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GiovanniPascoli
MYRICÆ
ILGIORNO DEI MORTI
Iovedo (come è questo giornooscuro!)
vedonel cuorevedo un camposanto
conun fosco cipresso alto sul muro.
Equel cipresso fumido si scaglia
alloscirocco: a ora a ora in pianto
sciogliesil’infinita nuvolaglia.
Ocasa di mia genteunica e mesta
ocasa di mio padreunica e muta
dovel’inonda e muove la tempesta;
ocamposanto che sì crudi inverni
haiper mia madre gracile e sparuta
oggiti vedo tutto sempiterni
ecrisantemi. A ogni croce roggia
pendecome abbracciata una ghirlanda
dondegocciano lagrime di pioggia.
Sibilatra la festa lagrimosa
unafolatae tutto agita e sbanda.
Sazioogni mortodi memorieposa.
Noni miei morti. Stretti tutti insieme
insiemetutta la famiglia morta
sottoil cipresso fumido che geme
stretticosì come altre sere al foco
(urtavacome un poveroalla porta
iltramontano con brontolìo roco)
piangono.La pupilla umida e pia
ricercagli altri visi a uno a uno
eforma un’altra lagrima per via.
Piangonoe quando un grido ch’esce stretto
inun sospiromormoraNessuno! . . .
cuporompe un singulto lor dal petto.
Levanobianche mani a bianchi volti
nonaltriudendo il pianto disusato
solleviil capo attonito ed ascolti.
Posaogni morto; e nel suo sonno culla
qualchefiglio de’ figliancor non nato.
Nessuno!i morti miei gemono: nulla!
-O miei fratelli! - dice Margherita
lapia fanciulla che sotterraal verno
sirisvegliò dal sogno della vita:
-o miei fratelliche bevete ancora
lalucea cui mi mancano in eterno
gliocchiassetati della dolce aurora;
omiei fratelli! nella notte oscura
quandoil silenzio v’opprimevae vana
l’ombraformicolava di paura;
ioveniva leggiera al vostro letto;
Dormite!vi dicea soave e piana:
voidormivate con le braccia al petto.
Eoraio tremo nella bara sola;
ildolce sonno ora perdei per sempre
iosenza un baciosenza una parola.
Evoifratellio miei minorinulla! . . .
voiche crescestementre quiper sempre
ioson rimasta timida fanciulla.
Veniteintanto che la pioggia tace
sevi fui madre e vergine sorella:
ditemi:Margheritadormi in pace.
Ch’iol’oda il suono della vostra voce
orache più non romba la procella:
iodormirò con le mie braccia in croce.
Nessuno!-Dice; e si rinnova il pianto
escroscia l’acqua: un impeto di vento
squassail cipresso e corre il camposanto.
-O figli - geme il padre in mezzo al nero
fischiardell’acqua - o figli che non sento
piùda tanti anni! un altro cimitero
forsev’accolse e forse voi chiamate
lavostra mammanudi abbrividendo
sottole nere sibilanti acquate.
Evoi le braccia dall’asil lontano
ame tendetesiccome io le tendo
figlia voidisperatamente invano.
Ofiglifigli! vi vedessi io mai!
iovorrei dirvi che in quel solo istante
perun’intera eternità v’amai.
Inquel minuto avanti che morissi
portaila mano al capo sanguinante
etuttio figli mieivi benedissi.
Iogettai un grido in quel minutoe poi
mipianse il cuore: come pianse e pianse!
equel grido e quel pianto era per voi.
Oh!le parole mute ed infinite
chedissi! con qual mai strappo si franse
lavita viva delle vostre vite.
Serbala madre ai poveri miei figli:
nonmanchi loro il pane mainé il tetto
néchi li aiutiné chi li consigli.
Unpadreo Dioche muore uccisoascolta:
aggiungialla lor vitao benedetto
quellache un uomonon so chim’ha tolta.
Perdonaall’uomoche non so; perdona:
senon ha figliegli non sabuon Dio . . .
ese ha figlioliin nome lor perdona.
Chesia felice; fagli le vie piane;
daglioro e nome; dagli anche l’oblio;
tutto:ma i figli miei mangino il pane.
Cosìdissi in quel lampo senza fine;
Vichiamaimutoesanguea uno a uno
dallapiù grandicella alle piccine.
Sparivaa gli occhi il mondo fatto vano.
Intutto il mondo più non era alcuno.
Udiivoi soli singhiozzar lontano. -
Dice;e più triste si rinnova il pianto;
piùstridulapiù gelidapiù scura
scrosciala pioggia dentro il camposanto.
-Nobabbovivevivono - Chi parla?
Vocevelata dalla sepoltura
vocenuovaeppur nota ad ascoltarla
omio Luigio anima compagna!
cometi vedo abbrividire al vento
cheti percuoteall’acqua che ti bagna!
comemutato! sembra che tu sia
unbimbo ignudopieno di sgomento
chechiedaa notteal canto della via.
-Vivonovive. Non udite in questa
notteuna voce querulaargentina
portatasino a noi dalla tempesta?
Èla sorella che morì lontano
chein questa nottepovera bambina
chiamachiama dal poggio di Sogliano.
Chiama.Oh! poterle carezzare i biondi
riccioliquitra noi; fuori del nero
chiostrode’ sotterranei profondi!
Un’altravoce tufratelloascolta;
dolcetristelontana; il tuo Ruggiero;
incuibabbomoristi un’altra volta.
Parlanoi morti. Non è spento il cuore
néchiusi gli occhi a chi morì cercando
achi non pianse tutto il suo dolore.
Eor per quanto stridula di vento
ombrane dividessea quando a quando
udreicome da vivoil tuo lamento
omio Giovanniche vegliaiche ressi
checuraiche difesiumile e buono
emorii senza che rivedessi!
Avessitu provato di quell’ora
ultimail freddoe or quest’abbandono
gemendoa noi ti volgeresti ancora.-
-Ma se viveteperchémorti cuori
soloè la nostra tomba illacrimata
solola nostra croce è senza fiori ?-
Cosìsinghiozza Giacomo: poi geme:
-Quando sola restò la nidïata
Iddiolo sacome vi crebbi insieme:
secon pia legge l’umili vivande
travoi divisie destinai de’ pani
ilpiù piccolo a me ch’ero il più grande;
seribevvi le lagrime ribelli
pernon far voi pensosi del domani
seil pianto piansi in me di sei fratelli;
seal sibilar di questi truci venti
alrombar di quest’acqueio suscitava
labuona fiamma d’eriche e sarmenti;
eioquando vedea rosso ogni viso
epiù rossi i più piccolitremava
sìdel mio freddoma con un sorriso.
Manon per menon per me piango; io piango
perquesta madre chetra l’acquaspera
perquesto padre che desìanel fango;
perquesti santio fratel mioche vivi;
dicui morendo io ti dicea . . . ma era
grossala lingua e forse non udivi.-
Iovedovedovedo un camposanto
oscuracosa nella notte oscura:
odoquel pianto della tombapianto
d’occhilasciati dalla morte attenti
piantodi cuori cui la sepoltura lasciò
masolo di dolorviventi.
L’odo:ora scorre libero: nessuno
puòrisvegliarsitanto è notteil vento
ècosì forteil cielo è così bruno.
Nessunoudrà. La povera famiglia
puòpiangere. Nessunoal suo lamento
puòdire: Altro è mio figlio! altra è mia figlia!
Aspettano.Oh! che notte di tempesta
pienad’un tremulo ululo ferino!
Nons’ode per le vie suono di pesta.
Uominie fierein casolari e tane
tacciono.Tutto è chiuso. Un contadino
socchiudel’uscio del tugurio al cane.
Piangono.Io vedovedovedo. Stanno
incerchioavvolti dall’assidua romba.
Aspetterannoancoraaspetteranno.
Ifigli morti stanno avvinti al padre
invendicato.Siede in una tomba.
(iovedoio vedo) in mezzo a lormia madre.
Sollevaai morticonsolandogli occhi
epoi furtiva esplora l’ombra. Culla
duebimbi morti sopra i suoi ginocchi.
Liculla e piange con quelli occhi suoi
piangeper gli altri mortie per se nulla
epiangeo dolce madre! anche per noi;
edice:- Forse non verranno. Ebbene
pietà!Le tue due figlieo sconsolato
diconoorain ginocchioun po’ di bene.
Forseun corredo cucionoche preme:
peraltri: tutto il giorno hanno agucchiato
hannoagucchiato sospirando insieme.
Esolo a notte i poveri occhi smorti
hannolevatoa un gemer di campane;
hannopensatoinvidïandoai morti.
Orain ginocchiopregano Maria
alsuon delle campanealtelontane
perchi qui giunsee per chi resta in via
là;per chi vaga in mezzo alla tempesta
perchi camminacamminacammina
enon ha pietra ove posar la testa.
Pietàpei figli che tu benedivi!
Inquesta notte che non mai declina
oraterequieo figli mortiai vivi!-
Omadre! il cielo si riversa in pianto
oscuramentesopra il camposanto.
Myricae
arbustaiuvant humilesque myricae
DALL’ALBAAL TRAMONTO
I- ALBA FESTIVA
Chehanno le campane
chesquillano vicine
cheronzano lontane?
E’un inno senza fine
ord’oroora d’argento
nell’ombremattutine.
Conun dondolio lento
implorio voce d’oro
nelcielo sonnolento.
Trail cantico sonoro
iltuo tintinno squilla
voceargentina - Adoro
adoro- Dilladilla
lanota d’oro - L’onda
pendedal cieltranquilla.
Mavoce più profonda
sottol’amor rimbomba
parche al desìo risponda:
lavoce della tomba.
II- SPERANZE E MEMORIE
Paranzellein alto mare
bianchebianche
iovedeva palpitare
comestanche:
osperanzeale di sogni
peril mare!
Volgogli occhi; e credo in cielo
rivedere
paranzellesotto un velo
nerenere:
omemorieombre di sogni
peril cielo!
IIISCALPITIO
Sisente un galoppo lontano
(èla . . . ?)
chevieneche corre nel piano
contremula rapidità.
Unpiano desertoinfinito;
tuttoampiotutt’aridoeguale:
qualcheombra d’uccello smarrito
chescivola simile a strale:
nonaltro. Essi fuggono via
daqualche remoto sfacelo;
maqualema dove egli sia
nonsa né la terra né il cielo.
Sisente un galoppo lontano
piùforte
chevieneche corre nel piano:
laMorte! la Morte! la Morte!
IV- IL MORTICINO
Nonè Pasqua d’ovo?
Peroggi contai
didartelii piedi.
ÈPasqua: non sai?
ÈPasqua: non vedi
ilcercine novo?
Andiamocia mimmi
lontanolontano...
Dandon... Oh! ma dimmi:
nonvedi ch’ho in mano
ilcercine novo
lescarpe d’avvio?
Seimorto: non vedi
miopiccolo cieco!
Mamettile ai piedi
maportale teco
madiglielo a Dio
chemamma ha filato
seinotti e sei dì
sudatovegliato
perfartioh! così!
lescarpe d’avvio!
V- IL ROSICCHIOLO
Perte l’ha serbatosoltanto
pertepovero angiolo; ed eccolo
opianto!
lovedi? un rosicchiolo secco.
Morivasul letto di strame;
tubimbodormivi sicuro.
Chepianto! che fame!
mac’era un rosicchiolo duro.
Maella guardava lunghe ore
guardavail suo bimboe morì
dipiantodi famed’amore;
e...guarda! il rosicchiolo è qui.
VI- ALLORA
Allora...inun tempo assai lunge
felicefui molto; non ora:
maquanta dolcezza mi giunge
datanta dolcezza d’allora!
Quell’anno!per anni che poi
fuggironoche fuggiranno
nonpuoimio pensieronon puoi
portarecon teche quell’anno!
Ungiorno fu quelloch’è senza
compagnoch’è senza ritorno;
lavita fu vana parvenza
sìprima sì dopo quel giorno!
Unpunto!... così passeggero
chein vero passò non raggiunto
mabello cosìche molto ero
felicefelicequel punto!
VII- PATRIA
Sognod’un dì d’estate.
Quantoscampanellare
tremulodi cicale!
Stridulepel filare
movevail maestrale
lefoglie accartocciate.
Scendeatra gli olmi il sole
infascie polverose:
eranoin ciel due sole
nuvoletenuirose:
duebianche spennellate
intutto il ciel turchino.
Siepidi melograno
frattedi tamerice
ilpalpito lontano
d’unatrebbïatrice
l’angelusargentino...
dov’ero?Le campane
midissero dov’ero
piangendomentre un cane
latravaal forestiero
cheandava a capo chino.
VIII- IL NUNZIO
Unmurmureun rombo....
Sonsolo: ho la testa
confusadi tetri
pensieri.Mi desta
quelmurmure ai vetri.
Chebrontolio bombo?
chenuove mi porti?
Ecadono l’ore
giúgiùcon un lento
gocciare.Nel cuore
lontanerisento
paroledi morti...
Chebrontolio bombo?
cheavviene nel mondo?
Silenzioinfinito.
Mainsiste profondo
solingosmarrito
quellugubre rombo.
IX- LA CUCITRICE
L’albaper la valle nera
sparpagliòle greggi bianche:
tornanoora nella sera
es’arrampicano stanche:
unastella le conduce.
Tornavia dalla maestra
lacovatae passa lenta:
c’èdel biondo alla finestra
traun basilico e una menta:
èMaria che cuce e cuce.
Perchi cuci e per che cosa?
unlenzuolo ? un bianco velo ?
Tuttoil cielo è color rosa
rosae oroe tutto il cielo
sullatesta le riluce.
Alzagli occhi dal lavoro:
unalagrima? un sorriso?
Sottoil cielo rosa e oro
chinigli occhichino il viso
ellacucecucecuce.
