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AlessandroManzoni



IPROMESSI SPOSI





Introduzione


"L'Historia si può veramente deffinire una guerra illustrecontro il Tempoperché togliendoli di mano gl'anni suoiprigionierianzi già fatti cadauerili richiama in vitalipassa in rassegnae li schiera di nuovo in battaglia. Ma gl'illustriCampioni che in tal Arringo fanno messe di Palme e d'Allorirapiscono solo che le sole spoglie più sfarzose e brillantiimbalsamando co' loro inchiostri le Imprese de Prencipi e Potentatie qualificati Personaggje trapontando coll'ago finissimodell'ingegno i fili d'oro e di setache formano un perpetuo ricamodi Attioni gloriose. Però alla mia debolezza non èlecito solleuarsi a tal'argomentie sublimità pericoloseconaggirarsi tra Labirinti de' Politici maneggjet il rimbombo de'bellici Oricalchi: solo che hauendo hauuto notitia di fattimemorabilise ben capitorno a gente meccanichee di piccol affaremi accingo di lasciarne memoria a Postericon far di tutto schiettae genuinamente il Raccontoouuero sia Relatione. Nella quale sivedrà in angusto Teatro luttuose Traggedie d'horrorie Scenedi malvaggità grandiosacon intermezi d'Imprese virtuose ebuontà angelicheopposte alle operationi diaboliche. Everamenteconsiderando che questi nostri climi sijno sotto l'amparodel Re Cattolico nostro Signoreche è quel Sole che maitramontae che sopra di essicon riflesso Lumequal Luna giamaicalanterisplenda l'Heroe di nobil Prosapia che pro tempore netiene le sue partie gl'Amplissimi Senatori quali Stelle fisseegl'altri Spettabili Magistrati qual'erranti Pianeti spandino la luceper ogni douevenendo così a formare un nobilissimo Cieloaltra causale trouar non si può del vederlo tramutato ininferno d'atti tenebrosimalvaggità e sevitie chedagl'huomini temerarij si vanno moltiplicandose non se arte efattura diabolicaattesoché l'humana malitia per sésola bastar non dourebbe a resistere a tanti Heroiche con occhijd'Argo e braccj di Briareosi vanno trafficando per li pubbliciemolumenti. Per locché descriuendo questo Racconto auuenutone' tempi di mia verde staggioneabbenché la più partedelle persone che vi rappresentano le loro partisijno sparite dallaScena del Mondocon rendersi tributarij delle Parchepure per degnirispettisi tacerà li loro nomicioè la parentelaetil medesmo si farà de' luochisolo indicando li Territorijgeneraliter. Né alcuno dirà questa sij imperfettionedel Raccontoe defformità di questo mio rozzo Partoa menoquesto tale Critico non sij persona affatto diggiuna della Filosofia:che quanto agl'huomini in essa versatiben vederanno nulla mancarealla sostanza di detta Narratione. Imperciocchéessendo cosaevidentee da verun negata non essere i nomi se non puri purissimiaccidenti... "

"Maquando io avrò durata l'eroica fatica di trascriver questastoria da questo dilavato e graffiato autografoe l'avròdatacome si suol direalla lucesi troverà poi chi duri lafatica di leggerla? "

Questariflessione dubitativanata nel travaglio del decifrare unoscarabocchio che veniva dopo accidentimi fece sospender lacopiae pensar più seriamente a quello che convenisse difare. " Ben è verodicevo tra mescartabellando ilmanoscrittoben è vero che quella grandine di concettini e difigure non continua così alla distesa per tutta l'opera. Ilbuon secentista ha voluto sul principio mettere in mostra la suavirtù; ma poinel corso della narrazionee talvolta perlunghi trattilo stile cammina ben più naturale e piùpiano. Sì; ma com'è dozzinale! com'è sguaiato!com'è scorretto! Idiotismi lombardi a iosafrasi della linguaadoperate a spropositogrammatica arbitrariaperiodi sgangherati. Epoiqualche eleganza spagnola seminata qua e là; e poich'èpeggione' luoghi più terribili o più pietosi dellastoriaa ogni occasione d'eccitar maravigliao di far pensareatutti que' passi insomma che richiedono bensì un po' direttoricama rettorica discretafinedi buon gustocostui nonmanca mai di metterci di quella sua così fatta del proemio. Ealloraaccozzandocon un'abilità mirabilele qualitàpiù oppostetrova la maniera di riuscir rozzo insieme eaffettatonella stessa paginanello stesso periodonello stessovocabolo. Ecco qui: declamazioni ampollosecomposte a forza disolecismi pedestrie da per tutto quella goffaggine ambiziosach'èil proprio carattere degli scritti di quel secoloin questo paese.In veronon è cosa da presentare a lettori d'oggigiorno: sontroppo ammaliziatitroppo disgustati di questo genere distravaganze. Meno maleche il buon pensiero m'è venuto sulprincipio di questo sciagurato lavoro: e me ne lavo le mani ".

Nell'attoperò di chiudere lo scartafaccioper riporlomi sapeva maleche una storia così bella dovesse rimanersi tuttaviasconosciuta; perchéin quanto storiapuò essere cheal lettore ne paia altrimentima a me era parsa bellacome dico;molto bella. " Perché non si potrebbepensaiprender laserie de' fatti da questo manoscrittoe rifarne la dicitura? "Non essendosi presentato alcuna obiezion ragionevoleil partito fusubito abbracciato. Ed ecco l'origine del presente libroesposta conun'ingenuità pari all'importanza del libro medesimo.

Taluniperò di que' fatticerti costumi descritti dal nostro autorec'eran sembrati così nuovicosì straniper non dirpeggiocheprima di prestargli fedeabbiam voluto interrogarealtri testimoni; e ci siam messi a frugar nelle memorie di queltempoper chiarirci se veramente il mondo camminasse allora a quelmodo. Una tale indagine dissipò tutti i nostri dubbi: a ognipasso ci abbattevamo in cose consimilie in cose più forti:equello che ci parve più decisivoabbiam perfino ritrovatialcuni personaggide' quali non avendo mai avuto notizia fuor chedal nostro manoscrittoeravamo in dubbio se fossero realmenteesistiti. Eall'occorrenzaciteremo alcuna di quelle testimonianzeper procacciar fede alle cosealle qualiper la loro stranezzaillettore sarebbe più tentato di negarla.

Marifiutando come intollerabile la dicitura del nostro autorechedicitura vi abbiam noi sostituita? Qui sta il punto.

Chiunquesenza esser pregatos'intromette a rifar l'opera altruis'espone arendere uno stretto conto della suae ne contrae in certo modol'obbligazione: è questa una regola di fatto e di dirittoalla quale non pretendiam punto di sottrarci. Anziper conformarciad essa di buon gradoavevam proposto di dar qui minutamente ragionedel modo di scrivere da noi tenuto; ea questo finesiamo andatiper tutto il tempo del lavorocercando d'indovinare le critichepossibili e contingenticon intenzione di ribatterle tutteanticipatamente. Né in questo sarebbe stata la difficoltà;giacché (dobbiam dirlo a onor del vero) non ci si presentòalla mente una criticache non le venisse insieme una rispostatrionfantedi quelle risposte chenon dico risolvon le questionima le mutano. Spesso anchemettendo due critiche alle mani tra lorole facevam battere l'una dall'altra; oesaminandole ben a fondoriscontrandole attentamenteriuscivamo a scoprire e a mostrare checosì opposte in apparenzaeran però d'uno stessogenerenascevan tutt'e due dal non badare ai fatti e ai principi sucui il giudizio doveva esser fondato; emesselecon loro gransorpresainsiemele mandavamo insieme a spasso. Non ci sarebbe maistato autore che provasse così ad evidenza d'aver fatto bene.Ma che? quando siamo stati al punto di raccapezzar tutte le detteobiezioni e risposteper disporle con qualche ordinemisericordia!venivano a fare un libro. Veduta la qual cosaabbiam messo da parteil pensieroper due ragioni che il lettore troverà certamentebuone: la primache un libro impiegato a giustificarne un altroanzi lo stile d'un altropotrebbe parer cosa ridicola: la secondache di libri basta uno per voltaquando non è d'avanzo.




Cap.I


Quelramo del lago di Comoche volge a mezzogiornotra due catene noninterrotte di montitutto a seni e a golfia seconda dello sporgeree del rientrare di quellivienquasi a un trattoa ristringersiea prender corso e figura di fiumetra un promontorio a destraeun'ampia costiera dall'altra parte; e il ponteche ivi congiunge ledue rivepar che renda ancor più sensibile all'occhio questatrasformazionee segni il punto in cui il lago cessae l'Addarincominciaper ripigliar poi nome di lago dove le riveallontanandosi di nuovolascian l'acqua distendersi e rallentarsi innuovi golfi e in nuovi seni. La costieraformata dal deposito di tregrossi torrentiscende appoggiata a due monti contiguil'uno dettodi san Martinol'altrocon voce lombardail Resegonedaimolti suoi cocuzzoli in filache in vero lo fanno somigliare a unasega: talché non è chial primo vederlopurchésia di frontecome per esempio di su le mura di Milano che guardanoa settentrionenon lo discerna tostoa un tal contrassegnoinquella lunga e vasta giogaiadagli altri monti di nome piùoscuro e di forma più comune. Per un buon pezzola costa salecon un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e invalloncelliin erte e in ispianatesecondo l'ossatura de' duemontie il lavoro dell'acque. Il lembo estremotagliato dalle focide' torrentiè quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il restocampi e vignesparse di terredi villedi casali; in qualche parteboschiche si prolungano su per la montagna. Leccola principale diquelle terree che dà nome al territoriogiace poco discostodal pontealla riva del lagoanzi viene in parte a trovarsi nellago stessoquando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggie che s'incammina a diventar città. Ai tempi in cui accadderoi fatti che prendiamo a raccontarequel borgogiàconsiderabileera anche un castelloe aveva perciò l'onored'alloggiare un comandantee il vantaggio di possedere una stabileguarnigione di soldati spagnoliche insegnavan la modestia allefanciulle e alle donne del paeseaccarezzavan di tempo in tempo lespalle a qualche maritoa qualche padre; esul finir dell'estatenon mancavan mai di spandersi nelle vigneper diradar l'uveealleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia. Dall'unaall'altra di quelle terredall'alture alla rivada un poggioall'altrocorrevanoe corrono tuttaviastrade e stradettepiùo men ripideo piane; ogni tanto affondatesepolte tra due muridondealzando lo sguardonon iscoprite che un pezzo di cielo equalche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e daqui la vista spazia per prospetti più o meno estesima ricchisempre e sempre qualcosa nuovisecondo che i diversi punti piglianpiù o meno della vasta scena circostantee secondo che questao quella parte campeggia o si scorciaspunta o sparisce a vicenda.Dove un pezzodove un altrodove una lunga distesa di quel vasto evariato specchio dell'acqua; di qua lagochiuso all'estremitào piùttosto smarrito in un gruppoin un andirivieni dimontagnee di mano in mano più allargato tra altri monti chesi spieganoa uno a unoallo sguardoe che l'acqua riflettecapovoltico' paesetti posti sulle rive; di là braccio difiumepoi lagopoi fiume ancorache va a perdersi in lucidoserpeggiamento pur tra' monti che l'accompagnanodegradando via viae perdendosi quasi anch'essi nell'orizzonte. Il luogo stesso da dovecontemplate que' vari spettacolivi fa spettacolo da ogni parte: ilmonte di cui passeggiate le faldevi svolgeal di soprad'intornole sue cime e le balzedistinterilevatemutabili quasi a ognipassoaprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v'erasembrato prima un sol giogoe comparendo in vetta ciò chepoco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l'amenoil domesticodi quelle falde tempera gradevolmente il selvaggioe orna vie piùil magnifico dell'altre vedute.

Peruna di queste stradiccioletornava bel bello dalla passeggiata versocasasulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628don Abbondiocurato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questanéil casato del personaggionon si trovan nel manoscrittoné aquesto luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizioe talvoltatra un salmo e l'altrochiudeva il breviariotenendovidentroper segnol'indice della mano destraemessa poi questanell'altra dietro la schienaproseguiva il suo camminoguardando aterrae buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevanoinciampo nel sentiero: poi alzava il visoegirati oziosamente gliocchi all'intornoli fissava alla parte d'un montedove la luce delsole già scomparsoscappando per i fessi del monte oppostosi dipingeva qua e là sui massi sporgenticome a larghe einuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviarioerecitato un altro squarciogiunse a una voltata della stradettadov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libroe di guardarsidinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltatalastrada correva dirittaforse un sessanta passie poi si divideva indue viottolea foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso ilmontee menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a untorrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche delpasseggiero. I muri interni delle due viottolein vece di riunirsiad angoloterminavano in un tabernacolosul quale eran dipintecerte figure lungheserpeggiantiche finivano in puntae chenell'intenzion dell'artistae agli occhi degli abitanti delvicinatovolevan dir fiamme; ealternate con le fiammecert'altrefigure da non potersi descrivereche volevan dire anime delpurgatorio: anime e fiamme a color di mattonesur un fondobigiognolocon qualche scalcinatura qua e là. Il curatovoltata la stradettae dirizzandocom'era solitolo sguardo altabernacolovide una cosa che non s'aspettavae che non avrebbevoluto vedere. Due uomini stavanol'uno dirimpetto all'altroalconfluenteper dir cosìdelle due viottole: un di costoroacavalcioni sul muricciolo bassocon una gamba spenzolata al difuorie l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagnoin piediappoggiato al murocon le braccia incrociate sul petto.L'abitoil portamentoe quello chedal luogo ov'era giunto ilcuratosi poteva distinguer dell'aspettonon lasciavan dubbiointorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo unareticella verdeche cadeva sull'omero sinistroterminata in unagran nappae dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: duelunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoioea quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polverecascante sul pettocome una collana: un manico di coltellaccio chespuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadonecon una gran guardia traforata a lamine d'ottonecongegnate come incifraforbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere perindividui della specie de' bravi.

Questaspecieora del tutto perdutaera allora floridissima in Lombardiae già molto antica. Chi non ne avesse ideaecco alcunisquarci autenticiche potranno darne una bastante de' suoi caratteriprincipalidegli sforzi fatti per ispegnerlae della sua dura erigogliosa vitalità.

Finodall'otto aprile dell'anno 1583l'Illustrissimo ed Eccellentissimosignor don Carlo d'AragonPrincipe di CastelvetranoDuca diTerranuovaMarchese d'AvolaConte di Burgetogrande Ammiraglioegran Contestabile di SiciliaGovernatore di Milano e CapitanGenerale di Sua Maestà Cattolica in Italiapienamenteinformato della intollerabile miseria in che è vivuta e vivequesta città di Milanoper cagione dei bravi e vagabondipubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutticoloro essere compresi in questo bandoe doversi ritenere bravi evagabondi... i qualiessendo forestieri o del paesenon hannoesercizio alcunood avendolonon lo fanno... masenza salarioopur con essos'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomoofficiale o mercante... per fargli spalle e favoreo veramentecomesi può presumereper tendere insidie ad altri... A tutticostoro ordina chenel termine di giorni seiabbiano a sgomberareil paeseintima la galera a' renitentie dà a tutti gliufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinitefacoltàper l'esecuzione dell'ordine. Manell'anno seguenteil 12 aprilescorgendo il detto signoreche questa Cittàè tuttavia piena di detti bravi... tornati a vivere come primavivevanonon punto mutato il costume loroné scemato ilnumerodà fuori un'altra gridaancor più vigorosae notabilenella qualetra l'altre ordinazioniprescrive:

Chequalsivoglia personacosì di questa Cittàcomeforestierache per due testimonj consterà esser tenutoecomunemente riputato per bravoet aver tal nomeancorché nonsi verifichi aver fatto delitto alcuno... per questa sola riputazionedi bravosenza altri indizjpossa dai detti giudici e da ognuno diloro esser posto alla corda et al tormentoper processoinformativo... et ancorché non confessi delitto alcunotuttavia sia mandato alla galeaper detto triennioper la solaopinione e nome di bravocome di sopra. Tutto ciòe ildi più che si tralasciaperché Sua Eccellenza èrisoluta di voler essere obbedita da ognuno.

All'udirparole d'un tanto signorecosì gagliarde e sicureeaccompagnate da tali ordiniviene una gran voglia di credere chealsolo rimbombo di essetutti i bravi siano scomparsi per sempre. Mala testimonianza d'un signore non meno autorevolené menodotato di nomici obbliga a credere tutto il contrario. Èquesti l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Juan Fernandez deVelascoContestabile di CastigliaCameriero maggiore di Sua MaestàDuca della Città di FriasConte di Haro e CastelnovoSignoredella Casa di Velascoe di quella delli sette Infanti di LaraGovernatore dello Stato di Milanoetc. Il 5 giugno dell'anno 1593pienamente informato anche lui di quanto danno e rovine sieno... ibravi e vagabondie del pessimo effetto che tal sorta di gentefacontra il ben pubblicoet in delusione della giustiziaintimaloro di nuovo chenel termine di giorni seiabbiano a sbrattare ilpaeseripetendo a un dipresso le prescrizioni e le minacce medesimedel suo predecessore. Il 23 maggio poi dell'anno 1598informatocon non poco dispiacere dell'animo suoche... ogni dì piùin questa Città e Stato va crescendo il numero di questitali(bravi e vagabondi)né di lorogiorno e nottealtro si sente che ferite appostatamente dateomicidii e ruberie etogni altra qualità di delittiai quali si rendono piùfaciliconfidati essi bravi d'essere aiutati dai capi e fautoriloro... prescrive di nuovo gli stessi rimediaccrescendo ladosecome s'usa nelle malattie ostinate. Ognuno dunqueconchiude poionninamente si guardi di contravvenire in partealcuna alla grida presenteperchéin luogo di provare laclemenza di Sua Eccellenzaproverà il rigoree l'ira sua...essendo risoluta e determinata che questa sia l'ultima e perentoriamonizione.

Nonfu però di questo parere l'Illustrissimo ed EccellentissimoSignoreil Signor Don Pietro Enriquez de AcevedoConte di FuentesCapitanoe Governatore dello Stato di Milano; non fu di questopareree per buone ragioni. Pienamente informato della miseria inche vive questa Città e Stato per cagione del gran numero dibravi che in esso abbonda... e risoluto di totalmente estirpare semetanto perniziosodà fuoriil 5 decembre 1600una nuovagrida piena anch'essa di severissime comminazionicon fermoproponimento checon ogni rigoree senza speranza di remissionesiano onninamente eseguite.

Conviencredere però che non ci si mettesse con tutta quella buonavoglia che sapeva impiegare nell'ordir cabalee nel suscitar nemicial suo gran nemico Enrico IV; giacchéper questa partelastoria attesta come riuscisse ad armare contro quel re il duca diSavoiaa cui fece perder più d'una città; comeriuscisse a far congiurare il duca di Birona cui fece perder latesta; maper ciò che riguarda quel seme tanto pernizioso de'bravicerto è che esso continuava a germogliareil 22settembre dell'anno 1612. In quel giorno l'Illustrissimo edEccellentissimo Signoreil Signor Don Giovanni de MendozzaMarchesede la HynojosaGentiluomo etc.Governatore etc.pensòseriamente ad estirparlo. A quest'effettospedì a Pandolfo eMarco Tullio Malatestistampatori regii cameralila solita gridacorretta ed accresciutaperché la stampassero ad esterminiode' bravi. Ma questi vissero ancora per ricevereil 24 decembredell'anno 1618gli stessi e più forti colpidall'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signoreil Signor Don GomezSuarez de FigueroaDuca di Feriaetc.Governatore etc. Perònon essendo essi morti neppur di quellil'Illustrissimo edEccellentissimo Signoreil Signor Gonzalo Fernandez di Cordovasotto il cui governo accadde la passeggiata di don Abbondios'eratrovato costretto a ricorreggere e ripubblicare la solita gridacontro i braviil giorno 5 ottobre del 1627cioè un announmese e due giorni prima di quel memorabile avvenimento.

Néfu questa l'ultima pubblicazione; ma noi delle posteriori noncrediamo dover far menzionecome di cosa che esce dal periodo dellanostra storia. Ne accenneremo soltanto una del 13 febbraio dell'anno1632nella quale l'Illustrissimo ed Eccellentissimo SignoreelDuque de Feriaper la seconda volta governatoreci avvisa chele maggiori sceleraggini procedono da quelli che chiamano bravi.Questo basta ad assicurarci chenel tempo di cui noi trattiamoc'era de' bravi tuttavia.

Chei due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualchedunoeracosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a donAbbondio fu il dover accorgersiper certi attiche l'aspettato eralui. Perchéal suo apparirecoloro s'eran guardati in visoalzando la testacon un movimento dal quale si scorgeva che tutt'edue a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava acavalcioni s'era alzatotirando la sua gamba sulla strada; l'altros'era staccato dal muro; e tutt'e due gli s'avviavano incontro. Eglitenendosi sempre il breviario aperto dinanzicome se leggessespingeva lo sguardo in super ispiar le mosse di coloro; evedendoseli venir proprio incontrofu assalito a un tratto da millepensieri. Domandò subito in fretta a se stessosetra ibravi e luici fosse qualche uscita di stradaa destra o asinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esameseavesse peccato contro qualche potentecontro qualche vendicativo;maanche in quel turbamentoil testimonio consolante dellacoscienza lo rassicurava alquanto: i bravi peròs'avvicinavanoguardandolo fisso. Mise l'indice e il medio dellamano sinistra nel collarecome per raccomodarlo; egirando le duedita intorno al collovolgeva intanto la faccia all'indietrotorcendo insieme la boccae guardando con la coda dell'occhiofindove potevase qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diedeun'occhiataal di sopra del muricciolone' campi: nessuno; un'altrapiù modesta sulla strada dinanzi; nessunofuorché ibravi. Che fare? tornare indietronon era a tempo: darla a gambeera lo stesso che direinseguitemio peggio. Non potendo schivareil pericolovi corse incontroperché i momenti diquell'incertezza erano allora così penosi per luiche nondesiderava altro che d'abbreviarli. Affrettò il passorecitòun versetto a voce più altacompose la faccia a tutta quellaquiete e ilarità che potéfece ogni sforzo perpreparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei duegalantuominidisse mentalmente: ci siamo; e si fermò su duepiedi.

-Signor curato- disse un di que' duepiantandogli gli occhi infaccia.

-Cosa comanda? - rispose subito don Abbondioalzando i suoi dallibroche gli restò spalancato nelle manicome sur unleggìo.

-Lei ha intenzione- proseguì l'altrocon l'atto minaccioso eiracondo di chi coglie un suo inferiore sull'intraprendere unaribalderia- lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino eLucia Mondella!

-Cioè... - risposecon voce tremolantedon Abbondio: - cioè.Lor signori son uomini di mondoe sanno benissimo come vanno questefaccende. Il povero curato non c'entra: fanno i loro pasticci traloroe poi... e poivengon da noicome s'anderebbe a un banco ariscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.

-Or bene- gli disse il bravoall'orecchioma in tono solenne dicomando- questo matrimonio non s'ha da farené domaninémai.

-Masignori miei- replicò don Abbondiocon la voce mansuetae gentile di chi vuol persuadere un impaziente- masignori mieisi degnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa dipendesse dame... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca...

-Orsù- interruppe il bravo- se la cosa avesse a decidersi aciarlelei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamonévogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c'intende.

-Ma lor signori son troppo giustitroppo ragionevoli...

-Ma- interruppe questa volta l'altro compagnoneche non avevaparlato fin allora- ma il matrimonio non si farào... - equi una buona bestemmia- o chi lo farà non se ne pentiràperché non ne avrà tempoe... - un'altra bestemmia.

-Zittozitto- riprese il primo oratore: - il signor curato èun uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuominiche nonvogliam fargli del malepurché abbia giudizio. Signor curatol'illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riveriscecaramente.

Questonome funella mente di don Abbondiocomenel forte d'un temporalenotturnoun lampo che illumina momentaneamente e in confuso glioggettie accresce il terrore. Fececome per istintoungrand'inchinoe disse: - se mi sapessero suggerire...

-Oh! suggerire a lei che sa di latino! - interruppe ancora il bravocon un riso tra lo sguaiato e il feroce. - A lei tocca. E sopratuttonon si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam datoper suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare queltal matrimonio. Viache vuol che si dica in suo nomeall'illustrissimo signor don Rodrigo?

-Il mio rispetto...

-Si spieghi meglio!

-...Disposto... disposto sempre all'ubbidienza -. Eproferendo questeparolenon sapeva nemmen lui se faceva una promessao uncomplimento. I bravi le preseroo mostraron di prenderle nelsignificato più serio.

-Benissimoe buona nottemessere- disse l'un d'essiin atto dipartir col compagno. Don Abbondiochepochi momenti primaavrebbedato un occhio per iscansarliallora avrebbe voluto prolungar laconversazione e le trattative. - Signori... - cominciòchiudendo il libro con le due mani; ma quellisenza piùdargli udienzapresero la strada dond'era lui venutoes'allontanaronocantando una canzonaccia che non voglio trascrivere.Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca apertacomeincantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casasuamettendo innanzi a stento una gamba dopo l'altrache parevanoaggranchiate. Come stesse di dentros'intenderà meglioquando avrem detto qualche cosa del suo naturalee de' tempi in cuigli era toccato di vivere.

DonAbbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era natocon un cuor di leone. Mafin da' primi suoi anniaveva dovutocomprendere che la peggior condizionea que' tempiera quella d'unanimale senza artigli e senza zannee che pure non si sentisseinclinazione d'esser divorato. La forza legale non proteggeva inalcun conto l'uomo tranquilloinoffensivoe che non avesse altrimezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi e penecontro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delittierano enumeratie particolareggiaticon minuta prolissità;le penepazzamente esorbitanti ese non bastaaumentabiliquasiper ogni casoad arbitrio del legislatore stesso e di centoesecutori; le procedurestudiate soltanto a liberare il giudice daogni cosa che potesse essergli d'impedimento a proferire unacondanna: gli squarci che abbiam riportati delle gride contro ibravine sono un piccoloma fedel saggio. Con tutto ciòanzi in gran parte a cagion di ciòquelle grideripubblicatee rinforzate di governo in governonon servivano ad altro che adattestare ampollosamente l'impotenza de' loro autori; oseproducevan qualche effetto immediatoera principalmente d'aggiungermolte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli giàsoffrivano da' perturbatorie d'accrescer le violenze e l'astuzia diquesti. L'impunità era organizzatae aveva radici che legride non toccavanoo non potevano smovere. Tali eran gli asilitali i privilegi d'alcune classiin parte riconosciuti dalla forzalegalein parte tollerati con astioso silenzioo impugnati con vaneprotestema sostenuti in fatto e difesi da quelle classiconattività d'interessee con gelosia di puntiglio. Oraquest'impunità minacciata e insultatama non distrutta dallegridedoveva naturalmentea ogni minacciae a ogni insultoadoperar nuovi sforzi e nuove invenzioniper conservarsi. Cosìaccadeva in effetto; eall'apparire delle gride dirette a comprimerei violentiquesti cercavano nella loro forza reale i nuovi mezzi piùopportuniper continuare a far ciò che le gride venivano aproibire. Potevan ben esse inceppare a ogni passoe molestare l'uomobonarioche fosse senza forza propria e senza protezione; perchécol fine d'aver sotto la mano ogni uomoper prevenire o per punireogni delittoassoggettavano ogni mossa del privato al volerearbitrario d'esecutori d'ogni genere. Ma chiprima di commettere ildelittoaveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in unconventoin un palazzodove i birri non avrebber mai osato metterpiede; chisenz'altre precauzioniportava una livrea che impegnassea difenderlo la vanità e l'interesse d'una famiglia potentedi tutto un cetoera libero nelle sue operazionie poteva ridersidi tutto quel fracasso delle gride. Di quegli stessi ch'eran deputatia farle eseguirealcuni appartenevano per nascita alla parteprivilegiataalcuni ne dipendevano per clientela; gli uni e glialtriper educazioneper interesseper consuetudineperimitazionene avevano abbracciate le massimee si sarebbero benguardati dall'offenderleper amor d'un pezzo di carta attaccatosulle cantonate. Gli uomini poi incaricati dell'esecuzione immediataquando fossero stati intraprendenti come eroiubbidienti comemonacie pronti a sacrificarsi come martirinon avrebber peròpotuto venirne alla fineinferiori com'eran di numero a quelli chesi trattava di sottometteree con una gran probabilitàd'essere abbandonati da chiin astratto eper così direinteoriaimponeva loro di operare. Maoltre di ciòcostoroeran generalmente de' più abbietti e ribaldi soggetti del lorotempo; l'incarico loro era tenuto a vile anche da quelli che potevanoaverne terroree il loro titolo un improperio. Era quindi bennaturale che costoroin vece d'arrischiareanzi di gettar la vitain un'impresa disperatavendessero la loro inazioneo anche la loroconnivenza ai potentie si riservassero a esercitare la loroesecrata autorità e la forza che pure avevanoin quelleoccasioni dove non c'era pericolo; nell'opprimer cioèe nelvessare gli uomini pacifici e senza difesa.

L'uomoche vuole offendereo che temeogni momentod'essere offesocercanaturalmente alleati e compagni. Quindi erain que' tempiportataal massimo punto la tendenza degl'individui a tenersi collegati inclassia formarne delle nuovee a procurare ognuno la maggiorpotenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere ead estendere le sue immunitàla nobiltà i suoiprivilegiil militare le sue esenzioni. I mercantigli artigianierano arrolati in maestranze e in confraternitei giurisperitiformavano una legai medici stessi una corporazione. Ognuna diqueste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; inognuna l'individuo trovava il vantaggio d'impiegar per séaproporzione della sua autorità e della sua destrezzale forzeriunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggioa difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavanopercondurre a termine ribalderiealle quali i loro mezzi personali nonsarebber bastatie per assicurarsene l'impunità. Le forzeperò di queste varie leghe eran molto disuguali; enellecampagne principalmenteil nobile dovizioso e violentocon intornouno stuolo di bravie una popolazione di contadini avvezzipertradizione famigliaree interessati o forzati a riguardarsi quasicome sudditi e soldati del padroneesercitava un poterea cuidifficilmente nessun'altra frazione di lega avrebbe ivi potutoresistere.

Ilnostro Abbondio non nobilenon riccocoraggioso ancor menos'eradunque accortoprima quasi di toccar gli anni della discrezioned'esserein quella societàcome un vaso di terra cottacostretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Avevaquindiassai di buon gradoubbidito ai parentiche lo volleroprete. Per dir la veritànon aveva gran fatto pensato agliobblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava:procacciarsi di che vivere con qualche agioe mettersi in una classeriverita e fortegli eran sembrate due ragioni più chesufficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non proteggeun individuonon lo assicurache fino a un certo segno: nessuna lodispensa dal farsi un suo sistema particolare. Don Abbondioassorbito continuamente ne' pensieri della propria quietenon sicurava di que' vantaggiper ottenere i quali facesse bisognod'adoperarsi moltoo d'arrischiarsi un poco. Il suo sistemaconsisteva principalmente nello scansar tutti i contrastie nelcederein quelli che non poteva scansare. Neutralitàdisarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a luidalleconteseallora frequentissimetra il clero e le podestàlaichetra il militare e il civiletra nobili e nobilifino allequestioni tra due contadininate da una parolae decise coi pugnio con le coltellate. Se si trovava assolutamente costretto a prenderparte tra due contendentistava col più fortesempre peròalla retroguardiae procurando di far vedere all'altro ch'egli nongli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perchénon avete saputo esser voi il più forte? ch'io mi sarei messodalla vostra parte. Stando alla larga da' prepotentidissimulando leloro soverchierie passeggiere e capricciosecorrispondendo consommissioni a quelle che venissero da un'intenzione più seriae più meditatacostringendoa forza d'inchini e di rispettogiovialeanche i più burberi e sdegnosia fargli un sorrisoquando gl'incontrava per la stradail pover'uomo era riuscito apassare i sessant'annisenza gran burrasche.

Nonè però che non avesse anche lui il suo po' di fiele incorpo; e quel continuo esercitar la pazienzaquel dar cosìspesso ragione agli altrique' tanti bocconi amari inghiottiti insilenzioglielo avevano esacerbato a segno chese non avesseditanto in tantopotuto dargli un po' di sfogola sua saluten'avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v'eran poi finalmente almondoe vicino a luipersone ch'egli conosceva ben bene perincapaci di far malecosì poteva con quelle sfogare qualchevolta il mal umore lungamente repressoe cavarsi anche lui la vogliad'essere un po' fantasticoe di gridare a torto. Era poi un rigidocensore degli uomini che non si regolavan come luiquando peròla censura potesse esercitarsi senza alcunoanche lontanopericolo.Il battuto era almeno un imprudente; l'ammazzato era sempre stato unuomo torbido. A chimessosi a sostener le sue ragioni contro unpotenterimaneva col capo rottodon Abbondio sapeva trovar semprequalche torto; cosa non difficileperché la ragione e iltorto non si dividon mai con un taglio così nettoche ogniparte abbia soltanto dell'una o dell'altro. Sopra tutto poideclamava contro que' suoi confratelli chea loro rischioprendevanle parti d'un debole oppressocontro un soverchiatore potente.Questo chiamava un comprarsi gl'impicci a contantiun volerraddirizzar le gambe ai cani; diceva anche severamentech'era unmischiarsi nelle cose profanea danno della dignità del sacroministero. E contro questi predicavasempre però aquattr'occhio in un piccolissimo crocchiocon tanto più diveemenzaquanto più essi eran conosciuti per alieni dalrisentirsiin cosa che li toccasse personalmente. Aveva poi una suasentenza predilettacon la quale sigillava sempre i discorsi suqueste materie: che a un galantuomoil qual badi a sée stiane' suoi panninon accadon mai brutti incontri.

Pensinoora i miei venticinque lettori che impressione dovesse faresull'animo del poverettoquello che s'è raccontato. Lospavento di que' visacci e di quelle parolaccela minaccia d'unsignore noto per non minacciare invanoun sistema di quieto viverech'era costato tant'anni di studio e di pazienzasconcertato in unpuntoe un passo dal quale non si poteva veder come uscirne: tuttiquesti pensieri ronzavano tumultuariamente nel capo basso di donAbbondio. " Se Renzo si potesse mandare in pace con un bel novia; ma vorrà delle ragioni; e cosa ho da rispondergliperamor del cielo? Eeeanche costui è una testa: un agnellose nessun lo toccama se uno vuol contraddirgli... ih! E poie poiperduto dietro a quella Luciainnamorato come... Ragazzaccicheper non saper che fares'innamoranovoglion maritarsie nonpensano ad altro; non si fanno carico de' travagli in che mettono unpovero galantuomo. Oh povero me! vedete se quelle due figuraccedovevan proprio piantarsi sulla mia stradae prenderla con me! Chec'entro io? Son io che voglio maritarmi? Perché non son andatipiuttosto a parlare... Oh vedete un poco: gran destino è ilmioche le cose a proposito mi vengan sempre in mente un momentodopo l'occasione. Se avessi pensato di suggerir loro che andassero aportar la loro imbasciata... " Maa questo puntos'accorse cheil pentirsi di non essere stato consigliere e cooperatoredell'iniquità era cosa troppo iniqua; e rivolse tutta lastizza de' suoi pensieri contro quell'altro che veniva così atogliergli la sua pace. Non conosceva don Rodrigo che di vista e difamané aveva mai avuto che far con luialtro che di toccareil petto col mentoe la terra con la punta del suo cappelloquellepoche volte che l'aveva incontrato per la strada. Gli era occorso didifenderein più d'un'occasionela riputazione di quelsignorecontro coloro chea bassa vocesospirandoe alzando gliocchi al cielomaledicevano qualche suo fatto: aveva detto centovolte ch'era un rispettabile cavaliere. Main quel momento gli diedein cuor suo tutti que' titoli che non aveva mai udito applicargli daaltrisenza interrompere in fretta con un oibò. Giuntotrail tumulto di questi pensierialla porta di casa suach'era infondo del paesellomise in fretta nella toppa la chiaveche giàteneva in mano; aprìentròrichiuse diligentemente;eansioso di trovarsi in una compagnia fidatachiamò subito:- Perpetua! Perpetua! -avviandosi pure verso il salottodovequesta doveva esser certamente ad apparecchiar la tavola per la cena.Era Perpetuacome ognun se n'avvedela serva di don Abbondio: servaaffezionata e fedeleche sapeva ubbidire e comandaresecondol'occasionetollerare a tempo il brontolìo e lefantasticaggini del padronee fargli a tempo tollerar le proprieche divenivan di giorno in giorno più frequentida che avevapassata l'età sinodale dei quarantarimanendo celibeperaver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerticome dicevaleio per non aver mai trovato un cane che la volessecome dicevanle sue amiche.

-Vengo- risposemettendo sul tavolinoal luogo solitoilfiaschetto del vino prediletto di don Abbondioe si mosselentamente; ma non aveva ancor toccata la soglia del salottoch'egliv'entròcon un passo così legatocon uno sguardo cosìadombratocon un viso così stravoltoche non ci sarebberonemmen bisognati gli occhi esperti di Perpetuaper iscoprire a primavista che gli era accaduto qualche cosa di straordinario davvero.

-Misericordia! cos'hasignor padrone?

-Nienteniente- rispose don Abbondiolasciandosi andar tuttoansante sul suo seggiolone.

-Comeniente? La vuol dare ad intendere a me? così bruttocom'è? Qualche gran caso è avvenuto.

-Ohper amor del cielo! Quando dico nienteo è nienteo ècosa che non posso dire.

-Che non può dir neppure a me? Chi si prenderà curadella sua salute? Chi le darà un parere?...

-Ohimè! tacetee non apparecchiate altro: datemi un bicchieredel mio vino.

-E lei mi vorrà sostenere che non ha niente! - disse Perpetuaempiendo il bicchieree tenendolo poi in manocome se non volessedarlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare.

-Date quidate qui- disse don Abbondioprendendole il bicchierecon la mano non ben fermae votandolo poi in frettacome se fosseuna medicina.

-Vuol dunque ch'io sia costretta di domandar qua e là cosa siaaccaduto al mio padrone? - disse Perpetuaritta dinanzi a luiconle mani arrovesciate sui fianchie le gomita appuntate davantiguardandolo fissoquasi volesse succhiargli dagli occhi il segreto.

-Per amor del cielo! non fate pettegolezzinon fate schiamazzi: neva... ne va la vita!

-La vita!

-La vita.

-Lei sa bene cheogni volta che m'ha detto qualche cosa sinceramentein confidenzaio non ho mai...

-Brava! come quando...

Perpetuas'avvide d'aver toccato un tasto falso; ondecambiando subito iltono- signor padrone- dissecon voce commossa e da commovere-io le sono sempre stata affezionata; ese ora voglio sapereèper premuraperché vorrei poterla soccorreredarle un buonpareresollevarle l'animo...

Ilfatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di scaricarsi delsuo doloroso segretoquanta ne avesse Perpetua di conoscerlo; ondedopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e piùincalzanti assalti di leidopo averle fatto più d'una voltagiurare che non fiaterebbefinalmentecon molte sospensioniconmolti ohimèle raccontò il miserabile caso. Quando sivenne al nome terribile del mandantebisognò che Perpetuaproferisse un nuovo e più solenne giuramento; e don Abbondiopronunziato quel nomesi rovesciò sulla spalliera dellaseggiolacon un gran sospiroalzando le maniin atto insieme dicomando e di supplicae dicendo: - per amor del cielo!

-Delle sue! - esclamò Perpetua. - Oh che birbone! oh chesoverchiatore! oh che uomo senza timor di Dio!

-Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?

-Oh! siam qui soli che nessun ci sente. Ma come faràpoverosignor padrone?

-Oh vedete- disse don Abbondiocon voce stizzosa: - vedete che beipareri mi sa dar costei! Viene a domandarmi come faròcomefarò; quasi fosse lei nell'impiccioe toccasse a me dilevarnela.

-Ma! io l'avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi...

-Ma poisentiamo.

-Il mio parere sarebbe chesiccome tutti dicono che il nostroarcivescovo è un sant'uomoe un uomo di polsoe che non hapaura di nessunoequando può fare star a dovere un diquesti prepotentiper sostenere un curatoci gongola; io direiedico che lei gli scrivesse una bella letteraper informarlo comequalmente...

-Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare a unpover'uomo? Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schienaDio liberi! l'arcivescovo me la leverebbe?

-Eh! le schioppettate non si dànno via come confetti: e guai sequesti cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io hosempre veduto che a chi sa mostrare i dentie farsi stimaregli siporta rispetto; eappunto perché lei non vuol mai dir la suaragionesiam ridotti a segno che tutti vengonocon licenzaa...

-Volete tacere?

-Io taccio subito; ma è però certo chequando il mondos'accorge che unosemprein ogni incontroè pronto a calarle...

-Volete tacere? È tempo ora di dir codeste baggianate?

-Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsimale da séa rovinarsi la salute; mangi un boccone.

-Ci penserò io- risposebrontolandodon Abbondio: - sicuro;io ci penseròio ci ho da pensare - E s'alzòcontinuando: - non voglio prender niente; niente: ho altra voglia: loso anch'io che tocca a pensarci a me. Ma! la doveva accader perl'appunto a me.

-Mandi almen giù quest'altro gocciolo- disse Perpetuamescendo. - Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco.

-Eh! ci vuol altroci vuol altroci vuol altro. Così dicendoprese il lumeebrontolando sempre: - una piccola bagattella! a ungalantuomo par mio! e domani com'andrà? - e altre simililamentazionis'avviò per salire in camera. Giunto su lasogliasi voltò indietro verso Perpetuamise il dito sullaboccadissecon tono lento e solenne : - per amor del cielo! -edisparve.




Cap.II


Siracconta che il principe di Condé dormì profondamentela notte avanti la giornata di Rocroi: main primo luogoera moltoaffaticato; secondariamente aveva già date tutte ledisposizioni necessariee stabilito ciò che dovesse farelamattina. Don Abbondio in vece non sapeva altro ancora se non chel'indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte dellanotte fu spesa in consulte angosciose. Non far caso dell'intimazioneribaldané delle minaccee fare il matrimonioera unpartitoche non volle neppur mettere in deliberazione. Confidare aRenzo l'occorrentee cercar con lui qualche mezzo... Dio liberi! -Non si lasci scappar parola... altrimenti... ehm!- aveva dettoun di que' bravi; eal sentirsi rimbombar quell'ehm! nellamentedon Abbondionon che pensare a trasgredire una tal leggesipentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua. Fuggire? Dove? E poi!Quant'impiccie quanti conti da rendere! A ogni partito cherifiutavail pover'uomo si rivoltava nel letto. Quello cheper ogniversogli parve il meglio o il men malefu di guadagnar tempomenando Renzo per le lunghe. Si rammentò a propositochemancavan pochi giorni al tempo proibito per le nozze; " eseposso tenere a badaper questi pochi giorniquel ragazzoneho poidue mesi di respiro; ein due mesipuò nascer di gran cose". Ruminò pretesti da metter in campo; ebenchégli paressero un po' leggieripur s'andava rassicurando col pensieroche la sua autorità gli avrebbe fatti parer di giusto pesoeche la sua antica esperienza gli darebbe gran vantaggio sur ungiovanetto ignorante. " Vedremo- diceva tra sé: - eglipensa alla morosa; ma io penso alla pelle: il più interessatoson iolasciando stare che sono il più accorto. Figliuolcarose tu ti senti il bruciore addossonon so che dire; ma io nonvoglio andarne di mezzo ". Fermato così un poco l'animo auna deliberazionepoté finalmente chiuder occhio: ma chesonno! che sogni! Bravidon RodrigoRenzoviottolerupifugheinseguimentigridaschioppettate. Il primo svegliarsidopo unasciagurae in un impiccioè un momento molto amaro. Lamenteappena risentitaricorre all'idee abituali della vitatranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le siaffaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è piùvivo in quel paragone istantaneo. Assaporato dolorosamente questomomentodon Abbondio ricapitolò subito i suoi disegni dellanottesi confermò in essigli ordinò meglios'alzòe stette aspettando Renzo con timore ead un tempocon impazienza.Lorenzo ocome dicevan tuttiRenzo non si fece molto aspettare.Appena gli parve ora di potersenza indiscrezionepresentarsi alcuratov'andòcon la lieta furia d'un uomo di vent'annichedeve in quel giorno sposare quella che ama. Erafindall'adolescenzarimasto privo de' parentied esercitava laprofessione di filatore di setaereditariaper dir cosìnella sua famiglia; professionenegli anni indietroassai lucrosa;allora già in decadenzama non però a segno che unabile operaio non potesse cavarne di che vivere onestamente. Illavoro andava di giorno in giorno scemando; ma l'emigrazione continuade' lavorantiattirati negli stati vicini da promesseda privilegie da grosse paghefaceva sì che non ne mancasse ancora aquelli che rimanevano in paese. Oltre di questopossedeva Renzo unpoderetto che faceva lavorare e lavorava egli stessoquando ilfilatoio stava fermo; di modo cheper la sua condizionepotevadirsi agiato. E quantunque quell'annata fosse ancor più scarsadelle antecedentie già si cominciasse a provare una veracarestiapure il nostro giovinecheda quando aveva messi gliocchi addosso a Luciaera divenuto massaiosi trovava provvistobastantementee non aveva a contrastar con la fame. Comparve davantia don Abbondioin gran galacon penne di vario colore al cappellocol suo pugnale del manico bellonel taschino de' calzonicon unacert'aria di festa e nello stesso tempo di braverìacomuneallora anche agli uomini più quieti. L'accoglimento incerto emisterioso di don Abbondio fece un contrapposto singolare ai modigioviali e risoluti del giovinotto.

"Che abbia qualche pensiero per la testa "argomentòRenzo tra sé; poi disse: - son venutosignor curatopersapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.

-Di che giorno volete parlare?

-Comedi che giorno? non si ricorda che s'è fissato per oggi?

-Oggi? - replicò don Abbondiocome se ne sentisse parlare perla prima volta. - Oggioggi... abbiate pazienzama oggi non posso.

-Oggi non può! Cos'è nato?

-Prima di tuttonon mi sento benevedete.

-Mi dispiace; ma quello che ha da fare è cosa di cosìpoco tempoe di così poca fatica...

-E poie poie poi...

-E poi che cosa?

-E poi c'è degli imbrogli.

-Degl'imbrogli? Che imbrogli ci può essere?

-Bisognerebbe trovarsi nei nostri piediper conoscer quanti impiccinascono in queste materiequanti conti s'ha da rendere. Io sontroppo dolce di cuorenon penso che a levar di mezzo gli ostacoliafacilitar tuttoa far le cose secondo il piacere altruie trascuroil mio dovere; e poi mi toccan de' rimproverie peggio.

-Macol nome del cielonon mi tenga così sulla cordae midica chiaro e netto cosa c'è.

-Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per fare unmatrimonio in regola?

-Bisogna ben ch'io ne sappia qualche cosa- disse Renzocominciandoad alterarsi- poiché me ne ha già rotta bastantementela testaquesti giorni addietro. Ma ora non s'è sbrigato ognicosa? non s'è fatto tutto ciò che s'aveva a fare?

-Tuttotuttopare a voi: perchéabbiate pazienzala bestiason ioche trascuro il mio dovereper non far penare la gente. Maora... bastaso quel che dico. Noi poveri curati siamo tral'ancudine e il martello: voi impaziente; vi compatiscopoverogiovane; e i superiori... bastanon si può dir tutto. E noisiam quelli che ne andiam di mezzo.

-Ma mi spieghi una volta cos'è quest'altra formalità ches'ha a farecome dice; e sarà subito fatta.

-Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?

-Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?

-Errorconditiovotumcognatiocrimen

Cultusdisparitasvisordoligamenhonestas

Sisis affinis... - cominciava don Abbondiocontando sulla puntadelle dita.

-Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'iofaccia del suo latinorum?

-Dunquese non sapete le coseabbiate pazienzae rimettetevi a chile sa.

-Orsù!...

-Viacaro Renzonon andate in collerache son pronto a fare...tutto quello che dipende da me. Ioio vorrei vedervi contento; vivoglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene;cosa vi mancava? V'è saltato il grillo di maritarvi...

-Che discorsi son questisignor mio? - proruppe Renzocon un voltotra l'attonito e l'adirato.

-Dico per direabbiate pazienzadico per dire. Vorrei vedervicontento.

-In somma...

-In sommafigliuol caroio non ci ho colpa; la legge non l'ho fattaio. Eprima di conchiudere un matrimonionoi siam proprio obbligatia far molte e molte ricercheper assicurarci che non ci sianoimpedimenti.

-Ma viami dica una volta che impedimento è sopravvenuto?

-Abbiate pazienzanon son cose da potersi decifrare così sudue piedi. Non ci sarà nientecosì spero; manonostantequeste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo èchiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet...

-Le ho detto che non voglio latino.

-Ma bisogna pur che vi spieghi...

-Ma non le ha già fatte queste ricerche?

-Non le ho fatte tuttecome avrei dovutovi dico.

-Perché non le ha fatte a tempo? perché dirmi che tuttoera finito? perché aspettare...

-Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facilitato ognicosa per servirvi più presto: ma... ma ora mi son venute...bastaso io.

-E che vorrebbe ch'io facessi?

-Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuol caroqualche giornonon è poi l'eternità: abbiate pazienza.

-Per quanto?

"Siamo a buon porto "pensò fra sé don Abbondio;econ un fare più manieroso che mai- via- disse: - inquindici giorni cercherò... procurerò...

-Quindici giorni! oh questa sì ch'è nuova! S'èfatto tutto ciò che ha voluto lei; s'è fissato ilgiorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene a dire che aspettiquindici giorni! Quindici... - riprese poicon voce più altae stizzosastendendo il braccioe battendo il pugno nell'aria; echi sa qual diavoleria avrebbe attaccata a quel numerose donAbbondio non l'avesse interrottoprendendogli l'altra manoconun'amorevolezza timida e premurosa: - viavianon v'alterateperamor del cielo. Vedròcercherò sein una settimana...

-E a Lucia che devo dire?

-Ch'è stato un mio sbaglio.

-E i discorsi del mondo?

-Dite pure a tuttiche ho sbagliato ioper troppa furiaper troppobuon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio?viaper una settimana.

-E poinon ci sarà più altri impedimenti?

-Quando vi dico...

-Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene chepassata questanon m'appagherò più di chiacchiere.Intanto la riverisco -. E così dettose n'andòfacendo a don Abbondio un inchino men profondo del solitoe dandogliun'occhiata più espressiva che riverente.

Uscitopoie camminando di mala vogliaper la prima voltaverso la casadella sua promessain mezzo alla stizzatornava con la mente suquel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L'accoglienzafredda e impicciata di don Abbondioquel suo parlare stentatoinsieme e impazienteque' due occhi grigi chementre parlavaeransempre andati scappando qua e làcome se avesser avuto paurad'incontrarsi con le parole che gli uscivan di boccaquel farsiquasi nuovo del matrimonio così espressamente concertatoesopra tutto quell'accennar sempre qualche gran cosanon dicendo mainulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevanpensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello chedon Abbondio aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse unmomento di tornare indietroper metterlo alle strettee farloparlar più chiaro; maalzando gli occhivide Perpetua checamminava dinanzi a luied entrava in un orticello pochi passidistante dalla casa. Le diede una vocementre essa apriva l'uscio;studiò il passola raggiunsela ritenne sulla sogliaecoldisegno di scovar qualche cosa di più positivosi fermòad attaccar discorso con essa.

-Buon giornoPerpetua: io speravo che oggi si sarebbe stati allegriinsieme.

-Ma! quel che Dio vuoleil mio povero Renzo.

-Fatemi un piacere: quel benedett'uomo del signor curato m'haimpastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben capire: spiegatemivoi meglio perché non può o non vuole maritarci oggi.

-Oh! vi par egli ch'io sappia i segreti del mio padrone?

"L'ho detto ioche c'era mistero sotto "pensò Renzo; eper tirarlo in lucecontinuò: - viaPerpetua; siamo amici;ditemi quel che sapeteaiutate un povero figliuolo.

-Mala cosa nascer poveroil mio caro Renzo.

-È vero- riprese questosempre più confermandosi ne'suoi sospetti; ecercando d'accostarsi più alla questione-è vero- soggiunse- ma tocca ai preti a trattar male co'poveri?

-SentiteRenzo; io non posso dir nienteperché... non soniente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio padronenon vuol far tortoné a voi né a nessuno; e lui non ciha colpa.

-Chi è dunque che ci ha colpa? - domandò Renzocon uncert'atto trascuratoma col cuor sospesoe con l'orecchio all'erta.

-Quando vi dico che non so niente... In difesa del mio padronepossoparlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico divoler far dispiacere a qualcheduno. Pover'uomo! se peccaèper troppa bontà. C'è bene a questo mondo de' birbonide' prepotentidegli uomini senza timor di Dio...

"Prepotenti! birboni! - pensò Renzo: - questi non sono isuperiori ". - Via- disse poinascondendo a stentol'agitazione crescente- viaditemi chi è.

-Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlareperché...non so niente: quando non so nienteè come se avessi giuratodi tacere. Potreste darmi la cordache non mi cavereste nulla dibocca. Addio; è tempo perduto per tutt'e due -. Cosìdicendoentrò in fretta nell'ortoe chiuse l'uscio. Renzorispostole con un salutotornò indietro pian pianoper nonfarla accorgere del cammino che prendeva; maquando fu fuor del tirodell'orecchio della buona donnaallungò il passo; in unmomento fu all'uscio di don Abbondio; entròandòdiviato al salotto dove l'aveva lasciatove lo trovòe corseverso luicon un fare arditoe con gli occhi stralunati.

-Eh! eh! che novità è questa? - disse don Abbondio.

-Chi è quel prepotente- disse Renzocon la voce d'un uomoch'è risoluto d'ottenere una risposta precisa- chi èquel prepotente che non vuol ch'io sposi Lucia?

-Che? che? che? - balbettò il povero sorpresocon un voltofatto in un istante bianco e flosciocome un cencio che esca delbucato. Epur brontolandospiccò un salto dal suoseggioloneper lanciarsi all'uscio. Ma Renzoche doveva aspettarsiquella mossae stava all'ertavi balzò prima di luigiròla chiavee se la mise in tasca.

-Ah! ah! parlerà orasignor curato? Tutti sanno i fatti mieifuori di me. Voglio saperliper baccoanch'io. Come si chiamacolui?

-Renzo! Renzo! per caritàbadate a quel che fate; pensateall'anima vostra.

-Penso che lo voglio saper subitosul momento -. Ecosìdicendomiseforse senza avvedersenela mano sul manico delcoltello che gli usciva dal taschino.

-Misericordia! - esclamò con voce fioca don Abbondio.

-Lo voglio sapere.

-Chi v'ha detto...

-Nono; non più fandonie. Parli chiaro e subito.

-Mi volete morto?

-Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere.

-Ma se parloson morto. Non m'ha da premere la mia vita?

-Dunque parli. Quel " dunque " fu proferito con una taleenergial'aspetto di Renzo divenne così minacciosoche donAbbondio non poté più nemmen supporre la possibilitàdi disubbidire.

-Mi promettetemi giurate- disse - di non parlarne con nessunodinon dir mai...?

-Le prometto che fo uno spropositose lei non mi dice subito subitoil nome di colui.

Aquel nuovo scongiurodon Abbondiocol voltoe con lo sguardo dichi ha in bocca le tanaglie del cavadentiproferì: - don...

-Don? - ripeté Renzocome per aiutare il paziente a buttarfuori il resto; e stava curvocon l'orecchio chino sulla bocca diluicon le braccia tesee i pugni stretti all'indietro.

-Don Rodrigo! - pronunziò in fretta il forzatoprecipitandoquelle poche sillabee strisciando le consonantiparte per ilturbamentoparte perchérivolgendo pure quella pocaattenzione che gli rimaneva liberaa fare una transazione tra le duepaurepareva che volesse sottrarre e fare scomparir la parolanelpunto stesso ch'era costretto a metterla fuori.

-Ah cane! - urlò Renzo. - E come ha fatto? Cosa le ha dettoper...?

-Come eh? come? - risposecon voce quasi sdegnosadon Abbondioilqualedopo un così gran sagrifiziosi sentiva in certo mododivenuto creditore. - Come eh? Vorrei che la fosse toccata a voicome è toccata a meche non c'entro per nulla; che certamentenon vi sarebber rimasti tanti grilli in capo -. E qui si fece adipinger con colori terribili il brutto incontro; enel discorrereaccorgendosi sempre più d'una gran collera che aveva in corpoe che fin allora era stata nascosta e involta nella paurae vedendonello stesso tempo che Renzotra la rabbia e la confusionestavaimmobilecol capo bassocontinuò allegramente: - avete fattauna bella azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di questasorte a un galantuomoal vostro curato! in casa sua! in luogo sacro!Avete fatta una bella prodezza! Per cavarmi di bocca il mio malannoil vostro malanno! ciò ch'io vi nascondevo per prudenzapervostro bene! E ora che lo sapete? Vorrei vedere che mi faceste...!Per amor del cielo! Non si scherza. Non si tratta di torto o diragione; si tratta di forza. E quandoquesta mattinavi davo unbuon parere... eh! subito nelle furie. Io avevo giudizio per me e pervoi; ma come si fa? Aprite almeno; datemi la mia chiave.

-Posso aver fallato- rispose Renzocon voce raddolcita verso donAbbondioma nella quale si sentiva il furore contro il nemicoscoperto: - posso aver fallato; ma si metta la mano al pettoe pensise nel mio caso...

Cosìdicendos'era levata la chiave di tascae andava ad aprire. DonAbbondio gli andò dietroementre quegli girava la chiavenella toppase gli accostòecon volto serio e ansiosoalzandogli davanti agli occhi le tre prime dita della destracomeper aiutarlo anche lui dal canto suo- giurate almeno... - glidisse.

-Posso aver fallato; e mi scusi- rispose Renzoaprendoedisponendosi ad uscire.

-Giurate... - replicò don Abbondioafferrandogli il bracciocon la mano tremante.

-Posso aver fallato- ripeté Renzosprigionandosi da lui; epartì in furiatroncando così la questionechealpari d'una questione di letteratura o di filosofia o d'altroavrebbepotuto durar dei secoligiacché ognuna delle parti non facevache replicare il suo proprio argomento.

-Perpetua! Perpetua! - gridò don Abbondiodopo avere invanorichiamato il fuggitivo. Perpetua non risponde: don Abbondio nonsapeva più in che mondo si fosse.

Èaccaduto più d'una volta a personaggi di ben più altoaffare che don Abbondiodi trovarsi in frangenti cosìfastidiosiin tanta incertezza di partitiche parve loro un ottimoripiego mettersi a letto con la febbre. Questo ripiegoegli non lodovette andare a cercareperché gli si offerse da sé.La paura del giorno avantila veglia angosciosa della nottelapaura avuta in quel momentol'ansietà dell'avvenirefecerol'effetto. Affannato e balordosi ripose sul suo seggiolonecominciò a sentirsi qualche brivido nell'ossasi guardava leunghie sospirandoe chiamava di tempo in tempocon voce tremolantee stizzosa: - Perpetua! - La venne finalmentecon un gran cavolosotto il braccioe con la faccia tostacome se nulla fosse stato.Risparmio al lettore i lamentile condoglianzele accuseledifesei " voi sola potete aver parlato "e i " nonho parlato "tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Bastidire che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stangaall'usciodi non aprir più per nessuna cagioneese alcunbussasserisponder dalla finestra che il curato era andato a lettocon la febbre. Salì poi lentamente le scaledicendoogni trescalini- son servito -; e si mise davvero a lettodove lolasceremo.

Renzointanto camminava a passi infuriati verso casasenza averdeterminato quel che dovesse farema con una smania addosso di farqualcosa di strano e di terribile. I provocatorii soverchiatoritutti coloro chein qualunque modofanno torto altruisono reinon solo del male che commettonoma del pervertimento ancora a cuiportano gli animi degli offesi. Renzo era un giovine pacifico ealieno dal sangueun giovine schietto e nemico d'ogni insidia; main que' momentiil suo cuore non batteva che per l'omicidiola suamente non era occupata che a fantasticare un tradimento. Avrebbevoluto correre alla casa di don Rodrigoafferrarlo per il colloe... ma gli veniva in mente ch'era come una fortezzaguarnita dibravi al di dentroe guardata al di fuori; che i soli amici eservitori ben conosciuti v'entravan liberamentesenza esseresquadrati da capo a piedi; che un artigianello sconosciuto non vipotrebb'entrare senza un esamee ch'egli sopra tutto... egli visarebbe forse troppo conosciuto. Si figurava allora di prendere ilsuo schioppod'appiattarsi dietro una siepeaspettando se maisemai colui venisse a passar solo; einternandosicon ferocecompiacenzain quell'immaginazionesi figurava di sentire unapedataquella pedatad'alzar chetamente la testa; riconosceva loscelleratospianava lo schioppoprendeva la mirasparavalovedeva cadere e dare i trattigli lanciava una maledizioneecorreva sulla strada del confine a mettersi in salvo. " E Lucia?" Appena questa parola si fu gettata a traverso di quelle biechefantasiei migliori pensieri a cui era avvezza la mente di Renzov'entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de'suoi parentisi rammentò di Diodella Madonna e de' santipensò alla consolazione che aveva tante volte provata ditrovarsi senza delittiall'orrore che aveva tante volte provato alracconto d'un omicidio; e si risvegliò da quel sogno disanguecon ispaventocon rimorsoe insieme con una specie di gioiadi non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero di Luciaquanti pensieri tirava seco! Tante speranzetante promesseunavvenire così vagheggiatoe così tenuto sicuroe quelgiorno così sospirato! E comecon che parole annunziarle unatal nuova? E poiche partito prendere? Come farla suaa dispettodella forza di quell'iniquo potente? E insieme a tutto questonon unsospetto formatoma un'ombra tormentosa gli passava per la mente.Quella soverchieria di don Rodrigo non poteva esser mossa che da unabrutale passione per Lucia. E Lucia? Che avesse data a colui la piùpiccola occasionela più leggiera lusinganon era unpensiero che potesse fermarsi un momento nella testa di Renzo. Man'era informata? Poteva colui aver concepita quell'infame passionesenza che lei se n'avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in làprima d'averla tentata in qualche modo? E Lucia non ne aveva maidetta una parola a lui! al suo promesso!

Dominatoda questi pensieripassò davanti a casa suach'era nel mezzodel villaggioeattraversatolos'avviò a quella di Luciach'era in fondoanzi un po' fuori. Aveva quella casetta un piccolocortile dinanziche la separava dalla stradaed era cinto da unmurettino. Renzo entrò nel cortilee sentì un misto econtinuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S'immaginòche sarebbero amiche e comarivenute a far corteggio a Lucia; e nonsi volle mostrare a quel mercatocon quella nuova in corpo e sulvolto. Una fanciulletta che si trovava nel cortilegli corseincontro gridando: - lo sposo! lo sposo!

-ZittaBettinazitta! - disse Renzo. - Vien qua; va' su da Luciatirala in dispartee dille all'orecchio... ma che nessun sentanésospetti di nullave'... dille che ho da parlarleche l'aspettonella stanza terrenae che venga subito -. La fanciulletta salìin fretta le scalelieta e superba d'avere una commission segreta daeseguire.

Luciausciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Leamiche si rubavano la sposae le facevan forza perché silasciasse vedere; e lei s'andava schermendocon quella modestia unpo' guerriera delle contadinefacendosi scudo alla faccia colgomitochinandola sul bustoe aggrottando i lunghi e nerisopracciglimentre però la bocca s'apriva al sorriso. I nerie giovanili capellispartiti sopra la frontecon una bianca esottile dirizzaturasi ravvolgevandietro il capoin cerchimoltiplici di treccetrapassate da lunghi spilli d'argentoche sidividevano all'intornoquasi a guisa de' raggi d'un'aureolacomeancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva unvezzo di granati alternati con bottoni d'oro a filigrana: portava unbel busto di broccato a fioricon le maniche separate e allacciateda bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di setaa pieghefitte e minutedue calze vermigliedue pianelledi seta anch'essea ricami. Oltre a questoch'era l'ornamento particolare del giornodelle nozzeLucia aveva quello quotidiano d'una modesta bellezzarilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le sidipingevan sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggieroquel placido accoramento che si mostra di quand'in quando sul voltodelle sposeesenza scompor la bellezzale dà un carattereparticolare. La piccola Bettina si cacciò nel crocchios'accostò a Luciale fece intendere accortamente che avevaqualcosa da comunicarlee le disse la sua parolina all'orecchio.

-Vo un momentoe torno- disse Lucia alle donne; e scese in fretta.Al veder la faccia mutatae il portamento inquieto di Renzo- cosac'è? - dissenon senza un presentimento di terrore.

-Lucia! - rispose Renzo- per oggitutto è a monte; e Dio saquando potremo esser marito e moglie.

-Che? - disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontòbrevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con angoscia:e quando udì il nome di don Rodrigo- ah! - esclamòarrossendo e tremando- fino a questo segno!

-Dunque voi sapevate...? - disse Renzo.

-Pur troppo! - rispose Lucia; - ma a questo segno!

-Che cosa sapevate?

-Non mi fate ora parlarenon mi fate piangere. Corro a chiamar miamadree a licenziar le donne: bisogna che siam soli.

Mentreella partivaRenzo sussurrò: - non m'avete mai detto niente.

-AhRenzo! - rispose Luciarivolgendosi un momentosenza fermarsi.Renzo intese benissimo che il suo nome pronunziato in quel momentocon quel tonoda Luciavoleva dire: potete voi dubitare ch'io abbiataciuto se non per motivi giusti e puri?

Intantola buona Agnese (così si chiamava la madre di Lucia)messa insospetto e in curiosità dalla parolina all'orecchioe dallosparir della figliaera discesa a veder cosa c'era di nuovo. Lafiglia la lasciò con Renzotornò alle donne radunateeaccomodando l'aspetto e la vocecome poté megliodisse: -il signor curato è ammalato; e oggi non si fa nulla -. Ciòdettole salutò tutte in frettae scese di nuovo.

Ledonne sfilaronoe si sparsero a raccontar l'accaduto. Due o treandaron fin all'uscio del curatoper verificar se era ammalatodavvero.

-Un febbrone- rispose Perpetua dalla finestra; e la trista parolariportata all'altretroncò le congetture che giàcominciavano a brulicar ne' loro cervellie ad annunziarsi tronche emisteriose ne' loro discorsi.




Cap.III


Luciaentrò nella stanza terrenamentre Renzo stava angosciosamenteinformando Agnesela quale angosciosamente lo ascoltava. Tutt'e duesi volsero a chi ne sapeva più di loroe da cui aspettavanouno schiarimentoil quale non poteva essere che doloroso: tutt'eduelasciando travederein mezzo al doloree con l'amore diversoche ognun d'essi portava a Luciaun cruccio pur diverso perchéavesse taciuto loro qualche cosae una tal cosa. Agnesebenchéansiosa di sentir parlare la figlianon poté tenersi di nonfarle un rimprovero. - A tua madre non dir niente d'una cosa simile!

-Ora vi dirò tutto- rispose Luciaasciugandosi gli occhi colgrembiule.

-Parlaparla! - Parlateparlate! - gridarono a un tratto la madre elo sposo.

-Santissima Vergine! - esclamò Lucia: - chi avrebbe creduto chele cose potessero arrivare a questo segno! - Econ voce rotta dalpiantoraccontò comepochi giorni primamentre tornavadalla filandaed era rimasta indietro dalle sue compagnele erapassato innanzi don Rodrigoin compagnia d'un altro signore; che ilprimo aveva cercato di trattenerla con chiacchierecom'ella dicevanon punto belle; ma essasenza dargli rettaaveva affrettato ilpassoe raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell'altrosignore rider fortee don Rodrigo dire: scommettiamo. Il giornodopocoloro s'eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nelmezzo delle compagnecon gli occhi bassi; e l'altro signoresghignazzavae don Rodrigo diceva: vedremovedremo. - Per graziadel cielo- continuò Lucia- quel giorno era l'ultimo dellafilanda. Io raccontai subito...

-A chi hai raccontato? - domandò Agneseandando incontrononsenza un po' di sdegnoal nome del confidente preferito.

-Al padre Cristoforoin confessionemamma- rispose Luciacon unaccento soave di scusa. - Gli raccontai tuttol'ultima volta chesiamo andate insieme alla chiesa del convento: ese vi ricordatequella mattinaio andava mettendo mano ora a una cosaora aun'altraper indugiaretanto che passasse altra gente del paeseavviata a quella voltae far la strada in compagnia con loro;perchédopo quell'incontrole strade mi facevan tantapaura...

Alnome riverito del padre Cristoforolo sdegno d'Agnese si raddolcì.- Hai fatto bene- disse- ma perché non raccontar tuttoanche a tua madre?

Luciaaveva avute due buone ragioni: l'unadi non contristare néspaventare la buona donnaper cosa alla quale essa non avrebbepotuto trovar rimedio; l'altradi non metter a rischio di viaggiarper molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta:tanto più che Lucia sperava che le sue nozze avrebbertroncatasul principiarequell'abbominata persecuzione. Di questedue ragioni perònon allegò che la prima.

-E a voi- disse poirivolgendosi a Renzocon quella voce che vuolfar riconoscere a un amico che ha avuto torto: - e a voi doveva ioparlar di questo? Pur troppo lo sapete ora!

-E che t'ha detto il padre? - domandò Agnese.

-M'ha detto che cercassi d'affrettar le nozze il più chepotessie intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; eche sperava che coluinon vedendominon si curerebbe più dime. E fu allora che mi sforzai- proseguìrivolgendosi dinuovo a Renzosenza alzargli però gli occhi in visoearrossendo tutta- fu allora che feci la sfacciatae che vi pregaiio che procuraste di far prestoe di concludere prima del tempo ches'era stabilito. Chi sa cosa avrete pensato di me! Ma io facevo perbeneed ero stata consigliatae tenevo per certo... e questamattinaero tanto lontana da pensare... - Qui le parole furontroncate da un violento scoppio di pianto.

-Ah birbone! ah dannato! ah assassino! - gridava Renzocorrendoinnanzi e indietro per la stanzae stringendo di tanto in tanto ilmanico del suo coltello.

-Oh che imbroglioper amor di Dio! - esclamava Agnese. Il giovine sifermò d'improvviso davanti a Lucia che piangeva; la guardòcon un atto di tenerezza mesta e rabbiosae disse: - questa èl'ultima che fa quell'assassino.

-Ah! noRenzoper amor del cielo! - gridò Lucia. - Nonoper amor del cielo! Il Signore c'è anche per i poveri; e comevolete che ci aiutise facciam del male?

-Nonoper amor del cielo! - ripeteva Agnese.

-Renzo- disse Luciacon un'aria di speranza e di risoluzione piùtranquilla: - voi avete un mestieree io so lavorare: andiamo tantolontanoche colui non senta più parlar di noi.

-Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e moglie! Il curato vorràfarci la fede di stato libero? Un uomo come quello? Se fossimomaritatioh allora...!

Luciasi rimise a piangere; e tutt'e tre rimasero in silenzioe in unabbattimento che faceva un tristo contrapposto alla pompa festiva de'loro abiti.

-Sentitefigliuoli; date retta a me- dissedopo qualche momentoAgnese. - Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conoscoun poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non èbrutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paion piùimbrogliateperché non sappiam trovarne il bandolo; ma allevolte un parereuna parolina d'un uomo che abbia studiato... so benio quel che voglio dire. Fate a mio modoRenzo; andate a Lecco;cercate del dottor Azzecca-garbugliraccontategli... Ma non lochiamate cosìper amor del cielo: è un soprannome.Bisogna dire il signor dottor... Come si chiamaora? Oh to'! non loso il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Bastacercate di queldottore altoasciuttopelatocol naso rossoe una voglia dilampone sulla guancia.

-Lo conosco di vista- disse Renzo.

-Bene- continuò Agnese: - quello è una cima d'uomo! Hovisto io più d'uno ch'era più impicciato che un pulcinnella stoppae non sapeva dove batter la testaedopo essere statoun'ora a quattr'occhi col dottor Azzecca-garbugli (badate bene di nonchiamarlo così!)l'ho vistodicoridersene. Pigliate queiquattro capponipoveretti! a cui dovevo tirare il colloper ilbanchetto di domenicae portateglieli; perché non bisogna maiandar con le mani vote da que' signori. Raccontategli tuttol'accaduto; e vedrete che vi diràsu due piedidi quellecose che a noi non verrebbero in testaa pensarci un anno.

Renzoabbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò;e Agnesesuperba d'averlo datolevòa una a unale poverebestie dalla stìariunì le loro otto gambecome sefacesse un mazzetto di fiorile avvolse e le strinse con uno spagoe le consegnò in mano a Renzo; il qualedate e ricevuteparole di speranzauscì dalla parte dell'ortoper non esserveduto da' ragazziche gli correrebber dietrogridando: lo sposo!lo sposo! Cosìattraversando i campi ocome dicon colài luoghise n'andò per viottolefremendoripensando allasua disgraziae ruminando il discorso da fare al dottorAzzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettorecome dovessero starein viaggio quelle povere bestiecosì legate e tenute per lezampea capo all'in giùnella mano d'un uomo il qualeagitato da tante passioniaccompagnava col gesto i pensieri che glipassavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per colleraora l'alzava per disperazioneora lo dibatteva in ariacome perminacciaein tutti i modidava loro di fiere scossee facevabalzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intantos'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altracome accade tropposovente tra compagni di sventura.

Giuntoal borgodomandò dell'abitazione del dottore; gli fuindicatae v'andò. All'entraresi sentì preso daquella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanzad'un signore e d'un dottoe dimenticò tutti i discorsi cheaveva preparati; ma diede un'occhiata ai capponie si rincorò.Entrato in cucinadomandò alla serva se si poteva parlare alsignor dottore. Adocchiò essa le bestieecome avvezza asomiglianti donimise loro le mani addossoquantunque Renzo andassetirando indietroperché voleva che il dottore vedesse esapesse ch'egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre ladonna diceva: - date quie andate innanzi -. Renzo fece un grandeinchino: il dottore l'accolse umanamentecon un - venitefigliuolo- e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo unostanzonesu tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de'dodici Cesari; la quartacoperta da un grande scaffale di librivecchi e polverosi: nel mezzouna tavola gremita d'allegazionidisupplichedi libellidi gridecon tre o quattro seggioleall'intornoe da una parte un seggiolone a bracciolicon unaspalliera alta e quadrataterminata agli angoli da due ornamenti dilegnoche s'alzavano a foggia di cornacoperta di vacchettacongrosse borchiealcune delle qualicadute da gran tempolasciavanoin libertà gli angoli della coperturache s'accartocciava quae là. Il dottore era in veste da cameracioè copertod'una toga ormai consuntache gli aveva servitomolt'anni addietroper perorarene' giorni d'apparatoquando andava a Milanoperqualche causa d'importanza. Chiuse l'uscioe fece animo al giovinecon queste parole: - figliuoloditemi il vostro caso.

-Vorrei dirle una parola in confidenza.

-Son qui- rispose il dottore: - parlate -. E s'accomodò sulseggiolone. Renzoritto davanti alla tavolacon una mano nelcocuzzolo del cappelloche faceva girar con l'altraricominciò:- vorrei sapere da lei che ha studiato...

-Ditemi il fatto come sta- interruppe il dottore.

-Lei m'ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene.Vorrei dunque sapere...

-Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar ilfattovolete interrogareperché avete già i vostridisegni in testa.

-Mi scusisignor dottore. Vorrei sapere sea minacciare un curatoperché non faccia un matrimonioc'è penale.

"Ho capito "disse tra sé il dottoreche in veritànon aveva capito. " Ho capito ". E subito si fece seriomad'una serietà mista di compassione e di premura; strinsefortemente le labbrafacendone uscire un suono inarticolato cheaccennava un sentimentoespresso poi più chiaramente nellesue prime parole. - Caso seriofigliuolo; caso contemplato. Avetefatto bene a venir da me. È un caso chiarocontemplato incento gridee... appuntoin una dell'anno scorsodell'attualesignor governatore. Ora vi fo vederee toccar con mano.

Cosìdicendos'alzò dal suo seggiolonee cacciò le mani inquel caos di carterimescolandole dal sotto in sucome se mettessegrano in uno staio.

-Dov'è ora? Vien fuorivien fuori. Bisogna aver tante cosealle mani! Ma la dev'esser qui sicuroperché è unagrida d'importanza. Ah! eccoecco -. La presela spiegòguardò alla dataefatto un viso ancor più serioesclamò: - il 15 d'ottobre 1627! Sicuro; è dell'annopassato: grida fresca; son quelle che fanno più paura. Sapeteleggerefigliuolo?

-Un pochinosignor dottore.

-Benevenitemi dietro con l'occhioe vedrete. Etenendo la gridasciorinata in ariacominciò a leggereborbottando aprecipizio in alcuni passie fermandosi distintamentecongrand'espressionesopra alcuni altrisecondo il bisogno:

-Se beneper la grida pubblicata d'ordine del signor Duca di Feriaai 14 di dicembre 1620et confirmata dall'lllustriss. etEccellentiss. Signore il Signor Gonzalo Fernandez de Cordovaecceterafu con rimedii straordinarii e rigorosi provvisto alleoppressioniconcussioni et atti tirannici che alcuni ardiscono dicommettere contro questi Vassalli tanto divoti di S. M.ad ogni modola frequenza degli eccessie la malitiaecceteraècresciuta a segnoche ha posto in necessità l'Eccell. Suaeccetera. Ondecol parere del Senato et di una Giuntaecceteraha risoluto che si pubblichi la presente.

-E cominciando dagli atti tirannicimostrando l'esperienza chemolticosì nelle Cittàcome nelle Ville...sentite? di questo Statocon tirannide esercitano concussioni etopprimono i più deboli in varii modicome in operare che sifacciano contratti violenti di compred'affitti... eccetera:dove sei? ah! ecco; sentite: che seguano o non seguano matrimonii.Eh?

Èil mio caso- disse Renzo.

-Sentitesentitec'è ben altro; e poi vedremo la pena. Sitestifichio non si testifichi; che uno si parta dal luogo doveabitaeccetera; che quello paghi un debito; quell'altro non lomolestiquello vada al suo molino: tutto questo non ha che farcon noi. Ah ci siamo: quel prete non faccia quello che èobbligato per l'uficio suoo faccia cose che non gli toccano.Eh?

-Pare che abbian fatta la grida apposta per me.

-Eh? non è vero? sentitesentite: et altre simili violenzequali seguono da feudatariinobilimediocriviliet plebei.Non se ne scappa: ci son tutti: è come la valle di Giosafat.Sentite ora la pena. Tutte queste et altre simili male attionibenché siano proibitenondimenoconvenendo metter mano amaggior rigoreS. E.per la presentenon derogando ecceteraordina e comanda che contra li contravventori in qualsivoglia deisuddetti capio altro similesi proceda da tutti li giudiciordinarii di questo Stato a pena pecuniaria e corporaleancora direlegatione o di galerae fino alla morte... una piccolabagattella! all'arbitrio dell'Eccellenza Suao del Senatosecondo la qualità dei casipersone e circostanze. E questoir-re-mis-si-bil-mente e con ogni rigore eccetera. Ce n'èdella robaeh? E vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Fernandezde Cordova; e più in giù: Platonus; e quiancora: Vidit Ferrer: non ci manca niente.

Mentreil dottore leggevaRenzo gli andava dietro lentamente con l'occhiocercando di cavar il costrutto chiaroe di mirar proprio quellesacrosante paroleche gli parevano dover esser il suo aiuto. Ildottorevedendo il nuovo cliente più attento che atterritosi maravigliava. " Che sia matricolato costui "pensavatra sé. - Ah! ah! - gli disse poi: - vi siete peròfatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: peròvolendomettervi nelle mie maninon faceva bisogno. Il caso è serio;ma voi non sapete quel che mi basti l'animo di farein un'occasione.

Perintender quest'uscita del dottorebisogna sapereo rammentarsi chea quel tempoi bravi di mestieree i facinorosi d'ogni genereusavan portare un lungo ciuffoche si tiravan poi sul voltocomeuna visieraall'atto d'affrontar qualchedunone' casi in cuistimasser necessario di travisarsie l'impresa fosse di quellecherichiedevano nello stesso tempo forza e prudenza. Le gride non eranostate in silenzio su questa moda. Comanda Sua Eccellenza (ilmarchese de la Hynojosa) che chi porterà i capelli di tallunghezza che coprano il fronte fino alli cigli esclusivamenteovvero porterà la trezzao avanti o dopo le orecchieincorrala pena di trecento scudi; et in caso d'inhabilitàdi treanni di galeraper la prima voltae per la secondaoltre lasuddettamaggiore ancorapecuniaria et corporaleall'arbitrio diSua Eccellenza.

Permetteperò cheper occasione di trovarsi alcuno calvoo per altraragionevole causa di segnale o feritapossano quelli talipermaggior decoro e sanità loroportare i capelli tanto lunghiquanto sia bisogno per coprire simili mancamenti e niente di più;avvertendo bene a non eccedere il dovere e pura necessitàper(non) incorrere nella pena agli altri contraffacienti imposta.

Eparimente comanda a' barbierisotto pena di cento scudi o di tretratti di corda da esser dati loro in pubblicoet maggiore ancocorporaleall'arbitrio come soprache non lascino a quelli chetoserannosorte alcuna di dette trezzezuffirizzinécapelli più lunghi dell'ordinariocosì nella frontecome dalle bandee dopo le orecchiema che siano tutti ugualicomesoprasalvo nel caso dei calvio altri difettosicome si èdetto. Il ciuffo era dunque quasi una parte dell'armaturae undistintivo de' bravacci e degli scapestrati; i quali poi da ciòvennero comunemente chiamati ciuffi. Questo termine è rimastoe vive tuttaviacon significazione più mitigataneldialetto: e non ci sarà forse nessuno de' nostri lettorimilanesiche non si rammenti d'aver sentitonella sua fanciullezzao i parentio il maestroo qualche amico di casao qualche personadi serviziodir di lui: è un ciuffoè un ciuffetto.

-In veritàda povero figliuolo- rispose Renzo- io non homai portato ciuffo in vita mia.

-Non facciam niente- rispose il dottorescotendo il capocon unsorrisotra malizioso e impaziente. - Se non avete fede in menonfacciam niente. Chi dice le bugie al dottorevedete figliuoloèuno sciocco che dirà la verità al giudice. All'avvocatobisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Sevolete ch'io v'aiutibisogna dirmi tuttodall'a fino alla zetacolcuore in manocome al confessore. Dovete nominarmi la persona da cuiavete avuto il mandato: sarà naturalmente persona di riguardo;ein questo casoio anderò da luia fare un atto di dovere.Non gli diròvedetech'io sappia da voiche v'ha mandatolui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la suaprotezioneper un povero giovine calunniato. E con lui prenderòi concerti opportuniper finir l'affare lodevolmente. Capite benechesalvando sésalverà anche voi. Se poi la scappatafosse tutta vostravianon mi ritiro: ho cavato altri da peggioimbrogli... Purché non abbiate offeso persona di riguardointendiamocim'impegno a togliervi d'impiccio: con un po' di spesaintendiamoci. Dovete dirmi chi sia l'offesocome si dice: esecondola condizionela qualità e l'umore dell'amicosi vedràse convenga più di tenerlo a segno con le protezionio trovarqualche modo d'attaccarlo noi in criminalee mettergli una pulcenell'orecchio; perchévedetea saper ben maneggiare legridenessuno è reoe nessuno è innocente. In quantoal curatose è persona di giudiziose ne starà zitto;se fosse una testolinac'è rimedio anche per quelle. D'ogniintrigo si può uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso èseriovi dicoserio: la grida canta chiaro; e se la cosa si devedecider tra la giustizia e voicosì a quattr'occhistatefresco. Io vi parlo da amico: le scappate bisogna pagarle: se voletepassarvela lisciadanari e sinceritàfidarvi di chi vi vuolbeneubbidirefar tutto quello che vi sarà suggerito.

Mentreil dottore mandava fuori tutte queste paroleRenzo lo stavaguardando con un'attenzione estaticacome un materialone sta sullapiazza guardando al giocator di bussolottichedopo essersicacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppane cava nastro e nastro enastroche non finisce mai. Quand'ebbe però capito bene cosail dottore volesse diree quale equivoco avesse presogli troncòil nastro in boccadicendo: - oh! signor dottorecome l'ha intesa?l'è proprio tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno;io non fo di queste coseio: e domandi pure a tutto il mio comuneche sentirà che non ho mai avuto che fare con la giustizia. Labricconeria l'hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho dafare per ottener giustizia; e son ben contento d'aver visto quellagrida.

-Diavolo! - esclamò il dottorespalancando gli occhi. - Chepasticci mi fate? Tant'è; siete tutti così: possibileche non sappiate dirle chiare le cose?

-Ma mi scusi; lei non m'ha dato tempo: ora le racconterò lacosacom'è. Sappia dunque ch'io dovevo sposare oggi- e quila voce di Renzo si commosse- dovevo sposare oggi una giovineallaquale discorrevofin da quest'estate; e oggicome le dicoera ilgiorno stabilito col signor curatoe s'era disposto ogni cosa. Eccoche il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse... bastapernon tediarlaio l'ho fatto parlar chiarocom'era giusto; e lui m'haconfessato che gli era stato proibitopena la vitadi far questomatrimonio. Quel prepotente di don Rodrigo...

-Eh via! - interruppe subito il dottoreaggrottando le cigliaaggrinzando il naso rossoe storcendo la bocca- eh via! Che mivenite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsitra voi altriche non sapete misurar le parole; e non venite a farlicon un galantuomo che sa quanto valgono. Andateandate; non sapetequel che vi dite: io non m'impiccio con ragazzi; non voglio sentirdiscorsi di questa sortediscorsi in aria.

-Le giuro...

-Andatevi dico: che volete ch'io faccia de' vostri giuramenti? Ionon c'entro: me ne lavo le mani -. E se le andava stropicciandocomese le lavasse davvero. - Imparate a parlare: non si viene asorprender così un galantuomo.

-Ma sentama senta- ripeteva indarno Renzo: il dottoresempregridandolo spingeva con le mani verso l'uscio; equando ve l'ebbecacciatoaprìchiamò la servae le disse: -restituite subito a quest'uomo quello che ha portato: io non voglionientenon voglio niente.

Quelladonna non aveva maiin tutto il tempo ch'era stata in quella casaeseguito un ordine simile: ma era stato proferito con una talerisoluzioneche non esitò a ubbidire. Prese le quattro poverebestiee le diede a Renzocon un'occhiata di compassionesprezzanteche pareva volesse dire: bisogna che tu l'abbia fattabella. Renzo voleva far cerimonie; ma il dottore fu inespugnabile; eil giovinepiù attonito e più stizzito che maidovette riprendersi le vittime rifiutatee tornar al paesearaccontar alle donne il bel costrutto della sua spedizione.

Ledonnenella sua assenzadopo essersi tristamente levate il vestitodelle feste e messo quello del giorno di lavorosi misero aconsultar di nuovoLucia singhiozzando e Agnese sospirando. Quandoquesta ebbe ben parlato de' grandi effetti che si dovevano speraredai consigli del dottoreLucia disse che bisognava veder d'aiutarsiin tutte le maniere; che il padre Cristoforo era uomo non solo daconsigliarema da metter l'opera suaquando si trattasse disollevar poverelli; e che sarebbe una gran bella cosa potergli farsapere ciò ch'era accaduto. - Sicuro- disse Agnese: e sidiedero a cercare insieme la maniera; giacché andar esse alconventodistante di là forse due miglianon se ne sentivanoil coraggioin quel giorno: e certo nessun uomo di giudizio glieneavrebbe dato il parere. Manel mentre che bilanciavano i partitisisentì un picchietto all'uscioenello stesso momentounsommesso ma distinto - Deo gratias -. Luciaimmaginandosi chipoteva esserecorse ad aprire; e subitofatto un piccolo inchinofamigliarevenne avanti un laico cercatore cappuccinocon la suabisaccia pendente alla spalla sinistrae tenendone l'imboccaturaattortigliata e stretta nelle due mani sul petto.

-Oh fra Galdino! - dissero le due donne.

-Il Signore sia con voi- disse il frate. - Vengo alla cerca dellenoci.

-Va' a prender le noci per i padri- disse Agnese. Lucia s'alzòe s'avviò all'altra stanzamaprima d'entrarvisi trattennedietro le spalle di fra Galdinoche rimaneva diritto nella medesimapositura; emettendo il dito alla boccadiede alla madreun'occhiata che chiedeva il segretocon tenerezzaconsupplicazionee anche con una certa autorità.

Ilcercatoresbirciando Agnese così da lontanodisse: - equesto matrimonio? Si doveva pur fare oggi: ho veduto nel paese unacerta confusionecome se ci fosse una novità. Cos'èstato?

-Il signor curato è ammalatoe bisogna differire- rispose infretta la donna. Se Lucia non faceva quel segnola risposta sarebbeprobabilmente stata diversa. - E come va la cerca? - soggiunse poiper mutar discorso.

-Poco benebuona donnapoco bene. Le son tutte qui -. Ecosìdicendosi levò la bisaccia d'addossoe la fece saltar trale due mani. - Son tutte qui; eper mettere insieme questa bellaabbondanzaho dovuto picchiare a dieci porte.

-Ma! le annate vanno scarsefra Galdino; equando s'ha a misurar ilpanenon si può allargar la mano nel resto.

-E per far tornare il buon tempoche rimedio c'èla miadonna? L'elemosina. Sapete di quel miracolo delle nociche avvennemolt'anni sonoin quel nostro convento di Romagna?

-Noin verità; raccontatemelo un poco.

-Oh! dovete dunque sapere chein quel conventoc'era un nostropadreil quale era un santoe si chiamava il padre Macario. Ungiorno d'invernopassando per una viottolain un campo d'un nostrobenefattoreuomo dabbene anche luiil padre Macario vide questobenefattore vicino a un suo gran noce; e quattro contadinicon lezappe in ariache principiavano a scalzar la piantaper metterle leradici al sole. " Che fate voi a quella povera pianta? "domandò il padre Macario. " Eh! padreson anni e anniche la non mi vuol far noci; e io ne faccio legna ". "Lasciatela staredisse il padre: sappiate chequest'annola faràpiù noci che foglie ". Il benefattoreche sapeva chi eracolui che aveva detta quella parolaordinò subito ailavoratoriche gettasser di nuovo la terra sulle radici; echiamatoil padreche continuava la sua strada" padre Macarioglidissela metà della raccolta sarà per il convento ".Si sparse la voce della predizione; e tutti correvano a guardare ilnoce. In fattia primaverafiori a bizzeffeea suo temponoci abizzeffe. Il buon benefattore non ebbe la consolazione di bacchiarle;perché andòprima della raccoltaa ricevere il premiodella sua carità. Ma il miracolo fu tanto più grandecome sentirete. Quel brav'uomo aveva lasciato un figliuolo di stampaben diversa. Or dunquealla raccoltail cercatore andò perriscotere la metà ch'era dovuta al convento; ma colui se nefece nuovo affattoed ebbe la temerità di rispondere che nonaveva mai sentito dire che i cappuccini sapessero far noci. Sapeteora cosa avvenne? Un giorno(sentite questa) lo scapestrato avevainvitato alcuni suoi amici dello stesso peloegozzovigliandoraccontava la storia del nocee rideva de' frati. Que' giovinastriebber voglia d'andar a vedere quello sterminato mucchio di noci; elui li mena su in granaio. Ma sentite: apre l'usciova verso ilcantuccio dov'era stato riposto il gran mucchioe mentre dice:guardateguarda egli stesso e vede... che cosa? Un bel mucchio difoglie secche di noce. Fu un esempio questo? E il conventoin vecedi scapitareci guadagnò; perchédopo un cosìgran fattola cerca delle noci rendeva tantotantoche unbenefattoremosso a compassione del povero cercatorefece alconvento la carità d'un asinoche aiutasse a portar le noci acasa. E si faceva tant'olioche ogni povero veniva a prendernesecondo il suo bisogno; perché noi siam come il marechericeve acqua da tutte le partie la torna a distribuire a tutti ifiumi.

Quiricomparve Luciacol grembiule così carico di nociche loreggeva a faticatenendone le due cocche in altocon le bracciatese e allungate. Mentre fra Galdinolevatasi di nuovo la bisacciala metteva giùe ne scioglieva la boccaper introdurvil'abbondante elemosinala madre fece un volto attonito e severo aLuciaper la sua prodigalità; ma Lucia le diede un'occhiatache voleva dire: mi giustificherò. Fra Galdino proruppe inelogiin augùriin promessein ringraziamentierimessala bisaccia al postos'avviava. Ma Luciarichiamatolodisse: -vorrei un servizio da voi; vorrei che diceste al padre Cristoforoche ho gran premura di parlarglie che mi faccia la carità divenir da noi poverettesubito subito; perché non possiamoandar noi alla chiesa.

-Non volete altro? Non passerà un'ora che il padre Cristoforosaprà il vostro desiderio.

-Mi fido.

-Non dubitate -. E così dettose n'andòun po' piùcurvo e più contentodi quel che fosse venuto.

Alvedere che una povera ragazza mandava a chiamarecon tantaconfidenzail padre Cristoforoe che il cercatore accettava lacommissionesenza maraviglia e senza difficoltànessun sipensi che quel Cristoforo fosse un frate di dozzinauna cosa dastrapazzo. Era anzi uomo di molta autoritàpresso i suoiein tutto il contorno; ma tale era la condizione de' cappuccinichenulla pareva per loro troppo bassoné troppo elevato. Servirgl'infimied esser servito da' potentientrar ne' palazzi e ne'tuguricon lo stesso contegno d'umiltà e di sicurezzaessertalvoltanella stessa casaun soggetto di passatempoe unpersonaggio senza il quale non si decideva nullachieder l'elemosinaper tuttoe farla a tutti quelli che la chiedevano al conventoatutto era avvezzo un cappuccino. Andando per la stradapotevaugualmente abbattersi in un principe che gli baciasse riverentementela punta del cordoneo in una brigata di ragazzacci chefingendod'esser alle mani tra lorogl'inzaccherassero la barba di fango. Laparola " frate " venivain que' tempiproferita col piùgran rispettoe col più amaro disprezzo: e i cappucciniforse più d'ogni altr'ordineeran oggetto de' due oppostisentimentie provavano le due opposte fortune; perchénonpossedendo nullaportando un abito più stranamente diversodal comunefacendo più aperta professione d'umiltàs'esponevan più da vicino alla venerazione e al vilipendio chequeste cose possono attirare da' diversi umorie dal diverso pensaredegli uomini.

Partitofra Galdino- tutte quelle noci! - esclamò Agnese: - inquest'anno!

-Mammaperdonatemi- rispose Lucia; - mase avessimo fattaun'elemosina come gli altrifra Galdino avrebbe dovuto girareancoraDio sa quantoprima d'aver la bisaccia piena; Dio sa quandosarebbe tornato al convento; econ le ciarle che avrebbe fatte esentiteDio sa se gli sarebbe rimasto in mente...

-Hai pensato bene; e poi è tutta carità che porta semprebuon frutto- disse Agnesela qualeco' suoi difettucciera unagran buona donnae si sarebbecome si dicebuttata nel fuoco perquell'unica figliain cui aveva riposta tutta la sua compiacenza.

Inquestaarrivò Renzoed entrando con un volto dispettosoinsieme e mortificatogettò i capponi sur una tavola; e fuquesta l'ultima trista vicenda delle povere bestieper quel giorno.

-Bel parere che m'avete dato! - disse ad Agnese. - M'avete mandato daun buon galantuomoda uno che aiuta veramente i poverelli! - Eraccontò il suo abboccamento col dottore. La donnastupefattadi così trista riuscitavoleva mettersi a dimostrare che ilparere però era buonoe che Renzo non doveva aver saputo farla cosa come andava fatta; ma Lucia interruppe quella questioneannunziando che sperava d'aver trovato un aiuto migliore. Renzoaccolse anche questa speranzacome accade a quelli che sono nellasventura e nell'impiccio. - Mase il padre- disse- non ci trovaun ripiegolo troverò ioin un modo o nell'altro.

Ledonne consigliaron la pacela pazienzala prudenza. - Domani-disse Lucia- il padre Cristoforo verrà sicuramente; evedrete che troverà qualche rimediodi quelli che noipoveretti non sappiam nemmeno immaginare.

-Lo spero; - disse Renzo- main ogni casosaprò farmiragioneo farmela fare. A questo mondo c'è giustiziafinalmente.

Co'dolorosi discorsie con le andate e venute che si son riferitequelgiorno era passato; e cominciava a imbrunire.

-Buona notte- disse tristamente Lucia a Renzoil quale non sapevarisolversi d'andarsene.

-Buona notte- rispose Renzoancor più tristamente.

-Qualche santo ci aiuterà- replicò Lucia: - usateprudenzae rassegnatevi.

Lamadre aggiunse altri consigli dello stesso genere; e lo sposo sen'andòcol cuore in tempestaripetendo sempre quelle straneparole: - a questo mondo c'è giustiziafinalmente! - Tant'èvero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che sidica.




Cap.IV


Ilsole non era ancor tutto apparso sull'orizzontequando il padreCristoforo uscì dal suo convento di Pescarenicoper salirealla casetta dov'era aspettato. È Pescarenico una terricciolasulla riva sinistra dell'Addao vogliam dire del lagopoco discostodal ponte: un gruppetto di caseabitate la più parte dapescatorie addobbate qua e là di tramagli e di reti tese adasciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussistetuttavia) al di fuorie in faccia all'entrata della terracon dimezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tuttosereno: di mano in mano che il sole s'alzava dietro il montesivedeva la sua lucedalle sommità de' monti oppostiscenderecome spiegandosi rapidamentegiù per i pendìie nellavalle. Un venticello d'autunnostaccando da' rami le foglieappassite del gelsole portava a caderequalche passo distantedall'albero. A destra e a sinistranelle vignesui tralci ancortesibrillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terralavorata di frescospiccava bruna e distinta ne' campi di stoppiebiancastre e luccicanti dalla guazza. La scena era lieta; ma ognifigura d'uomo che vi apparisserattristava lo sguardo e il pensiero.Ogni tantos'incontravano mendichi laceri e macilentio invecchiatinel mestiereo spinti allora dalla necessità a tender lamano. Passavano zitti accanto al padre Cristoforolo guardavanopietosamenteebenché non avesser nulla a sperar da luigiacché un cappuccino non toccava mai monetagli facevano uninchino di ringraziamentoper l'elemosina che avevan ricevutao cheandavano a cercare al convento. Lo spettacolo de' lavoratori sparsine' campiaveva qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni andavangettando le lor sementeradecon risparmioe a malincuorecomechi arrischia cosa che troppo gli preme; altri spingevan la vangacome a stentoe rovesciavano svogliatamente la zolla. La fanciullascarnatenendo per la corda al pascolo la vaccherella magrastecchitaguardava innanzie si chinava in frettaa rubarlepercibo della famigliaqualche erbadi cui la fame aveva insegnato cheanche gli uomini potevan vivere. Questi spettacoli accrescevanoaogni passola mestizia del frateil quale camminava già coltristo presentimento in cuored'andar a sentire qualche sciagura.

"Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perchéal primo avvisos'era mosso con tanta sollecitudinecome a unachiamata del padre provinciale? E chi era questo padre Cristoforo? "Bisogna soddisfare a tutte queste domande.

Ilpadre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta cheai cinquant'anni. Il suo capo rasosalvo la piccola corona dicapelliche vi girava intornosecondo il rito cappuccinescos'alzava di tempo in tempocon un movimento che lasciava trasparireun non so che d'altero e d'inquieto; e subito s'abbassavaperriflessione d'umiltà. La barba bianca e lungache gli coprivale guance e il mentofaceva ancor più risaltare le formerilevate della parte superiore del voltoalle quali un'astinenzagià da gran pezzo abitualeaveva assai più aggiunto digravità che tolto d'espressione. Due occhi incavati eran perlo più chinati a terrama talvolta sfolgoravanocon vivacitàrepentina; come due cavalli bizzarricondotti a mano da uncocchierecol quale sannoper esperienzache non si puòvincerlapure fannodi tempo in tempoqualche sgambettochescontan subitocon una buona tirata di morso.

Ilpadre Cristoforo non era sempre stato cosìné sempreera stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Erafigliuolo d'un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dallacircospezione del mio anonimo) chene' suoi ultim'annitrovandosiassai fornito di benie con quell'unico figliuoloaveva rinunziatoal trafficoe s'era dato a viver da signore.

Nelsuo nuovo oziocominciò a entrargli in corpo una granvergogna di tutto quel tempo che aveva speso a far qualcosa in questomondo. Predominato da una tal fantasiastudiava tutte le maniere difar dimenticare ch'era stato mercante: avrebbe voluto poterlodimenticare anche lui. Ma il fondacole balleil libroil bracciogli comparivan sempre nella memoriacome l'ombra di Banco a Macbethanche tra la pompa delle mensee il sorriso de' parassiti. E non sipotrebbe dire la cura che dovevano aver que' poverettiper schivareogni parola che potesse parere allusiva all'antica condizione delconvitante. Un giornoper raccontarne unaun giornosul finirdella tavolane' momenti della più viva e schietta allegriache non si sarebbe potuto dire chi più godesseo la brigatadi sparecchiareo il padrone d'aver apparecchiatoandavastuzzicandocon superiorità amichevoleuno di que'commensaliil più onesto mangiatore del mondo. Questopercorrispondere alla celiasenza la minima ombra di maliziapropriocol candore d'un bambinorispose: - eh! io fo l'orecchio delmercante -. Egli stesso fu subito colpito dal suono della parola chegli era uscita di bocca: guardòcon faccia incertaallafaccia del padroneche s'era rannuvolata: l'uno e l'altro avrebbervoluto riprender quella di prima; ma non era possibile. Gli altriconvitati pensavanoognun da séal modo di sopire il piccoloscandoloe di fare una diversione; mapensandotacevanoeinquel silenziolo scandolo era più manifesto. Ognuno scansavad'incontrar gli occhi degli altri; ognuno sentiva che tutti eranoccupati del pensiero che tutti volevan dissimulare. La gioiaperquel giornose n'andò; e l'imprudente oper parlar con piùgiustizialo sfortunatonon ricevette più invito. Cosìil padre di Lodovico passò gli ultimi suoi anni in angustiecontinuetemendo sempre d'essere schernitoe non riflettendo maiche il vendere non è cosa più ridicola che il compraree che quella professione di cui allora si vergognaval'aveva pureesercitata per tant'anniin presenza del pubblicoe senza rimorso.Fece educare il figlio nobilmentesecondo la condizione de' tempieper quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consuetudini; glidiede maestri di lettere e d'esercizi cavallereschi; e morìlasciandolo ricco e giovinetto.

Lodovicoaveva contratte abitudini signorili; e gli adulatoritra i quali eracresciutol'avevano avvezzato ad esser trattato con molto rispetto.Maquando volle mischiarsi coi principali della sua cittàtrovò un fare ben diverso da quello a cui era accostumato; evide chea voler esser della lor compagniacome avrebbe desideratogli conveniva fare una nuova scuola di pazienza e di sommissionestar sempre al di sottoe ingozzarne unaogni momento. Una talmaniera di vivere non s'accordavané con l'educazionenécon la natura di Lodovico. S'allontanò da essi indispettito.Ma poi ne stava lontano con rammarico; perché gli pareva chequesti veramente avrebber dovuto essere i suoi compagni; soltanto gliavrebbe voluti più trattabili. Con questo misto d'inclinazionee di rancorenon potendo frequentarli famigliarmentee volendo pureaver che far con loro in qualche modos'era dato a competer con lorodi sfoggi e di magnificenzacomprandosi così a contantiinimicizieinvidie e ridicolo. La sua indoleonesta insieme eviolental'aveva poi imbarcato per tempo in altre gare piùserie. Sentiva un orrore spontaneo e sincero per l'angherie e per isoprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla qualitàdelle persone che più ne commettevano alla giornata; ch'eranoappunto coloro coi quali aveva più di quella ruggine. Peracquietareo per esercitare tutte queste passioni in una voltaprendeva volentieri le parti d'un debole sopraffattosi piccava difarci stare un soverchiatores'intrometteva in una brigase netirava addosso un'altra; tanto chea poco a pocovenne acostituirsi come un protettor degli oppressie un vendicatore de'torti. L'impiego era gravoso; e non è da domandare se ilpovero Lodovico avesse nemiciimpegni e pensieri. Oltre la guerraesternaera poi tribolato continuamente da contrasti interni;perchéa spuntarla in un impegno (senza parlare di quelli incui restava al di sotto)doveva anche lui adoperar raggiri eviolenzeche la sua coscienza non poteva poi approvare. Dovevatenersi intorno un buon numero di bravacci; ecosì per la suasicurezzacome per averne un aiuto più vigorosodovevascegliere i più arrischiaticioè i più ribaldi;e vivere co' birboniper amor della giustizia. Tanto chepiùd'una voltao scoraggitodopo una trista riuscitao inquieto perun pericolo imminenteannoiato del continuo guardarsistomacatodella sua compagniain pensiero dell'avvenireper le sue sostanzeche se n'andavandi giorno in giornoin opere buone e in braveriepiù d'una volta gli era saltata la fantasia di farsi frate;chea que' tempiera il ripiego più comuneper uscird'impicci. Ma questache sarebbe forse stata una fantasia per tuttala sua vitadivenne una risoluzionea causa d'un accidenteil piùserio che gli fosse ancor capitato.

Andavaun giorno per una strada della sua cittàseguito da duebravie accompagnato da un tal Cristoforoaltre volte giovine dibottega edopo chiusa questadiventato maestro di casa. Era un uomodi circa cinquant'anniaffezionatodalla gioventùaLodovicoche aveva veduto nasceree chetra salario e regaliglidava non solo da viverema di che mantenere e tirar su una numerosafamiglia. Vide Lodovico spuntar da lontano un signor talearrogantee soverchiatore di professionecol quale non aveva mai parlato invita suama che gli era cordiale nemicoe al quale rendevapur dicuoreil contraccambio: giacché è uno de' vantaggi diquesto mondoquello di poter odiare ed esser odiatisenzaconoscersi. Costuiseguito da quattro bravis'avanzava dirittoconpasso superbocon la testa altacon la bocca composta all'alterigiae allo sprezzo. Tutt'e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico(notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciòsecondouna consuetudinegli dava il diritto (dove mai si va a ficcare ildiritto!) di non istaccarsi dal detto muroper dar passo a chi sifosse; cosa della quale allora si faceva gran caso. L'altropretendevaall'oppostoche quel diritto competesse a luicome anobilee che a Lodovico toccasse d'andar nel mezzo; e ciò inforza d'un'altra consuetudine. Perocchéin questocomeaccade in molti altri affarierano in vigore due consuetudinicontrariesenza che fosse deciso qual delle due fosse la buona; ilche dava opportunità di fare una guerraogni volta che unatesta dura s'abbattesse in un'altra della stessa tempra. Que' due sivenivano incontroristretti alla muragliacome due figure di bassorilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a visoil signor talesquadrando Lodovicoa capo altocol cipiglio imperiosogli dissein un tono corrispondente di voce: - fate luogo.

-Fate luogo voi- rispose Lodovico. - La diritta è mia.

-Co' vostri pariè sempre mia.

-Sìse l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i parimiei. I bravi dell'uno e dell'altro eran rimasti fermiciascunodietro il suo padroneguardandosi in cagnescocon le mani alledaghepreparati alla battaglia. La gente che arrivava di qua e dilàsi teneva in distanzaa osservare il fatto; e la presenzadi quegli spettatori animava sempre più il puntiglio de'contendenti.

-Nel mezzovile meccanico; o ch'io t'insegno una volta come si trattaco' gentiluomini.

-Voi mentite ch'io sia vile.

-Tu menti ch'io abbia mentito -. Questa risposta era di prammatica. -Ese tu fossi cavalierecome son io- aggiunse quel signore- tivorrei far vederecon la spada e con la cappache il mentitore seitu.

-E un buon pretesto per dispensarvi di sostener co' fatti l'insolenzadelle vostre parole.

-Gettate nel fango questo ribaldo- disse il gentiluomovoltandosia' suoi.

-Vediamo! - disse Lodovicodando subitamente un passo indietroemettendo mano alla spada.

-Temerario! - gridò l'altrosfoderando la sua: - io spezzeròquestaquando sarà macchiata del tuo vil sangue.

Cosìs'avventarono l'uno all'altro; i servitori delle due parti sislanciarono alla difesa de' loro padroni. Il combattimento eradisugualee per il numeroe anche perché Lodovico miravapiùttosto a scansare i colpie a disarmare il nemicoche aducciderlo; ma questo voleva la morte di luia ogni costo. Lodovicoaveva già ricevuta al braccio sinistro una pugnalata d'unbravoe una sgraffiatura leggiera in una guanciae il nemicoprincipale gli piombava addosso per finirlo; quando Cristoforovedendo il suo padrone nell'estremo pericoloandò col pugnaleaddosso al signore. Questorivolta tutta la sua ira contro di luilo passò con la spada. A quella vistaLodovicocome fuor disécacciò la sua nel ventre del feritoreil qualecadde moribondoquasi a un punto col povero Cristoforo. I bravi delgentiluomovisto ch'era finitasi diedero alla fugamalconci:quelli di Lodovicotartassati e sfregiati anche loronon essendovipiù a chi daree non volendo trovarsi impicciati nella genteche già accorrevascantonarono dall'altra parte: e Lodovicosi trovò solocon que' due funesti compagni ai piediinmezzo a una folla.

-Com'è andata? - È uno. - Son due. - Gli ha fatto unocchiello nel ventre. - Chi è stato ammazzato? - Quelprepotente. - Oh santa Mariache sconquasso! - Chi cerca trova. -Una le paga tutte. - Ha finito anche lui. - Che colpo! - Vuol essereuna faccenda seria. - E quell'altro disgraziato! - Misericordia! chespettacolo! - Salvatelosalvatelo. - Sta fresco anche lui. - Vedetecom'è concio! butta sangue da tutte le parti. - Scappiscappi. Non si lasci prendere.

Questeparoleche più di tutte si facevan sentire nel frastonoconfuso di quella follaesprimevano il voto comune; ecolconsigliovenne anche l'aiuto. Il fatto era accaduto vicino a unachiesa di cappucciniasilocome ognun saimpenetrabile allora a'birrie a tutto quel complesso di cose e di personeche si chiamavala giustizia. L'uccisore ferito fu quivi condotto o portato dallafollaquasi fuor di sentimento; e i frati lo ricevettero dalle manidel popoloche glielo raccomandavadicendo: - è un uomodabbene che ha freddato un birbone superbo: l'ha fatto per suadifesa: c'è stato tirato per i capelli.

Lodoviconon aveva maiprima d'allorasparso sangue; ebenchél'omicidio fossea que' tempicosa tanto comuneche gli orecchid'ognuno erano avvezzi a sentirlo raccontaree gli occhi a vederlopure l'impressione ch'egli ricevette dal veder l'uomo morto per luie l'uomo morto da luifu nuova e indicibile; fu una rivelazione disentimenti ancora sconosciuti. Il cadere del suo nemicol'alterazione di quel voltoche passavain un momentodallaminaccia e dal furoreall'abbattimento e alla quiete solenne dellamortefu una vista che cambiòin un puntol'animodell'uccisore. Strascinato al conventonon sapeva quasi dove sifossené cosa si facesse; equando fu tornato in sési trovò in un letto dell'infermerianelle mani del fratechirurgo (i cappuccini ne avevano ordinariamente uno in ogniconvento)che accomodava faldelle e fasce sulle due ferite ch'egliaveva ricevute nello scontro. Un padreil cui impiego particolareera d'assistere i moribondie che aveva spesso avuto a render questoservizio sulla stradafu chiamato subito al luogo del combattimento.Tornatopochi minuti dopoentrò nell'infermeriaeavvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva- consolatevi - glidisse: - almeno è morto benee m'ha incaricato di chiedere ilvostro perdonoe di portarvi il suo -. Questa parola fece rinvenireaffatto il povero Lodovicoe gli risvegliò piùvivamente e più distintamente i sentimenti ch'eran confusi eaffollati nel suo animo: dolore dell'amicosgomento e rimorso delcolpo che gli era uscito di manoenello stesso tempoun'angosciosa compassione dell'uomo che aveva ucciso. - E l'altro? -domandò ansiosamente al frate.

-L'altro era spiratoquand'io arrivai. Frattantogli accessi e icontorni del convento formicolavan di popolo curioso: magiunta lasbirragliafece smaltir la follae si postò a una certadistanza dalla portain modo però che nessuno potesse uscirneinosservato. Un fratello del mortodue suoi cugini e un vecchio ziovennero purearmati da capo a piedicon grande accompagnamento dibravi; e si misero a far la ronda intornoguardandocon aria e conatti di dispetto minacciosoque' curiosiche non osavan dire: glista bene; ma l'avevano scritto in viso.

AppenaLodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensierichiamato un frateconfessorelo pregò che cercasse della vedova di Cristoforole chiedesse in suo nome perdono d'essere stato lui la cagionequantunque ben certo involontariadi quella desolazioneenellostesso tempol'assicurasse ch'egli prendeva la famiglia sopra di sé.Riflettendo quindi a' casi suoisentì rinascere piùche mai vivo e serio quel pensiero di farsi frateche altre voltegli era passato per la mente: gli parve che Dio medesimo l'avessemesso sulla stradae datogli un segno del suo volerefacendolocapitare in un conventoin quella congiuntura; e il partito fupreso. Fece chiamare il guardianoe gli manifestò il suodesiderio. N'ebbe in rispostache bisognava guardarsi dallerisoluzioni precipitate; ma chese persistevanon sarebberifiutato. Allorafatto venire un notarodettò una donazionedi tutto ciò che gli rimaneva (ch'era tuttavia un belpatrimonio) alla famiglia di Cristoforo: una somma alla vedovacomese le costituisse una contraddotee il resto a otto figliuoli cheCristoforo aveva lasciati.

Larisoluzione di Lodovico veniva molto a proposito per i suoi ospitiiqualiper cagion suaerano in un bell'intrigo. Rimandarlo dalconventoed esporlo così alla giustiziacioè allavendetta de' suoi nemicinon era partito da metter neppure inconsulta. Sarebbe stato lo stesso che rinunziare a' propri privilegiscreditare il convento presso il popoloattirarsi il biasimo ditutti i cappuccini dell'universoper aver lasciato violare ildiritto di tutticoncitarsi contro tutte l'autoritàecclesiastichele quali si consideravan come tutrici di questodiritto. Dall'altra partela famiglia dell'uccisopotente assaieper sée per le sue aderenzes'era messa al punto di volervendetta; e dichiarava suo nemico chiunque s'attentasse di metterviostacolo. La storia non dice che a loro dolesse molto dell'uccisoenemmeno che una lagrima fosse stata sparsa per luiin tutto ilparentado: dice soltanto ch'eran tutti smaniosi d'aver nell'unghiel'uccisoreo vivo o morto. Ora questovestendo l'abito dicappuccinoaccomodava ogni cosa. Facevain certa manieraun'emendas'imponeva una penitenzasi chiamava implicitamente incolpasi ritirava da ogni gara; era in somma un nemico che deponl'armi. I parenti del morto potevan poi anchese loro piacessecredere e vantarsi che s'era fatto frate per disperazionee perterrore del loro sdegno. Ead ogni modoridurre un uomo aspropriarsi del suoa tosarsi la testaa camminare a piedi nudiadormir sur un sacconea viver d'elemosinapoteva parere unapunizione competenteanche all'offeso il più borioso.

Ilpadre guardiano si presentòcon un'umiltà disinvoltaal fratello del mortoedopo mille proteste di rispetto perl'illustrissima casae di desiderio di compiacere ad essa in tuttociò che fosse fattibileparlò del pentimento diLodovicoe della sua risoluzionefacendo garbatamente sentire chela casa poteva esserne contentae insinuando poi soavementee conmaniera ancor più destrachepiacesse o non piacesselacosa doveva essere. Il fratello diede in ismanieche il cappuccinolasciò svaporaredicendo di tempo in tempo: - è untroppo giusto dolore -. Fece intendere chein ogni casola suafamiglia avrebbe saputo prendersi una soddisfazione: e il cappuccinoqualunque cosa ne pensassenon disse di no. Finalmente richieseimpose come una condizioneche l'uccisor di suo fratello partirebbesubito da quella città. Il guardianoche aveva giàdeliberato che questo fosse fattodisse che si farebbelasciandoche l'altro credessese gli piacevaesser questo un attod'ubbidienza: e tutto fu concluso. Contenta la famigliache neusciva con onore; contenti i fratiche salvavano un uomo e i loroprivilegisenza farsi alcun nemico; contenti i dilettanti dicavalleriache vedevano un affare terminarsi lodevolmente; contentoil popoloche vedeva fuor d'impiccio un uomo ben volutoe chenello stesso tempoammirava una conversione; contento finalmenteepiù di tuttiin mezzo al doloreil nostro Lodovicoil qualecominciava una vita d'espiazione e di servizioche potessese nonripararepagare almeno il mal fattoe rintuzzare il pungolointollerabile del rimorso. Il sospetto che la sua risoluzione fosseattribuita alla paural'afflisse un momento; ma si consolòsubitocol pensiero che anche quell'ingiusto giudizio sarebbe ungastigo per luie un mezzo d'espiazione. Cosìa trent'annisi ravvolse nel sacco; edovendosecondo l'usolasciare il suonomee prenderne un altrone scelse uno che gli rammentasseognimomentociò che aveva da espiare: e si chiamò fraCristoforo.

Appenacompita la cerimonia della vestizioneil guardiano gl'intimòche sarebbe andato a fare il suo noviziato a ***sessanta miglialontanoe che partirebbe all'indomani. Il novizio s'inchinòprofondamentee chiese una grazia. - Permettetemipadre- disse-cheprima di partir da questa cittàdove ho sparso il sangued'un uomodove lascio una famiglia crudelmente offesaio la ristorialmeno dell'affrontoch'io mostri almeno il mio rammarico di nonpoter risarcire il dannocol chiedere scusa al fratello dell'uccisoe gli levise Dio benedice la mia intenzioneil rancore dall'animo-. Al guardiano parve che un tal passooltre all'esser buono in séservirebbe a riconciliar sempre più la famiglia col convento;e andò diviato da quel signor fratelload esporgli la domandadi fra Cristoforo. A proposta così inaspettatacolui sentìinsieme con la maravigliaun ribollimento di sdegnonon peròsenza qualche compiacenza. Dopo aver pensato un momento- vengadomani- disse; e assegnò l'ora. Il guardiano tornòaportare al novizio il consenso desiderato.

Ilgentiluomo pensò subito chequanto più quellasoddisfazione fosse solenne e clamorosatanto piùaccrescerebbe il suo credito presso tutta la parentelae presso ilpubblico; e sarebbe (per dirla con un'eleganza moderna) una bellapagina nella storia della famiglia. Fece avvertire in fretta tutti iparenti cheall'indomania mezzogiornorestassero serviti (cosìsi diceva allora) di venir da luia ricevere una soddisfazionecomune. A mezzogiornoil palazzo brulicava di signori d'ogni etàe d'ogni sesso: era un girareun rimescolarsi di gran capped'altepennedi durlindane pendentiun moversi librato di gorgiereinamidate e crespeuno strascico intralciato di rabescate zimarre.Le anticamereil cortile e la strada formicolavan di servitoridipaggidi bravi e di curiosi. Fra Cristoforo vide quell'apparecchione indovinò il motivoe provò un leggier turbamento;madopo un istantedisse tra sé: " sta bene: l'houcciso in pubblicoalla presenza di tanti suoi nemici: quello fuscandaloquesta è riparazione ". Cosìcon gliocchi bassicol padre compagno al fiancopassò la porta diquella casaattraversò il cortiletra una folla che losquadrava con una curiosità poco cerimoniosa; salì lescaleedi mezzo all'altra folla signorileche fece ala al suopassaggioseguito da cento sguardigiunse alla presenza del padrondi casa; il qualecircondato da' parenti più prossimistavaritto nel mezzo della salacon lo sguardo a terrae il mento inariaimpugnandocon la mano sinistrail pomo della spadaestringendo con la destra il bavero della cappa sul petto.

C'ètalvoltanel volto e nel contegno d'un uomoun'espressione cosìimmediatasi direbbe quasi un'effusione dell'animo internocheinuna folla di spettatoriil giudizio sopra quell'animo sarà unsolo. Il volto e il contegno di fra Cristoforo disser chiaro agliastantiche non s'era fatto fratené veniva aquell'umiliazione per timore umano: e questo cominciò aconcigliarglieli tutti. Quando vide l'offesoaffrettò ilpassogli si pose inginocchioni ai piediincrociò le manisul pettoechinando la testa rasadisse queste parole: - io sonol'omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo a costodel mio sangue; manon potendo altro che farle inefficaci e tardescusela supplico d'accettarle per l'amor di Dio -. Tutti gli occhierano immobili sul novizioe sul personaggio a cui egli parlava;tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacques'alzòper tutta la salaun mormorìo di pietà e di rispetto.Il gentiluomoche stava in atto di degnazione forzatae d'iracompressafu turbato da quelle parole; echinandosi versol'inginocchiato- alzatevi- dissecon voce alterata: -l'offesa... il fatto veramente... ma l'abito che portate... non soloquestoma anche per voi... S'alzipadre... Mio fratello... non loposso negare... era un cavaliere... era un uomo... un po'impetuoso... un po' vivo. Ma tutto accade per disposizion di Dio. Nonse ne parli più... Mapadrelei non deve stare in codestapositura -. Epresolo per le braccialo sollevò. FraCristoforoin piedima col capo chinorispose: - io posso dunquesperare che lei m'abbia concesso il suo perdono! E se l'ottengo daleida chi non devo sperarlo? Oh! s'io potessi sentire dalla suabocca questa parolaperdono!

-Perdono? - disse il gentiluomo. - Lei non ne ha più bisogno.Ma purepoiché lo desideracertocertoio le perdono dicuoree tutti...

-Tutti! tutti! - gridaronoa una vocegli astanti. Il volto delfrate s'aprì a una gioia riconoscentesotto la qualetraspariva però ancora un'umile e profonda compunzione delmale a cui la remissione degli uomini non poteva riparare. Ilgentiluomovinto da quell'aspettoe trasportato dalla commozionegeneralegli gettò le braccia al colloe gli diede e nericevette il bacio di pace. Un - bravo! bene! - scoppiò datutte le parti della sala; tutti si mosseroe si strinsero intornoal frate. Intanto vennero servitoricon gran copia di rinfreschi. Ilgentiluomo si raccostò al nostro Cristoforoil quale facevasegno di volersi licenziaree gli disse: - padregradisca qualchecosa; mi dia questa prova d'amicizia -. E si mise per servirlo primad'ogni altro; ma egliritirandosicon una certa resistenzacordiale- queste cose- disse- non fanno più per me; manon sarà mai ch'io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi inviaggio: si degni di farmi portare un paneperché io possadire d'aver goduto la sua caritàd'aver mangiato il suo panee avuto un segno del suo perdono -. Il gentiluomocommossoordinòche così si facesse; e venne subito un camerierein grangalaportando un pane sur un piatto d'argentoe lo presentòal padre; il qualepresolo e ringraziatolo mise nella sporta.Chiese quindi licenza; eabbracciato di nuovo il padron di casaetutti quelli chetrovandosi più vicini a luipoteronoimpadronirsene un momentosi liberò da essi a fatica; ebbe acombatter nell'anticamereper isbrigarsi da' servitorie anche da'braviche gli baciavano il lembo dell'abitoil cordoneilcappuccio; e si trovò nella stradaportato come in trionfoeaccompagnato da una folla di popolofino a una porta della città;d'onde uscìcominciando il suo pedestre viaggioverso illuogo del suo noviziato.

Ilfratello dell'uccisoe il parentadoche s'erano aspettatid'assaporare in quel giorno la trista gioia dell'orgogliositrovarono in vece ripieni della gioia serena del perdono e dellabenevolenza. La compagnia si trattenne ancor qualche tempocon unabonarietà e con una cordialità insolitainragionamenti ai quali nessuno era preparatoandando là. Invece di soddisfazioni presedi soprusi vendicatid'impegnispuntatile lodi del noviziola riconciliazionela mansuetudinefurono i temi della conversazione. E talunocheper lacinquantesima voltaavrebbe raccontato come il conte Muzio suo padreaveva saputoin quella famosa congiunturafar stare a dovere ilmarchese Stanislaoch'era quel rodomonte che ognun saparlòin vece delle penitenze e della pazienza mirabile d'un fra Simonemorto molt'anni prima. Partita la compagniail padroneancor tuttocommossoriandava tra sécon maravigliaciò cheaveva in tesociò ch'egli medesimo aveva detto; e borbottavatra i denti: - diavolo d'un frate! - (bisogna bene che noitrascriviamo le sue precise parole) - diavolo d'un frate! se rimanevalì in ginocchioancora per qualche momentoquasi quasi glichiedevo scusa ioche m'abbia ammazzato il fratello -. La nostrastoria nota espressamente cheda quel giorno in poiquel signore fuun po' men precipitosoe un po' più alla mano.

Ilpadre Cristoforo camminavacon una consolazione che non aveva maipiù provatadopo quel giorno terribilead espiare il qualetutta la sua vita doveva esser consacrata. Il silenzio ch'era impostoa' novizil'osservavasenza avvederseneassorto com'eranelpensiero delle fatichedelle privazioni e dell'umiliazioni cheavrebbe sofferteper iscontare il suo fallo. Fermandosiall'oradella refezionepresso un benefattoremangiòcon una speciedi voluttàdel pane del perdono: ma ne serbò un pezzoe lo ripose nella sportaper tenerlocome un ricordo perpetuo.

Nonè nostro disegno di far la storia della sua vita claustrale:diremo soltanto cheadempiendosempre con gran vogliae con grancuragli ufizi che gli venivano ordinariamente assegnatidipredicare e d'assistere i moribondinon lasciava mai sfuggireun'occasione d'esercitarne due altriche s'era imposti da sé:accomodar differenzee proteggere oppressi. In questo genio entravaper qualche partesenza ch'egli se n'avvedessequella sua vecchiaabitudinee un resticciolo di spiriti guerreschiche l'umiliazionie le macerazioni non avevan potuto spegner del tutto. Il suolinguaggio era abitualmente umile e posato; maquando si trattassedi giustizia o di verità combattutal'uomo s'animavaa untrattodell'impeto anticochesecondato e modificato da un'enfasisolennevenutagli dall'uso del predicaredava a quel linguaggio uncarattere singolare. Tutto il suo contegnocome l'aspettoannunziava una lunga guerratra un'indole focosarisentitae unavolontà oppostaabitualmente vittoriosasempre all'ertaediretta da motivi e da ispirazioni superiori. Un suo confratello edamicoche lo conosceva benel'aveva una volta paragonato a quelleparole troppo espressive nella loro forma naturaleche alcuniancheben educatipronunzianoquando la passione traboccasmozzicatecon qualche lettera mutata; parole chein quel travisamentofannoperò ricordare della loro energia primitiva.

