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AlessandroManzoni



STORIA

DELLA

COLONNAINFAME



Introduzione


Aigiudici chein Milanonel 1630condannarono a supplizi atrocissimialcuni accusati d'aver propagata la peste con certi ritrovatisciocchi non men che orribiliparve d'aver fatto una cosa talmentedegna di memoriachenella sentenza medesimadopo aver decretatain aggiunta de' supplizila demolizion della casa d'uno di queglisventuratidecretaron di piùche in quello spazios'innalzasse una colonnala quale dovesse chiamarsi infameconun'iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell'attentato edella pena. E in ciò non s'ingannarono: quel giudizio fuveramente memorabile.

Inuna parte dello scritto antecedentel'autore aveva manifestatal'intenzione di pubblicarne la storia; ed è questa chepresenta al pubbliconon senza vergognasapendo che da altri èstata supposta opera di vasta materiase non altroe di molecorrispondente. Ma se il ridicolo del disinganno deve cadere addossoa luigli sia permesso almeno di protestare che nell'errore non hacolpae chese viene alla luce un topolui non aveva detto chedovessero partorire i monti. Aveva detto soltanto checome episodiouna tale storia sarebbe riuscita troppo lungae chequantunque ilsoggetto fosse già stato trattato da uno scrittore giustamentecelebre (Osservazioni sulla torturadi Pietro Verri)glipareva che potesse esser trattato di nuovocon diverso intento. Ebasterà un breve cenno su questa diversitàper farconoscere la ragione del nuovo lavoro. Così si potesse anchedire l'utilità; ma questapur troppodipende molto piùdall'esecuzione che dall'intento.

PietroVerri si proposecome indica il titolo medesimo del suo opuscolodiricavar da quel fatto un argomento contro la torturafacendo vederecome questa aveva potuto estorcere la confessione d'un delittofisicamente e moralmente impossibile. E l'argomento era stringentecome nobile e umano l'assunto.

Madalla storiaper quanto possa esser succintad'un avvenimentocomplicatod'un gran male fatto senza ragione da uomini a uominidevono necessariamente potersi ricavare osservazioni piùgeneralie d'un'utilitàse non così immediatanonmeno reale. Anzia contentarsi di quelle sole che potevanprincipalmente servire a quell'intento specialec'è pericolodi formarsi una nozione del fattonon solo dimezzatama falsaprendendo per cagioni di esso l'ignoranza de' tempi e la barbariedella giurisprudenzae riguardandolo quasi come un avvenimentofatale e necessario; che sarebbe cavare un errore dannoso da dove sipuò avere un utile insegnamento. L'ignoranza in fisica puòprodurre degl'inconvenientima non delle iniquità; e unacattiva istituzione non s'applica da sé. Certonon era uneffetto necessario del credere all'efficacia dell'unzioni pestifereil credere che Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora le avessero messein opera; come dell'esser la tortura in vigore non era effettonecessario che fosse fatta soffrire a tutti gli accusatinéche tutti quelli a cui si faceva soffrirefossero sentenziaticolpevoli. Verità che può parere sciocca per troppaevidenza; ma non di rado le verità troppo evidentie chedovrebbero esser sottintesesono in vece dimenticate; e dal nondimenticar questa dipende il giudicar rettamente quell'atrocegiudizio. Noi abbiam cercato di metterla in lucedi far vedere cheque' giudici condannaron degl'innocentiche essicon la piùferma persuasione dell'efficacia dell'unzionie con una legislazioneche ammetteva la torturapotevano riconoscere innocenti; e che anziper trovarli colpevoliper respingere il vero che ricompariva ognimomentoin mille formee da mille particon caratteri chiariallora com'oracome sempredovettero fare continui sforzid'ingegnoe ricorrere a espedientide' quali non potevano ignorarl'ingiustizia. Non vogliamo certamente (e sarebbe un tristo assunto)togliere all'ignoranza e alla tortura la parte loro in quell'orribilefatto: ne furonola prima un'occasion deplorabilel'altra un mezzocrudele e attivoquantunque non l'unico certamentené ilprincipale. Ma crediamo che importi il distinguerne le vere edefficienti cagioniche furono atti iniquiprodotti da chese nonda passioni perverse?

Diosolo ha potuto distinguere qual piùqual meno tra questeabbia dominato nel cuor di que' giudicie soggiogate le lorovolontà: se la rabbia contro pericoli oscuricheimpazientedi trovare un oggettoafferrava quello che le veniva messo davanti;che aveva ricevuto una notizia desideratae non voleva trovarlafalsa; aveva detto: finalmente! e non voleva dire: siam dacapo; la rabbia resa spietata da una lunga paurae diventataodio e puntiglio contro gli sventurati che cercavan di sfuggirle dimano; o il timor di mancare a un'aspettativa generalealtrettantosicura quanto avventatadi parer meno abili se scoprivanodegl'innocentidi voltar contro di sé le grida dellamoltitudinecol non ascoltarle; il timore fors'anche di gravipubblici mali che ne potessero avvenire: timore di men turpeapparenzama ugualmente perversoe non men miserabilequandosottentra al timoreveramente nobile e veramente sapientedicommetter l'ingiustizia. Dio solo ha potuto vedere se que'magistratitrovando i colpevoli d'un delitto che non c'erama chesi volevafuron più complici o ministri d'una moltitudinecheaccecatanon dall'ignoranzama dalla malignità e dalfuroreviolava con quelle grida i precetti più positivi dellalegge divinadi cui si vantava seguace. Ma la menzognal'abuso delpoterela violazion delle leggi e delle regole più note ericevutel'adoprar doppio peso e doppia misurason cose che siposson riconoscere anche dagli uomini negli atti umani; ericonosciutenon si posson riferire ad altro che a passionipervertitrici della volontà; néper ispiegar gli attimaterialmente iniqui di quel giudiziose ne potrebbe trovar di piùnaturali e di men tristeche quella rabbia e quel timore.

Oratali cagioni non furon pur troppo particolari a un'epoca; néfu soltanto per occasione d'errori in fisicae col mezzo dellatorturache quelle passionicome tutte l'altreabbian fattocommettere ad uomini ch'eran tutt'altro che scellerati diprofessioneazioni malvagesia in rumorosi avvenimenti pubblicisia nelle più oscure relazioni private. «Se una solatortura di meno» scrive l'autor sullodato«si daràin grazia dell'orrore che pongo sotto gli occhisarà benimpiegato il doloroso sentimento che provoe la speranza diottenerlo mi ricompensa .» Noiproponendo a lettori pazientidi fissar di nuovo lo sguardo sopra orrori già conosciuticrediamo che non sarà senza un nuovo e non ignobile fruttoselo sdegno e il ribrezzo che non si può non provarne ognivoltasi rivolgeranno anchee principalmentecontro passioni chenon si posson bandirecome falsi sisteminé abolirecomecattive istituzionima render meno potenti e meno funestecolriconoscerle ne' loro effettie detestarle.

Enon temiamo d'aggiungere che potrà anche esser cosain mezzoai più dolorosi sentimenticonsolante. Sein un complesso difatti atroci dell'uomo contro l'uomocrediam di vedere un effettode' tempi e delle circostanzeproviamoinsieme con l'orrore e conla compassion medesimauno scoraggimentouna specie didisperazione. Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmenteal male da cagioni indipendenti dal suo arbitrioe come legata in unsogno perverso e affannosoda cui non ha mezzo di riscotersidi cuinon può nemmeno accorgersi. Ci pare irragionevolel'indegnazione che nasce in noi spontanea contro gli autori di que'fattie che pur nello stesso tempo ci par nobile e santa: rimanel'orroree scompare la colpa; ecercando un colpevole contro cuisdegnarsi a ragioneil pensiero si trova con raccapriccio condotto aesitare tra due bestemmieche son due deliri: negar la Provvidenzao accusarla. Ma quandonel guardar più attentamente a que'fattici si scopre un'ingiustizia che poteva esser veduta da quellistessi che la commettevanoun trasgredir le regole ammesse anche dalorodell'azioni opposte ai lumi che non solo c'erano al loro tempoma che essi medesimiin circostanze similimostraron d'avereèun sollievo il pensare chese non seppero quello che facevanofuper non volerlo saperefu per quell'ignoranza che l'uomo assume eperde a suo piaceree non è una scusama una colpa; e che ditali fatti si può bensì esser forzatamente vittimemanon autori.

Nonho però voluto dire chetra gli orrori di quel giudiziol'illustre scrittore suddetto non veda maiin nessun casol'ingiustizia personale e volontaria de' giudici. Ho voluto dirsoltanto che non s'era proposto d'osservar quale e quanta partec'ebbee molto meno di dimostrare che ne fu la principaleanziaparlar precisamentela sola cagione. E aggiungo orache nonl'avrebbe potuto fare senza nocere al suo particolare intento. Ipartigiani della tortura (ché l'istituzioni più assurdene hanno finché non son morte del tuttoe spesso anche dopoper la ragione stessa che son potute vivere) ci avrebbero trovata unagiustificazione di quella. - Vedete? - avrebbero detto- la colpa èdell'abusoe non della cosa. - Veramentesarebbe una singolargiustificazione d'una cosail far vedere cheoltre all'essereassurda in ogni casoha potuto in qualche caso speciale servir distrumento alle passioniper commettere fatti assurdissimi eatrocissimi. Ma l'opinioni fisse l'intendon così. E dall'altrapartequelli checome il Verrivolevano l'abolizion della torturasarebbero stati malcontenti che s'imbrogliasse la causa condistinzionie checon dar la colpa ad altrosi diminuisse l'orroreper quella. Così almeno avvien d'ordinario: che chi vuolmettere in luce una verità contrastatatrovi ne' fautoricome negli avversariun ostacolo a esporla nella sua forma sincera.È vero che gli resta quella gran massa d'uomini senza partitosenza preoccupazionesenza passioneche non hanno voglia diconoscerla in nessuna forma.

Inquanto ai materiali di cui ci siam serviti per compilar questa brevestoriadobbiam dire prima di tuttoche le ricerche fatte da noi periscoprire il processo originalebenché agevolateanziaiutate dalla più gentile e attiva compiacenzanon hangiovato che a persuaderci sempre più che sia assolutamenteperduto. D'una buona parte però è rimasta la copia; edecco come. Tra que' miseri accusati si trovòe pur troppo percolpa d'alcun di lorouna persona d'importanzadon Giovanni Gaetanode Padillafiglio del comandante del castello di Milanocavalier disant'Iagoe capitano di cavalleria; il quale poté farestampare le sue difesee corredarle d'un estratto del processochecome a reo costituitogli fu comunicato. E certoque' giudici nons'accorsero allorache lasciavan fare da uno stampatore un monumentopiù autorevole e più durevole di quello che avevancommesso a un architetto. Di quest'estrattoc'è di piùun'altra copia manoscrittain alcuni luoghi più scarsainaltri più abbondantela quale appartenne al conte PietroVerrie fu dal degnissimo suo figlioil signor conte Gabrieleconliberale e paziente cortesiamessa e lasciata a nostra disposizione.È quella che servì all'illustre scrittore per lavorarl'opuscolo citatoed è sparsa di postilleche sonoriflessioni rapideo sfoghi repentini di compassion dolorosaed'indegnazione santa. Porta per titolo: Summarium offensivi contraDon Johannem Cajetanum de Padilla; ci si trovan per esteso moltecose delle quali nell'estratto stampato non c'è che un sunto;ci son notati in margine i numeri delle pagine del processooriginaledalle quali son levati i diversi brani; ed è puresparsa di brevissime annotazioni latinetutte però delcarattere stesso del testo: Detentio Morae; Descriptio DominiJohannis; Adversatur Commissario; Inverisimile; Subgestioesimiliche sono evidentemente appunti presi dall'avvocato delPadillaper le difese. Da tutto ciò pare evidente che sia unacopia letterale dell'estratto autentico che fu comunicato aldifensore; e che questonel farlo stampareabbia omesse varie cosecome meno importantie altre si sia contentato d'accennarle. Ma comemai se ne trovano nello stampato alcune che mancano nel manoscritto?Probabilmente il difensore poté spogliar di nuovo il processooriginalee farci una seconda scelta di ciò che gli paresseutile alla causa del suo cliente.

Daquesti due estratti abbiamo naturalmente ricavato il più; edessendo il primoaltre volte rarissimostato ristampato da pocotempoil lettore potràse gli piacericonoscerecolconfronto di quelloi luoghi che abbiam presi dalla copiamanoscritta.

Anchele difese suddette ci hanno somministrato diversi fattie materia diqualche osservazione. E siccome non furon mai ristampatee gliesemplari ne sono scarsissiminon mancherem di citarleogni voltache avremo occasion di servircene.

Qualchepiccola cosa finalmente abbiam potuto pescare da qualcheduno de'pochi e scompagnati documenti autentici che son rimasti diquell'epoca di confusione e di disperdimentoe che si conservanonell'archivio citato più d'una volta nello scrittoantecedente.

Dopola breve storia del processo abbiam poi creduto che non sarebbe fuordi luogo una più breve storia dell'opinione che regnòintorno ad essofino al Verricioè per un secolo e mezzocirca. Dico l'opinione espressa ne' libriche èper lo piùe in gran partela sola che i posteri possan conoscere; e ha in ognicaso una sua importanza speciale. Nel nostroc'è parso chepotesse essere una cosa curiosa il vedere un seguito di scrittoriandar l'uno dietro all'altro come le pecorelle di Dantesenzapensare a informarsi d'un fatto del quale credevano di dover parlare.Non dico: cosa divertente; chédopo aver visto quel crudelecombattimentoe quell'orrenda vittoria dell'errore contro la veritàe del furore potente contro l'innocenza disarmatanon posson faraltro che dispiaceredicevo quasi rabbiadi chiunque sianoquelleparole in conferma e in esaltazione dell'errorequell'affermar cosìsicurosul fondamento d'un credere così spensieratoquellemaledizioni alle vittimequell'indegnazione alla rovescia. Ma un taldispiacere porta con sé il suo vantaggioaccrescendol'avversione e la diffidenza per quell'usanza anticae non maiabbastanza screditatadi ripetere senza esaminareese ci silascia passar quest'espressionedi mescere al pubblico il suo vinomedesimoe alle volte quello che gli ha già dato alla testa.

Aquesto fineavevam pensato alla prima di presentare al lettore laraccolta di tutti i giudizi su quel fattoche c'era riuscito ditrovare in qualunque libro. Ma temendo poi di metter troppo a cimentola sua pazienzaci siam ristretti a pochi scrittorinessuno affattooscurola più parte rinomati: cioè quellide' qualison più istruttivi anche gli erroriquando non posson piùesser contagiosi.




CapitoloI


Lamattina del 21 di giugno 1630verso le quattro e mezzounadonnicciola chiamata Caterina Rosatrovandosiper disgraziaa unafinestra d'un cavalcavia che allora c'era sul principio di via dellaVetra de' Cittadinidalla parte che mette al corso di porta Ticinese(quasi dirimpetto alle colonne di san Lorenzo)vide venire un uomocon una cappa nerae il cappello sugli occhie una carta in manosopra la qualedice costei nella sua deposizionemettevasu le maniche pareua che scrivesse. Le diede nell'occhio cheentrando nella stradasi fece appresso alla muraglia delle caseche è subito dopo voltato il cantonee che a luogo aluogo tiraua con le mani dietro al muro. All'horasoggiunge mi viene in pensiero se a caso fosse un poco uno dequelli chea' giorni passatiandauano ongendo le muraglie.Presa da un tal sospettopassò in un'altra stanzacheguardava lungo la stradaper tener d'occhio lo sconosciutoches'avanzava in quella; et viddi diceche teneuatoccato la detta muraglia con le mani.

C'eraalla finestra d'una casa della strada medesima un'altra spettatricechiamata Ottavia Bono; la qualenon si saprebbe dire se concepisselo stesso pazzo sospetto alla prima e da séo solamentequando l'altra ebbe messo il campo a rumore. Interrogata anch'essadepone d'averlo veduto fin dal momento ch'entrò nella strada;ma non fa menzione di muri toccati nel camminare. Viddidiceche si fermò qui in fine della muraglia del giardino dellacasa delli Crivelli... et viddi che costui haueua una carta in manosopra la quale misse la mano drittache mi pareua che volessescrivere; et poi viddi cheleuata la mano dalla cartala fregòsopra la muraglia del detto giardinodove era un poco di bianco.Fu probabilmente per pulirsi le dita macchiate d'inchiostrogiacchépare che scrivesse davvero. Infattinell'esame che gli fu fatto ilgiorno dopointerrogatose l'attioni che fece quella mattinaricercorno scritturarisponde: signor sì. E inquanto all'andar rasente al murose a una cosa simile ci fossebisogno d'un perchéera perché piovevacome accennòquella Caterina medesimama per cavarne una induzione di questasorte: è ben una gran cosa: hierimentre costui facevaquesti atti di ongerepioueuaet bisogna mo che hauesse pigliatoquel tempo piovosoperché più persone potesseroimbrattarsi li panni nell'andar in voltaper andar al coperto.

Dopoquella fermatacostui tornò indietrorifece la medesimastradaarrivò alla cantonataed era per isparire; quandoper un'altra disgraziafu rintoppato da uno ch'entrava nella stradae che lo salutò. Quella Caterinacheper tener dietroall'untorefin che potevaera tornata alla finestra di primadomandò all'altro chi fosse quello che haueua salutato.L'altrochecome depose poilo conosceva di vistae non ne sapevail nomedisse quel che sapevach'era un commissario della Sanità.Et io dissi a questo talesegue a deporre la Caterinaèche ho visto colui a fare certi attiche non mi piacciono niente.Subito puoi si diuulgò questo negotio cioè fuessaalmeno principalmenteche lo divolgòet uscirnodalle porteet si vidde imbrattate le muraglie d'un certo ontume chepare grasso et che tira al giallo; et in particolare quelli delTradate dissero che haueuano trovato tutto imbrattato li muridell'andito della loro porta. L'altra donna depone il medesimo.Interrogatase sa a che effetto questo tale fregasse di quellamano sopra il murorisponde: dopo fu trouato onte lemuraglieparticolarmente nella porta del Tradate.

Ecose che in un romanzo sarebbero tacciate d'inverisimilima che purtroppo l'accecamento della passione basta a spiegarenon venne inmente né all'una né all'altrachedescrivendo passoper passospecialmente la primail giro che questo tale aveva fattonella stradanon avevan però potuto dire che fosse entrato inquell'andito: non parve loro una gran cosa davverochecostuigiacchéper fare un lavoro simileaveva volutoaspettare che fosse levato il solenon ci andasse almeno guardingonon desse almeno un'occhiata alle finestre; né che tornassetranquillamente indietro per la medesima stradacome se fosse usanzade' malfattori di trattenersi più del bisogno nel luogo deldelitto; né che maneggiasse impunemente una materia che dovevauccider quelli che se ne imbrattassero i panni; nétroppe altre ugualmente strane inverisimiglianze. Ma il piùstrano e il più atroce si è che non paressero talineppure all'interrogantee che non ne chiedesse spiegazione nessuna.O se ne chiesesarebbe peggio ancora il non averne fatto menzionenel processo.

Ivicinia cui lo spavento fece scoprire chi sa quante sudicerie cheavevan probabilmente davanti agli occhichi sa da quanto temposenza badarcisi misero in fretta e in furia a abbruciacchiarle condella paglia accesa. A Giangiacomo Morabarbiereche stava sullacantonataparvecome agli altriche fossero stati unti i muridella sua casa. E non sapeval'infelicequal altro pericolo glisovrastavae da quel commissario medesimoben infelice anche lui.

Ilracconto delle donne fu subito arricchito di nuove circostanze; ofors'anche quello che fecero subito ai vicini non fu in tutto ugualea quello che fecero poi al capitano di giustizia. Il figlio di quelpovero Moraessendo interrogato più tardi se sa o hainteso dire in che modo il detto commissario ongesse le dettemuraglie et caserisponde: sentei che una donna di quelle chestanno sopra il portico che trauersa la detta Vedraquale non socome habbi nomedisse che detto commissario ongeua con una pennahauendo un vasetto in mano. Potrebb'esser benissimo che quellaCaterina avesse parlato d'una penna da lei vista davvero in manodello sconosciuto; e ognuno indovina troppo facilmente qual altracosa poté esser da lei battezzata per vasetto; chéinuna mente la qual non vedeva che unzioniuna penna doveva avere unarelazione più immediata e più stretta con un vasettoche con un calamaio.

Mapur troppoin quel tumulto di chiacchierenon andò persa unacircostanza verache l'uomo era un commissario della Sanità;econ quest'indiziosi trovò anche subito ch'era unGuglielmo Piazzagenero della comar Paolala quale dovevaessere una levatrice molto nota in que' contorni. La notizia sisparse via via negli altri quartierie ci fu anche portata daqualcheduno che s'era abbattuto a passar di lì nel momento delsottosopra. Uno di questi discorsi fu riferito al senatoche ordinòal capitano di giustiziad'andar subito a prendere informazioniedi procedere secondo il caso.

Èstato significato al Senato che hieri mattina furno onte con ontionimortifere le mura et porte delle case della Vedra de' Cittadinidisse il capitano di giustizia al notaio criminale che prese con séin quella spedizione. E con queste parolegià piene d'unadeplorabile certezzae passate senza correzione dalla bocca delpopolo in quella de' magistratis'apre il processo.

Alveder questa ferma persuasionequesta pazza paura d'un attentatochimericonon si può far a meno di non rammentarsi ciòche accadde di simile in varie parti d'Europapochi anni sononeltempo del colera. Se non chequesta voltale persone punto puntoistruitemeno qualche eccezionenon parteciparono della sciaguratacredenzaanzi la più parte fecero quel che potevano percombatterla; e non si sarebbe trovato nessun tribunale che stendessela mano sopra imputati di quella sortequando non fosse stato persottrarli al furore della moltitudine. Ècertoun granmiglioramento; ma se fosse anche più grandese si potesseesser certi chein un'occasion dello stesso generenon ci sarebbepiù nessuno che sognasse attentati dello stesso generenon sidovrebbe perciò creder cessato il pericolo d'errorisomiglianti nel modose non nell'oggetto. Pur troppol'uomo puòingannarsie ingannarsi terribilmentecon molto minore stravaganza.Quel sospetto e quella esasperazion medesima nascono ugualmenteall'occasion di mali che possono esser benissimoe sono in effettoqualche voltacagionati da malizia umana; e il sospetto el'esasperazionequando non sian frenati dalla ragione e dallacaritàhanno la trista virtù di far prender percolpevoli degli sventuratisui più vani indizi e sulle piùavventate affermazioni. Per citarne un esempio anch'esso non lontanoanteriore di poco al colera; quando gl'incendi eran divenuti cosìfrequenti nella Normandiacosa ci voleva perché un uomo nefosse subito subito creduto autore da una moltitudine? L'essere ilprimo che trovavan lìo nelle vicinanze; l'esseresconosciutoe non dar di sé un conto soddisfacente: cosadoppiamente difficile quando chi risponde è spaventatoefuriosi quelli che interrogano; l'essere indicato da una donna chepoteva essere una Caterina Rosada un ragazzo chepreso in sospettoesso medesimo per uno strumento della malvagità altruiemesso alle strette di dire chi l'avesse mandato a dar fuocodicevaun nome a caso. Felici que' giurati davanti a cui tali imputaticomparvero (ché più d'una volta la moltitudine eseguìda sé la sua propria sentenza); felici que' giuratiseentrarono nella loro sala ben persuasi che non sapevano ancor nullase non rimase loro nella mente alcun rimbombo di quel rumore difuorise pensarononon che essi erano il paesecome si dice spessocon un traslato di quelli che fanno perder di vista il carattereproprio e essenziale della cosacon un traslato sinistro e crudelenei casi in cui il paese si sia già formato un giudizio senzaaverne i mezzi; ma ch'eran uomini esclusivamente investiti dellasacranecessariaterribile autorità di decidere se altriuomini siano colpevoli o innocenti.

Lapersona ch'era stata indicata al capitano di giustiziaper averneinformazioninon poteva dir altro che d'aver vistoil giorno primapassando per via della Vetraabbruciacchiar le muragliee sentitodire ch'erano state unte quella mattina da un genero della comarPaola. Il capitano di giustizia e il notaio si portarono a quellastrada; e videro infatti muri affumicatie unoquello del barbiereMoraimbiancato di fresco. E anche a loro fu detto da diversi chesi sono trouati ivi che ciò era stato fatto per averliveduti unti; come anco dal detto Signor Capitanoet da me notaroscrive costuisi sono visti ne' luoghi abbrugiati alcunisegni di materia ontuosa tirante al giallosparsaui come con ledeta. Quale riconoscimento d'un corpo di delitto!

Fuesaminata una donna di quella casa de' Tradatila quale disse cheavevan trovati i muri dell'andito imbrattati di una certa cosagiallaet in grande quantità. Furono esaminate le duedonnedelle quali abbiam riferita la deposizione; qualche altrapersonache non aggiunse nullaper ciò che riguardava ilfatto; etra gli altril'uomo che aveva salutato il commissario.Interrogato di piùse passando lui per la Vedra de'Cittadinividde le muraglie imbrattate risponde: non li fecifantasiaperché fin' all'hora non si era detto cosa alcuna.

Eragià stato dato l'ordine d'arrestare il Piazzae ci vollepoco. Lo stesso giorno 22referisce... fante della compagnia delBaricello di Campagna al prefato Signor Capitanoil quale ancora erain carrozzache andaua verso casa suasicome passando dalla casadel Signor Senatore Monti Presidente della Sanitàharitrouato auanti a quella portail suddetto Guglielmo Commissarioet hauerloin esecuzione dell'ordine datoglicondotto in prigione.

Perispiegare come la sicurezza dello sventurato non diminuisse punto lapreoccupazione de' giudicinon basta certo l'ignoranza de' tempi.Avevano per un indizio di reità la fuga dell'imputato; che dilì non fossero condotti a intendere che il non fuggiree untal non fuggiredoveva essere indizio del contrario! Ma sarebberidicolo il dimostrar che uomini potevano veder cose che l'uomo nonpuò non vedere: può bensì non volerci badare.