X- SERA FESTIVA
Omammao mamminahai stirato
lanuova camicia di lino ?
Nonc’era laggiù tra il bucato
sulbossolo o sul biancospino.
Sugli occhi tu tieni le mani. . .
Perchè?non lo sai che domani ... ?
dindon dandin don dan.
Siparlano i bianchi villaggi
cantandoin un lume di rosa:
dall’ombrade’ monti selvaggi
sisente una romba festosa.
Tutieni a gli orecchi le mani...
tupiangi; ed è festa domani. .
dindon dandin don dan.
Tupensi . . . oh! ricordo: la pieve . . .
quantianni ora sono ? una sera . .
ilbimbo era freddodi neve;
ilbimbo era biancodi cera:
allorasonò la campana
(perchènon pareva lontana ?)
dindon dandin don dan.
Sonavanoa festacome ora
perl’angiolo; il nuovo angioletto
nelcielo volava a quell’ora;
matu lo volevi al tuo petto
connoinella piccola zana:
gridavi;e lassù la campana. . .
dindon dandin don dan.
RICORDI
I- ROMAGNA
aSeverino
Sempreun villaggiosempre una campagna
miride al cuore (o piange)Severino:
ilpaese oveandandoci accompagna
l’azzurravision di San Marino:
sempremi torna al cuore il mio paese
cuiregnarono Guidi e Malatesta
cuitenne pure il Passator cortese
redella stradare della foresta.
Lànelle stoppie dove singhiozzando
vala tacchina con l’altrui covata
pressogli stagni lustreggiantiquando
lentavi guazza l’anatra iridata
oh!fossi io teco; e perderci nel verde
edi tra gli olminido alle ghiandaie
gettarcil’urlo che lungi si perde
dentroil meridiano ozio dell’aie;
mentreil villano pone dalle spalle
gobbela ronca e afferra la scodella
e‘1 bue rumina nelle opache stalle
lasua laborïosa lupinella.
Da’borghi sparsi le campane in tanto
sirincorron coi lor gridi argentini:
chiamanoal rezzoalla quieteal santo
descofiorito d’occhi di bambini.
Giàm’accoglieva in quelle ore bruciate
sottoombrello di trine una mimosa
chefioria la mia casa ai dì d’estate
co’suoi pennacchi di color di rosa;
es’abbracciava per lo sgretolato
muroun folto rosaio a un gelsomino;
guardavail tutto un pioppo alto e slanciato
chiassosoa giorni come un biricchino.
Erail mio nido: dove immobilmente
iogaloppava con Guidon Selvaggio
econ Astolfo; o mi vedea presente
l’imperatorenell’eremitaggio.
Ementre aereo mi poneva in via
conl’ippogrifo pel sognato alone
orisonava nella stanza mia
mutail dettare di Napoleone;
udiatra i fieni allor allor falciati
da’grilli il verso che perpetuo trema
udivadalle rane dei fossati
unlungo interminabile poema.
Elunghie interminatierano quelli
ch’iomeditaimirabili a sognare:
stormirdi frondicinguettio d’uccelli
risadi donnestrepito di mare.
Mada quel nidorondini tardive
tuttitutti migrammo un giorno nero;
iola mia patria or è dove si vive:
glialtri son poco lungi; in cimitero.
Cosìpiù non verrò per la calura
traque’ tuoi polverosi biancospini
ch’ionon ritrovi nella mia verzura
delcuculo ozïoso i piccolini
Romagnasolatiadolce paese
cuiregnarono Guidi e Malatesta;
cuitenne pure il Passator cortese
redella stradare della foresta.
II- ANNIVERSARIO
Sonopiù di trent’anni e di queste ore
mammatu con dolor m’hai partorito;
edil mio nuovo piccolo vagito
t’addoloravapiù del tuo dolore.
Poitra il dolore sempre ed il timore
odolce madrem’hai di te nutrito:
equando fui del corpo tuo vestito
quand’ebbinel mio cuor tutto il tuo cuore;
allorsei morta; e son vent’anni: un giorno!
giàgli occhi materni io penso a vuoto;
ilcaro viso già mi si scolora
mammae più non ti so. Ma nel soggiorno
freddode’ mortinel tuo sogno immoto
tum’accarezzi i riccioli d’allora.
31di dicembre 1889.
III- RIO SALTO
Loso: non era nella valle fonda
suonche s’udia di palafreni andanti:
eral’acqua che giù dalle stillanti
tegolea furia percotea la gronda.
Purvia e via per l’infinita sponda
passarvedevo i cavalieri erranti;
scorgevole corazze luccicanti
scorgevol’ombra galoppar sull’onda.
Cessatoil vento poinon di galoppi
ilsuono udivoné vedea tremando
fugheremote al dubitoso lume;
mavoi solo vedevoamici pioppi!
Brusivanosoave tentennando
lungola sponda del mio dolce fiume.
IV- IL MANIERO
Tesoventeo tra boschi arduo maniero
popolaidi baroni e di vassalli
mentrei falchetti udia squittio su’ gialli
merlie radendo il baluardo nero.
Peivetri un lume trascorrea leggiero
enitrivano fervidi i cavalli:
auno squillo che uscia giù dalle valli
apriale imposte il maggiordomo austero;
enel fosso stridea la fragorosa
saracinesca.Or tucanto divino
scesocon l’ombre nel mio cuor cadenti
dovesei? Di tramontiorapensosa
làsur un torvo giogo d’Apennino
qualch’elcenera lo ripete ai venti.
V- IL BOSCO
Ovecchio bosco pieno d’albatrelli
chesai di funghi e spiri la malìa
cuitutto io già scampanellare udia
dicicale invisibili e d’uccelli:
inte vivono i fauni ridarelli
ch’hannole sussurranti aure in balìa;
vivela ninfae i passi lenti spia
biondatra le interrotte ombre i capelli.
Dininfe albeggia in mezzo alla ramaglia
orsì or noche se il desio le vinca
l’occhioalcuna ne attingee il sol le bacia.
Dileguano;e pur viva è la boscaglia
vivasempre ne’ fior della pervinca
enelle grandi ciocche dell’acacia.
VI- IL FONTE
Mentrecon lieve strepito perenne
gemetra il caprifoglio una fontana
tremaun trotto tranquilloe s’allontana
perle fatate rilucenti Ardenne.
Quipontò i piedi e s’alzò sulle penne
quell’Ippogrifoqui stallò l’Alfana:
Brigliadorodall’India Sericana
inquesto trebbio il lungo error sostenne:
chequi l’abbeverava il paladino
emeditava al mormorio del fonte
senzapiegar la ferrea persona:
poiseguì la sua corsa e il suo destino;
cosìche intorno per la valle e il monte
ancorla notte il trotto ne rintrona.
VII- ANNIVERSARIO
Sappi—eforse lo sainel camposanto—
labimba dalle lunghe anella d’oro
el’altra che fu l’ultimo tuo pianto
sappich’io le raccolsi e che le adoro.
Perlor ripresi il mio coraggio affranto
emi detersi l’anima per loro:
hannoun tettohanno un nidooramio vanto;
el’amor mio le nutre e il mio lavoro.
Nonson felicisappima serene:
illor sorriso ha una tristezza pia:
iole guardo—o mia sola erma famiglia !—
semprea gli occhi sento che mi viene
quellache ti bagnò nell’agonia
nonterminata lagrima le ciglia.
31di dicembre 1890.
VIII- I PUFFINI DELL’ADRIATICO
Tracielo e mare (un rigo di carmino
recideintorno l’acque marezzate)
parlano.È un’alba cerula d’estate:
nonuna randa in tutto quel turchino.
Purvoci reca il soffio del garbino
conozïose e tremule risate.
Sonoi puffini: su le mute ondate
pendequel chiacchiericcio mattutino.
Sembraun vociareper la calmafioco
dimarinaich’ad ora ad ora giunga
tra‘l fievole sciacquìo della risacca;
quandostagliate dentro l’oro e il fuoco
leparanzelle in una riga lunga
dondolanosul mar liscio di lacca.
IX- CAVALLINO
Obel clivo fiorito Cavallino
ch’iovarcai co’ leggiadri eguali a schiera
almio bel tempo; chi sa dir se l’era
d’olmola tua parlante ombra o di pino?
Erabusso ricciuto o biancospino
dacui dorata trasparia la sera?
C’èun campanile tra una selva nera
checantabiancol’inno mattutino?
Nonso: ché quando a te s’appressa il vano
desioper entro il cielo fuggitivo
tevedo incerta visïon fluire.
Soch’or sembri il paese allor lontano
lontanoche dal tuo fiorito clivo
iorimirai nel limpido avvenire.
X- LE MONACHE Dl SOGLIANO
Dalprofondo geme l’organo
tra‘l fumar de’ cerei lento:
c’èun brusio cupo di femmine
nellachiesa del convento:
unvegliardo austero mormora
dall’altarsuoi brevi appelli:
dietroquesti s’acciabattano
delledonne i ritornelli.
Madi mezzo a un lungo gemito
dainvisibile cortina
s’alzaa vol secura ed agile
unavoce di bambina;
edintorno a questa ronzano
tuttea volounite e strette
ela seguono e rincorrono
vocid’altre giovinette.
Pernoi pregao santa Vergine
pernoi pregao Madre pia;
pernoi pregaesse ripetono
oMaria! Maria! Maria!
Qualinote! Par che tinnino
nell’infrangersidel cuore:
paionumide di lagrime
paionebbre di dolore.
Oh!qual colpa macchiò l’anima
dicodeste prigioniere?
qualdolor poté precorrervi
lafiorita del piacere?
Questebimbequeste vergini
cheoffesero Dio santo
cheperdòno ne sospirano
consì lungo inno di pianto?
Mandal’organo i suoi gemiti
tra’lfumar de’ cerei lento:
dilontane plaghe sembrano
cupee fredde onde di vento...
Dalleplaghe inaccessibili
cupoe freddo il vento romba:
giàsottentra ai lunghi gemiti
ilsilenzio della tomba.
XI- IL SANTUARIO
Comeun’arca d’aromi oltremarini
ilsantuarioa mezzo la scogliera
esalaancora l’inno e la preghiera
trai lunghi intercolunnii de’ pini;
etrema ancor de’ palpiti divini
chel’hanno scosso nella dolce sera
quandodalla grand’abside severa
uscial’incenso in fiocchi cilestrini.
S’incurvain una luminosa arcata
ilciel sovr’esso: alle colline estreme
ilCarro e fermo e spia l’ombra che sale.
Salecon l’ombra il suon d’una cascata
chegrave nel silenzio sacro geme
conun sospiro eternamente uguale.
XII- ANNIVERSARIO
Giàli vedevo gli occhi tuoisoavi
seguirmisempre per il mio cammino
chinarsimesti sul mio capo chino
volgersial mio dubbiardubbiosi e gravi.
Comecol dolor tuo mi consolavi
comeo cuore vivente oltre il destino!
comeal tuo collo ti tornai bambino
piangendoil pianto che su me versavi!
Orche rivivo alfineor che trovai
ah!le due parti del tuo cuore infranto
oraquell’occhio più che mai materno...
No:tu con gli altrial freddoall’acquastai
congli altrisolitari in camposanto
inquesta sera torbida d’inverno.
31di dicembre 1891.
PENSIERI
I- TRE VERSI DELL’ASCREO
“Nondi perenni fiumi passar l’onda
chetu non preghi volto alla corrente
purae le mani tuffi nella monda
acqualucente”
diceil poeta. E così guardao saggio
tunel dolorecupo fiume errante:
passae le mani reca dal passaggio
semprepiù sante...
II- I TRE GRAPPOLI
HatreGiacintograppoli la vite.
Bevidel primo il limpido piacere;
bevidell’altro l’oblio breve e mite;
e...più non bere:
chèsonno è il terzoe con lo sguardo acuto
nelnero sonno vigilada un canto
sappiil dolore; e alto grida un muto
piantogià pianto.
IIISAPIENZA
Salìpensoso la romita altura
oveha il suo nido l’aquila e il torrente
ecentro della lontananza oscura
stasapïente.
Oh!scruta intorno gl’ignorati abissi:
piùti va lungi l’occhio del pensiero
piùpresso viene quello che tu fissi:
ombrae mistero.
IV- CUORE E CIELO
Nelcuor dove ogni visïon s’immilla
espazio al cielo ed alla terra avanza
talorsi spenge un desiderioe brilla
unasperanza:
comenel cielooceano profondo
doveascendendo il pensier nostro annega
tramontaun’Alfae pullula dal fondo
cupoun’Omega.
V- MORTE E SOLE
Fissala morte: costellazïone
lugubreche in un cielo nero brilla:
breveparolachiara visïone:
leggio pupilla.
Nonpuoi. Cosìse fissi mai l’immoto
astronei cieli solitari ardente
seguardi il soleocchioche vedi ? Un vòto
vorticeun niente.
VI- PIANTO
Piùbello il fiore cui la pioggia estiva
lasciauna stilla dove il sol si frange;
piùbello il bacio che d’un raggio avviva
occhioche piange.
VII- CONVIVIO
Oconvitato della vitaè l’ora.
Brillinorossi i calici di vino;
tuné bramoso piùné sazio ancora
lasciail festino.
Splendanod’aurea luce i lampadari
fragrila rosa e il timo dell’Imetto
sorridain cerchio tuttavia di cari
capiil banchetto:
tusorgi e... Tristesu la mensa ingombra
dellemorenti lampade lo svolo
lugubrelungo! triste errar nell’ombra
ultimosolo!
VIII - IL PASSATO
Rivedoi luoghi dove un giorno ho pianto:
unsorriso mi sembra ora quel pianto.
Rivedoi luoghidove ho già sorriso...
Oh!come lacrimoso quel sorriso!
