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GiovanniPascoli

ILFANCIULLINO



I.

Èdentro noi un fanciullino (1) che non solo ha brividicome credevaCebes Tebano che primo in sé lo scopersema lagrime ancora etripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia teneraegli confonde la sua voce con la nostrae dei due fanciulli cheruzzano e contendono tra loroeinsieme sempretemono speranogodono piangonosi sente un palpito solouno strillare e un guairesolo. Ma quindi noi cresciamoed egli resta piccolo; noi accendiamonegli occhi un nuovo desiderareed egli vi tiene fissa la sua anticaserena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voceed egli fasentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello.Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell'etàgiovanile forse così come nella più maturaperchéin quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vitameno badiamo a quell'angolo d'anima d'onde esso risuona. E ancheeglil'invisibile fanciullosi perita vicino al giovane piùche accanto all'uomo fatto e al vecchioché piùdissimile a sé vede quello che questi. Il giovane in vero dirado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo; ché ne sdegnala conversazionecome chi si vergogni d'un passato ancor tropporecente. Ma l'uomo riposato ama parlare con lui e udirne ilchiacchiericcio e rispondergli a tono e grave; e l'armonia di quellevoci è assai dolce ad ascoltarecome d'un usignuolo chegorgheggi presso un ruscello che mormora.

Opresso il vecchio grigio mare. Il mare è affaticato dall'ansiadella vitae si copre di bianche spumee rantola sulla spiaggia. Matra un'ondata e l'altra suonano le note dell'usignuolo ora singultitecome un lamentoora spicciolate come un giubiloora punteggiatecome una domanda. L'usignuolo è piccoloe il mare ègrande; e l'uno è giovanee l'altro è vecchio. Vecchioè l'aedoe giovane la sua ode. Väinämöinen èanticoe nuovo il suo canto (2) . Chi può imaginarese nonvecchio l'aedo e il bardo? Vyàsa è invecchiato nellapenitenza e sa tutte le cose sacre e profane. Vecchio èOssianvecchi molti degli skaldi. L'aedo è l'uomo che haveduto (oîde) e perciò sae anzi talvolta non vede più; è il veggente (aoidós) che fa apparire il suo canto(3).

Nonl'età grave impedisce di udire la vocina del bimbo interioreanzi invita forse e aiutamancando l'altro chiasso intornoadascoltarla nella penombra dell'anima (4) . E se gli occhi con cui simira fuor di noinon vedono piùebbene il vecchio vedeallora soltanto con quelli occhioni che son dentro di luie non haavanti sé altro che la visione che ebbe da fanciullo e chehanno per solito tutti i fanciulli. E se uno avesse a dipingereOmerolo dovrebbe figurare vecchio e ciecocondotto per mano da unfanciullinoche parlasse sempre guardando torno torno. Da unfanciullino o da una fanciulla: dal dio o dall'iddia: dal dio chesementò nei precordi di Femio quelle tante canzoniodell'iddia cui si rivolge il cieco aedo di Achille e di Odisseo (5) .



II.

Mail garrulo monello o la vergine vocale erano dentro luiinvisibilmente. Erano la sua medesima fanciullezzaconservata incuore attraverso la vitae risorta a ricordare e a cantare dopo ilgran rumorio dei sensi. E la sua fanciullezza parlava per ciòpiù di Achille che d'Elenae s'intratteneva col Ciclopemeglio che con Calipso. Non sono gli amorinon sono le donneperbelle e dee che sianoche premono ai fanciulli; sì le astebronzee e i carri da guerra e i lunghi viaggi e le grandi traversie.Così codeste cose narrava al vecchio Omero il suo fanciullinopiuttosto che le bellezze della Tindaride e le voluttà delladea della notte e della figlia del sole (6) . E le narrava col suoproprio linguaggio infantile.

Tornavada paesi non forse più lontani che il villaggio che èpiù vicino ai pastori della montagna; ma esso ne parlava adaltri fanciulli che non c'erano stati mai. Ne parlava a lungoconfogadicendo i particolari l'un dopo l'altro e non tralasciandoneunonemmenoper esempioche le schiappe da bruciare erano senzafoglie. Ché tutto a lui pareva nuovo e bellociò chevi aveva vistoe nuovo e bello credeva avesse a parere agli uditori.La parola "bello" e "grande" ricorreva a ognimomento nel suo novellaree sempre egli incastrava nel discorso unanota a cui riconoscere la cosa. Diceva che le navi erano nerecheavevano dipinta la prorache galleggiavano perché benbilanciateche avevano belli attrezzibei banchi; che il mare eradi tanti coloriche si moveva sempreche era salatoche eraspumeggiante. I guerrieri? Portavano i capelli lunghi. I loro caschi?Avevano creste che si movevano al passo. Le loro aste? Facevano unalunga ombra. Per non essere frainteso ripeteva il medesimo pensierocon altra forma: diceva "un pochinomica tanto!""viveremica morire!"e anche "parlò e disse""siadunarono e furono tutti in un luogo".

Nonmancava di quelle spiegazioni che chiudono la bocca: "ubbiditeperché ubbidire...è meglio" "solo devorimanermene senza dono? Non sta bene". La chiarezza non èmai troppa: "I pulcini erano ottoe nove con la madrecheaveva fatti i pulcini""Aiasquello più piccolonon grande come l'altroma molto più piccolo: erapiccino...". Qualche volta riusciva sublimema senza farloapposta: saltava qualche circostanzaper giungere a ciò cheimportava più e che era più sensibile. Un divinoarciere tirava l'arco "e per tutto si vedevano cataste acceseper bruciare i morti". Il dio supremo mosse il sopracciglio escosse i capelli"e scrollò l'Olimpo che è cosìgrande". Sopra tuttoper far capire tutto il suo pensieroinqualche fatto o spettacolo più nuovo e stranos'ingegnava conparagoni tolti da ciò che esso e i suoi uditori avevano piùsott'occhio o nell'orecchio. E in ciò teneva due modicontrari: ora ricordava un fatto piccolo per farne intendere unograndeora uno maggiore per farne vedere uno minore. Cosìrappresentava un mare agitato che con le grosse onde spumeggianti sigetta contro la spiaggiae strepita e tuonaper dar l'idea d'unamoltitudine d'uomini che accorre in un luogo; e descriveva uno sciamedi mosche intorno ai secchielli pieni colmi di latteper esprimereil confuso e vasto agglomerarsi d'un esercito di guerrieri.

Questoera il suo solo artifiziose pure si può chiamare artifiziociò ch'egli faceva così ingenuamente che spesso lacosamediante il suo paragoneriusciva più piccolasebbenesempre paresse più chiara; come quando confrontava il fluidoparlare di alcuni vecchi savi all'incessante frinire delle cicaleola resistenza d'un grande eroe all'indifferenza d'un asino cheseguita a empirsi d'erba nel prato donde i bimbi vogliono cacciarlo asuon di bastonate. No no: il fanciullino del cieco non tanto volevafarsi onorequanto farsi capire: non esagerava; perché ifatti che raccontavagli parevano già assai mirabili cosìcome erano. Ed egli sapevané per altro argomento se nonperché parevano anche a luiche mirabili dovevano parereanche agli altri bambini come luiche erano nell'anima di tutti isuoi uditori. I quali ora come allora lo ascoltano con maraviglia. Enon sarebbe ragionevoledi cose che dopo trenta secoli non sicredono più verosimili. Ma dopo pur trenta secoli gli uomininon nascono di trent'annie anche dopo i trent'anni restano perqualche parte fanciulli.



III.

Maè veramente in tutti il fanciullo musico? Che in qualcuno nonsianon vorrei credere né ad altri né a lui stesso:tanta a me parrebbe di lui la miseria e la solitudine. Egli nonavrebbe dentro sé quel seno concavo da cui risonare le vocidegli altri uomini; e nulla dell'anima sua giungerebbe all'anima deisuoi vicini. Egli non sarebbe unito all'umanità se non per lecatene della leggele quali o squassasse gravi o portasse leggierecome uno schiavo o ribelle per la novità o indifferente per laconsuetudine. Perché non gli uomini si sentono fratelli traloroessi che crescono diversi e diversamente si armanoma tutti siarmanoper la battaglia della vita; sì i fanciulli che sonoin loroi qualiper ogni poco d'agio e di tregua che sia datasicorrono incontroe si abbracciano e giocano.

Eppureè chi dice che veramente di generi umani ve ne ha duee nonsi scorge che siano duee che l'uno attraversa l'altrosemprediviso ma sempre indistintocome una corrente dolce il mare amaro.Vivono persino nelle stessa famigliasotto gli occhi della stessamadree vivono in apparenza la stessa vita germinata da uguale semein unico solco; e questi sono stranieri a quellinon d'un solotratto di cielo e di terrama di tutta l'umanità e di tuttala natura. Essi si chiamano per nome e non si conoscono né siconosceranno mai. Ora se questo è veronon puòavvenire se non per una causa: che gli uni hanno dentro sél'eterno fanciulloe gli altri noinfelici!

Maio non amo credere a tanta infelicità. In alcuni non pare cheegli sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse èapparenza e credenza falsa. Forse gli uomini aspettano da lui chi saquali mirabili dimostrazioni e operazioni; e perché con levedonoo in altri o in ségiudicano che egli non ci sia. Mai segni della sua presenza e gli atti della sua vita sono semplici eumili. Egli è quellodunqueche ha paura al buioperchéal buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembrasognarericordando cose non vedute mai; quello che parla allebestieagli alberiai sassialle nuvolealle stelle: che popolal'ombra di fantasmi e il cielo di dei (7) . Egli è quello chepiange e ride senza perchédi cose che sfuggono ai nostrisensi e alla nostra ragione. Egli è quello che nella mortedegli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fasciogliere in lacrimee ci salva (8). Egli è quello che nellagioia pazza pronunziasenza pensarcila parola grave che ci frena.Egli rende tollerabile la felicità e la sventuratemperandoled'amaro e di dolcee facendone due cose ugualmente soavi al ricordo.Egli fa umano l'amoreperché accarezza esso come sorella (oh!Il bisbiglio dei due fanciulli tra un bramire di belve)accarezza econsola la bambina che è nella donna. Egli nell'internodell'uomo serio sta ad ascoltareammirandole fiabe e le leggendee in quello dell'uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare ditrombette e di pivee in un cantuccio dell'anima di chi piùnon credevapora d'incenso l'altarino che il bimbo ha ancoraconservato da allora. Egli ci fa perdere il tempoquando noi andiamoper i fatti nostriché ora vuol vedere la cinciallegra checantaora vuol cogliere il fiore che odoraora vuol toccare laselce che riluce.

Eciarla intantosenza chetarsi mai; esenza luinon solo nonvedremmo tante cose a cui non badiamo per solitoma non potremmonemmeno pensarle e ridirleperché egli è l'Adamo chemette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nellecose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta ilnome della cosa più grande alla più piccolae alcontrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranzaecuriosità meglio che loquacità: Impicciolisce per potervedereingrandisce per poter ammirare. Né il suo linguaggio èimperfetto come di chi non dica la cosa se non a mezzoma prodigoanzicome di chi due pensieri dia per una parola. E a ogni modo dàun segnoun suonoun colorea cui riconoscere sempre ciòche vide una volta.

