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GiovanniPascoli
LECANZONI
DI
REENZIO
!.LE CANZONI DI RE ENZIO I°
AMILANO
CHEPRIMA SU TE POSE LA SUA BANDIERA
VAO CARROCCIO
VAO POESIA DEL MEDIO EVO ITALICO
RITORNADALLA MINORE ALLA MAGGIOR SORELLA
DALCOMUNE CHE VINSE A FOSSALTA
ALCOMUNE CHE AVEVA VINTO A LEGNANO
DALLACITTÀ CHE L’VIII AGOSTO RIBUTTÒ
ALLACITTÀ CHE NEI V DÌ DI MARZO AVEA CACCIATO
LOSTESSO PERPETUO EVERSORE DI TERMINI
INVASOREDI CONFINI VIOLATORE DI DIRITTI
ETERNI.
VIIIOTTOBRE DEL MCMVIII
LACANZONE DEL CARROCCIO
I.I BOVI
Muglianoi bovi appiedi dell'Arengo.
Sull'albail muglio nella città fosca
spargel'odor del sole e della terra.
L'aratroappare che ricopre il seme
appareil plaustro che riporta il grano.
TorriBologna più non hache pioppi:
trai suoi due fiumitremoli alti pioppi.
Piùnon ha caseche tra il verderare
conle ben fatte cupole di strame;
piùnon ha piazzeche grandi aie bianche
sucui vapora un polverìo di pula.
Vison gli stabbi sotto i tamarischi;
lecavedagne all'ombra dei vecchi olmi;
eil sonnolento maceroche pare
quasironfare il canto delle rane.
Ilmuglio parla d'opere e ricolti
parladi solitudine e di pace
ed'abbondanza. Il muglio desta i falchi
lassùprigioni: ch'empiono la muda
d'unloro squittir rauco.
Ifalchi d'Eristallo e Solimburgo
vedeanoin sogno brighe zuffe stormi.
Narranodesti l'uno all'altro il sogno.
SognavaBuoso d'essere a Dovara
nelsuo castelloe di sognar l'inferno...
Quietia basso ruminano i bovi.
L'annoè finito delle lor fatiche.
Finitaè l'ansia di tirare il plaustro
perl'ampia via del console romano.
Traeanpur ieri alla città turrita
lecastellate dal lucente usciolo;
fascitraean di canapa e di stoppa
acui nel verno esercitar le ancelle;
ebianche sacca turgide di grano
escabri ciocchi e fragili sarmenti:
hannoprovvisto il paneil vinoil fuoco
eil saldo filo onde si tesse il drappo
rudee sincero. E ruminano gravi
dimaravigliaad or ad or mugliando
nellacittà che dorme.
Ilbianco e il rosso stanno sotto un giogo:
idue colori della tua bandiera
forteBologna. I rossi magri bovi
dalleampie corna e dai garretti duri
fendeangemendo la saturnia terra
allorche madre grande era di biade
granded'eroi. Rapidi aravano. Era
forsealla bure un dittator di Roma.
Rapidivanno: ne' pelosi orecchi
risuonaancora il grido dell'impero.
Mapoi dall'Alpe sceserotranando
lecase erranti d'Eruli e di Goti
ibovi bianchia cui restò negli occhi
lostupor primo della Terra sacra
imontii laghii pratii campii fiumi.
Ellagiacea sotto la mano stesa
delcondottiere; e i piccoli e le donne
gliocchi celesti confondean nel cielo.
Stendeala mano il Barbaro esclamando:
Italia!Italia! Italia!
Edora i pigri bovi bianchi a terra
pieganle gambe e sdraiano le membra.
Maresta in piedi il fulvo lor compagno
cosìch'è il giogo a tutti e due più grave.
L'uncapo e l'altro appressa torvi il giogo
comunee gli umidi aliti stranieri.
Mail rosso alfine le ginocchia ponta
epiega a terra: e in pacea paroentrambi
giranopoi la macina dei denti.
Comincial'anno delle lor fatiche:
aparoin paceromperanno il campo:
trapoco al campo porteranno il concio
tiepidoe nero; e poi faranno i solchi
ilunghi solchi per la pia sementa
pergrano e linocanapa orzo spelta.
L'aratroè fondoma il biolco preme
lastiva più. "LàBianco!" urla; "QuaRosso!"
Fumanoinsieme il fiato della terra
rottae dei bovi e del nebbioso cielo
edel seminatore.
II.IL CUSTODE DELL'ARENGO
Sullimitare siedono i biolchi
mangianopane. E quali son manenti
qualiarimannidel contadoastretti
alsuolo altrui come le quercie e gli olmi.
Madietro loro stridono le chiavi
ei chiavistellied apparisce il vecchio
ch'hain sua balìa le porte delle stalle:
ZuamToso. Il lume ha grave ormai degli occhi
traguardae dice: "Uominidove siete?"
Calail cappucciostringe a sé la cappa
conpelli agninech'ebbe dal Comune
adOgnissanti per il suo lavoro.
ZuamToso tremaabben che sia d'ottobre.
Guardaa' suoi piedisulla sogliae dice:
"Traetedentrouominii bovi: è l'ora.
GiàBonifazio monta al bitifredo".
Diceil custode dell'Arengo; e i servi
tacitiin piedi s'alzanoe del piede
tentanoi lombi a gl'indolenti bovi
ches'alzano soffiando.
Eparla il Tosovolto a gli arimanni
voltoai manenti: "Io vedo ormai più poco.
Benconverrà che il frate mio m'aiuti
buonuomo e savio: ch'io non son quel ch'ero
quandoil passaggio feci in Terra Santa.
Oh!mi ricordo Orso Cazanimici
PietroAsinelliScappa Garisendi
pro'cavalieri: iopiccolo ragazzo.
Iosìtornai: niuno tornòdi loro
sìche in Bologna ne fu poi gran pianto.
Poil'altra volta mi crociai. Ricordo
ilLambertazzo e il Geremeo seduti
placidiall'ombraall'ombra d'una palma.
Erain Soria. Tenevo io per le briglie
idue cavalli: si mordean rignando..."
Quiviun biolco avanti trae la coppia
primade' bovie dice: "Misèr Toso..."
Equei dà luogoed esce nella piazza.
Sottol'Arengo vi son già fanciulli
congli occhi aperti al cielo.
Voglionoil re. Dice Zuam Toso: "Andate!
Quandoero putto come voiben altro
iovidi! Vidigrandealto a cavallo
l'imperatoredalla barba rossa.
Lì!"Gli occhi tondi vanno dietro al dito.
"Eglisolcava col suo grande aratro
lepiazze e vie delle città romane:
seguianoil solco nugoli di corvi".
Piùlungi è un crocchio di donzelle e donne;
chinanogli occhi all'appressar del Toso.
Eil Toso dice: "E quale di voidonne
quelloch'io vidipoté qui vedere?
SantoFrancesco. Tritomacilento
piccolo;in veste disusata e vile.
Mae' parlò così soavemente
chetutti quanti furono in Dio ratti.
Niunoè sì grandeche gli sia promesso –
diceva— uno palagio pieno d'oro
chenon portasse un sacco di letame
perun aver sì grande! —"
PoiZuam aggiunge: "Ed era quello il tempo
cheDio sgrollava la città partita
pienad'invidia. Ed e' parlò di pace
SantoFrancescoe non facea guadagno.
Eccoe d'un soffio scosse Dio le torri.
tralor nimichee ignuna versò fuori
lesue colombe; e stettero sull'alie
epoi scesero al frate poverello
qualisul capoquali sulle spalle
alquantein grembioalquante sulle braccia.
Allorsì venne la divina grazia
inveder quelle l'alie aprire e i becchi
semplicie castesotto la sua mano!"
Maquivi il Toso muove inver l'Arengo
chéalcun lo chiama; e le donzelle e donne
levanogli occhi verso le finestre.
Cercanoil re. Vanno da torre a torre
datorri guelfe a torri ghibelline
esopra i merli e sopra le baltresche
tubanole colombe.
III.I BIOLCHI
Sottole grandi volte dell'Arengo
orai biolchi hanno attaccato al carro
ilprimo paiohanno fermato il giogo
conlo statoio dal sonante anello.
Hannoal timone l'altre paia aggiunte
conlunghe zerle e lucide catene.
Sonoaddobbati a bianco ed a scarlatto
orai biolchigli otto bovi e il carro.
Giacesu questo un albero da nave
altoferrato. Attendono nell'ombra
uominie bovi il cenno della squilla.
Guardanoin tanto. Attorno lor non sono
nellarimessaacute vanghe e zappe
falcie frullanenon il curvo aratro
nécoreggiati né pennati appesi
allepareti o flessili crinelle:
sìlancie e scudi e selle e cervelliere
balestregrosse e loro saettame
guantidi ferroelmi di ferroe trulli
trabucchie manganelle.
DiceZuam Toso: "Il carronon di concio
credovi sappianon di grano e mosto.
Nonuve frante egli portò; sì morti
grandie bei mortie sente forse il sangue.
Iol'amoo gentich'io nell'anno nacqui
ch'eglifu fatto. Ahimè! com'egli ha salde
lemembra sue di rovere e di faggio!
Iosono invece canna di palude...
Manon fui sempre. Non tremiamo al vento
noi!Come ha scritto il savio Rolandino.
Diceamio padreche Dio l'abbia in gloria
cheBarbarossa minacciò Bologna.
Enoi facemmo questo greve carro
peruscir fuorilenti lential lento
passodei bovi; e c'era un grande abeto
incime all'Alpevecchio come Roma:
noine facemmo questa lunga antenna
ch'eila vedesse; e suvvi la campana;
chepur lontana egli la udisse chiara
trail trotto dei cavalli".
Taccionoall'armi guardano i biolchi.
Chiguarda è un altro che in lor è: l'Antico.
Fermosul suo pungettouno è un astato
cheavea seguito l'aquile di Druso.
Eicampeggiò sul Reno e sul Visurgi.
Fransei giganti Cauchi e Langobardi.
Portòtrent'annil'armi il vallo e il vitto.
Cenòla pulte con l'aceto e il sale.
Ebbeferite e un ramuscel di quercia.
Poivecchio arò due iugeri di terra.
Leglebe allora ei debellavae gli era
pilola vanga e gladio la gombiera.
Spiònel volo degli uccelli il tempo
dellasementa e della mietitura.
Piantògli alberi a file di coorte.
Nontrombe all'alba altre sentìche il gallo.
Nonfu nel campo altro ronzìoche d'api.
Poidi quel campoin un de' suoi nepoti
servorimase. E portò lino al Duddo
evino allo Scafardo.
L'altroa cavallo dietro il suo Sculdascio
giuntoera qui con la selvaggia fara:
rasala nucala capellatura
attornoal viso mista alla gran barba.
Videi gasindi dar la lancia a Clefi
videferir nella colonna Autari.
Quindinel nome del suo Dionel nome
dellasua spadaebbe una casa e il bosco.
Tenneil cavalloserbò scudo e lancia
selo chiamasse all'eribanno il Duca.
Edavventò contro le sacre quercie
lavecchia scure delle sue battaglie.
Edallevò gli utili porcie trasse
aifòri antichi le grugnenti greggi.
Poisi trovòne' suoi nepotischiavo
essoarimanno! Né più v'era attorno
chila saetta gli ponesse in mano
chilo adducesse al libero quadrivio.
Oraegli ammira l'armi del Comune
fermosul suo pungetto.
IV.L'INSEGNA DEL COMUNE
Esuona la campana del Comune.
LaPatria intima il breve suo decreto
dibronzo. Tutta la città ne ondeggia.
S'odonocozzar armi
squillartrombe. Póntano i piedie il duro collo i bovi
stiranoe sbalza sulle selci il carro.
Tuonanole alte volte dell'Arengo.
Eil re si desta. Il re sognava danze
diSaracine del color d'ulivo...
Scoteanolieve il cimbalo sonoro.
Sognavail re di falconar nel greto
d'ungrande fiumesul suo bel ginnetto...
Seguialassù la ruota dell'astore.
Sognavale foreste di Gallura:
eranel foltoal guato del cignale...
Udiasonare alla lontana il corno.
Sognavaguerrae colpi e sangue e morte
suvivi e morti alto l'imperatore...
Vedeva...Il sogno ecco gli rompe il cupo
strepitodel Carroccio.
Esceil Carroccio e sta sotto l'Arengo.
