|
![]() |
by
![]() |
![]() ![]() |
AlessandroManzoni
ILCONTE
DICARMAGNOLA
ALSIGNOR
CARLOCLAUDIO FAURIEL
INATTESTATO
DICORDIALE E RIVERENTE AMICIZIA
PREFAZIONE
Pubblicandoun’opera d’immaginazione che non si uniforma ai canoni digusto ricevuti comunemente in Italiae sanzionati dalla consuetudinedei piùio non credo però di dover annoiare il lettorecon una lunga esposizione de’ princìpi che ho seguiti inquesto lavoro. Alcuni scritti recenti contengono sulla poesiadrammatica idee così nuove e vere e di così vastaapplicazioneche in essi si può trovare facilmente la ragioned’un dramma il qualedipartendosi dalle norme prescritte dagliantichi trattatistisia ciò non ostante condotto con unaqualche intenzione. Oltredichéogni componimento presenta achi voglia esaminarlo gli elementi necessari a regolarne un giudizio;e a mio avviso sono questi: quale sia l’intento dell’autore;se questo intento sia ragionevole; se l’autore l’abbiaconseguito. Prescindere da un tale esamee volere a tutta forzagiudicare ogni lavoro secondo regoledelle quali ècontroversa appunto l’universalità e la certezzaèlo stesso che esporsi a giudicare stortamente un lavoro: il che peraltro è uno de’ più piccoli mali che possanoaccadere in questo mondo.
Trai vari espedienti che gli uomini hanno trovati per imbrogliarsireciprocamenteuno de’ più ingegnosi è quellod’averequasi per ogni argomentodue massime oppostetenuteegualmente come infallibili. Applicando quest’uso anche aipiccoli interessi della poesiaessi dicono a chi la esercita: siateoriginalee non fate nulla di cui i grandi poeti non vi abbianolasciato l’esempio. Questi comandi che rendono difficile l’artepiù di quello che è giàlevano anche a unoscrittore la speranza di poter rendere ragione d’un lavoropoetico; quand’anche non ne lo ritenesse il ridicolo a cuis’espone sempre l’apologista de’ suoi propri versi.
Mapoiché la quistione delle due unità di tempo e di luogopuò esser trattata tutta in astrattoe senza far parola dellapresente qualsisia tragedia: e poiché queste unitàmalgrado gli argomenti a mio credere inespugnabili che furono addotticontro di essesono ancora da moltissimi tenute per condizioniindispensabili del dramma; mi giova di riprenderne brevementel’esame. Mi studierò per altro di fare piuttosto unapicciola appendiceche una ripetizione degli scritti che le hannogià combattute.
I.L’unità di luogoe la così detta unità ditemponon sono regole fondate nella ragione dell’artenéconnaturali all’indole del poema drammatico; ma sono venute dauna autorità non bene intesae da princìpi arbitrari:ciò risulta evidente a chi osservi la genesi di esse. L’unitàdi luogo è nata dal fatto che la più parte delletragedie greche imitano un’azione la quale si compie in un solluogoe dalla idea che il teatro greco sia un esemplare perpetuo edesclusivo di perfezione drammatica. L’unità di tempo ebbeorigine da un passo di Aristoteleil qualecome benissimo osservail signor Schlegelnon contiene un precettoma la semplice notiziadi un fatto; cioè della pratica più generale del teatrogreco. Che se Aristotele avesse realmente inteso di stabilire uncanone dell’artequesta sua frase avrebbe il doppioinconveniente di non esprimere un’idea precisae di non essereaccompagnata da alcun ragionamento.
Quandopoi vennero quelli chenon badando all’autoritàdomandarono la ragione di queste regolei fautori di esse nonseppero trovarne che unaed è: cheassistendo lo spettatorerealmente alla rappresentazione d’un’azionediventa perlui inverisimile che le diverse parti di questa avvengano in diversiluoghie che essa duri per un lungo tempomentre lui sa di nonessersi mosso di luogoe d’avere impiegate solo poche ore adosservarla. Questa ragione è evidentemente fondata su un falsosuppostocioè che lo spettatore sia lì come partedell’azione; quando èper così direuna menteestrinseca che la contempla. La verosimiglianza non deve nascere inlui dalle relazioni dell’azione col suo modo attuale di esserema da quelle che le varie parti dell’azione hanno tra di loro.Quando si considera che lo spettatore è fuori dell’azionel’argomento in favore delle unità svanisce.
II.Queste regole non sono in analogia con gli altri princìpidell’arte ricevuti da quegli stessi che le credono necessarie.Infatti s’ammettono nella tragedia come verisimili molte coseche non lo sarebbero se ad esse s’applicasse il principio sulquale si stabilisce la necessità delle due unità; ilprincipiocioèche nel dramma rappresentato siano verosimilique’ fatti soli che s’accordano con la presenza dellospettatoredimanieraché possano parergli fatti reali. Se unodicesseper esempio: que’ due personaggi che parlano tra lorodi cose segretissimecome se credessero d’esser solidistruggono ogni illusioneperché io sento d’esser lorovisibilmente presentee li veggo esposti agli occhi d’unamoltitudine; gli farebbe precisamente la stessa obiezione che icritici fanno alle tragedie dove sono trascurate le due unità.A quest’uomo non si può dare che una risposta: la plateanon entra nel dramma: e questa risposta vale anche per le due unità.Chi cercasse il motivo per cui non si sia esteso il falso principioanche a questi casie non si sia imposto all’arte anche questogiogoio credo che non ne troverebbe altrose non che per questicasi non ci era un periodo d’Aristotele.
III.Se poi queste regole si confrontano con l’esperienzala granprova che non sono necessarie alla illusione èche il popolosi trova nello stato d’illusione voluta dall’arteassistendo ogni giorno e in tutti i paesi a rappresentazioni doveesse non sono osservate; e il popolo in questa materia è ilmiglior testimonio. Poiché non conoscendo esso la distinzionedei diversi generi d’illusionee non avendo alcuna idea teoricadel verosimile dell’arte definito da alcuni critici pensatori;niuna idea astrattaniun precedente giudizio potrebbe fargliricevere un’impressione di verosimiglianza da cose che nonfossero naturalmente atte a produrla. Se i cangiamenti di scenadistruggessero l’illusioneessa dovrebbe certamente essere piùpresto distrutta nel popolo che nelle persone coltele quali pieganopiù facilmente la loro fantasia a secondar l’intenzionidell’artista.
Sedai teatri popolari passiamo ad esaminare qual caso si sia fatto diqueste regole ne’ teatri colti delle diverse nazionitroviamoche nel greco non sono mai state stabilite per principioe che s’èfatto contro ciò che esse prescrivonoogni volta chel’argomento lo ha richiesto; che i poeti drammatici inglesi espagnoli più celebriquelli che sono riguardati come i poetinazionalinon le hanno conosciuteo non se ne sono curati; che itedeschi le rifiutano per riflessione. Nel teatro francese vennerointrodotte a stento; e l’unità di luogo in ispecieincontrò ostacoli da parte de’ comici stessiquando vifu messa in pratica da Mairet con la sua Sofonisbache si dice laprima tragedia regolare francese: quasi fosse un destino che laregolarità deva sempre cominciare da una Sofonisba noiosa. InItalia queste regole sono state seguite come leggie senzadiscussioneche io sappiae quindi probabilmente senza esame.
IV.Per colmo poi di bizzarriaè accaduto che quegli stessi chele hanno ricevute non le osservano esattamente in fatto. Perchésenza parlare di qualche violazione dell’unità di luogoche si trova in alcune tragedie italiane e francesidi quellechiamate esclusivamente regolariè noto che l’unitàdi tempo non è osservata né pretesa nel suo strettosensocioè nell’uguaglianza del tempo fittizioattribuito all’azione col tempo reale che essa occupa nellarappresentazione. Appena in tutto il teatro francese si citano tre oquattro tragedie che adempiscano questa condizione. Comme il esttrès-rare (dice un critico francese) de trouver dessujets qui puissent être resserrés dans des bornes siétroiteson a élargi la règleet on l’aétendue jusqu’à vingt-quatre heures. Con unatale transazione i trattatisti non hanno fatto altro che riconoscerel’irragionevolezza della regolae si sono messi in un campodove non possono sostenersi in nessuna maniera. Giacché sipotrà ben discutere con chi è di parere che l’azionenon deva oltrepassare il tempo materiale della rappresentazione; machi ha abbandonato questo puntocon qual ragione pretenderàche uno si tenga in un limite fissato così arbitrariamente?Cosa si può mai dire a un criticoil quale crede che sipossano allargare le regole? Accade quicome in molte altre coseche sia più ragionevole chiedere il molto che il poco. Ci sonoragioni più che sufficienti per esimersi da queste regole; manon se ne può trovare una per ottenere una facilitazione a chile voglia seguire. Il serait donc à souhaiter (dice unaltro critico) que la durée fictive de l’action pûtse borner au temps du spectacle; mais c’est être ennemides artset du plaisir qu’ils causentque de leur imposer deslois qu’ils ne peuvent suivresans se priver de leursressources les plus fécondeset de leurs plus rares beautés.Il est des licences heureusesdont le Public convient tacitementavec les poètesà condition qu’ils les employentà lui plaireet à le toucher; et de ce nombre estl’extension feinte et supposée du temps réel del’action théâtrale. Ma le licenze felicisono parole senza senso in letteratura; sono di quelle molteespressioni che rappresentano un’idea chiara nel lorosignificato proprio e comunee che usate qui metaforicamenterinchiudono una contradizione. Si chiama ordinariamente licenzaciò che si fa contro le regole prescritte dagli uomini; esi danno in questo senso licenze feliciperché tali regolepossono esseree sono spessopiù generali di quello che lanatura delle cose richieda. Si è trasportata questaespressione nella grammaticae vi sta bene; perché le regolegrammaticali essendo di convenzionee per conseguenza alterabilipuò uno scrittoreviolando alcuna di questespiegarsimeglio; ma nelle regole intrinseche alle arti del bello la cosa staaltrimenti. Esse devono essere fondate sulla naturanecessarieimmutabiliindipendenti dalla volontà de’ criticitrovatenon fatte; e quindi la trasgressione di esse non puòesser altro che infelice. - Ma perché questeriflessioni su due parole? Perché nelle due parole appunto stal’errore. Quando s’abbraccia un’opinione stortasiusa per lo più spiegarla con frasi metaforiche e ambigueverein un senso e false in un altro; perché la frase chiarasvelerebbe la contradizione. E a voler mettere in chiaro l’erroneitàdella opinionebisogna indicare dove sta l’equivoco.
V.Finalmente queste regole impediscono molte bellezzee produconomolti inconvenienti.
Nondiscenderò a dimostrare con esempi la prima parte di questaproposizione: ciò è stato fatto egregiamente piùdi una volta. E la cosa resulta tanto evidentemente dalla piùleggiera osservazione d’alcune tragedie inglesi e tedeschechei sostenitori stessi delle regole sono costretti a riconoscerla.Confessano essi che il non astringersi ai limiti reali di tempo e diluogo lascia il campo a una imitazione ben altrimenti varia e forte:non negano le bellezze ottenute a scapito delle regole; ma affermanoche bisogna rinunziare a quelle bellezzegiacché perottenerle bisogna cadere nell’inverosimile. Oraammettendol’obiezioneè chiaro che l’inverosimiglianza tantotemuta non si farebbe sentire che alla rappresentazione scenica; eperò la tragedia da recitarsi sarebbe di sua natura incapacedi quel grado di perfezionea cui può arrivare la tragediaquando non si consideri che come un poema in dialogofatto soltantoper la letturadel pari che il narrativo. In tal casochi vuolcavare dalla poesia ciò che essa può daredovrebbepreferire sempre questo secondo genere di tragedia: enell’alternativa di sacrificare o la rappresentazione materialeo ciò che forma l’essenza del bello poeticochi potrebbemai stare in dubbio? Certomeno d’ogni altro quei critici iquali sono sempre di parere che le tragedie greche non siano maistate superate dai modernie che producano il sommo effetto poeticoquantunque non servano più che alla lettura. Non ho inteso conciò di concedere che i drammi senza le unità riescanoinverosimili alla recita: ma da una conseguenza ho voluto far sentireil valore del principio.
Gl’inconvenientiche nascono dall’astringersi alle due unitàespecialmente a quella di luogosono ugualmente confessati daicritici. Anzi non par credibile che le inverosimiglianze esistentinei drammi orditi secondo queste regolesiano cosìtranquillamente tollerate da coloro che vogliono le regole a solofine d’ottenere la verosimiglianza. Cito un solo esempio diquesta loro rassegnazione: Dans Cinna il faut que la conjurationse fasse dans le cabinet d’Emilieet qu’Auguste viennedans ce mêne cabinet confondre Cinnaet lui pardonner: celaest peu naturel. La sconvenienza è assai bene sentitaesinceramente confessata. Ma la giustificazione è singolare.Eccola: Cependant il le faut.
Forsesi è qui eccessivamente ciarlato su una questione giàcosì bene scioltae che a molti può parer troppofrivola. Rammenterò a questi ciò che disse moltosensatamente in un caso consimile un noto scrittore: Il n’y apas grand mal à se tromper en tout cela: mais il vaut encoremieux ne s’y point trompers’il est possible. E delrimanentecredo che una tale questione abbia il suo lato importante.L’errore solo è frivolo in ogni senso. Tutto ciòche ha relazione con l’arti della parolae coi diversi modid’influire sulle idee e sugli affetti degli uominièlegato di sua natura con oggetti gravissimi. L’arte drammaticasi trova presso tutti i popoli civilizzati: essa è consideratada alcuni come un mezzo potente di miglioramentoda altri come unmezzo potente di corruttelada nessuno come una cosa indifferente.Ed è certo che tutto ciò che tende a ravvicinarla o adallontanarla dal suo tipo di verità e di perfezionedevealteraredirigereaumentareo diminuire la sua influenza.
Quest’ultimeriflessioni conducono a una questione più volte discussaoraquasi dimenticatama che io credo tutt’altro che sciolta; ed è:se la poesia drammatica sia utile o dannosa. So che ai nostri giornisembra pedanteria il conservare alcun dubbio sopra di ciòdacché il Pubblico di tutte le nazioni colte ha sentenziatocol fatto in favore del teatro. Mi sembra però che ci vogliamolto coraggio per sottoscriversi senza esame a una sentenza controla quale sussistono le proteste di Nicoledi Bossuete di G. G.Rousseauil di cui nome unito a questi viene qui ad avere unaautorità singolare. Essi hanno unanimemente inteso distabilire due punti: uno che i drammi da loro conosciuti ed esaminatisono immorali: l’altro che ogni dramma deva esserlosotto penadi riuscire freddoe quindi vizioso secondo l’arte; e che inconseguenza la poesia drammatica sia una di quelle cose che si devonoabbandonarequantunque producano dei piaceriperchéessenzialmente dannose. Convenendo interamente sui vizi del sistemadrammatico giudicato dagli scrittori nominati qui sopraoso credereillegittima la conseguenza che ne hanno dedotta contro la poesiadrammatica in generale. Mi pare che siano stati tratti in errore dalnon aver supposto possibile altro sistema che quello seguito inFrancia. Se ne può daree se ne dà un altrosuscettibile del più alto grado d’interesse e immunedagl’inconvenienti di quello: un sistema conducente allo scopomoraleben lungi dall’essergli contrario. Al presente saggio dicomponimento drammaticom’ero proposto d’unire un discorsosu tale argomento. Ma costretto da alcune circostanze a rimetterequesto lavoro ad altro tempomi fo lecito d’annunziarlo; perchémi pare cosa sconveniente il manifestare una opinione contrariaall’opinione ragionata d’uomini di prim’ordinesenzaaddurre le proprie ragionio senza prometterle almeno.
Mirimane a render conto del Coro introdotto una volta in questatragediail qualeper non essere nominati personaggi che locomponganopuò parere un capriccioo un enimma. Non possomeglio spiegarne l’intenzioneche riportando in parte ciòche il signor Schlegel ha detto dei Cori greci: Il Coro èda riguardarsi come la personificazione de’ pensieri morali chel’azione ispiracome l’organo de’ sentimenti delpoeta che parla in nome dell’intera umanità. E pocosotto: Vollero i greci che in ogni dramma il Coro... fosseprima di tutto il rappresentante del genio nazionalee poi ildifensore della causa dell’umanità: il Coro era insommalo spettatore ideale; esso temperava l’impressioni violente edolorose d’un azione qualche volta troppo vicina al vero; eriverberandoper così direallo spettatore reale le sueproprie emozionigliele rimandava raddolcite dalla vaghezzad’un’espressione lirica e armonicae lo conduceva cosìnel campo più tranquillo della contemplazione. Ora m’èparso chese i Cori dei greci non sono combinabili col sistematragico modernosi possa però ottenere in parte il loro finee rinnovarne lo spiritoinserendo degli squarci lirici compostisull’idea di que’ Cori. Se l’essere questiindipendenti dall’azione e non applicati a personaggi li privad’una gran parte dell’effetto che producevano quellipuòperòa mio credererenderli suscettibili d’uno slanciopiù liricopiù variato e più fantastico. Hannoinoltre sugli antichi il vantaggio d’essere senza inconvenienti:non essendo legati con l’orditura dell’azionenon sarannomai cagione che questa si alteri e si scomponga per farceli stare.Hanno finalmente un altro vantaggio per l’artein quantoriserbando al poeta un cantuccio dove egli possa parlare in personapropriagli diminuiranno la tentazione d’introdursinell’azionee di prestare ai personaggi i suoi proprisentimenti: difetto dei più notati negli scrittori drammatici.Senza indagare se questi Cori potessero mai essere in qualche modoadattati alla recitaio propongo soltanto che siano destinati allalettura: e prego il lettore d’esaminare questo progettoindipendentemente dal saggio che qui se ne presenta; perché ilprogetto mi sembra potere essere atto a dare all’arte piùimportanza e perfezionamentosomministrandole un mezzo piùdirettopiù certo e più determinato d’influenzamorale.
