tuo colortua arte e tuo pennello;
colla tua grazia abbiàn passato il mezzo:
non lasciar la mia mente al buio e al rezzo.

2.
Pareva 'Antea mill'anni di vedere
Rinaldo ed Ulivieri e 'l conte Orlando
e Ricciardettosì buon cavaliere;
e tuttavolta si viene assettando;
della sua gente ordinava tre schiere
forniti d'arme e di lancia e di brando;
e dal Soldan facea la dipartita
e finalmente in Persia ne fu ita.

3.
Né prima giunse in su la piazza questa
ch'una lancia pigliò con gran fierezza
mosse il cavalloe poi la pose in resta
ruppela in terra con gran gentilezza;
e mentre che 'l caval furia e tempesta
volselo in aria con tanta destrezza
che non lo volse mai sì destro Ettorre;
e 'l popolo a furor là a veder corre.

4.
Rinaldoche vedea dalla finestra
maravigliossi troppo di quell'atto
e disse: - Donna mai vidi sì destra
né cosa più mirabil ch'ella ha fatto:
questa è pur d'ogni cosa la maestra. -
Orlando ne pareva stupefatto;
e vanno tutti incontro alla donzella
ed èvvi Lucïana e Chiarïella.

5.
E giunti appresso alla gentil pagana
ognun la salutò con grande onore;
ella rispose in lingua sorïana
cose che tutti infiammava nel core;
e in mezzo a Chiarïella e Lucïana
menata fu nel palazzo maggiore
e in una ricca sedia a seder posta;
poi fece in questo modo la proposta:

6.
Quel primo Iddio che fece cielo e terra
e la natura e stelle e sole e luna
ed a sua posta l'abbisso apre e serra
e faquando e' vuoll'aria chiara e bruna
e chepietoso e giustomai non erra
benché ciascun pur gridi alla Fortuna
salvi e mantenga il mio padre Soldano
e 'l buon Rinaldo e 'l senator romano

7.
ed UlivierRicciardetto e Terigi
e s'alcun ci è della vostra brigata
e Carlo imperadore e San Dionigi.
La cagion che 'l Soldan m'ha qui mandata
non è per ricercar guerra o litigi
ma credo indoviniate la 'mbasciata:
altro non vuol che quel che vuol ragione
e conservar la sua giuridizione.

8.

Questa città coll'altre tutte quante
del corno qua di Persia e di Soria
e di tutto il paese di Levante
son sottoposte a nostra monarchia:
peròpoi ch'egli è morto l'amostante
ritorna al padre mio la signoria:
questo si dicequesto chiar si mostra
che in ogni modo questa terra è nostra.

9.
Né crede che voi siate in questo errore
di non sapere a cui ricade il regno;
ma ogni cosa il roman senatore
ha fatto per vendetta e per isdegno:
il quale ha tanta forza in nobil core
che fa della ragion passare il segno;
e così fe' il Soldan (notaRinaldo!)
per isdegno anco lui di Marcovaldo.

10.
Se voi volete lasciar la cittade
sanza quistioncontento è il padre mio
e ritornar nelle vostre contrade.
Se questo non faretesia con Dio!
Noi proverrén se taglian nostre spade
e così da sua parte vi dico io
e vengo a protestarvi nuova guerra
se non ci date libera la terra.

11.
Poche parole a chi m'intende basti. -
E poi soggiunse: - O misero Copardo!
O Chiarïella miaquanto fallasti!
O giudicio del Cieltu vien' sì tardo!
Ma licito ti siapoi che cavasti
(se ben col mio giudicio retto guardo)
di luoghi tenebrosioscuri e bui
sì gentil cavalier quanto è costui. -

12.
E volsesi a Orlando con un riso
con un atto benigno e con parole
che si vedeva aperto il paradiso
che si fermò a udir la luna e 'l sole.
Ma Chiarïella diventò nel viso
del color delle mammole vïole;
così Copardo; e gli occhi giù abbassorno
ché del peccato lor si ricordorno.

13.
Seguì più oltre Antea: - Ciò ch'io v'ho detto
è quel che 'l padre mio da voi sol brama.
Or vi dirò quel ch'io serbo nel petto:
è questo il cavalier c'ha tanta fama
la qual già non asconde il suo conspetto?
Se' tu colui che tutto il mondo chiama
il miglior paladin che abbassi lancia
onore e gloria e di Carlo e di Francia?

14.
Se' tu Rinaldo mio famoso e bello?
Se' tu colui che ti stai in su quel monte?
Se' tu d'Orlando suo cugin fratello?
Se' tu quel della gesta di Chiarmonte?
Se' tu colui ch'uccise Chiarïello?
Se' tu quel ch'ammazzasti Brunamonte?
Se' tu il nimico di Gan di Maganza?
Se' tu colui ch'ogn'altro al mondo avanza?

15.
Rinaldo sonoo gentil damigella
come tu contie di quel parentado. -
Disse la dama: - Di te si favella
per tutto l'universoe ciò m'è a grado;
salvo ch'alcun te mancatore appella
di gentilezza: ch'udito hai di rado
a imbasciador già mai far villania
comunche e' parli o qualunque e' si sia.

16.
Tu uccidesti il nostro imbasciadore:
io non vo' giudicar chi s'abbi il torto
se non che mi dispiace per tuo onore
e per onor di mepoi ch'egli è morto
sendo mandato da sì gran signore.
Di far di lui vendetta mi conforto
né sanza giostra indrieto vo' tornarmi:
così ti sfidoe prenderai tue armi.

17.
Se tu m'abbatti per tuo valimento
ogni cosa sia tuo che tu hai acquistato;
e so che 'l padre mio sarà contento;
ma s'io t'arò del tuo caval gittato
io vo' che' tuoi stendardi spieghi al vento
e con tua gente in Francia sia tornato
e che tu lasci in pace i nostri regni
e contro al padre mio mai più non vegni. -

18.

Rinaldo disse alla donna famosa:
- Perch'io non paia né muto né sordo
ciò che tu hai dettonel petto ogni cosa
drento scolpito ho ch'io me ne ricordo;
ma tu facesti alla fine tal chiosa
che fa che d'ogni cosa siàn d'accordo:
non ci è più giusta cosa che la spada
a solver nostra lite; e così vada.

19.
Ma una grazia prima ti domando
che con la spada al campo ci troviamo;
così ti priega il mio cugino Orlando:
che insieme questo giorno dimoriamo;
ch'io sento il cor feritoe non so quando
io fussi da te preso o con che amo;
e 'l terzo dì sopra il mio buon destriere
verrò in sul campo armato a tuo piacere. -

20.
Rispose alle parole presto Antea:
- Ciò ch'a te piace a me convien che piaccia. -
E mentre che così gli rispondea
s'accese tutta quanta nella faccia
però ch'un foco sol due cori ardea.
Come anima gentil presto s'allaccia!
Così ferito è l'uno e l'altro amante
da quello stral che passa ogni adamante.

21.
E cominciorno insieme a riguardarsi
ognun più che l'usato intento e fiso.
Rinaldo non potea di lei saziarsi
né crede ch'altro ben sia in paradiso;
e la fanciulla cominciò a pensarsi
che così bel già mai fussi Narciso:
dovunque e' vagli tenea drieto gli occhi
e par che fiamme Amor nel suo cor fiocchi.

22.
Ed ordinossi un convito sì magno
che simil forse non fu ancor veduto.
Disse Rinaldo al suo caro compagno:
- O Ulivierqui bisogna il tuo aiuto.
Vàdiane Persia e ciò ch'io ci guadagno
fa' che tu abbi a tutto proveduto;
e vo' che di tua man serva costei
per lo mio amorcome io per te farei.

23.
E s'io ti fe' mai gentilezza alcuna
di Forisena e di Meredïana
fa' che qui cosa non manchi nessuna
da onorar questa gentil pagana. -
Disse Ulivier: - Così va la fortuna:
cércati d'altro amanteLucïana.
Da me sarai d'ogni cosa servito. -
Ed ordinò di sùbito il convito.

24.
Furno al convito le vivande tutte
che si potevon dare in quel paese
con prezïosi vinconfetti e frutte;
furonvi tutte le dame cortese
della cittàné creder le più brutte;
e sempre di sua man servì il marchese
massime Antea con molta riverenzia
di coppadi coltello e di credenzia.

25.
Fatto il convitovennon molti suoni
acciò che meno il giorno lor rincresca:
trombe e trombette e nacchere e busoni
cembolostaffa e cemmamelle in tresca
cornitamburcornamuse e sveglioni
e molti altri stormenti alla moresca
lïuti e arpe e citare e salteri
buffoni e giuochi e infiniti piaceri.

26.
Così passorno il giorno con gran festa.
Ma poi che 'l sole in Granata s'accosta
la gentil donna con voce modesta
disse ch'al tutto tornare è disposta
benché tal dipartenza gli è molesta
al gran Soldanch'aspetta la risposta;
e 'l terzo dìcome promesso avea
essere armata in sul campo dicea.

27.
Così la festa ristette col ballo
e dipartissi la donna famosa.
Rinaldo compagnia gli fe' a cavallo
insino appresso ove il Soldan si posa;
e morir si credette sanza fallo
quando e' lasciò questa dama vezzosa
e con fatica le lacrime tenne
insin che pure a casa se ne venne.

28.

Il Soldan domandò quel ch'avea fatto
la gentil figlia in Persia co' cristiani;
ella gli disse la convegna e 'l patto
che 'l terzo dì debbe essere alle mani
e che sperava dare scaccomatto
al buon Rinaldo con l'arme in su' piani
e racquistar tutte le terre sue;
donde il Soldan molto contento fue

29.
però che molto in costei si fidava.
Or ci convien tornare a dar conforto
a Rinaldoch'a letto se n'andava
e non pareva già vivo né morto
ma con sospiri Antea sua richiamava
dicendo: "Lassotu m'hai fatto torto
avermi dato e poi furato il core!";
e detto questo si dolea d'Amore:

30.
Come hai tu consentito che costei
m'abbi così rubato da me stesso
e transformato così tosto in lei,
tanto che quel ch'io fui non son più desso?
Ella se n'ha portati i pensier miei:
questo non è quel che tu m'hai promesso;
e non ti glorïar se col tuo arco
per donna sì gentil m'hai preso al varco;

31.
ché non sarebbe ingannata Europia,
non si sarebbe transformato in toro
Giove e mutata la sua forma propia,
né Ganimede rapito al suo coro,
s'avessi visto sì leggiadra copia.
E non sarebbe Danne un verde alloro,
se Febo avessi veduto il dì Antea
che innamorato: Aspetta!" pur dicea

32.
né fatto servo de' servi d'Ameto;
né tanto tempo Giacobbe fedele
chéveggendo costeicome discreto
serviva per Anteanon per Rachele
che col suo viso faria mansüeto
ogni aspro tigre arrabbiato e crudele
anzi farebbe il mar pietoso e' venti
e per vederla fermi stare attenti.

33.
E non arebbe Andromada Perseo
combattuta col capo di Medusa
e fatto un sasso diventar Fineo;
né fatto arebbe Ipolito mai scusa
né tanto Eüridice chiesto Orfeo
ovver conversa in un fonte Aretusa
se stata fussi Antea nel mondo allora
che degli abissi l'anime innamora.

34.
Non bisognava che Venere iddea
insegnassi a Ipomene già come
gittassimentre Atalanta correa
come fussi passata innanziil pome;
né nel suo Aconzio "Cidippe" scrivea
veggendo a questa il bel viso e le chiome;
e non sarebbe il convito turbato
del pome ch'a Parisse fu mandato

35.
ché non l'arebbe giudicato a Venere:
non bisognava far di ciò contesa
e Troia non saria conversa in cenere
e tutta Grecia mossa a tanta impresa
veggendo nude queste membra tenere
che m'han sì il cor ferito e l'alma incesa;
né da sé sé per se stesso diviso
arebbequesta veggendoNarciso.

36.
E non sarebbe Leandro d'Abido
portato così misero e meschino
come tu saifra l'onde giàCupido
appiè della sua donna dal dalfino
s'avessi Antea vedutaond'io pur grido;
né Polifemo in sul lito marino
chiamata Galatea colla zampogna
dolendosi che in grembo Ati a lei sogna.

37.
Tu non aresti giàTeseomenata
Ipolita del regno già amazzóne;
tu non aresti Adrïana lasciata
su l'isoletta in tanta passïone;
e non sarebbe Emilia repugnata
'Atene per Arcita e Palamone;
né Pirramo già mortoe mille amanti
ch'or sare' lungo a contar tutti quanti

38.

se fussi al secol lor vivuta questa:
ch'io pur non vidi mai più bella figlia
s'io guardo ben la refulgente testa
e 'l capo suoche Venere simiglia
la faccia pulcraangelica e modesta
e due begli occhi e l'archeggiate ciglia
e gli atti e le parole sì soave
che mi parea sentir proprio dire: "Ave".

39.
Ben puoi tucrudoper lei saettarmi
ben puoi di me vittoria avereAmore.
Che pensi tuch'io apparecchi l'armi
per passar con la lancia a questa il core
che può ferirmi a sua posta e sanarmi
come Pelleonon già tutraditore?".
Queste parole e molte altre dicea;
ma finalmente richiamava Antea.

40.
Dove se' tu? Perché m'hai qui lasciato?
Non potesti star meco solo un giorno?
Che pensi tu, ch'al campo io venga armato?
Aspetta tanto ch'io chiami col corno.
Tu m'hai già preso per modo e legato
ch'omai più in Francia al mio signor non torno.
Né posso in Bambillona anco star teco,
né, poi ch'io vidi te, più star con meco.

41.
Che debbo far? Dove sarà il mio regno?
Dove starà il mio cor così soletto?.
Orlandoch'avea fatto alcun disegno
la mattina trovò Rinaldo a letto
e misse a queste parole lo 'ngegno;
disse: - Cuginoaresti tu difetto? -
Rinaldo il volea far pur cornamusa
d'un certo sognoe trovava sua scusa.

42.
Rispose Orlando: - Noi sarem que' frati
che mangiando il migliaccio l'un si cosse;
l'altro gli vide gli occhi imbambolati
e domandò quel che la cagion fosse;
colui rispose: "Noi siàn due restati
a mensae gli altri sono or per le fosse
che trentatré già fumoe tu lo sai:
quand'io vi pensoio piango sempre mai".

43.
Quell'altroche vedea che lo 'ngannava
finse di pianger mostrando dolore;
e disse a quel che di ciò domandava:
Ed anco io piango, anzi mi scoppia il core,
che noi siàn due restatie sospirava;
ed è già l'uno all'altro traditore.
Così mi par che facciàn noiRinaldo:
ché nol di' tu che 'l migliaccio era caldo?

44.
Ma questo è altro caldo veramente. -
Rinaldo si voleapur ricoprire:
- Per Diocuginch'i' sognavo al presente
ch'un gran lïon mi veniva assalire;
ond'io gridavo e chiamavo altra gente
e con Frusberta il volevo ferire:
forse che in sogno parlai per ventura;
tu mi destasti in su questa paura:

45.
dond'io ti sonti promettoobligato
però ch'io ero tanto impaürito
che mi pare esser di bocca cavato
all'animal che m'aveva assalito. -
Rispose Orlando: - Ahcugino impazzato
or fussi e' sogno quel ch'io ho udito!
Più sù sta mona Lunafratel mio!
Guarda se 'n sogno dicevi com'io:

46.
O vaga Antea, che ti feci io già mai?
Dove m'hai tu lasciato? Ove è la fede?
Dove se' ora, e quando tornerai?
E non arai tu mai di me merzede,
che t'ho pur dato il cor, come tu sai,
che son tuo servo pur, come Amor vede?
che tante volte di me domandasti:
Se' tu colui che tu m'innamorasti?'

47.
Tu se' colei ch'ogn'altra bella avanza;
tu se' di nobiltà ricco tesoro;
tu se' colei che mi dài sol baldanza;
tu se' la luce dello etterno coro;
tu se' colei che m'hai dato speranza;
tu se' colei per ch'io sol vivo e moro;
tu se' fontana d'ogni leggiadria;
tu se' il mio cortu se' l'anima mia".

48.

Nimicacugin miopar che tu sogni;
non creder da me tu voler celarti:
pensa ch'un altro trovar ti bisogni.
Dunque tu vieni in Persia a innamorarti
d'una pagana! Or fa' che ti vergogni
ché questo è poco men che sbattezarti.
Se' tu sì della mente fatto cieco?
Guarda che Cristo non s'adiri teco.

49.
Ove èRinaldola tua gagliardia?
Ove èRinaldoil tuo sommo potere?
Ove èRinaldoil tuo senno di pria?
Ove èRinaldoil tuo antivedere?
Ove èRinaldola tua fantasia?
Ove èRinaldol'arme e 'l tuo destriere?
Ove èRinaldola tua gloria e fama?
Ove èRinaldoil tuo core? Alla dama.

50.
Pàrti che 'l tempo sia conforme a questo?
Pàrti che 'l tempo sia da innamorarsi?
Pàrti che 'l tempo sia qui lungo o presto?
Pàrti che 'l tempo sia dover più starsi?
Pàrti che 'l tempo sia tranquillo o infesto?
Pàrti che 'l tempo sia da motteggiarsi?
Pàrti che 'l tempo sia da dama o lancia?
Pàrti che 'l tempo sia d'andarne in Francia?

51.
A questo modo il regno in pace aremo!
A questo modo acquisterai corona!
A questo modo Antea giù abbatteremo!
A questo modo andren poi in Bambillona!
A questo modo la fede alzeremo!
A questo modo or di te si ragiona!
A questo modo se' fatto discreto!
Misero a mech'io non sarò mai lieto!

52.
Lascia questo pensier sì stolto e vano
comincia a rassettar la tua armadura
ché questo nostro Cristo è partigiano;
non so come e' comporta tua natura.
Vedi ch'addosso ci viene il Soldano
e se tu abbatti Antea per tua ventura
che questo regno e tutte sue contrade
sicuro abbiam sanza operar più spade. -

53.
Quando Rinaldo si vide scoperto
e non poté celar quel ch'è palese
rispose sospirando: - Io veggo certo
che queste al nostro Iddio son grave offese
e molta punizioncome di'merto.
Ma se quel Giove iddio non si difese
da questo Amorné 'l bellicoso Marte
che val qui la mia forza o ingegno o arte?

54.
Io voglio al campo andarch'io l'ho promesso
e porterò la lancia e 'l brando cinto.
Ma come potrei io ferir me stesso
o vincer mai colei che m'ha già vinto?
Io ho la mente ciecaio tel confesso
ed anco il mio signor cieco è dipinto
e guida a questa volta il cieco l'orbo:
dunque tu bussi a formica di sorbo.

55.
Io non posso volerper ch'io non voglio:
lasciar costei dunque io non voglio o posso;
io non son più il cugin tuocom'io soglio
però che questo è mal che sta nell'osso;
e s'io sapessi gittar questo scoglio
sarebbe Salamon suto un uom grosso
Aristotile e Socrate e Platone.
Dunquefratelnon ne facciam quistione;

56.
ch'io non vo' disputar d'astrologia
con quel che non sa ancor che cosa è stella;
io non vo' disputar di cerusia
con chi sempre ara o macina o martella;
io non vo' disputar quel che amor sia
con un che sol conosce Alda la bella;
ma priego Amor che qualche ingegno truovi
acciò che tu mi credache tu 'l pruovi. -

57.
Rimase Orlando tutto spennecchiato
quando e' sentì quel che 'l cugino ha detto
perché conobbe ch'egli era ostinato;
a Ulivier n'andava e Ricciardetto
e disse: - Il nostro Rinaldo è già armato
ch'aspetta alla battaglia Antea nel letto. -
E raccontò ciò ch'egli avea sentito;
donde ciascun di lor n'è sbigottito.

58.

Ma Ulivier con Orlando dicea:
- Io gli ho a cantar poi il vespros'io mi cruccio.
- Dehtaci! - Orlando tosto rispondea
- ché ti direbbe: "Néttati il cappuccio".
A meche ignuno error di ciò sapea
m'ha rimandato indrieto come un cuccio.
Chi vi cercassi trito a falde a falde
né l'un né l'altro è farina da cialde.

59.
Vo' che tu corra come fe' a furore
quella badessae lievi il romor grande
che volle tòr la cuffiae per errore
si misse dell'abate le mutande;
per che la monacella peccatore
disse: "Madonnail capo vi si spande:
la cuffia prima un poco v'acconciate";
dond'ella si tornò al suo santo abate?

60.
Qui si bisogna provedere a noi
e che noi andian domani al campo armati:
io sarò il primo e poi sarete voi
che con Antea ci saremo sfidati.
Io so ch'io l'uccidròsia che vuol poi;
se noi sarem dal Soldano assaltati
difenderencie Iddio ci aiuteràe
né più la dama il mio cugino aràe.

61.
Ma forse altri pensier potrebbe avere
se la fortuna o 'l peccato volessi
ch'ella m'abbatta in terra del destriere:
bench'io mi credo che se ne ridessi.
Ma Cristo mi darà forza e potere
e con sua man mi sosterrà lui stessi;
e lasceren Rinaldo a riposarsi
nel letto insin che potrebbe destarsi. -

62.
Ulivier non rispose nulla a questo
e diecimila a cavallo ordinorno.
L'altra mattina ognun s'armava presto;
verso dell'oste del Soldan n'andorno;
così Rinaldo sanza esser richiesto;
e disse al conte: - Sonerai tu il corno
ché sai che poco il sonarlo è mia arte
e chiama al campo Antea dalla mia parte.

63.
Ah! - disse Orlando - tu non di' davvero!
Io lo farò come persona sciocca
ché di piacerti ho troppo desidèro. -
E l'alifante si poneva a bocca
e sonò tanto forte e tanto altero
checome il suon del corno fuori scocca
sùbito venne agli orecchi d'Antea;
che fra se stessa gran dolor n'avea

64.
dicendo: "Io ho qui perduta ogni fama:
parrà che per viltà nel padiglione
mi stessi addormentata"; e l'arme chiama
e finalmente saltò in su l'arcione.
Come Rinaldo scorgeva la dama
par che sia tratto il cappello al falcone
e tutto si rassetta in su la sella
e in qua ed in là con Baiardo saltella.

65.
Giunta costeicon un gentil saluto
lo salutòche in mezzo il cor gli passa;
poi fece con Orlando il suo dovuto;
Orlando per dolor giù gli occhi abbassa.
Disse la dama: - E' vi sarà paruto
ch'io sia molto per certo pigra e lassa
ché sto nel lettoe voi siete aspettarmi:
veggo che l'arte è pur vostra dell'armi.

66.
Prendi del campo tuRinaldo mio
ché so che tu m'aspetti alla battaglia
e ciò ch'io ti promissipel mio Iddio
osserverotti sanza mancar maglia. -
Dicea Rinaldo: - A combatter vengo io
ma vorrei far con arme che non taglia. -
Volse il cavalloe così la fanciulla.
Disse Ulivieri: - E' non ne sarà nulla. -

67.
E parvegli ch'Antea se ne ridesse
quand'ella volse il cavallo arabesco.
Volto Rinaldol'aste in resta messe
e con Baiardo fe' del barberesco;
ma come e' par ch'alla dama s'appresse
un bello scudo ch'aveva moresco
sùbito drieto alle spalle gittava
e gittò via la lancia che portava.

68.

Veggendo questo Anteach'era gentile
sùbito anco ella lo scudo volgea
per non parer né villana né vile;
Orlando troppo di ciò si dolea
e dice: - L'esca riscalda el fucile.
Maladetta sia tu per certoAntea!
Or vediRicciardettoove noi siamo:
qui si convien che l'arme adoperiamo;

69.
ché quando io vidi Antea sì larghi patti
far se Rinaldo la vinceva in giostra
io dissi: "Or sono acconci i nostri fatti
a salvamento omai la terra è nostra".
Ora ho temenza alfin non siàn disfatti
poi che tanta pazzia Rinaldo mostra:
parmi ch'uscito sia dello intelletto.
- E così a me - diceva Ricciardetto.

70.
Accostasi a Rinaldo Orlando allora
e disse: - Dimmi dove tu ha' apparato
giostrar cosìch'io nol sapevo ancora
e molto caro ho tu m'abbi insegnato.
Veggo che 'l foco drento ben lavora
e 'n questo dì riman' vituperato. -
Disse la dama: - Così vuole Amore.
Prendi del campo tugentil signore. -

71.
Allor comincia Ulivieri a pregare:
- Per graziacar cognatoti domando
che tu mi lasci con questa provare.
- Io son contento: - rispondeva Orlando
- non che pregarmitu puoi comandare. -
Ulivier venne il suo destrier voltando
e quanto gli parea del campo prese;
così la donnae volsesi al marchese.

72.
Riscontrò Ulivier la damigella
e ruppe la sua lanciae non la mosse
né piegò pure un dito in su la sella;
ma in su lo scudo in modo lui percosse
che cadde per virtù della donzella
e bisognòe che prigionier suo fosse;
e Ricciardetto gli fe' compagnia
acciò che gl'increscessi men la via.

73.
E 'nverso il padiglion furno avvïati.
Rinaldo si ridea del suo fratello.
Orlando gli dicea: - Pe' tuoi peccati
credo che t'abbi perduto il cervello.
Ma que' che son di sopra coronati
ben ti serbano a tempo il tuo flagello. -
Rinaldoch'avea il cor dato in diposito
non rispondeva a Orlando a proposito.

74.
Per la qual cosa Orlando è insuperbito
e disse: - Io giuro pel nostro Gesùe
chese 'l peccato tuo non è punito
in qualche modoio non gli credo piùe
e leverotti da giuoco e partito
che con Antea non giosterrai più tue:
ch'io gli darò la morte in tua presenzia
per darti parte di tua penitenzia. -

75.
E disse 'Antea: - Se vuoipiglia del campo
ché fia cagion del tuo morir Rinaldo:
ch'io ti farò sentirs'io non inciampo
d'altro per certo che d'amor pur caldo. -
Disse la dama: - Non ci è ignuno scampo:
se fussiOrlandopiù ch'un muro saldo
io ti farò cader per tuo dispetto:
così ti sfido e così ti prometto. -

76.
Orlando con grande ira il destrier volse
e va sbuffando che pareva un toro;
così del campo la fanciulla tolse
poi si voltòche non fe' ignun dimoro;
sopra lo scudo del buon conte colse
credendo dargli il suo sezzo martoro:
ruppe la lanciae non si mosse il muro
come avea dettotanto è forte e duro.

77.
Maravigliossi di questo la dama
e disse: "Io ero in un pensiero strano
d'abbatter un tal uom c'ha tanta fama".
Orlando anco la lancia ruppe invano
perché lo scudo è incantato e la lama.
Dunque le spade pigliavano in mano
e cominciorno la battaglia insieme
per modo che d'Antea Rinaldo teme.

78.

Are' volutotanto è innamorato
del suo cugin veder la terra rossa;
e come Orlando il colpo aveva dato
gli rimbombava nel cuor la percossa
e par che 'l petto gli resti intronato
come avviene allo infermo per la tossa;
ed ogni volta con Cristo si cruccia
e dice l'orazion della bertuccia.

79.
Alcuna volta ch'Antea superava
un poco Orlandoegli arebbe voluto
ch'ella il gittassi in terrae sospirava
e con sue proprie man porgergli aiuto.
Guarda costui quanto Amor lo 'ngannava
ch'era di poco di Francia venuto
con tanta impresa a trarlo di prigione
ed or chiedea la sua distruzïone!

80.
Or basti questo essemplo a chi m'intende.
Orlando con Antea mirabil pruova
facea col brando; e costei si difende
però che l'arme sua fatata truova
e spesso a lui simil derrate rende;
ma sopra l'armi sue poco ancor giova
però ch'Orlando tale avea armadura
che regge a tutte bottein modo è dura.

81.
Durò tutto quel giorno la battaglia
sanza avanzar l'un l'altro di nïente
da poi che l'arme non si rompe o taglia.
Era già il sol caduto in Occidente
e non restando la fiera puntaglia
Orlando disse alla dama piacente:
- Credo che tempo da ritrarsi sia
e faccendo altrosare' villania.

82.
Non ci è vergognaché non ci è vantaggio;
per istasera la guerra è finita. -
Disse la donna: - Io ho per grande oltraggio
ch'io non t'ho fatto qui lasciar la vita;
ora a tua posta vanne a tuo vïaggio. -
E così fecion dal campo partita;
e ritornossi Orlando al suo stazzone
e la fanciulla al padre al padiglione.

83.
E fra tre dì promisson ritornare
alla battaglia e far quel ch'è usanza.
Or altra storia ci convien trattare.
Cercato il mondo avea Gan di Maganza
come e' potessi Rinaldo trovare
ma dov'e' fussi non avea certanza.
Al campo capitò dove è il Soldano
e dèttesi a conoscer ch'era Gano;

84.
e disse che di corte era sbandito
e dava tutte a Rinaldo le colpe
e che pel mondo alcun tempo era gito
per fargli alfin lasciar l'ossa e le polpe.
Avea il Soldan di Gan molto sentito
com'egli è malizioso più che volpe
e più che Giuda tristo e traditore;
e quanto più potea gli fece onore.

85.
E raccontò di Persia come era ito
il fattoe come Orlando l'avea presa
e Chiarïella il padre avea tradito;
e che per questo mossa ha tale impresa
però che 'l regno a lui è stabilito;
ma nol può racquistar sanza contesa;
ma tanto tempo è disposto far guerra
che torrà loro e la vita e la terra.

86.
E disse come al campo era venuto
Rinaldo ed Ulivieri e 'l conte Orlando
e come Ricciardetto era caduto
ed Ulivier sanza operare il brando
e la sua figlia l'aveva abbattuto
e come e' gli ha prigioni al suo comando.
Ebbe di questo Gan molta letizia
e cominciò a pensar tosto malizia.

87.
E dopo molto e gran ragionamento
dicea: - Soldanointendi il mio consiglio.
Combatter con Orlando è fumo al vento
e darà alfine a' tuoi prigion di piglio.
Io cercherei d'avergli a salvamento
acciò che non ti fugghin dello artiglio
e non farei in su' campi più dimoro
ma in Bambillona me n'andrei con loro.

88.

So che Rinaldo tanto ama il fratello
e così Orlando il cognato Ulivieri
che ciò che tu vorrai l'arai da quello
pur che tu renda lor questi guerrieri.
Io darei presto al vento il mio drappello
ché non rïusciranno qui i pensieri. -
E tanto seppe il Soldan confortare
ch'e' s'accordava il suo campo levare.

89.
Rinaldo con Orlando era tornato
in Persiae fatto gran disputazione.
Orlando s'era con lui riscaldato:
- Io credo che tu stavi in orazione
ch'io fussi da colei preso e legato;
e quando bene alla tua intenzione
non rïusciva il disegno o l'archìmia
dicevi il paternostro della scimia. -

90.
E forse che di questo era indovino.
Così la sera a posar se n'andorno
rimbrottandosi insieme col cugino.
Rinaldo si levò come e' fu giorno;
vide levato il campo saracino
da un balcondonde e' vedea dintorno:
maravigliossi e gran dolor n'avea
ché riveder mai più non crede Antea.

91.
Non si ricorda già di Ricciardetto
non si ricorda ch'Ulivieri è preso
che gli soleva amar con tanto effetto:
tanto il foco d'amor drento era acceso!
Al conte Orlando presto andava al letto
e disse: - Hai tu del nuovo caso inteso?
Dal mio balcon testé guardando il piano
veggo che 'l campo ha levato il Soldano.

92.
Ah! - disse Orlando - come esser può questo?
come può farlo altro che solo Iddio
che sia di qui partito così presto?
O Ulivierio Ricciardetto mio
forse ch'avvolto avete ora il capresto!
Or se' contentocugin pazzo e rio?
Or si vendicherà il Soldan de' torti!
Io ne farò vendettase gli ha morti.

93.
Qui si bisogna sùbito riparo
e tempo non è più d'essere amante. -
E finalmente d'accordo ordinaro
che Chiarïella sposassi Balante
e 'l regno a questi a governo lasciaro;
e Lucïana col suo Balugante
a Siragozza a Marsilio tornassino
e per lor parte assai lo ringraziassino.

94.
E ben cognobbe Lucïana e vede
ch'al suo Rinaldo era uscita del core:
contenta si partì come ognun crede
e disse fra se stessa: "Ingrato Amore
è questo il merto di mia tanta fede?
Così va chi si fida in amadore";
e ritornossi assai dogliosa al padre
con Balugante e con le loro squadre.

95.
Ordinato la terrasi partiro
RinaldoOrlando e 'l suo caro scudiere
e per diverse vie cercando giro
dove sien del Soldan le sue bandiere.
Una mattina in un bosco appariro
dove s'andava per istran sentiere
per ispilonche e per burroni e balze
dove vanno le capre appena scalze.

96.
E come furno in mezzo del deserto
cinque giganti trovorno assassini
che tutto quel paese avien diserto
tanto che presso non v'è più vicini.
In una grotta in un luogo coperto
si riducevan come malandrini;
ed una damigella avien con loro
tutta angosciosa e con assai martoro.

97.
Al re Costanzo l'avevon rubata
ch'era signor della Bellamarina;
in questa grotta l'avevon legata
e molto la sua vita era meschina.
E come e' giunse la nostra brigata
l'un de' giganti a Rinaldo cammina
e in ogni modo Baiardo volea
e minacciavase non ne scendea;

98.

e dice: - Tu potrai poi starti meco
e menerotti per queste contrade:
aiutera'mi arrecar ciò ch'io reco
ché ogni giorno rubian queste strade. -
Disse Rinaldo: - Dunque starò teco
se drieto ti verrò per le masnade?
Tu mi par' poco praticogigante
ch'io non sono uom da star teco per fante. -

99.
E detto questoBaiardo scostava;
poi cogli sproni in su' fianchi ferillo
in modo che tre lanci egli spiccava
che gozzivaio non parea né grillo;
la lancia abbassae 'l gigante trovava:
in mezzo il petto col ferro ferillo
e passò il cuore al gigante gagliardo
ed anco d'urto gli diè con Baiardo.

100.
Un di quegli altri a Orlando s'accosta
e 'n sull'elmetto gli diè sì gran picchio
chese non fussi che l'arme fe' sosta
e' gli levava del capo uno spicchio.
Non si poté rïavere a sua posta
Orlandoche pel duol si fece un nicchio
e tramortito par che giù cascasse.
Ma 'l fer gigante di sella lo trasse

101.
e portollo di peso un mezzo miglio
per gittarlo in un luogo fuor di strada.
Orlando ritornò nel suo consiglio:
videsi presoe pigliava la spada
e ficcolla al gigante in mezzo il ciglio
tanto che morto convien che giù vada;
ché per l'orecchio rïuscì dal lato
sì che pel colpo il gigante è cascato.

102.
Terigi sempre l'aveva seguìto.
Or ritorniamo a Rinaldoche resta
nella battaglia dagli altri assalito
che forse alfin gli rompevan la testa
se non fussi il caval ch'è tanto ardito
che morde e trae e facea gran tempesta
tanto che gnun non si vuole accostare;
donde un gigante cominciò a parlare:

103.
Chi tu ti siacristiano o saracino
tu mi pari uom da far poco guadagno:
per mio consigliopiglia il tuo cammino
ché questo tuo destriere è buon compagno. -
Rinaldo s'avvïava. E Vegliantino
cercato ha tanto del suo signor magno
che lo trovavae sù vi monta Orlando.
E molto di Rinaldo andò cercando;

104.
e Rinaldo di lui cercava ancora:
non si trovornoché smarriti sono.
Della foresta cercono uscir fuora.
Orlando sente per la selva un suono:
ecco apparir quella fanciulla allora
che s'inginocchia e domanda perdono
e dice come ella fussi scampata
mentre ch'egli era la zuffa appiccata;

105.
e che gli dessi ed aiuto e conforto.
Orlando di Rinaldo suo domanda;
disse la dama: - Io so che non è morto
ma dove e' gissinon so da qual banda.
Andian cercandoper Dioqualche porto. -
Allora Orlando a Dio si raccomanda;
e cavalcorno il giorno e poi la notte
sempre per balzi e per fossati e grotte.

106.
Rinaldouscito al giorno d'un burrone
comincia del dimestico a trovare;
truova un pastor che in su 'n un capperone
certe vivande sue volea mangiare
e fece insieme con lui collezione.
Mangiatocominciossi addormentare
perché la notte non avea dormito;
e dal pastor si trovò poi tradito.

107.
Questo pastor sopra Baiardo arranca
come e' vide Rinaldo addormentato.
Vede Rinaldo che 'l destrier gli manca
ché si destòperch'egli avea sognato
ch'un gran lïon l'avea preso per l'anca;
e disse: "Or son io ben male arrivato!";
e 'l me' che può soletto ne va a piede
perché Baiardo e 'l pastor non rivede.

108.

Questo pastor n'andò a una città
dove il Soldan teneva il suo tesoro.
Il mastro giustizierche quivi sta
vide il cavallo a quell'uom grosso e soro
e quel che ne volea domandato ha.
Costui chiedea trecento dobbre d'oro;
onde e' rispose: - Io vo' veder provallo. -
E quel pastor di spron dètte al cavallo.

109.
Baiardo conosceva a chi egli è sotto:
subitamente prese in aria un salto
onde il pastorch'a l'arte non è dotto
si ritrovò di fatto in su lo smalto
e del petto due costole s'ha rotto.
Il giustizierche 'l vide levare alto
disse al pastor: - Questo è pel tuo peccato
ch'io so che questo cavallo hai imbolato. -

110.
Poi gli fece e danari annoverare.
Or ritorniamo a Rinaldoch'andava
sanza saper dov'egli abbia arrivare
e Ricciardetto ed Ulivier chiamava:
A questo modo vi vengo aiutare?;
quando d'Orlando si ramaricava:
Dove lasciato t'ho, cugin mio buono,
nel bosco? Ed io, dove arrivato sono?

111.
Carlo Magno, ben sarai contento!
O Ganellon, bene arai allegrezza!
O Chiaramonte, il tuo rigoglio è spento!
O Monte Alban, tu tornerai in bassezza!
O buon Guicciardo, dove è il tuo ardimento?
O donna mia, dov'è tua gentilezza?
O caro Astolfo mio, come farai?
Omè, Rinaldo, che via piglierai?.

112.
E così lamentandocapitòe
a Bambillona per molte contrade.
Essendo pressoun pagan riscontròe
e domandollo di quella cittade;
onde il pagan ridendo lo beffòe
quando lo vide così in povertade:
- Tu hai gli spron- dicea - dove è il ronzino?
Tu 'l debbi aver giucato pel camino. -

113.
Donde Rinaldo s'adirò con quello;
disse: - Per Diotu pagherai lo scotto! -
Prese la briglia e colui pel mantello
e disse: - Io vo' l'alfana che tu hai sotto;
e serba tu gli spronribaldo e fello! -
Poi trasse fuor Frusbertae non fe' motto
e dèttegli un rovescio alla francesca
che lo tagliò pel mezzo alla turchesca.

114.
Morto costuiinnanzi gli venìa
un altro che parea buona persona;
disse Rinaldo: - Dimmiin cortesia
questa città com'ella si ragiona. -
Colui rispose sanza villania:
- Sappi che questa è la gran Bambillona
e Bambillona si chiama maggiore
e 'l Soldan della Mecche n'è signore.

115.
Ed ècci una figliuola del Soldano
che molto afflitta mena la sua vita
ed èssi innamorata d'un cristiano
e duolsi che nol vide alla partita:
sento ch'egli è non so che Monte Albano;
tanto è che per lui par tutta smarrita
e tutta solitaria è fatta questa
che solea la città tener già in festa.

116.
Ora io t'ho detto più che non domandi;
s'altro tu vuoi da mechiedi tu stesso
ch'io il farò volentierpur che comandi
ché certo un uom gentil mi par' da presso. -
Disse Rinaldo: - Troppo me ne mandi
contento se 'l tuo nome mi di' adesso. -
Dicea il pagan: - Fia fattoe volentieri
ciò che tu vuoi: chiamato son Gualtieri.

117.
E se ti piaceio vo' teco venire
dove tu vaich'io son uom poveretto:
non ho faccenda o roba da partire;
e d'esserti fedel giuro e prometto. -
Quando Rinaldo così ode dire
disse: - Gualtierper buon fratel t'accetto -;
come nell'altro dir vi sarà pòrto.
Cristo vi guardi e dia pace e conforto.



CANTARE DECIMOSETTIMO


1.
Virgine innanzi al parto ed ora e sempre
Virgine puraVirgine beata
Virgine che 'l tuo figlio in Ciel contempre
Virgine degnaVirgine sacrata
Virgine ch'ogni cosa guidi e tempre
Virgine con Gesù nostra avvocata
Virgine piena di grazia e di gloria
Virgine etternaaiuta la mia storia.

2.
Sappi ch'i' son colui per cui sospira
nella città la figlia del Soldano;
ma la Fortunache sue rote gira
m'ha qui condotto con gli sproni in mano
e di me fatto il berzaglio e la mira.
Or pur torrai questa alfanapagano
ché 'l mio cavallo ho perdutoBaiardo
e 'l mio cuginche mai fu il più gagliardo:

3.
nella città n'andrai sùbito a quella;
di' che Rinaldo in sul campo l'aspetta
alla battaglia armatonon in sella
ché vuol de' suoi prigion far la vendetta:
vedrai che gli parrà buona novella. -
Gualtier sopra l'alfana allor s'assetta
e presto in Bambillona andava 'Antea
e quel ch'ha detto Rinaldodicea.

4.
Diceva Antea: - Può farlo la Fortuna
che sia Rinaldoe sia così soletto
sanza cavallo o compagnia nessuna? -
e corse a Ulivieri e Ricciardetto
e disse: - Or non temete cosa alcuna -
perché sapea che vivon con sospetto;
e quanto più potea gli confortava;
ché per amor di Rinaldo gli amava;

5.
e Ricciardetto avea trattato in modo
che mai nessun disagio comportòe:
tanto la strigne l'amoroso nodo!
Poifatto questoal Soldan se n'andòe:
- Voi non sapete - disse - quel ch'io odo:
però quel c'ho sentito vi diròe:
Rinaldo fuor m'aspetta delle mura
a pièsolettosol con l'armadura. -

6.
Il Soldan disse: - Molto strano è il caso
ch'un cavalier di tanta nominanza
così sanza caval sia sol rimaso. -
E disse: - Che di' tuGan di Maganza
che se' d'ogni scïenza e virtù vaso?
Sai che Rinaldo ha pur molta possanza
né la fortuna ritentar vorrei.
Pertanto il tuo consiglio caro arei. -

7.
Forse che Gano ebbe a pensare a questo
ch'avea di tradimenti pieno il seno
e la risposta apparecchiata ha presto;
disse: - Soldans'a mio modo fareno
non metteren così in un tratto il resto
ma minor posta ch'Antea mettereno.
Se Rinaldo ama la donna famosa
credi per lei che farebbe ogni cosa.

8.

E' ci è quel Veglio antico maladetto
che sta nella montagna d'Aspracorte
e tutto il regno tuo tiene in sospetto:
la tua fanciulla con parole accorte
conchiugga con Rinaldo questo effetto:
che s'a quel Veglio dar crede la morte
che rïarà i prigionie tutti i patti
gli osserverai che in Persia furon fatti. -

9.
Era il Soldano uom molto scozzonato
e 'ntese ben che lo manda alla mazza
e fra sé disse: "Ecco uomo scelerato!
Ecco ben traditor di fine razza!".
Rispose: - Io lodo quel c'hai consigliato:
ogn'altra cosa sare' forse pazza. -
E la sua figlia confortò ch'andassi
al suo Rinaldo e questo domandassi.

10.
Ella rispose al Soldan ch'era presta
e quando più poté si facea bella:
missesi indosso una leggiadra vesta
ove fiammeggia d'oro alcuna stella
nel campo azurromolto ben contesta
di seta riccae poi montava in sella
con due sergentie non volle armadura;
ed a Rinaldo andò fuor delle mura.

11.
Quando Rinaldo Antea vede venire
sente nel cuor di sùbito un riprezzo
d'amorche gliel facea per forza aprire:
Ecco il soldisse "fra le stelle in mezzo".
Giunse la donna che 'l facea morire;
vide che s'era a seder posto al rezzo
appiè d'un moro gelso in su la strada
in sul pome appoggiato della spada

12.
e disse: - Mille salute a Rinaldo!
Qual fato ingiusto o qual fortuna vuole
ch'a piè soletto camini pel caldo? -
Quando Rinaldo sentì le parole
non potea il cor nel petto stargli saldo
e disse: - Ben ne venga il mio bel sole!
Qual grazia qui ti manda a confortarmi?
Ma dimmi: dove hai tu lasciate l'armi? -

13.
Rispose la fanciulla: - Ahpuro e soro!
A quel che ci bisogna ogni arme è buona;
ch'io doverreiper uscir di martoro
far come Tisbe mia di Bambillona
poi che noi siamo appiè del gelso moro
della cui fede ancor la fama suona;
e forse del mio amor costante e degno
in qualche modo il Ciel farebbe segno.

14.
Io son venuta perché il padre mio
vuol ch'io ti dica quel che intenderai:
ch'un nostro gran nimico antico e rio
se tu l'uccidii tuoi prigioni arai
e ciò che in Persia già ti promissi io.
Non so se ricordar sentito l'hai
ma molto suona la sua possa magna
e 'l Veglio appellato è della Montagna.

15.
E statti d'ogni cosa alla mia fede
se tu faraiRinaldoquel ch'io dico.
Ma dimmi come sia rimaso a piede
e ch'io non veggo Orlando quiil tuo amico.
Piglia questo cavalcheper mia fede
se non l'accetti sarai mio nimico. -
Disse Rinaldo: - In un deserto folto
rimase Orlandoe 'l destrier mi fu tolto.

16.
E 'l me' ch'io posso mi son qui condotto:
l'amor ch'io porto 'Antea me lo fa fare
e son venuto a piè più che di trotto;
né voglio altro caval mai cavalcare
insin che 'l mio Baiardo non m'è sotto.
Orperché sempre mi puoi comandare
colui che di' di montagna o di bosco
fammi assaperch'io per me nol cognosco.

17.
E s'egli avessi la testa di ferro
per lo tuo amor due pezzi ne faròe:
così ti giuroe so che mai non erro.
E d'ogni cosa in te mi fideròe
di ciò che fu ne' patti s'io l'atterro. -
Rispose Antea: - Con teco manderòe
un de' miei mammalucchiche là vegni
e questo can malfusso te lo 'nsegni.

18.

Io mi ritorno drento alla città
ché tempo non è or da far soggiorno.
A' tuoi prigion nïente mancherà
ch'io gli ho sempre onorati notte e giorno;
e libero ciascun di lor sarà
Rinaldoin ogni modo al tuo ritorno.
Macon sia teco! - E poi voltò il cavallo
ché 'n volto più non sofferia guardallo.

19.
E ritornossi sospirando drento
e ridiceva al Soldano ogni cosa.
Non domandar come Gan fu contento:
dell'alegrezza non trovava posa;
e perché e' fussi doppio il tradimento
disse così: - Se tu vuoi còr la rosa
a tempo e sanza pugnerti la mano
un altro bel partito ci èSoldano.

20.
Rinaldo non arà col Veglio scampo;
or mi parrebbe la tua figlia andassi
a Monte Albano intanto a porre il campo
e bastere' trentamila menassi
prima che sia raffreddo questo vampo.
Orlando non v'è orche rimediassi
ma sol GuicciardoAlardo e Malagigi;
e preso Montalbanpreso è Parigi.

21.
Questo Ulivieri e questo Ricciardetto
de' miglior paladin son ch'abbi Carlo:
Carlo in Parigi è rimaso soletto
e per paura attenderà a guardarlo.
Qui è il partito vinto e 'l giuoco netto
pur che tu sappisignor miopigliarlo. -
Donde al Soldan troppo la 'mpresa piace
e ciò c'ha detto Gan gli fu capace;

22.
e la figliuola scongiurava e priega
che ora è tempo acquistar qualche fama.
Ma la fanciulla al principio ciò niega
come colei che Rinaldo molto ama;
e molto saviamente al padre allega
che sempre più l'onor che l'util brama
e che Rinaldo voleva aspettare
e ciò ch'aveva promesso osservare.

23.
Il padre rispondea: - Prima ch'e' torni
dal Veglioo che gli dia sì tosto morte
saranno trapassati molti giorni:
tu sarai a Montalban prima alle porte
co' tuoi stendardi e' tuoi baroni adorni;
ed oltre a questoOrlando or non è in corte
né RicciardettoUlivieri o Rinaldo:
però battiamo il ferro mentre è caldo.

24.
Quando Rinaldo sarà ritornato
perch'io m'avveggo tu gli porti amore
ciò che promesso gli hai fia osservato
e giusto mio poter farégli onore
tanto che in Persia si fia ritornato:
quivi si poseràsendo signore.
Diren che nella Mecche tu sia andata
e 'n pochi giorni qui sarai tornata. -

25.
Gano in sul fatto diceva parole
ch'eran tutte de' colpi del maestro.
Quando Antea vide che 'l Soldan pur vuole
rispose che parata era a suo destro.
Fannosi insegnecome far si suole
e fornimenti per luogo campestro;
padiglioni e trabacche s'apparecchia
e tutta l'arme si ritruova vecchia.

26.
Non credo che mai tanto martellassi
in Mongibello il gran fabbro Vulcano
quanto per tutta Bambillona fassi;
e chi portava l'arco sorïano
racconcia le saette co' turcassi;
chi la sua scimitarra piglia in mano
e vuol veder s'ella è di tutta pruova;
chi briglie e selle e chi staffe rinuova.

27.
In pochi giorni son tutti assettati
e diè il Soldan le sue benedizioni
alla figliuolae sono accomiatati
e dati tutti al vento i lor pennoni.
Guardava Antea que' cavalieri armati
e tutti gli vagheggia in sugli arcioni
e dice: "Io vedrò pur Cristianitade
castella e ville e tutte le cittade

28.

le sue marinei boschii monti e 'l piano
e 'l bel castel che guarda Malagigi
del mio Rinaldodetto Monte Albano;
vedrò la bella chiesa San Dionigi;
vedrò il DaneseAstolfo e Carlo Mano
quand'io sarò a combatter poi Parigi;
e s'io torrò a Rinaldo il suo castello
potrò ciò ch'io vorrò poi aver da quello.

29.
Combatterò co' paladini ancora;
Rinaldo torneràcosì Orlando
e proverrommi con lor forse allora:
la fama insino al ciel n'andrà volando".
Così di queste cose s'innamora
mentre che a ciò pensava cavalcando
come colei che sol bramava onore
e molto generoso aveva il core.

30.
Gan per la via con lei molto parlava
ch'era con essa a fargli compagnia:
- Così faremo - e molto confortava
dicendo spesso: - Per la fede mia
del traditor Rinaldo non mi grava.
E' non ci va due mesiche in balìa
arete tutto il reame di Francia
sanza operare spada molto o lancia.

31.
Io ho parentiamici in ogni lato:
e' non ha Carlo sì fidata terra
ch'i' non sappi ordinar qualche trattato
come e' vedranno appiccata la guerra. -
Diceva Antea: "Guata uom bene ostinato!
Chi dice traditorcerto non erra;
chése di questo il mio giudicio è saldo
non vidi alla mia vita un tal ribaldo".

32.
Così costor ne vanno a Monte Albano.
Or ritorniamo un poco al suo signore.
Rinaldo e 'l mamalucco del Soldano
vanno a quel Veglio crudo e peccatore.
Dicea Rinaldo allo scudier pagano:
- Monta in su questa alfana per mio amore
ché insin che 'l mio caval non troverròe
altro destrier già mai cavalcheròe. -

33.
Non voleva il pagan per riverenza
ma poi per riverenza anco l'accetta.
Vanno parlando della gran potenza
di quella aspra persona e maladetta.
Diceva il mamalucco: - Abbi avvertenza
che la sua branca addosso non ti metta. -
Rinaldo rispondea: - Tu riderai
ché maggior bestia son di lui assai. -

34.
Poi che furono entrati in un gran bosco
in mezzo a quel trovorno un gran burrone
disertooscuro e tenebroso e fosco.
Disse il pagan: - Qui sta quel can ghiottone
in quel palagio che vedi; io il cognosco
insin di quach'io il veggo a un balcone. -
E mostrò quello a Rinaldoche stava
alla finestra e pel bosco guardava.

35.
Come e' vide apparir Rinaldoforte
gridò da quel balcon: - Che gente è questa?
Ch'andate voi cercando qua? La morte? -
Venne alla porta con molta tempesta.
Disse Rinaldo: - A te sanza altre scorte
venuti siam per l'oscura foresta
e vengo a dare a te quel che tu ha' detto
per onta e disonor di Macometto.

36.
So che tu se' del gran Soldan nimico
e son venuto qui per vendicallo
di ciò che fatto gli hai pel tempo antico
ché contro a lui commesso hai più d'un fallo. -
Rispose il Veglio: - Io fui sempre suo amico
per ogni tempoe tutto il mondo sallo;
e perché cavalier mi par' dabbene
vo' che tu intenda onde tal cosa viene.

37.
Questo Soldan giàsendo addormentato
una mattina in visïon vedea
chesendo sopra il suo cavallo armato
una montagna addosso gli cadea;
ed ha per questo sogno interpetrato
ch'io sia quel desso; e già ci mandò Antea
a combatter con mecoe finalmente
della battaglia si partì perdente.

38.

Questo sospetto fa che mi persegua
e cerchi quanto e' può tòrmi la vita
sanza voler con meco accordo o triegua.
Ma se questa sentenzia è stabilita
in Cielse innanzi a me non si dilegua
convien che finalmente sia essaudita.
Or se tu se' venuto qua a sfidarmi
aspetta tanto ch'io prenda mie armi. -

39.
Disse Rinaldo: - In ogni modo voglio
che tu ti vesta tutta tua armadura
ché altrimenti combatter non soglio.
Vedren come al mio brando sarà dura;
e forse ti farò giù por l'orgoglio
e più il Soldan non istarà in paura. -
Armossi il Veglio allor di tutta botta
di pelle di serpente dura e cotta

40.
e tolse per ispada un mazzafrusto
con tre palle di piombo catenate
ferrato e nocchieruto e grave e giusto;
e ritornò a Rinaldo immedïate
e disse: - Io ti farò mutar di gusto
come tu assaggi di queste picchiate;
chés'io t'accocco una palla di piombo
di Bambillona s'udirà il rimbombo.

41.
Ma vo' che tu mi dicase ti piace
il nome tuo e se tu se' pagano
poi che tu parli sì superbo e audace
e vuoi far le vendette del Soldano. -
Disse Rinaldo: - Ciò non mi dispiace.
Io sono il gran signor di Montalbano;
e per amor d'Antea vengo ammazzarti
ché lo farò pria che da te mi parti.

42.
E so che per la golaVegliomenti
ch'alla battaglia vincessi colei
non sette come te co' tuoi parenti!
Oltreio ti sfido per amor di lei;
ed hogli fatti mille sacramenti
che sanza il capo tuo non tornerei;
e nel partir mi donò questa stella
d'una sua vesta ch'avea molto bella;

43.
ed io gli doneròper cambio a questo
il capo tuomalvagio traditore. -
Turbossi il Veglio nella fronte presto
quando e' sentì chi era quel signore;
e se fussi il partirsi stato onesto
si dipartiasì gli tremava il core;
ma per vergogna il mazzafrusto alzòe
e con Rinaldo la zuffa appiccòe.

44.
Rinaldo aveva gli occhi a quelle palle:
ch'un tratto ch'ell'avessin fatto còlta
gli facevon le gote altro che gialle;
pur s'appiccorno alcunaqualche volta
ché non poté così netto schifalle
tanto che l'elmo sonava a raccolta:
dunque e' convien ch'ogni suo ingegno adopre
e con lo scudo e col brando si cuopre.

45.
E come e' vede la mazza caduta
il me' che può con la spada il punzecchia
quando alle gambequando alla barbuta;
con l'altro braccio lo scudo apparecchia
per ripararee 'n tal modo s'aiuta
ché lo schermire era l'arte sua vecchia;
ma ogni volta riparar non puossi
e spesso con l'un piede inginocchiossi.

46.
Quando ebbon combattuto un'ora o piùe
Rinaldo un tratto Frusberta sù alza
per mostrare a quel colpo sua virtùe:
un cappellaccio ch'egli aveagiù balza
per la percossache sì aspra fue
che 'l crudel Veglio la terra rincalza;
e cadde come il tordo sbalordito
tanto ch'un pezzo stette tramortito.

47.
E risentitodisse: - O cavaliere
io mi t'arrendo e dommi tuo prigione
ché mi potevi uccidere a giacere:
da ora innanzifamoso barone
di mia persona fanne il tuo volere. -
Disse Rinaldo: - Per mio compagnone
t'accettoe tua persona franca e degna
con meco in compagnia vo' che ne vegna. -

48.

Rispose il Veglio: - Io son molto contento
seguitar cavalier tanto giocondo;
e vo' che tuo sia sempre a tuo talento
questo palagioe ciò ch'io ho nel mondo
e s'altro ci è che ti sia in piacimento. -
Rinaldo disse: - A questo sol rispondo
che tu ci dessi da far collezione
ch'ognun ci piglierebbe oggi al boccone.

49.
Noi abbiam per un deserto caminato
dove pan non si truova né farina
e so che 'l mio compagno anco è affamato
ch'era a caval: pensa chi a piè cammina!
Abbiàn sanza vigilia digiunato
ché ci partimo per tempo ier mattina. -
Il Veglio apparecchiar facea vivande
e fece lor onor sùbito e grande;

50.
e stanno così insieme a riposarsi.
Or ritorniamo ove io lasciai Antea
ch'a Monte Alban cominciava appressarsi
tanto che un giorno alle mura giugnea
e con sua gente comincia accamparsi;
e poi mandòcome Gan gli dicea
un messaggier di sùbito al castello
al buon Guicciardo e l'altro suo fratello.

51.
Il messo andò con la imbasciata in fretta
e disse come del Soldan la figlia
era venuta con molta sua setta;
e che non abbin di ciò maraviglia
però che questo è fatto per vendetta
del lor fratel contro alla sua famiglia:
che mandin giù le chiavi del castello
o vengan sopra il campo a salvar quello.

52.
Guicciardo a quel messaggio rispondea
che non sa che vendetta o che cagione
a questa impresa commossa abbi Antea
e che restava pien d'ammirazione;
e che le chiavi ch'ella gli chiedea
gli porterebbe lui sopra l'arcione
per dargliel colla punta della lancia
ché così era il costume di Francia.

53.
Tornò il messaggioe fece la 'mbasciata;
della qual cosa Antea seco sorrise.
Guicciardo con Alardo e sua brigata
l'altra mattina ognun l'arme si mise;
e tutta fu la terra rafforzata
e con le sbarre le strade ricise;
e vennono in sul campo armati in sella
dove aspettava la gentil donzella.

54.
La qualcome costor vide venire
fecesi incontro benigna e modesta
e dicea seco: "E' non posson disdire
che non sian di Rinaldo e di sua gesta
tanto sopra il caval mostran d'ardire:
l'aspetto e 'l modo lor lo manifesta";
e di Rinaldo suo pur si risente.
E salutògli grazïosamente

55.
e disse: - Tuche innanzi agli altri guardo
sanza che 'l nome tuo più oltre dica
se' quel gentil baron detto Guicciardo
dove ogni gentilezza si nutrica;
quell'altro cavalier chiamato è Alardo
in cui risurge ogni eccellenzia antica.
Ma dimmiove hai tu lasciate le chiavi
che in su la lancia dicesti arrecavi? -

56.
Guicciardo gli rispose: - O damigella
io non so la cagion della tua impresa;
ma poi che così èvenuto in sella
sono in sul campo per la mia difesa;
e certo tu mi par' donna sì bella
che di combatter con teco mi pesa.
Se ignun de' miei t'ha fatto mancamento
per la mia fé ch'io ne son mal contento;

57.
ed arei caro intender qual sia quello
che t'abbi fatto ingiuriaove o in qual parte
per darti poi le chiavi del castello;
ché tu mi par'quand'io ti guatoMarte
né altrofuor ch'un mio carnal fratello
e 'l mio cuginmaestro di questa arte
cioè Orlando e Rinaldo d'Amone
vidi star meglio armato in su l'arcione. -

58.

Rispose allora a Guicciardo la dama:
- Per gentilezzae non per nimistate
per acquistar con teco in arme fama
vengo a combatter la vostra cittate. -
Disse Guicciardo: - Se questa si chiama
gentil madonnacome voi parlate
forse ch'ella è gentilezza in Soria
ma in Francia nostra mi par villania.

59.
Purse con meco volete provarvi
contento sonma facciàn questo patto:
che a Bambillona dobbiate tornarvi
con tutta vostra gentes'io v'abbatto;
se mi vinceteil castel vo' donarvi. -
Rispose Antea: - Per Maconciò sia fatto.
Piglia del campogentil mio Guicciardo
ch'io proverrò come sarai gagliardo. -

60.
Preso del campole lance abbassaro
e vengonsi a ferir con gran fierezza;
e poi che 'nsieme i destrier s'accostaro
il buon Guicciardo la sua lancia spezza
e molti tronchi per l'aria n'andaro;
ma la fanciulla il colpo poco apprezza
e per tal modo Guicciardo ha ferito
che di cadere alfin prese partito.

61.
Disse la dama: - Tu se' mio prigione.
Io vo' provarmi con quell'altro ancora. -
E mandò via Guicciardo al padiglione;
e inverso Alardo s'accostava allora
e disse: - Piglia del campobarone
poi che Guicciardo della sella è fora. -
Alardo presto allor del campo tolse
e l'uno incontro all'altro il destrier volse.

62.
Vanno più presto ch'uccello o saetta
di buon balestro o arco disserrata
e pensa ognun la lancia in resta metta
quando fu tempo d'averla abbassata;
e come insieme furono alla stretta
tremò la terra e parve impaürata
tanto Antea grida e 'l suo caval conforta
che 'l suo signor come un dragon ne porta.

63.
Alardo nello scudo appiccò il ferro
e fece con la lancia il suo dovuto;
ma poco valse il colpos'io non erro
ché nol passòbenché sia molto acuto
perché e' non era una foglia di cerro;
e finalmente restava abbattuto
ch'al colpo della donna non si attenne:
tanto ch'a lui come a quell'altro avvenne;

64.
e funne al padiglion preso menato.
Quivi allor Ganellon con lei s'accosta;
disse la dama a Gan: - C'hai tu pensato
far di costor? Rispondimi a tua posta. -
Quel traditorche stava apparecchiato
non ebbe troppo a pensar la risposta
e disse: - Damaa voler giucar netto
io gli farei impiccar: questo è in effetto. -

65.
Rispose la figliuola del Soldano:
- Non dubitatecavalierd'Antea:
colui per cui tenete Montalbano
giostrò con mecoe so che mi potea
uccider con la lancia ch'avea in mano;
ma nol sofferse il ben che mi volea;
e per suo amor vo' render guidardone
e non sarà contento Ganellone.

66.
Io giostrai in Persia col vostro Ulivieri
e vinsiloe così poi Ricciardetto
quantunque io nol facessi volentieri
e molto duol ne sentovi prometto:
però ch'io gli ho lasciati prigionieri
al padre mio e stonne con sospetto.
Rinaldo è ito acquistar pel suo meglio
della Montagna quello antico Veglio;

67.
e come questo acquistato sarà
gli renderà i prigioni il padre mio;
e so che presto ne verranno in qua
della qual cosa io ho troppo disio
né insin che sia tornatoil cor mi sta
contento drento al pettopel mio Iddio.
Or questo traditor Gan rinnegato
si pentirà di quel c'ha consigliato. -

68.

E fecegli imbottire il giubberello
da quattro mamalucchi co' bastoni;
né mai campana sonò sì a martello
quanto e' sonavan le percussïoni:
Guicciardo ne godeacosì il fratello.
Poi che battuto fuque' compagnoni
lo rizzon sù con ischerno e con beffe
dicendo tutti: - Nasserì bizeffe. -

69.
Non intendeva Gan questo linguaggio
se non che la fanciulla gliel chiarì:
- I mamalucchi voglion per vantaggio
per ogni bastonata un nasserì
da ogni peccator che fanno oltraggio.
Or vediGanellonla cosa è qui:
il tradimento a molti piace assai
ma il traditore a gnun non piacque mai. -

70.
Così in parte portò la penitenzia
il traditor di Gan de' suoi peccati
ché per occulta e divina sentenzia
sono assai volte i nostri error purgati;
ma voglionsi portar con pazïenzia
non come Giuda andar tra' disperati.
Dunque e' si vede alfin la sua vendetta
per qualche viachi luogo e tempo aspetta.

71.
Guicciardo ringraziò quanto più puote
la damigella di quel ch'avea fatto;
ma per dolore il petto si percuote
ch'Ulivier di prigion non era tratto
e Ricciardettoe bagnava le gote
temendo che 'l Soldan non rompa il patto;
ma quanto può dà lor costei conforto
che ignun di lor non gli fia fatto torto.

72.
Allor pregorno Guicciardo e 'l fratello:
- Piacciati Antea venirein cortesia
a star del tuo Rinaldo nel castello
tanto ch'e' torni in qua di Pagania.
Non ti bisogna omai combatter quello:
ogni cosa ti diamo in tua balìa. -
Della qual cosa fu costei contenta.
E Ganellon nella prigione stenta.

73.
Lasciamo Anteache stava a suo piacere
a Montalbanoe 'l suo Rinaldo aspetta;
e molto onorsecondo il lor potere
fanno i cristiani a questa donna eletta.
Orlando va con molto dispiacere
con quella sventurata poveretta
come dicemoche s'era fuggita
da que' giganti per campar la vita:

74.
Ove se' tudicendofratel mio?
Ove lasciato m'hai così meschino?
Ove vai tu? Perché non son teco io?
Ove mi guidi, mio buon Vegliantino?
Ove capiterem? Questo sa Iddio.
Ove o in qual parte fia nostro cammino?
Ove guido costei per questi boschi?
Ove troviam qualcun che la conoschi?

75.
Io maladico la fortuna ria;
io maladico Persia e l'amostante;
io maladico la disgrazia mia;
io maladico la gente affricante;
io maladico il Soldan di Soria;
io maladico Antea che volle amante;
io maladico Amor che n'è cagione;
io maladico il nostro Ganellone.

76.
Sentendo la fanciulla lamentare
Orlandogran pietà gli venìa al core
dicendo: - Lassonon ti disperare
raccomàndati a Diogiusto Signore
che non ci voglia così abandonare. -
Orlando disse: - Damaper mio amore
cavalca innanzi un po' col mio scudiere
ch'io vo' soletto alquanto rimanere. -

77.
Terigi e la fanciulla s'avvïòe;
Orlando allor di Vegliantino scese
e in terra nella via s'inginocchiòe;
le braccia al cielo umilmente distese
e 'l suo Gesùcome soleaadoròe
e la sua Madreche in qualche paese
lo conducessi fuor di quel burrone;
e in questo modo fu la sua orazione:

78.

sommo Padre giusto onnipotente
o Virgine in cui sol sempre sperai
o Redentor della cristiana gente:
io non mi leverò di terra mai
se prima non allumini la mente
là dove il mio cugin condotto l'hai
o s'egli è vivo o morto o incarcerato
o sano o infermoo dove e' sia arrivato.

79.
Io te ne priego per quella virtute
che tu donasti all'angel Gabriello
venendo annunzïar nostra salute
che tu mi guidi dove è il mio fratello;
e perch'io vo per vie non conosciute
come a Tobia mi manda Raffaello
che m'accompagni insin che me lo 'nsegni
se' prieghi miei di grazia in te son degni.

80.
Per l'amor che portasti al nostro Adamo
pel sacrificio che Abram già ti fe'
per ogni profezia che noi leggiamo
pel tuo Davìt e pel tuo Moïsè
per quella croce onde salvati siamo
pel tuo Iacobbe antico e per Noè
pel lamento che fece Geremia
per GiovacchinIosef e Zaccheria

81.
pe' miracoli già che tu facesti
concedi tanta grazia ai tuoi fedeli
che dove è il mio cugin mi manifesti:
io te ne priego pe' santi Evangeli. -
In questo par ch'una voce si desti
molto soaveche parea da' cieli
dicendo: - Al tuo camin va' ritto e saldo
ché sano e salvo troverrai Rinaldo;

82.
e troverrai il caval ch'egli ha smarrito
e che 'gli arà acquistato un gran gigante. -
Poi fu sùbito un lampo disparito
che prima agli occhi gli apparve davante.
Orlando sopra il caval fu salito
e ringraziava le Potenzie sante;
e la fanciulla e Terigi trovava
che poco a lui dinanzi cavalcava.

83.
Usciron della selvae capitorno
a una gran cittàche 'l re Falcone
signoreggiavaed all'oste smontorno.
Apparecchiavan certa collezione
e due donzelli in questo vi passorno;
quella fanciulla a sua consolazione
all'uscio corse per voler vedégli;
e l'un di lor la prese pe' capegli.

84.
Era del re Falcon costui nipote
e Calandro per nome si diceva;
le chiome sparse e le pulite gote
videe con seco menar la voleva;
la fanciulla gridava quanto puote;
Terigi presto alle grida correva
ed accostossi per tòrla al pagano;
ma fugli dato un colpo assai villano

85.
tanto che cadde sbalordito in terra.
Orlando intanto e l'oste era là corso
e Durlindana con grand'ira afferra
che mai non furïò sì tigre o orso:
un manrovescio a Calandro disserra
che lo tagliò nel mezzo come un torso
e Macometto nel cader giù chiama:
così per forza lasciò andar la dama.

86.
Era con lui parecchi schiere armate:
corrono addosso sùbito a Orlando;
ma poi ch'assaggion delle sue derrate
ognuno addrieto si viene allargando.
Fur le novelle al re Falcon portate;
vennene all'ostee venìa domandando:
- Che cosa è questa? O chi Calandro ha morto? -
Fugli risposto: - E' non gli è fatto torto. -

87.
Orlando al re parlò discretamente:
- Sappi ch'io l'uccisi iosanta Corona.
Una fanciulla di nobile gente
ch'io ho con mecoonesta e cara e buona
volea con seco menarquel dolente
e fargli villania di sua persona
e strascinava quella a suo dispetto.
Or tu se' savioe 'l caso in te rimetto:

88.

so che sicura vuoi che sia la strada
e non si sforzi ignun per nessun modo
ma che sicuro dì e notte vada. -
Rispose il re Falcon: - Troppo ne godo.
Rimetticavalierdrento la spada
ché quel ch'hai fattoio ne ringrazio e lodo:
giustizia sempre amai sopr'ogni cosa;
questa è nipote miafigliuola o sposa.

89.
Vo' che tu venga nella mia città
per ristorarti ancor di quest'oltraggio. -
Guarda se questo era uom pien di bontà
guarda s'egli era un re discreto e saggio!
Rispose Orlando: - Ognun di noi verrà;
ma perché cavalier siàn di passaggio
un'altra gentilezza ancor farai:
che l'ostein cortesiaci accorderai. -

90.
Rispose il re Falcon: - Ben volentieri! -
e sùbito chiamò lo spenditore
e fece contentar del suo l'ostieri;
poi rimontò ciascuno a corridore
Orlandola fanciulla e lo scudieri.
E 'l re Falcone a tutti fece onore.
E mentre che 'l convito era più bello
sùbito venne un messaggiero a quello.

91.
Era un pagan che pare un corbacchione
molto villansuperbostrano e nero
coperto d'una pelle di dragone;
e giuntocon un modo crudo e fiero
diceva al re: - Distruggati Macone
e Giupiterche regge il grande impero.
Tu dèi saper che 'l tempo è pur venuto
ch'al mio signor tu mandi il suo tributo. -

92.
Turbossi tutto il re Falcone e disse:
- O mia figliuolalasso! sventurata
quanto era meglio assai che tu morisse
anzi ch'al mondo mai non fussi nata! -
Orlando lo pregò che gli chiarisse
quel che importar volea quella imbasciata.
Rispose il re Falcon: - Tu lo saprai
e meco insieme so che piangerai.

93.
Un'isola è nel mar là della rena;
otto giganti sontutti frategli:
ognun molta arroganza e rabbia mena
come ha fatto costuich'è un di quegli;
hannoci dato per etterna pena
ch'ogni anno di noi tristi e meschinegli
una fanciulla lor tributo sia:
tocca questo anno alla figliuola mia. -

94.
E non poté più oltre dir parola.
Colui pur la 'mbasciata sua replìca;
il re Falcone abbraccia la figliuola.
Orlando disse: - Vuoi tu ch'io gli dica
quel che mi par per la mia parte sola?
Ché di tener le lacrime ho fatica
tanto m'incresce di lei e di voi! -
Onde e' rispose: - Di' ciò che tu vuoi. -

95.
Orlando disse al superbo gigante:
- Non so quel che 'l signor tuo si domanda
ma tu mi pari uom crudel e arrogante:
la tua imbasciata minaccia e comanda
che basterebbe al Soldan del Levante.
Dimmi il tuo nome e di quel che ti manda;
poi ti dirò quel che sarà dovuto
come tu abbi acquistare il tributo. -

96.
Disse il pagan: - Se pur saper t'aggrada
il nome miochiamato son Don Bruno
e Salicorno il sir della contrada. -
Rispose Orlando: - Lecito a ciascuno
è ciò che si guadagna con la spada:
questo confessi tu? Donde io sono uno
che vo' questa fanciulla guadagnarmi
con tecocon la spada o con altre armi. -

97.
Disse Don Brun: - Per Diocontento sono;
andianché noi faren bella la piazza;
e se tu vinciva'ch'io tel perdono. -
Orlando aveva indosso la corazza
e disse al re Falcone: - E' sarà buono
ch'io ti gastighi così fatta razza. -
Levossi ritto e missesi l'elmetto
e disse: - Andianpagandove tu ha' detto. -

98.

Corsono in piazza ognun subitamente
e tutto fu conturbato il convito;
salì Don Brun sopra un suo gran corrente
Orlando è sopra Vegliantin salito.
Or qui si ragunò di molta gente
e la donzella col viso pulito
era a vedere la sua redenzione
e per Orlando faceva orazione:

99.
pure orazion s'intende alla moresca:
pregava Macon suo che l'aiutasse
e che di sua virginità gl'incresca
che 'l fer gigante non la vïolasse
nella sua pura età fiorita e fresca.
In questo i duoi baron le lance basse
avienoe tutta la piazza tremava
però che Vegliantin fólgor menava;

100.
e 'l popol maraviglia avea di quello.
Orlando truova Don Bruno alla peccia
ma pur lo scudo reggeva al martello:
ruppe la lancia che parve di feccia
e tutto si scontorse il pagan fello;
e la sua aste appiccava alla treccia
ma per quel colpo ne fe' tronchi e pezzi:
dunque lo scudo a Orlando fe' vezzi.

101.
Prese Don Bruno una sua scimitarra
la qual già disse alcun ch'era incantata
benché 'l nostro aüttor questo non narra:
credo più tosto forte temperata;
e par che 'nverso il ciel bestemmi e garra:
dètte a Orlando una gran tentennata
gridando: - Se tu puoida questa guârti! -
e dello scudo gli fece due parti

102.
perché con esso si volle coprire.
Orlando dell'un pezzo ch'avea in mano
dètte a Don Brun tal che gliel fe' sentire:
perché nel ceffo giugneva al pagano
e fecegli tre denti fuori uscire
e tramortito rovinò in sul piano;
onde ciascun maravigliato fue
che così presto il torrïon va giùe

103.
dicendo: "E' basterebbe al conte Orlando!
Quel colpo arebbe atterrato una ròcca!".
Il saracin pur venne rispirando
e rittosi mettea la mano in bocca
e le sue zanne non venìa trovando
e 'l sangue giù pel petto gli trabocca:
donde e' si duol sanza comparazione
e sol si studia bestemiar Macone.

104.
Poi disse al conte Orlando: - Assai mi duole
dei denti e dello onor ch'io ho perduto;
pur sempre la sua fé servar si vuole:
comanda ciò che vuoich'egli è dovuto. -
Rispose Orlando: - E' basta due parole:
ch'a re Falcon mai più chiegga il tributo;
ed ogni volta che tu mangerai
della promessa ti ricorderai.

105.
E vo' che tu ti facci medicare
prima che tu ritorni a Salicorno
e statti qualche dì qui a riposare. -
Così Don Brun si posava alcun giorno;
alcuna volta che volea mangiare
dicieno i servi che stavan dintorno:
- Che farebb'ei co' denti che gli manca?
Di Gramolazzo mangerebbe l'anca. -

106.
Poi nel partir lasciò la fede pegno
ch'al re Falcon mai piùcome solea
darebbe oppressïonch'aveva il segno
come con l'arme perduto lui avea
il gran tributo; e tornossi al suo regno.
Il re Falcon contento rimanea
e ringraziar non si saziava Orlando
dicendo ch'ogni cosa è al suo comando.

107.
Giunto Don Brun dove la rena aggira
al vento e come il mar tempesta mena
raccontò tuttoe molto ne sospira
a Salicornoche n'ebbe gran pena;
e fatto è scilinguatoe con molta ira
diceva: - A desinar sempre ed a cena
ricorderommi di quel c'ho perduto.
Andrai tuSalicornopel tributo. -

108.

Rispose Salicorno: - Io v'andrò certo
a dispetto del Cielo e di Macone.
Chi è quel cavalier che t'ha diserto?
Non debbe esser di corte di Falcone. -
Disse Don Bruno: - E' non va pel deserto
di Barberia sì possente leone
né leofantio per Libia serpenti
che non traessi a lor come a me i denti.

109.
Non so ben chi si sia quel cavaliere
ma so ch'e' sare' ben buono erbolaio
ché sa cavare e dential mio parere:
questo è il tributo ch'io t'arreco e 'l maio;
e se tu vuogli andarti fo assapere
che ne trarrà a te anco più d'un paio.
Io gli promissise l'osserverai
che mai tributo al re più chiederai.

110.
E per me tanto non vi vo' venire
acciò che traditor non mi chiamassi. -
Pur Salicorno tanto seppe dire
che alfin Don Brun dispose che tornassi;
e cinquecento d'arme fe' guernire
di ciò che gli parea che bisognassi;
e in pochi dì ne venne al re Falcone
come uom bestial sanza altra discrezione.

111.
Sanza osservare o legge o fede o patto
con questa gente intorno s'accampòe;
e manda un suo messaggio drento ratto.
E 'l messo al re dinanzi se n'andòe
e disse brievemente appunto il fatto
siccome il suo signor gli comandòe:
che mandi presto al campo a sua difesa
colui ch'al suo fratel fe' tanta offesa.

112.
E sta sopra una alfana e suona un corno
e minacciava il cielo e la natura.
Orlandocome inteso ha Salicorno
fece a Terigi darsi l'armadura;
e la figliuola del re gli è dintorno
dicendo: - Iddio ti diabaronventura
e in ogni modo vincitor ti faccia
poi che Fortuna ancor pur mi minaccia. -

113.
Diceva Orlando: - Non temerdonzella
ché in ogni modo rimarren vincenti:
ch'a Salicorno trarrò la mascella
s'al suo fratello ho tratto solo i denti. -
E con Terigi suo montato è in sella.
Ma la fanciullae certi suoi sergenti
volle con lui sino in sul campo andare;
ché sanza lui non si fidava stare.

114.
Disse il gigante: - Se' tu quel pagano
ch'al mio Don Bruno hai fatto villania?
È questa la tua feminaruffiano? -
Rispose Orlando: - Per la testa mia
che gentilezza è teco esser villano!
Così di te come dell'altro fia:
quel ch'io gli ho fatto mi pare una zacchera;
tanto è che preso non fia più a mazzacchera.

115.
Questa fanciullaha cento servi il padre
che te per servo non vorrebboncredi;
e le sue membrache son sì leggiadre
volevi pel tributo ch'ancor chiedi;
e se' venuto qua con queste squadre
e di' ch'io son ruffian: néttati i piedi
chéper voler bagasce e concubine
arà il peccato tuo sue discipline. -

116.
Disse il gigante: - E' non son sempre equali
come tu saile forze di ciascuno:
i denti miei saranno di cinghiali:
non ti parranno forse di Don Bruno.
Otto giganti siànfratei carnali:
signor là della valle di Malpruno
cinque ne sonoe noi tre siamo insieme
dove la rena come il gran mar freme. -

117.
Rispose Orlando: - E cinque pel bollire
sono scematie questo abbi per certo:
con questa spada un ne feci morire
e l'altro un mio cugin ch'è molto sperto.
Una fanciulla usoron già rapire
al re Costanzoe stavan nel deserto;
quale ho con meco molto ornata e bella
e voglio al padre suo rimenar quella.

118.

E s'io ritorno mai per quel paese
ch'io truovi ancor que' tre nella foresta
io non saròcom'io fu' giàcortese
ch'a tutti a tre dipartirò la testa. -
Or Salicorno tanta ira l'accese
che cominciava a menar gran tempesta
quando e' sentì ricordar tanti torti
e come due de' suoi fratei son morti.

119.
Traditor rinnegatomicidiale
piglia del campo! - con un grido disse.
Orlando a Vegliantin fe' metter ale;
poi si voltava e l'aste in basso misse
ch'era uno abete saldo e naturale
qual tolse alla città prima partisse;
e giunse con la lancia dura e grave
nel petto a quelche gli parve una trave;

120.
e disse: "Che dïavol fiaMacone!
Questa mi pare un albero di fusta!".
La lancia resse alla percussïone
perch'era dura e grossa e molto giusta;
ma regger non poté quel compagnone
né la sua alfanabenché sia robusta:
dunque fu il colpo di tanta bontade
che Salicorno e l'alfana giù cade.

121.
La figliuola del reche vide questo
fra sé disse: "Un miracolo ho veduto!".
E 'l gran gigante feroce e rubesto
disse a Orlando: - Tu non m'hai abbattuto! -
e saltò della sella in terra presto.
- Vedi che staffa non ebbi perduto:
è stato sol difetto dell'alfana
e la tua lancia fu molto villana. -

122.
Rispose Orlando: - S' tu non se ben chiaro
io ti potrei col brando chiarir tosto:
a ogni cosa troverren riparo. -
Disse il pagan: - Per Dios'io mi t'accosto
io ti farò costar quel colpo caro. -
Diceva Orlando: - E pagherai tu il costo. -
E Durlindana sua fuori ha tirata
e Salicorno ha la mazza ferrata.

123.
Qui si comincia a sentir vespro e nona;
qui le dolente note cominciorno;
qui innanzi mattutin già terza suona;
qui non si poson le mosche dintorno;
qui sanza balenar l'aria rintruona;
qui purga i suoi peccati Salicorno;
qui si vedrà chi saprà di schermaglia;
qui mostra Durlindana s'ella taglia.

124.
Il saracin talvolta alza la mazza
e dice: - Aspettach'io ti forbo il nifo. -
E 'l paladin rispondea: - Bestia pazza
che dirai tu se col brando lo schifo? -
e ritrovava a costui la corazza
tanto che spesso scontorceva il grifo;
ma non poteva colpirlo all'elmetto
però che allato gli pare un fiaschetto.

125.
E Salicorno per la sua grandezza
alcuna volta la mazza fallava:
un tratto mena con tanta fierezza
chegiunto a vòtoin terra rovinava.
Orlando volle mostrar gentilezza:
- Lieva sù! - disse; e 'l pagan si levava
e disse: - Dimmicavalier da guerra
per che cagion non mi feristi in terra?

126.
Tu debbi esser per certo un uom gentile
di nobil sanguetu non puoi negarlo:
tu non volesti darmi come vile;
se lecitobaroneè quel ch'io parlo
dimmi il tuo nome. - Orlandocome umìle
rispose: - Io son nipote del re Carlo
Orlando di Mellon figliuold'Angrante
nimico d'Apollino e Trivicante. -

127.
Sentendo Salicorno dire "Orlando"
cominciò il cuore a tremargli e la mano
e disse: - Onde venuto o come o quando
se'paladinoin questo luogo strano?
Non vo' con teco operar mazza o brando
ch'io so che 'l mio poter sarebbe vano;
da ora innanzi sia come tu vuoi
ché la battaglia è finita tra noi.

128.

Odo che 'l fior se' di tutti i cristiani
e che tu se' fatato per antico.
Io vo' più tosto trovarmi alle mani
col tuo cuginch'è molto mio nimico
e vendicarmi d'assai casi strani;
e vo' che mi prometta come amico
quando col tuo Rinaldo tu sarai
per qualche modo me ne avviserai:

129.
ch'io son disposto rompergli la fronte
però che mio nimico è in sempiterno;
e s'egli è della schiatta di Chiarmonte
ed io del sangue son di Salinferno
e non intendo sofferir tante onte:
colui che 'l nome suo risuona etterno
Mambrin dell'Ulivanteanco era nato
del sangue mio da ciascuno onorato. -

130.
Disse Orlando: - Io non so dove si sia
Rinaldo ancor; ma s'io lo troverròe
sùbito un messo a te mandato fia;
e 'n questo modo andar ti lasceròe
ch'al re Falcon non dia più ricadia;
benché malvolentier ti liberròe;
ma so che tu darai nell'altra rete
se con Rinaldo mio vi proverrete. -

131.
Il saracin promisse licenziare
del tributo quel re liberamente
e fece il campo suo presto levare.
Orlando al re Falcon subitamente
nella città tornava a raccontare
come egli è salvoe libera sua gente;
e dopo alquanti dì prese comiato
e lasciò quello al tutto sconsolato.

132.
E cavalcando va per molte strade
sanza posarsi mai sera o mattina
e domandando va per le contrade
dove stia il re della Bellamarina;
tanto che giunse un giorno alla cittade
e quella damigella peregrina
rappresentava al suo doglioso padre
che l'ha gran tempo piantae la sua madre.

133.
Era vestito a nero la città
e 'l re con tutti i suoicon molto affanno
né sopra i campanil gridando va
ne' suoi paesi più il talacimanno;
per le moschee molti ufici si fa
al modo lorché di costei non sanno
dove perduta sia già stata tanto
sì che per morta n'avean fatto il pianto.

134.
La novella n'andò con gran furore
al re Costanzocome la sua figlia
era venuta: onde e' gli crebbe il core
e corse incontro con la sua famiglia;
e tutta la città trasse al romore
come avvien sempre d'ogni maraviglia:
ognun voleva il primo abbracciar questa;
pensa se 'l padre suo gli fece festa.

135.
Ella gli disse: - Questo è il conte Orlando -
e dove e come e' l'aveva trovata
e da' giganti toltae disse quando
ed in che modo l'avevon rubata
e tutta la sua vita vien contando
e come pel cammin l'abbi onorata
Orlando sempreinsin che l'ha condotta.
Il re Costanzo così disse allotta:

136.
Questo è colui che ti scampò da morte?
Questo è colui che t'ha dunque prosciolta?
Questo è colui ch'è tanto ardito e forte?
Questo è colui ch'agli altri fama ha tolta?
Questo è colui ch'allegra or la mia corte?
Questo è colui per cui non se' sepolta?
Questo è colui ch'uccise il fer gigante?
Questo è colui ch'è 'l gran signor d'Angrante?

137.
Non cavalca caval miglior barone
né miglior cavalier porta elmo in testa;
non cinse spada mai simil campione
né miglior paladin pon lancia in resta;
non uom tanto gentil si calza sprone. -
Ed abbracciava Orlando con gran festa
e la reina e lui lo ringraziorno
e tutto il popol suo che gli è dintorno.

138.

Or lasciàn questi star così contenti;
ritorniamo al Soldan di Bambillona
che non pareva già che si rammenti
di quel ch'Antea promisse sua Corona
de' due prigionma pensava altrimenti
di tòr sùbito a questi la persona
prima che sia Rinaldo a lui tornato
dal Vegliodove sa che l'ha mandato.

139.
Mandò pel giustizier quel traditore;
e scrisse un brieve per la gran letizia
al re Costanzoper mostrargli amore
che venissi a veder questa giustizia
dicendo: "Sappifamoso signore
ch'io gli ho a punir di più d'una malizia";
com'io dirò nell'altro cantar bello.
Guardivi sempre l'agnol Rafaello.



CANTARE DECIMOTTAVO


1.
Magnificao Signorl'anima mia
e lo spirito mio di tua salute:
e tuper cui fu detto "AveMaria"
essultata con grazia e con virtute
o glorïosa madreo Virgo pia
con l'altre grazie che m'hai concedute
aiuta ancor con tue virtù divine
la nostra storiainsin ch'io giunga al fine.

2.
Io dissi che 'l Soldan mandato avea
al re Costanzoe scritto che venisse
a veder la giustizia ch'e' facea.
Ma come il messo par che comparisse
sùbito il re la lettera leggea
e 'nteso quel che 'l traditore scrisse
la lettera a Orlando pose in mano
dicendo: - Questa ha scritta il tuo Soldano. -

3.
Quando ebbe tutto inteso il conte Orlando
si volse al re Costanzo sbigottito
e disse: - A Dio ed a te mi raccomando:
vedi come il Soldan m'ha qui tradito;
aiuto in questo caso ti domando. -
Rispose il re: - Tu non arai servito
a questa volta ingratoOrlando mio
ch'io ti darò soccorsopel mio Iddio.

4.
Io farò centomila in un momento
cavalier della tavola rotonda
e se più ne volessianche altri cento:
gente e tesoroil mio reame abbonda:
non dubitartu sarai ben contento;
e vo' che quel ribaldo si sconfonda. -
E mandò bandi e messaggieri e scorte
ch'ognun venissi presto armato a corte.

5.
In pochi giorni furono a cavallo
ed ordinati stendardi e bandiere;
e 'l suo bel gonfalone è nero e giallo:
mai non si vide meglio in punto schiere;
e scrisse al gran Soldan che sanza fallo
fra pochi giorni il verrebbe a vedere:
che l'aspettassi e' prigion soprattenga
tanto ch'a luiché già s'è mossovenga.

6.
Orlando aveva le squadre ordinate
con le sue manie pieno è d'allegrezza
e riguardava quelle gente armate
che gli parevan di somma prodezza.
Quella fanciulla con parole ornate
mostrava di ciò aver molta dolcezza
ch'Orlando ristorato sia da quella;
e vuol con esso andar la damigella.

7.
E 'l re Costanzo anco v'andò in persona;
e vanno giorno e notte cavalcando
tanto che son condotti a Bambillona;
quivi di fuor si vennono accampando;
e fingendo amicizia intera e buona
il re Costanzo insieme con Orlando
vanno al Soldan con molti caporali
uomini degnitutti i principali.

8.

Quando il Soldan costor vede venire
e vede tanta gente alla pianura
sente stormentisentiva anitrire
comincia a sospettar con gran paura
e come savionel suo core a dire:
Questa è troppo gran gente alle mie mura.
Pur si mostrava allegroch'era saggio;
e manda a Salicorno un suo messaggio

9.
quel ch'avea con Orlando combattuto
e che volea combatter con Rinaldo:
che venga presto in là ben proveduto.
E Salicorno mai non si fu saldo
che diecimila ordinava in suo aiuto;
ed eronperché e' son di luogo caldo
uomini neri e di statura giusti
e portati per ispade mazzafrusti.

10.
Rappresentossi con questi al Soldano.
Or ritorniamo a Rinaldoch'avea
già vinto il Veglio: un giorno quel pagano
che avea con lui mandato prima Antea
vide venir gran gente per un piano;
e con Rinaldo e col Veglio dicea:
- Che gente è questa che di qua ne viene?
Non si conosce a' contrassegni bene. -

11.
Rinaldocome e' furono appressati
s'accostae domandava uno scudiere:
- Chi son costoro? Ove siete avvïati? -
Costui rispose: - È il mastro giustiziere
ch'a due cristian che sono imprigionati
in Bambillona va a fare il dovere;
son paladinie l'un di lor marchese
ch'una figliuola del Soldan già prese. -

12.
In questo che Rinaldo domandava
giugneva il giustizier sopra Baiardo.
Quando Rinaldo il caval suo guardava
e' diventò come un leon gagliardo
e 'l giustizier per la briglia pigliava.
Disse il pagan: - Se non ch'io ti riguardo
che qualche bestia nell'aspetto pàrmi
t'insegnerei per la briglia pigliarmi! -

13.
Rinaldo trasse Frusberta per dargli;
poi dubitava a Baiardo non dare.
In questo il Veglioche vide appiccargli
sùbito corre Rinaldo aiutare
comincia con la mazza a tramezzargli:
il giustizier non si poté parare
ché con un colpo la testa gli spezza
e cascò giù come una pera mézza.

14.
Allor Rinaldo in su Baiardo salta;
e come e' fu sopra il caval salito
presto levava Frusberta sù alta
ed un pagano in sul capo ha ferito
che del suo sangue la terra si smalta
e morto appiè del cavallo è giù ito.
E 'l Veglio presto salì in sul destriere
di quel pagancome il vide cadere

15.
e tra la turba si mette pagana
tanto che molto Rinaldo il commenda:
quanti ne giugne la sua mazza strana
tanti convien che morti giù ne scenda.
Il mamaluccoch'aveva l'alfana
non si stava ancoché v'era faccenda;
e tutta quella gente si sbaraglia
chépiù che genteera o ciurma o canaglia.

16.
E 'l Veglio pur colla mazza del ferro
ritocca e suona e martella e forbotta
ch'era più dura che quercia o che cerro:
alcuna volta n'uccide una frotta.
Rinaldo si scagliava come un verro
dove e' vedeva la gente ridotta
e rompe ed urta e taglia e straccia e spezza
ciò che trovavaper la sua fierezza.

17.
Chi fuggì primase n'andò col meglio
ch'a tutti il segno faceva Frusberta;
ed ogni volta con la mazza il Veglio
diceva a' molti che dava l'offerta:
- A questo modo chi dormissi sveglio! -
e rilevava la mazza sù all'erta;
e tutti in volta rotta si fuggiéno
anzi sparivon come fa il baleno.

18.

Poi cominciò Rinaldo al Veglio a dire:
- Io vo' ch'a Bambillona presto andiamo
perché il Soldan farà color morire. -
Rispose il Veglio: - Tuo servo mi chiamo:
però comandach'io voglio ubbidire;
e vo' che sempre insieme noi viviamo:
dove tu andraiio sarò sempre teco
e basti solo un cenno o "Vienne meco". -

19.
Missonsi tutti a tre presto in camino
il Veglio con Rinaldo e 'l mammalucco.
Rinaldocome al campo fu vicino
dicea: "Se del veder non son ristucco
io veggo tanto popol saracino
che non ne fu più al tempo di Nabucco:
d'insegne e padiglion coperto è il piano;
non so se amici si son del Soldano;

20.
ma 'l campo ch'assediò Troia la grande
non ebbe la metà di questa gente
tante trabacche e padiglion si spande.
Forse il Soldan vorrà fare al presente
a que' prigion gustar triste vivande;
ma pel mio Iddio ch'io lo farò dolente!".
Questo con seco diceva Rinaldo
e venìa tutto furïoso e caldo.

21.
Orlando disse un giorno a Spinellone:
- Io vo' che noi veggiamo i prigion nostri; -
ch'era col re Costanzo un gran barone
- andiamo e pregherren che ce gli mostri
sanza cavargli fuor della prigione. -
Disse il pagan: - Sempre a' comandi vostri
sarò parato; e se non ci è d'avanzo
sarebbe da menarvi il re Costanzo

22.
ché so che gli fia caro di vedere
due paladin di tanto pregio e fama. -
Orlando disse: - Troppo m'è in piacere. -
Ispinellone il re Costanzo chiama;
nella città ne vannoa non tenere
più che bisogni lunga questa trama;
e la licenzia lor dètte il Soldano
e pon le chiavi al re Costanzo in mano.

23.
Alla prigion se n'andorno costoro.
Come Ulivier sentiva aprir la porta
a Ricciardetto disse: - Ecco coloro
che vengono arrecarci altro che torta:
questo sarà per ultimo martoro! -
e molto ognun di lor se ne sconforta.
Orlandoquando Ulivier suo vedea
e Ricciardettoparlar non potea.

24.
Il re Costanzo disse: - Or m'intendete:
se voi volete adorar Macometto
della prigione scampati sarete;
se non che domattina io vi prometto
ch'al vento insieme de' calci darete. -
Rispose alle parole Ricciardetto:
- Se ci darà pur morte il Soldan vostro
contenti siàn morir pel Signor nostro.

25.
E se ci fussi il mio caro fratello
Rinaldonon saremo a questo porto
o 'l conte Orlandoch'è cugino a quello.
Ma speropoi ch'ognun di noi fia morto
contro a questo crudel signore e fello
vendicheranno ancor sì fatto torto;
e piangeranne Bambillona tutta
ché so per le lor man sarà distrutta.

26.
Ma ben mi duol che innanzi al mio morire
non vegga il mio fratello e 'l cugin mio;
e tuttavolta me gli par sentire
come forse spirato dal mio Iddio. -
Orlando non poté più sofferire
ché d'abbracciargli avea troppo disio
e mentre che ciò dice Ricciardetto
alzava la visiera dell'elmetto

27.
e disse: - Tu di' il ver ch'egli è qui presso
Orlandoche non t'ha mai abandonato. -
Ulivier guarda e dice: - Egli è pur desso! -
e Ricciardetto l'ha raffigurato:
sùbito il braccio al collo gli ebbe messo
ed Ulivieri abbraccia il car cognato.
Per tenerezza gran pianto facevano
e Spinellone e 'l re con lor piangevano.

28.

Poi molte cose insieme ragionaro;
Orlando disse ignun non dubitassi
ch'a ogni cosa ordinato ha riparo:
ch'ognun di buona voglia si posassi;
e così insieme al Soldan riportaro
le chiaviche sospetto non pigliassi
e ringraziorno la sua Signoria
della sua gentilezza e cortesia.

29.
Orlando non s'avea mai l'elmo tratto
onde il Soldano un giorno gli ebbe detto:
Dehdimmicavalier che stai di piatto
per che cagion tu tien' sempre l'elmetto?
Ch'io non posso comprender questo fatto:
tu mi faresti pigliarne sospetto.
Io vo' che tu mel dica a ogni modo
se non ch'io crederrò che ci sia frodo. -

30.
Diceva Orlando: - Certa nimicizia
fa che questo elmo tengo così in testa
acciò che non pigliassi ignun malizia
di farmi a tradimento un dì la festa. -
Disse il Soldan: - Qui è sotto tristizia;
non si riscontra ben la cosa a sesta:
sempre color che sconosciuti vanno
o per paura o per malizia il fanno.

31.
Io ho disposto in viso di vederti
se non che mal te ne potrebbe incòrre. -
Diceva Orlando: - In ciò non vo' piacerti;
d'ogn'altra cosa puoi di me disporre. -
Disse il Soldano: - E' convien ch'io m'accerti -
e vollegli la mano al viso porre.
Orlando gli menava una gotata
che in sul viso la man riman segnata.

32.
Quivi il Soldan con gran furor si rizza
e grida a' mammalucchi: - Sùpoltroni! -
Orlando fuor la spada non isguizza
che conosciuta non sia da' baroni:
rivoltossi a costor con molta stizza
e da lor si difende co' punzoni
e pèsche sanza nocciolo appiccava
che si ritrasse ognun che n'assaggiava.

33.
Ispinelloncome fedel compagno
sùbito pose alla spada la mano
e fe' di sangue con essa un rigagno
ché nessun colpo non menava invano.
Ma poi che vide e' non v'era guadagno
si fuggì in una camera il Soldano
e per paura si serrava drento.
Orlando si ritrasse a salvamento;

34.
e Spinellone e 'l re Costanzo è intorno
con lui ristrettie son di fuori usciti
di Bambillona e nel campo tornorno.
I baron del Soldanosbigottiti
chi qua chi là tutti si scompigliorno
maravigliati di que' tanto arditi;
e fu per la città molto romore
che così fussi fatto al lor signore.