C'èdunque chi non ha sentito mai nulla di tutto questo? Forse ilfanciullo tace in voiprofessoreperché voi avete troppocipiglioe voi non lo uditeo banchieretra il vostro invisibile eassiduo conteggio. Fa il broncio in teo contadinoche zappi evanghie non ti puoi fermare a guardare un poco; dorme coi pugnichiusi in teoperaioche devi stare chiuso tutto il giornonell'officina piena di fracasso e senza sole.

Main tutti èvoglio credere.

Sianogli operaii contadinii banchierii professori in una chiesa auna funzione di festa; si trovino poveri e ricchigli esasperati egli annoiatiin un teatro a una bella musica: ecco tutti i lorofanciullini alla finestra dell'animailluminati da un sorriso oaspersi d'una lagrima che brillano negli occhi de' loro ospitiinconsapevoli; eccoli i fanciullini che si riconosconodall'impannata al balcone dei loro tuguri e palazzicontemplando unricordo e un sogno comune.



IV.

Seè in tuttiè anche in me. E ioperché daquando s'era fanciulli insiemenon ho vissuto una vita cui almeno ildoloreche fu tantodesse rilievonon l'ho perduto quasi mai divista e di udita. Anzinon avendo io mutato quei primi miei affettichiedo talvolta se io abbia vissuto o no. E io dico sìperchéivi è più vita dove è meno mortee altri dicenoperché crede il contrario. Comunqueparlo spesso con luicome esso parla alcuna volta a mee gli dico: Fanciulloche non sairagionare se non a modo tuoun modo fanciullesco che si chiamaprofondoperché d'un trattosenza farci scendere a uno a unoi gradini del pensieroci trasporta nell'abisso della verità...

Oh!Non credo io che da te venganosemplice fanciullocerte filze disillogismisebbene siano esposte in un linguaggio che somiglia altuoe disposte secondo ritmi che sono i tuoi! Forse quei ritmi ce lefanno meglio seguirequelle filzee quel linguaggio ce lo fa megliocapirequel ragionamento; o forse noché l'unoabbagliandoci distraee gli altricullandoci astraggono; sì che ilfine del ragionatore non è ottenuto come sarebbe senza quelleimmagini e senza quella cadenza. Ma mettiamo che sia: ora il tuo finenon ècredomai questoche si dica: Tu mi hai convinto dicosa che non era nel mio pensiero. E nemmeno quest'altro: Tu mi haipersuaso a cosa che non era nella mia volontà. Tu non pretenditantoo fanciullo. Tu dici che in un tuo modo schietto e semplicecose che vedi e senti in un tuo modo limpido e immediatoe sei pagodel tuo direquando chi ti ode esclama: anch'io vedo oraora sentociò che tu dici e che eracertoanche primafuori e dentrodi mee non lo sapeva io affatto o non così bene come ora!

Soltantoquesto tu vuoiseppure qualche cosa vuoi dal diletto in fuori che tustesso ricavi da quella visione e da quel sentimento. E come potrestiaspirare ad operazioni così grandi tu con così piccolistrumenti? Perché tu non devi lasciarti sedurre da una certasomiglianza che èper esempiotra il tuo linguaggio e quellodegli oratori. Sì: anch'essigli oratoriingrandiscono eimpiccioliscono ciò che loro piacciae adoperanoquando loropiaceuna parola che dipinga invece di un'altra che indichi. Ma ladifferenza è che essi fanno ciò appunto quando loropiace e di quello che loro piaccia. Tu nofanciullo: tu dici semprequello che vedi come lo vedi. Essi lo fanno a malizia! Tu nonsapresti come dire altrimenti; ed essi dicono altrimenti da quelloche sanno che si dice. Tu illumini la cosaessi abbagliano gliocchi. Tu vuoi che si veda meglioessi vogliono che non si veda più.Il loro insomma è il linguaggio artifiziato d'uominiscaltritiche si propongono di rubare la volontà ad altriuomini non meno scaltriti; il tuo è il linguaggio nativo difanciullo ingenuoche tripudiando o lamentando parli ad altriingenui fanciulli.

Nonè così?...

Fanciullodunqueche non ragioni se non a modo tuodicendo di quando inquando le sentenze più comuni e più sublimipiùchiare e più inaspettatetu puoi per altroin ciò cheti riguarda più da pressoe intendere la mia e dire la tuaragione. Per questo ti parlo con più gravità che io nonsogliae vorrei avere da te una risposta meno...come ho da dire?Infantile?... poeticache tu non costumi.



V.

Tusai che io ti amoo mio intimo benefattoreo invisibile coppieredel farmaco nepenthès e ácholoncontro il dolore el'irao trovatore e custode d'un segreto tesoro di lagrime esorrisi!. E sai ancora che io non ti credocome fanciullocosìirragionevolené stimo un perditempo l'ascoltarti quandodetti dentro. Oh! Nomolto ci corre. Sebbene qualche voltaa vederele tiritere isosillabiche e omeoteleute (non ti spaventare! ècome dire "versi rimati") con le quali certi orecchiantivogliono far credere di far l'arte tuaanch'io rischio di pensarecome moltiche codesto parlare cadenzato e sonoro non sia naturalené ragionevole. Ma è un momento. Dimentico quelletiriteree dico a te che per quel momento mi fissi tra spaurito emalcontento con codesti occhi che vedono con maraviglia; dico a te:

Nono: non temere. Tu sei il fanciullo eternoche vede tutto conmaravigliatutto come per la prima volta. L'uomo le cose interne edesternenon le vede come le vedi tu: egli sa tanti particolari chetu non sai. Egli ha studiato e ha fatto suo pro degli studi deglialtri. Sì che l'uomo dei nostri tempi sa più che quellodei tempi scorsiea mano a mano che si risalemolto più esempre più. I primi uomini non sapevano niente; sapevanoquello che sai tufanciullo.

Certoti assomigliavanoperché in loro il fanciullo intimo sifondevaper così direcon tutto l'uomo quanto egli era.Maravigliavano essicon tutto il loro essere indistintodi tutto;ché era veramente allora nuovo tuttoné solo per ilfanciulloma per l'uomo. Maravigliavano con sentimento misto ora digioia ora di tristezza ora di speranza ora di timore. Se poi talecommovimento volevano esprimere a sé e ad altriessi traevanofuori dalla faretraper dirla con tecerti preziosi e numerosistrali di cui non si doveva far gettito.

Pronunziavanoessii primi uominicon lentezza uniformecon misurata gravitàla difficile parola che stupivano volasse e splendesse e sonasseefosse loro e diventasse d'altrie recasse attorno l'anima di chi laemetteva dopo la lunga silenziosa meditazione. Oh! non le gettavanoessi come cose vili che soprabbondanole parole pur mo natelegatecoi più sottili nodisegnate con le più vive improntelavorate coi più ingegnosi nielli! Ne vedevano essi tutti ipregie il peso e il timbro del loro metalloe il suono col qualein principio rompevano dalle labbra schiudentisie quello col qualein fine ronzavano nelle orecchie aperte. Or tufanciullofai comeloroperché sei come loro.

Faicome tutti i bambini i quali non soloquando sono un po' sollevatigiocano e saltano con certe loro cantilene ben ritmatema quandosono ancora poppantie fanno la boscherecciacon misura e cadenzabalbettano tra sé e sé le loro file di pa pa e ma ma.

Ein ciò è ragione perché è natura. Tu seiancora in presenza del mondo novelloe adoperi a significarlo lanovella parola. Il mondo nasce per ognun che nasce al mondo. E in ciòè il mistero della tua essenza e della tua funzione. Tu seiantichissimoo fanciullo! E vecchissimo è il mondo che tuvedi nuovamente! E primitivo il ritmo (non questo o quelloma ilritmo in generale) col quale tuin certo modolo culli o lo danzi!Come sono stolti quelli che vogliono ribellarsi o all'una o all'altradi queste due necessitàche paiono cozzare tra loro: vedernuovo e veder da anticoe dire ciò che non s'è maidetto e dirlo come sempre si è detto e si dirà!

Esi ribellanogli uni con gli schifi gesti di pedanti: Questametafora non è in...(e qui il nome d'un poeta a mano a manopiù recente) ; gli altri con pugnaci atteggiamenti dinovatori: Questo non è assai inaudito e inaudibile! Quellisono in generale vecchi che nella vecchiaia credono riposta ogniautorità; e questigiovani che nella giovinezza imaginanoinsita ogni forza; più noiosi questi di quelliperchél'un vanto è sempre con impertinenzae l'altro non èmai senza tristezzae perché se gli uni non intendono piùper senile sorditàl'arguto chiacchiericcio del fanciullogli altri non lo intendono ancoraper quello schiamazzare che fannomiseramente orgogliosointorno al loro io giovane. Ein veritàgiovani non sonoché d'esserese fosseronon siaccorgerebbero. D'essere vecchio uno si accorge sìqualchevoltae allora si vestesi tingegrida a giovane. È forseil caso di voivecchiastri?

Aogni modopace. Sappiate che per la poesia la giovinezza non basta:la fanciullezza ci vuole!



VI.

Tusei savio e mi contento. Non vuoi né ripetere il giàdetto né trovare l'indicibile; non vuoi essere néun'inutilità né una vanità. Vuoi il nuovomasai che nelle cose è il nuovoper chi sa vederloe nont'indurrai a trovarloaffatturando e sofisticando. Il nuovo nons'inventa: si scopre. Mi contento dunquea dirla tra noivale adiretra me...Ma intendiamoci subito: di ciò non tiattribuisco gran lodeperché non ci vedo gran merito. Come?Aspetta e sii pazienteché mi conviene andar per le lunghe. Eprima vorrei farti una domanda. Un finel'hai tu? Fuoris'intendedi quello appunto di dire o dittare? E puoi dirmiquale? Ho bisognodi saperlo. Non rispondi? Pensi? esiti? dubiti? Imagino che codestofine non siaper esempioquello di dare un po' d'aiutodi fornireun poco d'oro al tuo vecchio ospiteche ne ha tanto bisogno.Imaginoanzi so che tu non conosci altro oro che metaforicocioèche non si spende. Ridi? Intendiamoci. So per certo che tu non credidi procacciarmi direttamente un utile materialema sospetto che tifiguri di procacciarmelo indirettamenteaggiungendo non saprei chefavore alla mia povera persona e che pregio alle mie umili virtùsì che l'industria che sai che esercitomi profitti qualchecosa più.

Ebbeneti inganneresti. Sappi che è il contrario; e che èragionevole che sia il contrario. Tu sei un fanciullo: ora non tuttisanno distinguere te fanciullo da me vecchioe perché misentono e vedono bamboleggiare qualche voltacredono volentieri cheio bamboleggi sempreanche quando lavoro sul serioper guadagnarmila vita. Per ciò essi meno apprezzano quei lavori seriie iominor utile ne ricavo.

Ehanno torto.

Sempre?

Sappiche non hanno torto sempre.

