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FrancescoPetrarca



RIME

SPARSE



DaiTRIONFI

Mortedi Laura


L'oraprima erail dì sesto d'aprile

chegià mi strinseed orlassomi sciolse:

comeFortuna va cangiando stile!

Nessundi servitù già mai si dolse

nédi morte quant'io di libertate

ede la vitache altri non mi tolse.

Dèbitoal mondo e dèbito a l'etate

cacciarme innanzich'ero giunto in prima

néa lui torre ancor sua dignitate

Orqual fusse il dolor qui non si stima

chea pena oso pensarnenon ch'io sia

arditodi parlarne in versi o in rima.

«Virtùmorebellezza e leggiadrìa!»

lebelle donne intorno al casto letto

tristediceano «omai di noi che fìa?

chivedrà mai in donna atto perfetto?

chiudirà il parlar di saver pieno

eil canto pien d'angelico diletto?»

Lospirtoper partir di quel bel seno

contutte sue virtuti in sé romìto

fattoavea in quella parte il ciel sereno.

Nessundegli avversari fu sì ardito

cheapparisse già mai con vista oscura

finche Morte il suo assalto ebbe fornito.

Poiche deposto il pianto e la paura

pural bel volto era ciascuna intenta

perdesperazion fatta sicura

noncome fiamma che per forza è spenta

mache per se medesma si consume

sen'andò in pace l'anima contenta

aguisa d'un soave e chiaro lume

cuinutrimento a poco a poco manca

tenendoal fine il suo caro costume.

Pallidano ma più che neve bianca

chesenza venti in un bel colle fiocchi

parèaposar come persona stanca:

quasiun dolce dormir nei suoi belli occhi

sendolo spirto già da lei diviso

eraquel che morir chiaman gli sciocchi:

mortebella parea nel suo bel viso.



Frammenti

I

(Frammentodi stanzao terzine finali di sonetto)

      Chele sùbite lagrime ch’io vidi
dopo un dolce sospirnel suo bel viso
mi fûr gran pegno del pietoso core:


chiprova intende; e ben ch’altro sia aviso
a te forse ticontenti e ridi
pur chi non piange non sa che sia amore.  
 


II

(Frammentodi canzoneo terzina finale di sonetto)

      Nonso se ciò si fia tardi o per tempo
ché le vedettesono o lunghe o corte
come son meno o più le genti accorte. 


III

(Frammentodi canzone o di ballata)

      Felicestato aver giusto signore
ove ’l ben s’ama e piùlà non s’aspira
ove in pace respira
il corch’attende per virtute onore.
      Nudade’ be’ pensier l’alma digiuna
si stavaenegligente
quando Amor di quest’occhi la percosse
poi chefu desta dal signor valente.  


IV

(Iniziodi canzone in morte di Laurapoi sostituito con i versi “Chedebb’io far “).

      Amorein pianto ogni mio riso è volto
ogni allegrezza indoglia
et è obscurato il sole a gli occhi miei.
ognidolce pensier dal cor m’è tolto
e solo ivi unavoglia
rimasa m’è di finir gli anni rei
e di seguircolei
la qual ormai di qua veder non spero  
 


V



      S’amorvivo è nel mondo
e ne l’amico nostro al qual tuvai
canzontu ’l troverai
mezzo dentro in Fiorenza emezzo fori:
altri non v’è che ’ntenda i mieidolori.  
 

VI

      Occhidolentiaccompagnate il core
piangete omai quanto la vitadura
poi che ’l sol vi si oscura
che lieti vi facea colsuo splendore.
      Poscia che ’llume de’ begli occhi hai spento
Morte spietata e fera
chesolea far serena la mia vita
a qual duol mi reservia qualtormento?  
 

VII



      Amorche ’n pace il tuo regno governi
pon fine a l’aspraguerra ch’io sostegno
sí ch’i’ non pèraper soverchio sdegno etc
. . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . et in fine
a voi servira voi piacerm’ingegno
e quel poco ch’i’ son da voi mi tegno. 
 