Premettoalla tragedia alcune notizie storiche sul personaggio e sui fatti chesono l’argomento di essapensando che chiunque si risolve aleggere un componimento misto d’invenzione e di veritàstoricaami di poteresenza lunghe ricerchediscernere ciòche vi è conservato di avvenimenti reali.
NOTIZIESTORICHE
Francescodi Bartolommeo Bussonecontadinonacque in Carmagnoladonde preseil nome di guerra che gli è rimasto nella storia. Non si sa dicerto in qual anno nascesse: il Tenivelliche ne scrisse la vitanella Biografia Piemontesecrede che sia stato verso il 1390.Mentre ancor giovinetto pascolava delle pecorel’aria fiera delsuo volto fu osservata da un soldato di venturache lo invitòa venir con lui alla guerra. Egli lo seguì volentierie simise con esso al soldo di Facino Canecelebre condottiero.
Quila storia del Carmagnola comincia ad esser legata con quella del suotempo: io non toccherò di questa se non i fatti principalieparticolarmente quelli che sono accennati o rappresentati nellatragedia. Alcuni di essi sono raccontati così diversamentedagli storiciche è impossibile formarsene e darne unaopinionecerta e unica. Tra le relazioni spesso variee talvoltaopposteho scelto quelle che mi sono parse più verosimiliosulle quali gli scrittori vanno più d’accordo.
Allamorte di Giovanni Maria Visconti Duca di Milano (1412)il di luifratello Filippo Maria Conte di Pavia era rimasto eredein titolodel Ducato. Ma questo Statoingrandito dal loro padre GiovanniGaleazzos’era sfasciato nella minorità di Giovannipessimamente tutelatae nel suo debole e crudele governo. Moltecittà s’erano ribellatealcune erano tornate in poterede’ loro antichi signorid’altre s’erano fattipadroni i condottieri stessi delle truppe ducali. Facino Cane uno diquestiil quale di TortonaVercelli ed altre città s’eraformato un piccolo principatomorì in Pavia lo stesso giornoche Giovanni Maria fu ucciso da’ congiurati in Milano. Filipposposò Beatrice Tenda vedova di Facinoe con questo mezzo sitrovò padrone delle città già possedute da luie de’ suoi militi.
Eratra essi il Carmagnolae ci aveva già un comando. Questoesercito corse col nuovo Duca sopra Milanone scacciò ilfiglio naturale di Barnabò ViscontiAstorreil quale sen’era impadronitoe lo sforzò a ritirarsi in Monzadoveassediatorimase ucciso.
IlCarmagnola si segnalò tanto in questa impresache fu nominatocondottiero dal Duca.
Tuttigli storici riguardano il Carmagnola come artefice della potenza diFilippo. Fu il Carmagnola che gli riacquistò in poco tempoPiacenzaBresciaBergamoe altre città. Alcune ritornaronoallo Stato per vendita o per semplice cessione di quelli che leavevano occupate: il terrore che già ispirava il nome delnuovo condottiero sarà probabilmente stato il motivo di questetransazioni. Egli espugnò inoltre Genovae la riunìagli stati del Duca. E questoche nel 1412 era senza potere e comeprigioniero in Paviapossedeva nel 1424 venti città"acquistate" aper servirmi delle parole di Pietro Verri"colle nozze della infelice Duchessae colla fede e col valoredel Conte Francesco". Venne il Carmagnola creato dal Duca contedi Castelnovo; sposò Antonietta Visconti parente di essononsi sa in qual grado; e si fabbricò in Milano il palazzochiamato ancora del Broletto.
L’altafama dell’esimio condottierol’entusiasmo de’ soldatiper luiil suo carattere fermo e altierola grandezza forse de suoiservizigli alienarono l’animo del Duca. I nemici del Contetra i quali il Biglistorico contemporaneocita Zanino Riccio eOldrado Lampugnanofomentarono i sospetti e l’avversione delloro signore. Il Conte fu spedito governatore a Genovae levato cosìdalla direzione della milizia. Aveva conservato il comando ditrecento cavalli; il Duca gli chiese per lettere che lo rinunziasse.Il Carmagnola rispose pregandolo che non volesse spogliare dell’armiun uomo nutrito tra l’armi: e ben s’accorsedice il Bigliche questo era un consiglio de’ suoi nemicii quali confidavanodi poter tutto osarequando lo avessero ridotto a condizioneprivata. Non ottenendo risposta né alle lagnanzenéalla domanda espressa d’essere licenziato dal servizioil Contesi risolvette di recarsi in persona a parlare col principe. Questodimorava in Abbiategrasso. Quando il Carmagnola si presentòper entrare nel castellosi sentì con sorpresa dire cheaspettasse. Fattosi annunziare al Ducaebbe in risposta ch’eraimpeditoe che parlasse con Riccio. Insistettedicendo d’averpoche cose e da comunicarsi al Duca stesso; e gli fu replicata laprima risposta. Allora rivolto a Filippoche lo guardava da unabalestrieragli rimproverò la sua ingratitudinee la suaperfidiae giurò che presto si farebbe desiderare da chi nonvoleva allora ascoltarlo: diede volta al cavalloe partì coipochi compagni che aveva condotti con séinseguito invano daOldradoil qualeal dir del Biglicredette meglio di nonarrivarlo.
Andòil Carmagnola in Piemontedove abboccatosi con Amedeo duca di Savoiasuo natural principefece di tutto per inimicarlo a Filippo; poiattraversando la Savoiala Svizzera e il Tirolosi portò aTreviso. Filippo confiscò i beni assai ragguardevoli che ilCarmagnola aveva nel Milanese.
Giuntoil Carmagnola a Venezia il giorno 23 di febbraio del 1425vi fuaccolto con distinzionegli fu dato alloggio dal pubblico nelPatriarcatoe concessa licenza di portar armi a lui e al suoseguito. Due giorni dopofu preso al servizio della repubblica con300 lance.
IFiorentiniimpegnati allora in una guerra infelice contro il DucaFilippochiedevano l’alleanza dei Veneziani: il Duca instavapresso di essi perché volessero rimanere in pace con lui. Inquesto frattempo un Giovanni Liprandofuoruscito milanesepattuìcol Duca d’ammazzare il Carmagnolapurché gli fosseconcesso di ritornare a casa. La trama fu sventatae levò aiVeneziani ogni dubbio che il Conte fosse mai più perriconciliarsi col suo antico principe. Il Bigli attribuisce in granparte a questa scoperta la risoluzione dei Veneziani per la guerra.Il doge propose in senato che si consultasse il Carmagnola: questoconsigliò la guerra: il doge opinò pure caldamente peressa: e fu risoluta. La lega coi Fiorentini e con altri Statid’Italia fu proclamata in Venezia il giorno 27 gennaio del 1426.Il giorno 11 del mese seguente il Carmagnola fu creato capitanogenerale delle genti di terra della repubblica; e il 15 gli fu datodal doge il bastone e lo stendardo di capitanoall’altare disan Marco.
Trascorreròpiù rapidamente che mi sarà possibile sugli avvenimentidi questa guerrala quale fu interrotta da due pacifermandomi solosui fatti che hanno somministrato materiali alla tragedia.
"Ridussesila guerra in Lombardiadove fu governata dal Carmagnolavirtuosamenteed in pochi mesi tolse molte terre al Duca insieme conla città di Brescia; la quale espugnazione in quelli tempiesecondo quelle guerrefu tenuta mirabile." Papa Martino Vs’intromise; e sul finire dello stesso anno fu conclusa la pacenella quale Filippo cedette ai Veneziani Brescia col suo territorio.
Nellaseconda guerra (1427) il Carmagnola mise per la prima volta in uso unsuo ritrovato di fortificare il campo con un doppio recinto di carrisopra ognuno de’ quali stavano tre balestrieri. Dopo moltipiccoli fattie dopo la presa d’alcune terres’accampòsotto il castello di Maclodioch’era difeso da una guarnigioneduchesca.
Comandavanonel campo del Duca quattro insigni condottieriAngelo della PergolaGuido TorelloFrancesco Sforzae Nicolò Piccinino. Essendonata discordia tra di loroil giovine Filippo vi mandò conpieni poteri Carlo Malatesti pesaresedi nobilissima famiglia; madice il Biglialla nobiltà mancava l’ingegno. Questostorico osserva che il supremo comando dato al Malatesti non bastòa levar di mezzo la rivalità de’ condottieri; mentre nelcampo veneto a nessuno repugnava d’ubbidire al Carmagnolabenché avesse sotto di sé condottieri celebrieprincipicome Giovanfrancesco Gonzagasignore di MantovaAntonioManfredidi Faenzae Giovanni Varanodi Camerino.
IlCarmagnola seppe conoscere il carattere del generale nemicoecavarne profitto. Attaccò Maclodioin vicinanza del quale erail campo duchesco. I due eserciti si trovarono divisi da un terrenopaludosoin mezzo al quale passava una strada elevata a guisad’argine: e tra le paludi s’alzavano qua e là dellemacchie poste su un terreno più sodo: il Conte mise in questedegli agguatie si diede a provocare il nemico. Nel campo duchesco ipareri erano vari: i racconti degli storici lo sono poco meno. Mal’opinione che pare più comuneè che il Pergola eil Torellosospettando d’agguatiopinassero di non darbattaglia: che lo Sforza e il Piccinino la volessero a ogni costo.Carlo fu del parere degli ultimi; la diedee fu pienamentesconfitto. Appena il suo esercito ebbe affrontato il nemicofuassalito a destra e a sinistra dall’imboscatee gli furonofattisecondo alcunicinquesecondo altriotto mila prigionieri.Il comandante fu preso anche lui; gli altri quattrochi in unamanierachi nell’altrasi sottrassero.
Unfiglio del Pergola si trovò tra i prigionieri.
Lanotte dopo la battagliai soldati vittoriosi lasciarono in libertàquasi tutti i prigionieri. I commissari venetiche seguivanol’esercitone fecero delle lagnanze col Conte; il quale domandòa qualcheduno de’ suoi cosa fosse avvenuto de’ prigionieri;ed essendogli risposto che tutti erano stati messi in libertàmeno un quattrocentoordinò che anche questi fosserorilasciatisecondo l’uso.
Unostorico che non solo scriveva in que’ tempima aveva militatoin quelle guerreAndrea Redusioè il soloper quanto iosappiache abbia indicata la vera ragione di quest’uso militared’allora. Egli l’attribuisce al timore che i soldatiavevano di veder presto finite le guerree di sentirsi gridare daipopoli: alla zappa i soldati.
ISignori veneti furono punti e insospettiti dal procedere del Conte;ma senza giusta ragione. Infattiprendendo al soldo un condottierodovevano aspettarsi che farebbe la guerra secondo le leggi dellaguerra comunemente seguite; e non potevano senza indiscrezionepretendere che prendesse il rischioso impegno d’opporsi aun’usanza così utile e cara ai soldatiesponendosi avenire in odio a tutta la miliziae a privarsi d’ogni appoggio.Avevano bensì ragione di pretender da lui la fedeltà elo zeloma non una devozione illimitata: questa s’accordasolamente a una causa che si abbraccia per entusiasmo o per dovere.Non trovo però che dopo le prime osservazioni de’commissarila Signoria abbia fatte col Carmagnola altre lagnanze suquesto fatto: non si parla anzi che d’onori e di ricompense.
Nell’apriledel 1428 fu conclusa tra i Veneziani e il Duca un’altra diquelle solite paci.
Laguerrarisorta nel 1431non ebbe per il Conte così prospericominciamenti come le due passate. Il castellano che comandava inSoncino per il Ducasi finse disposto a cedere per tradimento quelcastello al Carmagnola. Questo ci andò con una partedell’esercitoe cadde in un agguatodove lasciòprigionierisecondo il Biglisecento cavalli e molti fantisalvandosi lui a stento.
Pochigiorni dopoNicola Trevisanicapitano dell’armata veneta sulPovenne alle prese coi galeoni del Duca. Il Piccinino e lo Sforzafacendo le viste di voler attaccare il Carmagnolalo rattennero dalvenire in aiuto all’armata venetae intanto imbarcarono granparte delle loro genti di terra sulle navi del Duca. Quando ilCarmagnola s’avvide dell’ingannoe corse per sostenere isuoila battaglia era vicino all’altra riva. L’armataveneta fu sconfittae il capitano di essa fuggì in unabarchetta.
Glistorici veneti accusano qui il Carmagnola di tradimento. Gli storiciche non hanno preso il tristo assunto di giustificare i suoiuccisorinon gli danno altra taccia che d’essersi lasciatoingannare da uno stratagemma. Par certo che la condotta del Trevisanifosse imprudente da principioe irresoluta nella battaglia. Fubanditoe gli furono confiscati i beni; "e al capitano generale(Carmagnola)per imputazione di non aver dato favore all’armatacon lettere del Senato fu scritta una lieve riprensione".
Ilgiorno 18 d’ottobreil Carmagnola diede ordine al Cavalcabòuno de’ suoi condottieridi sorprender Cremona. Questo riuscìad occuparne una parte; ma essendosi i cittadini levati a stormodovette abbandonare l’impresae ritornare al campo.
IlCarmagnola non credette a proposito d’andar col grossodell’esercito a sostenere quest’impresa; e mi par cosastrana che ciò gli sia stato imputato a tradimento dallaSignoria. La resistenzaprobabilmente inaspettatadel popolo spiegabenissimo perché il generale non si sia ostinato a combattereuna città che sperava d’occupare tranquillamente persorpresa: il tradimento non ispiega nulla; giacché non si savedere perché il Carmagnola avrebbe ordinata la spedizioneilcattivo esito della quale non fu d’alcun vantaggio per ilnemico.
Mala Signoriarisolutasecondo l’espressione del Navagerodiliberarsi del Carmagnolacercò in qual maniera potesse averlonelle mani disarmato; e non ne trovò una più pronta népiù sicurache d’invitarlo a Venezia col pretesto diconsultarlo sulla pace. Ci andò senza sospettoe in tutto ilviaggio furono fatti onori straordinari a luie al Gonzaga chel’accompagnava. Tutti gli storicianche venezianisonod’accordo in questo; pare anzi che raccontino con un sentimentodi compiacenza questo procederecome un bel tratto di ciò chealtre volte si chiamava prudenza e virtù politica. Arrivato aVenezia"gli furono mandati incontro otto gentiluominiavantich’egli smontasse a casa suache l’accompagnarono a SanMarco". Entrato che fu nel palazzo ducalesi rimandarono le suegentidicendo loro che il Conte si fermerebbe a lungo col doge. Fuarrestato nel palazzoe condotto in prigione. Fu esaminato da unaGiuntaalla quale il Navagero dà nome di Collegio secreto; econdannato a mortefuil giorno 5 di maggio del 1432condotto conle sbarre alla bocca tra le due colonne della Piazzettaedecapitato. La moglie e una figlia del Conte (o due figliesecondoalcuni) si trovavano allora in Venezia.
Nullad’autentico si ha sull’innocenza o sulla reità diquesto grand’uomo. Era da aspettarsi che gli storici venezianiche volevano scrivere e viver tranquillil’avrebbero trovatocolpevole. Essi esprimono quest’opinione come una cosa di fattoe con quella negligenza che è naturale a chi parla in favoredella forza. Senza perdersi in congettureasseriscono che ilCarmagnola fu convinto coi tormenticoi testimoni e con le sueproprie lettere. Di questi tre mezzi di prova il solo che si sappiadi certo essere stato adoprato è l’infamissimo primoquello che non prova nulla.
Maoltre la mancanza assoluta di testimonianze dirette storichecheconfermino la reità del Carmagnolamolte riflessioni la fannoparere improbabile. Né i Veneziani hanno rivelato mai qualifossero le condizioni del tradimento pattuito; né da altraparte s’è saputo mai nulla d’un tale trattato.Quest’accusa è isolata nella storiae non si appoggia anullase non a qualche svantaggio di guerrail quale anche sispiega senza ricorrere a questa supposizione: e sarebbe una leggestravagante non meno che atroce quella che volesse imputato aperfidia del generale ogni evento infelice. Si badi inoltreall’essere il Conte andato a Venezia senza esitazionesenzariguardi e senza precauzioni: si badi all’aver sempre laSignoria fatto un mistero di questo fattomalgrado la tacciad’ingratitudine e d’ingiustizia che gli si dava in Italia;si badi alla crudele precauzione di mandare il Conte al supplizio conle sbarre alla boccaprecauzione tanto più da notarsiinquanto s’adoprava con uno che non era venezianoe non potevaaver partigiani nel popolo; si badi finalmente al carattere noto delCarmagnola e del Duca di Milanoe si vedrà che l’uno el’altro ripugnano alla supposizione d’un trattato di questasorte tra di loro. Una riconciliazione segreta con un uomo che gliera stato orribilmente ingratoe che aveva tentato di farloammazzare; un patto di far la guerra da straccoanzi di lasciarsibatterenon s’accordano con l’animo impetuosoattivoavido di gloria del Carmagnola. Il Duca non era perdonatore; e ilCarmagnola che lo conosceva meglio d’ogni altronon avrebbe maipotuto credere a una riconciliazione stabile e sicura con lui. Ildisegno di ritornare con Filippo offeso non poteva mai venire inmente a quell’uomo che aveva esperimentate le retribuzioni diFilippo beneficato.