Hannoper esempioragione (né parlo soltanto di mema di moltialtri)quando tra i miei ragionamentiche non dovrebbero essere senon giusti e chiarivedono comparire i tuoi sorrisi e le tue grida.Vedi: i passeri sono graziosi uccelli (anch'essi: perché no?);ma nei seminati i contadini non ce li voglionoper graziosi chesiano. Le spadacciole sono bellissimi fiori; ma tra il grano sarebbemolto meglio che non ce ne fosse. Ma fanno così bel vedere!Non nego che possano dilettare qualcuno: non dilettano peròcolui che spera l'utile di quel grano. Capisci? Se anche c'èqualcuno a cui piacciono i tuoi frulli e i tuoi lampeggiamenti inmezzo a un ragionare che avrebbe a essere serioai più nonpuò essere che non dispiaccia.

Esai che cosa succede? Questitrovandoti così fuori di postonon pensano che tu sia il fanciullo dalla voce argentinama credonosentire in te l'uomo rocol'uomo che parla per ingannare: e gridanoRetorica! Ora per evitare tale scambio a te e tale danno a menonsarebbe male che quando io bado ai fatti mieitu te ne andassilontano e dormissi nei profondi boschi d'Idalia e tra l'odorosocespuglio dell'amaraco. Se tu conoscessi Platoneti direi che comeegli ha ragione nel volere che i poeti facciano mythous e non logousfavole e non ragionamenticosì non ho torto io nel pretendereche i ragionatori facciano logous e non mythous (9). Ma pur troppo èdifficile trovare chi si contenti di far solo quello che deve. EPlatone stesso...Ma egli era Platone.

Tornandoa noidunquenessun utile né diretto né indiretto miviene da teo fanciullo. Checché tu possa direnessuno.Quale invero sarebbe? Parla!



VII.

ILFANCIULLO



Ate né le gemme né gli ori

forniscoo dolce ospite: è vero;

mafo che ti bastino i fiori

checogli nel verde sentiero

nelmurosu le umide crepe

sul'ispida siepe.

Nonreco al tuo desco lo spicchio

fumantedi pingue vitella;

mafo che ti piaccia il radicchio

nonsenza la tua selvastrella

conl'ovo che a te mattutina

cantòla gallina.

Perme tu non ario poeta

névigne sassosené grasse

maggesi;ma dimmi se più

divigne e maggesi s'allieta

quelcupo signoreod il passero

garruloe tu!

Nonfragili coppe di Cina

lalampada d'oro t'irradia;

matu la tua scabra cucina

tuami e la provvida madia;

lafiamma che lustratu ami

suinitidi rami.

Nonhai che dal ciglio ti penda

népaggio né florida ancella;

malietama grata sfaccenda

perte la tua dolce sorella;

checinge il grembiulee sorride;

loscinge e s'asside

conte...E per letto di morte

chea tutti è sì duro e sì grave

checosa ti serbosai tu?

Oh!Rose per letto di morte

cadutedal pruno: il soave

doloreche fu!



VIII.

Bene!Tu hai cantato e detto: hai cantato strofe e detto verità. Emi viene in mente che oltre codeste veritàdiremo cosìusualidi cui io ti sono testimoneci sia sotto il tuo dire unaverità più riposta e meno comunea cui però lacoscienza di tutti risponda con subito assenso.Quale? Questa: che lapoesiain quanto è poesiala poesia senza aggettivoha unasuprema utilità morale e sociale. E tu non hai mica ragionatoper rivelare a me il tuo fine. Tu hai detto quel che vedi e senti. Edicendo questohai forse espresso quale è il fine propriodella poesia. Ora tocca a me ragionarci sopraChi ben considericomprende che è il sentimento poetico il quale fa pago ilpastore della sua capannail borghesuccio del suo appartamentinoammobigliato sia pur senza buon gusto ma con molta pazienza ediligenza; e vai dicendo.

Oè il contrario? E il pastore cheparando le pecoresogna unabottega da avviare nel borgo vicinoe il borghesuccio che fantasticad'un palazzo in città grande e rumoreggiantesonoessi sìpoeti fantasiosi e sognatorie gli altri no? Giàper mealtro è sentimento poeticoaltro è fantasia; la qualepuò essere bensì mossa e animata da quel sentimentomapuò anche non essere. Poesia è trovare nelle cosecomeho da dire? Il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa dadue occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tral'oscuro tumulto della nostra anima.

Avoltenon ravvisando essi nulla di luminoso e di bello nelle coseche li circondanosi chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma purnelle cose vicine era quello che cercavanoe non avervelo trovatofu difettonon di poesia nelle cosema di vista negli occhi. Diretevoi (non parlo a teorao fanciulloma a cotali fanciulloni)direte voi che il sentimento poetico abbondi più in chitorcendo o alzando gli occhi dalla realtà presentetrovi solobelli e degni del suo canto i fiori delle agavi americaneo in chiammiri e faccia ammirare anche le minime nappinecolor gridellinodella pimpinellasul greppo in cui siede? E non voglio dire che nonabbondi nel primoquel sentimentoe non si trovi anzi unito adaltre virtù di scienza e di fantasia che lo faccianogiustamente ammirabile; sebbenecome più agevolmente muovecosì più presto annoia il suo lettoreea ogni modopoiché le cose assentio non viste maisono sempre a tuttimeraviglioseegli fa come l'uomo che pretende d'aver rallegrato consue novellette l'uditore chepure ascoltandoabbia bevutolargamente del vino letificante. Egli è statoforsearguto efestevole; ma chi rallegra con la parola sua schiettasenza bisognodi caliciha maggior merito.

Ordunque intenso il sentimento poetico è di chi trova la poesiain ciò che lo circondae in ciò che altri sogliaspregiarenon di chi non la trova lì e deve fare sforzi percercarla altrove. E sommamente benefico è tale sentimentochepone un soave e leggiero freno all'instancabile desiderioil qualeci fa perpetuamente correre con infelice ansia per la via dellafelicità. Oh! chi sapesse rafforzarlo in quelli che l'hannofermarlo in quelli che sono per perderloinsinuarlo in quelli che nemancanonon farebbe per la vita umana opera più utile diqualunque più ingegnoso trovatore di comodità emedicine? E non so dire quanto la comunione degli uomini ne sarebbeavvantaggiata; specialmente in questi tempi in cui la corsa versol'impossibile felicità è con tanto fulmineo disprezzoin chi va avanticon tanta disperata invidia in chi resta addietro.Già in altri tempi vide un Poeta (io non sono degno nemmeno dipronunziare il tuo santo nomeo Parthenias!)vide rotolare per ilvano circolo della passione le quadriglie vertiginose; e quei tempierano simili a questie balenava all'orizzonte la conflagrazione delmondo in una guerra di tutti contro tutti e d'ognuno contro ognuno; equel Poeta sentì che sopra le fiere e i mostri aveva ancor piùpotere la cetra di Orfeo che la clava d'Ercole. E fece poesiasenzapensare ad altrosenza darsi arie di consigliatoredi ammonitoredi profeta del buono e del mal augurio: cantòper cantare. Eio non so misurare qual fosse l'effetto del suo canto; ma grande fucertose dura sino ad oggidìvibrando con dolcezza nellenostre anime irrequiete.

Orimatori di frasi tribunizieo verseggiatori di teoriche socialiche escludete dall'ora presente ogni poesia che non sia la vostravale a direescludete la POESIAditemi: Era o non era al suo postonel secolo d'Augustoil cantore delle Georgiche? Sìnon èvero? Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacoloné doloroso della miseria né invidioso della ricchezza:egli voleva abolire la lotta tra le classi e la guerra tra i popoli.Che volete voio poeti socialistiche dite cose tanto diverse e ledite tanto diversamente da lui?



IX.

Deidue fraterni poeti Augustei (ché non si può parlare diVirgilio senza soggiungere Orazio) voi direte che fu la filosofia cheli addusse a quella ragione sana e pia di considerare la societàe la vita. E no: fu il fanciullino che li portò per manodicendo: Vi dirò io dove è nel tempo stesso la poesia ela virtù. Fu il fanciullino chese maifece chetrascegliessero tra le opinioni dei filosofi quelle che confermavanoil loro sentimento.

Considerate.Catonee Varrone scrissero di agricoltura prima di Virgilio. Erano uomini dimolto giudizio e sapereessi. Per esempioCatonesuggerendo alpater familias che cosa deve dire e farequando si reca alla villaconclude: "Venda l'oliose si vende bene; il vinoil frumentoche avanzilo venda. I buoi incaschitile fattrici non piùbuonecosì le pecorela lanale pelliun barrocciovecchioferramenti vecchiuno schiavo attempatouno schiavoammalazzitoe altra roba che ci sia di troppola venda. Un padre difamiglia deve tirare a venderenon a comprare" (10) . Queglischiavitra la ferraglia vecchia e l'altra roba d'avanzoa noifanno un certo senso; eppure era naturale che si nominassero a quelpunto. Varrone in fatti riferisce questa elegante distinzione dellecose con le quali si coltivano i campi: "Altri le dividono intre generi: strumento vocalesemivocale e muto; vocale in cui sonogli schiavisemivocale in cui sono i bovimuto in cui sono i carri"(11) . È naturales'intendeche Virgilio scrivendo diproposito sull'agricolturain versi bensì ma non a fantasiain versi ma dopo aver studiato l'argomento anche sui libri deglialtriparlasse a ogni momentooltre che dei plaustri e dei bovidiquello strumento precipuo della coltivazione che erano gli schiavi.Noiper esempiodobbiamo aspettarci che come insegna quale profendadareerbe in fiore e biadaal polledro da razza (12)e ai manziin tanto che si domanonon sola erba a frasche di salcio e paleo dipaludema anche piantine di grano appena nato (13); cosìammaestri il buon massaio sul pane e companaticovino e vestimentada fornirsi alla familia.

Parlandodi oliveè certo che egli penserà al pulmentariumfamiliae. Catonegran maestrodice pure (14): "Indolcisciquanto più puoidi olive caschereccie. Quindi le olive anchebuoneda cui non possa uscire che poco olioindolciscile: e fannegrande risparmioperché durino il più possibile.Quando le olive saranno mangiatedà allec e aceto" .Tornava benemi parediscorrere di codeste olive da riporre per glischiavie così anche dei vestimenti; ché poteva caderein taglioa proposito della lanafare per esempio un'osservazionedi tal genere: "quando a uno schiavo dài una tunica o unpastrano nuovoprima ritira il vecchioper farne casacche a toppe(centones)" . Insomma queste e simili provvidenze erano buone amettersi in bei versi con quel tanto garbo del poeta che sa parlarecon solennità e gravità di umili cose.

