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Neera

(pseudonimodi Anna Radius Zuccari)

TERESA

I

- Coraggiofigliuolicoraggio.

- Ne abbiamosignor sindacoma la faccenda è brutta assai;temo l'abbia da andar male per tutti.

Chirispondeva così alla grande autorità del paeseera ilvecchio Tonil'anziano dei barcaiuoliche di piene ne aveva veduteparecchiee crollava il testone grigio arruffatosul quale stava inpermanenza il tradizionale berretto rosso dei paroni del Po.

- Noi facciamo il nostro dovereTonie il resto alla provvidenza.

Toni nonrispose; si rimise al lavoroinsieme agli altri barcaiuoli e operai;tutti intenti a trasportare fascinesacchi di terracoccimattoniciottoli per far argine al fiume.

- Santo Iddio! - esclamò il sindacocon un accentometà di bestemmia e metà di preghiera - guardando il fiume che ingrossava sempre.

La notteera neracon un cielo minacciosogravido di pioggia. Era piovutotutto il giorno - pioveva da trentaquattro giorni.

La pietrasulla quale erano segnati i gradi d'altezza delle precedentiinondazioniera già tutta coperta. Il fiume saliva con unalentezza implacabilecolla calma feroce di un mostro che èsicuro della sua preda. Aveva invaso l'argine basso; ora toccaval’orlo dell'argine superiorespumeggiandocon un brontolìosordo.

Il granpericolo era che l'acqua minasse l'argine al di sotto.

Daquarantotto ore si lavorava senza posaatterrando alberi e vecchiecasele più vicine al fiumequelle in maggiorpericolo; gli abitanti di tali casupolequasi tutti poverifuggivano trasportando le masserizie - e non erano ancorafuori che già il piccone dei muratori risuonava sui murifacendo rimbalzare i calcinaccialla luce scialba delle torce avento portate dai ragazzi.

Unavecchia ottuagenariaalla quale avevano tolto il letto pertrasportarlo in posto più sicurosi avvicinòagli uomini che sorreggevano quel povero mobile tarlatoe disse loropiangendo:

- Gettatelo dentro anch'essotanto domani io non vi potrò piùdormire.

- Sìgettatelo - aggiunse il sindaco - nefarò dare un altro a questa povera donna.

Il lettodella vecchia sparve subito nelle onde ingorde che salivanosalivano.

Ilsottoprefetto e il tenente dei carabinieri giungevano insieme dallaparte dei boschidove erano andati ad ispezionare la sicurezza dellerive.

- E così? - fece il sindaco appena li vide.

- Nessun pericoloper il momento; e qui? Hanno paura?

- Ha messo un po' di sgomento l'ordine di poco fadi non coricarsi pertutta la durata della nottee star pronti al suono della campana.

- Si capisce!

Ilsotto-prefettoun meridionale belloelegantecolla fronte dipoetasi cacciò - per una abitudine da salotto - la mano destra nei capelliravviandoliintanto che guardavala folla nereggiante dei cittadiniquasi tutti raccolti sull'argineansiosiformando gruppi vari e fantasticitra i quali correvanocome fuochi fatuile torcie di resina. Poi si chinòall'orecchio del tenentemormorando con gesti vivaci:

- Ma ditemi un pocose c'è stato senso comune a fabbricare unpaese in queste condizionicoll’acqua sul capo! Dietroall'argine il suolo digrada con un pendìo spaventosoelaggiùquella bucadove hanno fabbricato il loromaledetto paesepar proprio la coppa destinata al brindisi.

Il tenentedei carabinieripiemontese e calmoammutolì; e non sapendoche cosa rispondere alle brillanti sìma poco opportuneosservazioni del suo superioresi accontentò di fare: - Hem! Hem!

La genteaccorreva da tutti gli sbocchipiagnucolandoimprecandointerrogandosi gli uni gli altriurtandosifacendosi avantisenzacomplimentisenza riguardi.

Assalivanodi domande i due ingegneri mandati dal governodando parerisuggerendo.

Gliingegneri rispondevano: "sìsì"frettolosichini sul fiumetentando col piede la resistenza dell'argine neipunti più deboli.

- Che gradi abbiamoToni?

- È salito ancora di mezzo centimetro - rispose ilbarcaiuolodopo aver accostato il testone grigio alla pietrafacendosi lume con un fiammifero.

Un gemitoscoraggiante serpeggiò nella folla. Qualcunoche non avevacompresodomandava: - Che cosa? Che cosa?

- È salito ancora mezzo centimetro.

Un gruppodi donne circondano il sindaco:

- Signor sindacose permettesse una processione in onore di SanGiovanni Nepomucenoche è sopra alle acque e ha fatto deimiracoli...

Ilsottoprefetto interruppe: - Che fanno qui le donne? Via ledonne. Andate a casa. E i bambini? Anche i bambini? Via i bambini.Viaviavia. Andate a casa.

Il sindacolo rabbonì dicendogli piano: - Che mai vuole chefacciano alle loro case? se non possono nemmeno coricarsi in questanotte sciagurata!

- È vero; è vero; ma le donne non le posso soffriremiurtano i nervi.

- Ooh!...

- In certi casis'intendecome questo. Luzzi - prese perun braccio il suo segretario - telegrafate subito a S. E.il Ministro che occorrono denariche il fiume ingrossa sempree chelo stato morale della popolazione è depresso.

Ilsegretario correva.

- Luzzi! - lo richiamò - aggiungete che leautorità sono sul postoincoraggiando e aiutando.

Un ominovestito di nerocol cranio coperto da una papalina di pellesiavvicinò al gruppo delle autoritàbiascicando tra laspalla del sindaco e quella del sottoprefetto:

- Monsignore mi manda a vedere se la sua presenza ènecessaria... a dir il veroha i suoi reumi che lo tormentano...

- Ma stia comodo Monsignore! - esclamò ilsottoprefetto - curi i suoi reumi; qui occorrono piùbraccia che giaculatorie.

- Sì- aggiunse il sindacocon accento conciliativo - è inutile che esponga la sua preziosa salute. Riveriteloeditegli che preghi per tutti.

- E che stia attento se suona la campana!

L'ominonero sgusciò via tra la folla.

- Chi è quel tipo? - chiese al tenente uno degliingegneri.

- È il cameriere di Monsignore.

- E Monsignore?

- Capperiè Monsignore; l'abate mitratoil capo del nostroclerocolui che officia nelle feste solenni.

- Quante autorità vi sono in questo paese! - esclamòl'ingegnere ironicamente - e si rimise a guardare l'arginecorroso dalle acquee le acque minacciantie il paese la cittàdistesacome un condannatonel suo letto di morte.

Una vocefessa gridò:

- È allagata la ferrovia presso Cremonale corse sono sospese.

Tuttiguardarono chi aveva parlato. Era il signor Caccial’esattoredelle imposte; un uomo altorosso in voltocolle spalle poderosecon una testa bizzarra a riccioloni sulle orecchie e con duesopracciglia inarcate che lo facevano somigliare un poco a unritratto di Goldoni; ma un Goldoni burbero.

- Dice davverosignor Caccia? Come lo sa?

- Ho avuto notizie da mio cognato che è arrivato da Piadenasaranno due ore.

- Sì? E che narra?

- Uno spavento. In una cascina presso Bosco morì annegata unafamiglia intera; padremadre e cinque figlicolla moglie di uno deifigli. Non si poté salvare nessuno.

- Madonna!

- I fondi del marchese d'Arco sono tutti allagati; il frumentorovinato; dell'uva non si parla nemmeno. Cinquanta famiglie dicontadini che non sapranno che cosa mangiare quest'inverno!

- Pazienza ancora. Quegli altri della cascina sarebbero contenti a nonsaper che cosa mangiare quest'inverno.

Una donnadomandò piano all'esattore:

- E sua mogliesignor Cacciami dicecome sta sua moglie?

- Se lo può immaginare!... È tutto il giorno che ha idolori.

Un'altraudìchiese a sua volta:

- È ammalata sua moglie?

Il signorCaccia arrotondò più ancora l'arco dellesopracciglia mormorando:

- Eh! Eh!

Allora ladonna si ricordò; arrossí leggermentee disse fra identi:

- Poverinaproprio questa notte!

Il signorCaccia cercònella follala figura lunga e magra del dottorTavecchia - etrovatolo che discorreva animatamente colpretoregli disse:

- Se puoiun qualche momentodare una capata a casa mia... inamiciziasai?... per mia moglietanto da rassicurarla.

- Vadovado...

- Oh! non preme; mi basta un qualche momento.

Poivedendo passare Caramellalo zoppo che vendeva le mele cotteedirigersi verso il paeselo prese per la manica.

- Vai a casaCaramella?

- Sìsignor ricevitore. Le occorre qualche cosa?

- Appunto. Già che passi davanti a casa miaentrae di' a miamoglie che pericolo per il momento non c’è; che stiatranquilla; che il dottor Tavecchia andrà a trovarla... che iomi fermo ancora un po'tanto per vedere come si mettono le cose.

Caramellasi allontanò zoppicando.

A untrattol'attenzione generale venne rivolta a una massa nera chescendeva la corrente del fiume presso alla riva.

- È legna morta.

- È una tavola.

Si vedemuovere qualcunoforse poveri naufraghi cacciati dalle loro case - vanno incontro a una morte certa.

- È una barca - gridò Toni.

- Una barca? Impossibile. Chi volete che la guidi?

- Non è guidata affatto; scende alla deriva.

- Allora è vuota.

- No.

- Sì.

L'attenzionesi fece così intensa che più nessuno parlava.Cercarono tutti di cacciarsi avantiper vedere meglio.

Gliingegneripresa una torcia a ventosi avanzaronorisalendol'argine. Il sottoprefetto e il sindaco li seguironoe cosìman mano tutti paurosicuriositrepidanti.

Alcunedonne recitavano sommessamente il rosariostringendosi sotto ilmento la pezzuola che avevano in caponon osando avanzarsi troppo.

- È proprio una barca.

- Date su la voce.

- Oh! là!

Non unacento voci ripeterono: - Oh! là! - e labarca intanto scendeva a rotta di collo.

Subitoprepararono funi ed uncini per aiutare il battelloche era un rozzobattello di pescatoria toccare la riva.

- Ma chi è quel matto? - domandò piano ilsottoprefetto al tenente dei carabinieriche si strinse nellespalle.

Sidistingueva una forma d'uomoritta in piedi in mezzo alla barcalottando fortemente coi remi per allontanare l'urto dei tronchid'albero che la corrente trascinava ne' suoi vortici; e tutto intornoil fiume mugghiava sollevando una grossa spuma giallastratorbidaalla superficie della quale galleggiavano cencipezzi di legnamobili infranticadaveri d'animali.

- Non c'è nessuno che lo conosca? - tornò adomandare il sottoprefetto.

- Sì... mi pare - rispose il sindacoesitandonon bene sicuro.

Una vocetra i barcaiuoligridò:

- È l'Orlandi.

- È l'Orlandiè l'Orlandi - ripeterono ingiroattonitiammirati.

- Voleva ben dire - mormorò il sindaco - non vi è che lui!...

- Orlandi? uno del paese?

- Noè di Parma; ma qui lo conoscono tutti: un capo scarico...

- Si vede.

Intantoche le autorità commentavanopoco benevolmentel'audacia deltemerarioil popoloentusiastalo acclamava.

Quando labarca toccò terrae Orlandi ne uscìbagnatocoipanni in disordinecolle mani lacerateeppure baldanzoso ancoracome avesse fatto una gita di piaceretutti quei barcaiuoli locircondaronoaffollandolo di domande.

Innanzi dirispondere ad alcunoOrlandi prese dal fondo della barca unfardelloravvolto in una coperta di lanae lo gettò nellebraccia della prima donna che si trovò accanto.

- Ecco un bambino che vi arriva senza fatica vostra.

- Santa Vergine! - esclamò la donnae scopersedelicatamente il corpicino d'un bimbo.

Le donnegli furono subito intorno baciandoloaccarezzandoloscaldandogli lemanine intirizzite.

Orlandidisse d'averlo salvato per miracoloin un misero casolaredal qualeerano fuggiti tuttiresi pazzi e crudeli dal terrore.

- Ma e leicaro Orlandi - interrogò il sindacofacendosi avanti - ha la sua vita in così poco contoda esporla sul fiume con una notte simile?

- Non aveva tempo di pensarcile assicuro - rispose Orlandiscuotendo la testa altera e sorridendocosí che nellapenombra si poté vederecome un lampola bianchezza deidenti sotto i piccoli baffi neri.

- Sono tre giorni che giroportando soccorsi che molte voltearrivavano come quelli di Pisa. Non importasi fa quello che si può.Mi trovavo laggiùnei boschi dell'Aresequando il fiume harotto l'arginee non ci fu più scampo. Ho preso questabarcavi ho cacciato il bambinoe mi ci sono messo anch’ioinmano di Dio o del diavolo!

- Non bestemmi - osò dirgli la donna che aveva presoil fanciullo - l'ha campata bella e deve proprioringraziare la provvidenza...

Orlandinon badava più a nessunointento a guardare i lavoridi arginatura e i guasti terribili della piena.

- Pare che non cresca altroper questa notte.

- Se Dio vuole!

I gruppicominciarono a diradare; le donnei vecchi si persuasero a tornarealle loro case; il signor Caccia s’avviò trascinandosidietro il dottore.

Restaronole Autoritàper obbligo; e poi restarono i giovanii fortifra cui Orlandiinebbriati dal pericolo e dalla faticaaiutando iltrasporto dei sacchireggendo le fiaccoledando mano al piccone deimuratori; finché l'alba biancheggiò sui boschiilluminando le faccie pallide e abbattuteil fiume ancoraminacciosoe a tergo il paese colle sue case sventratesimili adenormi e inguaribili cancrene.



II.

L'abitazionedell'esattore era posta a mezzo della via di san Francescola cosìdetta via dei signori; non che il signor Caccia fosse un signoremasua moglie che apparteneva ad una buona famigliaaveva portata indote la casaquando si era innamorata di luie lo aveva volutosposare ad ogni costo.

Era unacasa piccoladall'apparenza modesta e provinciale in confronto allecase signorili della via di San Francesco; la schiacciava soprattuttoil riscontro del palazzo Varisitutto neroimponentecollefinestre sempre chiuseperché il marchese viveva a Cremonama con uno stemma inquartato al di sopra del portonequasi amostrare la presenzain ispiritodel proprietario.

Altripalazzipiù o meno antichisfilavano a destra ed asinistramettendo capo da una parte alla piazza maggioreperdendosidall'altranei campi.

La casadell’esattore aveva le finestre al primo piano illuminatees’indovinavaattraverso le tendine a reteun certo movimento.

Nellacamera nuzialela signora Soave Cacciaadagiata in un seggiolonecoi gomiti sui bracciuolisi lagnava dolcemente.

- Che nottesignora Caterinache notte!

La signoraCaterinaun donnone dalla faccia pletorica sotto una cuffia di tullonero a nastri arancionela consolava alla megliogirando per lacamerafacendo dei preparativi.

- E mio marito che ha voluto andare sull'argine...

- Che vuole? Un uomo è un uomo; ci sono tutti laggiù;il sottoprefettoil sindacoil tenente...

- E la campanamio Diose suonasse la campana d'allarme... come fareia fuggire?

- Si dia pace; giàquesta della campana è unaprecauzionema non succederà. Nel casosuo marito che sitrova sul postoavrà tempo di provvedere. Braccia e personedi buona volontà non ne mancano. Si figuri che perfino icantantiquei poveri cantanti che erano venuti qui nella speranza dipoter fare una buona stagione nel nostro teatroebbeneanche quellifurono requisiti. L'impresario li ha minacciati di non pagarlisenon prestavano la loro opera; il tenore ha preferito fuggirerinunciando al quartalema tutti gli altri rimboccarono le manichee fin da questa mattina lavorano sull'argine. Carlino è incasanon è vero?

- Oh! sí. Voleva andare anche lui sull'arginema suo padre nonha voluto. È di là con Teresina. Le due gemelle si sonocoricate belle e vestite... a un bisogno... ma che notteche notte!Ahsignora Caterinasono proprio sfortunata.

La signoraCaterinafermandosi nel mezzo della camera con una fascia in manoatteggiò il volto a severità a quella severitàimperiosa e brusca che riusciva sempre a calmare le sue clienti:

- In verità le dico chese continua ad agitarsi a questo modola vuole finir male. Non ci pensileial Po; pensi a' fatti suoi.

La signoraSoave non rispose altro che con un gemitolasciando scivolare lemani dai bracciuoli della poltronae stringendosele sul ventrerassegnata.

Eralamoglie del signor Cacciauna donnina sui quarant’anni gracilepatitacon una faccia lunga e terreapallidamente illuminata da dueocchi neriopachisenza lampo; occhi buoni e tranquilli che avevanopianto moltoche piangevano ancora facilmentecon una debolezzarassegnata e dolce. Mai nessun nome s'era attagliato cosí benead una donna. Quando si diceva in paese "la signora Soave"nessuno poteva scompagnare quel nome dal volto malinconico dellamoglie del ricevitore. E qualche cosa di stancocome di catenalungamente trascinatasi appalesava in tutti i suoi movimenti. Laparola aveva breve e titubanteavvezza a tacere davanti alla vocefessama imperiosadel signor Caccia. Senza slancio nel reagiresenza spirito per rispondereconvinta che la prima virtù diuna donna deve esser l'ubbidienza. Sulla sua fronte piccolinascendevanodivisi in mezzoi capelli del colore di caffèbruciatoe spessocon un movimento languido accompagnato da unsospiroella sollevava la mano per lisciarli. Si vedeva allora unamanina magrascoloritacome di cera vecchiastretta ai polsi dacerti braccialettini di crine intrecciatosormontati da una rosetta.

- Saranno quindici anni appunto il mese venturo - disseancora la signora Soavedopo aver seguito per un pezzoin silenzioil corso de' suoi pensieri.

- Quindici anniche cosa?

- Da che è nata la mia Teresa.

- È vero.

- E l'anno doposubitoCarlino. Se ne ricordasignora Caterina?

- Eh! altro. Si diventa vecchi.

Un secondosilenzio.

- Le gemelle hanno otto anni... non credevo proprio di averne ancora...

- Ma! Chi va al mulino si infarina.

- È il volere di Dio - conclusesospirandolasignora Soave.

Il donnonegrande e grosso si pose a riderefortefacendo traballare lapersona massiccia.

- Almeno fosse un maschio! - sospirò ancora lasignora.

- Non ne ha abbastanza di Carlino?

- Oh! non per me; ma le ragazzepoveretteche cos'hanno di buono aquesto mondo?…

Un grandesconforto le piegò gli angoli della boccae i suoi occhineriopachisi velarono di lagrime.

- Susulasci stare le malinconie. Siamo donnemadiavolonon c'èstato nessuno che ci abbia mangiate. Tre ragazze le ha giàuna piùuna meno... così il suo Carlino non vasoldato.

Ilsilenzio si rifecegravetormentoso; rotto a tratti da' gemitidella sofferente.

- Vedesignora Caterinain questa camera io son nata; in questacamera... presto... forse oggichi sa non abbia a morire.

- Ma ne devo sentire ancora? - interruppe la signoraCaterinaponendosi le mani sui fianchi - si crederebbeadarle ascoltoch'è una bambinetta senza giudizioe non lamadre di quattro figlia momenti cinque! Perché deve morire?Tanto può morir leicome posso morir iosul colpodiaccidente. Ha sentito ieri? Il fratello del sindacoquel pezzo diuomo che pareva il ritratto della salute?... In un jesusnemmeno il tempo di dire amen; stava leggendo una letterapafera morto. Non si deve pensare alla morte; quando vieneè perché deve venire; del resto noi donne abbiamo setteanime e un animino... allegra dunque. Fra un'oraun'ora e mezzo alpiù tutto sarà finito. Guardil'ho detto a miacognata Peppina prima di uscir di casa: aspettami all'albache lasignora Caccia si sbriga presto. Non è il primo giorno che ciconosciamoeh! Si fidi.

La signoraSoaveun po' calmatagirò attorno per la stanza uno sguardocarezzevolequasi per trovare degli amici nei due canterani di legnodi noce a pancia rigonfia; nel lettomezzo nascosto sotto una bellacoperta di filugello giallo a fioroni verdicolle lenzuolarimboccateguernite di una gala di mussolino; nell'inginocchiatoiotutto pieno di libricol predellino incavato dalle lunghegenuflessioni; nello specchio piccoloverdognoloappeso troppo inaltodove non si vedeva che la faccia; nelle tende della finestralavorate da leia rombicon un uccellino e una palma alternati perogni rombo; nei due unici quadriin cornice di legno nerorappresentanti il matrimonio di Maria Vergine.

Ma piùche tuttolo sguardo della signora Soave si arrestò concompiacenza sopra un bambinello di cera coperto da una campana divetro. Quel bambinello giallinocon due puntini neri al di sopra diun piccolo rialzo che simulava il naso; quel bambinellodall'espressione dolce e rassegnatacoricato da piùche vent'anni in mezzo ai fiori di carta e alle strisciolined'argento che gli ornavano la culla; quel bambino nudo e santoattirava in modo particolare la tenerezza della signora che sisentiva struggere di amore e di rispetto; con una voglia di piangereuna voglia di baciarloe una voglia di raccomandarsi alle sue maninebenedette. La grandezza di Diorappresentata da quel piccolobambinola colpiva di uno stupore pietoso e devoto. Si alzòemovendosi a stentoandò a deporre un bacio sulla campanadi vetro; restando poi immobilecolle mani giunteassorta in unacontemplazione dolorosa.

L'usciodi fianco al lettosi aperse pian pianinoe una testa di fanciullapassando tra la fessuradomandò: - Mamma!

La signoraSoave si scosse:

- Che vuoi Teresina? Non ti sei coricata un poco?

- Oh! com'è possibile? Sto alla finestra con Carlino; aspettiamoil babbo. È passato Caramellae mi ha detto di staretranquilliche pericolo per il momento non c'è. Papàverrà presto.

- Dio sia lodato! Va' a lettoTeresava' a letto.

- E tu mamma?

- Or ora ci vado.

Lafanciulla fece atto di ritirarsi; maprima che l'uscio fosse chiusola madre le si avvicinòperplessaponendole una mano sullaspalla e dicendole a bassa voce con accento tremante:

- Prega per me...

- Mamma... mamma...

Ella sipose un dito sulle labbracompostacon una solennitàmisteriosa e dolce:

- Questa notte avrai un altro fratellino... sono cose che capirai piùtardi... ma già sei la maggiore tudevi pur saperlo. Ora va aletto.

La posefuori con amorevolezzae chiuse l'uscio.

Dall'altrapartein uno stretto corridoioche divideva la camera nuziale dallacamera delle ragazzeTeresina rimase immobileappoggiata allostipite dell'usciocon una oppressione in gola e un turbamentoimprovviso.

Avevaquindici anni. Era cresciuta nell'ambiente tranquillo della famigliain quella cittaduzza di provincialontana da tutte le emozioni. Erail primo anno che stava a casa da scuolae ne' suoi doveri digiovane massaia aveva ancora l'incertezza della inesperienza; ma sisentiva compresa della sua missione di aiutare la mamma. Il suotemperamento la portava alla serietàe il suo cuoreall'affetto.

Le pocheparole della madrepronunciate lì sull'uscionel turbamentodi quella nottel'avevano profondamente impressionata. Si sentiva aun tratto fatta donna - con un presentimento improvviso didolori lontanicon una responsabilità nuovacon un pudorebizzarromisto di una straordinaria dolcezza.

Sembravache in quel momentosolamente in quel momentoella riconoscesse ilproprio sessosentendosi scorrere nelle vene un’onda dilanguore non mai avvertita primaenel cervellosorgere unacuriosità vivapungentela quale cessò di colpodavanti al rossore che le invadeva le guancie.

Tutto ciòdurò lo spazio di cinque minuticome fosse ricaduto il lembodi velo che le aveva squarciato il futuro. Ella si rifece calmadiuna calma più malinconicapiù intensa;rientrò nella propria cameretta; il fratello che l'aspettavaappoggiato al davanzale della finestraguardò con unaintuizione nuovaed avendo egli pronunciata qualche parolatrasalìal suono di quella voce d'uomoe lo guardòalla sfuggitatemendo ch'egli potesse leggerle sul volto il suo segreto.

Ma Carlinonon si occupava che della piena. Avrebbe voluto trovarsi anche luisull'argineinsieme agli altrie si sporgeva fuori dalla finestraper vedere se passava qualcuno a cui domandare notizie.

Qualchealtra finestracome quella dei due ragazziera aperta; donnespaurite vi si affacciavano origliandotemendo sempre i rintocchidella campana che doveva avvertirle di fuggire.

- Sai? - disse Carlinocol riso un po' melenso deifanciulloni di quattordici anni - la vecchia Tisbe èin piedi da due orecolle sue posate d'argento nel grembiale e ilcagnolino sotto il braccio.

Teresinanon rise.

- Se potessi... - tornò a dire Carlinoponendo unagamba a cavalcioni del davanzale - solamente una scappatatanto da vedere. Credi che non sarei capace di scendere dallafinestra?

- Andiamoviaci mancherebbe altro.

Glirispose cosía fior di labbrodritta dritta nel vano dellafinestracollo sguardo fisso ostinatamente nel buio.

A untratto si accostò a suo fratellopassandogli un bracciointorno al collochinandosi lievementefino ad accarezzare collaguancia i capelli di lui corti ed ispidi come le setole di unaspazzola.

Egli nonavvertì la carezza. Tutto sporto fuori colle bracciaguardando in direzione della piazzadiceva:

- Se venisse giù di lì! giù! giù! uh! chefracasso...

Non losgomento del pericolo lo agitavabensì l'emozione di queldivertimento nuovo. Tutto il fiume giù in paese! uh!... Eridevapensando ancora alla vecchia Tisbecol cagnolino sotto ilbraccio e le posate nel grembiale.

- Che grossa disgrazia! - mormorò Teresinarabbrividendostringendosi contro al ragazzo con un bisognoirresistibile di tenerezza.

- Auf! - fece eglidando una crollata di spalle - mi soffochi.

E sisciolse dall'amplessosbuffando.

Lafanciullamortificatasi ritirò in fondo alla cameradovec’era il suo letto. Sedette sulla seggiolinaaccanto alcapezzalee lasciò cadere la testa fra i cuscini.

Lìpresso c’era il letto delle gemelle; coricate l'una da capo el'altra da piedivestitecon uno scialle buttato a traverso deiloro corpi. Dormivano saporitamente.

Di lía pocoun andirivieniun movimento insolito in camera della madrefece risollevare il capo a Teresinache si portò accantoall'uscioorigliando.

Successeun breve silenzio. Ella stava per riprendere il suo postoaccanto allettoquando un vagito di bimbo le trasse una esclamazione; esubitosenza riflettereobbedendo ad uno slancio del cuoreentrònella camera attigua.

- Mammami permetti?

La signoraCaterina si fece sull'uscioseriacon un dito sulle labbra.

- La lasci entrare - mormorò fiocamente di sotto lacoperta a fioramila voce della signora Soave.

Teresinaentrò in punta di piedicommossarattenendo il fiato. Lasignora Caterina le presentò una bambinetta appena natatuttarossaavvolta in un pannicello.

- Oh! com'è piccolina.

Volevaprenderla in braccioma la signora Caterina non lo permise.

- Dopoquando sarà fasciata.

Teresinala baciò adagio sui capelli; poiavvicinandosi al letto disua madrevi si chinò soprariverentepiena di tenerezzacon un senso recondito di timore.

- Lasciala stare la mamma - disse bruscamente la signoraCaterina.

- Sto bene - tornò a mormorare la signora Soavericambiando con uno sguardo le carezze della figlia; e soggiunse: - Teresa è la mia donninadovrà fare da secondamadre...

- Sísí - rispose la fanciullatantocommossache quasi singhiozzava.

La signoraCaterinasenza dir altrola prese per un braccioe la pose fuoridella camera.

Carlinovenne incontro a sua sorellagridando:

- C'è qui il babbo. Ora sentiremo le notizie; mi ha giàdetto che hanno atterrato tutte le case vicine a San Rocco.

Teresinanon capì nulla; aveva anche lei la sua notizia e la disse alfratellotremantetutta pallida:

- Ci è nata una sorellina.

- Ah! sì? - fece Carlino - lo sapevo chedoveva nascere.

E scese lescale di corsaper incontrare suo padre.

Teresinarimase immobilecolpita dalle ultime parole del fratello. Come maiegli lo sapeva?





III.

Losgomento dell'innondazione era passato. Il paese riprendeva a poco apoco la sua calma di cronico rassegnatocui non sorride nullanell'avvenire. Le ampielunghissime strade si rifecero desertesilenziose tra la doppia fila delle gelosie abbassate e delle altemuraglie nerea' cui piedi verdeggiava un tappeto d'erba immacolata.Lo scheletro grandioso di quella che era stata una cittàcontrastando colla pochezza degli abitantidava all'insieme unaintonazione tristesotto quel cielo opaco della valle del Ponell'atmosfera umida e mollelungo il fiume cintato da malinconiciboschiche novembre sfrondava.

Caramellalo zoppoche abitava in principio del paesedove ci aveval'ortagliaincominciava il suo giro mattutinospingendo avanti lacarriola carica di mele cotte e di pere.

- Oh! le belle pere... pere... pere!

La via diSan Francesco era affatto spopolatatutte le case silenzioseunvapore grigio nell'ariaancora qualche cosa di tenebroso e diaddormentato.

Caramellasi fermò dal tabaccaioabbandonando la carriola sulmarciapiedeed entrò a bere un bicchierino di grappa.

- Vuol venir presto l'inverno - disse la tabaccaiaalzandosisulla punta dei piediper togliere dalla scansia la bottiglia.

Ilfruttaiolo non rispose subitointento ad assicurare i calzoniintorno alle reni. Prese poi il bicchierino in sul vassoio di lattae lo tracannò d'un colpospalancando la bocca e facendo poiscoppiettare la lingua.

- Ma! - disse allora - il peggiore di tutti gliinverniè quello che ci sentiamo sulle spalle.

Diedeun'occhiatafuorialla carriola e un'altra al cielo bigio.

- Mele per la vostra bambina non ne volete?

- Oggi no; la tengo a lettoche la voglio purgare.

Caramellasi fece sulla sogliacolle mani in tasca. La tabaccaia gli vennepressocon una faccia misteriosasorridendo in pelle in pelle.

- Voi che andate in casa Portalupi non sapete niente?

- Di che?

- Della seconda... dicono le faccia la corte il sottoprefetto.

- Crederci!

Lo zopponon disse altro. Abbrancò la carriolalentamentecol musoper arial'occhio intento alle finestre.

Latabaccaia lo vide allontanarsie lo seguì collo sguardodistrattopensando a tutt'altrofinché un nuovo avventore lafece rientrare nella sua botteguccia.

- Oh le belle pere!... pere!... pere!...

Al palazzoVarisiCaramella non guardò neppure; e non guardò lacasa attiguadove stava la Calliopequella strambanemica degliuominia cui faceva gli sberleffi come un monellodietro leferriate del piano terreno.

Si fermòinvece dirimpetto all'abitazione del pretoree bussò allaportacome uomo sicuro. Là difatti gli comperavano sempre lesue pereperché il pretore aveva sei o sette marmocchi damandar a scuolae le pere cotte fanno bene ai bambini.

Anche nelpalazzo Portalupil'emulo del palazzo Varisilo zoppo aveva le sueentrate libere; forniva la dispensa dei signori Portalupimarito emogliericconicon tre ragazze da marito; e serviva la vecchiaTisbeuna cameriera in ritiroalla quale i Portalupi avevano cedutodue camerette al secondo piano.

Niente dafare con don Giovanni Boccabadatidon Giovanni di nome e di fattola cui vita misteriosa ed equivoca lo additava alla curiositàdelle donne e all'invidia degli uomini.

Nella casadove egli vivevasolocon un vecchio servitoresi vedevano qualchevolta entrare ed uscire ombre femminilisulle quali la vecchia Tisbeappuntava invano i suoi occhialie che le tre ragazze Portalupiguardavano sdegnosamentemordendosi le labbra.

Fra lacasa Boccabadati e quella del pretorestavano i Caccia; e anche lìlo zoppo fece una breve sostapoiché la signora Soaveudendolo passareaveva detto a Teresina: - Compera un paiodi pere per le gemelle.

Teresinamezzo assonnata ancoratirandosi su i capelli colle maniavevamandato la serva sulla portae lei erasi messa alla finestraguardando Caramella che sceglieva le peredelicatamentee le ponevasulla bilancia - belle pere piccoline e dolcidalla buccialisciache si era indorata cuocendoe che fumavano ancora in unbagno di brodetto denso.

- Oh le belle pere!... pere!... pere!...

Lo zopposi allontanavagiùverso piazzacolla carriola che silasciava dietro un buon odoree quasi come un dolce calore difamigliadi focolari accesidi bambini allegri col grembialinoaperto e teso; odore e calore che si fondevano in una sensazionecomplessa di benesserespandendosi lievesalendoin quellarigidità bigia di mattino autunnale.

Teresinaalla finestraseguiva coll'occhio la carriolae quando non la videpiùrimase ancora a guardare la strada lungacollesue case allineate - quella bianca della Calliope; quelladei Varisianneritae dei Portalupitutta giallacolle cimasedelle finestre ad uso marmo; la casaccia larga e bassadipinta inrosadove abitava il pretore colla sua numerosa famiglia; la casinamisteriosa di don Giovanni colle gelosie verdi e la porticinastretta; e poi tutte le altrein filaserrateperdentesi a destraed a mancasotto la linea irregolare dei tettinella striscia dicielo pallido che appariva in alto.

Sullebracciacoperte appena da un abitino di percalloTeresina sisentiva scorrere un brividuccio punzecchiantenon molestosimpaticoquasi; e i suoi capelli giovanilmente scomposti le danzavano sullafronte e sul colloproducendole un solletico graditocome dicarezza. Se la brezza cessavaella scuoteva il capo per sentireancora quelle lievi ondate attraverso il colloe ne prolungaval'impressione con una ingenuità infantilecollo sguardosempre errante nella lunga viaosservando con interessel'acciottolato fitto e la rada erbetta e i due marciapiedi rossiccifatti di mattonelle posate in costaavvallate in molti punti.

In fondodalla piazzaspuntò il portalettere trascinando di malavoglia gli scarponi a punta quadratacolla borsetta di pelle nerasul fiancola faccia burbera. Sparve un momento. Teresina pensòsubito che fosse entrato in farmacia. Riapparvefacendo la strada abisciada destra a sinistra e da sinistra a destralasciando "LaMode nouvelle"alle signorine Portalupi e il "Corriere diCremona"al loro babbo; tre lettere a don Giovanni Boccabadati.Passò davanti alla sua casa senza fermarsi; posò unagrossa lettera gialla e alcuni stampati alla porta del pretore; poiriattraversò la stradae andò a sollevare il battenteirrugginito della casa della Calliope.

Unsentimento incompletoindeterminato ma nuovosi impadroní diTeresina; una specie di mortificazione e di dispiacere.

Tutti queigiornalitutte quelle lettere portavano a chi erano destinati unmondo di sensazioni.

Nellaborsetta nera del procaccio c’erano gioiedolorisperanzeebbrezzepromessecuriositàfantasiaaffetti - tutto l'ignotoil desideratoquello che la fanciulla non sapeva.C'era la vita lontanai fili simpatici che uniscono gli assentiilprincipio di storie futurel'ultima parola di cento storie passate.In quella borsetta volgare che un indifferente portava in giro diporta in portamille cuori sussultavano; mille interessi siincrociavano; affari e passioniarte e famenobili sacrificiraffinate vendetteviltà ignobilisanti eroismi.

Ognisegreto della vita era là. Teresina non disse tutto ciòa se stessama lo pensò vagamente con un recondito senso diinvidiacon una avidità ignota che sorgeva in quell'istantedentro a leiper la prima voltae che le gonfiava il petto di unsospiro lungoamaro.

La casadella Calliope continuava a restare sbarratasilenziosaal pari diun sepolcro.

Ilprocaccioappoggiato al murosceglieva intanto le letterecavandole dal fondo della sacca: lettere larghecolla soprascrittabrevechiaraa caratteri allungaticommerciali: lettere bianchelindeaccuratescritte su falsarigacol francobollo simmetricocome sogliono mandarle le educande: lettere chiuse in una bustainglesedi carta consistentecolor perlaprofumatemisteriose:lettere con inchiostro violettoscritte benea larga inizialedoratacorrispondenza da donna a donna: grosse letteremal piegatecoll'inchiostro dilatatocon traccie di mani poco pulitedue righedi soprascritta e quattro errori.

E lafalange delle cartoline scritte verticalmenteorizzontalmentediagonalmente; moltissimomoltopocopochissimoquasi nullaunaparola; le circolarigli annuncigli invitigli opuscoli - tutto passava rapidamente sotto la mano esperta del procacciocherimetteva ogni cosa nella borsatenendo solo una lettera in manoebussando per la terza o la quarta volta all'invincibile porta.

Teresinanon conosceva Calliope; non l'aveva mai veduta benema solamenteintravista tra una sbarra e l'altra della finestracolla facciaseminascosta sotto un ampio fazzoletto gialloparlando da sola edicendo improperi a tutti gli uomini che passavano. Da troppo pocotempo Teresina si era fatta donnaper aver considerato la Calliopediversamente da quello che la consideravano i ragazzi del paese: unamatta che faceva ridere. La sua storia l'aveva sentita raccontare abrandellicon molte lacune tra un episodio e l'altro; lacune chel'immaginazione sobria della fanciulla non si era mai data la brigadi colmare.

Sapeva cheera stata accoltapiccinada una contessaed allevata quasi comefiglia. E qui le si affacciava la prima lacuna; essendovi parecchiepersone le quali affermavano che Calliope fosse veramente figliadella contessa - affermazione che sembrava assurda aTeresina - macomunquela contessa le aveva voluto benee l'aveva fatta istruire da un vecchio prete occupandosi ella stessadi quello che poteva mancarle per la parte femminile.

Vivevanoallora tutte e due in un podere solitarioe già si sapeva chela Calliope aveva gusti bizzarriuscendo sola per le campagnecoicapelli sciolti sulle spalleun piccolo fucile ad armacollo; arditaviolentaselvaggia. I pochi che avevano occasione di traversare ilpoderela udivano zuffolare nei boschi di pioppiimitando il cantodegli uccellie qualche volta la vedevano correre sfrenataattraverso i campisaltando le siepicolle mani graffiate dallespine e gli abiti strappati.

Era statabelladi una bellezza virile e forte.

Il dottorTavecchiache l’aveva curata una voltain occasione checadendo da un albero si era fratturata un bracciola diceva unadelle più belle donne ch'egli avesse mai viste. Gliabiti bizzarri che portavasi addicevano al suo corpo da amazzonerobusto e snello. Quando si copriva il capolo faceva con uncappello da uomoneroampio; non portava mai trinenastrigioielli; vestiva di nero o di bianco; spesso si cuciva tutto in giroalla gonna dei fiori freschi e tutta di fiori si fabbricava unaacconciatura stranaoriginaleche sarebbe stata goffa per chiunquee nella quale ella appariva incantevole.

Secondalacuna: Teresina aveva udito sussurrare misteriosamentedi unufficiale francesedi fugadi tradimentodi altre cose che noncapiva bene e che non l'avevano mai interessata fino allora.

Poibalzava fuori la Calliope monaca. Era stata in convento due annimodello di abnegazione e di penitenza; improvvisamentealla vigiliadi pronunciare i votisparve.

Terza edultima lacuna; la quale abbracciava una quindicina d'anni e che avevacondotta la strana donna - rimasta sola al mondo - a chiudersi in quella casa da cui non usciva maie dove il paese leusava la carità di non occuparsenelasciandola in pace collasua pazzia inoffensiva.

Ma tuttaquella storiaarruffata e inverosimilesi presentava ostinatamenteal cervello di Teresinaintanto che il procaccio aspettava; e quandofinalmente si apersero le persiane della solita finestra a pianterrenoe che la testa stralunata della Calliope apparve tra lesbarrela fanciulla la guardò intensamentecon una pietànuova.

Non ebbeagio di osservarla moltoperchépresa sgarbatamente laletterala mattoide rinchiuse subito le gelosie scagliando due o tregrosse invettive contro il procaccio.

Teresinarimase cogli occhi fissi come magnetizzatasulla finestra chiusadella Calliope; lasciandosi cullare in quel fenomeno comune dellamenteper cui sembra di sognaredesti.

Giùsotto i raggi del sole che si mostrava lentamentela via uscivadalla nebbia grigia del mattinoper entrare in un bagno di luce.Qualche porta si era dischiusa. La vecchia Tisbefedele alleabitudini mattiniere della sua antica caricaaveva distese suldavanzale della finestra le coperte del letto; e tratto trattoappariva nel vanograttandosi la cuffiagettando di sbieco occhiatesospettose alla casina dirimpettodove le gelosie verdi restavanoassolutamente chiusenell'isolamento tiepido e dolce di misteriignoti ai profani.

Passòil dottor Tavecchiaun po' curvo per gli annicolla palandrana dipanno scuro e il bavero di velluto; passò a capo bassopensando a' suoi ammalati.

Passòla cuoca di Monsignoreuna grossonaruvidaburberache pareva leila padrona di tutto il paesee pretendeva dai bottegai la robamigliore perchédiceva: era per Monsignore.

PassòLuzziil segretario di Prefetturasnelloarzillocon un soprabitodi mezza stagione di un bel colorino chiaroattillato alle reni;guardò in su a tutte le finestrevoltando un po' la testa perosservare Teresina.

Passòla moglie del sindacotutta imbacuccata in un velo nero tenendo frale mani un grosso manuale color pulcespellacchiato negli angoli;andava a messa a San Francesco.

Sispalancarono con gran fracasso le gelosie di case Portalupi - la vecchia Tisbedalla finestra in altoritirò subito le suecoperte - e le signorine Portalupi apparverol'una dopol'altrain mezzo alle tende di pizzosfoggiando tutte e tre unacuffietta rosa. Si assomigliavano in modo stranobrutte tutte e tresenza rivalità. Accennarono lievemente col capo a Teresinatenendo la bocca strettale spalle altele braccia serrate allavital'occhio socchiusoin una posa nobile e dignitosa. Stettero unmomento appoggiate al davanzale - o piùprecisamente a un guancialetto lungoimbottitoricamato dalle loropreziose mani - e poi si ritirarono l'una dopo l'altracom’eran venute.

Dallaporta del pretore irruppero quattro bambiniseguiti dalla mammalaqualepovera signora spettinata e in ciabattesi affannava arabbonire il più piccoloche non voleva andare ascuolae piangeva come un rubinetto aperto.