Parche si levi un pianto dalle donne.
Quandotu partinulla qui rimane:
restanosolo i morti nelle chiese.
Turechi gli altri a non sappiam che terre:
felicii morti presso il loro altare!
Tuvai per via coi lenti bovi al passo:
eccoi ladroni sopra gran cavalli.
Forsehai le ruote prese dentro il fango:
scaglianofrecce con le gran balestre.
Oforse è afapolveresudore...
Chefresco sotto gli archi di San Pietro!
Nonpiù consigli nella bella chiesa
vicinoai morti ed alle pie reliquie:
doveson più le compagnie dell'arti?
doveson più le compagnie dell'armi?
Nonci son piùche donne inginocchioni;
chisase moglise ancor madrio nulla?
efanciulletti; e fanno male al cuore
chégiocano al Carroccio! —
Restail Carroccio all'ombra dell'Arengo.
Oras'adorna dei suoi scudi in giro:
l'Aquilail Pardoil Grifoil Toroil Cervo
edil Leone; SpadeSchizeSbarre.
Fiorisceil carro di color di cielo
disangue e d'oro. Fascie bianche e nere
paionda un canto ricordare un lutto.
Guardanoi vecchirissano i fanciulli
chéin cuore ognuno ha una di quelle arme
forsela Brancaoppur la Stella d'oro.
Anchei Lionisenza più criniera
lionivecchiodiano il Grifo alato
ochiusi nel turrito lor Castello
sdegnanoi Vari e schifano i Balzani.
Uominiin tanto drizzano l'antenna
soprail suo piedee funi tese e nervi
tengonofermo l'albero sul carro.
Unlieve tocco dà la Martinella
ebianca e rossa ondeggia in alto al vento
l'insegnadel Comune.
Guardanoor sìvecchi e fanciulliin alto.
Ledonne in cuore hanno finito il pianto.
Quandotu partiteco viene il tutto:
poniamsu te tutte le vite nostre.
Lenostre vite porti uguali unite:
caricovai di grappoli e di spighe.
Quelloche fummo e quello che saremo
trananoi lenti e forti bovi al passo.
Carrotu sei l'arca del nostro patto
tusei l'altare della nostra legge.
Lamessa e il vespro sovra te si canta
squillanoa morte di su te le trombe.
Nonon con noi restano nelle chiese
iSanti d'oro: escono teco in campo!
Nemmenoi morti nei muffiti chiostri
sonocon noi: vengono teco al sole!
Vengonoai tocchi della Martinella
chesuona all'albaa seraa mortoa gloria
obel Carroccioo forza arte ricchezza
elibertà comune! —
V.LE COMPAGNIE DELL'ARMI
Ilpopolo — ecco dalle quattro porte
daiquattro ventiil popolo che viene.
Vieneseguendo i quattro gonfaloni
coiquattro santi e con la rossa croce.
Hannol'osbergo tutti e le gambiere
hannoil roncone e la mannaia lombarda.
Hannolasciato i ferri del lavoro
sull'oziosaincudine e sul banco
epreso il ferro. Vengono a cavallo
guardandoin sucattani e valvassori
dominie contiin cui poder castella
sondel contadoedin cittàtubate.
Songli Andalòsignori di più terre
concinquecento servi della gleba
Albertode' Cazanimici grandi
lamala volpeed Albari e Galluzzi
eil conte reo da Panico e il cattano
diBaragazzai re della montagna
ch'hannoil lor covo in venti castellacci
erubano alle strade.
Pensanoi Grandi: "O buoni callegari
ebisilierinon vi pesa in groppa
ilnostro ferro? Il ferro a voi fa d'uopo
perganci e graffi e raspe e seghe e morse.
L'azza...vi restipei beccai per l'arti!
Maquel ronciglio abbinlo i boattieri".
Ilpopol vapensano ognuno e tutti:
"Contiv'abbiam graffiato dagli scudi
l'orsoe il leon rampante con la rosa
epinti su l'aquile nostre e i pardi.
Voicavalcate dietro i gonfaloni
nostriColonnaGrifoAngelo e Branca.
Mavoi covate sotto la gaiferia
astiotra voispregio per noi cattivi.
Tempoverrà chericchi noidaremo
castellaai gufi e torri alle cornacchie.
Viabbiamo preso l'azze e le corazze
l'astee gli scudi. Verrà tempoe forse
perl'armi vostre vi darem le nostre:
pettinicardi ed aspi".
Vedonoall'ombra dell'Arengo il carro
comegalea ch'è per uscir dal porto.
S'alzail nitrito d'un cavallo al cielo.
Piùferreo tuona il passo de' pedoni.
Icavalieriognuno oblia sua parte:
Comazzoparla amico ad Uspinello.
"Chipari a lui? Che Berte o Bertazzole!"
Unmarangonevecchiodelle Schize
ricordai tempi di vent'anni addietro
chelo raddusse un angelo a Piumazzo.
"Egliparava i bovi con un fiore.
Ful'anno che i cavalli ghibellini
bevveroal Reno: e che le manganelle
furonoprese..." Un valvassore aggiunge:
"Nerestò unache gittò l'altr'anno
l'asino..."Un riso corre grandi e plebe.
"Chipari a teCarroccio bianco e rosso?
Forseil Blancardo? Forse la Buira?
Quandoella vacon le sue vaccheintorno
gridando:Chi to' latte? "
Lelunghe spade ignude sulle spalle
sonoi Lombardi ai lati del Carroccio.
Sembranousciti allora da un convento
d'avergiurato sopra l'evangelia;
avernegli occhi fiamme di covoni
efumigare lento di macerie.
Inlor città vedono andar l'aratro:
passal'aratro e rompe ossa di morti.
Serpeggiail rovo dove fu la Chiesa
l'ederamonta dove fu l'Arengo.
Nonhanno più la lor città di pietra:
questadi legno hannoe ramenghi vanno.
Poservisu quanto è più dolce al mondo
quantoè più sacroquanto è suo per sempre.
Poserviil drittoche vivente e sano
dafiamme e da rovine esce e da mucchi
dimorti: il dritto della nuova Italia.
Eperò stanno ai mozzi delle ruote
guardiae scortacon le lunghe spade i
ignudesulle spalle.
VI.IL PRIMO CARROCCIO
Chefu da prima? Il carro del convento
cheusciva ai campial tempo delle messi.
Squillavail suono della campanella
perl'erme viecon le cicale a gara.
Venneroal trebbio ove sostava il carro
glischiavi agresti col formento e l'orzo.
Visi accoglieano i grami e nudi intorno
comea sperare; e non sapean che cosa.
Sedeanoa lungoil viso tra le pugna
quelsuono udendo lontanar nel sole.
Epoi tornò tra il canto degli uccelli
undì di maggio. Era la terra in fiore.
LaMartinella risonò nel nome di Dio
chefece il servo e il valvassore.
Sonavaa stormoe i servi della gleba
corserocon le falci e con le ronche.
V'eraun altaredove ardea l'incenso;
salìal'incenso e si mutava in nubi.
V'eranoangeli con le lunghe trombe
edalle trombe vento uscì di guerra.
Epoi fiammeggiò rosso nei carrobbi
dellacittàchiamando l'Arti all'armi.
"Lelancie in pugnoo voi che le foggiate!
Lespade in pugnoo voi che le temprate!
Voiche le torri a pietra a pietra alzate
chifadisfà: gettate giù le torri!"
Vennela plebe antica. Allato al carro
stavaun uscito dall'oblìo dei tempi;
grande;come ombra al vespro ed all'aurora.
Pareache avesse i fasci con le scuri.
Epoi tornò sotto il gran cielo il carro
fulgented'armi. Avea con sé gli artieri
ei ferrei conti e i sacerdoti assòrti:
ilPopolo eraintorno al suo Carroccio.
Lacittà erache possenteaugusta
uscivacon la Chiesa e con l'Arengo
ecol suo Santo e col suo Dio; con tutto.
Giuntaal nemicoella dicea col bronzo
dellasua squilla: — È presso te Milano
chemutò luogo: al modo delle stelle. —
Evenne tempoe patria sola il plaustro
restò.Giaceva la città di pietra.
Eil plaustro parve il Gran Carro di stelle
cheintorno a un punto sempre va nel cielo.
Mavennero altri plaustrialtre vaganti
cittàtranate dai muggenti bovi
altriraminghi popoli. Fu il mese
d'aprileil mese che aprono le gemme.
Difiori in boccia sorridea l'altare.
LeMartinelle sonavano a gloria.
Eil doppio a festa si faceva immenso
epercotea nell'avvenir profondo.
Mistoera a scroscia vocia urlaa rombi.
Forsetonava sopra la Redorta.
Erad'aprile. Il figlio della lupa
quelmese arò con la giovenca e il toro.
Erad'aprile. Dalle tue macerie
nasceanMilanol'erbe ancora e i fiori.
Viaveva arato l'arator selvaggio:
dalsolco fondo germinò l'Italia.
Efu l'Italia giovinettaeterna
sutecon teCarroccio di Milano
quelfin di maggio! Già sfiorian le rose.
Andavalento in val d'Olona il plaustro.
Ildistruttore di città lo scorse:
glisi avventò coi cavalier di ferro
ruppele schierei sacri bovi attinse
l'azzascagliò contro la sacra antenna.
Allorsu lui con novecento spade
splendideal solesi gettò la Morte.
Equella sera il carro del convento
ilsanto carro di Pontidaattese.
Reddianostanchi i falciatori a vespro
rossidi sanguee rosso era di sangue
ilcarroe i boviche muggian sommesso.
Mail canto andavadelle trombeal cielo.
Rossoera il cieloche s'empìa di stelle.
Luceanle stelle ai morti. In mezzoeretto
siriposava su l'enorme spada
Albertoda Giussano.
VII.LA VIA EMILIA
IlPodestà coi giudici e' notari
scendonoin ricchi sciamiti velluti.
Vannolor contra gli Anziani artieri:
lentoè lor passo e lor parola è breve.
Èscura omai la piazza di Bologna
scuradi ferro. Al chiaro sol d'ottobre
luconopunte d'aste e di roncigli.
Igonfaloni tremano come ale
d'uccelliincerti di spiccare il volo.
Percuotel'ugna dei destrier le selci.
Lagente ammira il suo Carroccio adorno:
itrombettieri con le lunghe trombe
incui la guerra mugge come il mare
nellaconchiglia; e i più valenti in guerra
chead uno ad uno son mostrati a dito
gliultimieletti a non morir che a sera;
eil sacerdote con pianeta e stola
chedeve a notte benedire i morti.
Lemadri in capo alzano i bimbicome anfore
andandoal fonte.
Va!Che tu vada dove cade il sole
oil timon duro volga al sol che nasce
vaper la piana e larga via romana
consull'antenna il ramo dell'ulivo.
Nonsei de' carri che seguiano a tergo
legionimosse a propagar l'imperio
nonsei de' carriove dormian le donne
deiGoti scesi a metter fuoco a Roma.
Placidoe forte per l'antica strada
vache attraversa le città munite
lecittà belle; ed erano già fòri e
còmpitie quadrati accampamenti
evi sonòmisto alle gaie voci
rusticheil grave accento dei triari.
Sorgonper tutto agili tremoli alti
pioppidel Poscolte del re dei fiumi.
Nellevigilie parlano tra loro
sommessamenteper la bianca strada
cheva sui ponti eterni dall'Eridano
aun Arco trionfale.
Stradanon èma grande fiume anch'essa.
Èla sua fonte appiedi d'una rupe
diRomapresso il tempio di Saturno
ilvecchio Dio. Nasce a una pietra d'oro.
Eprima specchia urne d'antichi morti
dicui non sanno che i cipressi il nome!
Poisbocca ai campisale ai montifende
leroccieinoltra per le sacre selve;
finchédall'Arco del trionfo sgorga
Ponel tuo regnoch'ha per guaite i pioppi.
Népiù ravvisa le città d'un tempo.
Orariflette aspri serraglitorri
merlatecerchi di massicce mura
echiese ed inquieti battifredi.
Tuttoè mutato. Pure il sacro fiume
chenasce appiè del Campidoglioancora
portanotturno le memorie a flutti
concupa romba... Va pel fiume eterno
onave nostracon la vela nuova
all'alberomaestro!