Oh!Sì! Non ci sono schiavi per Virgilio. Nei suoi poemi non c'èmai nemmeno la parola servus; c'è serva due voltee aproposito di altri tempi e di altri costumi (15) : tempi e costumi incui il poeta vede bensì i re serviti da molti schiavi; eppurchiama questi famuli e ministri non servi (16) . Ma i suoi campiquelli che esso insegnava a coltivarequelli che arava e seminavacon i suoi dolci versiquelli non hanno gente incatenata ecompedita. Il poeta che nella prima delle ecloghe pastorali mette séin persona d'uno schiavo liberatoha proclamato nelle compagneitaliche quella parola che con tanta enfasi suona dalla sua bocca diTitiro: LIBERTAS (17) . Gli agricoli di Virgilio né sonoschiavi né mercenari. Essi sono di quelli di cui parla Varrone(18)che coltivano la terra da sécome tanti possidentuccicon la loro figliolanza. Questi ha in mente Virgilioquando esclamache sarebbero tanto felicise conoscessero la loro felicitàcon tanta pacecon tanto fruttatotra tanto bellosenza il rodio odella miseria o della soverchianza altruilavorando alla suastagionegodendosi la famiglia in casa e le care feste fuori (19) .Di gente che lavori per altrinemmeno una traccia.

L'idealedel poeta è quel vecchiettino Cilicetrapiantato dalla suapatria nei dintorni di Taranto. Aveva avuto pochi iugeri di terra nonbuona né a grano né a prato né a vigna: unagrillaiauno scopiccio. Ebbene il bravo vecchiettino ne aveva fattoun ortocon non solo i suoi cavolima anche gigli e rosee alberida fruttae bugni d'apie vivai di piante (20) . Sì: il pocoe il piccolo era il sogno dei due grandi fraterni poeti. Virgiliodiceva: Loda la campagna grandee tienti alla piccina (21).

EOrazio: Questo era il mio voto: un campicello non tanto grandeconl'ortocon una fontee per giunta un po' di selvetta (22). Chi nondovrebbe preferire la campagna grande alla piccolaquando nontoccasse di coltivarla a lui? Ma ai due poetiquando erano poetinon si presentava al pensiero questa considerazione cosìsemplice. A dir meglioil fanciullo che era in loropreferivacometutti i fanciulliciò che è piccolo: il cavallinolacarrozzinal'aiolina. Oh! c'è chi ha rimproverato a Orazioquest'amor della mediocrità! Ma esser poeta della mediocritànon vuol dire davvero essere poeta mediocre. Il contrarioanzièvero. Non amachi dice di amare un serraglio di donne. Non èpoetachi non si fissa in una visione che i suoi occhi possanomisurare.

Ele cose grandile cose ricchele cose sublimi non riesconopoetichese non sono sentite e dette in persona di chi stupisceavanti loroperché appunto esso è piccoloèpoveroè umile. Il poeta è il poverello dell'umanitàspesso anche cieco e vecchio. E se tale non sembrase anzi ègran signore e giovane e feliceebbene vuol dire che se èricco luiè pauperculus però il fanciullino che èin lui; cioè si è conservato poverocome a direfanciullo. Perché poverino è sempre il bimbosia purnato in una culla d'oroe tende sempre la mano a tutto e a tutticome non avesse niente e desidera il boccon di pan duro del suocompagno tritoe vorresse fare il duro lavoro del suo compagnotribolato. Per questo non Virgilio proprioma il fanciullo che egliaveva in cuorenon voleva gli schiavi nei campi. Diremo noi cheVirgilio attingesse dai libri di qualche filosofo o di qualcheprofeta questa legge di libertà? No: egli stesso ne era forseinconsapevoledi questa libertà che proclamava. Era la suapoesia che aboliva la servitùperché la servitùnon era poetica.

Nonera poeticae il divino fanciullo che non vede se non ciò cheè poeticonon la vedeva. Tanto che noise non avessimo deitempi di Virgilio altro testimone che Virgiliodovremmo credere chenon esistesse allora più questa miseria e vergogna che non ècessata nemmeno ai nostridi tempi.

Oh!Dovremmo credere che il Cristo non anco nato ispirasse al poetacontadino dell'Esperiacome il vaticinio del suo avventocosìil presentimento della grande fratellanza umana! Non c'è laschiavitù nell'Italia Virgiliana: nemmeno c'è ilsalariatonemmeno il mezzadro!



X.

Cosìil poeta verosenza farlo apposta e senza andarseneportandoperdirla con Danteil lume dietroanzi nodentrodentro la caraanima portando lo splendore e ardore della lampada che è lapoesia; ècome si dice oggisocialistao come si avrebbe adireumano. Così la poesianon ad altro intonata che apoesiaè quella che migliora e rigenera l'umanitàescludendonenon di proposito il malema naturalmente l'impoetico.Ora si trova a mano a mano che impoetico è ciò che lamorale riconosce cattivo e ciò che l'estetica proclama brutto.Ma di ciò che è cattivo e brutto non giudicanelnostro casoil barbato filosofo. È il fanciullo interiore chene ha schifo. Il quale come narrando le imprese dei suoi eroiedicendo tutto di loroeoltre le battaglie e i discorsianche ipasti e i sonnie figurando a noiper esempioi loro cavallieridicendo che brucavano e sudavano e spumavanopur non dice mai (tuvedi che procuro quanto possoche tu non torca il niffolo) non dicemai che stallavano; così della nostra anima non racconta cheil buono e della nostra visione non ricorda che il bello. Chéper cantare il male bisogna fare uno sforzo continuo su se stessoameno che non si tratti di pazzia. E in questo casola pazzia staappunto in questodi pensar da buoni e cantar da cattivi.

Cosìcaro fanciullohanno gran torto coloro che attribuisconoper ciòche tu non vedi se non il buonoqualche merito di bontà acolui che ti ospita. Il quale può essere anche un masnadieroe aver dentro sé un fanciullo che gli canti le delizie dellapace e dell'innocenzae la casa dove non deve più riposareela chiesa dove non sa più pregare.



XI.

Ilpoetase è e quando è veramente poetacioè taleche significhi solo ciò che il fanciullo detta dentroriesceperciò ispiratore di buoni e civili costumid'amor patrio efamiliare e umano. Quindi la credenza e il fattoche il suon dellacetra adunasse le pietre a far le mura della cittàe animassele piante e ammansasse le fiere della selva primordiale; e che icantori guidassero e educassero i popoli. Le pietrele piantelefierei popoli primiseguivano la voce dell'eterno fanciullod'undio giovinettodel più piccolo e tenero che fosse nella tribùd'uomini salvatici. I qualiin veritàs'ingentilivanocontemplando e ascoltando la loro infanzia.

CosìOmeroin tempi ferocia noi presenta nel più feroce deglieroicioè nel più vero e poeticoin Achilleun tipodi tal perfezione moraleche poté servire di modello aSocratequando preferiva al male la morte. Così Virgiliointempi più gentiliavendo la mira soltanto al poeticocimostra lo spettacolo tanto anticipatoahimè!d'un'umanitàbuonafelicetutta al lavoro e alle pure gioie dei figlisenzaguerre e senza schiavi. Gli uominial suo tempoparrebbe cheavessero impetratociò che è ancora il desiderioinadempiuto de' nostri operaile otto ore di lavoro per ogni otto disonno e altre otto di svago. - Oh! qualche volta presso lui ilcontadino aggiunge la notte al giorno! - Sì : ma che dolcezzadi lavoroquellatra l'uomo che col pennato fa il capo a spiga asuoi rami di pinoche hanno a essere fiaccolee la donna che otesse la tela o schiuma il paiolo cantando (23) . E nell'EneideVirgilio canta guerre e battaglie; eppure tutto il senso dellamirabile epopea è in quel cinguettio mattutino di rondini opasseriche sveglia Evandro nella sua capannalà doveavevano da sorgere i palazzi imperiali di Roma! (24)

MaOmeroma Virgilionon lo facevano apposta.

Mail poeta non deve farlo apposta.

Ilpoeta è poetanon oratore o predicatorenon filosofononistoriconon maestronon tribuno o demagogonon uomo di stato o dicorte. E nemmeno èsia con pace del maestroun artiere chefoggi spada e scudi e vomeri; e nemmenocon pace di tanti altriunartista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituireil poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la suavisioneche il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra.Eglianziquando li trasmettepur essendo in cospetto d'unpubblicoparla piuttosto tra séche a quello. Del pubbliconon pare che si accorga. Parla forte (ma non tanto!) più perudir meglio essoche per farsi intendere da altrui. Èperusare imagini che sono presenti ora al mio spiritoèsìper quanto possa spiacere il dirloun ortolano; un ortolanosìo un giardiniereche fa nascere e crescere fiori o cavolfiori.Sapete che cosa non è? Non è cuoco e non èfioristache i cavolfiori serva in bei piatticon buoni intingoliche i fiori intrecci in mazzetti o in ghirlandette. Egli non sa senon levare al cavolo qualche foglia marcia o bacatae legare i fiorialla megliocon un torchietto che strappa lì per lì aun salcio: come a direunisce i suoi pensieri con quel ritmo nativoche è nell'anima del bimbo che poppa e del monello che ruzza.

Orail poeta sarà invece un autore di provvidenze civili esociali?

Senzaaccorgersenese mai.

Sitrova esso tra la folla; e vede passar le bandiere e sonar le trombe.Getta la sua parolala quale tutti gli altriappena esso l'hapronunziatasentono che è quella che avrebbero pronunziataloro.

Sitrova ancora tra la folla: vede buttare in istrada le masserizie diuna famiglia povera. Ed esso dice la parolache si trova subitopiena delle lagrime di tutti.

Ilpoeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sullelabbra e che nessuno avrebbe detta. Ma non è lui che sale suuna sedia o su un tavoload arringare. Egli non trascinama ètrascinato; non persuadema è persuaso.

Perchépensi alla patria e alla societàbisogna proprio che sia unmomento che tutti intorno a lui ci pensino. Se noè un guaioserio. Quello per la mammaè il più soave degliaffetti. Ma che direste voi d'uno che facesse la cronacagiorno pergiornodi sua mamma? Stamane s'è levatacara mamma! Io l'hoguardatapovera mamma! M'ha dato il caffè e lattepoveracara mamma! Costui è un imbecillequando non è uno chefinga e abbia bisogno di darsi l'aria di amare quella che ècosì facile amare! Oh! la madre è malatala madre èlontanala madre è morta! Ecco che allora ci si pensaallamammae ci si strugge. Oppure la mamma ha una gran consolazione; enoi siamo più che consolatie ci sentiamo invasi da un impetodi canto.

Cosìper la patria. Non ci accorgiamo di leise non nelle sue feste enelle sue - nostre! - disgrazie. E allora prorompe anche dal cuoredel fanciullo il grido di gioia e il grido di dolore; ed ègrido che ha subito mille echi. Ma il bambino non è un bambinoche s'impanchi a far lezione quotidiana d'amor patrio o d'amorpaterno e materno ai suoi fratellinie anzi ai suoi zii e nonni. Chipretende che faccia questovuole che il vispo fanciullo sia unvecchio noioso; vuoleinsommache non esista la poesia. Perchéla poesiacostretta a essere poesia socialepoesia civilepoesiapatriotticaintristisce sui libriavvizzisce nell'aria chiusa dellascuolae finalmente ammala di retoricae muore. E noi di questapseudopoesia ne abbiamo tantasin da quandomorto Virgilioinvecchiando Oraziochiusa la grande rivoluzione che cominciòsi può diree finì con la morte di due donnediGiulia e di Cleopatrala figlia e l'amante di Cesare; ebbene icorviquali Pindaro li avrebbe chiamatisi gettarono gracchiandosull'immenso campo di battagliaper beccare non occhi di uccisimasemi di poesia. E che facevano essi? Raccontavano un fatto storicodi quelli ultimi: lo condivano con declamazioniesclamazionimaledizioni; e lo mettevano in esametri. Ma anch'essi capivano chenon bastano i versi a far poesia: e perciò incorniciavano laloro storia verseggiata e declamata con una descrizione di alba eun'altra di tramonto; e il poema era fatto (25).