La vistadei bambini fece fare un salto a Teresina. E le sue sorelline? Ellale aveva dimenticate.

Corsesubito al letto delle gemellee le trovò che si mettevano lecalzealla rovescialitigando per le pere di Caramellaperchéognuna pretendeva la più grossa.

Le aiutòa vestirsi in frettale lavòle pettinòfece recitarloro le orazionipreparò le pere nel panierinoponendoviaccanto due grossi pezzi di pane.

- Io non voglio quel pane lì!

- Perché non lo vuoi?

- Non mi piace.

- Ed io voglio il cacio insieme alle pere.

- La mamma non lo ha detto.

- Lo vogliolo voglio...

- Zittenon gridateche la mamma dorme; poverinanon ha mai chiusoocchio tutta notte in causa dell’Idama l’Ida èpiccina piccinaha appena due mesi e non sa di ragione. Voi altredovete essere buonecapite? Avete otto annie otto anni son molti.

Le mandòa scuolaraccomandando loro di essere bravinebaciandole sulleguanciecon una tenerezza composta di giovane madre.

Leguardava allontanarsiferma in piedilasciandosi riprendere da untorpore fantastico che la spingevaquel mattinoa sognare desta.





IV.

Appenaoltrepassata la soglia dei Cacciaa sinistrasotto l'anditoc’erano due gradini e l'usciuolo che metteva allo studiodell'esattore.

Era questouno stanzino piccolocon le mura imbiancate a calceabbellite daspugnature in tinta azzurrinasotto un cornicione color cioccolata.La più assoluta semplicità nell'arredamento nonandava scompagnata da una certa burocratica importanza che sirivelava principalmente in una scansia piena di carte d'ufficiochiusase non riparatada un graticcio di fili di ferro; alla qualefaceva riscontro una piccola libreriaun po' tarlatacon qualchevetro rottoe mobigliata a metà di libri vecchidisposti inbell’ordine. Addossato al muroper non impedire troppo ilpassaggioun tavolaccio carico di carte scritte e stampate con uncalamaio d'osso nero nel mezzodue penne e gli occhialidell'esattore. Soprail ritratto del re. Quattro sedie coperte dipelle scura completavano il mobigliooltre il seggiolone vecchio informa di biga romanadove il signor Caccia troneggiavaspessoburbanzosoimponente sempre.

All'infuoridei contribuenti che venivanonelle ore fissea pagare le lorotasse nelle mani dell'esattore - e che egli accoglievacolla superiorità di modi di un ministro - pochepersonee mai inutilmenteentravano nello studio. La signora Soaveal mattinoper mettere un po' d'ordinetimidamenteusandoprecauzioni infiniteonde non smuovere nessuna cartae noncambiareneppure di un millimetroil posto del calamaio. Teresinaalle quattro preciseschiudendo l'uscio solamente per metàcoi piedi fuoridicendo: - È in tavola. - Carlinoquello due ore tutti i giorniquando veniva a casa dalginnasiocon tutti i suoi libri latini e le sue grammatiche.

Faceva icompiti sotto l'occhio severo del padreobbligato ad una perfettaimmobilitàfaccia a faccia colla libreriai volumi dellaquale egli conosceva tuttipel cartone. Colla testa fra le manimeditando dolorosamente Virgilio e Ciceroneegli figgeva gli occhisu quei libri allineatiimmobilisempre gli stessi: La DivinacommediaOrlando furiosoLa Gerusalemme liberata - tutti legati in pelle rossa - un dizionario delle favole incarta pecoraaltri due o tre dizionari - Nicolòde Lapiil Cimitero della MaddalenaLe notti diYoungBotta Storia d'Italiauno scaffale interoquest’ultimodiciotto volumetti color cecenon legati.

C'eranoancoranegli angolidelle strennedegli almanacchidue o trevolumi scompagnati di Walter Scotti Rimedi sicuri contro ognispecie di insetti; ma Carlino non vedeva che quei primiaugustiseriche contenevanoa detta di suo padreuna quantitàgrande dello scibile umano; e gli incombevanonelle ore penose de'suoi compitiquasi una minaccia continual’obbligo didiventare anche lui un grand'uomodi scrivere diciotto volumicomeil Bottao una raccolta così straordinaria di versi tuttifitti come nell'Orlando.

Il signorCacciapieno di sussiegoinarcando i sopracciglistava a guardareil suo unico maschioil rampollo che doveva trasmettere alle futuregenerazioni l'ingegno dei Cacciarimasto fino allora sconosciuto.Egli era persuasissimo cheobbligando Carlino a studiareCarlinoavrebbe studiato; cheobbligandolo a capireavrebbe capito; cheobbligandolo a pensareavrebbe pensato. E gli stava al peloassiduamenterigorosamenteterrorizzandolo co' suoi occhiacciacci ecolla sua voce sgarbata di falsettofacendogli entrare il latino afuria di scappellotti.

Il ragazzoche a spinte era arrivato alla quartaprocedeva come succedetalvoltaa qualcunotrovandosi in mezzo alla folladi noncamminare colle proprie gambema di lasciarsi portare dalla massa; estudiavastudiavastringendosi colle mani la zuccafinchéil terribile babbo lo stava guardando - salvo a prendersipoi la rivincitafuorinelle vie solitarie coperte d'erbadove isuoi compagni lo aspettavanobighellonandonelle ore tiepide delmeriggio; e sull'argineverso i boschidove la riva digrada a filod'acquadove crescono abbondanti i cespugli delle more sotto l'ombralunga dei pioppi.

Dirimpettoallo studiolo nel quale Carlino compiva il suo tirocinio forzato digenio in erbadall'altra parte dell'anditosi apriva una grancamera bislungascura e tristeil gineceo della famiglia; lìstavano le donne a cucirea ripassare il bucatoa fare i contidella spesa giornaliera; vi si pranzava anchee si passavano le sered'invernointorno a una vecchia lucerna ad olioaccomodata per usodi petrolio. Il mobigliopoco su poco giùsomigliava aquello dello studiolo; invece della libreriaun armadione di legnobiancoun cantonaledove si riponeva il pane e i cibi avanzatilatavola nel mezzoun piccolo divano incomodoangolosoduro come unmacignoparecchie sedie di differenti forme e coloridi cui unamolto bassa collocata sopra un gradino di legno nel vano dellafinestra. Ciò che dominava e schiacciava questo modestoarredamento borgheseera un gran quadro appeso alla parete maggiore;quadro massicciodello spessore di un palmoentro cui sinascondevano i segreti di una meccanica ingenuadestinata a metterein moto contemporaneamente le braccia di un mulino a ventol'asinello del mugnaio e l'orologio incastonato nel campanile.

Orologio easinello erano fermi da gran tempoma il mulino continuava adagitarecome un fantasma irrequietole sue scarne braccia in mezzoagli alberi di cartone dipintoche formavano lo sfondo delpaesaggio.

Comedecoro volantecalze incominciategomitolifascie distesegiocattoli usatiquadernipanierini.

La signoraSoave allattava la piccinastando seduta sul divanocon unosgabello sotto ai piedi; pallida sempredisfatta dalla sua recentematernità. Teresina andava e veniva colla pappacollevesticciuoleportando ordini e contro ordini alla serva in cucina.Quando poteva riposare un momentosi metteva sulla seggioletta inalto del gradinoe lavorava ancora.

La madrela guardavainteneritastruggendosi dietro quella sua figliuolacosì buona. Chi sa se sarebbe fortunata! - almenofortunata più di lei…

Quando eraassalita da questi pensierila signora Soave chinava gli occhi sulseno magroda cui pendeva un'altra bambina ancorae si facevavieppiù triste.

Difficilmenteil signor Caccia entrava nel gineceoe se per caso apparivasembrava sospendersi subito quella dolce intimità di madre efiglia. Entrambe lo guardavanoattentepaurose di vederlo dicattivo umorepronte ad obbedirlo ne' suoi minimi cenni.

Partitoluila madre riprendeva la sua calma melanconicacontemplativaeTeresinanella felice serenità dei quindici annitrovandosisollevata da un incubosorrideva.

Carlinofaceva delle irruzioni tempestosespaventando sua madremettendo aprova la pazienza della sorellagettando a soqquadro i gomitolibaccanone irriflessivotoccando tutto colle sue mani sudicie dimonello e di scolaro imbrattacarte.

La pacefiniva del tutto col ritorno delle gemelle dalla scuola. Allora eranoliti sicure. La signora Soave vi perdeva gli ultimi avanzi d'energiasollevando al cielo gli occhi neriopachiincrociandosi sul seno losciallino di lana bigiacon un movimento scorato.

Durava laribellione fino all'ora del desinare; fino a che il signor Cacciasedendo a mensagirava intorno quegli sguardi feroci che incutevanoterrore a tutta la famiglia.

Dopoallaseraquando l'esattore andava al caffè di piazza a leggere igiornalilo schiamazzo ricominciava fra Carlino e le gemelleaiutato dai vagiti lamentosi della poppanterotto dallesupplicazioni di Teresina e dai gemiti della signora Soave.

Cosìtutti i giorni.

Trascorsenovembre. Alle nebbie grigie successe la nevela folta neve che siaddensava intatta nella viacoprendo l’erbacoprendo i sassismorzando i passi dei rarissimi viandanti; la neve bianca che gravavasui tettigettando intorno un riflesso fastidioso; l’eternainstancabile neve che scendeva lentaegualesenza posa; tantofittaqualche voltache sembrava una cortina davanti alle finestre.

Allora ilsalotto dei Caccia diventava ancor più buio; Teresinaera obbligata a stare in piedi sul gradino di legnocolle tendinealzatela fronte appiccicata sui vetricucendo rapidamente nelleore brevi del giorno. Stancadi tratto in tratto sollevava gli occhie guardava nella viadirimpetto a leiil palazzo Varisiermeticamente chiusotutto neroin mezzo alla neve.

- Tralascia di lavorare; moviti un poco - diceva la madre.

Ma dovemuoversi? Fuori del salotto tutta la casa era di gelo; Teresinasoffriva il freddoaveva qualche screpolatura nelle mani; preferivastarsene nella sua triste nicchialavorando e guardando la neve.

La voceinterna della giovinezza non parlava ancora all’animatranquilla. Teresina era calma e casta. Appena un sollevamentoinsensibile del pettoin certi momentiun languore nella pupillaaccennavano il leggero fermento che si formava a sua insaputa.Guardava allora più intensamente il velo bianco che lestava davantie le alte muraglie e il cielo con una fissitàprolungata e distratta che le faceva intravedere lontani orizzontiindeterminati.

Vennedicembrecolle sue festecol movimento gaio della casacollesolenni funzioni religiose; dicembreil mese dei fanciulliin cuile due gemelle acquistarono una puppattola nuovache Carlino siincaricò subito di romperesotto pretesto di migliorarla. Indicembre pureIdala piccinafece mostra del suo primo dente.

Gennaiospazzò la neve. Il sole brillavama il freddo era piùvivo che mai. Il signor Caccia avvertì che bisognavaeconomizzare la legnase si voleva giungere alla fine dell'inverno.

In casaPortalupi c'era un movimento insolito. Le tre signorine andavano aiballi di casa Areseuna volta ogni quindici giorni; e grande eral'andirivieni delle cassettedelle scatole della piccola sarta checorreva a provare e riprovare; mentre la sarta principaledaCremonafaceva certe spedizioni misteriosea grande velocitàe mandava pacchi di campioni.

Le seredel balloTeresina spiava accanto alla finestra l'uscita delcarrozzonee figgendo lo sguardo negli sportellivedeva oggi unbiancheggiamento di velidomani un riflesso di raso azzurrino; orail luccichio di una gemmaora un guanto di pelle rosea morbidamenteprovocatore e la carrozza passavapesanterumorosa al trotto di duebuoni cavalli romagnolilasciando negli occhi di Teresina ilbarbaglio luminoso di una visione.

- Che sfoggioeh? - disse una sera la moglie del pretoreche era una linguetta (veniva ogni sei o sette giornicolla pezzuolain testada buona vicinale sere che i suoi marmocchi siaddormentavano presto): e soggiunse:

- Vogliono proprio maritarli i loro tre scorpioncini.

- È della seconda che si parlavacredo - obbiettòla signora Soave.

- Per il sottoprefetto? Ma essi tentano di gabellargli la prima. La miaopinione è che non ne prende nessuna. Andare a fidarsi diquesti meridionali! Io ci sono stata quattro anni laggiùe li conosco.

- Hanno una bella dote.

- Almeno si dice; noi peròcara signoranon ci siamo maritateper la nostra dotenevvero?

La signoraSoave incrociò il suo sciallino sul pettoquasi a nasconderei rimpianti che essa sola conoscevae rispose:

- Si fa quel che si può.

- Sicurocapiscoquando si hanno delle figlie da maritare... le mieper fortunasono ancora piccine. Lei noche ha qui una ragazzagrande fatta...

GuardòTeresinala quale arrossí violentementee si sentìpresa da una improvvisa vergogna.

- Teresina è ancora giovane.

- Sìma se le capitasse un buon partito?…

- Tutto è destino - interruppe la signora Soavegravementecon quella inflessione lamentosa della voceche andavacompagna allo sguardo spento de’ suoi occhi neri.

E vennefebbraio e venne marzo.

Laprimavera non portava nessun cambiamento alle abitudini monotonedella famiglia; ma si aprivano le finestree dalla via entrava unraggio di luce nuovail rumore dei passiil bisbiglio delle voci.

Anche lefinestre delle altre case si aprivanoscoprendo i tendoni dimussolinoinsaldati di fresco: sui davanzali sporgevano i vasi difiori tenuti chiusi per il freddo; rami secchi di geraniofustipolverosi di cedrina; le violacciocche soleverdi e rigogliosemettevano già i primi boccioli.

Allafinestra della vecchia Tisbe danzavano al vento i scialli d'invernole sottane tricoté e le vite di flanella.

La casinadi don Giovanni Boccabadati stava più chiusa che mai.Egli era partitoun mattinovestito elegantementecon unavaligetta di pelle di Russia a lucchetto e borchie niellate. Ilvecchio servitoremuto come una sfingelo aveva accompagnato sullasoglia; poi la porta si era rinserrata ermeticamentecome se ilvecchio avesse dovuto seppellirvisi.

- Don Giovanni è a denari - disse in quell'occasionela moglie del pretore - prende il volo come le rondini...

Teresinapensò un pezzo a questa frase della "pretora". Lesembrò che dovesse essere una bella cosa il volarevolarevolarecome don Giovanniin un bel mattino d'aprilecon unavaligetta in manovia per il mondoincontro all'ignoto; percampagne verdi e fioriteper laghi azzurriper monti fantasticiper città incantate; o volare come le rondinelle del suogiardinoai dolci nidi piccinicosì piccini che appena indue vi si poteva stare.

Teresinali guardava con tenerezza quei nidiappiccicati alle travi delporticolieti di giovani amorifestanti per le nuove covate. Unosolo restava abbandonato nella tristezza della vedovanzanellairreparabile tristezza dei giorni che non sono più.

Dopo ilporticosi stendeva fuori irregolare uno spazio di terrenochiamatoabusivamente giardino. In realtà aveva sul davanti qualcheaiuola che potevaa prima vistaconfermare l'illusione; specie inquel tempo dell'annopoiché tutte le viole del pensiero eranofioritenelle loro infinite gradazioninel velluto intenso dellefoglie scurenel raso luminoso delle foglie pallide; e al di sopradi esse ondeggiavanotremolantidue arbusti di quel fiore chesomiglia ad una nevicata.

Pochimetri dopo incominciava un tentativo di orticello domestico e difrutteto; rimasti e l'uno e l'altro all’esposizione rudimentaledi un solco d'insalatatra masse di salviadi rosmarino e difinocchiocolla compagnia di un gracile pesco coperto di scarsifiorellini rosei.

Oltre nonc'era più nulla. Il terreno ghiaiosoingombro dicalcinaccisi rifiutava alla vegetazione. Solamente in un angolounficol'albero delle terre steriliinnalzava le sue ramificazioninodose fin oltre il muro di cinta.



V.

Come avevafatto a muoversi quella vecchia zia di suo padre? - alasciare Marcariadov'ella era nata sessant'anni primae dove eratrascorsa tutta quanta la sua onesta e oscura vita?

Teresinaera meravigliatae sopratutto giuliva per l'affetto che le mostravala buona vecchia; giuliva oltre ogni credereperché oramaiaveva la promessa di accompagnare la zia nel suo ritorno a Marcariae fermarvisi una quindicina di giorni.

Sulleprime il signor Caccia aveva detto di nocrollando il capoinarcando le sopraccigliacosì che Teresinasbigottitanonardiva nemmeno fiatare. Ed era stata la signora Soavecon uncoraggio insolitoquantunque avesse come sempre le lagrime agliocchiera stata lei a supplicare il maritoa persuaderlo che quelpo' di innocente distrazione avrebbe fatto bene alla ragazza.

- Mammae tu come farai?

Questo sìTeresina lo aveva dettoperché sentiva il dovere di dirlo.

- Non ci pensareTeresa; si tratta di pochi giorni.

- E se la bimba non è buona?

- Sarà buonava'.

- E se le gemelle non si lasciano pettinare?

- Si lascerannodatti pace; e godi in pace la tua vacanza; finchépuoi!…

Questeultime parole la signora Soave le pronunciò cosìtristementecome sapesse che i giorni del godere sono contatichesua figlia le saltò al collobaciandola.

La ziaRosanella placidezza serena di una vita di piantaconservava unpo' della bellezza statuaria che l'aveva gettata a diciotto anninelle braccia di un uomo - senza che né l'uno nél'altra si amasseroperché lui aveva bisogno di trovar moglieper accudire al negozio; e lei era una ragazza da marito.

Di poi erasempre rimasta nel negoziocalmafedelesembrando ignorare lenumerose scappatelle del consorteaggiunte ad una relazione anticache lo teneva quasi sempre fuori di casa. Aveva avuto sedici odiciassette figlima non conosceva l'amorenon era stata amata mai.Allattava o era incinta continuamenteassorta in queste curenonsentendo la mancanza dell'amoreillusa o paga nelle apparenze diesso. Così si era trovata coi capelli bianchi; e dopo averallevati tanti figlisolaperché quasi tutti le erano mortie i pochi superstiti avevano cercato fortuna lontano. Rimase soladietro il banco; sempre tranquillacolle belle braccia statuarieposate in grembo; finchégli acciacchi del marito reclamandoassiduamente la sua presenzaaveva dovuto rinunciare anche alnegozio.

Oraconduceva seco Teresinae la sua bontà passiva di donnalinfatica compiacevasi nella gioia della fanciullacome un intornoplacido alla propria giovinezzaalla giovinezza ch'ella avevaperduta senza ebbrezza e senza rimpianti. La guardava cogli occhimansuetiseguendone i movimenti e la casta espressione del sorrisoe le grazie inconscie della personafino a sentirsene intenerita.

Appenasedici anni!

La signoraSoavecolla bambina in collole accompagnò alla carrozza cheaspettava nella via.

- Addio mamma; tornerò presto.

- Sìnon ci pensare.

- L'abito bianco di Idase ti occorreè nell'ultimo tirettodel mio cassettone.

- Sìsì.

- Ti scriveròmamma.

La signoraSoave non poté più rispondere; appoggiata allostipite della portasi riparava colle manine gialle un raggio disole; ma dietro le mani gli occhi opachi luccicavano.

- Come ti vuol bene la mamma! - sussurrò la zia Rosa.

- Oh! sìsìmi vuol bene.

Cosìconfermò Teresinagiubilanteprendendo il suo posto nellacarrozzellatanto felice come se avesse salito i gradini di untrono; e nella ebbrezza che la dominava sollevò gli occhivide alla finestra la vecchia Tisbee la salutò con uninchino sperticato.

Carlinocanzonandolale disse all’orecchio:

- Sembri la maggiore delle Portalupiquando saluta il sottoprefetto.

Teresinarise.

Alle primeondulazioni della carrozzaquando il cavallo si mosseTeresinasentì battere il cuorecome se tutta la sua vita cambiasse inquel punto. Mandò un altro bacio alla mammasbirciando laporta del pretorese non ci fosse nessuno a vederla; e le dispiacqueche le finestre delle Portalupi fossero tutte chiuse.

Ma poiattraversando il paesefu un trionfo. Luzziche stava sul caffèfumando un sigarola scappellò così profondamentech’ella si sentì diventare tutta rossa; don GiovanniBoccabadatiche gli era accantoindolente e distratto con gli occhiper ariala guardò anche luichiudendo un poco le palpebre.Il farmacista si fece sulla soglia della sua bottegaallungando ilcollo. Presso la chiesa due signorela moglie del sindaco e lasorella del dottor Tavecchiale sorrisero benevolmente.

SommatotuttoTeresina aveva piegato tante volte la testae si era tenutacosì rittasostenuta sulla vitache al momento di imboccarela strada maestrafuori dell'abitatoella si lasciò andareriposandosisui cuscini di pellecon un gran sospiro di felicità.

Avvezza aduna continua occupazionegustava quei momenti di ozio; le sembravadi essere una gran signorae si guardava attorno con compiacenzaosservando gli alberi e la strada e il cielocome se li vedesse perla prima volta.

Non eraaffatto fantastica; ma quel sentirsi trasportare in mezzo a nuvolonidi polvereper uno stradone lungo lungola esaltava leggermente;pensava che tutta quella polvere era sollevata per leiche ilcavallo correva per lei e per lei cigolavano così allegramentele molle sconquassate della carrozzella - per lei e per suazia.

Sentivauna riconoscenza infinita verso Diouno slancio d'amore verso lanatura e verso i suoi simili. Come tutto era bello al mondo! Cometutti erano buoni!

Siinteressò ai paesellialle casupole sparse nei campi. Làcerto abitavano famigliuole tranquillebabbi e mamme amorose efanciulli felici.

Che bellecorse lungo le siepi! Che cantare allegro nei pratidi seraquandovolano le lucciole! Intanto era tutto uno splendore; tutto sfolgoravasotto i raggi del sole. Lo stradone gialloliscioserpeggiantesiperdeva in mezzo alle campagne grassedi un verde intenso; per tuttala pianuranon si vedeva che verde; il verde uniforme del fienomaggengoil verde vario degli olmi e dei nociil verde pallido deisalici; e al di soprapiù altofrastagliato sulcieloil tremolìo cangiante dei pioppi.

- Ziac'è ancora molto?

- Un po'!

Ellapensava come sarebbe contento Carlinose avesse potuto trovarsi alsuo posto; e nella incorrotta bontà del cuore ebbe quasi unrimorso della sua gioia; ma poi si consolòpromettendo a sestessa di portare al fratello un usignolo svezzatoche ne avevatanto desiderio.

- Vi sono usignolinevveroa Marcaria?

- Se vi sono? Io crederei... certocerto vi debbono essere.

La ziaRosa rispondeva placidamentetenendosi le mani incrociate sull'ampioseno di matronaa rattenere la mantiglia che la brezza facevasvolazzare.

Quellabrezza Teresina la beveva avidamentetutta sporta fuori delsoffiettoinsensibile al sole ed alla polvereaccontentandosi disbattere le palpebre quando non ci vedeva più.

- C'è moltozia?

- Un altro po'!

Unsediolotirato da un puledrino morelloveniva a rotta di collo;pareva un fulmine.

- Si può essere più disperati? - esclamòla zia nel mentre cheavendo trovato uno spillose ne appuntavametodicamente la mantiglia.

La stradain quel punto era piuttosto stretta; il sediolocorrendoall'impazzataurtò una ruota della carrozzellafrantumandouno dei raggi che volò lontano.

Ilvetturino fermò subito il suo equipaggioe bestemmiando scesead esaminare i danniintanto che la zia Rosa calma e sorridenteesortava Teresina a non aver paura.

- Non è nulla - disse il vetturino - mapoteva ben essere peggio.

Anche ilsediolo si era fermato. Chi lo guidavaun giovinotto brunoscesepremurosamentee venne ad informarsi se le signore si fosserospaventate.

Le signorenon si erano spaventate.

Allora ilgiovinotto diede qualche cosa al vetturino per compenso della ruotarisalì sul sedioloe toccando lievemente il cappello ripartìdi trotto.

- Giovani spensierati! - concluse la zia Rosa.

- Quello poi è il più spensierato di tutti - replicò il vetturino.

- Lo conoscete?

- E come non conoscerlo? Lo si incontra dappertutto; oggi quidomani aMantova; la mattina in sediolo per le campagnela sera a Parma o aCremona. È l'Orlandi.

- Ah Orlandi? - esclamò Teresina. - Seavessi saputo che era Orlandi lo guardavo meglio.

Si spinsecon tutto il capo fuori della carrozza; ma il sediologiàlontanonon appariva più che a guisa di un punto neroin mezzo alla polvere.

- Ne hanno parlato tanto l'anno passatoquando ci fu l'innondazione - così replicò Teresinacon una inflessione dirammarico per non averlo visto.

Ilmeriggio scendevaardentesu tutta la campagna. Bruciava il solebruciava la polvere; sul verde della pianura si stendeva un leggerostrato incandescentecome oro fusograve e monotono inquell'ampiezza solenne della valle del Posotto il cielo uniformelatteo. Non un grido d'uccellonon un fruscìo d'alinon uncanto di villanella; dovunque il silenzio altissimo del mezzogiornoil silenzio dei campi abbandonatidella natura riposantedei boschimuti e misteriosi.

Teresinarinnovò la sua domanda:

- C'è molto?

E questavolta la zia rispose:

- Poco.

QuandoaMarcariaabbassarono il ponte levatoioe la carrozza passòl'Oglio su quell'arnese irrugginitopoco mancò che Teresinanon gridasse per la meraviglia. Lì veramente ci voleva suofratello Carlino.

Quanto aleiaveva un'idea molto vaga ed incompleta dei ponti levatoinéla sua fantasia limitata poteva suggerirle fantasmi medievali; ma leparve tuttavia una cosa stranadegna di essere ricordata quandoavrebbe fattoa casail racconto del suo viaggio.

Lo ziol'aspettavaimmobileseduto sovra una poltronacolle gambe disteseattraverso una seggioletta di paglia. Era un vecchione alto erobustocon folti capelli ispidiocchi furbi e bocca sensuale.Guardò subito la nipoteistintivamentecoll’occhiatarapida e sicura dell'antico donnaiolo.

Sua mogliegli si fece dappressocon molta premuradomandandogli come stavaese le gambe andavano bene.

Egli feceudire un sordo brontolìodimenando il capointanto che collemani si palpava le ginocchia.

Teresinacon uno slancio di bontàgli gettò le braccia alcolloe baciandoloa casoincontrò le labbra gelide delvecchio; subito si ritrasse ma egli gettò un lieve grido dipiacereguardandola cogli occhi luccicantiringraziandola; finchéun sordo richiamo del suo male gli fece riportare le mani aiginocchicrollando il capo.

- Ho fatto bene a condurla? - chiese la zia Rosaa vocebassa.

Accennòdi sì.

- Prospero è in buona salute; così pure sua moglie etutti i figli. Mi hanno detto di salutarti.

Nuovoaccenno del capo.

- Questa poverina non ha mai veduto nullafa una vita da vecchia incasa sua; sai le idee di Prospero.

Ilvecchione sollevò il capoimprovvisamentechiedendo:

- Quanti anni ha?

- Sedici compiuti.

Quelleparole: "sedici anni"si fermarono nell'ariacome sospesesulla testa dei due coniugiche si guardarono un momentocolpitidalle stesse riflessioni.

La ziaRosa sospiròplacidamentecolle mani abbandonate sul grembo.Suo marito fece una smorfia rabbiosae tornò a fregarsi iginocchicoll’occhio fisso e le labbra pendenti.

IntantoTeresina era corsa all'uscioche da quella stanza terrena mettevanel giardino.

Era unosprazzo di lucedi verdedi rosai fioriti; un bel bracco dormiva alsoledue gattini novelli scherzavano con un fuscellino. Teresinasorrisesorrise al soleai fiorialla propria giovinezza che siirradiava su ogni oggetto circostante. Si sentiva forteavevaappetitoaveva nelle gambe un formicolìo di vita esuberantei polsi le martellavano deliziosamentecon un ritornello gaiopienodi promesse.

Quando lazia la chiamòella corse a salticome un capriolocompromettendo la gravità del suo abito a strascicocheportava per la prima voltatanto felicetanto felice che se leavessero detto di volarene avrebbe fatto subito la prova.

- E cosí? Ti annoi? - interrogò la zia Rosacol suo accento benevolo di vecchia mamma - questa èuna casa un po' triste per una giovinetta.

- Nonooh no.

Cosìprotestava Teresinasinceramentegustando la gioianuova per leidi un riposo assoluto - guardandosi attornocuriosainquella gran stanza vuotaun po' freddaun po' ammuffitadove lefigure calme dei due vecchi sembravano sopravvivere a una quantitàdi memorie distrutte.

- Questo è il banco - disse la zia additando ungrosso banco di quercia annerito - il banco del negozio.

- Ah sì?

- Questo è il divano dove il mio penultimo figlioGiovannistette infermo sette mesi.

- Poverino!

- Quel quadrovediquel quadro ricamatola Madonna dei dolori? Fu illavoro per gli esami della mia povera Giudittinal'ultimo anno chestette in collegio.

- Bello!

- Osserva le mani; solamente per le mani lavorò due mesi emezzo.

- Ooh! Davvero?

E Teresinarimase estatica davanti a tutti quei ricordidolcemente commossa;finché lo ziopuntellandosi a stento sui braccioli dellapoltronafece atto di levarsi.

- Sarà ora di andare a tavola; il tocco è suonatoequesta ragazza deve aver fame.

Poi legettò un'occhiata indefinibileborbottando fra le labbrasdentate...

- Sedici anni!

VI.

Ildestarsiall'indomaniin una camera nuovafu per Teresina sorgented'altri piaceri.

Si erasvegliata prima di soprassaltosembrandole di udir piangere legemelle ed accapigliarsi fra loro; ma accorgendosi dell'erroresorrisee ritirando le gambe che aveva già buttate fuori dellettosi rannicchiò dolcemente sotto le lenzuola. Ilmaterassomollesovrapposto a un saccone di piumaaveva cedutosotto il suo corpoformando una nicchietta caldanella quale lafanciulla affondava con delizia. Stava voltata di fiancocolle maniraccolte sul pettoi ginocchi un po' rialzatila testa abbandonatasul guanciale bassoe guardava.

Non vi eranulla di speciale in quella camera; ma per Teresina tutto era nuovoincominciando dal lettofino alla catinella di una bella terraglia afiori azzurri. Sulle paretiquattro quadrettini modestirappresentavano le avventure di Telemaco; Venere che conduce Amorenell'isola di Calipso vi era dipinta con un vestito rosafatto allavierge e con maniche a sabot. Teresina non pensòse quell'acconciatura andasse o no d'accordo colle tradizioniclassiche; vedeva quella bella signora vestita di rosa in mezzo atante altre vestite di biancoe il giovane Telemaco fra esse; néle parve che la scena fosse antipaticatutt'altro.

A casasuaproprio dirimpetto al lettoaveva una santa Lucia cogli occhisul piatto; il confronto era tutto a vantaggio delle avventure diTelemaco.

Un leggerofruscìo accanto all'uscio le trasse un grido. La zia Rosaentròserenacalmacon una tazzetta di caffè fra lemani.

Lavergogna di essere stata sorpresa a lettofece balbettare a Teresinauna gran quantità di scuse; ma la zia le tagliò subitoa mezzosorridendodicendo che alla sua età si dormevolentierie che doveva essere un po' stanca per il viaggio delgiorno prima.

- Lei peròziaè già levata...

- Oh! è una cosa differente. Io ho perduto l'abitudine didormirequando allattavo i bambinie poi ne avevo sempre qualcunoammalato; e adesso ho il vecchio. Io non dormo più.

Disse: "ionon dormo più" tranquillamentecon un fondo ditorpore perennecome se la sua vitatanto di giorno come di nottenon rispondesse che al meccanismo semplice delle funzioni materiali.

Teresinanon voleva prendere il caffènon c’era avvezza. In casasuasolamente la mamma prendeva il caffè.

- Non importaqui sei forestiera - soggiunse la zia Rosa colsuo sorriso buono che incoraggiava.

E quandoTeresina lo ebbe presoper ubbidienzasi sentì i nervidolcemente sferzatiun benessere in tutto il corpoun'energiasingolareuna strana lucidità di mente. La zia era uscita.Ella riprese la tazzetta che aveva posata sul tavolino con un restodi caffèe la sgocciolò allegramentesucchiandosi lelabbra. Poi balzò dal letto come una molla.

Nessuno lefaceva premura; la mamma non chiamava "TeresinaTeresina"con quella vocetta spenta ch’ella conosceva cosí bene;non le gemelle da pettinarenon da ammannire le colazioninon lefascie d'Ida da rotolare per beninonon la voce burbera del padre:"Che nessuno tocchi le carte del mio studio!"

Tutta lacamera per leivuota; una ampiezza sconfinataun'assoluta libertà.

Incominciòa vestirsi lentamentegustando il piacere di correre a piedi nudisul tappetino del corsetto e di girellare in sottanasenza bustorialzando ad ogni po' lo spallino della camicia che le scivolava sulbraccio.

Come eranobianche le sue braccia! Ella non aveva mai avuto tempo di guadarleele apparivano ora come le braccia di un'altra personacosìsottilirotonde e bianche. Proprio non sapeva capacitarsi comefossero bianchementre il colorito del volto tendeva al brunoedanche il collo era bruno; solo scendendo sotto la clavicoladoveprincipiava il pettoil bianco riappariva.

Questaineguaglianza della sua pelle la sorprese; certo non doveva esserecosa normale. Alloraimprovvisamentefu assalita da un pensierostrano. Era essa bella o brutta?

Se fossebella!

Siaffacciò allo specchioe si pose ad esaminarsi cosìminutamenteda vicinoche il suo fiato appannò il cristallo.Lo pulì subitopazientementeprima colla mano e poi collasalviettafinché resolo affatto lucentetornò aguardare il proprio volto riflesso; ma il dubbio non si scioglieva.

Ella nonprovavamirandosiquello stupore che suscita la bellezza; scoprivaal contrariocon un po' di dispiacereche il suo naso non scendevadritto e profilato come il naso della zia Rosala quale era statauna vera bellezza; e nemmeno le sue guancie e il suo mento nonavevano quelle linee pureche facevano somigliare la zia ad unastatua di marmo.

Era dunquebrutta? Teresina stava per venire a tale conclusionequando dataun’ultima occhiata generale che abbracciava l'armonia intera delvoltone ricevette un’impressione buona e si sentíconsolata. Bella non le sembrava di esserema bruttabrutta come lePortalupinemmeno.

Cercòun momento una parolauna parola che lei conoscevae che lesembrava applicabile alla propria fisionomiama non la trovòsubito.

Deciseallora di vestirsie lo fece con una accuratezza insolitastringendo il bustoosservando bene se i capelli si spartivanoeguali da una parte come dall'altra.

- Incomincio a stimarmi anch'io! - Disse cosìsorridendo a se stessa nello specchioper l'idea buffa ch'ellapotesse stimarsie restò immobilecolpita dalloscintillio che vide davanti a sé su quelle labbra rossetumidee su quei denti di una candidezza abbagliante. Tornò asorridere. Che cosa bizzarra! Tutto il suo viso cambiava. Facevadunque quell'effetto lìleiquando rideva?

E si sentíinvasa da una allegria curiosissima; continuava a rideresaltellandoper la cameracon una voglia di cantaredi ballaredi abbracciarequalcuno.

Ad untratto si fermòdandosi della scioccherella.

Scese nelcortilegravecompostaprendendo delle arie da signorinaguardando benignamente il bracco che sonnecchiava lungo disteso nelcanile; fece qualche passo nel giardinochinandosi per fiutare irosaiseriacome persona che se ne intende.

- Cogli le rose - le gridò a tergo la voce dello zio.

Ilvecchione la osservavaaffacciato alla finestra del tinellocollemani scarne appoggiate allo stipite.

Ella colsele rosescegliendole; lasciando da parte i piccoli boccioli nonancora dischiusi; preferendo le rose pienecarnosedal grembo cupoe fortemente odoroso; le fiutava ad una ad una prima di riunirle inmazzo; le fiutò ancora tutte insiemea lungocolla facciasprofondata in mezzo alle foglie frescheumettandosi le guancie dirugiada.

- Sono bellenevvero?

- Bellissime.

Ritornòsui suoi passilentamentecercando ancora fra i cespuglistringendosi al petto tutte quelle rose che le scappavano dalle dita.

- Fammele vedere

Teresinasi accostò alla finestradove il vecchione faceva oramaisforzi incredibili per sostenersi rittoe gli presentò lerosesporgendosi avantisfiorandogli colle mani le maniagghiacciate.

Eglibarcollò un momentoodorando le rose sul seno dellafanciullae poi cadde sfinito nel seggiolonecol capo ciondolantesovra una spalla. La fanciulla si spaventò; lasciòcadere tutti i fiori sul davanzalee corse in cerca della zia.

- Un po' di sfinitezzaniente altro - disse la ziasollevando con braccio esperto la testa del marito.

Un brodocaldo lo rimise del tuttoe quando al brodo fu aggiunto unbicchierino di Malagagli occhi del vecchio presero a scintillareasprazzifinché restarono immobilirapidamente attratti dallerose sparse intorno a lui.

Mezz'oradopo dormiva.

- Gli uomini - disse placidamente la zia Rosainfilando lemaglie di un pedule - sono molto più debolidi noi.

- Sì? - fece Teresinaincredula.

- Sì.

La zia nonaggiunse altro. Quella sillaba racchiudeva un'esperienza lungamultiformesicura. In quella asserzione che sintetizzava ladebolezza del sesso fortec'era tutto quanto il frutto della suavita trascorsa osservando; osservandocalmadietro il banco delnegozioaccanto ai lettini dei suoi sedici figlinelle ore lente epazienti della solitudine femminile.

Teresinanon poteva comprendere e non comprese; ma rimase sotto l'impressionedi un pensiero graveindeterminatoguardando quei due vecchi:l'unodecrepitoattaccato rabbiosamente alla vita; l'altraserenanel suo indifferentismo; bellanella calma marmorea delle forme chenessun soffio di passione aveva alterate mai. Lo zio le faceva un po'soggezioneesegretamentele ispirava un certo disgusto; ma nonpoteva saziarsi dal rimirare la zia Rosaseduta coll'imponenza diuna romana anticaagitando i ferrimoderatamentecolle manipienottealzando tratto tratto lo sguardo cristallinodi unalimpidezza d’acqua.

Scrissealla mamma "la zia Rosa è tanto buona quanto bella".

Ma chi erail giovinetto lungo e magrocoi calzoni color cannellache passavaalla mattina sotto la sua finestraproprio nel momento ch'ellaschiudeva le gelosie?

Lo seppeun giornoa tavolapoiché la zia scodellando i tagliarinidisse:

- Non so cos'abbia Cecchinoche lo vedo passare di qui cinque o seivolte al giornoCecchino del mastro di Posta.

Sapeva ilnomesapeva che era figlio dell'impiegato postale. Osservandolomeglioseppe anche che non era un brutto ragazzoun po' patitoconcerti occhi grandi a fior di testache sembravano voler pigliare lepersone come in una tanaglia.

Era undivertimento vederlo passare tutte le mattineed era comodo perl'ora: Cecchino significava le sette e mezzo in punto.

La ziaRosache conosceva la famiglia del mastro di Postanon disse di nouna sera quando vennero a chiederle Teresina per fare quattro saltial suono dell'organetto; e Teresinache non aveva mai ballato invita suasi sentì dare un tuffo nel sangue. Certamente erafelicema avrebbe voluto nascondersi a tutti gli sguardisìpoca aveva sicurezza in sée tanto timore di comparire goffae screanzata.

All’entrarein salacon tutte quelle sedie allineate lungo le paretiilpavimento spruzzato di acqua frescae quattro candele conficcatedavanti a quattro specchiettiella provò un momento divertigine. Non vide nessunonon guardò niente; a passi dasonnambula raggiunse l'angolo più buio; c’era unaseggiolina umiledimenticata nel vano della finestradove avevaservito per appendere una coperta bianca a guisa di cortinaggio.

Teresinasedette làe vi rimase come inchiodata.

Vedevaconfusamentedue o tre coppie che giravanoe le parve che la ziaRosadall'altro lato della salala invitasse col gesto ad uscire diquel cantuccioa muoversi anche lei come le altre. Ma c’era unanebbia davanti alle sue pupillenon percepiva nettamente i contorni;e la nebbia crebbediventò tenebra foltadopo che le si erafermato proprio davanti qualche cosa color cannella.

- Posso?

Che cosasi voleva da lei? Che cosa le offrivano? Chi parlava? Ella risposevivamente nonorespingendo un cartoccinotutta tremante.

- La pregofavoriscasolamente un confetto.

Eranoveramente confetti? Non la si voleva burlare? Non erano piuttostosassolini o mollica di pane? Suo fratello le aveva fatto tante voltequello scherzo.

La voceinsistette cosìche Teresina si decise di allungare la manoe prese un grosso confetto.

- Non balla?

A poco apoco Teresina rinveniva dal suo stuporee gli occhi riprendevano aveder chiaro. Il signor Cecchino aveva un modo di parlare mellifluole stava chino davanti con tanto rispettoch'ella ebbe una lontanaintuizione di fargli piacere ad accettare le sue cortesie.

Risposedolcemente:

- Non ho mai ballato.

- Non sa ballare?

- Oh! a scuola... oppure colle mie sorelline...

- Ma è la stessa cosa. Mi favorisca un giro; sono persuaso chelei balla divinamente.

Ripose iconfetti in una tasca del giubbettoe le porse galantemente la mano.

- Temo m'abbia a girare la testa...

- Niente paura; ho il braccio saldocon me non può cadere.

E perdarle subito una prova della sua forzale recinse la vita stretta.

Teresinaripiombò nel buio. Non aveva più coscienza di sestessagiravagiravaacciecata dalle quattro candele che lesembravano girandole abbagliantisentendo nel fianco il cartoccio diconfetti che Cecchino aveva in tascanon osando dirgli di tenerlameno serrata.

- È stanca?

Moriva; manon ebbe il coraggio di confessarloinebbriata dal motodallamusica saltellantedal calore di quel corpo stretto al suoedall'odore di gelsominiacutissimoche emanavano i capelli del suoballerino.

- Lei balla da angelo.

Perfortuna l'organetto cessò di suonare; Teresina cadde sullaprima sediarossa in viso come una brace.

Lasecondala terza volta che ballò con Cecchinonon aveva piùtanta suggezione; ma il turbamento cresceva. In fine della serata eragiunta al punto da non potergli parlare senza che le tremasse lavoce; e quand’egli dissestrisciando le parolefacendo gliocchi espressivi:

- Come mi dispiace che passino queste ore!