Nonper un fiume; per un mar tu varchi
navefornita d'ogni fornimento
peril passaggio. Un mare ti circonda
ugualeimmensoe sempre a gli occhi ondeggia:
unmare biondo e tremulo di spighe
d'ondes'esala già l'odor del pane
unrosso mare di trifoglioun mare
verdedi folta canapaun celeste
maredi linocielo sotto cielo
ebianche in mezzo nuotano le culle.
Evarcao navepel fecondo mare
chemuta vista ogni filar di viti
tracui si spande il pero e il pescoe il melo
colorai pomi del color dei fiori.
Eti salutinon la procellaria
bensìla quaglia che tra il grano ha il nido.
Ei bimbi ver' te strillinoe dai solchi
parlinoa te col lieto muglio i bovi.
Egioia all'alba dicae dica a sera
pacela Martinella.
VIII.IL RE
Mauno squillo suona al cieldi guerra
comeuno strillo d'aquila sul monte.
Icavalieri levano la spada
edi gonfalonieri il gonfalone.
Levanoil duro pungolo i biolchi
ei trombettieri imboccano le trombe.
Tuttisi son branditi dentro l'arme.
Pertutto è corso un brivido di ferro.
Spicciadagli occhi a donne e vecchi il pianto.
Sbocciatra i labbri de' fanciulli un grido.
Opatria! O grandeforteunica! I cuori
sbalzanoal primo cigolìo di ruote
già;quando gli occhi dei fanciulliquando
ledonne e i vecchiquando tuttia piedi
eda cavallocon le trombe in bocca
coigonfalonicon le spade in mano
osulle spallee i pungoli e le lancie
tuttima unoin suo pensieroognuno
comead un cennonel silenzio grande
sivolgono all'Arengo.
Pareche passi un soffio di grandi ale.
Forseè il lor tacito ànsito che s'alza.
Premonoin cuore l'ululo i biolchi
itrombettieri tengono lo squillo.
Icavalieri appoggiano alle groppe
de'lor cavalli la ferrata mano.
Sontutti gli occhi volti in suson volti
tuttiad una finestra dell'Arengo.
Nonpiù diritte sono lancie e spade:
mandanoun vario scintillìo confuso.
Allafinestra è il vinto di Fossalta
ilRe. Gli luce d'oro il capoi biondi
capelliistesi insino alla cintura.
Guardail Carroccio coi grandi occhi azzurri
làin mezzo al duro mareggiar del ferro.
Guardala rossa croce sull'antenna.
ReEnzio stacome sulle rembate
d'unagalea. Sottogli fiotta il mare;
eil vento salso gli enfia le narici
etra i capelli fischia...
Èl'ànsito del Popoloche passa
comeun gran vento tra la sua criniera
fulva.Il leone vivo del Comune.
ilbello e forte suo leone in gabbia
essoè. Ma esso ha ben fratelli al mondo
ch'esconoarmati d'oro come stelle
dallaserenità di Federigo
CesareAugusto! O nati dall'Aguglia!
Ore Currado! O principe Manfredi!
Odritti stanti a guardia dell'impero
giovanifigli dell'imperatore!
Econti e duchi e principi e landgravi
tuttid'un sangue! Dritto sta re Enzio
redi Sardegna e di Gallura e Torri
contedegli aspri monti del Mollese
edelle cupe selve in Val di Serchio
edelle terre apriche al Mar di Luni
signordella Versilia e di Varresso.
Gliocchi del Re s'incontrano con gli occhi
delPopoloin silenzio.
Escoppia acuto il suono delle trombe
egrave romba il suon delle campane
evi si mesce il grido de' fanciulli
ele femminee voci di preghiera;
ei cavalieri spronanoe i cavalli
partonosfavillando sulle selci
ei duri artieri partono col croscio
dellagragnola; e tutti i gonfaloni
tremanoal ventoe tutte l'armi al passo
dànnobagliorie ferro è che si muove
ferroche va con un clangor di magli
suforti ancudi da cui raggia il fuoco:
ei bovi il capo curvano alle grida
dellor biolcoe tiranoe il Carroccio
va:crollacrollala sublime antenna
ela bandiera si disnoda in cielo.
Suonanoin cielo tutte le campane
soprail Carroccio. È la città che parte:
partelevando un lento aereo canto
contutte le sue torri.
IX.I PRIGIONI
Volgeall'occasovolge a Porta Stiera
volgeil Carroccio per la via del sangue.
Nontrenta volte trenta dì son corsi
dache re Enzio combattéfu preso
perquella viacome un astor maniero
presoalla pania. Or ei ricorda il giorno
chepasso passo in groppa d'un muletto
seguìquel carro e i bovi dell'aratro.
Osacro impero! O aquile di Roma!
MaEnzio a un tratto si riscuotee parla.
Parlaa Marino d'Ebuloa Currado
diSolimburgo ora loquace or muto.
Siedecruccioso Buoso da Dovara.
"Credetevoi che dorma la possanza
delsacro impero?" Il conte apre la bocca.
Buosotentenna il capo e non risponde.
S'odonoi duri passi de' custodi
fuordelle portee il busso de' ronconi
sulpavimento. La città par vuota.
Esclamail Re: "No: veglia!"
Dallacittà par la città lontana.
Nons'ode più di tante squille e trombe
cheuna campanae il busso de' ronconi
sulpavimento e il passo de' custodi.
Aggiungeil Re: "Per una nube credi
oBuosotunon sia più cielo il cielo?"
Tentennail capo Buoso da Dovara.
"ConteCurradoben mio padre ha detto
cometu saibene il sereno Augusto
scrisse:— Faceste cornao voidi ferro
concui credete ventilare il mondo!
Alcunoascese per cader più d'alto.
Voifate feste e vanti coi fratelli
vostriLombardi: ripensate al nostro
grandeavo; addimandatene i fratelli... —
Contee' le corna frangerà di ferro!"
Ilconte un poco apre le labbrae tace.
Stannoi custodiè ferma la campana.
Nons'ode più che il paternostroin piazza
d'uncieco senza guida.
Enzioa sé ode i battiti del cuore.
Pensaa suo padre. Federigo Augusto
ècome Diotacito sì ma insonne.
Forsee' s'aggira col possente stuolo
pressola cerchia di città ribelli.
Cesarein armi scorre per l'impero.
Vengonoal suon de' timpani gli arcieri
arabisnellie grandi cavalieri
monaciassòrti ne' lor tetri voti;
Normannibiondi della Conca d'oro
congli occhi incerti tra verzieri e fiordi;
contie cattani scesi d'Apennino
ecol suo stormo cavalcando chiuso
soloEcellino; e leopardi e tigri
econ l'andar di nave i dromedari
eil leofante con la torre quadra
dacui s'alza il vessillo imperiale
conla grande aquila; e l'imperatore.
Eglicavalcané tristo né lieto
conun gerfalco al pugno.
Enzioa sé ode i battiti del cuore
giovane.— E s'Egli fosse alla Scultenna?
Secampeggiasse intorno alla Fossalta?
volessesu quella oste di manenti
trarsua vendetta dove fu lor vanto?
Sonoin lor cieca oltracotanzain campo
forseora usciti per sentor che ne hanno...
EdEnzio parla: "Or di'conte Currado
diSolimburgo! Se d'un trattoandando
coitardi bovi e i tardi artieri il carro
l'ostesentisse sibilar le freccie
deiSaracinirimbombar l'assalto
deicavaliericalar mazze e spade
edazze e lancieed apparirruggendo
ilnero capo d'Ecellin d'Onara
estormi e stormi correre in tempesta
soprail Carroccioe d'ogni parte il grido
alzarsi:Roma! Roma! Imperatore!..."
"Maegli è morto" grida il conte: "morto
mortol'Imperatore!"
X.L'IMPERATORE
Sì.Egli dorme in una Cattedrale
entrol'eterno porfido dell'arca.
E'non sa più di stormi e cavalcate
e'non sa più di timpani e di trombe
neldolce tempo quando foglia e fiora
ch'eglitendea nei prati i padiglioni.
Nonpiù dai geti libera l'astore
dellecanzoni perse il motto e il suono.
Nonsuono più di corni o di leuti
mapii bisbigli e il canto della messa.
Ancheha dimenticato gli anatemi
eil bando a lui nel giorno dell'ulivo
ei giorni d'irai giorni di sventura
coiceri accesi e le campane a festa.
Dormenell'arca rossa l'Anticristo
natoalla vecchia monacae nudrito
dasette preti. Pressoil mare aspira
collento succhio tutto il cielo azzurro:
alcielo dà Gennet-ol-ardh l'olezzo
deicedri e delle rose.
Almorto grande imperador di Roma
disseropace i vescovi di Cristo.
Dilui parlò 'l rabbino al Dio d'Abramo
abraccia spante volto all'Oriente.
Perluigirando attorno al minareto
lecinque volte il muezzin cantò.
Oregli giace nell'oscura cripta
coimali e i buoni. Oh! avessero favella!
Direbbeforse alcuno dal sepolcro:
Qualsei disceso presso noi Ruggero?
Noipadre il vento e madre avemmo l'onda. –
Risponderebbe:— O figli di Vikinghi!
Anch'iofui ventofiglio anch'io di vento!
NéSkaldo mai cantò sull'arpa un canto
piùgrande e belloné più bello e grande
mondomai vide Re del mare in corsa
delsogno mio... — Ma più non ha favella
orae il coperchio è sceso omai per sempre
sull'arcafiammeggiante.
Dormema i sogni non saprà narrare
s'eglipur sognae si ritrova a Roma
sullaquadriga di cavalli bianchi
perla Via Sacra andando al Campidoglio.
Placatoè il Mondo. Seguonoal guinzaglio
CesareAugusto leopardi e tigri
vengonosopra il dosso d'elefanti
l'armie i trofei delle città ribelli...
Olascia il Mondo veleggiando al Regno
santodi Dio. Distendono le vesti
eramuscelli per le viech'e' viene.
CantanoOsanna! Osanna negli eccelsi!
Tuttihanno in mano i rami delle palme.
Cristoritorna al suo sepolcro vuoto.
Cristoritorna a dare la sua pace.
Stasulle porte di Gerusalemme.
Statra le nubi. Ha virtù molta e gloria.
Gliangeli a lui congregano le genti
daiquattro venti; ch'Egli a tutti franga
ilpanee mesca il vino.
Macol dormente è il sogno suo sepolto
trail Mondo e Dionell'isola del Sole.
Eduna voce è corsa per la terra
chequella è stata l'ultima possanza
l'ultimavasta raffica di vento
chedileguò lasciando ansante il mare.
Forsela voce viene dal profeta
cheha barba grigia come vecchio musco
dalvecchio bardo errante nella selva
diquercie brulle in cui verdeggia il vischio.
Epoi verrà chi povero e ramingo
erranteanch'esso in un'antica selva
neiluoghi dove spento fula prima
voltal'imperiosognerà quel sogno
chetace là sepolto dentro l'arca.
Laselva stasublime cattedrale
sumille e mille aeree colonne.
Eil peregrino v'ode il soffio eterno
dell'Infinitoche lo tocca in fronte
comesoave vento..
XI.IL PAPA
Eil vento soffiadell'autunnoe stacca
lefoglie ai pioppi della strada e a gli olmi
diquando in quando. Cadono le foglie
stridulesopra le armi e sul Carroccio.
Eccoe il Carroccio e il Popolo s'arresta;
elancie e spade sono volte a terra.
Sonateo trombe! Squillao Martinella!
Inchinaa lui la pertica il Carroccio.
Sonlà di contro i sacerdoti rossi
vescovipretidiaconi di Roma.
Guatanoappenaparlano tra loro
sommessoe graveo coi marchesi e conti
lorlancie e spade. Vinsero. Per loro
Diocombatté. La fronte atterra e gli occhi
mutosolleva il Popolo di ferro
lassandoi suoi ronconi e talavazzi.
Trail rosso delle porporetra il lampo
d'armidoratealto tra terra e cielo
infaccia a lui ravvolto nel suo pallio
ètacitoil Gran Prete.
Èil successore di Simon Bar Iona
chea Gesù disse primo: "Tu se' Cristo!"
diPietro a cui lasciò le chiavi in terra
delcieloil Dio che ritornava al cielo.
Èil Cristo che rimuore e che risorge
perennementeè il Cristo del Signore
l'Untonel capoil Verbo che rimase
interra Carnee che tra noi dimora.
Diqua da Diodi là dall'Uomoè l'Uno
degliinvisibili angeli più grande
poich'egli in terra è giudice del cielo
deiTroni e delle Dominazioni.