Fusubito visitata la casa del Piazzafrugato per tuttoin omnibusarciscapsisscriniiscancellissublectisper veder sec'eran vasi d'unzionio danarie non si trovò nulla: nihilpenitus compertum fuit. Né anche questo non gli giovòpuntocome pur troppo si vede dal primo esame che gli fu fattoilgiorno medesimodal capitano di giustiziacon l'assistenza d'unauditoreprobabilmente quello del tribunale della Sanità.

Èinterrogato sulla sua professionesulle sue operazioni abitualisulgiro che fece il giorno primasul vestito che aveva; finalmente glisi domanda: se sa che siano stati trouati alcuni imbrattamentinelle muraglie delle case di questa cittàparticolarmente inPorta Ticinese. Risponde: mi non lo soperché non mifermo niente in Porta Ticinese. Gli si replica che questo nonè verisimile; si vuol dimostrargli che lo doveva sapere. Aquattro ripetute domanderisponde quattro volte il medesimoinaltri termini. Si passa ad altroma non con altro fine: chévedrem poi per qual crudele malizia s'insistesse su questa pretesainverisimiglianzae s'andasse a caccia di qualche altra.

Trai fatti della giornata antecedentede' quali aveva parlato ilPiazzac'era d'essersi trovato coi deputati d'una parrocchia. (Erangentiluomini eletti in ciascheduna di queste dal tribunale dellaSanitàper invigilaregirando per la cittàsull'esecuzion de' suoi ordini.) Gli fu domandato chi eran quelli concui s'era trovato; rispose: che li conosceva solamente di vista enon di nome. E anche qui gli fu detto: non èverisimile. Terribile parola: per intender l'importanza dellaqualeson necessarie alcune osservazioni generaliche pur tropponon potranno esser brevissimesulla pratica di que' tempine'giudizi criminali.




CapitoloII


Questacome ognun sasi regolava principalmentequicome a un di pressoin tutta Europasull'autorità degli scrittori; per la ragionsemplicissima chein una gran parte de' casinon ce n'era altra sucui regolarsi. Erano due conseguenze naturali del non essercicomplessi di leggi composte con un intento generalechegl'interpreti si facessero legislatorie fossero a un di pressoricevuti come tali; giacchéquando le cose necessarie non sonfatte da chi toccherebbeo non son fatte in maniera di poterservirenasce ugualmentein alcuni il pensiero di farleneglialtri la disposizione ad accettarleda chiunque sian fatte. L'operarsenza regole è il più faticoso e difficile mestiere diquesto mondo.

Glistatuti di Milanoper esempionon prescrivevano altre normenécondizioni alla facoltà di mettere un uomo alla tortura(facoltà ammessa implicitamentee riguardata ormai comeconnaturale al diritto di giudicare)se non che l'accusa fosseconfermata dalla famae il delitto portasse pena di sangueeci fossero indizi ; ma senza dir quali. La legge romanache avevavigore ne' casi a cui non provvedessero gli statutinon lo dice dipiùbenché ci adopri più parole. «Igiudici non devono cominciar da' tormentima servirsi primad'argomenti verisimili e probabili; e secondotti da questiquasida indizi sicuricredono di dover venire ai tormentiper iscoprirla veritàlo faccianoquando la condizion della persona lopermette. » Anziin questa legge è espressamenteistituito l'arbitrio del giudice sulla qualità e sul valoredegl'indizi; arbitrio che negli statuti di Milano fu poi sottinteso.

Nellecosì dette Nuove Costituzioni promulgate per ordine di CarloVla tortura non è neppur nominata; e da quelle finoall'epoca del nostro processoe per molto tempo doposi trovanobensìe in gran quantitàatti legislativi ne' quali èintimata come pena; nessunoch'io sappiain cui sia regolata lafacoltà d'adoprarla come mezzo di prova.

Eanche di questo si vede facilmente la ragione: l'effetto eradiventato causa; il legislatorequi come altroveaveva trovatoprincipalmente per quella parte che chiamiam proceduraun supplenteche facevanon solo sentir menoma quasi dimenticare la necessitàdel suodirò cosìintervento. Gli scrittoriprincipalmente dal tempo in cui cominciarono a diminuire i semplicicommentari sulle leggi romanee a crescer l'opere composte con unordine più indipendentesia su tutta la pratica criminalesia su questo o quel punto specialegli scrittori trattavan lamateria con metodi complessivie insieme con un lavoro minuto delleparti; moltiplicavan le leggi con l'interpretarlestendendoneperanalogial'applicazione ad altri casicavando regole generali daleggi speciali; equando questo non bastavasupplivan del loroconquelle regole che gli paressero più fondate sulla ragionesull'equitàsul diritto naturaledove concordementeanzicopiandosi e citandosi gli uni con gli altridove con disparitàdi pareri: e i giudicidottie alcuni anche autoriin quellascienzaavevanoquasi in qualunque casoe in qualunque circostanzad'un casodecisioni da seguire o da scegliere. La leggedicoeradivenuta una scienza; anzi alla scienzacioè al dirittoromano interpretato da essaa quelle antiche leggi de' diversi paesiche lo studio e l'autorità crescente del diritto romano nonaveva fatte dimenticaree ch'erano ugualmente interpretate dallascienzaalle consuetudini approvate da essaa' suoi precettipassati in consuetudiniera quasi unicamente appropriato il nome dilegge: gli atti dell'autorità sovranaqualunque fossesichiamavano ordinidecretigrideo con altrettali nomi; e avevanoannessa non so quale idea d'occasionale e di temporario. Per citarneun esempiole gride de' governatori di Milanol'autorità de'quali era anche legislativanon valevano che per quanto durava ilgoverno de' loro autori; e il primo atto del successore era diconfermarle provvisoriamente. Ogni gridariocome lochiamavanoera una specie d'Editto del Pretorecomposto un pocoalla voltae in diverse occasioni; la scienza invecelavorandosempree lavorando sul tutto; modificandosima insensibilmente;avendo sempre per maestri quelli che avevan cominciato dall'essersuoi discepolieradirei quasiuna revisione continuae in parteuna compilazione continua delle Dodici Tavoleaffidata o abbandonataa un decemvirato perpetuo.

Questacosì generale e così durevole autorità diprivati sulle leggifu poiquando si vide insieme la convenienza ela possibilità d'abolirlacol far nuovee più interee più precisee più ordinate leggifudicoesenon m'ingannoè ancora riguardata come un fatto strano e comeun fatto funesto all'umanitàprincipalmente nella partecriminalee più principalmente nel punto della procedura.Quanto fosse naturale s'è accennato; e del restonon era unfatto nuovoma un'estensionedirò cosìstraordinariad'un fatto antichissimoe forsein altre proporzioniperenne;giacchéper quanto le leggi possano essere particolarizzatenon cesseranno forse mai d'aver bisogno d'interpretinécesserà forse mai che i giudici deferiscanodove piùdove menoai più riputati tra quellicome ad uomini chedipropositoe con un intento generalehanno studiato la cosa prima diloro. E non so se un più tranquillo e accurato esame nonfacesse trovare che fu anchecomparativamente e relativamenteunbene; perché succedeva a uno stato di cose molto peggiore.

Èdifficile infatti che uomini i quali considerano una generalitàdi casi possibilicercandone le regole nell'interpretazion di leggipositiveo in più universali ed alti princìpiconsiglin cose più iniquepiù insensatepiùviolentepiù capricciose di quelle che può consigliarl'arbitrione' casi diversiin una pratica così facilmenteappassionata. La quantità stessa de' volumi e degli autorilamoltiplicità edirò cosìlo sminuzzamentoprogressivo delle regole da essi prescrittesarebbero un indiziodell'intenzione di restringer l'arbitrioe di guidarlo (per quantoera possibile) secondo la ragione e verso la giustizia; giacchénon ci vuol tanto per istruir gli uomini ad abusar della forzaaseconda de' casi. Non si lavora a fare e a ritagliar finimenti alcavallo che si vuol lasciar correre a suo capriccio; gli si leva labrigliase l'ha.

Macosì avvien per il solito nelle riforme umane che si fanno pergradi (parlo delle vere e giuste riforme; non di tutte le cose che nehanno preso il nome): ai primi che le intraprendonopar molto dimodificare la cosadi correggerla in varie partidi levared'aggiungere: quelli che vengon dopoe alle volte molto tempo dopotrovandolae con ragioneancora cattivasi fermano facilmente allacagion più prossimamaledicono come autori della cosa quellidi cui porta il nomeperché le hanno data la forma con laquale continua a vivere e a dominare.

Inquesto errorediremmo quasi invidiabilequando è compagno digrandi e benefiche impreseci par che sia cadutocon altri uominiinsigni del suo tempol'autore dell'Osservazioni sulla tortura.Quanto è forte e fondato nel dimostrar l'assurditàl'ingiustizia e la crudeltà di quell'abbominevole praticaaltrettanto ci pare che vadaosiam direin fretta nell'attribuireall'autorità degli scrittori ciò ch'essa aveva di piùodioso. E non è certamente la dimenticanza della nostrainferiorità che ci dia il coraggio di contradir liberamentecome siamo per farel'opinion d'un uomo così illustreesostenuta in un libro così generoso; ma la confidenza nelvantaggio d'esser venuti dopoe di poter facilmente (prendendo perpunto principale ciò che per lui era affatto accessorio)guardar con occhio più tranquillonel complesso de' suoieffettie nella differenza de' tempicome cosa mortae passatanella storiaun fatto ch'egli aveva a combatterecome ancordominantecome un ostacolo attuale a nuove e desiderabilissimeriforme. E a ogni modoquel fatto è talmente legato col suo enostro argomentoche l'uno e l'altro eravam naturalmente condotti adirne qualcosa in generale: il Verri perchédall'esserequell'autorità riconosciuta al tempo dell'iniquo giudizioinduceva che ne fosse complicee in gran parte cagione; noi perchéosservando ciò ch'essa prescriveva o insegnava ne' variparticolarice ne dovrem servire come d'un criteriosussidiario maimportantissimoper dimostrar più vivamente l'iniquitàdirò cosìindividuale del giudizio medesimo.

«Ècerto»dice l'ingegnoso ma preoccupato scrittore«cheniente sta scritto nelle leggi nostrené sulle persone chepossono mettersi alla torturané sulle occasioni nelle qualipossano applicarvisiné sul modo di tormentarese col foco ocol dislogamento e strazio delle membrané sul tempo per cuiduri lo spasimoné sul numero delle volte da ripeterlo; tuttoquesto strazio si fa sopra gli uomini coll'autorità delgiudiceunicamente appoggiato alle dottrine dei criminalisti citati.»

Main quelle leggi nostre stava scritta la tortura; ma in quelle d'unagran parte d'Europama nelle romanech'ebbero per tanto tempo nomee autorità di diritto comunestava scritta la tortura. Laquestione dev'esser dunquese i criminalisti interpreti (cosìli chiameremoper distinguerli da quelli ch'ebbero il merito e lafortuna di sbandirli per sempre) sian venuti a render la tortura piùo meno atroce di quel che fosse in mano dell'arbitrioa cui la leggel'abbandonava quasi affatto; e il Verri medesimo avevain quel libromedesimoaddottao almeno accennatala prova più forte inloro favore. «Farinaccio istesso» dice l'illustrescrittore«parlando de' suoi tempiasserisce che i giudiciper il diletto che provavano nel tormentare i reiinventavano nuovespecie di tormenti; eccone le parole: Judices qui propterdelectationemquam habent torquendi reosinveniunt novastormentorum species .»

Hodetto: in loro favore; perché l'intimazione ai giudicid'astenersi dall'inventar nuove maniere di tormentaree in generalele riprensioni e i lamenti che attestano insieme la sfrenata einventiva crudeltà dell'arbitrioe l'intenzionse non altrodi reprimerla e di svergognarlanon sono tanto del Farinacciquantode' criminalistidirei quasiin genere. Le parole stesse trascrittequi sopraquel dottore le prende da uno più anticoFrancescodal Brunoil quale le cita come d'uno più antico ancoraAngelo d'Arezzocon altre gravi e fortiche diamo qui tradotte:«giudiciarrabbiati e perversiche saranno da Dio confusi;giudici ignorantiperché l'uom sapiente abborrisce tali cosee dà forma alla scienza col lume delle virtù ».

Primadi tutti questinel secolo XIIIGuido da Suzaratrattando dellatorturae applicando a quest'argomento le parole d'un rescritto diCostanzosulla custodia del reodice esser suo intento «d'imporrequalche moderazione ai giudici che incrudeliscono senza misura. »

Nelsecolo seguenteBaldo applica il celebre rescritto di Costantinocontro il padrone che uccide il servo«ai giudici chesquarcian le carni del reoperché confessi»; e vuolechese questo muore ne' tormentiil giudice sia decapitatocomeomicida.

PiùtardiParide dal Pozzo inveisce contro que' giudici che«assetatidi sangueanelano a scannarenon per fine di riparazione néd'esempioma come per un loro vanto (propter gloriam eorum);e sono per ciò da riguardarsi come omicidi».

«Badiil giudice di non adoprar tormenti ricercati e inusitati; perchéchi fa tali cose è degno d'esser chiamato carnefice piuttostoche giudice» scrive Giulio Claro .

«Bisognaalzar la voce (clamandum est) contro que' giudici severi ecrudeli cheper acquistare una gloria vanae per salirecon questomezzoa più alti postiimpongono ai miseri rei nuove speciedi tormenti» scrive Antonio Gomez .

Dilettoe gloria! quali passioniin qual soggetto! Voluttà neltormentare uominiorgoglio nel soggiogare uomini imprigionati! Maalmeno quelli che le svelavanonon si può credere cheintendessero di favorirle.

Aqueste testimonianze (e altre simili se ne dovrà allegare orora) aggiungeremo quichene' libri su questa materiache abbiampotuti vederenon ci è mai accaduto di trovar lamenti controde' giudici che adoprassero tormenti troppo leggieri. E sein quelliche non abbiam vistici si mostrasse una tal cosaci parrebbe unacuriosità davvero.

Alcunide' nomi che abbiam citatie di quelli che avremo a citaresonmessi dal Verri in una lista di «scrittorii quali se avesseroesposto le crudeli loro dottrine e la metodica descrizione de'raffinati loro spasimi in lingua volgaree con uno stile di cui larozzezza e la barbarie non allontanasse le persone sensate e coltedall'esaminarlinon potevano essere riguardati se non coll'occhiomedesimo col quale si rimira il carneficecioè con orrore eignominia ». Certol'orrore per quello che rivelanonon puòesser troppo; è giustissimo questo sentimento anche per quelloche ammettevano; ma seper quello che ci miseroo ci vollero metterdel lorol'orrore sia un giusto sentimentoe l'ignominia una giustaretribuzioneil poco che abbiam vistodeve bastare almeno a farnedubitare.

Èvero che ne' loro librioper dir meglioin qualchedunosonopiùche nelle leggidescritte le varie specie di tormenti; ma comeconsuetudini invalse e radicate nella praticanon come ritrovatidegli scrittori. E Ippolito Marsigliscrittore e giudice del secolodecimoquintoche ne fa un'atrocestrana e ributtante listaallegando anche la sua esperienzachiama però bestiali que'giudici che ne inventan di nuovi.

Furonoquegli scrittoriè veroche misero in campo la questione delnumero delle volte che lo spasimo potesse esser ripetuto; ma (eavremo occasion di vederlo) per impor limiti e condizioniall'arbitrioprofittando dell'indeterminate e ambigue indicazioniche ne somministrava il diritto romano.

Furonessiè veroche trattaron del tempo che potesse durar lospasimo; ma non per altro che per imporreanche in questoqualchemisura all'instancabile crudeltàche non ne aveva dallalegge«a certi giudicinon meno ignoranti che iniquii qualitormentano un uomo per tre o quattr'ore» dice il Farinacci ;«a certi giudici iniquissimi e scelleratissimilevati dallafecciaprivi di scienzadi virtùdi ragionei qualiquand'hanno in loro potere un accusatoforse a torto (forteindebite)non gli parlano che tenendolo al tormento; e se nonconfessa quel ch'essi vorrebberolo lascian lì pendente allafuneper un giornoper una notte intera» aveva detto ilMarsiglicirca un secolo prima.

Inquesti passie in qualche altro de' citati soprasi puòanche notare come alla crudeltà cerchino d'associar l'ideadell'ignoranza. E per la ragion contrariaraccomandanoin nomedella scienzanon meno che della coscienzala moderazionelabenignitàla mansuetudine. Parole che fanno rabbiaapplicatea una tal cosa; ma che insieme fanno vedere se l'intento di quegliscrittori era d'aizzare il mostroo d'ammansarlo.

Riguardopoi alle persone che potessero esser messe alla torturanon vedocos'importi che niente ci fosse nelle leggi propriamente nostrequando c'era moltorelativamente al resto di questa trista materianelle leggi romanele quali erano in fatto leggi nostre anch'esse.

«Uomini»prosegue il Verri«ignoranti e ferocii quali senza esaminaredonde emani il diritto di punire i delittiqual sia il fine per cuisi punisconoquale la norma onde graduare la gravezza dei delittiqual debba esser la proporzione tra i delitti e le penese un uomopossa mai costringersi a rinunziare alla difesa propriae similiprincipiidai qualiintimamente conosciutipossono unicamentededursi le naturali conseguenze più conformi alla ragione edal bene della società; uominidicooscuri e privaticontristissimo raffinamento ridussero a sistema e gravementepubblicarono la scienza di tormentare altri uominicon quellatranquillità medesima colla quale si descrive l'arte dirimediare ai mali del corpo umano: e furono essi obbediti econsiderati come legislatorie si fece un serio e placido oggetto distudioe si accolsero alle librerie legali i crudeli scrittori cheinsegnarono a sconnettere con industrioso spasimo le membra degliuomini vivie a raffinarlo colla lentezza e coll'aggiunta di piùtormentionde rendere più desolante e acuta l'angoscia el'esterminio.»

Macome mai ad uomini oscuri e ignoranti poté esser concessatanta autorità? dico oscuri al loro tempoe ignorantiriguardo ad esso; ché la questione è necessariamenterelativa; e si tratta di vederenon già se quegli scrittoriavessero i lumi che si posson desiderare in un legislatorema sen'avessero più o meno di coloro che prima applicavan le leggida sée in gran parte se le facevan da sé. E come maiera più feroce l'uomo che lavorava teoriee le discutevadinanzi al pubblicodell'uomo ch'esercitava l'arbitrio in privatosopra chi gli resisteva?

Inquanto poi alle questioni accennate dal Verriguai se la soluzionedella prima«donde emani il diritto di punire i delitti»fosse necessaria per compilar con discrezione delle leggi penali;poiché si poté beneal tempo del Verricrederlasciolta; ma ora (e per fortunagiacché è men malel'agitarsi nel dubbioche il riposar nell'errore) è piùcontroversa che mai. E l'altredico in generale tutte le questionid'un'importanza più immediatae più praticaeranoforse sciolte e sciolte a dovereerano almeno discusseesaminatequando gli scrittori comparvero? Vennero essi forse a confondere unordine stabilito di più giusti e umani principia balzar diposto dottrine più sapientia turbardirò cosìil possesso a una giurisprudenza più ragionata e piùragionevole? A questo possiamo risponder francamente di noanchenoi; e ciò basta all'assunto. Ma vorremmo che qualcheduno diquelli che ne sannoesaminasse se piuttosto non furon essi checostrettiappunto perché privati e non legislatoria renderragione delle loro decisionirichiamaron la materia a princìpigeneraliraccogliendo e ordinando quelli che sono sparsi nelle leggiromanee cercandone altri nell'idea universale del diritto; se nonfuron essi chelavorando a costruircon rottami e con nuovimaterialiuna pratica criminale intera ed unaprepararono ilconcettoindicarono la possibilitàe in parte l'ordined'una legislazion criminale intera ed una; essi cheideando unaforma generaleaprirono ad altri scrittoridai quali furono tropposommariamente giudicatila strada a ideare una generale riforma.

Inquanto finalmente all'accusacosì generale e cosìnudad'aver raffinato i tormentiabbiamo in vece veduto che fu cosadalla maggior parte di loro espressamente detestata eper quantostava in loroproibita. Molti de' luoghi che abbiam riferiti possonoanche servire a lavarli in parte dalla taccia d'averne trattato conquell'impassibile tranquillità. Ci si permetta di citarne unaltro che parrebbe quasi un'anticipata protesta. «Non posso chedar nelle furie»scrive il Farinacci(non possum nisivehementer excandescere) «contro que' giudici che tengonoper lungo tempo legato il reoprima di sottoporlo alla tortura; econ quella preparazione la rendon più crudele. »

Daqueste testimonianzee da quello che sappiamo essere stata latortura negli ultimi suoi tempisi può francamente dedurreche i criminalisti interpreti la lasciarono moltoma moltomenbarbara di quello che l'avevan trovata. E certo sarebbe assurdol'attribuire a una sola causa una tal diminuzione di male; matra lemoltemi par che sarebbe anche cosa poco ragionevole il non contareil biasimo e le ammonizioni ripetute e rinnovate pubblicamentedisecolo in secoloda quelli ai quali pure s'attribuisce un'autoritàdi fatto sulla pratica de' tribunali.

Citapoi il Verri alcune loro proposizioni; le quali non basterebbero perfondarci sopra un generale giudizio storicoquand'anche fosserotutte esattamente citate. Ecconeper esempiouna importantissimache non lo è: «Il Claro asserisce che basta vi sianoalcuni indizii contro un uomoe si può metterlo allatortura».

Sequel dottore avesse parlato cosìsarebbe piuttosto unasingolarità che un argomento; tanto una tal dottrina èopposta a quella d'una moltitudine d'altri dottori. Non dico dituttiper non affermar troppo più di quello che so; benchédicendolonon temerei d'affermar più di quello che è.Ma in realtà il Claro disseanche luiil contrario; e ilVerri fu probabilmente indotto in errore dall'incuria d'un tipografoil quale stampò: Nam sufficit adesse aliqua indicia contrareum ad hoc ut torqueri possit in vece di Non sufficitcome trovo in due edizioni anteriori . E per accertarsi dell'errorenon è neppur necessario questo confrontogiacché iltesto continua così: «se tali indizi non sono anchelegittimamente provati»; frase che farebbe ai cozzi conl'antecedentese questa avesse un senso affermativo. E soggiungesubito: «ho detto che non basta (dixi quoque non sufficere)che ci siano indizie che siano legittimamente provatise non sonoanche sufficienti alla tortura. Ed è una cosa che i giudicitimorati di Dio devono aver sempre davanti agli occhiper nonsottoporre ingiustamente alcuno alla tortura: cosa del resto che lisottopone essi medesimi a un giudizio di revisione. E raccontal'Afflitto d'aver risposto al re Federigoche nemmen luiconl'autorità regiapoteva comandare a un giudice di metterealla tortura un uomocontro il quale non ci fossero indizisufficienti».

Cosìil Claro; e basterebbe questo per esser come certiche dovetteintender tutt'altro che di rendere assoluto l'arbitrio conquell'altra proposizione che il Verri traduce così: «inmateria di tortura e d'indizinon potendosi prescrivere una normacertatutto si rimette all'arbitrio del giudice ». Lacontradizione sarebbe troppo strana; e lo sarebbe di piùse èpossibilecon quello che l'autor medesimo dice altrove: «benchéil giudice abbia l'arbitriodeve però stare al dirittocomune... e badino bene gli ufiziali della giustiziadi non andaravanti tanto allegramente (ne nimis animose procedant)conquesto pretesto dell'arbitrio».

Cosaintese dunquecon quelle parole: remittitur arbitrio judicische il Verri traduce: «tutto si rimette all'arbitrio delgiudice»?

Intese...Ma che dico? e perché cercare in questo un'opinion particolaredel Claro? Quella proposizioneegli non faceva altro che ripeterlagiacché eraper dir cosìproverbiale tragl'interpreti; e già due secoli primaBartolo la ripetevaanche luicome sentenza comune: Doctores communiter dicunt quodin hoc (quali siano gl'indizi sufficienti alla tortura) nonpotest dari certa doctrinased relinquitur arbitrio judicis . Econ questo non intendevan già di proporre un principiodistabilire una teoriama d'enunciar semplicemente un fatto; cioèche la leggenon avendo determinato gl'indizigli aveva per ciòstesso lasciati all'arbitrio del giudice. Guido da Suzaraanteriorea Bartolo d'un secolo circadopo aver detto o ripetuto anche luiche gl'indizi son rimessi all'arbitrio del giudicesoggiunge: «comein generaletutto ciò che non è determinato dallalegge ». E per citarne qualcheduno de' meno antichiParide dalPozzoripetendo quella comune sentenzala commenta così: «aciò che non è determinato dalla leggené dallaconsuetudinedeve supplire la religion del giudice; e perciòla legge sugl'indizi mette un gran carico sulla sua coscienzai ».E il Bossicriminalista del secolo XVIe senator di Milano:«Arbitrio non vuol dir altro (in hoc consistit) se nonche il giudice non ha una regola certa dalla leggela quale dicesoltanto non doversi cominciar dai tormentima da argomentiverisimili e probabili. Tocca dunque al giudice a esaminare se unindizio sia verisimile e probabile ».

Ciòch'essi chiamavano arbitrioera in somma la cosa stessa cheperiscansar quel vocabolo equivoco e di tristo suonofu poi chiamatapoter discrezionale: cosa pericolosama inevitabile nell'applicaziondelle leggie buone e cattive; e che i savi legislatori cercanonondi togliereche sarebbe una chimerama di limitare ad alcunedeterminate e meno essenziali circostanzee di restringere anche inquelle più che possono.

Etaleoso direfu anche l'intento primitivoe il progressivo lavorodegl'interpretisegnatamente riguardo alla torturasulla quale ilpotere lasciato dalla legge al giudice era spaventosamente largo. GiàBartolodopo le parole che abbiam citate soprasoggiunge: «maio darò le regole che potrò». Altri ne avevandate prima di lui; e i suoi successori ne diedero di mano in manomolte piùchi proponendone qualcheduna del suochi ripetendoe approvando le proposte da altri; senza lasciar però diripeter la formola ch'esprimeva il fatto della leggedella quale noneranoalla fineche interpreti.