Rimedisperse

I

      Quandotalorda giusta ira commosso
de l’usata umiltà purmi disarmo
- dico sola la vistae lei stessa armo
di pocosdegnoché d’assai non posso -
      rattomi giugne una più forte a dosso
per far di mevolgendo gliocchiun marmo
simile a que’ per cui le spalle el’armo
Ercole pose a la gran soma e ’ldosso.
      Allor però cheda le parti estreme
la mia sparsa vertù s’assembla alcore
per consolarloche sospira e geme
      ritornaal volto il suo primo colore;
ond’ella per vergogna siriteme
di provar poi sua forza in un che more.  
 
 

II

Donnami vene spesso ne la mente;
altra donna v’èsempre:
onde io temo si stempre      il core ardente.
      Quella ’lnotrica in amorosa fiamma
con un dolce martir pien dedesire;
questa lo strugie oltra misura e ’nfiamma
tantoch’a doppio è forza che sospire.
Né valperch’io m’adire       etarmi il core
ch’i’ non so come Amore
di che fortemi sdegnolel consente.  
 




III

      Caduteson degli àrbori le foglie
taccion gli uccelli e fuman lefontane
le dimestiche fere e le selvane
giuso hanno postel’amorose voglie;
      el’umido vaporche si raccoglie
nell’ariaattrista ilcieloe dalle sane
menti son fatte le feste lontane
per lastagion acerba ch’or le toglie.
      Néaltrove che ’n me si trova Amore
il qual così mi tenee struge forte
come suol far nel tempo lieto e verde;
      etra ’l ghiaccio e la neve m’arde ’l core
il qualper crudeltà non teme morte
né per girar di ciellagrima perde.  
 




IV

      Ilmar tranquilloproducer la terra
fiori et erbetteel ciel quetogirarsi
gli uccelli più che l’usato allegrarsi
quandofuori Eol Zefiro disserra
      hogià veduto; e se ’l veder non erra
veggio le donnebelle e vaghe farsi
e le bestie ne’ boschi accompagnarsi
epace e triegua farsi d’ogni guerra
      posarsii buoi de le fatiche loro
e bobolchi e pastor sotto alcunaombra
cercare il fresco e riposarsi alquanto.
      Maioche per amor mi discoloro
e cui disio più che speranzaingombra
riposare non posso tanto o quanto.  
 


V

      L’alpestriselve di candide spoglie
vedo spogliarsie li tepidifonti
rinfrescar le sue rivee colli e monti
broli e giardinirivestir di foglie;
      e gliaugelletti seguitar lor voglie
d’amorosi desir che gli hannoponti
donne et amanti ad amarsi far pronti
questa dolcestagion che tutto accoglie.
      Campagnee piagge e selvatiche strade
veggio coperte di fioretti ed’erba
i quai per me si coglion volte rade
      tant’èla vita mia dura et acerba
la qual ad or ad or rilieva ecade
come al ciel piace che così la serba.  
 


VI

      L’aspremontagne e le valli profonde
i folti boschi e l’acqua e ’lghiaccio e ’l vento
l’alpi selvagge e piene dispavento
e de’ fiumi e de’ mar le torbid’onde
      equalunque altra cosa più confonde
il pover peregrinchemal contento
da’ suo’ s’allunganon ch’alcuntormento
mi dessertornand’ioma fûrgioconde;
      tanta dolce speranzami recava
spronato dal desio di rivederti
qual vêr me tilasciaidonnapietosa.
      Oroltr’a quel che iolassostimava
truovo mi sdegnie nonso per quai merti
per che piange nel cor l’almadogliosa:
      e maledico i montil’alpi e ’l mare
che mai non mi lasciaron ritornare. 
 


VII

      Neltempolassode la nottequando
piglian riposo i miserimortali
de le fatiche loro e gli animali
similmente stan tuttiriposando
      io misero mi sentolacrimando
con più pensieri raddoppiarsi i mali
eduolmi più che sian meco immortali
sempre più lietavita più sperando.
      Epur così da l’uno a l’altro sole
credendomifornir l’aspro vïaggio
sen fugge il tempoet io corroa la morte.
      Quanti dolci annilassoperdut’aggio;
quanto desio per infelice sorte.
Equesto è ’l rimembrar che più mi dole.  
 
.

VIII

I’solea spesso ragionar d’amore
e talora cantar del vagoviso
del qual fatto s’avea suo paradiso
come di luogoelettoil mio signore.
      Or èil mio canto rivolto in dolore
e trasmutato in pianto il dolceriso
po’ che per morte da no’ s’è diviso
eterra è divenuto il suo splendore.
      Nésarà mai ch’alla mente io torni
quella immagine bellache conforto
porger solea a ciascun mio disire
      cheio non pianga e maledichi i giorni
che tanto m’hanno inquesta vita scorto
ch’io senta del mio ben fatto martire. 
 