Hocercato se negli storici contemporanei si trovasse qualche tracciad’un’opinione pubblicadiversa da quella che la Signoriaveneta ha voluto far prevalere; ed ecco ciò che n’hopotuto raccogliere.
Uncronista di Bolognadopo aver raccontata la fine del Carmagnolasoggiunge: "Dissesi che questo hanno fatto perché eglinon faceva lealmente per loro la guerra contra il Duca di Milanocome egli dovevae che s’intendeva col Duca. Altri dicono checome vedevano tutto lo Stato loro posto nelle mani del Contecapitano d’un tanto esercitoparendo loro di stare a granpericoloe non sapendo con qual miglior modo potessero deporlohantrovato cagione di tradimento contra di lui. Iddio voglia che abbianofatto saviamente; perché par pureche per questo la Signoriaabbia molto diminuita la sua possanzaed esaltata quella del Duca diMilano."
Eil Poggio: "Certuni dicono che non abbia meritata la morte condelitto di sorte veruna; ma che ne fosse cagione la sua superbiainsultante verso i cittadini venetie odiosa a tutti."
IlCorio poiscrittore non contemporaneoma di poco posterioredicecosì: "Gli tolsero il valsente di più di trecentomigliaia di ducatii quali furono piuttosto cagione della sua morteche altro."
Senzadar molto peso a quest’ultima congetturami pare che le primeduecioè il timore e le vendette private dell’amorpropriobastinoper que’ tempia dare di questo avvenimentouna spiegazione probabilee certo più probabile di untradimento contrario all’indole e all’interesse dell’uomoa cui fu imputato.
Traquegli storici moderniche non adottando ciecamente le tradizioniantichele hanno esaminate con un libero giudiziouno soloch’iosappiasi mostrò persuaso affatto che il Carmagnola sia statocolpito da una giusta sentenza. Questo è il Conte Verri; mabasta leggere il passo della sua Storiache si riferisce a questoavvenimentoper esser subito convinti che la sua opinione èvenuta dal non aver lui voluto informarsi esattamente de’ fattisui quali andava stabilita. Ecco le sue parole: "O foss’egliallontanatoper una ripugnanza dell’animodal portare cosìla distruzione ad un Principedal quale aveva un tempo ottenuto glionorie sotto del quale aveva acquistata la celebrità; ovverofoss’egli ancora nella fiduciache umiliato il Duca venisse afargli proposizioni di accomodamentoe gli sacrificasse i meschininemiciche avevano ardito di nuocerglicioè i vilissimicortigiani suoi; o qualunque ne fosse il motivoil Conte FrancescoCarmagnolamalgrado il dissenso dei Procuratori venetie malgradola decisa loro opposizionevolle rimandare disarmati bensìma liberi al Duca tutti i generali ed i soldati numerosissimicheaveva fatti prigionieri nella vittoria del giorno 11 di ottobre1427... Il seguito delle sue imprese fece sempre più palese ilsuo animo; poiché trascurò tutte le occasionielentamente progredendo lasciò sempre tempo ai ducali disostenersi. In somma giunse a tale evidenza la cattiva fede del ConteFrancesco Carmagnolachevennedopo formale processodecapitatoin Venezia... come reo di alto tradimento." Fa stupore il vedereaddotto in prova della reità d’un uomo in giudiziosegreto di que’ tempida uno storico che ne ha tanto conosciutal’iniquitàe che tanto si studia di farla conoscere a’suoi lettori. In quanto al fatto de’ prigionieriognuno vedegli errori della relazione che ho trascritta. Il Conte di Carmagnolanon rimandò liberi tutti i soldatima quattrocento soli; nonrimandò i generaliperché di questi non fu preso cheil Malatestie fu ritenuto; non è esatto il dire che isoldati fossero rimandati al Duca: furono semplicemente messi inlibertà. Non vedo poi perché si entri in congetture perispiegare la condotta del Carmagnola in questa occasionequando lastoria ne dà per motivo un’usanza comune.
Lasorte del Carmagnola fece un gran rumore in tutta l’Italia; epare che in particolare i Piemontesi la sentissero piùacerbamentee ne serbassero memoriacome lo indica il seguenteaneddoto raccontato dal Denina.
Ilprimo sospetto che i Veneziani ebbero del segreto della lega diCambrai venne dalle relazioni d’un loro agente di Milanoilquale era venuto a sapere "che un Carlo Giuffredo Piemontese chesi trovava fra i Segretarj di Stato del Governo di Milano ai servigidel Re Luigiandava fra i suoi famigliari dicendo essere venuto iltempo in cui sarebbesi abbondantemente vendicata la morte del ConteFrancesco Carmagnola suo compatriotto".
Nonho citato questo tratto per applaudire a un sentimento di vendettaedi patriottismo municipalema come un indizio del caso che si facevadi questo gran capitano in quella nobile e bellicosa parte d’Italiache lo considerava più specialmente come suo.
Aquegli avvenimenti che si sono scelti per farne il materiale dellapresente Tragedias’è conservato il loro ordinecronologicoe le loro circostanze essenziali; se se ne eccettuil’aver supposto accaduto in Venezia l’attentato contra lavita del Carmagnolaquando in vece accadde in Treviso.
PERSONAGGISTORICI
IlConte di Carmagnola.
AntoniettaViscontisua moglie.
Unaloro Figliaa cui nella tragedia si è attribuito il nome diMatilde.
FrancescoFoscariDoge di Venezia.
Condottierial soldo dei Veneziani:
GiovanniFrancesco Gonzaga
PaoloFrancesco Orsini
NicolòDa Tolentino
Condottierial soldo del Duca di Milano:
CarloMalatesti
AngeloDella Pergola
GuidoTorello
NicolòPiccininoa cui nella tragedia si è attribuito il cognome diFortebraccio
FrancescoSforza
PergolaFiglio.
PERSONAGGIIDEALI
MarcoSenatore veneziano.
Marinouno de’ Capi del Consiglio dei dieci.
Primocommissario veneto nel campo.
Secondocommissario.
Unsoldato del Conte.
Unsoldato prigioniero.
Senatoricondottierisoldatiprigionieriguardie
ATTOPRIMO
SCENAI
Saladel Senatoin Venezia.
Ildoge e senatori seduti.
Ildoge
Ègiunto il fin de’ lunghi dubbiè giunto
nobiluominiil dì che statuito
fua risolver da voi. Su questa lega
acui Firenze con sì caldi preghi
incontroil Duca di Milan c’invita5
oggiil partito si porrà. Ma pria
sealcuno è qui cui non sia noto ancora
chevile opra di tenebre e di sangue
sugliocchi nostri fu tentatain questa
stessaVeneziainviolato asilo 10
digiustizia e di paceodami: al nostro
deliberarrileva assai che’ alcuno
quinon l’ignori. Un fuoruscito al Conte
diCarmagnola insidiò la vita;
fallitoè il colpoe l’assassino è in ceppi. 15
Mandatoegli era; e quei che a ciò mandollo
eil’ha nomatoed è... quel Duca istesso
dicui qui abbiam gli ambasciatori ancora
achieder pacea cui più nulla preme
chela nostra amistà. Tale arra intanto 20
eici dà della sua. Taccio la vile
perfidiadella tramae l’onta aperta
chein un nostro soldato a noi vien fatta.
Duesole cose avverto: egli odia dunque
veracementeil Conte; ella è fra loro 25
chiusaogni via di pace; il sangue ha stretto
tralor d’eterna inimicizia un patto.
L’odia...e lo teme: ei sa che il può dal trono
quellamano sbalzar che in trono il pose;
edisperando che più a lungo in questa 30
inonorataimprovidatradita
pacerestar noi consentiamoei sente
chesia per noi quest’uom; questo tra i primi
guerrierd’Italia il primoeciò che meno
forsenon èdelle sue forze istrutto 35
comedell’arti sue; questo che il lato
sapràtosto trovargli ove più certa
epiù mortal sia la ferita. Ei volle
spezzarquest’arme in nostra mano; e noi
adoperiamlae tosto. Onde possiamo 40
unpiù fedele e saggio avviso in questo
chedal Conte aspettarci? Io l’invitai;
piaceviudirlo?
(segnidi adesione)
S’introducail Conte.
SCENAII
Ilcontee detti.
Ildoge
Contedi Carmagnolaoggi la prima
occasions’affaccia in che di voi 45
sivalga la Repubblicae vi mostri
inche conto vi tiene: in grave affare
graveconsiglio ci abbisogna. Intanto
tuttoper bocca mia questo Senato
sirallegra con voi da sì nefando 50
perigliouscito; e protestiam che a noi
fattaè l’offesae che sul vostro capo
orpiù che mai fia steso il nostro scudo
scudodi vigilanza e di vendetta.
Ilconte
SerenissimoDogeancor null’altro 55
ioper questa ospital terrache ardisco
nomarmia patriapotei far che voti.
Oh!mi sia dato alfin questa mia vita
puror sottratta al macchinar de’ vili
questache nulla or fa che giorno a giorno 60
aggiungerein silenzioe che guardarsi
tristamentetirarla in luce ancora
espenderla per voima di tal modo
chedir si possa un dìche in loco indegno
vostr’altacortesia posta non era. 65
Ildoge
Certogran coseove il bisogno il chieda
cipromettiam da voi. Per or ci giovi
soltantoil vostro senno. In suo soccorso
controil Visconte l’armi nostre implora
giàda lungo Firenze. Il vostro avviso 70
nellabilancia che teniam librata
nonfarà piccol peso.
Ilconte
Esenno e braccio
equanto io sono è cosa vostra: e certo
semai fu caso in cui sperar m’attenti
chea voi pur giovi un mio consiglioè questo. 75
Elo darò: ma pria mi sia concesso
dime parlarvi in brevee un core aprirvi
uncor che agogna sol d’esser ben noto.
Ildoge
Dite:a questa adunanza indifferente
cosache a cor vi stia giunger non puote. 80
Ilconte
SerenissimoDogeSenatori;
iosono al punto in cui non posso a voi
essergrato e fedels’io non divengo
nemicoall’uom che mio signor fu un tempo.
S’iocredessi che ad esso il più sottile 85
vincolodi dover mi leghi ancora
l’ombraonorata delle vostre insegne
fuggirvorreiviver nell’ozio oscuro
vorreiprima che romperloe me stesso
farvile agli occhi miei. Dubbio veruno 90
sulpartito che presi in cor non sento
perch’egliè giusto ed onorato: il solo
timormi pesa del giudizio altrui.
Oh!beato colui cui la fortuna
cosìdistinte in suo cammin presenta 95
levie del biasmo e dell’onorch’ei puote
corrercerto del plausoe non dar mai
passoove trovi a malignar l’intento
sguardodel suo nemico. Un altro campo
correrdegg’iodove in periglio sono 100
diriportarforza è pur dirloil brutto
nomed’ingratol’insoffribil nome
ditraditor. So che de’ grandi è l’uso
valersid’opra ch’essi stiman rea
eprofondere a quel che l’ha compita 105
premie disprezzoil so; ma io non sono
natoa questo; e il maggiorpremio che bramo
ilsoloegli è la vostra stimae quella
d’ognicortese; earditamente il dico
sentodi meritarla. Attesto il vostro 110
sapientegiudizioo Senatori
ched’ogni obbligo sciolto inverso il Duca
mitengoe il sono. Se volesse alcuno
de’benefizi che tra noi son corsi
pareggiarle ragioniè noto al mondo 115
qualrimarrebbe il debitor dei due.
Madi ciò nulla: io fui fedele al Duca
finche fui seco e nol lasciai che quando
eimi v’astrinse. Ei mi balzò dal grado
colmio sangue acquistato: invan tentai 120
almio signor lagnarmi. I miei nemici
fattoavean siepe intorno al trono: allora
m’accorsialfin che la mia vita anch’essa
stavain periglio: a ciò non gli diei tempo.
Chéla mia vita io voglio darma in campo125
pernobil causae con onornon preso
nellarete de’ vili. Io lo lasciai
ea voi chiesi un asilo; e in questo ancora
eimi tese un agguato. Ora a costui
piùnulla io deggio; di nemico aperto 130
nemicoaperto io sono. All’util vostro
ioserviròma franco e in mio proposto
deliberatocome quei ch’è certo
chegiusta cosa imprende.
Ildoge
Etal vi tiene
questoSenato: già tra il Duca e voi 135
hagiudicato irrevocabilmente
Italiatutta. Egli la vostra fede
haliberataa voi l’ha resa intatta
qualgliela deste il primo giorno. È nostra
orquesta fede; e noi saprem tenerne 140
benaltro conto. Or d’essa un primo pegno
ilvostro schietto consigliar ci sia.
Ilconte
Lietoson io che un tal consiglio io possa
darvisenza esitanza. Io tengo al tutto
necessariala guerrae della guerra145
seoltre il presente è mai concesso all’uomo
cosacerta vedercerto l’evento;
tantopiùquanto fien l’indugi meno.
Ache partito è il Duca? A mezzo è vinta
dalui Firenze; ma ferito e stanco 150
ilvincitor; voti gli erari: oppressi
dalterrordai tributi i cittadini
pregandal ciel su l’armi loro istesse
lesconfitte e le fughe. Io li conosco
econoscer li deggio: a molti in mente 155
durail pensier del gloriosoantico
vivercivile; e subito uno sguardo
rivolgondi desio là dove appena
d’unqualunque avvenir si mostri un raggio
frementidel presente e vergognosi. 160
Eiconosce il periglio; indi l’udite
mansuetoparlarvi; indi vi chiede
temposoltanto de sbranar la preda
chegià tiensi tra l’ugnee divorarla.
Fingiamche glielo diate: ecco mutata 165
lafaccia delle cose; egli soggioga
senzadubbio Firenze; ecco satolle
lecostui schiere col tesor de’ vinti
epiù folte e anelanti a nove imprese.
Qualprence allor dell’alleanza sua 170
farrifiuto oseria? Beato il primo
ch’eichiamerebbe amico! Egli sicuro
consulterebbee come e quando a voi
moverla guerraa voi rimasti soli.
L’irache addoppia l’ardimento al prode 175
chesi sente percossoei non la trova
chene’ prosperi casi: impaziente
d’ognidimora ove il guadagno è certo
mane’ perigli irresoluto: a’ suoi
soldatiascosodel pugnar non vuole 180
fuorche le prede. Ei nella rocca intanto
onelle ville rintanato attende
anovellar di cacce e di banchetti
ainterrogar tremando un indovino.
Oraè il tempo di vincerlo: cogliete 185
questomomento: ardir prudenza or fia.
Ildoge
Contesu questo fedel vostro avviso
tostoil Senato prenderà partito;
mail seguao nov’è grato; e vede in esso
nonmen che il sennoil vostro amor per noi. 190
(parteil Conte)
SCENAIII
Ildogee senatori
Ildoge
Dissimilcerto da sì nobil voto
nessuns’aspetta il mio. Quando il consiglio
piùgeneroso è il più sicuroin forse
chipotria rimaner? Porgiam la mano
alfratello che implora: un sacro nodo 195
stringei liberi Stati: hanno comuni
tralor rischi e speranze; e treman tutti
daifondamenti al rovinar d’un solo.
Provocatordei debolinemico
d’ognunche schiavo non gli siala pace 200
contanta istanza a che ci chiede il Duca?
Perchéil momento della guerra ei vuole
sceglierloei solo; e non è questo il suo.
Ilnostro egli èse non ci falla il senno
nél’animo. Ei ci vuole ad uno ad uno; 205
andiamgliincontro uniti. Ah! saria questa
laprima volta che il Leon giacesse
alsuon delle lusinghe addormentato.
No;fia tentato invan. Pongo il partito
chesi stringa la legae che la guerra 210
tostoal Duca s’intimie delle nostre
gentida terra abbia il comando il Conte.
Marino
Controsì giusta e necessaria guerra
ionon sorgo a parlar; questo sol chiedo
cheil buon successo ad accertar si pensi. 215
Lametà dell’impresa è nella scelta
delcapitano. Io so che vanta il Conte
moltiamici tra noi; ma d’una cosa
mirendo certoche nessun di questi
l’amapiù della patria; e per mequando 220
dilei si trattiogni rispetto è nulla.
Iodicoe duolmi che di fronte io deggia
serenissimoDogeoppormi a voi
nonè il duce costui quale il richiede
lagravitàl’onor di questo Stato. 225
Noncercherò perché lasciasse il Duca.
Eifu l’offeso; e sia pur ver: l’offesa
ètal che accordo non può darsi; e questo
consento:io giuro nelle sue parole.