35.
Quando il Soldan rassicurato fue
fece venir tutta la baronia
e nella sedia si levava sùe
né mai si fe' sì bella diceria;
e cominciò con le parole sue:
- Mai più fu tocca la persona mia;
ma a ogni cosa apparecchiato sono
e come piace a voicosì perdono.

36.
Il re Costanzo ha tanti cavalieri
che cuopronvoi il vedeteil piano e 'l monte;
non so qual si sien drento i suoi pensieri
ma per fuggir sospetto e maggiore onte
mostrato ho di vederlo volentieri.
Or con colui che mi batté la fronte
credo che buon sarà forse far triegua
acciò che maggior mal di ciò non segua;

37.
e dare alla giustizia essecuzione
intantodi que' due ch'io tengo presi
acciò che il re Costanzo e Spinellone
ritornin con lor genti in lor paesi.
Morti questi baron ch'abbiàn prigione
noi saren poi da tanti meno offesi;
chés'io mi fo nimico al re Costanzo
per al presente non ci veggo avanzo.

38.

In questo mezzo Antea potre' pigliare
quel Montalban che Gano ha consigliato.
Rinaldo so che non dè' mai tornare:
credo che 'l Veglio l'abbi ora ammazzato.
A luogo e a tempo si potrà mostrare
al re Costanzo ch'e' m'abbi ingiuriato:
ch'io non vo' far vendetta con mio danno
ma aspettar tempocome i savi fanno. -

39.
Salicorno riprese le parole:
- E' non ha tempo mai chi tempo aspetta:
per nessun modo triegua non si vuole;
io vo' con queste man farne vendetta
prima che molti dì ritorni il sole.
Della giustiziache in punto si metta
questo mi piace e facciasi pur presto. -
E tutti infine s'accordaro a questo.

40.
Al re Costanzo va tosto una spia
e dice ciò che ordina il Soldano.
Il re Costanzo a Orlando il dicìa.
Orlando disse: - In punto ci mettiàno
ch'a' prigion fatto non sia villania. -
E tutti si schierorno a mano a mano.
In questo tempo il Soldano ordinava
ciò che bisognae 'l giustizier chiamava;

41.
e misse bandi per le sue città
ch'ognun ch'avessi armadura o cavallo
venga a veder la giustizia che fa
che si farà il tal giorno sanza fallo.
Un giovane ch'avea molta bontà
sentendo questovenne a vicitallo
chiamato Marïottoun gran signore
ch'era figliuol del loro imperadore.

42.
Trentamila menò quel Marïotto
onde al Soldan fu questo molto caro
armati stranamente di cuoio cotto.
Ben centomila a caval ragunaro
in puntoal modo lordi tutto botto
e di mandar la giustizia ordinaro;
e 'l giustizier con molta gente andòe
alla prigionee' due baron legòe.

43.
Poi gli legò a cavallo in su la sella
pur sopra i lor destrier con le loro armi;
perché il Soldano in tal modo favella:
- Che tu gli meni amendue armati parmi -
e 'l giustizierch'al suo dir non appella
rispose: - Così avea pensato farmi. -
Questo non era il giustiziere usato
ché 'l Vegliocom'io dissil'ha ammazzato.

44.
Di nuovo un'altra spia ne va volando
che la giustizia uscirà presto fore;
Ispinellone insieme con Orlando
rassetton le lor genti a gran furore.
Il re Costanzo al conte vien parlando:
- E' ci sarà faticacar signore
racquistar questi con ispada o lancia
tanto in sul crollo son della bilancia. -

45.
Era a veder molta compassïone
i due baron come ciascun si lagna:
- O conte Orlandoo Rinaldo d'Amone
dove è la tua possanza tanto magna?
Non aspettar piùvien' col gonfalone
però che noi daren tosto alla ragna. -
Queste parole van dicendo forte
ché gran paura avevon della morte.

46.
Già eron gli stendardi apparecchiati
e Marïotto è innanzi alla giustizia;
già fuor della città son capitati.
Èvvi il Soldanch'avea molta letizia
e sempre per la via gli ha svergognati:
- Ribalditraditorpien di malizia! -
Ma Ricciardetto a ogni sua parola
diceva: - Tu ne menti per la gola;

47.
ché tu se' tu ribaldo e traditore;
ma ne verrà Rinaldo in qualche modo
e caveratti con sue mani il core;
ché promettesti e rimanesti in sodo
renderci a luicrudele e peccatore. -
Dicea il Soldano: - Tu arai presto un nodo
che ti richiuderà cotesta strozza;
ma prima ti sarà la lingua mozza. -

48.

Orlando e 'l re Costanzo hanno veduto
e Spinellonche la giustizia viene
e che 'l Soldan con essa è fuor venuto;
ognun la lancia in su la coscia tiene;
fannosi incontro; e Spinellon saputo
verso quel Marïotto: - E' non è bene -
dicea - che questa giustizia si faccia
acciò ch'al nostro Iddio non si dispiaccia;

49.
perché il Soldansecondo intender posso
promisse pure a Rinaldo aspettarlo;
ed orche così a furia si sia mosso
troppo mi par che sia da biasimarlo.
Ed oltre a questoe' vi verrà qua addosso
come questo sapràsùbito Carlo
e ne verrà Rinaldo e 'l suo fratello
e gran vendetta far vorrà di quello.

50.
Ma pur se non venissi mai persona
pàrti che questo al Soldan si convenga?
Dove è la fede della sua Corona
che par che sotto sé qua il mondo tenga?
RitornaMarïottoin Bambillona
acciò che scandol di ciò non avvenga. -
Diceva Spinellone iratamente
che 'l re Costanzo non vuol per nïente.

51.
Rispose Marïotto: - Tu se' errato:
se ci fussi al presente Carlo Mano
Orlando e 'l suo cugin c'hai nominato
e se ci fussi il grande Ettor troiano
o con la scure il possente Burrato
non s'opporrebbe di questo al Soldano;
e se tu se' in cotesta oppinïone
io ti disfidoe guârtiSpinellone. -

52.
Ispinellon non istette a dir più:
addrieto col caval presto si scosta
poi si rivolgee l'aste abbassa in giù
sì che del petto passava ogni costa
a Marïottosì gran colpo fu.
La turba ch'era dallato si scosta
e Spinellon cacciava mano al brando;
allor si mosse il re presto ed Orlando.

53.
Orlando Vegliantin per modo serra
che 'l primo saracin che vien davante
con l'urto e con la lancia abbatte in terra;
poi misse mano alla spada pesante
e colpo che menassi mai non erra:
convien che chi l'aspetta alzi le piante;
e 'l re Costanzo è nella zuffa entrato
e tutto il campo già s'è sbaragliato.

54.
Quando il Soldano il romore ha sentito
sùbito disse: "Quel ch'io mi pensai
sarà pur vero alfinch'i' son tradito
dal re Costanzocom'io dubitai".
Vede già il popol tutto sbigottito:
di questo caso dubitava assai;
pur si fe' innanzie con la spada in mano
va confortando ogni suo capitano.

55.
Orlando or qua or là si scaglia o getta
e dove e' vede la gente calcata
sùbito si metteva in quella stretta
e con la spada l'aveva allargata;
e tristo a quel che Durlindana aspetta!
ché gli facea sentir s'ella è affilata:
quanti ne giugneriscontra o rintoppa
faceva a tutti la barba di stoppa.

56.
Or diciàn di Rinaldoch'è già presso
al campoe vede quel rabbaruffato
per la battagliae dice fra se stesso:
O Ricciardetto mio, tu se' spacciato.
Ove è, Soldan, quel che tu m'hai promesso?.
Poi disse al Veglio: - Io son suto ingannato:
io veggo segno assai tristo di questo;
però quanto possiam corriàn là presto. -

57.
Furno in un tratto nella zuffa questi.
Rinaldo non sapea quel ch'abbi a farsi;
un saracin pregò che manifesti
per che cagione il campo abbi azzuffarsi.
Colui rispose: - Il Soldan ci ha richiesti
per due baron che dovén giustiziarsi;
il re Costanzo non vuol che gli uccida:
per questo il campo sol combatte e grida. -

58.

Intanto Spinellonch'era caduto
d'un colpo che gli avea dato il gigante
vede Rinaldo ch'è sopravvenuto
e che del caso pareva ignorante;
disse: - Baroncome tu hai saputo
vedi che va sozzopra qua Levante
per due cristianche 'l gran Soldano a torto
volea ch'ognun di lor fussi oggi morto.

59.
Il mio signor Costanzo re non vuole
e siàn qui tutti a lor difensïone
perché di que' baron troppo ci duole
ché l'un fratel di Rinaldo è d'Amone;
e perch'io non ti tenga più a parole
nella battaglia è il figliuol di Mellone
e fa gran cose per campar costoro;
ed io combatto qui pedon per loro.

60.
Né posso ancor rimontare a cavallo
dond'io fu' tratto da un Salicorno.
Tutti color del contrassegno giallo
pel mio signor combatton questo giorno. -
Disse Rinaldo: - Io vorrei sanza fallo
sapere il nome tuobarone adorno. -
Disse il pagano: - Spinellon mi chiamo
e molto Orlando e Rinaldo suo amo. -

61.
Allor gridò Rinaldo: - O saracino
io son Rinaldoe son qui capitato
per ritrovare Orlando mio cugino.
Monta a cavallo! - e 'l pagano è montato:
- Menami ove combatte il paladino. -
Ispinellon fu tutto consolato
e disse: - Vincitor saremo omai.
Andianne dove Orlando tuo lasciai. -

62.
E tanto per lo campo insieme vanno
che lo condusse ove combatte Orlando
ch'era pien tutto di sangue e d'affanno.
Disse Rinaldo: - Posa un poco il brando;
dimmii prigioncugin miocome stanno? -
Allora Orlando il vien raffigurando:
abbracciò questo e pianse per letizia
e del Soldan contòe la sua tristizia.

63.
Poi disse: - Tempo non è farsi festa;
qui si conviene i prigioni aiutare. -
Non va lïon per fame per foresta
come Rinaldo cominciò a mugghiare
a questo e quello spezzando la testa
le strette schiere faccendo allargare;
qui il Veglio e Spinellone e 'l conte sono
e paion tutti a quattro insieme un tuono.

64.
Né prima dètton tra le schiere drento
che si vedeva sbaragliar la gente
ch'egli eron quattro lupi in un armento;
e pur s'alcun non fuggese ne pente
ch'ogni cosa abbattevon come un vento;
e inverso il gonfalon subitamente
dove è il Soldancon gran furor n'andorno:
or qui le spade ben s'insanguinorno.

65.
Era il Soldan sopra un caval morello
co' mamalucchi suoi quivi ristretto;
giunson costoro insieme a un drappello
gridando: - Muoia il Soldan maladetto! -
Ma come il Veglio ha conosciuto quello
prese una lancia e posesela al petto
e disse: - Io vo' veder se la tua morte
si serba a me per distino o per sorte. -

66.
Quando il Soldan vide abbassar la lancia
sùbito anco egli il suo caval moveva
perché e' vedeva che costui non ciancia
e nello scudo del Veglio giugneva;
pensò passargli la falda e la pancia:
l'asta si ruppecome il Ciel voleva
e in molti pezzi per l'aria trovossi
ché quel che è distinato tòr non puossi.

67.
Ebbe pur luogo alfin la visïone
ch'una montagna gli cadeva addosso:
chécome il Veglio allo scudo gli pone
sùbito lo passòch'era pur grosso
e la corazza e lo sbergo e 'l giubbone
che è di catarzoe poi la carne e l'osso;
e con la furia del caval l'urtòe
tanto ch'addosso al Soldan rovinòe.

68.

Ma il caval si rizzò del Veglio tosto;
quel del Soldan col suo signore è in terra
e morto l'uno e l'altro a giacer posto:
così il giudicio del Ciel mai non erra;
era così preveduto e disposto.
Or qui fu quasi finita la guerra:
morto il Soldanoognun verso le porte
correvasbigottito di tal morte.

69.
Rinaldoche 'l Soldan vide cadere
diceva al Veglio: - Per la fede mia
che non era di matto il suo temere!
Vedi che luogo ha pur la profezia!
Or oltrein rotta si fuggon le schiere:
dunque mostrian la nostra gagliardia. -
E vanno trascorrendo ove e' vedieno
i saracin che indrieto si fuggieno.

70.
Rinaldo il giustizier trasse per morto
di sella con un colpo con Frusberta;
onde e' gli disse: - Tu m'hai fatto torto:
a questo modo il mio ben far non merta
c'ho dato aiuto a' prigioni e conforto. -
Disse Rinaldo: - Dove e' sien m'accerta
e in questo modo camperai la vita;
se nonda me tu non farai partita. -

71.
Il giustiziere allor Rinaldo mena
dove i prigion si stavon dall'un canto
afflittidolorosicon gran pena
ed avean fatto quel giorno gran pianto
tanto che più gli riconosce appena.
- Che pagheresti voiditemi il quanto-
dicea Rinaldo a lor - chi vi campassi? -
Ed Uliviercome e' suolcheto stassi.

72.
Ma Ricciardetto rispose: - Nïente:
noi non abbiàn danar né cosa alcuna;
siàn qui condotti sì miseramente
sanza speranzacome vuol fortuna.
Ma se qui fussi Rinaldo al presente
non temeremo di cosa nessuna
o se ci fussi il conte Orlando appresso
che di camparci pur ci avea promesso. -

73.
Disse Rinaldo: - Siete voi cristiani? -
Rispose Ricciardetto: - Sìmessere
e paladin già fumo alti e sovrani. -
Rinaldo più non si potea tenere:
alla visiera si pose le mani
acciò che in viso il potessin vedere;
donde ciascun lo riconobbe presto;
mavolendoabbracciar non posson questo.

74.
Allor Rinaldo gli scioglie ed abbraccia
e dice: - Non sapete voi ch'Orlando
è qui nel campoe questa gente scaccia
per venir voi da morte liberando?
Per mio consiglio mi par che si faccia
acciò che vi vegnate riposando:
col giustizier qui ve n'andrete vostro
al padiglion del re Costanzo nostro. -

75.
E tutti a tre n'andorno al padiglione.
Ma in questo tempo quel gigante forte
uccise il re Costanzo in su l'arcione
che molto pianse Orlando cotal morte;
poi abbatté d'un colpo Spinellone.
Qui sopravvenne Orlando a caso e sorte
e tanto fe' che si fece cristiano
e battezzollo con sua propria mano.

76.
E fu cosa mirabil quel che disse
Ispinellone in questo suo morire:
credo che 'l Ciel per grazia se gli aprisse
dove l'anima presto dovea gire;
perché e' teneva in sù le luci fisse
ché gli pareva gli angioli sentire
e disse con Orlando: - Orlandocerto
io veggo il paradiso tutto aperto.

77.
Non vedi tu lassù quel che veggo io?
Chi è colui ch'ognuno onora e teme
in sedia coronatoe giusto e pio
fra mille lumi e mille dïademe? -
Rispose Orlando: - È Gesù nostro Iddio
che pasce tutti di gaudio e di speme
colui ch'adora ogni fedel cristiano. -
Allor gli fe' reverenzia il pagano.

78.

Chi è colei che siede allato a quello
che sopra tutte par donna serena
e presso a lei un angel così bello?
- È la sua Madre Virgin nazzarena;
e l'angel che gli è appresso è Gabriello
colui che gli disse "Ave gratia plena". -
Allor le braccia il saracino stende
ed umilmente grazia a quella rende.

79.
E poi diceva: - Io veggo intorno a quella
dodici in sedia tutti coronati. -
Rispose Orlando: - Questa brigatella
son gli apostoli suoi glorificati.
- Quell'altro con la croce in man sì bella
che par che molto fisso Gesù guati
e non si sazi di veder sua vista? -
Rispose Orlando: - È il suo cugin Battista.

80.
Quelle tre donne accosto sì al Signore? -
Rispose Orlando: - Son le tre Marie
ch'al suo sepulcro andâr con tanto amore
poi che fu crucifisso il terzo dìe.
- Chi è colui che guarda il suo Fattore
quasi dicessi: "Io ti disubbidie"? -
Rispose Orlando: - Sarà il nostro Adamo
pel cui peccato dannati savamo.

81.
Chi è quel vecchierel con tanta fede
che non si sazia di cantare osanna
e par che di Maria si goda al piede?
- Colui che fu con lei nella capanna.
- Quell'altro vecchio ch'appresso si vede
colla sua sposa? - È Giovacchino ed Anna-
rispose Orlando - il padre di Maria
e la sua madre glorïosa e pia.

82.
Color che paion sì giusti e discreti
co' libri in mansai tu quel che si sia? -
Rispose Orlando: - Saranno i profeti
che predisson l'annunzio di Maria;
quivi è Davìd e gli altri sempre lieti
e Moïsè legista e Geremia.
- L'altre corone ch'io vi veggo tante? -
Rispose Orlando: - Gli altri santi e sante

83.
e màrtirpatriarci e confessori.
- Tante altre cose ch'io vi veggo belle? -
Rispose Orlando: - Celesti splendori
come i pianetisole e luna e stelle.
- Que' dolci gaudi e que' soavi odori
tante dolce armonietante fiammelle? -
Rispose Orlando: - È il gaudio sempiterno
e 'l sommo ben di quel Signore etterno.

84.
Color che cantanche paion di foco
con l'alie intorno alla sedia vicini? -
Rispose Orlando: - Qui ti ferma un poco.
Sono altre spezie di spirti divini
ed ha ciascuno ordinato il suo loco:
que' primiCherubini e Serafini
e gli altri Tronche così presso stanno
sì che tre gerarchie que' cori fanno.

85.
Gli altri che seguon questo primo coro
de' SerafinCherubini e de' Troni
Virtute e Potestà son con costoro
ma innanzi a questi le Dominazioni;
poi Principati e gli Arcangel con loro
ed Angel par che d'un canto risuoni. -
Disse il pagan: - Come tu m'hai diviso
costorcosì gli veggo in paradiso. -

86.
Ah! - disse Orlando - e' non passerà molto
che tu gli potra' me' vedere in cielo:
dirizza i tuoi pensierla mente e 'l volto
a quel Signor con puro amore e zelo;
e 'ncréscati di meche resto involto
in questo cieco mondo al caldo e al gelo. -
E poi gli diè la sua benedizione
e l'anima spirò di Spinellone.

87.
Rimase Orlando tutto consolato
del dolce fin che Spinellone ha fatto
e tutto collo spirito elevato
tanto che Paül pareva al ciel ratto
chiamando morto chi in vita è restato.
Intanto Salicorno è quivi tratto
e scaccia ognun che innanzi se gli affronta.
Orlando in sul caval presto rimonta

88.

e grida: - Addrieto tornatecanaglia:
è altro ch'un pagan quel che vi caccia? -
E' rispondieno: - Egli è nella battaglia
questo gigante che Giove minaccia:
e' ci divoranon ferisce o taglia
tanto ch'ognuno ha rivolta la faccia. -
Orlando pur gli sgrida e svergognava;
e in questo quivi Rinaldo arrivava.

89.
E Salicorno avea già domandato:
- Dove è Rinaldo? Io vorrei pur trovarlo. -
Orlandocome lo vede appressato
diceva: - O Salicornoor puoi provarlo:
ecco colui ch'hai tanto minacciato;
questo è Rinaldo tuocol quale io parlo. -
E volsesi a Rinaldo e disse seco:
- Questo gigante vuol provarsi teco. -

90.
Quando il gigante vedeva Rinaldo
parvegli un uom nell'aspetto gagliardo
e tutto stupefatto stava saldo:
guarda il cristiano e guardava Baiardo
e raffreddossiche parea sì caldo;
disse: - Barons'ogni tuo effetto guardo
non vidi mai il più bel combattitore;
ma tu se' il caffo d'ogni traditore.

91.
Tu uccidesti già de' miei consorti
quel Chiarïel che fu tanto nomato;
de' miei fratelli due n'avete morti
e Brunamonte sai che l'hai ammazzato
con mille tradimenti e mille torti;
e Mambrinch'era del mio sangue nato
e Costantin con inganno uccidesti
e meritato hai già mille capresti.

92.
Noi siàn rimasi sei frate' carnali;
ma punirotti io soltraditor fello. -
Rinaldo stava tuttavia in su l'ali
come il terzuolper dibattersi a quello
e disse: - Badalonse tanto vali
come ti fe' cader qui il mio fratello?
Dunque tu chiami traditor Rinaldo
che sai che tu se' il fior d'ogni ribaldo? -

93.
Disse il gigante: - Orlandoio mi ti scuso
non può ciò comportar nostra natura:
costui mi par co' giganti poco uso;
ché se io comincioper la sua sciagura
gli forbirò col mazzafrusto il muso. -
Rinaldoche smarrita ha la paura
gli volle dar col guanto nel mostaccio;
se non ch'Orlando gli pigliava il braccio

94.
e disse: - Fate battaglia reale. -
Rispose Salicorno: - Io ho combattuto
tutto dì d'oggie fatto tanto male
e Spinellone e Costanzo abbattuto
che far con esso or battaglia campale
o in altro modonon sare' dovuto;
ma domattina in sul campo saremo
e so che 'l lume e' dadi pagheremo. -

95.
Rinaldo fu contento; e Salicorno
in Bambillona si tornava drento
e così i nostri al padiglion tornorno.
Diceva il Veglio: - Ignun mio guernimento
non mi trarròRinaldoinsino al giorno:
così ti priego che tu sia contento. -
Rispose Orlando: - Il tuo consiglio parmi
di savio. - E non si vollon cavar l'armi.

96.
Il Vegliocome praticoin agguato
con una schiera quella notte sta.
Or Salicornocome addormentato
crede sia il campouscì della città;
verso Rinaldo n'andava affilato
ché di tradirlo pensato seco ha.
Ma nell'uscir nella schiera scontrossi
del savio Veglioe la zuffa appiccossi;

97.
e cominciossi la gente a ferire.
Questo romor ne va pel campo presto;
ma pur Rinaldo si stava a dormire.
Baiardoche la notte stava desto
comincia presso a Rinaldo anitrire;
non si sentendospezzava il capresto
e corse sanza sellacosì ignudo
e dèttegli del piè drento allo scudo.

98.

Rinaldo allor si fu pur risentito
e Ricciardetto ed Ulivier destòe:
ognun s'armava tutto sbalordito.
Orlando in sul caval presto montòe
dove combatte il Veglio ne fu ito
e tutto il campo in là presto n'andòe.
A Salicorno par la cosa guasta
e pentesi aver messo mano in pasta.

99.
Pur con Rinaldo domandò battaglia;
Rinaldo disse del campo pigliasse;
e par con gran furor l'un l'altro assaglia:
sùbito furno le lor lance basse.
Era a veder la pagana canaglia
che si pensorno il mondo rovinasse
quando Rinaldo s'accosta al gigante
perché e' tremava e la terra e le piante.

100.
E Salicorno la lancia spezzava;
così Rinaldo; e' lor destrier passorno
e quasi il colpo di lor s'agguagliava;
sì che di nuovo due lance pigliorno
e l'uno inverso l'altro ritornava;
trovò Rinaldo al cimier Salicorno
e con quel colpo dilacciò l'elmetto
e 'l suo pennacchio gli spiccò di netto.

101.
Rinaldo nello scudo pose a lui
un colpoch'egli arebbe traboccato
se fussin tutti insieme i frate' sui
e 'n sulla groppa a l'alfana è cascato.
Gridava Salicorno: - Mai non fui
a questo modo più vituperato.
O Macomettobecco can ribaldo
tu hai pagato la balia a Rinaldo;

102.
credo che tu t'intenda co' cristiani! -
E 'l me' che può sopra l'arcion si rizza
e prese il mazzafrusto con due mani;
verso Rinaldo va con molta stizza
gridando: - Tu n'andrai con gli altri cani
se questa mazza di man non ischizza;
ché se tu campi da me questa notte
non tornerò mai più nelle mie grotte. -

103.
E d'una punta gli dètte nel fianco
che gli fe' rimbalzar l'elmetto in testa;
e benché fussi il paladin sì franco
per la percossa ebbe tanta molesta
che poco men che non si venne manco
e non volea la seconda richiesta;
e Frusberta di man gli era caduta
se non che la catena l'ha tenuta;

104.
e l'elmetto pel colpo gli era uscito.
Il saracin se gli scagliava intanto
addossoché pensò che sia fornito.
Orlandoch'a vedere era daccanto
gridò: - Paganse' tu del senno uscito?
Or che non ha più l'elmoo 'l brando al guanto
gli credi addosso andar co' mazzafrusti
come un gaglioffo vil che sempre fusti? -

105.
E volle dargli un colpo con la spada.
Quando il gigante Orlando irato vide
diceva: "E' non è buon che innanzi vada
ché questa spada il porfiro divide".
Quando Rinaldo a queste cose bada
per la vergogna il cuor se gli conquide;
e ripigliato alquanto di vigore
verso il pagano andò con gran furore.

106.
Rizzossi in sulle staffee 'l brando strinse
e Salicorno trovò in sul cappello;
e fu tanto la rabbia che lo vinse
che lo tagliò come il latte il coltello:
non domandar quanto sdegno il sospinse;
e spezza il teschio duro e poi il cervello
e 'l collo e 'l pettoe fecene due parti
che così a punto non tagliano i sarti.

107.
Cadde il gigante dell'alfana in terra:
fece un fracassocome quando taglia
il montanaro e qualche faggio atterra.
I saracin che son nella battaglia
chi qua chi là per le fosse al buio erra;
ognuno inverso le porte si scaglia
veggendo Salicorno giù cadere
che lo sentì chi nol potea vedere.

108.

Combattevon a lumi di lanterne
costor la nottee fiaccole di pino
sì che molti restâr per le caverne
chi morto e chi ferito e chi meschino.
Nostri cristianquanti potien vederne
tanti uccidien del popol saracino:
buon per colui che fu prima alle porte!
ché tutti que' da sezzo ebbon la morte.

109.
Nella città chi può si fuggì drento
e furon presto le porte serrate;
e cominciorno a far provedimento
come le mura lor fussin guardate
ché d'uscir fuor non avean più ardimento.
Lasciàn costoro e l'altre gente armate:
e' ci convien tornare un poco a Carlo
ché non si vuol però dimenticarlo.

110.
Carlo in Parigi nella sua tornata
Meredïana volse rimandare
a Caradorche l'ha tanto aspettata;
e lei più in Francia non volea già stare
da poi ch'Ulivier suo l'avea lasciata.
Morgante volle questa accompagnare
e finalmentedopo alcun dimoro
rappresentolla al gran re Caradoro.

111.
E pochi giorni con lei dimoròe
perché e' voleva andar verso Soria
dove era Orlandoe licenzia pigliòe
e sol soletto si misse per via;
Meredïana al partir lo pregòe
che l'avvisassi d'Ulivier che sia
e ritornassi qualche volta a quella
che rimanea scontenta e meschinella.

112.
Giunto Morgante un dì in su 'n un crocicchio
uscito d'una valle in un gran bosco
vide venir di lungiper ispicchio
un uom che in volto parea tutto fosco.
Dètte del capo del battaglio un picchio
in terrae disse: "Costui non conosco";
e posesi a sedere in su 'n un sasso
tanto che questo capitòe al passo.

113.
Morgante guata le sue membra tutte
più e più volte dal capo alle piante
che gli pareano straneorride e brutte:
- Dimmi il tuo nome- dicea - vïandante. -
Colui rispose: - Il mio nome è Margutte;
ed ebbi voglia anco io d'esser gigante
poi mi penti' quando al mezzo fu' giunto:
vedi che sette braccia sono appunto. -

114.
Disse Morgante: - Tu sia il ben venuto:
ecco ch'io arò pure un fiaschetto allato
che da due giorni in qua non ho beuto;
e se con meco sarai accompagnato
io ti farò a camin quel che è dovuto.
Dimmi più oltre: io non t'ho domandato
se se' cristiano o se se' saracino
o se tu credi in Cristo o in Apollino. -

115.
Rispose allor Margutte: - A dirtel tosto
io non credo più al nero ch'a l'azzurro
ma nel capponeo lesso o vuogli arrosto;
e credo alcuna volta anco nel burro
nella cervogiae quando io n'honel mosto
e molto più nell'aspro che il mangurro;
ma sopra tutto nel buon vino ho fede
e credo che sia salvo chi gli crede;

116.
e credo nella torta e nel tortello:
l'uno è la madre e l'altro è il suo figliuolo;
e 'l vero paternostro è il fegatello
e posson esser tredue ed un solo
e diriva dal fegato almen quello.
E perch'io vorrei ber con un ghiacciuolo
se Macometto il mosto vieta e biasima
credo che sia il sogno o la fantasima;

117.
ed Apollin debbe essere il farnetico
e Trivigante forse la tregenda.
La fede è fatta come fa il solletico:
per discrezion mi credo che tu intenda.
Or tu potresti dir ch'io fussi eretico:
acciò che invan parola non ci spenda
vedrai che la mia schiatta non traligna
e ch'io non son terren da porvi vigna.

118.

Questa fede è come l'uom se l'arreca.
Vuoi tu veder che fede sia la mia?
che nato son d'una monaca greca
e d'un papasso in Bursialà in Turchia.
E nel principio sonar la ribeca
mi dilettaiperch'avea fantasia
cantar di Troia e d'Ettore e d'Achille
non una volta giàma mille e mille.

119.
Poi che m'increbbe il sonar la chitarra
io cominciai a portar l'arco e 'l turcasso.
Un dì ch'io fe' nella moschea poi sciarra
e ch'io v'uccisi il mio vecchio papasso
mi posi allato questa scimitarra
e cominciai pel mondo andare a spasso;
e per compagni ne menai con meco
tutti i peccati o di turco o di greco;

120.
anzi quanti ne son giù nello inferno:
io n'ho settanta e sette de' mortali
che non mi lascian mai lo state o 'l verno;
pensa quanti io n'ho poi de' venïali!
Non credose durassi il mondo etterno
si potessi commetter tanti mali
quanti ho commessi io solo alla mia vita;
ed ho per alfabeto ogni partita.

121.
Non ti rincresca l'ascoltarmi un poco:
tu udirai per ordine la trama.
Mentre ch'io ho danars'io sono a giuoco
rispondo come amico a chiunque chiama;
e giuoco d'ogni tempo e in ogni loco
tanto che al tutto e la roba e la fama
io m'ho giucatoe' pel già della barba:
guarda se questo pel primo ti garba.

122.
Non domandar quel ch'io so far d'un dado
o fiamma o traversintesta o gattuccia
e lo spuntonee va' per parentado
ché tutti siàn d'un pelo e d'una buccia.
E forse al camuffar ne incaco o bado
o non so far la berta o la bertuccia
o in furba o in calca o in bestrica mi lodo?
Io so di questo ogni malizia e frodo.

123.
La gola ne vien poi drieto a questa arte.
Qui si conviene aver gran discrezione
saper tutti i segretia quante carte
del fagiandella stama e del cappone
di tutte le vivande a parte a parte
dove si truovi morvido il boccone;
e non ti fallirei di ciò parola
come tener si debba unta la gola.

124.
S'io ti dicessi in che modo io pillotto
o tu vedessi com'io fo col braccio
tu mi diresti certo ch'io sia ghiotto;
o quante parte aver vuole un migliaccio
che non vuole essere arsoma ben cotto
non molto caldo e non anco di ghiaccio
anzi in quel mezzoed unto ma non grasso
(pàrti ch'i' 'l sappi?)e non troppo alto o basso.

125.
Del fegatello non ti dico niente:
vuol cinque partefa' ch'a la man tenga:
vuole esser tondonota sanamente
acciò che 'l fuoco equal per tutto venga
e perché non ne caggiatieni a mente
la gocciola che morvido il mantenga:
dunque in due parte dividiàn la prima
ché l'una e l'altra si vuol farne stima.

126.
Piccolo siaquesto è proverbio antico
e fa' che non sia povero di panni
però che questo importa ch'io ti dico;
non molto cottoguarda non t'inganni!
ché così verdemezzocome un fico
par che si strugga quando tu l'assanni;
fa' che sia caldo; e puoi sonar le nacchere
poi spezie e melarance e l'altre zacchere.

127.
Io ti darei qui cento colpi netti;
ma le cose sottilvo' che tu creda
consiston nelle torte e ne' tocchetti:
e' ti fare' paura una lampreda
in quanti modi si fanno i guazzetti;
e pur chi l'ode poi convien che ceda:
perché la gola ha settantadue punti
sanza molti altri poi ch'io ve n'ho aggiunti.

128.

Un che ne manchiè guasta la cucina:
non vi potrebbe il Ciel poi rimediare.
Quanti segreti insino a domattina
ti potrei di questa arte rivelare!
Io fui ostiere alcun tempo in Egina
e volli queste cose disputare.
Or lasciàn questoe d'udir non t'incresca
un'altra mia virtù cardinalesca.

129.
Ciò ch'io ti dico non va insino all'effe:
pensa quand'io sarò condotto al rue!
Sappi ch'io aroe non dico da beffe
col cammello e coll'asino e col bue;
e mille capannucci e mille gueffe
ho meritato già per questo o piùe;
dove il capo non vametto la coda
e quel che più mi piace è ch'ognun l'oda.

130.
Mettimi in ballomettimi in convito
ch'io fo il dover co' piedi e colle mani;
io son prosuntüosoimprontoardito
non guardo più i parenti che gli strani:
della vergognaio n'ho preso partito
e tornochi mi cacciacome i cani;
e dico ciò ch'io fo per ognun sette
e poi v'aggiungo mille novellette.

131.
S'io ho tenute dell'oche in pastura
non domandarch'io non te lo direi:
s'io ti dicessi mille alla ventura
di poche credo ch'io ti fallirei;
s'io uso a munister per isciagura
s'elle son cinqueio ne traggo fuor sei:
ch'io le fo in modo diventar galante
che non vi campa servigial né fante.

132.
Or queste son tre virtù cardinale
la gola e 'l culo e 'l dadoch'io t'ho detto;
odi la quartach'è la principale
acciò che ben si sgoccioli il barletto:
non vi bisogna uncin né porre scale
dove con mano aggiungoti prometto;
e mitere da papi ho già portate
col segno in testae drieto le granate.

133.
E trapani e paletti e lime sorde
e succhi d'ogni fatta e grimaldelli
e scale o vuoi di legno o vuoi di corde
e levane e calcetti di feltrelli
che fannoquand'io voch'ognuno assorde
lavoro di mia man puliti e belli;
e fuoco che per sé lume non rende
ma con lo sputo a mia posta s'accende.

134.
S' tu mi vedessi in una chiesa solo
io son più vago di spogliar gli altari
che 'l messo di contado del paiuolo;
poi corro alla cassetta de' danari;
ma sempre in sagrestia fo il primo volo
e se v'è croce o caliciio gli ho cari
e' crucifissi scuopro tutti quanti
poi vo spogliando le Nunziate e' santi.

135.
Io ho scopato già forse un pollaio;
s' tu mi vedessi stendere un bucato
diresti che non è donna o massaio
che l'abbi così presto rassettato:
s'io dovessi spiccarMorganteil maio
io rubo sempre dove io sono usato;
ch'io non istò a guardar più tuo che mio
perch'ogni cosa al principio è di Dio.

136.
Ma innanzi ch'io rubassi di nascoso
io fui prima alle strade malandrino:
arei spogliato un santo il più famoso
se santi son nel Cielper un quattrino;
ma per istarmi in pace e in più riposo
non volli poi più essere assassino;
non che la voglia non vi fussi pronta
ma perché il furto spesso vi si sconta.

137.
Le virtù teologiche ci resta.
S'io so falsare un libroIddio tel dica:
d'uno iccase farotti un fioch'a sesta
non si farebbe più bello a fatica;
e traggone ogni cartae poi con questa
raccordo l'alfabeto e la rubrica
e scambiere'tie non vedresti come
il titolla coverta e 'l segno e 'l nome.

138.

I sacramenti falsi e gli spergiuri
mi sdrucciolan giù proprio per la bocca
come i fichi sampierque' ben maturi
o le lasagneo qualche cosa sciocca;
né vo' che tu credessi ch'io mi curi
contro a questo o colui: zara a chi tocca!
ed ho commesso già scompiglio e scandolo
che mai non s'è poi ravvïato il bandolo.

139.
Sempre le brighe compero a contanti.
Bestemmiatornon vi fo ignun divario
di bestemmiar più uomini che santi
e tutti appunto gli ho in sul calendario.
Delle bugie nessun non se ne vanti
ché ciò ch'io dico fia sempre il contrario.
Vorrei veder più fuoco ch'acqua o terra
e 'l mondo e 'l cielo in peste e 'n fame e 'n guerra.

140.
E caritàlimosina o digiuno
orazïon non creder ch'io ne faccia.
Per non parer provànochieggo a ognuno
e sempre dico cosa che dispiaccia;
superboinvidïoso ed importuno:
questo si scrisse nella prima faccia;
ché i peccati mortal meco eran tutti
e gli altri vizi scelerati e brutti.

141.
Tanto è ch'io posso andar per tutto 'l mondo
col cappello in su gli occhicom'io voglio;
com'una schianceria son netto e mondo;
dovunque i' volasciarvi il segno soglio
come fa la lumacae nol nascondo;
e muto fede e leggeamici e scoglio
di terra in terracom'io veggo o truovo
però ch'io fu' cattivo insin nell'uovo.

142.
Io t'ho lasciato indrieto un gran capitolo
di mille altri peccati in guazzabuglio;
ché s'i' volessi leggerti ogni titolo
e' ti parrebbe troppo gran mescuglio;
e cominciando a sciòrre ora il gomitolo
ci sarebbe faccenda insino a luglio;
salvo che questo alla fine udirai:
che tradimento ignun non feci mai. -

143.
Morgante alle parole è stato attento
un'ora o piùche mai non mosse il volto;
rispose e disse: - In fuor che tradimento
per quel ch'io hoMargutte mioraccolto
non vidi uom mai più tristo a compimento;
e di' che 'l sacco non hai tutto sciolto:
non crederrei con ogni sua misura
ti rifacessi a punto più Natura

144.
né tanto accomodato al voler mio:
noi staren bene insieme in un guinzaglio.
Di tradimento guàrdatiperch'io
vo' che tu creda in questo mio battaglio
da poi che tu non credi in Cielo a Dio;
ch'io so domar le bestie nel travaglio.
Del restocome vuoi te ne governa:
co' santi in chiesa e co' ghiotti in taverna.

145.
Io vo' con meco ne vengaMargutte
e che di compagnia sempre viviamo.
Io so per ogni parte le vie tutte.
Vero che pochi danar ne portiamo;
ma mio costume all'oste è dar le frutte
sempre al partirquando il conto facciamo;
e 'nsino a qui sempre all'osteov'io fusse
io gli ho pagato lo scotto di busse. -

146.
Disse Margutte: - Tu mi piaci troppo;
ma resti tu contento a questo solo?
Io rubo sempre ciò ch'io do d'intoppo
s'io ne dovessi portare un orciuolo;
poi al partir son mutolma non zoppo.
Se tu dovessi tòrre un fusaiuolo
dove tu vaito' sempre qualche cosa;
ch'io tirerei l'aiuolo a una chiosa.

147.
Io ho cercato diversi paesi
io ho solcata tutta la marina
ed ho sempre rubato ciò ch'io spesi.
DunqueMorgantea tua posta camina. -
Così dètton di piglio a' loro arnesi;
Morgante pel battaglio suo si china
e col compagno suo lieto ne gìa
e dirizzossi andar verso Soria.

148.

Margutte aveva una schiavina indosso
ed un cappello a spicchi alla turchesca
salvo ch'egli era fatto d'un certo osso
che gli spicchi eran d'altro che di pèsca
ed era molto grave e molto grosso
tanto che par che spesso gli rincresca;
un paio di stivaletti avea in piè gialli
ferrato e con gli spron come hanno i galli.

149.
Dicea Morgante quando gli vedea:
- Saresti tu di schiatta di galletto?
Tu hai gli spron di drieto! - e sorridea.
Disse Margutte: - Questo è per rispetto
ché spesso alcunche non se n'accorgea
se ne trovò ingannatoti prometto:
campati ho già con questi molti casi
e molti a questa pania son rimasi. -

150.
Vannosi insieme ragionando il giorno;
la sera capitorno a un ostiere
e come e' giunsoncostui domandorno:
- Aresti tu da mangiare e da bere?
E pàgati in su l'asse o vuoi nel forno. -
L'oste rispose: - E' ci fia da godere:
e' ci è avanzato un grosso e bel cappone. -
Disse Margutte: - E' non fia un boccone.

151.
Qui si conviene avere altre vivande:
noi siamo usati di far buona cera.
Non vedi tu costui com'egli è grande?
Cotesta è una pillola di gera. -
Rispose l'oste: - Mangi delle ghiande.
Che vuoi tu ch'io provveggaor ch'egli è sera? -
e cominciò a parlar superbamente
tal che Morgante non fu pazïente:

152.
comincial col battaglio a bastonare;
l'oste gridava e non gli parea giuoco.
Disse Margutte: - Lascia un poco stare.
Io vo' per casa cercare ogni loco.
Io vidi dianzi un bufol drento entrare:
e' ti bisogna fareosteun gran fuoco
e che tu intenda a un fischiar di zufolo;
poi in qualche modo arrostiren quel bufolo. -

153.
Il fuoco per paura si fe' tosto;
Margutte spicca di sala una stanga;
l'oste borbottae Margutte ha risposto:
- Tu vai cercando il battaglio t'infranga:
a voler far quello animale arrosto
che vuoi tu tòrreun manico di vanga?
Lascia ordinare a mese vuoiil convito. -
E finalmente il bufol fu arrostito;

154.
non creder colla pelle scorticata:
e' lo sparò nel corpo solamente.
Parea di casa più che la granata:
comanda e gridae per tutto si sente.
Un'asse molto lunga ha ritrovata;
apparecchiolla fuor subitamente
e vino e carne e del pan vi ponea
perché Morgante in casa non capea.

155.
Quivi mangioron le reliquie tutte
del bufoloe tre staia di pane o piùe
e bevvono a bigonce; e poi Margutte
disse a quell'oste: - Dimmiaresti tue
da darci del formaggio o delle frutte
ché questa è stata poca roba a due
o s'altra cosa tu ci hai di vantaggio? -
Or udirete come andò il formaggio.

156.
L'oste una forma di cacio trovòe
ch'era sei libbreo poco più o meno;
un canestretto di mele arrecòe
d'un quarto o mancoe non era anche pieno.
Quando Margutte ogni cosa guardòe
disse a quell'oste: - Bestia sanza freno
ancor s'arà il battaglio adoperare
s'altro non credi trovar da mangiare.

157.
È questo compagnon da fare a once?
Aspetta tanto ch'io torni un miccino
e servi intanto qui colle bigonce:
fa' che non manchi al gigante del vino
che non ti racconciassi l'ossa sconce.
Io fo per casa come il topolino:
vedrai s'io so ritrovare ogni cosa
e s'io farò venir giù roba a iosa! -

158.

Fece la cerca per tutta la casa
Marguttee spezza e sconficca ogni cassa
e rompe e guasta masserizie e vasa:
ciò che trovavaogni cosa fracassa
ch'una pentola sol non v'è rimasa;
di cacio e frutte raguna una massa
e portale a Morgante in un gran sacco
e cominciorno a rimangiare a macco.

159.
L'oste co' servi impaüriti sono
ed a servire attendon tutti quanti;
e dice fra se stesso: "E' sarà buono
non ricettar mai più simil briganti:
e' pagheranno domattina al suono
di quel battaglioe saranno contanti.
Hanno mangiato tantoche in un mese
non mangerà tutto questo paese".

160.
Morgantepoi che molto ebbe mangiato
disse a quell'oste: - A dormir ce n'andremo;
e domattinacom'io sono usato
sempre a caminoinsieme conteremo
e d'ogni cosa sarai ben pagato
per modo che d'accordo resteremo. -
E l'oste disse a suo modo pagassi;
ché gli parea mill'anni e' se n'andassi.

161.
Morgante andò a trovare un pagliaio
ed appoggiossi come il lïofante.
Margutte disse: - Io spendo il mio danaio:
io non vogliooste miocome il gigante
far degli orecchi zufoli a rovaio;
non so s'io son più pratico o ignorante
ma ch'io non sono astrolago so certo:
io vo' con teco posarmi al coperto.

162.
Vorreiprima che' lumi sieno spenti
che tu traessi ancora un po' di vino
ché non par mai la sera io m'addormenti
s'io non becco in sul legno un ciantellino
così per risciacquare un poco i denti;
e goderenci in pace un canzoncino:
e' basta un bigonciuol così tra noi
or che non ci è il gigante che c'ingoi.

163.
Vedes' tu mai - Margutte soggiugnea
- un uom più bello e di tale statura
e che tanto diluvi e tanto bea?
Non credo e' ne facessi un più Natura.
E' vuolquando egli è all'oste- gli dicea
- che l'oste gli trabocchi la misura;
ma al pagar poimai il più largo uom vedesti:
se tu nol provitu nol crederresti. -

164.
Venne del mostoe stanno a ragionare
e l'oste un poco si rassicurava;
Margutte un canzoncin netto spiccare
cominciae poi del camin domandava
dicendo a Bambillona volea andare.
L'oste rispose che non si trovava
da trenta miglia in là casa né tetto
per più giornatee vassi con sospetto.

165.
E disselo a Marguttee non a sordo
che vi pensò di sùbito malizia
e disse all'oste: - Questo è buon ricordo
poi che tu di' che vi si fa tristizia.
Or oltrea letto; e saren ben d'accordo
ch'io non istò a pagar con masserizia:
io son lo spenditoree degli scotti
come tu stesso vorraipagherotti:

166.
io ho sempre calcata la scarsella.
Dehdimmitu non debbi aver domata
per quel ch'io ne comprendauna cammella
ch'io vidi nella stalla tua legata;
ch'io non vi veggo né basto né sella.
Rispose l'oste: - Io la tengo appiattata
una sua bardelletta ch'io gli caccio
nella camera mia sotto il primaccio.

167.
Per quel ch'io il facciacredo che tu intenda:
sai che qui arriva più d'un forestiere
a cenaa desinare ed a merenda. -
Disse Margutte: - Lasciami vedere
un poco come sta questa faccenda
poi che noi siam per ragionare e bere
e son le notte un gran cantar di cieco. -
E l'oste gli rispose: - Io te l'arreco. -

168.

Recò quella bardella il sempliciotto:
Margutte vi fe' sù tosto disegno
che questa accorderà tutto lo scotto;
e disse all'oste: - E' mi piace il tuo ingegno.
Questo sarà il guancial ch'io terrò sotto;
e dormirommi qui in su questo legno:
so che letto non hai dov'io capessi
tanto che tutto mi vi distendessi.

169.
Or vo' saper come tu se' chiamato. -
Disse l'ostier: - Tu saprai tosto come:
io son il Dormi per tutto appellato. -
Disse Margutte: "Fa' come tu hai nome;"
così fra sé "tu sarai ben destato
quando fia tempo e innanzi fien le some".
- Come hai tu brigatella o vuoi figliuoli? -
Disse l'ostier: - La donna ed io siàn soli. -

170.
Disse Margutte: - Che puoi tu pigliarci
la settimana in questa tua osteria?
Come arai tu moneta da cambiarci
qualche dobbra da spender per la via? -
Rispose l'oste: - Io non vo' molto starci
ch'io non ci ho presoper la fede mia
da quattro mesi in qua venti ducati
che sono in quella cassetta serrati. -

171.
Disse Margutte: - Ohsolo in una volta
con esso noi più danar piglierai!
Tu la tien' quivi: s'ella fusse tolta? -
Disse l'ostier: - Non mi fu tocca mai. -
Margutte un occhiolin chiuse ed ascolta
e disse: "A questa volta lo vedrai!".
E per fornire in tutto la campana
un'altra malizietta trovò strana.

172.
Perché persona discreta e benigna -
dicea coll'oste - troppo a questo tratto
mi se' parutoio mi chiamo il Graffigna;
e 'l profferer tra noi per sempre è fatto.
Io sento un poco difetto di tigna
ma sotto questo cappel pur l'appiatto:
io vo' che tu mi doni un po' di burro
ed io ti donerò qualche mangurro. -

173.
L'oste rispose: - Nïente non voglio:
domanda arditamente il tuo bisogno
ché di tal cose cortese esser soglio. -
Disse Margutte allora: - Io mi vergogno:
sappi che mai la notte non mi spoglio
per certo vizio ch'io mi lievo in sogno;
vorrei ch'un paio di fune m'arrecasse
e legherommi io stesso in su questa asse.

174.
Ma serra l'uscio ben dove tu dormi
ch'io non ti dessi qualche sergozzone;
se tu sentissi per disgrazia sciòrmi
e che per casa andassi a processione
non uscir fuor. - Rispose presto il Dormi
e disse: - Io mi starò sodo al macchione.
Così voglio avvisar la mia brigata
che non toccassin qualche tentennata. -

175.
Le fune e 'l burro a Margutte giù reca
e disse a' servi di questo costume:
ch'ognun si guardi dalla fossa cieca
e non isbuchi ignun fuor delle piume.
Odi ribaldo! Odi malizia greca!
Così soletto si restò col lume
e fece vista di legarsi stretto
tanto che 'l Dormi se n'andò a letto.

176.
Come e' sentì russarch'ognun dormiva
e' cominciò per casa a far fardello:
alla cassetta de' danar ne giva
ed ogni cosa pose in sul cammello;
e come un uscio o qualche cosa apriva
ugneva con quel burro il chiavistello;
e come egli ebbe fuor la vettovaglia
appiccò il fuoco in un monte di paglia.

177.
E poi n'andava al pagliaio a Morgante:
- Non dormir più- dicea - dormito hai assai.
Non di' tu che volevi ire in Levante?
Io sono ito e tornatoe tu il vedrai.
Non istiàn quidà in terra delle piante
se non che presto il fummo sentirai. -
Disse Morgante: - Che diavolo è questo?
Tu hai pur fattoper Dionetto e presto. -

178.

Poi s'avvïavach'aveva timore
perché quivi era un gran borgo di case
che non si lievi la gente a romore.
Dicea Margutte: - Di ciò che rimase
all'osteun birro non are' rossore:
ch'io non istò a far mai le staia rase
ma sempre in ogni parte dov'io fui
sono stato cortese dell'altrui. -

179.
Mentre che questi così se ne vanno
la casa ardeva tutta a poco a poco:
prima che 'l Dormi s'avvegga del danno
era per tutto appiccato già il foco;
e non credea che fussi stato inganno.
Quivi la gente correa d'ogni loco;
ma con fatica scampò lui e la moglie:
e così spesso de' matti si coglie.

18.

0.
Quando fu giorno che l'albe apparìe
Morgante vede insino alla grattugia
e fra se stesso dicea: "Tutto die
de' miglior certo s'impicca ed abbrugia:
guarda costui quante ciabatte ha quie!
Per Dioche troppo il capresto s'indugia!".
Disse Margutte: - E' ci è insino alla secchia:
non dubitarquesta è l'arte mia vecchia.

181.
Noi abbiamo andar per un certo paese
dove da sé non ha chi non vi porta;
e pure aren danar da far le spese. -
E tutta la novella dice scorta
della cassettae come il fuoco accese
come egli ebbe il cammel fuor della porta
e come il Dormi se n'andò a dormire
ma il fuoco l'arà fatto risentire.

182.
Morgante le mascella ha sgangherate
per le risa talvolta che gli abbonda
e dicea pure: "O forche sventurate
ecco che boccon ghiotto o pèsca monda!
Non vi rincresca s'un poco aspettate.
Costui pur mena almen la mazza tonda.
Quanto piacer n'arà di questo Orlando
s'io lo vedrò mai piùche non so quando!"

183.
Dicea Margutte: - In questo sta il guadagno:
quanto tu lasci più il brigante scusso.
Tu puoi cercar per tutto d'un compagno
che d'ogni cosa siacome iomalfusso;
néper ghermirealtro sparvier grifagno
non ti bisognao zingherloarbo o usso;
quel che si rubanon s'ha a saper grado;
e sai ch'io comincio ora a trar pel dado.

184.
Io chiesi insino al burroe dissi a quello
oste ch'un poco di tigna sentivo
per ugner poi gli arpioni e 'l chiavistello
che non sentissi quando un uscio aprivo
tanto ch'io avessi assettato il cammello:
a ogni malizietta io son cattivo;
del livido mi guardo quant'io posso
poi non mi curo più giallo che rosso.

185.
Or mi piacesti tuMargutte mio! -
dicea Morgante. E 'ntanto unc'ha veduta
quella cammelladiceva: - Per Dio!
ch'ella è del Dormi ostier quella scrignuta. -
Disse Margutte: - Il Dormi sarò io.
Non vedi tubabbionche si tramuta
e sgombera qua presso a un castello?
E maggior bestia se' tu che 'l cammello. -

186.
Tutto quel giorno e l'altro sono andati
per paesi dimestichi costoro;
e 'l terzo dì in un bosco sono entrati
dove aspre fere facevon dimoro;
ed eron pel cammin tutti affannati
né vinné pan non avean più con loro.
Dicea Morgante: - Che faremMargutte?
Vedi che mancan qui le cose tutte.

187.
Cerchiamo almeno appiè qua di quel monte
se vi surgessi d'acqua alcun rampollo;
ché purse noi trovassin qualche fonte
la sete se n'andrebbe al primo crollo;
ché le parole più spedite o pronte
non sentose la bocca non immollo:
quel mi par luogo d'esservi dell'acque. -
Onde a Margutte il suo consiglio piacque.

188.

Vanno cercando tantoche trovorno
una fontana assai nitida e fresca:
quivi a sedere un poco si posorno
perché e' convien che 'l caminar rincresca.
Ecco apparir di lungi un lïocorno
che va cercando ove la sete gli esca.
Disse Margutte: - Se tu guardi bene
quel lïocorno in qua per ber ne viene.

189.
Questa sarà la nostra cena appunto:
e' si consuma di dar nella rete;
però t'appiatta tanto che sia giunto
che tragga a noi la fame e a sé la sete. -
Il lïocorno dalla voglia è punto
e non sapea le trappole segrete:
venne alla fonte e 'l corno vi metteva
e stato un pocoa suo modo beeva.

190.
Morganteche dallato era nascoso
arrandellò il battaglio ch'egli ha in mano:
dèttegli un colpo tanto grazïoso
che cadde stramazzato a mano a mano
e non batté poi più senso né poso;
e fu quel colpo sì feroce e strano
che di rimbalzo in un masso percosse
e sfavillò come di fuoco fosse.

191.
Quando Margutte il vide sfavillare
disse: - Morgantela cosa va gaia:
forse che cotto lo potren mangiare.
Per quel che di quel sasso là mi paia
noi gli faren del fuoco fuor gittare. -
Disse Morgante: - Ogni prieta è focaia
dove Morgante e 'l battaglio s'accosta:
sempre con esso ne fo a mia posta.

192.
Ma tu che se'Marguttesì sottile
ed hai condotte tante masserizie
come non hai tu l'esca col fucile? -
Disse Margutte: - Tra le mie malizie
né cosa virtüosa né gentile
non troverraima fraude con tristizie. -
Disse Morgante: - Piglia del fien secco;
vienne qua meco. - E Margutte disse: - Ecco. -

193.
Vanno a quel massoe Morgante martella
ch'arebbe fatto riscaldare il ghiaccio
tal ch'a Margutte intruona le cervella
sì che quel fien gli cadeva di braccio.
Allor Morgante ridendo favella:
- Guarda se fuor le faville ti caccio. -
Margutte il fien per vergogna riprese
e tennel tanto che 'l fuoco s'accese.

194.
Poi si cavò di dosso la schiavina
e scaricò la cammella a giacere
e trasse quivi fuori una cucina:
apparecchiò alle spese dell'ostiere
ch'avea recato insino alla salina
e tazze ed altre vasella da bere;
al lïocorno abbruciò le caluggine
e fece uno schidon d'un gran peruggine.

195.
Cosse la bestiae pongonsi poi a cena:
Morgante quasi intera la pilucca
sì che Margutte n'assaggiava appena;
e disse: - Il sal ci avanza nella zucca!
Per Diotu mangeresti una balena!
Non è cotesta gola mai ristucca:
io ti vorrei per mio compagno avere
a ogni cosaeccetto ch'al tagliere. -

196.
Disse Morgante: - Io vedevo la fame
in aria come un nugol d'acqua pregno;
e certo una balena con le squame
arei mangiato sanz'alcun ritegno
ovvero un lïofante con lo stame.
Io rido che tu vai leccando il legno. -
Disse Margutte: - S' tu ridied io piango
ché con la fame in corpo mi rimango.

197.
Quest'altra volta io ti ristorerò-
dicea Morgante - per la fede mia! -
Dicea Margutte: - Anzi ne spiccherò
la parte ch'io vedrò che giusta sia
e poi l'avanzo innanzi ti porrò
sì che e' possi durar la compagnia.
Nell'altre cose io t'arò riverenza
ma della gola io non v'ho pazïenza:

198.

chi mi toglie il boccon non è mio amico
ma ogni volta par mi cavi un occhio.
Per tutte l'altre volte te lo dico:
ch'io vo' la parte mia insino al finocchio
se s'avessi a divider solo un fico
una castagnaun topo o un ranocchio. -
Morgante rispondea: - Tu mi chiarisci
di bene in meglioe come oro affinisci.

199.
Racconcia un poco il fuococh'egli è spento. -
Margutte ritagliò di molte legne
fece del fuoco ed un alloggiamento.
Disse Morgante: - Se quel non si spegne
per istanotteio mi chiamo contento.
Tu hai qui acconcio mille cose degne
tu se' il maestro di color che sanno. -
Così la notte a dormir quivi stanno.

200.
E la cammella si pasceva intorno.
Ma poi che l'aürora si dimostra
disse Margutte a Morgante: - Egli è giorno:
leviacci e seguitian l'andata nostra. -
Così tutte lor cose rassettorno.
Orperché l'un cantar con l'altro giostra
quel che seguì sarà nell'altro canto;
e lauderemo il Padre nostro intanto.



CANTARE DECIMONONO


1.
Laudateparvolettiil Signor vostro
laudate sempre il nome del Signore!
Sia benedetto il nome del Re nostro
da ora a sempre insino all'ultime ore!
Or tu che insino a qui m'hai il camin mostro
del laberinto mi conduci fore
sì ch'io ritorni ov'io lasciai Morgante
con la virtù delle tue opre sante.

2.
Partironsi costoro alla ventura:
vanno per luoghi solitari e strani
sanza trovar mai valle né pianura;
non senton cantar galli o abbaiar cani.
Pur capitorno in certa parte oscura
ove e' sentiron di luoghi lontani
venir certi lamenti afflitti e lassi
che parean d'uom che si ramaricassi.

3.
Dicea Morgante a Margutte: - Odi tue
come fo ioun certo suono spesso
d'una voce che par che innalzi sùe
poi si raccheti? Ella debbe esser presso. -
Margutte ascolta ed una volta e due
e poi diceva: - Anco io la sento adesso.
Questi fien malandrin ch'assalteranno
qualcun che passae rubato l'aranno. -

4.
Disse Morgante: - Studia un poco il passo;
veggiàn che cosa è questa e chi si duole:
al mio parereegli è quaggiù più basso
però per questa via tener si vuole.
Chiunque e' siapar molto afflitto e lasso
quantunque e' non si scorgan le parole;
e se son mascalzontu riderai
ch'io n'ho degli altri gastigati assai. -

5.
Poi che furono scesi una gran balza
e' cominciorno dappresso a sentire
però che sempre il lamento rinnalza;
una fanciulla piena di martìre
vidono alfinescapigliata e scalza
ch'a gran fatica poteva coprire
le belle membra suetanto è stracciata
e con una catena era legata.

6.
Ed un lïone appresso stava a quella
che la guardava; e come questi sente
fecesi incontro la bestia aspra e fella:
vanne a Morgante furïosamente
e cominciava a sbarrar la mascella
e volere operar l'artiglio e 'l dente.
Morgante un gran susorno gli appiccòe
col gran battaglioe 'l capo gli schiacciòe;

7.
e disse: - Che credevi tu farmatto?
I granchi credon morder le balene! -
Poi verso la fanciulla andò di tratto:
pargli discretanobile e dabbene;
e domandolla come stessi il fatto
onde tanta disgrazia a questa avviene.
Costei pur piangee Morgante domanda;
ma finalmente se gli raccomanda

8.

dicendo: - Non pigliassi ammirazione
se prima non risposi a tue parole
tanto son vinta dalla passïone;
ma se di me pur per pietà ti duole
io ti dirò del mal mio la cagione
che per dolor vedrai scurare il sole:
come tu vedistata son sett'anni
con pianticon angoscie e amari affanni.

9.
Il padre mio ha fra gli altri un castello
che si chiama Belfiorpresso alla riva
del Niloe Filomeno ha nome quello.
Un dì fuor delle mura a spasso giva:
era tornato il tempo fresco e bello
di primaveraogni prato fioriva;
come fanciulla m'andavo soletta
per gran vaghezza d'una grillandetta;

10.
e 'l sol di Spagna s'appressava all'onde
e riscaldava Granata e 'l Murrocco
dove poi sotto all'occeàn s'asconde;
e pur seguendo il mio piacere sciocco
un lusignuol sen gìa di fronde in fronde
che per dolcezza il cor m'aveva tocco
pensando come e' fu già Filomena;
ma del Nil sempre segnavo la rena.

11.
Mentre così lungo la riva andava
e 'l lusignuol si fugge in una valle;
ed io pur drieto a costui seguitava
cogliendo vïolette rosse e gialle;
ma finalmente in un boschetto entrava
e' be' capelli avea drieto alle spalle
e posto m'ero in su l'erba a sedere
ché del suo canto n'avea gran piacere.

12.
Mentre ch'io stavo come Proserpìna
co' fiori in grembo ascoltare il suo canto
giovanebellalieta e peregrina
il dolce verso si rivolse in pianto:
vidi apparireomè lassa tapina!
un uom pel bosco feroce daccanto;
e 'l lusignuolo e' fior quivi lasciai
e spaventata a fuggir cominciai.

13.
E certo io sarei pur da lui scampata;
manel fuggirea un ramo s'avvolse
la bella trecciae tutta avviluppata:
giunse costuie per forza la svolse;
quivi mi presee cosìsventurata
in questo modo al mio padre mi tolse;
e strascinommi insino a questa grotta
dove tu vedi ch'io sono or condotta.

14.
Credo ch'ancora ogni selva rimbomba
dov'io passaiquando costui per terra
mi strascinava insino a questa tomba;
e s'alcun satir pietoso quivi erra
questo peccato so ch'al cor gli piomba
o se giustizia l'arco più disserra.
Omèche mi graffiò più d'uno stecco
tal che risuona ancor del mio pianto Ecco!

15.
Le belle chiome mie tra mille sterpi
rimasondè' pensartutte stracciate
tra boschi e tra burrati e lupi e serpi
che furcome Absalonmal fortunate.
Omèche par che 'l cor da me si scerpi!
Omèle guance belle e tanto ornate
furono a' prunie credo che tu 'l creda
troppo felice ed onorata preda!

16.
E' drappi d'oro e' vestimenti tutti
al lotoal fangoa' sassia' ramia' ceppi
che solo un bruscolin facea già brutti
poi gli vidi stracciar per tanti greppi.
Né creder ch'io tenessi gli occhi asciutti
misera a mecomunque il mio mal seppi;
ma sempre lacrimosi e meschinelli
dovunque io fu'lascioron due rucelli.

17.
E fur pur già nella mia giovinezza
e lume e refliggerio a molti amanti:
arén giurato e detto per certezza
che fussin più che 'l sol belli e micanti;
e molte volte per lor gentilezza
venien la notte con suoni e con canti
e sopra tutto commendavan questi
che furon grazïosi e 'nsieme onesti;

18.

ed or son fatticome vediscuri:
così potessi alcun di lor vedégli
ché non sarien sì dispietati e duri
ch'ancor pietà non avessin di quegli;
anzi l'arebbon negli anni futuri:
ricorderiensi già che furon begli.
Ma per me più non è persona al mondo
cercando l'universo tutto tondo.

19.
E 'l padre mio di duol si sarà morto
poi ch'alcun tempo arà aspettato invano;
e la mia madre sanza alcun conforto
non sa ch'io stenti in questo luogo strano
né del gigante che mi facci torto
e battami ogni dì con la sua mano
e faccimi a' lïon guardar nel bosco
tanto ch'io stessa non mi riconosco.

20.
padreo madreo fratellio sorelle
o dolce amicheo compagneo parente;
o membre afflittelasse e meschinelle
o vita tristamisera e dolente;
o mondo pazzoo crude e fere stelle
o distino aspro e 'ngiusto veramente!
O morterefliggerio all'aspra vita
perché non vieni a me? Chi t'ha impedita?

21.
È questa la mia patria dov'io nacqui?
È questo il mio palagio e 'l mio castello?
È questo il nido ove alcun tempo giacqui?
È questo il padre e il mio dolce fratello?
È questo il popol dov'io tanto piacqui?
È questo il regno giustoantico e bello?
È questo il porto della mia salute?
È questo il premio d'ogni mia virtute?

22.
Ove sono or le mie purporee veste?
Ove sono or le gemme e le ricchezze?
Ove sono or già le notturne feste?
Ove sono or le mie dilicatezze?
Ove sono or le mie compagne oneste?
Ove sono or le fuggite dolcezze?
Ove sono or le damigelle mie?
Ove son? dico. Omènon son già quie.

23.
Ove sono or gli amanti miei puliti?
Ove sono or le citre e gli organetti?
Ove sono ora i balli e' gran conviti?
Ove sono ora i romanzi e' rispetti?
Ove sono ora i proferti mariti?
Ove sono or mille altri miei diletti?
Ove son? L'aspre selve e' lupi adesso
e gli orsi e' draghi e' tigri son qui presso.

24.
Che si fa ora in corte del mio padre?
Che si fa or ne' templi e in su le piazze?
Fannosi feste alle dame leggiadre
pruovansi lance e mille buone razze
de' be' corsier tra l'armigere squadre;
credo ch'ognun s'allegri e si sollazze;
e pur se già di me si pianse alquanto
per lungo tempo omai passato è il pianto.

25.
Misera a mequanto ho mutato il vezzo!
Esser solevo scalzata ogni sera
e porpore spogliar di tanto prezzo
che rilucìen più che del sol la spera:
or de' miei panni non si tien più pezzo!
Quante donzelle al servigio mio era!
Che ricche pietre ho portate già in testa!
E stavo sempre in cantiin suoni e 'n festa:

26.
ed orcome tu vedison condotta
sanza veder mai creatura alcuna;
e 'l mio real palagio è questa grotta;
dormo la notte al lume della luna.
Or chi felice si chiama talotta
essemplo pigli della mia fortuna:
cascon le rose e reston poi le spine:
non giudicate nulla innanzi al fine.

27.
Io fu' già lieta a mia consolazione
ed or con Giobbe cambierei mie pene:
ogni dì questo gigante ladrone
mi batte con un mazzo di catene
sanza saper che sia di ciò cagione:
credo che sia perché da cacciar viene
irato con lïonserpenti e draghi
e sopra me delle ingiurie si paghi.

28.

E vipere e cerastre e strane carne
convien ch'io mangiche reca di caccia
che mi solieno a schifo esser le starne;
se non che mi percuote e mi minaccia
sì che per forza mi convien mangiarne.
Alcuna volta degli uomini spaccia
poi gli arrostisce e mangiagli il gigante
col suo fratel che si chiama Sperante

29.
e lui Beltramo; ed ogni giorno vanno
per questi boschi come malandrini.
E molte volte arrecato qui m'hanno
perch'io mi spassiserpenti piccini
come color che' miei pensier non sanno;
alcuna volta bizzarri orsacchini.
E perché ignun non mi possi furare
da quel lïon mi facevon guardare.

30.
Così di paradiso sono uscita
e son condotta in queste selve scure.
Già si provò di camparmi la vita
Burratoe non potécon la sua scure
e con fatica di qui fe' partita
e so ch'egli ebbe di vecchie paure:
tutto facea perché di me gl'increbbe;
ed anco disse che ritornerebbe.

31.
Quand'io ti vidi al principio apparire
mi rallegraidicendo nel mio core:
E' fia Burrato, che non vuol mentire
né esser di sua fede mancatore.
Per liberarmi da tanto martìre
già cavalieri erranti per mio amore
combattuto hanno con questi giganti;
ma morti son rimasi tutti quanti.

32.
Se voi credessi di qui liberarmi
il padre miose vivo fussi ancora
(ché forse spera pur di ritrovarmi)
vi darebbe il suo regno ove e' dimora
ché so con gran disio debbe aspettarmi:
però s'a questo nessun si rincora
io ve ne priegoio mi vi raccomando. -
Così dicea piangendo e sospirando.

33.
Morgante già voleva confortarla
ma non poteatanta pietà l'assale.
Mentre ch'ancor questa fanciulla parla
ecco Beltramoch'aveva un cinghiale
e comincia di lungi a minacciarla:
in su la spalla tenea l'animale;
col braccio destro strascinava un orso
e sanguinava pe' graffi e pel morso.

34.
Vide costoroe la testa crollava
quasi dicessi a quella: "Io te ne pago".
Ecco Sperante che quivi arrivava
e per la coda strascinava un drago:
questo era maggior bestia e assai più brava
del suo fratelloe di far mal più vago.
Giunti a Morgantea gridar cominciorno
tal che le selve intronavan dintorno.

35.
Morgante guata la strana figura
de' due fratellie poi gli salutòe
ché gli dètton capriccio di paura;
ma l'uno e l'altro il saluto accettòe
pur tal qual concedea la lor natura;
e poi Beltramo a parlar cominciòe:
- Che fai tu qui con questo tuo compagno?
Tu ci potresti far tristo guadagno.

36.
Io vo' saper chi quel lïone ha morto. -
Disse Morgante: - Il lïone uccisi io
che mi volevagigantefar torto. -
Disse Beltramo: - Al nome sia di Dio
io tel farò costardatti conforto!
Tu vai così qua pel paese mio;
e so che quel lïon certo uccidesti
per far poi con costei quel che volesti. -

37.
Disse Morgante: - Amendue siàn giganti:
da te a me vantaggio veggo poco.
Noi andian pel mondo cavalieri erranti
per amor combattendo in ogni loco:
questa fanciulla che m'è qui davanti
intendo liberar da questo gioco;
dunque veggiàn chi sia di miglior razza:
io proverrò il battaglioe tu la mazza. -

38.

Non ebbe pazïenza a ciò Sperante:
riprese meglio il drago per la coda
ed una gran dragata diè a Morgante
e disse: - Gaglioffaccio pien di broda
tu sarai bencome dicestierrante
se tu credi acquistar qua fama o loda.
Rechian per preda i serpenti e' lïoni
ed or paura arem di due ghiottoni!

39.
Tu ci minacciribaldon villano:
degli altri ci hanno lasciato già l'ossa. -
Gridò Morgante con un mugghio strano
quando e' sentì del drago la percossa
e presto al viso si pose la mano
ché l'una e l'altra gota aveva rossa;
gittò il battagliotanta ira l'abbaglia
e con gran furia addosso a quel si scaglia.

40.
Ed abbracciârsi questi compagnoni
come i lïon s'abbraccian co' serpenti
guastandosi co' morsi e cogli unghioni.
Morgante il naso gli strappò co' denti
poi fece degli orecchi due bocconi
dicendo: - Tu non meriti altrimenti. -
Beltramo addosso a Margutte si getta
e col baston le costure gli assetta.

41.
Non domandar se le trovava tutte
e se le piana me' che 'l farsettaio:
tocca e ritocca e forbotta Margutte
e spesso il volge come un arcolaio
tanto ch'alfin gli avanzavan le frutte
e faceval sudar di bel gennaio:
saltato arìaper fuggirogni sbarra.
Pur s'arrostava colla scimitarra.

42.
Ma Beltramo era sì fiero e sì alto
chequando in giù rovinava il bastone
lo disfaceva e piegava allo smalto;
se non che purcome un gattomammone
Margutte spicca molte volte un salto
per ischifar questa maladizione.
Ma finalmente disteso trovossi
come un tappetoché più atar non puossi:

43.
ch'una percossa toccò sì villana
che parve una civetta stramazzata:
alzò le gambe e 'n terra si dispiana.
Quivi toccò più d'una batacchiata
ché 'l baston suona come una campana
e tutta la schiavina ha scardassata.
Poi che sonata fu ben nona e sesta
Beltram chinossi a spiccargli la testa.

44.
Veggendosi Margutte mal parato
posò le mani in terra in un momento
per trar due calcicom'egli era usato;
e giunsel con gli spron di sotto al mento
e conficcò la lingua nel palato
al fer gigante: ond'egli ebbe spavento
e tutto pien d'ammirazion si rizza;
allor Margutte in piè sùbito sguizza:

45.
vede Beltram che si cerca la bocca
e 'l sangue che di fuor già zampillava
e 'l capo presto tra gambe gli accocca
per modo che da terra il sollevava
e poi in un tratto rovescio il trabocca
e questo torrïon giù rovinava;
e nel cader ciò che truova fracassa
come se fussi caduta una massa.

46.
Questo galletto gli saltava addosso
che par che sia sopra una bica un pollo:
dunque gli spron Margutte hanno riscosso;
e 'l capo a questo levava dal collo
ché la sua scimitarra taglia l'osso;
e non poté Beltram più dare un crollo
chéquando in terra lo pose Margutte
si fracassorno le sue membra tutte.

47.
Gran festa ne facea quella fanciulla.
Ma in questo tempo che Beltramo è morto
Morgante con colui non si trastulla
ché vendicar volea del drago il torto;
ma d'atterrarlo ancor non era nulla
quantunque molto si fussi scontorto;
e tanto a una balza s'appressorno
che insieme giù per quella rovinorno.

48.

E si sentiva un romoreun fracasso
insin che son caduti in un burrone
come quando de' monti cade in basso
qualche rovina o qualche gran cantone:
non vi rimase né sterpo né sasso
dove passò questo gran fastellone
ché rimondorno insino alle vermene;
e dèttono un gran picchio delle schiene.

49.
Non si fermoron che toccorno fondo;
ma Morgante disopra rimanea:
dètte del capo in su 'n sasso tondo
tanto a Speranteche morto il vedea.
Poi si tornò su pel bosco rimondo
e con Margutte gran festa facea
dicendo: - Io non pensaiMargutte mio
trovarti vivoond'io ne lodo Iddio.

50.
Noi siàn qua rovinati in una valle
tal ch'io credetti lasciar le cervella
e tutto il capo ho percosso e le spalle. -
Poi si rivolse a quella damigella
ch'avea le guance ancor palide e gialle
però che in dubbio e sospesa era quella
ché non sapeva che morto è Sperante;
se non che presto gliel dicea Morgante:

51.
Non dubitarnon ti doler più omai
rallégratifanciullae datti pace:
con le mie mani il gigante spacciai;
rimaso è morto alle fiere rapace;
e presto al padre tuo ritornerai
ché libera se' or come ti piace;
ed ha pur luogo avuto la giustizia. -
E tutti insieme facìen gran letizia;

52.
e sciolse alla fanciulla la catena
e disse: - Andianne omaidama gradita. -
Questa fanciulla d'allegrezza è piena
e spera ancor trovare il padre in vita.
Morgante per la man sempre la mena
però ch'ell'era ancor pure stordita
e debol pe' disagi e per gli affanni
ch'avea soffertimiseramolti anni.

53.
Dicea Margutte: - Quel can traditore
per modo le costure m'ha trovate
che non sarebbe cattivo sartore:
io ho tutte le rene fracassate. -
Disse Morgante: - S'io non presi errore
e' ti toccò di vecchie bastonate:
io ti senti' spianare il giubberello
mentre ch'io ero alle man col fratello. -

54.
Così tutto quel giorno ragionando
vanno costoro insieme pel deserto;
ma da mangiar nïente mai trovando
ognun di lor già fame avea sofferto.
Margutte vede di lungi guardando
ché il lume della luna era scoperto
una testuggin ch'un monte pareva;
e quel che fussi ancor non iscorgeva

55.
ma dubitava s'ella è cosa viva
o facea caso l'imaginazione;
né ancor dirlo a Morgante s'ardiva
non si fidando di sua opinïone.
Ma poi che presso a questa fera arriva
disse a Morgante: - Questo compagnone
non vedi tuche ti vien già da fronte?
Per Dioch'io dubitai che fussi un monte! -

56.
Disse Morgante: - Ella è una testuggine:
e' mi parea di lungi un monticello! -
e cominciava a spiccargli la ruggine
col suo battaglioe spezzargli il cervello.
Non domandar se lieva le caluggine!
Quella fanciulla godeva a vedello.
Rotte le scaglie e fracassate tutte
disse: - Del fuoco si vuol farMargutte. -

57.
E fece al modo usato sfavillare
un sasso tanto ch'egli ebbon del fuoco.
Quivi Margutte si dava da fare
dicendo: - L'arte mia fu sempre cuoco. -
Comincia la camella a scaricare
e la cucina assetta a poco a poco;
poi s'accostava a un gran cerracchione
e rimondolloe fenne uno schidone.

58.

E poi ch'egli ebbe assettato l'arrosto
e pien di certe gallozze e di ghiande
disse a Morgante: - E' ci manca ora il mosto.
Assèttati qua a volgercosì grande:
io vo' veder come l'acqua è discosto;
e 'ntanto tu arai cura alle vivande. -
Morgante rise e posesi a sedere
perché Margutte arrecassi da bere.

59.
Margutteuscito un poco della via
un certo calpestio di lungi sente:
fecesi innanzi a veder quel che sia:
ode una bestia e 'nsieme parlar gente;
volle assaltargli e far lor villania
onde costor fuggîr subitamente;
lasciâr la bestia e due otri di vino
ch'avean pel bosco smarrito il camino.

60.
Margutte si levò gli otri in ispalla
lasciò la bestia andar dove volea;
torna a Morgantee d'allegrezza galla
però che 'l mosto all'odor conoscea.
Comincion la testuggine assaggialla;
Margutte disse ch'arsa gli parea:
pargli mill'anni d'assaggiare il mosto;
e finalmente cavorno l'arrosto.

61.
Come e' furno assettati insieme a desco
Morgante dètte una gran tazza piena
alla fanciulla c'ha 'l viso angelesco
di vinche gli bastò per la sua cena;
poi si succiòche parve un uovo fresco
quel che rimase in men che non balena;
e non poté Margutte esser sì attento
che si succiò quegli otri in un momento;

62.
e cominciò a gridare: - Oïmè l'occhio!
Morgantetu non beianzi tracanni
anzi diluvied io sono un capocchio
ché so ch'a ogni giuoco tu m'inganni.
Forse tu stesti aspettare il finocchio?
Un altro arebbe badato mill'anni!
Per Dioche tu se' troppo disonesto!
Noi partirem la compagniae presto.

63.
Se fussin come te fatti i moscioni
e' non bisognere' botte né tino.
E forse tu fai piccoli i bocconi?
Ma questo non importa come il vino.
Tu non se' uom da star tra compagnoni:
non lasci pel compagno un ciantellino.
Del lïocorno mi rimase il torso;
or di due otri te n'hai fatto un sorso. -

64.
Morgante avea di Margutte piacere
e d'ogni cosa con lui si motteggia:
dunque Margutte cenò sanza bere
e la fanciulla ridendo il dileggia.
Dicea Margutte: - Già di buone pere
mangiato ha il ciacco! - e sottecchi vagheggia
e ciò che dice costeisogghignava;
ma con Morgante assai si scorrubbiava.

65.
Quando egli ebbon cenatoe' s'assettorno
dintorno al fuocoe quivi si dormiéno
per aspettar che ritornassi il giorno
su certe frasche e sopra un po' di fieno.
L'altra mattina il cammel caricorno
e pure inverso il camin lor ne giéno
sanza trovar o vettovaglia o tetto
tanto che pur la fanciulla ha sospetto;

66.
e dicea: - Questa selva è tanto folta
Morgantech'a guardalla non m'arrischio. -
Dicea Margutte: - Che sent'io? Ascolta:
e' par ch'i' oda di lontano un fischio. -
Giunsono appresso ove la strada è volta:
ecco apparir dinanzi un bavalischio
e cominciava gli occhi a sfavillare.
Morgante fe' la fanciulla scostare.

67.
Arrandellò il battaglio a quella fiera
e giunse per ventura appunto al collo
e spiccò il capo che parve di cera
e più di venti braccia via portollo.
Margutte andò dove e' vide ch'egli era
cadutoe presto a Morgante recollo:
dodici braccia misuroron quello
serpente crudo e velenoso e fello.

68.

Fecion pensier se fussi d'arrostillo.
Diceva la fanciulla: - Io ho mangiato
del tigredel dragondel coccodrillo;
vero è che 'l capo e la coda ho spiccato. -
Disse Margutte: - Che bisogna dillo?
Questo è un morselletto ben dorato:
io taglierò solamente la coda
e poi l'arrostiremoed ognun goda. -

69.
Così fu arrostito l'animale
pur colla pelle indosso come e' nacque
e divorato sanza pane o sale
e come un manicristo a tutti piacque:
Lucifer non are' lor fatto male.
Eravi appresso pel bosco dell'acque;
quivi s'andorno la sete a cavare.
Margutte più non si volle fidare;

70.
e disse: - Più da bomba non mi scosto
ch'io non mi fiderei di te col pegno
Morganteda qui innanzia dirtel tosto
ché tu fai sempre sopra a me disegno:
come del vin faresti dell'arrosto;
pertanto io non mi vo' scostar da segno. -
Morgante ridee la fanciulla scoppia
che par che' denti gli caschino a coppia.

71.
Dormiron come soglion quella notte
e l'altro giorno al lor camin ne vanno
per aspre selve e per sì scure grotte
che dove e' sia da posarsi non sanno.
Pur la fanciulla si ferma ta' dotte
però che 'l caminar gli dava affanno.
Ma di dormire in così strano e scuro
luogo non parve a Morgante sicuro

72.
dicendo: - Io non ci veggo cosa alcuna
da ber né da mangiar né da dormire:
acciò che non facessi la fortuna
qualch'aspra fiera ci avessi assalire. -
Caminorono al lume della luna
tutta la notte con assai martìre
e 'nsin che fu fornito l'altro giorno
che da mangiar né da ber mai trovorno;

73.
ed erono affamati ed assetati
e rotti e stracchi per lungo camino.
Margutte un tratto gli occhi ha strabuzzati
ch'era per certo il diavol tentennino.
Dice Morgante: - Margutteche guati?
Io vedo che tu affisi l'occhiolino:
aresti tu appostata la cena? -
Disse Margutte: - Che ne credi appena?

74.
Io veggo quivi appoggiatoMorgante
a un albero un certo compagnone
che par che dormae non muove le piante:
di questo non faresti tu un boccone. -
Morgante guarda: egli era un lïofante
che si dormiva a sua consolazione
ch'era già seraed appoggiato stava
come si dicee col grifo russava.

75.
Disse Morgante: - Dammi un poco in mano
Marguttepresto la tua scimitarra. -
Poi s'accostava all'albero pian piano;
ma non arebbe sentite le carra
sì forte dorme l'animale strano.
Morgante allor nelle braccia si sbarra
e l'arbor sotto alla bestia tagliòe
che sbalordita rovescio cascòe;

76.
e cominciava a rugghiar tanto forte
che rimbombava per tutto il paese.
Dètte alle gambe a Morgante due tòrte
col grifo lungo; Morgante gliel prese
e colla spada gli dètte la morte
tanto che tutto in terra si distese.
Dicea Margutte: - Questa è sì gran fiera
ch'io cenerò pure a macca stasera. -

77.
E cominciò assettarsi a cucinare.
Morgante intanto del fuoco facea
e la fanciulla l'aiuta acconciare
però che in aria la fame vedea.
Margutte uno schidon voleva fare:
guardandopresso due pin si vedea
ch'erano insieme in un ceppo binati.
Disse Morgante: - Iddio ce gli ha mandati. -

78.

E fece l'un con un colpo cadere
dicendo: - Uno schidon farai di questo;
questo altro ne faremo un candelliere
e rimarrassi ritto qui in sul cesto. -
Alzò la spada e tagliògli il cimiere
e fece giù la ciocca cader presto;
poi fésse in quattro il gambo a poco a poco
ed appiccògli in su la vetta il fuoco.

79.
Disse Margutte: - Noi trïonferemo!
Veggo la cosa stasera va 'gala
poi ch'a lume di torchio ceneremo;
e 'ntorno a questo pin sarà la sala
e sotto a questo lume mangeremo.
Ma perch'io non v'aggiungo con la scala
Morgantee tu v'aggiugni sanza zoccoli
e' converrà stasera che tu smoccoli. -

80.
Disse Morgante: - Col nome di Dio!
attendi purMarguttech'e' sia cotto
ch'io vo' che questo sia l'uficio mio. -
Margutte acconcia l'arrosto di botto;
poi disse: - Volgi: e' sarà pur buon ch'io
cerchi dell'acquase ci è ignun ridotto.
Questo so io tu non trangugerai
ch'a tuo dispetto me ne serberai. -

81.
Morgante disse arditamente: - Va'
che insin che tu ritorni aspetterò
e 'l lïofante intero ci sarà. -
Ma non gli disse: "In corpo il serberò".
Margutte in giù e 'n sùdi quadi là
dell'acqua va cercando il me' che può
tanto che pur trovava un fossatello
e d'acqua presto n'empieva il cappello.

82.
Ma non fu prima dal fuoco partito
che Morgante a spiccar comincia un pezzo
del lïofantee disse: - Egli è arrostito! -
e tutto il mangia così verdemezzo
dicendo alla fanciulla: - Il mio appetito
non può più sofferirch'è male avvezzo. -
E diègli la sua parte finalmente
come si conveniadiscretamente.

83.
Margutte tornae Morgante trovava
che s'avea trangugiatoinsino all'osse
il lïofantee' denti stuzzicava
con lo schidon del pin dove e' si cosse:
tra le gengìe con esso si cercava
come s'un gambo di finocchio fosse;
le zampe sol vi restava e la testa:
d'ogn'altra cosa era fatta la festa.

84.
Disse Margutte: - Dove è il lïofante
che tu dicesti di serbare intero?
- Egli è qui presso - rispose Morgante.
Diceva la fanciulla: - E' dice il vero:
e' l'ha mangiato dal capo alle piante
e non è statoal suo parereun zero. -
Disse Morgante: - Io non ti fallo verbo
Marguttepoi che 'n corpo te lo serbo.

85.
Tu non hai bene in loïca studiato:
io dissi il verma tu non m'intendesti. -
Margutte stava come trasognato
e dice: - Io penso come tu facesti:
può far il Ciel tu l'abbi trangugiato?
Io credo che ancor me mangiato aresti:
forse fu buon ch'io non ci fussi dianzi
ch'io mi levai dalla furia dinanzi.

86.
Tu m'hai a mangiare un dì poicome l'Orco.
Questa è stata una cosa troppo strana
un atto proprio di ghiotto e di porco
quel c'ha fatto la gola tua ruffiana!
Tu non sai forse come io mi scontorco
a comportar tua natura villana.
Pensi ch'io facci gelatina o solci
che 'l capo drento o le zampe esser vuolci?

87.
Noi reggeremMorganteinsieme poco:
da ora innanzi tra noi sia divisa
la compagniase tu non muti giuoco. -
Morgante smascellava delle risa;
bevve dell'acquae poi se n'andò al fuoco.
Margutte gli occhi a quella testa affisa
perché la fame non sentiva stucca
e 'l me' che può come 'l can la pilucca.

88.

E borbottando s'acconcia a dormire
così Morganteinsin che in orïente
il sole e 'l giorno comincia apparire;
e vannosene insieme finalmente.
Margutte si volea da lui partire
ma la fanciulla lo fe' pazïente:
- Non ci lasciar - dicea - tra questi boschi
tanto ch'almen qualcun l'uom riconoschi. -

89.
Dicea Margutte: - Io ho sempre mai inteso
che gnun non si vorrebbe mai beffare:
io mi vedea schernito e vilipeso
e costui stava il dente a stuzzicare
come se proprio e' non m'avessi offeso.
Questo non posso mai dimenticare:
e' si poteva pur fare altrimenti
che sogghignare e stuzzicarsi i denti.

90.
Questo faceva e' sol per più dispetto
ch'era proprio il boccon rimproverarmi
come se fussi stato mio il difetto:
pensa che conto e' facea d'aspettarmi! -
Dicea quella fanciulla: - Io ti prometto
se infino al padre mio vuoi accompagnarmi
io ti ristorerò per certo ancora. -
Margutte pur si racchetava allora.

91.
A questo modo andati son più giorni
sanza trovare o case o mai persona.
Ma finalmente un dì busoni e corni
senton sonar sanza saper chi suona:
eron certe casette come forni
dove era una villetta ch'è assai buona
all'uscir proprio delle selve fore;
e Filomen tenevon per signore.

92.
Sentendo la fanciulla allor sonare
subitamente al ciel levò le mani;
comincia Macometto a ringraziare:
conobbe che que' suon poco lontani
eranoe gente vi debbe abitare
perché sapea i costumi de' pagani:
- Laudato sia Macone in sempiterno-
dicea - ché tratti omai siàn dello inferno. -

93.
Morgante ne facea con lei gran festa
per venirla al suo padre rimenando
però che molto gl'increscea di questa
e perché spera veder tosto Orlando.
A poco a poco uscîr della foresta
e vengono il dimestico trovando;
e finalmente alle case arrivorno
dove sentito avean sonare il corno.

94.
Ma la fanciulla non sapea che quello
luogo il suo padre già signoreggiassi.
Eravi un oste vecchio e poverello:
non avea tanto Morgante cenassi.
Disse Margutte: - Togliamo il cammello! -
ed ordinò che questo si mangiassi
ed arrostillo come egli era usato
e innanzi al gran Morgante l'ha portato.

95.
Morgante diè di morso nello scrigno
e tutto lo spiccò con un boccone.
Margutte gli faceva un viso arcigno
dicendo: - Tu fai scorgerti un briccone
ed ogni volta mi paghi di ghigno
e faiMorgantedosso di buffone
pur che tu empia ben cotesta gola
e mai non fai a tavola parola. -

96.
Poi ne spiccò di quel cammello un quarto
e disse: - Io intendo il mio conto vedere:
guarda s'io taglio a punto come il sarto.
Tegnàno in manch'io veggo il cavaliere;
ma pur dal giuoco però non mi parto
ch'io so che l'ossa non ci ha a rimanere;
e' non è cosa da star teco a scotto:
tu se' villano e disonesto e ghiotto. -

97.
L'oste rideva e la fanciulla ride.
Margutteche fu tristo nelle fasce
col piè sotto la tavola l'uccide
e coll'occhietto disopra si pasce.
Morgante un tratto di questo s'avvide
e disse: - Tu se' uso con bagasce. -
Quella fanciulla onesta e virtüosa
si ristrignea ne' panni vergognosa.

98.

Dicea Morgante: - Tu se' pur cattivo
come tu mi diceviin detti e 'n fatti!
Io credo che tu abbi argento vivo
Marguttene' calcetti e negli usatti:
da questa sera in làs'a l'oste arrivo
acciò che non facessi più questi atti
farotti i pie' tener nella bigoncia
ch'io veggo che la cosa sare' acconcia. -

99.
Disse Margutte: - Hai tu per cosa nuova
ch'io sia cattivo con tutti i peccati
al fuocoal paraonea tutta pruova
un oro più che fine di carati?
Io non fu' appena uscito fuor dell'uova
ch'i' ero il caffo degli sciagurati
anzi la schiuma di tutti i ribaldi;
e tu credevi io tenessi i pie' saldi!

100.
Non vedi tuMarguttequanto onore. -
dicea Morgante - pel camin gli ho fatto
per rimenarla al padre ch'è signore?
Guarda che più non t'avvenga questo atto. -
Disse Margutte: - A ogni peccatore
si debbe perdonar pel primo tratto:
s'io ho fallatoperdonanza chieggio;
quest'altra volta so ch'io farò peggio. -

101.
Disse Morgante: - E peggio troverrai.
Guarda ch'io non adoperi il battaglio:
forseMarguttetu mi crederrai
s'un tratto le costure ti ragguaglio. -
Dicea Margutte: - S' tu non mi terrai
legato sempre stretto col guinzaglio
prima che tevedraiMorgantech'io
adoperrò forse il battaglio mio.

102.
Or oltresùgovèrnati a tuo modo; -
rispose allor Morgante d'ira pieno:
- io so che 'l mio battaglio fia più sodo
e non bisognerà guinzaglio o freno. -
Intanto la fanciulla disse: - Io odo
alcun qua che ricorda Filomeno.
Conoscilo tuosteo sai chi e' sia
e 'n qual paese egli abbi signoria? -

103.
Rispose l'oste: - Quel che tu domandi
io intendo Filomen sir di Belfiore.
Acciò che più parole non ispandi
sappi che Filomeno è qui signore
e siàn tutti parati a' suoi comandi
per lunga fede e per antico amore;
e regge il popol suo tranquillo e lieto
come giusto signorsavio e discreto.

104.
Vero è che lungo tempo è stato in pianto
però che gli fu tolta una sua figlia
né sa chi la togliessi; ed è già tanto
che ritrovarla saria maraviglia.
Poi che l'ebbe cercata indarno alquanto
vestissi a bruno lui e la sua famiglia
e non ci gridan poi talacimanni;
e così son passati già sette anni. -

105.
Questa fanciulla diventò nel viso
subitamente piena di dolcezza
e parve il cor da lei fussi diviso
e pianse quasi di gran tenerezza
dicendo: - Or son tornata in paradiso
dove solea gioir mia giovinezza. -
Pensòe di troppo gaudio venir meno
quando sentì che vivo è Filomeno.

106.
Morgante molto allegro fu di questo
e disse: - Io son sì contento stasera
che s'io morissi non mi fia molesto.
Margutte mionoi faren buona cera
ed è pur buon ch'io t'abbi fatto onesto. -
Disse Margutteche mal contento era:
- Se tanta coscïenzia pur ti tocca
ricùciti una spanna della bocca. -

107.
Non volle la fanciulla palesarsi;
domanda della madre e de' parenti
e d'ogni cosa voleva accertarsi
di fratelli e sorelle e di sue genti.
Quivi la notte stanno a riposarsi
poi si partirno dall'oste contenti.
Non parve tempo a rubare a Margutte
che non gli dessi Morgante le frutte.

108.

E del camin l'ostier ne l'avvisava
se capitar volevono a Belfiore
che sempre lungo la riva s'andava
del Niloe non potean pigliare errore.
Morgante mentre la rena pestava
un coccodrillo dell'acqua esce fore:
la bocca aperse e credette inghiottillo.
Disse Margutte: - Che fiacoccodrillo?

109.
Cotesto è troppo gran boccon da te. -
Morgante in bocca il battaglio gli porse;
e 'l coccodrillo una stretta gli diè
e' denti vi ficcòsì forte il morse.
Allor Morgante ritirava a sé
presto il battaglioe 'n bocca gliele storse
e spezza i denti l'uno e l'altro filo;
poi prese questo e scagliollo nel Nilo.

110.
Un miglio o più drento al fiume gittollo
come un certo aüttor che 'l dice ha scritto;
e se l'avessi preso me' pel collo
credo gittato l'arebbe in Egitto;
e nel cader morì sanza dar crollo;
e 'l gran battaglio da' denti è trafitto.
Disse Margutte: - Io lo vedevo scorto
ch'egli scoppiava se non fussi morto. -

111.
Era già vesproe son presso a quel bosco
dove fu presa già questa fanciulla;
e disse con Morgante: - Io riconosco
il luogo ove io fu' sciocca più che in culla
sanza pensar che dopo al mèle è il tòsco:
così va chi se stesso pur trastulla;
ed è ragion s'alfin mal gliene coglie
chi vuol cavarsi tutte le sue voglie.

112.
maladettoo sventurato loco!
Quivi senti'Morganteil lusignuolo
colà fu' traportata a poco a poco
dal suo bel canto d'uno in altro volo.
A me pareva a sentirlo un bel giuoco:
vedi che ne seguì poi tanto duolo!
Ringrazio teche m'hai qui ricondotta;
e sarò savias'io non fui allotta.

113.
E mosterrotti ch'io non sono ingrata;
ed arò sempre scritto nel mio core
come tu m'abbi prima liberata
e con quanta onestàcon quanto amore
tu m'abbi per la via poi accompagnata
che non è stato il servigio minore:
come fratelcome gentil gigante
ti se portatoe non come mio amante.

114.
Potevi di me far come Beltramo:
non hai voluto; ond'io come fratello
come tu ami mecerto te amo:
così ti tratterò nel mio castello;
così Margutte vo' che noi trattiamo
benché e' fussi alle volte tristerello. -
Disse Margutte: - S'io feci tristizia
tu dèi pensar ch'io nol feci a malizia. -

115.
Ecco ch'egli eron già presso alle mura
di Filomenoor ecco ch'e' son drento;
e 'l popol guarda la grande statura
di quel giganteche dava spavento;
ma la fanciulla ignun non raffigura.
O padre suoquanto sarai contento!
Ch'ogni impreviso ben più piacer suole
come il mal non pensato anco più duole.

116.
Filomen che venìasenteil gigante
colla fanciulla e con un suo compagno
e che e' si fa verso il palazzo avante
e che parea molto famoso e magno.
In questo mezzo appariva Morgante;
Filomen disse: "Iddio ci dia guadagno!
Chi fia costui? E che fanciulla è questa?
Non mi trarrò però la bruna vesta;

117.
non rïarò però la mia figliuola"
dicea fra séché non la conoscìa.
Maravigliossi ch'ella sia sì sola
dicendo: - Questa è strana compagnia. -
Poi fermò gli occhi ove il disio pur vola
e gridò: - Questa è Florinetta mia! -
Ma la fanciullache di ciò s'accorse
abbracciar Filomen sùbito corse.

118.

Or pensi ognunquesto misero padre
quanto in quel punto fussi consolato!
A questo grido correva la madre;
e benché Florinetta abbi mutato
il viso molto e sue membra leggiadre
al primo tratto l'ha raffigurato;
ed abbracciò costei pietosamente
e per dolcezza par fuor della mente.

119.
Il popol tutto con festa correva
però che molto amato è Filomeno:
così in un tratto la sala s'empieva.
Morgantech'era d'allegrezza pieno
a Filomeno in tal modo diceva:
- Ecco la figlia tua ch'io ti rimeno
e son contento più ch'io fussi ancora. -
Il perché Filomen l'abbraccia allora.

120.
Ma Florinettapostasi a sedere
allato al padree riposata alquanto
diceva: - O Filomentu vuoi sapere
del lungo errore e del mio grave pianto
e come io sia vivuta e 'n qual sentiere
e perché il mio tornar tardato è tanto.
Io ti dirò la mia disavventura
ch'ancor pensando mi mette paura. -

121.
E cominciò dal dì ch'ella era uscita
della cittàquand'ella andò soletta
a contar come ella fussi rapita
e strascinata trista e meschinetta;
e quanto è stata afflitta la sua vita
e la catena che la tenea stretta
e come ella era dal lïon guardata:
tanto che piange ognun che l'ha ascoltata.

122.
E tutto il popol se ne maraviglia:
ognun verso Macon le mani alzava;
la madre e 'l padre e l'altra sua famiglia
d'orror ciascuno e capriccio tremava.
Seguì più oltre la leggiadra figlia
e 'nverso il suo Morgante si voltava
ed ogni cosa narrava costei
ciò che Morgante avea fatto per lei:

123.
come al principio e' l'avea liberata
da quel gigante crudel malandrino;
e come sempre l'aveva onorata
e vezzeggiata per tutto il camino
e sempre per la man l'avea menata
sì come padre o fratello o cugino;
e che tanto onestà servata avea
che 'l nome suonon ch'altronon sapea.