EccoGiulio Montano. Questi era un poeta come tant'altri. A ogni trattoinseriva albe e tramonti. Pertantopoiché un tale s'eraseccato ch'egli avesse recitato per tutto un giornoe diceva che nonsi doveva andare alle sue recite; Natta Pinario esclamò: "Oche io posso essere più condiscendente con lui? Io sono prontoa starlo a sentire da un'alba a un tramonto!" Voleva direilbuon Nattache la seccaggine sarebbe durata pocoe che dopo due otre versi esso poteva andare pei fatti suoi (26).È inutile.Già Orazio ammoniva che non bastavano le descrizioncelleledigressioncellele belle toppe rosse e gialleper far di prosapoesia (27). Bisogna che il fatto storicose vuol divenir poeticofiltri attraverso la maraviglia e l'ingenuità della nostraanima fanciullase la conserviamo ancora. Bisogna allontanare ilfatto vicino allontanandocene noi (28). Volete una prova a cuidistinguere la poesia dalla pseudopoesiain siffatto genere storico?

Sela narrazioneche il verseggiatore vi favi commuove meno che lastessafatta in prosadallo storico e dal cronistadite pure cheil verseggiatore ha tradottoe male; non ha poetato. E ha perduto ilsuo tempo e ha fatto perdere a noi il nostro.



XII.

Main Italia la pseudopoesia si desiderasi domandas'ingiunge. InItalia noi siamo vittime della storia letteraria! Per veronéin Italia soltantomi pare che delle lettere si sia ingenerato unconcetto falso. Le lettere sono gli strumenti delle ideee le ideefanno di sé tanti gruppi che si chiamano scienze. Ma noifissati sugli strumentiabbiamo finalmente dimenticato i fini. Siamoagricoltori che non pensano se non alle vanghe e non parlano se nondi aratrie più delle loro bellurie che delle loro utilità.Delle sementedella terradei conciminon ci curiamo più.Quindi avviene che abbiamocome fisicifilosofistoricimatematicicosì letterati; modo di direcome coltivatori dicanapadi vitidi grano e d'ulivicosì periti di vanghe ed'aratrii quali non s'occupano di altroe credono che non ci sidebba occupar d'altroe stimanoio vedoche la loro sia la piùnobile delle occupazioni. E almeno li facessero essicodestistrumenti: noli "giudicano" e li "collezionano".

Codest'ozionoi chiamiamo ora critica e storia letteraria. E ognuno puòvedere che ci sono cose molto più utili e belle da fare: cioècoltivare e seminare. Ma c'è puretra le tante branche dellaletteraturala poesia che sta a séla poesia che comprendein sé tutto ciò che si dice e scrive per dilettoamaroo dolcesuo o altrui. Questa non è rispetto alle scienzequello che lo strumento rispetto al fine. È una coltivazioneponiamoanch'essama d'altro ordine e specie. Èponiamolacoltivazioneaffatto nativadella psiche primordiale e perenne. Manoi la mettiamo insieme con l'altra letteratura "strumentale"e ne ragioniamo allo stesso modo. La dividiamo per secoli e scuolela chiamiamo arcadicaromanticaclassicaveristicanaturalisticaidealisticae via dicendo. Affermiamo che progredisceche decadeche nasceche muoreche risorgeche rimuore. In verità lapoesia è tal maraviglia che se voi fate ora una vera poesiaella sarà della stessa qualità che una vera poesia diquattromila anni sono.

Comemai? Così: l'uomo impara a parlare tanto diverso o tantomegliodi anno in annodi secolo in secolodi millennio inmillennio; ma comincia con far gli stessi vagiti e guaiti in tutti itempi e luoghi. La sostanza psichica è uguale nei fanciulli ditutti i popoli. Un fanciullo è fanciullo allo stesso modo daper tutto. E quindiné c'è poesia arcadicaromanticaclassicané poesia italianagrecasanscrita; ma poesiasoltantosoltanto poesiae...non poesia.

Sì:c'è la contraffazionela sofisticazionel'imitazione dellapoesiae codesta ha tanti nomi. Ci sono persone che fanno il versoagli uccellie al fischio sembrano uccelli; e non sono uccellisìuccellatori. Ora io non so dire quanta vanità sia la storia dicodesti ozi. Eccola in due parole. Un poeta emette un dolce canto.Per un secoloo giù di lìmille altri lo ripetonofiorettandolo e guastandolo; finché viene a noia. E allora unaltro poeta fa risonare un altro bel canto. E per un secoloo piùo menomille altri ci fanno su le loro variazioni. Qualche volta ilcanto iniziale non è né bello né dolce; e allorapeggio che mai! Ma in Italiae altrovenon stiamo paghi a questocompendio. Ragioniamo e distinguiamo troppo. Quella scuola eramigliorequesta peggiore. A quella bisogna tornarea questarinunziare.

No:le scuole di poesia sono tutte peggioe a nessuna bisogna addirsi.Non c'è poesia che la poesia. Quando poi gli intendentiperché uno faad esempiouna vera poesia su un gregge dipecorepronunziano che quel vero poeta è un arcade; e perchéun altroin una vera poesiaingrandisce straordinariamente unaparvenzaproclamano che quell'altro vero poeta pecca di secentismo;ecco gl'intendenti scioccheggiano e pedanteggiano nello stesso tempo.Qualunque soggetto può essere contemplatodagli occhiprofondi del fanciullo interiore: qualunque tenue cosa può aquelli occhi parere grandissima.

Voidovete soltanto giudicare (se avete questa mania di giudicare) sefurono quelli occhi che videro; e lasciar da parte secento e Arcadia.La poesia non si evolve e involvenon cresce o diminuisce; èuna luce o un fuoco che è sempre quella luce e quel fuoco: iqualiquando apparisconoilluminano e scaldano ora come una voltae in quel modo stesso.

Solamentes'ha a dire che raramente appariscono. Sì: la poesiadetta escrittaè rara. Proprio rara la poesia pura. Ma c'è lapoesia "applicata". La poesia "applicata" èdei grandi poemidei grandi drammidei grandi romanzi. Ora molto cicorre che questi siano tutta poesia. Immaginate che siano un granmareognuno. Nel mare sono le perle; ma quante? Ben poche; peròin quale piùin quale meno. Occorre anche dire che in essipoemidrammiromanzila poesia pura di rado si trova pura. Faccioun esempio. Una di queste perlenel grande oceano perlifero che èla divina Comediadiremo la campana della sera:

Eragià l'ora che volge il disio

ainavigantie intenerisce il core

lodì ch'han detto ai dolci amici addio;

eche lo nuovo peregrin d'amore

pungese ode squilla di lontano

chepaia il giorno pianger che si muore.

Inquesta rappresentazioneche di più poetiche non se ne puòtrovare (Dante ci rappresenta l'ora in cui ridiveniamo per un momentofanciulli!)il tocco più poetico è l'ultimo. Èl'ultimo; sebbene la squilla lontana che piange il giorno che muoresia di quei tocchi che noi verseggiatori abbiamo fatti tornare anoiaa forza di ripeterli. E così quel suono di squilla puòessere stinto e fioco per alcunoassordato da tanti doppi. Matant'è. Orbene: il poeta ha dovuto mettereper la necessitàdell'arteun pochino di lega nel suo oro puro. Quale? Quel "paia".L'ha dovuto mettereperché egli racconta un sentimentopoetico altruisebbene anche di sé. E allora ha detto che lasquilla pare piangerenon piange veramente. A un tratto il fanciullo(qui un pocoe molto altrovemolto presso altri)il fanciullo amezza via si riscuotee par che si vergogni d'essere fanciullo e diparlar fanciullescoe si corregge. "Parenon èintendiamoci". Ma caro bimbolo sapevamo da noiche la campananon piangema par che pianga: anche però il giorno par chemuoiae non muore (29).



XIII.

Lapoesia benefica di per séla poesia che di per sé cifa meglio amare la patriala famiglial'umanitàèdunquela poesia purala quale di rado si trova. In Italia poicheè la mia patria (non la tuao fanciullo: tu sei del mondonon sei d'ora ma di sempre)in Italia è più rara chealtrove. Invero non mai da noi fu amata la poesia elementare espontanea. Come in genere la nostra letteraturacosì inispecie la nostra poesia ha avuto innanzi sé dei modelli. Noiabbiamo specchiato il nostro stile nell'arte latinacome i latiniavevano fatto coi greci. Ciò può aver giovato a dareconcretezza e maestà alle nostre scritture; ma quanto apoesiaciò l'ha soffocata; la poesia non si fa sui libri. Poiamiamo troppo l'ornamentazione; e questo gusto lo dimostriamospecialmente in ciò che meno lo comporta: nella poesia.

Ilfanciullino italico non ruzza che ben vestito e ben pettinato: lenoci con le quali fa a filettodevono essere coperte di carta d'oroe d'argento. Noi vogliamo farci sempre onore: invece di badare algiuocobadiamo a noi: ci stiamo a sentire e ammicchiamo alla nostraombra. E anche più che a noibadiamo al pubblico: guardiamocon la coda dell'occhio i grandi che stanno a vederci; e cosìfacciamo tutto senza garbo e senza scioltezza. E siccomeparticolarmente ai nostri giornitutto da noi si fa a concorso etutto si dà all'asta e tutto si conclude con la aggiudicazionee la premiazionecosì ci proponiamopiù che altrodisopraffare l'un l'altro e di conquistarci con qualche grazietta ilfavore dei giudici. Nei giochi dei nostri fanciullic'entra permolta parte la gherminella che è cosa da attempati. Sonotroppo scaltritii nostri fanciullie cercano meglio di essereprimiche di esser loro. Perciò la nostra poesia (perchiamarla così) è per lo più d'imitazioneanzidi collezionee sa di lucernanon di guazza e d'erba fresca. Noistudiamo troppoper poetare; ed è superfluo aggiungere cheper saperestudiamo troppo poco. Mettiamo lo studio ove non c'entra.

Ocome? Non c'entra nel poetare lo studio? Sìma diretto alfineche Dante mostrò. Virgilioche è lo studioconduce Dante a Matelda che è l'arte; l'arte in genere e inispecie. L'arte di Dante è appunto la poesia. Dunque lo studiocondusse Dante alla poesia. EbbeneMateldao la poesiaènel giardino dell'innocenzasceglie cantando fior da fioreha gliocchi luminosipurifica nei fiumi dell'oblio e della buona volontà.Ossiail poetamercé lo studioè riuscito aritrovare la sua fanciullezzae puro come èvede bene esceglie senza alcuna faticasceglie cantandoi fiori che parespuntino avanti i suoi piedi.