Ellarapitafuori di séchiese:

- Perché?

Cecchinonon aspettava altro.

- Per dovermi separare da una persona tanto simpatica.

La salagirava come un arcolaio; girava l'organetto col suonatore; girava lazia Rosa; girava leiTeresinastretta fra le braccia di Cecchino.

E chigirava realmente erano lor due solialle battute finali dell'ultimogaloppo.

- Ti sei divertita? - interrogò la zia Rosaquandofurono a casa.

- Moltissimo - rispose Teresina con una convinzione che letrapelava dagli occhi.

Una voltachiusa nella sua cameraper poco fu feliceriandando col pensieroogni frase di quel memorabile balloricordando sillaba per sillabatutto quello che le aveva detto Cecchino: "Posso? La pregofavorisca almeno un confetto. Non balla?"tuttotuttofinoalle parole "una persona simpatica". Questesolamente apensarcile sconvolgevano il cuore.

Guardòamorosamente il confettonedivisa fra il desiderio di mangiarloequello di conservarlo eternamente.

Il lettole parve durotroppo pesanti le coperte. Era stancama non leriusciva di chiudere occhio; se appena le si appesantivano lepalpebrescattavasembrandole di udire mormorare lì sulguanciale: "una persona tanto simpatica". E poi le venivanoin mente i ritornelli dell'organettoe si stringeva al materassocol braccio sinistro arrotondato in altoil braccio destro tesonell'illusione di ballare ancora. All’alba si addormentò.

Il primopensierosvegliandosifu per lui; ma invece di essere un pensierogaio e sorridentele si affacciò quasi come un dolorecomeuna spina acutissima passata nella pelle.

Inoltrandoil giornola sua malinconia cresceva. Non aveva mai provato unasimile tristezza. Si sentiva cambiatacome se un gran numero d'annile si fosse aggravato sopra; aveva pensieri mesti di mortedimalattieuno sconfortoun vuoto.

Si toccaval'abito quilìdove lo aveva toccato lui; e le veniva unagran voglia di piangere.

All'oradel pranzo aveva il cuore così oppressoche non potéquasi ingoiare cibo.

- Va’ a coricartipoverinasei stanca.

Teresinanon se lo fece dire due volte; penava troppo a doversi frenaredavanti gli zii; sentiva il bisogno della solitudineper trovarsilibera col novo ospite che albergava in leiper poter chiudere gliocchie pensare al signor Cecchino.

La secondanotte non fu migliorené il giorno seguente. Il mattinodalla sua finestralo aveva veduto passaree lo sguardo prolungatoche egli le diedel'avevaper un istanteresa beata; ma poi lamalinconia la ripreseinsistentetormentosa.

- Questa ragazza è ammalata - disse la zia Rosaaccarezzandola con dolcezza - forse le fa male l'aria.

- Nozianon mi fa male.

- Sei pallidainquieta; lasciami sentire il polso. Ti duole il capo?

- Un po'.

- Lasciala in pace - interruppe il vecchiogettandole allasfuggita una delle sue occhiate penetranti. - Non ènulla.

- Lo credo che non è nullama la gioventù ha bisognotratto tratto di qualche rinfrescante; ai miei figliquando stavanopoco benedavo un cucchiaio di manna. Lo vuoi Teresinaun cucchiaiodi manna? È dolce.

E poichéTeresinagirellando per la camerasi era allontanata alquantoilvecchio fece trombetta colle mani alla boccain direzione di suamoglie.

- È innamorata!

E ghignòcrollando la testa sulla dabbenaggine della buona donnala quale nonfu capace di aggiungere altrorestando cogli occhi fissi; queichiari occhi cristallinilimpidiche avevano visto molte cose nellavitama l'amore mai.





VII.

Il signorCaccia venne di punto in bianco a prendere sua figliala quale nontentò nemmeno di reagirema si trovò così mestaper questa decisioneche a stento frenava le lagrime.

- È troppo sensibile - disse la signora Rosa - somiglia tutta alla sua mammabenedetta donna.

E lo zioaccomiatandolale sussurrò piano:

- Sta’ allegratutto passa. Questovedi - additòle proprie gambe inferme e i capelli bianchi - è ilsolo male per cui non c’è rimedio.

Teresinasorrise a fior di pelle; in fondo al suo dolore sentiva pur anchegl’inviti della giovinezza; e le illusioni cantavano in lei piùaltopiù forte della breve esperienza umana.

Prima dipartire lo vide. Egli aspettava davanti alla Posta il passaggio dellacarrozzella. Si ricambiarono uno sguardo appassionatoe per tutto ilviaggio Teresina non fece altro che ripensare a quello sguardo.

La stradale parve ben lunga e ben triste; ma quando vide le prime case dellasua cittaduzzal'immagine della mamma e delle sorelle la assorbìquasi interamente.

Passandodalla piazzasi guardò attornocommossa. Erano le case bennotela farmaciail caffèil palazzo del municipio. Ilcappellaiocome il solitoaveva disteso le sue forme di feltrosulle panchine di piazza per farle asciugare; la modistaquellagingillonastava sulla soglia del suo negozio occhieggiando.

Tutto eraabitualetutto era conosciuto; solo Teresa aveva cambiato; glioggetti erano quelli ma i suoi occhi li vedevano diversamente.

La signoraSoave avvertì subito il cambiamento della figlia.

- Come ti sei fatta donna - le disse.

E poiseguirono le lunghe ciarle. La piccina l'aveva disturbata assai; nondormiva mai di notte. Le gemellecapricciosenon le lasciavanopacestracciavano tutto; gli abiti di rigato rosso e nero mostravanogià i gomiti - vi erano pezze da rattopparli?

Teresinaassicurò che v'erano.

Carlinotantoera buono. Purché gli si lasciasse gettare sottosoprala sua camerapiantare trappole per i sorcirizzare rami coperti divischiorompere qualche sedia e andare a spassotratto trattoco’suoi compagnisi poteva fare la vita.

Teresinaascoltava docilmentee la signora Soave continuò per unpezzopoiché i ragazzi erano a scuolaIda a lettoed ellaaveva un momento di riposo; seduta sul divaninocollo sgabello sottoi piedilo sciallino grigio incrociato sul pettole sue piccolemani gialle l’una nell’altraornate sempre coibraccialetti di crine.

- E tu ti sei divertita?

- Sìmamma.

- Gli zii erano buoni?

- Tanto buoni; specie la zia Rosache non va mai in colleranémai si lagna di nulla. È felicenon è vero?

- Chi è mai felice a questo mondo!... Teresinatu non loconosci ancoranonon lo conosci.

Gli occhineri della signora Soave si volsero desolati al cielo. Teresina avevaun desiderio pazzo di raccontarle il suo segretoma in quel momentonon osò.

Poco doposenza nessun appigliocome se una forza ignota le cacciasse fuori leparoleesclamò:

- Ho ballato.

- Hai ballato? A Marcaria? Non in casa dello ziosuppongo.

- Noin casa dell'impiegato postale.

- E chi c'era?

- Il dottoresua moglieil figlio dell'ostedue ragazzeCacciamali...

L'occasioneera favorevolesulle labbra della fanciulla bruciava il nome diCecchino: ella non aveva parlato del ballo che per giungere a parlaredi lui; voleva dir tuttotutto alla mamma. Ma quel nome non uscì.Due o tre sforzi ancora rimasero infruttuosi; un nodo inesplicabilele stringeva la golae il cuore le batteva disordinatamente.

- Tuo padre è di cattivo umore; non te ne sei accorta? Gliinteressi vanno male.

Qualiinteressi? Teresina non ne sapeva nulla; capì solamente chel'occasione di parlare era passata.

Vennero acasa le gemelle e Carlino insieme.

- Mi hai portato l'usignolo?

Teresinadovette confessare che se n’era scordatae prendersi in santapace della storditaccia. Le bambine anch’esse le furono addossochiedendole se aveva portato qualche cosa da Marcaria.

- Ma che cosa doveva portarviSignore!

Era un po'indispettita; per la prima volta le sue sorelle le davano un senso dimolestia.

Ma legemelle non si scoraggiavano; l'una da una parte e l'altra dall'altrale si attaccarono alle gonneaccarezzandolafrugandolaa tal puntoche scoprirono nella tascail grosso confetto. Allora non sifermarono più.

- Rendetemi il mio confetto - gridava Teresina esasperata.

Non eranemmeno da sperarlo; le bambine se lo contendevano a pugni.

- Voglio il mio confetto - replicò Teresinacollelagrime agli occhifacendo atto di impadronirsene a viva forza.

La signoraSoave chesulle primeaveva creduto che Teresina scherzassevedendola così incolleritanon poté fare a meno dirimproverarladolcemente. Come mai poteva ella lasciar piangere lebambine per un confetto?

Lafanciulla comprese la giustizia del rimprovero e una viva gamma divergogna le salì alle guancie. Non disse piùnullalasciando che il confetto venisse spaccato equamente fra legemellementr’ella soffocava i singhiozzicol grembiale sullafaccia.

- Un bigliettoun biglietto! - gridarono le bimbe.

- È un confetto parlante - disse Carlino.

Teresinaguardòattraverso il grembialee vedendo Carlino che siprecipitava sul bigliettobalbettò:

- Almeno quellodatemelo.

- Prima lo leggo.

- Noè mio.

- Non è più tuo.

- Sì.

- No.

Teresinaera ripresa dalla colleradal dispettodalla desolazione di perderecosì l'unica memoria che le restava del ballo.

Carlinolesse fortedeclamando con accento burlesco: "Ricordatiranna - dal cuore crudele - l'amante fedele - che muore per te".

Teresinadi cui il cuore scoppiavatese bruscamente la mano: Carlinoconeguale prontezzaritrasse la sua; il biglietto si lacerò.

Incapacedi dominarsi piùla fanciulla corse a chiudersi incameradove ebbe una vera convulsione nervosa.

Per tuttal’estate si cullò in quel pensiero d'amoreaccarezzandoillusioni stravaganti. Si immaginavatalvoltadi veder passare ilsignor Cecchino nella via di San Francescoo che si aggirasseincognito nei dintornispiando l’occasione di vederla. Forsericeverebbe una lettera. Forse egli si disponeva a venire a chiederlain isposa.

Tuttequeste fantasticherie la tenevano molto occupatacambiavano affattol'ordine delle sue idee.

Cominciòin quel torno a leggere qualche romanzo sotto l’occhioindulgente della mamma.

- Non c'è nulla di verosai? - diceva languidamentela signora Soave - la vita non è come la descrivononei libri; ma alla tua età leggevo volentieri anch’io.Cose di gioventù!

Una voltache giunse una lettera dello zio di MarcariaTeresina credette diimpazzire; e poiché la lettera era stata messa sul tavolodell’esattorenel suo studioloella vi faceva la rondaimpazienteguardandolatoccandolaosservando se mai nella busta vifossero delle trasparenze indiscrete.

Quando ilsignor Cacciainforcando gli occhialiruppe il suggello di gomma epresa conoscenza in un batter d'occhio delle brevi parole contenutepose la lettera in tascaTeresina rimase a bocca apertacol cuoresospeso - e poiché il signor Caccia si allontanavaebbe il coraggio strano di corrergli dietro.

- Non dice niente?

L’"eh?"imperativo del padre e le terribili sopracciglie aggrottatelafecero rientrare in sétanto che soggiunse confusatremanteper la menzogna:

- C'è un saluto per me... della zia Rosa?

Spessoalla seraquando aveva coricate le gemelle e ch’ella stessarecitate le orazionistava per mettersi a lettosi fermavamezzosvestitasulla sponda del materasso pensando a quella sera.

Se passavaun organettointanto ch’ella cuciva giù abbassosulgradino di legno accanto alla finestraquel suono improvviso lascuoteva tuttaricordandole emozioni deliziose.

Nei caldipomeriggi di lugliodurante la passeggiata sull’argineepiùtardiin piazza dove i giovani del paese facevano l'olioella intuiva il segreto di quegli andirivienidelle fermatedelleparole tronchedei segni misteriosi. C'era LuzziBoccabadatiiltenente dei carabinieriil farmacista; qualche volta Orlandidue otre altrie in mezzo a tuttiTeresina cercava avidamenteinutilmente.

Anovembrenell'occasione della fierasi aperse il teatrocon unacompagnia di canto discreta. Si dava il Rigoletto.

Carlinoche vi era andato una voltain loggionedove si pagavano ottantacentesimicantarellava i pezzi principali dell'opera. Sua sorella lostava ascoltandoper ricantarli a bassa vocesenza dimenticare leparole. La dichiarazione d'amore del duca a Maddalena le piacevamapiù ancora e soprattutto le piaceva l'aria di GildaTutte le feste al tempio.

Voleva cheCarlino le spiegasse chi era Rigolettoe chi il giovane che suafiglia incontrava al tempio.

Carlinodava qualche particolarebruscogrossolano; descriveva la facciaterribile di Sparafucile e la gobba ridicola del buffone.

- Ma GildaGilda?

Facevaspallucce.

- Gilda miagola come una gatta; e poi le donnesaiio non le guardo.

Teresinache non si lusingava affatto di poter andare a teatroprovòuna gioia come da gran tempo non provavail giorno in cui la pretoravenne a dire alla mamma:

- Ho una chiave di palco per questa sera; ci vado io e mia cognata. Milascia venire anche Teresina?

La signoraSoaveper delicatezzaosservò che sarebbero state troppopigiatetre donne in un palco.

La pretorainsistette; ma occorreva persuadere il signor Cacciaperchésenza il suo consenso non si faceva nulla. Tra gli argomenti dellapretora c’era questo: che Teresina era ormai una giovane fattaese volevano maritarlabisognava pure che si facesse vedere.

Il signorCacciabrontolandoacconsentì. Sorsero ancora alcune piccoledifficoltà riguardo all'acconciatura. La signora Soave disseche Teresina non aveva un abito adatto; ma anche qui la moglie delpretore tagliò il nodoassicurando che una ragazzaquando èpettinata benecon un paio di guanti freschi e con un fiorepuòandare dappertutto.

Finchéla questione pendevaTeresina stava come sulle spine; ma quando allafine ogni intoppo fu levatoed ebbe la certezza del divertimento chel'aspettavalasciò libero campo alla gioia.

Abbracciòsua madreabbracciò la pretora; fece le scale tre o quattrovoltedi corsasenza alcun bisogno; andò alla finestraaperse cassettiincominciò un lavorolo smise.

- Quella ragazza si monta la testa - sentenziò ilsignor Caccia - guai a incominciare.

- Ma è la sua etàProsperosiamo stati giovani anchenoi!

La signoraSoave guardò partire sua figliaintenerita come quando erapartita per Marcariaseguendola coll'occhio umidopieno ditenerezza e di speranza.

Lapretorache era una donna molto disinvoltaraccomandò aTeresa un contegno spigliato; e la fanciullamemore di aver giàfatta la sua prima comparsa in societàla assicurò chenon era più novizia. Si sentiva infatti una certabaldanza sicura. Ma fu tutt’altra cosa quandoaffacciatasi alpalchettovide in giro una triplice fila di lumie giùabbasso tutte quelle testee su in alto tante altre teste ancora. Lesembrava che tutti la guardassero.

- EbbeneTeresinasomigli a una statua. Di’ su qualche cosa.

La cognataosservò che era meglio lasciarla rinvenire a poco a pocofinché si fosse avvezza all'ambiente. Allora le due signorepresero a discorrere tra loronel fondo del palco. Teresinadavantiappoggiata al parapettoguardava la follariconoscendo quae là volti noti.

Ecco inseconda fila le tre sorelle Portalupivestite di color canerinocontre ventagli canerini. Nel palco accanto il sottoprefettoelegantissimodistintocon un paio di polsini che luccicavano comefossero di porcellanacolla sua bella barba da meridionaledivisain mezzoe gli occhi miopi impertinentiche osservavano dappressole signore.

Tutta lafamiglia Aresele donne in abito di vellutocoi brillanti; gliuomini gravicompassaticon un po’ di noia dipinta sul volto.

La mogliedel sindacoin abito nerolo stesso che metteva per andare a messa;venuta per compiacenzasenza intender nullasperando che lospettacolo finisca presto.

In unpalchetto di prima filadon Giovannisolosdraiato su due sediesbadigliando.

- Chi è quel signore? - domanda la cognatache ènuova al paese.

La pretorarisponde un tono più basso:

- È Boccabadatiil gallo della Checca.

- Non ne ha l'apparenza.

- Sicuroqui! Le conosce tutte. Dicono che venga per il contraltoquella che fa da Maddalena.

- È ricco?

- Abbastanza; ma le donne non glie ne lasciano molti - .Abbassò la voce un altro tono. - Vedi quella figura altapallidalà in platea?

- Con un velino in testa? e una rosa rossa?

- Appunto. È la modista di piazza. Qualche anno fa egli l'ha... - pausa - e dovette sborsare una bella somma.

- Sì?

- Per il figlio.

Teresinaascoltavarittaimmobile. Non poteva vedere la modistache lestava a tergoma aveva davanti don Giovanni nella sua sibariticaindifferenzagrassoflorido; già invaso dal torpore cheaspettasulla quarantinagli uomini che hanno goduto largamente lavita. Quella gran pacedopo ciò che aveva uditola turbava;era segretamente irritata da un mistero che le sfuggivacontinuamente.

Un momentoancorae la sua attenzione era tutta quanta assorbita dallospettacolo. Non batteva ciglianon fiatava; appena un personaggioapriva la boccaell’era tutt'orecchiappena uno si muovevaisuoi occhi lo seguivano attentamente. Calato il sipariosi voltòdi botto verso la pretora.

- E Gilda?

- Gilda verrà or oraal secondo atto.

- Mi pare cattivo quel buffone.

- Nonon è cattivo; vedrai in seguito.

- E il duca?

- Ah! il duca... vedraivedrai.

Gildaapparvevestita di biancobruttinama abbastanza giovanee conun’aria modesta che piacque subito a Teresa. Cantò benecon sentimento in luogo di voceinfiorando d’una malinconiasoavissima il racconto de’ suoi amori collo studente.

Teresinaera rapita in estasi; il bello dell’arte si rivelava al suocuoregià aperto all'amore. Ella seguì con ansiaangosciosa lo svolgersi dell'azione drammatica; si spaventò alratto di Gildapianse con Rigolettoebbe sdegno e disprezzo per icortigianie attesepalpitanteil ritorno di Gilda sulla scena.

Qui tornòa stendersi un velo nella sua mente. Fu tentata di chiedereperchéGilda si mostrasse tanto disperata per trovarsi in casa del duca; unvago istinto le suggerì che la sua domanda era ridicolaetacquemeditando.

Arse d'iracontro il ducanella scena del bosco. Maddalena le parve unasguaiatacciaincapace di poter destare amore. Ma la tragica fine diGildaintanto che lo scettico passa nel fondo canterellando la suacanzonequella fine la colpì profondamente. Dovetteritirarsinell'ombraa nascondervi le sue lagrime.

- Che faibambinaè possibile tanta ingenuità? Non èun fatto verosai? Gildaa momentiandrà a cenapienamented'accordo col suo amante.

Cosìla moglie del pretore tentava di acchetare Teresinasenza riuscirviperché la sua commozione aveva un’origine occulta.

Lapassione intensa di quel dramma d’amore trovava unacorrispondenza segreta ed intima nell’anima della fanciullaacui l’amore si era rivelato con una sofferenza. Le potenticreazioni di Rigoletto e del ducala soave figura di Gilda erano piùche personaggi; erano sentimentierano passioni incarnate e lagrandiosità terribile ed umana di tutto quel lavoro siripercoteva in ogni sua fibra.

Sotto icolpi di quella forte commozionela natura spirituale dellafanciulla si tempravanobilitandosiafferrando i contorni di unideale sicuro. Ella fusenel suo pensieroil proprio amorecoll’amore di Gilda. I ricordiche già principiavano asbiadireperdettero l'impronta personalemescendosi a una quantitàd'altre impressioni e ad aspirazioni nuove.

Da quellasera non pensò piùdirettamenteal giovane chele aveva suscitato il primo palpito. Pensò all'amorevagomisteriososterminato: a tutto un mondo tumultuantenon ancorainteramente rivelatoma che le si svolgeva a gradicon baglioriimprovvisicon rapide feritecon intuizioni meravigliosepoggiandofra la canzone beffarda del duca e il rantolo di Gilda morente...





VIII.

Il soleche non riusciva a sprigionarsi dalle nubivampava soffocante nelmeriggio d'agosto.

Nellacucina bassauna tenda di cannucciegiallamacchiata dall'acqua edalla polvereera calata sull'unica finestra; e fuorinella pesantetrasparenza frastagliata qua e là da alcuni strappiglialberelli del giardino mostravano i loro fusti immobilicome alberidi zinco.

Teresinain piedi davanti ad una lunga asse collocata sulla tavolacollemaniche rimboccate e un grembiale bianco posto ben alto sulla vitaaveva formato un mucchio di farinache arrotondava colle manigirandovi attornoquasi accarezzandola.

Quando lafarina le parve a puntole fece in mezzocoi due pugniuna bucavi versò un cucchiaio d'acquavi ruppe due uovae vi spruzzòun pizzico di sale; poi colmò la buca sollevando la farinadalla baseaccarezzando sempre quella montagna fragile che andavaconsolidandosi sotto le sue mani.

Via viache la pasta acquistava in durezzaTeresina doveva metterci diforza. Aveva incominciato lentamentecolle braccia molliun po’distratta; ma la resistenza la istigava. Rialzate meglio le manichepuntò le braccia con energiaaccompagnando ogni pressione conun movimento di tutto il corpotenendo la bocca stretta e la fronteaggrottata.

Ognimembro della fanciulla si gonfiava nella tensione; le vene dellebraccia e del collo apparivano brune alla superficie della pelle; ilpetto si alzava e si abbassavalottando col busto; i fianchispuntavanocolle loro curve giovanilila succinta gonnella dirigatino bianco e azzurro. Una robustezza fiorente e giuliva lecorreva in tutta la persona; il suo sangue si scaldava piacevolmente;tutti i nervitutti i muscoli esultavano; ed ella li attizzavaesagerando la pressione delle maniabbandonandosi al benesserefisico di quella specie di ginnastica.

Si fermòun momento per levarsi dalle braccia alcuni pezzettini di pastatenendo alte le maniosservando che in quella positura le vene deipolsi scomparivanomorendo su su nella bianchezza soda delle carni.

Un raggiodi sole piombando dirittoda un buco della tendasui capelli dellafanciullale metteva intorno al capo una cornice luminosa che davarisalto ad alcune ciocchette pioventi sul collodi dietrofindentro all'avvallatura delle spalle; e a certi piccoli ricciolini chesi sbizzarrivano tra l'occhio e l’orecchiocoperti da un lievepulviscolo di farina.

E sirimise al lavorospalmandolevigando la pasta che diventava lucidae prendeva un tono caldo nella prima gradazione del giallo; poiconuna grossa cannellache Teresina staccò da un chiodoincominciò la difficile operazione dello stirarlaadaginocon precauzioneper non romperla; avendo cura che tutta lasuperficie riuscisse uguale in spessore.

Quando furidotta sottile e compatta quasi come un foglio di cartala ragazzasollevando la cannella con un movimento espertosbatté lapasta sul tavolofacendola cantaresrotolandolacollasoddisfazione che ispira un lavoro riuscito bene.

A questopuntosulla soglia della cucinacomparve la pretora.

- Sei sola?

Teresinaamava quella donna loquaceche aveva pratica del mondoe chesembrava comprendere così bene le aspirazioni di unafanciulla. Le andò incontro sorridendo.

- Sìsono sola. La mamma è di sopra... ha l’emicrania.L’Idacombinazioneè uscita col babbo... Dio sa quantolo fa ammattire!

- Oh! non troppo. Tuo padre ha per questa bambina una predilezione; nesopporta tutti i capricci... e non è dir pocodavvero. Macontinuasai? Non far complimenti.

- Novedaho terminato; ora la lascio asciugare prima di tagliarla.

Fece attod'avviarsi in salama la pretora sedette lesta sopra uno sgabellettodi pagliadicendo:

- Restiamo qui.

Tacqueroun momentointanto che Teresina si lavava le mani e le braccia inuna catinella di rame; e poi venne anche lei a sedersi accanto allapretoratirando giù le maniche lentamentefacendosi ventocol grembiale.

- Che caldonevvero?

Teresinaaccennò di sìcol capo.

Nontremava una foglianon dondolava un nastro né una festuca;dalle fessure della tenda non entrava un filo d'aria. L’afad'agosto gravitavacome piombo fusocon una caldura opprimente chetoglieva il respiro. Nella cucina ronzavanoinstancabiliquasiferocialcune moschee le due donne le cacciavano con un movimentoautomatico della manoprese entrambe da una specie di torporeinquell'atmosfera chiusadove evaporava l’odore umido e molledella pasta.

BruscamenteTeresa chiesestrizzando l'occhio:

- È poi vero?...

L’altracomprese a volo.

- E che vero! È andato stamattina a fare la domanda formale;l'ho saputo dal cancelliere che è amico intimo di Luzzi.

Una lieveombra attraversò gli occhi di Teresina.

- Che cosa vuol dire i denarieh? perché nessuno mi faràcredere che Luzzi la sposi per la sua bella faccia! quando maisenzaandare a cercar lontanouna faccia un po’ piùsimpatica...

Teresinainterruppe in frettadivorando le parole:

- Si diceva che l'avrebbe sposata il prefetto.

- Siii... il prefetto; quello è un furbo! Finché vi sonole lenzuola degli altri non vuol sciupare le sue.

E senzafermarsi sull'arditezza sguaiata di una frase similedetta ad unaragazzala pretora tornò alla sua idea:

- Dimmi il veroqui tra noi... non hai mai pensato che Luzzi potessevenire per te in via San Francesco?

MoltoturbataTeresina si dié a spianare le arricciature del suogrembialemormorando:

- Egli non me lo ha mai fatto capirecertamente; né io avreiosato immaginarlo. Chi vuol mai che pensi a me?

- To’perché non si potrebbe pensare a te? Non sei unaragazza come le altre? - e a parte i complimentilePortalupi te le mangi tutte in un boccone.

- Ma sono povera.

- Ah!... questo...

La pretorasi morse le labbramentre batteva nervosamente il piedesull'ammattonatocollo sguardo a mezz'ariacome se cercasse qualchecosa nel suo cervello.

E Teresinaintanto pensava che dacché avevano mandato Carlino a Parmaper via del liceoe tutti i mesi bisognava pagare la pensionesiparlava molto molto d'economia in casa sua - e non avevanopiù la donna di servizio - ed erano tre mesich'ella aspettava un paio di stivaletti nuovi.

D'improvvisola pretora domandò:

- Quanti anni hai?

- Diciannove.

- Sei giovane. Però senticonosci il professor Luminelliquello che fa la quarta e la quinta? che è d’Ostiano? cheporta gli occhiali?... No?... che va attorno cosídimenandole braccia?

- Aah!

- Ti ricordi adesso?

- Che ha una bambina della stessa età dell'Ida?

- Giusto. Ha una bambinama non ha moglie; e la cerca.

Si fermòguardando Teresina tra occhio e occhio. Soggiunsetrascinando leparolesempre guardandola:

- Cerca una brava ragazzasanasenza pretesesenza lusso…

Si fermòancoraaspettando che la sua giovane amica dicesse qualche cosa; mavedendola mutacol respiro un po’ affannoso e una voglia dilagrime in fondo agli occhi:

- Tu non lo prenderesti?

Tagliòcorto così per far più presto.

- Rispondi.

- Ma se non lo conosco...

- Non è una ragione.

- È tanto più vecchio di me.

- È veroma...

- È vedovo.

- Peuh!per questomia caragli uomini sono sempre piùo meno vedovi.

Teresinavoleva replicare: Ha una bambina: ma temette di dire una brutta cosauna cosa che la facesse sembrare priva di cuore; mentre non era ciò.

- Infine non ti piace?

- Proprio no.

- Fa’ come vuoi. È un buon partito però. Un uomoposatosenza viziche lavorache ha già la casa piantata;io l’ho vista. Fior di mobili di nocee il letto conbaldacchino.

- E poi - saltò su Teresina - questo signorenon l’ha mica la voglia di sposarmi!

- Glie la si fa venire. Passa sempre la sera con mio maritoal caffèed è stato parecchie volte anche in casa nostra... èfacile mettersi d'accordo. Purché tuo padre si decida afissarti un piccolo assegno...

Teresinaascoltavaistupiditacon una voglia di piangere che le facevagroppo alla gola e un’ira contro se stessainesplicabile.

- Capisco - disse la pretoracalmacon un fondo diindulgenza canzonatrice - tu aspetti il principeCamaralzamanquello delle Mille ed una nottilosognie ti figuri che i mariti si taglino su quel modello là.

- Non è...

- Lascia dire. Siete tutte cosìbenedette ragazzee non voletemai approfittare dell'esperienza di quelle che ne sanno piùdi voi. Si ha un bel dirvi: non cercate la bellezza del maritononcercate l'aria sentimentalenon cercate l'eleganzanon cercate lapoesia... sono corbellerierazzifuochi fatui. Ma che! Finchénon ci date dentro il naso...

- Però la mamma - interruppe Teresinacolla vivacitàdi chi crede aver trovato una buona ragione - sposòil babbo perché ne era innamorata.

La boccadiscretamente maliziosettadella pretora si inarcò ad unsorriso tale di compassione ironicache non sarebbero occorse altrespiegazioni. Tuttavia volle aggiungere:

- Domanda a tua madre se è stata contenta. Ha mangiate più...Bastami faresti dire uno sproposito.

- E lei? - arrischiò timidamente Teresina.

- Io? Oh! le ho avute anch’io le mie disillusioni; ma quando vidiche gli anni passavanosposai il pretoreche era alloracancelliereche di illusioni me ne poteva dar ben poche… e cheper compensomi diede un figlio tutti gli anni.

Illinguaggio un po’ brutale della pretora facevatratto trattotrasalire la fanciulla. Ella rifletteva ora a tutti quei figli natisenza amorementre nel suo cervello stava fissa l’idea che ifigli sono un pegno d'amore.

- Ebbenegrullinache pensi? Vuoi il compendio della saviezza inpoche parole? Un Luminelli che sposa è sempre superiore ad unLuzzi che non sposa... o sposa un’altra.

Teresinaarrossì per quella nuova allusione al segretario diPrefettura. Ella non si era accorta di aver pensato qualche voltaall'elegante zerbinotto e di averlo seguito con lunghelungheocchiate quando passava sul marciapiedea testa altaattillato nelsoprabito chiaro. Però era strano chedopo la notizia del suomatrimonio colla seconda delle Portalupiquesta signorina lesembrasse il doppio più antipatica di prima.

- Dunque - continuò la pretora vedendo che la ragazzasi ostinava a tacere - niente Luminelli. Peccatoavreicombinato questo affare volentieri; senza dire che egli è uomoinfluente in materia di studiha molte relazioni e potrebbe giovareanche a tuo fratello...

A Teresinavennero i lucciconi; per fermo non si teneva più.Scoppiò a piangerecon una desolazioneun abbandono cheintenerirono la pretora; la qualeabbracciatala maternamentesidiede a consolarla:

- Viavianon ne parliamo altro; sei tanto giovane... capiteràdi meglio... speriamolo. Oh! Diovedete qui questa bella ragazza chepiangepriva d'amoree tanti uomini invece...

Strinse ilpugno minacciando nell'aria una legione invisibile di uominie lichiamò egoistibrutaliavidicalcolatori.

- Guardase tu sapessi... se potessi solamente dirti come non valgononiente... Infine verrà un giorno che capirai ogni cosa eallora dirai: La Giovannina aveva ragione.

Si alzòdandosi una palmatina sui rigonfi del vestitoun po’ nervosa.

- Se ne va?

- Sì. È l’ora che tornano a casa i monelli dallascuola. Se non mi trovano presentesuccede un diavolìo; iolo saiho un sistema spiccio per farli star cheti... Ci vorrebbe perl’Idachesia detto intanto che babbo e mamma non sentonoèun vero folletto in carne ed ossa. Ieri ha picchiato la mia Estellacome fosse un tamburoma se la trovo io... E cosí piccina!Quando poi sarà grande...

- Non so proprio cos'abbia quella bambina nella pelle - disse Teresa - la mamma se ne disperacreda... mapoveramammanon ha più salute; tocca a me a ridurla meglioche posso... e non ci arrivo; babbo la protegge sempre.

- Sìsìhai la tua bella croce. E le gemelleeh?quelle mutrione... pelano la gallina senza farla gridaretutt’edue d'accordoche quel che dice l’una dice l’altra; sonodue corpi in un’anima sola.

S’eranoavviate nell’andito; si fermarono ancora un momento prima diaprire la porta.

- Fai la mamma innanzi tempotu... Cara Teresinavero come c’èDiose non ti voglio un bene di sorella! Magari la mia Giulia e laBice e l'Estella e la Norina ti assomigliassero; sarei una madrefortunata.

Siintenerirono entrambetenendosi per la manociondolandosenzariuscire a staccarsi.

Lapretorache aveva la faccia voltata verso il giardinoesclamò:

- Che bella cedrina! Io non sono mai arrivata ad averla cosìviva e folta; le bestie me la mangiano sempre; quelle bestie chenascono dalla pianta stessache ne hanno il preciso colore e portanosulla schiena certe righe azzurrine che sembrano ricami diciniglia... un orrore ti dico!

- Ne vuole una piantina?

- Volentieri.

- Attacca subito.

Tornaronoindietro fino ai vasi di cedrinafermandosi a guardarlastropicciandone le lunghe foglie asprette e odorose.

Lafanciulla andò a prendere una forbice.

- Penso che le bestie me la mangeranno ancora! - esclamòla pretora languidamente.

- Oh perché? Verrò io a tenergliela pulita.

Siguardaronosorrisero. Una placida simpatia di donna le spingeval’una verso l'altra. Intanto che Teresachina sull’arbustone tagliava i ramicellila pretora le accomodava le treccie piùalte sulla nuca.

- Cosìstai meglio.

- Non ho mai tempo di pettinarmi a modo.

- Povera ragazza!

Allacedrina vennero aggiunti due bei gerani rossi infocati e un garofanodello stesso colore.

- Sai che cosa indica nel linguaggio dei fiori il garofano rosso? - chiese la pretorariunendo con delicatezza i gambicollatesta un po’ inclinata da una partel'occhio socchiuso: - Amor vivo e puro. Grazioso nevvero? se esistesse.

Teresinanon afferrò subito l’ironia; ma la capì a poco apocorifacendo l’andito verso la portae un sentimento dimalinconia la invase.

- A rivederci.

- A questa sera.

La portaera chiusa. Sul punto di varcarlala pretora si fermò:

- Notizie di Carlino?

- Buone. Deve arrivare a giorni.

- Addio dunque; non me ne vado più. Saluta la mamma.

- Senta.

EraTeresinaquesta volta che la richiamava. Voleva chiederle quando sifarebbe il matrimonio della Portalupi; macolpita da una vergognaimprovvisabalbettò e si confuse.

Lapretoraquasi le avesse letto nel pensierodisse:

- Presto i confettidall'altra parte della strada; echi saforsepresto anche da questa parte...

Teresinacrollò il caporidendoper mostrarsi forte.

- Oh! se lei dice che gli uomini non valgono nullache sono egoistibrutaliavidicalcolatori...

Giàfuoricon un piede sul selciato della vial'amica si volse tuttad’un pezzo:

- E sono pronta a ripeterlo. Mache vuoiè un po’ come lecipolle; vi è cosa più volgareche ammorba dovetoccache fa piangere solamente a maneggiarladoppia da nonriuscire mai a contarle le pellicomune che si trova dappertuttodisgustosa al punto che nessun animale la mangia? Eppure si pretendeche senza cipolla è impossibile fare un manicaretto gustoso.Addio.

Scappòdecisamente.





IX.

Nellacamera di Carlino le finestre erano spalancatetutte e due; e dalleampie aperture entrava una luce allegrasfacciatellache frugavaper ogni angolodal pavimento al soffitto. Le paretiquasi nude ebiancherifrangevano i raggi del sole nella crudezza di un mattinosplendido.

Ilgiovinotto era giunto la sera primaaltoimpersonitocon unprincipio di baffi sul labbro superiorecon un cappellino a cencioverdoneposato sull'occhio sinistroe un tutto insieme cosìcambiatocosì diverso dal Carlino solitoche in famiglia nerestarono tutti impressionati.

Erapartito rozzoimpacciato ne' suoi abiti mal fatti; non sapevapettinarsiaveva le mani mal curatefaceva ancora il ragazzaccioil monello che giuoca in mezzo alla strada.

Dieci mesierano bastati a trasformarlotroppoforseperché il signorCaccia vedendolo non aveva mancato di aggrottare le sopracciglia; e aquesto segno infallibile di burrascaera successa una vera burrascadi motti acerbi e di rimproveriquando lo studente dovetteconfessare che in due esami non era riuscito.

Ma lassùnella gaiezza della sua camera apertanel disordine della valigiasfattadi tanti oggetti vecchi ritrovatidi tanti nuovi ai qualibisognava trovare un postoCarlino non ricordava piùla sfuriata paterna.

Ridevaappoggiato colle spalle al murofumando mezzo sigarointanto cheTeresina levava la biancheria dalla valigia.

La pienaluce li illuminava entrambifratello e sorellafacendo risaltare lalieve somiglianza che avevano nell'ovale della faccianel colore deicapellinella statura; giovani tutti e due e sanima giàdifferenti nell'espressione della vita interna.

Gli occhidi Teresinamalinconici e dolcicercavano lo sguardo vivace delfratelloscendendo poi con una curiosità ingenua lungo leguanciesu quei piccoli baffinella linea del collo forte emuscoloso. Gli si avvicinò toccandogli col rovescio della manola gotapresso l'orecchiodove spuntava una lanuggine brunaedisseridendo: - Com'è morbida! - Poi glirimase accantoaspirando l'odore del sigaro che gli usciva dallelabbrabeatafinché presa da una vertigine di tenerezza lobaciò improvvisamente nell'angolo della bocca.

Egli larespinsedolcementepiù dolcemente d'una voltadandole una palmatina sulla guancia.

E poi lechiese a bruciapelo:

- Hai l'amante tu?

Lafanciulla divenne rossa rossaprotestandodicendo nonodue o trevolte di seguito.

- Si vede.

Carlinonon disse altro; andò a mettersi alla finestracacciando inalto le nuvolette di fumo e seguendole collo sguardoora aperto orasocchiusocome nella ricerca di memorie varie e piacevoli.

Teresinatoglieva dalla valigia le camicieammirandone il candore azzurrino el'insaldatura lucente.

- Io non le so stirare cosí.

- Pur troppo - soggiunse Carlino senza voltarsi.

- Qui però manca un bottonee i colletti sono sfilacciati. Chiha cura della tua biancheria?

- La mia padrona di casa.

- Vehi polsini di lana rossa che ti ho fatto io! sono ancora nuovi;non li hai portati?

- Nodi sicuro.

Teresinamortificatareplicò:

- L'anno passato li portavi...

- Oh! l'anno passatol'anno passato...

- Soffrivi tanto il freddo alle mani.

- Non lo soffro più.

- E i calzerotti di filugello... intatti anche questi...

- Provatua mettere dei calzerotti di filugellotutto a nodigrosso come lo spago; prova tu a metterlidentro a un paio di scarpestrette...

- Ah! se porti le scarpe strette...

- Sta a vedere che porterò i ciabattoni come Caramella.

Lafanciulla stette zittacontinuando a levare abiti dalla valigiaspiegandoli sul letto e sulle sedie per far perdere le cattivepieghe.

- Che pezzuola elegante! E Carlo ricamato a mano... non te l'hofatto io questo.

- È un dono della mia padrona di casa. Gentilenevvero?

- Oh! gentilissima...

Stava persoggiungere qualche altra cosama si fermò; prese una sedia evenne a mettersi vicino alla sorellaguardando nella valigiaspalancata.

- Fa adagionon sciuparmi le cravatte.

Nel levareun farsetto scappò dalla tasca un ritrattino; una fotografiadi donna.

- Che è questo?

Carlino laprese vivamente dalle mani della sorella.

- Non è niente...

Poifattoaccorto che quel niente era assurdodisse:

- È l'amante di Orlandi.

- Conosci Orlandi tu?

- Come no? Stando a Parma e facendo la vita dello studente èimpossibile non conoscerlo.

- Ma Orlandi è dell'università.

- Che importa? Egli è il decano di tutti gli studentiil capodella gioventù parmigiana; senza di lui non si mette in piedinessun divertimento.

Successeun breve silenzio.

- Fammelo vederequel ritratto - domandò Teresina avoce bassapregante.

- Curiosa.

- Viafammelo vedere.

Carlino loguardavaluitenendolo chiuso fra le due palme delle maniriunitee ricurve ad uso nicchia.

Laragazzainginocchiata per terradavanti alla valigiasporgeva ilcapo sollevato verso il fratellocolla gola che palpitavafortemente. Tornò a pregare:

- Fammelo vedere.

- Tutte eguali! Guardalo.

Glie lopose davanticoll'intenzione di farlo sparire subito; ma Teresinabalzando in piedilo afferrò con tanta prontezza che fu suo.E lo rimirò lentamentecon attenzioneconcentrataquasiansante.

Era unabella donnadi una bellezza immensamente procace. La posa drammaticae ricercata metteva in mostra d'un colpo solocome una scaricamitragliatricel'occhio assassinoil sorriso sensuale e il braccioe la rotondità della spalla accentuata dall'abitoattillatissimo.

A Teresinaparve che quella donna fosse nudane sentì vergogna e insiemealla vergogna una sensazione confusa di rabbiache le fece sbatterequasi dispettosamente la fotografia sui ginocchi del fratello. Caddea terraegli la raccolse lisciandola colla manicae tornò aguardarla.

- Bella!

- È antipatica.

- Ma no... tutt'altro. Si direbbe che sei invidiosa.

- Io?...

Non fucapace di rispondere altro. Si sentiva avvilitamalcontenta cheCarlino potesse sospettarla invidiosa di una donna piùbella di lei; malcontenta del malcontento che provava e con lapercezione improvvisa di un isolamentocome di una barriera postafra lei e il mondo; una specie di quarantena sanitariaper cui gliechi della vita le giungevano in ritardorovistatisfrondatimonchi.

Esprofondò le mani nella valigiafebbrilmente colla speranzadi incontrare altre rivelazionicon una curiosità a cui simesceva una leggera punta di dolore.

Trovòuna fettuccia di raso rossoin mezzo alla quale era appuntato uncagnolino di carta argentata. Non osò chiedere che cosa fosse.Fu Carlino:

- Sai che cos'è?

- No.

- È una figura di cotillon.

- Una figura di cotillon?