IX- TRA IL DOLORE E LA GIOIA
Vidiil mio sogno sopra il monte in cima;
erauna striscia pallida; co’ suoi
boschid’un verde quale mai né prima
vidiné poi.
Primail sonante nembo coi velari
tuttoascondevadelle nubi nere:
poitutto il sole disvelò del pari
belloa vedere.
Maquel mio sogno al raggio d’un’aurora
nuovam’apparve e sparve in un baleno
cheil ciel non era torbo più né ancora
tuttosereno.
X- NEL CUORE UMANO
Nonammirarese in un cuor non basso
cuitu rivolga a provaun pungiglione
sentiimprovviso: c’è sott’ogni sasso
loscorpïone.
Nonammirarese in un cuor concesso
almalesenti a quando a quando un grido
buonoun palpito santo: ogni cipresso
portail suo nido.
CREATURE
I- FIDES
Quandobrillava il vespero vermiglio
eil cipresso pareva orooro fino
lamadre disse al piccoletto figlio:
Cosìfatto è lassù tutto un giardino.
Ilbimbo dormee sogna i rami d’oro
glialberi d’orole foreste d’oro;
mentreil cipresso nella notte nera
scagliasial ventopiange alla bufera.
II- CEPPO
Èmezzanotte. Nevica. Alla pieve
suonanoa doppio; suonano l’entrata.
Vala Madonna bianca tra la neve:
spingeuna porta; l’apre: era accostata.
Entranella capanna: la cucina
epiena d’un sentor di medicina.
Unbricco al fuoco s’ode borbottare:
piccoloil ceppo brucia al focolare.
Ungran silenzio. Sono a messa? Bene.
Gesutrema; Maria si accosta al fuoco.
Maecco un suonoun rantolo che viene
disusempre più fievole e più roco.
Ilbricco versa e sfrigge: la campana
colventoor s’avvicinaor s’allontana.
LaMadonnacon una mano al cuore
geme:Una mammafiglio mioche muore!
Epiano pianocol suo bimbo fiso
nelceppotorna all’uscioapres’avvia.
Ilceppo sbracia e crepita improvviso
ilbricco versa e sfrigola via via:
quelrantolo... è finito. O Maria stanca!
biancatu passi tra la neve bianca.
Suonad’intorno il doppio dell’entrata:
vocevelatamalatasognata.
III- MORTO
Maninachiusache nel sonno grande
stringiqualcosadimmi cosa ci hai!
Cosaci ha? cosa ci ha? Vane domande:
quelloche stringeniuno saprà mai.
Tel’ha portato l’Angeloil suo dono:
nelsonnosempre lo stringeviun dono.
Lanotte c’eranon c’era il mattino.
Questoti resterà. Dormibambino.
IV- ORFANO
Lentala neve fioccafioccafiocca.
Senti:una zana dondola pian piano.
Unbimbo piangeil piccol dito in bocca;
cantauna vecchiail mento sulla mano.
Lavecchia canta: Intorno al tuo lettino
c’èrose e giglitutto un bel giardino.
Nelbel giardino il bimbo s’addormenta.
Laneve fiocca lentalentalenta.
V- ABBANDONATO
Nellasoffitta è soloè nudomuore.
Stillesu stille gemono dal tetto.
Glidice il Santo—Ancora un po’; fa’ cuore—
Mormora—Ilpane; è tanto che l’aspetto—
L’Angelodice—or viene il Salvatore—
Sospira—unpanno pel mio freddo letto—
Mariadice—È finito il tuo dolore!—
—oh!mamma io voglioe dormire al suo petto—
Lagrimaa goccia a goccia la bufera
nellasoffitta. Il Santo vegliaassiso;
l’Angeloguardasmorto come cera;
laVergine Maria piange un sorriso.
Taceil bambinoaspetta sino a sera
all’uscioguardacoi grandi occhifiso.
Lanotte cadel’ombra si fa nera;
eglivadesolatoin Paradiso.
LACIVETTA
Stavanoneri al lume della luna
glierti cipressiguglie di basalto
quandotra l’ombre svolò rapida una
ombradall’alto:
ormasognata d’un volar di piume
ormadi un soffio molle di velluto
chepassò l’ombre e scivolò nel lume
pallidoe muto;
edi cipressi sul deserto lido
stavanocome un nero colonnato
rigidiognuno con tra i rami un nido
addormentato.
Esopra tanta vita addormentata
dentroi cipressiin mezzo alla brughiera
sonareeccouna stridula risata
difattucchiera:
unaminaccia stridula seguita
forseda brevi pigolii sommessi
dalpalpitar di tutta quella vita
dentroi cipressi.
Morteche passi per il ciel profondo
passicon ali molli come fiato
congli occhi aperti sopra il triste mondo
addormentato;
Mortelo squillo acuto del tuo riso
unicomuove l’ombra che ci occulta
silenzïosaedesta all’improvviso
squillosussulta;
equando tacie par che tutto dorma
nelcipressetotrema ancora il nido
d’ognivivente: ancornell’arial’orma
c’èdel tuo grido.
LEPENE DEL POETA
I- I DUE FUCHI
Tupoetanel torbido universo
t’affisitu per noi lo cogli e chiudi
inlucida parola e dolce verso;
sich’opera è di te ciò che l’uom sente
tral’ombre vanetra gli spettri nudi.
Orqual n’hai grazia tu presso la gente?
Duefuchi udii ronzare sotto un moro.
Fannoqueste api quel lor miele (il primo
diceva)e niente più: beate loro!
El’altro: E poi fa afa: troppo timo!
II- IL CACCIATORE
Frullaun tratto l’idea nell’aria immota;
cantanel cielo. Il cacciator la vede
l’ode;la segue: il cuor dentro gli nuota.
Sepoi col dardocome fil di sole
lucidoe rettobàttesela al piede
ohil poeta! gioiva; ora si duole.
Deh!gola d’oro e occhi di berilli
piccolettadel cielo alto sirena
eccotu più non volipiù non brilli
piùnon canti: e non basti alla mia cena.
III- IL LAURO
Nell’ortoa Massa - o blocchi di turchese
alpiApuane ! o lunghi intagli azzurri
nelcelestinoall’orlo del paese!
unodorato e lucido verziere
pienodi frullipieno di sussurri
pienode’ flauti delle capinere.
Nell’aieacuta la magnolia odora
lustral’arancio popolato d’oro -
ioquando al Belvedere era l’aurora
venivoal piede d’uno snello alloro.
Sorgevapresso il vecchio muropresso
ilvecchio busto d’un imperatore
coltronco svelto come di cipresso.
Slanciatoavantisopra il muroal sole
davala chioma. Intorno era un odore
sottildi vecchioe forse di vïole.
Iosognava: una corsa lungo il puro
Frigidol’oro di capelli sparsi
unafanciulla . . . Ancora al vecchio muro
tremavail lauro che parea slanciarsi.
Un’alba- si sentia di due fringuelli
chiaroil francesco mio: la capinera
giàdesta squittinìa di tra i piselli -
tupiù non c’erio vergine fugace:
nettoil pedale era tagliato: v’era
quelvecchio odore e quella vecchia pace:
illaurono. Sarchiava lì vicino
Fioreun ragazzo pieno di bontà.
Glidomandai del lauro; e Fiorechino
soprail sarchiello: Faceva ombrasa!
Em’accennavi un campo glaucoo Fiore
dicavolo cappuccio e cavolfiore.
IV- LE FEMMINELLE
Edice la rosa alba: oh! chi mi svelle?
Sonmesta come un colchico: dal ciocco
tantomi germinò di femminelle!
Eranocome punte tenerine
disparagio: poi fecero lo stocco;
buttanoanch’esse e s’armano di spine.
Vivonode’ miei fiori color d’alba
d’albarosata; e tu non giovio ruta.
Mettonoun boccio: una corolla scialba
subitoapertasubito caduta.
L’ULTIMAPASSEGGIATA
I- ARANO
Alcampodove roggio nel filare
qualchepampano brillae dalle fratte
sembrala nebbia mattinal fumare
arano:a lente gridauno le lente
vacchespinge; altri semina; un ribatte
leporche con sua marra pazïente;
chéil passero saputo in cor già gode
eil tutto spia dai rami irti del moro;
eil pettirosso: nelle siepi s’ode
ilsuo sottil tintinno come d’oro.
II- DI LASSÙ
Lalodola perduta nell’aurora
sispaziae di lassù canta alla villa
cheun fil di fumo qua e là vapora;
dilassù largamente bruni farsi
isolchi mira quella sua pupilla
lontanae i bianchi bovi a coppie sparsi.
Qualchezolla nel campo umido e nero
luccicaal solenetta come specchio:
fail villano mannelle in suo pensiero
eil canto del cuculo ha nell’orecchio.
III- GALLINE
Alcader delle fogliealla massaia
nonpiange il vecchio corcome a noi grami:
ched’arguti galletti ha piena l’aia;
espessi nella pace del mattino
delleutili galline ode i richiami:
zeppoil granaio; il vin canta nel tino.
Cantanoa sera intorno a lei stornelli
lefiorenti ragazze occhi pensosi
mentreil granturco sfoglianoe i monelli
ruzzanonei cartocci strepitosi.
IV- LAVANDARE
Nelcampo mezzo grigio e mezzo nero
restaun aratro senza buoi che pare
dimenticatotra il vapor leggero.
Ecadenzato dalla gora viene
losciabordare delle lavandare
contonfi spessi e lunghe cantilene:
Ilvento soffia e nevica la frasca
etu non torni ancora al tuo paese!
quandopartisticome son rimasta!
comel’aratro in mezzo alla maggese.
V- I DUE BIMBI
Idue bimbi si rizzano: unoa stento
indolenzito;gravel’altro: il primo
alzail corbello con un gesto lento;
ein quel dell’altro fa caderbel bello
ilsuo tesoro d’accattato fimo:
equello va più carico e più snello.
Ilvinto siedeprova un’altra volta
coinocciolili sperperali aduna
edice (forse al grande olmo che ascolta?):
Epoi si dica che non ha fortuna!
VI- LA VIA FERRATA
Tragli argini su cui mucche tranquilla-
mentepasconobruna si difila
lavia ferrata che lontano brilla;
enel cielo di perla drittiuguali
conloro trama delle aeree fila
digradanoin fuggente ordine i pali.
Qualdi gemiti e d’ululi rombando
crescee dilegua femminil lamento?
Ifili di metallo a quando a quando
squillanoimmensa arpa sonoraal vento.
VII-FESTA LONTANA
Unpiccolo infinito scampando
neronza e vibracome d’una festa
assailontanadietro un vel d’oblio.
Làquando ondando vanno le campane
scopronoi vecchi per la via la testa
biancae lo sguardo al suoi fisso rimane.
Matondi gli occhi sgranano i bimbetti
cuitrema intorno il loro ciel sereno.
Strillanoal crepitar de’ mortaretti.
Mammali stringe all’odorato seno.
VIII- QUEL GIORNO
Doporissosi cinguettìi nell’aria
lerondini lasciato hanno i veroni
dellaCura fra gli olmi solitaria.
Quantiquel roseo campanil bisbigli
udìquel giornoo strilli di rondoni
impazïentia gl’inquïeti figli!
Ornel silenzio del meriggio urtare
làdentro odo una seggiolauna gonna
frusciard’un tratto: alla finestra appare
curïosoun gentil viso di donna.
IX- MEZZOGIORNO
L’osteriadella Pergola è in faccende:
pienaè di gridadi brusiodi sordi
tonfi;il camin fumante a tratti splende.
Sullasogliatra il nembo degli odori
pinguiun mendico brontola: Altri tordi
c’erauna voltae altri cacciatori.
Dicee il cor s’è beato. Mezzogiorno
dalvillaggio a rintocchi lenti squilla;
edai remoti campanili intorno
un’ondatadi riso empie la villa.
X- GIA’ DALLA MATTINA
Acquarimbomba; dondolacassetta;
giracoperchiointorno la bronzina;
versatramoggiail gran dalla bocchetta;
spolverosvola. Nero da una fratta
l’asinoattende già dalla mattina
pressola risonante cateratta.
Leorecchie scrolla e volgesi a guardare
chétarditra finireandar bel bello
intriderespianare ed infornare
suldesco fumeraipan di cruschello.
XI- CARRETTIERE
Ocarrettiere che dai neri monti
vienitranquilloe fosti nella notte
sottoardue rupisopra aerei ponti;
chemai diceva il querulo aquilone
chemuggia nelle forre e fra le grotte?
Matu dormivi sopra il tuo carbone.
Amano a mano lungo lo stradale
venìafischiando un soffio di procella:
matu sognavi ch’era di natale;
udivii suoni d’una cennamella.
XII- IN CAPANNELLO
Cigolail lungo e tremulo cancello
lavia sbarra: ritte allo steccato
ciancianole comari in capannello:
parland’uno ch’è un altro scrivo scrivo;
delvin che costa un occhioe ce n’è stato;
delgoverno; di questo mal cattivo;
delpiccino; del grande ch’è sui venti;
delmaialeche mangia e non ingrassa -
Neroavanti a quelli occhi indifferenti
iltraino con fragore di tuon passa.
XIII- IL CANE
Noimentre il mondo va per la sua strada
noici rodiamoe in cuor doppio è l’affanno
eperchè vadae perchè lento vada.
Talquando passa il grave carro avanti
delcasolareche il rozzon normanno
stampail suolo con zoccoli sonanti
sbucail can dalla frattacome il vento;
loprecorrerincorre; uggiolaabbaia.
Ilcarro è dilungato lento lento.
Ilcane torna sternutando all’aia.
XIV- O REGINELLA
Nontrasandata ti creò per vero
lacara madre: tallungo la via
telaalbeggiaonde godi in tuo pensiero:
pressoè la festae ognuno a te domanda
candidii linipoi che in tua balìa
èil cassone odorato di lavanda.