Maqueste sue parole importa assai 230
considerarleperché tutto in esse
eis’è dipinto; e governar sì ombroso
sìdelicato e violento orgoglio
oSenatorinon mi par che sia
minorpensier della guerra istessa. 235
Finorfu nostra cura il mantenerci
lariverenza de’ soggetti; or altro
studiofar si dovriacome costui
riverirdegnamente. E quando egli abbia
laman nell’elsa della nostra spada240
potremnoi dir d’aver creato un servo?
Dovràpor cura di piacergli ognuno
dinoi? Se nasce un disparerfia degno
chenell’arti di guerra il voler nostro
aquel d’un tanto condottier prevalga? 245
S’eglierrae nostra è dell’error la pena
chéinvincibil nol credoio vi domando
sefia concesso il farne lagno; e dove
siriscotan per questo onte e dispregi
chefar? soffrirli? Non v’aggradaio stimo250
questopartito; risentirci? e dargli
occasionchein mezzo all’oprae nelle
piùdifficili strette ei ci abbandoni
sdegnatoe al primo altro signor che il voglia
forseal nemicooffra il suo braccioe sveli 255
quantodi noi pur samagnificando
lanostra sconoscenzae i suoi gran merti?
Ildoge
IlConte un prence abbandonò; ma quale?
unche da lui tenea lo Statoe a cui
quindiei minor non potea mai stimarsi; 260
unda pochi aggiratoe questi vili;
timidoe stoltoche non seppe almeno
ilbuon consiglio tor della paura
nasconderlanel coree starsi all’erta;
mache il colpo accennò pria di scagliarlo: 265
taleè il signor che inimicossi il Conte.
Malode al cielnulla in Venezia io vedo
chegli somigli. Se destriercorrendo
scosseuna volta un furibondo e stolto
fuordell’arcionee lo gettò nel fango; 270
nonfia per questo che salirlo ancora
uncauto e franco cavalier non voglia.
Marino
Poichésì certo è di quest’uomo il Doge
piùnon m’oppongo; e questo a lui sol chiedo:
vuolsiegli far mallevador del Conte? 275
Ildoge
Asì preciso interrogarpreciso
risponderò:mallevador pel Conte
néper altr’uom che siacertoio non entro;
dell’opremiede’ miei consigli il sono:
quandosien fidiei basta. Ho io proposto 280
cheguardia al Conte non si facciae a lui
sidia l’arbitrio dello Stato in mano?
Eidiritto anderà; tale io diviso.
Mas’ei si volge al rio sentierci manca
occhioche tosto ce ne faccia accorti285
ebraccio che invisibile il raggiunga?
Marco
Perchéi princìpi di sì bella impresa
contristarcon sospetti? E far disegni
diterrori e di peneove null’altro
chelodi e grazie può aver luogo? Io taccio 290
cheall’util suo sola una via gli è schiusa;
lostar con noi. Ma deggio dir qual cosa
deesovra ogni altra far per lui fidanza?
Lagloria ond’egli è già copertoe quella
acui pur anco aspira; il generoso295
ilfiero animo suo. Che un giorno ei voglia
dall’altezzacalar de’ suoi pensieri
eriporsi tra i viliesser non puote.
Orse prudenza il vuolvegli pur l’occhio;
madorma il cor nella fiducia; e poi 300
chein così giusta e grave causaun tanto
donoci manda Iddio; con quella fronte
econ quel cor che si riceve un dono
siada noi ricevuto.
Moltisenatori
Aivotiai voti!
Ildoge
Siraccolgano i voti; e ognun rammenti 305
quantorilevi che di qui non esca
mottodi tal deliberarné cenno
chepresumer lo faccia. In questo Stato
pochiil segreto hanno traditoe nullo
futra quei pochi che impunito andasse. 310
SCENAIV
Casadel Conte.
Ilconte
Profugoo condottiero. O come il vecchio
guerriernell’ozio i giorni trarvivendo
dellagloria passatain atto sempre
dirender grazie e di pregarprotetto
dalbraccio altruiche un dì potria stancarsi 315
eabbandonarmi; o ritornar sul campo
sentirla vitasalutar di nuovo
lamia fortunadelle trombe al suono
destarmicomandar; questo è il momento
chene decide. Eh! se Venezia in pace 320
rimandegg’io chiuso e celato ancora
inquesto asilo rimanersiccome
l’omicidanel tempio? E chi d’un regno
feceil destinnon potrà farsi il suo?
Nontroverò tra tanti prenciin questa 325
divisaItaliaun sol che la corona
ondeil vil capo di Filippo splende
ardiscainvidiar? che si ricordi
ch’iol’acquistaiche dalle man di dieci
tiranniio la strappaich’io la riposi 330
suquella fronteed or null’altro agogno
cheritorla all’ingratoe farne un dono
achi saprà del braccio mio valersi?
SCENAV
Marcoe il conte
Ilconte
Odolce amico; ebben qual nova arrechi?
Marco
Laguerra è risolutae tu sei duce. 335
Ilconte
Marcoad impresa io non m’ accinsi mai
conmaggior cor che a questa: una gran fede
ponestein me: ne sarò degnoil giuro.
Ilgiorno è questo che del viver mio
fermail destin: poi che quest’alma terra 340
m’hanel suo glorioso antico grembo
accoltoe dato di suo figlio il nome
esserloio vo’ per sempre; e questo brando
ioconsacro per sempre alla difesa
ealla grandezza sua.
Marco
Dolcedisegno! 345
nonsoffra il ciel che la fortuna il rompa...
otu medesmo.
Ilconte
Io?come?
Marco
Alpar di tutti
igenerosiche giovando altrui
nocquersempre a sé stessie superate
tuttele vie delle più dure imprese350
cadderoa un passo poiche facilmente
l’ultimode’ mortali avria varcato.
Crediad un uom che t’ama: i più de’ nostri
tisono amici; ma non tutti il sono.
Dipiù non diconé mi lice; e forse 355
troppogià dissi. Ma la mia parola
nelfido orecchio dell’amico stia
comenel tempio del mio corrinchiusa.
Ilconte
Forseio l’ignoro? E forse ad uno ad uno
nonso quai siano i miei nemici?
Marco
Esai 360
chite gli ha fatti? In pria l’esser tu tanto
maggiordi loroindi lo sprezzo aperto
chetu ne festi in ogni incontro. Alcuno
nonti nocque finor; ma chi non puote
nocercol tempo? Tu non pensi ad essi365
senon allor che in tuo cammin li trovi;
mapensan essi a tepiù che non credi.
Spregiail grandeed obblia; ma il vil si gode
nell’odio.Or tu non irritarlo: cerca
dispegnerlo; tu il puoi forse. Consiglio 370
divili arti ch’io stesso a sdegno avrei
ionon ti doné tal da me l’aspetti.
Matra la noncuranza e la servile
cautelaavvi una via; v’ha una prudenza
anchepei cor più nobili e più schivi; 375
v’haun’arte d’acquistar l’alme volgari
senzadiscender fino ad esse: e questa
nelsenno tuoquando tu vuoila trovi.
Ilconte
Troppoè il tuo dir verace: il tuo consiglio
lemille volte a me medesmo io il diedi; 380
esempre all’uopo ei mi fuggì di mente;
esempre appresi a danno mio che dove
seminal’irail pentimento miete.
Durascola ed inutile! Alfin stanco
difar leggi a me stessoe trasgredirle385
trame fermai ches’egli è mio destino
ch’iosia sempre in tai nodi avviluppato
chemestier faccia a distrigarli appunto
quellavirtù che più mi mancas’ella
èpur virtù; se è mio destin che un giorno 390
iosia colto in tai nodie vi perisca;
meglioè senza riguardi andargli incontro.
Ione appello a te stesso: i buoni mai
nonfur senza nemicie tu ne hai dunque.
Egiurerei che un sol non è tra loro 395
cuitu degninon dico accarezzarlo
manon dargli a veder che lo dispregi.
Rispondi.
Marco
Èver: se v’ha mortal di cui
lasorte invidiiè sol colui che nacque
inluoghi e in tempi ov’uom potesse aperto 400
mostrarl’animo in frontee a quelle prove
solotrovarsi ove più forza è d’uopo
cheaccorgimento: quindiove convenga
simularnon ti faccia maraviglia
chepoco esperto io sia. Pensa per altro 405
quantopiù m’è concesso impunemente
fallirein ciò che a te; che poche vie
alpugnal d’un nemico offre il mio petto;
cheme contra i privati odii assecura
lapubblica ragion; ch’io vesto il saio 410
stessodi quei che han la mia sorte in mano.
Matu straniertu condottiero al soldo
ditogati signortu cui lo Stato
dàtante spade per salvarloe niuna
persalvar te... fa che gli amici tuoi 415
odansol le tue lodi; e non dar loro
latrista cura di scolparti. Pensa
chefelici non sonse tu nol sei.
Chedirò più? Vuoi che una corda io tocchi
cheancor più addentro nel tuo cor risoni? 420
Pensaalla moglie tuapensa alla figlia
acui tu se’ sola speranza: il cielo
diéloro un’alma per sentir la gioia
un’almache sospira i dì sereni
mache nulla può far per conquistarli. 425
Tuil puoi per esse; e lo vorrai. Non dire
cheil tuo destin ti porta; allor che il forte
hadetto: io voglioei sente esser più assai
signordi sé che non pensava in prima.
Ilconte
Tuhai ragione. Il ciel si prende al certo 430
qualchecura di mepoiché m’ha dato
untale amico. Ascolta; il buon successo
potràsperoplacar chi mi disama:
tuttoin letizia finirà. Tu intanto
secosa odi di me che ti dispiaccia435
l’indolemia ne incolpaun improvviso
impetoprimoma non mai l’obblio
ditue parole.
Marco
Orla mia gioia è intera.
Vavincie torna. Oh come atteso e caro
verràquel messo che la gloria tua 440
conla salute della patria annunzi!
ATTOSECONDO
SCENAI
Partedel campo ducale con tende.
Malatestie Pergola
Pergola
Sìcondottier; come ordinastein pronto
sonle mie bande. A voi commise il Duca
l’arbitriodella guerra: io v’ho ubbidito
macon dolor; ve ne scongiuro ancora
nondiam battaglia.
Malatesti
Anziand’anni e di fama5
oPergolaqui siete; io sento il peso
delvostro voto; ma cangiar non posso
ilmio. Voi lo vedete; il Carmagnola
ciprovoca ogni dì: quasi ad insulto
sugliocchi nostri alfin Maclodio ha stretto: 10
edue partiti ci rimangon soli;
olui cacciarneo abbandonar la terra
chesaria danno e scorno.
Pergola
Apochi è dato
apochi egregi il dubitar di novo
quandohan già detto: ell’è così. S’io parlo15
èche tale vi tengo. Italia forse
maida’ barbari in poi non vide a fronte
duesì possenti eserciti: ma il nostro
l’ultimosforzo è di Filippo. In ogni
fattodi guerra entra fortunae sempre 20
vuolla sua parte: chi nol sa? Ma quando
neva il tuttoo Signoreallor non vuolsi
darglienepiù ch’ella non chiede; e questo
esercitocon cui tutto possiamo
salvarma che perduto in una volta 25
maipiù rifar non si potrianon dèssi
comeun dado gittarlo ad occhi chiusi
avventurarloin un sì piccol campo
ein un campo mal notoe quel che è peggio
notoal nemico. Ei qui ci trasse: un torto 30
argindivide le due schiere: a destra
ea sinistra paludiin esse sparsi
isuoi drappelli; e noi fuori de’ nostri
alloggiamentinon teniamo un palmo
purdi terren. Credete ad un che l’arti 35
conoscedi costuiche ha combattuto
alfianco suo: qui c’è un’insidia. Forse
lamiglior via di guerreggiar quest’uomo
sariatenerlo a badaaspettar tempo
tantoche alcun dei duci ai quali è sopra 40
prendessea noia il suo superbo impero;
eil fascio ch’egli or nella mano ha stretto
sirallentasse alfin. Purse a giornata
venirsi devenon è questo il loco:
usciamdi quiscegliamo un campo noi45
tiriamquivi il nemico: ivi in un giorno
senzasvantaggio almancosi decida.
Malatesti
Duegrandi schiere a fronte stanno; e grande
fiala battaglia: d’una tale appunto
abbisognaFilippo. A questi estremi 50
apoco a poco ei vennee coi consigli
cheor proponete: a trarnelofia d’uopo
appigliarciagli opposti. Il rischio vero
stanell’indugio; e nel mutare il campo
rovinacerta. Chi sapria dir quanto 55
dinumero e di cor scemato ei fia
priache si ponga altrove? Ora egli è quale
bramarlo puote un capitan; con esso
tuttolice tentar.
SCENAII
SforzaFortebraccioe detti.
Malatesti
Diteloo Sforza
eFortebraccio; voi giungete in tempo: 60
ditelovoicome trovaste il campo?
Chepossiamo sperarne?
Sforza
Ognigran cosa.
Quandogli ordini udirquando lor parve
cheuna battaglia si prepariio vidi
unferoce tripudio: alla chiamata 65
esultandoveniènoe col sorriso
sifean cenno a vicenda. E quando io corsi
entrole filead ogni schiera un grido
s’alzava;ognuno in me fissando il guardo
pareadicesse: o condottierv’intendo. 70
Fortebraccio
Etai son tutti: allor ch’io venni a’ miei
tuttimi furo intorno. Un mi dicea:
quandoudremo le trombe? Altri: noi siamo
stanchid’esser beffati; e tutti ad una
labattaglia chiedeancome già certi 75
dell’ottenerlae dubbi sol del quando.
Ebbencompagniio rispondease il segno
prestos’udràmi date voi parola
divincere con me? Gli elmi levati
sull’asteun grido universal d’assenso 80
fula rispostaond’io gioisco ancora.
Ea tai soldati ci venia proposto
d’intimarla ritratta? e che alle mani
chegià posate sulle spade aspettano
l’ordindi sguainarle e di ferire85
sicomandasse di levar le tende?
Chifronte avria di presentarsi ad essi
contal ordine ormai?
Pergola
Dalparlar vostro
unnovo modo di milizia imparo;
chei soldati comandinoe che i duci 90
ubbidiscano.
Fortebraccio
OPergolai soldati
acui capo son iofur da quel Braccio
disciplinatiche per tutto ancora
conmaraviglia e con terror si noma;
enon son usi a sostener gli scherni 95
dell’inimico.
Pergola
Edio conduco genti
damequal ch’io mi siadisciplinate;
esono avvezze ad aspettar la voce
delcondottieroed a fidarsi in lui.
Malatesti
Dimentichiamoor noi che numerati 100
sonoi momentie non ne resta alcuno
perle gare private?
SCENAIII
Torelloe detti.
Sforza
EbbenTorello
sietemutato di parer? Vedeste
l’animoardente de’ soldati?
Torello
Ilvidi;
udiile grida del furorle grida 105
dellafiducia e del coraggio; e il viso
rivolsialtroveonde nessun dei prodi
vileggesse il pensier che mal mio grado
visi pingeva: era il pensier che false
sonquelle gioie e brevi; era il pensiero 110
delvalor che si perde. Io cavalcai
lungotutta la fronte: io tesi il guardo
quantolunge potei; rividi quelle
macchieche sorgon qua e là dal suolo
uliginosoche la via fiancheggia: 115
làson gli agguatiil giurerei. Rividi
queldoppio cinto di muniti carri
ondeassiepato è del nemico il campo.
Sel’urto primo ei sostener non puote
hauna ritratta ove sfuggirlo e uscirne 120
preparatoal secondo. Un novo è questo
trovatodi costuiper torre ai suoi
ilpensier primo che s’affaccia ai vinti
ilpensier della fuga. Ad atterrarlo
duecolpi è d’uopo: ei con un sol ne atterra. 125
Perchénon giova chiuder gli occhi al vero
nonson più quelle guerrein cui pe’ figli
eper le donne e per la patria terra
eper le leggi che la fan sì cara
combattevail soldato; in cui pensava 130
ilcapitano a statuirgli un posto
eglia morirvi. A mercenarie genti
noicomandiamoin cui più di leggieri
troviil furor che la costanza: e’ corrono
volonterosialla vittoria incontro; 135
mas’ella tardase son posti a lungo
trala fuga e la morteah! dubbia è troppo
lascelta di costoro. E questo evento
piùche tutt’altro antiveder ci è forza.
Viltempo in cui tanto al comando cresce 140
difficoltàquanto la gloria scema!
Iolo ripetonon è questo un campo
dibattaglia per noi.
Malatesti
Dunque?
Torello
Simuti.
Nonsiam pari al nemico; andiamo in luogo
dovelo siam.
Malatesti
CosìMaclodio a lui 145
lasceremquasi in dono? I valorosi
chevi son chiusinon potran tenersi
piùche due giorni.
Torello
Ilso; ma non si tratta
néd’un presidio quiné d’una terra;
trattasidello Stato.
Sforza
Edi che mai 150
senon di terre si compon lo Stato?
Equelle che indugiandoad una ad una
giàlasciammo sfuggirquante son elle?
CasalBinaQuinzano e... e se vi piace
noveratelevoiché in tal pensiero 155
troppocaldo io mi sento. Il nobil manto
chea noi fidato ha il Ducaa brano a brano
soffriamcosì che in nostra man si scemi
eche a lui messo omai da noi non giunga
cheuna ritratta non gli annunzi. Intanto 160
superbisceil nemicoe ai nostri indugi
sfacciatoinsulta.