- Non capisci?

- No.

Carlinoscosse il capo con aria compassionevole.

- Il cotillon è un ballo. Ci si mette in tanti giovani ein tante ragazze; si distribuiscono dei gingillicome questoe incento altre foggie; poi ogni uomo balla con quella donna a cuicorrisponde il dono ricevuto. Io per esempio ebbi questo cagnolinoeandai a cercare una signora che aveva la cagnolina. Capisci adesso?

Teresinaaccennò di sì; e guardavaguardava la fettuccia rossaseduta sull'orlo della valigiaquasi ai piedi di suo fratello.

- Hai ballato a Parma?

- Tutto il carnevale.

- Oh! raccontami...

Gli sistrinse addossoprendendogli una manoricacciando in gola la vogliadi baciarlo.

- Che vuoi che ti racconti?...

Egli sidondolava sulla sedia avanti e indietronon avvertendo il contattodella fanciullaguardandola distrattamente. Il mezzo sigaro nontirava più; lo gettò via.

Teresinasi chinò sul mozziconeattratta da quel profumo stuzzicantee fece atto di metterselo alla boccascherzando.

- Peuh!

Ellaarrossì tuttae lo respinse colla punta del piede. Poi sichinò ancora verso il fratellocolla faccia che gli toccava iginocchicon un raggio di tenerezza umile in fondo alla pupilla.

- Dove hai ballato?

- Dappertutto. In teatroal Casinoin famiglie particolari...

- E c'erano delle ragazze?

- Sicuro.

- ... Belle?

- Belle e brutte.

Teresinasospirò.

- All'ultima festa del Casino ho veduto le Portalupi.

- Sì? Come erano vestite?

- Figurati se lo ricordo! Non le ho nemmeno guardate.

- Perché?

- Perché non mi piacciono; e poi làin mezzo a tantealtreavevano proprio l'aspetto dei pifferi di montagna; goffemalvestite... non so comema male certo.

- Eppure sono sempre così eleganti!

- Fammi il piacere! Come vuoi giudicare tu dell'eleganza?

Teresinaabbassò il capo. Egli soggiunse ridendo:

- Non per farti tortosai? ma bisogna uscire da questo paeseesopratutto da questa casa per sapere come vestono le signoreeleganti. Tu vedi la mammala pretorala moglie del sindacolasorella del dottor Tavecchiala cuoca di Monsignorealla domenicaquando mette l'abito di grosein mezzo a tutte questelePortalupi ti sembrano uno splendore.

In fondoTeresina non era malcontenta di quella dichiarazione. Scivolandosulla sua poca competenza in fatto d'eleganzasi fermava con piaceresulla constatazione di Carlinoche le Portalupi erano goffe e puntoavvenenti. Più tardiquando da fanciulla religiosadoveva fare l'esame di coscienzaquella subita allegrezza le sarebbepesata come un peccato grosso: ma al momentolì per lìnon credette di far male.

Carlinosoggiunse:

- Avessi veduto la marchesina Varisi...

- Come? I Varisi non stanno a Cremona?

- Sì; ma la marchesina si trovava questo carnevale a Parmaincasa di una parente. Una figurina da silfide vaporosaeterea; unagrazia da sirenauna distinzione da gran dama. Vestiva sempre divelo biancoe portava un fiore sul petto; il fiore solo cambiavaora bianco come l'abitoora roseoora vermiglio cupoora del piùpallido azzurro; una volta lo mise nerodi velluto... e si disse cheera un segno di lutto per una persona a lei cara.

Teresinaascoltavasenza fiatarecolla bocca semichiusail petto ansante.

- Ed è tanto belladici?

- Un angelo.

- Bionda o nera?

- Castagna.

- Era la più bella di tutte?

- Di tutte... non saprei. C'era la moglie dell'avvocato Neri che lecontendeva discretamente la palmain ricchezza e in adoratori.

Teresinaesitò un momentomalsicura; infine si arrischiò abalbettare:

- Ma se questa signora è maritata?

- Ebbene?...

- Nullanulla.

La ragazzaabbassò il capoconfusaabbacinata da un vortice di ideenuove. Dopo un istante di silenziochiese:

- Ed è vero che alle feste da ballo le signore vanno scollate?

- Certamente.

Esitòancorama la curiosità la vinse:

- ... Fin dove?

- Fin dove vogliono.

Teresinasi morse le labbracolla faccia nascosta contro i ginocchi delfratello; mentre sul collo e sulla nuca le salivano strisce dirossore.

- E tu non hai ballato mai?

- Mai.

Ilsilenzio si rifece. Carlino continuava a dondolare la sediacolpensiero lontanoassorto nel suo beato egoismo d'uomo.

Sembravaalla fanciulla che tra lei e suo fratello fosse sorta una barriera.Egli era minore di un annoma le appariva assai piùgrande; e le incuteva un senso di soggezione dove annegava la suatenerezza di sorella. Aveva aspettato con ansia il ritorno di lui infamigliaper un bisogno indistinto di affezionedi espansione;perché non aveva amicheperché le sue sorelle eranotroppo piccine e sua madre troppo triste; perché si sentivasola in quella casasola nel mondosola colla sua inutilegiovinezza.

Ma ilfratellol'amico invocatonon la comprendeva. Le loro vite sisvolgevano in senso opposto; avevano un concetto differentedell’esistenza e bisogni e idee differenti. E poi Teresinaanelavainconsciamenteall'intimità dell'uomo. La freddezzadi Carlino la feriva in una fibra cheper essere inavvertitanonera meno potente. Ella soffriva accanto a quel giovane robusto efelicea quel giovane pagoa cui i privilegi del suo sesso aprivanotutte le porte. Non ragionava così la fanciullama aveval’intuizione di una profonda ingiustiziamentre l’istintodella donna la spingeva ciecamente verso il suo signore e padrone.

Unavocettafuori dell'usciochiamò ripetutamente Teresina.

Ella balzòin piedicorse fuorie rientrò nella camera tenendo inbraccio un amorino di quattro annil'Idache prometteva giàdi essere la bellezza della famiglia.

E lastringevae la baciava con un ardore cherepresso fino allorascoppiava in piccoli gridi esultanti; strano contrasto alla mestiziadell'occhioin fondo al quale c'era come un velo di lagrime.

La piccinaera scappata dal lettoin camiciacoi capelli sciolti a ricciolisulle spallucce nudesfuggendo senza un terrore al mondoal vocionedel signor Caccia che la richiamava.

Ed oras'acchetava nelle braccia della sorellatenendosi aggrappata al suocolloguardando in giro per la camera gli oggetti sparsi.

Qualunquefossero i pensieri di Teresinaella non aveva tempo di ascoltarli;dovette rispondere a tutte le interrogazioni della bimbasoggiogatada quelle grazie infantilicommossa dalla fragilità dellacreaturina bellaper cui ella era una seconda madre.

E poiadiciannove annile pene mettono radicima non danno ombra ancora.Ella si pose a cantare in mezzo al solecullando il leggero pesosulle braccia; con una abbondanza di parole dolcidi nomi d'amoredi carezze e di baci; cantava in mezzo al soleche dalle ampiefinestre entrava luminoso e caldo.





X.

Quantunquenell'affetto di suo fratello Teresina non trovasse una verasoddisfazioneanzi molte volte le accadesse di pungersi alla ruvidaindifferenza maschilegustava in quei rapporti un piacere acredovela curiosità cercava un pascoloe dove lo cercava pure ilnascenteirresistibile bisogno di amare.

Salivaspesso nella camera di luitoccava i suoi librine leggiucchiavaqualcunoa sbalzinelle pagine dove si parlava di relazioni trauomo e donnaapriva i tirettilisciava le cravatte disponendole inbell'ordine.

Anche gliabiti guardavacontando quante tasche avevanosembrandole sempreche fossero troppe. Che mai riponeva in tutte quelle tasche?

Le piacevasopratutto mettersi accanto a suo fratelloquando egli fumavaosservando in che modo arrotondasse le labbra per tenere il sigarocome ne facesse uscire quelle nuvolette bianchequei cerchioliniazzurri; li affrontava tossendo un pocoma volendo resistere aibuffi caldifortemente odorosiche egli le lanciava sul volto.Chinandosi con certe mosse improvvisegiocherellava colla catenad'acciaio del suo orologiofacendo scattare la molla del ciondolovuotoe domandandogli:

- Perché non ci metti nulla?

Era un suodesiderio ascoso quello di possedere un ciondolo per riporvi capellio ritratto.

Qualchevolta lo interrogava sopra i suoi amicichi eranoquantie come sichiamavano. Ella seppe così che aveva due amici intimituttie due studenti del liceo: uno piccolobruttobutterato dal vaiuoloche suonava la chitarra e si chiamava Edmondo: l'altro altofortecoi capelli ricciutii baffetti color d'oroe rispondeva al nome diFranceschino.

S'arrabbiava.Avrebbe voluto che il nome di Edmondo appartenesse al giovane bellocoi baffetti color d'oro.

AncheOrlandi era suo amico? Sìanche Orlandi; ma un po' meno;c'era differenza d'età. Orlandi aveva i suoi ventisei oventisette anniforse anche più. Era iscritto al corsodi dirittoma non lo frequentava mai; si poteva cercare Orlandidappertutto fuorché all'università.

- È dunque un cattivo giovane? - chiedeva Teresina.

- Un cattivo studente sìma un cattivo giovane no. Hamoltissimo ingegnomoltissimo cuorema gli piace divertirsi. Ènaturale.

Tuttequeste notizieche in fondo potevano interessarla ben pocoTeresinale assorbiva avidamente; popolava la sua fantasia verginecoll'immagine di tutti quegli ignoti; a poco a poco le sembrava diconoscerlie che fossero veramente amici suoi.

Cucendosotto la finestra del salotto semi-buioella si figurava le riunionidegli allegri giovanotticome dovevano ridere e far chiasso; edavanti a leinel palazzo Varisi tutto nero e tutto chiusolesembrava adesso di veder passare in un'aureola luminosa la bellamarchesinavestita di biancocol fiore di velluto nero sul petto.

In mezzo aqueste fantasticherieun grido dell'Idaun lamento della madreladestavano bruscamentee passavasenza transizionein lunghegeremiadi economicherecitate dalla signora Soave colla sua vocerassegnata. Non vi erano più lenzuola in guardarobalegemelle avevano bisogno di un abitonon si poteva differire lastagnatura del rame. E Carlino costava tanto!... Tuttaviache fare?L'unico maschioera pur necessario dargli una buona educazioneecolla educazione veniva tutto il resto.

Questidiscorsi Teresina gli aveva nel midollo delle ossa; facevano partedel suo cibo quotidianoli respirava coll’aria.

Quando poiil signor Caccia tuonava contro il lusso delle donnepredicando adesse la modestial’umiltàl’attivitàsilenziosa nelle pareti domestichel’ubbidienza al sesso fortela ricognizione spontanea dei propri doveri messi a fronte coidiritti dell’uomoallora la fanciulla si sentiva cosìpiccinaquasi avvilitache le restava per tutto il giorno un sensodi scoramento; e più a fondo le penetrava la vocespenta di sua madrene comprendeva meglio lo sguardo dei grandiocchi malinconici ed opachi.

Per suamadre Teresina aveva una tenerezzaun culto; e la madre laricambiava con un affetto tristepieno di sottintesi dolorosi. Nonsi erano mai fatte confidenzenon ne avevano il temperamentofors’anche era mancata l'occasione di incominciare: ma quandonelle ore di riposodurante i sonni o le assenze dell’Idaledue donne sedevano accanto alla eterna finestrail loro silenzioaveva una voce.

Dopo ilritorno di Carlinoun soffio di vita nuova correva nella casamacorreva senza diffondersi e senza partecipare agli altri la propriavita. Talvolta era una canzone che si sentiva cantare a squarciagolalassù nell'ampia camera soleggiata; tal'altra erano i passiaffrettati e il ridere sommesso di due o tre amici che venivano atrovare il licealei quali passando davanti al salotto apertosalutavano le signore a scappa e fuggiimpacciati e timidi.

La cannad'India di Carlinoil sigaro di Carlinole ghette bianche cheCarlino portava imitando gli eleganti di Parmasi trovavano in ogniluogo; e poi Carlino andava a caccia; il suo fucilerittonell'angolo della cucinaera cagione di continui terrori per lasignora Soave; così come le casacche scucitele calzeinzaccherate e le pezzuole fatte in duedavano pensieri e lavoro aTeresina.

Insensibilmentequel giovanottino di diciotto annil'unico maschiola speranzafuturaassorbiva tutta la famiglia.

Quandoegli si ritirava nella sua camera a studiareera un silenziogenerale; anche l’Ida doveva frenarsiperché i due esamiche Carlino avrebbe ripetuti in ottobreerano la piùimportante quistione che si agitasseper il momentoin casadell'esattore.

Luiilpadreuomo da poco e presuntuosoche nascondeva la propria nullitàsotto una grand’aria boriosa ed arcignaligio alle vecchieconsuetudini aristocratichetirannuccio volgareaveva giàstabilitocol suo precedenteil dominio assoluto del sesso forte.

Carlinotrovava il terreno preparatonessuna resistenzanessuna battaglia;vi si adagiava come in un letto.

Era unbuon figliuolopoi. Molte volte entrando nel salottodove la madree la sorella cucivanosepolte sotto una montagna di cencisaltavaal collo di entrambee prendendo Teresina per la vitala trascinavasotto il porticosuffolando un valzer.

E Teresinatutta rossascapigliatagridava: - Basta! basta! - cogli occhi che le lucevanocon un formicolìo per tutto ilcorpo.

Un giornole disse:

- Sorellinaoggi vado a mangiare i cocomeri.

- Oggiquando?

- Dopo pranzo.

- Dove?

- Dalla signora Letiziala zia dell’Orlandiche ha una bellacocomeriera poco lontana di quisulla strada della fontana. Vuoivenire anche tu?

- Oh! ... ma io non conosco la signora Letizia.

- Sì che la conosci; la vedi in chiesa le domenichenel terzobanco a destra; distratta tutto il tempo della messa per osservare sesuo nipote si trova in chiesa. Lei ti conosce; mi ha detto che lesembri una buona ragazza e se volevo condurti qualche volta atrovarla.

- Nono - tornò a dire Teresina - io nonla conosco.

Verso lesei del pomeriggiointanto che Carlino si calcava il cappello intestafu bussato alla porta di stradae la signora Letiziacon unvelino nero in capo e una mantiglia sul bracciosi fermòsulla soglia.

La signoraSoave andandole incontrola invitò ad entrare; ma era laprima volta che si parlavano e un certo imbarazzo le tratteneva;rimasero sulla soglia.

La signoraLetizia spiegò chepassando davanti alla portasi erapermessa di fermarsi per domandare il permesso di condurre ancheTeresina.

Lafanciulla stava a udireimbarazzatadivisa tra due pareri. Lasignora Letizia soggiunse:

- Mi farà compagnia lungo la strada.

La mammavoleva che Teresina salisse a mutar l'abito.

- Che! che! Andiamo in campagnanon ci vedrà nessuno.

Prese lamano della ragazza e se la pose dolcemente sotto il braccio.

Legemellein un cantoguardavano con invidia. Teresina se ne accorsee ne provò un vivo dispiacere. Voleva restarema come?

Le gemellegià grandette - avevano dodici anni - nutrivano un sentimento di gelosia per quella sorella a cui tuttivolevano bene e chenella sua qualità di sorella maggioregodeva qualche piccolo privilegio.

Ella tentòdi farsi perdonare l'involontario spassoabbracciandole teneramente;ma una di esse la respinse e l'altra girò la faccia.

Col cuoregrossoTeresina s’avviò insieme alla signora Letizia;non era ancor fuori dalla porta che l’Idaarrivando di corsadal fondo del giardinole si aggrappò alle vestistrillando.

Tornòindietroscusandosi colla signorariprendendo rassegnata il suoposto di Cenerentolavedendo già sulla bocca delle gemelle unmaligno sorriso di compiacenza.

- Quanti capricci! - disse Carlino; eprendendo la bimba perle spallela fece piroettare all'indietro; indi chiuse la porta.

In fondoTeresina andava senza entusiasmo a fare quella passeggiataavrebbepreferito restare in casa e non vedere il nicchio delle gemelle e nonudire gli strilli dell’Ida.

Peròquando fu uscita dall'abitatodavanti al bel viale che si perdeva avista d’occhiosotto il cielo rosseggiante dei fuochi deltramontonella calma della pianura silenziosafu presa da queldolce benessere che la invadeva sempre nei rari momenti in cuisecondo la sua espressionefaceva la signora. Alle ultime case delpaeseOrlandi era sbucato fuorie accompagnandosi con Carlinoprecedeva le due donne. Era la prima volta che Teresina si trovavacon Orlandila prima volta che lo vedeva bene.

Alto e benfattoil suo portamento aveva la disinvoltura graziosa e fiera diuna persona perfettamente equilibrata: ogni suo movimento rispondevacon armonia mirabile alla giusta proporzione delle forme. Il voltodi un pallore bronzatomolto regolare nei lineamentiuscivaspiccatissimo dalla barba neracortaricciuta; aveva una frontealta da poetaattraversata da una vena che si gonfiava facilmentenell’impeto della gioia o dell’ira. La bocca tagliava ilnero cupo della barba con un mezzo arco sanguignospesso dischiusoe tutto il volto si illuminava della gaiezza di quel risodove laspensieratezzala bontàlo scetticismo si alternavanoinuna mobilità strana di espressione. Gli occhi erano moltobellilarghiaudacie col loro sguardo mobile e cangianteriflettevano le stesse gradazioni indecise del sorriso; gradazioniche davano a quella fisionomia un fascino naturalequasiirresistibileil solo che potesse spiegare le ardenti simpatie cheOrlandi destava così nelle donne come negli uomini.

Era ungran parlatore; non diceva cose straordinariema vestiva sempre ilsuo pensiero di una forma vivacespontaneache poteva nonpersuadere ma che trascinava. Gli amici gli pronosticavano unabrillante carrieracome avvocato.

Stradafacendola signora Letizia parlò di suo nipote; eral'argomento favorito. Del resto la buona donna non ne aveva parecchia sua disposizione.

Quandofurono innanzi un trattoa sinistrasi presentò sullaspianata di una modesta piazzettail Santuario della Fontana.

- Entriamo un momento? - disse la signora Letizia.

- Farai tardi - le gridò suo nipote senza voltarsi.

La signoraLetizia e Teresina entrarono egualmentelasciando fuori i duegiovani.

La signoramostrò alla ragazza i lavori fatti da lei per quella chiesa;un pizzo da mensa a maglie ricamaterappresentanti le sceneprincipali della Passione; un velario di spumiglione di setacolorgiaggioloche era stato il suo abito da sposa; e poi tovaglie comunie paramenti per le colonnetutti tenuti un po’ alti da terraamotivo dei cani.

- Visitiamo la Madonna.

LaMadonnacolla sua fontana miracolosastavano in un coretto sottol’altare maggiore. Vi si scendeva da una scala che mettevadirettamente alla cappella circolare; graziosa cappellasimpaticadipinta a colori chiaricon un pozzo nel mezzo e due finestredallequali entrava l'odore di basilico dell’orto del curatomischiandosi all’odorino svanito dei fiori secchi cheingiallivano sull’altare.

Teresache non usciva quasi mai di casae che in fatto di chiese non sidipartiva da quella di San Francescola più vicinasiguardava attorno con piacererespirando il fresco profumatoosservando le pitture. C’era stata una volta sola alla Fontanae adesso le faceva un’impressione nuovacome di raccoglimentodi dolce misterod’estasi contemplativa.

Sollevatain punta di piediguardava fuori da una delle finestre i ciuffirigogliosi di basilico. In mezzo ad essi vide spuntareimprovvisamente la testa dell’Orlandi.

- Vengo a vedere se mia zia ha terminato di pregare per me... poichésono sicuro che prega per me.

Teresinasorridendo per confusionegliela mostrò inginocchiatasull'orlo del pozzo.

Il giovanes'era arrampicato sull'inferriata esterna della finestracacciandoavanti la testama invece di guardare sua ziafissò gliocchi in quelli della fanciulla. Non si erano mirati primanellaviaquando ne avevano tutto l’agio. I loro occhi siincontrarono làin quello strano ravvicinamentodivisi daun'inferriata e quasi soli. Teresinanella penombra calma e puradella cappellettacome una santa vergine staccata dal muro; egliarditoin attitudine aggressivacol bel volto irradiato nellaporpora del tramonto.

Lafanciulla distolse gli sguardima a malincuorelottando contro unfascino prepotentesentendosi salire dal petto alla gola unostringimentocome un dolore di ferita.

La signoraLetizia si alzòdopo aver baciata devotamente la balaustrache cingeva il pozzo benedetto; non aveva visto suo nipoteegli eragià scomparso. Teresina la seguì sopra pensieriequando sul sagrato incontrò Orlandi che usciva dall'orto delcuratoarrossìabbassando gli occhi.

Dopomezz’ora si trovavano tutti e quattro nella casa di campagna.

Orlandipazzo di gioventù e d'allegriatrascinava Carlino ai giuochii più arrischiati. Saltarono fossiruppero siepisischernironosi accapigliaronocon un rimbalzo di parole frizzantidi canzonature mordaci; inebbriati dall’onda del loro sanguedalla forza dei loro muscoli.

La visitaalla cocomeriera occupò il restante della seratasempre inmezzo alle risa ed al chiasso: finché Teresinaavvicinandosial fratellogli fece osservare che era tardi.

Il ritornofu tranquillo.

La signoraLetiziaappoggiata al braccio di Teresinapronunciava tratto trattoqualche frase insignificanteammirando la bella sera. La ragazzataceva.

- Potremmo essere un po’ più galanti - disse un tratto Orlandi - Carlinodà il braccio amia zia.

Eglistesso offerse il suocon molta disinvolturaa Teresina;camminarono così buon tratto di stradaciarlando tuttiinsieme.

All'estremitàdel vialeOrlandi e la ragazza si accorsero di aver perduto i lorocompagni e si fermarono per aspettarli.

- Non la si vede mai in paese.

- Esco poco.

- Ma nemmeno alla finestra.

- Oh! non ho molto tempo da stare alla finestraio.

Teresinadiceva la veritàsenza ostentazione e senza vergognaconquella sua schiettezza ingenua.

Orlandinon soggiunse altroma parve alla fanciulla che egli la guardassefissando gli occhi nella semi oscurità del viale; e quellosguardo più sentito che vistola turbò tutta.

Ai primifanaliegli disse ancora:

- Sarà stanca?

- Noniente affatto.

Teresinapensava che ella era troppo sciocca per interessare Orlandi; eranaturale che il giovane non sapesse che cosa dirledal momentoch’ella stessa si trovava imbarazzata a rispondergli.

Sullaporta il signor Caccia venne loro incontropieno di sussiegoimponente. Teresina lasciò il braccio del suo cavaliere.

- Ci rivedremonevvero? - così la signora Letizia.

Teresinaringraziòsalutandoricambiando la stretta di mano dellasignora.

AncheOrlandi tese la sua manoche la fanciulla toccò appenalasciando la propria inerte per mezzo minuto in quella del giovane.





XI.

L’organoaveva terminato di suonare il Gloria in excelsis; le ultimenote vibravano ancora sotto la navata oscura della chiesa di SanFrancesco.

Intantoche il prete recitava a voce bassa le orazionii fedeli facevano iloro preparativi per il Vangelo. Chi tossivachi si soffiava ilnaso; le donne tiravano adagio adagio la sedia per appoggiare i piedisulla sedia davanti; quelle che stavano nei banchi deponevano sullacornicefatta a modo di davanzaleil librogli occhialiilfazzoletto. Tutti si mettevano comodiallargando i gomiti per nonessere troppo pigiatiraschiandosi in gola e abbandonandosi di pesocolla testa in dietroil naso per ariaemettendo un piccolo sospirorassegnatoquasi a dire: Ci siamo.

Il curatodi San Francesco predicava malecon una voce monotona sempreafflitta da raucedine; le sue variazioni sul Vangelo non avevanooriginalità né vigore. Egli stesso non vi pretendeva;lo capiva forse di non essere ascoltato; e vedendo quelle testeabbassarsi via via sui petticiondolantivinte dal sonno; vedendoquella interminabile fila di sbadigliquella immobilitàrigida dei corpi intorpiditiegliil buon curatoprecipitava leparole affogandole in golatroncando le finali; finché lapredica si riduceva ad un mormorio indistintodolce come una ninnanannapiù dolcepiù cullante che mai inquella brutta giornataccia di novembrepropizia al sonno.

Strettacontro a un pilastroquasi per trovarvi una nicchiaTeresina nonascoltava nemmeno lei.

Sulleprime era stata un po’ distrattaguardando la gente chearrivava in ritardoche non trovava un postoe che lo cercavainsistentemente facendosi largo tra la fila degli ombrelligocciolantiche rigavano il pavimento.

Le signoreche stavano sedute colle gonne rialzate da terraattorcigliateintorno alle gambecercavano di non muoversisocchiudendo gli occhiin un mistico raccoglimento; ma un ombrello che cadevaun gomitosgarbato contro la tesa del loro cappellinole obbligava ascuotersia farsi da parte.

Quandotutti furono accomodati e il respiro dei dormienti salìoralieve ora fischianteda quella moltitudine di personeperdendosisotto le alte navatecome un accompagnamento corale alle parole delpredicatoree Teresina si sentì quasi solaun pensiero vennea tenerle compagnia - il solito pensiero che da un mese lestava fisso nel cervelloche la accompagnava nelle sue faccendedomesticheche la seguiva per la viache si coricava con lei tuttele seree ch’ella trovavaogni mattinaper il primo sulguanciale.

La suabuona mamma dormivacome gli altrial suo fianco; le gemelledavanti sembravano statue. Teresina sollevò la testaguardando in fondo alla chiesaverso la porta maggiore; ma un gruppodi contadiniin piediglie ne toglieva la vista. Allora fissògli occhidistrattasui finestroni a ogivadai quali entrava unaluce scialba. Pioveva sempree quelle goccie continue sui vetriimpolveratitracciavano dei rigagnoletti più chiarisulla trasparenza densa del cristallo.

"ilgiorno del giudizio o peccatori".

Questafrase moncache per un movimento del predicatore era giuntaabbastanza distinta al suo orecchiola scosse; procurò distare attenta alla parola divinaaggrottando le cigliastringendole mani sopra il suo libro di preghiere. Ma dopo qualche istante lemani tornavano ad allontanarsigli occhi ripresero le vie aeree super i cornicioninel fogliame dei capitellidentro lo sfondo dellacupolae ancora sulle ogive pallide battute dalla pioggia.

Un sorrisoimpercettibile le sfiorò le labbra; per un giuoco strano dellafantasia ella aveva visto improvvisamente quel finestrone illuminatoda un tramonto d’autunno e le saliva alla testacon un profondosospiroun profumo acuto di basilico; proprio come se avesse davantii ciuffi rigogliosi di quell'erba.

Chiuse gliocchiabbagliata.

Per un po’di tempo s’avrebbe potuto credere che ella pure dormissetantoera immobileassorta nella visione.

"Cosìavverrà quandoper la misericordia di Dioci troveremoriuniti in paradiso".

La predicaera finita. Tutti si alzaronostirando le gambesbattendo lepalpebre per cacciare un resto di sonno. Teresina aperse il manualea casotemendo avesse qualcuno ad accorgersi delle sue distrazionivolendo cacciarle coll'intensità della preghiera. Non era ilposto della messama ella lesse egualmentecon un ardore inquietopronunciando le parolespiccandolepiena di fervore.

"Viabbraccioo Gesùmia gioia e mia consolazione. O anima miacreata ad immagine di Dioama il tuo Dio da cui sei tanto amata. OGesùse non vi amo abbastanzaaccendete in me il fuoco delvostro amoreche mi abbruciche mi consumiche mi faccia tuttavostra".

Ilcelebrante trascinava l'ultima parte della messaassorto nel misticoraccoglimento della comunione. La signora Soaverispondendo ad unainchiesta delle gemelledisse:

- Or oraabbiate pazienza. Fate l'atto d'adorazione.

L'Itemissa est fu accolto con un movimento di soddisfazione generale.Teresina chiuse il libroin apparenza compostama con un tremito intutto il corpo. Si segnòfece la riverenza; il cuore lebatteva disordinatamente.

Appenafuori di chiesasulla sogliaprima ancora di aprire l'ombrelloella guardò ansiosa in un certo angolo della piazzetta.Orlandi era làriparato sotto un’ampia grondaall’anticacolle spalle al murol'occhio intento. Scambiaronouno sguardo rapidissimolor due soli; e poiquando furono viciniil giovane salutò.

- Come fa Orlandi ad essere ancora qui? - disse la signoraSoave. - Dovrebbe trovarsi a Parma già da un mese.

Teresinanon rispose; ma il suo viso divenne rosso infiammato.

Non osavapiù alzare gli occhi; camminava automaticamentefissando i quattro stivaletti delle gemelle i quali battevano illastrico davanti a lei.

Dallachiesa di San Francesco alla lor casa erano pochi passi. Sulla portafurono raggiunte da Orlandiche si scusò dell'ardireannunciando che l'indomani partiva per Parmaed era venuto achiedere se la signora Caccia avesse qualche imbasciata per Carlino.

Lasignoragrata e sorridentelo invitò ad entrare; egli volleschermirsene; ma siccome discorrevano sotto la pioggiale gemelleapersero la portae Orlandi si tirò indietro per lasciarpassare le signore.

Entraronoprima le gemellela mamma e da ultimo Teresinala qualepiùmorta che vivasentì prendersi rapidamente la mano e farscivolare in essa una lettera.

Non ebbetempo né di rifiutarla né di parlare e nemmeno diguardare l’audace cheritto sulla sogliaprotestava di nonvoler entrare a dar disturbobastandogli una parola per Carlino.

Ilricevitore uscì dal suo studioloalla voce d’Orlandi; legemelle salirono lentamente la scalastrisciando le scarpe per farleasciugare. Teresina le seguì.

Quellalettera le bruciava il palmo della mano; non sapeva dove metterla. Sispogliò con un pugno chiusoa movimenti febbrili; divorandocogli occhi le due ragazze che non terminavano mai di levare gliabiti.

Sotto ilporticoOrlandiil signor Caccia e la signora Soave scambiavano deicomplimenti; poi Orlandi se ne andò. Teresina col viso controi vetri lo vide allontanarsi verso la piazza.

- Non siete ancora pronte?...

- Che te ne importa? Facciamo il comodo nostro.

Le gemelleerano cattive e maligne; l'istinto le avvertiva che annoiavanoTeresina restando in camerae vi restarono più alungo.

Teresinacolla fronte appoggiata ai vetri guardava a piovere; aveva messo lalettera in tascae vi teneva sopra la manostringendola con furore.

Finalmentese ne andarono. La fanciulla balzò all’usciotiròil catenaccio etremante come fosse sul punto di commettere undelittoaperse la lettera.

"Hobisogno di parlarle da solo a sola; non mi neghi questo favore.Stasseradalle dieci alle undicipasseggerò finchéella abbia la bontà di aprire la finestra terrena.

Aspetto espero.

E.Orlandi"

Era piùed era meno di quello che supponeva.

Da un meseil giovinotto le facevavisibilmentequantunque delicatamentelacorte. Una dichiarazione formale non poteva essere molto lontanadalle idee di Teresina; se la fanciulla avesse avuto il coraggio diinterrogare se stessaavrebbe trovato il desiderio di quelladichiarazione in tutti i sospiri che gettava al ventonelle ansiedella domenicaquando doveva andare a messa e sapeva di vederlolàal solito posto; nelle distrazioni frequentinei sonni agitati: - sìla dichiarazione era attesa.

Ma quellalettera non diceva una sola parola d'amoree le chiedeva invecesenza preamboliuna cosa tanto gravequal era un appuntamento.

Teresinanon sapeva che risolvere; si trovava in una agitazione strana. Perfortuna nessuno venne a bussare al suo usciocosì che ebbetempo di rimettersi alquantoalmeno in apparenza.

Nascose lalettera in seno; ma era troppo altala sentiva scricchiolare ad ognimovimento; aperse il bustoe la spinse più avantivicino al cuore; allora le venne il dubbio che potesse scivolarle giùper la vita e perdersi per la casa; ne provò un terrore pazzo;tornò a slacciarsi tuttaassicurando la carta con uno spilloalla camicia. Ancora non si sentiva tranquillae ad ogni trattoandava tastando colle dita se la lettera fosse al posto.

Che volevaOrlandi da lei? Era possibile che l’amasse davvero? Egliil piùbel giovane del paese!

Si battéla fronte: - oh! - proruppe in un oh! di rabbiadi dolore.

Ricordavauna fotografia trovata nella valigia di Carlinoil ritratto di unabella donna che suo fratello aveva chiamata l'amante d'Orlandi.

Unostraziouna smania orribile la preseuna gelosia rapidaquasifulminea; un bisogno di interrogare suo fratellodi sapere chi fossequella donnase Orlandi l’amava moltose l’amava ancoradove erache facevatutto tutto.

E Carlinoera a Parma!

Si morsele mani dal dispetto; almeno glie lo avesse domandato subitolosaprebbe. Ma che glie ne importava allora? - E adesso? Loamava già tanto quell’Orlandilo amava al punto disoffrireda piangere per lui? perché piangevanondirottamentema con quelle lagrime scarse e brucianti che lascianoil solco.

Nonsarebbe andata all'appuntamentooh! no. Gli avrebbe rimandata la sualetteracon un silenzio sdegnoso.

Ma se lastoriella del ritratto non fosse vera? Se Carlino avesse affibbiataall'amico quella innamoratacosì per celia? In fattiperchétenere nella sua valigia il ritratto dell’amante di un altro?

Si chetò.

Rifecedolcementela breve tela de’ suoi incontri col giovane; laprima volta che si erano conosciutinella passeggiata alla Fontana;l’improvvisata che egli le aveva fattatrovandosi subito ladomenica appresso sulla porta della chiesa. Ripensò i suoisguardi così espressiviquella bella personaquella testaintelligentequel sorriso che pareva un raggio di sole.

Unasoavità d’amore la invase; sentì correre per levene un giubilo novocome se una grande felicitàl'attendessecome la sua vitachiusa fino allorasi aprisse adorizzonti sconfinati. Ma volle frenarsidopo tutto non sapeva checosa le avrebbe detto Orlandi.

Pensòun istante di chiedere consiglio alla pretora. Se fosse statapresentele avrebbe narrata ogni cosa. Ma la pretoraquel giornonon si fece vedere.

Prima discendere Teresina cedette a un desiderio invincibile di rileggere lalettera. Era la terza o la quarta volta che si sbottonava l'abitoche sentiva correre sulla pelle quel foglietto di carta levigatamorbido come una carezzapungente come una ferita; ed alla carezzasorridevaalla puntura gettava un piccolo grido smorzato dalpiaceretutta tremantesembrandole che quel fogliouscito dallemani di un uomo e che ella nascondeva in senotogliesse il primovelo al suo pudore di vergine.

Quandoandò a raggiungere la madre nel salotto terrenoella si eracomposta una fisonomia calmama così seriacosì pienadi misteroche la signora Soave le domandò subito che cosaavesse.

Teresinamentìcome mentono tutti gli innamorati. Ma in fondo al cuorele doleva quella menzogna alla mammanon sapendo poi nemmeno leiperché tacevaperché mentiva.

La signoraSoavecolle manine di cera abbandonate sui ginocchi e lo sgabellosotto ai piediincominciò a parlare di Carlinodelle camicieche bisognava mandarglidei fazzoletti che non erano orlati ancora;ogni tanto interrompeva la litania monotona con un:

- Te ne rammentinevveroTeresina?

Teresinadiceva di sì.

- Tuo padre si lagna sempre; dice che non facciamo economiache quelragazzo gli costa un occhioe chese noi non sappiamo limitarcinelle spesesarà costretto a fargli sospendere gli studi...

Unlunghissimo sospiro sollevò il petto gracile della signoraSoaveper un po’ non ebbe voce; indi ripreseaffievolitatenendosi una mano sul cuore:

- Ho raccomandato all'Orlandi di dargli dei buoni consigli … cheposso faremio Dioche possiamo fare noi donne?

A quelnome di OrlandiTeresina aveva trasalito impercettibilmentevolgendo gli sguardi al gran quadro meccanico che conteneval'orologio. Erano le due. Otto ore ancora!

Le gemelleintanto si accapigliavano nel vano della finestramutesenzachiedere soccorso a nessuno. Convenne dividerle; cinque minuti doposi abbracciavanoal medesimo postofacendo sberleffi alla lorosorella maggiore.

L’Idasi annoiava con quella giornataccia: in causa della pioggia nonpoteva uscire nel cortile a giuocare. La noia pei bambini èsinonimo di capricci; ella incominciò a far tante diavolerieche la signora Soavecolla testa intronatasentendo un principio diemicraniapregò Teresina di occuparla.

ETeresinapazientementesi pose a ritagliare degli ometti di cartae poi delle carrettellee dei vasi da fioree poi delle casette coltettocolla portacolle finestre da chiudere e da aprire.

Era calmasorrideva; ma ad ogni quarto d’ora i suoi occhi cercavano conansia le sfere dell’orologioe ad ogni ora che suonavailsangue le dava un tuffo.

Per losforzo del contenersiera diventata pallida. Aveva dimenticato difar colazione; si sentiva appetitoma non la voglia di mangiare.Anche il parlare le costava fatica. Avrebbe voluto chiudersi nellasua camerae non far altro che pensare a luiintensamenteesclusivamente.

Non erapossibile. Verso le quattro dovette andare in cucina ad ammannire ildesinare; la mamma l’aiutavadebolmentesedendosi ad ogniminutostringendo colle manine gialle il capo che le doleva.

- Va’va’mamma; faccio io.

- Le gemelle potrebbero darti una mano...

- Nomamma; hanno i loro compiti di scuola.

Le gemelleerano l'incubo di Teresina. Ella se le vedeva crescere accantoastiosediffidentiricambiando con una musoneria fredda tutte lesue premure. Avrebbero potuto essere le sue amichele sueconfidentie invece una barriera di ghiaccio le divideva. Questo eraun grande sconforto per Teresina.

Cosìtutta sola nella cucina bassaintenta a uffici volgarila fanciullaingannava l’eternità dell’aspettativa avvintadocilmente alla sua catenaimparando la grande virtùfemminile del dominarsila profonda abilità femminile dinascondere un tormento dietro un sorriso.

Nelmuoversi rapidamentenel chinarsiella sentiva ancora losfregamento della lettera sulle carni delicate del seno; allorastringeva le labbrapalpitando lievementecome per assaporaremeglio quella sensazione che era ad un punto dolore e piacere.





XII.

Tutta lafamiglia era a tavola; la signora Soavecon due fettine di limonesulle tempialagnandosi dolcemente; l'esattore rosso in facciasbuffante; le gemelle silenziose; l'Idaversando di soppiatto un po’di minestra nel bicchiere.

Teresinain mezzo a quelle persone notea quelle persone che ella chiamava isuoi cariche per vent’anni avevano esclusivamente occupato ilsuo cuoresi sentiva quasi straniera. L’amore la isolavalaassorbiva con quell’egoismo tirannico che è uno de’suoi principali caratteri.

Leicosìbuonacosì timidache si angosciava sempre ai dolori dellamamma; lei che tremava davanti alle terribili sopracciglia inarcatedel padrequel giorno aveva una sola preoccupazioneil timored’essere scoperta.

L’orologiodel campanileincastonato fra gli alberi di cartonenon aveva maiattirato i suoi sguardi come allora; le quattro braccia del mulino avento sembravano agitarsi per leicome braccia di silfidi gnomidi deità sconosciute che le additassero orizzonti lontani.Tutta la sua anima era attaccata a quell’orologio.

- Il brodo non ha nessun sapore - disse il signor Caccia.

La signoraSoave sospiròcosternata.

- Vi ho detto tante volte di metterci un sedano a bollire. L’avetemesso?

- Bisogna domandarlo a Teresina - rispose prontamente unadelle gemelle.

- Hai messo il sedano nel brodoTeresina? L'hai messo?

La vocestridente del signor Caccia dovette ripetere la domanda. Teresina nonaveva capito. Alla seconda voltascossa da quel falsetto imperiosorestò imbambolata come uno che si desti improvvisamentepersorpresa; avvertendo una sensazione di antipatia per tutte quellepersone che la tormentavano.

Il sedano?Ella non ricordava più; per quanti sforzi facesse nonriuscì a raccapezzare la memoria di un fatto cosìsemplice e recente. Si pigliò della stupidafra i sospiri disua madre e il riso ironico delle gemelle.

Nel suoaccasciamentola fanciulla fu colta da un improvviso terrore. Se ilpadre sapesse?

Nessunacosa poteva spaventare maggiormente Teresina. Ella chiese a se stessacome mai ardiva nascondere una lettera e vagheggiare un appuntamentodavanti alla terribilità di quel personaggio.

Abbassògli occhi e si pose a tremare come una foglia; si sentiva venir meno.

Altropensiero orribile. Se la cogliesse uno svenimento? Se le aprissero ilbustoper farla rinveniree la letterala fatale lettera...

Diede unbalzo sulla sedia.

- Che haiTeresina?

- Nulla.

Elladoveva avvezzarsi a quella risposta. Nulla. Nulla di ciò chesi può direche si può vederenulla di ciò chegli altri capiscono.

Nulla - così spesso sinonimo di tutto.

Rapidamentedecise di non comparire all'appuntamento e di distruggere subito lalettera. Era una vergogna nutrire pensieri simili nel grembo dellafamigliaaccanto a sua madre ammalata e tristefra le sorelleinnocenti...

Un vivosentimento di pudore la imporporò tutta. Come si trovavacolpevole! Quanto era sfrontata! Che ne aveva fatto de’ suoibuoni principiide’ suoi voti di purezza?

Si ricordòcerti discorsi uditiche per perdere una donna basta un minuto; chel'onore delle fanciulle si appannacome il cristalload un soffio;e tornò a tremaresbigottitaalterata in viso per modo chesua madre la indusse a muoversia prendere qualche cosa.

- È il tempo - disse il signor Caccia - conquesta umidità continuanon si può star bene - .Teresina ringraziò Iddio che suo padre non avesse alcunsospetto.

L'orologiosegnava sette ore. Il signor Caccia si alzò dignitosamente;andava a prendere la sua porzione di politica al caffè dipiazza.

Le donnerimaste solesi raccolsero in gruppo attorno alla lucerna.

- Figlie mievi pregostate tranquille; ho la testa che mi vuolscoppiare.

- Che si farà tutta sera?

- La pretora non viene?

- Noha dei forestieri.

- Giuochiamo a tombola.

- Io proprionon ne ho voglia.

Questadichiarazione era di Teresa.