Macon l'andar del tempoe con l'avanzar del lavorovollero modificareanche il linguaggio; e n'abbiam l'attestato dal Farinacciposterioreai citati quianteriore però all'epoca del nostro processoeallora autorevolissimo. Dopo aver ripetutoe confermato con unsubisso d'autoritàil principioche «l'arbitrio non sideve intender libero e assolutoma legato dal diritto edall'equità»; dopo averne cavatee confermate con altreautoritàle conseguenzeche «il giudice deve inclinarealla parte più mitee regolar l'arbitrio con la disposiziongenerale delle leggie con la dottrina de' dottori approvatie chenon può formare indizi a suo capriccio»; dopo avertrattatopiù estesamentecredoe più ordinatamenteche nessuno avesse ancor fattodi tali indiziconclude: «puoidunque vedere che la massima comune de' dottori - gl'indizi allatortura sono arbitrari al giudice - è talmentee ancheconcordemente ristretta da' dottori medesimiche non a torto moltigiurisperiti dicono doversi anzi stabilir la regola contrariacioèche gl'indizi non sono arbitrari al giudice ». E cita questasentenza di Francesco Casoni: «è error comune de'giudici il credere che la tortura sia arbitraria; come se la naturaavesse creati i corpi de' rei perché essi potessero straziarlia loro capriccio ».

Sivede qui un momento notabile della scienzachemisurando il suolavoron'esige il frutto; e dichiarandosinon aperta riformatrice(ché non lo pretendevané le sarebbe stato ammesso)ma efficace ausiliaria della leggeconsacrando la propria autoritàcon quella d'una legge superiore ed eternaintima ai giudici diseguir le regole che ha trovateper risparmiar degli strazi a chipoteva essere innocentee a loro delle turpi iniquità. Tristecorrezioni d'una cosa cheper essenzanon poteva ricevere una buonaforma; ma tutt'altro che argomenti atti a provar la tesi del Verri:«né gli orrori della tortura si contengono unicamentenello spasimo che si fa patire... ma orrori ancora vi spargono idottori sulle circostanze di amministrarla ».

Cisi permetta in ultimo qualche osservazione sopra un altro luogo dalui citato; ché l'esaminarli tutti sarebbe troppo in questoluogoe non abbastanza certamente per la questione. «Basti unsolo orrore per tutti; e questo viene riferito dal celebre Claromilaneseche è il sommo maestro di questa pratica: - Ungiudice puòavendo in carcere una donna sospetta di delittofarsela venire nella sua stanza secretamenteivi accarezzarlafingere di amarlaprometterle la libertà affine d'indurla adaccusarsi del delittoe che con un tal mezzo un certo reggenteindusse una giovine ad aggravarsi d'un omicidioe la condusse aperdere la testa. - Acciocché non si sospetti che quest'orrorecontro la religionela virtù e tutti i più sacriprincipii dell'uomo sia esageratoecco cosa dice il Claro: Parisdicit quod judex potestetc. ».

Orroredavvero; ma per veder che importanza possa avere in una question diquesta sortes'osservi cheenunciando quell'opinioneParide dalPozzo non proponeva già un suo ritrovato; raccontavae purtroppo con approvazioneun fatto d'un giudicecioè uno de'mille fatti che produceva l'arbitrio senza suggerimento di dottori;s'osservi che il Baiardiil quale riferisce quell'opinionenellesue aggiunte al Claro (non il Claro medesimo)lo fa per detestarlaanche luie per qualificare il fatto di finzione diabolica ;s'osservi che non cita alcun altro il quale sostenesse un'opiniontaledal tempo di Paride dal Pozzo al suocioè per lo spaziod'un secolo. E andando avantisarebbe più strano che ce nefosse stato alcuno. E quel Paride dal Pozzo medesimoDio ci liberidi chiamarlocol Giannoneeccellente giureconsulto ; mal'altre sue parole che abbiam riferite soprabasterebbero a farveder che queste bruttissime non bastano a dare una giusta ideanemmen delle dottrine di questo solo.

Nonabbiam certamente la strana pretensione d'aver dimostrato che quelledegl'interpretiprese nel loro complessonon servirononéfuron rivolte a peggiorare. Questione interessantissimagiacchési tratta di giudicar l'effetto e l'intento del lavoro intellettualedi più secoliin una materia così importanteanzicosì necessaria all'umanità; questione del nostrotempogiacchécome abbiamo accennatoe del resto ognun sail momento in cui si lavora a rovesciare un sistemanon è ilpiù adattato a farne imparzialmente la storia; ma questione darisolversio piuttosto storia da farsicon altro che con pochi esconnessi cenni. Questi bastan peròse non m'ingannoadimostrar precipitata la soluzione contraria; come eranoin certomodouna preparazion necessaria al nostro racconto. Ché inesso noi avremo spesso a rammaricarci che l'autorità di quegliuomini non sia stata efficace davvero; e siam certi che il lettoredovrà dir con noi: fossero stati ubbiditi!




CapitoloIII


Eper venir finalmente all'applicazioneera insegnamento comuneequasi universale de' dottoriche la bugia dell'accusato nelrispondere al giudicefosse uno degl'indizi legittimicomedicevanoalla tortura. Ecco perché l'esaminatoredell'infelice Piazza gli opposenon essere verisimile che lui nonavesse sentito parlare di muri imbrattati in porta Ticinesee chenon sapesse il nome de' deputati coi quali aveva avuto che fare.

Mainsegnavan forse che bastasse una bugia qualunque?

«Labugiaper fare indizio alla torturadeve riguardar le qualitàe le circostanze sostanziali del delittocioè cheappartengano ad essoe dalle quali esso si possa inferire;altrimenti no: alias secus

«Labugia non fa indizio alla torturase riguarda cose che nonaggraverebbero il reoquando le avesse confessate.»

Ebastavasecondo loroche il detto dell'accusato paresse al giudicebugiaperché questo potesse venire ai tormenti?

«Labugia per fare indizio alla tortura dev'esser provataconcludentementeo dalla propria confession del reoo da duetestimoni... essendo dottrina comune che due sian necessari a provareun indizio remotoquale è la bugia ». Citoe citeròspesso il Farinaccicome uno de' più autorevoli alloraecome gran raccoglitore dell'opinioni più ricevute. Alcuni peròsi contentavano d'un testimonio solopurché fosse maggiored'ogni eccezione. Ma che la bugia dovesse risultar da prove legalienon da semplice congettura del giudiceera dottrina comune e noncontradetta.

Talicondizioni eran dedotte da quel canone della legge romanail qualeproibiva (che cose s'è ridotti a proibirequando se ne sonoammesse cert'altre!) di cominciar dalla tortura. «E seconcedessimo ai giudici»dice l'autor medesimo«lafacoltà di mettere alla tortura i rei senza indizi legittimi esufficientisarebbe come in lor potere il cominciar da essa... E perpoter chiamarsi talidevon gl'indizi esser verisimiliprobabilinon leggieriné di semplice formalitàma graviurgenticertichiarianzi più chiari del sole dimezzogiornocome si suol dire... Si tratta di dare a un uomo untormentoe un tormento che può decider della sua vita: agiturde hominis salute; e perciò non ti maravigliareo giudicerigorosose la scienza del diritto e i dottori richiedono indizicosì squisitie dicon la cosa con tanta forzae la vannotanto ripetendo .»

Nondiremo certamente che tutto questo sia ragionevole; giacchénon può esserlo ciò che implica contradizione. Eranosforzi vaniper conciliar la certezza col dubbioper evitare ilpericolo di tormentare innocentie d'estorcere false confessionivolendo però la tortura come un mezzo appunto di scoprire seuno fosse innocente o reoe di fargli confessare una data cosa. Laconseguenza logica sarebbe stata di dichiarare assurda e ingiusta latortura; ma a questo ostava l'ossequio cieco all'antichità eal diritto romano. Quel libriccino Dei delitti e delle peneche promossenon solo l'abolizion della torturama la riforma ditutta la legislazion criminalecominciò con le parole:«Alcuni avanzi di leggi d'un antico popolo conquistatore.»E parvecom'eraardire d'un grand'ingegno: un secolo prima sarebbeparsa stravaganza. Né c'è da maravigliarsene: non s'èegli visto un ossequio dello stesso genere mantenersi più alungoanzi diventar più forte nella politicapiùtardi nella letteraturapiù tardi ancora in qualche ramodelle Belle Arti? Vienenelle cose grandicome nelle piccoleunmomento in cui ciò cheessendo accidentale e fattiziovuolperpetuarsi come naturale e necessarioè costretto a cedereall'esperienzaal ragionamentoalla sazietàalla modaaqualcosa di menose è possibilesecondo la qualità el'importanza delle cose medesime; ma questo momento dev'esserpreparato. Ed è già un merito non piccolodegl'interpretisecome ci parefuron essi che lo prepararonobenché lentamentebenché senz'avvederseneper lagiurisprudenza.

Male regole che pure avevano stabilitebastano in questo caso aconvincere i giudicianche di positiva prevaricazione. Volleroappunto costoro cominciar dalla tortura. Senza entrare in nulla chetoccasse circostanzené sostanziali né accidentalidel presunto delittomoltiplicarono interrogazioni inconcludentiper farne uscir de' pretesti di dire alla vittima destinata: non èverisimile; edando insieme a inverisimiglianze asserite la forza dibugie legalmente provateintimar la tortura. È che noncercavano una veritàma volevano una confessione: non sapendoquanto vantaggio avrebbero avuto nell'esame del fatto suppostovolevano venir presto al doloreche dava loro un vantaggio pronto esicuro: avevan furia. Tutto Milano sapeva (è il vocabolo usatoin casi simili) che Guglielmo Piazza aveva unti i murigli usciglianditi di via della Vetra; e loro che l'avevan nelle maninonl'avrebbero fatto confessar subito a lui!

Sidirà forse chein faccia alla giurisprudenzase non allacoscienzatutto era giustificato dalla massima detestabilemaallora ricevutache ne' delitti più atroci fosse lecitooltrepassare il diritto? Lasciamo da parte che l'opinion piùcomuneanzi quasi universalede' giureconsultiera (e se al cielpiacedoveva essere) che una tal massima non potesse applicarsi allaprocedurama soltanto alla pena; «giacché» percitarne uno«benché si tratti d'un delitto enormenonconsta però che l'uomo l'abbia commesso; e fin che non constiè dovere che si serbino le solennità del diritto ».E solo per farne memoriae come un di que' tratti notabili con cuil'eterna ragione si manifesta in tutti i tempiciteremo anche lasentenza d'un uomo che scrisse sul principio del secolo decimoquintoe fuper lungo tempo dopochiamato il Bartolo del dirittoecclesiasticoNicolò Tedeschiarcivescovo di Palermopiùcelebrefin che fu celebresotto il nome d'Abate Palermitano:«Quanto il delitto è più grave» dicequest'uomo«tanto più le presunzioni devono esserforti; perchédove il pericolo è maggiorebisognaanche andar più cauti ». Ma questodiconon fa alnostro caso (sempre riguardo alla sola giurisprudenza)poichéil Claro attesta che nel foro di Milano prevaleva la consuetudinecontraria; cioè erain que' casipermesso al giudiced'oltrepassare il dirittoanche nell'inquisizione . «Regola»dice il Riminaldialtro già celebre giureconsulto«danon riceversi negli altri paesi»; e il Farinacci soggiunge: «haragione ». Ma vediamo come il Claro medesimo interpreti una talregola: «si viene alla torturaquantunque gl'indizi non sianoin tutto sufficienti (in totum sufficientia)néprovati da testimoni maggiori d'ogni eccezionee spesse volte anchesenza aver data al reo copia del processo informativo». E dovetratta in particolare degl'indizi legittimi alla torturali dichiaraespressamente necessari «non solo ne' delitti minorima anchene' maggiori e negli atrocissimianzi nel delitto stesso di lesamaestà ». Si contentava dunque d'indizi menorigorosamente provatima li voleva provati in qualche maniera; ditestimoni meno autorevolima voleva testimoni; d'indizi piùleggierima voleva indizi realirelativi al fatto; voleva insommarender più facile al giudice la scoperta del delittonondargli la facoltà di tormentaresotto qualunque pretestochiunque gli venisse nelle mani. Son cose che una teoria astratta nonricevenon inventanon sogna neppure; bensì la passione lefa.

Intimòdunque l'iniquo esaminatore al Piazza: che dica la veritàper qual causa nega di sapere che siano state onte le muraglieet disapere come si chiamino li deputatiche altrimentecome coseinuerisimilisi metterà alla cordaper hauer la veritàdi queste inuerisimilitudini. - Se me la vogliono anche far attaccaral collolo faccino; che di queste cose che mi hanno interrogato nonne so nienterispose l'infelicecon quella specie di coraggiodisperatocon cui la ragione sfida alle volte la forzacome perfarle sentire chea qualunque segno arrivinon arriverà maia diventar ragione.

Esi veda a che miserabile astuzia dovettero ricorrer que' signoriperdare un po' più di colore al pretesto. Andaronocome abbiamdettoa caccia d'una seconda bugiaper poter parlarne con laformola del plurale; cercarono un altro zeroper ingrossare un contoin cui non avevan potuto fare entrar nessun numero.

Èmesso alla tortura; gli s'intima che si risolua di dire la verità;rispondetra gli urli e i gemiti e l'invocazioni e le supplicazioni:l'ho dettasignore. Insistono. Ah per amor di Dio! gridal'infelice: V.S. mi facci lasciar giùche diròquello che so; mi facci dare un po' d'aqua. È lasciatogiùmesso a sedereinterrogato di nuovo; risponde: io nonso niente; V.S. mi facci dare un poco d'aqua.

Quantoè cieco il furore! Non veniva loro in mente che quello chevolevan cavargli di bocca per forzaavrebbe potuto addurlo lui comeun argomento fortissimo della sua innocenzase fosse stato laveritàcomecon atroce sicurezzaripetevano. - Sìsignore- avrebbe potuto rispondere: - avevo sentito dire che s'erantrovati unti i muri di via della Vetra; e stavo a baloccarmi sullaporta di casa vostrasignor presidente della Sanità! - El'argomento sarebbe stato tanto più fortein quantoessendosi sparsa insieme la voce del fattoe la voce che il Piazzane fosse l'autorequesto avrebbeinsieme con la notiziadovutorisapere il suo pericolo. Ma questa osservazion così ovviaeche il furore non lasciava venire in mente a coloronon potevanemmeno venire in mente all'infeliceperché non gli era statodetto di cosa fosse imputato. Volevan prima domarlo co' tormenti;questi eran per loro gli argomenti verosimili e probabilirichiestidalla legge; volevan fargli sentire quale terribileimmediataconseguenza veniva dal risponder loro di no; volevano che siconfessasse bugiardo una voltaper acquistare il diritto di noncredergliquando avrebbe detto: sono innocente. Ma non ottennerol'iniquo intento. Il Piazzarimesso alla torturaalzato da terraintimatogli che verrebbe alzato di piùeseguita la minacciae sempre incalzato a dir la veritàrispose sempre:l'ho detta; prima urlandopoi a voce bassa; finché igiudicivedendo che ormai non avrebbe più potuto risponderein nessuna manieralo fecero lasciar giùe ricondurre incarcere.

Riferitol'esame in senatoil giorno 23dal presidente della Sanitàche n'era membroe dal capitano di giustiziache ci sedeva quandofosse chiamatoquel tribunale supremo decretò che: «ilPiazzadopo essere stato rasorivestito con gli abiti della curiae purgatofosse sottoposto alla tortura gravecon la legatura delcanapo»atrocissima aggiuntaper la qualeoltre le bracciasi slogavano anche le mani; «a ripresee ad arbitrio de' duemagistrati suddetti; e ciò sopra alcune delle menzogne einverisimiglianze risultanti dal processo».

Ilsolo senato avevanon dico l'autoritàma il potere d'andareimpunemente tanto avanti per una tale strada. La legge romana sullaripetizion de' tormentiera interpretata in due maniere; e la menprobabile era la più umana. Molti dottori (seguendo forseOdofredoche è il solo citato da Cino di Pistoiae il piùantico de' citati dagli altri) intesero che la tortura non si potesserinnovarese non quando fossero sopravvenuti nuovi indizipiùevidenti de' primiecondizione che fu aggiunta poidi diversogenere. Molt'altriseguendo Bartolointesero che si potessequando i primi indizi fossero manifestievidentissimiurgentissimi;e quandocondizione aggiunta poi anche questala tortura fossestata leggiera . Orané l'unané l'altrainterpretazione faceva punto al caso. Nessun nuovo indizio eraemerso; e i primi erano che due donne avevan visto il Piazza toccarqualche muro; eciò ch'era indizio insieme e corpo deldelittoi magistrati avevan visto alcuni segni di materia ontuosasu que' muri abbruciacchiati e affumicatie segnatamente in unandito... dove il Piazza non era entrato. Di piùquest'indiziquanto manifestievidenti e urgentiognun lo vedenon erano stati messi alla provadiscussi col reo. Ma che dico? ildecreto del senato non fa neppur menzione d'indizi relativi aldelittonon applica neppur la legge a torto; fa come se non cifosse. Contro ogni leggecontro ogni autoritàcome controogni ragioneordina che il Piazza sia torturato di nuovosopraalcune bugie e inverisimiglianze; ordina cioè a' suoidelegati di rifaree più spietatamenteciò cheavrebbe dovuto punirli d'aver fatto. Perciocché era (e potevanon essere?) dottrina universalecanone della giurisprudenzache ilgiudice inferioreil quale avesse messo un accusato alla torturasenza indizi legittimifosse punito dal superiore.

Mail senato di Milano era tribunal supremo; in questo mondos'intende.E il senato di Milanoda cui il pubblico aspettava la sua vendettase non la salutenon doveva essere men destromen perseverantemenfortunato scopritoredi Caterina Rosa. Ché tutto si facevacon l'autorità di costei; quel suo: all'hora mi viene inpensiero se a caso fosse un poco uno de quelli com'era stato ilprimo movente del processocosì n'era ancora il regolatore eil modello; se non che colei aveva cominciato col dubbioi giudicicon la certezza. E non paia strano di vedere un tribunale farsiseguace ed emulo d'una o di due donnicciole; giacchéquandos'è per la strada della passioneè naturale che i piùciechi guidino. Non paia strano il veder uomini i quali non dovevanessereanzi non eran certamente di quelli che vogliono il male peril malevederlidicoviolare così apertamente e crudelmenteogni diritto; giacché il credere ingiustamenteèstrada a ingiustamente operarefin dove l'ingiusta persuasione possacondurre; e se la coscienza esitas'inquietaavvertele grida d'unpubblico hanno la funesta forza (in chi dimentica d'avere un altrogiudice) di soffogare i rimorsi; anche d'impedirli.

Ilmotivo di quelle odiosese non crudeli prescrizionidi tosarerivestirepurgarelo diremo con le parole del Verri. «In queitempi credevasi che o ne' capelli e peliovvero nel vestitoopersino negli intestini trangugiandolopotesse avere un amuleto opatto col demonioonde rasandolospogliandolo e purgandolo nevenisse disarmato ». E questo era veramente de' tempi; laviolenza era un fatto (con diverse forme) di tutti i tempima unadottrina di nessun tempo.

Quelsecondo esame non fu che una ugualmente assurda e più atroceripetizione del primoe con lo stesso effetto. L'infelice Piazzainterrogato primae contradetto con cavilliche si direbberopuerilise a nulla d'un tal fatto potesse convenire un tal vocaboloe sempre su circostanze indifferenti al supposto delittoe senza maiaccennarlo nemmenofu messo a quella più crudele tortura cheil senato aveva prescritta. N'ebbero parole di dolor disperatoparole di dolor supplichevolenessuna di quelle che desideravanoeper ottener le quali avevano il coraggio di sentiredi far direquell'altre. Ah Dio mio! ah che assassinamento è questo! ahSignor fiscale!... Fatemi almeno appiccar presto... Fatemi tagliarvia la mano... Ammazzatemi; lasciatemi almeno riposar un poco. Ah!signor Presidente! ... Per amor di Diofatemi dar da bere; mainsieme: non so nientela verità l'ho detta. Dopomolte e molte risposte talia quella freddamente e freneticamenteripetuta istanza di dir la veritàgli mancò la voceammutolì; per quattro volte non rispose; finalmente potédire ancora una voltacon voce fioca; non so niente; la veritàl'ho già detta. Si dovette finiree ricondurlo di nuovonon confessoin carcere.

Enon c'eran più nemmen pretestiné motivo diricominciare: quella che avevan presa per una scorciatoiagli avevacondotti fuor di strada. Se la tortura avesse prodotto il suoeffettoestorta la confession della bugiatenevan l'uomo; ecosaorribile! quanto più il soggetto della bugia era per séindifferentee di nessuna importanzatanto più essa sarebbestatanelle loro maniun argomento potente della reità delPiazzamostrando che questo aveva bisogno di stare alla larga dalfattodi farsene ignaro in tuttoin somma di mentire. Ma dopo unatortura illegaledopo un'altra più illegale e piùatroceo gravecome dicevanorimettere alla tortura un uomoperché negava d'aver sentito parlare d'un fattoe di sapereil nome de' deputati d'una parrocchiasarebbe stato eccedere ilimiti dello straordinario. Eran dunque da capocome se non avesserofatto ancor nulla; bisognava veniresenza nessun vantaggioall'investigazion del supposto delittomanifestare il reato alPiazzainterrogarlo. E se l'uomo negava? secome aveva dato provadi saper farepersisteva a negare anche ne' tormenti? I qualiavrebbero dovuto essere assolutamente gli ultimise i giudici nonvolevano appropriarsi una terribil sentenza d'un loro collegamortoquasi da un secoloma la cui autorità era viva più chemaiil Bossi citato sopra. «Più di tre volte»dice«non ho mai visto ordinar la torturase non da de'giudici boia: nisi a carnificibus .» E parla dellatorturaordinata legalmente!

Mala passione è pur troppo abile e coraggiosa a trovar nuovestradeper iscansar quella del dirittoquand'è lunga eincerta. Avevan cominciato con la tortura dello spasimoricominciarono con una tortura d'un altro genere. D'ordine del senato(come si ricava da una lettera autentica del capitano di giustizia algovernatore Spinolache allora si trovava all'assedio di Casale)l'auditor fiscale della Sanitàin presenza d'un notaiopromise al Piazza l'impunitàcon la condizione (e questo sivede poi nel processo) che dicesse interamente la verità. Cosìeran riusciti a parlargli dell'imputazionesenza doverla discutere;a parlarglienenon per cavar dalle sue risposte i lumi necessariall'investigazion della veritànon per sentir quello che nedicesse lui; ma per dargli uno stimolo potente a dir quello chevolevan loro.

Lalettera che abbiamo accennatafu scritta il 28 di giugnocioèquando il processo avevacon quell'espedientefatto un gran passo.«Ho giudicato conuenire» comincia«che V.E.sapesse quello che si è scoperto nel particolare d'alcuniscelerati chea' giorni passatiandauano ungendo i muri et le portedi questa città.» E non sarà forse senzacuriositàné senza istruzioneil veder come cose talisian raccontate da quelli che le fecero. «Hebbi»dicedunque«commissione dal Senato di formar processonel qualeper il detto d'alcune donnee d'un huomo degno di federestòaggrauato un Guglielmo Piazzahuomo plebeioma ora Commissariodella Sanitàch'essoil venerdì alli 21 su l'aurorahauesse unto i muri di una contrada posta in Porta Ticinesechiamatala Vetra de' Cittadini.»

El'uomo degno di fedemesso lì subito per corroborarl'autorità delle donneaveva detto d'aver rintoppato ilPiazzail quale io salutaiet lui mi rese il saluto. Questoera stato aggravarlo! come se il delitto imputatogli fosse statod'essere entrato in via della Vetra. Non parla poi il capitano digiustizia della visita fatta da lui per riconoscere il corpo deldelitto; come non se ne parla più nel processo.

«Fudunque»prosegue«incontinente preso costui.» Enon parla della visita fattagli in casadove non si trovònulla di sospetto.

«Etessendosi maggiormente nel suo esame aggravato» (s'èvisto!) «fu messo ad una graue torturama non confessòil delitto.»

Sequalcheduno avesse detto allo Spinolache il Piazza non era statointerrogato punto intorno al delittolo Spinola avrebbe risposto: -Sono positivamente informato del contrario: il capitano di giustiziami scrivenon questa cosa appuntoch'era inutile; ma un'altra chela sottintendeche la suppone necessariamente; mi scrive chemessoad una grave torturanon lo confessò. - Se l'altro avesseinsistito- come! - avrebbe potuto dire l'uomo celebre e potente-volete voi che il capitano di giustizia si faccia beffe di measegno di raccontarmicome una notizia importanteche non èaccaduto quello che non poteva accadere? - Eppure era proprio così:cioènon era che il capitano di giustizia volesse farsi beffedel governatore; era che avevan fatta una cosa da non potersiraccontare nella maniera appunto che l'avevan fatta; eraed èche la falsa coscienza trova più facilmente pretesti peroperareche formole per render conto di quello che ha fatto.

Masul punto dell'impunitàc'è in quella lettera un altroinganno che lo Spinola avrebbe potutoanzi dovuto conoscer da séalmeno per una partese avesse pensato ad altro che a prenderCasaleche non prese. Prosegue essa così: «finchéd'ordine del Senato (anco per esecutione della grida ultimamentefatta in questo particolare pubblicare da V.E.)promessa dalPresidente della Sanità a costui l'impunitàconfessòfinalmenteetc.».