Seuna poverella sconosciutanel tristo caso di Luciaavesse chiestol'aiuto del padre Cristoforoegli sarebbe corso immediatamente.Trattandosi poi di Luciaaccorse con tanta più sollecitudinein quanto conosceva e ammirava l'innocenza di leiera già inpensiero per i suoi pericolie sentiva un'indegnazione santaper laturpe persecuzione della quale era divenuta l'oggetto. Oltre di ciòavendola consigliataper il meno maledi non palesar nullae distarsene quietatemeva ora che il consiglio potesse aver prodottoqualche tristo effetto; e alla sollecitudine di caritàch'erain lui come ingenitas'aggiungevain questo casoquell'angustiascrupolosa che spesso tormenta i buoni.

Maintanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padreCristoforoè arrivatos'è affacciato all'uscio; e ledonnelasciando il manico dell'aspo che facevan girare e strideresi sono alzatedicendoa una voce: - oh padre Cristoforo! siabenedetto!




Cap.V


Ilqual padre Cristoforo si fermò ritto sulla sogliaeappenaebbe data un'occhiata alle donnedovette accorgersi che i suoipresentimenti non eran falsi. Ondecon quel tono d'interrogazioneche va incontro a una trista rispostaalzando la barba con un motoleggiero della testa all'indietrodisse: - ebbene? - Lucia risposecon uno scoppio di pianto. La madre cominciava a far le scuse d'averosato... ma il frate s'avanzòemessosi a sedere sur unpanchetto a tre pieditroncò i complimentidicendo a Lucia:- quietatevipovera figliuola. E voi- disse poi ad Agnese-raccontatemi cosa c'è! - Mentre la buona donna faceva allameglio la sua dolorosa relazioneil frate diventava di mille colorie ora alzava gli occhi al cieloora batteva i piedi. Terminata lastoriasi coprì il volto con le manied esclamò: - oDio benedetto! fino a quando...! - Masenza compir la frasevoltandosi di nuovo alle donne: - poverette! - disse: - Dio vi havisitate. Povera Lucia!

-Non ci abbandoneràpadre? - disse questasinghiozzando.

-Abbandonarvi! - rispose. - E con che faccia potrei io chieder a Dioqualcosa per mequando v'avessi abbandonata? voi in questo stato!voich'Egli mi confida! Non vi perdete d'animo: Egli v'assisterà:Egli vede tutto: Egli può servirsi anche d'un uomo da nullacome son ioper confondere un... Vediamopensiamo quel che si possafare.

Cosìdicendoappoggiò il gomito sinistro sul ginocchiochinòla fronte nella palmae con la destra strinse la barba e il mentocome per tener ferme e unite tutte le potenze dell'animo. Ma la piùattenta considerazione non serviva che a fargli scorgere piùdistintamente quanto il caso fosse pressante e intrigatoe quantoscarsiquanto incerti e pericolosi i ripieghi. " Mettere un po'di vergogna a don Abbondioe fargli sentire quanto manchi al suodovere? Vergogna e dovere sono un nulla per luiquando ha paura. Efargli paura? Che mezzi ho io mai di fargliene una che superi quellache ha d'una schioppettata? Informar di tutto il cardinalearcivescovoe invocar la sua autorità? Ci vuol tempo: eintanto? e poi? Quand'anche questa povera innocente fosse maritatasarebbe questo un freno per quell'uomo? Chi sa a qual segno possaarrivare?... E resistergli? Come? Ah! se potessipensava il poverofratese potessi tirar dalla mia i miei frati di quique' diMilano! Ma! non è un affare comune; sarei abbandonato. Costuifa l'amico del conventosi spaccia per partigiano de' cappuccini: ei suoi bravi non son venuti più d'una volta a ricoverarsi danoi? Sarei solo in ballo; mi buscherei anche dell'inquietodell'imbroglionedell'accattabrighe; equel ch'è piùpotrei fors'anchecon un tentativo fuor di tempopeggiorar lacondizione di questa poveretta ". Contrappesato il pro e ilcontro di questo e di quel partitoil migliore gli parve d'affrontardon Rodrigo stessotentar di smoverlo dal suo infame propositoconle preghierecoi terrori dell'altra vitaanche di questase fossepossibile. Alla peggiosi potrebbe almeno conoscereper questa viapiù distintamente quanto colui fosse ostinato nel suo sporcoimpegnoscoprir di più le sue intenzionie prender consiglioda ciò.

Mentreil frate stava così meditandoRenzoil qualeper tutte leragioni che ognun può indovinarenon sapeva star lontano daquella casaera comparso sull'uscio; mavisto il padre soprapensieroe le donne che facevan cenno di non disturbarlosi fermòsulla sogliain silenzio. Alzando la facciaper comunicare alledonne il suo progettoil frate s'accorse di luie lo salutòin un modo ch'esprimeva un'affezione consuetaresa piùintensa dalla pietà.

-Le hanno detto...padre? - gli domandò Renzocon vocecommossa.

-Pur troppo; e per questo son qui.

Chedice di quel birbone...?

-Che vuoi ch'io dica di lui? Non è qui a sentire: chegioverebbero le mie parole? Dico a teil mio Renzoche tu confidiin Dioe che Dio non t'abbandonerà.

-Benedette le sue parole! - esclamò il giovane. - Lei non èdi quelli che dan sempre torto a' poveri. Ma il signor curatoe quelsignor dottor delle cause perse...

-Non rivangare quello che non può servire ad altro che ainquietarti inutilmente. Io sono un povero frate; ma ti ripeto quelche ho detto a queste donne: per quel poco che possononv'abbandonerò.

-Ohlei non è come gli amici del mondo! Ciarloni! Chi avessecreduto alle proteste che mi facevan costoronel buon tempo; eh eh!Eran pronti a dare il sangue per me; m'avrebbero sostenuto contro ildiavolo. S'io avessi avuto un nemico?... bastava che mi lasciassiintendere; avrebbe finito presto di mangiar pane. E orase vedessecome si ritirano... - A questo puntoalzando gli occhi al volto delpadrevide che s'era tutto rannuvolatoe s'accorse d'aver detto ciòche conveniva tacere. Ma volendo raccomodarlas'andava intrigando eimbrogliando: - volevo dire... non intendo dire... cioèvolevo dire...

-Cosa volevi dire? E che? tu avevi dunque cominciato a guastar l'operamiaprima che fosse intrapresa! Buon per te che sei statodisingannato in tempo. Che! tu andavi in cerca d'amici... qualiamici!... che non t'avrebber potuto aiutareneppur volendo! Ecercavi di perder Quel solo che lo può e lo vuole! Non sai tuche Dio è l'amico de' tribolatiche confidano in Lui? Non saitu chea metter fuori l'unghieil debole non ci guadagna? E quandopure... - A questo puntoafferrò fortemente il braccio diRenzo: il suo aspettosenza perder d'autoritàs'atteggiòd'una compunzione solennegli occhi s'abbassaronola voce divennelenta e come sotterranea: - quando pure... è un terribileguadagno! Renzo! vuoi tu confidare in me?... che dico in meomiciattolofraticello? Vuoi tu confidare in Dio?

-Oh sì! - rispose Renzo. - Quello è il Signore davvero.

-Ebbene; prometti che non affronteraiche non provocherai nessunoche ti lascerai guidar da me.

-Lo prometto. Lucia fece un gran respirocome se le avesser levato unpeso d'addosso; e Agnese disse: - bravo figliuolo.

-Sentitefigliuoli- riprese fra Cristoforo: - io anderò oggia parlare a quell'uomo. Se Dio gli tocca il cuoree dà forzaalle mie parolebene: se noEgli ci farà trovare qualchealtro rimedio. Voi intantostatevi quietiritiratiscansate leciarlenon vi fate vedere. Staserao domattina al più tardimi rivedrete -. Detto questotroncò tutti i ringraziamenti ele benedizionie partì. S'avviò al conventoarrivòa tempo d'andare in coro a cantar sestadesinòe si misesubito in camminoverso il covile della fiera che voleva provarsid'ammansare.

Ilpalazzotto di don Rodrigo sorgeva isolatoa somiglianza d'unabicoccasulla cima d'uno de' poggi ond'è sparsa e rilevataquella costiera. A questa indicazione l'anonimo aggiunge che il luogo(avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era piùin su del paesello degli sposidiscosto da questo forse tre migliae quattro dal convento. Appiè del poggiodalla parte cheguarda a mezzogiornoe verso il lagogiaceva un mucchietto dicasupoleabitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccolacapitale del suo piccol regno. Bastava passarviper esser chiaritodella condizione e de' costumi del paese. Dando un'occhiata nellestanze terrenedove qualche uscio fosse apertosi vedevanoattaccati al muro schioppitrombonizapperastrellicappelli dipagliareticelle e fiaschetti da polverealla rinfusa. La gente chevi s'incontrava erano omacci tarchiati e arcignicon un gran ciuffoarrovesciato sul capoe chiuso in una reticella; vecchi cheperdutele zanneparevan sempre prontichi nulla gli aizzassea digrignarle gengive; donne con certe facce maschiee con certe braccianerborutebuone da venire in aiuto della linguaquando questa nonbastasse: ne' sembianti e nelle mosse de' fanciulli stessichegiocavan per la stradasi vedeva un non so che di petulante e diprovocativo.

FraCristoforo attraversò il villaggiosalì per una viuzzaa chiocciolae pervenne su una piccola spianatadavanti alpalazzotto. La porta era chiusasegno che il padrone stavadesinandoe non voleva esser frastornato. Le rade e piccole finestreche davan sulla stradachiuse da imposte sconnesse e consunte dagliannieran però difese da grosse inferriatee quelle del pianterreno tant'alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalled'un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbepotuto credere che fosse una casa abbandonatase quattro creaturedue vive e due mortecollocate in simmetriadi fuorinon avesserdato un indizio d'abitanti. Due grand'avoltoicon l'ali spalancatee co' teschi penzolonil'uno spennacchiato e mezzo roso dal tempol'altro ancor saldo e pennutoerano inchiodaticiascuno sur unbattente del portone; e due bravisdraiaticiascuno sur una dellepanche poste a destra e a sinistrafacevan la guardiaaspettandod'esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore. Ilpadre si fermò rittoin atto di chi si dispone ad aspettare;ma un de' bravi s'alzòe gli disse: - padrepadrevengapure avanti: qui non si fanno aspettare i cappuccini: noi siamo amicidel convento: e io ci sono stato in certi momenti che fuori non eratroppo buon'aria per me; e se mi avesser tenuta la porta chiusalasarebbe andata male -. Così dicendodiede due picchi colmartello. A quel suono risposer subito di dentro gli urli e le stridadi mastini e di cagnolini; epochi momenti dopogiunse borbottandoun vecchio servitore; maveduto il padregli fece un grand'inchinoacquietò le bestiecon le mani e con la voceintrodussel'ospite in un angusto cortilee richiuse la porta. Accompagnatolopoi in un salottoe guardandolo con una cert'aria di maraviglia e dirispettodisse: - non è lei... il padre Cristoforo diPescarenico?

-Per l'appunto.

-Lei qui?

-Come vedetebuon uomo.

-Sarà per far del bene. Del bene- continuò mormorandotra i dentie rincamminandosi- se ne può far per tutto -.Attraversati due o tre altri salotti oscuriarrivarono all'usciodella sala del convito. Quivi un gran frastono confuso di forchettedi coltellidi bicchieridi piattie sopra tutto di voci discordiche cercavano a vicenda di soverchiarsi. Il frate voleva ritirarsiestava contrastando dietro l'uscio col servitoreper ottenered'essere lasciato in qualche canto della casafin che il pranzofosse terminato; quando l'uscio s'aprì. Un certo conteAttilioche stava seduto in faccia (era un cugino del padron dicasa; e abbiam già fatta menzione di luisenza nominarlo)veduta una testa rasa e una tonacae accortosi dell'intenzionemodesta del buon frate- ehi! ehi! - gridò: - non ci scappipadre riverito: avantiavanti -. Don Rodrigosenza indovinarprecisamente il soggetto di quella visitapureper non so qualpresentimento confuson'avrebbe fatto di meno. Mapoiché lospensierato d'Attilio aveva fatta quella gran chiamatanon convenivaa lui di tirarsene indietro; e disse: - vengapadrevenga -. Ilpadre s'avanzòinchinandosi al padronee rispondendoa duemaniai saluti de' commensali.

L'uomoonesto in faccia al malvagiopiace generalmente (non dico a tutti)immaginarselo con la fronte altacon lo sguardo sicurocol pettorilevatocon lo scilinguagnolo bene sciolto. Nel fatto peròper fargli prender quell'attitudinesi richiedon molte circostanzele quali ben di rado si riscontrano insieme. Perciònon vimaravigliate se fra Cristoforocol buon testimonio della suacoscienzacol sentimento fermissimo della giustizia della causa cheveniva a sostenerecon un sentimento misto d'orrore e di compassioneper don Rodrigostesse con una cert'aria di suggezione e dirispettoalla presenza di quello stesso don Rodrigoch'era lìin capo di tavolain casa suanel suo regnocircondato d'amicid'omaggidi tanti segni della sua potenzacon un viso da far morirein bocca a chi si sia una preghieranon che un consiglionon cheuna correzionenon che un rimprovero. Alla sua destra sedeva quelconte Attilio suo cuginoese fa bisogno di dirlosuo collega dilibertinaggio e di soverchieriail quale era venuto da Milano avilleggiareper alcuni giornicon lui. A sinistrae a un altrolato della tavolastavacon gran rispettotemperato peròd'una certa sicurezzae d'una certa saccenteriail signor podestàquel medesimo a cuiin teoriasarebbe toccato a far giustizia aRenzo Tramaglinoe a fare star a dovere don Rodrigocome s'èvisto di sopra. In faccia al podestàin atto d'un rispetto ilpiù puroil più svisceratosedeva il nostro dottorAzzecca-garbugliin cappa nerae col naso più rubicondo delsolito: in faccia ai due cuginidue convitati oscuride' quali lanostra storia dice soltanto che non facevano altro che mangiarechinare il caposorridere e approvare ogni cosa che dicesse uncommensalee a cui un altro non contraddicesse.

-Da sedere al padre- disse don Rodrigo. Un servitore presentòuna sediasulla quale si mise il padre Cristoforofacendo qualchescusa al signored'esser venuto in ora inopportuna. - Bramerei diparlarle da solo a solocon suo comodoper un affare d'importanza- soggiunse poicon voce più sommessaall'orecchio di donRodrigo.

-Benebeneparleremo; - rispose questo: - ma intanto si porti dabere al padre. Il padre voleva schermirsi; ma don Rodrigoalzando lavocein mezzo al trambusto ch'era ricominciatogridava: - noperbacconon mi farà questo torto; non sarà mai vero cheun cappuccino vada via da questa casasenza aver gustato del miovinoné un creditore insolentesenza aver assaggiate lelegna de' miei boschi -. Queste parole eccitarono un riso universalee interruppero un momento la questione che s'agitava caldamente tra icommensali. Un servitoreportando sur una sottocoppa un'ampolla divinoe un lungo bicchiere in forma di calicelo presentò alpadre; il qualenon volendo resistere a un invito tanto pressantedell'uomo che gli premeva tanto di farsi propizionon esitò amesceree si mise a sorbir lentamente il vino.

-L'autorità del Tasso non serve al suo assuntosignor podestàriverito; anzi è contro di lei; - riprese a urlare il conteAttilio: - perché quell'uomo eruditoquell'uomo grandechesapeva a menadito tutte le regole della cavalleriaha fatto che ilmesso d'Arganteprima d'esporre la sfida ai cavalieri cristianichieda licenza al pio Buglione...

-Ma questo - replicavanon meno urlandoil podestà- questoè un di piùun mero di piùun ornamentopoeticogiacché il messaggiero è di sua naturainviolabileper diritto delle gentijure gentium: esenzaandar tanto a cercarelo dice anche il proverbio: ambasciator nonporta pena. Ei proverbisignor contesono la sapienza del genereumano. Enon avendo il messaggiero detto nulla in suo proprio nomema solamente presentata la sfida in iscritto...

-Ma quando vorrà capire che quel messaggiero era un asinotemerarioche non conosceva le prime...?

-Con buona licenza di lor signori- interruppe don Rodrigoil qualenon avrebbe voluto che la questione andasse troppo avanti: -rimettiamola nel padre Cristoforo; e si stia alla sua sentenza.

-Benebenissimo- disse il conte Attilioal quale parve cosa moltogarbata di far decidere un punto di cavalleria da un cappuccino;mentre il podestàpiù infervorato di cuore nellaquestionesi chetava a stentoe con un certo visoche parevavolesse dire: ragazzate.

-Mada quel che mi pare d'aver capito- disse il padre- non soncose di cui io mi deva intendere.

-Solite scuse di modestia di loro padri; - disse don Rodrigo: - ma nonmi scapperà. Eh via! sappiam bene che lei non è venutaal mondo col cappuccio in capoe che il mondo l'ha conosciuto. Viavia: ecco la questione.

-Il fatto è questo- cominciava a gridare il conte Attilio.

-Lasciate dir a meche son neutralecugino- riprese don Rodrigo. -Ecco la storia. Un cavaliere spagnolo manda una sfida a un cavaliermilanese: il portatorenon trovando il provocato in casaconsegnail cartello a un fratello del cavaliere; il qual fratello legge lasfidae in risposta dà alcune bastonate al portatore. Sitratta...

-Ben dateben applicate- gridò il conte Attilio. - Fu unavera ispirazione.

-Del demonio- soggiunse il podestà. - Battere unambasciatore! persona sacra! Anche leipadremi dirà sequesta è azione da cavaliere.

-Sìsignoreda cavaliere- gridò il conte: - e lolasci dire a meche devo intendermi di ciò che conviene a uncavaliere. Ohse fossero stati pugnisarebbe un'altra faccenda; mail bastone non isporca le mani a nessuno. Quello che non posso capireè perché le premano tanto le spalle d'un mascalzone.

-Chi le ha parlato delle spallesignor conte mio? Lei mi fa direspropositi che non mi son mai passati per la mente. Ho parlato delcaratteree non di spalleio. Parlo sopra tutto del diritto dellegenti. Mi dica un pocodi graziase i feciali che gli antichiRomani mandavano a intimar le sfide agli altri popolichiedevanlicenza d'esporre l'ambasciata: e mi trovi un poco uno scrittore chefaccia menzione che un feciale sia mai stato bastonato.

-Che hanno a far con noi gli ufiziali degli antichi Romani? gente cheandava alla buonae chein queste coseera indietroindietro. Masecondo le leggi della cavalleria modernach'è la veradicoe sostengo che un messo il quale ardisce di porre in mano a uncavaliere una sfidasenza avergliene chiesta licenzaè untemerarioviolabile violabilissimobastonabile bastonabilissimo...

-Risponda un poco a questo sillogismo.

-Nientenienteniente.

-Ma ascoltima ascoltima ascolti. Percotere un disarmato èatto proditorio; atqui il messo de quo era senz'arme;ergo...

-Pianopianosignor podestà.

-Che piano?

-Pianole dico: cosa mi viene a dire? Atto proditorio è ferireuno con la spadaper di dietroo dargli una schioppettata nellaschiena: eanche per questosi posson dar certi casi... ma stiamonella questione. Concedo che questo generalmente possa chiamarsi attoproditorio; ma appoggiar quattro bastonate a un mascalzone! Sarebbebella che si dovesse dirgli: guarda che ti bastono: come si direbbe aun galantuomo: mano alla spada. E leisignor dottor riveritoinvece di farmi de' sogghigniper farmi capire ch'è del mioparereperché non sostiene le mie ragionicon la sua buonatabellaper aiutarmi a persuader questo signore?

-Io... - rispose confusetto il dottore: - io godo di questa dottadisputa; e ringrazio il bell'accidente che ha dato occasione a unaguerra d'ingegni così graziosa. E poia me non compete di darsentenza: sua signoria illustrissima ha già delegato ungiudice... qui il padre...

-È vero; - disse don Rodrigo: - ma come volete che il giudiceparliquando i litiganti non vogliono stare zitti?

-Ammutolisco- disse il conte Attilio. Il podestà strinse lelabbrae alzò la manocome in atto di rassegnazione.

-Ah sia ringraziato il cielo! A leipadre- disse don Rodrigoconuna serietà mezzo canzonatoria.

-Ho già fatte le mie scusecol dire che non me n'intendo-rispose fra Cristofororendendo il bicchiere a un servitore.

-Scuse magre: - gridarono i due cugini: - vogliamo la sentenza!

-Quand'è così- riprese il frate- il mio deboleparere sarebbe che non vi fossero né sfidenéportatoriné bastonate.

Icommensali si guardarono l'un con l'altro maravigliati.

-Oh questa è grossa! - disse il conte Attilio. - Mi perdonipadrema è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo.

-Lui? - disse don Rodrigo: - me lo volete far ridire: lo conoscecugino mioquanto voi: non è veropadre? Dicadicase nonha fatta la sua carovana?

Invece di rispondere a quest'amorevole domandail padre disse unaparolina in segreto a sé medesimo: " queste vengono a te;ma ricordatifrateche non sei qui per tee che tutto ciòche tocca te solonon entra nel conto ".

-Sarà- disse il cugino: - ma il padre... come si chiama ilpadre?

-Padre Cristoforo - rispose più d'uno.

-Mapadre Cristoforopadron mio colendissimocon queste suemassimelei vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza sfide! Senzabastonate! Addio il punto d'onore: impunità per tutti imascalzoni. Per buona sorte che il supposto è impossibile.

-Animodottore- scappò fuori don Rodrigoche voleva semprepiù divertire la disputa dai due primi contendenti- animoavoicheper dar ragione a tuttisiete un uomo. Vediamo un pococome farete per dar ragione in questo al padre Cristoforo.

-In verità- rispose il dottoretenendo brandita in aria laforchettae rivolgendosi al padre- in verità io non sointendere come il padre Cristoforoil quale è insieme ilperfetto religioso e l'uomo di mondonon abbia pensato che la suasentenzabuonaottima e di giusto peso sul pulpitonon val nientesia detto col dovuto rispettoin una disputa cavalleresca. Ma ilpadre sameglio di meche ogni cosa è buona a suo luogo; eio credo chequesta voltaabbia voluto cavarsicon una celiadall'impiccio di proferire una sentenza.

Chesi poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza cosìanticae sempre nuova? Niente: e così fece il nostro frate.

Madon Rodrigoper voler troncare quella questionene venne asuscitare un'altra. - A proposito- disse- ho sentito che a Milanocorrevan voci d'accomodamento.

Illettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione alducato di Mantovadel qualealla morte di Vincenzo Gonzagache nonaveva lasciata prole legittimaera entrato in possesso il duca diNeverssuo parente più prossimo. Luigi XIIIossia ilcardinale di Richelieusosteneva quel principesuo ben affettoenaturalizzato francese: Filippo IVossia il conte d'Olivarescomunemente chiamato il conte ducanon lo voleva lìper lestesse ragioni; e gli aveva mosso guerra. Siccome poi quel ducato erafeudo dell'imperocosì le due parti s'adoperavanoconpratichecon istanzecon minaccepresso l'imperator Ferdinando IIla prima perché accordasse l'investitura al nuovo duca; laseconda perché gliela negasseanzi aiutasse a cacciarlo daquello stato.

-Non son lontano dal credere- disse il conte Attilio- che le cosesi possano accomodare. Ho certi indizi...

-Non credasignor contenon creda- interruppe il podestà. -Ioin questo cantuccioposso saperle le cose; perché ilsignor castellano spagnolocheper sua bontàmi vuole unpo' di benee per esser figliuolo d'un creato del conte ducaèinformato d'ogni cosa...

-Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in Milano con benaltri personaggi; e so di buon luogo che il papainteressatissimocom'èper la paceha fatto proposizioni...

-Così dev'essere; la cosa è in regola; sua santitàfa il suo dovere; un papa deve sempre metter bene tra i principicristiani; ma il conte duca ha la sua politicae...

-Eee; sa leisignor miocome la pensi l'imperatorein questomomento? Crede lei che non ci sia altro che Mantova a questo mondo?le cose a cui si deve pensare son moltesignor mio. Sa leiperesempiofino a che segno l'imperatore possa ora fidarsi di quel suoprincipe di Valdistano o di Vallistaio come lo chiamanoe se...

-Il nome legittimo in lingua alemanna- interruppe ancora il podestà- è Vagliensteinocome l'ho sentito proferir più voltedal nostro signor castellano spagnolo. Ma stia pur di buon animoche...

-Mi vuole insegnare...? - riprendeva il conte; ma don Rodrigo gli diéd'occhioper fargli intendere cheper amor suocessasse dicontraddire. Il conte tacquee il podestàcome un bastimentodisimbrogliato da una seccacontinuòa vele gonfieil corsodella sua eloquenza. - Vagliensteino mi dà poco fastidio;perché il conte duca ha l'occhio a tuttoe per tutto; e seVagliensteino vorrà fare il bell'umoresaprà ben luifarlo rigar dirittocon le buoneo con le cattive. Ha l'occhio pertuttodicoe le mani lunghe; ese ha fisso il chiodocome l'hafissoe giustamenteda quel gran politico che èche ilsignor duca di Nivers non metta le radici in Mantovail signor ducadi Nivers non ce le metterà; e il signor cardinale di Riciliùfarà un buco nell'acqua. Mi fa pur ridere quel caro signorcardinalea voler cozzare con un conte ducacon un Olivares. Dicoil veroche vorrei rinascere di qui a dugent'anniper sentir cosadiranno i posteridi questa bella pretensione. Ci vuol altro cheinvidia; testa vuol esser: e teste come la testa d'un conte ducacen'è una sola al mondo. Il conte ducasignori miei-proseguiva il podestàsempre col vento in poppae un po'maravigliato anche lui di non incontrar mai uno scoglio: - il conteduca è una volpe vecchiaparlando col dovuto rispettochefarebbe perder la traccia a chi si sia: equando accenna a destrasi può esser sicuri che batterà a sinistra: ond'èche nessuno può mai vantarsi di conoscere i suoi disegni; equegli stessi che devon metterli in esecuzionequegli stessi chescrivono i dispaccinon ne capiscon niente. Io posso parlare conqualche cognizion di causa; perché quel brav'uomo del signorcastellano si degna di trattenersi mecocon qualche confidenza. Ilconte ducaviceversasa appuntino cosa bolle in pentola di tuttel'altre corti; e tutti que' politiconi (che ce n'è di dirittiassainon si può negare) hanno appena immaginato un disegnoche il conte duca te l'ha già indovinatocon quella suatestacon quelle sue strade copertecon que' suoi fili tesi pertutto. Quel pover'uomo del cardinale di Riciliù tenta di quafiuta di làsudas'ingegna: e poi? quando gli èriuscito di scavare una minatrova la contrammina già bell'efatta dal conte duca...

Sail cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma donRodrigostimolato anche da' versacci che faceva il cuginosi voltòall'improvvisocome se gli venisse un'ispirazionea un servitoreegli accennò che portasse un certo fiasco.

-Signor podestàe signori miei! - disse poi: - un brindisi alconte duca; e mi sapranno dire se il vino sia degno del personaggio-. Il podestà rispose con un inchinonel quale traspariva unsentimento di riconoscenza particolare; perché tutto ciòche si faceva o si diceva in onore del conte ducalo riteneva inparte come fatto a sé.

-Viva mill'anni don Gasparo Guzmanconte d'Olivaresduca di sanLucargran privato del re don Filippo il grandenostro signore! -esclamòalzando il bicchiere.

Privatochi non lo sapesseera il termine in usoa que' tempipersignificare il favorito d'un principe.

-Viva mill'anni! - risposer tutti.

-Servite il padre- disse don Rodrigo.

-Mi perdoni; - rispose il padre: - ma ho già fatto undisordinee non potrei...

-Come! - disse don Rodrigo: - si tratta d'un brindisi al conte duca.Vuol dunque far credere ch'ella tenga dai navarrini?

Cosìsi chiamavano alloraper ischernoi Francesidai principi diNavarrache avevan cominciatocon Enrico IVa regnar sopra diloro.

Atale scongiuroconvenne bere. Tutti i commensali proruppero inesclamazionie in elogi del vino; fuor che il dottoreil qualecolcapo alzatocon gli occhi fissicon le labbra stretteesprimevamolto più che non avrebbe potuto far con parole.

-Che ne dite ehdottore? - domandò don Rodrigo. Tirato fuordel bicchiere un naso più vermiglio e più lucente diquelloil dottore risposebattendo con enfasi ogni sillaba: - dicoproferiscoe sentenzio che questo è l'Olivares de' vini:censuiet in eam ivi sententiamche un liquor simile non sitrova in tutti i ventidue regni del re nostro signoreche Dioguardi: dichiaro e definisco che i pranzi dell'illustrissimo signordon Rodrigo vincono le cene d'Eliogabalo; e che la carestia èbandita e confinata in perpetuo da questo palazzodove siede e regnala splendidezza.

-Ben detto! ben definito! - gridaronoa una vocei commensali: maquella parolacarestiache il dottore aveva buttata fuori a casorivolse in un punto tutte le menti a quel tristo soggetto; e tuttiparlarono della carestia. Qui andavan tutti d'accordoalmeno nelprincipale; ma il fracasso era forse più grande che se cifosse stato disparere. Parlavan tutti insieme. - Non c'ècarestia- diceva uno: - sono gl'incettatori...

-E i fornai- diceva un altro: - che nascondono il grano. Impiccarli.

-Appunto; impiccarlisenza misericordia.

-De' buoni processi- gridava il podestà.

-Che processi? - gridava più forte il conte Attilio: -giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o seidi quellicheper voce pubblicason conosciuti come i più ricchi e ipiù canie impiccarli.

-Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla.

-Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte leparti. Chipassando per una fieras'è trovato a goderl'armonia che fa una compagnia di cantambanchiquandotra unasonata e l'altraognuno accorda il suo stromentofacendolo striderequanto più puòaffine di sentirlo distintamenteinmezzo al rumore degli altris'immagini che tale fosse la consonanzadi queise si può dirediscorsi. S'andava intanto mescendo erimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivanocom'eragiustoframmischiate alle sentenze di giurisprudenza economica;sicché le parole che s'udivan più sonore e piùfrequentierano: ambrosiae impiccarli.

DonRodrigo intanto dava dell'occhiate al solo che stava zitto; e lovedeva sempre lì fermosenza dar segno d'impazienza nédi frettasenza far atto che tendesse a ricordare che stavaaspettando; ma in aria di non voler andarseneprima d'essere statoascoltato. L'avrebbe mandato a spasso volentierie fatto di meno diquel colloquio; ma congedare un cappuccinosenza avergli datoudienzanon era secondo le regole della sua politica. Poichéla seccatura non si poteva scansaresi risolvette d'affrontarlasubitoe di liberarsene; s'alzò da tavolae seco tutta larubiconda brigatasenza interrompere il chiasso. Chiesta poi licenzaagli ospitis'avvicinòin atto contegnosoal frateches'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi a' suoicomandi -; e lo condusse in un'altra sala.




Cap.VI


-In che posso ubbidirla? - disse don Rodrigopiantandosi in piedi nelmezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cuieran proferitevoleva dir chiaramente: bada a chi sei davantipesale parolee sbrigati.

Perdar coraggio al nostro fra Cristoforonon c'era mezzo piùsicuro e più speditoche prenderlo con maniera arrogante.Egli che stava sospesocercando le parolee facendo scorrere tra ledita le ave marie della corona che teneva a cintolacome se inqualcheduna di quelle sperasse di trovare il suo esordio; a quel faredi don Rodrigosi sentì subito venir sulle labbra piùparole del bisogno. Ma pensando quanto importasse di non guastare ifatti suoi ociò ch'era assai piùi fatti altruicorresse e temperò le frasi che gli si eran presentate allamentee dissecon guardinga umiltà: - vengo a proporle unatto di giustiziaa pregarla d'una carità. Cert'uomini di malaffare hanno messo innanzi il nome di vossignoria illustrissimaperfar paura a un povero curatoe impedirgli di compire il suo doveree per soverchiare due innocenti. Lei puòcon una parolaconfonder colororestituire al diritto la sua forzae sollevarquelli a cui è fatta una così crudel violenza. Lo può;e potendolo... la coscienzal'onore...

-Lei mi parlerà della mia coscienzaquando verrò aconfessarmi da lei. In quanto al mio onoreha da sapere che ilcustode ne son ioe io solo; e che chiunque ardisce entrare a partecon me di questa curalo riguardo come il temerario che l'offende.

FraCristoforoavvertito da queste parole che quel signore cercava ditirare al peggio le sueper volgere il discorso in contesae nondargli luogo di venire alle strettes'impegnò tanto piùalla sofferenzarisolvette di mandar giù qualunque cosapiacesse all'altro di diree rispose subitocon un tono sommesso: -se ho detto cosa che le dispiacciaè stato certamente controla mia intenzione. Mi corregga puremi riprendase non so parlarecome si conviene; ma si degni ascoltarmi. Per amor del cieloperquel Dioal cui cospetto dobbiam tutti comparire... - ecosìdicendoaveva preso tra le ditae metteva davanti agli occhi delsuo accigliato ascoltatore il teschietto di legno attaccato alla suacorona- non s'ostini a negare una giustizia così facileecosì dovuta a de' poverelli. Pensi che Dio ha sempre gli occhisopra di loroe che le loro gridai loro gemiti sono ascoltatilassù. L'innocenza è potente al suo...

-Ehpadre! - interruppe bruscamente don Rodrigo: - il rispetto ch'ioporto al suo abito è grande: ma se qualche cosa potessefarmelo dimenticaresarebbe il vederlo indosso a uno che ardisse divenire a farmi la spia in casa.

Questaparola fece venir le fiamme sul viso del frate: il quale peròcol sembiante di chi inghiottisce una medicina molto amarariprese:- lei non crede che un tal titolo mi si convenga. Lei sente in cuorsuoche il passo ch'io fo ora quinon è né vile néspregevole. M'ascoltisignor don Rodrigo; e voglia il cielo che nonvenga un giorno in cui si penta di non avermi ascoltato. Non vogliametter la sua gloria... qual gloriasignor don Rodrigo! qual gloriadinanzi agli uomini! E dinanzi a Dio! Lei può molto quaggiù;ma...

-Sa lei- disse don Rodrigointerrompendocon istizzama non senzaqualche raccapriccio- sa lei chequando mi viene lo schiribizzo disentire una predicaso benissimo andare in chiesacome fanno glialtri? Ma in casa mia! Oh! - e continuòcon un sorrisoforzato di scherno: - lei mi tratta da più di quel che sono.Il predicatore in casa! Non l'hanno che i principi.

-E quel Dio che chiede conto ai principi della parola che fa lorosentirenelle loro regge; quel Dio le usa ora un tratto dimisericordiamandando un suo ministroindegno e miserabilema unsuo ministroa pregar per una innocente...

-In sommapadre- disse don Rodrigofacendo atto d'andarsene- ionon so quel che lei voglia dire: non capisco altro se non che cidev'essere qualche fanciulla che le preme molto. Vada a far le sueconfidenze a chi le piace; e non si prenda la libertàd'infastidir più a lungo un gentiluomo.

Almoversi di don Rodrigoil nostro frate gli s'era messo davantimacon gran rispetto; ealzate le manicome per supplicare e pertrattenerlo ad un puntorispose ancora: - la mi premeèveroma non più di lei; son due anime chel'una e l'altrami premon più del mio sangue. Don Rodrigo! io non posso faraltro per leiche pregar Dio; ma lo farò ben di cuore. Non midica di no: non voglia tener nell'angoscia e nel terrore una poverainnocente. Una parola di lei può far tutto.

-Ebbene- disse don Rodrigo- giacché lei crede ch'io possafar molto per questa persona; giacché questa persona le statanto a cuore...

-Ebbene? - riprese ansiosamente il padre Cristoforoal quale l'atto eil contegno di don Rodrigo non permettevano d'abbandonarsi allasperanza che parevano annunziare quelle parole.

-Ebbenela consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Nonle mancherà più nullae nessuno ardiràd'inquietarlao ch'io non son cavaliere.

Asiffatta propostal'indegnazione del fraterattenuta a stento finalloratraboccò. Tutti que' bei proponimenti di prudenza e dipazienza andarono in fumo: l'uomo vecchio si trovò d'accordocol nuovo; ein que' casifra Cristoforo valeva veramente per due.

-La vostra protezione! - esclamòdando indietro due passipostandosi fieramente sul piede destromettendo la destra sull'ancaalzando la sinistra con l'indice teso verso don Rodrigoepiantandogli in faccia due occhi infiammati: - la vostra protezione!È meglio che abbiate parlato cosìche abbiate fatta ame una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.

-Come parlifrate?...

-Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dioe non puòpiù far paura. La vostra protezione! Sapevo bene che quellainnocente è sotto la protezione di Dio; ma voivoi me lo fatesentire oracon tanta certezzache non ho più bisogno diriguardi a parlarvene. Luciadico: vedete come io pronunzio questonome con la fronte altae con gli occhi immobili.

-Come! in questa casa...!

-Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa.State a vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattropietree suggezione di quattro sgherri. Voi avete creduto che Dioabbia fatta una creatura a sua immagineper darvi il piacere ditormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voiavete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore diFaraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo.Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quantoa voisentite bene quel ch'io vi prometto. Verrà un giorno...

DonRodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maravigliaattonitonon trovando parole; maquando sentì intonare unaprediziones'aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento.

Afferròrapidamente per aria quella mano minacciosaealzando la vocepertroncar quella dell'infausto profetagridò: - escimi di tra'piedivillano temerariopoltrone incappucciato.

Questeparole così chiare acquietarono in un momento il padreCristoforo. All'idea di strapazzo e di villaniàeranellasua mentecosì benee da tanto tempoassociata l'idea disofferenza e di silenziochea quel complimentogli cadde ognispirito d'ira e d'entusiasmoe non gli restò altrarisoluzione che quella d'udir tranquillamente ciò che a donRodrigo piacesse d'aggiungere. Onderitirata placidamente la manodagli artigli del gentiluomoabbassò il capoe rimaseimmobilecomeal cader del ventonel forte della burrascaunalbero agitato ricompone naturalmente i suoi ramie riceve lagrandine come il ciel la manda.

-Villano rincivilito! - proseguì don Rodrigo: - tu tratti dapar tuo. Ma ringrazia il saio che ti copre codeste spalle dimascalzonee ti salva dalle carezze che si fanno a' tuoi pariperinsegnar loro a parlare. Esci con le tue gambeper questa volta; ela vedremo. Così dicendoadditòcon imperosprezzanteun uscio in faccia a quello per cui erano entrati; ilpadre Cristoforo chinò il capoe se n'andòlasciandodon Rodrigo a misurarea passi infuriatiil campo di battaglia.

Quandoil frate ebbe serrato l'uscio dietro a sévide nell'altrastanza dove entravaun uomo ritirarsi pian pianostrisciando ilmurocome per non esser veduto dalla stanza del colloquio; ericonobbe il vecchio servitore ch'era venuto a riceverlo alla portadi strada. Era costui in quella casaforse da quarant'annicioèprima che nascesse don Rodrigo; entratovi al servizio del padreilquale era stato tutt'un'altra cosa. Morto luiil nuovo padronedando lo sfratto a tutta la famigliae facendo brigata nuovaavevaperò ritenuto quel servitoree per esser già vecchioe perchésebben di massime e di costume diverso interamentedal suocompensava però questo difetto con due qualità:un'alta opinione della dignità della casae una gran praticadel cerimonialedi cui conoscevameglio d'ogni altrole piùantiche tradizionie i più minuti particolari. In faccia alsignoreil povero vecchio non si sarebbe mai arrischiatod'accennarenon che d'esprimere la sua disapprovazione di ciòche vedeva tutto il giorno: appena ne faceva qualche esclamazionequalche rimprovero tra i denti a' suoi colleghi di servizio; i qualise ne ridevanoe prendevano anzi piacere qualche volta a toccargliquel tastoper fargli dir di più che non avrebbe volutoeper sentirlo ricantar le lodi dell'antico modo di vivere in quellacasa. Le sue censure non arrivavano agli orecchi del padrone cheaccompagnate dal racconto delle risa che se n'eran fatte; dimodochériuscivano anche per lui un soggetto di schernosenza risentimento.Ne' giorni poi d'invito e di ricevimentoil vecchio diventava unpersonaggio serio e d'importanza.

Ilpadre Cristoforo lo guardòpassandolo salutòeseguitava la sua strada; ma il vecchio se gli accostòmisteriosamentemise il dito alla boccae poicol dito stessoglifece un cennoper invitarlo a entrar con lui in un andito buio.Quando furon lìgli disse sotto voce: - padreho sentitotuttoe ho bisogno di parlarle.

-Dite prestobuon uomo.

-Qui no: guai se il padrone s'avvede... Ma io so molte cose; e vedròdi venir domani al convento.

-C'è qualche disegno?

-Qualcosa per aria c'è di sicuro: già me ne son potutoaccorgere. Ma ora starò sull'intesae spero di scoprir tutto.Lasci fare a me. Mi tocca a vedere e a sentir cose...! cose di fuoco!Sono in una casa...! Ma io vorrei salvar l'anima mia.

-Il Signore vi benedica! - eproferendo sottovoce queste paroleilfrate mise la mano sul capo bianco del servitorechequantunque piùvecchio di luigli stava curvo dinanzinell'attitudine d'unfigliuolo. - Il Signore vi ricompenserà- proseguì ilfrate: - non mancate di venir domani.

-Verrò- rispose il servitore: - ma lei vada via subito e...per amor del cielo... non mi nomini -. Così dicendoeguardando intornouscìper l'altra parte dell'anditoin unsalottoche rispondeva nel cortile; evisto il campo liberochiamòfuori il buon frateil volto del quale rispose a quell'ultima parolapiù chiaro che non avrebbe potuto fare qualunque protesta. Ilservitore gli additò l'uscita; e il fratesenza dir altropartì.

Quell'uomoera stato a sentire all'uscio del suo padrone: aveva fatto bene? Efra Cristoforo faceva bene a lodarlo di ciò? Secondo le regolepiù comuni e men contraddetteè cosa molto brutta; maquel caso non poteva riguardarsi come un'eccezione? E ci sonodell'eccezioni alle regole più comuni e men contraddette?Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sése ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d'averdei fatti da raccontare.

Uscitofuorie voltate le spalle a quella casacciafra Cristoforo respiròpiù liberamentee s'avviò in fretta per la scesatutto infocato in voltocommosso e sottosopracome ognuno puòimmaginarsiper quel che aveva sentitoe per quel che aveva detto.Ma quella così inaspettata esibizione del vecchio era stata ungran ristorativo per lui: gli pareva che il cielo gli avesse dato unsegno visibile della sua protezione. " Ecco un filo- pensava- un filo che la provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casamedesima! E senza ch'io sognassi neppure di cercarlo! " Cosìruminandoalzò gli occhi verso l'occidentevide il soleinclinatoche già già toccava la cima del monteepensò che rimaneva ben poco del giorno. Allorabenchésentisse le ossa gravi e fiaccate da' vari strapazzi di quellagiornatapure studiò di più il passoper poterriportare un avvisoqual si fossea' suoi protettie arrivar poial conventoprima di notte: che era una delle leggi piùprecisee più severamente mantenute del codice cappuccinesco.

Intantonella casetta di Luciaerano stati messi in campo e ventilatidisegnide' quali ci conviene informare il lettore. Dopo la partenzadel fratei tre rimasti erano stati qualche tempo in silenzio; Luciapreparando tristamente il desinare; Renzo sul punto d'andarsene ognimomentoper levarsi dalla vista di lei così accoratae nonsapendo staccarsi; Agnese tutta intentain apparenzaall'aspo chefaceva girare. Main realtàstava maturando un progetto; equando le parve maturoruppe il silenzio in questi termini:

-Sentitefigliuoli! Se volete aver cuore e destrezzaquanto bisognase vi fidate di vostra madre- a quel vostra Lucia si riscosse- iom'impegno di cavarvi di quest'impicciomeglio forsee piùpresto del padre Cristoforoquantunque sia quell'uomo che è-. Lucia rimase lìe la guardò con un voltoch'esprimeva più maraviglia che fiducia in una promessa tantomagnifica; e Renzo disse subitamente: - cuore? destrezza? diteditepure quel che si può fare.

-Non è vero- proseguì Agnese- chese fostemaritatisi sarebbe già un pezzo avanti? E che a tutto ilresto si troverebbe più facilmente ripiego?

-C'è dubbio? - disse Renzo: - maritati che fossimo... tutto ilmondo è paese; ea due passi di quisul bergamascochilavora seta è ricevuto a braccia aperte. Sapete quante volteBortolo mio cugino m'ha fatto sollecitare d'andar là a starcon luiche farei fortunacom'ha fatto lui: e se non gli ho maidato rettagli è... che serve? perché il mio cuore eraqui. Maritatisi va tutti insiemesi mette su casa làsivive in santa pacefuor dell'unghie di questo ribaldolontano dallatentazione di fare uno sproposito. N'è veroLucia?

-Sì- disse Lucia: - ma come...?

-Come ho detto io- riprese la madre: - cuore e destrezza; e la cosaè facile.

-Facile! - dissero insieme que' dueper cui la cosa era divenutatanto stranamente e dolorosamente difficile.

-Facilea saperla fare- replicò Agnese. - Ascoltatemi beneche vedrò di farvela intendere. Io ho sentito dire da genteche sae anzi ne ho veduto io un casocheper fare un matrimonioci vuole bensì il curatoma non è necessario chevoglia; basta che ci sia.

-Come sta questa faccenda? - domandò Renzo.

-Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e bend'accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparloall'improvvisoche non abbia tempo di scappare. L'uomo dice: signorcuratoquesta è mia moglie; la donna dice: signor curatoquesto è mio marito. Bisogna che il curato sentache itestimoni sentano; e il matrimonio è bell'e fattosacrosantocome se l'avesse fatto il papa. Quando le parole son detteil curatopuò strillarestrepitarefare il diavolo; è inutile;siete marito e moglie.

-Possibile? - esclamò Lucia.

-Come! - disse Agnese: - state a vedere chein trent'anni che hopassati in questo mondoprima che nasceste voi altrinon avròimparato nulla. La cosa è tale quale ve la dico: per segnotale che una mia amicache voleva prender uno contro la volontàde' suoi parentifacendo in quella manieraottenne il suo intento.Il curatoche ne aveva sospettostava all'erta; ma i due diavoliseppero far così beneche lo colsero in un punto giustodissero le parolee furon marito e moglie: benché lapoveretta se ne pentì poiin capo a tre giorni.

Agnesediceva il veroe riguardo alla possibilitàe riguardo alpericolo di non ci riuscire: chésiccome non ricorrevano a untale espedientese non persone che avesser trovato ostacolo orifiuto nella via ordinariacosì i parrochi mettevan grancura a scansare quella cooperazione forzata; equando un d'essivenisse pure sorpreso da una di quelle coppieaccompagnata datestimonifaceva di tutto per iscapolarsenecome Proteo dalle manidi coloro che volevano farlo vaticinare per forza.

-Se fosse veroLucia! - disse Renzoguardandola con un'ariad'aspettazione supplichevole.

-Come! se fosse vero! - disse Agnese. - Anche voi credete ch'io dicafandonie. Io m'affanno per voie non sono creduta: bene bene;cavatevi d'impiccio come potete: io me ne lavo le mani.

-Ah no! non ci abbandonate- disse Renzo. - Parlo cosìperchéla cosa mi par troppo bella. Sono nelle vostre mani; vi considerocome se foste proprio mia madre.

Questeparole fecero svanire il piccolo sdegno d'Agnesee dimenticare unproponimento cheper veritànon era stato serio.

-Ma perché dunquemamma- disse Luciacon quel suo contegnosommesso- perché questa cosa non è venuta in mente alpadre Cristoforo?

-In mente? - rispose Agnese: - pensa se non gli sarà venuta inmente! Ma non ne avrà voluto parlare.

-Perché? - domandarono a un tratto i due giovani.

-Perché... perchéquando lo volete saperei religiosidicono che veramente è cosa che non istà bene.

-Come può essere che non istia benee che sia ben fattaquand'è fatta? - disse Renzo.

-Che volete ch'io vi dica? - rispose Agnese. - La legge l'hanno fattalorocome gli è piaciuto; e noi poverelli non possiamo capirtutto. E poi quante cose... Ecco; è come lasciar andare unpugno a un cristiano. Non istà bene; madato che glielabbiatené anche il papa non glielo può levare.

-Se è cosa che non istà bene- disse Lucia- nonbisogna farla.

-Che! - disse Agnese- ti vorrei forse dare un parere contro il timordi Dio? Se fosse contro la volontà de' tuoi parentiperprendere un rompicollo... macontenta mee per prender questofigliuolo; e chi fa nascer tutte le difficoltà è unbirbone; e il signor curato...

-L'è chiarache l'intenderebbe ognuno- disse Renzo.

-Non bisogna parlarne al padre Cristoforoprima di far la cosa-proseguì Agnese: - mafatta che siae ben riuscitachepensi tu che ti dirà il padre? " Ah figliuola! èuna scappata grossa; me l'avete fatta ". I religiosi devonparlar così. Ma credi pure chein cuor suosaràcontento anche lui.

Luciasenza trovar che rispondere a quel ragionamentonon ne sembrava peròcapacitata: ma Renzotutto rincoratodisse: - quand'è cosìla cosa è fatta.

-Piano- disse Agnese. - E i testimoni? Trovar due che voglianoeche intanto sappiano stare zitti! E poter cogliere il signor curatocheda due giornise ne sta rintanato in casa? E farlo star lì?chébenché sia pesante di sua naturavi so dir iocheal vedervi comparire in quella conformitàdiventeràlesto come un gattoe scapperà come il diavolo dall'acquasanta.

-L'ho trovato io il versol'ho trovato- disse Renzobattendo ilpugno sulla tavolae facendo balzellare le stoviglie apparecchiateper il desinare. E seguitò esponendo il suo pensierocheAgnese approvò in tutto e per tutto.

-Son imbrogli- disse Lucia: - non son cose lisce. Finora abbiamooperato sinceramente: tiriamo avanti con fedee Dio ci aiuterà:il padre Cristoforo l'ha detto. Sentiamo il suo parere.

-Lasciati guidare da chi ne sa più di te- disse Agneseconvolto grave. - Che bisogno c'è di chieder pareri? Dio dice:aiutatich'io t'aiuto. Al padre racconteremo tuttoa cose fatte.

-Lucia- disse Renzo- volete voi mancarmi ora? Non avevamo noifatto tutte le cose da buon cristiani? Non dovremmo esser giàmarito e moglie? Il curato non ci aveva fissato lui il giorno el'ora? E di chi è la colpase dobbiamo ora aiutarci con unpo' d'ingegno? Nonon mi mancherete. Vado e torno con la risposta -.Esalutando Luciacon un atto di preghierae Agnesecon un'ariad'intelligenzapartì in fretta.

Letribolazioni aguzzano il cervello: e Renzo il qualenel sentieroretto e piano di vita percorso da lui fin alloranon s'era maitrovato nell'occasione d'assottigliar molto il suone avevainquesto casoimmaginata unada far onore a un giureconsulto. Andòaddiritturasecondo che aveva disegnatoalla casetta d'un certoTonioch'era lì poco distante; e lo trovò in cucinachecon un ginocchio sullo scalino del focolaree tenendocon unamanol'orlo d'un paiolomesso sulle ceneri caldedimenavacolmatterello ricurvouna piccola polenta bigiadi gran saraceno. Lamadreun fratellola moglie di Tonioerano a tavola; e tre oquattro ragazzettiritti accanto al babbostavano aspettandocongli occhi fissi al paioloche venisse il momento di scodellare. Manon c'era quell'allegria che la vista del desinare suol pur dare achi se l'è meritato con la fatica. La mole della polenta erain ragion dell'annatae non del numero e della buona voglia de'commensali: e ognun d'essifissandocon uno sguardo bieco d'amorrabbiosola vivanda comunepareva pensare alla porzione d'appetitoche le doveva sopravvivere. Mentre Renzo barattava i saluti con lafamigliaTonio scodellò la polenta sulla tafferìa difaggioche stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccolalunain un gran cerchio di vapori. Nondimeno le donne disserocortesemente a Renzo : - volete restar servito? -complimento che ilcontadino di Lombardiae chi sa di quant'altri paesi! non lascia maidi fare a chi lo trovi a mangiarequand'anche questo fosse un riccoepulone alzatosi allora da tavolae lui fosse all'ultimo boccone.

-Vi ringrazio- rispose Renzo: - venivo solamente per dire unaparolina a Tonio; ese vuoiTonioper non disturbar le tue donnepossiamo andar a desinare all'osteriae lì parleremo -. Laproposta fu per Tonio tanto più graditaquanto menoaspettata; e le donnee anche i bimbi (giacchésu questamateriaprincipian presto a ragionare) non videro mal volentieri chesi sottraesse alla polenta un concorrentee il piùformidabile. L'invitato non istette a domandar altroe andòcon Renzo.

Giuntiall'osteria del villaggio; seduticon tutta libertàin unaperfetta solitudinegiacché la miseria aveva divezzati tuttii frequentatori di quel luogo di delizie; fatto portare quel poco chesi trovava; votato un boccale di vino; Renzocon aria di misterodisse a Tonio: - se tu vuoi farmi un piccolo servizioio te nevoglio fare uno grande.

-Parlaparla; comandami pure- rispose Toniomescendo.

-Oggi mi butterei nel fuoco per te.

-Tu hai un debito di venticinque lire col signor curatoper fitto delsuo campoche lavoravil'anno passato.

-AhRenzoRenzo! tu mi guasti il benefizio. Con che cosa mi vienifuori? M'hai fatto andar via il buon umore.

-Se ti parlo del debito- disse Renzo- è perchésetu vuoiio intendo di darti il mezzo di pagarlo.

-Dici davvero?

-Davvero. Eh? saresti contento?

-Contento? Per diana. se sarei contento! Se non foss'altroper nonveder più que' versaccie que' cenni col capoche mi fa ilsignor curatoogni volta che c'incontriamo. E poi sempre: Tonioricordatevi: Tonioquando ci vediamoper quel negozio? A tal segnoche quandonel predicaremi fissa quegli occhi addossoio stoquasi in timore che abbia a dirmilì in pubblico: quelleventicinque lire! Che maledette siano le venticinque lire! E poim'avrebbe a restituir la collana d'oro di mia moglieche labaratterei in tanta polenta. Ma...

-Mamase tu mi vuoi fare un serviziettole venticinque lire sonpreparate.

-Di' su.

-Ma...! - disse Renzomettendo il dito alla bocca.

-Fa bisogno di queste cose? tu mi conosci.

-Il signor curato va cavando fuori certe ragioni senza sugopertirare in lungo il mio matrimonio; e io in vece vorrei spicciarmi. Midicon di sicuro chepresentandosegli davanti i due sposicon duetestimonie dicendo io: questa è mia mogliee Lucia: questoè mio maritoil matrimonio è bell'e fatto. M'hai tuinteso?

-Tu vuoi ch'io venga per testimonio?

-Per l'appunto.

-E pagherai per me le venticinque lire?

-Così l'intendo.

-Birba chi manca.

-Ma bisogna trovare un altro testimonio.

-L'ho trovato. Quel sempliciotto di mio fratel Gervaso faràquello che gli dirò io. Tu gli pagherai da bere?

-E da mangiare- rispose Renzo. - Lo condurremo qui a stare allegrocon noi. Ma saprà fare?

-Gl'insegnerò io: tu sai bene ch'io ho avuta anche la sua partedi cervello.

-Domani...

Bene.

-Verso sera...

-Benone.

-Ma...! - disse Renzomettendo di nuovo il dito alla bocca.

-Poh...! - rispose Toniopiegando il capo sulla spalla destraealzando la mano sinistracon un viso che diceva: mi fai torto.

-Mase tua moglie ti domandacome ti domanderàsenzadubbio...

-Di bugiesono in debito io con mia mogliee tanto tantoche non sose arriverò mai a saldare il conto. Qualche pastocchia latroveròda metterle il cuore in pace.

-Domattina- disse Renzo- discorreremo con più comodoperintenderci bene su tutto.

Conquestouscirono dall'osteriaTonio avviandosi a casae studiandola fandonia che racconterebbe alle donnee Renzoa render conto de'concerti presi.

Inquesto tempo Agneses'era affaticata invano a persuader lafigliuola. Questa andava opponendo a ogni ragioneora l'unaoral'altra parte del suo dilemma: o la cosa è cattivae nonbisogna farla; o non èe perché non dirla al padreCristoforo?

Renzoarrivò tutto trionfantefece il suo rapportoe terminòcon un ahn? interiezione che significa: sono o non sono un uomo io?si poteva trovar di meglio? vi sarebbe venuta in mente? e cento cosesimili.

Luciatentennava mollemente il capo; ma i due infervorati le badavan pococome si suol fare con un fanciulloal quale non si spera di farintendere tutta la ragione d'una cosae che s'indurrà poicon le preghiere e con l'autoritàa ciò che si vuol dalui.

-Va bene- disse Agnese: - va bene; ma... non avete pensato a tutto.

-Cosa ci manca? - rispose Renzo.

-E Perpetua? non avete pensato a Perpetua. Tonio e suo fratellolilascerà entrare; ma voi! voi due! pensate! avrà ordinedi tenervi lontanipiù che un ragazzo da un pero che ha lefrutte mature.

-Come faremo? - disse Renzoun po' imbrogliato.

-Ecco: ci ho pensato io. Verrò io con voi; e ho un segreto perattirarlae per incantarla di maniera che non s'accorga di voialtrie possiate entrare. La chiamerò ioe le toccheròuna corda... vedrete.

-Benedetta voi! - esclamò Renzo: - l'ho sempre detto che sietenostro aiuto in tutto.

-Ma tutto questo non serve a nulla- disse Agnese- se non sipersuade costeiche si ostina a dire che è peccato.

Renzomise in campo anche lui la sua eloquenza; ma Lucia non sl lasciavasmovere.

-Io non so che rispondere a queste vostre ragioni- diceva: - ma vedocheper far questa cosacome dite voibisogna andar avanti a furiadi sotterfugidi bugiedi finzioni. Ah Renzo! non abbiam cominciatocosì. Io voglio esser vostra moglie- e non c'era verso chepotesse proferir quella parolae spiegar quell'intenzionesenzafare il viso rosso: - io voglio esser vostra mogliema per la stradadirittacol timor di Dioall'altare. Lasciamo fare a Quello lassù.Non volete che sappia trovar Lui il bandolo d'aiutarcimeglio chenon possiamo far noicon tutte codeste furberie? E perché farmisteri al padre Cristoforo?

Ladisputa durava tuttaviae non pareva vicina a finirequando uncalpestìo affrettato di sandalie un rumore di tonacasbattutasomigliante a quello che fanno in una vela allentata isoffi ripetuti del ventoannunziarono il padre Cristoforo. Sichetaron tutti; e Agnese ebbe appena tempo di susurrare all'orecchiodi Lucia: - bada beneve'di non dirgli nulla.




Cap.VII


Ilpadre Cristoforo arrivava nell'attitudine d'un buon capitano cheperdutasenza sua colpauna battaglia importanteafflitto ma nonscoraggitosopra pensiero ma non sbalorditodi corsa e non in fugasi porta dove il bisogno lo chiedea premunire i luoghi minacciatia raccoglier le truppea dar nuovi ordini.

-La pace sia con voi- dissenell'entrare. - Non c'è nulla dasperare dall'uomo: tanto più bisogna confidare in Dio: e giàho qualche pegno della sua protezione.

Sebbenenessuno dei tre sperasse molto nel tentativo del padre Cristoforogiacché il vedere un potente ritirarsi da una soverchieriasenza esserci costrettoe per mera condiscendenza a preghieredisarmateera cosa piùttosto inaudita che rara; nulladimenola trista certezza fu un colpo per tutti. Le donne abbassarono ilcapo; ma nell'animo di Renzol'ira prevalse all'abbattimento.Quell'annunzio lo trovava già amareggiato da tante sorpresedoloroseda tanti tentativi andati a vòtoda tante speranzedeluseeper di piùesacerbatoin quel momentodalleripulse di Lucia.

-Vorrei sapere- gridòdigrignando i dentie alzando lavocequanto non aveva mai fatto prima d'alloraalla presenza delpadre Cristoforo; - vorrei sapere che ragioni ha dette quel canepersostenere... per sostenere che la mia sposa non dev'essere la miasposa.

-Povero Renzo! - rispose il fratecon una voce grave e pietosae conuno sguardo che comandava amorevolmente la pacatezza : - se ilpotente che vuol commettere l'ingiustizia fosse sempre obbligato adir le sue ragionile cose non anderebbero come vanno.

-Ha detto dunque quel caneche non vuoleperché non vuole?

Nonha detto nemmen questopovero Renzo! Sarebbe ancora un vantaggio seper commetter l'iniquitàdovessero confessarla apertamente.

-Ma qualcosa ha dovuto dire: cos'ha detto quel tizzone d'inferno?

-Le sue paroleio l'ho sentitee non te le saprei ripetere. Leparole dell'iniquo che è fortepenetrano e sfuggono. Puòadirarsi che tu mostri sospetto di luienello stesso tempofartisentire che quello di che tu sospetti è certo: puòinsultare e chiamarsi offesoschernire e chieder ragioneatterriree lagnarsiessere sfacciato e irreprensibile. Non chieder piùin là. Colui non ha proferito il nome di questa innocentenéil tuo; non ha figurato nemmen di conoscervinon ha detto dipretender nulla; ma... ma pur troppo ho dovuto intendere ch'èirremovibile. Nondimenoconfidenza in Dio! Voipoverettenon viperdete d'animo; e tuRenzo... oh! credi purech'io so mettermi ne'tuoi pannich'io sento quello che passa nel tuo cuore. Mapazienza!È una magra parolauna parola amaraper chi non crede; matu...! non vorrai tu concedere a Dio un giornodue giorniil tempoche vorrà prendereper far trionfare la giustizia? Il tempo èsuo; e ce n'ha promesso tanto! Lascia fare a LuiRenzo; e sappi...sappiate tutti ch'io ho già in mano un filoper aiutarvi. Peroranon posso dirvi di più. Domani io non verròquassù; devo stare al convento tutto il giornoper voi. TuRenzoprocura di venirci: o seper caso impensatotu non potessimandate un uomo fidatoun garzoncello di giudizioper mezzo delquale io possa farvi sapere quello che occorrerà. Si fa buio;bisogna ch'io corra al convento. Fedecoraggio; e addio.

Dettoquestouscì in frettae se n'andòcorrendoe quasisaltellonigiù per quella viottola storta e sassosaper nonarrivar tardi al conventoa rischio di buscarsi una buona sgridatao quel che gli sarebbe pesato ancor piùuna penitenzachegl'impedisseil giorno dopodi trovarsi pronto e spedito a ciòche potesse richiedere il bisogno de' suoi protetti.

-Avete sentito cos'ha detto d'un non so che... d'un filo che haperaiutarci? - disse Lucia. - Convien fidarsi a lui; è un uomochequando promette dieci...

-Se non c'è altro...! - interruppe Agnese. - Avrebbe dovutoparlar più chiaroo chiamar me da una partee dirmi cosa siaquesto...

-Chiacchiere! la finirò io: io la finirò! - interruppeRenzoquesta voltaandando in su e in giù per la stanzaecon una vocecon un visoda non lasciar dubbio sul senso di quelleparole.

-Oh Renzo! - esclamò Lucia.

-Cosa volete dire? - esclamò Agnese.

-Che bisogno c'è di dire? La finirò io. Abbia pur centomille diavoli nell'animafinalmente è di carne e ossa anchelui...

-Nonoper amor del cielo...! - cominciò Lucia; ma il piantole troncò la voce.

-Non son discorsi da farsineppur per burla- disse Agnese.

-Per burla? - gridò Renzofermandosi ritto in faccia ad Agnesesedutae piantandole in faccia due occhi stralunati. - Per burla!vedrete se sarà burla.

-Oh Renzo! - disse Luciaa stentotra i singhiozzi: - non v'ho maivisto così.

-Non dite queste coseper amor del cielo- riprese ancora in frettaAgneseabbassando la voce. - Non vi ricordate quante braccia ha alsuo comando colui? E quand'anche... Dio liberi!... contro i poveric'è sempre giustizia.

-La farò iola giustiziaio! È ormai tempo. La cosanon è facile: lo so anch'io. Si guarda beneil caneassassino: sa come sta; ma non importa. Risoluzione e pazienza... eil momento arriva. Sìla farò iola giustizia: lolibererò ioil paese: quanta gente mi benedirà...! epoi in tre salti...!

L'orroreche Lucia sentì di queste più chiare parolele sospeseil piantoe le diede forza di parlare. Levando dalle palme il visolagrimosodisse a Renzocon voce accoratama risoluta: - nonv'importa più dunque d'avermi per moglie. Io m'era promessa aun giovine che aveva il timor di Dio; ma un uomo che avesse... Fosseal sicuro d'ogni giustizia e d'ogni vendettafoss'anche il figliodel re...

Ebene! - gridò Renzocon un viso più che mai stravolto:- io non v'avrò; ma non v'avrà né anche lui. Ioqui senza di voie lui a casa del...

-Ah no! per caritànon dite cosìnon fate quegliocchi: nonon posso vedervi così- esclamò Luciapiangendosupplicandocon le mani giunte; mentre Agnese chiamava erichiamava il giovine per nomee gli palpava le spallele bracciale maniper acquietarlo. Stette egli immobile e pensierosoqualchetempoa contemplar quella faccia supplichevole di Lucia; poitutt'aun trattola guardò torvodiede addietrotese il braccio el'indice verso di essae gridò: - questa! sì questaegli vuole. Ha da morire!

-E io che male v'ho fattoperché mi facciate morire? - disseLuciabuttandosegli inginocchioni davanti.

-Voi! - risposecon una voce ch'esprimeva un'ira ben diversamaun'ira tuttavia: - voi! Che bene mi volete voi? Che prova m'avetedata? Non v'ho io pregatae pregatae pregata? E voi: no! no!

-Sì sì- rispose precipitosamente Lucia: - verròdal curatodomaniorase volete; verrò. Tornate quello diprima; verrò.

-Me lo promettete? - disse Renzocon una voce e con un viso divenutotutt'a un trattopiù umano.

-Ve lo prometto.

-Me l'avete promesso.

-Signorevi ringrazio! - esclamò Agnesedoppiamente contenta.

Inmezzo a quella sua gran colleraaveva Renzo pensato di che profittopoteva esser per lui lo spavento di Lucia? E non aveva adoperato unpo' d'artifizio a farlo crescereper farlo fruttare? Il nostroautore protesta di non ne saper nulla; e io credo che nemmen Renzonon lo sapesse bene. Il fatto sta ch'era realmente infuriato controdon Rodrigoe che bramava ardentemente il consenso di Lucia; equando due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor d'un uomonessunoneppure il pazientepuò sempre distinguerchiaramente una voce dall'altrae dir con sicurezza qual sia quellache predomini.

-Ve l'ho promesso- rispose Luciacon un tono di rimprovero timido eaffettuoso: - ma anche voi avevate promesso di non fare scandolidirimettervene al padre...

-Oh via! per amor di chi vado in furia? Volete tornare indietroora?e farmi fare uno sproposito?

-No no- disse Luciacominciando a rispaventarsi. - Ho promessoenon mi ritiro. Ma vedete voi come mi avete fatto promettere. Dio nonvoglia...

-Perché volete far de' cattivi augùriLucia? Dio sa chenon facciam male a nessuno.

-Promettetemi almeno che questa sarà l'ultima.

-Ve lo promettoda povero figliuolo.

-Maquesta voltamantenete poi- disse Agnese.

Quil'autore confessa di non sapere un'altra cosa: se Lucia fosseintutto e per tuttomalcontenta d'essere stata spinta ad acconsentire.Noi lasciamocome luila cosa in dubbio.

Renzoavrebbe voluto prolungare il discorsoe fissarea parte a partequello che si doveva fare il giorno dopo; ma era già notteele donne gliel'augurarono buona; non parendo loro cosa convenientechea quell'orasi trattenesse più a lungo.

Lanotte però fu a tutt'e tre così buona come puòessere quella che succede a un giorno pieno d'agitazione e di guaieche ne precede uno destinato a un'impresa importantee d'esitoincerto. Renzo si lasciò veder di buon'orae concertòcon le donneo piuttosto con Agnesela grand'operazione della seraproponendo e sciogliendo a vicenda difficoltàantivedendocontrattempie ricominciandoora l'uno ora l'altraa descriver lafaccendacome si racconterebbe una cosa fatta. Lucia ascoltava; esenza approvar con parole ciò che non poteva approvare in cuorsuoprometteva di far meglio che saprebbe.

-Anderete voi giù al conventoper parlare al padre Cristoforocome v'ha detto ier sera? - domandò Agnese a Renzo.

-Le zucche! - rispose questo: - sapete che diavoli d'occhi ha ilpadre: mi leggerebbe in visocome sur un libroche c'èqualcosa per aria; e se cominciasse a farmi dell'interrogazioninonpotrei uscirne a bene. E poiio devo star quiper accudireall'affare. Sarà meglio che mandiate voi qualcheduno.

-Manderò Menico.

-Va bene- rispose Renzo; e partìper accudire all'affarecome aveva detto.

Agneseandò a una casa vicinaa cercar Menicoch'era un ragazzettodi circa dodici annisveglio la sua partee cheper via di cuginie di cognativeniva a essere un po' suo nipote. Lo chiese aiparenticome in prestitoper tutto quel giorno- per un certoservizio- diceva. Avutololo condusse nella sua cucinagli diededa colazionee gli disse che andasse a Pescarenicoe si facessevedere al padre Cristoforoil quale lo rimanderebbe poicon unarispostaquando sarebbe tempo. - Il padre Cristoforoquel belvecchiotu saicon la barba biancaquello che chiamano il santo...

-Ho capito- disse Menico: - quello che ci accarezza semprenoialtri ragazzie ci dàogni tantoqualche santino.

-AppuntoMenico. E se ti dirà che tu aspetti qualche pocolìvicino al conventonon ti sviare: bada di non andarcon de'compagnial lagoa veder pescarené a divertirti con lereti attaccate al muro ad asciugarené a far quell'altro tuogiochetto solito...

Bisognasaper che Menico era bravissimo per fare a rimbalzello; e si sa chetuttigrandi e piccolifacciam volentieri le cose alle qualiabbiamo abilità: non dico quelle sole.

-Poh! zia; non son poi un ragazzo.

-Beneabbi giudizio; equando tornerai con la risposta... guarda;queste due belle parpagliole nuove son per te.

-Datemele orach'è lo stesso.

-Nonotu le giocheresti. Vae portati bene; che n'avrai anche dipiù.

Nelrimanente di quella lunga mattinatasi videro certe novitàche misero non poco in sospetto l'animo già conturbato delledonne. Un mendiconé rifinito né cencioso come i suoiparie con un non so che d'oscuro e di sinistro nel sembianteentròa chieder la caritàdando in qua e in là cert'occhiateda spione. Gli fu dato un pezzo di paneche ricevette e riposeconun'indifferenza mal dissimulata. Si trattenne poicon una certasfacciataggineenello stesso tempocon esitazionefacendo moltedomandealle quali Agnese s'affrettò di risponder sempre ilcontrario di quello che era. Movendosicome per andar viafinse disbagliar l'uscioentrò in quello che metteva alla scalae lìdiede un'altra occhiata in frettacome poté. Gridatoglidietro: - ehi ehi! dove andate galantuomo? di qua! di qua! - tornòindietroe uscì dalla parte che gli veniva indicatascusandosicon una sommissionecon un'umiltà affettatachestentava a collocarsi nei lineamenti duri di quella faccia. Dopocostuicontinuarono a farsi vederedi tempo in tempoaltre stranefigure. Che razza d'uomini fosseronon si sarebbe potuto dirfacilmente; ma non si poteva creder neppure che fossero quegli onestiviandanti che volevan parere. Uno entrava col pretesto di farsiinsegnar la strada; altripassando davanti all'usciorallentavanoil passoe guardavan sott'occhio nella stanzaa traverso ilcortilecome chi vuol vedere senza dar sospetto. Finalmenteversoil mezzogiornoquella fastidiosa processione finì. Agneses'alzava ogni tantoattraversava il cortiles'affacciava all'usciodi stradaguardava a destra e a sinistrae tornava dicendo: -nessuno - : parola che proferiva con piaceree che Lucia con piaceresentivasenza che né l'una né l'altra ne sapessero benchiaramente il perché. Ma ne rimase a tutt'e due una non soquale inquietudineche levò loroe alla figliuolaprincipalmenteuna gran parte del coraggio che avevan messo in serboper la sera.

Convienperò che il lettore sappia qualcosa di più precisointorno a que' ronzatori misteriosi: eper informarlo di tuttodobbiam tornare un passo indietroe ritrovar don Rodrigoche abbiamlasciato ierisolo in una sala del suo palazzottoal partir delpadre Cristoforo.

DonRodrigocome abbiam dettomisurava innanzi e indietroa passilunghiquella saladalle pareti della quale pendevano ritratti difamigliadi varie generazioni. Quando si trovava col viso a unaparetee voltavasi vedeva in faccia un suo antenato guerrieroterrore de' nemici e de' suoi soldatitorvo nella guardaturaco'capelli corti e rittico' baffi tirati e a puntache sporgevandalle guancecol mento obliquo: ritto in piedi l'eroecon legambiereco' coscialicon la corazzaco' braccialico' guantitutto di ferro; con la destra sul fiancoe la sinistra sul pomodella spada. Don Rodrigo lo guardava; e quando gli era arrivatosottoe voltavaecco in faccia un altro antenatomagistratoterrore de' litiganti e degli avvocatia sedere sur una granseggiola coperta di velluto rossoravvolto in un'ampia toga nera;tutto nerofuorché un collare biancocon due larghefacciolee una fodera di zibellino arrovesciata (era il distintivode' senatorie non lo portavan che l'invernoragion per cui non sitroverà mai un ritratto di senatore vestito d'estate);macilentocon le ciglia aggrottate: teneva in mano una supplicaepareva che dicesse: vedremo. Di qua una matronaterrore delle suecameriere; di là un abateterrore de' suoi monaci: tuttagente in somma che aveva fatto terroree lo spirava ancora dalletele. Alla presenza di tali memoriedon Rodrigo tanto piùs'arrovellavasi vergognavanon poteva darsi paceche un frateavesse osato venirgli addossocon la prosopopea di Nathan. Formavaun disegno di vendettal'abbandonavapensava come soddisfareinsieme alla passionee a ciò che chiamava onore; e talvolta(vedete un poco!) sentendosi fischiare ancora agli orecchiquell'esordio di profeziasi sentiva venircome si dicei bordonie stava quasi per deporre il pensiero delle due soddisfazioni.Finalmenteper far qualche cosachiamò un servitoree gliordinò che lo scusasse con la compagniadicendo ch'eratrattenuto da un affare urgente. Quando quello tornò ariferire che que' signori eran partitilasciando i loro rispetti: -e il conte Attilio? - domandòsempre camminandodon Rodrigo.

-È uscito con que' signoriillustrissimo.

-Bene: sei persone di seguitoper la passeggiata: subito. La spadala cappail cappello: subito.

Ilservitore partìrispondendo con un inchino; epoco dopotornòportando la ricca spadache il padrone si cinse; lacappache si buttò sulle spalle; il cappello a gran penneche mise e inchiodòcon una manatafieramente sul capo:segno di marina torbida. Si mosseealla portatrovò i seiribaldi tutti armatii qualifatto alae inchinatologli andarondietro. Più burberopiù superbiosopiùaccigliato del solitouscìe andò passeggiando versoLecco. I contadinigli artigianial vederlo veniresi ritiravanrasente al muroe di lì facevano scappellate e inchiniprofondiai quali non rispondeva. Come inferioril'inchinavanoanche quelli che da questi eran detti signori; chéin que'contorninon ce n'era uno che potessea mille migliacompeter conluidi nomedi ricchezzed'aderenze e della voglia di servirsi ditutto ciòper istare al di sopra degli altri. E a questicorrispondeva con una degnazione contegnosa. Quel giorno non avvennema quando avveniva che s'incontrasse col signor castellano spagnolol'inchino allora era ugualmente profondo dalle due parti; la cosa eracome tra due potentatii quali non abbiano nulla da spartire traloro; maper convenienzafanno onore al grado l'uno dell'altro. Perpassare un poco la mattanae per contrapporre all'immagine del frateche gli assediava la fantasiaimmagini in tutto diversedon Rodrigoentròquel giornoin una casadove andavaper il solitomolta gentee dove fu ricevuto con quella cordialitàaffaccendata e rispettosach'è riserbata agli uomini che sifanno molto amare o molto temere; ea notte già fattatornòal suo palazzotto. Il conte Attilio era anche lui tornato in quelmomento; e fu messa in tavola la cenadurante la qualedon Rodrigofu sempre sopra pensieroe parlò poco.

-Cuginoquando pagate questa scommessa? - dissecon un fare dimalizia e di schernoil conte Attilioappena sparecchiatoe andativia i servitori.

-San Martino non è ancor passato.

-Tant'è che la paghiate subito; perché passeranno tuttii santi del lunarioprima che...

-Questo è quel che si vedrà.

-Cuginovoi volete fare il politico; ma io ho capito tuttoe sontanto certo d'aver vinta la scommessache son pronto a farneun'altra.

-Sentiamo.

-Che il padre... il padre... che so io? quel frate in somma v'haconvertito.

-Eccone un'altra delle vostre.

-Convertitocugino; convertitovi dico. Io per mene godo. Sapeteche sarà un bello spettacolo vedervi tutto compuntoe con gliocchi bassi! E che gloria per quel padre! Come sarà tornato acasa gonfio e pettoruto! Non son pesci che si piglino tutti i giorniné con tutte le reti. Siate certo che vi porterà peresempio; equando anderà a far qualche missione un po'lontanoparlerà de' fatti vostri. Mi par di sentirlo -. Equiparlando col nasoaccompagnando le parole con gesti caricaticontinuòin tono di predica: - in una parte di questo mondocheper degni rispettinon nominovivevauditori carissimievive tuttaviaun cavaliere scapestratopiù amico dellefemmineche degli uomini dabbeneil qualeavvezzo a far d'ognierba un fascioaveva messo gli occhi...

-Bastabasta- interruppe don Rodrigomezzo sogghignandoe mezzoannoiato. - Se volete raddoppiar la scommessason pronto anch'io.

-Diavolo! che aveste voi convertito il padre!

-Non mi parlate di colui: e in quanto alla scommessasan Martinodeciderà -. La curiosità del conte era stuzzicata; nongli risparmiò interrogazionima don Rodrigo le seppe eludertutterimettendosi sempre al giorno della decisionee non volendocomunicare alla parte avversa disegni che non erano néincamminatiné assolutamente fissati.

Lamattina seguentedon Rodrigo si destò don Rodrigo.L'apprensione che quel verrà un giorno gli aveva messain corpoera svanita del tuttoco' sogni della notte; e glirimaneva la rabbia solaesacerbata anche dalla vergogna di quelladebolezza passeggiera. L'immagini più recenti dellapasseggiata trionfaledegl'inchinidell'accoglienzee il canzonaredel cuginoavevano contribuito non poco a rendergli l'animo antico.Appena alzatofece chiamare il Griso. " Cose grosse "disse tra sé il servitore a cui fu dato l'ordine; perchél'uomo che aveva quel soprannomenon era niente meno che il capo de'braviquello a cui s'imponevano le imprese più rischiose epiù iniqueil fidatissimo del padronel'uomo tutto suopergratitudine e per interesse. Dopo aver ammazzato unodi giornoinpiazzaera andato ad implorar la protezione di don Rodrigo; equestovestendolo della sua livreal'aveva messo al coperto da ogniricerca della giustizia. Cosiimpegnandosi a ogni delitto che glivenisse comandatocolui si era assicurata l'impunità delprimo. Per don Rodrigol'acquisto non era stato di poca importanza;perché il Grisooltre all'esseresenza paragoneil piùvalente della famigliaera anche una prova di ciò che il suopadrone aveva potuto attentar felicemente contro le leggi; di modoche la sua potenza ne veniva ingranditanel fatto e nell'opinione.

-Griso! - disse don Rodrigo: - in questa congiunturasi vedràquel che tu vali. Prima di domaniquella Lucia deve trovarsi inquesto palazzo.

-Non si dirà mai che il Griso si sia ritirato da un comandodell'illustrissimo signor padrone.

-Piglia quanti uomini ti possono bisognareordina e disponicome tipar meglio; purché la cosa riesca a buon fine. Ma bada sopratuttoche non le sia fatto male.

-Signoreun po' di spaventoperché la non faccia troppostrepito... non si potrà far di meno.

-Spavento... capisco... è inevitabile. Ma non le si torca uncapello; e sopra tuttole si porti rispetto in ogni maniera. Haiinteso?

-Signorenon si può levare un fiore dalla piantae portarlo avossignoriasenza toccarlo. Ma non si farà che il puronecessario.

-Sotto la tua sicurtà. E... come farai?

-Ci stavo pensandosignore. Siam fortunati che la casa è infondo al paese. Abbiam bisogno d'un luogo per andarci a postare. eappunto c'èpoco distante di làquel casolaredisabitato e soloin mezzo ai campiquella casa... vossignoria nonsaprà niente di queste cose... una casa che bruciòpochi anni sonoe non hanno avuto danari da riattarlae l'hannoabbandonatae ora ci vanno le streghe: ma non è sabatoe mene rido. Questi villaniche son pieni d'ubbienon cibazzicherebberoin nessuna notte della settimanaper tutto l'orodel mondo: sicché possiamo andare a fermarci làconsicurezza che nessuno verrà a guastare i fatti nostri.

-Va bene; e poi?

Quiil Griso a proporredon Rodrigo a discuterefinché d'accordoebbero concertata la maniera di condurre a fine l'impresasenza cherimanesse traccia degli autorila maniera anche di rivolgereconfalsi indizii sospetti altroved'impor silenzio alla poveraAgnesed'incutere a Renzo tale spaventoda fargli passare ildoloree il pensiero di ricorrere alla giustiziae anche la volontàdi lagnarsi; e tutte l'altre bricconerie necessarie alla riuscitadella bricconeria principale. Noi tralasciamo di riferir que'concertiperchécome il lettore vedrànon sonnecessari all'intelligenza della storia; e siam contenti anche noi dinon doverlo trattener più lungamente a sentir parlamentareque' due fastidiosi ribaldi. Basta chementre il Griso se n'andavaper metter mano all'esecuzionedon Rodrigo lo richiamòe glidisse: - senti: se per casoquel tanghero temerario vi dessenell'unghie questa seranon sarà male che gli sia datoanticipatamente un buon ricordo sulle spalle. Cosìl'ordineche gli verrà intimato domani di stare zittofarà piùsicuramente l'effetto. Ma non l'andate a cercareper non guastarequello che più importa: tu m'hai inteso.

-Lasci fare a me- rispose il Grisoinchinandosicon un attod'ossequio e di millanteria; e se n'andò. La mattina fu spesain giriper riconoscere il paese. Quel falso pezzente che s'erainoltrato a quel modo nella povera casettanon era altro che ilGrisoil quale veniva per levarne a occhio la pianta: i falsiviandanti eran suoi ribaldiai qualiper operare sotto i suoiordinibastava una cognizione più superficiale del luogo. Efatta la scopertanon s'eran più lasciati vedereper non dartroppo sospetto.

Tornatiche furon tutti al palazzottoil Griso rese contoe fissòdefinitivamente il disegno dell'impresa; assegnò le partidiede istruzioni. Tutto ciò non si poté faresenza chequel vecchio servitoreil quale stava a occhi apertie a orecchitesis'accorgesse che qualche gran cosa si macchinava. A forza distare attento e di domandare; accattando una mezza notizia di quauna mezza di làcommentando tra sé una parola oscurainterpretando un andare misteriosotanto feceche venne in chiarodi ciò che si doveva eseguir quella notte. Ma quando ci furiuscitoessa era già poco lontanae già una piccolavanguardia di bravi era andata a imboscarsi in quel casolarediroccato. Il povero vecchioquantunque sentisse bene a cherischioso giuoco giocavae avesse anche paura di portare il soccorsodi Pisapure non volle mancare: uscìcon la scusa diprendere un po' d'ariae s'incamminò in fretta in fretta alconventoper dare al padre Cristoforo l'avviso promesso. Poco doposi mossero gli altri bravie discesero spicciolatiper non parereuna compagnia: il Griso venne dopo; e non rimase indietro che unabussolala quale doveva esser portata al casolarea sera inoltrata;come fu fatto. Radunati che furono in quel luogoil Griso spedìtre di coloro all'osteria del paesetto; uno che si mettessesull'uscioa osservar ciò che accadesse nella stradae aveder quando tutti gli abitanti fossero ritirati: gli altri due chestessero dentro a giocare e a berecome dilettanti; e attendesserointanto a spiarese qualche cosa da spiare ci fosse. Eglicolgrosso della trupparimase nell'agguato ad aspettare.

Ilpovero vecchio trottava ancora; i tre esploratori arrivavano al loroposto; il sole cadeva; quando Renzo entrò dalle donneedisse: - Tonio e Gervaso m'aspettan fuori: vo con loro all'osteriaamangiare un boccone; equando sonerà l'ave mariaverremo aprendervi. SucoraggioLucia! tutto dipende da un momento -. Luciasospiròe ripeté: - coraggio- con una voce chesmentiva la parola.

QuandoRenzo e i due compagni giunsero all'osteriavi trovaron quel talegià piantato in sentinellache ingombrava mezzo il vano dellaportaappoggiata con la schiena a uno stipitecon le bracciaincrociate sul petto; e guardava e riguardavaa destra e a sinistrafacendo lampeggiare ora il biancoora il nero di due occhi grifagni.Un berretto piatto di velluto chermisimesso stortogli copriva lametà del ciuffochedividendosi sur una fronte foscagiravada una parte e dall'altrasotto gli orecchie terminava intreccefermate con un pettine sulla nuca. Teneva sospeso in una manoun grosso randello; arme propriamentenon ne portava in vista; masolo a guardargli in visoanche un fanciullo avrebbe pensato chedoveva averne sotto quante ce ne poteva stare. Quando Renzoch'erainnanzi agli altrifu lì per entrarecoluisenzascomodarsilo guardò fisso fisso; ma il giovineintento aschivare ogni questionecome suole ognuno che abbia un'impresascabrosa alle maninon fece vista d'accorgersenenon disse neppure:fatevi in là; erasentando l'altro stipitepassò perisbiecocol fianco innanziper l'apertura lasciata da quellacariatide. I due compagni dovettero far la stessa evoluzionesevollero entrare. Entratividero gli altride' quali avevan giàsentita la vocecioè que' due bravacciche seduti a un cantodella tavolagiocavano alla moragridando tutt'e due insieme (lìè il giuoco che lo richiede)e mescendosi or l'uno or l'altroda berecon un gran fiasco ch'era tra loro. Questi pure guardaronfisso la nuova compagnia; e un de' due specialmentetenendo una manoin ariacon tre ditacci tesi e allargatie avendo la bocca ancoraapertaper un gran " sei " che n'era scoppiato fuori inquel momentosquadrò Renzo da capo a piedi; poi dieded'occhio al compagnopoi a quel dell'uscioche rispose con un cennodel capo. Renzo insospettito e incerto guardava ai suoi dueconvitaticome se volesse cercare ne' loro aspettiun'interpretazione di tutti que' segni: ma i loro aspetti nonindicavano altro che un buon appetito. L'oste guardava in viso a luicome per aspettar gli ordini: egli lo fece venir con sé in unastanza vicinae ordinò la cena.

-Chi sono que' forestieri? - gli domandò poi a voce bassaquando quello tornòcon una tovaglia grossolana sotto ilbraccioe un fiasco in mano.

-Non li conosco- rispose l'ostespiegando la tovaglia.

-Come? né anche uno?

-Sapete bene- rispose ancora coluistirandocon tutt'e due lemanila tovaglia sulla tavola- che la prima regola del nostromestiereè di non domandare i fatti degli altri: tanto chefin le nostre donne non son curiose. Si starebbe freschicon tantagente che va e viene: è sempre un porto di mare: quando leannate son ragionevolivoglio dire; ma stiamo allegriche torneràil buon tempo. A noi basta che gli avventori siano galantuomini: chisiano poio chi non sianonon fa niente. E ora vi porterò unpiatto di polpetteche le simili non le avete mai mangiate.

-Come potete sapere...? - ripigliava Renzo; ma l'ostegiàavviato alla cucinaseguitò la sua strada. E lìmentre prendeva il tegame delle polpette summentovategli s'accostòpian piano quel bravaccio che aveva squadrato il nostro giovineegli disse sottovoce: - Chi sono que' galantuomini?

-Buona gente qui del paese- rispose l'ostescodellando le polpettenel piatto.

-Va bene; ma come si chiamano? chi sono? - insistette coluicon vocealquanto sgarbata.

-Uno si chiama Renzo- rispose l'ostepur sottovoce: - un buongiovineassestato; filatore di setache sa bene il suo mestiere.L'altro è un contadino che ha nome Tonio: buon camerataallegro: peccato che n'abbia pochi; che gli spenderebbe tutti qui.L'altro è un sempliciottoche mangia però volentieriquando gliene danno. Con permesso.

Econ uno sgambettouscì tra il fornello e l'interrogante; eando a portare il piatto a chi si doveva. - Come potete sapere-riattaccò Renzoquando lo vide ricomparire- che sianogalantuominise non li conoscete?

-Le azionicaro mio: l'uomo si conosce all'azioni. Quelli che bevonoil vino senza criticarloche pagano il conto senza tirareche nonmetton su lite con gli altri avventorie se hanno una coltellata daconsegnare a unolo vanno ad aspettar fuorie lontano dall'osteriatanto che il povero oste non ne vada di mezzoquelli sono igalantuomini. Peròse si può conoscer la gente benecome ci conosciamo tra noi quattroè meglio. E che diavolo vivien voglia di saper tante cosequando siete sposoe dovete avertutt'altro in testa? e con davanti quelle polpetteche farebberoresuscitare un morto? - Così dicendose ne tornò incucina.

Ilnostro autoreosservando al diverso modo che teneva costui nelsoddisfare alle domandedice ch'era un uomo così fattochein tutti i suoi discorsifaceva professione d'esser molto amico de'galantuomini in generale; main atto praticousava molto maggiorcompiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianza dibirboni. Che carattere singolare! eh?

Lacena non fu molto allegra. I due convitati avrebbero voluto goderselacon tutto loro comodo; ma l'invitantepreoccupato di ciò cheil lettore sae infastiditoe anche un po' inquieto del contegnostrano di quegli sconosciutinon vedeva l'ora d'andarsene. Siparlava sottovoceper causa loro; ed eran parole tronche esvogliate.

-Che bella cosa- scappò fuori di punto in bianco Gervaso-che Renzo voglia prender mogliee abbia bisogno...! - Renzo gli feceun viso brusco. - Vuoi stare zittobestia? - gli disse Tonioaccompagnando il titolo con una gomitata. La conversazione fu semprepiù freddafino alla fine. Renzostando indietro nelmangiarecome nel bereattese a mescere ai due testimonicondiscrezionein maniera di dar loro un po' di briosenza farli uscirdi cervello. Sparecchiatopagato il conto da colui che aveva fattomen guastodovettero tutti e tre passar novamente davanti a quellefaccele quali tutte si voltarono a Renzocome quand'era entrato.Questofatti ch'ebbe pochi passi fuori dell'osteriasi voltòindietroe vide che i due che aveva lasciati seduti in cucinaloseguitavano: si fermò alloraco' suoi compagnicome sedicesse: vediamo cosa voglion da me costoro. Ma i duequandos'accorsero d'essere osservatisi fermarono anch'essisi parlaronsottovocee tornarono indietro. Se Renzo fosse stato tanto vicino dasentir le loro parolegli sarebbero parse molto strane. - Sarebbeperò un bell'onoresenza contar la mancia- diceva uno de'malandrini- setornando al palazzopotessimo raccontare d'averglispianate le costole in fretta in frettae così da noisenzache il signor Griso fosse qui a regolare.

-E guastare il negozio principale! - rispondeva l'altro. - Ecco: s'èavvisto di qualche cosa; si ferma a guardarci. Ih! se fosse piùtardi! Torniamo indietroper non dar sospetto. Vedi che vien genteda tutte le parti: lasciamoli andar tutti a pollaio.

C'erain fatti quel brulichìoquel ronzìo che si sente in unvillaggiosulla serae chedopo pochi momentidà luogoalla quiete solenne della notte. Le donne venivan dal campoportandosi in collo i bambinie tenendo per la mano i ragazzi piùgrandiniai quali facevan dire le divozioni della sera; venivan gliuominicon le vanghee con le zappe sulle spalle. All'aprirsi degliuscisi vedevan luccicare qua e là i fuochi accesi per lepovere cene: si sentiva nella strada barattare i salutie qualcheparolasulla scarsità della raccoltae sulla miseriadell'annata; e più delle parolesi sentivano i tocchimisurati e sonori della campanache annunziava il finir del giorno.Quando Renzo vide che i due indiscreti s'eran ritiraticontinuòla sua strada nelle tenebre crescentidando sottovoce ora unricordoora un altroora all'unoora all'altro fratello.Arrivarono alla casetta di Luciach'era già notte.

Trail primo pensiero d'una impresa terribilee l'esecuzione di essa (hadetto un barbaro che non era privo d'ingegno)l'intervallo èun sognopieno di fantasmi e di paure. Lucia erada molte orenell'angosce d'un tal sogno: e AgneseAgnese medesimal'autrice delconsigliostava sopra pensieroe trovava a stento parole perrincorare la figlia. Maal momento di destarsial momento cioèdi dar principio all'operal'animo si trova tutto trasformato. Alterrore e al coraggio che vi contrastavanosuccede un altro terroree un altro coraggio: l'impresa s'affaccia alla mentecome una nuovaapparizione: ciò che prima spaventava di piùsembratalvolta divenuto agevole tutt'a un tratto: talvolta compariscegrande l'ostacolo a cui s'era appena badato; l'immaginazione dàindietro sgomentata; le membra par che ricusino d'ubbidire; e ilcuore manca alle promesse che aveva fatte con più sicurezza.Al picchiare sommesso di RenzoLucia fu assalita da tanto terroreche risolvettein quel momentodi soffrire ogni cosadi starsempre divisa da luipiùttosto ch'eseguire quellarisoluzione; ma quando si fu fatto vedereed ebbe detto: - son quiandiamo -; quando tutti si mostraron pronti ad avviarsisenzaesitazionecome a cosa stabilitairrevocabile; Lucia non ebbe temponé forza di far difficoltàecome strascinatapresetremando un braccio della madreun braccio del promesso sposoe simosse con la brigata avventuriera.

Zittizittinelle tenebrea passo misuratousciron dalla casettaepreser la strada fuori del paese. La più corta sarebbe statad'attraversarlo: che s'andava diritto alla casa di don Abbondio; mascelsero quellaper non esser visti. Per viottoletra gli orti e icampiarrivaron vicino a quella casae lì si divisero. I duepromessi rimaser nascosti dietro l'angolo di essa; Agnese con loroma un po' più innanziper accorrere in tempo a fermarPerpetuae a impadronirsene; Toniocon lo scempiato di Gervasochenon sapeva far nulla da sée senza il quale non si poteva farnullas'affacciaron bravamente alla portae picchiarono.

-Chi èa quest'ora? - gridò una voce dalla finestrache s'aprì in quel momento: era la voce di Perpetua. -Ammalati non ce n'èch'io sappia. È forse accadutaqualche disgrazia?

-Son io- rispose Tonio- con mio fratelloche abbiam bisogno diparlare al signor curato.

-È ora da cristiani questa? - disse bruscamente Perpetua. - Chediscrezione? Tornate domani.

-Sentite: tornerò o non tornerò: ho riscosso non so chedanarie venivo a saldar quel debituccio che sapete: aveva quiventicinque belle berlinghe nuove; ma se non si puòpazienza:questiso come spenderlie tornerò quando n'abbia messiinsieme degli altri.

-Aspettateaspettate: vo e torno. Ma perché venire aquest'ora?

-Gli ho ricevutianch'iopoco fa; e ho pensatocome vi dicochese li tengo a dormir con menon so di che parere saròdomattina. Peròse l'ora non vi piacenon so che dire: permeson qui; e se non mi voleteme ne vo.

-Nonoaspettate un momento: torno con la risposta. Cosìdicendorichiuse la finestra. A questo puntoAgnese si staccòdai promessiedetto sottovoce a Lucia: - coraggio; è unmomento; è come farsi cavar un dente- si riunì ai duefratellidavanti all'uscio; e si mise a ciarlare con Tonioinmaniera che Perpetuavenendo ad apriredovesse credere che si fosseabbattuta lì a casoe che Tonio l'avesse trattenuta unmomento.




Cap.VIII


"Carneade! Chi era costui? " ruminava tra se don Abbondio sedutosul suo seggiolonein una stanza del piano superiorecon unlibricciolo aperto davantiquando Perpetua entrò a portarglil'imbasciata. " Carneade! questo nome mi par bene d'averlo lettoo sentito; doveva essere un uomo di studioun letteratone del tempoantico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui? "Tanto il pover'uomo era lontano da prevedere che burrasca gli siaddensasse sul capo!

Bisognasapere che don Abbondio si dilettava di leggere un pochino ognigiorno; e un curato suo vicinoche aveva un po' di libreriagliprestava un libro dopo l'altroil primo che gli veniva alle mani.Quello su cui meditava in quel momento don Abbondioconvalescentedella febbre dello spaventoanzi più guarito (quanto allafebbre) che non volesse lasciar credereera un panegirico in onoredi san Carlodetto con molta enfasie udito con molta ammirazionenel duomo di Milanodue anni prima. Il santo v'era paragonatoperl'amore allo studioad Archimede; e fin qui don Abbondio non trovavainciampo; perché Archimede ne ha fatte di così curioseha fatto dir tanto di sécheper saperne qualche cosanonc'è bisogno d'un'erudizione molto vasta. Madopo Archimedel'oratore chiamava a paragone anche Carneade: e lì il lettoreera rimasto arrenato. In quel momento entrò Perpetua adannunziar la visita di Tonio.

-A quest'ora? - disse anche don Abbondiocom'era naturale.

-Cosa vuole? Non hanno discrezione: ma se non lo piglia al volo...

-Già: se non lo piglio orachi sa quando lo potròpigliare! Fatelo venire... Ehi! ehi! siete poi ben sicura che siaproprio lui?

-Diavolo! - rispose Perpetuae scese; aprì l'uscioe disse: -dove siete? - Tonio si fece vedere; enello stesso tempovenneavanti anche Agnesee salutò Perpetua per nome.

-Buona seraAgnese- disse Perpetua: - di dove si vieneaquest'ora?

-Vengo da... - e nominò un paesetto vicino. - E se sapeste... -continuò: - mi son fermata di piùappunto in graziavostra.

-Oh perché? - domandò Perpetua; e voltandosi a' duefratelli- entrate- disse- che vengo anch'io.

-Perché- rispose Agnese- una donna di quelle che non sannole cosee voglion parlare... credereste? s'ostinava a dire che voinon vi siete maritata con Beppe Suolavecchiané con AnselmoLunghignaperché non v'hanno voluta. Io sostenevo che sietestata voi che gli avete rifiutatil'uno e l'altro...

-Sicuro. Oh la bugiarda! la bugiardona! Chi è costei?

-Non me lo domandateche non mi piace metter male.

-Me lo direteme l'avete a dire: oh la bugiarda!

-Basta... ma non potete credere quanto mi sia dispiaciuto di non saperbene tutta la storiaper confonder colei.

-Guardate se si può inventarea questo modo! - esclamòdi nuovo Perpetua; e riprese subito: - in quanto a Beppetuttisannoe hanno potuto vedere... EhiTonio! accostate l'uscioesalite pureche vengo -. Toniodi dentrorispose di sì; ePerpetua continuò la sua narrazione appassionata.

Infaccia all'uscio di don Abbondios'aprivatra due casipoleunastradettachefinite quellevoltava in un campo. Agnese vis'avviòcome se volesse tirarsi alquanto in disparteperparlar più liberamente; e Perpetua dietro. Quand'ebberovoltatoe furono in luogodonde non si poteva più veder ciòche accadesse davanti alla casa di don AbbondioAgnese tossìforte. Era il segnale: Renzo lo sentìfece coraggio a Luciacon una stretta di braccio; e tutt'e duein punta di piedivenneroavantirasentando il murozitti zitti; arrivarono all'usciolospinsero adagino adagino; cheti e chinatientraron nell'anditodov'erano i due fratelli ad aspettarli. Renzo accostò di nuovol'uscio pian piano; e tutt'e quattro su per le scalenon facendorumore neppur per uno. Giunti sul pianerottoloi due fratellis'avvicinarono all'uscio della stanzach'era di fianco alla scala;gli sposi si strinsero al muro.

-Deo gratias- disse Tonioa voce chiara.

-Tonioeh? Entrate- rispose la voce di dentro. Il chiamato aprìl'uscioappena quanto bastava per poter passar lui e il fratelloaun per volta. La striscia di luceche uscì d'improvviso perquella aperturae si disegnò sul pavimento oscuro delpianerottolofece riscoter Luciacome se fosse scoperta. Entrati ifratelliTonio si tirò dietro l'uscio: gli sposi rimaseroimmobili nelle tenebrecon l'orecchie tesetenendo il fiato: ilrumore più forte era il martellar che faceva il povero cuoredi Lucia.

DonAbbondio stavacome abbiam dettosur una vecchia seggiolaravvoltoin una vecchia zimarracon in capo una vecchia papalinache glifaceva cornice intorno alla facciaal lume scarso d'una piccolalucerna. Due folte ciocche di capelliche gli scappavano fuor dellapapalinadue folti sopracciglidue folti baffiun folto pizzotutti canutie sparsi su quella faccia bruna e rugosapotevanoassomigliarsi a cespugli coperti di nevesporgenti da un dirupoalchiaro di luna.

-Ah! ah! - fu il suo salutomentre si levava gli occhialie liriponeva nel libricciolo.

-Dirà il signor curatoche son venuto tardi- disse Tonioinchinandosicome pure fecema più goffamenteGervaso.

-Sicuro ch'è tardi: tardi in tutte le maniere. Lo sapetechesono ammalato?

-Oh! mi dispiace.

-L'avrete sentito dire; sono ammalatoe non so quando potròlasciarmi vedere... Ma perché vi siete condotto dietro quel...quel figliuolo?

-Così per compagniasignor curato.

-Bastavediamo.

-Son venticinque berlinghe nuovedi quelle col sant'Ambrogio acavallo- disse Toniolevandosi un involtino di tasca.

-Vediamo- replicò don Abbondio: epreso l'involtinosirimesse gli occhialil'aprìcavò le berlinghelecontòle voltòle rivoltòle trovòsenza difetto.

-Orasignor curatomi darà la collana della mia Tecla.

-È giusto- rispose don Abbondio; poi andò a unarmadiosi levò una chiave di tascaeguardandosi intornocome per tener lontani gli spettatoriaprì una parte disportelloriempì l'apertura con la personamise dentro latestaper guardaree un braccioper prender la collana; la preseechiuso l'armadiola consegnò a Toniodicendo: - va bene?

-Ora- disse Tonio- si contenti di mettere un po' di nero sulbianco.

-Anche questa! - disse don Abbondio: - le sanno tutte. Ih! com'èdivenuto sospettoso il mondo! Non vi fidate di me?

-Comesignor curato! s'io mi fido? Lei mi fa torto. Ma siccome il mionome è sul suo libracciodalla parte del debito... dunquegiacché ha già avuto l'incomodo di scrivere una voltacosì... dalla vita alla morte...

-Bene bene- interruppe don Abbondioe brontolandotirò a séuna cassetta del tavolinolevò fuori cartapenna e calamaioe si mise a scrivereripetendo a viva voce le paroledi mano inmano che gli uscivan dalla penna. Frattanto Tonio ea un suo cennoGervasosi piantaron ritti davanti al tavolinoin manierad'impedire allo scrivente la vista dell'uscio; ecome per ozioandavano stropicciandoco' piediil pavimentoper dar segno a queich'erano fuorid'entraree per confondere nello stesso tempo ilrumore delle loro pedate. Don Abbondioimmerso nella sua scritturanon badava ad altro. Allo stropiccìo de' quattro piediRenzoprese un braccio di Lucialo strinseper darle coraggioe simossetirandosela dietro tutta tremanteche da sé non visarebbe potuta venire. Entraron pian pianoin punta di piedirattenendo il respiro; e si nascosero dietro i due fratelli. Intantodon Abbondiofinito di scrivererilesse attentamentesenza alzargli occhi dalla carta; la piegò in quattrodicendo: - orasarete contento? - elevatosi con una mano gli occhiali dal nasolaporse con l'altra a Tonioalzando il viso. Tonioallungando la manoper prender la cartasi ritirò da una parte; Gervasoa unsuo cennodall'altra; enel mezzocome al dividersi d'una scenaapparvero Renzo e Lucia. Don Abbondiovide confusamentepoi videchiarosi spaventòsi stupìs'infuriòpensòprese una risoluzione: tutto questo nel tempo che Renzo mise aproferire le parole: - signor curatoin presenza di questitestimoniquest'è mia moglie -. Le sue labbra non eranoancora tornate al postoche don Abbondiolasciando cader la cartaaveva già afferrata e alzatacon la mancinala lucernaghermitocon la dirittail tappeto del tavolinoe tiratolo a sécon furiabuttando in terra librocartacalamaio e polverino; ebalzando tra la seggiola e il tavolinos'era avvicinato a Lucia. Lapoverettacon quella sua voce soavee allora tutta tremanteavevaappena potuto proferire: - e questo... - che don Abbondio le avevabuttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul visoperimpedirle di pronunziare intera la formola. E subitolasciata caderla lucerna che teneva nell'altra manos'aiutò anche conquella a imbacuccarla col tappetoche quasi la soffogava; e intantogridava quanto n'aveva in canna: - Perpetua! Perpetua! tradimento!aiuto! - Il lucignoloche moriva sul pavimentomandava una lucelanguida e saltellante sopra Luciala qualeaffatto smarritanontentava neppure di svolgersie poteva parere una statua abbozzata incretasulla quale l'artefice ha gettato un umido panno. Cessata ognilucedon Abbondio lasciò la poverettae andò cercandoa tastoni l'uscio che metteva a una stanza più interna; lotrovòentrò in quellasi chiuse dentrogridandotuttavia: - Perpetua! tradimento! aiuto! fuori di questa casa! fuoridi questa casa! - Nell'altra stanzatutto era confusione: Renzocercando di fermare il curatoe remando con le manicome se facessea mosca ciecaera arrivato all'uscioe picchiavagridando: - apraapra; non faccia schiamazzo -. Lucia chiamava Renzocon voce fiocae dicevapregando: - andiamoandiamoper l'amor di Dio -. Toniocarponeandava spazzando con le mani il pavimentoper veder diraccapezzare la sua ricevuta. Gervasospiritatogridava esaltellavacercando l'uscio di scalaper uscire a salvamento.

Inmezzo a questo serra serranon possiam lasciar di fermarci unmomento a fare una riflessione. Renzoche strepitava di notte incasa altruiche vi s'era introdotto di soppiattoe teneva ilpadrone stesso assediato in una stanzaha tutta l'apparenza d'unoppressore; eppurealla fin de' fattiera l'oppresso. Don Abbondiosorpresomesso in fugaspaventatomentre attendeva tranquillamentea' fatti suoiparrebbe la vittima; eppurein realtàera luiche faceva un sopruso. Così va spesso il mondo... voglio direcosì andava nel secolo decimo settimo.

L'assediatovedendo che il nemico non dava segno di ritirarsiaprì unafinestra che guardava sulla piazza della chiesae si diede agridare: - aiuto! aiuto! - Era il più bel chiaro di luna;l'ombra della chiesae più in fuori l'ombra lunga ed acutadel campanilesi stendeva bruna e spiccata sul piano erboso elucente della piazza: ogni oggetto si poteva distinguerequasi comedi giorno. Mafin dove arrivava lo sguardonon appariva indizio dipersona vivente. Contiguo però al muro laterale della chiesae appunto dal lato che rispondeva verso la casa parrocchialeera unpiccolo abituroun bugigattolodove dormiva il sagrestano. Fuquesto riscosso da quel disordinato gridofece un saltoscese illetto in furiaaprì l'impannata d'una sua finestrinamisefuori la testacon gli occhi tra' pelie disse: - cosa c'è?

-CorreteAmbrogio! aiuto! gente in casa- gridò verso lui donAbbondio. - Vengo subito- rispose quello; tirò indietro latestarichiuse la sua impannataequantunque mezzo tra 'l sonnoepiù che mezzo sbigottitotrovò su due piedi unespediente per dar più aiuto di quello che gli si chiedevasenza mettersi lui nel tafferuglioquale si fosse. Dà dipiglio alle bracheche teneva sul letto; se le caccia sotto ilbracciocome un cappello di galae giù balzelloni per unascaletta di legno; corre al campanileafferra la corda della piùgrossa di due campanette che c'eranoe suona a martello.

Tontontonton: i contadini balzano a sedere sul letto; i giovinettisdraiati sul feniletendon l'orecchiosi rizzano. - Cos'è?Cos'è? Campana a martello! fuoco? ladri? banditi? - Moltedonne consiglianopregano i maritidi non moversidi lasciarcorrere gli altri: alcuni s'alzanoe vanno alla finestra: ipoltronicome se si arrendessero alle preghiereritornan sotto: ipiù curiosi e più bravi scendono a prender le forche egli schioppiper correre al rumore: altri stanno a vedere.

Maprima che quelli fossero all'ordineprima anzi che fosser ben destiil rumore era giunto agli orecchi d'altre persone che vegliavanononlontanoritte e vestite: i bravi in un luogoAgnese e Perpetua inun altro. Diremo prima brevemente ciò che facesser colorodalmomento in cui gli abbiamo lasciatiparte nel casolare e parteall'osteria. Questi trequando videro tutti gli usci chiusi e lastrada desertauscirono in frettacome se si fossero avvisti d'averfatto tardie dicendo di voler andar subito a casa; diedero unagiravolta per il paeseper venire in chiaro se tutti eran ritirati-e in fattinon incontrarono anima viventené sentirono ilpiù piccolo strepito. Passarono anchepian pianodavantialla nostra povera casetta: la più quieta di tuttegiacchénon c'era più nessuno. Andarono allora diviato al casolareefecero la loro relazione al signor Griso. Subitoquesto si mise intesta un cappellacciosulle spalle un sanrocchino di tela inceratasparso di conchiglie; prese un bordone da pellegrinodisse: -andiamo da bravi: zittie attenti agli ordini -s'incamminòil primogli altri dietro; ein un momentoarrivarono allacasettaper una strada opposta a quella per cui se n'era allontanatala nostra brigatellaandando anch'essa alla sua spedizione. Il Grisotrattenne la truppaalcuni passi lontanoandò innanzi soload esplorareevisto tutto deserto e tranquillo di fuori fecevenire avanti due di quei tristidiede loro ordine di scalar adaginoil muro che chiudeva il cortilettoecalati dentronascondersi inun angolodietro un folto ficosul quale aveva messo l'occhiolamattina. Ciò fattopicchiò pian pianocon intenzionedi dirsi un pellegrino smarritoche chiedeva ricoverofino agiorno. Nessun risponde: ripicchia un po' più forte; nemmenouno zitto. Allorava a chiamare un terzo malandrinolo fa scenderenel cortilettocome gli altri duecon l'ordine di sconficcareadagio il palettoper aver libero l'ingresso e la ritirata. Tuttos'eseguisce con gran cautelae con prospero successo. Va a chiamargli altrili fa entrar con séli manda a nascondersi accantoai primi; accosta adagio adagio l'uscio di stradavi posta duesentinelle di dentro; e va diritto all'uscio del terreno. Picchiaanche lìe aspetta: e' poteva ben aspettare. Sconficca pianpianissimo anche quell'uscio: nessuno di dentro dice: chi va là?;nessuno si fa sentire: meglio non può andare. Avanti dunque :- st -chiama quei del ficoentra con loro nella stanza terrenadovela mattinaaveva scelleratamente accattato quel pezzo di pane.Cava fuori escapietraacciarino e zolfanelliaccende un suolanterninoentra nell'altra stanza più internaperaccertarsi che nessun ci sia: non c'è nessuno. Torna indietrova all'uscio di scalaguardaporge l'orecchio: solitudine esilenzio. Lascia due altre sentinelle a terrenosi fa venir dietroil Grignapococh'era un bravo del contado di Bergamoil quale solodoveva minacciareacchetarecomandareessere in somma il dicitoreaffinché il suo linguaggio potesse far credere ad Agnese chela spedizione veniva da quella parte. Con costui al fiancoe glialtri dietroil Griso sale adagio adagiobestemmiando in cuor suoogni scalino che scricchiolasseogni passo di que' mascalzoni chefacesse rumore. Finalmente è in cima. Qui giace la lepre.Spinge mollemente l'uscio che mette alla prima stanza; l'uscio cedesi fa spiraglio: vi mette l'occhio; è buio: vi mettel'orecchioper sentire se qualcheduno russafiatabrulica làdentro; niente. Dunque avanti: si mette la lanterna davanti al visoper vederesenza esser vedutospalanca l'usciovede un letto;addosso: il letto è fatto e spianatocon la rimboccaturaarrovesciatae composta sul capezzale. Si stringe nelle spallesivolta alla compagniaaccenna loro che va a vedere nell'altra stanzae che gli vengan dietro pian piano; entrafa le stesse cerimonietrova la stessa cosa. - Che diavolo è questo? - dice allora: -che qualche cane traditore abbia fatto la spia? - Si metton tutticon men cautelaa guardarea tastare per ogni cantobuttansottosopra la casa. Mentre costoro sono in tali faccendei due chefan la guardia all'uscio di stradasentono un calpestìo dipassini frettolosiche s'avvicinano in fretta; s'immaginano chechiunque siapasserà diritto; stan quietiea buon contosi mettono all'erta. In fattiil calpestìo si ferma appuntoall'uscio. Era Menico che veniva di corsamandato dal padreCristoforo ad avvisar le due donne cheper l'amor del cieloscappassero subito di casae si rifugiassero al conventoperché...il perché lo sapete. Prende la maniglia del palettoperpicchiaree se lo sente tentennare in manoschiodato e sconficcato." Che è questo? " pensa; e spinge l'uscio con paura:quello s'apre. Menico mette il piede dentroin gran sospettoe sisente a un punto acchiappar per le bracciae due voci sommesseadestra e a sinistrache diconoin tono minaccioso: - zitto! o seimorto -. Lui in vece caccia un urlo: uno di que' malandrini gli metteuna mano alla bocca; l'altro tira fuori un coltellaccioper farglipaura. Il garzoncello trema come una fogliae non tenta neppur digridare; matutt'a un trattoin vece di luie con ben altro tonosi fa sentir quel primo tocco di campana così fattoe dietrouna tempesta di rintocchi in fila. Chi è in difetto èin sospettodice il proverbio milanese: all'uno e all'altro furfanteparve di sentire in que' tocchi il suo nomecognome e soprannome:lasciano andar le braccia di Menicoritirano le loro in furiaspalancan la mano e la boccasi guardano in visoe corrono allacasadov'era il grosso della compagnia. Menicovia a gambe per lastradaalla volta del campaniledove a buon conto qualcheduno cidoveva essere. Agli altri furfanti che frugavan la casadall'alto albassoil terribile tocco fece la stessa impressione: si confondonosi scompiglianos'urtano a vicenda: ognuno cerca la strada piùcortaper arrivare all'uscio. Eppure era tutta gente provata eavvezza a mostrare il viso; ma non poterono star saldi contro unpericolo indeterminatoe che non s'era fatto vedere un po' dalontanoprima di venir loro addosso. Ci volle tutta la superioritàdel Griso a tenerli insiemetanto che fosse ritirata e non fuga.Come il cane che scorta una mandra di porcicorre or qua or làa quei che si sbandano; ne addenta uno per un orecchioe lo tira inischiera; ne spinge un altro col muso; abbaia a un altro che esce difila in quel momento; così il pellegrino acciuffa un dicoloroche già toccava la sogliae lo strappa indietro;caccia indietro col bordone uno e un altro che s'avviavan da quellaparte: grida agli altri che corron qua e làsenza saper dove;tanto che li raccozzò tutti nel mezzo del cortiletto. -Prestopresto! pistole in manocoltelli in prontotutti insieme; epoi anderemo: così si va. Chi volete che ci tocchise stiamben insiemesciocconi? Mase ci lasciamo acchiappare a uno a unoanche i villani ce ne daranno. Vergogna! Dietro a mee uniti -. Dopoquesta breve aringasi mise alla frontee uscì il primo. Lacasacome abbiam dettoera in fondo al villaggio; il Griso prese lastrada che metteva fuorie tutti gli andaron dietro in buon ordine.

Lasciamoliandaree torniamo un passo indietro a prendere Agnese e Perpetuache abbiam lasciate in una certa stradetta. Agnese aveva procuratod'allontanar l'altra dalla casa di don Abbondioil più chefosse possibile; efino a un certo puntola cosa era andata bene.Ma tutt'a un trattola serva s'era ricordata dell'uscio rimastoapertoe aveva voluto tornare indietro. Non c'era che ridire:Agneseper non farle nascere qualche sospettoaveva dovuto voltarcon leie andarle dietrocercando di trattenerlaogni volta che lavedesse riscaldata ben bene nel racconto di que' tali matrimoniandati a monte. Mostrava di darle molta udienzaeogni tantoperfar vedere che stava attentao per ravviare il cicalìodiceva: - sicuro: adesso capisco: va benissimo: è chiara: epoi? e lui? e voi? - Ma intantofaceva un altro discorso con séstessa. " Saranno usciti a quest'ora? o saranno ancor dentro?Che sciocchi che siamo stati tutt'e trea non concertar qualchesegnaleper avvisarmiquando la cosa fosse riuscita! È stataproprio grossa! Ma è fatta: ora non c'è altro che tenercostei a badapiù che posso: alla peggiosarà un po'di tempo perduto ". Cosìa corserelle e a fermatineeran tornate poco distante dalla casa di don Abbondiola quale perònon vedevanoper ragione di quella cantonata: e Perpetuatrovandosia un punto importante del raccontos'era lasciata fermare senza farresistenzaanzi senza avvedersene; quandotutt'a un trattosisentì venir rimbombando dall'altonel vano immoto dell'ariaper l'ampio silenzio della nottequel primo sgangherato grido di donAbbondio: - aiuto! aiuto!

-Misericordia! cos'è stato? - gridò Perpetuae vollecorrere.

-Cosa c'è? cosa c'è? - disse Agnesetenendola per lasottana.

-Misericordia! non avete sentito? - replicò quellasvincolandosi.

-Cosa c'è? cosa c'è? - ripeté Agneseafferrandola per un braccio.

-Diavolo d'una donna! - esclamò Perpetuarispingendolapermettersi in libertà; e prese la rincorsa. Quandopiùlontanopiù acutopiù istantaneosi sente l'urlo diMenico.

-Misericordia! - grida anche Agnese; e di galoppo dietro l'altra.Avevan quasi appena alzati i calcagniquando scoccò lacampana: un toccoe duee tree seguita: sarebbero stati spronise quelle ne avessero avuto bisogno. Perpetua arrivaun momentoprima dell'altra; mentre vuole spinger l'usciol'uscio si spalancadi dentroe sulla soglia compariscono TonioGervasoRenzoLuciachetrovata la scalaeran venuti giù saltelloni; esentendopoi quel terribile scampanìocorrevano in furiaa mettersiin salvo.

-Cosa c'è? cosa c'è? - domandò Perpetua ansanteai fratelliche le risposero con un urtonee scantonarono. - E voi!come! che fate qui voi? - domandò poscia all'altra coppiaquando l'ebbe raffigurata. Ma quelli pure usciron senza rispondere.Perpetuaper accorrere dove il bisogno era maggiorenon domandòaltroentrò in fretta nell'anditoe corsecome poteva albuioverso la scala. I due sposi rimasti promessi si trovarono infaccia Agneseche arrivava tutt'affannata. - Ah siete qui! - dissequestacavando fuori la parola a stento: - com'è andata?cos'è la campana? mi par d'aver sentito...

-A casaa casa- diceva Renzo- prima che venga gente -. E savviavano; ma arriva Menico di corsali riconosceli fermaeancor tutto tremantecon voce mezza fiocadice: - dove andate?indietroindietro! per di quaal convento!

-Sei tu che...? - cominciava Agnese.

-Cosa c'è d'altro? - domandava Renzo. Luciatutta smarritataceva e tremava.

-C'è il diavolo in casa- riprese Menico ansante. - Gli hovisti io: m'hanno voluto ammazzare: l'ha detto il padre Cristoforo: eanche voiRenzoha detto che veniate subito: e poi gli ho visti io:provvidenza che vi trovo qui tutti! vi dirò poiquando saremofuori.

Renzoch'era il più in sé di tuttipensò chedi quao di làconveniva andar subitoprima che la genteaccorresse; e che la più sicura era di far ciò cheMenico consigliavaanzi comandavacon la forza d'uno spaventato.Per istrada poie fuor del pericolosi potrebbe domandare alragazzo una spiegazione più chiara. - Cammina avanti- glidisse. - Andiam con lui- disse alle donne. Voltaronos'incamminarono in fretta verso la chiesaattraversaron la piazzadove per grazia del eielonon c'era ancora anima vivente; entraronoin una stradetta che era tra la chiesa e la casa di don Abbondio; alprimo buco che videro in una siepedentroe via per i campi.

Nons'eran forse allontanati un cinquanta passiquando la gente cominciòad accorrere sulla piazzae ingrossava ogni momento. Si guardavanoin viso gli uni con gli altri: ognuno aveva una domanda da farenessuno una risposta da dare. I primi arrivati corsero alla portadella chiesa: era serrata. Corsero al campanile di fuori; e uno diquellimessa la bocca a un finestrinouna specie di feritoiacacciò dentro un: - che diavolo c'è? - Quando Ambrogiosentì una voce conosciutalasciò andar la corda; eassicurato dal ronzìoch'era accorso molto popolorispose: -vengo ad aprire -. Si mise in fretta l'arnese che aveva portato sottoil bracciovennedalla parte di dentroalla porta della chiesael'aprì.

-Cos'è tutto questo fracasso? - Cos'è? - Dov'è? -Chi è?

-Comechi è? - disse Ambrogiotenendo con una mano unbattente della portaecon l'altrail lembo di quel tale arneseche s'era messo così in fretta: - come! non lo sapete? gentein casa del signor curato. Animofigliuoli: aiuto -. Si voltan tuttia quella casavi s'avvicinano in follaguardano in sustanno inorecchi: tutto quieto. Altri corrono dalla parte dove c'era l'uscio:è chiusoe non par che sia stato toccato. Guardano in suanche loro: non c'è una finestra aperta: non si sente unozitto.

-Chi è là dentro? - Oheohe! - Signor curato! - Signorcurato!

DonAbbondioil qualeappena accortosi della fuga degl'invasoris'eraritirato dalla finestrae l'aveva richiusae che in questo momentostava a bisticciar sottovoce con Perpetuache l'aveva lasciato soloin quell'imbrogliodovettequando si sentì chiamare a vocedi popolovenir di nuovo alla finestra; e visto quel gran soccorsosi pentì d'averlo chiesto.

-Cos'è stato? - Che le hanno fatto? - Chi sono costoro? - Dovesono? - gli veniva gridato da cinquanta voci a un tratto.

-Non c'è più nessuno: vi ringrazio: tornate pure a casa.

-Ma chi è stato? - Dove sono andati? - Che è accaduto?

-Cattiva gentegente che gira di notte; ma sono fuggiti: tornate acasa; non c'è più niente: un'altra voltafigliuoli: viringrazio del vostro buon cuore -. Edetto questosi ritiròe chiuse la finestra. Qui alcuni cominciarono a brontolarealtri acanzonarealtri a sagrare; altri si stringevan nelle spallee sen'andavano: quando arriva uno tutto trafelatoche stentava a formarle parole. Stava costui di casa quasi dirimpetto alle nostre donneed essendosial rumoreaffacciato alla finestraaveva veduto nelcortiletto quello scompiglio de' braviquando il Griso s'affannava araccoglierli. Quand'ebbe ripreso fiatogridò: - che fate quifigliuoli? non è qui il diavolo; è giù in fondoalla stradaalla casa d'Agnese Mondella: gente armata; son dentro;par che vogliano ammazzare un pellegrino; chi sa che diavolo c'è!

-Che? - Che? - Che? - E comincia una consulta tumultuosa. - Bisognaandare. - Bisogna vedere. - Quanti sono? - Quanti siamo? - Chi sono?- Il console! il console!

-Son qui- risponde il consoledi mezzo alla folla: - son qui; mabisogna aiutarmibisogna ubbidire. Presto: dov'è ilsagrestano? Alla campanaalla campana. Presto: uno che corra a Leccoa cercar soccorso: venite qui tutti...