Iosenza insistere sul valore morale del mito tanto esatto e bellodicointerpretando il poeta per il rispetto artisticoche lo studiodeve essere diretto a togliere più che ad aggiungere: atogliere la tanta ruggine che il tempo ha depositata sulla nostraanimain modo che torniamo a specchiarci nella limpidezza di prima;ed essere soli tra noi e noi. Lo studio deve togliere le scorie alpuro cristallo che noi troviamo quasi casualmente; e quel cristallopur con le scorie val più d'un vetro che noi dilatiamo eformiamo soffiando.

Lostudio deve rifarci ingenuiinsommatal quale Dante figura sécome avanti Beatrice così rispetto a Matelda; che se dall'unaè sgridato e fatto piangere e vergognare come fanciullobattutodall'altra ècome bambino che non vuole o non puòfare da sépreso e tuffato nell'acqua e menato a bere allafonte. Lo studio deve togliere gli artifizie renderci la natura.Così dice Dante. La sua arte è impersonata in Mateldache è la natura umana primordialmente liberafeliceinnocente.



XIV.

Manoi italiani siamoin fondotroppo seri e furbiper essere poeti.Noi imitiamo troppo. E sìche studiando si deve imparare afar diversonon lo stesso. Ma noi vogliamo far lo stesso e dare acredere o darci a credere di fare meglio. Perciò sovente cipare cheincastonando la gemma altrui in un anello nostronoiabbiamo trovata e magari fatta la gemma; e più sovente ciimaginiamo chedorando la statua di bronzoquella statua non solosia più bellama diventi opera nostra.

Noinon gettiamo più il martello contro i blocchi di marmo: ciaccontentiamo di pulire e lustrare le statue belle e fatte. Al piùal piùnoi facciamo l'arte di Giovanni da Udine: elegantistucchi: ma non ricordiamo quel che Giovanni dissemi parea PietroAretino che ne lo ammirava: Bambocci vogliono essere!

Ele scuole ci legano. Le scuole sono fili sottili di ferrotesi tra iverdi mai della foresta di Matelda: noifacendo i fioritemiamo aogni tratto d'inciampare e cadere. L'ho già detto: se uno siabbandona alle delizie della campagnateme che lo chiamino arcade;se un altro si vede avanti un'antitesista un pezzo tra il sìe il notemendo d'essere chiamato secentista. Mentre la mandra degliimitatori si butta alla rinfusa dietro qualche ariete maggioreetutti si mettono a belare o mugliare a un modo; sì che incerti tempi pare che gl'italiani (giudicandoli da quelli che scrivonoin versi) non abbiano che l'amicain certi altri non abbiano che lamamma; i poeti veri sono pieni del contrario affetto: vogliono cioènon essere imbrancati né nel verismo né nell'idealismoné nel simbolismo. Queste preoccupazioni li rendono troppocircospettitroppo irresolutitroppo sforzati. E Matelda siallontana da lorofacendo echeggiare sempre più lungi il suodolce salmo che finisce per confondersi con lo stormir delle foglie ecol gorgoglio del ruscelloe morire.

Mapoi per la poesia vera e propriaa noi mancao sembra mancarelalingua.

Lapoesia consiste nella visione d'un particolare inavvertitofuori edentro di noi.

Guardatei ragazzi quando si trastullano seri seri. Voi vedete che hannosempre alle mani cose trovate per terranella loro viacheinteressano soltanto loro e che perciò sol essi sembranovedere: chiocciolineossicciolisassetti. Il poeta fa il medesimo.Ma come chiamare questi lapilli idealiquesti cervi volanti dellasua anima? Il nome loro non è fattoo non è divulgatoo non è comune a tutta la nazione o a tutte le classi delpopolo. Pensate ai fiori e agli uccelliche sono de' fanciulli lagioia più grande e consueta: che nome hanno? S'ha sempre adire uccellisì di quelli che fanno tottavì e sìdi quelli che fanno crocro? Basta dir fiori o fiorettie aggiungeremagarivermigli e giallie non far distinzione tra un greppocoperto di margherite e un prato gremito di crochi?

Orase vi provate a dire il nome proprio loroecco che il nome di Linneonon vaper cento ragionie il nome popolare variaquando c'èda regione a regioneanzi da contado a contado. Se il popoloitaliano badasse a queste tali cosefioripianteuccelliinsettirettiliche formano per gran parte la poesia della campagnail nomeche esse hanno in una terraavrebbe finito per prevalere su quellodominante in altre. Ma gl'italiani abbarbagliati per lo piùdallo sfolgorio dell'elmo di Scipionon sogliono seguire i tremoliicangianti delle libellule. E così il poetase vuol poetarebisogna che si lasci ogni tanto dire: "E questo che è?Che vuol dire? O poeta saccente e seccante!" E tuttavia cosìil poeta deve faree lasciar dire cosìsperandose nonaltroche se ne avvantaggino i poeti futurii quali troverannodivulgati tanti nomi prima ignoti e perciò chiamati oscuri. Inverità non è egli l'Adamo che per primo mette i nomi?Così deve operarefacendo a ogni momento qualche rinunziad'amor proprio. Perché l'arte del poeta è sempre unarinunzia.

Hodetto che deve toglierenon aggiungere: e ciò èrinunzia. Deve fare a meno di tanti ghirigoricosì facili afarsidi tante belluriecosì piacevoli alla vistadi tantedoratureche danno tanta idea della propria ricchezza: e questa èrinunzia. Deve lasciar molto greggio e molto imperfetto. Oh! Come ènecessaria l'imperfezione per essere perfetti! Lo sapeva ancheMarziale che derideva quel Matone che voleva dir tutto belle. Di'egli esclamaqualche volta soltanto beneanche né ben némalemagari male! La continua eleganza è sommamentestucchevole. È come quel pranzo descritto dal De Amicis nelMaroccoche tutto vi sapeva di pomata. Questa bellezza in tutto eper tutto è totalmente antipoetica; ché la poesia èingenuità; e quel fanciulloche ogni cosa che fa e dicelafa con una moina e con una smorfiettae la dice con paroluccesmaccate e dolciate; che scapaccioni chiama quel fanciulloconsapevole della sua fanciulleria!



XV.

Contutto questoche speri tu? Che fine hai? Ritornocome vedialprimo detto. Essere utile a me? Nos'è detto. Recar utileagli altri? S'è detto chese mainon lo fai apposta: dunquenon è il fine tuocodesto. Dilettar te stesso? Ecco: sequesto fosse il tuo finetu chiuderesti dentro te la tua visioneete la godresti tra te e mesenza quei tanti struggimenti che ci sonoper comunicare la visione agli altri. O dunque?

Lagloriola...

Opovero fanciullo!

Pensao fanciulloquante altre cose potrei fare con maggiore rispondenza acodesto fine. Da condurre un esercito a volare sulla biciclettatuttoo quasi tuttomeglio porta alla meta della vittoria e dellagloria. Ma poniamo che ci si arrivi anche "sulle ali del canto".Qual disgrazia sarebbe mettersi in questa viae per te e per me!Prima di tuttone andrebbe molto tempo. La gloriola vuole mutuiuffici. Io devo conversaree per lettere e a vocesì conquelli che coltivano medesimi campie chieder loro e averne notiziesull'efficacia d'un concime che usiamoe dar loro e riceverne augurie rallegramenti per un buon raccolto che speriamo d'avere o abbiamoavuto; sì con quelli che professano soltanto di fornir lepianticellei semii concimi chimicigli strumenti agricoliamano e a vapore. Quanto studioquanta diligenza e pazienza sirichiede per siffatta coltivazione! Bisogna raccattare tutti i coccicome fanno i contadiniper seminarci e trapiantarci le tantepianticelle; anche i caldani rotti raccattiamo; anche quei vasidovecresceva il garofano di Geva contadinella. E star sempre lì adannaffiarea mondarea potare; e sbirciare i vasi del vicinoestruggerci ch'egli abbia papaveri più grandi e girasoli piùvistosie buttare a lui il malocchioe contro il malocchio di luitener molta rutae guardare che non ci si secchi.

Matu dirai: Anche il tempo si raccatta! Bene: parliamo d'altro. Nonmietechi non s'inchina. Oraper la gloriolaci s'inchina troppotanto umile sovente è la pianticellae ci s'inchina troppospessotante sono. Voglio dire che la nostra anima (l'animaintendi!) si deformasi fa gobbacome è la schiena deipoveri contadini che s'inchinano per il grano. E tu devi esseredrittaserenasempliceo anima mia!

Nonc'è forse sentimento al mondonemmeno l'avidità delguadagnoche sia tanto contrario all'ingenuità del poetaquanto questa gola di gloriolache si risolve in un desiderio disopraffazione! Quanto sei preso da questo morbotu (ma tu nonc'entriallora)ionon cerco il poeticoil buono e il bellomail sonante e l'abbagliante. Oh! non cerco allora i lapillii nicchii fiori per la mia viama veglio inquieto spiando i quaderni altruimagari leggendo di sulle spalle dello scrittore ciò che egliscrive. Allora io smetto il mio versoe mi metto a far quellod'altri: come un merlo noioso che cantain questo mentrenon le suearie mattinali di boscoma la ritirata: perchése non pervoglia di gloriolanel suo padrone e forse in lui? O merlo dal beccogiallotu hai voluto esser troppo furbo! Come puoi credere che iltuo "Io ti vedo!" che risonava tra il cader della guazzasia peggio di codesto insopportabile "Ritirati cappellon!"?

Maè pur vero che "merlo" vuol dire sì furbo esì il contrario! O ancheinsistiamo troppo su un nostro versoo motivo o vezzo o genereche sia una volta piaciuto; e riusciamostucchevoli; non basta; diventiamo falsi. Imitiamo da noi medesimicol vetro d'un bicchiereil diamante puro che una volta trovammo. Esemprepensando o scrivendosiamo distratti dalla preoccupazionedell'effetto: che ne diranno? Vinceròcon questoil tale oil tal altro? E la tua graziache non è grazia se non èspontaneasi perde per sempre. Tu non vedi più giusto elimpido; anzi non guardi più; seppureciò che sarebbepeggionon guardicome ho dettonegli altrie non baratti levesti e magari l'anima con altriche tu veda o creda piùpregiati di te!



XVI.

Nonpensare alla gloriolafanciullo: non è cosa da te. Ella ètroppo difficileo facilea raggiungersi. Difficile: non ho giàdetto quanto è raro che t'intendano? Tu non fai se nonscoprire il nuovo nel vecchio. Gli altriossia i tuoi lettori euditoriche non dovrebbero dire o pensare se non: "Come èvero! E io non ci avevo pensato". Ma questo assentimento non tivien sempre e nemmeno spesso. Gli occhi della gente sono oggi cosìfissi nell'ombelico della propria personache non hanno vistosipuò direaltro. E perché hanno le luci velate dallacatalessi del loro egoismodicono che sei tu oscuro. Puoiquanto tuvogliadescrivere un mattinoper esempioin campagna: chi non l'hamai veduto sorgereil solené in campagna né incittànon capisce e non approva nulla di ciò che dici.Sei inoltre oscurosovente per un'altra ragione: perché seichiaro. Sono tanto avvezzi i lettori oggi alle girandoleagliandirivieniai viluppi dei pensieri e sentimenti; perché gliautoriattingendo questi e quelli di sui libris'ingegnano con glistucchi e gli ori a dar loro un aspetto nuovoo fanno come le leprile qualiper nascondere al cacciatore le loro traccesi mettono agirare e pestare su esse; sono i lettori tanto abituati ai misteri ogherminelle degli autorii qualitroppo comodivoglionoperpetuamente che s'intenda dagli altri meglio che da lor si ragioni;che quando tu dici nel tuo semplice modo le tue semplici coseeccoche non ti capiscono più.