Éil Dio che Dio creò su Faraone
dalduro cuoree lo mandò coi segni
delsuo giudicioe gli affidò la verga
chesi fa serpe e si disnoda e fischia
appièdei re; che dove si distende
ilaghi in sanguemuta i fiumi in sangue
ogniacqua in sanguee nella terra intiera
fache non sia che sangue.
Orail Gran Prete alza la manoe parla:
"Laterra esulta e si rallegra il cielo:
dov'ècolui ch'era nemico al Cristo?
dov'èil gigante di Babelpossente
infaccia a Diosaettator dei giusti?
doveil Neronedove il nuovo Erode?
doveil Soldano me' che imperadore?
Scendevaun maglio ad or ad or sul mondo.
Nons'ode più. Cadde di mano al Fabbro.
Spadadi Pietrolancia di Maurizio
e'si voltò contro la Croce e Pietro.
EDio lo franse. Egli dovea le notti
schiarardel sonno e degli erroriLuna
cheda noi Sole haquant'ella hadi luce;
névolle; e invaseombra deformeil giorno.
Lanotte eterna or lo riprese e cinse.
Noipose in Roma trionfal suo carro
Dio!Pose a noi Dio stesso nelle mani
destrae sinistrale due briglie lunghe
delcielo e della terra!"
Tornail Carroccio e il Popolo nel chiaro
lumed'ottobre. Splendono le rosse
pampaneintornosplendono le vesti
rossee l'argento delle curve mazze.
DiceInnocenzio: "E voi sterpate il seme
delreo Nembròd ch'e' non rimetta ancora".
DiceInnocenzio: "Buoso da Dovara
vuo'che da voiper amor miosia sciolto".
Eun Anziano: "Noi teniam due terre
diSanta Chiesa. Averle amiamo in dono".
"No"dice il Papa. Alcun de' Lambertazzi
stringepiù forte il pomo della spada.
Pressoè Bologna; e già si son rideste
tragrida e cantitutte le campane.
Splendelassùper un momentoa oro
nelsol morente il capo del re Enzio.
Poicala il grido e il murmure: poi cessa.
Parlaai biolchitetrisulla porta
ilareZuam. Mugliano stanchi i bovi
appiedidell'Arengo.
2.LE CANZONI DI RE ENZIO II°
LIBERTÀ!
SALESUL DESCO SANGUE NEL CUORE ARIA DELL’ANIMA
SOLAPACIFICATRICE DEGLI UMANI
PERCHÈSOLA NE SCOPRI NE RIVELI NE CONSACRI
LASOMIGLIANZA FRATERNA
OSIMILE A COLEI CHE ALCUNO IN SOGNO PIANGE LONTANA
ETU GLI DORMI FLORIDA MOGLIE ACCANTO
OTU PER CUI SI MUORE CON GIOIA
PERCHÉMORIRE È RIACQUISTARTI PERDUTA
LIBERTÀ
LACANZONE DEL PARADISO
I.IL BIROCCIO
Ibovi per l'erbita cavedagna
portanoall'aia sul biroccio il grano.
Passail biroccio tra le viti e li olmi
conl'ampie braschepieno di covoni.
Sottoi covoni va nascoso il carro
muovonoi bovi all'ombra delle spighe.
Lamesse torna donde partì seme
dasé ritorna all'aia ed alle cerchie.
Imietitori ai lati del biroccio
vannoaccaldatile falciole a cinta.
Sulmucchioin cimaun bel fantino ignudo.
Trevecchi gravi seguono il biroccio
itre fratelliun biancoun grigioun bruno.
Madi lontanodalle gialle stoppie
uncanto viene di spigolatrici.
Solacomincia Flor d'uliva il canto
poile altre schiave alzano un grido in coro:
Setteanni planseoimè sett'anni sani
escalza andavaun vinco in ne le mani.
Pecoree capre aveva entornoe' cani.
Setteannioimè taupina sclava
sett'anniplanse: un dìcantava...
Passavaun cavaleri de la crose
sentìlassù la dolze clara vose
ligò'l cavallo cum la brillia a un nose:
"Vosinaclara como argento
sett'anniè sìche no te sento... "
Sontra i pioli i ben legati fasci
lespighe in dentroe sovra il mucchio d'oro
cheva da sésiede il fantino e ride.
Ridegettando i fiordalisi in aria
ele rosette: al piccolo di casa
mandanoa garauomini e donneun motto
mandanoa provaverle e quaglieun suono.
Parlanoi vecchii tre fratelliinsieme.
El'uno parlae dice: "Arregidore
benVidaliagla si può dir granaro".
El'altro parlae dice: "Campagnolo
laterra è buonama voi meglio siete;
voimeglioe i bovi del fratel Biolco".
Taceil Biolcoma s'allegra in cuore.
Epiù lontano viene dalle stoppie
ilcanto tristo. Flor d'uliva intuona:
seguonol'altrech'oggi sono ad opra:
Ligò‘l cavalloe se li fece avanti.
"Deh!pasturellaDeo te guardi e' Santi.
Mangiastibenecosì gaia tu canti!"
"Vuiditela Deo gratiavero:
mangiammoe' cani et eopan nero".
Elcavaleri la mirò cum dollia.
"Ne'to' cavelli sempre 'l vento brollia
lassatra' rizzi l'erba 'l fior la follia".
"Elvento nonon èmeo Sire:
èche nel feno aio a dormire... "
Fermoè il biroccio. Al bel fantino stende
lemanie d'alto lo raccoglie in collo
laprima nuora; e gli uomini e le donne
prendonoi fasci e fanno il cavaglione.
L'Arregidoredice al Campagnolo:
"Spighesegate e manipelli a bica
dirado o mai Santo Zuanne ha visti".
Diceil Biolco: "E seghisi la stoppia
primache piovanon la terra v'entri!"
Eil Campagnolo: "E tosto ariamo. Arare
trevolte è benequattro volte è meglio".
Edice qui l'Arregidorae passa:
"Benci faranno ceci fava ervilia!"
Epassach'ella ha da far cenae il giorno
ègià sul calo. Ma vie più lontano
viendalle stoppie il canto delle schiave:
Alcavaleri ansava forte 'l pecto.
"Inquil castello u albergare aspecto
dimmes'eo posso ritrovare un lecto".
"Diplumeeo l'ebbiin quil castello
colSire meo sì blondo e bello!"
"Tristoa cui te fidai nel meo passare!
Dolzemea sposaeo torno a te dal mare".
Ese levava l'elmo e lo collare;
eper le spalle a mo' de l'onde
scorrènle longhe ciocche blonde...
II.SAN GIOVANNI
Colmanipello delle spighe in capo
tornala schiava. Tra i capelli neri
hapaglie e reste e foglie di rosette
chepaion ali rosse di farfalle.
"Va'Flor d'ulivava' con le mie figlie
montasul peromonta sul ciriegio.
Domaniviene San Zuanne e vuole
leprime pere e l'ultime ciriegie.
Leporterete in piazza di Bologna
copertecon le pampane di vite".
"Va'Flor d'ulivava' con le mie nuore
cavanell'orto l'aglio e le cipolle.
PerSan Zuanne chi non compra l'aglio
pertutto l'anno non arà guadagno.
Prendila maggiorana e petroselli
lacamomilla e spighe di lavanda".
"Va'Flor d'ulivava' con la cognata
permedesine e benedizioni:
fogliedi nose e flori di pilatro
vesiched'olmo e fiori di sambuco.
Nell'acquastrinoprendi le ramelle
delsalcio d'acqua detto l'agnocasto".
VaFlor d'ulivatorna va ritorna
malieta in cuoreche vedrà domani
vedràBologna e le sue grandi torri;
ecanta... E per le spalle a mo' de l'onde
scorrènle longhe ciocche blonde...
Domaniè il Santo delle innamorate.
Siedonosu le panche le pulzelle.
Sonli amadori a' loro piè col mento
soprale manie i gomiti sull'aia.
Gliocchi guardanopalpitano i cuori:
palpitanole lucciole nel buio.
Parlanoe dànno in lievi risa acute;
fannole rane prova di cantare.
MaFlor d'uliva siede in terra e intreccia
lelunghe reste; ch'ella non ha drudo.
Lecode intrecciae mettead ogni volta
dataalle codeun capo d'aglio nuovo;
magode in cuoreché vedrà le torri
chein una torre c'è una caibaedentro
reFalconellole catene d'oro
iceppi d'oroanche i cavelli d'oro.
Ilunghi pioppi scotono le vette:
sonli aierini che vi fan la danza.
Ibarbagianni soffiano dai buchi:
sonle versiere che ansimano andando.
Laguazza cade: è ora di partire.
Partonoi drudiper non far incontri.
Cadela guazzache fa bene e male.
Rincasanora le pulzelle; ancora
laschiava è làsola con li aierini
chesi dondolano... Oi bel lusignolo!
canticchia:torna nel meo broilo!...
Nonvanno a giro omai che le versiere;
vannoalle case dove è un lor fantino;
illor fantino nato da sette anni
inquesta nottech'era San Giovanni.
Chiamanoall'uscio. Stesi sulle siepi
sonfascie e telia prendere la guazza;
eli aierini passano soffiando
suibianchi telisulle bianche fascie
tremantial soffio. Qua e là nell'aie
muoionoi fuochi crepitando appena.
Èmezzanottel'ora che al sereno
prendevirtù l'erbala fogliail fiore
el'olio chiuso nelle borse d'olmo
eil ramo puroil ramo d'agnocasto.
Orail tesoro ch'è sotterrasboccia
fiorisceun trattoe subito si spegne.
Orasi trova l'erba che riluce
chefa vedere ciò che fu sepolto.
Orasi vede al lume di tre lumi
chiè lo sposo a cui dormire accanto.
Oranei trebbiincerte del cammino
sostanoun poco insieme le versiere.
Ali aierini chiedono la strada
eli aierini ridono. Ma ecco
diqua di làlente tra il sonno e piane
tontonsuonano le campane.
III.IL SOLE
Avantiil dì si leva dal giaciglio:
nonha battuto ancora l'ali il gallo
ancoracanta l'assiuolo intorno
larondinella è nel suo nido ancora.
Escela schiava e tira l'acqua al pozzo
nellebe colmo ella s'inonda il viso
sciogliei capelli sotto la rugiada
v'intrecciai fiori nati tra le spighe.
Epoi raccatta i fasci di lavanda
lereste d'agliol'erbei fiorle foglie
lemedesine e benedizioni
zuppedi guazza e di virtù notturna.
Largala guazza piove dalle stelle
lestelle impallidiscono. Non canta
piùl'assiuolo. Va la schiava e cerca
neigreppi un fiore ch'ha ramoso il gambo
larghele foglie e morbide di pelo
grande.Una spiga porta che s'appunta
comela fiammae tanti fiori ha forse
lalunga spigaquanti giorni ha l'anno;
apertii primichiusi i più lontani.
Strappada terra Flor d'uliva il grande
tassobarbassoe va con quelloe prende
viaper un infinito colonnato
d'aereipioppivolto ad oriente.
Odorala viorna e la vitalba.
Es'incammina incontro all'alba.
Battetre volte l'ali un galloe canta:
cantanotuttinelle casei galli.
Eli aierinidel color dell'aria
frullanoviadando una scossa ai pioppi.
Lascianoun po' di rugumarea lungo
muglianoi bovipoi che il cielo imbianca.
Laschiava inalza il verde ceroch'arde
inalzae scuote il gran tasso barbasso;
ele fogline de' suoi fiori aperti
piovonogiù come faville gialle.
OSole! O Sole! Ricomincia il giro!
Temeviforse qualche tuo nimico?
Libereomai sono le vie del cielo.
Sta'su nel cielo un poco menoe posa
unpoco più; ma non sostar: cammina!
Seccacia temponelle spighe il grano
metticia tempodentro l'uve il vino.
Oindugïasti per un sandaletto
d'oroche in prima pàrveti una stella?
Ilpoco indugio sia con nostra pace;
maora muovi! Anche noi s'amao Sole! –
Edecco il cielo si converte in rose
inrose e oro; i pioppi ardono in vetta;
aFlor d'ulivacome gemmein capo
brillanomille gocciole di guazza.
Sileva il sole. E li uccellini in cova
trevolte girano sull'ova.
Allegrapoi con la canestra in capo
vaFlor d'ulivae due panieri al braccio.