Felicii vecchi tuoi; felici ancora
ituoi fratelli; e piùquando a te piaccia
chisua ti porti nella sua dimora
oreginella dalle bianche braccia.
XV- TI CHIAMA
Quellasera i tuoi vecchi (odi? ti chiama
lacara madre: al fumo della bruna
pentolacon irrequieta brama
rissanoi bimbi: frena tusevera
quinciuna mano trepidaquindi una
stridulaboccae al piccol volgo impera;
sìche in pacetra un grande acciottolìo
bruchila sussurrante famigliola)
quellanotte i tuoi vecchi un dolor pio
soffocherannocontro le lenzuola.
XVI- O VANO SOGNO
Alcaminoove scoppia la mortella
trala stipao ch’io sognoo veglio teco:
mangioteco radicchio e pimpinella.
Alsoffiar delle raffiche sonanti
l’aulentefieno sul forcon m’arreco
evisito i miei dolci ruminanti:
poisalgoe teco - O vano sogno! Quando
nellamacchia fiorisce il pan porcino
loscolaro i suoi divi ozi lasciando
spolverail badïale calepino:
chioccolail merlofischia il beccaccino;
anch’iotorno a cantare in mio latino.
DIALOGO
Scilp:i passeri neri su lo spalto
corronomolleggiando. Il terren sollo
radela rondine e vanisce in alto:
vitt.. . videvitt. Per gli uni il casolare
l’aiail pagliaio con l’aereo stollo;
maper l altra il suo cielo ed il suo mare.
Questase gli olmi ingiallano la frasca
cercai palmizi di Gerusalemme:
quelliallor che la foglia ultima casca
restanoad aspettar le prime gemme.
Dibdib bilp bilp: e per le nebbie rare
quandoalla prima languida dolciura
l’olmogià sogna di rigermogliare
lascianoa branchi la città sonora
evannocome per la mietitura
allacampagnadove si lavora.
Doposementapresso l’abituro
ilcasereccio passero rimane;
edal pagliaiodentro il cielo oscuro
salutale migranti oche lontane.
Fischiaun grecale gelidoche rade:
copreun tendone i monti solitari:
anotte il vento ruggeurla: poi cade.
Etutto è bianco e tacito al mattino:
nuovo:e dai bianchi e muti casolari
ilfumo sbalzaqua e là turchino.
Laneve! (Videvitt: la neve? il gelo?
eidi voirondiniride:
biancoin terranero in cielo
v’èdi voi chi vide . . . vide . . . videvitt?)
Laneve! Allorapoi che il cibo manca
allacittà dai mille campanili
scendonoalla città fumida e bianca;
amendicare. Dalla lor grondaia
spianonelle chiostre e nei cortili
lagranata o il grembiul della massaia.
Tornanoquindi ai campia seminare
vecciae saggina coi villani scalzi
e- videvitt - venuta d’oltremare
trovanote che scivoliche sbalzi
rondinee canti; ma non sai la gioia
-scilp-della neveil giorno che dimoia.
NOZZE
aG.V
Davamoglie la Rana al suo figliolo.
Orcon la pace vostrao raganelle
suonlo chiese ad un cantor del brolo.
Eglicantò: la cobbola giuliva
parveun picchierellar trito di stelle
nelciel di serache ne tintinniva.
Lecampagne addolcì quel tintinnio
ei neri boschi fumiganti d’oro.
tiòtiò tiò tiò tiò tiò tiò tiòtiò
torotorotorotorotíx
torotorotorotorolililíx
Ènotte: ancora in un albor di neve
salequest’inno come uno zampillo;
quandola Rana chiedequanto deve:
sequattro chiocciolineo qualche foglia
d’appioo voglia un mazzuolo di serpillo
ovoglia un paio di bachio ciò che voglia.
Oh!rispos’egli: nulla al Rosignolo
nullatu devi delle sue cantate:
eil’ha per nulla e dà per nulla: solo
sil’ascoltate e poi non gracidate.
Allume della luna ogni ranocchia
gracidò:Quanta spocchiaquanta spocchia!
LEGIOIE DEL POETA
I- IL MAGO
“Roseal verziererondini al verone!”
Dicee l’aria alle sue dolci parole
sibilad’alie l’irta siepe fiora.
Altroil savio potrebbe; altro non vuole;
pagose il ciel gli canta e il suol gli odora;
suoi.nunzi manda alla nativa aurora
abiondi capi intreccia sue corone.
II- IL MIRACOLO
Vedesteal tocco suomorte pupille!
Vedestein cielo bianchi lastricati
conmacchie azzurre tra le lastre rare;
bianchele frattebianchi erano i prati
quetofumava un bianco casolare
sfogliavail mandorlo ali di farfalle.
Vedestel’erba lucido tappeto
esulle pietre il musco smeraldino;
tremavail verde ciuffo del canneto
sbocciavala ninfea nell’acquitrino
trarane verdi e verdi raganelle.
Vedesteazzurro scendere il ruscello
fuoridei montifuor delle foreste
equelle cresteaereo castello
tagliarein cielo un lembo piu celeste:
eracolore di viola il colle.
Vedestein mezzo a nuvole di cloro
rossaraggiar la fuga de’ palazzi
lungola ripaed il tramonto d’oro
dallevetrate vaporare a sprazzi
alarghi fascia tremule scintille.
Dormonoi corvi dentro i lecci oscu
qualchefiaccola va pei cimiteri;
dentroi palazzidentro gli abituri
albuioaccanto ai grandi letti neri
dormononere e piccole le culle.
III- IN ALTO
Nelciel dorato rotano i rondoni.
Avessial corcome alicosì lena!
Purl’amerei la negra terra infida
solper la gioia di toccarla appena
fendendoal ciel non senza acute strida.
Oraquel cielo sembra che m’irrida
mentrevado cosìgrondon grondoni.
IV- GLORIA
-Alsanto monte non verraiBelacqua?-
Ionon verrò: l’andare in su che porta?
Lungiè la Gloriae piedi e mani vuole;
elà non s’apre che al pregar la porta
equi star dietro il sasso a me non duole
edascoltare le cicale al sole
ele rane che gracidanoAcqua acqua!
V- CONTRASTO
I
Ioprendo un po’ di silice e di quarzo:
lofondo; aspiro; e soffio poi di lena:
ve’la fiala come un dì di marzo
azzurrae grigiatorbida e serena!
Uncielo io faccio con un po’ di rena
eun po’ di fiato. Ammira: io son l’artista.
II
Iovo per via guardando e riguardando
solosolettomutoa capo chino:
prendoun sassotra millea quando a quando:
lonettoarrototagliolustroaffino:
chimi sianon importa: ecco un rubino;
vediun topazio; prendi un’ametista.
VI- LA VITE E IL CAVOLO
Dalglauco e pingue cavolo si toglie
efugge all’olmo la pampinea vite
eda sétra le branche inaridite
tirail puniceo strascico di foglie.
Paceo pampinea vite ! Aureo s’accoglie
ilsol nel lungo tuo grappolo mite;
aureala gioiae dentro le brunite
coppeogni cura in razzi d’oro scioglie.
Manobil vitealcuna gloria è spesso
purdi quel gramose per lui l’oscuro
paiolborbotta con suo lieve scrollo;
eil core allegra al pio villanche d’esso
trovaodorato il tiepido abituro
mentrea’ fumanti buoi libera il collo.
FINESTRAILLUMINATA
I- MEZZANOTTE
aA. B.
Otto...nove... anche un tocco: e lenta scorre
l’ora;ed un altro... un altro. Uggiola un cane.
Unchiù singhiozza da non so qual torre.
Èmezzanotte. Un doppio suon di pesta
s’odeche passa. C’è per vie lontane
unrotolìo di carri che s’arresta
dicolpo. Tutto è chiusosenza forme
senzacolorisenza vita. Brilla
solanel mezzo alla città che dorme
unafinestracome una pupilla
II- UN GATTO NERO
aperta.Uomo che vegli nella stanza
illuminatachi ti fa vegliare?
doloreantico o giovine speranza?
Tucerchi un Vero. Il tuo pensier somiglia
unmare immenso: nell’immenso mare
unaconchiglia; dentro la conchiglia
unaperla: la vuoi. Vecchioun gran bosco
nevatoai primi languidi scirocchi
perla tua faccia. Un gatto neroun fosco
visodi sfinget’apre i suoi verdi occhi...
III- DOPO?
Forseè una buona vedova. . . Quand’ella
faceal’imbastitura e il sopramano
venneil suo bimbo e chiese la novella.
Venneai suoi piedi: ella contò del Topo
delMago . . . Alla costuraeglipian piano
l’ultimavolta le sussurròDopo?
Dopotantoc’è sempre qualche occhiello.
Iltopo è mortos’è smarrito il mago.
Ilbimbo dorme sopra lo sgabello
trale ginocchiaal ticchettio dell’ago.
IV- UN RUMORE . . .
Unafanciulla. . . La tua mano vola
soprala carta stridula: s’impenna:
gliocchi cercano intorno una parola.
Ela parola te la dà la muta
lampadache sussulta: onde la penna
lavia riprende scricchiolando arguta.
St!un rumore . . . ai labbri ti si porta
lapennaun piede dondola . . . Che cosa?
Nulla:un tarloun brandir lieve di porta . .
Oh!mamma dormee sogna . . . che sei sposa.
V- POVERO DONO
Gettaquell’arma che t’incanta. Spera
l’ultimavolta. Aspetta ancoraaspetta
cheil gallo canti per la città nera.
Ilgallo cantafuggono le larve.
Fuggiràfuggirà la maledetta
magache con fatali occhi t’apparve.
Verràtua madre mortacol suo mesto
visocol mormorìo della sua prece. . .
tipregherà che tu lo serbi questo
poverodono ch’ella un dì ti fece!
VI- UN RONDINOTTO
Èben altro. Alle prese col destino
vegliaun ragazzo che con gesti rari
filaun suo lungo penso di latino.
Ilcapo ad ora ad ora egli solleva
dallacatasta dei vocabolari
comeun galletto garrulo che beva.
Poverobimbo! di tra i libri via
appareil bruno capo tuoscompare;
comed’un rondinottoquando spia
setorna mamma e porta le zanzare.
VII- SOGNO D’OMBRA
Rantolod’avorantolo d’infante.
Parl’uno il cigolìo d’un abbaino
acui percuota l’aquilone errante:
l’altroe come a fior d’acqua un improvviso
vanirdi bolladonde un cerchiolino
s’apreogni volta e scivola nel viso.
Vissero.Quanto? le pupille fisse
chiedono.Uno la gente di sua gente
vide;l’altronon sé. Ma l’uno visse
quelloche l’altro: un sogno d’ombraun niente.
VIII- MISTERO
Vergine. . . bianca sopra il bianco letto
tiprese il sonno a mezzo la preghiera?
Tuhai le mani in croce sopra il petto.
Tiprese tra i due ceri e le corone
quelsonno? in mezzo agli Ave della sera?
Tudici ancora quella orazïone.
Tieniil rosario tra le mani pie.
Nonmuove i labbri un tremito leggiero?
Manon scorrono più le avemarie
etu contemplerai sempre un mistero.
IX- VAGITO
Mammina. . . bianca sopra il letto bianco
tudormi. Chi sul volto ti compose
queldolor pago e quel sorriso stanco ?
Tudormi: intorno al languido origliere
tuttobiancheggia. Intorno a te le cose
fannopiccoli cenni di tacere.
Etutto albeggia e tutto tace. Il fine
èquestoè questo il cominciar d’un rito?
Ditra un silenzio candido di trine
parlail mistero in suono di vagito.
SOLITUDINE
I
Daquesto greppo solitario io miro
passareun nero stormoun aureo sciame;
mentresul capo al soffio di un sospiro
ronzanoi fili tremuli di rame.
Èsul mio capo un’eco di pensiero
lungané so se gioia o se martoro;
epassa l’ombra dello stormo nero
epassa l’ombra dello sciame d’oro.
II
Sonocittà che parlano tra loro
cittànell’aria cerula lontane;
tumultuantid’un vocìo sonoro
dirote ferree e querule campane.
Làgenti vanno irrequïete e stanche
cuifalla il tempocui l’amore avanza
perlungie l’odio. Quiquell’eco ed anche
quelpolverio di ditteriche danza.
III
Parlanodall’azzurra lontananza
neigiorni afosinelle vitree sere;
esono mute grida di speranza
edi doloree gemiti e preghiere. . .
Quiquel ronzìo. Le cavallette sole
stridonoin mezzo alla gramigna gialla;
imoscerini danzano nel sole;
tremauno stelo sotto una farfalla.
CAMPANEA SERA
Odisorellacome note al core
quellenel vespro tinnule campane
empionol’aria quasi di sonore
gridalontane ?
Aquel tumulto aereo risponde
dalcuore un fioco scampanìosì lieve
comestormeggidietro macchie fonde
candidapieve.
Forseuna pieve ne’ cilestri monti
lasagra annunzia ad ogni casolare
ondesi fece a’ placidi tramonti
lungoparlare;
edorsospeso il ticchettio dell’ago
guardanodonne verso la marina
seguendoun fiocco di bambagiavago
chevi s’ostina.
Grandiocchisotto grandi archi di ciglia
guardanoil cieloempiendosi di raggi
làdove l’aria allumina vermiglia
boschidi faggi.
Vocisoavivoi tinnite a festa
dacosì strana e cupa lontananza
chelà si trova il desiderioe resta
quala speranza.
Iomi rivedo in un branchetto arguto
dibiondi eguali su per l’Appennino
opacod’elci: o snellevi saluto
torrid’Urbino!
Viriconoscoo due sottili torri
viriconoscoo memori Cesane
foltedi lazzi cornïoli i borri
ed’avellane.
Vagalo stuolo delle rosee bocche
pe’clivie sparge nella via maestra
messedi fiordalisi e l’auree ciocche
dellaginestra.