IX

      Och’Amor sia o sia lucida stella
te nel mio meditar formasovente
leggiadra vaga splendida e piacente
qual viva essersolevi e così bella.
      Quivicon teco l’anima favella
ode e rispondee tanta gioiasente
che la gloria del ciel crede nïente
quantunquegrandeper rispetto a quella.
      Macom’ la viva immagine si fugge
e rompesi il pensier che latenea
che ’n terra se’ cener mi ricorda
      tornail dolor che mi consuma e strugge
e prego te che la morte midea
di te seguir: dehnon esser più sorda.  
 


X



      Allorche sotto il Cancro cangiato hanno
le bionde spighe in bianco ilcolor vivo
a’ pastor tempra il gran fervore estivo
o ramoo tetto che spessa ombra fanno;
      ei lontan messaggerche in fretta vanno
rinfrescan da la sete alfreddo rivo
sol per portarne il trïunfale olivo
cheannunzia pace o de’ nemici danno.
      Cosìvostra pietade me difende
signordagli aspri colpi diFortuna
che contr’a’ debil gravi colpi stende.
      Diringraziarvisufficienza alcuna
non ha mia mente; ma se stessarende
piena di fèma di poter digiuna.  
 


XI

      Ionon posso ben direItalia mia
sí mi lega ’l dolor lalingua e ’l pianto
qual è la mia vita amara e tristaquanto
po’ che lontan da te corsi altra via.
      Mase per tempo tornerò in balìa
di me medesmoio pursciverò in canto
la cagion de’ sospiri e di duoltanto
che lagrimarne assai cagion ti fia.
      Duroè servaggio in ogni parte e loco
ma bramo più distar servo a tua ombra
ov’io mi struggo alfine a poco apoco
      che libero fra Galli etaltra gente.
S’a rivederti indugio piùm’ingombra
lafama tua ch’ognor mi sta presente.  




XII

      Quelch’a nostra natura in sé più degno
(di qua dalben per cui l’umana essenza
da gli animali in parte sidistingue)
cioè l’intellettiva conoscenza
mi pareun belloun valoroso sdegno
quando gran fiamma di maliziaestingue.
Ché già non mille adamantine lingue
conle voci d’acciar sonanti e forti
porrìano assailodarquel di ch’io parlo
né io vengo a innalzarlo
madirne alquanto agl’intelleti accorti.
Dico che millemorti
son picciol pregio a tal gioia e sí nova;
sípochi oggi sen trova
ch’i’ credea ben che fosse mortoil seme
et e’ si stava in sé raccoltoinseme.
 
      Tuttopensoso un spirito gentile
pien de lo sdegno ch’io givacercando
si stava ascoso sí celatamente
ch’i’dicea fra me stesso: - Ohïmèquando
avrà maifin quest’aspro tempo e vile?
son di vertù síle faville spente? -
Vedea l’oppressa e miserabilgente
giunt’a l’estremoe non vedea ’lsoccorso
quinci o quindi apparir da qualche parte;
cosíSaturno e Marte
chiuso avea ’l passoond’era tardo ’lcorso
ch’a lo spietato morso
del tirannico dente empio eferoce
(ch’assai più punge e coce
che morte odaltro rio) ponesse ’l freno
e reducesse ’l bel temposereno.
 
      Libertàdolce e desïato bene
mal conosciuto a chi talor nolperde
quanto gradita al buon mondo esser déi!
Da te lavita vien fiorita e verde
per te stato gioioso si mantene
ch’irmi fa somigliante a gli alti dèi
senza te lungamente nonvorrei
ricchezze onori e ciò ch’uom piùdesìa
ma teco ogni tugurio acqueta l’alma.
Ahigrave e crudel salma
che n’avei stanchi per sílungavia!
Come non giunse in pria
chi ti levasse da le nostrespalle?
Sí faticoso è ’l calle
per cui granfama di vertù s’acquista
ch’egli spaventa altruisol de la vista.
 