Vannocon lei le serve del contado.
Cantanolungo Savena la verde
cantano'l lai de Santa Filumena.
Int'una grotta in ripa de la Zena
c'èun vieni e vama che si sente appena...
grapa ri gra pa ri tra...
làc'è una donna che tesseche tesse...
unaspola che vache va...
Lungaè la strada ed è già alto il sole;
sìma le schiave l'amanola strada
l'amanoil solee vanno via cantando:
Undrago aspettaguata che si spicci
logiorno sta cun li ocli fissi ai licci...
grapa ri gra pa ri tra...
Finitoch'abbia quello ch'ella tesse
dopoil drago la mangerà.
Bellaè Bolognama così lontana!
Cantanogià su li olmi le cicale.
Guatache guatali ocli a sera ei vela.
E'dormeet ella stesse la so tela...
grapa ri gra pa ri tra...
Logiorno fala notte sfaché tesse
latela dell'eternità
Edapparisce la città.
IV.IL RE MORTO
Nellacittà con la canestra in capo
vasotto i neri portici e le torri
dalsole acceseappiedi dei palagi
cintidi merliingombri di baltresche
inmezzo al rombo di campane a festa.
Inuna piazza ella riposa un poco
deponeun poco la canestrae guarda.
Inalto guardae si ravvia sul capo
iricci pésti dal corollo.
Dallafinestra uno la chiama: "Ehi! tosa!"
S'avviala tosa con le dolci frutta
econ li odorie sulla porta un vecchio
vestitoa festa: "Va pur su" le dice:
"èmisèr PieroPier de li Asinelli".
DiceZuam Toso; ed ella ascendeed entra
inuna sala piena di signori
sedutiin piedi; e ode basse voci
gridareAzar! a tavoliere.
Suruna panca giace un cavaliere
congli occhi chiusibianco il visobionde
ciocchescorrenti tutto intorno a onde.
"ReFalconello?" ella domanda; e Piero
scegliendofiori e frutta: "Falconello
coigeti al piede!" Dorme il re: d'un tratto
senteun odore di verziere e d'orto
evede fiori frutta alberi strade
evede campi e fiumie il sole!
Sorrideun pocoapre le narie dorme.
EFlor d'uliva scende più leggiera
epiù pensosa. Pensa al Falconello
coigeti al piedecosì bello e blondo.
Ritornae canta nel ritornoe in cielo
soffianoi lampi e qualche tuon bombisce.
Edice alcuno che il maltempo esplora:
"Pardi sentire l'allodetta santa
chein cielotra due tuonicanta".
Lungaè la vianon è la via dell'orto!
Deh!la gran pieta del Re Morto!
Elliera belloor è più bello.
Zasescoperto in t'un lavello;
unafontana i geme appresso.
Esul lavello un arcipresso
teneuna secchia appesa ai rami
chedice: Vuoi ch'e' viva e t'ami?
empime di lagrime amare.
Cascanogià gocciole rare e grosse.
Chiha tante lagrime amare?
Edecco un dì vene una sclava
evede il Re morto che amava
néil Re lo seppe a la so vita.
Prendela secchia intarmolita
ese la pone tra i ginocli:
tredì vi mesce giò da li ocli
l'haquasi empita del so planto.
Rimbalzasu la polvere che odora.
Sispecchia allora nel so planto:
sivede sozzascarnatrista.
"Deh!como sosterrà mia vista?
Eovuo' lavarmi alla fontana".
Vivachè la non è lontana;
silava: anche i cavelli scioglie;
simira; anche due flori coglie;
fioridi menta e di ginestra.
Lapioggia scroscia sulle larghe foglie.
Floridi timo e di ginestra
floriper una ghirlandetta;
poitorna al so gran plantoin fretta
cheforse non ne manca un dito...
Lasecchia è colmail Re sparito!
Un'altrasul suo pianto ha pianto;
hatratto il morto Re d'incanto
conquattro lagrimette stente.
Conquattro lagrimette stente
s'ètolta 'l blondo Re ch'ell'ama
edellaoisé dolente e grama!
leha planteper l'amor suotutte.
Nonplange piùle ha plante tutte
dalcore per l'amor so bello:
rimanelì presso 'l lavello
conle so lagrime rimane; ...
leso lagrime vane.
V.IL CONSIGLIO DEL POPOLO
Lenteil domani sulla città rossa
suonanole campane del Comune.
Suonala grandesuona la minore:
chiamanoognuna il suo Consiglio a' brievi.
Dicela gente: "Forse re Manfredi
fattosuo stuoloè per guastar la terra?"
Chiamai Consigli con le due campane
ilPodestà Manfredi da Marengo.
Vannoi Seicentovanno i Cinquecento
aquelle vocie vanno l'Arti e l'Armi
coilor massarie salgono le scale
de'Primiceri con brusìo velato.
Entrarli vede il Popolomentr'esce
dicasa o chiesa; che non sama fida.
Livede entraree vede Bonacursio
cheferreo sta sul limitare.
Enella sala grande del palagio
sonoi potenti Consoli ne' loro
pannirosaticon la lor famiglia
dizendal bianco divisata e rosso.
Gliadiutatori siedono e i notari
eil cancellieree dritticon le mani
nellecapaci manichedue frati
unbiancoun bigioun con la croce rossa
cucitaal pettoun con la corda ai lombi.
IlPodestà siede nel mezzo: aspetta.
Eccoi Seicento ed ecco i Cinquecento
e'ministrali. Con brusìo sommesso
siedonoattorno. I due trombetti un segno
dànnodi trombae il naccarino picchia
legracidanti naccheree i due frati
intonanoil grand'inno sacro.
Siqueta l'innocome a larghe ruote
scesadal cielo un'aquila rombando.
Fattosilenzioalto e soave parla
ilPodestà: "Magnifici e potenti
Consolia cui serrare e disserrare
sidà: per vostra volontà qui feci
giustail costumeal suon delle campane
econ la voce dei bandizzatori
questiassemblar del Popolo e Comune
minorConsiglio di Credenza e il Grande.
Equidi vostra volontàdimando
ali uni e a li altriche mi dian consiglio.
Buonaè la massa cui ripose alcuno
dipuro granoper il pan del giorno
main essa è un tristo lévito. Bologna
habona omnia ... fuor ch'una".
Odonoattenti le parole austere.
Maora avviencome d'un lieve soffio
ch'urtala fogliascuote il ramofruga
l'alberotutto agita il boscoe passa.
Fattosilenzioalto e soave parla
ilPodestà: "Vi sono uomini astretti
alsuolo altruicome le quercie e li olmi;
sìche né a essi né a' lor figli è dato
lasciarquel suolose il signor non voglia.
Uominischiavi ha questa dolce terra
dilibertàmanenti ed ascriptizi
etarimannigente di masnada.
Lipuò bollare nella faccia il donno
legarli può sul cavalletto al sole
ontidi mielee tôrre lor la vita
oh!senza libertà non cara..."
Piùforte vento urta le fogliesquassa
lialberitutto agita il boscoe passa.
Fattosilenzioalto e soave parla
ilPodestà: "Dunque in onor del Cristo
edella Madreed in onore e prode
dellaCittà del Popolo e Comune
piacciavi:quei che vivono e vivranno
dentrole mura e fuori delle mura
eora e sempreliberi sien tutti
esia la loro libertà difesa
dallaCittà dal Popolo e Comune.
Eniunolaico o clericopiù osi
muoverquistione ad affermar che alcuno
siaservo o serva della sua masnada.
Eniuno più porti sul collo il giogo
olieve o graveo legno o ferro".
VI.IL PARADISO
Esorge il savio Rolandinoe parla:
"Diol'uomo all'uomo toglie a forza il dono
checome padre che partisce il pane
trai figligiusto hai tu tra noi diviso:
lalibertà. Chécome volse i passi
altroveil padreecco il fratello grande
strappail suo pane al piccolo fratello.
MatuDiovedie vienie toglie rendi.
Nelsuo giardinonel suo monte santo
Diopose l'Uomo. Con l'eterne mani
viavea dal cielo trapiantato i rami
deli odoriferi alberie gettato
isemi colti nelle stelle d'oro.
Ev'era in mezzo una fontana viva
chel'irrigavadonde escono i fiumi
GehonPhison Euphrate e Tigris.
Diopose l'Uomoliberonel santo
suoParadiso. — Opera — disse — e godi —;
nondisse: — Opera e piangiopera e impreca. –
Avevaallorail placido ortolano
diDiosoavi pomi per suo cibo
persua bevanda acqua più dolce a bere
d'ognidolcezza; e facile il lavoro
comeil trastullo; e lo seguian li uccelli
conl'alie rosseall'ombra delle foglie
tremulelungo il mormorìo d'un rivo.
Tuttoera lucetutto odore e canto.
Ferìala fronte ove sudor non era
un'aurauguale; e pur movendol'Uomo
suquesta terraera sì presso al cielo
cheudiva il caro suono delle sfere
chesi volgeano eternamente.
Eifu cacciatoe fuori errò meschino
edoloroso. E Seth il buonoun giorno
venneal Cherub che a guardia era dell'orto
diDiodov'ora non vivean che uccelli.
Morival'Uomo; e l'Angiolo al buon figlio
ungrano diedech'e' ponesse al morto
sottola lingua; ed era della pianta
dicui suo padre avea mangiato il pomo;
eSeth sì fecee seppellì suo padre
colgrano in bocca: e di quel seme un grande
alberosorse; e dopo mille e mille
anniseccò. Gli diedero la scure
alleradicie il tronco giacque.
Ungiorno vennero i fabrie recidean due legni
daltroncoe insieme li giungean nel mezzo
traloro opposti. E fu la Croce.
L'alberoch'era in mezzo al Paradiso
sorsed'allora in mezzo della terra.
Fututto il mondo l'orto di Dio chiuso.
Iquattro fiumi lo partian; ma ora
moveanorossi sotto il cielo azzurro.
Uomolavora e canta! Or ti sovvenga
deicanti uditi nella grande aurora
dell'universo.È tuo fratello il sole.
Laterratu la solchiella t'abbraccia
chévoi vi amate. Abbi il sudor sul volto
macome la rugiada sopra il fiore.
Sial'arte buona presso te. Lavora
libero.Tutto ora vedrai ch'è buono
ciòche tu faicome vedeacreando
Dio.Cogli i fiori e fattene ghirlanda
ouomoall'ombra della Croce!
OCroce rossarossa come il sangue
sparsoda DioCroce per cui vincemmo
cautanel monastero di Pontida
altoschioccante sul Carroccio ai venti
oCroce tratta da' placidi bovi
traspade e lancietra le grida e il sangue;
oCroce nostranoi di te siam degni.
QuestoComunech'ha interrotto il vento
imperialech'ha spezzato l'arco
diFederigoch'ha gittato il rugghio
solotra i tantich'ha recinto al fianco
nontarga e scudoma cultello e spada
ilsuo dirittooradi tutti il primo
adempiail verboe dica a tutti il vero:
cheil Redentore ancor non è làdove
VII.LA LIBERTÀ
Libertà!Susbalzano l'Arti e l'Armi
stannoi Seicentostanno i Cinquecento
tendonostantii Consoli le braccia
versoil Consiglio. Alzano tutti il grido
Libertà!grido delle lor battaglie.
Vedonoin cuore le assolate strade
biechitorrazzitorvi battifolli.
Eccoil lontano canto delle trombe
eccoil tuon delle torme de' cavalli
scrosciodi lanciesibili di freccie
ferrosu ferrospade contro spade
ilmartellar d'una fucina immensa
eil rugginoso anelitoe il singhiozzo
delsanguee il chiaro alto latino squillo
Libertà!sempreLibertà! tra il rauco
latrardi teutoni e schiavoni.
Libertà!L'hanno essi difesa in campo
piùche la vitacome la lor fede;
meglioche il drittocome il lor dovere;
nelsuo quel d'altri; libertà per tutti.
Chéné è d'unose non è di tutti.
Stanteil Consiglio del Comune augusto
tendele bracciacome al giuramento
tendele manicome con le spade.
Oh!bel Comunecondurrai tu primo
queiche già venne e non si vede ancora.
Datanto aspetta fuori delle porte
evuole entrare e vuol mangiar la Pasqua.
Egliè vicinoe mansueto aspetta
sedutopresso l'asina legata
inermo luogoe il suo polledro a volte
loguardae torna a brucar l'erba.