Chiaccorrechi sguizza tra uomo e uomoe se la batte; il tumulto eragrandequando arriva un altroche gli aveva veduti partire infrettae grida: - corretefigliuoli: ladrio banditi che scappanocon un pellegrino: son già fuori del paese: addosso! addosso!- A quest'avvisosenza aspettar gli ordini del capitanosi movonoin massae giù alla rinfusa per la strada; di mano in manoche l'esercito s'avanzaqualcheduno di quei della vanguardiarallenta il passosi lascia sopravanzaree si ficca nel corpo dellabattaglia: gli ultimi spingono innanzi: lo sciame confuso giungefinalmente al luogo indicato. Le tracce dell'invasione eran fresche emanifeste: l'uscio spalancatola serratura sconficcata; magl'invasori erano spariti. S'entra nel cortile; si va all'uscio delterreno: aperto e sconficcato anche quello: si chiama: - Agnese!Lucia! Il pellegrino! Dov'è il pellegrino? L'avràsognato Stefanoil pellegrino. - Nono: l'ha visto ancheCarlandrea. Ohepellegrino! - Agnese! Lucia! - Nessuno risponde. -Le hanno portate via! Le hanno portate via! - Ci fu allora di quellichealzando la voceproposero d'inseguire i rapitori: che eraun'infamità; e sarebbe una vergogna per il paesese ognibirbone potesse a man salva venire a portar via le donnecome ilnibbio i pulcini da un'aia deserta. Nuova consulta e piùtumultuosa: ma uno (e non si seppe mai bene chi fosse stato) gettònella brigata una voceche Agnese e Lucia s'eran messe in salvo inuna casa. La voce corse rapidamenteottenne credenza; non si parlòpiù di dar la caccia ai fuggitivi; e la brigata si sparpagliòandando ognuno a casa sua. Era un bisbigliouno strepitounpicchiare e un aprir d'usciun apparire e uno sparir di lucerneuninterrogare di donne dalle finestreun rispondere dalla strada.Tornata questa deserta e silenziosai discorsi continuaron nellecasee moriron negli sbadigliper ricominciar poi la mattina. Fattiperònon ce ne fu altri; se non chequella medesima mattinail consolestando nel suo campocol mento in una manoe il gomitoappoggiato sul manico della vanga mezza ficcata nel terrenoe con unpiede sul vangile; standodicoa speculare tra sé suimisteri della notte passatae sulla ragion composta di ciòche gli toccase a faree di ciò che gli convenisse farevidevenirsi incontro due uomini d'assai gagliarda presenzachiomati comedue re de' Franchi della prima razzae somigliantissimi nel resto aque' due che cinque giorni prima avevano affrontato don Abbondiosepur non eran que' medesimi. Costorocon un fare ancor mencerimoniosointimarono al console che guardasse bene di non fardeposizione al podestà dell'accadutodi non rispondere ilverocaso che ne venisse interrogatodi non ciarlaredi nonfomentar le ciarle de' villaniper quanto aveva cara la speranza dimorir di malattia.

Inostri fuggiaschi camminarono un pezzo di buon trottoin silenziovoltandosiora l'uno ora l'altroa guardare se nessunogl'inseguivatutti in affanno per la fatica della fugaper ilbatticuore e per la sospensione in cui erano statiper il doloredella cattiva riuscitaper l'apprensione confusa del nuovo oscuropericolo. E ancor più in affanno li teneva l'incalzarecontinuo di que' rintocchii qualiquantoper l'allontanarsivenivan più fiochi e ottusitanto pareva che prendessero unnon so che di più lugubre e sinistro. Finalmente cessarono. Ifuggiaschi alloratrovandosi in un campo disabitatoe non sentendoun alito all'intornorallentarono il passo; e fu la prima Agnesecheripreso fiatoruppe il silenziodomandando a Renzo com'eraandatadomandando a Menico cosa fosse quel diavolo in casa. Renzoraccontò brevemente la sua trista storia; e tutt'e tre sivoltarono al fanciulloil quale riferì piùespressamente l'avviso del padree raccontò quello ch'eglistesso aveva veduto e rischiatoe che pur troppo confermaval'avviso. Gli ascoltatori compresero più di quel che Menicoavesse saputo dire: a quella scopertasi sentiron rabbrividire; sifermaron tutt'e tre a un trattosi guardarono in viso l'un conl'altrospaventati; e subitocon un movimento unanimetutt'e treposero una manochi sul capochi sulle spalle del ragazzocome peraccarezzarloper ringraziarlo tacitamente che fosse stato per loroun angelo tutelareper dimostrargli la compassione che sentivanodell'angoscia da lui soffertae del pericolo corso per la lorosalvezza; e quasi per chiedergliene scusa. - Ora torna a casaperchéi tuoi non abbiano a star più in pena per te- gli disseAgnese; e rammentandosi delle due parpagliole promessese ne levòquattro di tascae gliele diedeaggiungendo: - basta; prega ilSignore che ci rivediamo presto: e allora... - Renzo gli diede unaberlinga nuovae gli raccomandò molto di non dir nulla dellacommissione avuta dal frate; Lucia l'accarezzò di nuovolosalutò con voce accorata; il ragazzo li salutò tuttiintenerito; e tornò indietro. Quelli ripresero la loro stradatutti pensierosi; le donne innanzie Renzo dietrocome per guardia.Lucia stava stretta al braccio della madree scansava dolcementeecon destrezzal'aiuto che il giovine le offriva ne' passi malagevolidi quel viaggio fuor di strada; vergognosa in séanche in untale turbamentod'esser già stata tanto sola con luie tantofamigliarmentequando s'aspettava di divenir sua moglietra pochimomenti. Orasvanito così dolorosamente quel sognosipentiva d'essere andata troppo avantietra tante cagioni ditremaretremava anche per quel pudore che non nasce dalla tristascienza del maleper quel pudore che ignora se stessosomigliantealla paura del fanciulloche trema nelle tenebresenza saper diche.

-E la casa? - disse a un tratto Agnese. Maper quanto la domandafosse importantenessuno risposeperché nessuno poteva darleuna risposta soddisfacente. Continuarono in silenzio la loro stradae poco doposboccarono finalmente sulla piazzetta davanti allachiesa del convento.

Renzos'affacciò alla portae la sospinse bel bello. La porta difatto s'aprì; e la lunaentrando per lo spiraglioilluminòla faccia pallidae la barba d'argento del padre Cristoforochestava quivi ritto in aspettativa. Visto che non ci mancava nessuno-Dio sia benedetto! - dissee fece lor cenno ch'entrassero. Accanto aluistava un altro cappuccino; ed era il laico sagrestanoch'eglicon preghiere e con ragioniaveva persuaso a vegliar con luialasciar socchiusa la portae a starci in sentinellaper accogliereque' poveri minacciati: e non si richiedeva meno dell'autoritàdel padredella sua fama di santoper ottener dal laico unacondiscendenza incomodapericolosa e irregolare. Entrati che furonoil padre Cristoforo riaccostò la porta adagio adagio. Allorail sagrestano non poté più reggereechiamato ilpadre da una partegli andava susurrando all'orecchio: - ma padrepadre! di notte... in chiesa... con donne... chiudere... la regola...ma padre! - E tentennava la testa. Mentre diceva stentatamente quelleparole" vedete un poco! " pensava il padre Cristoforo"se fosse un masnadiero inseguitofra Fazio non gli farebbe unadifficoltà al mondo; e una povera innocenteche scappa dagliartigli del lupo... " - Omnia munda mundis- disse poivoltandosi tutt'a un tratto a fra Fazioe dimenticando che questonon intendeva il latino. Ma una tale dimenticanza fu appunto quellache fece l'effetto. Se il padre si fosse messo a questionare conragionia fra Fazio non sarebber mancate altre ragioni da opporre; esa il cielo quando e come la cosa sarebbe finita. Maal sentirquelle parole gravide d'un senso misteriosoe proferite cosìrisolutamentegli parve che in quelle dovesse contenersi lasoluzione di tutti i suoi dubbi. S'acquietòe disse: - basta!lei ne sa più di me.

-Fidatevi pure- rispose il padre Cristoforo; eall'incerto chiaroredella lampada che ardeva davanti all'altares'accostò airicoveratii quali stavano sospesi aspettandoe disse loro: -figliuoli! ringraziate il Signoreche v'ha scampati da un granpericolo. Forse in questo momento...! - E qui si mise a spiegare ciòche aveva fatto accennare dal piccol messo: giacché nonsospettava ch'essi ne sapesser più di luie supponeva cheMenico gli avesse trovati tranquilli in casaprima che arrivassero imalandrini. Nessuno lo disingannònemmeno Luciala qualeperò sentiva un rimorso segreto d'una tale dissimulazioneconun tal uomo; ma era la notte degl'imbrogli e de' sotterfugi.

-Dopo di ciò- continuò egli- vedete benefigliuoliche ora questo paese non è sicuro per voi. ' il vostro; cisiete nati; non avete fatto male a nessuno; ma Dio vuol così.È una provafigliuoli: sopportatela con pazienzaconfiduciasenza odioe siate sicuri che verrà un tempo in cuivi troverete contenti di ciò che ora accade. Io ho pensato atrovarvi un rifugioper questi primi momenti. Prestoio speropotrete ritornar sicuri a casa vostra; a ogni modoDio viprovvederàper il vostro meglio; e io certo mi studieròdi non mancare alla grazia che mi fascegliendomi per suo ministronel servizio di voi suoi poveri cari tribolati. Voi- continuòvolgendosi alle due donne- potrete fermarvi a ***. Là sareteabbastanza fuori d'ogni pericoloenello stesso temponon troppolontane da casa vostra. Cercate del nostro conventofate chiamare ilpadre guardianodategli questa lettera: sarà per voi un altrofra Cristoforo. E anche tuil mio Renzoanche tu devi mettertiperorain salvo dalla rabbia degli altrie dalla tua. Porta questalettera al padre Bonaventura da Lodinel nostro convento di PortaOrientale in Milano. Egli ti farà da padreti guideràti troverà del lavoroper fin che tu non possa tornare aviver qui tranquillamente. Andate alla riva del lagovicino allosbocco del Bione -. È un torrente a pochi passi daPescarenico. - Lì vedrete un battello fermo; direte: barca; visarà domandato per chi; risponderete: san Francesco. La barcavi riceveràvi trasporterà all'altra rivadovetroverete un baroccio che vi condurrà addirittura fino a ***.

Chidomandasse come fra Cristoforo avesse così subito a suadisposizione que' mezzi di trasportoper acqua e per terrafarebbevedere di non conoscere qual fosse il potere d'un cappuccino tenutoin concetto di santo.

Restavada pensare alla custodia delle case. Il padre ne ricevette le chiaviincaricandosi di consegnarle a quelli che Renzo e Agnesegl'indicarono. Quest'ultimalevandosi di tasca la suamise un gransospiropensando chein quel momentola casa era apertache c'erastato il diavoloe chi sa cosa ci rimaneva da custodire!

-Prima che partiate- disse il padre- preghiamo tutti insieme ilSignoreperché sia con voiin codesto viaggioe sempre; esopra tutto vi dia forzavi dia amore di volere ciò ch'Egliha voluto -. Così dicendo s'inginocchiò nel mezzo dellachiesa; e tutti fecer lo stesso. Dopo ch'ebbero pregatoalcunimomentiin silenzioil padrecon voce sommessama distintaarticolò queste parole: - noi vi preghiamo ancora per quelpoveretto che ci ha condotti a questo passo. Noi saremmo indegnidella vostra misericordiase non ve la chiedessimo di cuore per lui;ne ha tanto bisogno! Noinella nostra tribolazioneabbiamo questoconfortoche siamo nella strada dove ci avete messi Voi: possiamooffrirvi i nostri guai; e diventano un guadagno. Ma lui!... èvostro nemico. Oh disgraziato! compete con Voi! Abbiate pietàdi luio Signoretoccategli il cuorerendetelo vostro amicoconcedetegli tutti i beni che noi possiamo desiderare a noi stessi.

Alzatosipoicome in frettadisse: - viafigliuolinon c'è tempo daperdere: Dio vi guardiil suo angelo v'accompagni: andate -. Ementre s'avviavanocon quella commozione che non trova parolee chesi manifesta senza di esseil padre soggiunsecon voce alterata: -il cuor mi dice che ci rivedremo presto.

Certoil cuorechi gli dà rettaha sempre qualche cosa da dire suquello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quelloche è già accaduto.

Senzaaspettar rispostafra Cristoforoandò verso la sagrestia; iviaggiatori usciron di chiesa; e fra Fazio chiuse la portadandoloro un addiocon la voce alterata anche lui. Essi s'avviarono zittizitti alla rivá ch'era stata loro indicata; videro il battelloprontoe data e barattata la parolac'entrarono. Il barcaiolopuntando un remo alla prodase ne staccò; afferrato poil'altro remoe vogando a due bracciaprese il largoverso laspiaggia opposta. Non tirava un alito di vento; il lago giacevaliscio e pianoe sarebbe parso immobilese non fosse stato iltremolare e l'ondeggiar leggiero della lunache vi si specchiava damezzo il cielo. S'udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersisulle ghiaie del lidoil gorgoglìo più lontanodell'acqua rotta tra le pile del pontee il tonfo misurato di que'due remiche tagliavano la superficie azzurra del lagouscivano aun colpo grondantie si rituffavano. L'onda segata dalla barcariunendosi dietro la poppasegnava una striscia increspataches'andava allontanando dal lido. I passeggieri silenziosicon latesta voltata indietroguardavano i montie il paese rischiaratodalla lunae variato qua e là di grand'ombre. Sidistinguevano i villaggile casele capanne: il palazzotto di donRodrigocon la sua torre piattaelevato sopra le casucceammucchiate alla falda del promontoriopareva un feroce cherittonelle tenebrein mezzo a una compagnia d'addormentativegliassemeditando un delitto. Lucia lo videe rabbrividì; scese conl'occhio giù giù per la chinafino al suo paeselloguardò fisso all'estremitàscoprì la suacasettascoprì la chioma folta del fico che sopravanzava ilmuro del cortilescoprì la finestra della sua camera; esedutacom'eranel fondo della barcaposò il braccio sullaspondaposò sul braccio la frontecome per dormiree piansesegretamente.

Addiomonti sorgenti dall'acqueed elevati al cielo; cime inugualinote achi è cresciuto tra voie impresse nella sua mentenon menoche lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrentide'quali distingue lo scrosciocome il suono delle voci domestiche;ville sparse e biancheggianti sul pendìocome branchi dipecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chicresciuto tra voise ne allontana! Alla fantasia di quello stessoche se ne parte volontariamentetratto dalla speranza di farealtrove fortunasi disabbellisconoin quel momentoi sogni dellaricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvereetornerebbe allora indietrose non pensasse cheun giornotorneràdovizioso. Quanto più si avanza nel pianoil suo occhio siritiradisgustato e stancoda quell'ampiezza uniforme; l'aria glipar gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle cittàtumultuose; le case aggiunte a casele strade che sboccano nellestradepare che gli levino il respiro; e davanti agli edifiziammirati dallo stranieropensacon desiderio inquietoalcampicello del suo paesealla casuccia a cui ha già messo gliocchi addossoda gran tempoe che compreràtornando riccoa' suoi monti.

Machi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure undesiderio fuggitivochi aveva composti in essi tutti i disegnidell'avveniree n'è sbalzato lontanoda una forza perversa!Chistaccato a un tempo dalle più care abitudiniedisturbato nelle più care speranzelascia que' montiperavviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato diconosceree non può con l'immaginazione arrivare a un momentostabilito per il ritorno! Addiocasa natìadovesedendocon un pensiero occultos'imparò a distinguere dal rumore de'passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore.Addiocasa ancora stranieracasa sogguardata tante volte allasfuggitapassandoe non senza rossore; nella quale la mente sifigurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addiochiesadove l'animo tornò tante volte serenocantando le lodi delSignore; dov'era promessopreparato un rito; dove il sospiro segretodel cuore doveva essere solennemente benedettoe l'amore venircomandatoe chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta gioconditàè per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figlise nonper prepararne loro una più certa e più grande.

Dital generese non tali appuntoerano i pensieri di Luciae pocodiversi i pensieri degli altri due pellegrinimentre la barca gliandava avvicinando alla riva destra dell'Adda.




Cap.IX


L'urtarche fece la barca contro la prodascosse Luciala qualedopo averasciugate in segreto le lacrimealzò la testacome se sisvegliasse. Renzo uscì il primoe diede la mano ad Agneselaqualeuscita purela diede alla figlia; e tutt'e tre reserotristamente grazie al barcaiolo. - Di che cosa? - rispose quello: -siam quaggiù per aiutarci l'uno con l'altro- e ritiròla manoquasi con ribrezzocome se gli fosse proposto di rubareallorché Renzo cercò di farvi sdrucciolare una partede' quattrinelli che si trovava indossoe che aveva presi quellaseracon intenzione di regalar generosamente don Abbondioquandoquesto l'avessesuo malgradoservito. Il baroccio era lìpronto; il conduttore salutò i tre aspettatili fece salirediede una voce alla bestiauna frustatae via.

Ilnostro autore non descrive quel viaggio notturnotace il nome delpaese dove fra Cristoforo aveva indirizzate le due donne; anziprotesta espressamente di non lo voler dire. Dal progresso dellastoria si rileva poi la cagione di queste reticenze. Le avventure diLucia in quel soggiornosi trovano avviluppate in un intrigotenebroso di persona appartenente a una famigliacome paremoltopotenteal tempo che l'autore scriveva. Per render ragione dellastrana condotta di quella personanel caso particolareegli ha poianche dovuto raccontarne in succinto la vita antecedente; e lafamiglia ci fa quella figura che vedrà chi vorràleggere. Ma ciò che la circospezione del pover'uomo ci havoluto sottrarrele nostre diligenze ce l'hanno fatto trovare inaltra parte. Uno storico milanese (Josephi RipamontiiHistoriaePatriaeDecadis VLib. VICap. IIIpag. 358 et seq.) che ha avutoa far menzione di quella persona medesimanon nominaè veroné leiné il paese; ma di questo dice ch'era un borgoantico e nobilea cui di città non mancava altro che il nome;dice altroveche ci passa il Lambro; altroveche c'è unarciprete. Dal riscontro di questi dati noi deduciamo che fosse Monzasenz'altro. Nel vasto tesoro dell'induzioni eruditece ne potràben essere delle più finema delle più sicurenoncrederei. Potremmo anchesopra congetture molto fondatedire ilnome della famiglia; masebbene sia estinta da un pezzoci parmeglio lasciarlo nella pennaper non metterci a rischio di far tortoneppure ai mortie per lasciare ai dotti qualche soggetto diricerca.

Inostri viaggiatori arrivaron dunque a Monzapoco dopo il levar delsole: il conduttore entrò in un'osteriae lìcomepratico del luogoe conoscente del padronefece assegnar loro unastanzae ve gli accompagnò. Tra i ringraziamentiRenzo tentòpure di fargli ricevere qualche danaro; ma quelloal pari delbarcaioloaveva in mira un'altra ricompensapiù lontanamapiù abbondante: ritirò le manianche luiecomefuggendocorse a governare la sua bestia.

Dopouna sera quale l'abbiamo descrittae una notte quale ognuno puòimmaginarselapassata in compagnia di que' pensiericol sospettoincessante di qualche incontro spiacevoleal soffio di unabrezzolina più che autunnalee tra le continue scosse delladisagiata vetturache ridestavano sgarbatamente chi di lorocominciasse appena a velar l'occhionon parve vero a tutt'e tre disedersi sur una panca che stava fermain una stanzaqualunquefosse. Fecero colazionecome permetteva la penuria de' tempie imezzi scarsi in proporzione de' contingenti bisogni d'un avvenireincertoe il poco appetito. A tutt'e tre passò per la menteil banchetto chedue giorni primas'aspettavan di fare; e ciascunomise un gran sospiro. Renzo avrebbe voluto fermarsi lìalmenotutto quel giornoveder le donne allogaterender loro i primiservizi; ma il padre aveva raccomandato a queste di mandarlo subitoper la sua strada. Addussero quindi esse e quegli ordinie centoaltre ragioni; che la gente ciarlerebbeche la separazione piùritardata sarebbe più dolorosach'egli potrebbe venir prestoa dar nuove e a sentirne; tanto che si risolvette di partire. Siconcertaroncome poteronosulla maniera di rivedersipiùpresto che fosse possibile. Lucia non nascose le lacrime; Renzotrattenne a stento le sueestringendo forte forte la mano aAgnesedisse con voce soffogata: - a rivederci- e partì.

Ledonne si sarebber trovate ben impicciatese non fosse stato quelbuon barocciaioche aveva ordine di guidarle al convento de'cappuccinie di dar loro ogn'altro aiuto che potesse bisognare.S'avviaron dunque con lui a quel convento; il qualecome ognun saera pochi passi distante da Monza. Arrivati alla portail conduttoretirò il campanellofece chiamare il padre guardiano; questovenne subitoe ricevette la letterasulla soglia.

-Oh! fra Cristoforo! - dissericonoscendo il carattere. Il tono dellavoce e i movimenti del volto indicavano manifestamente che proferivail nome d'un grand'amico. Convien poi dire che il nostro buonCristoforo avessein quella letteraraccomandate le donne con moltocaloree riferito il loro caso con molto sentimentoperchéil guardianofacevadi tanto in tantoatti di sorpresa ed'indegnazione; ealzando gli occhi dal foglioli fissava sulledonne con una certa espressione di pietà e d'interesse. Finitoch'ebbe di leggerestette lì alquanto a pensare; poi disse: -non c'è che la signora: se la signora vuol prendersiquest'impegno...

Tirataquindi Agnese in dispartesulla piazza davanti al conventole fecealcune interrogazionialle quali essa soddisfece; etornato versoLuciadisse a tutt'e due: - donne mieio tenterò; e spero dipotervi trovare un ricovero più che sicuropiù cheonoratofin che Dio non v'abbia provvedute in miglior maniera.Volete venir con me?

Ledonne accennarono rispettosamente di sì; e il frate riprese: -bene; io vi conduco subito al monastero della signora. State peròdiscoste da me alcuni passiperché la gente si diletta di dirmale; e Dio sa quante belle chiacchiere si farebberose si vedesseil padre guardiano per la stradacon una bella giovine... con donnevoglio dire.

Cosìdicendoandò avanti. Lucia arrossì; il barocciaiosorriseguardando Agnesela quale non poté tenersi di nonfare altrettanto; e tutt'e tre si mosseroquando il frate si fuavviato; e gli andaron dietrodieci passi discosto. Le donne alloradomandarono al barocciaiociò che non avevano osato al padreguardianochi fosse la signora.

-La signora- rispose quello- è una monaca; ma non èuna monaca come l'altre. Non è che sia la badessanéla priorache anzia quel che diconoè una delle piùgiovani: ma è della costola d'Adamo; e i suoi del tempo anticoerano gente grandevenuta di Spagnadove son quelli che comandano;e per questo la chiamano la signoraper dire ch'è una gransignora; e tutto il paese la chiama con quel nomeperchédicono che in quel monastero non hanno avuto mai una persona simile;e i suoi d'adessolaggiù a Milanocontan moltoe son diquelli che hanno sempre ragionee in Monza anche di piùperché suo padrequantunque non ci stiaè il primodel paese; onde anche lei può far alto e basso nel monastero;e anche la gente di fuori le porta un gran rispetto; e quando prendeun impegnole riesce anche di spuntarlo; e perciòse quelbuon religioso lìottiene di mettervi nelle sue manie chelei v'accettivi posso dire che sarete sicure come sull'altare.

Quandofu vicino alla porta del borgofiancheggiata allora da un anticotorracchione mezzo rovinatoe da un pezzo di castellacciodiroccatoanch'essoche forse dieci de' miei lettori possono ancor rammentarsid'aver veduto in piediil guardiano si fermòe si voltòa guardar se gli altri venivano; quindi entròe s'avviòal monasterodove arrivatosi fermò di nuovo sulla sogliaaspettando la piccola brigata. Pregò il barocciaio chetra unpar d'oretornasse da luia prender la risposta: questo lo promisee si licenziò dalle donneche lo caricaron di ringraziamentie di commissioni per il padre Cristoforo. Il guardiano fece entrarela madre e la figlia nel primo cortile del monasterole introdussenelle camere della fattoressa; e andò solo a chieder lagrazia. Dopo qualche temporicomparve giulivoa dir loro chevenissero avanti con lui; ed era oraperché la figlia e lamadre non sapevan più come fare a distrigarsidall'interrogazioni pressanti della fattoressa. Attraversando unsecondo cortilediede qualche avvertimento alle donnesul modo diportarsi con la signora. - E ben disposta per voi altre- disse- evi può far del bene quanto vuole. Siate umili e rispettoserispondete con sincerità alle domande che le piacerà difarvie quando non siete interrogatelasciate fare a me -.Entrarono in una stanza terrenadalla quale si passava nelparlatorio: prima di mettervi il piedeil guardianoaccennandol'usciodisse sottovoce alle donne: - è qui- come perrammentar loro tutti quegli avvertimenti. Luciache non aveva maivisto un monasteroquando fu nel parlatorioguardò in girodove fosse la signora a cui fare il suo inchinoenon iscorgendopersonastava come incantata; quandovisto il padre e Agnese andarverso un angologuardò da quella partee vide una finestrad'una forma singolarecon due grosse e fitte grate di ferrodistanti l'una dall'altra un palmo; e dietro quelle una monaca ritta.Il suo aspettoche poteva dimostrar venticinque annifaceva a primavista un'impressione di bellezzama d'una bellezza sbattutasfiorita edirei quasiscomposta. Un velo nerosospeso e stiratoorizzontalmente sulla testacadeva dalle due partidiscostoalquanto dal viso; sotto il velouna bianchissima benda di linocingevafino al mezzouna fronte di diversama non d'inferiorebianchezza; un'altra benda a pieghe circondava il visoe terminavasotto il mento in un soggoloche si stendeva alquanto sul pettoacoprire lo scollo d'un nero saio. Ma quella fronte si raggrinzavaspessocome per una contrazione dolorosa; e allora due sopracciglineri si ravvicinavanocon un rapido movimento. Due occhineri nerianch'essisi fissavano talora in viso alle personeconun'investigazione superba; talora si chinavano in frettacome percercare un nascondiglio; in certi momentiun attento osservatoreavrebbe argomentato che chiedessero affettocorrispondenzapietà;altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d'unodio inveterato e compressoun non so che di minaccioso e di feroce:quando restavano immobili e fissi senza attenzionechi ci avrebbeimmaginata una svogliatezza orgogliosachi avrebbe potutosospettarci il travaglio d'un pensiero nascostod'una preoccupazionefamiliare all'animoe più forte su quello che gli oggetticircostanti. Le gote pallidissime scendevano con un contorno delicatoe graziosoma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione. Lelabbraquantunque appena tinte d'un roseo sbiaditopurespiccavanoin quel pallore: i loro moti eranocome quelli degli occhisubitaneivivipieni d'espressione e di mistero. La grandezza benformata della persona scompariva in un certo abbandono delportamentoo compariva sfigurata in certe mosse repentineirregolari e troppo risolute per una donnanon che per una monaca.Nel vestire stesso c'era qua e là qualcosa di studiato o dineglettoche annunziava una monaca singolare: la vita era attillatacon una certa cura secolarescae dalla benda usciva sur una tempiauna ciocchettina di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanzao disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre cortidaquando erano stati tagliatinella cerimonia solenne del vestimento.

Questecose non facevano specie alle due donnenon esercitate a distinguermonaca da monaca: e il padre guardianoche non vedeva la signora perla prima voltaera già avvezzocome tant'altria quel nonso che di stranoche appariva nella sua personacome nelle suemaniere.

Eraessain quel momentocome abbiam dettoritta vicino alla gratacon una mano appoggiata languidamente a quellae le bianchissimedita intrecciate ne' vòti; e guardava fisso Luciache venivaavanti esitando. - Reverenda madree signora illustrissima- disseil guardianoa capo bassoe con la mano al petto: - questa èquella povera giovineper la quale m'ha fatto sperare la sua validaprotezione; e questa è la madre.

Ledue presentate facevano grand'inchini: la signora accennò lorocon la manoche bastavae dissevoltandosial padre: - èuna fortuna per me il poter fare un piacere a' nostri buoni amici ipadri cappuccini. Ma- continuò; - mi dica un po' piùparticolarmente il caso di questa giovineper veder meglio cosa sipossa fare per lei.

Luciadiventò rossae abbassò la testa.

-Deve saperereverenda madre... - incominciava Agnese; ma ilguardiano le troncòcon un'occhiatale parole in boccaerispose: - questa giovinesignora illustrissimami vienraccomandatacome le ho dettoda un mio confratello. Essa ha dovutopartir di nascosto dal suo paeseper sottrarsi a de' gravi pericoli;e ha bisognoper qualche tempod'un asilo nel quale possa viveresconosciutae dove nessuno ardisca venire a disturbarlaquand'anche...

-Quali pericoli? - interruppe la signora. - Di graziapadreguardianonon mi dica la cosa così in enimma. Lei sa che noialtre monacheci piace di sentir le storie per minuto.

-Sono pericoli- rispose il guardiano- che all'orecchie purissimedella reverenda madre devon essere appena leggermente accennati...

-Oh certamente- disse in fretta la signoraarrossendo alquanto. Eraverecondia? Chi avesse osservata una rapida espressione di dispettoche accompagnava quel rossoreavrebbe potuto dubitarne; e tanto piùse l'avesse paragonato con quello che di tanto in tanto si spandevasulle gote di Lucia.

-Basterà dire- riprese il guardiano- che un cavalierprepotente... non tutti i grandi del mondo si servono dei doni diDioa gloria suae in vantaggio del prossimocome vossignoriaillustrissima: un cavalier prepotentedopo aver perseguitata qualchetempo questa creatura con indegne lusinghevedendo ch'erano inutiliebbe cuore di perseguitarla apertamente con la forzadi modo che lapoveretta è stata ridotta a fuggir da casa sua.

-Accostateviquella giovine- disse la signora a Luciafacendolecenno col dito. - So che il padre guardiano è la bocca dellaverità; ma nessuno può esser meglio informato di voiin quest'affare. Tocca a voi a dirci se questo cavaliere era unpersecutore odioso -. In quanto all'accostarsiLucia ubbidìsubito; ma rispondere era un'altra faccenda. Una domanda su quellamateriaquand'anche le fosse stata fatta da una persona sua paril'avrebbe imbrogliata non poco: proferita da quella signorae conuna cert'aria di dubbio malignole levò ogni coraggio arispondere. - Signora... madre... reverenda... - balbettòenon dava segno d'aver altro a dire. Qui Agnesecome quella chedopodi leiera certamente la meglio informatasi credéautorizzata a venirle in aiuto. - Illustrissima signora- disse-io posso far testimonianza che questa mia figlia aveva in odio quelcavalierecome il diavolo l'acqua santa: voglio direil diavolo eralui; ma mi perdonerà se parlo maleperché noi siamgente alla buona. Il fatto sta che questa povera ragazza era promessaa un giovine nostro paritimorato di Dioe ben avviato; e se ilsignor curato fosse stato un po' più un uomo di quelli chem'intendo io... so che parlo d'un religiosoma il padre Cristoforoamico qui del padre guardianoè religioso al par di luiequello è un uomo pieno di caritàese fosse quipotrebbe attestare...

-Siete ben pronta a parlare senz'essere interrogata- interruppe lasignoracon un atto altero e iracondoche la fece quasi parerbrutta. - State zitta voi: già lo so che i parenti hannosempre una risposta da dare in nome de' loro figliuoli!

Agnesemortificata diede a Lucia una occhiata che voleva dire: vedi quel chemi toccaper esser tu tanto impicciata. Anche il guardiano accennavaalla giovinedandole d'occhio e tentennando il capoche quello erail momento di sgranchirsie di non lasciare in secco la poveramamma.

-Reverenda signora- disse Lucia- quanto le ha detto mia madre èla pura verità. Il giovine che mi discorreva- e qui diventòrossa rossa- lo prendevo io di mia volontà. Mi scusi separlo da sfacciatama è per non lasciar pensar male di miamadre. E in quanto a quel signore (Dio gli perdoni!) vorrei piuttostomorireche cader nelle sue mani. E se lei fa questa carità dimetterci al sicurogiacché siam ridotte a far questa facciadi chieder ricoveroe ad incomodare le persone dabbene; ma sia fattala volontà di Dio; sia certasignorache nessuno potràpregare per lei più di cuore che noi povere donne.

-A voi credo- disse la signora con voce raddolcita. - Ma avròpiacere di sentirvi da solo a solo. Non che abbia bisogno d'altrischiarimentiné d'altri motiviper servire alle premure delpadre guardiano- aggiunse subitorivolgendosi a luicon unacompitezza studiata. - Anzi- continuò- ci ho giàpensato; ed ecco ciò che mi pare di poter far di meglioperora. La fattoressa del monastero ha maritatapochi giorni sonol'ultima sua figliuola. Queste donne potranno occupar la cameralasciata in libertà da quellae supplire a que' pochi serviziche faceva lei. Veramente... - e qui accennò al guardiano ches'avvicinasse alla gratae continuò sottovoce: - veramenteattesa la scarsezza dell'annatenon si pensava di sostituir nessunoa quella giovine; ma parlerò io alla madre badessae una miaparola... e per una premura del padre guardiano... In somma do lacosa per fatta.

Ilguardiano cominciava a ringraziarema la signora l'interruppe: - nonoccorron cerimonie: anch'ioin un casoin un bisognosaprei farcapitale dell'assistenza de' padri cappuccini. Alla fine- continuòcon un sorrisonel quale traspariva un non so che d'ironico ed'amaro- alla finenon siam noi fratelli e sorelle?

Cosìdettochiamò una conversa (due di queste eranoper unadistinzione singolareassegnate al suo servizio privato)e leordinò che avvertisse di ciò la badessae prendessepoi i concerti opportunicon la fattoressa e con Agnese. Licenziòquestaaccommiatò il guardianoe ritenne Lucia. Il guardianoaccompagnò Agnese alla portadandole nuove istruzionie sen'andò a scriver la lettera di ragguaglio all'amicoCristoforo. " Gran cervellino che è questa signora! "pensava tra séper la strada: " curiosa davvero! Ma chila sa prendere per il suo versole fa far ciò che vuole. Ilmio Cristoforo non s'aspetterà certamente ch'io l'abbiaservito così presto e bene. Quel brav'uomo! non c'èrimedio: bisogna che si prenda sempre qualche impegno; ma lo fa perbene. Buon per lui questa voltache ha trovato un amicoil qualesenza tanto strepitosenza tanto apparatosenza tante faccendehacondotto l'aflare a buon portoin un batter d'occhio. Saràcontento quel buon Cristoforoe s'accorgerà cheanche noiquisiam buoni a qualche cosa ".

Lasignorachealla presenza d'un provetto cappuccinoaveva studiatigli atti e le parolerimasta poi sola con una giovine contadinainespertanon pensava più tanto a contenersi; e i suoidiscorsi divennero a poco a poco così stranichein vece diriferirlinoi crediam più opportuno di raccontar brevementela storia antecedente di questa infelice; quel tanto cioè chebasti a render ragione dell'insolito e del misterioso che abbiamveduto in leie a far comprendere i motivi della sua condottainquello che avvenne dopo.

Eraessa l'ultima figlia del principe ***gran gentiluomo milanesechepoteva contarsi tra i più doviziosi ddla città. Mal'alta opinione che aveva del suo titolo gli faceva parer le suesostanze appena sufficientianzi scarsea sostenerne il decoro; etutto il suo pensiero era di conservarlealmeno quali eranounitein perpetuoper quanto dipendeva da lui. Quanti figliuoli avesselastoria non lo dice espressamente; fa solamente intendere che avevadestinati al chiostro tutti i cadetti dell'uno e dell'altro sessoper lasciare intatta la sostanza al primogenitodestinato aconservar la famigliaa procrear cioè de' figliuolipertormentarsi a tormentarli nella stessa maniera. La nostra infeliceera ancor nascosta nel ventre della madreche la sua condizione eragià irrevocabilmente stabilita. Rimaneva soltanto da decidersise sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la quale facevabisognonon il suo consensoma la sua presenza. Quando venne allaluceil principe suo padrevolendo darle un nome che risvegliasseimmediatamente l'idea del chiostroe che fosse stato portato da unasanta d'alti natalila chiamò Gertrude. Bambole vestite damonaca furono i primi balocchi che le si diedero in mano; poi santiniche rappresentavan monache; e que' regali eran sempre accompagnaticon gran raccomandazioni di tenerli ben di conto; come cosa preziosae con quell'interrogare affermativo: - bello eh? - Quando ilprincipeo la principessa o il principinoche solo de' maschiveniva allevato in casavolevano lodar l'aspetto prosperoso dellafanciullinapareva che non trovasser modo d'esprimer bene la loroidease non con le parole: - che madre badessa! - Nessuno peròle disse mai direttamente: tu devi farti monaca. Era un'ideasottintesa e toccata incidentementein ogni discorso che riguardassei suoi destini futuri. Se qualche volta la Gertrudina trascorreva aqualche atto un po' arrogante e imperiosoal che la sua indole laportava molto facilmente- tu sei una ragazzina- le si diceva: -queste maniere non ti convengono: quando sarai madre badessaalloracomanderai a bacchettafarai alto e basso -. Qualche altra volta ilprinciperiprendendola di cert'altre maniere troppo libere efamigliari alle quali essa trascorreva con uguale facilità-ehi! ehi! - le diceva; - non è questo il fare d'una par tua:se vuoi che un giorno ti si porti il rispetto che ti saràdovutoimpara fin d'ora a star sopra di te: ricordati che tu deviesserein ogni cosala prima del monastero; perché il sanguesi porta per tutto dove si va.

Tuttele parole di questo genere stampavano nel cervello della fanciullinal'idea che già lei doveva esser monaca; ma quelle che venivandalla bocca del padrefacevan più effetto di tutte l'altreinsieme. Il contegno del principe era abitualmente quello d'unpadrone austero; ma quando si trattava dello stato futuro de' suoifiglidal suo volto e da ogni sua parola traspariva un'immobilitàdi risoluzioneuna ombrosa gelosia di comandoche imprimeva ilsentimento d'una necessità fatale.

Asei anniGertrude fu collocataper educazione e ancor piùper istradamento alla vocazione impostalenel monastero dovel'abbiamo veduta: e la scelta del luogo non fu senza disegno. Il buonconduttore delle due donne ha detto che il padre ddla signora era ilprimo in Monza: eaccozzando questa qualsisia testimonianza conalcune altre indicazioni che l'anonimo lascia scappare sbadatamentequa e lànoi potremmo anche asserire che fosse il feudatariodi quel paese. Comunque siavi godeva d'una grandissima autorità;e pensò che lìmeglio che altrovela sua figliasarebbe trattata con quelle distinzioni e con quelle finezze chepotesser più allettarla a scegliere quel monastero per suaperpetua dimora. Né s'ingannava: la badessa e alcune altremonache faccendiereche avevanocome si suol direil mestolo inmanoesultarono nel vedersi offerto il pegno d'una protezione tantoutile in ogni occorrenzatanto gloriosa in ogni momento; accettaronla propostacon espressioni di riconoscenzanon esagerateperquanto fossero forti; e corrisposero pienamente all'intenzioni che ilprincipe aveva lasciate trasparire sul collocamento stabile dellafigliuola: intenzioni che andavan così d'accordo con le loro.Gertrudeappena entrata nel monasterofu chiamata per antonomasiala signorina; posto distinto a tavolanel dormitorio; la suacondotta proposta all'altre per esemplare; chicche e carezze senzafinee condite con quella famigliarità un po' rispettosachetanto adesca i fanciulliquando la trovano in coloro che vedontrattare gli altri fanciulli con un contegno abituale di superiorità.Non che tutte le monache fossero congiurate a tirar la poverina nellaccio; ce n'eran molte delle semplici e lontane da ogni intrigoalle quali il pensiero di sacrificare una figlia a mire interessateavrebbe fatto ribrezzo; ma questetutte attente alle lorooccupazioni particolariparte non s'accorgevan bene di tutti que'maneggiparte non distinguevano quanto vi fosse di cattivopartes'astenevano dal farvi sopra esameparte stavano zitteper non farescandoli inutili. Qualcheduna ancherammentandosi d'essere statacon simili articondotta a quello di cui s'era pentita poisentivacompassione della povera innocentinae si sfogava col farle carezzetenere e malinconiche: ma questa era ben lontana dal sospettare checi fosse sotto mistero; e la faccenda camminava. Sarebbe forsecamminata così fino alla finese Gertrude fosse stata la solaragazza in quel monastero. Matra le sue compagne d'educazionecen'erano alcune che sapevano d'esser destinate al matrimonio.Gertrudinanudrita nelle idee della sua superioritàparlavamagnificamente de' suoi destini futuri di badessadi principessa delmonasterovoleva a ogni conto esser per le altre un soggettod'invidia; e vedeva con maraviglia e con dispettoche alcune diquelle non ne sentivano punto. All'immagini maestosema circoscrittee freddeche può somministrare il primato in un monasterocontrapponevan esse le immagini varie e luccicantidi nozzedipranzidi conversazionidi festinicome dicevano alloradivilleggiaturedi vestitidi carrozze. Queste immagini cagionarononel cervello di Gertrude quel movimentoquel brulichìo cheprodurrebbe un gran paniere di fiori appena coltimesso davanti a unalveare. I parenti e l'educatrici avevan coltivata e accresciuta inlei la vanità naturaleper farle piacere il chiostro; maquando questa passione fu stuzzicata da idee tanto piùomogenee ad essasi gettò su quellecon un ardore ben piùvivo e più spontaneo. Per non restare al di sotto di quellesue compagnee per condiscendere nello stesso tempo al suo nuovogeniorispondeva chealla fin de' continessuno le poteva mettereil velo in capo senza il suo consensoche anche lei potevamaritarsiabitare un palazzogodersi il mondoe meglio di tutteloro; che lo potevapur che l'avesse volutoche lo vorrebbeche lovoleva; e lo voleva in fatti. L'idea della necessità del suoconsensoidea chefino a quel tempoera stata come inosservata erannicchiata in un angolo della sua mentesi sviluppò allorae si manifestòcon tutta la sua importanza. Essa la chiamavaogni momento in aiutoper godersi più tranquillamentel'immagini d'un avvenire gradito. Dietro questa idea perònecompariva sempre infallibilmente un'altra: che quel consenso sitrattava di negarlo al principe padreil quale lo teneva giào mostrava di tenerlo per dato; ea questa ideal'animo dellafiglia era ben lontano dalla sicurezza che ostentavano le sue parole.Si paragonava allora con le compagnech'erano ben altrimenti sicuree provava per esse dolorosamente l'invidia cheda principioavevacreduto di far loro provare. Invidiandolele odiava: talvolta l'odios'esalava in dispettiin isgarbatezzein motti pungenti; talvoltal'uniformità dell'inclinazioni e delle speranze lo sopivaefaceva nascere un'intrinsichezza apparente e passeggiera. Talvoltavolendo pure godersi intanto qualche cosa di reale e di presentesicompiaceva delle preferenze che le venivano accordatee facevasentire all'altre quella sua superiorità; talvoltanonpotendo più tollerar la solitudine de' suoi timori e de' suoidesidèriandavatutta buonain cerca di quellequasi adimplorar benevolenzaconsiglicoraggio. Tra queste deplorabiliguerricciole con sé e con gli altriaveva varcata lapueriziae s'inoltrava in quell'età così criticanella quale par che entri nell'animo quasi una potenza misteriosache sollevaadornarinvigorisce tutte l'inclinazionitutte l'ideee qualche volta le trasformao le rivolge a un corso impreveduto.Ciò che Gertrude aveva fino allora più distintamentevagheggiato in que' sogni dell'avvenireera lo splendore esterno ela pompa: un non so che di molle e d'affettuosoche da prima v'eradiffuso leggermente e come in nebbiacominciò allora aspiegarsi e a primeggiare nelle sue fantasie. S'era fattonellaparte più riposta della mentecome uno splendido ritiro: ivisi rifugiava dagli oggetti presentiivi accoglieva certi personaggistranamente composti di confuse memorie della pueriziadi quel pocoche poteva vedere del mondo esterioredi ciò che avevaimparato dai discorsi delle compagne; si tratteneva con essiparlavaloroe si rispondeva in loro nome; ivi dava ordinie ricevevaomaggi d'ogni genere. Di quando in quandoi pensieri della religionevenivano a disturbare quelle feste brillanti e faticose. Ma lareligionecome l'avevano insegnata alla nostra poverettae comeessa l'aveva ricevutanon bandiva l'orgoglioanzi lo santificava elo proponeva come un mezzo per ottenere una felicità terrena.Privata così della sua essenzanon era più lareligionema una larva come l'altre. Negl'intervalli in cui questalarva prendeva il primo postoe grandeggiava nella fantasia diGertrudel'infelicesopraffatta da terrori confusie compresa dauna confusa idea di doveris'immaginava che la sua ripugnanza alchiostroe la resistenza all'insinuazioni de' suoi maggiorinellascelta dello statofossero una colpa; e prometteva in cuor suod'espiarlachiudendosi volontariamente nel chiostro.

Eralegge che una giovine non potesse venire accettata monacaprimad'essere stata esaminata da un ecclesiasticochiamato il vicariodelle monacheo da qualche altro deputato a ciòaffinchéfosse certo che ci andava di sua libera scelta: e questo esame nonpoteva aver luogose non un anno dopo ch'ella avesse esposto a quelvicario il suo desideriocon una supplica in iscritto. Quellemonache che avevan preso il tristo incarico di far che Gertrudes'obbligasse per semprecon la minor possibile cognizione di ciòche facevacolsero un de' momenti che abbiam dettoper farletrascrivere e sottoscrivere una tal supplica. E a fine d'indurla piùfacilmente a ciònon mancaron di dirle e di ripeterlechefinalmente era una mera formalitàla quale (e questo eravero) non poteva avere efficaciase non da altri atti posterioriche dipenderebbero dalla sua volontà. Con tutto ciòlasupplica non era forse ancor giunta al suo destinoche Gertrudes'era già pentita d'averla sottoscritta. Si pentiva poid'essersi pentitapassando così i giorni e i mesi inun'incessante vicenda di sentimenti contrari. Tenne lungo temponascosto alle compagne quel passoora per timore d'esporre allecontraddizioni una buona risoluzioneora per vergogna di palesareuno sproposito. Vinse finalmente il desiderio di sfogar l'animoed'accattar consiglio e coraggio. C'era un'altra leggeche unagiovine non fosse ammessa a quell'esame della vocazionese non dopoaver dimorato almeno un mese fuori del monastero dove era stata ineducazione. Era già scorso l'anno da che la supplica era statamandata; e Gertrude fu avvertita che tra poco verrebbe levata dalmonasteroe condotta nella casa paternaper rimanervi quel meseefar tutti i passi necessari al compimento dell'opera che aveva difatto cominciata. Il principe e il resto della famiglia tenevanotutto ciò per certocome se fosse già avvenuto; ma lagiovine aveva tutt'altro in testa: in vece di far gli altri passipensava alla maniera di tirare indietro il primo. In tali angustiesi risolvette d'aprirsi con una delle sue compagnela piùfrancae pronta sempre a dar consigli risoluti. Questa suggerìa Gertrude d'informar con una lettera il padre della sua nuovarisoluzione; giacché non le bastava l'animo di spiattellarglisul viso un bravo: non voglio. E perché i pareri gratuitiinquesto mondoson molto rarila consigliera fece pagar questo aGertrudecon tante beffe sulla sua dappocaggine. La lettera fuconcertata tra quattro o cinque confidentiscritta di nascostoefatta ricapitare per via d'artifizi molto studiati. Gertrude stavacon grand'ansietàaspettando una risposta che non venne mai.Se non chealcuni giorni dopola badessala fece venir nella suacellaècon un contegno di misterodi disgusto e dicompassionele diede un cenno oscuro d'una gran collera delprincipee d'un fallo ch'ella doveva aver commessolasciandole peròintendere cheportandosi benepoteva sperare che tutto sarebbedimenticato. La giovinetta intesee non osò domandar piùin là.

Vennefinalmente il giorno tanto temuto e bramato. Quantunque Gertrudesapesse che andava a un combattimentopure l'uscir di monasteroillasciar quelle mura nelle quali era stata ott'anni rinchiusaloscorrere in carrozza per l'aperta campagnail riveder la cittàla casafuron sensazioni piene d'una gioia tumultuosa. In quanto alcombattimentola poverettacon la direzione di quelle confidentiaveva già prese le sue misuree fattocom'ora si direbbeilsuo piano. " O mi vorranno forzare "pensava" e iostarò dura; sarò umilerispettosama nonacconsentirò: non si tratta che di non dire un altro sì;e non lo dirò. Ovvero mi prenderanno con le buone; e io saròpiù buona di loro; piangeròpregheròli moveròa compassione: finalmente non pretendo altro che di non essersacrificata ". Macome accade spesso di simili previdenzenonavvenne né una cosa né l'altra. I giorni passavanosenza che il padre né altri le parlasse della supplicanédella ritrattazionesenza che le venisse fatta proposta nessunanécon carezzené con minacce. I parenti eran seritristiburberi con leisenza mai dirne il perché. Si vedevasolamente che la riguardavano come una reacome un'indegna: unanatema misterioso pareva che pesasse sopra di leie la segregassedalla famiglialasciandovela soltanto unita quanto bisognava perfarle sentire la sua suggezione. Di radoe solo a certe orestabiliteera ammessa alla compagnia de' parenti e del primogenito.Tra loro tre pareva che regnasse una gran confidenzala qualerendeva più sensibile e più doloroso l'abbandono in cuiera lasciata Gertrude. Nessuno le rivolgeva il discorso; e quandoessa arrischiava timidamente qualche parolache non fosse per cosanecessariao non attaccavao veniva corrisposta con uno sguardodistrattoo sprezzanteo severo. Che senon potendo piùsoffrire una così amara e umiliante distinzioneinsistevaetentava di famigliarizzarsi; se implorava un po' d'amoresi sentivasubito toccarein maniera indiretta ma chiaraquel tasto dellascelta dello stato; le si faceva copertamente sentire che c'era unmezzo di riacquistar l'affetto della famiglia. Allora Gertrudechenon l'avrebbe voluto a quella condizioneera costretta di tirarsiindietrodi rifiutar quasi i primi segni di benevolenza che avevatanto desideratidi rimettersi da sé al suo posto discomunicata; e per di piùvi rimaneva con una certa apparenzadel torto.

Talisensazioni d'oggetti presenti facevano un contrasto doloroso conquelle ridenti visioni delle quali Gertrude s'era già tantooccupatae s'occupava tuttavianel segreto della sua mente. Avevasperato chenella splendida e frequentata casa paternaavrebbepotuto godere almeno qualche saggio reale delle cose immaginate; masi trovò del tutto ingannata. La clausura era stretta einteracome nel monastero; d'andare a spasso non si parlava neppure;e un coretto chedalla casaguardava in una chiesa contiguatoglieva anche l'unica necessità che ci sarebbe statad'uscire. La compagnia era più tristapiù scarsamenovariata che nel monastero. A ogni annunzio d'una visitaGertrudedoveva salire all'ultimo pianoper chiudersi con alcune vecchiedonne di servizio: e lì anche desinavaquando c'era invito. Iservitori s'uniformavanonelle maniere e ne' discorsiall'esempio eall'intenzioni de' padroni: e Gertrudecheper sua inclinazioneavrebbe voluto trattarli con una famigliarità signorileechenello stato in cui si trovavaavrebbe avuto di grazia che lefacessero qualche dimostrazione d'affettocome a una loro pariescendeva anche a mendicarnerimaneva poi umiliatae sempre piùafflitta di vedersi corrisposta con una noncuranza manifestabenchéaccompagnata da un leggiero ossequio di formalità. Dovetteperò accorgersi che un paggioben diverso da coloroleportava un rispettoe sentiva per lei una compassione d'un genereparticolare. Il contegno di quel ragazzotto era ciò cheGertrude aveva fino allora visto di più somigliante aquell'ordine di cose tanto contemplato nella sua immaginativaalcontegno di quelle sue creature ideali. A poco a poco si scoprìun non so che di nuovo nelle maniere della giovinetta: unatranquillità e un'inquietudine diversa dalla solitaun faredi chi ha trovato qualche cosa che gli premeche vorrebbe guardareogni momentoe non lasciar vedere agli altri. Le furon tenuti gliocchi addosso più che mai: che è che non èunamattinafu sorpresa da una di quelle camerierementre stavapiegando alla sfuggita una cartasulla quale avrebbe fatto meglio anon iscriver nulla. Dopo un breve tira tirala carta rimase nellemani della camerierae da queste passò in quelle delprincipe.

Ilterrore di Gertrudeal rumor de' passi di luinon si puòdescrivere né immaginare: era quel padreera irritatoe leisi sentiva colpevole. Ma quando lo vide comparirecon quel cipigliocon quella carta in manoavrebbe voluto esser cento braccia sottoterranon che in un chiostro. Le parole non furon moltematerribili: il gastigo intimato subito non fu che d'esser rinchiusa inquella camerasotto la guardia della donna che aveva fatta lascoperta; ma questo non era che un principioche un ripiego delmomento; si promettevasi lasciava vedere per ariaun altro gastigooscuroindeterminatoe quindi più spaventoso.

Ilpaggio fu subito sfrattatocom'era naturale; e fu minacciato anche alui qualcosa di terribilesein qualunque tempoavesse osatofiatar nulla dell'avvenuto. Nel fargli questa intimazioneilprincipe gli appoggiò due solenni schiaffiper associare aquell'avventura un ricordoche togliesse al ragazzaccio ognitentazion di vantarsene. Un pretesto qualunqueper coonestare lalicenza data a un paggionon era difficile a trovarsi; in quantoalla figliasi disse ch'era incomodata.

Rimaseessa dunque col batticuorecon la vergognacol rimorsocol terroredell'avveniree con la sola compagnia di quella donna odiata da leicome il testimonio della sua colpae la cagione della sua disgrazia.Costei odiava poi a vicenda Gertrudeper la quale si trovavaridottasenza saper per quanto tempoalla vita noiosa dicarcerierae divenuta per sempre custode d'un segreto pericoloso.

Ilprimo confuso tumulto di que' sentimenti s'acquietò a poco apoco; ma tornando essi poi a uno per volta nell'animovis'ingrandivanoe si fermavano a tormentarlo più distintamentee a bell'agio. Che poteva mai esser quella punizione minacciata inenimma? Molte e varie e strane se ne affacciavano alla fantasiaardente e inesperta di Gertrude. Quella che pareva piùprobabileera di venir ricondotta al monastero di Monzadiricomparirvinon più come la signorinama in forma dicolpevolee di starvi rinchiusachi sa fino a quando! chi sa conquali trattamenti! Ciò che una tale immaginazionetutta pienadi doloriaveva forse di più doloroso per leieral'apprensione della vergogna. Le frasile parolele virgole di quelfoglio sciaguratopassavano e ripassavano nella sua memoria: leimmaginava osservatepesate da un lettore tanto imprevedutotantodiverso da quello a cui eran destinate; si figurava che avesserpotuto cader sotto gli occhi anche della madre o del fratelloo dichi sa altri: eal paragon di ciòtutto il rimanente lepareva quasi un nulla. L'immagine di colui ch'era stato la primaorigine di tutto lo scandolonon lasciava di venire spesso anch'essaad infestar la povera rinchiusa: e pensate che strana comparsa dovevafar quel fantasmatra quegli altri così diversi da luiserifreddiminacciosi. Maappunto perché non poteva separarlo daessiné tornare un momento a quelle fuggitive compiacenzesenza che subito non le s'affacciassero i dolori presenti che n'eranola conseguenzacominciò a poco a poco a tornarci piùdi radoa rispingerne la rimembranzaa divezzarsene. Né piùa lungoo più volentierisi fermava in quelle liete ebrillanti fantasie d'una volta: eran troppo opposte alle circostanzerealia ogni probabilità dell'avvenire. Il solo castello nelquale Gertrude potesse immaginare un rifugio tranquillo e onorevolee che non fosse in ariaera il monasteroquando si risolvessed'entrarci per sempre. Una tal risoluzione (non poteva dubitarne)avrebbe accomodato ogni cosasaldato ogni debitoe cambiata in unattimo la sua situazione. Contro questo proposito insorgevanoèveroi pensieri di tutta la sua vita: ma i tempi eran mutati; enell'abisso in cui Gertrude era cadutae al paragone di ciòche poteva temere in certi momentila condizione di monacafesteggiataossequiataubbiditale pareva uno zuccherino. Duesentimenti di ben diverso genere contribuivan pure a intervalli ascemare quella sua antica avversione: talvolta il rimorso del falloe una tenerezza fantastica di divozione; talvolta l'orgoglioamareggiato e irritato dalle maniere della carcerierala quale(spessoa dire il veroprovocata da lei) si vendicavaorafacendole paura di quel minacciato gastigoora svergognandola delfallo. Quando poi voleva mostrarsi benignaprendeva un tono diprotezionepiù odioso ancora dell'insulto. In tali diverseoccasioniil desiderio che Gertrude sentiva d'uscir dall'unghie dicoleie di comparirle in uno stato al di sopra della sua collera edella sua pietàquesto desiderio abituale diveniva tanto vivoe pungenteda far parere amabile ogni cosa che potesse condurre adappagarlo.

Incapo a quattro o cinque lunghi giorni di prigioniauna mattinaGertrude stuccata ed invelenita all'eccessoper un di que' dispettidella sua guardianaandò a cacciarsi in un angolo dellacamerae lìcon la faccia nascosta tra le manistettequalche tempo a divorar la sua rabbia. Sentì allora un bisognoprepotente di vedere altri visidi sentire altre paroled'essertrattata diversamente. Pensò al padrealla famiglia: ilpensiero se ne arretrava spaventato. Ma le venne in mente chedipendeva da lei di trovare in loro degli amici; e provò unagioia improvvisa. Dietro questauna confusione e un pentimentostraordinario del suo falloe un ugual desiderio d'espiarlo. Non giàche la sua volontà si fermasse in quel proponimentomagiammai non c'era entrata con tanto ardore. S'alzò di lìandò a un tavolinoriprese quella penna fatalee scrisse alpadre una lettera piena d'entusiasmo e d'abbattimentod'afflizione edi speranzaimplorando il perdonoe mostrandosi indeterminatamentepronta a tutto ciò che potesse piacere a chi dovevaaccordarlo.




Cap.X


Vison de' momenti in cui l'animoparticolarmente de' giovanièdisposto in maniera che ogni poco d'istanza basta a ottenerne ognicosa che abbia un'apparenza di bene e di sacrifizio: come un fioreappena sbocciatos'abbandona mollemente sul suo fragile stelopronto a concedere le sue fragranze alla prim'aria che gli alitipunto d'intorno. Questi momentiche si dovrebbero dagli altriammirare con timido rispettoson quelli appunto che l'astuziainteressata spia attentamentee coglie di voloper legare unavolontà che non si guarda.

Allegger quella letterail principe *** vide subito lo spiraglioaperto alle sue antiche e costanti mire. Mandò a dire aGertrude che venisse da lui; e aspettandolasi dispose a batter ilferromentre era caldo. Gertrude comparveesenza alzar gli occhiin viso al padregli si buttò in ginocchioni davantied ebbeappena fiato di dire: - perdono! - Egli le fece cenno che s'alzasse;macon una voce poco atta a rincorarele rispose che il perdono nonbastava desiderarlo né chiederlo; ch'era cosa troppo agevole etroppo naturale a chiunque sia trovato in colpae tema la punizione;che in somma bisognava meritarlo. Gertrude domandosommessamente etremandoche cosa dovesse fare. Il principe (non ci regge il cuoredi dargli in questo momento il titolo di padre) non risposedirettamentema cominciò a parlare a lungo del fallo diGertrude: e quelle parole frizzavano sull'animo della poverettacomelo scorrere d'una mano ruvida sur una ferita. Continuò dicendochequand'anche... caso mai... che avesse avuto prima qualcheintenzione di collocarla nel secololei stessa ci aveva messo ora unostacolo insuperabile; giacché a un cavalier d'onorecom'eraluinon sarebbe mai bastato l'animo di regalare a un galantuomo unasignorina che aveva dato un tal saggio di sé. La miseraascoltatrice era annichilata: allora il principeraddolcendo a gradoa grado la voce e le paroleproseguì dicendo che peròa ogni fallo c'era rimedio e misericordia; che il suo era di quelliper i quali il rimedio è più chiaramente indicato:ch'essa doveva vederein questo tristo accidentecome un avviso chela vita del secolo era troppo piena di pericoli per lei...

-Ah sì! - esclamò Gertrudescossa dal timorepreparatadalla vergognae mossa in quel punto da una tenerezza istantanea.

-Ah! lo capite anche voi- riprese incontanente il principe. -Ebbenenon si parli più del passato: tutto ècancellato. Avete preso il solo partito onorevoleconvenientechevi rimanesse; ma perché l'avete preso di buona vogliae conbuona manieratocca a me a farvelo riuscir gradito in tutto e pertutto: tocca a me a farne tornare tutto il vantaggio e tutto ilmerito sopra di voi. Ne prendo io la cura -. Così dicendoscosse un campanello che stava sul tavolinoe al servitore cheentròdisse: - la principessa e il principino subito -. Eseguitò poi con Gertrude: - voglio metterli subito a partedella mia consolazione; voglio che tutti comincin subito a trattarvicome si conviene. Avete sperimentato in parte il padre severo; ma daqui innanzi proverete tutto il padre amoroso.

Aqueste paroleGertrude rimaneva come sbalordita. Ora ripensava comemai quel sì che le era scappatoavesse potuto significartantoora cercava se ci fosse maniera di riprenderlodiristringerne il senso; ma la persuasione del principe pareva cosìinterala sua gioia così gelosala benignità cosìcondizionatache Gertrude non osò proferire una parola chepotesse turbarle menomamente.

Dopopochi momentivennero i due chiamatie vedendo lì Gertrudela guardarono in visoincerti e maravigliati. Ma il principecon uncontegno lieto e amorevoleche ne prescriveva loro un somigliante-ecco- disse- la pecora smarrita: e sia questa l'ultima parola cherichiami triste memorie. Ecco la consolazione della famiglia.Gertrude non ha più bisogno di consigli; ciò che noidesideravamo per suo benel'ha voluto lei spontaneamente. Èrisolutam'ha fatto intendere che è risoluta... - A questopassoalzò essa verso il padre uno sguardo tra atterrito esupplichevolecome per chiedergli che sospendessema egli proseguìfrancamente: - che è risoluta di prendere il velo.

-Brava! bene! - esclamaronoa una vocela madre e il figlioe l'unodopo l'altra abbracciaron Gertrude; la quale ricevette questeaccoglienze con lacrimeche furono interpretate per lacrime diconsolazione. Allora il principe si diffuse a spiegar ciò chefarebbe per render lieta e splendida la sorte della figlia. Parlòdelle distinzioni di cui goderebbe nel monastero e nel paese; chelàsarebbe come una principessacome la rappresentante della famiglia;cheappena l'età l'avrebbe permessosarebbe innalzata allaprima dignità; eintantonon sarebbe soggetta che di nome.La principessa e il principino rinnovavanoogni momentolecongratulazioni e gli applausi: Gertrude era come dominata da unsogno.

-Converrà poi fissare il giornoper andare a Monzaa far larichiesta alla badessa- disse il principe. - Come saràcontenta! Vi so dire che tutto il monastero saprà valutarl'onore che Gertrude gli fa. Anzi... perché non ci andiamooggi? Gertrude prenderà volentieri un po' d'aria.

-Andiamo pure- disse la principessa.

-Vo a dar gli ordini- disse il principino.

-Ma... - proferì sommessamente Gertrude.

-Pianopiano- riprese il principe: - lasciam decidere a lei: forseoggi non si sente abbastanza dispostae le piacerebbe piùaspettar fino a domani. Dite: volete che andiamo oggi o domani?

-Domani- risposecon voce fiaccaGertrudealla quale parevaancora di far qualche cosaprendendo un po' di tempo.

-Domani- disse solennemente il principe: - ha stabilito che si vadadomani. Intanto io vo dal vicario delle monachea fissare un giornoper l'esame -. Detto fattoil principe uscìe andòveramente (che non fu piccola degnazione) dal detto vicario; econcertarono che verrebbe di lì a due giorni.

Intutto il resto di quella giornataGertrude non ebbe un minuto dibene. Avrebbe desiderato riposar l'animo da tante commozionilasciarper dir cosìchiarire i suoi pensierirender contoa se stessa di ciò che aveva fattodi ciò che lerimaneva da faresapere ciò che volesserallentare unmomento quella macchina cheappena avviataandava cosìprecipitosamente; ma non ci fu verso. L'occupazioni si succedevanosenza interruziones'incastravano l'una con l'altra. Subito dopopartito il principefu condotta nel gabinetto della principessaperesseresotto la sua direzionepettinata e rivestita dalla suapropria cameriera. Non era ancor terminato di dar l'ultima manochefuron avvertite ch'era in tavola. Gertrude passò in mezzoagl'inchini della servitùche accennava di congratularsi perla guarigionee trovò alcuni parenti più prossimich'erano stati invitati in frettaper farle onoree per rallegrarsicon lei de' due felici avvenimentila ricuperata salutee laspiegata vocazione.

Lasposina (così si chiamavan le giovani monacandee Gertrudeal suo apparirefu da tutti salutata con quel nome)la sposina ebbeda dire e da fare a rispondere a' complimenti che le fioccavan datutte le parti. Sentiva bene che ognuna delle sue risposte era comeun'accettazione e una conferma; ma come rispondere diversamente? Pocodopo alzati da tavolavenne l'ora della trottata. Gertrude entròin carrozza con la madree con due zii ch'erano stati al pranzo.Dopo un solito girosi riuscì alla strada Marinache alloraattraversava lo spazio occupato ora dal giardin pubblicoed era illuogo dove i signori venivano in carrozza a ricrearsi delle fatichedella giornata. Gli zii parlarono anche a Gertrudecome portava laconvenienza in quel giorno: e uno di loroil qual pareva chepiùdell'altroconoscesse ogni personaogni carrozzaogni livreaeaveva ogni momento qualcosa da dire del signor tale e della signoratal altrasi voltò a lei tutt'a un trattoe le disse: - ahfurbetta! voi date un calcio a tutte queste corbellerie; siete unadirittona voi; piantate negl'impicci noi poveri mondanivi ritiratea fare una vita beatae andate in paradiso in carrozza.

Sultardisi tornò a casa; e i servitoriscendendo in fretta conle torceavvertirono che molte visite stavano aspettando. La voceera corsa; e i parenti e gli amici venivano a fare il loro dovere.S'entrò nella sala della conversazione. La sposina ne ful'idoloil trastullola vittima. Ognuno la voleva per sé:chi si faceva prometter dolcichi prometteva visitechi parlavadella madre tale sua parentechi della madre tal altra suaconoscentechi lodava il cielo di Monzachi discorrevacon gransaporedella gran figura ch'essa avrebbe fatta là. Altrichenon avevan potuto ancora avvicinarsi a Gertrude cosìassediatastavano spiando l'occasione di farsi innanzie sentivanoun certo rimorsofin che non avessero fatto il loro dovere. A poco apocola compagnia s'andò dileguando; tutti se n'andaronosenza rimorsoe Gertrude rimase sola co' genitori e il fratello.

-Finalmente- disse il principe- ho avuto la consolazione di vedermia figlia trattata da par sua. Bisogna però confessare cheanche lei s'è portata benonee ha fatto vedere che non saràimpicciata a far la prima figurae a sostenere il decoro dellafamiglia.

Sicenò in frettaper ritirarsi subitoed esser pronti prestola mattina seguente.

Gertrudecontristataindispettita enello stesso tempoun po' gonfiata datutti que' complimentisi rammentò in quel punto ciòche aveva patito dalla sua carceriera; evedendo il padre cosìdisposto a compiacerla in tuttofuor che in una cosavolleapprofittare dell'auge in cui si trovavaper acquietare almeno unadelle passioni che la tormentavano. Mostrò quindi una granripugnanza a trovarsi con coleilagnandosi fortemente delle suemaniere.

-Come! - disse il principe: - v'ha mancato di rispetto colei! Domanidomanile laverò il capo come va. Lasciate fare a meche lefarò conoscere chi è leie chi siete voi. E a ognimodouna figlia della quale io son contentonon deve vedersiintorno una persona che le dispiaccia -. Così dettofecechiamare un'altra donnae le ordinò di servir Gertrude; laquale intantomasticando e assaporando la soddisfazione che avevaricevutasi stupiva di trovarci così poco sugoin paragonedel desiderio che n'aveva avuto. Ciò cheanche suo malgrados'impossessava di tutto il suo animoera il sentimento de' granprogressi che aveva fattiin quella giornatasulla strada delchiostroil pensiero che a ritirarsene ora ci vorrebbe molta piùforza e risolutezza di quella che sarebbe bastata pochi giorni primae che pure non s'era sentita d'avere.

Ladonna che andò ad accompagnarla in cameraera una vecchia dicasastata già governante del principinoche aveva ricevutoappena uscito dalle fascee tirato su fino all'adolescenzae nelquale aveva riposte tutte le sue compiacenzele sue speranzela suagloria. Era essa contenta della decisione fatta in quel giornocomed'una sua propria fortuna; e Gertrudeper ultimo divertimentodovette succiarsi le congratulazionile lodii consigli dellavecchiae sentir parlare di certe sue zie e proziele quali s'erantrovate ben contente d'esser monacheperchéessendo diquella casaavevan sempre goduto i primi onoriavevan sempre saputotenere uno zampino di fuoriedal loro parlatorioavevano ottenutocose che le più gran damenelle loro salenon c'eran potutearrivare. Le parlò delle visite che avrebbe ricevute: ungiorno poiverrebbe il signor principino con la sua sposala qualedoveva esser certamente una gran signorona; e alloranon solo ilmonasteroma tutto il paese sarebbe in moto. La vecchia avevaparlato mentre spogliava Gertrudequando Gertrude era a letto;parlava ancorache Gertrude dormiva. La giovinezza e la fatica eranostate più forti de' pensieri. Il sonno fu affannosotorbidopieno di sogni penosima non fu rotto che dalla voce strillantedella vecchiache venne a svegliarlaperché si preparasseper la gita di Monza.

-Andiamoandiamosignora sposina: è giorno fatto; e prima chesia vestita e pettinataci vorrà un'ora almeno. La signoraprincipessa si sta vestendo; e l'hanno svegliata quattr'ore prima delsolito. Il signor principino è già sceso alle scuderiepoi è tornato sued è all'ordine per partire quando sisia. Vispo come una leprequel diavoletto: ma! è stato cosìfin da bambino; e io posso dirloche l'ho portato in collo. Maquand'è prontonon bisogna farlo aspettareperchésebbene sia della miglior pasta del mondoallora s'impazientisce estrepita. Poveretto! bisogna compatirlo: è il suo naturale; epoi questa volta avrebbe anche un po' di ragioneperchés'incomoda per lei. Guai chi lo tocca in que' momenti! non hariguardo per nessunofuorché per il signor principe. Mafinalmente non ha sopra di sé che il signor principee ungiornoil signor principe sarà lui; più tardi che siapossibileperò. Lestalestasignorina! Perché miguarda così incantata? A quest'ora dovrebbe esser fuor dellacuccia.

All'immaginedel principino impazientetutti gli altri pensieri che s'eranoaffollati alla mente risvegliata di Gertrudesi levaron subitocomeuno stormo di passere all'apparir del nibbio. Ubbidìsi vestìin frettasi lasciò pettinaree comparve nella saladove igenitori e il fratello eran radunati. Fu fatta sedere sur una sedia abracciolie le fu portata una chicchera di cioccolata: il cheaque' tempiera quel che già presso i Romani il dare la vestevirile.

Quandovennero a avvertir ch'era attaccatoil principe tirò lafiglia in dispartee le disse: - orsùGertrudeieri visiete fatta onore: oggi dovete superar voi medesima. Si tratta difare una comparsa solenne nel monastero e nel paese dove sietedestinata a far la prima figura. V'aspettano... - È inutiledire che il principe aveva spedito un avviso alla badessail giornoavanti. - V'aspettanoe tutti gli occhi saranno sopra di voi.Dignità e disinvoltura. La badessa vi domanderà cosavolete: è una formalità. Potete rispondere che chiedeted'essere ammessa a vestir l'abito in quel monasterodove siete stataeducata così amorevolmentedove avete ricevute tante finezze:che è la pura verità. Dite quelle poche parolecon unfare sciolto: che non s'avesse a dire che v'hanno imboccatae chenon sapete parlare da voi. Quelle buone madri non sanno nulladell'accaduto: è un segreto che deve restar sepolto nellafamiglia; e perciò non fate una faccia contrita e dubbiosache potesse dar qualche sospetto. Fate vedere di che sangue uscite:manierosamodesta; ma ricordatevi chein quel luogofuor dellafamiglianon ci sarà nessuno sopra di voi.

Senzaaspettar rispostail principe si mosse; Gertrudela principessa eil principino lo seguirono; scesero tutti le scalee montarono incarrozza. Gl'impicci e le noie del mondoe la vita beata delchiostroprincipalmente per le giovani di sangue nobilissimofuronoil tema della conversazionedurante il tragitto. Sul finir dellastradail principe rinnovò l'istruzioni alla figliae leripeté più volte la formola della risposta. All'entrarein MonzaGertrude si sentì stringere il cuore; ma la suaattenzione fu attirata per un istante da non so quali signori chefatta fermar la carrozzarecitarono non so qual complimento. Ripresoil camminos'andò quasi di passo al monasterotra glisguardi de' curiosiche accorrevano da tutte le parti sulla strada.Al fermarsi della carrozzadavanti a quelle muradavanti a quellaportail cuore si strinse ancor più a Gertrude. Si smontòtra due ale di popoloche i servitori facevano stare indietro. Tuttiquegli occhi addosso alla poveretta l'obbligavano a studiarcontinuamente il suo contegno: ma più di tutti quelli insiemela tenevano in suggezione i due del padrea' quali essaquantunquene avesse così gran pauranon poteva lasciar di rivolgere isuoiogni momento. E quegli occhi governavano le sue mosse e il suovoltocome per mezzo di redini invisibili. Attraversato il primocortiles'entrò in un altroe lì si vide la porta delchiostro internospalancata e tutta occupata da monache. Nella primafilala badessa circondata da anziane; dietroaltre monache allarinfusaalcune in punta di piedi; in ultimo le converse ritte soprapanchetti. Si vedevan pure qua e là luccicare a mezz'ariaalcuni occhiettispuntar qualche visino tra le tonache: eran le piùdestree le più coraggiose tra l'educandecheficcandosi epenetrando tra monaca e monacaeran riuscite a farsi un po' dipertugioper vedere anch'esse qualche cosa. Da quella calca uscivanoacclamazioni; si vedevan molte braccia dimenarsiin segnod'accoglienza e di gioia. Giunsero alla porta; Gertrude si trovòa viso a viso con la madre badessa. Dopo i primi complimentiquestacon una maniera tra il giulivo e il solennele domandò cosadesiderasse in quel luogodove non c'era chi le potesse negar nulla.

-Son qui...- cominciò Gertrude; maal punto di proferir leparole che dovevano decider quasi irrevocabilmente del suo destinoesitò un momentoe rimase con gli occhi fissi sulla folla chele stava davanti. Videin quel momentouna di quelle sue notecompagneche la guardava con un'aria di compassione e di maliziainsiemee pareva che dicesse: ah! la c'è cascata la brava.Quella vistarisvegliando più vivi nell'animo suo tutti gliantichi sentimentile restituì anche un po' di quel pocoantico coraggio: e già stava cercando una risposta qualunquediversa da quella che le era stata dettata; quandoalzato lo sguardoalla faccia del padrequasi per esperimentar le sue forzescorse suquella un'inquietudine così cupaun'impazienza cosìminaccevolecherisoluta per pauracon la stessa prontezza cheavrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribileproseguì:- son qui a chiedere d'esser ammessa a vestir l'abito religiosoinquesto monasterodove sono stata allevata così amorevolmente-. La badessa rispose subitoche le dispiaceva moltoin una taleoccasioneche le regole non le permettessero di dare immediatamenteuna rispostala quale doveva venire dai voti comuni delle suoreealla quale doveva precedere la licenza de' superiori. Che peròGertrudeconoscendo i sentimenti che s'avevan per lei in quel luogopoteva preveder con certezza qual sarebbe questa risposta; e cheintanto nessuna regola proibiva alla badessa e alle suore dimanifestare la consolazione che sentivano di quella richiesta. S'alzòallora un frastono confuso di congratulazioni e d'acclamazioni.Vennero subito gran guantiere colme di dolciche furon presentatiprima alla sposinae dopo ai parenti. Mentre alcune monache facevanoa rubarselae altre complimentavan la madrealtre il principinolabadessa fece pregare il principe che volesse venire alla grata delparlatoriodove l'attendeva. Era accompagnata da due anziane; equando lo vide comparire- signor principe- disse: - per ubbidirealle regole... per adempire una formalità indispensabilesebbene in questo caso... pure devo dirle... cheogni volta che unafiglia chiede d'essere ammessa a vestir l'abito... la superioraquale io sono indegnamente... è obbligata d'avvertire igenitori... che seper caso... forzassero la volontà dellafigliaincorrerebbero nella scomunica. Mi scuserà...

-Benissimobenissimoreverenda madre. Lodo la sua esattezza: ètroppo giusto... Ma lei non può dubitare... - Oh! pensisignor principe... ho parlato per obbligo preciso... del resto...

-Certocertomadre badessa.

Barattatequeste poche parolei due interlocutori s'inchinaronovicendevolmentee si separaronocome se a tutt'e due pesasse dirimaner lì testa testa; e andarono a riunirsi ciascuno allasua compagnial'uno fuoril'altra dentro la soglia claustrale. Datoluogo a un po' d'altre ciarle- Oh via- disse il principe: -Gertrude potrà presto godersi a suo bell'agio la compagnia diqueste madri. Per ora le abbiamo incomodate abbastanza -. Cosìdettofece un inchino; la famiglia si mosse con lui; si rinnovaronoi complimentie si partì.

Gertrudenel tornarenon aveva troppa voglia di discorrere. Spaventata delpasso che aveva fattovergognosa della sua dappocaggineindispettita contro gli altri e contro sé stessafacevatristamente il conto dell'occasioniche le rimanevano ancora di dirdi no; e prometteva debolmente e confusamente a sé stessa chein questao in quellao in quell'altrasarebbe più destra epiù forte. Con tutti questi pensierinon le era peròcessato affatto il terrore di quel cipiglio del padre; talchéquandocon un'occhiata datagli alla sfuggitapoté chiarirsiche sul volto di lui non c'era più alcun vestigio di colleraquando anzi vide che si mostrava soddisfattissimo di leile parveuna bella cosae fuper un istantetutta contenta.

Appenaarrivatibisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il desinarepoi alcune visitepoi la trottatapoi la conversazionepoi lacena. Sulla fine di questail principe mise in campo un altroaffarela scelta della madrina. Così si chiamava una damalaqualepregata da' genitoridiventava custode e scorta della giovanemonacandanel tempo tra la richiesta e l'entratura nel monastero;tempo che veniva speso in visitar le chiesei palazzi pubblicileconversazionile villei santuari: tutte le cose in somma piùnotabili della città e de' contorni; affinché legiovaniprima di proferire un voto irrevocabilevedessero bene acosa davano un calcio. - Bisognerà pensare a una madrina-disse il principe: - perché domani verrà il vicariodelle monacheper la formalità dell'esamee subito dopoGertrude verrà proposta in capitoloper esser accettata dallemadri -. Nel dir questos'era voltato verso la principessa; equestacredendo che fosse un invito a proporrecominciava: - cisarebbe... - Ma il principe interruppe: - Nonosignoraprincipessa: la madrina deve prima di tutto piacere alla sposina; ebenché l'uso universale dia la scelta ai parentipureGertrude ha tanto giudiziotanta assennatezzache merita bene chesi faccia un'eccezione per lei -. E quivoltandosi a Gertrudeinatto di chi annunzia una grazia singolarecontinuò: - ognunadelle dame che si son trovate questa sera alla conversazioneha quelche si richiede per esser madrina d'una figlia della nostra casa; nonce n'è nessunacredereiche non sia per tenersi onoratadella preferenza: scegliete voi.

Gertrudevedeva bene che far questa scelta era dare un nuovo consenso; ma laproposta veniva fatta con tanto apparatoche il rifiutoper quantofosse umilepoteva parer disprezzoo almeno capriccio eleziosaggine. Fece dunque anche quel passo; e nominò la damachein quella serale era andata più a genio; quella cioèche le aveva fatto più carezzeche l'aveva più lodatache l'aveva trattata con quelle maniere famigliariaffettuose epremurosechene' primi momenti d'una conoscenzacontraffanno unaantica amicizia. - Ottima scelta- disse il principeche desideravae aspettava appunto quella. Fosse arte o casoera avvenuto comequando il giocator di bussolotti facendovi scorrere davanti agliocchi le carte d'un mazzovi dice che ne pensiate unae lui poi vela indovinerà; ma le ha fatte scorrere in maniera che nevediate una sola. Quella dama era stata tanto intorno a Gertrudetutta la seral'aveva tanto occupata di séche a questasarebbe bisognato uno sforzo di fantasia per pensarne un'altra. Tantepremure poi non eran senza motivo: la dama avevada molto tempomesso gli occhi addosso al principinoper farlo suo genero: quindiriguardava le cose di quella casa come sue proprie; ed era bennaturale che s'interessasse per quella cara Gertrudeniente meno de'suoi parenti più prossimi.

Ilgiorno dopoGertrude si svegliò col pensiero dell'esaminatoreche doveva venire; e mentre stava ruminando se potesse coglierequella occasione così decisivaper tornare indietroe inqual manierail principe la fece chiamare. - Orsùfigliuola- le disse: - finora vi siete portata egregiamente: oggi si tratta dicoronar l'opera. Tutto quel che s'è fatto finoras'èfatto di vostro consenso. Se in questo tempo vi fosse nato qualchedubbioqualche pentimentucciogrilli di gioventùavrestedovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono ora le cosenon èpiù tempo di far ragazzate. Quell'uomo dabbene che deve venirestamattinavi farà cento domande sulla vostra vocazione: e sevi fate monaca di vostra volontàe il perché e il percomee che so io? Se voi titubate nel risponderevi terràsulla corda chi sa quanto. Sarebbe un'uggiaun tormento per voi; mane potrebbe anche venire un altro guaio più serio. Dopo tuttele dimostrazioni pubbliche che si son fatteogni più piccolaesitazione che si vedesse in voimetterebbe a repentaglio il mioonorepotrebbe far credere ch'io avessi presa una vostra leggerezzaper una ferma risoluzioneche avessi precipitato la cosacheavessi... che so io? In questo casomi troverei nella necessitàdi scegliere tra due partiti dolorosi: o lasciar che il mondo formiun tristo concetto della mia condotta: partito che non puòstare assolutamente con ciò che devo a me stesso. O svelare ilvero motivo della vostra risoluzione e... - Ma quivedendo cheGertrude era diventata scarlattache le si gonfiavan gli occhie ilviso si contraevacome le foglie d'un fiorenell'afa che precede laburrascatroncò quel discorsoecon aria serenariprese: -viaviatutto dipende da voidal vostro buon giudizio. So chen'avete moltoe non siete ragazza da guastar sulla fine una cosafatta bene; ma io doveva preveder tutti i casi. Non se ne parli più;e restiam d'accordo che voi risponderete con franchezzain manieradi non far nascer dubbi nella testa di quell'uomo dabbene. Cosìanche voi ne sarete fuori più presto -. E quidopo aversuggerita qualche risposta all'interrogazioni più probabilientrò nel solito discorso delle dolcezze e de' godimentich'eran preparati a Gertrude nel monastero; e la trattenne in quellofin che venne un servitore ad annunziare il vicario. Il principerinnovò in fretta gli avvertimenti più importantielasciò la figlia sola con luicom'era prescritto.

L'uomodabbene veniva con un po' d'opinione già fatta che Gertrudeavesse una gran vocazione al chiostro: perché così gliaveva detto il principequando era stato a invitarlo. È veroche il buon preteil quale sapeva che la diffidenza era una dellevirtù più necessarie nel suo ufizioaveva per massimad'andar adagio nel credere a simili protestee di stare in guardiacontro le preoccupazioni; ma ben di rado avviene che le paroleaffermative e sicure d'una persona autorevolein qualsivogliagenerenon tingano del loro colore la mente di chi le ascolta.

Dopoi primi complimenti- signorina- le disse- io vengo a far laparte del diavolo; vengo a mettere in dubbio ciò chenellasua supplica lei ha dato per certo; vengo a metterle davanti agliocchi le difficoltàe ad accertarmi se le ha ben considerate.Si contenti ch'io le faccia qualche interrogazione.

-Dica pure- rispose Gertrude.

Ilbuon prete cominciò allora a interrogarlanella formaprescritta dalle regole. - Sente lei in cuor suo una liberaspontanea risoluzione di farsi monaca? Non sono state adoperateminacceo lusinghe? Non s'è fatto uso di nessuna autoritàper indurla a questo? Parli senza riguardie con sinceritàaun uomo il cui dovere è di conoscere la sua vera volontàper impedire che non le venga usata violenza in nessun modo.

Lavera risposta a una tale domanda s'affacciò subito alla mentedi Gertrudecon un'evidenza terribile. Per dare quella rispostabisognava venire a una spiegazionedire di che era stata minacciataraccontare una storia... L'infelice rifuggì spaventata daquesta idea; cercò in fretta un'altra risposta; ne trovòuna sola che potesse liberarla presto e sicuramente da quelsuppliziola più contraria al vero. - Mi fo monaca- dissenascondendo il suo turbamento- mi fo monacadi mio genioliberamente.

-Da quanto tempo le è nato codesto pensiero? - domandòancora il buon prete.

-L'ho sempre avuto- rispose Gertrudedivenutadopo quel primopassopiù franca a mentire contro se stessa.

-Ma quale è il motivo principale che la induce a farsi monaca?

Ilbuon prete non sapeva che terribile tasto toccasse; e Gertrude sifece una gran forza per non lasciar trasparire sul viso l'effetto chequelle parole le producevano nell'animo. - Il motivo- disse- èdi servire a Dioe di fuggire i pericoli del mondo.

-Non sarebbe mai qualche disgusto? qualche... mi scusi... capriccio?Alle volteuna cagione momentanea può fare un'impressione chepar che deva durar sempre; e quando poi la cagione cessae l'animosi mutaallora...

-Nono- rispose precipitosamente Gertrude: - la cagione èquella che le ho detto.

Ilvicariopiù per adempire interamente il suo obbligoche perla persuasione che ce ne fosse bisognoinsistette con le domande; maGertrude era determinata d'ingannarlo. Oltre il ribrezzo che lecagionava il pensiero di render consapevole della sua debolezza quelgrave e dabben preteche pareva così lontano dal sospettartal cosa di lei; la poveretta pensava poi anche ch'egli poteva beneimpedire che si facesse monaca; ma lì finiva la sua autoritàsopra di leie la sua protezione. Partito che fosseessa rimarrebbesola col principe. E qualunque cosa avesse poi a patire in quellacasail buon prete non n'avrebbe saputo nullao sapendolocontutta la sua buona intenzionenon avrebbe potuto far altro che avercompassione di leiquella compassione tranquilla e misuratacheingenerales'accordacome per cortesiaa chi abbia dato cagione opretesto al male che gli fanno. L'esaminatore fu prima stancod'interrogareche la sventurata di mentire: esentendo quellerisposte sempre conformie non avendo alcun motivo di dubitare dellaloro schiettezzamutò finalmente linguaggio; si rallegròcon leile chiesein certo modoscusa d'aver tardato tanto a farquesto suo dovere; aggiunse ciò che credeva più atto aconfermarla nel buon proposito; e si licenziò.

Attraversandole sale per uscires'abbatté nel principeil quale parevache passasse di là a caso; e con lui pure si congratulòdelle buone disposizioni in cui aveva trovata la sua figliuola. Ilprincipe era stato fino allora in una sospensione molto penosa: aquella notiziarespiròe dimenticando la sua gravitàconsuetaandò quasi di corsa da Gertrudela ricolmòdi lodidi carezze e di promessecon un giubilo cordialecon unatenerezza in gran parte sincera: così fatto è questoguazzabuglio del cuore umano.

Noinon seguiremo Gertrude in quel giro continuato di spettacoli e didivertimenti. E neppure descriveremoin particolare e per ordineisentimenti dell'animo suo in tutto quel tempo: sarebbe una storia didolori e di fluttuazionitroppo monotonae troppo somigliante allecose già dette. L'amenità de' luoghila varietàdegli oggettiquello svago che pur trovava nello scorrere in qua ein là all'aria apertale rendevan più odiosa l'ideadel luogo dove alla fine si smonterebbe per l'ultima voltapersempre. Più pungenti ancora eran l'impressioni che ricevevanelle conversazioni e nelle feste. La vista delle spose alle quali sidava questo titolo nel senso più ovvio e più usitatole cagionava un'invidiaun rodimento intollerabile; e talvoltal'aspetto di qualche altro personaggio le faceva parere chenelsentirsi dare quel titolodovesse trovarsi il colmo d'ogni felicità.Talvolta la pompa de' palazzilo splendore degli addobbiilbrulichìo e il fracasso giulivo delle festele comunicavanoun'ebbrezzaun ardor tale di viver lietoche prometteva a se stessadi disdirsidi soffrir tuttopiuttosto che tornare all'ombra freddae morta del chiostro. Ma tutte quelle risoluzioni sfumavano allaconsiderazione più riposata delle difficoltàal solofissar gli occhi in viso al principe. Talvolta ancheil pensiero didover abbandonare per sempre que' godimentigliene rendeva arnaro epenoso quel piccol saggio; come l'infermo assetato guarda con rabbiae quasi rispinge con dispetto il cucchiaio d'acqua che il medico gliconcede a fatica. Intanto il vicario delle monache ebbe rilasciatal'attestazione necessariae venne la licenza di tenere il capitoloper l'accettazione di Gertrude. Il capitolo si tenne; concorserocom'era da aspettarsii due terzi de' voti segreti ch'eran richiestida' regolamenti; e Gertrude fu accettata. Lei medesimastanca diquel lungo straziochiese allora d'entrar più presto chefosse possibilenel monastero. Non c'era sicuramente chi volessefrenare una tale impazienza. Fu dunque fatta la sua volontà;econdotta pomposamente al monasterovestì l'abito. Dopododici mesi di noviziatopieni di pentimenti e di ripentimentisitrovò al momento della professioneal momento cioè incui convenivao dire un no più stranopiùinaspettatopiù scandaloso che maio ripetere un sìtante volte detto; lo ripetée fu monaca per sempre.

Èuna delle facoltà singolari e incomunicabili della religionecristianail poter indirizzare e consolare chiunquein qualsivogliacongiunturaa qualsivoglia terminericorra ad essa. Se al passatoc'è rimedioessa lo prescrivelo somministradà lumee vigore per metterlo in operaa qualunque costo; se non c'èessa dà il modo di far realmente e in effettociò chesi dice in proverbiodi necessita virtù. Insegna a continuarecon sapienza ciò ch'è stato intrapreso per leggerezza;piega l'animo ad abbracciar con propensione ciò che èstato imposto dalla prepotenzae dà a una scelta che futemerariama che è irrevocabiletutta la santitàtutta la saviezzadiciamolo pur francamentetutte le gioie dellavocazione. È una strada così fatta cheda qualunquelaberintoda qualunque precipiziol'uomo capiti ad essae vifaccia un passopuò d'allora in poi camminare con sicurezza edi buona vogliae arrivar lietamente a un lieto fine. Con questomezzoGertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contentacomunque lo fosse divenuta. Ma l'infelice si dibatteva in vece sottoil giogoe così ne sentiva più forte il peso e lescosse. Un rammarico incessante della libertà perdutal'abborrimento dello stato presenteun vagar faticoso dietro adesidèri che non sarebbero mai soddisfattitali erano leprincipali occupazioni dell'animo suo. Rimasticava quell'amaropassatoricomponeva nella memoria tutte le circostanze per le qualisi trovava lì; e disfaceva mille volte inutilmente colpensiero ciò che aveva fatto con l'opera; accusava sédi dappocagginealtri di tirannia e di perfidia; e si rodeva.Idolatrava insieme e piangeva la sua bellezzadeplorava una gioventùdestinata a struggersi in un lento martirioe invidiavain certimomentiqualunque donnain qualunque condizionecon qualunquecoscienzapotesse liberamente godersi nel mondo que' doni.

Lavista di quelle monache che avevan tenuto di mano a tirarla làdentrole era odiosa. Si ricordava l'arti e i raggiri che avevanmessi in operae le pagava con tante sgarbatezzecon tantidispettie anche con aperti rinfacciamenti. A quelle conveniva lepiù volte mandar giù e tacere: perché ilprincipe aveva ben voluto tiranneggiar la figlia quanto eranecessario per ispingerla al chiostro; ma ottenuto l'intentononavrebbe così facilmente sofferto che altri pretendesse d'averragione contro il suo sangue: e ogni po' di rumore che avesser fattopoteva esser cagione di far loro perdere quella gran protezioneocambiar per avventura il protettore in nemico. Pare che Gertrudeavrebbe dovuto sentire una certa propensione per l'altre suorechenon avevano avuto parte in quegl'intrighie chesenza averladesiderata per compagnal'amavano come tale; e pieoccupate eilarile mostravano col loro esempio come anche là dentro sipotesse non solo viverema starci bene. Ma queste pure le eranoodioseper un altro verso. La loro aria di pietà e dicontentezza le riusciva come un rimprovero della sua inquietudineedella sua condotta bisbetica; e non lasciava sfuggire occasione dideriderle dietro le spallecome pinzochereo di morderle comeipocrite. Forse sarebbe stata meno avversa ad essese avesse saputoo indovinato che le poche palle neretrovate nel bossolo che decisedella sua accettazionec'erano appunto state messe da quelle.

Qualcheconsolazione le pareva talvolta di trovar nel comandarenell'essercorteggiata in monasteronel ricever visite di complimento dapersone di fuorinello spuntar qualche impegnonello spendere lasua protezionenel sentirsi chiamar la signora; ma qualiconsolazioni! Il cuoretrovandosene così poco appagatoavrebbe voluto di quando in quando aggiungervie goder con esse leconsolazioni della religione; ma queste non vengono se non a chitrascura quell'altre: come il naufragose vuole afferrar la tavolache può condurlo in salvo sulla rivadeve pure allargare ilpugnoe abbandonar l'algheche aveva preseper una rabbiad'istinto.

Pocodopo la professioneGertrude era stata fatta maestra dell'educande;ora pensate come dovevano stare quelle giovinettesotto una taldisciplina. Le sue antiche confidenti eran tutte uscite; ma leiserbava vive tutte le passioni di quel tempo; ein un modo o in unaltrol'allieve dovevan portarne il peso. Quando le veniva in menteche molte di loro eran destinate a vivere in quel mondo dal qualeessa era esclusa per sempreprovava contro quelle poverine un astioun desiderio quasi di vendetta; e le teneva sottole bistrattavafaceva loro scontare anticipatamente i piaceri che avrebber goduti ungiorno. Chi avesse sentitoin que' momenticon che sdegnomagistrale le gridavaper ogni piccola scappatellal'avrebbecreduta una donna d'una spiritualità salvatica e indiscreta.In altri momentilo stesso orrore per il chiostroper la regolaper l'ubbidienzascoppiava in accessi d'umore tutto opposto. Alloranon solo sopportava la svagatezza clamorosa delle sue allievemal'eccitava; si mischiava ne' loro giochie li rendeva piùsregolati; entrava a parte de' loro discorsie li spingeva piùin là dell'intenzioni con le quali esse gli avevanoincominciati. Se qualcheduna diceva una parola sul cicalìodella madre badessala maestra lo imitava lungamentee ne facevauna scena di commedia; contraffaceva il volto d'una monacal'andatura d'un'altra: rideva allora sgangheratamente; ma eran risache non la lasciavano più allegra di prima. Così eravissuta alcuni anninon avendo comodoné occasione di far dipiù; quando la sua disgrazia volle che un'occasione sipresentasse.

Tral'altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessipercompensarla di non poter esser badessac'era anche quello di starein un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a unacasa abitata da un giovinescellerato di professioneuno de' tantichein que' tempie co' loro sgherrie con l'alleanze d'altriscelleratipotevanofino a un certo segnoridersi della forzapubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidiosenzaparlar del casato. Costuida una sua finestrina che dominava uncortiletto di quel quartiereavendo veduta Gertrude qualche voltapassare o girandolar lìper ozioallettato anzi cheatterrito dai pericoli e dall'empietà dell'impresaun giornoosò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.

Inque' primi momentiprovò una contentezzanon schietta alcertoma viva. Nel vòto uggioso dell'animo suo s'era venuta ainfondere un'occupazione fortecontinua edirei quasiuna vitapotente; ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativache la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannatoper dargli forza a sostenere i tormenti. Si videronello stessotempodi gran novità in tutta la sua condotta: divennetutt'a un trattopiù regolarepiù tranquillasmessegli scherni e il brontolìosi mostrò anzi carezzevolee manierosadimodoché le suore si rallegravano a vicenda delcambiamento felice; lontane com'erano dall'immaginarne il veromotivoe dal comprendere che quella nuova virtù non era altroche ipocrisia aggiunta all'antiche magagne. Quell'apparenza peròquellaper dir cosìimbiancatura esteriorenon durògran tempoalmeno con quella continuità e uguaglianza: benpresto tornarono in campo i soliti dispetti e i soliti capriccitornarono a farsi sentire l'imprecazioni e gli scherni contro laprigione claustralee talvolta espressi in un linguaggio insolito inquel luogoe anche in quella bocca. Peròad ognuna di questescappate veniva dietro un pentimentouna gran cura di farledimenticarea forza di moine e buone parole. Le suore sopportavanoalla meglio tutti questi alt'e bassie gli attribuivano all'indolebisbetica e leggiera della signora.

Perqualche temponon parve che nessuna pensasse più in là;ma un giorno che la signoravenuta a parole con una conversapernon so che pettegolezzosi lasciò andare a maltrattarla fuordi modoe non la finiva piùla conversadopo aver soffertoed essersi morse le labbra un pezzoscappatale finalmente lapazienzabuttò là una parolache lei sapeva qualchecosaechea tempo e luogoavrebbe parlato. Da quel momento inpoila signora non ebbe più pace. Non passò peròmolto tempoche la conversa fu aspettata in vanouna mattinaa'suoi ufizi consueti: si va a veder nella sua cellae non si trova: èchiamata ad alta voce; non risponde: cerca di quacerca di làgira e rigiradalla cima al fondo; non c'è in nessun luogo. Echi sa quali congetture si sarebber fatteseappunto nel cercarenon si fosse scoperto una buca nel muro dell'orto; la qual cosa fecepensare a tutteche fosse sfrattata di là. Si fecero granricerche in Monza e ne' contornie principalmente a Medadi dov'eraquella conversa; si scrisse in varie parti: non se n'ebbe mai la piùpiccola notizia. Forse se ne sarebbe potuto saper di piùsein vece di cercar lontanosi fosse scavato vicino. Dopo moltemaraviglieperché nessuno l'avrebbe creduta capace di ciòe dopo molti discorsisi concluse che doveva essere andata lontanolontano. E perché scappò detto a una suora: - s'èrifugiata in Olanda di sicuro- si disse subitoe si ritenne per unpezzonel monastero e fuoriche si fosse rifugiata in Olanda. Nonpare però che la signora fosse di questo parere. Non giàche mostrasse di non credereo combattesse l'opinion comunecon sueragioni particolari: se ne avevacertoragioni non furono mai cosìben dissimulate; né c'era cosa da cui s'astenesse piùvolentieri che da rimestar quella storiacosa di cui si curasse menoche di toccare il fondo di quel mistero. Ma quanto meno ne parlavatanto più ci pensava. Quante volte al giorno l'immagine diquella donna veniva a cacciarsi d'improvviso nella sua mentee sipiantava lìe non voleva moversi! Quante volte avrebbedesiderato di vedersela dinanzi viva e realepiuttosto che averlasempre fissa nel pensieropiuttosto che dover trovarsigiorno enottein compagnia di quella forma vanaterribileimpassibile!Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di coleiqualunque cosa avesse potuto minacciarepiuttosto che aver semprenell'intimo dell'orecchio mentale il susurro fantastico di quellastessa vocee sentirne parole ripetute con una pertinaciaconun'insistenza infaticabileche nessuna persona vivente non ebbe mai!

Erascorso circa un anno dopo quel fattoquando Lucia fu presentata allasignoraed ebbe con lei quel colloquio al quale siam rimasti colracconto. La signora moltiplicava le domande intorno allapersecuzione di don Rodrigoe entrava in certi particolaricon unaintrepidezzache riuscì e doveva riuscire più chenuova a Luciala quale non aveva mai pensato che la curiositàdelle monache potesse esercitarsi intorno a simili argomenti. Igiudizi poi che quella frammischiava all'interrogazionio chelasciava trasparirenon eran meno strani. Pareva quasi che ridessedel gran ribrezzo che Lucia aveva sempre avuto di quel signoreedomandava se era un mostroda far tanta paura: pareva quasi cheavrebbe trovato irragionevole e sciocca la ritrosia della giovinesenon avesse avuto per ragione la preferenza data a Renzo. E su questopure s'avanzava a domandeche facevano stupire e arrossirel'interrogata. Avvedendosi poi d'aver troppo lasciata correr lalingua dietro agli svagamenti del cervellocercò dicorreggere e d'interpretare in meglio quelle sue ciarle; ma non potéfare che a Lucia non ne rimanesse uno stupore dispiacevolee come unconfuso spavento. E appena poté trovarsi sola con la madresen'aprì con lei; ma Agnesecome più espertasciolsecon poche paroletutti que' dubbie spiegò tutto il mistero.- Non te ne far maraviglia- disse: - quando avrai conosciuto ilmondo quanto mevedrai che non son cose da farsene maraviglia. Isignorichi piùchi menochi per un versochi per unaltrohan tutti un po' del matto. Convien lasciarli direprincipalmente quando s'ha bisogno di loro; far vista d'ascoltarlisul seriocome se dicessero delle cose giuste. Hai sentito come m'hadato sulla vocecome se avessi detto qualche gran sproposito? Io nonme ne son fatta caso punto. Son tutti così. E con tutto ciòsia ringraziato il cieloche pare che questa signora t'abbia preso aben voleree voglia proteggerci davvero. Del restose camperaifigliuola miae se t'accaderà ancora d'aver che fare con de'signorine sentiraine sentiraine sentirai.

Ildesiderio d'obbligare il padre guardianola compiacenza diproteggereil pensiero del buon concetto che poteva fruttare laprotezione impiegata così santamenteuna certa inclinazioneper Luciae anche un certo sollievo nel far del bene a una creaturainnocentenel soccorrere e consolare oppressiavevan realmentedisposta la signora a prendersi a petto la sorte delle due poverefuggitive. A sua richiestae a suo riguardofurono alloggiate nelquartiere della fattoressa attiguo al chiostroe trattate come sefossero addette al servizio del monastero. La madre e la figlia sirallegravano insieme d'aver trovato così presto un asilosicuro e onorato. Avrebber anche avuto molto piacere di rimanerviignorate da ogni persona; ma la cosa non era facile in un monastero:tanto più che c'era un uomo troppo premuroso d'aver notizied'una di loroe nell'animo del qualealla passione e alla picca diprima s'era aggiunta anche la stizza d'essere stato prevenuto edeluso. E noilasciando le donne nel loro ricoverotorneremo alpalazzotto di costuinell'ora in cui stava attendendo l'esito dellasua scellerata spedizione.




Cap.XI


Comeun branco di segugidopo aver inseguita invano una lepretornanomortificati verso il padroneco' musi bassie con le codeciondolonicosìin quella scompigliata nottetornavano ibravi al palazzotto di don Rodrigo. Egli camminava innanzi eindietroal buioper una stanzaccia disabitata dell'ultimo pianoche rispondeva sulla spianata. Ogni tanto si fermavatendeval'orecchioguardava dalle fessure dell'imposte intarlatepienod'impazienza e non privo d'inquietudinenon solo per l'incertezzadella riuscitama anche per le conseguenze possibili; perchéera la più grossa e la più arrischiata a cui ilbrav'uomo avesse ancor messo mano. S'andava però rassicurandocol pensiero delle precauzioni prese per distrugger gl'indizise noni sospetti. " In quanto ai sospetti "pensava" mene rido. Vorrei un po' sapere chi sarà quel voglioso che vengaquassù a veder se c'è o non c'è una ragazza.Vengavenga quel tangheroche sarà ben ricevuto. Venga ilfratevenga. La vecchia? Vada a Bergamo la vecchia. La giustizia?Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzonéun matto. E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi glidarebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sullaterra; non hanno né anche un padrone: gente di nessuno. Viavianiente paura. Come rimarrà Attiliodomattina! Vedràvedrà s'io fo ciarle o fatti. E poi... se mai nascesse qualcheimbroglio... che so io? qualche nemico che volesse coglierequest'occasione... anche Attilio saprà consigliarmi: c'èimpegnato l'onore di tutto il parentado ". Ma il pensiero sulquale si fermava di piùperché in esso trovava insiemeun acquietamento de' dubbie un pascolo alla passion principaleerail pensiero delle lusinghedelle promesse che adoprerebbe perabbonire Lucia. " Avrà tanta paura di trovarsi qui solain mezzo a costoroa queste facceche... il viso più umanoqui son ioper bacco... che dovrà ricorrere a metoccheràa lei a pregare; e se prega ".

Mentrefa questi bei contisente un calpestìova alla finestraapre un pocofa capolino; son loro. " E la bussola? Diavolo!dov'è la bussola? Trecinqueotto: ci son tutti; c'èanche il Griso; la bussola non c'è: diavolo! diavolo! il Grisome ne renderà conto ".

Entratiche furonoil Griso posò in un angolo d'una stanza terrena ilsuo bordoneposò il cappellaccio e il sanrocchinoecomerichiedeva la sua caricache in quel momento nessuno gl'invidiavasalì a render quel conto a don Rodrigo. Questo l'aspettava incima alla scala; e vistolo apparire con quella goffa e sguaiatapresenza del birbone deluso- ebbene- gli disseo gli gridò:- signore spacconesignor capitanosignor lascifareame?

-L'è dura- rispose il Grisorestando con un piede sul primoscalino- l'è dura di ricever de' rimproveridopo averlavorato fedelmentee cercato di fare il proprio dovereearrischiata anche la pelle.

-Com'è andata? Sentiremosentiremo- disse don Rodrigoes'avviò verso la sua cameradove il Griso lo seguìefece subito la relazione di ciò che aveva dispostofattoveduto e non vedutosentitotemutoriparato; e la fece conquell'ordine e con quella confusionecon quella dubbiezza e conquello sbalordimentoche dovevano per forza regnare insieme nellesue idee.

-Tu non hai tortoe ti sei portato bene- disse don Rodrigo: - haifatto quello che si poteva; ma... mache sotto questo tetto ci fosseuna spia! Se c'èse lo arrivo a scopriree lo scopriremo sec'ète l'accomodo io; ti so dir ioGrisoche lo concio peril dì delle feste.

-Anche a mesignore- disse il Griso- è passato per lamente un tal sospetto: e se fosse verose si venisse a scoprire unbirbone di questa sorteil signor padrone lo deve metter nelle miemani. Uno che si fosse preso il divertimento di farmi passare unanotte come questa! toccherebbe a me a pagarlo. Peròda variecose m'è parso di poter rilevare che ci dev'essere qualchealtro intrigoche per ora non si può capire. Domanisignoredomani se ne verrà in chiaro.

-Non siete stati riconosciuti almeno?

IlGriso rispose che sperava di no; e la conclusione del discorso fu chedon Rodrigo gli ordinòper il giorno dopotre cose che coluiavrebbe sapute ben pensare anche da sé. Spedire la mattinapresto due uomini a fare al console quella tale intimazioneche fupoi fattacome abbiam veduto; due altri al casolare a far la rondaper tenerne lontano ogni ozioso che vi capitassee sottrarre a ognisguardo la bussola fino alla notte prossimain cui si manderebbe aprenderla; giacché per allora non conveniva fare altrimovimenti da dar sospetto; andar poi luie mandare anche altride'più disinvolti e di buona testaa mescolarsi con la genteper scovar qualcosa intorno all'imbroglio di quella notte. Dati taliordinidon Rodrigo se n'andò a dormiree ci lasciòandare anche il Grisocongedandolo con molte lodidalle qualitraspariva evidentemente l'intenzione di risarcirlo degl'improperiprecipitati coi quali lo aveva accolto.

Vaa dormirepovero Grisoche tu ne devi aver bisogno. Povero Griso!In faccende tutto il giornoin faccende mezza la nottesenzacontare il pericolo di cader sotto l'unghie de' villanio dibuscarti una taglia per rapto di donna honestaper giunta diquelle che hai già addosso; e poi esser ricevuto in quellamaniera! Ma! così pagano spesso gli uomini. Tu hai peròpotuto vederein questa circostanzache qualche volta la giustiziase non arriva alla primaarrivao presto o tardi anche in questomondo. Va a dormire per ora: che un giorno avrai forse asomministrarcene un'altra provae più notabile di questa.

Lamattina seguenteil Griso era fuori di nuovo in faccendequando donRodrigo s'alzò. Questo cercò subito del conte Attilioil qualevedendolo spuntarefece un viso e un atto canzonatorioegli gridò: - san Martino!

-Non so cosa vi dire- rispose don Rodrigoarrivandogli accanto: -pagherò la scommessa; ma non è questo quel che piùmi scotta. Non v'avevo detto nullaperchelo confessopensavo difarvi rimanere stamattina. Ma... bastaora vi racconteròtutto.

-Ci ha messo uno zampino quel frate in quest'affare- disse ilcuginodopo aver sentito tuttocon più serietà chenon si sarebbe aspettato da un cervello così balzano. - Quelfrate- continuò- con quel suo fare di gatta mortae conquelle sue proposizioni scioccheio l'ho per un dirittonee per unimpiccione. E voi non vi siete fidato di menon m'avete mai dettochiaro cosa sia venuto qui a impastocchiarvi l'altro giorno -. DonRodrigo riferì il dialogo. - E voi avete avuto tantasofferenza? - esclamò il conte Attilio: - e l'avete lasciatoandare com'era venuto?

-Che volevate ch'io mi tirassi addosso tutti i cappuccini d'Italia?

-Non so- disse il conte Attilio- sein quel momentomi sareiricordato che ci fossero al mondo altri cappuccini che quel temerariobirbante; ma viaanche nelle regole della prudenzamanca la manieradi prendersi soddisfazione anche d'un cappuccino? Bisogna saperraddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpoe allora si puòimpunemente dare un carico di bastonate a un membro. Basta; hascansato la punizione che gli stava più bene; ma lo prendo iosotto la mia protezionee voglio aver la consolazione d'insegnarglicome si parla co' pari nostri.

-Non mi fate peggio.

-Fidatevi una voltache vi servirò da parente e da amico.

-Cosa pensate di fare?

-Non lo so ancora; ma lo servirò io di sicuro il frate. Cipenseròe... il signor conte zio del Consiglio segreto èlui che mi deve fare il servizio. Caro signor conte zio! Quanto midiverto ogni volta che lo posso far lavorare per meun politicone diquel calibro! Doman l'altro sarò a Milanoein una maniera oin un'altrail frate sarà servito.

Venneintanto la colazionela quale non interruppe il discorso d'un affaredi quell'importanza. Il conte Attilio ne parlava con disinvoltura; esebbene ci prendesse quella parte che richiedeva la sua amicizia peril cuginoe l'onore del nome comunesecondo le idee che avevad'amicizia e d'onorepure ogni tanto non poteva tenersi di non ridersotto i baffidi quella bella riuscita. Ma don Rodrigoch'era incausa propriae checredendo di far quietamente un gran colpogliera andato fallito con fracassoera agitato da passioni piùgravie distratto da pensieri più fastidiosi. - Di belleciarle- diceva- faranno questi mascalzoniin tutto il contorno.Ma che m'importa? In quanto alla giustiziame ne rido: prove non cen'è; quando ce ne fosseme ne riderei ugualmente: a buoncontoho fatto stamattina avvertire il console che guardi bene dinon far deposizione dell'avvenuto. Non ne seguirebbe nulla; ma leciarlequando vanno in lungomi seccano. È anche troppoch'io sia stato burlato così barbaramente.

-Avete fatto benissimo- rispondeva il conte Attilio. - Codestovostro podestà... gran caparbiogran testa votagranseccatore d'un podestà... è poi un galantuomoun uomoche sa il suo dovere; e appunto quando s'ha che fare con personetalibisogna aver più riguardo di non metterle in impicci. Seun mascalzone di console fa una deposizioneil podestàperquanto sia ben intenzionatobisogna pure che...

-Ma voi- interruppecon un po' di stizzadon Rodrigo- voiguastate le mie faccendecon quel vostro contraddirgli in tuttoedargli sulla vocee canzonarlo ancheall'occorrenza. Che diavoloche un podestà non possa esser bestia e ostinatoquando nelrimanente è un galantuomo!

-Sapetecugino- disse guardandolomaravigliatoil conte Attilio- sapeteche comincio a credere che abbiate un po' di paura? Miprendete sul serio anche il podestà...

-Via vianon avete detto voi stesso che bisogna tenerlo di conto?

-L'ho detto: e quando si tratta d'un affare seriovi faròvedere che non sono un ragazzo. Sapete cosa mi basta l'animo di farper voi? Son uomo da andare in persona a far visita al signorpodestà. Ah! sarà contento dell'onore? E son uomo dalasciarlo parlare per mezz'ora del conte ducae del nostro signorcastellano spagnoloe da dargli ragione in tuttoanche quando nedirà di quelle così massicce. Butterò poi làqualche parolina sul conte zio del Consiglio segreto: e sapete cheefletto fanno quelle paroline nell'orecchio del signor podestà.Alla fin de' contiha più bisogno lui della nostraprotezioneche voi della sua condiscendenza. Farò di buonoeci anderòe ve lo lascerò meglio disposto che mai.

Dopoqueste e altre simili paroleil conte Attilio uscìperandare a caccia; e don Rodrigo stette aspettando con ansietàil ritorno del Griso. Venne costui finalmentesull'ora del desinarea far la sua relazione.

Loscompiglio di quella notte era stato tanto clamorosola sparizionedi tre persone da un paesello era un tal avvenimentoche lericerchee per premura e per curiositàdovevano naturalmenteesser molte e calde e insistenti; e dall'altra partegl'informati diqualche cosa eran troppiper andar tutti d'accordo a tacer tutto.Perpetua non poteva farsi veder sull'uscioche non fosse tempestatada quello e da quell'altroperché dicesse chi era stato a farquella gran paura al suo padrone: e Perpetuaripensando a tutte lecircostanze del fattoe raccapezzandosi finalmente ch'era statainfinocchiata da Agnesesentiva tanta rabbia di quella perfidiacheaveva proprio bisogno d'un po' di sfogo. Non già che andasselamentandosi col terzo e col quarto della maniera tenuta perinfinocchiar lei: su questo non fiatava; ma il tiro fatto al suopovero padrone non lo poteva passare affatto sotto silenzio; e sopratuttoche un tiro tale fosse stato concertato e tentato da quelgiovine dabbeneda quella buona vedovada quella madonninainfilzata. Don Abbondio poteva ben comandarle risolutamenteepregarla cordialmente che stesse zitta; lei poteva bene ripetergliche non faceva bisogno di suggerirle una cosa tanto chiara e tantonaturale; certo è che un così gran segreto stava nelcuore della povera donnacomein una botte vecchia e mal cerchiataun vino molto giovineche grilla e gorgoglia e ribolleese nonmanda il tappo per ariagli geme all'intornoe vien fuori inischiumae trapela tra doga e dogae gocciola di qua e di làtanto che uno può assaggiarloe dire a un di presso che vinoè. Gervasoa cui non pareva vero d'essere una volta piùinformato degli altria cui non pareva piccola gloria l'avere avutauna gran pauraa cuiper aver tenuto dl mano a una cosa che puzzavadi criminalepareva d'esser diventato un uomo come gli altricrepava di voglia di vantarsene. E quantunque Tonioche pensavaseriamente all'inquisizioni e ai processi possibili e al conto darenderegli comandasseco' pugni sul visodi non dir nulla anessunopure non ci fu verso di soffogargli in bocca ogni parola.Del resto Tonioanche luidopo essere stato quella notte fuor dicasa in ora insolitatornandovicon un passo e con un sembianteinsolitoe con un'agitazion d'animo che lo disponeva alla sinceritànon poté dissimulare il fatto a sua moglie; la quale non eramuta. Chi parlò menofu Menico; perchéappena ebberaccontata ai genitori la storia e il motivo della sua spedizioneparve a questi una cosa così terribile che un loro figliuoloavesse avuto parte a buttare all'aria un'impresa di don Rodrigochequasi quasi non lasciaron finire al ragazzo il suo racconto. Glifecero poi subito i più forti e minacciosi comandi cheguardasse bene di non far neppure un cenno di nulla: e la mattinaseguentenon parendo loro d'essersi abbastanza assicuratirisolvettero di tenerlo chiuso in casaper quel giornoe perqualche altro ancora. Ma che? essi medesimi poichiacchierando conla gente del paesee senza voler mostrar di saperne più diloroquando si veniva a quel punto oscuro della fuga de' nostri trepoverettie del comee del perchée del doveaggiungevanocome cosa conosciutache s'eran rifugiati a Pescarenico. Cosìanche questa circostanza entrò ne' discorsi comuni.

Contutti questi brani di notiziemessi poi insieme e cuciti come s'usae con la frangia che ci s'attacca naturalmente nel cucirec'era dafare una storia d'una certezza e d'una chiarezza taleda essernepago ogni intelletto più critico. Ma quella invasion de'braviaccidente troppo grave e troppo rumoroso per esser lasciatofuorie del quale nessuno aveva una conoscenza un po' positivaquell'accidente era ciò che imbrogliava tutta la storia. Simormorava il nome di don Rodrigo: in questo andavan tutti d'accordo;nel resto tutto era oscurità e congetture diverse. Si parlavamolto de' due bravacci ch'erano stati veduti nella stradasul fardella serae dell'altro che stava sull'uscio dell'osteria; ma chelume si poteva ricavare da questo fatto così asciutto? Sidomandava bene all'oste chi era stato da lui la sera avanti; mal'ostea dargli rettanon sl rammentava neppure se avesse vedutogente quella sera; e badava a dire che l'osteria è un porto dimare. Sopra tuttoconfondeva le testee disordinava le congetturequel pellegrino veduto da Stefano e da Carlandreaquel pellegrinoche i malandrini volevano ammazzaree che se n'era andato con loroo che essi avevan portato via. Cos'era venuto a fare? Era un'animadel purgatoriocomparsa per aiutar le donne; era un'anima dannatad'un pellegrino birbante e impostoreche veniva sempre di notte aunirsi con chi facesse di quelle che lui aveva fatte vivendo; era unpellegrino vivo e veroche coloro avevan voluto ammazzareper timorche gridassee destasse il paese; era (vedete un po' cosa si va apensare!) uno di quegli stessi malandrini travestito da pellegrino;era questoera quelloera tante cose che tutta la sagacità el'esperienza del Griso non sarebbe bastata a scoprire chi fosseseil Griso avesse dovuto rilevar questa parte della storia da' discorsialtrui. Macome il lettore saciò che la rendeva imbrogliataagli altriera appunto il più chiaro per lui: servendosene dichiave per interpretare le altre notizie raccolte da luiimmediatamenteo col mezzo degli esploratori subordinatipotédi tutto comporne per don Rodrigo una relazione bastantementedistinta. Si chiuse subito con luie l'informò del colpotentato dai poveri sposiil che spiegava naturalmente la casatrovata vota e il sonare a martellosenza che facesse bisogno disupporre che in casa ci fosse qualche traditorecome dicevano que'due galantuomini. L'informò della fuga; e anche a questa erafacile trovarci le sue ragioni: il timore degli sposi colti in falloo qualche avviso dell'invasionedato loro quand'era scopertae ilpaese tutto a soqquadro. Disse finalmente che s'eran ricoverati aPescarenico; più in là non andava la sua scienza.Piacque a don Rodrigo l'esser certo che nessuno l'aveva traditoe ilvedere che non rimanevano tracce del suo fatto; ma fu quella unarapida e leggiera compiacenza. - Fuggiti insieme! - gridò: -insieme! E quel frate birbante! Quel frate! - la parola gli uscivaarrantolata dalla golae smozzicata tra' dentiche mordevano ildito: il suo aspetto era brutto come le sue passioni. - Quel frate mela pagherà. Griso! non son chi sono... voglio saperevogliotrovare... questa seravoglio saper dove sono. Non ho pace. APescarenicosubitoa saperea vederea trovare... Quattro scudisubitoe la mia protezione per sempre. Questa sera lo voglio sapere.E quel birbone...! quel frate...!

IlGriso di nuovo in campo; ela sera di quel giorno medesimopotériportare al suo degno padrone la notizia desiderata: ed ecco in qualmaniera.

Unadelle più gran consolazioni di questa vita èl'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia èquell'avere a cui confidare un segreto. Oragli amici non sono a duea duecome gli sposi; ognunogeneralmente parlandone ha piùd'uno: il che forma una catenadi cui nessuno potrebbe trovar lafine. Quando dunque un amico si procura quella consolazione dideporre un segreto nel seno d'un altrodà a costui la vogliadi procurarsi la stessa consolazione anche lui. Lo pregaèverodi non dir nulla a nessuno; e una tal condizionechi laprendesse nel senso rigoroso delle paroletroncherebbeimmediatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale havoluto che obblighi soltanto a non confidare il segretose non a chisia un amico ugualmente fidatoe imponendogli la stessa condizione.Cosìd'amico fidato in amico fidatoil segreto gira e giraper quell'immensa catenatanto che arriva all'orecchio di colui o dicoloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di nonlasciarlo arrivar mai. Avrebbe però ordinariamente a stare ungran pezzo in camminose ognuno non avesse che due amici: quello chegli dicee quello a cui ridice la cosa da tacersi. Ma ci son degliuomini privilegiati che li contano a centinaia; e quando il segreto èvenuto a uno di questi uominii giri divengon sì rapidi e sìmoltipliciche non è più possibile di seguirne latraccia. Il nostro autore non ha potuto accertarsi per quante bocchefosse passato il segreto che il Griso aveva ordine di scovare: ilfatto sta che il buon uomo da cui erano state scortate le donne aMonzatornandoverso le ventitrecol suo baroccioa Pescarenicos'abbattéprima d'arrivare a casain un amico fidatoalquale raccontòin gran confidenzal'opera buona che avevafattae il rimanente; e il fatto sta che il Griso potédueore dopocorrere al palazzottoa riferire a don Rodrigo che Lucia esua madre s'eran ricoverate in un convento di Monzae che Renzoaveva seguitata la sua strada fino a Milano.

DonRodrigo provò una scellerata allegrezza di quella separazionee sentì rinascere un po' di quella scellerata speranzad'arrivare al suo intento. Pensò alla manieragran partedella notte; e s'alzò prestocon due disegnil'unostabilitol'altro abbozzato. Il primo era di spedire immantinente ilGriso a Monzaper aver più chiare notizie di Luciae saperese ci fosse da tentar qualche cosa. Fece dunque chiamar subito quelsuo fedelegli mise in mano i quattro scudilo lodò di nuovodell'abilità con cui gli aveva guadagnatie gli diedel'ordine che aveva premeditato.

-Signore... - dissetentennandoil Griso.

-Che? non ho io parlato chiaro?

-Se potesse mandar qualchedun altro...

-Come?

-Signore illustrissimoio son pronto a metterci la pelle per il miopadrone: è il mio dovere; ma so anche che lei non vuolearrischiar troppo la vita de' suoi sudditi.

-Ebbene?

-Vossignoria illustrissima sa bene quelle poche taglie ch'io hoaddosso: e... Qui son sotto la sua protezione; siamo una brigata; ilsignor podestà è amico di casa; i birri mi portanrispetto; e anch'io... è cosa che fa poco onorema per viverquieto... li tratto da amici. In Milano la livrea di vossignoria èconosciuta; ma in Monza... ci sono conosciuto io in vece. E savossignoria chenon fo per direchi mi potesse consegnare allagiustiziao presentar la mia testafarebbe un bel colpo? Centoscudi l'uno sull'altroe la facoltà di liberar due banditi.

-Che diavolo! - disse don Rodrigo: - tu mi riesci ora un can dapagliaio che ha cuore appena d'avventarsi alle gambe di chi passasulla portaguardandosi indietro se quei di casa lo spalleggianoenon si sente d'allontanarsi!

-Credosignor padroned'aver date prove...

-Dunque!

-Dunque- ripigliò francamente il Grisomesso così alpunto- dunque vossignoria faccia conto ch'io non abbia parlato:cuor di leonegamba di lepree son pronto a partire.

-E io non ho detto che tu vada solo. Piglia con te un paio de'meglio... lo Sfregiatoe il Tiradritto; e va di buon animoe sii ilGriso. Che diavolo! Tre figure come le vostree che vanno per ifatti lorochi vuoi che non sia contento di lasciarle passare?Bisognerebbe che a' birri di Monza fosse ben venuta a noia la vitaper metterla su contro cento scudi a un gioco così rischioso.E poie poinon credo d'esser così sconosciuto da quellepartiche la qualità di mio servitore non ci si conti pernulla.

Svergognatocosì un poco il Grisogli diede poi più ampie eparticolari istruzioni. Il Griso prese i due compagnie partìcon faccia allegra e baldanzosama bestemmiando in cuor suo Monza ele taglie e le donne e i capricci de' padroni; e camminava come illupoche spinto dalla famecol ventre raggrinzatoe con le costoleche gli si potrebber contarescende da' suoi montidove non c'èche neves'avanza sospettosamente nel pianosi ferma ogni tantocon una zampa sospesadimenando la coda spelacchiata


Levail musoadorando il vento infido


semai gli porti odore d'uomo o di ferrorizza gli orecchi acutiegira due occhi sanguignida cui traluce insieme l'ardore della predae il terrore della caccia. Del rimanentequel bel versochi volessesaper donde vengaè tratto da una diavoleria inedita dicrociate e di lombardiche presto non sarà piùineditae farà un bel rumore; e io l'ho presoperche miveniva in taglio; e dico doveper non farmi bello della roba altrui:che qualcheduno non pensasse che sia una mia astuzia per far sapereche l'autore di quella diavoleria ed io siamo come fratellie ch'iofrugo a piacer mio ne' suoi manoscritti.