124.
E tante cose dicea di Morgante
che 'l popol tutto correva a furore
abbracciar questo e baciàgli le piante;
e Filomen gli pose tanto amore
che in ogni modo volea che 'l gigante
con lui vivessi e morissi signore.
Morgante Filomen ringrazia assai
dicendo: - Sempre tuo servo m'arai

125.
e sempre sarò teco vivo e morto
con l'anima e col corpopur ch'io possi.
Io voglio a Bambillona esser di corto
e sol per questo di Francia mi mossi
ch'al conte Orlando farei troppo torto.
Ma sempre mi comandadov'io fossi;
e pur se Florinetta m'ama seco
io mi starò due giorni ancor con teco. -

126.
Diceva Florinetta: - Almeno un anno
con meco ti staraiMorgante mio. -
E così tutti grande onor gli fanno
anzi adorato è da lor come iddio.
Margutte e Florinetta il gusto sanno;
e perch'ella ha di piacergli disio
disse a Margutte: - Attendi alla cucina
che sia provisto ben sera e mattina. -

127.
Non domandar se Margutte s'affanna
e se' parea di casa più che 'l gatto;
e dice: "Corpo miofatti capanna!
ch'io t'ho a disfar le grinze a questo tratto:
vedi che qui da ciel piove la manna!"
e salta per letizia come un matto;
e stava sempre pinzo e grasso ed unto
e della gola ritruova ogni punto.

128.

Mentre ch'io ero - diceva - in Egina
non soleva questa esser la mia arte?
Così ci fussi la mia concubina!
ch'io gli porrei delle cose da parte.
Ma come il cuoco lascia la cucina
così dalla ragion certo si parte;
cosìcome Margutte di qui esce
sarà come a cavar dell'acqua un pesce. -

129.
E finalmente e' provedeva bene
la mensa di vivande di vantaggio;
e d'ogni cosa che in tavola viene
sempre faceva la credenza e 'l saggio;
e qualche buon boccon per sé ritiene
e 'n corbona mettevacome saggio;
alcuna volta nella cella andava
e pel cucchiume le botte assaggiava;

130.
e sapea sopra ciò mille malizie:
per casa ciò che truova mal riposto
e' rassettava con sue masserizie
in un fardel che teneva nascosto.
In pochi dì vi fe' cento tristizie
e più facease non partia sì tosto:
contaminò con lusinghe e con prezzi
ischiave e more e moricini e ghezzi.

131.
A ogni cosa tirava l'aiuolo
e faceva ogni cosa alla moresca.
La notte al capezzal sempre ha l'orciuolo
e pane e carnein gozziviglia e 'n tresca;
poi rimbeccava un tratto il lusignuolo
e ritrovavaacciò che 'l sonno gli esca
tutti i peccati suoi di grado in grado;
e sempre in mano avea il bicchiere o 'l dado

132.
broda che succiava come il ciacco;
poi si cacciava qualche penna in bocca
per vomitarquando egli ha pieno il sacco;
poi lo rïempiee poi di nuovo accocca.
Ma finalmentequand'egli era stracco
e che pel naso la schiuma trabocca
e' conficcava il capo in sul pimaccio
unto e bisunto come un berlingaccio.

133.
E sapeva di vin come un arlotto
ché dè' pensar che n'appiatta Margutte;
e quando egli era ubriaco e ben cotto
e' cicalava per dodici putte;
poi ribaciava di nuovo il barlotto
e conta del camin le trame tutte;
e diceva bugie sì smisurate
che le tre eran sette carrettate.

134.
Or pur Morgante si volea partire
quantunque Florinetta assai pregassi
e cominciò con Filomeno a dire
che la licenzia oramai gli donassi
ché di vedere Orlando ha gran disire.
Subitamente un gran convito fassi
per dimostrar maggior magnificenzia
al gran Morgante in questa dipartenzia.

135.
E poi ch'egli hanno tutti desinato
e ragionate insieme molte cose
e la fanciulla a Morgante ha donato
di molte gioie ricche e prezïose
e molto Filomen l'ha ringraziato
Morgante come savio anco rispose
che accettava e l'offerte e 'l tesoro
per ricordarsiove e' fussidi loro.

136.
Marguttequando udì questa novella
diceva: "Io voglio andar per qualche ingoffo";
e tolse uno schidone e la padella
tinsesi il viso e fecesi ben goffo;
e corre ove sedeva la donzella
e fece dello 'mpronto e del gaglioffo
e disse: - Il cuoco anco lui vuol la mancia
o io ti tignerò tutta la guancia. -

137.
Florinetta una gemma ch'avea in testa
gittò nella padella a mano a mano.
Margutte ciuffa e la mano ebbe presta
e dice: - Io fo per non parer provàno. -
Morgante fatta gli arebbe la festa
s'avessi avuto qualche cosa in mano
e vergognossi dell'atto sì brutto
dicendo: - Tu m'hai pur chiarito in tutto. -

138.

Margutte si tornò in cucina tosto
e cominciò assettare un suo fardello
di ciò ch'aveva rubato e nascosto
e quel che solea por già in sul camello;
e perché vide Morgante disposto
di dipartirsisi pensò ancor quello
ch'e' fussi da fornirsi drento il seno
di ghiottornie per due giornate almeno;

139.
e mangia e bee ed insacca per due erri
dicendo: - E' non si truova cotti e tordi
quand'io sarò per le selve tra' cerri. -
Morgante intanto al partir par s'accordi
e Florinetta con lui era a' ferri
a pregar sempre di lei si ricordi
e che tornassi a rivederla presto
e non si parta che prometta questo.

140.
Morgante rispondea ch'era contento
e in ogni modo per sé tornerebbe
e fecene ogni giuro e sacramento:
non potre' dir quanto il partir gl'increbbe;
ed abbracciava cento volte e cento
quella fanciulla; e non si crederrebbe
la tenerezza che gli venne al core
e quanto Filomen gli ha posto amore.

141.
Margutte disse solamente - Addio -
però ch'egli era più cotto che crudo.
Morgantepoi che del castello uscìo
disse a Margutte: - Assèttati lo scudo
ch'io vo' sfogarmipoltoniere e rio
ché tu se' il cucco mio per certo e 'l drudo!
Può fare Iddio tu sia sì sciagurato?
Tu m'hai chiaritoanzi vituperato.

142.
Tu m'hai pur fatte tutte le vergogne!
Io mi credevo ben tu fussi tristo
e ladro e ghiotto e padre di menzogne
ma non tanto però quant'io n'ho visto:
tu nascesti tra mitere e tra gogne
come tra 'l bue e l'asin nacque Cristo. -
Margutte gli rispose: - E tra' capresti
e tra le scope: tu non t'apponesti.

143.
Io credevoMorgantetu 'l sapessi
ch'io abbi tutti i peccati mortali;
e 'l primo dìperché mi conoscessi
tel dissi pure a letter di speziali.
Puo'mi tu altro appor ch'io ti dicessi?
Questi son peccatuzzi venïali:
lascia ch'io vegga da fare un bel tratto
in qualche modoe chiarirotti affatto. -

144.
Morgante finalmente convenia
che in riso e 'n giuoco s'arrechi ogni cosa;
e vanno seguitando la lor via.
Erano un dì per una selva ombrosa;
e perché pure il camino increscìa
a una fonte Morgante si posa.
Marguttech'avea ancor ben pieno il sacco
s'addormentò come affannato e stracco.

145.
Morgantecome lo vede a giacere
gli stivaletti di gamba gli trasse
ed appiattògliper aver piacere
un po' discostoquando e' si destasse.
Margutte russae colui sta a vedere;
poi lo destavaperché e' s'adirasse.
Margutte si rizzòcome e' fu desto
e degli usatti s'accorgeva presto;

146.
e disse: - Tu se' purMorgantestrano:
io veggo che tu m'hai tolti gli usatti
e fusti sempre mai sconcio e villano. -
Disse Morgante: - Apponti ov'io gli ho piatti:
e' son qui intorno poco di lontano:
questo è per mille oltraggi tu m'hai fatti. -
Margutte guatae non gli ritrovava;
e cerca puree seco borbottava.

147.
Ridea Morgante sentendo e' si cruccia.
Margutte pure alfin gli ha ritrovati
e vede che gli ha presi una bertuccia
e prima se gli ha messi e poi cavati.
Non domandar se le risa gli smuccia
tanto che gli occhi son tutti gonfiati
e par che gli schizzassin fuor di testa;
e stava pure a veder questa festa.

148.

A poco a poco si fu intabaccato
a questo giuocoe le risa cresceva
tanto che 'l petto avea tanto serrato
che si volea sfibbiarma non poteva
per modo e' gli pare essere impacciato.
Questa bertuccia se gli rimetteva:
allor le risa Margutte raddoppia
e finalmente per la pena scoppia;

149.
e parve che gli uscissi una bombarda
tanto fu grande dello scoppio il tuono.
Morgante corsee di Margutte guarda
dov'egli aveva sentito quel suono
e duolsi assai che gli ha fatto la giarda
perché lo vide in terra in abbandono;
e poi che fu della bertuccia accorto
vide ch'egli era per le risa morto.

150.
Non poté far che non piangessi allotta
e parvegli sì sol di lui restare
ch'ogni sua impresa gli par guasta e rotta;
e cominciò col battaglio a cavare
e sotterrò Margutte in una grotta
perché le fiere nol possin mangiare;
e scrisse sopr'un sasso il caso appunto
come le risa l'avean quivi giunto.

151.
E tolse sol la gemma che gli dètte
Florinetta al partir: l'altro fardello
con esso nella fossa insieme mette;
e con gran pianto si partì da quello
e per più dì come smarrito stette
d'aver perduto un sì caro fratello
e 'n questo modo ne' boschi lasciarlo
e non potere a Orlando menarlo.

152.
Ora ècci un aüttor che dice qui
ch'e' si condusse pur dov'era Orlando
ma poi da Bambillona si partì
e venne in questo modo capitando.
Tanto è che la sua morte fu così:
di questo ognun s'accordama del quando
o prima o poic'è varie oppinïoni
e molti dubbi e gran disputazioni.

153.
Tanto è ch'io voglio andar pel solco ritto
ché in sul Cantar d'Orlando non si truova
di questo fatto di Margutte scritto
ed ècci aggiunto come cosa nuova:
ch'un certo libro si trovò in Egitto
che questa storia di Margutte appruova
e l'aütor si chiama Alfamenonne
che fece gli Statuti delle donne.

154.
E fu trovato in lingua persiana
tradutto poi in arabica e 'n caldea;
poi fu recato in lingua sorïana
e dipoi in lingua grecae poi in ebrea
poi nell'antica famosa romana;
finalmente vulgar si riducea:
dunque e' cercò la torre di Nembrotto
tanto ch'egli è pur fiorentin ridotto.

155.
Quel che e' si siae' seppe ogni malizia
e fu prima cattivo assai che grande
però ch'e' cominciò da püerizia
a esser vago dell'altrui vivande;
e fece abito sì d'ogni tristizia
ch'ancor la fama per tutto si spande;
e furon le sue opre e le sue colpe
non creder lëoninema di volpe.

156.
Or lasciàn questo con buona ventura
ché la giustizia ha infin sempre suo loco.
Morgante attraversando una pianura
s'appressa a Bambillona a poco a poco
tanto che già si scorgevan le mura;
ed arde tuttocome il zolfo al foco
della gran voglia di vedere Orlando
che non credea già mai trovare il quando.

157.
Era già presso al campo a poche miglia
e fu veduto questo compagnone
come un alber di nave di caviglia
e dava a tutto il campo ammirazione.
Ma quando Orlando vi volse le ciglia:
Questo è Morgante, per lo dio Macone!
se ben le membra di questo ragguaglio
dicea fra séch'io conosco il battaglio.

158.

Fecesi presto menar Vegliantino
e nondimen la lancia tolse in mano
che non fussi gigante saracino
perché la vista inganna di lontano.
Morgantecome vide il paladino
gli fece il cenno usato a mano a mano:
gittò il battaglio cento braccia in alto
poi lo riprese in aria con un salto.

159.
E come al conte Orlando fu più presso
subitamente ginocchione è posto.
Orlando smonta e 'ncontro ne va a esso
e cominciò le braccia aprir discosto
ché si conosce un grande amore espresso
e disse: - LievaMorgantesù tosto! -
e missegli le braccia strette al collo
e mille volte e poi mille baciollo.

160.
Non si saziava a Morgante far festa
tanto che 'l collo ancor non abbandona
dicendo: - Che ventura è stata questa?
Morgantepoi che ci è la tua persona
io non temo più scogli né tempesta:
le mura triemon già di Bambillona
anzi tremare il ciel sento e la terra
tanto ch'omai terminata è la guerra.

161.
Io non farei con Alessandro Magno
con Cesarcon Anibalcon Marcello
o patti o pace o triegua con guadagno
da poi che tu se' quicaro fratello;
ch'io pur non ebbi mai miglior compagno:
io crederrei con te pigliar Babello
e Troia un'altra voltae Roma antica.
Or vo' che mille cose oggi mi dica.

162.
Che è d'Astolfo miod'ArnaldoUggieri
d'Angiolin di Baiona e del mio Namo
e del mio caro e gentil Berlinghieri?
Che è di Salamon mioch'io tanto amo?
Che è d'OttoneAvolioAvinGualtieri
che è de' miei fratei che noi lasciamo
Guicciardo con Alardoa Montalbano?
Che è di quel traditor del conte Gano?

163.
Quanto è che tu ti partisti da Carlo?
Dimmi se Gano è tornato a Parigi
e s'egli attendeal modo usatoa farlo
seguire i suoi consigli e' suoi vestigi
tanto che possi alla mazza guidarlo.
Ha fatto l'arte il nostro Malagigi
a questi tempie detto dov'io sia
e come io abbi qua gran signoria

164.
e come Persia ho presa e l'amostante
dopo pur molta fatica ed affanno? -
Allor si rizza e risponde Morgante
che Carlo e' paladin ben tutti stanno;
e Malagigicome negromante
detto gli avea come le cose vanno;
e che Gano era scacciato e in essilio
ché Carlo nol vuol più nel suo concilio;

165.
e come la figliuola del Soldano
che si chiamava la famosa Antea
si stava con Guicciardo a Montalbano
e grande onore il popol gli facea;
e quel ch'ella avea fatto fare a Gano:
della qual cosa Orlando si ridea.
E così inverso il padiglione andorno
e molte cose ragionaro il giorno.

166.
Quivi RinaldoUlivierRicciardetto
abbraccian tutti Morgante lor caro.
Morgante nuove di Francia ha lor detto;
poi di Margutte molto ragionaro
come e' morì ridendoil poveretto
e come insieme pria s'accompagnaro;
e conta d'ogni sua piacevolezza
e lacrimava ancor di tenerezza.

167.
Quivi fecion consiglio di pigliare
la cittàpoi che Morgante è venuto.
Comincion la battaglia apparecchiare;
ed ogni cosa che fanno è veduto:
que' della terra cominciono armare
le mura ed ordinar quel ch'è dovuto.
E cominciossi una fiera battaglia
e per due ore durò la puntaglia.

168.

Morgante pur verso la porta andava
ch'era tutta di ferro e molto forte.
E saracini ognun forte gittava
e sassi e dardi per dargli la morte.
Ma 'l fer gigante tanto s'accostava
che col battaglio bussava le porte;
ma non poteva spezzarle a gnun modo
benché questo battaglio è duro e sodo.

169.
Più e più volte percuote e martella;
ma poi che vide che poco valeva
e' s'appiccava a una campanella
e con gran forza la porta scoteva.
Ma i sassi gl'intronavan le cervella
che in sul cappel di sopra gli pioveva
e sente or questo or quell'altro percuotere:
allor più forte cominciava a scuotere.

170.
Era una torre di mura sì grossa
sopra la portach'un gran pezzo resse;
ma quando e' dava Morgante una scossa
non è tremuoto che tanto scotesse
tanto che l'ha tutta intronata e mossa
e finalmente in più parte si fésse
ch'era tenuta cosa inespugnabile;
e parve a tutti sua forza mirabile.

171.
Orlando stupefatto era a vedello
alcuna volta sue forze raccòrre
ch'arebbe fatto cader Mongibello.
E dètte un tratto una scossa alla torre
che mai Sanson non la diè come quello;
e 'l campo tutto a veder questo corre;
e félla rovinar giù d'alto in basso
né mai non si sentì sì gran fracasso;

172.
e 'l polverio n'andò insino alle stelle.
Morgante colla porta si copria
come si fa con palvesi o rotelle
che' sassi non gli faccin villania.
Quelle gente di sopra meschinelle
chi mortochi percosso si vedia
chi rotto il braccio e chi il teschio avea aperto
e chi da' calcinacci è ricoperto

173.
chi mostra il piè scoperto e chi gambetta
chi colle gambe all'erta è sotterrato
chi ha tra sasso e sasso qualche stretta
avutoe come morto è rovesciato
chi 'l sangue fuor per gli occhi e 'l naso getta
chi zoppo restachi monco e sciancato:
era a veder sotto questa rovina
morti costor come una gelatina.

174.
I terrazzan che difendon le mura
maravigliati fuggon tutti quanti
e paion tutti morti di paura:
nostri cristian si fecion tutti avanti.
Ognun dicea: - Può far questo Natura? -
Morgante non si muta ne' sembianti
e perché e' fussi la strada spedita
certi canton col suo battaglio trita;

175.
e grida al conte Orlando: - Andianne drento!
Seguite menon abbiate sospetto
ché Bambillona è nostra a salvamento
per onta e disonor di Macometto. -
I saracin fuggìen pien di spavento
dinanzi a quel dïavol maladetto:
Orlando e tutti gli altri drento entrorno
e tutti inverso la piazza n'andorno.

176.
Era all'entrare un gran borgo di case;
vero è che tutte son di terra e d'asse:
di queste ignuna non ve ne rimase
che 'l gran Morgante non le fracassasse.
Or pensa a quanti le zucche abbi rase
prima che tante case rovinasse!
Di quadi là la mazza mena tonda:
dovunque e' passa ogni cosa rimonda.

177.
I cittadini alfin s'accordâr tutti
che piglin la città sanza contesa
pur che non sien da Morgante distrutti:
e così resta Bambillona presa;
e fu posto silenzio a molti lutti
però ch'egli era già la fiamma accesa
e stavano i pagani a veder poco
che col battaglio morieno e col fuoco.

178.

Orlando nel palazzo fu menato
e posto in una sedia a grande onore
e quivi al modo lor fu coronato
di Bambillona e Soldano e signore;
e molto il Veglio suo ebbe onorato
però che gli portava troppo amore
e fecel grande arcaìto in Soria;
e governava lui la signoria.

179.
Un dì ch'a spasso per la terra vanno
era salito in su 'n un torrïone
come è usanzaun buon talacimanno.
Disse Morgante: - Udite il corbacchione
che serra l'uscio ricevuto il danno
e viene a ringraziar testé Macone!
Non domandate come io mi colleppolo
di farlo venir giù sanza saeppolo. -

18.

0.
E detto questoil battaglio gittava
e pose appunto la mira alla testa
e pure il corbacchion lassù gridava:
ecco il battaglio con molta tempesta
che 'l capo inverso gli orecchi pigliava
come Morgante disegnòea sesta
e mentre che gridava gliele schiaccia
e portollo alto più di cento braccia.

181.
Or lasciam questi in Bambillona stare
e ritorniamo un poco a Monte Albano
dov'era Anteac'ha fatto imprigionare
come in altri cantar dicemoGano.
Ma per poter meglio il dir seguitare
preghiamo il Ciel ci tenga la sua mano
e diren tutto nel cantar futuro.
Guardivi il figlio di Gioseppo puro.



CANTARE VENTESIMO


1.
Magnifica il Signor l'anima mia
e rallegrato è nella sua salute
lo spirto di quel Ben ch'ognun disia;
perché E' conobbe tra le mie virtute
l'umiltà di sua ancilla giusta e pia
etternalmente da Lui prevedute.
Così come in te fu sempre umiltade
aiuta or me per tua somma pietade.

2.
Era tanto la mente mia legata
dal bel cantar dinanzich'io trascorsi
alquanto fuor della via prima usata;
or dello error commesso mi rimorsi.
Torno a laudar teVirgine beata
con la cui grazia sol la penna porsi
a questa istoriae tu m'aiuterai
e 'nsino al fin non m'abbandonerai.

3.
Gano scriveva un giorno a Malagigi
che prieghi Antea che debba liberarlo;
ché sa che più tornar non può a Parigi
però che sbandeggiato era da Carlo;
e che Rinaldo è in guerra e in gran litigi
e grande amor lo sforza ire aiutarlo
e se dovessi lasciar ben la pelle
gli arrecherà di lui buone novelle.

4.
Malgigipoi che la lettera lesse
la stracciò primae beffe ne facea;
poi gl'increbbe che in carcer tanto stesse
e finalmente un dì pregava Antea
che Ganellon liberar gli piacesse;
e per suo amore Antea gliel concedea.
E così Gan di prigion fu cavato
e 'nverso Pagania presto n'è andato.

5.
Va discorrendo per molti paesi
e cerca pur d'Orlando investigare.
Orlando e tutti gli altri erano attesi
di Spinellone il corpo a onorare
e rimandato l'ha con ricchi arnesi
nella sua patriae fatto imbalsimare
e da quattro destrier bianchi è portato
alla sorellaov'egli era aspettato.

6.
E 'l re Costanzo ha fatto similmente
ché si ricorda de' suoi benefìci
ed onorata tutta la sua gente
e dato a chi volea di loro ufici.
In questo mezzo il traditor dolente
ch'era il padre di tutti i malifìci
per tutta Pagania ne va cercando;
ma non poteva ancor trovare Orlando.

7.
Piangendo va la sua disavventura
per molti mesi e per paesi strani.
Entrato un dì per una valle scura
quivi trovò certi pastor pagani
che si doleano d'una lor sciagura
perch'eran sassinati come cani
rubati a forza da un gran pastore
ch'era tra lor quasi fatto signore.

8.

Gan domandò chi questo pastor sia;
e' gli risposon: - Un che è sì arricchito
che ci fa spesso mala compagnia:
perch'un cristian fu già da lui tradito
e tolsegli un caval quando e' dormia
poi lo vendé; dond'egli è insuperbito
ché ne toccò dal mastro giustiziere
tanto che sempre potrà ben godere.

9.
E 'l cavallo era d'un certo Rinaldo
de' paladin di Francia del re Carlo:
e' lo 'nvitò a mangiarquesto ribaldo
e non si vergognò poi di rubarlo;
per questo egli è di que' danari or caldo
che si vorre' altrettanto comperarlo
per impiccarlo poi. - Gano ascoltava
e domandò dove il pastore stava.

10.
E' gli mostrorno ove abitava questo.
Diceva Gan: - Con meco ne verrete.
Non si potrebbe trovare un capresto?
Ch'io vo' impiccarloe voi m'aiuterete. -
Un de' pastor gli rispondeva presto:
- Noi torrem la maestra della rete. -
E finalmente trovorno il pastore.
Gan lo minaccia e chiama traditore.

11.
Dicea il pastor: - Traditor non fu' mai:
sarei io forse mai Gan di Maganza?
Che t'ho io fatto o chi cercando vai?
Non è d'ignun de' miei tradire usanza. -
Rispose Ganellon: - Tu lo vedrai
poi che tu parli con tanta arroganza:
tu se' colui che rubasti il cavallo;
pertanto io ti farò caro costallo:

12.
tu lo vendesti al mastro giustiziere. -
Disse il pastor: - Cotesto non si nega;
io l'allevai puledro quel corsiere. -
E 'l me' che sa le sue ragione allega.
Gan finalmente lo fece tenere
da due pastorie 'l capresto gli lega
e sopra un alto sughero impiccollo
e lascial quivi appiccato pel collo.

13.
Dètte di piede al suo Mattafellone
e ritornossi in su la mastra strada.
Trovò certi giganti in un vallone
e vollongli la man porre alla spada.
Gan si scostò. Diceva un compagnone:
- Noi vorremo saper dove tu vada
e se tu se' saracino o cristiano. -
Tanto che 'l nome suo disse allor Gano.

14.
Un di questi giganti gli rispose:
- Tu suogli essere il fior de' traditori;
tu hai già fatte tante laide cose
che fia mercé punirti de' tuoi errori. -
Gan presto la sua lancia in resta pose
e per disdegno par che si rincuori:
e 'l primo de' giganti ch'egli afferra
lo traboccava morto in su la terra.

15.
Gli altri gli son co' mazzafrusti addosso;
Gan con la spada da lor si difende
e taglia a uno il naso insino all'osso.
Ma intanto l'altro di drieto lo prende
e finalmente dell'arcion l'ha mosso
tanto che Gan per forza se gli arrende;
e portalo di peso in un palagio
per istraziarlo a lor modo per agio;

16.
e dicean tutti: - S' tu vuoi dire il vero
Rinaldo qua ti manda per ispia;
ma non è rïuscito il suo pensiero.
Noi vogliamo or saper dove quel sia;
perchépassando per questo sentiero
a un nostro fratel fe' villania
ed ammazzollo per uno stran modo.
Ma d'ogni cosa pagherai tu il frodo. -

17.
Ganellonch'era malizioso e tristo
diceva: - Io son suo capital nimico
ed è gran tempo già ch'io non l'ho visto:
di Carlo ha fatto ch'io non sia più amico;
io lo perseguo come Pagol Cristo
però che 'l nostro sdegno è molto antico.
Dunque io mi dolgo se t'ha fatto torto
e molto più del tuo fratel ch'i' ho morto;

18.

ma ciò ch'uom fa per difender la vita
è lecito e d'averne discrezione:
perch'io mi vidi la strada impedita
io feci sol per mia difensïone. -
E sì bene ebbe questa tela ordita
che gli mutò di loro oppinïone;
ed accordârsi di conducer quello
dove era la lor madre in un castello.

19.
Era chiamata la madre Creonta;
e Ganellone innanzi gli è menato
e ciò ch'è stato ogni cosa si conta
e com'e' gli abbi il figliuolo ammazzato.
E mentre ch'ogni cosa si raffronta
èvvi un pastore a caso capitato
quel che provide sì tosto al capresto;
e riconobbe ben chi fussi questo.

20.
Quand'egli ha inteso ciò che si ragiona
che Ganellone in carcer fussi messo
sapeva come Orlando è in Bambillona
ed accostossi quanto poté appresso
e disse: - Io vo' camparti la persona:
sappi ch'Orlando è in Bambillona adesso;
io vo a trovarlo e sarò presto seco;
e son colui che impiccai colui teco. -

21.
Gan fece vista non l'avere inteso
per che del suo parlar nessun s'accorse;
e fu menato alla prigion di peso
perché la donna era rimasa in forse
d'ucciderlo o tenerlo così preso.
Questo pastor la notte e 'l giorno corse
tanto ch'a Bambillona trovò Orlando
e del suo Ganellon gli vien contando;

22.
e dice con Rinaldo: - Egli è dovuto
al mio parertu cerchi d'aiutallo
ché per mio mezzo alle man gli è venuto
colui che ti rubò già il tuo cavallo;
e per tuo amore anch'io gli dètti aiuto
e con lui insieme mi trovai a 'mpiccallo;
e di questi giganti n'ha morto uno
che son pur tuoi nimicie sallo ognuno.

23.
Per molte vie qui la ragion vi chiama
di non dover costui lasciar morire;
ché pare un cavalier di molta fama
ed ha mostrato d'aver grande ardire. -
Dunque il pastor bene ordina la trama
benché e' sia uso gli armenti a servire
e star co' tori e co' porci in pastura
ché tòr non puossi quel che dà Natura.

24.
E molto piacque il suo dire a' baroni
e feciongli accoglienza grata e festa
e dèttongli cavallo ed altri doni
massimamente una leggiadra vesta;
e disson che tornassi a' suoi stazzoni
a dir che la brigata fia là presta
e confortassi da lor parte Gano
che presto sare' liberlieto e sano.

25.
Fecion costoro insieme parlamento
che si dovessi pur Gano aiutare;
e la città tutta ordinoron drento
chi si dovessi a governo lasciare;
poi furono a cavallo in un momento
e parve loro il meglio andar per mare
e vannosene inverso la marina;
e 'l gran Morgante alle staffe cammina.

26.
E portano un lïon nel campo nero
nello stendardo e in ogni loro arnese:
questo fu di Rinaldo un suo pensiero
per esser là all'usanza del paese.
Arrivorno a un porto forestiero:
èvvi una nave stata forse un mese
che non voleva in mar mettersi drento
perché 'l nocchierch'è savioaspetta il vento.

27.
L'un de' padron si chiamava Scirocco
e l'altro Grecodi buona dottrina:
questo era tanto dolce ch'egli è sciocco
quell'altro è tristo e di mala cucina.
Rinaldo a quel ch'è tristo dava un tocco:
- Lievaci tosto e pàgatie cammina. -
Costui levar non gli vuol per nïente
dicendo: - Il tempo reo non lo consente. -

28.

E poi salvum me facche vuol far prima
ch'egli entrin drentoinsino a un quattrino.
Morgante gli risponde per la rima:
- Io metterò la nave e te a bottino. -
Questo Scirocco non ne facea stima;
ma 'l buono e 'l bel come Pagol Benino
disse a Scirocco: - Di levargli è buono
ch'io so che cavalier discreti sono. -

29.
Morgante fu per traboccar la nave
quando il piè pose all'una delle bande
tanto era smisurato e sconcio e grave.
Disse Scirocco: - Tu se' tanto grande
che non ti sosterrebbe dieci trave. -
Disse Morgante: - Aspetta alle vivande:
che dirai tu se tu mi vedi a scotto?
E' converrà che ci sia del biscotto. -

30.
Come il sol sotto all'occeàn si cela
parve a Scirocco che buon vento sia;
e finalmente la nave fe' vela
e Greco intanto comanda la via.
Lucea la luna come una candela
un nugoluzzo sol non si vedia:
con gran diletto quella notte vanno
ché del futuromiserinon sanno.

31.
L'altra mattina il vento traditore
salta in un punto alla nave per prua:
caricon l'orza con molto furore
e vanno volteggiando un'ora o dua.
Il vento cresce e ripiglia vigore
e 'l mar comincia a mostrar l'ira sua:
cominciano apparir baleni e gruppi
e par che l'aria e 'l ciel si ravviluppi;

32.
e 'l mar pur gonfia e coll'onde rinnalza
e spesso l'una coll'altra s'intoppa
tanto che l'acqua in coverta sù balza
ed or saltava da prora or da poppa:
la nave è vecchiae pur l'onda la scalza
tal che comincia a uscirne la stoppa;
le grida e 'l mare ogni cosa rimbomba.
Morgante aggottaed ha tolta la tromba.

33.
I marinai chi qua chi là si scaglia
però che tempo non è da star fermo.
Mentre che 'l legno in tal modo travaglia
e cristian forte chiamavan sant'Ermo
pregando tutti che 'l priego lor vaglia
che debba alla tempesta essere schermo;
ma santo né dïavol non accenna;
e 'n questo l'arbor si fiacca e l'antenna.

34.
Gridò Scirocco: - AiutaciMacone! -
ed albera l'antenna di rispetto
ed a mezza aste una cocchina pone
e per antenna è l'alber del trinchetto.
Intanto un colpo ne porta il timone
e quel ch'osserva percuote nel petto
tanto ch'egli ha la nave abbandonata
e portal morto via la mareggiata.

35.
Non si può più la cocchina tenere
ch'un altro gruppo ogni cosa fracassa
e la mezzana ne porta giù a bere
bench'ella fussi temperata bassa.
Sùbito misson per poppa due spere;
e 'l mar pur sempre disopra sù passa.
E non s'osserva del nocchier più il fischio
come avvien sempre in un estremo rischio.

36.
Era cosa crudel vedere il mare:
alzava spesso ch'un monte parea
che si volessi a' nugoli agguagliare;
la nave ritta levar si vedea
e poi sott'acqua la prora ficcare;
talvolta un'onda sì forte scotea
che sgretolar si sentia la carena;
e cigola e sospira per la pena:

37.
com'un infermo si ramaricava;
e 'l mar pur rugghiae' dalfin si vediéno
ch'alcun talvolta la schiena mostrava
e tutto il prato di pecore è pieno.
Morgante pur con la tromba aggottava
e non temeva né tuon né baleno
e non si vuol per nulla al mare arrendere
ché non credea che 'l ciel lo possi offendere.

38.

Orlando s'era in terra inginocchiato;
Rinaldo ed Ulivier piangevon forte;
e 'l Veglio e Ricciardetto s'è votato
chese scampar potran sì crudel sorte
ognun presto al Sepolcro ne fia andato;
e stavano in cagnesco con la morte;
ma non valeva ancor prieghi né voti
tanto il mar par che la nave percuoti.

39.
Sentì Scirocco "Virgine Maria"
un tratto ricordare a giunte mani
e disse a Greco una gran villania
dicendo: - Adunque questi son cristiani!
Però non va questa tempesta via
mentre che ci saran sù questi cani:
questo miracol sol Macon ci mostra
per dimostrarci la ignoranza nostra. -

40.
Non domandarquando e' l'udì Rinaldo
se gli montò sù al naso il moscherino;
e preselo dicendo: - Sta' qui saldo:
vedren chi può piùCristo o Apollino
o Macomettopezzo di rubaldo!
Tu dèi saper notar come un dalfino:
o da te stesso fuor della nave esci
o io ti gitterò nel mare a' pesci. -

41.
Disse Scirocco: - Questa nave è mia. -
Disse Morgante a Rinaldo: - Ch'aspetti?
Costui si vuol cavargli la pazzia:
io il gitterò bene iose tu nol getti. -
Rinaldo gli montò la bizzarria
e dèttegli nel capo due puccetti
e fecelo balzar di netto in mare;
e la tempesta cominciò a quetare.

42.
Non vi fu marinaio né ignun ch'ardisse
volger verso Rinaldo sol la faccia;
e per paura il mar parve ubbidisse
perché in un tratto si fece bonaccia.
Morgante a prua dal trinchetto si misse
e fece come antenna delle braccia
ed appiccovvi la spazzacoverta;
ed è sì forte che la tiene aperta.

43.
Greco ridea quando e' vedeva questo
e tosto inverso la prua se ne venne
ed acconciò se nulla v'è di resto;
e dice: - Qui non bisogna altre antenne;
e forse tu non fai il servigio lesto? -
Né anco Orlando le risa sostenne
e dice: - Porti chi vuol per rispetto
ché ci è l'antenna e l'arbor del trinchetto.

44.
Dove è Morgante non si può perire. -
Morgante tanto la vela portòe
e 'l vento è buonché voleva servire
che finalmente la nave guidòe
tanto che 'l porto comincia apparire;
vero è ch'alcuna volta si posòe.
E son tutti condotti a salvamento
perch'era poco mare e fresco vento.

45.
Ma la Fortunache è troppo invidiosa
fece chementre che Morgante mena
a salvamento il legno ed ogni cosa
sùbito si scoperse una balena;
e vien verso la nave furïosa
e cominciò a levarla con la schiena;
e finalmente l'are' traboccata
se non l'avessi Morgante ammazzata.

46.
Eravi alcun che bombarde gli scocca
ma non potevon da lei ripararsi.
Greco diceva: - La nave trabocca
e credo che' rimedi fieno scarsi. -
E pur la bestia una scossa raccocca
tanto che più non sapevon che farsi
perché la nave levava sù alta;
se non ch'addosso Morgante gli salta;

47.
e perch'egli era molto presso al porto
diceva: - Poi che la nave ho condotta
insino a quis'i' restassi ben morto
io non intendo che la sia qui rotta. -
Allor Rinaldo il battaglio gli ha pòrto;
Morgante su per la schiena gli trotta
e col battaglio gli dà in su la testa
ed ogni volta la 'ncartava a sesta;

48.

e tanto e tanto in sul capo percosse
che gliel'ha tutto sfracellato e trito;
donde la bestia di quivi si mosse
e come un barbio boccheggia stordito
e morta si rovescia in poche scosse.
Morgante prese per miglior partito
saltar nell'acqua ed irsene alla riva
però che l'acqua non lo ricopriva.

49.
Greco surgeva e varava la barca.
Orlando lo pagò cortesemente
tanto che Greco non se ne ramarca;
e ritornossi indrieto prestamente
fra pochi giornid'altre merce carca
la nave. Intanto Morgante possente
a poco a poco alla riva s'appressa
tanto che' pesci non gli fan più ressa.

50.
Ma non potea fuggir suo reo distino:
e' si scalzòquando uccise il gran pesce;
era presso alla riva un granchiolino
e morsegli il tallon; costui fuori esce:
vede che stato era un granchio marino;
non se ne curae questo duol pur cresce;
e cominciava con Orlando a ridere
dicendo: - Un granchio m'ha voluto uccidere:

51.
forse volea vendicar la balena
tanto ch'io ebbi una vecchia paura. -
Guarda dove Fortuna costui mena!
Rimmollasi più voltee non si cura;
ed ogni giorno cresceva la pena
perché la corda del nervo s'indura;
e tanta doglia e spasimo v'accolse
che questo granchio la vita gli tolse.

52.
E così morto è il possente gigante;
e tanto al conte Orlando n'è incresciuto
che non facea se non pianger Morgante
e dice con Rinaldo: - Hai tu veduto
costuic'ha fatto tremar già Levante?
Aresti tu però già mai creduto
che così strano il fin fussi e sì sùbito? -
Dicea Rinaldo: - Io stesso ancor ne dubito.

53.
E' mi ricordasendo a Montalbano
quel dì che noi vincemo Erminïone
che fece cose col battaglio in mano
ch'erono al tutto fuor d'ogni ragione.
Di Manfredonio sai ch'ancor ridiàno
quando e' v'andò per rïaver Dodone
e che ravvolse Manfredonio e quello
nel padiglionche parve un fegatello.

54.
E 'l dì che difendea Meredïana
gli vidi tanta gente intorno morta
che non fu cosaal mio parereumana.
Ma dimmia Bambillonaa quella porta
vedes' tu mai però cosa sì strana?
Pensavi tu sua vita così corta?
E' mi fe' ricordar quel dì di Giove
quando i giganti fêr l'antiche pruove;

55.
e dissi: "Certose Morgante v'era
tu ti staresti ancorGiovein Egitto
con Baccotrasformato in qualche fiera
ché costui certo t'arebbe sconfitto!".
Ma non sarà tenuta cosa vera
da chi lo troverrà in futuro scritto;
ché io che 'l vidinon lo credo appena
di questo né d'uccider la balena.

56.
Che maladetto sia tanta sciagura!
O vita nostra debole e fallace! -
Così piangean la sua disavventura.
Ma sopra tutto a Orlando dispiace;
ed ordinò di dargli sepoltura
ché spera che nel Ciel l'alma abbi pace;
e terminò mandarlo a Bambillona
ma prima imbalsimar la sua persona.

57.
Ed ebbe tanto mezzo coll'ostiere
dove e' si son più giorni riposati
ch'e' gli faceva del balsimo avere;
ed ha tutti i suoi membri imbalsimati;
e fecelo segreto a quel tenere
e diègli al modo lor cento ducati;
tanto ch'a luogo e tempo e' lo mandòe
a Bambillonae quivi l'onoròe.

58.

E' si chiamava Monaca ove è il porto
dove Orlando e costoro alcun dì stanno;
e l'oste dice: - Per un che fu morto
vedi che qui grande armate si fanno;
e 'n verità che gli fu fatto torto;
ma penso le vendette si faranno.
Lo 'mperador di Mezza è qua signore
e veste il popol nero per suo amore.

59.
Un suo figliuolchiamato Marïotto
era andato in aiuto del Soldano;
e come a Bambillona fu condotto
l'uccise Spinelloneun gran pagano:
e fassi per costui tanto corrotto.
Vero è che 'l gran signor di Montalbano
v'era ed Orlando ed altri di sua setta
e sopra questi si cerca vendetta. -

60.
Mentre che l'oste così ragionava
vi capitò colui che fa l'armata:
Can di Gattaiaun giovansi chiamava
e domandò chi sia questa brigata.
Orlando disse a Canche domandava
ch'eran di Persia e gente disperata
ch'amico non conoscon né compagno
ma van cercando ventura e guadagno.

61.
Diceva Can: - Quanto soldo volete? -
Disse Rinaldo: - Per cento baroni
ognun di noise contento sarete. -
Rispose Can: - Per cento gran poltroni!
Per Dioche 'l soldo che voi mi chiedete
che mi parete cinque mascalzoni
sarebbe troppo a Rinaldo ed al conte
che sono il fior del sangue di Chiarmonte! -

62.
Disse Rinaldo: - Solda chi ti pare. -
E torna con l'ostessa a ragionarsi
però ch'ell'era bella e fassi amare
e stava con lui molto a motteggiarsi;
e fece un suo stendardo sciorinare
dove il lïon ch'io dissi può mirarsi.
Questo lïon fu veduto in effetto
ed allo imperador presto fu detto:

63.
A casa un oste detto Chiarïone
sono arrivati cinque vïandanti
e porton per insegna il tuo lïone;
e non sappiàn se si sono affricanti. -
Lo 'mperadore a certi servi impone:
- Menategli qui presi tutti quanti;
e chi non vuol di lor venirne preso
recatenelo a forza qui di peso. -

64.
Giunsono all'oste questi saracini
e credonsi legar cinque cavretti
o pigliar questi come pecorini
sanz'armecolle punte degli aghetti:
volle a Rinaldo un por le mani a' crini
e crede che costui il cappello aspetti;
Rinaldo si disserra nelle braccia
e con un pugno morto a' pie' sel caccia.

65.
L'altroch'aveva una bacchetta in mano
dètte con essa a Rinaldo in sul volto
dicendo: - Che fai tupoltron villano?
Adunque tu non credimatto e stolto
ubbidir qui lo 'mperador pagano? -
Rinaldo presto a costui si fu vòlto
e ciuffalo per modo nella gola
che l'affogò sanza dir mai parola.

66.
Eravene un che pon le mani addosso
al conte Orlando; Orlando un poco il guata
e poi in un tratto da costui s'è scosso
e dèttegli nel viso una guanciata
che gli brucò la carne insino all'osso
e cerca se la sala è ammattonata.
Intanto Ricciardettoch'a ciò bada
ed Ulivier tiroron fuor la spada;

67.
e 'l Veglio il mazzafrusto adoperava
e non ischiaccia l'ossaanzi le 'nfragne.
Orlando Durlindana alfin pigliava
tanto ch'ognun che l'aspetta ne piagne.
L'un sopra l'altro morto giù balzava;
beato a chi mostrava le calcagne!
ché tutti gli affettavan come rape
tal che più morti in sala non ne cape.

68.

Lo 'mperador sentì come va il giuoco:
sùbito venne bene accompagnato.
Rinaldo ritornato s'era al fuoco;
Orlando sta alla porta giù appoggiato
e perch'egli era pur ferito un poco
Rinaldotutto pareva turbato
ché non sono usi esser lor tocco il naso
e minacciava e sbuffava del caso.

69.
Ecco il signor con molta sua famiglia:
Orlando non si muove dalla porta.
Subitamente un de' pagan bisbiglia:
- Vedi colui che la tua gente ha morta. -
Orlando al saracin volge le ciglia
con una guatatura strana e torta
tal che lo 'mperador n'ebbe paura
ché gli pareva un uom sopra natura;

70.
e rimutossi di sua opinione
ch'Orlando molto negli occhi era fiero
tanto che alcun auttore dice e pone
ch'egli era un poco guercioa dire il vero;
e salutollo e dissegli: - Barone
qual fantasia t'ha mosso o qual pensiero
venire a far la mia gente morire
e non voler chi governa ubbidire?

71.
Se tu se'come hai dettopersïano
tu dèi venire a far qua tradimento;
o veramente se' qualche cristiano
e forse qualche cosa già ne sento.
Tu potevi venir con oro in mano
a ubbidiree restavo contento.
Se tu venissi qua per farci inganno
fa' che tu pensi alfin che fia tuo il danno.

72.
Quel che tu hai fattoio me ne dolgo forte
e forse punirotti del tuo errore
di que' pagani a chi data hai la morte. -
Rispose Orlando: - Famoso signore
tutti saremo venuti alla corte
per fare il nostro debito e 'l tuo onore
a vicitar la tua magnificenzia
s'avessi avuta tanta pazïenzia.

73.
Ma tu ci mandi all'albergo a pigliare
come i ladron c'hanno con loro i furti;
non ci lasci due dì sol riposare
ch'appena nel tuo porto savàn surti.
Se Maconcertociò veniva a fare
morto l'aremo co' morsi e cogli urti
più tosto che venir come ladroni
a corte in mezzo di venti ghiottoni.

74.
Che noi siàn persïaniabbi per certo:
cercando andiam della ventura nostra
e non sappiàn s'ella è più in un deserto
che in un giardinoo nella terra vostra;
e già molto disagio abbiàn sofferto;
andiàn per quella via che 'l Ciel ci mostra
né tradimento facciamo a persona.
Io lascio or giudicare a tua Corona. -

75.
Lo 'mperador gli piacque Orlando tanto
quanto e' sentissi uom mai parlar discreto
e disse: - Io so ch'io ho trascorso alquanto.
Ma se voi andate alla ventura drieto
io vo cercando dogliaangoscia e pianto
e non ispero omai d'esser più lieto:
io ho perduto tutto il mio conforto
dall'ora in qua che 'l mio figliuol fu morto.

76.
E benché tutto il mondo qua in aiuto
come tu vedivenga a mia vendetta
ché vedi il popol già che ci è venuto
e tante nave in punto qua si metta
non riarò però quel ch'ho perduto
con tutto il mio tesoro e la mia setta
e vestirò pur sempre oscuro e negro
come tu vedie mai più sarò allegro;

77.
salvo s'io sarò mai di tanto sazio
ch'io possa al conte Orlando trarre il core:
io ne farò per certo tale strazio
che essemplo fia d'ogn'altro peccatore
se mi darà Macon tanto di spazio;
ché sento che si sta quel traditore
in Bambillona in gran trïunfo e festa;
ed io pur piango in questa scura vesta.

78.

Or lasciàn questo; se tu vuoi venire
a corte tu con la tua compagnia
a starti meco insino al tuo partire
io ti faròper Maconcortesia;
e ciò ch'io ho sia tuo sanza più dire:
forse che quivi tua ventura fia. -
Orlando il ringraziò di quel c'ha detto
e tornasi a Rinaldo e Ricciardetto.

79.
Una fanciulla che il loro oste avea
medicava Rinaldo; e perch'ella era
molto gentilRinaldo gli dicea
che la voleva tòr per sua mogliera.
Di giorno in giorno l'armata crescea:
re di Murrocco con sua gente fera
vestiti di catarzo duro e grosso
era venutoe pareva Minosso;

80.
e di Caveria un feroce amostante
ch'aveva molta turba e gran canaglia
chiamato dalla gente Leopante;
e tutti i cavalier suoi da battaglia
eran coperti d'osso d'elefante
ch'era più duro che piastra o che maglia;
ed un lïon rampante molto fiero
come Rinaldoavea nel campo nero.

81.
E per ventura passò per la strada
di Chiarïon dove dimora Orlando;
ed alcun par che dinanzi gli vada
certi stormenti al lor modo sonando:
allo stendardo di Rinaldo bada
e di chi e' fussi venìa domandando;
e 'n su 'n un carro da quattro destrieri
facea tirarsipiù che corbi neri;

82.
e disse: - Chiarïondimmi chi sia
colui che porta così il mio stendardo. -
Orlando gli rispose: - Se tuo fia
io tel darò se tu sarai gagliardo. -
Disse il pagan: - Tu mi di' villania;
egli è pur gentilezza aver riguardo
a queste cosee tu 'l debbi sapere
e che porti ciascun le sue bandiere.

83.
Io vo' saper donde tu abbi avuto
questo stendardo; e s' tu l'hai guadagnato
tu puoi portarloché questo è dovuto;
ma tu m'hai viso d'averlo rubato
più tosto che d'averlo combattuto. -
Orlando disse: - In Persia l'ho acquistato.
Or ti rispondo a quell'altra parola
ch'io non son ladroe menti per la gola. -

84.
Rispose Leopante: - Ed io rispondo
che tu se' ladro e tristoe ch'io non mento
ed amostante son degno e giocondo
e migliore uom di te per ognun cento;
e non fare' Macon né tutto il mondo
che tu spiegassi il mio stendardo al vento:
io vo' che tu il guadagni con la lancia
s' tu fussi ben de' paladin di Francia. -

85.
Orlando non are' temuto il cielo
né Giuppiterquand'egli era bizzarro;
rispose: - Egli è ben ver più che 'l Vangelo
che' pazzi come tu vanno in sul carro.
Io vo' che chi mi morde lasci il pelo
ed oltre a questo la bocca gli sbarro.
Esci del carro e monterai in arcione
e proverrén di chi sarà il lïone. -

86.
Dismontò con grande ira il saracino
e montò presto sopra un gran cavallo.
Orlando fece sellar Vegliantino
e non istette pel freno a pigliallo
anzi saltò di terra il paladino
tanto ch'ognun correva là a guardallo
e Leopante ammirato ne resta;
e posono amendue la lancia in resta.

87.
Ricciardetto e Rinaldo ed Ulivieri
e 'l Veglio tutti intorno sono armati;
ognun guardava questi cavalieri
per maravigliae stavan trasognati.
L'amostante ed Orlando co' destrieri
in questo tempo si sono accostati:
le lance parvon due trombe di vetro;
poi si rivolson con le spade addietro.

88.

Lo 'mperadore avea questo sentito
e per veder costor provarsi venne
e sopra un bel giannetto era salito
che non correvaanzi batte le penne.
Orlando Leopante ha già ferito
tanto che spesso gran doglia sostenne;
pur nondimen tuttavolta s'arrosta
e con la spada facea la risposta.

89.
Rinaldoch'era un diavolo incantato
e vuol sempre veder cose terribile
diceva pure: - Tu non se' adirato -
al conte Orlando - o far non vuoi il possibile. -
Orlando s'era per questo infocato
e facea cose che non son credibile
dando al pagan con sì fatta tempesta
che in su l'arcion gli batteva la testa.

90.
Leopante era tra cattive mani:
non sa che quella spada è Durlindana
che tanti n'ha già morti de' pagani:
e si pentea della sua impresa strana;
e dopo molti colpi assai villani
volle veder come la strada è piana
e cadde tra sue gente in terra morto:
e così ebbe del lïone il torto.

91.
Così vinse la forza la ragione
che ogni volta non si vuol difendere;
e 'l savio sempre fugge la quistione
ed è pur bella cosa il mondo intendere.
Ecco che Leopante ora ha il lïone
che colla lancia lo volle contendere:
la lancia è rotta e la vita gli costa:
chi cerca briga ne truova a sua posta.

92.
E' si levò tra' saracin gran pianto
veggendo così morto il lor signore
e fu portato a seppellire; e 'ntanto
un giovinetto ch'avea gran valore
fra tutti i saracini esce da canto
e dice: - Perch'io fui suo servidore
da poi che non c'è ignun che qua si metta
io vo' del mio signor far la vendetta.

93.
Io ti disfidotu che l'uccidesti. -
Orlando disse: - La battaglia accetto;
ma perché meco giovane saresti
combatterai con questo giovinetto;
bench'io mi credo tu m'avanzeresti. -
E disse: - Fatti innanziRicciardetto. -
E Ricciardetto accetta volentieri
e sanza altro parlar volse il destrieri.

94.
E l'uno e l'altro insieme riscontrârsi;
ma Ricciardetto alfin la sella vòta
ché non poté dal colpo fiero atarsi
sì forte par che lo scudo percuota.
I pagan cominciorno a rallegrarsi;
ma Ulivier se ne batte la gota
e volle vendicar lui Ricciardetto
e disfidava questo giovinetto;

95.
e ritrovossi infin fuor di Rondello.
Armossi il Veglio allor della Montagna
e con la lancia si scontrò con quello
tanto ch'alfin la morte vi guadagna;
però che 'l saracin pose a pennello
e passò l'arme che parve una ragna:
non si poteva por quel colpo meglio
poi ch'egli uccise un sì famoso Veglio.

96.
Quando Rinaldo cadere ha veduto
il Veglio suoche tanto amava in vita
parve del petto il cuor gli sia caduto.
L'anima sua nel Ciel si rimarita.
E 'l conte Orlando gli è tanto doluto
che per più dì parea cosa smarrita.
E fu mandato a Bambillona questo
a sepellircome Morgantepresto.

97.
Rinaldo si sfidò col giovinetto
che 'l Veglio aveva mortoa mano a mano
con tanto sdegno e con tanto dispetto
che giurò d'ammazzar questo pagano:
ruppon le lance l'uno all'altro al petto
poi s'affrontorno con la spada in mano;
e tutto il popol ragunato s'era
a veder la battaglia acerba e fiera.

98.

Il saracino era molto gagliardo
e sopra l'elmo percosse Rinaldo
tal che in sul collo cadde di Baiardo
e con fatica si sostenne saldo.
Orlandoquando al colpo ebbe riguardo
sudò più voltee non gli facea caldo.
Rinaldo si rizzò pur finalmente
e bestemmiava il Ciel divotamente.

99.
E trasse con tanta ira allor Frusberta
chese non che 'l pagan lo scudo alzava
quando vide la spada andare all'erta
e conobbe il furor che la portava
Rinaldo gli are' allor la testa aperta:
trovò lo scudo e netto lo tagliava;
l'elmo sonò come una cemmamella
e come morto uscì fuor della sella.

100.
E gran romor tra' saracin si leva.
Rinaldopoi che gli passò il furore
di questo giovinetto gl'incresceva
perché e' conobbe in lui molto valore
e che quel fussi morto si credeva;
sùbito salta fuor del corridore.
Lo 'mperador gridò: - Non gli far torto
non lo toccare: e' basta ch'egli è morto. -

101.
Disse Rinaldo: - Per lo dio Macone
ch'assai m'incresce costui morto sia
ché mai non monterà forse in arcione
un uom sì degno in tutta Pagania.
Io vo' cercar per la sua salvazione
qualche rimedios'alcun ce ne fia. -
Ed abbracciolloch'era in terra steso
poi nel portava all'osteria di peso.

102.
E fu da tutto il popol commendato.
Quivi lo pose a giacere in sul letto
e il polso in ogni parte ha stropicciato
e così fa il marchese e Ricciardetto;
tanto ch'alfin s'è tutto risvegliato
a poco a poco questo giovinetto;
e risentitocaramente abbraccia
Rinaldo e 'nsieme si baciorno in faccia;

103.
e chieson l'uno all'altro perdonanza.
Orlando ponea mente una sua spada
come di cor magnalmo è sempre usanza
veder com'ella pesa o s'ella rada:
pargli che sia da uom d'alta possanza
e di vedere il pome poi gli aggrada:
guardando il pomeletter vi vedea
e per diletto queste anco leggea.

104.
Le lettere dicén come costui
era nato del sangue di Chiarmonte;
il perché Orlando ritornava a lui
al lettoe domandò con umil fronte
se si ricorda degli antichi sui
come dicevon le lettere pronte:
che gliel dicessise 'l priego era onesto
ché sol per ben di lui vuol saper questo.

105.
E' gli rispose: - Gentil cavalieri
la madre mia chiamata è Rosaspina
ed io mi chiamo per nome Aldighieri
e generommidicealla marina.
Del padre mio non ho i termini interi
perché e' non fu di stirpe saracina;
ma quel che inteso n'ho dalla mia madre
da Rossiglion Gherardo fu il mio padre.

106.
Per che cagione tu vuoi ch'io tel dica
non vo' cercarma pàrmi un uom gentile
néper piacertimai mi fia fatica
essaudire il tuo priego tanto umìle:
di Chiaramonte è la mia schiatta antica
e non è sangue che sia punto vile
ma forse il più gentil ch'al mondo sia;
e tiene in Francia regno e monarchia.

107.
Rinaldoquel gran sir da Montalbano
di questo è natoe quel famoso Orlando
di cui fa tanta stima Carlo Mano
ch'altro pel mondo non si va parlando.
E lungo tempo n'ho cercato invano
di questi due baronie vo cercando;
e tanto in ogni parte cercheròe
che innanzi la mia morte io gli vedròe.

108.

E se ci fussi ignun di loro stato
quando tu mi gittasti del cavallo
so che m'arebbe di te vendicato. -
Orlando non poteva più ascoltallo:
per tenerezza è tutto travagliato;
e tutti cominciavano abbracciallo;
per che 'l paganveggendosi abbracciare
quel che ciò fussi gliel parea sognare;

109.
e disse: - In cortesiaditemi tosto
per che cagion sia tanto abbracciamento. -
Orlando innanzi a tutti gli ha risposto:
- O Aldighierquanto sono io contento!
In quanta pace ogni mio affanno è posto!
Quanta dolcezza drento al petto sento!
Ecco color di chi tu vai cercando:
questo è Rinaldo nostroio son Orlando

110.
e questo è Uliviernostro parente
quest'altro è Ricciardettotuo cugino. -
Quando Aldighier queste parole sente
dicea fra sé: "Qual grazia o qual distino
d'aver costor trovati qui consente?".
Abbraccia Orlando degno paladino
ed UlivierRinaldo e Ricciardetto
e per letizia fuor salta del letto.

111.
Comincia a ragionar di Carlo Mano
e del Danese quanto e' sia gagliardo
ché lo conobbe quando era pagano;
comincia a ragionar del suo Gherardo
e dice: - Io intendo al tutto esser cristiano
e rinnegar Macon nostro bugiardo;
e in Francia bella con voi vo' venire
e così sempre vivere e morire.

112.
Egli è qui tra costor di mia brigata
diecimila a caval sotto mio segno.
Lo 'mperadore apparecchia l'armata
per vendicar del suo figliuol lo sdegno
e contro a voi la furia è apparecchiata.
Io mi parti' con questi del mio regno
perch'io senti' savate a Bambillona
per ritrovarmi là con voi in persona;

113.
ed ho mandato lettere segrete
a dirvi come qua si fa apparecchio:
non so se voi ricevute l'avete
o se ciò pervenuto v'è all'orecchio.
Costor minacciancome voi vedete
come involti v'avessin tra 'l capecchio.
Se noi vogliamquesta città fia nostra
con la mia gente e con la virtù vostra.

114.
Rinaldo e tu per tutta Pagania
sète tanto temuti e nominati
checome il grido tra la turba fia
e' fuggiranno tutti spaventati.
Non son costor guerrierma son ginìa:
sempre al principio assai si son vantati
ed hannovi in un solcio i paladini;
poi fuggon tutti come spelazzini. -

115.
Rinaldo gli piacea questa pensata
ed Aldighier vien sua gente assettando.
In questo tempo giunse una ambasciata
come lo 'mperador mandato ha il bando
che tutta in piazza sia la gente armata;
e tutto il popol si veniva armando;
come nell'altro dir vi sarà detto.
Di mal vi guardi Gesù benedetto.



CANTARE VENTESIMOPRIMO


1.
Dio ti salviMaria di grazia piena
e il Signor teco in sempiterno sia
o benedettao santao nazarena
fra tutte l'altre donne tuMaria;
sanza la qual la mia barchetta arrena
se non aiuti nostra fantasia
che insino a qui fatta hai tanto veloce:
non mi lasciarch'i' veggo omai la foce.

2.
I forestieri e tutti i terrazzani
ognun si rappresenta in su la piazza.
Eraa vederla ciurma de' pagani
cosa parte mirabilparte pazza:
mai non si vide tanti uomini strani
di tante lingue e d'ogni nuova razza.
Disse Rinaldo: - In piazza ce n'andiamo
e tutta questa gente sbaragliamo. -

3.
Mettono in punto l'arme e' lor destrieri.
Lo 'mperador fa intanto diceria:
- Chi si vanta di voibuon cavalieri
di vendicarmi della ingiuria mia
io gli darò città che fieno imperi
e sempre arà di qua gran signoria
gente e tesoro a tutte le sue voglie
e la mia figlia sposerà per moglie. -

4.
Levossi ritto il gran Can di Gattaia
e disse: - Io sarò quelloimperadore
ches'io dovessi ucciderne a migliaia
al conte Orlando vo' cavare il cuore. -
E così gli altri ognun si vanta e abbaia
uccider pure Orlando il traditore
ed alza il sangue in parole dua braccia;
e chi più teme è quel che più minaccia.

5.
Rinaldo in su la piazza il primo viene.
Can di Gattaiacome l'ha veduto
disse: - Barons'io ti conosco bene
ch'al soprassegno t'ho riconosciuto
per Macomettoancor rider mi tiene
che tu credevi e' ti fussi creduto
a chieder soldo con quattro poltroni
a misura di crusca e di carboni. -

6.
Disse Rinaldo: - S'io chiesi per cento
a questa volta io ne vo' due cotanti;
e s'egli è ver quel che da molti sento
tu se' fra questi il primo che ti vanti
di far tante vendette o fummo o vento:
se vuoi giostrar con mecofatti avanti! -
Can di Gattaiacome questo intese
turbato tutto una gran lancia prese

7.
e va inverso Rinaldoacceso d'ira.
Rinaldo riscontrò questo arrabbiato:
al gorzaretto gli pose la mira
e 'l collo con la lancia gli ha infilzato
sì che pel gorgozzul l'anima spira.
Lo 'mperador di ciò molto è crucciato
e dice: - Troppe volte offeso m'hai;
ma d'ogni cosa te ne pentirai. -

8.

Disse Rinaldo: - A non tenerti a tedio
io son Rinaldoquel di Chiaramonte
venuto per tuo danno e per tuo assedio;
e questo è quel famoso Orlando conte
contra al qual sai che non arai rimedio;
e questo è Ulivierche t'è qui a fronte;
e questo è Ricciardettomio fratello
ed Aldighierie a me cugino e a quello.

9.
Tutti sarete morti a questo tratto. -
Né prima ebbe Rinaldo così detto
che cominciò a fuggir quel popol matto.
Lo 'mperadorsentendo tale effetto
sùbito disse come stupefatto:
- Può far questo fortuna o Macometto?
Piglia del campo come reo nimico
ch'io ho a purgar più d'un peccato antico. -

10.
Rinaldo si voltò pien di furore;
e ritornato addrieto assai più fiero
si riscontrò col detto imperadore
che non istima più vita né impero
e con la lancia gli passava il cuore
e ritrovò il gran Can poi in cimitero.
Or qui tutta la turba si sbaraglia
e cominciossi una crudel battaglia.

11.
Ed Aldighier con sua gente dà drento
e 'l conte Orlando fa incredibil cose
ed Ulivier non serba il suo ardimento
né Ricciardetto il suo certo nascose.
Ma 'n piccol tempo il gran furor fu spento
chéveggendo tante arme sanguinose
e ricordare Orlando ed Ulivieri
e 'l prenzeognun si fugge volentieri.

12.
E per arroto Orlando aveva morto
nella battaglia il gran re di Murrocco:
questo fu quel che diè tanto sconforto
che 'l popol si fuggì bestiale e sciocco.
Ognun la nave sua ritruova al porto
sanza aspettar più greco che scilocco:
e 'n questo modo finiva la guerra
e' cristian nostri pigliorno la terra.

13.
E nel palazzo ove lo 'mperio stava
vanno RinaldoOrlando ed Aldighieri;
e Ricciardetto ed Ulivier v'andava
e di Rinaldo un gentile scuderi
il qual con Aldighier si battezzava
e da costoro è chiamato Rinieri;
e battezzati questihanno ordinato
che Aldighier sia imperador chiamato;

14.
benché Aldighier per nulla non voleva.
Poi battezzâr quell'oste Chiarïone
ed una bella figlia ch'egli aveva
che medicò con tanta affezïone
Rinaldoe ristorar costei voleva.
E per ventura Grecoil lor padrone
che gli condusse già per la marina
vi capitòquel di buona dottrina.

15.
E come e' fu dismontato di nave
sentì come costor son coronati
e che tenien dello imperio la chiave:
non si penté che gli aveva onorati;
e con parole benigne e soave
umilemente gli ebbe vicitati
dicendocome savio uomo e discreto
di lor prosperità troppo esser lieto.

16.
Ed abbracciato fu sì allegramente
come se fussi lor carnal fratello.
Rinaldo presto gli corse alla mente
di dar la figlia del loro oste a quello
e dissegli: - Fanciulla mia piacente
ascolta e 'ntendi ben quel ch'io favello.
Io ti promissi di tòr per isposa:
questo sarebbe a me impossibil cosa

17.
ch'io ho lasciato altra mogliera in Francia;
ma vo' che Greco qui tuo sposo sia;
e darotti tal dota e sì gran mancia
che sempre ognun di voi contento fia. -
Un poco rossa si fece la guancia
quella fanciulla; e poi gli rispondia
ch'era contenta alle sue giuste voglie:
e così Greco la tolse per moglie;

18.

ma innanzi che la tolga è battezzato.
Rinaldo gli donò poi tanto avere
che del servigio l'ha ben meritato
e sanza navicar potrà godere.
Però questo proverbio è pur provato
che mai non si perdé nessun piacere
e bench'a molti uom serva sanza frutto
per mille ingrati un sol ristora il tutto.

19.
Poi fecion Chiarïon governatore
di tutto il regnoche si ricordorno
che di sua povertà fe' loro onore.
E riposati in Monaca alcun giorno
per aiutare infin quel traditore
del conte Ganda lui s'accomiatorno;
e non potrebbe lingua o penna dire
qual fussi il pianto in questo lor partire:

20.
piangea il padron che pareva battuto;
piangea la dama dolorosamente;
piangea l'ostierch'assai glien'è incresciuto;
piangeva il popol tutto unitamente;
piangea Rinaldoe non sare' creduto;
piangeva Orlando e 'l marchese possente;
piangeva Ricciardetto ed Aldighieri;
piangeva insino al povero Rinieri.

21.
Ma gli autori si scordon qui con meco:
chi vuol che Greco al governo restassi
chi dice Chiarïone e Greco seco
e l'uno e l'altro insieme governassi.
Maa mio parereè Chiarïonnon Greco
acciò ch'ognun Rinaldo ristorassi
e perch'egli era della città nato
e de' costumi lor più ammaestrato.

22.
Orlando e gli altri insieme se ne vanno
tanto che son presso a Castelfalcone;
e due pastori appresso trovati hanno:
l'uno era quel che mandò Ganellone
a Bambillonae gran festa gli fanno;
e domandâr se Gan vivo è in prigione
o s'egli è mortoo quel ch'era seguìto
se lo sapevao quel ch'e' n'ha sentito.

23.
Il pastor disse ch'egli è vivo e sano
nella prigionma con assai disagio.
Poi prese del caval la briglia in mano
d'Orlandoe tutti gli mena al palagio
dove stava il pastor che impiccò Gano
dicendo: - Qui solea star quel malvagio
ch'avea il corsier di Rinaldo imbolato:
noi c'imbucamocome e' fu impiccato. -

24.
Quivi son tutti i cristiani smontati;
e pastor certi capretti uccidiéno
e certi lor lattonzi hanno infilzati;
del latte v'è da versarsi pel seno;
e' destrier son come lor vezzeggiati:
gran sacca d'orzo e gran fasci di fieno.
Rinaldo disse: - Al mio date orzo e paglia:
e poi si dice caval da battaglia. -

25.
Quivi mangiorno e riposârsi alquanto.
Orlando que' pastor vien domandando
come il castel pigliar si possiintanto;
e' pastor tutto venien disegnando
come guardato sia da ogni canto
e per sei porte vi si viene entrando
ed ogni porta a sua difensïone
aveva un fiero e selvaggio lïone.

26.
E la lor madrechiamata Creonta
come un dragon gli unghioni avea affilati:
barbuta e guercia e maliziosa e pronta
e sempre aveva spiriti incantati
e par piena di rabbiad'ira e d'onta;
e per paura non è chi la guati:
pilosa e neraarricciata e crinuta
gli occhi di fuoco e la testa cornuta:

27.
mai non si vide più sozza figura
tanto ch'ella pareva la versiera
e Satanasso n'arebbe paura
e Tesifóne ed Aletto e Megera;
e gran fatica fia drento alle mura
entrar per questa spaventevol fiera.
E de' giganti ogni cosa contavano
di lor costumie quel che in man portavano.

28.

Or questo è quel ch'a Rinaldo piaceva
quanto e' sentia più cose oscure e sozze;
e dove far qualche mischia credeva
e' gli pareva proprio andare a nozze.
Non domandar come il cuor gli cresceva!
e dice: - Se le man non mi son mozze
io ne farò come torso di cavolo:
vedrén chi fia di noi maggior dïavolo. -

29.
Non mangia a mezzo che sellò Baiardo;
Orlando e gli altri seguitavan quello.
Rinaldo se ne va sanza riguardo
sùbito a una porta del castello:
fecesi incontro un fier lïon gagliardo
che si pensava abboccare un agnello;
Rinaldo e gli altri eran tutti smontati
e i cavalli a Rinieri avevon dati.

30.
Questo lïon di terra un salto spicca
ed a Rinaldo si scagliava addosso
e' fieri artigli nello scudo ficca;
la bocca aperse e 'l capo un tratto ha scosso.
Rinaldo un colpo alle zampe gli abbricca
e tagliagli la carne e 'l nervo e l'osso:
donde il lïon diè in terra della bocca;
allor Rinaldo alla testa raccocca

31.
e spiccò il capo dallo 'mbusto a questo
e morto si rimase in su la soglia.
Disse Aldighieri: - Io mi ti manifesto:
uccider vo' quest'altroch'io n'ho voglia. -
Rinaldo gli rispose: - Uccidil presto
acciò che non ti dessi affanno e doglia. -
Dunque Aldighier non dicea più parola
ma missegli la spada nella gola

32.
e rïuscì la punta nelle rene.
Orlando disse: - Il terzo uccidrò io. -
Ecco il lïon che inverso lui ne viene
e 'nginocchiossi mansüeto e pio.
Orlando Durlindana sua ritiene
e disse: - Questo è misterio di Dio.
Seguite meché 'l Ciel ci spigne drento
e non arem dagli altri impedimento. -

33.
E così fu: che il lïon si rizzava
e tutti gli altri dètton lor la via
e questo come scorta innanzi andava.
Orlando inverso i giganti ne gìa:
maravigliârsie l'un di lor parlava:
- Che gente è questae donde entrata fia?
Può fare il Ciel che' lïon non gli udissino
e tutti a sei a un'otta dormissino?

34.
Questo mi par pure il più nuovo caso. -
Subitamente uscîr fuor del palazzo;
fecesi innanzi l'un ch'è sanza naso
e va inverso Rinaldo come un pazzo:
la barba lunga aveva e 'l capo raso.
Rinaldo guarda quel viso cagnazzo
che non parea né d'uom né d'animali
e disse: - Dove appicchi tu gli occhiali?

35.
con che fiuti tu l'anno le rose?
Tu par' bestia dimestica a vedere. -
Questo gigante a Rinaldo rispose:
- Io tel faròghiottontosto sapere. -
Rinaldo un colpo alla zucca gli pose
ch'arebbe ben dimezzate le pere
e cacciagli Frusberta insino agli occhi
tanto che morto convien che trabocchi.

36.
Come e' fu in terra questo fastellaccio
l'altro s'avventa addosso ad Aldighieri:
volle menargli d'un suo bastonaccio;
ma e' prese un salto che parve un levrieri
e schifa il colpo; e menavagli al braccio
tal chese sa schermirgli fa mestieri
e netto lo tagliò come un mellone;
e cadde in terra il braccio col bastone

37.
ed anche poi il gigante per la pena.
Aldighierquando lo vide caduto
subitamente un gran colpo gli mena:
al collo del gigante s'è abbattuto
e con la spada tagliente lo svena.
L'altro fratelcome questo ha veduto
si scaglia a Ulivier di furia acceso
ed abbracciolloe portanel di peso

38.

come farebbe il lupo un pecorino.
Ma 'l buon pastore Orlando lo soccorse
e disse: - Posaposasaracino
posalo giù: tu non credevi forse
che fussi presso il guardian né 'l maschino. -
Di che il gigante per ira si morse
che 'l sangue a Ulivier voleva bere
ma per paura sel lascia cadere.

39.
Ulivier ritto si levò di terra
e trasse a quel pagan con Altachiara
e nella trippa una punta disserra
dicendo: - Tu berai la morte amara! -
e con quel colpo morto giù l'atterra
e bisognòe che trovassi la bara.
Eron già morti trerestavane uno
ch'era più fiero e forte che nessuno.

40.
Orlando disse: - La battaglia è mia
e tocca a me quest'altro che ci resta. -
E 'l fer gigantepien di bizzarria
d'un mazzafrusto gli diè in su la testa
che poco men ch'Orlando non cadia.
Gridò Rinaldo: - Ed anco tua fia questa
picchiatacome hai detto la battaglia.
Non se' tu Orlandoo 'l brando più non taglia? -

41.
Allora Orlando lo scudo abbandona
e 'l pome della spada appoggia al petto
e 'nverso il saracin se stesso sprona
quando e' sentì quel che 'l cugino ha detto
e terminò passargli la persona:
giunse la punta al bellico al farsetto
ch'era di ferroed ogni cosa infilza
e passò il ventre e 'l fegato e la milza;

42.
e rïuscì di drieto un braccio o piùe
il brandoche di sangue è fatto rosso;
e questo pilastron rovina giùe
e mancò poco non gli cadde addosso
se non ch'Orlando molto destro fue;
e parve che 'l terren si sia riscosso.
Della qual cosa in gran superbia monta
la fiera madre incantata Creonta.

43.
Corse a romor come una spiritata;
prese Aldighierie tutto lo diserta
cogli unghioncome una bestia arrabbiata;
travolge gli occhi e la bocca avea aperta:
non fu tanto Ericon mai infuriata.
Rinaldo l'aiutava con Frusberta
ma di tagliarla la spada s'infigne;
allor Rinaldo la gola gli strigne.

44.
Ell'aveva Aldighier ghermito in modo
che sare' me' abbracciare un orsacchino
e portanelo a forzae tiello sodo.
Orlando gli ponea le mani al crino
ma non poteva ignun disfar tal nodo;
ed Aldighier gridava purmeschino:
- Io credo che 'l dïavol m'abbi preso
e nello inferno mi porti di peso! -

45.
Orlando allor gli mena della spada
ma indrieto si ritorna Durlindana
quantunque ella sia forte e ch'ella rada.
Dicea ridendo la donna pagana:
- Voi date al vento i colpi o la rugiada
a ferir me; ch'ogni fatica è vana:
non ne potete aver di questo vello
per nessun modoo uscir del castello. -

46.
Orlando tutto allor si raccapriccia
e vede che costei gli dice il vero;
a tutti in capo ogni capel s'arriccia
veggendo quel demòn cotanto fiero
la faccia bruttaaffummicataarsiccia:
non si dipigne tanto il diavol nero
quanto ha Creonta la lana e la pelle
e più terribil boce che Smaelle.

47.
Ella vedeva innanzi i figliuol morti:
pensa quanto dolor la misera abbia
e come questo in pace mai comporti
massime avendo i suoi nimici in gabbia!
Poi si ricorda di mill'altri torti
pur de' suoi figlie per grande ira arrabbia
come fa Salaý del cadimento
ch'udendol ricordar par sì scontento.

48.

Poi diventò più che Niello gentile;
non parve più Beritte o Salyasse
o Squarciaferroanzi si fece umìle;
né creder come Bocco tartagliasse
che come Nillo parlava sottile:
non par Sottìnche in francioso parlasse
non Obysìn per certo alla favella
o Rugiadànche ne portò l'anella;

49.
e non parea nel suo parlar Bilette
che violòe il mandàl con certe chiocciole
o Astarotche nel cavallo stette
e sotto un besso gittò tante gocciole;
non Oratàsquel che i pippion ci dètte
tanto ben par che sue parole snocciole;
ed Aldighier lasciò tutto dolente
e cominciò a parlar discretamente:

50.
Io vi perdonoio vo' con tutti pace
tanto m'aggrada vostra gagliardia;
e libero sia Gan come vi piace:
disposta son non vi far villania.
De' miei figliuolquantunque e' mi dispiace
altra vendetta non vo' che ne sia
se non che mai di qui non uscirete;
e fate tutti ciò che far sapete. -

51.
Era ciascun tutto maravigliato
e trasson di prigion sùbito Gano
ch'era in una citerna incarcerato
nell'acquain luogo molto oscuro e strano;
e come e' fu di prigion liberato
e' pose presto alla spada la mano
e vuol Creonta a ogni modo uccidere;
e finalmente e' la vedeva ridere.

52.
Orlando ed Ulivier si riprovorno
e gli altrise potessino ammazzalla
e molti colpi alla donna menorno:
ella ridevae 'l lor pensier pur falla.
Alcuna volta alla porta n'andorno:
quivi persona non era a guardalla;
ma per se stessacome ignun s'accosta
si riserrava ed apriva a sua posta.

53.
Dunque e' si reston pur drento al castello
ognun da questo error molto confuso.
Intanto Malagigi lor fratello
gittando l'arte un giorno come era uso
vide e conobbe finalmente quello
come Rinaldo suo si sta rinchiuso
e che questo è per forza di malia;
e sùbito a Guicciardo lo dicìa;

54.
ed a Parigi presto 'Astolfo scrisse
che sùbito venissi a Montalbano.
Astolfo per camin tosto si misse
tanto che tocca a Malgigi la mano;
quale ogni cosa di punto gli disse;
ed accordârsi tutti a mano a mano
GuicciardoAlardoire a trovar costoro;
per la qual cosa Antea volle ir con loro

55.
dicendo: "Io rivedrò Rinaldo mio".
E poi che molti giorni sono andati
anzi volati come fa il disio
tre cavalier pagani hanno scontrati
e salutârsi nel nome di Dio.
L'un di costorcome e' si son trovati
guardava pur d'Astolfo il suo cavallo
e non si vergognò di domandallo.

56.
Era chiamato il saracin Liombruno
nipote di Marsilio re di Spagna;
e dice: - Mai caval non vidi alcuno
che non avessi in sé qualche magagna;
salvo ch'io n'ho pure oggi veduto uno
e 'ntendo che con meco si rimagna. -
Diceva Astolfo: - Odi pensier fallace!
Quanto più il loditanto più mi piace. -

57.
Ecco ch'ognun questo caval vorrebbe!
- Ah- disse Lïombrun - tu non vuoi intendere! -
Diceva Astolfo: - E chi t'intenderebbe? -
Disse il pagan: - Chi ti facessi scendere. -
Rispose Astolfo: - Più di me potrebbe.
- O s' tu nol vuoi giucardonar né vendere
vo' che tu l'abbi con la lancia in mano:
prendi del campo allor - disse il pagano.

58.

Sanza più dirrivoltati i cavalli
abbassaron le lance con gran fretta;
maperché la sua regola non falli
Astolfo si trovò sopra l'erbetta
tra mille odori e fior vermigli e gialli.
Alardo che 'l vedea: - Sia maladetta-
diceva - Astolfola tua codardia!
Mai più cadestiper la fede mia! -

59.
Lïombruno il caval voleva allora.
Alardo disse: - Io il credo tu il torresti.
E' ci è di molta via sassosa ancora:
vedi che non se' ocae beccheresti.
E' ti convien con meco giostrare ora
e s' tu m'abbattivo' che tuo si resti;
ma non istimo come lui cadere
ch'io non ismonto prima ch'a l'ostiere. -

60.
Lïombrun disse: - Tu fai villania
ma non la stimo perch'io non ti prezzo.
Veggiàn come tu smonti all'osteria:
tu ne potresti scender prima un pezzo.
Piglia del campoe disfidato sia
ch'io so di chi sarà il caval da sezzo. -
Alardo si voltò sì destro e snello
che ben parea di Rinaldo fratello.

61.
Ah!disse Anteae' si conosce bene
la prodezza del sangue di Chiarmonte!.
Or ecco Lïombrun che innanzi viene
e con le lance si truovono a fronte;
ma il saracin d'Alardo non sostiene
il colpoch'egli arìa passato un monte:
la lancia gli trapassa il cor pel mezzo
e morto cadde tra' fioretti al rezzo.

62.
Diceva l'un coll'altro suo compagno:
- Questo sarebbe troppo a' paladini:
qui è poca civanza e men guadagno;
costor non son per certo saracini:
e' sarà buon mostrar loro il calcagno
e ritornarci ne' nostri confini. -
E fecion come e' disson tosto e netto
però che tolson sù presto il sacchetto.

63.
Astolfo si tenea vituperato
massimamente perché e' v'era Antea
e 'l me' ch'e' può del cader s'è scusato:
- Questo destrier ch'io cavalco- dicea
- da poco in qua è restio diventato:
mentre la lancia correr mi credea
mi dibattéperché e' giucò di schiena;
io mi lasciai cader giù per la pena. -

64.
Diceva Antea: - Che ti bisogna scusa?
Non ho io bene ogni cosa veduto?
E se tu fussi pur cascatoe' s'usa. -
Guicciardopoi che molto ebbe taciuto
non poté più tener la bocca chiusa
e disse: - Mai piùAstolfose' caduto:
questo caval si vorrebbe impiccare
che mille volte t'ha fatto cascare. -

65.
Malagigi tagliava le parole;
Astolfo sopra 'l suo caval rimonta.
Cavalcono alla luna tanto e al sole
che capitorno al castel di Creonta.
Malgigi certo incantocome e' suole
fece all'entrarché l'arte aveva pronta
e innanzi a tutti gli altri fa la scorta;
e dove e' giugnes'apriva ogni porta.

66.
Giunsono in piazzae l'abbracciate fanno;
non conosceva Aldighier Malagigi:
e' gli dicìen come trovato l'hanno
e che volevon menarlo a Parigi;
poi di Creonta tutto ciò che sanno.
Malgigi guarda i suoi brutti vestigi
e lei pur luie par piena d'angosce
che l'un diavolo ben l'altro conosce.

67.
Dicea Malgigi: - Io ero a Montalbano
e vidivi qua tutti in gran periglio
e mandai per Astolfo a mano a mano
e d'aiutarvi facemo consiglio. -
Rinaldo intanto tenea per la mano
Anteache 'l volto avea tutto vermiglio
e sente amaro e dolce e freddo e caldo
e non si sazia di guatar Rinaldo.

68.

Perché intendiate- seguitava poi
Malgigi - e' ci sarà da far pur molto
disse colui che non ferrava i buoi
ma l'ochee già lo 'ncastro aveva tolto.
Questa crudel con certi incanti suoi
(diciàn più pianch'io la veggo in ascolto)
ha fatta certa imagine di cera
come colei c'ha l'arte tutta intera;

69.
e 'n certa parte sta di quel palagio
ed un dragone appresso v'è a guardalla.
Tanto è che più di lei sarò malvagio;
ma questa donna bisogna piglialla
e tenerla qui tantoch'a bell'agio
io possa questa imagine guastalla;
e nel guastar questa figura orribile
vedrete a costei far cose terribile.

70.
Rinaldo sol con meco ne verrà
ché mi bisogna un compagno menare
e con la spada il dragone uccidrà.
Or oltretempo non è qui da stare. -
Orlando inverso Creonta ne va
che cominciava gli occhi a sfavillare
e far certe carattere già in terra;
ed Ulivieri e gli altri ognun l'afferra.

71.
A gran fatica tener la potiéno:
ella mettea talvolta certe strida
che par che dello inferno proprio siéno.
Malgigi intanto Rinaldo sù guida
dove getta il dragon fuoco e veleno
e dice quanto può presto l'uccida.
Rinaldosanza fargli altra risposta
a quel dragon con Frusberta s'accosta.

72.
Non domandar come il drago si cruccia
ecome e' vide Rinaldosi rizza.
Rinaldo trassee la spada gli smuccia
al collotal che gli cava la stizza;
ch'appena sol si tenev'a la buccia
tanto che poco la coda più guizza:
dunque Rinaldo è quel ch'uccise il drago
e fe' di sangue e di veleno un lago.

73.
Malgigi a quella imagine s'accosta
ch'era fatta di cera pura e bella
delle prime apemolto ben composta
sotto costellazion d'alcuna stella
con tutti i membri insino a una costa;
e sopra il destro piè si posa quella
sospeso avendo la sinistra gamba
di scorciostranaorribiltorta e stramba.

74.
La faccia aveva sopra tutto fiera.
Malgigiche sapea di punto il giuoco
fece per arteche l'aveva vera
presto apparire un gran lampo di fuoco
che s'appiccò di tratto a quella cera
e struggela e consuma a poco a poco.
E mentre che così la cera scema
l'aria e la terra ed ogni cosa triema.

75.
Rinaldo più d'un tratto s'è riscosso
per la paura che gli entrò nel cuore;
Malgigi gli facea sigilli addosso
e disse: - Non aver di ciò timore;
fa' che per nulla tu non ti sia mosso:
vedrai che presto cesserà il furore. -
Ma in questo che l'imagin si struggea
mirabil cose la donna facea:

76.
ella si storcerannicchia e raggruppa
poi si distende come serpe o bisce
poi si raccoglie e tutta s'avviluppa;
ella si graffia e percuote e stridisce;
e tutta l'aria in un tratto s'inzuppa
di piogge e venti e co' tuoni squittisce
e grandine e tempeste e 'ncendii e furie
cominciono apparir con triste agurie.

77.
Orlandobenché ognuno abbi paura
ed Ulivieri e gli altri tenien forte
coleiche si divora per l'arsura
ch'a poco a poco la conduce a morte:
come si distruggea quella figura
tanto che tosto aperte fien le porte
parea ch'a forza l'anima si svella
e come Meleagro ardessi quella.

78.

E finalmente morta si distende
come fu quella imagine distrutta.
Allor Malgigi del palagio scende
e l'aria rischiarata era già tutta;
e ciascun grazia a Malagigi rende
che spenta ha questa cosa così brutta
e liberati da tormento e affanno.
Ed alcun giorno a riposarsi stanno.

79.
Un dì non si poté tenere Alardo
che non dicessi come il fatto era ito
d'Astolfoche facea sì del gagliardo.
Rinaldoquando questo ebbe sentito
lo dileggiava e chiamaval codardo;
tanto ch'Astolfo si tenne schernito
e per isdegno e per grand'ira caldo
trasse la spada per dare a Rinaldo.

80.
Rinaldo si scostò dicendo: - Matto!
che vuoi tu fare? Io intendo riguardarti
com'io t'ho riguardato più d'un tratto;
ma da qui innanzi di questo atto guârti. -
Orlando gli dispiacque questo fatto
e disse con Rinaldo: - Tu ti parti
per Diodalla ragionch'Astolfo nostro
più che fratello amor sempre ci ha mostro. -

81.
E mancò poco che non l'appiccava
Orlando con Rinaldola schermaglia;
se non che pur Rinaldo si chetava
ché saquando e' s'adiraquel che e' vaglia.
Astolfo tanto di ciò s'infiammava
che in qua ed in là come un leon si scaglia;
e dipartissi la seguente notte
e tutte loro imprese ha guaste e rotte.

82.
Però noi non facciam mai ignun disegno
ch'un altro non ne faccia la Fortuna;
e dà sempre nel brocco a mezzo il segno
sanza pietàsanza ragione alcuna.
Questa persegue i buon perché gli ha a sdegno
insin che v'è delle barbe solo una;
e fa de' matti savi e i savi matti
e chi prestar vorrebbech'egli accatti.

83.
Astolfo va per un luogo deserto
di quadi làcome avvien gli smarriti.
Era di notte: un lume s'è scoperto
dove abitavan tre santi romiti
ch'avien più tempo disagio sofferto
per riposarsi agli etterni conviti;
Astolfocome vide il lumicino
sùbito inverso quel prese il cammino.

84.
Giunto a' romitila porta bussava
e ricettato fu nel romitoro.
La notte certi pagan v'arrivava
e 'mbavagliorno e ruborno costoro;
e perché pure il bottin magro andava
d'Astolfo anco il caval vollon con loro.
Astolfo si destava: essendo desto
di questo caso s'accorgeva presto;

85.
e sciolti que' romiti e sbavagliati
e' domandò donde e' preson la via
color che gli hanno così mal trattati.
Un di costoro 'Astolfo rispondia:
- Lasciagli andarche saran ben pagati
de' lor peccati e d'ogni colpa ria
da quel Signor che etterno ha stabilito
che 'l ben sia ristorato e 'l mal punito.

86.
Questi son rubator che sempre stanno
per questi boschie son gente bestiale
ed altra volta già rubati ci hanno;
ma non ci manca il pane celestiale
e sempre ci ristora d'ogni danno.
Se gli trovassie' ti potrien far male:
lasciagli andarché Iddio ragguaglia tutto
e rende a' servi suoi merito e frutto. -

87.
Rispose Astolfo: - A cotesta mercede
non intend'io di star del mio destriere
ch'io so ch'io me n'andrei sanz'esso a piede
e 'l Signor vostro si staria a vedere.
Questa vostra speranza e questa fede
a me non dètte mai mangiar né bere:
io intendo ritrovare il mio cavallo
e farò forse lor caro costallo. -

88.

E missesi a cercar tantoche pure
e' gli trovò che sono in su 'n un prato
e stanno a riposarsi alle verzure;
e 'l caval si pascea così sellato;
avean chi lancechi spade e chi scure.
Astolfo a un di lor si fu accostato
gridando: - Traditorladron di strada! -
e 'nsino al mento gli cacciò la spada.

89.
L'altro gli mena con una giannetta:
Astolfo vede la punta venire
e con un colpo tagliò l'aste netta;
poi con un altro lo fece morire.
Addosso agli altri compagni si getta
tanto che tutti gli ha fatti stordire:
quattro n'uccide di dieci pagani;
agli altri il collo legava e le mani.

90.
E rimontò sopra 'l suo palafreno
e inverso il romitoro si tornava.
Quando i romiti i mascalzon vediéno
ognun d'Astolfo si maravigliava
e ringraziorno lo Iddio nazareno.
Astolfo a questi romiti parlava:
- Io vo' che voi impicchiate a ogni modo
questi ladron pien di malizia e frodo. -

91.
Dicevano i romiti: - Fratel nostro
Iddio non vuol che giustizia si faccia:
pertanto questo uficio si fia vostro. -
Diceva Astolfo: - Io credo ch'a Dio piaccia
più questo assai che dire il paternostro
se vero è che i cattivi gli dispiaccia.
Cavate fuor le cappe e fate presto
e tutti gli appiccate a un capresto. -

92.
Questi romiti fanno del vezzoso
e par ch'ognun di lor si raccapricci.
Astolfoch'era irato e dispettoso
comincia a bastonargli come micci
dicendo: - Al cul l'arà chi fia ghignoso! -
tanto che fuor balzorono i cilicci
sentendo fra Mazzon che scuote i panni
e parean tutti all'arte usi cent'anni.

93.
Astolfo se ne va pur poi soletto
per questa selvaove la via lo porta
sanza certo proposito o concetto.
Lasciallo andarche l'angiol gli sia scorta.
Orlando si recò questo in dispetto
ed una notte uscì fuor della porta
e vassene soletto di nascosto
ché ritrovare Astolfo avea disposto.

94.
Rinaldo alla sua vita mai non fue
peggio contento quanto a questa volta.
Diceva Antea: - Che facciàn noi qui piùe?
Ogni nostra speranza veggo tolta.
Io v'accomando al vostro Iddio Gesùe
e inverso Bambillona darò volta. -
Rinaldo e gli altri ognun presto dicìa
che gli volean far tutti compagnia.

95.
E piangon tutti quanti il conte Orlando:
e' ne 'ncresceva insino al traditore
di Ganellonee sempre lacrimando:
- Dove se' tu- dicea - mio car signore? -
E così giorno e notte cavalcando
avendo Orlando pur fitto nel core
a Bambillona condotta hanno Antea
che del suo mal più da presso piangea.

96.
Non v'ha trovato il suo misero padre
che lo lasciò contento e sì felice;
non vi rivede più l'usate squadre
e molte cose lamentabil dice.
Rinaldo con parole assai leggiadre
diceva: - Qui regina e imperatrice
ti lascerò della tua patria antica;
e so ch'Orlando vuol che così dica. -

97.
Adunque in Bambillona Antea si resta
e fu da tutto il popol vicitata
e non si potre' dir con quanta festa
da' cittadin costei fussi onorata;
e la corona real tiene in testa
e la città parea risuscitata.
Rinaldo si posò quivi alcun giorno
e tutti insieme poi s'accomiatorno.

98.

E con molti sospir cercando vanno
se potessin trovar per Pagania
Orlandoe dove e' cerchin già non sanno.
A Monaca n'andâr di compagnia
e Greco e Chiarïon qui trovato hanno:
e domandâr quel che d'Orlando sia;
Rinaldo rispondea che 'l suo fratello
si partì per disdegno dal castello.

99.
Molto di questo Greco e Chiarïone
si dolfonoe così la damigella;
e mandono spiando assai persone
per le cittàper ville e per castella
se si trovassi il figliuol di Mellone;
né altro mai che di lui si favella;
e Greco e Chiarïon molto onoravano
Rinaldo e gli altriperché assai gli amavano.

100.
Così con Chiarïon lasciamo un poco
in Monaca costoro a riposare.
Astolfo andava d'uno in altro loco
sanza saper dove egli abbia arrivare
come falcon che s'è levato a giuoco
ed ha disposto paese vagare
e non tornare al suo signor più a segno
come spesso addivien per qualche sdegno.

101.
Così faceva il nostro paladino
tanto che in Barberia già si ritruova;
dove era una città d'un saracino
ch'avea trovata una sua fede nuova:
non crede in Cristonon in Apollino
non Macometto o Trivigante appruova
anzi adorar fa séch'era gigante
molto superboe detto Chiaristante.

102.
E la città Corniglia si dicea
e Filiberta si chiama la moglie:
dipinti questi due nella moschea
erano iddiie 'l popol quivi accoglie
e per paura adorar si facea.
Volea cavarsi tutte le sue voglie
e virgine ogni dì per forza prende;
poi le metteva ove il buon vin si vende.

103.
Avea già fatte tante crudeltade
che tutto il regno suo l'odiava a morte.
Astolfocapitando alla cittade
dismonta a un ostier fuor delle porte
e 'ntese da costui la veritade
come il signor governava sua corte
con tanta infamiaingiustizia e vergogna;
e riposossiperché e' gli bisogna.

104.
Or non lasciàn però per sempre Orlando.
E' si partì donde morì Creonta;
a que' romiti venìa capitando
dove alcun ghiotto i buon bocconi sconta.
Un de' romiti gli vien raccontando
di que' ladronie la storia avea pronta
come impiccar gli fece un cavaliere
perché gli avevon rubato il destriere.

105.
Ma e' si dolieno ancor delle mazzate
ch'Astolfo aveva lor le schiene rotte
un poco le schiavine rassettate;
ma de' ladron che rimisson le dotte
lo ringraziavon per la sua bontate.
Orlando si posò quivi la notte
e fece carità di quel che v'era
il me' che può co' romiti la sera.

106.
E poi ch'ognun di lor fu addormentato
l'angiol di Dio apparve in visïone
a un romitoed hallo salutato
dicendo: - Sappi che questo barone
è il conte Orlandoch'avete albergato:
fategli onorch'egli è il nostro campione.
Quel che impiccò colorfu il suo cugino
chiamato Astolfoun altro paladino. -

107.
E 'l simigliante a Orlando apparì
l'angiol dicendo: - Orlandoche farai?
Sappi ch'Astolfo tuo capitò qui
e presto sano e salvo il troverrai
non passerà da ora il sesto dì;
che domattina di qui partirai.
Non ti dolereo baron giusto e pio
come tu faiche ciò non piace a Dio. -

108.

Orlando la mattinarisentito
sùbito a Vegliantin mette la sella.
Intanto a lui ne veniva il romito
e dicegli dell'angiol la novella
sì come in visïon gli era apparito
mentre ch'e' si dormia nella sua cella;
e molta reverenzia gli facìa.
Orlando l'abbracciòpoi si partia;

109.
e dirizzossi giù per un vallone
dove ha trovato un orribil serpente
che s'azzuffava con un bel grifone.
Orlando a questo fatto pose mente
e piacegli veder la lor quistione;
ma quel grifone alfin resta perdente
perché il serpente gli avvolge la coda
un tratto al collo e con esso l'annoda.

110.
Parve il grifone a Orlando sì bello
e mai più forse non n'avea veduto
che terminò d'aiutar questo uccello;
e con un ramo di faggio fronduto
dètte al serpentee liberato ha quello
e 'l suo nimico giù morto è caduto:
donde il grifon ne va per l'aria a volo
Orlando al suo camin pensoso e solo.

111.
Poco più oltre quattro gran lïoni
trovavae Vegliantin tutto è aombrato
quando ha veduti questi compagnoni.
L'uno a Orlando ne vien difilato
apre la bocca e distende gli unghioni.
Orlando Durlindana nel costato
gli cacciò tuttafuor che l'elsa e 'l pome.
Gli altri l'assalton non ti dico come.

112.
Orlando i colpi allor misura e 'nsala
però ch'a mal partito si vedea.
Ecco il grifon che per l'aria giù cala
con tal furor che non si conoscea
se fussi un ventooppure uccel con l'ala;
ed un lïon che più pressa facea
al conte Orlandocogli unghion ghermia
agli occhital che schizzar gliel' facìa.

113.
Questo lïon dalla zuffa si spicca.
Orlando un altro col brando n'uccide;
e poi col quarto il grifon si rappicca
per aiutar Orlandoe in aria stride;
e poi in un tratto gli artigli gli ficca
nel capoe strinse insin che morto il vide
ché gli cacciò gli unghion fino al cervello:
adunque buono amico è questo uccello.

114.
Non si perde servigio mai nessuno:
servi qualunquee non guardar chi sia
dice il proverbio; e s' tu disservi alcuno
pensa che a tempo la vendetta fia;
ma semina tra' sassi o sotto il pruno
sempre germuglia alfin la cortesia;
e noti ognun la favola d'Isopo
che il lïone ebbe bisogno d'un topo.

115.
Vuolsi servire insino agli animali
ché qualche volta merito si rende
come dicono i Detti de' morali
e fassi schiavo chi il servigio prende;
e tanto è degno piùquanto più vali:
sempre il servigio il cuor d'amor raccende
e vien da generoso animo e magno
e torna alfine a casa con guadagno.

116.
Quel lïon cieco il grifon non l'offese
per gentilezzae così fece Orlando;
e finalmente le grande ale stese
e dipartissi per l'aria volando;
e così il suo camino Orlando prese
Astolfo pure all'usato cercando.
E cavalcando giorno e notte questo
giunse a Cornigliaabbrevïando il testo.

117.
E dismontato a un oste pagano
attese Vegliantino a ristorare
ch'era più giorni per coste e per piano
andatoed apparato a digiunare.
Or lasciàn riposarlo lieto e sano:
'Astolfo ci bisogna ritornare
che col suo oste fuor della cittate
si stavae molte cose ha ragionate.

118.

Videl turbato un dì tutto nel volto
e la cagion di ciò volle sapere;
e' gliele disse sanza pregar molto:
che 'l signor vuol la sua figlia tenere
se non che gli sarà l'albergo tolto
con essa insiemee la vita e l'avere;
ma che più tosto morire è contento
che ubbidir questo comandamento;

119.
e la figliuola di sua mano uccidere
innanzi che veder tanta vergogna
che si sentia di duolo il cor dividere.
Astolfo disse: - Questo non bisogna:
forse ch'ancor di ciò potresti ridere.
Or manda a Chiaristante a dir se sogna;
o se ci manda più suo messaggiero
fa' ch'io lo veggae lascia a me il pensiero. -

120.
Ben sai che Chiaristante non soggiorna:
a mano a mano un messo gli raccocca.
Disse l'ostiere: - Il messaggier ritorna. -
Rispose Astolfo: - Non ci aprir tu bocca. -
Costui dicea che la fanciulla adorna
si mandi a corte prestoe pur ritocca.
Astolfo allo scudier quivi s'accosta
e disse: - Io ti farò per lui risposta.