Essicercano in te quello che non c'èe perché non lotrovanoci rimangono male. E se anche ti capisconovale a dire secapiscono che non vuoi dire se non quel che dicie non sottintendinullae non hai la pretesaassurda e comuneche il sensonelletue cosece lo mettano i lettoriallora i più non tiapprezzano. Ai più pare che il bello sia nei fregi e che ilpoetico sia nella foga oratoriaE infinequasi tutticome vuoi cheascoltino lo stormire delle foglie o il gorgoglio del ruscello o ilcanto dell'usignuolo o il suono della tua avenase lì pressola banda del villaggio assorda la campagna coi tromboni e i colpi digran cassa?

Nonofanciullo. La gloria o gloriola si forma con l'assenso di moltie tu non sei uditoascoltatoapprovatoche dai pochi. Èvero che tu ti rivolgi a tuttima ricordati: non agli uominiproprioma ai fanciullicome teche sono negli uomini. Ora codestifanciullidato che in nessuno manchinoin pochi peròprestano ascolto. E sai quali sono questi pochi? Sono generalmentepoeti. Cioè il loro fanciulloo ti sta a sentire solo perchéanch'esso canta e vuol sapere se tu canti meglio o peggio di luiostandoti a sentire finisce con cantare anche lui. E che succede?Succede che un giorno o l'altro comincia a fare il tuo verso. Primafa solo qualche notapoi qualche battutainfine tutta la tuacanzone. E allora? Allora diventa tuo imitatore. Ebbene? Ebbenel'imitatore è un debitore; e il debitorepresto o tardiparlerà male del creditore. E cosìanche di queipochimolti si sottrarranno dal dir le tue lodiper assicurar leloro. E la tua gloriola o non nascerà o intisicheràappena nata.



XVII.

Mapoi ti sentiresti d'accettarla codesta gloriola? Sai com'ella nasce.Nasce in generale dalla affermazione tua stessa. È pensierogiustissimo del nostro Leopardi: "La via forse piùdiretta di acquistar famaè di affermare e con sicurezza epertinaciae in quanti più modi è possibiledi averlaacquistata (30)." E altrove: "Rara è nel nostrosecolo quella persona lodata generalmentele cui lodi non sianocominciate dalla propria bocca...Chi vuole innalzarsiquantunque pervirtù veradia bando alla modestia (31)." E tufanciullovorresti che io da una seggiola o da un palco mi mettessia gridar le tue lodi o affermare la tua fama? "Questo ragazzo èun ragazzo miracoloso...noto in tutto il mondo..." In questomodo la gloriola sarebbe facile. Ma tu nonon vorresti. Eppure gliuomini non crederanno mai che sia grande un merito che non sia tantogrande da vincere persino la modestia di colui che l'ha. Se la tuamodestia è grandecontentati d'una grandezza assai modesta.Sarai considerato un poeta mediocree poiché mediocre nondeve essere il poetasarai proclamato non poeta.

Ovverotunon credendo all'amara considerazione del Leopardiaspetteraiche la tua lode cominci dalle bocche altrui? Perché questalode sia tale da crearti una vera fama occorre ch'ella possapropagarsi per gran numero di persone; le quali ti loderanno poi alor volta senza conoscertisenza averti uditosenza averti letto!Ti loderanno per "suggestione". Oh! il pessimo fatto chesarebbe allora il tuo! Tutto quel che tu facessisarebbe ugualmentelodato: ciò che tu sentissi d'aver fatto di megliosarebbepareggiato a ciò che tu conoscessi d'aver fatto di peggio.Persino cosa che non avessi fatto tuma comparisse col tuo nomesarebbe levata alle stellee così preferita a quelle cheproprio tu avessi fatto e credessi buone e belle! E che ne faresti ditale gloriola?

Tantopiù che bisogna vedere da che ti venne quella lode inizialeche avviò tutte quell'altre lodi. Da che? Da qualche cosa piùatta delle altre ad accecaread inebriarea far delirare la gente.Dalla politicaper esempio: dal partito o dalla setta. Badaciragazzo. È il fatto di qualcuno che vuol procacciarsi lapopolarità mettendo la cannella a una bottee che tuttibevano. La gran botte è la politicail vino che ognuno nebeveè il proprio sentimento che si riscalda alla bottecomune: la sbornia generale è la tua gloria!

Ogloriola indegna del tuo desiderio! E poi è amara. Sai chesiamo al tempo dei concorsi; al tempo delle classificazioni epremiazioni. Il divertimento più grande che si diano gliuominiè quello di giudicare. In Atene fu in altri tempi unaconsimile mania di seder nell'Eliéa e deporre le suepietruzze. Oggi non c'è più solo qualche pazzomamolti; e non giudicanoin mancanza d altroi cani e i gatti dicasama gli scrittori e i poeti di casa e fuori. Giudicano eclassificano: questo è il primoquello il secondol'altro ilterzoe vai dicendo. Ahimè! tu fanciullofai il tuodiscorsinoesprimi un tuo sentimentoesponi il tuo pensieromostriun tuo sorrisoversi una tua lagrimasenza riguardartisenzasaperlosi può diresenza perché; al primo venutosfogando il cuorequasi fuori di te: a mezzo le tue paroleal tuorisoal tuo piantoecco senti che il tuo uditore piglia appuntipesa le frasi che dicidisegnacol pollicein aria la linea deltuo sorrisoesamina l'acqua e il cristallo della tua lagrima; emormora: "Non c'è male! Benino! Bene! Benissimo! Peggioperò del tale! Anche meglio del tal altro! Primo! Secondo!Terzo! Poeta maggiore! Poeta minore!"

Certotuse non sei un vanarello o un frignonecancelli il sorrisoribevi la lagrimae te ne vai. Forse giuri in quel momento di nonandare più da altrie godere o piangere tra teun'altravolta. Ma sei fanciulloe torni sempre da capotrovando peròogni volta che per i fanciulli non c'è più luogo inquesto mondo! Il fatto è cheoltre la noia di quel sentirtisempre paragonatocome se tu facessi un esercizio scolasticopuoiprovare anche l'amarezza d'essere pospostocon giudizio spiccio omalignoe anche d'essere prepostoa tali che tu non ti sogninemmeno di emularea tali a cui tu non pensavi nemmenoa cui nondovevinon potevi pensareassorto come eri nel tuo piacere o neltuo dolore. Ti paragoneranno con gli altri e anche con te stesso. Ticonteranno gli anni e le rughe agli occhie i capelli bianchie nonvedono l'ora di dirti che decadiche rimbecillisciche muori. Bellacarità! E un bel giorno ti butteranno in un cantodimenticandosi di tee a torto. A torto sempreperché ciòche hai fatto di buononon deve essere annullato da ciò chepoi faccia di men buono; e perché non può nascere maiun portento tale da far dimenticare quelli che prima di lui trovaronopur una mica di poesia. Sia grande quanto si voglia il poeta che siaggiunge al canoneegli deve sedere su una seggiolao vogliam diretronosola: non ha bisogno di due o di tuttee che un altro o tuttigli altri si rizzino e se ne vadano.

Lagloriola non è per te fanciullo! La poesia puraquando sileggefa che il lettore volgare dica: Come si potrebbe far meglio epiù! È vero che codesta è illusioned'ornatista... E io penso ai panforti fiorati che sono tanto piùbellie si contemplano così a lungo; ma finalmente gli ornatisi gettano e si mangia il panforte solo. Tuttavia ricordatiancheper via di questo esempio fanciullesco del panforte fioratochegeneralmente si ammira e loda quel che sta sopranon quello ch'èsotto. Ricordati che la poesia vera fa batterese maiil cuorenonmai le mani.



XVIII.

Dunque...Maintendo. Tu non aspiri alla gloriolama alla gloria; e cosìdistinguicome se la gloriola fosse tra i vivie la gloria dopomorte. Non voglio dirti (le tue illusioni mi sono care)non vogliodirti che dopo morte non sentiremo nulladi ciò che si dicedi noi. Sentirò o almeno sentirai: non rabbuiarti. Ma sentiraibelle cose? Qui sta il punto. Prima di tutto: diranno nulla? Si hafrettaai nostri giornidi vivere; e le visite ai camposanti fannoperder tempo. Ci si assordaai nostri giornicon la nostra vita; enon è possibile udire lo stridio leggiero delle ombre. Imortiai nostri giorninon contano più. Un poeta disse cheil dì della morte era il dì della lode; ma il dettopochi anni dopo che fu dettonon era più vero; e il Pratistesso lo sase nel sepolcro qualcosa si sa! E questo oblio chepreme subito i mortinon èquanto ai letteratisenzaragione e senza giustizia. Noi letterati vogliamo in vita occupartroppo il mondo di noi. Se stessimo nel nostro angolose non cisbracciassimo tanto nel mezzo della gentese non vociassimo tantonon avverrebbe questo compenso di silenzio dopo morte. Dunquediranno nulla di te? E se maidiranno bene e giusto? O credi cheallora sarà cessata la mania della classificazionel'artifizio della suggestionela cecità del partito e dellasetta?

Vedi:spesso i morti sono disturbati nel loro riposoe tratti fuori perdare addosso ai vivi. Spessissimo. L'invidia sai in che forma siesercita per lo più. Tu dài a uno la debita lode inpresenza d'alcuno. Questi conferma breve: poi a lungo si volta alodare un altroil quale può essere inferiore o superiore altuo lodatoma quasi sempre è morto. Ora tufanciullovorresti essere disseppellito a questo fine? Poiché saraiun'ombraavresti piacere d'essere adoperato a far ombra a qualchebuon fanciullo saldoche viva e canti? Questo non ti piacerebbe:meglio dormire dimenticato. È meglio esser morto tuttochecontinuare a comparire avanti i tribunali ad essere giudicato eclassificato: tanto piùche i giudici si trasmettonocursoriche stanno eternamente fermile fiaccole de' loro giudizi.

Tunon vuoi giudizi: vuoi commozionevuoi assensovuoi amore; e nonper tema per la tua poesia. Ebbene morto che tu siase la tua vocefu purase fu la voce dell'anima e delle cosenon l'ecoo piùfioca o più forted'altrui voce; ebbene codesta voce saràinavvertitaquando non sia dimenticata. In vero se è spessoripetutacome forse è ragionesi fonderà col temponon so se nel silenzio o rumore circostante: come il cinguettio dellerondini sotto la tua grondaiache quando è un pezzo che losentinon lo senti più...

Tuvuoi parlare? Aspetta: non ho finito.