Torello
Equesto è segnoo Sforza
ch’eibrama una battaglia.
Sforza
Ohche puot’egli
bramardi piùche innanzi a sé cacciarne
conla spada nel fodero?
Pergola
Chepuote 165
bramardi più? Dirovvel io: che noi
tuttoarrischiam l’esercito in un campo
ov’egliha preso ogni vantaggio. Or questo
poniamoin salvo; ché le terre è lieve
riprendercon gli eserciti.
Fortebraccio
Conquali? 170
Nonper mia fécon quelli a cui s’insegna
adiloggiar quando il nemico appare
anon mirarlo in facciaa lasciar soli
nelleangosce i compagni; ma con genti
qualior le abbiam d’ira e di scorno accese175
impazientidi pugnarcon queste
siriparan le perditee si vince.
Chedobbiamo aspettar? Brandi arrotati
perchélasciarli irrugginir?
Sforza
Torello
voitemete d’agguati? Anch’io dirovvi: 180
nonson più quelle guerrein cui minuti
drappellettimoveancon l’occhio teso
ognimacchia guatandoogni rivolta.
Un’osteintera sopra un’oste intera
oggirovescerassi: un tanto stuolo 185
sivince sìma non s’accerchia; ei spazza
innanzia sé gl’intoppie fin ch’è unito
dovunquesiasul suo terreno è sempre.
Fortebraccio
(aPergola e Torello)
Sieteconvinti?
Torello
Sofferite...
Malatesti
Ioil sono.
Omaivano è più dir. Certo io mi tengo 190
chetutti andrete in operar d’accordo
piùche non foste in divisar disgiunti.
Poiche un partito e l’altro ha il suo periglio
scegliamoalmen quel che più gloria ha seco.
Noidarem la battaglia: alla frontiera 195
iomi pongo coi miei; Sforza vien dietro
echiude la vanguardia; il mezzo tenga
dellabattaglia Fortebraccio: e il nostro
ufiziosia con impeto serrarci
addossoal campo del nemicoaprirlo200
espingerci a Maclodio. VoiTorello
evoiPergolaa cui sì dubbia sembra
questagiornataio pongo in vostra mano
l’assicurarla:voidiscosti alquanto
ilretroguardo avrete. O la fortuna205
purcome suolseconda i valorosi
erompiamo il nemico; e voi piombate
soprai dispersi. Ma s’ei dura incontro
l’impetonostroe ci vedete entrati
dondeuscir soli non possiam; venite 210
anoireggete i periglianti amici;
chéper cosa che avvengaio vi prometto
retrocederea voi non ci vedrete.
Fortebraccio
Nonci vedreteno.
Sforza
Siatenecerti.
Fortebraccio
Sialode al cielcombatteremo alfine: 215
mainon accadde a capitanch’io sappia
perfare il suo mestier contender tanto.
Pergola
OCarmagnolatu pensasti che oggi
ilgiovenil corruccio alla prudenza
prevarrebbedei vecchi; e ti apponesti. 220
Fortebraccio
Sìla prudenza è la virtù dei vecchi:
ellacresce con gli annie tanto cresce
chealfin diventa...
Pergola
Ebbendite.
Fortebraccio
Paura;
poiche volete ad ogni modo udirlo.
Malatesti
Fortebraccio!
Pergola
L’haidetto. Ad un soldato 225
chegià più volte avea pugnato e vinto
primache tu vedessi una bandiera
oggitu il primo hai detto...
Malatesti
Daquel lato
pressoMaclodio è posto il Carmagnola.
Queglifra noi che avere oggi pensasse 230
altronemico che costuisarebbe
untraditor: pensatamente il dico.
Pergola
Ritrattoil voto che dapprima io diedi;
eil do per la battaglia: ella fia quale
predissiallor; ma non importa. Allora 235
poteaschifarsi; or la domando io primo:
ioson per la battaglia.
Malatesti
Accettoil voto
manon l’augurio: lo distorni il cielo
sulcapo del nemico.
Pergola
OFortebraccio
tum’hai offeso.
Malatesti
Orvia...
Fortebraccio
Secosì credi240
siapur così: perché a te spiacciao a quale
altropur sianon crederai ch’io voglia
unaparola ritirar che uscita
dallelabbra mi sia.
Malatesti
(inatto di partire)
Chiresta fido
aFilippomi segua.
Pergola
Iovi prometto 245
cheoggi darem battagliae che di noi
nonmancheravvi alcuno. O Fortebraccio
nongiunger onta ad onta; io ti ripeto
tum’hai offeso. Ascoltaio t’offro il modo
chetu mi renda l’onor mioserbando 250
intattoil tuo.
Fortebraccio
Chevuoi?
Pergola
Dammiil tuo posto.
Ovunquetu combattaa tutti è noto
chetu volesti la battagliaed io
iodevo ad ogni modo essere in luogo
chel’amico e il nemico aperto veda 255
ch’ionon ho... tu m’intendi.
Fortebraccio
Ioson contento.
Prendiquel posto; poi che il bramiè tuo.
Oforteor m’odi: ora m’è dolce il dirti
ch’ionon t’offesino: per la fortuna
delsignor nostro tu soverchio temi: 260
questodir volli. Ma il timor che nasce
incor di quel che ama la vitae l’ama
piùdell’onorma che nel cor del prode
muoreal primo periglio ch’egli affronta
emai più non risorgeo valoroso265
pensavitu?...
Pergola
Nullapensai: tu parli
dageneroso qual tu sei.
(aMalatesti)
Signore
voiconsentite al cambio?...
Malatesti
Ioci consento;
eson ben lieto di veder tant’ira
tuttacader sovra il nemico.
Torello
(alloSforza)
Iostava 270
colPergola da prima; ingiustoio spero
nonvi parrà...
Sforza
V’intendo;e con lui state
allavanguardia: ultimi e primitutti
combatterem;poco m’importa il dove.
Malatesti
Nonpiù ritardi. Iddio sarà coi prodi. 275
(partono)
SCENAIV
Campoveneziano. Tenda del Conte.
Ilconteun soldato
Soldato
Signorl’oste nemica è in movimento:
lavanguardia è sull’arginee s’avanza.
Ilconte
Icondottieri dove son?
Soldato
Quitutti
fuordella tenda i principali; e stanno
gliordin vostri aspettando.
Ilconte
Entrinotosto. 280
(parteil Soldato)
SCENAV
Ilconte
Eccoloil dì ch’io bramai tanto. - Il giorno
ch’einon mi volle udirche invan pregai
cheogni adito era chiusoe che deriso
soloio partivae non sapea per dove
oggicon gioia io lo rammento alfine. 285
Tipentiraidiceami rivedrai
macondottier de’ tuoi nemiciingrato!
Iolo dicea; ma allor pareva un sogno
unsogno della rabbia; ed ora è vero.
Glisono a fronte: ecco mi balza il core: 290
iosento il dì della battaglia... E s’io...
No:la vittoria è mia.
SCENAVI
IlconteGonzagaOrsiniTolentinoaltricondottieri
Ilconte
Compagniudiste
lalieta nova: l’inimico ha fatto
ciòch’io volea; così voi pur farete.
Eil sol che sorgea ognun di noilo giuro295
ilpiù bel dì di nostra vita apporta.
Nonè tra voi chi una battaglia aspetti
perfarsi un nomeil so; ma questa sera
l’avrempiù glorioso; e la parola
cheal nostro orecchio sonerà più grata300
omaifia quella di Maclodio. Orsini
sonpronti i tuoi?
Orsini
Sì.
Ilconte
Corriall’imboscate
sulladestra dell’argine; raggiungi
queiche vi stannoe prendine il comando.
Etu a sinistrao Tolentino. E quindi 305
nonvi moveteche non sia lo scontro
incominciato;quando ei fiacorrete
allespalle al nemico. Udite entrambi.
Sedell’insidie egli s’avvedee tenta
ritrarsiappena avrà voltato il dorso310
siategliaddosso uniti: io son con voi.
Provochio fuggaoggi dev’esser vinto.
Orsini
Elo sarà.
(parte)
Tolentino
T’ubbidiremvedrai.
(parte)
Ilconte
(aglialtri)
TuGonzagaal mio fianco. I posti a voi
assegneròsul campo. Andiamcompagni; 315
siresista al prim’urto: il resto è certo.
Coro
S’odea destra uno squillo di tromba;
asinistra risponde uno squillo:
d’amboi lati calpesto rimbomba
dacavalli e da fanti il terren.
Quincispunta per l’aria un vessillo; 5
quindiun altro s’avanza spiegato:
eccoappare un drappello schierato;
eccoun altro che incontro gli vien.
Giàdi mezzo sparito è il terreno;
giàle spade rispingon le spade; 10
l’undell’altro le immerge nel seno;
grondail sangue; raddoppia il ferir.
-Chi son essi? Alle belle contrade
qualne venne straniero a far guerra?
Qualè quei che ha giurato la terra 15
dovenacque far salvao morir?
-D’una terra son tutti: un linguaggio
parlantutti: fratelli li dice
lostraniero: il comune lignaggio
aognun d’essi dal volto traspar. 20
Questaterra fu a tutti nudrice
questaterra di sangue ora intrisa
chenatura dall’altre ha divisa
ericinta con l’alpe e col mar.
-Ahi! Qual d’essi il sacrilego brando 25
trasseil primo il fratello a ferire?
Ohterror! Del conflitto esecrando
lacagione esecranda qual è?
-Non la sanno: a dar mortea morire
quisenz’ira ognun d’essi è venuto; 30
evenduto ad un duce venduto
conlui pugnae non chiede il perché.
-Ahi sventura! Ma spose non hanno
nonhan madri gli stolti guerrieri?
Perchétutte i lor cari non vanno 35
dall’ignobilecampo a strappar?
Ei vegliardi che ai casti pensieri
dellatomba già schiudon la mente
chénon tentan la turba furente
conprudenti parole placar? 40
-Come assiso talvolta il villano
sullaporta del cheto abituro
segnail nembo che scende lontano
soprai campi che arati ei non ha;
cosìudresti ciascun che sicuro 45
vedelungi le armate coorti
raccontarle migliaia de’ morti
ela pieta dell’arse città.
Làpendenti dal labbro materno
vedii figli che imparano intenti 50
adistinguer con nomi di scherno
queiche andranno ad uccidere un dì;
quile donne alle veglie lucenti
de’monili far pompa e de’ cinti
chealle donne diserte de’ vinti 55
ilmarito o l’amante rapì.
-Ahi sventura! sventura! sventura!
Giàla terra è coperta d’uccisi;
tuttaè sangue la vasta pianura;
cresceil gridoraddoppia il furor. 60
Manegli ordini manchi e divisi
malsi reggegià cede una schiera;
giànel volgo che vincer dispera
dellavita rinasce l’amor.
Comeil grano lanciato dal pieno 65
ventilabronell’aria si spande;
taleintorno per l’ampio terreno
sisparpagliano i vinti guerrier.
Maimprovvise terribili bande
aifuggenti s’affaccian sul calle; 70
masi senton più presso alle spalle
anelareil temuto destrier.
Cadontrepidi a pié de’ nemici
gettanl’armesi danno prigioni:
ilclamor delle turbe vittrici 75
coprei lai del tapino che mor.
Uncorriero è salito in arcioni;
prendeun foglioil ripones’avvia
sferzaspronadivora la via;
ognivilla si desta al rumor. 80
Perchétutti sul pesto cammino
dallecasedai campi accorrete?
Ognunchiede con ansia al vicino
chegioconda novella recò?
Dondeei vengainfeliciil sapete85
esperate che gioia favelli?
Ifratelli hanno ucciso i fratelli:
questaorrenda novella vi do.
Odointorno festevoli gridi;
sorna il tempioe risona del canto; 90
giàs’innalzan dai cori omicidi
grazieed inni che abbomina il ciel.
Giùdal cerchio dell’alpi frattanto
lostraniero gli sguardi rivolve;
vedei forti che mordon la polve95
eli conta con gioia crudel.
Affrettateviempite le schiere
sospendetei trionfi ed i giochi
ritornatealle vostre bandiere:
lostraniero discende; egli è qui. 100
Vincitor!Siete deboli e pochi?
Maper questo a sfidarvi ei discende;
evoglioso a quei campi v’attende
doveil vostro fratello perì.
Tuche angusta a’ tuoi figli parevi105
tuche in pace nutrirli non sai
fatalterragli estrani ricevi:
talgiudizio comincia per te.
Unnemico che offeso non hai
atue mense insultando s’asside; 110
deglistolti le spoglie divide;
toglieil brando di mano a’ tuoi re.
Stoltoanch’esso! Beata fu mai
gentealcuna per sangue ed oltraggio?
Soloal vinto non toccano i guai; 115
tornain pianto dell’empio il gioir.
Bentalor nel superbo viaggio
nonl’abbatte l’eterna vendetta;
malo segna; ma veglia ed aspetta;
malo coglie all’estremo sospir. 120
Tuttifatti a sembianza d’un Solo
figlitutti d’un solo Riscatto
inqual orain qual parte del suolo
trascorriamoquest’aura vital
siamfratelli; siam stretti ad un patto: 125
maledettocolui che l’infrange
ches’innalza sul fiacco che piange
checontrista uno spirto immortal!
ATTOTERZO
SCENAI
Tendadel Conte.
Ilconte e il primo commissario
Ilconte
Sietecontenti?
Primocommissario
Udirl’alto trionfo
dellapatria; vederlo; essere i primi
asalutarla vincitrice; a lei
darnel’annunzio; assistere alla fuga
de’suoi nemici; e mentre al nostro orecchio 5
rimbombail suon della minaccia ancora
vederla gloria sua fuor del periglio
uscirraggiante e più che mai serena
comeun sol dalle nubi; è gioia questa
forseo signorcui la parola arrivi? 10
Voila vedete: essa vi sia misura
dellariconoscenza; e ben ci tarda
direndervi tai grazie in altro nome
chenon è il nostroe del Senato a voi
riferirla letizia e il guiderdone. 15
Eisarà pari al merto.
Ilconte
Iogià lo tengo.
Veneziaè salva; ho liberata in parte
unagrande promessa; ho fatto alfine
risovvenirdi me tal che m’avea
dimenticato;ho vinto.
Primocommissario
Edor si vuole 20
assicurardella vittoria il frutto.
Ilconte
....Questa è mia cura.
Primocommissario
Orche dal vostro brando
sgombraè la vianoi ci aspettiam che tutta
voila faretené starem fin tanto
chenon si giunga del nemico al trono. 25
Ilconte
Quandofia tempo.
Primocommissario
Eche? Voi non volete
inseguirei fuggenti?
Ilconte
Oranon voglio.
Primocommissario
Mail Senato lo crede... E noi ben certi
chepari all’alta occasionche pari
allavittoria il vostro ardor saria 30
nelproseguirlaabbiamo a lui...
Ilconte
Visiete
troppoaffrettati.
Primocommissario
Eche dirà mai quando
udràche ancor siam qui?
Ilconte
Diràche il meglio
èdi fidarsi a chi per lui già vinse.
Primocommissario
Ma...che pensate far?
Ilconte
Vel’avrei detto 35
piùvolentier pochi momenti or sono;
purconvien ch’io vel dica. Io non mi voglio
allontanardi qui pria ch’espugnate
nonsian le rocche che ci stan d’intorno.
Voglioun solo nemicoe quello in faccia. 40
Primocommissario
Ordunque i nostri voti...
Ilconte
Ivostri voti
piùarditi son del brando miopiù rapidi
de’miei cavalli;... ed io... la prima volta
èche mi sento dir pur ch’io m’affretti.
Primocommissario
Mapensaste abbastanza?
Ilconte
Eche! Sì nova 45
migiunge una vittoria? E vi par egli
chequesta gioia mi confonda il core
tantoche il primo mio pensier non sia
perciò che resta a far?
SCENAII
Ilsecondo commissario e detti.
Secondocommissario
(alConte)
Signorse tosto
noncorrete al riparouna sfacciata 50
perfidias’affatica a render vana
sìgran vittoria; e già l’ha fatto in parte.
Ilconte
Come?
Secondocommissario
Iprigioni escon del campo a torme;
icondottieri ed i soldati a gara
limandan scioltiné tener li puote 55
fuorche un vostro comando.
Ilconte
Unmio comando?
Secondocommissario
Esiterestea darlo?
Ilconte
Èquesto un uso
dellaguerrail sapete. È così dolce
ilperdonar quando si vince! e l’ira
prestosi cambia in amistà ne’ cori 60
chebatton sotto il ferro. Ah! non vogliate
invidiarsì nobil premio a quelli
chehanno per voi posta la vitaed oggi
songenerosiperché ier fur prodi.
Secondocommissario
Siageneroso chi per sé combatte65
signor;ma questie ad onor l’hannoio credo
alnostro soldo han combattuto; e nostri
sonoi prigioni.
Ilconte
Evoi potete adunque
credercosì: quei che gli han visti a fronte
cheassaggiaro i lor colpie che a fatica 70
sulor le mani insanguinate han poste
nolcrederan sì di leggieri.
Primocommissario
Èquesta
dunqueuna giostra di piacer? Non vince
perconservarVenezia? E vana al tutto
fiala vittoria?