121.
Rispondi in questo modo a Chiaristante:
che 'l popol suo l'ha troppo comportato
ma che e' potrebbe farne tante e tante
che d'ogni cosa sarà poi purgato.
Non si dice altro per tutto Levante
se non di questo tristo scelerato:
guarda con quanta faccia pur sollecita
come se fussi qualche cosa lecita! -

122.
Quel messaggio le stimite faceva
e dice: - Tu debbi esser qualche pazzo. -
Astolfo un'altra volta gli diceva:
- Ritornati al signordicoal palazzo. -
L'oste si tacque e nulla rispondeva.
Disse colui: - La cosa va di guazzo:
questo poltron riprende il signor nostro!
Lascia ch'io tornie fiagli l'error mostro. -

123.
Vanne al signor come un gatto arrostito
sùbitoe 'nginocchiossi il damigello
e dice ciò ch'egli aveva sentito.
Disse il signor: - Chi fia quel ladroncello?
E' sarà qualche matto che è smarrito.
Ma l'oste non rispose nulla a quello? -
Disse il sergente: - E' s'intendea con lui;
e non mi pare un matto anco costui. -

124.
Rispose Chiaristante: - Or torna tosto;
digli che vengan lui e l'oste a me.
Ma e' si sarà o fuggito o nascosto. -
Dicea il messaggio: - Non fiaper mia fé
fuggitoin modo ti dico ha risposto. -
Astolfo stava armato e sopra sé
e disperato va cercando guerra.
E 'ntanto il messo torna dalla terra

125.
e dice: - Tu che rispondesti dianzi
dice il signor che l'oste e tu vegnate
a corte presto: avvïatevi innanzi. -
E vuògli mandar fuor con le granate.
Rispose Astolfo: - Acciò che tempo avanzi
di' al signor m'aspetti alla cittate
se meco vuol provarsi; e digli come
se e' nol sapessiGallïano ho nome;

126.
e ch'io farò forse costargli caro
questa imbasciatae vengo ora a trovallo. -
Il messo torna con un viso amaro
e disse: - E' viene a trovarvi a cavallo
e dice è Gallïanper farti chiaro
e mi faceva paura a guardallo;
e che se voi volete la donzella
la vuol con voi giostrar sopra la sella. -

127.
A Chiaristante parve il fatto strano
e disse: - Di' che venga in su la piazza
a ritrovarmi questo Gallïano
o vuol con lancia o con ispada o mazza:
vedrén chi fia questo poltron villano
ch'io non intendo questa cosa pazza. -
Il messo 'Astolfo all'ostier ritornòe.
Astolfo armato alla terra n'andòe.

128.

L'oste gli pare Astolfo uom molto degno
e dice: "Forse Iddio l'ha qui mandato.
Ma sia chi vuolch'io vo' con questo sdegno
morirpiù tosto che essere sforzato";
e disse: - Va'Macon sia tuo sostegno. -
Astolfo in su la piazza è capitato
ed ognun corre a vedere il giostrante;
e in questo tempo s'arma Chiaristante.

129.
Orlandoche sentito ha già il romore
come in piazza era venuto un guerriere
il qual provar si volea col signore
presto s'armò per andare a vedere.
Ma l'ostier suoper non pigliare errore
volle che pegno lasciassi il destriere
ché non istà degli scotti alla fede;
poi gliene increbbe veggendolo a piede

130.
e disse: - Tornae 'l caval tuo ne mena
come persona libera e discreta. -
Orlando scoppia di duolo e di pena
ché da pagar non aveva moneta
e Vegliantin non si reggeva appena;
questo gli fa tener la bocca cheta:
non gli par tempo a contender gli scotti
e disse: - Per Maconristorerotti! -;

131.
che solea sempre dar bastoni o spade
all'ostequando i danar gli mancavano.
Mentre ch'Orlando va per la cittade
e fanciulli a diletto il dileggiavano
ché Vegliantino a ogni passo cade
e le risa ogni volta si levavano
dicendo insin che in su la piazza è giunto:
- Chi è questo uccellaccio così spunto?

132.
Questo caval bisogno are' d'un maggio
che fussi almeno un annonon un mese. -
Orlando se n'andava a suo vïaggio
e ciò che si dicea per tutto intese
però che e' sapea bene ogni linguaggio.
Un saracin per la briglia lo prese
come alcun si diletta di far male
e sfibbia a Vegliantino il barbazzale

133.
e per ischerno gli trasse la briglia.
Orlando non poté sofferir più
e con un pugno la gota e le ciglia
e 'l naso e gli occhi gli cacciava giù:
ognun che 'l vide n'avea maraviglia
ché mai tal pugno veduto non fu;
poi scese in terra di disdegno pieno
e racconciava a Vegliantino il freno.

134.
Coluich'avea del viso forse il terzo
trasse la spada ch'aveva a' galloni
però che questo non gli pare scherzo.
Orlando lo diserta co' punzoni:
pensa ches'egli avessi avuto il berzo
morto l'arebbe con due rugioloni;
un tratto nella tempia un glien' accocca
che gli facea il cervello uscir per bocca.

135.
E risaltò di netto in sul cavallo
sanza staffa operarcon l'armadura
tanto ch'ognuno stupiva a guardallo
e scostasi dallato per paura.
Intanto Chiaristante viene al ballo
e se saprà ballar porrenvi cura.
Astolfo lo minaccia e svergognava
e poi si scosta e del campo pigliava

136.
e l'uno e l'altro sollecita e sprona.
Il saracino Astolfo riscontrava:
l'aste non ressebenché fussi buona;
quella d'Astolfo non si dicrollava
e tutto il petto al saracino intruona
tanto che nulla lo scudo approdava
e pose lui e 'l cavallo a giacere
ed una staffa perdé nel cadere.

137.
Poi si rizzòlui e 'l destriersù presto.
Diceva Astolfo: - Tu se' mio prigione. -
Disse il pagano: - E' non sarebbe onesto
ché fu difetto del caval rozzone. -
Rispose Astolfo: - E chi giudica questo?
- Colui ch'uccise un qua con un punzone -
disse il paganch'Orlando avea veduto
e molto gli era quell'atto piaciuto.

138.

Rispose Astolfo: - Sia quel delle pugna. -
Orlando dètte a Chiaristante il torto.
Disse il pagan: - Tedesco pien di sugna
vedi tu ch'io non t'avevo ben scorto
che dèi succiar più vin ch'acqua la spugna.
Io veggo ben che tu mi guati torto:
non fu mai guercio di malizia netto
ch'io ti conosco insin drento all'elmetto. -

139.
Rispose Orlando: - Tu mi domandasti:
non vuoi tu ch'io risponda al parer mio?
Tu sai che l'una staffa abandonasti:
ognun giudicherà come ho fatto io.
Ma s'a tuo modopagannon cascasti
e di cader di nuovo hai pur disio
così cattivo e guercio come hai detto
con teco giosterròper Macometto!

140.
Vero è che 'l mio cavalcome ognun vede
è molto magro e stracco e ricaduto;
ma noi possiam provar le spade a piede. -
Rispose Astolfo - Questo è ben dovuto! -
e quelche fussi Orlandomai non crede.
Orlando avea ben lui già conosciuto
ma perché e' parla come saracino
non si conosce lui né Vegliantino.

141.
E se tu vuoi ch'io ti presti il cavallo-
diceva Astolfo - io son molto contento. -
Rispose il saracin: - Se vuoi accettallo
noi proverren questo tuo ardimento
da poi che m'ha invitato un vil vassallo
che de' tuoi par ne vo' dintorno cento. -
Rispose Orlando: - E' basterà forse uno. -
Tanto è ch'e' preson del campo ciascuno.

142.
Chiaristante credette un uom di paglia
trovarche si lasciassi il mantel tòrre
e con gran furia par ch'Orlando assaglia;
e ruppe la sua lancia in una torre.
Orlando gli passò corazza e maglia
d'un colpo che non fe' mai tale Ettorre
ch'arebbe ben passato una giraffa;
e non si disputò più della staffa.

143.
Come caduto fu giù Chiaristante
disse: - Baronper grazia ti domando
chi tu ti siacristiano o affricante
il nome tuo mi venga palesando.
Io tolsi a un signor qua di Levante
ch'andato è per lo mar poi tapinando
Greco appellatodi buona dottrina
questa città per forza e per rapina.

144.
Credo ch'io muoia per questo peccato
ché così vuol la divina giustizia;
e Macometto è quel che t'ha mandato
per punir questo ed ogni mia tristizia. -
Orlando del cavallo è dismontato
e 'l popol pieno intorno è di letizia;
e disse nell'orecchio al saracino:
- Sappi ch'io sono Orlando paladino. -

145.
Rispose Chiaristante: - Io ti perdono
da poi ches'io dovevo pur morire
dal più franco guerrier del mondo sono
ucciso... - e non poté più oltre dire.
Il popol si levò tutto a un tuono
come e' fu mortoquel corpo a schernire
e non pareva ignun contento o sazio
se non faceva di lui qualche strazio:

146.
chi gli mordeva il braccio e chi le mani
chi lo pelavachi il petto gli straccia:
pareva una lepretta in mezzo a' cani
come veggiam talvolta presa a caccia;
così mordean costui questi pagani:
chi lo calpesta e chi gli sputa in faccia
dicendo: - Ora è venuta l'ora e 'l punto
che 'l tuo peccato t'hatraditorgiunto.

147.
Ecco che tu non hai goduto il regno
che tu togliesti al signor nostro antico
ch'andato è per lo mar con un sol legno
già tanto tempo povero e mendico. -
Or vedi quanta forza ha il giusto sdegno!
Guardisi ognun da popol suo nimico
ch'io credo che sia pur più sù che 'l tetto
Chi vede e 'ntende ogni nostro concetto.

148.

Poi si levò fra tutti un gran romore
e fu levato da caval di peso
Orlandoe volean pur farlo signore.
Orlando quanto può s'è vilipeso
dicendo: - Io non sono uom da tanto onore;
e questo cavalier v'ha lui difeso
che venne il primo a combattere al campo
poi mi prestò il caval per vostro scampo.

149.
Io non gli sarei buon drieto ragazzo. -
Adunque il duca Astolfo fu menato
e fatto lor signordrento al palazzo
e vuol con seco Orlando sempre allato;
e tutto lieto è questo popol pazzo
ed Astolfo è da tutti molto amato;
un'altra volta il crucifiggeranno
e chiameran crudel questo e tiranno.

150.
Tant'è che spesso è util disperarsi
e fassi per isdegno di gran cose.
Astolfo si sta ora a riposarsi
non va più per le selve aspre e nascose;
e non potea con Orlando saziarsi
di commendar sue opre alte e famose
e non conosce ancor chi sia costui
e parla tuttavia con esso lui.

151.
Diceva Orlando: - Io voglio in cortesia
che tu mi dica se tu se' pagano
e 'l nome tuo. - Astolfo rispondia:
- Chiamar mi fo per tutto Gallïano
e nacqui di buon sangue in Barberia.
Cercato ho tutto 'l mondoil poggio e 'l piano
e 'nsino a qui poca ventura avuto;
se non che tu vedi or quel ch'è accaduto. -

152.
Orlando d'uno in altro ragionare
rïesce finalmente dove e' vuole;
comincia molto Orlando a biasimare
dicendo: - E' non è uom più sotto il sole
che come lui cercassi rovinare. -
Astolfo si turbava alle parole
e finalmente gli conchiuse questo:
ch'e' si partissi di sua corte presto.

153.
Orlando seguitò pure il suo detto
tanto ch'Astolfo tutto furïava;
per la qual cosa e' si cavò l'elmetto.
Astolfo d'allegrezza lacrimava;
e disson l'uno all'altro ogni suo effetto
dal dì ch'Astolfo con lor s'adirava
come eran capitati quivi e quando
baciando mille volte Astolfo Orlando.

154.
Orlando mandò poi per quello ostiere
che gli rendé il caval cortesemente:
di Chiaristante gli donò il destriere.
Astolfo all'oste suo similemente
e la fanciulla donò molto avere
ch'onorato l'avean sì lietamente;
e ringraziavon tutti di buon cuore
che Chiaristante è mortoil lor signore.

155.
Astolfo facea lor larga l'offerta.
Or lasceremo Astolfo e 'l suo fratello
e ritorniamo un poco a Filiberta
ch'era fuggita a un certo castello.
Essendo un dì la porta in bando aperta
due pellegrini entrati sono in quello
e dicon ch'a costei voglion parlare
e vanno Filiberta a vicitare

156.
e disson: - Donnafa' che tu sia saggia
e quel che ti fia detto intenda bene
ch'una parola in terra non ne caggia.
A tutti incresce di tue tante pene
e piangonne le fiere in ogni piaggia;
ma tutto questo in tuo aiuto non viene.
Per non tenertiFilibertaa tedio
pensato abbiam solamente un rimedio.

157.
Rinaldoquel cristian c'ha tanta fama
con UlivieriAlardo e Ricciardetto
e Gan cui traditore il mondo chiama
GuicciardoMalagigi ed un valletto
come e' si sianoi non sappiam la trama
a Monaca si truovano in effetto;
vanno pel mondoe sai quanto sien forti
e soglion dirizzar sempre ta' torti.

158.

Forse conoscon questo Gallïano.
Io me n'andrei a Rinaldoe ginocchione
direi di dargli la città in sua mano
se venissi a punir questo ghiottone:
egli è tanto gentilbenignoumano
e molto partigian della ragione
che ne verrà con la sua compagnia
e renderatti la tua signoria.

159.
E se bisognaaccoccala 'Apollino
e Macometto; e quel che noi diciamo
ché ogni cosa è per voler divino
pensa sanza cagion non lo facciamo:
non guardar più scudier che pellegrino:
amici antichi di tua stirpe siamo
forse ciriffi ch'andiam nella Mecche.
Questo ti dèe bastar. Salamalecche -

160.
E dipartîrsianzi spariti sono.
Filiberta restò maravigliata
e parvegli il consiglio di lor buono
tanto che infino a Monaca n'è andata;
ch'ogni speranza ha messa in abandono
e gioveràgli d'esser disperata
come avvien sempree che pensar bisogna:
chi cerca truovae chi si dorme sogna;

161.
e la Fortuna volentieri aiuta
come dice un proverbio ch'ognun sa
gli arditi sempree' timidi rifiuta.
Filiberta a Rinaldo se ne va
e volentier da tutti fu veduta
e raccontò la sua calamità;
e 'ncrebbe tanto di questa a Rinaldo
che della impresa par più di lei caldo.

162.
Grecoguardando Filiberta in volto
subitamente conosciuta ha quella
e grida: - Il regno mioche mi fu tolto
vedi che più nol tienio meschinella!
Né Chiaristante l'ha tenuto molto.
Andato son con la mia navicella
per molti marper lunghi e gravi errori
da poi ch'io son della mia patria fuori;

163.
e la ragione avuto ha poi pur loco.
Questo già non credette il tuo marito
di dimorar nel mio regno sì poco;
ch'e' si pensòquando e' l'ebbe rapito
signoreggiar la terra e l'aria e 'l fuoco
con sua superbiae del mare ogni lito
tanto che sai ch'adorar si facea
e 'l simulacro fe' nella moschea.

164.
E' si pensò di far come fe' Belo;
e' si pensò per sempre essere iddeo;
e' si pensò pigliar sù Giove e 'l cielo;
e' si pensò aver fatto Prometèo;
e' si pensò poter far caldo e gelo;
e' si pensò tòr fama a Campaneo;
e' si pensò di vincer la fortuna
e far tremare il solnon che la luna.

165.
La spada di lassù vedi che taglia
ma sempre a luogo e tempo e con misura:
ogni cosa di sopra si ragguaglia.
Ecco ch'io piansi della mia sciagura
ed or fortuna il tuo legno travaglia;
dunque cosa non ci è che sia sicura:
però non si vorria mai nulla a torto
massimamente in questo viver corto.

166.
La giustizia di Dio non può fallire;
dove tu vai ti verrà sempre appresso:
non l'hai potutomiserafuggire;
dove è il tuo scetro e la corona adesso? -
Rinaldo stupefatto sta a udire
e maraviglia n'avea seco stesso;
e Filiberta non risponde a Greco
ma del peccato antico piangea seco.

167.
Rinaldo non avea più questo inteso
che Greco fu di Corniglia signore;
non gli rispondementre il vide acceso
perché e' potessi sfogar tutto il core;
poi disse a Greco: - Chi t'ha tanto offeso
che si rinnuova tanto tuo dolore? -
Greco gli disse: - Io vo' che tu lo 'ntenda
acciò ch'ancor di me pietà ti prenda. -

168.

E dal principio ogni cosa dicea.
Disse Rinaldo: - Perché non l'hai detto
il primo giorno? - E costui rispondea:
- Non volli rinnovar tanto dispetto
che la Fortuna ingiurïosa e rea
non avessi di me questo diletto. -
Disse Rinaldo: - Or che la cosa ho intesa
tanto più volentier farò la 'mpresa.

169.
Vedi che pur tu non degeneravi
ché non si perdon gli antichi costumi:
e' si conosce i modi onesti e gravi
benché Fortuna la roba consumi
ché non ha questi sotto le sue chiavi
e non gli spegne il vento questi lumi:
per mille viein ogni opera nostra
dove fia gentilezza alfin si mostra. -

170.
E rispondeva a Filiberta allora
che sùbito verrà verso Corniglia
e che di lui si loderà ancora;
e con Gano e con gli altri si consiglia
che vi si debba andar sanza dimora;
e finalmente e' si truova la briglia
e tutti in compagnia sono a cavallo
che non ci misson di tempo intervallo.

171.
E cavalcorno tantoabbrevïando
che sono un giorno a Corniglia arrivati;
e mandon così a dirpur minacciando
'Astolfo come e' son diliberati
di render questa terra a suo comando
a Filibertacome suoi pregati;
e mille cavalieri hanno da guerra:
che in ogni modo volevon la terra.

172.
Astolfo e 'l conte Orlando rispondevano
che non avìen di lor gente paura
e che con giusto titol possedevano
e che verrebbon fuor delle lor mura
a provarsi con lorché non temevano
di lor minacce o di maschera scura;
come nell'altro cantar vi riserbo.
Guardivi Quello a chi presso era il Verbo.



CANTARE VENTESIMOSECONDO


1.
Sia benedetto il figliuol d'Israel
che fece cielo e terra e luna e sole
e poi mandò giù in terra Gabriel
tanto gl'increbbe della umana prole;
dintorno al quale è sempre Micael
e canta fra l'angeliche carole:
cosìper graziaetterno e giusto e santo
aiutaPadreil mio futuro canto.

2.
Era già il carro di Febo fra l'onde
dell'occeànoe va verso altra gente
se vero è purequando a noi s'asconde
e già la notte fuor nell'orïente;
quand'io lasciai Astolfoche risponde
al messo di Rinaldo iratamente
ovver pur finseper aver diletto;
poi se n'andorno Orlando e lui a letto.

3.
L'altra mattina Astolfo s'è armato
e dice con Orlando: - A spasso andiamo
dove Rinaldo fuor s'è accampato;
e vo' con lui quattro lance rompiamo. -
Orlando disse: - Io son sempre sellato.
Parmi mill'anni Rinaldo veggiamo. -
Usciron fuor della città armati
dove sapean color sono alloggiati.

4.
Rinaldo disse col suo Aldighieri:
- Colui che vien dinanzi è Gallïano;
quell'altro c'ha sì magro il suo destrieri
non so chi sia. Incontro loro andiano. -
Vanno costoroAlardo ed Ulivieri
Guicciardo e Malagigi e Greco e Gano;
e salutato in linguaggio francesco
Astolfo e 'l conte risposon moresco.

5.
Rinaldo cominciò prima a parlare:
- Se tu se' Gallïancom'io mi stimo
che Chiaristante facesti ammazzare
perch'io domandoa parlar sono il primo:
con che ragion puoi tu giustificare
e cominciam da sommo o vuoi da imo
che Chiaristante a ragion fussi morto?
Chi non conosce tu gli hai fatto torto?

6.
Ma lasciàn questo; la sua meschinella
Filiberta pel mondo spersa mandi:
dimmiche ha fatto o meritato quella?
Or vo' che sappipria che tu domandi
che la città con tutte sue castella
se tu non vuoi che questa lor comandi
anticamente son qui di costui
ed ogni cosa s'appartiene a lui.

7.
Da tutte parte tu non puoi tenere
questa cittàché la ragion non vuole;
e bench'io sia cristianpur pel dovere
mi muovo a questa impresaché mi duole.
Piglia del campo a tutto tuo piacere
e così sien finite le parole. -
Astolfo gli rispose: - Aspetta un poco
non ti partir sì tosto ancor da giuoco.

8.

Non si dic'egli: "Ascolta l'altra parte"?
Rinaldotu dèi aver poca faccenda
e vien' con certa astuzia e con certa arte
che tu non credi Gallïano intenda:
la lancia suol valer più che le carte.
Questa pietà non so donde ti prenda
se ciò non fussi per amor di dama:
questa fia la cagion che qua ti chiama.

9.
Tu non guardi cristiana o saracina
e Filiberta ha l'occhio del ramarro
e stata è sempre di buona cucina
e basta solo un cenno a far bazzarro.
Noi non temiàn tua gente malandrina
benché tu faccia viso di bizzarro.
Costui che Chiaristante ucciseor vedi
con teco giosterrà; forse nol credi? -

10.
Rispose Orlando: - Anzidi mezza notte
del letto n'uscireidico ben caldo.
Parole assaima poche lance rotte:
non credi tu ch'io conosca Rinaldo
e queste gente ch'egli ha qua condotte?
Ch'a Monaca ha raccolto ogni rubaldo
e stato là con Filiberta in tresca;
or vuol mostrar della ragion gl'incresca. -

11.
Or chi avessi Rinaldo veduto
e' non capea nell'arme per la stizza:
più volte inverso lor s'è dibattuto
come sparvier se la merla fuor guizza;
e rivoltò Baiardo e fece il muto
che gli occhi in testa per rabbia gli schizza:
non può parlar per l'ira che l'affolta.
Orlando a Vegliantin dètte la volta.

12.
E con le lance a ferir si tornorno.
Non domandar con che furia venìa
Rinaldoe l'aste agli scudi appiccorno;
ma non pensar che vantaggio vi sia:
rupponsi tuttee' destrier via volorno.
Rinaldo non poté la bizzarria
disfogar con la lancia: prese il brando
e ritornò per assalire Orlando.

13.
Orlando trasse Durlindana e grida:
- Può far però Macon che Filiberta
ami tantocuginche tu m'uccida? -
Rinaldo presto ritenne Frusberta
perché e' conobbe la voce alle strida
e Durlindana come e' l'ha scoperta;
ed abbracciar correa l'un l'altro presto.
Rinaldo dicea pur: - Può esser questo? -

14.
Sùbito tutti vanno alla cittate;
Astolfo nel palagio gli menava
e molte cose insieme hanno trattate
e quel che sia da far si disputava.
Così son trapassate più giornate.
Ecco Dodon ch'un dì quivi arrivava
e dètte a tutti presto ammirazione
dicendo: - Che novelle hai tuDodone? -

15.
Disse Dodon: - Cattive e dolorose -
e posesi a seder; poi lacrimando
diceva: - La Fortuna in tutte cose
poi che di corte ti partistiOrlando
con mille ingiurie palese e nascose
troppo vien Carlo tuo perseguitando;
ed ha scoccato a tempo or più che mai
la trappola; ogni cosa sentirai.

16.
Il gran Calavrïon della Montagna
fratel del Veglioil qual si dice è morto
passato è in Francia pel mezzo di Spagna
e dice che 'l fratel l'uccise a torto
un cavalier ch'è or di tua compagna;
ma che farà le vendette di corto.
Centoquaranta migliaia numerati
sono i pagan che con seco ha menati;

17.
ed ha menato un altro suo fratello
quale Archilagio si fa nominare
e molto conto là si fa di quello.
Pensa che Carlo non sa che si fare:
e' ti convien volar come un uccello.
E Montalban bisogna anco aiutare
ché e' v'è sessantamila cavalieri
e tutti Maganzesi e da Pontieri;

18.

e 'l capitan di tutti a Montalbano
al tuo piacerRinaldoè Grifonetto. -
Disse Rinaldo: - Alla barba miaGano
tu hai pur fatto a questa volta netto! -
Disse Dodone: - E' v'è drento Viviano. -
Rinaldo disse: - E' non v'è Ricciardetto! -
Dodon soggiunse: - E' v'è il franco Danese. -
Gan si turbò quando tal cosa intese;

19.
e rispose: - Di questo menti tu
Rinaldoch'io son nuovo a questo fatto:
quanto è che di prigion cavato fu'? -
Disse Rinaldo: - Tu non parli a matto.
Tu tel vorresti un giorno beccar sù
quel Montalbanoe fara'vi un bel tratto.
Ma sia che vuoleal dito leghera'ti
ch'io nacqui per punire i tuoi peccati.

20.
I' vo' giucar più oltre ch'uno scotto
che la venuta di Calavrïone
ogni cosa ha questo fellon condotto
non che di Montalbano e di Grifone. -
Diceva Orlando: - Tu se' troppo rotto;
e' non si vuol così chiamar fellone:
tu non sai ancor come la cosa stia
e siam pur tutti insieme in compagnia. -

21.
Gan s'appiccava alle parole allora
e diceva: - Rinaldotu se' uomo
ch'io non ti posso conoscere ancora;
ma 'l tempo ti farà cogli altri domo.
Di ciò che contro a me tu ti dica ora
io non te ne farei in su l'erba un tomo:
so che tu parli quel che ti vien detto
e basta solo a me di viver retto.

22.
Se i Maganzesi a Montalban saranno
io sarò il primo che gli vo' punire;
e Grifonettos'egli ha fatto inganno
con le mie mani il cuor gli vo' partire
però ch'a me questa vergogna fanno;
ed ho disposto insino al mio morire
esserti amico fedelgiusto e buono
ché tu sai ben s'obrigato ti sono.

23.
Non son più Gan che pel passato fui
che 'l tempo m'ha tarpate in modo l'ale
ch'io mi comincio accordare or con lui
però ch'io sono ogni giorno mortale;
e che poi altro se ne porta altrui
di questa vitase non bene e male?
Bene è cattiva frutta acerba e dura
quella che 'l tempo mai non la matura.

24.
Per quel ch'io ci abbi a star- dicea il fellone
- io lo vo' consumar quasi in vïaggi:
io ho al Sepolcro andarpoi al gran Barone
e così fare altri peregrinaggi:
io mi botai quand'io ero in prigione;
ben so ch'a Cristo ho fatto degli oltraggi
e sopra al capo m'è la penitenzia
dond'io n'ho in me vergogna e conscïenzia. -

25.
Disse Rinaldo: - Sì che tu hai vergogna!
Questo a gnun modo più tacer non posso.
Dehdimmi s'ella è cosa che si sogna;
vedi come tu se' nel viso rosso!
Con meco questo spender non bisogna:
tu m'hai benGanoscorto per uom grosso
e così m'hai trattato sempre mai.
Io ti conoscomio ser Bellesai;

26.
io gli ho per alfabeto i tuoi difetti.
Guarda chi ciurma con meco e mïagola!
Non ti bisogna meco bossoletti
ch'io non ne comperrei cento una fragola.
E veggo tuttavia tu ti rassetti:
che pensi tu mostrarmila mandragola?
Io ciurmerei piùGancon un sermento
che tu con le tue serpe. Or sia contento. -

27.
Diceva Astolfo: - Io non ti credoGano
ch'io so pur tu nascesti traditore:
e' non s'accorda il contro col sovrano
e molto più si discorda il tinore.
Lascia pur dire a lui di mano in mano
chi vuol còrre il bugiardo e 'l peccatore:
ecco costui che teme la vergogna
che salterebbe in aria a una gogna!

28.

Ecco la conscïenzia di Gioseffe
di Abraam colàd'Isac e di Giacobbe!
Ha fatto a Carlo mille inganni e beffe
tanto ch'egli è condotto un altro Giobbe;
ed or che trae pel dado e dice aleffe
dice ch'ancor Rinaldo mai cognobbe.
Fatto starebbe a cognoscer tetristo
distruggitor della fede di Cristo.

29.
Tu l'hai più volte che Giuda tradito:
ecco chi vuol parer buona persona!
Di Carlo non m'increscerimbambito
che sempre ogni segreto ti ragiona
e non s'accorge d'essere schernito
mentre che sente in capo la corona
e non si crede al cacio rimanere
se non sente la trappola cadere;

30.
ma m'incresce d'Orlando mio cugino
e d'Ulivierche ti credon ciascuno
che il lupo voglia andar per pellegrino
che di' c'hai fatto de' boti forse uno.
Se tu trovassi a caso un pecorino
torrestil tu? Sìforse per digiuno.
Tanto t'aiuti Iddio quant'iotel credo:
io non ti crederrei s' tu fussi il Credo.

31.
Così sia tu tagliato a pezzo a pezzo
come tu hai fatto questo tradimento:
e' non è il primoe sarà forse il sezzo.
Tu di' che se' maturo un poco a stento:
tu fusti il primo dì fracido e mézzo
di tradimenti; e s' tu se' mal contento
di questo fattoio credo che tu scoppi
non esser là per farla in cento doppi.

32.
Che dico io cento? In più di cento mila.
Non ti par forse a tuo modo ordinata?
Ma se vi manca a questa tela fila
tu n'hai pien la scarsella e la farsata
e tuttavia la mente ne compila
insin che fia fornita la ballata.
Vedrai che questo ancor ricorderotti:
andiamo in Franciae là gastigherotti;

33.
io t'ho a 'mpiccarribaldo rinnegato
come tu sai che me impiccar volesti. -
Orlandopoi che molto ebbe ascoltato
diceva 'Astolfo: - Ve' che lo dicesti:
tu ti se' pure a tuo modo sfogato;
io vo' che la quistione omai qui resti. -
Gan si dolevae non gli parea giuoco
ma ciò che dice è stuzzicare il fuoco.

34.
Fecion consiglio tutti di partire.
Rinaldo volle Filiberta sia
reinae 'l popol la debba ubbidire
e tenga in vita sua la signoria;
poi sia di Greco dopo il suo morire.
Greco partì con la sua compagnia
e fu contento; e Filiberta resta
con la corona del marito in testa.

35.
Rinaldo mai si vide sbigottito
alla sua vita quanto a questa volta;
e dice pur che Gan l'avea tradito
per faror che non v'era Orlandocòlta.
E così tutti hanno preso partito
pigliare in verso Parigi la volta;
e vanno giorno e notte alla stagliata
non creder sempre per la calpestata:

36.
per boschi e selvealla ricisaa stracca
donde e' credien raccortare il camino
come fa spesso la dolente vacca
ch'ode di lungi smarrito il boccino
e rami e sterpi ed ogni cosa fiacca
e mugghia insin che lo vede vicino:
così facìen costor per valle e piano
e sempre traditor gridano a Gano.

37.
Ma non si sono apposti già di questo
che colpa non ci avea ser Tuttesalle
e Malagigi il dicea manifesto.
Aspetta pur che sieno in Roncisvalle;
quantunque il tradimento fia per resto
perché la penitenzia arà alle spalle;
e Carlocome e buon tre volte e sciocchi
quando fia più che mortoaprirrà gli occhi:

38.

piangerà tardi il suo caro nipote
e pentirassi aver sempre creduto
a Ganellongraffiandosi le gote;
ma che val tardi l'essersi pentuto?
Lascia pur volger le volubil rote
a quella che nel Ciel tutto ha veduto
ed anco al traditor d'ogni fallenzia
serberà a tempo la sua penitenzia.

39.
Una città chiamata Villafranca
vidon costorche parea molto bella;
attraversornoch'era alla man manca
e finalmente passavan per quella:
gente parevon valorosa e franca
e quel signor Dilïante s'appella;
vide costor per la piazza passare
e fecegli invitar seco a mangiare

40.
perché brigata gli parea pur magna.
Rinaldo non volea rifiutar posta
tanto che tutti appannorno alla ragna:
feciono in sala a costui la risposta.
Nipote del Veglio è della Montagna
ardito e franco per piano e per costa;
e rispondeva a questi a' lor saluti:
- Voi siate in ogni modo i ben venuti.

41.
Chi siete voi? Dove siete avvïati? -
Orlando rispondea: - Degna Corona
noi siàn di nostra terra sbandeggiati
poi che 'l Soldan morì di Bambillona;
ché cavalier suoi fumoor siàn cacciati
e l'arme ne portiamo e la persona. -
Diceva Dilïante: - E' mi dispiace
ma d'ogni cosa alfin si vuol dar pace. -

42.
Posonsi insieme tutti a desinare.
Quivi era un buffoncelloun tale ignocco:
comincia con Rinaldo a motteggiare;
Rinaldo gli parea buffone sciocco
ed attendeva pure a pettinare;
e 'l signor ride di questo balocco;
tanto è che d'una in un'altra novella
e' chiese di Rinaldo la scodella.

43.
Rinaldo la scodella per sé vuole
e disse con Orlando: - Odi capocchio!
Sempre in ogni buon luogo aver si suole
questi buffoni all'ultimoal finocchio. -
Poi volse a Dilïante le parole
e pure alla scodella aveva l'occhio;
disse: - Io dicevo in linguaggio tedesco
che mi ragioni sparecchiato il desco. -

44.
Mangiava una scodella di tartufi
Rinaldobene acconcia in un guazzetto:
non si pensò che costui gliela grufi;
questo buffon gliela ciuffò di netto
e non si vuol calar perch'egli strufi;
e succialae la broda va in sul petto.
Rinaldo si crucciò con questo matto
di perder la profenda e di quell'atto:

45.
corsegli addosso come un bertuccione
e disse: - Io ti farò schizzar la micca:
tu se' pazzo malvagio e non buffone! -
ed una pèsca nel capo gli appicca
per modo che sel pose a' pie' boccone
che con l'orecchio una tempia gli spicca.
Donde il signor rizzossi iratamente
chécome savionon fu pazïente;

46.
e disse: - C'hai tu fattopoltoniere?
Dunque tu batti la famiglia mia?
È questa usanza di buon cavaliere?
Tu mi ristori della cortesia! -
Disse Rinaldo: - Io gli ho fatto il dovere. -
Orlando disse al fratel villania.
Rinaldo aveva alzata già la mano
per far come al buffone al re pagano.

47.
Dilïante ebbe infine pazïenzia
e disse: - Io vo' che in pace desiniamo;
poidesinatoper magnificenzia
che insieme in su la piazza ci proviamo
poi che tu m'hai sì poca reverenzia
e la pazzia del capo ci caviamo. -
Rinaldo rispondea: - Pur tosto all'aste!
Ch'aspettiam noi più quile pere guaste? -

48.

Disse il pagano: - Ogni volta fia tosto:
basta che di giostrar tu se' contento;
e' ci ha forse a venire ancor l'arrosto:
vo' che 'l convito anco abbi compimento
per riverenzia di que' ch'io ci ho posto. -
Diceva Orlando: - Alla giostra io consento
ch'io so che tu se' uom possente e magno;
né anco spiaceratti il mio compagno. -

49.
Come egli hanno mangiatoDilïante
sùbito allo scudier suo fece cenno
e tutte l'arme sue vennono avante;
e poi ch'armato si vide a suo senno
e' montò sopra un feroce afferrante
dicendo: - Sia mio il danno s'io mi spenno. -
Rinaldo in su Baiardo in piazza è armato
e Dilïante a morte l'ha sfidato.

50.
Preso del campo e ritornati indrieto
Rinaldo e Dilïante si rintoppa
e nel colpirsi ognun parve discreto;
ma la potenzia di Rinaldo è troppa
e parràgli più forte che l'aceto
al saracin: però che in su la groppa
si ritrovò rovescio al suo destriere
e fece di stran cenni di cadere.

51.
Rinaldo staffeggiò del piè sinestro;
e le lance per l'aria vanno in pezzi
e passan via i destrier come un balestro
come color ch'a l'arte sono avvezzi.
Rizzossi Dilïante alfin pur destro
e parvegli del caso anco aver vezzi;
e ritornato a Rinaldo di sùbito
disse: - Baronche tu sia Marte dubito:

52.
io non vidi mai uom correr me' lancia;
io non trovai mai uom tanto possente;
e' non si fe' mai colpo tale in Francia.
Dehdimmi il nome tuo cortesemente;
ché s' tu mi dessi omai nell'una guancia
io volgerò poi l'altra allegramente:
di tua prodezza innamorato sono
e ciò ch'è stato fra noi ti perdono. -

53.
Disse Rinaldo: - E più che volentieri:
sappi ch'io son Rinaldoe questo è Orlando
questo è GuicciardoAlardo ed Ulivieri
e questo è Ricciardettoal tuo comando;
questo è quel traditor Gan da Pontieri
(io vo talvolta la lingua accoccando);
questo è Dodonquest'altro è Malagigi
e questo Astolfo; e torniànci a Parigi.

54.
Quest'altro giovinetto è mio cugino
ed èssi nuovamente battezato;
non lo conosci: egli era saracino -;
ed Aldighier non ebbe ricordato.
Gan traditor gli pose l'occhiolino
ed ebbe il tradimento già pensato.
Diceva Dilïante: - A ogni modo
d'avervi fatto onorper Dione godo.

55.
Ma s'io non erronon se' tu colui
che uccidesti il gran Vegliomio zio? -
Disse Rinaldo: - Io fui mandato a lui
dal gran Soldan; ma poi non piacque a Dio
ch'io l'uccidessie gran suo amico fui
e battezza'lo e vendicai poi io:
uccisi chi l'ucciseun gran gigante;
dunque tu di' il contrarioDilïante. -

56.
Rispose Dilïante: - Assai m'incresce
che questo caso è stato male inteso
e veggo quanto mal di ciò rïesce
però che molto fuoco è in Francia acceso
per questo fattoe tuttavolta cresce:
Calavrïon di voi si tiene offeso
e con gran gente a Parigi n'è ito
com'io son certo ch'avete sentito. -

57.
In questo tempo si lieva un romore
che tutta la città sozzopra va
e tutto il popol fuggiva a furore.
Diceva Orlando: - Questo che sarà? -
Disse il pagan: - Non abbiate timore:
un lïone è che spesso così fa
e molta gente in questa terra ha morta
e spesso se ne vien drento alla porta.

58.

E duolmi ch'io ci ho colpa in questo fatto
tanto ch'io n'ho grande odio con costoro:
io allevai un lïon bianco un tratto
che mi parea gentilbenigno e soro;
e' si fuggìdond'io ne son disfatto
però che e' ci ha poi dato assai martoro:
a poco a poco la mia gente manca
e son segnato ancor della sua branca. -

59.
Rinaldo si vantò d'uccider questo
ché di vedere ognun fuggir gl'increbbe.
Disse il pagan: - Se tu farai cotesto
questa città per dio t'adorerebbe. -
Rinaldo raffermò di farloe presto:
se non che mai caval cavalcherebbe.
Era il lïon già della terra uscito
e 'n certo bosco ove e' si stava è ito.

60.
Rinaldo a questo bosco se n'andava
e molta gente drieto se gli avvia;
ma poi come Zaccheo s'innalberava
ognuncome al lïon presso giugnìa.
Vede Rinaldo questa fiera brava:
vennegli addosso a fargli villania.
Rinaldo del caval giù presto smonta
e con la spada col lïon s'affronta.

61.
Questo lïone a Baiardo si getta;
Rinaldo volle Baiardo aiutare;
ma quella bestia il colpo non aspetta
e poi in un tratto si vede scagliare:
Rinaldo abbraccia e dà sì grande stretta
che non si può con la spada aiutare;
allor Rinaldo Frusberta ricaccia
sùbito drento e quel lïone abbraccia;

62.
ed abbracciati l'un l'altro scoteva.
Questo lïon gli dètte in terra un botto
e sopra l'arme graffiava e mordeva;
Rinaldo un tratto ricaccia lui sotto
e per la gola il lïone strigneva.
E 'l popol tutto a vederlo è ridotto
e son di saracin pien gli arbucelli
tal che parevon mulacchie e stornelli.

63.
Rinaldo si scarmiglia col lïone;
ma poi che molto si fu voltolato
un tratto gli menò sì gran punzone
che 'l guanto tutto in man s'ha sgretolato:
pensa se 'l pugno leverà il moscone!
e 'l capo a questa bestia ha sfracellato
tanto che morto le gambe distese;
e tutto il popol con gran festa scese.

64.
Ritornossi Rinaldo alla cittate
ed ha drieto la ciurma de' pagani
fino alle donne in terra inginocchiate:
- Benedette ti sien - dicean - le mani! -
Eran per tutto le strade calcate;
era adorato da que' terrazzani
come Davitte Golia abbi morto:
così di quel lïon preson conforto.

65.
Dilïante ringrazia il paladino
dicendo: - Schiavo etterno ti saròe;
benedicati il nostro iddio Apollino!
Quando tu sai che il romor si levòe-
diceva questo savio saracino
- quel ch'io ti dissi ti replicheròe:
che mi doleva che in Francia sia guerra
poiché Calavrïon questo caso erra.

66.
Calavrïon si crede che 'l fratello
tu l'uccidessio tenessi al trattato
e sol per questo vendicar vuol quello
e non sa ben che tu l'hai vendicato.
S'io gli scrivessie' parre' tutto orpello;
guarda se quel ch'io dico è ben pensato:
io ti darò trentamila baroni
nelle battaglie ammaestrati e buoni;

67.
altro non ho se non la mia persona.
Or odi un poco un altro mio disegno:
il re Costanzo morì a Bambillona;
alla figliuola sua rimase il regno
ed ha gran gente sotto sua corona
che si son ritornati per disdegno
da Bambillonapoi ch' 'Antea la désti
però che molto mal trattava questi;

68.

e tutti soldo so cercando vanno.
Ulivala fanciullaè mia parente:
credo che tutti a mio modo faranno;
e s' tu non hai danar da soldar gente
io n'arò tanti che si pagheranno
che centomila sons'io ho bene a mente;
e so che 'l re Costanzo v'era amico
ché col Soldano avea grande odio antico. -

69.
Rinaldo assaporava le parole
del saracinche una non ne cade
e disse: - Dilïantea me sol duole
ch'a ringraziar tua tanta umanitade
sare' prima da noi partito il sole.
Ciò che tu di' mi par la veritade
e tempo è d'accettar quel c'hai promesso
e di mandare presto a Uliva un messo. -

70.
Diceva Orlando a Dilïante allora:
- Questa fanciulla ch'Uliva è chiamata
credo di noi ben si ricorda ancora;
perché tu intendaella fu via menata
uscendo un dì della sua terra fuora:
certi giganti l'avean trafugata;
noi gli uccidemo e liberamo quella
ch'era condotta malla meschinella

71.
e poi la rimenamo a casa al padre.
E 'l re Costanzo ne venne per questo
a Bambillona con tutte sue squadre
come tu saiché so c'hai inteso il resto;
e quanto le sue opre fur leggiadre
credo ch'a tutto il mondo è manifesto;
e la sua morte più ch'Uliva piansi;
e quel ch'io fe' nella penna rimansi.

72.
Io rimandai il suo corpo imbalsimato
con grande onorcosì di Spinellone:
non volli a' benefici essere ingrato;
ed anco uccisi il gigante ghiottone
ch'uccise luisì ch'io l'ho vendicato.
Mettasi al tuo consiglio essecuzione
e mandisi a Uliva adunque il messo. -
Disse Rinaldo: - Ed io sarò quel desso.

73.
Intanto qui la gente ordinerete;
e tuOrlandoa Parigi n'andrai
per ispannar qui di Gano ogni rete. -
Rispose Orlando: - A tuo senno farai;
credo per mar più presto vi sarete. -
Aldighier disse: - Anco me menerai. -
Rinaldo disse: - Io vo' sol Ricciardetto
GuicciardoAlardo. - E missesi in assetto;

74.
ed avvïossi inverso la marina.
Lasciàllo andarche Dio gli dia buon vento!
Orlando adopra ogni sua disciplina
di dare intanto al fatto compimento
ed ordina la gente saracina
e di partirsi fa provedimento.
Gano avea fisso nel mezzo del core
di far quel che poi feceil traditore;

75.
e come e' vide Rinaldo partito
un dì ch'Orlando da lui si dismaga
vedesi il campo libero e spedito
di tradimenti anzi è nel mar di Baga:
a Dilïante in camera n'è ito
e di parole cortese l'allaga;
disse: - Paganchi mi fa cortesia
non gli farei mai inganno o villania.

76.
Perché da te ben servito mi tegno
non posso far ch'io non ti dica il vero;
ed anco parte il farò per isdegno
ch'io voglio aprirti tutto il mio pensiero.
Ma la tua fede mi darai per pegno
se vuoi ch'io dica il fatto appunto intero:
tu giurerai nol dir per Macometto. -
Disse il pagano: - E così ti prometto.

77.
Or nota quel ch'io dicoDilïante:
Calavrïone in Francia è ito in fretta
e va sozzopra il Ponente e il Levante
per far del Veglio vostro la vendetta
al qual s'amico fuisa Trevigante;
e tal c'ha 'l fico in man ne cerca in vetta
e porterà di questo fatto pena
molti che ricordar l'udirno appena.

78.

E chi l'uccise bee col tuo bicchiere
e mangia sempre e dorme e parla teco
e come Giuda è teco a un tagliere
e nel catin tuo intignee tu se' cieco.
Pensai che tu fingessi non sapere:
quel cavalier ch'Orlando ha qui con seco
conoscil tu ancora o sai il suo nome
o volleti Rinaldo mai dir come?

79.
Di tutti gli altri sai ti disse appunto;
di costui tacque e trovò certa scusa:
Tu nol conoscidisseun mio congiunto
ed ebbeti la bocca così chiusa.
E' mi dispiace tu resti qui giunto
gonfiato come palla o cornamusa
e che tu creda così a Rinaldo
e non t'avvegga e' t'inganna il ribaldo.

80.
Or sappi ch'Aldighier costui si chiama.
Essendo un giorno a Monacagiostrando
uccise il Veglio tuo di tanta fama;
poi disse ch'era parente d'Orlando;
ed ordinorno la più sciocca trama
di legger certe lettere nel brando
le qual dicìeno in parlar saracino
come d'Orlando e Rinaldo è cugino.

81.
Questo credo io che sia la verità:
tanto è che questo inganno v'andò sotto;
e battezzossi e dètte la città
ché tutto avean per lettere condotto
mostrando di venircome si fa
per la vendetta far di Marïotto
ed avean prima questa tela ordita:
sì che il tuo Veglio vi misse la vita.

82.
Prima fece giostrarquesto fellone
di Rinaldoil fratello ed Ulivieri
e lascioron cadersi dell'arcione
che non soglion cader tal cavalieri;
tanto che 'l Veglio fu preso al boccone
e disfidossi con questo Aldighieri:
non lo stimò veggendol giovinetto;
tanto è che questo l'uccise in effetto.

83.
Rinaldo fu cattivo insino in fascia
e già per ammazzarlo andò in persona
e féllo a petizion d'una bagascia
Anteach'egli ha lasciata a Bambillona
perché e' non crede che vi sia più grascia:
guarda chi tien del Soldan la corona!
ma nol poté uccider con sua mano
però che 'l Veglio si fece cristiano.

84.
La nostra legge ciò non ci consente
chequando un si volessi battezzare
noi lo debbiamo uccider per nïente:
non sel potendo dinanzi levare
per questo ch'io ti dicoonestamente
e pure 'Antea volendo satisfare
condusselo alla mazza a questo inganno;
e' pesciolini a Monaca lo sanno.

85.
Però troppo mi son maravigliato
come voi siate stato in tanto errore
a creder ciò che Rinaldo ha parlato.
Or non bisogna insegnare al signore
massime avendo il nimico ingabbiato.
Io vi conforto a tutti fare onore
e sopra tutto a questo esser discreto:
che ciò ch'io ho dettotra noi sia segreto. -

86.
E dipartissi questo maladetto
e disse fra suo cuor: "S'io non son matto
credo che sgocciolato sia il barletto".
Dilïante rimase stupefatto
e fece sopra ciò più d'un concetto
come più netto rïuscissi il tratto
che rimanessi alla lasca la lontra;
ché ciò che Gan gli ha detto si riscontra.

87.
E come saviouna seracenando
disse cosìché è malizioso e tristo:
- Questo baron come si chiamaOrlando?
Forse che 'l nome ha ancor maümettisto? -
e poi più oltre venìa seguitando:
- Non disse nella cena il vostro Cristo:
Colui che meco nel catino intigne
mi dèe tradire, anzi ha tradito e figne? -

88.

Rispose Orlando: - Questo che vuol dire? -
Disse il pagan: - Sanza cagion nol dico.
Colui c'ha a farnon suol molto dormire
ma sempre investigar del suo nimico:
ben sapea ben chi ci dovea venire
ch'a Monaca e Corniglia ho qualche amico:
colui ch'uccise il Veglioquel gigante
mi par poco maggior che Dilïante.

89.
Ahcredi tuOrlandoch'io non sappi
per che cagione io v'abbi qui invitati
e quel che disse Rinaldo mi cappi?
E se di qui voi non fussi passati
egli eron ben più là tesi i calappi.
Voi siete nella trappola ingabbiati:
non uscirete mai di queste porte
s' a tutto il popol mio non date morte.

90.
E so che Gano è un quel c'ha tradito
tra questi il Veglio mio della Montagna.
E s'alcun tordo da me s'è fuggito
quando e' son troppi egli sforzon la ragna.
Lascia pure irRinaldo se n'è ito:
io vo' che qualcun preso ne rimagna.
Questo è Aldighierche 'l mio parente uccise.
E so che Gano ogni ingegno vi mise

91.
come colui che n'ha forse un già fatto
de' tradimenti e 'nganni alla sua vita;
ma per tornar sì spesso al lardo il gatto
la penitenzia sua non ha fuggita. -
Guarda se questo colpo fu di matto
e se Gan ben la tela aveva ordita!
Orlando si turbò quando ode questo
e giudicò di Gan nel suo cor presto;

92.
e volle al saracin far la risposta.
Ma Aldighier rispose innanzi a lui
e disse: - Dilïantela proposta
perché a me si dirizzaio son colui
ch'uccisi il tuo parente; ed a tua posta
ti proverrò che traditor mai fui:
uccisil con la lancia e realmente
e chi dice altroper la canna mente.

93.
Da ora innanziDilïante mio
come col Veglio a Monaca giostrai
che fu sanza peccatoe sallo Iddio!
io giosterrò ancor tecos' tu vorrai. -
Rispose Dilïante: - Quel voglio io;
e s' tu m'abbattilibero sarai
e tutti in pace di qui ve n'andrete
ed anco le mie gente menerete.

94.
Ah- disse Orlando - così far mi piace!
Ma che tu ci facessi alcun oltraggio
in altro modoil pensier tuo fallace
sarebbee poco onor del tuo legnaggio.
A questo modo si farà la pace
e parliDilïanteor come saggio;
ché Aldighieri è ver ch'uccise il Veglio
ma la battaglia non poté andar meglio:

95.
non vi fu inganno ignun né tradimento
e vendicato fuper Macometto! -
Disse Aldighieri: - Io il soché me ne sento
che fu' portato per morto in sul letto.
- AdunqueDilïantesia contento -
diceva Orlando - far come tu hai detto
e 'n questo modo sarai commendato;
però che 'l Veglio ci resta obligato

96.
ed ebbe in Bambillona sepultura
come e' fu certoal mio pareruom degno
e piango ancor la sua disavventura.
Io ho cercato del mondo ogni regno
per marper terrae spesso l'armadura
per non aver danarlasciato pegno;
ma tradimento mai né inganno o frodo
non troverrai ch'io facessi a gnun modo.

97.
Non si costuma tradimenti in Francia;
come Aldighier t'ha dettoè proprio il vero
e chi dice altrodi' ch'e' sogna o ciancia:
costui vi venne come forestiero;
nol conosceva; uccisel con la lancia
a corpo a corpocome buon guerriero
ed era saracino e lui cristiano:
dunque Aldighier non ci ha colpa né Gano.

98.

Domattina provate insieme l'armi
se pure alcuna ruggine ci resta. -
Rispose il saracin: - Mille anni parmi
che noi siam colla lancia in sulla resta:
a questo modo almen potrò sfogarmi. -
Diceva Ganoe crollava la testa:
- Tu mi di' traditorma sia in buon'ora:
forse con meco giosterrai ancora. -

99.
Disse il pagano: - E teco giosterròe:
io ti senti' chiamar così a Rinaldo. -
Gan traditor col capo minacciòe:
non domandar se finger sa il ribaldo!
Ognun la sera a letto se n'andòe
e 'n questo modo l'accordo fu saldo;
e come e' sono in camera serrati
addosso a Gan si son tutti voltati.

100.
Diceva Orlando: - Onde ha questo segreto
costuiche par gittato proprio in forma
appunto a quante carte all'alfabeto?
Questo è pur lupo della nostra torma.
Qui si bisognaAstolfoesser discreto:
io vo' ch'ognun coll'arme indosso dorma;
un occhio alla padellauno alla gatta
ch'io so che qualche trappola ci è fatta. -

101.
Rispose Astolfo: - Tanti billi billi!
Che nol di' tu che Gan l'ha imburiassato?
Perché pur trarci il vin con questi spilli?
Un tratto il zaffo avessi tu cavato! -
Rispose Gan: - Tu hai il capo pien di grilli
e fusti sempre pazzo e sbardellato. -
Diceva Astolfo a Malagigi allora:
- Dehfa' che questa lepre balzi fuora. -

102.
Malagigi non volle gittar l'arte
però che ne facea gran conscïenzia
e non si può far sempre in ogni parte:
convien ch'a molte cose abbi avvertenzia
e veste consecratee certe carte
essorcizzate con gran diligenzia
pentaculcandarìesigilli e lumi
e spade e sangue e pentole e profumi.

103.
Questo dich'io; ch'i' so ch'alcun direbbe:
Quando costoro avevon Malagigi,
d'ogni cosa avvisar gli doverrebbe:
Così fa il tal; così Carlo in Parigi"".
Dunque costui come un iddio sarebbe
se sapessi d'ognun sempre i vestigi:
i negromanti rade volte fanno
l'artee non dicon ciò che sempre sanno.

104.
Tutta la notte vi si borbottava:
ognun volea pur Gano in gelatina;
ma sopra tutti Astolfo vel tuffava.
Dilïante si lieva la mattina
e in su la piazza armato se n'andava;
ed Aldighierche questo s'indovina
venne in sul campo; e non si salutorno
ma come e' giunsedel campo pigliorno.

105.
Quivi era Orlando e' suoi compagni armati.
Dilïante rivolse il suo cavallo
ed ha tutti gli sproni insanguinati:
come un cerviatto faceva saltallo;
e quando insieme si son riscontrati
ognun pareva un Marte sanza fallo:
la lancia del pagan par che si cionchi
e quella d'Aldighier va in aria in tronchi.

106.
Ritornon con le spade alla battaglia:
dunque costor non facean per motteggio.
Lo scudo l'uno all'altro assai frastaglia
ma veramente ignun non avea il peggio:
due ore o più la zuffa si ragguaglia.
Diceva Orlando: - Ond'io lievi non veggio
o dove io ponga in su questa bilancia
o vuoi col brandoAstolfoo con la lancia.

107.
Io giurerei ch'ognun fussi un Acchille:
odi la spada d'Aldighier che fischia;
guarda il pagan se raccende faville! -
Ma poi che molto è durata la mischia
trasse Aldighieri un colpoe valse mille
ché la Fortuna crudel non cincischia:
due parte al saracin del capo fece
che non si rappiccò poi con la pece.

108.

Ecco che tu se' mortoDilïante
ch'era pur buono a Rinaldo credessi
che morto avessi il tuo Veglio il gigante
e Ganellon discacciato l'avessi:
tu fusticome giovaneignorante
e furïoso; or lo piangi tu stessi:
aspetta luogo e tempo alla vendetta
ché non si fe' mai nulla bene in fretta.

109.
I terrazzan tra lor son consigliati
e poi facìen questa conclusïone:
- Da poi che voi ci avete liberati
da quel malvagio e superbo lïone
che tanti e tanti n'avea divorati
e tratti delle man di Faraone
del signor tristoobligati vi siamo
e tutti in Francia con voi ne vegnamo. -

110.
E finalmenteordinate le schiere
in pochi dìcon Orlando ne vanno
con quel lïon nelle bianche bandiere
che insin di Bambillona arrecato hanno;
tanto che presto potranno vedere
Calavrïon co' suoiche ciò non sanno;
il qual Parigi faceva tremare
e vuol suggetto il ciella terra e 'l mare.

111.
Già era Orlando sopra una montagna
donde si vede il campo de' pagani
che cuopre le pendice e la campagna
e pien di padiglion veggono i piani.
Diceva Orlando con la sua compagna:
- Tosto con questi saremo alle mani. -
Ed Aldighier parea troppo contento:
pensa quando in Parigi sarà drento!

112.
Carlo la notte dinanzi sognava
ch'un gran lïone in Parigi era entrato
per una portae per l'altra passava
e tutto il campo aveva scompigliato.
Orlando già alle mura s'accostava.
Carlo si stava tutto addolorato;
sentì che nuova gente ne venìa
e per dolor non sa dove e' si sia;

113.
e diceva al suo Namo: - Più non posso;
a questa volta so ch'io son diserto:
credo che 'l mondo ci verrà qua addosso. -
In questo tempo Orlando ha già scoperto
il segno del quartier suo bianco e rosso
e conosciuto da tutti fu certo;
e tutto il popol corre con gran festa
ch'un testimone in Parigi non resta.

114.
Tutta la corte con lo 'mperadore
incontro vacome Orlando fu visto:
pareaveggendo la furia e 'l romore
quel dì ch'a Gerosolima andò Cristo
ch'ognun correva a vederlo a furore.
Ahpopol così presto ingrato e tristo!
Così correva il dì questo gridando:
- Non dubitate omaich'e' torna Orlando! -

115.
Orlandoal modo usatoumilemente
a' pie' di Carlo Man s'è inginocchiato
e fatte l'abbracciate; e finalmente
nel gran palazzo il popol tutto è andato.
Lo 'mperadore 'Aldighier pose mente
e domandò chi fussi e donde è nato.
Orlando disse come di Gherardo
era figliuoloe quanto era gagliardo.

116.
Poi domandò quel ch'era di Rinaldo.
Orlando gli dicea com'egli era ito
come colui ch'a questa impresa è caldo
per gentee presto sarà comparito.
Poi domandava del suo Gan ribaldo.
Disse Orlando: - Dinanzi m'è sparito;
a Montalban disse oggi voleva ire
per far di là Grifonetto partire. -

117.
Carlo rispose: - Questo fia ben fatto:
forse Grifon fa pur contro a sua voglia. -
Astolfo rispondeva al primo tratto:
- O Carlotu mi fai morir di doglia
a creder Ganellon si sia ritratto
da' tradimentie non sia quel che soglia:
fa' che tu creda a Gano insino a morte
e scaccia pure Orlando di tua corte.

118.

Vuoi ch'io ti dica quel tristo del vero?
Io tel diròma egli è un ladroncello
e fassi malvolere al forestiero
al terrazzanoall'amicoal fratello.
Tu non se' uom da reggerCarloimpero
e fai come si dice l'asinello
che sempre par che la coda conosche
quando e' non l'hache sel mangion le mosche.

119.
Mentre che in corte è il tuo caro nipote
tu pensi qualche ingegno da cacciarlo;
come e' non ci ètu ti graffi le gote;
che doverresti per certo adorarlo
sappiendo quanto e' t'ama e quanto e' puote.
Io vo' che tu mi creda questoCarlo:
che se ci fussi stato il nostro conte
questi pagan non passavano il monte. -

120.
Mentre che molte cose ognun ragiona
Calavrïon nel campo aveva inteso
ch'Orlando in Parigi è con la Corona
e bestemiava il Ciel di rabbia acceso;
sentia che la città tutta risuona
che si pensava aver già Carlo preso;
sùbito fece il campo rafforzare
ed Archilagio a consiglio chiamare.

121.
Non si vantava più questo Archilagio
come prima ogni giorno far soleva
di pigliar Carlo insin drento al palagio;
ognun d'un altro paese pareva
e cominciava a far le cose adagio;
ognun d'Orlando paura già aveva:
sempre chi piglia i lïoni in assenzia
vedrai che teme d'un topo in presenzia.

122.
Dunque Archilagio non è quel che e' suole.
Or ritornianci in Parigi a Orlando.
Diceva Orlando: - Carloqui si vuole
presto ogni cosa venir disegnando
ch'egli è tempo a far fatti e non parole.
Questo Aldighier va il suo padre cercando:
con diecimila a Montalban ne vada
e Berlinghier gli mosterrà la strada:

123.
tu di' che v'è Gherardoil padredrento. -
Sùbito in punto si misse Aldighieri
e fu di questa andata assai contento;
e va con esso il gentil Berlinghieri.
Ben sai chedetto e fattoun tradimento
aveva in punto già Gan da Pontieri:
a Montalban di tratto si difila
con forse di suoi amici ventimila

124.
e sconosciuto ne va con costoro:
èvvi Beltramoun de' suoi di Maganza
e di Lusanna il conte Pulidoro.
Di prender Montalbano avea speranza
e d'ingannar Gherardo come soro
e 'l Danese e Vivian sotto amistanza.
E Berlinghier di lungi l'ha veduto
e 'l segno del falcon riconosciuto;

125.
e 'ndovinossich'era scozzonato
e le malizie conosce di Gano
che questo traditor ne va affilato
per far qualche trattatoa Montalbano;
ed ha tanto il cammin sollecitato
che costor raggiugneva in un gran piano
e domandò chi sia questa brigata
e chi sia il capitan di tale armata

126.
e s'egli è Gan con loroe dove e' vanno.
Beltramo una risposta gli fe' strana:
- Chi e' si sieno nol diconché nol sanno;
ma vanno per la via perch'ella è piana. -
In questo Ganellon conosciuto hanno
che faceva le mummieanzi befana;
ed Aldighier gridò: - S'io ben ti squadro
non se' tu Ganellontraditor ladro?

127.
Traditor dolorosocan ribaldo
traditorpadre e capo d'ogni male
traditor nato per tradir Rinaldo
traditor frodolente e micidiale
traditor degno dello etterno caldo
traditor crudoiniquo e disleale
traditor falso scacciato da corte
traditorguârtiio ti disfido a morte! -

128.

ed abbassò la lancia con gran fretta.
Gan gli rispose: - Aldighiertu ne menti
ché traditor se' tu con la tua setta
e fusti sempree tutti i tuoi parenti. -
Beltramo e Pulidor quivi si getta:
feriron tutti co' ferri pungenti
Aldighiertal che gli fororno il petto
perch'eron tree lui solgiovinetto;

129.
ed uccisongli sotto il suo cavallo.
Intanto Berlinghier la lancia abbassa:
vede Beltramo che venìa a trovallo
e con un colpo l'arme e 'l cuor gli passa.
Pulidorquando vedeva cascallo
disteso a piombo che parve una massa
addosso ad Aldighier si scaglia presto
perché e' conobbe ben che morto è questo.

130.
Aldighiercosì in terra poveretto
gli misse tutta ne' fianchi la spada
e morto il fece cadere in effetto.
E Berlinghier gentile anco non bada:
parea di diaccio a' suo' colpi ogni elmetto
ed ha calcata di morti la strada
e tutto sanguinoso in mano il brando
tanto che parve a questa volta Orlando.

131.
Credo ch'egli ebbe Berlinghier vergogna
di se medesmoed altro spron non volle
sì come a gentil cor già non bisogna
quando e' giostrò quel dì con Mattafolle
che gli grattò dove non fu mai rogna;
ed oggi a tutti gli altri fama tolle:
ognun che toccaalla terra giù balza
mortoché in fallo la spada mai alza.

132.
Qual Cesarqual Anibalqual Marcello
quale Affricanqual Paülqual Cammillo
quale Ettor comparar potriesi a quello?
Quanti ne pugnepar ch'abbin l'assillo;
ha fatto un lago di sangueun fragello
di cavalierch'io mi vergogno a dillo;
sempre il balen si vede e 'l tuono scoppia
e tuttavolta la furia raddoppia.

133.
Pareva questo giorno lui il falcone
e peregrinoe non parea il colombo
ché quanti ne feriva con l'unghione
tanti giù morti ne caggiono a piombo;
talvolta si chiudea com'un rondone
tanto ch'ognun si sbaraglia a quel rombo;
come il lïon tra gli armenti si scaglia
e pare a' colpi suoi rete ogni maglia

134.
anzi parea delle tele d'aragne.
Guardisi ognun dove col brando aggiunga
ché le corazze parén di lasagne;
guarda che questa pecchia non ti punga:
lo scudo e l'arme tue sien le calcagne
ché non varrà qui incanto o che tu unga;
fuggiteviranocchiecco la biscia
che fischia forte quando il brando striscia.

135.
Avea lui sol tenutocome Orazio
al ponteBerlinghier la pugna il giorno
e non si potre' dir qual sia lo strazio
de' morti già ch'egli aveva dintorno.
Io non sarei per me mai stanco o sazio
a dir di questo paladino adorno
tanto mi son sempre di lui piaciute
tutte sue opre colme di virtute.

136.
Mentre che Berlinghier questo facea
ecco Gherardo e 'l Danese e Viviano
che con tremila a caval vi giugnea
e tutti a tre venien da Monte Albano
ché Grifonetto ogni dì lo strignea
e vanno per aiuto a Carlo Mano.
Giunto GherardoBerlinghier conosce
e domandò donde sien tante angosce.

137.
Berlinghier disse ogni cosa a Gherardo
come quel traditor gli avea ingannati.
Diceva il sir di Rossiglione: - Io guardo
colui che intorno a sé tanti ha ammazzati
così pedonche par baron gagliardo. -
Rispose Berlinghier: - Fa' che tu guati
come scacciar si possa questa gente
ed ammazzar quel traditor dolente. -

138.

Gherardo allor la sua lancia abbassava
subitamentee Viviano e 'l Danese:
così questa battaglia rinforzava.
Ma Ganellonche 'l giuoco presto intese
veduto Uggieria fuggir cominciava
e di ritrarsi per partito prese;
così tutta sua gente in poca d'otta
si misse in fuga sbaragliata e rotta.

139.
Poi che partiti i Maganzesi sono
Aldighier nostro si venìa già manco
ed avea dato a Berlinghieri un suono
dicendo: - Io ho passato tutto il fianco:
aiutamifratel discreto e buono. -
Gherardo dicea pur: - Chi è il giovan franco?
Il perché Berlinghier con molto duolo
rispose: - È Aldighierch'è tuo figliuolo. -

140.
Gherardoquando questo ebbe sentito
iscese in terra e vanne al giovinetto;
ed Aldighierc'ha Berlinghieri udito
s'inginocchiò e trassesi l'elmetto
e sforzasi il meschincosì ferito
d'abbracciare il suo padre poveretto
e mille volte gli baciò la fronte
ed ha fatta di lacrime una fonte.

141.
Gherardo anco piangea d'affezïone;
domandò della madre Rosaspina;
disse Aldighieri: - Nella sua regione
lasciata l'ho tra' saracin reina.
Sappi che m'ha ferito Ganellone.
L'anima mia al suo regno camina... -
e non poté parlar più oltre scorto
e cadde a' pie' del padre in terra morto.

142.
padre al tutto misero in etterno!
O padre afflitto! O padre sconsolato!
O padre in paradiso e poi in inferno!
O padre che già tanto l'hai bramato
o padreor l'hai perduto in sempiterno!
O padreecco il figliuol che tu hai trovato!
O padre che mai più ti darai pace
ecco Aldighier che morto a' tuoi pie' iace:

143.
tu non sarai più lieto alla tua vita!
Gherardo tramortì sopra 'l suo figlio
come e' vide quell'anima partita;
e risentito e vòlto intorno il ciglio
una cosa parea pazza e smarrita
un uom perdutofuor d'ogni consiglio.
Uggier molto e Vivian lo confortorno
e giusto il poter lor racconsolorno.

144.
Ed ordinorno in su quattro destrieri
un catalettodove porton quello
ed a Parigi van con Aldighieri;
e 'l padre suo sì tristo e tapinello
lo fa portare innanzi allo imperieri;
e tutto il popol corre là a vedello.
Dicea Gherardo innanzi a Carlo Mano:
- Questo è Aldighierch'ucciso m'ha il tuo Gano. -

145.
Quivi piangeva amaramente Carlo;
quivi piangeva tutta la sua corte;
quivi Gherardo ignun può consolarlo;
quivi si duole ognun della sua morte;
quivi pur Gano ognun volea squartarlo;
quivi bestemmia alcun sì crudel sorte;
quivi l'essequie s'ordina e 'l mortoro;
quivi veniva tutto il concestoro.

146.
Quivi Aldighier nel trïunfal palagio
di porpora coperto è riccamente
di drappi d'oro ornati di doagio.
Calavrïon questa novella sente
sùbito in campoe 'l fratello Archilagio
e molto fu di tal caso dolente
perché e' sapea della sua gagliardia
ché l'avea conosciuto in Pagania;

147.
e non sapeva che 'l Veglio uccidessi;
amava questo assai già per antico:
ma che dich'io? quando ben lo sapessi
le virtù l'ama a forza ogni nimico;
e scrisse a Carlo Man che gli piacessi
per vedere Aldighier mortosuo amico
conceder la venuta e la partita
però ch'amato assai l'aveva in vita.

148.

Carlo rispose molto grazïoso
che tutto il campo e lui libero vegna
come degno signormagno e famoso
in cui molta eccellenzia sa che regna.
Calavrïoncon volto assai doglioso
con certi principal della sua insegna
ed Archilagio suo tanto stimato
venne a Parigie fu molto onorato;

149.
e pianse moltoe confortò Gherardo
e dètte questo vanto ad Aldighieri
che se viveva il giovane gagliardo
non fu mai al mondo il miglior cavalieri.
Non so se questo vanto fu bugiardo
perché e' si dice di Risa Riccieri.
Dunque Aldighier piangevano i cristiani
per le sue gran virtù; così i pagani.

150.
Carlo di questo caso assai si duole;
non vi rimase un sol non lacrimassi;
e 'l vecchio padre diceva parole
da far pianger le fiere e' monti e' sassi
e per pietà fermar la luna e 'l sole:
non è sì duro cor non si schiantassi
tanto commiserevol cosa e scura
era a vederlo in questa sua sciagura.

151.
E sepellito fu con tanto onore
che tanto mai non ebbe Ettor troiano.
Poi nel palazzo il magno imperadore
Calavrïon menò sempre per mano;
e volle Carlo Man ch'un tal signore
andassi da man destra; ma il pagano
non volle in modo alcun accettar questo
ch'era gentilcostumato ed onesto.

152.
Posti a sedereOrlando cominciòe
innanzi a tutti una bella orazione;
e tanto ben le parole acconciòe
che fece amico suo Calavrïone
ed ogni suo proposito mutòe
come fa il savio udendo la ragione
e d'ogni cosa lo facea capace;
ed abbracciârsie fu fatta la pace.

153.
Non bisogna che venga quel d'Arpina
QuintilianoDemostene o nessuno
per insegnare a Orlando dottrina.
E contro a Ganellon si volse ognuno.
Calavrïon sua gente saracina
offersee molto giuravan ciascuno
di fare aspra vendetta d'Aldighieri
e che si debba a campo ire a Pontieri.

154.
Ognuno a questa impresa s'accordava.
Gancome questo sentivail fellone
sùbito verso Pontieri arrancava
e fe' da Montalban levar Grifone;
e quanto può la sua terra afforzava.
Carlogiugnendo con Calavrïone
sentì che 'l traditor di Gano è drento
e che faceva gran provedimento.

155.
Con tutta questa gente vi pose oste:
da ogni porta una parte ne caccia
e piglion tutti i pianmontagne e coste:
ognuno il traditor pigliar minaccia
e stanno tutti co' cani alle poste:
ognun vuol questa lepreognun la traccia
e sanno dove ella è posta a giacere
e non si curan pertica o levriere.

156.
Lasciàn costoro intornoe in mezzo Gano.
Rinaldo nostro séguita il suo corso;
e per fortuna in un paese strano
s'avvide il padron suo ch'era trascorso
e disse: - Mal condotti un giorno siàno:
e' ci convien pigliare o 'l graffio o 'l morso.
Noi ci troviam sotto il segno di Marte
dove val poco del nocchier qui l'arte.

157.
e' ci bisogna correr per perduti
o e' ci bisogna afferrar questo porto;
se noi surgiamcome noi siàn veduti
ècci un signor ch'ognun si può dir morto:
non credo di natura si rimuti:
vive di ratto e di rapina a torto
di naüfragi e d'ogni cosa trista
e chiamasi per nome l'Arpalista.

158.

Quella città si chiama Saliscaglia;
di sopra alla città sta in un castello
donne che son tutte use ire in battaglia
e stanno tutte al servigio di quello;
come quelle Amazzóne veston maglia;
son per natura coperte di vello
pilosesetolutestrane e brutte
ma molto fiere per combatter tutte. -

159.
Rinaldo rispondea: - Tu mi solletichi
padroneappunto dove me ne giova
ch'io so guarire i pazzi de' farnetichi:
parmi mill'anni d'essere alla pruova;
e moltiche non credon come eretichi
hanno veduto spesso cosa nuova.
Surgiàn pur presto e fuggiàn via fortuna;
poi non temer più di cosa nessuna:

160.
l'ira del mare è d'averne paura
però che contro a lei forza non vale;
ma di combatter poi con l'armadura
con quel signor crudele e micidiale
io lo farò saltar per quelle mura
e proverrò se sa volar sanza ale. -
E confortò il padron tanto e minaccia
che surse finalmentee 'l ferro spaccia.

161.
Era quella città sopra una ripa
che soprastà dalla banda del mare
piena di scogli e di rocce e di stipa
che non vi posson le capere andare;
tanto che 'l cuore al padron se gli scipa.
Rinaldo dicea pur: - Non dubitare.
Io voglio andarpadronein Saliscaglia
ed arrecar giù roba e vettovaglia;

162.
manda con meco qualche marinaio. -
Disse il padron: - Cotesto son contento:
e' ne verrà con teco qualche paio. -
Rinaldo alla città se ne va drento
e ruba il cuoco e saccheggia il fornaio
e sgombera e ritra'si a salvamento;
e nell'uscir fu la spada la chiave
e ritornossi al padrone alla nave.

163.
E disse: - Come il becco un poco immollo
sicuro vo per boschi e per padule;
il monte Sinaì porterei in collo
come e' trabocca il vin fuor pel mezzule;
io intendo di voler morir satollo. -
E cominciò a grattarsi il gorgozzule
e pettina e sollecita il barlotto
tanto che fece di prete lo scotto.

164.
All'Arpalista vanno le novelle
ch'un forestier la terra ha saccheggiata:
sùbito fece armar quelle donzelle
ed ordinò la porta abbin guardata;
e la capitanessa fu di quelle
unaquale era Arcalida chiamata.
Rinaldo alla città già tornato era
e sfuma fuori il vin per la visiera.

165.
Arcalida si fe' innanzi alla porta
e disse: - Dove vai tucavaliere
che par' così sicuro sanza scorta? -
Disse Rinaldo: - Io tel farò sapere.
Aspetta ch'io t'infilzo: tu se' morta. -
Alardo intanto spronava il destriere
e 'nfilza presto un'altra damigella
e posela a giacer giù della sella.

166.
Guicciardo un'altra di queste rintoppa
ed una lancia arrestata gli accocca
e tutta la forò sotto la poppa
e come Alardoa giacer la rimbocca.
Ricciardetto una ne punse alla groppa
che non portò mai più spada né rocca.
Così tra queste donzelle e' cristiani
si cominciò a menare altro che mani.

167.
Arcalida s'appicca con Guicciardo
e finalmente sotto se lo caccia:
volle veder come egli era gagliardo
quantunque poco mal costei gli faccia;
sùbito addosso a lei correva Alardo
tanto ch'alfin questa donzella spaccia
però che la passò nel pettignone
ch'arme ch'avessi non valse un mellone.

168.

Le porte d'ogni parte fur serrate
tanto ch'al buio in mezzo combattevano;
e tutte le donzelle hanno spacciate
ch'a una a una in terra le ponevano;
e le porte hanno rotte e sgangherate
e 'l borgo a saccomanno poi correvano.
Rinaldo è stato a diletto a vedere
quelle fanciulle rovescio cadere

169.
e Ricciardetto e Guicciardo dileggia:
- Io non pensai che voi fornissi mai
di spacciar quattro femine! - e motteggia.
Alardo disse: - Provato non hai:
non si conosce ogni volta l'acceggia
al becco lungonon so se tu il sai;
tu non sai ben come elle s'aiutavano:
co' colpi in ariaper Dioci levavano!

170.
Elle son tutte ammaestrate al giuoco
e bisognò molta acqua si versasse
prima che fussi spento questo fuoco.
Basta che netto ciascun si ritrasse.
Tu porterestis' tu provassi un poco
le lance alle bandiere poi più basse:
una di lor ti parrebbe bastante
non ch'aversi a provar con tutte quante. -

171.
Ma l'Arpalistainteso tutto il fatto
un suo cugino Archilesse là manda;
e dissecome e' giunsequesto matto:
- Apollin vi sconfonda d'ogni banda! -
e con Guicciardo si sfidò di tratto.
Guicciardo al suo Gesù si raccomanda
e bisognavaché non priega invano:
ch'erano in monte e ritrovossi al piano.

172.
Ed Archilesse nel portava via
e come il lupo al bosco la dà all'erta.
Rinaldocome lo videdicìa:
- Aspettaché la guardia s'è scoperta -
e finalmente Archilesse giugnìa
e minacciò di dargli con Frusberta;
donde il pagan: - Tu mi fai torto! - grida;
lasciò Guicciardo e con lui si disfida.

173.
Abbassaron le lancee furon rotte
e con le spade a ferirsi tornaro
dandosi insieme di villane botte.
Il saracinnon veggendo riparo
volle Baiardo guarir delle gotte:
dèttegli un colpo che gli parve amaro
chés'egli avessi preso meglio il collo
credo che forse non dava più crollo.

174.
Gridò Rinaldo: - OmèBaiardo mio
e' sare' meglio esser con quelle dame
che con questo pagan crudele e rio
che così scardassato t'ha lo stame.
Io ti vendicheròpel nostro Iddio! -
Baiardo il ciuffò presto con le squame;
Rinaldo un colpo gli diè in su la testa
che gliel' partì pel mezzo appunto a sesta.

175.
Dunque convien che l'Arpalista sbuchi:
venne coperto d'armee poi di seta
la sopravvestache par che riluchi
come 'l sol fra le stelle o la cometa.
Rinaldoquando vide tanti bruchi
disse: "Costui persona par discreta:
recata ha questa per sua cortesia
ch'al mio padron della nave la dia".

176.
Poi disse all'Arpalista: - Io son venuto
per purgarti d'ogni opra tua cattiva:
che sempre se' di tirannia vivuto
o s'alcun legno si rompe alla riva
per tutti questi mardetto m'è suto;
ch'io me n'andavo ove si posa Uliva
ma volsi in questa parte il mio cammino
per gastigar sì ingiusto saracino;

177.
ché so ch'ella fia opera famosa
e piacerà a Macon nel Ciel per certo. -
Il saracinoascoltato ogni cosa
disse: - Ribaldoio t'ho troppo sofferto
ché d'impiccarti più tosto pietosa
sarebbe opera suta e giusto merto
come si fa a' tuoi par corsar che vanno
facendo prede e ruberie e danno. -

178.

Disse Rinaldo: - Io non fu' mai pirrato! -
e dètte presto al caval degli sproni;
e l'uno e l'altro si fu discostato
e tornonsi a ferir con due stangoni:
ché l'Arpalista un abete ha recato
dicendo: - Questa svegliar fa i poltroni:
con essa n'ho già desti più d'un paio
e tu sarai per questo dì il sezzaio. -

179.
Rinaldo al saracino aveva detto:
- Cotesta lancia mi par troppo grave:
e pur si debbe aver qualche rispetto
di non giostrar però con una trave;
se tu ti pon' cotesta lancia al petto
io torrò quaggiù l'arbor della nave. -
Ma poi che vide il pagan così volse
un'altra simigliante a quella tolse.

18.

0.
Questi stangon nel petto si percossono
tanto che tutto lo scudo intronorno
e l'uno e l'altro di sella si mossono
perché le lance sol non si piegorno
e sofferire il colpo ben non possono;
vero è che in sulla terra non cascorno:
il saracin rovescio in sulla groppa
si ritrovòquando il colpo rintoppa;

181.
Rinaldo si piegò tutto e scontorse
e del sinistro piè gli uscì la staffa
e quasi di cader la misse in forse;
pur si sostenne e d'arcion non iscaffa.
Poi presto in su la spada la man porse
e 'l saracin la sua dal fianco arraffa;
e per un'ora o più gran colpi ferno;
ma l'Arpalista regge a ogni scherno.

182.
Pure alla finvolendo riparare
un colpoun tratto lo scudo sù alza;
Rinaldo vide un bel colpo da fare
e che scoperta avea la mana e scalza:
un colpo trassee quella ebbe a trovare
e collo scudo alla terra giù balza;
donde un gran mugghio metteva il pagano
quando e' si vide tagliata la mano;

183.
e disse: - Io mi t'arrendo: or mi perdona!
Io ho perduto ogni cosa a un colpo:
tu m'hai feritoe guasta la persona
e fu il difetto miocosì m'incolpo.
Dimmibaroncome il tuo nome suona
ch'omai d'ogni peccato a te mi scolpo.
Io son prigion tuo veroanzi son morto:
non mi toccarpoi ch'io m'arrendoa torto. -

184.
Disse Rinaldo: - Io son cugin del conte
Orlandoil qual sentito hai ricordare:
Rinaldo son chiamato di Chiarmonte. -
L'Arpalistasentendol nominare
con l'altra man si percosse la fronte:
- O Macon- disse - ben ti puoi sfamare:
dunque tu m'hai condottocan ribaldo
traditorea combatter con Rinaldo?

185.
Sia maladetto ch'io t'ho mai creduto!
Sia maladetto la tua deïtà!
Sia maladetto chi t'ha mai piaciuto!
Sia maladetto chi t'adorerà!
Sia maladetto il Cielch'io lo rifiuto!
Sia maladetto la tua crudeltà!
Sia maladetto chi il tuo nome onora!
Sia maladetto il dì ch'io nacqui e l'ora!

186.
Sia maladetta la disgrazia mia
ch'io non conobbi teRinaldoprima
che la Fortuna troculente e ria
mi cacciassi nel fondo dalla cima!
Io ti do la mia terra in tua balìa;
di mecome tu vuoipuo' fare stima.
Lasciami andar meschino e sventurato
ch'io vo' cercar la morte in altro lato;

187.
e non arà Macon questo piacere
ch'io muoia in Pagania sotto suo regno. -
Disse Rinaldo: - Io non ti vo' tenere
a forzacon dispetto e con isdegno;
ma vo' che ti rassegniché è dovere
al mio cugin famoso Orlando degno:
così la fede or mi prometterai
ed a tua posta libero n'andrai. -

188.

Rispose l'Arpalista: - E così giuro;
io ho sempre bramato di vedello:
di questo in ogni modo sta' sicuro. -
E così si partì quel meschinello:
pensa quanto il partir gli fussi duro!
Rinaldo la città prese e 'l castello;
e 'l suo signor ne va peregrinando
per ritrovarcome e' giuròeOrlando.

189.
E così vuol la giustizia divina;
così tutte le cose al mondo vanno
chi vive con tristizia e con rapina.
Avea sognato il suo futuro danno
la notte costuipresso alla mattina
come l'anime nostre spesso fanno:
che in Saliscaglia un serpente veniva
e per paura di lui si fuggiva.

190.
Andò questo Arpalista assai cercando
la mortee prima a Parigi arrivò.
Carlo non v'era e non vi truova Orlando
per la qual cosa a Pontier se n'andò.
Gano ha trovatoche 'l vien domandando:
- Dimmi chi siae soldo ti darò. -
E' gli diceva di sua crudel sorte
e come andava cercando la morte.

191.
Rispose Gan: - Tu debbi esser mandato
da Carlo o da Orlando per ispia;
e perch'io son più di te disperato
tra disperato e disperato fia:
piglia del campoed arai qui trovato
la morte che tu cerchi tuttavia. -
E dètte volta al suo Mattafellone
e minacciava e chiamalo spïone.

192.
L'Arpalista toccava il ciel col dito
poi che trovato avea con chi contendere:
subitamente a trovarlo n'è ito;
tanto che Gan non si può alfin difendere
e cadde del caval tutto stordito
che non ne volea forse ancora scendere
sì forte colpo gli diè l'Arpalista
che gli appiccò la lancia nella vista.

193.
Molti baron di Gan che sono in piazza
volson tutti le punte al saracino;
ma perch'egli è di più che buona razza
si difendea così col moncherino
tanto ch'a molti frappò la corazza.
Ma Ganellontornato in suo domìno
gridò che' cavalier suoi si scostassino
e più col saracin non contastassino.

194.
E parvegli doverch'era malvagio
operar col pagano un altro unguento;
e con parole cortese al palagio
lo 'nvitae l'Arpalista fu contento
dicendo che parlar gli vuole ad agio;
e cominciò con lui ragionamento:
- Chi tu ti siapaganoo di qual banda
non vo' cercareo se Carlo ti manda;

195.
ma perché mi pari uom discreto e forte
mi fiderò di te liberamente.
Benché tu dica che cerchi la morte
so che cerchi altroe fai come prudente.
Carlo sbandito m'ha della sua corte
ed è qui il campo che vedi al presente.
La ingratitù fu sempre ne' signori
e 'nvidiacome saitra' servidori.

196.
S'io non fussi ioe' non terrebbe il regno
Carloe perduto ho infin ciò ch'i' gli ho fatto:
come e' non m'è rïuscito un disegno
chiamato traditor son tristo e matto
tanto che per invidia m'ha in disdegno
ché si dà ben di gran colpi di piatto;
per troppo amor ch'io ho portato a quello
a torto sono scacciato e ribello.

197.
Egli ha con seco certi susurroni
che penson contro a me sempre lacciuoli:
voglionsi tutti per loro i bocconi;
questi sono i fedelquesti i figliuoli:
certi buffon fraschiercerti ignatoni
dipinti in mille logge e in mille orciuoli;
questi governan Carlo imperadore;
io sono il ladro e 'l tristo e 'l traditore.

198.

Hannol condotto qua come un bambino
ed è venuto drieto a' lor consigli
come al pane insalato il pecorino.
Vero è ch'un savio ha sol fra molti figli:
questo è Orlando degno paladino;
ma poco il suo parer par che si pigli
e come me lo discaccia ogni giorno
tanto che sempre va pel mondo attorno.

199.
Io sono un uom c'ho in sommo della bocca
un poco troppo il vero alcuna volta
e dicoloe non guardo a chi ciò tocca.
Tu sai che il ver malvolentier s'ascolta:
non domandar se la invidia trabocca
e se 'l suo stral contro a me poi fa còlta.
Io vo' più oltre dirti ogni mio effetto
ché insino a qui non par nulla abbi detto.

200.
Tu sai che come un l'uom s'arreca a noia
non può mai più far cosa che ti piaccia:
se dice il vertu di' che dà la soia;
se ti lusingae tu di' che minaccia;
e' suoi cagnetti gridon tutti: "Muoia!".
Così fanno anco i can che vanno a caccia:
percuotine un: come tu l'hai percosso
gli altri gli corron tutti quanti addosso;

201.
e tutto fanno per parer fedeli
e torna prima a te chi l'ha più morso
perché tu vegga ch'egli ha in bocca i peli.
Per me non è né scusa né soccorso
con questi non fedelianzi crudeli;
e son più di mille oche in su 'n un torso;
e se trovassin miglior patto altrove
ti lascerieno in sul terzo di nove.

202.
Dico cosìche quanto io facci bene
convien che interpetrato sia alfin male
e pòrtone assai volte ingiuste pene:
guarda questo odio e 'nvidia quanto vale!
Certo Aldighieri a questi giorni avviene
ch'andando a Montalban per via m'assale
e dice: "Io ti conoscoisconosciuto!"
come se mai non m'avessi veduto;

203.
e vuolsi vendicar d'una novella
che mi levorno con un Dilïante
che me n'aveva tenuta favella
sempre a camin costuicome ignorante:
la lancia abbassach'era armato in sella.
Quand'io mi vidi venirlo davante
tu sai ch'ognun la morte va schifando:
uccisi luiche se l'andò cercando.

204.
Ogni animal per non morir s'aiuta.
Per questo Carlo m'ha posto l'assedio
per questo tanta gente è qua venuta.
Io non vo' piùpagantenerti a tedio;
credo che sia di Dio volontà suta
che tu venissi qua per mio rimedio:
vo' che tu vadi insino alla Corona
per fare opera giusta e santa e buona

205.
e riconoscer la vita da te;
e di' ch'io vo' venir con la correggia
al collo e ginocchion chieder merzé
come il fanciul talvolta che scioccheggia;
e se mai cosa per lui grata fe'
che di levar questa gente proveggia;
e vo' che mi perdoni sol la morte
e mai più poi non mi vedrà in sua corte. -

206.
Quando ebbe così detto il traditore
all'Arpalista par la impresa giusta
e per andare a Carlo imperadore
pargli mill'anni in punto aver la fusta;
e sella immedïate il corridore.
Diceva Gano: - Il savio intende e gusta
e però sempre il sapïente manda.
Al conte Orlando mio mi raccomanda

207.
che ti parrà un uom ch'ogni altro ecceda:
questo è colui ch'è buondiscreto e degno
e della gloria del suo sangue ereda
e sol per lui tien Carlo scetro e regno;
e suo patrigno sonvo' che tu creda. -
Guarda se misse qui tutto il suo ingegno!
Tutto facea perché e' gliel ridicessi
acciò ch'Orlando a pietà si movessi.

208.

L'Arpalista n'andava imburiassato
che la camicia non gli tocca l'anche.
Dinanzi a Carlo Man s'è inginocchiato
e dice come Gan le carte bianche
gli mandae ciò che gli avea ragionato
e che esser gli parea tra male branche;
e replicava appunto ciò ch'e' disse
d'Orlandoacciò che 'l fatto rïuscisse.

209.
E seppe tanto ben ceramellare
che Carlo gli perdonae così Orlando
con questoche Rinaldo perdonare
gli vogliae che ne debba andar cercando
tanto ch'a lui si possi appresentare.
Poi l'Arpalista veniva narrando
come è prigion di Rinaldo mandato
al conte Orlandoe ciò che gli è incontrato;

210.
e mostrò a tutti il caso della mano
che gran compassïon ne venìa loro.
E ritornossi di sùbito a Gano.
Ganellon vennee innanzi al concestoro
s'inginocchiò piangendo a Carlo Mano
e disse: - Io troverròs'anzi non moro
Rinaldoe purgherò gli sdegni e l'onte:
così tuCarlomi perdoni e 'l conte!

211.
S'io dovessi cercar per tutto il mondo
io troverrò dove che sia Rinaldo. -
Così fu liberato e netto e mondo.
Calavrïoninteso e 'l patto e 'l saldo
diceva a Carlo Man: - Nulla rispondo.
Ma te gastigheròmonco ribaldo
che detto hai qua la tua santa parola
che si vorre' impiccarti per la gola!

212.
Venuto son da Parigi volando
con tanta gente e con tanto furore
lasciato ogni mio sdegno con Orlando
per trovarmi a punir quel traditore
che ne venivo al ciel le mani alzando!
Piglia del campopagan peccatore
ischiavoragazzonprigione e monco
ch'io vo' che l'altro braccio anco sia cionco. -

213.
L'Arpalista una lancia ch'avea abbassa.
Or guarda se Fortuna lavoròe!
Ognun col suo cavallo oltre trapassa
ognun l'un l'altro allo scudo trovòe
ognuno il petto l'uno all'altro passa
ognun giù della sella rovinòe
ognun di questi moriva a un tratto
che mai si vide un colpo così fatto.

214.
Calavrïon a contanti la briga
comperò dunqueche non gli toccava:
ecco che la giustizia lo gastiga;
l'Arpalista trovò quel ch'e' cercava:
pel fil della sinopia e per la riga
a questa volta questa cosa andava.
Ed Archilagio per partito prese
di rimenar sue gente in suo paese.

215.
Carlo tornò con la corte a Parigi.
Gan per lo mondo in camin si mettea;
dove e' sentiva o discordie o litigi
o guerre: "Quivi è Rinaldo" dicea:
così cercava l'orme e' suoi vestigi.
Or ritorniamo a Rinaldoch'avea
ridotta Saliscaglia a divozione
di Cristoe rinnegato ognun Macone.

216.
Poiché son battezati i saracini
e statosi alcun tempo a dimorare
e grande onor gli fanno i cittadini
in visïone una notte gli appare
un angeloche fu de' cherubini
e disse: - QuiRinaldonon puoi stare.
A' pellegrini impedito è il passaggio;
non posson far del Sepulcro il vïaggio.

217.
Quel che tu hai fattomolto a Dio sù piace;
ma fa' ch'a questa impresa or non sia molle.
Sappi ch'egli è un uom molto rapace
che nel deserto sta di Caprafolle:
non lascia i pellegrini andare in pace;
fa' che tu vadi a piè di colle in colle
fin che tu truovi questo fiero matto
che fa di là chiamarsi Fuligatto. -

218.

Rinaldo la mattinarisentito
sùbito a Ricciardetto e gli altri disse
come l'angel di Dio gli era apparito
e quel che gli avea dettoe dove e' gisse.
Ognun di lor n'è molto sbigottito:
non che non dichin che Dio s'ubbidisse;
ma che di questo sol sentivan duolo
che l'angel gli comanda e' vadi solo.

219.
Rinaldo il me' che sa dà lor conforto
dicendo: - Abbiate alla terra riguardo
e dirizzate a ragione ogni torto.
E raccomando a tutti il mio Baiardo.
E presto torneròs'io non son morto
ché d'ubbidire Iddio nel cor tutto ardo.
Sievi raccomandata la giustizia;
tenete in pace la terra e 'n dovizia. -

220.
E fece apparecchiar presto la nave
ché quel padron con Rinaldo si stava
e d'ogni cosa gli fida la chiave;
e per ventura romei v'arrivava;
e benché la partenza fussi grave
con questi finalmente s'avvïava;
e tutti prima in bocca si baciorno
di stare al bene e 'l mal la notte e 'l giorno.

221.
E così si commette alla marina
e l'armadura tien sotto coperta:
disopra si vedeva una schiavina;
e non dimenticò però Frusberta.
Il vento è buono e la nave camina
tanto che Barberia hanno scoperta
e dirizzârsi verso una cittade
donde saran per terra poi le strade.

222.
E come drento al porto surti sono
Rinaldo dal padron fa dipartita
e dice: - Fra un mese sarà buono
che questa nave in qua sia comparita;
e 'ntanto io tornerò dal mio perdono.
Cristo t'aiuti e la tua calamita
che non val men che la stoppa e la pece! -
Donde il padron con lui gran pianto fece;

223.
e disse: - Il dì ch'io me n'andrò sotterra
non sentirò nel cuor la metà pena
dico in quel punto che l'alma si sferra.
Vattene in pace ove il camin ti mena!
Aiutiti il tuo Iddiose tu vai in guerra
aiutiti Mariadi grazia piena!
Io tornerò qui con la nave presto. -
E non poté più oltre dir che questo;

224.
e 'nginocchiossi e baciògli le piante.
Rinaldo co' compagni se ne vanno
nella città che vi sta l'amirante.
E giostre e feste alla piazza si fanno;
e molto ben si portava un amante
d'una fanciulla. A veder quivi stanno:
questa era molto bianca e molto bella
e molto bruna un'altrasua sorella

225.
e come bruna si chiama Brunetta:
adunque il nome suo non si disdice;
quell'altra è bianca e pare una angioletta
e molto il dì si chiamava felice
perché il suo amante ognun per terra getta;
e la sorella rincorrevae dice:
- Non c'è per te chi rompa due finocchi
e 'l drudo mio d'ogni lancia fa rocchi. -

226.
Diceva la Brunetta sventurata:
- Che colpa ho io di quel che fe' Natura
e s'io non nacqui bella e fortunata?
S'io avessi avuto a far questa figura
io mi sarei per modo disegnata
che sculto nol farebbe o dipintura.
Ringrazia Iddio che degli amanti truovi
e presso ch'io non dissi anco gli pruovi.

227.
Io vi conforto della giostraamanti
e la Brunetta vi torni a memoria;
io vi ricordo e dico a tutti quanti
che con la lancia s'acquista vittoria
e fassi spesso colpi di giganti;
e ch'ogni dama del suo drudo ha boria
e piace insin da Campi a mona Onesta
che e' tenga ben la lancia in su la resta. -

228.

E detto questogittava il falcone
verso Rinaldoe pargli molto bello;
e ricordossi d'una visïone
che fatta aveach'un peregrin novello
ognun quel giorno abbatteva d'arcione
e disse fra suo cor: "Costui fia quello".
A un suo balio lo fece chiamare:
- Di' a quel peregrin ch'io gli ho a parlare. -

229.
Rinaldo andòma non sapea la trama.
Ella gli disse con destre parole
del sogno e la cagion perch'ella il chiama.
Rinaldo disse far ciò ch'ella vuole
ché ciò ch'uom facci per amor di dama
è gentilezza ch'osservar si suole;
che si voleva armar segretamente
dove piacessi alla dama piacente.

230.
Brunetta gli ordinò dove e' s'armassi
e impose al balio ch'un destrier gli mostri.
E la sorella di lei beffe fassi
e dice: - Che vuoi tu che costui giostri? -
e rideaquasi in sua lingua parlassi:
Costui t'arrecherà de' paternostri
dal suo perdon, quando e' sarà tornato.
Rinaldo al campo n'è venuto armato.

231.
Disse l'amante di quella più bella:
- Hai tu veduto qua questo uccellaccio?
Che dirai tu s'io il traggo della sella?
Al primo colpo in terra te lo caccio. -
Rispuose la Brunetta meschinella:
- Sìse tu stimi ch'un uom sia di ghiaccio. -
Rinaldo le parole appunto intese
e tutto quanto di sdegno s'accese

232.
e disfidossi con questo saccente.
La bianca e bella confortava il drudo
e la Brunetta facea similmente;
e l'uno e l'altro si truova lo scudo;
ma 'l saracin pel gran colpo e possente
alzò le gambe e cadde a culo ignudo
quanto potea con ogni sua vergogna;
e fu pur ver quel che Brunetta sogna.

233.
Quivi le grida intorno si levorno.
Non domandar se la dama galluzza!
e dice alla sorella per iscorno:
- Truova dell'acqua e nel viso la spruzza
ché la mia visïon fu presso al giorno. -
La bianca addolorata si raggruzza
però ch'un braccio il suo amante si spezza.
Non domandar se Brunetta la sprezza!

234.
Vollonsi alcun con Rinaldo provare;
ognuno in terra alla fine è caduto.
Il padre di costor si fece armare
e venne sopra 'l campo sconosciuto;
Rinaldo il gittò in terrae nel cascare
l'elmo gli uscivaonde e' fu conosciuto.
E come fatta è la festaa bell'agio
Rinaldo ne menò seco al palagio

235.
ché di sua forza si maravigliava;
e' suoi compagni con lui fe' venire
ed un convito solenne ordinava;
e le fanciulle stavano a servire
e l'una e l'altra Rinaldo guardava
innamorate del suo grande ardire.
E poimangiatoin una zambra vanno
e le fanciulle gran disputa fanno

236.
e dice ognuna ch'era la più bella;
e che Rinaldo giudicassi questo
contente son l'una e l'altra sorella.
Rinaldo: - La Brunetta! - disse presto
e ch'aveva il suo amor donato a quella;
il che fu tanto alla bianca molesto
ch'a un balcon con un laccio di seta
s'impiccò in una camera segreta;

237.
della qual cosa ciascuno si lamenta.
Rinaldo co' compagni si partia
e la Brunetta riman mal contenta
- Macon - dicendo - ti mostri la via.
Dove tu siaperegrinti rammenta
della Brunettache tua sempre fia. -
E dèttegli un fermaglio la Brunetta
per ricordanza di lei meschinetta.