Aogni modo perché dovrebbe essere altrimenti? Che cosa fai tuveramenteche sia degno di lode e di gloria? Tu riditu piangi: chemerito in ciò? Se credi d'averci meritoè segno cheridi e piangi apposta: se lo fai appostanon è poesia la tua:se non è poesianon hai diritto a lode. Tu scopris'èdetto; non inventi; e ciò che scopric'era prima di te e cisarà senza te. Vorresti scriverci il tuo nome su? Ti adiriche ti vogliano giudicare e anche premiare per quello che non èse non la tua natura e la tua manifestazione di vita. Dunque cheimporta a te del nome?



XIX.

ILFANCIULLO



Ilnome? Il nome? L'anima io semino

ciòch'è di bianco dentro il nocciolo

chein terra si perde

manasce il bell'albero verde.

Nonlauro e bronzo voglio; ma vivere;

evita è il sanguefiume che fluttua

senz'altrorumore

cheun battitoappenadel cuore.

Neicuoriio voglioresti un mio palpito

senz'altrovanto che qual d'un brivido

chetrema su l'acque

fail sasso che in fondo vi giacque.

Nell'ariaio voglioresti un mio gemito:

sel'assiuolo geme voglio essere

trai salci del rio

anch'ionelle tenebreanch'io.

Sele campane piangono piangono

ionelle opache sere invisibile

voglioessere accanto

diquella che piange a quel pianto.

Iopoco voglio; purmolto: accendere

iosu le tombe mute la lampada

cheirraggi e conforti

laveglia dei poveri morti.

Iotutto voglio; purnulla: aggiungere

unpunto ai mondi della Via Lattea

nelcielo infinito;

darnuova dolcezza al vagito.

Vogliola vita mia lasciar; pendula

adogni stelosopra ogni petalo

comeuna rugiada

ch'esalidal sonnoe ricada

nellanostr'alba breve. Con l'iridi

dimille stille sue nel sole unico

s'annullae sublima...

lasciandopiù vita di prima.



XX.

Bene!Dunque riassumocome uomo serio che sono. La poesiaper ciòstesso che è poesiasenz'essere poesia moralecivilepatriotticasocialegiova alla moralitàalla civiltàalla patriaalla società. Il poeta non deve averenon haaltro fine (non dico di ricchezzanon di gloriola o di gloria) chequello di riconfondersi nella naturadonde uscìlasciando inessa un accentoun raggioun palpito nuovoeternosuo. I poetihanno abbellito agli occhialla memoriaal pensiero degli uominila terrail mareil cielol'amoreil dolorela virtù; egli uomini non sanno il loro nome. Ché i nomi che essi diconoe vantanosonosempre o quasi sempred'epigonid'ingegnosiripetitoridi ripulitori elegantiquando non siano nomi senzasoggetto. Quando fioriva la vera poesia; quellavoglio direche sitrovanon si fasi scoprenon s'inventa; si badava alla poesia enon si guardava al poeta; se era vecchio o giovanebello o bruttocalvo o capellutograsso o magro: dove natocome cresciutoquandomorto.

Siffattequisquilie intorno alla vita del poeta si cominciarono a narrare astudiare a indagarequando il poeta stesso volle richiamare sopra sél'attenzione e l'ammirazione che è dovuta soltanto allapoesia. E fu male. E il male ingrossa sempre più. I poeti deinostri tempi sembrano cercareinvece delle gemme che ho dettoetrovarequella vanità che è la loro persona. Noncodesta quei primi. E tuo fanciullovorresti fare quello chefecero quei primicol compenso che quei primi n'ebbero; compenso chetu reputi grandeperché sebbene non nominatii veri poetivivono nelle cose le qualiper noifecero essi (32).

Ècosì?

Sì.



______________________

NOTE

1).PLATONEFedro77 E. E Cebes con un sorriso"Come fossimospauriti"disse"o Socrateprova di persuaderci; omeglio non come spauriti noima forse c'è dentro anche in noiun fanciullino che ha timore di siffatte cose: costui dunqueproviamoci di persuadere a non aver paura della morte come di visaccid'orchi."

2).Che Femio sia vecchionon si dichiara da Omero con parola espressama indirettamente con l'epiteto periclytós (Odissea1325)comune all'altro aedo Demodoco (ibidem 8521 e al.)e specialmentecon ciò che Femio stesso afferma di sé (ibidem 22347):

Sonomaestro a me ioché un dio piantommi nel cuore

Ogniragione di canti...

Ilche consuona con ciò che di lui dice Penelope (ibidem 1337sg.):

Femiopoi che sai molt'altre malie de le genti

Opered'uomini e dei...

Eil vecchio Femio con la canzone più nuova o più giovane(ibidem351 sg.):

Poiche gli uomini pregiano ed amano più quel canto

cheil più nuovo all'intorno de li ascoltanti risuoni.

Quantoa Väinämöinenricordo da quel meraviglioso frammentodi versione dovuto al mio P. E. Pavolini (Sul limitarepp. 75 sg.):

L'anticoe verace Väinämöinen

..............................

Quindil'antico Väinämöinen

..............................

quandoudirono il nuovo canto

sentironoil dolce suono.

3).OMEROOdissea8499; phaîne d'aoidén.

Badiamoche io non intendo affermare l'etimo di aeidein da a privativo e vid-vedere. No: intendo asseverare che codesto etimo era presente agliantichi cantori. Si confrontino i due versi di Odissea1337 sg.che terminano il primo con oîdas e il secondo con aoidoì.Si mediti il 64 di 8: Degli occhisìlo privòma glidava la soave aoidén. Si ripensi l'espressione su riferita:mostrava l'aoidén.

Persinooso diregiova osservareriguardo l'accecamento di Polifemomangiator d'uomini e bevitor di vinoche polyphemosoltre a essereil nome del terribile Ciclopeè epiteto dell'aoidósFemio (22376)Phémios il cui nome somiglia del resto aquello di Polyphemos. E il Ciclope che mostra nella Odissea la suamusicalità solo quando (9315):

eglicon sufolo molto parava le pecore al monte

musicalitàche del resto è nel suo nomese esso valecome in 2150"pieno di sussurri o di voci"il Ciclope è pressoTeocrito un dolce cantor d'amoree nessuno dei Ciclopi sa sonar lapiva come lui (TeocritoId.11).

4).Ricordo che tutto porta a credere che la Comedia sia stata cominciatadal poeta nell'anno quadragesimo ottavo della sua etào dopo.E quello è il poema della contemplazioneopposta alla vitaattiva.

5).Così in vero lo rappresentò il Manzoni con le Muse(bastava una) che l'accompagnano "la mal fida Con le destrevocali orma reggendo".

6).Non solo i poeti modernicosì assolutamente fissatisull'amore e sulla donnama anche gli antichi poeti tragici epersino i poeti corali immediatamente successi alla poesia epicasidiedero a colorire l'elemento femminile ed erotico dei poemi omerici.E le donne designate e mentovate in essi poeminon bastaronoe sene crearono di nuove. Ciò accrebbe l'interesse drammatico delcicloma segna in esso la diminuzione di essenza poetica. CosìOrlando innamorato e furioso per amore è più drammaticoma meno poetico di Rolando nella Canzone.

7).Augusto Conti narra di una sua bambina: "Quando mirava la luna ole stellemetteva voci di gioiae me le additavae chiamavale comecose viventi; offrendo loro quel che avesse in manoanche le vesti."Rivado col pensiero a tutte le poesie che ho lette: non ne trovo unapiù poesia di questa!

8).Talep. es.è quello di Andromaca che piange su Ettore (II22510):

Nudoe sì che di vesti ce n'hai ne la casa riposte

Morbidee grazioselavoro di mani di donne!

9).PLATONEFedroIII B.

10).CATONEAgricoltura27. Armenta deliculaoves deliculas. Traducocosìscostandomi dal Keil. Cfr. per il significato di armentaVIRGILIOGeorgiche3129.

11).VARRONERerum Rusticarum117.

12).VIRGILIOibidem3126 sgg.

13).VIRGILIOibidem174 sgg.

14).CATONEAgricoltura58e leggi 56 e 59.

15).VIRGILIOEneide5284; è datacome premio a SergestoFoloeuna creteseesperta nel tesserecon due gemellini allapoppa. Ed è imitazione di OMEROIliade23263. Anche èservain 9546Licinna che diede al re dei Lidi un figlioEleonore. E anche questo è Omerico. Inoltre Andromacapartorisce servitio: Eneide3 327. E c'è l'idea e la paroladi servitium a proposito di giovenchi in Georgiche3168e di sestessocioè di Titiroin Ecloghe141.

16).VIRGILIOEneide1 701 sgg. 705; 5391; 8411584.

17).VIRGILIOEcloghe128.

18).VARRONERerum Rusticarum117 ipsi coluntut plerique pauperculicum sua progenie.

19).VIRGILIOGeorgiche2458 sgg.; 1300 sgg. e altrove.

20).VIRGILIOibidem4125 sgg.

21).VIRGILIOibidem2412 sgg.

22).ORAZIOSermones261 sgg.

23).PLATONEApologia di Socrate28 B. sgg. VIRGILIOGeorgiche1291sgg.

24).VIRGILIOEneide8155 sgg.

25).SENECAEp.122II: cfr.Apoc. 2

26).SENECAEp.122II. E continua a leggere il fattarello che segue.

Montanoavendo subito cominciato con un'alba: "Febo comincia a metterfuori le ardenti fiammee il dì rosseggiante a spargersi perla terra; e già la rondine triste comincia a recare ai garrulinidi il cibocon assiduo va e vienie a somministrarlo benescompartito col molle becco"; un tal Varo esclama: "Èl'ora che Buta va a letto. Perché Buta era un fuggi-luceunvivi-al-lume-di-lucernauno insommache faceva di notte giorno."Di lì a pocoMontano declamava "Già i pastoriricoverarono nella stalla i loro armenti; già la nottecominciava a dare il nero silenzio alle terre assopite." E Varo:"Che dice? È già notte. Andrò a fare lasalutazione mattinale a Buta."

27).ORAZIOArte poetica15 sgg.

28).Avete un binocolo? Puntatelo verso una campagnaverso una casaverso un borgo. Guardate per il suo verso: ecco la prosa. Guardate alcontrario: ecco la poesia. Più particolari nella prima emeglio distinti. Più visione nella seconda e più...poesia. Provate!

29).È superfluo aggiungere che per quanto non tutto nella Comediasia poesiae non tutta la poesia che v'èsia puraper altroquel poema è nella sua concezione generale il più"poetico" dei poemi che al mondo sono e saranno. Nulla èpiù proprio della fanciullezza della nostra anima che lacontemplazione dell'invisibilela peregrinazione per il misteroilconversare e piangere e sdegnarsi e godere coi morti.

30).LEOPARDIGIACOMOPensiero LX.

31).LEOPARDIGIACOMOPensiero XXIV.

32).Il lettore ha già veduto da séné tuttavia èinutile che glielo faccia meglio notare ioche questi pensieri sullapoesiapiù che una confessioneche a volte sarebbeorgogliosa e vanitosasono veri e propri moniti a me stessochesono ben lontano dal fare ciò che pur credo sia da fare!