Nellavia bianca il novo drappo svaria
coirosolacci e le sottili felci;
epar che attendanella solitaria
ombradell’elci;
pareche attenda nella via tranquilla
sottoquest’ampio palpito sonoro
unodai neri monti su cui brilla
porporae oro.
ELEGIE
I- LA FELICITÀ
Quandoall’albadall’ombra s’affaccia
discendele lucide scale
evanisce; ecco dietro la traccia
d’unfievole sibilo d’ale
iola inseguo per montiper piani
nelmarenel cielo: già in cuore
iola vedogià tendo le mani
giàtengo la gloria e l’amore.
Ahi!ma solo al tramonto m’appare
sul’orlo dell’ombra lontano
emi sembra in silenzio accennare
lontanolontanolontano.
Lavia fattail trascorso dolore
m’accennacol tacito dito:
improvvisacon lieve stridore
discendeal silenzio infinito.
II -SORELLA
aMaria
Ionon so se più madre gli sia
lamesta sorella o più figlia:
elladolce ella grave ella pia
correggeconforta consiglia.
Alui preme i capellil’abbraccia
pensosogli diceChe hai?
alui cela sul petto la faccia
confusagli diceNon sai?
Ellaserba nel pallido viso
negliocchi che sfuggono intorno
ah!per quando egli parte il sorriso
lelagrime per il ritorno.
Perl’assente la madia che odora
serbòla vivanda più buona;
elo accoglie lo sguardo che ignora
colbacio che sama perdona.
Ellacuce: nell’ombra romita
nons’ode che l’ago e l’anello;
eccol’ago fra le agili dita
ripeteStia caldosia bello!
Ellaprega: un lungo alito d’ave-
mariecon un murmure lene...
ellaprega; ed un’eco soave
ripeteSia buonostia bene!
III- X AGOSTO
SanLorenzoio lo so perché tanto
distelle per l’aria tranquilla
ardee cadeperché sì gran pianto
nelconcavo cielo sfavilla.
Ritornavauna rondine al tetto:
l’uccisero:cadde tra spini:
ellaaveva nel becco un insetto:
lacena de’ suoi rondinini.
Oraè là come in croceche tende
quelverme a quel cielo lontano;
eil suo nido è nell’ombrache attende
chepigola sempre più piano.
Ancheun uomo tornava al suo nido:
l’uccisero:disse: Perdono;
erestò negli aperti occhi un grido
portavadue bambole in dono...
Oralànella casa romita
loaspettanoaspettano in vano:
egliimmobileattonitoaddita
lebambole al cielo lontano
EtuCielodall’alto dei mondi
sereniinfinitoimmortale
Oh!d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomoopaco del Male!
IV- L’ANELLO
Nellamano sua benedicente
l’anellobrillava lontano.
Eglialzò quella manomorente:
dicaldo s’empì quella mano..
Omio padredi sangue! L’anello
lotenne sul cuore mia madre...
Omia madre! Poi l’ebbe il fratello
miogrande... o mio piccolo padre!
Nelsuo gracile dito il tesoro
raggiòdi benedizïone.
Unamacchia avea preso quell’oro
dirugginepresso il castone...
Omio padredi sangue! Una sera
lamacchia volevi lavare
ofratello? che pianto fu ! t’era
cadutol’anello nel mare.
Enel mare è rimasto; nel fondo
delmare che grave sospira;
unastella dal cielo profondo
nelmare profondo lo mira.
Quellamacchia ! S’adopra a lavarla
ilmare infinito; ma in vano.
Ela stella che vedene parla
alcielo infinito; ah! in vano.
V- AGONIA DI MADRE
Muore.Sfugge alla morta pupilla
giàil bimbo che geme al suo piede:
odeun suono lontano di squilla:
sondue . . . gli occhigraveapre: vede.
Unopiangema l’altro sorride
d’unbianco sorriso di cieco.
Ellaguardaella pensa: lo vide
così:quando? e ha come l’eco
d’ungran pianto nel cuorela traccia
dilagrime morte negli occhi.
Ah!ricordano un peso le braccia
ricordanoun peso i ginocchi
grave.Due sono i bimbi: uno piange;
madorme il più piccolo ancora:
ellaversa dal cuor che si frange
lelagrime d’ora e d’allora.
-Dormio angelo - o angelodéstati
destati- mormora il cuore.
Trala culla e una bara s’arresta
lamano suarigida. Muore.
Ilsuo primoil suo morto è sparito
conlei che nell’ombra lo reca:
piangel’altro; ella n’ode il vagito
colbianco stupore di cieca.
VI- LAPIDE
Dietrospighe di tasso barbasso
traun rovoonde un passero frulla
improvvisosi legge in un sasso:
QUIDORME PIA GIGLI FANCIULLA.
Radicchielladall’occhio celeste
diantodi porporasai
saivilucchiodi Pia? la vedeste
libelluletremulemai ?
Elladorme. Da quando raccoglie
nelcuore il soave oblio? Quante
oh!le nubi passatele foglie
cadutele lagrime piante;
quantoo Piasi morì da che dormi
tu!Pura di vite create
amoriretuverginedormi
lemani sul petto incrociate.
Dormiverginein pace: il tuo lene
respironell’aria lo sento
assonareal ronzio delle andrene
coibrividi brevi del vento.
Lasciaargentei il cardo al leggiero
tuoalito i pappi suoi come
ilmorente alla morte un pensiero
vagoultimo: l’ombra d’un nome.
IDAE MARIA
Omani d’orole cui tenui dita
menanoi tenui fili ad escir fiori
dalbianco bissoe sìche la fiorita
sembrache odori;
omani d’oroche leggiere andando
rigasiil linmiracolo a vederlo
qualseccia arata nell’autunnoquando
chioccolail merlo;
omani d’orodi cui l’opra alterna
sommessamentesuona senza posa
mentrevi mira bionde la lucerna
silenzïosa:
orm’apprestate quel che già chiedevo
funebrepannoo tenui mani d’oro
peròche i morti chiamano e ch’io devo
essercon loro.
Manon sia raso stridulonon sia
puroamïanto; sia di que’ sinceri
telionde grevi a voi lasciò la pia
madrei forzieri;
telia cui molte calcole sonare
udìSan Mauro e molte alate spole:
uncanto a tratti n’emergea di chiare
lenteparole:
teliche a notte biancheggiar sul fieno
vidicon occhio credulo d’incanti
ne’prati al plenilunio sereno
riscintillanti.
INCAMPAGNA
I- IL VECCHIO DEI CAMPI
Alsoieal fuocosue novelle ha pronte
ilbianco vecchio dalla faccia austera
chesi ricordasolo ormaidel ponte
quandonon c’era.
Raccontaal sole (i buoi fumidi stanno
fissandoimmoti la sua lenta fola)
comefar sacca si dovéquell’anno
dellelenzuola.
Raccontaal fuoco (sfrigola bel bello
unciocco d’olmo in tanto che ragiona)
comea far erba uscisse con Rondello
Buovod’Antona.
II- NELLA MACCHIA
Errainell’oblio della valle
traciuffi di stipe fiorite
traquercie rigonfie di galle;
errainella macchia più sola
perdove tra foglie marcite
spuntaval’azzurra vïola;
erraiper i botri solinghi:
lacincia vedeva dai pini:
sbuffavai suoi piccoli ringhi
argentini.
Iosiedo invisibile e solo
tramonti e foreste: la sera
nonfreme d’un gridod’un volo.
Iosiedo invisibile e fosco;
maun cantico di capinera
sileva dal tacito bosco.
Eil cantico all’ombre segrete
perdove invisibile io siedo
convoce di flauto ripete
Ioti vedo!
III- IL BOVE
Alrio sottiledi tra vaghe brume
guardail bovecoi grandi occhi: nel piano
chefuggea un mare sempre più lontano
migranol’acque d’un ceruleo fiume;
ingigantisceagli occhi suoinel lume
pulverulentoil salice e l’ontano;
svariasu l’erbe un gregge a mano a mano
epar la mandra dell’antico nume:
ampieali aprono imagini grifagne
nell’aria;vanno tacite chimere
similia nubiper il ciel profondo;
ilsole immensodietro le montagne
calaaltissime: crescono giànere
l’ombrepiù grandi d’un più grande mondo.
IV- LA DOMENICA DELL’ULIVO
Hannocompiuto in questo dì gli uccelli
ilnido (oggi è la festa dell’ulivo)
difoglie seccheradichefuscelli;
quelsul cipressoquesto su l’alloro
alboscolungo il chioccolo d’un rivo
nell’ombramossa d’un tremolìo d’oro.
Ecovano sul musco e sul lichene
fissandomuti il cielo cristallino
conimprovvisi palpitise viene
unronzio d’apeun vol di maggiolino.
V- VESPRO
Dalcielo roseo pullula una stella.
Unacampana parla della cosa
colsuo grave dan dan dalla badia;
ondetra i pioppi tinti in color rosa
suonaun continuo scalpicciar per via:
passauna lunga e muta compagnia
confasci di trifoglio e lupinella.
Unafanciulla cuce ed accompagna
cantarellandodalla nera altana
uncanto che s’alzò dalla campagna
quandonel cielo tacque la campana:
s’alzòda un olmo solo in una piana
daun olmo nero che da sé stornella.
VI- CANZONE D ‘APRILE
Fantasmatu giungi
tuparti mistero.
Venistio di lungi?
chélega già il pero
fiorisceil cotogno
laggiù.
Dicincie e fringuelli
risuonala ripa.
Seitu tra gli ornelli
seitu tra la stipa?
Ombra!anima! sogno!
seitu . . . ?
Ognianno a te grido
conpalpito nuovo.
Tugiungi: sorrido;
tuparti: mi trovo
duelagrime amare
dipiù.
Quest’anno. . . oh! quest’anno
lagioia vien teco:
giàl’odoo m’inganno
quell’ecodell’eco;
giàt’odo cantare
Cu. . . cu.
VII- ALBA
Odoravanoi fior di vitalba
perviale ginestre nel greto;
alïavanoprima dell’alba
lerondini nell’uliveto.
Alïavanomute con volo
neroagiledi pipistrello;
etuttora gemea l’assïolo
chegià spincionava il fringuello.
Trai pinastri era l’alba che i rivi
miravadiscendere giù:
guizzòun raggiosoffio su gli ulivi;
virb...disse una rondine; e fu
giorno:un giorno di pace e lavoro
chel’uomo mieteva il suo grano
eper tutto nel cielo sonoro
salivaun cantare lontano.
VIII- DALL’ARGINE
Posail meriggio su la prateria.
Nonala orma ombra nell’azzurro e verde.
Unfumo al sole biancica; via via
filae si perde.
Honell’orecchio un turbinìo di squilli
forsecampani di lontana mandra;
etra l’azzurro penduligli strilli
dellacalandra.
IX- IL PASSERO SOLITARIO
Tunella torre avita
passerosolitario
tentila tua tastiera
comenel santuario
monacaprigioniera
l’organoa fior di dita;
chepallidafugace
stupìtre notechiuse
nell’organotre sole
inun istante effuse
trecome tre parole
ch’ellaha sepoltein pace.
Daun ermo santuario
chesa di morto incenso
nellegrandi arche vuote
ditra un silenzio immenso
mandile tue tre note
spiritosolitario.
X- STOPPIA
Dov’ècampoil brusìo della maretta
quandorabbrividivi ai libeccioli?
Tiresta qualche fior d’erba cornetta
ifioralisii rosolacci soli.
Enel silenzio del mattino azzurro
cercanoin vano il solito sussurro;
mentrenell’aialàdel contadino
trebbianonel silenzio del mattino.
Dov’ècampoil tuo mare ampio e tranquillo
coltenue vel di resteai pleniluni?
Peinudi solchi trilla trilla il grillo
lucciolevanno per i solchi bruni.
Enella seracon ansar di lampo
cercanoil grano nel deserto campo;
mentretuttoralàdalla riviera
rombail mulino nella dolce sera.
XI- L’ASSIUOLO
Dov’erala luna? ché il cielo
notavain un’alba di perla
edergersi il mandorlo e il melo
parevanoa meglio vederla.
Venivanosoffi di lampi
daun nero di nubi laggiù;
venivauna voce dai campi:
chiù. . .
Lestelle lucevano rare
tramezzo alla nebbia di latte:
sentivoil cullare del mare
sentivoun fru fru tra le fratte;
sentivonel cuore un sussulto
com’ecod’un grido che fu.
Sonavalontano il singulto:
chiù. . .
Sututte le lucide vette
tremavaun sospiro di vento:
squassavanole cavallette
finissimisistri d’argento
(tintinnia invisibili porte
cheforse non s’aprono più? . . .);
ec’era quel pianto di morte. . .
chiù. . .
XII- TEMPORALE
Unbubbolìo lontano. . .
Rosseggial’orizzonte
comeaffocatoa mare:
nerodi pecea monte
straccidi nubi chiare:
trail nero un casolare:
un’aladi gabbiano.
XIII- DOPO L’ACQUAZZONE
Passòstrosciando e sibilando il nero
nembo:or la chiesa squilla; il tettorosso
luccica;un fresco odor dal cimitero
vienedi bosso.
Pressola chiesa; mentre la sua voce
tintinnacantaa onde lunghe romba;
ruzzauno stuoloed alla grande croce
tornanoa bomba.
Unvel di pioggia vela l’orizzonte;
mail cimiterosotto il ciel sereno
placidoolezza: va da monte a monte
l’arcobaleno.
XIV- PIOGGIA
Cantavaal buio d’aia in aia il gallo.
Egracidò nel bosco la cornacchia:
ilsole si mostrava a finestrelle.
Ilsol dorò la nebbia della macchia
poisi nascose; e piovve a catinelle.
Poitra il cantare delle raganelle
guizzòsui campi un raggio lungo e giallo.