- Sìsìa tombola!

- A tombola!

Le gemellesi ostinavano. L’Idaper giuocare coi fagiolivoleva anche leila tombola.

- Che s’ha a fare d'altro?

- Leggete - suggerì Teresina.

- Leggere non è un giuoco.

- Narraci una fola! - esclamò l’Ida.

Una folaera assolutamente impossibile. Dove avrebbe trovato l'argomento? E lacalmae la pazienza per svolgerlo?

- Nonola fola no...

Sirifiutavaimplorandocon una dolcezza dolorosa. Sembrava dire:AllontanateSignoreda me questo amaro calice. Si sentiva maledavvero; i polsi le battevano disordinatamente; aveva la testa infiamme e le mani di ghiaccio.

La signoraSoave gemette:

- Purché siate tranquille...

Teresinasi rassegnò alla tombola.

I numeriuscivano lenti dalle sue labbraspesso incomprensibilispessoancora sbagliati. Era ricaduta nelle visioni amorose. Vedeva Orlandibelloseducenteche le chiedeva il favore di una parolanient’altro che una. Che male c’era? Chi lo avrebbe saputo?

Unaindolenza molle prendeva il sopravvento nei suoi pensieri. Infine nonera lei che lo aveva cercato.

Quest'ultimaconsiderazionela più futileebbe il potere dicalmarla. Disse i numeri a voce altachiarareagendo con uncoraggio improvvisodando un’occhiata rapidissima all'orologio.

Erano leotto e mezza.

Alle novecominciò a tentennare.

L’Idaaveva sonno; bisognò portarla di soprasvestirla e coricarla.La piccina le aveva incollate le braccia sugli omeri; voleva dormirevicino a lei. Teresina pose la testa sul piccolo guanciale e finse didormire.

Se avessedormito davverolàsulla cullaincosciente e serena comel’Ida?

Un passonella viala fece trasalire. Mio Diolui! Nonon era lui.

Le gemellesi stavano svestendola signora Soave aspettava il ritorno delmarito. Teresinacome un’anima in penacorreva dall’unaall’altravolendo mostrarsi disinvolta; ma via via che il tempopassavaera presa da un tremito nervoso che la scuoteva tutta.

Alledieciessendo rientrato il padrone di casasi sprangò laporta; i coniugi si ritirarono nella loro camera. Era il momentodecisivo.

Abbattutasopra una sediacoll’occhio fisso sul letto delle gemelleTeresina ripeteva: "Non scenderònon scenderò".Ma l'orecchiointentospiava ogni passo che risuonasse nella via.Già le sembrava di averlo uditoquel passobattere incadenzalentamentecome un tacito richiamo.

"Nonscendooh! non scendo certamente". Disse ancora cosìper persuadersi ch'ella era ben decisa.

A untratto prese il lumediede un ultimo sguardo alle gemelle chedormivano e si lasciò scivolare giù dalla scalaleggiera come un’ombra.

All’ultimogradino si fermònascose il lume dietro un pilastro e mossebrancicando nel salotto buio.

Disseancora: "Non gli parlofaccio solamente per vedere se c’è".

Non urtònessun mobile; giunse dritta davanti alla finestra e l’aperse.

- Grazie.

Orlandi leaveva afferrate le mani e glie le stringeva con passione.

Lafanciulla non rispose né alla stretta né al grazie; matremava così straordinariamenteche Orlandisorridendo unpocoriprese:

- Sono stato arditole chiedo scusa... se mi fossi immaginato di darledispiacere...

Teresinascosse il capo.

- No?... non dispiacere forsema certamente un disturbo. Oh! miassicuri; mi dica che questa sua bontà per me non le procureràdelle noie in famiglia...

Teresinafece per dire qualche cosae non potendo riuscirvistrinseleggermente le mani che imprigionavano le sue.

Orlandiebbe uno slancio di gioia; soggiunse:

- Siamo soli?

- Sì.

Seguìun breve silenzio. Ad onta della sua franchezzaanche il giovanesembrava commosso. Disse infine a voce bassaavvicinandosi piùche potevacolla faccia passata a metà fra le sbarre dellafinestra:

- Sa che cosa volevo dirle?

Teresinaprincipiò a tremare.

- Non lo indovina?

Istintivamentecome all'avvicinarsi di un pericoloella volle ritirare le mani.

- Non lo indovina?... - ripeté il giovane stringendopiù forte.

- Non s’è accorta di nulla?... Non sa che io l’amo?

Irrigiditala fanciulla ascoltava quelle parole così nuove per leisentendo saliredalle mani del giovaneuna ebbrezza in tutte lefibre.

- È la prima volta che un uomo le parla così?

- Oh! sì...

E vi eratanta innocenzatanta mestizia e tanto sgomento insieme in quellaesclamazioneche Orlandi continuòtrasportato:

- L’amol’amo!

Piovevasempre. Orlandi era bagnato dalla testa ai piedi; anche Teresina sisentiva piovere in facciatante stille gelate sulla sua faccia cheardeva. La viasotto la fiamma scialba di un lampioneluccicavapiena di pozze; quasi tutte le case vicine erano immersenell’oscurità; solo ad una finestra della Calliopebrillavaoscillanteun lume.

- Mi dica qualche cosa... l'ho offesa?

- Nosignore...

Quel"signore" tornò a far sorridere Orlandi. Egli nonriusciva a comprendere lo sbigottimento della fanciulla; non vi eraabituato; però assuefacendosi a poco a pocovi trovava ungusto piccantementre una tenerezza insolita gli ondeggiava nelcuore.

- Una parola ancora... mi permette di amarla?

- Oh Dio...

- Mi permette?

Volevaaggiungere: sarà un amore nobile e puro; ma comprese che erainutile dir ciò. Teresa non ne poteva immaginare un altro.

- Ho paura.

Anchequesta parola fece sorridere il giovane; ma di un sorriso che nonaveva nulla di irritanteche pareva anzi un compatimentounacarezzaun’indulgenza di persona forte.

- Cara... non si fida di me?

Leaccarezzava le mani dolcementeprima sul dorsopoi nel palmostringendole le dita ad una ad una. Non si vedevano bene in quelbuiodove apparivano solo i contornima si guardavano intensamenteattirati l’uno verso l’altra.

Orlandiparlò ancora del suo amore. Disse che partendo all’indomanisarebbe felice di portare con sé una parola di speranzachele avrebbe scritto da Parmae le domandò s’ellarisponderebbe.

Amonosillabibalbettandola fanciulla dichiarò che nonavrebbe potuto ricevere le sue lettere.

- Perché?

- Se mio padre lo sapesse!

- Non lo saprà.

- Io non esco sola.

- Basta parlare col procaccio. È un buon uomoci aiuterà.Ella stia pronta quando passanient’altro... qui a questafinestra. Non è difficile.

Teresinanon voleva. Orlandi fu eloquenteinsinuante; le dimostrò cosìchiaro che sarebbe stato inconsolabile del suo rifiutoche alla fineacconsentì.

Un passoincerto e zoppicante risuonò nel vuoto della viaverso lapiazza.

- Per l'amor del cielo!

Teresinaspauritafece atto di chiudere la finestra.

- Noaspetti... mi lasci vedere...

Lafanciulla aveva già accostato i vetrima non si risolveva amettervi l’arpionemormorando nella fessura:

- Si allontaniper carità...

- Aspetti un momento. È Caramella.

Lo zoppopassòe Orlandifingendo indifferenzasi pose a costeggiarecautamente il sentierocome se volesse evitare di bagnarsi i piedi.Quando Caramella fu abbastanza lontano per non destare piùsospettiOrlandi supplicò:

- Un’ultima parola...

Teresinariaperse i vetri.

- Mi dica che mi vuol bene anche lei!

QuestoTeresina non lo disse; ma sospirò e tremò per modo estrinse così soavemente le mani del giovaneche costui non lechiese altro.

- Buona notte.

- Buona notte.

- Pensi a me...

Silenzioeloquentissimoprolungatissimo.

- Addio.

- Addio.

Perònon si staccavano.

- Verrò presto...

Un altropassoin lontananzali decise; Orlandigettandosi il mantellosulla spallafradicio d'acquastrinse ancora una volta le manidella fanciulla e si allontanò.

Teresinanello staccarsi dalla finestradovette reggersi al muro perchébarcollava. Aveva le guanceil collole braccia bagnate dallapioggia; eppure ardeva. Trovò il lume semispentodietro ilpilastro. Salì adaginocautama non piùtimorosameravigliata ella stessa di sentirsi così forte.

Tutta lacasa era tranquilla. Le gemelle dormivanorussando lievementecollacoperta fin sopra le orecchie.

Teresinacadde in ginocchio nel corsello del lettocolla fronte contro ilguancialein un’estasi d'amore; con un bisogno immenso dielevare il cuore a Diodi prenderlo a testimonio delle sue emozionidi benedirle e di purificarle nello slancio di una preghieraardentissima. Il cieloper leiera il punto di partenza d’ognicosa bellaed al cielo mandava i suoi novi desidericastafidente.

RingraziòDio come di una grazia ricevutacome di una felicitàinsperata. Si sentiva duplicare la vita; un altro essere palpitava inleidandole la sensazione strana di due pensieri in un pensiero.

Era amata!Amava!

Si spogliòrapidamentedimentica di tutto e di tutti; del padre terribiledella sua buona mammadell’Ida che fra poche ore sarebbe destachiedendo le sue cure. L'assorbimento amoroso si manifestava contutta la sua potenza. Dio e Orlandi.

In lettocogli occhi sbarratiil corpo immobilecolla lettera stretta sulsenoella ripensò parola per parolacarezza per carezzatutta la scena della sera.

Ed erafelice.

Didormirenemmeno la più lontana probabilità;potendonon avrebbe volutoper non staccarsi dall'immagine diletta.

Sirammaricava un po’ di non aver saputo parlaredi non averchieste maggiori spiegazionidi non avergli fatto promettere chel’avrebbe amata sempre. Le dispiaceva soprattutto di non averglidomandato il suo nome.

Come sichiamava Orlandi? Nella firma della lettera prima del casato c'eral'iniziale E. Forse Edmondocome quell’amico di suo fratello?Forse Enrico? Edoardo sarebbe pur stato carinoo Edgardo ed ancheEugenio.

Baciòla lettera a più riprese teneramenteparlandole come apersonaimprovvisando canti e poemitrovando tutte quelle paroleche un’ora primaalla finestraaveva inutilmente invocate.

Stava benedappertuttonel corponell’animanel cuore. Un’armoniadolcissima correva da’ suoi pensieri alle sue sensazioni; avevala piena coscienza della sua gioventù e della sua salute. Erasana ed era felice.

Siabbracciava da sécolle mani sull’alto delle bracciasembrandole di avere nelle carni un piacere nuovo; e dentronell’intimo delle fibreuna leggerezza ideale che latrasportava.

Non presesonno in tutta la nottema sognò tra un dormivegliadeliziosomormorando nomi d’amore. Aveva spiegata la letterasul guanciale e vi posava sopra la facciacolla bocca in giùrespirandola.





XIII.

Teresinanon faceva altro che pensare a Orlandi; ma sempregiorno e nottesenza posacon un sacrificio completo di tutti gli altri affetti; enon ne provava alcun rimorso.

Lesembrava al contrario di aver trovata la sua vera stradal’unicoperché dell'esistenza. Che erano gli altri amori divisiincompletial confronto di questo amore che la prendeva tuttaanimae corpo?

Perchéella amava molto sua madrema non aveva mai passate le notti asognare di lei? amava molto la piccola sorellinama non fremeva alricordo delle sue carezze? Che c’era di nuovodi diversonell’amore per Orlandiper questo straniero che avevasoppiantato in pochi giorni l’anzianità degli altriaffetti?

Non avevamai dimenticate le profonde emozioni avute dal dramma Rigoletto;ma le comprendeva meglio ancoracomprendeva l’amore terribileche conduce alla morte. Né questa comprensione la rendevamesta; all’alba felice dell’amore ella non poteva avere chepensieri rosei.

Cantavapateticamente "Tutte le feste al tempio" con un accento didonna iniziata ai misteri della passionema col volto ilare di chisi sente amatoe non teme insidie.

In realtàla sua vita si era arricchita di una sorgente inesauribile di gioie.Quando sedeva nel vano della finestraoccupata per ore intere arattopparechi poteva impedire alla sua fantasia di rinnovare centovoltemille voltefino a sazietà completa il suo colloquiocon Orlandi?

Ed ora sìLuzzi poteva passare impunementeguardando le finestre dellaPortalupi; ella sorrideva.

Sorriseanche una mattinache passò il professore Luminellidimenando le braccia.

Come tuttierano brutti al confronto di Orlandi! E le sembrava che ognunodovesse accorgersi della somma ventura che le era toccata; le venivamolte volte la voglia di gridare: ohbadateOrlandi mi ama.

Nellostesso tempo aveva delle prudenze da serpente per non tradire il suosegreto. Una o due volte al giorno si chiudeva in camera per leggeree per baciare la lettera; e poi usciva serenacon un’aria disfida all’universo.

Si trovavaingranditaprendendo di se stessa un concetto meno umile; se Orlandil’amavae l’aveva scelta in mezzo a tante ragazzevuoldire che non era proprio quel nulla che aveva sempre creduto. Lavanità non poteva germogliare nel suo cuore squisitamenteamorosoma una ingenua soddisfazione le faceva brillare sul volto labellezza propria delle persone felici.

Il suosorrisoche era sempre stato graziososcintillava; le pupilleavevano sguardi più vivipiù sicuri.Nelle movenze del bustonei rapidi sollevamenti del pettola donnasi rivelava attraverso le rigidità della vergine.

Pensandoqualche momento al pessimismo della pretora riguardo agli uomini edall’amoreTeresina concludeva che la povera donna non dovevaessere stata amata mai. S’ella avesse veduto una sola volta gliocchi di Orlandicome li aveva veduti leifissiparlantiumidi diun ardore represso; se avesse udito quella voce appassionata; se lesue mani avessero sentito quella stretta che penetra fin nel midollodelle ossa e che non si dimentica piùforse nondirebbe tanto male degli uomini.

Esistonocertamente uomini malvagima nello sguardo limpido d’Orlandinessuna malvagità poteva nascondersi.

Da pochigiorni appuntovigilando al mattino il passaggio del procaccioellaaveva ricevuta una lettera; una vera lettera d’amore questavoltacon parole brucianticon frasi che le davano le vertigini.Era tutto un mondo che si schiudeva all'anima sua ed a’ suoisensi.

Per quantoe l’indole e l’educazione e la vita avessero fatto di leiuna fanciulla affatto prosaicasotto la vampa del novissimo affettoscaturivano dalla sua immaginazione idee da poeta.

Alla seraquando tra il ronzio monotono delle bambinei lamenti della madrela lentezza delle ore sul quadrante dell'orologioella si sentivaopprimere spinta da desiderida aspirazioni pazzeusciva nelcortile e se ne stava per dieciper quindici minuti in estasigustando quell’isolamento che le permetteva di dedicarsi tutta alui. Né freddoné ventoné brina lapreoccupavano; metteva i piedi nella sabbia umida dei vialiabbandonava i capelli alla rugiada della nottecogli occhi rivoltial cielocercando nelle miriadi delle stelle una combinazione cheformasse la lettera E.

E quandoquella lettera a caratteri ardenti si disegnava nell'immenso azzurrole saliva dal cuore un’onda commossaquasi una promessaunaprofeziaun segno indelebile della grandezza del suo amore.

Ora sapevail nome dell'Orlandi - Egidio. Non era nessuno di quelliimmaginati primaneanche un nome noto; non conosceva nessuno conquel nomenon poteva nemmeno dire che fosse un bel nome; eppuredopo averlo pronunciato una dozzina di voltepensando a Orlandileparve il più dolce nome della terra.

Nésolamente colle stelle ella componeva quel nome. Nelle ore in cuiCenerentola solitariaera obbligata a starsene in cucinarittaaccanto al fuocolo tracciava con un fuscellonella cenere.

Nelrovescio delle impostenegli angoli oscuri delle muragliesulmargine del calendariodappertutto dove una matita poteva giungerele E si succedevano accarezzateprolungate in svolazzi.

Sull’usciodella sua cameraaccanto al suo lettodove nessuno poteva vederlaun’E maiuscola era intrecciata ad un T - ed ogni seraprima di coricarsiTeresina baciava quel monogramma come avrebbebaciata un’immagine benedetta.

Tutte lesue azioni restavano involontariamente sottoposte al pensierodominante. Si muovevaparlavacome se Orlandi la vedesse. Talvoltasorrideva nel vuotocoll’allucinazione del caro volto davantiagli occhi. Prendeva l’abitudine di interrogarlodi chiedergliil suo parere. L’illusione era così viva che alcune serementre si spogliavagettava un grido di spaventosembrandole cheOrlandi fosse lì.

Inqualunque luogo e in qualunque ora il giovane le fosse apparsononpoteva sorprenderlaperché ella lo aveva sempre con sé;si meravigliava anzi di non vederlo comparire alle sue potentiinvocazioni.

Siscrivevano spesso. Queste lettere oramai formavano un piccolo volumeche ella non riusciva più a nascondere in seno. Dopolunghi dibattimenti e ricerche penoseTeresina decise di cucire lasua corrispondenza nella federa del materasso; ma spesso ancorascuciva per rileggerlae tutte le notticoricandositrovava mododi mettersi a giacere proprio sul suo tesoro.

Risponderea codeste lettere non era un piccolo pensiero.

Ella sisapeva illetterataignorante d’ogni artifizio di stileetemeva di fare cattiva figura; si limitava quindi alla coniugazionedel verbo amare in tutti i tempi.

La suamaggiore gioia consisteva nello scrivere: "Mio dilettissimoEgidio" in alto - e sotto: "fedele Teresina".

La vigiliadi Natale venne Carlo a passare le feste in famiglia.

Carlinoaveva veduto Orlandigli aveva stretta la manoqualche cosa di luidoveva essergli rimasto; Teresina lo circuiva con astuziaconfinezzainvidiandogli la somma felicità di vedere Orlanditutti i giorni.

Usavastratagemmi ingegnosi per indurlo a parlare dell’amico.

- Come è graziosa quella cravatta! Ne aveva una simile... non sopiù chi... Oh! ma precisa. Chi mai l’aveva?

- Orlandi.

E un’altravolta:

- I tuoi amici sono ancora FranceschinoEdmondo?

- Sì.

- Non ne hai altri?... delle classi superiori... dell’università?

- Orlandi. Egli è mio amico più che mai.

Teresinagioiva.

La mattinadi Nataleintanto che la mamma e le ragazze finivano di approntarsiper la messaTeresina già vestitacol suo abito nuovo dilanacol cappellino di feltro grigiosi metteva i guanti ai piedidella scala.

Carlinozufolava sotto il portico.

- Senti Carlino.

- ?

- Ti ricordi una certa fotografia che mi hai mostrata quest’autunnouna donna... cosìcol braccio stretto alla vita... vestita dibianco?

- Uhum!

- L’avevi nella valigia... ti sembrava molto bella...

- Ebbene?

Teresinastringeva i dentifacendo forza per allacciare il suo guantocollatesta chinata.

- Dovresti mostrarmela ancora.

- Adesso?

- Nonon adessoquando vuoi.

- Non l'ho più. Devo averla resa all'Orlandi.

- A Orlandi?

- Sìera sua.

Il bottonesaltò viacon un colpo nettoe la fanciulla poté farcredere che l'improvvisa contrazione del suo volto dipendesse da quelcontrattempo.

Si eraripromessa una bella mattinata in chiesacol suo abito nuovoilcappellino che le stava tanto benema tutto rimase guastato. Sisentiva profondamente infelice.

Nellanavata a destrala giovane signora Luzzisposa da quindici giornitutta pallidaaffettando un’aria vaporosasfoggiava bellissimidiamanti e trine vecchie di Chantillycagionando molte distrazioni epeccati d’invidia.

L’abitodi Teresina non venne nemmeno guardato; ma non era per ciò chela fanciulla si crucciava. Ella pensava a quel ritratto di donna.

Le tremesse le parvero sei. Smaniava di trovarsi soladi strapparsi didosso tutte quelle vesti inutilidi buttarsi col capo in giùsul suo lettuccio e di piangere.

In quellafolla che la circondavatutti i volti le sembravano nemici; lamusica dell’organo le metteva addosso una tristezza da campanafunebre. Ma perché si mostrava così lieta la vecchiaTisbetutta arzilla sotto una cuffietta nuova? Perché erasempre così rubicondaquasi lucida come una melala grossaserva di Monsignore? E la moglie del sindacocalmaserenaassortanel suo libro di preghiere? E le due sorelle Portalupiricevendo ilriflesso dell’eleganza della sorellavestite anch’esse conun abito nuovonella aspettativa fiduciosa di un principe? Tuttaquesta gente non amavanon era gelosa; tutti si godevano in pace lasolennità del Natale.

Guardòancora la sposina Luzzi. Che irradiamento! Lei era felice.

Anche queltormento finì; uscirono di chiesale gemelle davantiTeresina dietro colla mamma.

Sullapiazzetta Carlino le aspettavama insieme a Carlino c’eraOrlandi. Teresina non voleva credere a’ suoi occhi; arrossìpoi divenne pallidapoi tornò ad arrossire.

I duegiovanotti si accostarono. Orlandi ancora più bello delsolitospigliatoridentecollo sguardo che raggiavacon unabbandono sicuro in tutte le movenze.

- Il Natale qui? - gli domandò la signora Soave.

Orlandirisposeguardando Teresina alla sfuggita:

- Sono venuto a trovare la zia; riparto fra un’ora. Non volevopassare questo giorno senza vederla.

Teresinacapì; si appropriò sguardoparole e intenzione.Avrebbe voluto ringraziarlo lì sul sagratosotto quel belsole d'invernoin mezzo a tutta quella gente che un momento prima lesembrava nemica.

Sollevògli occhi lentamenteturbatagiulivavolendo mostrargli la suariconoscenzae pur compresa della necessità di non tradirsi.

Egli leaccompagnò fino alla porta di casastringendo la mano atutte; stringendola a Teresina in modo particolarequasi aconfermarle che era venuto per lei sola.

Lafanciulla era in estasi; scomparsa la malinconia; scomparso ildispetto. Risecantòfece due o tre volte il giro dellapropria camera ballando; si guardò nello specchio con sommacompiacenzacon una gioia trionfante.

Scelse nelcassettone due nastri che le gemelle vagheggiavano da qualche tempoe gliene fece dono.

Condussel’Ida a spasso per il giardinogiuocando con leiabbracciandola tutti i momenti con certi baci caldifuriosi...

- Torna in casaTeresinapiglierai freddo.

Forse chefaceva freddo? Teresina ubbidì e tornò a casa; masalita di nuovo nella sua camera spalancò i vetricedendo aun bisogno d’ariadi lucedi moto.

A tavolasi parlò di Orlandi. Il signor Caccia disse che era uncapo-scaricoche dava cattivi esempi a Carlinoche s’era giàmangiato parecchie volte i denari della laureae che non riuscirebbemai a nulla di buono.

Carlinodifese l'amico. Assicurò sopra tutto che Orlandi mettevagiudizioe che alla fine dell’anno si sarebbe laureatoimmancabilmente.

La primaparte del discorso aveva ripiombata Teresina ne’ suoi cruccimale spiegazioni date dal fratello la rassicurarono.

Anche alei Orlandi aveva scritto che quell’anno piglierebbe la laureae dopo si sposerebbero.

Nella serastessaprima di coricarsipreparò una lettera. Teneva sottoil letto uno scodellino coll’inchiostroper non destaresospetti a portarsi il calamaio in camera; la carta la pigliava nellostudio del babbo; carta azzurrinaquadrettataa fogli larghi comepezzuole; il giorno poi in cui arrivasse a possedere qualche lirasisarebbe data il lusso dei piccoli fogliettini inglesicome liadoperava lui.

Scrisse:che era felice della bella improvvisatache per quella aveva passatoil più gaio Natale della sua vitae tante altre cosinegraziosecome le sanno dire e scrivere le fanciulle innamorate. Masiccome le bruciava sempre in fondo al cuore la gelosia della belladonna fotografatadopo tre pagine di tenerezza si decise a battereun po’ quel terreno pericoloso. Non poteva tenersi il dubbio;era troppo atroce. Voleva sapere da lui la verità.

Sottoscrissecome il solito"fedele Teresina". Ella era ben sicura direstargli fedelesemprefino alla vecchiaiafino alla morte.Campando la media comuneaveva davanti a sé trent’anniancora per amare Orlandi; e si rallegrava pensando come sono lunghitrent’anni.

Tre giornidopo riceveva in risposta un letteronecon francobollo doppiocontenente la fotografia della bellastracciata in pezzi. A questanuova vittoria la felicità di Teresina non ebbe piùlimiti.

Un lievefumo d’orgoglio si mischiò alla schietta sensazione delsuo amoresi sentì potentedivenne audace.

Scrisseancora: che desiderava vederloparlarglichiedergli cento cosepersuadersi che egli l’amava veramenteudirlo ripetere dallasua bocca.

Il giovanevenne. Si diedero un convegno come il primoalla finestradi nottee fu più lungo del primoinebbriante; Teresina nonaveva più paura.

Dellecento cose che voleva chiederglinon glie ne chiese alcuna; una solafu detta e ripetuta d’ambe le parti senza varianticon uncrescendo d’ardore; e la ridissero nel separarsie se lagiurarono coll’anima sulle labbra.

Nullaormai sembrava impossibile a Teresina; con l’amore di Orlandil’avvenire era suo.

Diquindici in quindici giorni lo studente capitava a farleun’improvvisata. Ella cucivaaccanto alla finestrae lo vedevaa un tratto comparirerallentando il passo per potersi scambiarealmeno un’occhiata. Che emozioni erano quelle!

Quandotornò la primaverae Teresina poté lavorare coi vetriapertiil suo cuore era sempre nella viaspiando il passod’Orlandi.

Eglipassavarasente il muromormorandole una dolce parola; ellalasciava cadere l’agooppressa da un turbamento delizioso.Solamente i loro sguardi si incontravano in un abbraccio immaterialeeppure tutte le fibre della fanciulla trasalivanocome al tocco diuna fiamma.

Nell’abitudineperdeva la prudenza. Oramai non guardava più se la viaera desertaquand’ella vi si affacciava per salutare il suoamante; non si accorgeva che vi fossero alcune teste curiose dietrole gelosie. Aveva dell’amore tutte le fedi e tutti gliardimenti.

Un dopopranzo del mese di giugnola pretora indusse Teresa a fare unapasseggiata sull’argine; presero insieme anche Idae cosìchetamentes’avviarono dalla parte dei boschidove la riva èquasi deserta.

Faceva unmagnifico tramontouno di quei tramonti porpora che si vedono sulPodove pare che un incendio arda dietro la linea verde dei pioppi.

La bimbasi pose subito a cercare i sassolini e le erbesaltellando liberanell’aperta campagna. Le due amiche venivano dietro silenziose.

Eranoproprio amicheora; da quando Teresina aveva compiuto i vent’annila pretora aveva voluto che le desse del tu. Venivano dietrosilenziose; la pretora preoccupataTeresa nell’estasi dei suoisogniguardando la riva opposta del fiume.

Bruscamentecom’era suo costumela pretora disse:

- Guardi verso Parmadove c’è Orlandi?

Lafanciulla arrossì tuttaimpreparata alla lotta.

- Non negaresaiè inutile. Il tuo è il segreto diPulcinella.

- Come?...

- Come avviene sempre di questa sorta di segreti.

Teresinaraccontò ogni cosa; poiché custodir un segreto amorosoè una voluttàma farne la confidenza ad un’amicaè voluttà maggiore.

Accesa involtocon una sovrabbondanza di gesti e di paroleella tentòdi far capire come Orlandi l’amava; ma la pretora l’ascoltavasenza molta emozionetacendo.

- Vedi se l’ho trovato l'amore ardente e puro? Esiste!

La pretoracontinuava a tacerecamminando a testa bassacoll'aria di personache medita.

- Ebbenenon credi?

- Che cosa?

- Che Egidio mi ami.

- Oh! sì... lo credo.

- E allora perché fai quella cera scura?

- Perché... non sapreima non sono d’opinione ch’eglipossa renderti felice.

- Non è un buon giovane?

- Te lo accordo.

- Hai vistoquando ci fu l’innondazionecome si prestòsenza compenso alcunocon rischio della vita? Tutti allora parlavanodi lui come di un eroe.

- È vero

- Ha ingegno.

- Senza discussione.

- È simpaticobello...

- E questi sononon v’ha dubbioi suoi meriti piùevidenti.

- Se poi lo conoscessinell’intimitàquant’ècaro...

- Anche di ciò sono persuasa. Ma è una testa caldacapisci? piena di grillicon poca tenacità di propositiconnessuna voglia di lavorare...

- Sembri mio padre! - esclamò Teresina con dispetto. - Come se tutti al mondo dovessero essere posatiseri e noiosiper riuscire a qualche cosa di buono.

- È un fatto - continuò la pretora - che da tre anni si mangia regolarmente i denari della laurea.

- Ma quest'anno no. Me lo ha promesso.

- Voglio ammettere. E dopo?

- Dopo ci sposiamo.

- Così?

La ragazzamostrò di non comprendere.

- Non può esercitare l'avvocatura prima di averne fatta lapratica.

- La farà.

- Altri due anni.

- Pazienza.

- Egli di casa sua non è ricco...

- Insomma finiscila. Io l'amo.

Dopoquesta interruzione violentala fanciulla pianse un pocostringendosi al braccio dell’amicaripetendole che adoravaEgidioche non avrebbe potuto vivere senza di lui.

La pretorasi intenerì; ricordò anche lei i suoi primi amorilebelle illusioni de’ suoi vent’anni.

- Infine - mormorò - posso ingannarmi.Orlandi non è cattivo; se ti ama veramentesapràcompiere il miracolo.

- Mi ama!

Cosìgridò Teresina infiammata d’entusiasmocolle bracciatese verso la riva destra del Podove il sole tramontando accendevai boschi.

XIV.

La grandenovità fra gli studentiquell'annoera la laurea d’Orlandi;una laurea splendidavinta a furia d’audaciacome un assaltoalla baionetta.

Che cosaaveva potuto indurre quello studente così poco studioso adabbandonare una vita che sembrava oramai entrata nelle sue abitudini?

Sisusurrava misteriosamentea Parmadi un amore segreto. Al di quadel fiumeil mistero si diradava di giorno in giorno: non eranemmeno più un mistero. Tutti avevano veduto Orlandinella via di San Francescoe ne indovinavano il perché. Leragazze non potevano darsi pace a pensare come mai il piùbel giovane dei dintorni si perdesse con quella Cacciala quale nonera né bellané appariscente.

E laguardavano con curiosità invidiosaquando usciva dalla messafacendola passare dalla testa ai piedicommentandolasarcasticamentea parole breviacutesaettanti.

- È però simpatica - disse una volta Luzzirispondendo alle sue cognatine.

- Simpatica! - esclamò l'ultima delle Portalupi - ecco una parola inventata per contentino delle donne che nonhanno nessuna bellezza.

In casanon si sapeva ancor nullama la pretora continuava a ricevere leconfidenze di Teresina.

- Quando fa conto di sposarti?

- Appena finita la pratica.

- Dove pratica?

- Dal primo avvocato di Parmail Sandri.

- Tua madre non s’è accorta di nulla?

- Non credo.

- Diglielo.

Ma questoera uno scoglio. Teresina non sapeva da che parte rifarsi; preferivaaspettare in silenzio la domanda formale.

Tutto unanno passòtranquillo in apparenzaagitato per Teresina chedivideva i suoi giorni in due categorie ben distinte; quelli in cuiaveva notizie di Orlandie quelli che scorrevano senza notizie.

Ognimattina si levava pensando: avrò lettera quest’oggi? Eche penequanti artifiziche lungo esercizio di ipocrisia pertrovarsi sempre pronta alla finestraquando passava il procaccio.Erano diventati amici; egli la salutava toccandosi il berrettoconun sorriso indulgente di persona praticadi buon uomo senza malizia;lei diceva graziein frettalanciandogli un’occhiatariconoscente. E poi correva a nascondersi col suo tesoro.

Ma spessevolte il procaccio non aveva nulla per Teresina; passava dall’altraparte della viaammiccandocon un cenno impercettibile del capo.

Era sempreun gran doloreuno sgomento come se le mancasse la terra sotto ipiedi; lo seguiva collo sguardoallorasembrandole impossibile chein mezzo a tutte quelle lettere non ve ne fosse una per lei. Di chierano quelle lettere? Chi scriveva? Chi riceveva? Forse era accadutouno sbaglio. La lettera di Orlandi giaceva in fondo alla sacchettadimenticata; forse peggioil procaccio l'aveva recapitata per errorea qualcun altro.

Quandoquesto dubbio si impadroniva di Teresinaera come se avesse lafebbre. Non vedevanon capiva più niente. Passaval’ora della colazionequella di pettinarsidi vestirsidilavorare; passavano tutte le orelenteorribili. Teresina stavamale; il cuore le doleva da scoppiareoppure rallentava lepulsazionicome se dovesse mancarle la vita ad un tratto.

Edissimulava sempreimpassibilegirando per la casa come un automafinché verso le quattro il procaccio tornava a passare collaseconda distribuzione; Teresinache lo aveva aspettato tutto ilgiornolo chiamavaansiosavolendo assicurarsi che non avesseportata altrove la lettera di Orlandi. Noegli giurava che lalettera non v’era. Il cuore di Teresina sembrava sollevarsi unpoco a questa dichiarazione; cessava il timorema una malinconiasottile vi subentravaun senso di isolamentod’abbandonocomese il mondo si sfasciasse intorno a leied ogni cosa vivaallontanandosiella rimanesse sola in un gran buio freddo.

Due o trevoltesi erano trovati alle undici di seraal solito convegno; epoiché il loro amore toccava l'apogeo dell’ebbrezzaidealequegli incontri erano pieni di soavitàpienid’illusione.

Orlandiaveva quella tenerezza delicata dell’uomo sinceramenteinnamoratoche nasconde gli artigli non per ipocrisiama per untrasporto momentaneo dell’anima sul corpo. Teresina aveval’abbandono fidente della donna che non provò ancora idisinganni.

Varcavanoentrambi il periodo più bello della passionela zona fulgidasenza macchie. Lui non aveva detto tuttolei ignorava molto; efraqueste due lacunel’immaginazione si stendeva all’infinito.

Attraversola inferriata che li separavaessi cercavano i maggiori punti dicontattoinvolontariamentespinti da una irresistibile attrazione;ed era la fanciulla chenella sua ignoranzasi offriva; era lei cheavvicinava il voltoche tendeva le labbrasenza rossoresenzapaura; meravigliata che il giovane si ritraesse in certi momentiesembrasse freddoproprio quand’ella lo stringeva piùardentemente.

La naturanella sua violenza e nella sua purezzaparlava a Teresinaed ellaaccoglieva il più sacro degli istintinon deturpato daalcun pensiero cattivo. Era buonaera candidaamava; amava quelgiovane che doveva essere suo marito; ecome metteva i suoitrasporti a’ piedi di Dio nelle sue fervide preghierecosìnon li celava a luiignorando le imposture della modestialereticenze della civetteria.

Da queicolloqui ella usciva con un ricordo di felicitàche bastava arenderla felice per parecchi giorni di seguito. La sua gioia nonaveva ombre. Non dubbi sulla fedeltà di Egidio ch’ellasentiva tutto suonon ansie per l’avvenire. Unica penalalontananza. Ma anche questa era temporanea. Ottodieci mesi ancorapoi Orlandi l’avrebbe chiesta in isposae allora tutte le portesi sarebbero aperte al fidanzato.

Non potevasoffermarsi a lungo su questo pensierotanto la prospettiva eraabbagliante. Moglie di Orlandicol suo nomecol diritto di amarlocolla sicurezza di essere amatae per sempre!

Ellaportava nell’amore l'esaltazione fatidica dei santi per la lorofede; si sentiva chiamataguidata da una mano invisibile. Accordicelesti risuonavano dietro di lei; sognava la sua unione con Egidiocome le verginichiuse nei chiostrisognano di unirsi al Signoremisticamentenell’elevamento dell'anima che assorbe la materiae la trascina; arse dal bisogno di trasfondersiarse dallostruggimento femminile che le spinge tuttereligiose ed amantiadonarsi sopra un altare; a farsi schiave dell’uomo o schiave diDio.

Questoprofondo desiderio delle catene che tormenta le belle anime di donnaha in sé una voluttà straordinaria; esse attingononella debolezza quelle gioie medesime che vengono all'uomo dallaforzae trovano nel cedere una ebbrezza ancor maggiore che gli altrinon trovino nel conquistare.

Un altrosentimentogermogliato dall’amoreTeresina lo provava in unaspecie di rispetto nuovo per la propria persona. Si lavava con saponiodorosicurava le mani con una attenzione minutaaccorgendosi perla prima volta di avere delle belle maninevolendo renderle ancorpiù bellepiù morbide ai baci.

- Non capisco - diceva la signora Soave - spariscono i limoni dalla dispensa come fossero panetti.

E legemellead una voce:

- Teresina li adopera tutti per le sue unghie.

Nel suoinnocente desiderio di piacerediventava raffinata. Non toccava néaglioné cipollei giorni in cui sapeva di dover parlare conEgidio; oppuretemendo di portar con sé qualche odore dicucinacoglieva delle foglie di geranioe se le metteva in petto.Non si trovava mai pulita abbastanza; avrebbe voluto olezzare come unfioreper lui.

Lamaggiore delle Portalupi si faceva sposanon col sottoprefettoconun impiegatuccio di Cremona. Le orfanelle cucivano il corredoeTeresinache conosceva la direttrice del pio ospizioandò ungiorno a vederlo insieme alla pretora.

La solaparola "nozze" le faceva battere il cuore. Si sentivatrascinata con una curiosità ardente verso quel corredo che leorfane eseguivano sopra modelli fatti venire appositamente da Milano.Le povere ragazzeun po’ stupidemolte ignorantituttebruttespiegavano la biancheriamostrando i ricami di una pazienzainaudita.

Ladirettricevecchia zitellacoi peli sul mentocolla facciaindurita nell’ascetismotoccava colle sue mani scarne labatista pieghevolepassando il lembo del grembiale sotto i traforiper dar loro maggior risalto.

- Questa ghirlandina di viole - disse la pretora.

- E questo punto di Venezia - soggiunse Teresinaindicandouna camiciala cui metà superiore era tutta di trinetrasparenti.

Ladirettrice la spiegò interamentevolendo mostrare ladiligenza delle sue allieve. In fondo alla camiciadopo l’orlocorreva una gala di trine arricciatedi una leggerezza ideale.

Teresinainterrogò cogli occhi la sua amica.

- Sono bizzarrie... saiin alcune circostanze.

Ladirettricerigidanon comprendendo nulla all’infuori dellavoroteneva la camicia altaspiegata come una bandiera. Intorno aleile orfane cogli occhi imbambolatile bocche aperteguardavanoin silenzio.

- E tutte le camicie senza maniche? - esclamòTeresina.

- Oh! - fece la direttrice con accento pudibondo - quelle per la notte no.

- Quelle non si portano - mormorò la pretora.

- Che dici? - sussurrò Teresina a bassa vocesgranando gli occhi.

- Dico che quelle orribili camicie alte fino alle orecchiecollemaniche lunghetutte a pieghe sul pettocoi manichini ed il collorivoltatigrazie a Diorimangono sempre come mostra nei corredi. Inpratica servono meglio le altre.

Ladirettrice si morse le labbradura e correttaprendendo un pacco difazzoletti bianchie poi un altro a colori assortiti; cremaroseoazzurrinolilla pallido. Tutte quelle tinte giovanilimesseinsiemesembravano un mazzo di fiorie rallegravano la bianchezzauniforme della telaricomparendo nei nastri delle cuffietteneglisbuffi delle camiciuole da mattina.

Lafanciulla osservava tutto minutamentecolla testa bassaattentavolendo ritenere i disegni dei ricamiper copiarlipensando con unpo’ di rammarico che ella non avrebbe mai tutte quellemeraviglie.

- Abbiamo anche un corredo da bambini già pronto; desideranovederlo?

- Di chi è?

- Della signora Luzzi.

- Oh! la sorella.

- Appunto.

- È dunque vero?... Si è fatta aspettare alquantoeh?

Ladirettrice non rispose. Ella non aveva l'obbligo di conoscere questecose.

La pretoradiede un’occhiata superficiale al corredino. Ne erano giàpassati tanti per le sue mani! ed alla fanciulla che lo andavaesaminando disse:

- Per questo hai tempo.

Teresinaarrossì.

- Ne facciamo dei più semplici all’occorrenza- soggiunse la direttricela quale seguiva il filo delle sueideeimpassibile - e prendiamo tutto dalle nostre clientila telai merletti...

- Benebene.

- Si fa per queste povere ragazze che non hanno né padre némadre.

Teresinaguardò le orfane schierate in filae le parvero tutte cosìbrutte che ne provò una compassione grandissima. Certonessuna fra esse avrebbe conosciuto l’amore; esenza amoreache cosa si riduce la vita di una donna?

- Poverine!

Ladirettricecredendo quella parola pietosa fosse diretta alla povertàdelle sue allievesi affrettò a soggiungere:

- Qui però stanno bene; il cibo è sanoil lavoro noneccessivo. Quando esconose hanno imparata un’arteètutto vantaggio loro.

La pretoraapprovò in silenziocol capo.

Teresinanon era convinta di quella fortuna. Pensava ad Egidioa’ suoisguardi di fuocoalla stretta appassionata delle sue mani. A poco apoco si staccò dall’ambiente in cui si trovava. La suaamica parlavain piedicolla direttriceed ellainterrogatadiceva: "sìnobello": sorridendo o crollando ilcapocome una macchinasenza capire.

Dentro aleiintorno a leiun’onda di pensieri la cingeva al pari diuna nubeisolandola. Erano frasi troncheun moto delle labbraunguizzoun silenzioun sospiro... L'ultima volta che si eranotrovati insiemeegli aveva detto "le mie manine"baciandole; eripensando a quella seraTeresina ripeteva "lemie manine" cogli occhi socchiusile braccia lentestringendosi da se stessa la mano.

Si scossequando la direttrice la salutòed a quel saluto fecero eco leorfanellein coro.

Ma fuorinell’ampiezza delle vie desertenel verdeggiamento deglialberisotto il cielo digradante in pallori da opalela seguìquell’onda dolcemente incalzantequell’assorbimento in unpensiero unico che tiranneggiava tutti gli altri.