L'altracosa che premeva a don Rodrigoera di trovar la maniera che Renzonon potesse più tornar con Luciané metter piede inpaese; e a questo finemacchinava di fare sparger voci di minacce ed'insidiechevenendogli all'orecchioper mezzo di qualche amicogli facessero passar la voglia di tornar da quelle parti. Pensavaperò che la più sicura sarebbe se si potesse farlosfrattar dallo stato: e per riuscire in questovedeva che piùdella forza gli avrebbe potuto servir la giustizia. Si potevaperesempiodare un po' di colore al tentativo fatto nella casaparrocchialedipingerlo come un'aggressioneun atto sediziosoeper mezzo del dottorefare intendere al podestà ch'era ilcaso di spedir contro Renzo una buona cattura. Ma pensò chenon conveniva a lui di rimestar quella brutta faccenda; e senza staraltro a lambiccarsi il cervellosi risolvette d'aprirsi col dottorAzzecca-garbugliquanto era necessario per fargli comprendere il suodesiderio. " Le gride son tante! " pensava: " e ildottore non è un'oca: qualcosa che faccia al caso mio sapràtrovarequalche garbuglio da azzeccare a quel villanaccio:altrimenti gli muto nome ". Ma (come vanno alle volte le cose diquesto mondo!) intanto che colui pensava al dottorecome all'uomopiù abile a servirlo in questoun altr'uomol'uomo chenessuno s'immaginerebbeRenzo medesimoper dirlalavorava di cuorea servirloin un modo più certo e più spedito di tuttiquelli che il dottore avrebbe mai saputi trovare.

Hovisto più volte un caro fanciullovispoper dire il veropiù del bisognoma chea tutti i segnalimostra di volerriuscire un galantuomo; l'ho vistodicopiù volteaffaccendato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge diporcellini d'Indiache aveva lasciati scorrer liberi il giornoinun giardinetto. Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al covile;ma era fatica buttata: uno si sbandava a destrae mentre il piccolopastore correva per cacciarlo nel brancoun altroduetre neuscivano a sinistrada ogni parte. Dimodochédopo essersi unpo' impazientitos'adattava al loro geniospingeva prima dentroquelli ch'eran più vicini all'usciopoi andava a prender glialtria unoa duea trecome gli riusciva. Un gioco simile ciconvien fare co' nostri personaggi: ricoverata Luciasiam corsi adon Rodrigo; e ora lo dobbiamo abbandonareper andar dietro a Renzoche avevam perduto di vista.

Dopola separazione dolorosa che abbiam raccontatacamminava Renzo daMonza verso Milanoin quello stato d'animo che ognuno puòimmaginarsi facilmente. Abbandonar la casatralasciare il -mestieree quel ch'era più di tuttoallontanarsi da Luciatrovarsi sur una stradasenza saper dove anderebbe a posarsi; etutto per causa di quel birbone! Quando si tratteneva col pensierosull'una o sull'altra di queste coses'ingolfava tutto nella rabbiae nel desiderio della vendetta; ma gli tornava poi in mente quellapreghiera che aveva recitata anche lui col suo buon fratenellachiesa di Pescarenico; e si ravvedeva: gli si risvegliava ancora lastizza; ma vedendo un'immagine sul murosi levava il cappelloe sifermava un momento a pregar di nuovo: tanto chein quel viaggioebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigoe risuscitatoloalmeno ventivolte. La strada era allora tutta sepolta tra due alte rivefangosasassosasolcata da rotaie profondechedopo una pioggiadivenivanrigagnoli; e in certe parti più basses'allagava tuttachesi sarebbe potuto andarci in barca. A que' passiun piccol sentieroertoa scalinisulla rivaindicava che altri passeggieri s'eranfatta una strada ne' campi. Renzosalito per un di que' valichi sulterreno più elevatovide quella gran macchina del duomo solasul pianocome senon di mezzo a una cittàma sorgesse inun deserto; e si fermò su due piedidimenticando tutti i suoiguaia contemplare anche da lontano quell'ottava maravigliadi cuiaveva tanto sentito parlare fin da bambino. Ma dopo qualche momentovoltandosi indietrovide all'orizzonte quella cresta frastagliata dimontagnevide distinto e alto tra quelle il suo Resegonesi sentìtutto rimescolare il sanguestette lì alquanto a guardartristamente da quella partepoi tristamente si voltòeseguitò la sua strada. A poco a poco cominciò poi ascoprir campanili e torri e cupole e tetti; scese allora nellastradacamminò ancora qualche tempoe quando s'accorsed'esser ben vicino alla cittàs'accostò a unviandanteeinchinatolocon tutto quel garbo che seppegli disse:- di graziaquel signore. - Che voletebravo giovine?

-Saprebbe insegnarmi la strada più cortaper andare alconvento de' cappuccini dove sta il padre Bonaventura?

L'uomoa cui Renzo s'indirizzavaera un agiato abitante del contornocheandato quella mattina a Milanoper certi suoi affarise ne tornavasenza aver fatto nullain gran frettaché non vedeva l'oradi trovarsi a casae avrebbe fatto volentieri di meno di quellafermata. Con tutto ciòsenza dar segno d'impazienzarisposemolto gentilmente: - figliuol carode' conventi ce n'è piùd'uno: bisognerebbe che mi sapeste dir più chiaro quale èquello che voi cercate -. Renzo allora si levò di seno lalettera del padre Cristoforoe la fece vedere a quel signoreilqualelettovi: porta orientalegliela rendette dicendo: - sietefortunatobravo giovine; il convento che cercate è pocolontano di qui. Prendete per questa viottola a mancina: è unascorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d'unafabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto; costeggiate ilfossato che lo circondae riuscirete a porta orientale. Entrateedopo tre o quattrocento passivedrete una piazzetta con de' begliolmi: là è il convento: non potete sbagliare. Diov'assistabravo giovine -. Eaccompagnando l'ultime parole con ungesto grazioso della manose n'andò. Renzo rimase stupefattoe edificato della buona maniera de' cittadini verso la gente dicampagna; e non sapeva ch'era un giorno fuor dell'ordinarioungiorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti. Fece la strada chegli era stata insegnatae si trovò a porta orientale. Nonbisogna però chea questo nomeil lettore si lasci correrealla fantasia l'immagini che ora vi sono associate. Quando Renzoentrò per quella portala strada al di fuori non andavadiritta che per tutta la lunghezza del lazzeretto; poi scorrevaserpeggiante e strettatra due siepi. La porta consisteva in duepilastricon sopra una tettoiaper riparare i battentie da unaparteuna casuccia per i gabellini. I bastioni scendevano in pendìoirregolaree il terreno era una superficie aspra e inuguale dirottami e di cocci buttati là a caso. La strada che s'aprivadinanzi a chi entrava per quella portanon si paragonerebbe male aquella che ora si presenta a chi entri da porta Tosa. Un fossatellole scorreva nel mezzofino a poca distanza dalla portae ladivideva così in due stradette tortuosericoperte di polvereo di fangosecondo la stagione. Al punto dov'erae dov'ètuttora quella viuzza chiamata di Borghettoil fossatello si perdevain una fogna. Lì c'era una colonnacon sopra una crocedettadi san Dionigi: a destra e a sinistraerano orti cinti di siepe ead intervallicasucceabitate per lo più da lavandai. Renzoentrapassa; nessuno de' gabellini gli bada: cosa che gli parvestranagiacchéda que' pochi del suo paese che potevanvantarsi d'essere stati a Milanoaveva sentito raccontar cose grossede' frugamenti e dell'interrogazioni a cui venivan sottoposti quelliche arrivavan dalla campagna. La strada era desertadimodochése non avesse sentito un ronzìo lontano che indicava un granmovimentogli sarebbe parso d'entrare in una cittàdisabitata. Andando avantisenza saper cosa si pensarevide perterra certe strisce bianche e sofficicome di neve; ma neve nonpoteva essere; che non viene a striscenéper il solitoinquella stagione. Si chinò sur una di quelleguardòtoccòe trovò ch'era farina. " Grand'abbondanza"disse tra sé" ci dev'essere in Milanosestraziano in questa maniera la grazia di Dio. Ci davan poi adintendere che la carestia è per tutto. Ecco come fannopertener quieta la povera gente di campagna ". Madopo pochi altripassiarrivato a fianco della colonnavideappiè di quellaqualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedestallocerte cose sparseche certamente non eran ciottolie se fosserostate sul banco d'un fornaionon si sarebbe esitato un momento achiamarli pani. Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoiocchi; perchédiamine! non era luogo da pani quello. "Vediamo un po' che affare è questo "disse ancora trasé; andò verso la colonnasi chinòne raccolseuno: era veramente un pan tondobianchissimodi quelli che Renzonon era solito mangiarne che nelle solennità. - È panedavvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: - cosìlo seminano in questo paese? in quest'anno? e non si scomodanoneppure per raccoglierloquando cade? Che sia il paese di cuccagnaquesto? - Dopo dieci miglia di stradaall'aria fresca della mattinaquel paneinsieme con la maravigliagli risvegliòl'appetito. " Lo piglio? " deliberava tra sé: "poh! l'hanno lasciato qui alla discrezion de' cani; tant'è chene goda anche un cristiano. Alla finese comparisce il padroneglielo pagherò ". Così pensandosi mise in unatasca quello che aveva in manone prese un secondoe lo misenell'altra; un terzoe cominciò a mangiare; e si rincamminòpiù incerto che maie desideroso di chiarirsi che storiafosse quella. Appena mossovide spuntar gente che venivadall'interno della cittàe guardò attentamente quelliche apparivano i primi. Erano un uomouna donna equalche passoindietroun ragazzotto; tutt'e tre con un carico addossoche parevasuperiore alle loro forzee tutt'e tre in una figura strana. Ivestiti o gli stracci infarinati; infarinati i visie di piùstravolti e accesi; e andavanonon solo curviper il pesoma sopradogliacome se gli fossero state peste l'ossa. L'uomo reggeva astento sulle spalle un gran sacco di farinail qualebucato qua elàne seminava un pocoa ogni intoppoa ogni mossadisequilibrata. Ma più sconcia era la figura della donna: unpancione smisuratoche pareva tenuto a fatica da due bracciapiegate: come una pentolaccia a due manichi; e di sotto a quelpancione uscivan due gambenude fin sopra il ginocchioche venivanoinnanzi barcollando. Renzo guardò più attentamenteevide che quel gran corpo era la sottana che la donna teneva per illembocon dentro farina quanta ce ne poteva staree un po' di più;dimodochéquasi a ogni passone volava via una ventata. Ilragazzotto teneva con tutt'e due le mani sul capo una paniera colmadi pani; maper aver le gambe più corte de' suoi genitoririmaneva a poco a poco indietroeallungando poi il passo ognitantoper raggiungerlila paniera perdeva l'equilibrioe qualchepane cadeva.

-Buttane via ancor un altrobuono a niente che sei- disse la madredigrignando i denti verso il ragazzo.

-Io non li butto via; cascan da sé: com'ho a fare? - risposequello.

-Ih! buon per teche ho le mani impicciate- riprese la donnadimenando i pugnicome se desse una buona scossa al povero ragazzo;econ quel movimentofece volar via più farinadi quel checi sarebbe voluto per farne i due pani lasciati cadere allora dalragazzo. - Viavia- disse l'uomo: - torneremo indietro araccoglierlio qualcheduno li raccoglierà. Si stenta da tantotempo: ora che viene un po' d'abbondanzagodiamola in santa pace.

Intanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di questiaccostatosialla donnale domandò: - dove si va a prendere il pane?

-Più avanti- rispose quella; e quando furon lontani diecipassisoggiunse borbottando: - questi contadini birboni verranno aspazzar tutti i forni e tutti i magazzinie non resterà piùniente per noi.

-Un po' per unotormento che sei- disse il marito: - abbondanzaabbondanza.

Daqueste e da altrettali cose che vedeva e sentivaRenzo cominciòa raccapezzarsi ch'era arrivato in una città sollevatae chequello era un giorno di conquistavale a dire che ognuno pigliavaaproporzione della voglia e della forzadando busse in pagamento. Perquanto noi desideriamo di far fare buona figura al nostro poveromontanarola sincerità storica ci obbliga a dire che il suoprimo sentimento fu di piacere. Aveva così poco da lodarsidell'andamento ordinario delle coseche si trovava inclinato adapprovare ciò che lo mutasse in qualunque maniera. E delrestonon essendo punto un uomo superiore al suo secolovivevaanche lui in quell'opinione o in quella passione comuneche lascarsezza del pane fosse cagionata dagl'incettatori e da' fornai; edera disposto a trovar giusto ogni modo di strappar loro dalle manil'alimento che essisecondo quell'opinionenegavano crudelmentealla fame di tutto un popolo. Puresi propose di star fuori deltumultoe si rallegrò d'esser diretto a un cappuccinochegli troverebbe ricoveroe gli farebbe da padre. Cosìpensandoe guardando intanto i nuovi conquistatori che venivanocarichi di predafece quella po' di strada che gli rimaneva perarrivare al convento.

Doveora sorge quel bel palazzocon quell'alto loggiatoc'era alloraec'era ancora non son molt'anniuna piazzettae in fondo a quella lachiesa e il convento de' cappuccinicon quattro grand'olmi davanti.Noi ci rallegriamonon senza invidiacon que' nostri lettori chenon han visto le cose in quello stato: ciò vuol dire che sonmolto giovanie non hanno avuto tempo di far molte corbellerie.Renzo andò diritto alla portasi ripose in seno il mezzo paneche gli rimanevalevò fuori e tenne preparata in mano laletterae tirò il campanello. S'aprì uno sportellinoche aveva una gratae vi comparve la faccia del frate portinaio adomandar chi era.

-Uno di campagnache porta al padre Bonaventura una lettera pressantedel padre Cristoforo.

-Date qui- disse il portinaiomettendo una mano alla grata.

-Nono- disse Renzo: - gliela devo consegnare in proprie mani.

-Non è in convento.

-Mi lasci entrareche l'aspetterò.

-Fate a mio modo- rispose il frate: - andate a aspettare in chiesache intanto potrete fare un po' di bene. In conventoper adessonons'entra -. E detto questorichiuse lo sportello. Renzo rimase lìcon la sua lettera in mano. Fece dieci passi verso la porta dellachiesaper seguire il consiglio del portinaio; ma poi pensòdi dar prima un'altra occhiata al tumulto. Attraversò lapiazzettasi portò sull'orlo della stradae si fermòcon le braccia incrociate sul pettoa guardare a sinistraversol'interno della cittàdove il brulichìo era piùfolto e più rumoroso. Il vortice attrasse lo spettatore. "Andiamo a vedere "disse tra sé; tirò fuori ilsuo mezzo panee sbocconcellandosi mosse verso quella parte.Intanto che s'incamminanoi racconteremopiù brevemente chesia possibilele cagioni e il principio di quello sconvolgimento.




Cap.XII


Eraquello il second'anno di raccolta scarsa. Nell'antecedenteleprovvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplitofino a uncerto segnoal difetto; e la popolazione era giuntanon satolla néaffamatamacertoaffatto sprovvedutaalla messe del 1628nelquale siamo con la nostra storia. Oraquesta messe tanto desideratariuscì ancor più misera della precedentein parte permaggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nelmilanesema in un buon tratto di paese circonvicino); in parte percolpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo della guerradiquella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopraera talechenella parte dello stato più vicina ad essamolti poderipiù dell'ordinario rimanevano incolti e abbandonati da'contadinii qualiin vece di procacciar col lavoro pane per sée per gli altrieran costretti d'andare ad accattarlo per carità.Ho detto: più dell'ordinario; perché le insopportabiligravezzeimposte con una cupidigia e con un'insensatezza del paristerminatela condotta abitualeanche in piena pacedelle truppealloggiate ne' paesicondotta che i dolorosi documenti di que' tempiuguagliano a quella d'un nemico invasorealtre cagioni che non èqui il luogo di mentovareandavano già da qualche tempooperando lentamente quel tristo effetto in tutto il milanese: lecircostanze particolari di cui ora parliamoerano come una repentinaesacerbazione d'un mal cronico. E quella qualunque raccolta non eraancor finita di riporreche le provvisioni per l'esercitoe losciupinìo che sempre le accompagnaci fecero dentro un talvòtoche la penuria si fece subito sentiree con la penuriaquel suo dolorosoma salutevole come inevitabile effettoilrincaro.

Maquando questo arriva a un certo segnonasce sempre (o almeno èsempre nata finora; e se ancoradopo tanti scritti di valentuominipensate in quel tempo!)nasce un'opinione ne' moltiche non ne siacagione la scarsezza. Si dimentica d'averla temutapredetta; sisuppone tutt'a un tratto che ci sia grano abbastanzae che il malevenga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni chenon stanno né in cieloné in terra; ma che lusingano aun tempo la collera e la speranza. Gl'incettatori di granoreali oimmaginarii possessori di terreche non lo vendevano tutto in ungiornoi fornai che ne compravanotutti coloro in somma che neavessero o poco o assaio che avessero il nome d'avernea questi sidava la colpa della penuria e del rincaroquesti erano il bersagliodel lamento universalel'abbominio della moltitudine male e benvestita. Si diceva di sicuro dov'erano i magazzinii granaicolmitraboccantiappuntellati; s'indicava il numero de' sacchispropositato; si parlava con certezza dell'immensa quantità digranaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; ne' qualiprobabilmente si gridavacon altrettanta sicurezza e con fremitougualeche le granaglie di là venivano a Milano. S'imploravanda' magistrati que' provvedimentiche alla moltitudine paion sempreo almeno sono sempre parsi finoracosì giusticosìsemplicicosì atti a far saltar fuori il granonascostomuratosepoltocome dicevanoe a far ritornar l'abbondanza. Imagistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimod'alcune derrated'intimar pene a chi ricusasse di venderee altrieditti di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti diquesto mondoper quanto siano gagliardinon hanno virtù didiminuire il bisogno del ciboné di far venire derrate fuordi stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quellad'attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; cosìil male durava e cresceva. La moltitudine attribuiva un tale effettoalla scarsezza e alla debolezza de' rimedie ne sollecitava ad altegrida de' più generosi e decisivi. E per sua sventuratrovòl'uomo secondo il suo cuore.

Nell'assenzadel governatore don Gonzalo Fernandez de Cordovache comandaval'assedio di Casale del Monferratofaceva le sue veci in Milano ilgran cancelliere Antonio Ferrerpure spagnolo. Costui videe chinon l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giustoèper sé una cosa molto desiderabile; e pensòe qui fulo sbaglioche un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissòla meta (così chiamano qui la tariffa in materia dicommestibili)fissò la meta del pane al prezzo che sarebbestato il giustose il grano si fosse comunemente venduto trentatrelire il moggio: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donnastata giovineche pensasse di ringiovinirealterando la sua fede dibattesimo.

Ordinimeno insensati e meno iniqui eranpiù d'una voltaper laresistenza delle cose stesserimasti ineseguiti; ma all'esecuzionedi questo vegliava la moltitudinechevedendo finalmente convertitoin legge il suo desiderionon avrebbe sofferto che fosse per celia.Accorse subito ai fornia chieder pane al prezzo tassato; e lochiese con quel fare di risolutezza e di minacciache dànnola passionela forza e la legge riunite insieme. Se i fornaistrillasseronon lo domandate. Intrideredimenareinfornare esfornare senza posa; perché il popolosentendo in confuso chel'era una cosa violentaassediava i forni di continuoper goderquella cuccagna fin che durava; affacchinarsidicoe scalmanarsipiù del solitoper iscapitarciognun vede che bel piaceredovesse essere. Mada una parte i magistrati che intimavan penedall'altra il popolo che voleva esser servitoepunto punto chequalche fornaio indugiassepressava e brontolavacon quel suovocionee minacciava una di quelle sue giustizieche sono dellepeggio che si facciano in questo mondo; non c'era redenzionebisognava rimenareinfornaresfornare e vendere. Peròafarli continuare in quell'impresanon bastava che fosse lorcomandatoné che avessero molta paura; bisognava potere: e unpo' più che la cosa fosse duratanon avrebbero piùpotuto. Facevan vedere ai magistrati l'iniquità el'insopportabilità del carico imposto loroprotestavano divoler gettar la pala nel fornoe andarsene; e intanto tiravanoavanti come potevanosperandosperando cheuna volta o l'altrailgran cancelliere avrebbe inteso la ragione. Ma Antonio Ferrerilquale era quel che ora si direbbe un uomo di carattererispondevache i fornai s'erano avvantaggiati molto e poi molto nel passatoches'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza;che anche si vedrebbesi penserebbe forse a dar loro qualcherisarcimento; e che intanto tirassero ancora avanti. O fosseveramente persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altriocheanche conoscendo dagli effetti l'impossibilità dimantener quel suo edittovolesse lasciare agli altri l'odiositàdi rivocarlo; giacchéchi può ora entrar nel cervellod'Antonio Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò cheaveva stabilito. Finalmente i decurioni (un magistrato municipalecomposto di nobiliche durò fino al novantasei del secoloscorso) informaron per lettera il governatoredello stato in cuieran le cose: trovasse lui qualche ripiegoche le facesse andare.

DonGonzaloingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerrafece ciò che il lettore s'immagina certamente: nominòuna giuntaalla quale conferì l'autorità di stabilireal pane un prezzo che potesse correre; una cosa da poterci campartanto una parte che l'altra. I deputati si radunaronoo come qui sidiceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d'allorasigiuntarono; e dopo mille riverenzecomplimentipreambolisospirisospensioniproposizioni in ariatergiversazionistrascinati tuttiverso una deliberazione da una necessità sentita da tuttisapendo bene che giocavano una gran cartama convinti che non c'erada far altroconclusero di rincarare il pane. I fornai respirarono;ma il popolo imbestialì.

Lasera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Milanolestrade e le piazze brulicavano d'uominiche trasportati da unarabbia comunepredominati da un pensiero comuneconoscenti oestraneisi riunivano in crocchisenza essersi dati l'intesaquasisenza avvedersenecome gocciole sparse sullo stesso pendìo.Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditoricome di colui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionatic'eranpure alcuni più di sangue freddoi quali stavano osservandocon molto piacereche l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavanod'intorbidarla di piùcon que' ragionamentie con quellestorie che i furbi sanno comporree che gli animi alterati sannocredere; e si proponevano di non lasciarla posarequell'acquasenzafarci un po' di pesca. Migliaia d'uomini andarono a letto colsentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fareche qualchecosa si farebbe. Avanti giornole strade eran di nuovo sparse dicrocchi: fanciullidonneuominivecchioperaipoverisiradunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte voci; làuno predicavae gli altri applaudivano; questo faceva al piùvicino la stessa domanda ch'era allora stata fatta a lui; quest'altroripeteva l'esclamazione che s'era sentita risonare agli orecchi; pertutto lamentiminaccemaraviglie: un piccol numero di vocaboli erail materiale di tanti discorsi.

Nonmancava altro che un'occasioneuna spintaun avviamento qualunqueper ridurre le parole a fatti; e non tardò molto. Uscivanosul far del giornodalle botteghe de' fornai i garzoni checon unagerla carica di paneandavano a portarne alle solite case. Il primocomparire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un crocchio digentefu come il cadere d'un salterello acceso in una polveriera. -Ecco se c'è il pane! - gridarono cento voci insieme. - Sìper i tiranniche notano nell'abbondanzae voglion far morir noi difame- dice uno; s'accosta al ragazzettoavventa la mano all'orlodella gerladà una strattae dice: - lascia vedere -. Ilragazzetto diventa rossopallidotremavorrebbe dire: lasciatemiandare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le bracciae cercadi liberarle in fretta dalle cigne. - Giù quella gerla- sigrida intanto. Molte mani l'afferrano a un tempo: è in terra;si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza sidiffonde all'intorno. - Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiarpane anche noi- dice il primo; prende un pan tondol'alzafacendolo vedere alla follal'addenta: mani alla gerlapani peraria; in men che non si dicefu sparecchiato. Coloro a cui non eratoccato nullairritati alla vista del guadagno altruie animatidalla facilità dell'impresasi mossero a branchiin cercad'altre gerle: quante incontratetante svaligiate. E non c'eraneppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli cheper lorodisgraziasi trovavano in girovista la mala parataposavanovolontariamente il caricoe via a gambe. Con tutto ciòcoloro che rimanevano a denti secchierano senza paragone i più;anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede cosìpiccoleemescolati poi con gli uni e con gli altric'eran coloroche avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fiocchi. -Al forno! al forno! - si grida.

Nellastrada chiamata la Corsia de' Servic'erae c'è tuttavia unfornoche conserva lo stesso nome; nome che in toscano viene a direil forno delle gruccee in milanese è composto di parole cosìeteroclitecosì bisbetichecosì salvatichechel'alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono (Elprestin di scansc.). A quella parte s'avventò la gente. Quellidella bottega stavano interrogando il garzone tornato scaricoilqualetutto sbigottito e abbaruffatoriferiva balbettando la suatrista avventura; quando si sente un calpestìo e un urlìoinsieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della masnada.

Serraserra; prestopresto: uno corre a chiedere aiuto al capitano digiustizia; gli altri chiudono in fretta la bottegae appuntellano ibattenti. La gente comincia a affollarsi di fuorie a gridare: -pane! pane! aprite! aprite!

Pochimomenti dopoarriva il capitano di giustiziacon una scortad'alabardieri. - Largolargofigliuoli: a casaa casa; fate luogoal capitano di giustizia- grida lui e gli alabardieri. La genteche non era ancor troppo fittafa un po' di luogo; dimodoche quellipoterono arrivaree postarsiinsiemese non in ordinedavantialla porta della bottega.

-Ma figliuoli- predicava di lì il capitano- che fate qui? Acasaa casa. Dov'è il timor di Dio? Che dirà il renostro signore? Non vogliam farvi male; ma andate a casa. Da bravi!Che diamine volete far quicosì ammontati? Niente di beneneper l'animané per il corpo. A casaa casa.

Maquelli che vedevan la faccia del dicitoree sentivan le sue parolequand'anche avessero voluto ubbidiredite un poco in che manieraavrebber potutospinti com'eranoe incalzati da quelli di dietrospinti anch'essi da altricome flutti da fluttivia via fino all'estremità della follache andava sempre crescendo. Alcapitanocominciava a mancargli il respiro. - Fateli dare addietroch'io possa riprender fiato- diceva agli alabardieri: - ma non fatemale a nessuno. Vediamo d'entrare in bottega: picchiate; fateli stareindietro.

-Indietro! indietro! - gridano gli alabardieributtandosi tuttiinsieme addosso ai primie respingendoli con l'aste dell'alabarde.Quelli urlanosi tirano indietrocome possono; dànno con leschiene ne' pettico' gomiti nelle panceco' calcagni sulle puntede' piedi a quelli che son dietro a loro: si fa un pigìounacalcache quelli che si trovavano in mezzoavrebbero pagatoqualcosa a essere altrove. Intanto un po' di vòto s'èfatto davanti alla porta: il capitano picchiaripicchiaurla chegli aprano: quelli di dentro vedono dalle finestrescendon di corsaaprono; il capitano entrachiama gli alabardieriche si ficcandentro anch'essi l'un dopo l'altrogli ultimi rattenendo la follacon l'alabarde. Quando sono entrati tuttisi mette tanto dicatenacciosi riappuntella; il capitano sale di corsae s'affacciaa una finestra. Uhche formicolaio!

-Figliuoli- grida: molti si voltano in su; - figliuoliandate acasa. Perdono generale a chi torna subito a casa.

-Pane! pane! aprite! aprite! - eran le parole più distintenell'urlìo orrendoche la folla mandava in risposta.

-Giudiziofigliuoli! badate bene! siete ancora a tempo. Viaandatetornate a casa. Panene avrete; ma non è questa la maniera.Eh!... eh! che fate laggiu! Eh! a quella porta! Oibò oibò!Vedovedo: giudizio! badate bene! è un delitto grosso. Or oravengo io. Eh! eh! smettete con que' ferri; giu quelle mani. Vergogna!Voi altri milanesicheper la bontàsiete nominati in tuttoil mondo! Sentitesentite: siete sempre stati buoni fi... Ahcanaglia!

Questarapida mutazione di stile fu cagionata da una pietra cheuscitadalle mani d'uno di que' buoni figliuolivenne a batter nella frontedel capitanosulla protuberanza sinistra della profonditàmetafisica. - Canaglia! canaglia! - continuava a gridarechiudendopresto presto la finestrae ritirandosi. Ma quantunque avessegridato quanto n'aveva in cannale sue parolebuone e cattives'eran tutte dileguate e disfatte a mezz'arianella tempesta dellegrida che venivan di giù. Quello poi che diceva di vedereeraun gran lavorare di pietredi ferri (i primi che coloro avevanopotuto procacciarsi per la strada)che si faceva alla portapersfondarlae alle finestreper svellere l'inferriate: e giàl'opera era molto avanzata.

Intantopadroni e garzoni della bottegach'erano alle finestre de' piani disopracon una munizione di pietre (avranno probabilmente disselciatoun cortile)urlavano e facevan versacci a quelli di giùperché smettessero; facevan vedere le pietreaccennavano divolerle buttare. Visto ch'era tempo persocominciarono a buttarledavvero. Neppur una ne cadeva in fallo; giacché la calca erataleche un granello di migliocome si suol direnon sarebbeandato in terra.

-Ah birboni! ah furfantoni! È questo il paneche date allapovera gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Oraora! - s'urlava di giù.Più d'uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti. Ilfurore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondatal'inferriatesvelte; e il torrente penetrò per tutti ivarchi. Quelli di dentrovedendo la mala paratascapparono insoffitta: il capitanogli alabardierie alcuni della casa stetterolì rannicchiati ne' cantucci; altriuscendo per gli abbainiandavano su pe' tetticome i gatti.

Lavista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni di vendettesanguinose. Si slanciano ai cassoni; il pane è messo a ruba.Qualcheduno in vece corre al bancobutta giù la serraturaagguanta le ciotolepiglia a manateintascaed esce carico diquattriniper tornar poi a rubar panese ne rimarrà. Lafolla si sparge ne' magazzini. Metton mano ai sacchili strascicanoli rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambegli scioglie laboccaeper ridurlo a un carico da potersi portarebutta via unaparte della farina: chigridando: - aspettaaspetta- si china aparare il grembiuleun fazzolettoil cappelloper ricever quellagrazia di Dio; uno corre a una madiae prende un pezzo di pastaches'allungae gli scappa da ogni parte; un altroche ha conquistatoun burattellolo porta per aria: chi vachi viene: uominidonnefanciullispinterispinteurlie un bianco polverìo cheper tutto si posaper tutto si sollevae tutto vela e annebbia. Difuoriuna calca composta di due processioni opposteche si romponoe s'intralciano a vicendadi chi esce con la predae di chi vuolentrare a farne.

Mentrequel forno veniva così messo sottosopranessun altro dellacittà era quieto e senza pericolo. Ma a nessuno la genteaccorse in numero tale da potere intraprender tutto; in alcuniipadroni avevan raccolto degli ausiliarie stavan sulle difese;altrovetrovandosi in pochivenivano in certo modo a patti:distribuivan pane a quelli che s'eran cominciati a affollare davantialle botteghecon questo che se n'andassero. E quelli se n'andavanonon tanto perché fosser soddisfattiquanto perché glialabardieri e la sbirragliastando alla larga da quel tremendo fornodelle gruccesi facevan però vedere altrovein forzabastante a tenere in rispetto i tristi che non fossero una folla.Così il trambusto andava sempre crescendo a quel primodisgraziato forno; perché tutti coloro che gli pizzicavan lemani di far qualche bell'impresacorrevan làdove gli amicierano i più fortie l'impunità sicura.

Aquesto punto eran le cosequando Renzoavendo ormai sgranocchiatoil suo paneveniva avanti per il borgo di porta orientalees'avviavasenza saperloproprio al luogo centrale del tumulto.Andavaora lestoora ritardato dalla folla; e andandoguardava estava in orecchiper ricavar da quel ronzìo confuso didiscorsi qualche notizia più positiva dello stato delle cose.Ed ecco a un di presso le parole che gli riuscì di rilevare intutta la strada che fece.

-Ora è scoperta- gridava uno- l'impostura infame di que'birboniche dicevano che non c'era né panené farinané grano. Ora si vede la cosa chiara e lampante; e non ce lapotranno più dare ad intendere. Viva l'abbondanza!

-Vi dico io che tutto questo non serve a nulla- diceva un altro: - èun buco nell'acqua; anzi sarà peggiose non si fa una buonagiustizia. Il pane verrà a buon mercatoma ci metteranno ilvelenoper far morir la povera gentecome mosche. Già lodicono che siam troppi; l'hanno detto nella giunta; e lo so di certoper averlo sentito dir iocon quest'orecchida una mia comarecheè amica d'un parente d'uno sguattero d'uno di que' signori.

Paroleda non ripetersi dicevacon la schiuma alla boccaun altrocheteneva con una mano un cencio di fazzoletto su' capelli arruffati einsanguinati. E qualche vicinocome per consolarlogli faceva eco.

-Largolargosignoriin cortesia; lascin passare un povero padre difamigliache porta da mangiare a cinque figliuoli -. Cosìdiceva uno che veniva barcollando sotto un gran sacco di farina; eognuno s'ingegnava di ritirarsiper fargli largo.

-Io? - diceva un altroquasi sottovocea un suo compagno: - io me labatto. Son uomo di mondoe so come vanno queste cose. Questimerlotti che fanno ora tanto fracassodomani o doman l'altrose nestaranno in casatutti pieni di paura. Ho già visto certivisicerti galantuomini che giranfacendo l'indianoe notano chic'è e chi non c'è: quando poi tutto è finitosiraccolgono i contie a chi toccatocca.

-Quello che protegge i fornai- gridava una voce sonorache attiròl'attenzione di Renzo- è il vicario di provvisione.

-Son tutti birboni- diceva un vicino.

-Sì; ma il capo è lui- replicava il primo.

Ilvicario di provvisioneeletto ogn'anno dal governatore tra seinobili proposti dal Consiglio de' decurioniera il presidente diquestoe del tribunale di provvisione; il qualecomposto di dodicianche questi nobiliavevacon altre attribuzioniquellaprincipalmente dell'annona. Chi occupava un tal posto dovevanecessariamentein tempi di fame e d'ignoranzaesser detto l'autorede' mali: meno che non avesse fatto ciò che fece Ferrer; cosache non era nelle sue facoltàse anche fosse stata nelle sueidee.

-Scellerati! - esclamava un altro: - si può far di peggio? sonoarrivati a dire che il gran cancelliere è un vecchiorimbambitoper levargli il creditoe comandar loro soli.Bisognerebbe fare una gran stiae metterli dentroa viver di veccee di logliocome volevano trattar noi.

-Pane eh? - diceva uno che cercava d'andar in fretta: - sassate dilibbra: pietre di questa fattache venivan giù come lagrandine. E che schiacciata di costole! Non vedo l'ora d'essere acasa mia.

Traquesti discorsidai quali non saprei dire se fosse piùinformato o sbalorditoe tra gli urtoniarrivò Renzofinalmente davanti a quel forno. La gente era già moltodiradatadimodoché poté contemplare il brutto erecente soqquadro. Le mura scalcinate e ammaccate da sassidamattonile finestre sgangheratediroccata la porta.

"Questa poi non è una bella cosa "disse Renzo tra sé:" se concian così tutti i fornidove voglion fare ilpane? Ne' pozzi? "

Ognitantousciva dalla bottega qualcheduno che portava un pezzo dicassoneo di madiao di frullonela stanga d'una gramolaunapancauna panieraun libro di contiqualche cosa in somma di quelpovero forno; e gridando: - largolargo- passava tra la gente.Tutti questi s'incamminavano dalla stessa partee a un luogoconvenutosi vedeva. " Cos'è quest'altra storia? "pensò di nuovo Renzo; e andò dietro a uno chefatto unfascio d'asse spezzate e di scheggese lo mise in ispallaavviandosicome gli altriper la strada che costeggia il fiancosettentrionale del duomoe ha preso nome dagli scalini che c'eranoe da poco in qua non ci son più. La voglia d'osservar gliavvenimenti non poté fare che il montanaroquando gli siscoprì davanti la gran molenon si soffermasse a guardare insucon la bocca aperta. Studiò poi il passoper raggiungercolui che aveva preso come per guida; voltò il cantodiedeun'occhiata anche alla facciata del duomorustica allora in granparte e ben lontana dal compimento; e sempre dietro a coluicheandava verso il mezzo della piazza. La gente era più fittaquanto più s'andava avantima al portatore gli si facevalargo: egli fendeva l'onda del popoloe Renzostandogli sempreattaccatoarrivò con lui al centro della folla. Lìc'era uno spazio vòtoe in mezzoun mucchio di bracereliquie degli attrezzi detti di sopra. All'intorno era un batter dimani e di piediun frastono di mille grida di trionfo ed'imprecazione.

L'uomodel fascio lo buttò su quel mucchio; un altrocon unmozzicone di pala mezzo abbruciacchiatosbracia il fuoco: il fumocresce e s'addensa; la fiamma si ridesta; con essa le grida sorgonpiù forti. - Viva l'abbondanza! Moiano gli affamatori! Moia lacarestia! Crepi la Provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane!

Veramentela distruzion de' frulloni e delle madiela devastazion de' fornielo scompiglio de' fornainon sono i mezzi più spicci per farvivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezzemetafisicheche una moltitudine non ci arriva. Peròsenzaessere un gran metafisicoun uomo ci arriva talvolta alla primafinch'è nuovo nella questione; e solo a forza di parlarneedi sentirne parlarediventerà inabile anche a intenderle. ARenzo in fatti quel pensiero gli era venutocome abbiam vistodaprincipioe gli tornava ogni momento. Lo tenne per altro in sé;perchédi tanti visinon ce n'era uno che sembrasse dire:fratellose fallocorreggimiche l'avrò caro.

Giàera di nuovo finita la fiamma; non si vedeva più venir nessunocon altra materiae la gente cominciava a annoiarsi; quando sisparse la vocecheal Cordusio (una piazzetta o un crocicchio nonmolto distante di lì)s'era messo l'assedio a un forno.Spessoin simili circostanzel'annunzio d'una cosa la fa essere.Insieme con quella vocesi diffuse nella moltitudine una voglia dicorrer là: - io vo; tuvai? vengo; andiamo- si sentiva pertutto: la calca si rompee diventa una processione. Renzo rimanevaindietronon movendosi quasise non quanto era strascinato daltorrente; e teneva intanto consiglio in cuor suose dovesse uscirdal baccanoe ritornare al conventoin cerca del padre Bonaventurao andare a vedere anche quest'altra. Prevalse di nuovo la curiosità.Però risolvette di non cacciarsi nel fitto della mischiaafarsi ammaccar l'ossao a risicar qualcosa di peggio; ma di tenersiin qualche distanzaa osservare. E trovandosi già un poco allargosi levò di tasca il secondo panee attaccandoci unmorsos'avviò alla coda dell'esercito tumultuoso.

Questodalla piazzaera già entrato nella strada corta e stretta diPescheria vecchiae di làper quell'arco a sbieconellapiazza de' Mercanti. E lì eran ben pochi quelli chenelpassar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggiadell'edifizio chiamato allora il collegio de' dottorinon desseroun'occhiatina alla grande statua che vi campeggiavaa quel visoserioburberoaccipigliatoe non dico abbastanzadi don FilippoIIcheanche dal marmoimponeva un non so che di rispettoeconquel braccio tesopareva che fosse lì per dire: ora vengo iomarmaglia.

Quellastatua non c'è piùper un caso singolare. Circa centosettant'anni dopo quello che stiam raccontandoun giorno le fucambiata la testale fu levato di mano lo scettroe sostituito aquesto un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto. Cosìaccomodata stette forse un par d'anni; mauna mattinacertuni chenon avevan simpatia con Marco Brutoanzi dovevano avere con lui unaruggine segretagettarono una fune intorno alla statuala tirarongiùle fecero cento angherie; emutilata e ridotta a untorso informela strascicaronocon gli occhi in fuorie con lelingue fuoriper le stradeequando furon stracchi benelaruzzolarono non so dove. Chi l'avesse detto a Andrea Biffiquando lascolpiva!

Dallapiazza de' Mercantila marmaglia insaccòperquell'altr'arconella via de' fustagnaie di lì sisparpagliò nel Cordusio. Ognunoal primo sboccarviguardavasubito verso il forno ch'era stato indicato. Ma in vece dellamoltitudine d'amici che s'aspettavano di trovar lì giàal lavorovidero soltanto alcuni starsenecome esitandoa qualchedistanza della bottegala quale era chiusae alle finestre gentearmatain atto di star pronti a difendersi. A quella vistachi simaravigliavachi sagravachi rideva; chi si voltavaper informarquelli che arrivavan via via; chi si fermavachi voleva tornareindietrochi diceva: - avantiavanti -. C'era un incalzare e unrattenerecome un ristagnouna titubazioneun ronzìoconfuso di contrasti e di consulte. In questascoppiò dimezzo alla folla una maledetta voce: - c'è qui vicino la casadel vicario di provvisione: andiamo a far giustiziae a dare ilsacco -. Parve il rammentarsi comune d'un concerto presopiuttostoche l'accettazione d'una proposta. - Dal vicario! dal vicario! - èil solo grido che si possa sentire. La turba si movetutta insiemeverso la strada dov'era la casa nominata in un così cattivopunto.




Cap.XIII


Losventurato vicario stavain quel momentofacendo un chilo agro estentato d'un desinare biascicato senza appetitoe senza pan frescoe attendevacon gran sospensionecome avesse a finire quellaburrascalontano però dal sospettar che dovesse cader cosìspaventosamente addosso a lui. Qualche galantuomo precorse di galoppola follaper avvertirlo di quel che gli sovrastava. I servitoriattirati già dal rumore sulla portaguardavano sgomentatilungo la stradadalla parte donde il rumore veniva avvicinandosi.Mentre ascoltan l'avvisovedon comparire la vanguardia: in fretta ein furiasi porta l'avviso al padrone: mentre questo pensa afuggiree come fuggireun altro viene a dirgli che non è piùa tempo. I servitori ne hanno appena tanto che basti per chiuder laporta. Metton la stangametton puntellicorrono a chiuder lefinestrecome quando si vede venire avanti un tempo neroes'aspetta la grandineda un momento all'altro. L'urlìocrescentescendendo dall'alto come un tuonorimbomba nel vòtocortile; ogni buco della casa ne rintrona: e di mezzo al vasto econfuso strepitosi senton forti e fitti colpi di pietre alla porta.

-Il vicario! Il tiranno! L'affamatore! Lo vogliamo! vivo o morto!

Ilmeschino girava di stanza in stanzapallidosenza fiatobattendopalma a palmaraccomandandosi a Dioe a' suoi servitorichetenessero fermoche trovassero la maniera di farlo scappare. Macomee di dove? Salì in soffitta; da un pertugioguardòansiosamente nella stradae la vide piena zeppa di furibondi; sentìle voci che chiedevan la sua morte; e più smarrito che maisiritiròe andò a cercare il più sicuro e ripostonascondiglio. Lì rannicchiatostava attentoattentose maiil funesto rumore s'affievolissese il tumulto s'acquietasse unpoco; ma sentendo in vece il muggito alzarsi più feroce e piùrumorosoe raddoppiare i picchipreso da un nuovo soprassalto alcuoresi turava gli orecchi in fretta. Poicome fuori di séstringendo i dentie raggrinzando il visostendeva le bracciaepuntava i pugnicome se volesse tener ferma la porta... Del restoquel che facesse precisamente non si può saperegiacchéera solo; e la storia è costretta a indovinare. Fortuna chec'è avvezza.

Renzoquesta voltasi trovava nel forte del tumultonon giàportatovi dalla pienama cacciatovisi deliberatamente. A quellaprima proposta di sangueaveva sentito il suo rimescolarsi tutto: inquanto al saccheggionon avrebbe saputo dire se fosse bene o male inquel caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrorepretto e immediato. E quantunqueper quella funesta docilitàdegli animi appassionati all'affermare appassionato di moltifossepersuasissimo che il vicario era la cagion principale della fameilnemico de' poveripureavendoal primo moversi della turbasentita a caso qualche parola che indicava la volontà di fareogni sforzo per salvarlos'era subito proposto d'aiutare anche luiun'opera tale; econ quest'intenziones'era cacciatoquasi fino aquella portache veniva travagliata in cento modi. Chi con ciottolipicchiava su' chiodi della serraturaper isconficcarla; altriconpali e scarpelli e martellicercavano di lavorar più inregola: altri poicon pietrecon coltelli spuntaticon chiodiconbastonicon l'unghienon avendo altroscalcinavano e sgretolavanoil muroe s'ingegnavano di levare i mattonie fare una breccia.Quelli che non potevano aiutarefacevan coraggio con gli urli; manello stesso tempocon lo star lì a pigiareimpicciavan dipiù il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de'lavoranti: giacchéper grazia del cieloaccade talvoltaanche nel male quella cosa troppo frequente nel beneche i fautoripiù ardenti divengano un impedimento.

Imagistrati ch'ebbero i primi l'avviso di quel che accadevaspedironsubito a chieder soccorso al comandante del castelloche allora sidiceva di porta Giovia; il quale mandò alcuni soldati. Matral'avvisoe l'ordinee il radunarsie il mettersi in camminoe ilcamminoessi arrivarono che la casa era già cinta di vastoassedio; e fecero alto lontano da quellaall'estremità dellafolla. L'ufiziale che li comandavanon sapeva che partito prendere.Lì non era altro che unalasciatemi direaccozzaglia digente varia d'età e di sessoche stava a vedere.All'intimazioni che gli venivan fattedi sbandarsie di dar luogorispondevano con un cupo e lungo mormorìo; nessuno si moveva.Far fuoco sopra quella ciurmapareva all'ufiziale cosa non solocrudelema piena di pericolo; cosa cheoffendendo i meno terribiliavrebbe irritato i molti violenti: e del restonon aveva una taleistruzione. Aprire quella prima follarovesciarla a destra e asinistrae andare avanti a portar la guerra a chi la facevasarebbestata la meglio; ma riuscirvilì stava il punto. Chi sapevase i soldati avrebber potuto avanzarsi uniti e ordinati? Che seinvece di romper la follasi fossero sparpagliati loro tra quellasisarebber trovati a sua discrezionedopo averla aizzata.L'irresolutezza del comandante e l'immobilità de' soldatiparvea diritto o a tortopaura. La gente che si trovavan vicino alorosi contentavano di guardargli in visocon un'ariacome sidicedi me n'impipo; quelli ch'erano un po' più lontaninonse ne stavano di provocarlicon visacci e con grida di scherno; piùin làpochi sapevano o si curavano che ci fossero; iguastatori seguitavano a smuraresenz'altro pensiero che di riuscirpresto nell'impresa; gli spettatori non cessavano d'animarla con gliurli.

Spiccavatra questied era lui stesso spettacoloun vecchio mal vissutochespalancando due occhi affossati e infocaticontraendo le grinzea un sogghigno di compiacenza diabolicacon le mani alzate sopra unacanizie vituperosaagitava in aria un martellouna cordaquattrogran chiodicon che diceva di volere attaccare il vicario a unbattente della sua portaammazzato che fosse.

-Oibò! vergogna! - scappò fuori Renzoinorridito aquelle parolealla vista di tant'altri visi che davan segnod'approvarlee incoraggito dal vederne degli altrisui qualibenché mutitraspariva lo stesso orrore del quale eracompreso lui. - Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia?assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del panesefacciamo di queste atrocità? Ci manderà de' fulminienon del pane!

-Ah cane! ah traditor della patria! - gridòvoltandosi aRenzocon un viso da indemoniatoun di coloro che avevan potutosentire tra il frastono quelle sante parole. - Aspettaaspetta! Èun servitore del vicariotravestito da contadino: è una spia:dàllidàlli! - Cento voci si spargono all'intorno. -Cos'è? dov'è? chi è? Un servitore del vicario.Una spia. Il vicario travestito da contadinoche scappa. Dov'è?dov'è? dàllidàlli!

Renzoammutoliscediventa piccino piccinovorrebbe sparire; alcuni suoivicini lo prendono in mezzo; e con alte e diverse grida cercano diconfondere quelle voci nemiche e omicide. Ma ciò che piùdi tutto lo servì fu un - largolargo- che si sentìgridar lì vicino: - largo! è qui l'aiuto: largoohe!

Cos'era?Era una lunga scala a manoche alcuni portavanoper appoggiarlaalla casae entrarci da una finestra. Ma per buona sortequelmezzoche avrebbe resa la cosa facilenon era facile esso a metterein opera. I portatoriall'una e all'altra cimae di qua e di làdella macchinaurtatiscompigliatidivisi dalla calcaandavano aonde: unocon la testa tra due scalinie gli staggi sulle spalleoppresso come sotto un giogo scossomugghiava; un altro venivastaccato dal carico con una spinta; la scala abbandonata picchiavaspallebracciacostole: pensate cosa dovevan dire coloro de' qualierano. Altri sollevano con le mani il peso mortovi si cacciansottose lo mettono addossogridando: - animo! andiamo! - Lamacchina fatale s'avanza balzellonie serpeggiando. Arrivò atempo a distrarre e a disordinare i nemici di Renzoil qualeprofittò della confusione nata nella confusione; equattoquatto sul principiopoi giocando di gomita a più non possos'allontanò da quel luogodove non c'era buon'aria per luicon l'intenzione anche d'uscirepiù presto che potessedaltumultoe d'andar davvero a trovare o a aspettare il padreBonaventura.

Tutt'aun trattoun movimento straordinario cominciato a una estremitàsi propaga per la follauna voce si spargeviene avanti di bocca inbocca: - Ferrer! Ferrer! - Una maravigliauna gioiauna rabbiaun'inclinazioneuna ripugnanzascoppiano per tutto dove arriva quelnome; chi lo gridachi vuol soffogarlo; chi affermachi negachibenedicechi bestemmia.

-È qui Ferrer! - Non è veronon è vero! - Sìsì; viva Ferrer! quello che ha messo il pane a buon mercato. -Nono! - E quiè qui in carrozza. - Cosa importa? chec'entra lui? non vogliamo nessuno! - Ferrer! viva Ferrer! l'amicodella povera gente! viene per condurre in prigione il vicario. - Nono: vogliamo far giustizia noi: indietroindietro! - Sìsì:Ferrer! venga Ferrer! in prigione il vicario!

Etuttialzandosi in punta di piedisi voltano a guardare da quellaparte donde s'annunziava l'inaspettato arrivo. Alzandosi tuttivedevano né più né meno che se fossero statitutti con le piante in terra; ma tant'ètutti s'alzavano.

Infattiall'estremità della folladalla parte opposta a quelladove stavano i soldatiera arrivato in carrozza Antonio Ferrerilgran cancelliere; il qualerimordendogli probabilmente la coscienzad'essere co' suoi spropositi e con la sua ostinazionestato causaoalmeno occasione di quella sommossaveniva ora a cercard'acquietarlae d'impedirne almeno il più terribile eirreparabile effetto: veniva a spender bene una popolarità malacquistata.

Ne'tumulti popolari c'è sempre un certo numero d'uomini cheoper un riscaldamento di passioneo per una persuasione fanaticaoper un disegno scelleratoo per un maledetto gusto del soqquadrofanno di tutto per ispinger le cose al peggio; propongono o promovonoi più spietati consiglisoffian nel fuoco ogni volta cheprincipia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; nonvorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura. Maper contrappesoc'è sempre anche un certo numero d'altriuomini checon pari ardore e con insistenza paris'adoprano perprodur l'effetto contrario: taluni mossi da amicizia o da parzialitàper le persone minacciate; altri senz'altro impulso che d'un pio espontaneo orrore del sangue e de' fatti atroci. Il cielo li benedica.In ciascuna di queste due parti opposteanche quando non ci sianoconcerti antecedentil'uniformità de' voleri crea un concertoistantaneo nell'operazioni. Chi forma poi la massae quasi ilmateriale del tumultoè un miscuglio accidentale d'uominichepiù o menoper gradazioni indefinitetengono dell'uno edell'altro estremo: un po' riscaldatiun po' furbiun po' inclinatia una certa giustiziacome l'intendon loroun po' vogliosi divederne qualcheduna grossapronti alla ferocia e alla misericordiaa detestare e ad adoraresecondo che si presenti l'occasione diprovar con pienezza l'uno o l'altro sentimento; avidi ogni momento disaperedi credere qualche cosa grossabisognosi di gridared'applaudire a qualchedunoo d'urlargli dietro. Viva e moiason leparole che mandan fuori più volentieri; e chi èriuscito a persuaderli che un tale non meriti d'essere squartatononha bisogno di spender più parole per convincerli che sia degnod'esser portato in trionfo: attorispettatoristrumentiostacolisecondo il vento; pronti anche a stare zittiquando non sentan piùgrida da ripeterea finirlaquando manchino gl'istigatoriasbandarsiquando molte voci concordi e non contraddette abbianodetto: andiamo; e a tornarsene a casadomandandosi l'uno conl'altro: cos'è stato? Siccome però questa massaavendola maggior forzala può dare a chi vuolecosì ognunadelle due parti attive usa ogni arte per tirarla dalla suaperimpadronirsene: sono quasi due anime nemicheche combattono perentrare in quel corpaccioe farlo movere. Fanno a chi sapràsparger le voci più atte a eccitar le passionia dirigere imovimenti a favore dell'uno o dell'altro intento; a chi sapràpiù a proposito trovare le nuove che riaccendano gli sdegniogli affievoliscanorisveglino le speranze o i terrori; a chi sapràtrovare il gridoche ripetuto dai più e più forteesprimaattesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralitàper l'una o per l'altra parte.

Tuttaquesta chiacchierata s'è fatta per venire a dire chenellalotta tra le due parti che si contendevano il voto della genteaffollata alla casa del vicariol'apparizione d'Antonio Ferrerdiedequasi in un momentoun gran vantaggio alla parte degli umanila quale era manifestamente al di sottoeun po' più chequel soccorso fosse tardatonon avrebbe avuto piùnéforzané motivo di combattere. L'uomo era gradito allamoltitudineper quella tariffa di sua invenzione cosìfavorevole a' compratorie per quel suo eroico star duro contro ogniragionamento in contrario. Gli animi già propensi erano oraancor più innamorati dalla fiducia animosa del vecchio chesenza guardiesenza apparatoveniva così a trovareadaffrontare una moltitudine irritata e procellosa. Faceva poi uneffetto mirabile il sentire che veniva a condurre in prigione ilvicario: così il furore contro costuiche si sarebbescatenato peggiochi l'avesse preso con le bruschee non gli avessevoluto conceder nullaoracon quella promessa di soddisfazioneconquell'osso in boccas'acquietava un pocoe dava luogo agli altriopposti sentimentiche sorgevano in una gran parte degli animi.

Ipartigiani della paceripreso fiatosecondavano Ferrer in centomaniere: quelli che si trovavan vicini a luieccitando e rieccitandocol loro il pubblico applausoe cercando insieme di far ritirare lagenteper aprire il passo alla carrozza; gli altriapplaudendoripetendo e facendo passare le sue paroleo quelle che a lorparevano le migliori che potesse diredando sulla voce ai furiosiostinatie rivolgendo contro di loro la nuova passione della mobileadunanza. - Chi è che non vuole che si dica: viva Ferrer? Tunon vorresti ehche il pane fosse a buon mercato? Son birboni chenon vogliono una giustizia da cristiani: e c'è di quelli cheschiamazzano più degli altriper fare scappare il vicario. Inprigione il vicario! Viva Ferrer! Largo a Ferrer! - E crescendosempre più quelli che parlavan cosìs'andava aproporzione abbassando la baldanza della parte contraria; di manierache i primi dal predicare vennero anche a dar sulle mani a quelli chediroccavano ancoraa cacciarli indietroa levar loro dall'unghiegli ordigni. Questi fremevanominacciavano anchecercavan dirifarsi; ma la causa del sangue era perduta: il grido che predominavaera: prigionegiustiziaFerrer! Dopo un po' di dibattimentocolorofuron respinti: gli altri s'impadroniron della portae per tenerladifesa da nuovi assaltie per prepararvi l'adito a Ferrer; e alcunodi essimandando dentro una voce a quelli di casa (fessure non nemancava)gli avvisò che arrivava soccorsoe che facesserostar pronto il vicario- per andar subito... in prigione: ehmaveteinteso?

-È quel Ferrer che aiuta a far le gride? - domandò a unnuovo vicino il nostro Renzoche si rammentò del viditFerrer che il dottore gli aveva gridato all'orecchiofacendoglielo vedere in fondo di quella tale.

-Già: il gran cancelliere - gli fu risposto.

-È un galantuomon'è vero?

-Eccome se è un galantuomo! è quello che aveva messo ilpane a buon mercato; e gli altri non hanno voluto; e ora viene acondurre in prigione il vicarioche non ha fatto le cose giuste.

Nonfa bisogno di dire che Renzo fu subito per Ferrer. Volle andargliincontro addirittura: la cosa non era facile; ma con certe sue spintee gomitate da alpigianoriuscì a farsi far largoe aarrivare in prima filaproprio di fianco alla carrozza.

Eraquesta già un po' inoltrata nella folla; e in quel momentostava fermaper uno di quegl'incagli inevitabili e frequentiinun'andata di quella sorte. Il vecchio Ferrer presentava ora all'unoora all'altro sportelloun viso tutto umiletutto ridentetuttoamorosoun viso che aveva tenuto sempre in serbo per quando sitrovasse alla presenza di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderloanche in quest'occasione. Parlava anche; ma il chiasso e il ronzlo ditante vocigli evviva stessi che si facevano a luilasciavano benpoco e a ben pochi sentir le sue parole. S'aiutava dunque co' gestiora mettendo la punta delle mani sulle labbraa prendere un bacioche le maniseparandosi subitodistribuivano a destra e a sinistrain ringraziamento alla pubblica benevolenza; ora stendendole emovendole lentamente fuori d'uno sportelloper chiedere un po' diluogo; ora abbassandole garbatamenteper chiedere un po' disilenzio. Quando n'aveva ottenuto un pocoi più vicinisentivano e ripetevano le sue parole: - paneabbondanza: vengo a fargiustizia: un po' di luogo di grazia -. Sopraffatto poi e comesoffogato dal fracasso di tante vocidalla vista di tanti visifittidi tant'occhi addosso a luisi tirava indietro un momentogonfiava le gotemandava un gran soffioe diceva tra sé: "por mi vida' que de gente! " - Viva Ferrer! Non abbiapaura. Lei è un galantuomo. Panepane!

-Sì; panepane- rispondeva Ferrer: - abbondanza; lo promettoio- e metteva la mano al petto.

-Un po' di luogo- aggiungeva subito: - vengo per condurlo inprigioneper dargli il giusto gastigo che si merita: - e soggiungevasottovoce: - si es culpable-. Chinandosi poi innanzi verso ilcocchieregli diceva in fretta: - adelante' Pedro' si puedes.

Ilcocchiere sorrideva anche lui alla moltitudinecon una graziaaffettuosacome se fosse stato un gran personaggio; e con un garboineffabiledimenava adagio adagio la frustaa destra e a sinistraper chiedere agl'incomodi vicini che si ristringessero e siritirassero un poco. - Di grazia- diceva anche lui- signori mieiun po' di luogoun pochino; appena appena da poter passare.

Intantoi benevoli più attivi s'adopravano a far fare il luogo chiestocosì gentilmente. Alcuni davanti ai cavalli facevano ritirarle personecon buone parolecon un mettere le mani sui petticoncerte spinte soavi: - in làviaun po' di luogosignori -;alcuni facevan lo stesso dalle due parti della carrozzaperchépotesse passare senza arrotar piediné ammaccar mostacci;cheoltre il male delle personesarebbe stato porre a un granrepentaglio l'auge d'Antonio Ferrer.

Renzodopo essere stato qualche momento a vagheggiare quella decorosavecchiezzaconturbata un po' dall'angustiaaggravata dalla faticama animata dalla sollecitudineabbellitaper dir cosìdallasperanza di togliere un uomo all'angosce mortaliRenzodicomiseda parte ogni pensiero d'andarsene; e si risolvette d'aiutare Ferrere di non abbandonarlofin che non fosse ottenuto l'intento. Dettofattosi mise con gli altri a far far largo; e non era certo de'meno attivi. Il largo si fece; - venite pure avanti- diceva piùd'uno al cocchiereritirandosi o andando a fargli un po' di stradapiù innanzi. - Adelanteprestocon juicio- glidisse anche il padrone; e la carrozza si mosse. Ferrerin mezzo aisaluti che scialacquava al pubblico in massane faceva certiparticolari di ringraziamentocon un sorriso d'intelligenzaaquelli che vedeva adoprarsi per lui: e di questi sorrisi ne toccòpiù d'uno a Renzoil quale per verità se li meritavae serviva in quel giorno il gran cancelliere meglio che non avrebbepotuto fare il più bravo de' suoi segretari. Al giovanemontanaro invaghito di quella buona graziapareva quasi d'aver fattoamicizia con Antonio Ferrer.

Lacarrozzauna volta incamminataseguitò poipiù omeno adagioe non senza qualche altra fermatina. Il tragitto non eraforse più che un tiro di schioppo; ma riguardo al tempoimpiegatoviavrebbe potuto parere un viaggettoanche a chi nonavesse avuto la santa fretta di Ferrer. La gente si movevadavanti edi dietroa destra e a sinistra della carrozzaa guisa di cavalloniintorno a una nave che avanza nel forte della tempesta. Piùacutopiù scordatopiù assordante di quello dellatempesta era il frastono. Ferrerguardando ora da una parteoradall'altra; atteggiandosi e gestendo insiemecercava d'intenderqualche cosaper accomodar le risposte al bisogno; voleva far allameglio un po' di dialogo con quella brigata d'amici; ma la cosa eradifficilela più difficile forse che gli fosse ancoracapitatain tant'anni di gran-cancellierato. Ogni tanto peròqualche parolaanche qualche fraseripetuta da un crocchio nel suopassaggiogli si faceva sentirecome lo scoppio d'un razzo piùforte si fa sentire nell'immenso scoppiettìo d'un fuocoartifiziale. E luiora ingegnandosi di rispondere in modosoddisfacente a queste gridaora dicendo a buon conto le parole chesapeva dover esser più accetteo che qualche necessitàistantanea pareva richiedereparlò anche lui per tutta lastrada. - Sìsignori; paneabbondanza. Lo condurrò ioin prigione: sarà gastigato... si es culpable. Sìsìcomanderò io: il pane a buon mercato. Asi es...così èvoglio dire: il re nostro signore non vuole checodesti fedelissimi vassalli patiscan la fame. Ox! ox! guardaos:non si facciano malesignori. Pedro' adelante con juicio.Abbondanzaabbondanza. Un po' di luogoper carità. Panepane. In prigionein prigione. Cosa? - domandava poi a uno che s'erabuttato mezzo dentro lo sportelloa urlargli qualche suo consiglio opreghiera o applauso che fosse. Ma costuisenza poter neppurericevere il " cosa? " era stato tirato indietro da uno chelo vedeva lì lì per essere schiacciato da una rota. Conqueste botte e rispostetra le incessanti acclamazionitra qualchefremito anche d'opposizioneche si faceva sentire qua e làma era subito soffogatoecco alla fine Ferrer arrivato alla casaper opera principalmente di que' buoni ausiliari.

Glialtri checome abbiam dettoeran già lì con lemedesime buone intenzioniavevano intanto lavorato a fare e a rifareun po' di piazza. Pregaesortaminaccia; pigiaripigiaincalza diqua e di làcon quel raddoppiare di vogliae con quelrinnovamento di forze che viene dal veder vicino il fine desiderato;gli era finalmente riuscito di divider la calca in duee poi dispingere indietro le due calche; tanto chetra la porta e lacarrozzache vi si fermò davantiv'era un piccolo spaziovoto. Renzochefacendo un po' da battistradaun po' da scortaera arrivato con la carrozzapoté collocarsi in una di quelledue frontiere di benevoliche facevanonello stesso tempoala allacarrozza e argine alle due onde prementi di popolo. E aiutando arattenerne una con le poderose sue spallesi trovò anche inun bel posto per poter vedere.

Ferrermise un gran respiroquando vide quella piazzetta liberae la portaancor chiusa. Chiusa qui vuol dire non aperta; del resto i gangherieran quasi sconficcati fuor de' pilastri: i battenti scheggiatiammaccatisforzati e scombaciati nel mezzo lasciavano veder fuori daun largo spiraglio un pezzo di catenaccio stortoallentatoe quasidiveltochese vogliam dir cosìli teneva insieme. Ungalantuomo s'era affacciato a quel fessoa gridar che aprissero; unaltro spalancò in fretta lo sportello della carrozza: ilvecchio mise fuori la testas'alzòe afferrando con ladestra il braccio di quel galantuomouscìe scese sulpredellino.

Lafollada una parte e dall'altrastava tutta in punta di piedi pervedere: mille visimille barbe in aria: la curiosità el'attenzione generale creò un momento di generale silenzio.Ferrerfermatosi quel momento sul predellinodiede un'occhiata ingirosalutò con un inchino la moltitudinecome da unpulpitoe messa la mano sinistra al pettogridò: - pane egiustizia -; e francodirittotogatoscese in terratral'acclamazioni che andavano alle stelle. Intanto quelli di dentroavevano apertoossia avevan finito d'apriretirando via ilcatenaccio insieme con gli anelli già mezzi sconficcatieallargando lo spiraglioappena quanto bastava per fare entrare ildesideratissimo ospite. - Prestopresto- diceva lui: - apritebenech'io possa entrare: e voida bravitenete indietro la gente;non mi lasciate venire addosso... per l'amor del cielo! Serbate unpo' di largo per tra poco. Ehi! ehi! signoriun momento- dicevapoi ancora a quelli di dentro: - adagio con quel battentelasciatemipassare: eh! le mie costole; vi raccomando le mie costole. Chiudeteora: no; eh! eh! la toga! la toga! - Sarebbe in fatti rimasta presatra i battentise Ferrer non n'avesse ritirato con moltadisinvoltura lo strascicoche disparve come la coda d'una serpechesi rimbuca inseguita.

Riaccostatii battentifurono anche riappuntellati alla meglio. Di fuoriquelliche s'eran costituiti guardia del corpo di Ferrerlavoravano dispalledi braccia e di gridaa mantener la piazza votapregando incuor loro il Signore che lo facesse far presto.

-Prestopresto- diceva anche Ferrer di dentrosotto il porticoaiservitoriche gli si eran messi d'intorno ansantigridando: - siabenedetto! ah eccellenza! oh eccellenza! uh eccellenza!

-Prestopresto- ripeteva Ferrer: - dov'è questobenedett'uomo?

Ilvicario scendeva le scalemezzo strascicato e mezzo portato da altrisuoi servitoribianco come un panno lavato. Quando vide il suoaiutomise un gran respiro; gli tornò il polsogli scorse unpo' di vita nelle gambeun po' di colore sulle gote; e corsecomepotéverso Ferrerdicendo: - sono nelle mani di Dio e divostra eccellenza. Ma come uscir di qui? Per tutto c'è genteche mi vuol morto.

-Venga usted con migoe si faccia coraggio: qui fuori c'èla mia carrozza; prestopresto -. Lo prese per la manoe locondusse verso la portafacendogli coraggio tuttavia; ma dicevaintanto tra sé: " aqui està el busilis; Diosnos valga!"

Laporta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietrorannicchiatoattaccatoincollato alla toga salvatricecome un bambino allasottana della mamma. Quelli che avevan mantenuta la piazza votafanno oracon un alzar di manidi cappellicome una reteunanuvolaper sottrarre alla vista pericolosa della moltitudine ilvicario; il quale entra il primo nella carrozzae vi si rimpiatta inun angolo. Ferrer sale dopo; lo sportello vien chiuso. La moltitudinevide in confusoriseppeindovinò quel ch'era accaduto; emandò un urlo d'applausi e d'imprecazioni.

Laparte della strada che rimaneva da farsipoteva parer la piùdifficile e la più pericolosa. Ma il voto pubblico eraabbastanza spiegato per lasciar andare in prigione il vicario; e neltempo della fermatamolti di quelli che avevano agevolato l'arrivodi Ferrers'eran tanto ingegnati a preparare e a mantener come unacorsìa nel mezzo della follache la carrozza potéquesta seconda voltaandare un po' più lestae di seguito.Di mano in mano che s'avanzavale due folle rattenute dalle partisi ricadevano addosso e si rimischiavanodietro a quella.

Ferrerappena sedutos'era chinato per avvertire il vicarioche stesse benrincantucciato nel fondoe non si facesse vedereper l'amor delcielo; ma l'avvertimento era superfluo. Luiin vecebisognava chesi facesse vedereper occupare e attirare a sé tuttal'attenzione del pubblico. E per tutta questa gitacome nella primafece al mutabile uditorio un discorsoil più continuo neltempoe il più sconnesso nel sensoche fosse mai;interrompendolo però ogni tanto con qualche parolina spagnolache in fretta in fretta si voltava a bisbigliar nell'orecchio del suoacquattato compagno. - Sìsignori; pane e giustizia: incastelloin prigionesotto la mia guardia. Graziegraziegrazietante. Nono: non iscapperà. Por ablandarlos. E troppogiusto; s'esamineràsi vedrà. Anch'io voglio bene alor signori. Un gastigo severo. Esto lo digo por su bien. Unameta giustauna meta onestae gastigo agli affamatori. Si tirin dapartedi grazia. Sìsì; io sono un galantuomoamicodel popolo. Sarà gastigato: è veroè unbirbanteuno scellerato. Perdoneusted. La passeràmalela passerà male... si es culpable. Sìsìli faremo rigar diritto i fornai. Viva il ree i buoni milanesisuoi fedelissimi vassalli! Sta frescosta fresco. Animo; estamosya quasi fuera.

Avevanoin fatti attraversata la maggior calcae già eran vicini auscir al largodel tutto. Lì Ferrermentre cominciava a dareun po' di riposo a' suoi polmonivide il soccorso di Pisaque'soldati spagnoliche però sulla fine non erano stati affattoinutiligiacché sostenuti e diretti da qualche cittadinoavevano cooperato a mandare in pace un po' di gentee a tenere ilpasso libero all'ultima uscita. All'arrivar della carrozzafeceroalae presentaron l'arme al gran cancelliereil quale fece anchequi un saluto a destraun saluto a sinistra; e all'ufizialechevenne più vicino a fargli il suodisseaccompagnando leparole con un cenno della destra: - beso a usted las manos-:parole che l'ufiziale intese per quel che volevano dir realmentecioè: m'avete dato un bell'aiuto! In rispostafece un altrosalutoe si ristrinse nelle spalle. Era veramente il caso di dire:cedant arma togae; ma Ferrer non aveva in quel momento latesta a citazioni: e del resto sarebbero state parole buttate viaperché l'ufiziale non intendeva il latino.

APedronel passar tra quelle due file di michelettitra que'moschetti così rispettosamente alzatigli tornò inpetto il cuore antico. Si riebbe affatto dallo sbalordimentosirammentò chi erae chi conduceva; e gridando: - ohe! ohe! -senz'aggiunta d'altre cerimoniealla gente ormai rada abbastanza perpoter esser trattata cosìe sferzando i cavallifece loroprender la rincorsa verso il castello.

-Levantese' levantese; estàmos ya fuera- disse Ferreral vicario; il qualerassicurato dal cessar delle gridae dalrapido moto della carrozzae da quelle parolesi svolsesisgruppòs'alzò; e riavutosi alquantocominciòa render graziegrazie e grazie al suo liberatore. Questidopoessersi condoluto con lui del pericolo e rallegrato della salvezza: -ah! - esclamòbattendo la mano sulla sua zucca monda- quedirà de esto su excelenciache ha già tanto laluna a rovescioper quel maledetto Casaleche non vuole arrendersi?Que dirà el conde duqueche piglia ombra se una fogliafa più rumore del solito? Que dirà el rey nuestroseñorche pur qualche cosa bisognerà che venga arisapere d'un fracasso così? E sarà poi finito? Dioslo sabe. - Ah! per menon voglio più impicciarmene-diceva il vicario: - me ne chiamo fuori; rassegno la mia carica nellemani di vostra eccellenzae vo a vivere in una grottasur unamontagnaa far l'eremitalontanolontano da questa gente bestiale.

-Usted farà quello che sarà piùconveniente por el servicio de su magestad- risposegravemente il gran cancelliere.

-Sua maestà non vorrà la mia morte- replicava ilvicario: - in una grottain una grotta; lontano da costoro.

Cheavvenisse poi di questo suo proponimento non lo dice il nostroautoreil qualedopo avere accompagnato il pover'uomo in castellonon fa più menzione de' fatti suoi.




Cap.XIV


Lafolla rimasta indietro cominciò a sbandarsia diramarsi adestra e a sinistraper questa e per quella strada. Chi andava acasaa accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanavaperrespirare un po' al largodopo tante ore di stretta; chiin cercad'amiciper ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stessosgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della stradanella qualela gente restò abbastanza rada perché quel drappello dispagnoli potessesenza trovar resistenzaavanzarsie postarsi allacasa del vicario. Accosto a quella stava ancor condensato ilfondaccioper dir cosìdel tumulto; un branco di birboniche malcontenti d'una fine così fredda e cosìimperfetta d'un così grand'apparatoparte brontolavanopartebestemmiavanoparte tenevan consiglioper veder se qualche cosa sipotesse ancora intraprendere; ecome per provareandavanourtacchiando e pigiando quella povera portach'era stata di nuovoappuntellata alla meglio. All'arrivar del drappellotutti colorochi diritto dirittochi baloccandosie come a stentose n'andaronodalla parte oppostalasciando il campo libero a' soldatiche lopreseroe vi si postaronoa guardia della casa e della strada. Matutte le strade del contorno erano seminate di crocchi: dove c'erandue o tre persone fermese ne fermavano trequattroventi altre:qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio si movevainsieme: era come quella nuvolaglia che talvolta rimane sparsaegira per l'azzurro del cielodopo una burrasca; e fa dire a chiguarda in su: questo tempo non è rimesso bene. Pensate poi chebabilonia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi particolariche aveva visti; chi raccontava ciò che lui stesso avevafatto; chi si rallegrava che la cosa fosse finita benee lodavaFerrere pronosticava guai seri per il vicario; chisghignazzandodiceva: - non abbiate paurache non l'ammazzeranno: il lupo nonmangia la carne del lupo -; chi più stizzosamente mormoravache non s'eran fatte le cose a doverech'era un ingannoe ch'erastata una pazzia il far tanto chiassoper lasciarsi poi canzonare inquella maniera.

Intantoil sole era andato sottole cose diventavan tutte d'un colore; emoltistanchi della giornata e annoiati di ciarlare al buiotornavano verso casa. Il nostro giovinedopo avere aiutato ilpassaggio della carrozzafinché c'era stato bisogno d'aiutoe esser passato anche lui dietro a quellatra le file de' soldaticome in trionfosi rallegrò quando la vide correrliberamentee fuor di pericolo; fece un po' di strada con la follae n'uscìalla prima cantonataper respirare anche lui un po'liberamente. Fatto ch'ebbe pochi passi al largoin mezzoall'agitazione di tanti sentimentidi tante immaginirecenti econfusesentì un gran bisogno di mangiare e di riposarsi; ecominciò a guardare in suda una parte e dall'altracercandoun'insegna d'osteria; giacchéper andare al convento de'cappucciniera troppo tardi. Camminando così con la testa perariasi trovò a ridosso a un crocchio; e fermatosisentìche vi discorrevan di congetturedi disegniper il giorno dopo.Stato un momento a sentirenon poté tenersi di non dire anchelui la sua; parendogli che potesse senza presunzione proporre qualchecosa chi aveva fatto tanto. E persuasoper tutto ciò cheaveva visto in quel giornoche ormalper mandare a effetto unacosabastasse farla entrare in grazia a quelli che giravano per lestrade- signori miei! - gridòin tono d'esordio: - devodire anch'io il mio debol parere? Il mio debol parere èquesto: che non è solamente nell'affare del pane che si fannodelle bricconerie: e giacché oggi s'è visto chiaro chea farsi sentires'ottiene quel che è giusto; bisogna andaravanti cosìfin che non si sia messo rimedio a tutte quellealtre scelleratezzee che il mondo vada un po' più dacristiani. Non è verosignori mieiche c'è una manodi tiranniche fanno proprio al rovescio de' dieci comandamentievanno a cercar la gente quietache non pensa a loroper farle ognimalee poi hanno sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una piùgrossa del solitocamminano con la testa più altache parche gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce nedev'essere la sua parte.

-Pur troppo- disse una voce.

-Lo dicevo io- riprese Renzo: - già le storie si raccontanoanche da noi. E poi la cosa parla da sé. Mettiamoperesempioche qualcheduno di costoro che voglio dir io stia un po' incampagnaun po' in Milano: se è un diavolo lànonvorrà esser un angiolo qui; mi pare. Dunque mi dicano un pocosignori mieise hanno mai visto uno di questi col musoall'inferriata. E quel che è peggio (e questo lo posso dirio di sicuro)è che le gride ci sonostampatepergastigarli: e non già gride senza costrutto; fatte benissimoche noi non potremmo trovar niente di meglio; ci son nominate lebricconerie chiareproprio come succedono; e a ciaschedunail suobuon gastigo. E dice: sia chi si siavili e plebeie che so io.Oraandate a dire ai dottoriscribi e fariseiche vi facciano fargiustiziasecondo che canta la grida: vi dànno retta come ilpapa ai furfanti: cose da far girare il cervello a qualunquegalantuomo. Si vede dunque chiaramente che il ree quelli checomandanovorrebbero che i birboni fossero gastigati; ma non se nefa nullaperché c'è una lega. Dunque bisogna romperla;bisogna andar domattina da Ferrerche quello è un galantuomoun signore alla mano; e oggi s'è potuto vedere com'eracontento di trovarsi con la povera gentee come cercava di sentir leragioni che gli venivan dettee rispondeva con buona grazia. Bisognaandar da Ferrere dirgli come stanno le cose; e ioper la partemiagliene posso raccontar delle belle; che ho visto ioco' mieiocchiuna grida con tanto d'arme in cimaed era stata fatta da tredi quelli che possonoche d'ognuno c'era sotto il suo nome bell'estampatoe uno di questi nomi era Ferrervisto da meco' mieiocchi: oraquesta grida diceva proprio le cose giuste per me; e undottore al quale io gli dissi che dunque mi facesse render giustiziacom'era l'intenzione di que' tre signoritra i quali c'era ancheFerrerquesto signor dottoreche m'aveva fatto veder la grida luimedesimoche è il più belloah! ah! pareva che glidicessi delle pazzie. Son sicuro chequando quel caro vecchionesentirà queste belle cose; che lui non le può sapertuttespecialmente quelle di fuori; non vorrà più cheil mondo vada cosìe ci metterà un buon rimedio. Epoianche lorose fanno le gridedevono aver piacere ches'ubbidisca: che è anche un disprezzoun pitaffio col loronomecontarlo per nulla. E se i prepotenti non vogliono abbassar latestae fanno il pazzosiam qui noi per aiutarlocome s'èfatto oggi. Non dico che deva andar lui in giroin carrozzaadacchiappar tutti i birboniprepotenti e tiranni: sì; civorrebbe l'arca di Noè. Bisogna che lui comandi a chi toccaenon solamente in Milanoma per tuttoche faccian le cose conformedicon le gride; e formare un buon processo addosso a tutti quelli chehanno commesso di quelle bricconerie; e dove dice prigioneprigione;dove dice galeragalera; e dire ai podestà che facciandavvero; se nomandarli a spassoe metterne de' meglio: e poicomedicoci saremo anche noi a dare una mano. E ordinare a' dottori chestiano a sentire i poveri e parlino in difesa della ragione. Dicobenesignori miei?

Renzoaveva parlato tanto di cuorechefin dall'esordiouna gran partede' radunatisospeso ogni altro discorsos'eran rivoltati a lui; ea un certo puntotutti erano divenuti suoi uditori. Un grido confusod'applausidi - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo- fu come la risposta dell'udienza. Non mancaron però icritici. - Eh sì- diceva uno: - dar retta a' montanari: sontutti avvocati -; e se ne andava. - Ora- mormorava un altro- ogniscalzacane vorrà dir la sua; e a furia di metter carne afuoconon s'avrà il pane a buon mercato; che è quelloper cui ci siam mossi -. Renzo però non sentì che icomplimenti; chi gli prendeva una manochi gli prendeva l'altra. - Arivederci a domani. - Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Vabene. - E qualcosa si farà. - E qualcosa si farà.

-Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmiun'osteriaper mangiare un bocconee dormire da povero figliuolo? -disse Renzo.

-Son qui io a servirviquel bravo giovine- disse unoche avevaascoltata attentamente la predicae non aveva detto ancor nulla. -Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro; e viraccomanderò al padroneche è mio amicoe galantuomo.

-Qui vicino? - domandò Renzo. - Poco distante- rispose colui.

Laradunata si sciolse; e Renzodopo molte strette di mani sconosciutes'avviò con lo sconosciutoringraziandolo della sua cortesia.

-Di che cosa? - diceva colui: - una mano lava l'altrae tutt'e duelavano il viso. Non siamo obbligati a far servizio al prossimo? - Ecamminandofaceva a Renzoin aria di discorsoora unaoraun'altra domanda. - Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi paretemolto stracco: da che paese venite?

-Vengo- rispose Renzo- finofino da Lecco.

-Fin da Lecco? Di Lecco siete?

-Di Lecco... cioè del territorio.

-Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da' vostri discorsive n'hanno fatte delle grosse.

-Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po' di politicaper non dire in pubblico i fatti miei; ma... bastaqualche giorno sisaprà; e allora... Ma qui vedo un'insegna d'osteria; einfede mianon ho voglia d'andar più lontano.

-Nono! venite dov'ho detto ioche c'è poco- disse laguida: - qui non istareste bene.

-Ehsì; - rispose il giovine: - non sono un signorino avvezzoa star nel cotone: qualcosa alla buona da mettere in castelloe unsacconemi basta: quel che mi preme è di trovar presto l'unoe l'altro. Alla provvidenza! - Ed entrò in un usciacciosoprail quale pendeva l'insegna della luna piena. - Bene; vi condurròquigiacché vi piace così- disse lo sconosciuto; egli andò dietro.

-Non occorre che v'incomodiate di più- rispose Renzo. - Però- soggiunse- se venite a bere un bicchiere con memi fate piacere.

-Accetterò le vostre grazie- rispose colui; e andòcome più pratico del luogoinnanzi a Renzoper uncortiletto; s'accostò all'uscio che metteva in cucinaalzòil saliscendiaprìe v'entrò col suo compagno. Duelumi a manopendenti da due pertiche attaccate alla trave del palcovi spandevano una mezza luce. Molta gente era sedutanon peròin oziosu due panchedi qua e di là d'una tavola stretta elungache teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervallitovaglie e piatti; a intervallicarte voltate e rivoltatedadibuttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anchecorrere berlinghereali e parpagliolechese avesseropotuto parlareavrebbero detto probabilmente: " noi eravamostamattina nella ciotola d'un fornaioo nelle tasche di qualchespettatore del tumultoche tutt'intento a vedere come andassero gliaffari pubblicisi dimenticava di vigilar le sue faccendole private". Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietroin fretta e in furiaal servizio di quella tavola insieme etavoliere: l'oste era a sedere sur una piccola pancasotto la cappadel camminooccupatoin apparenzain certe figure che faceva edisfaceva nella cenerecon le molle; ma in realtà intento atutto ciò che accadeva intorno a lui. S'alzòal rumoredel saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista ch'ebbela guida" maledetto! " disse tra sé: " che tum'abbia a venir sempre tra' piediquando meno ti vorrei! " Datapoi un'occhiata in fretta a Renzodisseancora tra sé: "non ti conosco; ma venendo con un tal cacciatoreo cane o lepresarai: quando avrai detto due paroleti conoscerò ".Peròdi queste riflessioni nulla trasparve sulla facciadell'ostela quale stava immobile come un ritratto: una facciapienotta e lucentecon una barbetta foltarossicciae dueocchietti chiari e fissi.

-Cosa comandan questi signori? - disse ad alta voce.

-Prima di tuttoun buon fiasco di vino sincero- disse Renzo: - epoi un boccone -. Così dicendosi buttò a sedere suruna pancaverso la cima della tavolae mandò un - ah! -sonorocome se volesse dire: fa bene un po' di pancadopo esserestatotanto temporitto e in faccende. Ma gli venne subito in mentequella panca e quella tavolaa cui era stato seduto l'ultima voltacon Lucia e con Agnese: e mise un sospiro. Scosse poi la testacomeper iscacciar quel pensiero: e vide venir l'oste col vino. Ilcompagno s'era messo a sedere in faccia a Renzo. Questo gli mescésubito da beredicendo: per bagnar le labbra -. E riempito l'altrobicchierelo tracannò in un sorso.

-Cosa mi darete da mangiare? - disse poi all'oste.

-Ho dello stufato: vi piace? - disse questo.

-Sìbravo; dello stufato.

-Sarete servito- disse l'oste a Renzo; e al garzone: - servitequesto forestiero -. E s'avviò verso il cammino. - Ma... -riprese poitornando verso Renzo: - ma panenon ce n'ho in questagiornata.

-Al pane- disse Renzoad alta voce e ridendo- ci ha pensato laprovvidenza -. E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccoltisotto la croce di san Dionigil'alzò per ariagridando: -ecco il pane della provvidenza!

All'esclamazionemolti si voltarono; e vedendo quel trofeo in ariauno gridò:- viva il pane a buon mercato!

-A buon mercato? - disse Renzo: - gratis et amore.

-Megliomeglio.

-Ma- soggiunse subito Renzo- non vorrei che lor signori pensasseroa male. Non è ch'io l'abbiacome si suol diresgraffignato.L'ho trovato in terra; e se potessi trovare anche il padronesonpronto a pagarglielo.

-Bravo! bravo! - gridaronosghignazzando più forteicompagnoni; a nessuno de' quali passò per la mente che quelleparole fossero dette davvero.

-Credono ch'io canzoni; ma l'è proprio così- disseRenzo alla sua guida; egirando in mano quel panesoggiunse: -vedete come l'hanno accomodato; pare una schiacciata: ma ce n'era delprossimo! Se ci si trovavan di quelli che han l'ossa un po' teneresaranno stati freschi -. E subitodivorati tre o quattro bocconi diquel panegli mandò dietro un secondo bicchier di vino; esoggiunse: - da sé non vuol andar giù questo pane. Nonho avuto mai la gola tanto secca. S'è fatto un gran gridare!

-Preparate un buon letto a questo bravo giovine- disse la guida: -perché ha intenzione di dormir qui.

-Volete dormir qui? - domandò l'oste a Renzoavvicinandosialla tavola.

-Sicuro- rispose Renzo: - un letto alla buona; basta che i lenzolisian di bucato; perché son povero figliuoloma avvezzo allapulizia.

-Ohin quanto a questo! - disse l'oste: andò al bancoch'erain un angolo della cucina; e ritornòcon un calamaio e unpezzetto di carta bianca in una manoe una penna nell'altra.

-Cosa vuol dir questo? - esclamò Renzoingoiando un bocconedello stufato che il garzone gli aveva messo davantie sorridendopoi con maravigliasoggiunse: - è il lenzolo di bucatocodesto?

L'ostesenza rispondereposò sulla tavola il calamaio e la carta;poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e ilgomito destro; econ la penna in ariae il viso alzato verso Renzogli disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nomecognome epatria.

-Cosa? - disse Renzo: - cosa c'entrano codeste storie col letto?

-Io fo il mio dovere- disse l'osteguardando in viso alla guida: -noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono aalloggiar da noi: nome e cognomee di che nazione saràache negozio vienese ha seco armi... quanto tempo ha di fermarsi inquesta città... Son parole della grida.

Primadi rispondereRenzo votò un altro bicchiere: era il terzo; ed'ora in poi ho paura che non li potremo più contare. Poidisse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor dilegge; e allora so subito che caso si fa delle gride.

-Dico davvero- disse l'ostesempre guardando il muto compagno diRenzo; eandato di nuovo al bancone levò dalla cassetta ungran foglioun proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlodavanti agli occhi di Renzo.

-Ah! ecco! - esclamò questoalzando con una mano il bicchiereriempito di nuovoe rivotandolo subitoe stendendo poi l'altramanocon un dito tesoverso la grida: - ecco quel bel foglio dimessale. Me ne rallegro moltissimo. La conosco quell'arme; so cosavuol dire quella faccia d'arianocon la corda al collo -. (In cimaalle gride si metteva allora l'arme del governatore; e in quella didon Gonzalo Fernandez de Cordovaspiccava un re moro incatenato perla gola). - Vuol direquella faccia: comanda chi puòeubbidisce chi vuole. Quando questa faccia avrà fatto andare ingalera il signor don... bastalo so io; come dice in un altro fogliodi messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera cheun giovine onesto possa sposare una giovine onesta che ècontenta di sposarloallora le dirò il mio nome a questafaccia; le darò anche un bacio per di più. Posso averdelle buone ragioni per non dirloil mio nome. Oh bella! E se unfurfantoneche avesse al suo comando una mano d'altri furfanti:perché se fosse solo... - e qui finì la frase con ungesto: - se un furfantone volesse saper dov'io sonoper farmiqualche brutto tirodomando io se questa faccia si moverebbe peraiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Sonvenuto a Milano per confessarmisupponiamo; ma voglio confessarmi daun padre cappuccinoper modo di diree non da un oste.

L'ostestava zittoe seguitava a guardar la guidala quale non facevadimostrazione di sorte veruna. Renzoci dispiace il dirlotracannòun altro bicchieree proseguì: - ti porterò unaragioneil mio caro osteche ti capaciterà. Se le gride cheparlan benein favore de' buoni cristianinon contano; tanto menodevon contare quelle che parlan male. Dunque leva tuttiquest'imbroglie porta in vece un altro fiasco; perché questoè fesso -. Così dicendolo percosse leggermente con lenoccae soggiunse: - sentisentiostecome crocchia.

Anchequesta voltaRenzo avevaa poco a pocoattirata l'attenzione diquelli che gli stavan d'intorno: e anche questa voltafu applauditodal suo uditorio.

-Cosa devo fare? - disse l'osteguardando quello sconosciutoche nonera tale per lui.

-Viavia- gridaron molti di que' compagnoni: - ha ragione quelgiovine: son tutte angherietrappoleimpicci: legge nuova Oggilegge nuova. In mezzo a queste gridalo sconosciutodando all'osteun'occhiata di rimproveroper quell'interrogazione troppo scopertadisse: - lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene.

-Ho fatto il mio dovere- disse l'osteforte; e poi tra se: "ora ho le spalle al muro". E prese la cartala pennailcalamaiola gridae il fiasco votoper consegnarlo al garzone.

-Porta del medesimo- disse Renzo: - che lo trovo galantuomo; e lometteremo a letto come l'altrosenza domandargli nome e cognomeedi che nazione saràe cosa viene a faree se ha a stare unpezzo in questa città.

-Del medesimo- disse l'oste al garzonedandogli il fiasco; eritornò a sedere sotto la cappa del cammino. " Altro chelepre! " pensavaistoriando di nuovo la cenere: " e in chemani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogareaffoga; ma l'ostedella luna piena non deve andarne di mezzoper le tue pazzie ".

Renzoringraziò la guidae tutti quegli altri che avevan prese lesue parti. - Bravi amici! - disse: - ora vedo proprio che igalantuomini si dànno la manoe si sostengono -. Poispianando la destra per aria sopra la tavolae mettendosi di nuovoin attitudine di predicatore- gran cosa- esclamò- chetutti quelli che regolano il mondovoglian fare entrar per tuttocartapenna e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania chehanno que' signori d'adoprar la penna!

-Ehiquel galantuomo di campagna! volete saperne la ragione? - disseridendo uno di que' giocatoriche vinceva.

-Sentiamo un poco- rispose Renzo.

-La ragione è questa- disse colui: - che que' signori sonloro che mangian l'ochee si trovan lì tante pennetantepenneche qualcosa bisogna che ne facciano.

Tuttisi misero a riderefuor che il compagno che perdeva.

-To'- disse Renzo: - è un poeta costui. Ce n'è anchequi de' poeti: già ne nasce per tutto. N'ho una vena anch'ioe qualche volta ne dico delle curiose... ma quando le cose vannobene.

Percapire questa baggianata del povero Renzobisogna sapere chepressoil volgo di Milanoe del contado ancora piùpoeta nonsignifica giàcome per tutti i galantuominiun sacroingegnoun abitator di Pindoun allievo delle Muse; vuol dire uncervello bizzarro e un po' balzanochene' discorsi e ne' fattiabbia più dell'arguto e del singolare che del ragionevole.Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere leparolee a far dir loro le cose più lontane dal lorolegittimo significato! Perchévi domando iocosa ci ha chefare poeta con cervello balzano?

-Ma la ragione giusta la dirò io- soggiunse Renzo: - èperché la penna la tengon loro: e cosìle parole chedicon lorovolan viae spariscono; le parole che dice un poverofigliuolostanno attenti benee presto presto le infilzan per ariacon quella pennae te le inchiodano sulla cartaper servirseneatempo e luogo. Hanno poi anche un'altra malizia; chequando voglionoimbrogliare un povero figliuoloche non abbia studiatoma che abbiaun po' di... so io quel che voglio dire... - eper farsi intendereandava picchiandoe come arietando la fronte con la puntadell'indice; - e s'accorgono che comincia a capir l'imbrogliotaffetebuttan dentro nel discorso qualche parola in latinoperfargli perdere il filoper confondergli la testa. Basta; se ne devesmetter dell'usanze! Oggia buon contos'è fatto tutto involgaree senza cartapenna e calamaio; e domanise la gente sapràregolarsise ne farà anche delle meglio: senza torcere uncapello a nessunoperò; tutto per via di giustizia.

Intantoalcuni di que' compagnoni s'eran rimessi a giocarealtri a mangiaremolti a gridare; alcuni se n'andavano; altra gente arrivava; l'ostebadava agli uni e agli altri: tutte cose che non hanno che fare conla nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva l'orad'andarsene; non avevaa quel che paressenessun affare in quelluogo; eppure non voleva partire prima d'aver chiacchierato un altropoco con Renzo in particolare. Si voltò a luiriattaccòil discorso del pane; e dopo alcune di quelle frasi cheda qualchetempocorrevano per tutte le bocchevenne a metter fuori un suoprogetto. - Eh! se comandassi io- disse- lo troverei il verso difare andar le cose bene.

-Come vorreste fare? - domandò Renzoguardandolo con dueocchietti brillanti più del doveree storcendo un po' laboccacome per star più attento.

-Come vorrei fare? - disse colui: - vorrei che ci fosse pane pertutti; tanto per i povericome per i ricchi.

-Ah! così va bene- disse Renzo.

-Ecco come farei. Una meta onestache tutti ci potessero campare. Epoidistribuire il pane in ragione delle bocche: perché c'èdegl'ingordi indiscretiche vorrebbero tutto per loroe fanno aruffa raffapigliano a buon conto; e poi manca il pane alla poveragente. Dunque dividere il pane. E come si fa? Ecco: dare un belbiglietto a ogni famigliain proporzion delle boccheper andare aprendere il pane dal fornaio. A meper esempiodovrebberorilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fuselladiprofessione spadaiocon moglie e quattro figliuolitutti in etàda mangiar pane (notate bene): gli si dia pane tantoe paghi solditanti. Ma far le cose giustesempre in ragion delle bocche. A voiper esempiodovrebbero fare un biglietto per... il vostro nome?

-Lorenzo Tramaglino- disse il giovine; il qualeinvaghito delprogettonon fece attenzione ch'era tutto fondato su cartapenna ecalamaio; e cheper metterlo in operala prima cosa doveva esseredi raccogliere i nomi delle persone.

-Benissimo- disse lo sconosciuto: - ma avete moglie e figliuoli?

-Dovrei bene... figliuoli no... troppo presto... ma la moglie... se ilmondo andasse come dovrebbe andare...

-Ah siete solo! Dunque abbiate pazienzama una porzione piùpiccola.

-È giusto; ma se prestocome spero... e con l'aiuto di Dio..Basta; quando avessi moglie anch'io?

-Allora si cambia il bigliettoe si cresce la porzione. Come v'hodetto; sempre in ragion delle bocche- disse lo sconosciutoalzandosi.

-Così va bene- gridò Renzo; e continuògridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non lafanno una legge così?

-Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona nottee me ne vo;perché penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno da unpezzo.

-Un altro gocciolinoun altro gocciolino- gridava Renzoriempiendoin fretta il bicchiere di colui; e subito alzatosie acchiappatoloper una falda del farsettotirava forteper farlo seder di nuovo. -Un altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.

Mal'amicocon una strattasi liberòe lasciando Renzo fare unguazzabuglio d'istanze e di rimproveridisse di nuovo: - buonanotte- e se n'andò. Renzo seguitava ancora a predicargliche quello era già in istrada; e poi ripiombò sullapanca. Fissò gli occhi su quel bicchiere che aveva riempito;evedendo passar davanti alla tavola il garzonegli accennòdi fermarsicome se avesse qualche affare da comunicargli; poi gliaccennò il bicchieree con una pronunzia lenta e solennespiccando le parole in un certo modo particolaredisse: - eccol'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno rasoproprio daamico; ma non l'ha voluto. Alle voltela gente ha dell'idee curiose.Io non ci ho colpa: il mio buon cuore l'ho fatto vedere. Oragiacchéla cosa è fattanon bisogna lasciarlo andare a male -. Cosìdettolo presee lo votò in un sorso.

-Ho inteso- disse il garzoneandandosene.

-Ah! avete inteso anche voi- riprese Renzo: - dunque è vero.Quando le ragioni son giuste...!

Quiè necessario tutto l'amoreche portiamo alla veritàper farci proseguire fedelmente un racconto di così poco onorea un personaggio tanto principalesi potrebbe quasi dire al primouomo della nostra storia. Per questa stessa ragione d'imparzialitàdobbiamo però anche avvertire ch'era la prima voltache aRenzo avvenisse un caso simile: e appunto questo suo non esser uso astravizi fu cagione in gran parte che il primo gli riuscisse cosìfatale. Que' pochi bicchieri che aveva buttati giù daprincipiol'uno dietro l'altrocontro il suo solitoparte perquell'arsione che si sentivaparte per una certa alterazioned'animoche non gli lasciava far nulla con misuragli diederosubito alla testa: a un bevitore un po' esercitato non avrebberofatto altro che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa unaosservazioneche noi ripeteremo: e conti quel che puòcontare. Le abitudini temperate e onestedicerecano anche questovantaggiochequanto più sono inveterate e radicate in unuomotanto più facilmenteappena appena se n'allontanisene risente subito; dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; eanche uno sproposito gli serve di scola.

Comunquesiaquando que' primi fumi furono saliti alla testa di Renzovino eparole continuarono a andarel'uno in giù e l'altre in susenza misura né regola: eal punto a cui l'abbiam lasciatostava già come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare:ascoltatorio almeno uomini presenti che potesse prender per talinon ne mancava; eper qualche tempoanche le parole eran venute viasenza farsi pregaree s'eran lasciate collocare in un certo qualordine. Ma a poco a pocoquella faccenda di finir le frasi cominciòa divenirgli fieramente difficile. Il pensieroche s'era presentatovivo e risoluto alla sua mentes'annebbiava e svaniva tutt'a untratto; e la paroladopo essersi fatta aspettare un pezzonon eraquella che fosse al caso. In queste angustieper uno di que' falsiistinti chein tante coserovinan gli uominiricorreva a quelbenedetto fiasco. Ma di che aiuto gli potesse essere il fiascoinuna tale circostanzachi ha fior di senno lo dica.

Noiriferiremo soltanto alcune delle moltissime parole che mandòfuoriin quella sciagurata sera: le molte più chetralasciamodisdirebbero troppo; perchénon solo non hannosensoma non fanno vista d'averlo: condizione necessaria in un librostampato.

-Ah osteoste! - ricominciòaccompagnandolo con l'occhiointorno alla tavolao sotto la cappa del cammino; talvoltafissandolo dove non erae parlando sempre in mezzo al chiasso dellabrigata: - oste che tu sei! Non posso mandarla giù... queltiro del nomecognome e negozio. A un figliuolo par mio...! Non tisei portato bene. Che soddisfazioneche sugoche gusto... dimettere in carta un povero figliuolo? Parlo benesignori? Gli ostidovrebbero tenere dalla parte de' buoni figliuoli... Sentisentioste; ti voglio fare un paragone... per la ragione... Ridono eh? Houn po' di briosì... ma le ragioni le dico giuste. Dimmi unpoco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poverifigliuolin'è vero? dico bene? Guarda un po' se que' signoridelle gride vengono mai da te a bere un bicchierino.

-Tutta gente che beve acqua- disse un vicino di Renzo.

-Vogliono stare in sé- soggiunse un altro- per poter dir lebugie a dovere.

-Ah! - gridò Renzo: - ora è il poeta che ha parlato.Dunque intendete anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dunqueoste: e Ferrerche è il meglio di tuttiè mai venutoqui a fare un brindisie a spendere un becco d'un quattrino? E quelcane assassino di don...? Sto zittoperché sono in cervelloanche troppo. Ferrer e il padre Crrr... so ioson due galantuomini;ma ce n'è pochi de' galantuomini. I vecchi peggio de' giovani;e i giovani... peggio ancora de' vecchi. Peròson contentoche non si sia fatto sangue: oibò; barbarieda lasciarle fareal boia. Pane; oh questo sì. Ne ho ricevuti degli urtoni;ma... ne ho anche dati. Largo! abbondanza! viva!... EppureancheFerrer... qualche parolina in latino... siés baraòstrapolorum... Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ahecco leparole giuste!... Là ci volevano que' galantuomini... quandoscappò fuori quel maledetto ton ton tone poi ancora ton tonton. Non si sarebbe fuggitive'allora. Tenerlo lì quelsignor curato... So io a chi penso!

Aquesta parolaabbassò la testae stette qualche tempocomeassorto in un pensiero: poi mise un gran sospiroe alzò ilvisocon due occhi inumiditi e lustricon un certo accoramento cosìsvenevolecosì sguaiatoche guai se chi n'era l'oggettoavesse potuto vederlo un momento. Ma quegli omacci che giàavevan cominciato a prendersi spasso dell'eloquenza appassionata eimbrogliata di Renzotanto più se ne presero della sua ariacompunta; i più vicini dicevano agli altri: guardate; e tuttisi voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello della brigata. Nongià che tutti fossero nel loro buon sennoo nel loro qual sifosse senno ordinario; maper dire il veronessuno n'era tantouscitoquanto il povero Renzo: e per di più era contadino. Simiseroor l'uno or l'altroa stuzzicarlo con domande sciocche egrossolanecon cerimonie canzonatorie. Renzoora dava segnod'averselo per maleora prendeva la cosa in ischerzoorasenzabadare a tutte quelle vociparlava di tutt'altroora rispondevaora interrogava; sempre a saltie fuor di proposito. Per buonasortein quel vaneggiamentogli era però rimasta comeun'attenzione istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodochéanche quello che doveva esser più altamente fitto nella suamemorianon fu proferito: ché troppo ci dispiacerebbe se quelnomeper il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto e diriverenzafosse stato strascinato per quelle boccaccefossedivenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.




Cap.XV


L'ostevedendo che il gioco andava in lungos'era accostato a Renzo; epregandocon buona graziaquegli altri che lo lasciassero starel'andava scotendo per un braccioe cercava di fargli intendere e dipersuaderlo che andasse a dormire. Ma Renzo tornava sempre da capocol nome e cognomee con le gridee co' buoni figliuoli. Peròquelle parole: letto e dormireripetute al suo orecchioglientraron finalmente in testa; gli fecero sentire un po' piùdistintamente il bisogno di ciò che significavanoeprodussero un momento di lucido intervallo. Quel po' di senno che glitornògli fece in certo modo capire che il più sen'era andato: a un di presso come l'ultimo moccolo rimasto accesod'un'illuminazionefa vedere gli altri spenti. Si fece coraggio;stese le manie le appuntellò sulla tavola; tentòunae due volted'alzarsi; sospiròbarcollò; alla terzasorretto dall'ostesi rizzò. Quelloreggendolo tuttavialofece uscire di tra la tavola e la panca; epreso con una mano unlumecon l'altraparte lo condusseparte lo tiròallameglioverso l'uscio di scala. Lì Renzoal chiasso de'saluti che coloro gli urlavan dietrosi voltò in fretta; e seil suo sostenitore non fosse stato ben lesto a tenerlo per unbracciola voltata sarebbe stata un capitombolo; si voltòdunqueecon l'altro braccio che gli rimaneva liberoandavatrinciando e iscrivendo nell'aria certi salutia guisa d'un nodo diSalomone.

-Andiamo a lettoa letto- disse l'ostestrascicandolo; gli feceimboccar l'uscio; e con più fatica ancoralo tirò incima di quella scalettae poi nella camera che gli aveva destinata.Renzovisto il letto che l'aspettavasi rallegrò; guardòamorevolmente l'ostecon due occhietti che ora scintillavan piùche maiora s'eclissavanocome due lucciole; cercòd'equilibrarsi sulle gambe; e stese la mano al viso dell'osteperprendergli il ganascinoin segno d'amicizia e di riconoscenza; manon gli riuscì. - Bravo oste! - gli riuscì peròdi dire: - ora vedo che sei un galantuomo: questa è un'operabuonadare un letto a un buon figliuolo; ma quella figura che m'haifattasul nome e cognomequella non era da galantuomo. Per buonasorte che anch'io son furbo la mia parte...

L'osteil quale non pensava che colui potesse ancor tanto connettere; l'ostecheper lunga esperienzasapeva quanto gli uominiin quello statosian più soggetti del solito a cambiar di parerevolleapprofittare di quel lucido intervalloper fare un altro tentativo.- Figliuolo caro- dissecon una voce e con un fare tutto gentile:- non l'ho fatto per seccarviné per sapere i fatti vostri.Cosa volete? è legge: anche noi bisogna ubbidire; altrimentisiamo i primi a portarne la pena. È meglio contentarlie...Di che si tratta finalmente? Gran cosa! dir due parole. Non per loroma per fare un piacere a me: via; qui tra noia quattr'occhifacciam le nostre cose; ditemi il vostro nomee... e poi andate aletto col cuor quieto.

-Ah birbone! - esclamò Renzo: - mariolo! tu mi torni ancora incampo con quell'infamità del nomecognome e negozio!

-Sta' zittobuffone; va' a letto- diceva l'oste.

MaRenzo continuava più forte: - ho inteso: sei della lega anchetu. Aspettaaspettache t'accomodo io -. E voltando la testa versola scalettacominciava a urlare più forte ancora: - amici!l'oste è della...

-Ho detto per celia- gridò questo sul viso di Renzospingendolo verso il letto: - per celia; non hai inteso che ho dettoper celia?

-Ah! per celia: ora parli bene. Quando hai detto per celia... Sonproprio celie -. E cadde bocconi sul letto.

-Animo; spogliatevi; presto- disse l'ostee al consiglio aggiunsel'aiuto; che ce n'era bisogno. Quando Renzo si fu levato il farsetto(e ce ne volle)l'oste l'agguantò subitoe corse con le manialle tascheper vedere se c'era il morto. Lo trovò: epensando cheil giorno dopoil suo ospite avrebbe avuto a fare iconti con tutt'altri

Eche con luie che quel morto sarebbe probabilmente caduto in mani didove un oste non avrebbe potuto farlo uscire; volle provarsi sealmeno gli riusciva di concluder quest'altro affare.

-Voi siete un buon figliuoloun galantuomo; n'è vero? - disse.

-Buon figliuologalantuomo- rispose Renzofacendo tuttavia litigarle dita co' bottoni de' panni che non s'era ancor potuto levare.

-Bene- replicò l'oste: - saldate ora dunque quel pococonticinoperché domani io devo uscire per certi mieiaffari...

-Quest'è giusto- disse Renzo. - Son furboma galantuomo...Ma i danari? Andare a cercare i danari ora!

-Eccoli qui- disse l'oste: emettendo in opera tutta la suapraticatutta la sua pazienzatutta la sua destrezzagli riuscìdi fare il conto con Renzoe di pagarsi.

-Dammi una manoch'io possa finir di spogliarmioste- disse Renzo.- Lo vedo anch'iove'che ho addosso un gran sonno.

L'ostegli diede l'aiuto richiesto; gli stese per di più la copertaaddossoe gli disse sgarbatamente - buona notte- che giàquello russava. Poiper quella specie d'attrattivache alle volteci tiene a considerare un oggetto di stizzaal pari che un oggettod'amoree che forse non è altro che il desiderio di conoscereciò che opera fortemente sull'animo nostrosi fermò unmomento a contemplare l'ospite così noioso per luialzandogliil lume sul visoe facendovicon la mano stesaribatter sopra laluce; in quell'atto a un di presso che vien dipinta Psichequandosta a spiare furtivamente le forme del consorte sconosciuto. - Pezzod'asino! - disse nella sua mente al povero addormentato: - sei andatoproprio a cercartela. Domani poimi saprai dire che bel gusto ciavrai. Tangheriche volete girare il mondosenza saper da che partesi levi il sole; per imbrogliar voi e il prossimo.

Cosìdetto o pensatoritirò il lumesi mosseuscì dallacamerae chiuse l'uscio a chiave. Sul pianerottolo della scalachiamò l'ostessa; alla quale disse che lasciasse i figliuoliin guardia a una loro servettae scendesse in cucinaa far le sueveci. - Bisogna ch'io vada fuoriin grazia d'un forestiero capitatoquinon so come diavoloper mia disgrazia- soggiunse; e leraccontò in compendio il noioso accidente. Poi soggiunseancora: - occhio a tutto; e sopra tutto prudenzain questa maledettagiornata. Abbiamo laggiù una mano di scapestrati chetra ilberee tra che di natura sono sboccatine dicon di tutti i colori.Bastase qualche temerario...

-Oh! non sono una bambinae so anch'io quel che va fatto. Finoramipare che non si possa dire...

-Benebene; e badar che paghino; e tutti que' discorsi che fannosulvicario di provvisione e il governatore e Ferrer e i decurioni e icavalieri e Spagna e Francia e altre simili corbelleriefar vista dinon sentire; perchése si contraddicela può andarmale subito; e se si dà ragionela può andar male inavvenire: e già sai anche tu che qualche volta quelli che ledicon più grosse... Basta; quando si senton certeproposizionigirar la testae dire: vengo; come se qualchedunochiamasse da un'altra parte. Io cercherò di tornare piùpresto che posso.

Ciòdettoscese con lei in cucinadiede un'occhiata in giroper vederse c'era novità di rilievo; staccò da un cavicchio ilcappello e la cappaprese un randello da un cantuccioricapitolòcon un'altra occhiata alla mogliel'istruzioni che le aveva date; euscì. Magià nel far quelle operazioniaveva ripresodentro di séil filo dell'apostrofe cominciata al letto delpovero Renzo; e la proseguivacamminando in istrada.

"Testardo d'un montanaro! " Chéper quanto Renzo avessevoluto tener nascosto l'esser suoquesta qualità simanifestava da sénelle parolenella pronunzianell'aspettoe negli atti. " Una giornata come questaa forza di politicaaforza d'aver giudizioio n'uscivo netto; e dovevi venir tu sullafinea guastarmi l'uova nel paniere. Manca osterie in Milanoche tudovessi proprio capitare alla mia? Fossi almeno capitato solo; cheavrei chiuso un occhioper questa sera; e domattina t'avrei fattointender la ragione. Ma no signore; in compagnia ci vieni; e incompagnia d'un bargelloper far meglio! "

Aogni passol'oste incontrava o passeggieri scompagnatio coppieobrigate di genteche giravano susurrando. A questo punto della suamuta allocuzionevide venire una pattuglia di soldati; e tirandosida parteper lasciarli passareli guardò con la codadell'occhioe continuò tra sé: " eccoli igastigamatti. E tupezzo d'asinoper aver visto un po' di gente ingiro a far baccanoti sei cacciato in testa che il mondo abbia amutarsi. E su questo bel fondamentoti sei rovinato tee volevianche rovinar me; che non è giusto. Io facevo di tutto persalvarti; e tubestiain contraccambioc'è mancato poco chenon m'hai messo sottosopra l'osteria. Ora toccherà a te alevarti d'impiccio: per me ci penso io. Come se io volessi sapere iltuo nome per una mia curiosità! Cosa m'importa a me che tu tichiami Taddeo o Bartolommeo? Ci ho un bel gusto anch'io a prender lapenna in mano! ma non siete voi altri soli a voler le cose a modovostro. Lo so anch'io che ci son delle gride che non contan nulla:bella novitàda venircela a dire un montanaro! Ma tu non saiche le gride contro gli osti contano. E pretendi girare il mondoeparlare; e non sai chea voler fare a modo suoe impiparsi dellegridela prima cosa è di parlarne con gran riguardo. E per unpovero oste che fosse del tuo pareree non domandasse il nome di chicapita a favorirlosai tubestiacosa c'è di bello? Sottopena a qual si voglia dei detti ostitavernai ed altricome sopradi trecento scudi: sìson lì che covano trecentoscudi; e per ispenderli così bene; da esser applicatiperi due terzi alla regia Camerae l'altro all'accusatore o delatore:quel bel cecino! Ed in caso di inabilitàcinque anni digalerae maggior penapecuniaria o corporaleall'arbitrio di suaeccellenza. Obbligatissimo alle sue grazie ".

Aqueste parolel'oste toccava la soglia del palazzo di giustizia.

Lìcome a tutti gli altri ufizic'era un gran da fare: per tuttos'attendeva a dar gli ordini che parevan più atti apreoccupare il giorno seguentea levare i pretesti e l'ardire aglianimi vogliosi di nuovi tumultiad assicurare la forza nelle manisolite a adoprarla. S'accrebbe la soldatesca alla casa del vicario;gli sbocchi della strada furono sbarrati di travitrincerati dicarri. S'ordinò a tutti i fornai che facessero pane senzaintermissione; si spedirono staffette a' paesi circonviciniconordini di mandar grano alla città; a ogni forno furonodeputati nobiliche vi si portassero di buon mattinoa invigilaresulla distribuzione e a tenere a freno gl'inquieticon l'autoritàdella presenzae con le buone parole. Ma per darcome si diceuncolpo al cerchio e uno alla bottee render più efficaci iconsigli con un po' di spaventosi pensò anche a trovar lamaniera di metter le mani addosso a qualche sedizioso: e questa eraprincipalmente la parte del capitano di giustizia; il qualeognunopuò pensare che sentimenti avesse per le sollevazioni e per isollevaticon una pezzetta d'acqua vulneraria sur uno degli organidella profondità metafisica. I suoi bracchi erano in campofino dal principio del tumulto: e quel sedicente Ambrogio Fusellaeracome ha detto l'osteun bargello travestitomandato in giroappunto per cogliere sul fatto qualcheduno da potersi riconoscereetenerlo in pettoe appostarloe acchiapparlo poia notte affattoquietao il giorno dopo. Sentite quattro parole di quella predica diRenzocolui gli aveva fatto subito assegnamento sopra; parendogliquello un reo buon uomoproprio quel che ci voleva. Trovandolo poinuovo affatto del paeseaveva tentato il colpo maestro di condurlocaldo caldo alle carcericome alla locanda più sicura dellacittà; ma gli andò fallitocome avete visto. Potéperò portare a casa la notizia sicura del nomecognome epatriaoltre cent'altre belle notizie congetturali; dimodochéquando l'oste capitò lìa dir ciò che sapevaintorno a Renzone sapevan già più di lui. Entrònella solita stanzae fece la sua deposizione: come era giunto adalloggiar da lui un forestieroche non aveva mai voluto manifestareil suo nome.

-Avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia -; disse unnotaio criminalemettendo giu la penna- ma già lo sapevamo.

"Bel segreto! " pensò l'oste: " ci vuole un grantalento! " - E sappiamo anche- continuò il notaio-quel riverito nome.

"Diavolo! il nome poicom'hanno fatto? " pensò l'ostequesta volta.

-Ma voi- riprese l'altrocon volto serio- voi non dite tuttosinceramente.

-Cosa devo dire di più?

-Ah! ah! sappiamo benissimo che colui ha portato nella vostra osteriauna quantità di pane rubatoe rubato con violenzaper via disaccheggio e di sedizione.

-Vien uno con un pane in tasca; so assai dov'è andato aprenderlo. Perchéa parlar come in punto di morteposso diredi non avergli visto che un pane solo.

-Già; sempre scusaredifendere: chi sente voi altrison tuttigalantuomini. Come potete provare che quel pane fosse di buonacquisto?

-Cosa ho da provare io? io non c'entro: io fo l'oste.

-Non potrete però negare che codesto vostro avventore non abbiaavuta la temerità di proferir parole ingiuriose contro legridee di fare atti mali e indecenti contro l'arme di suaeccellenza.

-Mi faccia graziavossignoria: come può mai essere mioavventorese lo vedo per la prima volta? È il diavoloconrispetto parlandoche l'ha mandato a casa mia: e se lo conoscessivossignoria vede bene che non avrei avuto bisogno di domandargli ilsuo nome.

-Perònella vostra osteriaalla vostra presenzasi son dettecose di fuoco: parole temerarieproposizioni sediziosemormorazionistridaclamori.

-Come vuole vossignoria ch'io badi agli spropositi che posson diretanti urloni che parlan tutti insieme? Io devo attendere a' mieiinteressiche sono un pover'uomo. E poi vossignoria sa bene che chiè di lingua scioltaper il solito è anche lesto dimanotanto più quando sono una brigatae...

-Sìsì; lasciateli fare e dire: domanidomanivedretese gli sarà passato il ruzzo. Cosa credete?

-Io non credo nulla.

-Che la canaglia sia diventata padrona di Milano?

-Oh giusto!

-Vedretevedrete.

-Intendo benissimo: il re sarà sempre il re; ma chi avràriscossoavrà riscosso: e naturalmente un povero padre difamiglia non ha voglia di riscotere. Lor signori hanno la forza: alor signori tocca.

-Avete ancora molta gente in casa?

-Un visibilio.

-E quel vostro avventore cosa fa? Continua a schiamazzarea metter sula gentea preparar tumulti per domani?

-Quel forestierovuol dire vossignoria: è andato a letto.

-Dunque avete molta gente... Basta; badate a non lasciarlo scappare.

"Che devo fare il birro io? " pensò l'oste; ma non dissené sì né no.

-Tornate pure a casa; e abbiate giudizio- riprese il notaio.

-Io ho sempre avuto giudizio. Vossignoria può dire se ho maidato da fare alla giustizia.

-E non crediate che la giustizia abbia perduta la sua forza.

-Io? per carità! io non credo nulla: abbado a far l'oste.

-La solita canzone: non avete mai altro da dire.

-Che ho da dire altro? La verità è una sola.

-Basta; per ora riteniamo ciò che avete deposto; se verràpoi il casoinformerete più minutamente la giustiziaintornoa ciò che vi potrà venir domandato.

-Cosa ho da informare? io non so nulla; appena appena ho la testa daattendere ai fatti miei.

-Badate a non lasciarlo partire.

-Spero che l'illustrissimo signor capitano saprà che son venutosubito a fare il mio dovere. Bacio le mani a vossignoria.

Allospuntar del giornoRenzo russava da circa sett'oreed era ancorapoveretto! sul più belloquando due forti scosse allebracciae una voce che dappiè del letto gridava : - LorenzoTramaglino! -lo fecero riscotere. Si risentìritiròle bracciaaprì gli occhi a stento; e vide ritto appièdel letto un uomo vestito di neroe due armatiuno di quauno dilà del capezzale. Etra la sorpresae il non esser destobenee la spranghetta di quel vino che sapeterimase un momentocome incantato; e credendo di sognaree non piacendogli quel sognosi dimenavacome per isvegliarsi affatto.

-Ah! avete sentito una voltaLorenzo Tramaglino? - disse l'uomo dallacappa neraquel notaio medesimo della sera avanti. - Animo dunque;levatevie venite con noi.

-Lorenzo Tramaglino! - disse Renzo Tramaglino: - cosa vuol dir questo?Cosa volete da me? Chi v'ha detto il mio nome?

-Meno ciarlee fate presto- disse uno de' birri che gli stavano afiancoprendendogli di nuovo il braccio.

-Ohe! che prepotenza è questa? - gridò Renzoritirandoil braccio. - Oste! o l'oste!

-Lo portiam via in camicia? - disse ancora quel birrovoltandosi alnotaio.

-Avete inteso? - disse questo a Renzo: - si farà cosìse non vi levate subito subitoper venir con noi.

-E perché? - domandò Renzo.

-Il perché lo sentirete dal signor capitano di giustizia.

-Io? Io sono un galantuomo: non ho fatto nulla; e mi maraviglio...

-Meglio per voimeglio per voi; cosìin due parole saretespicciatoe potrete andarvene per i fatti vostri.

-Mi lascino andare ora- disse Renzo: - io non ho che far nulla conla giustizia.

-Orsùfiniamola! - disse un birro.

-Lo portiamo via davvero? - disse l'altro.

-Lorenzo Tramaglino! - disse il notaio.

-Come sa il mio nomevossignoria?

-Fate il vostro dovere- disse il notaio a' birri; i quali miserosubito le mani addosso a Renzoper tirarlo fuori del letto.

-Eh! non toccate la carne d'un galantuomoche...! Mi so vestir da me.

-Dunque vestitevi subito- disse il notaio.

-Mi vesto- rispose Renzo; e andava di fatti raccogliendo qua e lài panni sparsi sul lettocome gli avanzi d'un naufragio sul lido. Ecominciando a metterseliproseguiva tuttavia dicendo: - ma io non civoglio andare dal capitano di giustizia. Non ho che far nulla conlui. Giacché mi si fa quest'affronto ingiustamentevoglioesser condotto da Ferrer. Quello lo conoscoso che è ungalantuomo; e m'ha dell'obbligazioni.

-Sìsìfigliuolosarete condotto da Ferrer- risposeil notaio. In altre circostanzeavrebbe risoproprio di gustod'una richiesta simile; ma non era momento da ridere. Già nelvenireaveva visto per le strade un certo movimentoda non potersiben definire se fossero rimasugli d'una sollevazione non del tuttosedatao princìpi d'una nuova: uno sbucar di personeunaccozzarsiun andare a brigateun far crocchi. E orasenza farnesembianteo cercando almeno di non farlostava in orecchie glipareva che il ronzìo andasse crescendo. Desiderava dunque dispicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via Renzo d'amore ed'accordo; giacchése si fosse venuti a guerra aperta conluinon poteva esser certoquando fossero in istradadi trovarsitre contr'uno. Perciò dava d'occhio a' birriche avesseropazienzae non inasprissero il giovine; e dalla parte suacercavadi persuaderlo con buone parole. Il giovine intantomentre sivestiva adagino adaginorichiamandosicome potevaalla memoria gliavvenimenti del giorno avantiindovinava benea un di pressochele gride e il nome e il cognome dovevano esser la causa di tutto; macome diamine colui lo sapeva quel nome? E che diamine era accaduto inquella notteperché la giustizia avesse preso tant'animodavenire a colpo sicuroa metter le mani addosso a uno de' buonifigliuoli cheil giorno avantiavevan tanta voce in capitolo? e chenon dovevano esser tutti addormentatipoiché Renzos'accorgeva anche lui d'un ronzìo crescente nella strada.Guardando poi in viso il notaiovi scorgeva in pelle in pelle latitubazione che costui si sforzava invano di tener nascosta. Ondecosì per venire in chiaro delle sue congetturee scoprirpaesecome per tirare in lungoe anche per tentare un colpodisse:- vedo bene cos'è l'origine di tutto questo: gli è peramor del nome e del cognome. Ier sera veramente ero un po' allegro:questi osti alle volte hanno certi vini traditori; e alle voltecomedicosi saquando il vino è giùè lui cheparla. Mase non si tratta d'altroora son pronto a darle ognisoddisfazione. E poigià lei lo sa il mio nome. Chi diaminegliel ha detto?

-Bravofigliuolobravo! - rispose il notaiotutto manieroso: - vedoche avete giudizio; ecredete a me che son del mestierevoi sietepiù furbo che tant'altri. È la miglior manierad'uscirne presto e bene: con codeste buone disposizioniin dueparole siete spicciatoe lasciato in libertà. Ma iovedetefigliuoloho le mani legatenon posso rilasciarvi quicome vorrei.Viafate prestoe venite pure senza timore; che quando vedranno chisiete; e poi io dirò... Lasciate fare a me... Basta;sbrigatevifigliuolo.

-Ah! lei non può: intendo- disse Renzo; e continuava avestirsirispingendo con de' cenni i cenni che i birri facevano dimettergli le mani addossoper farlo spicciare.

-Passeremo dalla piazza del duomo? - domandò poi al notaio.

-Di dove volete; per la più cortaaffine di lasciarvi piùpresto in libertà- disse quellorodendosi dentro di sédi dover lasciar cadere in terra quella domanda misteriosa di Renzoche poteva divenire un tema di cento interrogazioni. " Quandouno nasce disgraziato! " pensava. " Ecco; mi viene allemani uno chesi vedenon vorrebbe altro che cantare; eun po' direspiro che s'avessecosì extra formamaccademicamentein via di discorso amichevolegli si farebbeconfessarsenza cordaquel che uno volesse; un uomo da condurlo inprigione già bell'e esaminatosenza che se ne fosse accorto:e un uomo di questa sorte mi deve per l'appunto capitare in unmomento così angustiato. Eh! non c'è scampo "continuava a pensaretendendo gli orecchie piegando la testaall'indietro: " non c'è rimedio; e' risica d'essere unagiornata peggio di ieri ". Ciò che lo fece pensar cosìfu un rumore straordinario che si sentì nella strada: e nonpoté tenersi di non aprir l'impannataper dare un'occhiatina.Vide ch'era un crocchio di cittadinii qualiall'intimazione disbandarsifatta loro da una pattugliaavevan da principio rispostocon cattive parolee finalmente si separavan continuando abrontolare; e quel che al notaio parve un segno mortalei soldatieran pieni di civiltà. Chiuse l'impannatae stette un momentoin forsese dovesse condur l'impresa a termineo lasciar Renzo inguardia de' due birrie correr dal capitano di giustiziaa renderconto di ciò che accadeva. " Ma "pensòsubito" mi si dirà che sono un buon a nullaunpusillanimee che dovevo eseguir gli ordini. Siamo in ballo; bisognaballare. Malannaggia la furia! Maledetto il mestiere! "

Renzoera levato; i due satelliti gli stavano a' fianchi. Il notaio accennòa costoro che non lo sforzasser troppoe disse a lui: - da bravofigliuolo; a noispicciatevi.

AncheRenzo sentivavedeva e pensava. Era ormai tutto vestitosalvo ilfarsettoche teneva con una manofrugando con l'altra nelle tasche.- Ohe! - disseguardando il notaiocon un viso molto significante:- qui c'era de' soldi e una lettera. Signor mio!