      CORREGIO FUsí come suona ’l nome
quel che venne sicuroa l’alta impresa
per mar per terra e per poggi e per piani
elà ond’era più erta e più contesa
lastradaa l’importune nostre some
corse e soccorse conaffetti umani
quel magnanimoe poi con le sue mani
pietose a’buoni et a’ nemici invitte
ogni incarco da gli omeri netolse
e soave raccolse
insieme quelle sparse genti afflitte
ale quali interditte
le paterne lor leggi eran per forza
lequali a scorza a scorza
consunte avea l’insazïabilfame
de’ can che fan le pecore lor grame.
 
      Siciliadi tiranni antico nido
vide triste Agatocle acerbo e crudo
evide i dispietati Dïonigi
e quel che fece il crudel fabroignudo
gittare il primo foloroso strido
e far ne l’artesua primi vestigi;
e la bella contrada di Tevigi
ha le piagheancor fresche d’Azzolino
Roma di Gaio e di Neron si lagna
edi molti Romagna
Mantova duolsi ancor d’un Passerino:
manull’altro destino
né gioco fu mai duro quanto ’lnostro
erané carta e inchiostro
basterebben al vero inquesto loco
onde meglio è tacer che dirnepoco.
 
      Perònon Catoquel sí grande amico
di libertà che piùdi lei non visse
non quel che ’l re superbo spinse fore
nonFabii o Deci di che ogni uomo scrisse
se reverenza del buon tempoantico
non mi vieta parlar quel ch’ho nel core
non altrial mondo più verace amore
de la sua patria in alcun tempoaccese:
ché non già mortema leggiadro ardire
el’opra è da gradire
non men in chisalvando il suopaese
se medesmo difese
che ’n colui che ’l suoproprio sangue sparse
poi che le vene scarse
non eran quandobisognato fosse
né morte dal ben far gli animismosse.
 
      E perchénulla al sommo valor manche
la patria tolta a l’unghie de’tiranni
liberamente in pace si governa
e ristorando va gliantichi danni
e riposando le sue parti stanche
e ringraziandola pietà superna
pregando che sua grazia faccia eterna.
Eciò si può sperar bens’io non erro
peròch’un’alma in quattro cori alberga
et una sola verga
èin quattro mani et un medesmo ferro;
e quanto più e piùserro
la mente ne l’usato imaginare
più conoscer mipare
che per concordia il basso stato avanza
l’altomantiensi: e quest’è mia speranza.
 
      Lungeda’ libri nata in mezzo l’arme
canzonde’ migliorquattro ch’i’ conosca
per ogni parte ragionandoandrai:
tu puoi ben dirche ’l sai
come lor gloria nullanebbia offosca;
e se va’ ’n terra tosca
ch’appregial’opre coraggiose e belle
ivi conta di lor vere novelle. 
 


VERSIPER MUSICA

.

I

      Poich’a l’ardita penna la man diedi
alzai le ciglia e vidigente intorno
che de l’impresa mia mi fêr talscorno
ch’ancor non so sederné star inpiedi!
      Diceva unpensier: - Leva! - e l’altro: - Siedi! -
El sínonfa e ’l non farla notte e ’l giorno.
Tutti dicean: -Tu se’ sí poco adorno
di facondiache ’n vanoscrivi e chiedi.
      Ond’iodi ciò melanconoso assai
nulla facíaper fin ch’unnato giunse
di Confortino e disse: - Che pur fai?
      Ioson quel suon che piusor fiate l’unse
e teco spesse volte ilmedecai
benché pur nudo [a lui i’] micongiunse.
      Scrivigliese veder vuomi vestito
porgate del bel stil bello e polito.
 
 




II

      Amorche ’n cielo e ’n gentil core alberghi
e quanto èdi valore al mondo inspiri
acqueta l’infiammati mieisospiri.
      Altera donna con sídolce sguardo
leva il grave pensier talor da terra
che lodarmiconven de gli occhi suoi;
ma dogliomi del nodo ond’io sontardo
a seguire il mio bene e vivo in guerra
coll’almarebellante a’ messi tuoi.
Signor che solo intendi tutto epuoi
pur spero che’ miei passi in parte giri
ove in paceperfetta al fin respiri  




III

      L’amorosefaville e ’l dolce lume
de’ be’ vostri occhi ondela mente ho piena
fanno la vita mia sempre serena.
      Donnal’alto vïaggio ond’io m’ingegno
meritar vostragrazia umilemente
con sua durezza m’averia giàstanco
se non ch’Amr dal bel viso lucente
si fa miascorta et infallibil segno
mostrandosi nel bel nero e nelbianco;
onde sospira il disïoso fianco
e riprende valorche ’n alto mena
vincendo ogni contrario che l’affrena. 
 