Alla seraintanto che si stava spogliandorivide la fantasmagoria delle trinedella batista ricamatadei nastri cerulei e color di rosa. Sospiròlievementecon un’ombra di malinconia sulla frontee provòad arrotolare le maniche della sua camiciain alto sulle spallepergiudicare l'effetto delle camicie senza manica. Concluse ch’ellanon avrebbe mai osato portarle; ma si pose a letto turbataassalitada tentazioni che la tennero desta per molto tempo.

Avevaventidue annisi trovava nel pieno rigoglio della giovinezza; puranon insensibile.

Il misterodella vita incominciava a farsi strada nel suo cervello; ma nonavendo ancora avuta una rivelazione brutaleil fatto restava sempresoggetto all’idea. Sentivanon sapeva; e queste sue sensazionitentava nascondere come una colpaappunto perché ignorava chefossero le sensazioni di tutto il mondo.

Non lepassava neppure per la mente che sua madre avesse potuto amare cosìneanche la sua amicané alcuna delle persone di suaconoscenza. A tutti costoroche amava da annicui era legata pervincoli d’abitudine e di confidenzanon avrebbe palesato unosolo de’ suoi ardori.

Unpensiero che l’assaliva ogni seranella solitudine del suolettuccionella infinita dolcezza del buioera questo: Che cosaavrebbe fatto Egidio appena si fossero sposati? subitoil primomomento? Ella non dubitava punto che l’avrebbe abbracciata.Aveva letto qua e làdi amplessi amorosiricordava certefrasicerti lembi di conversazione e le sembrava che l’abbracciosenza l'inferriata di mezzodovesse essere la maggior deliziadell’amore. Chiudeva gli occhie si sentiva scorrere un brividoper tutto il corpo.

Peròse il curato di San Francesco tuonava qualche volta contro lepassioni peccaminosese nel suo libro da messa leggeva gli anatemiscagliati contro la carneera assalita dagli scrupoli. Si credevaallora una grande colpevolee arrossiva nel suo lettuccioal buioraggomitolandosi tutta nella camicia con un pudore bizzarro.

Un altropudore stranoinesplicabilele era venuto ne’ suoi rapporticol fratello.

Aspettavale visite di Carlino con ansia grandissimaper avere notizie diOrlandiper sentirne parlare; ma non correva più a’suoi baci; non cercava le sue carezze; non gli si metteva vicinovicinocome una voltaper fiutare l’odore del sigaro o persfiorargli la barba nascente. Se egli la prendeva per la vitascherzandosi scioglieva come sotto l'impressione di un malesserequasi di una ripugnanza fisica.

Siaffrettava poi a correggerla con una parola affettuosama una speciedi acredine le restava nel sangue. In una di queste occasioniCarlino le disse:

- Come sei selvaggia! Se fai sempre così non potrai piaceremolto agli uomini.

Ellarimase un po’ mortificatatemendo di non avere graziesufficienti. Tuttavia sapeva bene che con Egidio non sarebbe stataselvaggia; al contrarioera sempre tormentata dal desiderio diaccarezzarloed uno de’ suoi piaceri più intensiquando sarebbero maritatidoveva essere quello di abbracciarlo ebaciarlo come faceva coll’Ida.

L’Idase la prendeva sui ginocchi eincominciando dai capellile baciavaridendo tutto il voltofino al mentofino al collofin dietronella nuca dove spuntavano i riccioli ribelli. Egidio però nonlo poteva prendere sui ginocchie l’idea che si potesseroinvertire le partile procurò una delle veglie piùagitate.

XV.

Il signorCaccia era nel suo studioloduro e impettitoquantunque fosse soloper la grande abitudine che aveva di posare.

Sedutosulla sua poltrona in forma di biga romanacogli occhiali sul naso euna lettera in manogrugniva sordamente. Un colpo di tosse seccacome se gli andasse un boccone di traversointerrompeva trattotratto la lettura che fu lunga e laboriosa.

Quand’ebbefinitorestò immobilecogli occhiali rizzati sulla frontelo sguardo torbido.

La mezzaluce di un giorno nebbioso rischiarava appena lo stanzino rendendopiù tristi le quattro pareti a spugnature el’affliggente scansia d’ufficio tutta piena di cartebollate. La libreriaalla quale Carlino aveva finito di rompere ipochi vetri intattinon mostrava più i diciottovolumetti del Bottacolor cecené la sontuosa legatura inpelle rossa dei classiciché far rimettere i vetri costavatroppoe Teresinadietro suggerimento di sua madrevi avevainchiodato un traliccio verde.

Quelcolore oftalmico dava alla libreria un aspetto misteriosocome seracchiudesse dei veleni.

Il signorCaccia restava sempre immobileprofondamente meditabondo: non udendonemmeno il rumore che faceva l’Idatrascinando un carrettosotto il porticoné la voce spezzata della signora Soave chele raccomandava la tranquillità; e nemmeno due colpiabbastanza risoluti picchiati sul battente della porta.

Quando siaperse l’uscio sollevò gli occhi e fu meravigliato diveder entrare Orlandi.

ConOrlandi si diffuse per lo studiolo un tale sprazzo di gioventùe di allegria che l'esattore aggrottò le sopraccigliae sifece ancor più cupo; alla qual cosa il giovine nondiede importanzamatendendo cordialmente le manisalutòl'esattore con molta disinvoltura.

- A che posso attribuire?... - disse subito il signor Cacciasollevandosi per metà dalla poltrona con quel tanto dicortesia indispensabilema volendo mostrare che la visita erainopportuna.

- Le porto anzitutto i saluti di suo figlio.

- Mio figlio!... Avrebbe ben meglio a fare che mandarmi dei saluti.Tuttavia s’accomodi. Spero non avrà altri incarichi daparte di mio figlio?...

Invece disedersi il giovane fece atto di partire.

- Scusivedo che la incomodo. Se vorrà ricevermi un altromomentola prego di farmi conoscere l’ora in cui posso trovarlalibera.

Il signorCaccia balbettò una scusa; capì di essersi spintotroppo oltree volle dare una giustificazione al suo malumore:

- Nopregos'accomodi. Deve compatire se risposi un po’ irritatoall’udire il nome di mio figlio. Quando si dedica tutta la vitaad una ideaquando del dovere di padre di famiglia si è fattauna religionequando e spese e sacrificitutto si affronta per ilbene dei propri figliè assai duro il vedersi cosìmale corrisposticome lo dimostra un giovane che non ha népuntiglioné delicatezzané cuore.

Orlandiascoltò questa sfuriata nel più rispettososilenzioe solo quando l'ultima sillaba di cuore morìnell'eco delle quattro paretisi credette in obbligo di rispondere:

- Dubito che un istante di colleracertamente giustissimama forse unpo’ eccessivale faccia giudicare a torto...

- Giudicare a torto? - interruppe il signor Caccia. Osserviquesta letterae leiche è amico di mio figliomi sappiadirese lo sadovecome e quando si possa fare un debito di centolire. E noti che non gli manca nulla! Alloggiovittovestiariotutto pagato.

Queldebito di cento lire non poteva far molta impressione su Orlandi;anzise fosse stato il caso di esprimere netta e chiara la propriaopinionenon avrebbe esitato a dichiararlo una vera miseria.Tuttaviaper non irritare maggiormente l’esattoreegli mostròdi comprendere la sua indignazionesoggiungendo però moltecose a discolpa di Carlino; l'etàl'occasionel'esempioicompagni.

- Appunto i compagni!

Il signorCacciaaccentuando la frasefulminò il giovane conun’occhiata olimpica.

- È molto tempo che non faccio vita con Carlino.

Orlandidisse queste parole semplicementesenza avere l’aria didiscolparsi: tanto che il signor Caccia tornò ad aver vergognade’ suoi trasportie si rinchiuse in una taciturnitàpiena di sussiegopiù che mai impettito.

- Il motivo che qui mi conduce - continuò Orlandi convoce chiaraben timbrata - è di natura cosìopposta alle preoccupazioni in cui la vedo assortoche temo...

Si fermònon perché non sapesse che direma perché voleva chel'altro lo incoraggiasse.

- Parli pure liberamente; sono avvezzo a far tacere i miei sentimentiparticolari. Quando si occupa un posto di pubblica fiducia... Dicainsommadica.

Pronunciòqueste parole con molta dignitàtenendo il pugno teso sullascrivaniala faccia immobile.

- Lei saprà che ho terminato la pratica d’avvocato nellostudio di Sandri.

- Mi pare infatti di averlo sentito dire. Gliene faccio i mieicomplimenti.

- Grazie! macome può crederenon è per questo che sonvenuto. Ho premesso il fatto de’ miei studi compiuti perispirarle la fiducia della quale ho bisogno...

Lieveesitazione; immobilità perfetta del signor Caccia.

- ... nel momento in cui vengo a chiederle la mano di sua figliaTeresa.

Dettequeste paroleOrlandi alzò la bella fronte alteradove sileggeva la persuasione dei propri meriti e la grande fiducia del suoamore corrisposto.

Perqualche istante il signor Caccia non diede alcuna rispostasembravapietrificato. In realtà pensava alle frequenti passeggiated’Orlandi nella via di San Francescoad alcune allusionischerzose udite in caffèalle distrazioni di Teresinaesenon avesse avuto un illimitato rispetto di se stessosi sarebbe datodella bestia per non aver subodorato la faccenda. Ma riguardoso piùche tutto del decorosi fermò eaccontentandosi di inarcarele ciglia col più severo de’ suoi sguardi disse:

- Obbligatissimo dell'onore... ma... la sua posizione...

- Non è assicurata - interruppe il giovane con fuoco - è vero; tuttavia quell’amore che mi fece superarei primi ostacolimi aiuterà a vincere gli altri. Solo ch’ellavoglia darmi appoggio.

- E quale appoggio?

Orlandinon si era immaginatopreparandosi al colloquioche questoargomento dovesse riuscire così scabroso. A pensarlo non erastato nulla; sul punto di tradurlo in parole balbettò:

- Quando avessi una piccola somma per l'avviamento...

- Ah! Ed ella conta su di me per questo? Mia figlia non ha dote. Hoquattro ragazzesignoree se dovessi dare una dote a tutte quattronon resterebbe altra risorsa a mio figlio che quella di andare a fareil contadino.

L’evocazionedi suo figlio inasprì maggiormente il signor Caccia. Si levòin pieditutto rosso e sbuffantedeciso a troncare bruscamente laquistione. Soggiunse a questo proposito:

- Nomia figlia non è per lei.

Orlandipallido d’iraera stato ad ascoltarlo senza poter credere alleproprie orecchie. Le ultime parole lo ferirono come freccia; fece unpasso avantibaldosicuro coll’occhio che gli fiammeggiavacolle vene della fronte leggermente gonfie:

- Signor Cacciaamo sua figliae le mostrerò che non hobisogno della dote. Se ella avesse avuto un po’ di fiducia inmeun po’ d'affetto per Teresinanoi saremmo piùprontamente felici. Così è una quistione di tempoeper parte mia avrò il piacere di non doverle nulla. Arivederla.

Uscìbruscamentelasciando l'esattore intontito.

La signoraSoave fu la prima a ricevere il contraccolpo della scena. Suo maritola trovò nella camera nuzialegenuflessa davanti albambinello di cera.

- Non si può proprio fidarsi di nulla in questa casa! Dovreiaver occhio a tutto; agli affariall’azienda domesticaalfiglioalle ragazze!

- Che hai Prospero?

Ella sialzòun po’ tremantevedendo che suo marito dava lachiave all'uscio.

- Ebbene?

Il signorCaccia stette zitto un momentotanto da comporsi in attitudineseveraferma; poicon quanta maestà poté mettere aldi sopra della sua colleradisse:

- Non ti sei mai accorta che Teresina amoreggi con qualcuno?

Un rossoredi fanciulla spaurita apparve e sparì subito dalle guanciedella signora Soave; ella balbettò abbassando gli occhi:

- Sai benele ragazze...

- Come? - interruppe tuonando il signor Caccia. - Èdi mia figlia che debbo udire queste cose? Sono questi i principii dame inculcati? Sono questi gli esempi dati?

- Volevo dire... Non c'è niente di male in ciò. Teresinaha quasi ventitre anni; sarebbe tempo che si mettesse a posto.

- E per mettersi a posto fa la civetta cogli scapestrati!

Udendoparole così grossela signora Soave si turbò tuttaeriprincipiò a tremare; non bastandole l’animo di tenerfronte a suo maritoeppure disperata per le accuse fatte a Teresina.

- Come puoi dire così di una ragazza tanto buona?

La frasele venne spezzata due o tre volte dai singhiozzii quali noncommossero affatto il signor Cacciafisso nel principiodell’inflessibilità.

- Era una buona ragazzao almeno la credetti taleil che ècertamente più esatto; perché una figliarispettosa non si sarebbe mai arrischiata a incoraggiaresenza ilconsiglio dei genitoril'amore di un giovane ozioso e vagabondo.

Le maninedella signora Soave si levarono a coprirle il viso. Mille ricordilontanimemorie di illusioni sfumatevennero a renderle piùdoloroso quel momento. Ella non sapeva dell’amore di sua figliaper fatti o confidenze avute; ma lo vedeva aleggiare nell’arialo intuiva dagli sguardi vaganti della fanciulla - forse siilludevanel suo cieco affetto di madrenella sua tenerezza didonnache l’amore ha resa infelice e che sorride ancoraall'amore. Certo non ebbe bisogno di chiedere il nome dell'amante diTeresina. La bellala simpatica figura di Orlandi le balenòsubito nel pensiero e fu allora che chiuse il volto nelle manisospirando. Però vedendo che suo marito tacevaebbe ilcoraggio di soggiungere:

- Infine che avvenne? - con una vocina dolceconciliante.

- Quello spiantato di Orlandi è venuto a chiedermi la sua mano.

- Dunque l'ama davvero? - esclamò ellagiulivasembrandole cosí giustificata la passione di sua figlia.

Il signorCaccia alzò sdegnosamente le spalle:

- Che ne sanno dell'amore questi giovinastri senza legge néfededediti al piacere; che passano la vita gozzovigliandoimmemoridei più sacri doveri!

Nellamente timida della signora Soave passòcome un lampolariflessione che anche gli uomini serimaestosi rigidissiminonsanno nulla dell'amoree dimenticano essi pure all'occorrenzaqualcuno dei loro doveri. Ma questo pensiero non lo concretònemmeno coll'apparenza di una frase; mise un sospiro piùlungosoffocandolocome ne aveva soffocati tanti altri nella suaesistenza di donna modesta e rassegnata. Disse appena:

- Pare che egli metta giudizio. Ha terminato gli studiha fatto lapratica...

- E poi... e poi non ha un soldo. Non ha una professione. Aspettandoche gli capitino i clienti vorrebbe mangiarsi la dote della moglie.Bel partito!

Ella fusopraffatta dall’evidenza del ragionamento. Per quanto il signorCaccia vi aggiungesse di suospinto da una naturale antipatialaposizione di Orlandi non era la più sicura.

Avvezzad'altra parte a riconoscere semprein ogni occasionela superioritàdi suo maritosi persuase che egli aveva ragionein massima; salvoil caso che Orlandicol suo ingegnoriuscisse a far fortuna.

- E però - disse ancora la signora Soavesentendo nelcuore tutta l'angoscia della figlia - se egli mostrasse difar bene veramentese ottenesse un impiegoche so io? un mezzo percrearsi una posizione onorevolenon saresti disposto ad anticiparequalche cosa a quella povera ragazza?

- Si vede proprio che non hai un’idea pratica della vitache seiuna donnicciuolanon capace che di cianciare.

- La mia dote...

- La tua dotedivisa in cinquenon darebbe a ciascuno il pane. Eabbiamo il maschioil sostegno della famiglia! È per lui chedobbiamo fare dei sacrifici. Quando saremo vecchi non è dalleragazze che potremo sperare aiuto. Il maschio porta il nome e l’onoredei Caccia: non posso trascurare il suo avvenire per dare allefemmine una doteche andrebbero a portare in casa altrui.

La signoraSoave non parlò più. Era convintarassegnata;piegava il capo davanti all'eloquenza del maritofatta persuasa dauna lunga abitudine che le donne devono cedere sempre.

Lo straziofu quando dovette spiegarsi con Teresina. La ragazza aveva giàletta la propria sentenza sul volto accigliato del padreche a leinon si degnò dir nulla; ma quando la mamma tentò dirimuoverle il pensiero di quell'amoremostrandole che non potevacondurla ad altro che a gravi dispiaceriella proruppe in un piantocosì disperatoe si disse cosí ferma nella decisionedi sposare Orlandiche la signora Soave dovetteper la prima voltariconoscere in sua figlia qualche somiglianza coll’energia ecolla fermezza del signor Caccia.

Nétale scoperta in quel momento poteva farle piacereche vide subito aquali attriti sarebbero giunti i due caratteri in lotta. Veramentespaventataella chiese a Teresinase avrebbe avuto il coraggio diresistere a suo padre.

Senzaesitare la fanciulla rispose:

- Sì.

- Di disobbedirgli?

Il sìquesta volta non venne cosí subito.

- Disobbedirgli veramente... non credo... ma nemmeno rassegnarmi.

- Figlia mia! - gridò la povera donna singhiozzando - non vorrai dare a me e a tuo padre il dolore di maritartisenza la nostra benedizione!

Teresinala rassicuròdicendole che non avrebbe fatto cosa che potesserecare disonore o dispiacere alla propria famiglia.

- E allora?

- Aspetterò.

E perchéquesta parola non avesse da essere fraintesasoggiunse prontamente:

- Orlandi mi ama ed io ho fede in lui. Fra un anno egli avrà unaposizione così brillante che mio padre non potrà piùrifiutarlo per genero.

La signoraSoave credeva di sognare. Sua figlia parlava con sicurezzacoll’accento di una volontà irremovibile. La guardava ele sembrava trasfigurata: più altacolle linee delvolto che avendo perdute le rotondità esuberanti dellagiovinezzadavano alla fisionomia una espressione caratteristica.Aveva nell'occhio la serietà pensosa delle donne che amanoeil raggio di quelle che si sanno amate. Era nel massimo sviluppodella sua bellezza e della sua forza.

- Che Dio t’ascolti e ti benedica!

La madrenon trovò altro da dire. Dopo averla contemplata se la tiròvicinaabbracciandolaravviandole i capelli sulla frontecomeavrebbe fatto con un bambino; presa tutta dalla tenerezza di quellagrande passione.

La serastessa Teresina riceveva una lettera d’Orlandinella quale ilgiovane le giurava eterno amore.

Madre efiglia piansero nel leggerla.

XVI.

Promettendoa Teresina di farla sua a dispetto d’ogni ostacoloOrlandi nonaveva un piano prestabilito. Egli obbediva allo slancio naturale deigiovani cui tutto sorride e che sono avvezzi a trionfare di tutto.

Il suoamore per la fanciulla non era una passione da paladino o da eroe;non si sarebbe gettato incontro alla morteforsema le voleva benesinceramente. Le avrebbe voluto bene anche se fosse stata un uomoanche se fosse vecchiaperché in lei amava soprattutto labontà affettuosa del cuorela dolcezza sorridentelasemplicità. Essendo una fanciullae non bruttala simpatianon poteva prendere altro nome che quello d’amore.

Mancavaperò a quest’amore la gran levala vicinanzal’intimitàla comunione dei sensiper la quale l’uomoraggiunge il massimo grado dell’esaltazione amorosa.

Quandoegli le scriveva che ogni sera prima di coricarsi pensava a leieravero. Orlandi non mentiva. Dopo una giornata allegra e una sera piùallegra ancora; dopo le chiacchiere rumorose cogli amicile ceneimprovvisatele copiose libagionile donne compiacenti ecompiaciuteOrlandi tornava alla sua cameretta da scapolo coi nervisoddisfattile idee gaieun benessere per tutto il corpo. Buttavavia il cappelloil soprabito e tutto; si cacciava sotto le coltri ein quel momento di riposodi solitudinesul punto di staccarsidalla giornata per entrare nel gran limbo del sonnoegli mandava unpensiero alla fanciulla lontana; poi s’addormentavaprofondamente.

Anche almattinoquasi semprel’immagine di Teresa veniva a dargli ilbuon giorno. Riceveva le lettere di lei con piacerele leggevaattentamente un paio di voltesorridendofelice di quell'amoreintenso e ingenuo che gli faceva provare una gioia differente dallesolite. Esclamavaforte: "Povera Teresina!" Metteval'ultima lettera al di sopra delle altrein una cassettina di legnodi Sorrentoe usciva.

Durante ilgiorno non aveva molto tempo da pensare a lei. Nello studiodell'avvocato Sandri il lavoro si succedeva senza interruzionerallegrato solamente dalle facezie che si scambiavano tra loro igiovani praticanti. Aggruppati in numero di quattro nel vano dellafinestraquantunque avessero ognuno i loro posti separatitrovavanouna gran distrazione nella vicinanza di due belle ragazzecivettineemeriteche dal loro balcone li tentavano continuamente.

Piùtardi Orlandiper la sua bella presenzaper la sua disinvolturafusceltoa preferenza dall’avvocatonelle ambasciate verbali. Siassentava così dallo studiosalutandoad ogni finestraunvisetto noto.

Entrava incaffèprendeva un vermouthleggiucchiava i giornaliudivalo scandalo recentela notizia appena arrivata; fiutava il mazzolinodi fiori che la padrona teneva sul bancosussurrandole qualchecomplimento. In fondo preferiva questa vita leggera e variataalleabitudini sedentarie dello studio.

Sandri glimosse qualche osservazione.

Al caffèOrlandi si trovava spesso coi redattori del "Presente".Impegnavano discussioni d’arte e di politicaleggevano lebozzeimprovvisavano un articolo sull’angolo del tavolino.Orlandi si pose a scrivere anche luiper curiositàpermillanteriavolendo mostrare che non è in fin dei conti unacosa difficile.

Cambiòl’osteria dove pranzava per abitudine; andò all’Aquilainsieme ai giornalisti; quella società gli piaceva ogni giornopiù. Si sentiva nato per le battaglie della pennaperle emozioni della pubblicità. E poi amavapiùche tuttola vita libera.

Le serateall’Aquila divennero celebri. Orlandi vi attirava tuttol’elemento giovane di Parmabuono e cattivoesercitando sopratutti la sua influenza dominatricela sua foga persuasiva di tribunoimprovvisato. Sorgendoper l’alta staturasovra le altrelasua testa dall’espressione viriledalla fronte spaziosadagliocchi lampeggianti sembrava nata per il comando; e quella sua bontànoncurantespensierataquell’assenza di calcologli creava lemaggiori simpatie.

Fu inquesto periodo che egli pensò più seriamente asposare Teresina. L'avvenire gli apriva uno spiraglio nuovo; unleggero pungolo d’ambizione accrebbe la fermezza dei suoipensieri.

Scrissealla fanciulla:

"Hoabbandonato lo studio di Sandri e la carriera legale. Ho un progettograndioso; te lo comunicherò a voce. Sta di buon animo; tuttova bene ed io ti adoro come sempre".

Ilprogetto era la fondazione di un giornale politico-letterario;indipendente da qualsiasi partitonon soggetto a scuole od achiesuole. Si doveva proclamare la verità semprea qualunquecosto; aiutare i deboli e gli ignotisprezzare i prepotentismascherare i birboni.

Orlandiera entusiasta del suo programma. Tutto quanto vi era di buono inluicuore e ingegnovoleva dedicarli a quest’opera. Non sisarebbe più detto che era uno scioperato; e sorridevapensando che quel lavoro non gli costava nessun sacrificiocheavrebbe potuto fare del bene senza vincolare la propria libertàné annoiarsi soverchiamente.

Nelleliete prospettive dell'avvenirenon mancava la sorpresa che avrebbemanifestato il signor Cacciaquando Orlandi chiedendogli per laseconda volta la mano di Teresinagli getterebbe in voltocome unasfidail suo titolo di direttore di un giornale.

Maperl’onore di Egidiobisogna dire che la gioia piùdelicatapiù intimamente caraera quella di pensarealla felicità di Teresina. Come tutti gli esseri forti e buoniegli amava la debolezza e si faceva un dovere di proteggerla.

La vitache conduceva la fanciulla gli sembrava così miserabilechedoveva essere per lei una somma ventura il poterla cambiare. Questapersuasione spiega la frase compassionevole che egli pronunciavaspesso: "Povera Teresina!"

Nell’amoredel giovane la passione assorbente entrava poco; egli non avevabisogno di quella fanciulla per essere felicema la trovava uncomplemento alla sua felicità. Non la desiderava ardentementesubitocolla avidità di un assetato; egli non aveva setelateneva in serbo piuttosto.

Eragiusto. Comprendeva l’enorme differenza che passa fra l’amoredi un uomo e l’amore di una fanciullacome tutto per il primo èpiacereè conquistae per la seconda non è il piùdelle volte che tormento. Che farci? Egli non poteva cambiarel’ordine della società e non era nato per gli eroismisolitari. L’idea di negare a se stesso ciò che ella nonpoteva averequesta idea non gli passava nemmeno pel capo.

Le donned'altra parte nascono collo spirito del sacrificio. Tutto quello cheegli poteva fare per Teresina era di sposarlaquando le circostanzelo avrebbero permesso.

Negliultimi giorni dell'anno le scrisse:

"Devoandare a Milano. Speravo di venire prima a salutartima non posso.Gli affari vanno a gonfie vele; almeno quanto a promesse. Al mioritorno saprò dirti qualche cosa di positivo. Staròassente ottodieci giornisecondo le circostanze. Scrivimi fermo inposta. Ti amo e penso a te continuamente".

Teresinaandava al funerale della Calliope. La mattoide era mortaimprovvisamente e misteriosamente come era vissuta.

Nellamattina dell’Epifania la trovarono distesa sul lettovestitacol suo fazzoletto giallo intorno al capo e la fisionomia calma. Eraagghiacciata. Il dottor Tavecchia dichiarò che una sincopeaveva determinata la mortema già la povera donna soffrivamal di cuore.

Altrasporto era accorso tutto il paeseanche coloro che non avevanomai vista la Calliope e la conoscevano soltanto di nome.

Siccomenon c’erano parenti per regolare la cerimonianasceva un po’di confusione. Tutti entravano ed uscivano a piacer loro.

- Vieni anche tumamma - disse Teresina.

La signoraSoave non usciva mai di casa; il solo pensiero di doversi levaredalle spalle lo sciallino cenerela spaventava; e poi soffriva milleincomodi; la folla le faceva venire il mal di capole emozionil’abbattevano; temeva anche le vertigini.

Teresinaattraversò la strada colla sua fida amicala pretora.

- Andiamo a vedere la camera?

- Ma si può?

- Vedi bene che entrano anche gli altri.

Siparlottava a bassa voce. Quanti anni aveva la morta? Cinquantasessantaquarantacinque. Aveva fatto testamento? Sìno.Lasciava ai poveri? Noalle orfane? Noalle ragazze da marito?Nemmenotutto il suo avere realizzatolo si doveva mandare inFrancia a un indirizzo che il notaio solo conosceva.

La vecchiastoria tornò a galla. Il dottor Tavecchia ripeté che laCalliopea vent’anniera bella come una dea. Si bisbigliòil nome della contessa che l’aveva allevata qual figliasidisse che era sua figlia davvero. L’ufficiale francesenessunolo aveva conosciutoma parlarono di lui a lungocolla curiositàsimpatica che destano le storie d’amorequando il tempo ne havelate tutte le gelosie e tutte le invidie.

Il lettodella mortavuotocoperto da un lenzuoloprospettava la finestra;la testieraappoggiata al muroera sormontata da un quadro sacropittura più antica che bella; e sottoin una cornicinadi legno nerotre fiori di campolegati insiemegiacevano come unareliquia.

- Avrei creduto questa casa più piccola. Che stanzeampie!

La pretorasollevava il capo a guardare il soffitto; Teresina guardava invece itre fiorellini smunti.

- Ebbene? Che c'è di interessante? Che cosa guardi?

- Quei fiori. Mi mettono addosso una malinconia strana. Se potesseroparlare!

- Eh! certose potessero parlare!

Teresinanon disse altroma pensò:

"Quantememorie: belli e freschi in un giorno di primavera ella forse licolse per ornamento della persona; forse le furono dati; rapiti forseo meglio còlti insieme..."

Le venneuna tentazione grandissima di prenderli e portarli via. Chi sa inquali mani sarebbero caduti!

- Ecco - disse la pretora - tutto è finito.Dio solo sa se la povera donna era più savia o piùmatta di noi.

Teresinacapì di non poter resistere alla tentazione. Le pareva che lamortadal fondo della cassa dove stavano coprendola di fiorifreschigemesse chiedendo i suoi fiorellini appassiti.

Staccòla cornicina enon vistala fece scivolare sotto il coperchio delcofano.

- Piangi adesso? Via!

Piangevaveramentecon una commozione in tutte le fibreesaltata per lastoria della Calliopechiedendosi sommessamente se anche il suoamore finirebbe così.

S’avviaronoalla chiesa di San Francescoche si riempì subito di gente.

Quellidella contrada c’erano tutti; i bambini della pretorainsiemealle gemelle Cacciala madre Portalupi coll’ultima figlia nonancora maritatala vecchia Tisbe che non moriva maicome se avessefatto un patto col diavolo. Anche don Giovanni Boccabadati apparve unmomento sulla soglia della chiesafloscioportando attorno dimalavoglia la pancia che incominciava a pesargli.

- Ho freddo - mormorò Teresina.

- È una giornataccia - rispose la pretora sprofondandole mani nel manicotto.

- Vuoi andare fino al cimitero?

- Fa come credi. Sarebbe meglio.

Dopol'ufficio funebre il corteo si pose in fila; davanti il carroipretipoi le donne e qualche uomo in ultimo.

Tirava unvento frizzante di tramontana.

- Vuol nevicare.

- Ho paura di sì.

Nondissero altro per tutta la strada prese entrambe dal freddo e dallatristezzacoi veli abbassati sulla faccia e gli occhi semichiusi.

Pochifurono quelli che giunsero al cimitero; un piccolo circolo si formòintorno alla fossa scavata di frescodove calarono lentamente labare.

- I morti non soffrono più - disse Teresinavolgendo altrove la testa.

- No. È una consolazione.

- Non soffrono piùma forse sentono ancora...

- È assurdo.

La pretoradisse questa parola distrattamente pensando a’ suoi bambini cheerano tornati indietro.

Successeun lungo silenzio. Le due amiche rifacevano la strada. A un trattoTeresina sospirò così dolorosamente sotto il suo veloche la pretora comprese subito dove andava quel sospiro.

- È un pezzo che non hai notizie?

- Dieci giorni! - esclamò Teresinaascoltando consbigottimento il suono della propria vocesembrandole che diecigiorni pronunciati forte si raddoppiassero di lunghezza. - Sono molti nevvero?

- Molti? non saprei; tutto è relativo...

- È andato a Milano.

- Allora si capisce!

- Ma nonon è una ragione. Tanto può scrivermi da Milanocome da Parma.

- Se è andato per affari...

- Sicuro. Ha tutti quei progetti in mente...

Passòun prete altoben vestitocolle calze pavonazze e le scarpe lucideornate di grosse fibbie d’argento. La pretora urtò colgomito Teresinasussurrando:

- È Monsignore.

Lafanciulla gli volse uno sguardo indifferente.

Di lìa poco incontrarono la signora Luzzicon un cappellino bizzarrofatto di stoffa d’oro.

- Guarda! - esclamò la pretora.

Ma lafanciulla questa volta non girò nemmeno il capo. Alloral’amica riprese il discorso di prima.

- Tuo padre non s’è mai accorto che continui lacorrispondenza?

- Se lo sapessepovera me.

- La mamma però?...

- Oh! la mamma... le dico tutto.

- Fai bene - sentenziò la pretora - e saiperché la mamma ti compatisce? Perché è donna.Non c’è che le donne per comprendere l'amore.

- Amano anche gli uomini però.

- Sii... alla loro maniera; ma non è mai come le donne.

Incominciavaa nevicare. Dal cielo tutto bigio cadevano le falde bianchissimenonmolto larghefittequasi pungenti.

- Dio che brutta giornata!

- A casa ci riscalderemo.

Teresinascosse la testaquasi fosse persuasa di non potersi riscaldare maipiù. Aveva freddo nell'anima; sentiva una tristezzainvincibilesempre crescentecome un veleno che le circolasse apoco a poco nel sangue.

"Chefarà egli ora? Penserà a me? Sarà triste comeme?"così sospirava colla bocca soffocata nel velooppressa da un irresistibile bisogno d’amore.

All’imboccaturadella via di San Francesco trovarono il procaccio Egli aveva unalettera per Teresina.

- Allegra - esclamò la pretora. - Ora nonavrai più freddo.

Le dueamiche si lasciarono senza quasi salutarsi; l’una correva avedere i suoi bambinil’altra a leggere la lettera.

"Nonti ho scritto primama credi senza colpa. Appena giunto mi trovaiingolfato in un ginepraio d’affari e di divertimentidi piacerie di seccature che non mi lasciarono un momento libero. Non hai ideadella vita giornalisticacome non puoi averla di Milano. Ho giàfatto una quantità di conoscenze; ho trovato dei compatriotidegli amicidei compagni d’università. Tutte le serevado a teatro. Alla Scala c’è uno spettacolo stupendo; laWrozlinger è la più bella prima donna che ioabbia mai vista; anche il ballo è spettacoloso. Insomma mivedi in estasi come un vero provinciale.

Invece diuna settimana prolungherò il mio soggiorno a tutto gennaio.Avvennero dei cambiamenti che non posso spiegarti per lettera;modifico i miei progetti relativi alla fondazione di un giornale.Persone competenti me ne hanno sconsigliatoalmeno per ora. Nonrinuncio però alla carriera di pubblicista; il mio avvenire èqui. Vorrei dirti mille tenerezzema sono interrotto. Domaniquandoriceverai questa lettera sarò a pranzo della contessa Berniniuna parente degli Arese".

Non c’eraaltro. Per quanto Teresina voltasse e rivoltasse il foglio da tuttele partila parola d’amore che essa cercavaEgidio non l’avevascritta. Egidio si divertivaEgidio era felice...

La suatristezza crebbe del doppiosentì tutto l'orroredell’isolamento. Quegli amiciquei teatriquei balli lerubavano il suo innamoratoe per quanto le sembrasse egoistical’invidiaebbe invidia di tutte quelle persone che lo vedevanoche parlavano con luiche gustavano la gioia de’ suoi sguardi ede’ suoi sorrisiche gli portavano via il tempoi pensierilavita.

Che valevail suo ardente amore? che valevano quattro anni di pensieri noninterrottidi aneliti smaniosidi aspettative agonizzantidiinsonniedi torturedi martirio continuo? Eccola sola a piangeresola a soffrire.

Guardòla neve che continuava a scendere lentamente e le parve che tutta lacingesse di un mantello di ghiaccio. Rabbrividìun vagodesiderio di morte le attraversò il cervelloinsieme alpensiero della povera donna che avevano seppellita allora.

Poi sigettò sulla letterastringendola appassionatamentecogliocchi pieni di lagrimecol cuore che le si schiantava fra l’amoree il doloremormorando tra i singhiozzi: - Egidio! Egidio!Egidio!

XVII.

Il signorCacciadopo aver veduto il funerale in lontananzase ne tornava acasa rasentando i muri per evitare la neve.

Allosvolto di un canto si trovò faccia a faccia con Monsignoreilquale illustre personaggio si affrettò a salutare con unaprofonda scappellata. Ma con somma meraviglial’abate mitratosi fermò sui due piedi

- Caro signor Cacciache fortuna poterla incontrare.

- Monsignoremi confonde; sono io che...

- La famiglia sta bene?

- Benissimograzie a Dio.

- E il giovinotto?

- È a Parmafa l'ultimo anno di legge.

DiscorrendoMonsignore si era avviato per la sua strada e l’esattore loseguiva umilmentetenendo la sinistragonfio dell’onore chericeveva in pubblico.

- La sua signora?

- Così così; sempre delicata...

- Gran buona donnina! E le figlie?

- CresconoMonsignore.

Sitrovavano davanti alla casa del prelato. Con un gesto grazioso edautorevoleMonsignore invitò il signor Caccia ad entrare.

Ilcamerierecolla papalina di pelleli introdusse in un salottospaziosoquasi nudodove i mobili si perdevano tra un finestrone el’altrosotto i ritratti che presiedevano maestosi nelle lorocornici affumicate; ritratti di preti ascetici colle guancieinfossateil mento aguzzoritratti di preti floridigrassilucenticolla pappagorgia cascante sul collarino; occhietti furbi diauguri che non credono; pupille mansuete di servi in buona fede;l’intera collezione degli abiti mitrati che avevano precedutoMonsignore.

- È un po’ fredda questa sala...

L’esattoresi arrovellava il cervello per indovinare il segreto movente delprelato; ma costui non lo lasciò più oltre inpena e modulando la voce a un allegretto pieno di disinvolturaglichiese di punto in bianco:

- E sua figliala maggiorequando la maritiamo?

Il signorCacciaconfusonon seppe lì per lì che cosarispondere. Si aspettava tutt’altro. Fu ancora Monsignore cheprese la parola:

- Pare un'indiscrezionema non è... Credacarissimo signoresiamo nella nostra sferapadri anche noi e l'onore e la felicitàdelle nostre figliuole in Cristo ci premono più che lavita.

- La ringrazio - disse l'esattoresbuffantegiàtutto rossocolle ciglia rialzatema facendo pompa della massimadignità - la felicità di mia figlia èbene collocata fra sua madre e me. Quanto all’onore nella nostrafamiglia...

Non potéproseguire; soffocava. Monsignoresorridentecon piglio untuosocolla più perfetta padronanzariprese:

- Guardimi Iddio! Signor Cacciaio ho per la sua famiglia unaconsiderazione senza limiti. La prego di non fraintendermi. Accadesovente che le persone direttamente immischiate in un affarenonpossono misurarne la portata e le conseguenze. Mi permette dispiegarmi meglio?

- È quello che desidero.

- Tutto il paese parla della relazione di sua figlia coll’avvocatoOrlandi. Si sa che fino dall’anno scorso Orlandi l'aveva chiestain moglie ed Ella glie l’ha rifiutata. Ma perché latresca continua? Perché ella permette che la sua buonala suabrava figliuola sciupi gli anni miglioriil cuorela riputazioneogni affetto gentile dell’animo in un amorazzo vuotosenzafondamento per l'avvenire?

Chec’entro ionevvero? Ella sta per domandarmicon quale dirittomi faccio giudice delle quistioni altrui. Ma la religione che noiprofessiamo ci fa un dovere delle missioni più spinose.Posso io vedere un fratello sull’orlo dell'abisso e nonavvertirloe non procurare di ritrarneloper la semplice ragioneche egli non mi conosce?

Il signorCaccia si passava il fazzoletto sulla fronte madida di sudore. Tuttii difetti di quest’uomola boriala dappocagginel’ostinazione burbanzosasi univano alla sua unica virtù - l'onore - per rendergli quel momento uno deipiù tristi della sua vita.

Alla finefacendo uno sforzo sopra se stessocon piglio nobile e calmo:

- Mia figlia...

Monsignorelo interruppe subitofermandogli la mano che si era stesa quasi informa di giuramento solenne.

- Non una parola in difesa della fanciulla. Chi non la conosce? Chioserebbe gettarle la pietra? La quistione si riduce a un dilemmasemplicissimo. O lei acconsente alle nozze e facciamole piùpresto che si può; o non acconsentee allora nella caritàdi prossimonel dovere di rettore d’animeio la supplico ditogliere questo scandalo.

- Per quanto sta in me...

- Se ella crede farò parlare anche al giovanequando perònon stimi meglio acconsentire...

- Giammai!

Con questoavverbio di negazionein cui sfogava un po’ della sua colleral’esattore riprese coraggio. Pronunciando con tanta risolutezzaun "giammai"si sentiva riabilitato ai propri occhi; glisembrava un atto pubblico che affermava la sua autorità dipadre di famigliauna garanzia per la felicità di sua figliauna soddisfazione a Monsignore e soprattutto una giusta vendettacontro Orlandi che egli detestava sempre più. Ripetécon grande convinzione:

- Giammai!

- Il mio diritto si arresta a togliere lo scandalo; non sta in megiudicare se ella abbia torto o ragione opponendosi a queste nozze;però inter nosda amicome ne congratulo.Quell’Orlandi è uno sbrigliatello; si immischia ora dipolitica e di giornalismo... cose che non si sa mai dove vanno afinire.

Il signorCaccia si trovò molto lusingato che Monsignore la pensassecome lui sul conto di Orlandi. Colpito così nel suo debolesoffocò in un profondo inchino un rimasuglio di stizza e presecommiato; seguito fin sulla soglia dai complimenti che l’abategli recitava con voce morbida e insinuante.

Ma unavolta fuoritolta la suggezionetolto il fascino della superioritàl’esattore sentì ribollirsi di nuovo il sangue. Mai lasua famiglia era stata occasione di dicerie; mai nel suo altorispetto del decoro aveva permesso un attouna parola sola chepotessero offrire un lato debole alla maldicenza. Nella sua mentelimitataquasi faro conduttorebrillava un solo ideale: l’onoredel nome: ed a questo avrebbe sagrificata ogni altra considerazione.

Ed ora?Per colpa di Teresinaeccolo involto in una rete di ciarledisgustoseumilianti. Che direbbe il paese? Al pensiero di quel chedirebbe il paeseil signor Caccia non si contenne più.

Era benvero che una ventina d’anni addietro egli non aveva tenuto granconto dell’opinione del paese in certe sue faccende particolarinelle quali un uomo non scapita mai. Ma una donna? Ah! per le donnela quistione è differente. Il signor Caccia teneva questadifferenza come articolo di fede. Quando un uomo non rubanon mentenon tradiscebasta - tutto il resto gli è permesso.Dalla donna si esige ben altro.

- Corbezzoli - borbottava stringendosi nel pastrano - sta’ a vedere che non sarò padrone in casa mia! Unasciocca ragazza si permette di resistermi ed io lascerò che ilnostro nome serva di zimbello agli sfaccendati?

Un monelloattraversò la strada cantando: "Guarda l’amore checosa mi fa far".

Il signorCaccia si voltò rabbiosamentecome lo avesse morso unavipera. "Sono queste canzonacce" pensò "chefanno perder la testa alle ragazze".

Arrivato acasa non gli fu possibile preparare un discorso; dovette sfogaresubito la sua bile e l'eccesso fu così violento che la signoraSoave svenne. Quand’ebbero adagiata la povera donna sul suolettocon un pizzico di camomilla bruciata sullo stomacol’esattorepresa a parte Teresinala investì colle piùterribili minacce.

Le disseche ella era l’obbrobrio della famigliail disonore dei suoicapelli bianchi: cheostinandosi in quell’amorazzogli avrebbeaccorciata la vita; che per causa sua le sorelle innocenti perdevanola riputazione e tante e tante altre cose da far accapponare lapelle; dette tutte con accento sincerocon una indignazioneveramente sentita; talché la fanciulla a capo chinostavacome la più gran colpevolenon osando nemmenopiangere.