238.

E volle prima il suo nome sapere:
quando sentì com'egli era Rinaldo
s'accese tanto del suo gran potere
che non si spense mai poi questo caldo:
benché mai più nol dovea rivedere
pur si rimase nel suo petto saldo.
Rinaldo al suo vïaggio ne va ratto
per essere alle man con Fuligatto.

239.
Già era capitato nel deserto.
Ecco apparire un cavaliere armato
e 'l caval tutto di piastre ha coperto
col falcon nello scudo e in ogni lato
tal che Rinaldo il conobbe di certo:
questo era Ganche l'ha tanto cercato
e 'nginocchiossi e perdón gli chiedea
e d'Aldighier con gran pianto dicea.

240.
Rinaldo d'Aldighier gl'incresce tanto
che non potea sua morte perdonare;
alla risposta soprastette alquanto.
I pellegrin cominciorno a pregare:
- Poi che tu vedibaroneil suo pianto
piacciati il cor volere umilïare
veggendo quanto umìl si raccomanda
per quello Iddio che peregrin ti manda. -

241.
Tanto che alfin Rinaldo gli perdona.
Gan si tornò per la via ch'è venuto.
Ecco un romor che per l'aria risuona:
gente che fuggon domandando aiuto
e innanzi a tutti un cavaliere sprona;
e come egli ebbe Rinaldo veduto
gridava: - Peregrinfuggite addrieto
però che in qua si va contro a divieto.

242.
A gran fatica noi scampati siàno
dalle man di quel diavol maladetto;
ed io che innanzi fuggoson cristiano
e son ferito a morte drento al petto. -
Disse Rinaldo: - Cavalier sovrano
chi è questo dïavol che tu hai detto? -
- È Fuligatto - rispondeva quello:
- se vai più oltrepotresti sapello.

243.
Egli ha fatto oggi cose troppo strane.
E' porta sotto un cuoio serpentino
ed una spada che è più ch'a due mane
lo scudo d'ossoquesto malandrino
e dà picchiateti so dirvillane
ed ha già morto forse un pellegrino;
un baston porta che pare una trave
che dicon trentacinque libbre è grave. -

244.
Poco più disseche si venne meno
e cadde come morto in terra cade.
Rinaldo monta in sul suo palafreno
perché e' conobbe egli aveva bontade
e disse a' suoi compagni: - Che fareno?
Io veggo poco innanzi una cittade:
andiamo a quellae 'ntenderemo il vero
dove è questo arrabbiato uom tanto fiero. -

245.
Questa città Sardonia si chiamava
e d'un bel fiume è circundata intorno.
Rinaldo a questa alla porta arrivava
e poi che in alto le mura mirorno
a ogni merlo due impiccati stava;
e finalmente la porta bussorno.
Rispose una fanciullae 'l caval vede
e che sia forse Fuligatto crede:

246.
Se' tu quel Fuligatto ladroncello?
Se' tu quel Fuligatto micidiale?
Se' tu colui che di noi fai macello?
Se' tu colui c'hai fatto tanto male?
Se' tu quel lupo a cui non campa agnello?
Se' tu colui che i pellegrini assale?
Se' tu quel traditor che se' a cavallo?
Se' tu venuto di sangue a 'ngrassallo? -

247.
Disse Rinaldo: - Nonon son quel desso:
non vedi tu che noi siàn pellegrini?
Tu doverresti conoscere appresso
che il lupo non va mai cogli agnellini.
Aprici adunquedamigellaadesso
ché stanchi siàn per più lunghi cammini. -
Questa fanciulladel ver fatta certa
venne alla porta ed a tutti l'ha aperta;

248.

e disse: - PeregrinDio vi dia pace
e guardi dalle man di quel tiranno
che tanto è sopra noi fatto rapace
e per cui morti color quivi stanno!
Venite alla reinase vi piace. -
E mentre per la terra costor vanno
altro che donne non veggono in quella;
e domandorno questa damigella:

249.
Dove sono i mariti e' fratei vostri
i padri e' figli e' servi e l'altre genti? -
Ed ella: - Or che bisogna io ve gli mostri?
Vedetegli lassùcosì dolenti;
vedeteglii mariti e' fratei nostri
e' padri e' figli e' servi e poi i parenti:
quivi staranno morti in sempiterno.
E' gl'impiccò quel diavol dello inferno.

250.
Non domandatech'e' non è possibile
quanto e' sia mala bestia Fuligatto:
pure a dir Fuligatto è cosa orribile;
non si potrebbe dir quel ch'egli ha fatto
e s'io il dicessie' non sare' credibile;
tanto è che questo paese ha disfatto:
prese la terra e fe' impiccare a' merli
tutti color che poté vivi averli.

251.
Io vidi qui pigliargli un giovinetto
che nol potre' mai più rifar Natura
e con sua mano il cuor trargli del petto;
poi lo fece impiccar sopra le mura.
Vedete il mio marito poveretto
ch'a riguardarlo mi mette paura.
Qui vidi il sangue alzar di sopra al ciglio
tanto che 'l fiume diventò vermiglio.

252.
Quand'io ripenso a tanta crudeltate
de' piantide' lamenti e delle strida
le donne e le fanciulle scapigliate
percuotersi e graffiarsi con gran grida
e chi per terra morte e strascinate
e' par che 'l cuor pel mezzo si divida:
era cosa crudele e paürosa
veder tutta la terra sanguinosa. -

253.
Mentre così la donzella dicea
giunsono in piazzaov'era un uom armato
ch'era di bronzoma vivo parea
sopra un caval ch'è tutto covertato
ed una lancia in su la coscia avea.
Rinaldo chi sia questo ha domandato;
disse la dama: - La scrittura il dice:
questa città per lui fu già felice;

254.
e fu di Chiaramonte il cavaliere. -
Rinaldo leggee diceva: "D'Angrante
Orlandonel tal tempoquel guerriere
ci liberò dal gran re Galigante
che in campo d'oro portava un cerviere;
e per memoria dell'opre sue sante
uccider quel crudel nimico ed acro
gli fece il popol questo simulacro".

255.
Rinaldo lacrimòveggendo Orlando
per tenerezzae con lui si ragiona
dicendo: "Ovunque io vo peregrinando
per tutto il mondo la tua fama suona";
e dipartissi da lui lacrimando.
Rappresentossi innanzi alla Corona.
Questa reina è bella e giovinetta
e chiamasi per nome Filisetta.

256.
Vide Rinaldoe dopo le salute
lo domandò dove il camin suo tiene:
chécosì peregrinouom di virtute
giudicò questoe parvegli uom dabbene.
Rinaldo rispondea le cagion sute
del suo veniree di che parte e' viene
e come egli è Rinaldoche è mandato
dall'angel che così gli ha comandato.

257.
Filisetta sapea la sua prodezza;
veggendolostupia di maraviglia
dell'atto fiero e della sua grandezza;
e disse: - Orlando tuo ben ti simiglia:
re Galiganteper la sua fierezza
come tu vediabbandonò la briglia:
ché so che in piazza la statua vedesti
di bronzoe quelle lettere leggesti.

258.

Questa città da lui fu liberata
ed a perpetua di questo memoria
l'imagine sua qui vedi scultata
che fia del vostro sangue etternal gloria.
Ma Fuligatto m'ha ben ristorata
che tutto questo paese martoria:
non vuol che ignun si spicchi di coloro
ed èvvi il mio marito tra costoro;

259.
che s'io il potessi almen pur sepellire
io gli perdono il resto a Fuligatto.
Ha fatto a strazio il mio popol morire:
guarda ch'a lui non vadi come matto. -
Disse Rinaldo: - Non ti dar martìre
e spicca il tuo marito innanzi tratto;
e miei compagni teco rimarranno;
e poi vedrai come le cose andranno.

260.
Non dubitarché quel che vuole Iddio
non può fallir per accidente alcuno.
Di mangiarFilisettaabbiàn disio
però ch'ognun di noi so che è digiuno;
e poi ch'io partiròper amor mio
ti raccomando di costor ciascuno. -
E la reina lietamente onore
a tutti fecee con aperto amore.

261.
Rinaldo solo un giorno riposossi;
poi fece da costor la dipartenza
e non sanza gran pianto accomiatossi
perch'ubbidir di Dio volea la intenza;
e pel deserto soletto avvïossi.
Ma Filisetta per magnificenza
la lancia che fu già del suo marito
gli dètteed uno scudo assai pulito;

262.
e disse: - Questo per amor mio porta
poi che portar non lo può più colui
che sospeso è tra la sua gente morta.
Dio t'accompagni cogli angioli sui
e così spera e così ti conforta. -
Lasciamo andare al suo cammin costui:
nell'altro vi dirò quel che arà fatto.
Cristo vi scampi da quel Fuligatto!



CANTARE VENTESIMOTERZO


1.
Deus in adiutorium meum intende
che sofferisti per noi dura croce
che la tua grazia e 'l tuo regno ci rende:
non mi lasciar perir presso alla foce
poi che noi siamo al levar delle tende;
io te ne priego con sommessa voce
che tutto loda il fin d'ogni opra nostra:
dunque il cammin fino in porto mi mostra.

2.
Rinaldo pel deserto se n'andava.
Aveva il sol coperto il marin suolo
la luna il lume suo tutto mostrava
cedevon gli squadranti all'orïuolo
quando Rinaldo la notte trovava
dove si sta quel Fuligatto solo
e picchiò l'uscio d'un suo stran palagio
fin che rispose il traditor malvagio

3.
e disse: - Chi se' tu? Che vai cercando? -
Disse Rinaldo: - A te mandato sono. -
Fuligatto gli aperse minacciando
dicendo: - Se tu vai qui pel perdono
io tel darò con la croce del brando. -
Dicea Rinaldo: - Dirti il vero è buono.
Sappiladronche fuor di queste porte
non uscirò ch'io ti darò la morte:

4.
io vengo per provar mia forza teco. -
Rispose Fuligatto: - Tu n'andrai
s'io ti do qualche mazzata di cieco.
Eccoper Dio!la serpe ch'io sognai
che mi parea s'avviluppassi meco
e per paura di ciò mi destai;
non mi parea poterla sviluppare:
tu se' la serpeche non vuoi sbucare. -

5.
Disse Rinaldo: - Pel contrario fia
che tu sarai la serpeio lo spinoso
che 'l misse un tratto per la sua follia
nella sua bucachiedendo riposo;
poi lo voleva costei cacciar via
perché e' si voltolavail doloroso;
onde e' rispose: "A non tenerti a bada
chi non ci può starserpese ne vada". -

6.
Fuligatto era tutto maraviglia:
Chi fia costui?diceache cosa è questa?.
Prese al caval di sùbito la briglia
e mena un colpo a Rinaldo alla testa.
Rinaldo un salto della sella piglia
quando e' sentiva toccarsi la cresta:
dèttegli un pugno e sbrucagli l'orecchio
e fe' di sangue un lago di Fucecchio;

7.
e Fuligatto balza giù stordito.
Rinaldo nol toccò che s'è levato;
e come e' fu tutto in sé risentito
diceva: - Io credo che tu sia incantato
qualche dïavol dell'abbisso uscito:
io son per questo pugno smemorato.
Per questa notte vo' che ci posiamo
e domattina insieme combattiamo.

8.

Non dubitar di tradimento o inganno. -
Disse Rinaldo: - Non temer pur tu. -
Così la notte in cagnesco si stanno.
E come il giorno in orïente fu
armati fuori a campo se ne vanno;
e disfidatisanza parlar più
ognun del campo a suo senno si tolse
e con la lancia al nimico si volse;

9.
e riscontratile lance volorno
in pezzi in aria; e 'l caval di Rinaldo
non ressee' pie' dinanzi sinistrorno
quantunque in sella si tenessi saldo;
sì che d'accordo pedon s'affrontorno:
perché Rinaldoper la stizza caldo
diceva: - Scendi in su la terra piana
o io t'ammazzerò sotto l'alfana. -

10.
Fuligatto smontò subitamente.
Quivi si dànno colpi di maestro.
Rinaldo per un colpo che si sente
s'inginocchiava dal lato sinestro;
poi si rizzò. Fuligatto pon mente:
parvegli tanto nel rizzarsi destro
e ne' suoi colpi sì fiero e sì forte
che cominciò a dubitar della morte.

11.
E quando egli ebbe un pezzo combattuto
disse: - Baronl'un di noi dèe morire:
dimmi il tuo nomech'almen conosciuto
t'abbis'io debbo alla fine perire. -
Disse Rinaldo: - Questo par dovuto.
Da Montalban Rinaldo mi fo dire. -
- Ah! - disse Fuligatto - se' tu desso
colui ch'a tutto il mondo è noto esplesso?

12.
Odo che se' di casa di Chiarmonte;
odo che hai tre buon fratei carnali;
odo che tu uccidesti Fieramonte;
odo se' il fior de' guerrier naturali;
odo se' nievo a Buovo d'Agrismonte;
odo in battaglia più che gli altri vali;
odo che hai Frusbertail nobil brando;
odo che se' cugin del conte Orlando.

13.
Io son della tua fama innamorato. -
E disse tanto che Rinaldo va
amico suofratello e congiurato
drento al palagioe grande onor gli fa.
Poi s'accordorno mutar luogo e fato;
e Fuligatto il suo palagio arso ha
dicendo: - Mai più uom vo' che qui vegna
dove stata è la tua persona degna.

14.
Andianne ove ti piace alla ventura. -
In questo un gran serpente ch'era piatto
si scuoprequando al cul sente l'arsura:
aggraticciossi al collo a Fuligatto
tanto che tramortì per la paura.
Rinaldo con la spada tanto ha fatto
che finalmente gliel levò da dosso;
ma prima gli tagliò la carne e l'osso

15.
ed anco poi con la coda pur guizza.
Fuligatto parea che fussi morto
donde Rinaldo avea gran duolo e stizza
restar soletto; e dolevasi a torto
ché Fuligatto alla fine si rizza.
E risentito e ripreso conforto
e ringraziando que' che in Cielo stanno
pel gran deserto alla lor via ne vanno.

16.
E poi che molto furon cavalcati
due lïon morti in un luogo foresto
nel mezzo della strada hanno trovati.
Disse Rinaldo: - Che vorrà dir questo?
Questi lïon chi ha così ammazzati? -
Ma Fuligatto se n'accorse presto
e disse: - E' fia Spinardo sanza fallo
che dicon ch'è mezzo uommezzo cavallo.

17.
Nel Monte Periglioso suole stare:
per certo noi dobbiamo esservi presso;
una fromba e tre dardi suol portare. -
Disse Rinaldo: - E' sarà stato desso.
Non si potre' questa bestia trovare? -
Rispose Fuligatto: - E' suole spesso
tra questi boschi andar cercando prede. -
E intanto una bandiera appresso vede

18.

con certi Macometti molto strana.
Cominciono a studiare allora il passo.
Questo Spinardo stava in una tana
nascosocome l'orso o come il tasso;
sente venire il cavallo e l'alfana:
sùbito misse nella fromba un sasso
e prese i dardied assaltò costoro
e mugghia e soffia che pareva un toro.

19.
L'alfana per le mugghia è spaventata:
non la potea Fuligatto tenere;
poi dissequando e' l'ha rassicurata:
- Io vo'Rinaldomi facci un piacere:
s'io uccidrò questa bestia sfrenata
tu creda in Macomettoché è dovere;
se tu l'uccidila tua fede vaglia;
ma che mi doni la prima battaglia. -

20.
Rinaldo rispondea ch'era contento.
Ma ogni cosa ha sentito Spinardo:
rise fra sé di tal ragionamento
e dètte a Fuligatto con un dardo;
nel braccio tutto gliel ficcava drento.
Rinaldo s'arrecava a Bellosguardo
e vide Fuligatto sbigottito
cader giù dell'alfana tramortito;

21.
gridò: - Pagan traditorc'hai tu fatto?
Tu se' bestia per certo e traditore.
Ma per Dio! chese morto è Fuligatto
io ti trarrò colle mie mani il core. -
Non gli rispose Spinardo a quel tratto:
disserra un dardo con molto furore
e tra le gambe passa di Rinaldo
e fischia come serpe quando è in caldo.

22.
Rinaldo grida: - Io ne farò vendetta.
Se tu se' pazzoio non son Salamone. -
Questo Spinardo il terzo dardo getta:
Rinaldo trasse d'uno stramazzone
e poi che l'aste tagliacon gran fretta
si difilava a lui come il falcone
quando ha veduto i colombi o le starne
ovver come il lïon che vuol far carne.

23.
E fu tanto il furore e la tempesta
che 'l porfiro affettato arebbe allora
e con la spada gli fésse la testa
perché la furia e la rabbia lavora;
ed anco quivi Frusberta non resta:
féssegli il colloe tutto il busto ancora
dove la bestia è congiunta con l'uomo;
e morto fece in su la terra un tomo;

24.
e nel cadercon ira molto acerba
gridò: - Macons'io non son vendicato
Lucifero il suo luogo giù ti serba. -
Rinaldo a Fuligatto è ritornato
e la ferita gli sanò con erba
come piacque a Colui che gli ha insegnato.
Ma Fuligattocome e' fu guarito
era a veder come un cieco smarrito;

25.
e come pazzo a Rinaldo n'andava
e con la spada lo vuol ristorare
del beneficioed un colpo menava.
Rinaldo il colpo non istà aspettare
perché e' conobbe colui vagillava
e lascialo a suo modo disfogare.
Ma Fuligatto si ravvide presto
e chiese perdonanza assai di questo.

26.
Disse Rinaldo: - Chiedi pur merzede
a quel Signor che la grazia t'ha fatto. -
E cominciògli a predicar la Fede
tanto che fu contento Fuligatto
e disse che in Gesù si fida e crede
ed osservòcome e' promisseil patto.
Rinaldo a una fonte lo battezza
e quivi co' dottor si scandalezza:

27.
ed uno e tree Padre e Figlio e Verbo
e lo Spirito santo poi incarnato
e presocome noicarne osso e nerbo
e crucifissoe poi nel Limbo entrato
per liberarci dal peccato acerbo
del primo padre pel pome vietato;
e disse di Giosef e di Maria
e fece un lago di teologia.

28.

Poi rimontorno a cavallo ed a alfana.
Ora è qui stato alcun ch'ebbe credenzia
che Rinaldo il gittò nella fontana
disavvedutoper la gran potenzia
ché non poté ritener ben la mana:
non so s'io me l'appruovo per sentenzia
ché dicon che e' vi bevve più d'un sorso
se non che e' fu da Rinaldo soccorso.

29.
Lasciàgli pure andare al lor camino.
Avevon già passata una montagna
di nottee come apparve poi il mattino
vidon molti pagan per la campagna.
Disse Rinaldo: - O giusto Iddio divino
che gente è questa sì feroce e magna?
Or ti conoscocar mio Fuligatto:
non mi lasciarfratelloa questo tratto. -

30.
Disse colui: - Non creder ch'io ti manchi:
morte da te mi può divider solo;
dove tu andrai sarotti sempre a' fianchi.
Andiàn pur presto assaltar questo stuolo
ché io per me gli stimo men che i granchi. -
Ecco il signor che innanzi viene a volo:
fannosi incontro a questo capitano
e salutornoe così fe' il pagano.

31.
Domandorno il pagan com'egli ha nome.
Rispose: - Io son d'Ulivante Pilagi:
a Saliscaglia vo a posar le some
perché Rinaldo e' suoi fratei malvagi
offeso m'hanno non ti dico come
datoci morte e tormenti e disagi
ed or si vanno con le dame a spasso;
ma insin di qua si sentirà il fracasso.

32.
Cotesta alfanaper Macon! m'attaglia. -
Disse Rinaldo: - Ed a me il tuo cavallo. -
Disse il pagan: - Proviàgli alla battaglia. -
Disse Rinaldo: - Suona purch'io ballo.
- Io vo' ch'ella mi porti a Saliscaglia.
- Tu faraiinnanzi vi siapiù d'un callo.
- Io vi saròe farò mia vendetta. -
Disse Rinaldo: - Come n'hai tu fretta!

33.
E' fu sempre un ribaldoun traditore. -
Disse Rinaldo: - Io me ne maraviglio;
sentito ho ragionar del suo valore:
non gli sarestiPilagifamiglio.
- Dunque tu vuoi pigliarla per suo amore? -
Disse Rinaldo: - E per suo amor la piglio.
- Piglia del campo - rispose il pagano;
e volse un suo morel tutto balzano.

34.
Rinaldo non istette a pigliar lucciole:
voltò il cavallo in aria con un salto
per dare al saracino altro che succiole;
ma come e' giunse in sul bel dell'assalto
o che 'l destriere inciampi o ch'egli sdrucciole
si ritrovò con esso in su lo smalto;
e quando e' vide pur che non si rizza
l'uccise con un pugno per istizza.

35.
Maladetto sia tu- dicea - rozzone!
Maladetto sia l'orzo ch'io t'ho dato!
Maladetto sia il frencaval poltrone!
Maladetto sia io che t'ho stregghiato!
Maladetto sia il tuo primo padrone!
Maladetto sia mai chi t'ha allattato!
Maladetto sia l'erba c'hai pasciuto!
Maladetto sia il dì ch'io t'ebbi avuto! -

36.
Intanto Fuligatto grida forte
e con la lancia in su la resta viene
e disfidato avea Pilagi a morte
e con gli spron sollecitava bene;
e come dato per fato era e sorte
la lancia gli cacciava per le rene
e traboccato morto è in su la terra;
donde per questo appiccata è la guerra.

37.
Egli avea diecimila combattenti:
addosso a Fuligatto ognun si volse.
Rinaldo d'ira diruggina i denti
e di Pilagi il balzan presto tolse
e come l'orso irato tra gli armenti
il sacco in tutto di sua furia sciolse;
e mai non fu quanto quel dì gagliardo;
ma e' si dolea che non avea Baiardo.

38.

Dove se' tu, Baiardo mio?diceva;
e sempre tonda menava Frusberta:
a mosca cieca quel tratto faceva:
tristo a colui ch'aspettava l'offerta!
e braccia e capi balzar si vedeva:
tutta la terra pareva coperta
di gente smozzicata saracina
da poter far mortito o gelatina.

39.
L'un sopra l'altro a traverso giù balza:
non si fe' mai di bestie tanto strazio
tanto che 'l sangue alle cigne quivi alza
e pur Rinaldo non pare ancor sazio.
Già per fuggire era piano ogni balza
ma non avevon con lui tanto spazio;
e Fuligatto assai n'avea distrutti
tanto che morti o fuggiti son tutti.

40.
E poi che fu la battaglia finita
e Fuligatto una vesta vedia
ch'avea Pilagied halla a sé vestita
che in campo bianco un lïon nero avia.
Rinaldo tanto gli parve pulita
ch'un'altra presto per sé ne volia.
E lascian questa gente morta e afflitta
e ritornorno alla lor via diritta.

41.
Tutto quel giorno cavalcato aviéno
per boschiper burronper mille chiane
e non s'avevon messo nulla in seno:
saltato in aria arebbono a un pane
ché vi vedean come l'arcobaleno
la fame. In questo e' senton due campane
e scorson dalla lunga un romitoro
che non facea mai festa sanza alloro

42.
più tosto sanza pane o cacio o carne;
de' pesci aveach'egli sta sopra un fiume.
Al romitoro si studiano andarne
ché per la fame non veggon già lume:
parranno loro i pesci più che starne;
la porta bussancome era costume.
Venne un romito e disse: - Ave Maria. -
Disse Rinaldo: - Se del pan ci fia;

43.
se nonlodato sia quello agnol nero. -
Disse il romito: - Sète voi cristiani? -
Disse Rinaldo: - Questo abbi per vero.
Aresti tu da darci almen due pani
per Dioromito? Ch'abbiamo il sentiero
per questi boschi smarrito sì strani. -
Disse il romito: - Di voi assai m'incresce
ch'io non ci ho panma e' ci sarà del pesce. -

44.
E poi toglieva una sua rete in collo
e disse: - Intanto qui vi poserete
e fate il fuoco mentre ch'io m'immollo:
so che de' pesci io n'empierò la rete
tanto ch'ognun di voi sarà satollo;
e de' sermenti pe' cavalli arete. -
Così smontornoe dèttono a' cavalli
certi sermenti dur più che coralli.

45.
Questo romito molti pesci prese
ed empiene la zucca e 'l pellicino.
Rinaldo e Fuligatto il fuoco accese.
Torna il romitoe va per trar del vino;
un angel presto dal Ciel giù discese
e disse: - Porterai sù al paladino
quale è Rinaldoquesta mia vivanda
e di' che il suo Gesù dal Ciel la manda. -

46.
Torna il romitoe presenta a costoro
questa vivanda piena di dolcezza
e dice come Iddio la manda loro:
donde ciascun ripien fu d'allegrezza;
ben parea certo dello etterno coro:
vedi che Cristo i suoi fedeli apprezza!
Dicea il romito: - Statevi a vostro agio;
maa mio parervi sarà assai disagio. -

47.
La casa cosa parea bretta e brutta
vinta dal ventoe la natta e la notte
stilla le stellech'a tetto era tutta;
del pane appena ne dètte ta' dotte;
pere avea pure e qualche fratta frutta
e svinae svena di botto una botte;
poscia per pesci lasche prese all'esca;
ma il letto allotta alla frasca fu fresca.

48.

Lasciàgli come il bruco in su le frasche
Rinaldo e Fuligatto insino al giorno
ch'a questo modo smaltiran le lasche
e il mosto e ciò che la sera mangiorno;
perch'altra fantasia par che mi nasche:
sento di lungi chiamarmi col corno
e suonaquel che chiamaquanto puote
ché qui comincian le dolenti note.

49.
Ricciardettoove t'ho io lasciato?
Tu non sailassodel futuro ancora.
Omèch'io veggo il mondo avviluppato!
Un serpente esce della terra fora
con sette bocchee fuoco arà gittato
e molta gente con esse divora:
farà tremar le mura di Parigi
e Montalbanche v'è sol Malagigi.

50.
Non creder vendicato il Veglio sia:
ben surgerà di lui qualche rampollo
e tanta gente per lui morta fia
ch'ognun di sangue si vedrà satollo:
andrà sozzopra tutta Pagania.
Io sento già della rovina il crollo
e fia sentito insin giù d'Acheronte
perché spianar si vedrà più d'un monte.

51.
Parrà che in Giusaffà dica la tromba:
Venite tutti all'etterno giudicio,
uscite del sepulcro e della tomba;
recate il bene scritto e 'l malificio.
Omègià negli orecchi mi rimbomba!
Io veggo rovinare ogni edificio
né pietra sopra pietra rimanere
tanto che Giove potrebbe temere.

52.
Veggo i lïoni uscir delle spilonche
e tigri e l'altre fiere aspre arrabbiate
e tante lance andar per l'aria tronche
e pianger le fanciulle scapigliate;
uscir gli spirti delle infernal conche
e degli abissi l'anime mal nate.
Tu ti darai ancor paceomèmeschina
Gerusalemse 'l tuo Sïon rovina?

53.
Io veggo tutta in arme Bambillona
e gli stendardi già levati al vento:
non è contenta Antea della corona
non è del padre suo lo sdegno spento:
già mosso è il campoe la tuba risuona.
O Carlopresto sarai in gran tormento.
O Iddiola terra già triema e l'abisso:
credo Tu sia di nuovo crucifisso.

54.
Io veggo il sole oscurare e la luna
ecome a Giosuèfermarsi accenna.
Ohquanta gente in Francia si raguna!
Correrà sangue il gran fiume di Senna.
Ben si sfoga a suo modo la Fortuna
e fiacca in terra e in mar più d'una antenna.
Dirén quel che seguì nel nuovo canto
con la virtù del SantoSantoSanto.



CANTARE VENTESIMOQUARTO


1.
Non chi comincia ha meritatoè scritto
nel tuo santo Evangelbenigno Padre:
convien che tu mi tragga fuor d'Egitto
per gire in parte di salute madre.
Il popol de' cristian fia presto afflitto:
aiuta tu le tue fedele squadre
ch'io non posso altro far che la mia penna
tosto non bagni nel sangue di Senna.

2.
E benché il ver malvolentier qui scriva
convien ch'io scriva pur come altri scrisse
per non far come all'alta storia argiva.
Omer troppo essaltò gli error d'Ulisse
e del figliuol famoso della diva
non so se il vero appunto anche si disse.
Accetta il savio infin la vera gloria:
e così seguiren la nostra istoria.

3.
Rinaldo e Fuligatto e Ricciardetto
GuicciardoAlardo si ritroverranno;
né so quando si fia: non l'ho ancor detto;
per molti error pel mondo insieme andranno.
Non fu questo al principio mio concetto;
pertanto a Montalban si torneranno
e quivi finiran gli ultimi giorni;
e chi non vuol tornar di lornon torni.

4.
Non so se Fuligatto Montalbano
vedràché pel cammin forse fia morto.
Io cominciai a cantar di Carlo Mano:
convien che 'l mio cantar pur giunga in porto
e ch'io punisca il traditor di Gano
d'un tradimento già ch'io veggo scorto
cogli occhi della mente in uno specchio;
e increscemi di Carloche è pur vecchio.

5.
Carloavventurato presto in Cielo
tu sarai tribolato al mondo ancora
che pur pensando al cor mi nasce un gelo!
Tornato è Ganoe notte e dì lavora
ché il mal del traditor ne va col pelo;
e Carlo al modo usato credee ignora
che il traditor si stia maggese o sodo
e non pensassi ogni malizia e frodo.

6.
Del Veglioil gran sir già della Montagna
rimase un figliuol detto Buiaforte
e per paura si fuggì in Ispagna
e il re Marsilio lo tenne in sua corte
perché l'alta regina egregia e magna
Antea cercava di dargli la morte
e molto il perseguì colle sue squadre
recordata dell'odio del suo padre.

7.
Venne costui nell'arme valoroso
ma molto fu superbo ed arrogante
e in piccol tempo diventò famoso
e fece assai per la fede affricante.
Portava un baston duro e ponderoso
ed avea membra quasi di gigante;
e molto amava il re Marsilio questo
come altra volta fia più chiaro il testo.

8.

Intanto la gran fama in tutto suona
della reina glorïosa Antea
che adorar si facea in Bambillona
né più Semiramisse si dicea.
Ella tenea lo scettro e la corona
dell'Orïentee pur nel cor avea
la morte del suo padree tempo aspetta
contra a' cristian per far crudel vendetta.

9.
Ed ogni volta ch'ell'andava a mensa
gli era il pan sottosopra innanzi volto
che denotava del Soldan l'offensa
e l'odio che nel petto avea sepolto.
Proverbio è: chi ben siedealfin mal pensa.
Ebbe pur loco il suo pensiero stolto
ché nel cor femminil può molto sdegno;
e Ganellon vi misse ogni suo ingegno.

10.
Era tornatocome io dissiGano
e molte volte lettere avea scritto
e rinnovato l'odio del Soldano
e che Rinaldo si sta per lo Egitto;
e come molto vecchio è Carlo Mano
ch'omai si potea dir per gli anni afflitto:
ch'addirizzassi sua famosa insegna
in Franciae presto con sua gente vegna.

11.
Teneva Antea gran corte e baronia
e chi più crede poi poterpiù erra:
chi una cosachi altra dicìa
che si dovessi a' cristian muover guerra;
e ricordava ognun la villania
come Morgante avea guasta la terra
e come Orlando pose il campo a torto
e fu cagion che il lor signor sia morto.

12.
E tutti infine un dì fecion concilio
dove l'alta regina ed ognun disse;
ed accordârsi scrivere a Marsilio
che inverso Francia con gente venisse:
apparecchiassi tutto il suo navilio
e dalla parte di Spagna assalisse;
e intanto Antea a Parigi verrebbe
e gran vendette ognun di lor farebbe.

13.
A Siragozza questa impresa piace;
e perché egli era in Francia imbasciatore
re Bianciardinoe trattava la pace
tra re Marsilio e Carlo imperatore
poi che questo altro parer fu capace
fu rimandato per esso a furore
e che tornassi battendo le penne;
e colle trombe nel sacco ne venne.

14.
Ed ordinò gran popol saracino
il re Marsilio e per terra e per mare;
ma ritornatoil savio Bianciardino
cominciò questa impresa a sconfortare;
e seppe insino a' tempi di Pipino
tante cose a Marsilio ricordare
che gli mostrò la guerra assai dubbiosa
e consigliollo alfin di stare in posa.

15.
Era pur savio il re Marsilïone
e molto a Bianciardin prestava fede;
e raffreddossiintese le ragione
e scrisse 'Antea che 'l tempo nol concede:
ch'avea da Carlo Man buona intenzione
e così Bianciardin diceva; e crede
che in piccol tempo sua Corona magna
farà la pace e renderà la Spagna.

16.
Aveva Carlo la Spagna racquistata
per coronarne il suo nipote e conte
e di tutta Araona e di Granata
e Ferraù morto era già in sul ponte;
ma perché questa è cosa assai vulgata
e tante lunghe istorie ne son conte
ritorneremo alla reina Antea
che di nuovo a Marsilio rescrivea.

17.
Ma poi che in mezzo di tutto il consilio
aperte e lette le lettere furno
fu la risposta fatta da Marsilio
che teneva e di piombo e di coturno
e molto piacque a tutto il suo concilio;
e dissecome Dïomede a Turno
che si penteva del tempo passato
ché poco aveva con Carlo acquistato.

18.

Iscrisse adunque la reina a Gano
che dovessi aguzzar tutti i suoi ferri
e come il re Marsilio spera invano
e Bianciardin gli par di lunga l'erri
che rendessi la Spagna Carlo Mano
e mostragli per datter men che cerri:
che il confortassi a dargli aiuto e presto
ché il tempo accomodato proprio è questo.

19.
Or chi vorrà insegnare al traditore
commetter qualche scandolqualche frodo
sarà come chi insegna al buon sartore
tener l'anello in dito o fare il nodo.
Non è guarito Gan del peccatore
e scrisse al re Marsilio in questo modo:
Salute in prima al gran signore ispano
manda il suo caro, umìl servitor Gano.

20.
Tu vuoi, Marsilio, far come fa quello
che giuoca a scacchi e pensa d'un bel tratto,
e poi che l'ha veduto, d'un più bello
ricerca, e non gli basta scaccomatto.
Il lupo vuol far pace con l'agnello
e che si scriva per suo dato e fatto
e statico il monton sia dato e' cani:
e tu sarai quel desso e' tuoi pagani.

21.
Loïca non è questa, ognun la intende,
salvo che Bianciardin che tu mandasti,
il qual forse costì del senno vende,
ma qui non n'arrecò tanto che basti.
Non so come le cetere or distende;
ma perché molto me lo commendasti,
io feci più che tu non hai richiesto,
e conferi' quel che non era onesto;

22.
e dissi pur che non credessi a Namo
e molto meno al duca di Brettagna,
ch'ognun ha sotto l'esca, il fuoco e l'amo.
E' si pensò recarne in man la Spagna:
e' m'incresce che qua noi ne ridiamo,
e presto arai la pace alle calcagna,
cioè Orlando, il nipote di Carlo,
ché tutti siam d'accordo a coronarlo.

23.
Tu hai pur tanto tempo combattuto
con Carlo, che oramai debbi sapere
che vorrebbe dal Ciel qualche tributo,
poi che Fiovo suo ebbe le bandiere;
o forse Bianciardino è troppo astuto
e non ti lascia ogni cosa vedere:
però, se appresso a te quel savio tiensi,
fa' che tu anche come savio pensi:

24.
ch'io non ho Bianciardin per uom sì grosso
che e' creda che la Spagna si rendesse,
e però il capo ritrovar non posso
del filo a questa tela che si tesse;
ma so che presto Orlando ti fia addosso,
ché molto son qua larghe le promesse
di dargli in ogni modo la corona
di Granata e di Spagna e d'Araona.

25.
Vero è che a questi giorni intesi cosa
che allor te giudicavo più che saggio,
e come Antea, la reina famosa,
con molta gente in qua facea passaggio,
ed era il tempo a voler còr la rosa
appunto come al principio di maggio,
e credo ancor tu sentirai lo scoppio:
pensa, col tuo favor, se egli era a doppio.

26.
Tanto è che Carlo non fu poi più lieto,
e credo ancor che Orlando abbi paura;
ma e' sa simular come discreto,
e tuttavolta a' remedii procura;
e se vuoi pur ch'io dica ogni segreto,
e' triemon qua di Parigi le mura
ed ognun già se gli arriccia la chioma,
che 'l barbaro Anibàl par vadi a Roma.

27.
Or non bisogna al prudente consiglio.
Io so che tu cognosci il Maïnetto:
tu lo tenesti in corte come figlio,
e riscaldasti la serpe nel petto:
io veggo il regno tuo con gran periglio,
ed arai presto a pigliar pel ciuffetto
un gran lïon che ti parrà rapace:
questo fia forse e la Spagna e la pace.

28.

Or di' a Bianciardin dunque a tua posta
ch'io non so ben se ti consiglia o sogna;
e non mandare indrieto altra risposta.
Iscrivi a Antea, ché so che ti bisogna;
e pensa ben che, se Orlando s'accosta,
la sua corona è tua mitera e gogna,
e tutto il popol tuo veggo in essilio.
Ora io t'ho detto il mio parer, Marsilio.

29.
La lettera a Marsilio porta un messo
il qual trovò dove eraa Siragozza;
baciòe la manoin terra genuflesso
che presto gli vorrebbe veder mozza.
Marsilio cognoscea il sigillo impresso
e lessee il messo impicca per la strozza:
ché intesecome pratico e discreto
quel "Non mandare altra risposta indrieto".

30.
E scrisse a Bambillona alla reina
ch'avea mutata nuova opinïone
e tutta la sua gente saracina
apparecchiava sotto il gonfalone;
e parte ne fia presto alla marina
e centomila o più sopra l'arcione
e Balugante fia suo capitano;
e mandògli la lettera di Gano.

31.
Ah! - disse Antea - tu se' pure il maestro
de' tradimentiGan! Ma s'io ritorno
in Francia piùt'appiccherò il capestro! -
E tutte le sue gente s'assettorno
sì che gli arciersanza numero equestro
dugentomila o più si rassegnorno
di Persia e quasi di tutta Soria
d'una bella e forbita compagnia.

32.
Non si ricorda Antea più di Rinaldo:
sapea che per lo Egitto era già vecchio;
era passato quel sì ardente caldo
e tuttavolta attende al suo apparecchio.
Intanto Ganoostinato e ribaldo
attento sempre teneva l'orecchio
e dubitava di ciò che gli è detto
ché e' non è traditor sanza sospetto;

33.
ed ordinava ogni dì feste e giostra
acciò che ognuno attenda a sollazzare
e sempre il primocaldo si dimostra
ch'Orlando si dovessi coronare:
- Questo è pure il campion della fé nostra! -
dicea con Carloe sapea simulare;
e ciò che e' dicein mezzo il cor gli tocca
che par che gli esca san Matteo di bocca

34.
e Luca e Marco e Giovanni e poi Cristo.
O traditor malvagioo Scarïotto
tu n'hai pur fatte più che Giuda a Cristo!
Ma non sanza cagion si dice un motto:
che il sabato non paga sempre Cristo:
e' non vi fia poi infine un quattrin rotto.
Non è del pagamento il tempo giunto:
Colui che il tempo fe'sa il tempo appunto.

35.
Carlo si stava in Parigi contento;
era già vecchio e pur canuto e bianco;
pensa che in Gano il mal seme sia spento
e pur se non è sazioalmen sia stanco;
ma egli aveva a ogni piaga unguento
e 'l coltel tossicato sempre al fianco
e lascerà la pelle omai col vezzo
e non è peggior mal che quel da sezzo.

36.
Intanto le novelle son venute
come Marsilio raguna gran gente
e molte nave in mar già son vedute
che s'apparecchion continovamente;
ma non son le malizie cognosciute
di Gano: ancora ignun non sa nïente;
vero è che la partita così sùbita
di Bianciardin fa ch'ogni savio dubita.

37.
Carlo fe' tutto il consiglio chiamare
e Ganellone il primo fu in bigoncia
e seppe come e' suol ceramellare;
e le sue maliziette in modo acconcia
che Carlo ancor se ne lascia menare.
Ma Turpin savio la ballata sconcia
e disse: - Gantu puoi dire a tuo senno
ché non s'accordan le parole e 'l cenno. -

38.

Riprese adunque Namo le parole:
andò per molte vie girando quello
e rïuscì poi infine dove e' vuole
e rovesciògli in capo un gran cappello.
Il duca Astolfo fece come e' suole:
non aspettòe che si tocchi il zimbello
e disse: - Ganellontu ne fai troppe
e non sai ben che le bugie son zoppe

39.
e però si cognosce a quelle il vero. -
Ma dopo Astolfo il conte Orlando disse:
- O Ganquesto ermellin sarà poi nero.
Meglio era il primo dì che tu morisse
anzi nato non fussi al nostro impero!
Quanto malquante guerrequante risse
son per te seguitateorrendo mostro
inimico a Dio ed infamia al secol nostro! -

40.
Aveva il signor prima di Brettagna
consigliato: - A me par che innanzi tratto
sanza saper se ci è dolo o magagna
s'impicchi Ganellonche fia pur fatto:
noi daremo un dì tutti in una ragna
come stornegli in qualche luogo piatto. -
Ma non fu ben questa parola intesa
che presto in Roncisvalle sarà tesa.

41.
Rizzossi dopo Salamone Avino
perché Gan si scusavae disse: - Aspetta:
non ti vidi io parlar con Bianciardino
nell'ortoe in qua ed in là far la civetta?
Che dicevi tui salmi o il mattutino?
Va' impìccati tu stesso alla giubbetta
ch'io non so come la terra sostienti!
Non se' tu sazio ancor di tradimenti? -

42.
Disse il Danese: - Ascolta un pocoGano:
quel dì che Bianciardin ti disse: "Taci"
e strinsetiio ti vidi purla mano
per certo tu trattavi altro che paci!
E' m'incresce tu ciurmi Carlo Mano
che non cognosce ancor di Giuda i baci
ed io già veggo le lanterne e' fusti
come reo traditor che sempre fusti. -

43.
Gano alfin pure al Danese rispose:
- Io son sempre il berzaglio a ogni mira;
ognun fa sopra me sue belle chiose.
Non mi riprenda il mio signor con ira.
Con Bianciardino io dissi molte cose
come l'una parola un'altra tira
e balza a' testamenti nuovi e vecchi:
tu ci sentisti perché avevi orecchi.

44.
E nel giardino un dì sendo rimasi
dove Avin m'ha veduto civettare
mi conferì suoi fatti e certi casi
come suol l'uno amico all'altro fare
per consigliarsi; e non vi stemo quasi.
Colui che è giusto non suol dubitare:
al peccator suol ben parer l'un due
e ch'ogni mosca sia per l'aria un grue.

45.
Io mi sonCarloa sofferire avvezzo
ed ho fatto buon gusto e buon orecchio;
e quando il falso attorno è ito un pezzo
convien che il vero appaia in ogni specchio.
Così fussi quel giorno stato il sezzo
ch'i' venni in corteov'io mi trovo vecchio
lasciata la mia patria e qualche regno
per riportarne ingratitudo e sdegno!

46.
Io me n'andròcosì vecchioin Maganza;
e qualche voltapoi ch'io sarò morto
cognosciuta sarà questa arroganza
che mille volte m'ha incolpato a torto.
Tu hai dato a costor troppa baldanza
o Carloo Carlo; e la pena io ne porto.
Ma infin tra' can si resterà la rabbia
ch'io farò ben: chi pensa malmal abbia! -

47.
Disse Ulivieri: - Ahtraditor ribaldo!
Io scoppioCarloio non posso tacere.
E' si par ben che non c'è più Rinaldo
ch'e' ti farebbe ancor l'olio tenere. -
E non poté per ira star più saldo
e levossi turbato da sedere
e dètte al conte Gano una guanciata
che nel viso e nel cor riman segnata.

48.

AhUliviertu il piangerai ancora
in Roncisvallee sarai mal contento!
Questo è quel dì che Maddalena adora
e sparge a' piedi il prezïoso unguento;
questa ceffata è foco che lavora
che fia col sangue de' cristiani spento;
vedrai che in Ganellon può questo sdegno
tantoche 'l Cielo ancor ne farà segno.

49.
Era Ulivieri alle volte superbo.
Gan bisognòe ch'avessi pazïenzia
e disse: - Va' pur làch'io te la serbo.
Carloquesto m'è fatto in tua presenzia. -
E dipartissi sanza dir più verbo.
Carlo gridava: - Ahpoca reverenzia!
Superboarrogantonbestiale e matto!
Io ti farò quel che tu cerchi un tratto. -

50.
Disse Ulivieri: - A te si vorre' dare
tanto in sul cul che diventassi rosso
e farti a Ganoil tuo mignonfrustare
che t'ha sempre trattato come uom grosso. -
Carlo si volle di sedia levare
e trasse il pugnal fuor per irgli addosso:
se non che Orlando al marchese di Vienna
che si levassi dalla furia accenna.

51.
Poi disse a Carlo Magno il suo parere:
che tempo non gli par da perder tempo
ma che si debba al caso provedere
acciò che i lor remedii sieno a tempo;
e che il consiglio dovessi a sedere
l'altra mattina ritornar per tempo
da poi ch'egli era la sera adirato:
ché chi s'adira non è consigliato.

52.
E perché molti aüttori hanno detto
che Ulivier diè la ceffata a Gano
quando e' fu poi con Bianciardino eletto
parmi che il lor giudicio sia qui strano
di mandar con isdegno e con dispetto
a trattar pace col gran sire ispano
un traditor come era Ganellone;
e scambian Bianciardin da Falserone.

53.
In questo tempo arrivava a Marsilia
una nave transcorsa per fortuna
e raccontava una trista vigilia
di mala festache non si digiuna:
e come Antea già ben trecentomilia
a Bambillona e per tutto rauna
e come in Francia la guerra è giurata
e tuttavia s'apparecchia l'armata.

54.
Il perché Carlo il consiglio chiamòe
e i paladinie il lor parere intese;
e parve a tuttie così si fermòe
che si mandassi in Ispagna il Danese
perché già Macometto là adoròe
e sapeva il costume del paese;
e che menasse per ogni respetto
Astolfo e Berlinghieri e Sansonetto.

55.
Ed ordinò per tutta Francia Orlando
le cittàle fortezze e le castella
insino alla marina capitando
acciò che fussi preparata quella;
e fece in ogni parte andare il bando
ch'ognun presto sia in punto in su la sella
e tutti i franchi arcier sieno a Parigi
dinanzi a Carlo il dì di san Dionigi.

56.
E in poco tempo raccozzato fue
della Franca Conteadi Normandia
SilandaIlanda e l'altre isole sue
da RossiglionNavarra e Piccardia
e d'altri luoghicentomila o piùe:
giunse a Parigi questa compagnia
di molte lingue e di molti paesi
contiprìncipi assaiduchi e marchesi.

57.
Ma innanzi che i cristian sieno assembrati
arrivata è la gente saracina
in molti portie per forza smontati
ed occupavan tutta la marina:
verso Parigi si son dirizzati
sotto l'insegne della lor reina;
e cuopron le montagne e' colli e' piani
guastando tutti i paesi cristiani.

58.

Aveva Antea menati due giganti
ch'eran venuti del mar della rena
che non si vide mai maggior briganti:
dodici braccia lunga era la schiena:
pensa che il resto poi sia due cotanti;
e portavan due coste di balena
e dove e' giungondinanzi o di dietro
ogni arme sgretolavan come vetro.

59.
Eran questi giganti molto fieri
Cattabriga chiamati e Fallalbacchio:
gli uomin parean fantaccini di ceri
e tristo a quel ch'aspetterà il batacchio
ché e' leverà la mosca di leggieri
e sopra l'elmo schiaccerà il pistacchio;
e innanzi a tutta la turba veniéno
e par che triemi lor sotto il terreno.

60.
Vengon costorsaccheggiando e scorrendo
verso Parigiogni cosa rubando
castelli e ville e borghi e case ardendo
come è usanzae le donne sforzando
uomini e bestie e fanciulli uccidendo;
della qual cosa è mal contento Orlando
quando sentì la lor bestiale ingiuria
e rassettava le sue gente a furia.

61.
Diceva Gano: - Or non sono io quel desso
c'ho fatto questa volta i tradimenti!
Fa' sempre bene e giudica te stesso. -
Ahtraditortu sai che tu ne menti!
E sempre intorno a Carlo era il più presso
dicendo: - Imperatordi che spaventi?
Non dubitar quando c'è il conte nostro. -
E più fedel parea che il paternostro.

62.
Già eron presso a quattro leghe o manco
i saracinie i giganti con loro;
e il capitano è innanzi ardito e franco
che si faceva chiamar Sicumoro;
e gli stendardi il campo avevon bianco
dove era un Macometto in alto d'oro;
ed Antea lieta si venìa appressando
ch'avea gran voglia rivedere Orlando.

63.
Era apparito in que' dì gran prodigi
portentiaugurî e segni e casi strani
piovuto sangue per tutto Parigi
urlavan giorno e notte tutti i cani.
Intanto a Montalbano è Malagigi
e vide in gran pericolo i cristiani;
venne a Orlandoe l'arte sua gittorno
e tutte queste cose interpetrorno:

64.
e ben cognobbon come Gano è quello
c'ha fatto questa volta al modo antico
per vedere a suo modo un bel macello;
ma non è tempo or farselo nimico.
Intanto Antea s'appressa e 'l suo drappello
che non aggiugne a' giganti al bellico
ma sopra gli stendardi son veduti
e dalla lunga due monti tenuti.

65.
Diceva Orlando: - Questi gigantacci
può far cose sì grande la Natura?
Per DioMalgigifa' che tu gli spacci
perché e' non son come gli altri a misura. -
Disse Malgigi: - Che vuoi tu ch'i' facci?
Or non aver de' giganti paura:
che dira' tu s'io gli piglio alla pania
e tutto il campo per le risa smania?

66.
Manda Ulivieri incontro alla reina
a saper la cagion del suo venire
e perché tanta gente saracina
condotta ha in Francia per farla morire:
ché così mostra la nostra dottrina
e non potersi a sua posta partire;
ma serba nella menteOrlandoquesto
e fa' pur che Ulivier cavalchi presto. -

67.
Uliviercome Orlando disseandòe
dove era Anteae scese di Rondello
e inginocchiossie poi la salutòe;
e così fece la reina a quello
e poi che si fu rittol'abbracciòe
perché Ulivieri ancor gli par pur bello;
e dissepoi che per la mano il prese:
- Ben sia venuto il mio gentil marchese.

68.

Uliviertu non invecchi mai;
ancor dipinta par questa persona!
Non ti ricorda quand'io ti lasciai
mal contento una volta in Bambillona?
E molte volte di te sospirai
benché il Soldan ne perdé la corona
e seguitòcome tu saila guerra
e guasta è ancor per Morgante la terra.

69.
Così va questo mondoUlivier mio.
Or la vendetta d'un tanto signore
lecito e giusto par ch'io la facci io:
per la giustizia e pel debito amore
combattoper la fede e pel mio Iddio
per cercar fama e riportare onore
poi mi ricordo di Semiramisse
di cui tante gran cose il mondo scrisse.

70.
Or lasciàn questo. Che è del nostro Orlando?
Ch'io non credoUlivierveder quell'ora
ch'io sia con seco un poco ragionando
tanto ancor sua prodezza m'innamora.
Rinaldo per lo Egitto tapinando
sento sen vache mi dispiace ancora:
chés'io l'avessi ritrovato in Francia
forse che più non gittava la lancia

71.
come quel dì che tu n'avesti sdegno
e tanto spiacque al figliuol di Mellone.
E s'io potessi acquistar questo regno
io lo faròché così vuol ragione;
ma sempre Carlo col suo titol degno
istarà in sedia con reputazione;
però che questa alfin non è mia opra
ma così datoUlivieriè disopra:

72.
prima che noi giù combattiamo in terra
è fatta su nel Ciel questa battaglia
e già fra lor terminata la guerra
dove tutto in un tempo si ragguaglia
che il futuro e 'l preterito non erra.
E increscemiUlivierse Dio mi vaglia
d'aver fatto a cammin pure assai danno;
ma tu sai ben come le guerre fanno.

73.
Io ho di tanti paesi e sì strani
genteche Anibal non ne menò tante
quando e' venne alla guerra de' Romani:
qui son linguaggi di tutto Levante
sanza intender l'un l'altrocome i cani.
Ma se ci fussiUlivierior Morgante
noi proverremo questi compagnoni
con quel battaglio e con questi bastoni. -

74.
E disse a lor che toccassin la mano
a Ulivierperch'egli è buon compagno
e come egli era un famoso cristiano
de' primi paladin di Carlo Magno.
Ma l'uno e l'altro gigante villano
gli fece prima uno sguardo grifagno
e con un atto superbo piegossi
e con fatica alla mano accostossi.

75.
Ulivier rise e guardò in viso Antea
ed alzò quanto può la mano in suso
acciò che Fallalbacchio non sel bea
s'egli avessi più giù chinato il muso
perché la bocca d'un fomo parea;
e disse: - Io son co' giganti pur uso;
ma questi sonoAnteasì smisurati
che non mi paion bacalar da frati.

76.
Non bisognavacon questiNembrotto
facessi per toccare il ciel la torre
ché bastava l'un sopra e l'altro sotto
se si potessi in su le spalle porre;
ma non l'arebbe un argano condotto.
E perché insieme ragionare occorre
se vuoi ch'io dicamandagli via tosto
ché bestiame mi par da star discosto. -

77.
E poi che molte cose furon dette
e partiti costordisse il marchese:
- Dunque tu vieni infin per far vendette
del gran Soldanse le parole ho intese.
Io non voglio allegarti un "ben gli stette"
ché il vero a tutto il mondo fu palese
perché e' m'increbbe di vederlo morto;
ma sai ch'egli ebbe della guerra il torto;

78.

e Ricciardetto ed io mancò per poco
che da lui non avemo ingiusta pena:
tu eri a Monte Alban qua in festa e in gioco
e noi stavamo in carcere e in catena
sanza speranzain tenebroso loco
dove lume non vien se non balena:
non parve opera degna del Soldano
sendo pur paladin di Carlo Mano.

79.
Lasciam la storia star di Marcovaldo
e il tradimento che fe' l'amostante
ché sai ben come la notte il ribaldo
a torto prese il tuo signor d'Angrante;
se non che venne il suo fratel Rinaldo.
Or perché di' dalle potenzie sante
procedon nostre risse al mondo giùe
così la morte del Soldan tuo fue.

80.
Tu sai che il Veglio fu vostro nimico.
Rinaldo per tuo amore andò ammazzallo
ma non potéché a Cristo si fe' amico;
poi fu quella montagnaegli e 'l cavallo
che predetto al Soldan fu per antico
che l'uccidrebbee tutto il mondo sallo:
peròse così dato era per sorte
incolpa i fati e 'l Ciel della sua morte.

81.
Purse tu se' così diliberata
di voler del tuo padre vendicarti
non fia la nostra eccellenzia mancata;
e se vuoi con Orlando riprovarti
ti manderò del guanto la giornata
e credo a questa parte satisfarti;
e per tua parte lo saluteròe
ed a tua posta mi dipartiròe. -

82.
Rispose Antea: - In ogni modo voglio
di nuovo con Orlando riprovarmi
e so ch'io perderò pur come io soglio;
e del Soldano intendo vendicarmi.
Non so se a torto o ragion me ne doglio
ma sia che vuolche debito mio parmi
che qualche lancia pur per lui sia rotta
da poi che tanta gente ho qua condotta.

83.
Pertanto al tuo signor farai ritorno:
saluta per mia parte tutti quanti
massime Orlando; e di' che elegga il giorno
della battagliae noi verremo avanti. -
E di nuovo l'un l'altro rabbracciorno.
Ma nel partire i superbi giganti
usoron molto i cristian minacciare
e che volevon Parigi spianare.

84.
Ulivier ritornò con la risposta
e referì ogni cosa a Orlando
e come Antea è parata a sua posta;
e de' giganti venìa disegnando
ch'ognuno avea di balena una costa
e quel ch'al partir disson minacciando;
e che Natura gli avanzò matera
quando ella fece questa tantafera.

85.
E come egli ebbe ogni cosa contato
Orlando conferì con Malagigi.
Disse Malgigi: - Fa' che al tempo dato
in punto sien la gente di Parigi
e la battaglia si facci in sul prato
come altra volta giàdi San Dionigi:
ch'io so che Antea con la gente pagana
vorrà fare alto presso alla fiumana.

86.
E de' giganti tu ne riderai:
tu gli vedrai impaniati come tordi
cosa che più non si vide ancor mai.
Fa' che in sul fatto tu me lo ricordi
ché certo so ti maraviglierai.
Un'altra cosa fa' che non ti scordi:
che con Gan nulla non ne ragionassi
che qualche malizietta e' non pensassi. -

87.
Il campo a San Dionigi diputossi;
e il dì che la battaglia era futura
con que' giganti Antea rappresentossi
ch'a Marte e gli uomin facevon paura.
Carlo si fece la croce e segnossi
e disse: - Questo non può far Natura:
questi son mostri sì feroci e strani
che poco val qui gli argumenti umani. -

88.

Così diceva Salamone e Namo:
- Io credo che gli mandi Satanasso.
Per mio consigliodrento ci torniamo
che non facessin d'uomini un fracasso;
facciam che con Orlando noi intendiamo:
ch'a lasciar que' baston cader giù basso
chi sarà quel che sotto a lor si ficchi
se fussi bene Atlante o Stambernicchi? -

89.
Carlo fe' presto il nipote chiamare
e disse: - A que' giganti hai tu pensato?
Ché l'uno e l'altro a vederlo mi pare
qualche corpo fantastico incantato. -
Rispose Orlando: - Non ne dubitare
ché Malagigi ha due volte affermato
ch'io lasci a lui de' giganti la briga;
e l'un dïavol sai l'altro gastiga. -

90.
Carlo pur gli occhi a' giganti tenea
e volentier tornerebbe in Parigi;
e per paura ognun si ristrignea
ché sopra il prato già di san Dionigi
vengono innanzi alla gente d'Antea.
Orlando s'accostava a Malagigi:
vide che quello incantava e borbotta
perché e' voleva gittar l'arte allotta.

91.
Disse Malgigi: - Aspetta un pocoOrlando
tìrati addrieto. - Orlando si scostava.
Allor Malgigi venìa disegnando
carattere e sigillie preparava
le candarie e' pentaculi. Ma quando
vennon gli spirti ch'egli scongiurava
tremò la terra come vento fossi
e l'aïr tutto in un punto turbossi.

92.
In questo in mezzo il prato hanno veduto
un uom che parea stran più che Margutte
e zoppo e guercio e travolto e scrignuto
e di gigante avea le membra tutte
salvo che il capo era a doppio cornuto;
saltella in qua e in là come le putte
e scherza e ride e più giuochi fa quello
ch'un Fracurrado o un Arrigobello;

93.
e suona una zampogna o zufolino
ed accostossi a que' gigantie tresca
e fa certi atti come scuccobrino
e intorno a lor la più strana moresca
e spesso toma come un babbuïno
o come scimia fa la schiavonesca:
sì che e' guardava questa maraviglia
l'un campo e l'altroe ritenea la briglia.

94.
A poco a poco questa filastroccola
questi giganti tabaccava e sdrucciola;
e quel fantincome chi spesso smoccola
si vede or sì or no come la lucciola
sì che comincia a girar lor la coccola
ché non parea che gli stimi una succiola;
ed ognun ride a veder questa chiappola
quantunque ancor non s'intenda la trappola.

95.
Hai tu veduto il can con la cornacchia
come spesso beffato indarno corre?
Ella si posae poi si lieva e gracchia:
così costor non si poteano apporre.
Dunque Malgigi ne trarrà la macchia!
Ed ogni volta che gli volean porre
le mani addossoegli spariva o sguizza
tal che i giganti scoppion per la stizza.

96.
Ma come Antea questo videdi botto
fra suo cor disse: "Que' giganti matti
non intendon l'inganno che v'è sotto:
questo è di Malagigi de' suoi tratti
che certo il mio disegno m'arà rotto".
Intanto colui pur facea certi atti
e per tentargli nella pazïenzia
le chiappe squadernò con reverenzia.

97.
Guarda se vuole il Marguttin la baia:
e' va lor tra le gambe per dispetto
impronto più ch'una mosca culaia.
Ecco apparire intanto un bel boschetto
tondoimpaniato come una uccellaia
non falsa illusïonma con effetto:
le frasche naturalla pania e 'l vischio
e la civetta e gli schiamazzi e 'l fischio.

98.

Il gigantin nel boschetto si tuffa
come il tordo talvolta o altro uccello;
poi gli dileggia e fa coppino e struffa
e faceva con bocca e con l'anello.
Questi gigantiirati per la buffa
come sparvier si chiuson drieto a quello;
e in qua ed in là pel boschetto s'avvolsono
tanto che tutte le frasche raccolsono;

99.
e diventoron due gran cerracchioni
co' rami intorno dal vento fiaccati.
Or fate lima lima a' mocciconi
che così tosto si sono impaniati!
E' volevon menar pure i bastoni
ma non poteanché sono avviluppati;
gridavon forte con urla feroce
che tutto il campo stordiva alla voce.

100.
Disse Malgigi: - Andate loro addosso
ch'io non posso altro far con la mia arte. -
Il perché Orlando il primo si fu mosso
e drieto a lui molta gente si parte
ed accostârsi al macchion folto e grosso
con lance e dardie frugavan da parte
ed ognun par che si studi e punzecchi;
ma bisognava turarsi gli orecchi.

101.
Già era tutto il popol di Parigi
corso di fuori al romore a vedere;
ma poi che pure alla fine Terigi
questi giganti non vede cadere
fe' come savioe corse in San Dionigi
e sanza in terra scender del destriere
calòe giù presto una lampanae prese
un torchioe 'l fuoco in un tratto v'accese.

102.
Or chi sentissi mugghiare i giganti
giurato arebbetanto erano in cruccio
che fussin quivi i demòn tutti quanti.
Ma ritornato Terigi in un succio
col torchioognun s'allargava davanti;
ed accostatocome al capannuccio
il fuoco a questi appiccava dintorno;
e così in fummo in un punto n'andorno.

103.
Questi non furon Sidrac o Misacche
a mio parereal tempo di Nabucco
ché 'l fuoco al cul non rispiarmò le lacche
come Dio volsee non parve ristucco
da portar l'acqua con le salimbacche.
Dunque Terigi è de' cristiani il cucco:
chése' giganti rovinavan giùe
arebbon morti cento uomini o piùe.

104.
Ora ècci un punto qui che mi bisogna
allegar forse il verso del Poeta:
sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna
è più senno tener la lingua cheta
ché spesso "sanza colpa fa vergogna";
ma s'io non ho gabbato il bel pianeta
come Cassandra giànon è dovuto
che il ver per certo non mi sia creduto.

105.
Io veggo tuttavia questi giganti
con gli occhi della mentee so ch'i' ho scritto
appunto i loro effetti e i lor sembianti
sì ch'io non parlo simulato o fitto.
Venga chi vuol con sue ragioni avanti
ch'io lo farò poi alfin contento e zitto
e dirà: "Ciò che l'aüttor qui scrisse
par che sia tratto della Apocalisse".

106.
Chi mi dicessi: "Or qui rispondi un poco:
se Malagigi avea questa arte intera
potea pur farcome il boschettoil fuoco
e strugger que' giganti come cera"
nota che l'arte ha modo e tempo e loco
chése la oppinïon qui fussi vera
sare' troppo felice un negromante
anzi signor dal Ponente al Levante.

107.
Ma quello Iddio che impera a tutti i regi
ha dato termineordine e misura
e non si può passar più là che i fregi
però che a ogni cosa egli ebbe cura;
e fattureaüruspi e sortilegi
non posson far quel che non può Natura
e le imagin più oltre son di ghiaccio
perché e' fe' la potenzia nel suo braccio.

108.

E se Paulo già vide arcana Dei
fu per grazia concesso a qualche fine
acciò che quel potessi i farisei
confonder con le sue sante dottrine;
ma gli spirti infernal malvagi e rei
privati son delle virtù divine;
ma perché pur molti segreti sanno
per virtù natural gran cose fanno.

109.
Vanno per l'aire come uccel vagando
altre spezie di spiriti folletti
che non furon fedel né rei già quando
fu stabilito il numer degli eletti.
Non so se 'l mio Palmier qui venne errando
che par di corpo in corpo ancor gli metti
onde e' punge la mente con mille agora
esser prima Eüforbio e poi Pittagora;

110.
e forse qui s'inganna il Tïaneo
che si ricordadiceesser pirrato
e come e' prese un altro in mar più reo
e come gentilezza gli ebbe usato.
Or tu potresti dir qui d'Asmodeo:
ed io rispondo ch'egli è figurato
il detto della Bibbiadove e' narra
come egli uccise que' mariti a Sarra.

111.
Dunque Malgigi e gli altri nigromanti
ci posson cogli spiriti tentare
ma non poteva uccidere i giganti
per arteo il fuoco i demòni appiccare;
potea ben fare apparir lor davanti
il boscoe lor vi potevano entrare
e non entrar: ch'a nessuno è negato
libero arbitrio che da Dio c'è dato.

112.
Potean gli spirti ben portare il fuoco
ma non poteano accenderne favilla.
Così vo discoprendo a poco a poco
ch'io sono stato al monte di Sibilla
che mi pareva alcun tempo un bel giuoco:
ancor resta nel cor qualche scintilla
di riveder le tanto incantate acque
dove già l'ascolan Cecco mi piacque;

113.
e Moco e Scarbo e Marmoresallora
e l'osso biforcato che si chiuse
cercavo come fa chi s'innamora:
questo era il mio Parnaso e le mie Muse;
e dicone mia colpae so che ancora
convien che al gran Minòs io me ne scuse
e ricognosca il ver cogli altri erranti
piromantiidromanti e geomanti.

114.
Or ritorniamo a' paganche stupiti
per maraviglia tenean gli occhi all'erta.
Diceva Antea: "Costordove sono iti?"
ché la fiamma dal fummo era coperta.
Son così tosto due monti spariti?
e non poteva ignuna cosa certa
sapere ancor della lor morte sùbita
se non che pur di Malagigi dubita.

115.
Ma poi che vide il segno del quartiere
e intese ben che il conte Orlando è questo
e ricognobbe l'elmetto e 'l cimiere
fecesi innanzi con sue gente presto
e dismontata in terra del destriere
abbraccia Orlando quanto parve onesto
che già di Vegliantino smontato era
ed alzato dell'elmo la visiera.

116.
Poi gli diceva con destre parole:
- Che caso è questo de' giganti strano!
Malagigi può tanto quanto e' vuole
(non so se s'è in Parigi o in Monte Albano)
e far fermare in ciel le stelle e 'l sole;
ma questo è poco onor di Carlo Mano:
io mi credea co' paladin di Francia
combatter con la spada e con la lancia.

117.
Non son venuta quacome Michele
a combatterOrlandocon gli spirti;
che se col fuoco infernale e crudele
ci struggia me bisogna acconsentirti
calar le sarte e raccoglier le vele;
ma non è certo di laüro e mirti
questa corona che tu metti a Carlo
che si vuol d'altra gloria coronarlo. -

118.

Rispose Orlando: - Il marchese di Vienna
mi salutò per tua partemadama
e che tu se' ritornata m'accenna
per acquistare in Francia onore e fama
e far che corra di sangue ancor Senna.
Veggiàn se giusta cagion qua ti chiama.
Io so che del Soldan mi dolse e duole;
ma voler si convien quel che 'l Ciel vuole.

119.
Tu sai ch'io ti condussi a Bambillona
e rende' del tuo padre in man lo scetro
e di mia man ti missi la corona
che si soleva dar pel tempo addietro
a chi con l'arme l'acquista in persona:
però le ragion tue son qui di vetro
sendo per me regina coronata
dond'io pensai tu mi fussi obligata.

120.
Se Malagigicome negromante
ucciso ha Fallalbacchio e Cattabriga
uccider gli poteva anche in Levante
s'avessin come qua cercato briga
e non avevon forma di gigante:
così matto con matto si gastiga
ed è ragion che 'l giuoco qui s'intavoli
ch'egli uccise i dïavol co' dïavoli.

121.
Or ti dirò quel che Ulivier m'ha detto:
che meco terminar vuoi questa guerra
e che combatte Cristo e Macometto
prima sù in Cieloe noi qua giù poi in terra;
pertanto io son paratoe ti prometto
per quello Iddio che è giusto e mai non erra
se tu m'abbatti per forza di lancia
tu arai tutto il reame di Francia. -

122.
Rispose Antea: - E così ti giuro io
inverso Bambillona far ritorno
se tu se' vincitore; e sallo Iddio
quant'io ho desïato questo giorno
per veder tua prodezzaOrlando mio. -
E l'uno e l'altro a caval rimontorno;
e rimontatie girato la briglia
del prato ognuno a suo modo ne piglia.

123.
Non è spento il valor certo d'Antea
ma molto men d'Orlando è la fierezza:
rivoltato il caval ciascuno avea
e nello scudo la lancia già spezza;
ma l'uno e l'altro una torre parea
che folgornon che forza umanasprezza:
così la lancia pareggiata fue
da ogni parte per la lor virtùe.

124.
Trasson le spade e dèttonsi ben mille
colpi in sull'arme e fêr mirabil prove
e non si vide mai se non faville
che volavan talvolta insino a Giove;
ma la battaglia è fra 'l troiano e Acchille
ché l'uno e l'altro d'arcion non si muove;
sì che laudar si potea questa e quello
ché molto è pareggiato il lor duello.

125.
Intanto tutto il campo s'abbaruffa:
comincia d'ogni parte la battaglia;
e bisognò che lasciassi la zuffa
ché già tutta la gente si travaglia.
Orlando allor fra le squadre si tuffa
de' saracinie chi frappa e chi taglia
tanto ch'ognun gli volgeva le chiappe
però che il cul gli facea lappe lappe.

126.
Già era Antea nella battaglia entrata
lasciato Orlando e trovato Ulivieri
ed avea seco la mischia appiccata;
ma sempre non si cade del destrieri
e benché l'arme sua abbi incantata
si spiccò dalla zuffa volentieri;
e riscontrossi con Gan di Maganza
che fece il tristo e il cagnaccio all'usanza

127.
e lasciossi cader come un ribaldo.
Guarda se sa ancor far la bagattella
o se questa è ben serpe di ceraldo!
Ma presto fu riposto in su la sella.
Gualtieri da MulioneAvolioArnaldo
Angiolin tra' pagani ognun martella;
AvinoOttone e 'l signor di Brettagna
ognun nel sangue volentier si bagna.

128.

E chi arebbe creduto che il vecchione
Carlo tener non si potessi in posa?
Credo che da Dio fussi spirazione:
la bella spada chiamata Gioiosa
tanti ne fésse il dì sopra l'arcione
che la terra e sé fece sanguinosa;
e da quel giorno poi lo imperatore
questa spada mai più non trasse fore.

129.
Era stato un uom Carlo molto degno:
Natura intese un uom pien di virtute
di gran fortezza e di prèdito ingegno;
avea molte gran cose già vedute
di nobil sanguetenuto gran regno;
ma non fur le sue opre cognosciute
e non ebbe la tuba di Lucano
ché sarebbe una Romaun Carlo Mano.

130.
Così faceva il duca di Baviera
a cui l'ultimo giorno è pur vicino;
ma perché il suo valore allo estremo era
facea come fa il lume a mattutino
e rompe ed urta e sbaraglia ogni schiera;
insino all'arcivescovo Turpino
uccide anch'egli e faceva ogni male
pur con la spadanon col pasturale.

131.
Orlandopoi che si partì d'Antea
avea del sangue de' pagani un guazzo
fattoche già verso il fiume correa:
tanti n'uccide di quel popol pazzo.
Sempre in alto la spada si vedea
sì che di morti copriva lo spazzo;
e Vegliantino alle volte si serra
ed urta e caccia assai gente per terra.

132.
Bene è questo caval quel Vegliantino
acciò che error non pigli chi m'ascolta
che fu d'Almonte degno saracino;
cosìquando Baiardo alcuna volta
si dicenon è falso il mio latino
ché e' fia col signor lor la vita tolta;
ed è ragion che la grazia del Cielo
conservi ognun che conserva il Vangelo.

133.
Gran cose il dì faceva Sicumoro
il capitan ch'aveva lo stendardo
ch'era fra tutti il primo barbassoro
e grida a' saracin: - Popol gagliardo
mortesanguevendettacarnea loro!
Fatevi innanziignun non sia codardo!
Tagliate tutti costor come cani! -
e così rincorava i suo' pagani.

134.
E' si vedeva in alto tante spade
rosse che l'aria anche pareva rossa;
e come spesso ne' campi le biade
si piegono a quel vento c'ha più possa
poi rinforza più l'altro e quel giù cade
così par sempre la battaglia mossa;
ma insino a qui la prefata battaglia
equalmente fortuna ancor travaglia.

135.
Feciono infine i pagan tanto assalto
che i cristian non poteron sostenere
tanto che 'l sangue due braccia fu alto
e fecion Carlo per forza cadere
e ritrovossi nel sangue allo smalto;
e corsono insin sotto alle bandiere
e quivi in modo la zuffa appiccorno
che ogni cosa per terra gittorno.

136.
Baldovinoil figliuol di Ganellone
ch'avea ben l'occhio per tutto tenuto
poi che vide per terra il gonfalone
e come Carlo di sella è caduto
cercando va del figliuol di Mellone
e domandava chi l'abbi veduto;
e tanto in qua ed in là s'andò aggirando
che e' ritrovò nella battaglia Orlando;

137.
e cominciò di lungi a gridar forte:
- E' ti convien soccorrere i cristiani
o ritornarci di drento alle porte:
noi siàn qua minuzzati come cani
ed ognun fugge dinanzi alla morte
e corron verso Parigi i pagani
e tutte le bandiere son per terra;
caduto è Carloe perduta è la guerra. -

138.

Non altrimenti il fer leon si scaglia
c'ha veduto di nuovo qualche armento
ch'Orlando si gittò per la battaglia
inverso gli stendardi come un vento;
or se qui Durlindana punge e taglia
tosto vedrassio se bisogna unguento;
i paladini eran per terra tutti
nel sangue imbrodolatistrani e brutti.

139.
Avea già Sicumoro il capitano
il bel vessilloe voleva fuggire;
Orlando gli tagliò netta la mano
che per la pena credette morire
e ritrovossi disteso in sul piano
sì che Zaccheo vi potea ben salire;
poi si rivolse a quella gente pazza
tanto che presto la campagna spazza.

140.
Credo che Marte il dì dicessi a Giove:
- Tu non avevi questo paladino
quando i giganti fêr l'ultime prove
ché e' non tremava lo scettro e 'l domìno. -
Orlando a Baldovin disse poi: - Dove
di' che lasciasti il figliuol di Pipino? -
Baldovin lo menò dove era Carlo
e fecion sopra il caval rimontarlo.

141.
Ulivieri era in una pressa stretta
di mammalucchie fatto gli hanno cerchio;
ma tristo a quel che non fa la civetta
ché non valeva di scrima coperchio:
l'un sopra l'altro attraversato getta:
qui si nuota nel sangue e non nel Serchio;
e tanto adoperò con la sua possa
ch'a più di cento la barba fe' rossa.

142.
Aveva Orlando a caval già rimesso
Namo e molti altri che smontati sono
sanza aver quivi lo staffiere appresso.
I pagan cominciorno in abbandono
a fuggircome uccelli in aria spesso
per vento o grandinper folgore o tuono;
e non dicevon l'uno all'altro: "Vienne"
ché per paura mettevon le penne.

143.
E tanto fu per l'aiuto d'Orlando
de' cristian nostri il furore e la rabbia
che si vennon le squadre rassettando
ed ognun par che gli spirti riabbia
da ogni parte i pagan ributtando;
e spesso Antea si trovò quasi in gabbia:
e così fecion queste bestie matte
i tafani ingrassare e le mignatte.

144.
E se non fussi venuta la notte
non fu mai de' pagan sì gran macello:
eran tutte le squadre in fuga rotte;
Orlando insieme col suo colonnello
gl'infilza per le fosse e per le grotte;
ma il sol l'altro emisperio facea bello
e bisognòe per forza a questa volta
da ogni parte sonare a raccolta.

145.
Chiese Antea triegua la sera a Orlando
per venti dìper seppellire i morti;
ma e' converrà col fuoco ire abbruciando
o che il fiume o il dïavol ne gli porti;
e per venir la storia abbrevïando
Orlando si tornò drento alle porti;
e sopra tutto Gan non è contento
se non iscambia questo tradimento.

146.
Or chi vedessi il sanguinoso agone
dove fu la battaglia presso a Senna
s'avessi un cor di pietra o di leone
gli tremerrebbe come a me la penna:
sepolte eran nel sangue le persone.
Ora hai tuAnteadato in Francia la strenna
alla tua gente c'hai fatta morire;
e non sai quel che di te dèe seguire!

147.
Lasciamo Orlando in Parigi tornato
e ritorniamo a Marsilio in Ispagna:
chepoi che v'era il Danese arrivato
e cognosceva sua prodezza magna
pargli che il vento gli avessi spannato
e spinto sopra la siepe la ragna;
ed aspettava le nuove di Francia
come Antea abbi provata sua lancia:

148.

perché e' cognobbe del suo stato il rischio;
e intanto spacciò il fante Ganellone
e bisognòe che dicessi che il vischio
d'Orlando non temeva l'acquazzone
e che i giganti si calorno al fischio
ed Antea quasi scoperto ha il groppone
come e' si fa quando e' casca giù il tordo
che il cul si pelafra morto e balordo.

149.
E rimandò di nuovo imbasciadore
in Francia a Carlo a ritentar la pace
e dir che Bianciardin non fece errore
del suo partirma la cagion si tace;
e mandò Falseronuom di gran core
prudente e molto nel parlare audace.
Giunse a Parigi e fu dinanzi a Carlo
e cominciò in tal modo a salutarlo:

150.
Quello Iddio grande che ciascun adora
il qual fe' le sustanzie separate
che volgon sopra noi questi segni ora
salvi e mantenga l'alta maestate
di Carlo Magnoe chi suo scettro onora
Orlando e gli altriin gran felicitate:
Marsilïoneil mio signorti manda
salute e molto ti si raccomanda.

151.
La cagion perché a te m'ha qui mandato
illustrissimo erede di Pipino
dal qual tu non se' già degenerato
è perché e' crede che il re Bianciardino
nel suo partir ti lasciassi ammirato
che così presto si misse a cammino
e non ti fece la ragion capace
mentre ch'egli era in sul bel della pace.

152.
Or notaimperatorcome discreto:
Bianciardin si partì per buon respetto;
ma non importa or dir questo segreto
che parrebbe disforme al nostro effetto:
basta che ancor tu ne sarai ben lieto
e tutto a luogo e tempo ti fia detto:
sai ch'ogni cosa vuol principio e norma
'accordar la materia con la forma.

153.
Ma questo un'altra voltacome io dissi
sarà con altra tuba manifesto:
però non pensar più perché e' partissi
ch'un dì ti sarà poi chiosato il testo.
Tanto è ch'io vengo a dir: "Quod scripsiscrissi"
però che 'l mio signor m'impose questo
per confirmar con la tua maestate
pace che sia di buona voluntate.

154.
E non bisogna replicare adesso
la Spagnaché Marsilio dice e crede
che ciò che Carlo gli avessi promesso
nella selva Idaosserverà la fede.
E perché intendain ordin s'era messo
centomila a caval con molti a piede
per dar soccorso a tua degna Corona
poi che e' venne il furor di Bambillona.

155.
Ma perché il re Marsilio intanto intese
come egli era venuto Sansonetto
inverso Spagnae il possente Danese
Astolfo e Berlinghierquasi a diletto
per discrezione ognun di noi comprese:
e' basta solo Orlando a tutti a petto;
e vo' che questo si resti fra noi:
Antea mal consigliata fu da' suoi.

156.
Credo tu sappi come Buiaforte
figliuol del Veglio già della Montagna
a Siragozza è con Marsilio in corte
e molto in verità d'Antea si lagna:
chése il suo padre al Soldan diè la morte
l'uccise con la lancia alla campagna
come dato era dalle etterne rote
e non ci ha colpa lui né il tuo nipote.

157.
Or lasciàn questo; se tu intendiCarlo
come vero e magnalmo imperatore
voler Marsilio come e' t'ama amarlo
la prima pace fa' che sia nel core;
e se vi fussi restato alcun tarlo
ognun con carità lo sbuchi fore;
e ciò ch'io dico è del suo petto propio
ché le parole formate qui copio.

158.

Arebbe Bianciardinoogn'altro ch'io
saputo meglio orar che Falserone;
ma ciò ch'io t'ho narratosallo Iddio
che tutto è stato con affezïone;
e sai ch'io ci ho perduto il figliuol mio
quantunque non morì come un poltrone
ma con la spada rinchiuso in sul ponte:
sì ch'io perdono ogni mia ingiuria al conte. -

159.
E non poté più dirma lacrimando
si levòe in piètanto il dolor l'assalse
ed abbracciò più volte e strinse Orlando.
Non so se queste lacrime son false.
Carlo nel volto si venne cambiando
tanto il savio parlar co' gesti valse.
Orlandoginocchione e reverente
gli domandò perdon molto umilmente.

160.
Poi disse Carlo: - Savio imbasciadore
tu sia per molte cose il ben venuto.
Del re Marsilio l'offerte e l'amore
accettoe grazie rendo al suo saluto;
e Bianciardinse si partì a furore
per obbedireha fatto il suo dovuto
e non ricerco la cagion di questo
con ciò sia cosa ch'e' non pare onesto.

161.
Di quel che molte volte ragionamo
credo tu il sappied io me ne ricordo
della pace e di Spagna; e sa qui Namo
che mai da quel ch'è giusto non mi scordo.
E' si partìtu se' venuto; e siamo
Orlando e gli altri paladin d'accordo
che voi tegnate tutti i regni ispani
non come morima come cristiani.

162.
E la cagion perché e' venne il Danese
non fu né per Antea né per sospetto
ed altra volta fien le cose intese
come tu ancor di Bianciardino hai detto;
e so che il re Marsilio alle mie imprese
aiuto darà sempre con effetto;
ché la salute di Spagna e di Francia
credo che sia la pace e non la lancia.

163.
E manderò qui il mio caro nipote
a Siragozzase bisognao Gano;
quantunque egli è contento come e' puote
di dar la Spagnaanzi gli pare strano
e so che queste cose ti son note
ch'acquistata l'avea con la sua mano;
ma voglio al re Marsilio esser fratello
ché sai che in corte sua m'allevò quello.

164.
Io non vo' ragionar d'Antea per ora:
il fin gli mosterrà quel ch'ella ha fatto
e piangeranne Bambillona ancora
ché certo il suo consiglio fu di matto.
Ognun che nasce sai convien che mora;
e se il suo padre fu morto e disfatto
come tu di'dal Ciel venne sua morte;
e non si dolga Antea di Buiaforte.

165.
Di Ferraù so che m'increbbe tanto
ch'ancor sì come tu ne son dolente;
ma io ti so ben confortar di tanto
che l'anima sua in Ciel visibilmente
fu portata dagli angel con gran canto
e come di'morì come uom valente.
Or non tocchian più là dove e' ci duole:
sia fatto infin ciò che Marsilio vuole.

166.
Tu te n'andrai con Gano a riposare
ed altra volta insieme parleremo:
parmi tempo il consiglio a licenziare;
e so che in un parer ci accorderemo. -
E fecelo da tutti accompagnare.
O Carloa questa voltao Carloio temo
che: "Amice non sia detto ad quid venisti?".
Ricòrdatiovem lupo commisisti.

167.
Orlando e tutti i baron son dintorno
a Falseronch'era uom molto stimato
ed al palazzo di Gan lo menorno
e Carlo per la man l'ha accompagnato;
e giostre e feste si fece ogni giorno
acciò che quel se n'andassi onorato
ché così piacque a ciascun d'onorarlo
perché e' vedessi la gloria di Carlo.

168.

Or se qui Ganellon nel lardo nuota
e 'l zucchero trabocca alla caldaia
per discrezionlettoreintendi e nota
e se parrà nel letto una ghiandaia.
Egli avea rossa ancor tutta la gota;
ma il canquando e' vuol mordernon abbaia;
sì che e' non parla di questoil ribaldo
ma frappava altre cose di Rinaldo.

169.
E Malagigi avea di nuovo fatto
l'arte e sapea ciò che diceva Gano
e dicea con Orlando: - O Carlo matto
ché non si può chiamar più Carlo Mano
tutti sarete mal contenti un tratto. -
E così fu dello imperio troiano
poi che l'ultimo termin fu venuto
che non era a Cassandra il ver creduto.

170.
Orlando aveva nel suo petto sdegno
ché Carlo mille volte gli ha promesso
di coronarlo e dargli stato e regno;
ma come Ganellon gli stava appresso
così sempre era rotto ogni disegno
e non pareva che fussi quel desso:
sì che e' non val Malagigi riveli
ché tutti siam governati da' Cieli.

171.
Falseron con Orlando un giorno disse
ch'avea pur voglia rivedere Antea
e 'l campopria che di Francia partisse;
e che con seco pensato già avea
che sare' ben che con esso lui gisse
e 'l conte Ganse così gli parea
ed Ulivieri; e così s'accordorno
e tutti inverso del campo n'andorno.

172.
Venne Antea incontrocome questo intese
ché Falserone era uom d'alta eccellenzia
e salutolloe del cavallo scese;
e rimontatacon gran reverenzia
saluta Gano ed Orlando e 'l marchese;
poi gli menò per più magnificenzia
pel campo a spasso a lor consolazione
poi a vedere un ricco padiglione.

173.
Il padiglione era una cosa magna
e drento v'era il caso istorïato
del Veglio: come e' fu quella montagna
ch'addosso al padre è col caval cascato;
e come Bambillona ancor si lagna
e come e' v'era Morgante arrivato
e col battaglio guastava la terra
e come Orlando gli mosse la guerra.

174.
Tutto facea per conservar costei
la vendetta del padre alla memoria.
Ma Falseronch'è falso più di lei
poi ch'egli ebbe notata ben la istoria
gli disse: - S' tu volessiio ti direi
che questo è in verità poco tua gloria.
La prima cosas'io non son ben cieco
tu portiAnteala tua vergogna teco;

175.
e portila di seta e d'oro ornata:
or fa' che tu dipinga la vendetta
se mai vien tempo tu sia vendicata.
Ma il tempo non vien maichi non l'aspetta:
rade volte la cosa non pensata
rïesce a chi la vuol pur fare in fretta.
Macertoonor cercar non ti bisogna
da poi ch'egli è sì bella la vergogna. -

176.
Non so se le parole ognuno intende
che Falseron come malvagio ha dette
però che dall'un lato Antea riprende
e par che la conforti a sue vendette;
o se pur questa cetera si stende
che come amico in mezzo quel si mette
a trattar pace a qualche suo disegno;
ma so che in altra parte va il mio ingegno.

177.
Rimase tutta spennecchiata Antea
e confirmò il suo dir perch'ella tace
però che in questo modo lo intendea:
ché si vuol ricordar di quel che piace;
e perché generoso core avea
diterminò di far con Carlo pace
e ritornarsi inverso Bambillona:
ché gentile almo volentier perdona.

178.

Falseron seguitòe le sue parole:
non so se volea far pur come e' disse
o se sarà poi falso come e' suole.
Tanto è che Anteainnanzi che partisse
venne in Parigie fece ciò che e' vuole
e Carlo con sua man la benedisse
ed ognun fu della pace contento;
e dètte alfin le sue bandiere al vento.

179.
Io lascio Antea da Parigi partire
sì tostoe par ch'io gli tolga di fama
ché mi bisogna un'altra tela ordire
tanto sottil che par grossa la trama:
chépoi che Falseron si vuol partire
a Siragozza altra tuba mi chiama;
come io dirò nell'altro afflitto canto
dove fia pe' cristian sol doglia e pianto.



CANTARE VENTESIMOQUINTO


1.
Insino a qui la tua destraSignore
assai mi fusanz'altro filo o ingegno
a uscir d'ogni laberinto fore;
ma ora in parte tanto oscura vegno
che convien che qui mostri il tuo splendore
il modo a colorir nostro disegno:
pertanto i tuoi cristian ti raccomando
ma sopra tutto il tuo campione Orlando.

2.
Carlotu se' pur diliberato
di mandar con disdegno al tuo nimico
un traditor che t'ha sempre ingannato?
Non sai tu quanto possi un vizio antico
in un cor traditor sempre ostinato?
Tu pensi il re Marsilio fare amico:
la pace fia col sangue e con la lancia
e piangerà tutto il regno di Francia.

3.
Falserone avea già chiesto licenzia
e Ganellon con lui dovea partire;
e inginocchiossi alla magnificenzia
di Carloe domandò s'altro vuol dire.
Carlo rispose: - Nella tua prudenzia
mi fidoe so ch'io non posso perire;
tu sai il proverbioe puoi insegnare altrui:
commetti al savio e lascia fare a lui. -

4.
Abbraccia Orlando poi quel fraudolente
einnanzi che la pace si conchiuda
lo domandòse gli avea a dir nïente
che gli scrivessi; e trafelava e suda
tante abbracciate fa viziatamente;
poi baciòe Uliviercome fe' Giuda
ed appiccossi come una mignatta
e disse: - Questa sia per pace fatta. -

5.
Sorrise e disse fra sé il borgognone:
O rabi, ave. Io so che tu ne menti.
Il duca Namo e 'l savio Salamone
Ottone e gli altri parean mal contenti
ed ebbon sempre ferma oppinïone
che Gan pensassi a nuovi tradimenti;
ed avean detto il lor parere a Carlo
che non dovessi a gnun modo mandarlo.

6.
Ma benché questa andata ognun pur danni
lo imperator non vi ponea l'orecchio:
chéquando egli è barbato per molti anni
convien che molto possi un error vecchio
e par di se medesimo s'inganni
chi s'è sempre veduto in uno specchio:
era il tempo venuto al tristo pianto
che Malagigi avea predetto tanto.

7.
Pareva a Carlo a suo modo di pignere
un uomcom'era Ganda queste pratiche
da saper ben dissimulare e fignere
dove a trattar s'avea cose rematiche;
e 'l traditor si faceva sospignere
mostrando omai che gli pesi le natiche:
ch'era pur vecchio e molto cagionevole
sì che la scusa parea ragionevole.

8.

E dicea: - Manda il figliuol di Mellone
a trattar queste cose della Spagna
ch'a lui più crederrà Marsilïone. -
E non dicea dove sta la magagna:
che questo tordo avea bianco il groppone
da rimanere alla pania o la ragna
cioè prigion da non lasciare in fretta;
e mostrògli più volte la civetta.

9.
Perché e' pensava: "Se costui vi resta
Marsilio arà ciò che vuole a sua posta
sanza metter più lancia in su la resta
e dirà a questa ch'ella è buona posta".
E cognosceva la spiga alla resta
ché Falserone ha veduto alla posta
e le sue maliziette avea ben conte
che consigliava che v'andassi il conte

10.
dicendo a Carlo: - Il re Marsilio sa
ch'Orlando è mal contentoperché e' fu
colui che inver la Spagna acquistata ha
e morto Serpentino e Ferraù.
Io ti dirò la pura verità:
io il manderei sanza pensarvi più.
E basti io dico; io so tu intendi: mandalo
ché potrebbe pur nascer qualche scandalo. -

11.
E nel partire avea detto a Orlando:
- Io so che il mio signor qualche giannetto
ti manderà in qua prestoperchéquando
io mi parti'già me l'aveva detto. -
Così di giorno in giorno cavalcando
sen va con Falseron quel maladetto
ed avea l'arco e l'archetto parato
ed aspettava d'esser domandato.

12.
Domandò Falseron più volte come
e' s'intendea con Orlando e 'l marchese;
e quando e' crede averlo per le chiome
la nebbia strinsee fummo e vento prese:
ch'a Siragozza vuol condur le some
Ganoe risponde "messerealbanese"
e salta pur di Bacchillone in Arno:
e il bacchillone è chi tentava indarno.

13.
Intese Falseroncome discreto
che Ganellon con Marsilio riserba
a scoprir della mente il suo segreto
e ruminava altro che fieno o erba;
sì che forse meglio era starsi cheto
perché e' vedeva ancor la sorba acerba;
ed avea d'Ulivier notato il motto
e 'l bacio dato come Scarïotto.

14.
E scrisse al re Marsilio che veniva
imbasciatore il signor di Maganza
che porterà la palma con l'uliva:
che l'onorassi più sù che l'usanza
ché forse i suoi pensier verranno a riva
e insino a qui n'avea buona speranza
se si mettessi diligenzia a questo;
ch'a bocca poi gli chioserebbe il testo.

15.
Quando Marsilio intese come Gano
era mandato come falsa rozza
per onorarlo ogni signor pagano
e tutta la sua corte insieme accozza.
Intantotrapassando un colleun piano
s'appressa Ganellone a Siragozza;
sì che Marsilio si partì in persona
e ognuno seguitava la Corona.

16.
Quindici miglia fuor della cittate
venne Marsilio incontra a Ganellone
con tutte le sue gente ammaestrate
chegiuntiognuno smonti dell'arcione;
e molte ceremonie ebbe ordinate
ed acconciossi in bocca Cicerone;
e scese in terracome appresso è giunto.
Ma Ganellon sapea la soia appunto;

17.
e disse: - Che vuoi tuMarsiliofare?
Non debbe al servo far per certo questo
il mio signorche mi dèe comandare. -
E dismontato della sella presto
si volle al re Marsilio inginocchiare;
se non che e' disse: - E' non sarebbe onesto
sendo mandato dal tuo imperatore. -
Ed abbracciârsi con sincero amore.

18.

Tutti i baroniin terra inginocchiati
Ganellone abbraccioron con gran festa;
e poi ch'e' furon tutti rimontati
si trasse il re Marsilio una sua vesta
dove eran certi falcon ricamati
e misse al conte Gano indosso questa
con le sue mancon gran magnificenzia
per dimostrar maggior benivolenzia.

19.
Poi gli dicea pel cammin ragionando:
- Come sta Carlo? Che è del duca Namo?
Che d'Ulivier? Che del mio caro Orlando?
Ora ecco il nostro Gan quich'io tanto amo;
ecco il tuo Bianciardino. - E cavalcando
avea sempre alla bocca o l'esca o l'amo.
E 'l traditor gli ride l'occhiolino
ed abbracciò più volte Bianciardino.

20.
Ma poi che furon presso alla città
l'alta regina e molte damigelle
incontra venne e grande onor gli fa
e saltan tutte della sella quelle.
E Ganellon diceaser Benlesà:
- Cadute in terra qua mi par le stelle
o le ninfe fuggite di Dïana. -
Disse la dama: - Che è di Gallerana? -

21.
Rispose il conte Gan: - Magna regina
Gallerana m'impose una imbasciata:
chebench'ella sia fatta parigina
non ha la patria sua dimenticata
e forse assalteravvi una mattina
a Siragozzae non sarà aspettata;
ch'ogni uccello aborrisce al suo nimico
e riveder s'allegra il nidio antico.

22.
E nel partir mi diè questo gioiello;
ma maggior cose disse arrecherebbe. -
Rispose presto la reina a quello:
- Gallerana farà quel ch'ella debbe
di riveder la patria e 'l suo fratello
che so che poi contento si morrebbe;
e ciò che manda leisia il ben venuto
e così quel da ch'io l'ho ricevuto. -

23.
Per Siragozza si facevan balli
e giochi e personaggi e fuochi e tresche
e chi correva dinanzi a' cavalli
buffoni e scoccobrin fanno moresche;
e gettan da' balcon fior bianchi e gialli
le dame addosso alle gente francesche;
e tutti i moricin gridon per ciancia:
- Mongioia! - e - Carlo! - e - San Dionigi! - e - Francia! -

24.
E' pareva quel giorno veramente
che tornò Furio alla città degna alma
ché correva a veder tutta le gente
e non mancò se non gittar la palma.
Ma così tosto sarà ancor dolente
questa cittàch'oggi parea sì in calma
e reputava il suo salvator Gano
che dovessi portar la pace in mano.

25.
Era il palagio del re Bianciardino
presso alla corte di Marsilïone:
il re con tutto il popol saracino
accompagnoron quivi Ganellone
acciò che quel dïavol tentennino
tentassi Ganch'era la tentazione;
e così va furcifer con furcifero
poi che il dïavol vuol tentar Lucifero.

26.
L'altra mattinail consiglio adunato
Marsilio fece una sedia parare
d'incontra a séperché il sinistro lato
non si potessi dal destro notare;
e Gan con grande onor fu accompagnato
e tutto il popol veniva ascoltare
lo imbasciator che di Francia è venuto
ch'ognun s'avea della pace creduto.

27.
Posti a sedere il re Marsilio e Gano
quivi era Falserone e Balugante
e Bianciardino appressoe Gallerano
e l'Arcaliffa ed alcun amirante.
Guardato un tratto il gran popol pagano
quel traditor che le sa tutte quante
rivolse il viso al re Marsilïone
poi cominciò la sua degna orazione:

28.

Quel vero Iddio che fece la natura
e dètte prima alle angeliche squadre
la formail locoil moto e la misura
poi nel campo amascen fe' il nostro padre
che creato non fuma creatura
onde tutti dannòe la prima madre
salvi e mantenga il bel vessillo e degno
del re Marsilio in grande stato e regno.

29.
Del mio signor l'alta Corona e magna
mi manda a tefamoso saracino
a far la pace e renderti la Spagna
come trattato fu con Bianciardino:
cioè sotto tua insegna si rimagna;
e giura a te per l'ossa di Pipino
che vuol che questa siapoi che ti piace
ultimavera e intemerata pace.

30.
Ma perché' saracin vengon da Sarra
che non tenne la legge di Macone
come la vostra Bibbia e nostra narra
vuol che tu abbi la iuridizione
cioè che tu comandiimperi e garra;
ma che più oltre non sare' ragione
che chi è battezzato si sbattezzi
acciò che Cristo non si scandelezzi.

31.
E perché al conte Orlando fue promesso
di coronarlo di questo paese
sappi ch'Orlando il primo m'ha commesso
e mostro il petto aperto e 'l cor palese
che vuol che sia tutto tuo regno espresso;
e non guardar che giurassi al marchese
non menar la sua sposa Alda la bella
se già non fussi coronata quella.

32.
DunqueMarsiliotu non hai perduto
d'avere il Maïnetto tuo allevato
ché si ricorda bencome è dovuto
quanto in tua corte tu l'abbi onorato
e pentesi aver teco combattuto;
se non ch'e' dice: "Il tempo è pur passato
con fama insin che l'uno e l'altro è veglio"
ed ogni cosa reputa pel meglio.

33.
Da ogni parte che tu vuoiMarsilio
ti proverrò che Carlo t'ama e stima
perché molto conforme è il tuo aussilio
e per l'altra ragion ch'io dissi prima
quando tu l'allevasti come filio.
E se tu ti levassi troppo in cima
tra le guerre di Francia e della Spagna
quando si perde e quando si guadagna;

34.
ma sempre assai s'acquista d'ogni parte
cioè che vi s'acquista esperïenzia:
Carlo ha ben letto nelle antiche carte
ed Alcuïn fatto ha la Sapïenzia
e legge in ogni facultate ed arte.
Pertanto io fermerò questa sentenzia:
che non s'acquista sanza ostacul fama
perché l'una virtù l'altra a sé chiama.