Ilconte
Iogià l’udiidi novo 75
ladevo udir questa parola: amara
importunami vien come l’insetto
chescacciato una voltaanco a ronzarmi
tornasul volto... La vittoria è vana?
Ilsuol d’estinti ricopertosparso 80
escoraggiato il resto... il più fiorente
esercito!col qualse unito ancora
emio foss’eglie mio davvertorrei
acorrer tutta Italia; ogni disegno
dell’inimicoal vento; anche il pensiero 85
dell’offesaa lui tolto; a stento usciti
dallemie manie di fuggir contenti
quattrotai ducicontro a’ quai pur ieri
eravanto il resistere; svanito
mezzoil terror di que’ gran nomi; ai nostri 90
raddoppiatol’ardir che agli altri è scemo;
tuttala scelta della guerra in noi;
nostrele terre ch’egli han sgombre... è nulla?
Pensatevoi che torneranno al Duca
que’prigioni? che l’amino? che a loro 95
cagliadi lui più che di voi? ch’egli abbiano
combattutoper esso? Han combattuto
perchéall’uomo che segue una bandiera
gridauna voce imperiosa in core:
combattie vinci. E’ son perdenti; e’ sono 100
tornatiin libertà; si venderanno...
oh!tale ora è il soldato... a chi primiero
licomprerà... Compratelie son vostri.
Primocommissario
Quandoassoldammo chi dovea con essi
pugnarcomprarli noi credemmo allora. 105
Secondocommissario
SignorVenezia in voi si fida; in voi
vedeessa un figlio; e quanto all’util suo
allasua gloria può condurs’aspetta
chesi faccia da voi.
Ilconte
Tuttoch’io posso.
Secondocommissario
Ebbenche non potete in questo campo? 110
Ilconte
Quelche chiedete: un uso anticoun uso
caroai soldati violar non posso.
Secondocommissario
Voicui nulla resistea cui sì pronto
tiendietro ogni volersì ch’uom non vede
seper amore o per timor si pieghi115
voinon potreste in questo campovoi
fareuna leggee mantenerla?
Ilconte
Iodissi
ch’ionon potea: meglio or dirò: nol voglio.
Nonpiù parole; con gli amici è questo
ilmio costume anticoai giusti preghi 120
soddisfartosto e lietamentee gli altri
apertamenterifiutar. Soldati!
Secondocommissario
Ma...che disegno è il vostro?
Ilconte
Orlo vedrete.
(aun Soldato che entra)
Quantiprigion restano ancora?
Ilsoldato
Iocredo
quattrocentosignor.
Ilconte
Chiamali...chiama 125
ipiù distinti... quei che incontri i primi:
venganqui tosto.
(parteil Soldato)
Io’l potrei certo... Ov’io
dessiun tal cennonon s’udria nel campo
unarepulsa; ma i miei figlii miei
compagnidel periglio e della gioia130
queiche fidano in meche un capitano
credonseguir sempre a difender pronto
l’onordella milizia ed il vantaggio
iotradirli così! Farla più serva
piùvilpiù trista che non è!... Signori135
fidenteio soncome i soldati il sono;
mase cosa or da me chiedete a forza
chemi tolga l’amor de’ miei compagni
semi volete separar da quelli
ea tal ridurmi ch’io non abbia appoggio 140
altroche il vostromio malgrado il dico
m’astringeretea dubitar...
Secondocommissario
Chedite!
SCENAIII
Iprigionieritra i quali Pergola figlioe detti.
Ilconte
(aiPrigionieri)
Oprodi indarnoo sventurati!... A voi
dunquefortuna è più crudel? voi soli
sietealla trista prigionia serbati? 145
Unprigioniere
Taleeccelso signornon era il nostro
presentimentoallor che a voi dinanzi
fummochiamatiudir ci parve il messo
dinostra libertà. Già tutti l’hanno
ricovratacolor che agli altri duci150
minordi voicaddero in mano; e noi...
Ilconte
Voidi chi siete prigionier?
Ilprigioniere
Noifummo
gliultimi a render l’armi. In fuga o preso
giàtutto il restoancor per pochi istanti
fusospesa per noi l’empia fortuna 155
dellagiornata; alfin voi feste il cenno
d’accerchiarcio signor: solinon vinti
mareliquie de’ vintial drappel vostro...
Ilconte
Voisiete quelli? Io son contentoamici
dirivedervi; e posso ben far fede 160
chepugnaste da prodi: e se tradito
tantovalor non erae pari a voi
sortitoaveste un condottiernon era
piacevoltresca esservi a fronte.
Ilprigioniere
Edora
cifia sventura il non aver ceduto 165
chea voisignore? E quelli a cui toccato
menglorioso è il vincitorl’avranno
trovatopiù cortese? Indarno ai vostri
lalibertà chiedemmo; alcun non osa
dispordi noi senza l’assenso vostro; 170
macel promiser tutti. Oh! se potete
mostrarvial Conteci dicean: non egli
certodei vinti aggraverà la sorte;
nonfia certo per lui tolta un’antica
cortesiadella guerra... ei che sapria 175
esserpiuttosto ad inventarla il primo.
Ilconte
(aiCommissari)
Voigli uditeo signori... Ebbenche dite?...
Voiche fareste?...
(aiPrigionieri)
Tolgail ciel che alcuno
piùaltamente di me pensi ch’io stesso.
Voisiete scioltiamici. Addio: seguite 180
lavostra sortee s’ella ancor vi porta
sottouna insegna che mi sia nemica...
ebbenci rivedremo.
(segnidi gioia tra i Prigionieriche partono;
ilConte osserva il Pergola figlioe lo ferma)
Ogiovinetto
tudel volgo non sei; l’abitoe il volto
ancorpiù chiaro il dice; e ti confondi 185
congli altrie taci?
Pergolafiglio
Ocapitanoi vinti
nonhan nulla da dir.
Ilconte
Latua fortuna
porticosìche ben ti mostri degno
d’unamiglior. Quale è il tuo nome?
Pergolafiglio
Unnome
cuicrescer pregio assai difficil fia190
cheun grande obbligo impone a chi lo porta:
Pergolaè il nome mio.
Ilconte
Che?Tu sei figlio
diquel valente?
Pergolafiglio
Ilson.
Ilconte
Vienied abbraccia
l’anticoamico di tuo padre. Io era
qualeor tu seiquando il conobbi in prima. 195
Tumi rammenti i lieti giornii giorni
dellesperanze. E tu fa cor: fortuna
piùgiocondi princìpi a me concesse;
male promesse sue sono pei prodi;
eo presto o tardi essa le adempie. Il padre 200
perme salutao giovinettoe digli
ch’ionon tel chiesima che certo io sono
ch’einon volea questa battaglia.
Pergolafiglio
Ah!certo
nonla volea; ma fur parole al vento.
Ilconte
Nonti doler: del capitano è l’onta 205
dellasconfitta; e sempre ben comincia
chida forte combatte ove fu posto.
Vienmeco;
(loprende per mano)
aiduci io vo’ mostrartiio voglio
rendertila tua spada.
(aiCommissari)
Addiosignori;
giammaipietoso coi nemici vostri 210
ionon saròche dopo averli vinti.
(partonoil Conte e Pergola figlio)
SCENAIV
Idue commissari
Secondocommissario
(dopoqualche silenzio)
Direteancor che a presagir perigli
troppofacil son io? che le parole
de’suoi contrariil mio sospetto antico
l’odioforsechi sa? mi fanno ingiusto 215
controcostui? ch’egli è sdegnosoardente
maleal? che da lui cercar non dessi
ossequima servigie quando in grave
casoil nostro volere a lui s’intimi
ildubitar ch’egli resista è un sogno? 220
Vibasta questo?
Primocommissario
C’èdi più. Gli dissi
chea noi premea che s’inseguisse il vinto:
eiricusò.
Secondocommissario
Mache rispose?
Primocommissario
Eivuole
assicurarsidelle rocche... ei teme...
Secondocommissario
Cautoad un tratto è divenuto... e dopo 225
unavittoria.
Primocommissario
Laparola a stento
gliuscia di bocca: ella parea risposta
all’indiscretoche t’assediae vuole
iltuo segreto che per nulla il tocca.
Secondocommissario
Mal’ha poi detto il suo segreto? E questo 230
motivoond’egli accontentar vi volle
viparve il solo suo motivoil vero?
Primocommissario
Nolsonon ci badaitempo non ebbi
chedi pensar ch’io mi trovava innanzi
untemerarioe ch’io sentia parole 235
inusitateai pari nostri.
Secondocommissario
Es’egli
alsuo signore anticoal primo ond’ebbe
onorsupremiall’alta creatura
dellasua spadapiù terror che danno
volessefar? fargli pensar soltanto 240
quelch’egli era per luiquel che gli è contro?
Talnemico mostrarglisich’ei brami
d’averloamico ancor? S’ei non potesse
tuttostaccare il suo pensier da un trono
ch’eglialzò dalla polve; ov’ebbe il primo 245
gradodopo colui che v’è seduto?
Seun duca ardente di conquistee inetto
asopportar d’una corazza il peso
ched’una mano ha d’uopo e d’un consiglio
eal condottier lo chiedee gli comanda 250
ciòch’ei medesmo gl’inspiròpiù grato
signorpiù dolce al condottier paresse
chemoltie vigilantie più bramosi
diconservar che d’acquistarcui preme
sovr’ognicosa il comandar davvero? 255
Primocommissario
Tuttoio m’aspetto da costui.
Secondocommissario
Teniamo
questosospetto: il suo contegnoi nostri
accorgimentiil faran chiaro in breve
oad altro almen ci guideranno. Ei trama
certo.Colui che tramae del successo 260
sipasce giàcome se il tengaardito
parlaancor che nol voglia; e quei che sprezza
infaccia il suo signorgià in cor ne ha scelto
unaltroo pensa a diventarlo ei stesso.
No:da Filippo ei non è sciolto in tutto. 265
Aquella stirpe onde la sposa egli ebbe
nonè stranier: troppo gli è caro il nodo
chead essa un dì lo strinse. In quella figlia
cheha tanta parte in suo pensiernon scorre
colsuo confuso de’ Visconti il sangue? 270
Primocommissario
Comeparlò! Come passò dall’ira
alnon curar! Con che superba pace
disubbidì!Siam noi nel nostro campo?
DiVenezia i mandati? Eran costoro
vintie prigioni? E più sicuro il guardo 275
portavanodi noi! Noi testimoni
delsuo poterdel conto in cui ci tiene
de’nostri acquisti così sparsi al vento
dital gioiadi tai graziedi tali
abbracciamenti!Oh! ciò durar non puote. 280
Cheavviso è il vostro?
Secondocommissario
Haccenedue? Soffrire
dissimularfargli querela ancora
d’un’offesache mai creder non puote
dimenticatae insiem la strada aprirgli
diripararla a modo suo; gradire 285
chech’ei ne faccia; chiedergli soltanto
ciòche siam certi d’ottenerne; opporci
solquanto basti a far che vera appaia
condiscendenzail resto; a dichiararsi
nonastringerlo mai; vegliare intanto; 290
scriverneai Diecied aspettar comandi.
Primocommissario
Vivercosì! Che si diria di noi?
Dell’altoufizio che ci fu commesso
acui venimmo invidiatie or tale
diviene?
Secondocommissario
Èsempre glorioso il posto 295
dovesi serve la sua patriae dove
sigiunge ai fini suoi. Soldati e duci
tuttisono per luil’ammiran tutti
nessunl’invidia; a sommo onor si tiene
beneubbidirlo; e in questo sol c’è gara 300
chead essergli secondo ognuno aspira.
Vocesì cara e riverita in prima
cheforza avrebbe in lor poscia che udita
l’hannoin un tanto dìche forza avrebbe
seproferisse mai quella parola305
chein core han tuttila rivolta? Guai!
Chepiù? gli udimmo pur; come de’ suoi
ènel pensiero de’ nemici in cima.
Primocommissario
Masiamo a tempo? Ei già sospetta.
Secondocommissario
Ilsiamo.
Essiarmatie sol essi; avvezzi tutti 310
aprodigar la vitaa non temere
ilperiglioad amarloe delle imprese
anon guardar che la speranzaalfine
piùch’uomini nel campo: ah! se fanciulli
nonfosser poi nel restoed i sospetti 315
facilia palesar come a deporli;
seuna parola di lusingaun atto
disommessa amistà non li volgesse
atalento di quel che l’usa a tempo;
ache saremmo? ubbidiria la spada? 320
Saremmoancora i signor noi?
Primocommissario
Stabene.
Riescao noquesto partito è il solo.
ATTOQUARTO
SCENAI
Saladei Capi del Consiglio dei Dieciin Venezia.
MarcoSenatoree Marino uno dei Capi.
Marco
Eccomial cenno degli eccelsi Capi
delConsiglio de’ Dieci.
Marino
Ioparlo in nome
ditutti lor. Vi si destina un grave
incarcofuor di qui: se un argomento
diconfidenza questo sia... la vostra 5
coscienzail diravvi.
Marco
Essami dice
chescarsa al merto ed all’ingegno mio
deela patria concederlama intera
allafede ed al cor.
Marino
Lapatria! È un nome
dolcea chi l’ama oltre ogni cosae sente 10
divivere per lei; ma proferirlo
senzatremar non dee chi resta amico
de’suoi nemici.
Marco
Edio...
Marino
Perchi parlaste
oggiin Senato? Per la patria? I vostri
sdegnii vostri terrori eran per lei? 15
Chivi rendea sì caldo? Il suo periglio
oil periglio di chi? Chi difendeste...
voisolo?
Marco
Ioso davanti a chi mi trovo.
Stala mia vita in vostra manma il mio
votonon già: giudice ei non conosce 20
fuorche il mio cor; né d’altro esser può reo
ched’avergli mentito. A darne conto
purdisposto son io.
Marino
Tuttoche puote
porla patria in periglioessere inciampo
all’altemire suedargli sospetto25
èin nostra man. Perché ci siate or voi
senol sapetese mostrar vi giova
dinon saperlouditelo. Per ora
d’oggisi parli; non vogliam di tutta
lavostra vita interrogar che un giorno. 30
Marco
Eche? fors’altro mi si appon? Di nulla
temerposs’io; la mia condotta...
Marino
Ènota
piùa noi che a voi. Dalla memoria vostra
forseassai cose ha cancellato il tempo:
ilnostro libro non obblia.
Marco
Ditutto 35
ragiondarò.
Marino
Voila darete quando
vifia chiesta. Non più: quando il Senato
diedeil comando al Carmagnolaa molti
erasospetta la sua fede; ad altri
certaparea: potea parerlo allora. 40
Eidiscioglie i prigioniinsulta i nostri
mandatii nostri pari; ha vintoe perde
inperfid’ozio la vittoria. Il velo
cadedal ciglio ai più. Nel suo soccorso
troppofidandoil Trevisan s’innoltra 45
nelPole navi del nemico affronta;
sopraffattodal numerorichiede
alCapitan rinforzoe non l’ottiene.
Fremeil Senato; poche voci appena
s’alzanoancor per lui. Cremona è presa50
bastasol ch’ei v’accorra; ei non v’accorre.
Giungel’annunzio oggi al Senato: alfine
piùnon gli resta difensor che un solo:
soloma caldo difensor. Per lui
innocenteè costuidegno di lode 55
piùche di scusa; e se ci fu sventura
colpaè soltanto del destino... e nostra.
Nonè giustizia che il persegue: è solo
odioprivatoè invidiaè basso orgoglio
chenon perdona al sommoa chi tacendo 60
gridaco’ fatti: io son maggior di voi.
Certoinaudito è un tal linguaggio: i Padri
nellor Senato oggi l’udiro; e muti
sivolsero a guardar donde tal voce
venìase uno straniero oggiun nemico 65
premereun seggio nel Senato ardia.
Chiaritoè il Conte un traditor; si vuole
torgliogni via di nocere. Ma l’arte
tantae l’audacia è di costuiche reso
eis’è tremendo a’ suoi signori; è forte 70
diquella forza che gli abbiam fidata;
egliha il cor de’ soldati; e l’armi nostre
quandovogliason sue; contro di noi
volgerle puotee il vuol. Certo è follia
aspettarche lo tenti; ognun risolve 75
ch’eisi prevengae tosto. A forza aperta
èimpresa piena di perigli. E noi
staremper questo? E il suo maggior delitto
saràcagion perché impunito ei vada?
Solauna strada alla giustizia è schiusa80
l’artecon cui l’ingannator s’inganna.
Eici astrinse a tenerla; ebbensi tenga:
questoè il voto comun. Che fece allora
l’amicodi costui? Ve ne rammenta?
Iovel dirò; ché men tranquillo al certo 85
erain quel punto il vostro cordell’occhio
cheimperturbato vi seguia. Perdeste
ogniritegnooltrepassaste il largo
confinche un resto di prudenza avea
prescrittoal vostro ardordimenticaste 90
ciòche promesso v’eravateintero
aimen veggenti vi svelastea quelli
cuiparea novo ciò che a noi non l’era.
Ognunoallor pensò che oggi in Senato
c’eraun uom di soverchioe che bisogna 95
porreil segreto dello Stato in salvo.