Anch’ellaera cresciuta in quel pregiudizio di pudore che circonda le donneper cui tutte si vergognano dell’amoreammettendolo comeastrazionenon mai nella realtà.

Unafanciulla si intenerisce al bacio di Giulietta e di Romeoperchéè lontanoperché è scritto o dipinto; ma nonoserebbe confessare che il suo amante l’ha baciata ed èpronta a scandalizzarsi se una loquace amica le confida di averebaciato. Tutto ciò senza ipocrisiasolo per la lotta continuain cui trovasi fra la natura e la società - lasocietà che le dice respingila natura che le grida accetta.

Teresinasarebbe morta di vergognase qualcuno avesse potuto leggerlenell’anima fino a qual punto amava. Aveva la persuasione diamare troppopiù assai che non sia permesso dallareligione e dal pudore femminile; era questo un gran peccato di cuisi accusava a Dio. Udendo le gravi parole del padresi trovòperduta senza remissione.

Era comese l’avessero sorpresa nuda; un vituperioun’ontaincancellabile.

Non disseuna parolanon si difesenon pregò. Quando il padre vollefarle giurare di non pensare mai più ad Orlandiellasi reclinò tutta sopra se stessaqual canna sbattuta a terrain un completo annientamento; e la sua risposta si perdette fra isinghiozzi.

Ma poileorei giornile settimane che seguirono quel terribile momento!

Non osavaguardare in faccia suo padre e nemmeno le sorellele quali avevanopreso un fare altezzoso di persone cui nulla si puòrimproverare.

Non c’erache la madrea cui Teresina potesse volgere gli occhi pieni dilagrimesenza trovare in quelli di lei un rimprovero.

Che lunghi silenzi penosi nel salotto terreno!Che tormentoogni giorno rinnovatoquando la famiglia stava riunitaa mensa e il capo di casacol cipiglio ancor più gravedel solitopresiedeva come un giudice.

Più nulla sorrideva a Teresinanel buio salotto: non la finestra alla quale le era proibitoaffacciarsida cui non doveva più udire il passo diEgidio: non l’orologio sul quale aveva contato trepidando le sueore felici. Una tristezza senza nome piombava su di lei; ogni oggettoche la circondavaogni mobiletutto portava le impronte delpassato. Quiaveva letto nascostamente una lettera; làavevapensatopiantosospirato d’amore. E le memorie erano recenticalde ancora.

I rimproveri del padrele preghiere dellamammail pensiero di essere segnata a dito come una svergognatadinon poter più alzare la fronte senza rossoretutto ciòl’aveva impressionata moltissimo. Capiva di non poter reggere aquella vitae l’ultima lettera di Orlandi la aiutava nelproposito di dimenticare.

Ma come il dimenticare era difficiledolorosoirto di spine!

Che cosa dimenticare? Le ebbrezze? erano statecosì vive. Le ansie? così compensate. I dubbileaspettativei dolori? Ma ognuno di essi aveva ribadita la catena. Sidimenticano cinque anni della propria esistenza?

Esortata dalla madreconsigliata dall'amicagli aveva scritto di non pensare più a lei; che nonerano destinati; che la sua famiglia non voleva; che non le scrivessemai piùné cercasse di rivederla.

Spedita la letterale parve un sogno.

Si aspettava da un momento all’altro divederlo comparire. Di notte sognava che suo padre acconsentiva allenozze e che Orlandiricco a milioniveniva a prenderlatra losbigottimento e la sorpresa di tutti.

Qualche voltadopo una giornata di tormenti edi noia indescrivibiledopo aver pianto in silenzio sulle camicieche cucivaTeresina si coricava stancanauseata della vita.Invocava il sonnol’unico bene che le restasse; sperava nelsonno di trovare l’oblio. Ma al mattinodestandosila primaimpressione era quella del suo amore perdutoed era assalita da taledisperazione da sembrarle impossibile la ripresa di una giornata comequella trascorsa.

Eppure la riprendevanella monotoniadell’abitudinenella inenarrabile monotonia della vitafemminiletrascinando di camera in camera la sua tristezzameravigliata di trovarsi passiva in tanto dolore.

Che cosa poteva fare? Ribellarsi al padrefarmorire di cruccio quell’angelo della mammarompere tutte letradizioni della famigliamancare ai doveri di figlia ubbidiente esottomessa?

La schiavitù la cingeva da ogni lato.Affettoconsuetudinereligionesocietàesempiciascuno leimponeva il proprio laccio. Vedeva la felicità e non potevaraggiungerla. Era libera forse? Una fanciulla non è mailiberanon le si concede nemmeno la libertà di mostrare lesue sofferenze. Ella doveva fingere colla madre per amorecol padreper timorecolle sorelle per vergogna.

Peggio quando uscì. La osservavano comeuna bestia rarafermandosi sui due piedi. Tutte quelle che leavevano invidiata la conquista di Orlandise ne vendicavanoridendole in facciaberteggiandola. Le persone piùprudenti bisbigliavano sommessamente. Gli uomini la guardavano drittanegli occhicon fare ardito.

Nessuno di quei curiosi considerava l’amoreseriamente. Inclinavano a trovare in esso la parte allegralabagatellail motto per riderela facezia oscena. Veramente l'amoreè un dramma per chi lo recitauna farsa per chi vi assiste.

Tra due giovanotti Teresina sorprese questoframmento di conversazionedi cui si sentiva l’oggetto:

- ... e per quel sugo...

- È una gonza.

- Dico lui.

- Oh! lui si rifà.

E giù una sghignazzata.

In mezzo al suo doloreTeresina aveva lapercezione di un ridicoloma di un ridicolo che sfuggiva alla suaanalisi. Come già aveva provato altre voltesentiva ditrovarsi isolataattaccata al mondo solamente per il tramite dellafamigliae che intorno ci fosse una gran nebbia.

Somigliava anche a coloro che non frequentanoda bambini tutte le classichetoccato un certo puntotrovanoimprovvisamente il terreno che mancauna lacuna nei loro studi.

Questa deficienza la umiliava piùche maiora che si sentiva giunta all'apogeo del suo sviluppo didonnae la compassione derisoria che qualcuno le dimostravalefaceva bruciare il volto come se fosse una sferzata.

Le gemelleche s’erano fatte dueragazzone vistosesfoggiavano con una certa insolenza i lorodiciassette anniconsiderando la sorella maggiore giàdestinata a diventare zitellona. E difatti la piccola statura diTeresail volto pallido e tranquilloerano propri a farlascomparire in mezzo a quei due colossiche avevano ereditato dalpadre il forte colorito e le spalle poderose.

Incominciava per Teresina una serie nuova dipiccole mortificazionidi torture a colpi di spillolentequasiinvisibiliche sfioravano la vanità femminile e penetravanoaddentro nel suo cuoremordendola col veleno dell’ingratitudinelasciandole uno scoramentouno sconforto d’ogni cosa.

La grande molla dell’organismo femminileil bisogno di piacereaveva perduto lo scatto. Piacere a chi? Tuttoil mondo le era indifferente. Non ammettevanemmeno come lontanaipotesich’ella potesse amare un altro.

Vi sono donne che sbagliano al primo colpo e sirifanno dopo; ma ella sentiva che Egidio era la metàdell’anima sua. Qualcuno avrebbe potuto interessarla prima; oraera impossibile.

Vedeva giungere la morte; una morte precedutadall’annientamento di tutte le facoltà; una morteliberatrice. Il pensiero della Calliope la visitava spesso; lesembrava che sotto terra si dovesse stare in pace.

XVIII.

La tristezza di Teresina continuava cosìmuta ma profondache negli ultimi giorni di carnevale il signorCacciarompendola colle abitudini austerepermise che le figliuolesi recassero alla festa da ballo mascherata che si dava in teatro.

Nella sua intenzione di burbero non cattivoilbeneficio doveva essere per la povera afflitta; ma sia per nasconderel’intenzionesia perché le gemelle avevano oramai unaetà che imponevafurono anch’esse chiamate a prepararsiper la serata. E lo fecero con un entusiasmo che Teresina non potevapiù dividere.

Ella guardava con occhio indifferente gli abitirosa da estateai quali le gemelle rinfrescavano le guarnizioni;aveva anch’essa un abito rosama sentì ripugnanza aindossarlo; le pareva di esser troppo vecchiatroppo brutta estuonava troppo coi suoi pensieri.

Poche ore prima la prese tanta voglia dipiangereche espresse il desiderio di rimanere a casa.

Il signor Caccia disse cherimanendo leidovevano privarsi del divertimento anche le sorelle.

Teresina allora acconsentìsoffocandoun sospiro.

Non era più andata a teatro dallasera in cui aveva udito Rigolettoetornandole a memoria leimpressioni di quell’operasi sentì stringere il cuore.Le cantava dentro: "Tutte le feste al tempio"pensava aOrlandi...

Varcò la soglia del teatro colle lagrimeagli occhi.

Seduta in palco dietro le gemelle - non aveva voluto mettersi al parapetto - aveva ancora lamente occupata di Orlandi.

Che farebbe ora? Forse si divertiva a Parma;forse era a Milanoalla Scalabattendo le mani a quella prima donnacosì bella. Si ricordava di lei? Si era già consolato?In due mesi non le aveva dato neppure segno di vita.

- Guarda quelle ragazze colle braccianude; sono le Ridolfi. Il loro padre ha comperato la casa dellaCalliope. Diventeranno nostre vicine.

- Don Giovanni le contempla colcannocchiale.

- Può contemplarle a suo agio;non dà più ombra a nessuno. Mi pare impossibileche egli sia stato un bel giovane. Ha la faccia di un canonico.

- Chi è quello là coibaffetti cortipiù corti assai del suo naso?

- Vicino a Luminelli?

- Sì.

- Dev’essere un suo fratello.

- Come fai a saperlo?

- L’ho sentito dire; e poi glisomiglia.

Teresina udiva il cicaleccio delle gemellemanon vi prendeva partenon ascoltava nientenon guardava nessuno. Siabbandonava senza resistenza alla malinconiatrovando che era ancorail meglio che potesse fare.

Guardando giù in plateaastrattamentevedeva Luminellidi cui avrebbe potuto essere la mogliee che nonsi era mai accasato. S’ella lo avesse presoquando la pretoraglie ne aveva fatto la propostaanderebbe ora a braccetto con luipranzerebbero insiemedormirebbero insieme; gli farebbe molti baci elo abbraccerebbe stretto. L’idea di abbracciare Luminelli lediede uno stringimento di gola; si voltò verso il fondo delpalcocolla testa appoggiata alla tappezzeria. I baci di Orlandi letornavano cocenti alle labbra...

Le maschere incominciavano ad affollareseriecompassatesvelandosi sotto l’abito raffazzonato. Le gemelle sidivertivano a indovinare.

- Quello là è ilfarmacista.

- Credi?

- Senza dubbio. Non vedi come muove ifianchi e tiene i gomiti aperti?

- Allora quel domino celeste che parela sua ombra è la Gigia?

- Naturale.

- Quando si va in maschera sidovrebbe nascondersi meglio.

- È difficile. Qui ciconosciamo tutti.

Chi nessuno conosceva erano quattro giovinottinascosti sotto l’elegante costume dei gentiluomini venezianiiquali avevano invaso il palco scenico con un brio indiavolato.Forastieri senza alcun dubbio; ma chi erano?

Le gemelle scesero a ballare; Luminelli minoresi mostrava molto assiduo presso una di esse.

- Che cosa fa quel giovane?

Così domandò il signor Cacciasospettosoperché dopo l'affare di Teresina non aveva occhiche per scoprire gli amanti delle sue figlie.

Il tenente dei carabinieri lo soddisfecepienamente dicendogli che egli era professorecome il fratelloepersona raccomandabilissima.

Dopo aver fatto parecchi giri colle gemelleilgiovane professore insisté per ballare con Teresina.

"È delicato"pensò ilsignor Cacciae per quanto Teresina si rifiutassela costrinse adaccettarealmeno un giroper non far parlare la gente.

Scesero sottobraccio tenendosi lentiin unareciproca e completa indifferenza; egli badando solo a farsi stradain mezzo alle maschere; la ragazza annoiatacontrariatanonaspettando nessuna gioia dal ballopensando che si troverebbe cosìbene solanel suo lettucciodove almeno riposerebbe.

- Saltato o strisciato? - chiese Luminelliappoggiandole la punta delle dita sul dorso.

- Come vuole.

Fecero mezzo girourtatipestandosi i piedi avicendanon arrivando mai a mettersi d’accordo.

- Proviamo a saltare?

- Ma se le ho detto di fare comevuole!

Una compagnia di Pierrot li travolseserrandoli contro il muro; per poco non caddero. Teresinaa corto dipazienzasentendosi crescere la nausea e l’irritazione dellafollaritirò la mano dalla spalla del suo ballerino; stavaper dirgli: sono stanca.

In quel momentouno dei quattro veneziani inmantello corto la prese rapidamente per la vita. Luminellipocopraticostorditocredette che ella stessa si fosse sciolta perballare colla maschera e non avendo nessun motivo di rimpiangerlastette a vederepensando chetantoloro due non sarebbero maiandati d’accordo.

Prima che Teresina potesse dire una solaparolala stretta appassionata del suo rapitore le svelò chiera.

Nella confusionegirando abilmenteegli potécontinuare a tenersela serrata contro il petto in un amplessovertiginoso Attraverso la bauta della maschera la sua bocca sfioravai capelli della ragazza.

- Ho bisogno di parlarti: non dirmidi no. Trovati all’alba in fondo al tuo giardino.

Pochi minuti doporiconducendo a Luminelli lasua ballerinail gentiluomo veneziano si inchinòprofondamenteringraziandoe sparve nella folla.

Teresina non aveva aperto bocca; si attaccòal braccio di Luminelli come uno che ha le traveggolee quandocostui le chiese se voleva continuare il balloaccennònegativamente col capo. Luminelli con un sospiro di sollievo laricondusse in palco.

Le gemelle la guardarono con sorpresa. Suopadre le chiese se si sentisse male. Quanto a leisempre incapace diparlarescuoteva il capofissando gli occhi vitrei nel vuoto.

- Si vede che il ballo non ti va - disse il signor Caccia.

L’incidente della maschera era stato cosìbrevecosì rapidoche nessuno se n’era accorto.Luminellipresa per mano la sua fiammatornò sulpalcoscenico a far miglior prova di abilità.

- Sarà tempo di ritirarsi; èil tocco - annunciò il signor Cacciaguardando ilsuo vecchio cilindro d'oro.

- Oh! sìtorniamo a casa.

Furono le prime parole che Teresina pronunciòuscendo dal suo stupore. Non le pareva vero di andarsene fuori daquella calca. La prima boccata d’aria pura la rinvigorìtuttadandole un bisogno di moto: si pose a correre lungo il murocolla testa altaper sentire sulla faccia il fresco della notte.

- Che furia! - disse unadelle gemelleindispettita di aver dovuto abbandonare il ballo cosìpresto.

Teresina rallentò il passoma nonrispose. Era la prima volta che si trovava in istrada a quell’ora;e nella condizione di esaltamento in cui l'aveva posta l’improvvisoincontro di Orlandi. avrebbe voluto camminare sola nel buionelfresconel silenzio.

La sua calma fantasia di fanciulla intravedevacon meraviglia i contorni di un mondo fantastico.

Le case ben notele vie tante volte percorsele apparivano sotto un aspetto nuovo; mapiù ancoradegli oggetti materialiera il mistero della notte che la colpiva;quel gran silenzio freddoquella purezza dell’aria e del suoloche si ritemprava nella assenza degli uominiquasi la natura volesseriprendere fra le tenebre i suoi diritti violati ogni giorno sotto laluce del sole.

Mai ella aveva sentito così vivol’istinto della libertà.

Senza accorgersene riprincipiò acorrereilludendosi di essere padrona di se stessaprovandoinquesto ingannouna delle gioie più inebbrianti dellasua vita.

Ma la voce dell'esattore chiamò infalsetto: Teresina! - e l'incantesimo cadde. Il padrelamadrela famigliail decorole consuetudinitutte le catene dellasua esistenza ripresero il loro posto; ella trasalì propriocome se un anello di ferro le avesse serrato i polsi.

Solamente quando fu nella sua cameraprese aconsiderare con una freddezzarelativala proposta di Orlandi. Eglile aveva detto in fondo al giardinoe si capiva chedopo gliscandali occorsinon volesse esporla alla finestra che dava sullavia.

Il giardino confinava con un viottolodisabitato: ma la muraglia era alta; come avrebbero potuto parlarsi?E sopratutto che cosa le avrebbe detto?

Da un anno Teresina dormiva sola in camera; legemelle le avevano collocateinsieme all’Idanell'ampia cameradi Carlino.

Ebbe dunque tutto l'agio di riflettere e dipensare le cose più stravaganticosì come lepiù comuniappoggiata alla sponda del letto.

Quando vide che la candelaquasi interamenteconsumatastava per abbruciare la cartasi spogliòrapidamente l’abito di galamise il solito di casaesoffiando sulla fiammasi buttò così mezzo vestita sulletto per aspettare l’alba.

Verso le cinque la finestraimbiancandosilediede avviso del giorno che spuntava; ed ella fu meravigliata didoversi levare con uno sforzomeravigliata di sentire il corpo in unmomento come quello. Tutte le ossa le dolevano.

Si pose sulle spalle uno sciallino neroediscese le scale rabbrividendosbadigliando per convulsionecon ungran vuoto al posto dello stomaco.

Attraversò il giardino in mezzo aglialberi secchisul viale bianco di brine; dando un’occhiata adestra nel cortile sfiancato della casa del pretoreed a sinistraalla casina di don Giovanniche sembrava sprofondarsi sotto unboschetto di magnolie sempre verdi.

In fondosul muro di cintadove il ficostendeva i suoi rami nodosiOrlandi era alla vedettaprontoeappena scorse la fanciulladiscese.

Teresina fu sorpresanon dell’apparizionema di non aver pensato primache quella era una via praticabilissimaper un amante ardito.

Si abbracciarono subitosenza parlarequasitemessero di perder tempo. La fanciulla che aveva preparata una frasedignitosasi trovò avvinghiata al collo di Egidioe lobaciava sulle guanciesulle orecchiealla radice dei capellistringendosi a lui nel caldo delle sue bracciacolla sensazione diun benessere che affogava qualsiasi ragionamento.

Non aveva più freddonon era piùstanca; tutta la sua persona era appoggiataabbandonata su quelladel giovanein un oblìo completo di tutto quanto non fosselui. Lo stringeva gradatamentesempre più fortecoll’incoscienza dell’istintoavendo una sola idea chiarae precisa: Egidio nelle sue braccia.

Egli le prese la testae rovesciandolaindietro con un movimento bruscola baciò sulle labbra.

- Vieni con mefuggiamo.

Il suono della voce riscosse Teresina. Siallontanò dal giovanetenendogli solo le mani sulle spalleguardandolo inebbriata.

- Vieni con me. Tuo padre nonacconsentirà mai alle nozze finché non vi siacostretto. Ti condurrò a Parmadalle mie sorelle: vuoi?

Teresina non poté sapere se egli fossevenuto a trovarla con quel progettoo se forse gli era sortoimprovvisamente nel delirio del primo amplesso. Però sentivache Egidio era sinceroe non mai come in quel momento comprese diessere amata.

Ma intanto che questa certezza le innondava ilcuore di una gioia immensacome bilancia che da una parte haraggiunto la misurabalzava dall’altra parte il terrore di farcosa sconveniente per una onesta ragazza.

- No… no… non posso. Hopromesso a mia madre.

- Che hai promesso?

- Di non darle dispiaceri…

- E di rinunciare a me?

- Oh! questo no.

Un lieve imbarazzo si dipinse sulla fronte diOrlandi. Circondandole col braccio la vitase la tiròaccantoe:

- Ragioniamo. Posso io presentarmi atuo padre?

- Sì... quando hai un impiegosicuro e conveniente.

- Ecco appunto quello che non ho.

- Ma mi avevi scritto…

- Il progetto non andò bene.Io vivo ora alla macchiascrivendo per l’uno o per l'altrogiornale.

- Ma perché ti sei dato algiornalismo?

- Chi lo sa! Una passione comeun’altrae che non esclude le altre...

La strinse dolcementecercando di nuovo la suaboccacon un sorriso d’uomo felice.

Per cinque minuti non parlarono.

- Ma tu hai freddo...

Orlandi si levò il mantello e neavviluppò Teresina con una sollecitudine quasi maternaosservandone le guance pallideche portavano le tracce della notteperduta.

- Adesso avrai freddo tu!...

- Io?...

Stava per dire: non posso aver freddohocenato lautamente: ma davanti a quel visino sbattutosul quale tuttele astinenze imprimevano un solcoprovò un senso di pietà.Sollevò un lembo del mantellotanto da potersene coprire lespallee mutò la frase:

- ... se mi permetti di stare qui nonavrò più freddo.

Lo strinse a sébeatascoprendo unagioia nuova in quella protezionesembrandole quasi di anticiparel'intimità seria e solenne del matrimonio. Era vero chesentiva il freddo. Non aveva dormitonon aveva mangiato dal desinaredel giorno prima; ma anche quei brividi che l’alba le mettevanelle ossaavevano la loro voluttà; le facevano trovare piùdolce il tepore dell’amplesso.

Una parola di Egidio la turbò.

- Dunque vieni?

- Sainon posso! - glirispose colle lagrime agli occhiserrandogli la mano disperatamente.

- E allora che vuoi che facciamo?

- Aspetto.

Era la sua forzala sua fede. Non sapevanemmeno lei che cosa aspettasse; l’incertol'ignotounmiracolo forse. Ma Orlandi non la intendeva così.

- Carala gioventù passapresto; sono già sei anni che ci amiamo inutilmente.

Teresina non comprese l’accento scoratodel giovane. Perché diceva che si amavano inutilmente? L’amoreè sempre amorepensavaquando si amasi spera. Ella vivevapure con quel tenue filo di felicità; perché a lui nonbastava?

Le venne in mente di domandargli se intendessedi continuare per tutta la vita a scrivere articoli di giornali; maquesto discorso noioso le avrebbe portato via tanti baci; e poivoleva ascoltare da lui altre parole: "mio tesoromia vitacara la mia Teresa". Tutto ciò era importante; il restosfumavasi perdeva in una nebbia lontana di fatalismo.

Nella monotonia della sua vitadove ilpensiero solo metteva una nota ridentequesti erano i momenti divera felicità. Si sentiva donnasi sentiva amante e amata;mentre poicome primacome sempreella non sarebbe altro per mesiche figlia ubbidientefanciulla riservatabuona massaia.

- Probabilmente - disseOrlandi - mi stabilisco a Milano.

Un subitaneo sgomento apparve negli occhi diTeresina. Milano era più lontano di Parma; e quantunquenon conoscesse la grande cittàintuiva vagamente ch’eglivi avrebbe incontrato maggiori tentazioni. Il cuore le si strinse diindefinibile malinconia. Vide d’un tratto tutta la sua umiltàla sua povertàla sua impotenza. Ebbe voglia di dirgli:Portami via! ma la parola le morì strozzata da un singhiozzo enon poté far altro che nascondere la faccia sul petto di lui.

- Vedivedi? Te lo dissi che questavita è impossibile. Ho rimorso di veder sciupare la tuagiovinezza; Teresamia povera Teresa...

- Oh! sì chiamami tua perchélo sono!

Gli si abbandonò sul petto con taleimpeto disperato cheper un istanteOrlandi ebbe una fiamma negliocchie tremò come preso dalla febbre. Ma quasi subito ellarallentò la strettascivolando accasciata quasi fino a terra.dove stette col viso chiuso nelle maniil corpo piegato in due.

Orlandi contemplò quella testolina divergine prostrata davanti a lui.

- Che cosa intendi di fare? - le chiese con accento grave e dolcerialzandola.

- Amartisemprequalunque cosaaccadaqualunque sia il mio destino.

Egli accostò alle labbra la mano dellafanciulla: vi depose un bacioesitanteturbatoridivenutoimprovvisamente freddo; affettuosoma distratto.

Ella non se ne accorse; sentiva ancora i suoibacilo vedevalo toccava. Era impossibile che pensasse ad altro.

Quando Orlandi scomparve dietro il muriccioloTeresina fu presa dalla tentazione di seguirlovolle gridarevollechiamarloma volgendosi improvvisamentecome se avesse udito unavocesi trovò davanti alla sua casaalla casa casta eseveradove sua madre riposava fidando in lei; e tornòindietro a capo chinomalcontenta di quel colloquio che le lasciavauna tristezza insolitauno scoramento da cui fuggiva la fede.

XIX.

Quell’anno si chiuse con due avvenimentiimportanti.

Luminelli minore chiese la mano di una dellegemelleaccontentandosi di prenderla senza dote; e Carlinolaureatoin leggepartì per una cittaduzza della bassa Italia.

Lo avevano consigliato a percorrere la carrieragiudiziariala più prontala piùsicuraquella che gli avrebbe permesso di aiutare subito lafamiglia.

Il signor Caccia si appoggiava molto sulfiglioper il quale egli e tutti di casa avevano fatto grandissimisacrifici. Carlino non era riuscito quell’uomo eminente che ilpadre aveva vagheggiato nelle ore raccolte del suo studioloquandoil piccolo ginnasiale era alle prese con Cornelio Nipote; tuttaviaavendo superato l’esame e addottoratosi come tutti gli altrigli faceva un certo qual onoredi cui andava tronfio sollevando lesopracciglia ad altezze insolite.

- Bada - gli aveva detto almomento della partenza - di non dimenticare mai i buoniesempi avuti in famiglia.

E poiché la signora Soave lagrimava insilenzioseduta sul divanocoi piedi sullo sgabelletto - fatta cosí debole oramai da non potersi piùreggere - il signor Caccia le diede un’occhiatadall'alto in bassocrollando le spalle poderose. "È unamiseria l'essere donna" pensava tra sé - etornò a salutare il figliorigidoimpassibiledando provadi una grande superiorità.

Teresina si meravigliòe quasi ne fecea se stessa un rimproverodi non commuoversi abbastanza a questapartenza. Amava meno suo fratello? Nocerto: ma era cosìassorta nell’amore di Orlandi che ogni altra affezione sembravapallida al confronto. E poi aveva già molto sofferto. Il suocuore non provava più lo slancio subitaneo della primagiovinezza; incominciava ad essere stancoe a misurare il dolore.

Aveva riflettuto qualche volta - nonsenza esitazionetemendo di essere una cattiva sorella - senon essendovi Carlino da mantenere agli studiil ricevitore leavrebbe assegnata una piccola dote. Come tutto in questo caso sarebbesemplificato!

Capiva le ragioni del padre: aveva troppovissuto in quell’ambiente e in quello soloper non esserepersuasa che la sua condizione di donna le imponeva anzitutto larassegnazione al suo destino - un destino ch’ella nonera libera di dirigere - che doveva accettare cosìcome le giungevamozzato dalle esigenze della famigliasottopostoai bisogni e ai desideri degli altri. Sìdi tutto ciòera convinta; ma anche un cieco è convinto che non puòpretendere di vederee tuttavia chiede al mondo dei veggentiperchéegli solo debba essere la vittima.

Quando Carlino partìaccompagnato daivoti e dalle speranze d’ognunoTeresina mormoròtristemente: - Eccoegli va a formarsi il suo avvenirecome vuoledove vuole!

E una quantità di riflessioni dolorosevennero ad assalirlacosì che trovossi paralizzata nelmomento dell’addio. Parve freddaindifferente. Appenascomparsofu presa dai rimorsi; si rimproverava sempreda sestessaad ogni movimento di ribellione. Sotto il velo delle lagrimele si disegnò sul volto uno sgomento di persona colpevoleeinsieme un terrore timidouno sconfortoqualche cosa diindefinibile.

Somigliava tanto alla sua mammaalloraconquell’aria di rassegnazione stancache il signor Caccia leravvolse entrambe nel medesimo sguardo olimpicosdegnosoriportandolo poicon una lieve dilatazione di compiacenzasull'Idabella e robusta: festevoleanche nella dimostrazione del suorammarico.

Idain famigliaproduceva l'effetto di unraggio di soleera l’idoloil beniamino di tuttiaveva avutonascendoil dono di piacere; ognuno era indulgente con lei. Studiavaper fare la maestra e la consideravano già come un prodigio.

Dopo l’Idail posto più invistalo occupavano le gemelle; era impossibile non accorgersi dilorogrossegrasserubicondeindivisibilisomiglianti al padrenella truculenza sgarbatanelle larghe spalle e nel vivo colorito.

Si atteggiavano a padronanzaforti della loroduplicità e di una volontà solaalla quale ubbidivanodue vociquattro occhiquattro mani.

Insediate nella gran camera di Carlinoeranoesse che alla mattina si ponevano alla finestra per guardare ipassantifresche e ardite nei loro vent’anni. Teresina pativaora il freddoe alla mattinaappena levataera troppo pallida perfarsi vedere alla finestra.

Le gemelle avevano stretta relazione coi nuoviinquilini della casa della Calliope - i Ridolfi - che avevano due belle ragazze; e da una casa all’altra sitelegrafava continuamente con occhiatinecon piccoli segniconsorrisi e cenni di convenzione.

Teresina restava esclusa da questi maneggieli comprendeva pocoperchéavendo trascorsa la giovinezzanel fare da mamma alle sorellenon le era rimasto il tempo dicercarsi un’amica della sua età. La pretora le siconservava fedelema anch’essa invecchiavaaveva le figliegrandicelletanti pensieritanti sopracapi.

Con grande stento Teresina l’avevapersuasa a ricevere in nome suo le lettere di Orlandi. Queste lettereerano fiacchescarseeppure Teresina le apriva sempre con unpalpito di cuorele leggeva avidamente.

La pretora crollava la testa: cose lunghediventan serpi. Secondo lei non c’era più nessunaragione di continuare la corrispondenza.

Ma Teresina ricordava l’ultimo colloquiogli schietti trasportii baci che non ingannano. Dieci mesi eranogià passati - dieci mesi che non vedeva Egidio - eppure le memorie di quella notte la inseguivano ancora: ilballol’audace apparizionesopratutto l'appuntamento in fondoal giardinodopo la veglianell’alba fredda di quel mattino difebbraio.

Ella pensava che anche lontano Egidio dovesseconservare l’ardore del desideriocome lo conservava leie chenessuna donna potesse interessarlocome a lei non interessava uomo.

Eppure questa fede ingenua veniva scossaqualche volta. Vedevaguardandosi attornoriflettendoconfrontandoe capiva che tutto nella vita di un giovane si svolge in modo oppostoa quello di una ragazza; per conseguenza l’amore dell’unonon può essere uguale all’amore dell’altra.

S’accorgeva anche di una crescentecompassione per leinelle persone buone; compassione che i malignirivestivano di una ironia piccante.

Frequenti allusioni alle fanciulle cheinvecchiano in casaprive d’amorela ferivano acutamente.

Forse ch’ella non amava? Forse che non eraamata? Ma che cos’era dunque quel mistero che le sfuggivacontinuamentesul quale sembrava concentrarsi l'attenzione di tutti?Quale catenaquale segreto accordo legava insieme uomini e donneper cui si intendevano con un monosillabocon un’occhiata?L’amore? Ma ella amava. Si poteva amar di più?

Arrestandosi a questa riflessioneun rossoretardivo le saliva alle guancie. Non era più il rossoreinvadente dei quindici anni; era un riflesso che dava appena un po’di tepore alla pelleper cui tornava subito pallida come prima.

E pensava: "Nonon è possibile.Qualunque cosa ci possa esserenon potrebbe farmi piùfelice di quanto lo fuistretta nelle sue bracciain quelmattino... Egli era allora tutto mio".

Tentava qualche volta di prendere una rivincitasu quelle arie di protezione sprezzante; e rispondeva con alterigiao non rispondeva affatto. Una volta la pretora le disse: - Non fare così; diranno che inacidisci come una zitellona - . A tali parole Teresinacolpitaandò a chiudersi incamerae pianse come non aveva mai pianto da che era al mondo.

Pianse le lagrime disperate della giovinezzache muore. Pianse su se stessaper il suo volto emaciatoper i suoibegli occhi che si spegnevano nell’atonia; per il suo poverocorpo chedopo aver vissuto come una piantastava per fossilizzarsicome un sasso. Ebbe un accesso di vera disperazionedurante il qualesentì agitarsi nel fondo delle viscere un torrente d’odiodi passioni malvagiedi invidie non mai provate.

Si torceva sul lettomordendo le coperte conuna voglia pazza di fare del male a qualcunocol desiderio mostruosodi veder scorrere del sangue insieme alle sue lagrime.

La trovarono sfinitalivida in voltocoidenti serrati.

Il dottor Tavecchiachiamato pertranquillizzare lo spavento della madreaccennò a unisterismo nervoso e prescrisse dei calmanti.

Da alloraogni trattole convulsioni sirinnovaronotenute dapprima nascoste perfino alle sorellepoiaccettate come crisi passeggeraprodotta da un generaleindebolimento dell’organismo. Il dottor Tavecchia ordinòle pillole di ferro.

L'inverno fu tutto occupato nell'allestire ilcorredo per la sposa. Si faceva economiacucendo ogni cosa infamiglia. Teresinanaturalmenteaiutavae spesse voltericamandoi festoncini intorno alle camiciele venivano i goccioloni agliocchi. Un giornodopo aver lavorato quattro ore di seguitodichiaròdi essere stanca; le bruciavano le palpebree davanti alla pupillavedeva come una nebbia.

- Se fosse il tuo corredo - disse crudelmente la sposina - non ti stancheresti.

Teresina chinò il capo in silenzio.Nessuno seppe la forza ch’ella dovette fare a se stessa per nonschiaffeggiare la sorella.

Lo sposo veniva in casa tutte le sere. Erainnamoratissimo; si sedeva vicino alla sua promessae sembravavolesse mangiarsela cogli occhi; aveva dei baci sulle cime dellelabbraed ogni parola che ne uscivavolava a lei come una carezzacaldafluentetiepida per ardori repressi. Pareva che la sua testale sue manii suoi ginocchi fossero muniti dell’ago calamitato;si volgevano sempre a quel puntotrattenuti solo dal rispetto.

Per tacito accordointorno alle sedie dei duefidanzatisi formava il vuoto. La signora Soave non si moveva daldivanocircondata dalle altre tre figlietutte curve sul lavoroaffrettateattenterispondendo brevi parole ai dolci lamenti dellamadre.

Dall’angolo dei fidanzatiin una lievepenombraveniva il mormorio sommesso delle parolinedei sospiriinterrotti: sfumava in un irradiamento giulivoegoisticamentetrattenuto nel cerchio della penombra; finché all'arrivo delsignor Caccia la conversazione si faceva generale.

Alle dieciregola invariabilesi spegneva lalucerna.

I fidanzati si salutavano con una lunga strettadi manoguardandosi negli occhie Teresinachiudendo l'uscio dellasua camerapensava tristemente al tempo in cuidopo una serata dinoiaEgidio l'aspettava alla finestra.

Il signor Caccia era fermamente persuaso chesua figlia non avesse più alcuna relazione con Orlandi;la continuata assenza di costui gliene confermava la sicurezzaedella avrebbe preferito scomparire nelle profondità della terraanziché essere scoperta per la terza volta.

Pazientava per questo le intere settimanenonosando scrivergli soventetemendo sempre uno smarrimento dellelettere.

La pretora che riceveva in suo nome quelle diOrlandigliele consegnava a malincuore; avrebbe preferito cheOrlandi non scrivesse più. Anziuna voltasi decise ascrivergli ella stessaesortandolo a non intrattenerla con vanesperanze.

Il giovane rispose in modo evasivo. Disse cheegli aveva già tentata questa separazionescorgendo troppolontana la possibilità di un matrimonio; ma che Teresina nonvoleva acconsentirené egli aveva il coraggio di essere ilprimo a lasciarla.

La pretora spiegazzò la lettera: Belcoraggio quello di restarea cento chilometri di lontananza e contutte le distrazioni possibili a guisa di consolazione!

Per mezzo delle Ridolfie col pretesto delcorredole gemelle avevano introdotto in casa alcuni giornali dimoda; dietro a quelli fece capolino un giornale politico del mondoelegantesul quale Teresina leggeva curiosamente i resoconti delleprime rappresentazionidei balli ai quali sapeva che Egidiointerveniva. L'elenco delle belle signorela descrizione degliabitiqualche aggettivo di soverchia ammirazionele mettevano iltossico nel sangue.

Non dormì una notte per questa frase:"La signora A. dalle forme giunonicheartisticamente esposte inun elegante costume di Diana cacciatriceera accompagnata da uno de’nostri più brillanti giornalistiil signor O.".

Ella non aveva la certezza che quell’O.volesse dire Orlandi; eppure si tormentò per gelosia. Con unosfogo dell’immaginazioneriuscì a crearsi la figuradella signora A.e le sembrava di vederla colle sue forme giunonicheappena velateappoggiata al braccio di Egidio.

L’articolodescrivendo la festasoggiungeva: "Non si può ideare nulla di piùsplendidose non pensando ai giardini d’Armida. I fiori daiprofumi acutidai larghi calici vellutatidalle corolle frementisi intrecciavano a festonia ghirlande sovra le coppie che passavanodolcemente attirate dall’ebbrezza della musicadai vaporiolezzantidal barbaglio di mille e mille lumi; e quandodopo cenal’ardore del ballo si calmò per qualche istantedietroogni cespuglionel vano d’ogni finestrasotto i rami fioritidelle azaleele coppie trovarono dolci e voluttuosi riposichel’orchestra blandiva coi notturni più delicati diChopincolla inebbriante serenata di Gounod".

La povera martire chiudendo gli occhisognavasognava con una lucidità spaventosatutti quegli splendoriquel lussoquelle morbidezze della vita. E lui godeva tutto ciò!

Oh! quelle donne che lo vedevano sorriderechegli stringevano la manoquelle donne che egli teneva serrate colbraccioche gli tributavano i profumi della loro bellezzaquelledonne vicine a lui come erano felici!

Ma perché egli andava ai balli? Potevadivertirsi? Poteva sorridere ad altrestringere altre?... Ella nonlo avrebbe potuto.

Durante le setteotto ore che egli avevatrascorse in quelle sale incantatefra gli strascichi di raso e loscintillio delle gemme era mai possibile che avesse pensato a lei? Ladimenticava dunque per setteotto ore; mentre ella non lo aveva maidimenticato un’ora sola!

Milano era diventata la meta tormentosa deisuoi pensieri. Ogni avvenimento che accadesse nella grande cittàaveva per lei interesse speciale. Se si trattava di rissediferimentitemeva sempre che Egidio vi fosse compromesso. Se eranodivertimenticeneteatripensava che egli vi assistessee siinformava dei più minuti particolaricon un’ansiatormentosagelosache la rodeva mezza.

Spesso il giornale recava le notizie del tempo:"Oggi abbiamo avuto una giornata splendida" - oppure - "La pioggia minaccia di eternizzarsi".Teresina correva subito col pensiero ad Egidioseguendolo nelle viea lei ignote sotto il sole e sotto l’acquafacendosi la di luicompagnaseguendolo passo a passo.

Qualcuno disse una volta in sua presenza che lemilanesi sono molto simpatichee Teresina ne ebbe dispiacere; undispiacere mutoprofondoal quale si univacome gli altri suoidispiaceriil sentimento umiliante di persona legatache non puòdifendersie le cresceva sempre più quel livorequelfermento del cuore insoddisfatto chemal pago dell’amoresentela tentazione dell’odio.

Ma poi veniva la reazioneveniva ilpentimento. Erano i momenti in cui si confessava a Diocome unagrande colpevoleenon volendo accusare nessunosi reclinava su sestessapiangendo a calde lagrime.

XX.

La signora Soave affrettavapiùche le fosse possibilele nozzeperché si sentiva in fin divita. Ella si spegneva come aveva vissutoblandamentesenza spasimiatrocima con una continuità di dolore non interrotto. Dovesoffriva? In nessun posto e dappertutto. Era una fiacchezzaunosfasciamento generale. Aveva quasi la stessa età di suomaritoe sembrava la di lui madrela nonna delle sue figlie.

Colle finestre aperte respirava l'aria dimaggio senza muoversi dal divanotutta ravvolta nello sciallecollemanine di cera incrociate sul pettoi grandi occhi opachi fissi nelvuoto.

Teresina passava molte ore al suo fiancointanto che le gemelle si intrattenevano in giardinoe che l’Idafaceva i suoi compiti.

L'accordo misterioso e simpatico che avevasempre unito madre e figlia si faceva più sensibile inquel ravvicinamento delle loro tristezzein quel duplice tramontodelle illusioni e della vita.

Continuavano a parlarsi poco; ma qualche voltale loro mani si cercavanostringendosi con una scossa muta.

La signora Soave non aveva mai piùparlato a Teresina dell'Orlandi; non le aveva mai chiesto nulla;eppure Teresinaguardando gli occhi della madrevi leggeva unimmenso compatimentouna tenerezza infinitatutta fatta di perdonoe di amore.

- Quando io non sarò più - le disse una sera - chi ti ameràTeresa?

La figliagettandosi in quelle bracciaamorosevoleva acchetare i timori della morentevoleva dirle cheEgidio l’amava ancora.

La signora Soave la prevennemostrandole nelladolcezza del sorriso che aveva compresoe soggiunse:

- Dio ti ispirie ti guidifigliamia. Non ti lascio altro consiglio che questo: Segui il tuo cuore.

Le ombre della seraaddensandosi nella stanzale coprivano il voltocosì che Teresina non ne videl'espressione profonda di malinconia. L’esperienza avevadimostrato alla povera donna che il cuore non guida sempre allafelicitàma come una martire anticamoriva nella sua fede.

Al giovane Luminelliche veniva puntualmentetutti i giorni a fare le sue visitesi accompagnava tratto tratto ilfratello maggioreben veduto dal padrone di casacol quale siintratteneva a parlare di politica.

- Se tu lo avessi sposato - era la pretora che diceva così a Teresina - sarestigià maritata da dieci annipiù bellapiùfrescasenza che egli poi abbia peggiorato in bruttezza; poichéè la specialità dei brutti quella di conservarsiinalterabili. Aggiungi che la figlia gli è morta... non eraproprio un cattivo partito.

Ma tutte queste considerazioni non riuscironoad ispirare alla zitella quel proficuo ravvedimento che la sua amicasperava.

Aveva tentatoper cortesiadi interessarsi aluialle buone qualità che tutti gli riconoscevano; ma ipregi morali sfuggivano all'attenzione distratta di Teresinaevedeva invece il cranio calvo del professorela sua barba ispidatozzatagliata a guisa di una siepe di mortella. Tutto ciòotteneva un effetto diametralmente opposto alle idee della pretora;perché Teresina rimpiangeva con maggior ardore i bei capellineri d'Orlandi e la sua barba morbidaentro cui il sole scherzavadandole dei riflessi di fuoco.