Stupìanoi rondinotti dell’estate
diquel sottile scendere di spille:
eraun brusìo con languide sorsate
echiazze larghe e picchi a mille a mille;
poisinghiozzie gocciar rado di stille:
distille d’oro in coppe di cristallo.
XV- SERA D’OTTOBRE
Lungola strada vedi su la siepe
riderea mazzi le vermiglie bacche:
neicampi arati tornano al presepe
tardele vacche.
Vienper la strada un povero che il lento
passotra foglie stridule trascina:
neicampi intuona una fanciulla al vento:
Fioredi spina! . . .
XVI- ULTIMO CANTO
Soloquel campodove io volga lento
l’occhiobiondeggia di pannocchie ancora
eil solicello vi si trascolora.
Fragilepassa fra’ cartocci il vento:
unostormo di passeri s’invola:
nelcielo è un gran pallore di viola.
Cantauna sfogliatrice a piena gola:
Amorcomincia con canti e con suoni
epoi finisce con lacrime al cuore.
XVII- IL PICCOLO BUCATO
Cometetra la sizza che combatte
glialberi brulli e fa schioccar le rame
secchee sottile fischia tra le fratte !
Suruna fratta (o forse è un biancor d’ale ?)
uncorredino ride in quel marame:
fasciebavagliun piccolo guanciale.
Adogni soffio del rovaioche romba
lefascie si disvincolano lente;
eda un tugurio triste come tomba
giungeuna nenialungapazïente.
XVIII- NOVEMBRE
Gemmeal’ariail sole così chiaro
chetu ricerchi gli albicocchi in fiore
edel prunalbo l’odorino amaro
sentinel cuore
Masecco è il prunoe le stecchite piante
dinere trame segnano il sereno
evuoto il cieloe cavo al piè sonante
sembrail terreno.
Silenziointorno: soloalle ventate
odilontanoda giardini ed orti
difoglie un cader fragile. È l’estate
freddadei morti.
PRIMAVERA
I- IL FIUME
Fiumeche là specchiasti un casolare
co’suoi rossi garofaniqua mura
d’ermecastellae tremula verzura;
eccotigiunto al fragoroso mare:
edecco i flutti verso te balzare
sudall’interminabile pianura
inlarghe file; e nella riva oscura
questasi frangee in quella in alto appare;
titubae croscia. E làdonde tu lieto
disasso in sassoal piè d’una betulla
sgorghisonoro tra le brevi sponde;
aun po’ d’auretta scricchiola il canneto
frusciail castagnoe forse una fanciulla
sognaa quell’ombreal mormorìo dell’onde.
II- LO STORNELLO
-Sospira e piangee bagna le lenzuola
labella figliaquando rifà il letto-
talealcuno comincia un suo rispetto:
tremanell’aurea notte ogni parola;
esfiora i bossiquasi arguta spola
l’auracon un bruire esile e schietto:
-e si rimira il suo candido petto
ele rincresce avere a dormir sola.-
Sololà dalla siepeè il casolare;
nelcasolare sta la bianca figlia;
labianca figlia il puro ciel rimira.
Lovuolea stella a stellaessa contare;
mail ciel camminae la brezza bisbiglia
equegli cantae il cuor piange e sospira.
III- LA PIEVE
Giornod’arrivi il tuosan Benedetto:
eccouna prima rondine che svola.
Etrova i pioppi nella valle sola
lagrande pieveil nido piccoletto.
Razzanoi vetri; l’occhio del coretto
nereggiasotto un ciuffo di vïola:
eccola cigolante banderuola
gliembrici roggi del loquace tetto.
Edi saluti sonano le gronde
eil chiusodove il cielo è vaporato
daun rosseggiar di peschi e d’albicocchi.
Ela rondine stridula risponde
alïandocon lievi ombre: sul prato
lesegue un cane co’ fuggevoli occhi.
IV- IN CHIESA
Sciamacon un ronzio d’api la gente
dallachiesetta in sul colle selvaggio;
eper la sera limpida di maggio
vannole donnea schieralente lente;
epassano tra l’alta erba stridente
epare una fiorita il lor passaggio:
leattende a valle tacito il villaggio
conle capanne chiuse e sonnolente.
Mala chiesetta ancor nell’alto svaria
trale betullee il tetto d’un intenso
rossorsfavilla nel silenzio alpestre.
Ilrombo delle pie laudi nell’aria
palpitaancora; un lieve odor d’incenso
sperdesitra le mente e le ginestre.
GERMOGLIO
Lascabra vite che il lichene ingromma
comedi gialla rugginegermoglia:
spuntarvidi unalucida di gomma
piccolafoglia.
Alsol che brilla in mezzo a gli umidicci
solchianche l’olmo screpolato muove:
meditail vecchioramepei viticci
nuovipur nuove:
cuitremolando cercano coi lenti
viticcii tralci a foglie color rame
mentresu loro tremolano ai venti
anchele rame.
Daqual profonda cavità m’ha scosso
ilcanto dell’aereo cuculo?
fioriscea spiga per le prode il rosso
pandicuculo?
Èdel fior d’uva questa ambra che sento
ouna lieve traccia di vïole?
dovesi vede il grappolo d’argento
splendereal sole?
grappoloverde e penduloche invaia
alleprime acque fumide d’agosto
quandoil villano sente sopra l’aia
pioveremosto:
mostoche cupo brontola e tra nere
ombresospira e canta San Martino
allorche singultando nel bicchiere
sdrucciolavino;
vinoche rosso avanti il focolare
brillaal fischiare della tramontana
chegiunge come un fragoroso mare
es’allontana
similea sogno: quando su le strade
volanofoglie cui persegue il cuore
similia sogno; quando tutto cade
stingesie muore.
Muore?Anche un sognoche sognai! Germoglia
lascabra vite che il lichene ingromma:
spuntada un nodo una lanosa foglia
molledi gomma.
DOLCEZZE
I- BENEDIZIONE
E’la sera: piano piano
passail prete pazïente
salutandodella mano
ciòche vede e ciò che sente.
Tuttie tutto il buon piovano
benedicesantamente;
ancheil logliolànel grano;
quane’ fiorianche il serpente.
Ogniramoogni uccellino
sìdel bosco e sì del tetto
nelpassare ha benedetto;
ancheil falcoanche il falchetto
neroin mezzo al ciel turchino
ancheil corvoanche il becchino
poverino
chelassù nel cimitero
rasparaspa il giorno intiero.
II- CON GLI ANGIOLI
Eranoin fiore i lilla e l’ulivelle;
ellacuciva l’abito di sposa:
nél’aria ancora aprìa bocci di stelle
nés’era chiusa foglia di mimosa;
quand’ellarise; riseo rondinelle
nereimprovvisa: ma con chi? di cosa?
risecosìcon gli angioli; con quelle
nuvoled’oronuvole di rosa.
III- IL MENDICO
Pressoil rudere un pezzente
cenatra le due fontane:
panealterna egli col pane
voltigli occhi all’occidente.
Faun incanto nella mente:
carneè fattoeccol’un pane.
Trail gracchiare delle rane
scialail mago sapïente.
Sorgee beve alle due fonti:
chiarabeve acqua nell’una
manell’altra un dolce vino.
Giacee guarda: sopra i monti
spargeil lume della luna;
gettal’arti al ciel turchino
baldacchino
dimirabile lavoro
ch’eitrapunta a stelle d’oro.
IV- MARE
M’affaccioalla finestrae vedo il mare:
vannole stelletremolano l’onde.
Vedostelle passareonde passare:
unguizzo chiamaun palpito risponde.
Eccosospira l’acquaalita il vento:
sulmare è apparso un bel ponte d’argento.
Pontegettato sui laghi sereni
perchi dunque sei fatto e dove meni?
V- A NANNA
Comeun rombo d’arnia suona
trail cricchiar della mortella.
Nonnaè detta la corona:
nonnaor dì la tua novella.
Elladiceell’è pur buona
lapiù lungala più bella:
-Sola (o Dio: bubbola e tuona!)
solava la reginella.
Eccoun lumeuna stellina
malontanamenteappare.
Viaconviene andare andare.
Vae va.- Ma ciondolare
giàcomincia una testina;
duesonnecchiano; cammina
checammina
ele son tutte arrivate:
sonoin collo delle fate.
VI- IL PICCOLO ARATORE
Scrive.. . (la nonna ammira): ara bel bello
guidal’aratro con la mano lenta;
seminacol suo piccolo marrello:
ilcampo è bianconera la sementa.
D’invernoegli ara: la sementa nera
d’invernospuntasfronza a primavera;
fiorisceed ecco il primo tuon di Marzo
rotolain ariae il serpe esce dal balzo.
VII- IL PICCOLO MIETITORE
Legge. . . (la nonna ammira): ecco il campetto
biancodi grano nero in lunghe righe:
essotutt’occhicon il suo falsetto
auna a una miete quelle spighe;
mietee le spighe restano pur quelle;
mietee lega coi denti le mannelle;
ele mannelle di tra i denti suoi
parlano. . . come noimeglio di noi.
VIII- NOTTE
Siedonfanciulle ad arcolai ronzanti
ela lucerna i biondi capi indora:
ibiondi capii neri occhi stellanti
volgonoalla finestra ad ora ad ora:
attendonesse a cavalieri erranti
chevarcano la tenebra sonora?
Parland’amordi cortesied’incanti:
cosìparlando aspettano l’aurora.
TRISTEZZE
I- PAESE NOTTURNO
Capannee stolli ed alberi alla luna
sonood un tempio dell’antico Anubi
foscarovina? Stampano una bruna
ormale nubi
sula campagnae più profonda e piena
lanotte preme le macerie strane
chiuseallo sguardodove alla catena
uggiolaun cane.
Eccola falce d’oro all’orizzonte:
duenere guglie a man a man dipinge
indinon so che candido. Una fronte
biancadi sfinge?
II- RAMMARICO
Chiquesto nuovo pianto in cuor mi pone ?
Versooccidenteo dolce madre Aurora
date lontano la mia vita è corsa.
Ilcielo s’alza e tutto trascolora;
passanostelle e stelle in lenta corsa;
emergedall’azzurro la grand’Orsa
esta nell’arme fulgido Orïone.
Comepiù lieta la tua vistaquando
unpoco accenni delle rosee dita;
ela greggia s’avvia scampanellando
esceil bifolco e rauco i bovi incìta
Cantalassù la lodola - apparita
eccoGiuliettae piangeal suo balcone!-
III- SOGNO
Perun attimo fui nel mio villaggio
nellamia casa. Nulla era mutato
Stancotornavocome da un vïaggio;
stancoal mio padreai mortiero tornato.
Sentivouna gran gioiauna gran pena;
unadolcezza ed un’angoscia muta.
-Mamma?—È là che ti scalda un po’ di cena—
Poveramamma! e leinon l’ho veduta.
IV- I GATTICI
Evi rivedoo gattici d’argento
brulliin questa giornata sementina:
epigra ancor la nebbia mattutina
sfumadorata intorno ogni sarmento.
Giavi schiudea le gemme questo vento
chequeste foglie gialle ora mulina;
eio che al tempo allor gridaiCammina
oragocciare il pianto in cuor mi sento.
Orale nevi inerti sopra i monti
ele squallide pioggiee le lunghe ire
delrovaio che a notte urta le porte
ei brevi dì che paiono tramonti.
infinitie il vanire e lo sfiorire
ei crisantemiil fiore della morte.
V- LA SIEPE
Qualchebacca sui nudi ramicelli
delbiancospino trema nel viale
gelido:il suol rintronaandandoquale
pertardi passi il marmo degli avelli.
Lepasce il piccol rere degli uccelli
edaltra gente piccola e vocale.
S’odonoa sera lievi frulli d’ale
viaquando giunge un volo di monelli.
Anch’io;ricordoma passò stagione;
quellebacche a gli uccelli della frasca
invidiavoe le purpuree more;
el’alai cielii boschila canzone:
iboschi antichiove una foglia casca
mutaper ogni battito di cuore.
VI- IL NIDO
Dalselvaggio rosaio scheletrito
penzolaun nido. Comea primavera
neprorompeva empiendo la riviera
ilcinguettio del garrulo convito!
Orv’è sola una piumache all’invito
delvento esitapalpita leggiera;
qualsogno antico in anima severa
fuggentesempre e non ancor fuggito:
egià l’occhio dal cielo ora si toglie;
dalcielo dove un ultimo concento
salìraggiando e dileguò nell’aria;
esi figge alla terrain cui le foglie
putridestannomentre a onde il vento
piangenella campagna solitaria.
VII- IL PONTE
Laglauca luna lista l’orizzonte
scoprei campi nella notte occulti
eil fiume errante. In suono di singulti
l’ondasi rompe al solitario ponte.
Doveil marche lo chiama? e dove il fonte
ch’esitamormorando tra i virgulti?
ilfiume va con lucidi sussulti
almare ignoto dall’ignoto monte.
Spuntala luna: a lei sorgono intenti
glialti cipressi dalla spiaggia triste
movendoinsieme come un pio sussurro.
Sostanobiancheggiandole fluenti
nubia lei volteche salìan non viste
leinfinite scalèe del tempio azzurro.
VIII- AL FUOCO
Dormeil vecchio avanti i ciocchi.
Sognaun nuvolo di bimbi
checinguetta. Il ceppo al foco
russaroco.
Dormeanch’esso. A tutti i nocchi
sognagrappoli e corimbi.
Roseipendono nell’aria
solitaria.
Bianchii bimbi tra il fogliame
susua quel roseo sorriso
vanno.Il ceppo occhi di brace
apree tace.
Eccopendulo lo sciame
dalgrande albero improvviso
susu. Il vecchio nel cor teme
guardae geme.
Ognibimbo al suo fiore alza
lamano e. . . scivola e va.