-Vi sarà dato ogni cosa puntualmente- disse il notaiodopoadempite quelle poche formalità. Andiamoandiamo.

-Nonono- disse Renzotentennando il capo: - questa non mi va:voglio la roba miasignor mio. Renderò conto delle mieazioni; ma voglio la roba mia.

-Voglio farvi vedere che mi fido di voi: tenetee fate presto-disse il notaiolevandosi di senoe consegnandocon un sospiroaRenzo le cose sequestrate. Questoriponendole al loro postomormorava tra' denti: - alla larga! bazzicate tanto co' ladricheavete un poco imparato il mestiere -. I birri non potevan piùstare alle mosse; ma il notaio li teneva a freno con gli occhiediceva intanto tra sé: " se tu arrivi a metter piededentro quella soglial'hai da pagar con usural'hai da pagare ".

MentreRenzo si metteva il farsettoe prendeva il cappelloil notaio fececenno a un de' birriche s'avviasse per la scala; gli mandòdietro il prigionieropoi l'altro amico; poi si mosse anche lui. Incucina che furonomentre Renzo dice: - e quest'oste benedetto doves'è cacciato? - il notaio fa un altro cenno a' birri; i qualiafferranol'uno la destral'altro la sinistra del giovinee infretta in fretta gli legano i polsi con certi ordigniperquell'ipocrita figura d'eufemismochiamati manichini. Consistevanoquesti (ci dispiace di dover dlscendere a particolari indegni dellagravità storica; ma la chiarezza lo richiede)consistevano inuna cordicella lunga un po' più che il giro d'un polsoordinariola quale aveva nelle cime due pezzetti di legnocome duepiccole stanghette. La cordicella circondava il polso del paziente; ilegnettipassati tra il medio e l'anulare del prenditoreglirimanevano chiusi in pugnodi modo chegirandoliristringeva lalegaturaa volontà; e con ciò aveva mezzonon solod'assicurare la presama anche di martirizzare un ricalcitrante: e aquesto finela cordicella era sparsa di nodi.

Renzosi divincolagrida: - che tradimento è questo? A ungalantuomo...! - Ma il notaioche per ogni tristo fatto aveva le suebuone parole- abbiate pazienza- diceva: - fanno il loro dovere.Cosa volete? son tutte formalità; e anche noi non possiamotrattar la gente a seconda del nostro cuore. Se non si facesse quelloche ci vien comandatostaremmo freschi noi altripeggio di voi.Abbiate pazienza.

Mentreparlavai due a cui toccava a farediedero una girata a' legnetti.Renzo s'acquietòcome un cavallo bizzarro che si sente illabbro stretto tra le morsee esclamò: - pazienza!

-Bravo figliuolo! - disse il notaio: - questa è la vera manierad'uscirne a bene. Cosa volete? è una seccatura; lo vedoanch'io; maportandovi benein un momento ne siete fuori. E giacchévedo che siete ben dispostoe io mi sento inclinato a aiutarvivoglio darvi anche un altro parereper vostro bene. Credete a meche son pratico di queste cose: andate via diritto dirittosenzaguardare in qua e in làsenza farvi scorgere: cosìnessuno bada a voinessuno s'avvede di quel che è; e voiconservate il vostro onore. Di qui a un'ora voi siete in libertà:c'è tanto da fareche avranno fretta anche loro di sbrigarvi:e poi parlerò io... Ve n'andate per i fatti vostri; e nessunosaprà che siete stato nelle mani della giustizia. E voi altri- continuò poivoltandosi a' birricon un viso severo: -guardate bene di non fargli maleperché lo proteggo io: ilvostro dovere bisogna che lo facciate; ma ricordatevi che è ungalantuomoun giovine civileil qualedi qui a pocosaràin libertà; e che gli deve premere il suo onore. Andate inmaniera che nessuno s'avveda di nulla: come se foste tre galantuominiche vanno a spasso -. Econ tono imperativoe con sopraccigliominacciosoconcluse: - m'avete inteso -. Voltatosi poi a Renzocolsopracciglio spianatoe col viso divenuto a un tratto ridentechepareva volesse dire: oh noi sì che siamo amici!gli bisbigliòdi nuovo: - giudizio; fate a mio modo: andate raccolto e quieto;fidatevi di chi vi vuol bene: andiamo -. E la comitiva s'avviò.

Peròdi tante belle parole Renzonon ne credette una: né che ilnotaio volesse più bene a lui che a' birriné cheprendesse tanto a cuore la sua riputazionené che avesseintenzion d'aiutarlo: capì benissimo che il galantuomotemendo che si presentasse per la strada qualche buona occasione discappargli dalle manimetteva innanzi que' bei motiviper istornarlui dallo starci attento e da approfittarne. Dimodoché tuttequelle esortazioni non servirono ad altro che a confermarlo neldisegno che già aveva in testadi far tutto il contrario.

Nessunoconcluda da ciò che il notaio fosse un furbo inesperto enovizio; perché s'ingannerebbe. Era un furbo matricolatodiceil nostro storicoil quale pare che fosse nel numero de' suoi amici:main quel momentosi trovava con l'animo agitato. A sangue freddovi so dir io come si sarebbe fatto beffe di chiper indurre un altroa fare una cosa per sé sospettafosse andato suggerendoglielae inculcandogliela caldamentecon quella miserabile finta di dargliun parere disinteressatoda amico. Ma è una tendenza generaledegli uominiquando sono agitati e angustiatie vedono ciòche un altro potrebbe fare per levarli d'impicciodi chiederglielocon istanza e ripetutamente e con ogni sorte di pretesti; e i furbiquando sono angustiati e agitaticadono anche loro sotto questalegge comune. Quindi è chein simili circostanzefanno perlo più una così meschina figura. Que' ritrovatimaestriquelle belle maliziecon le quali sono avvezzi a vincereche son diventate per loro quasi una seconda naturae chemesse inopera a tempoe condotte con la pacatezza d'animocon la serenitàdi mente necessariefanno il colpo così bene e cosìnascostamentee conosciute anchedopo la riuscitariscotonol'applauso universale; i poverini quando sono alle stretteleadoprano in frettaall'impazzatasenza garbo né grazia. Dimaniera che a uno che li veda ingegnarsi e arrabattarsi a quel modofanno pietà e movon le risae l'uomo che pretendono allora dimettere in mezzoquantunque meno accorto di loroscopre benissimotutto il loro giocoe da quegli artifizi ricava lume per sécontro di loro. Perciò non si può mai abbastanzaraccomandare a' furbi di professione di conservar sempre il lorosangue freddoo d'esser sempre i più fortiche è lapiù sicura.

Renzoadunqueappena furono in istradacominciò a girar gli occhiin qua e in làa sporgersi con la personaa destra e asinistraa tender gli orecchi. Non c'era però concorsostraordinario; e benché sul viso di più d'unpasseggiero si potesse legger facilmente un certo non so che disediziosopure ognuno andava diritto per la sua strada; e sedizionepropriamente dettanon c'era.

-Giudiziogiudizio! - gli susurrava il notaio dietro le spalle: - ilvostro onore; l'onorefigliuolo -. Ma quando Renzobadandoattentamente a tre che venivano con visi accesisentì cheparlavan d'un fornodi farina nascostadi giustiziacominciòanche a far loro de' cenni col visoe a tossire in quel modo cheindica tutt'altro che un raffreddore. Quelli guardarono piùattentamente la comitivae si fermarono; con loro si fermarono altriche arrivavano; altriche gli eran passati davantivoltatisi albisbiglìotornavano indietroe facevan coda.

-Badate a voi; giudiziofigliuolo; peggio per voi vedete; nonguastate i fatti vostri; l'onorela riputazione- continuava asusurrare il notaio. Renzo faceva peggio. I birridopo essersiconsultati con l'occhiopensando di far bene (ognuno èsoggetto a sbagliare)gli diedero una stretta di manichini.

-Ahi! ahi! ahi! - grida il tormentato: al gridola gente s'affollaintorno; n'accorre da ogni parte della strada: la comitiva si trovaincagliata. - È un malvivente- bisbigliava il notaio aquelli che gli erano a ridosso: - è un ladro colto sul fatto.Si ritirinolascin passar la giustizia -. Ma Renzovisto il belmomentovisti i birri diventar bianchio almeno pallidi" senon m'aiuto orapensòmio danno ". E subito alzòla voce: - figliuoli! mi menano in prigioneperché ieri hogridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo:aiutateminon m'abbandonatefigliuoli!

Unmormorìo favorevolevoci più chiare di proteziones'alzano in risposta: i birri sul principio comandanopoi chiedonopoi pregano i più vicini d'andarsenee di far largo: la follain vece incalza e pigia sempre più. Quellivista la malaparatalascian andare i manichinie non si curan più d'altroche di perdersi nella follaper uscirne inosservati. Il notaiodesiderava ardentemente di far lo stesso; ma c'era de' guaiper amordella cappa nera. Il pover'uomopallido e sbigottitocercava difarsi piccino piccinos'andava storcendoper isgusciar fuor dellafolla; ma non poteva alzar gli occhiche non se ne vedesse ventiaddosso. Studiava tutte le maniere di comparire un estraneo chepassando di lì a casosi fosse trovato stretto nella calcacome una pagliucola nel ghiaccio; e riscontrandosi a viso a viso conuno che lo guardava fissocon un cipiglio peggio degli altriluicomposta la bocca al sorrisocon un suo fare scioccogli domandò:- cos'è stato?

-Uh corvaccio! - rispose colui. - Corvaccio! corvaccio! - risonòall'intorno. Alle grida s'aggiunsero gli urtoni; di maniera cheinpoco tempoparte con le gambe proprieparte con le gomita altruiottenne ciò che più gli premeva in quel momentod'esser fuori di quel serra serra.




Cap.XVI


-Scappascappagalantuomo: lì c'è un conventoecco làuna chiesa; di quidi là- si grida a Renzo da ogni parte.In quanto allo scapparepensate se aveva bisogno di consigli. Findal primo momento che gli era balenato in mente una speranza d'uscirda quell'unghieaveva cominciato a fare i suoi contie stabilitose questo gli riuscivad'andare senza fermarsifin che non fossefuorinon solo della cittàma del ducato. " Perché"aveva pensato" il mio nome l'hanno su' loro libracciin qualunque maniera l'abbiano avuto; e col nome e cognomemivengono a prendere quando vogliono ". E in quanto a un asilonon vi si sarebbe cacciato che quando avesse avuto i birri allespalle. " Perchése posso essere uccel di bosco "aveva anche pensato" non voglio diventare uccel di gabbia ".Aveva dunque disegnato per suo rifugio quel paese nel territorio diBergamodov'era accasato quel suo cugino Bortolose ve nerammentateche più volte l'aveva invitato a andar là.Ma trovar la stradalì stava il male. Lasciato in una partesconosciuta d'una città si può dire sconosciutaRenzonon sapeva neppure da che porta s'uscisse per andare a Bergamo; equando l'avesse saputonon sapeva poi andare alla porta. Fu lìlì per farsi insegnar la strada da qualcheduno de' suoiliberatori; ma siccome nel poco tempo che aveva avuto per meditaresu' casi suoigli eran passate per la mente certe idee su quellospadaio così obbligantepadre di quattro figliuolicosìa buon contonon volle manifestare i suoi disegni a una granbrigatadove ce ne poteva essere qualche altro di quel conio; erisolvette subito d'allontanarsi in fretta di lì: che lastrada se la farebbe poi insegnarein luogo dove nessuno sapesse chierané il perché la domandasse. Disse a' suoiliberatori: - grazie tantefigliuoli: siate benedetti- euscendoper il largo che gli fu fatto immediatamenteprese la rincorsaevia; dentro per un vicologiù per una stradettagaloppòun pezzosenza saper dove. Quando gli parve d'essersi allontanatoabbastanzarallentò il passoper non dar sospetto; ecominciò a guardare in qua e in làper isceglier lapersona a cui far la sua domandauna faccia che ispirasseconfidenza. Ma anche qui c'era dell'imbroglio. La domanda per séera sospetta; il tempo stringeva; i birriappena liberati da quelpiccolo intoppodovevan senza dubbio essersi rimessi in traccia delloro fuggitivo; la voce di quella fuga poteva essere arrivata fin là;e in tali stretteRenzo dovette fare forse dieci giudizifisionomiciprima di trovar la figura che gli paresse a proposito.Quel grassottoche stava ritto sulla soglia della sua bottegaagambe larghecon le mani di dietrocon la pancia in fuoricolmento in ariadal quale pendeva una gran pappagorgiae chenonavendo altro che fareandava alternativamente sollevando sulla puntade' piedi la sua massa tremolantee lasciandola ricadere suicalcagniaveva un viso di cicalone curiosochein vece di dardelle risposteavrebbe fatto delle interrogazioni. Quell'altro cheveniva innanzicon gli occhi fissie col labbro in fuorinon cheinsegnar presto e bene la strada a un altroappena pareva conoscerla sua. Quel ragazzottochea dire il veromostrava d'esser moltosvegliomostrava però d'essere anche più malizioso; eprobabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far andare un poverocontadino dalla parte opposta a quella che desiderava. Tant'èvero che all'uomo impicciatoquasi ogni cosa è un nuovoimpiccio! Visto finalmente uno che veniva in frettapensò chequestoavendo probabilmente qualche affare pressanteglirisponderebbe subitosenz'altre chiacchiere; e sentendolo parlar daségiudicò che dovesse essere un uomo sincero. Glis'accostòe disse: - di graziaquel signoreda che parte siva per andare a Bergamo?

-Per andare a Bergamo? Da porta orientale.

-Grazie tante; e per andare a porta orientale?

-Prendete questa strada a mancina; vi troverete sulla piazza delduomo; poi...

-Bastasignore; il resto lo so. Dio gliene renda merito -. E diviatos'incamminò dalla parte che gli era stata indicata. L'altrogli guardò dietro un momentoeaccozzando nel suo pensieroquella maniera di camminare con la domandadisse tra sé: "o n'ha fatta unao qualcheduno la vuol fare a lui ".

Renzoarriva sulla piazza del duomo; l'attraversapassa accanto a unmucchio di cenere e di carboni spentie riconosce gli avanzi delfalò di cui era stato spettatore il giorno avanti; costeggiagli scalini del duomorivede il forno delle gruccemezzosmantellatoe guardato da soldati; e tira diritto per la strada dacui era venuto insieme con la folla; arriva al convento de'cappuccini; dà un'occhiata a quella piazza e alla porta dellachiesae dice tra sésospirando: " m'aveva peròdato un buon parere quel frate di ieri: che stessi in chiesa aaspettaree a fare un po' di bene ".

Quiessendosi fermato un momento a guardare attentamente alla porta percui doveva passaree vedendovicosì da lontanomolta gentea guardiae avendo la fantasia un po' riscaldata (bisognacompatirlo; aveva i suoi motivi)provò una certa ripugnanzaad affrontare quel passo. Si trovava così a mano un luogod'asiloe dovecon quella letterasarebbe ben raccomandato; futentato fortemente d'entrarvi. Masubito ripreso animopensò:" uccel di boscofin che si può. Chi mi conosce? Diragionei birri non si saran fatti in pezziper andarmi adaspettare a tutte le porte ". Si voltòper vedere se maivenissero da quella parte: non vide né quelliné altriche paressero occuparsi di lui. Va innanzi; rallenta quelle gambebenedetteche volevan sempre correrementre conveniva soltantocamminare; e adagio adagiofischiando in semitonoarriva allaporta.

C'eraproprio sul passoun mucchio di gabellinieper rinforzoanchede' micheletti spagnoli; ma stavan tutti attenti verso il di fuoriper non lasciare entrar di quelli chealla notizia d'una sommossav'accorronocome i corvi al campo dove è stata databattaglia; di maniera che Renzocon un'aria indifferentecon gliocchi bassie con un andare così tra il viandante e uno chevada a spassouscìsenza che nessuno gli dicesse nulla; mail cuore di dentro faceva un gran battere. Vedendo a diritta unaviottolaentrò in quellaper evitare la strada maestra; ecamminò un pezzo prima di voltarsi neppure indietro.

Camminacammina; trova cascinetrova villaggitira innanzi senza domandarneil nome; è certo d'allontanarsi da Milanospera d'andar versoBergamo; questo gli basta per ora. Ogni tantosi voltava indietro;ogni tantoandava anche guardando e strofinando or l'uno or l'altropolsoancora un po' indolenzitie segnati in giro d'una strisciarosseggiantevestigio della cordicella. I suoi pensieri eranocomeognuno può immaginarsiun guazzabuglio di pentimentid'inquietudinidi rabbiedi tenerezze; era uno studio faticoso diraccapezzare le cose dette e fatte la sera avantidi scoprir laparte segreta della sua dolorosa storiae sopra tutto come aveanpotuto risapere il suo nome. I suoi sospetti cadevan naturalmentesullo spadaioal quale si rammentava bene d'averlo spiattellato. Eripensando alla maniera con cui gliel aveva cavato di boccae atutto il fare di coluie a tutte quell'esibizioni che riuscivansempre a voler saper qualcosail sospetto diveniva quasi certezza.Se non che si rammentava poi anchein confusod'averdopo lapartenza dello spadaiocontinuato a cicalare; con chiindovinalagrillo; di cosala memoriaper quanto venisse esaminatanon losapeva dire: non sapeva dir altro che d'essersi in quel tempo trovatafuor di casa. Il poverino si smarriva in quella ricerca: era come unuomo che ha sottoscritti molti fogli bianchie gli ha affidati a unoche credeva il fior de' galantuomini; e scoprendolo poi unimbroglionevorrebbe conoscere lo stato de' suoi affari: checonoscere? è un caos. Un altro studio penoso era quello di farsull'avvenire un disegno che gli potesse piacere: quelli che nonerano in ariaeran tutti malinconici.

Maben prestolo studio più penoso fu quello di trovar lastrada. Dopo aver camminato un pezzosi può direallaventuravide che da sé non ne poteva uscire. Provava bensìuna certa ripugnanza a metter fuori quella parola Bergamocome seavesse un non so che di sospettodi sfacciato; ma non si poteva fardi meno. Risolvette dunque di rivolgersicome aveva fatto in Milanoal primo viandante la cui fisonomia gli andasse a genio; e cosìfece.

-Siete fuor di strada- gli rispose questo; epensatoci un pocoparte con paroleparte co' cennigl'indicò il giro chedoveva fareper rimettersi sulla strada maestra. Renzo lo ringraziòfece le viste di far come gli era stato dettoprese in fatti daquella partecon intenzione però d'avvicinarsi bensì aquella benedetta strada maestradi non perderla di vistadicosteggiarla più che fosse possibile; ma senza mettervi piede.Il disegno era più facile da concepirsi che da eseguirsi. Laconclusione fu cheandando così da destra a sinistraecomesi dicea zig zagparte seguendo l'altre indicazioni che si facevacoraggio a pescar qua e làparte correggendole secondo i suoilumie adattandole al suo intentoparte lasciandosi guidar dallestrade in cui si trovava incamminatoil nostro fuggitivo aveva fatteforse dodici migliache non era distante da Milano più disei; e in quanto a Bergamoera molto se non se n'era allontanato.Cominciò a persuadersi cheanche in quella manieranon sen'usciva a bene; e pensò a trovar qualche altro ripiego.Quello che gli venne in mentefu di scovarcon qualche astuziailnome di qualche paese vicino al confinee al quale si potesse andareper istrade comunali: e domandando di quellosi farebbe insegnar lastradasenza seminar qua e là quella domanda di Bergamochegli pareva puzzar tanto di fugadi sfrattodi criminale.

Mentrecerca la maniera di pescar tutte quelle notiziesenza dar sospettovede pendere una frasca da una casuccia solitariafuori d'unpaesello. Da qualche temposentiva anche crescere il bisogno diristorar le sue forze; pensò che lì sarebbe il luogo difare i due servizi in una volta; entrò. Non c'era che unavecchiacon la rocca al fiancoe col fuso in mano. Chiese unboccone; gli fu offerto un po' di stracchino e del vin buono: accettòlo stracchinodel vino la ringraziò (gli era venuto in odioper quello scherzo che gli aveva fatto la sera avanti); e si mise asederepregando la donna che facesse presto. Questain un momentoebbe messo in tavola; e subito dopo cominciò a tempestare ilsuo ospite di domandee sul suo esseree sui gran fatti di Milano:ché la voce n'era arrivata fin là. Renzonon soloseppe schermirsi dalle domandecon molta disinvoltura; maapprofittandosi della difficoltà medesimafece servire al suointento la curiosità della vecchiache gli domandava dovefosse incamminato.

-Devo andare in molti luoghi- rispose: - ese trovo un ritaglio ditempovorrei anche passare un momento da quel paesepiuttostogrossosulla strada di Bergamovicino al confineperò nellostato di Milano... Come si chiama? - " Qualcheduno ce ne sarà"pensava intanto tra sé.

-Gorgonzolavolete dire- rispose la vecchia.

-Gorgonzola! - ripeté Renzoquasi per mettersi meglio in mentela parola. - È molto lontano di qui? - riprese poi.

-Non lo so precisamente: saranno diecisaranno dodici miglia. Se cifosse qualcheduno de' miei figliuolive lo saprebbe dire.

-E credete che ci si possa andare per queste belle viottolesenzaprender la strada maestra? dove c'è una polvereuna polvere!Tanto tempo che non piove!

-A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese chetroverete andando a diritta -. E glielo nominò.

-Va bene; - disse Renzo; s'alzòprese un pezzo di pane che gliera avanzato della magra colazioneun pane ben diverso da quello cheaveva trovatoil giorno avantiappiè della croce di sanDionigi; pagò il contouscìe prese a diritta. Epernon ve l'allungar più del bisognocol nome di Gorgonzola inboccadi paese in paeseci arrivòun'ora circa prima disera.

Giàcammin facendoaveva disegnato di far lì un'altra fermatinaper fare un pasto un po' più sostanzioso. Ilcorpo avrebbeanche gradito un po' di letto; ma prima che contentarlo in questoRenzo l'avrebbe lasciato cader rifinito sulla strada. Il suoproposito era d'informarsi all'osteriadella distanza dell'Addadicavar destramente notizia di qualche traversa che mettesse làe di rincamminarsi da quella partesubito dopo essersi rinfrescato.Nato e cresciuto alla seconda sorgenteper dir cosìdi quelfiumeaveva sentito dir più voltechea un certo puntoeper un certo trattoesso faceva confine tra lo stato milanese e ilveneto: del punto e del tratto non aveva un'idea precisa; maalloracome alloral'affar più urgente era di passarlodovunque sifosse. Se non gli riusciva in quel giornoera risoluto di camminarefin che l'ora e la lena glielo permettessero: e d'aspettar poil'albain un campoin un deserto; dove piacesse a Dio; pur che nonfosse un'osteria.

Fattialcuni passi in Gorgonzolavide un'insegnaentrò; eall'osteche gli venne incontrochiese un bocconee una mezzettadi vino: le miglia di piùe il tempo gli avevan fatto passarequell'odio così estremo e fanatico. - Vi prego di far prestosoggiunse: - perché ho bisogno di rimettermi subito in istrada-. E questo lo dissenon solo perché era veroma anche perpaura che l'osteimmaginandosi che volesse dormir lìnon gliuscisse fuori a domandar del nome e del cognomee donde venivaeper che negozio... Alla larga!

L'osterispose a Renzoche sarebbe servito; e questo si mise a sedere infondo della tavolavicino all'uscio: il posto de' vergognosi.

C'eranoin quella stanza alcuni sfaccendati del paesei qualidopo averdiscusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avantisistruggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno;tanto più che quelle prime eran più atte a stuzzicar lacuriositàche a soddisfarla: una sollevazionenésoggiogata né vittoriosasospesa più che terminatadalla notte; una cosa troncala fine d'un atto piuttosto che d'undramma. Un di coloro si staccò dalla brigatas'accostòal soprarrivatoe gli domandò se veniva da Milano.

-Io? - disse Renzo sorpresoper prender tempo a rispondere.

-Voise la domanda è lecita.

Renzotentennando il capostringendo le labbrae facendone uscire unsuono inarticolatodisse: - Milanoda quel che ho sentito dire...non dev'essere un luogo da andarci in questi momentimeno che peruna gran necessità.

-Continua dunque anche oggi il fracasso? - domandòcon piùistanzail curioso.

-Bisognerebbe esser làper saperlo- disse Renzo.

-Ma voinon venite da Milano?

-Vengo da Liscate- rispose lesto il giovineche intanto avevapensata la sua risposta. Ne veniva in fattia rigor di terminiperché c'era passato; e il nome l'aveva saputoa un certopunto della stradada un viandante che gli aveva indicato quel paesecome il primo che doveva attraversareper arrivare a Gorgonzola.

-Oh! - disse l'amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir daMilanoma pazienza. - E a Liscate- soggiunse- non si sapevaniente di Milano?

-Potrebb'essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualchecosa- rispose il montanaro: - ma io non ho sentito dir nulla.

Equeste parole le proferì in quella maniera particolare che parche voglia dire: ho finito. Il curioso ritornò al suo posto;eun momento dopol'oste venne a mettere in tavola.

-Quanto c'è di qui all'Adda? - gli disse Renzomezzo tra'denticon un fare da addormentatoche gli abbiam visto qualchealtra volta.

-All'Addaper passare? - disse l'oste.

-Cioè... sì... all'Adda.

-Volete passare dal ponte di Cassanoo sulla chiatta di Canonica?

-Dove si sia... Domando così per curiosità.

-Ehvolevo direperché quelli sono i luoghi dove passano igalantuominila gente che può dar conto di sé.

-Va bene: e quanto c'è?

-Fate conto chetanto a un luogocome all'altropoco piùpoco menoci sarà sei miglia.

-Sei miglia! non credevo tanto- disse Renzo. - E già- egiàchi avesse bisogno di prendere una scorciatoiacisaranno altri luoghi da poter passare?

-Ce n'è sicuro- rispose l'osteficcandogli in viso due occhipieni d'una curiosità maliziosa. Bastò questo per farmorir tra' denti al giovine l'altre domande che aveva preparate. Sitirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che l'osteaveva posatainsieme con quellosulla tavoladisse: - il vino èsincero?

Comel'oro- disse l'oste: - domandatene pure a tutta la gente del paesee del contornoche se n'intende: e poilo sentirete -. E cosìdicendotornò verso la brigata.

"Maledetti gli osti! " esclamò Renzo tra sé: "più ne conoscopeggio li trovo ". Non ostantesi mise amangiare con grand'appetitostandonello stesso tempoin orecchisenza che paresse suo fattoper veder di scoprir paesedi rilevarecome si pensasse colà sul grand'avvenimento nel quale egliaveva avuta non piccola partee d'osservare specialmente setraque' parlatorici fosse qualche galantuomoa cui un poverofigliuolo potesse fidarsi di domandar la stradasenza timore d'essermesso alle strettee forzato a ciarlare de' fatti suoi.

-Ma! - diceva uno: - questa volta par proprio che i milanesi abbianvoluto far davvero. Basta; domani al più tardisi sapràqualcosa.

-Mi pento di non esser andato a Milano stamattina- diceva un altro.

-Se vai domanivengo anch'io- disse un terzo; poi un altropoi unaltro.

-Quel che vorrei sapere- riprese il primo- è se que'signori di Milano penseranno anche alla povera gente di campagnaose faranno far la legge buona solamente per loro. Sapete come sonoeh? Cittadini superbitutto per loro: gli altricome se non cifossero.

-La bocca l'abbiamo anche noisia per mangiaresia per dir la nostraragione- disse un altrocon voce tanto più modestaquantopiù la proposizione era avanzata: - e quando la cosa siaincamminata... - Ma credette meglio di non finir la frase.

-Del grano nascostonon ce n'è solamente in Milano-cominciava un altrocon un'aria cupa e maliziosa; quando sentonoavvicinarsi un cavallo. Corron tutti all'uscio; ericonosciuto coluiche arrivavagli vanno incontro. Era un mercante di Milanocheandando più volte l'anno a Bergamoper i suoi traffichierasolito passar la notte in quell'osteria; e siccome ci trovava quasisempre la stessa compagniali conosceva tutti. Gli s'affollanointorno; uno prende la brigliaun altro la staffa. - Ben arrivatoben arrivato!

-Ben trovati.

-Avete fatto buon viaggio?

-Bonissimo; e voi altricome state?

-Benebene. Che nuove ci portate di Milano?

-Ah! ecco quelli delle novità- disse il mercantesmontandoe lasciando il cavallo in mano d'un garzone. - E poie poicontinuòentrando con la compagnia- a quest'ora le sapreteforse meglio di me.

-Non sappiamo nulladavvero- disse più d'unomettendosi lamano al petto.

-Possibile? - disse il mercante. - Dunque ne sentirete delle belle...o delle brutte. Ehiosteil mio letto solito è in libertà?Bene: un bicchier di vinoe il mio solito bocconesubito; perchévoglio andare a letto prestoper partir presto domattinae arrivarea Bergamo per l'ora del desinare. E voi altri- continuòmettendosi a sederedalla parte opposta a quella dove stava Renzozitto e attento- voi altri non sapete di tutte quelle diavolerie diieri?

-Di ieri sì.

-Vedete dunque- riprese il mercante- se le sapete le novità.Lo dicevo io chestando qui sempre di guardiaper frugar quelli chepassano...

-Ma oggicom'è andata oggi?

-Ah oggi. Non sapete niente d'oggi?

-Niente affatto: non è passato nessuno.

-Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò le cosed'oggi. Sentirete -. Empì il bicchierelo prese con una manopoi con le prime due dita dell'altra sollevò i baffipoi silisciò la barbabevettee riprese: - oggiamici caricimancò pocoche non fosse una giornata brusca come ieriopeggio. E non mi par quasi vero d'esser qui a chiacchierar con voialtri; perché avevo già messo da parte ogni pensiero diviaggioper restare a guardar la mia povera bottega.

-Che diavolo c'era? - disse uno degli ascoltanti.

-Proprio il diavolo: sentirete -. E trinciando la pietanza che gli erastata messa davantie poi mangiandocontinuò il suoracconto. I compagniritti di qua e di là della tavolalostavano a sentirecon la bocca aperta; Renzoal suo postosenzache paresse suo fattostava attentoforse più di tuttimasticando adagio adagio gli ultimi suoi bocconi.

-Stamattina dunque que' birboni che ieri avevano fatto quel chiassoorrendosi trovarono a' posti convenuti (già c'eraun'intelligenza: tutte cose preparate); si riunironoericominciarono quella bella storia di girare di strada in stradagridando per tirar altra gente. Sapete che è come quando sispazzacon riverenza parlandola casa; il mucchio del sudiciumeingrossa quanto più va avanti. Quando parve loro d'esser genteabbastanzas'avviarono verso la casa del signor vicario diprovvisione; come se non bastassero le tirannie che gli hanno fatteieri: a un signore di quella sorte! oh che birboni! E la roba chedicevan contro di lui! Tutte invenzioni: un signor dabbenepuntuale;e io lo posso direche son tutto di casae lo servo di panno per lelivree della servitù. S'incamminaron dunque verso quella casa:bisognava veder che canagliache facce: figuratevi che son passatidavanti alla mia bottega: facce che... i giudei della Via Crucisnon ci son per nulla. E le cose che uscivan da quelle bocche! daturarsene gli orecchise non fosse stato che non tornava conto difarsi scorgere. Andavan dunque con la buona intenzione di dare ilsacco; ma... - E quialzata in ariae stesa la mano sinistrasimise la punta del pollice alla punta del naso.

-Ma? - dissero forse tutti gli ascoltatori.

-Ma- continuò il mercante- trovaron la strada chiusa contravi e con carriedietro quella barricatauna bella fila dimicheletticon gli archibusi spianatiper riceverli come simeritavano. Quando videro questo bell'apparato... Cosa avreste fattovoi altri?

-Tornare indietro.

-Sicuro; e così fecero. Ma vedete un poco se non era il demonioche li portava. Son lì sul Cordusiovedon lì quelforno che fin da ieriavevan voluto saccheggiare; e cosa si facevain quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori; c'era de'cavalierie fior di cavalieria invigilare che tutto andasse bene;e costoro (avevano il diavolo addosso vi dicoe poi c'era chi gliaizzava)costorodentro come disperati; piglia tuche piglioanch'io: in un batter d'occhiocavalierifornaiavventoripanibancopanchemadiecassesacchifrullonicruscafarinapastatutto sottosopra.

-E i micheletti?

-I micheletti avevan la casa del vicario da guardare: non si puòcantare e portar la croce. Fu in un batter d'occhiovi dico: pigliapiglia; tutto ciò che c'era buono a qualcosafu preso. E poitorna in campo quel bel ritrovato di ieridi portare il resto sullapiazzae di farne una fiammata. E già cominciavanoimanigoldia tirar fuori roba; quando uno più manigoldo deglialtriindovinate un po' con che bella proposta venne fuori.

-Con che cosa?

-Di fare un mucchio di tutto nella bottegae di dar fuoco al mucchioe alla casa insieme. Detto fatto...

-Ci han dato fuoco?

-Aspettate. Un galantuomo del vicinato ebbe un'ispirazione dal cielo.Corse su nelle stanzecercò d'un Crocifissolo trovòl'attaccò all'archetto d'una finestraprese da capo d'unletto due candele benedettele accesee le mise sul davanzaleadestra e a sinistra del Crocifisso. La gente guarda in su. In unMilanobisogna dirlac'è ancora del timor di Dio; tuttitornarono in sé. La più partevoglio dire; c'era bensìde' diavoli cheper rubareavrebbero dato fuoco anche al paradiso;ma visto che la gente non era del loro pareredovettero smettereestar cheti. Indovinate ora chi arrivò all'improvviso. Tutti imonsignori del duomoin processionea croce alzatain abitocorale; e monsignor Mazentaarcipretecomincio a predicare da unapartee monsignor Settalapenitenziereda un'altrae gli altrianche loro: mabrava gente! ma cosa volete fare? ma è questol'esempio che date a' vostri figliuoli? ma tornate a casa; ma nonsapete che il pane è a buon mercatopiù di prima? maandate a vedereche c'è l'avviso sulle cantonate.

-Era vero?

-Diavolo! Volete che i monsignori del duomo venissero in cappa magna adir delle fandonie?

-E la gente cosa fece?

-A poco a poco se n'andarono; corsero alle cantonate; echi sapevaleggerela c'era proprio la meta. Indovinate un poco: un paned'ott'onceper un soldo.

-Che bazza!

-La vigna è bella; pur che la duri. Sapete quanta farina hannomandata a maletra ieri e stamattina? Da mantenerne il ducato perdue mesi.

-E per fuori di Milanonon s'è fatta nessuna legge buona?

-Quel che s'è fatto per Milanoè tutto a spese dellacittà. Non so che vi dire: per voi altri sarà quel cheDio vorrà. A buon contoi fracassi son finiti. Non v'ho dettotutto; ora viene il buono.

-Cosa c'è ancora?

-C'è cheier sera o stamattina che siane sono statiagguantati molti; e subito s'è saputo che i capi sarannoimpiccati. Appena cominciò a spargersi questa voceognunoandava a casa per la più cortaper non arrischiare d'essernel numero. Milanoquand'io ne sono uscitopareva un convento difrati.

-Gl'impiccheranno poi davvero?

-Eccome! e presto- rispose il mercante.

-E la gente cosa farà? - domandò ancora colui che avevafatta l'altra domanda.

-La gente? anderà a vedere- disse il mercante. - Avevan tantavoglia di veder morire un cristiano all'aria apertache volevanobirboni! far la festa al signor vicario di provvisione. In vece suaavranno quattro tristiserviti con tutte le formalitàaccompagnati da' cappuccinie da' confratelli della buona morte; egente che se l'è meritato. È una provvidenzavedete;era una cosa necessaria. Cominciavan già a prender il viziod'entrar nelle botteghee di servirsisenza metter mano alla borsa;se li lasciavan faredopo il pane sarebbero venuti al vinoe cosìdi mano in mano... Pensate se coloro volevano smetteredi lorospontanea volontàuna usanza così comoda. E vi so dirio cheper un galantuomo che ha bottega apertaera un pensier pocoallegro.

-Davvero- disse uno degli ascoltatori. - Davvero- ripeteron glialtria una voce.

-E- continuò il mercanteasciugandosi la barba coltovagliolo- l'era ordita da un pezzo: c'era una legasapete?

-C'era una lega?

-C'era una lega. Tutte cabale ordite da' navarrinida quel cardinalelà di Franciasapete chi voglio direche ha un certo nomemezzo turcoe che ogni giorno ne pensa unaper far qualche dispettoalla corona di Spagna. Ma sopra tuttotende a far qualche tiro aMilano; perché vede beneil furboche qui sta la forza delre.

-Già.

-Ne volete una prova? Chi ha fatto il più gran chiassoeranforestieri; andavano in giro facceche in Milano non s'eran maivedute. Anzi mi dimenticavo di dirvene una che m'è stata dataper certa. La giustizia aveva acchiappato uno in un'osteria... -Renzoil quale non perdeva un ette di quel discorsoal tocco diquesta cordasi sentì venir freddoe diede un guizzoprimache potesse pensare a contenersi. Nessuno però se n'avvide; eil dicitoresenza interrompere il filo del raccontoseguitò:- uno che non si sa bene ancora da che parte fosse venutoda chifosse mandatoné che razza d'uomo si fosse; ma certo era unode' capi. Già ierinel forte del baccanoaveva fatto ildiavolo; e poinon contento di questos'era messo a predicaree aproporrecosì una galanteriache s'ammazzassero tutti isignori. Birbante! Chi farebbe viver la povera gentequando isignori fossero ammazzati? La giustiziache l'aveva appostatoglimise l'unghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lomenavano in gabbia; ma che? i suoi compagniche facevan la rondaintorno all'osteriavennero in gran numeroe lo liberaronoilmanigoldo.

-E cosa n'è stato?

-Non si sa; sarà scappatoo sarà nascosto in Milano:son gente che non ha né casa né tettoe trovan pertutto da alloggiare e da rintanarsi: però finché ildiavolo puòe vuole aiutarli: ci dan poi dentro quando menose lo pensano; perchéquando la pera è maturaconvienche caschi. Per ora si sa di sicuro che le lettere son rimaste inmano della giustiziae che c'è descritta tutta la cabala; esi dice che n'anderà di mezzo molta gente. Peggio per loro;che hanno messo a soqquadro mezzo Milanoe volevano anche farpeggio. Dicono che i fornai son birboni. Lo so anch'io; ma bisognaimpiccarli per via di giustizia. C'è del grano nascosto. Chinon lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spiee andarlo adisotterraree mandare anche gl'incettatori a dar calci all'ariaincompagnia de' fornai. E se chi comanda non fa nullatocca alla cittàa ricorrere; e se non dànno retta alla primaricorrereancora; ché a forza di ricorrere s'ottiene; e non metter suun'usanza così scellerata d'entrar nelle botteghe e ne'fondachia prender la roba a man salva.

ARenzo quel poco mangiare era andato in tanto veleno. Gli parevamill'anni d'esser fuori e lontano da quell'osteriada quel paese; epiù di dieci volte aveva detto a sé stesso: andiamoandiamo. Ma quella paura di dar sospettocresciuta allora oltremodoe fatta tiranna di tutti i suoi pensieril'aveva tenuto sempreinchiodato sulla panca. In quella perplessitàpensòche il ciarlone doveva poi finire di parlar di lui; e concluse trasédi moversiappena sentisse attaccare qualche altrodiscorso.

-E per questo- disse uno della brigata- io che so come vannoqueste faccendee che ne' tumulti i galantuomini non ci stanno benenon mi son lasciato vincere dalla curiositàe son rimasto acasa mia.

-E iomi son mosso? - disse un altro.

-Io? - soggiunse un terzo: - se per caso mi fossi trovato in Milanoavrei lasciato imperfetto qualunque affaree sarei tornato subito acasa mia. Ho moglie e figliuoli; e poidico la veritàibaccani non mi piacciono.

Aquesto puntol'ostech'era stato anche lui a sentireandòverso l'altra cima della tavolaper veder cosa faceva quelforestiero. Renzo colse l'occasionechiamò l'oste con uncennogli chiese il contolo saldò senza tirarequantunquel'acque fossero molto basse; esenza far altri discorsiandòdiritto all'usciopassò la sogliaea guida dellaProvvidenzas'incamminò dalla parte opposta a quella per cuiera venuto.




Cap.XVII


Bastaspesso una vogliaper non lasciar ben avere un uomo; pensate poi duealla voltal'una in guerra coll'altra. Il povero Renzo n'avevadamolte oredue tali in corpocome sapete: la voglia di correreequella di star nascosto: e le sciagurate parole del mercante gliavevano accresciuta oltremodo l'una e l'altra a un colpo. Dunque lasua avventura aveva fatto chiasso; dunque lo volevano a qualunquepatto; chi sa quanti birri erano in campo per dargli la caccia! qualiordini erano stati spediti di frugar ne' paesinell'osterieper lestrade! Pensava bensì che finalmente i birri che loconoscevanoeran due solie che il nome non lo portava scritto infronte; ma gli tornavano in mente certe storie che aveva sentiteraccontaredi fuggitivi colti e scoperti per istrane combinazioniriconosciuti all'andareall'aria sospettosaad altri segnaliimpensati: tutto gli faceva ombra. Quantunquenel momento che uscivadi Gorgonzolascoccassero le ventiquattroe le tenebre che venivanoinnanzidiminuissero sempre più que' pericoliciò nonostante prese contro voglia la strada maestrae si propose d'entrarnella prima viottola che gli paresse condur dalla parte dove glipremeva di riuscire. Sul principioincontrava qualche viandante; mapieno la fantasia di quelle brutte apprensioninon ebbe cuored'abbordarne nessunoper informarsi della strada. " Ha dettosei migliacolui- pensava: - se andando fuor di stradadovesseroanche diventar otto o diecile gambe che hanno fatte l'altrefaranno anche queste. Verso Milano non vo di certo; dunque vo versol'Adda. Camminacamminao presto o tardi ci arriverò. L'Addaha buona voce; equando le sarò vicinonon ho piùbisogno di chi me l'insegni. Se qualche barca c'èda poterpassarepasso subitoaltrimenti mi fermerò fino allamattinain un camposur una piantacome le passere: meglio sur unapiantache in prigione ".

Benpresto vide aprirsi una straducola a mancina; e v'entrò. Aquell'orase si fosse abbattuto in qualchedunonon avrebbe piùfatte tante cerimonie per farsi insegnar la strada; ma non sentivaanima vivente. Andava dunque dove la strada lo conduceva; e pensava.

"Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio dilettereio! I miei compagni che mi stavano a far la guardia!Pagherei qualche cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercantedilà dall'Adda (ah quando l'avrò passata quest'Addabenedetta!)e fermarloe domandargli con comodo dov'abbia pescatetutte quelle belle notizie. Sappiate oramio caro signoreche lacosa è andata così e cosìe che il diavoloch'io ho fattoè stato d'aiutar Ferrercome se fosse statoun mio fratello; sappiate che que' birboni chea sentir voierano imiei amiciperchéin un certo momentoio dissi una parolada buon cristianomi vollero fare un brutto scherzo; sappiate cheintanto che voi stavate a guardar la vostra bottegaio mi facevaschiacciar le costoleper salvare il vostro signor vicario diprovvisioneche non l'ho mai né visto né conosciuto.Aspetta che mi mova un'altra voltaper aiutar signori... Èvero che bisogna farlo per l'anima: son prossimo anche loro. E quelgran fascio di letteredove c'era tutta la cabalae che adesso èin mano della giustiziacome voi sapete di certo; scommettiamo cheve lo fo comparir quisenza l'aiuto del diavolo? Avreste curiositàdi vederlo quel fascio? Eccolo qui... Una lettera sola?... Sìsignoreuna lettera sola; e questa letterase lo volete saperel'ha scritta un religioso che vi può insegnar la dottrinaquando si sia; un religioso chesenza farvi tortoval più unpelo della sua barba che tutta la vostra; e è scrittaquestaletteracome vedetea un altro religiosoun uomo anche lui...Vedete ora quali sono i furfanti miei amici. E imparate a parlareun'altra volta; principalmente quando si tratta del prossimo ".

Madopo qualche tempoquesti pensieri ed altri simili cessaronoaffatto: le circostanze presenti occupavan tutte le facoltàdel povero pellegrino. La paura d'essere inseguito o scopertocheaveva tanto amareggiato il viaggio in pieno giornonon gli davaormai più fastidio; ma quante cose rendevan questo molto piùnoioso! Le tenebrela solitudinela stanchezza cresciutae ormaidolorosa; tirava una brezzolina sordaugualesottileche dovevafar poco servizio a chi si trovava ancora indosso quegli stessivestiti che s'era messi per andare a nozze in quattro saltietornare subito trionfante a casa sua; eciò che rendeva ognicosa più gravequell'andare alla venturaeper dir cosìal tastocercando un luogo di riposo e di sicurezza.

Quandos'abbatteva a passare per qualche paeseandava adagio adagioguardando però se ci fosse ancora qualche uscio aperto; ma nonvide mai altro segno di gente destache qualche lumicino trasparenteda qualche impannata. Nella strada fuor dell'abitatosi soffermavaogni tanto; stava in orecchiper veder se sentiva quella benedettavoce dell'Adda; ma invano. Altre voci non sentivache un mugolìodi caniche veniva da qualche cascina isolatavagando per l'arialamentevole insieme e minaccioso. Al suo avvicinarsi a qualcheduna diquelleil mugolìo si cambiava in un abbaiar frettoloso erabbioso: nel passar davanti alla portasentivavedeva quasiilbestionecol muso al fessolino della portaraddoppiar gli urli:cosa che gli faceva andar via la tentazione di picchiaree dichieder ricovero. E forseanche senza i caninon ci si sarebberisolto. " Chi è là? - pensava: - cosa volete aquest'ora? Come siete venuto qui? Fatevi conoscere. Non c'èosterie da alloggiare? Eccoandandomi benequel che mi dirannosepicchio: quand'anche non ci dorma qualche pauroso chea buon contosi metta a gridare: aiuto! al ladro! Bisogna aver subito qualcosa dichiaro da rispondere: e cosa ho da rispondere io? Chi sente un rumorela nottenon gli viene in testa altro che ladrimalviventitrappole: non si pensa mai che un galantuomo possa trovarsi inistrada di nottese non è un cavaliere in carrozza ".Allora serbava quel partito all'estrema necessitàe tiravainnanzicon la speranza di scoprire almeno l'Addase non passarlain quella notte; e di non dover andarne alla cercadi giorno chiaro.

Camminacammina; arrivò dove la campagna coltivata moriva in unasodaglia sparsa di felci e di scope. Gli parvese non indizioalmeno un certo qual argomento di fiume vicinoe s'inoltròper quellaseguendo un sentiero che l'attraversava. Fatti pochipassisi fermò ad ascoltare; ma ancora invano. La noia delviaggio veniva accresciuta dalla salvatichezza del luogoda quel nonveder più né un gelsoné una vitenéaltri segni di coltura umanache prima pareva quasi che glifacessero una mezza compagnia. Ciò non ostante andòavanti; e siccome nella sua mente cominciavano a suscitarsi certeimmaginicerte apparizionilasciatevi in serbo dalle novellesentite raccontar da bambinocosìper discacciarleo peracquietarlerecitavacamminandodell'orazioni per i morti.

Apoco a pocosi trovò tra macchie più altedi prunidi querciolidi marruche. Seguitando a andare avantie allungandoil passocon più impazienza che vogliacominciò aveder tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancorasempreper lo stesso sentieros'accorse d'entrare in un bosco. Provava uncerto ribrezzo a inoltrarvisi; ma lo vinsee contro voglia andòavanti; ma più che s'inoltravapiù il ribrezzocrescevapiù ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi chevedeva in lontananzagli rappresentavan figure stranedeformimostruose; l'annoiava l'ombra delle cime leggermente agitatechetremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lostesso scrosciar delle foglie secche che calpestava o movevacamminandoaveva per il suo orecchio un non so che d'odioso. Legambe provavano come una smaniaun impulso di corsae nello stessotempo pareva che durassero fatica a regger la persona. Sentiva labrezza notturna batter più rigida e maligna sulla fronte esulle gote; se la sentiva scorrer tra i panni e le carnieraggrinzarlee penetrar più acuta nelle ossa rotte dallastanchezzae spegnervi quell'ultimo rimasuglio di vigore. A un certopuntoquell'uggiaquell'orrore indefinito con cui l'animocombatteva da qualche tempoparve che a un tratto lo soverchiasse.Era per perdersi affatto; ma atterritopiù che d'ogni altracosadel suo terrorerichiamò al cuore gli antichi spiritie gli comandò che reggesse. Così rinfrancato unmomentosi fermò su due piedi a deliberare; risolveva d'uscirsubito di lì per la strada già fattad'andar dirittoall'ultimo paese per cui era passatodi tornar tra gli uominie dicercare un ricoveroanche all'osteria. E stando così fermosospeso il fruscìo de' piedi nel fogliametutto tacendod'intorno a luicominciò a sentire un rumoreun mormorìoun mormorìo d'acqua corrente. Sta in orecchi; n'ècerto; esclama: - è l'Adda! - Fu il ritrovamento d'un amicod'un fratellod'un salvatore. La stanchezza quasi scomparveglitornò il polsosentì il sangue scorrer libero e tepidoper tutte le venesentì crescer la fiducia de' pensieriesvanire in gran parte quell'incertezza e gravità delle cose; enon esitò a internarsi sempre più nel boscodietroall'amico rumore.

Arrivòin pochi momenti all'estremità del pianosull'orlo d'una rivaprofonda; e guardando in giù tra le macchie che tutta larivestivanovide l'acqua luccicare e correre. Alzando poi losguardovide il vasto piano dell'altra rivasparso di paesie aldi là i collie sur uno di quelli una gran macchiabiancastrache gli parve dover essere una cittàBergamosicuramente. Scese un po' sul pendìoeseparando ediramandocon le mani e con le bracciail prunaioguardògiùse qualche barchetta si movesse nel fiumeascoltòse sentisse batter de' remi; ma non vide né sentìnulla. Se fosse stato qualcosa di meno dell'AddaRenzo scendevasubitoper tentarne il guado; ma sapeva bene che l'Adda non erafiume da trattarsi così in confidenza.

Perciòsi mise a consultar tra sémolto a sangue freddosul partitoda prendere. Arrampicarsi sur una piantae star lì a aspettarl'auroraper forse sei ore che poteva ancora indugiarecon quellabrezzacon quella brinavestito cosìc'era più chenon bisognasse per intirizzir davvero. Passeggiare innanzi eindietrotutto quel tempooltre che sarebbe stato poco efficaceaiuto contro il rigore del serenoera un richieder troppo da quellepovere gambeche già avevano fatto più del lorodovere. Gli venne in mente d'aver vedutoin uno de' campi piùvicini alla sodagliauna di quelle capanne coperte di pagliacostrutte di tronchi e di ramiintonacati poi con la motadove icontadini del milanese usanl'estatedepositar la raccoltaeripararsi la notte a guardarla: nell'altre stagionirimangonoabbandonate. La disegnò subito per suo albergo; si rimise sulsentieroripassò il boscole macchiela sodaglia; e andòverso la capanna. Un usciaccio intarlato e sconnessoera rabbattutosenza chiave né catenaccio; Renzo l'aprìentrò;vide sospeso per ariae sostenuto da ritorte di ramiun graticcioa foggia d'hamac; ma non sl curò di salirvi. Vide in terra unpo' di paglia; e pensò cheanche lìuna dormitinasarebbe ben saporita.

Primaperò di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli avevapreparatovi s'inginocchiòa ringraziarla di quel benefizioe di tutta l'assistenza che aveva avuta da essain quella terribilegiornata. Disse poi le sue solite divozioni; e per di piùchiese perdono a Domeneddio di non averle dette la sera avanti; anziper dir le sue paroled'essere andato a dormire come un caneepeggio. " E per questo- soggiunse poi tra sé;appoggiando le mani sulla pagliae d'inginocchioni mettendosi agiacere: - per questom'è toccatala mattinaquella bellasvegliata ". Raccolse poi tutta la paglia che rimanevaall'intornoe se l'accomodò addossofacendoseneallamegliouna specie di copertaper temperare il freddoche anche làdentro si faceva sentir molto bene; e vi si rannicchiò sottocon l'intenzione di dormire un bel sonnoparendogli d'averlocomprato anche più caro del dovere.

Maappena ebbe chiusi gli occhicominciò nella sua memoria onella sua fantasia (il luogo preciso non ve lo saprei dire)cominciòdicoun andare e venire di gentecosìaffollatocosì incessanteche addio sonno. Il mercanteilnotaioi birrilo spadaiol'osteFerreril vicariola brigatadell'osteriatutta quella turba delle stradepoi don Abbondiopoidon Rodrigo: tutta gente con cui Renzo aveva che dire.

Tresole immagini gli si presentavano non accompagnate da alcuna memoriaamaranette d'ogni sospettoamabili in tutto; e due principalmentemolto differenti al certoma strettamente legate nel cuore delgiovine: una treccia nera e una barba bianca. Ma anche laconsolazione che provava nel fermare sopra di esse il pensieroeratutt'altro che pretta e tranquilla. Pensando al buon fratesentivapiù vivamente la vergogna delle proprie scappatedella turpeintemperanzadel bel caso che aveva fatto de' paterni consigli dilui; e contemplando l'immagine di Lucia! non ci proveremo a dire ciòche sentisse: il lettore conosce le circostanze; se lo figuri. Equella povera Agnesecome l'avrebbe potuta dimenticare?Quell'Agneseche l'aveva sceltoche l'aveva già consideratocome una cosa sola con la sua unica figliae prima di ricever da luiil titolo di madren'aveva preso il linguaggio e il cuoreedimostrata co' fatti la premura. Ma era un dolore di piùenon il meno pungentequel pensierochein grazia appunto di cosìamorevoli intenzionidi tanto bene che voleva a luila povera donnasi trovava ora snidataquasi ramingaincerta dell'avvenireeraccoglieva guai e travagli da quelle cose appunto da cui avevasperato il riposo e la giocondità degli ultimi suoi anni. Chenottepovero Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle suenozze! Che stanza! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata! Eper arrivare a qual domania qual serie di giorni! " Quel cheDio vuole- rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: -quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c'è anche per noi.Vada tutto in isconto de' miei peccati. Lucia è tanto buona!non vorrà poi farla patire un pezzoun pezzoun pezzo! "

Traquesti pensierie disperando ormai d'attaccar sonnoe facendosegliil freddo sentir sempre piùa segno ch'era costretto ognitanto a tremare e a battere i dentisospirava la venuta del giornoe misurava con impazienza il lento scorrer dell'ore. Dico misuravaperchéogni mezz'orasentiva in quel vasto silenziorimbombare i tocchi d'un orologio: m'immagino che dovesse esserquello di Trezzo. E la prima volta che gli ferì gli orecchiquello scoccocosì inaspettatosenza che potesse averealcuna idea del luogo donde venissegli fece un senso misterioso esolennecome d'un avvertimento che venisse da persona non vistaconuna voce sconosciuta.

Quandofinalmente quel martello ebbe battuto undici tocchich'era l'oradisegnata da Renzo per levarsis'alzò mezzo intirizzitosimise inginocchionidissee con più fervore del solitoledivozioni della mattinasi rizzòsi stirò in lungo ein largoscosse la vita e le spallecome per mettere insieme tuttele membrache ognuno pareva che facesse da sésoffiòin una manopoi nell'altrase le stropicciòaprìl'uscio della capanna; eper la prima cosadiede un'occhiata in quae in làper veder se c'era nessuno. E non vedendo nessunocercò con l'occhio il sentiero della sera avanti; lo riconobbesubitoe prese per quello.

Ilcielo prometteva una bella giornata: la lunain un cantopallida esenza raggiopure spiccava nel campo immenso d'un bigio ceruleochegiù giù verso l'orientes'andava sfumandoleggermente in un giallo roseo. Più giùall'orizzontesi stendevanoa lunghe falde inegualipoche nuvoletra l'azzurro eil brunole più basse orlate al di sotto d'una striscia quasidi fuocoche di mano in mano si faceva più viva e tagliente:da mezzogiornoaltre nuvole ravvolte insiemeleggieri e sofficiper dir cosìs'andavan lumeggiando di mille colori senzanome: quel cielo di Lombardiacosì bello quand'èbellocosì splendidocosì in pace. Se Renzo si fossetrovato lì andando a spassocerto avrebbe guardato in sueammirato quell'albeggiare così diverso da quello ch'era solitovedere ne' suoi monti; ma badava alla sua stradae camminava a passilunghiper riscaldarsie per arrivar presto. Passa i campipassala sodagliapassa le macchieattraversa il boscoguardando in quae in làe ridendo e vergognandosi nello stesso tempodelribrezzo che vi aveva provato poche ore prima; è sul cigliodella rivaguarda giù; edi tra i ramivede una barchettadi pescatoreche veniva adagiocontr'acquaradendo quella sponda.Scende subito per la più cortatra i pruni; è sullariva; dà una voce leggiera leggiera al pescatore; econl'intenzione di far come se chiedesse un servizio di poca importanzamasenza avvedersenein una maniera mezzo supplichevolegliaccenna che approdi. Il pescatore gira uno sguardo lungo la rivaguarda attentamente lungo l'acqua che vienesi volta a guardareindietrolungo l'acqua che vae poi dirizza la prora verso Renzoeapproda. Renzo che stava sull'orlo della rivaquasi con un piedenell'acquaafferra la punta del battelloci salta dentroe dice: -mi fareste il serviziocol pagaredi tragittarmi di là? - Ilpescatore l'aveva indovinatoe già voltava da quella parte.Renzovedendo sul fondo della barca un altro remosi chinael'afferra.

-Adagioadagio- disse il padrone; ma nel veder poi con che garbo ilgiovine aveva preso lo strumentoe sl disponeva a maneggiarlo- ahah- riprese: - siete del mestiere.

-Un pochino- rispose Renzoe ci si mise con un vigore e con unamaestriapiù che da dilettante. E senza mai rallentaredavaogni tanto un'occhiata ombrosa alla riva da cui s'allontanavanoepoi una impaziente a quella dov'eran rivoltie si coceva di nonpoterci andar per la più corta; ché la corrente erainquel luogotroppo rapidaper tagliarla direttamente; e la barcaparte rompendoparte secondando il filo dell'acquadoveva fare untragitto diagonale. Come accade in tutti gli affari un po'imbrogliatiche le difficoltà alla prima si presentinoall'ingrossoe nell'eseguire poivengan fuori per minutoRenzoora che l'Adda erasi può dirpassatagli dava fastidio ilnon saper di certo se lì essa fosse confineo sesuperatoquell'ostacologliene rimanesse un altro da superare. Ondechiamatoil pescatoree accennando col capo quella macchia biancastra cheaveva veduta la notte avantie che allora gli appariva ben piùdistintadisse: - è Bergamoquel paese?

-La città di Bergamo- rispose il pescatore.

-E quella riva lìè bergamasca?

-Terra di san Marco.

-Viva san Marco! - esclamò Renzo. Il pescatore non disse nulla.

Toccanofinalmente quella riva; Renzo vi si slancia; ringrazia Dio tra sée poi con la bocca il barcaiolo; mette le mani in tascatira fuoriuna berlingacheattese le circostanzenon fu un piccolo sproprioe la porge al galantuomo; il qualedata ancora una occhiata allariva milanesee al fiume di sopra e di sottostese la manopresela manciala riposepoi strinse le labbrae per di più cimise il dito in croceaccompagnando quel gesto con un'occhiataespressiva; e disse poi : - buon viaggio -e tornò indietro.

Perchéla così pronta e discreta cortesia di costui verso unosconosciuto non faccia troppo maravigliare il lettoredobbiamoinformarlo che quell'uomopregato spesso d'un simile servizio dacontrabbandieri e da banditiera avvezzo a farlo; non tanto peramore del poco e incerto guadagno che gliene poteva venirequantoper non farsi de' nemici in quelle classi. Lo facevadicoognivolta che potesse esser sicuro che non lo vedessero négabellieriné birriné esploratori. Cosìsenza voler più bene ai primi che ai secondicercava disoddisfarli tutticon quell'imparzialitàche è ladote ordinaria di chi è obbligato a trattar con cert'uniesoggetto a render conto a cert'altri.

Renzosi fermò un momentino sulla riva a contemplar la riva oppostaquella terra che poco prima scottava tanto sotto i suoi piedi. "Ah! ne son proprio fuori! - fu il suo primo pensiero. - Sta' lìmaledetto paese "fu il secondol'addio alla patria. Ma ilterzo corse a chi lasciava in quel paese. Allora incrociò lebraccia sul pettomise un sospiroabbassò gli occhisull'acqua che gli scorreva a' piedie pensò " èpassata sotto il ponte! " Cosìall'uso del suo paesechiamavaper antonomasiaquello di Lecco. " Ah mondo birbone!Basta; quel che Dio vuole ".

Voltòle spalle a que' tristi oggettie s'incamminòprendendo perpunto di mira la macchia biancastra sul pendìo del montefinché trovasse qualcheduno da farsi insegnar la stradagiusta. E bisognava vedere con che disinvoltura s'accostava a'viandantiesenza tanti rigirinominava il paese dove abitava quelsuo cugino. Dal primo a cui si rivolseseppe che gli rimanevanoancor nove miglia da fare.

Quelviaggio non fu lieto. Senza parlare de' guai che Renzo portava conséil suo occhio veniva ogni momento rattristato da oggettidolorosida' quali dovette accorgersi che troverebbe nel paese incui s'inoltravala penuria che aveva lasciata nel suo. Per tutta lastradae più ancora nelle terre e ne' borghiincontrava aogni passo poveriche non eran poveri di mestieree mostravan lamiseria più nel viso che nel vestiario: contadinimontanariartigianifamiglie intere; e un misto ronzìo di preghieredilamenti e di vagiti. Quella vistaoltre la compassione e lamalinconialo metteva anche in pensiero de' casi suoi.

"Chi sa- andava meditando- se trovo da far bene? se c'èlavorocome negli anni passati? Basta; Bortolo mi voleva beneèun buon figliuoloha fatto danarim'ha invitato tante volte; nonm'abbandonerà. E poila Provvidenza m'ha aiutato finora;m'aiuterà anche per l'avvenire ".

Intantol'appetitorisvegliato già da qualche tempoandava crescendodi miglio in miglio; e quantunque Renzoquando cominciò adargli rettasentisse di poter reggeresenza grand'incomodoperquelle due o tre che gli potevan rimanere; pensòda un'altraparteche non sarebbe una bella cosa di presentarsi al cuginocomeun pitoccoe dirgliper primo complimento: dammi da mangiare. Silevò di tasca tutte le sue ricchezzele fece scorrere sur unamanotirò la somma. Non era un conto che richiedesse unagrande aritmetica; ma però c'era abbondantemente da fare unamangiatina. Entrò in un'osteria a ristorarsi lo stomaco; e infattipagato che ebbegli rimase ancor qualche soldo.

Nell'uscirevideaccanto alla portache quasi v'inciampavasdraiate in terrapiù che sedutedue donneuna attempataun'altra piùgiovinecon un bambinochedopo aver succhiata invano l'una el'altra mammellapiangevapiangeva; tutti del color della morte: erittovicino a loroun uomonel viso del quale e nelle membrasipotevano ancora vedere i segni d'un'antica robustezzadomata e quasispenta dal lungo disagio. Tutt'e tre stesero la mano verso colui cheusciva con passo francoe con l'aspetto rianimato: nessuno parlò;che poteva dir di più una preghiera?

-La c'è la Provvidenza! - disse Renzo; ecacciata subito lamano in tascala votò di que' pochi soldi; li mise nella manoche si trovò più vicinae riprese la sua strada.

Larefezione e l'opera buona (giacché siam composti d'anima e dicorpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti i suoi pensieri.Certodall'essersi così spogliato degli ultimi danarigliera venuto più di confidenza per l'avvenireche non glieneavrebbe dato il trovarne dieci volte tanti. Perchése asostenere in quel giorno que' poverini che mancavano sulla stradalaProvvidenza aveva tenuti in serbo proprio gli ultimi quattrini d'unestraneofuggitivoincerto anche lui del come vivrebbe; chi potevacredere che volesse poi lasciare in secco colui del quale s'eraservita a ciòe a cui aveva dato un sentimento cosìvivo di sé stessacosì efficacecosì risoluto?Questo eraa un di pressoil pensiero del giovine; però menchiaro ancora di quello ch'io l'abbia saputo esprimere. Nel rimanentedella stradaripensando a' casi suoitutto gli si spianava. Lacarestia doveva poi finire: tutti gli anni si miete: intanto aveva ilcugino Bortolo e la propria abilità: avevaper di piùa casa un po' di danaroche si farebbe mandar subito. Con quelloalla peggiocamperebbegiorno per giornofinché tornassel'abbondanza. " Ecco poi tornata finalmente l'abbondanza-proseguiva Renzo nella sua fantasia: - rinasce la furia de' lavori: ipadroni fanno a gara per aver degli operai milanesiche son quelliche sanno bene il mestiere; gli operai milanesi alzan la cresta; chivuol gente abilebisogna che la paghi; si guadagna da vivere per piùd'unoe da metter qualcosa da parte; e si fa scrivere alle donne chevengano... E poiperché aspettar tanto? Non è verochecon quel poco che abbiamo in serbosi sarebbe campati làanche quest'inverno? Così camperemo qui. De' curati ce n'èper tutto. Vengono quelle due care donne: si mette su casa. Chepiacereandar passeggiando su questa stessa strada tutti insieme!andar fino all'Adda in baroccioe far merenda sulla rivapropriosulla rivae far vedere alle donne il luogo dove mi sono imbarcatoil prunaio da cui sono scesoquel posto dove sono stato a guardarese c'era un battello ".

Arrivaal paese del cugino; nell'entrareanzi prima di mettervi piededistingue una casa alta altaa più ordini di finestre lunghelunghe; riconosce un filatoioentradomanda ad alta vocetra ilrumore dell'acqua cadente e delle rotese stia lì un certoBortolo Castagneri.

-Il signor Bortolo! Eccolo là.

"Signore? buon segno "pensa Renzo; vede il cuginogli correincontro. Quello si voltariconosce il giovineche gli dice: - sonqui -. Un oh! di sorpresaun alzar di bracciaun gettarsele alcollo scambievolmente. Dopo quelle prime accoglienzeBortolo tira ilnostro giovine lontano dallo strepito degli ordignie dagli occhide' curiosiin un'altra stanzae gli dice: - ti vedo volentieri; masei un benedetto figliuolo. T'avevo invitato tante volte; non sei maivoluto venire; ora arrivi in un momento un po' critico.

-Se te lo devo direnon sono venuto via di mia volontàdisseRenzo; econ la più gran brevitànon peròsenza molta commozionegli raccontò la dolorosa storia.

Èun altro par di maniche- disse Bortolo. - Oh povero Renzo! Ma tuhai fatto capitale di me; e io non t'abbandonerò. Veramenteora non c'è ricerca d'operai; anzi appena appena ognuno tienei suoiper non perderli e disviare il negozio; ma il padrone mi vuolbenee ha della roba. Ea dirtelain gran parte la deve a mesenza vantarmi: lui il capitalee io quella poca abilità.Sono il primo lavorantesai? e poia dirtelasono il factotum.Povera Lucia Mondella! Me ne ricordocome se fosse ieri: una buonaragazza! sempre la più composta in chiesa; e quando si passavada quella sua casuccia... Mi par di vederlaquella casucciaappenafuor del paesecon un bel fico che passava il muro...

-Nono; non ne parliamo.

-Volevo dire chequando si passava da quella casucciasempre sisentiva quell'aspoche giravagiravagirava. E quel don Rodrigo!giàanche al mio tempoera per quella strada; ma ora fa ildiavolo affattoa quel che vedo: fin che Dio gli lascia la brigliasul collo. Dunquecome ti dicevoanche qui si patisce un po' lafame... A propositocome stai d'appetito?

-Ho mangiato poco faper viaggio.

-E a danaricome stiamo?

Renzostese una manol'avvicinò alla boccae vi fece scorrer sopraun piccol soffio.

-Non importa- disse Bortolo: - n'ho io: e non ci pensarechepresto prestocambiandosi le cosese Dio vorràme lirenderaie te n'avanzerà anche per te.

-Ho qualcosina a casa; e me li farò mandare.

-Va bene; e intanto fa' conto di me. Dio m'ha dato del beneperchéfaccia del bene; e se non ne fo a' parenti e agli amicia chi nefarò?

-L'ho detto io della Provvidenza! - esclamò Renzostringendoaffettuosamente la mano al buon cugino.

-Dunque- riprese questo- in Milano hanno fatto tutto quel chiasso.Mi paiono un po' matti coloro. Giàn'era corsa la voce anchequi; ma voglio che tu mi racconti poi la cosa più minutamente.Eh! n'abbiamo delle cose da discorrere. Qui peròvedila vapiù quietamentee si fanno le cose con un po' più digiudizio. La citta ha comprate duemila some di grano da un mercanteche sta a Venezia: grano che vien di Turchia; maquando si tratta dimangiarela non si guarda tanto per il sottile. Ora senti un po'cosa nasce: nasce che i rettori di Verona e di Brescia chiudono ipassie dicono: di qui non passa grano. Che ti fanno i bergamaschi?Spediscono a Venezia Lorenzo Torreun dottorema di quelli! Èpartito in frettas'è presentato al dogee ha detto: cheidea è venuta a que' signori rettori? Ma un discorso! undiscorsodiconoda dare alle stampe. Cosa vuol dire avere un uomoche sappia parlare! Subito un ordine che si lasci passare il grano; ei rettorinon solo lasciarlo passarema bisogna che lo faccianoscortare; ed è in viaggio. E s'è pensato anche alcontado. Giovanbatista Biavanunzio di Bergamo in Venezia (un uomoanche quello!) ha fatto intendere al senato cheanche in campagnasi pativa la fame; e il senato ha concesso quattro mila staia dimiglio. Anche questo aiuta a far pane. E poilo vuoi sapere? se nonci sarà panemangeremo del companatico. Il Signore m'ha datodel benecome ti dico. Ora ti condurrò dal mio padrone: gliho parlato di te tante voltee ti farà buona accoglienza. Unbuon bergamascone all'anticaun uomo di cuor largo. Veramenteoranon t'aspettava; ma quando sentirà la storia... E poi glioperai sa tenerli di contoperché la carestia passae ilnegozio dura. Ma prima di tuttobisogna che t'avverta d'una cosa.Sai come ci chiamano in questo paesenoi altri dello stato diMilano?

-Come ci chiamano?

-Ci chiaman baggiani.

-Non è un bel nome.

-Tant'è: chi è nato nel milanesee vuol vivere nelbergamascobisogna prenderselo in santa pace. Per questa gentedardel baggiano a un milaneseè come dar dell'illustrissimo a uncavaliere.

-Lo dirannom'immaginoa chi se lo vorrà lasciar dire.

-Figliuolo miose tu non sei disposto a succiarti del baggiano atutto pastonon far conto di poter viver qui. Bisognerebbe essersempre col coltello in mano: e quandosupponiamotu n'avessiammazzati duetrequattroverrebbe poi quello che ammazzerebbe te:e allorache bel gusto di comparire al tribunal di Diocon tre oquattro omicidi sull'anima!

-E un milanese che abbia un po' di... - e qui picchiò la frontecol ditocome aveva fatto nell'osteria della luna piena. - Vogliodireuno che sappia bene il suo mestiere?

-Tutt'uno: qui è un baggiano anche lui. Sai come dice il miopadronequando parla di me co' suoi amici? " Quel baggiano èstato la man di Dioper il mio negozio; se non avessi quel baggianosarei ben impicciato ". L'è usanza così.

-L'è un'usanza sciocca. E vedendo quello che sappiam fare (chéfinalmente chi ha portata qui quest'artee chi la fa andaresiamonoi)possibile che non si sian corretti?

-Finora no: col tempo può essere; i ragazzi che vengon su; magli uomini fattinon c'è rimedio: hanno preso quel vizio; nonlo smetton più. Cos'è poi finalmente? Era ben un'altracosa quelle galanterie che t'hanno fattee il di più che tivolevan fare i nostri cari compatriotti.

-Giàè vero: se non c'è altro di male...

-Ora che sei persuaso di questotutto anderà bene. Vieni dalpadronee coraggio.

Tuttoin fatti andò benee tanto a seconda delle promesse diBortoloche crediamo inutile di farne particolar relazione. E fuveramente provvidenza; perché la roba e i quattrini che Renzoaveva lasciati in casavedremo or ora quanto fosse da farciassegnamento.




Cap.XVIII


Quellostesso giorno13 di novembrearriva un espresso al signor podestàdi Leccoe gli presenta un dispaccio del signor capitano digiustiziacontenente un ordine di fare ogni possibile e piùopportuna inquisizioneper iscoprire se un certo giovine nominatoLorenzo Tramaglinofilatore di setascappato dalle forze praedictiegregii domini capitaneisia tornatopalam vel clamalsuo paeseignotum quale per l'appuntoverum in territorioLeuci: quod si compertum fuerit sic essecerchi il detto signorpodestàquanta maxima diligentia fieri poteritd'averlo nelle manielegato a doverevidelizet con buonemanetteattesa l'esperimentata insufficienza de' manichini per ilnominato soggettolo faccia condurre nelle carcerie lo ritenga lìsotto buona custodiaper farne consegna a chi sarà spedito aprenderlo; e tanto nel caso del sìcome nel caso del noaccedatis ad domum praedicti Laurentii Tramaliini; etfactadebita diligentiaquidquid ad rem repertum fuerit auferatis; etinformationes de illius prava qualitatevitaet complicibussumatis; e di tutto il detto e il fattoil trovato e il nontrovatoil preso e il lasciatodiligenter referatis. Ilsignor podestàdopo essersi umanamente cerziorato che ilsoggetto non era tornato in paesefa chiamare il console delvillaggioe si fa condur da lui alla casa indicatacon gran trenodi notaio e di birri. La casa è chiusa; chi ha le chiavi nonc'èo non si lascia trovare. Si sfonda l'uscio; si fa ladebita diligenzavale a dire che si fa come in una cittàpresa d'assalto. La voce di quella spedizione si spargeimmediatamente per tutto il contorno; viene agli orecchi del padreCristoforo; il qualeattonito non meno che afflittodomanda alterzo e al quartoper aver qualche lume intorno alla cagione d'unfatto così inaspettato; ma non raccoglie altro che congetturein ariae scrive subito al padre Bonaventuradal quale spera dipoter ricevere qualche notizia più precisa. Intanto i parentie gli amici di Renzo vengono citati a deporre ciò che possonsapere della sua prava qualità: aver nome Tramaglino èuna disgraziauna vergognaun delitto: il paese èsottosopra. A poco a pocosi viene a sapere che Renzo èscappato dalla giustizianel bel mezzo di Milanoe poi scomparso;corre voce che abbia fatto qualcosa di grosso; ma la cosa poi non sisa direo si racconta in cento maniere. Quanto più ègrossatanto meno vien creduta nel paesedove Renzo èconosciuto per un bravo giovine: i più presumonoe vannosusurrandosi agli orecchi l'uno con l'altroche è unamacchina mossa da quel prepotente di don Rodrigoper rovinare il suopovero rivale. Tant'è vero chea giudicar per induzioneesenza la necessaria cognizione de' fattisi fa alle volte gran tortoanche ai birbanti.

Manoico' fatti alla manocome si suol direpossiamo affermare chese colui non aveva avuto parte nella sciagura di Renzose necompiacque peròcome se fosse opera suae ne trionfòco' suoi fidatie principalmente col conte Attilio. Questosecondoi suoi primi disegniavrebbe dovuto a quell'ora trovarsi giàin Milano; maalle prime notizie del tumultoe della canaglia chegirava per le stradein tutt'altra attitudine che di riceverbastonateaveva creduto bene di trattenersi in campagnafino a cosequiete. Tanto più cheavendo offeso moltiaveva qualcheragion di temere che alcuno de' tantiche solo per impotenza stavanochetinon prendesse animo dalle circostanzee giudicasse il momentobuono da far le vendette di tutti. Questa sospensione non fu di lungadurata: l'ordine venuto da Milano dell'esecuzione da farsi controRenzo era già un indizio che le cose avevan ripreso il corsoordinario; equasi nello stesso tempose n'ebbe la certezzapositiva. Il conte Attilio partì immediatamenteanimando ilcugino a persister nell'impresaa spuntar l'impegnoepromettendogli chedal canto suometterebbe subito mano a sbrigarlodal frate; al qual affareil fortunato accidente dell'abietto rivaledoveva fare un gioco mirabile. Appena partito Attilioarrivòil Griso da Monza sano e salvoe riferì al suo padrone ciòche aveva potuto raccogliere: che Lucia era ricoverata nel talmonasterosotto la protezione della tal signora; e stava semprenascostacome se fosse una monaca anche leinon mettendo mai piedefuor della portae assistendo alle funzioni di chiesa da unafinestrina con la grata: cosa che dispiaceva a moltii quali avendosentito motivar non so che di sue avventuree dir gran cose del suovisoavrebbero voluto un poco vedere come fosse fatto.

Questarelazione mise il diavolo addosso a don Rodrigooper dir megliorendé più cattivo quello che già ci stava dicasa. Tante circostanze favorevoli al suo disegno infiammavano semprepiù la sua passionecioè quel misto di puntigliodirabbia e d'infame capricciodi cui la sua passione era composta.Renzo assentesfrattatobanditodi maniera che ogni cosa diventavalecita contro di luie anche la sua sposa poteva esser consideratain certo modocome roba di rubello: il solo uomo al mondo chevolesse e potesse prender le sue partie fare un rumore da essersentito anche lontano e da persone altel'arrabbiato fratetra pocosarebbe probabilmente anche lui fuor del caso di nuocere. Ed ecco cheun nuovo impedimentonon che contrappesare tutti que' vantaggilirendevasi può direinutili. Un monastero di Monzaquand'anche non ci fosse stata una principessaera un osso troppoduro per i denti di don Rodrigo; e per quanto egli ronzasse con lafantasia intorno a quel ricoveronon sapeva immaginar né viané verso d'espugnarloné con la forzané perinsidie. Fu quasi quasi per abbandonar l'impresa; fu per risolversid'andare a Milanoallungando anche la stradaper non passar neppureda Monza; e a Milanogettarsi in mezzo agli amici e ai divertimentiper discacciarcon pensieri affatto allegriquel pensiero divenutoormai tutto tormentoso. Mamamagli amici; piano un poco conquesti amici. In vece d'una distrazionepoteva aspettarsi di trovarnella loro compagnianuovi dispiaceri: perché Attiliocertamente avrebbe già preso la trombae messo tutti inaspettativa. Da ogni parte gli verrebbero domandate notizie dellamontanara: bisognava render ragione. S'era volutos'era tentato;cosa s'era ottenuto? S'era preso un impegno: un impegno un po'ignobilea dire il vero: maviauno non può alle volteregolare i suoi capricci; il punto è di soddisfarli; e comes'usciva da quest'impegno? Dandola vinta a un villano e a un frate!Uh! E quando una buona sorte inaspettatasenza fatica del buon anullaaveva tolto di mezzo l'unoe un abile amico l'altroil buona nulla non aveva saputo valersi della congiuntura- e si ritiravavilmente dall'impresa. Ce n'era più del bisognoper non alzarmai più il viso tra i galantuominio avere ogni momento laspada alle mani. E poicome tornareo come rimanere in quellavillain quel paesedovelasciando da parte i ricordi incessanti epungenti della passionesi porterebbe lo sfregio d'un colpo fallito?dovenello stesso temposarebbe cresciuto l'odio pubblicoescemata la riputazion del potere? dove sul viso d'ogni mascalzoneanche in mezzo agl'inchinisi potrebbe leggere un amaro: l'haiingoiataci ho gusto? La strada dell'iniquitàdice qui ilmanoscrittoè larga; ma questo non vuol dire che sia comoda:ha i suoi buoni intoppii suoi passi scabrosi; è noiosa lasua partee faticosabenché vada all'ingiù.

Adon Rodrigoil quale non voleva uscirnené dare addietronéfermarsie non poteva andare avanti da séveniva bensìin mente un mezzo con cui potrebbe: ed era di chieder l'aiuto d'untalele cui mani arrivavano spesso dove non arrivava la vista deglialtri: un uomo o un diavoloper cui la difficoltàdell'imprese era spesso uno stimolo a prenderle sopra di sé.Ma questo partito aveva anche i suoi inconvenienti e i suoi rischitanto più gravi quanto meno si potevano calcolar prima;giacché nessuno avrebbe saputo prevedere fin dove anderebbeuna volta che si fosse imbarcato con quell'uomopotente ausiliariocertamentema non meno assoluto e pericoloso condottiere.

Talipensieri tennero per più giorni don Rodrigo tra un sì eun nol'uno e l'altro più che noiosi. Venne intanto unalettera del cuginola quale diceva che la trama era ben avviata.Poco dopo il balenoscoppiò il tuono; vale a dire cheunabella mattinasi sentì che il padre Cristoforo era partitodal convento di Pescarenico. Questo buon successo così prontola lettera d'Attilio che faceva un gran coraggioe minacciava digran canzonaturefecero inclinar sempre più don Rodrigo alpartito rischioso: ciò che gli diede l'ultima spintafu lanotizia inaspettata che Agnese era tornata a casa sua: un impedimentodi meno vicino a Lucia. Rendiam conto di questi due avvenimenticominciando dall'ultimo.

Ledue povere donne s'erano appena accomodate nel loro ricoveroche sisparse per Monzae per conseguenza anche nel monasterola nuova diquel gran fracasso di Milano; e dietro alla nuova grandeuna serieinfinita di particolariche andavano crescendo e variandosi ognimomento. La fattoressachedalla sua casapoteva tenere unorecchio alla stradae uno al monasteroraccoglieva notizie di quinotizie di lìe ne faceva parte all'ospiti.

-Dueseiottoquattrosette ne hanno messi in prigione;gl'impiccherannoparte davanti al forno delle grucceparte in cimaalla strada dove c'è la casa del vicario di provvisione...Ehiehisentite questa! n'è scappato unoche è diLeccoo di quelle parti. Il nome non lo so; ma verràqualcheduno che me lo saprà dire; per veder se lo conoscete.

Quest'annunziocon la circostanza d'esser Renzo appunto arrivato in Milano nelgiorno fatalediede qualche inquietudine alle donneeprincipalmente a Lucia; ma pensate cosa fu quando la fattoressa vennea dir loro: - e proprio del vostro paese quello che se l'èbattutaper non essere impiccato; un filatore di setache si chiamaTramaglino: lo conoscete?

ALuciach'era a sedereorlando non so che cosacadde il lavoro dimano; impallidìsi cambiò tuttadi maniera che lafattoressa se ne sarebbe avvista certamentese le fosse stata piùvicina. Ma era ritta sulla soglia con Agnese; la qualeconturbataanche leiperò non tantopoté star forte; eperrisponder qualcosadisse chein un piccolo paesetutti siconosconoe che lo conosceva; ma che non sapeva pensare come mai glifosse potuta seguire una cosa simile; perché era un giovineposato. Domandò poi se era scappato di certoe dove.

-Scappatolo dicon tutti; dovenon si sa; può essere chel'accalappino ancorapuò essere che sia in salvo; ma se glitorna sotto l'unghieil vostro giovine posato...

Quiper buona sortela fattoressa fu chiamatae se n'andò:figuratevi come rimanessero la madre e la figlia. Più d'ungiornodovettero la povera donna e la desolata fanciulla stare inuna tale incertezzaa mulinare sul comesul perchésulleconseguenze di quel fatto dolorosoa commentareognuna tra séo sottovoce tra loroquando potevanoquelle terribili parole.

Ungiovedì finalmentecapitò al monastero un uomo acercar d'Agnese. Era un pesciaiolo di Pescarenicoche andava aMilanosecondo l'ordinarioa spacciar la sua mercanzia; e il buonfrate Cristoforo l'aveva pregato chepassando per Monzafacesse unascappata al monasterosalutasse le donne da parte suaraccontasseloro quel che si sapeva del tristo caso di Renzoraccomandasse lorod'aver pazienzae confidare in Dio; e che lui povero frate non sidimenticherebbe certamente di loroe spierebbe l'occasione dipoterle aiutare; e intanto non mancherebbeogni settimanadi farloro saper le sue nuoveper quel mezzoo altrimenti. Intorno aRenzoil messo non seppe dir altro di nuovo e di certose non lavisita fattagli in casae le ricerche per averlo nelle mani; mainsieme ch'erano andate tutte a votoe si sapeva di certo che s'eramesso in salvo sul bergamasco. Una tale certezzae non fa bisogno didirlofu un gran balsamo per Lucia: d'allora in poi le sue lacrimescorsero più facili e più dolci; provò maggiorconforto negli sfoghi segreti con la madre; e in tutte le suepreghierec'era mescolato un ringraziamento.

Gertrudela faceva venire spesso in un suo parlatorio privatoe la trattenevatalvolta lungamentecompiacendosi dell'ingenuità e delladolcezza della poverinae nel sentirsi ringraziare e benedire ognimomento. Le raccontava anchein confidenzauna parte (la partenetta) della sua storiadi ciò che aveva patitoper andar lìa patire; e quella prima maraviglia sospettosa di Lucia s'andavacambiando in compassione. Trovava in quella storia ragioni piùche sufficienti a spiegar ciò che c'era d'un po' strano nellemaniere della sua benefattrice; tanto più con l'aiuto diquella dottrina d'Agnese su' cervelli de' signori. Per quanto peròsi sentisse portata a contraccambiare la confidenza che Gertrude ledimostravanon le passò neppur per la testa di parlarle dellesue nuove inquietudinidella sua nuova disgraziadi dirle chi fossequel filatore scappato; per non rischiare di spargere una voce cosìpiena di dolore e di scandolo. Si schermiva anchequanto potevadalrispondere alle domande curiose di quellasulla storia antecedentealla promessa; ma qui non eran ragioni di prudenza. Era perchéalla povera innocente quella storia pareva più spinosapiùdifficile da raccontarsidi tutte quelle che aveva sentitee checredesse di poter sentire dalla signora. In queste c'era tiranniainsidiepatimenti; cose brutte e dolorosema che pur si potevannominare: nella sua c'era mescolato per tutto un sentimentounaparolache non le pareva possibile di proferireparlando di sé;e alla quale non avrebbe mai trovato da sostituire una perifrasi chenon le paresse sfacciata: l'amore!

QualchevoltaGertrude quasi s'indispettiva di quello star così sulledifese; ma vi traspariva tanta amorevolezzatanto rispettotantariconoscenzae anche tanta fiducia! Qualche volta forsequel pudorecosì delicatocosì ombrosole dispiaceva ancor piùper un altro verso; ma tutto si perdeva nella soavità d'unpensiero che le tornava ogni momentoguardando Lucia: " aquesta fo del bene ". Ed era vero; perchéoltre ilricoveroque' discorsiquelle carezze famigliari erano di non pococonforto a Lucia. Un altro ne trovava nel lavorar di continuo; epregava sempre che le dessero qualcosa da fare: anche nel parlatorioportava sempre qualche lavoro da tener le mani in esercizio: macomei pensieri dolorosi si caccian per tutto! cucendocucendoch'era unmestiere quasi nuovo per leile veniva ogni poco in mente il suoaspo; e dietro all'aspoquante cose!

Ilsecondo giovedìtornò quel pesciaiolo o un altromessoco' saluti del padre Cristoforoe con la conferma della fugafelice di Renzo. Notizie più positive intorno a' suoi guainessuna; perchécome abbiam detto al lettoreil cappuccinoaveva sperato d'averle dal suo confratello di Milanoa cui l'avevaraccomandato; e questo rispose di non aver veduto né lapersonané la lettera; che uno di campagna era bensìvenuto al conventoa cercar di lui; ma chenon avendocelo trovatoera andato viae non era più comparso.

Ilterzo giovedìnon si vide nessuno; eper le povere donnefunon solo una privazione d'un conforto desiderato e speratomacomeaccade per ogni piccola cosa a chi è afflitto e impicciatouna cagione d'inquietudinedi cento sospetti molesti. Giàprima d'alloraAgnese aveva pensato a fare una scappata a casa;questa novità di non vedere l'ambasciatore promessola fecerisolvere. Per Lucia era una faccenda seria il rimanere distaccatadalla gonnella della madre; ma la smania di saper qualche cosae lasicurezza che trovava in quell'asilo così guardato e sacrovinsero le sue ripugnanze. E fu deciso tra loro che Agnese anderebbeil giorno seguente ad aspettar sulla strada il pesciaiolo che dovevapassar di lìtornando da Milano; e gli chiederebbe incortesia un posto sul baroccioper farsi condurre a' suoi monti. Lotrovò in fattigli domandò se il padre Cristoforo nongli aveva data qualche commissione per lei: il pesciaiolotutto ilgiorno avanti la sua partenza era stato a pescaree non aveva saputoniente del padre. La donna non ebbe bisogno di pregareper ottenereil piacere che desiderava: prese congedo dalla signora e dallafiglianon senza lacrimepromettendo di mandar subito le sue nuovee di tornar presto; e partì.

Nelviaggionon accadde nulla di particolare. Riposarono parte dellanotte in un'osteriasecondo il solito; ripartirono innanzi giorno; earrivaron di buon'ora a Pescarenico. Agnese smontò sullapiazzetta del conventolasciò andare il suo conduttore conmolti: Dio ve ne renda merito; e giacché era lìvolleprima d'andare a casavedere il suo buon frate benefattore. Sonòil campanello; chi venne a aprirefu fra Galdinoquel delle noci.

-Oh! la mia donnache vento v'ha portata?

-Vengo a cercare il padre Cristoforo.

-Il padre Cristoforo? Non c'è.

-Oh! starà molto a tornare?

-Ma...? - disse il fratealzando le spallee ritirando nel cappucciola testa rasa.

-Dov'è andato?

-A Rimini.

-A?

-A Rimini.

-Dov'è questo paese?

-Eh eh eh! - rispose il fratetrinciando verticalmente l'aria con lamano distesaper significare una gran distanza.

-Oh povera me! Ma perché è andato via cosìall'improvviso?

-Perché ha voluto così il padre provinciale.

-E perché mandarlo via? che faceva tanto bene qui? Oh Signore!

-Se i superiori dovessero render conto degli ordini che dànnodove sarebbe l'ubbidienzala mia donna?

-Sì; ma questa e la mia rovina.

-Sapete cosa sarà? Sarà che a Rimini avranno avutobisogno d'un buon predicatore (ce n'abbiamo per tutto; ma alle volteci vuol quell'uomo fatto apposta); il padre provinciale di làavrà scritto al padre provinciale di quise aveva un soggettocosì e così; e il padre provinciale avrà detto:qui ci vuole il padre Cristoforo. Dev'esser proprio cosìvedete.

-Oh poveri noi! Ouand'è partito?

-Ierlaltro.

-Ecco! s'io davo retta alla mia ispirazione di venir via qualchegiorno prima! E non si sa quando possa tornare? così a un dipresso?

-Eh la mia donna! lo sa il padre provinciale; se lo sa anche lui.Quando un nostro padre predicatore ha preso il volonon si puòprevedere su che ramo potrà andarsi a posare. Li cercan diquali cercan di là: e abbiamo conventi in tutte le quattroparti del mondo. Supponete chea Riminiil padre Cristoforo facciaun gran fracasso col suo quaresimale: perché non predicasempre a bracciocome faceva quiper i pescatori e i contadini: peri pulpiti delle cittàha le sue belle prediche scritte; efior di roba. Si sparge la voceda quelle partidi questo granpredicatore; e lo possono cercare da... da che so io? E allorabisogna mandarlo; perché noi viviamo della carità ditutto il mondoed è giusto che serviamo tutto il mondo.

OhSignore! Signore! - esclamò di nuovo Agnesequasi piangendo:- come devo faresenza quell'uomo? Era quello che ci faceva dapadre! Per noi è una rovina.

-Sentitebuona donna; il padre Cristoforo era veramente un uomo; mace n'abbiamo degli altrisapete? pieni di carità e ditalentoe che sanno trattare ugualmente co' signori e co' poveri.Volete il padre Atanasio? volete il padre Girolamo? volete il padreZaccaria? È un uomo di vagliavedeteil padre Zaccaria. Enon istate a badarecome fanno certi ignorantiche sia cosìmingherlinocon una vocina fessae una barbetta misera misera: nondico per predicareperché ognuno ha i suoi doni; ma per darpareriè un uomosapete?

-Oh per carità! - esclamò Agnesecon quel misto digratitudine e d'impazienzache si prova a un'esibizione in cui sitrovi più la buona volontà altruiche la propriaconvenienza: - cosa m'importa a me che uomo sia o non sia un altroquando quel pover'uomo che non c'è piùera quello chesapeva le nostre cosee aveva preparato tutto per aiutarci?

-Allorabisogna aver pazienza.

-Questo lo so- rispose Agnese: - scusate dell'incomodo.

-Di che cosala mia donna? mi dispiace per voi. E se vi risolvete dicercar qualcheduno de' nostri padriil convento è qui che nonsi move. Ehimi lascerò poi veder prestoper la cercadell'olio.

-State bene- disse Agnese; e s'incamminò verso il suopaesettodesolataconfusasconcertatacome il povero cieco cheavesse perduto il suo bastone.

Unpo' meglio informati che fra Galdinonoi possiamo dire come andòveramente la cosa. Attilioappena arrivato a Milanoandòcome aveva promesso a don Rodrigoa far visita al loro comune ziodel Consiglio segreto. (Era una consultacomposta allora di tredicipersonaggi di toga e di spadada cui il governatore prendeva pareree chemorendo uno di questio venendo mutatoassumevatemporaneamente il governo). Il conte ziotogatoe uno deglianziani del consigliovi godeva un certo credito; ma nel farlovaleree nel farlo rendere con gli altrinon c'era il suo compagno.Un parlare ambiguoun tacere significativoun restare a mezzounostringer d'occhi che esprimeva: non posso parlare; un lusingare senzapromettereun minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quelfine; e tuttoo più o menotornava in pro. A segno che finoa un: io non posso niente in questo affare: detto talvolta per lapura veritàma detto in modo che non gli era credutoservivaad accrescere il concettoe quindi la realtà del suo potere:come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega dispezialecon su certe parole arabee dentro non c'è nulla;ma servono a mantenere il credito alla bottega. Quello del conte ziocheda gran tempoera sempre andato crescendo a lentissimi gradiultimamente aveva fatto in una volta un passocome si dicedigiganteper un'occasione straordinariaun viaggio a Madridcon unamissione alla corte; doveche accoglienza gli fosse fattabisognavasentirlo raccontar da lui. Per non dir altroil conte duca l'avevatrattato con una degnazione particolaree ammesso alla suaconfidenzaa segno d'avergli una volta domandatoin presenzasipuò diredi mezza la corte come gli piacesse Madrided'avergli un'altra volta detto a quattr'occhinel vano d'unafinestrache il duomo di Milano era il tempio più grande chefosse negli stati del re.

Fattii suoi complimenti al conte zioe presentatigli quelli del cuginoAttiliocon un suo contegno serioche sapeva prendere a tempodisse: - credo di fare il mio doveresenza mancare alla confidenzadi Rodrigoavvertendo il signore zio d'un affare chese lei non cimette una manopuò diventar serioe portar delleconseguenze...

-Qualcheduna delle suem'immagino.

-Per giustiziadevo dire che il torto non è dalla parte di miocugino. Ma è riscaldato; ecome diconon c'è che ilsignore zioche possa...

-Vediamovediamo.

-C'è da quelle parti un frate cappuccino che l'ha con Rodrigo ela cosa è arrivata a un punto che...

-Quante volte v'ho dettoall'uno e all'altroche i frati bisognalasciarli cuocere nel loro brodo? Basta il da fare che dànno achi deve... a chi tocca... - E qui soffiò. - Ma voi altri chepotete scansarli...

-Signore zioin questoè mio dovere di dirle che Rodrigol'avrebbe scansatose avesse potuto. E il frate che l'ha con luiche l'ha preso a provocarlo in tutte la maniere...

-Che diavolo ha codesto frate con mio nipote?

-Prima di tuttoè una testa inquietaconosciuto per taleeche fa professione di prendersela coi cavalieri. Costui proteggedirigeche so io? una contadinotta di là; e ha per questacreatura una caritàuna carità... non dico pelosamauna carità molto gelosasospettosapermalosa.

-Intendo- disse il conte zio; e sur un certo fondo di goffagginedipintogli in viso dalla naturavelato poi e ricopertoa piùmanidi politicabalenò un raggio di maliziache vi facevaun bellissimo vedere.

-Orada qualche tempo- continuò Attilio- s'ècacciato in testa questo frateche Rodrigo avesse non so che disegnisopra questa...

-S'è cacciato in testas'è cacciato in testa: loconosco anch'io il signor don Rodrigo; e ci vuol altro avvocato chevossignoriaper giustificarlo in queste materie.

-Signore zioche Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo a quellacreaturaincontrandola per la stradanon sarei lontano dalcrederlo: è giovinee finalmente non è cappuccino; maqueste son bazzecole da non trattenerne il signore zio; il serio èche il frate s'è messo a parlar di Rodrigo come si farebbed'un mascalzonecerca d'aizzargli contro tutto il paese...

-E gli altri frati?

-Non se ne impiccianoperché lo conoscono per una testa caldae hanno tutto il rispetto per Rodrigo; madall'altra partequestofrate ha un gran credito presso i villaniperché fa poi ancheil santoe...

-M'immagino che non sappia che Rodrigo è mio nipote.

-Se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più ildiavolo addosso.

-Come? Come?

-Perchée lo va dicendo luici trova più gusto a farlavedere a Rodrigoappunto perché questo ha un protettornaturaledi tanta autorita come vossignoria: e che lui se la ridede' grandi e de' politicie che il cordone di san Francesco tienlegate anche le spadee che...

-Oh frate temerario! Come si chiama costui?

-Fra Cristoforo da *** - disse Attilio; e il conte ziopreso da unacassetta del suo tavolinoun libriccino di memorievi scrissesoffiandosoffiandoquel povero nome. Intanto Attilio seguitava: -è sempre stato di quell'umorecostui: si sa la sua vita. Eraun plebeo chetrovandosi aver quattro soldivoleva competere coicavalieri del suo paese; eper rabbia di non poterla vincer contuttine ammazzò uno; ondeper iscansar la forcasi fecefrate.

-Ma bravo! ma bene! La vedremola vedremo- diceva il conte zioseguitando a soffiare.

-Ora poi- continuava Attilio- è più arrabbiato chemaiperché gli è andato a monte un disegno che glipremeva molto molto: e da questo il signore zio capirà cheuomo sia. Voleva costui maritare quella sua creatura: fosse perlevarla dai pericoli del mondolei m'intendeo per che altro sifossela voleva maritare assolutamente; e aveva trovato il...l'uomo: un'altra sua creaturaun soggettocheforse e senza forseanche il signore zio lo conoscerà di nome; perché tengoper certo che il Consiglio segreto avrà dovuto occuparsi diquel degno soggetto.

-Chi è costui?

-Un filatore di setaLorenzo Tramaglinoquello che...

-Lorenzo Tramaglino! - esclamò il conte zio. - Ma bene! mabravopadre! Sicuro... infatti...aveva una lettera per un...Peccato che... Ma non importa; va bene. E perché il signor donRodrigo non mi dice nulla di tutto questo? perché lascia andarle cose tant'avantie non si rivolge a chi lo può e vuoledirigere e sostenere?

-Dirò il vero anche in questo- proseguiva Attilio. - Da unapartesapendo quante brighequante cose ha per la testa il signorezio... - (questosoffiandovi mise la manocome per significare lagran fatica ch'era a farcele star tutte) - s'è fatto scrupolodi darle una briga di più. E poidirò tutto: da quelloche ho potuto capireè così irritatocosì fuorde' ganghericosì stucco delle villanie di quel frateche hapiù voglia di farsi giustizia da séin qualche manierasommariache d'ottenerla in una maniera regolaredalla prudenza edal braccio del signore zio. Io ho cercato di smorzare; ma vedendoche la cosa andava per le brutteho creduto che fosse mio dovered'avvertir di tutto il signore zioche alla fine è il capo ela colonna della casa...

-Avresti fatto meglio a parlare un poco prima.

-È vero; ma io andavo sperando che la cosa svanirebbe da séo che il frate tornerebbe finalmente in cervelloo che sen'anderebbe da quel conventocome accade di questi fratiche orasono quaora sono là; e allora tutto sarebbe finito. Ma...

-Ora toccherà a me a raccomodarla.

-Così ho pensato anch'io. Ho detto tra me: il signore zioconla sua avvedutezzacon la sua autoritàsaprà luiprevenire uno scandoloe insieme salvar l'onore di Rodrigoche èpoi anche il suo. Questo fratedicevo iol'ha sempre col cordone disan Francesco; ma per adoprarlo a propositoil cordone di sanFrancesconon è necessario d'averlo intorno alla pancia. Ilsignore zio ha cento mezzi ch'io non conosco: so che il padreprovinciale hacom'è giustouna gran deferenza per lui; e seil signore zio crede che in questo caso il miglior ripiego sia di farcambiar aria al fratelui con due parole...

-Lasci il pensiero a chi toccavossignoria- disse un po'ruvidamente il conte zio.

-Ah è vero! - esclamò Attiliocon una tentennatina ditestae con un sogghigno di compassione per sé stesso. - Sonio l'uomo da dar pareri al signore zio! Ma è la passione cheho della riputazione del casato che mi fa parlare. E ho anche paurad'aver fatto un altro male- soggiunse con un'aria pensierosa: - hopaura d'aver fatto torto a Rodrigo nel concetto del signore zio. Nonmi darei pacese fossi cagione di farle pensare che Rodrigo nonabbia tutta quella fede in leitutta quella sommissione che deveavere. Credasignore zioche in questo caso è proprio...

-Viavia; che tortoche torto tra voi altri due? che sarete sempreamicifinché l'uno non metta giudizio. Scapestratiscapestratiche sempre ne fate una; e a me tocca di rattopparle:che... mi fareste dire uno spropositomi date più da pensarevoi altri dueche- e qui immaginatevi che soffio mise- tuttiquesti benedetti affari di stato.

Attiliofece ancora qualche scusaqualche promessaqualche complimento; poisi licenziòe se n'andòaccompagnato da un - eabbiamo giudizio- ch'era la formola di commiato del conte zio per isuoi nipoti.




Cap.XIX


Chivedendo in un campo mal coltivatoun'erbacciaper esempio un bellapaziovolesse proprio sapere se sia venuto da un seme maturato nelcampo stessoo portatovi dal ventoo lasciatovi cader da unuccelloper quanto ci pensassenon ne verrebbe mai a unaconclusione. Così anche noi non sapremmo dire se dal fondonaturale del suo cervelloo dall'insinuazione d'Attiliovenisse alconte zio la risoluzione di servirsi del padre provinciale pertroncare nella miglior maniera quel nodo imbrogliato. Certo èche Attilio non aveva detta a caso quella parola; e quantunquedovesse aspettarsi chea un suggerimento così scopertolaboria ombrosa del conte zio avrebbe ricalcitratoa ogni modo vollefargli balenar dinanzi l'idea di quel ripiegoe metterlo sullastradadove desiderava che andasse. Dall'altra parteil ripiego eratalmente adattato all'umore del conte ziotalmente indicato dallecircostanzechesenza suggerimento di chi si siasi puòscommettere che l'avrebbe trovato da sé. Si trattava cheinuna guerra pur troppo apertauno del suo nomeun suo nipotenonrimanesse al di sotto: punto essenzialissimo alla riputazione delpotere che gli stava tanto a cuore. La soddisfazione che il nipotepoteva prendersi da sésarebbe stata un rimedio peggior delmaleuna sementa di guai; e bisognava impedirlain qualunquemanierae senza perder tempo. Comandargli che partisse in quelmomento dalla sua villa; già non avrebbe ubbidito; equand'anche avesseera un cedere il campouna ritirata della casadinanzi a un convento. Ordiniforza legalespauracchi di talgenerenon valevano contro un avversario di quella condizione: ilclero regolare e secolare era affatto immune da ogni giurisdizionelaicale; non solo le personema i luoghi ancora abitati da esso:come deve sapere anche chi non avesse letta altra storia che lapresente; che starebbe fresco. Tutto quel che si poteva contro untale avversario era cercar d'allontanarloe il mezzo a ciòera il padre provincialein arbitrio del quale era l'andare e lostare di quello.

Oratra il padre provinciale e il conte zio passava un'antica conoscenza:s'eran veduti di radoma sempre con gran dimostrazioni d'amiciziaecon esibizioni sperticate di servizi. E alle volteè meglioaver che fare con uno che sia sopra a molti individuiche con unsolo di questiil quale non vede che la sua causanon sente che lasua passionenon cura che il suo punto; mentre l'altro vede in untratto cento relazionicento conseguenzecento interessicentocose da scansarecento cose da salvare; e si può quindiprendere da cento parti.

Tuttoben ponderatoil conte zio invitò un giorno a pranzo il padreprovincialee gli fece trovare una corona di commensali assortiticon un intendimento sopraffino. Oualche parente de' piùtitolatidi quelli il cui solo casato era un gran titolo; e checolsolo contegnocon una certa sicurezza nativacon una sprezzaturasignorileparlando di cose grandi con termini famigliaririuscivanoanche senza farlo appostaa imprimere e rinfrescareogni momentol'idea della superiorità e della potenza; ealcuni clienti legati alla casa per una dipendenza ereditariae alpersonaggio per una servitù di tutta la vita; i qualicominciando dalla minestra a dir di sìcon la boccacon gliocchicon gli orecchicon tutta la testacon tutto il corpocontutta l'animaalle frutte v'avevan ridotto un uomo a non ricordarsipiù come si facesse a dir di no.

Atavolail conte padrone fece cader ben presto il discorso sul temadi Madrid. A Roma si va per più strade; a Madrid egli andavaper tutte. Parlò della cortedel conte ducade' ministridella famiglia del governatore; delle cacce del toroche lui potevadescriver benissimoperché le aveva godute da un postodistinto; dell'Escuriale di cui poteva render conto a un puntinoperché un creato del conte duca l'aveva condotto per tutti ibuchi. Per qualche tempotutta la compagnia stettecome unuditorioattenta a lui solopoi si divise in colloqui particolari;e lui allora continuò a raccontare altre di quelle belle cosecome in confidenzaal padre provinciale che gli era accantoe chelo lasciò diredire e dire. Ma a un certo puntodiede unagiratina al discorsolo staccò da Madride di corte incortedi dignità in dignitàlo tirò sulcardinal Barberinich'era cappuccinoe fratello del papa allorasedenteUrbano VIII: niente meno. Il conte zio dovette anche luilasciar parlare un pocoe stare a sentiree ricordarsi chefinalmentein questo mondonon c'era soltanto i personaggi chefacevan per lui. Poco dopo alzati da tavolapregò il padreprovinciale di passar con lui in un'altra stanza.

Duepotestàdue caniziedue esperienze consumate si trovavano afronte. Il magnifico signore fece sedere il padre molto reverendosedette anche luie cominciò: - stante l'amicizia che passatra di noiho creduto di far parola a vostra paternità d'unaffare di comune interesseda concluder tra di noisenz'andar peraltre stradeche potrebbero... E perciòalla buonacolcuore in manole dirò di che si tratta; e in due parole soncerto che anderemo d'accordo. Mi dica: nel loro convento diPescarenico c'è un padre Cristoforo da ***?

Ilprovinciale fece cenno di sì.

-Mi dica un poco vostra paternitàschiettamenteda buonamico... questo soggetto... questo padre... Di persona io non loconosco; e sì che de' padri cappuccini ne conosco parecchi:uomini d'orozelantiprudentiumili: sono stato amico dell'ordinefin da ragazzo... Ma in tutte le famiglie un po' numerose... c'èsempre qualche individuoqualche testa... E questo padre Cristoforoso da certi ragguagli che è un uomo... un po' amico de'contrasti... che non ha tutta quella prudenzatutti que' riguardi...Scommetterei che ha dovuto dar più d'una volta da pensare avostra paternità.

"Ho inteso: è un impegno- pensava intanto il provinciale: -colpa mia; lo sapevo che quel benedetto Cristoforo era un soggetto dafarlo girare di pulpito in pulpitoe non lasciarlo fermare mesi inun luogospecialmente in conventi di campagna ".

-Oh! - disse poi: - mi dispiace davvero di sentire che vostramagnificenza abbia in un tal concetto il padre Cristoforo; mentreper quanto ne so ioè un religioso... esemplare in conventoe tenuto in molta stima anche di fuori.

-Intendo benissimo; vostra paternità deve... Peròperòda amico sincerovoglio avvertirla d'una cosa che le saràutile di sapere; e se anche ne fosse già informatapossosenza mancare ai miei doverimetterle sott'occhio certeconseguenze... possibili: non dico di più. Questo padreCristoforosappiamo che proteggeva un uomo di quelle partiunuomo... vostra paternità n'avrà sentito parlare; quellochecon tanto scandoloscappò dalle mani della giustiziadopo aver fattoin quella terribile giornata di san Martinocose...cose... Lorenzo Tramaglino!

"Ahi! " pensò il provinciale; e disse: - questacircostanza mi riesce nuova; ma vostra magnificenza sa bene che unaparte del nostro ufizio è appunto d'andare in cerca de'traviatiper ridurli...

-Va bene; ma la protezione de' traviati d'una certa specie...! Soncose spinoseaffari delicati... - E quiin vece di gonfiar le gotee di soffiarestrinse le labbrae tirò dentro tant'ariaquanta ne soleva mandar fuorisoffiando. E riprese: - ho credutobene di darle un cenno su questa circostanzaperché se maisua eccellenza... Potrebbe esser fatto qualche passo a Roma... non soniente... e da Roma venirle...

-Son ben tenuto a vostra magnificenza di codesto avviso; peròson certo chese si prenderanno informazioni su questo propositositroverà che il padre Cristoforo non avrà avuto che farecon l'uomo che lei dicese non a fine di mettergli il cervello apartito. Il padre Cristoforolo conosco.

-Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al secololecosette che ha fatte in gioventù.

-È la gloria dell'abito questasignor conteche un uomoilquale al secolo ha potuto far dir di sécon questo indossodiventi un altro. E da che il padre Cristoforo porta quest'abito...

-Vorrei crederlo: lo dico di cuore: vorrei crederlo; ma alle voltecome dice il proverbio... l'abito non fa il monaco.

Ilproverbio non veniva in taglio esattamente; ma il conte l'avevasostituito in fretta a un altro che gli era venuto sulla punta dellalingua: il lupo cambia il peloma non il vizio.

-Ho de' riscontri- continuava- ho de' contrassegni...

-Se lei sa positivamente- disse il provinciale- che questoreligioso abbia commesso qualche errore (tutti si puòmancare)avrò per un vero favore l'esserne informato. Sonsuperiore: indegnamente; ma lo sono appunto per correggereperrimediare.

-Le dirò: insieme con questa circostanza dispiacevole dellaprotezione aperta di questo padre per chi le ho dettoc'èun'altra cosa disgustosae che potrebbe... Matra di noiaccomoderemo tutto in una volta. C'èdicoche lo stessopadre Cristoforo ha preso a cozzare con mio nipotedon Rodrigo ***.

-Oh! questo mi dispiacemi dispiacemi dispiace davvero.

-Mio nipote è giovinevivosi sente quello che ènonè avvezzo a esser provocato...

-Sarà mio dovere di prender buone informazioni d'un fattosimile. Come ho già detto a vostra magnificenzae parlo conun signore che non ha meno giustizia che pratica di mondotuttisiamo di carnesoggetti a sbagliare... tanto da una partequantodall'altra: e se il padre Cristoforo avrà mancato...

-Veda vostra paternità; son cosecome io le dicevoda finirsitra di noida seppellirsi quicose che a rimestarle troppo... si fapeggio. Lei sa cosa segue: quest'urtiqueste piccheprincipianotalvolta da una bagattellae vanno avantivanno avanti... A volertrovarne il fondoo non se ne viene a capoo vengon fuoricent'altri imbrogli. Sopiretroncarepadre molto reverendo:troncaresopire. Mio nipote è giovine; il religiosoda quelche sentoha ancora tutto lo spiritole... inclinazioni d'ungiovine: e tocca a noiche abbiamo i nostri anni... pur troppo ehpadre molto reverendo?...

Chifosse stato lì a vederein quel puntofu come quandonelmezzo d'un'opera serias'alzaper isbagliouno scenarioprima deltempoe si vede un cantante chenon pensandoin quel momentocheci sia un pubblico al mondodiscorre alla buona con un suo compagno.Il visol'attola voce del conte zionel dir quel pur troppo!tutto fu naturale: lì non c'era politica: era proprio vero chegli dava noia d'avere i suoi anni. Non già che piangesse ipassatempiil briol'avvenenza della gioventù: frivolezzesciocchezzemiserie! La cagion del suo dispiacere era ben piùsoda e importante: era che sperava un certo posto più altoquando fosse vacato; e temeva di non arrivare a tempo. Ottenuto chel'avessesi poteva esser certi che non si sarebbe più curatodegli anninon avrebbe desiderato altroe sarebbe morto contentocome tutti quelli che desideran molto una cosaassicurano di volerfarequando siano arrivati a ottenerla.

Maper lasciarlo parlar lui- tocca a noi- continuò- a avergiudizio per i giovanie a rassettar le loro malefatte. Per buonasortesiamo ancora a tempo; la cosa non ha fatto chiasso; èancora il caso d'un buon principiis obsta. Allontanare ilfuoco dalla paglia. Alle volte un soggetto chein un luogonon fabeneo che può esser causa di qualche inconvenienteriesce amaraviglia in un altro. Vostra paternità saprà bentrovare la nicchia conveniente a questo religioso. C'è giustoanche l'altra circostanzache possa esser caduto in sospetto dichi... potrebbe desiderare che fosse rimosso: ecollocandolo inqualche posto un po' lontanettofacciamo un viaggio e due servizi;tutto s'accomoda da séo per dir meglionon c'è nulladi guasto.

Questaconclusioneil padre provinciale se l'aspettava fino dal principiodel discorso. " Eh già! - pensava tra sé: - vedodove vuoi andar a parare: delle solite; quando un povero frate èpreso a noia da voi altrio da uno di voi altrio vi dàombrasubitosenza cercar se abbia torto o ragioneil superioredeve farlo sgomberare ".

Equando il conte ebbe finitoe messo un lungo soffioche equivalevaa un punto fermo- intendo benissimo- disse il provinciale- quelche il signor conte vuol dire; ma prima di fare un passo...

Èun passo e non è un passopadre molto reverendo: è unacosa naturaleuna cosa ordinaria; e se non si prende questo ripiegoe subitoprevedo un monte di disordiniun'iliade di guai. Unosproposito... mio nipote non crederei... ci son ioper questo... Maal punto a cui la cosa è arrivatase non la tronchiamo noisenza perder tempocon un colpo nettonon è possibile che sifermiche resti segreta... e allora non è piùsolamente mio nipote... Si stuzzica un vespaiopadre moltoreverendo. Lei vede; siamo una casaabbiamo attinenze...

-Cospicue.

-Lei m'intende: tutta gente che ha sangue nelle venee chea questomondo... è qualche cosa. C'entra il puntiglio; diviene unaffare comune; e allora... anche chi è amico della pace...Sarebbe un vero crepacuore per medi dovere... di trovarmi... io cheho sempre avuta tanta propensione per i padri cappuccini...! Loropadriper far del benecome fanno con tanta edificazione delpubblicohanno bisogno di pacedi non aver contesedi stare inbuona armonia con chi... E poihanno de' parenti al secolo... equesti affaracci di puntiglioper poco che vadano in lungos'estendonosi ramificanotiran dentro... mezzo mondo. Io mi trovoin questa benedetta caricache m'obbliga a sostenere un certodecoro... Sua eccellenza... i miei signori colleghi... tutto divieneaffar di corpo... tanto più con quell'altra circostanza... Leisa come vanno queste cose.

-Veramente- disse il padre provinciale- il padre Cristoforo èpredicatore; e avevo già qualche pensiero... Mi si richiedeappunto... Ma in questo momentoin tali circostanzepotrebbe parereuna punizione; e una punizione prima d'aver ben messo in chiaro...

-No punizioneno: un provvedimento prudenzialeun ripiego di comuneconvenienzaper impedire i sinistri che potrebbero... mi sonospiegato.

-Tra il signor conte e mela cosa rimane in questi termini; intendo.Mastando il fatto come fu riferito a vostra magnificenzaèimpossibilemi pareche nel paese non sia traspirato qualcosa. Pertutto c'è degli aizzatoride' mettimaleo almeno de' curiosimaligni chese posson vedere alle prese signori e religiosicihanno un gusto matto; e fiutanointerpretanociarlano... Ognuno hail suo decoro da conservare; e io poicome superiore (indegno)houn dovere espresso... L'onor dell'abito... non è cosa mia... èun deposito del quale... Il suo signor nipotegiacché ècosì alteratocome dice vostra magnificenzapotrebbe prenderla cosa come una soddisfazione data a luie... non dico vantarsenetrionfarnema...

-Le parepadre molto reverendo? Mio nipote è un cavaliere chenel mondo è considerato... secondo il suo grado e il dovere:ma davanti a me è un ragazzo; e non farà né piùné meno di quello che gli prescriverò io. Le diròdi più: mio nipote non ne saprà nulla. Che bisognoabbiamo noi di render conto? Son cose che facciamo tra di noidabuoni amici; e tra di noi hanno da rimanere. Non si dia pensiero diciò. Devo essere avvezzo a non parlare -. E soffiò. -In quanto ai cicaloni- riprese- che vuol che dicano? Un religiosoche vada a predicare in un altro paeseè cosa cosìordinaria! E poinoi che vediamo... noi che prevediamo... noi che citocca... non dobbiamo poi curarci delle ciarle.

-Peròaffine di prevenirlesarebbe bene cheinquest'occasioneil suo signor nipote facesse qualche dimostrazionedesse qualche segno palese d'amiciziadi riguardo... non per noimaper l'abito...

-Sicurosicuro; quest'è giusto... Però non c'èbisogno: so che i cappuccini son sempre accolti come si deve da mionipote. Lo fa per inclinazione: è un genio in famiglia: e poisa di far cosa grata a me. Del restoin questo caso... qualcosa distraordinario... è troppo giusto. Lasci fare a mepadre moltoreverendo; che comanderò a mio nipote... Cioè bisogneràinsinuargli con prudenzaaffinché non s'avveda di quel che èpassato tra di noi. Perché non vorrei alle volte chemettessimo un impiastro dove non c'è ferita. E per quel cheabbiamo conclusoquanto più presto saràmeglio. E sesi trovasse qualche nicchia un po' lontana... per levar proprio ognioccasione...

-Mi vien chiesto per l'appunto un predicatore da Rimini; e fors'anchesenz'altro motivoavrei potuto metter gli occhi...

-Molto a propositomolto a proposito. E quando...?

-Giacché la cosa si deve faresi farà presto.

-Prestoprestopadre molto reverendo: meglio oggi che domani. E-continuava poialzandosi da sedere- se posso qualche cosatantoiocome la mia famigliaper i nostri buoni padri cappuccini...

-Conosciamo per prova la bontà della casa- disse il padreprovincialealzatosi anche luie avviandosi verso l'usciodietroal suo vincitore.

-Abbiamo spento una favilla- disse questosoffermandosi- unafavillapadre molto reverendoche poteva destare un grand'incendio.Tra buoni amicicon due parole s'accomodano di gran cose.

Arrivatoall'usciolo spalancòe volle assolutamente che il padreprovinciale andasse avanti: entrarono nell'altra stanzae siriunirono al resto della compagnia.

Ungrande studiouna grand'artedi gran parolemetteva quel signorenel maneggio d'un affare; ma produceva poi anche effetticorrispondenti. Infatticol colloquio che abbiam riferitoriuscìa far andar fra Cristoforo a piedi da Pescarenico a Riminiche èuna bella passeggiata.

Unaseraarriva a Pescarenico un cappuccino di Milanocon un plico peril padre guardiano. C'è dentro l'obbedienza per fraCristoforodi portarsi a Riminidove predicherà laquaresima. La lettera al guardiano porta l'istruzione d'insinuare aldetto frate che deponga ogni pensiero d'affari che potesse avereavviati nel paese da cui deve partiree che non vi mantengacorrispondenze: il frate latore dev'essere il compagno di viaggio. Ilguardiano non dice nulla la sera; la mattinafa chiamar fraCristoforogli fa vedere l'obbedienzagli dice che vada a prenderla sportail bastoneil sudario e la cinturae con quel padrecompagno che gli presentasi metta poi subito in viaggio.

Sefu un colpo per il nostro fratelo lascio pensare a voi. RenzoLuciaAgnesegli vennero subito in mente; e esclamòper dircosìdentro di sé: " oh Dio! cosa faranno que'meschiniquando io non sarò più qui! " Ma alzògli occhi al cieloe s'accusò d'aver mancato di fiduciad'essersi creduto necessario a qualche cosa. Mise le mani in crocesul pettoin segno d'ubbidienzae chinò la testa davanti alpadre guardiano; il quale lo tirò poi in dispartee gli diedequell'altro avvisocon parole di consiglioe con significazione diprecetto. Fra Cristoforo andò alla sua cellaprese la sportavi ripose il breviarioil suo quaresimalee il pane del perdonos'allacciò la tonaca con la sua cintura di pellesi licenziòda' suoi confratelli che si trovavano in conventoandò daultimo a prender la benedizione del guardianoe col compagnopresela strada che gli era stata prescritta.

Abbiamodetto che don Rodrigointestato più che mai di venire a finedella sua bella impresas'era risoluto di cercare il soccorso d'unterribile uomo. Di costui non possiam dare né il nomenéil cognomené un titoloe nemmeno una congettura sopra nulladi tutto ciò: cosa tanto più stranache delpersonaggio troviamo memoria in più d'un libro (libristampatidico) di quel tempo. Che il personaggio sia quel medesimol'identità de' fatti non lascia luogo a dubitarne; ma pertutto un grande studio a scansarne il nomequasi avesse dovutobruciar la pennala mano dello scrittore. Francesco Rivolanellavita del cardinal Federigo Borromeodovendo parlar di quell'uomolochiama " un signore altrettanto potente per ricchezzequantonobile per nascita "e fermi lì. Giuseppe Ripamontichenel quinto libro della quinta decade della sua Storia Patriane fa più distesa menzionelo nomina unocostuicoluiquest'uomoquel personaggio. " Riferirò "dicenel suo bel latinoda cui traduciamo come ci riesce" il casod'un tale cheessendo de' primi tra i grandi della cittàaveva stabilita la sua dimora in una campagnasituata sul confine; elìassicurandosi a forza di delittiteneva per niente igiudizii giudiciogni magistraturala sovranità; menavauna vita affatto indipendente; ricettatore di foruscitiforuscito untempo anche lui; poi tornatocome se niente fosse... " Daquesto scrittore prenderemo qualche altro passoche ci venga intaglio per confermare e per dilucidare il racconto del nostroanonimo; col quale tiriamo avanti

Fareciò ch'era vietato dalle leggio impedito da una forzaqualunque; esser arbitropadrone negli affari altruisenz'altrointeresse che il gusto di comandare; esser temuto da tuttiaver lamano da coloro ch'eran soliti averla dagli altri; tali erano state inogni tempo le passioni principali di costui. Fino dall'adolescenzaallo spettacolo e al rumore di tante prepotenzedi tante gareallavista di tanti tiranniprovava un misto sentimento di sdegno ed'invidia impaziente. Giovinee vivendo in cittànontralasciava occasioneanzi n'andava in cercad'aver che dire co'più famosi di quella professioned'attraversarliperprovarsi con loroe farli stare a dovereo tirarli a cercare la suaamicizia. Superiore di ricchezze e di seguito alla più partee forse a tutti d'ardire e di costanzane ridusse molti a ritirarsida ogni rivalitàmolti ne conciò malemolti n'ebbeamici; non già amici del parimacome soltanto potevanpiacere a luiamici subordinatiche si riconoscessero suoiinferioriche gli stessero alla sinistra. Nel fatto peròveniva anche lui a essere il faccendierelo strumento di tutticoloro: essi non mancavano di richiedere ne' loro impegni l'operad'un tanto ausiliario; per luitirarsene indietro sarebbe statodecadere dalla sua riputazionemancare al suo assunto. Di manieracheper conto suoe per conto d'altritante ne fece chenonbastando né il nomené il parentadoné gliamiciné la sua audacia a sostenerlo contro i bandi pubblicie contro tante animosità potentidovette dar luogoe uscirdallo stato. Credo che a questa circostanza si riferisca un trattonotabile raccontato dal Ripamonti. " Una volta che costui ebbe asgomberare il paesela segretezza che usòil rispettolatimidezzafuron tali: attraversò la città a cavallocon un seguito di cania suon di tromba; e passando davanti alpalazzo di cortelasciò alla guardia un'imbasciatad'impertinenze per il governatore ".

Nell'assenzanon ruppe le pratichené tralasciò le corrispondenzecon que' suoi tali amicii quali rimasero uniti con luipertradurre letteralmente dal Ripamonti" in lega occulta diconsigli atrocie di cose funeste ". Pare anzi che alloracontraesse con più alte personecerte nuove terribilipratichedelle quali lo storico summentovato parla con una brevitàmisteriosa. " Anche alcuni principi esteri- dice- si valseropiù volte dell'opera suaper qualche importante omicidioespesso gli ebbero a mandar da lontano rinforzi di gente che servissesotto i suoi ordini ".

Finalmente(non si sa dopo quanto tempo)o fosse levato il bandoper qualchepotente intercessioneo l'audacia di quell'uomo gli tenesse luogod'immunitàsi risolvette di tornare a casae vi tornòdifatti; non però in Milanoma in un castello confinante colterritorio bergamascoche allora eracome ognun sastato veneto. "Quella casa - cito ancora il Ripamonti- era come un'officina dimandati sanguinosi: servitorila cui testa era messa a tagliae cheavevan per mestiere di troncar teste: né cuoconésguattero dispensati dall'omicidio: le mani de' ragazziinsanguinate". Oltre questa bella famiglia domestican'avevacome afferma lo stesso storicoun'altra di soggetti similidispersie posti come a quartiere in vari luoghi de' due stati sul lembo de'quali vivevae pronti sempre a' suoi ordini.