- Dopo tutto - istigavaancora l’amica - anche per Orlandi gli anni passano.Luzziche è stato a Milano uno di questi giornilo havedutoe dice che non è più quel bel giovaned’una volta.

Ma sembrava che tutto quanto si faceva intornoa lei per distoglierla da Orlandinon ottenesse altro scopo chequello di farglielo amare maggiormente. Teresina pensò cheegli pure soffrivache era solosenza famigliasenza amoree gliscrisse una lettera lungariboccante d'affetto. Come desideravavederlo! Era già quasi un anno e mezzo che non s’eranostretti al cuore. Quando sarebbe venuto a trovarla?

Nella vita febbrile di Egidionelle lotteaspreviolente ch’egli doveva sostenere ogni giornoin quellacorsa affannosa dietro il successonon mancavano le ore discoraggiamentodi malinconia atroce. Si trovava a mezzo camminocolla gioventù dietro le spalleperduti i piùbegli annisvanite le forti illusioni; non avendo ricavato nessunpartito né dal suo ingegnoné dalla sua bellezzanédalla sua salute. Gli amici dicevano fra loro: Come mai Orlandi nonsi è ancora creata una posizione? Uno che lo conosceva benelo definì con due parole: Orlandi non ha la costanza dellavoratore e non ha la furberia dello scroccone; è un uomomancato.

E quest’uomocui la fortuna aveva sorrisomendacemente prodigandogli tutti i suoi doniconservava in fondo alcuore un affetto sinceromisto di riconoscenza e di pietàper la fanciulla che lo amava con tanta abnegazione.

L’affetto emergeva sopratutto nei giornidello sconfortoquando dopo aver cercato inutilmente una ebbrezzanuova o una amicizia disinteressatadopo le sconfitte dell'ingegno ela nausea dei sensiegli trovavarincasandole lettere dellapovera dimenticata.

Fu in uno di questi momentiche Egidio risposea Teresinanarrandole i suoi sconfortile sue lottechiamandolasorella e amica sua.

"Ho capito" pensò la pretoravedendo il volto raggiante della sua amica "egli ha rimessodell’olio nella lampada".

Ma un avvenimento inaspettato si imposeall'attenzione di tutta la famiglia. Luminelli maggiore chiese lamano dell'altra gemellaecome cosa già intesaellaacconsentì allegramente. I due matrimoni si dovevano farenello stesso giorno.

- Vedi? - così lapretora a Teresina - tua sorella ha otto anni meno di teeppure si adatta a sposarlo.

Teresina si strinse nelle spalle. Le gemelleper lei erano sempre state un enigma; ma davanti a quelle nozze senzaamoreprovò una vera repulsione. Quale infame ingiustiziapesa dunque ancora sulla nostra societàche si chiamaincivilitase una fanciulla deve scegliere tra il ridicolo dellaverginità e la vergogna del matrimonio di convenienza?

Queste riflessioni la tennero sconvolta perparecchi giornie se ne amareggiò vivamente. Senzaaccorgersenela sua anima accoglieva mille dubbisi imbeveva difiele.

L’urto continuo de’ suoi sentimenticolle realtà brutali della vitale dava una asprezza dilinguaggio che pareva bizzarria. E si accorgeva ella stessa distuonare in mezzo agli altri; sentiva il proprio malumore come unanota falsa in un concertoincapace di frenarsi; tanto piùincapaceperché le cresceva ogni giorno il disprezzo dei suoisimilisotto forma di ribellione al convenzionalismo ipocrita chel’aveva oppressache la opprimeva sempre.

Il disgusto degli uomini e delle cose le siinfiltrava per una quantità di vie secondarielentomacompleto.

Una volta le Ridolfìparlandodell'ultima Portalupidissero:

- Oh! quella non si marita piùè già una vecchia zitella!

E la Portalupi era minore di Teresina.

Ella riusciva antipatica a tutte quelleragazzecosì come le ragazze a lei. Si isolava piùche potevachiudendosi in un sussiego malinconicoche restavaincomprensibile per quelle giovani testoline.

Aveva delle fissazionidelle voglie assurde.Andando a passeggionon poneva mai i piedi sulla connessura deimattoni; se ciò le accadeva inavvertitamentesentiva unribrezzo nelle gambeun tremito convulso. Contava i rosoni delsoffittoimmaginando che fossero pari; se riuscivano disparierauna stizzauna contrarietà assurdama invincibile. Fissavauna persona a tergoostinandosi finché quella si fossevoltata; se non si voltavale pareva di ricevere un urto nel petto edigrignava i denti.

Soffriva per il soleper il ventoper i tempipiovosi. Aveva sempre fredde le bracciain altoall’attaccaturae portavasotto il vestitodue maniche di lana tenute insieme colmezzo di un nastro che le attraversava il dorso.

Le gemelleche s’erano tagliate qualchecamicia senza manicheavevano detto ridendo: - Questestarebbero bene a Teresina!

Mancando la cura delle sorellineche l’avevatanto occupata negli anni addietrotrovava le giornate vuote. Nonpoteva aiutare nemmeno l’Idaperché ella non aveva maiavuto grande ingegno e la fanciullasvegliatissimaera giàavanti negli studivagheggiando prossima la patente di maestra.

Suo fratello era tanto lontanoche non leoffriva nessuna risorsa. Solamente si parlava di lui come di unappoggio futuro per la famiglia. Quando le gemelle fossero maritates’avrebbe potuto raggiungerlo e formare una casa sola; oppurefare istanza perché trasferissero Carlino nella cittaduzzanativa.

In attesa di questi cambiamentinel trambustodelle nozzecoll’orrore del mondo e della societàTeresina viveva quasi esclusivamente in compagnia della madre inferma - riparate tutte e due dall’ariacoi piedi sullostesso sgabellosorridendosi tristamente.

Un pensiero disperato l’assaliva di trattoin tratto. Aveva paura di diventare una vecchia stramba come laCalliopedi rinchiudersi in casa e mostrarsi solo alle sbarre dellefinestrecon un fazzoletto giallo in capofacendo sberleffi allepersone che passano.

Il doppio matrimonioper quanto siaffrettassenon poté aver luogo che ai primi di settembre.Quel giorno Teresina ebbe un accesso delle sue solite convulsioni;l’Ida la pose a lettoaffettuosamentecercando di calmarlaricordandosi quanta pazienza ella aveva avuta con lei quand’erapiccina.

Non assistí né alla cerimonianéall'asciolvere.

Le spose gemelle vennero a salutarlain pieditenendo sollevate le gale dell’abito. Avevano frettaperchéil treno partiva a momenti. Sulla soglia dell’uscio sivoltarono; s’erano dimenticate di baciarla e le gettarono unpiccolo bacio sulla punta delle ditaraccomandandole di staretranquilla.

Come Dio vollea poco a pocola casaridivenne calma; sparvero i figurini di modei rotoli di telaipezzetti di nastro dimenticati sui mobili. Al vocìo chiassosodelle gemellealle risate argentine delle Ridolfisuccesse unsilenzio che pareva di tomba.

Il signor Caccia meditavanel suo studiolosulle spese avute in occasione delle nozze e volgeva il pensiero alfiglio lontanoquello che doveva essere il sostegno della famiglia.

L’Ida studiava indefessamentesenzadistrazioni e senza debolezzecoll’occhio fisso alla meta.

Solamente verso seraIda lasciava i libriTeresa si staccava dal letto della madre e le due sorelle - la prima e l'ultima - uscivano a prendere una boccatad’ariaserie entrambe per motivi diversiscambiandosi pocheparole.

Alla fine di settembreIda si contorse unpiede e per una settimana non poté uscire. Teresinaallaquale il dottore aveva prescritta rigorosamente una passeggiata tuttii giorniusciva sola. Passava oramai i trent’anni e nessuno sioccupava più di lei.

Quei preludi di libertàsebbene giuntiin un tempo in cui non avrebbe saputo approfittarnele cagionaronoun piacere nuovo.

Usciva dal paeseprendendo il viale dellaMadonna della Fontanacaro a lei per antiche memorie; e ripassandosotto quegli alberiera stretta da una tale folla di emozioni dolcie melanconichecosì vivecosì intenseche quellapasseggiata vespertina segnava l’ora più belladelle sue giornate.

Entrò una volta in chiesa per rivederela cappella sotterraneala graziosa cappelletta dipintadalle cuifinestre si scorgeva l’orto del curatoprofumato di basilico.

I ricordi della giovinezza l’assalironoaspripungentiin quel posto dove ella erasi inginocchiata avent’annidove aveva per la prima volta guardato Egidio. Dallefinestre entravano ancora i ciuffi di basilico; morivano le rosesull’altare tra le lampade d’ottone inargentato; le figuredegli affreschi sorridevano nei toni delicati delle pitture vecchie.Nulla era cambiato nella gran calma immobile del tempioma Teresinapiangeva.

Un suono di passi ripercosso nel silenzio dellanavata la riscosse. Si asciugò gli occhi coll'angolo del veloe uscì dalla cappella. In mezzo alla chiesa trovòOrlandisoloche le veniva incontro.

Non fu nemmeno sorpresa; impallidìaggrappandosi al suo bracciobattendo i denti per la commozione.

- Quando sei arrivato?

- Son due ore. Un telegramma di miazia... per affari. Riparto stanotte.

- E se non mi vedevi?

- Ti vedo - disse Orlandicol suo bel sorriso. - Non ebbi il tempo di avvertirtimaero deciso di vederti a qualunque costo. Seppiper casoche erivenuta qui; mia zia t’ha veduta passare.

Teresina non pensò al pericolo di esserescoperta; la felicità del momento presente la invadeva tutta.Ma il suo corpo indebolito non reggeva più alle fortiscossenon poteva stare in piedi; trasse Egidio su un banco dellachiesa e gli si pose a fiancocon quell’oblìo di tuttoil mondo che la prendevasemprein compagnia di lui.

Parlarono rapidamente delle loro famigliedella loro posizione.

Teresinache lo guardavaalla luce morentedel giornosi sentì stringere il cuore scoprendoglilungo leguanciedue solchi che davano al bel viso una espressioneindefinibile di malinconia.

- Mi trovi cambiato? - disse lui improvvisamentee con un sorriso triste le mostrò icapelli radi sulle tempie.

Ella gli si strinse controfino a posargli labocca sul pettomormorando:

- Ed iodunque?

Tacqueroquasi abbracciatiascoltando i lororespiripotendo baciarsieppure non baciandosicoi sensi freddi.

- Mi scrivi così di rado...

Ella disse ciò a bassa voceguardandolodolcemente per attenuare il rimprovero.

Lui si passò una mano sulla fronte.

- Sono occupato tutto il giorno egran parte della sera.

- Dove vai alla sera?

- Nei teatriprimapoi allaredazione del giornale. Faccio la cronaca. Non mi piace questomestiereio vagheggio la critica d'arte...

Gli trapelava nella voce un’amarezzacomeuno scoramento di persona avvilita.

- E non puoi farla?

- No... no... sono cose che tu noncapisci.

Teresina abbassò il caponell’umiltàdella propria ignoranzanello sconforto di non poter dividere tuttii pensieri e tutti i dolori di lui. Le balenò un istantel'immagine della bella signora dalle forme opulentivestita daDiana: ma non ebbe il coraggio di parlarne in quel momento.

Le succedeva sempre così. Delle millecose che voleva dirglinon riusciva mai a dirne unadominata da unasuggezione bizzarra e assorbita tutta nel rapimento di contemplarlo.

I dolorile smaniele lottele gelosielerisoluzioni prese e lasciatele estasi convulsele malinconieisterichetutta la sua gioventùla sua bellezzala sua vitache se ne andava in quella lenta fiamma d’amorenon lesuggerivano una sola parola. Gli stava accanto immobilecogli occhifissicome un cane fedele davanti al suo padrone.

- Ti aspetteranno a casa...

- Oh! ancora un minuto...

Pensò se avesse qualcos’altro adirgli; non trovò nulla. Ella avrebbe voluto sapere di luidella sua vitaavrebbe voluto che lui parlassema non osavainterrogarlo; temeva di perdere tempo con una domanda oziosa.

E intanto il tempo passava.

Nella chiesa faceva già buio; l’altaremaggiore sprofondato nell’ombraaveva una vaga apparenza dibara; le colonne della navata sembravano giganteschi fantasmi. Dallacappella sotterranea usciva il bagliore rossigno della lampada accesaper la Madonna. Un odore di rose secche era nell’aria.

Lo scaccinoin sacristiascosse il mazzodelle chiavi.

Si alzarono insiemeurtandosi nella oscurità.Egidio la prese per la vita.

- Oh! - diss’ella - se ci chiudessero quiper sempree non vedere piùnessuno e morire così.

Avevano le labbra sulle labbra.

Egli fu meravigliato di quel pensieroarditamente poetico. Sorreggendolamentre uscivano dal tempiolemormorò all’orecchio:

- Quando mi sentirò morireverrò a morire presso a te.

Non dissero più nulla. Siabbracciarono strettia lungocon una tenacità disperata.Teresa sparve rapidamente sotto gli alberi. Egli la scortò dalungifino in paese.

XXI.

Pochi mesi dopo il matrimonio delle gemellelasignora Soave aveva chiusi gli occhi in pace.

Teresinanel piangerlacomprese che lemancava il più grande dei confortil’affetto ilpiù illimitato; sola forsedella famigliasentìil vuoto lasciato da quella morte.

Per il signor Caccia fu un sollievo. Nel suoegoismo d’uomo robustopensava che la povera donna avrebbedovuto andarsene molto tempo prima. Oraristretta la famigliaegliaccarezzava più che mai il sogno di tutta la sua vita:spingere il figlio rapidamente sulla carriera degli impieghicrearlocapo di casariordinare le sostanze sbilanciate e dopo cinque o seianni di strettissima economiaprocurargli un partito brillantebella moglie e pingue dote.

In queste disposizioni futurel’Idalasua prediletta dopo il maschiosi trovava assicurato l’avvenirenella posizione di maestra. Quanto a Teresavedendola girare per lacasaspersonitacogli occhi neri in cui moriva lo splendore dellosguardocolle manine che prendevano il colore della ceraegli eraconvinto che non se ne sarebbe mai fatto nulla più diquel che era stata sua madre; e crollava le larghe spalle con aria disprezzo.

Ella doveva nascondergli le sue sofferenze pernon essere sgridataeppure queste sofferenze crescevano ogni giorno.

Non poteva più mangiare alle oreconsuete; il cibo preso in compagnia le faceva male; divorava solain cucinagli avanzi dei pasti. Faceva un abuso grandissimo dicaffè. Molte voltenei momenti di maggior calmastandosenetranquilla a lavorare insieme alla sorellasi metteva a gridare: - Viene! Viene! - (intendeva il male) e con una manosullo stomacogli occhi sbarratila bocca schiumosa come vedesse unmostro orribileentrava nella prima fase delle convulsioni.

Diceva che le tanagliavano il pettoquesta erala sua espressione.

Tutti i calmanti riuscivano vani; li respingevaella stessacon orrorelagnandosi che tutti la facessero soffriregesticolando colle braccia per allontanare le persone che lacircondavanoaccusandole di toglierle l’aria.

Durante questa crisi la sua fronte si imperlavadi sudorebatteva i denti; le mani e i piedi le diventavano diacci.Se la convulsione era fortesopravveniva il delirio accompagnato dascosse nervoseda urlida lamenti fiochida gemiti cosìstrazianti che pareva in fin di vita.

Dovevano allora coricarla sul lettonelsilenzio più assolutofinché l’accessofosse passatoe cadeva poi in un sonno profondosvegliandosi dalqualenon ricordava più nulla.

Nei casi sempliciquando non c’eradeliriola convulsione terminava in un pianto dirotto; mal'impressione per lei era più forte e si chiudeva quasisempre con una malinconia che durava parecchi giorni.

Nella sua camerasul tavolino da nottec’erauna fila compatta di boccine e di ampolle; acqua matricariapilloleantisterichepillole di ferroglobuli di arsenicoacetofiord'aranciomelissa. Nel tiretto teneva chicchi di caffètostato; li masticava nelle vegliequantunque il dottore l'avesseammonita di astenersene.

Ma Tavecchiache passava i settant’anninon volle assumersi tutta la responsabilità di quella malattianervosae suggerì un giovane medicoaddottorato nelle teoriemoderneversato nella patologia come nella psichiatria.

Egli venneun giornoe disse che volevavisitare l'ammalata in letto per essere sicuro della diagnosi.

L’indomani Teresina non si levòagitata nella prospettiva di quella visitacontrariata.

- Mettiti una bella cuffia - disse l'Idaridendo per distrarla.

Ella non volle la cuffia; anzi si tolse unfazzoletto ch’era solita portareavendo vergogna di mostrarsicolla testa coperta come una donna vecchia.

Aveva ancora dei bei capellilunghimorbidie guardandosi nello specchietto che l’Ida le porgevafuintimamente soddisfatta. Nella cornice bianca del guancialela suatestina spiccava con una linea delicata; il caldo del letto lemetteva sulle guancie un madore roseosotto il quale sparival'ascetica magrezza del volto. La bocca un po’ pallidaeracircondata da qualche rugama fra le labbra disegnate finamenteilsorriso sempre grazioso scopriva i denti candidi.

- Che cosa mi farà poi? - chiese alla sorellaintanto che colle mani si assicurava se ilbottone in alto della camicia fosse ben chiuso.

- Nulla... ti ordinerà altrepillole. La tua non è una malattia; non aver paura.

- Ah! non è per questo... Staqui perònon lasciarmi sola.

Quando il dottore venneTeresa era tanto inorgasmo che si dovette darle qualche goccia di melissa per calmarla.

L’Idanon comprendendo niente in quellafalange di mali che le sembravano immaginaristava ritta ai piedidel lettoguardando il medico. Il signor Cacciaserioimbronciatoaspettava.

L’esame fu lungo e minuzioso. Incominciòcon una quantità di domande; alcune fra le quali inaspettatealtre incomprensibili per la sofferente che si accontentava dicrollare il capomutasotto l’impressione penosa di un incubo.

A un dato momento il dottore sollevò lacoperta.

- Si metta a sederecosì; manon si agitila prego.

Ella era veramente sbigottita; tremavacollafronte coperta di sudore.

- Non posso visitarla in questo stato - continuò il medicoallontanandosi di un passo.

Il signor Caccia intervennefacendo la vocegrossaguardando sua figlia cogli occhi severi.

- Nono - tornò adire il medico - se la sgrida è peggiolasciamo chesi rimetta dolcemente. È abbastanza giudiziosa; nevvero?

Sedette accanto al lettosorridentecalmocollo sguardo fisso su Teresa.

Il signor Cacciaimpazientitosi diede apasseggiare per la camera; poifuori dell’usciofacendosentire una tosse secca d’uomo che si frena.

Il dottore rimase solo in mezzo alle duesorellevoltando un po’ le spalle a Idatutto intentoall’ammalata.

Teresa sentiva quello sguardo penetrarle nelleviscere e nei pensieri: non lo incontravama anche fuggendoloneavvertiva l’intensitàe in questo caso le si palesavaanche più forteper cui prese il partito di guardarloessa pureattratta da un magnetismo che la dominava; finchéstette immobileimprovvisamente calmata.

Allora il medico le prese dolcemente una manocontando i battiti del polso.

- Bene.

Si alzòinvitandola a mettersi nellaposizione di primaritta sulla vita.

Ida fece atto di chiamare il padre. Il medicol’arrestò con un gestointanto che si chinava versoTeresinaaccostandole l’orecchio al cuore.

Nel silenzio della camera si udivano i trerespiri.

- Basta - mormoròquasi subito l'ammalata.

- Le faccio male?

Non rispose: ma ricadde sui guancialipallidissima.

Il medico strinse le labbra.

- Permetta... abbia pazienza.

Tornò a posarle la testa sul cuorepremendo leggermente.

Aveva una foresta di capelli castagniun po’grossidai quali emanava un profumo lieve; scomposti dal movimentoquei capelli toccavano quasi la bocca di Teresinache si irrigidivadilatando gli occhisotto la tentazione di un desiderio pazzo.Intorno all’orecchiofra il lobulo e la radice dei capelliilprincipio del collo si disegnava vigorosoleggermente arrossatoverso la gola; sulla nucacandidissimo. Egli aveva ventinove anni.

- Nulla. Il cuore non ha nulla...esternamente.

Marcò con una lieve esitazionequest’ultima parolaraddrizzandosiun po’ colorito nelvolto.

Il signor Caccia rientrò in quel punto.

- Sua figlia ha una costituzionebuonissima; i polmoni saniil cuore sano; una tendenza all’anemiaforsema anche questa temporaneadipendente da cause che sfuggonoal nostro esame.

- Ma se la vedesse nel momento dellacrisiquando la prende la convulsione... Non se la puòfigurare.

- Oh! sì - fece ilmedico sorridendo - me la figuro perfettamente; ma non èaltro che una alterazione nervosa. Col tempo e con un po’ dibuona volontàcredo potrà svanire.

Nel dire "buona volontà" tornòa guardare Teresa.

- Non sta troppo in casanevvero?

- Ma... veramente - balbettò il signor Caccia - le donne...

Il medico riprese senza lasciarlo finire:

- Quando si manifesta unperturbamento dei nervi così vivocon caratteri francamenteistericila miglior cura è quella di non abbandonarel’ammalata a se stessa. Io posso ordinare delle medicinema senon sono aiutato dal sistema... - si volse direttamente aTeresa. - La stagione è favorevoleabbiamo unaprimavera che è un incanto. Esca spesso. Vada a trovareun’amicaprocuri di interessarsi a qualche cosadi cambiarel’ordine abituale de’ suoi pensieridi non fissarsi in unaidea. Faremo una piccola cura arsenicale combinata col ferroma ilprimo rimediose ne persuadalo deve trovare in se stessa. Micomprendenevvero?

Le strinse la manocolla sua dolcezzaindolente d’operatoremostrando i denti bianchi nell’arcodel sorriso; lasciando sul capezzale come un profumo della suavigorosa giovinezza.

Tornò qualche giorno dopoper vederel’esito della curaed essendo comparso all’improvvisodavanti a Teresinaella arrossìtutta confusacon unsentimento recondito di vergogna.

Quella specie di intimità con un uomogiovanesenza il legame dell’amorela turbava. Erameravigliata di non trovare maggior avversione al contattodisorprendere nei suoi sensi una vita autonomaindipendente dal cuoree dalla volontà.

Fino allora aveva amatoin un sol uomol'incarnazione dell’amore; ma nella tensione di tutto il suoessere verso quell’idealeil cuore e la mente resistevanoinervi no. I nervia sua insaputacon una ribellione mostruosavibravano quando il giovane dottore le stringeva la manoe laguardava colla sua pupilla intenta. E Teresina spasimavasentendosiprendere alla gola da un rantolo convulso; trovando in se stessanella tardiva rivelazione dei propri sensil’enigma della vitache le era sempre apparso a trattimascheratosvisatotenutonascosto come un’onta.

In quei giorniper una combinazioneavendosuo padre acquistatasenza guardarlauna partita di libri vecchiella pose le mani sopra un libriccino gualcito. Il titolo l’invitòa leggere le prime paginee poi continuò meravigliataansiosa; passando dalla sorpresa alla indignazionefino a un ferocedilettofino alla nausea la più ributtante.

Restò immobilecol sangue che leformicolava nelle venecon una fiamma sulle goteil palato aridole fauci ingrossategli occhi vitrei.

Non aveva mai udito né immaginato nientedi simile.

Al primo rinvenirel’indignazione lavinse su ogni altro sentimento; stracciò il libro in millepiccoli frammentirendendoli sempre più piccolipiùpiccoli ancoraponendoli da ultimo sotto i piedi e gustandonelcalpestarliuna gioia che la purificava. Raccolse poi gli avanziinformi e li gettò nella cassetta delle spazzature; ma sivedevano; la loro bianchezza sudicia risaltava sul fondo nero. Ellanon era contenta. Tornò a raccattarli e li volle abbruciare - vivi - ché quei frammenti agitati dallafiammale davano veramente l'impressione di cose vivedi mostrioscenicondannati al rogo.

Ristette infinepalpitantedavanti almucchietto di cenerepersuasa che nulla più esistessedi quelle sozzure.

Ma si ingannava. Il suo pensiero era colpitomacchiato irrimediabilmente. Per quanto facesse non poteva togliersiil ricordo delle pagine lette; ed era un ricordo amarocome dimedicina che torni a gola.

E venivanonon cercatele riflessioniiconfrontile induzioni. Cento cose rimaste oscure fino allora le sichiarivano spietatamente; non poteva più dubitarenonpoteva più illudersi.

Quelle spiegazioni crudeli erano la solarisposta ch’ella trovava alla sua lungainsoddisfatta curiositàdi fanciulla.

Quelle pagine stampateche non volavano comele paroleche non svanivano come i sorrisiche ella aveva distruttein un esemplare ma che esistevano in mille altriquelle pagineinfami erano un documento della miseria umanadella sua propriamiseria.

Un libro osceno le dava la chiave del misteroch’ella aveva ricercato invano; ch’ella aveva interrogatonei fremiti paurosi e pudibondi di se stessanelle reticenze malignedegli altri.

Era dunque quello l’ignobile segreto cheteneva uniti gli uomini alle donne? Quello l’amore?

Sottileprofondoun pensiero sopra tutti lamartoriava: Egidio.

Quando l’immagine di lui venne amischiarsi alle rimembranze lasciveella provò la maggiorvergogna della sua vita. Le parve di veder trascinare nel fango tuttoquanto aveva di sacro al mondo. Era la profanazione dell’affettopiù gentileera l’altare che si frangeval’idoloche diventava creta. Arrossìsoladi se stessa.

E la prese una tristezzaun dolore come avesseperduto per sempre una persona adorata.

Per tutto quel giorno non potéincontrare alcuno a viso alzato; aveva orrore dei suoi simili.

Alla serachiudendosi nella sua camerasiilluse di potersi disfare dall’incubo; ma l’incubo divennepiù violento.

Mentre si spogliavaera assalita da curiositàbrutali. Sembrava che le pagine infami si fossero incollate alla suapelleche le formasserocome la camicia di Nessoun involucro difuocoentro il quale si dibatteva.

Cadde in ginocchio disperatarecitandomacchinalmente tutte le orazioni che sapevaunendo il nome di Egidioal nome della Madonnacon un bisogno ardente di dimenticare.

Accovacciandosi sotto le coltrispossataevocò le pure visioni del suo amore: l’incontro nellacappellai ritrovi in chiesail primo appuntamento alla finestrasotto l’acqua che veniva a rovesciche nessuno di loro sentivae quei baci di cielo in cui ella credeva di dare l’anima.

A poco a poco la pace entrava in lei. Unadolcezza malinconica la cullavala consolava. Egidio era semprestato sincero; non l’aveva ingannatanon l’aveva traditamainon si era fatto migliore di quel che fosse. Che cosa si puòchiedere di più agli uomini?

Sentiva ora una tenerezza straordinaria acompatirloa comprenderlo nelle debolezze del suo sesso. Il recentedolore le faceva sanguinare il cuore; ma da quella stessa feritasalivaalle più nobili idealità del suopensierouna compassione pietosauna commiserazione di questaumanità sofferente e bestialeun delicato istinto di perdono.E più fortepiù puroemergeva da tantofango l’affetto ch’ella aveva nel cuore e che sapevadiviso.

Chiuse gli occhi rassegnatasospirandolievemente.

A trattiun fremito l’agitava ancora maanche quello andò scomparendo sotto il torpore del sonno;finché rimase l’affanno dei sospirisempre piùlievia indicare che il pensiero si addormentava.

XXII.

La terra era aridabruciata dal sole chel’aveva percossa tutto il giorno. Le pianticelle del giardinointristitelasciavano cadere le foglie; i fioriquasi tutti chiusireclinati sullo stelosembravano non aver più forza diolezzare. Solo nel cantuccio di una aiuolaun geranio notturnoincominciava a schiudere il suo calice dai colori ingratidalprofumo inebbriante.

Teresina coltivava da poco tempo questo fioresingolarissimoma vi portava speciale interesse; meravigliandosi equasi compiacendosi di vederlo così brutto e cosìprofumatotanto modesto che non si apriva mai prima del tramonto delsole.

Veniva dalla casacon un innaffiatoio in manostanca anch’essa ed esausta al pari dei suoi fiorisentendosipesare addosso il calore insopportabile di quella giornata di luglio.Si fermò un momento dando un’occhiata attornogiàspaurita per la fatica che l'aspettava di bagnare tutti quegliarbusti.

Prese lentamente il basso delle maniche e lerialzò; prima la sinistrapoi la destrascoprendo ilprincipio del braccio scarnosenza guardarlocon una rassegnazionedolorosa.

Aveva un abito giallinopoveroche le stavamale. Lo sapeva; ma non se ne curava. Odiava le vestila moda.

Le poche volte che si guardava nello specchione riceveva un’impressione sgradita e questa la irritava controtutti gli ornamenti diventati inutili.

Tuttavia non era ancora brutta. A quel voltosimpatico che i patimenti avevano dimagrito ma non deformatomancavasolo un raggio di felicità. Come tutti i tramonti avrebbeavuto bisognoper splenderedi un cielo senza nubi.

La passione per i fiori le era venutaquell’annoe Teresa l’aveva accolta a guisa di distrazionenel grande isolamento che la circondava.

Da sei mesi suo padre giaceva infermo su di unapoltrona. Quel colosso era stato colpito da un attacco di apoplessiache lo aveva paralizzato nelle gambe e nelle mani. Ella dovevavestirlosvestirlocoricarlodargli da mangiare precisamente comead un bambino. Non usciva più da casapoichéera rimasta sola - l’Ida avendo ottenuto un posto dimaestra nell’Italia meridionale - e da alloradicevaqualcunoil ricevitore aveva cominciato a crucciarsi e a perdere lasalute.

Quasi tutte le sere il dottoreche eradiventato amicoveniva a passare una mezz’ora insiemeall'ammalato. Teresa approfittava di quella mezz’ora per uscirein giardino.

- Non ha ancora finito? - le gridò di sotto il portico la voce fresca e virile delmedico.

- Ha fatto tanto caldo quest’oggi - rispose Teresa senza levare il capo - voglionobere.

Egli si avvicinò guardando le aiuoledisse:

- Dovrebbe piovere.

Era presso a Teresina che si affrettò adabbassare le maniche.

- E peròforsela pioggianon è lontana.

Guardarono per aria tutti e due. Teresa avevaappoggiato l'innaffiatoio sulla ghiaia del sentiero e se ne stavarittacolle braccia cadenticon una espressione stanca che leaffilava il volto.

Dalle aiuole bagnate incominciava a salirel’odore di terra frescaacutosensualerompendo la siccitàdell’atmosfera; e tutto ciò che era nella terrabruchivermiciattoliesalavano la loro vitalità rianimata da quellepoche stille d’acqua.

L’aria bruciava tuttaviama un vaporemolle l’attraversavatratto trattocome una carezza.

- Che buon odorenon è vero?

Ella disse di sìdistrattasentendopenetrarle in tutti i pori un bisogno irresistibile di vivere. La suaatonia non era che apparente.

Guardava la terra che si imbeveva a poco a pocoe i fiori che si allargavanofreschisorgendo dalle zolle.

Il dottore parlavacon quella voce maschiache faceva fremere Teresina. Il suo pensiero era lontanoma lasolita corrente magneticadi un magnetismo puramente fisicolafaceva stare attenta alle parole del giovane. Tenendo gli occhiabbassativedevadi sghemboi suoi lunghi baffi castagni che siagitavano lievementegettando un’ombra sulla bianchezza sodadel mento.

Pensava: "Se fosse qui lui!" Unival’anima dell’assente alle sensazioni materiali di quelmomento.

Il dottore provava forse qualche cosa disimile; presente col corpoaveva l’immaginazione lontana.Fissava lo sguardo come chi ha davanti una visionee tracciava collasua canna delle lettere incomprensibili sull’arena. Senza saperein qual modo avesse incominciatosi trovò a parlar d'amore.

- Nei drammi e nei romanzi di unavolta incontriamo spesso questa situazione: una donna cadenell’acquaun uomo la salvasi amano. Ma come? Che ne sannoessi? Hanno provato a intendersi nei lunghi silenzi dove parla ilcuore? Hanno piantohanno riso insieme? Sanno solamente comemangianocome dormono? in qual modo il loro spirito si esilara efino a qual punto vibrano i loro nervi? Difficilmente la bellezza checolpisce è quella che trattiene. L’amoreil veronasceda un complesso di circostanzedi affinità intime e continue.È un certo modo di guardaredi sentiredi esporre le idee; èuna piega del labbrola voceil gestola forma della manol'odoredella pelle. È l’attrazione prolungata dei corpiper cuipiù si sta vicini e più si starebbe; èlo scambio rapido e completo dei pensieri; è l’afferrareinsieme la stessa sensazioneil fondersiil completarsi l’unl’altro in un assorbimento progressivo dell'anima e dei sensi...

- È veroè vero.

Cogli occhi chiusiappoggiata al tronco di unalberelloTeresa mormorò ancora: - È vero! - Si sentiva cullata da quella vocequasi addormentata nel suoeterno sogno d’amore; mentre la terra intorno a lei le mandavaforti e selvaggie esalazioni e i fiori si rizzavanoopulenti; el’erbale foglieogni stelo ogni cespuglio odorava nellafrescura umida della seraimperlato dalle recenti goccioline.

- ... L'amore è lo sguardo chevola ratto come il dardoè la parola che il labbro balbettaappenaè il desiderio che l’emozione paralizza...

- È veroè vero.

Ella si sentiva morire in un rapimento divoluttànella delicata eccitazione di quella voce d’uomoche parlava d’amore.

Bruscamenteil giovane tacque.

La notte era scesafrescadolcissimapienadi carezze. Raggiavano in cielo le prime stelle; il geranio notturnoolezzava col suo profumo intensoquasi carnaleprotendendo i ramiverso la luce argentea; e in quel silenzio cadevano le goccielambendo le corollestrisciando sui gambitoccando terra con unpiccolo rumore seccoche turbava i moscherini nel loro primo sonnoe faceva fuggirespauritele lucciole di fiore in fiore.

Quando il giovane tornò a parlarelasua voce era cambiatadisse: - Buona sera - infrettaafferrando un pensiero che gli era venuto nella dolcezzatentante di quella notte. Salutòsenza nemmeno guardare esparve nelle ombre del portico.

Teresa si scossestrinse i dentichiuse gliocchi e sospirando e sollevando le braccia al di sopra del capolestiròcon un abbandono al quale risposero tutte le sue fibregemendo.

Nel salotto terrenonell'umido e buio gineceoil signor Caccia terminava i suoi giorniconfinato sul divanucciodove la signora Soave aveva trascorsa tanta parte della vitalagnandosi dolcemente cogli occhi volti al cielo.

Egli finivabattutovinto nelle sue forzemaggiori; ridotto così gramo da dover implorare l’altruicompassionespoglio d'ogni poterein balia dell'unica figlia chegli era rimasta accanto.

E quella figlia non era la prediletta; l’avevaanzi disconosciuta spessorendendola vittima del suo assolutismo.

Si trovavano di frontesolicon tutto unpassato che li dividevacoll’amarezza indistruttibile deidolori sofferti. Tacevanoma nel silenzio della figlia c’eraforse un rimprovero; in quello del padre un rimorso - e piùche un rimorsoper quel carattere superbol’umiliazione didovere a lei un prolungamento d’esistenza.

La osservavaqualche voltacon un’irasordaqualche altra con un improvviso impeto di tenerezza.

Teresa era calma. Non esagerava ledimostrazioni d’affetto; era attentadocile. Compieva i suoiobblighi senza entusiasmo e senza fiacchezzaseria.

Ma tutta la sua gioventù sfioritasembrava rimasta nella casaintorno a leiin quelle pareti chel’avevano vista fanciulladove era caduto ogni giornoognioracome da una clepsidraun raggio della sua bellezza; dove ellaaveva assistito al succedersi degli annialle lente evoluzioni dellafamiglia e di se stessa.

Guardava il suo passato nello stesso modo cheavrebbe guardata un’altra personaevocando la Teresina diquindici annicosì lietail giorno in cui era partita perMarcariasu quello stradone lungotutto soleggiatoche non finivamaidove il sediolo di Orlandi correva in mezzo a un nuvolo dipolvere. Ripensandocile pareva una profezia; egli le era passatoaccantofuggendo.

Ah! come avrebbe voluto ricominciare la vitaora che la conosceva meglio.

Quando era assalita da questo rammaricosistruggevacon una melanconia acutacon un livore che la rimescolavatuttafino nei rimpianti lontanifino nei desideri piùgelosamente custoditi che ella credeva domati per sempre.

Le lunghele penosissime ore che trascorserocosìpadre e figlia! - sempre unitidignitosisopportando fieramente il peso del loro doveretrascinando l’odiosacatena delle consuetudinidegli affetti imposti.

Una lettera di Carlino venne a portare l'ultimocolpo ai due che rappresentavano ancora l’unione della famigliaCaccia. Il giovane annunciavabrevementeil suo matrimonio collafiglia di un osteche egli aveva sedotta. Non una parola di scusanon un atto di deferenza all'autorità paterna. Nulla. Era lavolontà brutale di un uomo liberoche non ha bisogno dinessuno.

Il signor Caccia ne fu scosso in modo da farpietà.

Il medicoaccorso per un peggioramento nellostato dell’infermodisse subito che non si sarebbe riavuto daquel colpo.

Infatti continuò a peggioraree sulprincipio d’autunnoavendo già perdute le facoltàdella parola e della memoriaattaccato da paralisi al cuore morì.

Tutti in paese credettero che Teresina andrebbea stare colle sorelle; ma Teresina non si mosse.

Assistí il padre fino all’ultimosospirolo collocò nella baralo vegliò morto. Nelmomento che lo portavano viapianse. Poi riprese le abitudinitranquillevagolandocome un’ombra nella casa deserta.

Invano qualcunoil dottorela pretoralevicine Ridolfi tentarono di farla usciredi procurarle delledistrazioni. Ella rifiutò tutte le propostecosìcalmacosì freddache finirono col giudicarla insensibile.

"Poveretta!" pensava la pretora "hasofferto tanto che il cuore le si è induritonon sente piùnulla".

Purecome risorsa estremavalendosidell’antica amiciziala tentò un giorno dal latodell’amor proprioe le disse:

- Ho paura che rassomigli davveroalla Calliope; non esci maitieni la casa sbarrata... mettiti un po’a farmi gli sberleffivediamo se riesci.

Ma anche da questa parte Teresina si mostròinvulnerabile. Un sorriso serioprofondamente malinconicoera lasua risposta a tutto ed a tutti.

Passarono due mesi.

Negli ultimi giorni dell'anno ricevette unalettera di Egidio. Egli era ammalatopoverosenza aiuto alcuno. Lescriveva come un figlio scriverebbe alla madrecon una fedeillimitata.

Teresa fece molte riflessioni su quellaletteramolte meditazionie per tutta la notte non dormì; eil giorno dopo tornò a riflettere e a meditare.

La pretoranon vedendolavenne a prendere suenuove. La trovò in cameracircondata da abitida oggetti dibiancheria gettati alla rinfusa su per i mobilicon una valigia interraaperta.

- Che cosa vedo? Ti decidi finalmentead andare dai Luminelli?

Teresa non rispose subito. Era moltopreoccupata; ma dopo un momentoprese le mani dell’amica eparlando pianocon una gravità pensierosa:

- Egli mi ha scritto.

La pretora non comprese subito. Da sei o settemesi non era stato pronunciatofra loroil nome di Orlandi. Nonnascose quindi la sua meravigliaal contrario l’accentuò:

- Ti ha scritto ancora? Che vuole?

- Nulla.

La pretora crollò il capo. Teresinasoggiunse:

- È ammalato.

- Ah!

- Solo.

La pretora questa volta non pronunciòsillaba. Successe un silenziobrevepenoso.

Teresa piegava un abito sul lettodando lespalle all’amica. Rapidamentecome si strappa un dentedisse:

- Vado via domattina.

E si voltòcoll’abito sul braccia.Gli sguardi delle due donne si incrociarono. La pretora avevacompreso.

Tacque un momentointanto che Teresa assettavala valigia. Quand’ebbe finitoper impulso simultaneo siappoggiarono tutte e due al lettoserie e commosse:

- Hai riflettuto?

- Sì.

- E sei decisa?

- Decisa.

La pretora tentò la via del sarcasmodicendo con un sorriso freddo:

- Vai a fare l’infermiera!

- Quel che Dio vuole - rispose Teresa.

Allora l'altra riprese:

- Che cosa penseranno le tue sorelletuo fratello?

Si strinse nelle spalle.

- La gente?

- Oh! la gente poi...

E sorrise col suo sorriso malinconicoal qualesi aggiunse una punta di ironia.

- Tuttavia... se mi facessero delleosservazionia metua amica?

- Ebbene dirai ai zelanti che hopagato con tutta la mia vita questo momento di libertà. Èabbastanza caro nevvero?

Tornò a sorridere e si lisciòcolle mani - due piccole manine di cera gialla - i capelli che incominciavano a perdere i riflessi bruni.

La pretora restò con lei quasi tutto ilgiorno.

All'indomani mattinatutta vestita di nero peril luttocon un velo che le nascondeva mezza la facciaTeresachiudeva la porta della sua casa.

L'amicafedele fino all'ultimole era vicina.

- A rivedercia rivedercisai?

- Speriamo - risposeTeresacon accento profondogià impressionata dei misteridel futuro.

Don Giovanni Boccabadatitutto ravvolto in unapellicciamise il capo alla finestra. Teresa si ricordò ilgiorno in cui egli pure era partitopartito col sole e collerondiniin un mattino di primavera.

- Hai una brutta giornata - disse la pretora.

Ella guardò in altocon indifferenzaes’avviò coll’amica verso la stazione.

Prima di entrare nella sala d’aspettosifermarono ancora qualche istante per salutarsiper rinnovare laraccomandazione di scriversi.

Nel momento che Teresa varcava la sogliaavendo già consegnato il bigliettol'amica le si slanciòcontroabbracciandola. Voleva dirle qualche cosa ancorama ammutolìnell'amplesso. Si guardarono intensamentesenza profferire una solaparola.

- Partenza! partenza!

La pretora corse al cancello che chiudeva lavia ferrata. Fu in tempo a vederla un’ultima volta. Sisalutarono colla mano e cogli occhifinché fu possibile. Poiil velo nero di Teresa cessò di fluttuare allo sportello delcarrozzone; il treno si mosse.

Nevicava.