 


IV

      Novabellezza in abito gentile
volse il mio core a l’amorosaschiera
ove ’l mal si sostene e ’l ben sispera.
      Gir mi convene e starcom’altri vòle
poi ch’al vago penser fu posto unfreno
di dolci sdegni e di pietosi sguardi
e ’l chiaronome e ’l suon de le parole
de la mia donna e ’l belviso sereno
son le favilleAmordi che ’l cor m’ardi.
I’pur spero mercèquantunque tardi
chében ella simostre acerba e fera
umile amante vince donna altera.  
 


V

      L’oroe le perle e i bei fioretti e l’erba
’ve par naturaadopre più che seta
le bianche mani e l’angelichedeta
che a nobil opre a punto si riserba
      quegliocchi che ’l voltar suo disacerba
ogni crudezzae ’lriso che divieta
turbarsi l’ariae quella faccia lieta
cheumil farebbe ogni fera superba
      mirategliper Diosignor gentile
mirateglise mai bramaste in terra
vederun dolce e proprio paradiso:
      vedretecose da quetar umìle
Vulcano e Iove allor che piùdisserra
per fulminar qua giù luoco preciso.  
 


VI

      Incielo in aria in terra in fuoco in mare
Amor percuote e vola senzamanto;
contra suo’ strali orati non è incanto
mase col piombo vuolpuò risanare.
      Amezza state fa l’uomo tremare
et arder a gran vernoe piùche quanto
si sforza di campar e uscir di pianto
in piùviluppi e lacrime [’l] fa intrare.
      Labailale mie fasce e la mia cuna
ho biastemiato mille fiate e glianni
onde io son vivo e gusto aureo martire;
      ma’l fin i’ credo scioglier queste funa
o dar rimedio a’miei gravosi affanni
se tempo aspetto con umil soffrire.  




VII

      Nuoveonestati ligiadrette e sole
un spirto in cuor grave esuperno
regon madonnaet ella ha el mio governo
ch’almondo co’ begli occhi il fosco tòle.
      Farebbea mezza notte arder il sole
e primavera quando è maggiorverno;
ma com più sua beltate e ’l mio amorscerno
più sua crudezza mi trapesa e dole.
      Amorgià mia conscienzia acerba
ma ben l’invitae ’lvero mi costrigne:
ché tanto i lice l’esser menoacerba
      quanto fortuna in altopiù la spigne
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . .  
 


SONETTIDI CORRISPONDENZA

I

      Sìcome il padre del folle Fetonte
quando prima sentì la puntad’oro
per quella Dafne che divenne alloro
de le cuifronde poi si ornò la fronte;
      ecome il sommo Giove nel bel monte
per Eüropa trasformossi intoro;
e com per Tisbe tinse il bianco moro
Piramo del suosangue innanzi al fonte;
      cosìson vago de la bella Aurora
unica del sol figlia in atto e informa
s’ella seguisse del suo padre l’orma.
      Matutti i miei pensier convien che dorma
finché la notte nonsi discolora:
cosìperdendo il tempoaspettol’ora.
      E se innanzi di metu la vedesti
io ti pregoSennuccioche mi desti.  
 
 


II

ASennuccio del Bene

      Quellaghirlanda che la bella fronte
cingeva di color tra perle egrana
Sennuccio mioparveti cosa umana
o d’angelicheforme al mondo gionte?
      Vedestùl’attoe quelle chiome conte
che spesso il cor mi morde emi risana?
vedestù quel piacer che m’allontana
d’ognivile pensier ch’al cor mi monte?
      Udistù’l suon de le dolci parole?
Mirastù quell’andarleggiadro altero
dietro a chi ho disviati i pensiermiei?
      Soffristù ’lsguardo invidïoso al sole?
Or sai per ch’ïo ardovivo e spero
ma non so dimandar quel ch’io vorrei.  
 