Marco
Signortutto a voi lice: innanzi a voi
quelche ora io sianon so; però non posso
dimenticarmiche patrizio io sono
néa voi tacer che un dubbio tal m’offende. 100
Sonoun di voi: la causa dello Stato
èla mia causa; e il suo segreto importa
ame non men che altrui.
Marino
Voletealfine
saperchi siete qui? Voi siete un uomo
dicui si temeun che lo Stato guarda 105
comeun inciampo alla sua via. Mostrate
chenol sarete; il darvene agio ancora
ègran clemenza.
Marco
Iosono amico al Conte:
questaè l’accusa mia; nol negoio il sono:
eil ciel ringrazio che vigor mi ha dato 110
diconfessarlo qui. Ma se nemico
èdella patria? Mi si proviè il mio.
Chegli si appone? I prigionier disciolti?
Nonli disciolse il vincitor soldato?
Mainvan pregato il condottier non volle 115
frenarquesta licenza. Il potea forse?
Mal’imitò. Non ve lo astrinse un uso
qualch’ei siadella guerra? ed al Senato
veranon parve questa scusa? e largo
d’ognionor poscia non gli fu? L’aiuto 120
alTrevisan negato? Era più grave
periglioil darlo; era l’impresa ordita
ignaroil Conte; ei non fu chiesto a tempo.
Ela sentenza che a sì turpe esiglio
ilTrevisan dannòtutta la colpa 125
nonrovesciò sovra di lui? Cremona?
Chidi Cremona meditò l’acquisto?
Chil’ordin dié che si tentasse? Il Conte.
Delpopol tutto che a rumor si leva
nonpuò scarso drappel l’inaspettato 130
impetosostener; ritorna al campo
nonscemo pur d’un combattente. Al Duce
buonconsiglio non parve incontro un novo
impensatonemico avventurarsi;
eabbandonò l’impresa. Ella èfra tante 135
sìben compiuteuna fallita impresa;
mail tradimento ov’è? Fierooltraggioso
dagran tempovoi diteè il suo linguaggio:
untroppo lungo tollerar macchiato
hal’onor nostro. Ed un’insidiail lava? 140
Epoi che un nodoun dì sì caroormai
nonpuò tener Venezia e il Carmagnola
chici vieta disciorlo? Un’amistade
sìnobilmente strettaor non potria
nobilmentefinir? Come! anche in questo 145
unperiglio si scorge! Il genio ardito
delcondottier; la fama sua si teme
de’soldati l’amor! Se render piena
testimonianzaal vercolpa si stima;
sea tal trista temenza oppor non lice 150
lalealtà del Conte; il senso almeno
delnostro onor la scacci. Abbiam di noi
unpiù degno concetto; e non si creda
chea tal Venezia giunta siache possa
porlain periglio un uom. Lasciam codeste 155
cureai tiranni: ivi il valor si tema
ovelo scettro è in una manoe basta
astrapparlo un guerrier che dica: io sono
piùdegno di tenerlo; e a’ suoi compagni
ilpersuada. Ei che tentar potria? 160
AlDuca ritornardicesie seco
leschiere trar nel tradimento. Al Duca?
All’uomche un’onta non perdona mai
néun gran servigioritornar colui
chegli compose e che gli scosse il trono? 165
Chinon poté restargli amico in tempo
chepugnava per luiridivenirlo
dopoaverlo sconfitto! Avvicinarsi
aquella man che in questo asilo istesso 170
compròun pugnal per trapassargli il petto!
L’odiosoloo signorcreder lo puote.
Ah!qual sia la cagion che innanzi a questo
temutoseggio fa trovarmiun’alta
graziami fiase fare intender posso
ancouna volta il ver: qualche lusinga 175
ionutro ancor che non fia forse invano.
Sìl’odio ciecol’odio sol potea
farche fosse in Senato un tal sospetto
propostointesotollerato. Ha molti
franoi nemici il Conte: or non ricerco 180
perchélo siano: il son. Quando nascoste
all’ombradella pubblica vendetta
lenimistà private io disvelai;
quandochiedea che a provveder s’avesse
l’utilsoltanto dello Statoe il giusto; 185
alloraufizio io non facea d’amico
madi fedel patrizio. Io già non scuso
ilmio parlar: quando proporre intesi
chesotto il vel di consultarlo ei sia
richiamatoa Veneziae gli si faccia 190
onorpiù dell’usatoe tutto questo
pertirarlo nel laccio... allornol nego...
Marino
Piùnon pensaste che all’amico.
Marco
Allora
dissimularnol vo’tutte sentii
lepotenze dell’alma sollevarsi 195
controun consiglio... ah fu seguito!... Un solo
pensiernon fu; fu della patria mia
l’onorch’io vedo vilipesoil grido
de’nemici e de’ posteri; fu il primo
sensod’orror che un tradimento inspira 200
all’uomche dee stornarloo starne a parte.
Ese pietà d’un prode a tanti affetti
pursi mischiòdoveapoteva io forse
farlatacer? Son reo d’aver creduto
cheutil puote a Venezia esser soltanto 205
ciòche l’onorae che si può salvarla
senzafarsi...
Marino
Nonpiù: se tanto udii
fuperché ai Capi del Consiglio importa
diconoscervi appien. Piacque aspettarvi
aisecondi pensier; veder si volle 210
seun più maturo ponderar v’ avea
trattoa più saggio e più civil consiglio.
Orpoiché indarno si speròcredete
voiche un decreto del Senato io voglia
difenderora innanzi a voi? Si tratta 215
lavostra causa qui. Pensate a voi
nonalla patria: ad altree fortie pure
maniè commessa la sua sorte: e nulla
acor le sta che il suo voler vi piaccia
mache s’adempiae che non sia sofferto 220
pureil pensier di porvi impedimento.
Aquesto vegliam noi. Quindi io non voglio
altroda voi che una risposta. Espresso
sovraquest’uomo è del Senato il voto;
compirsi dee; voiche farete intanto? 225
Marco
Qualeinchiestasignor!
Marino
Voisiete a parte
d’ungran disegno; e in vostro cor bramate
chea voto ei vada: non è ver?
Marco
Cheimporta
ciòch’io bramiallo Stato? A prova ormai
sache dell’opre mie non è misura 230
ildesiderioma il dover.
Marino
Qualpegno
abbiamda voi che lo farete? In nome
delTribunale un ve ne chiedo: e questo
selo negateun traditor vi tiene.
Quelche si serba ai traditorv’è noto. 235
Marco
Io...Che si vuol da me?
Marino
Riconoscete
chepatria è questa a cui bastovvi il core
dipreferire uno stranier. Sui figli
astento e tardi essa la mano aggrava;
ea perderne soltanto ella consente 240
queiche salvar non puote. Ogni error vostro
èpronta ad obbliar; v’apre ella stessa
lastrada al pentimento.
Marco
Alpentimento!
Ebbenche strada?
Marino
IlMussulman disegna
d’assalirTessalonica: voi siete 245
colàmandato. A quale ufizioquivi
notovi fia: pronta è la nave; ed oggi
voipartirete.
Marco
Ubbidirò.
Marino
Maun’arra
sivuol di vostra fé: giurar dovete
perquanto è sacroche in parole o in cenni 250
nullaper voi traspirerà di quanto
oggis’è fisso. Il giuramento è questo:
(glipresenta un foglio)
sottoscrivete.
Marco
(legge)
Echesignor? Non basta?..
Marino
Eper ultimoudite. Il messo è in via
cheporta al Conte il suo richiamo. Ov’egli 255
prontoubbidiscaed in Venezia arrivi
giustiziatroverà... forse clemenza.
Mase ricusase sta in forsee segno
dàdi sospetto; un gran segreto udite
etenetelo in voi; l’ordine è dato 260
chedalle nostre man vivo ei non esca.
Iltraditor che dargli un cenno ardisce
queil’uccidee si perde. Io più non odo
nullada voi: scrivete; ovvero...
(gliporge il foglio)
Marco
Ioscrivo.
(prendeil foglio e lo sottoscrive)
Marino
Tuttoè posto in obblio. La vostra fede 265
hafatto il più; vinto ha il dover: l’impresa
compirsior dee dalla prudenza: e questa
nonpuò mancarvisol che in mente abbiate
cheormai due vite in vostra man son poste. (parte)
SCENAII
Marco
Dunqueè deciso!... un vil son io!... fui posto 270
alcimento; e che feci?... Io prima d’oggi
nonconoscea me stesso!... Oh che segreto
oggiho scoperto! Abbandonar nel laccio
unamico io potea! Vedergli al tergo
l’assassinovenirveder lo stile 275
chesu lui scendee non gridar: ti guarda!
Iolo potea; l’ho fatto... io più nol devo
salvar;chiamato ho in testimonio il cielo
d’un’infameviltà... la sua sentenza
hosottoscritta... ha la mia parte anch’io 280
nelsuo sangue! Oh che feci!... io mi lasciai
dunqueatterrir?... La vita?... Ebbentalvolta
senzadelitto non si può serbarla:
nolsapeva io? Perché promisi adunque?
Perchi tremai? per me? per me? per questo 285
disonoratocapo?... o per l’amico?
Lamia ripulsa accelerava il colpo
nonlo stornava. O Dioche tutto scerni
rivelamiil mio cor; ch’io veda almeno
inquale abisso son cadutos’io 290
fuipiù stolto; o codardoo sventurato.
OCarmagnolatu verrai!... sì certo
egliverrà... se anche di queste volpi
stesse.in sospettoei penserà che Marco
èsenatorche anch’io l’invito; e lunge 295
ognidubbiezza scaccerà; rimorso
avràd’averla accolta... Io son che il perdo!
Ma...di clemenza non parlò quel vile?
Sìla clemenza che il potente accorda
all’uomche ha tratto nell’agguatoa quello 300
ch’eglimedesmo accusae che gli preme
ditrovar reo. Clemenza all’innocente!
Oh!il vil son io che gli credettio volli
credergli;ei la nomò perché comprese
chebastante a corrompermi non era 305
ilrio timor che a goccia a goccia ei fea
scendersull’alma mia: vide che d’uopo
m’eraun nobil pretesto; e me lo diede.
Gliastuti! i traditor! Come le parti
distribuitehanno tra lor costoro! 310
Unoil sorrisouno il pugnalquest’altro
leminacce... e la mia?... voller che fosse
debolezzaed inganno... ed io l’ho presa!
Ioli spregiava; e son da men di loro!
Einon gli sono amici!... Io non doveva 315
essergliamico: io la cercai; fui preso
dall’altaindole suadal suo gran nome.
Perchédapprima non pensai che incarco
èl’amistà d’un uom che agli altri è sopra?
Perchéallor correr solo io nol lasciai 320
lasua splendida vias’io non potea
seguirei passi suoi? La man gli stesi;
ilcortese la strinse; ed or ch’ei dorme
eil nemico gli è sopraio la ritiro:
eisi destae mi cerca; io son fuggito! 325
Eimi dispregiae more! Io non sostengo
questopensier... Che feci!... Ebbenche feci?
Nullafinora: ho sottoscritto un foglio
enulla più. Se fu delitto il giuro
nonfia virtù l’infrangerlo? Non sono 330
cheall’orlo ancor del precipizio; il vedo
eritrarmi poss’io... Non posso un mezzo
trovar?...Ma s’io l’uccido? Oh! forse il disse
peratterrirmi... E se davvero il disse?
Ohempiin quale abbominevol rete 335
strettom’avete! Un nobile consiglio
perme non c’è; qualunque io scelgaè colpa.
Ohdubbio atroce!... Io li ringrazio; ei m’hanno
statuitoun destino; ei m’hanno spinto
peruna via; vi corro: almen mi giova 340
ch’ionon la scelsi: io nulla scelgo; e tutto
ch’iofaccio è forza e volontà d’altrui.
Terraov’io nacquiaddio per sempre: io spero
chéti morrò lontanoe pria che nulla
sappiadi te: lo spero: in fra i perigli 345
certoper sua pietade il ciel m’invia.
Manon morrò per te. Che tu sii grande
egloriosache m’importa? Anch’io
duegran tesori aveala mia virtude
edun amico; e tu m’hai tolto entrambi. 350
(parte)
SCENAIII
Tendadel Conte.
Ilconte e Gonzaga
Ilconte
Ebbenche raccogliesti?
Gonzaga
Iofavellai
comeimponestiai Commissari; e chiaro
mostraiche tutta delle vinte navi
rimanla colpa e la vergogna a lui
chenon le seppe comandar; che infausta 355
lagiornata gli fu perché la imprese
senzadi te; che tu da lui chiamato
tardiin soccorsoromper non dovevi
ituoi disegni per servir gli altrui;
chel’armi lortanto in tua man felici360
sempreil sarianse questa guerra fosse
commessaal senno ed al voler d’un solo.
Ilconte
Chedicon essi?
Gonzaga
Simostrar convinti
aidetti miei: dissero in priache nulla
dissimularvolean; che amaro al certo 365
de’perduti navigli era il pensiero
edi Cremona la fallita impresa;
mache son lieti di saper che il fallo
dite non fu; che di chiunque ei sia
date l’ammenda aspettano.
Ilconte
Tuil vedi370
omio Gonzaga; se dai fede al volgo
sommoriguardoarte profonda è d’uopo
conquesti uomin di Stato. Io fui con essi
quelch’esser soglio; rigettai l’ingiuste
preteselorscender li feci alquanto 375
dall’altoseggio ove si pon chi avvezzo
nonè a vedersi altri che schiavi intorno;
iomostrai lor fino a che segno io voglio
chealtri signor mi sia: d’allora in poi
mainon l’hanno passato; io li provai 380
saggisempre e cortesi.
Gonzaga
Enon pertanto
darconsiglio ad alcuno io non vorrei
ditenerquesta via. Te da gran tempo
lagloria segue e la fortuna; ad essi
utiltu seitu necessario e caro385
terribilforse: e tu la prova hai vinta;
sepur può dirsi che sia vinta ancora.
Ilconte
Chedubbi hai tu?
Gonzaga
Tuche certezza? Io vedo
dolcisembiantie dolci detti ascolto:
segnid’amor; ma purl’odio che teme390
altrine ha forse?
Ilconte
No:di questo io nulla
sonoin pensier. Troppo a regnar son usi;
esan che all’uom da cui s’ottiene il molto
chiedernon dessi improntamente il meno.
Epoimi crediio li guardai dappresso: 395
questacupa arte lorquesti intricati
avvolgimentidi menzognaquesto
fingertacereantivederdi cui
tantoli loda e li condanna il mondo
èmeno assai di quel che al mondo appare. 400
Gonzaga
Sepur non era di lor arte il colmo
ilparer tali a te.
Ilconte
No:tu li vedi
conl’occhio altrui: quando col tuo li veda
tucangerai pensiero. Havvene assai
dischietti e buoni; havvene tal che un’alta 405
animachiudea cui pensier non osa
avvicinarsiche gentil non sia:
animadolce e disdegnosain cui
leggernon puoiche tu non sia compreso
d’amordi riverenzae di desio 410
disomigliarle. Non temer; non sono
dime scontenti; e quando il fosser mai
iolo saprei ben tosto.
Gonzaga
IlCiel non voglia
chetu t’inganni.
Ilconte
Altromi duol: son stanco
diquesta guerra che condur non posso 415
amodo mio. Quand’io non era ancora
piùche un soldato di venturaascoso
eperduto tra i milleed io sentia
cheal loco mio non m’avea posto il cielo
edell’oscurità l’aria affannosa 420
respiravafremendoed il comando
sìbello mi parea... chi m’avria detto
chel’otterreiche a gloriosi duci
ea tanti e così prodi e così fidi
soldatiio sarei capo; e che felice 425
ionon sarei perciò!...
(entraun Soldato)
Cherechi?
Soldato
Unfoglio
diVenezia.
(gliporge il foglioe parte)
Ilconte
Vediam.
(legge)
Nontel diss’io?
mainon gli ebbi più amici: a loro il Duca
chiedela pacee conferir con meco
bramandi ciò. Vuoi tu seguirmi?
Gonzaga
Iovengo. 430
Ilconte
Chedì tu di tal pace?
Gonzaga
Adun soldato
tulo domandi?
Ilconte
Èver; ma questa è guerra?
Omia consorteo figlia miatra poco
iorivedrovviabbraccerò gli amici:
questoè contento al certo. Eppur del tutto 435
esserlieto non so: chi potria dirmi
seun sì bel campo io rivedrò più mai?
ATTOQUINTO
SCENAI
Notte.Sala del Consiglio dei Dieci illuminata.
Ildogei diecie il conte seduti.
Ildoge
(alConte)
Aquesti patti offre la pace il Duca;
suciò chiede il Consiglio il parer vostro.
Ilconte
Signoriun altro io ve ne diedi; e molto
promisiallor: vi piacque. Io attenni in parte
quelche promesso avea: ma lunge ancora 5
dalleparole è il fatto; ed or non voglio
farleobbliar però: sul labbro mio
imprevidentemilitar baldanza
nonle mettea. Di novo avviso or chiesto
altronon posso che ridirvi il primo. 10
Seintera e calda e risoluta guerra
fardisponeteah! siete a tempo: è questa
lamiglior scelta ancora. Ei vi abbandona
Bergamoe Brescia; e non son vostre? L’armi
lehan fatte vostre: ei non può tanto offrirvi 15
quantosperar di torgli v’è concesso.