Tuttii tiranniper un bel tratto di paese all'intornoavevan dovutochiin un'occasione e chi in un'altrascegliere tra l'amicizia el'inimicizia di quel tiranno straordinario. Ma ai primi che avevanovoluto provar di resisterglila gli era andata così malechenessuno si sentiva più di mettersi a quella prova. E neppurcol badare a' fatti suoicon lo stare a séuno non potevarimanere indipendente da lui. Capitava un suo messo a intimargli cheabbandonasse la tale impresache cessasse di molestare il taldebitoreo cose simili: bisognava rispondere sì o no. Quandouna partecon un omaggio vassallescoera andata a rimettere in luiun affare qualunquel'altra parte si trovava a quella dura sceltaodi stare alla sua sentenzao di dichiararsi suo nemico; il cheequivaleva a essercome si diceva altre voltetisico in terzogrado. Moltiavendo il tortoricorrevano a lui per aver ragione ineffetto; molti ancheavendo ragioneper preoccupare un cosìgran patrocinioe chiuderne l'adito all'avversario: gli uni e glialtri divenivano più specialmente suoi dipendenti. Accaddequalche volta che un debole oppressovessato da un prepotentesirivolse a lui; e luiprendendo le parti del deboleforzò ilprepotente a finirlaa riparare il mal fattoa chiedere scusa; ose stava durogli mosse tal guerrada costringerlo a sfrattar dailuoghi che aveva tiranneggiatio gli fece anche pagare un piùpronto e più terribile fio. E in quei casiquel nome tantotemuto e abborrito era stato benedetto un momento: perchénondirò quella giustiziama quel rimedioquel compensoqualunquenon si sarebbe potutoin que' tempiaspettarlo danessun'altra forza né privatané pubblica. Piùspessoanzi per l'ordinariola sua era stata ed era ministra divoleri iniquidi soddisfazioni atrocidi capricci superbi. Ma gliusi così diversi di quella forza producevan sempre l'effettomedesimod'imprimere negli animi una grand'idea di quanto eglipotesse volere e eseguire in onta dell'equità e dell'iniquitàquelle due cose che metton tanti ostacoli alla volontà degliuominie li fanno così spesso tornare indietro. La fama de'tiranni ordinari rimaneva per lo più ristretta in quel piccolotratto di paese dov'erano i più ricchi e i più forti:ogni distretto aveva i suoi; e si rassomigliavan tantoche non c'eraragione che la gente s'occupasse di quelli che non aveva a ridosso.Ma la fama di questo nostro era già da gran tempo diffusa inogni parte del milanese: per tuttola sua vita era un soggetto diracconti popolari; e il suo nome significava qualcosad'irresistibiledi stranodi favoloso. Il sospetto che per tuttos'aveva de' suoi collegati e de' suoi sicaricontribuiva anch'esso atener viva per tutto la memoria di lui. Non eran più chesospetti; giacché chi avrebbe confessata apertamente una taledipendenza? ma ogni tiranno poteva essere un suo collegatoognimalandrinouno de' suoi; e l'incertezza stessa rendeva piùvasta l'opinionee più cupo il terrore della cosa. E ognivolta che in qualche parte si vedessero comparire figure di bravisconosciute e più brutte dell'ordinarioa ogni fatto enormedi cui non si sapesse alla prima indicare o indovinar l'autoresiproferivasi mormorava il nome di colui che noigrazie a quellabenedettaper non dir altrocircospezione de' nostri autorisaremocostretti a chiamare l'innominato.

Dalcastellaccio di costui al palazzotto di don Rodrigonon c'era piùdi sette miglia: e quest'ultimoappena divenuto padrone e tirannoaveva dovuto vedere chea così poca distanza da un talpersonaggionon era possibile far quel mestiere senza venire allepreseo andar d'accordo con lui. Gli s'era perciò offerto egli era divenuto amicoal modo di tutti gli altris'intende; gliaveva reso più d'un servizio (il manoscritto non dice di più);e n'aveva riportate ogni volta promesse di contraccambio e d'aiutoin qualunque occasione. Metteva però molta cura a nascondereuna tale amiciziao almeno a non lasciare scorgere quanto strettaedi che natura fosse. Don Rodrigo voleva bensì fare il tirannoma non il tiranno salvatico: la professione era per lui un mezzononuno scopo: voleva dimorar liberamente in cittàgodere icomodigli spassigli onori della vita civile; e perciòbisognava che usasse certi riguarditenesse di conto parenticoltivasse l'amicizia di persone alteavesse una mano sulle bilancedella giustiziaper farle a un bisogno traboccare dalla sua parteoper farle sparireo per darle anchein qualche occasionesullatesta di qualcheduno che in quel modo si potesse servir piùfacilmente che con l'armi della violenza privata. Oral'intrinsichezzadiciam megliouna lega con un uomo di quellasortecon un aperto nemico della forza pubblicanon gli avrebbecertamente fatto buon gioco a ciòspecialmente presso ilconte zio. Però quel tanto d'una tale amicizia che non erapossibile di nasconderepoteva passare per una relazioneindispensabile con un uomo la cui inimicizia era troppo pericolosa; ecosì ricevere scusa dalla necessità: giacché chiha l'assunto di provvederee non n'ha la volontào non netrova il versoalla lunga acconsente che altri provveda da séfino a un certo segnoa' casi suoi; e se non acconsenteespressamentechiude un occhio.

Unamattinadon Rodrigo uscì a cavalloin treno da cacciaconuna piccola scorta di bravi a piedi; il Griso alla staffae quattroaltri in coda; e s'avviò al castello dell'innominato.




Cap.XX


Ilcastello dell'innominato era a cavaliere a una valle angusta euggiosasulla cima d'un poggio che sporge in fuori da un'aspragiogaia di montied ènon si saprebbe dir benese congiuntoad essa o separatoneda un mucchio di massi e di dirupie da unandirivieni di tane e di precipiziche si prolungano anche dalle dueparti. Quella che guarda la valle è la sola praticabile; unpendìo piuttosto ertoma uguale e continuato; a prati inalto; nelle falde a campisparsi qua e là di casucce. Ilfondo è un letto di ciottolonidove scorre un rigagnolo otorrentacciosecondo la stagione: allora serviva di confine ai duestati. I gioghi oppostiche formanoper dir cosìl'altraparete della vallehanno anch'essi un po' di falda coltivata; ilresto è schegge e macignierte ripidesenza strada e nudemeno qualche cespuglio ne' fessi e sui ciglioni.

Dall'altodel castellacciocome l'aquila dal suo nido insanguinatoilselvaggio signore dominava all'intorno tutto lo spazio dove pieded'uomo potesse posarsie non vedeva mai nessuno al di sopra di séné più in alto. Dando un'occhiata in giroscorrevatutto quel recintoi pendìiil fondole strade praticate làdentro. Quella chea gomiti e a giravoltesaliva al terribiledomiciliosi spiegava davanti a chi guardasse di lassùcomeun nastro serpeggiante: dalle finestredalle feritoiepoteva ilsignore contare a suo bell'agio i passi di chi venivae spianarglil'arme controcento volte. E anche d'una grossa compagniaavrebbepotutocon quella guarnigione di bravi che teneva lassùstenderne sul sentieroo farne ruzzolare al fondo parecchiprimache uno arrivasse a toccar la cima. Del restonon che lassùma neppure nella vallee neppur di passaggionon ardiva metterpiede nessuno che non fosse ben visto dal padrone del castello. Ilbirro poi che vi si fosse lasciato vederesarebbe stato trattatocome una spia nemica che venga colta in un accampamento. Siraccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano volutotentar l'impresa; ma eran già storie antiche; e nessuno de'giovani si rammentava d'aver veduto nella valle uno di quella razzané vivoné morto.

Taleè la descrizione che l'anonimo fa del luogo: del nomenulla;anziper non metterci sulla strada di scoprirlonon dice niente delviaggio di don Rodrigoe lo porta addirittura nel mezzo della valleappiè del poggioall'imboccatura dell'erto e tortuososentiero. Lì c'era una tavernache si sarebbe anche potutachiamare un corpo di guardia. Sur una vecchia insegna che pendevasopra l'uscioera dipinto da tutt'e due le parti un sole raggiante;ma la voce pubblicache talvolta ripete i nomi come le vengonoinsegnatitalvolta li rifà a modo suonon chiamava quellataverna che col nome della Malanotte.

Alrumore d'una cavalcatura che s'avvicinavacomparve sulla soglia unragazzaccioarmato come un saracino; e data un'occhiataentròad informare tre sgherriche stavan giocandocon certe carte sudicee piegate in forma di tegoli. Colui che pareva il capo s'alzòs'affacciò all'uscioericonosciuto un amico del suopadronelo salutò rispettosamente. Don Rodrigoresogli conmolto garbo il salutodomandò se il signore si trovasse alcastello; e rispostogli da quel caporalaccioche credeva di sìsmontò da cavalloe buttò la briglia al Tiradrittouno del suo seguito. Si levò lo schioppoe lo consegnòal Montanarolocome per isgravarsi d'un peso inutilee salir piùlesto; main realtàperché sapeva beneche suquell'erta non era permesso d'andar con lo schioppo. Si cavòpoi di tasca alcune berlinghee le diede al Tanabusodicendogli: -voi altri state ad aspettarmi; e intanto starete un po' allegri conquesta brava gente -. Cavò finalmente alcuni scudi d'oroe limise in mano al caporalaccioassegnandone metà a luie metàda dividersi tra i suoi uomini. Finalmentecol Grisoche avevaanche lui posato lo schioppocominciò a piedi la salita.Intanto i tre bravi sopraddettie lo Squinternotto ch'era il quarto(oh! vedete che bei nomida serbarceli con tanta cura)rimasero coitre dell'innominatoe con quel ragazzo allevato alle forcheagiocarea trincaree a raccontarsi a vicenda le loro prodezze.

Unaltro bravaccio dell'innominatoche salivaraggiunse poco dopo donRodrigo; lo guardòlo riconobbee s'accompagnò conlui; e gli risparmiò così la noia di dire il suo nomee di rendere altro conto di sé a quant'altri avrebbeincontratiche non lo conoscessero. Arrivato al castelloeintrodotto (lasciando però il Griso alla porta)fu fattopassare per un andirivieni di corridoi buie per varie saletappezzate di moschettidi sciabole e di partigianee in ognunadelle quali c'era di guardia qualche bravo; edopo avere alquantoaspettatofu ammesso in quella dove si trovava l'innominato.

Questogli andò incontrorendendogli il salutoe insiemeguardandogli le mani e il visocome faceva per abitudinee ormaiquasi involontariamentea chiunque venisse da luiper quanto fossede' più vecchi e provati amici. Era grandebrunocalvo;bianchi i pochi capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a primavistagli si sarebbe dato più de' sessant'anni che aveva; mail contegnole mossela durezza risentita de' lineamentiillampeggiar sinistroma vivo degli occhiindicavano una forza dicorpo e di animoche sarebbe stata straordinaria in un giovine.

DonRodrigo disse che veniva per consiglio e per aiuto; chetrovandosiin un impegno difficiledal quale il suo onore non gli permetteva diritirarsis'era ricordato delle promesse di quell'uomo che nonprometteva mai tropponé invano; e si fece ad esporre il suoscellerato imbroglio. L'innominato che ne sapeva già qualcosama in confusostette a sentire con attenzionee come curioso disimili storiee per essere in questa mischiato un nome a lui noto eodiosissimoquello di fra Cristoforonemico aperto de' tiranniein parole edove potevain opere. Don Rodrigosapendo con chiparlavasi mise poi a esagerare le difficoltà dell'impresa;la distanza del luogoun monasterola signora!... A questol'innominatocome se un demonio nascosto nel suo cuore gliel avessecomandatointerruppe subitamentedicendo che prendeva l'impresasopra di sé. Prese l'appunto del nome della nostra poveraLuciae licenziò don Rodrigodicendo: - tra poco avrete dame l'avviso di quel che dovrete fare.

Seil lettore si ricorda di quello sciagurato Egidio che abitava accantoal monastero dove la povera Lucia stava ricoveratasappia ora checostui era uno de' più stretti ed intimi colleghi discelleratezze che avesse l'innominato: perciò questo avevalasciata correre così prontamente e risolutamente la suaparola. Ma appena rimase solosi trovònon diròpentitoma indispettito d'averla data. Già da qualche tempocominciava a provarese non un rimorsouna cert'uggia delle suescelleratezze. Quelle tante ch'erano ammontatese non sulla suacoscienzaalmeno nella sua memoriasi risvegliavano ogni volta chene commettesse una di nuovoe si presentavano all'animo brutte etroppe: era come il crescere e crescere d'un peso giàincomodo. Una certa ripugnanza provata ne' primi delittie vintapoie scomparsa quasi affattotornava ora a farsi sentire. Ma inque' primi tempil'immagine d'un avvenire lungoindeterminatoilsentimento d'una vitalità vigorosariempivano l'animo d'unafiducia spensierata: ora all'oppostoi pensieri dell'avvenire eranquelli che rendevano più noioso il passato. "Invecchiare! morire! e poi? " Ecosa notabile! l'immagine dellamortechein un pericolo vicinoa fronte d'un nemicosolevaraddoppiar gli spiriti di quell'uomoe infondergli un'ira piena dicoraggioquella stessa immagineapparendogli nel silenzio dellanottenella sicurezza del suo castellogli metteva addosso unacosternazione repentina. Non era la morte minacciata da un avversariomortale anche lui; non si poteva rispingerla con armi migliorie conun braccio più pronto; veniva solanasceva di dentro; eraforse ancor lontanama faceva un passo ogni momento; eintanto chela mente combatteva dolorosamente per allontanarne il pensieroquella s'avvicinava. Ne' primi tempigli esempi cosìfrequentilo spettacoloper dir cosìcontinuo dellaviolenzadella vendettadell'omicidioispirandogli un'emulazioneferocegli avevano anche servito come d'una specie d'autoritàcontro la coscienza: oragli rinasceva ogni tanto nell'animo l'ideaconfusama terribiled'un giudizio individualed'una ragioneindipendente dall'esempio; oral'essere uscito dalla turba volgarede' malvagil'essere innanzi a tuttigli dava talvolta ilsentimento d'una solitudine tremenda. Quel Dio di cui aveva sentitoparlarema cheda gran temponon si curava di negare né diriconoscereoccupato soltanto a vivere come se non ci fosseoraincerti momenti d'abbattimento senza motivodi terrore senza pericologli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però.Nel primo bollor delle passionila legge che avevase non altrosentita annunziare in nome di Luinon gli era parsa che odiosa: oraquando gli tornava d'improvviso alla mentela mentesuo malgradola concepiva come una cosa che ha il suo adempimento. Manon cheaprirsi con nessuno su questa sua nuova inquietudinela copriva anziprofondamentee la mascherava con l'apparenze d'una più cupaferocia; e con questo mezzocercava anche di nasconderla a sestessoo di soffogarla. Invidiando (giacché non potevaannientarli né dimenticarli) que' tempi in cui era solitocommettere l'iniquità senza rimorsosenz'altro pensiero chedella riuscitafaceva ogni sforzo per farli tornareper ritenere oper riafferrare quell'antica volontàprontasuperbaimperturbataper convincer se stesso ch'era ancor quello.

Cosìin quest'occasioneaveva subito impegnata la sua parola a donRodrigoper chiudersi l'adito a ogni esitazione. Ma appena partitocostuisentendo scemare quella fermezza che s'era comandata perprometteresentendo a poco a poco venirsi innanzi nella mentepensieri che lo tentavano di mancare a quella parolae l'avrebberocondotto a scomparire in faccia a un amicoa un complice secondario;per troncare a un tratto quel contrasto penosochiamò ilNibbiouno de' più destri e arditi ministri delle sueenormitàe quello di cui era solito servirsi per lacorrispondenza con Egidio. Econ aria risolutagli comandòche montasse subito a cavalloandasse diritto a MonzainformasseEgidio dell'impegno contrattoe richiedesse il suo aiuto peradempirlo.

Ilmesso ribaldo tornò più presto che il suo padrone nonse l'aspettassecon la risposta d'Egidio: che l'impresa era facile esicura; gli si mandasse subito una carrozzacon due o tre bravi bentravisati; e lui prendeva la cura di tutto il restoe guiderebbe lacosa. A quest'annunziol'innominatocomunque stesse di dentrodiede ordine in fretta al Nibbio stessoche disponesse tutto secondoaveva detto Egidioe andasse con due altri che gli nominòalla spedizione.

Seper rendere l'orribile servizio che gli era stato chiestoEgidioavesse dovuto far conto de' soli suoi mezzi ordinarinon avrebbecertamente data così subito una promessa così decisa.Main quell'asilo stesso dove pareva che tutto dovesse essereostacolol'atroce giovine aveva un mezzo noto a lui solo; e ciòche per gli altri sarebbe stata la maggior difficoltàerastrumento per lui. Noi abbiamo riferito come la sciagurata signoradesse una volta retta alle sue parole; e il lettore può avereinteso che quella volta non fu l'ultimanon fu che un primo passo inuna strada d'abbominazione e di sangue. Quella stessa voceche avevaacquistato forza edirei quasiautorità dal delittoleimpose ora il sagrifizio dell'innocente che aveva in custodia.

Laproposta riuscì spaventosa a Gertrude. Perder Lucia per uncaso imprevedutosenza colpale sarebbe parsa una sventuraunapunizione amara: e le veniva comandato di privarsene con unascellerata perfidiadi cambiare in un nuovo rimorso un mezzo diespiazione. La sventurata tentò tutte le strade per esimersidall'orribile comando; tuttefuorché la sola ch'era sicuraeche le stava pur sempre aperta davanti. Il delitto è unpadrone rigido e inflessibilecontro cui non divien forte se non chise ne ribella interamente. A questo Gertrude non voleva risolversi; eubbidì.

Erail giorno stabilito; l'ora convenuta s'avvicinava; Gertruderitiratacon Lucia nel suo parlatorio privatole faceva più carezzedell'ordinarioe Lucia le riceveva e le contraccambiava contenerezza crescente: come la pecoratremolando senza timore sotto lamano del pastore che la palpa e la strascina mollementesi volta aleccar quella mano; e non sa chefuori della stallal'aspetta ilmacellaioa cui il pastore l'ha venduta un momento prima.

-Ho bisogno d'un gran servizio; e voi sola potete farmelo. Ho tantagente a' miei comandi; ma di cui mi fidinessuno. Per un affare digrand'importanzache vi dirò poiho bisogno di parlar subitosubito con quel padre guardiano de' cappuccini che v'ha condotta quida mela mia povera Lucia; ma è anche necessario che nessunosappia che l'ho mandato a chiamare io. Non ho che voi per farsegretamente quest'imbasciata.

Luciafu atterrita d'una tale richiesta; e con quella sua suggezionemasenza nascondere una gran maravigliaaddusse subitoperdisimpegnarsenele ragioni che la signora doveva intenderecheavrebbe dovute prevedere: senza la madresenza nessunoper unastrada solitariain un paese sconosciuto... Ma Gertrudeammaestrataa una scola infernalemostrò tanta maraviglia anche leietanto dispiacere di trovare una tal ritrosia nella persona di cuicredeva poter far più contofigurò di trovar cosìvane quelle scuse! di giorno chiaroquattro passiuna strada cheLucia aveva fatta pochi giorni primae chequand'anche non l'avessemai vedutaa insegnarglielanon la poteva sbagliare!... Tantodisseche la poverinacommossa e punta a un temposi lasciòsfuggir di bocca: - e bene; cosa devo fare?

-Andate al convento de' cappuccini: - e le descrisse la strada dinuovo: - fate chiamare il padre guardianoditeglida solo a soloche venga da me subito subito; ma che non dica a nessuno che son ioche lo mando a chiamare.

-Ma cosa dirò alla fattoressache non m'ha mai vista uscireemi domanderà dove vo?

-Cercate di passare senz'esser vista; e se non vi riesceditele cheandate alla chiesa taledove avete promesso di fare orazione.

Nuovadifficoltà per la povera giovine: dire una bugia; ma lasignora si mostrò di nuovo così afflitta delle ripulsele fece parer così brutta cosa l'anteporre un vano scrupoloalla riconoscenzache Luciasbalordita più che convintaesoprattutto commossa più che mairispose: - e bene; anderò.Dio m'aiuti! - E si mosse.

QuandoGertrudeche dalla grata la seguiva con l'occhio fisso e torbidolavide metter piede sulla sogliacome sopraffatta da un sentimentoirresistibileaprì la boccae disse: - sentiteLucia!Questa si voltòe tornò verso la grata. Ma giàun altro pensieroun pensiero avvezzo a predominareaveva vinto dinuovo nella mente sciagurata di Gertrude. Facendo le viste di nonesser contenta dell'istruzioni già datespiegò dinuovo a Lucia la strada che doveva teneree la licenziòdicendo: - fate ogni cosa come v'ho dettoe tornate presto -. Luciapartì.

Passòinosservata la porta del chiostroprese la stradacon gli occhibassirasente al muro; trovòcon l'indicazioni avute e conle proprie rimembranzela porta del borgon'uscìandòtutta raccolta e un po' tremanteper la strada maestraarrivòin pochi momenti a quella che conduceva al convento; e la riconobbe.Quella strada eraed è tutt'oraaffondataa guisa d'unletto di fiumetra due alte rive orlate di macchieche vi formansopra una specie di volta. Luciaentrandovie vedendola affattosolitariasentì crescere la paurae allungava il passo; mapoco dopo si rincorò alquantonel vedere una carrozza daviaggio fermae accanto a quelladavanti allo sportello apertodueviaggiatori che guardavano in qua e in làcome incerti dellastrada. Andando avantisentì uno di que' dueche diceva: -ecco una buona giovine che c'insegnerà la strada -. Infattiquando fu arrivata alla carrozzaquel medesimocon un fare piùgentile che non fosse l'aspettosi voltòe disse: - quellagiovineci sapreste insegnar la strada di Monza?

-Andando di lìvanno a rovescio- rispondeva la poverina:

-Monza è di qua... - e si voltavaper accennar col dito;quando l'altro compagno (era il Nibbio)afferrandola d'improvvisoper la vital'alzò da terra. Lucia girò la testaindietro atterritae cacciò un urlo; il malandrino la miseper forza nella carrozza: uno che stava a sedere davantila prese ela cacciòper quanto lei si divincolasse e stridesseasedere dirimpetto a sé: un altromettendole un fazzolettoalla boccale chiuse il grido in gola. In tanto il Nibbio entròpresto presto anche lui nella carrozza: lo sportello si chiusee lacarrozza partì di carriera. L'altro che le aveva fatta quelladomanda traditorarimasto nella stradadiede un'occhiata in qua ein làper veder se fosse accorso qualcheduno agli urli diLucia: non c'era nessuno; saltò sur una rivaattaccandosi aun albero della macchiae disparve. Era costui uno sgherro d'Egidio;era statofacendo l'indianosulla porta del suo padroneper vederquando Lucia usciva dal monastero; l'aveva osservata beneperpoterla riconoscere; ed era corsoper una scorciatoiaad aspettarlaal posto convenuto.

Chipotrà ora descrivere il terrorel'angoscia di costeiesprimere ciò che passava nel suo animo? Spalancava gli occhispaventatiper ansietà di conoscere la sua orribilesituazionee li richiudeva subitoper il ribrezzo e per il terroredi que' visacci: si storcevama era tenuta da tutte le parti:raccoglieva tutte le sue forzee dava delle stratteper buttarsiverso lo sportello; ma due braccia nerborute la tenevano comeconficcata nel fondo della carrozza; quattro altre manacce vel'appuntellavano. Ogni volta che aprisse la bocca per cacciare unurloil fazzoletto veniva a soffogarglielo in gola. Intanto trebocche d'infernocon la voce più umana che sapessero formareandavan ripetendo: - zittazittanon abbiate pauranon vogliamofarvi male -. Dopo qualche momento d'una lotta cosìangosciosaparve che s'acquietasse; allentò le braccialasciò cader la testa all'indietroalzò a stento lepalpebretenendo l'occhio immobile; e quegli orridi visacci che lestavan davanti le parvero confondersi e ondeggiare insieme in unmescuglio mostruoso: le fuggì il colore dal viso; un sudorfreddo glielo coprì; s'abbandonòe svenne.

-Susucoraggio- diceva il Nibbio. - Coraggiocoraggio-ripetevan gli altri due birboni; ma lo smarrimento d'ogni sensopreservava in quel momento Lucia dal sentire i conforti di quelleorribili voci.

-Diavolo! par morta- disse uno di coloro: - se fosse morta davvero?

-Oh! morta! - disse l'altro: - è uno di quegli svenimenti chevengono alle donne. Io so chequando ho voluto mandare all'altromondo qualchedunouomo o donna che fossec'è voluto altro.

-Via! - disse il Nibbio: - attenti al vostro doveree non andate acercar altro. Tirate fuori dalla cassetta i trombonie tenetelipronti; che in questo bosco dove s'entra orac'è sempre de'birboni annidati. Non così in manodiavolo! riponeteli dietrole spallestesi: non vedete che costei è un pulcin bagnatoche basisce per nulla? Se vede armiè capace di morirdavvero. E quando sarà rinvenutabadate bene di non farlepaura; non la toccatese non vi fo segno; a tenerla basto io. Ezitti: lasciate parlare a me.

Intantola carrozzaandando sempre di corsas'era inoltrata nel bosco.

Dopoqualche tempola povera Lucia cominciò a risentirsicome daun sonno profondo e affannosoe aprì gli occhi. Penòalquanto a distinguere gli spaventosi oggetti che la circondavanoaraccogliere i suoi pensieri: alfine comprese di nuovo la suaterribile situazione. Il primo uso che fece delle poche forzeritornatelefu di buttarsi ancora verso lo sportelloper slanciarsifuori; ma fu ritenutae non poté che vedere un momento lasolitudine selvaggia del luogo per cui passava. Cacciò dinuovo un urlo; ma il Nibbioalzando la manaccia col fazzoletto-via- le dissepiù dolcemente che poté; - statezittache sarà meglio per voi: non vogliamo farvi male; ma senon istate zittavi faremo star noi.

-Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi conducete? Perchém'avete presa? Lasciatemi andarelasciatemi andare!

-Vi dico che non abbiate paura: non siete una bambinae dovete capireche noi non vogliamo farvi male. Non vedete che avremmo potutoammazzarvi cento voltese avessimo cattive intenzioni? Dunque statequieta.

-Nonolasciatemi andare per la mia strada: io non vi conosco.

-Vi conosciamo noi.

-Oh santissima Vergine! come mi conoscete? Lasciatemi andarepercarità. Chi siete voi? Perché m'avete presa?

-Perché c'è stato comandato.

-Chi? chi? chi ve lo può aver comandato?

-Zitta! - disse con un visaccio severo il Nibbio: - a noi non si fa dicodeste domande.

Luciatentò un'altra volta di buttarsi d'improvviso allo sportello;ma vedendo ch'era inutilericorse di nuovo alle preghiere; e con latesta bassacon le gote irrigate di lacrimecon la voce interrottadal piantocon le mani giunte dinanzi alle labbra- oh - diceva: -per l'amor di Dioe della Vergine santissimalasciatemi andare!Cosa v'ho fatto di male io? Sono una povera creatura che non v'hafatto niente. Quello che m'avete fatto voive lo perdono di cuore; epregherò Dio per voi. Se avete anche voi una figliaunamoglieuna madrepensate quello che patirebberose fossero inquesto stato. Ricordatevi che dobbiamo morir tuttie che un giornodesidererete che Dio vi usi misericordia. Lasciatemi andarelasciatemi qui: il Signore mi farà trovar la mia strada.

-Non possiamo.

-Non potete? Oh Signore! perché non potete? Dove voletecondurmi? Perché? ...

-Non possiamo: è inutile: non abbiate paurache non vogliamofarvi male: state quietae nessuno vi toccherà.

Accorataaffannataatterrita sempre più nel vedere che le sue parolenon facevano nessun colpoLucia si rivolse a Colui che tiene in manoil cuore degli uominie puòquando vogliaintenerire i piùduri. Si strinse il più che poténel canto dellacarrozzamise le braccia in croce sul pettoe pregò qualchetempo con la mente; poitirata fuori la coronacominciò adire il rosariocon più fede e con più affetto che nonavesse ancor fatto in vita sua. Ogni tantosperando d'avereimpetrata la misericordia che imploravasi voltava a ripregarcoloro; ma sempre inutilmente. Poi ricadeva ancora senza sentimentipoi si riaveva di nuovoper rivivere a nuove angosce. Ma ormai nonci regge il cuore a descriverle più a lungo: una pietàtroppo dolorosa ci affretta al termine di quel viaggioche duròpiù di quattr'ore; e dopo il quale avremo altre ore angoscioseda passare. Trasportiamoci al castello dove l'infelice era aspettata.

Eraaspettata dall'innominatocon un'inquietudinecon una sospensiond'animo insolita. Cosa strana! quell'uomoche aveva disposto asangue freddo di tante viteche in tanti suoi fatti non avevacontato per nulla i dolori da lui cagionatise non qualche volta perassaporare in essi una selvaggia voluttà di vendettaoranelmetter le mani addosso a questa sconosciutaa questa poveracontadinasentiva come un ribrezzodirei quasi un terrore. Daun'alta finestra del suo castellaccioguardava da qualche tempoverso uno sbocco della valle; ed ecco spuntar la carrozzae venireinnanzi lentamente: perché quel primo andar di carriera avevaconsumata la fogae domate le forze de' cavalli. E benchédal punto dove stava a guardarela non paresse più che una diquelle carrozzine che si dànno per balocco ai fanciullilariconobbe subitoe si sentì il cuore batter più forte.

"Ci sarà? - pensò subito; e continuava tra sé: -che noia mi dà costei! Liberiamocene ".

Evoleva chiamare uno de' suoi sgherrie spedirlo subito incontro allacarrozzaa ordinare al Nibbio che voltassee conducesse colei alpalazzo di don Rodrigo. Ma un no imperioso che risonò nellasua mentefece svanire quel disegno. Tormentato però dalbisogno di dar qualche ordineriuscendogli intollerabile lo stareaspettando oziosamente quella carrozza che veniva avanti passo passocome un tradimentoche so io? come un gastigofece chiamare una suavecchia donna.

Eracostei nata in quello stesso castelloda un antico custode di essoe aveva passata lì tutta la sua vita. Ciò che avevaveduto e sentito fin dalle fascele aveva impresso nella mente unconcetto magnifico e terribile del potere de' suoi padroni; e lamassima principale che aveva attinta dall'istruzioni e dagli esempiera che bisognava ubbidirli in ogni cosaperché potevano fardel gran male e del gran bene. L'idea del doveredeposta come ungerme nel cuore di tutti gli uominisvolgendosi nel suoinsieme co'sentimenti d'un rispettod'un terrored'una cupidigia serviles'era associata e adattata a quelli. Quando l'innominatodivenutopadronecominciò a far quell'uso spaventevole della suaforzacostei ne provò da principio un certo ribrezzo insiemee un sentimento più profondo di sommissione. Col tempos'eraavvezzata a ciò che aveva tutto il giorno davanti agli occhi enegli orecchi: la volontà potente e sfrenata d'un cosìgran signoreera per lei come una specie di giustizia fatale.Ragazza già fattaaveva sposato un servitor di casailqualepoco dopoessendo andato a una spedizione rischiosalasciòl'ossa sur una stradae lei vedova nel castello. La vendetta che ilsignore ne fece subitole diede una consolazione ferocee leaccrebbe l'orgoglio di trovarsi sotto una tal protezione. D'allora inpoinon mise piede fuor del castelloche molto di rado; e a poco apoco non le rimase del vivere umano quasi altre idee salvo quelle chene riceveva in quel luogo. Non era addetta ad alcun servizioparticolaremain quella masnada di sgherriora l'uno ora l'altrole davan da fare ogni poco; ch'era il suo rodimento. Ora aveva cencida rattoppareora da preparare in fretta da mangiare a chi tornasseda una spedizioneora feriti da medicare. I comandi poi di coloroirimproverii ringraziamentieran conditi di beffe e d'improperi:vecchiaera il suo appellativo usuale; gli aggiuntiche qualchedunosempre ci se n'attaccavavariavano secondo le circostanze e l'umoredell'amico. E coleidisturbata nella pigriziae provocata nellastizzach'erano due delle sue passioni predominanticontraccambiavaalle volte que' complimenti con parolein cui Satana avrebbericonosciuto più del suo ingegnoche in quelle de'provocatori.

-Tu vedi laggiù quella carrozza! - le disse il signore.

-La vedo- rispose la vecchiacacciando avanti il mento appuntatoeaguzzando gli occhi infossaticome se cercasse di spingerli su gliorli dell'occhiaie.

-Fa allestir subito una bussolaentracie fatti portare allaMalanotte. Subito subito; che tu ci arrivi prima di quella carrozza:già la viene avanti col passo della morte. In quella carrozzac'è... ci dev'essere... una giovine. Se c'èdìal Nibbioin mio nomeche la metta nella bussolae lui venga susubito da me. Tu starai nella bussolacon quella... giovine; equando sarete quassùla condurrai nella tua camera. Se tidomanda dove la menidi chi è il castelloguarda di non...

-Oh! - disse la vecchia.

-Ma- continuò l'innominato- falle coraggio.

-Cosa le devo dire?

-Cosa le devi dire? Falle coraggioti dico. Tu sei venuta a codestaetàsenza sapere come si fa coraggio a una creaturaquandosI vuole! Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai tu mai avutopaura? Non sai le parole che fanno piacere in que' momenti? Dille diquelle parole: trovalealla malora. Va'.

Epartita che fusi fermò alquanto alla finestracon gli occhifissi a quella carrozzache già appariva più grande dimolto; poi gli alzo al soleche in quel momento si nascondeva dietrola montagna; poi guardò le nuvole sparse al di soprache dibrune si feceroquasi a un trattodi fuoco. Si ritiròchiuse la finestrae si mise a camminare innanzi e indietro per lastanzacon un passo di viaggiatore frettoloso.




Cap.XXI


Lavecchia era corsa a ubbidire e a comandarecon l'autorità diquel nome cheda chiunque fosse pronunziato in quel luogoli facevaspicciar tutti; perché a nessuno veniva in testa che ci fosseuno tanto ardito da servirsene falsamente. Si trovò infattialla Malanotte un po' prima che la carrozza ci arrivasse; e vistalavenireuscì di bussolafece segno al cocchiere che fermasses'avvicinò allo sportello; e al Nibbioche mise il capofuoririferì sottovoce gli ordini del padrone.

Luciaal fermarsi della carrozzasi scossee rinvenne da una specie diletargo. Si sentì da capo rimescolare il sanguespalancòla bocca e gli occhie guardò. Il Nibbio s'era tiratoindietro; e la vecchiacol mento sullo sportelloguardando Luciadiceva: - venitela mia giovine; venitepoverina; venite con meche ho ordine di trattarvi bene e di farvi coraggio.

Alsuono d'una voce di donnala poverina provò un confortouncoraggio momentaneo; ma ricadde subito in uno spavento piùcupo. - Chi siete? - disse con voce tremantefissando lo sguardoattonito in viso alla vecchia.

-Venitevenitepoverina- andava questa ripetendo. Il Nibbio e glialtri dueargomentando dalle parole e dalla voce cosìstraordinariamente raddolcita di coleiquali fossero l'intenzionidel signorecercavano di persuader con le buone l'oppressa aubbidire. Ma lei seguitava a guardar fuori; e benché il luogoselvaggio e sconosciutoe la sicurezza de' suoi guardiani non lelasciassero concepire speranza di soccorsoapriva non ostante labocca per gridare; ma vedendo il Nibbio far gli occhiacci delfazzolettoritenne il gridotremòsi storsefu presa emessa nella bussola. Dopoc'entrò la vecchia; il Nibbio disseai due altri manigoldi che andassero dietroe prese speditamente lasalitaper accorrere ai comandi del padrone.

-Chi siete? - domandava con ansietà Lucia al ceffo sconosciutoe deforme: - perché son con voi? dove sono? dove mi conducete?

-Da chi vuol farvi del bene- rispondeva la vecchia- da un gran...Fortunati quelli a cui vuol far del bene! Buon per voibuon per voi.Non abbiate paurastate allegraché m'ha comandato di farvicoraggio. Glielo direteeh? che v'ho fatto coraggio?

-Chi è? perché? che vuol da me? Io non son sua. Ditemidove sono; lasciatemi andare; dite a costoro che mi lascino andareche mi portino in qualche chiesa. Oh! voi che siete una donnainnome di Maria Vergine...!

Quelnome santo e soavegià ripetuto con venerazione ne' primiannie poi non più invocato per tanto temponé forsesentito proferirefaceva nella mente della sciagurata che lo sentivain quel momentoun'impressione confusastranalentacome larimembranza della lucein un vecchione accecato da bambino.

Intantol'innominatoritto sulla porta del castelloguardava in giù;e vedeva la bussola venir passo passocome prima la carrozzaeavantia una distanza che cresceva ogni momentosalir di corsa ilNibbio. Quando questo fu in cimail signore gli accennò chelo seguisse; e andò con lui in una stanza del castello.

-Ebbene? - dissefermandosi lì.

-Tutto a un puntino- risposeinchinandosiil Nibbio: - l'avviso atempola donna a temponessuno sul luogoun urlo solonessunocomparsoil cocchiere prontoi cavalli bravinessun incontro:ma...

-Ma che?

-Ma... dico il veroche avrei avuto più piacere che l'ordinefosse stato di darle una schioppettata nella schienasenza sentirlaparlaresenza vederla in viso.

-Cosa? cosa? che vuoi tu dire?

-Voglio dire che tutto quel tempotutto quel tempo... M'ha fattotroppa compassione.

-Compassione! Che sai tu di compassione? Cos'è la compassione?

-Non l'ho mai capito così bene come questa volta: è unastoria la compassione un poco come la paura: se uno la lascia prenderpossessonon è più uomo.

-Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a compassione.

-O signore illustrissimo! tanto tempo...! piangerepregaree farcert'occhie diventar bianca bianca come mortae poi singhiozzaree pregar di nuovoe certe parole...

"Non la voglio in casa costei- pensava intanto l'innominato.

-Sono stato una bestia a impegnarmi; ma ho promessoho promesso.Quando sarà lontana... " E alzando la testain atto dicomandoverso il Nibbio- ora- gli disse- metti da parte lacompassione: monta a cavalloprendi un compagnodue se vuoi; e va'di corsa a casa di quel don Rodrigo che tu sai. Digli che mandi... masubito subitoperché altrimenti...

Maun altro no interno più imperioso del primo gli proibìdi finire. - No- disse con voce risolutaquasi per esprimere a sestesso il comando di quella voce segreta- no: va' a riposarti; edomattina... farai quello che ti dirò!

"Un qualche demonio ha costei dalla sua- pensava poirimasto solorittocon le braccia incrociate sul pettoe con lo sguardo immobilesur una parte del pavimentodove il raggio della lunaentrando dauna finestra altadisegnava un quadrato di luce pallidatagliata ascacchi dalle grosse inferriatee intagliata più minutamentedai piccoli compartimenti delle vetriate. - Un qualche demonioo...un qualche angelo che la protegge... Compassione al Nibbio!...Domattinadomattina di buon'orafuor di qui costei; al suo destinoe non se ne parli piùe- proseguiva tra séconquell'animo con cui si comanda a un ragazzo indocilesapendo che nonubbidirà- e non ci si pensi più. Quell'animale di donRodrigo non mi venga a romper la testa con ringraziamenti; che... nonvoglio più sentir parlar di costei. L'ho servito perché...perché ho promesso: e ho promesso perché... è ilmio destino. Ma voglio che me lo paghi bene questo serviziocolui.Vediamo un poco... "

Evoleva almanaccare cosa avrebbe potuto richiedergli di scabrosopercompensoe quasi per pena; ma gli si attraversaron di nuovo allamente quelle parole: compassione al Nibbio! "Come puòaver fatto costei? - continuavastrascinato da quel pensiero. -Voglio vederla... Eh! no... Sìvoglio vederla ".

Ed'una stanza in un'altratrovò una scalettae su a tastoneandò alla camera della vecchiae picchiò all'uscio conun calcio.

-Chi è?

-Apri.

Aquella vocela vecchia fece tre salti; e subito si sentìscorrere il paletto negli anellie l'uscio si spalancò.L'innominatodalla sogliadiede un'occhiata in giro; eal lumed'una lucerna che ardeva sur un tavolinovide Lucia rannicchiata interranel canto il più lontano dall'uscio.

-Chi t'ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cencisciagurata? - disse alla vecchiacon un cipiglio iracondo.

-S'è messa dove le è piaciuto- rispose umilmentecolei: - io ho fatto di tutto per farle coraggio: lo può direanche lei; ma non c'è stato verso.

-Alzatevi- disse l'innominato a Luciaandandole vicino. Ma Luciaacui il picchiarel'aprireil comparir di quell'uomole sue paroleavevan messo un nuovo spavento nell'animo spaventatostava piùche mai raggomitolata nel cantucciocol viso nascosto tra le manienon movendosise non che tremava tutta.

-Alzateviché non voglio farvi del male... e posso farvi delbene- ripeté il signore... - Alzatevi! - tonò poiquella vocesdegnata d'aver due volte comandato invano.

Comerinvigorita dallo spaventol'infelicissima si rizzò subitoinginocchioni; e giungendo le manicome avrebbe fatto davanti aun'immaginealzò gli occhi in viso all'innominatoeriabbassandoli subitodisse: - son qui: m'ammazzi.

-V'ho detto che non voglio farvi del male- risposecon vocemitigatal'innominatofissando quel viso turbato dall'accoramento edal terrore.

-Coraggiocoraggio- diceva la vecchia: - se ve lo dice luiche nonvuol farvi del male...

-E perché- riprese Lucia con una vocein cuicol tremitodella paurasi sentiva una certa sicurezza dell'indegnazionedisperata- perché mi fa patire le pene dell'inferno? Cosa leho fatto io?...

-V'hanno forse maltrattata? Parlate.

-Oh maltrattata! M'hanno presa a tradimentoper forza! perché?perché m'hanno presa? perché son qui? dove sono? Sonouna povera creatura: cosa le ho fatto? In nome di Dio...

-DioDio- interruppe l'innominato: - sempre Dio: coloro che nonpossono difendersi da séche non hanno la forzasempre hanquesto Dio da mettere in campocome se gli avessero parlato. Cosapretendete con codesta vostra parola? Di farmi...? - e lasciòla frase a mezzo.

-Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschinase non chelei mi usi misericordia? Dio perdona tante coseper un'opera dimisericordia! Mi lasci andare; per carità mi lasci andare! Nontorna conto a uno che un giorno deve morire di far patir tanto unapovera creatura. Oh! lei che può comandaredica che milascino andare! M'hanno portata qui per forza. Mi mandi con questadonna a *** dov'è mia madre. Oh Vergine santissima! mia madre!mia madreper caritàmia madre! Forse non è lontanadi qui... ho veduto i miei monti! Perché lei mi fa patire? Mifaccia condurre in una chiesa. Pregherò per leitutta la miavita. Cosa le costa dire una parola? Oh ecco! vedo che si move acompassione: dica una parolala dica. Dio perdona tante coseperun'opera di misericordia!

"Oh perché non è figlia d'uno di que' cani che m'hannobandito! - pensava l'innominato: - d'uno di que' vili che mivorrebbero morto! che ora godrei di questo suo strillare; e invece... "

-Non iscacci una buona ispirazione! - proseguiva fervidamente Luciarianimata dal vedere una cert'aria d'esitazione nel viso e nelcontegno del suo tiranno. - Se lei non mi fa questa caritàmela farà il Signore: mi farà moriree per me saràfinita; ma lei!... Forse un giorno anche lei... Ma nono; pregheròsempre io il Signore che la preservi da ogni male. Cosa le costa direuna parola? Se provasse lei a patir queste pene...!

-Viafatevi coraggio- interruppe l'innominatocon una dolcezza chefece strasecolar la vecchia. - V'ho fatto nessun male? V'hominacciata?

-Oh no! Vedo che lei ha buon cuoree che sente pietà di questapovera creatura. Se lei volessepotrebbe farmi paura più ditutti gli altripotrebbe farmi morire; e in vece mi ha... un po'allargato il cuore. Dio gliene renderà merito. Compiscal'opera di misericordia: mi liberimi liberi.

-Domattina...

-Oh mi liberi orasubito...

-Domattina ci rivedremovi dico. Viaintanto fatevi coraggio.Riposate. Dovete aver bisogno di mangiare. Ora ve ne porteranno.

-Nono; io moio se alcuno entra qui: io moio. Mi conduca lei inchiesa... que' passi Dio glieli conterà.

-Verrà una donna a portarvi da mangiare- disse l'innominato;e dettolorimase stupito anche lui che gli fosse venuto in mente untal ripiegoe che gli fosse nato il bisogno di cercarne unoperrassicurare una donnicciola.

-E tu- riprese poi subitovoltandosi alla vecchia- falle coraggioche mangi; mettila a dormire in questo letto: e se ti vuole incompagniabene; altrimentitu puoi ben dormire una notte in terra.Falle coraggioti dico; tienla allegra. E che non abbia a lamentarsidi te!

Cosìdettosi mosse rapidamente verso l'uscio. Lucia s'alzò ecorse per trattenerloe rinnovare la sua preghiera; ma era sparito.

-Oh povera me! Chiudetechiudete subito -. E sentito ch'ebbeaccostare i battenti e scorrere il palettotornò arannicchiarsi nel suo cantuccio. - Oh povera me! - esclamò dinuovo singhiozzando: - chi pregherò ora? Dove sono? Ditemivoiditemi per caritàchi è quel signore... quelloche m'ha parlato?

-Chi èeh? chi è? Volete ch'io ve lo dica. Aspettach'io te lo dica. Perché vi proteggeavete messo su superbia;e volete esser soddisfatta voie farne andar di mezzo me.Domandatene a lui. S'io vi contentassi anche in questonon mitoccherebbe di quelle buone parole che avete sentite voi. - Io sonvecchiason vecchia- continuòmormorando tra i denti. -Maledette le giovaniche fanno bel vedere a piangere e a ridereehanno sempre ragione -. Ma sentendo Lucia singhiozzaree tornandoleminaccioso alla mente il comando del padronesi chinò versola povera rincantucciataecon voce raddolcitariprese: - vianonv'ho detto niente di male: state allegra. Non mi domandate di quellecose che non vi posso dire; e del restostate di buon animo. Oh sesapeste quanta gente sarebbe contenta di sentirlo parlare come haparlato a voi! State allegrache or ora verrà da mangiare; eio che capisco... nella maniera che v'ha parlatoci saràdella roba buona. E poi anderete a lettoe... mi lascerete uncantuccino anche a mespero- soggiunsecon una vocesuomalgradostizzosa.

-Non voglio mangiarenon voglio dormire. Lasciatemi stare; nonv'accostate; non partite di qui!

-Nonovia- disse la vecchiaritirandosie mettendosi a sederesur una seggiolacciadonde dava alla poverina certe occhiate diterrore e d'astio insieme; e poi guardava il suo covorodendosid'esserne forse esclusa per tutta la nottee brontolando contro ilfreddo. Ma si rallegrava col pensiero della cenae con la speranzache ce ne sarebbe anche per lei. Lucia non s'avvedeva del freddononsentiva la famee come sbalorditanon aveva de' suoi doloride'suoi terrori stessiche un sentimento confusosimile all'immaginisognate da un febbricitante.

Siriscosse quando sentì picchiare; ealzando la facciaatterritagridò: - chi è? chi è? Non venganessuno!

-Nullanulla; buone nuove- disse la vecchia: - è Marta cheporta da mangiare.

-Chiudetechiudete! - gridava Lucia.

-Ih! subitosubito- rispondeva la vecchia; e presa una panieradalle mani di quella Martala mandò viarichiusee venne aposar la paniera sur una tavola nel mezzo della camera. Invitòpoi più volte Lucia che venisse a goder di quella buona roba.Adoprava le parole più efficacisecondo leia mettereappetito alla poverinaprorompeva in esclamazioni sulla squisitezzade' cibi: - di que' bocconi chequando le persone come noi possonoarrivare a assaggiarnese ne ricordan per un pezzo! Del vino chebeve il padrone co' suoi amici... quando capita qualcheduno diquelli...! e vogliono stare allegri! Ehm! - Ma vedendo che tuttigl'incanti riuscivano inutili- siete voi che non volete- disse. -Non istate poi a dirgli domani ch'io non v'ho fatto coraggio. Mangeròio; e ne resterà più che abbastanza per voiper quandometterete giudizioe vorrete ubbidire -. Così dettosi misea mangiare avidamente. Saziata che fus'alzòandòverso il cantuccioechinandosi sopra Lucial'invitò dinuovo a mangiareper andar poi a letto.

-Nononon voglio nulla- rispose questacon voce fiacca e comesonnolenta. Poicon più risolutezzariprese: - èserrato l'uscio? è serrato bene? - E dopo aver guardato ingiro per la cameras'alzòecon le mani avanticon passosospettosoandava verso quella parte.

Lavecchia ci corse prima di leistese la mano al palettolo scosseedisse: - sentite? vedete? è serrato bene? siete contenta ora?

-Oh contenta! contenta io qui! - disse Luciarimettendosi di nuovonel suo cantuccio. - Ma il Signore lo sa che ci sono!

-Venite a letto: cosa volete far lìaccucciata come un cane?S'è mai visto rifiutare i comodiquando si possono avere?

-Nono; lasciatemi stare.

-Siete voi che lo volete. Eccoio vi lascio il posto buono: mi mettosulla sponda; starò incomoda per voi. Se volete venire alettosapete come avete a fare. Ricordatevi che v'ho pregata piùvolte -. Così dicendosi cacciò sotto vestita; e tuttotacque.

Luciastava immobile in quel cantucciotutta in un gomitolocon leginocchia alzatecon le mani appoggiate sulle ginocchiae col visonascosto nelle mani. Non era il suo né sonno né vegliama una rapida successioneuna torbida vicenda di pensierid'immaginazionidi spaventi. Orapiù presente a se stessaerammentandosi più distintamente gli orrori veduti e soffertiin quella giornatas'applicava dolorosamente alle circostanzedell'oscura e formidabile realtà in cui si trovavaavviluppata; ora la mentetrasportata in una regione ancor piùoscurasi dibatteva contro i fantasmi nati dall'incertezza e dalterrore. Stette un pezzo in quest'angoscia; alfinepiù chemai stanca e abbattutastese le membra intormentitesi sdraiòo cadde sdraiatae rimase alquanto in uno stato piùsomigliante a un sonno vero. Ma tutt'a un tratto si risentìcome a una chiamata internae provò il bisogno di risentirsiinteramentedi riaver tutto il suo pensierodi conoscere dovefossecomeperché. Tese l'orecchio a un suono: era ilrussare lentoarrantolato della vecchia; spalancò gli occhie vide un chiarore fioco apparire e sparire a vicenda: era illucignolo della lucernachevicino a spegnersiscoccava una lucetremolae subito la ritiravaper dir cosìindietrocome èil venire e l'andare dell'onda sulla riva: e quella lucefuggendodagli oggettiprima che prendessero da essa rilievo e coloredistintonon rappresentava allo sguardo che una successione diguazzabugli. Ma ben presto le recenti impressioniricomparendo nellamentel'aiutarono a distinguere ciò che appariva confuso alsenso. L'infelice risvegliata riconobbe la sua prigione: tutte lememorie dell'orribil giornata trascorsatutti i terroridell'avvenirel'assalirono in una volta: quella nuova quiete stessadopo tante agitazioniquella specie di riposoquell'abbandono incui era lasciatale facevano un nuovo spavento: e fu vinta da untale affannoche desiderò di morire. Ma in quel momentosirammentò che poteva almen pregaree insieme con quelpensierole spuntò in cuore come un'improvvisa speranza.Prese di nuovo la sua coronae ricominciò a dire il rosario;edi mano in mano che la preghiera usciva dal suo labbro tremanteil cuore sentiva crescere una fiducia indeterminata. Tutt'a untrattole passò per la mente un altro pensiero; che la suaorazione sarebbe stata più accetta e più certamenteesauditaquandonella sua desolazionefacesse anche qualcheofferta. Si ricordò di quello che aveva di più carooche di più caro aveva avuto; giacchéin quel momentol'animo suo non poteva sentire altra affezione che di spaventonéconcepire altro desiderio che della liberazione; se ne ricordòe risolvette subito di farne un sacrifizio. S'alzòe si misein ginocchioe tenendo giunte al petto le manidalle quali pendevala coronaalzò il viso e le pupille al cieloe disse: - oVergine santissima! Voia cui mi sono raccomandata tante volteeche tante volte m'avete consolata! Voi che avete patito tanti dolorie siete ora tanto gloriosae avete fatti tanti miracoli per i poveritribolati; aiutatemi! fatemi uscire da questo pericolofatemi tornarsalva con mia madreMadre del Signore; e fo voto a voi di rimanervergine; rinunzio per sempre a quel mio poverettoper non esser maid'altri che vostra.

Proferitequeste paroleabbassò la testae si mise la corona intornoal colloquasi come un segno di consacrazionee una salvaguardia aun tempocome un'armatura della nuova milizia a cui s'era ascritta.Rimessasi a sedere in terrasentì entrar nell'animo una certatranquillitàuna più larga fiducia. Le venne in mentequel domattina ripetuto dallo sconosciuto potentee le parvedi sentire in quella parola una promessa di salvazione. I sensiaffaticati da tanta guerra s'assopirono a poco a poco inquell'acquietamento di pensieri: e finalmentegià vicino agiornocol nome della sua protettrice tronco tra le labbraLucias'addormentò d'un sonno perfetto e continuo.

Mac'era qualchedun altro in quello stesso castelloche avrebbe volutofare altrettantoe non poté mai. Partitoo quasi scappato daLuciadato l'ordine per la cena di leifatta una consueta visita acerti posti del castellosempre con quell'immagine viva nella mentee con quelle parole risonanti all'orecchioil signore s'era andato acacciare in cameras'era chiuso dentro in fretta e in furiacome seavesse avuto a trincerarsi contro una squadra di nemici; espogliatosipure in furiaera andato a letto. Ma quell'immaginepiù che mai presenteparve che in quel momento gli dicesse:tu non dormirai. " Che sciocca curiosità da donnicciola- pensava- m'è venuta di vederla? Ha ragione quel bestionedel Nibbio; uno non è più uomo; è veronon èpiù uomo!... Io?... io non son più uomoio? Cos'èstato? che diavolo m'è venuto addosso? che c'è dinuovo? Non lo sapevo io prima d'orache le donne strillano?Strillano anche gli uomini alle voltequando non si possonorivoltare. Che diavolo! non ho mai sentito belar donne? "

Equisenza che s'affaticasse molto a rintracciare nella memorialamemoria da sé gli rappresentò più d'un caso incui né preghi né lamenti non l'avevano punto smosso dalcompire le sue risoluzioni. Ma la rimembranza di tali impresenonche gli ridonasse la fermezzache già gli mancavadi compirquesta; non che spegnesse nell'animo quella molesta pietà; videstava in vece una specie di terroreuna non so qual rabbia dipentimento. Di maniera che gli parve un sollievo il tornare a quellaprima immagine di Luciacontro la quale aveva cercato di rinfrancareil suo coraggio. " È viva costei- pensava- èqui; sono a tempo; le posso dire: andaterallegratevi; posso vederquel viso cambiarsile posso anche dire: perdonatemi... Perdonatemi?io domandar perdono? a una donna? io...! Aheppure! se una parolauna parola tale mi potesse far benelevarmi d'addosso un po' diquesta diavoleriala direi; eh! sento che la direi. A che cosa sonridotto! Non son più uomonon son più uomo!... Via! -dissepoirivoltandosi arrabbiatamente nel letto divenuto durodurosotto le coperte divenute pesanti pesanti: - via! sonosciocchezze che mi son passate per la testa altre volte. Passeràanche questa ".

Eper farla passareandò cercando col pensiero qualche cosaimportantequalcheduna di quelle che solevano occuparlo fortementeonde applicarvelo tutto; ma non ne trovò nessuna. Tutto gliappariva cambiato: ciò che altre volte stimolava piùfortemente i suoi desidèriora non aveva più nulla didesiderabile: la passionecome un cavallo divenuto tutt'a un trattorestìo per un'ombranon voleva più andare avanti.Pensando all'imprese avviate e non finitein vece d'animarsi alcompimentoin vece d'irritarsi degli ostacoli (ché l'ira inquel momento gli sarebbe parsa soave)sentiva una tristezzaquasiuno spavento de' passi già fatti. Il tempo gli s'affacciòdavanti voto d'ogni intentod'ogni occupazioned'ogni volerepienosoltanto di memorie intollerabili; tutte l'ore somiglianti a quellache gli passava così lentacosì pesante sul capo. Sischierava nella fantasia tutti i suoi malandrinie non trovava dacomandare a nessuno di loro una cosa che gl'importasse; anzi l'ideadi rivederlidi trovarsi tra loroera un nuovo pesoun'idea dischifo e d'impiccio. E se volle trovare un'occupazione perl'indomaniun'opera fattibiledovette pensare che all'indomanipoteva lasciare in libertà quella poverina.

"La libereròsì; appena spunta il giornocorreròda leie le dirò: andateandate. La faròaccompagnare... E la promessa? e l'impegno? e don Rodrigo?... Chi èdon Rodrigo? "

Aguisa di chi è colto da una interrogazione inaspettata eimbarazzante d'un superiorel'innominato pensò subito arispondere a questa che s'era fatta lui stessoo piuttosto quelnuovo luiche cresciuto terribilmente a un trattosorgeva come agiudicare l'antico. Andava dunque cercando le ragioni per cuiprimaquasi d'esser pregatos'era potuto risolvere a prender l'impegno difar tanto patiresenz'odiosenza timoreun'infelice sconosciutaper servire colui; manon che riuscisse a trovar ragioni che in quelmomento gli paressero buone a scusare il fattonon sapeva quasispiegare a se stesso come ci si fosse indotto. Quel volerepiuttostoche una deliberazioneera stato un movimento istantaneo dell'animoubbidiente a sentimenti antichiabitualiuna conseguenza di millefatti antecedenti; e il tormentato esaminator di se stessoperrendersi ragione d'un sol fattosi trovò ingolfato nell'esamedi tutta la sua vita. Indietroindietrod'anno in annod'impegnoin impegnodi sangue in sanguedi scelleratezza in scelleratezza:ognuna ricompariva all'animo consapevole e nuovoseparata da'sentimenti che l'avevan fatta volere e commettere; ricompariva conuna mostruosità che que' sentimenti non avevano alloralasciato scorgere in essa. Eran tutte sueeran lui: l'orrore diquesto pensierorinascente a ognuna di quell'immaginiattaccato atuttecrebbe fino alla disperazione. S'alzò in furia asederegettò in furia le mani alla parete accanto al lettoafferrò una pistolala staccòe... al momento difinire una vita divenuta insopportabileil suo pensiero sorpreso daun terroreda un'inquietudineper dir cosìsuperstitesislanciò nel tempo che pure continuerebbe a scorrere dopo lasua fine. S'immaginava con raccapriccio il suo cadavere sformatoimmobilein balìa del più vile sopravvissuto; lasorpresala confusione nel castelloil giorno dopo: ogni cosasottosopra; luisenza forzasenza vocebuttato chi sa dove.Immaginava i discorsi che se ne sarebber fatti lìd'intornolontano; la gioia de' suoi nemici. Anche le tenebreanche ilsilenziogli facevan veder nella morte qualcosa di piùtristodi spaventevole; gli pareva che non avrebbe esitatose fossestato di giornoall'apertoin faccia alla gente: buttarsi in unfiume e sparire. E assorto in queste contemplazioni tormentoseandava alzando e riabbassandocon una forza convulsiva del polliceil cane della pistola; quando gli balenò in mente un altropensiero. " Se quell'altra vita di cui m'hanno parlato quand'eroragazzodi cui parlano semprecome se fosse cosa sicura; se quellavita non c'èse è un'invenzione de' preti; che fo io?perché morire? cos'importa quello che ho fatto? cos'importa? èuna pazzia la mia... E se c'è quest'altra vita...! "

Aun tal dubbioa un tal rischiogli venne addosso una disperazionepiù nerapiù gravedalla quale non si poteva fuggireneppur con la morte. Lasciò cader l'armee stava con le manine' capellibattendo i dentitremando. Tutt'a un trattoglitornarono in mente parole che aveva sentite e risentitepoche oreprima: " Dio perdona tante coseper un'opera di misericordia! "E non gli tornavan già con quell'accento d'umile preghieracon cui erano state proferite; ma con un suono pieno d'autoritàe che insieme induceva una lontana speranza. Fu quello un momento disollievo: levò le mani dalle tempieein un'attitudine piùcompostafissò gli occhi della mente in colei da cui avevasentite quelle parole; e la vedevanon come la sua prigionieranoncome una supplichevolema in atto di chi dispensa grazie econsolazioni. Aspettava ansiosamente il giornoper correre aliberarlaa sentire dalla bocca di lei altre parole di refrigerio edi vita; s'immaginava di condurla lui stesso alla madre. " Epoi? che farò domaniil resto della giornata? che faròdoman l'altro? che farò dopo doman l'altro? E la notte? lanotteche tornerà tra dodici ore! Oh la notte! nonolanotte! " E ricaduto nel vòto penoso dell'avvenirecercava indarno un impiego del tempouna maniera di passare igiornile notti. Ora si proponeva d'abbandonare il castelloed'andarsene in paesi lontanidove nessun lo conoscesseneppur dinome; ma sentiva che luilui sarebbe sempre con sé: ora glirinasceva una fosca speranza di ripigliar l'animo anticole antichevoglie; e che quello fosse come un delirio passeggiero; ora temeva ilgiornoche doveva farlo vedere a' suoi così miserabilmentemutato; ora lo sospiravacome se dovesse portar la luce anche ne'suoi pensieri. Ed eccoappunto sull'albeggiarepochi momenti dopoche Lucia s'era addormentataecco chestando così immoto asederesentì arrivarsi all'orecchio come un'onda di suono nonbene espressoma che pure aveva non so che d'allegro. Stetteattentoe riconobbe uno scampanare a festa lontano; e dopo qualchemomentosentì anche l'eco del monteche ogni tanto ripetevalanguidamente il concentoe si confondeva con esso. Di lì apocosente un altro scampanìo più vicinoanche quelloa festa; poi un altro. "Che allegria c'è? cos'hanno dibello tutti costoro? " Saltò fuori da quel covile dipruni; e vestitosi a mezzocorse a aprire una finestrae guardò.Le montagne eran mezze velate di nebbia; il cielopiuttosto chenuvolosoera tutto una nuvola cenerognola; maal chiarore che pureandava a poco a poco crescendosi distinguevanella strada in fondoalla vallegente che passavaaltra che usciva dalle casees'avviavatutti dalla stessa parteverso lo sboccoa destra delcastellotutti col vestito delle festee con un'alacritàstraordinaria.

"Che diavolo hanno costoro? che c'è d'allegro in questomaledetto paese? dove va tutta quella canaglia? " E data unavoce a un bravo fidato che dormiva in una stanza accantogli domandòqual fosse la cagione di quel movimento. Quelloche ne sapeva quantoluirispose che anderebbe subito a informarsene. Il signore rimaseappoggiato alla finestratutto intento al mobile spettacolo. Eranouominidonnefanciullia brigatea coppiesoli; unoraggiungendo chi gli era avantis'accompagnava con lui; un altrouscendo di casas'univa col primo che rintoppasse; e andavanoinsiemecome amici a un viaggio convenuto. Gli atti indicavanomanifestamente una fretta e una gioia comune; e quel rimbombo nonaccordato ma consentaneo delle varie campanequali piùqualimeno vicineparevaper dir cosìla voce di que' gestie ilsupplimento delle parole che non potevano arrivar lassù.Guardavaguardava; e gli cresceva in cuore una più checuriosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasportouguale a tanta gente diversa.




Cap.XXII


Pocodopoil bravo venne a riferire cheil giorno avantiil cardinalFederigo Borromeoarcivescovo di Milanoera arrivato a ***e cistarebbe tutto quel giorno; e che la nuova sparsa la sera diquest'arrivo ne' paesi d'intorno aveva invogliati tutti d'andare aveder quell'uomo; e si scampanava più per allegriache peravvertir la gente. Il signorerimasto solocontinuò aguardar nella valleancor più pensieroso. " Per un uomo!Tutti premurositutti allegriper vedere un uomo! E peròognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. Manessunonessuno n'avrà uno come il mio; nessuno avràpassata una notte come la mia! Cos'ha quell'uomoper render tantagente allegra? Qualche soldo che distribuirà così allaventura... Ma costoro non vanno tutti per l'elemosina. Ebbenequalche segno nell'ariaqualche parola... Oh se le avesse per me leparole che possono consolare! se...! Perché non vado anch'io?Perché no?... Anderòanderò; e gli voglioparlare: a quattr'occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò?Ebbenequello chequello che... Sentirò cosa sa dir luiquest'uomo! "

Fattacosì in confuso questa risoluzionefinì in fretta divestirsimettendosi una sua casacca d'un taglio che aveva qualchecosa del militare; prese la terzetta rimasta sul lettoe l'attaccòalla cintura da una parte; dall'altraun'altra che staccò daun chiodo della parete; mise in quella stessa cintura il suo pugnale;e staccata pur dalla parete una carabina famosa quasi al par di luise la mise ad armacollo; prese il cappellouscì di camera; eandò prima di tutto a quella dove aveva lasciata Lucia. Posòfuori la carabina in un cantuccio vicino all'uscioe picchiòfacendo insieme sentir la sua voce. La vecchia scese il letto in unsaltoe corse ad aprire. Il signore entròe data un'occhiataper la cameravide Lucia rannicchiata nel suo cantuccio e quieta.

-Dorme? - domandò sotto voce alla vecchia: - làdorme?eran questi i miei ordinisciagurata?

-Io ho fatto di tutto- rispose quella: - ma non ha mai volutomangiarenon è mai voluta venire...

-Lasciala dormire in pace; guarda di non la disturbare; e quando sisveglierà... Marta verrà qui nella stanza vicina; e tumanderai a prendere qualunque cosa che costei possa chiederti. Quandosi sveglierà... dille che io... che il padrone èpartito per poco tempoche torneràe che... faràtutto quello che lei vorrà.

Lavecchia rimase tutta stupefatta pensando tra sé: " chesia qualche principessa costei? "

Ilsignore uscìriprese la sua carabinamandò Marta afar anticameramandò il primo bravo che incontrò a farla guardiaperché nessun altro che quella donna mettessepiede nella camera; e poi uscì dal castelloe prese la scesadi corsa.

Ilmanoscritto non dice quanto ci fosse dal castello al paese dov'era ilcardinale; ma dai fatti che siam per raccontarerisulta che nondoveva esser più che una lunga passeggiata. Dal solo accorrerede' valligianie anche di gente più lontanaa quel paesequesto non si potrebbe argomentare; giacché nelle memorie diquel tempo troviamo che da venti e più miglia veniva gente infollaper veder Federigo.

Ibravi che s'abbattevano sulla salitasi fermavano rispettosamente alpassar del signoreaspettando se mai avesse ordini da dar loroo sevolesse prenderli secoper qualche spedizione; e non sapevan che sipensare della sua ariae dell'occhiate che dava in risposta a' loroinchini.

Quandofu nella strada pubblicaquello che faceva maravigliare ipasseggieriera di vederlo senza seguito. Del restoognuno glifaceva luogoprendendola largaquanto sarebbe bastato anche per ilseguitoe levandosi rispettosamente il cappello. Arrivato al paesetrovò una gran folla; ma il suo nome passò subito dibocca in bocca; e la folla s'apriva. S'accostò a unoe glidomandò dove fosse il cardinale. - In casa del curato-rispose quelloinchinandosie gl'indicò dov'era. Il signoreandò làentrò in un cortiletto dove c'eranmolti pretiche tutti lo guardarono con un'attenzione maravigliata esospettosa. Vide dirimpetto un uscio spalancatoche metteva in unsalottinodove molti altri preti eran congregati. Si levò lacarabinae l'appoggiò in un canto del cortile; poi entrònel salottino: e anche lìocchiatebisbigliun nomeripetutoe silenzio. Luivoltatosi a uno di quelligli domandòdove fosse il cardinale; e che voleva parlargli.

-Io son forestiero- rispose l'interrogatoe data un'occhiataintornochiamò il cappellano crociferoche in un canto delsalottinostava appunto dicendo sotto voce a un suo compagno: -colui? quel famoso? che ha a far qui colui? alla larga! - Peròa quella chiamata che risonò nel silenzio generaledovettevenire l'innominatostette a sentir quel che volevae alzando conuna curiosità inquieta gli occhi su quel visoeriabbassandoli subitorimase lì un pocopoi disse obalbettò: - non saprei se monsignore illustrissimo... inquesto momento... si trovi... sia... possa... Bastavado a vedere -.E andò a malincorpo a far l'imbasciata nella stanza vicinadove si trovava il cardinale.

Aquesto punto della nostra storianoi non possiam far a meno di nonfermarci qualche pococome il viandantestracco e tristo da unlungo camminare per un terreno arido e salvaticosi trattiene eperde un po' di tempo all'ombra d'un bell'alberosull'erbavicino auna fonte d'acqua viva. Ci siamo abbattuti in un personaggioil nomee la memoria del qualeaffacciandosiin qualunque tempo alla mentela ricreano con una placida commozione di riverenzae con un sensogiocondo di simpatia: oraquanto più dopo tante immagini didoloredopo la contemplazione d'una moltiplice e fastidiosaperversità! Intorno a questo personaggio bisogna assolutamenteche noi spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentirleeavesse però voglia d'andare avanti nella storiasaltiaddirittura al capitolo seguente.

FederigoBorromeonato nel 1564fu degli uomini rari in qualunque tempocheabbiano impiegato un ingegno egregiotutti i mezzi d'unagrand'opulenzatutti i vantaggi d'una condizione privilegiataunintento continuonella ricerca e nell'esercizio del meglio. La suavita è come un ruscello chescaturito limpido dalla rocciasenza ristagnare né intorbidarsi maiin un lungo corso perdiversi terreniva limpido a gettarsi nel fiume. Tra gli agi e lepompebadò fin dalla puerizia a quelle parole d'annegazione ed'umiltàa quelle massime intorno alla vanità de'piaceriall'ingiustizia dell'orgoglioalla vera dignità e a'veri benichesentite o non sentite ne' cuorivengono trasmesse dauna generazione all'altranel più elementare insegnamentodella religione. Badòdicoa quelle parolea quellemassimele prese sul seriole gustòle trovò vere;vide che non potevan dunque esser vere altre parole e altre massimeopposteche pure si trasmettono di generazione in generazioneconla stessa sicurezzae talora dalle stesse labbra; e propose diprender per norma dell'azioni e de' pensieri quelle che erano ilvero. Persuaso che la vita non è già destinata adessere un peso per moltie una festa per alcunima per tutti unimpiegodel quale ognuno renderà contocominciò dafanciullo a pensare come potesse render la sua utile e santa.

Nel1580 manifestò la risoluzione di dedicarsi al ministeroecclesiasticoe ne prese l'abito dalle mani di quel suo cuginoCarloche una famagià fin d'allora antica e universalepredicava santo. Entrò poco dopo nel collegio fondato daquesto in Paviae che porta ancora il nome del loro casato; e lìapplicandosi assiduamente alle occupazioni che trovòprescrittedue altre ne assunse di sua volontà; e furonod'insegnar la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti delpopoloe di visitareservireconsolare e soccorrere gl'infermi. Sivalse dell'autorità che tutto gli conciliava in quel luogoper attirare i suoi compagni a secondarlo in tali opere; e in ognicosa onesta e profittevole esercitò come un primato d'esempioun primato che le sue doti personali sarebbero forse bastate aprocacciarglise fosse anche stato l'infimo per condizione. Ivantaggi d'un altro genereche la sua gli avrebbe potuto procurarenon solo non li ricercòma mise ogni studio a schivarli.Volle una tavola piuttosto povera che frugaleusò unvestiario piuttosto povero che semplice; a conformità diquestotutto il tenore della vita e il contegno. Ne credette mai didoverlo mutareper quanto alcuni congiunti gridassero e silamentassero che avvilisse così la dignità della casa.Un'altra guerra ebbe a sostenere con gl'istitutorii qualifurtivamente e come per sorpresacercavano di mettergli davantiaddossointornoqualche suppellettile più signorilequalcosa che lo facesse distinguer dagli altrie figurare come ilprincipe del luogo: o credessero di farsi alla lunga ben volere conciò; o fossero mossi da quella svisceratezza servile ches'invanisce e si ricrea nello splendore altrui; o fossero di que'prudenti che s'adombrano delle virtù come de' vizipredicanosempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giustoin quel punto dov'essi sono arrivatie ci stanno comodi. Federigonon che lasciarsi vincere da que' tentativiriprese coloro che lifacevano; e ciò tra la pubertà e la giovinezza.

Chevivente il cardinal Carlomaggior di lui di ventisei annidavanti aquella presenza gravesolennech'esprimeva così al vivo lasantitàe ne rammentava le operee alla qualese ce nefosse stato bisognoavrebbe aggiunto autorità ogni momentol'ossequio manifesto e spontaneo de' circostantiquali e quanti sifosseroFederigo fanciullo e giovinetto cercasse di conformarsi alcontegno e al pensare d'un tal superiorenon è certamente dafarsene maraviglia; ma è bensì cosa molto notabile chedopo la morte di luinessuno si sia potuto accorgere che a Federigoallor di vent'annifosse mancata una guida e un censore. La famacrescente del suo ingegnodella sua dottrina e della sua pietàla parentela e gl'impegni di più d'un cardinale potenteilcredito della sua famigliail nome stessoa cui Carlo aveva quasiannessa nelle menti un'idea di santità e di preminenzatuttociò che devee tutto ciò che può condurre gliuomini alle dignità ecclesiasticheconcorreva apronosticargliele. Ma eglipersuaso in cuore di ciò chenessuno il quale professi cristianesimo può negar con laboccanon ci esser giusta superiorità d'uomo sopra gliuominise non in loro serviziotemeva le dignitàe cercavadi scansarle; non certamente perché sfuggisse di servirealtrui; che poche vite furono spese in questo come la sua; ma perchénon si stimava abbastanza degno né capace di così altoe pericoloso servizio. Perciòvenendoglinel 1595propostoda Clemente VIII l'arcivescovado di Milanoapparve fortementeturbatoe ricusò senza esitare. Cedette poi al comandoespresso del papa.

Talidimostrazionie chi non lo sa? non sono né difficili nérare; e l'ipocrisia non ha bisogno d'un più grande sforzod'ingegno per farleche la buffoneria per deriderle a buon contoinogni caso. Ma cessan forse per questo d'esser l'espressione naturaled'un sentimento virtuoso e sapiente? La vita è il paragonedelle parole: e le parole ch'esprimono quel sentimentofossero anchepassate sulle labbra di tutti gl'impostori e di tutti i beffardi delmondosaranno sempre bellequando siano precedute e seguite da unavita di disinteresse e di sacrifizio.

InFederigo arcivescovo apparve uno studio singolare e continuo di nonprender per sédelle ricchezzedel tempodelle cureditutto se stesso in sommase non quanto fosse strettamentenecessario. Dicevacome tutti diconoche le rendite ecclesiastichesono patrimonio de' poveri: come poi intendesse infatti una talmassimasi veda da questo. Volle che si stimasse a quanto potevaascendere il suo mantenimento e quello della sua servitù; edettogli che seicento scudi (scudo si chiamava allora quella monetad'oro cherimanendo sempre dello stesso peso e titolofu poi dettazecchino)diede ordine che tanti se ne contasse ogni anno dalla suacassa particolare a quella della mensa; non credendo che a luiricchissimo fosse lecito vivere di quel patrimonio. Del suo poi eracosì scarso e sottile misuratore a se stessoche badava dinon ismettere un vestitoprima che fosse logoro affatto: unendoperòcome fu notato da scrittori contemporaneial geniodella semplicità quello d'una squisita pulizia: due abitudininotabili infattiin quell'età sudicia e sfarzosa. Similmenteaffinché nulla si disperdesse degli avanzi della sua mensafrugalegli assegnò a un ospizio di poveri; e uno di questiper suo ordineentrava ogni giorno nella sala del pranzo araccoglier ciò che fosse rimasto. Cureche potrebbero forseindur concetto d'una virtù grettamiseraangustiosad'unamente impaniata nelle minuziee incapace di disegni elevati; se nonfosse in piedi questa biblioteca ambrosianache Federigo ideòcon sì animosa lautezzaed eressecon tanto dispendioda'fondamenti; per fornir la quale di libri e di manoscrittioltre ildono de' già raccolti con grande studio e spesa da luispedìotto uominide' più colti ed esperti che poté avereafarne incettaper l'Italiaper la Franciaper la Spagnaper laGermaniaper le Fiandrenella Greciaal Libanoa Gerusalemme.Così riuscì a radunarvi circa trentamila volumistampatie quattordicimila manoscritti. Alla biblioteca unìun collegio di dottori (furon novee pensionati da lui fin chevisse; doponon bastando a quella spesa l'entrate ordinariefuronristretti a due); e il loro ufizio era di coltivare vari studiteologiastorialettereantichità ecclesiastichelingueorientalicon l'obbligo ad ognuno di pubblicar qualche lavoro sullamateria assegnatagli; v'unì un collegio da lui dettotrilingueper lo studio delle lingue grecalatina e italiana; uncollegio d'alunniche venissero istruiti in quelle facoltà elingueper insegnarle un giorno; v'unì una stamperia dilingue orientalidell'ebraica cioèdella caldeadell'arabicadella persianadell'armena; una galleria di quadriuna di statueeuna scuola delle tre principali arti del disegno.Per questepoté trovar professori già formati; per ilrimanenteabbiam visto che da fare gli avesse dato la raccolta de'libri e de' manoscritti; certo più difficili a trovarsidovevano essere i tipi di quelle lingueallora molto men coltivatein Europa che al presente; più ancora de' tipigli uomini.Basterà il dire chedi nove dottoriotto ne prese tra igiovani alunni del seminario; e da questo si può argomentareche giudizio facesse degli studi consumati e delle riputazioni fattedi quel tempo: giudizio conforme a quello che par che n'abbia portatola posteritàcol mettere gli uni e le altre in dimenticanza.Nelle regole che stabilì per l'uso e per il governo dellabibliotecasi vede un intento d'utilità perpetuanonsolamente bello in séma in molte parti sapiente e gentilemolto al di là dell'idee e dell'abitudini comuni di queltempo. Prescrisse al bibliotecario che mantenesse commercio con gliuomini più dotti d'Europaper aver da loro notizie dellostato delle scienzee avviso de' libri migliori che venissero fuoriin ogni generee farne acquisto; gli prescrisse d'indicare aglistudiosi i libri che non conoscesseroe potesser loro esser utili;ordinò che a tuttifossero cittadini o forestierisi dessecomodità e tempo di servirsenesecondo il bisogno. Una taleintenzione deve ora parere ad ognuno troppo naturalee immedesimatacon la fondazione d'una biblioteca: allora non era così. E inuna storia dell'ambrosianascritta (col costrutto e con l'eleganzecomuni del secolo) da un Pierpaolo Boscache vi fu bibliotecariodopo la morte di Federigovien notato espressamentecome cosasingolareche in questa libreriaeretta da un privatoquasi tuttaa sue spesei libri fossero esposti alla vista del pubblicodati achiunque li chiedessee datogli anche da sederee cartapenne ecalamaioper prender gli appunti che gli potessero bisognare; mentrein qualche altra insigne biblioteca pubblica d'Italiai libri nonerano nemmen visibilima chiusi in armadidonde non si levavano senon per gentilezza de' bibliotecariquando si sentivano di farlivedere un momento; di dare ai concorrenti il comodo di studiarenonse n'aveva neppur l'idea. Dimodoché arricchir tali bibliotecheera un sottrar libri all'uso comune: una di quelle coltivazionicomece n'era e ce n'è tuttavia molteche isteriliscono il campo.

Nondomandate quali siano stati gli effetti di questa fondazione delBorromeo sulla coltura pubblica: sarebbe facile dimostrare in duefrasial modo che si dimostrache furon miracolosio che non furonniente; cercare e spiegarefino a un certo segnoquali siano stativeramentesarebbe cosa di molta faticadi poco costruttoe fuor ditempo. Ma pensate che generosoche giudiziosoche benevolocheperseverante amatore del miglioramento umanodovesse essere coluiche volle una tal cosala volle in quella manierae l'eseguìin mezzo a quell'ignorantagginea quell'inerziaa quell'antipatiagenerale per ogni applicazione studiosae per conseguenza in mezzoai cos'importa? e c'era altro da pensare? e chebell'invenzione! e mancava anche questae simili; chesaranno certissimamente stati più che gli scudi spesi da luiin quell'impresa; i quali furon centocinquemilala più partede' suoi.

Perchiamare un tal uomo sommamente benefico e liberalepuò parerche non ci sia bisogno di sapere se n'abbia spesi molt'altri insoccorso immediato de' bisognosi; e ci son forse ancora di quelli chepensano che le spese di quel generee sto per dire tutte le spesesiano la migliore e la più utile elemosina. Ma Federigo teneval'elemosina propriamente detta per un dovere principalissimo; e quicome nel restoi suoi fatti furon consentanei all'opinione. La suavita fu un continuo profondere ai poveri; e a proposito di questastessa carestia di cui ha già parlato la nostra storiaavremotra poco occasione di riferire alcuni trattidai quali si vedràche sapienza e che gentilezza abbia saputo mettere anche in questaliberalità. De' molti esempi singolari che d'una tale suavirtù hanno notati i suoi biografine citeremo qui un solo.Avendo risaputo che un nobile usava artifizi e angherie per farmonaca una sua figliala quale desiderava piuttosto di maritarsifece venire il padre; e cavatogli di bocca che il vero motivo diquella vessazione era il non avere quattromila scudi chesecondoluisarebbero stati necessari a maritar la figlia convenevolmenteFederigo la dotò di quattromila scudi. Forse a taluno parràquesta una larghezza eccessivanon ben ponderatatroppocondiscendente agli stolti capricci d'un superbo; e che quattromilascudi potevano esser meglio impiegati in cent'altre maniere. A questonon abbiamo nulla da risponderese non che sarebbe da desiderarsiche si vedessero spesso eccessi d'una virtù così liberadall'opinioni dominanti (ogni tempo ha le sue)cosìindipendente dalla tendenza generalecomein questo casofu quellache mosse un uomo a dar quattromila scudiperché una giovinenon fosse fatta monaca.

Lacarità inesausta di quest'uomonon meno che nel darespiccava in tutto il suo contegno. Di facile abbordo con tutticredeva di dovere specialmente a quelli che si chiamano di bassacondizioneun viso giovialeuna cortesia affettuosa; tanto piùquanto ne trovan meno nel mondo. E qui pure ebbe a combattere co'galantuomini del ne quid nimisi qualiin ogni cosaavrebbero voluto farlo star ne' limiticioè ne' loro limiti.Uno di costorouna volta chenella visita d'un paese alpestre esalvaticoFederigo istruiva certi poveri fanciullietral'interrogare e l'insegnaregli andava amorevolmente accarezzandol'avvertì che usasse più riguardo nel far tante carezzea que' ragazziperche eran troppo sudici e stomacosi: come sesupponesseil buon uomoche Federigo non avesse senso abbastanzaper fare una tale scopertao non abbastanza perspicaciaper trovarda sé quel ripiego così fino. Tale èin certecondizioni di tempi e di cosela sventura degli uomini costituiti incerte dignità: che mentre così di rado si trova chi gliavvisi de' loro mancamentinon manca poi gente coraggiosa ariprenderli del loro far bene. Ma il buon vescovonon senza un certorisentimentorispose: - sono mie animee forse non vedranno mai piùla mia faccia; e non volete che gli abbracci?

Benraro però era il risentimento in luiammirato per la soavitàde' suoi modiper una pacatezza imperturbabileche si sarebbeattribuita a una felicità straordinaria di temperamento; edera l'effetto d'una disciplina costante sopra un'indole viva erisentita. Se qualche volta si mostrò severoanzi bruscofuco' pastori suoi subordinati che scoprisse rei d'avarizia o dinegligenza o d'altre tacce specialmente opposte allo spirito del loronobile ministero. Per tutto ciò che potesse toccare o il suointeresseo la sua gloria temporalenon dava mai segno di gioianédi rammariconé d'ardorené d'agitazione: mirabile sequesti moti non si destavano nell'animo suopiù mirabile sevi si destavano. Non solo da' molti conclavi ai quali assistetteriportò il concetto di non aver mai aspirato a quel posto cosìdesiderabile all'ambizionee così terribile alla pietà;ma una volta che un collegail quale contava moltovenne aoffrirgli il suo voto e quelli della sua fazione (brutta parolamaera quella che usavano)Federigo rifiutò una tal proposta inmodoche quello depose il pensieroe si rivolse altrove. Questastessa modestiaquest'avversione al predominare apparivanougualmente nell'occasioni più comuni della vita. Attento einfaticabile a disporre e a governaredove riteneva che fosse suodovere il farlosfuggì sempre d'impicciarsi negli affarialtrui; anzi si scusava a tutto potere dall'ingerirvisi ricercato:discrezione e ritegno non comunecome ognuno sanegli uominizelatori del benequal era Federigo.

Sevolessimo lasciarci andare al piacere di raccogliere i trattinotabili del suo caratterene risulterebbe certamente un complessosingolare di meriti in apparenza oppostie certo difficili atrovarsi insieme. Però non ometteremo di notare un'altrasingolarità di quella bella vita: chepiena come fud'attivitàdi governodi funzionid'insegnamentod'udienzedi visite diocesanedi viaggidi contrastinon solo lostudio c'ebbe una partema ce n'ebbe tantache per un letterato diprofessione sarebbe bastato. E infatticon tant'altri e diversititoli di lodeFederigo ebbe anchepresso i suoi contemporaneiquello d'uom dotto.

Nondobbiamo però dissimulare che tenne con ferma persuasioneesostenne in praticacon lunga costanzaopinioniche al giornod'oggi parrebbero a ognuno piuttosto strane che mal fondate; dicoanche a coloro che avrebbero una gran voglia di trovarle giuste. Chilo volesse difendere in questoci sarebbe quella scusa cosìcorrente e ricevutach'erano errori del suo tempopiuttosto chesuoi: scusa cheper certe cosee quando risulti dall'esameparticolare de' fattipuò aver qualche valoreo anche molto;ma che applicata così nuda e alla ciecacome si fad'ordinarionon significa proprio nulla. E perciònonvolendo risolvere con formole semplici questioni complicatenéallungar troppo un episodiotralasceremo anche d'esporle; bastandocid'avere accennato così alla sfuggita ched'un uomo cosìammirabile in complessonoi non pretendiamo che ogni cosa lo fosseugualmente; perché non paia che abbiam voluto scrivereun'orazion funebre.

Nonè certamente fare ingiuria ai nostri lettori il supporre chequalcheduno di loro domandi se di tanto ingegno e di tanto studioquest'uomo abbia lasciato qualche monumento. Se n'ha lasciati! Circacento son l'opere che rimangon di luitra grandi e piccoletralatine e italianetra stampate e manoscritteche si serbano nellabiblioteca da lui fondata: trattati di moraleorazionidissertazioni di storiad'antichità sacra e profanadiletteraturad'arti e d'altro. " E come maidirà codestolettoretante opere sono dimenticateo almeno così pococonosciutecosì poco ricercate? Come maicon tanto ingegnocon tanto studiocon tanta pratica degli uomini e delle cosecontanto meditarecon tanta passione per il buono e per il bellocontanto candor d'animocon tant'altre di quelle qualità chefanno il grande scrittorequestoin cento operenon ne ha lasciataneppur una di quelle che son riputate insigni anche da chi non leapprova in tuttoe conosciute di titolo anche da chi non le legge?Come maitutte insiemenon sono bastate a procurarealmeno colnumeroal suo nome una fama letteraria presso noi posteri? "

Ladomanda è ragionevole senza dubbioe la questionemoltointeressante; perché le ragioni di questo fenomeno sitroverebbero con l'osservar molti fatti generali: e trovatecondurrebbero alla spiegazione di più altri fenomeni simili.Ma sarebbero molte e prolisse: e poi se non v'andassero a genio? sevi facessero arricciare il naso? Sicché sarà meglio cheriprendiamo il filo della storiae chein vece di cicalar piùa lungo intorno a quest'uomoandiamo a vederlo in azionecon laguida del nostro autore.




Cap.XXIII


Ilcardinal Federigointanto che aspettava l'ora d'andar in chiesa acelebrar gli ufizi divinistava studiandocom'era solito di fare intutti i ritagli di tempo; quando entrò il cappellanocrociferocon un viso alterato.

-Una strana visitastrana davveromonsignore illustrissimo!

-Chi è? - domandò il cardinale.

-Niente meno che il signor... - riprese il cappellano- e spiccando lesillabe con una gran significazioneproferì quel nome che noinon possiamo scrivere ai nostri lettori. Poi soggiunse: - èqui fuori in persona; e chiede nient'altro che d'esser introdotto davossignoria illustrissima.

-Lui! - disse il cardinalecon un viso animatochiudendo il libroealzandosi da sedere: - venga! venga subito!

-Ma... - replicò il cappellanosenza moversi: - vossignoriaillustrissima deve sapere chi è costui: quel banditoquelfamoso...

-E non è una fortuna per un vescovoche a un tal uomo sia natala volontà di venirlo a trovare?

-Ma... - insistette il cappellano: - noi non possiamo mai parlare dicerte coseperché monsignore dice che le son ciance: peròquando viene il casomi pare che sia un dovere... Lo zelo fa de'nemicimonsignore; e noi sappiamo positivamente che più d'unribaldo ha osato vantarsi cheun giorno o l'altro...

-E che hanno fatto? - interruppe il cardinale.

-Dico che costui è un appaltatore di delittiun disperatochetiene corrispondenza co' disperati più furiosie che puòesser mandato...

-Ohche disciplina è codesta- interruppe ancora sorridendoFederigo- che i soldati esortino il generale ad aver paura? - Poidivenuto serio e pensierosoriprese: - san Carlo non si sarebbetrovato nel caso di dibattere se dovesse ricevere un tal uomo:sarebbe andato a cercarlo. Fatelo entrar subito: ha giàaspettato troppo.

Ilcappellano si mossedicendo tra sé: " non c'èrimedio: tutti questi santi sono ostinati ".

Apertol'uscioe affacciatosi alla stanza dov'era il signore e la brigatavide questa ristretta in una partea bisbigliare e a guardar disott'occhio quellolasciato solo in un canto. S'avviò versodi lui; e intanto squadrandolocome potevacon la coda dell'occhioandava pensando che diavolo d'armeria poteva esser nascosta sottoquella casacca; e cheveramenteprima d'introdurloavrebbe dovutoproporgli almeno... ma non si seppe risolvere. Gli s'accostòe disse: - monsignore aspetta vossignoria. Si contenti di venir conme -. E precedendolo in quella piccola follache subito fece aladava a destra e a sinistra occhiatele quali significavano: cosavolete? non lo sapete anche voi altriche fa sempre a modo suo?

Appenaintrodotto l'innominatoFederigo gli andò incontrocon unvolto premuroso e serenoe con le braccia apertecome a una personadesideratae fece subito cenno al cappellano che uscisse: il qualeubbidì.

Idue rimasti stettero alquanto senza parlaree diversamente sospesi.L'innominatoch'era stato come portato lì per forza da unasmania inesplicabilepiuttosto che condotto da un determinatodisegnoci stava anche come per forzastraziato da due passionioppostequel desiderio e quella speranza confusa di trovare unrefrigerio al tormento internoe dall'altra parte una stizzaunavergogna di venir lì come un pentitocome un sottomessocomeun miserabilea confessarsi in colpaa implorare un uomo: e nontrovava parolené quasi ne cercava. Peròalzando gliocchi in viso a quell'uomosi sentiva sempre più penetrare daun sentimento di venerazione imperioso insieme e soavecheaumentando la fiduciamitigava il dispettoe senza prenderl'orgoglio di frontel'abbattevaedirò cosìgl'imponeva silenzio.

Lapresenza di Federigo era infatti di quelle che annunziano unasuperioritàe la fanno amare. Il portamento era naturalmentecompostoe quasi involontariamente maestosonon incurvato néimpigrito punto dagli anni; l'occhio grave e vivacela fronte serenae pensierosa; con la canizienel palloretra i segnidell'astinenzadella meditazionedella faticauna specie difloridezza verginale: tutte le forme del volto indicavano cheinaltre etàc'era stata quella che più propriamente sichiama bellezza; l'abitudine de' pensieri solenni e benevolila paceinterna d'una lunga vital'amore degli uominila gioia continuad'una speranza ineffabilevi avevano sostituita unadirei quasibellezza senileche spiccava ancor più in quella magnificasemplicità della porpora.

Tenneanche luiqualche momentofisso nell'aspetto dell'innominato il suosguardo penetranteed esercitato da lungo tempo a ritrarre daisembianti i pensieri; esotto a quel fosco e a quel turbatoparendogli di scoprire sempre più qualcosa di conforme allasperanza da lui concepita al primo annunzio d'una tal visitatutt'animato- oh! - disse: - che preziosa visita è questa! equanto vi devo esser grato d'una sì buona risoluzione;quantunque per me abbia un po' del rimprovero!

-Rimprovero! - esclamò il signore maravigliatoma raddolcitoda quelle parole e da quel faree contento che il cardinale avesserotto il ghiaccioe avviato un discorso qualunque.

-Certom'è un rimprovero- riprese questo- ch'io mi sialasciato prevenir da voi; quandoda tanto tempotante volteavreidovuto venir da voi io.

-Da mevoi! Sapete chi sono? V'hanno detto bene il mio nome?

-E questa consolazione ch'io sentoe checertovi si manifesta nelmio aspettovi par egli ch'io dovessi provarla all'annunzioallavista d'uno sconosciuto? Siete voi che me la fate provare; voidicoche avrei dovuto cercare; voi che almeno ho tanto amato e piantopercui ho tanto pregato; voide' miei figliche pure amo tutti e dicuorequello che avrei più desiderato d'accogliere ed'abbracciarese avessi creduto di poterlo sperare. Ma Dio sa fareEgli solo le maravigliee supplisce alla debolezzaalla lentezzade' suoi poveri servi.

L'innominatostava attonito a quel dire così infiammatoa quelle paroleche rispondevano tanto risolutamente a ciò che non aveva ancordettoné era ben determinato di dire; e commosso masbalorditostava in silenzio. - E che? - ripreseancor piùaffettuosamenteFederigo: - voi avete una buona nuova da darmie mela fate tanto sospirare?

-Una buona nuovaio? Ho l'inferno nel cuore; e vi darò unabuona nuova? Ditemi voise lo sapetequal è questa buonanuova che aspettate da un par mio.

-Che Dio v'ha toccato il cuoree vuol farvi suo- risposepacatamente il cardinale.

-Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov'è questoDio?

-Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l'ha vicino? Non velo sentite in cuoreche v'opprimeche v'agitache non vi lasciastaree nello stesso tempo v'attiravi fa presentire una speranzadi quietedi consolazioned'una consolazione che sarà pienaimmensasubito che voi lo riconosciatelo confessiatel'imploriate?

-Ohcerto! ho qui qualche cosa che m'opprimeche mi rode! Ma Dio! Sec'è questo Diose è quello che diconocosa volete chefaccia di me?

Questeparole furon dette con un accento disperato; ma Federigocon un tonosolennecome di placida ispirazionerispose: - cosa può farDio di voi? cosa vuol farne? Un segno della sua potenza e della suabontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro glipotrebbe dare. Che il mondo gridi da tanto tempo contro di voichemille e mille voci detestino le vostre opere... - (l'innominato siscossee rimase stupefatto un momento nel sentir quel linguaggiocosì insolitopiù stupefatto ancora di non provarnesdegnoanzi quasi un sollievo); - che gloria- proseguiva Federigo- ne viene a Dio? Son voci di terroreson voci d'interesse; vociforse anche di giustiziama d'una giustizia così facilecosìnaturale! alcune forsepur troppod'invidia di codesta vostrasciagurata potenzadi codestafino ad oggideplorabile sicurezzad'animo. Ma quando voi stesso sorgerete a condannare la vostra vitaad accusar voi stessoallora! allora Dio sarà glorificato! Evoi domandate cosa Dio possa far di voi? Chi son io pover'uomochesappia dirvi fin d'ora che profitto possa ricavar da voi un talSignore? cosa possa fare di codesta volontà impetuosadicodesta imperturbata costanzaquando l'abbia animatainfiammatad'amoredi speranzadi pentimento? Chi siete voipover'uomochevi pensiate d'aver saputo da voi immaginare e fare cose piùgrandi nel maleche Dio non possa farvene volere e operare nel bene?Cosa può Dio far di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? ecompire in voi l'opera della redenzione? Non son cose magnifiche edegne di Lui? Oh pensate! se io omiciattoloio miserabilee purcosì pieno di me stessoio qual mi sonomi struggo ora tantodella vostra saluteche per essa darei con gaudio (Egli m'ètestimonio) questi pochi giorni che mi rimangono; oh pensate! quantaquale debba essere la carità di Colui che m'infonde questacosì imperfettama così viva; come vi amicome vivoglia Quello che mi comanda e m'ispira un amore per voi che midivora!

Amisura che queste parole uscivan dal suo labbroil voltolosguardoogni moto ne spirava il senso. La faccia del suoascoltatoredi stravolta e convulsasi fece da principio attonita eintenta; poi si compose a una commozione più profonda e menoangosciosa; i suoi occhiche dall'infanzia più non conoscevanle lacrimesi gonfiarono; quando le parole furon cessatesi coprìil viso con le manie diede in un dirotto piantoche fu comel'ultima e più chiara risposta.

-Dio grande e buono! - esclamò Federigoalzando gli occhi e lemani al cielo: - che ho mai fatto ioservo inutilepastoresonnolentoperche Voi mi chiamaste a questo convito di graziaperche mi faceste degno d'assistere a un sì giocondo prodigio!- Così dicendostese la mano a prender quelladell'innominato.

-No! - gridò questo- no! lontanolontano da me voi: nonlordate quella mano innocente e benefica. Non sapete tutto ciòche ha fatto questa che volete stringere.

-Lasciate- disse Federigoprendendola con amorevole violenza-lasciate ch'io stringa codesta mano che riparerà tanti tortiche spargerà tante beneficenzeche solleverà tantiafflittiche si stenderà disarmatapacificaumile a tantinemici.

-È troppo! - dissesinghiozzandol'innominato. - Lasciatemimonsignore; buon Federigolasciatemi. Un popolo affollato v'aspetta;tant'anime buonetant'innocentitanti venuti da lontanopervedervi una voltaper sentirvi: e voi vi trattenete... con chi!

-Lasciamo le novantanove pecorelle- rispose il cardinale: - sono insicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch'era smarrita.Quell'anime son forse ora ben più contenteche di vederequesto povero vescovo. Forse Dioche ha operato in voi il prodigiodella misericordiadiffonde in esse una gioia di cui non sentonoancora la cagione. Quel popolo è forse unito a noi senzasaperlo: forse lo Spirito mette ne' loro cuori un ardore indistintodi caritàuna preghiera ch'esaudisce per voiun rendimentodi grazie di cui voi siete l'oggetto non ancor conosciuto -. Cosìdicendostese le braccia al collo dell'innominato; il qualedopoaver tentato di sottrarsie resistito un momentocedettecomevinto da quell'impeto di caritàabbracciò anche lui ilcardinalee abbandonò sull'omero di lui il suo volto tremantee mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora incontaminatadi Federigo; e le mani incolpevoli di questo stringevanoaffettuosamente quelle membrapremevano quella casaccaavvezza aportar l'armi della violenza e del tradimento.

L'innominatosciogliendosi da quell'abbracciosi coprì di nuovo gli occhicon una manoealzando insieme la facciaesclamò: - Dioveramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco oracomprendochi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di mestesso; eppure...! eppure provo un refrigeriouna gioiasìuna gioiaquale non ho provata mai in tutta questa mia orribilevita!

Èun saggio- disse Federigo- che Dio vi dà per cattivarvi alsuo servizioper animarvi ad entrar risolutamente nella nuova vitain cui avrete tanto da disfaretanto da ripararetanto da piangere!- Me sventurato! - esclamò il signore- quantequante...cosele quali non potrò se non piangere! Ma almeno ne hod'intrapresed'appena avviateche possose non altrorompere amezzo: una ne hoche posso romper subitodisfareriparare.

Federigosi mise in attenzione; e l'innominato raccontò brevementemacon parole d'esecrazione anche più forti di quelle che abbiamoadoprato noila prepotenza fatta a Luciai terrorii patimentidella poverinae come aveva imploratoe la smania chequell'implorare aveva messa addosso a luie come essa era ancor nelcastello...

-Ahnon perdiam tempo! - esclamò Federigoansante di pietàe di sollecitudine. - Beato voi! Questo è pegno del perdono diDio! far che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevateesser di rovina. Dio vi benedica! Dio v'ha benedetto! Sapete di dovesia questa povera nostra travagliata?

Ilsignore nominò il paese di Lucia.

-Non è lontano di qui- disse il cardinale: - lodato sia Dio;e probabilmente... - Così dicendocorse a un tavolinoescosse un campanello. E subito entrò con ansietà ilcappellano crociferoe per la prima cosaguardòl'innominato; e vista quella faccia mutatae quegli occhi rossi dipiantoguardò il cardinale; e sotto quell'inalterabilecompostezzascorgendogli in volto come un grave contentoe unapremura quasi impazienteera per rimanere estatico con la boccaapertase il cardinale non l'avesse subito svegliato da quellacontemplazionedomandandogli setra i parrochi radunati lìsi trovasse quello di ***.

-C'èmonsignore illustrissimo- rispose il cappellano.

-Fatelo venir subito- disse Federigo- e con lui il parroco quidella chiesa.

Ilcappellano uscìe andò nella stanza dov'eran que'preti riuniti: tutti gli occhi si rivolsero a lui. Luicon la boccatuttavia apertacol viso ancor tutto dipinto di quell'estasialzando le manie movendole per ariadisse: - signori! signori!haec mutatio dexterae Excelsi-. E stette un momento senza diraltro. Poiripreso il tono e la voce della caricasoggiunse: - suasignoria illustrissima e reverendissima vuole il signor curato dellaparrocchiae il signor curato di ***.

Ilprimo chiamato venne subito avantie nello stesso tempouscìdi mezzo alla folla un: - io? - strascicatocon un'intonazione dimaraviglia.

-Non è lei il signor curato di ***? - riprese il cappellano.

-Per l'appunto; ma...

-Sua signoria illustrissima e reverendissima vuol lei.

-Me? - disse ancora quella vocesignificando chiaramente in quelmonosillabo: come ci posso entrar io? Ma questa voltainsieme con lavocevenne fuori l'uomodon Abbondio in personacon un passoforzatoe con un viso tra l'attonito e il disgustato. Il cappellanogli fece un cenno con la manoche voleva dire: a noiandiamo; civuol tanto? E precedendo i due curatiandò all'usciol'aprìe gl'introdusse.

Ilcardinale lasciò andar la mano dell'innominatocol qualeintanto aveva concertato quello che dovevan fare; si discostòun pocoe chiamò con un cenno il curato della chiesa. Glidisse in succinto di che si trattava; e se saprebbe trovar subito unabuona donna che volesse andare in una lettiga al castelloa prenderLucia: una donna di cuore e di testada sapersi ben governare in unaspedizione così nuovae usar le maniere più apropositotrovar le parole più adattatea rincorareatranquillizzare quella poverinaa cuidopo tante angoscee intanto turbamentola liberazione stessa poteva metter nell'animo unanuova confusione. Pensato un momentoil curato disse che aveva lapersona a propositoe uscì. Il cardinale chiamò con unaltro cenno il cappellanoal quale ordinò che facessepreparare subito la lettiga e i lettighierie sellare due mule.Uscito anche il cappellanosi voltò a don Abbondio.

Questoche già gli era vicinoper tenersi lontano da quell'altrosignoree che intanto dava un'occhiatina di sotto in su ora all'unoora all'altroseguitando a almanaccar tra sé che cosa maipotesse essere tutto quel rigirìos'accostò di piùfece una riverenzae disse: - m'hanno significato che vossignoriaillustrissima mi voleva me; ma io credo che abbiano sbagliato.

-Non hanno sbagliato- rispose Federigo: - ho una buona nuova dadarvie un consolanteun soavissimo incarico. Una vostraparrocchianache avrete pianta per ismarritaLucia Mondellaèritrovataè qui vicinoin casa di questo mio caro amico; evoi anderete ora con luie con una donna che il signor curato di quiè andato a cercareanderetedicoa prendere quella vostracreaturae l'accompagnerete qui.

DonAbbondio fece di tutto per nascondere la noiache dico? l'affanno el'amaritudine che gli dava una tale propostao comando che fosse; enon essendo più a tempo a sciogliere e a scomporre unversaccio già formato sulla sua faccialo nascosechinandoprofondamente la testain segno d'ubbidienza. E non l'alzòche per fare un altro profondo inchino all'innominatoconun'occhiata pietosa che diceva: sono nelle vostre mani: abbiatemisericordia: parcere subjectis.

Glidomandò poi il cardinaleche parenti avesse Lucia.

-Di strettie con cui vivao vivessenon ha che la madre- risposedon Abbondio.

-E questa si trova al suo paese?

-Monsignorsì.

-Giacché- riprese Federigo- quella povera giovine non potràesser così presto restituita a casa suale sarà unagran consolazione di veder subito la madre: quindise il signorcurato di qui non torna prima ch'io vada in chiesafatemi voi ilpiacere di dirgli che trovi un baroccio o una cavalcatura; e spediscaun uomo di giudizio a cercar quella donnaper condurla qui.

-E se andassi io? - disse don Abbondio.

-Nonovoi: v'ho già pregato d'altro- rispose il cardinale.

-Dicevo- replicò don Abbondio- per disporre quella poveramadre. È una donna molto sensitiva; e ci vuole uno che laconoscae la sappia prendere per il suo versoper non farle male invece di bene.

-E per questovi prego d'avvertire il signor curato che scelga unuomo di proposito: voi siete molto più necessario altrove-rispose il cardinale. E avrebbe voluto dire: quella povera giovine hamolto più bisogno di veder subito una faccia conosciutaunapersona sicurain quel castellodopo tant'ore di spasimoe in unaterribile oscurità dell'avvenire. Ma questa non era ragione dadirsi così chiaramente davanti a quel terzo. Parve peròstrano al cardinale che don Abbondio non l'avesse intesa per ariaanzi pensata da sé; e così fuor di luogo gli parve laproposta e l'insistenzache pensò doverci esser sotto qualchecosa. Lo guardò in visoe vi scoprì facilmente lapaura di viaggiare con quell'uomo tremendod'andare in quella casaanche per pochi momenti. Volendo quindi dissipare affatto quell'ombrecodardee non piacendogli di tirare in disparte il curato e dibisbigliar con lui in segretomentre il suo nuovo amico era lìin terzopensò che il mezzo più opportuno era di farciò che avrebbe fatto anche senza questo motivoparlareall'innominato medesimo; e dalle sue risposte don Abbondiointenderebbe finalmente che quello non era più uomo da avernepaura. S'avvicinò dunque all'innominatoe con quell'aria dispontanea confidenzache si trova in una nuova e potente affezionecome in un'antica intrinsichezza- non crediate- gli disse-ch'io mi contenti di questa visita per oggi. Voi tornereten'èvero? in compagnia di questo ecclesiastico dabbene?

-S'io tornerò? - rispose l'innominato: - quando voi mirifiutasterimarrei ostinato alla vostra portacome il povero. Hobisogno di parlarvi! ho bisogno di sentirvidi vedervi! ho bisognodi voi!

Federigogli prese la manogliela strinsee disse: - favorirete dunque direstare a desinare con noi. V'aspetto. Intantoio vo a pregaree arender grazie col popolo; e voi a cogliere i primi frutti dellamisericordia.

DonAbbondioa quelle dimostrazionistava come un ragazzo paurosocheveda uno accarezzar con sicurezza un suo cagnaccio grossorabbuffatocon gli occhi rossicon un nomaccio famoso per morsi eper ispaventie senta dire al padrone che il suo cane è unbuon bestionequietoquieto: guarda il padronee non contraddicené approva; guarda il canee non ardisce accostarglisipertimore che il buon bestione non gli mostri i dentifosse anche perfargli le feste; non ardisce allontanarsiper non farsi scorgere; edice in cuor suo: oh se fossi a casa mia!

Alcardinaleche s'era mosso per usciretenendo sempre per la mano econducendo seco l'innominatodiede di nuovo nell'occhio ilpover'uomoche rimaneva indietromortificatomalcontentofacendoil muso senza volerlo. E pensando che forse quel dispiacere glipotesse anche venire dal parergli d'esser trascuratoe come lasciatoin un cantotanto più in paragone d'un facinoroso cosìben accoltocosì accarezzatose gli voltò nelpassaresi fermò un momentoe con un sorriso amorevoleglidisse: - signor curatovoi siete sempre con me nella casa del nostrobuon Padre; ma questo... questo perieratet inventus est.

-Oh quanto me ne rallegro! - disse don Abbondiofacendo una granriverenza a tutt'e due in comune.

L'arcivescovoandò avantispinse l'uscioche fu subito spalancato di fuorida due servitoriche stavano uno di qua e uno di là: e lamirabile coppia apparve agli sguardi bramosi del clero raccolto nellastanza. Si videro que' due volti sui quali era dipinta una commozionediversama ugualmente profonda; una tenerezza riconoscenteun'umilegioia nell'aspetto venerabile di Federigo; in quello dell'innominatouna confusione temperata di confortoun nuovo pudoreunacompunzionedalla quale però traspariva tuttavia il vigore diquella selvaggia e risentita natura. E si seppe poiche a piùd'uno de' riguardanti era allora venuto in mente quel detto d'Isaia:il lupo e l'agnello andranno ad un pascolo; il leone e il buemangeranno insieme lo strame. Dietro veniva don Abbondioa cuinessuno badò.

Quandofurono nel mezzo della stanzaentrò dall'altra partel'aiutante di camera del cardinalee gli s'accostòperdirgli che aveva eseguiti gli ordini comunicatigli dal cappellano;che la lettiga e le due mule eran preparatee s'aspettava soltantola donna che il curato avrebbe condotta. Il cardinale gli disse cheappena arrivato questolo facesse parlar subito con don Abbondio: etutto poi fosse agli ordini di questo e dell'innominato; al qualestrinse di nuovo la manoin atto di commiatodicendo: - v'aspetto-. Si voltò a salutar don Abbondioe s'avviò dallaparte che conduceva alla chiesa. Il clero gli andò dietrotrain folla e in processione: i due compagni di viaggio rimasero solinella stanza.

Staval'innominato tutto raccolto in sépensierosoimpaziente chevenisse il momento d'andare a levar di pene e di carcere la suaLucia: sua ora in un senso così diverso da quello che lo fosseil giorno avanti: e il suo viso esprimeva un'agitazione concentratache all'occhio ombroso di don Abbondio poteva facilmente parerequalcosa di peggio. Lo sogguardavaavrebbe voluto attaccare undiscorso amichevole; ma" cosa devo dirgli? - pensava: - devodirgli ancora: mi rallegro? Mi rallegro di che? che essendo statofinora un demoniovi siate finalmente risoluto di diventare ungalantuomo come gli altri? Bel complimento! Eh eh eh! in qualunquemaniera io le rigirile congratulazioni non vorrebbero dir altro chequesto. E se sarà poi vero che sia diventato galantuomo: cosìa un tratto! Delle dimostrazioni se ne fanno tante a questo mondoeper tante cagioni! Che so ioalle volte? E intanto mi tocca a andarcon lui! in quel castello! Oh che storia! che storia! che storia! Chime l'avesse detto stamattina! Ahse posso uscirne a salvamentom'hada sentire la signora Perpetuad'avermi cacciato qui per forzaquando non c'era necessitàfuor della mia pieve: e che tuttii parrochi d'intorno accorrevanoanche più da lontano; e chenon bisognava stare indietro; e che questoe che quest'altro; eimbarcarmi in un affare di questa sorte! Oh povero me! Eppurequalcosa bisognerà dirgli a costui ". E pensa e ripensaaveva trovato che gli avrebbe potuto dire: non mi sarei mai aspettatoquesta fortuna d'incontrarmi in una così rispettabilecompagnia; e stava per aprir boccaquando entrò l'aiutante dicameracol curato del paeseil quale annunziò che la donnaera pronta nella lettiga; e poi si voltò a don Abbondioperricevere da lui l'altra commissione del cardinale. Don Abbondio se nesbrigò come potéin quella confusione di mente; eaccostatosi poi all'aiutantegli disse: - mi dia almeno una bestiaquieta; perchédico la veritàsono un poverocavalcatore.

-Si figuri- rispose l'aiutantecon un mezzo sogghigno: - èla mula del segretarioche è un letterato.

-Basta... - replicò don Abbondioe continuò pensando: "il cielo me la mandi buona ".

Ilsignore s'era incamminato di corsaal primo avviso: arrivatoall'uscios'accorse di don Abbondioch'era rimasto indietro. Sifermò ad aspettarlo; e quando questo arrivò frettolosoin aria di chieder perdonol'inchinòe lo fece passareavanticon un atto cortese e umile: cosa che raccomodòalquanto lo stomaco al povero tribolato. Ma appena messo piede nelcortilettovide un'altra novità che gli guastò quellapoca consolazione; vide l'innominato andar verso un cantoprenderper la cannacon una manola sua carabinapoi per la cigna conl'altraecon un movimento speditocome se facesse l'eserciziomettersela ad armacollo.

"Ohi! ohi! ohi! - pensò don Abbondio: - cosa vuol farne diquell'ordignocostui? Bel ciliziobella disciplina da convertito! Ese gli salta qualche grillo? Oh che spedizione! oh che spedizione! "

Sequel signore avesse potuto appena sospettare che razza di pensieripassavano per la testa al suo compagnonon si può dire cosaavrebbe fatto per rassicurarlo; ma era lontano le mille miglia da untal sospetto; e don Abbondio stava attento a non far nessun atto chesignificasse chiaramente: non mi fido di vossignoria. Arrivatiall'uscio di stradatrovarono le due cavalcature in ordine:l'innominato saltò su quella che gli fu presentata da unpalafreniere.

-Vizi non ne ha? - disse all'aiutante di camera don Abbondiorimettendo in terra il piedeche aveva già alzato verso lastaffa.

-Vada pur su di buon animo: è un agnello -. Don Abbondioarrampicandosi alla sellasorretto dall'aiutantesususuèa cavallo.

Lalettigach'era innanzi qualche passoportata da due mulesi mossea una voce del lettighiero; e la comitiva partì.

Sidoveva passar davanti alla chiesa piena zeppa di popoloper unapiazzetta piena anch'essa d'altro popolo del paese e forestierichenon avevan potuto entrare in quella. Già la gran nuova eracorsa; e all'apparir della comitivaall'apparir di quell'uomooggetto ancor poche ore prima di terrore e d'esecrazioneora dilieta maraviglias'alzò nella folla un mormorìo quasid'applauso; e facendo largosi faceva insieme alle spintepervederlo da vicino. La lettiga passòl'innominato passò;e davanti alla porta spalancata della chiesasi levò ilcappelloe chinò quella fronte tanto temutafin sullacriniera della mulatra il susurro di cento voci che dicevano: Diola benedica! Don Abbondio si levò anche lui il cappellosichinòsi raccomandò al cielo; ma sentendo il concertosolenne de' suoi confratelli che cantavano a distesaprovòun'invidiauna mesta tenerezzaun accoramento taleche duròfatica a tener le lacrime.

Fuoripoi dell'abitatonell'aperta campagnanegli andirivieni talvoltaaffatto deserti della stradaun velo più nero si stese suisuoi pensieri. Altro oggetto non aveva su cui riposar con fiducia losguardoche il lettighieroil qualeessendo al servizio delcardinaledoveva essere certamente un uomo dabbenee insieme nonaveva aria d'imbelle. Ogni tantocomparivano viandantianche acomitiveche accorrevano per vedere il cardinale; ed era un ristoroper don Abbondio; ma passeggieroma s'andava verso quella valletremendadove non s'incontrerebbe che sudditi dell'amico: e chesudditi! Con l'amico avrebbe desiderato ora più che maid'entrare in discorsotanto per tastarlo sempre piùcome pertenerlo in buona; ma vedendolo così soprappensieroglienepassava la voglia. Dovette dunque parlar con se stesso; ed ecco unaparte di ciò che il pover'uomo si disse in quel tragitto: chéa scriver tuttoci sarebbe da farne un libro.

"È un gran dire che tanto i santi come i birboni gli abbiano aaver l'argento vivo addossoe non si contentino d'esser sempre inmoto loroma voglian tirare in ballose potesserotutto il genereumano; e che i più faccendoni mi devan proprio venire a cercarmeche non cerco nessunoe tirarmi per i capelli ne' loro affari:io che non chiedo altro che d'esser lasciato vivere! Quel mattobirbone di don Rodrigo! Cosa gli mancherebbe per esser l'uomo il piùfelice di questo mondose avesse appena un pochino di giudizio? Luiriccolui giovinelui rispettatolui corteggiato: gli dànoia il bene stare; e bisogna che vada accattando guai per sée per gli altri. Potrebbe far l'arte di Michelaccio; no signore: vuolfare il mestiere di molestar le femmine: il più pazzoil piùladroil più arrabbiato mestiere di questo mondo; potrebbeandare in paradiso in carrozzae vuol andare a casa del diavolo apiè zoppo. E costui...! " E qui lo guardavacome seavesse sospetto che quel costui sentisse i suoi pensieri"costuidopo aver messo sottosopra il mondo con le scelleratezzeoralo mette sottosopra con la conversione... se sarà vero.Intanto tocca a me a farne l'esperienza!... È finita: quandoson nati con quella smania in corpobisogna che faccian semprefracasso. Ci vuol tanto a fare il galantuomo tutta la vitacom'hofatt'io? No signore: si deve squartareammazzarefare il diavolo...oh povero me!... e poi uno scompiglioanche per far penitenza. Lapenitenzaquando s'ha buona volontàsi può farla acasa suaquietamentesenza tant'apparatosenza dar tant'incomodoal prossimo. E sua signoria illustrissimasubito subitoa bracciaapertecaro amicoamico caro; stare a tutto quel che gli dicecostuicome se l'avesse visto far miracoli; e prendere addiritturauna risoluzionemettercisi dentro con le mani e co' piedipresto diquapresto di là: a casa mia si chiama precipitazione. Esenza avere una minima caparradargli in mano un povero curato!questo si chiama giocare un uomo a pari e caffo. Un vescovo santocom'è luide' curati dovrebbe esserne gelosocome dellapupilla degli occhi suoi. Un pochino di flemmaun pochino diprudenzaun pochino di caritàmi pare che possa stare anchecon la santità... E se fosse tutto un'apparenza? Chi puòconoscer tutti i fini degli uomini? e dico degli uomini come costui?A pensare che mi tocca a andar con luia casa sua! Ci puòesser sotto qualche diavolo: oh povero me! è meglio non cipensare. Che imbroglio è questo di Lucia? Che ci fosseun'intesa con don Rodrigo? che gente! ma almeno la cosa sarebbechiara. Ma come l'ha avuta nell'unghie costui? Chi lo sa? Ètutto un segreto con monsignore: e a me che mi fanno trottare inquesta manieranon si dice nulla. Io non mi curo di sapere i fattidegli altri; ma quando uno ci ha a metter la pelleha anche ragionedi sapere. Se fosse proprio per andare a prendere quella poveracreaturapazienza! Benchépoteva ben condurla con séaddirittura. E poise è così convertitose èdiventato un santo padreche bisogno c'era di me? Oh che caos!Basta; voglia il cielo che la sia così: sarà stato unincomodo grossoma pazienza! Sarò contento anche per quellapovera Lucia: anche lei deve averla scampata grossa; sa il cielocos'ha patito: la compatisco; ma è nata per la mia rovina...Almeno potessi vedergli proprio in cuore a costuicome la pensa. Chilo può conoscere? Ecco lìora pare sant'Antonio neldeserto; ora pare Oloferne in persona. Oh povero me! povero me!Basta: il cielo è in obbligo d'aiutarmiperché non mici son messo io di mio capriccio ".

Infattisul volto dell'innominato si vedevanoper dir cosìpassare ipensiericomein un'ora burrascosale nuvole trascorrono dinanzialla faccia del solealternando ogni momento una luce arrabbiata eun freddo buio. L'animoancor tutto inebriato dalle soavi parole diFederigoe come rifatto e ringiovanito nella nuova vitas'elevava aquell'idee di misericordiadi perdono e d'amore; poi ricadeva sottoil peso del terribile passato. Correva con ansietà a cercarequali fossero le iniquità riparabilicosa si potesse troncarea mezzoquali i rimedi più espedienti e più sicuricome scioglier tanti nodiche fare di tanti complici: era unosbalordimento a pensarci. A quella stessa spedizionech'era la piùfacile e così vicina al termineandava con un'impazienzamista d'angosciapensando che intanto quella creatura pativaDio saquantoe che luiil quale pure si struggeva di liberarlaera luiche la teneva intanto a patire. Dove c'eran due stradeillettighiero si voltavaper saper quale dovesse prendere:l'innominato gliel'indicava con la manoe insieme accennava di farpresto.

Entranonella valle. Come stava allora il povero don Abbondio! Quella vallefamosadella quale aveva sentito raccontar tante storie orribiliesserci dentro: que' famosi uominiil fiore della braveria d'Italiaquegli uomini senza paura e senza misericordiavederli in carne e inossa; incontrarne uno o due o tre a ogni voltata di strada. Sichinavano sommessamente al signore; ma certi visi abbronzati! certibaffi irti! certi occhiacciche a don Abbondio pareva che volesserodire: fargli la festa a quel prete? A segno chein un punto di sommacosternazionegli venne detto tra sé: " gli avessimaritati! non mi poteva accader di peggio ". Intanto s'andavaavanti per un sentiero sassosolungo il torrente: al di làquel prospetto di balze asprescuredisabitate; al di qua quellapopolazione da far parer desiderabile ogni deserto: Dante non istavapeggio nel mezzo di Malebolge.

Passandavanti la Malanotte; bravacci sull'uscioinchini al signoreocchiate al suo compagno e alla lettiga. Coloro non sapevan cosa sipensare: già la partenza dell'innominato solola mattinaaveva dello straordinario; il ritorno non lo era meno. Era una predache conduceva? E come l'aveva fatta da sé? E come una lettigaforestiera? E di chi poteva esser quella livrea? Guardavanoguardavanoma nessuno si movevaperché questo era l'ordineche il padrone dava loro con dell'occhiate.

Fannola salitasono in cima. I bravi che si trovan sulla spianata e sullaportasi ritirano di qua e di làper lasciare il passolibero: l'innominato fa segno che non si movan di più; spronae passa davanti alla lettiga; accenna al lettighiero e a don Abbondioche lo seguano; entra in un primo cortileda quello in un secondo;va verso un usciolinofa stare indietro con un gesto un bravo cheaccorreva per tenergli la staffae gli dice: - tu sta' costìe non venga nessuno -. Smontalega in fretta la mula aun'inferriatava alla lettigas'accosta alla donnache avevatirata la tendinae le dice sottovoce: - consolatela subito; fatelesubito capire che è liberain mano d'amici. Dio ve ne renderàmerito -. Poi fa cenno al lettighieroche apra; poi s'avvicina a donAbbondioecon un sembiante così sereno come questo nongliel aveva ancor vistoné credeva che lo potesse averecondipintavi la gioia dell'opera buona che finalmente stava per compiregli diceancora sotto voce: - signor curatonon le chiedo scusadell'incomodo che ha per cagion mia: lei lo fa per Uno che paga benee per questa sua poverina -. Ciò dettoprende con una mano ilmorsocon l'altra la staffaper aiutar don Abbondio a scendere.

Quelvoltoquelle parolequell'attogli avevan dato la vita. Mise unsospiroche da un'ora gli s'aggirava dentrosenza mai trovarl'uscita; si chinò verso l'innominatorispose a voce bassabassa: - le pare? Mamamama...! - e sdrucciolò allameglio dalla sua cavalcatura. L'innominato legò anche quellae detto al lettighiero che stesse lì a aspettaresi levòuna chiave di tascaaprì l'uscioentròfece entrareil curato e la donnas'avviò davanti a loro alla scaletta; etutt'e tre salirono in silenzio.




Cap.XXIV


Lucias'era risentita da poco tempo; e di quel tempo una parte aveva penatoa svegliarsi affattoa separar le torbide visioni del sonno dallememorie e dall'immagini di quella realtà troppo somigliante auna funesta visione d'infermo. La vecchia le si era subitoavvicinataecon quella voce forzatamente umilele aveva detto: -ah! avete dormito? Avreste potuto dormire in letto: ve l'ho pur dettotante volte ier sera -. E non ricevendo rispostaaveva continuatosempre con un tono di supplicazione stizzosa: - mangiate una volta:abbiate giudizio. Uh come siete brutta! Avete bisogno di mangiare. Epoi sequando tornala piglia con me?

-Nono; voglio andar viavoglio andar da mia madre. Il padrone mel'ha promessoha detto: domattina. Dov'è il padrone?

-È uscito; m'ha detto che tornerà prestoe che faràtutto quel che volete.

-Ha detto così? ha detto così? Ebbene; io voglio andarda mia madre; subitosubito.

Edecco si sente un calpestìo nella stanza vicina; poi un picchioall'uscio. La vecchia accorredomanda: - chi è?

-Apri- risponde sommessamente la nota voce. La vecchia tira ilpaletto; l'innominatospingendo leggermente i battentifa un po' dispiraglio: ordina alla vecchia di venir fuorifa entrar subito donAbbondio con la buona donna. Socchiude poi di nuovo l'usciosi fermadietro a quelloe manda la vecchia in una parte lontana delcastellaccio; come aveva già mandata via anche l'altra donnache stava fuoridi guardia.

Tuttoquesto movimentoquel punto d'aspettoil primo apparire di personenuovecagionarono un soprassalto d'agitazione a Luciaalla qualese lo stato presente era intollerabileogni cambiamento peròera motivo di sospetto e di nuovo spavento. Guardòvide unpreteuna donna; si rincorò alquanto: guarda piùattenta: è luio non è lui? Riconosce don Abbondioerimane con gli occhi fissicome incantata. La donnaandatalevicinosi chinò sopra di leieguardandola pietosamenteprendendole le manicome per accarezzarla e alzarla a un tempoledisse: - oh poverina! venitevenite con noi.