Nelcapitolo XXXI dello scritto antecedentes'è fatto menzioned'una gridacon la quale il tribunale della Sanità promettevapremio e impunità a chi rivelasse gli autoridegl'imbrattamenti trovati sulle porte e sui muri delle caselamattina del 18 di maggio; e s'è anche accennata una letteradel tribunale suddetto al governatoresu quel fatto. In essadopoaver protestato che quella grida era stata pubblicataconparticipatione del Sig. Gran Cancelliereil quale faceva le vecidel governatorepregavan questo di corroborarla con altra suacon promessa di maggior premio. E il governatore ne fece infattipromulgare unain data del 13 di giugnocon la quale promette aciascuna persona chenel termine di giorni trentametterà inchiaro la persona o le persone che hanno commessofauoritoaiutatocotal delittoil premioetc. et se quel tale sarà deicomplicigli promette anco l'impunità della pena. Ed èper l'esecuzione di questa gridacosì espressamentecircoscritta a un fatto del 18 di maggioche il capitano digiustizia dice essersi promessa l'impunità all'uomo accusatod'un fatto del 21 di giugnoe lo dice a quel medesimo che l'avevase non altrosottoscritta! Tanto pare che si fidassero sull'assediodi Casale! giacché sarebbe troppo strano il supporre chetravedessero essi medesimi a quel segno.

Mache bisogno avevano d'usare un tal raggiro con lo Spinola?

Ilbisogno d'attaccarsi alla sua autoritàdi travisare un attoirregolare e abusivoe secondo la giurisprudenza comunee secondola legislazion del paese. Eradicodottrina comune che il giudicenon potessedi sua autorità propriaconcedere impunitàa un accusato . E nelle costituzioni di Carlo Vdove sono attribuitial senato poteri ampissimis'eccettua però quello di«concedere remissioni di delittigrazie o salvocondotti;essendo cosa riservata al principe ». E il Bossi giàcitatoil qualecome senator di Milano in quel tempofu uno de'compilatori di quelle costituzionidice espressamente: «questapromessa d'impunità appartiene al principe solo ».

Maperché mettersi nel caso d'usare un tal raggiroquandopotevan ricorrere a tempo al governatoreil quale aveva sicuramentedal principe un tal poteree la facoltà di trasmetterlo? Enon è una possibilità immaginata da noi: èquello che fecero essi medesimiall'occasione d'un altro infeliceinvolto più tardi in quel crudele processo. L'atto èregistrato nel processo medesimoin questi termini: AmbrosioSpinolaetc. In conformità del parere datoci dal Senato conlettera dei cinque del correnteconcederete impunitàinvirtù della presentea Stefano Baruellocondannato comedispensatore et fabricatore delli onti pestiferisparsi per questaCittàad estintione del Popolose dentro del termine che lisarà statuito dal detto Senatomanifestarà li auttoriet complici di tale misfatto.

AlPiazza l'impunità non fu promessa con un atto formale eautentico; furon parole dettegli dall'auditore della Sanitàfuor del processo. E questo s'intende: un tal atto sarebbe stato unafalsità troppo evidentese s'attaccava alla gridaun'usurpazion di poterese non s'attaccava a nulla. Ma perchéaggiungolevarsi in certo modo la possibilità di mettere informa solenne un atto di tanta importanza?

Questiperché non possiam certo saperli positivamente; ma vedrem piùtardi cosa servisse ai giudici l'aver fatto così.

Aogni modol'irregolarità d'un tal procedere era tantomanifestache il difensor del Padilla la notò liberamente.Benchécome protesta con gran ragionenon avesse bisognod'uscir da ciò che riguardava direttamente il suo clienteperiscolparlo dalla pazza accusa; benchésenza ragionee conpoca coerenzaammetta un delitto realee de' veri colpevoliinquel mescuglio d'immaginazioni e d'invenzioni; ciò nonostantead abbondanzacome si dicee per indebolire tutto ciòche potesse aver relazione con quell'accusafa varie eccezioni allaparte del processo che riguarda gli altri. E a propositodell'impunitàsenza impugnar l'autorità del senato intal materia (ché alle volte gli uomini si tengon piùoffesi a metter in dubbio il loro potereche la loro rettitudine)oppone che il Piazza «fu introdotto nanti detto signor Auditoresolamentequale non haueua alcuna giurisditione... procedendo perciònullamentee contro li termini di ragione». E parlando dellamenzione che fu fatta più tardie occasionalmentediquell'impunitàdice: «e puresino a quel pontononapparené si legge in processo impunitàquale purenanti detta redargutionedoueua constare in processosecondo litermini di ragione».

Inquel luogo delle difese c'è una parola buttata làcomeincidentementema significantissima. Ripassando gli atti cheprecedettero l'impunitàl'avvocato non fa alcuna eccezioneespressa e diretta alla tortura data al Piazzama ne parla così:«sotto pretesto d'inuerisimilitorturato». Ed èmi pareuna circostanza degna d'osservazione che la cosa sia statachiamata col suo nome anche alloraanche davanti a quelli che n'erangli autorie da uno che non pensava punto a difender la causa di chin'era stato la vittima.

Bisognadire che quella promessa d'impunità fosse poco conosciuta dalpubblicogiacché il Ripamontiraccontando i fatti principalidel processonella sua storia della pestenon ne fa menzioneanzil'esclude indirettamente. Questo scrittoreincapace d'alterareapposta la veritàma inescusabile di non aver lettonéle difese del Padillané l'estratto del processo che leaccompagnae d'aver creduto piuttosto alle ciarle del pubblicooalle menzogne di qualche interessatoracconta in vece che il Piazzasubito dopo la torturae mentre lo slegavano per ricondurlo incarcereuscì fuori con una rivelazione spontaneache nessunos'aspettava . La bugiarda rivelazione fu fatta bensìma ilgiorno seguentedopo l'abboccamento con l'auditoree a gente che sel'aspettava benissimo. Sicchése non fossero rimasti que'pochi documentise il senato avesse avuto che fare soltanto colpubblico e con la storiaavrebbe ottenuto l'intento d'abbuiar quelfatto così essenziale al processoe che diede le mosse atutti gli altri che venner dopo. Quello che passò inquell'abboccamentonessuno lo saognuno se l'immagina a un dipresso. «È assai verosimile»dice il Verri«chenel carcere istesso si sia persuaso a quest'infeliceche persistendoegli nel negareogni giorno sarebbe ricominciato lo spasimo; che ildelitto si credeva certoe altro spediente non esservi per luifuorché l'accusarsene e nominare i complici; cosìavrebbe salvata la vitae si sarebbe sottratto alle torture pronte arinnovarsi ogni giorno. Il Piazza dunque chieseed ebbe l'impunitàa condizione però che esponesse sinceramente il fatto. »

Nonpare però punto probabile che il Piazza abbia chiesto luil'impunità. L'infelicecome vedremo nel seguito del processonon andava avanti se non in quanto era strascinato; ed è benpiù credibilecheper fargli fare quel primocosìstrano e orribile passoper tirarlo a calunniar sé e altril'auditore gliel'abbia offerta. E di piùi giudiciquandogliene parlaron poinon avrebbero omessa una circostanza cosìimportantee che dava tanto maggior peso alla confessione; nél'avrebbe omessa il capitano di giustizia nella lettera allo Spinola.

Machi può immaginarsi i combattimenti di quell'animoa cui lamemoria così recente de' tormenti avrà fatto sentire avicenda il terror di soffrirli di nuovoe l'orrore di farlisoffrire! a cui la speranza di fuggire una morte spaventosanon sipresentava che accompagnata con lo spavento di cagionarla a un altroinnocente! giacché non poteva credere che fossero perabbandonare una predasenza averne acquistata un'altra almenochevolessero finire senza una condanna. Cedetteabbracciò quellasperanzaper quanto fosse orribile e incerta; assunse l'impresaperquanto fosse mostruosa e difficile; deliberò di mettere unavittima in suo luogo. Ma come trovarla? a che filo attaccarsi? comescegliere tra nessuno? Luiera stato un fatto realeche avevaservito d'occasione e di pretesto per accusarlo. Era entrato in viadella Vetraera andato rasente al murol'aveva toccato; unasciagurata aveva travedutoma qualche cosa. Un fatto altrettantoinnocentee altrettanto indifferente fusi vedequello che glisuggerì la persona e la favola.

Ilbarbiere Giangiacomo Mora componeva e spacciava un unguento contro lapeste; uno de' mille specifici che avevano e dovevano aver creditomentre faceva tanta strage un male di cui non si conosce il rimedioe in un secolo in cui la medicina aveva ancor così pocoimparato a non affermaree insegnato a non credere. Pochi giorniprima d'essere arrestatoil Piazza aveva chiesto di quell'unguentoal barbiere; questo aveva promesso di preparargliene; e avendolo poiincontrato sul Carrobiola mattina stessa del giorno che seguìl'arrestogli aveva detto che il vasetto era prontoe venisse aprenderlo. Volevan dal Piazza una storia d'unguentodi concertidivia della Vetra: quelle circostanze così recenti gli servirondi materia per comporne una: se si può chiamar comporrel'attaccare a molte circostanze reali un'invenzione incompatibile conesse.

Ilgiorno seguente26 di giugnoil Piazza è condotto davantiagli esaminatorie l'auditore gl'intima: che dica conforme aquello che estraiudicialmente confessò a mealla presenzaanco del Notaro Balbianose sa chi è il fabricatore degliunguenticon quali tante volte si sono trouate ontate le porte etmura delle case et cadenazzi di questa città.

Mail disgraziatochementendo a suo dispettocercava di scostarsi ilpossibile meno dalla veritàrispose soltanto: a me l'hadato lui l'unguentoil Barbiero. Son le parole tradotteletteralmentema messe così fuor di luogo dal Ripamonti:dedit unguenta mihi tonsor.

Glisi dice che nomini il detto Barbiero; e il suo compliceilsuo ministro in un tale attentatorisponde: credo habbi nome Gio.Jacomola cui parentela (il cognome) non so. Non sapevadi certoche dove stesse di casaanzi di bottega; ea un'altrainterrogazionelo disse.

Glidomandano se da detto Barbiero lui Constituto ne ha hauuto o pocoo assai di detto unguento. Risponde: me ne ha dato tantaquantità come potrebbe capire questo calamaro che è quasopra la tavola. Se avesse ricevuto dal Mora il vasetto delpreservativo che gli aveva chiestoavrebbe descritto quello; ma nonpotendo cavar nulla dalla sua memorias'attacca a un oggettopresenteper attaccarsi a qualcosa di reale. Gli domandano sedetto Barbiero è amico di lui Constituto. E quinonaccorgendosi come la verità che gli si presenta alla memoriafaccia ai cozzi con l'invenzionerisponde: è amicosignorsìbuon dìbuon annoè amicosignor sì;val a dire che lo conosceva appena di saluto.

Magli esaminatorisenza far nessuna osservazionepassarono adomandarglicon qual occasione detto Barbiero gli ha dato dettoonto. Ed ecco cosa rispose: passai di làet luichiamandomi mi disse: vi ho puoi da dare un non so che; io gli dissiche cosa era? et egli disse: è non so che onto; et io dissi:sìsìverrò puoi a tuorlo; et così dalì a due o tre giornime lo diede puoi. Altera lecircostanze materiali del fattoquanto è necessario peraccomodarlo alla favola; ma gli lascia il suo colore; e alcune delleparole che riferisceeran probabilmente quelle ch'eran corse davverotra loro. Parole dette in conseguenza d'un concerto già presoa proposito d'un preservativole dà per dette all'intento diproporre di punto in bianco un avvelenamentoalmen tanto pazzoquanto atroce.

Contutto ciògli esaminatori vanno avanti con le domandesulluogosul giornosull'ora della proposta e della consegna; ecomecontenti di quelle rispostene chiedon dell'altre. Che cosa glidisse quando gli consegnò il detto vasetto d'onto?

Midisse: pigliate questo vasettoet ongete le muraglie qui adietroetpoi venete da meche hauerete una mano de danari.

«Maperché il barbierosenza arrischiarenon ungeva da sédi notte!» postilla quistavo per dire esclamail Verri. Euna tale inverisimiglianza avventaper dir cosìancor piùin una risposta successiva. Interrogato se il detto Barbieroassignò a lui Constituto il luogo preciso da ongererisponde:mi disse che ongessi lì nella Vedra de' Cittadiniet checominciassi dal suo uschiodove in effetto cominciai.

«Nemmenol'uscio suo proprio aveva unto il barbiere!» postilla qui dinuovo il Verri. E non ci volevacertola sua perspicacia per fareun'osservazion simile; ci volle l'accecamento della passione per nonfarlao la malizia della passione per non farne contosecome èpiù naturalesi presentò anche alla mente degliesaminatori.

L'infeliceinventava così a stentoe come per forzae solo quando eraeccitatoe come punto dalle domandeche non si saprebbe indovinarese quella promessa di danari sia stata immaginata da luiper darqualche ragione dell'avere accettata una commission di quella sorteo se gli fosse stata suggerita da un'interrogazion dell'auditoreinquel tenebroso abboccamento. Lo stesso bisogna dire d'un'altrainvenzionecon la qualenell'esameandò incontroindirettamente a un'altra difficoltàcioè come maiavesse potuto maneggiar quell'unto così mortalesenzariceverne danno. Gli domandano se detto Barbiero disse a luiConstituto per qual causa facesse ontare le dette porte et muraglie.Risponde: lui non mi disse niente; m'imagino bene che detto ontofosse velenatoet potesse nocere alli corpi humanipoiché lamattina seguente mi diede un'aqua da beveredicendomi che mi sareipreservato dal veleno di tal onto.

Atutte queste rispostee ad altre d'ugual valoreche sarebbe lungo einutile il riferiregli esaminatori non trovaron nulla da opporreoper parlar più precisamentenon opposero nulla. D'una solacosa credettero di dover chiedere spiegazione: per qual causa nonl'ha potuto dire le altre volte.

Rispose:io non lo soné so a che attribuire la causase non a quellaaqua che mi diede da bere; perché V.S. vede bene cheperquanti tormenti ho hauutonon ho potuto dir niente.

Questavolta peròquegli uomini così facili a contentarsinon son contentie tornano a domandare: per qual causa non hadetto questa verità prima di adessomassime sendo statotormentato nella maniera che fu tormentatoet sabbato et hieri.

Questaverità!

Risponde:io non l'ho dettaperché non ho potutoet se io fossistato cent'anni sopra la cordaio non haueria mai potuto dire cosaalcunaperché non potevo parlarepoiché quando m'eradimandata qualche cosa di questo particolaremi fugiva dal cuoreetnon poteuo rispondere. Sentito questochiuser l'esameerimandaron lo sventurato in carcere.

Mabasta il chiamarlo sventurato?

Auna tale interrogazionela coscienza si confonderifuggevorrebbedichiararsi incompetente; par quasi un'arroganza spietataun'ostentazion farisaicail giudicar chi operava in tali angosceetra tali insidie. Ma costretta a risponderela coscienza deve dire:fu anche colpevole; i patimenti e i terrori dell'innocente sono unagran cosahanno di gran virtù; ma non quella di mutar lalegge eternadi far che la calunnia cessi d'esser colpa. E lacompassione stessache vorrebbe pure scusare il tormentatosirivolta subito anch'essa contro il calunniatore: ha sentito nominareun altro innocente; prevede altri patimentialtri terroriforsealtre simili colpe.

Egli uomini che crearon quell'angosceche tesero quell'insidieciparrà d'averli scusati con dire: si credeva all'unzioniec'era la tortura? Crediam pure anche noi alla possibilitàd'uccider gli uomini col veleno; e cosa si direbbe d'un giudice cheadducesse questo per argomento d'aver giustamente condannato un uomocome avvelenatore? C'è pure ancora la pena di morte; e cosa sirisponderebbe a uno che pretendesse con questo di giustificar tuttele sentenze di morte? No; non c'era la tortura per il caso diGuglielmo Piazza: furono i giudici che la vollerocheper dir cosìl'inventarono in quel caso. Se gli avesse ingannatisarebbe stataloro colpaperché era opera loro; ma abbiam visto che nongl'ingannò. Mettiam pure che siano stati ingannati dalleparole del Piazza nell'ultimo esameche abbian potuto credere unfattoespostospiegatocircostanziato in quella maniera. Da cheeran mosse quelle parole? come l'avevano avute? Con un mezzosull'illegittimità del quale non dovevano ingannarsie nons'ingannarono infattipoiché cercarono di nasconderlo e ditravisarlo.

Seper impossibiletutto quello che venne dopo fosse stato un concorsoaccidentale di cose le più atte a confermar l'ingannolacolpa rimarrebbe ancora a coloro che gli avevano aperta la strada. Mavedremo in vece che tutto fu condotto da quella medesima lorovolontàla qualeper mantener l'inganno fino alla finedovette ancora eluder le leggicome resistere all'evidenzafarsigioco della probitàcome indurirsi alla compassione.




CapitoloIV


L'auditorecorsecon la sbirragliaalla casa del Morae lo trovarono inbottega. Ecco un altro reo che non pensava a fuggirené anascondersibenché il suo complice fosse in prigione daquattro giorni. C'era con lui un suo figliuolo; e l'auditore ordinòche fossero arrestati tutt'e due.

IlVerrispogliando i libri parrocchiali di San Lorenzotrovòche l'infelice barbiere poteva avere anche tre figlie; una diquattordici anniuna di dodiciuna che aveva appena finiti i sei.Ed è bello il vedere un uomo ricconobilecelebreincaricaprendersi questa cura di scavar le memorie d'una famigliapoveraoscuradimenticata: che dico? infame; e in mezzo a unaposteritàerede cieca e tenace della stolta esecrazione degliavicercar nuovi oggetti a una compassion generosa e sapiente.Certonon è cosa ragionevole l'opporre la compassione allagiustiziala quale deve punire anche quando è costretta acompiangeree non sarebbe giustizia se volesse condonar le pene de'colpevoli al dolore degl'innocenti. Ma contro la violenza e la frodela compassione è una ragione anch'essa. E se non fossero stateche quelle prime angosce d'una moglie e d'una madrequellarivelazione d'un così nuovo spaventoe d'un così nuovocordoglio a bambine che vedevano metter le mani addosso al loropadreal fratellolegarlitrattarli come scellerati; sarebbe uncarico terribile contro coloroi quali non avevano dalla giustiziail doveree nemmeno dalla legge il permesso di venire a ciò.

Chéanche per procedere alla catturaci volevano naturalmentedegl'indizi. E qui non c'era né famané fuganéquerela d'un offesoné accusa di persona degna di fedenédeposizion di testimoni; non c'era alcun corpo di delitto; non c'eraaltro che il detto d'un supposto complice. E perché un dettotaleche non aveva per sé valor di sorte alcunapotesse dareal giudice la facoltà di procedereeran necessarie moltecondizioni. Più d'una essenzialeavremo occasion di vedereche non fu osservata; e si potrebbe facilmente dimostrarlo dimolt'altre. Ma non ce n'è bisogno; perchéquand'anchefossero state adempite tutte a un puntinoc'era in questo caso unacircostanza che rendeva l'accusa radicalmente e insanabilmente nulla:l'essere stata fatta in conseguenza d'una promessa d'impunità.«A chi rivela per la speranza dell'impunitào concessadalla leggeo promessa dal giudicenon si crede nulla contro inominati»dice il Farinacci . E il Bossi: «si puòopporre al testimonio che quel che ha dettol'abbia detto peressergli stata promessa l'impunità... mentre un testimoniodeve parlar sinceramentee non per la speranza d'un vantaggio... Equesto vale anche ne' casi in cuiper altre ragionisi puòfare eccezione alla regola che esclude il complice dall'attestare...perché colui che attesta per una promessa d'impunitàsi chiama corrottoe non gli si crede ». Ed era dottrina noncontradetta.

Mentresi preparavano a visitare ogni cosail Mora disse all'auditore: OhV.S. veda! so che è venuta per quell'unguento; V.S. lo vedalà; et aponto quel vasettino l'haueuo apparecchiato per darloal Commissarioma non è venuto a pigliarlo; iogratia a Dionon ho fallato. V.S. veda per tutto; io non ho fallato: puòsparagnare di farmi tener legato. Credeva l'infeliceche il suoreato fosse d'aver composto e spacciato quello specificosenzalicenza.

Fruganper tutto; ripassan vasivasettiampollealberellibarattoli. (Ibarbieria quel tempoesercitavan la bassa chirurgia; e di lìa fare anche un po' il medicoe un po' lo spezialenon c'era che unpasso.) Due cose parvero sospette; echiedendo scusa al lettoresiam costretti a parlarneperché il sospetto manifestato dacoloronell'atto della visitafu quello che diede poi al poverosventurato un'indicazioneun mezzo per potersi accusare ne'tormenti. E del resto c'è in tutta questa storia qualcosa dipiù forte che lo schifo.

Intempo di pesteera naturale che un uomoil quale doveva trattar conmolte personee principalmente con ammalatistesseper quanto erapossibilesegregato dalla famiglia: e il difensor del Padilla faquesta osservazione dovecome vedremo or oraoppone al processo lamancanza d'un corpo di delitto. La peste medesima poi aveva diminuitoin quella desolata popolazione il bisogno della puliziach'era giàpoco. Si trovaron perciò in una stanzina dietro la bottegaduo vasa stercore humano plena dice il processo. Un birro sene maravigliae (a tutti era lecito di parlar contro gli untori) faosservare che di sopra vi è il condotto. Il Morarispose: io dormo qui da bassoet non vado di sopra.

Laseconda cosa fu che in un cortiletto si vide un fornello condentro murata una caldara di ramenella quale si è trovatodentro dell'acqua torbidain fondo della quale si è trovatouna materia viscosa gialla et biancala qualegettata al murofattone la prova si attaccava. Il Mora disse: l'èsmoglio (ranno): e il processo nota che lo disse con moltainsistenza: cosa che fa vedere quanto essi mostrassero di trovarcimistero. Ma come mai s'arrischiarono di far tanto a confidenza conquel veleno così potente e così misterioso? Bisognadire che il furore soffogasse la paurache pure era una delle suecagioni.

Trale carte poi si trovò una ricettache l'auditore diede inmano al Moraperché spiegasse cos'era. Questo la stracciòperchéin quella confusionel'aveva presa per la ricettadello specifico. I pezzi furon raccolti subito; ma vedremo comequesto miserabile accidente fu poi fatto valere controquell'infelice.

Nell'estrattodel processo non si trova quante persone fossero arrestate insiemecon lui. Il Ripamonti dice che menaron via tutta la gente di casa edi bottega; giovanigarzonimogliefiglie anche parentise cen'era lì .

Nell'uscirda quella casanella quale non doveva più rimetter piededaquella casa che doveva esser demolita da' fondamentie dar luogo aun monumento d'infamiail Mora disse: io non ho fallatoet se hofallatoche sij castigato; ma da quello Elettuario in puoiio nonho fatto altro; peròse hauessi fallato in qualche cosanedimando misericordia.

Fuesaminato il giorno medesimoe interrogato principalmente sul rannoche gli avevan trovato in casae sulle sue relazioni colcommissario. Intorno al primorispose: signoreio non so nienteet l'hanno fatto far le donne; che ne dimandano conto da loroche lodiranno; et sapevo tanto io che quel smoglio vi fossequanto che micredessi d'esser oggi condotto prigione.

Intornoal commissarioraccontò del vasetto d'unguento che dovevadarglie ne specificò gl'ingredienti; altre relazioni conluidisse di non averne avutese non checirca un anno primaquello era venuto a casa suaa chiedergli un servizio del suomestiere. Subito dopo fu esaminato il figliuolo; e fu allora che quelpovero ragazzo ripetè la sciocca ciarla del vasetto e dellapennache abbiam riferita da principio. Del restol'esame fuinconcludente; e il Verri osservain una postillache «sidoveva interrogare il figlio del barbiere su quel rannoe vedere daquanto tempo si trovava nella caldaiacome fattoa che uso; eallora si sarebbe chiarito meglio l'affare. Ma»soggiunge«temevano di non trovarlo reo». E questa veramente èla chiave di tutto.

Interrogaronoperò su quel particolare la povera moglie del Morala qualealle varie domande rispose che aveva fatto il bucato dieci o dodicigiorni avanti; che ogni volta riponeva del ranno per certi usi dichirurgia; che per questo gliene avevan trovato in casa; ma chequello non era stato adoperatonon essendocene stato bisogno.

Sifece esaminare quel ranno da due lavandaiee da tre medici. Quelledissero ch'era rannoma alterato; questiche non era ranno; le unee gli altriperché il fondo appiccicava e faceva le fila. «Inuna bottega d'un barbiere» dice il Verri«dove sisaranno lavati de' lini sporchi e dalle piaghe e da' cerottiqualcosa più naturale che il trovarsi un sedimento viscidograssogiallodopo varii giorni d'estate? »

Main ultimoda quelle visite non risultava una scoperta; risultavasoltanto una contradizione. E il difensore del Padilla ne deducecontroppo evidente ragioneche «dalla lettura dell'istessoprocesso offensiuonon si vede constare del corpo del delitto;requisito e preambolo necessarioacciò si venga a Reatoattotanto pregiudicialee danno irreparabile». E osserva chetanto più era necessarioin quanto l'effetto che si volevaattribuire a un delittoil morir tante personeaveva la sua causanaturale. «Per i quali giuditii incerti»dice«quantofosse necessario venire all'esperienzalo ricercauano le malignecostellationiet li pronostici de' Matthematiciquali nell'anno1630 altro non concludevano che pestee finalmente il veder tantecittà insigni della Lombardiaet Italia rimanere desolateetdalla peste distruttein quali non si sentirno pensierinétimori di onto.» Anche l'errore vien qui in aiuto della verità:la quale però non n'aveva bisogno. E fa male il vedere comequest'uomodopo aver fatto e questa e altre osservazioniugualmenteatte a dimostrar chimerico il delitto medesimodopo avere attribuitoalla forza de' tormenti le deposizioni che accusavano il suo clientedica in un luogo queste strane parole: «conuien confessarecheper malignità de' detti nominatiet altri complicicon animoancor di sualigiare le caseet far guadagnicome il detto Barbiereal fol. 104dissesi mouessero a tanto delitto contro la propriaPatria.»