Andremper Lui coi bovi bianchi e rossi
ecol Carroccioe cingeremo in armi
popolosanto l'ara nostra e l'arca.
Saràla croce in alto sull'antenna
sarannoai mozzi le lucenti spade.
Cifermeremo tra il pulverulento
scalpitamentode' cavalli ansanti
mentrei placidi bovi muggiranno.
Egliil Dio verol'Uomo Diosoave
cidirà paceci dirà: Son io.
Vienicon noivieni a mangiar la Pasqua
sieditia mensaché l'agnello è pronto.
Nonha tra noi maggiore né minore.
Tunon volevi né mangiar l'agnello
nébere il vinoprima che il tuo regno
venissein terra: eccoè venuto. —
Libertà!Noi lo condurremoil Cristo
alsuono vago della Martinella.
Locondurremo nelle aperte piazze
doveè pur lunga l'ombra delle torri
almonteal pianosotto le castella
covidi falchipresso i monasteri
ricchidi grasce; nelle chiese il Cristo
noicondurremo. Cedano i serragli!
Leporte aprite! Alzate i ponti! Ei viene.
Niunoritenga ciò che fu ricompro:
èqui Colui che n'ha disborso il prezzo:
Dio!Viene al suono della Martinella
alnostro gridosul Carroccio nostro.
Fateviincontroa lui gettate i rami
d'ulivaa lui stendete le schiavine
perterraa lui gridateHosanna!
Libertà!Posa il grido qual del rombo
d'unbranco in cielo un cinguettìo rimane
minutoin terra. Sono tutti gli occhi
pienid'una lontana visione.
Èil Paradiso. Non vi son manenti
odarimanni. Ogni uomo è uomo.
Ogniuomo ha la sua donnai figli suoila casa
sua.Sbalza lieto dai tuguri il fumo.
S'odeuna voce ch'è nel cuoree sembra
quelladi Dioquale s'udiva allora:
Faciò che vuoi: non puoi voler che il bene! –
Fuoriè il serpente e sibila notturno.
Fuoriè il nemicoe vien alto come onda
chemuore al lido. Avanti il Paradiso
restail Cherub che v'era già: vi resta
aguardia della Libertà.
VIII.LA BUONA NOVELLA
Vatra le torrisuona nelle piazze
passatra i pioppisale tra i castagni
volatra i faggi la novella buona.
Lanotte cades'avvicina il giorno.
Alui che vieneandateo gentiincontro.
Viencol Comune e Popolo. Egli spese
ilsangue già per ricomprare i servi;
tuttoil suo sangue: oradimessoaggiunge
itrenta siclisuo valsente.
Itrenta siclisuo valsente in terra
aggiungeal sangue. Si riscatti il capo
d'annioltre sette e settedieci libbre
dibolognini; otto il minore: è giusto.
Prendeteil prezzo delle mandre umane
deigreggiahimè! che parlano. S'avanza
coisicli in mano e col costato aperto
ilRedentore... Il popolo gli è intorno
congli spontoni e coi ronconi.
Soffianel cornoo guaita della torre;
destail palagio irto di merliaduna
nellatubata i servi con le ancelle.
Invano il prete vi spruzzò sul capo
l'acqualustrale e vi soffiò negli occhi
ev'unse d'olio. Voi non rinasceste.
Orail Comune e Popolo vi scioglie
v'alitail nuovo spiritovi tuffa
nelfiume purificatore.
Tuche nel battifredo del convento
suonicompietaonde s'attrista il cuore
delperegrinoché quel suon lontano
ciògli ricorda ch'è vie più lontano:
afesta suonaper Gesù risorto.
MonacisalmeggiantiEgli è risorto
eviene a tôrre i figli suoiche i campi
v'aranoe l'orto zappano e la legna
gemendotagliano nel bosco.
Voiche nei torracchioni del castello
vegliatein armi tra il guattir dei falchi
biondiarimanniservi di masnada:
inlibertàmastini alla catena
delvalvassore! Siate falchi: è meglio.
Viabiondi falchidal castello al bosco!
Edella vostra fiera gioia empite
lasolitudine dell'aria.
Fuochidi gioiaardete sulle cime!
Dov'orasola la Limentra scroscia
emuglia il Renoe il vento urta nei faggi
similea un follefumeranno grigi
inmezzo all'albeggiare della neve
nuovituguri. E v'arderà perenne
sulfocolare il figlio di due selci
battutesopra un'ara dalle grandi
silentivergini di Roma.
Fuochidi gioiaardete in mezzo all'aie
dellepianure! Ché non piùseguendo
lastiva in manoi due gementi bovi
l'uomodirà: — L'aratroi bovi e l'uomo
sontutti cosa che si compra e vende. –
Lasfogliatrice non dirà sfogliando:
Diqui né io né l'olmo può partire:
olmobell'olmonoi ci somigliamo.
Iocantoanche tu cantial vento. —
Osfogliatrice che canti sull'olmo
comeun uccelloquando cade il sole
scendi;tu puoi partireanche restare:
all'osilinoalcuno avrì l'usolo.
Ildrago è mortoo Santa Filumena;
piùnon ti mangia al fine della tela.
Nonplanzer più: torna 'l to Sire: canta!
Specchiatinelle lacrime ch'hai sparse
eva'ti lava alla fontana.
VaFlor d'uliva in Savena la verde:
inun boschetto si mette ad andare.
Sciogliei capellilascia giù le vesti
scendenel riotutta si spruzza d'acqua.
El'oseletto udì cantare un poco
pianoe segretoche nessun l'udisse.
Maella intese ch'era 'l lusignolo
dicaiba uscito e ritornato al broilo
all'acquaal verdeall'ombra
alsoleal sole et all'amore.
IX.LUSIGNOLO E FALCONELLO
Orella va con la canestra in capo
lungola verde Savenaai serragli
alleaspre portealla città turrita
recandol'uva paradisad'oro.
Oranon canta: canta sì la verla;
fischianosì le pispole di passo;
ancole rondini: elle vanno in branco
dolcegarrendo a ripulirsi al fiume.
Vedeella i meli rosseggiar di pomi
vedecurvare i peri a terra i rami;
l'apibombireode ronzar le vespe
ei calabroni in mezzo al dolce fico.
Ellanon cantama le canta il cuore
chec'era un re ch'era di giorno un uomo
madiventava capougello a sera;
volavaallora ai boschi ai campi ai fiumi.
EFlor d'uliva lo sapeaché sempre
sull'imbrunirequa e làsentiva
parlarpiù fortetutti insiemea gara
perchépiatìano innanzi al regli uccelli.
Incuore ha il rech'ora ha rimesso l'alie
percertoe vola al regno suo lontano
alsuo castello in mezzo al mare azzurro
ilfalconelloe il cielo empie di gioia.
Oforse è làtra i suoi cavelli d'oro
inmezzo ai contich'hanno il pugno al mento
chedorme per incantamento...
EFlor d'uliva giunge al limitare
all'altescale del Palagio nuovo;
equi Zuam Toso la sogguarda e dice:
"Giàt'horicordoa Santo Zuamveduta".
"Eoson Luciama detta Flor d'uliva
daVidaliagla" ella risponde: "sclava
nonpiùmisèrsì libera..." "Vadunque.
Scrittoè 'l to nome già nel Paradiso".
Ellanon sa: monta le scaleed entra
daniuno vistadove alle pareti
stannoaddossati i muti cavalieri.
Stantein un raggio è fiso il Redi sole.
EFlor d'uliva presso a lui depone
lasua canestrae scopre dalle arsite
pampanei cerei grappoli dell'uva
tacitamente.Ed ha il corollo in capo.
IlRe si volge a lei che aspetta e tace
consui morati riccioli le rosse
pampane;l'uva al piè si vede; e guarda
lei.Gli occhi neri scontrano gli azzurri.
"Deh!forosellaeo già te vidi 'n sogno
ch'eroaddormitoe tu portasti fiori
eterbe e frutta. Et eo sognavo un campo
grandedi grano. E da le folte spighe
spuntavicome un floretu; vestita
nonpiù che un fiore. E c'era il sole e il vento
el'ire o stare a suo talento".
ReEnzio prende un grappolo dorato
edolcemente gli acini ne spicca
zuppidi sole. E poi riguarda e dice:
"Apersigli ocli ma tu plu non c'eri.
Seppiqual eri. Io prigioniertu sclava".
EFlor d'uliva: "Ora non plu! Riebbi
lalibertà... Non anco vuimeo Sire?"
EdEnzio dice: "Eo m'era il Falconello
d'untempo: aveva il vento tra i cavelli
eil sole entorno. Apersi li ocli un tratto:
nonc'eri plu..." "Ma sono a vui tornata".
EdEnzio dice: "Or viemmi dietro e taci".
Es'incammina ver' la sua cellata:
dietroai suoi passi muove Flor d'uliva:
segueil Re mortouscito dal lavello
pallidosìche v'era da sette anni
etor la schiava va con lui che l'ama.
L'hatanto amatoe notte e giorno ha pianto;
trenotti e giorni sotto l'arcipresso
mescendoa garapiù della fontana.
Orè con lui nel grande suo palagio.
Nullodivieto i giovani custodi
fannoper la dolcezza del lor sangue.
Dicono:"E noi sediamo a tavoliere".
"Benha ghermito" dice Bonfiliolo
"ilfalconello il lusignolo".
X.LA NOTTE
Edalla torre suona la campana.
IlPodestà comanda di serrare.
Rimbombaogni uscio del Palagio nuovo:
sull'imbrunirechiavi e chiavistelli
vannocon agro cigolìo di ferro.
Sèrrisibene il falco randione
ilpro' bastardo della grande Aguglia.
Feceil Comune sacramento e legge
ch'eglinon esca quinci maiche morto.
Oh!non vedrà né Puglia né Toscana!
AddioLamagna e Capitana!
Ogniuscio è chiuso del Palagio nuovo;
chiusaè la porta ed è levato il ponte.
Veglianoad occhi aperti nella notte
comecivetteguaite per le scale.
Vegliateo guaiteintorno al re prigione.
Egliera al lato dell'imperadore
eralo specchio della sua persona.
Eglicorreva mare e terra in armi.
Delsacro impero era la fiamma al vento.
Oraè prigionee non farà più stuolo
enon menerà più gualdana!
Dormeil Palagio tutto chiuso e muto.
Soltantosparse qua e làle guaite
anchela bocca aprono d'ora in ora
d'altoe di bassoe gridano: Eya! Eya!
Disseil Comune: "Lo tenemocome
dapiccol can spesso si ten zinglare
elo terremopoi ch'è dritto nostro".
Enon lo rese a padre od a fratelli
perpreghi e gabbiné per oro od armi.
Vegliateo guaiteEya gridate in fino
chein cielo sia la stella diana.
Eya!c'è tempo a che ci sia la stella
chesveglia i cuori. Ora si spegne il foco
ela lucerna; ora si dorme il sonno
primopiù forteil sonno senza sogno.
Eya!c'è tempo a starnazzare i galli
acantar chiusi ed a chiamare i sogni:
chédopo i galli è gran silenzio: ogni uomo
parlasommesso ad un suo morto caro.
Eya!c'è tempo allo schiarir dell'alba...
Mavoi gridateo guaitea vuoto! Oh guaite
codestavostra veglia è vana!
E'non v'è più! Fuggito è il re! Si trova
oltrele muraoltre i serragli e il Reno.
Ègià più lungi anche del suo reame
ègià più lungi anche del sacro impero.
Nonpiù prigione e non più resi trova
nelluogo all'oriente della terra
doveuscì prima l'erba che fa il seme
doveuscì prima l'arbore ch'ha il frutto.
Nonè più rené manto egli hache falbo;
nonha che il musco d'oroonde si veste
dasé la calda creta umana.
Nonè più rema d'una schiavain dono
lalibertà che a lei fu resaegli ebbe.
Ladolce schiava gli ha portato il sole
dich'ella è pienache ne' campi imbevve.
Eglialla nuda libertà s'è stretto
beel'aria pura di tra le sue labbra
trale sue braccia prieme l'erba folta
datutta aspira il grande odor del sole.
All'ombraegli è del legno della vita
epresso il cuore sente mormorare
l'inestinguibilefontana.
Edorme alfinedorme l'Uomo avvinto
alladolce Eva. Quella che fu schiava
queiche fu re tengono il capo accanto
el'onde brune solcano le bionde.