35.
E però consigliava Scipïone
che si dovessi conservar Cartagine
acciò che Roma avessi oppugnazione
in terrae così in mar qualche voragine
per non istare in ozio le persone
se surgessi d'Anibal qualche imagine:
perché e' sapea ch'ogni virtù quel doma
e che doveva ancor far cader Roma.

36.
Dico così che il tuo certame o gara
con Carlo l'uno e l'altro ha fatto degno
ché combattendo e vivendo s'appara
e intanto onor s'acquistagloria e regno:
però la tua grandezza gli fia cara
poi che tutto rïesce al suo disegno.
Vera cosa è che pel regno di Francia
più sicura è la pace che la lancia.

37.
E perché Falseron detto ci avea
come tu avevi già le gente armate
in puntopoi che sentisti d'Antea
e la cagion che non furon mandate
fu ch'ognun già del Danese sapea
Carlo ringrazia la tua maestate
ed offerisce a tequando e' bisogna
la Francia e la Brettagna e la Borgogna

38.

Inghilterrala Fiandra e sua possanza
i paladini e tutta la sua corte
e tutte le mie forze di Maganza
e in un corpo due anime consorte
pacelegaamicizia e fratellanza
che divider non possi altro che morte
alter alterius onera portando;
e così confirmato ha il nostro Orlando. -

39.
Molte altre cose ancor Ganellon disse
che fe' maravigliar chi intorno ascolta;
e replicò tutte le guerre o risse
che Demostene parve a quella volta
e donde prima l'orrigin venisse;
tanto che fu questa orazion raccolta
e scrittae molto commendato quello
ché gl'intinse la lingua nel cervello.

40.
E tentò insin della fede Marsilio
dicendo: - A te solo una cosa or manca
perché l'anima tua ne va in essilio
giù nell'inferno dove è Malabranca:
ricognoscere il Padre vero e 'l Filio: -
guarda se potea poi ciurmare in panca!
- chése tu confessassi il ver Vangelo
tu saresti felice al mondo e in Cielo. -

41.
Tutto faceva il traditor con arte
ch'un certo santaficca parer vuole.
Marsiliocome e' venne a questa parte
mostrò che l'avea tocco dove e' duole
e disse: - Ognun si legga le sue carte -
ché cognobbe di Gan ben le parole;
e fece la risposta egregia e magna
di Carlo e della pace e della Spagna.

42.
Poi finse una sua certa novelletta:
- In una selva presso a Siragozza
per quel ch'io udi' già dire in Tolletta
dove ogni nigromante si raccozza
è una buca nello entrare stretta
ma poi sotterra molto spazio ingozza
dove stanno a guardar sei gran colonne
certi spirti gentil con varie gonne.

43.
L'una colonna dicon che par d'oro
l'altra d'argentoe poi ramee poi ferro;
l'altra è di stagno tutto puro e soro
e l'ultima di piombos'io non erro.
Io non credetti alcun tempo a costoro
però che il ver con la ragion l'afferro
sì che già molti vi mandai in effetto;
e ritornaticosì m'hanno detto:

44.
Queste colonne son significate
per le sei fede, e quella d'oro è prima;
l'altre, secondo poi la qualitate,
di grado in grado più e men si stima:
quivi son le carattere segnate
di cui convien ch'ogni anima s'imprima
e la sua fede elegga in questo chiostro
prima che infusa sia nel corpo nostro.

45.
Gli spiriti che guardan questo loco,
mentre l'anime passano, ognun priega;
elle sen vanno come uccello a gioco:
volgonsi a quella ove il desio le piega,
perché ancor semplicette sanno poco,
ma pur libero arbitrio non si nega;
quella che abbraccion, poi la fede è loro:
beato a quel ch'abbracciato arà l'oro.

46.
Io parlo per paraboli a chi intende
ch'io so che tu se' pur quel Gano antico
a cui bianco per nero non si vende
e non si scambia il dattero col fico.
Ma sopra tutto un giusto amor raccende
di riveder sì caro e vero amico
e ringrazio colui che t'ha mandato
non so se Carlo o dal Cielo ordinato. -

47.
Poi che il parlar tra costor fu finito
e partito il gran popol saracino
el conte Gan con gran corte n'è ito
al bel palazzo del re Bianciardino.
Marsilio fece un solenne convito
l'altra mattina ordinar nel giardino
e Gan vi vennee portò quella vesta
ch'e' gli donòeper far più allegra festa.

48.

Ma drento nella mente sua lavora
un pensier ch'era amarooscuro e fosco
e dicea: "Che farò? Pentomi io ancora?
Questo peccatopoi ch'io lo cognosco
tanto è più grave; e già s'appressa l'ora".
Ma l'anima avea già beuto il tòsco:
e non isperi ignun con Dio concordia
passato il segno di misericordia.

49.
sodalizioo maladetto loco
dove fu perpetrato tanto male!
Vennon quante vivande e feste e gioco
richiedeva il convito trïunfale
e ciò ch'io ne dicessi sare' poco;
e 'l traditor crudele e micidiale
benché tutto turbato è in suo segreto
si dimostrava il dì più che mai lieto.

50.
Avea da Falseron Marsilio inteso
ciò che Gan pel cammino aveva fatto
e che nel parlar suo poco ha compreso
se non che tanto n'aveva ritratto
che gli pareva vederlo sospeso
e non mostrassi quel che drento è piatto
e che volessi a lui dir qualche cosa
ch'ancor nella sua mente era dubbiosa.

51.
E Bianciardinch'era con Gan molto uso
provato avea per iscalzargli il dente
tutti i suoi ferrie poi del tarabuso
l'artiglioe non avea fatto nïente:
sì che Marsilio restava confuso
ché interpetrar nol potea facilmente
e cognosceva che v'è macchia e dolo;
ed accordârsi che e' tentassi solo.

52.
Dopo molti piacersollazzi e balli
cantigiuochibuffonicome è usanza
e corso cervialepardi e cavalli
per onorare il signor di Maganza
Marsilio chiamò a sé certi vassalli
perché s'aveva a ballare altra danza
e finse che la festa omai rincresca
ed ordinò ch'ognun fuor del parco esca.

53.
Rimasi soli Marsilione e Gano
il re si volse con allegra fronte
e disse: - Imbasciator- presa la mano
- tu sai il proverbio: la mattina il monte
vicitare alle volte è grato e sano;
poiverso seravicitar la fonte. -
Era già vespro e più che mezzo il giorno;
e così inverso una fonte n'andorno.

54.
Posti a sedere e ragguardato un poco
laudò la fonte Ganch'assai gli piacque
però che tutto è circundato il loco
di pomie fresche e cristalline l'acque;
ma non poterno spegnere il gran foco
onde principio al gran peccato nacque.
Poi cominciò Marsilio come amico
a ragionar con Gan del tempo antico.

55.
E cominciossi insino dal Mainetto
e come Gallerana amassi quello
mentre ch'egli era in corte giovinetto
molto prontoleggiadro e savio e bello;
e come prima s'avvide nel petto
ardea di questi amanti Mongibello
e che per gentilezza tacer volse
di quel che in verità spesso gli dolse;

56.
e che pensava d'aversi allevato
non altrimenti che 'l suo Zambugeri
un altro figlio di lui proprio nato
perché lo tenne in corte volentieri
e molto fu alcun tempo onorato;
e che fatti gli avea mille piaceri;
poi gli volse la punta della lancia
come in mano ebbe lo scettro di Francia.

57.
E disse poi delle guerre passate;
e quante ingiurie gli avea fatte Carlo
onestamente furon ricordate
dicendo: - A sicurtà con teco parlo -
con parole pur destre accomodate
per mostrar come al cor gli rode un tarlo
a ricordarsi del tempo preterito
e che aveva da lui cattivo merito;

58.

e che gli aveva tre volte la Spagna
toltae volea pur coronarne il conte;
e ricordava al signor di Magagna
non di Maganzatutte le sue onte;
cheper veder se Marsilio si lagna
da beffegli occhi affisòe nella fonte
e non guardava sé come Narciso
ma gli atti e' gesti di Marsilio al viso.

59.
E Marsilio anchepoi che vide attento
Gano in su questoriprese speranza
e le vele adattòe secondo il vento
e mutò presto nuovo suono e danza;
e mostrò che il valor suo non è spento
che avea tesoro ancor molto e possanza
e come e' fussi Orlando un giorno morto
che mosterrebbe a Carlo egli avea il torto.

60.
Questo dicea come prudente quello
per veder s'a la trappola guidarlo
volea quel traditor malvagio e fello
ché poco poi si curava di Carlo.
Ma come e' gli ebbe tocco quel zimbello
non bisognò più Gano stuzzicarlo
né tirar sì che si spicchi la coda;
e il capo alzòpien di malizia e froda.

61.
Questo ultimo parlar fu quella chiave
la qual con mille ingegni aperse il core
a Ganellontanto volse soave;
e sospiròe più volte il traditore
come chi cosa dir vuol dura e grave;
poi disse: - O savioastuto tentatore
che mi costrigni a scoprir le mie colpe
noi sarenveggoin un sacco due volpe.

62.
Tu vuoi che muoia Orlandoe così sia;
ed Ulivieri; e sai della guanciata
che mi diè in corte e della ingiuria mia
che nel core e nel volto è ancor segnata.
E Falseron credette per la via
avermie Bianciardin qua la ballata
più volte ha ribeccatae 'l suo palagio
mi déstich'a tentar quello avessi agio;

63.
e Falseron fe' in Francia l'abbracciate
col conte Orlandoe del suo Ferraùe
furon tutte le ingiurie perdonate
non so se con la lingua o col cor fue:
tutte le vostre astuzie ho ben notate;
e ritentò più d'una volta e due
se ti poteva in qua guidare Orlando:
però il venne co' baci sciloppando.

64.
Ma perché formicon vecchio è di sorbo
che non isbuca all'accetta o 'l martello
tu potresti aspettarMarsilioil corbo
ché sai ch'egli è molto malvagio uccello
ed ha con teco l'animo sì torbo
ch'a Siragozza non verrebbe quello
ché si tien della Spagna ingiurïato
donde e' pensava d'esser coronato.

65.
Ma s'io tel conducessi in Roncisvalle?
Io non ti chieggocome Giudaargento;
ma vuolsi queste cose ben pensalle
e misurarnon ch'una voltacento:
ché questo è grave peso alle mie spalle.
Né vo' che sia chiamato tradimento
ch'io porto d'Ulivier nel viso il segno
e licito ogni cosa è per isdegno. -

66.
Quando Marsilio intese Ganellone
che va su per la fatta a buon cammino
parvegli tempo a metter l'artimone
e non calare or più il timon latino;
e va per Bianciardino e Falserone
per un uscio segreto del giardino
e ritornò dove il malvagio conte
Ganellone aspettava a quella fonte;

67.
e replicò ciò ch'e' gli aveva detto
però che a questi nulla era segreto
e come e' gli avea aperto il core e 'l petto;
e molto ognun di lor si fece lieto.
O traditor ribaldo e maladetto
che non cura più Iddio né suo decreto!
e disse: "Tante te n'ho fatte omai
Cristoche questa mi perdonerai.

68.

L'anima mia dove ella debbe gire
credo che sia l'alloggiamento or preso
e non può la sentenzia preterire.
Ulivier tante volte m'ha offeso
ch'io non intendo viver né morire
che merito per merito fia reso;
e s'io non porto questa ingiuria meco
contento me ne vo nel mondo cieco".

69.
Era Gan traditor di sua natura
prescito più che Giuda Scarïotto;
ma non offenda ignun sanza paura
della vendettae noti bene il motto
che per disperazion l'uom s'assicura
e dice: "Se il disegno fia pur rotto
come Fortuna alle volte ingarbuglia
che fia? Mort'iomort'una mosca in Puglia".

70.
Il tradimento Gano ha disegnato:
ch'Orlando in Roncisvalle venir debbe
a ricevere un don che fia mandato
il qual sempre tributo poi sarebbe;
e Carlo a Piè di Porto abbi aspettato;
e che quivi la pace si farebbe
dove Marsilio andar vuole in persona
e inginocchiarsi a sua santa Corona;

71.
e che voleva infin baciarli il piede
e far con lui sincera e vera pace
e chese il Maïnetto suo rivede
dirà qual Simïon: "Come a te piace
l'anima mia omaiSignorrecede";
e tutte cose che parran capace
digesteessaminate a parte a parte
con mille scaltrimenti e con mille arte:

72.
Orlando in Roncisvallecome io dico
per fare al re Marsilio compagnia
che paressi deposto ogni odio antico
e il tributo ricevere: il qual fia
le frutte amare di frate Alberico.
Ma mentre Ganellon questo dicìa
cadde la sedia ove Marsilio siede
e la cagion non s'intendeva o vede.

73.
Ma miracol non è quel che il Ciel vuole.
Poi appariron gran prodigi e segni:
e' si turbò in un tratto in aria il sole
e' nugoliche d'acqua eran già pregni
cominciono a tonar come far suole
quando par Giove più crucciato sdegni;
e vento e furia e grandine e tempesta
sùbito apparve: o Iddiogran cosa è questa!

74.
E mentre spaventati eran costoro
venne una folgor che cadde lor presso
la qual percosse di cima un alloro
ed abbruciolloe insino in terra è fesso.
O Febocome hai tu que' be' crin d'oro
così lasciato fulminare adesso?
Dunque i suoi privilegi il lauro or perde
che per ogni stagion suol parer verde?

75.
Disse Marsilio: - O Maconche fia questo?
ché certo esser non può sanza misterio.
O Bianciardinoio ti dirò il ver presto:
questo è cattivo augurio al nostro imperio. -
Intanto venne un tremuoto rubesto
che scosse questo e quell'altro emisperio.
Falseron si turbò tutto nel volto
ed anche a Bianciardin non piacque molto;

76.
ma per paura nessun non si mosse.
In questo mezzo sopra loro apparse
un vampo che parea di fuoco fosse;
e l'acque vidon traboccate e sparse
fuor della fonteche parevon rosse;
e ciò che quelle toccornotutto arse
sì che dintorno abbruciò la gramigna
ché l'acqua bolle e pareva sanguigna.

77.
Era disopra alla fonte un carrubbio
l'arborsi diceove s'impiccò Giuda:
questo più ch'altro misse Gano in dubbio
perché di sangue gocciolava e suda;
poi si seccòe in un punto i rami e 'l subbio
sì che di foglie si spogliava e muda;
e cascò in capo a Ganellone un pome
che tutte quante gli arriccia le chiome.

78.

Gli animal che nel parco eran rinchiusi
comincioron tra lor tutti a urlare;
poi si rivolson musi contra musi
e insieme comincioronsi a cozzare.
E così stetton gran pezzo confusi
Marsilio e gli altri le cose a mirare
e non sapeva ignun quel che si facci
tanto l'ira del Ciel par che minacci.

79.
Ma benché nel giardin le triste aguria
apparissindi fuor non fu sentito
per la cittàné da' baroni in curia:
onde Marsilio è poi più sbigottito.
E poi che fu passata questa furia
ed ognuno era attonito e smarrito
cominciò Bianciardino a confortargli
ed a suo modo i segni a interpetrargli;

80.
e mostrò con sua arte e sua dottrina
che questi segni appariti sì strani
denotavan l'incendio e la ruina
e 'l sangue che fia sparto de' cristiani.
Ma Ganellone altrimenti indovina
e ben cognobbe gli argumenti vani
e tutta quella notte insino al giorno
varie cose alla mente ebbe dintorno

81.
e combatté col senso la ragione;
poi vinse sua natura maladetta.
L'altra mattina il re Marsilïone
mandò per tutti i savi di Tolletta
come colui che è in gran confusïone
che dovessino a lui venire in fretta;
e non si fida a Bianciardin di questo
ché non s'accorda ben la chiosa e 'l testo.

82.
A Siragozza vennon tutti quanti
a disputar sopra questa matera
magiastrolagi e molti nigromanti
vaticiniaüruspiche ve n'era
gran copia allorae famosi e prestanti.
Marsilio contò lor la cosa intera
e comandò che debbin dire a quello
il verocome a Nabucco Daniello.

83.
Furono insieme adunque gl'indovini
e dissondopo molto disputare
che si potea per Carlo e' paladini
il sangue e queste cose interpetrare
come contra a Marsilio e' saracini;
e d'alcun caso poi particulare
ebbon tra lor diverse oppinïone;
pur fecion tutti una conclusïone:

84.
la folgor che l'alloro avea percosso
interpetrar si potea facilmente
ché cesare o poeta e non uom grosso
si solea coronarne anticamente:
però sarebbe un imperio rimosso.
Poi disse un vecchio tra loro sapiente
che del carrubbio il caso era sì strano
che lo lasciava interpetrare a Gano.

85.
Questa parola a Gan dètte terrore
più che non fece il fatto per se stesso:
non so se pur questo indovinatore
si disse a casocome avviene spesso
o cognosceva Gan per traditore.
Gan gli rispose: - Egli è più tuo interesso
che ogni cosa a Marsilio distingua
che si vorrebbe cavarti la lingua. -

86.
Riprese il re Marsilio il nigromante
e dètte a tutti alla fine licenzia;
ed accordârsi e' si traessi avante
il tradimento con gran diligenzia
e che si metta la gente affricante
in puntoe tutta la lor gran potenzia;
e sopra tutto ognun di loro intese
che si partissi di Spagna il Danese.

87.
Intanto Ganellone a Carlo scrisse
come egli aveva la pace ordinata
e bisognava che Orlando venisse
in Roncisvalle con la sua brigata;
e del tributo e d'ogni cosa disse
e replicò tutta la intemerata
e che venissi a Piè di Porto presto
dove aspettar Marsilio pare onesto.

88.

E disse: "Il re Marsilione ti manda
un don che sare' degno in cielo a Giove:
una ricca coronauna grillanda
con un carbonchio mai più visto altrove
che riluce la notte d'ogni banda
quand'ella è bene oscura e quando e' piove;
ed oltra questo una ricca collana
di pietre prezïose a Gallerana;

89.
mandagli un vel ch'è tutto lavorato
d'oro e di setae drento al foco imbianca
e però salamandra è appellato
(dove alcuno scrittor forse qui manca);
un dente d'elefante smisurato
e di serpente un corno ed una branca;
due selvaggi leon fuor di misura
ch'a ognun fanno a vederli paura;

90.
pel parco ancor molti destri alepardi
che in pochi salti raggiungon le fere
e tigri e cefi e bissonti gagliardi
e coccodrilli e giraffe e pantere;
màndati tanti stambecchini e dardi
turcassi ed archi di mille maniere
brenuzi e cinti e molti cordovani
falcongirfalchi e ghezzi e cani alani.

91.
E poi che fur caricati i cammelli
di ricche merce e d'ogni arnese vario
bertucce e babbuïn per soprasselli
v'aggiunse il re Marsilio un dromedario
il qual t'arrecherà tanti gioielli
che non avea tanto tesoro Dario
e s'io il dicessie' non sare' creduto:
e questo fia poi sempre il tuo tributo.

92.
Màndati ancor due spiriti folletti
Floro e Farèse parlerai con loro
in uno specchio dove e' son costretti
e molte cose degne dirà Floro;
cento bianchi destriercento giannetti
con tutte le lor selle e briglie d'oro
al conte Orlandoe molte carovane
di drappiarnesi e cose sorïane;

93.
a Ulivieri una leggiadra vesta
la qual tutta di gemme è ricamata:
diecimila seraffi o più val questa.
E poi che fu la pace divulgata
per Siragozza si fa fuochi e festa
e tutti i gran signor della Granata
vengono a corte a Marsilio adorarlo
e non si grida se non "Pace!' e "Carlo!'.

94.
Credo per grazia il Ciel m'ha riserbato
a tanto beneinnanzi ch'io sia morto;
e parmi il luogo che s'è disegnato
di venire a San Gianni Piè di Porto
che sia proprio al bisogno accomodato.
Ma io sarò costàcredodi corto;
intanto fa' che la tua corte adorni
e che tu scriva al Danese che torni".

95.
La lettera il messaggio appresentòe
a Carloe mai non si vide più lieto
e nel consiglio a tutti la mostròe
e chiama Ganellon savio e discreto.
Ma Namo già non se ne rallegròe;
e giudicava ognun nel suo segreto
che Ganellon gittassi il giacchio tondo
a questa voltae che toccassi fondo.

96.
E perché Orlando andato era in Guascogna
e non voleva a Parigi più stare
ed avea seco il duca di Borgogna
Carlo gli scrisse ch'e' dovessi andare
in Roncisvalle prestoove bisogna
il re Marsilio e 'l trebuto aspettare
e che e' dovessi deporre ogni sdegno
ché non gli mancherebbe stato e regno.

97.
E mandògli la lettera che scrisse
Gano; e giurava per la sua corona
poi che son terminate l'aspre risse
ed Antea ritornata a Bambillona
benché d'accordo di Francia partisse
che gli voleva ritòrre in persona
e Bambillona e Persia e la Soria
e dar di tutto a lui la signoria:

98.

chépoi ch'egli era il campion ver di Cristo
volea che 'l suo Sepulcro lui guardassi
che tolto aveva a' nimici di Cristo:
pertanto al tutto in Roncisvalle andassi
e perché tanto umilïossi Cristo
a Marsilio ancor lui s'umilïassi
(vedi s'egli era all'usato pur cieco!)
e che menassi il conte Anselmo seco.

99.
Questo è quel conte Anselmo che si dice
che in Roncisvalle fe' mirabil cose
donde l'anima in Ciel n'andò felice.
Orlando in man la lettera gli pose.
Ulivier questa andata contraddice;
ma poi seguire Orlando si dispose
perché pure era una volta cognato
e lungo tempo l'avea seguitato.

100.
Or oltre in Roncisvalle Orlando va
per obbedircome e' fe' sempreCarlo.
Non so se Rafael con lui sarà:
credo che sìché non dovea lasciarlo
forse che no; ma più tosto verrà
cogli altri in paradiso accompagnarlo
dove l'anima giusta e benedetta
nella gloria de' màrtiri s'aspetta.

101.
Rescrisse a Gan lo imperator ch'avea
ogni cosa ordinatoe la partenzia
il tal dì di Parigi esser dovea;
e commendava la sua diligenzia.
Or come il traditor questo intendea
dal re Marsilio pigliava licenzia
e nel partire ordinava ogni cosa
acciò che a tempo fiorisca la rosa.

102.
E reputava Gan tanto gagliardo
Orlandoche gli parve e' bisognassi
centomila pagan nel primo sguardo;
nella seconda schiera ne cacciassi
dugentomila; e poi nel retroguardo
altrettanto di tutti non mancassi:
ché il terzo dìse la battaglia dura
ognuno arebbe d'Orlando paura;

103.
e disse: - Intendi ben quel ch'io ti dico
Marsilio: a questa parte abbi respetto
però che fu fatato per antico
che il terzo dì nessun gli regge a petto
e so che prezza poco ogni nimico;
e Carlo molte volte me l'ha detto
che e' fu fatato insino in Aspramonte
al tempo d'Agolante e del re Almonte

104.
e che con le sue man l'angiol Michele
gli cinse quella spada Durlindana
e fecel cavalier di Dio fedele
che difendessi la fede cristiana:
benché alcun dicapiù dolce che mèle
che fu san Giorgio e la fata Morgana;
ma credi qualche cosa sia di questo
perché la pruova lo fa manifesto.

105.
Orlando è uom che non are' paura
di Martese venisse con sua insegna
e farà cose il dì sopra natura
ch'animo cesarèo nel suo cor regna.
Ed anche ci bisogna aver qui cura
a Ulivierch'io credo con lui vegna;
ed arà seco forse il conte Anselmo
che miglior cavalier non s'allaccia elmo.

106.
Però secentomila combattenti
de' miglior della Spagna ti bisogna;
e non sia ignun che consigli altrimenti
ch'Orlando so ti farebbe vergogna.
Parmi da far certi provedimenti
e non ti paia cosa che si sogna:
ché chi vuol quelle gente pigliar tosto
come le pecchiegli pigli col mosto.

107.
Però si mandi innanzi caricati
di vino e vettovaglia assai cammelli
chécome e' fieno un poco riscaldati
al primo assalto vinceranno quelli
tanto che i primi pagan fien tagliati;
poi torneranno di leoni agnelli;
pur la seconda schiera fia ancor rotta;
la terzano: tu vincerai allotta.

108.

Ma fa' che in Roncisvalle sien per tempo
prima che ignun la corazza s'affibbi
ché non aràn così d'armarsi tempo
e sconteranno e datteri e' zibibbi:
chése le cose si faranno a tempo
gli uomini sonsanz'armecome nibbi;
salvo ch'Orlando e' paladin faranno
cose che scritte non si crederranno. -

109.
Poi disse Gano: - Una cosa ci resta:
Baldovin mio figliuol vi raccomando
il qual verrà con la cristiana gesta
però che vuol sempre esser con Orlando. -
Disse Marsilio: - La mia sopravvesta
gli portae di' così ch'io gliela mando
e vo' che sempre per mio amor la tenga
e che con questa in Roncisvalle venga. -

110.
Poi che fu ordinato il tradimento
e recato la Bibbia e l'Alcorano
e dato a tutti quanti il sacramento
da Siragozza si partiva Gano.
Marsilio volea dargli oro ed argento
ma Ganellon non vi porse la mano
e fece un ben che sarà il primo e 'l sezzo
che ricever non vuol di sangue prezzo.

111.
E tanto ha cavalcato il traditore
che in pochi giorni a Parigi arrivava;
e come e' giunse ove è lo imperatore
Carlo l'abbracciae quasi lacrimava
di tenerezza che gli venne al core;
e Gan poi questo e quell'altro abbracciava:
par che venga da far qualche santa opra
e tutta quella corte va sozzopra.

112.
Pensalettorche il traditor rassetti
tutte sue bagattelle e sue bugie
e mandragole e serpe e bossoletti
e polvere e cartocci e ciurmerie
mostrassie tutti sciogliessi i sacchetti;
e lo stagnon della trïaca aprìe
ma non mostròech'e' l'ha nascosoe sallo
l'arsenicoil nappello e il risagallo.

113.
E poi con Gallerana cicalava
e disse come la reina Blanda
a Siragozza un giorno l'aspettava
e però molte cose non gli manda.
Poi Carlo tuttavia sollecitava
e sempre l'onor suo gli raccomanda
e che e' menassi la sua corte adorna;
e pure al fatto d'Orlando ritorna.

114.
Carlo si studia che par che trafeli;
non dice come a Giuda: "Ad quid venisti?"
ché Ganellon gli ha portati i Vangeli
e son proprio di man de' vangelisti
e non pensava a tanti amari feli
insin che gli fia detto un "Dirupisti:
morto è Orlando e la sua gente tutta
e la tua Francia bella omai distrutta".

115.
Io avevo pensato abbrevïare
la storiae non sapevo che Rinaldo
in Roncisvalle potrebbe arrivare;
un angel poi da ciel m'ha mostro Arnaldo
che certo un aüttor degno mi pare
e dice: - AspettaLuigista' saldo
ché fia forse Rinaldo a tempo giunto. -
Sì ch'io dirò come egli scrive appunto.

116.
E so che andar diritto mi bisogna
ch'io non ci mescolassi una bugia
ché questa non è istoria da menzogna;
chécome io esco un passo della via
chi gracchiachi riprende e chi rampogna:
ognun poi mi rïesce la pazzia;
tanto che eletto ho solitaria vita
ché la turba di questi è infinita.

117.
La mia accademia un tempo o mia ginnasia
è stata volentier ne' miei boschetti
e puossi ben veder l'Affrica e l'Asia:
vengon le ninfe con lor canestretti
e portanmi o narciso o colocasia
e così fuggo mille urban dispetti;
sì ch'io non torno a' vostri arïopaghi
gente pur sempre di mal dicer vaghi.

118.

Poi che Malgigi vide Carlo Mano
che come un bufol drieto al suo disegno
si lasciava guidar pel naso a Gano
si partì da Parigi per isdegno;
e fece l'arte usata a Montalbano
per saper dovein qual paese e regno
si ritrovava Rinaldo e' frategli
ché lungo tempo non sapea di quegli.

119.
Uno spirto chiamato è Astarotte
molto savioterribilmolto fero;
questo si sta giù nelle infernal grotte:
non è spirto follettoegli è più nero.
Malgigi scongiurò quello una notte
e disse: - Dimmi di Rinaldo il vero;
poi ti dirò quel che mi par tu faccia.
Ma non guardar con sì terribil faccia.

120.
Se questo tu faraiio ti prometto
ch'a forza ma' più non ti chiamo o invoco
e d'ardere alla morte un mio libretto
che ti può sol costrigner d'ogni loco
sì che poi più tu non sarai costretto. -
Per che lo spirtobraveggiato un poco
istava pure a vedere alla dura
se far potessi al maestro paura;

121.
ma poi che vide Malgigi crucciato
che voleva mostrar l'anel dell'arte
e in qualche tomba l'arebbe cacciato
volentier sotto si misse le carte
e disse: - Ancor tu non hai comandato. -
E Malagigi rispose: - In qual parte
si ritruovi Rinaldo e Ricciardetto
fa' che tu dicae d'ogni loro effetto.

122.
Rinaldo le piramide a vedere
è andato d'Egitto; - gli rispose
questo demòne - e se tu vuoi sapere
tutti i suoi fattiio t'ho a dir tante cose
che 'l sonno so non potresti tenere. -
Disse Malgigi: - Delle più famose
notizia voglioe però non t'incresca;
ma di' più forteacciò che 'l sonno m'esca.

123.
Rinaldo Fuligatto aveva seco; -
disse Astaròt - e insino a qui t'ho detto
quando altra volta ne parlai già teco.
Guicciardo suoAlardo e Ricciardetto
vollon veder tutto il paese greco
e poi passar d'Elesponto lo stretto;
perché e' sapevon per antica fama
del monte eccelso che Olimpo si chiama.

124.
E poi che furon tre giorni montati
perché pure a salir si suda e spasima
sendo in alto una notte addormentati
uccise Fuligatto la fantasima:
credo ch'egli eran tanto affaticati
che per l'affanno venissi questa asima
che il sangue al cor per le vene s'accolse:
e così mal della impresa gli colse.

125.
Rinaldo il seppellì come e' potea
e terminò pur di veder la cima:
vide che sotto le nugole avea
e lettere gran tempo scritte prima
in su la rena scolpite leggea
ché vento o pioggia non par che l'opprima.
Ma poi trovònello scendere il monte
una strana chimera a una fonte.

126.
Uccise questache fu maraviglia
ché mai nessun più non v'era arrivato
ch'affisar sol questo mostro le ciglia
col guardo suo non l'avessi ammazzato.
Poi verso il Caïr rivolse la briglia
poi vèr Domascoed al Giaffo arrivato
volle vedere il sepulcro di Cristo -
(benché il dïavol non dicessi: "Cristo";

127.
disse: "il sepulcro del monte Calvario").
- Poi lasciâr quivi ciascuno il destriere
e tolson chi cammelchi dromedario
e 'l monte Sinaì vollon vedere;
e perché il vento si misse contrario
furno a pericol di non rimanere
tutti annegati in quel mar della rena
e con fatica lo passorno appena.

128.

E sopra a Sinaì salitie scesi
da quella parte ove il gran fiume corre
vollon vedere anche molti paesi
e dove fu di Nembrotte la torre.
Poi ritornati e' lor destrier ripresi
saliti prima al bel monte Taborre
trascorson fino in India al prete Ianni
e combatteron là molti e molti anni

129.
tanto che sol v'era un signor rimaso
il qual non si voleva battezzare
e redurre alla fede di Tommaso.
Ma perché più non vollon soggiornare
Rinaldo se n'andò verso l'occaso
e volle il grande Atlante superare
sanza curarsi o di fatica o gelo
forse per tòrgli dalle spalle il cielo.

130.
Poi vide i segni che Ercule già pose
acciò che i navicanti sieno accorti
di non passar più oltree molte cose
andò veggendo per tutti que' porti
e quanto ell'eran più maravigliose
tanto pareva più che si conforti
e sopra tutto commendava Ulisse
che per veder nell'altro mondo gisse.

131.
Or finalmente si tornò in Egitto
ed ha molte provincie battezzate.
Credo ch'egli abbi l'animo diritto
di non tornar mai più in Cristianitate.
E so che molte volte v'ha qua scritto
ma non ci son le lettere arrivate
ches'egli avessi seco avuto Orlando
sarebbe mezzo il mondo a suo comando. -

132.
Già era Malagigi stato attento
tre ore o più che quel demòne ha detto
e disse: - Non dir piùch'i' m'addormento.
Chiamato t'ho sol per questo rispetto:
che tu vadi a Rinaldo in un momento
e che tu porti lui con Ricciardetto
in Runcisvalledove aspetta Orlando;
e so che intendi: io te gli raccomando. -

133.
Disse Astaròt: - E' non si fideranno. -
Rispose Malagigi: - Entra in Baiardo:
Rinaldo e Ricciardetto vi saranno.
Guicciardo non importae così Alardo
e inverso Montalban si torneranno.
Ma fa' che a questo tu abbi riguardo:
che non rincresca a Rinaldo la via
e che in tre giorni in Roncisvalle sia.

134.
Un'altra cosa ti bisogna dire
ch'io son da un pensier tutto smarrito
e non posso la mente mia chiarire:
tu sai che Carlo di Francia è partito:
di questa andata che debbe seguire
s'Orlando in Runcisvalle fia tradito
e quel che fece il traditor di Gano
a Siragozza col gran re pagano. -

135.
Disse Astaròt: - A giudicare è scuro
s'io non pensassi tutta questa notte;
e non sarebbe il giudicio sicuro
ché le strade del Ciel son per noi rotte:
noi veggiam come astrolagi il futuro
come tra voi molte persone dotte;
ché non camperebbe uomo né animale
se non che corte abbiam tarpate l'ale.

136.
Dir ti potrei del Testamento vecchio
e ciò che è stato per lo antecedente;
ma non viene ogni cosa al nostro orecchio
perch'egli è solo un Primo onnipotente
dove sempre ogni cosa in uno specchio
il futuro e 'l preteritoè presente:
Colui che tutto fe'sa il tutto solo
e non sa ogni cosa il suo Figliuolo.

137.
Però dir non ti possos'io non penso
quel che debbe seguir di Carlo Mano.
Sappi che tutto questo aire è denso
di spirtiognun con l'astrolabio in mano;
e 'l calcul tutto e 'l taccuïn remenso
minaccia il Ciel di qualche caso strano
e sangue e tradimento e guerra e storpio
però che Marte angulare è in Scorpio;

138.

e perché meglio intendain ascendente
si ritruova congiunto con Saturno
nella revoluzion tanto potente
che non fu tanto alle guerre di Turno.
Questo dimostra occisione di gente
e quanti casi terribil mai furno
e mutazion di stati e di gran regni;
e non soglion mentir mai questi segni.

139.
Non so s'a questi dì tu hai ben notate
quelle comete che sono apparite
Veru e Dominus Àscone appellate
che mostran tradimenti e guerre e lite
e morte di gran prìncipi e magnate;
ed anche queste mai non son mentite:
sì che a me parper quel ch'io intendo e veggio
che s'apparecchi quel ch'io dico e peggio.

140.
Quel che Gan con Marsilio abbi trattato
non soch'io non v'avea la mente volta:
credo ch'e' sia quel ch'egli è sempre stato:
però questa fatica mi sia tolta;
e so ch'un seggio è per lui preparato
e s'io ho la sua vita ben raccolta
piangerà le sue colpe in sempiterno
tosto l'anima trista nello inferno. -

141.
Diceva Malagigi: - Tu m'hai detto
un punto che mi tien tutto confuso:
che il Figliuol tutto non sappi in effetto.
Io non intendo il tuo parlar qui chiuso. -
Disse Astarotte: - Tu non hai ben letto
la Bibbiae parmi con essa poco uso:
cheinterrogato del gran dìil Figliuolo
disse che il Padre lo sapeva solo.

142.
Or notaMalagigise tu vuoi
ch'io dica pur la mia diffinizione
e domanda i teologi tuoipoi:
voi dite: "in una essenzia tre persone"
ovvero "una sustanzia"e così noi:
un atto puro sanza admistïone;
però che questo di necessitate
convien che sia Quel che tutti adorate:

143.
un motor donde ogni moto deriva
un ordin donde ogni ordin sia construtto
una caüsa a tutte primitiva
un poter donde ogni poter vien tutto
un foco donde ogni splendor s'avviva
un principio onde ogni principio è indutto
un saper donde ogni sapere è dato
un bene donde ogni bene è causato.

144.
Questo è quel Padre e quel Monarca antico
c'ha fatto tutto e può tutto sapere
e non può preterir l'ordin ch'io dico
ché 'l cielo e 'l mondo vedresti cadere.
Ors'io non soncom'io solea giàamico
non posso in quello specchio più vedere
dove apparisce or forse i vostri guai;
benché il futuro io nol sapessi mai.

145.
E se Lucifer l'avessi saputo
e' non avea tanta presunzïone
e non sarebbe nel centro caduto
per voler la sua sede in Aquilone;
ma non aveva ogni cosa veduto
onde e' seguì la nostra dannazione;
e perché il primo lui fu in questa pecca
caduto è il primo lui nella Giudecca.

146.
E non aremo invan tentati tanti
che tutti son felicitati in Cielo
se non checome io dicotutti quanti
agli occhi della mente abbiamo un velo;
e non arebbe il gran Santo de' Santi
Satàncome voi dite nel Vangelo
tentatoe poi portato in sul pinnacolo
insin che pur cognobbe il suo miracolo.

147.
E perché tutto fa perfettamente
e tutto ha circunscritto e terminato
e ciò che fece gli è sempre presente
perché e' fu con giustizia essaminato
nota che mai questo Signor si pente;
e s'alcun dice che e' s'è rimutato
dico che il falso qui pel ver si stima
ché così era nell'ordine prima.

148.

Dimmi - rispose Malagigi - ancora
ché tu mi par' qualche angelo discreto:
se quel primo Motor ch'ognuno adora
cognosceva il mal vostro in suo segreto
e vedeva presente il punto e l'ora
e' par che e' sia qui ingiusto il suo decreto
e la sua carità qui non sarebbe
perché creati e dannati v'arebbe

149.
e presciti imperfetti e con peccati;
e tu di' ch'Egli è giusto e tanto pio
e non c'è spazio a esservi emendati:
e' par che partigian si mostri Iddio
degli angioli che son lassù restati
che cognobbon il ver dal falso e 'l rio
e se il fine era o tristo o salutifero
e non seguironcome voiLucifero. -

150.
Crucciossi come un diavol Astaròt
poi disse: - E' non amòe più Miccael
che Lucifer quel giusto Sabaòt
e non creò Cain peggior che Abel.
Se l'un superbo è poi più che Nembròt
l'altro è tutto disforme a Gabriel
e non si pente e non esclama: "Osanna"
libero arbitrio l'uno e l'altro danna:

151.
questo fu quel che ci ha dannati tutti.
E lungo tempo per la sua clemenzia
ci comportòeper non ci far sì brutti
insino al termin della penitenzia;
e non possian più in grazia esser redutti
ché giusta è data la nostra sentenzia;
e non ci tolse il preveder suo il tempo
ché la grazia al ben far fu sempre a tempo.

152.
Giusto è il Padre e 'l Figliuoloe giusto il Verbo
e fu con gran pietà la sua giustizia
e non fu men d'ingrato che superbo
il peccato di tutti e la malizia;
e non si pente il nostro animo acerbo
però che ciò che dal volere inizia
cognosciuto il ver primaper se stesso
non tentato d'alcunmai fu dimesso.

153.
Non cognobbe Adam vostro il suo peccato:
però dimessa fu questa fallenzia
perché il serpente l'aveva tentato;
dispiacque sol la sua disobbedenzia:
però di paradiso fu cacciato
e riservato della penitenzia
la graziae pace della sua discordia
e l'olio ancor della misericordia.

154.
Ma la natura angelica corrotta
non può più ritornar perfetta e intera
la qual peccò come natura dotta
e per questa cagion poi si dispera.
Chése quel Savio non rispose allotta
quando Pilato domandò quel ch'era
la veritàfu ch'e' l'aveva appresso
sì che questo ignorar gli fu dimesso;

155.
se non che nel ben far perseverato
non ha costui quando le man s'imbianca.
E non sarebbe anche Giuda dannato
che si penté: ma la speranza manca
sanza la qual nessun mai fia salvato;
e 'l detto d'Origen non lo rifranca;
né sia chi l'altra oppinïon concluda:
in diebus illis salvabitur Iuda.

156.
Dunque un Primo è nel Cielche tutto intese
da cui tutte le cose son create;
e creando e dannando non ci offese
ma fe' tutto in iustizia e in veritate;
e 'l futuro e 'l preterito ha palese
chécome io dissiè di necessitate
che tutto appaia a quel Motor davante
da cui procede ogni virtù informante.

157.
E poi che del mio mal pur la cagione
come maestrom'hai costretto io dica
tu vorresti sapere or la ragione
per che E' durassi invan questa fatica
poi che vedea la nostra dannazione:
sappi che segnata è questa rubrica
e riservata a quel Signor giocondo
sì ch'io nol so: però non ti rispondo.

158.

Né detto l'ho per metterti alcun dubbio
ma perch'io veggo che la umana gente
di molti errori avvolge a questo subbio
e vuol sapersanza saper nïente
onde esca il Nilnon pur solo il Danubbio:
basta che tutto ha fatto giustamente
e giusto e vero è quel Signor di sopra
come dice il salmistain ciascuna opra.

159.
E poeti e filosofi e morali
queste cose ch'io dico anche non sanno;
ma la prosunzïon vuol de' mortali
saper le gerarchie come elle stanno.
Io ero serafin de' principali
e non sapea quel che quaggiù detto hanno
Dïonisio e Gregorioch'ognun erra
a voler giudicare il Ciel di terra.

160.
E sopra tutto a questo ti bisogna
non ti fidar di spiriti folletti
ché non ti dicon mai se non menzogna
e metton nella mente assai sospetti
e farebbon più danno che vergogna;
e perché intendae' non vengon costretti
nell'acqua o nello specchioe in aria stanno
mostrando sempre falsitate e inganno.

161.
Vannosi l'un con l'altro poi vantando
d'aver fatto parer quel che non sia:
chi si diletta ir gli uomini gabbando
chi si diletta di filosofia
chi venire i tesori rivelando
chi del futuro dir qualche bugia;
sì ch'io t'ho letto un gentil mio quaderno
ché gentilezza è bene anche in inferno.

162.
Or basti - disse Malagigi - questo.
Dimmi al presente quel che fa Marsilio. -
Disse Astaròt: - Io tel diròe presto:
a Siragozza ha chiamato a concilio
il popol tuttoe veggo manifesto
gran gente d'arme e di molto navilio
apparecchiarsie lui nel volto lieto;
ma non dice a persona il suo secreto.

163.
Potresti tu ritrar qualche parola
di Falserone o del re Bianciardino? -
Disse Astaròt: - E' basta questa sola:
che qualche tradimento m'indovino.
- Or non più! - disse Malagigi. - Vola
e piglia inverso Rinaldo il cammino
e porta in Runcisvalleov'io t'ho detto
quanto più presto lui con Ricciardetto. -

164.
Disse il dïavol: - Ricciardetto ha seco
per quel ch'io veggoun leggiadro cavallo
che gliel donòe lo imperator là greco
e non vorrebbe a gnun modo lasciallo:
peròse in groppa a Baiardo lui reco
questo destrier non potre' seguitallo
tanto che troppo ci terrebbe a tedio.
Ma per servirti ho pensato il rimedio:

165.
io dirò per tua parte a Rubicante
che porti Ricciardettoo a Farferello
che tentano un signor là di Levante
perché e' voleva battezzarsi quello:
tu se' tanto famoso nigromante
chesanza mostrar libro o altro anello
per compiacertidello infernal chiostro
verrebbe Belzebùprincipe nostro. -

166.
Disse Malgigi: - S'e' non vien costretto
potrebbe questo spirito ingannarmi
e gittare in un fiume Ricciardetto:
dimmiAstarottes'io posso fidarmi. -
Disse Astarotte: - Non aver sospetto:
non ti bisogna adoperare altre armi;
e nota una parola: che ignun saggio
non fa mai cosa a suo disavvantaggio:

167.
tu potresti cacciarlo in qualche tomba;
ma non bisognaché ti stima ed ama
tanto il tuo nome giù fra noi rimbomba;
e vuolsi in ogni loco amici e fama. -
Poi si partìche parve d'una fromba
quando il sasso esceche per l'aria esclama;
anzi folgore proprio par che fosse
e la terra tremò quando e' si mosse.

168.

Or lasciam Astaròt andar per l'aria
ché questa notte troverrà Rinaldo:
la nostra istoria è sì fiorita e varia
ch'i' non posso in un luogo star mai saldo;
e non sia altra oppinïon contraria
ché troppe belle cose dice Arnaldo;
e ciò ch'e' diceil ver con man si tocca
ch'una bugia mai non gli esce di bocca.

169.
E ringrazio il mio car non Angiolino
sanza il qual molto laboravo invano
più tosto un cherubino o serafino
onore e gloria di Montepulciano
che mi dètte d'Arnaldo e d'Alcuïno
notiziae lume del mio Carlo Mano:
ch'io ero entrato in un oscuro bosco
or la strada o 'l sentier del ver cognosco.

170.
E bisognava che Rinaldo vegna
se non che Carlo non avea rimedio:
chése non fussi sua potenzia degna
che molto tenne la battaglia a tedio
Marsilio ne venìa con la sua insegna
e posto arebbe alla fine l'assedio
dove Carlo eraa San Gianni di Porto;
e forse Gan non sarebbe alfin morto.

171.
Era il Danese di Spagna tornato
e BerlinghieriAstolfo e Sansonetto;
e Carlo a Piè di Porto hanno trovato
e molto di Marsilio avevon detto:
che Ganellone avea tanto onorato
che e' parea lor da pigliarne sospetto
e come e' fece nel parco il convito:
ognun dicea quel ch'egli avea sentito.

172.
Carlo pure all'usato si credea;
il perché Astolfo e Berlinghier partissi
e Sansonettoch'ognun Gan vedea
sempre con Carlo che fa pissi pissi.
E 'l traditorche la birba sapea
volle con lor Baldovino anche gissi
per orpellare e coprir le sue colpe:
guarda se questo fu tratto di volpe!

173.
E nel partir sopra l'armi la vesta
gli misse che Marsilio avea mandata
dicendo: - Omai la tua divisa è questa
tanto è degno colui che l'ha donata;
e vo' che tu la porti in guerra e in festa.
Saluta Orlando e tutta la brigata
e di' che facci al re Marsilio onore
ché così piace al nostro imperatore. -

174.
In questo il re Marsilio ne venìa
con le sue gente per trovare Orlando
ed ognun si vantava per la via
d'uccidere il nimico minacciando.
Diceva un certo Arlotto di Soria:
- La testa d'Ulivieri al tuo comando
ché sai ben quanto m'è stato nimico
ti porteròMarsiliocome io il dico. -

175.
E Falseron volea cavare il core
al conte Orlandoche il suo figlio uccise:
non si ricordain Franciail traditore
che l'abbracciòe più volte e pianse e rise.
Marsilïonche disïava onore
in questo modo le schiere divise
e ricordossi ben di mano in mano
di tutto l'ordin ch'avea dato Gano.

176.
Però la prima schieracentomila
volle che fussi sotto Falserone
e missevi di satrapi una fila
gente di pregio e d'alta condizione
come colui che l'opera compila
sì come saviocon gran discrezione:
fra gli altri un re di fama e gagliardia
ch'io dissi appressoArlotto di Soria;

177.
TurchionFidasso e Finadusto nero
ch'era ben sette braccia per lunghezza
e porta un bastonaccio sodo e fiero
il qual tanta arme quanto e' truova spezza:
non basta a questo il giorno un cimitero
tanti n'uccise per la sua fierezza;
il re Malprimo e Malducco di Frasse
credo ch'ancora in questa schiera entrasse.

178.

Dico ch'io credodi questo Malducco
ché nella terza lo mette Turpino
acciò che ignun non mi ponga al baucco
che mi sia riprovato un bruscolino
che il popol ne fa poi suo badalucco.
Ma nella schiera del re Bianciardino
dugentomila cavalier vi misse
Marsilioavvegna che di più si disse.

179.
Ed èvvi un rechiamato Chiarïello
di Portogalloe il re Margheritonne
BalsaminFieramonte e il re Fiorello
e Buiaforte e il gran re Sirïonne
e tanti altri signori in un drappello
che tanti mai non ne vide Ilïonne.
L'ultima schiera fu di Balugante
col resto delle gente tutte quante.

18.

0.
Io chiamo qui Turpin mio testimonio:
trecentomila è questa schiera terza.
Quivi era l'Arcaliffa e 'l re Grandonio
che portava un baston come una sferza
con certe pallee pareva un demonio
neroe con questo baston non ischerza;
e chi 'l vedeva sanza l'elmo in faccia
dicea: "Quel garre e bestemmia e minaccia".

181.
Orlando in Runcisvalle era venuto
con la sua schiera usata anticamente
ed aspettava Marsilio e 'l tributo
che verrà presto sì miseramente.
Il campo in ogni parte è sproveduto
e già per tutto era sparta la gente;
Orlando a spassoper darsi diletto
ispesso andava col suo Sansonetto.

182.
E Sansonettofigliuol del Soldano
era del conte Orlando innamorato
che per suo amore era fatto cristiano
allor che nella Mecche fu arrivato
e sempre lo seguia per monte e piano
tanto che spesso il Soldan fu ammirato.
Ma Ulivier pur mal contento stassi
e confortava il campo s'afforzassi.

183.
Aveva il re Marsilio già mandato
molti cammelli innanzi e vettovaglia;
e Bianciardin con essi era arrivato
appunto il dì dinanzi alla battaglia
e molto aveva Orlando confortato
di pacee d'ogni cosa lo ragguaglia
e che volessi il re Marsilio amico
e lasciar questa volta ogni odio antico.

184.
Poi finse insino a Carlo dovere ire
con certi scaltrimenti suo' malvagi
e seppe al re Marsilio rïuscire
per altra via tornato come i Magi
e d'Orlando e del campo a referire:
ch'alloggiato era con assai disagi
di guardie a scolte e d'ogni cosa narra
che non vi si vedea solo una sbarra.

185.
Fece Marsilio una bella orazione
la notte a tuttidove e' fecion alto
e cominciò: - Laudato sia Macone!
ché sempre quello invocoonoroessalto.
E' convien pur ch'io dica la cagione
prima noi siam co' cristiani all'assalto
per quel ch'io v'ho condotti in questo loco;
e vorrei molto dirma il tempo è poco.

186.
Ognun sa quanto tempo combattuto
io ho con Carlo Magno e co' cristiani
tanto che vecchio son fatto canuto
e tanto sangue sparto è de' pagani;
e non ho con Orlando mai potuto
essere un tratto in su' campi alle mani
ch'io sarei forse fuor d'un lungo affanno
che s'apparecchiao con salute o danno.

187.
Tre volte m'ha la Spagna rebellata
come sapetee parte d'Araona:
appena Siragozza m'è restata;
ed or pensava mettersi corona
di tutti i nostri regni e di Granata;
e in Runcisvalle si truova in persona
e Macon credo che dal Ciel lo mandi
e che la fede sua ci raccomandi.

188.

Io mandai Bianciardinpoi Falserone
in Francia a Carloa domandargli pace
poi ch'io vidi la mia distruzïone;
ma so che al nostro Dio questo non piace;
e la risposta fu per Ganellone
come sapetesuperba ed audace:
che non volea che torni al paganesimo
la Spagna o sbattezzar chi avea battesimo.

189.
Cesare disse che se iusiurando
cioè la fede che è data ed accetta
romper si debbalecito era quando
si fa per tener regno o per vendetta:
sì ch'io non curo di tradire Orlando;
e lecito fu ancor la vedovetta
per tradimento al lume di lanterne
riportarne la testa d'Oloferne.

190.
Non so se ognun di voi s'ha bene inteso
del miracolo stato nella Mec:
questo è che il nostro Iddio si tiene offeso:
credo che fu di maggioil primo alec
ch'egli apparì nell'aria un vampo acceso
e fu sentito dir "Salamalec"
e l'arca santa di sangue sudare:
non so se questo gran segno vi pare.

191.
Sì ch'io non veggo quel che far più deggio
da poi che Macometto è in ciel crucciato
tanto che sempre andian di male in peggio;
e non m'è tanto di spazio restato
ch'io possi appena più locarvi il seggio
ch'era pur già sopra ogn'altro onorato;
e so che presto verrà nelle mani
e l'arca e quelde' ribaldi cristiani.

192.
Io v'ho per tanti paesi menati
per tanti errortante faticheaffanni:
tutti siàn per morir nel mondo nati:
venite ad onorar questi ultimi anni:
voi sarete nel ciel ben ristorati;
ben si ricorda de' suoi mussurmanni
Macone e serba a chi fia suo fedele
le fonte e' fiumi di latte e di mèle.

193.
Peròmiliti mieise voi sarete
quel ch'io v'ho lungo tempo cognosciuti
questo è quel dì che voi vittoria arete;
Orlandosanguinosi i suoi tributi
ch'aspetta in Runcisvallevoi il sapete
come se schiavi ci avessi venduti.
Ma se ancor taglian pur le nostre spade
noi piglierem tutta Cristianitade;

194.
noi piglierem la Francia e la Borgogna
Inghilterrala Fiandra e la Brettagna
la NormandiaNavarra e la Guascogna
la PiccardiaProvenzae poi Lamagna;
e basta solo a me quel che bisogna:
conservar la mia sedia antica e magna;
il restoimperii e regnisi sia vostro
ché sanza voi son nullae tutto è nostro.

195.
E manderò poi Bianciardino a Roma
al gran papassoa comandar ch'e' vegna
a Siragozza a pena della chioma;
se nonch'io volgerò là la mia insegna
e in su l'altar che di Pietro si noma
per mostrar più la mia grandezza degna
e come il ver profeta è Macometto
mangeranno i cavalli a suo dispetto.

196.
Pertanto ognun si metta l'elmo in testa
la lancia in manoe segua il suo stendardo.
Non so s'a ricordarvi altro mi resta;
penso che sì: ch'ognun abbi riguardo
se voi vedessi la mia sopravvesta
che porta un giovinetto assai gagliardo:
fate che questo sia salvato solo
però ch'egli è di Ganellon figliuolo. -

197.
Poi ch'egli ebbe finita l'orazione
e tutti i cavalieri ammaestrati
rimontò a caval Marsilïone
e furon gli stendardi in alto dati.
E nella prima schiera è Falserone
con le sue gentetutti bene armati
e Belfagor avea nello stendardo
di color neroe il campo era leardo.

198.

Nella seconda schiera è Bianciardino
ed occupava tutta una montagna
però che molto popol saracino
avea con seco menato di Spagna;
e diguazzava il vento un Apollino
nella ricca bandiera azurra e magna;
questo Apollino offende più d'un testo
e dice alcun che Trevigante è questo.

199.
La terza schiera guida Balugante
e pare un nuovo Marte in su l'arcione;
pensa che e' v'era più d'un amostante
però che in questa viene Marsilione;
e lo stendardo suo venìa davante
dove era figurato il lor Macone
nel campo rossocon due ale d'oro.
E in questo modo si schierâr costoro.

200.
Or mi convien lasciar Marsilioil quale
inverso Roncisvalle s'è diritto
perché Astaròt anche avea seco l'ale
e già Rinaldo ha trovato in Egitto
ch'ancor bisogno non avea d'occhiale
e lesse ciò che Malagigi ha scritto;
poi domandò quel messaggier chi e' sia
che così tosto ha spacciata la via.

201.
E poi che l'ebbe da presso veduto
perché gli fece molto fiero sguardo
sorrise e disse: - Tu sia il benvenuto. -
E poi chiamava Guicciardo ed Alardo
e domandò se l'avean cognosciuto.
Ma Farferelche non v'ebbe riguardo
apparì intanto in una forma oscura
tanto che a tutti faceva paura.

202.
Ricciardetto era a contemplar rimaso
una certa piramida che avea
un cerchio d'oroe nol fe' Chemi a caso
ché tutto il corso del ciel vi vedea.
L'altra di Mucerindi Armeod'Amaso
non così bella o degna gli parea;
forse la prima gli pareva brutta
da quei dodici satrapi construtta.

203.
Ma poi che tutto da Rinaldo intese
pargli mill'anni di vedere Orlando;
e così tosto il partito si prese:
GuicciardoAlardo ne vadin trottando
a Montalban per qualche altro paese;
e poi Rinaldo venìa domandando:
- SarebbedimmiAstaròtpossibile
che pel cammin tu ci porti invisibile? -

204.
Disse Astaròt: - E' fia per certo: aspetta
tanto ch'io mandi insino in Etïopia
e porteratti uno spirto una erbetta
che può far questoe non pure elitropia;
e basta sol ch'addosso te la metta
ché così è la sua natura propia;
e dove manca ragione o scïenzia
basta al savio veder la sperïenzia. -

205.
E poi si volse a un certo scudiere
e disse: - Va' per questa erbaMilusse. -
Rinaldo guardae non seppe vedere
con chi quel parlie paura gl'indusse.
Disse Astaròt: - Io intendo il tuo tacere:
non chiamereise qualcun non ci fusse:
sappi ch'io ho mille demòn qui intorno
che m'accompagnon di notte e di giorno. -

206.
Disse Rinaldo: - Adunque io son nel gagno
de' dïavoli! Orsùqui siam: che fia? -
Disse Astaròt: - Ognun fia buon compagno
o buon briccontu il vedrai per la via;
ed ogni dì qualche convito magno
vedrai sempree parata l'osteria
e chiederai tu stesso le vivande
ch'io ti darò mangiare altro che ghiande.

207.
Noi abbiàncome voiprincipe e duce
giù nell'infernoe 'l primo è Belzebùe:
chi una cosachi altra conduce
ognuno attende alle faccende sue;
ma tutto a Belzebù poi si riduce
perché Lucifer religato fue
ultimo a tutti e nel centro più imo
poi ch'egli 'ntese esser nel Ciel sù primo.

208.

E se vuoi pur che il ver presto ti dica
non ti fidar di noi se non col pegno
perché alla vostra natura è nimica
la nostra per invidia e per isdegno.
Tu mi dài di portar questa fatica:
io fui già serafin più di te degno;
orper piacere al nostro Malagigi
vedi ch'io fo di bastagio i servigi.

209.
Ma perch'io so che tu farai macello
in Roncisvallevolentier ti porto
e così Ricciardetto Farferello:
ch'io vedrò certo molto popol morto
e correrà di sangue ogni ruscello;
ché sai ch'egli è de' miseri conforto
di veder come lor qualch'altro afflitto:
però ti traggo volentier d'Egitto. -

210.
Venne Milussee portò l'erba seco
e dèttela a Rinaldo in un sacchetto
e disse: - Dagli Antipodi l'arreco. -
Disse Astarotte: - Dàlla a Ricciardetto. -
Rinaldo guardae rimase alfin cieco
e disse: - Il veroAstarottem'hai detto;
pertanto andianne. - E saltò in su Baiardo
che questa volta gli parrà gagliardo.

211.
Quando Baiardo il dïavol sentiva
perch'altra volta di questi alloggiòe
intese ben come la cosa giva
e come un drago a soffiar cominciòe;
e così l'altro cavallo annitriva
e raspa e saltae 'l cammin suo pigliòe
con tanta furiae così Astarotte
che l'uno e l'altro non sente di gotte.

212.
Lasciate le piramideaccadea
di Miride passar la gran palude;
per che Astaròt a Rinaldo dicea:
- Che vuoi ch'io facci? - e Rinaldo conclude:
- Parmi tu salti. - E così si facea.
Ma Ricciardetto pur gli occhi si chiude
per non veder quanto il caval vadi alto.
Tanto è che questa si spaccia in un salto.

213.
Poi cavalcandoe già per Libia entrato
trovato ha il fiume ovver palude o lago
il qual Triton da Tritonia è chiamato;
e poi più oltrelasciata Cartago
a destra il fiume Bagrade ha trovato
dove uccise il serpente Attilio o 'l drago
onde e' si dice ancor tante novelle
e come a Roma quel mandò la pelle.

214.
Ma vogliàn noi che Rinaldo cavalchi
e non si facci però collezione
benché la fretta del cammin c'incalchi?
Ben sai che noché non sare' ragione.
Disse Astaròt: - Orsùqua tuttiscalchi!
Apparecchiate la nostra magione. -
Disse Rinaldo: - E che il becco s'immolli!
E poi cantando ce n'andren satolli. -

215.
In questoin su 'n un prato è apparito
un padiglion che parea tutto d'oro
ed ordinato sùbito un convito.
Dunque da beffe non fanno costoro:
le mense acconcee chi abbi servito
e tanti camerier già intorno loro
con reverenzie ed abiti sì destri
che parean tutti di nozze maestri.

216.
Chi buttaalla lombardail pannisello
ed acqua lanfa è trovata alle mani.
Posti a sedereecco giunto un piattello
di beccafichi e di grassi ortolani.
Vedi che anticamente questo uccello
erae non pur ne' paesi toscani!
E perché qui non se ne crede altrove
ambrosia o nèttar non s'invidia a Giove

217.
e come un dice: "Gli ortolan"di botto
par che si lievi in tanta boria Prato;
e però disse già il piovano Arlotto
ch'avea più volte in su questo pensato
perché e' sapeva e' v'è misterio sotto
e finalmente or l'avia ritrovato:
cioè che Cristo a Maddalena apparve
in ortolanche buon sozio gli parve.

218.

Vennon tante vivande in un baleno
che mai convito si fe' più solenne
e d'ogni cosa si missono in seno:
e' vi fu insino a' pavon con le penne;
i cavalli hanno dell'orzo e del fieno.
Rinaldo quasi per le risa svenne
e dice: - Questi mi paion miracoli!
Facciam qui seinon che tre tabernacoli! -

219.
E Ricciardetto diceva: - Fratello
a me par che noi siàn bene alloggiati
da poi che c'è buon oste e buon piattello
e vernacce e razzesi dilicati. -
Ed Astaròt è intorno e Farfarello
col grembiulcome l'osteapparecchiati
e dicean pur così piacevolmente:
- Messerche dite? Màncavi nïente? -

220.
Disse Rinaldo: - Qui sta buon ostiere:
venghin poi le vivande dell'inferno;
ch'io avea voglia di mangiare e bere!
E so cheper un tratto io mi governo
ch'io potrò cavalcare a mio piacere. -
E finalmente buono scotto ferno.
Poi domandorno onde l'oste abbi avute
queste vivande che son lor venute.

221.
Disse il dïavol: - Questa collezione
e le vivande che mangiate avete
apparecchiava il re Marsilïone;
e giunti in Runcisvalle lo saprete
ché i servi insieme ne fecion quistione.
E se del vostro imperator volete
ch'io facci qui venire lesso o arrosto
comanda purch'e' ci sarà tantosto.

222.
Andiam via presto pel nostro cammino-
dicea Rinaldo - ché il desio mi sprona
di rivedere il mio gentil cugino.
Ogni cosaAstaròtè stata buona. -
E mentre questo dice il paladino
il padiglion non veggon né persona;
per la qual cosa a caval rimontorno
ch'era passato più che mezzo il giorno.

223.
E perché il fiume Bagrade è pur grande
e per la pioggia sette rami avea
fattie per tutto il paese si spande
con Ricciardetto Rinaldo dicea:
- Noi smaltirem qui forse le vivande -
però che il mar questo fiume parea.
- E' ci convien saltarquesto è l'effetto.
- Saltian pur tosto - dicea Ricciardetto. -

224.
Disse Rinaldo: - O mio gentil Baiardo
tu non avesti ancor già mai vergogna:
or ti cognosco se sarai gagliardo.
O Astaròtandar qui ci bisogna
di salto in saltocome il leopardo
che forse ancor fia scritto per menzogna. -
Disse Astarotte: - Non temerRinaldo
attienti in sulla sella e sta' pur saldo. -

225.
Era Baiardo fier di sua natura
e se non fusse anco Astaròt in quello
saltato arebbee non are' paura
a trattar l'aria come lieve uccello;
e cominciòquanto la terra è dura
come gru per levarsi o altro uccello
a trottar; poi si chiudea di gualoppo;
poi si levòche non pareva zoppo.

226.
Vedes' tu mailettordi salto in salto
il pesce in marper ischifare il gurro?
Così questo caval; ma va sù alto
da dir: "Fetonte più basso ebbe il curro";
da crederprima che torni allo smalto
che tocchi l'aïr dove e' pare azzurro.
Credo che Giuno ebbe paura e sdegno
e dubitassi del suo scettro o regno.

227.
Passato il fiume Bagrade ch'io dico
presso allo stretto son di Giubilterra
dove pose i suoi segni il Greco antico
Abila e Calpea dimostrar ch'egli erra
non per iscogli o per vento nimico
ma perché il globo cala della terra
chi va più oltree non truova poi fondo
tanto che cade giù nel basso mondo.

228.

Rinaldo allorricognosciuto il loco
perché altra volta l'aveva veduto
dicea con Astarotte: - Dimmi un poco
a quel che questo segno ha proveduto. -
Disse Astaròt: - Un error lungo e fioco
per molti secol non ben cognosciuto
fa che si dice "d'Ercul le colonne"
e che più là molti periti sonne.

229.
Sappi che questa oppinïone è vana
perché più oltre navicar si puote
però che l'acqua in ogni parte è piana
benché la terra abbi forma di ruote.
Era più grossa allor la gente umana
tal che potrebbe arrossirne le gote
Ercule ancor d'aver posti que' segni
perché più oltre passeranno i legni.

230.
E puossi andar giù nell'altro emisperio
però che al centro ogni cosa reprime
sì che la terra per divin misterio
sospesa sta fra le stelle sublime
e laggiù son cittàcastella e imperio;
ma nol cognobbon quelle gente prime:
vedi che il sol di camminar s'affretta
dove io ti dicoché laggiù s'aspetta.

231.
E come un segno surge in orïente
un altro cade con mirabile arte
come si vede qua nell'occidente
però che il ciel giustamente comparte.
Antipodi appellata è quella gente;
adora il sole e Iuppiter e Marte
e piante ed animalcome voihanno
e spesso insieme gran battaglie fanno. -

232.
Disse Rinaldo: - Poi che a questo siamo
dimmiAstaròtun'altra cosa ancora:
se questi son della stirpe d'Adamo;
eperché vane cose vi s'adora
se si posson salvar qual noi possiamo. -
Disse Astarotte: - Non tentar più ora
perché più oltre dichiarar non posso
e par che tu domandi come uom grosso.

233.
Dunque sarebbe partigiano stato
in questa parte il vostro Redentore
che Adam per voi quassù fussi formato
e crucifisso Lui per vostro amore?
Sappi ch'ognun per la croce è salvato;
forse che il verdopo pur lungo errore
adorerete tutti di concordia
e troverrete ognun misericordia.

234.
Basta che sol la vostra fede è certa
e la Virgine è in Ciel glorificata.
Ma nota che la porta è sempre aperta
e insino a quel gran dì non fia serrata
e chi farà col cor giusta l'offerta
sarà questa olocaüsta accettata;
ché molto piace al Ciel la obbedïenzia
e timoreosservanzia e reverenzia.

235.
Mentre lor ceremonie e devozione
con timore osservorono i Romani
benché Marte adorassino e Iunone
e Giuppiter e gli altri idoli vani
piaceva al Ciel questa religïone
che discerne le bestie dagli umani;
tanto che sempre alcun tempo innalzorno
e così pel contrario rovinorno.

236.
Dico così che quella gente crede
adorando i pianetiadorar bene;
e la giustizia sai così concede
al buon remunerazioal tristo pene:
sì che non debbe disperar merzede
chi rettamente la sua legge tiene:
la mente è quella che vi salva e danna
se la troppa ignoranzia non v'inganna.

237.
Nota ch'egli è certa ignoranzia ottusa
o crassa o pigraaccidïosa e trista
chela porta al veder tenendo chiusa
ricevette invan l'anima e la vista:
però questa nel Ciel non truova scusa:
Noluit intelligereil salmista
dice d'alcun tanto ignorante e folle
che per bene operar saper non volle.

238.

Tanto èchi serverà ben la sua legge
potrebbe ancora aver redenzïone
come de' Padri del Limbo si legge;
e che nulla non fe' sanza cagione
quel primo Padre ch'ogni cosa regge:
sì che il mondo non fe' sanza persone
dove tu vedi andar laggiù le stelle
pianeti e segni e tante cose belle.

239.
Non fu quello emisperio fatto a caso
né il sol tanta fatica indarno dura
la notteil dìdall'uno all'altro occaso:
ché il sommo Giove non n'arebbe cura
se fussi colaggiù vòto rimaso.
E nota che l'angelica natura
poi ch'a te piace di saper più addentro
da quella parte rovinòe nel centro.

240.
Vera è la fede sola de' cristiani
e giusta legge e ben fondata e santa;
tutti i vostri dottor son giusti e piani
e ciò che appunto la Scrittura canta;
e tutti i Giudei perfidi e i pagani
se la grazia del Ciel qui non rammanta
dannati sonoe le lor legge tutte
dell'Alcoran de' matti e del Talmutte.

241.
Vedi quanto gridato hanno i profeti
della Virgindell'alto Emanuello
e da quel tempo in qua son tutti cheti
che il Verbo santo si congiunse a quello;
tante Sibilleinsin vostri poeti
disson che il secol si dovea far bello:
leggi Eritreadel signor nazzareno
che dice insin che e' giacerà nel fieno.

242.
E se la prava oppinïon de' matti
aspetta altro Messia che il vostro ancora
e confessa i miracol ch'Egli ha fatti
e come E' disse a Lazzer: "Veni fora"
e muti e ciechi sanava ed attratti
che negar non si può; certo ella ignora
che liberassi gli uomini e le donne
per la virtù del Tetragramatonne.

243.
Ed altro argumentar non vi bisogna
contra a' Giudeid'Eliseo o d'Elia:
che s'Egli avessi detto in ciò menzogna
come egli era mandato il ver Messia
dal Padreil qual sol veritate agogna
perché Egli è vita e verità e via
potèsta non arebbe in quella vece
di far le cose mirabil che e' fece.

244.
Io ho queste parole ritrattate
ch'io dissie forse Malgigi m'appunta
che molte cose non son rivelate
al Figliuolquanto alla natura assunta:
sì ch'io parlavo della umanitate;
ma la natura divina congiunta
perch'ella è sol la somma sapïenzia
ogni cosa ab initio ha in sua presenzia. -

245.
Disse Rinaldo: - Orsùtroviam Orlando.
Poiperché di' colaggiù si fa guerra
io voglio andar que' paesi cercando
e passar questo mar dove Ercul erra
ché vivere e morir vuolsi apparando.
Ma or passar ci convien Giubilterra.
Lasciami un poco smontar dell'arcione. -
Poi scesee fe' questa breve orazione:

246.
Se tu se'Signor miodeliberato
ch'io vadi in Runcisvalleabbi merzé
di me che son da' nimici portato
per soccorrere Orlando e la tua fé:
ricòrdati che il mare fu allargato
per salvar la tua gentea Moïsè;
spira in me quel ch'io per me non intendo:
in manus tuas me valde commendo. -

247.
Come Baiardo alla riva fu presso
parve che tutto di fuoco sfavilli;
poi prese il salto ed in air si fu messo;
ma così alto non saltono i grilli
e non è tempo di segnarsi adesso
ché non piace al demòn nostri sigilli.
O potenzia del Cielpoi ch'a te piacque
maraviglia non fia saltar queste acque!

248.

Ricciardetto ebbe paura e riprezzo
perché tanto alto si vide di botto
che si trovò con Farfarello al rezzo
e dubitòché si vide il sol sotto
come s'e' fussi tra 'l cielo e lui in mezzo;
e ricordossi di Icaro del botto
per confidarsi alle incerate penne;
e con fatica alla sella s'attenne.

249.
Rinaldo arebbe voluto in quel salto
potere al sole aggiugnere alla chioma;
ma non poteaché si truova più alto
perché quel già sotto l'acque giù toma.
Baiardoquando cascò in su lo smalto
anche non parve la sua forza doma
e poco cura il salto ch'egli ha fatto
e cadde in terra lieve come un gatto.

250.
Diceva Ricciardetto a Farferello
come e' giunse alla riva: - Io ti confesso
che questa volta io non son buon uccello
però che il sol non mi parea più desso
quand'io mi vidi volar sopra a quello:
credo ch'io ero al Zodïaco appresso.
Troppo gran salto a questa volta fue:
io non mi vanterei di farne piùe. -

251.
Il caval si sentì di Ricciardetto
in un modo annitrir che par che rida
ché quel dïavol ne prese diletto
delle paroleche colui si sfida;
e poi diceva: - Non aver sospetto
o Ricciardetto: tu hai buona guida. -
Dicea Rinaldo: - Facciàn questo patto:
che in Runcisvalle si salti in un tratto. -

252.
Rispose Ricciardetto: - Adagio un poco!
Volgi pur largoFarferelloa' canti.
Tu non ti curi come vadi il giuoco
o drento o fuor; poi te ne ridi e vanti.
Io sono ancor per la paura fioco
e sento i sensi tremar tutti quanti
e parmi i panni in capo aver rovesci
e cader giù nell'acqua in bocca a' pesci. -

253.
Era la notte appunto cominciata
quando costoro hanno passato Calpe
e poi la Spagna Betica trovata
e vanno attraversando i piani e l'alpe;
e così costeggiando la Granata
si ritruovano al buio come talpe;
e di dormir per certo avean bisogno
ma non è tempo a caminare in sogno.

254.
E capitorno al fiume detto Beti
presso a Corduba anticain un momento
ove dicon gli storici e i poeti
nacque Avicenna e quel che il sentimento
intese d'Aristotile e i segreti
Averroìs che fece il gran comento.
Ma questo all'uno ed all'altro cavallo
credo che fussi un saltellin da ballo.

255.
Egli avevon disposto di saltare:
orsùnoi salteremo anche Guadiana
un altro fiume che s'avea a passare
che dagli antichi appellato fu Ana
là dove Castulon posson mirare
città famosa in quel tempo pagana;
ed anche il Tago più oltre saltorno
presso a Tollettoal cominciar del giorno.

256.
Che dirai tulettorche un nigromante
sendo in Tollettoavea chiamato a caso
quello spirto ch'io dissiRubicante?
Il qual verso lo Egitto era rimaso
a tentar quel signore o amirante;
e sendo dal maestro persüaso
di saper quel che Marsilio facea
molte cose di lui dette gli avea.

257.
E mentre col maestro suo favella
vede Rinaldo e vede Ricciardetto
che fuor della città passano in quella;
e perché e' sa di costoro ogni effetto
disse: - Marsilio arà trista novella
tanto ch'io ho del suo regno sospetto
ché di qua passamentre io ti rispondo
il miglior paladin ch'abbi oggi il mondo;

258.

ed ha con seco un suo gentil fratello
che Ricciardetto per nome è chiamato
e portagli Astaròt e Farferello
ché così Malagigi ha ordinato.
Rinaldoil paladin ch'i' dicoè quello
che in Runcisvalle ne va difilato;
e farà de' pagan crudel governo
sì che doman trïunferà lo 'nferno. -

259.
Questa città di Tolletto solea
tenere studio di nigromanzia:
quivi di magica arte si leggea
publicamente e di piromanzia;
e molti geomanti sempre avea
e sperimenti assai di idromanzia
e d'altre false oppinïon di sciocchi
come è fatture o spesso batter gli occhi.

260.
Dicea quel nigromante: - Sai tu chiaro
che questo sia il signor di Montalbano?
Se così fussee' non ci fia riparo. -
Disse lo spirto: - Egli attraversa il piano
ché que' dïavol ne' cavalli entraro
e van per bricche e d'ogni luogo strano
sempre attraversoe folgor par che sieno
e domattina in Runcisvalle fieno. -

261.
Disse il maestro: - Sai tu ignun rimedio
che si potessi impedire il cammino
in qualche modoe di tenergli a tedio? -
Rispose Rubicante: - Io m'indovino
che presto aranno dalla sete assedio
i lor cavalli a un certo confino
dove bisogna attraversare un monte
sopra il qual nella cima è una fonte.

262.
Credo che a questa si riposeranno
ed aràn voglia di mangiare e bere
però che molto affannati saranno:
io posso adunque loro persuadere
di dar bere a' cavalli; e se beranno
quasi a piè questi vedrai rimanere
e non saranno in Runcisvalle a tempo
ché la battaglia fia doman per tempo:

263.
perché quel santo che Galizia onora
arrivòe una volta a quella fonte
tutto affannatocome fien questi ora
e riposossi e lavossi la fronte;
onde un pastorche nol cognosce e ignora
che guardava le capre in su quel monte
gli disse: "Peregrinmal se' venuto
a questa fontese tu v'hai beuto.

264.
Sappi che ognun che v'ha beuto mai
sùbito par che spiritato sia:
peròse tu bevestiin corpo l'hai".
Rispose il santo: "Per la fede mia
che questa volta tu non t'apporrai
perch'io farò che pel contrario fia
che quanti indemoniati qua beranno
gli spiriti da dosso fuggiranno;

265.
e peròbestiaritorna nel gagno".
E così doppia grazia render volle.
Io manderò là presto un mio compagno
prima che sien montati in su quel colle
Squarciaferrouno spirito mascagno:
vedren se ignun di lor fia tanto folle
che e' creda a questo all'abito e la voce.
Tu sai il proverbioche il tentar non nuoce. -

266.
Rispose il nigromante: - Or ferma il punto:
pensa ch'ognuno abbi la sua malizia:
questo Astarotte sa la birba appunto
della fonte e del santo di Galizia;
guarda che qui tu non resti poi giunto
però che c'è de' cattivi dovizia;
grattugia con grattugia non guadagna:
altro cacio bisogna a tal lasagna!

267.
Non so quel che Astaròt o Farferello -
rispose Rubicante - facci o dica;
ma spesso par serrato un chiavistello
il qual tu non tentasti per fatica
che non era chiavato il buncinello;
e cosìper non legger la rubrica
la poca diligenzia paga il frodo;
perde il punto il sartor che non fa il nodo.

268.

Solo una cosa contrappesa qui:
che se Rinaldo in Runcisvalle va
molti pagan per lui morranno il dì
sì che l'inferno in gran festa sarà
però che verisimil par così;
ed Astaròt il suo conto farà
che Belzebù non lo possi riprendere;
e so ch'egli ha del cattivo da vendere.

269.
Ora io t'ho detto d'ogni cosa il vero:
lasciami andare alla faccenda mia
ch'io non posso chiarirti il suo pensiero
masì o notutto in suo arbitrio fia.
Ecco qui in punto un gentil messaggiero.
Nota che il tempo fugge tuttavia. -
Intanto Squarciaferro si dimostra
per non tediar tanto la istoria nostra.

270.
Or oltreSquarciaferroe' ti bisogna
adoperar qui tutte le tue arti -
disse il maestro - e dir qualche menzogna.
Io posso in molti modi ristorarti.
So che tu sai quel che 'l mio core agogna:
non bisogna le cose replicarti
se non ch'una parola sol ti dico:
ch'io ti sarò ancor forse buono amico. -

271.
Già era al monte Rinaldo salito
e l'uno e l'altro cavallo affannato;
e 'l messaggiero è a tempo apparito
allato all'acqueed aresti giurato
che fusse un santo e devoto eremito
con un bastoncon un viso intagliato
la barbai paternostricol mantello
di frate Lupoma parea d'agnello;

272.
e stava allato alla fonte a sedere
e facea bao bao e pissi pissi
che par che venga da un Miserere
o che dal vespro di poco partissi;
e poi dicea: - Ben vegnatemessere!
Per carità vi ricordo non gissi
più oltre un passo a cavarvi la sete
perché più acqua oggi non troverrete.

273.
Questa è la migliore acqua che sia al mondo
e non fa male a bestie né persone;
questi cavalli ognun par sitibondo:
pigliate alquanto di refezïone. -
Ed accostossifrate Ciullo Biondo
all'acquache parea la devozione
e guazza quella come un anitrino
e faceva a' cavalli il zufolino.

274.
Or gusta quilettorben quel ch'io dico:
che sempre in ogni parte si vorrebbe
aver giusta sua possa ognuno amico
ché nessun sa dov'e' capitar debbe.
Parea questo eremito un uomo antico
tal che Rinaldo creduto gli arebbe
e più ch'io credo Rinaldo credessi
che sol per santità colui il vedessi;

275.
perch'egli era invisibilcome è detto.
Pertantouditor mioti dico: nota
che Astarotte non era constretto
di scoprire a Rinaldo questa nuota;
e non sia ignun che si fidi in effetto
quando egli è bene in colmo della ruota
di non condursi a ogni cosa estrema
ed ognun prezzi e d'ogni cosa tema.

276.
Ognun sa quasi sempre dove e' nasce
ma nessun sa dove e' debbe morire.
Quanti son già felici morti in fasce
pe' casi avversi che posson venire!
Quanti n'uccide la speranza e pasce!
Quanti gran legni si vede perire
disse il Poetaall'entrar della foce!
Benché foco né ferro a virtù nuoce.

277.
Talvolta a discrezion d'un zolfanello
si ritruova in un bosco e di poca esca;
e spesso un uom mendico e poverello
ti può salvarpur che di te gl'incresca.
Potea dunque Astarotte come fello
lasciar Baiardo andar per l'acqua fresca;
ma perché e' gli era Rinaldo piaciuto
l'ammaestrò che non abbi beuto

278.

e disse: - PosaposaSquarciaferro!
Non ti bisogna l'acque diguazzalle
ché le tue maliziette sai non erro;
e Malagigiperché tutte salle
ti metterà la coda in qualche cerro.
Ma se tu vuoi venire in Runcisvalle
vienne con mecoe vedremo un bel fiocco;
o tu ritorna al tuo maestro sciocco

279.
e di' ch'io fui cattivo insin nel Cielo:
pensi quel ch'io son fatto negli abbissi!
e che m'avea molto tondo di pelo
a creder che il suo inganno rïuscissi;
e tu credevi abbagliarmi col velo
e che Baiardo al tuo fischio venissi:
tra furbo e furbo sai non si camuffa.
Vienne tudicoa veder questa zuffa. -

28.

0.
Rinaldoquando intese il parlarsùbito
si fermò col cavalturbato e presto
ch'era presso alla fonte a men d'un cubito;
e disse: - Dimmi quel che vuol dir questo
o Astaròt: a questa volta io dubito
e non intendo la chiosa né il testo;
e perch'io so che l'uno e l'altro io erro
vorrei saper che cosa è Squarciaferro. -

281.
Disse Astaròt: - Or vuoi tu confessarti?
Sappi che questo è un romito santo
che veniva la sete a ricordarti
come tu vedi; e quel devoto ammanto
non è fatto per man de' vostri sarti. -
Rinaldo lo squadrava tutto quanto
poi disse: - Fratetu se' pur de' nostri.
Chi non ti crederrebbe a' paternostri? -

282.
E poi ch'egli ebbe ogni cosa saputo
disse: - Astarottetu se' pure amico
ed io ti son veramente tenuto
e tanto in verità t'affermo e dico:
se mai per grazia sarà conceduto
che il Ciel rimuti il suo decreto antico
sua leggesua sentenzia o suo giudicio
ricorderommi d'un tal benificio.

283.
Altro certo offerir non ti posso ora:
l'animaChi la diècredo sua fia;
il resto tutto sai convien che mora.
O sommo amoreo nuova cortesia! -
Vedi che forse ognun si crede ancora
che questo verso del Petrarca sia
ed è già tanto e' lo disse Rinaldo;
ma chi non ruba è chiamato rubaldo.

284.
Disse Astaròt: - Il buon volere accetto.
Per noi fien sempre perdute le chiavi:
Maestà lesainfinito è il defetto.
O felici cristianvoi par che lavi
una lacrima sol col pugno al petto
e dir: "Signortibi soli peccavi!".
Noi peccamo una voltae in sempiterno
religati siàn tutti nello inferno.

285.
Ché purse dopo un milïone e mille
di secol noi sperassin rivedere
di quello Amor le minime faville
ancor sarebbe ogni peso leggiere.
Ma che bisogna far queste postille?
Se non si puònon si debbe volere;
ond'io ti prego che tu sia contento
che noi mutiamo altro ragionamento.

286.
Or oltrepadre santoe' non bisogna -
disse Rinaldo - arrossir però in volto. -
Rispose Squarciaferro in la vergogna:
- Non t'accostar. Ma s'io t'avessi còlto? -
Disse Astaròt: - O Malagigi in gogna
ti metterà prima che passi molto
o tutti in Runcisvalle insieme andremo;
poi nello inferno ci ritorneremo.

287.
E so ch'e' vi sarà faccenda assai
per la virtù di questi paladini;
e come ghezzo staffier ne verrai
e fa' che allato a Rinaldo cammini. -
Rispose Squarciaferro: - Or lo vedrai. -
E poi in un tratto apparirono i crini
neri arricciatie gli occhi come fuoco
e transmutossi in ghezzo a poco a poco.

288.

E poi rivolse a Rinaldo lo sguardo
e disse: - Andiannech'io sono indïano
e non son più quel romito bugiardo:
la pace è fatta -; e toccògli la mano.
Allor Rinaldo moveva Baiardo
e monti e balzi ogni cosa era piano
sì che di poco si mostrava il giorno
che presso a Siragozza capitorno.

289.
Rinaldoquando vide Siragozza
e 'l fiume Iberpargli una cosa strana
che così tosto la via fussi mozza;
e ricordossi pur di Lucïana:
non so se questa volta parrà sozza;
e come e' giunse sopra alla fiumana
disse: - Astarottepoi che presso siamo
io vo' per mezzo la terra passiamo

290.
e squadrar le fortezze d'ogni banda:
però di questo mi contenterai;
e quel che facci or la reina Blanda
dimmiti priegoch'ogni cosa sai. -
Disse Astarotte: - In punto è la vivanda
e se con essa desinar vorrai
appiè della sua mensa ci porremo.
Non domandar se noi trïonferemo!

291.
Or m'ha' tu il gorgozzul grattato e l'occhio-
disse Rinaldo - ch'io veggo la fame
e non è tempo a indugiarsi al finocchio.
Noi ci staremo un poco con le dame
e gratteren col piè loro il ginocchio
ed udirem dir mille belle trame
di Runcisvallee forse il tradimento. -
Disse il dïavol: - Tu sarai contento. -

292.
E come e' furno in Siragozza entrati
non vi si vede bestie né persone
ché solo i moricini eron restati
e non si truova un uom per testimone
ché tutti alla battaglia sono andati
in Runcisvalle con Marsilïone.
Dunque al palagio in corte dismontorno
la prima cosae' destrier governorno;

293.
e Farferello il famiglio facea
ed orzo e fien traboccava a' cavalli.
Per che il maestro di stalla dicea:
- Chi è costui? - a certi suoi vassalli;
ognun risponde che nol cognoscea.
Ma Farferel due occhi rossi e gialli
gli strabuzzòpoi gli fece paura
con un baston che è di lunga misura;

294.
e disse: - L'arcifànfan di Baldacco
è venuto madonna a vicitare.
Questo bastonse addosso te l'attacco
ti farà d'altro linguaggio parlare. -
Ed attendeva a dar dell'orzo a macco
sì che e' faceva colui disperare;
e perché ignun non uscissi del guscio
e' s'arrecava col bastone all'uscio.

295.
Rinaldo e Ricciardetto in su la sala
ed Astaròt intanto è comparito:
vede che quivi si fa buona gala
e non è né veduto né sentito
perché la turba dintorno cicala
e cominciava a bollire il convito;
e Lucïana ancor parea pur bella
però che allato alla reina è quella.

296.
Posonsi appiè della mensa a sedere.
Ecco un piattello: Astarotte lo ciuffa;
onde e' si volge a un altro scudiere
colui che il portae con esso s'azzuffa.
Intanto la reina volea bere
mentre che sono in su questa baruffa;
e Ricciardetto s'accosta pian piano
e poi gli lieva la tazza di mano.

297.
Rinaldo intanto attende a pettinarsi
e d'ogni cosa che lo scalco manda
e' faceva la parte sua recarsi:
i servi a chi tolta era la vivanda
cominciavon tra lor tutti azzuffarsi;
e intanto grida la reina Blanda:
- Che cosa è questa? E dove è la mia tazza?
Voi mi parete qualche ciurma pazza. -

298.

Ognun con la reina facea scusa
tanto che infine ella si maraviglia.
Rinaldo star non voleva alla musa
e del tagliere di Luciana piglia;
e Lucïana pareva confusa
e in qua ed in là rivolgeva le ciglia
e non sapeva fra sé che si dire
ché la vivanda vedeva sparire.

299.
Egli era il dì dinanzi un lupo entrato
nella città per mezzo della turba
e fu per mal augurio interpetrato
ché non sanza cagion lupo si inurba;
e la reina la notte ha sognato
ch'un gran leon la sua casa conturba;
e non sapea che 'l leone era appresso
cioè che quel di Rinaldo era desso;

300.
sì che ell'aveva questo sogno detto.
E poiveggendo questi effetti strani
conturbato gli avien la mente e 'l petto
dicendo: "Egli è mal segno pe' pagani;
e certo qualche spirito folletto
da poi che son con Orlando alle mani
annunzïar ci vien trista novella";
e così tutta avviluppata è quella.

301.
Isquarciaferro per piacevolezza
tra le gambe per sala s'attraversa
a questo e quelloonde e' cadeva e spezza
o vetro o vaso o qualche cosa versa;
e tutto la reina raccapezza
e dubitava d'ogni cosa avversa;
e così tutti i baron suoi dintorno
di queste cose si maravigliorno.

302.
Rinaldo un pome che si chiama musa
a un buffon che gli pareva sciocco
trassee con esso la bocca gli ha chiusa;
onde e' si volge dintornolo ignocco
e la reina e Lucïana accusa;
ma Ricciardetto gli dètte un barnocco
nel capoe come una pera è caduto.
Ma ogni cosa guastò lo starnuto:

303.
chémentre scompigliato era il convito
non si poté Ricciardetto tenere
ch'un tratto e due e tre ha starnutito;
e non potendo chi fusse vedere
comunque questo romor fu sentito
a furia ognun si lieva da sedere
sì che in un punto si vòta la sala
e beato è chi ritruova la scala.

304.
Rinaldo tempo gli parve accostarsi
a Lucïana che volea fuggire
e fu tentato a costei palesarsi;
ma dubitò di non farla stupire.
Ella gridava e voleva levarsi
ma non poté tanto destro partire
che gli appiccò due baci alla franciosa
ed ogni volta rimase la rosa.

305.
Già erano i cavalli apparecchiati
e lo staffiere è ritornato ghezzo.
Rinaldo e Ricciardettorimontati
si dipartirontrastullati un pezzo
e lascion color tutti spaventati
che per fuggir non s'aspettava il sezzo
e tutti quanti d'accordo diciéno
come il palagio di demòni è pieno.

306.
Rinaldo pel cammin poi ragionando
diceva: - Ancora è Lucïana bella.
O Astaròtio mi ricordo quando
giovaneun tratto innamorai di quella
a Siragozza per caso arrivando:
questa fu alcun tempo la mia stella
e venne insino in Persia a ritrovarmi
con Balugante e con gran gente d'armi;

307.
ed arrecommi un padiglion sì bello
che sempre per suo amor l'ho riservato
però che molto artificioso è quello:
il foco è d'una banda figurato
dall'altra l'aria con ciascun uccello
poi nella terra ogni animal notato
nell'acqua i pesci; ma qui dèi comprendere
che il ver di tutti non si possi intendere. -

308.

Disse Astarotte: - Questo padiglione
io il veggo come e' mi fusse presente
però che al nostro veder non si oppone
o monti o mura: spirto è una mente
che vede ove e' rivolge sua intenzione.
Tu hai cercato il Levante e 'l Ponente:
ora all'occhio mentale è conceduto
di riveder ciò che tu hai veduto.

309.
Ma perché di' che tutti gli animali
vi si veggon dell'aria e della terra
sappi che manca assai de' principali
di quei che l'emisperio vostro serra:
però fia buon rimettersi gli occhiali;
e perché vegga Astaròt non erra
a Montalban nella tua zambra è quello
padiglioncertocome detto haibello. -

310.
Disse Rinaldo: - Tu m'hai punto il core
o Astarottecon sì dolce ortica
chese pur Lucïana prese errore
nel padiglioneio vo' che tu mel dica;
ed io v'aggiugnerò per lo suo amore
ch'io sento ancor della mia fiamma antica;
e ragionar di qualche bella cosa
fa la via brevepiana e men sassosa. -

311.
Disse Astarotte: - La gran Libia mena
molti animali incogniti alle genti
de' quali alcun si dice anfisibena
e innanzi e indrieto van questi serpenti
che in mezzo di due capi hanno la schiena;
altri in bocca hanno tre filar di denti
con volto d'uommanticore appellati;
poi son pegàsi cornuti ed alati:

312.
da questi è detto il fonte di Pegàso.
Un altroil qual rinoceronte è detto
offende con un corno ch'egli ha al naso
perché molto ha l'elefante in dispetto
e se con esso si riscontra a caso
convien che l'un resti morto in effetto;
e callirafio il dosso ha maculato;
e crocuta è di lupo e di can nato.

313.
Leucrocuta è un altro animale:
groppa ha di cervioe collo e petto e coda
di leon tuttoe bocca da far male
che fessa insino agli orecchi la snoda
e contraffà la voce naturale
alcuna volta per malizia e froda;
ed assi un'altra fera è nominata
molto crudeldi bianco indanaiata.

314.
Ed un serpente è detto catoblepa
che va col capo in terra e con la bocca
per sua pigriziae par col corpo repa;
secca le biade e l'erba e ciò che tocca
tal che col fiato il sasso scoppia e crepa
tanto caldo velen da questo fiocca;
col guardo uccide periglioso e fello;
ma poi la donnoletta uccide quello.

315.
Icneümonepoco animal noto
con l'aspido combattee l'armadura
prima si fa tuffandosi nel loto;
dormendo il coccodrilloil tempo fura
e in corpo gli entra come in vaso vòto
però ch'e' tiene aperta per natura
la boccaquando di sonno ha capriccio
e lascia addormentarsi dallo scriccio.

316.
Un'altra bestiache si chiama eale
la coda ha d'elefante e nero e giallo
il dosso tuttoe dente di cinghiale;
il resto è quasi forma di cavallo;
ed ha due cornie non par naturale
ché può qual vuole a sua posta piegallo
come ogni fera talvolta dirizza
gli orecchi e piega per paura o stizza.

317.
Ippotamoanimal molto discreto
quasi cavallo o di mare o di fiume
entra ne' campiper maliziaa drieto;
e se di sangue soperchio presume
cercando va dove fusse canneto
tagliatoe pugnecome è suo costume
la vena e purga l'omor tristo allotta;
poi risalda con loto ov'ella è rotta.

318.

E non ti paia oppinïon qui folle
che da quel tratto è la flobotomia
perché Natura benigna ci volle
insegnar tuttoper sua cortesia.
Non si passa di questo se non molle
il cuoiotanto duro par che sia;
co' denti quasi di verro ferisce
e con la lingua forcuta annitrisce.

319.
Leontofono è poco cognosciuto
che del leone è pasto velenoso;
tragelafo è come becco barbuto;
toosil qual non è sempre piloso:
la state è nudoe di verno velluto;
licaon è come lupo famoso;
altri animali appellati sono alci
cavai silvestrie traggon di gran calci.

320.
Poi son bissontibuoi silvestri ancora
che nascon molto in Iscizia e in Germania;
ed un serpente che si chiama bora;
e macli è bestiach'a dir pare insania
che con le giunte nïente lavora
sì che dormendo rimane alla pania
perché appoggiato a un alber s'accosta
e chi quel taglia lo piglia a sua posta.

321.
E cefi sono altri animali strani
che nascon nelle parti d'Etïopia
c'hanno le gambe di drieto e le mani
dinanzicome forma umana propia:
questi vide ne' giuochi pompeani
prima già Romae poi non n'ebbe copia.
E Gano a questi giorni a Carlo scrisse
e come falso di questi promisse.

322.
Ed una fera tarando è chiamata
la qualdov'ella giaceil color piglia
di quella cosa che ella è circundata
sì che a vederla la vista assottiglia;
un'altra ancora è salpiga appellata
che nuoce assai sanza muover le ciglia;
e spettaficoarunduco e molti angue
che pur Medusa non creò col sangue.

323.
Poi son celidriserpenti famosi
e dipsaemorroìs e caferaco
saure e prèstertutti velenosi;
e non pur nota una spezie di draco;
ed animali incogniti e nascosi
che stanno in mare e chi in padule o laco;
e molti nomi stran di basilischi
si truova ancor con vari effetti e fischi;

324.
dracopopodearmene e calcatrice
irundoalsordioarachealtinanite
centupede e cornude e rimatrice;
naderos molto è solitarioimmite
berus e boa e passer e natrice
che Lucïana non avea sentite
ed andrioedisimon ed arbatraffa;
e non si ricordò della giraffa.

325.
E degli uccelli ibìsche par cicogna
perché e' si pasce d'uova di serpente;
fassi il cristeo al tempo che bisogna
con l'acqua salsachi v'ha posto mente
rivolto al culo il becco per zampogna:
ché la Natura sagace e prudente
intesemedïante questo uccello
apparare poi i fisici da quello.

326.
Agotileappellato caprimulgo
poppa le capre sì che il latte secca;
e chiteuccello ignorato dal vulgo
la madre e 'l padre in senettute imbecca;
un altro è appellato cinamulgo
del qual chi mangiale dita si lecca:
e non ispari il ghiotto questo uccello
perché di spezierie si pasce quello.

327.
Meonide ancor son famosi uccelli
che fanno appena creder quel che è scritto
però ch'ogni cinque anni vengon quelli
di Meon al sepulcro insin d'Egitto;
combatton quivio gran misteri e belli!
mostrando pianto naturale afflitto
come facessin l'essequie e 'l mortoro;
poi si ritornon nel paese loro.

328.

Ed ardea quasi l'aghiron simiglia
che fugge sopra i nugol la tempesta;
coredulciò che per ventura piglia
del cor si pascee l'avanzo si resta;
carità volae parrà maraviglia
per mezzo il focoe non incende questa.
Né so se ancora un uccel cognoscete
nimico al corboappellato corete.

329.
Ed un uccel che di state si vede
dopo la pioggiasi chiama drïaca
che la Natura creò sanza piede;
ed atilonche gridando s'indraca
drieto alla volpe; se l'asino vede
amico il segue e con esso si placa;
bistarda è gravee dir non ne bisogna
chécome vilsi pasce di carogna.

330.
Non so se del caladrio udito hai dire
il qualposto all'infermo per obietto
si volge addrieto se quel dèe morire
così al contrario pel contrario effetto;
ibor come caval s'ode annitrire;
luce licidiaun pulito ugelletto
tanto che quasi carbonchio par sia
sì che di notte dimostra la via.

331.
Incendulacol gufo combattendo
vince il dì leie il gufo poi la notte.
Ma sopra tutto porfirio commendo
un certo uccel che non teme di gotte:
ché ciò che piglia lo mangia bevendo
sì che e' vuol presso la madia e la botte;
l'un piè par d'ocaperché e' nuota spesso
e l'altro con che e' mangia è tutto fesso.

332.
Or s'io volessi de' pesci contare
e tante forme diverse narralle
sarebbe come in Puglia annumerare
le moschele zenzare e le farfalle.
Io veggo la battaglia apparecchiare
e non saremo a tempo in Runcisvalle. -
Or lasciàn questi così ragionando.
Cristo ci scampise si puòOrlando.