Nellalettera d'informazione al governatoreil capitano di giustizia parladi questa circostanza così: «Il barbiero è presoin casa di cui si sono trovate alcune mistureper giudicio deperitimolto sospette.» Sospette! È una parola con cuiil giudice cominciama con cui non finiscese non suo malgradoedopo aver tentati tutti i mezzi per arrivare alla certezza. E seognuno non sapesseo non indovinasse quelli ch'erano in uso ancheallorae che si sarebbero potuti adoprarequando si fosse veramentepensato a chiarirsi sulla qualità velenosa di quellaporcherial'uomo che presiedeva al processo ce l'avrebbe fattosapere. In quell'altra lettera rammentata poco sopracon la quale iltribunale della Sanità aveva informato il governatore di quelgrande imbrattamento del 18 di maggiosi parlava pure d'unesperimento fatto sopra de' cani«per accertarsi se taliontuosità erano pestilentiali o no». Ma allora nonavevan nelle mani nessun uomo sul quale potessero fare l'esperimentodella torturae contro il quale le turbe gridassero: tolle!

Primaperò di mettere alle strette il Moravollero aver dalcommissario più chiare e precise notizie; e il lettore diràche ce n'era bisogno. Lo fecero dunque veniree gli domandarono seciò che aveva deposto era veroe se non si rammentavad'altro. Confermò il primo dettoma non trovò nulla daaggiungerci.

Alloragli dissero che ha molto dell'inuerisimile che tra lui et dettobarbiero non sia passata altra negotiatione di quella che ha depostotrattandosi di negotio tanto graveil quale non si commette apersone per eseguirlose non con grande et confidente negotiationeet non alla fugitacome lui depone.

L'osservazioneera giustama veniva tardi. Perché non farla alla primaquando il Piazza depose la cosa in que' termini? Perché unacosa tale chiamarla verità? Che avessero il senso delverisimile così ottusocosì lentoda volerci ungiorno intero per accorgersi che lì non c'era? Essi?Tutt'altro. L'avevan delicatissimoanzi troppo delicato. Non eranque' medesimi che avevan trovatoe immediatamentecose inverisimiliche il Piazza non avesse sentito parlare dell'imbrattamento di viadella Vetrae non sapesse il nome de' deputati d'una parrocchia? Eperché in un caso così sofisticiin un altro cosìcorrenti?

Ilperché lo sapevan loroe Chi sa tutto; quello che possiamovedere anche noi è che trovaron l'inverisimiglianzaquandopoteva essere un pretesto alla tortura del Piazza; non la trovaronoquando sarebbe stata un ostacolo troppo manifesto alla cattura delMora.

Abbiamvistoè veroche la deposizion del primocome radicalmentenullanon poteva dar loro alcun diritto di venire a ciò. Mapoiché volevano a ogni modo servirsenebisognava almenoconservarla intatta. Se gli avessero dette la prima volta quelleparole: ha molto dell'inverisimile; se lui non avesse scioltala difficoltàmettendo il fatto in forma meno stranae senzacontradire al già detto (cosa da sperarsi poco); si sarebberotrovati al bivioo di dover lasciare stare il Morao di carcerarlodopo avere essi medesimi protestatoper dir cosìanticipatamente contro un tal atto.

L'osservazionefu accompagnata da un avvertimento terribile. Et perciò senon si risoluerà di dire interamente la veritàcome hapromessose gli protesta che non se gli seruarà l'impunitàpromessaogni volta che si trovi diminuta la suddetta suaconfessioneet non intiera di tutto quello è passato tra dilui et il suddetto Barbieroet per il contrariodicendo la veritàse gli servarà l'impunità promessa.

Equi si vedecome avevamo accennato sopracosa poté servireai giudici il non ricorrere al governatore per quell'impunità.Concessa da questocon autorità regia e riservatacon unatto solennee da inserirsi nel processonon si poteva ritirarlacon quella disinvoltura. Le parole dette da un auditore si potevanoannullare con altre parole.

Sinoti che l'impunità per il Baruello fu chiesta al governatoreil 5 di settembrecioè dopo il supplizio del PiazzadelMorae di qualche altro infelice. Si poteva allora mettersi alrischio di lasciarne scappar qualcheduno: la fiera aveva mangiatoei suoi ruggiti non dovevan più esser così impazienti eimperiosi.

Aquell'avvertimentoil commissario dovettepoiché stava fermonel suo sciagurato propositoaguzzar l'ingegno quanto potevama nonseppe far altro che ripeter la storia di prima. Dirò aV.S.: due dì auanti che mi dasse l'ontoera il detto Barbierosul corso di Porta Ticinesecon tre d'altri in compagnia; etvedendomi passaremi disse: Commissarioho un onto da darvi; io glidissi: volete darmelo adesso? lui mi disse di noet all'hora non midisse l'effetto che doueua fare il detto onto; ma quando me lo diedepoimi disse ch'era onto da ongere le muraglieper far morire lagente; né io gli dimandai se lo haueua provato. Se non chela prima volta aveva detto: lui non mi disse niente; m'imaginobene che detto onto fosse velenato; la seconda: mi dissech'era per far morire la gente. Ma senza farsi caso d'una talcontradizionegli domandano chi erano quelli che erano con dettoBarbieroet come erano vestiti.

Chifosseronon lo sa; sospetta che dovessero essere vicini del Mora;come fossero vestitinon se ne rammenta; solo mantiene che èvero tutto ciò che ha deposto contro di lui. Interrogato se èpronto a sostenerglielo in facciarisponde di sì. Èmesso alla torturaper purgar l'infamiae perché possa fareindizio contro quell'infelice.

Itempi della tortura sonograzie al cieloabbastanza lontaniperchéqueste formole richiedano spiegazione. Una legge romana prescrivevache «la testimonianza d'un gladiatore o di persona similenonvalesse senza i tormenti». La giurisprudenza aveva poideterminatesotto il titolo d'infamile persone alle quali questaregola dovesse applicarsi; e il reoconfesso o convintoentrava inquella categoria. Ecco dunque in che maniera intendevano che latortura purgasse l'infamia. Come infamedicevanoil complice nonmerita fede; ma quando affermi una cosa contro un suo interessefortevivopresentesi può credere che la verità siaquella che lo sforzi ad affermare. Se dunquedopo che un reo s'èfatto accusatore d'altrigli s'intimao di ritrattar l'accusao disottoporsi ai tormentie lui persiste nell'accusa; seridotta laminaccia ad effettopersiste anche ne' tormentiil suo dettodiventa credibile: la tortura ha purgato l'infamiarestituendo aquel detto l'autorità che non poteva avere dal carattere dellapersona.

Eperché dunque non avevan fatta confermare al Piazza ne'tormenti la prima deposizione? Fu anche questo per non mettere acimento quella deposizionecosì insufficientema cosìnecessaria alla cattura del Mora? Certo una tale omissione rendevaquesta ancor più illegale: giacché era bensìammesso che l'accusa dell'infamenon confermata ne' tormentipotesse dar luogocome qualunque altro più difettoso indizioa prendere informazionima non a procedere contro la persona . Eriguardo alla consuetudine del foro milaneseecco quel che attestail Claro in forma generalissima: «Affinché il detto delcomplice faccia fedeè necessario che sia confermato ne'tormentiperchéessendo lui infame a cagion del suo propriodelittonon può essere ammesso come testimoniosenzatortura; e così si pratica da noi: et ita apud nos servatur».

Eradunque legale almeno la tortura data al commissario in quest'ultimocostituto? Nocertamente: era iniquaanche secondo le leggipoichégliela davano per convalidare un'accusa che non poteva diventarvalida con nessun mezzoa cagion dell'impunità da cui erastata promossa. E si veda come gli avesse avvertiti a proposito illoro Bossi. «Essendo la tortura un male irreparabilesi badibene di non farla soffrire in vano a un reo in casi similicioèquando non ci siano altre presunzioni o indizi del delitto. »

Mache? facevan dunque contro la leggea darglielae a non dargliela?Sicuro; e qual maraviglia che chi s'è messo in una stradafalsaarrivi a due che non son buonené l'una nél'altra?

Delrestoè facile indovinare che la tortura datagli per fargliritrattare un'accusanon dovette esser così efficace comequella datagli per isforzarlo ad accusarsi. Infattinon ebberoquesta volta a scrivere esclamazionia registrare urli négemiti: sostenne tranquillamente la sua deposizione.

Glidomandaron due volte perché non l'avesse fatta ne' primicostituti. Si vede che non potevan levarsi dalla testa il dubbioedal cuore il rimorsoche quella sciocca storia fosse un'ispiraziondell'impunità. Rispose: fu per l'impedimento dell'aqua cheho detto che haueuo beuuta. Avrebbero certamente desideratoqualcosa di più concludente; ma bisognava contentarsi. Avevantrascuratiche dico? schivatiesclusitutti i mezzi che potevancondurre alla scoperta della verità: delle due contrarieconclusioni che potevan risultare dalla ricercan'avevan voluta unae adopratoprima un mezzopoi un altroper ottenerla a qualunquecosto: potevan pretendere di trovarci quella soddisfazione che puòdar la verità sinceramente cercata? Spegnere il lume èun mezzo opportunissimo per non veder la cosa che non piacema nonper veder quella che si desidera.

Calatodalla funee mentre lo slegavanoil commissario disse: Signorevi voglio un puoco pensar sino a dimaniet dirò poi quellod'auantaggioche mi ricordaròtanto contro di luiquantod'altri.

Mentrepoi lo riconducevano in carceresi fermòdicendo: ho non soche da dire; e nominò come gente amica del Morae pochi dibuonoquel Baruelloe due foresari Girolamo e GaspareMigliavaccapadre e figlio.

Cosìlo sciagurato cercava di supplir col numero delle vittime allamancanza delle prove. Ma coloro che l'avevano interrogatopotevanonon accorgersi che quell'aggiungere era una prova di più chenon aveva che rispondere? Eran loro che gli avevan chiesto dellecircostanze che rendessero verisimile il fatto; e chi propone ladifficoltànon si può dir che non la veda. Quellenuove denunzie in ariao que' tentativi di denunzie volevan direapertamente: voi altri pretendete ch'io vi renda chiaro un fatto;come è possibilese il fatto non è? Main ultimoquel che vi preme è d'aver delle persone da condannare:persone ve ne do; a voi tocca a cavarne quel che vi bisogna. Conqualcheduno vi riuscirà: v'è pur riuscito con me.

Dique' tre nominati dal Piazzae d'altri cheandando avantifuronnominati con ugual fondamentoe condannati con ugual sicurezzanonfaremo menzionese non in quanto potrà esser necessario allastoria di lui e del Mora (i qualiper essere i primi caduti inquelle manifurono riguardati sempre come i principali autori deldelitto); o in quanto ne esca qualcosa degna di particolareosservazione. Omettiamo pure in questo luogocome faremo altrovede' fatti secondari e incidentiper venir subito al secondo esamedel Mora; che fu in quel giorno medesimo.

Inmezzo a varie domandesul suo specificosul rannosu certelucertole che aveva fatto prender da de' ragazziper comporne unmedicamento di que' tempi (domande alle quali soddisfece come un uomoche non ha nulla da nascondere né da inventare)gli metton lìi pezzi di quella carta che aveva stracciata nell'atto della visita.La riconosco disseper quella scrittura che io strazziaiinauertentamente; et si potranno li pezzetti congregar insiemeperveder la continenzaet mi verrà ancora a memoria da chi misij stata data.

Passaronpoi a fargli un'interrogazione di questa sorte: in che modononhauendo più che tanta amicitia con il detto Commissariochiamato Gulielmo Piazzacome ha detto nel precedente suo esameesso Commissario con tanta libertà gli ricercò ilsuddetto vaso di preseruatiuo; et lui Constitutocon tanta libertàet prestezzasi offerse di darglieloet l'interpellò diandarlo a pigliarecome nell'altro suo esame ha deposto.

Eccoche torna in campo la misura stretta della verisimiglianza. Quando ilPiazza asserì per la prima voltache il barbieresuoamico di bon dì e bon annocon quella medesima libertàe prestezza gli aveva offerto un vasetto per far morirela gentenon gli fecero difficoltà; la fanno a chi asserisceche si trattava d'un rimedio. Eppuresi devono naturalmente usarmeno riguardi nel cercare un complice necessario a una contravvenzionleggierae per una cosa in sé onestissimache a cercarlosenza necessitàper un attentato pericoloso quantoesecrabile: e non è questa una scoperta che si sia fatta inquesti due ultimi secoli. Non era l'uomo del secento che ragionavacosì alla rovescia: era l'uomo della passione. Il Morarispose: io lo feci per l'interesse.

Glidomandano poi se conosce quelli che il Piazza aveva nominati;risponde che li conoscema non è loro amicoperchéson certa gente da lasciarli fare il fatto suo. Gli domandanose sa chi avesse fatto quell'imbrattamento di tutta la città;risponde di no. Se sa da chi il commissario abbia avuto l'unguentoper unger le muraglie: risponde ancora di no.

Glidomandan finalmente: se sa che persona alcunacon offerta dedanarihabbi ricercato il detto Commissario ad ontar le muragliedella Vedra de' Cittadiniet che per così fareli habbi poidato un vasetto di vetro con dentro tal onto. Risposechinandola testae abbassando la voce (flectens caputet submissa voce):non so niente.

Forsesoltanto allora cominciava a vedere a che strano e orribil finepotesse riuscire quel rigirìo di domande. E chi sa in chemaniera sarà stata fatta questa da colorocheincertivolere o non voleredella loro scopertatanto più dovevanoaccennar di sapernee mostrarsi anticipatamente forti contro lenegative che prevedevano. I visi e gli atti che facevan loronon linotavano. Andaron dunque avanti a domandargli direttamente: se luiConstituto ha ricercato il suddetto Gulielmo Piazza Commissario dellaSanità ad ongere le muraglie lì a torno alla Vedra de'Cittadiniet per così fare se gli ha dato un vasetto di vetrocon dentro l'onto che doueua adoperare; con promessa di dargli ancorauna quantità de danari.

Esclamòpiù che non rispose: Signor no! maidè no! no ineterno! far io queste cose? Son parole che può dire uncolpevolequanto un innocente; ma non nella stessa maniera.

Glifu replicatoche cosa dirà poi quando dal suddettoGulielmo Piazza Commissario della Sanitàgli saràquesta verità sostenuta in faccia.

Dinuovo questa verità! Non conoscevan la cosa che per ladeposizione d'un supposto complice; a questo avevan detto essimedesimiil giorno medesimochecome la raccontava luihaueuamolto dell'inverisimile; lui non ci aveva saputo aggiungereneppure un'ombra di verisimiglianzase la contradizione non ne dà;e al Mora dicevano francamente: questa verità! Eraripetorozzezza de' tempi? era barbarie delle leggi? era ignoranza?era superstizione? O era una di quelle volte che l'iniquità sismentisce da sé?

IlMora rispose: quando mi dirà questo in facciadiròche è un infameet che non può dire questoperchénon ha mai parlato con me di tal cosaet guardimi Dio!

Sifa venire il Piazzaealla presenza del Moragli si domandatuttodi seguitose è vero questo e questo e questo; tutto ciòche ha deposto. Risponde: Signor sìche è vero.Il povero Mora grida: ah Dio misericordia! non si trouaràmai questo.

Ilcommissario: io sono a questi terminiper sostentarui voi.

IlMora: non si trouarà mainon prouarete mai d'esser stato acasa mia.

Ilcommissario: non fossi mai stato in casa vostracome vi sonstato; che sono a questi termini per voi.

IlMora: non si trouarà mai che siate stato a casa mia.

Dopodi ciòfuron rimandatiognuno nel suo carcere.

Ilcapitano di giustizianella lettera al governatorepiù voltecitatarende conto di quel confronto in questi termini: «IlPiazza animosamente gli ha sostenuto in facciaesser vero ch'egliriceuè da lui tale unguentocon le circostanze del luogo edel tempo.» Lo Spinola dovette credere che il Piazza avessespecificate queste circostanzecontradittoriamente col Mora; e tuttoquel sostenere animosamente si riduceva in realtà a un Signorsìche è vero.

Lalettera finisce con queste parole: «Si vanno facendo altrediligenze per scoprire altri complicio mandanti. Fratanto ho volutoche quello che passa fosse inteso da V.E.alla quale humilmente baciole maniet auguro prospero fine delle sue imprese.»Probabilmente ne furono scritte altreche sono perdute. In quantoall'impresel'augurio andò a vòto. Lo Spinolanonricevendo rinforzie disperando ormai di prender Casales'ammalòanche di passioneverso il principio di settembree morì il25mancando sull'ultimo all'illustre soprannome di prenditor dicittàacquistato nelle Fiandree dicendo (in ispagnolo):m'han levato l'onore. Gli avevan fatto peggiocol dargli un posto acui erano annesse tante obbligazionidelle quali pare che a lui nepremesse solamente una: e probabilmente non gliel avevan dato che perquesta.

Ilgiorno dopo il confrontoil commissario chiese d'esser sentito; eintrodottodisse: il Barbiero ha detto ch'io non sono mai stato acasa sua; perciò V.S. esamini Baldassar Littache sta nellacasa dell'Antianonella Contrada di S. Bernardinoet StefanoBuzzioche fa il tintoreet sta nel portone per contro S. Agostinopresso S. Ambrogioli quali sono informati ch'io sono stato nellacasa et bottega di detto Barbiero.

Eravenuto a fare una tal dichiarazionedi suo proprio impulso? O era unsuggerimento fattogli dare da' giudici? Il primo sarebbe stranoel'esito lo farà vedere; del secondo c'era un motivofortissimo. Volevano un pretesto per mettere il Mora alla tortura; etra le cose chesecondo l'opinione di molti dottoripotevan dareall'accusa del complice quel valore che non aveva da séerenderla indizio sufficiente alla tortura del nominatouna era chetra loro ci fosse amicizia. Non però un'amiciziaunaconoscenza qualunque; perché«a intenderla così»dice il Farinacci«ogni accusa d'un complice farebbe indizioessendo troppo facile che il nominante conosca il nominato in qualchemaniera; ma bensì un praticarsi stretto e frequentee tale darender verisimile che tra loro si sia potuto concertare il delitto ».Per questo avevan domandato da principio al commissariose dettoBarbiero è amico di lui Constituto. Ma il lettore sirammenta della risposta che n'ebbero: amico sìbuondì buon anno. L'intimazione minacciosa fattagli poinonaveva prodotto niente di più; e quello che avevan cercato comeun mezzoera diventato un ostacolo. È vero che non eranépoteva diventar mai un mezzo legittimo né legalee chel'amicizia più intima e più provata non avrebbe potutodar valore a un'accusa resa insanabilmente nulla dalla promessad'impunità. Ma a questa difficoltàcome a tante altreche non risultavano materialmente dal processoci passavan sopra:quellal'avevan messa in evidenza essi medesimi con le loro domande;e bisognava veder di levarla. Nel processo son riferiti discorsi dicarcerieridi birri e di carcerati per altri delittimessi incompagnia di quegl'infeliciper cavar loro qualcosa di bocca.È quindi più che probabile che abbianocon uno diquesti mezzifatto dire al commissarioche la sua salvezza potevadipendere dalle prove che desse della sua amicizia col Mora; e che losciaguratoper non dir che non n'avevasia ricorso a quel partitoal quale non avrebbe mai pensato da sé. Perchéqualeassegnamento potesse fare sulla testimonianza de' due che avevacitatisi vede dalle loro deposizioni. Baldassare Littainterrogatose ha mai visto il Piazza in casa o in bottega del Morarisponde: signorno. Stefano Buzziinterrogato se sa chetra il detto Piazza et Barbiero vi passi alcuna amicitiarisponde: può essere che siano amiciet che sisalutassero; ma questo non lo saprei mai dire a V.S. Interrogatodi nuovo se sa che il detto Piazza sia mai stato in casa o bottegadel detto Barbierorisponde: non lo saprei mai dire a V.S.

Volleropoi sentire un altro testimonioper verificare una circostanzaasserita dal Piazza nella sua deposizione; cioè che un certoMatteo Volpi s'era trovato presentequando il barbiere gli avevadetto: ho poi da darvi un non so che. Questo Volpiinterrogato su di ciònon solo risponde di non ne sapernullamaredarguitoaggiunge risolutamente: io giuraròche non ho mai visto che si siano parlati insieme.

Ilgiorno seguente30 di giugnofu sottomesso il Mora a un nuovoesame; e non s'indovinerebbe mai come lo principiassero.

Chedica per qual causa lui Constitutonell'altro suo esamementre fuconfrontato con Gulielmo Piazza Commissario della Sanitàhanegato a pena hauer cognitione di luidicendo che mai fu in casasuacosa però che in contrario gli fu sostenuta in faccia; etpurenel primo suo esame mostra d'hauere piena sua cognitionecosache ancor depongono altri nel processo formato; il che ancora siconosce per vero dalla prontezza sua in offerirliet apparecchiarliil vaso di preseruatiuodeposto nel suo precedente esame.

Risponde:è ben vero che detto Commissario passa da lì spessodalla mia bottega; ma non ha prattica di casa miané di me.

Replicano:che non solo è contrario al suo primo esamema ancora alladepositione d'altri testimonij...

Quiè superflua qualunque osservazione.

Nonosaron però di metterlo alla tortura sulla deposizion delPiazzama che fecero? ricorsero all'espediente degl'inverisimili; ecosa da non credersiuno fu il negar che faceva d'avere amicizia colPiazzae che questo praticasse in casa sua; mentre asserivad'avergli promesso il preservativo! L'altro che non rendesse un contosoddisfacente del perché aveva fatta in pezzi quellascrittura. Ché il Mora seguitava a dire d'averlo fatto senzabadarcie non credendo che una tal cosa potesse importare allagiustizia; o che temessepovero infelice! d'aggravarsi confessandoche l'aveva fatto per trafugar la prova d'una contravvenzioneo cheinfatti non sapesse ben render conto a sé stesso di ciòche aveva fatto in que' primi momenti di confusione e di spavento. Masia come si siaque' pezzi gli avevano: e se credevano che in quellascrittura ci potesse esser qualche indizio del delittopotevanrimetterla insiemee leggerla come prima: il Mora stesso gliel avevasuggerito. Anzichi mai crederà che non l'avessero giàfatto?

Intimarondunque al Moracon minaccia della torturache dicesse la veritàsu que' due punti. Rispose: già ho detto quello che passaintorno alla scrittura; et puole il Commissario dir quello che voleperché dice un'infamitàperché io non gli hodato niente.

Credeva(e non doveva crederlo?) che questa fosse in ultimo la veritàche volevan da lui; ma no signore; gli dicono che non se gliricerca questa particolaritàperché sopra di essa nons'interrogané si vole per adesso altra verità da luiche di sapere il fine perché ha scarpato (stracciato) la dettascritturaet perché ha negato et neghi che il dettoCommissario sia stato alla bottega suamostrando quasi di non hauercognitione di lui.

Nonsi troverebbem'immaginocosì facilmente un altro esempiod'un così sfrontatamente bugiardo rispetto alle formalitàlegali. Essendo troppo manifestamente mancante il diritto d'ordinarla tortura per l'oggetto principaleanzi unicodell'accusavolevano far constare ch'era per altro. Ma il mantello dell'iniquitàè corto; e non si può tirarlo per ricoprire una partesenza scoprirne un'altra. Compariva così di piùchenon avevanoper venire a quella violenzaaltro che due iniquissimipretesti: uno dichiarato tale in fatto da loro medesimicol nonvoler chiarirsi di ciò che contenesse la scrittura; l'altrodimostrato talee peggiodalle testimonianze con cui avevan tentatodi farlo diventare indizio legale.

Masi vuol di più? Quand'anche i testimoni avessero pienamenteconfermato il secondo detto del Piazza su quella circostanzaparticolare e accessoria; quand'anche non ci fosse stata di mezzol'impunità; la deposizion di costui non poteva piùsomministrare nessun indizio legale. «Il complice che varia esi contradice nelle sue deposizioniessendo perciò anchespergiuronon può farecontro i nominatiindizio allatortura... anzi nemmeno all'inquisizione... e questa si puòdire dottrina comunemente ricevuta dai dottori. »

IlMora fu messo alla tortura!

L'infelicenon aveva la robustezza del suo calunniatore. Per qualche tempo peròil dolore non gli tirò fuori altro che grida compassionevolie proteste d'aver detta la verità. Oh Dio mio; non hocognitione di coluiné ho mai hauuto pratica con luiet perquesto non posso dire... et per questo dice la bugia che siapraticato in casa miané che sia mai stato nella mia bottega.Son morto! misericordiamio Signore! misericordia! Ho stracciato lascritturacredendo fosse la ricetta del mio elettuario... perchévoleuo il guadagno io solamente.

Questanon è causa sufficientegli dissero. Supplicòd'esser lasciato giùche direbbe la verità! Fulasciato giùe disse: La verità è che ilCommissario non ha pratica alcuna meco. Fu ricominciato eaccresciuto il tormento: alle spietate istanze degli esaminatoril'infelice rispondeva: V.S. veda quello che vole che dicalodirò: la risposta di Filota a chi lo faceva tormentareper ordine d'Alessandro il grande«il quale stava ascoltandopur anch'esso dietro ad un arazzo »: dic quid me velisdicere è la risposta di chi sa quant'altri infelici.

Finalmentepotendo più lo spasimo che il ribrezzo di calunniar séstessoche il pensiero del suppliziodisse: ho dato un vasettopieno di bruttocioè stercoacciò imbrattasse lemuraglieal Commissario. V.S. mi lasci giùche diròla verità.

Cosìeran riusciti a far confermare al Mora le congetture del birrocomeal Piazza l'immaginazioni della donnicciola; ma in questo secondocaso con una tortura illegalecome nel primo con un'illegaleimpunità. L'armi eran prese dall'arsenale dellagiurisprudenza; ma i colpi eran dati ad arbitrioe a tradimento.

Vedendoche il dolore produceva l'effetto che avevan tanto sospiratononesaudiron la supplica dell'infelicedi farlo almeno cessar subito.Gl'intimarono che cominci a dire.