Sbarrail ceppo la pupilla:
crocchiae brilla.
Eil vegliardoal crocchiarbalza
nellarotta oscurità.
Giralento gli occhi. Solo!
solo!solo!
IX- IL LAMPO
Ecielo e terra si mostrò qual era:
laterra ansantelividain sussulto;
ilcielo ingombrotragicodisfatto:
biancabianca nel tacito tumulto
unacasa apparì sparì d’un tratto;
comeun occhiochelargoesterrefatto
s’aprìsi chiusenella notte nera.
X- IL TUONO
Enella notte nera come il nulla
aun trattocol fragor d’arduo dirupo
chefranail tuono rimbombò di schianto:
rimbombòrimbalzòrotolò cupo
etacquee poi rimareggiò rinfranto
epoi vanì. Soave allora un canto
s’udìdi madree il moto di una culla.
XI
LONTANA
Cantareil giornoti sentii: felice?
Cantavi;la tua voce era lontana:
lontanacome di stornellatrice
perla campagna frondeggiante e piana.
Lontanasìma io sentia nel cuore
chequel lontano canto era d’amore:
masì lontanache quel dolce canto
dentronel cuoremi moriva in pianto.
XII- I CIECHI
Siedonolungo il fossoal solleone
fuordello stormeggiante paesello.
Passaun trotto via via tra il polverone
unapestaun altercouno stornello:
eda terra una grave salmodia
silevauna preghieraal lor cospetto.
-Il nostro pane - gemono via via:
ilnostroil nostro: tuGesùl’hai detto.
XIII- DALLA SPIAGGIA
I
C’èsopra il mare tutto abbonacciato
iltremolare quasi d’una maglia:
infondo in fondo un ermo colonnato
niveecolonne d’un candor che abbaglia:
unarovina bianca e solitaria
làdove azzurra è l’acqua come l’aria:
ilmare nella calma dell’estate
necanta tra le sue larghe sorsate.
II
Obianco tempio che credei vedere
nelchiaro giornodove sei vanito?
Duebarche stanno immobilmente nere
duebarche in panna in mezzo all’infinito.
Ele due barche sembrano due bare
smarritein mezzo all’infinito mare;
epiano il mare scivola alla riva
ene sospira nella calma estiva.
XIV- NOTTE DI NEVE
Pace!grida la campana
malontanafioca. Là
unmarmoreo cimitero
sorgesu cui l’ombra tace:
ene sfuma al cielo nero
unchiarore ampio e fugace.
Pace!pace! pace! pace!
nellabianca oscurità.
XV- NEVICATA
Nevica:l’aria brulica di bianco;
laterra è bianca; neve sopra neve:
gemonogli olmi a un lungo mugghio stanco:
cadedel bianco con un tonfo lieve.
Ele ventate soffiano di schianto
eper le vie mulina la bufera:
passanobimbi: un balbettio di pianto;
passauna madre: passa una preghiera.
XVI- NOTTE DOLOROSA
Simuove il cielotacito e lontano:
laterra dormee non la vuol destare;
dormonol’acquei montile brughiere.
Manoché sente sospirare il mare
gemeresente le capanne nere:
v’èdentro un bimbo che non può dormire:
piange;e le stelle passano pian piano.
XVII- NOTTE Dl VENTO
Allorasentii che non c’era
chenon ci sarebbe mai più...
Latenebra vidi più nera
piùlugubre udii la bufera...
uuh...uuuh...uuuh...
Veniacome un volo di spetri
gridandoad ogni émpito più:
unfragile squillo di vetri
seguivaquelli ululi tetri...
uuh...uuuh...uuuh...
Oh!solo nell’ombra che porta
queigridi... (chi passa laggiù?)
Ohlsolo nell’ombra già morta
persempre... (chi batte alla porta?)
uuh...uuuh...uuuh...
XVIII- LA BAIA TRANQUILLA
Gettal’ancoraamor mio:
nonun’onda in questa baia.
Qualeassiduo sciacquìo
fannol’acque tra la ghiaia!
Viendal lido solatìo
viendi là dalla giuncaia
lungovien come un addio
uncantar di marinaia.
Trale vetrici e gli ontani
vediun fiume luccicare;
unostormo di gabbiani
nelturchino biancheggiare;
esul poggiopiù lontani
icipressi neri stare.
Mare !mare!
dolcelàdal poggio azzurro
iltuo urlo e il tuo sussurro.
ILBACIO DEL MORTO
I
Ètacitoè grigio il mattino;
laterra ha un odore di funghi;
digocciole è pieno il giardino.
Immobilitra la leggiera
caliginegli alberi: lunghi
lamentidi vaporïera.
Isolchi ho nel cuorei sussulti
d’unpianto sognato: parole
sospiriavanzati ai singulti:
unsolco sul labbroche duole.
II
Chiseiche venisticoi lieti
tuoipassida me nella notte?
Nonso; non ricordo: piangevi.
Piangevi:io sentii per il viso
miopiangere freddedirotte
lestille dall’occhio tuo fiso
sume: io sentii che accostavi
lelabbra al mio labbro a baciarmi;
einvano volli io levar gravi
lepalpebre: gravi: due marmi.
III
Chisei? donde vieni? presente
tuttora?mi vedi? mi sai?
elacrimi tacitamente ?
Chisei ? Trema ancora la porta.
Certoeri di quelli che amai
maforse non so che sei morta. . .
Néso come un’ombra d’arcano
tral’umida nebbia leggiera
iosenta in quel lungo lontano
salutodi vaporiera.
LANOTTE DEI MORTI
I
Lacasa è serrata; ma desta:
nefuma alla luna il camino.
Nonfilano o torcono: è festa.
Scoppiettail castagnoil paiolo
borbotta.Sul desco c’è il vino
cuispilla il capoccio da solo.
Intanto essi pregano al lume
delfuoco: via via la corteccia
schizzaarida... Mormora il fiume
conrotto fragore di breccia...
II
Èforse (io non odo: non sento
cheil fiume passareportare
quelmurmure al mare) d’un lento
vegliardola tremula voce
cheintuona il rosarioe che pare
chevenga da sotto una croce
dasotto un gran peso; da lunge
Queipoveri vecchi bisbigli
sonorauna romba raggiunge
coltrillo dei figli de’ figli.
III
Oh!i morti! Pregarono anch’essi
lanotte dei mortiper quelli
chetacciono sotto i cipressi.
Passarono...O cupo tinnito
disquille dagli ermi castelli!
ofiume dall’inno infinito!
Passarono...Sopra la luna
chetacita sembra che chiami
iovedo passare un velouna
breveombrama biancadi sciami.
IDUE CUGINI
I
Siamavano i bimbi cugini
Parevaun incontro di loro
l’incontro di due lucherini:
volavano.Nell’ abbracciarsi
itòcchi cadevanoe l’oro
mescevanoi riccioli sparsi.
Poil’uno appassì come rosa
chein boccio appassisce nell’orto;
mal’altra la piccola sposa
rimasedel piccolo morto.
II
Tupiccola sposacrescesti:
manmano intrecciavi i capelli
manmano allungavi le vesti.
Crescevisott’occhi che negano
ancora;ed i petali snelli
cadevano:il fiore già lega.
Mal’altro non crebbe. Dal mite
suocuoreorasenza perché
fiorisconole margherite
ei non ti scordare di me.
III
Matu . . . ma tu l’ami. Lo vedi
lochiami. La senti da lunge
lafretta dei taciti piedi . . .
Tul’amiegli t’ama tuttora;
maegli col capo non giunge
alseno tuo nuovoche ignora.
Egliesita: avanti la pura
tuafronte ricinta d’un nimbo
piangendol’antica sventura
tentennail suo capo di bimbo.
PLACIDO
I
Iodissi a quel vecchio“Dove?” Io
cercavaun fanciullo mio buono
smarrito:il mio Placido: mio!
Cercavoquelli occhi (... un cipresso?)
co’quali chiedeva perdono
divivered’esserci anch’esso.
Cercavo.Ero giunto. Era quello
percerto il paese azzurrino
suo:montiuna selvaun castello
poimonti: più suSan Marino.
Il
Nelchiuso (... una croce?) noi soli
tres’era: non c’era altro fiore
chel’oro di due girasoli.
Nelchiuso non c’era altra voce
rammentoche il cupo stridore
d’unfuco ronzante a una croce;
equalche fruscio di virgulto
alpasso del vecchioche aveva
lechiavi; e d’un trattoun singulto
dilei: di Mariache piangeva.
III
Ein fineguardandosi attorno
“Qui”disse quell’uomo. A Sogliano
latorre sonò mezzogiorno.
Stridevanogli uscii camini
fumavanotutti: lontano
s’udivaun vocio di bambini.
Elui? “Qui” mi disse: “non vede?”
Iovidi: tra il grigio becchino
enoividi un neroal mio piede
diterra ah! scavata il mattino!
TRAMONTI
I- LASIRENA
Laserafra il sussurrìo lento
dell’acquache succhia la rena
dalmare nebbioso un lamento
sileva: il tuo cantoo Sirena.
Esembra che salgache salga
poirompa in un gemito grave.
El’onda sospira tra l’alga
epassa una larva di nave:
un’ombradi nave che sfuma
nelgrigioove muore quel grido;
cheporta con sénella bruma
deicuori che tornano al lido:
allido che fuggeche scese
giànella caliginevia;
cheporta via tuttole chiese
chesuonano l’avemaria
lecase che su per la balza
nelgrigio traspaiono appena
el’ombra del fumo che s’alza
traforse il brusìo della cena.
II- PIANO E MONTE
Ildiscograndissimopende
rossastroin un latte d’opale:
eintaglia le case ed accende
ilecci nel nero viale;
chefumanocome foreste
dipolvere gialla e vermiglia:
s’annuvolain rosa e celeste
quelbotro color di conchiglia.
Qualampi di vetriqua lente
cantatequa grida confuse:
làplacido il muto orïente
nell’ombradei monti si chiuse.
Sivedono opache le vette
èpace e silenzio tra i monti:
unbreve squittir di civette
unmurmure lungo di fonti:
viavia con fragore interrotto
siserra la casa tranquilla:
èchiusa: nel bianco salotto
latacita lampada brilla.
ILCUORE DEL CIPRESSO
I
Ocipressoche solo e nero stacchi
dalvitreo cielosopra lo sterpeto
irtodi cardi e stridulo di biacchi:
inte soventeal tempo delle more
odonoi bimbi un pispillìo secreto
comed’un nido che ti sogni in cuore.
L’ultimacova. Tu canti sommesso
mentres’allunga l’ombra taciturna
neltristo campo: quasiermo cipresso
ellaricerchi tra que’ bronchi un’urna.
II
Piùbrevi i giornie l’ombra ogni dì meno
s’indugiae cercairrequietaal sole;
eil sole è freddo e pallido il sereno.
L’ombraogni sera primaentra nell’ombra:
nell’ombraove le stelle errano sole.
Eil rovo arrossa e con le spine ingombra
tuttii sentierie cadono già roggie
lefoglie intorno (indifferente oscilla
l’ermocipresso)e già le prime pioggie
fischianoed il libeccio ulula e squilla.
III
Eil tuo nido? il tuo nido?... Ulula forte
ilvento e t’urta e ti percuote a lungo:
tusorgie resti; simile alla Morte.
Eil tuo cuore? il tuo cuore?... Orrida trebbia
l’acquai miei vetrie là ti vedo lungo
dinebbia nera tra la grigia nebbia.
Eil tuo sogno? La terra ecco scompare:
lanevemuta a guisa del pensiero
cade.Tra il bianco e tacito franare
tustaigigante immobilmente nero.
ALBERIE FIORI
I- FIORD’ACANTO
aEgisto Cecchi
Fioredi carta rigidadentato
petalidi fini aghiche snello
sorgidal cespocome un serpe alato
daun capitello;
fioreche ringhi dai diritti scapi
conbocche tue di piccoli ippogrifi;
fiordel Poeta! industrïa te d’api
schifae tu schifi.
L’apete sdegnapiccola e regale;
maspesso io vidi l’ape legnaiola
celareil corpo che rilucequale
neraviola
dentroil tuo duro calicee rapirti
nonso che buonoche da te pur viene
comele viti di tra i sassi e i mirti
ditra l’arene.
Losa la figlia del pastorche vuoto
unlegno fende e lieta pasce quanto
mielele giova: il tuo nettare ignoto
fiored’acanto.
II- NEL GIARDINO
Nelmio giardinolà nel canto oscuro
doveora il pettirosso tintinnìa
colgelsomino rampicante al muro
c’èla gaggìa;
eor che ottobre dentro la vermiglia
forestail marzo rende morto al suolo
esembra marzocome rassomiglia
baccaa bocciuolo
albaa tramonto; nelle tenui trine
l’unasi stringeal roseo vesproquando
l’altroi suoi fioricandide stelline
aprealitando;
edal sospiro dell’avemaria
quandonel bosco dalle cime nude
ildì s’esalail cuore in una pia
ombrasi chiude;
el’anima in quell’ombra di ricordi
aprecorolle che imbocciar non vide;
el’ombra di fior d’angelo e di fior di
spinasorride.
III- NEL PARCO
aMario Racah
Certoil signoree la chiomata moglie
partìpe’ campiché già il tordo zirla:
mutotra un’ampia musica di foglie
(dolcesentirla
d’autunnoa tarda nottese il libeccio
soffiacon lunghi fremiti sonori)
mutoè il palazzo. S’ode un cicaleccio
ditra gli allori ;
uncicaleccio donde acuti appelli
s’alzanocome strilli di piviere:
ilgatto è fuori: ruzzano i monelli
delgiardiniere.
Torvoaggrondatoil candido palazzo
formicolarea’ piedi suoi li mira;
esì n’echeggia un cupoa quel rombazzo
battitod’ira;
manon s’adira il giovinetto alloro
illeccioil pioppo tremulo ed il lento
salice:a prova corrono con loro;
cantanoal vento.