CANTARE VENTESIMOSESTO


1.
Benigno Padrea questa volta sia
la tua somma pietà più che mai fosse;
manda il tuo arcangel con sua compagnia
che le spade del Ciel sien fatte rosse:
ché tanto sangue in Runcisvalle fia
che correrà pe' fiumi e per le fosse
poi che l'ultimo giorno è pur venuto
che Malagigi ha più tempo temuto.

2.
Carloomè! quanto sarai meschino
quando vedrai de' nuovi casi avversi
e morto il tuo nipote e paladino!
O tristiafflittio lamentabil versi!
O traditor Marsilio saracino
or potranno i tuoi inganni alfin vedersi!
O Ganellontosto sarai contento
d'aver condotto il sezzo tradimento!

3.
Avea colui che ancor Prometeo piange
cavato il capo fuor dell'orizonte
di fuoco e sangueonde e' parea che Gange
mostrassi de' cristian le future onte;
quando appresso si scuopron le falange
del re Marsilio e de' pagan già a fronte
ed apparivan sopra una montagna
a poco a poco le turbe di Spagna.

4.
Or chi vedessi al vento gli stendardi
bianchiazurrivermigli e neri e gialli
e serpenti e leoncervieri e pardi
e sentissi il tumulto de' cavalli
e l'annitrir per le tube gagliardi
istupefatto sarebbe a guardalli
tanti stormenti e vari segni e strani
si sentiva e scorgeva de' pagani.

5.
Ma Guottibuoffiche ne dubitava
ch'era un famoso vecchio borgognone
ogni dì con Orlando ricordava
che si facessi altra provisïone
e tuttavolta il campo rafforzava.
Orlandoqual si fusse la cagione
a questa volta non ci ponea cura
e non parea che conosca paura.

6.
Ulivieri avea il dì dinanzi detto
che fatto avea molto terribil sogno
tanto che messo gli aveva sospetto
per che di Danïello avea bisogno.
Orlando disse: - Chi fa col barletto
pensa quel che farebbe con un cogno! -
ed avea detto in suo linguaggio e tosto
onestamentech'e' sognava il mosto.

7.
Credo che Orlandocome antico e saggio
cognosceva il suo mal già presso alfine
ma non mostrava nel volto il coraggio;
ed aspettava corona di spine
omai di Spagna e 'l tributo e l'omaggio;
e poco vaglion le nostre dottrine
però che quando un gran periglio è presso
difficil molto è consigliar se stesso.

8.

La mattina Ulivier per tempo è ito
in su 'n un montee Guottibuoffi v'era
che sempre stava la notte assentito
ed ordinava le guardie ogni sera.
Intantocom'io dissiè comparito
del re Marsilio già la prima schiera
e cognobbe gl'inganni de' pagani
che cominciavon già a calare a' piani;

9.
e disse: - O Guottibuoffiegli è venuto
l'ultimo dì per la gloria di Carlo!
E 'l conte nostro non t'ha mai creduto
che si voleva il campo rafforzarlo.
Questo è Marsilio traditore astuto
che a tradimento viene a ritrovarlo
però che segno di pace non parmi
ch'io veggo a tutti rilucer qua l'armi.

10.
Or son le profezie di Malagigi
adempiute per sempre a questa volta!
Io sento insin di qua tremar Parigi.
O Ganellontu hai pur fatto còlta
e ristorato Carlo de' servigi! -
E detto questoal caval dètte volta
e scese presto gualoppando il monte
e ritornò dove lasciato ha il conte.

11.
Aveva Orlando strana fantasia
quella mattina; e veggendo venire
Ulivier che correva tuttavia
gridò da lungi: - Questo che vuol dire? -
Disse Ulivier: - Malper la fede mia!
Non mi volesti ier sera appena udire:
Marsilio è qua che t'arreca il tributo
con l'armee 'l mondo è con seco venuto. -

12.
Tutti i baroni a Orlando dintorno
furno in un trattoed ognun confortava
che si dovessi sonar presto il corno.
Orlando presto in sul caval montava
e Sansonettoe in sul monte n'andorno;
e come e' giunsedintorno guardava
e ben cognobbe che Marsilio viene
per dar tributo di future pene.

13.
E poi si volse inverso Runcisvalle
e pianse la sua gente dolorosa
e disse: - O tristao infortunata valle
oggi sarai per sempre sanguinosa! -
Quivi eran molti già intorno alle spalle
e tutti consigliavano una cosa
da poi che pure il caso è qui transcorso:
che si chiamassi col corno soccorso.

14.
Era salito in su questa montagna
Astolfo e Berlinghier presto ed Avino
e ragguardando ognun per la campagna
veggendo tanto popol saracino:
- Abbi pietà della tua gente magna-
dicevan tutti - o franco paladino:
va' suona il corno quanto puoi più forte
ch'ogni cosa è men dura che la morte! -

15.
Rispose Orlando: - Se venissi adesso
CesareScipioAnibale e Marcello
e Dario e Serse ed Alessandro appresso
e Nabucco con tutto il suo drappello
e vedessi la Morte innanzi esplesso
colla falce affilata o col coltello
non sonerò perché e' m'aiuti Carlo
ché per viltà mai non volli sonarlo. -

16.
Tornossi adunque con sue gente Orlando
e 'l campo fece con gran furia armare:
per tutto Runcisvalle è ito il bando
ch'ognun presto a caval debbi montare;
e Turpin va con la croce segnando
e cominciava tutti a confortare
ch'ognun morissi volentier per Cristo
e ricordare la passion di Cristo.

17.
Or chi vedessi il campo armare in fretta
certo pietà gliene verrebbe al core
come ogni cosa a chi il contrario aspetta
par che più porti dolcezza o terrore;
e risonava più d'una trombetta
per Runcisvalle con certo clangore
che parea proprio al Giudicio chiamassi
in Giusaffàsì che i morti destassi.

18.

Pensa ch'ognun con gran furore assetti
quivi i cavalli e sue armi raggruppi
e chi gridava e batteva paggetti
e tutti sieno occupati i gualuppi;
ed alcun l'armi al contrario si metti
e le parole co' fatti avviluppi
sì come avvien nelle gran cose spesso
gridando: - Arme! Arme! I nimici son presso! -

19.
Già eran tutti i paladini insieme
ristretti con Orlandoa consigliare
della battaglia che ciascun qui teme
come e' si debba le gente ordinare.
Orlando per dolor sospira e geme
e non poteva a gnun modo parlare
d'aver condotto sì miseramente
in Runcisvalle a morir la sua gente.

20.
Ed Ulivier dicea: - Caro cognato
meglio eraomètu m'avessi creduto!
Già è più tempo ch'io t'ho predicato
ch'io avevo Marsilio cognosciuto
traditor prima che fussi creato;
e tu credevi e' mandassi il tributo!
E Carlo aspetta le mummie a San Gianni!
Di Gannon credo che nessun s'inganni

21.
salvo che luipoi che gli crede ancora
ed ha condotti a questa morte tutti.
Ma quel Marsiliose nessun lo ignora
fra molti vizii tutti osceni e brutti
una invidia ha nell'ossa che il divora
che si cognosce finalmente a' frutti:
io l'ho sempre veduto in uno specchio
un tristoun doppioun vil traditor vecchio.

22.
Malgigi è quel che lo cognosce appunto
e mille volte pur te l'ha già detto;
e che e' dovessi il campo stare in punto
gridato ho tantoch'io n'avea sospetto.
Non m'hai creduto: ora è quel tempo giunto
che tanti annunzii tristi hanno predetto;
ora hai tanto bramatoor mi perdona
come nespola in capo la corona. -

23.
Orlando non rispose a quel che disse
Ulivierperché il ver non ha risposta;
e benché la risposta pur venisse
le parole non vengono a sua posta.
Il campo intanto a ordine si misse
e per fare alto a Orlando s'accosta
che fece a tutti ordinar collezione;
poi disse pur questa ultima orazione:

24.
S'io avessi pensato il traditore
Marsilio in questo modo a vicitarmi
venissi come ingiusto e peccatore
io arei preparato i cori e l'armi;
ma perché sempre gli portai amore
credea che così lui dovessi amarmi
e che fussi sepolto ogni odio antico:
ché qualche volta ognun pur torna amico;

25.
salvo che luiche per viltà perdona
e resta pur la mente acerba e cruda.
Pertanto io gli confermo la corona
de' traditorie scuso or Gano e Giuda;
ch'io non truovo in lui cosa che sia buona
ma fa come sparvier che in selva muda
che t'assicura e par che e' sia la fede;
poise tu il lasci un trattomai non riede.

26.
Ecco la fede or di Melchisedec
un uom che è di più lingue che Babel
da dirgli alecsalam salamalec
proprio un altro Cain che invidi Abel.
Ma forse sarò io nuovo Lamec;
forse lo spirto è quel d'Achitofel
forse di Marsiache s'asconde al cielo
di corpo in corpo anzi al signor di Delo.

27.
Or pur chi inganna ognunanche sé inganna
e non sia ignun che a se stesso si celi
perché pur se medesimo alfin danna.
Se voi sarete alla morte fedeli
ristoreravvi con la dolce manna
il Signor vostro degli amari feli;
e se il pan del dolor mangiato avete
stasera in paradiso cenerete

28.

come disse quel greco anticamente
lieto a' suoi già; ma disse: "nello inferno".
Vedete in su la grata pazïente
Lorenzoper fruir quel gaudio etterno:
Volgi quest'altro!. O giusto amor sì ardente
che non sentia d'altro foco lo scherno!
Ché dolce cosa è voluntaria morte
quando l'anima è in Dio costante e forte.

29.
Quant'io per mequal mansüeto agnello
me ne vo come Isac al sacrificio
bench'io vegga già fuor tutto il coltello:
ch'io sento già quello etterno giudicio
dove fia giudicato il buono e il fello;
tosto fia ministrato il grande oficio:
Venite, benedicti patris mei
e nell'inferno discacciati i rei.

30.
Peròmentre di vita ancor ci avanza
perché il fine è quel ch'ogni cosa onora
ognun di paladin mostri possanza
acciò che il corpo solamente mora;
ed abbiate buon cor sanza speranza
perch'io non so quel che si fia ancora
e spessoove i rimedii sono scarsi
fu a molti salute il desperarsi.

31.
E' m'incresce che Carlo in sua vecchiezza
vedrà forse pur fine posto al regno
di Francia bella e d'ogni gentilezza
perch'egli è stato imperator pur degno.
Ma ciò che salealfin vien poi in bassezza;
tutte cose mortal vanno a un segno:
mentre l'una sormontaun'altra cade:
così fia forse di Cristianitade.

32.
E increscemi del mio fratel Rinaldo
ch'io non lo vegga innanzi alla mia morte
a punir questo traditor ribaldo;
e come cosa immaginata forte
non posso in un proposito star saldo
e par che nella mente mi conforte
un pensier che mi dica: "Egli è qui presso"
e guardo ognun ch'io veggo s'egli è desso.

33.
La cagion perché il corno io non sonai
è per veder quel che sa far Fortuna;
non vo' che ignun se ne vanti già mai
ch'io lo sonassi per viltà nessuna:
prima fien tenebrosi in cielo i rai
prima il sole arà lume dalla luna
forse a Marsilio pria trarrò l'orgoglio;
e con questo pensier sol morir voglio.

34.
Ed oltra questoe' nol concede il loco
perché da noi a Carlo è tanto spazio
che il suo soccorso gioverebbe poco.
Io vo' che Ganellon si facci sazio.
Ma innanzi che partiti siàn da gioco
noi faren di costor sì fatto strazio
che essemplo sarà al mondo quanto e' dura:
sì ch'io non ho della morte paura.

35.
La morte è da temere o la partita
quando l'anima e 'l corpo muore insieme;
ma se da cosa finita a infinita
si va qui in Cielo fra tante diademe
questo è cambiar la vita a miglior vita.
Ora abbiate in Gesù perfetta speme
e vita e morte rimettete in Quello
che salvò da' leoni già Daniello.

36.
Un filosofo anticodetto Tale
la prima cosa ringraziava Iddio
che fatto l'aveva uomnon animale;
peròse così fusti e voi ed io
consegue or che l'effetto sia mortale;
dunque è proprio dell'uomoal parer mio
amar quanto conviensi il breve mondo
ma sopra tutto il suo Signor giocondo.

37.
Ricordatevi ognun di que' buon Deci
c'hanno sol per la patria fatto tanto
e molti altri Roman famosi e Greci
per lasciar poi nel mondo un piccol vanto:
del qual fo poco conto e sempre feci
respetto a conseguir quel regno santo
dove è Colui che sparse il giusto sangue
per liberarci dal mortifero angue.

38.

Non crediate d'Orazio o Curzio sia
felice il nome come il vostro certo
perché quello a salute al mondo fia
ma l'anima non ha qui premio o merto.
Mentre ch'io parlo con voituttavia
mi par tutto veder già il Cielo aperto
e gli angeli apparar sù con gran fretta
il loco che perdé la ingrata setta.

39.
Io veggo un nuvoletto in aireun nembo
che certo vien per voi di paradiso
e già di Miccael si scuopre un lembo
tal ch'io non posso contemplarlo fiso;
parmi vedervi giubilare in grembo
di quello Amor che tutto applaude in riso
come que' padri già nel sen d'Abramo
e che tutti già in Ciel felici siamo.

40.
Però vi do la mia benedizione;
e come tutti assolverà Turpino
è fatta in Ciel la nostra assoluzione. -
E detto questopigliò Vegliantino
e saltò della terra in su l'arcione
e disse: - Andianne al popol saracino! -
E pianse in sul cavallo amaramente
quando e' rivide tutta la sua gente;

41.
e disse un'altra volta: - O dolorosa
valleche presto i nostri casi avversi
faran per molti secoli famosa
tanto sangue convien sopra te versi:
tu sarai recordata in rima e in prosa.
Ma se preghi mortal mai giusti fersi
Virginei servi tuoi ti raccomando
e non guardare al peccatore Orlando. -

42.
Intanto l'arcivescovo segnava
e tutta quella gente benedisse
e dice: - Io vi perdono. - E confortava
ch'ognun pel suo Gesù lieto morisse.
Così piangendo l'un l'altro abbracciava
e poi la lancia alla coscia si misse;
e la bandiera innanzi era d'Almonte
la qual fue acquistata in Aspramonte.

43.
Ora ecco la gran ciurma de' pagani
che Falserone ha presso i suoi stendardi
ch'eran tutti calati giù ne' piani;
e dicea: - Questi Franciosi e Piccardi
quando in su' campi saremo alle mani
tosto vedren se saranno gagliardi!
Oggi fia vendicato il mio figliuolo! -
E minacciava il conte Orlando solo.

44.
Io v'ho purcavalieria tutti detto
ognun di questo ammaestrato sia
che come Orlando si muove in effetto
e' non sia ignun che mi tagli la via:
io gli trarrò per forza il cuor del petto;
ognun si scostila vendetta è mia
ché Ferraùs'io non ne sono errato
degno fu certo d'esser vendicato. -

45.
E' si sentiva i più stran naccheroni
e tante busne e corni alla moresca
che rimbombava per tutti i valloni
e par che degli abissi quel suono esca;
tanti pennacchitanti stran pennoni
tante divisela più nuova tresca
era cosa a veder per certo oscura
e fatto arebbe 'Alessandro paura.

46.
L'annitrir de' cavalli e il mormorare
de' pagan che venivan minacciando
ch'ognun voleva e cristian trangugiare
e sopra tutto Falserone Orlando
parea quando più forte freme il mare
Scilla e Cariddi co' mostri abbaiando;
e tutta l'aria di polvere è piena
come si dice del mar della rena.

47.
Quivi eran ZinganiArbi e Sorïani
dello Egitto e dell'India e d'Etïopia
e sopra tutto di molti marrani
che non avevon fede ignuna propia
di Barberiad'altri luoghi lontani;
ed Alcuïnche questa istoria copia
dice che gente di Guascogna v'era:
pensa che ciurma è questa prima schiera!

48.

Ed avean pur le più strane armadure
e i più stran cappellacci quelle genti:
certe pellacce sopra 'l dosso dure
di pescicoccodrilli e di serpenti
e mazzafrusti e craveaccette e scure;
e molti i colpi commettono a' venti
con dardi ed archi e spuntoni e stambecchi
e catapulte che cavon gli stecchi.

49.
Quivi già i campi l'uno all'altro accosto
da ogni parte si gridava forte:
chi vuol lesso Maconchi l'altro arrosto;
ognun volea del nimico far torte.
Dunque vegnamo alla battaglia tosto
sì ch'io non tenga in disagio la Morte
che con la falce minaccia ed accenna
ch'io muova presto le lance e la penna.

50.
Orlando aveva alla sua gente detto:
- Della battaglia ognun libero sia:
qui non è cavalier se non perfetto;
e Miccael vi farà compagnia. -
Astolfo il primo si mosse in effetto;
vennegli incontra Arlotto di Soria
e l'uno e l'altro abbassò la sua lancia
e - Siragozza! - si sentiva e - Francia! -

51.
Or non ci far questa volta vergogna:
pòrtatiAstolfocome paladino!
attienti al legno fortee se bisogna
abbraccia quel come un tuo nipotino!
però che Arlotto sorïan non sogna
che vien di verso il campo saracino;
e con sopportazion tutto sia detto
che invero Astolfo n'aveva difetto;

52.
tanto checome la lancia ebbe in resta
ed Ulivieri a Orlando dicea:
- Che sì che Astolfo farà bella festa! -
In questo tempo allo scudo giugnea
il saracin con sì fatta tempesta
che mancò poco che non s'apponea
a questa volta d'Astolfo il marchese;
se non che a schembo la lancia lo prese.

53.
Astolfo ferì lui discretamente
perché la lancia alla vista gli appicca;
e fu quel colpo per modo possente
ch'un palmo e mezzo di ferro gli ficca
e mandò presto fra la morta gente
l'animae 'l corpo di sella gli spicca.
Adunque Astolfo ha fatto il suo dovuto
poi che il pagano e non lui è caduto.

54.
Allora il franco Angiolin di Baiona
diceva: - Orlandoio vo' il colpo secondo. -
E detto questoun suo giannetto sprona
che miglior corridor non avea il mondo.
Vennegli appetto un gran sir di corona
molto crudeldi sangue sitibondo
Malducco dettodel regno di Frasse;
e calaron le lance ambo giù basse;

55.
e l'uno e l'altro poneva al baucco
ché l'uno e l'altro di porre è maestro;
ed Angiolin pel colpo di Malducco
se n'andò quasi in sul lato sinestro;
ma non pertanto è il suo valor ristucco;
e perché e' pose al pagan molto destro
gli fe' toccar coll'elmetto la groppa
tanto che ruppe del cimier la coppa;

56.
e se non fusse che trasse il cavallo
quando e' sentì che il pennacchio lo tocca
sì chetraendoaiutava rizzallo
era la corda rasente alla cocca.
Avino intanto saltava nel ballo:
la lancia abbassa e 'l corridor suo brocca:
- Chi meco vuol giostrar - gridando forte
- venga a trovarmie troverrà la morte! -

57.
Partissi della schiera de' pagani
re Mazzarigiun uom molto superbo
che confessò la legge de' cristiani
e rinnegò poi Cristo e 'l Padre e 'l Verbo;
e come e' furno ristretti alle mani
il colpo del pagan fu molto acerbo;
pure Avin gli rispose con la lancia
ma questa volta della morte ciancia.

58.

Ulivier si fe' innanzi con Rondello
ché non potea più star saldo alle mosse.
Il re Malprimocome e' vide quello
dall'altra parte a rincontra si mosse.
Or quisanza operare altro pennello
si cominciono a far le lance rosse
e gli scudi e le falde e le corazze
e le barde a dipigner paonazze.

59.
Il saracin percoteva il marchese
e nello scudo la lancia gli attacca
tal che più oltre la punta si stese
ed una costa del petto gli ammacca
ché la corazza o 'l giubbon nol difese;
ma pur la lancia alla fine si fiacca;
ed Ulivier di cader consigliossi
e in qua ed in là molte volte piegossi.

60.
Pur la sua gagliardiala sua fierezza
non si nascose a questa volta certo
ché la sua lancia non si piega o spezza
ma tutto quanto lo scudo gli ha aperto
e la corazza gli parve una rezza:
sì che Malprimo si truova deserto
ché gli misse nel cor proprio la lancia
e mostrò pur le prodezze di Francia.

61.
Falseronquando ha veduto cadere
così sùbito morto del cavallo
un tal campioncominciava a temere:
Questo èdisse "un miracol sanza fallo;
qui non si giostra a diminino o viere.
O Maconcome lasciasti cascallo?";
e molto fu di tal caso turbato
perché Malprimo era il primo stimato.

62.
Ulivier non si misse nella pressa
de' saracinch'ancor gli duole il petto.
Intanto in resta la lancia avea messa
Turpinoe salta che pare un capretto
ché non è tempo a cantar or la messa.
Vennegli incontra Turchion maladetto
con la sua lanciacon superbia e furia
per vendicar di Malprimo la ingiuria;

63.
e nello scudo alla treccia gli colse
e ruppel come bambola di specchio
sì che dal petto fatica gli tolse.
Ma Turpin sa ancor l'artecosì vecchio
e perché il saracin civettar volse
e' gli accoccòe la lancia a un orecchio
e schiacciò l'elmo e 'l capo come al tordo
e in questo modo lo guarì del sordo.

64.
Orlando aveva nel suo colonnello
di Normandia quel possente Riccardo
e Guottibuoffi e 'l conte Anselmoquello
che tanto fu questo giorno gagliardo
AvolioAvinBerlinghieri e 'l fratello
e Sansonetto e 'l buon duca Egibardo
e tutti gli altri paladin di Francia
gente ch'ognun porterà ben sua lancia.

65.
Or quando Orlando e la schiera si mosse
pensi chi legge che il furore e 'l rombo
di Vulcan parve la fucina fosse
tanto ch'a Giove n'andò sù il rimbombo
e Marte credo nel ciel si riscosse;
e tante lance si calorno a piombo
ch'un vento par ch'ogni cosa abbattessi
e il cielo e 'l mondo e l'abbisso cadessi.

66.
Falseronch'avea tanto desïato
di ritrovarsi alle man con Orlando
fu d'un altro proposito mutato
quando e' lo vide venir furïando
che Lucifer pareva scatenato:
Apollin,disse "io mi ti raccomando:
non mi lasciar così morire in fretta;
lasciami far del mio figliuol vendetta".

67.
Ma come Orlando a Falseron fu presso:
- O traditor- gridò di lunge forte
- questo non è quel che mi fu promesso
di perdonar di Ferraù la morte!
Or si cognosce traditore esplesso
il tuo Marsilio e tutta la sua corte
che si vorrebbe con teco impiccarlo!
Questo è il tributo che s'aspetta a Carlo?

68.

Non ti vergogni d'avermi tradito
e dato il bacio come Scarïotto
quando di Francia ti fusti partito? -
E non si vide mai crucciato o rotto
Orlandoquanto quel dì fu sentito.
Poi lasciava la lancia andar di botto
e prese Falserone appunto al petto
gridando: - Or chiama il tuo can Macometto! -

69.
Maraviglia fu grandeal parer mio
che gli passò lo scudoch'era d'osso
d'un certo pescecome piacque a Dio
e 'l piastron sotto molto duro e grosso;
e benché Falseron presto morìo
nïente della sella si fu mosso
tanto che gnun del suo caso s'accorse.
Orlando col cavallo oltre trascorse;

70.
poi ritornòché volea pur vedere
di Falseron come la cosa vada
ché nel passar non lo vide cadere;
ma come questo toccòe con la spada
sùbito cadde fra' morti a giacere;
e maraviglia non fu perché e' cada
ma perchécome alla terra fu giunto
dicon che il corpo disparì in un punto.

71.
Ora hai tuFalseronla tua vendetta
fattae condotto a Siragozza Gano!
La gente sua vi corse con gran fretta
e scesi in terra e distesa la mano
l'arme trovoron come quando getta
il guscio il granchioché drento era vano.
O nuovo casoo segnoo gran portento
quanto Iddio abbi in odio il tradimento!

72.
Quando i pagan Falseron vidon morto
ognuno spazzerebbe la campagna
tanto ne preson terrore e sconforto;
ma d'ogni parte era tesa la ragna
ché il re Marsilioper veder più scorto
recato s'era in su l'alta montagna
e circundava tutta quella valle
sì che voltar non potevon le spalle.

73.
Fecesi innanzi quel corbacchion nero
che si chiamava tra lor Finadusto
con un baston che non era leggiero;
e sette braccia il pagano era giusto.
Berlinghier vide venir questo cero
e non guardò perché e' fusse gran fusto
e 'l baston grave e mazzocchiuto e grosso
ma con la lancia gli correva addosso.

74.
Egli aveva una scoglia di testudo
questo ghiottoneadattata a suo modo
e porta quella al petto per iscudo:
la lancia il passabenché e' fussi sodo
e tanto il ferro temperato è crudo
che gli sbarrò della piastra ogni nodo
ed un giubbon sì grosso di catarzo
che non pareva per quello anche scarzo;

75.
e cacciògli nel petto più che mezzo
il ferro: benché e' non fusse mortale
il colpopure e' gli dètte riprezzo;
e se non fusse che il caval misse ale
e' non sentia mai più caldo né rezzo;
ma così tosto non fugge uno strale
che si diparta da corda di noce
come quel presto il portò via veloce.

76.
Era venuto intanto Gallerano
con molta genteed ha seco Fidasso.
Or qui comincia a insanguinar più il piano
e nuove lance rovinano in basso
e fassi innanzi ogni buon capitano.
Orlando fa come un vento fracasso
ed avea sempre appresso il conte Anselmo
che facea spesso risonar qualch'elmo.

77.
Ulivieri Altachiara avea ristretta
e ritornato è già nella battaglia.
Gualtieri da Mulion quivi si getta
e Baldovin come un leon si scaglia.
AvinoAvolioOttoneognun affetta
come le rape di questa canaglia
Angiolin di Bellanda e Guottibuoffi
dando e togliendo di maturi ingoffi.

78.

Marco e Matteoch'ognun dice del Piano
di San Micheleed io truovo del Monte
per Runcisvalle con la spada in mano
a molti avevon frappata la fronte.
Il duca Astolfo non si stava invano
e Turpin caccia le pecore al monte.
Angiolin di Bordea solo era morto
de' paladinma gli fu fatto torto.

79.
Or lasciam così il campo insieme stretto.
Non vogliàn noi che ne venga Rinaldo
alla battaglia col suo Ricciardetto?
Che ne venìa con un desio sì caldo
ch'a ogni passo ha domandato e detto
quel che faceva Marsilio ribaldo;
ed Astaròt ogni cosa dicea
ché la battaglia tuttavia vedea.

80.
E Ricciardetto si consuma e rode
quando sentia la battaglia rinforza
e d'Ulivieri e d'Orlando alte lode
e come il campo de' pagan va ad orza;
e benché pur dall'un canto ne gode
pargli mill'anni mostrar la sua forza
e ritrovarsi nel mezzo alle busse
e gittò l'erba che dètte Milusse.

81.
E come presso a Runcisvalle sono
calati giù da' monti Pirenei
onde s'udia della battaglia il tuono
del suon dell'arme e degli spessi omèi
dicea Rinaldo: - Io credo ch'e' sia buono
(dico così quel ch'io per me farei)
che s'assaltassi il campo saracino
in mezzodove è quaggiù Bianciardino. -

82.
Disse Astarotte: - Bianciardino è quello
che attorno va con quella sopravvesta.
Noi ce n'andremo ora io e Farferello
tra le campanee soneremo a festa
quando vedren che tu farai macello;
e Squarciaferro ti si manifesta
(rogatus rogointendi quel ch'io dico)
che in ogni modo vuole esser tuo amico.

83.
Non creder nello inferno anche fra noi
gentilezza non sia: sai che si dice
che in qualche modoun proverbio fra voi
serba ogni pianta della sua radice
benché sia tralignato il frutto poi.
Or non parliam di quel tempo felice...
Quivi è Marsilioe qua combatte Orlando.
Valete in pace. A te mi raccomando. -

84.
Rinaldo non sapea formar parole
alla risposta accommodate a quello
e ringraziare Astarotte suo vuole
e così Squarciaferro e Farferello;
poi gli rispose: - Astaròte' mi duole
il tuo partir quanto fussi fratello;
e nell'inferno ti credo che sia
gentilezzaamicizia e cortesia.

85.
E se lecito t'è quel ch'io dico ora
qualche volta mi torna a rivedere
e Squarciaferro e Farferello ancora
ch'io penso sol di potervi piacere;
e quel Signor che la mia legge adora
pregose il prego dovessi valere
che vi perdonie che ciascun si penti
ché ristorar non vi posso altrimenti. -

86.
Disse Astarotte: - Se vuoi ch'io domandi
una grazia sol chieggioqual puoi farmi
e poi contento da te me ne mandi:
tu facci a Malagigi liberarmi
e in qualche modo me gli raccomandi;
però che sempre potrai comandarmi
ché di servirti non mi fia fatica;
e basta solo "Astarotte" tu dica

87.
ed io ti sentirò fin dello inferno
e verrà per mio amor qui Farferello.
- Io ti sono obligato in sempiterno-
disse Rinaldo - e così il mio fratello;
perònon ch'una letteraun quaderno
iscriverrò di buono inchiostro a quello
e farà ciò che vorrai Malagigi.
Pensa s'io posso farti altri servigi.

88.

E manderògli un messaggier volando
e scriverrò della tua cortesia
e così farò scrivere a Orlando
sì dolce è stata la tua compagnia. -
Disse Astaròt: - A te mi raccomando. -
E disparì co' suoi compagni via
che parve proprio un baleno sparissi
e che la terra di sotto s'aprissi.

89.
In Runcisvalle una certa chiesetta
era in quel tempoch'avea due campane:
quivi stetton coloro alla veletta
per ciuffar di quelle anime pagane
come sparvier tra ramo e ramo aspetta;
e bisognòe che menassin le mane
e che battessin tutto 'l giorno l'ali
a presentarle a' giudici infernali.

90.
Pensa quel dì se menoron la coda
Eacoil gran Minòs e Rodomanta
e quel Satàn se tu credi che e' goda;
e se Caron nella sua cimba canta
rassetta i remie la vela rannoda
col mataffionee le vele rammanta;
e se si fece più d'una moresca
giù nello inferno e taferugia e tresca!

91.
E così in Ciel si faceva apparecchio
d'ambrosia e nèttar con celeste manna;
e perché Pietro alla porta è pur vecchio
credo che molto quel giorno s'affanna
e converrà ch'egli abbi buono orecchio
tanto gridavan quelle anime - Osanna! -
ch'eran portate dagli angeli in Cielo;
sì che la barba gli sudava e 'l pelo.

92.
Or ritorniamo a Rinaldoche assalta
il campo in mezzoe come e' dètte drento
sùbito rossa si fece la malta:
ed arà fatto buono scaltrimento
chénon sapendo Marsilio la falta
dubitò nel suo cor di tradimento
che non fussi tra lor congiura o setta
ché non si può sempre esser savio in fretta.

93.
Avea Marsilio il suo popol pagano
e 'l campo ben divisoed ordinato
chi dovessi ferir di mano in mano;
Rinaldoch'ancor questo avea pensato
sapea il pericol d'ogni capitano
che guasto non gli sia l'ordine dato;
perché e' si vede per esperïenzia
che la battaglia è solo obedïenzia:

94.
Non ti partir di qui se a te non torno,
cioè ch'io ti ci truovi, o vivo o morto!.
Fa' che tu sia alla bocca del corno
la tramontana, o nave surta in porto!.
E perché molti già prevaricorno
l'un più che l'altro capitano accorto
cognobbe del nimico qui il periglio
e come savio fe' nuovo consiglio.

95.
Parve a Marsilioche stava a vedere
che i pagan combattessin co' pagani
ché non potea di Rinaldo sapere;
e bisognò che calassi giù a' piani
perché e' vedeva abbaruffar le schiere
e non v'è contrassegni di cristiani;
e disse: "Gano è un malvagio gatto;
e Bianciardin chi sa quel che s'ha fatto?".

96.
E dubitò ch'e' non sonassi a doppio
perché pure era stato in Francia a Carlo
che non avessi arrecato qualche oppio
e volessi con esso addormentarlo;
e già sentir gli pareva lo scoppio
tanto forte comincia a imaginarlo
che tradimento nel campo non fosse:
per la qual cosa a gran furia si mosse.

97.
Rinaldoquando Marsilio ha veduto
diceva a Ricciardetto: - E' cala il monte.
Lo star qui tutto sarebbe perduto:
tempo fia ora a ritrovare il conte. -
E perché egli era molto combattuto
da ogni partee dinanzi e da fronte
e Ricciardetto in qua e in là si scaglia
ed urta e rompe la calca e sbaraglia

98.

Rinaldo aspetta che il cerchio sia fatto;
e come e' vede tondo il rigoletto
Baiardo fece girare in un tratto
e volle un colpo fare a suo diletto
e trasse in modo un rovescio di piatto
che il capo spicca dal busto di netto
a venti o piùse chi scrive non erra
e caddon tutti i mozziconi in terra.

99.
E quando e' furon veduti cadere
ognun si scosta per la maraviglia
e dicevanoalzate le visiere:
- Chi è costui ch'ogni cosa scompiglia? -
Rinaldo Orlando voleva vedere
e inverso il campo girava la briglia
dove combatte la gente di Francia
e tolse a un ch'era appresso la lancia.

100.
Orlandoquando lo vide venire
con tanta furiacome e' fu più presso
giurato arebbeal cavalloallo ardire
che fussi certocome egli eradesso;
intanto vede il lïone scoprire
e non capea d'allegrezza in se stesso;
e fu tanto il desio che il cor disserra
che cadde quasi del cavallo in terra.

101.
E Ricciardetto il suo segno ha scoperto
ed Ulivieri intanto è quivi giunto
e poi che questi ha cognosciuti certo
tanto gaudio nel cor sente in un punto
che gli spirti vitalquel sendo aperto
e già per l'artarìa di sangue munto
usciron quasi della ròcca fora:
ché spesso avvien ch'uom d'allegrezza mòra.

102.
Gran festa Orlando alla fine facea
ritornato in se stessoal suo cugino
e domandavae Rinaldo dicea
de' suoi processi e del lungo cammino
e ciò che Malagigi fatto avea;
ed Uliviertornato in suo domìno
istupefatto ancor tutto e smarrito
Lazzer pareva del sepulcro uscito.

103.
Il campo de' pagan s'era scostato
ché i paladin ristretti erano insieme
e molto avevon questo danneggiato
tanto ch'ognun di lor forza pur teme.
Orlando mille volte ha rabbracciato
Rinaldo puree d'allegrezza geme
e spera ancor di salvar la sua gente
quando e' ragguarda il suo cugin possente.

104.
E fece il campo rinfrescare intanto
e rassettarché n'aveva bisogno;
e poi dicea con Rinaldo da canto:
- O fratel miotanto vederti agogno
che quando io t'ho ben rimirato alquanto
io penso pur s'io ti parlo qui in sogno.
Ringrazio il Cielo e più altro non chieggio
ché innanzi alla mia morte io ti riveggio.

105.
Vorrei che tu m'avessi in altro modo
trovatoa venir qua fin dello Egitto;
pur tuttavolta di vederti godo
e par che e' fugga ogni pensiero afflitto.
E benché io non mi dolgaanche non lodo
che tu non m'abbiè tanto temposcritto:
quantunque doppio sia questo conforto
vederti vivo ove io pensavo morto.

106.
Sappi ch'io t'ho più lettere mandate-
disse Rinaldo - e così Ricciardetto;
ma non sono a buon porto capitate
ed ogni cosa quel demòne ha detto.
Or lasciàn le parole addentellate
ché tutto il mondo qua ti veggo appetto.
Dimmicuginquel che tu vuoi ch'i' faccia
ché il tempo è breve e fortuna minaccia.

107.
Quel traditornon dico di Maganza
anzi Marsilioanzi altro Scarïotto-
rispose Orlando - ci dètte speranza
di far la pacee inganno v'era sotto:
così con questa pitetta leanza
Carlo aspetta a San Gianniil sempliciotto
ed io qui venni per certo tributo
il qual tu vedi in che modo è venuto.

108.

Poi che tu ti partisti ed io rimasi
par che il Ciel sopra me disfoghi ogni ira;
e' mi sono avvenuti i più stran casi
che la Fortunache in più modi gira
tanti non credo che ne intenda quasi;
onde l'anima mia sempre sospira
ch'io so che mi persegue un gran peccato
del qual più tempo è ch'io ho dubitato.

109.
Da poi in qua ch'io uccisi Don Chiaro
non mi poté mai più bene incontrare:
né creder tu che mi fusse già caro
ma il mio signor mi potea comandare.
Forse quel sangue innocente sì claro
vendetta debbe or nel Cielo esclamare
il qual con Carlo ha conceputo sdegno
ché assai dato gli avea d'onore e regno.

110.
CredoRinaldo mios'io non m'inganno
ch'oggi tutti morremo in questa valle;
benché tanti pagan prima morranno
che sempre si dirà di Runcisvalle. -
Disse Rinaldo: - Non ti dar più affanno.
Ecco Marsilio che t'è già alle spalle
con tutto il popol di Serse e di Dario:
non c'è più tempo a tanto correlario. -

111.
Marsilio a Bianciardino aveva detto
poi ch'egli scese con sua gente al piano:
- O Bianciardintu m'hai messo sospetto.
Io non lo intendo questo caso strano:
Orlando è là con la mia gente appetto;
Rinaldo so ch'è in paese lontano
ed al presente si truova in Egitto
con Ricciardetto: così Gan m'ha scritto. -

112.
Rispose Bianciardin: - Qua son venuti
due cavalier valenti e bene armati
e benché molto gli abbiam combattuti
per forza son tra la schiera passati
e disparitie poi non gli ho veduti:
credo che sieno diavoli incantati
ché l'uno e l'altro è paruto invisibile
e fatto han quel che non parea possibile.

113.
E' si vedea sempre in alto le mane
e in modo le percosse spesseggiare
che sonavano a doppio due campane.
Io vidi intorno a questi un cerchio fare
e seguir cose che non sono umane
ché si sentì una spada fischiare
d'un certo manrovescio tondo e giusto
ch'a venti il capo levò dallo imbusto. -

114.
Per che Marsilio rispondeva allotta:
- Questi son masnadier di Malagigi.
Parmi la nostra schiera mal condotta
ché innanzi vien la gente di Parigi:
veggo che il campo fugge in volta rotta. -
Intanto vien gridando Mazzarigi:
- Aiutopresto! Noi siamo a mal porto:
il campo è rottoe Falserone è morto! -

115.
Quando Marsilio udì queste parole
si fece a Mazzarigi incontra presto
perché di Falseron troppo gli duole
e domandava pur: - Che vuol dir questo? -
Rispose Mazzarigi: - Così vuole
Maconche a questa volta è disonesto;
e per tagliar più le parole corte
sappi ch'io fuggoed ho drieto la morte.

116.
Orlando a Falseron tolse la vita
e Ricciardetto è venuto e Rinaldo
e spezza il ferroe l'ossa e' nervi trita:
pensa se 'l campo si può tener saldo!
Però tutta la gente s'è fuggita. -
Disse Marsilio: - Beccocan ribaldo
o Macon crudelaccio e sanza fede
maladetto sia tu e chi ti crede!

117.
Io non t'adorerò più in Pagania
traditorghiottopien d'ogni magagna!
Può fare il Ciel che qua Rinaldo sia?
Tu se' venuto per ogni campagna
accompagnarlocome quel Tobia.
Ora aren noi rïavuta la Spagna
or sarà vendicato Ferraùe!
Maladetto sia egli e il Cielo e tue! -

118.

Era Marsilio un uom che in suo segreto
credea manco nel Ciel che negli abissi:
bestemmiatorma bestemmiava cheto;
pur questa volta volle ognuno udissi;
e se fu anche gentile e discreto
come in altro cantar già dissi e scrissi
io il dico un'altra voltae parlo retto
ché questo non emenda altro defetto:

119.
ché e' sapeva anche simulare e fignere
castitàsantimonia e devozione
e la sua vita per modo dipignere
che il popol n'ebbe un tempo espettazione.
Ma perch'io sento la battaglia strignere
diciàn che si dolea di Falserone
e bestemmiava il Ciel devotamente
pur come io dissiin modo ch'ognun sente:

120.
Sia maladetto il dì che il conte Gano
a Siragozzaquel malvagiovenne
che mi mostrò di porre il cielo in mano
dov'io credetti volar sanza penne:
ché e' mi rendea la Spagna Carlo Mano
d'accordoin pace. Ohquante volte avvenne
che si ricorda un detto savio antico
che l'uomo ha solo il meglio per nimico!

121.
Bianciardintu mi dicesti tanto
allor ch'io vidi la fonte turbare
ch'io mi dovessi confortare alquanto
però che quel dovea significare
de' cristian solo il loro ultimo pianto;
dicesti ch'era il sangue che versare
e sparger si dovea de' cor cristiani.
Ma pure alfin sarà quel de' pagani!

122.
Ed io pur semplicetto fui e folle
e non credetti a tanti strani augùri
ché qualche deïtà benigna volle
ammaestrarmi de' casi futuri
sanza chiamar gli spirti nelle ampolle
e i nigromantia interpetrare oscuri!
Omèche 'l ver m'apparve in chiaro specchio
ma troppo a quel ch'i' volli posi orecchio!

123.
Ed or tra male branche son condotto
e Falserone è mortoe più non posso;
il campo al primo assalto è quasi rotto
e so che Carlo a furia sarà mosso
ché il tradimento sentirà di botto:
tanto che tosto Ibero sarà rosso
che e' mi par già veder di sangue sozza
e in pianti e strida ed urla Siragozza. -

124.
Intanto il gran tumulto de' cristiani
innanzi s'avea messo a saccomanno
il campo che fuggiva de' pagani
come innanzi a' leon gli armenti fanno
o spesso in parco i cavriuoli e i dani
tal che le grida a' nugoli sù vanno;
e sopra tutto Rinaldo gli caccia
e mentre uccide l'unl'altro minaccia.

125.
Quando Marsilio ha veduto venire
il campo suo così miseramente
ripresecome disperatoardire
e innanzi pinse tutta la sua gente
e disse: "Io so ch'e' mi convien morire;
ma qualcun altro sarà ancor dolente!";
sì che le schiere ambo scontrate sono
e rimbombava in ogni parte il suono.

126.
Rinaldoquando e' fu nella battaglia
gli parve essere in Ciel tra' cherubini
tra suoni e cantie nel mezzo si scaglia
e minacciava que' can saracini:
- Tutti sarete straziaticanaglia! -
e cominciava a far de' moncherini
e mozziconi e uomini da sarti
e spesso appunto faceva due quarti.

127.
E così dalla parte de' pagani
eran venuti con Marsilio innanzi
uomini degni e tanti capitani
ch'io non credo con lor molto s'avanzi;
e faranno ben contro a' lor sovrani
e insegneranno a' Franciosi i romanzi
forse la solfa della Margherita
ch'ognuno alfin ci lascerà la vita.

128.

Bianciardino avea seco Chiarïello
di Portogalloun re famoso e forte
Fieramonte di Balzia e il re Fiorello
e Balsaminche è peggio che la morte
che sarà pe' cristian mortal flagello;
e s'io non l'ho più dettoBuiaforte
v'erafigliuol già del famoso Veglio
che facea forse a non venirvi il meglio.

129.
Brusbacca v'era e il re Margheritonne
e Mattafirroun feroce pagano
che non si fe' più strazio d'Ateonne
quanto costui farà d'ogni cristiano;
e non si lasci indrieto Sirïonne
che porta un bastonaccio sconcio in mano:
questi eran tutti sotto una bandiera
di Bianciardin nella seconda schiera.

130.
E nella terza schiera vien davante
sotto l'insegna dello iddio Macone
Grandonio e l'Arcaliffa e Balugante
in compagnia del re Marsilïone
e Zambugerche ancora è piccol fante
e vuol trovarsi al marzïale agone
e molti gran baron là della Spagna
tanto che molto è questa schiera magna.

131.
E' si vedeva in manco d'un baleno
tante lance abbassate che e' parea
che tremi sotto a' cavalli il terreno
tanta gente in un tratto si movea.
Taccia chi scrisse Canni o Transimeno
ché Marte credo paura n'avea
e Giuppitèr alla ròcca sua cresca
a questa volta più d'una bertesca.

132.
Orlando disse: - Con Marsilïone
lasciate a me la battagliaperch'io
lo tratterò come il suo Falserone
e pagherà de' suoi peccati il fio:
ché non crede il ribaldo anche in Macone
e spergiurato ha nel Cielo ogni Iddio
come vero marran malvagio e fello. -
E tuttavolta va cercando quello.

133.
Baldovinche di Gano era figliuolo
nella battaglia è con la spada entrato
e transcorreva a suo modo lo stuolo
de' saracinch'ognun s'era allargato
tanto che spesso si ritruova solo:
della qual cosa e' s'è maravigliato
e non sapeva interpetrare il testo
ché sua prodezza non dovea far questo.

134.
Or chi vedessi il conte Anselmo il giorno
cose vedrebbe inaüdite e nuove:
egli avea sempre assai pagan dintorno
ma poi in un tratto gli mandava altrove;
e Sansonetto si faceva adorno
per la battaglia di mirabil pruove;
e Terigi anche venìa punzecchiando
che si pascea de' rilievi d'Orlando.

135.
Ulivier con la spada suona spesso
qualche bacino o qualche cemmamella
e quanti saracin vengono appresso
non portavan più oltre le cervella
ché tutte saltan fuor del capo fesso;
tanto ch'a molti avanza briglia e sella
ed ognun fugge la furia di Vienna
che con la spada quel dì non accenna.

136.
Il valoroso duca d'Inghilterra
fece quel dì quel che in molti anni ferno
già molti cavalier mastri di guerra.
Ohquanti saracin manda all'inferno!
Le strette schiere a sua posta disserra:
non si fe' mai di bestie tanto scherno.
E Berlinghier ritrovò Finadusto
con quel bastone all'usato pur giusto;

137.
e benché molto con lui sia pitetto
si ricordò della eccellenzia antica
e non potendo ferirlo all'elmetto
perché e' gli aggiugne allo scudo a fatica
alzò la spada insino al gorzaretto;
e se tu vuoilettorche il ver si dica
vedrai ch'io non ci levo e non ci abborro:
e' levò il capo che parve d'un porro.

138.

Era il sangue alto insino alle ginocchia
che correa già per la valle meschina;
e Ricciardetto col brando non crocchia
e molte volte a traverso sciorina
e spicca i capi come una pannocchia
di panìco o di miglio o di saggina
e non poteva a gnun modo star saldo.
Pensa quel dì quel che facea Rinaldo!

139.
Del Monte a San Michel pose Matteo
la lancia alla visiera al re Fiorello
e prese appunto ove egli aveva un neo
e rïuscì di drieto pel cervello:
are' quel colpo atterrato anche Anteo;
pensa se cadde in su la terra quello!
Non si poteva por più appunto a sesta;
benché a molti altri forerà la testa.

140.
Aveva il conte Anselmo il giorno seco
appresso sempre il buon duca Egibardo
ch'a molti dètte percosse di cieco
e spesso corse insino allo stendardo
e disse: - Che di' tus'io te lo reco? -
e molto fu reputato gagliardo;
tanto che il campo in modo spaventava
ch'ognun lo fugge come fera brava.

141.
E' si vedeadove combatte Orlando
prima che il busso agli orecchi pervegna
della percossain sù tornato il brando
come avvien dell'accetta a qualche legna.
E Turpin più non veniva segnando
col granchio in manma con la spada segna
ché non è tempo la croce or si mostri
e infilza saracin per paternostri.

142.
Gualtieri da Mulion pareva un drago
e Guottibuoffi non volea fuggire
ma con la spada va crescendo il lago
e cerca sol come e' possi morire.
Ognun più che 'l tafàn di sangue è vago
sì che quel verso si poteva dire
per la battaglia e pel crudele scempio:
Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio.

143.
Angiolin di Baiona e di Bellanda
ognun feriva molto ardito e franco;
Ottone il campo scorrea d'ogni banda;
Avin non si tenea la spada al fianco;
Rinaldo tanti a Astarotte ne manda
ch'egli è già tutto trafelato e stanco;
Avolio e Marco e 'l possente Riccardo
ognun parea come egli era gagliardo.

144.
La battaglia veniva rinforzando
e in ogni parte apparisce la Morte.
E mentre in qua e in là combatteOrlando
un tratto a caso trovò Buiaforte
e in su la testa gli dètte col brando;
e perché l'elmo è temperato forte
o forse incantato eraal colpo ha retto;
ma della testa gli balzò di netto.

145.
Orlando prese costui per le chiome
e disse: - Dimmise non ch'io t'uccido
di questo tradimento appunto e come
e se tu il di'della morte ti fido;
e vo' che tu mi dica presto il nome. -
Onde il pagan rispose con gran grido:
- Aspetta!... Buiaforte... io te lo dico...
della Montagnadel Veglio tuo amico. -

146.
Orlandoquando intese il giovinetto
sùbito al padre suo raffigurollo:
lasciò la chiomae poi l'abbracciò stretto
per tenerezzae coll'elmo baciollo
e disse: - O Buiaforteil vero hai detto:
il Veglio mio! - e da canto tirollo:
- Di questo tradimento dimmi appunto
poi che così la fortuna m'ha giunto.

147.
Ma ben ti dicoper la fede mia
che di combatter con mia gente hai torto
e so che il padre tuodovunque sia
non ti perdona questocosì morto. -
Buiaforte piangeva tuttavia;
poi disse: - Orlando miodatti conforto!
Il mio signore a forza qua mi manda
ed obbedir convien quel ch'e' comanda.

148.

Io son della mia patria sbandeggiato;
Marsilio in corte sua m'ha ritenuto
e promesso rimettermi in istato:
io vo cercando consiglio ed aiuto
poi ch'io sono da ognuno abandonato
e per questa cagion qua son venuto;
e bench'i' mostri far grande schermaglia
non ho morto nessun nella battaglia.

149.
Io t'ho tanto per fama ricordare
sentito a tutto il mondoche nel core
sempre poi t'ebbie mi puoi comandare
e so del padre mio l'antico amore.
Del tradimentotu tel puoi pensare:
sai che Gano e Marsilio è traditore;
e so per discrezion tu intendi bene
che tanta gente per tua morte viene.

150.
E Baldovin di Marsilio ha la vesta
ché così il vostro Gano ha ordinato:
vedi che ignun non gli pon lancia in resta
ché il signor nostro ce l'ha comandato. -
Disse Orlando: - Rimetti l'elmo in testa
e torna alla battaglia al modo usato.
Vedren che seguirà; tanto ti dico:
ch'io t'arò semprecome il Veglioamico. -

151.
Poi disse: - Aspetta un pocointendi saldo
che non ti punga qualche strana ortica:
sappi ch'egli è nella zuffa Rinaldo:
guarda che il nome per nulla non dica
che non dicessi in quella furia caldo:
Dunque tu se' dalla parte nimica?;
sì che tu giuochi nettodestro e largo
ché ti bisogna aver qui gli occhi d'Argo. -

152.
Rispose Buiaforte: - Bene hai detto.
Se la battaglia passerà a tuo modo
ti mosterrò che amico son perfetto
come fu il padre mioch'ancor ne godo. -
Ma perché il tempo a tante cose è stretto
noi faren punto alla materia e nodo
che sarà piena d'angoscia e di pianto
con l'aiuto del Cielnell'altro canto.



CANTARE VENTESIMOSETTIMO


1.
Come posso io cantar più rime o versi
Signorche m'hai condotto a scriver cose
che per pietà il sol par lacrime versi
e già son le sue luce tenebrose?
Tu vedrai tutti i tuoi cristian dispersi
e tante lance e spade sanguinose
ches'altro aiuto qui non si dimostra
sarà pur tragedìa la istoria nostra.

2.
Ed io pur comedìa pensato avea
iscriver del mio Carlo finalmente
ed Alcuïn così mi promettea;
ma la battaglia crudele al presente
che s'apparecchia impetüosa e rea
mi fa pur dubitar drento alla mente;
e vo con la ragion qui dubitando
perch'io non veggo da salvare Orlando.

3.
E benché e' sia sopraggiunto Rinaldo
e Ricciardettotuttavolta io temo
né posso ancor giudicio dar qui saldo
che non si vuol conducer mai in estremo.
Marsilio è tanto cattivo ribaldo
che e' farà forza di vela e di remo
ché vincere o morir qui gli bisogna
se non che il danno abbraccia la vergogna.

4.
Orlandopoi che e' lasciò Buiaforte
pargli mill'anni trovar Baldovino
che cerca pure e non truova la morte
e ricognobbe il caval Vegliantino
per la battagliae va correndo forte
dove era Orlandoe diceva il meschino:
- Sappi ch'io ho fatto oggi il mio dovuto
e contra me nessun mai è venuto.

5.
Molti pagani ho pur fatti morire:
però quel che ciò sia pensar non posso
se non ch'io veggo la gente fuggire. -
Rispose Orlando: - Tu ti fai ben grosso!
Di questo fatto s' tu ti vuoi chiarire
la sopravvesta ti cava di dosso:
vedrai che Gancome tu te la cavi
ci ha venduti a Marsilio per ischiavi. -

6.
Rispose Baldovin: - Se il padre mio
ci ha qui condotti come traditore
s'i' posso oggi camparpel nostro Iddio
con questa spada passerògli il core!
Ma traditoreOrlandonon sono io
ch'io t'ho seguito con perfetto amore.
Non mi potesti dir maggiore ingiuria. -
Poi si stracciò la vesta con gran furia

7.
e disse: - Io tornerò nella battaglia
poi che tu m'hai per traditore scorto.
Io non son traditorse Dio mi vaglia!
Non mi vedrai più oggi se non morto. -
E inverso l'oste de' pagan si scaglia
dicendo sempre: - Tu m'hai fatto torto. -
Orlando si pentea d'aver ciò detto
ché disperato vide il giovinetto.

8.

Per la battaglia correa Baldovino
e riscontrò quel crudel Mazzarigi
e disse: - Tu se' quican saracino
per distrugger la gente di Parigi?
O marran rinnegato paterino
tu sarai presto giù ne' bassi Stigi. -
E trasse con la spada in modo a questo
che lo mandò dove egli disse presto.

9.
Fece Marsiliocome dotto e saggio
uno squadron ristretto di pagani
uomini tutti ch'avevon coraggio;
e cominciorno a strignere i cristiani
sì che del campo piglioron vantaggio:
quivi eran tutti quanti i capitani
e sopra tutti un infernal demonio
ch'io dissi primaappellato Grandonio.

10.
E per ventura trovò Sansonetto
che combatteva al conte Orlando appresso
e cavògli la muffa dall'elmetto
ché il capo gli ha come una zucca fesso;
e come e' cadde in terra il giovinetto
Gualtieri da Mulion quivi s'è messo
per vendicarse poteala sua morte;
ma non poteaché non è tanto forte.

11.
Ulivier s'accostòe con Altachiara
e trasse al saracin di molte botte
che col bastone ogni cosa ripara
ed aveva a Gualtier le spalle rotte
tanto che e' cadde per la pena amara
e innanzi vespro gli parve di notte:
sì che Grandonio col baston fa fiacco
che par quel d'Ercul quando uccise Cacco.

12.
Orlando in altra parte combatteva
e Sansonetto non avea veduto;
ed Ulivieri alla fine ne leva
tal che bisogna a questa volta aiuto
perché la scrima nïente valeva.
Intanto quivi Marsilio è venuto
e mentre innanzi il suo cavallo sprona
si riscontrò col signor di Baiona.

13.
Angiolin non aveva in man la lancia
sì che Marsilio allo scudo gli porse
un colpo tal che gli passa la pancia.
Orlandopoi che in più luoghi soccorse
di quadi làla sua gente di Francia
di Sansonetto alla fine s'accorse
e domandò Terigi ove sia quello:
non sa che morto è questo meschinello.

14.
Disse Terigi: - E' combatteva dianzi
dove tu vedi quella gente stretta. -
Orlando sprona Vegliantino innanzi
e dove e' vede il marchese si getta
ch'era già al restoall'ultimo e gli avanzi
però ch'e' v'era corso con gran fretta
Marsilio e l'Arcaliffa e Zambugeri
e tutti son dintorno a Ulivieri.

15.
Quando Orlando Ulivier vide soletto
maravigliossi che e' si difendea;
e Vegliantin gli metteva sospetto
perché più oltre passar non volea
per non porre i pie' addosso a Sansonetto.
Ma quando Orlando lo ricognoscea
gridò: - Fortunatu m'hai fatto torto! -
Disse Ulivier: - Questo ghiotton l'ha morto. -

16.
Quando Grandonio questo gergo intese
e' si fuggì che non fuggì mai vento;
Marsilio e gli altri lasciorno il marchese
perché tutti d'Orlando hanno spavento.
Orlandopoi che del cavallo scese
di Sansonetto facea gran lamento;
poi lo cavò tra quella gente morta
sì che Terigi al padiglion nel porta.

17.
Astolfo andava pel campo scorrendo
e riscontrossi con re Balsamino;
e finalmentel'un l'altro ferendo
un colpo trasse quel can saracino
un tratto 'Astolfonon se n'avvedendo
che la spada gli entrò pel gorzarino
e rïuscì di drieto per la nuca
tanto che morto lo mandò alla buca.

18.

Poi riscontrò quel pagan maladetto
nella battaglia Angiolin di Bellanda
e con un colpo gl'intronò l'elmetto
e come morto per terra lo manda.
Intanto quivi giugnea Ricciardetto
ed Angiolino a lui si raccomanda
e per l'angoscia a fatica favella;
e Ricciardetto lo ripose in sella.

19.
Orlando aveva morto Chiarïello
in questo tempore di Portogallo
e Fieramonte accompagnato ha quello;
e in quella parte rivolse il cavallo.
Astolfo giacea mortoil meschinello;
Avino aveva veduto cascallo
e veniva a cercar di far vendetta
ma non poteva aprir la calca stretta.

20.
Orlando giunse e con gran furia aprilla
e fe' de' saracin di sangue un golfo
ché Durlindana ogni volta sfavilla
tanto che acceso si sarebbe il zolfo;
e parve un toro bravo quando assilla
quando e' vedeva in su la terra Astolfo:
ché sempre amato assai l'aveva in vita;
e pensa pur come la cosa è ita.

21.
E ben cognobbe come Balsamino
ucciso aveva il duca d'Inghilterra.
Intanto si fe' incontra il saracino
ed una punta per modo disserra
ch'egli arebbe forato il serpentino;
ma questa volta la scrima sua erra
però che Orlando nella prima giunta
con Durlindana gli levò la punta;

22.
e non gli aveva Chiron insegnato
tanto che bastich'ogni scrima è invano:
Orlando aveva l'occhio in ogni lato
e terminò di tagliargli la mano
e trasse un colpo in modo misurato
che Balsamin non se lo truova sano:
perché le dita gli tagliava tutte
salvo che al primo resta il gammautte;

23.
e non potràse volessi fare ora
levar più d'un con la manoo dir sette
al giuoco delle corna o della mora
o nasconder più in quella le buschette.
Avin soggiunsee con la spada ancora
un vecchio colpo all'elmetto gli dètte
tanto che in terra se n'andòe cadavero
ché il capo gli spiccò come un papavero.

24.
Rinaldo ritrovò quel Buiaforte
al mio parerche sarebbe scoppiato
se non avessi trovato la morte;
e come e' gli ebbe a parlar cominciato
del re Marsilio e di stare in sua corte
Rinaldo gli rispose infurïato:
- Chi non è mecoavverso me sia detto! -
e cominciògli a trassinar l'elmetto

25.
e trasse un mandiritto e due e tre
con tanta furiae quattro e cinque e sei
ch'e' non ebbe agio a domandar merzé
e morto cadde sanza dire "Omèi":
e così Buiaforte il peggio fe';
e Squarciaferro co' suoi farisei
come l'anima uscì del corpo fore
parve che un pollo ciuffassi un astore.

26.
Ricciardetto era a Rinaldo daccanto
e non si potre' dir quel ch'egli ha fatto;
e dove e' crede acquistar gloria o vanto
e' si chiudea come un uccel di ratto
benché le starne gli dànno nel guanto.
E Turpino ancor salta come un gatto
e non si può tener con cento strambe
e spicca nasiorecchi e mane e gambe.

27.
Grandonio aveva trovato un bel giuoco:
egli aveva un baston come una trave
tanto che l'arme e' le stimava poco;
e chi l'aspettaper natura grave
un vespro canta che rimanea fioco
e muto e sordo e smarrisce la chiave.
Ma tanto infine poi s'andò aggirando
ch'un tratto pur l'ha ritrovato Orlando

28.

e gridò: - Guârtighiotton maladetto
che d'aver morto non ti vanterai
il mio più caro amico Sansonetto
ma nello inferno la istoria dirai.
Non mi potevi far maggior dispetto!
Canfi' di cantu te ne penterai!
Volgiti a me; dunque tu vuoi fuggire?
Cocchin pagliardoe' ti convien morire. -

29.
Grandonioperché Orlando avea veduto
volse fuggirché morto giudicossi
e per paura ogni orgoglio è caduto.
Ma innanzi a Vegliantin fuggir non puossi
ché tigre o pardoanzi un uccel pennuto
non credo a tempo a questa volta fossi;
parea che il suo signor quello intendessi
che Sansonetto vendicar volessi.

30.
E se fussi in quel punto lo iddio Marte
per aiutar Grandonio in terra sceso
armato in sul caval da ogni parte
e' non l'arebbe alla fine difeso
né per sua deïtà né forza o arte:
tanto si tien di Sansonetto offeso
Orlandoche la spada aveva stretta
gridando forte ancor: - Malfussoaspetta! -

31.
E come il saracin fermo si volse
alzò la spada in alto quanto e' puote
e sopra l'elmo a traverso gli colse
tanto che tutte divide le gote
e 'l petto e 'l corpoonde l'anima sciolse;
e poi la spada la sella percuote
sì che pel mezzo ricise il cavallo.
Ma Vegliantin fe' questa volta fallo:

32.
perché la spada con tal forza viene
che bisognòe per forza inginocchiarsi
tanto che quasi si ruppe le rene;
e non poteva alla fine rizzarsi
ché Durlindana confitta lo tiene
ch'un braccio e mezzo si vide ficcarsi
in su 'n un sasso che sotterra truova:
per la qual cosa Vegliantin giù cova.

33.
E con fatica Orlando la ritrasse
e gridòe: - Vegliantinche hai tu fatto? -
tal che e' parve il caval si vergognasse
e saltò in quattro destro come un gatto.
Credo che il Cielo Orlando suo aiutasse
per graziacome e' fe' già più d'un tratto
ch'aiuta sempre i buon quando e' bisogna:
però non sia quel ch'io dico menzogna.

34.
Orlando fe' da Grandonio partita
per la battaglia sospirando forte
ché non aveva renduto la vita
a Sansonetto però la sua morte;
e parea quando l'orsacchia accanita
abbatte i rami e sforza le ritorte
ed ogni cosa si reca in dispetto;
e gran vendetta fe' di Sansonetto.

35.
E per ventura Marsilio vedea
ed una lancia a un pagano arrappa
ché il cor con essa passar gli volea.
Ma intanto un altro dinanzi gl'incappa
sì che la lancia nel petto giugnea
tal che di drieto rïesce la nappa
e passa il corpo a un altro e la milza:
e così fece di due una filza.

36.
Poi disse al re Marsilio: - Il tempo è giunto
a punir te dell'opere tue ladre
perché tu meritasti un capresto unto
mentre tu eri in corpo di tua madre. -
Ma Zambugerche intese il caso appunto
volle coprir con lo scudo il suo padre;
ma Durlindana il trattò come ghiaccio
sì che lo scudo gli tagliava e il braccio.

37.
Zambuger cadde per la pena in terra
e calpestato fu poimeschinello:
il qualnuovo tironquesta volta erra
però ch'egli era un semplicetto agnello
con un bravo leon ch'ognuno atterra.
Marsilio sparì via come un uccello
o come cervio spaventato in caccia;
e Zambuger non farà più alle braccia.

38.

Fece Marsilio del braccio cercare
acciò che questa reliquia devota
per le moschee si potessi mostrare:
non so s'ognun che legge intende e nota;
e comincia Fortuna a bestemmiare
che non volgeva a suo modo la ruota
ApollinBelfagor e la sua setta
e minacciava di farne vendetta.

39.
Ma non so come e' sarà vendicato
ché poco il dì si partì poi da bomba
tanto era ancor d'Orlando impaürato:
credo più tosto vorrebbe una fromba
come disse Trason già col suo Gnato
per trar discosto al sicuro la romba;
perché quanto è più il traditor sottile
tanto più sempre per natura è vile.

40.
Un cerchio immaginato ci bisogna
a voler ben la spera contemplare:
cosìchi intender questa istoria agogna
conviensi altro per altro immaginare;
perché qui non si canta e finge e sogna:
venuto è il tempo da filosofare;
non passerà la mia barchetta Lete
che forse su Misen vi sentirete.

41.
Ma perché e' c'è d'una ragion cicale
ch'io l'ho proprio agguagliate all'indïane
che cantan d'ogni tempo e dicon male
voi che leggete queste cose strane
andate drieto al senso litterale
e troverretel per le strade piane:
ch'io non m'intendo di vostro anagogico
o morale o le more o tropologico.

42.
In questo tempo il re Margheritonne
con la sua iscimitarra non ischerza;
ed avea seco quel gran Sirïonne
con un baston ch'ognun fugge alla terza:
per che i cristiani impaüriti sonne
come il cane al sonaglio della sferza
ché si sentia le catene e le palle
sempre quel dì sopra gli elmi sonalle.

43.
Uccise questo Angiolin di Bellanda
d'una percossa che fu sì crudele
che 'l capo gli schiacciò come una ghianda
e Marco e il suo fratel da San Michele.
Rinaldo è capitato in quella banda
per aiutare il suo popol fedele:
vede costui che menava la mazza
e molta gente crudelmente ammazza

44.
e grida: - AhSaracinche vuoi tu fare?
Se' tu venuto qua con una antenna
per voler nostre gente mazzicare?
Volgiti a meché la Morte t'accenna. -
Poi lasciava Frusberta scaricare
e spezza l'elmo e truova la cotenna
e parte il teschio e 'l collo e passa l'omero
e divise costui come un cocomero.

45.
Margheriton con gran furor si getta
addosso al prenzee credette aiutallo;
Rinaldo il capo pel mezzo gli affetta
come si parte una noce col mallo;
poi rovina la spada con gran fretta
e trovava la testa del cavallo
tanto che morto col signor suo cade
perché Frusberta non tagliaanzi rade.

46.
Bianciardin con gran gente venne avante
e GalleranMattafirro e Fidasso
l'Arcaliffa famoso e Balugante
Brusbacca il sire e Malducco di Frasso
ed alcun capitano ed amirante;
e cominciossi avvïare un fracasso
che par che caggi o ruini la torre
di Babel giàsì ch'ognun quivi corre.

47.
Orlando corse alle grida e 'l romore
e trovò Baldovinoil poveretto
ch'era già presso all'ultime sue ore
e da due lance avea passato il petto;
e disse: - Or non sono io più traditore! -
e cadde in terra mortocosì detto:
della qual cosa duolsi Orlando forte
e pianse esser cagion della sua morte;

48.

e fece al padiglion portarlo via.
Poi si scagliò dove Rinaldo vide
che con la spada gran cose facìa
e dove il popol de' pagan più stride
per la battaglia sanguinosa e ria
benché la parte de' cristian non ride.
Chi grida: - Carne! - e chi grida: - Vendetta! -
Verso questo tumulto ognun si getta.

49.
Quivi correva il buon duca Egibardo
AnselmoAvinoAvolio e Guottibuoffi
e Berlinghieri ed Ottone e Riccardo:
ognun vuol la sua parte degl'ingoffi;
e Ricciardetto par tanto gagliardo
che i miglior cavalier parevon goffi;
e sopra tutto il buon Turpin di Rana
i saracin come i mattoni spiana.

50.
E' si vedeva tante spade e mane
tante lance cader sopra la resta
e' si sentia tante urle e cose strane
che si poteva il mar dire in tempesta.
Tutto il dì tempelloron le campane
sanza saper chi suoni a morto o festa;
sempre tuon sordi con baleni a secco
e per le selve rimbombar poi Ecco.

51.
E' si sentiva in terra e in aria zuffa
perché Astarottenon ti dico come
e Farferello ognun l'anime ciuffa:
e' n'avean sempre un mazzo per le chiome
e facean pur la più strana baruffa
e spesso fu d'alcun sentito il nome:
- Lascia a me il tale: a Belzebù lo porto. -
L'altro diceva: - È Marsilio ancor morto?

52.
E' ci farà stentar prima che muoia.
Non gli ha Rinaldo ancor forbito il muso
che noi portian giù l'anima e le cuoia? -
O Cieltu par' questa volta confuso!
O battaglia crudelqual Roma o Troia!
Questa è certo più là che al mondano uso.
Il sol pareva di fuoco sanguigno
e così l'aire d'un color maligno.

53.
Credo ch'egli era più bello a vedere
certo gli abissiil dìche Runcisvalle:
ch'e' saracin cadevon come pere
e Squarciaferro gli portava a balle;
tanto che tutte l'infernal bufere
occupan questiogni rocciaogni calle
e le bolge e gli spaldi e le meschite
e tutta in festa è la città di Dite.

54.
Lucifero avea aperte tante bocche
che pareva quel giorno i corbacchini
alla imbeccatae trangugiava a ciocche
l'anime che piovean de' saracini
che par che neve monachina fiocche
come cade la manna a' pesciolini:
non domandar se raccoglieva i bioccoli
e se ne fece gozzi d'anitroccoli!

55.
E' si faceva tante chiarentane
che ciò ch'io dico è disopra una zacchera
e non dura la festa mademane
crai e poscrai e poscrigno e posquacchera
come spesso alla vigna le romane;
e chi sonava tamburoe chi nacchera
baldosa e cicutrenna e zufoletti
e tutti affusolati gli scambietti.

56.
E Runcisvalle pareva un tegame
dove fussi di sangue un gran mortito
di capi e di peducci e d'altro ossame
un certo guazzabuglio ribollito
che pareva d'inferno il bulicame
che innanzi a Nesso non fusse sparito;
e 'l vento par certi sprazzi avviluppi
di sangue in aria con nodi e con gruppi.

57.
La battaglia era tutta paonazza
sì che il Mar Rosso pareva in travaglio
ch'ognun per parer vivo si diguazza:
e' si poteva gittar lo scandaglio
per tuttoin modo nel sangue si guazza
e poi guardar come e' suol l'ammiraglio
ovver nocchier se cognosce la sonda
ché della valle trabocca ogni sponda.

58.

Credo che Marte di sangue ristucco
a questa volta chiamar si potea;
e sopra tutto Rinaldo era il cucco
che con la spada a suo modo facea.
Orlando intanto ha trovato Malducco
che Berlinghieri ed Otton morto avea:
ma questa morte gli saprà di lezzo
ché Durlindana lo tagliò pel mezzo.

59.
Ed Ulivier riscontrava Brusbacca
che per lo stormo combatteva forte
e 'l capo e l'elmo a un tratto gli fiacca;
ma non sapea ch'egli ha presso la morte:
ché l'Arcaliffa intanto di Baldacca
lo sopraggiunseper disgrazia o sorte
a tradimentoe la spada gli mise
nel fianco sì che alla fine l'uccise.

60.
Uliviercome arditoinvitto e franco
si volse indrietoe vide il traditore
che ferito l'avea dal lato manco
e gridò forte: - O crudel peccatore
a tradimento mi désti nel fianco
per riportar come tu suoli onore:
questa sia sempiterna egregia lalde
del re Marsilio e sue gente ribalde. -

61.
E trasse d'Altachiara con tanta ira
che gli spezzò l'elmetto e le cervella
sì che del saracin l'anima spira
ché tutto il fésse insino in su la sella;
e come cieco pel campo s'aggira
e con la spada percuote e martella
ma non sapea dove e' si meni il brando;
e non vorrebbe anche saperlo Orlando.

62.
Orlando aveva il marchese sentito
e come il veltro alle grida si mosse.
Ulivier tanto sangue gli era uscito
che' non vedeva in che luogo e' si fosse;
tanto che Orlando in su l'elmo ha ferito
che non sentì mai più simil percosse
e disse: - Che fai tucognato mio?
Ora hai tu rinnegato il nostro Iddio? -

63.
Disse Ulivier: - Perdonanza ti chieggio
s'io t'ho feritoo mio signore Orlando:
sappi che più nïente lume veggio
sì ch'io non so dove io mi meni il brando
se non che presso alla morte vaneggio
tanto sangue ho versato e vo versando;
ché l'Arcaliffa m'ha ferito a torto
quel traditor; ma di mia man l'ho morto. -

64.
Gran pianto Orlando di questo facea
perché molto Ulivier gli era nel core
e la battaglia perduta vedea
e maladiva il pagan traditore.
Ed Uliviercosì orbodicea:
- Se tu mi porticome suoliamore
menami ancor tra la gente più stretta:
non mi lasciar morir sanza vendetta. -

65.
Rispose Orlando: - Sanza te non voglio
viver quel poco che di vita avanza:
io ho perduto ogni ardirogni orgoglio
sì ch'io non ho più di nulla speranza;
e perch'io t'amoUliviercome io soglio
vienne con meco a mostrar tua possanza:
una morteuna fedeun voler solo. -
Poi lo menò nel mezzo dello stuolo.

66.
Uliviersendo nella pressa entrato
come e' soleva la gente rincalcia
e par che tagli dell'erba del prato
da ogni parte menando la falcia
ché combatteva come disperato
e pota e tonda e scapezzava e stralcia
e in ogni luogo faceva una piazza
ché come gli orbi girava la mazza.

67.
E tanto insieme per lo stormo vanno
Orlando ed Ulivier ferendo forte
che molti saracin traboccar fanno.
Ma Ulivier già presso era alla morte;
e poi che il padiglion ritrovato hanno
diceva Orlando: - Io vo' che ti conforte:
aspettaUlivier mioche a te ritorno
ché in su quel poggio vo a sonare il corno. -

68.

Disse Ulivieri: - Omai non ti bisogna:
l'anima mia da me già vuol partire
ché ritornare al suo Signore agogna. -
E non poté le parole espedire
come chi parla molte volte e sogna
e bisognòe quel che e' voleva dire
per discrezion intender: che Alda bella
raccomandar voleala sua sorella.

69.
Orlandosendo spirato il marchese
parvegli tanto solo esser rimaso
che di sonar per partito pur prese
acciò che Carlo sentissi il suo caso;
e sonò tanto forte che lo intese
e 'l sangue uscì per la bocca e pel naso
dice Turpinoe che il corno si fésse
la terza volta ch'a bocca sel messe.

70.
Il caval d'Ulivier nïente aspetta
e ritornò nel campo tra' pagani
come chi fa del suo signor vendetta;
e morde per tre lupi e per sei cani
e molta gente co' calci rassetta
e con le zampe s'arrosta i tafani.
Ma Ricciardettocome vide questo
giudicò d'Ulivieri il caso presto.

71.
Rinaldo la battaglia ancor teneva.
Balugante e Marsilio era fuggito
il qual con Bianciardin fece alto leva
come il corno d'Orlando ebbe sentito;
e drento nella mente si rodeva
ché del suo Zambuger nulla ha udito
qual per febbre leon si rode in gabbia:
dunque giusto martìr par la sua rabbia.

72.
Era tanto il terror ch'avean d'Orlando
i saracinche assai fuggiti sono
per la campagna e per le selve quando
sentito fu questo terribil suono.
Dice Turpin che per l'aria volando
molti uccelli stordirono a quel tuono
e maraviglia non fu Carlo udissi
ch'e' si pensò che la terra s'aprissi.

73.
Or quel che fece allo estremo Rinaldo
non ardisce narrar più la mia penna:
ché pareva un serpente irato in caldo
e questo e l'altro e poi quello scotenna
e ributtava quel popol ribaldo
e non sapea del marchese di Vienna;
e rompe e fiacca e sdruce e smaglia e straccia
e con gran furia innanzi se gli caccia.

74.
Baiardo ritto le zampe menava
e come l'orso fa scostare i cani;
talvolta un braccio o la coscia ciuffava
e sgretola quelle ossa de' pagani
come pan fresco che allotta si cava:
non fur tanto crudel mai tigri ircani;
con tanta rabbia mordeva e dimembra
tanto che Ecùba forsennata sembra.

75.
E Ricciardetto facea cose ancora
che l'aüttor che le vide nol crede:
egli avea fatto pel campo una gora;
beato a chi potea studiare il piede
ché non uccideanzi proprio divora:
non fe' pirrato di bestie mai prede
qual fa costui de' saracini il giorno
tanto ch'ognun gli spariva dintorno.

76.
Dicemi alcun che la istoria compila
tra Rinaldo e Baiardo e Ricciardetto
che n'uccison quel dì ben trenta mila:
non so s'è vero o falso: io l'ho pur detto.
Pensa che Orlando n'uccise una fila
ed UlivieriAnselmo e Sansonetto.
Ma la spada del Ciel qui mi bisogna
che a torto il ver non riporti vergogna.

77.
Chi sa se Miccael qui scognosciuto
come altra volta là a Gerusalemme
n'uccise il dì quanti egli arà voluto
ch'a ogni colpo può segnare un emme?
Forse che e' venne a' cristiani in adiuto
da quel Signor che nacque in Betleemme
il qual tien sempre degli amici cura;
e la forza del Ciel non ha misura.

78.

E bisognava e' vi ponga le mani
ché i cristian son ventimilasecento
contra secento migliaia di pagani:
tanto è ch'io ci ho trovato fondamento
tutti degni aüttormodesti e piani
che non iscaglion le parole al vento;
e so che il nostro Turpino ed Ormanno
iscrivon quel che è vero e quel che sanno.

79.
E s'alcun dice che Turpin morisse
in Runcisvallemente per la strozza
ch'io proverrò il contrarioe come e' visse
insin che Carlo prese Siragozza
e questa istoria di sua mano scrisse;
ed Alcuïn con lui poi si raccozza
e scrive insino alla morte di Carlo
e molto fu discreto ad onorarlo.

80.
Dopo costui venne il famoso Arnaldo
che molto diligentemente ha scritto
e investigòe dell'opre di Rinaldo
delle gran cose che fece in Egitto
e va pel fil della sinopia saldo
sanza uscir punto mai del segno ritto:
grazie che date son prima che in culla;
ché non direbbe una bugia per nulla.

81.
Tornossi Orlando sbigottito in tutto
al campopoi che il marchese fu morto
come chi torna dal funereo lutto
alla sua famigliuola a dar conforto;
o come navesperando alcun frutto
con gran giattura è ritornata in porto
e duolsi ben di sua fortuna acerva
ma molto ancor più della sua conserva.

82.
Non v'ha trovato il buon duca Egibardo
e Guottibuoffi è morto in su la terra
AvolioAvino e Gualtieri e Riccardo:
però tanto dolor lo strigne e serra
che si fe' più che l'usato gagliardo
e disse: "Omai questa è l'ultima guerra;
fammiSignoretu allo estremo forte
ch'io ti sarò fedele insino a morte".

83.
Restava Anselmo e Ricciardetto allora
TurpinRinaldoe de' pagan pur molta
gente la qual si difendeva ancora
benché per tutto è sonato a raccolta.
Orlando trasse Durlindana fora:
non so se questa fia l'ultima volta
(credo che sìper non tener qui a bada)
che trarrà fuor questa onorata spada.

84.
Gran pianto fecion que' pochi cristiani
d'Ulivier che restati erano al campo
e cominciorno a straziare i pagani
e far gran cose all'ultimo lor vampo;
tal che fuggìen que' miseri profani
sanza trovar misericordia o scampo
e non è tempo da dire al cul: "Vienne".
Ma la battaglia è già presso all'amenne.

85.
E' si vedea cader tante cervella
che le cornacchie faran taferugia;
chi avea men forate le budella
pareva il corpo come una grattugia
o da far le bruciate la padella
tanto che falsa sarà la minugia;
e perché Orlando per grande ira scoppia
sempre la furia e la forza raddoppia.

86.
E' si cacciava innanzi quelle torme
ch'un superbo leon parea foresto
che fa tremar con la voce e con l'orme;
e dice: "In ogni modo fia pel resto
a questa volta!" e fa svegliar chi dorme
anzi forse dormir chi era desto:
ché viver non volea più con dispetto
poi che Ulivieri è morto e Sansonetto.

87.
Egli arebbe il dì Cesare in Tessaglia
rottoe il Barchino a Transimeno o Canni:
e' si sentia rugghiar per la battaglia
tanto che un verro par ch'ognuno azzanni
e braccia e capi e mani in aria scaglia
per finir con onor questi ultimi anni:
ché il tempo è breve e pur la voglia pronta
e dolce cosa è vendicar giusta onta.

88.

E dove e' vede la gente s'aggruppa
come aquila gentil si chiude e serra
sì che la schiera sbaraglia e sviluppa
e tutti gli stendardi caccia in terra.
Pensalettorcome il campo s'inzuppa!
Alla turchesca si facea la guerra:
abbatte ed urta e spezza e sbrana e strugge
tanto che solo sperar può chi fugge.

89.
E' si vedeva ora a poggiaora a orza
la battaglia venirsi travagliando:
il campo de' cristian facea gran forza
tanto l'alto valorl'ardir d'Orlando
folgore par che nulla cosa ammorza;
ed ogni volta che menava il brando
e' rimanea del maestro la stampa
tanto che pochi di sua man ne scampa.

90.
E non pareva né sorda né cieca
certo quel dì quella vecchia scagnarda
che spesso affila la falce sua bieca
po' raschia l'unghiae d'Orlando pur guarda;
talvolta drieto a Rinaldo si reca
e fassi quivi a suo modo gagliarda
ch'ognun s'appicca ove e' vede guadagno;
e Ricciardetto anche fu buon compagno.

91.
Rinaldo fece al crudel Gallerano
un tratto a caso il più bel moncherino
perché e' parea sopra il popol cristiano
un lupo in selva arrabbiato menino:
ché gli trovò con Frusberta la mano
e lo incanto gli fe' del mal del pino
e dell'abete e del faggio e del leccio
e non vi venne poi sù il patereccio.

92.
E benché i saracin fugghino all'erta
un macco ne facea da Filistei
e quante volte calava Frusberta
non ne faceva cader men che sei
tanto che fia più d'una tomba aperta
chécome dice Benedetto Dei
e' se n'andranno in qualche buco strano
a sentir sotto come nasce il grano.

93.
Mostrava ancor tutto affannato e stanco
Anselmo pur la sua virtù perfetta;
ma Mattafirro gli venne dal fianco
e dètte al suo caval con una accetta
tanto che in terra il fece venir manco
e poi gli corse addosso con gran fretta
e finalmente gli cavò fuor l'elmo:
e in questo modo uccise il conte Anselmo.

94.
Rimontò a caval quel Mattafirro
colpi menando disperati e forti;
Rinaldo lo sgridòe poi come un birro
dicendo: - Fama a tuo modo riporti
non altrimenti che Marcello o Pirro
uccider sanza elmetto uomini morti. -
E trasse un tondo di maestro vecchio
che il capo portò via sopra l'orecchio.

95.
E poi trovò nella zuffa Fidasso
che faceva il leprone e 'l piccinaco
tra gente e gentee va col capo basso
per la battaglia diguazzando il laco
perché e' sentia di Rinaldo il fracasso
che par per Libia indiavolato un draco;
ma pure un tratto Fidasso fidossi
tanto che in terra per sempre acquattossi.

96.
Il caval si rizzò di Ricciardetto
indrieto sì che e' convien che rovesci
e con l'arcion se gli posa in sul petto;
e' pagan sotto frugavano a' pesci
con lance e dardi; e restava in effetto
mortoch'un tratto non potea dir: "Mesci!"
se non che Orlando le cinghie e 'l cavallo
tagliò in un colpoe poi fece rizzallo

97.
e gridòe: - Ricciardettohai tu paura?
Piglia un altro cavalché ce n'avanza. -
E Ricciardetto a saltar s'assicura
come de' paladin sempre era usanza
sopra un caval con tutta l'armadura.
Ma qui resta il valor sanza speranza
benché il cor generoso si conforti
perché tutti i cristian quasi eran morti.

98.

E' saracin pochi restati sono
benché Rinaldo e Turpin gli persegua.
AhTurpin vecchioahTurpin nostro buono!
Qui non si ragionava or della triegua!
Bianciardin fuggito era come un tuono
Marsilio e Balugante si dilegua
e vorrebbon trovar qualche via mozza
che gli guidi in due passi a Siragozza.

99.
Terigi era rimasto per un piede
in terra avviluppato in certa stretta
e il suo signore Orlando non lo vede
sì che nel sangue si storce e gambetta
che pareva un tocchetto di lamprede;
ma la gente pagana maladetta
come io dissi disopraè già sparita
sì che per questo pur campò la vita.

100.
Orlando per lo affanno ricevuto
non potea sostener più l'elmo in testa
tanto aveva quel giorno combattuto;
e perché molto la sete il molesta
si ricordòe dove egli avea beuto
a una fontee va cercando questa;
e ritrovata appiè della montagna
quivi soletto si riposa e bagna.

101.
Vegliantincome Orlando in terra scese
a' pie' del suo signor caduto è morto
e inginocchiossi e licenzia gli chiese
quasi dicessi: "Io t'ho condotto a porto".
Orlando presto le braccia distese
all'acquae cerca di dargli conforto;
ma poi che pure il caval non si sente
si condolea molto pietosamente:

102.
Vegliantintu m'hai servito tanto!
O Vegliantindove è la tua prodezza?
O Vegliantinnessun si dia più vanto.
O Vegliantinvenuta è l'ora sezza.
O Vegliantintu m'hai cresciuto il pianto.
O Vegliantintu non vuoi più cavezza.
O Vegliantins'io ti feci mai torto
perdonamiti priegocosì morto. -

103.
Dice Turpinche mi par maraviglia
che come Orlando: - Perdonami - disse
quel caval parve ch'aprissi le ciglia
e col capo e co' gesti acconsentisse;
tanto che Orlando riprese la briglia
forse pensando che si risentisse:
dunque Pirramo e Tisbe al gelso o fonte
a questa volta è Vegliantino e 'l conte.

104.
Ma poi che Orlando si vide soletto
si volse e guarda inverso la pianura
e non vede Rinaldo o Ricciardetto;
tanto che' morti gli fanno paura
ché il sangue aveva trovato ricetto
e Runcisvalle era una cosa oscura;
e pensi ognun quanto dolor quel porta
quando e' vedeva tanta gente morta.

105.
E disse: "O terqueo quaterque beati"
come disse il troian famoso ancora
e miseri color che son restati,
come sono io, insino all'ultima ora!
Ché, benché i corpi sien per terra armati,
l'anime son dove Gesù s'onora.
O felice Ulivier, voi siete in vita:
pregate or tutti per la mia partita!

106.
Or sarà ricordato Malagigi;
or sarà tutta Francia in bruna vesta;
or sarà in pianti e lacrime Parigi;
or sarà la mia sposa afflitta e mesta;
or sarà quasi inculto San Dionigi;
or sarà spenta la cristiana gesta;
or sara Carlo e il suo regno distrutto;
or sara Ganellon contento in tutto.

107.
Intanto vede Terigi apparito
che come il tordo pur s'era spaniato
e tanto il suo signor cercando è ito
che finalmente l'avea ritrovato;
e domandò quel che fusse seguito
e dove sia Rinaldo capitato.
Disse Terigi: - Io non v'ho posto cura. -
E raccontò poi ben la sua sciagura.

108.

Dice la istoria che Orlando percosse
in su 'n un sasso Durlindana bella
più e più volte con tutte sue posse
né romper né piegar non poté quella
e 'l sasso aprì come una scheggia fosse;
e tutti i peregrin questa novella
riportan di Galizia ancora esplesso
d'aver veduto il sasso e 'l corno fesso.

109.
Orlando disse: - O Durlindana forte
se io t'avessi cognosciuta prima
com'io t'ho cognosciuta ora alla morte
di tutto il mondo facea poca stima
e non sarei condotto a questa sorte.
Io t'ho più volteoperando ogni scrima
per non saper quanta virtù in te regna
riguardatao mia spada tanto degna. -

110.
Or ritorniamo a Rinaldoche scaccia
i saracinie non truova più intoppo
che si ritornafinita la caccia
come il can richiamatodi gualoppo
ovver segugio indietro per la traccia
talvolta stancofaticato e zoppo
per la fatica e pel sudore ansando;
tanto che truova a quella fonte Orlando.

111.
Gran festa Orlando al suo cugin facea
e domandò come la cosa è ita.
Rinaldo tutto affannato dicea
come la gente pagana è fuggita.
E Ricciardetto e Turpin poi giugnea.
E per far più la nostra istoria trita
dice Turpin che il dì di San Michele
di maggio fu la battaglia crudele.

112.
L'anno correva ottocentesmo sesto
dominante il pianeta che vuol guerra;
e bisognòe che sia mezzo bisesto
perché un dì natural sopra la terra
istette il soleond'io non so per questo
se forse ancor lo astrolago qui erra:
ciò è la terra lo emisperio nostro
ch'i' non iscriva anche io con bianco inchiostro.

113.
Non so chi leggerà come e' consente
che tanta gente però morta sia;
ma perch'io ho quella parola a mente:
E Miccael vi farà compagnia
io non credo che Orlando veramente
avessi simulata la bugia
ma che e' vi fusse il campion benedetto.
E poi ch'e' fu di maggio sia ridetto.

114.
Sai ch'e' si dice: "Noi non siàn di maggio"
e non si fa così degli altri mesi
perché e' canta ogni uccel nel suo linguaggio
e l'asin fa que' suoi ragghi distesi
sì che la cosa ridire è vantaggio;
ma non son tutti i proverbi compresi
come a dir che alla mensa non s'invecchia
ché poco vive chi molto sparecchia.

115.
E per tornare alla materia mia
o vero o nocon pace si comporti:
se Michel venneil ben venuto sia;
se non vi vennee' basta che son morti:
colui che scrive istoria o comedìa
convien che alla scrittura si rapporti
o grido o famae quel ch'e' truova dica
in ogni cosa moderna o antica.

116.
Or qui incomincian le pietose note!
Orlando essendo in terra ginocchione
bagnate tutte di pianto le gote
domandava a Turpino remissione;
e cominciò con parole devote
a dirgli in atto di confessïone
tutte sue colpe e chieder penitenzia
ché facea di tre cose conscïenzia.

117.
Disse Turpin: - Quale è la prima cosa? -
Rispose Orlando: - Maiestatis laesae
idest in Carlo verba iniuriosa;
e l'altra è la sorella del marchese
menata non aver come mia sposa:
queste son verso Iddio le prime offese;
l'altra un peccato che mi costa amaro
come ognun sa: ch'io uccisi Don Chiaro. -

118.

Disse Turpino: - E' ti fu comandato
e piace tanto a Dio la obbedïenzia
che ti fia facilmente perdonato.
Di Carlo e della poca riverenzia
io so che lui se l'ha sempre cercato.
D'Alda la bellase in tua conscïenzia
sono state tue opre e pensier casti
credo che questo appresso a Dio ti basti.

119.
Ha'mi tu altro a dir che ti ricordi? -
Rispose Orlando: - Noi siàn tutti umani
superbiinvidïosiirosiingordi
accidiosigolosi e in pensier vani
al peccar prontial ben far ciechi e sordi;
e così hode' peccati mondani
non aver per pigrizia o mia secordia
l'opere usate di misericordia.

120.
Altro non soche sien peccati gravi. -
Disse Turpino: - E' basta un paternostro
e dir sol "Miserere" o vuoi "peccavi"
ed io t'assolvo per lo uficio nostro
del gran Cefàsche apparecchia le chiavi
per collocarti nello etterno chiostro. -
E poi gli dètte la benedizione.
Allora Orlando fe' questa orazione:

121.
Redentor de' miseri mortali
il qual tanto per noi t'umilïasti
chenon guardando a' nostri tanti mali
in quella unica Virgine incarnasti
quel dì che Gabrïel aperse l'ali
e la umana natura rilevasti
dimetti il servo tuo come a te piace:
lasciami a teSignorvenire in pace.

122.
Io dico pace dopo lunga guerra
ch'io son per gli anni pur defesso e stanco:
rendi il misero corpo a questa terra
il qual tu vedi già canuto e bianco
mentre che la ragion meco non erra
la carne è inferma e l'animo ancor franco;
sì che al tempo accettabil tu m'accetti
ché molti son chiamati e pochi eletti.

123.
Io ho per la tua fede combattuto
come tu saiSignorsanza ch'io il dica
mentre che al mondo son quaggiù vivuto:
io non posso oramai questa fatica;
però l'arme ti rendoché è dovuto;
e tu perdona a questa chioma antica
ch'a contemplare omai suo uficio parmi
la gloria tuae porre in posa l'armi.

124.
PorgiSignoreal tuo servo la mano
tra'mi di questo laberinto fori
perché tu se' quel nostro pellicano
che pregasti pe' tuoi crucifissori;
perch'io cognosco il nostro viver vano
vanitas vanitatumpien d'errori
ché quanto io ho nel mondo adoperato
non ne riporto alfin se non peccato

125.
salvo se mai fu nella tua concordia
di dover col tuo segno militare:
per questo io spero pur misericordia;
bench'io non possi Don Chiaro scusare
che forse or prega per la mia discordia;
ma perché tu sol mi puoi perdonare
benché a Turpino il dissi genuflesso
di nuovo a teSignormi riconfesso.

126.
Quando tu ci creastiSignorprima
perché tu se' magnalmo e molto pio
credo che tu facesti questa stima
che noi fussin figliuol tutti di Dio.
Se quel serpente con sua sorda lima
Adam tentòtu hai pagato il fio
come magno Signornon obligato
poi che pure era di tua man plasmato;

127.
e perdonasti a tutta la natura
quando tu perdonasti al primo padre;
e poi degnasti farti sua fattura
quando tu assumesti in terra madre:
non so s'io entro in valle troppo oscura:
dunque proprio i cristian son le tue squadre.
Io ho sempre difese quelle al mondo:
aiuta or me tumio Signor giocondo.

128.

Le legge che in sul monte Sinaì
tu désti anticamente a Moïsè
io l'ho tutte obedite insino a qui
ed osservata la tua vera fé:
perògiusto Signors'egli è così
giustizia fa' pur con la tua merzé
perché a giusto Signor così conviensi
che le sue petizion giuste ognun pensi.

129.
Non entrare in iudicioSignormeco
ché nel cospetto tuo giustificato
non sarà alcun se tu non vuoi già teco
perché tutti nascemo con peccato
e ciò che nasce al mondo nasce cieco
se non sol tu nascesti alluminato:
abbi pietà della mia senettute;
non mi negare il porto di salute.

130.
Alda la bella mia ti raccomando
la qual presto per me fia in veste bruna
ches'altro sposo mai torrà che Orlando
sia maritata con miglior fortuna.
E poi che molte cose ti domando
Signorse vuoi ch'io ne chiegga ancor una
ricòrdati del tuo buon Carlo vecchio
e di questi tuoi servi in ch'io mi specchio. -

131.
Poi che Orlando ebbe dette le parole
con molte amare lacrime e sospiri
parve tre corde o tre linee dal sole
venissin giù come mosse da Iri.
Rinaldo e gli altri stavan come suole
chi padre o madre ragguarda che spiri
ed ognun tanta contrizione avea
che Francesco alle stimite parea.

132.
Intantogiù per quel lampo apparito
un certo dolce mormorio suave
come vento talvoltafu sentito
venire in giùnon qual materia grave.
Orlando stava attonito e contrito;
ecco quell'angel che a Maria disse "Ave"
che vien per grazia de' superni Iddei
e disse un tratto: - Viri Galilei. -

133.
Poi prese umana forma e in aria stette
e innanzi al conte Orlando inginocchiato
disse queste parole benedette:
- Messaggio sono a te da Dio mandato
e son colui che venni in Nazzarette
quando il vostro Gesù fu incarnato
nella Virgine santache dimostra
quant'ella è in Ciel sempre avvocata vostra.

134.
E perch'io amo assai la umana prole
come piace a Chi fece quel pianeta
ti porterò lassù sopra quel sole
dove l'anima tua fia sempre lieta
e sentirai cantar nostre carole;
perché tu se' di Dio nel mondo atleta
vero campionperfetto archimandrita
della sua gregge sanza te smarrita.

135.
Sappi che in Ciel fu bene essaminata
la tua giusta devota orazion latria
ch'a tutti i santi e gli angeli fu grata
sendo tu cittadin di quella patria;
e perché la sua insegna hai onorata
e spento quasi in terra ogni idolatria
Iddio t'essaudirà pe' tuoi gran meriti
ché scritti son tutti i tempi preteriti:

136.
però che t'ha veduto giovinetto
a Sutriove più volte perturbasti
la corte del tuo Carlo a tuo diletto
e ciò che in Aspramonte adoperasti
e in Francia e poi in Ispagnae Sansonetto
e tanti nella Mecche battezzasti
e reducesti al figliuol di Maria
Gerusalem e Persia e la Soria;

137.
e poi che Carlo intorno a Pampalona
più tempo s'era indarno affaticato
venistie bisognòe la tua persona
ché così era già pronosticato
come a Troia d'Acchille si ragiona;
e poi che e' fu da Maccario ingannato
in Francia andò come fu tuo disegno
e racquistòe la sposa insieme e il regno.

138.

E Pantalisse e 'l superbo Troiano
e ciò che tu facesti per antico
FerraùSerpentindi mano in mano
notato è tutto; Adastroil gran nimico
e ciò che già nel corno egizïano
facesticome a Dio perfetto amico
mentre ch'egli era il tuo Morgante teco
forse lo spirto del quale è qui meco:

139.
il qual nel Ciel ti farà compagnia
come soleva un tempo fare al mondo
perché tu il dirizzasti per la via
che lo condusse al suo stato giocondo.
E perch'io intendo la tua fantasia
poi ch'io dissi "Morgante"io ti rispondo:
tu vuoi saper di Margutte il ribaldo:
sappi che egli è di Belzebù giù araldo;

140.
e ride ancorae riderà in etterno
come soleama tu nol cognoscesti
ed è quanto sollazzo è nello inferno.
Or perché a Dio la morte tu chiedesti
come que' santi màrtiri già ferno
non so se onestamente ti dolesti:
ché per provarti nella pazïenzia
ha di te fatta ultima esperïenzia.

141.
Vuolsi a Dio inclinar le spalle gobbe
e dir: "Signorfammi constante e forte
a patire ogni pena" come Iobbe
sì ch'io sia obedente insino a morte;
il qualpoi che il voler di Dio cognobbe
contento fu d'ogni sua afflitta sorte;
né cosa alcuna più gli era rimasa
quando e' gli fece rovinar la casa;

142.
e perché pur la moglie si dolea
e' disse: "Donna miaora m'ascolta:
Dominus dedit: lui data l'avea;
Dominus abstulit: lui l'ha ritolta;
sicut Domino placuitin ea
factum est: così fatto è questa volta";
e poi: "Sit nomen Domini" ebbe detto:
il nome del Signor sia benedetto.

143.
Ma se tu vuogli ancor nel mondo stare
Iddio ti darà ben di nuovo gente
e tremerrà di te la terra e 'l mare.
Ma perché il nostro Signor non si pente
que' che son morti non posson tornare
ché tutti son mescolati al presente
tra gli angeli e tra' santi benedetti
e nel numero assunti degli eletti.