Disse:era sterco humanosmojazzo (ranno; ed ecco l'effetto diquella visita della caldaiacominciata con tanto apparatoetroncata con tanta perfidia); perché me lo domandòluicioè il Commissarioper imbrattare le caseet di quellamateria che esce dalla bocca dei mortiche son sui carri. Enemmen questo era un suo ritrovato. In un esame posterioreinterrogato dove ha imparato tal sua compositionerispose:diceuano così in barbarìache si adoperaua di quellamateria che esce dalla bocca de' morti... et io m'ingegnai adaggiongervi la lisciuia et il sterco. Avrebbe potuto rispondere:da' miei assassiniho imparato; da voi altri e dal pubblico.

Mac'è qui qualche altra cosa di molto strano. Come mai uscìfuori con una confessione che non gli avevan richiestache avevanoanzi esclusa da quell'esamedicendogli che non se gli ricercaquesta particolaritàperché sopra di essa nons'interroga? Poiché il dolore lo strascinava a mentirepar naturale che la bugia dovesse stare almeno ne' limiti delledomande. Poteva dire d'essere amico intrinseco del commissario;poteva inventar qualche motivo colpevoleaggravantedell'averestracciata la scrittura; ma perché andar più in làdi quello che lo spingevano? Forsementre era sopraffatto dallospasimogli andavan suggerendo altri mezzi per farlo finire? glifacevano altre interrogazioniche non furono scritte nel processo?Se fosse cosìpotremmo esserci ingannati noi a dir cheavevano ingannato il governatore col lasciargli credere che il Piazzafosse stato interrogato sul delitto. Ma se allora non abbiam messo incampo il sospetto che la bugia fosse nel processopiuttosto chenella letterafu perché i fatti non ce ne davano un motivobastante. Ora è la difficoltà d'ammettere un fattostranissimoche ci sforza quasi a fare una supposizione atroceinaggiunta di tante atrocità evidenti. Ci troviamdicotra ilcredere che il Mora s'accusassesenza esserne interrogatod'undelitto orribileche non aveva commessoche doveva procacciargliuna morte spaventosae il congetturar che coloromentrericonoscevan col fatto di non avere un titolo sufficiente ditormentarlo per fargli confessar quel delittoprofittassero dellatortura datagli con un altro pretestoper cavargli di bocca una talconfessione. Veda il lettore quel che gli pare di dovere scegliere.

L'interrogatorioche succedette alla tortura fudalla parte de' giudicicom'erastato quello del commissario dopo la promessa d'impunitàunmisto oper dir meglioun contrasto d'insensatezza e d'astuziaunmoltiplicar domande senza fondamentoe un ometter l'indagini piùevidentemente indicate dalla causapiù imperiosamenteprescritte dalla giurisprudenza.

Postoil principio che «nessuno commette un delitto senza cagione»;riconosciuto il fatto che «molti deboli d'animo avevanconfessato delitti che poidopo la condannae al momento delsupplizioavevan protestato di non aver commessie s'era trovatoinfattiquando non era più tempoche non gli avevancommessi»la giurisprudenza aveva stabilito che «laconfessione non avesse valorese non c'era espressa la cagione deldelittoe se questa cagione non era verisimile e graveinproporzion del delitto medesimo ». Oral'infelicissimo Moraridotto a improvvisar nuove favoleper confermar quella che dovevacondurlo a un atroce suppliziodissein quell'interrogatoriochela bava de' morti di peste l'aveva avuta dal commissarioche questogli aveva proposto il delittoe che il motivo del fare edell'accettare una proposta simile era cheammalandosicon quelmezzomolte personeavrebbero guadagnato molto tutt'e due: unonelsuo posto di commissario; l'altrocon lo spaccio del preservativo.Non domanderemo al lettore setra l'enormità e i pericolid'un tal delittoe l'importanza di tali guadagni (ai qualidelrestogli aiuti della natura non mancavan di certo)ci fosseproporzione. Ma se credesse che que' giudiciper esser del secentoce la trovasseroe che una tal cagione paresse loro verisimilelisentirà essi medesimi dir di noin un altro esame.

Mac'era di più: c'era contro la cagione addotta dal Mora unadifficoltà più positivapiù materialese nonpiù forte. Il lettore può rammentarsi che ilcommissarioaccusando sé stessoaveva addotta anche lui lacagione da cui era stato mosso al delitto; cioè che ilbarbiere gli aveva detto: ungete... et poi venete da mechehauerete una manoo come disse nel costituto seguenteunabuona mano de danari. Ecco dunque due cagioni d'un solo delitto:due cagioninon solo diversema opposte e incompatibili. l'uomostesso chesecondo una confessioneoffre largamente danari peravere un complice; secondo l'altraacconsente al delitto per lasperanza d'un miserabile guadagno. Dimentichiamo quel che s'èvisto fin qui: come sian venute fuori quelle due cagionicon chemezzi si siano avute quelle due confessioni; prendiam le cose alpunto dove sono arrivate. Cosa facevanotrovandosi a un tal puntode' giudici ai quali la passione non avesse pervertitaoffuscataistupidita la coscienza? Si spaventavano d'essere andati (foss'anchesenza colpa) tanto avanti; si consolavano di non essere almeno andatifino all'ultimoall'irreparabile affatto; si fermavano all'inciampofortunato che gli aveva trattenuti dal precipizio; s'attaccavano aquella difficoltàvolevano scioglier quel nodo; qui adopravantutta l'artetutta l'insistenzatutti i rigiri dell'interrogazioni;qui ricorrevano ai confronti; non facevano un passo prima d'avertrovato (ed era forse cosa difficile?) qual de' due mentisseo seforse mentissero tutt'e due. I nostri esaminatoriavuta quellarisposta del Mora: perché lui hauerebbe guadagnato assaipoiché si sarian ammalate delle persone assaiet io hauereiguadagnato assai con il mio elettuariopassarono ad altro.

Dopociòbasteràse non è anche troppoil toccardi fugae in parteil rimanente di quel costituto.

Interrogatose vi sono altri complici di questo negotiorisponde: visaranno li suoi compagni del Piazzai quali non so chi siano.Gli si protesta che non è verisimile che non lo sappi.Al suono di quella parolaterribile foriera della tortural'infelice afferma subitonella forma più positiva: sonoli Foresari et il Baruello: quelli che gli erano stati nominati ecosì indicatinel costituto antecedente.

Diceche il veleno lo teneva nel fornellocioè dove loro s'eranoimmaginati che potesse essere; dice come lo componevae conclude:buttavo via il resto nella Vedra. Non possiam tenerci qui dinon trascrivere una postilla del Verri. «E non avrebbe gettatonella Vetra il restodopo la prigionia del Piazza!»

Rispondea caso ad altre domande che gli fanno su circostanze di luogoditempo e di cose similicome se si trattasse d'un fatto chiaro eprovato in sostanzae non ci mancassero che delle particolarità;e finalmenteè messo di nuovo alla torturaaffinchéla sua deposizione potesse valer contro i nominatie segnatamentecontro il commissario. Al quale avevan data la tortura perconvalidare una deposizione opposta a questa in punti essenziali! Quinon potremmo allegar testi di legginé opinioni di dottori;perché in verità la giurisprudenza non aveva prevedutoun caso simile.

Laconfessione fatta nella tortura non valevase non era ratificatasenza torturae in un altro luogodi dove non si potesse vederel'orribile strumentoe non nello stesso giorno. Eran ritrovati dellascienzaper renderese fosse stato possibilespontanea unaconfessione forzatae soddisfare insieme al buon sensoil qualediceva troppo chiaro che la parola estorta dal dolore non puòmeritar fedee alla legge romana che consacrava la tortura. Anzi laragione di quelle precauzionila ricavavano gl'interpreti dallalegge medesimacioè da quelle strane parole: «Latortura è cosa fragile e pericolosa e soggetta a ingannare;giacché moltiper forza d'animo o di corpocuran cosìpoco i tormentiche non si puòcon un tal mezzoaver daloro la verità; altri sono così intolleranti deldoloreche dicon qualunque falsitàpiuttosto che sopportarei tormenti ». Dico: strane parolein una legge che mantenevala tortura; e per intendere come non ne cavasse altra conseguenzasenon che «ai tormenti non si deve creder sempre»bisognarammentarsi che quella legge era fatta in origine per gli schiaviiqualinell'abiezione e nella perversità del gentilesimopoterono esser considerati come cose e non personee sui quali sicredeva quindi lecito qualunque esperimentoa segno che sitormentavano per iscoprire i delitti degli altri. De' nuovi interessidi nuovi legislatori la fecero poi applicare anche alle personelibere; e la forza dell'autorità la fece durar tanti secolipiù del gentilesimo: esempio non raroma notabiledi quantouna leggeavviata che siapossa estendersi al di là del suoprincipioe sopravvivergli.

Peradempir dunque una tale formalitàchiamarono il Mora a unnuovo esameil giorno seguente. Ma siccome in tutto dovevan metterqualcosa d'insidiosod'avvantaggiosodi suggestivocosìinvece di domandargli se intendeva di ratificar la sua confessioneglidomandarono se ha cosa alcuna d'aggiongere all'esame etconfessione suache fece hieridoppo che fu ommesso di tormentare.Escludevano il dubbio: la giurisprudenza voleva che la confessionedella tortura fosse rimessa in questione; essi la davan per fermaechiedevan soltanto che fosse accresciuta.

Main quell'ore (direm noi di riposo?) il sentimento dell'innocenzal'orror del supplizioil pensiero della mogliede' figliavevanforse data al povero Mora la speranza d'esser più forte contronuovi tormenti; e rispose: Signor noche non ho cosad'aggiongeruiet ho più presto cosa da sminuire.Dovettero pure domandargli che cosa ha da sminuire. Risposepiù apertamentee come prendendo coraggio: quell'unguentoche ho dettonon ne ho fatto minga (mica)et quello che ho dettol'ho detto per i tormenti. Gli minacciaron subito la rinnovaziondella tortura; e ciò (lasciando da parte tutte l'altreviolente irregolarità) senza aver messe in chiaro lecontradizioni tra lui e il commissariocioè senza poter direessi medesimi se quella nuova tortura gliel'avrebbero data sulla suaconfessioneo sulla deposizion dell'altro; se come a compliceocome a reo principale; se per un delitto commesso ad istigazionealtruio del quale era stato l'istigatore; se per un delitto che luiaveva voluto pagar generosamenteo dal quale aveva sperato unmiserabile guadagno.

Aquella minacciarispose ancora: replico che quello che dissihieri non è vero nienteet lo dissi per li tormenti. Poiriprese: V.S. mi lasci un puoco dire un'Aue Mariaet poi faròquello che il Signore me inspirarà; e si mise in ginocchiodavanti a un'immagine del Crocifissocioè di Quello chedoveva un giorno giudicare i suoi giudici. Alzatosi dopo qualchemomentoe stimolato a confermar la sua confessionedisse: inconscienza mianon è vero niente. Condotto subito nellastanza della torturae legatocon quella crudele aggiunta delcanapol'infelicissimo disse: V.S. non mi stij a dar piùtormentiche la verità che ho depostola voglio mantenere.Slegato e ricondotto nella stanza dell'esamedisse di nuovo: nonè vero niente. Di nuovo alla torturadove di nuovo dissequello che volevano; e avendogli il dolore consumato fino all'ultimoquel poco resto di coraggiomantenne il suo dettosi dichiaròpronto a ratificar la sua confessione; non voleva nemmeno che glielaleggessero. A questo non acconsentirono: scrupolosi nell'osservareuna formalità ormai inconcludentementre violavan leprescrizioni più importanti e più positive. Lettoglil'esamedisse: è la verità tutto.

Dopodi ciòperseveranti nel metodo di non proseguir le ricerchedi non affrontar le difficoltàse non dopo i tormenti (ciòche la legge medesima aveva creduto di dover vietare espressamenteciò che Diocleziano e Massimiano avevan voluto impedire! )pensaron finalmente a domandargli se non aveva avuto altro fine chedi guadagnar con la vendita del suo elettuario. Rispose: chesappia miquanto a menon ho altro fine.

Chesappia mi! Chise non luipoteva sapere cosa fosse passato nelsuo interno? Eppure quelle così strane parole erano adattatealla circostanza: lo sventurato non avrebbe potuto trovarne altre chesignificassero meglio a che segno avevain quel momentoabdicatoper dir cosìsé medesimoe acconsentiva a affermarea negarea sapere quello soltantoe tutto quello che fosse piaciutoa coloro che disponevan della tortura.

Vannoavantie gli dicono: che ha molto dell'inuerisimile chesolamente per hauer occasione il Commissario di lavorare assaietlui Constituto di vendere il suo elettuario habbino procuratoconl'imbrattamento delle portela destruttione et morte della gente;perciò dica a che fineet per che rispetto si sono mossi loroduoi a così fareper un interesse così legiero.

Oravien fuori quest'inverisimiglianza? Gli avevan dunque minacciata edata a più riprese la tortura per fargli ratificare unaconfessione inverisimile! L'osservazione era giustama veniva tardidiremo anche qui; giacché il rinnovarsi delle circostanzemedesimeci sforza quasi a usar le medesime parole. Come non s'eranoaccorti che ci fosse inverisimiglianza nella deposizione del Piazzase non quando ebberosu quella deposizionecarcerato il Mora; cosìora non s'accorgono che ci sia inverisimiglianza nella confession diquestose non dopo avergli estorta una ratificazione chein manolorodiventa un mezzo sufficiente per condannarlo. Vogliam supporreche realmente non se n'accorgessero che in questo momento? Comespiegheremo alloracome qualificheremo il ritener valida una talconfessionedopo una tale osservazione? Forse il Mora diede unarisposta più soddisfacente che non fosse stata quella delPiazza? La risposta del Mora fu questa: se il Commissario non losa luiio non lo so; et bisogna che lui lo sappiaet da lui V.S. losapràper essere stato lui l'inuentore. E si vede chequesto rovesciarsi l'uno sull'altro la colpa principalenon eratanto per diminuire ognuno la suaquanto per sottrarsi all'impegnodi spiegar cose che non erano spiegabili.

Edopo una risposta simileg'intimarono che per hauer luiConstituto fatto la suddetta compositione et unguentodi concertodel detto Commissarioet a lui doppo dato per ontare le muragliedelle casenel modo et forma da lui Constituto et dal dettoCommissariodepostoa fine di far morire la gentesi come il dettoCommissario ha confessato d'hauere per tal fine eseguitoessoConstituto si fa reo d'hauer procurato in tal modo la morte dellagenteet che per hauer così fattosij incorso nelle peneimposte dalle leggi a chi procura et tenta di così fare.

Ricapitoliamo.I giudici dicono al Mora: come è possibile che vi siatedeterminati a commettere un tal delittoper un tal interesse? IlMora risponde: il commissario lo deve sapereper sée perme: domandatene a lui. Li rimette a un altroper la spiegazione d'unfatto dell'animo suoperché possan chiarirsi come un motivosia stato sufficiente a produrre in lui una deliberazione. E a qualaltro? A uno che non ammetteva un tal motivopoichéattribuiva il delitto a tutt'altra cagione. E i giudici trovano chela difficoltà è scioltache il delitto confessato dalMora è diventato verisimile; tanto che ne lo costituisconoreo.

Nonpoteva esser l'ignoranza quella che faceva loro vedereinverisimiglianza in un tal motivo; non era la giurisprudenza quellache li portava a fare un tal conto delle condizioni trovate e impostedalla giurisprudenza.




CapitoloV


L'impunitàe la tortura avevan prodotto due storie; e benché questobastasse a tali giudici per proferir due condannevedremo ora comelavorassero e riuscisseroper quanto era possibilea rifonder ledue storie in una sola. Vedremo poiin ultimocome mostrasserocolfattod'esser persuasi essi medesimianche di questa.

Ilsenato confermò e estese la decisione de' suoi delegati.«Sentito ciò che risultava dalla confessione diGiangiacomo Morariscontrate le cose antecedenticonsiderato ognicosa» meno l'esserciper un solo delittodue autoriprincipali diversidue diverse cagionidue diversi ordini di fatti«ordinò che il Mora suddetto... fosse di nuovointerrogato diligentissimamenteperò senza torturaperfargli spiegar meglio le cose confessatee ricavar da lui gli altriautorimandanticomplici del delitto; e che dopo l'esame fossecostituito reocon la narrativa del fattod'aver compostol'unguento mortiferoe datolo a Guglielmo Piazza; e gli fosseassegnato il termine di tre giorni per far le sue difese. E in quantoal Piazzafosse interrogato se aveva altro da aggiungere alla suaconfessionela quale si trovava mancante; enon n'avendofossecostituito reo d'avere sparso l'unguento suddettoe assegnatogli ilmedesimo termine per le difese.» Cioè: vedete di cavardall'uno e dall'altro quello che si potrà: a ogni modosiancostituiti reiognuno sulla sua confessionebenché siano dueconfessioni contrarie.

Cominciarondal Piazzae in quel giorno medesimo. Da aggiungerelui non avevanullae non sapeva che n'avevan loro; e forseaccusando uninnocentenon aveva preveduto che si creava un accusatore. Glidomandano perché non ha deposto d'aver dato al barbiere dellabava d'appestatiper comporre l'unguento. Non gli ho dato nienterisponde; come se quelli che gli avevan creduta la bugiadovesserocredergli anche la verità. Dopo un andirivieni d'altreinterrogazionigli protestano cheper non hauer detta la veritàinteracome hauea promessonon può né deue goderedella impunità che se gli era promessa. Allora dicesubito: Signoreè vero che il suddetto Barbiero mi ricercòa portargli quella materiaet io glie la portaiper fare il dettoonto. Speravacon l'ammetter tuttodi ripescar la sua impunità.Poio per farsi sempre più meritoo per guadagnar temposoggiunse che i danari promessigli dal barbiere dovevan venire da unapersona grande e che l'aveva saputo dal barbiere medesimomasenza potergli mai cavar di bocca chi fosse. Non aveva avuto tempod'inventarla.

Nedomandarono al Morail giorno dopo; e probabilmente il poverinol'avrebbe inventata luicome avrebbe potutose fosse stato messoalla tortura. Macome abbiam vistoil senato l'aveva esclusa perquella voltaaffinesi vededi render meno sfrontatamente estortala nuova ratificazione che volevano della sua confessioneantecedente. Perciòinterrogato se lui Constituto fu ilprimo a ricercare il detto Commissario... et gli promise quantitàde danari; rispose: Signor no; e doue vole V.S. che pigli mi(io) questa quantità de danari? Potevano infattirammentarsi chenella minutissima visita fattagli in casa quandol'arrestaronoil tesoro che gli avevan trovatoera un baslotto (unaciotola)con dentro cinque parpagliole (dodici soldi emezzo). Domandato della persona granderispose: V.S. nonvole già se non la veritàe la verità io l'hodetta quando sono stato tormentatoet ho detto anche d'avantaggio.

Ne'due estratti non è fatto menzione che abbia ratificata laconfessione antecedente; secome è da credereglielo fecerofarequelle parole erano una protestadella quale lui forse nonconosceva la forza; ma essi la dovevan conoscere. E del rimanentedaBartoloanzi dalla Glossafino al Farinacciera stataed erasempre dottrina comunee come assioma della giurisprudenzache «laconfessione fatta ne' tormenti che fossero dati senza indizilegittimirimaneva nulla e invalidaquand'anche fosse poiratificata mille volte senza tormenti: etiam quod millies spontesit ratificata ».

Dopodi ciòfu a lui e al Piazza pubblicatocome allora sidicevail processo (cioè comunicati gli atti)e dato iltermine di due giorni a far le loro difese: e non si vede perchéuno di meno di quello che aveva decretato il senato. Fu all'uno eall'altro assegnato un difensore d'ufizio: quello assegnato al Morase ne scusò. Il Verri attribuisceper congetturaquelrifiuto a una cagione che pur troppo non è strana in quelcomplesso di cose. «Il furore»dice«era giuntoal segnoche si credeva un'azione cattiva e disonorante il difenderquesta disgraziata vittima. » Ma nell'estratto stampatoche ilVerri non doveva aver vistoè registrata la cagion veraforse non meno stranaeda una parteanche più trista. Lostesso giornodue di luglioil notaio Maurichiamato a difendereil detto Moradisse: io non posso accettare questo caricoperchéprima sono Notaro criminalea chi non convieneaccettar patrocinijet poi anche perché non sono néProcuratorené Avocato; anderò bene a parlarliperdarli gusto (per fargli piacere)ma non accettarò ilpatrocinio. A un uomo condotto ormai appiè del supplizio(e di qual supplizio! e in qual maniera!)a un uomo privod'aderenzecome di lumie che non poteva aver soccorso se non daloroo per mezzo lorodavano per difensore uno che mancava dellequalità necessarie a un tal incaricoe n'aveva delleincompatibili! Con tanta leggerezza procedevano! mettiam pure che nonc'entrasse malizia. E toccava a un subalterno a richiamarliall'osservanza delle regole più notee più sacrosante!

Tornatodisse: sono stato dal Morail quale mi ha detto liberamente chenon ha fallatoet che quello che ha dettol'ha detto per itormenti; et perché gli ho detto liberamente che non voleuo népoteuo sostener questo carico di diffenderlomi ha detto che almenoil Sig. Presidente sij servito (si degni) di prouederli d'undiffensoreet che non voglia permettere che habbi da morireindiffeso. Di tali favorie con tali parolel'innocenzasupplicava l'ingiustizia! Gliene nominarono infatti un altro.

Quelloassegnato al Piazza«comparve e chiese a voce che gli fossefatto vedere il processo del suo cliente; e avutololo lesse».Era questo il comodo che davano alle difese? Non semprepoichél'avvocato del Padillache divennecome or ora vedremoil concretodella persona grande buttata là in astratto e in ariaebbe a sua disposizione il processo medesimotanto da farne copiarquella buona parte che è venuta per quel mezzo a nostranotizia.

Sullospirar del terminei due sventurati chiesero una proroga: «ilsenato concesse loro tutto il giorno seguentee non più: etnon ultra». Le difese del Padilla furon presentate in trevolte: una parte il 24 di luglio 1631; la quale «fu ammessasenza pregiudizio della facoltà di presentar più tardiil rimanente»; l'altra il 13 d'aprile 1632; e l'ultima il 10 dimaggio dell'anno medesimo: era allora arrestato da circa due anni.Lentezza dolorosa davveroper un innocente; maparagonata allaprecipitazione usata col Piazza e col Moraper i quali non fu lungoche il suppliziouna tal lentezza è una parzialitàmostruosa.

Quellanuova invenzione del Piazza sospese però il supplizio peralcuni giornipieni di bugiarde speranzema insieme di nuovecrudeli torturee di nuove funeste calunnie. L'auditore della Sanitàfu incaricato di riceverein gran segretoe senza presenza dinotaiouna nuova deposizione di costui; e questa volta fu lui chepromosse l'abboccamentoper mezzo del suo difensorefacendointendere che aveva qualcosa di più da rivelare intorno allapersona grande. Pensò probabilmente chese gliriusciva di tirare in quella retecosì chiusa alla fugacosìlarga all'entrataun pesce grosso; questo per uscirneci farebbe untal rottoche ne potrebbero scappar fuori anche i piccoli. Esiccometra le molte e varie congetture ch'eran girate per le bocchedella genteintorno agli autori di quel funesto imbrattamento del 18di maggio (ché la violenza del giudizio fu dovuta in granparte all'irritazioneallo spaventoalla persuasione prodotta daquello: e quanto i veri autori di esso furon più colpevoli diquello che conoscessero loro medesimi!)s'era anche detto chefossero ufiziali spagnolicosì lo sciagurato inventore trovòanche qui qualcosa da attaccarsi. L'esser poi il Padilla figliuolodel comandante del castelloe l'aver quindi un protettor naturalecheper aiutarloavrebbe potuto disturbare il processofuprobabilmente ciò che mosse il Piazza a nominar lui piuttostoche un altro: se pure non era il solo ufiziale spagnolo checonoscesseanche di nome. Dopo l'abboccamentofu chiamato aconfermar giudizialmente la sua nuova deposizione. Nell'altra avevadetto che il barbiere non gli aveva voluto nominar la personagrande. Ora veniva a sostenere il contrario; e per diminuireinqualche manierala contradizionedisse che non gliel'aveva nominatasubito. Finalmente mi disse doppo il spatio di quattro o cinquegiorniche questo capo grosso era un tale di Padigliail cui nomenon mi raccordobenché me lo disse; so beneet mi raccordoprecisamente che disse esser figliolo del Sig. Castellano nelCastello di Milano. Danariperònon solo non dissed'averne ricevuti dal barbierema protestò di non sapernemmeno se questo n'avesse avuti dal Padilla.

Fufatta sottoscrivere al Piazza questa deposizionee spedito subitol'auditore della Sanità a comunicarla al governatorecomeriferisce il processo; e sicuramente a domandargli se consentirebbeoccorrendoa consegnare all'autorità civile il Padillach'era capitano di cavalleriae si trovava allora all'esercitonelMonferrato. Tornato l'auditoree fatta subito confermar di nuovo ladeposizione al Piazzas'andò di nuovo addosso all'infeliceMora. Il qualeall'istanze per fargli dire che lui aveva promessodanari al commissarioe confidatogli che aveva una personagrandee dettogli finalmente chi fosserispose: non sitrouarà mai in eterno: se io lo sapessilo direiinconscienza mia. Si viene a un nuovo confrontoe si domanda alPiazzase è vero che il Mora gli ha promesso danaridichiarando che tutto ciò faceua d'ordine et commissionedel Padigliafigliolo del signor Castellano di Milano. Ildifensor del Padilla osservacon gran ragioneche«sottopretesto di confronto»fecero così conoscere al Mora«quello che si desiderava dicesse». Infattisenzaquestoo altro simil mezzonon sarebbero certamente riusciti afargli buttar fuori quel personaggio. La tortura poteva bensìrenderlo bugiardoma non indovino.

IlPiazza sostenne quel che aveva deposto. E voi volete dir questo?esclamò il Mora. Sìche lo voglio direche èla veritàreplicò lo sventurato impudente: etsono a questo mal termine per voiet sapete bene che mi dicestequesto sopra l'uschio della vostra bottega. Il Morache avevaforse sperato di potercon l'aiuto del difensoremettere in chiarola sua innocenzae ora prevedeva che nuove torture gli avrebberoestorta una nuova confessionenon ebbe nemmeno la forza d'opporreun'altra volta la verità alla bugia. Disse soltanto:patientia! per amor di voimorirò.