IV- ROSA DI MACCHIA
Rosadi macchiache dall’irta rama
ridinon vista a quella montanina
chestornellando passa e che ti chiama
rosacanina;
sesottil mano i fiori tuoi non coglie
nonti dolere della tua fortuna:
leinvidïate rose centofoglie
colganoa una
auna: al freddo sibilar del vento
chel’arse foglie a una a una stacca
irtoil rosaio dondolerà lento
senzauna bacca;
matu di bacche brillerai nel lutto
delgrigio inverno; al rifiorir dell’anno
ifiori nuovi a qualche vizzo frutto
sorrideranno:
etecol tempostupirà cresciuta
quellache all’alba svolta già leggiera
colsuo stornelloe risalirà muta
forseuna sera.
V- PERVINCA
Soperché sempre ad un pensier di cielo
misterïosoil tuo pensier s’avvinca
sìcome stelo tu confondi a stelo
vincapervinca;
ioti coglieva sotto i vecchi tronchi
nellaforesta d’un convento oscura
opresso l’archetra vilucchi e bronchi
lungola mura.
Solotra l’arche errava un cappuccino;
parevaspettro da quell’arche uscito
biancola barba e gli occhi d’un turchino
vuotoinfinito;
comeil tuo fiore: e io credea vedere
occhidi cielodallo sguardo fiso
piùd’anacoretiallo svoltartra nere
ombreimprovviso;
eil bosco alzavaal palpito del vento
unaconfusa e morta salmodia
mentresquillavagravedal convento
l’avemaria.
VI- IL DITTAMO
Dittamonato all’umile finestra
dondepel Corpusdomini sorrisi
allasoave tra fior di ginestra
efiordalisi
processïone;io so di teche immensa
virtùpossiedi ne’ chiomanti capi
cespolanoso ed olezzantemensa
riccadell’api.
Tecon la freccia tremolante al dosso
cercanei monti il daino selvaggio
farmacocerto - di lui segue un rosso
rigoil vïaggio -
Dittamoblando per la mia ferita
l’aveteo balze degli aerei monti
dovenell’alto piange la romita
culladei fonti ?
Biancheai dirupi pendono le capre;
l’aquilapassa nera e solitaria;
sibilal’erba inaridita; s’apre
sottoil pièl’aria.
VII -EDERA FIORITA
adEttore Toci
Quandodi maggiotu le dolci sere
imbalsamavico’ tuoi fioriornello
(eraun sussurro alle finestre nere
delpaesello!);
nonti rincrebbe d’un infermo arbusto
chemosso anch’egli da dolcezza estiva
conle sue fogliecome cuorial fusto
lentosaliva.
Nonti rincrebbe. Ed ora che gelata
latramontana soffiae che traspare
giàdalle porte chiuse la fiammata
delfocolare;
orache il verno spoglia le foreste
ele tue foglie per le vie disperde;
ovecchio ornellote ricopre e veste
l’ederaverde.
Suirami nudi i fiori suoi ti pone
traverdi e giallipiccolicom’era
latua fiorita morta: illusïone
diprimavera.
VIII- VIOLE D’INVERNO
-D’ondeo vecchinaqueste vïolette
serenecome un lontanar di monti
nelpuro occaso ? Poi che il gelo ha strette
tuttele fonti ;
ilgelo brucia dalle stelleo nonna
ognifogliaogni radicaogni zolla -
-Tiepidasappilungo la Corsonna
gemeuna polla.
Lànoi sciacquiamo il candido bucato
nell’ondacalda in mezzo a nevi e brine;
eil poggio è pieno di vïolee il prato
dipratelline -
Ah!. . . mapoetanon ancor nel pio
tuocuore è l’onda che discioglie il gelo ?
nonè la pollacalda nell’oblio
freddodel cielo?
Chésemprese ti agghiaccia la sventura
sel’odio altrui ti spoglia e ti desola
spuntaal tepor dell’anima tua pura
qualchevïola.
IX- IL CASTAGNO
aFrancesco Pellegrini
I
Quandosfioriva e rinverdiva il melo
quandos’apriva il fiore del cotogno
ilgreppoazzurrosomigliava un cielo
vistonel sogno;
brulloio te vidi; e già per ogni ripa
eranocolte tutte le vïole
etu lasciavi ai cesti ed alla stipa
tuttoil tuo sole;
epio castagnoi rami dalla bruma
ancoraappena e dal nevischio vivi
amano a mano d’una lieve spuma
verdecoprivi.
Mapoivedendo sotto il fascio greve
lemontanine tergersi la fronte
tuche le sai da quando per la neve
scendonoil monte
eccopietoso tu di lortessesti
lungoi torrentiall’orlo dei burroni
unafredda ombrache gemé di mesti
cannareccioni.
II
Equalche cosa già nell’aspro cardo
chiusoascondevicome l’avo buono
chenell’irsuta mano cela un tardo
faciledono.
Aiprimi freddiquando il buon villano
rinumeròtutti i suoi bimbi al fuoco;
econ lui lungamente il tramontano
brontolòroco;
etu quei cardiin mezzo alle procelle
spargestisopra l’erica ingiallita
eli schiudevi per pietà di quelle
poveredita
Tuttispargesti i cardi irti e le fronde
fragilie tutto portò via festante
lagrama turba. Nudo con le monde
rameo gigante
stavie vedevi tu la vite e il melo
vestitid’oro e porpora al riflesso
giàdelle nevie per lo scialbo cielo
neroil cipresso.
III
Perte i tuguri sentono il tumulto
ordel paiolo che inquïeto oscilla;
perte la fiamma sotto quel singulto
crepitae brilla:
tupio castagnosolo tul’assai
donial villano che non ha che il sole;
tusolo il chiccoil buon di piùtu dai
allasua prole;
hada te la sua bruna vaccherella
tiepidoil letto e non desìa la stoppia;
hada te l’avo tremulo la bella
fiammache scoppia.
Scoppiacon gioia stridula la scorza
de’rami tuoico’ frutti tuoi la grata
pentolabrontola. Il vento fa forza
nell’impannata.
Nevicasu le candide montagne
nevicaancora. Lieto è l’avoe breve
augurae dice: Tante più castagne
quantapiù neve.
X- IL PESCO
aAdolfo Cipriani
Pensoa Livornoa un vecchio cimitero
divecchi morti; ove a dormir con essi
niunopiù scende; sempre chiuso; nero
d’alticipressi.
Trai loro tronchi che mai niuno vede
dilà dell’erto muro e delle porte
ch’hannoobliato i cardinisi crede
mortala Morte
anch’essa.Eppurein un bel dì d’Aprile
sopraquel nero vidiroseofresco
vivodal muro sporgere un sottile
ramodi pesco.
Figliod’ignoto nòcciolod’allora
seitu cresciuto tra gli ignoti morti?
edora invidii i mandorli che indora
l’albanegli orti?
odi cipressigracile e selvaggio
dimenticàticol tuo riso allieti
tutrovatello in un eremitaggio
d’anacoreti?
XI- CANZONE DI NOZZE
adEnrico Bemporad
Guardila vostra casa sopra un rivo
soprale stipesopra le ginestre;
edentri l’eco d’un gorgheggio estivo
dallefinestre.
Dolcedormire con nel sogno il canto
dell’usignuolo!E sian sotto la gronda
rondininere. Dolce avere accanto
chivi risponda
sulfar dell’albaquando voi direte
pianpiano: È vero che non s’è più soli?
Sì:sidirannovero ver... Che liete
grida!che voli!
sulfar dell’albaquando tutto ancora
sembradormir dietro le imposte unite!
Sembrae non è.Voi sìforsein quell’ora
madridormite.
Sognatebiondo: nelle vostre teste
nonun fil bianco: bianchenel giardino
sonosìquelle ch’ora vi tendeste
fasciedi lino.
XII- I GIGLI
Nelmio villaggiodietro la Madonna
dell’acquapresso a molti pii bisbigli
sorgonosopra l’esile colonna
verdei miei gigli:
mieiché a deporne i tuberi in quel canto
delsuo giardino fu mia madre mesta.
D’altriè il giardino: di mia madre (è tanto!...)
nullapiú resta.
Sonotanti anni!... Ma quei gigli ogni anno
esconoancora a biancheggiar tra folti
cestid’ortica; ed ora... ora saranno
forsegià còlti.
Forsegià sono su l’altarlì presso
achieder acquaor ch’è mietuto il grano
peril granturco: e nel pregar sommesso
meridïano
guardandoi giglialcuna ebbe un fugace
ricordo;e chiede che Maria mi porti
nellamia casaper morirvi in pace
pressoi miei morti
COLLOQUIO
I
Brullii pioppi nell’aria di vïola
sorgonosopra i leccisfavillando
comeoro: sopra il tetto della scuola
sisfrangia un orlo a fiocchi rosei; quando
lievecome un sospiroentra; poi sola
biancale mani al cuoreristàansando;
giragli occhi - dov’è la famigliuola? -
eha sui labbri il suo sorriso blando;
mapiange. Oh: sì: son quello: il tuo Giovanni...
unpo’ mutato. O madre seppellita
chegli altri lascioggiper me; parliamo.
Iodevo dirti cosa da molti anni
chiusadentro. E non piangere. La vita
chetu mi desti - o madretu ! - non l’amo.
II
Nonpiangere. È uno sforzo così mesto
viverlasenza te questa tua vita!
adogni gioia è tanto dolor questo
subitoricordar teseppellita!
Daisognioh! brevidella gioia desto
iomi ritrovo a piangere infinita-
mentecon te: morire! così presto!
partireo madrecome sei partita!
Tunon dovevi. Con quelli occhi in pianto!
conquella bimba che parlava appena!
Dovevio madre piadirlo a Dio padre
chenon potevi; e ti lasciasse; e in tanto
tela guarisse Dio quella tua vena
checi si ruppe nel tuo cuoreo madre!
III
Nonpiangere. . . Sarebbe così bello
questomondo odorato di mistero!
sarebbela tua via come un sentiero
conl’erba intattaall’ombra dell’ornello.
Enuova tu saresti anche all’amello
ancheal frullo d’un passero ciarliero!
Marasentando il muto cimitero
tifermeresti pallida al cancello . . .
Eio direi del sonno delle larve
chesognano alie delle siepi tetre
ch’hannonel sonno grappoli di fiori.
Piangerti lascierei di ciò che sparve;
indisorrideremmo anche alle pietre
bianchelàtra cipressi e sicomori.
IV
Ma. . . ma tu piangi come non ti vidi
piangeremainel dolce viso attento.
Mase lo socon che dolce lamento
chiedevial cielo e con che fiochi gridi
cheti lasciasse! Quali madri i nidi
lascianosoli pigolare al vento ?
S’eraper mammat’avrei qui; lo sento:
viva;lo so: perdonami; sorridi.
Mase lo so: fioccava senza fine;
etutra i cericon la morte accanto
sentendogli urli della tramontana
parlaviancoradelle due bambine
cuinon potevinon poteviin tanto
cucirei piccoli abiti di lana.
V
Masì: la vita mia (non piangere!) ora
nonè poi tanto sola e tanto nera:
cantòla cingallegra in su l’aurora
cantavaa mezzodì la capinera.
Icanarini cantano la sera
perla mia cena piccola e canora:
poinell’orto vedessi a primavera
comeil ciclame e l’ulivella odora!
Igerani vedraimessi al coperto
dalgelo: qualche foglia ha la cedrina
ricordi? l’erba che piaceva a te . . .
Sorridi?a questo sbatter d’usci ? È certo
Idatua che sfaccendaoggiin cucina.
EMaria? Maria pregaoggiper me.
INCAMMINO
Siedesopra una pietra del cammino
anotte fondanel nebbioso piano:
etra la nebbia sente il pellegrino
lefoglie secche stridere pian piano:
ilcielo gemeimmobilelontano
el’uomo pensa: Non sorgerò più.
Pensa:un occhiata quale passeggero
vanaha gettata a passeggero in via
èla sua vitae impresse nel pensiero
l’ormache lascia il sogno che s’oblia;
un’ormalieveche non sa se sia
spentodolore o gioia che non fu.
Edecco - quasi sopra la sua tomba
siedetra l’invisibile caduta -
passauno squillo tremulo di tromba
chetra la nebbianel passarsaluta;
squilloche viene d’oltre l’ombra muta
d’oltrela nebbia: di più su: più su
doveserene brillano le stelle
sulmar di nebbiasul fumoso mare
incui t’allunghi in pallide fiammelle
tulento Carroe tuStella polare
passanosquilli come di fanfare
passaun nero triangolo di gru.
Trale serene costellazïoni
vannoe la nebbia delle lande strane;
vannoincessanti a tiepidi valloni
averdi oasiad isole lontane
adilagate cerule fiumane
vannoal misterïoso Timbuctù.
Sonopassate . . . Ma la testa alzava
dallasua pietra intento il pellegrino
aquella vocee tra la nebbia cava
ripreseil suo bordone e il suo destino:
tranquillamenteseguitò il cammino
dietrolo squillo che vanìa laggiù.
ULTIMOSOGNO
Daun immoto fragor di carrïaggi
ferreimoventi verso l’infinito
traschiocchi acuti e fremiti selvaggi...
unsilenzio improvviso. Ero guarito.
Eraspirato il nembo del mio male
inun alito. Un muovere di ciglia;
evidi la mia madre al capezzale:
iola guardava senza meraviglia.
Libero!...inerte sìforsequand’io
lemani al petto sciogliere volessi:
manon volevo. Udivasi un fruscio
sottileassiduoquasi di cipressi;
quasid’un fiume che cercasse il mare
inesistentein un immenso piano:
ione seguiva il vano sussurrare
semprelo stessosempre più lontano.