144.
Non creder che color che son nel Cielo
volessin ritornar più quaggiù in terra
e ripor le lor membra al caldo e 'l gelo
però che quivi è pace sanza guerra
e non si muta più cogli anni il pelo;
ma quel Signor che 'l suo voler non erra
ti manderàpoi che tu vuoila morte
com'io sù torno nella eccelsa corte.

145.
Alda la bellache hai raccomandata
tu la vedrai nel Ciel felice ancora
appresso a quella sponsa collocata
che il monte santo Sinaì onora
e di gigli e di rose coronata
che non creò vostro Arïete o Flora;
e serverà la vesta oscura e 'l velo
insin che a te si rimariti in Cielo.

146.
Carlo pe' merti suoi devoti e giusti
confirmato è nel corno della Croce
con Iosüècon tutti i suoi robusti
d'accordo tutti in Cielo a una voce;
e tu sarai con lui qual sempre fusti.
Vedi quel solche parea sì veloce
che non si cala all'occeàn giù in fretta
e già venti ore il tuo signore aspetta.

147.
E perché Carlo sarà qui di corto
il popol tuo fia tutto seppellito
ché e' si partì da San Gianni di Porto
come il suon tanto rubesto ha sentito.
Al traditor che la tua gente ha morto
perdona purché sarà ben punito.
E perché Iddio nel Ciel ti benedica
piglia la terrala tua madre antica:

148.

però che Iddio Adam plasmòe di questa
sì che e' ti basta per comunïone.
Rinaldo dopo a te nel mondo resta
per difender di Cristo il gonfalone;
e tosto faran sù gli angeli festa
di Turpin vostro pien d'affezïone
e Ricciardetto anche al Signor mio piace.
Rimanetevio servi di Dioin pace. -

149.
Così posto in silenzio le parole
si dipartì questo messaggio santo.
Ognun piangevae d'Orlando gli duole.
Orlando si levò sù con gran pianto
ed abbracciò Rinaldo quanto e' vuole
Turpino e gli altri; ed adorato alquanto
parea proprio Geronimo quel fosse
tante volte nel petto si percosse.

150.
Era a vedere una venerazione:
- Nunche dimittis - mormorando seco
come disse nel tempio il buon vecchione.
- O Signor mioquando sarò io teco?
L'anima è in carcer di confusïone:
libera me da questo mondo cieco
non per merito giàper grazia intendo;
nelle tue man lo spirto mio commendo. -

151.
Rinaldo l'avea molto combattuto
e Turpino e Terigi e Ricciardetto
dicendo: - Io son dello Egitto venuto;
dove mi lascio cugin miosoletto? -
Ma poi che tempo era tutto perduto
inteso quel che Gabrïello ha detto
per reverenzia alla fine ognun tacque:
ché quel che piace a Dio sempre a' buon piacque.

152.
Orlando ficcòe in terra Durlindana
poi l'abbracciava e dicea: - Fammi degno
Signorch'io ricognosca la via piana;
questa sia in luogo di quel santo legno
dove patì la giusta carne umana
sì che il cielo e la terra ne fe' segno
e non sanza alto misterio gridasti
Elì, Elìtanto martìr portasti. -

153.
Così tutto seraficoal ciel fisso
una cosa parea transfigurata
e che parlassi col suo Crucifisso.
O dolce fineo anima ben nata
o santo vecchioo ben nel mondo visso!
E finalmentela testa inclinata
prese la terra come gli fu detto
e l'anima ispirò del casto petto;

154.
ma prima il corpo compose alla spada
le braccia in croce e 'l petto al pome fitto.
Poi si sentì un tuonche par che cada
il cielche certo allor s'aperse al gitto;
e come nuvoletta che in sù vada
In exitu 'Sraëlcantar "de Egitto"
sentito fu dagli angeli solenne
che si cognobbe al tremolar le penne.

155.
Poi apparì molte altre cose belle
perché quel santo nimbo a poco a poco
tanti lumi scoprìtante fiammelle
che tutta l'aria pareva di fuoco
e sempre raggi cadean dalle stelle;
poi si sentì con un suon dolce e roco
certa armonia con sì soavi accenti
che ben parea d'angelici instrumenti.

156.
Turpino e gli altri accesi d'un fervore
eranche ignun già non parea più desso:
perché quel foco dello etterno amore
quando per grazia ci si fa sì presso
conforta e scalda sì l'anima e 'l core
che ci dà forza d'oblïar se stesso;
e pensi ognun quanto fussi il lor zelo
veder portarne quell'anima in cielo.

157.
E dopo lunga e dolce salmodia
ad alte voce udîr cantar "Te Deo"
Salve ReginaVirgo alma Maria;
e guardavano in sùcome Eliseo
quando il carro innalzar vide d'Elia;
o come tutto stupido si feo
Moïsèquando il gran rubo gli apparse;
insin ch'alfine ogni cosa disparse

158.

sì che di nuovo un altro tuon rimbomba
che fu proprio la porta in sul serralla.
Poi si sentì come un rombar di fromba
e pareva di lungi una farfalla:
ecco apparire una bianca colomba
e posossi a Turpino in su la spalla
a Rinaldoa Terigia Ricciardetto:
or qui di gaudio ben traboccòe il petto!

159.
Donde Turpino oppinïon qui tenne
che questa fusse l'anima d'Orlando
e ch'e' la vide con tutte le penne
in bocca entrargli veramentequando
Carlo quel dì poi in Runcisvalle venne
e che e' richiese l'onorato brando:
e bisognòe che Orlando vivo fossi
ché innanzi a lui ridendo inginocchiossi.

160.
E poi che e' son così soli rimasi
Rinaldo e gli altridopo lungo pianto
e' s'accordorno i dolorosi casi
Carlo sentissibenché e' venga intanto;
ma Terigi era come morto quasi
per gran dolor; purriposato alquanto
a tutti parve che montassi in sella
e che portassi la trista novella.

161.
Dunque Terigi da lor s'è partito
e lascia il suo signore Orlando morto.
Or ritorniamch'io non paia smarrito
a Carlo e la sua gente a Piè di Porto;
checome il corno sonare ha sentito
sùbito parve del suo danno accorto
e disse a Namo ed agli altri dintorno:
- Udite voi com'io sonare il corno? -

162.
Questa parola fe' ch'ognuno ascolta;
Gan si turbòché gli parve sentire.
Orlando suona la seconda volta.
Carlo dicea pur: - Questo che vuol dire? -
Rispose Gan: - Suona forse a raccolta
perché la caccia sarà in sul finire.
Da poi ch'ognun qui taceio ti rispondo.
Che pensi tu? Che rovini là il mondo?

163.
E' par che ancor tu non cognosca Orlando
tanto che quasi ci hai messo sospetto
ch'ogni dì debbe ir pe' boschi cacciando
con Ulivieri e col suo Sansonetto.
Non ti ricorda un'altra voltaquando
in Agrismontesendo giovinetto
ogni dì era o con orsi alle mani
o porci o cervi o cavrïuoli o dani? -

164.
Ma poi che Orlando alla terza risuona
perché e' sonòe tanto terribilmente
che fe' maravigliare ogni persona
Carloil quale era a sua posta prudente:
- Quel corno - disse alla fine - m'intruona
l'anima e 'l cuoree fa tremar la mente
ed altra caccia mi par che di bosco:
duolmi che tardi i miei danni cognosco.

165.
Io mi son risvegliato d'un gran sogno
o Ganoo Ganoo Gan! - tre volte disse.
- Di me stesso e non d'altro mi vergogno
a non creder che questo m'avvenisse.
D'aiuto e di consiglio è qui bisogno
ché s'apparecchian dolorose risse.
Voi sietedicomondima non tutti
e parmi or tempo a giudicare a' frutti.

166.
Pigliate adunque questotraditore.
Meglio era al mondo e' non fussi mai suto.
O sceleratoo crudel peccatore!
Misero a meche son tanto vivuto!
O quanto ha forza un ostinato errore!
O Malagigior t'avess'io creduto!
Omètu eri pur del ver pronostico!
Ed è ragion se il duol mi par più ostico. -

167.
Disse il Danese: - O quante volteCarlo
tel dissi puree Salamone e Namo
ch'a Siragozza non dovei mandarlo
che si vedea quasi scoperto l'amo!
Ed Ulivierquando io vidi baciarlo
io dissi: "O Giudanoi ti conosciamo!
O infamia del mondo e di natura
tu sarai infin la nostra sepultura!".

168.

Ma tu non fusti da noi consigliato
com'e' si conveniva in questo caso
perché tu eri in quel tempo ostinato. -
Intanto Gan si truova sanza naso
e come volpe da' cani è straziato
e 'l capo e 'l ciglio pareva già raso;
e chi gli pela la barba a furore
- Crucifiggi - gridando - il traditore! -

169.
Ma finalmente consigliato fu
che incarcerato in una torre sia
dove si va per molti errori in giù
e come un laberinto par che stia.
E perché tempo non è da star più
Carlo partì con la sua baronia
e serra l'uscio ricevuto il danno;
e così inverso Runcisvalle vanno.

170.
E ben cognobbe che Marsilïone
era venuto con le squadre armate
come aveva ordinato Ganellone
e la sua gente è in gran calamitate:
ch'Orlando non sonòe sanza cagione
però che in caso di necessitate
quando il suon troppo non fussi discosto
avea con Carlo quel segno composto.

171.
Avea già il sol mezzo passato il giorno
e cominciava a calare al Murrocco
quando Carlo sentì sonare il corno
e dipartissi dopo al terzo tocco
ché così Namo e gli altri consigliorno
e tutti i lor pensieri furno a un brocco;
e perché il tempo parea scarso forse
Carlo al suo Cristo all'usato ricorse:

172.
Crucifissoil qual giàsendo in croce
oscurasti quel sol contra natura
io ti priegoSignorcon umil voce
insin ch'io giunga in quella valle oscura
che tu raffreni il suo corso veloce
acciò che al popol tuo dia sepultura
e che non vadi sì tosto all'occaso:
non mi lasciare in così estremo caso;

173.
non pe' meriti mieiche non son tali
che come Iosüè meriti questo
ma perché al volo mio son corte l'ali
acciò che in Runcisvalle io vadi presto
vinchino i preghi giusti de' mortali
sì che più il tuo poter sia manifesto
l'ordine dato delle etterne rote
tanto ch'io truovi il mio caro nipote. -

174.
Fermossi il solch'era turbato prima
per la pietà del suo popol cristiano
per tutto l'universoin ogni clima;
e dice alcunma par supervacano
benché e' sia aüttor da farne stima
che le montagne diventorno piano
ché Carlo aggiunse al suo prego ancor questo.
Ma io qui danno l'aüttore e 'l testo:

175.
io me n'andrò con un mio carro a vela
e giugnerò le lepre e' leopardi;
ché in picciol tempo la fama si cela
degli scrittorquando e' son pur bugiardi
e rimangonsi al lume di candela
la sera al fuoco annighittosi e tardi
e gente son prosuntüose quelle
tanto che Marsia ne perdé la pelle.

176.
Basta che Carlodette le parole
sùbito il prego suo fu essaudito
sanza servar più l'ordine che suole
quel bel pianeta etterno stabilito.
O clemenzia del Cieltu fermi il sole
a Carlo tuo! O amore infinito!
O chiaro essemplo che quel dì ci mostra
quanto Iddio ama la umanità nostra!

177.
E cavalcando d'uno in altro monte
ecco Terigi doloroso e mesto
che ne venìa diguazzando la fronte.
Ma come Carlo ha cognosciuto questo
sùbito disse: - O mio famoso conte!
La sua loquela mi fa manifesto
ch'a nunzïar quel vien trista novella. -
Perché e' pareva un uom di carta in sella.

178.

Giunto Terigia Carlo inginocchiossi
e disse: - O signor miotarde venisti:
sappi ch'Orlando è mortoe più non puossi
e tutti i tuoi baron miseri e tristi. -
Carlosentendolcon le man graffiossi.
Disse Terigi: - Se tu avessi visti
gli angeli i quali il portorno sù in cielo
non che graffiarnon torceresti un pelo.

179.
Sappi che e' chiese la morte lui stesso
e nel morir tanta [avea] contrizione
che dal ciel Gabrïelquel santo messo
vennee rispose alla sua orazione;
ed ogni cosa sentavàn dappresso
ché tutti savàn quivi ginocchione.
Pensi ciascun quanto parea soave
veder quell'angel che per noi disse "Ave".

18.

0.
Rinaldo era venuto insin d'Egitto
e Ricciardettoe fatto hanno oggi cose
che il re Marsilio si fuggì sconfitto.
Tu vedrai le tue gente dolorose
per Runcisvalleognun nel sangue fitto
ché son tutte le rive sanguinose:
non è ignun ch'a veder non lacrimassi;
e piangon l'erbe ancorle piante e' sassi.

181.
Io vidi Astolfo morto e Sansonetto
che ti sare' paruto oggi gagliardo
tanto che Orlando per questo dispetto
cacciò per terra a furia ogni stendardo;
e Berlinghier fu mortoil poveretto
Anselmo tuo e 'l valente Egibardo
Gualtieri da MulioneAvolioAvino;
non v'èdi trecampato un Angiolino.

182.
L'Arcaliffa ribaldo di Baldacco
uccise Ulivier nostro a tradimento
e prima fe' della tua gente un macco
tanto che molto ci dètte spavento;
Riccardo cadde morto per istracco
Ottone e Guottibuoffi ognun è spento
Marco e Matteo del Monte a San Michele:
non fu battaglia mai tanto crudele.

183.
E Baldovin con certa sopravvesta
oggi pel campo combatteva forte
e come e' si cavòe di dosso questa
da un pagan gli fu dato la morte:
ch'Orlando trasse l'elmetto di testa
a quel figliuol del VeglioBuiaforte
e intese appunto come il fatto era ito
e come Gan fu quel ch'avea tradito.

184.
TurpinRinaldo e Ricciardetto solo
campati son di tutta la tua gente:
il resto è tutto morto dello stuolo;
e in Runcisvalle gli lasciai al presente
però ch'io son venuto quasi a volo
per recarti novella sì dolente
poi che stato non v'èper mio dolore
oggi una lancia che mi passi il core

185.
da poi ch'io ho perduto il signor mio.
Tanto è che più il tuo Gan non puoi scusarlo
e commettesti un gran peccato e rio
quando a Marsilio lo mandastiCarlo;
e se tu vuoi placar nel cielo Iddio
fallo squartar. Mamentre ch'io ti parlo
sappi ch'io sento della morte il gelo -;
disse Terigie poi se n'andò in cielo.

186.
Carloascoltata la trista novella
e Terigi vedendo a' suoi pie' morto
per gran dolor fu per cader di sella
e disse: - Ignun non mi dia più conforto.
O battaglia per me crudele e fella!
O re Marsiliotu m'hai fatto torto:
ch'io avea fattocome imperatore
pace con teco con sincero core;

187.
ma non credetti un re di tanta fama
di tanto scettro e monarchia e regno
sendo antico proverbio amar chi ama
oscurassi così la gloria e 'l segno.
O Ganellon ch'ordinasti la trama
e conducesti il mio nipote degno
in Runcisvalle aspettar la sua morte
maladetto sia il dì ch'io t'ebbi in corte!

188.

Che faren noio Salamoneo Namo?
O mia fortunaove mi guidi o meni?
in Runcisvalle ove meschini andiamo
come ciechi smarriti sanza freni?
O mortevieni a mevien'ch'i' ti chiamo
ché tu se' più crudelse tu non vieni;
ma se tu vieni a mia vita dogliosa
tu sarai detta ancor per me pietosa. -

189.
Namo dicevae Salamone ancora:
- Maraviglia non è se Orlando è morto:
con questi patti della terra fora
trasse Iddio Adamoe non gli è fatto torto;
tanto un legno il gran mar solca per prora
che a qualche scoglio si conduce o porto:
questa sentenzia è data pria che in fasce
che morte è il fin d'ogni cosa che nasce.

190.
Veggiam se in questo tempo che ci resta
qualche cosa ancor far siamo obligati
la qual sia proprio all'uom da Dio richiesta
ché per bene operar tutti siàn nati
e d'ogni savio la sentenzia è questa.
Tu sai ch'io ci ho quattro figliuol lasciati:
facciàn che' morti non restino al vento
però che il Ciel non ne sare' contento. -

191.
Disse il Danese: - In Runcisvalle andremo
la prima cosaa ritrovare Orlando
e tutti i morti poi seppelliremo
sì che alle fiere non restino in bando.
Poi con Rinaldo ci consiglieremo. -
E così Carlo venien consolando
e cavalcavan via d'un buon gualoppo
quando e' trovorno altro cattivo intoppo.

192.
Aveva Orlando pel tempo passato
come altra volta in molte istorie è detto
il Sepulcro di Cristo racquistato;
ed Ansuïginobil giovinetto
con molta gente a guardar fu lasciato
sì che dieci anni lo tenne in effetto;
poi gli fu tolto per forza di lancia
ed al presente si tornava in Francia;

193.
e riscontrossi nello imperatore.
Carloveggendo la gente venire
dubitòe di Marsilio nel suo core
che nol venissi di nuovo assalire;
ma non istette molto in questo errore
ché la bandiera si vide scoprire
nel campo bianco con la croce negra
per dimostrar vittoria poco allegra.

194.
Giunto Ansuïgiper abbrevïare
gli disse come i Mori della Mec
Gerusalemme vennono a scalare
di nottesanza dir salamalec:
sì che il Sepulcro bisognòe lasciare
a guardia d'altro che Melchisedec;
e ch'avea ferma oppinïon che Gano
a questo fatto tenessi la mano.

195.
Disse Carlo: - TuIddiofa' la vendetta
poi che il Sepulcro in tal modo si ruba!
Sarebbe mai quel dì che il mondo aspetta
quando e' verrà quella terribil tuba? -
E ricordossi della poveretta
afflittavecchia e sventurata Eccùba
che dopo al pianto d'ogni suo martoro
ultimamente pianse Polidoro;

196.
e disse: - Pazïenzia! - come Giobbe.
- Or oltrein Runcisvalle andar si vuole -
ché come savio il partito cognobbe
per non tenere in disagio più il sole
il qual non va per le orbite sue gobbe
per lo eccentrico il dìcome far suole
per obbedire il suo Signore e Carlo
perché Chi il feceanche potea disfarlo.

197.
E poi che in Runcisvalle andar vogliamo
e perché il sole aspettacome è detto
dove era Orlando alla fonte arriviamo
e Turpino e Rinaldo e Ricciardetto
ch'ognun piangeva doloroso e gramo
e guardavan quel corpo benedetto.
Macome Carlo in Runcisvalle è giunto
parve che il cor si schiantassi in un punto.

198.

E ragguardava i cavalieri armati
l'un sopra l'altro in su la terra rossa
gli uomini co' cavalli attraversati;
e molti son caduti in qualche fossa
nel fango in terra fitti arrovesciati;
chi mostra sanguinosa la percossa
chi 'l capo avea quattro braccia discosto
da non trovargli in Giusaffà sì tosto;

199.
tanti squartatismozzicati e monchi
tante intestine fuortante cervella;
parean gli uomini fatti schegge e bronchi
rimasi in istran modi in su la sella;
tanti scudi per terra e lance in tronchi.
O quanto gente parea meschinella!
O quanto fia scontento più d'un padre!
E misera colei che sarà madre!

200.
Carlo piangevae per la maraviglia
gli trema il core e 'l capo se gli arriccia
e Salamone strabuzza le ciglia
Uggieri e Namo ognun si raccapriccia:
perché la terra si vede vermiglia
e tutta l'erba sanguinosaarsiccia;
gli arborii sassi gocciolavan sangue
sì che ogni cosa si potea dir langue.

201.
Ma po' che Carlo ebbe guardato tutto
si volsee disse inverso Runcisvalle:
- Po' che in te il pregio d'ogni gloria è strutto
maladetta sia tudolente valle!
Che non ci facci più ignun seme frutto
co' monti intorno e le superbe spalle!
Venga l'ira del Cielo in sempiterno
sopra tebolgia o Caina d'inferno! -

202.
Ma poi che e' giunse appiè della montagna
a quella fonte ove Rinaldo aspetta
di più misere lacrime si bagna
e come morto da caval si getta;
abbraccia Orlando e quanto può si lagna
e dice: - Anima giusta e benedetta
ascolta almen dal Ciel quel ch'io ti dico
perché pure ero il tuo signor già antico:

203.
io benedico il dì che tu nascesti;
io benedico la tua giovinezza;
io benedico i tuoi concetti onesti;
io benedico la tua gentilezza;
io benedico ciò che mai facesti;
io benedico la tua gran prodezza;
io benedico l'opre alte e leggiadre;
io benedico il seme del tuo padre.

204.
E chieggo a te perdonse mi bisogna
perché di Francia tu sai ch'io ti scrissi
quando tu eri crucciato in Guascogna
che in Runcisvalle a Marsilio venissi
col conte Anselmo e 'l signor di Borgogna.
Ma non pensavoomèche tu morissi;
quantunque giusto guidardon riporto
ché tu se' vivoed io son più che morto.

205.
Ma dimmio figliuol miodove è la fede
al tempo lieto già data ed accetta?
O se tu hai di me nel Ciel merzede
come solevi al mondoalma diletta
rendimise Dio tanto ti concede
ridendo quella spada benedetta
come tu mi giurasti in Aspramonte
quando ti feci cavaliere e conte. -

206.
Come a Dio piacqueintese le parole
Orlando sorridendo in piè rizzossi
con quella reverenzia che far suole
e innanzi al suo signore inginocchiossi
(e non sia maravigliapoi che il sole
oltre al corso del ciel per lui fermossi)
e poi distese ridendo la mana
e rendégli la spada Durlindana.

207.
Carlo tremar si sentì tutto quanto
per maraviglia e per affezïone
ed a fatica la strinse col guanto.
Orlando si rimase ginocchione
l'anima si tornò nel regno santo.
Carlo cognobbe la sua salvazione;
chese non fussi questo sol conforto
dice Turpin che certo e' sare' morto.

208.

Quivi era ognuno in terra inginocchiato
e tremava d'orrore e di paura
quando vidono Orlando in piè rizzato
come avvien d'ogni cosa oltre a natura:
però ch'egli era in parte ancora armato
e molto fiero nella guardatura;
ma perché poi ridendo inginocchiossi
dinanzi a Carloognun rassicurossi.

209.
Poi abbracciâr molto pietosamente
Carlo e tuttiRinaldo e Ricciardetto
e ragionorno pur succintamente
della battaglia e d'ogni loro effetto;
ed ordinossi per la morta gente
dove fussi il sepulcro e il lor ricetto.
Ma Carlo un corpo era colmo d'angosce
ché tanta gente non si ricognosce

210.
e disse: - O Signor miofammi ancor degno
fra tante grazie che tu mi concedi
ch'io ricognosca in qualche modo o segno
la gente miache quaggiù morta vedi
ch'io non so dove io sia né donde i' vegno;
e come in Giusaffàle mane e' piedi
e l'altre membra insieme accozzae mostra
per carità qual sia la gente nostra. -

211.
E poi che furon nella valle entrati
trovoron tutti i cristian c'hanno insieme
i membri appresso e i volti al ciel levati
perché questo era d'Adamo il buon seme.
O Dioquanti miracoli hai mostrati!
Quanto è felice chi in te pon sua speme!
E tutti i corpi di que' saracini
dispersi sonco' volti a terra chini.

212.
Ringraziò Carlo Iddio devotamente
che tante grazie gli avea conceduto.
Or qui comincia un mar tanto frangente
di pianto e duolche non sare' creduto:
chi truova il figliuol morto e chi 'l parente
amico o frate; e quel ricognosciuto
abbraccia il corpo e l'elmo gli dilaccia
e mille volte poi lo bacia in faccia.

213.
Carlo si pose per dolor la mano
agli occhiquando Astolfo morto vide
e se potessicome il pellicano
quando la serpe i suoi nati gli uccide
lo sanerebbe col suo sangue umano.
Così per tutto quel campo si stride:
Rinaldo piangeRicciardetto plora;
pensa se Namo anche piangeva allora!

214.
Qui ci bisogna più d'una carretta
e tempo non è più tener quel sole
che per servire al suo Fattore aspetta.
O fidanza gentil, chi Iddio ben cole
(o del nostro Ancisan parola eletta!),
il ciel tener con semplici parole!.
O sicuri cristiangran parte è questa
di quella fede che v'è manifesta.

215.
Credo che quegli Antipodi di sotto
dubitassin fra lor più volteil giorno
che non fussi del ciel l'ordine rotto
ché il bel pianeta non facea ritorno
o che e' fussi quel dì l'ultimo botto
e ritornassi all'antico soggiorno
prima che fussi il gran caòs aperto;
e in dubbio stessi lo emisperio incerto.

216.
E' se n'andò pure all'altro orizzonte
finito un giorno naturale appunto:
forse la terra pensò che Fetonte
avessi il carro nuovamente assunto.
Carlo si stette con sua gente al monte
la notte insin che il mattin poi fu giunto
ed ordinò che la gente cristiana
portata fussi in parte in Aquisgrana.

217.
E molti corpi furno imbalsimati
massime tutti que' de' paladini;
ed alcun furno a Parigi mandati
e per la Francia e per tutti i confini;
e tanti padri furno sconsolati
e tante donne si stracciano i crini
e chi la faccia e chi il petto s'infranse
ch'Affrica tanto o Grecia mai non pianse.

218.

E sopra tutto pianse Alda la bella
chiamando sé fra l'altre dolorosa
d'Ulivieri e d'Orlandomeschinella
dicendo: - Omèquanto felice sposa
del più degn'uom che mai montassi in sella
fui alcun tempoor misera angosciosa!
Già non invidio sua felice sorte
ma increscemi di me insino alla morte.

219.
dolce sposo miosignore e padre
or non ti vedrò io più fiero ed ardito
quando tu eri armato fra le squadre!
Non creder che mai prenda altro marito;
ma sopra il corpo e tue membra leggiadre
ché sento in Aquisgran se' seppellito
giurerà come Dido Alda la bella. -
E così fece a luogo e tempo quella.

220.
Carlo fece il sepulcro al suo nipote
in Aquisgranae 'l corpo quivi misse;
ed onorar lo fece quanto e' puote
prima che inverso Siragozza gisse
dove poi furon le dolente note;
e nel sepulcro lettere si scrisse
e conteneva in latino idïoma:
Uno Iddio, uno Orlando ed una Roma.

221.
E tutta Francia pianse il suo campione
e spezialmente il popol di Parigi
che non pianse più Roma Scipïone;
e fatte furno essequie in San Dionigi
vestite a nero tutte le persone
ch'usavan prima a' morti i panni bigi
come Pericle fe' vestir già Atene
e parve annunzio di future pene.

222.
Astolfo in Inghilterra fu mandato
e dice alcun che Ottone era già morto
e molto fu nella patria onorato.
Né Sansonetto gli fu fatto torto
anzi un ricco sepulcro ha ordinato
Carlo a San Gianniper luiPiè di Porto.
E Berlinghieri e gli altri suoi fratelli
ebbon tutti sepulcri antichi e belli.

223.
Ulivier fu seppellito in Borgogna
e tutto il popol fe' di pianger roco.
Ma perché molte cose dir bisogna
a Balugante torneremo un poco
che va cercando trovare altra rogna:
non so se poi il grattar gli parrà giuoco.
E' ritrovò la sua gente smarrita
ch'era per boschi e montagne fuggita;

224.
e terminò tornare in Runcisvalle
ché non sapea s'Orlando fussi morto
e volea le sue gente sotterralle.
E come e' fu in su la montagna scorto
che voleva calar giù nella valle
Rinaldocome astuto e molto accorto
a Carlo disse: - Balugante viene:
io lo cognosco a' contrassegni bene.

225.
Parmi che in punto tua gente si metta
da poi che Iddio per grazia ce lo manda
per cominciare a far nostra vendetta. -
Il perché Carlo sùbito comanda
che si dovessi armare ognuno in fretta.
Era apparita l'alba a randa a randa
quando la schiera de' pagan vien giùe
il terzo dì che la battaglia fue.

226.
E consiglioron Salamone e Namo
e Ricciardetto e Turpino e 'l Danese:
- O Carlopoi che condotti qui siamo
e piacque sempre a Dio le giuste imprese
Balugante e sua gente seguitiamo
tanto che alfine sien le fiamme accese
e che si metta a sacco Siragozza
e Marsilio s'impicchi per la strozza.

227.
E come fe' Vespasïano e Tito
venderen per ischiavi que' marrani
a corsari o pirrati in qualche lito
perché e' son peggio che porci o che cani. -
E così presto si prese partito;
e com'egli hanno scontrati i pagani
e' cominciorno a gridar: - Carnecarne! -
e - Morte! - e - Sangue! - ed ogni strazio a farne.

228.

Rinaldo il primo calò giù la lancia
e grida a Balugante: - Ahtraditore!
Già non è spenta la gloria di Francia! -
e morto in terra il metteva a furore
se non che il ferro gli striscia la guancia
e truova un altro pagan peccatore
sì che la lancia gli caccia per gli occhi
e bisognò che giù morto trabocchi.

229.
Carlo aveva quel giorno Durlindana
e vendicar volea con essa Orlando
e dice: - Ben che la mia forza è vana
respetto al signor tuofamoso brando
non perdonare alla gente pagana
ché teco insieme lo vo vendicando;
e poi che e' t'ha ridendo a me renduto
non è sanza cagion per certo suto. -

230.
gloria al secol priscoo lumeo specchio
o difensor della cristiana fede
o santo Carloo ben vivuto vecchio
dell'alta fama di tua stirpe erede
tu taglieresti a Malco l'altro orecchio!
Così fa chi in Gesù si fida e crede;
e bisognava al mondo tu venissi
per cavarci di nuovo degli abissi.

231.
Balugante transcorse tra' cristiani
perché il cavallo a forza Io transporta.
Carloche il videcon ambo le mani
alzò la spadae tanto sdegno il porta
che disse: - Tu n'andrai fra gli altri cani! -
tanto che cadde come cosa morta;
e come Balugante in terra cade
sùbito addosso gli fur cento spade.

232.
E' non si vide mai più spade a Roma
addosso a qualche toroquando in caccia
isciolto giù dal plaüstro quel toma
quando si fa la festa di Testaccia:
tanto che infine la barba e la chioma
gli pela alcunche l'elmo gli dilaccia;
e chi voleva pur cavargli il core
ma non potevatanto era il furore.

233.
E come Balugante morto fu
i saracin fuggivon d'ogni banda;
e s'io non l'ho qui ricordato più
il valoroso Arnaldo di Bellanda
molti pagani il dì in Cafarnaù
anzi più tosto allo inferno giù manda.
E così fu questa nuova battaglia
di Balugante un gran fuoco di paglia.

234.
Furon costor presto abbattuti tutti
o fuggiron per boschi e per campagne;
e Balugante andò cercando frutti
che il punson più che ricci di castagne.
E poi che Carlo gli vide distrutti
diterminò di passar le montagne;
e inverso Siragozza cavalcorno
e in ogni luogo i paesi guastorno:

235.
a fuocoa saccoa mortein predain fuga
le donnei moricini e le fanciulle
sanza trovare ignun dove e' rifuga
ammazzavano insin drento alle culle.
Carlo dicea ch'ogni cosa si struga
pur che Marsilio e 'l suo regno s'annulle.
E così sempre per tutto il vïaggio
parean corsari in terra a far carnaggio.

236.
Hai tu veduto innanzi alla tempesta
fuggir pastor con le lor pecorelle?
Così fuggìen la morte manifesta
quelle gente cacciate meschinelle.
E insino a Siragozza ignun non resta
la notte e 'l giorno sempre in su le selle;
e passan valle e piagge e colli e monti
e in ogni parte fêr tagliare i ponti.

237.
Era la Spagna in parte battezzata
e inteso di Marsilio i tradimenti
e così tutti i mori di Granata
molti signor ne furon mal contenti
e Siragozza è quasi abbandonata.
Marsilio v'avea drento poche genti
ché in Runcisvalle rimase eran morte
tanto che Carlo s'accostòe alle porte.

238.

Re Bianciardinche la novella sente
disse a Marsilio: - E' fia Rinaldo questo. -
Ma non potevon creder per nïente
che Carlo fussi venuto sì presto
ed avessi condotta tanta gente;
e quel che più diventerà molesto
ch'e' non sapean di Balugante il caso
che pel cammino indrieto era rimaso.

239.
Atteson tutti a rafforzar le mura.
Rinaldo a una porta appiccò il fuoco:
or questo fece alla terra paura
tanto che drento entrorno a poco a poco.
Era la notte nebulosaoscura:
pensalettorcome egli andava il giuoco!
e vento e pioggia e tempesta e furore
e tutto il popol levato al romore.

240.
Il fuoco era appiccato in molte strade
e 'l vento certe fiamme in alto leva
e qualche tetto alle volte giù cade
e le moschee ed ogni cosa ardeva;
e luccicar si vedea tante spade
che Siragozza un inferno pareva.
Marsilïone non sapea che farsi
e certo i suoi partiti erano scarsi;

241.
e quando e' sente gridar - FranciaFrancia! -
e - CarloCarlo! -gli parve che il core
gli passassi un coltelloanzi una lancia
tanto ne prese nel petto terrore:
perché e' cognobbe in su 'n una bilancia
aver la vita e lo stato e l'onore;
e Bianciardintanto mascagna volpe
a questa volta purgar le sue colpe.

242.
Eran saliti sopra certe torri
gridando fortealcun talacimanno
come dicessi: - Accorri! accorri! accorri!
Aiuta il popolMaconmussurmanno! -
Ma tutte alfine eran bucce di porri
ch'ogni cosa n'andava a saccomanno
ed urla e strida per tutto si sente
e pianti assai commiserabilmente.

243.
Rinaldo aveva sbarrata la piazza.
Le donne e le tosette scapigliate
correvan tutte come cosa pazza
ed eran dalle gente calpestate;
ed ognun grida: - Ammazzaammazzaammazza
queste gente ribalde rinnegate! -
E così tutti parean di concordia
sanza pietàsanza misericordia

244.
Carlo aveva con seco uno squadrone
e Durlindana sanguinosa in mano;
corse al palazzo di Marsilïone
gridando: - Ove è quel malvagio marrano? -
E dismontato in sul primo scaglione
la scala combatté di mano in mano
e come Orazio gran punta sostenne
tanto che insino in su la sala venne.

245.
Era apparita quasi l'aürora
quando il palagio di Marsilio è preso
e non si truova il traditore ancora;
ma poi che 'l fuoco per tutto era acceso
alfin convenne ch'egli sbuchi fora
e funne a Carlo portato di peso.
Carlo lo prese in quella furia pazza
e d'un veron lo gittò in su la piazza;

246.
e cadde quasi addosso a Ricciardetto;
e Ricciardettocome in terra il vede
gridò: - Ribaldo! - e presel pel ciuffetto
e poi gli pose in su la gola il piede
e scannar lo volea come un cavretto;
se non ch'e' disse: - Abbi di me merzede
tanto che Carlo da basso giù vegni
e Bianciardinche è nascosogl'insegni. -

247.
Or chi volessi la città meschina
in fuoco e in preda assimigliar la notte
imaginar conviensi una fucina
giù nell'inferno in le più scure grotte:
ognuno aveva una rabbia canina
che il sangue parea zuccher di tre cotte.
O giustizia di Diotu eri appresso!
Tu se' pur giustoe in Ciel tu se' pur desso!

248.

Credo Turpin con le sue mani uccise
dugento o piùa non parer bugiardo:
non domandar se nel sangue s'intrise!
E' parea più rubizzo e più gagliardo
che que' che avean le schiappe e le divise
come se fussi la notte col cardo
renduto il pelo alla sua giovinezza
perché tener non si potea in cavezza.

249.
In questo tempo la reina Blanda
era con Lucïana strascinata:
ella non ha più d'oro la grillanda;
ella era dalla furia traportata;
ella gridavaella si raccomanda
ch'almen come regina sia ammazzata
e che non era in questo modo onore
d'un tanto degno e magno imperatore;

250.
e pareva la furia di Ericonne
per modo eran le chiome scompigliate;
e' drappi ricchi e le purporee gonne
eran tutte per terra scalpitate.
O infortunata più che l'altre donne
venuta al fin d'ogni calamitate!
Tanto ch'io credo questo essemplo basta
della antica miseria di Iocasta.

251.
Rinaldo già nel palazzo era entrato;
e quando e' vide Lucïana bella
come Corebo parve infurïato
per Cassandra la notte meschinella
e comandò ch'ognun fussi scostato
tanto che porse la sua mano a quella
e liberolla da sì stretta furia;
e non sofferse e' gli sia fatto ingiuria.

252.
E poi ch'ognun fu ritirato addietro:
- O Carlo- disse - io vo' che mi conceda
se mai grazia da te nessuna impetro
sì che tu sia di maggior gloria ereda
perché a tanto signortanto alto scetro
femina pare alla fine vil preda
che la reina e Lucïana sia
libera data nella mia balìa. -

253.
Carlo rispose: - O figliuol mio diletto
come poss'io negar le cose oneste?
Io vo' che il fatto sia prima che il detto.
Veggo che amore ancor ti sforza e investe. -
E per venireuditoreallo effetto
e' perdonoron solamente a queste
di tanta gente in tutta la cittade;
il restoal fuoco e 'l taglio delle spade.

254.
Era a veder la notte Siragozza
a fuococome Soddoma e Gomorra;
e tanto più ch'ella è pel sangue sozza
che par per tutto insino al fiume corra
però che alla franciosa qui si sgozza;
e così ardecome al vento forra
di secche pianteinsino alle radice
questa città che fu già sì felice.

255.
Parea talvolta che si dividessi
l'una fiamma dall'altracome è detto
de' due teban già in una pira messi
e poi saltava d'uno in altro tetto
come se un fuoco distinato ardessi;
e che Tesifo e Megera ed Aletto
vi fussee Cerber latrassiil gran cane
e vendicassin le ingiurie cristiane.

256.
Già si vedevan per terra le case
dirute ed arse e desolate tutte
che pietra sopra pietra non rimase.
Quante magne ricchezze eran distrutte!
quante colonnepiramide e base
eran cadute! quanto parean brutte
a vedersotto rimasela notte
quelle gente arrostite come bòtte!

257.
Fammi Turpin maravigliar talvolta
se non ch'io veggo poi che e' dice il vero
quand'io ho questa istoria ben raccolta:
che molte madre drento al fiume Ibero
i propri figli in quella furia stolta
gittâr la notte con istran pensiero:
ché il furor tutto ministrava e guida
e non si scorge altro romor che strida;

258.

ed altre in mezzo gli gittâr del foco
per non venire alle man de' cristiani
ne' pozzi e nelle fogne e in ogni loco;
altre gli uccison con lor proprie mani.
O vendetta di Dioqui sare' poco
agguagliar la miseria de' Troiani
a tante afflitte e sventurate donne
quando e' mentì del gran caval Sinonne!

259.
Credo che Tito con Vespasïano
non fêr de' Giudei tantos'io non erro
quanto costor di quel popol profano:
pensa che insino a Turpin pare sgherro!
Qual Saguntoo Cartagin da Affricano
la cosa va tra l'acqua e 'l fuoco e 'l ferro
e 'l foco parcom'io dissipenace:
pigli ciascun qual de' tre più gli piace.

260.
E s'alcun pur si fuggivameschino
in ogni parte la morte rintoppa
ché Ricciardetto e il Danese e Turpino
ed Ansuïgi per tutto gualoppa.
Intanto è ritrovato Bianciardino
ch'era nascoso in un sacco di stoppa.
Rinaldo far gli volea pure il gioco
ed appiccarvi con sua mano il fuoco.

261.
Carlo gli disse: - Io lo riserbo a peggio. -
Marsilio intanto in sala era legato
come un can per la golaallato al seggio
dove e' fu già da sua gente onorato.
E non poteva ignun pigliar pileggio
ché il palazzo era per tutto guardato
acciò che cosa nessuna si fugga
sì che la roba e la gente si strugga.

262.
Aveva Carlo un suo certo schiavone
lungo tempo tenutodetto l'Orco
che godeva la notteil rubaldone
nel sangue imbrodolato come un porco;
e stava all'uscio con un gran bastone
ch'egli avea fatto d'un certo biforco;
e chi voleva fuggir dalle poste
convien che prima contassi con l'oste.

263.
Non si potea qui dircome Bïante:
Io me ne porto ogni mia cosa meco:
più tosto molto ben le rene infrante
da quel baston se ne portava seco;
e s'alcun pur gli scappava davante
Calò, calòsi potea dire in greco
perché e' faceva le persone destre
e bisognava calar le finestre.

264.
E' pareva ogni cosa vetro o ghiaccio
dove e' giugnevan quelle sconce botte.
E scrive alcun di questo ribaldaccio
ch'egli arrostì de' moricin la notte
che gl'infilzava in quel suo bastonaccio
poi gli mangiò come porchette cotte;
ma perché il caso non mi pare onesto
credo che Carlo non sapessi questo.

265.
E così fu questa città dolente
con fuoco e sacco rovinata tutta
sì chea veder la rovina e la gente
una cosa pareva schifa e brutta.
E non è maraviglia veramente
che così in una notte sia distrutta
ché le moschee rovinavano a ciocca
tanto l'ira del Ciel sopra trabocca!

266.
Avea già Anselmo e poi Chiron mandato
Carlo a Marsilioper quel ch'io ne 'ntendo;
e fu ferito l'unl'altro ammazzato
cioè Chironindrieto poi venendo;
e Carlo aveva molto minacciato:
- GerusalemGerusalem- dicendo
- tu piangeraiSiragozza ribalda
né pietra sopra pietra in te fia salda. -

267.
Ora ecco il re Marsilio innanzi a Carlo
e tutto il popol: - Crucifiggi! - grida;
altri diceva e' dovessi impalarlo:
ognun volea ch'a suo modo l'uccida.
Carlo rispose che volea impiccarlo
ché il traditor al capresto si fida
a quel carubbocome Scarïotto
dove egli aveva ogni cosa condotto;

268.

e disse: - Io vo'Marsilioche tu muoia
dove tu ordinasti il tradimento;
e Bianciardinche è padre d'ogni soia
allato a te farà crucciare il vento. -
Disse Turpino: - Io voglio essere il boia. -
Carlo rispose: - Ed io son ben contento
che sia trattato di questi due cani
l'opere sante con le sante mani. -

269.
E poi che furon drento al parco entrati
Carloveggendo intorno a quella fonte
arsa la terra e gli arbori abbruciati
maravigliossi e cambiossi la fronte
e disse: - O Bianciardinquanti peccati
commessi hai qui con tue malizie pronte!
O sceleratoabominevol mostro!
O caso orrendoo infamia al viver nostro! -

270.
E quando e' vide quel carubbo secco
e quello allòr fulminato dal cielo
parve che 'l cor gli passassi uno stecco
e che per tutto se gli arricci il pelo
e disse: - O traditor Marsilioora ecco
dove tu commettesti il grande scelo!
Ahcrudel terra che lo consentisti
e come Curzio lor non inghiottisti!

271.
Ecco ch'io ho pur ritrovate l'orme:
però nessun con la coda le copra
ché la divina giustizia non dorme
e pure il fine è il testimon dell'opra;
pensi ciascunquando e' fa cose inorme
che la spada del Ciel sia sempre sopra
e s'alcun tempo una cosa si cela
nihil occultumtutto si rivela.

272.
Falseronio ho pur finalmente
qui ritrovati tutti i tuoi vestigi:
l'anima forse or del tuo error si pente
tanti segni son quitanti prodigi!
Tu abbracciasti come fraudolente
quando tu ti partisti da Parigi
oimè lassoil mio degno nipote
poi gli baciastiribaldole gote.

273.
Bianciardinqui non bisogna essordia
però ch'egli è da corda e da capresti
venuto il tempoe non misericordia;
ed è ragion checome voi facesti
a questa fonte insieme di concordia
il tradimentoognun l'aria calpesti
poi ve n'andiate nello inferno a coppia:
ché la giustizia e la malizia è doppia. -

274.
Quando Marsilio si vede condotto
dove il peccato suo l'avea pur giunto
e che si truova a quel carrubbo sotto
si ricordò come il suo caso appunto
predetto aveva un nigromante dotto
tanto che fu più di dolor compunto;
perché e' gli disse: - Non tagliar quel legno
che qualche volta sarà il tuo sostegno. -

275.
E poi pregòcome malvagio e rio
che voleva una grazia chieder sola
cioè di battezzarsi al vero Iddio.
Disse Turpin: - Tu menti per la gola
ribaldo: appunto qui t'aspettavo io. -
Rinaldo gli rispose: - Omai cò'la!
Non vo' che tanta allegrezza tu abbi
che in vita e in morte il nostro Iddio tu gabbi.

276.
Sai che si dice cinque acque perdute:
con che si lava all'asino la testa;
l'altrauna cosa che infine pur pute;
la terza è quella che in mar piove e resta;
e dove gente tedesche son sute
a mensasempre anche perduta è questa;
la quinta è quella ch'io mi perderei
a battezzare o marrani o giudei.

277.
Io non credo che l'acqua di Giordano
dove fu battezzato Gesù nostro
ti potessi lavar come cristiano
non che questa acqua che mi pare inchiostro
di questa fonteo d'un color più strano
pel miracolo ancor che Iddio ci ha mostro.
Dunque tu pensi con questa malizia
che non si satisfaccia alla giustizia?

278.

Con Bianciardino e col tuo Falserone
giù nello inferno ti battezzerai -
disse Carlo - in quelle acque di Carone
quando la sua barchetta passerai.
E manderotti presto Ganellone;
e qualche tradimento ancor farai
acciò che l'arte non ispenta sia
ché so che tu n'hai in punto tuttavia.

279.
E poi che Iddio ha per te riserbato
questo arbor secco che ci è qui davante
dove ancor Giuda si fu attaccato
ci mostrerrai di colassù le piante. -
Disse Marsilio: - Io mi son ricordato
di quel che già previde un nigromante
ma non lo intesiomè!che questo legno
disse ch'ancor mi sarebbe sostegno.

28.

0.
Io ti confesso d'averti tradito
in molte cose già pel tempo antico.
Ma poi ch'io sono alla fine punito
solo una grazia ti domandoe dico
che gentilezza è d'avere essaudito
l'ultimo prego d'ogni reo nimico:
abbi pietà della mia afflitta moglie
ché morte ogn'odioogni cosa discioglie.

281.
Perchéquando tu eri giovinetto
che tu togliesti poi la mia sorella
Galafroil padre mion'avea sospetto
e sempre Blanda diceameschinella:
O re, che vuoi tu far del Maïnetto?
Che colpa ha lui se la tua figlia è bella
e per piacergli abbatte ognun in giostra?
Ben sai ch'egli ama Gallerana nostra;

282.
e sommene avveduta in mille cose
ch'egli è tanto infiammato di costei
che non può contra le fiamme amorose
resister, che son date dagli iddei;
e così sempre in tuo favor rispose
tanto che pure se' obligato a lei;
e mentrein veritàtu eri in corte
per molte vie già ti campò da morte.

283.
Galafro fe' mille volte disegno
di gastigarti de' peccati tuoi;
ma tanto adoperò questa il suo ingegno
che finalmente lo ritenne poi;
e perch'io socome gentile e degno
questo peccato all'anima non vuoi
per la corona che tu porti in testa
ti raccomando e Gallerana e questa.

284.
Del corpo miofa' tu quel che ti pare;
l'anima so nell'inferno è dannata. -
Disse Turpin: - Non tanto cicalare!
Questa è stata una lunga intemerata. -
E cominciava il cappio a disegnare
e la cappa o la tonica avea alzata;
ed accostossi a quel carrubbio presto
ed attaccollo a un santo capresto.

285.
Poi Bianciardin con le sue mani assetta
che pareva il maestro lui quel giorno
ed appostò con l'occhio per giubbetta
un nespol ch'era alla fonte dintorno;
e l'uno e l'altro si storce e gambetta.
Così Marsilio al carrubbo lasciorno
e Bianciardino attaccato a quel nespolo;
e Turpin gli levò di sotto il trespolo.

286.
Poi ordinò che la reina Blanda
Carloal suo padre fussi rimenata
e molti in compagnia con essa manda
perch'ella era del regno di Granata.
E poi che Siragozza d'ogni banda
era per terra tutta disolata
rassettò il campo e sua gente il Danese
e inverso Francia il suo cammin riprese.

287.
E come e' fu l'alta vendetta e magna
vulgata e sparta per tutta Araona
e pe' paesi dintorno di Spagna
laudava ognun di Carlo la Corona;
né creder ch'un sol principe rimagna
che a vicitarla non venga in persona;
ed ognun par di tal cosa contento
e così biasimava il tradimento.

288.

Vennon molti signor d'ogni linguaggio
mentre che Carlo indrieto si tornava
a giurar fede e tributo ed omaggio:
e così questa gente cavalcava.
Orper non fare a' miei lettori oltraggio
che spesso il troppo cantar lungo grava
convien ch'io chiami pur l'aiuto santo
alla mia istoria nel seguente canto.



CANTARE VENTESIMOTTAVO


1.
L'ultima graziao mio Signor benigno
perché il fin mostra d'ogni cosa il tutto
non mi negarché ancor si mostra arcigno
innanzi al tempo non maturo il frutto:
fa' ch'io paia alla morte un bianco cigno
che dolce canta in su l'estremo lutto
tanto ch'io ponga in terra il mortal velo
di Carlo in pacee l'anima a te in Cielo:

2.
perché donna è costìche forse ascolta
che mi commise questa istoria prima
e se per grazia è or dal mondo sciolta
so che tanto nel Ciel n'è fatto stima
ch'io me n'andrò con l'una e l'altra volta
con la barchetta miacantando in rima
in portocome io promissi già a quella
che sarà ancor del nostro mare stella.

3.
Infino a qui l'aiuto di Parnaso
non ho chiesto né chieggoSignor mio
o le Muse o le suore di Pegàso
come alcun diceo Caliopè o Clio:
questo ultimo cantar drieto rimaso
tanto mi sprona e la voglia e 'l desio
chementre io batto i marinai e sferzo
alla mia vela aggiugnerò alcun ferzo.

4.
Da Siragozza s'è Carlo partito
arso la terra e vendicate l'onte;
e il traditor di Marsilio è punito
dove e' fece il peccato a quella fonte;
e cavalcando d'uno in altro lito
in molti luoghi fe' rifare il ponte
ch'egli avea prima pel cammin tagliato
acciò che indrieto nessun sia tornato.

5.
E ritornossi a San Gianni di Porto
e non sofferse a gnun modo passare
di Runcisvalleove il nipote è morto;
e dicea sempre nel suo sospirare:
- Chi sarà quel che mi dia più conforto? -
tanto ch'ognun faceva lacrimare.
- Che farà più questa anima nel petto?
La vita mia omai fia sol despetto. -

6.
Or perché alcun qui diceGanellone
sendo con certa astuzia scarcerato
che gli apparì sì gran confusïone
di nebbia che l'avea tutto obumbrato
e ritornossi smarrito in prigione
ché così lo guidava il suo peccato;
dico io: non so se confirmar mi debbia
per non parere un aüttor da nebbia.

7.
Rinaldo intanto ha confortato Carlo
e tutta insieme a un grido la corte
che il traditor si dovessi straziarlo
e pensa ognun della più crudel morte:
a molti par che si debba squartarlo;
altri dicea di tormento più forte
e ruote e croce e con ogni vergogna
e mitera e berlina e scopa e gogna.

8.

E dopo molto disputarfu Gano
menato in sala con gran grido e tuono
incatenato come un cane alano
e tanti farisei dintorno sono
che pensan solo ognun d'averne un brano;
e mentre e' volea pur chieder perdono
e crede ancor forse Carlo gli creda
Rinaldo il dètte a quella turba in preda.

9.
Carlo si stette a veder questa caccia:
e come in mezzo la volpe è de' cani
ognun fa la sua presaognuno straccia:
chi lo mordeachi gli storce le mani
e chi per dilegion gli sputa in faccia
chi gli dà certi sergozzoni strani
chi per la gola alle volte lo ciuffa
tanto che il cacio gli saprà di muffa;

10.
chi con la manchi col piè lo percuote
chi fruga e chi sospigne e chi punzecchia
chi gli ha con l'unghie scarnate le gote
chi gli avea tutte mangiate l'orecchia
chi lo 'ntronava e grida quanto e' puote
chi il carro intanto col fuoco apparecchia
chi gli avea tratto con le dita gli occhi
chi il volea scorticar come i ranocchi.

11.
E come e' fu sopra il carro il ribaldo
il popol grida intorno: - Muoiamuoia! -
Intanto il ferro apparecchiato è caldo:
non domandar come e' lo concia il boia
che non resta di carne un dito saldo
ché tutte son ricamate le cuoia:
sì ch'egli era alle man di buon maestro
perché e' facea molto l'uficio destro.

12.
Egli aveva il capresto d'oro al collo
e la corona de' ribaldi in testa.
Rinaldo ancor non si chiama satollo
e 'l popol rugghia con molta tempesta
e chi gittava la gatta e chi il pollo
ed ogni volta lo imberciava a sesta:
non si dipigne Lucifer più brutto
dal capo a' pie'come e' pareva tutto.

13.
Fece quel carro la cerca maggiore;
e chi si cava pattìnchi pianelle
per vedere straziare il traditore
sì che di can non si strazia più pelle:
tanto tumultostrepito e romore
che rimbombava insin sopra le stelle
- Crucifigge! - gridando - crucifigge! -
E 'l manigoldo tuttavia trafigge.

14.
E poi che il carro al palazzo è tornato
Carlo ordinato avea quattro cavagli;
e come a questi il ribaldo è legato
cominciano i fanciugli a scudisciàgli
tanto che l'hanno alla fine squartato.
Poi fe' Rinaldo que' quarti gittàgli
per boschi e bricche e per balze e per macchie
a' lupia' cania' corvialle cornacchie.

15.
Cotal fine ebbe il maladetto Gano
ché lo etterno giudicio è sempre appresso
quando tu credi che sia ben lontano.
Or forse tulettordirai adesso
come e' gli abbi creduto Carlo Mano.
Io ti rispondo: era così permesso;
era nato costui per ingannarlo
e convenia che gli credessi Carlo.

16.
Nota che Carlo Magno era uom divino
e lungo tempo avea tenuto seco
un dotto anticochiamato Alcuïno
ed apparò da lui latino e greco
ed ordinò lo Studio parigino;
or par che sia dello intelletto cieco;
onde alcun aüttor come prudente
di Ganellon non iscrive nïente.

17.
Ed io meco medesimo disputo
quand'io ho ben raccolta la sua vita
come egli abbi un error tanto tenuto.
Ma la natura divina è tradita
e non ha sanza misterio voluto
ché la sua sapïenzia è infinita:
credo che Iddio a buon fine permette
l'opere santee così maladette:

18.

però che Carlo per esperïenzia
dovea molto saperperché ne' vecchi
accadee non in giovaneprudenzia
poi ch'ella è figurata con tre specchi;
avea buon naturalbuona scïenzia;
e come il traditor gli era agli orecchi
e' gli credeva ogni cosa a sua posta:
sì ch'io non fermo ancor la mia risposta.

19.
Molte volteanzi spessoc'interviene
che tu t'arrechi un amico a fratello
e ciò che fa ti par ch'e' facci bene
dipinto e colorito col pennello:
questo primo legame tanto tiene
ches'altra volta ti dispiace quello
e qualche cosa ti farà molesta
sempre la prima impressïon pur resta.

20.
Avea già lungo tempo Carlo Magno
tenuto in corte sua Gan di Maganza;
ed oltre a questo vi vedea guadagno
però che Gano avea molta possanza
e qualche volta gli fu buon compagno;
e perché molto può l'antica usanza
l'abito fatto d'uno in altro errore
facea che Carlo gli portava amore.

21.
Altri direbbe: "Dimmi ancora un poco:
Gan sapea pur ch'egli aveva tradito
e che e' doveva alfine ardere il foco:
come e' non s'era di corte partito
acciò che rïuscissi netto il giuoco
sendo tanto mascagno e scalterito?".
Credo ch'io l'abbi in altro cantar detto
ch'ogni cosa si fa per un despetto.

22.
Quando Ulivier percosse il viso a Gano
io dissi allor come e' si pose in core
di vendicarsiché gli parve strano
sendo pur per natura traditore.
Ricòrdatilettordel Lampognano
e non cercar d'altro antico aüttore
e sempre tien' la paura in corazza
ché il disperato alfin mena la mazza.

23.
Forse che Gano ancora avea speranza
di ricoprir con Carlo il tradimento;
ed avea tanta gente di Maganza
checome il conte Orlando fussi spento
si confidava nella sua possanza
di poter le bandiere alzare al vento
col favor di Marsilio e con la lancia
e coronarsi del regno di Francia.

24.
Or lasciàn questo traditor pe' boschi
com'io dissipe' balzi e per le fosse
perch'io son pien di molti pensier foschi:
non c'è il nocchier che la mia barca mosse
e bisogna che terra io ricognoschi
come se quella in alto mare or fosse
e rilevare il porto per aguglia
perché la sonda alle volte ingarbuglia.

25.
Morto è Turpino e seppellito e pianto
tanto ch'io temo nella prima vista
di non uscir fuor del cammino alquanto
ché mi bisogna scambiar timonista
e nuova cetra s'apparecchia e canto;
ma perché volteggiando pur s'acquista
forse che in porto condurrem la nave
di ricche merce ponderosa e grave:

26.
sì ch'io ricorro al mio famoso Arnaldo
che m'accompagni insino al fine e scorga
tanto ch'io ponga in quïete Rinaldo
e la sua destra mano al timon porga:
chepoi che Gano ha squartato il ribaldo
d'un zucchero candito è pieno in gorga
e riforbito s'ha gli artigli e 'l becco
e tratto fuor della mente lo stecco.

27.
E perché egli ama ancor pur Lucïana
con molta gente la mandò a Parigi
perch'ella era nipote a Gallerana;
e battezzossi drento a San Dionigi
ed accordossi alla fede cristiana;
e tanto piacque al gentile Ansuïgi
perché pure era ancor giovane e bella
che finalmente disponsata ha quella.

28.

E Ricciardetto con lei fu mandato
per piacere a Rinaldoin compagnia;
e 'l padiglion ch'ella aveva donato
Rinaldo volle renduto gli sia
per ristorarla del tempo passato
e rendé cortesia per cortesia;
e sempre il tenne poi sopra il suo letto;
e basti questo a lei e Ricciardetto.

29.
Rinaldo a Carlo Magno un giorno disse
come e' voleva di corte partire
e cercar tutto il mondo come Ulisse.
Carlo di duol si credette morire;
ma finalmente poi lo benedisse
e non poteron nessun contraddire
chepoi che vendicato aveva Orlando
volea pel mondo andar peregrinando.

30.
Gran pianto fece la corte di Carlo;
Carlo gli parve rimaner sì solo
che non poté mai più dimenticarlo:
credo che questo fu l'ultimo duolo;
e non voleva sentir ricordarlo
come fa il padre che perde il figliuolo;
e tutta Francia ne fe' gran lamento
poi ch'un tanto campion nel mondo è spento.

31.
E credo in verità che così sia:
perché pur molte cose ho di lui scritto
e per virtù della sua gagliardia
e' par ch'io sia come costor già afflitto;
e come peregrin rimaso in via
che va pur sempre al suo cammin diritto
col pensiercon la mente e col cervello
così vo io pur seguitando quello.

32.
E s'io credessi di piacere ancora
alla patriaa color che leggeranno
come avvien chi per fama s'innamora
io piglierei di questa istoria affanno
però che al tutto chi ne scrive ignora;
ma se mie rime facultate aranno
forse che il mondo ancor leggerà questo
fin che l'ultimo dì fia manifesto.

33.
Ma l'aüttor disopra ov'io mi specchio
parmi che credae forse crede il vero
chebenché e' fusse Rinaldo già vecchio
avea l'animo ancor robusto e fero
e quel suon d'Astarotte nello orecchio
come disotto in quell'altro emispero
erano e guerre e monarchie e regni
e che e' passassi alfin d'Ercule i segni.

34.
E perché ancor di lui quell'angel disse:
- Ogni cosa esser puòquando Iddio vuole -
acciò che quelle gente convertisse
ch'adoravan pianeti e vane fole
e se ancor vivo un giorno e' rïuscisse
dall'altra parte ove si lieva il sole
come molti miracoli si vede
qual maraviglia? Chi più samen crede.

35.
Non si dice egli ancor del Vangelista?
benché ciò comparar par forse scelo.
Ma dove il punto o il misterio consista
sallo Colui che fece il mondo e 'l cielo:
questa nostra mortal caduca vista
fasciata è sempre d'un oscuro velo
e spesso il vero scambia alla menzogna;
poi si risveglia come fa chi sogna.

36.
E del Daneseche ancor vivo sia
perché tutto può far Chi fe' natura
dicono alcunma non la istoria mia
e che si truova in certa grotta oscura
e spesso armato a caval par che stia
sì chechi il vedegli mette paura:
non so s'è vera oppinïone o vana;
e così della spada Durlindana

37.
e come Carlo la gittò nel mare
e il dì della battaglia dolorosa
si vede sopra l'acqua galleggiare
e mostrasi ancor tutta sanguinosa
e s'alcun va per volerla pigliare
sùbito sotto si torna nascosa:
tutto esser puòma come caso nuovo
con la mia penna non l'affermo o pruovo.

38.

Credo che al tempo di que' paladini
perché la fede amplïasse di Cristo
sendo molto potenti i saracini
molte cose a buon fin permisse Cristo;
ché se non fussi stato a' lor confini
Carlo a pugnar per la fede di Cristo
forse saremo ognun maümettisti:
ergoCarolein tempore venisti.

39.
Parmi Carlo e Domenico e Francesco
abbin tanto operato per la fede
con le dottrine e col valor francesco
ch'io dirò forse che per lor si crede:
ché il popol de' cristiani stava fresco;
se non che Iddio a' buon servi concede
perché ogni cosa è da lui preveduto
sempre al tempo opportun debito aiuto.

40.
Io mi confido ancor molto qui a Dante
che non sanza cagion nel Ciel sù misse
Carlo ed Orlando in quelle croce sante
ché come diligente intese e scrisse;
e così incolpo il secolo ignorante
che mentre il nostro Carlo al mondo visse
non ebbe un Livioun Crispoun Iustin seco
o famoso scrittor latino o greco.

41.
Ma perch'io dissi altra volta di questo
quando al principio cominciai la istoria
forse tacereuditorfia onesto:
poi ch'io ho collocato in tanta gloria
Carlo ed Orlandoor bastisia per resto
perché e' non paia vanitate o boria
a giudicar de' segreti di sopra
quel che meriti ognun secondo l'opra.

42.
Sempre i giusti son primi i lacerati:
io non vo' ragionar più della fede
ch'io me ne vo poi in bocca a questi frati
dove vanno anche spesso le lamprede
e certi scioperon pinzocorati
rapportano: - Il tal disseil tal non crede -
donde tanto romor par che ci sia
se "in principio era buio e buio fia".

43.
In principio creò la terra e il cielo
Colui che tutto fe' qual sapïente
e le tenebre al sol facevon velo;
non so quel ch'e' si fia poi finalmente
nella revoluzion del grande stelo:
basta che tutto giudica la Mente;
e se pur vane cose un tempo scrissi
contra hypocritas tantumpaterdissi.

44.
Non in pergamo adunquenon in panca
reprendi il peccatorma quando siedi
nella tua camerettase e' pur manca;
salite colassù col piombo a' piedi:
la fede mia come la tua è bianca
e farotti vantaggio anche due Credi;
predicate e spianate lo Evangelio
con la dottrina del vostro Aürelio;

45.
e s'alcun susurrone è che v'imbocchi
palpate come Tommavi ricordo
e giudicate alle mannon agli occhi
come dice la favola del tordo.
E non sia ignun più ardito che mi tocchi
ch'io toccherò poi forse un monacordo
ch'io troverrò la solfa e' suoi vestigi:
io dico tanto a' neri quanto a' bigi.

46.
Vostri argumenti e vostri sillogismi
tanti maestritanti bacalari
non faranno con loïca o soffismi
ch'alfin sien dolci i miei lupini amari;
e non si cercherà de' barbarismi
ch'io troverrò ben testi che fien chiari:
per carità per sempre vi sia detto;
e non si dirà poi più del sonetto.

47.
Io mi parti' da San Gianni di Porto
dov'io lasciai il mio Carlo mal contento;
orperché il fine è di venire a porto
sempre d'ognun che si commette al vento
noi penserem qualche tragetto corto
però che un'ora omai parrebbe cento:
tanto la voglia è in sé più desïosa
quanto più presso al fine è ogni cosa.

48.

Carlopoi ch'ebbe Ganellon punito
e rimesso un dïavolo in inferno
che l'ha più tempo tentato e tradito
fe' come sempre i sapïenti ferno
che d'ogni cosa pigliar san partito;
e redusse la corte e 'l suo governo
in Aquisgranaove alcun tempo visse
e molte guerre fe' pria che morisse.

49.
Ma perché morte a nessun mai perdona
non riguardando a tanto imperatore
poi ch'egli ebbe tenuta la corona
quaranzette anni con supremo onore
l'anima sua il secolo abbandona
e ritornossi a quel lieto Fattore
che si ricorda ristorare in Cielo
i giusti e' buoncome dice il Vangelo.

50.
E benché tante cose ha fatte prima
che non iscrisse Ormanno né Turpino
riserberem con altra cetra e rima
a cantar le sue laude ad Alcuïno
che canterà le cose di più stima
dell'infanzia tacendo e di Pipino
come solevan ne' tempi discreti
cantar le laude de' morti i poeti.

51.
Furon molto le essequie celebrate
e tutto il mondo quasi in veste negra
massime tutta la Cristianitate
e Francia poi non si vide più allegra.
Orperché molte cose ho pur lasciate
acciò che io dica la sua istoria integra
tanto che e' sia anche il dotto satollo
convien ch'io invochi a questa volta Apollo.

52.
E per Delo e per Delfo e pel tuo Cinto
ti priego che tu temperi la lira
per la tua bella Danne e per Iacinto;
e quel furor che sentì già respira
Ismaro e CirraPindo ed Arachinto:
tanto che quel temerario Tamira
e Marsia invidia abbia alla cetra nostra
mentre che Carlo ancor vivo si mostra.

53.
In Aquisgrana un certo citarista
era in quel tempoLattanzio appellato
molto gentilmolto famoso artista:
per la qual cosa in alto fu montato
raccolto molte cose a una lista
della vita di Carlo ammaestrato;
e innanzi ad Alcuïn cantando disse
ciò che Turpino ed Ormanno già scrisse.

54.
E cominciossi a Carlo giovinetto:
come giàsendo del regno cacciato
morto Pipino il padrepoveretto
con un pastore ha l'abito scambiato;
e come e' fu chiamato il Maïnetto
in corte ove Galafro l'ha accettato;
e come e' fussi a lui menato e quando
da un suo balio chiamato Morando;

55.
e come Galleranainnamorata
dopo alcun tempo a lui si fece sposa
e come in Francia l'aveva menata;
poi dimostrò la sua virtù nascosa
quando egli ebbe la patria racquistata
e la corona in testa glorïosa:
perché Pipinoil suo padrefu morto
da Oldorigi a tradimentoa torto;

56.
e comeessendo in Italia venuto
con molta gente il mar passò Agolante
per un buffone al quale ebbe creduto;
e disse le battaglie tutte quante
e comeCarlo d'Almonte abbattuto
Orlandoche ancora era un picciol fante
uccise finalmente questo Almonte
con un troncon di lancia a una fonte.

57.
E di Gerardo e Don Buoso e Don Chiaro
di Risa e di Riccier tutto cantossi;
e comepoi che in Francia ritornaro
perché più volte Spagna ribellossi
l'ultima volta gli costò amaro;
e come quella guerra cominciossi
e Ferraù come morì in sul ponte
e Lazzera fu presa sopra il monte;

58.

e come poi alla Stella Serpentino
venne fuori a combatter con Orlando
e come morto rimasemeschino;
sì che Carlola impresa seguitando
riprese verso Navarra il cammino
a Pampalona alla fine arrivando;
e della lunga e dispietata guerra
mentre che tenne assediata la terra;

59.
e come Orlando sdegnato è partito
e capitò nella Mec al Soldano
e come Machidante è alfin fuggito
e Sansonetto si fe' poi cristiano;
e inverso Gerosolima fu ito
e racquistò il Sepulcro con sua mano
e ricognobbe Ugon german fratello
e Sansonetto ne menòe e quello;

60.
e ritornato a Carlo a Pampalona
dove a campo era stato già molti anni
intese che Maccario la corona
e la sua sposa togliea con inganni
e bisognava Carlo ire in persona
a racquistare i suoi reali scanni;
e Malachel lo portò finalmente
dove Maccario poi restò dolente.

61.
Cosìripresa la sua signoria
a Pampalona tornò come un vento;
e come Desiderio di Pavia
prese la terra con iscaltrimento
e poi mandò a Marsilio imbasceria
ove Chiron fu morto a tradimento;
e come Carlo con tutta sua setta
contra Marsilio giurò far vendetta;

62.
e finalmente si trattòe la pace;
e come Ganellon fu poi mandato
a Siragozzail traditor fallace
e come il tradimento ha ordinato
e come Iddio mostrò che gli dispiace;
e intanto Carlo a San Gianni è arrivato;
e come in Runcisvalle Orlando è giunto
e la battagliacom'io dissi appunto.

63.
E ciò che addrieto nel Morgante è scritto
ogni cosa Lattanzio in alto disse;
e come tutta la Persia e lo Egitto
alla fede di Cristo pervenisse:
e bisognòe qui andar pel segno ritto
(non so se troppa mazza altrove misse)
ché l'aüttor che Morgante compose
non direbbe bugie tra queste cose.

64.
E del Danesee come e' fu cristiano
e del caval chiamato Duraforte;
e che in prigione il tenne Carlo Mano
quando quel dètte a Carlotto la morte
insin che venne quel Bravieri strano
che abbatté tutti i paladin di corte;
e come e' fu della Marca signore
ogni cosa dicea quel cantatore;

65.
e come poi Rinaldo giovinetto
con tre frategli a Carlo fu mandato
che fu GuicciardoAlardo e Ricciardetto
e come Carlo l'aveva accettato;
e perché spesso gli facea despetto
più volte l'ebbe di corte scacciato;
e come e' fe' per arte Malagigi
Montalban fare a quegli angeli bigi.

66.
E disse finalmente tante cose
che fece tutto il popolo stupire
insin che pur la cetera giù pose
e non poté di Carlo tanto dire
quanto l'opere sue son più famose.
Or pur la istoria ci convien finire
ché Alcuïnpoi che Lattanzio ha detto
la cetra ha in puntoe 'l piè già in sul palchetto.

67.
Era il popol di lacrime confuso
tanto a ciascun del suo signore increbbe
e veramente a questa volta io scuso
ognun che piange quel che pianger debbe;
quando Alcuïnsecondo l'antico uso
salito in altopoi che guardato ebbe
la gente afflitta e lamentabil tanto
la cetra accommodò col flebil canto;

68.

e molto commendò colui che ha detto
Lattanzioe disse nello essordio prima:
- Io son fra molti dicitore eletto
e me' di me ognun sa dire in rima:
peròs'io commettessi alcun defetto
populo mioper discrezion istima
che come Filomena a cantar vegno
materia ove e' non basta uman ingegno.

69.
Io canterò del magno imperatore
la vitae piangerò con voi la morte:
perché pure era mio padre e signore
e tanto tempo m'ha nutrito in Corte
dove il pan de' sospiri e del dolore
convien ch'io mangi ortanto duro e forte;
ma perch'io sono alla vita obligato
non voglio anche alla morte esser ingrato.

70.
Pipinoil padre suo famoso e degno
tenne prima lo scettro e il nome regio
e governò per quindici anni il regno:
però che al gran prefetto del collegio
dinanzi a lui bastava il nome e 'l segno;
ma la corona e 'l real seggio e 'l fregio
tenne Pipincome di sopra è detto
che per successïone era prefetto.

71.
Morto Pipindopo il quindecimo anno
dalla sua promozionrimase Carlo
Carlo Magno appellatoe Carlomanno
un suo fratel; ma del signor mio parlo
ché come il regno insieme partito hanno
opera mia non è di raccontarlo:
io dirò tanto della sua eccellenzia
quant'io ebbi oculata esperïenzia.

72.
La prima guerra fu con gli Aquitani. -
Notalettorche l'Aquitania è Ghienna
acciò che i versi alcuna volta io spiani
dov'io vedrò la discrezione accenna.
- Pipin v'avea prima messo le mani
come scritto fu già con altra penna;
Carlo v'andò fino a guerra finita
e riportonne la palma fiorita.

73.
E so che replicar non mi bisogna
cose tanto propinque alla memoria
e come Unuldo si fuggì in Guascogna
e come doppia fu questa vittoria
da poi ch'egli ebbe il suo nimico in gogna:
però che Lupoper maggior sua gloria
il duca di Guascognafu prudente
e dètte Unuldo e sé liberamente.

74.
E perché intanto il bel paese Esperio
occupava il furor de' Longobardi
sotto l'insegne del re Desiderio
uomini incultiferoci e gagliardi
sì che quel tenne di Italia lo imperio
ventiquattro anni sotto i suoi stendardi
non si poteva alla fine cacciarlo
se non giugneva il soccorso di Carlo.

75.
Era venuto di verso Occeàno
questo popolo indomitochiamato
da Narsete eünuco capitano:
onde il sommo pontefice oppressato
ch'era in quel tempo il famoso Adrïano
a Carlo imbasciatore ebbe mandato
che dovessi in Italia venir quello
come Pipin già fece e 'l suo Martello.

76.
Carlomosso da' prieghi santi e giusti
partì di Francia co' suoi paladini
e bisognòe passar per luoghi angusti
onde Anibal passò co' suoi Barchini
perché e' tenean que' populi robusti
i passi e' gioghi degli alti Apennini;
ma passi o sbarre non valsono o ponti
ché finalmente e' trapassò que' monti.

77.
E mandò prima imbasciadori a quelli
là dove Desiderio era attendato:
che dovessin partir co' lor drappelli
e come egli era in Italia chiamato
per discacciar della Chiesa i rebelli;
che si ricordin pel tempo passato
come altra volta con ispada e lancia
provato avevan le forze di Francia.

78.

E finalmente alla battaglia venne
dove il pian vercellese par che sia:
il perché Desiderio non sostenne
e fu constretto fuggirsi in Pavia
dove Carlo assediato un tempo il tenne;
e intanto andò con la sua compagnia
poi ch'egli avea la sua superbia doma
a vicitare il pontefice a Roma.

79.
Grande onor fece il sommo padre santo
a Carlolieto del suo avvenimento;
restituïte le sue terre intanto
ed aggiunto Spoleti e Benevento
e così in Roma dimorato alquanto
per che molto Adrïan ne fu contento
e satisfatto alla sua devozione
si dipartì con gran benedizione.

80.
E perché Desiderio avea lasciato
com'io dissiassediato in la sua terra
come fùlgore indrieto ritornato
tanto lo strinse finalmente e serra
che bisognò che si fussi accordato:
e così fu terminata la guerra
e riportonne il trïunfo e le spoglie
e in Francia lui co' figliuoli e la moglie.

81.
Così la bella Italia liberata
che da' Goti e da' Vandali prima era
e dagli Unni e dagli Eruli occupata
gente bestialmolto crudele e fera
e la Chiesa di Dio restaürata
si ritornò con la santa bandiera;
e per più gloria de' famosi gigli
seco menò di Carlomanno i figli.

82.
Io lascio molte cose egregie e degne
ch'io non posso seguir con la memoria
ein ogni parte ove furle sue insegne
accompagnar d'una in altra vittoria;
ma se morte anzi tempo non ispegne
il vero lume a mostrar questa istoria
con altro stilcon altra cetra e verso
sarà ancor chiara a tutto l'universo.

83.
Orcome avvien che il generoso core
cose magne ricerca insin se sogna
così intervien che il nostro imperatore
poi ch'egli ebbe Aquitania e la Guascogna
e liberata la Chiesa e 'l Pastore
percosse nella eretica Sansogna
ch'era più ch'altra regïone allotta
dal culto falso de' demòn corrotta.

84.
Questa guerra fu più laborïosa
che alcuna altraper gli uomini strani
a cui molto la nostra fede esosa
eraingannati dagli idoli vani
gente crudele e molto bellicosa
che dannava ogni legge de' cristiani:
Carlo n'andò collo essercito a furia
per vendicar del suo Cristo la ingiuria;

85.
sì che più voltealla fede redutti
si ritornoron nello antico errore
poi che gl'idoli van furon distrutti
per la virtù del nostro imperatore;
pure alla finebattezzati tutti
ricognobbono il vero Redentore
e l'idolatria loro essere inganni:
e così combattêr trentatré anni.

86.
Carlo poi per istatici domanda
diecimila di lorcome prudente
ed ordinò che per tutto si spanda
pe' paesi di Francia quella gente
e pe' liti di Ilanda e di Silanda:
così la lor perfidia finalmente
diradicata come falsa legge
aggiunse nuova torma alla sua gregge.

87.
protettor del buon Cefas in terra
o defensor delle cristiane squadre
o santa spada a gastigar chi erra
o Moïsè del popol di Dio padre
o Papirio Cursor famoso in guerra
o Scipio amico all'opere leggiadre
o fido specchio ove ogni ben s'è mostro
o famao pregioo gloria al secol nostro!

88.

Era in quel tempo medesimo Spagna
d'altra prava eresia più maculata
quando l'alta Corona tanto magna
apparecchiò lo essercito e l'armata
e passa i fiumi e' colli e la montagna
con la santa bandiera dal Ciel data
e fa tremare ogni litoogni terra
come in Ispagna è vulgata la guerra.

89.
Furono adunque in su' campi alle mani
Carlo e sua genteonde la fama suona;
ma non resson le forze degli Ispani.
Restava Augusta solo e Pampalona
a redurre alla fede de' cristiani:
il perché il magno re v'andò in persona
e finalmentedopo lungo tedio
le conquistò con forza e con assedio.

90.
E poi che Pampalona fu acquistata
dopo molte battaglie e molti omèi
e che tutta la Spagna è battezzata
e Macon rinnegato e i falsi iddei
Carlotornando con la sua brigata
poi che i salti rivide Pirenei
non sanza danno dell'altrui vergogna
nelle insidie percosse di Guascogna.

91.
Quivi fu la battaglia sanguinosa
dove Anselmo morì col suo nipote
in Runcisvalle ancor tanto famosa;
ma tutte queste cose vi son note
che non fu la vittoria glorïosa
però che il tradimento tutto puote;
e perché Carlo il tempo e 'l modo aspetta
come sapetefe' crudel vendetta.

92.
Così furon l'inganni de' Guasconi
punitie prima battezzata Spagna.
E seguitò la guerra de' Brettóni;
e poi che fu ancor doma la Brettagna
rivolse verso Italia i gonfaloni
perché Roma d'Araïso si lagna
il qual di Benevento era signore
e minacciava la Chiesa e 'l Pastore.

93.
Carlogiunto in Italiacome io dico
redusse alle sue voglie il folle duce
sì che quel fece al pontefice amico
e molti in Francia statici conduce.
O quante cose magne io non replìco!
chécome il sole in ogni parte luce
a conseguir famose opere e degne
in ogni luogo apparîr le sue insegne;

94.
sì chepiù volte di Roma lo imperio
restaürato come il buon Camillo
tornato in Franciail gran duca baverio
apparecchiato sua genteTassillo
recordato del suocer Desiderio
congiurato con gli Unni a un vessillo
come mal consigliato dalla moglie
cercando andò le sue future doglie.

95.
Lo imperatorche apparato già era
non aspettò del nimico la insegna
ma féssi incontra a lui con sua bandiera
insino al fiume che divide e segna
la Magna e le provincie di Baviera;
e bisognòe che alfin Tassillo vegna
a consentir ciò che Carlo gli chiede
e giurar servitùtributo e fede.

96.
I Velatabi intanto gli Abroditi
molestavanqual suoi confederati;
ma poi che il nostro re gli ebbe puniti
in questo tempo gli Ungher congregati
populi detti per l'addrieto Sciti
gente dapprima in Pannonia arrivati
dalle estreme provincie della terra
apparecchiavan contra Carlo guerra.

97.
Questa guerra durò circa otto anni;
ma Carlo alfinsuperati costoro
non sanza grande occisïone e danni
ne riportò le ricchezze e 'l tesoro
ch'egli avevon con forza e con inganni
in molte parte predato già loro
in Francia bella con vittoria e fama:
sì che la gloria fiorì in ogni rama.

98.

E poi che la gran guerra d'Ungheria
sedata furidotta sotto il giglio
di Francia e la Boemia e Normandia
abbattuta da Carlo primo figlio
mandò papa Leone imbasceria
perch'egli era constretto e in gran periglio
cacciato di sua sedein Francia a Carlo
che dovessi tornare a liberarlo.

99.
Così la terza volta ritornato
Carlo in Italiail pontefice santo
restituì dond'egli era cacciato
nella sua sedecol papale ammanto.
Per che il sommo Pastornon sendo ingrato
recordato del suo precessor tanto
quanto di sébenemerito e giusto
gli aggiunse al titol regio il nome agusto.

100.
Dunque Carlo fu Magno e imperatore
di tutto l'universo e re di Roma
ed aggiunse al suo segnoper più onore
il grande uccel che di Giove si noma.
E licenziato dal santo Pastore
poi ch'egli aveva ogni arroganza doma
nel suo tornarper più magnificenzia
rifece e rinnovòe l'alma Florenzia

101.
e templi edificò per sua memoria
e dètte a quella doni e privilegi;
e ritornò con gran trïunfo e gloria
in Franciail nostro re degli altri regi.
E non è questa l'ultima vittoria
onde più splenda la corona e' fregi:
tante altre cose ha fatto il signor nostro
che manca il suonla voce e carta e inchiostro.

102.
Io non posso piangendo cantar versi
tanto contrario è l'uno all'altro effetto;
e pur convien che il cor lacrime versi
quando quell'è da giusto duol constretto.
Per tanti tempi e paesi diversi
ha fatto Carlo più che io non ho detto
per la fede di Cristo e pel Vangelo:
ma tutto è scritto e rigistrato in Cielo.

103.
Quivi i meriti suoi saranno tutti;
quivi tutto vedrà nel santo volto;
quivi corrà del suo ben fare i frutti;
quivi sarà dal buon Gesù suo accolto;
quivi in canti fia sempre sanza lutti;
quivi il seggio regal mai sarà tolto;
quivi il pan gusterà che sempre piace;
quivi impetri per noi della sua pace. -

104.
Volea più oltre dir certo Alcuïno
e dello acquisto del Sepulcro santo
e come egli andò in Grecia a Gostantino;
ma non potéché le lacrime e 'l pianto
del popolche piangea così meschino
occupavan la cetera col canto;
e forse il braccio stanco era e l'archetto:
per la qual cosa sceso è del palchetto.

105.
E come e' fu quel sapïente sceso
il popol ch'era prima stato attento
un pianto seguitòe molto disteso
come foco talvolta pare spento
e sanza fiamma si conserva acceso
poi si dimostra o per esca o per vento:
così intervenne dopo il dolce canto
che tutto il popol rinnovòe il pianto.

106.
Quivi eran le pulzelle scapigliate;
quivi avean le matrone il peplo in testa;
quivi piangeva tutta la cittate;
quivi si straccia ognun l'oscura vesta;
quivi son l'alte cose replicate;
quivi si loda la sua vita onesta;
quivi si batte alcun le palme intanto;
quivi si grida: - Santosantosanto! -

107.
fortunatoo ben vissuto vecchio!
O felice quel giusto ch'ognuno ama!
O chiaro essemplo di ben fare e specchio!
O sanza invidia glorïosa fama!
O Cieltu porgi a' suoi merti l'orecchio!
O popol che il signor suo morto chiama!
O buon pastor chi ben guarda sua gregge!
O tanto requanto ei ben guida e regge!

108.

In Aquisgrana la chiesa maggiore
nella Virgine santa titolata
dallo eccelso e felice imperatore
era suta già prima edificata:
quivi meritamente a grande onore
fu la sua sepultura collocata
e sopra a questa aggiunto un arco d'oro
nella santa basilica del coro.

109.
E perché il mondo ancor possi ritrarlo
il popol verso lui fu clementissimo
e nel sepulcro suo fece scultarlo;
e lo epitafio diceva brevissimo:
Il corpo iace qui del magno Carlo
imperator de' Roman cristianissimo:
ma molto importain sì breve idïoma
cristianissimoe "Carlo" e "re di Roma".

110.
L'anno ottocentoquindici correa
dalla salute della Incarnazione;
Carlo settantadue finiti avea
e quaranzette dalla promozione
de' quali ultimi quindici tenea
con la corona da papa Leone
nel vigesimoquarto dì spirato
del mese il quale a Gian fu consecrato.

111.
E innanzi alla sua morte segni apparse:
chédove il bel pinnaculo si bilica
fùlgore questo rovinòe e sparse
un portico cascò della basilica
e 'l ponte ch'era appresso a Magonzia arse:
peròchi queste cose ben rivilica
come a Cesare il Ciel fece qui segno
d'altro cesare in terra assai più degno.

112.
Fe' come savio prima testamento:
divise in molte terre il suo tesoro;
lasciò tutti i suoi servi ognun contento
che molte cose partiron fra loro;
e tre tavole ricche d'arïento
tutte intagliateed una di puro oro
condotte e fatte con mirabile arte
distribuìcom'io truovoin tre parte:

113.
la primaove era tutta disegnata
la gran città che Bisanzio si noma
al santo altar di Pietro ha diputata;
e l'altraove era sculta l'alma Roma
volle che fussi a Ravenna mandata.
O gran presenteo riccao degna soma!
O magnanimi donmemoria e segno
che minor non conviensi a tanto uom degno!

114.
La terzafatta con maggior lavoro
dove tutto descritto appare il mondo
e quell'altra ch'io dissitutta d'oro
a Lodovico suo figliuol giocondo
rimaseultimo erede fra costoro
morti Carlo e Pipin primo e secondo:
sì che Luigi era il terzo figliuolo
che succedette alla corona solo.

115.
Orpoi che Carlo è seppellito e morto
e fruisce quel gaudio e quel giubillo
che s'aspetta a ognun che giugne al porto
di sua salute e suo stato tranquillo
a me parrebbe alla istoria far torto
s'io non aggiungo qualche codicillo
acciò ch'ognun che legge benedica
l'ultimo effetto della mia fatica.

116.
Noi possiam per la istoria intender quasi
come all'unico figlio Lodovico
molti regni e paesi son rimasi
per virtù del suo padrecome io dico
per molti tempieffetti e vari casi:
insino al re di Persia è fatto amico
tanto a sé il trasse come calamita
l'opere degne del suo padre in vita;

117.
e la Francia e la Ghienna e la Borgogna
e NavarraAraona con la Spagna
la Fiandra e l'Inghilterra e la Guascogna
la Dazia e la Germania e la Brettagna
e Pannonia e Boemia e la Sansogna
e tante gran provincie della Magna
e l'Istria e la Dalmazia e Lombardia
rimason sotto la sua monarchia.

118.

E veramente dal suo genitore
non è questo figliuol degenerato;
maperch'io serbo altrove a fargli onore
in altro libro o libel cominciato
ritorno al nostro primo imperatore
in alcun luogo che indrieto ho lasciato
de' costumi e de' modi di sua vita
sì che la istoria dir possian finita.

119.
Dicon molti aüttor di sua natura
della sua qualitàs'io ho ben raccolto
ch'egli aveva formosa la statura
largo nel petto e nelle spalle molto
ne' passi grave e nella guardatura
nel parlar graziae maiestà nel volto
la barba lunga e il naso alquanto giusto
l'aspetto degno e tutto in sé venusto;

120.
molto affabilplacabiltutto magno
molto savioverilmolto discreto;
amico o servo o parente o compagno
partia sempre da lui contento e lieto:
non si sentia: "Del mio signor mi lagno";
molto giusto in sua legge e suo decreto;
e perché gli uomin gli piacean modesti
essemplo dava di costumi onesti.

121.
Era al culto divin ceremonioso;
edificava per ogni paese
qualche magno palazzo glorïoso;
fece tanti spedalbadie e chiese
ch'io credo il ver di molte sia nascoso;
come cor generoso all'alte imprese
restaürava e città e castella
come e' fece ancor già Fiorenza bella;

122.
fece in sul Reno il pontecom'io dissi
di cinquecento passi per lunghezza
che mostrò segnoinnanzi ch'e' morissi
come e' cadeva anche ogni gentilezza.
Mostravain ogni caso che avvenissi
prudenzia e temperanza con fortezza:
grazie che Iddio rade volte concede
o per nostra salute o per la fede.

123.
Dilettavasi a caccia andare spesso
sempre l'ozio dannandocome i saggi
sanza temerdagli anni pur defesso
di freddo o luoghi difficilselvaggi;
tanto cheessendo a quel termine presso
dove più oltre ognun convien che caggi
perché non è più la natura forte
sollicitòe per tal cagion la morte.

124.
Pigliava spesso de' bagni diletto:
quivi soleva congregar gli amici
come forse dal luogo era constretto
dove i monti son freddi e le pendici.
O signor giustoo signor benedetto
o quanto furon que' tempi felici!
Non sarà Francia mai sì bella o lieta
o per corso di stelle o di pianeta.

125.
Reputavano i popoli dal Cielo
mandato fussi in terra un tal signore
per caritàper giustizia e per zelo;
e se non fussi spento il vecchio errore
adorato l'arebbon come Belo
per reverenzia e per antico amore:
tanto che alcunoforseauttor non falla
della croce incarnata in su la spalla.

126.
Ammaestrò i figliuoli e le figliuole
d'ogni arte liberald'ogni dottrina;
né bisognava cercare altre scuole
allorche l'accademia parigina.
Voleva appresso tutta la sua prole
se e' cavalcava da sera o mattina.
Talvoltaper fuggir le sue donne ozio
ministravan lanifero negozio.

127.
La madre suach'era Berta chiamata
sempre la tenne con debito onore
acciò che fussi la legge osservata
di Moïsè da quel primo dottore:
era di Grecia di gran sangue nata
figlia di Eraclio degno imperatore.
Or basti una parolauditor mio
ch'ogni cosa ben fa chi teme Iddio.

128.

Dunque giusta la vitaretta e buona
è stata del mio Carlo veramente
e tenuto lo imperio e la corona
come magno signor felicemente.
Ma perché intanto una tuba risuona
in altra partee per tutto si sente
benché la istoria sia degna e famosa
convien che fine pure abbi ogni cosa.

129.
E s'io non ho quanto conviensi a Carlo
satisfatto co' versi e col mio ingegno
io non posso il mio arco più sbarrarlo
tanto ch'io passi il consüeto segno;
e dicone mia colpae ristorarlo
aspetto al tempo del figliuol suo degno
ch'io farò in terra più che semideo
dove sarà Ciriffo Calvaneo.

130.
Io ho condotto in porto la mia barca:
non vo' più tentare ora Abila e Calpe
per che più oltre il mio nocchier non varca
per non trovarsi come spesso talpe
o come quel che entrò nella santa arca
tanto che' monti si scuoprino o l'alpe
pel tempo ancor pur nebuloso e torbo
ed aspettar che ritorni a me il corbo.

131.
Non ch'io pensi star surto sempre fermo
chés'io vorrò passar più là che Ulisse
donna è nel Ciel che mi fia sempre schermo;
ma non pensai che innanzi al fin morisse!
Questa fia la mia stella e 'l mio santo Ermo
e perché prima in alto mar mi misse
come spirto beato tutto vede
ricorderassi ancor della mia fede.

132.
Sare' forse materia accomodata
con la vita di Carlo tanto eletta
la vita di tal donna comparata
Lucrezia Torna-buonaanzi perfetta
nella sedia sua antica rivocata
dalla Virgine etterna benedetta
che riveder la sua devota applaude;
e canta or forse le sue sante laude.

133.
Quivi si legge or della sua Maria
la vitaove il suo libro è sempre aperto
e di Esdramdi Iudit e di Tobia;
quivi si rende giusto premio e merto;
quivi s'intende or l'alta fantasia
a descriver Giovanni nel deserto;
quivi cantano or gli angeli i suoi versi
dove il ver d'ogni cosa può vedersi.

134.
Natura intese far quel ch'ella volle:
una donna famosa al secol nostro
che per se stessa sé dall'altre estolle
tanto che manca ogni pennaogni inchiostro.
Non la cognobbe il mondo cieco e folle
benché il vero valor chiaro fu mostro
come il Signor che colassù la serra:
ché adorata l'arebbe in Cielo e in terra.

135.
Quanti beni ha commessi! A quanto male
ovvïato costei mentre era in vita!
Però con la sua veste nuzïale
l'anima in Cielo a Dio si rimarita
quel dì che il santo messo aperse l'ale
per la sua carità tanto infinita:
sì che ancor prego che lassù m'accetti
tra' servi suoi nel numer degli eletti.

136.
E s'io ho satisfatto al suo desio
basta a me tanto e son di ciò contento:
altro premioaltro onor non domando io
altro piacer che di godermi drento.
E so ch'egli è lassù Morgante mio:
peròs'alcun malivolo qui sento
adatterà il battaglio ancor dal Cielo
in qualche modoa scardassargli il pelo.

137.
Portin certi uccellacci un sasso in bocca
come quelle oche al monte Taüreo
per non gracchiarche poi il falcon le tocca;
ch'io gli farò girar come paleo
ed ho sempre la sferza in su la scocca
perch'io fu'prima ch'e' gigantereo;
non morda ignun chi ha zanne non che denti
dice il proverbio: io non dico altrimenti.

138.

Io non domando grillande d'alloro
di che i Greci e' Latin chieggon corona;
io non chieggo altra pennaaltro stil d'oro
a cantar d'Aganippe e d'Elicona:
io me ne vo pe' boschi puro e soro
con la mia zampognetta che pur suona
e basta a me trovar Tirsi e Dameta;
ch'io non son buon pastornon che poeta;

139.
anzi non son prosuntüoso tanto
quanto quel folle antico citarista
a cui tolse già Apollo il vivo ammanto
né tanto satir quant'io paio in vista.
Altri verrà con altro stile e canto
con miglior cetrae più sovrano artista;
io mi starò tra faggi e tra bifulci
che non disprezzin le muse de' Pulci.

140.
Io me n'andrò con la barchetta mia
quanto l'acqua comporta un piccol legno
e ciò ch'io penso con la fantasia
di piacere a ognuno è il mio disegno:
convien che varie cose al mondo sia
come son varii volti e vario ingegno
e piace all'uno il biancoall'altro il perso
o diverse materie in prosa o in verso.

141.
Forse coloro ancor che leggeranno
di questa tanto piccola favilla
la mente con poca esca accenderanno
de' monti o di Parnaso o di Sibilla;
e de' miei fior come ape piglieranno
i dottis'alcun dolce ne distilla;
il resto a molti pur darà diletto
e l'aüttore ancor fia benedetto.

142.
Ben so che spessocome già Morgante
lasciato ho forse troppo andar la mazza;
ma dove sia poi giudice bastante
materia c'è da camera e da piazza;
ed avvien che chi usa con gigante
convien che se n'appicchi qualche sprazza
sì ch'io ho fatto con altro battaglio
a mosca cieca o talvolta a sonaglio.

143.
Non sien dati miei versi a Varo o Tucca:
e' basta il Bellincion che affermi e lodi
che porge come amico e non pilucca.
I' guarderò in sul ghiaccio ir con buon chiodi;
io porterò in su gli omeri la zucca
nell'acquacinta con sicuri nodi;
e farò tanto quanto i savi fanno
di perdonare a color che non sanno.

144.
Ed oltre a questoe' ne verrà il mio Antonio
per cui la nostra cetra è glorïosa
del dolce verso materno aüsonio;
bench'e' si stia là in quella valle ombrosa
che fia del vero lume testimonio.
Ognun so che riprende qualche cosa;
ma io non so s'e' si son corvi o cigni
i detrattorio spiriti maligni.

145.
Pertantoio non aspetto il baldacchino
non aspetto co' pifferi l'ombrello
non traggo fuori i nomi col verzino
com'io veggo talvolta ogni libello:
quand'io sarò con quel mio serafino
io gli trarrò fuor forse col cervello
perché questo Agnol vi porrà la mano
nato per gloria di Montepulciano.

146.
Questo è quel divo e quel famoso Alceo
a cui sol si consente il plettro d'oro
che non invidia Anfïone o Museo
ma stassi all'ombra d'un famoso alloro
e i monti sforza come il tracio Orfeo
e sempre intorno ha di Parnaso il coro
e l'acque ferma e i sassi muove e glebe
ed a sua posta può richiuder Tebe.

147.
Io seguirò la sua famosa lira
tanto dolcesoavearmonizzante
che come calamita a sé mi tira
tanto che insieme troverren Pallante;
per chesendo ambo messi in una pira
segni farà del nostro amor constante
d'una morteun sepulcroun epigramma
per qualche effettol'una e l'altra fiamma.

148.
Noi ce n'andrem per le famose rive
d'Eürote e pe' gioghi là di Cinto
dove le muse aüsonie ed argive
gli portan chi narciso e chi iacinto:
io sentirò cose alte e magne e dive
che non sentì mai Pindo o Arachinto;
io condurrò Pallante a Delfi e Delo
poi se n'andrà come Quirino in cielo.

149.
Questo sarà quel Pollïone in Roma
questo sarà quel magno Mecenate
a cui sempre ogni musa è perizoma.
Pertantospirti degnior vi svegliate
perché fiorir farà nostro idïoma
tanto fien le sue opre celebrate:
materia avete innanzi agli occhi degna
che per se stessa sé laudare insegna.

150.
Veggo tutte le Grazie a una a una
veggo tutte le ninfe le più belle
veggo che Palla con lor si rauna
a cantar le sue laude insieme quelle;
e non può contra opporsi la Fortuna
ché il sapïente supera le stelle;
e la grazia del Ciel gran segni mostra
che questo è il vero onor della età nostra.

151.
Surge d'un fresco e prezïoso lauro
certe piante gentilcerti rampolli
che mi par già sentir dall'Indo al Mauro
tante cetreMercurii e tanti Apolli
che certo e' sarà presto il mondo d'auro
ch'era già presso agli ultimi suoi crolli:
tornano i tempi felici che furno
quando e' regnòe quel buon signor Saturno.

152.
Benigni seculche già lieti fêrsi
tornate a modular le nostre lire
ché la mia fantasia non può tenersi
come ruota che mossa ancor vuol ire.
Chi negherebbe a Gallo già mai versi?
Pro repaüca dixi al mio desire.
Or sia qui fine al nostro ultimo canto
con pace e gaudio e col saluto santo.

153.
Salve Reginamadre glorïosa
vita e speranza sì dolce e soave;
a te per colpa della antica sposa
piangendo e sospirando gridiamo "Ave"
in questa valle tanto lacrimosa:
però tu che per noi volgi la chiave
dehvolgi i pietosi occhi al nostro essilio
mostrandociMaria dolceil tuo Filio.

154.
Degnamise 'l mio priego è giusto e degno
ch'io possi te laudarVirgo sacrata;
donami grazia e virtù pronta e ingegno
contra a' nimici tuoinostra avvocata;
e perché in porto hai condotto mio legno
io ti ringrazioVirgine beata:
con la tua grazia cominciai la istoria;
con la tua grazia alfin mi darai gloria.

155.
Con la tua graziaVirgine Maria
conserva la devota alma e verace
mona Lucrezia tuabenigna e pia
con carità perfetta e vera pace;
anzi essaudir puoi ciò che lei desia
ché sempre chiederà quel che a te piace.
sì che lei prego per le sue virtute
che per me impetri grazia di salute.