 



III

ASennuccio

      Sìmi fan risentire a l’aura sparsi
i mille e dolci nodi in fina l’arco
che dormendo e vegghiando ora non varco
che lamia fantasia possa acquetarsi.
      Orveggio lei di novi atti adornarsi
cinger l’arco e ’lturcasso e farsi al varco
e sagittarmi; or vo d’amor sìcarco
che ’l dolce peso non porria stimarsi.
      Poimi ricordo di Venus iddea
qual Virgilio descrisse ’n suafigura
e parmi Laura in quell’atto vedere
      orpietosa vêr me or farsi rea:
io vergognoso e ’n atto dipaura
quasi smarrir per forza di piacere.  




IV

Rispostaa Giacomo da Imola.

      Quellache ’l giovanil meo cor avinse
nel primo tempo ch’ioconobbi amore
del suo leggiadro albergo escendo fore
con miodolor d’un bel nodo mi scinse.
      Népoi nova bellezza l’alma strinse
né mai luce sentìche fesse ardore
se non co la memoria del valore
che per dolcidurezze la sospinse.
      Ben volsequei che co’ begli occhi aprilla
con altra chiave riprovarsuo ingegno
ma nova rete vecchio augel non prende.
      Epur fui ’n dubbio fra Caribdi e Scilla
e passai le Sirene insordo legno
o ver com uom ch’ascolta e nulla intende.  
 




V

      Talcavalier tutta una schiera atterra
quando fortuna a tanto onore ilmena
che da un sol poi si difende a pena:
così ’ltempo apre le prodezze e serra.
      Peròforse costui ch’oggi diserra
colpi mortaine porteràancor pena
s’i’ posso un poco mai raccoglier lena
ose del primo strale Amor mi sferra.
      Diquesta spene mi nutrico e vivo
al caldo al freddoall’albaet a le squille
con essa vegghio e dormo e leggo escrivo.
      Questa fa le miepiaghe sì tranquille
ch’io non le sentocon talvoglia arrivo
a ferir lui che co’ begli occhi aprille.  




VI

      Quellache gli animai del mondo atterra
e nel primo principio glirimena
percosse il cavalierdel quale è piena
ognicontrada che ’l mar cinge e serra.
      Maquesto è un basilisco che diserra
gli occhi feroci a porgermorte e pena
tal che già mai né lancia nécatena
porian far salvo chi con lui s’afferra.
      Unsol remedio ha il suo sguardo nocivo
di specchi armarsi a ciòch’egli sfaville
e torne quasi a la fontana ilrivo:
      mirando sé convenche si destille
quella sua rabbia: al modo ch’io nescrivo
fia assicurata questa e l’altre ville.  
 



VII

      Piùvolte il dì mi fo vermiglio e fosco
pensando a le noioseaspre catene
che ’l mondo m’involve e mi ritene
ch’i’non possa venire ad esser vosco.
      Chépur al mio veder fragile e losco
avea ne le man vostre alcunaspene;
e poi dicea: - Se vita mi sostene
tempo fia di tornarsia l’aere tosco -.
      D’ambedueque’ confin son oggi in bando
ch’ogni vil fiumicel m’ègran distorbo
e qui son servo libertà sognando.
      Nédi lauro coronama d’un sorbo
mi grava in giù lafronte: or v’adimando
se ’l vostro al mio non èben simil morbo.  
 




VIII

Sonettodi Ser Pietro Dietisalvi da Siena a Francesco Petrarca

      Ilbell’occhio d’Apollodal cui guardo
sereno e vago lumeIunon sente
volendo sua vertù mostrar possente
contracolei che non apprezza dardo
      nell’orache più luce il suo riguardo
coi raggi accesi giunsearditamente;
maquando vide il viso splendïente
senzaaspettarfuggì come codardo.
      Bellezzaet onestàche la colora
perfettamente in altramai nonviste
furon cagion dell’alto e nuovo effetto.
      Maqual di queste due unite e miste
più dotta Feboe qual piùlei onora
non so: dunque adempite il mio difetto.
 
 


            Rispostadi Petrarca

      SeFebo il primo amor non è bugiardo
o per novo piacer non siripente
già mai non gli esce il bel lauro di mente
a lacui ombra io mi distruggo et ardo.
      Questisolo il può far veloce e tardo
e lieto e tristee timidoe valente
ch’al suon del nome suo par che pavente
e fucontra Piton già sì gagliardo.
      Altriper certo nol turbava allora
quando nel suo bel viso gli occhiapriste
e non gli offese il varïato aspetto.
      Mase pur chi voi dite il discolora
sembianza è forse alcunade le viste
e so ben che ’l mio dir parrà sospetto. 
 