Mada un guerrier che vi giurò sua fede
voinon volete altro che il verse il modo
mutardi questa guerra a voi non piace
accettategli accordi.
Ildoge
Ilparlar vostro 20
accennaassaima poco spiega: un chiaro
parervi si domanda.
Ilconte
Uditeldunque.
Sceglieteun ducee confidate in lui:
tuttoei possa tentar; nulla si tenti
senzadi lui: largo poter gli date; 25
strettoconto ei ne renda. Io non vi chiedo
ch’iosia l’eletto: dico sol che molto
sperarnon lice da chi tal non sia.
Marino
Nonl’eravate voi quando i prigioni
scioltivolestee il furo? Eppur la guerra 30
piùrisoluta non si fea per questo
nécerta più. Duce e signor nel campo
forseconcesso non l’avreste.
Ilconte
Avrei
fattodi più: sotto alle mie bandiere
venianquei prodi; e di Filippo il soglio 35
votoor sarebbeo sederiavi un altro.
Ildoge
Vastidisegni avete.
Ilconte
El’adempirli
stain voi: se ancor nol sonn’è cagion sola
chela man che il dovea sciolta non era.
Marino
Anoi si disse altra cagion: che il Duca 40
vicommosse a pietàche l’odio atroce
chegià portaste al signor vostro antico
sovrai presenti il rovesciaste intero.
Ilconte
Questovi fu riferto? Ella è sventura
dichi regge gli Stati udir con pace 45
l’impudentemenzognai turpi sogni
d’unvil di cui non degneria privato
leparole ascoltar.
Marino
Sventuraè vostra
chea tal riferto il vostro oprar s’accordi
cheil rio linguaggio lo confermie il vinca. 50
Ilconte
Ilvostro grado io riverisco in voi
equesti generosi in mezzo a cui
v’haposto il caso: e mi conforta almeno
cheil non mertato onor di che lor piacque
cingereil loro capitanlo stesso 55
udirviio quimostra ch’essi han di lui
altropensiero.
Ildoge
Unoè il pensier di tutti.
Ilconte
Equal?
Ildoge
L’udiste.
Ilconte
Èdel Consiglio il voto
quelloche udii?
Ildoge
Sì:il crederete al Doge.
Ilconte
Questodubbio di me?...
Ildoge
Giàda gran tempo 60
nonè più dubbio.
Ilconte
Em’invitaste a questo?
Etaceste finor?
Ildoge
Sìper punirvi
deltradimentoe non vi dar pretesti
perconsumarlo.
Ilconte
Iotraditor! Comincio
acomprendervi alfin: pur troppo altrui 65
credernon volli. Io traditor! Ma questo
titoloinfame infimo a me non giunge:
einon è mio; chi l’ha mertato il tenga.
Ditemistolto: il soffriròche il merto:
taleè il mio posto qui; ma con null’altro 70
locambiereich’egli è il più degno ancora.
Ioguardoio torno col pensier sul tempo
chefui vostro soldato: ella è una via
sparsadi fior. Segnate il giorno in cui
viparvi un traditor! Ditemi un giorno 75
chedi grazie e di lodi e di promesse
colmonon sia! Che più? Qui siedo; e quando
iovenni a questo che alto onor parea
quandopiù forte nel mio cor parlava
fiduciaamorriconoscenzae zelo... 80
Fiduciano: pensa a fidarsi forse
queiche invitato tra gli amici arriva?
Ioveniva all’inganno! Ebbenci caddi;
ellaè così. Ma via; poiché gettato
èil finto volto del sorriso ormai85
sialode al ciel; siamo in un campo almeno
cheanch’io conosco. A voi parlare or tocca;
edifendermi a me: ditequai sono
itradimenti miei?
Ildoge
Gliudrete or ora
dalCollegio segreto.
Ilconte
Iolo ricuso. 90
Ciòche feci per voitutto lo feci
allaluce del sol; renderne conto
trainsidiose tenebre non voglio.
Giudicedel guerriersolo è il guerriero.
Voglioscolparmi a chi m’intenda; voglio 95
cheil mondo ascolti le difesee veda...
Ildoge
Passatoè il tempo di voler.
Ilconte
Quidunque
misi fa forza? Le mie guardie!
(alzandola vocesi move per uscire)
Ildoge
Sono
lungedi qui. Soldati!
(entranogenti armate)
Eccoviormai
levostre guardie.
Ilconte
Ioson tradito!
Ildoge
Unsaggio 100
pensierfu dunque il rimandarle: a torto
nonsi pensò chein suo tramar sorpreso
farsiribelle un traditor potria.
Ilconte
Ancheun ribellesì: come v’aggrada
ormaipotete favellar.
Ildoge
Siatratto 105
alCollegio segreto.
Ilconte
Unbreve istante
uditein pria. Voi risolvesteil vedo
lamorte mia; ma risolvete insieme
lavostra infamia eterna. Oltre l’antico
confinl’insegna del Leon si spiega 110
suquelle torriove all’Europa è noto
ch’iola piantai. Qui tacerassiè vero;
maintorno a voidove non giunge il muto
terrordel vostro imperoivi librato
iviin note indelebili fia scritto 115
ilbenefizio e la mercé. Pensate
aivostri annaliall’avvenir. Tra poco
ildì verrà che d’un guerriero ancora
uopovi sia: chi vorrà farsi il vostro?
Voiprovocate la milizia. Or sono 120
invostra forzaè ver; ma vi sovvenga
ch’ionon ci nacquiche tra gente io nacqui
belligeraconcorde: usa gran tempo
aguardar come sua questa qualunque
gloriad’un suo concittadinnon fia 125
chestraniera all’oltraggio ella si tenga.
Quic’è un inganno: a ciò vi trasse un qualche
vostronemico e mio: voi non credete
ch’iovi tradissi. È tempo ancora.
Ildoge
Ètardi.
Quandoil delitto meditastee baldo 130
affrontavatechi dovea punirlo
tempoera allor d’antiveggenza.
Ilconte
Indegno!
Tumi rendi a me stesso. Tu credesti
ch’iochiedessi pietàch’io ti pregassi:
tuforse osasti di pensar che un prode 135
pe’giorni suoi tremava. Ah! tu vedrai
comesi mor. Va; quando l’ultim’ora
ticoglierà sul vil tuo lettoincontro
nonle starai con quella fronte al certo
chea questa infamea cui mi traggiio reco. 140
(parteil Conte tra i Soldati)
SCENAII
Casadel Conte.
Antoniettae Matilde
Matilde
Eccol’aurora; e il padre ancor non giunge.
Antonietta
Ah!tu nol sai per prova: i lieti eventi
tardiaspettati giungonoe non sempre.
Prestasoltanto è la sventurao figlia:
intravedutaappenaella c’è sopra. 145
Mala notte passò: l’ore penose
deldesio più non son: tra pochi istanti
quelladel gaudio sonerà. Non puote
eipiù tardar; da questo indugio io prendo
unfausto augurio: il consultar sì lungo 150
trattonon hanche per fermar la pace.
Eisarà nostroe per gran tempo.
Matilde
Omadre
anch’iolo spero. Assai di notti in pianto
edi giorni in sospetto abbiam passati.
Ètempo ormai chead ogni istantead ogni 155
novellaad ogni susurrar del volgo
piùnon si tremie all’alma combattuta
quell’orrendopensier più non ritorni:
forsecolui che sospirateor more.
Antonietta
Ohrio pensier! ma almen per ora è lunge. 160
Figliaogni gioia col dolor si compra.
Nonti sovvien quel dì che il tuo gran padre
trattoin trionfotra i più grandi accolto
portòl’insegne de’ nemici al tempio?
Matilde
Ohgiorno!
Antonietta
Ognunparea minor di lui; 165
l’ariasonava del suo nome; e noi
scevredal volgoin alto loco intanto
contemplavamquell’uno in cui rivolti
erantutti gli sguardi: inebbriato
ilcor tremavae ripetea: siam sue. 170
Matilde
Feliciistanti!
Antonietta
Cheavevam noi fatto
permeritarli? A questa gioia il cielo
citrascelse tra mille. Il ciel ti scelse
ilciel ti scrisse un sì gran nome in fronte;
taldon ti feceche a chiunque il rechi175
n’andràsuperbo. A quanta invidia è segno
lanostra sorte! E noi dobbiam scontarla
conqueste angosce.
Matilde
Ah!son finite... ascolta;
odoun batter di remi... ei cresce... ei cessa...
Sispalancan le porte... ah! certo ei giunge: 180
omadreio vedo un’armatura; è lui.
Antonietta
Chimai saria s’egli non fosse?... O sposo...
(vaverso la scena)
SCENAIII
Gonzagae dette.
Antonietta
Gonzaga!...ov’è il mio sposo? ov’è?... Ma voi
nonrispondete? Oh cielo! il vostro aspetto
annunziauna sventura.
Gonzaga
Ahche pur troppo 185
annunziail vero!
Matilde
Achi sventura?
Gonzaga
Odonne!
Perchéun incarco sì crudel m’è imposto?
Antonietta
Ah!voi volete esser pietosoe siete
crudel:tremar più non ci fate. In nome
diDioparlate; ov’è il mio sposo?
Gonzaga
Ilcielo 190
vidia la forza d’ascoltarmi. Il Conte...
Matilde
Forseè tornato al campo?
Gonzaga
Ah!più non torna...
Egliè in disgrazia de’ Signori... è preso.
Antonietta
Eglipreso! perché?
Gonzaga
Glidanno accusa
ditradimento.
Antonietta
Eitraditore?
Matilde
Ohpadre! 195
Antonietta
Orviaseguite: preparate al tutto
siamnoi: che gli faran?
Gonzaga
Dallabbro mio
voinon l’udrete.
Antonietta
Ahil’hanno ucciso!
Gonzaga
Eivive;
mala sentenza è proferita.
Antonietta
Eivive?
Nonpiangerfigliaor che d’oprare è il tempo. 200
Gonzagaper pietànon vi stancate
dellanostra sventura; il ciel v’affida
duederelitte: ei v’era amico: andiamo
siateciscorta ai giudici. Vien meco
poverellainnocente: oh! vieni: in terra 205
c’èancor pietà: son sposi e padri anch’essi.
Mentrescrivean l’empia sentenzain mente
nonvenne lor ch’egli era sposo e padre.
Quandovedran di che dolor cagione
èuna parola di lor bocca uscita210
nefremeranno anch’essi; ah! non potranno
nonrivocarla: del dolor l’aspetto
èterribile all’uom. Forse scusarsi
quelprode non degnòrammentar loro
quantoper essi oprò; noi rammentarlo 215
sapremo.Ah! certo ei non pregò; ma noi
noipregheremo.
(inatto di partire)
Gonzaga
Ohcielperché non posso
lasciarvialmen questa speranza! A preghi
loconon c’è; qui i giudici son sordi
implacabiliignoti: il fulmin piomba220
laman che il vibra è nelle nubi ascosa.
Soloun conforto v’è concessoil tristo
confortodi vederloed io vel reco.
Mail tempo incalza. Fate cor; tremenda
èla prova; ma il Dio degl’infelici 225
saràcon voi.
Matilde
Nonc’è speranza?
Antonietta
Ohfiglia!
(partono)
SCENAIV
Prigione.
Ilconte
Aquest’ora il sapranno. Oh perché almeno
lungeda lor non moio! Orrendoè vero
lorgiungeria l’annunzio; ma varcata
l’orasolenne del dolor saria; 230
eadesso innanzi ella ci sta: bisogna
gustarlaa sorsie insieme. O campi aperti!
osol diffuso! o strepito dell’armi!
ogioia de’ perigli! o trombe! o grida
de’combattenti! o mio destrier! tra voi 235
erabello il morir. Ma... ripugnante
vodunque incontro al mio destinforzato
siccomeun reospargendo in sulla via
votiimpotenti e misere querele?
EMarcoanch’ei m’avria tradito! Oh vile 240
sospetto!oh dubbio! oh potess’io deporlo
priadi morir! Ma no: che val di novo
affacciarsialla vitae indietro ancora
volgereil guardo ove non lice il passo?
EtuFilippone godrai! Che importa? 245
Iole provai quest’empie gioie anch’io:
quelche vagliano or so. Ma rivederle!
mai lor gemiti udir! l’ultimo addio
daquelle voci udir! tra quelle braccia
ritrovarmi...e staccarmene per sempre! 250
Eccole!O Diomanda dal ciel sovr’esse
unguardo di pietà.
SCENAV
AntoniettaMatildeGonzagae il Conte
Antonietta
Miosposo!...
Matilde
Ohpadre!
Antonietta
Cosìritorni a noi? Questo è il momento
bramatotanto?...
Ilconte
Omiseresa il cielo
cheper voi sole ei m’è tremendo. Avvezzo 255
ioson da lungo a contemplar la morte
ead aspettarla. Ah! sol per voi bisogno
hodi coraggio; e voivoi non vorrete
tormeloè vero? Allor che Dio sui boni
facader la sventuraei dona ancora 260
ilcor di sostenerla. Ah! pari il vostro
allasventura or sia. Godiam di questo
abbracciamento:è un don del cielo anch’esso.
Figliatu piangi! e tuconsorte!... Ah! quando
tifeci miasereni i giorni tuoi 265
scorreanoin pace; io ti chiamai compagna
delmio tristo destin: questo pensiero
m’avvelenail morir. Deh ch’io non veda
quantoper me sei sventurata!
Antonietta
Osposo
de’miei bei dìtu che li festi; il core 270
vedimi;io moio di dolor; ma pure
bramarnon posso di non esser tua.
Ilconte
Sposail sapea quel che in te perdo; ed ora
nonfar che troppo il senta.
Matilde
Ohgli omicidi!
Ilconte
Nomia dolce Matilde; il tristo grido 275
dellavendetta e del rancor non sorga
dall’innocenteanimo tuonon turbi
quest’istanti:son sacri. Il torto è grande;
maperdonae vedrai che in mezzo ai mali
un’altagioia anco riman. La morte! 280
Ilpiù crudel nemico altro non puote
cheaccelerarla. Oh! gli uomini non hanno
inventatala morte: ella saria
rabbiosainsopportabile: dal cielo
essaci viene; e l’accompagna il cielo 285
contal confortoche né dar né torre
gliuomini ponno. O sposao figliaudite
lemie parole estreme: amareil vedo
vipiombano sul cor; ma un giorno avrete
qualchedolcezza a rammentarle insieme. 290
Tusposavivi; il dolor vincie vivi;
questainfelice orba non sia del tutto.
Fuggida questa terrae tosto ai tuoi
lariconduci: ella è lor sangue; ad essi
fostisì cara un dì! Consorte poi 295
dellor nemicoil fosti men; le crude
iredi Stato avversi fean gran tempo
de’Carmagnola e de’ Visconti il nome.
Matu riedi infelice; il tristo oggetto
dell’odioè tolto: è un gran pacier la morte. 300
Etutenero fiortu che tra l’armi
arallegrare il mio pensier venivi
tuchini il capo: oh! la tempesta rugge
sopradi te! tu tremied al singulto
piùnon regge il tuo sen; sento sul petto 305
letue infocate lagrime cadermi;
etergerle non posso: a me tu sembri
chiederpietàMatilde: ah! nulla il padre
puòfar per te; ma pei diserti in cielo
cè un Padreil sai. Confida in essoe vivi 310
adì tranquilli se non lieti: Ei certo
teli prepara. Ah! perché mai versato
tuttoil torrente dell’angoscia avria
sultuo mattinse non serbasse al resto
tuttala sua pietà? Vivie consola 315
questadolente madre. Oh ch’ella un giorno
aun degno sposo ti conduca in braccio!
Gonzagaio t’offro questa man che spesso
stringestiil dì della battagliae quando
dubbieravam di rivederci a sera. 320
Vuoitu stringerla ancorae la tua fede
darmiche scorta e difensor sarai
diqueste donnefin che sian rendute
ailor congiunti?
Gonzaga
Iotel prometto.
Ilconte
Orsono
contento.E quindise tu riedi al campo325
salutai miei fratellie dì lor ch’io
moioinnocente: testimon tu fosti
dell’opremiede’ miei pensierie il sai.
Dìlor che il brando io non macchiai con l’onta
d’untradimento: io nol macchiai: son io 330
tradito.E quando squilleran le trombe
quandol’insegne agiteransi al vento
donaun pensiero al tuo compagno antico.
Eil dì che segue la battagliaquando
sulcampo della strage il sacerdote335
trail suon lugubrealzi le palmeoffrendo
ilsacrifizio per gli estinti al cielo
ricordividi meche anch’io credea
morirsul campo.
Antonietta
OhDiopietà di noi!
Ilconte
SposaMatildeormai vicina è l’ora; 340
convienlasciarci... addio.
Matilde
Nopadre...
Ilconte
Ancora
unavolta venite a questo seno;
eper pietà partite.
Antonietta
Ahno! dovranno
staccarcia forza.
(sisente uno strepito d’armati)
Matilde
Ohqual fragor!
Antonietta
GranDio!
(s’aprela porta di mezzoe s’affacciano genti armate; il capo di esses’avanza verso il Conte: le due donne cadono svenute)
Ilconte
ODio pietosotu le involi a questo 345
crudelmomento; io ti ringrazio. Amico
tule soccorria questo infausto loco
letogli; e quando rivedran la luce
dìlor... che nulla da temer più resta.