-Chi siete? - le domandò Lucia; masenza aspettar la rispostasi voltò ancora a don Abbondioche s'era trattenuto discostodue passicon un visoanche luitutto compassionevole; lo fissòdi nuovoe esclamò: - lei! è lei? il signor curato?Dove siamo?... Oh povera me! son fuori di sentimento!

-Nono- rispose don Abbondio: - son io davvero: fatevi coraggio.Vedete? siam qui per condurvi via. Son proprio il vostro curatovenuto qui appostaa cavallo...

Luciacome riacquistate in un tratto tutte le sue forzesi rizzòprecipitosamente; poi fissò ancora lo sguardo su que' duevisie disse: - è dunque la Madonna che vi ha mandati.

-Io credo di sì- disse la buona donna.

-Ma possiamo andar viapossiamo andar via davvero? - riprese Luciaabbassando la vocee con uno sguardo timido e sospettoso. - E tuttaquella gente...? - continuòcon le labbra contratte etremanti di spavento e d'orrore: - e quel signore...! quell'uomo...!Giàme l'aveva promesso...

-È qui anche lui in personavenuto apposta con noi- dissedon Abbondio: - è qui fuori che aspetta. Andiamo presto; nonlo facciamo aspettareun par suo.

Alloraquello di cui si parlavaspinse l'uscioe si fece vedere; Luciache poco prima lo desideravaanzinon avendo speranza in altra cosadel mondonon desiderava che luioradopo aver veduti visiesentite voci amichenon poté reprimere un subitaneo ribrezzo;si riscosseritenne il respirosi strinse alla buona donnae lenascose il viso in seno. L'innominatoalla vista di quell'aspettosul quale già la sera avanti non aveva potuto tener fermo losguardodi quell'aspetto reso ora più squallidosbattutoaffannato dal patire prolungato e dal digiunoera rimasto lìfermoquasi sull'uscio; nel veder poi quell'atto di terroreabbassògli occhistette ancora un momento immobile e muto; indi rispondendoa ciò che la poverina non aveva detto- è vero-esclamò: - perdonatemi!

-Viene a liberarvi; non è più quello; è diventatobuono: sentite che vi chiede perdono? - diceva la buona donnaall'orecchio di Lucia.

-Si può dir di più? Viasu quella testa; non fate labambina; che possiamo andar presto- le diceva don Abbondio. Luciaalzò la testaguardò l'innominatoevedendo bassaquella fronteatterrato e confuso quello sguardopresa da un mistosentimento di confortodi riconoscenza e di pietàdisse: -ohil mio signore! Dio le renda merito della sua misericordia!

-E a voicento volteil bene che mi fanno codeste vostre parole.

Cosìdettosi voltòandò verso l'uscioe uscì ilprimo. Luciatutta rianimatacon la donna che le dava bracciogliandò dietro; don Abbondio in coda. Scesero la scalaarrivarono all'uscio che metteva nel cortile. L'innominato lospalancòandò alla lettigaaprì lo sportelloecon una certa gentilezza quasi timida (due cose nuove in lui)sorreggendo il braccio di Lucial'aiutò ad entrarvipoi labuona donna. Slegò quindi la mula di don Abbondioe l'aiutòanche lui a montare.

-Oh che degnazione! - disse questo; e montò molto piùlesto che non avesse fatto la prima volta. La comitiva si mossequando l'innominato fu anche lui a cavallo. La sua fronte s'erarialzata; lo sguardo aveva ripreso la solita espressione d'impero. Ibravi che incontravavedevan bene sul suo viso i segni d'un fortepensierod'una preoccupazione straordinaria; ma non capivanonépotevan capire più in là. Al castellonon si sapevaancor nulla della gran mutazione di quell'uomo; e per congetturacertonessun di coloro vi sarebbe arrivato.

Labuona donna aveva subito tirate le tendine della lettiga: prese poiaffettuosamente le mani di Lucias'era messa a confortarlaconparole di pietàdi congratulazione e di tenerezza. E vedendocomeoltre la fatica di tanto travaglio soffertola confusione el'oscurità degli avvenimenti impedivano alla poverina disentir pienamente la contentezza della sua liberazionele dissequanto poteva trovar di più atto a distrigarea ravviareperdir cosìi suoi poveri pensieri. Le nominò il paesedove andavano.

-Sì? - disse Luciala qual sapeva ch'era poco discosto dalsuo. - Ah Madonna santissimavi ringrazio! Mia madre! mia madre!

-La manderemo a cercar subito- disse la buona donnala quale nonsapeva che la cosa era già fatta.

-Sìsì; che Dio ve ne renda merito... E voichi siete?Come siete venuta...

-M'ha mandata il nostro curato- disse la buona donna: - perchéquesto signoreDio gli ha toccato il cuore (sia benedetto!)ed èvenuto al nostro paeseper parlare al signor cardinale arcivescovo(che l'abbiamo là in visitaquel sant'uomo)e s'èpentito de' suoi peccataccie vuol mutar vita; e ha detto alcardinale che aveva fatta rubare una povera innocenteche siete void'intesa con un altro senza timor di Dioche il curato non m'hadetto chi possa essere.

Luciaalzò gli occhi al cielo.

-Lo saprete forse voi- continuò la buona donna: - basta;dunque il signor cardinale ha pensato chetrattandosi d'una giovineci voleva una donna per venire in compagniae ha detto al curato chene cercasse una; e il curatoper sua bontàè venutoda me...

-Oh! il Signore vi ricompensi della vostra carità!

-Che dite maila mia povera giovine? E m'ha detto il signor curatoche vi facessi coraggioe cercassi di sollevarvi subitoe farviintendere come il Signore v'ha salvata miracolosamente...

-Ah sì! proprio miracolosamente; per intercession dellaMadonna.

-Dunqueche stiate di buon animoe perdonare a chi v'ha fatto delmalee esser contenta che Dio gli abbia usata misericordiaanzipregare per lui; chéoltre all'acquistarne meritovisentirete anche allargare il cuore.

Luciarispose con uno sguardo che diceva di sìtanto chiaro comeavrebbero potuto far le parolee con una dolcezza che le parole nonavrebbero saputa esprimere.

-Brava giovine! - riprese la donna: - e trovandosi al nostro paeseanche il vostro curato (che ce n'è tanti tantidi tutto ilcontornoda mettere insieme quattro ufizi generali)ha pensato ilsignor cardinale di mandarlo anche lui in compagnia; ma èstato di poco aiuto. Già l'avevo sentito dire ch'era un uomoda poco; ma in quest'occasioneho dovuto proprio vedere che èpiù impicciato che un pulcin nella stoppa.

-E questo... - domandò Lucia- questo che è diventatobuono... chi è?

-Come! non lo sapete? - disse la buona donnae lo nominò.

-Oh misericordia! - esclamò Lucia. Quel nomequante voltel'aveva sentito ripetere con orrore in più d'una storiaincui figurava sempre come in altre storie quello dell'orco! E oraalpensiero d'essere stata nel suo terribil poteree d'essere sotto lasua guardia pietosa; al pensiero d'una così orrenda sciagurae d'una così improvvisa redenzione; a considerare di chi eraquel viso che aveva veduto burberopoi commossopoi umiliatorimaneva come estaticadicendo soloogni poco: - oh misericordia!

-È una gran misericordia davvero! - diceva la buona donna: -dev'essere un gran sollievo per mezzo mondo. A pensare quanta genteteneva sottosopra; e oracome m'ha detto il nostro curato... e poisolo a guardarlo in visoè diventato un santo! E poi si vedonsubito le opere.

Direche questa buona donna non provasse molta curiosità diconoscere un po' più distintamente la grand'avventura nellaquale si trovava a fare una partenon sarebbe la verità. Mabisogna dire a sua gloria checompresa d'una pietà rispettosaper Luciasentendo in certo modo la gravità e la dignitàdell'incarico che le era stato affidatonon pensò neppure afarle una domanda indiscretane oziosa: tutte le sue parolein queltragittofurono di conforto e di premura per la povera giovine.

-Dio sa quant'è che non avete mangiato!

-Non me ne ricordo più... Da un pezzo.

-Poverina! Avrete bisogno di ristorarvi.

-Sì- rispose Lucia con voce fioca.

-A casa miagrazie a Diotroveremo subito qualcosa. Fatevi coraggioche ormai c'è poco.

Luciasi lasciava poi cader languida sul fondo della lettigacomeassopita; e allora la buona donna la lasciava in riposo.

Perdon Abbondio questo ritorno non era certo così angoscioso comel'andata di poco prima; ma non fu neppur esso un viaggio di piacere.Al cessar di quella pauraccias'era da principio sentito tuttoscaricoma ben presto cominciarono a spuntargli in cuore cent'altridispiaceri; comequand'è stato sbarbato un grand'alberoilterreno rimane sgombro per qualche tempoma poi si copre tuttod'erbacce. Era diventato più sensibile a tutto il resto; etanto nel presentequanto ne' pensieri dell'avvenirenon glimancava pur troppo materia di tormentarsi. Sentiva oramolto piùche nell'andarel'incomodo di quel modo di viaggiareal quale nonera molto avvezzo; e specialmente sul principionella scesa dalcastello al fondo della valle. Il lettighierostimolato da' cennidell'innominatofaceva andar di buon passo le sue bestie; le duecavalcature andavan dietro dietrocon lo stesso passo; onde seguivachea certi luoghi più ripidiil povero don Abbondiocomese fosse messo a leva per di dietrotracollava sul davantieperreggersidoveva appuntellarsi con la mano all'arcione; e non osavaperò pregare che s'andasse più adagioe dall'altraparte avrebbe voluto esser fuori di quel paese più presto chefosse possibile. Oltre di ciòdove la strada era sur unrialtosur un ciglionela mulasecondo l'uso de' pari suoiparevache facesse per dispetto a tener sempre dalla parte di fuorie ametter proprio le zampe sull'orlo; e don Abbondio vedeva sotto di séquasi a perpendicoloun saltoo come pensava luiun precipizio. "Anche tu- diceva tra sé alla bestia- hai quel maledettogusto d'andare a cercare i pericoliquando c'è tantosentiero! " E tirava la briglia dall'altra parte; mainutilmente. Sicchéal solitorodendosi di stizza e dipaurasi lasciava condurre a piacere altrui. I bravi non gli facevanpiù tanto spaventoora che sapeva più di certo come lapensava il padrone. " Ma- rifletteva però- se lanotizia di questa gran conversione si sparge qua dentrointanto checi siamo ancorachi sa come l'intenderanno costoro! Chi sa cosanasce! Che s'andassero a immaginare che sia venuto io a fare ilmissionario! Povero me! mi martirizzano! " Il cipigliodell'innominato non gli dava fastidio. " Per tenere a segnoquelle facce lì- pensava- non ci vuol meno di questa qui;lo capisco anch'io; ma perché deve toccare a me a trovarmi tratutti costoro! "

Basta;s'arrivò in fondo alla scesae s'uscì finalmente anchedalla valle. La fronte dell'innominato s'andò spianando. Anchedon Abbondio prese una faccia più naturalesprigionòalquanto la testa di tra le spallesgranchì le braccia e legambesi mise a stare un po' più sulla vitache faceva untutt'altro vederemandò più larghi respirieconanimo più riposatosi mise a considerare altri lontanipericoli. "Cosa dirà quel bestione di don Rodrigo?Rimaner con tanto di naso a questo modocol danno e con le beffefiguriamoci se la gli deve parere amara. Ora è quando fa ildiavolo davvero. Sta a vedere che se la piglia anche con meperchémi son trovato dentro in questa cerimonia. Se ha avuto cuore find'allora di mandare que' due demòni a farmi una figura diquella sorte sulla stradaora poichi sa cosa farà! Con suasignoria illustrissima non la può prendereche è unpezzo molto più grosso di lui; lì bisogneràrodere il freno. Intanto il veleno l'avrà in corpoe sopraqualcheduno lo vorrà sfogare. Come finiscono queste faccende?I colpi cascano sempre all'ingiù; i cenci vanno all'aria.Luciadi ragionesua signoria illustrissima penserà ametterla in salvo: quell'altro poveraccio mal capitato è fuordel tiroe ha già avuto la sua: ecco che il cencio sondiventato io. La sarebbe barbaradopo tant'incomodidopo tanteagitazionie senza acquistarne meritoche ne dovessi portar la penaio. Cosa farà ora sua signoria illustrissima per difendermidopo avermi messo in ballo? Mi può star mallevadore lui chequel dannato non mi faccia un'azione peggio della prima? E poihatanti affari per la testa! mette mano a tante cose! Come si puòbadare a tutto? Lascian poi alle volte le cose più imbrogliatedi prima. Quelli che fanno il benelo fanno all'ingrosso:quand'hanno provata quella soddisfazionen'hanno abbastanzae nonsi voglion seccare a star dietro a tutte le conseguenze; ma coloroche hanno quel gusto di fare il maleci mettono piùdiligenzaci stanno dietro fino alla finenon prendon mai requieperché hanno quel canchero che li rode. Devo andar io a direche son venuto qui per comando espresso di sua signoriaillustrissimae non di mia volontà? Parrebbe che volessitenere dalla parte dell'iniquità. Oh santo cielo! Dalla partedell'iniquità io! Per gli spassi che la mi dà! Basta;il meglio sarà raccontare a Perpetua la cosa com'è; elascia poi fare a Perpetua a mandarla in giro. Purché amonsignore non venga il grillo di far qualche pubblicitàqualche scena inutilee mettermici dentro anche me. A buon contoappena siamo arrivatise è uscito di chiesavado a riverirloin fretta in fretta; se nolascio le mie scusee me ne vo dirittodiritto a casa mia. Lucia è bene appoggiata; di me non ce n'èpiù bisogno; e dopo tant'incomodiposso pretendere anch'iod'andarmi a riposare. E poi... che non venisse anche curiositàa monsignore di saper tutta la storiae mi toccasse a render contodell'affare del matrimonio! Non ci mancherebbe altro. E se viene invisita anche alla mia parrocchia!... Oh! sarà quel che sarà;non vo' confondermi prima del tempo: n'ho abbastanza de' guai. Perora vo a chiudermi in casa. Fin che monsignore si trova da questepartidon Rodrigo non avrà faccia di far pazzie. E poi... Epoi? Ah! vedo che i miei ultimi anni ho da passarli male! "

Lacomitiva arrivò che le funzioni di chiesa non erano ancorterminate; passò per mezzo alla folla medesima non menocommossa della prima volta; e poi si divise. I due a cavallovoltarono sur una piazzetta di fiancoin fondo a cui era la casa delparroco; la lettiga andò avanti verso quella della buonadonna.

DonAbbondio fece quello che aveva pensato: appena smontatofece i piùsviscerati complimenti all'innominatoe lo pregò di volerloscusar con monsignore; ché lui doveva tornare alla parrocchiaaddiritturaper affari urgenti. Andò a cercare quel chechiamava il suo cavallocioè il bastone che aveva lasciato inun cantuccio del salottoe s'incamminò. L'innominato stette aaspettare che il cardinale tornasse di chiesa.

Labuona donnafatta seder Lucia nel miglior luogo della sua cucinas'affaccendava a preparar qualcosa da ristorarlaricusandocon unacerta rustichezza cordialei ringraziamenti e le scuse che questarinnovava ogni tanto.

Prestoprestorimettendo stipa sotto un calderottodove notava un buoncapponefece alzare il bollore al brodoe riempitane una scodellagià guarnita di fette di panepoté finalmentepresentarla a Lucia. E nel vedere la poverina a riaversi a ognicucchiaiatasi congratulava ad alta voce con se stessa che la cosafosse accaduta in un giorno in cuicom'essa dicevanon c'era ilgatto nel fuoco. - Tutti s'ingegnano oggi a far qualcosina-aggiungeva: - meno que' poveri poveri che stentano a aver pane divecce e polenta di saggina; però oggi da un signore cosìcaritatevole sperano di buscar tutti qualcosa. Noigrazie al cielonon siamo in questo caso: tra il mestiere di mio maritoe qualcosache abbiamo al solesi campa. Sicché mangiate senza pensieriintanto; ché presto il cappone sarà a tiroe potreteristorarvi un po' meglio -. Così dettoritornò adaccudire al desinaree ad apparecchiare.

Luciatornatele alquanto le forzee acquietandosele sempre piùl'animoandava intanto assettandosiper un'abitudineper unistinto di pulizia e di verecondia: rimetteva e fermava le trecceallentate e arruffateraccomodava il fazzoletto sul senoe intornoal collo. In far questole sue dita s'intralciarono nella corona checi aveva messala notte avanti; lo sguardo vi corse; si fece nellamente un tumulto istantaneo; la memoria del votooppressa finoallora e soffogata da tante sensazioni presentivi si suscitòd'improvvisoe vi comparve chiara e distinta. Allora tutte lepotenze del suo animoappena riavutefuron sopraffatte di nuovoaun tratto: e se quell'animo non fosse stato così preparato dauna vita d'innocenzadi rassegnazione e di fiduciala costernazioneche provò in quel momentosarebbe stata disperazione. Dopo unribollimento di que' pensieri che non vengono con parolele primeche si formarono nella sua mente furono: " oh povera mecos'hofatto! "

Manon appena l'ebbe pensatene risentì come uno spavento. Letornarono in mente tutte le circostanze del votol'angosciaintollerabileil non avere una speranza di soccorsoil fervoredella preghierala pienezza del sentimento con cui la promessa erastata fatta. E dopo avere ottenuta la graziapentirsi dellapromessale parve un'ingratitudine sacrilegauna perfidia verso Dioe la Madonna; le parve che una tale infedeltà le attirerebbenuove e più terribili sventurein mezzo alle quali nonpotrebbe più sperare neppur nella preghiera; e s'affrettòdi rinnegare quel pentimento momentaneo. Si levò con divozionela corona dal colloe tenendola nella mano tremanteconfermòrinnovò il votochiedendo nello stesso tempocon unasupplicazione accoratache le fosse concessa la forza d'adempirloche le fossero risparmiati i pensieri e l'occasioni le qualiavrebbero potutose non ismovere il suo animoagitarlo troppo. Lalontananza di Renzosenza nessuna probabilità di ritornoquella lontananza che fin allora le era stata così amaraleparve ora una disposizione della Provvidenzache avesse fatti andareinsieme i due avvenimenti per un fine solo; e si studiava di trovarnell'uno la ragione d'esser contenta dell'altro. E dietro a quelpensieros'andava figurando ugualmente che quella Provvidenzamedesimaper compir l'operasaprebbe trovar la maniera di far cheRenzo si rassegnasse anche luinon pensasse più... Ma unatale ideaappena trovatamise sottosopra la mente ch'era andata acercarla. La povera Luciasentendo che il cuore era lì lìper pentirsiritornò alla preghieraalle confermealcombattimentodal quale s'alzòse ci si passaquest'espressionecome il vincitore stanco e feritodi sopra ilnemico abbattuto: non dico ucciso.

Tutt'aun trattosi sente uno scalpiccìoe un chiasso di vociallegre. Era la famigliola che tornava di chiesa. Due bambinette e unfanciullo entran saltando; si fermano un momento a dare un'occhiatacuriosa a Luciapoi corrono alla mammae le s'aggruppano intorno:chi domanda il nome dell'ospite sconosciutae il come e il perché;chi vuol raccontare le maraviglie vedute: la buona donna risponde atutto e a tutti con un - zittizitti -. Entra poicon un passo piùquietoma con una premura cordiale dipinta in visoil padrone dicasa. Erase non l'abbiamo ancor dettoil sarto del villaggioede' contorni; un uomo che sapeva leggereche aveva letto in fattipiù d'una volta il Leggendario de' Santiil Guerrin meschinoe i Reali di Franciae passavain quelle partiper un uomo ditalento e di scienza: lode però che rifiutava modestamentedicendo soltanto che aveva sbagliato la vocazione; e che se fosseandato agli studiin vece di tant'altri...! Con questola migliorpasta del mondo. Essendosi trovato presente quando sua moglie erastata pregata dal curato d'intraprendere quel viaggio caritatevolenon solo ci aveva data la sua approvazionema le avrebbe fattocoraggiose ce ne fosse stato bisogno. E ora che la funzionelapompail concorsoe soprattutto la predica del cardinale avevanocome si diceesaltati tutti i suoi buoni sentimentitornava a casacon un'aspettativacon un desiderio ansioso di sapere come la cosafosse riuscitae di trovare la povera innocente salvata.

-Guardate un poco- gli disseal suo entrarela buona donnaaccennando Lucia; la quale fece il viso rossos'alzòecominciava a balbettar qualche scusa. Ma luiavvicinatoselel'interruppe facendole una gran festae esclamando: - ben venutaben venuta! Siete la benedizione del cielo in questa casa. Come soncontento di vedervi qui! Già ero sicuro che sareste arrivata abuon porto; perché non ho mai trovato che il Signore abbiacominciato un miracolo senza finirlo bene; ma son contento di vederviqui. Povera giovine! Ma è però una gran cosa d'averricevuto un miracolo!

Nési creda che fosse lui il solo a qualificar cosìquell'avvenimentoperché aveva letto il Leggendario: pertutto il paese e per tutt'i contorni non se ne parlò con altriterminifin che ce ne rimase la memoria. Ea dir la veritàcon le frange che vi s'attaccarononon gli poteva convenire altronome.

AccostatosiPoi passo passo alla moglieche staccava il calderotto dalla catenale disse sottovoce: - è andato bene ogni cosa?

-Benone: ti racconterò poi tutto.

-Sìsì; con comodo.

Messopoi subito in tavolala padrona andò a prender Luciavel'accompagnòla fece sedere; e staccata un'ala di quelcapponegliela mise davanti; si mise a sedere anche lei e il maritofacendo tutt'e due coraggio all'ospite abbattuta e vergognosaperchémangiasse. Il sarto cominciòai primi bocconia discorrerecon grand'enfasiin mezzo all'interruzioni de' ragazzichemangiavano ritti intorno alla tavolae che in verità avevanoviste troppe cose straordinarieper fare alla lunga la sola parted'ascoltatori. Descriveva le cerimonie solennipoi saltava a parlaredella conversione miracolosa. Ma ciò che gli aveva fatto piùimpressionee su cui tornava più spessoera la predica delcardinale.

-A vederlo lì davanti all'altare- diceva- un signore diquella sortecome un curato...

-E quella cosa d'oro che aveva in testa... - diceva una bambinetta.

-Sta' zitta. A pensaredicoche un signore di quella sortee unuomo tanto sapientechea quel che diconoha letto tutti i libriche ci sonocosa a cui non è mai arrivato nessun altronéanche in Milano; a pensare che sappia adattarsi a dir quelle cose inmaniera che tutti intendano...

-Ho inteso anch'io- disse l'altra chiacchierina.

-Sta' zitta! cosa vuoi avere intesotu?

-Ho inteso che spiegava il Vangelo in vece del signor curato.

-Sta' zitta. Non dico chi sa qualche cosa; ché allora uno èobbligato a intendere; ma anche i più duri di testai piùignorantiandavan dietro al filo del discorso. Andate ora a domandarloro se saprebbero ripeter le parole che diceva: sì; non neripescherebbero una; ma il sentimento lo hanno qui. E senza mainominare quel signorecome si capiva che voleva parlar di lui! Epoiper capiresarebbe bastato osservare quando aveva le lacrimeagli occhi. E allora tutta la gente a piangere...

-E proprio vero- scappò fuori il fanciullo: - ma perchépiangevan tutti a quel modocome bambini?

-Sta' zitto. E sì che c'è de' cuori duri in questopaese. E ha fatto proprio vedere chebenché ci sia lacarestiabisogna ringraziare il Signoreed esser contenti: far quelche si puòindustriarsiaiutarsie poi esser contenti.Perché la disgrazia non è il patiree l'esser poveri;la disgrazia è il far del male. E non son belle parole; perchési sa che anche lui vive da pover'uomoe si leva il pane di boccaper darlo agli affamati; quando potrebbe far vita sceltameglio dichi si sia. Ah! allora un uomo dà soddisfazione a sentirlodiscorrere; non come tant'altrifate quello che dicoe non fatequel che fo. E poi ha fatto proprio vedere che anche coloro che nonson signorise hanno più del necessariosono obbligati difarne parte a chi patisce.

Quiinterruppe il discorso da sécome sorpreso da un pensiero.Stette un momento; poi mise insieme un piatto delle vivande ch'eransulla tavolae aggiuntovi un panemise il piatto in un tovaglioloe preso questo per le quattro cocchedisse alla sua bambinettamaggiore: - piglia qui -. Le diede nell'altra mano un fiaschetto divinoe soggiunse: - va' qui da Maria vedova; lasciale questa robaedille che è per stare un po' allegra co' suoi bambini. Ma conbuona manierave'; che non paia che tu le faccia l'elemosina. E nondir nientese incontri qualcheduno; e guarda di non rompere.

Luciafece gli occhi rossie sentì in cuore una tenerezzaricreatrice; come già da' discorsi di prima aveva ricevuto unsollievo che un discorso fatto apposta non le avrebbe potuto dare.L'animo attirato da quelle descrizionida quelle fantasie di pompada quelle commozioni di pietà e di maravigliapresodall'entusiasmo medesimo del narratoresi staccava da' pensieridolorosi di sé; e anche ritornandoci soprasi trovava piùforte contro di essi. Il pensiero stesso del gran sacrifizionon giàche avesse perduto il suo amaroma insiem con esso aveva un non soche d'una gioia austera e solenne.

Pocodopoentrò il curato del paesee disse d'esser mandato dalcardinale a informarsi di Luciaad avvertirla che monsignore volevavederla in quel giornoe a ringraziare in suo nome il sarto e lamoglie. E questi e quellacommossi e confusinon trovavan paroleper corrispondere a tali dimostrazioni d'un tal personaggio.

-E vostra madre non è ancora arrivata? - disse il curato aLucia.

-Mia madre! - esclamò questa. Dicendole poi il curatochel'aveva mandata a prendered'ordine dell'arcivescovosi mise ilgrembiule agli occhie diede in un dirotto piantoche duròun pezzo dopo che fu andato via il curato. Quando poi gli affettitumultuosi che le si erano suscitati a quell'annunziocominciarono adar luogo a pensieri più posatila poverina si ricordòche quella consolazione allora così vicinadi riveder lamadreuna consolazione così inaspettata poche ore primaerastata da lei espressamente implorata in quell'ore terribilie messaquasi come una condizione al voto. Fatemi tornar salva con miamadreaveva detto; e queste parole le ricomparvero ora distintenella memoria. Si confermò più che mai nel proposito dimantener la promessae si fece di nuovoe più amaramentescrupolo di quel povera me! che le era scappato detto tra sénel primo momento.

Agneseinfattiquando si parlava di leiera già poco lontana. Èfacile pensare come la povera donna fosse rimastaa quell'invitocosì inaspettatoe a quella notizianecessariamente tronca econfusad'un pericolosi poteva dircessatoma spaventoso; d'uncaso terribileche il messo non sapeva né circostanziare néspiegare; e lei non aveva a che attaccarsi per ispiegarlo da sé.Dopo essersi cacciate le mani ne' capellidopo aver gridato piùvolte: - ah Signore! ah Madonna! -dopo aver fatte al messo variedomandealle quali questo non sapeva che rispondereera entrata infretta e in furia nel barocciocontinuando per la strada a esclamaree interrogaresenza profitto. Maa un certo puntoaveva incontratodon Abbondio che veniva adagio adagiomettendo avantia ogni passoil suo bastone. Dopo un - oh! - di tutt'e due le partilui s'erafermatolei aveva fatto fermareed era smontata; e s'eran tirati indisparte in un castagneto che costeggiava la strada. Don Abbondiol'aveva ragguagliata di ciò che aveva potuto sapere e dovutovedere. La cosa non era chiara; ma almeno Agnese fu assicurata cheLucia era affatto in salvo; e respirò.

Dopodon Abbondio era voluto entrare in un altro discorsoe darle unalunga istruzione sulla maniera di regolarsi con l'arcivescovosequestocom'era probabileavesse desiderato di parlar con lei e conla figliuola; e soprattutto che non conveniva far parola delmatrimonio... Ma Agneseaccorgendosi che il brav'uomo non parlavache per il suo proprio interessel'aveva piantatosenzaprometterglianzi senza risolver nulla; ché aveva tutt'altroda pensare. E s'era rimessa in istrada.

Finalmenteil baroccio arrivae si ferma alla casa del sarto. Lucia s'alzaprecipitosamente; Agnese scendee dentro di corsa: sono nellebraccia l'una dell'altra. La moglie del sartoch'era la sola che sitrovava lì presentefa coraggio a tutt'e duele acquietasirallegra con loroe poisempre discretale lascia soledicendoche andava a preparare un letto per loro; che aveva il modosenzaincomodarsi; ma chein ogni casotanto leicome suo maritoavrebbero piuttosto voluto dormire in terrache lasciarle andare acercare un ricovero altrove.

Passatoquel primo sfogo d'abbracciamenti e di singhiozziAgnese vollesapere i casi di Luciae questa si mise affannosamente araccontarglieli. Macome il lettore saera una storia che nessunola conosceva tutta; e per Lucia stessa c'eran delle parti oscureinesplicabili affatto. E principalmente quella fatale combinazioned'essersi la terribile carrozza trovata lì sulla stradaperl'appunto quando Lucia vi passava per un caso straordinario: su diche la madre e la figlia facevan cento congetturesenza mai dar nelsegnoanzi senza neppure andarci vicino.

Inquanto all'autor principale della tramatanto l'una che l'altra nonpotevano fare a meno di non pensare che fosse don Rodrigo.

-Ah anima nera! ah tizzone d'inferno! - esclamava Agnese: - ma verràla sua ora anche per lui. Domeneddio lo pagherà secondo ilmerito; e allora proverà anche lui...

-Nonomamma; no! - interruppe Lucia: - non gli augurate di patirenon l'augurate a nessuno! Se sapeste cosa sia patire! Se avesteprovato! Nono! preghiamo piuttosto Dio e la Madonna per lui: cheDio gli tocchi il cuorecome ha fatto a quest'altro povero signorech'era peggio di lui; e ora è un santo.

Ilribrezzo che Lucia provava nel tornare sopra memorie cosìrecenti e così crudelila fece più d'una volta restarea mezzo; più d'una volta disse che non le bastava l'animo dicontinuaree dopo molte lacrimeriprese la parola a stento. Ma unsentimento diverso la tenne sospesaa un certo punto del racconto:quando fu al voto. Il timore che la madre le desse dell'imprudente edella precipitosa; e checome aveva fatto nell'affare delmatrimoniomettesse in campo qualche sua regola larga di coscienzae volesse fargliela trovar giusta per forza; o chepovera donnadicesse la cosa a qualcheduno in confidenzase non altro per averlume e consiglioe la facesse così divenir pubblicacosa cheLuciasolamente a pensarcisi sentiva venire il viso rosso; ancheuna certa vergogna della madre stessauna ripugnanza inesplicabile aentrare in quella materia; tutte queste cose insieme fecero chenascose quella circostanza importanteproponendosi di farne prima laconfidenza al padre Cristoforo. Ma come rimase allorchédomandando di luisi sentì rispondere che non c'era piùch'era stato mandato in un paese lontano lontanoin un paese cheaveva un certo nome!

-E Renzo? - disse Agnese.

-È in salvon'è vero? - disse ansiosamente Lucia.

-Questo è sicuroperché tutti lo dicono; si tien percerto che si sia ricoverato sul bergamasco; ma il luogo proprionessuno lo sa dire: e lui finora non ha mai fatto saper nulla. Chenon abbia ancora trovata la maniera.

-Ahse è in salvosia ringraziato il Signore! - disse Lucia;e cercava di cambiar discorso; quando il discorso fu interrotto dauna novità inaspettata: la comparsa del cardinale arcivescovo.

Questotornato di chiesadove l'abbiam lasciatosentito dall'innominatoche Lucia era arrivatasana e salvaera andato a tavola con luifacendoselo sedere a destrain mezzo a una corona di pretiche nonpotevano saziarsi di dare occhiate a quell'aspetto cosìammansato senza debolezzacosì umiliato senza abbassamentoedi paragonarlo con l'idea che da lungo tempo s'eran fatta delpersonaggio.

Finitodi desinareloro due s'eran ritirati di nuovo insieme. Dopo uncolloquio che durò molto più del primol'innominatoera partito per il suo castellosu quella stessa mula della mattina;e il cardinalefatto chiamare il curatogli aveva detto chedesiderava d'esser condotto alla casa dov'era ricoverata Lucia.

-Oh! monsignore- aveva risposto il curato- non s'incomodi: manderòio subito ad avvertire che venga qui la giovinela madrese èarrivataanche gli ospitise monsignore li vuoletutti quelli chedesidera vossignoria illustrissima.

-Desidero d'andar io a trovarli- aveva replicato Federigo.

-Vossignoria illustrissima non deve incomodarsi: manderò iosubito a chiamarli: è cosa d'un momento- aveva insistito ilcurato guastamestieri (buon uomo del resto)non intendendo che ilcardinale voleva con quella visita rendere onore alla sventuraall'innocenzaall'ospitalità e al suo proprio ministero in untempo. Maavendo il superiore espresso di nuovo il medesimodesideriol'inferiore s'inchinò e si mosse.

Quandoi due personaggi furon veduti spuntar nella stradatutta la genteche c'era andò verso di loro; e in pochi momenti n'accorse daogni partecamminando loro ai fianchi chi potevae gli altridietroalla rinfusa. Il curato badava a dire: - viaindietroritiratevi; ma! ma! - Federigo gli diceva: - lasciateli fare- eandava avantiora alzando la mano a benedir la genteoraabbassandola ad accarezzare i ragazzi che gli venivan tra' piedi.Così arrivarono alla casae c'entrarono: la folla rimaseammontata al di fuori. Ma nella folla si trovava anche il sartoilquale era andato dietro come gli altricon gli occhi fissi e con labocca apertanon sapendo dove si riuscirebbe. Quando vide quel doveinaspettatosi fece far largopensate con che strepitogridando erigridando: - lasciate passare chi ha da passare -; e entrò.

Agnesee Lucia sentirono un ronzìo crescente nella strada; mentrepensavano cosa potesse esserevidero l'uscio spalancarsiecomparire il porporato col parroco.

-È quella? - domandò il primo al secondo; ea un cennoaffermativoandò verso Luciach'era rimasta lì con lamadretutt'e due immobili e mute dalla sorpresa e dalla vergogna. Mail tono di quella vocel'aspettoil contegnoe soprattutto leparole di Federigo l'ebbero subito rianimate. - Povera giovine-cominciò: - Dio ha permesso che foste messa a una gran prova;ma v'ha anche fatto vedere che non aveva levato l'occhio da voichenon v'aveva dimenticata. V'ha rimessa in salvo; e s'è servitodi voi per una grand'operaper fare una gran misericordia a unoeper sollevar molti nello stesso tempo.

Quicomparve nella stanza la padronala qualeal rumores'eraaffacciata anch'essa alla finestrae avendo veduto chi le entrava incasaaveva sceso le scaledi corsadopo essersi raccomodata allameglio; e quasi nello stesso tempoentrò il sarto da unaltr'uscio. Vedendo avviato il discorsoandarono a riunirsi in uncantodove rimasero con gran rispetto. Il cardinalesalutatilicortesementecontinuò a parlar con le donnemescolando aiconforti qualche domandaper veder se nelle risposte potesse trovarqualche congiuntura di far del bene a chi aveva tanto patito.

-Bisognerebbe che tutti i preti fossero come vossignoriachetenessero un po' dalla parte de' poverie non aiutassero a metterliin imbroglioper cavarsene loro- disse Agneseanimata dalcontegno così famigliare e amorevole di Federigoe stizzitadal pensare che il signor don Abbondiodopo aver sempre sacrificatigli altripretendesse poi anche d'impedir loro un piccolo sfogounlamento con chi era al di sopra di luiquandoper un caso raron'era venuta l'occasione.

-Dite pure tutto quel che pensate- disse il cardinale: - parlateliberamente.

-Voglio dire chese il nostro signor curato avesse fatto il suodoverela cosa non sarebbe andata così.

Mafacendole il cardinale nuove istanze perché si spiegassemeglioquella cominciò a trovarsi impicciata a doverraccontare una storia nella quale aveva anch'essa una parte che nonsi curava di far saperespecialmente a un tal personaggio. Trovòperò il verso d'accomodarla con un piccolo stralcio: raccontòdel matrimonio concertatodel rifiuto di don Abbondionon lasciòfuori il pretesto de' superiori che lui aveva messo in campo(ahAgnese!); e saltò all'attentato di don Rodrigoe comeessendo stati avvertitiavevano potuto scappare. - Ma sì-soggiunse e concluse: - scappare per inciamparci di nuovo. Se in veceil signor curato ci avesse detto sinceramente la cosae avessesubito maritati i miei poveri giovaninoi ce n'andavamo via subitotutti insiemedi nascostolontanoin luogo che né anchel'aria non l'avrebbe saputo. Così s'è perduto tempo; edè nato quel che è nato.

-Il signor curato mi renderà conto di questo fatto- disse ilcardinale.

-Nosignorenosignore- disse subito Agnese: - non ho parlato perquesto: non lo gridiperché già quel che èstato è stato; e poi non serve a nulla: è un uomo fattocosì: tornando il casofarebbe lo stesso.

MaLucianon contenta di quella maniera di raccontar la storiasoggiunse: - anche noi abbiamo fatto del male: si vede che non era lavolontà del Signore che la cosa dovesse riuscire.

-Che male avete potuto far voipovera giovine? - disse Federigo.

Luciamalgrado gli occhiacci che la madre cercava di farle alla sfuggitaraccontò la storia del tentativo fatto in casa di donAbbondio; e concluse dicendo: - abbiam fatto male; e Dio ci hagastigati.

-Prendete dalla sua mano i patimenti che avete soffertie state dibuon animo- disse Federigo: - perchéchi avràragione di rallegrarsi e di sperarese non chi ha patitoe pensa adaccusar se medesimo?

Domandòallora dove fosse il promesso sposoe sentendo da Agnese (Luciastava zittacon la testa e gli occhi bassi) ch'era scappato dal suopaesene provò e ne mostrò maraviglia e dispiacere; evolle sapere il perché.

Agneseraccontò alla meglio tutto quel poco che sapeva della storiadi Renzo.

-Ho sentito parlare di questo giovine- disse il cardinale: - ma comemai uno che si trovò involto in affari di quella sortepotevaessere in trattato di matrimonio con una ragazza così?

-Era un giovine dabbene- disse Luciafacendo il viso rossoma convoce sicura.

-Era un giovine quietofin troppo- soggiunse Agnese: - e questo lopuò domandare a chi si siaanche al signor curato. Chi sa cheimbroglio avranno fatto laggiùche cabale? I poverici vuolpoco a farli comparir birboni.

Èvero pur troppo- disse il cardinale: - m'informerò di luisenza dubbio -: e fattosi dire nome e cognome del giovinene presel'appunto sur un libriccin di memorie. Aggiunse poi che contava diportarsi al loro paese tra pochi giorniche allora Lucia potrebbevenir là senza timoree che intanto penserebbe lui aprovvederla d'un luogo dove potesse esser al sicurofin che ognicosa fosse accomodata per il meglio.

Sivoltò quindi ai padroni di casache vennero subito avanti.Rinnovò i ringraziamenti che aveva fatti fare dal curatoedomandò se sarebbero stati contenti di ricoverareper que'pochi giornile ospiti che Dio aveva loro mandate.

-Oh! sì signore- rispose la donnacon un tono di voce e conun viso ch'esprimeva molto più di quell'asciutta rispostastrozzata dalla vergogna. Ma il maritomesso in orgasmo dallapresenza d'un tale interrogatoredal desiderio di farsi onore inun'occasione di tanta importanzastudiava ansiosamente qualche bellarisposta. Raggrinzò la frontetorse gli occhi in traversostrinse le labbratese a tutta forza l'arco dell'intellettocercòfrugòsentì di dentro un cozzo d'idee monche e dimezze parole: ma il momento stringeva; il cardinale accennava giàd'avere interpretato il silenzio: il pover'uomo aprì la boccae disse: - si figuri! - Altro non gli volle venire. Cosadi cui nonsolo rimase avvilito sul momento; ma sempre poi quella rimembranzaimportuna gli guastava la compiacenza del grand'onore ricevuto. Equante voltetornandoci soprae rimettendosi col pensiero in quellacircostanzagli venivano in mentequasi per dispettoparole chetutte sarebbero state meglio di quell'insulso si figuri! Macome dice un antico proverbiodel senno di poi ne son piene lefosse.

Ilcardinale partìdicendo: - la benedizione del Signore siasopra questa casa.

Domandòpoi la sera al curato come si sarebbe potuto in modo convenevolericompensare quell'uomoche non doveva esser riccodell'ospitalitàcostosaspecialmente in que' tempi. Il curato rispose cheperveritàné i guadagni della professionené lerendite di certi campicelliche il buon sarto aveva del suononsarebbero bastatein quell'annataa metterlo in istato d'esserliberale con gli altri; ma cheavendo fatto degli avanzi negli anniaddietrosi trovava de' più agiati del contornoe poteva farqualche spesa di piùsenza dissestocome certo faceva questavolentieri; e chedel rimanentenon ci sarebbe stato verso difargli accettare nessuna ricompensa.

-Avrà probabilmente- disse il cardinale- crediti con genteche non può pagare.

-Pensimonsignore illustrissimo: questa povera gente paga con quelche le avanza della raccolta: l'anno scorsonon avanzò nulla;in questotutti rimangono indietro del necessario.

-Ebbene- disse Federigo: - prendo io sopra di me tutti que' debiti;e voi mi farete il piacere d'aver da lui la nota delle partitee disaldarle.

-Sarà una somma ragionevole.

-Tanto meglio: e avrete pur troppo di quelli ancor piùbisognosiche non hanno debiti perché non trovan credenza.

-Ehpur troppo! Si fa quel che si può; ma come arrivare atuttoin tempi di questa sorte?

-Fate che lui li vesta a mio contoe pagatelo bene. Veramenteinquest'annomi par rubato tutto ciò che non va in pane; maquesto è un caso particolare.

Nonvogliam però chiudere la storia di quella giornatasenzaraccontar brevemente come la terminasse l'innominato.

Questavoltala nuova della sua conversione l'aveva preceduto nella valle;vi s'era subito sparsae aveva messo per tutto uno sbalordimentoun'ansietàun cruccioun susurro. Ai primi bravioservitori (era tutt'uno) che videaccennò che lo seguissero:e così di mano in mano. Tutti venivan dietrocon unasospensione nuovae con la suggezione solita; finchécon unseguito sempre crescentearrivò al castello. Accennò aquelli che si trovavan sulla portache gli venissero dietro con glialtri; entrò nel primo cortileandò verso il mezzoelìessendo ancora a cavallomise un suo grido tonante: erail segno usatoal quale accorrevano tutti que' suoi che l'avesserosentito. In un momentoquelli ch'erano sparsi per il castellovennero dietro alla vocee s'univano ai già radunatiguardando tutti il padrone.

-Andate ad aspettarmi nella sala grande- disse loro; e dall'altodella sua cavalcaturagli stava a veder partire. Ne scese poilamenò lui stesso alla stallae andò dov'era aspettato.Al suo apparirecessò subito un gran bisbiglìo chec'era; tutti si ristrinsero da una partelasciando voto per lui ungrande spazio della sala: potevano essere una trentina.

L'innominatoalzò la manocome per mantener quel silenzio improvviso; alzòla testache passava tutte quelle della brigatae disse: -ascoltate tuttie nessuno parlise non è interrogato.Figliuoli! la strada per la quale siamo andati finoraconduce nelfondo dell'inferno. Non è un rimprovero ch'io voglia farviioche sono avanti a tuttiil peggiore di tutti; ma sentite ciòche v'ho da dire. Dio misericordioso m'ha chiamato a mutar vita; e iola muteròl'ho già mutata: così faccia contutti voi. Sappiate dunquee tenete per fermo che son risoluto diprima morire che far più nulla contro la sua santa legge. Levoa ognun di voi gli ordini scellerati che avete da me; voim'intendete; anzi vi comando di non far nulla di ciò che v'eracomandato. E tenete per fermo ugualmenteche nessunoda qui avantipotrà far del male con la mia protezioneal mio servizio. Chivuol restare a questi pattisarà per me come un figliuolo: emi troverei contento alla fine di quel giornoin cui non avessimangiato per satollar l'ultimo di voicon l'ultimo pane che mirimanesse in casa. Chi non vuolegli sarà dato quello che gliè dovuto di salarioe un regalo di più: potràandarsene; ma non metta più piede qui: quando non fosse permutar vita; che per questo sarà sempre ricevuto a bracciaaperte. Pensateci questa notte: domattina vi chiameròa uno aunoa darmi la risposta; e allora vi darò nuovi ordini. Peroraritirateviognuno al suo posto. E Dio che ha usato con me tantamisericordiavi mandi il buon pensiero.

Quifinìe tutto rimase in silenzio. Per quanto vari e tumultuosifossero i pensieri che ribollivano in que' cervellaccinon neapparve di fuori nessun segno. Erano avvezzi a prender la voce delloro signore come la manifestazione d'una volontà con la qualenon c'era da ripetere: e quella voceannunziando che la volontàera mutatanon dava punto indizio che fosse indebolita. A nessuno diloro passò neppur per la mente cheper esser lui convertitosi potesse prendergli il sopravventorispondergli come a unaltr'uomo. Vedevano in lui un santoma un di que' santi che sidipingono con la testa altae con la spada in pugno. Oltre iltimoreavevano anche per lui (principalmente quelli ch'eran nati sulsuoed erano una gran parte) un'affezione come d'uomini ligi; avevanpoi tutti una benevolenza d'ammirazione; e alla sua presenzasentivano una specie di quelladirò pur cosìverecondiache anche gli animi più zotici e piùpetulanti provano davanti a una superiorità che hanno giàriconosciuta. Le cose poi che allora avevan sentite da quella boccaerano bensì odiose a' loro orecchima non false néaffatto estranee ai loro intelletti: se mille volte se n'eran fattibeffenon era già perché non le credesseroma perprevenir con le beffe la paura che gliene sarebbe venutaa pensarcisul serio. E oraa veder l'effetto di quella paura in un animo comequello del loro padronechi piùchi menonon ce ne fu unoche non gli se n'attaccassealmeno per qualche tempo. S'aggiunga atutto ciòche quelli tra loro chetrovandosi la mattina fuordella valleavevan risaputa per i primi la gran nuovaavevanoinsieme vedutoe avevano anche riferito la gioiala baldanza dellapopolazionel'amore e la venerazione per l'innominatoch'eranoentrati in luogo dell'antico odio e dell'antico terrore. Di manierachenell'uomo che avevan sempre riguardatoper dir cosìdibasso in altoanche quando loro medesimi erano in gran parte la suaforzavedevano ora la maraviglial'idolo d'una moltitudine; lovedevano al di sopra degli altriben diversamente di primama nonmeno; sempre fuori della schiera comunesempre capo.

Stavanoadunque sbalorditiincerti l'uno dell'altroe ognun di sé.Chi si rodevachi faceva disegni del dove sarebbe andato a cercarricovero e impiego; chi s'esaminava se avrebbe potuto adattarsi adiventar galantuomo; chi anchetocco da quelle parolese ne sentivauna certa inclinazione; chisenza risolver nullaproponeva diprometter tutto a buon contodi rimanere intanto a mangiare quelpane offerto così di buon cuoree allora così scarsoe d'acquistar tempo: nessuno fiatò. E quando l'innominatoalla fine delle sue parolealzò di nuovo quella manoimperiosa per accennar che se n'andasseroquatti quatticome unbranco di pecoretutti insieme se la batterono. Uscì ancheluidietro a loroepiantatosi prima nel mezzo del cortilestettea vedere al barlume come si sbrancasseroe ognuno s'avviasse al suoposto. Salito poi a prendere una sua lanternagirò di nuovo icortilii corridoile salevisitò tutte l'entratureequando vide ch'era tutto quietoandò finalmente a dormire.Sìa dormire; perché aveva sonno.

Affariintralciatie insieme urgentiper quanto ne fosse sempre andato incercanon se n'era mai trovati addosso tantiin nessunacongiunturacome allora; eppure aveva sonno. I rimorsi che glielavevan levato la notte avantinon che essere acquietatimandavanoanzi grida più altepiù severepiù assolute;eppure aveva sonno. L'ordinela specie di governo stabilito làdentro da lui in tant'annicon tante curecon un tanto singolareaccoppiamento d'audacia e di perseveranzaora l'aveva lui medesimomesso in forsecon poche parole; la dipendenza illimitata di que'suoiquel loro esser disposti a tuttoquella fedeltà damasnadierisulla quale era avvezzo da tanto tempo a riposarel'aveva ora smossa lui medesimo; i suoi mezzigli aveva fattidiventare un monte d'imbroglis'era messa la confusione el'incertezza in casa; eppure aveva sonno.

Andòdunque in cameras'accostò a quel letto in cui la notteavanti aveva trovate tante spine; e vi s'inginocchiò accantocon l'intenzione di pregare. Trovò in fatti in un cantuccioriposto e profondo della mentele preghiere ch'era stato ammaestratoa recitar da bambino; cominciò a recitarle; e quelle parolerimaste lì tanto tempo ravvolte insiemevenivano l'una dopol'altra come sgomitolandosi. Provava in questo un misto di sentimentiindefinibile; una certa dolcezza in quel ritorno materialeall'abitudini dell'innocenza; un inasprimento di dolore al pensierodell'abisso che aveva messo tra quel tempo e questo; un ardored'arrivarecon opere di espiazionea una coscienza nuovaa unostato il più vicino all'innocenzaa cui non poteva tornare;una riconoscenzauna fiducia in quella misericordia che lo potevacondurre a quello statoe che gli aveva già dati tanti segnidi volerlo. Rizzatosi poiandò a lettoe s'addormentòimmediatamente.

Cosìterminò quella giornatatanto celebre ancora quando scrivevail nostro anonimo; e orase non era luinon se ne saprebbe nullaalmeno de' particolari; giacché il Ripamonti e il Rivolacitati di sopranon dicono se non che quel sì segnalatotirannodopo un abboccamento con Federigomutò mirabilmentevitae per sempre. E quanti son quelli che hanno letto i libri dique' due? Meno ancora di quelli che leggeranno il nostro. E chi sasenella valle stessachi avesse voglia di cercarlae l'abilitàdi trovarlasarà rimasta qualche stracca e confusa tradizionedel fatto? Son nate tante cose da quel tempo in poi!




Cap.XXV


Ilgiorno seguentenel paesetto di Lucia e in tutto il territorio diLecconon si parlava che di leidell'innominatodell'arcivescovo ed'un altro talechequantunque gli piacesse molto d'andar per lebocche degli uominin'avrebbein quella congiunturafattovolentieri di meno: vogliam dire il signor don Rodrigo.

Nongià che prima d'allora non si parlasse de' fatti suoi; ma erandiscorsi rottisegreti: bisognava che due si conoscessero bene benetra di loroper aprirsi sur un tale argomento. E anchenon cimettevano tutto il sentimento di che sarebbero stati capaci: perchégli uominigeneralmente parlandoquando l'indegnazione non si possasfogare senza grave pericolonon solo dimostran menoo tengonoaffatto in sé quella che sentonoma ne senton meno ineffetto. Ma orachi si sarebbe tenuto d'informarsie di ragionared'un fatto così strepitosoin cui s'era vista la mano delcieloe dove facevan buona figura due personaggi tali? unoin cuiun amore della giustizia tanto animoso andava unito a tanta autorità;l'altrocon cui pareva che la prepotenza in persona si fosseumiliatache la braverìa fosse venutaper dir cosìarender l'armie a chiedere il riposo. A tali paragoniil signor donRodrigo diveniva un po' piccino. Allora si capiva da tutti cosa fossetormentar l'innocenza per poterla disonorareperseguitarla conun'insistenza così sfacciatacon sì atroce violenzacon sì abbominevoli insidie. Si facevain quell'occasioneuna rivista di tant'altre prodezze di quel signore: e su tutto ladicevan come la sentivanoincoraggiti ognuno dal trovarsi d'accordocon tutti. Era un susurroun fremito generale; alla larga peròper ragione di tutti que' bravi che colui aveva d'intorno.

Unabuona parte di quest'odio pubblico cadeva ancora sui suoi amici ecortigiani. Si rosolava bene il signor podestàsempre sordo ecieco e muto sui fatti di quel tiranno; ma alla lontanaanche luiperchése non aveva i braviaveva i birri. Col dottorAzzecca-garbugliche non aveva se non chiacchiere e cabalee conaltri cortigianelli suoi parinon s'usava tanti riguardi: eranmostrati a ditoe guardati con occhi torti; di maniera cheperqualche tempostimaron bene di non farsi veder per le strade.

DonRodrigofulminato da quella notizia così impensatacosìdiversa dall'avviso che aspettava di giorno in giornodi momento inmomentostette rintanato nel suo palazzottosolo co' suoi braviarodersiper due giorni; il terzopartì per Milano. Se nonfosse stato altro che quel mormoracchiare della genteforsepoichéle cose erano andate tant'avantisarebbe rimasto apposta peraffrontarloanzi per cercar l'occasione di dare un esempio a tuttisopra qualcheduno de' più arditi; ma chi lo cacciòful'essersi saputo per certoche il cardinale veniva da quelle parti.Il conte zioil quale di tutta quella storia non sapeva se non quelche gli aveva detto Attilioavrebbe certamente preteso chein unacongiuntura similedon Rodrigo facesse una gran figurae avesse inpubblico dal cardinale le più distinte accoglienze: oraognunvede come ci fosse incamminato. L'avrebbe pretesoe se ne sarebbefatto render conto minutamente; perché era un'occasioneimportante di far vedere in che stima fosse tenuta la famiglia da unaprimaria autorità. Per levarsi da un impiccio cosìnoiosodon Rodrigoalzatosi una mattina prima del solesi mise inuna carrozzacol Griso e con altri bravidi fuoridavanti e didietro; elasciato l'ordine che il resto della servitùvenisse poi in seguitopartì come un fuggitivocome (ci siaun po' lecito di sollevare i nostri personaggi con qualche illustreparagone)come Catilina da Romasbuffandoe giurando di tornar benprestoin altra comparsaa far le sue vendette.

Intantoil cardinale veniva visitandoa una per giornole parrocchie delterritorio di Lecco. Il giorno in cui doveva arrivare a quella diLuciagià una gran parte degli abitanti erano andati sullastrada a incontrarlo. All'entrata del paeseproprio accanto allacasetta delle nostre due donnec'era un arco trionfalecostrutto distili per il rittoe di pali per il traversorivestito di paglia edi borraccinae ornato di rami verdi di pugnitopo e d'agrifogliodistinti di bacche scarlatte; la facciata della chiesa era parata ditappezzerie; al davanzale d'ogni finestra pendevano coperte e lenzolidistesifasce di bambini disposte a guisa di pendoni; tutto quelpoco necessario che fosse atto a fareo bene o malefigura disuperfluo. Verso le ventiduech'era l'ora in cui s'aspettava ilcardinalequelli ch'eran rimasti in casavecchidonne e fanciullila più partes'avviarono anche loro a incontrarloparte infilaparte in truppapreceduti da don Abbondiouggioso in mezzo atanta festae per il fracasso che lo sbalordivae per il brulicardella gente innanzi e indietrochecome andava ripetendoglifaceva girar la testae per il rodìo segreto che le donneavesser potuto cicalaree dovesse toccargli a render conto delmatrimonio.

Quand'eccosi vede spuntare il cardinaleo per dir megliola turba in mezzo acui si trovava nella sua lettigacol suo seguito d'intorno; perchédi tutto questo non si vedeva altro che un indizio in ariaal disopra di tutte le testeun pezzo della croce portata dal cappellanoche cavalcava una mula. La gente che andava con don Abbondios'affrettò alla rinfusaa raggiunger quell'altra: e luidopoaver dettotre e quattro volte: - adagio; in fila; cosa fate? - sivoltò indispettito; e seguitando a borbottare: - è unababiloniaè una babilonia- entrò in chiesaintantoch'era vota; e stette lì ad aspettare.

Ilcardinale veniva avantidando benedizioni con la manoe ricevendonedalle bocche della genteche quelli del seguito avevano un bel dafare a tenere un po' indietro. Per esser del paese di Luciaavrebbevoluto quella gente fare all'arcivescovo dimostrazioni straordinarie;ma la cosa non era facileperché era uso cheper tutto dovearrivavatutti facevano più che potevano. Già sulprincipio stesso del suo pontificatonel primo solenne ingresso induomola calca e l'impeto della gente addosso a lui era stato taleda far temere della sua vita; e alcuni gentiluomini che gli eran piùviciniavevano sfoderate le spadeper atterrire e respinger lafolla. Tanto c'era in que' costumi di scomposto e di violentocheanche nel far dimostrazioni di benevolenza a un vescovo in chiesaenel moderarlesi dovesse andar vicino all'ammazzare. E quella difesanon sarebbe forse bastatase il maestro e il sottomaestro dellecerimonieun Clerici e un Picozzigiovani preti che stavan bene dicorpo e d'animonon l'avessero alzato sulle bracciae portato dipesodalla porta fino all'altar maggiore. D'allora in poiin tantevisite episcopali ch'ebbe a fareil primo entrar nella chiesa si puòsenza scherzo contarlo tra le sue pastorali fatichee qualche voltatra i pericoli passati da lui.

Entròanche in questa come poté; andò all'altare edopoessere stato alquanto in orazionefecesecondo il suo solitounpiccol discorso al popolosul suo amore per lorosul suo desideriodella loro salvezzae come dovessero disporsi alle funzioni delgiorno dopo. Ritiratosi poi nella casa del parrocotra gli altridiscorsigli domandò informazione di Renzo. Don Abbondiodisse ch'era un giovine un po' vivoun po' testardoun po'collerico. Maa più particolari e precise domandedovetterispondere ch'era un galantuomoe che anche lui non sapeva capirecomein Milanoavesse potuto fare tutte quelle diavolerie cheavevan detto.

-In quanto alla giovine- riprese il cardinale- pare anche a voiche possa ora venir sicuramente a dimorare in casa sua?

-Per ora- rispose don Abbondio- può venire e starecomevuole: dicoper ora; ma- soggiunse poi con un sospiro-bisognerebbe che vossignoria illustrissima fosse sempre quio almenovicino.

-Il Signore è sempre vicino- disse il cardinale: - del restopenserò io a metterla al sicuro -. E diede subito ordine cheil giorno doposi spedisse di buon'ora la lettigacon una scortaaprender le due donne.

DonAbbondio uscì di lì tutto contento che il cardinale gliavesse parlato de' due giovanisenza chiedergli conto del suorifiuto di maritarli. " Dunque non sa niente- diceva tra sé:- Agnese è stata zitta: miracolo! È vero che s'hanno atornare a vedere; ma le daremo un'altra istruzionele daremo ".E non sapevail pover'uomoche Federigo non era entrato inquell'argomentoappunto perché intendeva di parlargliene alungoin tempo più libero; eprima di dargli ciò chegli era dovutovoleva sentire anche le sue ragioni.

Mai pensieri del buon prelato per metter Lucia al sicuro eran divenutiinutili: dopo che l'aveva lasciataeran nate delle cosechedobbiamo raccontare.

Ledue donnein que' pochi giorni ch'ebbero a passare nella casucciaospitale del sartoavevan ripresoper quanto avevan potutoognunail suo antico tenor di vita. Lucia aveva subito chiesto da lavorare;ecome aveva fatto nel monasterocucivacucivaritirata in unastanzinalontano dagli occhi della gente. Agnese andava un po'fuoriun po' lavorava in compagnia della figlia. I loro discorsieran tanto più tristiquanto più affettuosi: tutt'edue eran preparate a una separazione; giacché la pecora nonpoteva tornare a star così vicino alla tana del lupo: equandoqualesarebbe il termine di questa separazione? L'avvenireera oscuroimbrogliato: per una di loro principalmente. Agnese tantoci andava facendo dentro le sue congetture allegre: che Renzofinalmentese non gli era accaduto nulla di sinistrodovrebbepresto dar le sue nuove; e se aveva trovato da lavorare e dastabilirsise (e come dubitarne?) stava fermo nelle sue promesseperché non si potrebbe andare a star con lui? E di talisperanzene parlava e ne riparlava alla figliaper la quale nonsaprei dire se fosse maggior dolore il sentireo pena il rispondere.Il suo gran segreto l'aveva sempre tenuto in sé; einquietatabensì dal dispiacere di fare a una madre così buona unsotterfugioche non era il primo; ma trattenutacomeinvincibilmentedalla vergogna e da' vari timori che abbiam detto disopraandava d'oggi in domanisenza dir nulla. I suoi disegni eranben diversi da quelli della madreoper dir meglionon n'aveva;s'era abbandonata alla Provvidenza. Cercava dunque di lasciar cadereo di stornare quel discorso; o dicevain termini generalidi nonaver più speranzané desiderio di cosa di questomondofuorché di poter presto riunirsi con sua madre; le piùvolteil pianto veniva opportunamente a troncar le parole.

-Sai perché ti par così? - diceva Agnese: - perchéhai tanto patitoe non ti par vero che la possa voltarsi in bene. Malascia fare al Signore; e se... Lascia che si veda un barlumeappenaun barlume di speranza; e allora mi saprai dire se non pensi piùa nulla -. Lucia baciava la madree piangeva.

Delrestotra loro e i loro ospiti era nata subito una grand'amicizia: edove nascerebbese non tra beneficati e benefattoriquando gli unie gli altri son buona gente? Agnese specialmente faceva di granchiacchiere con la padrona. Il sarto poi dava loro un po' di svagocon delle storiee con de' discorsi morali: ea desinaresoprattuttoaveva sempre qualche bella cosa da raccontaredi Bovod'Antona o de' Padri del deserto.

Pocodistante da quel paesettovilleggiava una coppia d'alto affare; donFerrante e donna Prassede: il casatoal solitonella pennadell'anonimo. Era donna Prassede una vecchia gentildonna moltoinclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno chel'uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche guastarecome tutti gli altri. Per fare il benebisogna conoscerlo; ealpari d'ogni altra cosanon possiamo conoscerlo che in mezzo allenostre passioniper mezzo de' nostri giudizicon le nostre idee; lequali bene spesso stanno come possono. Con l'idee donna Prassede siregolava come dicono che si deve far con gli amici: n'aveva poche; maa quelle poche era molto affezionata. Tra le pochece n'era perdisgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero mencare. Le accadeva quindio di proporsi per bene ciò che nonlo fosseo di prender per mezzicose che potessero piuttosto farriuscire dalla parte oppostao di crederne leciti di quelli che nonlo fossero puntoper una certa supposizione in confusoche chi fapiù del suo dovere possa far più di quel che avrebbediritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c'era direaleo di vederci ciò che non c'era; e molte altre cosesimiliche possono accaderee che accadono a tuttisenzaeccettuarne i migliori; ma a donna Prassedetroppo spesso enon diradotutte in una volta.

Alsentire il gran caso di Luciae tutto ciò cheinquell'occasionesi diceva della giovinele venne la curiositàdi vederla; e mandò una carrozzacon un vecchio bracciereaprender la madre e la figlia. Questa si ristringeva nelle spalleepregava il sartoil quale aveva fatta loro l'imbasciatachetrovasse maniera di scusarla. Finché s'era trattato di gentealla buona che cercava di conoscer la giovine del miracoloil sartole aveva reso volentieri un tal servizio; ma in questo casoilrifiuto gli pareva una specie di ribellione. Fece tanti versitant'esclamazionidisse tante cose: e che non si faceva cosìe ch'era una casa grandee che ai signori non si dice di noe chepoteva esser la loro fortunae che la signora donna Prassedeoltreil restoera anche una santa; tante cose insommache Lucia sidovette arrendere: molto più che Agnese confermava tuttequelle ragioni con altrettanti - sicurosicuro.

Arrivatedavanti alla signoraessa fece loro grand'accoglienzae moltecongratulazioni; interrogòconsigliò: il tutto con unacerta superiorità quasi innatama corretta da tanteespressioni umilitemperata da tanta premuracondita di tantaspiritualitàcheAgnese quasi subitoLucia poco dopocominciarono a sentirsi sollevate dal rispetto opprimente che daprincipio aveva loro incusso quella signorile presenza; anzi citrovarono una certa attrattiva. E per venire alle cortedonnaPrassedesentendo che il cardinale s'era incaricato di trovare aLucia un ricoveropunta dal desiderio di secondare e di prevenire aun tratto quella buona intenziones'esibì di prender lagiovine in casadovesenz'essere addetta ad alcun servizioparticolarepotrebbea piacer suoaiutar l'altre donne ne' lorolavori. E soggiunse che penserebbe lei a darne parte a monsignore.

Oltreil bene chiaro e immediato che c'era in un'opera taledonna Prassedece ne vedevae se ne proponeva un altroforse piùconsiderabilesecondo lei; di raddirizzare un cervellodi mettersulla buona strada chi n'aveva gran bisogno. Perchéfin daquando aveva sentito la prima volta parlar di Lucias'era subitopersuasa che una giovine la quale aveva potuto promettersi a un pocodi buonoa un sediziosoa uno scampaforca in sommaqualchemagagnaqualche pecca nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichie ti dirò chi sei. La vista di Lucia aveva confermata quellapersuasione. Non chein fondocome si dicenon le paresse unabuona giovine; ma c'era molto da ridire. Quella testina bassacolmento inchiodato sulla fontanella della golaquel non rispondereorisponder secco seccocome per forzapotevano indicar verecondia;ma denotavano sicuramente molta caparbietà: non ci volevamolto a indovinare che quella testina aveva le sue idee. Equell'arrossire ogni momentoe quel rattenere i sospiri... Dueocchioni poiche a donna Prassede non piacevan punto. Teneva essaper certocome se lo sapesse di buon luogoche tutte le sciagure diLucia erano una punizione del cielo per la sua amicizia con quel pocodi buonoe un avviso per far che se ne staccasse affatto; e stantequestosi proponeva di cooperare a un così buon fine.Giacchécome diceva spesso agli altri e a se stessatutto ilsuo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso unosbaglio grossoch'era di prender per cielo il suo cervello. Peròdella seconda intenzione che abbiam dettosi guardò bene didarne il minimo indizio. Era una delle sue massime questacheperriuscire a far del bene alla gentela prima cosanella maggiorparte de' casiè di non metterli a parte del disegno.

Lamadre e la figlia si guardarono in viso. Nella dolorosa necessitàdi dividersil'esibizione parve a tutt'e due da accettarsise nonaltro per esser quella villa così vicina al loro paesetto: percuialla peggio de' peggisi ravvicinerebbero e potrebbero trovarsiinsiemealla prossima villeggiatura. Vistol'una negli occhidell'altrail consensosi voltaron tutt'e due a donna Prassede conquel ringraziare che accetta. Essa rinnovò le gentilezze e lepromessee disse che manderebbe subito una lettera da presentare amonsignore.

Partitele donnela lettera se la fece distendere da don Ferrantedi cuiper esser letteratocome diremo più in particolaresiserviva per segretarionell'occasioni d'importanza. Trattandosid'una di questa sortedon Ferrante ci mise tutto il suo sapereeconsegnando la minuta da copiare alla consortele raccomandòcaldamente l'ortografia; ch'era una delle molte cose che avevastudiatee delle poche sulle quali avesse lui il comando in casa.Donna Prassede copiò diligentissimamentee spedì lalettera alla casa del sarto. Questo fu due o tre giorni prima che ilcardinale mandasse la lettiga per ricondur le donne al loro paese.

Arrivatesmontarono alla casa parrocchialedove si trovava il cardinale.C'era ordine d'introdurle subito: il cappellanoche fu il primo avederlel'eseguìtrattenendole solo quant'era necessario perdar loroin fretta in frettaun po' d'istruzione sul cerimoniale dausarsi con monsignoree sui titoli da dargli; cosa che soleva fareogni volta che lo potesse di nascosto a lui. Era per il pover'uomo untormento continuo il vedere il poco ordine che regnava intorno alcardinalesu quel particolare: - tutto- diceva con gli altri dellafamiglia- per la troppa bontà di quel benedett'uomo; perquella gran famigliarità -. E raccontava d'aver perfinosentito più d'una volta co' suoi orecchirispondergli: messersìe messer no.

Stavain quel momento il cardinale discorrendo con don Abbondiosugliaffari della parrocchia: dimodoché questo non ebbe campo didare anche luicome avrebbe desideratole sue istruzioni alledonne. Solonel passar loro accantomentre uscivae quellevenivano avantipoté dar loro d'occhioper accennare ch'eracontento di loroe che continuasseroda bravea non dir nulla.

Dopole prime accoglienze da una partee i primi inchini dall'altraAgnese si cavò di seno la letterae la presentò alcardinaledicendo: - è della signora donna Prassedela qualedice che conosce molto vossignoria illustrissimamonsignore; comenaturalmentetra loro signori grandisi devon conoscer tutti.Quand'avrà lettovedrà.

-Bene- disse Federigoletto che ebbee ricavato il sugo del sensoda' fiori di don Ferrante. Conosceva quella casa quanto bastasse peresser certo che Lucia c'era invitata con buona intenzionee che lìsarebbe sicura dall'insidie e dalla violenza del suo persecutore. Checoncetto avesse della testa di donna Prassedenon n'abbiam notiziapositiva. Probabilmentenon era quella la persona che avrebbe sceltaa un tal intento; macome abbiam detto o fatto intendere altrovenon era suo costume di disfar le cose che non toccavano a luiperrifarle meglio.

-Prendete in pace anche questa separazionee l'incertezza in cui vitrovate- soggiunse poi: - confidate che sia per finir prestoe cheil Signore voglia guidar le cose a quel termine a cui pare che leavesse indirizzate; ma tenete per certo che quello che vorràLuisarà il meglio per voi -. Diede a Lucia in particolarequalche altro ricordo amorevole; qualche altro conforto a tutt'e due;le benedissee le lasciò andare. Appena fuorisi trovaronoaddosso uno sciame d'amici e d'amichetutto il comunesi puòdireche le aspettavae le condusse a casacome in trionfo. Eratra tutte quelle donne una gara di congratularsidi compiangeredidomandare; e tutte esclamavano dal dispiaceresentendo che Lucia sen'anderebbe il giorno dopo. Gli uomini gareggiavano nell'offrirservizi; ognuno voleva star quella notte a far la guardia allacasetta. Sul qual fattoil nostro anonimo credé bene diformare un proverbio: volete aver molti in aiuto? cercate di nonaverne bisogno.

Tanteaccoglienze confondevano e sbalordivano Lucia: Agnese nons'imbrogliava così per poco. Ma in sostanza fecero bene anchea Luciadistraendola alquanto da' pensieri e dalle rimembranze chepur troppoanche in mezzo al frastonole si risvegliavanosuquell'uscioin quelle stanzuccealla vista d'ogni oggetto.

Altocco della campana che annunziava vicino il cominciar dellefunzionitutti si mossero verso la chiesae fu per le nostre donneun'altra passeggiata trionfale.

Terminatele funzionidon Abbondioch'era corso a vedere se Perpetua avevaben disposto ogni cosa per il desinarefu chiamato dal cardinale.Andò subito dal grand'ospiteil qualelasciatolo venirvicino- signor curato- cominciò; e quelle parole furondette in manierada dover capirech'erano il principio d'undiscorso lungo e serio: - signor curato; perché non avete voiunita in matrimonio quella povera Lucia col suo promesso sposo?

"Hanno votato il sacco stamattina coloro "pensò donAbbondio; e rispose borbottando: - monsignore illustrissimo avràben sentito parlare degli scompigli che son nati in quell'affare: èstata una confusione taleda non poterneppure al giorno d'oggivederci chiaro: come anche vossignoria illustrissima puòargomentare da questoche la giovine è quidopo tantiaccidenticome per miracolo; e il giovinedopo altri accidentinonsi sa dove sia.

-Domando- riprese il cardinale- se è vero cheprima ditutti codesti casiabbiate rifiutato di celebrare il matrimonioquando n'eravate richiestonel giorno fissato; e il perché.

-Veramente... se vossignoria illustrissima sapesse... cheintimazioni... che comandi terribili ho avuti di non parlare... - Erestò lì senza concluderein un cert'attoda farrispettosamente intendere che sarebbe indiscrezione il voler sapernedi più.

-Ma! - disse il cardinalecon voce e con aria grave fuor delconsueto: - è il vostro vescovo cheper suo dovere e pervostra giustificazionevuol saper da voi il perché nonabbiate fatto ciò chenella via regolareera obbligo vostrodi fare.

-Monsignore- disse don Abbondiofacendosi piccino piccino- non hogià voluto dire... Ma m'è parso cheessendo coseintralciatecose vecchie e senza rimediofosse inutile dirimestare... Peròperòdico... so che vossignoriaillustrissima non vuol tradire un suo povero parroco. Perchévede benemonsignore; vossignoria illustrissima non può esserper tutto; e io resto qui esposto... Peròquando Lei me locomandadiròdirò tutto.

-Dite: io non vorrei altro che trovarvi senza colpa.

Alloradon Abbondio si mise a raccontare la dolorosa storia; ma tacque ilnome principalee vi sostituì: un gran signore; dando cosìalla prudenza tutto quel poco che si potevain una tale stretta.

-E non avete avuto altro motivo? - domandò il cardinalequandodon Abbondio ebbe finito.

-Ma forse non mi sono spiegato abbastanza- rispose questo: - sottopena della vitam'hanno intimato di non far quel matrimonio.

-E vi par codesta una ragion bastanteper lasciar d'adempire undovere preciso?

-Io ho sempre cercato di farloil mio dovereanche con mio graveincomodoma quando si tratta della vita...

-E quando vi siete presentato alla Chiesa- dissecon accento ancorpiù graveFederigo- per addossarvi codesto ministerov'haessa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessial ministero fossero liberi da ogni ostacoloimmuni da ognipericolo? O v'ha detto forse che dove cominciasse il pericoloivicesserebbe il dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario?Non v'ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Nonsapevate voi che c'eran de' violentia cui potrebbe dispiacere ciòche a voi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina el'esempioad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamopastorivenendo in terra a esercitarne l'ufiziomise forse percondizione d'aver salva la vita? E per salvarlaper conservarladicoqualche giorno di più sulla terraa spese della caritàe del doverec'era bisogno dell'unzione santadell'imposizion dellemanidella grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa virtùa insegnar questa dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo stesso larifiuta: il mondo fa anch'esso le sue leggiche prescrivono il malecome il bene; ha il suo vangelo anch'essoun vangelo di superbia ed'odio; e non vuol che si dica che l'amore della vita sia una ragioneper trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole; ed è ubbidito.E noi! noi figli e annunziatori della promessa! Che sarebbe laChiesase codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostriconfratelli? Dove sarebbese fosse comparsa nel mondo con codestedottrine?

DonAbbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegliargomenticome un pulcino negli artigli del falcoche lo tengonosollevato in una regione sconosciutain un'aria che non ha mairespirata. Vedendo che qualcosa bisognava risponderedissecon unacerta sommissione forzata: - monsignore illustrissimoavròtorto. Quando la vita non si deve contarenon so cosa mi dire. Maquando s'ha che fare con certa gentecon gente che ha la forzaeche non vuol sentir ragionianche a voler fare il bravonon sapreicosa ci si potesse guadagnare. È un signore quellocon cuinon si può né vincerla né impattarla.

-E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostrovincere? E se non sapete questoche cosa predicate? di che sietemaestro? qual è la buona nuova che annunziate a'poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certonon vi sarà domandatoun giornose abbiate saputo fare starea dovere i potenti; che a questo non vi fu dato né missionené modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati imezzi ch'erano in vostra mano per far ciò che v'eraprescrittoanche quando avessero la temerità di proibirvelo.

"Anche questi santi son curiosi- pensava intanto don Abbondio: - insostanzaa spremerne il sugogli stanno più a cuore gliamori di due giovaniche la vita d'un povero sacerdote ". Einquant'a luisi sarebbe volentieri contentato che il discorso finisselì; ma vedeva il cardinalea ogni pausarestare in atto dichi aspetti una risposta: una confessioneo un'apologiaqualcosa insomma.

-Torno a diremonsignore- rispose dunque- che avrò tortoio... Il coraggiouno non se lo può dare.

-E perché dunquepotrei dirvivi siete voi impegnato in unministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo?Ma comevi dirò piuttostocome non pensate chese incodesto ministerocomunque vi ci siate messov'è necessarioil coraggioper adempir le vostre obbligazionic'è Chi ve lodarà infallibilmentequando glielo chiediate? Credete voi chetutti que' milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? che nonfacessero naturalmente nessun conto della vita? tanti giovinetti checominciavano a gustarlatanti vecchi avvezzi a rammaricarsi chefosse già vicina a finiretante donzelletante sposetantemadri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio eranecessarioed essi confidavano. Conoscendo la vostra debolezza e ivostri doveriavete voi pensato a prepararvi ai passi difficili acui potevate trovarvia cui vi siete trovato in effetto? Ah! se pertant'anni d'ufizio pastoraleavete (e come non avreste?) amato ilvostro greggese avete riposto in esso il vostro cuorele vostrecurele vostre delizieil coraggio non doveva mancarvi al bisogno:l'amore è intrepido. Ebbenese voi gli amavatequelli chesono affidati alle vostre cure spiritualiquelli che voi chiamatefigliuoli; quando vedeste due di loro minacciati insieme con voiahcerto! come la debolezza della carne v'ha fatto tremar per voicosìla carità v'avrà fatto tremar per loro. Vi sareteumiliato di quel primo timoreperché era un effetto dellavostra miseria; avrete implorato la forza per vincerloperdiscacciarloperché era una tentazione: ma il timor santo enobile per gli altriper i vostri figliuoliquello l'avreteascoltatoquello non v'avrà dato pacequello v'avràeccitatocostrettoa pensarea fare ciò che si potesseperriparare al pericolo che lor sovrastava... Cosa v'ha ispirato iltimorel'amore? Cosa avete fatto per loro? Cosa avete pensato?

Etacque in atto di chi aspetta.




Cap.XXVI


Auna siffatta domandadon Abbondioche pur s'era ingegnato dirisponder qualcosa a delle meno preciserestò lì senzaarticolar parola. Eper dir la veritàanche noicon questomanoscritto davanticon una penna in manonon avendo da contrastareche con le frasiné altro da temere che le critiche de'nostri lettori; anche noidicosentiamo una certa ripugnanza aproseguire: troviamo un non so che di strano in questo mettere incampocon così poca faticatanti bei precetti di fortezza edi caritàdi premura operosa per gli altridi sacrifizioillimitato di sé. Ma pensando che quelle cose erano dette dauno che poi le facevatiriamo avanti con coraggio.

-Voi non rispondete? - riprese il cardinale. - Ahse aveste fattodalla parte vostraciò che la caritàciò cheil dovere richiedeva; in qualunque maniera poi le cose fosseroandatenon vi mancherebbe ora una risposta. Vedete dunque voi stessocosa avete fatto. Avete ubbidito all'iniquitànon curando ciòche il dovere vi prescriveva. L'avete ubbidita puntualmente: s'erafatta vedere a voiper intimarvi il suo desiderio; ma volevarimanere occulta a chi avrebbe potuto ripararsi da essae mettersiin guardia; non voleva che si facesse rumorevoleva il segretopermaturare a suo bell'agio i suoi disegni d'insidie o di forza; vicomandò la trasgressione e il silenzio: voi avete trasgreditoe non parlavate. Domando ora a voi se non avete fatto di più;voi mi direte se è vero che abbiate mendicati de' pretesti alvostro rifiutoper non rivelarne il motivo -. E stette lìalquantoaspettando di nuovo una risposta.

"Anche questa gli hanno rapportata le chiacchierone "pensavadon Abbondio; ma non dava segno d'aver nulla da dire; onde ilcardinale riprese: - se è veroche abbiate detto a que'poverini ciò che non eraper tenerli nell'ignoranzanell'oscuritàin cui l'iniquità li voleva... Dunque lodevo credere; dunque non mi resta che d'arrossirne con voie disperare che voi ne piangerete con me. Vedete a che v'ha condotto (Diobuono! e pur ora voi la adducevate per iscusa) quella premura per lavita che deve finire. V'ha condotto... ribattete liberamente questeparolese vi paiono ingiusteprendetele in umiliazione salutaresenon lo sono... v'ha condotto a ingannare i debolia mentire aivostri figliuoli.

"Ecco come vanno le cose- diceva ancora tra sé don Abbondio:- a quel satanasso- e pensava all'innominato- le braccia alcollo; e con meper una mezza bugiadetta a solo fine di salvar lapelletanto chiasso. Ma sono superiori; hanno sempre ragione. Èil mio pianetache tutti m'abbiano a dare addosso; anche i santi ".E ad alta vocedisse: - ho mancato; capisco che ho mancato; ma cosadovevo farein un frangente di quella sorte?

-E ancor lo domandate? E non ve l'ho detto? E dovevo dirvelo? Amarefigliuolo; amare e pregare. Allora avreste sentito che l'iniquitàpuò aver bensì delle minacce da farede' colpi dadarema non de' comandi; avreste unitosecondo la legge di Diociòche l'uomo voleva separare; avreste prestato a quegl'innocentiinfelici il ministero che avevan ragione di richieder da voi: delleconseguenze sarebbe restato mallevadore Iddioperché sisarebbe andati per la sua strada: avendone presa un'altrane restatemallevadore voi; e di quali conseguenze! Ma forse che tutti i ripariumani vi mancavano? forse che non era aperta alcuna via di scampoquand'aveste voluto guardarvi d'intornopensarcicercare? Ora voipotete sapere che que' vostri poveriniquando fossero statimaritatiavrebbero pensato da sé al loro scampoerandisposti a fuggire dalla faccia del potentes'eran giàdisegnato il luogo di rifugio. Ma anche senza questonon vi venne inmente che alla fine avevate un superiore? Il qualecome mai avrebbequest'autorità di riprendervi d'aver mancato al vostro ufiziose non avesse anche l'obbligo d'aiutarvi ad adempirlo? Perchénon avete pensato a informare il vostro vescovo dell'impedimento cheun'infame violenza metteva all'esercizio del vostro ministero?

"I pareri di Perpetua! " pensava stizzosamente don Abbondioacuiin mezzo a que' discorsiciò che stava piùvivamente davantiera l'immagine di que' bravie il pensiero chedon Rodrigo era vivo e sanoeun giorno o l'altrotornerebbeglorioso e trionfantee arrabbiato. E benché quella dignitàpresentequell'aspetto e quel linguaggiolo facessero star confusoe gl'incutessero un certo timoreera però un timore che nonlo soggiogava affattoné impediva al pensiero diricalcitrare: perché c'era in quel pensierochealla findelle finiil cardinale non adoprava né schiopponéspadané bravi.

-Come non avete pensato- proseguiva questo- chese a quegliinnocenti insidiati non fosse stato aperto altro rifugioc'ero ioper accoglierliper metterli in salvoquando voi me gli avesteindirizzatiindirizzati dei derelitti a un vescovocome cosa suacome parte preziosanon dico del suo caricoma delle sue ricchezze?E in quanto a voiiosarei divenuto inquieto per voi; ioavreidovuto non dormirefin che non fossi sicuro che non vi sarebbe tortoun capello. Ch'io non avessi comedovemettere in sicuro la vostravita? Ma quell'uomo che fu tanto arditocredete voi che non gli sisarebbe scemato punto l'ardirequando avesse saputo che le sue trameeran note fuor di quinote a mech'io vegliavoed ero risolutod'usare in vostra difesa tutti i mezzi che fossero in mia mano? Nonsapevate chese l'uomo promette troppo spesso più che non siaper mantenereminaccia anche non di radopiù che nons'attenti poi di commettere? Non sapevate che l'iniquità nonsi fonda soltanto sulle sue forzema anche sulla credulità esullo spavento altrui?

"Proprio le ragioni di Perpetua "pensò anche qui donAbbondiosenza riflettere che quel trovarsi d'accordo la sua serva eFederigo Borromeo su ciò che si sarebbe potuto e dovuto farevoleva dir molto contro di lui.

-Ma voi- proseguì e concluse il cardinale- non avete vistonon avete voluto veder altro che il vostro pericolo temporale; qualmaraviglia che vi sia parso taleda trascurar per esso ogni altracosa?

-Gli è perché le ho viste io quelle facce- scappòdetto a don Abbondio; - le ho sentite io quelle parole. Vossignoriaillustrissima parla bene; ma bisognerebbe esser ne' panni d'un poveropretee essersi trovato al punto.

Appenaebbe proferite queste parolesi morse la lingua; s'accorse d'essersilasciato troppo vincere dalla stizzae disse tra sé: "ora vien la grandine ". Ma alzando dubbiosamente lo sguardofututto maravigliatonel veder l'aspetto di quell'uomoche non gliriusciva mai d'indovinare né di capirenel vederlodicopassareda quella gravità autorevole e correttricea unagravità compunta e pensierosa.

-Pur troppo! - disse Federigo- tale è la misera e terribilenostra condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli altri quelloche Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dobbiamo giudicarecorreggereriprendere; e Dio sa quel che faremmo noi nel casostessoquel che abbiam fatto in casi somiglianti! Ma guai s'iodovessi prender la mia debolezza per misura del dovere altruipernorma del mio insegnamento! Eppure è certo cheinsieme con ledottrineio devo dare agli altri l'esempionon rendermi simile aldottor della leggeche carica gli altri di pesi che non possonportaree che lui non toccherebbe con un dito. Ebbenefigliuolo efratello; poiché gli errori di quelli che presiedonosonospesso più noti agli altri che a loro; se voi sapete ch'ioabbiaper pusillanimitàper qualunque rispettotrascuratoqualche mio obbligoditemelo francamentefatemi ravvedere;affinchédov'è mancato l'esempiosupplisca almeno laconfessione. Rimproveratemi liberamente le mie debolezze; e allora leparole acquisteranno più valore nella mia boccaperchésentirete più vivamenteche non son miema di Chi puòdare a voi e a me la forza necessaria per far ciò cheprescrivono.

"Oh che sant'uomo! ma che tormento! - pensava don Abbondio: - anchesopra di sé: purché frughirimesticritichiinquisisca; anche sopra di sé ". Disse poi ad alta voce:- ohmonsignore! che mi fa celia? Chi non conosce il petto fortelozelo imperterrito di vossignoria illustrissima? - E tra sésoggiunse: " anche troppo ".

-Io non vi chiedevo una lodeche mi fa tremare- disse Federigo-perché Dio conosce i miei mancamentie quello che ne conoscoanch'iobasta a confondermi. Ma avrei volutovorrei che ciconfondessimo insieme davanti a Luiper confidare insieme. Vorreiper amor vostroche intendeste quanto la vostra condotta sia stataoppostaquanto sia opposto il vostro linguaggio alla legge che purpredicatee secondo la quale sarete giudicato.

-Tutto casca addosso a me- disse don Abbondio: - ma queste personeche son venute a rapportarenon le hanno poi detto d'essersiintrodotte in casa miaa tradimentoper sorprendermie per fare unmatrimonio contro le regole.

-Me l'hanno dettofigliuolo: ma questo m'accoraquesto m'atterrache voi desideriate ancora di scusarvi; che pensiate di scusarviaccusando; che prendiate materia d'accusa da ciò chedovrebb'esser parte della vostra confessione. Chi gli ha messinondico nella necessitàma nella tentazione di far ciòche hanno fatto? Avrebbero essi cercata quella via irregolarese lalegittima non fosse loro stata chiusa? pensato a insidiare ilpastorese fossero stati accolti nelle sue bracciaaiutaticonsigliati da lui? a sorprenderlose non si fosse nascosto? E aquesti voi date carico? e vi sdegnate perchédopo tantesventureche dico? nel mezzo della sventuraabbian detto una paroladi sfogo al loroal vostro pastore? Che il ricorso dell'oppressolaquerela dell'afflitto siano odiosi al mondoil mondo è tale;ma noi! E che pro sarebbe stato per voise avessero taciuto? Vitornava conto che la loro causa andasse intera al giudizio di Dio?Non è per voi una nuova ragione d'amar queste persone (e giàtante ragioni n'avete)che v'abbian dato occasione di sentir la vocesincera del vostro vescovoche v'abbian dato un mezzo di conoscermeglioe di scontare in parte il gran debito che avete con loro? Ah!se v'avessero provocatooffesotormentatovi direi (e dovrei iodirvelo?) d'amarliappunto per questo. Amateli perché hannopatitoperché patisconoperché son vostriperchéson deboliperché avete bisogno d'un perdonoa ottenervi ilqualepensate di qual forza possa essere la loro preghiera.

DonAbbondio stava zitto; ma non era più quel silenzio forzato eimpaziente: stava zitto come chi ha più cose da pensare che dadire. Le parole che sentivaeran conseguenze inaspettateapplicazioni nuovema d'una dottrina antica però nella suamentee non contrastata. Il male degli altridalla consideraziondel quale l'aveva sempre distratto la paura del propriogli facevaora un'impressione nuova. E se non sentiva tutto il rimorso che lapredica voleva produrre (ché quella stessa paura era sempre lìa far l'ufizio di difensore)ne sentiva però; sentiva uncerto dispiacere di séuna compassione per gli altriunmisto di tenerezza e di confusione. Erase ci si lascia passarequesto paragonecome lo stoppino umido e ammaccato d'una candelache presentato alla fiamma d'una gran torciada principio fumaschizzascoppiettanon ne vuol saper nulla; ma alla fine s'accendeebene o malebrucia. Si sarebbe apertamente accusatoavrebbepiantose non fosse stato il pensiero di don Rodrigo; ma tuttavia simostrava abbastanza commossoperché il cardinale dovesseaccorgersi che le sue parole non erano state senza effetto.

-Ora- proseguì questo- uno fuggitivo da casa sual'altrain procinto d'abbandonarlatutt'e due con troppo forti motivi distarne lontanisenza probabilità di riunirsi mai quiecontenti di sperare che Dio li riunisca altrove; orapur troppononhanno bisogno di voi; pur troppovoi non avete occasione di far lorodel bene; né il corto nostro prevedere può scoprirnealcuna nell'avvenire. Ma chi sa se Dio misericordioso non ve neprepara? Ah non le lasciate sfuggire! cercatelestate alle velettepregatelo che le faccia nascere.

-Non mancheròmonsignorenon mancheròdavvero-rispose don Abbondiocon una voce chein quel momentovenivaproprio dal cuore.

-Ah sìfigliuolosì! - esclamò Federigo; e conuna dignità piena d'affettoconcluse: - lo sa il cielo seavrei desiderato di tener con voi tutt'altri discorsi. Tutt'e dueabbiamo già vissuto molto: lo sa il cielo se m'è statoduro di dover contristar con rimproveri codesta vostra canizieequanto sarei stato più contento di consolarci insieme dellenostre cure comunide' nostri guaiparlando della beata speranzaalla quale siamo arrivati così vicino. Piaccia a Dio che leparole le quali ho pur dovuto usar con voiservano a voi e a me. Nonfate che m'abbia a chieder contoin quel giornod'avervi mantenutoin un ufizioal quale avete così infelicemente mancato.Ricompriamo il tempo: la mezzanotte è vicina; lo Sposo non puòtardare; teniamo accese le nostre lampade. Presentiamo a Dio i nostricuori miserivòtiperché Gli piaccia riempirli diquella caritàche ripara al passatoche assicura l'avvenireche teme e confidapiange e si rallegracon sapienza; che diventain ogni caso la virtù di cui abbiamo bisogno.

Cosìdettosi mosse; e don Abbondio gli andò dietro.

Quil'anonimo ci avvisa che non fu questo il solo abboccamento di que'due personagginé Lucia il solo argomento de' loroabboccamenti; ma che lui s'è ristretto a questoper non andarlontano dal soggetto principale del racconto. E cheper lo stessomotivonon farà menzione d'altre cose notabilidette daFederigo in tutto il corso della visitané delle sueliberalitàné delle discordie sedatedegli odiantichi tra personefamiglieterre interespenti o (cosa ch'erapur troppo più frequente) sopitiné di qualchebravaccio o tirannello ammansatoo per tutta la vitao per qualchetempo; cose tutte delle quali ce n'era sempre più o menoinogni luogo della diocesi dove quell'uomo eccellente facesse qualchesoggiorno.

Dicepoichela mattina seguentevenne donna Prassedesecondo ilfissatoa prender Luciae a complimentare il cardinaleil qualegliela lodòe raccomandò caldamente. Lucia si staccòdalla madrepotete pensar con che pianti; e uscì dalla suacasetta; disse per la seconda volta addio al paesecon quel senso didoppia amarezzache si prova lasciando un luogo che fu unicamentecaroe che non può esserlo più. Ma i congedi con lamadre non eran gli ultimi; perché donna Prassede aveva dettoche si starebbe ancor qualche giorno in quella sua villala qualenon era molto lontana; e Agnese promise alla figlia d'andar làa trovarlaa dare e a ricevere un più doloroso addio.

Ilcardinale era anche lui sulle mosse per continuar la sua visitaquando arrivòe chiese di parlargli il curato dellaparrocchiain cui era il castello dell'innominato. Introdottoglipresentò un gruppo e una lettera di quel signorela quale lopregava di far accettare alla madre di Lucia cento scudi d'oroch'eran nel gruppoper servir di dote alla giovineo per quell'usoche ad esse sarebbe parso migliore; lo pregava insieme di dir lorochese maiin qualunque tempoavessero creduto che potesse renderloro qualche serviziola povera giovine sapeva pur troppo dovestesse; e per luiquella sarebbe una delle fortune piùdesiderate. Il cardinale fece subito chiamare Agnesele riferìla commissioneche fu sentita con altrettanta soddisfazione chemaraviglia; e le presentò il rotoloch'essa presesenza fargran complimenti. - Dio gliene renda meritoa quel signore- disse:- e vossignoria illustrissima lo ringrazi tanto tanto. E non dicanulla a nessunoperché questo è un certo paese... Miscusiveda; so bene che un par suo non va a chiacchierare di questecose; ma... lei m'intende.

Andòa casazittazitta; si chiuse in camerasvoltò il rotoloequantunque preparatavide con ammirazionetutti in un mucchietto esuoitanti di que' ruspide' quali non aveva forse mai visto piùd'uno per voltae anche di rado; li contòpenòalquanto a metterli di nuovo per taglioe a tenerli lì tuttiché ogni momento facevan panciae sgusciavano dalle sue ditainesperte; ricomposto finalmente un rotolo alla megliolo mise in uncencione fece un involtoun batuffolettoe legatolo bene in girocon della cordellinal'andò a ficcare in un cantuccio del suosaccone. Il resto di quel giornonon fece altro che mulinarefardisegni sull'avveniree sospirar l'indomani. Andata a lettostettedesta un pezzocol pensiero in compagnia di que' cento che avevasotto: addormentatali vide in sogno. All'albas'alzò es'incamminò subito verso la villadov'era Lucia.

Questadal canto suoquantunque non le fosse diminuita quella granripugnanza a parlar del votopure era risoluta di farsi forzaed'aprirsene con la madre in quell'abboccamentoche per lungo tempodoveva chiamarsi l'ultimo.

Appenapoterono esser soleAgnesecon una faccia tutta animatae insiemea voce bassacome se ci fosse stato presente qualcheduno a cui nonvolesse farsi sentirecominciò: - ho da dirti una gran cosa;- e le raccontò l'inaspettata fortuna.

-Iddio lo benedicaquel signore- disse Lucia: - così avreteda star bene voie potrete anche far del bene a qualchedun altro.

-Come? - rispose Agnese: - non vedi quante cose possiamo farecontanti danari? Senti; io non ho altro che teche voi dueposso dire;perché Renzoda che cominciò a discorrertil'hosempre riguardato come un mio figliuolo. Tutto sta che non gli siaaccaduta qualche disgraziaa vedere che non ha mai fatto sapernulla: ma eh! deve andar tutto male? Speriamo di nosperiamo. Permeavrei avuto caro di lasciar l'ossa nel mio paese; ma ora che tunon ci puoi starein grazia di quel birbonee anche solamente apensare d'averlo vicino coluim'è venuto in odio il miopaese: e con voi altri io sto per tutto. Ero dispostafin d'alloraa venir con voi altrianche in capo al mondo; e son sempre stata diquel parere; ma senza danari come si fa? Intendi ora? Que' quattroche quel poverino aveva messi da partecon tanto stento e con tantorisparmioè venuta la giustiziae ha spazzato ogni cosa; maper ricompensail Signore ha mandato la fortuna a noi. Dunquequando avrà trovato il bandolo di far sapere se è vivoe dov'èe che intenzioni hati vengo a prender io a Milano;io ti vengo a prendere. Altre volte mi sarebbe parso un gran che; male disgrazie fanno diventar disinvolti; fino a Monza ci sono andatae so cos'è viaggiare. Prendo con me un uomo di propositounparentecome sarebbe a dire Alessio di Maggianico: chéavoler dir proprio in paeseun uomo di proposito non c'è:vengo con lui: già la spesa la facciamo noie... intendi?

Mavedendo chein vece d'animarsiLucia s'andava accorandoe nondimostrava che una tenerezza senz'allegrialasciò il discorsoa mezzoe disse: - ma cos'hai? non ti pare?

-Povera mamma! - esclamò Luciagettandole un braccio al colloe nascondendo il viso nel seno di lei.

-Cosa c'è? - domandò di nuovo ansiosamente la madre.

-Avrei dovuto dirvelo prima- rispose Luciaalzando il visoeasciugandosi le lacrime; - ma non ho mai avuto cuore: compatitemi.

-Ma dì sudunque.

-Io non posso più esser moglie di quel poverino!

-Come? come?

Luciacol capo bassocol petto ansantelacrimando senza piangerecomechi racconta una cosa chequand'anche dispiacessenon si puòcambiarerivelò il voto; e insiemegiungendo le manichiesedi nuovo perdono alla madredi non aver parlato fin allora; la pregòdi non ridir la cosa ad anima viventee d'aiutarla ad adempire ciòche aveva promesso.

Agneseera rimasta stupefatta e costernata. Voleva sdegnarsi del silenziotenuto con lei; ma i gravi pensieri del caso soffogavano queldispiacere suo proprio; voleva dirle: cos'hai fatto? ma le pareva chesarebbe un prendersela col cielo: tanto più che Lucia tornavaa dipinger co' più vivi colori quella nottela desolazionecosì nerae la liberazione così imprevedutatra lequali la promessa era stata fattacosì espressacosìsolenne. E intantoad Agnese veniva anche in mente questo equell'esempioche aveva sentito raccontar più volteche leistessa aveva raccontato alla figliadi gastighi strani e terribilivenuti per la violazione di qualche voto. Dopo esser rimasta un pococome incantatadisse: - e ora cosa farai?

-Ora- rispose Lucia- tocca al Signore a pensarci; al Signore ealla Madonna. Mi son messa nelle lor mani: non m'hanno abbandonatafinora; non m'abbandoneranno ora che... La grazia che chiedo per meal Signorela sola graziadopo la salvazion dell'animaèche mi faccia tornar con voi: e me la concederàsìmela concederà. Quel giorno... in quella carrozza... ah Verginesantissima!... quegli uomini!... chi m'avrebbe detto che mi menavanoda colui che mi doveva menare a trovarmi con voiil giorno dopo?

-Ma non parlarne subito a tua madre! - disse Agnese con una certastizzetta temperata d'amorevolezza e di pietà.

-Compatitemi; non avevo cuore... e che sarebbe giovato d'affliggerviqualche tempo prima?

-E Renzo? - disse Agnesetentennando il capo. `

-Ah! - esclamò Luciariscotendosi- io non ci devo pensar piùa quel poverino. Già si vede che non era destinato... Vedetecome pare che il Signore ci abbia voluti proprio tener separati. Echi sa...? ma nono: l'avrà preservato Lui da' pericolie lofarà esser fortunato anche di piùsenza di me.

-Ma intanto- riprese la madre- se non fosse che tu ti sei legataper semprea tutto il restoquando a Renzo non gli sia accadutaqualche disgraziacon que' danari io ci avevo trovato rimedio.

-Ma que' danari- replicò Lucia- ci sarebbero venutis'ionon avessi passata quella notte? È il Signore che ha volutoche tutto andasse così: sia fatta la sua volontà -. Ela parola morì nel pianto.

Aquell'argomento inaspettatoAgnese rimase lì pensierosa. Dopoqualche momentoLuciarattenendo i singhiozziriprese: - ora chela cosa è fattabisogna adattarsi di buon animo; e voipovera mammavoi mi potete aiutareprimapregando il Signore perla vostra povera figliae poi... bisogna bene che quel poverino losappia. Pensateci voifatemi anche questa carità; chévoi ci potete pensare. Quando saprete dov'èfategli scriveretrovate un uomo... appunto vostro cugino Alessioche è unuomo prudente e caritatevolee ci ha sempre voluto benee nonciarlerà: fategli scriver da lui la cosa com'è andatadove mi son trovatacome ho patitoe che Dio ha voluto cosìe che metta il cuore in pacee ch'io non posso mai mai esser dinessuno. E fargli capir la cosa con buona graziaspiegargli che hopromessoche ho proprio fatto voto. Quando saprà che hopromesso alla Madonna... ha sempre avuto il timor di Dio. E voilaprima volta che avrete le sue nuovefatemi scriverefatemi saperche è sano; e poi... non mi fate più saper nulla.

Agnesetutta inteneritaassicurò la figlia che ogni cosa si farebbecome desiderava.

-Vorrei dirvi un'altra cosa- riprese questa: - quel poverinose nonavesse avuto la disgrazia di pensare a menon gli sarebbe accadutociò che gli è accaduto. È per il mondo; glihanno troncato il suo avviamentogli hanno portato via la sua robaque' risparmi che aveva fattipoverinosapete perché... Enoi abbiamo tanti danari! Oh mamma! giacché il Signore ci hamandato tanto benee quel poverinoè proprio vero che loriguardavate come vostro... sìcome un figliuolooh! fatemezzo per uno; chésicuroIddio non ci mancherà.Cercate un'occasione fidatae mandateglieliché sa il cielocome n'ha bisogno!

-Ebbenecosa credi? - rispose Agnese: - glieli manderòdavvero. Povero giovine! Perché pensi tu ch'io fossi cosìcontenta di que' danari? Ma...! io era proprio venuta qui tuttacontenta. Bastaio glieli manderòpovero Renzo! ma anchelui... so quel che dico; certo che i danari fanno piacere a chi n'habisogno; ma questi non saranno quelli che lo faranno ingrassare.

Luciaringraziò la madre di quella pronta e liberale condiscendenzacon una gratitudinecon un affettoda far capire a chi l'avesseosservatache il suo cuore faceva ancora a mezzo con Renzoforsepiù che lei medesima non lo credesse.

-E senza di teche farò io povera donna? - disse Agnesepiangendo anch'essa.

-E io senza di voipovera mamma? e in casa di forestieri? e laggiùin quel Milano...! Ma il Signore sarà con tutt'e due; e poi cifarà tornare insieme. Tra otto o nove mesi ci rivedremo; e diqui allorae anche primasperoavrà accomodate le cose Luiper riunirci. Lasciamo fare a Lui. La chiederò sempre semprealla Madonna questa grazia. Se avessi qualche altra cosa da offrirlelo farei; ma è tanto misericordiosache me l'otterràper niente.

Conqueste ed altre similie più volte ripetute parole di lamentoe di confortodi rammarico e di rassegnazionecon molteraccomandazioni e promesse di non dir nullacon molte lacrimedopolunghi e rinnovati abbracciamentile donne si separaronopromettendosi a vicenda di rivedersi il prossimo autunnoal piùtardi; come se il mantenere dipendesse da loroe come però sifa sempre in casi simili.

Intantocominciò a passar molto tempo senza che Agnese potesse sapernulla di Renzo. Né lettere né imbasciate da parte diluinon ne veniva: di tutti quelli del paeseo del contornoa cuipoté domandarenessuno ne sapeva più di lei.

Enon era la sola che facesse invano una tal ricerca: il cardinalFederigoche non aveva detto per cerimonia alle povere donnedivoler prendere informazioni del povero giovineaveva infatti scrittosubito per averne. Tornato poi dalla visita a Milanoaveva ricevutola risposta in cui gli si diceva che non s'era potuto trovar recapitodell'indicato soggetto; che veramente era stato qualche tempo in casad'un suo parentenel tal paesedove non aveva fatto dir di sé;mauna mattinaera scomparso all'improvvisoe quel suo parentestesso non sapeva cosa ne fosse statoe non poteva che ripeterecerte voci in aria e contraddittorie che correvanoessersi ilgiovine arrolato per il Levanteesser passato in Germaniaperitonel guadare un fiume: che non si mancherebbe di stare alle velettese mai si potesse saper qualcosa di più positivoper farnesubito parte a sua signoria illustrissima e reverendissima.

Piùtardiquelle ed altre voci si sparsero anche nel territorio diLeccoe vennero per conseguenza agli orecchi d'Agnese. La poveradonna faceva di tutto per venire in chiaro qual fosse la veraperarrivare alla fonte di questa e di quellama non riusciva mai atrovar di più di quel diconocheanche al giornod'oggibasta da sé ad attestar tante cose. Taloraappenaglien'era stata raccontata unaveniva uno e le diceva che non eravero nulla; ma per dargliene in cambio un'altraugualmente strana osinistra. Tutte ciarle: ecco il fatto.

Ilgovernatore di Milano e capitano generale in Italiadon GonzaloFernandez di Cordovaaveva fatto un gran fracasso col signorresidente di Venezia in Milanoperché un malandrinounladrone pubblicoun promotore di saccheggio e d'omicidioil famosoLorenzo Tramaglinochenelle mani stesse della giustiziaavevaeccitato sommossa per farsi liberarefosse accolto e ricettato nelterritorio bergamasco. Il residente avea risposto che la cosa gliriusciva nuovae che scriverebbe a Veneziaper poter dare a suaeccellenza quella spiegazione che il caso avesse portato.

AVenezia avevan per massima di secondare e di coltivare l'inclinazionedegli operai di seta milanesi a trasportarsi nel territoriobergamascoe quindi di far che ci trovassero molti vantaggi esoprattutto quello senza di cui ogni altro è nullalasicurezza. Siccome peròtra due grossi litigantiqualchecosaper poco che siabisogna sempre che il terzo goda; cosìBortolo fu avvisato in confidenzanon si sa da chiche Renzo nonistava bene in quel paesee che farebbe meglio a entrare in qualchealtra fabbricacambiando anche nome per qualche tempo. Bortolointese per arianon domandò altrocorse a dir la cosa alcuginolo prese con sé in un calessinolo condusse a unaltro filatoiodiscosto da quello forse quindici migliae lopresentòsotto il nome d'Antonio Rivoltaal padronech'eranativo anche lui dello stato di Milanoe suo antico conoscente.Questoquantunque l'annata fosse scarsanon si fece pregare aricevere un operaio che gli era raccomandato come onesto e abiledaun galantuomo che se n'intendeva. Alla prova poinon ebbe che alodarsi dell'acquisto; meno chesul principiogli era parso che ilgiovine dovesse essere un po' storditoperchéquando sichiamava: Antonio! le più volte non rispondeva.

Pocodopovenne un ordine da Veneziain istile pacatoal capitano diBergamoche prendesse e desse informazionese nella suagiurisdizionee segnatamente nel tal paesesi trovasse il talsoggetto. Il capitanofatte le sue diligenzecome aveva capito chesi volevanotrasmise la risposta negativala quale fu trasmessa alresidente in Milanoche la trasmettesse al gran cancelliere chepotrebbe trasmetterla a don Gonzalo Fernandez di Cordova.

Nonmancavan poi curiosiche volessero saper da Bortolo il perchéquel giovine non c'era piùe dove fosse andato. Alla primadomanda Bortolo rispondeva: - ma! è scomparso -. Per mandarpoi in pace i più insistentisenza dar loro sospetto di quelche n'era davveroaveva creduto bene di regalar loroa chi l'unaachi l'altra delle notizie da noi riferite di sopra: peròcomecose incerteche aveva sentite dire anche luisenza averne unriscontro positivo.

Maquando la domanda gli venne fatta per commission del cardinalesenzanominarloe con un certo apparato d'importanza e di misterolasciando capire ch'era in nome d'un gran personaggiotanto piùBortolo s'insospettìe credé necessario di rispondersecondo il solito; anzitrattandosi d'un gran personaggiodiede inuna volta tutte le notizie che aveva stampate a una a unain quellediverse occorrenze.

Nonsi creda però che don Gonzaloun signore di quella sortel'avesse proprio davvero col povero filatore di montagna; cheinformato forse del poco rispetto usatoe delle cattive parole detteda colui al suo re moro incatenato per la golavolesse farglielapagare; o che lo credesse un soggetto tanto pericolosodaperseguitarlo anche fuggitivoda non lasciarlo vivere anche lontanocome il senato romano con Annibale. Don Gonzalo aveva troppe e troppogran cose in testaper darsi tanto pensiero de' fatti di Renzo; e separve che se ne dessenacque da un concorso singolare dicircostanzeper cui il poveracciosenza volerloe senza saperlo néallora né maisi trovòcon un sottilissimo einvisibile filoattaccato a quelle troppe e troppo gran cose.




Cap.XXVII


Giàpiù d'una volta c'è occorso di far menzione dellaguerra che allora bollivaper la successione agli stati del ducaVincenzo Gonzagasecondo di quel nome; ma c'è occorso semprein momenti di gran fretta: sicché non abbiam mai potuto darnepiù che un cenno alla sfuggita. Ora peròall'intelligenza del nostro racconto si richiede proprio d'avernequalche notizia più particolare. Son cose che chi conosce lastoria le deve sapere; ma siccomeper un giusto sentimento di noimedesimidobbiam supporre che quest'opera non possa esser letta senon da ignoranticosì non sarà male che ne diciamo quiquanto basti per infarinarne chi n'avesse bisogno.

Abbiamdetto chealla morte di quel ducail primo chiamato in linea disuccessioneCarlo Gonzagacapo d'un ramo cadetto trapiantato inFranciadove possedeva i ducati di Nevers e di Rhetelera entratoal possesso di Mantova; e ora aggiungiamodel Monferrato: che lafretta appunto ce l'aveva fatto lasciar nella penna. La corte diMadridche voleva a ogni patto (abbiam detto anche questo) escludereda que' due feudi il nuovo principee per escluderlo aveva bisognod'una ragione (perché le guerre fatte senza una ragionesarebbero ingiuste)s'era dichiarata sostenitrice di quella chepretendevano averesu Mantova un altro GonzagaFerranteprincipedi Guastalla; sul Monferrato Carlo Emanuele Iduca di SavoiaeMargherita Gonzagaduchessa vedova di Lorena. Don Gonzaloch'eradella casa del gran capitanoe ne portava il nomee che aveva giàfatto la guerra in Fiandravoglioso oltremodo di condurne una inItaliaera forse quello che faceva più fuocoperchéquesta si dichiarasse; e intantointerpretando l'intenzioni eprecorrendo gli ordini della corte suddettaaveva concluso col ducadi Savoia un trattato d'invasione e di divisione del Monferrato; en'aveva poi ottenuta facilmente la ratificazione dal conte ducafacendogli creder molto agevole l'acquisto di Casalech'era il puntopiù difeso della parte pattuita al re di Spagna. Protestavaperòin nome di questodi non volere occupar paesese non atitolo di depositofino alla sentenza dell'imperatore; il qualeinparte per gli ufizi altruiin parte per suoi propri motiviavevaintanto negata l'investitura al nuovo ducae intimatogli cherilasciasse a lui in sequestro gli stati controversi: lui poisentite le partili rimetterebbe a chi fosse di dovere. Cosa allaquale il Nevers non s'era voluto piegare.

Avevaanche lui amici d'importanza: il cardinale di Richelieui signorivenezianie il papach'eracome abbiam dettoUrbano VIII. Ma ilprimoimpegnato allora nell'assedio della Roccella e in una guerracon l'Inghilterraattraversato dal partito della regina madreMariade' Medicicontrariaper certi suoi motivialla casa di Neversnon poteva dare che delle speranze. I veneziani non volevan moversie nemmeno dichiararsise prima un esercito francese non fosse calatoin Italia; eaiutando il duca sotto manocome potevanocon lacorte di Madrid e col governatore di Milano stavano sulle protestesulle propostesull'esortazioniplacide o minacciosesecondo imomenti. Il papa raccomandava il Nevers agli amiciintercedeva insuo favore presso gli avversarifaceva progetti d'accomodamento; dimetter gente in campo non ne voleva saper nulla.

Cosìi due alleati alle offese poteronotanto più sicuramentecominciar l'impresa concertata. Il duca di Savoia era entratodallasua partenel Monferrato; don Gonzalo aveva messocon gran voglial'assedio a Casale; ma non ci trovava tutta quella soddisfazione ches'era immaginato: che non credeste che nella guerra sia tutto rose.La corte non l'aiutava a seconda de' suoi desidèrianzi glilasciava mancare i mezzi più necessari; l'alleato l'aiutavatroppo: voglio dire chedopo aver presa la sua porzioneandavaspilluzzicando quella assegnata al re di Spagna. Don Gonzalo se nerodeva quanto mai si possa dire; ma temendose faceva appena un po'di rumoreche quel Carlo Emanuelecosì attivo ne' maneggi emobile ne' trattaticome prode nell'armisi voltasse alla Franciadoveva chiudere un occhiomandarla giùe stare zitto.L'assedio poi andava malein lungoogni tanto all'indietroe peril contegno saldovigilanterisoluto degli assediatie per averlui poca genteeal dire di qualche storicoper i molti spropositiche faceva. Su questo noi lasciamo la verità a suo luogodisposti anchequando la cosa fosse realmente cosìatrovarla bellissimase fu cagione che in quell'impresa sia restatomortosmozzicatostorpiato qualche uomo di menoeceterisparibusanche soltanto un po' meno danneggiati i tegoli diCasale. In questi frangenti ricevette la nuova della sedizione diMilanoe ci accorse in persona.

Quinel ragguaglio che gli si diedefu fatta anche menzione della fugaribelle e clamorosa di Renzode' fatti veri e supposti ch'eranostati cagione del suo arresto; e gli si seppe anche dire che questotale s'era rifugiato sul territorio di Bergamo. Questa circostanzafermò l'attenzione di don Gonzalo. Era informato da tutt'altraparteche a Venezia avevano alzata la crestaper la sommossa diMilano; che da principio avevan creduto che sarebbe costretto a levarl'assedio da Casalee pensavan tuttavia che ne fosse ancorasbalorditoe in gran pensiero: tanto più chesubito dopoquell'avvenimentoera arrivata la notiziasospirata da que' signorie temuta da luidella resa della Roccella. E scottandogli moltoecome uomo e come politicoche que' signori avessero un tal concettode' fatti suoispiava ogni occasione di persuaderliper viad'induzioneche non aveva perso nulla dell'antica sicurezza; giacchéil dire espressamente: non ho pauraè come non dir nulla. Unbuon mezzo è di fare il disgustatodi querelarsidireclamare: e perciòessendo venuto il residente di Venezia afargli un complimentoe ad esplorare insiemenella sua faccia e nelsuo contegnocome stesse dentro di sé (notate tutto; chéquesta è politica di quella vecchia fine)don Gonzalodopoaver parlato del tumultoleggermente e da uomo che ha giàmesso riparo a tutto; fece quel fracasso che sapete a proposito diRenzo; come sapete anche quel che ne venne in conseguenza. Doponons'occupò più d'un affare così minuto einquanto a luiterminato; e quando poiche fu un pezzo dopogliarrivò la rispostaal campo sopra Casaledov'era tornatoedove aveva tutt'altri pensierialzò e dimenò la testacome un baco da seta che cerchi la foglia; stette lì unmomentoper farsi tornar vivo nella memoria quel fattodi cui nonci rimaneva più che un'ombra; si rammentò della cosaebbe un'idea fugace e confusa del personaggio; passò ad altroe non ci pensò più.

MaRenzoil qualeda quel poco che gli s'era fatto veder per ariadoveva supporre tutt'altro che una così benigna noncuranzastette un pezzo senz'altro pensiero oper dir megliosenz'altrostudioche di viver nascosto. Pensate se si struggeva di mandar lesue nuove alle donnee d'aver le loro; ma c'eran due grandifficoltà. Unache avrebbe dovuto anche lui confidarsi a unsegretarioperché il poverino non sapeva scriveree neppurleggerenel senso esteso della parola; e seinterrogato di ciòcome forse vi ricorderetedal dottor Azzecca-garbugliavevarisposto di sìnon fu un vantouna sparatacome si dice; maera la verità che lo stampato lo sapeva leggeremettendoci ilsuo tempo: lo scritto è un altro par di maniche. Era dunquecostretto a mettere un terzo a parte de' suoi interessid'un segretocosì geloso: e un uomo che sapesse tener la penna in manoedi cui uno si potesse fidarea que' tempi non si trovava cosìfacilmente; tanto più in un paese dove non s'avesse nessunaantica conoscenza. L'altra difficoltà era d'avere anche uncorriere; un uomo che andasse appunto da quelle partiche volesseincaricarsi della letterae darsi davvero il pensiero direcapitarla; tutte coseanche questedifficili a trovarsi in unuomo solo.

Finalmentecerca e ricercatrovò chi scrivesse per lui. Manon sapendose le donne fossero ancora a Monzao dovecredé bene di fareaccluder la lettera per Agnese in un'altra diretta al padreCristoforo. Lo scrivano prese anche l'incarico di far recapitare ilplico; lo consegnò a uno che doveva passare non lontano daPescarenico; costui lo lasciòcon molte raccomandazioniinun'osteria sulla stradaal punto più vicino; trattandosi cheil plico era indirizzato a un conventoci arrivò; ma cosan'avvenisse doponon s'è mai saputo. Renzonon vedendocomparir rispostafece stendere un'altra letteraa un di pressocome la primae accluderla in un'altra a un suo amico di Leccooparente che fosse. Si cercò un altro latoresi trovò;questa volta la lettera arrivò a chi era diretta. Agnesetrottò a Maggianicose la fece leggere e spiegare daquell'Alessio suo cugino: concertò con lui una rispostachequesto mise in carta; si trovò il mezzo di mandarla ad AntonioRivolta nel luogo del suo domicilio: tutto questo però noncosì presto come noi lo raccontiamo. Renzo ebbe la rispostaefece riscrivere. In sommas'avviò tra le due parti uncarteggioné rapido né regolarema purea balzi e adintervallicontinuato.

Maper avere un'idea di quel carteggiobisogna sapere un poco comeandassero allora tali coseanzi come vadano; perchéinquesto particolarecredo che ci sia poco o nulla di cambiato.

Ilcontadino che non sa scriveree che avrebbe bisogno di scriveresirivolge a uno che conosca quell'artescegliendoloper quanto puòtra quelli della sua condizioneperché degli altri si peritao si fida poco; l'informacon più o meno ordine e chiarezzadegli antecedenti: e gli esponenella stessa manierala cosa damettere in carta. Il letteratoparte intendeparte frantendedàqualche consigliopropone qualche cambiamentodice: lasciate fare ame; piglia la pennamette come può in forma letteraria ipensieri dell'altroli correggeli miglioracarica la manooppuresmorzalascia anche fuorisecondo gli pare che torni meglio allacosa: perchénon c'è rimediochi ne sa piùdegli altri non vuol essere strumento materiale nelle loro mani; equando entra negli affari altruivuol anche fargli andare un po' amodo suo. Con tutto ciòal letterato suddetto non gli riescesempre di dire tutto quel che vorrebbe; qualche volta gli accade didire tutt'altro: accade anche a noi altriche scriviamo per lastampa. Quando la lettera così composta arriva alle mani delcorrispondenteche anche lui non abbia pratica dell'abbiccìla porta a un altro dotto di quel calibroil quale gliela legge egliela spiega. Nascono delle questioni sul modo d'intendere; perchél'interessatofondandosi sulla cognizione de' fatti antecedentipretende che certe parole voglian dire una cosa; il lettorestandoalla pratica che ha della composizionepretende che ne vogliano direun'altra. Finalmente bisogna che chi non sa si metta nelle mani dichi sae dia a lui l'incarico della risposta: la qualefatta sulgusto della propostava poi soggetta a un'interpretazione simile.Che seper di piùil soggetto della corrispondenza èun po' geloso; se c'entrano affari segretiche non si vorrebberolasciar capire a un terzocaso mai che la lettera andasse persa; seper questo riguardoc'è stata anche l'intenzione positiva dinon dir le cose affatto chiare; alloraper poco che lacorrispondenza durile parti finiscono a intendersi tra di loro comealtre volte due scolastici che da quattr'ore disputasserosull'entelechia: per non prendere una similitudine da cose vive; checi avesse poi a toccare qualche scappellotto.

Orail caso de' nostri due corrispondenti era appunto quello che abbiamdetto. La prima lettera scritta in nome di Renzo conteneva moltematerie. Da principiooltre un racconto della fugamolto piùconcisoma anche più arruffato di quello che avete lettounragguaglio delle sue circostanze attuali; dal qualetanto Agnesequanto il suo turcimanno furono ben lontani di ricavare un costruttochiaro e intero: avviso segretocambiamento di nomeesser sicuroma dovere star nascosto; cose per sé non troppo famigliari a'loro intellettie nella lettera dette anche un po' in cifra. C'erapoi delle domande affannoseappassionatesu' casi di Luciacon de'cenni oscuri e dolentiintorno alle voci che n'erano arrivate fino aRenzo. C'erano finalmente speranze incertee lontanedisegnilanciati nell'avveniree intanto promesse e preghiere di mantener lafede datadi non perder la pazienza né il coraggiod'aspettar migliori circostanze.

Dopoun po' di tempoAgnese trovò un mezzo fidato di far pervenirenelle mani di Renzo una rispostaco' cinquanta scudi assegnatigli daLucia. Al veder tant'oroRenzo non sapeva cosa si pensare; e conl'animo agitato da una maraviglia e da una sospensione che non davanluogo a contentezzacorse in cerca del segretarioper farsiinterpretar la letterae aver la chiave d'un così stranomistero.

Nellaletterail segretario d'Agnesedopo qualche lamento sulla pocachiarezza della propostapassava a descriverecon chiarezza a un dipresso ugualela tremenda storia di quella persona (cosìdiceva); e qui rendeva ragione de' cinquanta scudi; poi veniva aparlar del votoma per via di perifrasiaggiungendocon parole piùdirette e aperteil consiglio di mettere il cuore in pacee di nonpensarci più.

Renzopoco mancò che non se la prendesse col lettore interprete:tremavainorridivas'infuriavadi quel che aveva capitoe di quelche non aveva potuto capire. Tre o quattro volte si fece rileggere ilterribile scrittoora parendogli d'intender meglioora divenendoglibuio ciò che prima gli era parso chiaro. E in quella febbre dipassionivolle che il segretario mettesse subito mano alla pennaerispondesse. Dopo l'espressioni più forti che si possanoimmaginare di pietà e di terrore per i casi di Lucia-scrivete- proseguiva dettando- che io il cuore in pace non lovoglio metteree non lo metterò mai; e che non son pareri dadarsi a un figliuolo par mio; e che i danari non li toccherò;che li ripongoe li tengo in depositoper la dote della giovine;che già la giovine dev'esser mia; che io non so di promessa; eche ho ben sempre sentito dire che la Madonna c'entra per aiutare itribolatie per ottener delle graziema per far dispetto e permancar di parolanon l'ho sentito mai; e che codesto non puòstare; e checon questi danariabbiamo a metter su casa qui; e chese ora sono un po' imbrogliatol'è una burrasca che passeràpresto -; e cose simili.

Agnesericevé poi quella letterae fece riscrivere; e il carteggiocontinuònella maniera che abbiam detto.

Luciaquando la madre ebbe potutonon so per qual mezzofarle sapere chequel tale era vivo e in salvo e avvertitosentì un gransollievoe non desiderava più altrose non che sidimenticasse di lei; oper dir la cosa proprio a un puntinochepensasse a dimenticarla. Dal canto suofaceva cento volte al giornouna risoluzione simile riguardo a lui; e adoprava anche ogni mezzoper mandarla ad effetto. Stava assidua al lavorocercava d'occuparsitutta in quello: quando l'immagine di Renzo le si presentavae lei adire o a cantare orazioni a mente. Ma quell'immagineproprio come seavesse avuto malizianon veniva per lo piùcosì allascoperta; s'introduceva di soppiatto dietro all'altrein modo che lamente non s'accorgesse d'averla ricevutase non dopo qualche tempoche la c'era. Il pensiero di Lucia stava spesso con la madre: comenon ci sarebbe stato? e il Renzo ideale veniva pian piano a mettersiin terzocome il reale aveva fatto tante volte. Così contutte le personein tutti i luoghiin tutte le memorie del passatocolui si veniva a ficcare. E se la poverina si lasciava andar qualchevolta a fantasticar sul suo avvenireanche lì comparivacoluiper direse non altro: io a buon conto non ci sarò.Peròse il non pensare a lui era impresa disperataapensarci menoe meno intensamente che il cuore avrebbe volutoLuciaci riusciva fino a un certo segno: ci sarebbe anche riuscita megliose fosse stata sola a volerlo. Ma c'era donna Prassedela qualetutta impegnata dal canto suo a levarle dall'animo coluinon avevatrovato miglior espediente che di parlargliene spesso. - Ebbene? - lediceva: - non ci pensiam più a colui?

-Io non penso a nessuno- rispondeva Lucia.

DonnaPrassede non s'appagava d'una risposta simile; replicava che civolevan fatti e non parole; si diffondeva a parlare sul costume dellegiovanile qualidiceva- quando hanno nel cuore uno scapestrato(ed è lì che inclinano sempre)non se lo staccan più.Un partito onestoragionevoled'un galantuomod'un uomo assestatocheper qualche accidentevada a monteson subito rassegnate; maun rompicolloè piaga incurabile -. E allora principiava ilpanegirico del povero assentedel birbante venuto a Milanoperrubare e scannare; e voleva far confessare a Lucia le bricconate checolui doveva aver fattesicuramente anche al suo paese.