Nonon e' dorme: s'è addormito il mondo
intornoa loro. Ei solo è destoe vede
l'acquedormirelieve ansare i venti
chiudereil cielo gravi le sue stelle
sparirla terra. Liberi e sereni
sentonoil tutto che s'annulla preso
dalladolcezza antelucana.
Eya!gridateEya! gridate a vuoto
l'ultimavoltao guaite del palagio.
Edecco suona la campana.
XI.L'ALBA
"Dormendoor ora ho udito la campana
cheda sette anni io so tra l'altre squille.
Ellam'ha detto tristamente e plana:
Cominciaun dì come già mille e mille –
Amorea Deo! Ven l'alba".
"Nonanco in cielo s'è sentito il canto
dell'allodettache destando il broilo
plenod'osellial lusignolo accanto
passae gli dice: — Dormio lusignolo:
noncantar piùch'è l'alba". —
"Quinon è broilo e foglia d'albaspina.
Quinon se sente risbaldire oselli.
Bensì la gaita canta la maitina
svernanoentorno clavi e clavistelli.
Pàrtiteamorea Deo!"
"Partirse resticome porò mai?
Eoplu non amo quel che tanto amava.
Eoplu non vollio quel che tu non hai
ch'eritu re et eo taupina sclava.
Orme basaoclo meo".
"Va'nemea bellae non far più lamento
ch'eovegno tecoteco vegno fuori.
Questosi fa per dolze incantamento.
Tifie palesequando arai du cuori...
edoglie altanto e pene!"
"Nonduole al flore aver un dì donate
lefollioline de la sua corona.
Nonduole: el flore allega per la state.
Nonduole: ad altri è caro ciò ch'e' dona
eta lui ciò ch'e' tiene".
"Pàrtiteamorepoi che vezo 'l sole
rimpettolà sui merli della torre.
El'ombra là vezo di corvi e grole
e'l passo qua sento de l'hom che tôrre
miti devrà per sempre!"
"Amorea Deo! Quanto mi fu già caro
losoletanto or mi sarà molesto.
Eoplu non vollio 'l dì lusente e claro;
contemeo Sirein questa notte eo resto
dovetu seiper sempre".
"Floreo d'uliva o mandorlo che sia
florech'hai già l'anima bianca e molle
meplu non tene quei che m'ha 'n bailia
eosarò teco tra le fresche zolle
alsole et all'amore!"
"Eovado al soleall'acquaal geloal vento.
Primaeo cantava tutte le mie sere.
Oratra i solchiin vetta gli olmieo sento
cheforse te farò così dolere
eben n'arò dolore!"
"Me'là con teche 'n Roma imperadore!
ElParadiso......
3.LE CANZONI DI RE ENZIO III°
ABOLOGNA
ALMAMADRE DEGLI STUDI
UNDA LEI AGLI STUDI VERACEMENTE NUDRITO
DEDICAQUESTO PRIMO SAGGIO DI POESIA
ISPIRATODALLA STORIA DEL LIBERO COMUNE
MAOH! QUANTO INFERIORE ALLA GLORIA DI LEI
ALLAGRATITUDINE SUA
LACANZONE DELL’OLIFANTE.
I.LA VEDETTA
Fuil venerdìch'era dolore e sangue
ela battaglia al Prato delle rose.
Belloera il tempo e tralucente il giorno.
Enzioera volto a dove nasce il sole.
Dilà! l'altr'annosorgere una stella
solevalungache parea selvaggia
delcupo cieloe lo fendeva in fuga
lasciandoil segno come una ferita.
Tuttele notti dall'agosto al verno
sorgeacome una fiaccola di guerra
suruna torree sotto quella luce
nereapparian le torri di Bologna
immobiliertele dugento scolte
vegliantiintorno al re prigione.
Fuil venerdì della battaglia al Ponte
diBenevento. Enzio guardava al sole
ilre vedeva l'Asinella acuta
larossa torre sulla via di Roma.
Perlà nel verno il conte di Monforte
coimaliscalchi e cavalier di Francia
aveastradato. Allor già verno
èora fin di ferraio; ora in Campagna e Puglia
cheavvien di voileoni di Soave?
Orain Palagio i sedici custodi
sparsiper l'aula seguono con gli occhi
ilre pensoso. Egli ode nella strada
lacantilena lunga di un giullare
eun aspro suono di vivuola:
SaleUlivieri e guarda a giù dal monte
guardala valle piena di grandi ombre.
Rumordi contro viene dalle forre
rumordi zampe sopra secche fronde.
Mulie cavalli fiutano altre torme
lìdirimpettoe rignano all'odore.
Schiarisceil giornoson le nubi rosse.
Suonanoi cornisquillano le trombe.
AOI
GuardaUlivieriguarda nella valle.
Quantielmi al solequante spade e lancie!
Gliosberghi d'oricalco hanno le frangie:
bandiereal ventorosse azzurre e bianche.
Igonfaloni pendono dalle aste;
puntesu razzano come fiamme.
Sontante schierech'e' non può dir quante.
Giammainon vide sforzo così grande.
AOI
ScendeUlivierie conta ai Franchi tutto.
"Piùgrande sforzo mai non fu veduto.
Sonmille e millee hanno osbergo e scudo;
hannoallacciato al capo l'elmo bruno;
drittele lanciei verrettoni in pugno.
Incampo state e Dio vi dia virtù!"
Diconoi Franchi: "Abbia chi fuggelutto.
Amorir qui non mancherà nessuno".
AOI
II.IL CONSIGLIO
Odere Enzio; ascolta come in sogno
perchéil suo cuore è in Capitana e Puglia.
Unde' custodiMin de' Prendiparti
dice:"Mal prenda a questi giuculari
ch'hannoper sue le piazze del Comune
perricantar le vecchie fole al volgo!
Giàda gran tempo Carlomagno è morto".
EScannabecco: "È morto sìma siede
l'imperatoredalla barba bianca
nellasua tombae con la destra impugna
laspada posta sopra le ginocchia".
Enziore pensa: "O bel sire fratello!
Biondoe gentil Rollando di Soave!
Forsevedete ora apparir sui monti
nonValdabrunma i cavalier di Francia
ProenzaFiandra Piccardia Brabante
coisanti gigli e con la croce!"
Manfrediin vero scorge allor sui monti
oltreil Calore l'oste del re Carlo.
Ilnato dallo imperator di Roma
hasuo consiglio. Parlano i suoi pari.
Qualè canutoqual è tutto fulvo
armatoognunoed il lor nome è Lancia.
DiceCalvagno: "Un giorno o due s'attenda:
sarannomorti e presi per diffalta
dipane e biade per i lor cavalli.
ABenevento e' mal sarà venuto!"
Main parte è un vecchio astrologo accosciato
avantiun libro dove prende il punto
comese avesse sopra il capo l'ombra
pienadi stelle. Intorno a re Manfredi
vestitoa verde come il lor vessillo
vegliandoa guardia i bruni Saracini
poggiatiad arcora e balestre.
DiceUlivieri: "Bene è grande stuolo.
Dilor masnade è tutto pieno il bosco.
Sontante schierequante dir non posso.
Compagnaabbiam noi picciola a tal uopo.
Rollandoamicodate fiato al corno!
Lungin'udrà l'imperatore il suono
lànelle golee tosto sarà volto".
Rollandodice: "Sarò prima io morto!
Onoree loda perdere non voglio.
Noncorno quima Durendal ha luogo.
Sìla vedrete rossa fino all'oro".
AOI
"Rollandoamicoe' sonoper uncento.
Èpieno il boscotutto il monte è pieno.
Sonateil cornoil corno dell'impero!
l'imperatorelungi n'udrà l'eco
lànelle vallie sarà volto a tempo.
Tuttihanno scudotutti bianco osbergo
benea cavalliad armee d'ogni arredo..."
DiceRollando: "Morte sarà meglio!
Ilmio legnaggio non sarà dispetto.
QuiDurendalnon corno fa mestiero.
Darcolpi voglionon soffiare al vento".
AOI
"Rollandoamicoin bocca l'olifante!
Èpieno il monteè piena ormai la valle.
Tantielmi al sole! Tante spade e lancie
bandiereal vento rosse azzurre e bianche!
Giammainon vidi sforzo così grande.
N'udràlo squillo in mezzo alle montagne
l'imperatoree lo vedrem tornare..."
DiceRollando: "Più morir mi piace!
Belsiree' ci ama per le nostre spade
l'imperatoree il ben ferire e il sangue.
Baronie genteora ai cavalli e all'arme!"
AOI
III.LO STORMO
Ascoltail re: sobbalza come in sogno.
Stal'arcivescovo alto sur un poggio.
Neroil cavallocon la bava al morso.
Alzala manoe chiama i Franchi a pruovo
edice a tutti un suo sermon divoto:
"Avetea fronte l'oste d'un re moro:
battagliaavrete in cui morire è buono:
chisparge il sanguein cielo è suo ricolto!"
Disella i Franchi sono scesi al suolo;
aDio mercede pregano in ginocchio.
"Perquesta croce ch'Egli portò in collo
iod'ogni colpa in nome suo vi assolvo".
AOI
"Oh!questo" Enzio re pensa"non avviene
nelcampo tuobiondo e gentil fratello!"
Nell'altroin veroil vescovo d'Alzurro
passasopra le schiere inginocchiate
erettopassa sul destrier suo falbo
benedicendocon la man di ferro
atutti colpa perdonando e pena...
"Queitra le fiamme e voi tra i santi fiori!"
Efrati bianchi con la croce rossa
vannotra i cavalieri e tra i ribaldi
dandoa lor caute voci il cavo orecchio
porgendosulle lingue agli sfregiati
ofilo d'erba o foglia d'oleastro...
"Tido per penitenza: Uccidi!"
ILancia sono intorno a re Manfredi.
"Lagente aspetta di messer Currado!"
dicono:ma l'astrologo dal libro
pienodi stelledove egli ode assorto
lievestridire i neri vipistrelli
alzala testae grave dice: "È il punto".
Eil re soggiunge: "Usciamo fuori a campo!
Duere son troppi per un regno solo".
Eil figlio dello imperator di Roma
fatre battaglie delle sue masnade
eil nome dà: Soavia cavalieri.
Vannocon la nera aquila ondeggiante.
Cuporimbomba sotto le lor péste
ilponte presso Benevento.
Enzionon ode rimbombare il ponte
diBeneventonon le tre battaglie
vedeschierate e ferme alla Grandella.
Eglila lunga cantilena ascolta
ilre prigionee vede Roncisvalle
evede anco Rollando il prode:
Biondoe gentilelieto viso e chiaro
lalancia in pugnova sul buon cavallo.
Lapunta al cieloil gonfalone è bianco
lafrangia d'or gli batte sulla mano.
Dice:"Baroniandiam soaveal passo!"
AOI
Enzionon vede l'altro re che aringa
letre battaglie al Prato delle rose
eil nome dà: Mongioia cavalieri.
Eglila lunga cantilena ascolta
ilre prigionee vede Roncisvalle
evede anco Ulivieri il savio:
DiceUlivieri: "Io non vuo' dir parola.
Lasciateil corno pendere alla soga:
nonverrà Carlo il magno a questa volta.
Dunquebaronifate vostra possa
ecavalcate avanti voi di forza..."
Ungrido s'alza intorno a lui: Mongioia!
AOI
IV.LA MISCHIA
"Tempovene chi sale e chi discende":
diceil re delle Torri e di Gallura:
"nonpiù Mongioia è il grido dell'impero".
Edice a lui Rollando de Marano:
"Mongioiaè il montedonde Carlomagno
udìsonare le campane a festa
diRoma santaudille sonar sole
sull'albaa gloria dell'antico impero".
Enziore siedee reggesi la fronte
pienadi rughe sulla bianca mano.
Èquella mano usa alla mazza d'arme
usaalla spada ch'elmi e bacinelli
fendeva:ora non piùda sedici anni.
Nonpiù tutta oro la capellatura
lungafluisce. Oh! come al fresco vento
sisvincolava al modo d'una fiamma
sullagaleanel mar della Meloria!
Comein cospetto dell'imperatore
guidavai cavalieri a Cortenuova
controil Carroccio di Milano!
Siedere Enzio con la fronte in mano.
OEnzio amico bella gioventù!
Eglinon parlae i sedici custodi
pensanoanch'essi a sedici anni addietro.
Salgonoin vano fabbri e zavattieri.
Toccanon è la torta del Comune.