Infattirimandato subito il Piazzaintimano a luiche dica hormai laverità; e appena ha risposto: Signorela veritàl'ho detta; gli minacciano la tortura: il che si faràsempre senza pregiuditio di quello che è convittoetconfessoet non altrimenti. Era una formola solita; ma l'averlaadoprata in questo caso fa vedere fino a che segno la smania dicondannare gli avesse privati della facoltà di riflettere.Come mai la confessione d'avere indotto il Piazza al delitto con lapromessa de' danari che si avrebbero dal Padillapoteva non farpregiudizio alla confessione d'essersi lasciato indurre al delittodal Piazzaper la speranza di guadagnar col preservativo?

Messoalla torturaconfermò subito tutto quello che aveva detto ilcommissario; ma non bastando questo ai giudicidisse che infatti ilPadilla gli aveva proposto di fare un ontione da ongere le Porteet Cadenazzipromessigli danari quanti ne volessedatiglienequanti n'aveva voluti.

Noialtriche non abbiamoné timor d'unzioniné furorecontro untoriné altri furiosi da soddisfarevediamochiaramentee senza faticacome sia venutae da che sia statamossa una tal confessione. Mase ce ne fosse bisognon'abbiamoanche la dichiarazione di chi l'aveva fatta. Tra le moltetestimonianze che il difensor del Padilla poté raccoglierec'è quella d'un capitano Sebastiano Goriniche si trovavainquel tempo (non si sa per qual cagione) nelle stesse carcerie cheparlava spesso con un servitore dell'auditor della Sanitàstato messo per guardia a quell'infelice. Depone così: «midisse detto servitoresendo se non (appena) all'hora statodetto Barbiere rimenato dall'esame: V.S. non sa che il Barbiere m'hadetto adesso adessoche nell'esame che ha fattoha dato fuori(buttato fuori) il Sig. Don Gioanni figliolo del Sig.Castellano? Et iociò sentendorestai stupitoet li dissi:è vero questo? Et esso servitore mi replicò che eravero; ma che era anche vero che lui protestava di non raccordarsi dinon hauer forsi mai parlato con alcuno spagnuoloet che se lihauessero mostrato detto Sig. Don Gioanninon l'haurebbe néanche conosciuto. Et soggiongendoesso servitoredisse: io li dissiperché dunque lo haueua dato fuori? et lui disse che l'haueuadato fuori per hauerlo sentito nominare làet che perciòrispondeua a tutto quello che sentivao che li veniua così inbocca.» Questo valse (e ne sia ringraziato il cielo) a favordel Padilla; ma vogliam noi credere che i giudicii quali avevanmessoo lasciato mettere per guardia al Mora un servitore diquell'auditor così attivocosì investigatorenonrisapesserose non tanto tempo dopoe accidentalmente da untestimonioquelle parole così verisimilidette senzasperanzaun momento dopo quelle così strane che gli avevaestorte il dolore?

Eperchétra tante cose dell'altro mondoparve strana anche aigiudici quella relazione tra il barbier milanese e il cavalierespagnolo; e domandarono chi c'era stato di mezzoalla prima dissech'era stato uno de' suoi fatto e vestito così e così.Ma incalzato a nominarlodisse: Don Pietro di Saragoza.Questo almeno era un personaggio immaginario.

Nefuron poi fatte (dopo il supplizio del Moras'intende) le piùminute e ostinate ricerche. S'interrogarono soldati e ufizialicompreso il comandante stesso del castellodon Francesco de Vargassucceduto allora al padre del Padilla: nessuno l'aveva mai sentitonominare. Se non che si trovò finalmentenelle carceri delpodestàun Pietro Verdenonativo di Saragozzaaccusato difurto. Costuiesaminatodisse che in quel tempo era a Napoli; messoalla torturasostenne il suo detto; e non si parlò piùdi Don Pietro di Saragozza.

Sempreincalzato da nuove domandeil Mora aggiunse che lui aveva poi fattola proposta al commissarioil quale aveva anche lui avuto danari perquestoda non so chi. E certo non lo sapeva; ma vollerosaperlo i giudici. Lo sventuratorimesso alla torturanominòpur troppo una persona realeun Giulio Sanguinettibanchiere: «ilprimo venuto in mente all'uomo che inventava per lo spasimo ».

IlPiazzache aveva sempre detto di non aver ricevuto danariinterrogato di nuovodisse subito di sì. (Il lettore sirammenteràforse meglio de' giudicichequando visitaron lacasa di costuidanari gliene trovaron meno che al Moracioèpunto.) Disse dunque d'averne avuti da un banchiere; e non avendoglii giudici nominato il Sanguinettine nominò lui un altro:Girolamo Turcone. E questo e quello e vari loro agenti furonoarrestatiesaminatimessi alla tortura; mastando fermi a negarefuron finalmente rilasciati.

Il21 di lugliofurono al Piazza e al Mora comunicati gli attiposteriori alla ripresa del processoe dato un nuovo termine di duegiorni a far le loro difese. L'uno e l'altro scelsero questa volta undifensorecol consiglio probabilmente di quelli ch'erano stati loroassegnati d'ufizio. Il 23 dello stesso mesefu arrestato il Padilla;cioècome è attestato nelle sue difesegli fu dettodal commissario generale della cavalleriacheper ordine delloSpinoladovesse andare a costituirsi prigioniero nel castello diPomate; come fece. Il padree si rileva dalle difese medesimefeceistanzaper mezzo del suo luogotenentee del suo segretarioperchési sospendesse l'esecuzione della sentenza contro il Piazza e ilMorafin che fossero stati confrontati con don Giovanni. Gli fufatto rispondere «che non si poteva sospendereperchéil popolo esclamava...» (eccolo nominato una volta quel civiumardor prava jubentium; la sola volta che si poteva senzaconfessare una vergognosa e atroce deferenzagiacché sitrattava dell'esecuzion d'un giudizionon del giudizio medesimo. Macominciava allora soltanto a esclamare il popolo? o allora soltantocominciavano i giudici a far conto delle sue grida?) «...ma chein ogni caso il signor Don Francesco non si pigliasse fastidioperché gente infamecom'erano questi duoinon potevano colsuo detto pregiudicare alla reputatione del signor Don Giovanni».E il detto d'ognuno di que' due infami valse contro l'altro! E igiudici l'avevan tante volte chiamato verità! E nella sentenzamedesima decretarono chedopo l'intimazion di essafossero l'uno el'altro tormentati di nuovo su ciò che riguardava i complici!E le loro deposizioni promossero torturee quindi confessioniequindi supplizi; e se non bastaanche supplizi senza confessioni!

«Etcosì»conclude la deposizione del segretario suddetto«tornassimo dal signor Castellanoet li facessimo la relationedi quant'era passato; et lui non disse altroma restòmortificato; la qual mortificatione fu taleche fra pochi giorni sene morse.»

Quell'infernalesentenza portava chemessi sur un carrofossero condotti al luogodel supplizio; tanagliati con ferro roventeper la strada; tagliataloro la mano destradavanti alla bottega del Mora; spezzate l'ossacon la rotae in quella intrecciati vivie alzati da terra; doposei orescannati; bruciati i cadaverie le ceneri buttate nelfiume; demolita la casa del Mora; sullo spazio di quellaeretta unacolonna che si chiamasse infame; proibito in perpetuo di rifabbricarein quel luogo. E se qualcosa potesse accrescer l'orrorelo sdegnola compassionesarebbe il veder que' disgraziatidopo l'intimazioned'una tal sentenzaconfermareanzi allargare le loro confessionieper la forza delle cagioni medesime che gliele avevano estorte. Lasperanza non ancora estinta di sfuggir la mortee una tal mortelaviolenza di tormentiche quella mostruosa sentenza farebbe quasichiamar leggierima presenti e evitabilili feceroe ripeter lemenzogne di primae nominar nuove persone. Cosìcon la loroimpunitàe con la loro torturariuscivan que' giudicinonsolo a fare atrocemente morir degl'innocentimaper quantodipendeva da loroa farli morir colpevoli.

Nelledifese del Padillasi trovanoed è un sollievole protesteche fecero della loro e dell'altrui innocenzaappena furono affattocerti di dover moriree di non dover più rispondere. Quelcapitano citato poco fadepose chetrovandosi vicino alla cappelladov'era stato messo il Piazzalo sentì che «strepitavaet diceva che moriva al tortoet che era stato assassinato sottopromessa»e rifiutava il ministero di due cappuccini venutiper disporlo a morir cristianamente. «Et in quanto a me»soggiunge«m'accorgei che lui haueua speranza che si douesseretrattare la sua causa... et andai dal detto Commissariopensandodi far atto di carità col persuaderlo a disporsi a ben morirein gratia di Dio; come in effetto posso dire che mi riuscì;poiché li Padri non toccorono il punto che toccai ioqual fuche l'accertai di non hauer mai vistoné sentito dire che ilSenato retrattasse cause similidopo seguita la condanna...Finalmente tanto dissiche s'acquietò... et doppo che fuacquietatodiede alcuni sospiriet poi disse come haueua dato fuoriindebitamente molti innocenti.» Tanto luiquanto il Morafecero poi stendere dai religiosi che gli assistevano unaritrattazion formale di tutte l'accuse che la speranza o il doloregli avevano estorte. L'uno e l'altro sopportarono quel lungosupplizioquella serie e varietà di supplizicon una forzachein uomini vinti tante volte dal timor della morte e dal dolore;in uomini i quali morivan vittimenon di qualche gran causama d'unmiserabile accidented'un errore scioccodi facili e basse frodi;in uomini chediventando infamirimanevano oscurie all'esecrazionpubblica non avevan da opporre altro che il sentimento d'un'innocenzavolgarenon credutarinnegata tante volte da loro medesimi; inuomini (fa male il pensarcima si può egli non pensarci?) cheavevano una famigliamogliefigliuolinon si saprebbe intenderese non si sapesse che fu rassegnazione: quel dono chenell'ingiustizia degli uominifa veder la giustizia di Dioe nellepenequalunque sianola caparranon solo del perdonoma delpremio. L'uno e l'altro non cessaron di direfino all'ultimofinsulla rotache accettavan la morte in pena de' peccati che avevancommessi davvero. Accettar quello che non si potrebbe rifiutare!parole che possono parer prive di senso a chi nelle cose guardisoltanto l'effetto materiale; ma parole d'un senso chiaro e profondoper chi considerao senza considerare intendeche ciò che inuna deliberazione può esser più difficileed èpiù importantela persuasion della mentee il piegarsi dellavolontàè ugualmente difficileugualmente importantesia che l'effetto dipenda da essoo no; nel consensocome nellascelta.

Quelleproteste potevano atterrire la coscienza de' giudici; potevanoirritarla. Essi riusciron pur troppo a farle smentire in partenelmodo che sarebbe stato il più decisivose non fosse stato ilpiù illusorio; cioè col far che accusassero sémedesimimolti che da quelle proteste erano stati cosìautorevolmente scolpati. Di quest'altri processi toccheremo soltantocome abbiam dettoqualcosae soltanto d'alcuniper venire a quellodel Padilla; cioè a quello checome per l'importanza delreato è il principalecosìper la forma e perl'esitoè la pietra del paragone per tutti gli altri.




CapitoloVI


Idue arrotinisciaguratamente nominati dal Piazzae poi dal Moraerano stati imprigionati fino dal 27 di giugno; ma non furon maiconfrontatiné con l'uno né con l'altroe neppureesaminatiprima dell'esecuzione della sentenzache fu il primod'agosto. L'undici fu esaminato il padre; il giorno dopomesso allatorturacol solito pretesto di contradizioni e d'inverisimiglianzeconfessòcioè inventò una storiaalterandocome il Piazzaun fatto vero. Fecero l'uno e l'altro come que'ragniche attaccano i capi del loro filo a qualcosa di solidoe poilavoran per aria. Gli avevan trovata un'ampolla d'un sonniferodatoglianzi composto in casa suadal Baruello suo amico; dissech'era un onto per fare che moressero la gente; un estratto dirospi e di serpicon certe polvere che io non so che polveresiano. Oltre il Baruellonominò come complice qualchealtra persona di comune conoscenzae per capo il Padilla. Avrebberoi giudici voluto attaccar questa storia a quella de' due che avevanoassassinatie far per ciò dire a costuiche aveva ricevutoda loro onto et danari. Se avesse negato semplicementeavevanla tortura; ma la prevenne con questa singolare risposta: Signornoche non è vero; ma se mi date li tormenti perché ioneghi questa particolaritàsarò forzato a dire che èverobenché non sij. Non potevan piùsenza farsitroppo apertamente beffe della giustizia e dell'umanitàadoprar come esperimento un mezzo del quale eran cosìsolennemente avvertiti che l'effetto sarebbe certo.

Fucondannato a quel medesimo supplizio; dopo l'intimazion dellasentenzatorturatoaccusò un nuovo banchieree altri; incappellae sul patiboloritrattò ogni cosa.

Sedi questo disgraziatoil Piazza e il Mora avessero detto solamentech'era un poco di buonosi vede da vari fatti che saltan fuori nelprocessoche non l'avrebbero calunniato. Calunniaron peròanche in questoil suo figliuolo Gaspare; del quale è bensìriferito un falloma è riferito da luie in tali momentiecon tal sentimentoche ne risulta come una prova dell'innocenza edella rettitudine di tutta la sua vita. Ne' tormentiin faccia allamortele sue parole furon tutte meglio che da uom forte; furon damartire. Non avendo potuto renderlo calunniator di sé stessoné d'altrilo condannarono (non si vede con quali pretesti)come convinto; e dopo l'intimazion della sentenzal'interrogaronocome al solitose aveva altri delittie chi erano i suoi compagniin quello per cui era stato condannato. Alla prima domanda rispose:io non ho fatto né questoné altri delitti; et moroperché una volta diedi d'un pugno sopra d'un occhio ad unomosso dalla collera. Alla seconda: io non ho alcuni compagniperché attendeuo a far li fatti miei; et se non l'ho fattonon ho né anche hauuto compagni. Minacciatagli la torturadisse: V.S. facci quello che voleche non dirò mai quelloche non ho fattoné mai condannarò l'anima mia; et èmolto meglio che patisca tre o quattro hore de tormentiche andarnell'inferno a patire eternamente. Messo alla torturaesclamònel primo momento: ahSignore! non ho fatto niente: sonoassassinato. Poi soggiunse: questi tormenti forniranno presto; et almondo di là bisogna starui sempre. Furono accresciute letorturedi grado in gradofino all'ultimoe con le torturel'istanze di dir la verità. Sempre rispose: l'ho giàdetta; voglio saluar l'anima. Dico che non voglio grauar laconscienza mia: non ho fatto niente.

Nonsi può qui far a meno di non pensare che se gli stessisentimenti avessero data al Piazza la stessa costanzail povero Morasarebbe rimasto tranquillo nella sua bottegatra la sua famiglia; eal pari di luiquesto giovine ancor più degno d'ammirazioneche di compassionee tant'altri innocenti non avrebbero nemmenpotuto immaginarsi che spaventosa sorte sfuggivano. Lui medesimochisa? Certo per condannarlonon confessoe su que' soli indiziequandonon essendoci altre confessioniil delitto stesso non erache una congetturabisognava violare più svelatamentepiùarditamenteogni principio di giustiziaogni prescrizion di legge.A ogni modonon potevano condannarlo a un più mostruososupplizio; non potevano almeno farglielo soffrire in compagnia d'unoguardando il quale dovesse dire ogni momento a sé stesso: l'hocondotto qui io. Di tanti orrori fu cagione la debolezza... che dico?l'accanimentola perfidia di coloro cheriguardando come unacalamitàcome una sconfittail non trovar colpevolitentarono quella debolezza con una promessa illegale e frodolenta.Abbiamo citato sopra l'atto solenne con cui una promessa simile fufatta al Baruelloe abbiamo anche accennato di voler far vedere ilconto diverso che i giudici ne facevano. Per ciòprincipalmente racconterem qui in succinto la storia anche di questomeschino. Accusato in ariacome s'è vistoprima dal Piazzad'essere un compagno del Morapoi dal Mora d'essere un compagno delPiazza; poi dall'uno e dall'altro d'aver ricevuto danari per ispargerl'unguento composto dal Mora con certe porcherie e peggio (e primaavevan protestato di non saper questo); poi dal Migliavaccad'avernecomposto uno luicon altre peggio che porcherie; costituito reo ditutte queste cosecome se ne facessero unanegò e sostennebravamente i tormenti. Mentre pendeva la sua causaun prete (che fuun altro de' testimoni fatti citar dal Padilla)pregato da unparente di questo Baruellolo raccomandò a un fiscale delsenato; il quale venne poi a dirgli che il suo raccomandato erasentenziato a mortecon tutta quell'aggiunta di carnificine; mainsiemeche «il senato s'accontentava di proccurarli da S.E.l'impunità». E incaricò il prete che andasse atrovarloe vedesse di persuaderlo a dir la verità: «poichéil Senato vol sapere il fondamento di questo negocioe pensa disaperlo da lui». Dopo averlo condannato! e dopo quelleesecuzioni!

IlBaruellosentita la crudele notiziae la proposizionedisse:«faranno poi di me come hanno fatto del Commissario?»Avendogli il prete detto che la promessa gli pareva sinceracominciòuna storia: che un tale (il quale era morto) l'aveva condotto dalbarbiere; e questoalzato un telo del parato della stanzachenascondeva un usciol'aveva introdotto in una gran saladov'eranmolte persone a sederetra le quali il Padilla. Al preteche nonaveva l'impegno di trovar de' reiparvero cose strane; sicchél'interruppeavvertendolo che badasse di non perdere il corpo el'anima insieme; e se n'andò. Il Baruello accettòl'impunitàcorresse la storia; e comparso l'undici disettembre davanti ai giudiciraccontò loro che un maestro discherma (vivo pur troppo) gli aveva detto esserci una buona occasionedi diventar ricchifacendo un servizio al Padilla; e l'aveva poicondotto sulla piazza del castellodov'era arrivato il Padillamedesimo con altrie l'aveva subito invitato ad essere uno di quelliche ungevano sotto i suoi ordiniper vendicar gl'insulti fatti a donGonzalo de Cordovanella sua partenza da Milano; e gli aveva datodanarie un vasetto di quell'unto micidiale. Dire che in questastoriadella quale qui accenniam soltanto il principioci fosserodelle cose inverisimilinon sarebbe parlar propriamente; era tuttoun monte di stravaganzecome il lettore ha potuto vedere da questosolo saggio. Dell'inverisimiglianze però ce ne trovarono anchei giudici eper di piùdelle contradizioni: per ciòdopo varie interrogazioniseguite da risposte che imbrogliavan lacosa sempre piùgli disseroche si esplichi meglioperché si possa cavar cosa accertata da quello che dice.Allorao fosse un suo ritrovato per uscir d'impiccio in qualunquemanierao fosse un vero accesso di frenesiache ce n'era abbastanzacagionisi mise a tremarea storcersia gridare: aiuto! avoltolarsi per terraa volersi nascondere sotto una tavola. Fuesorcizzatoacquietatostimolato a dire; e cominciò un'altrastorianella quale fece entrare incantatori e circoli e parolemagiche e il diavoloch'egli aveva riconosciuto per padrone. Per noibasta l'osservare ch'eran cose nuove; e chetra l'altreritrattòquello che aveva detto del vendicar l'ingiuria fatta a don Gonzaloeasserì in vece che il fine del Padilla era di farsi padrone diMilano; e a lui prometteva di farlo uno de' primi. Dopo varieinterrogazionifu chiuso l'esamese pure merita un tal nome; e dopoquellon'ebbe tre altri; ne' qualiessendogli detto che il tal suoasserto non era verisimileche il tal altro non era credibileorispose che infattila prima voltanon aveva detta la veritào diede una spiegazione qualunque; e venendogli almen cinque voltebuttata in faccia la deposizione del Migliavaccain cui era accusatod'aver dato unguento da spargere ad altrettante persone delle qualinella suanon aveva parlatorispose sempre che non era vero; esempre i giudici passarono ad altro. Il lettore che si rammenta comealla prima inverisimiglianza che credettero bene di trovar nelladeposizione del Piazzalo minacciarono di levargli l'impunità;come alla prima aggiunta che fece a quella deposizioneal primofatto allegato dal Mora contro di luie da lui negatoglielalevarono in effettoper non hauer detta la verità interacome haueua promesso; vedrà ancor piùse ce n'èbisognoquanto servisse a coloro l'aver voluto piuttosto fare unagiunteria al governatoreche chiedergli una facoltàl'averfatta una promessa in parole e di parole a quel Piazzache dovevaesser le primizie del sacrifizio offerto al furor popolaree alloro.

Vogliamdir forse che sarebbe stata cosa giusta il mantener quell'impunità?Dio liberi! sarebbe come dire che colui aveva deposto un fatto vero.Vogliam dir soltanto che fu violentemente ritiratacom'era stataillegalmente promessa; e che questo fu il mezzo di quello. Del restonon possiamo se non ripetere che non potevan far nulla di giustonella strada che avevan presafuorché tornare indietrofinch'erano a tempo. Quell'impunità (lasciando da parte lamancanza de' poteri) non avevano avuto il diritto di venderla alPiazzacome il ladro non ha il diritto di dar la vita al viandante:ha il dovere di lasciargliela. Era un ingiusto supplimento aun'ingiusta tortura: l'una e l'altra volutepensatestudiate daigiudicipiuttosto che far quello ch'era prescrittonon dico dallaragionedalla giustiziadalla caritàma dalla legge:verificare il fattofacendolo spiegare alle due accusatricise purla loro era accusa e non piuttosto congettura; lasciandolo spiegareall'imputatose pur si poteva dire imputato; mettendo questo aconfronto con quelle.

L'esitodell'impunità promessa al Baruello non si poté vedereperché costui morì di peste il 18 di settembrecioèil giorno dopo un confronto sostenuto impudentemente contro quelmaestro di schermaCarlo Vedano. Ma quando sentì avvicinarsila sua finedisse a un carcerato che l'assistevae che fu un altrode' testimoni fatti citar dal Padilla: «fatemi a piacere didire al Sig. Podestàche tutti quelli che ho incolpati gli hoincolpati al torto; et non è vero ch'io habbi chiapato danaridal figliuolo del Sig. Castellano... io ho da morire di questainfermità: prego quelli che ho incolpati al torto miperdonino; et di gratia ditelo al Sig. Podestàse io hod'andar saluo. Et io subito»soggiunge il testimonio«andaia referire al Sig. Podestà quello che il Baruello m'haueuadetto.»

Questaritrattazione poté valere per il Padilla; ma il Vedanoilquale non era fin allora stato nominato che dal solo Baruellofuatrocemente tormentatoquel giorno medesimo. Seppe resistere; e fulasciato stare (in prigiones'intende) fino alla metà digennaio dell'anno seguente. Eratra que' meschiniil solo checonoscesse davvero il Padillaper aver tirato due volte di spada conluiin castello; e si vede che questa circostanza fu quella chesuggerì al Baruello di dargli una parte nella sua favola. Nonl'aveva però accusato d'aver compostoné sparsonédistribuito unguenti mortiferi; ma solamente d'essere stato di mezzotra lui e il Padilla. Non potevan quindi i giudici condannar comeconvinto un tale imputatosenza pregiudicar la causa di quelsignore; e questo fu probabilmente quello che lo salvò. Non fuinterrogato di nuovose non dopo il primo esame del Padilla; el'assoluzion di questo tirò dietro la sua.

IlPadilladal castello di Pizzighettonedov'era stato trasferitofucondotto a Milano il 10 di gennaio del 1631e messo nelle carceridel capitano di giustizia. Fu esaminato quel giorno medesimo; e se cifosse bisogno d'una prova di fatto per esser certi che anche que'giudici potevano interrogar senza frodisenza menzognesenzaviolenzenon trovare inverisimiglianze dove non ce n'eracontentarsi di risposte ragionevoliammettereanche in una causad'unzioni veneficheche un accusato potesse dir la veritàanche dicendo di nosi vedrebbe da questo esamee dagli altri dueche furon fatti al Padilla.

Isoli che avessero deposto d'essersi abboccati con luiil Mora e ilBaruelloavevano anche indicati i tempi; il primo all'incircailsecondo più precisamente. Domandaron dunque i giudici alPadillaquando fosse andato al campo: indicò il giorno; didove fosse partito per andarci: da Milano; se a Milano fosse maitornato in quell'intervallo: una volta solae c'era rimasto ungiorno soloche specificò ugualmente. Non concordava connessuna dell'epoche inventate dai due disgraziati. Allora gli diconosenza minaccecon buona manierache si metta a memoria senon si trovò in Milano nel tal temponel tal altro: rispondeogni volta di norapportandosi sempre alla sua prima risposta.Vengono alle personee ai luoghi. Se aveva conosciuto un Fontanabombardiere: era il suocero del Vedanoe il Baruello l'avevanominato come uno di quelli che s'eran trovati al primo abboccamento.Risponde di sì. Se conosceva il Vedano: di sìugualmente. Se sa dove sia la Vetra de' Cittadini e l'osteria de' seiladri: era lì che il Mora aveva detto esser venuto il Padillacondotto da don Pietro di Saragozzaa fargli la proposta d'avvelenarMilano. Rispose che non conosceva né la stradanél'osterianeppur di nome. Gli domandano di don Pietro di Saragozza:questo non solo non lo conoscevama era impossibile che loconoscesse. Gli domandano di certi duevestiti alla francese; d'uncert'altrovestito da prete: gente che il Baruello aveva detto esservenuti col Padilla all'abboccamento sulla piazza del castello. Non sadi chi gli si parli.

Nelsecondo esameche fu l'ultimo di gennaiogli domandan del MoradelMigliavaccadel Baruellod'abboccamenti avuti con lorodi danaridatidi promesse fatte; ma senza parlargli ancora della trama a cuitutto questo si riferiva. Risponde che non ha mai avuto che far concostoroche non gli ha mai nemmen sentiti nominare; replica che nonera a Milano in que' diversi tempi.