 


IX

Sonettodi Antonio da Ferrara al Petrarca

     Onovella Tarpeain cui s’asconde
quell’eloquente elucido tesoro
del trïonfo poeticoche alloro
peneio colseper le verdi fronde:
      aprititanto che de le faconde
tue gioie si dimostrino a coloro
cheaspettanoet a me ch’in ciò m’accoro
piùche assetato cervo a le chiare onde.
      Dehnon volere ascondere il valore
che ti concede Apollo: chéscïenza
comunicata suol multiplicare.
      Maapri lo stil tuo d’alta eloquenza
e voglia alquanto mecertificare
qual fu primaSperanza o vero Amore.
 
 


Rispostadi Petrarca

      Ingegnousato a le question profonde
cessar non sai dal tuo altolavoro;
ma perché non destar anzi un di loro
ovesenz’alcun forsesi risponde?
      Lerime mie son desvïate altronde
dietro a colei per cui midiscoloro
a’ suo’ begli occhi et alle trecce d’oro
etal dolce parlar che mi confonde.
      Macredo che ’n un punto dentro al core
nasce Amore e Speranzae mai l’un senza
l’altro non possa nel principiostare.
      Se ’l desïatoben per sua presenza
queta poi l’almasì come a mepare
vive Amor solo e la sorella more.  
 


X

AdAntonio da Ferrara

      Antoniocosa ha fatto la tua terra
ch’io non credea che mai possibilfosse.
Ella ha le chiavi del mio cor sì mosse
che n’haaperta la via che ragion serra;
      ondeil signor che mi solea far guerra
celatamente entrando mipercosse
da duo begli occhisì che dentro all’osse
portola piaga e ’l tempo non mi sferra
      anzim’ancidee lasso per vergogna
di domandar de la cagion delduolo
né trovo con chi parta i pensier miei;
      ecome suol chi nuovo piacer sogna
se di subito è destocosìsolo
torno a pensare chi puote esser costei.  
 


Rispostadi Antonio da Ferrara al Petrarca

      L’arcoche in voi nova sita disserra
ragion vostra occidendo a tutteposse
non è gran tempo che sì mi percosse
cheancora è quasi il mio pensier sotterra.
      Ondeveggendo quanto amor s’afferra
in valorosa mentee comemosse
già vostro coree mai non si riscosse
temo chenon vi aggiunga in stretta serra.
      Veroè ch’un altro pensier mi rampogna
ch’amor sìv’ha condotto al dolce stuolo
da voi cacciando tutti ipensier miei;
      peròm’appresto di lasciar Bologna
e vegnir presso a voich’altronon golo
pur che in Ferrara vi leghi colei.
 
 


XI

Sonettodel Conte Ricciardo da Battifolle al Petrarca



     Benchéignorante siaio pur ripenso
ne la mia mente i valorosi fatti
de’buon’ del tempo antico et i loro atti
che solo in ben fêroogni lor dispenso.
      Al’armi et a la scienza era lor senso
e qual valea per liamorosi tratti;
perché con questi e non con queim’accatti
di cruda doglia sta l’animooffenso.
      Solo una cosapiglio per conforto:
ch’io con voi sono in vita et ad untempo
di cui la fama sempre cresce a volo.
      Maspero ben che moet a suo tempo
mi riconduca a piùtranquillo porto
el bel dir vostroche nel mondo è solo.
 
 


Rispostadi Petrarca

      ConteRicciardoquanto più ripenso
al vostro ragionarpiùveggio sfatti
gli amici di virtutee noi sì fatti
chen’ho ’l cor d’ira e di vergogna accenso.
      Enon so qui trovare altro compenso
se non che ’l tempo èbreve e i dì son ratti:
verrà colei che non saromper patti
per torne quinciet ha già il mioconsenso.
      Mill’anniparmiio non vo’ dir che morto
ma ch’io sia vivo; purtardi o per tempo
spero salir ov’or pensando volo.
      Divoi son certo; ond’io di tempo in tempo
men pregio il mondo epiù mi riconforto
dovendomi partir da tanto duolo.