Suonanoqua e là da' battifredi
orfioche or chiare tutte le campane.
Passala treccapassa il pesciaiuolo
lamerce sua cantando ognuno a prova.
Vengonoa frotteai portici le donne
quandosi sfornaa comperare il pane.
Aquando a quando ora su questa torre
orasu quella tubano i colombi.
Es'ode ancora il canto del giullare
giàraucoe un aspro suono di vivuola.
MaEnzio sente in cuore una battaglia
lontana.È come quando ingrossa il fiume
quasisognandoper una tempesta
nelleinvisibili montagne.
Maravigliosaè la battagliae grave.
Rottigli osberghisono l'aste infrante.
Nonpiù le trombe suonanoche rauche;
nonse non rossescendono le spade.
Bocconiin faccial'un sull'altro giace
qualisui sassiquali tra l'erbe alte.
Quantibelli anni vanno via col sangue!
Quantinon rivedranno la sua madre
néCarlomagno che non tornae va...
AOI
Mararavigliosaè la battagliae forte.
Pertutto il mondo tanto non si muore!
Scorretra l'erbesgronda dalle foglie
bulicail sanguecome quando piove.
Vannocavallicon le selle vuote
nelcampoin fugae scalciano alla morte.
Quantobel tempo si fermò col cuore!
Quantinon rivedranno le sue spose!
néCarlomagno che tornar non può...
AOI
Lontanlontanotutto il ciel si muta.
Tempestain terrain alto mar fortuna.
Amezzodìcome di notteabbuia.
Cielonon v'èse un lampo non l'alluma.
Tuonacon una cupa romba lunga.
Laterra tremacrollano le mura.
Dicela gente: Secol si consuma!
lagente diceeppure non sa nulla.
Eh!buon Rollando bella gioventù!
AOI
V.IL CONTRASTO
Ilre prigione balza in piè d'un lancio.
Lachioma grigia sopra il capo ondeggia
comeondeggiava al Ponte Sant'Ambrogio
inmezzo al roseo polverìo di maggio.
Sorgonoinsieme i sedici custodi
quasitendendo contro lui le branche.
Unde' più vecchiil pro' Michel degli Orsi
dice:"Così gli ardeano gli occhi azzurri
quand'iolo presi". Al re si volge e dice:
"Messerlo repensate al detto vostro:
chevoi tenete saggio e canosciente
qualesi sa col tempo comportare".
MaEnzio sente rinfrescar la pena
chein cor gli abondae non sa come.
Enzionon sa; ma forse vede l'ombre
dicavalieri biondi che le spade
alzanolunghe e calano a due mani
allaGrandellaal Prato delle rose.
Mai lor nemici gridano: "Agli stocchi!
Dategli stocchi al ventre dei cavalli!"
Cadonoi biondi e grandi cavalieri
co'destrier suoi fediti di coltella.
Cadutiappenahanno alla gola anch'essi
icavalieriil ferro dei ribaldi.
Enzionon sama forse l'ombra e' vede
dire Manfredi dritto sur un colle
chemira in fuga ripassar le schiere
sulponte presso Benevento.
Rollandomira: vede il grande scempio.
ChiamaUlivierie dice questo detto:
"Belsire amicoal nome del Dio vero
vedetea terra tutto il fior del regno.
Benpossiam fare il duolo ed il lamento
ditai baroniche non più vedremo.
Oimperatorequi voi foste almeno!
Comeo fratellofargli posso un cenno?"
DiceUlivieri: "Come farnon vedo;
masoffro io meglio morte che disdegno".
AOI
DiceRollando: "Che non suono il corno?
Lungin'udrebbe Carlomagno il suono;
verrebbequiprima che ognun sia morto".
"Iomeglio soffro morte che disdoro.
Voinol farete per il mio conforto:
ontasarebbe nel legnaggio vostro.
Divoi non sono né signor né uomo:
sevoi sonateio guardo e non approvo.
Poirosso il braccio avete fino al collo..."
"Bensì" risponde il Conte "picchiai sodo".
AOI
DiceRollando: "Io suono l'olifante!
Alsuon verrà l'imperator e al sangue".
"Èd'ogni morte onta per me più grave!
Compagnonoi morremo in questa valle".
Rollandodice: "La vostra ira è grande..."
"Perchénon quando vi pregai sonaste?
Lavirtù vostra a tutti noi fu male.
Morretee voi: ben questo è peggior male!
Avantisera ci dovrem lasciare..."
El'un per l'altro ecco sospira e piange.
AOI
VI.L'ACCORDO
AncheEnzio re non sa perchéma piange
voltoalla terra che riluce al sole.
Sulcolle eiforsevede il suo fratello
ilgentil retra i raggi dell'occaso.
DiceAnibaldo: "Fuggi in Pugliae passa
ilmaree trova il Despoto d'Epiro".
Ilsuo cavallo chiede il reda guerra.
DiceAnibaldo: "Trova la tua donna;
portai tuoi figli (Enzo ha due anni) in salvo".
Montaa cavallo e cingeil rela spada.
DiceAnibaldo: "Miglior tempo aspetta!
Vanoè pugnar contro la rossa croce".
Ilre Manfredi prende dalla mano
d'unoscudiero l'elmosu cui posa
lasua grande aquila d'argento.
Rimiraa valle. Presi o morti i Lancia
sgozzatia terra i biondi cavalieri
fuggonoin Pugliafuggono in Abruzzi
glialtri baroni. Al cielo va Mongioia!
Risuonail ponte presso Benevento
sottoscianguati cavalieri in fuga.
"Malsia di tesoldano di Lucera!"
Maegliil figlio dell'imperatore
lareda dell'imperator di Roma
èin cima al collesul destrier che raspa.
Egliè lassù che mira la sua rotta
conl'elmo in manoe l'aquila d'argento
ardee sfavilla al sole che tramonta.
Eil re prigione del Comune ascolta
lavoce quale d'un profeta:
Quelche Dio mise in nome suovien presso;
dàdegli sproni d'oro nel destriero.
"Nonira mala sia tra voivi prego.
PerDio vi prego: è il nostro giorno estremo.
Siree compagnoqui morire è certo.
Dell'olifanteil suono andrà disperso.
N'udràsìforse il suonon'udrà l'eco
manon verrà l'imperatore a tempo".
AOI
"Dateglifiato tuttaviaRollando
poiche l'udrà l'imperator lontano.
L'udràsul capo gemere d'un tratto
eda vendetta far di noiverranno.
Discenderannotristi da cavallo
citroveranno morti per il campo;
raccatterannoil nostro corpo e il capo
soprai somieri li porrannoin pianto".
AOI
"Farannoil pianto con affanno e doglia
soprail somier ponendo una tal soma!
Cideporranno in qualche ombrosa chiostra
collume acceso all'arco della soglia.
Oqui su noi porranno una gran mora
noncane o lupo mangi le nostre ossa;
nonle nostre ossa bagni qui la pioggia
nonnella fossa il vento qui le muova".
AOI
VII.L'OLIFANTE
Ormainessuno è più con teManfredi
nepotedi Costanza imperatrice!
Sulbiondo capo ei pone l'elmoei leva
andandoa mortel'aquila di Roma.
L'aquilacade sull'arcion dinanzi.
Romanoe' parlaed Hoc est signum Dei
diceai suoi cento. Ma però non lascia:
muoveil cavallo verso la battaglia.
Cavalcaquale cavalier valente
controi guerrieri della rossa croce
galoppaal Prato delle rosesprona
verla sua rossa Roncisvalle.
Rollandoha messo l'olifante a bocca
fortelo priemea gran virtù vi soffia.
Ilsangue sprizza e dalle labbra cola.
Sonalti i montialta la voce vola.
Atrenta leghe l'eco ne rimbomba.
L'imperatoreode la voce lunga.
"Suondi battaglia!" mormoraed ascolta:
"senon è tuono che tra i monti corra".
Raccogliea sé le brigliené più sprona.
Tienalto il capoe lentoal passoinoltra...
AOI
"Otriste voce!" pensa il re prigione.
"Chenon cavalco per le bianche strade
diLombardia con Ecellino e Buoso?"
Pensae il suo cuore è come onda nel mare
nelmare intorno a Montecristo e il Giglio
queltre di maggio... "Or sono sì distretto!"
Rollandomette ancora le due labbra
all'olifantee suona con ambascia.
Dalcollo gonfio il chiaro sangue salta.
Sonalti i montipassa la voce alta.
Atrenta leghe il suono ne rimbalza.
L'imperatoreode la voce chiara.
"Senon è tuonose non è valanga
èla mia gentequestache ha battaglia".
Fermail cavallososta in una landa.
Sulcapo suo palpita l'orifiamma...
AOI
"Cheavviene là?" domanda Enzio. Nessuno
salà nel regnodei due reche avvenga.
Ilgiorno cadee il sole tinge in rosa
latorre al sommoche prigione ei prima
videlanciarsi su nel cielo azzurro
venendodal Castel d'Unzola.
Rollandoprende tutta la sua lena:
nell'olifantecon furor l'avventa.
Lafronte crepascoppiano le tempia.
Sonoalti i monti; ma la voce immensa.
Lavoce vanell'alto ciel dilegua
passaall'imperatore sulla testa.
Nonè valangaè altro che tempesta!
Eifa sonare tutti i corni a guerra.
Volgeil cavallovolge a lei la schiera.
"Rollandochiama! Uominiall'arme e in sella!"
AOI
VIII.IL SACRO IMPERO
Esuona la campana del Comune
atocchi tardi. Ella è sonata a soga.
Buonartigianocessa l'opra: è notte.
Uomodabbenetorna a casa: è buio.
Ilbevitore esca dalla taverna.
Chigiuoca a zaralasci il tavoliere.
Usciteo guaiteper veder se alcuno
vaper la terra senza lume o fuoco.
Affrettail passoo peregrinoe trova
qualcheuscio apertoove tu chieda albergo.
Orain palagio tuonano le porte
icatenacci stridono e le chiavi
serrandoil re. Poi tace ultima anch'essa
lalunga lugubre campana.
MaEnzio ancora ode sonare il corno
dellagran cacciadalla Valle rossa.
Disangue tinti sono l'erba e i fiori.
Giaccionoi mortii morti dell'impero
giaccionochi sul dorsochi sul petto
trai neri massia piè dei neri pini.
Trevolte suona l'olifantee chiama.
Èla vigilia della tua vendetta:
chiha mal fattonon lasciar che dorma:
ritornaimperatore magno!
Oh!egli udì; l'imperator ritorna.
S'odela vasta e lunga cavalcata.
Vienetra gli alti tenebrosi monti
pergrandi valli e grandi acque correnti.
Avantie dietro suonano le trombe
ariscontrare in alto l'olifante.
Nonha tra lor chi non si dolga e pianga.
Sulcalpestìo risuona e sulle trombe
ilpiantocome in mezzo all'acquazzone
leraffiche dell'uragano.
Sonoalti i montigli alberi molto alti.
LaValle è piena di rosai selvaggi.
Lanotte è chiara: è chiarità di luna;
tremanoi gigli nella rossa Valle.
Pressoogni morto è fitta la sua spada
laspada sua con l'elsa fatta a croce.
Stannoriversi con le braccia in croce:
ènato un giglio in bocca d'ogni morto.
Ognunoha il giglioa ciò tu li conosca:
ritornaimperatore santo!
Viene.Non è ancor giorno né più notte.
Splendonogià le punte delle lancie
luconogli elmibrillano gli osberghi
elmied osberghi e scudi pinti a fiori.
Sivedono ondeggiare i gonfaloni
appesiall'asterossi azzurri e bianchi;
sututti i gonfaloni è l'orifiamma
quellache un giorno si chiamò Romana.
Tuttia cavallo i popoli del mondo:
inmezzo a loro è Carlomagno.
L'imperatore!Ha conti e duchi intorno
vescoviarmaticon le mitrie d'oro.
L'imperatoreha gli occhi al sol levante
l'arcangelogli dice: Ave! all'orecchio.
Èbiancoè vecchio di cinquecento anni;
labarba in fiore ha stesa sull'osbergo.
Icentomilain segno di gran duolo
fuoridell'elmo hanno la barba bianca.
Vagiungi al campo ove morì Rollando
imperatore!imperatore!
Vama non giunge. È brusìo d'ombre vane
ch'odere Enzioquale in foglie secche
notturnafa la pioggia e il vento.
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