Dopopiù di tre mesiconsumati in ricerche dalle qualicomedoveva esserenon si cavò il minimo costruttoil senatodecretò che il Padilla fosse costituito reo con la narrativadel fattopubblicatogli il processoe datogli un termine alledifese. In esecuzione di quest'ordinefu chiamato ad un nuovo edultimo esameil 22 di maggio. Dopo varie domande espressesu tuttii capi d'accusaalle quali rispose sempre un noe per lo piùasciuttovennero alla narrativa del fattocioè glispiattellarono quella pazza novellaanzi quelle due. La primachelui costituto aveva detto al barbiere Moravicino all'hostariadetta delli sei ladriche facesse un ontione... et che dovesseprender la detta ontioneet andar a bordegare (impiastrare); echein ricompensagli aveva dato molte doppie; e don Pietro diSaragozzaper suo ordineaveva poi mandato il detto barbiere ariscotere altri danari dai tali e tali banchieri. Ma questa èragionevole in paragon dell'altra: che esso Sig. Constitutoaveva fatto chiamar sulla piazza del castello Stefano Baruellogliaveva detto: buon giornoSig. Baruello; è molto tempo chedesideravo parlar con voi; edopo qualche altro complimentogliaveva dato venticinque ducatoni venezianie un vaso d'unguentodicendogli ch'era di quello che si faceva in Milanoma che non eraperfettoe bisognava prendere delli ghezzi et zatti (de'ramarri e de' rospi) et del vino biancoe metter tutto in unapentolaet farla bollire a concio a concio (adagino adagino)acciò questi animali possino morire arrabbiati. Che unpretequal viene nominato per Francese dal detto Baruelloeera venuto in compagnia del costitutoaveva fatto comparire unoin forma d'huomoin habito di Pantalonee fattolo al Baruelloriconoscere per suo signore; escomparso che fuil Baruello avevadomandato al costituto chi era coluie quello gli aveva rispostoch'era il diavolo; e cheun'altra voltalui costituto aveva dati alBaruello degli altri danarie promessogli di farlo tenente della suacompagniase l'avesse servito bene.

Aquesto puntoil Verri (tanto un intento sistematico può fartravedere anche i più nobili ingegnie anche dopo che hannoveduto) conclude così: «Tale è la serie del fattodeposto contro il figlio del castellanola qualesebbene smentitada tutte le altre persone esaminate (trattine i tre disgraziati MoraPiazza e Baruelloche alla violenza della tortura sacrificarono ogniverità)servì di base a un vergognosissimo reato.»Orail lettore sae il Verri medesimo racconta chedi questi tredue furon mossi a mentire dalle lusinghe dell'impunitànondalla violenza della tortura.

Sentitaquell'indegnissima filastroccail Padilla disse: di tutti questihuomini che V.S. mi ha nominatoio non conosco altro che il Fontanaet il Tegnone (era un soprannome del Vedano); et tutto quelloche V.S. ha detto che si legge in Processo per bocca di costoroèla maggior falsità et mentita che si trouasse mai al mondo; néè da credere che un Cavagliero par mio hauessenétrattatoné pensato attione tanto infame come èquesta; et prego Dio et sua Santa Madrese queste cose sono vereche mi confondano adesso; et spero in Dio che farò conoscerela falsità di questi huominiet che sarà palese almondo tutto.

Glireplicaronoper formalità e senza insistenzache sirisolvesse di dir la verità; e gl'intimarono il decreto delsenato che lo costituiva reo d'aver composto e distribuito unguentoveneficoe assoldato de' complici. Io mi meraviglio moltoripreseche il Senato sij venuto a resoluttione cosìgrandevedendosi et trouandosi che questa è una meraimpostura et falsitàfatta non solo a mema alla Giustitiaistessa. Come! un huomo di mia qualitàche ho speso la vitain seruitio di Sua Maestàin diffesa di questo statonato dahuomini che hanno fatto l'istessohaueuo io da farené dapensar cosa che a loroné a me portasse tanta nota etinfamia? et torno a dire che questo è falsoet è lapiù grande impostura che ad huomo sij mai stata fatta.

Fapiacere il sentir l'innocenza sdegnata parlare un tal linguaggio; mafa orrore il rammentarsi l'innocenzadavanti a quegli uomini stessispaventataconfusadisperatabugiardacalunniatrice; l'innocenzaimperterritacostanteveridicae condannata ugualmente.

IlPadilla fu assoltonon si sa quando per l'appuntoma sicuramentepiù d'un anno dopopoiché l'ultime sue difese furonopresentate nel maggio del 1632. Ecertol'assolverlo non fu grazia;ma i giudicis'avvidero checon questodichiaravano essi medesimiingiuste tutte le loro condanne? giacché non crederei che cene siano state altredopo quell'assoluzione. Riconoscendo che ilPadilla non aveva punto dato danari per pagar le sognate unzionisirammentaron degli uomini che avevan condannati per aver ricevutodanari da luiper questo motivo? Si rammentarono d'aver detto alMora che una tal cagione ha più del verisimile... che non èper hauer occasione di venderelui Constituto il suo elettuarioetil Commissario d'hauer modo di più lavorare? Sirammentarono chenell'esame seguentepersistendo lui a negarlagliavevan detto che si troua pure essere la verità? Cheavendola negata ancoranel confronto col Piazzagli avevan data latorturaperché la confessassee un'altra torturaperchéla confessione estorta dalla prima diventasse valida? Ched'allorain poitutto il processo era camminato su quella supposizione?Ch'era stata espressasottintesa in tutte le loro interrogazioniconfermata in tutte le rispostecome la cagione finalmente scopertae riconosciutacome la veral'unica cagion del delitto del Piazzadel Morae poi degli altri condannati? Che la grida pubblicatapochi giorni dopo il supplizio di que' due primidal grancancellierecol parer del senatoli diceva «arrivati a statotale d'empietàdi tradir per danari la propria Patria»?E vedendo finalmente svanir quella cagione (giacché nelprocesso non s'era mai fatto menzione d'altri danari che di quellidel Padilla)pensarono che del delitto non rimanevano altriargomenti che confessioniottenute nella maniera che loro sapevanoe ritrattate tra i sacramenti e la morte? confessioniprima incontradizion tra loroe ormai scoperte in contradizion col fatto?Assolvendo insommacome innocenteil capoconobbero che avevancondannaticome complicidegl'innocenti?

Tutt'altroalmeno per quel che comparve in pubblico: il monumento e la sentenzarimasero; i padri di famiglia che la sentenza aveva condannatirimasero infami; i figli che aveva resi così atrocementeorfanirimasero legalmente spogliati. E in quanto a quello che siapassato nel cuor de' giudicichi può sapere a quali nuoviargomenti sia capace di resistere un inganno volontarioe giàagguerrito contro l'evidenza? E dico un inganno divenuto piùcaro e prezioso che mai; giacchése prima il riconoscerliinnocenti era per que' giudici un perder l'occasione di condannareormai sarebbe stato un trovarsi terribilmente colpevoli; e le frodile violazioni della leggeche sapevano d'aver commessema chevolevan creder giustificate dalla scoperta di così empi efunesti malfattorinon solo sarebbero ricomparse nel loro nudo elaido aspetto di frodi e di violazioni della leggema sarebberocomparse come produttrici d'un orrendo assassinio. Un ingannofinalmentemantenuto e fortificato da un'autorità semprepotentebenché spesso fallacee in quel caso stranamenteillusoriapoiché in gran parte non era fondata che su quellade' giudici medesimi: voglio dire l'autorità del pubblico cheli proclamava sapientizelantifortivendicatori e difensori dellapatria.

Lacolonna infame fu atterrata nel 1778; nel 1803fu sullo spaziorifabbricata una casa; e in quell'occasionefu anche demolito ilcavalcaviadi dove Caterina Rosa


L'infernaldea che alla eletta stava


intonòil grido della carnificina: sicché non c'è piùnulla che rammentiné lo spaventoso effettoné lamiserabile causa. Allo sbocco di via della Vetra sul corso di portaTicinesela casa che fa cantonataa sinistra di chi guarda dalcorso medesimooccupa lo spazio dov'era quella del povero Mora.

Vediamoorase il lettore ha la bontà di seguirci in quest'ultimaricercacome un giudizio temerario di coleidopo aver tanto potutosui tribunaliabbiaper loro mezzoregnato anche ne' libri.




CapitoloVII


Trai molti scrittori contemporanei all'avvenimentoscegliamo il soloche non sia oscuroe che non n'abbia parlato a seconda affatto dellacredenza comuneGiuseppe Ripamontigià tante volte citato. Eci par che possa essere un esempio curioso della tirannia cheun'opinion dominante esercita spesso sulla parola di quelli di cuinon ha potuto assoggettar la mente. Non solo non nega espressamentela reità di quegl'infelici (néfino al Verrici fuchi lo facesse in uno scritto destinato al pubblico); ma pare piùd'una volta che la voglia espressamente affermare; giacchéparlando del primo interrogatorio del Piazzachiama «malizia»la suae «avvedutezza» quella de' giudici; dice che«con le molte contradizionipalesava il delitto nell'atto chevoleva negarlo»; del Mora dice parimentiche«fin chepoté reggere alla torturanegavaal solito di tutti i reieche finalmente raccontò la cosa com'era: exposuit omnia cumfide». E nello stesso tempocerca di fare intendere ilcontrarioaccennandotimidamente e di fugaqualche dubbio sullecircostanze più importanti; dirigendocon una parolalariflession del lettore al punto giusto; mettendo in bocca a qualcheimputato parole più atte a dimostrar la sua innocenzadiquelle che aveva sapute trovar lui medesimo; mostrando finalmentequella compassione che non si prova se non per gl'innocenti. Parlandodella caldaia trovata in casa del Moradice: «feceprincipalmente grand'impressione una cosa forse innocente eaccidentaledel resto schifosae che poteva parer qualcosa diquello che si cercava». Parlando del primo confrontodice cheil Mora «invocava la giustizia di Dio contro una frodecontrouna maligna invenzionecontro un'insidia nella quale si poteva farcadere qualunque innocente». Lo chiama «sventurato padredi famigliachesenza saperloportava su quell'infausto capol'infamia e la rovina sua e de' suoi». Tutte le riflessioni cheabbiamo esposte poco fae quelle di più che si posson faresulla contradizion manifesta tra l'assoluzion del Padillae lacondanna degli altriil Ripamonti le accenna con un vocabolo: «gliuntori furon puniti ciò non ostante: unctores punititamen». Quanto non dice quell'avverbioo congiunzione chesia! E aggiunge: «la città sarebbe rimasta inorridita diquella mostruosità di supplizise tutto non fosse parso menodel delitto».

Mail luogo dove fa intender più chiaramente il suo sentimentoèdove protesta di non volerlo dire. Dopo aver raccontato vari casi dipersone cadute in sospetto d'untorisenza che ne seguisseroprocessi«mi trovo»dice«a un passo difficile epericolosoa dover dichiarare seoltre quelli così a tortopresi per untoriio creda che ci siano stati untori davvero... Néla difficoltà nasce dall'incertezza della cosama dal nonessermi lasciata la libertà di far quello che pur si pretendeda ogni scrittorecioè ch'esprima i suoi veri sentimenti. Chése io dicessi che non ci furono untoriche senza ragione si va aimmaginar malizia degli uomini in ciò che fu punizion di Diosi griderebbe subito che la storia è empiache l'autore nonrispetta un giudizio solenne. Tanto l'opinion contraria èradicata nelle mentie la plebe credula al solitoe la nobiltàsuperba son pronti a difenderlacome quello che possano aver di piùcaro e di più sacro. Mettersi in guerra con tantisarebbeun'impresa dura e inutile; e per ciòsenza negarenéaffermarené pender più da una parte che dall'altrami ristringerò a riferir l'opinioni altrui.» Chidomandasse se non sarebbe stata cosa più ragionevolecome piùfacileil non parlarne affattosappia che il Ripamonti eraistoriografo della città; cioè uno di quegli uominiaiqualiin qualche casopuò essere comandato e proibito discriver la storia.

Unaltro istoriografoma in un campo più vastoBatista Nanivenezianoche in questo caso non poteva esser condotto da nessunriguardo a dire il falsofu condotto a crederlo dall'autoritàd'un'iscrizione e d'un monumento. «Se ben veramente»dice«l'immaginazione de' popolialterata dallo spaventomolte cose si figuravaad ogni modo il delitto fu scoperto e punitostando ancora in Milano l'iscrizioni e le memorie degli edificiabbattutidove que' mostri si congregavano.» Chinonconoscendo altro di quello scrittoreprendesse questo ragionamentoper misura del suo giudizios'ingannerebbe di molto. In varieambascerie importantie in varie cariche domesticheaveva avutocampo di conoscer gli uomini e le cose; e dà prova nella suastoria d'esserci non volgarmente riuscito. Ma i giudizi criminaliela povera gentequand'è pocanon si riguardano come materiapropriamente della storia; sicchénon c'è damaravigliarsi cheoccorrendo al Nani di parlare incidentemente diquel fattonon ci guardasse tanto per la minuta. Se alcuno gliavesse citata un'altra colonnae un'altra iscrizione di Milanocomeprova d'una sconfitta ricevuta da' veneziani (sconfitta tanto veraquanto il delitto di que' mostri)certo il Nani si sarebbe messo aridere.

Fapiù maraviglia e più dispiacere il trovar lo stessoargomento e gli stessi improperiin uno scritto d'un uomo molto piùcelebree con gran ragione. Il Muratorinel «Trattato delgoverno della peste»dopo avere accennato diverse storie diquel genere«ma nessun caso»dice«è piùrinomato di quel di Milanoove nel contagio del 1630furono preseparecchie personeche confessarono un sì enorme delittoefurono aspramente giustiziate. Ne esiste tuttavia (e l'ho vedutaanch'io) la funesta memoria nella Colonna infame posta ov'era la casadi quegli inumani carnefici. Il perché grande attenzion civuole affinché non si rinnovassero più simili esecrandescene.» E quello chenon toglie il dispiacerema lo mutaèil veder che la persuasione del Muratori non era così risolutacome queste sue parole. Chévenendo poi a discorrere (e sivede che è ciò che gli preme davvero) de' mali orribiliche posson nascere dal figurarsi e dal credere tali cose senzafondamentodice: «si giunge ad imprigionar delle personeeper forza di tormenti a cavar loro di bocca la confession di delittich'eglino forse non avranno mai commessocon far poi di loro unmiserabile scempio sopra i pubblici patiboli». Non par egli chevoglia alludere ai nostri disgraziati? E quello che lo fa creder dipiùè che attacca subito con quelle parole che abbiamgià citate nello scritto antecedentee cheper esser pochetrascriviam qui di nuovo: «Ho trovato gente savia in Milanoche aveva buone relazioni dai loro maggiorie non era molto persuasache fosse vero il fatto di quegli unti velenosii quali si disserosparsi per quella cittàe fecero tanto strepito nella pestedel 1630 .» Non si puòdicofare a meno di nonsospettare che il Muratori credesse piuttosto sciocche favole quelleche chiama «esecrande scene»e (ciò che èpiù grave) innocenti assassinati quelli che chiama «inumanicarnefici». Sarebbe uno di que' casi tristi e non rariin cuiuomini tutt'altro che inclinati a mentirevolendo levar la forza aqualche errore perniciosoe temendo di far peggio col combatterlo difrontehanno creduto bene di dir prima la bugiaper poter poiinsinuare la verità.

Dopoil Muratoritroviamo uno scrittore più rinomato di lui comestoricoe (ciò che in un fatto di questa sorte parrebbe doverrendere il suo giudizio più degno d'osservazione di qualunquealtro) storico giureconsultoecome dice di sé medesimo«più giureconsulto che politico »PietroGiannone. Noi però non riferiremo questo giudizioperchéè troppo poco che l'abbiam riferito: è quello del Naniche il lettore ha veduto poco fae che il Giannone ha copiatoparola per parolacitando questa volta il suo autore appiè dipagina.

Dico:questa volta; perché il copiarlo che ha fatto senza citarloècosa degna d'esser notatasecome credonon lo fu ancorali . Ilraccontoper esempiodella sollevazione della Catalognae dellarivoluzione del Portogallonel 1640 ènella storia delGiannonetrascritto da quella del Naniper più di settepagine in 4°con pochissime omissionio aggiunteo variazionila più considerabile delle quali è d'aver diviso incapitoli e in capoversi un testo che nello scritto originale andavatutto di seguito. Ma chi mai s'immaginerebbe che l'avvocatonapoletanodovendo raccontare altre sollevazioninon di Barcellonané di Lisbonama quella di Palermodel 1647e quella diNapolicontemporanea e più celebreper la singolaritàe per l'importanza degli avvenimentie per Masaniellonon trovasseda far meglioné da far più che di prenderenon imaterialima la cosa bell'e fattadall'opera del cavaliere eprocurator di san Marco? Chi l'anderebbe a pensare soprattutto dopoaver lette le parole con le quali il Giannone entra in quel racconto?e son queste: «Gli avvenimenti infelici di queste rivoluzionisono stati descritti da più autori: alcuni gli vollero farcredere portentosie fuor del corso della natura: altri con tropposottili minuzie distraendo i leggitorinon ne fecero nettamenteconcepire le vere cagionii disegniil proseguimentoed il fine:noi per ciòseguendo gli scrittori più serj eprudentigli ridurremo alla lor giusta e natural positura.»Eppure ognuno può vederefacendo il confrontocomesubitodopo queste sue paroleil Giannone metta mano a quelle del Naniframmischiandoci ogni tantoe specialmente sul principioqualcheduna delle suefacendo qua e là qualche cambiamentoalle volte per necessitàe nella stessa maniera che unoilqual compri biancheria usataleva il segno dell'antico padronee cimette il suo. Cosìdove il veneziano dice: «in quelregno»il napoletano sostituisce: «in questo regno»;dove il contemporaneo dice che vi «restano le fazioni quasi cheintiere»il posteroche vi «restavano ancora lereliquie dell'antiche fazioni». È vero cheoltre questepiccole aggiunte o variazionisi trovano anche in quel lunghissimosquarciocome pezzi messi a rimendoalcuni brani più estesiche non son del Nani. Macosa veramente da non credersison presida un altro quasi tuttie quasi parola per parola: è roba diDomenico Parrinoscrittore (alla rovescia di molt'altri) oscuromaletto moltoe fors'anche più di quello che sperava luimedesimosein Italia e fuoriè letta quanto lodata la«Storia civile del regno di Napoli»che porta il nome diPietro Giannone. Chésenza allontanarci da que' due periodidi storia de' quali s'è fatto qui menzionesedopo lesollevazioni catalana e portogheseil Giannonetrascrive dal Nanila caduta del favorito Olivarestrascrive poi dal Parrino ilrichiamo del duca di Medina vicerè di Napoliche ne fu laconseguenzae i ritrovati di questo per cedere il più tardiche fosse possibile il posto al successore Enriquez de Cabrera. DalParrino ugualmentein gran parteil governo di questo; e poidall'uno e dall'altroa intarsiaturail governo del duca d'Arcosper tutto quel tempo che precedette le sollevazioni di Palermo e diNapolie come abbiam dettoil progresso e la fine di questesottoil governo di D. Giovanni d'Austriae del conte d'Oñatte. Poidal Parrino solosempre a lunghi pezzio a pezzettini frequentilaspedizione di quel vicerè contro Piombino e Portolongone; poiil tentativo del duca di Guisa contro Napoli; poi la peste del 1656.Poi dal Nani la pace de' Pireneie dal Parrino una piccola appendicedove sono accennati gli effetti di essa nel regno di Napoli.

Voltaireparlandonel «Secolo di Luigi XIV»de' tribunaliistituiti da quel rein Metz e in Brisacdopo la pace di Nimegaper decidere delle sue proprie pretensioni sopra territori di stativicininominain una notail Giannone con gran lodecom'era daaspettarsima per fargli una critica. Ecco la traduzione di quellanota: «Giannonecosì celebre per la sua utile storia diNapolidice che questi tribunali erano stabiliti a Tournay. Sbagliafrequentemente negli affari che non son del suo paese. Diceperesempiochea NimegaLuigi XIV fece la pace con la Svezia; e invece questa era sua alleata .» Malasciando da parte la lodela criticain questo casonon è dovuta al Giannoneilqualecome in tant'altri casinon fece nemmen la fatica disbagliare. È vero che nel libro dell'uomo «cosìcelebre»si leggono queste parole: «Seguì posciala pace fra la Franciala Svezial'Imperio e l'Imperadore»(nelle qualidel rimanentenon saprei se non ci sia ambiguitàpiuttosto che errore); e quest'altre: «Aprirono poscia»i francesi«due tribunalil'uno in Tournaye l'altro inMetz; ed arrogandosi una giurisdizione non mai udita nel mondo soprai principi lor vicinifecero non solamente aggiudicare alla Franciacon titolo di dipendenzetutto il paese che saltò loro incapriccio ne' confini della Fiandra e dell'Imperioma se ne poseroper via di fatto in possessionecostringendo gli abitanti ariconoscere il re Cristianissimo per sovranoprescrivendo terminied esercitando tutti quegli atti di signoria che sono soliti iprincipi di praticare co' sudditi.» Ma son parole di quelpovero ignorato Parrinoe non già stralciate da quel suopezzo di storiama portate via insieme con esso: ché spessoil Giannonein vece di star lì a cogliere un frutto qua e unolàleva l'albero addiritturae lo trapianta nel suogiardino. Tuttasi può direla relazion della pace di Nimegaè presa dal Parrino; come in gran partee con molteomissionima con poche aggiunteil viceregno in Napoli del marchesede los Velesnel tempo del quale quella pace fu conclusae colquale il Parrino chiude la sua operae il Giannone il penultimolibro della sua. E probabilmente (stavo per dir di certo)chi sidivertisse a farne il confronto interoper tutto il periodoantecedente della dominazione spagnola in Napolicon la qualecomincia il lavoro del Parrinotroverebbe per tuttoquello che noiabbiam trovato in varie partiese non m'ingannosenza veder maicitato il nome di quel tanto saccheggiato scrittore . Così dalSarpisenza citarlo puntoprende il Giannone molti branie tuttal'orditura d'una sua digressione; come mi fu fatto osservare da unadotta e gentile persona. E chi sa quali altri furti non osservati dicostui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca; ma quel tanto cheabbiam veduto d'un tal prendere da altri scrittorinon dico lascelta e l'ordine de' fattinon dico i giudizil'osservazionilospiritoma le paginei capitolii libriè sicuramenteinun autor famoso e lodatoquel che si dice un fenomeno. Sia stataosterilitào pigrizia di mentefu certamente raracome furaro il coraggio; ma unica la felicità di restareanche contutto ciò (fin che resta)un grand'uomo. E questacircostanzainsieme con l'occasione che ce ne dava l'argomentocifaccia perdonare dal benigno lettore una digressionelungaper dirla veritàin una parte accessoria d'un piccolo scritto.

Chinon conosce il frammento del Parini sulla colonna infame? Ma chi nonsi maraviglierebbe di non vederne fatta menzione in questo luogo?

Eccodunque i pochi versi di quel frammento ne' quali il celebre poeta fapur troppo eco alla moltitudine e all'iscrizione:


Quandotra vili case e in mezzo a poche

Rovinei' vidi ignobil piazza aprirsi.

Quiviromita una colonna sorge

Infra l'erbe infeconde e i sassi e il lezzo

Ov'uommai non penetraperò ch'indi

Geniopropizio all'insubre cittade

Ognunrimovealto gridando: lungi

Obuoni cittadinlungiche il suolo

Miserabileinfame non v'infetti.


Eraquesta veramente l'opinion del Parini? Non si sa; e l'averlaespressacosì affermativamente bensìma in versinonne sarebbe un argomento; perché allora era massima ricevutache i poeti avessero il privilegio di profittar di tutte le credenzeo vereo falsele quali fossero atte a produrre un'impressioneoforteo piacevole. Il privilegio! Mantenere e riscaldar gli uomininell'erroreun privilegio! Ma a questo si rispondeva che un talinconveniente non poteva nascereperché i poetinessuncredeva che dicessero davvero. Non c'è da replicare: solo puòparere strano che i poeti fossero contenti del permesso e del motivo.

Vennefinalmente Pietro Verriil primodopo cento quarantasett'annichevide e disse chi erano stati i veri carneficiil primo che richieseper degl'innocenti così barbaramente trucidatie cosìstolidamente abborritiuna compassionetanto più dovutaquanto più tarda. Ma che? le sue «Osservazioni»scritte nel 1777non furon pubblicate che nel 1804con altre sueopereedite e ineditenella raccolta degli «Scrittoriclassici italiani d'economia politica». E l'editore renderagione di questo ritardonelle «Notizie» premesseall'opere suddette. «Si credette»dice«chel'estimazione del senato potesse restar macchiata dall'anticainfamia.» Effetto comunissimoa que' tempidello spirito dicorpoper il qualeognunopiuttosto che concedere che i suoipredecessori avessero fallatofaceva suoi anche gli spropositi chenon aveva fatti. Ora un tale spirito non troverebbe l'occasioned'estendersi tanto nel passatogiacchéin quasi tutto ilcontinente d'Europai corpi son di data recentemeno pochimenouno soprattuttoil qualenon essendo stato istituito dagli uomininon può essere né abolitoné surrogato. Oltredi ciòquesto spirito è combattuto e indebolito piùche mai dallo spirito d'individualità: l'io si crede tropporicco per accattar dal noi. E in questa parteè un rimedio;Dio ci liberi di dire: in tutto.

Aogni modoPietro Verri non era uomo da sacrificare a un riguardo diquella sorte la manifestazione d'una verità resa importantedal credito in cui era l'erroree più ancora dal fine a cuiintendeva di farla servire; ma c'era una circostanza per cui ilriguardo diveniva giusto. Il padre dell'illustre scrittore erapresidente del senato. Così è avvenuto piùvolteche anche le buone ragioni abbian dato aiuto alle cattiveecheper la forza dell'une e dell'altreuna veritàdopo avertardato un bel pezzo a nascereabbia dovuto rimanere per un altropezzo nascosta.