Luciacon la voce tremante di vergognadi doloree di quello sdegno chepoteva aver luogo nel suo animo dolce e nella sua umile fortunaassicurava e attestavacheal suo paesequel poveretto non avevamai fatto parlar di séaltro che in bene; avrebbe volutodicevache fosse presente qualcheduno di làper fargli fartestimonianza. Anche sull'avventure di Milanodelle quali non eraben informatalo difendevaappunto con la cognizione che aveva dilui e de' suoi portamenti fino dalla fanciullezza. Lo difendeva o siproponeva di difenderloper puro dovere di caritàper amoredel veroea dir proprio la parola con la quale spiegava a sestessa il suo sentimentocome prossimo. Ma da queste apologie donnaPrassede ricavava nuovi argomenti per convincer Luciache il suocuore era ancora perso dietro a colui. E per veritàin que'momentinon saprei ben dire come la cosa stesse. L'indegno ritrattoche la vecchia faceva del poverinorisvegliavaper opposizionepiùviva e più distinta che mainella mente della giovine l'ideache vi s'era formata in una così lunga consuetudine; lerimembranze compresse a forzasi svolgevano in folla; l'avversione eil disprezzo richiamavano tanti antichi motivi di stima; l'odio ciecoe violento faceva sorger più forte la pietà: e conquesti affettichi sa quanto ci potesse essere o non essere diquell'altro che dietro ad essi s'introduce così facilmentenegli animi; figuriamoci cosa farà in quellidonde si trattidi scacciarlo per forza. Sia come si siail discorsoper la partedi Lucianon sarebbe mai andato molto in lungo; ché le parolefinivan presto in pianto.

Sedonna Prassede fosse stata spinta a trattarla in quella maniera daqualche odio inveterato contro di leiforse quelle lacrimel'avrebberotocca e fatta smettere; ma parlando a fin di benetirava avantisenza lasciarsi smovere: come i gemitii gridisupplichevolipotranno ben trattenere l'arme d'un nemicoma non ilferro d'un chirurgo. Fatto però bene il suo dovere per quellavoltadalle stoccate e da' rabbuffi veniva all'esortazioniaiconsigliconditi anche di qualche lodeper temperar cosìl'agro col dolcee ottener meglio l'effettooperando sull'animo intutti i versi. Certodi quelle baruffe (che avevan sempre a un dipresso lo stesso principiomezzo e fine)non rimaneva alla buonaLucia propriamente astio contro l'acerba predicatricela quale poinel resto la trattava con gran dolcezza; e anche in questosi vedevauna buona intenzione. Le rimaneva bensì un ribollimentounasollevazione di pensieri e d'affetti taleche ci voleva molto tempoe molta fatica per tornare a quella qualunque calma di prima.

Buonper leiche non era la sola a cui donna Prassede avesse a far delbene; sicché le baruffe non potevano esser cosìfrequenti. Oltre il resto della servitùtutti cervelli cheavevan bisognopiù o menod'esser raddirizzati e guidati;oltre tutte l'altre occasioni di prestar lo stesso ufizioper buoncuorea molti con cui non era obbligata a niente: occasioni checercavase non s'offrivan da sé; aveva anche cinque figlie;nessuna in casama che le davan più da pensareche se cifossero state. Tre eran monachedue maritate; e donna Prassede sitrovava naturalmente aver tre monasteri e due case a cuisoprintendere: impresa vasta e complicatae tanto piùfaticosache due maritispalleggiati da padrida madridafratellie tre badessefiancheggiate da altre dignità e damolte monachenon volevano accettare la sua soprintendenza. Era unaguerraanzi cinque guerrecopertegentilifino a un certo segnoma vive e senza tregua: era in tutti que' luoghi un'attenzionecontinua a scansare la sua premuraa chiuder l'adito a' suoi pareria eludere le sue richiestea far che fosse al buiopiù chesi potevad'ogni affare. Non parlo de' contrastidelle difficoltàche incontrava nel maneggio d'altri affari anche più estranei:si sa che agli uomini il bene bisognale più voltefarlo perforza. Dove il suo zelo poteva esercitarsi liberamenteera in casa:lì ogni persona era soggettain tutto e per tuttoalla suaautoritàfuorché don Ferrantecol quale le coseandavano in un modo affatto particolare.

Uomodi studionon gli piaceva né di comandare néd'ubbidire. Chein tutte le cose di casala signora moglie fosse lapadronaalla buon'ora; ma lui servono. E sepregatole prestavaa un'occorrenza l'ufizio della pennaera perché ci aveva ilsuo genio; del rimanenteanche in questo sapeva dir di noquandonon fosse persuaso di ciò che lei voleva fargli scrivere. - Las'ingegni- diceva in que' casi; - faccia da ségiacchéla cosa le par tanto chiara -. Donna Prassededopo aver tentato perqualche tempoe inutilmentedi tirarlo dal lasciar fare al fares'era ristretta a brontolare spesso contro di luia nominarlo unoschivafaticheun uomo fisso nelle sue ideeun letterato; titolo nelqualeinsieme con la stizzac'entrava anche un po' di compiacenza.

DonFerrante passava di grand'ore nel suo studiodove aveva una raccoltadi libri considerabilepoco meno di trecento volumi: tutta robasceltatutte opere delle più riputatein varie materie; inognuna delle quali era più o meno versato. Nell'astrologiaera tenutoe con ragioneper più che un dilettante; perchénon ne possedeva soltanto quelle nozioni generichee quelvocabolario comuned'influssid'aspettidi congiunzioni; ma sapevaparlare a propositoe come dalla cattedradelle dodici case delcielode' circoli massimide' gradi lucidi e tenebrosid'esaltazione e di deiezionedi transiti e di rivoluzionide'princìpi in somma più certi e più reconditidella scienza. Ed eran forse vent'anni chein dispute frequenti elunghesosteneva la domificazione del Cardano contro un altro dottoattaccato ferocemente a quella dell'Alcabizioper mera ostinazionediceva don Ferrante; il qualericonoscendo volentieri la superioritàdegli antichinon poteva però soffrire quel non voler darragione a' modernianche dove l'hanno chiara che la vedrebbe ognuno.Conosceva anchepiù che mediocrementela storia dellascienza; sapeva a un bisogno citare le più celebri predizioniavveratee ragionar sottilmente ed eruditamente sopra altre celebripredizioni andate a vòtoper dimostrar che la colpa non eradella scienzama di chi non l'aveva saputa adoprar bene.

Dellafilosofia antica aveva imparato quanto poteva bastaree n'andava dicontinuo imparando di piùdalla lettura di Diogene Laerzio.Siccome però que' sistemiper quanto sian bellinon si puòadottarli tutti; ea voler esser filosofobisogna scegliere unautorecosì don Ferrante aveva scelto Aristotileil qualecome diceva luinon è né antico né moderno; èil filosofo. Aveva anche varie opere de' più savi e sottiliseguaci di luitra i moderni: quelle de' suoi impugnatori non avevamai voluto leggerleper non buttar via il tempodiceva; nécomprarleper non buttar via i danari. Per eccezione peròdava luogo nella sua libreria a que' celebri ventidue libri Desubtilitatee a qualche altr'opera antiperipatetica del Cardanoin grazia del suo valore in astrologia; dicendo che chi aveva potutoscrivere il trattato De restitutione temporum et motuumcoelestiume il libro Duodecim geniturarummeritavad'essere ascoltatoanche quando spropositava; e che il gran difettodi quell'uomo era stato d'aver troppo ingegno; e che nessuno si puòimmaginare dove sarebbe arrivatoanche in filosofiase fosse statosempre nella strada retta. Del rimanentequantunquenel giudiziode' dottidon Ferrante passasse per un peripatetico consumatononostante a lui non pareva di saperne abbastanza; e più d'unavolta dissecon gran modestiache l'essenzagli universalil'anima del mondoe la natura delle cose non eran cose tanto chiarequanto si potrebbe credere.

Dellafilosofia naturale s'era fatto più un passatempo che unostudio; l'opere stesse d'Aristotile su questa materiae quelle diPlinio le aveva piuttosto lette che studiate: non di menocon questaletturacon le notizie raccolte incidentemente da' trattati difilosofia generalecon qualche scorsa data alla Magia naturale delPortaalle tre storie lapidumanimaliumplantarumdelCardanoal Trattato dell'erbedelle piantedegli animalid'Alberto Magnoa qualche altr'opera di minor contosapeva a tempotrattenere una conversazione ragionando delle virtù piùmirabili e delle curiosità più singolari di moltisemplici; descrivendo esattamente le forme e l'abitudini delle sirenee dell'unica fenice; spiegando come la salamandra stia nel fuocosenza bruciare: come la remoraquel pesciolinoabbia la forza el'abilità di fermare di punto in biancoin alto marequalunque gran nave; come le gocciole della rugiada diventin perle inseno delle conchiglie; come il cameleonte si cibi d'aria; come dalghiaccio lentamente induratocon l'andar de' secolisi formi ilcristallo; e altri de' più maravigliosi segreti della natura.

Inquelli della magia e della stregoneria s'era internato di piùtrattandosidice il nostro anonimodi scienza molto più invoga e più necessariae nella quale i fatti sono di moltomaggiore importanzae più a manoda poterli verificare. Nonc'è bisogno di dire chein un tale studionon aveva maiavuta altra mira che d'istruirsi e di conoscere a fondo le pessimearti de' maliardiper potersene guardaree difendere. Econ lascorta principalmente del gran Martino Delrio (l'uomo della scienza)era in grado di discorrere ex professo del maleficio amatoriodel maleficio sonniferodel maleficio ostilee dell'infinite speciechepur troppodice ancora l'anonimosi vedono in pratica allagiornatadi questi tre generi capitali di malìecon effetticosì dolorosi. Ugualmente vaste e fondate eran le cognizionidi don Ferrante in fatto di storiaspecialmente universale: nellaquale i suoi autori erano il Tarcagnotail Dolceil BugattiilCampanail Guazzoi più riputati in somma.

Macos'è mai la storiadiceva spesso don Ferrantesenza lapolitica? Una guida che camminacamminacon nessuno dietro cheimpari la stradae per conseguenza butta via i suoi passi; come lapolitica senza la storia è uno che cammina senza guida. C'eradunque ne' suoi scaffali un palchetto assegnato agli statisti; dovetra molti di piccola molee di fama secondariaspiccavano ilBodinoil Cavalcantiil Sansovinoil Parutail Boccalini. Dueperò erano i libri che don Ferrante anteponeva a tuttie digran lungain questa materia; due chefino a un certo tempofusolito di chiamare i primisenza mai potersi risolvere a qual de'due convenisse unicamente quel grado: l'unoil Principe e iDiscorsi del celebre segretario fiorentino; mariolo sìdiceva don Ferrantema profondo: l'altrola Ragion di Statodel non men celebre Giovanni Botero; galantuomo sìdicevapurema acuto. Mapoco prima del tempo nel quale ècircoscritta la nostra storiaera venuto fuori il libro che terminòla questione del primatopassando avanti anche all'opere di que' duematadoridiceva don Ferrante; il libro in cui si trovanracchiuse e come stillate tutte le malizieper poterle conoscereetutte le virtùper poterle praticare; quel libro piccinomatutto d'oro; in una parolalo Statista Regnante di donValeriano Castiglionedi quell'uomo celeberrimodi cui si puòdireche i più gran letterati lo esaltavano a garae i piùgran personaggi facevano a rubarselo; di quell'uomoche il papaUrbano VIII onoròcome è notodi magnifiche lodi; cheil cardinal Borghese e il vicerè di Napolidon Pietro diToledosollecitarono a descrivereil primo i fatti di papa Paolo Vl'altro le guerre del re cattolico in Italial'uno e l'altro invano;di quell'uomoche Luigi XIIIre di Franciaper suggerimento delcardinal di Richelieunominò suo istoriografo; a cui il ducaCarlo Emanuele di Savoia conferì la stessa carica; in lode dicuiper tralasciare altre gloriose testimonianzela duchessaCristinafiglia del cristianissimo re Enrico IVpoté in undiplomacon molti altri titoliannoverare " la certezza dellafama ch'egli ottiene in Italiadi primo scrittore de' nostri tempi".

Masein tutte le scienze suddettedon Ferrante poteva dirsiaddottrinatouna ce n'era in cui meritava e godeva il titolo diprofessore: la scienza cavalleresca. Non solo ne ragionava con veropossessoma pregato frequentemente d'intervenire in affari d'onoredava sempre qualche decisione. Aveva nella sua libreriae si puòdire in testale opere degli scrittori più riputati in talmateria: Paride dal PozzoFausto da Longianol'Urreail MuzioilRomeil'Albergatoil Forno primo e il Forno secondo di TorquatoTassodi cui aveva anche in prontoe a un bisogno sapeva citare amemoria tutti i passi così della Gerusalemme Liberatacomedella Conquistatache possono far testo in materia di cavalleria.L'autore però degli autorinel suo concettoera il nostrocelebre Francesco Biragocon cui si trovò anchepiùd'una voltaa dar giudizio sopra casi d'onore; e il qualedal cantosuoparlava di don Ferrante in termini di stima particolare. E finda quando venner fuori i Discorsi Cavallereschi diquell'insigne scrittoredon Ferrante pronosticòsenzaesitazioneche quest'opera avrebbe rovinata l'autoritàdell'Olevanoe sarebbe rimastainsieme con l'altre sue nobilisorellecome codice di primaria autorità presso ai posteri:profeziadice l'anonimoche ognun può vedere come si siaavverata.

Daquesto passa poi alle lettere amene; ma noi cominciamo a dubitare severamente il lettore abbia una gran voglia d'andar avanti con lui inquesta rassegnaanzi a temere di non aver già buscato iltitolo di copiator servile per noie quello di seccatore dadividersi con l'anonimo sullodatoper averlo bonariamente seguitofin quiin cosa estranea al racconto principalee nella qualeprobabilmente non s'è tanto distesoche per isfoggiardottrinae far vedere che non era indietro del suo secolo. Peròlasciando scritto quel che è scrittoper non perder la nostrafaticaometteremo il rimanenteper rimetterci in istrada: tanto piùche ne abbiamo un bel pezzo da percorreresenza incontrare alcun de'nostri personaggie uno più lungo ancoraprima di trovarquelli ai fatti de' quali certamente il lettore s'interessa di piùse a qualche cosa s'interessa in tutto questo.

Finoall'autunno del seguente anno 1629rimasero tuttichi per volontàchi per forzanello stato a un di presso in cui gli abbiam lasciatisenza che ad alcuno accadessené che alcun altro potesse farcosa degna d'esser riferita. Venne l'autunnoin cui Agnese e Luciaavevan fatto conto di ritrovarsi insieme: ma un grande avvenimentopubblico mandò quel conto all'aria: e fu questo certamente unode' suoi più piccoli effetti. Seguiron poi altri grandiavvenimentiche pero non portarono nessun cambiamento notabile nellasorte de' nostri personaggi. Finalmente nuovi casipiùgeneralipiù fortipiù estremiarrivarono anche finoa lorofino agli infimi di lorosecondo la scala del mondo: come unturbine vastoincalzantevagabondoscoscendendo e sbarbandoalberiarruffando tettiscoprendo campaniliabbattendo muraglieesbattendone qua e là i rottamisolleva anche i fuscellinascosti tra l'erbava a cercare negli angoli le foglie passe eleggieriche un minor vento vi aveva confinatee le porta in giroinvolte nella sua rapina.

Oraperché i fatti privati che ci rimangon da raccontareriescanchiaridobbiamo assolutamente premettere un racconto alla meglio diquei pubbliciprendendola anche un po' da lontano.




Cap.XXVIII


Dopoquella sedizione del giorno di san Martino e del seguenteparve chel'abbondanza fosse tornata in Milanocome per miracolo. Pane inquantità da tutti i fornai; il prezzocome nell'annatemigliori; le farine a proporzione. Coloro chein que' due giornis'erano addati a urlare o a far anche qualcosa di piùavevanoora (meno alcuni pochi stati presi) di che lodarsi: e non crediateche se ne stesseroappena cessato quel primo spavento delle catture.Sulle piazzesulle cantonatenelle bettoleera un tripudio paleseun congratularsi e un vantarsi tra' denti d'aver trovata la manieradi far rinviliare il pane. In mezzo però alla festa e allabaldanzac'era (e come non ci sarebbe stata?) un'inquietudineunpresentimento che la cosa non avesse a durare. Assediavano i fornai ei farinaiolicome già avevan fatto in quell'altra fattizia epasseggiera abbondanza prodotta dalla prima tariffa d'Antonio Ferrer;tutti consumavano senza risparmio; chi aveva qualche quattrino dapartel'investiva in pane e in farine; facevan magazzino dellecassedelle botticinedelle caldaie. Cosìfacendo a gara agoder del buon mercato presentene rendevanonon dico impossibilela lunga duratache già lo era per séma sempre piùdifficile anche la continuazione momentanea. Ed ecco cheil 15 dinovembreAntonio FerrerDe orden de Su Excelenciapubblicòuna gridacon la qualea chiunque avesse granaglie o farine incasaveniva proibito di comprarne né punto né pocoead ognuno di comprar paneper più che il bisogno di duegiornisotto pene pecuniarie e corporaliall'arbitrio di SuaEccellenza; intimazione a chi toccava per ufizioe a ognipersonadi denunziare i trasgressori; ordine a' giudicidi farricerche nelle case che potessero venir loro indicate; insieme perònuovo comando a' fornai di tener le botteghe ben fornite di panesotto pena in caso di mancamentodi cinque anni di galeraetmaggioreall'arbitrio di S. E. Chi sa immaginarsi una grida taleeseguitadeve avere una bella immaginazione; e certose tuttequelle che si pubblicavano in quel tempo erano eseguiteil ducato diMilano doveva avere almeno tanta gente in marequanta ne possa avereora la gran Bretagna.

Siacom'esser si vogliaordinando ai fornai di far tanto panebisognavaanche fare in modo che la materia del pane non mancasse loro. S'eraimmaginato (come sempre in tempo di carestia rinasce uno studio diridurre in pane de' prodotti che d'ordinario si consumano sott'altraforma)s'eradicoimmaginato di far entrare il riso nel compostodel pane detto di mistura. Il 23 di novembregrida chesequestraagli ordini del vicario e de' dodici di provvisionelametà del riso vestito (risone lo dicevano quie lodicon tuttora) che ognuno possegga; pena a chiunque ne disponga senzail permesso di que' signorila perdita della derratae una multa ditre scudi per moggio. Ècome ognun vedela piùonesta.

Maquesto riso bisognava pagarloe un prezzo troppo sproporzionato daquello del pane. Il carico di supplire all'enorme differenza erastato imposto alla città; ma il Consiglio de' decurionichel'aveva assunto per essadeliberòlo stesso giorno 23 dinovembredi rappresentare al governatore l'impossibilità disostenerlo più a lungo. E il governatorecon grida del 7 didicembrefissò il prezzo del riso suddetto a lire dodici ilmoggio: a chi ne chiedesse di piùcome a chi ricusasse divendereintimò la perdita della derrata e una multaaltrettanto valoreet maggior pena pecuniaria et ancora corporalesino alla galeraall'arbitrio di S. E.secondo la qualitàde' casi et delle persone.

Alriso brillato era già stato fissato il prezzo prima dellasommossa; come probabilmente la tariffa oper usare quelladenominazione celeberrima negli annali moderniil maximum delgrano e dell'altre granaglie più ordinarie sarà statofissato con altre grideche non c'è avvenuto di vedere.

Mantenutocosì il pane e la farina a buon mercato in Milanone venivadi conseguenza che dalla campagna accorresse gente a processione acomprarne. Don Gonzaloper riparare a questocome dice luiinconvenienteproibìcon un'altra grida del 15 di dicembredi portar fuori della città paneper più del valore diventi soldi; pena la perdita del pane medesimoe venticinque scudiet in caso di inhabilità' di due tratti di corda inpublicoet maggior pena ancorasecondo il solitoall'arbitriodi S. E. Il 22 dello stesso mese (e non si vede perchécosì tardi)pubblicò un ordine somigliante per lefarine e per i grani.

Lamoltitudine aveva voluto far nascere l'abbondanza col saccheggio econ l'incendio; il governo voleva mantenerla con la galera e con lacorda. I mezzi erano convenienti tra loro; ma cosa avessero a farecol fineil lettore lo vede: come valessero in fatto ad ottenerlolo vedrà a momenti. È poi facile anche vederee noninutile l'osservare come tra quegli strani provvedimenti ci sia peròuna connessione necessaria: ognuno era una conseguenza inevitabiledell'antecedentee tutti del primoche fissava al pane un prezzocosì lontano dal prezzo realeda quello cioè chesarebbe risultato naturalmente dalla proporzione tra il bisogno e laquantità. Alla moltitudine un tale espediente è sempreparsoe ha sempre dovuto parerequanto conforme all'equitàaltrettanto semplice e agevole a mettersi in esecuzione: èquindi cosa naturale chenell'angustie e ne' patimenti dellacarestiaessa lo desideril'implori ese puòl'imponga. Dimano in mano poi che le conseguenze si fanno sentireconviene checoloro a cui toccavadano al riparo di ciaschedunacon una legge laquale proibisca agli uomini di far quello a che eran portatidall'antecedente. Ci si permetta d'osservar qui di passaggio unacombinazione singolare. In un paese e in un'epoca vicinanell'epocala più clamorosa e la più notabile della storiamodernasi ricorsein circostanze similia simili espedienti (imedesimisi potrebbe quasi direnella sostanzacon la soladifferenza di proporzionee a un di presso nel medesimo ordine) adonta de' tempi tanto cambiatie delle cognizioni cresciute inEuropae in quel paese forse più che altrove; e ciòprincipalmente perché la gran massa popolarealla qualequelle cognizioni non erano arrivatepoté far prevalere alungo il suo giudizioe forzarecome colà si dicela mano aquelli che facevan la legge.

Cosìtornando a noidue erano statialla fin de' contii fruttiprincipali della sommossa; guasto e perdita effettiva di viverinella sommossa medesima; consumofin che durò la tariffalargospensieratosenza misuraa spese di quel poco granoche purdoveva bastare fino alla nuova raccolta. A questi effetti generalis'aggiunga quattro disgraziatiimpiccati come capi del tumulto: duedavanti al forno delle gruccedue in cima della strada dov'era lacasa del vicario di provvisione.

Delrestole relazioni storiche di que' tempi son fatte così acasoche non ci si trova neppur la notizia del come e del quandocessasse quella tariffa violenta. Sein mancanza di notiziepositiveè lecito propor congetturenoi incliniamo a credereche sia stata abolita poco prima o poco dopo il 24 di dicembrechefu il giorno di quell'esecuzione. E in quanto alle gridedopol'ultima che abbiam citata del 22 dello stesso mesenon ne troviamoaltre in materia di grasce; sian esse periteo siano sfuggite allenostre ricercheo sia finalmente che il governodisanimatose nonammaestrato dall'inefficacia di que' suoi rimedie sopraffatto dallecosele abbia abbandonate al loro corso. Troviamo bensì nellerelazioni di più d'uno storico (inclinaticom'eranopiùa descriver grand'avvenimentiche a notarne le cagioni e ilprogresso) il ritratto del paesee della cittàprincipalmentenell'inverno avanzato e nella primaveraquando lacagion del malela sproporzione cioè tra i viveri e ilbisognonon distruttaanzi accresciuta da' rimedi che ne sospeserotemporariamente gli effettie neppure da un'introduzione sufficientedi granaglie esterealla quale ostavano l'insufficienza de' mezzipubblici e privatila penuria de' paesi circonvicinila scarsezzala lentezza e i vincoli del commercioe le leggi stesse tendenti aprodurre e mantenere il prezzo bassoquandodicola cagion veradella carestiao per dir megliola carestia stessa operava senzaritegnoe con tutta la sua forza. Ed ecco la copia di quel ritrattodoloroso.

Aogni passobotteghe chiuse; le fabbriche in gran parte deserte; lestradeun indicibile spettacoloun corso incessante di miserieunsoggiorno perpetuo di patimenti. Gli accattoni di mestierediventatiora il minor numeroconfusi e perduti in una nuova moltitudineridotti a litigar l'elemosina con quelli talvolta da cui in altrigiorni l'avevan ricevuta. Garzoni e giovani licenziati da padroni dibottegachescemato o mancato affatto il guadagno giornalierovivevano stentatamente degli avanzi e del capitale; de' padronistessiper cui il cessar delle faccende era stato fallimento erovina; operaie anche maestri d'ogni manifattura e d'ogn'artedelle più comuni come delle più raffinatedelle piùnecessarie come di quelle di lussovaganti di porta in portadistrada in istradaappoggiati alle cantonateaccovacciati sullelastrelungo le case e le chiesechiedendo pietosamentel'elemosinao esitanti tra il bisogno e una vergogna non ancordomatasmuntispossatirabbrividiti dal freddo e dalla fame ne'panni logori e scarsima che in molti serbavano ancora i segnid'un'antica agiatezza; come nell'inerzia e nell'avvilimentocompariva non so quale indizio d'abitudini operose e franche.Mescolati tra la deplorabile turbae non piccola parte di essaservitori licenziati da padroni caduti allora dalla mediocritànella strettezzao che quantunque facoltosissimi si trovavanoinabiliin una tale annataa mantenere quella solita pompa diseguito. E a tutti questi diversi indigenti s'aggiunga un numerod'altriavvezzi in parte a vivere del guadagno di essi: bambinidonnevecchiaggruppati co' loro antichi sostenitorio dispersi inaltre parti all'accatto.

C'eranpuree si distinguevano ai ciuffi arruffatiai cenci sfarzosioanche a un certo non so che nel portamento e nel gestoa quelmarchio che le consuetudini stampano su' visitanto piùrilevato e chiaroquanto più sono stranemolti di quellagenìa de' bravi cheperdutoper la condizion comunequelloro pane scelleratone andavan chiedendo per carità. Domatidalla famenon gareggiando con gli altri che di preghierespauritiincantatisi strascicavan per le strade che avevano per tanto tempopasseggiate a testa altacon isguardo sospettoso e ferocevestitidi livree ricche e bizzarrecon gran penneguarniti di ricche armiattillatiprofumati; e paravano umilmente la manoche tante volteavevano alzata insolente a minacciareo traditrice a ferire.

Maforse il più brutto e insieme il più compassionevolespettacolo erano i contadiniscompagnatia coppiea famiglieintere; maritimoglicon bambini in colloo attaccati dietro lespallecon ragazzi per la manocon vecchi dietro. Alcuni cheinvase e spogliate le loro case dalla soldatescaalloggiata lìo di passaggion'eran fuggiti disperatamente; e tra questi ce n'eradi quelli cheper far più compassionee come per distinzionedi miseriafacevan vedere i lividi e le margini de' colpi ricevutinel difendere quelle loro poche ultime provvisionio scappando dauna sfrenatezza cieca e brutale. Altriandati esenti da quelflagello particolarema spinti da que' due da cui nessun angolo erastato immunela sterilità e le gravezzepiùesorbitanti che mai per soddisfare a ciò che si chiamava ibisogni della guerraeran venutivenivano alla cittàcome asede antica e ad ultimo asilo di ricchezza e di pia munificenza. Sipotevan distinguere gli arrivati di frescopiù ancora cheall'andare incerto e all'aria nuovaa un fare maravigliato eindispettito di trovare una tal pienauna tale rivalità dimiseriaal termine dove avevan creduto di comparire oggettisingolari di compassionee d'attirare a sé gli sguardi e isoccorsi. Gli altri che da più o men tempo giravano eabitavano le strade della cittàtenendosi ritti co' sussidiottenuti o toccati come in sortein una tanta sproporzione tra imezzi e il bisognoavevan dipinta ne' volti e negli atti una piùcupa e stanca costernazione. Vestiti diversamentequelli che ancorasi potevano dir vestiti; e diversi anche nell'aspetto: facce dilavatedel basso paeseabbronzate del pian di mezzo e delle collinesanguigne di montanari; ma tutte affilate e stravoltetutte conocchi incavaticon isguardi fissitra il torvo e l'insensato;arruffati i capellilunghe e irsute le barbe: corpi cresciuti eindurati alla faticaesausti ora dal disagio; raggrinzata la pellesulle braccia aduste e sugli stinchi e sui petti scarnitiche sivedevan di mezzo ai cenci scomposti. E diversamentema non menodoloroso di questo aspetto di vigore abbattutol'aspetto d'unanatura più presto vintad'un languore e d'uno sfinimento piùabbandonatonel sesso e nell'età più deboli.

Quae là per le straderasente ai muri delle casequalche po' dipaglia pestatrita e mista d'immondo ciarpume. E una tal porcheriaera però un dono e uno studio della carità; eran coviliapprestati a qualcheduno di que' meschiniper posarci il capo lanotte. Ogni tantoci si vedevaanche di giornogiacere o sdraiarsitaluno a cui la stanchezza o il digiuno aveva levate le forze etronche le gambe: qualche volta quel tristo letto portava uncadavere: qualche volta si vedeva uno cader come un cencioall'improvvisoe rimaner cadavere sul selciato.

Accantoa qualcheduno di que' covilisi vedeva pure chinato qualchepasseggiero o vicinoattirato da una compassion subitanea. Inqualche luogo appariva un soccorso ordinato con più lontanaprevidenzamosso da una mano ricca di mezzie avvezza a beneficarein grande; ed era la mano del buon Federigo. Aveva scelto sei pretine' quali una carità viva e perseverante fosse accompagnata eservita da una complessione robusta; gli aveva divisi in coppiee adognuna assegnata una terza parte della città da percorrerecon dietro facchini carichi di vari cibid'altri più sottilie più pronti ristorativie di vesti. Ogni mattinale trecoppie si mettevano in istrada da diverse partis'avvicinavano aquelli che vedevano abbandonati per terrae davano a ciaschedunoaiuto secondo il bisogno. Taluno già agonizzante e non piùin caso di ricevere alimentoriceveva gli ultimi soccorsi e leconsolazioni della religione. Agli affamati dispensavano minestraovapanevino; ad altriestenuati da più antico digiunoporgevano consumatistillativino più generosoriavendoliprimase faceva di bisognocon cose spiritose. Insiemedistribuivano vesti alle nudità più sconce e piùdolorose.

Néqui finiva la loro assistenza: il buon pastore aveva voluto chealmeno dov'essa poteva arrivarerecasse un sollievo efficace e nonmomentaneo. Ai poverini a cui quel primo ristoro avesse rese forzebastanti per reggersi e per camminaredavano un po' di danaroaffinché il bisogno rinascente e la mancanza d'altro soccorsonon li rimettesse ben presto nello stato di prima; agli altricercavano ricovero e mantenimentoin qualche casa delle piùvicine. In quelle de' benestantierano per lo più ricevutiper caritàe come raccomandati dal cardinale; in altredovealla buona volontà mancassero i mezzichiedevan que' pretiche il poverino fosse ricevuto a dozzinafissavano il prezzoe nesborsavan subito una parte a conto. Davano poidi questi ricoveratila nota ai parrochiacciocché li visitassero; e tornavanoessi medesimi a visitarli.

Nonc'è bisogno di dire che Federigo non ristringeva le sue cure aquesta estremità di patimentiné l'aveva aspettata percommoversi. Quella carità ardente e versatile doveva tuttosentirein tutto adoprarsiaccorrere dove non aveva potutoprevenireprenderper dir cosìtante formein quantevariava il bisogno. Infattiradunando tutti i suoi mezzirendendopiù rigoroso il risparmiomettendo mano a risparmi destinatiad altre liberalitàdivenute ora d'un'importanza tropposecondariaaveva cercato ogni maniera di far danariper impiegarlitutti in soccorso degli affamati. Aveva fatte gran compre digranagliee speditane una buona parte ai luoghi della diocesichen'eran più scarsi; ed essendo il soccorso troppo inferiore albisognomandò anche del sale- con cui- diceraccontandola cosail Ripamonti (Historiae PatriaeDecadis VLib. VIpag.386.) - l'erbe del prato e le cortecce degli alberi si convertono incibo -. Granaglie pure e danari aveva distribuiti ai parrochi dellacittà; lui stesso la visitavaquartiere per quartieredispensando elemosine; soccorreva in segreto molte famiglie povere;nel palazzo arcivescovilecome attesta uno scrittore contemporaneoil medico Alessandro Tadinoin un suo Ragguaglio che avremospesso occasion di citare andando avantisi distribuivano ognimattina due mila scodelle di minestra di riso (Ragguagliodell'origine et giornali sucessi della gran peste contagiosavenefica et maleficaseguita nella città di Milano etc.Milano1648pag. 10.).

Maquesti effetti di caritàche possiamo certamente chiamargrandiosiquando si consideri che venivano da un sol uomo e dai solisuoi mezzi (giacché Federigo ricusavaper sistemadi farsidispensatore delle liberalità altrui); questiinsieme con leliberalità d'altre mani privatese non così fecondepur numerose; insieme con le sovvenzioni che il Consiglio de'decurioni aveva decretatedando al tribunal di provvisionel'incombenza di distribuirle; erano ancor poca cosa in paragone delbisogno. Mentre ad alcuni montanari vicini a morir di famevenivaper la carità del cardinaleprolungata la vitaaltriarrivavano a quell'estremo; i primifinito quel misurato soccorsoci ricadevano; in altre partinon dimenticatema pospostecomemeno angustiateda una carità costretta a sceglierel'angustie divenivan mortali; per tutto si perivada ogni partes'accorreva alla città. Quidue migliaiamettiamod'affamati più robusti ed esperti a superar la concorrenza e afarsi largoavevano acquistata una minestratanto da non morire inquel giorno; ma più altre migliaia rimanevano indietroinvidiando queidiremo noipiù fortunatiquandotra irimasti indietroc'erano spesso le moglii figlii padri loro? Ementre in alcune parti della cittàalcuni di quei piùabbandonati e ridotti all'estremo venivan levati di terrarianimatiricoverati e provveduti per qualche tempo; in cent'altre partialtricadevanolanguivano o anche spiravanosenza aiutosenzarefrigerio.

Tuttoil giornosi sentiva per le strade un ronzìo confuso di vocisupplichevoli; la notteun susurro di gemitirotto di quando inquando da alti lamenti scoppiati all'improvvisoda urlida accentiprofondi d'invocazioneche terminavano in istrida acute.

Ècosa notabile chein un tanto eccesso di stentiin una tantavarietà di querelenon si vedesse mai un tentativononiscappasse mai un grido di sommossa: almeno non se ne trova il minimocenno. Eppuretra coloro che vivevano e morivano in quella manierac'era un buon numero d'uomini educati a tutt'altro che a tollerare;c'erano a centinaiadi que' medesimi cheil giorno di san Martinos'erano tanto fatti sentire. Né si può pensare chel'esempio de' quattro disgraziati che n'avevan portata la pena pertuttifosse quello che ora li tenesse tutti a freno: qual forzapoteva averenon la presenzama la memoria de' supplizi sugli animid'una moltitudine vagabonda e riunitache si vedeva come condannataa un lento supplizioche già lo pativa? Ma noi uomini siam ingenerale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro imali mezzanie ci curviamo in silenzio sotto gli estremi;sopportiamonon rassegnati ma stupidiil colmo di ciò che daprincipio avevamo chiamato insopportabile.

Ilvòto che la mortalità faceva ogni giorno in quelladeplorabile moltitudineveniva ogni giorno più che riempito:era un concorso continuoprima da' paesi circonvicinipoi da tuttoil contadopoi dalle città dello statoalla fine anche daaltre. E intantoanche da questa partivano ogni giorno antichiabitatori; alcuni per sottrarsi alla vista di tante piaghe; altrivedendosiper dir cosìpreso il posto da' nuovi concorrentid'accattouscivano a un'ultima disperata prova di chieder soccorsoaltrovedove si fossedove almeno non fosse così fitta ecosì incalzante la folla e la rivalità del chiedereS'incontravano nell'opposto viaggio questi e que' pellegrinispettacolo di ribrezzo gli uni agli altrie saggio dolorosoauguriosinistro del termine a cui gli uni e gli altri erano incamminati. Maseguitavano ognuno la sua stradase non più per la speranzadi mutar sortealmeno per non tornare sotto un cielo divenutoodiosoper non rivedere i luoghi dove avevan disperato. Se non chetalunomancandogli affatto le forzecadeva per la stradaerimaneva lì morto: spettacolo ancor più funesto ai suoicompagni di miseriaoggetto d'orroreforse di rimprovero agli altripasseggieri. " Vidi io- scrive il Ripamonti- nella stradache gira le murail cadavere d'una donna... Le usciva di boccadell'erba mezza rosicchiatae le labbra facevano ancora quasi unatto di sforzo rabbioso... Aveva un fagottino in ispallae attaccatocon le fasce al petto un bambinoche piangendo chiedeva la poppa...Ed erano sopraggiunte persone compassionevolile qualiraccolto ilmeschinello di terralo portavan viaadempiendo così intantoil primo ufizio materno ".

Quelcontrapposto di gale e di cencidi superfluità e di miseriaspettacolo ordinario de' tempi ordinariera allora affatto cessato.I cenci e la miseria eran quasi per tutto; e ciò che se nedistinguevaera appena un apparenza di parca mediocrità. Sivedevano i nobili camminare in abito semplice e dimessoo anchelogoro e gretto; alcuniperché le cagioni comuni dellamiseria avevan mutata a quel segno anche la loro fortunao dato iltracollo a patrimoni già sconcertati: gli altrio chetemessero di provocare col fasto la pubblica disperazioneo che sivergognassero d'insultare alla pubblica calamità. Que'prepotenti odiati e rispettatisoliti a andare in giro con unostrascico di braviandavano ora quasi solia capo bassocon visiche parevano offrire e chieder pace. Altri cheanche nellaprosperitàerano stati di pensieri più umanie diportamenti più modestiparevano anch'essi confusicosternatie come sopraffatti dalla vista continua d'una miseria chesorpassavanon solo la possibilità del soccorsoma direiquasile forze della compassione. Chi aveva il modo di far qualcheelemosinadoveva però fare una trista scelta tra fame e fametra urgenze e urgenze. E appena si vedeva una mano pietosaavvicinarsi alla mano d'un infelicenasceva all'intorno una garad'altri infelici; coloro a cui rimaneva più vigoresifacevano avanti a chieder con più istanza; gli estenuatiivecchii fanciullialzavano le mani scarne; le madri alzavano efacevan veder da lontano i bambini piangentimal rinvoltati nellefasce cenciosee ripiegati per languore nelle loro mani.

Cosìpassò l'inverno e la primavera: e già da qualche tempoil tribunale della sanità andava rappresentando a quello dellaprovvisione il pericolo del contagioche sovrastava alla cittàper tanta miseria ammontata in ogni parte di essa; e proponeva chegli accattoni venissero raccolti in diversi ospizi. Mentre si discutequesta propostamentre s'approvamentre si pensa ai mezziai modiai luoghiper mandarla ad effettoi cadaveri crescono nelle stradeogni giorno più; a proporzion di questocresce tutto l'altroammasso di miserie. Nel tribunale di provvisione vien propostocomepiù facile e più speditivoun altro ripiegodiradunar tutti gli accattonisani e infermiin un sol luogonellazzerettodove fosser mantenuti e curati a spese del pubblico; ecosì vien risolutocontro il parere della Sanitàlaquale opponeva chein una così gran riunionesarebbecresciuto il pericolo a cui si voleva metter riparo.

Illazzeretto di Milano (seper casoquesta storia capitasse nellemani di qualcheduno che non lo conoscessené di vista néper descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadratofuori della cittàa sinistra della porta detta orientaledistante dalle mura lo spazio della fossad'una strada dicirconvallazionee d'una gora che gira il recinto medesimo. I duelati maggiori son lunghi a un di presso cinquecento passi; gli altridueforse quindici meno; tuttidalla parte esternason divisi inpiccole stanze d'un piano solo; di dentro gira intorno a tre di essiun portico continuo a voltasostenuto da piccole e magre colonne.

Lestanzine eran dugent'ottantottoo giu di lì: a' nostrigiorniuna grande apertura fatta nel mezzoe una piccolain uncanto della facciata del lato che costeggia la strada maestranehanno portate via non so quante. Al tempo della nostra storianonc'eran che due entrature; una nel mezzo del lato che guarda le muradella cittàl'altra di rimpettonell'opposto. Nel centrodello spazio internoc'erae c'è tutt'orauna piccolachiesa ottangolare.

Laprima destinazione di tutto l'edifiziocominciato nell'anno 1489co' danari d'un lascito privatocontinuato poi con quelli delpubblico e d'altri testatori e donatorifucome l'accenna il nomestessodi ricoverarviall'occorrenzagli ammalati di peste; laqualegià molto prima di quell'epocaera solitae lo fu permolto tempo dopoa comparire quelle duequattroseiotto volteper secoloora in questoora in quel paese d'Europaprendendonetalvolta una gran parteo anche scorrendola tuttaper il lungo eper il largo. Nel momento di cui parliamoil lazzeretto non servivache per deposito delle mercanzie soggette a contumacia.

Oraper metterlo in libertànon si stette al rigor delle leggisanitariee fatte in fretta in fretta le purghe e gli esperimentiprescrittisi rilasciaron tutte le mercanzie a un tratto. Si fecestender della paglia in tutte le stanzesi fecero provvisioni diviveridella qualità e nella quantità che si poté;e s'invitaronocon pubblico edittotutti gli accattoni aricoverarsi lì.

Moltivi concorsero volontariamente; tutti quelli che giacevano infermi perle strade e per le piazzeci vennero trasportati; in pochi giornice ne futra gli uni e gli altripiù di tre mila. Ma moltipiù furon quelli che restaron fuori. O che ognun di loroaspettasse di veder gli altri andarsenee di rimanere in pochi agoder l'elemosine della cittào fosse quella naturalripugnanza alla clausurao quella diffidenza de' poveri per tuttociò che vien loro proposto da chi possiede le ricchezze e ilpotere (diffidenza sempre proporzionata all'ignoranza comune di chila sente e di chi l'ispiraal numero de' poverie al poco giudiziodelle leggi)o il saper di fatto quale fosse in realtà ilbenefizio offertoo fosse tutto questo insiemeo che altroilfatto sta che la più partenon facendo conto dell'invitocontinuavano a strascicarsi stentando per le strade. Visto ciòsi credé bene di passar dall'invito alla forza. Si mandaronoin ronda birri che cacciassero gli accattoni al lazzerettoe vimenassero legati quelli che resistevano; per ognun de' quali fuassegnato a coloro il premio di dieci soldi: ecco seanche nellemaggiori strettezzei danari del pubblico si trovan sempreperimpiegarli a sproposito. E quantunquecom'era stata congetturaanziintento espresso della Provvisioneun certo numero d'accattonisfrattasse dalla cittàper andare a vivere o a morirealtrovein libertà almeno; pure la caccia fu tale cheinpoco tempoil numero de' ricoveratitra ospiti e prigionieris'accostò a dieci mila.

Ledonne e i bambinisi vuol supporre che saranno stati messi inquartieri separatibenché le memorie del tempo non ne dicannulla. Regole poi e provvedimenti per il buon ordinenon ne sarannocertamente mancati; ma si figuri ognuno qual ordine potesse esserestabilito e mantenutoin que' tempi specialmente e in quellecircostanzein una così vasta e varia riunionedove coivolontari si trovavano i forzati; con quelli per cui l'accatto erauna necessitàun doloreuna vergognacoloro di cui era ilmestiere; con molti cresciuti nell'onesta attività de' campi edell'officinemolti altri educati nelle piazzenelle tavernene'palazzi de' prepotentiall'ozioalla truffaallo schernoallaviolenza.

Comestessero poi tutti insieme d'alloggio e di vittosi potrebbetristamente congetturarloquando non n'avessimo notizie positive; male abbiamo. Dormivano ammontati a venti a trenta per ognuna di quellecelletteo accovacciati sotto i porticisur un po' di pagliaputrida e fetenteo sulla nuda terra: perchés'era bensìordinato che la paglia fosse fresca e a sufficienzae cambiataspesso; ma in effetto era stata cattivascarsae non si cambiava.S'era ugualmente ordinato che il pane fosse di buona qualità:giacchéquale amministratore ha mai detto che si faccia e sidispensi roba cattiva? ma ciò che non si sarebbe ottenutonelle circostanze soliteanche per un più ristretto serviziocome ottenerlo in quel casoe per quella moltitudine? Si dissealloracome troviamo nelle memorieche il pane del lazzeretto fossealterato con sostanze pesanti e non nutrienti: ed è pur troppocredibile che non fosse uno di que' lamenti in aria. D'acqua perfinoc'era scarsità; d'acquavoglio direviva e salubre: il pozzocomunedoveva esser la gora che gira le mura del recintobassalentadove anche motosae divenuta poi quale poteva renderla l'usoe la vicinanza d'una tanta e tal moltitudine.

Atutte queste cagioni di mortalitàtanto più attiveche operavano sopra corpi ammalati o ammalazzatis'aggiunga una granperversità della stagione: piogge ostinateseguite da unasiccità ancor più ostinatae con essa un caldoanticipato e violento. Ai mali s'aggiunga il sentimento de' malilanoia e la smania della prigioniala rimembranza dell'anticheabitudiniil dolore di cari perdutila memoria inquieta di cariassentiil tormento e il ribrezzo vicendevoletant'altre passionid'abbattimento o di rabbiaportate o nate là dentro;l'apprensione poi e lo spettacolo continuo della morte resa frequenteda tante cagionie divenuta essa medesima una nuova e potentecagione. E non farà stupore che la mortalità crescessee regnasse in quel recinto a segno di prendere aspetto epressomoltinome di pestilenza: sia che la riunione e l'aumento di tuttequelle cause non facesse che aumentare l'attivitàd'un'influenza puramente epidemica; sia (come par che avvenga nellecarestie anche men gravi e men prolungate di quella) che vi avesseluogo un certo contagioil quale ne' corpi affetti e preparati daldisagio e dalla cattiva qualità degli alimentidall'intemperiedal sudiciumedal travaglio e dall'avvilimentotrovi la temperaper dir cosìe la stagione sua proprialecondizioni necessarie in somma per nascerenutrirsi e moltiplicare(se a un ignorante è lecito buttar là queste paroledietro l'ipotesi proposta da alcuni fisici e riproposta da ultimocon molte ragioni e con molta riservada unodiligente quantoingegnoso) (Del morbo petecchiale... e degli altri contagi ingeneraleopera del dott. F. Enrico AcerbiCap. III§ 1 e 2.):sia poi che il contagio scoppiasse da principio nel lazzerettomedesimocomeda un'oscura e inesatta relazionepar che pensasseroi medici della Sanità; sia che vivesse e andasse covando primad'allora (ciò che par forse più verisimilechi pensicome il disagio era già antico e generalee la mortalitàgià frequente)e che portato in quella folla permanentevisi propagasse con nuova e terribile rapidità. Qualunque diqueste congetture sia la verail numero giornaliero de' morti nellazzeretto oltrepassò in poco tempo il centinaio.

Mentrein quel luogo tutto il resto era languoreangosciaspaventorammarichìofremitonella Provvisione era vergognastordimentoincertezza. Si discussesi sentì il parere dellaSanità; non si trovò altro che di disfare ciòche s'era fatto con tanto apparatocon tanta spesacon tantevessazioni. S'aprì il lazzerettosi licenziaron tutti ipoveri non ammalati che ci rimanevanoe che scapparon fuori con unagioia furibonda. La città tornò a risonare dell'anticolamentoma più debole e interrotto; rivide quella turba piùrada e più compassionevoledice il Ripamontiper il pensierodel come fosse di tanto scemata. Gl'infermi furon trasportati a SantaMaria della Stellaallora ospizio di poveri; dove la piùparte perirono.

Intantoperò cominciavano que' benedetti campi a imbiondire. Gliaccattoni venuti dal contado se n'andaronoognuno dalla sua parteaquella tanto sospirata segatura. Il buon Federigo gli accomiatòcon un ultimo sforzoe con un nuovo ritrovato di carità: aogni contadino che si presentasse all'arcivescovadofece dare ungiulioe una falce da mietere.

Conla messe finalmente cessò la carestia: la mortalitàepidemica o contagiosascemando di giorno in giornosi prolungòperò fin nell'autunno. Era sul finirequand'ecco un nuovoflagello.

Moltecose importantidi quelle a cui più specialmente si dàtitolo di storicheerano accadute in questo frattempo. Il cardinaldi Richelieupresacome s'è dettola Roccellaabborracciata alla meglio una pace col re d'Inghilterraavevaproposto e persuaso con la sua potente parolanel Consiglio diquello di Franciache si soccorresse efficacemente il duca diNevers; e aveva insieme determinato il re medesimo a condurre inpersona la spedizione. Mentre si facevan gli apparecchiil conte diNassaucommissario imperialeintimava in Mantova al nuovo ducachedesse gli stati in mano a Ferdinandoo questo manderebbe un esercitoad occuparli. Il duca chein più disperate circostanzes'eraschermito d'accettare una condizione così dura e cosìsospettaincoraggito ora dal vicino soccorso di Franciatanto piùse ne schermiva; però con termini in cui il no fosse rigiratoe allungatoquanto si potevae con proposte di sommissioneanchepiù apparentema meno costosa. Il commissario se n'eraandatoprotestandogli che si verrebbe alla forza. In marzoilcardinal di Richelieu era poi calato infatti col realla testa d'unesercito: aveva chiesto il passo al duca di Savoia; s'era trattato;non s'era concluso; dopo uno scontrocol vantaggio de' Francesis'era trattato di nuovoe concluso un accordonel quale il ducatra l'altre coseaveva stipulato che il Cordova leverebbe l'assedioda Casale; obbligandosise questo ricusassea unirsi co' Francesiper invadere il ducato di Milano. Don Gonzaloparendogli anched'uscirne con pocoaveva levato l'assedio da Casaledov'era subitoentrato un corpo di Francesia rinforzar la guarnigione.

Fuin questa occasione che l'Achillini scrisse al re Luigi quel suofamoso sonetto:


Sudateo fochia preparar metalli:


eun altrocon cui l'esortava a portarsi subito alla liberazione diTerra santa. Ma è un destino che i pareri de' poeti non sianoascoltati: e se nella storia trovate de' fatti conformi a qualcheloro suggerimentodite pur francamente ch'eran cose risolute prima.Il cardinal di Richelieu aveva in vece stabilito di ritornare inFranciaper affari che a lui parevano più urgenti. GirolamoSoranzoinviato de' Venezianipoté bene addurre ragioni percombattere quella risoluzione; che il re e il cardinaledando rettaalla sua prosa come ai versi dell'Achillinise ne ritornarono colgrosso dell'esercitolasciando soltanto sei mila uomini in Susapermantenere il passoe per caparra del trattato.

Mentrequell'esercito se n'andava da una partequello di Ferdinandos'avvicinava dall'altra; aveva invaso il paese de' Grigioni e laValtellina; si disponeva a calar nel milanese. Oltre tutti i danniche si potevan temere da un tal passaggioeran venuti espressiavvisi al tribunale della sanitàche in quell'esercitocovasse la pestedella quale allora nelle truppe alemanne c'erasempre qualche sprazzocome dice il Varchiparlando di quella cheun secolo avantiavevan portata in Firenze. Alessandro Tadinounode' conservatori della sanità (eran seioltre il presidente:quattro magistrati e due medici)fu incaricato dal tribunalecomeracconta lui stessoin quel suo ragguaglio già citato (Pag.16)di rappresentare al governatore lo spaventoso pericolo chesovrastava al paesese quella gente ci passavaper andareall'assedio di Mantovacome s'era sparsa la voce. Da tutti iportamenti di don Gonzalopare che avesse una gran smaniad'acquistarsi un posto nella storiala quale infatti non poténon occuparsi di lui; ma (come spesso le accade) non conobbeo nonsi curò di registrare l'atto di lui più degno dimemoriala risposta che diede al Tadino in quella circostanza.Rispose che non sapeva cosa farci; che i motivi d'interesse e diriputazioneper i quali s'era mosso quell'esercitopesavan piùche il pericolo rappresentato; che con tutto ciò si cercassedi riparare alla meglioe si sperasse nella Provvidenza.

Perriparar dunque alla meglioi due medici della Sanità (ilTadino suddetto e Senatore Settalafiglio del celebre Lodovico)proposero in quel tribunale che si proibisse sotto severissime penedi comprar roba di nessuna sorte da' soldati ch'eran per passare; manon fu possibile far intendere la necessità d'un tal ordine alpresidente" uomo "dice il Tadino" di moltabontàche non poteva credere dovesse succedere incontri dimorte di tante migliaia di personeper il comerciodi questa genteet loro robbe ". Citiamo questo tratto per uno de' singolari diquel tempo: ché di certoda che ci son tribunali di sanitànon accadde mai a un altro presidente d'un tal corpodi fare unragionamento simile; se ragionamento si può chiamare.

Inquanto a don Gonzalopoco dopo quella rispostase n'andò daMilano; e la partenza fu trista per luicome lo era la cagione.Veniva rimosso per i cattivi successi della guerradella quale erastato il promotore e il capitano; e il popolo lo incolpava della famesofferta sotto il suo governo. (Quello che aveva fatto per la pesteo non si sapevao certo nessuno se n'inquietavacome vedremo piùavantifuorché il tribunale della sanitàe i duemedici specialmente). All'uscir dunquein carrozza da viaggiodalpalazzo di cortein mezzo a una guardia d'alabardiericon duetrombetti a cavallo davantie con altre carrozze di nobili che glifacevan seguitofu accolto con gran fischiate da ragazzi ch'eranradunati sulla piazza del duomoe che gli andaron dietro allarinfusa. Entrata la comitiva nella strada che conduce a portaticinesedi dove si doveva uscirecominciò a trovarsi inmezzo a una folla di gente cheparte era lì ad aspettareparte accorreva; tanto più che i trombettiuomini diformalitànon cessaron di sonaredal palazzo di cortefinoalla porta. E nel processo che si fece poi su quel tumultouno dicostororipreso checon quel suo trombettarefosse stato cagionedi farlo crescererisponde: - caro signorequesta è lanostra professione; et se S. E. non hauesse hauuto a caro che noihauessimo sonatodoveva comandarne che tacessimo -. Ma don Gonzaloo per ripugnanza a far cosa che mostrasse timoreo per timore dirender con questo più ardita la moltitudineo perchéfosse in effetto un po' sbalorditonon dava nessun ordine. Lamoltitudineche le guardie avevan tentato in vano di respingereprecedevacircondavaseguiva le carrozzegridando: - la va via lacarestiava via il sangue de' poveri- e peggio. Quando furonvicini alla portacominciarono anche a tirar sassimattonitorsolibucce d'ogni sortela munizione solita in somma di quellespedizioni; una parte corse sulle murae di là feceroun'ultima scarica sulle carrozze che uscivano. Subito dopo sisbandarono.

Inluogo di don Gonzalofu mandato il marchese Ambrogio Spinolail cuinome aveva già acquistatanelle guerre di Fiandraquellacelebrità militare che ancor gli rimane.

Intantol'esercito alemannosotto il comando supremo del conte Rambaldo diCollaltoaltro condottiere italianodi minorema non d'ultimafamaaveva ricevuto l'ordine definitivo di portarsi all'impresa diMantova; e nel mese di settembreentrò nel ducato di Milano.

Lamiliziaa que' tempiera ancor composta in gran parte di soldati diventura arrolati da condottieri di mestiereper commissione diquesto o di quel principequalche volta anche per loro propriocontoe per vendersi poi insieme con essi. Più che dallepagheerano gli uomini attirati a quel mestiere dalle speranze delsaccheggio e da tutti gli allettamenti della licenza. Disciplinastabile e generale non ce n'era; né avrebbe potuto accordarsicosì facilmente con l'autorità in parte indipendentede' vari condottieri. Questi poi in particolarené eranomolto raffinatori in fatto di disciplinanéanche volendosi vede come avrebbero potuto riuscire a stabilirla e a mantenerla;ché soldati di quella razzao si sarebbero rivoltati controun condottiere novatore che si fosse messo in testa d'abolire ilsaccheggio; o per lo menol'avrebbero lasciato solo a guardar lebandiere. Oltre di ciòsiccome i principinel prendereperdir cosìad affitto quelle bandeguardavan più adaver gente in quantitàper assicurar l'impreseche aproporzionare il numero alla loro facoltà di pagareper ilsolito molto scarsa; così le paghe venivano per lo piùtardea contoa spizzico; e le spoglie de' paesi a cui la toccavane divenivano come un supplimento tacitamente convenuto. Ècelebrepoco meno del nome di Wallensteinquella sua sentenza:esser più facile mantenere un esercito di cento mila uominiche uno di dodici mila. E questo di cui parliamo era in gran partecomposto della gente chesotto il suo comandoaveva desolata laGermaniain quella guerra celebre tra le guerree per sé eper i suoi effettiche ricevette poi il nome da' trent'anni dellasua durata: e allora ne correva l'undecimo. C'era anzicondotto daun suo luogotenenteil suo proprio reggimento; degli altricondottierila più parte avevan comandato sotto di luie cisi trovava più d'uno di quelli chequattr'anni dopodovevanoaiutare a fargli far quella cattiva fine che ognun sa.

Eranvent'otto mila fantie sette mila cavalli; escendendo dallaValtellina per portarsi nel mantovanodovevan seguire tutto il corsoche fa l'Adda per due rami di lagoe poi di nuovo come fiume fino alsuo sbocco in Poe dopo avevano un buon tratto di questo dacosteggiare: in tutto otto giornate nel ducato di Milano.

Unagran parte degli abitanti si rifugiavano su per i montiportandoviquel che avevan di meglioe cacciandosi innanzi le bestie; altririmanevanoo per non abbandonar qualche ammalatoo per preservar lacasa dall'incendioo per tener d'occhio cose preziose nascostesotterrate; altri perché non avevan nulla da perdereo anchefacevan conto d'acquistare. Quando la prima squadra arrivava al paesedella fermatasi spandeva subito per quello e per i circonvicinieli metteva a sacco addirittura: ciò che c'era da godere o daportar viaspariva; il rimanentelo distruggevano o lo rovinavano;i mobili diventavan legnale casestalle: senza parlar delle bussedelle feritedegli stupri. Tutti i ritrovatitutte l'astuzie persalvar la robariuscivano per lo più inutiliqualche voltaportavano danni maggiori. I soldatigente ben più praticadegli stratagemmi anche di questa guerrafrugavano per tutti i buchidelle casesmuravanodiroccavano; conoscevan facilmente negli ortila terra smossa di fresco; andarono fino su per i monti a rubare ilbestiame; andarono nelle grotteguidati da qualche birbante delpaesein cerca di qualche ricco che vi si fosse rimpiattato; lostrascinavano alla sua casae con tortura di minacce e di percosselo costringevano a indicare il tesoro nascosto.

Finalmentese n'andavano; erano andati; si sentiva da lontano morire il suonode' tamburi o delle trombe; succedevano alcune ore d'una quietespaventata; e poi un nuovo maledetto batter di cassaun nuovomaledetto suon di trombeannunziava un'altra squadra. Questinontrovando più da far predacon tanto più furorefacevano sperpero del restobruciavan le botti votate da quelligliusci delle stanze dove non c'era più nulladavan fuoco anchealle case; e con tanta più rabbias'intendemaltrattavan lepersone; e così di peggio in peggioper venti giorni: chéin tante squadre era diviso l'esercito.

Colicofu la prima terra del ducatoche invasero que' demòni; sigettarono poi sopra Bellano; di là entrarono e si sparseronella Valsassinada dove sboccarono nel territorio di Lecco.




Cap.XXIX


Quitra i poveri spaventati troviamo persone di nostra conoscenza.

Chinon ha visto don Abbondioil giorno che si sparsero tutte in unavolta le notizie della calata dell'esercitodel suo avvicinarsiede' suoi portamentinon sa bene cosa sia impiccio e spavento.Vengono; son trentason quarantason cinquanta mila; son diavolisono arianisono anticristi; hanno saccheggiato Cortenuova; han datofuoco a Primaluna: devastano IntrobbioPasturoBarsio; sonoarrivati a Balabbio; domani son qui: tali eran le voci che passavandi bocca in bocca; e insieme un correreun fermarsi a vicendaunconsultare tumultuosoun'esitazione tra il fuggire e il restareunradunarsi di donneun metter le mani ne' capelli. Don Abbondiorisoluto di fuggirerisoluto prima di tutti e più di tuttivedeva peròin ogni strada da prenderein ogni luogo daricoverarsiostacoli insuperabilie pericoli spaventosi. - Comefare? - esclamava: - dove andare? - I montilasciando da parte ladifficoltà del camminonon eran sicuri: già s'erasaputo che i lanzichenecchi vi s'arrampicavano come gattidoveappena avessero indizio o speranza di far preda. Il lago era grosso;tirava un gran vento: oltre di questola più parte de'barcaiolitemendo d'esser forzati a tragittar soldati o bagaglis'eran rifugiaticon le loro barcheall'altra riva: alcune pocherimasteeran poi partite stracariche di gente; etravagliate dalpeso e dalla burrascasi diceva che pericolassero ogni momento. Perportarsi lontano e fuori della strada che l'esercito aveva apercorrerenon era possibile trovar né un calessenéun cavalloné alcun altro mezzo: a piedidon Abbondio nonavrebbe potuto far troppo camminoe temeva d'esser raggiunto peristrada. Il territorio bergamasco non era tanto distanteche le suegambe non ce lo potessero portare in una tirata; ma si sapeva ch'erastato spedito in fretta da Bergamo uno squadrone di cappellettiil qual doveva costeggiare il confineper tenere in suggezione ilanzichenecchi; e quelli eran diavoli in carnené piùné meno di questie facevan dalla parte loro il peggio chepotevano. Il pover'uomo correvastralunato e mezzo fuor di séper la casa; andava dietro a Perpetuaper concertare una risoluzionecon lei; ma Perpetuaaffaccendata a raccogliere il meglio di casaea nasconderlo in soffittao per i bugigattolipassava di corsaaffannatapreoccupatacon le mani e con le braccia pieneerispondeva: - or ora finisco di metter questa roba al sicuroe poifaremo anche noi come fanno gli altri -. Don Abbondio volevatrattenerlae discuter con lei i vari partiti; ma leitra il dafaree la frettae lo spavento che aveva anch'essa in corpoe larabbia che le faceva quello del padroneerain tal congiunturameno trattabile di quel che fosse stata mai. - S'ingegnano gli altri;c'ingegneremo anche noi. Mi scusima non è capace ched'impedire. Crede lei che anche gli altri non abbiano una pelle dasalvare? Che vengono per far la guerra a lei i soldati? Potrebbeanche dare una manoin questi momentiin vece di venir tra' piedi apiangere e a impicciare -. Con queste e simili risposte si sbrigavada luiavendo già stabilitofinita che fosse alla meglioquella tumultuaria operazionedi prenderlo per un bracciocome unragazzoe di strascinarlo su per una montagna. Lasciato cosìsolos'affacciava alla finestraguardavatendeva gli orecchi; evedendo passar qualchedunogridava con una voce mezza di pianto emezza di rimprovero: - fate questa carità al vostro poverocurato di cercargli qualche cavalloqualche muloqualche asino.Possibile che nessuno mi voglia aiutare! Oh che gente! Aspettatemialmenoche possa venire anch'io con voi; aspettate d'esser quindicio ventida condurmi via insiemech'io non sia abbandonato. Voletelasciarmi in man de' cani? Non sapete che sono luterani la piùparteche ammazzare un sacerdote l'hanno per opera meritoria? Voletelasciarmi qui a ricevere il martirio? Oh che gente! Oh che gente!

Maa chi diceva queste cose? Ad uomini che passavano curvi sotto il pesodella loro povera robapensando a quella che lasciavano in casaspingendo le loro vaccherelleconducendosi dietro i figlicarichianch'essi quanto potevanoe le donne con in collo quelli che nonpotevan camminare. Alcuni tiravan di lungosenza rispondere néguardare in su; qualcheduno diceva: - eh messere! faccia anche leicome può; fortunato lei che non ha da pensare alla famiglia;s'aiutis'ingegni.

-Oh povero me! - esclamava don Abbondio: - oh che gente! che cuori!Non c'è carità: ognun pensa a sé; e a me nessunovuol pensare -. E tornava in cerca di Perpetua.

-Oh appunto! - gli disse questa: - e i danari?

-Come faremo?

-Li dia a meche anderò a sotterrarli qui nell'orto di casainsieme con le posate.

-Ma...

-Mama; dia qui; tenga qualche soldoper quel che puòoccorrere; e poi lasci fare a me.

DonAbbondio ubbidìandò allo scrignocavò il suotesorettoe lo consegnò a Perpetua; la quale disse: - vo asotterrarli nell'ortoappiè del fico -; e andò.Ricomparve poco dopocon un paniere dove c'era della munizione daboccae con una piccola gerla vota; e si mise in fretta a collocarvinel fondo un po' di biancheria sua e del padronedicendo intanto: -il breviario almeno lo porterà lei.

-Ma dove andiamo?

-Dove vanno tutti gli altri? Prima di tuttoanderemo in istrada; e làsentiremoe vedremo cosa convenga di fare.

Inquel momento entrò Agnese con una gerletta sulle spallee inaria di chi viene a fare una proposta importante.

Agneserisoluta anche lei di non aspettare ospiti di quella sortesola incasacom'erae con ancora un po' di quell'oro dell'innominatoerastata qualche tempo in forse del luogo dove ritirarsi. Il residuoappunto di quegli scudiche ne' mesi della fame le avevan fattotanto proera la cagion principale della sua angustia e dellairresoluzioneper aver essa sentito chene' paesi giàinvasiquelli che avevan danaris'eran trovati a piùterribil condizioneesposti insieme alla violenza degli stranierieall'insidie de' paesani. Era vero chedel bene piovutolecome sidicedal cielonon aveva fatta la confidenza a nessunofuorchéa don Abbondio; dal quale andavavolta per voltaa farsispicciolare uno scudolasciandogli sempre qualcosa da dare aqualcheduno più povero di lei. Ma i danari nascostispecialmente chi non è avvezzo a maneggiarne moltitengono ilpossessore in un sospetto continuo del sospetto altrui. Oramentreandava anch'essa rimpiattando qua e là alla meglio ciòche non poteva portar con sée pensava agli scudiche tenevacuciti nel bustosi rammentò cheinsieme con essil'innominatole aveva mandate le più larghe offerte diservizi; si rammentò le cose che aveva sentito raccontare diquel suo castello posto in luogo così sicuroe doveadispetto del padronenon potevano arrivar se non gli uccelli; e sirisolvette d'andare a chiedere un asilo lassù. Pensòcome potrebbe farsi conoscere da quel signoree le venne subito inmente don Abbondio; il qualedopo quel colloquio così fattocon l'arcivescovole aveva sempre fatto festae tanto più dicuoreche lo poteva senza compromettersi con nessunoe cheessendolontani i due giovaniera anche lontano il caso che a lui venissefatta una richiestala quale avrebbe messa quella benevolenza a ungran cimento. Suppose chein un tal parapigliail pover'uomo dovevaesser ancor più impicciato e più sbigottito di leieche il partito potrebbe parer molto buono anche a lui; e glieloveniva a proporre. Trovatolo con Perpetuafece la proposta a tutt'edue.

-Che ne ditePerpetua? - domandò don Abbondio.

-Dico che è un'ispirazione del cieloe che non bisogna perdertempoe mettersi la strada tra le gambe.

-E poi...

-E poie poiquando saremo làci troveremo ben contenti.Quel signoreora si sa che non vorrebbe altro che far servizi alprossimo; e sarà ben contento anche lui di ricoverarci. Làsul confinee così per ariasoldati non ne verràcertamente. E poi e poici troveremo anche da mangiare; chésu per i montifinita questa poca grazia di Dio- e cosìdicendol'accomodava nella gerlasopra la biancheria- ci saremmotrovati a mal partito.

-Convertitoè convertito davveroeh?

-Che c'è da dubitarne ancoradopo tutto quello che si sadopoquello che anche lei ha veduto?

-E se andassimo a metterci in gabbia?

-Che gabbia? Con tutti codesti suoi casimi scusinon si verrebbemai a una conclusione. Brava Agnese! v'è proprio venuto unbuon pensiero -. E messa la gerla sur un tavolinopassò lebraccia nelle cignee la prese sulle spalle.

-Non si potrebbe- disse don Abbondio- trovar qualche uomo chevenisse con noiper far la scorta al suo curato? Se incontrassimoqualche birboneche pur troppo ce n'è in giro parecchicheaiuto m'avete a dar voi altre?

-Un'altraper perder tempo! - esclamò Perpetua. - Andarlo acercar ora l'uomoche ognuno ha da pensare a' fatti suoi. Animo!vada a prendere il breviario e il cappello; e andiamo.

DonAbbondio andòtornòdi lì a un momentocolbreviario sotto il bracciocol cappello in capoe col suo bordonein mano; e uscirono tutt'e tre per un usciolino che metteva sullapiazzetta. Perpetua richiusepiù per non trascurare unaformalitàche per fede che avesse in quella toppa e in que'battentie mise la chiave in tasca. Don Abbondio diedenel passareun'occhiata alla chiesae disse tra i denti: - al popolo tocca acustodirlache serve a lui. Se hanno un po' di cuore per la lorochiesaci penseranno; se poi non hanno cuoretal sia di loro.

Preseroper i campizitti zittipensando ognuno a' casi suoie guardandosiintornospecialmente don Abbondiose apparisse qualche figurasospettaqualcosa di straordinario. Non s'incontrava nessuno: lagente erao nelle case a guardarlea far fagottoa nascondereoper le strade che conducevan direttamente all'alture.

Dopoaver sospirato e risospiratoe poi lasciato scappar qualcheinteriezionedon Abbondio cominciò a brontolare più diseguito. Se la prendeva col duca di Neversche avrebbe potuto starein Francia a goderselaa fare il principee voleva esser duca diMantova a dispetto del mondo; con l'imperatoreche avrebbe dovutoaver giudizio per gli altrilasciar correr l'acqua all'ingiùnon istar su tutti i puntigli: ché finalmentelui sarebbesempre stato l'imperatorefosse duca di Mantova Tizio o Sempronio.L'aveva principalmente col governatorea cui sarebbe toccato a fardi tuttoper tener lontani i flagelli dal paeseed era lui che cegli attirava: tutto per il gusto di far la guerra. - Bisognerebbe-diceva- che fossero qui que' signori a vederea provareche gustoè. Hanno da rendere un bel conto! Ma intantone va di mezzochi non ci ha colpa.

-Lasci un po' star codesta gente; che già non son quelli che civerranno a aiutare- diceva Perpetua. - Codestemi scusisono diquelle sue solite chiacchiere che non concludon nulla. Piuttostoquel che mi dà noia...

-Cosa c'è?

Perpetuala qualein quel pezzo di stradaaveva pensato con comodo alnascondimento fatto in furiacominciò a lamentarsi d'averdimenticata la tal cosad'aver mal riposta la tal altra; quid'averlasciata una traccia che poteva guidare i ladronilà...

-Brava! - disse don Abbondioormai sicuro della vitaquanto bastavaper poter angustiarsi della roba: - brava! così avete fatto?Dove avevate la testa?

-Come! - esclamò Perpetuafermandosi un momento su due piedie mettendo i pugni su' fianchiin quella maniera che la gerla glielopermetteva: - come! verrà ora a farmi codesti rimproveriquand'era lei che me la faceva andar viala testain veced'aiutarmi e farmi coraggio! Ho pensato forse più alla roba dicasa che alla mia; non ho avuto chi mi desse una mano; ho dovuto farda Marta e Maddalena; se qualcosa anderà a malenon so cosami dire: ho fatto anche più del mio dovere.

Agneseinterrompeva questi contrastientrando anche lei a parlare de' suoiguai: e non si rammaricava tanto dell'incomodo e del dannoquanto divedere svanita la speranza di riabbracciar presto la sua Lucia; chése vi rammentateera appunto quell'autunno sul quale avevan fattoassegnamento: né era da supporre che donna Prassede volessevenire a villeggiare da quelle partiin tali circostanze: piuttostone sarebbe partitase ci si fosse trovatacome facevan tutti glialtri villeggianti.

Lavista de' luoghi rendeva ancor più vivi que' pensierid'Agnesee più pungente il suo dispiacere. Usciti da'sentieriavevan presa la strada pubblicaquella medesima per cui lapovera donna era venuta riconducendoper così poco tempoacasa la figliadopo aver soggiornato con leiin casa del sarto. Egià si vedeva il paese.

-Anderemo bene a salutar quella brava gente- disse Agnese.

-E anche a riposare un pochino: ché di questa gerla io comincioad averne abbastanza; e poi per mangiare un boccone- dissePerpetua.

-Con patto di non perder tempo; ché non siamo in viaggio perdivertimento- concluse don Abbondio.

Furonoricevuti a braccia apertee veduti con gran piacere: rammentavanouna buona azione. Fate del bene a quanti più potetedice quiil nostro autore; e vi seguirà tanto più spessod'incontrar de' visi che vi mettano allegria.

Agnesenell'abbracciar la buona donnadiede in un dirotto piantoche le fud'un gran sollievo; e rispondeva con singhiozzi alle domande chequella e il marito le facevan di Lucia.

-Sta meglio di noi- disse don Abbondio: - è a Milanofuorde' pericolilontana da queste diavolerie.

-Scappanoeh? il signor curato e la compagnia- disse il sarto.

-Sicuro- risposero a una voce il padrone e la serva.

-Li compatisco.

-Siamo incamminati- disse don Abbondio; - al castello di ***.

-L'hanno pensata bene: sicuri come in chiesa.

-E quinon hanno paura? - disse don Abbondio.

-Diròsignor curato: propriamente in ospitazionecomelei sa che si dicea parlar benequi non dovrebbero venire coloro:siam troppo fuori della loro stradagrazie al cielo. Al piùal piùqualche scappatache Dio non voglia: ma in ogni casoc'è tempo; s'hanno a sentir prima altre notizie da' poveripaesi dove anderanno a fermarsi.

Siconcluse di star lì un poco a prender fiato; esiccome eral'ora del desinare- signori- disse il sarto: - devono onorare lamia povera tavola: alla buona: ci sarà un piatto di buon viso.

Perpetuadisse d'aver con sé qualcosa da rompere il digiuno. Dopo unpo' di cerimonie da una parte e dall'altrasi venne a pattid'accozzarcome si diceil pentolinoe di desinare in compagnia.

Iragazzi s'eran messi con gran festa intorno ad Agnese loro amicavecchia. Prestopresto; il sarto ordinò a una bambina (quellache aveva portato quel boccone a Maria vedova: chi sa se ve nerammentate più!)che andasse a diricciar quattro castagneprimaticcech'eran riposte in un cantuccio: e le mettesse aarrostire.

-E tu- disse a un ragazzo- va' nell'ortoa dare una scossa alpescoda farne cader quattroe portale qui: tutteve'. E tu-disse a un altro- va' sul ficoa coglierne quattro de' piùmaturi. Già lo conoscete anche troppo quel mestiere -. Luiandò a spillare una sua botticina; la donna a prendere un po'di biancheria da tavola. Perpetua cavò fuori le provvisioni;s'apparecchiò: un tovagliolo e un piatto di maiolica al postod'onoreper don Abbondiocon una posata che Perpetua aveva nellagerla. Si misero a tavolae desinaronose non con grand'allegriaalmeno con molta più che nessuno de' commensali si fosseaspettato d'averne in quella giornata.

-Cosa ne dicesignor curatod'uno scombussolamento di questa sorte?- disse il sarto: - mi par di leggere la storia de' mori in Francia.

-Cosa devo dire? Mi doveva cascare addosso anche questa!

-Peròhanno scelto un buon ricovero- riprese quello: - chidiavolo ha a andar lassù per forza? E troveranno compagnia:ché già s'è sentito che ci sia rifugiata moltagentee che ce n'arrivi tuttora.

-Voglio sperare- disse don Abbondio- che saremo ben accolti. Loconosco quel bravo signore; e quando ho avuto un'altra volta l'onoredi trovarmi con luifu così compito!

-E a me- disse Agnese- m'ha fatto dire dal signor monsignorillustrissimochequando avessi bisogno di qualcosabastava cheandassi da lui.

-Gran bella conversione! - riprese don Abbondio: - e si mantienen'èvero? si mantiene.

Ilsarto si mise a parlare alla distesa della santa vitadell'innominatoe comedall'essere il flagello de' contornin'eradivenuto l'esempio e il benefattore.

-E quella gente che teneva con sé?... tutta quella servitù?...- riprese don Abbondioil quale n'aveva più d'una voltasentito dir qualcosama non era mai quieto abbastanza.

-Sfrattati la più parte- rispose il sarto: - e quelli che sonrimastihan mutato sistemama come! In somma è diventatoquel castello una Tebaide: lei le sa queste cose.

Entròpoi a parlar con Agnese della visita del cardinale. - Grand'uomo! -diceva; - grand'uomo! Peccato che sia passato di qui così infuriache non ho né anche potuto fargli un po' d'onore.Quanto sarei contento di potergli parlare un'altra voltaun po' piùcon comodo.

Alzatipoi da tavolale fece osservare una stampa rappresentante ilcardinaleche teneva attaccata a un battente d'uscioin venerazionedel personaggioe anche per poter dire a chiunque capitasseche nonera somigliante; giacché lui aveva potuto esaminar da vicino econ comodo il cardinale in personain quella medesima stanza.

-L'hanno voluto far luicon questa cosa qui? - disse Agnese. - Nelvestito gli somiglia; ma...

-N'è vero che non somiglia? - disse il sarto: - lo dico sempreanch'io: noinon c'ingannanoeh? mase non altroc'è sottoil suo nome: è una memoria.

DonAbbondio faceva fretta; il sarto s'impegnò di trovare unbaroccio che li conducesse appiè della salita; n'andòsubito in cercae poco dopotornò a dire che arrivava. Sivoltò poi a don Abbondioe gli disse: - signor curatose maidesiderasse di portar lassù qualche libroper passare iltempoda pover'uomo posso servirla: ché anch'io mi diverto unpo' a leggere. Cose non da par suolibri in volgare; ma però...

-Graziegrazie- rispose don Abbondio: - son circostanzeche si haappena testa d'occuparsi di quel che è di precetto.

Mentresi fanno e si ricusano ringraziamentie si barattano saluti e buoniaugùriinviti e promesse d'un'altra fermata al ritornoilbaroccio è arrivato davanti all'uscio di strada. Ci metton legerlesalgon sue principianocon un po' più d'agio e ditranquillità d'animola seconda metà del viaggio.

Ilsarto aveva detto la verità a don Abbondiointornoall'innominato. Questodal giorno che l'abbiam lasciatoavevasempre continuato a far ciò che allora s'era propostocompensar dannichieder pacesoccorrer poverisempre del bene insommasecondo l'occasione. Quel coraggio che altre volte avevamostrato nell'offendere e nel difendersiora lo mostrava nel nonfare né l'una cosa né l'altra. Andava sempre solo esenz'armidisposto a tutto quello che gli potesse accadere dopotante violenze commessee persuaso che sarebbe commetterne una nuoval'usar la forza in difesa di chi era debitore di tanto e a tanti;persuaso che ogni male che gli venisse fattosarebbe un'ingiuriariguardo a Dioma riguardo a lui una giusta retribuzione; e chedell'ingiurialui meno d'ogni altroaveva diritto di farsipunitore. Con tutto ciòera rimasto non meno inviolato diquando teneva armateper la sua sicurezzatante braccia e il suo.La rimembranza dell'antica ferociae la vista della mansuetudinepresenteunache doveva aver lasciati tanti desidèri divendettal'altrache la rendeva tanto agevolecospiravano in vecea procacciargli e a mantenergli un'ammirazioneche gli servivaprincipalmente di salvaguardia. Era quell'uomo che nessuno avevapotuto umiliaree che s'era umiliato da sé. I rancoriirritati altre volte dal suo disprezzo e dalla paura degli altrisidileguavano ora davanti a quella nuova umiltà: gli offesiavevano ottenutacontro ogni aspettativae senza pericolounasoddisfazione che non avrebbero potuta promettersi dalla piùfortunata vendettala soddisfazione di vedere un tal uomo pentitode' suoi tortie partecipeper dir cosìdella loroindegnazione. Moltiil cui dispiacere più amaro e piùintenso era stato per molt'annidi non veder probabilità ditrovarsi in nessun caso più forti di coluiper ricattarsi diqualche gran torto; incontrandolo poi solodisarmatoe in atto dichi non farebbe resistenzanon s'eran sentiti altro impulso che difargli dimostrazioni d'onore. In quell'abbassamento volontariolasua presenza e il suo contegno avevano acquistatosenza che lui losapesseun non so che di più alto e di più nobile;perché ci si vedevaancor meglio di primala noncuranzad'ogni pericolo. Gli odianche i più rozzi e rabbiosisisentivano come legati e tenuti in rispetto dalla venerazione pubblicaper l'uomo penitente e benefico. Questa era taleche spessoquell'uomo si trovava impicciato a schermirsi dalle dimostrazioni chegliene venivan fattee doveva star attento a non lasciar troppotrasparire nel volto e negli atti il sentimento interno dicompunzionea non abbassarsi troppoper non esser troppo esaltato.S'era scelto nella chiesa l'ultimo luogo; e non c'era pericolo chenessuno glielo prendesse: sarebbe stato come usurpare un postod'onore. Offender poi quell'uomoo anche trattarlo con pocoriguardopoteva parere non tanto un'insolenza e una viltàquanto un sacrilegio: e quelli stessi a cui questo sentimento deglialtri poteva servir di ritegnone partecipavano anche loropiùo meno.

Questemedesime ed altre cagioniallontanavano pure da lui le vendettedella forza pubblicae gli procuravanoanche da questa partelasicurezza della quale non si dava pensiero. Il grado e le parenteleche in ogni tempo gli erano state di qualche difesatanto piùvalevano per luiora che a quel nome già illustre e infameandava aggiunta la lode d'una condotta esemplarela gloria dellaconversione. I magistrati e i grandi s'eran rallegrati di questapubblicamente come il popolo; e sarebbe parso strano l'infierirecontro chi era stato soggetto di tante congratulazioni. Oltre di ciòun potere occupato in una guerra perpetuae spesso infelicecontroribellioni vive e rinascentipoteva trovarsi abbastanza contentod'esser liberato dalla più indomabile e molestaper nonandare a cercar altro: tanto piùche quella conversioneproduceva riparazioni che non era avvezzo ad otteneree nemmeno arichiedere. Tormentare un santonon pareva un buon mezzo dicancellar la vergogna di non aver saputo fare stare a dovere unfacinoroso: e l'esempio che si fosse dato col punirlonon avrebbepotuto aver altro effettoche di stornare i suoi simili dal divenireinoffensivi. Probabilmente anche la parte che il cardinal Federigoaveva avuta nella conversionee il suo nome associato a quello delconvertitoservivano a questo come d'uno scudo sacro. E in quellostato di cose e d'ideein quelle singolari relazioni dell'autoritàspirituale e del poter civilech'eran così spesso alle presetra lorosenza mirar mai a distruggersianzi mischiando sempre alleostilità atti di riconoscimento e proteste di deferenzaechespesso pureandavan di conserva a un fine comunesenza far maipacepoté parerein certa manierache la riconciliazionedella prima portasse con sé l'oblivionese non l'assoluzionedel secondoquando quella s'era sola adoprata a produrre un effettovoluto da tutt'e due.

Cosìquell'uomo sul qualese fosse cadutosarebbero corsi a gara grandie piccoli a calpestarlo; messosi volontariamente a terravenivarisparmiato da tuttie inchinato da molti.

Èvero ch'eran anche molti a cui quella strepitosa mutazione dovettefar tutt'altro che piacere: tanti esecutori stipendiati di delittitanti compagni nel delittoche perdevano una così gran forzasulla quale erano avvezzi a fare assegnamentoche anche si trovavanoa un tratto rotti i fili di trame ordite da un pezzonel momentoforse che aspettavano la nuova dell'esecuzione. Ma già abbiamveduto quali diversi sentimenti quella conversione facesse nascerenegli sgherri che si trovavano allora con luie che la sentironoannunziare dalla sua bocca: stuporedoloreabbattimentostizza; unpo' di tuttofuorché disprezzo né odio. Lo stessoaccadde agli altri che teneva sparsi in diversi postilo stesso a'complici di più alto affarequando riseppero la terribilenuovae a tutti per le cagioni medesime. Molt'odiocome trovo nelluogoaltrove citatodel Ripamontine venne piuttosto al cardinalFederigo. Riguardavan questo come uno che s'era mischiato ne' loroaffariper guastarli; l'innominato aveva voluto salvar l'anima sua:nessuno aveva ragion di lagnarsene.

Dimano in mano poila più parte degli sgherri di casanonpotendo accomodarsi alla nuova disciplinané vedendoprobabilità che s'avesse a mutarese n'erano andati. Chi avràcercato altro padronee fors'anche tra gli antichi amici di quelloche lasciava; chi si sarà arrolato in qualche terzocomeallora dicevanodi Spagna o di Mantovao di qualche altra partebelligerante; chi si sarà messo alla stradaper far la guerraa minutoe per conto suo; chi si sarà anche contentatod'andar birboneggiando in libertà. E il simile avranno fattoquegli altri che stavano prima a' suoi ordiniin diversi paesi. Diquelli poi che s'eran potuti avvezzare al nuovo tenor di vitao chelo avevano abbracciato volentierii piùnativi della valleeran tornati ai campio ai mestieri imparati nella prima etàe poi abbandonati; i forestieri eran rimasti nel castellocomeservitori: gli uni e gli altriquasi ribenedetti nello stesso tempoche il loro padronese la passavanoal par di luisenza fare néricever tortiinermi e rispettati.

Maquandoal calar delle bande alemannealcuni fuggiaschi di paesiinvasi o minacciati capitarono su al castello a chieder ricoverol'innominatotutto contento che quelle sue mura fossero cercate comeasilo da' deboliche per tanto tempo le avevan guardate da lontanocome un enorme spauracchioaccolse quegli sbandaticon espressionipiuttosto di riconoscenza che di cortesia; fece sparger la vocechela sua casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse rifugiareepensò subito a metterenon solo questama anche la valleinistato di difesase mai lanzichenecchi o cappelletti volesseroprovarsi di venirci a far delle loro. Radunò i servitori chegli eran rimastipochi e valenticome i versi di Torti; fece lorouna parlata sulla buona occasione che Dio dava loro e a luid'impiegarsi una volta in aiuto del prossimoche avevan tantooppresso e spaventato; econ quel tono naturale di comandoch'esprimeva la certezza dell'ubbidienzaannunziò loro ingenerale ciò che intendeva che facesseroe soprattuttoprescrisse come dovessero contenersiperché la gente cheveniva a ricoverarsi lassùnon vedesse in loro che amici edifensori. Fece poi portar giù da una stanza a tetto l'armi dafuocoda taglioin astache da un pezzo stavan lìammucchiatee gliele distribuì; fece dire a' suoi contadini eaffittuari della valleche chiunque si sentivavenisse con armi alcastello; a chi non n'avevane diede; scelse alcuniche fosserocome ufizialie avessero altri sotto il loro comando; assegnòi posti all'entrature e in altri luoghi della vallesulla salitaalle porte del castello; stabilì l'ore e i modi di dar lamutacome in un campoo come già s'era costumato in quelcastello medesimone' tempi della sua vita disperata.

Inun canto di quella stanza a tettoc'erano in disparte l'armi che luisolo aveva portate; quella sua famosa carabinamoschettispadespadonipistolecoltellaccipugnaliper terrao appoggiati almuro. Nessuno de' servitori le toccò; ma concertarono didomandare al padrone quali voleva che gli fossero portate. - Nessuna- rispose; efosse votofosse propositorestò sempredisarmatoalla testa di quella specie di guarnigione.

Nellostesso tempoaveva messo in moto altr'uomini e donne di servizioosuoi dipendentia preparar nel castello alloggio a quante piùpersone fosse possibilea rizzar lettia disporre sacconi estrapunti nelle stanzenelle saleche diventavan dormitòri.E aveva dato ordine di far venire provvisioni abbondantiperispesare gli ospiti che Dio gli manderebbee i quali infatti andavancrescendo di giorno in giorno. Lui intanto non istava mai fermo;dentro e fuori del castellosu e giù per la salitain giroper la vallea stabilirea rinforzarea visitar postia vedereafarsi vederea mettere e a tenere in regolacon le parolecon gliocchicon la presenza. In casaper la stradafaceva accoglienza aquelli che arrivavano; e tuttio lo avessero già vistoo lovedessero per la prima voltalo guardavano estaticidimenticando unmomento i guai e i timori che gli avevano spinti lassù; e sivoltavano ancora a guardarloquandostaccatosi da loroseguitavala sua strada.




Cap.XXX


Quantunqueil concorso maggiore non fosse dalla parte per cui i nostri trefuggitivi s'avvicinavano alla vallema all'imboccatura oppostacontutto ciòcominciarono a trovar compagni di viaggio e disventurache da traverse e viottole erano sboccati o sboccavanonella strada. In circostanze similitutti quelli che s'incontranoècome se si conoscessero. Ogni volta che il baroccio aveva raggiuntoqualche pedonesi barattavan domande e risposte. Chi era scappatocome i nostrisenza aspettar l'arrivo de' soldati; chi aveva sentitii tamburi o le trombe; chi gli aveva visti coloroe li dipingevacome gli spaventati soglion dipingere.

-Siamo ancora fortunati- dicevan le due donne: - ringraziamo ilcielo. Vada la roba; ma almeno siamo in salvo.

Madon Abbondio non trovava che ci fosse tanto da rallegrarsi; anzi quelconcorsoe più ancora il maggiore che sentiva essercidall'altra partecominciava a dargli ombra. - Oh che storia! -borbottava alle donnein un momento che non c'era nessuno d'intorno:- oh che storia! Non capiteche radunarsi tanta gente in un luogo èlo stesso che volerci tirare i soldati per forza? Tutti nascondonotutti portan via; nelle case non resta nulla; crederanno che lassùci siano tesori. Ci vengono sicuro: sicuro ci vengono. Oh povero me!dove mi sono imbarcato!

-Oh! voglion far altro che venir lassù- diceva Perpetua: -anche loro devono andar per la loro strada. E poiio ho sempresentito dire chene' pericoliè meglio essere in molti.

-In molti? in molti? - replicava don Abbondio: - povera donna! Nonsapete che ogni lanzichenecco ne mangia cento di costoro? E poisevolessero far delle pazziesarebbe un bel gustoeh? di trovarsi inuna battaglia. Oh povero me! Era meno male andar su per i monti. Cheabbian tutti a voler cacciarsi in un luogo!... Seccatori! -borbottava poia voce più bassa: - tutti qui: e viae viaevia; l'uno dietro l'altrocome pecore senza ragione.

-A questo modo- disse Agnese- anche loro potrebbero dir lo stessodi noi.

-Chetatevi un po'- disse don Abbondio: - ché già lechiacchiere non servono a nulla. Quel ch'è fatto èfatto: ci siamobisogna starci. Sarà quel che vorrà laProvvidenza: il cielo ce la mandi buona.

Mafu ben peggio quandoall'entrata della vallevide un buon postod'armatiparte sull'uscio d'una casae parte nelle stanze terrene:pareva una caserma. Li guardò con la coda dell'occhio: noneran quelle facce che gli era toccato a vedere nell'altra dolorosasua gitao se ce n'era di quelleerano ben cambiate; ma con tuttociònon si può dire che noia gli desse quella vista. "Oh povero me! - pensava: - ecco se le fanno le pazzie. Già nonpoteva essere altrimenti: me lo sarei dovuto aspettare da un uomo diquella qualità. Ma cosa vuol fare? vuol far la guerra? vuolfare il relui? Oh povero me! In circostanze che si vorrebbe potersinasconder sotto terrae costui cerca ogni maniera di farsi scorgeredi dar nell'occhio; par che li voglia invitare! "

-Vede orasignor padrone- gli disse Perpetua- se c'è dellabrava gente quiche ci saprà difendere. Vengano ora isoldati: qui non sono come que' nostri spauritiche non son buoniche a menar le gambe.

-Zitta! - risposecon voce bassa ma iracondadon Abbondio: - zitta!che non sapete quel che vi dite. Pregate il cielo che abbian fretta isoldatio che non vengano a sapere le cose che si fanno quie chesi mette all'ordine questo luogo come una fortezza. Non sapete che isoldati è il loro mestiere di prender le fortezze? Non cercanaltro; per lorodare un assalto è come andare a nozze; perchétutto quel che trovano è per loroe passano la gente a fil dispada. Oh povero me! Bastavedrò se ci sarà maniera dimettersi in salvo su per queste balze. In una battaglia non mi cicolgono oh! in una battaglia non mi ci colgono.

-Se ha poi paura anche d'esser difeso e aiutato... - ricominciavaPerpetua; ma don Abbondio l'interruppe aspramentesempre peròa voce bassa: - zitta! E badate bene di non riportare questidiscorsi. Ricordatevi che qui bisogna far sempre viso ridenteeapprovare tutto quello che si vede.

AllaMalanottetrovarono un altro picchetto d'armatiai quali donAbbondio fece una scappellatadicendo intanto tra sé: "ohimèohimè: son proprio venuto in un accampamento! "Qui il baroccio si fermò; ne scesero; don Abbondio pagòin frettae licenziò il condottiere; e s'incamminò conle due compagne per la salitasenza far parola. La vista di que'luoghi gli andava risvegliando nella fantasiae mescolandoall'angosce presentila rimembranza di quelle che vi aveva soffertel'altra volta. E Agnesela quale non gli aveva mai visti que'luoghie se n'era fatta in mente una pittura fantastica che le sirappresentava ogni volta che pensava al viaggio spaventoso di Luciavedendoli ora quali eran davveroprovava come un nuovo e piùvivo sentimento di quelle crudeli memorie. - Oh signor curato! -esclamò: - a pensare che la mia povera Lucia è passataper questa strada!

-Volete stare zitta? donna senza giudizio! - le gridò in unorecchio don Abbondio: - son discorsi codesti da farsi qui? Nonsapete che siamo in casa sua? Fortuna che ora nessun vi sente; ma separlate in questa maniera...

-Oh! - disse Agnese: - ora che è santo...!

-State zitta- le replicò don Abbondio: - credete voi che aisanti si possa diresenza riguardotutto ciò che passa perla mente? Pensate piuttosto a ringraziarlo del bene che v'ha fatto.

-Oh! per questoci avevo già pensato: che crede che non lesappia un pochino le creanze?

-La creanza è di non dir le cose che posson dispiacerespecialmente a chi non è avvezzo a sentirne. E intendetelabene tutt'e dueche qui non è luogo da far pettegolezzie dadir tutto quello che vi può venire in testa. E casa d'un gransignoregià lo sapete: vedete che compagnia c'èd'intorno: ci vien gente di tutte le sorte; sicchégiudiziose potete: pesar le parolee soprattutto dirne pochee solo quandoc'è necessità: ché a stare zitti non si sbagliamai.

-Fa peggio lei con tutte codeste sue... - riprendeva Perpetua.

Ma:- zitta! - gridò sottovoce don Abbondioe insieme si levòil cappello in frettae fece un profondo inchino: chéguardando in suaveva visto l'innominato scender verso di loro.Anche questo aveva visto e riconosciuto don Abbondio; e affrettava ilpasso per andargli incontro.

-Signor curato- dissequando gli fu vicino- avrei voluto offrirlela mia casa in miglior occasione; maa ogni modoson ben contentodi poterle esser utile in qualche cosa.

-Confidato nella gran bontà di vossignoria illustrissima-rispose don Abbondio- mi son preso l'ardire di venirein questetriste circostanzea incomodarla: ecome vede vossignoriaillustrissimami son preso anche la libertà di menarcompagnia. Questa è la mia governante...

-Benvenuta- disse l'innominato.

-E questa- continuò don Abbondio- è una donna a cuivossignoria ha già fatto del bene: la madre di quella... diquella...

-Di Lucia- disse Agnese.

-Di Lucia! - esclamò l'innominatovoltandosicon la testabassaad Agnese. - Del beneio! Dio immortale! Voimi fate delbenea venir qui... da me... in questa casa. Siate la benvenuta. Voici portate la benedizione.

-Oh giusto! - disse Agnese: - vengo a incomodarla. Anzi- continuòavvicinandosegli all'orecchio- ho anche a ringraziarla...

L'innominatotroncò quelle paroledomandando premurosamente le nuove diLucia; e sapute che l'ebbesi voltò per accompagnare alcastello i nuovi ospiticome fecemalgrado la loro resistenzacerimoniosa. Agnese diede al curato un'occhiata che voleva dire: vedaun poco se c'è bisogno che lei entri di mezzo tra noi due adar pareri.

-Sono arrivati alla sua parrocchia? - gli domandò l'innominato.

-Nosignoreche non gli ho voluti aspettare que' diavoli- risposedon Abbondio. - Sa il cielo se avrei potuto uscir vivo dalle loromanie venire a incomodare vossignoria illustrissima.

-Benesi faccia coraggio- riprese l'innominato: - ché ora èin sicuro. Quassù non verranno; e se si volessero provaresiam pronti a riceverli.

-Speriamo che non vengano- disse don Abbondio. - E sento-soggiunseaccennando col dito i monti che chiudevano la valle dirimpetto- sento cheanche da quella partegiri un'altra masnadadi gentema... ma...

-E vero- rispose l'innominato: - ma non dubitiche siam prontianche per loro.

"Tra due fuochi- diceva tra sé don Abbondio: - proprio tradue fuochi. Dove mi son lasciato tirare! e da due pettegole! E costuipar proprio che ci sguazzi dentro! Oh che gente c'è a questomondo! "

Entratinel castelloil signore fece condurre Agnese e Perpetua in unastanza del quartiere assegnato alle donneche occupava tre lati delsecondo cortilenella parte posteriore dell'edifizio situata sur unmasso sporgente e isolatoa cavaliere a un precipizio. Gli uominialloggiavano ne' lati dell'altro cortile a destra e a sinistrae inquello che rispondeva sulla spianata. Il corpo di mezzoche separavai due cortilie dava passaggio dall'uno all'altroper un vastoandito di rimpetto alla porta principaleera in parte occupato dalleprovvisionie in parte doveva servir di deposito per la roba che irifugiati volessero mettere in salvo lassù. Nel quartieredegli uominic'erano alcune camere destinate agli ecclesiastici chepotessero capitare. L'innominato v'accompagnò in persona donAbbondioche fu il primo a prenderne il possesso.

Ventitreo ventiquattro giorni stettero i nostri fuggitivi nel castelloinmezzo a un movimento continuoin una gran compagniae che ne' primitempiandò sempre crescendo; ma senza che accadesse nulla distraordinario. Non passò forse giornoche non si desseall'armi. Vengon lanzichenecchi di qua; si son veduti cappelletti dilà. A ogni avvisol'innominato mandava uomini a esplorare; ese faceva bisognoprendeva con sé della gente che tenevasempre pronta a ciòe andava con essa fuor della valledallaparte dov'era indicato il pericolo. Ed era cosa singolarevedere unaschiera d'uomini armati da capo a piedie schierati come una truppacondotti da un uomo senz'armi. Le più volte non erano cheforaggieri e saccheggiatori sbandatiche se n'andavano prima d'essersorpresi. Ma una voltacacciando alcuni di costoroper insegnarloro a non venir più da quelle partil'innominato ricevetteavviso che un paesetto vicino era invaso e messo a sacco. Eranolanzichenecchi di vari corpi cherimasti indietro per rubares'eranriunitie andavano a gettarsi all'improvviso sulle terre vicine aquelle dove alloggiava l'esercito; spogliavano gli abitantie glienefacevan di tutte le sorte. L'innominato fece un breve discorso a'suoi uominie li condusse al paesetto.

Arrivaronoinaspettati. I ribaldi che avevan creduto di non andar che allapredavedendosi venire addosso gente schierata e pronta acombatterelasciarono il saccheggio a mezzoe se n'andarono infrettasenz'aspettarsi l'uno con l'altrodalla parte dond'eranvenuti. L'innominato gl'inseguì per un pezzo di strada; poifatto far altostette qualche tempo aspettandose vedesse qualchenovità; e finalmente se ne ritornò. E ripassando nelpaesetto salvatonon si potrebbe dire con quali applausi ebenedizioni fosse accompagnato il drappello liberatore e ilcondottiero.

Nelcastellotra quella moltitudineformata a casodi personevariedi condizionedi costumidi sesso e d'etànon nacque maialcun disordine d'importanza. L'innominato aveva messe guardie indiversi luoghile quali tutte invigilavano che non seguisse nessuninconvenientecon quella premura che ognuno metteva nelle cose dicui s'avesse a rendergli conto.

Avevapoi pregati gli ecclesiasticie gli uomini più autorevoli chesi trovavan tra i ricoveratid'andare in giro e d'invigilare ancheloro. E più spesso che potevagirava anche luie si facevaveder per tutto; maanche in sua assenzail ricordarsi di chi s'erain casaserviva di freno a chi ne potesse aver bisogno. Edelrestoera tutta gente scappatae quindi inclinata in generale allaquiete: i pensieri della casa e della robaper alcuni anche dicongiunti o d'amici rimasti nel pericolole nuove che venivan difuoriabbattendo gli animimantenevano e accrescevano sempre piùquella disposizione.

C'eraperò anche de' capi scarichidegli uomini d'una tempra piùsalda e d'un coraggio più verdeche cercavano di passar que'giorni in allegria. Avevano abbandonate le loro caseper non esserforti abbastanza da difenderle; ma non trovavan gusto a piangere e asospirare sur una cosa che non c'era rimedioné a figurarsi ea contemplar con la fantasia il guasto che vedrebbero pur troppo co'loro occhi. Famiglie amiche erano andate di conservao s'eranritrovate lassùs'eran fatte amicizie nuove; e la folla s'eradivisa in crocchisecondo gli umori e l'abitudini. Chi aveva danarie discrezioneandava a desinare giù nella valledove inquella circostanzas'eran rizzate in fretta osterie: in alcuneibocconi erano alternati co' sospirie non era lecito parlar d'altroche di sciagure: in altrenon si rammentavan le sciagurese non perdire che non bisognava pensarci. A chi non poteva o non voleva farsile spesesi distribuiva nel castello paneminestra e vino: oltrealcune tavole ch'eran servite ogni giornoper quelli che il padronevi aveva espressamente invitati; e i nostri eran di questo numero.

Agnesee Perpetuaper non mangiare il pane a ufoavevan voluto essereimpiegate ne' servizi che richiedeva una così grandeospitalità; e in questo spendevano una buona parte dellagiornata; il resto nel chiacchierare con certe amiche che s'eranfatteo col povero don Abbondio. Questo non aveva nulla da faremanon s'annoiava però; la paura gli teneva compagnia. La pauraproprio d'un assaltocredo che la gli fosse passatao se pur glienerimanevaera quella che gli dava meno fastidio; perchépensandoci appena appenadoveva capire quanto poco fosse fondata. Mal'immagine del paese circonvicino inondatoda una parte edall'altrada soldataccile armi e gli armati che vedeva sempre ingiroun castelloquel castelloil pensiero di tante cose chepotevan nascere ogni momento in tali circostanzetutto gli tenevaaddosso uno spavento indistintogeneralecontinuo; lasciando stareil rodìo che gli dava il pensare alla sua povera casa. Intutto il tempo che stette in quell'asilonon se ne discostòmai quanto un tiro di schiopponé mai mise piede sulladiscesa: l'unica sua passeggiata era d'uscire sulla spianataed'andarequando da una parte e quando dall'altra del castelloaguardar giù per le balze e per i burroniper istudiare se cifosse qualche passo un po' praticabilequalche po' di sentieroperdove andar cercando un nascondiglio in caso d'un serra serra. A tuttii suoi compagni di rifugio faceva gran riverenze o gran salutimabazzicava con pochissimi: la sua conversazione più frequenteera con le due donnecome abbiam detto; con loro andava a fare isuoi sfoghia rischio che talvolta gli fosse dato sulla voce daPerpetuae che lo svergognasse anche Agnese. A tavola poidovestava poco e parlava pochissimosentiva le nuove del terribilepassaggiole quali arrivavano ogni giornoo di paese in paese e dibocca in boccao portate lassù da qualchedunoche daprincipio aveva voluto restarsene a casae scappava in ultimosenzaaver potuto salvar nullae a un bisogno anche malconcio: e ognigiorno c'era qualche nuova storia di sciagura. Alcuninovellisti diprofessioneraccoglievan diligentemente tutte le vociabburattavantutte le relazionie ne davan poi il fiore agli altri. Si disputavaquali fossero i reggimenti più indiavolatise fosse peggio lafanteria o la cavalleria; si ripetevanoil meglio che si potevacerti nomi di condottieri; d'alcuni si raccontavan l'imprese passatesi specificavano le stazioni e le marce: quel giornoil talereggimento si spandeva ne' tali paesidomani anderebbe addosso aitali altridove intanto il tal altro faceva il diavolo e peggio.Sopra tutto si cercava d'aver informazionee si teneva il conto de'reggimenti che passavan di mano in mano il ponte di Leccoperchéquelli si potevano considerar come andatie fuori veramente delpaese. Passano i cavalli di Wallensteinpassano i fanti di Merodepassano i cavalli di Anhaltpassano i fanti di Brandeburgoe poi icavalli di Montecuccolie poi quelli di Ferrari; passa Altringerpassa Furstenbergpassa Colloredo; passano i Croatipassa TorquatoContipassano altri e altri; quando piacque al cielopassòanche Galassoche fu l'ultimo. Lo squadron volante de' venezianifinì d'allontanarsi anche lui; e tutto il paesea destra e asinistrasi trovò libero. Già quelli delle terreinvase e sgombrate le primeeran partiti dal castello; e ogni giornone partiva: comedopo un temporale d'autunnosi vede dai palchifronzuti d'un grand'albero uscire da ogni parte gli uccelli che cis'erano riparati. Credo che i nostri tre fossero gli ultimi adandarsene; e ciò per volere di don Abbondioil quale temevase si tornasse subito a casadi trovare ancora in girolanzichenecchi rimasti indietro sbrancatiin coda all'esercito.Perpetua ebbe un bel dire chequanto più s'indugiavatantopiù si dava agio ai birboni del paese d'entrare in casa aportar via il resto; quando si trattava d'assicurar la pelleerasempre don Abbondio che la vinceva; meno che l'imminenza del pericolonon gli avesse fatto perdere affatto la testa.

Ilgiorno fissato per la partenzal'innominato fece trovar pronta allaMalanotte una carrozzanella quale aveva già fatto mettere uncorredo di biancheria per Agnese. E tiratala in dispartele feceanche accettare un gruppetto di scudiper riparare al guasto chetroverebbe in casa; quantunquebattendo la mano sul pettoessaandasse ripetendo che ne aveva lì ancora de' vecchi.

-Quando vedrete quella vostra buonapovera Lucia... - le disse inultimo: - già son certo che prega per mepoiché le hofatto tanto male: ditele adunque ch'io la ringrazioe confido inDioche la sua preghiera tornerà anche in tanta benedizioneper lei.

Vollepoi accompagnar tutti e tre gli ospitifino alla carrozza. Iringraziamenti umili e sviscerati di don Abbondio e i complimenti diPerpetuase gl'immagini il lettore. Partirono; fecerosecondo ilfissatouna fermatinama senza neppur mettersi a sederenella casadel sartodove sentirono raccontar cento cose del passaggio: lasolita storia di ruberiedi percossedi sperperodi sporchizie: malìper buona sortenon s'eran visti lanzichenecchi.

-Ah signor curato! - disse il sartodandogli di braccio a rimontarein carrozza: - s'ha da far de' libri in istampasopra un fracasso diquesta sorte.

Dopoun'altra po' di stradacominciarono i nostri viaggiatori a veder co'loro occhi qualche cosa di quello che avevan tanto sentitodescrivere: vigne spogliatenon come dalla vendemmiama come dallagrandine e dalla bufera che fossero venute in compagnia: tralci aterrasfrondati e scompigliati; strappati i palicalpestato ilterrenoe sparso di scheggedi fogliedi sterpi; schiantatiscapezzati gli alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli portati via.Ne' paesi poiusci sfondatiimpannate lacerepagliacencirottami d'ogni sortea mucchi o seminati per le strade; un'ariapesantezaffate di puzzo più forte che uscivan dalle case; lagentechi a buttar fuori porcheriechi a raccomodar le imposte allamegliochi in crocchio a lamentarsi insieme; eal passar dellacarrozzamani di qua e di là tese agli sportelliper chiederl'elemosina.

Conqueste immaginiora davanti agli occhiora nella mentee conl'aspettativa di trovare altrettanto a casa loroci arrivarono; etrovarono infatti quello che s'aspettavano.

Agnesefece posare i fagotti in un canto del cortilettoch'era rimasto illuogo più pulito della casa; si mise poi a spazzarlaaraccogliere e a rigovernare quella poca roba che le avevan lasciata;fece venire un legnaiolo e un fabbroper riparare i guasti piùgrossie guardando poicapo per capola biancheria regalataecontando que' nuovi ruspidiceva tra sé: " son caduta inpiedi; sia ringraziato Iddio e la Madonna e quel buon signore: possoproprio dire d'esser caduta in piedi ".

DonAbbondio e Perpetua entrano in casasenza aiuto di chiavi; ognipasso che fanno nell'anditosenton crescere un tanfoun velenounapesteche li respinge indietro; con la mano al nasovanno all'usciodi cucina; entrano in punta di piedistudiando dove metterliperiscansar più che possono la porcheria che copre il pavimento;e dànno un'occhiata in giro. Non c'era nulla d'intero; maavanzi e frammenti di quel che c'era statolì e altrovesene vedeva in ogni canto: piume e penne delle galline di Perpetuapezzi di biancheriafogli de' calendari di don Abbondiococci dipentole e di piatti; tutto insieme o sparpagliato. Solo nel focolaresi potevan vedere i segni d'un vasto saccheggio accozzati insiemecome molte idee sottintesein un periodo steso da un uomo di garbo.C'eradicoun rimasuglio di tizzi e tizzoni spentii qualimostravano d'essere statiun bracciolo di seggiolaun piede ditavolauno sportello d'armadiouna panca di lettouna doga dellabotticinadove ci stava il vino che rimetteva lo stomaco a donAbbondio. Il resto era cenere e carboni; e con que' carboni stessiiguastatoriper ristoroavevano scarabocchiati i muri di figuracceingegnandosicon certe berrettine o con certe cherichee con certelarghe faccioledi farne de' pretie mettendo studio a farliorribili e ridicoli: intento cheper veritànon poteva andarfallito a tali artisti.

-Ah porci! - esclamò Perpetua. - Ah baroni! - esclamòdon Abbondio; ecome scappandoandaron fuoriper un altr'uscio chemetteva nell'orto. Respirarono; andaron diviato al fico; ma giàprima d'arrivarcividero la terra smossae misero un grido tutt'edue insieme; arrivatitrovarono effettivamentein vece del mortola buca aperta. Qui nacquero de' guai: don Abbondio cominciò aprendersela con Perpetuache non avesse nascosto bene: pensate sequesta rimase zitta: dopo ch'ebbero ben gridatotutt'e due colbraccio tesoe con l'indice appuntato verso la bucase ne tornaronoinsiemebrontolando. E fate conto che per tutto trovarono a un dipresso la medesima cosa. Penarono non so quantoa far ripulire esmorbare la casatanto più chein que' giorniera difficiletrovar aiuto; e non so quanto dovettero stare come accampatiaccomodandosi alla meglioo alla peggioe rifacendo a poco a pocouscimobiliutensilicon danari prestati da Agnese.

Pergiunta poiquel disastro fu una semenza d'altre questioni moltonoiose; perché Perpetuaa forza di chiedere e domandaredispiare e fiutarevenne a saper di certo che alcune masserizie delsuo padronecredute preda o strazio de' soldatierano in vece sanee salve in casa di gente del paese; e tempestava il padrone che sifacesse sentiree richiedesse il suo. Tasto più odioso non sipoteva toccare per don Abbondio; giacché la sua roba era inmano di birbonicioè di quella specie di persone con cui glipremeva più di stare in pace.

-Ma se non ne voglio saper nulla di queste cose- diceva. - Quantevolte ve lo devo ripetereche quel che è andato èandato? Ho da esser messo anche in croceperché m'èstata spogliata la casa?

-Se lo dico- rispondeva Perpetua- che lei si lascerebbe cavar gliocchi di testa. Rubare agli altri è peccatoma a leièpeccato non rubare.

-Ma vedete se codesti sono spropositi da dirsi! - replicava donAbbondio: - ma volete stare zitta?

Perpetuasi chetavama non subito subito; e prendeva pretesto da tutto perriprincipiare. Tanto che il pover'uomo s'era ridotto a non lamentarsipiùquando trovava mancante qualche cosanel momento che neavrebbe avuto bisogno; perchépiù d'una voltagli eratoccato a sentirsi dire: - vada a chiederlo al tale che l'hae nonl'avrebbe tenuto fino a quest'orase non avesse che fare con un buonuomo.

Un'altrae più viva inquietudine gli dava il sentire che giornalmentecontinuavano a passar soldati alla spicciolatacome aveva troppobene congetturato; onde stava sempre in sospetto di vedersene capitarqualcheduno o anche una compagnia sull'uscioche aveva fattoraccomodare in fretta per la prima cosae che teneva chiuso con grancura; maper grazia del cielociò non avvenne mai. Néperò questi terrori erano ancora cessatiche un nuovo nesopraggiunse.

Maqui lasceremo da parte il pover'uomo: si tratta ben d'altro che disue apprensioni privateche de' guai d'alcuni paesiche d'undisastro passeggiero.




Cap.XXXI


Lapeste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesseentrar con le bande alemanne nel milanesec'era entrata davverocome è noto; ed è noto parimente che non si fermòquima invase e spopolò una buona parte d'Italia. Condottidal filo della nostra storianoi passiamo a raccontar gliavvenimenti principali di quella calamità; nel milaneses'intendeanzi in Milano quasi esclusivamente: ché dellacittà quasi esclusivamente trattano le memorie del tempocomea un di presso accade sempre e per tuttoper buone e per cattiveragioni. E in questo raccontoil nostro fine non èper dirla veritàsoltanto di rappresentar lo stato delle cose nelquale verranno a trovarsi i nostri personaggi; ma di far conoscereinsiemeper quanto si può in ristrettoe per quanto si puòda noiun tratto di storia patria più famoso che conosciuto.

Dellemolte relazioni contemporaneenon ce n'è alcuna che basti dasé a darne un'idea un po' distinta e ordinata; come non ce n'èalcuna che non possa aiutare a formarla. In ognuna di questerelazionisenza eccettuarne quella del Ripamonti (JosephiRipamontiicanonici scalensischronistae urbis MediolaniDepeste quae fuit anno 1630Libri V. Mediolani1640apudMalatestas.)la quale le supera tutteper la quantità e perla scelta de' fattie ancor più per il modo d'osservarliinognuna sono omessi fatti essenzialiche son registrati in altre; inognuna ci sono errori materialiche si posson riconoscere erettificare con l'aiuto di qualche altrao di que' pochi atti dellapubblica autoritàediti e ineditiche rimangono; spesso inuna si vengono a trovar le cagioni di cui nell'altra s'eran visticome in ariagli effetti. In tutte poi regna una strana confusionedi tempi e di cose; è un continuo andare e venirecome allaventurasenza disegno generalesenza disegno ne' particolari:caratteredel restode' più comuni e de' piùapparenti ne' libri di quel tempoprincipalmente in quelli scrittiin lingua volgarealmeno in Italia; se anche nel resto d'Europaidotti lo saprannonoi lo sospettiamo. Nessuno scrittore d'epocaposteriore s'è proposto d'esaminare e di confrontare quellememorieper ritrarne una serie concatenata degli avvenimentiunastoria di quella peste; sicché l'idea che se ne hageneralmentedev'esseredi necessitàmolto incertae unpo' confusa: un'idea indeterminata di gran mali e di grand'errori (eper verità ci fu dell'uno e dell'altroal di là diquel che si possa immaginare)un'idea composta più di giudiziche di fattialcuni fatti dispersinon di rado scompagnati dallecircostanze più caratteristichesenza distinzion di tempocioè senza intelligenza di causa e d'effettodi corsodiprogressione. Noiesaminando e confrontandocon molta diligenza senon altrotutte le relazioni stampatepiù d'una ineditamolti (in ragione del poco che ne rimane) documenticome diconoufizialiabbiam cercato di farne non già quel che sivorrebbema qualche cosa che non è stato ancor fatto. Nonintendiamo di riferire tutti gli atti pubblicie nemmeno tutti gliavvenimenti degniin qualche mododi memoria. Molto menopretendiamo di rendere inutile a chi voglia farsi un'idea piùcompita della cosala lettura delle relazioni originali: sentiamotroppo che forza vivapropria eper dir cosìincomunicabileci sia sempre nell'opere di quel generecomunqueconcepite e condotte. Solamente abbiam tentato di distinguere e diverificare i fatti più generali e più importantididisporli nell'ordine reale della loro successioneper quanto locomporti la ragione e la natura d'essid'osservare la loroefficienza reciprocae di dar cosìper ora e finchéqualchedun altro non faccia megliouna notizia succintama sincerae continuatadi quel disastro.

Pertutta adunque la striscia di territorio percorsa dall'esercitos'eratrovato qualche cadavere nelle casequalcheduno sulla strada. Pocodopoin questo e in quel paesecominciarono ad ammalarsia morirepersonefamigliedi mali violentistranicon segni sconosciutialla più parte de' viventi. C'era soltanto alcuni a cui nonriuscissero nuovi: que' pochi che potessero ricordarsi della pestechecinquantatre anni avantiaveva desolata pure una buona parted'Italiae in ispecie il milanesedove fu chiamataed ètuttorala peste di san Carlo. Tanto è forte la carità!Tra le memorie così varie e così solenni d'uninfortunio generalepuò essa far primeggiare quella d'unuomoperché a quest'uomo ha ispirato sentimenti e azioni piùmemorabili ancora de' mali; stamparlo nelle menticome un sunto ditutti que' guaiperché in tutti l'ha spinto e intromessoguidasoccorsoesempiovittima volontaria; d'una calamitàper tuttifar per quest'uomo come un'impresa; nominarla da luicomeuna conquistao una scoperta.

Ilprotofisico Lodovico Settalachénon solo aveva vedutaquella pestema n'era stato uno de' più attivi e intrepidiequantunque allor giovinissimode' più riputati curatori; eche orain gran sospetto di questastava all'erta esull'informazioniriferìil 20 d'ottobrenel tribunaledella sanitàcomenella terra di Chiuso (l'ultima delterritorio di Leccoe confinante col bergamasco)era scoppiatoindubitabilmente il contagio. Non fu per questo presa verunarisoluzionecome si ha dal Ragguaglio del Tadino (Pag. 24.).

Edecco sopraggiungere avvisi somiglianti da Lecco e da Bellano. Iltribunale allora si risolvette e si contentò di spedire uncommissario chestrada facendoprendesse un medico a Comoe siportasse con lui a visitare i luoghi indicati. Tutt'e due" oper ignoranza o per altrosi lasciorno persuadere da un vecchio etignorante barbiero di Bellanoche quella sorte de mali non era Peste" (Tadinoivi.); main alcuni luoghieffetto consuetodell'emanazioni autunnali delle paludie negli altrieffetto de'disagi e degli strapazzi soffertinel passaggio degli alemanni. Unatale assicurazione fu riportata al tribunaleil quale pare che nemettesse il cuore in pace.

Maarrivando senza posa altre e altre notizie di morte da diverse partifurono spediti due delegati a vedere e a provvedere: il Tadinosuddettoe un auditore del tribunale. Quando questi giunseroilmale s'era già tanto dilatatoche le prove si offrivanosenza che bisognasse andarne in cerca. Scorsero il territorio diLeccola Valsassinale coste del lago di Comoi distrettidenominati il Monte di Brianzae la Gera d'Adda; e per tuttotrovarono paesi chiusi da cancelli all'entraturealtri quasidesertie gli abitanti scappati e attendati alla campagnaodispersi: " et ci parevano- dice il Tadino- tante creatureseluaticheportando in mano chi l'herba mentachi la rutachi ilrosmarino et chi una ampolla d'aceto ". S'informarono del numerode' morti: era spaventevole; visitarono infermi e cadaverie pertutto trovarono le brutte e terribili marche della pestilenza.Diedero subitoper letterequelle sinistre nuove al tribunale dellasanitàil qualeal riceverleche fu il 30 d'ottobre"si dispose "dice il medesimo Tadinoa prescriver le bulletteper chiuder fuori dalla Città le persone provenienti da' paesidove il contagio s'era manifestato; " et mentre si compilaua lagrida "ne diede anticipatamente qualche ordine sommario a'gabellieri.

Intantoi delegati presero in fretta e in furia quelle misure che parver loromigliori; e se ne tornaronocon la trista persuasione che nonsarebbero bastate a rimediare e a fermare un male già tantoavanzato e diffuso.

Arrivatiil 14 di novembredato ragguaglioa voce e di nuovo in iscrittoaltribunaleebbero da questo commissione di presentarsi algovernatoree d'esporgli lo stato delle cose. V'andaronoeriportarono: aver lui di tali nuove provato molto dispiaceremostratone un gran sentimento; ma i pensieri della guerra esser piùpressanti: sed belli graviores esse curas. Così ilRipamontiil quale aveva spogliati i registri della Sanitàeconferito col Tadinoincaricato specialmente della missione: era lasecondase il lettore se ne ricordaper quella causae conquell'esito. Due o tre giorni dopoil 18 di novembreemanòil governatore una gridain cui ordinava pubbliche festeper lanascita del principe Carloprimogenito del re Filippo IVsenzasospettare o senza curare il pericolo d'un gran concorsoin talicircostanze: tutto come in tempi ordinaricome se non gli fossestato parlato di nulla.

Eraquest'uomocome già s'è dettoil celebre AmbrogioSpinolamandato per raddirizzar quella guerra e riparare agli erroridi don Gonzaloe incidentementea governare; e noi pure possiamoqui incidentemente rammentar che morì dopo pochi mesiinquella stessa guerra che gli stava tanto a cuore; e morìnongià di ferite sul campoma in lettod'affanno e distruggimentoper rimproveritortidisgusti d'ogni specie ricevutida quelli a cui serviva. La storia ha deplorata la sua sorteebiasimata l'altrui sconoscenza; ha descritte con molta diligenza lesue imprese militari e politichelodata la sua previdenzal'attivitàla costanza: poteva anche cercare cos'abbia fattodi tutte queste qualitàquando la peste minacciavainvadevauna popolazione datagli in curao piuttosto in balìa.

Maciò chelasciando intero il biasimoscema la maraviglia diquella sua condottaciò che fa nascere un'altra e piùforte maravigliaè la condotta della popolazione medesimadiquellavoglio direchenon tocca ancora dal contagioaveva tantaragion di temerlo. All'arrivo di quelle nuove de' paesi che n'eranocosì malamente imbrattatidi paesi che formano intorno allacittà quasi un semicircoloin alcuni punti distante da essanon più di diciotto o venti miglia; chi non crederebbe che visi suscitasse un movimento generaleun desiderio di precauzioni beneo male intesealmeno una sterile inquietudine? Eppurese in qualchecosa le memorie di quel tempo vanno d'accordoènell'attestare che non ne fu nulla. La penuria dell'anno antecedentele angherie della soldatescale afflizioni d'animoparvero piùche bastanti a render ragione della mortalità: sulle piazzenelle botteghenelle casechi buttasse là una parola delpericolochi motivasse pesteveniva accolto con beffe incredulecon disprezzo iracondo. La medesima miscredenzala medesimaper dirmegliocecità e fissazione prevaleva nel senatonelConsiglio de' decurioniin ogni magistrato.

Trovoche il cardinal Federigoappena si riseppero i primi casi di malcontagiosoprescrissecon lettera pastorale a' parrochitra lealtre coseche ammonissero più e più volte i popolidell'importanza e dell'obbligo stretto di rivelare ogni simileaccidentee di consegnar le robe infette o sospette (Vita diFederigo Borromeocompilata da Francesco Rivola. Milano1666pag.582.): e anche questa può essere contata tra le sue lodevolisingolarità.

Iltribunale della sanità chiedevaimplorava cooperazionemaotteneva poco o niente. E nel tribunale stessola premura era benlontana da uguagliare l'urgenza: eranocome afferma più volteil Tadinoe come appare ancor meglio da tutto il contesto della suarelazionei due fisici chepersuasi della gravità edell'imminenza del pericolostimolavan quel corpoil quale avevapoi a stimolare gli altri.

Abbiamgià veduto comeal primo annunzio della pesteandasse freddonell'operareanzi nell'informarsi: ecco ora un altro fatto dilentezza non men portentosase però non era forzataperostacoli frapposti da magistrati superiori. Quella grida per lebulletterisoluta il 30 d'ottobrenon fu stesa che il dì 23del mese seguentenon fu pubblicata che il 29. La peste era giàentrata in Milano.

IlTadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce la portòil primoe altre circostanze della persona e del caso: e infattinell'osservare i princìpi d'una vasta mortalitàin cuile vittimenon che esser distinte per nomeappena si potrannoindicare all'incircaper il numero delle migliaianasce una non soquale curiosità di conoscere que' primi e pochi nomi chepoterono essere notati e conservati: questa specie di distinzionelaprecedenza nell'esterminiopar che faccian trovare in essie nelleparticolaritàper altro più indifferentiqualche cosadi fatale e di memorabile.

L'unoe l'altro storico dicono che fu un soldato italiano al servizio diSpagna; nel resto non sono ben d'accordoneppur sul nome. Fusecondo il Tadinoun Pietro Antonio Lovatodi quartiere nelterritorio di Lecco; secondo il Ripamontiun Pier Paolo Locatidiquartiere a Chiavenna. Differiscono anche nel giorno della suaentrata in Milano: il primo la mette al 22 d'ottobreil secondo adaltrettanti del mese seguente: e non si può stare néall'uno né all'altro. Tutt'e due l'epoche sono incontraddizione con altre ben più verificate. Eppure ilRipamontiscrivendo per ordine del Consiglio generale de' decurionidoveva avere al suo comando molti mezzi di prender l'informazioninecessarie; e il Tadinoper ragione del suo impiegopotevamegliod'ogn'altroessere informato d'un fatto di questo genere. Del restodal riscontro d'altre date che ci paionocome abbiam dettopiùesatterisulta che fuprima della pubblicazione della grida sullebullette; ese ne mettesse contosi potrebbe anche provare o quasiprovareche dovette essere ai primi di quel mese; ma certoillettore ce ne dispensa.

Siacome si siaentrò questo fante sventurato e portator disventuracon un gran fagotto di vesti comprate o rubate a soldatialemanni; andò a fermarsi in una casa di suoi parentinelborgo di porta orientalevicino ai cappuccini; appena arrivatos'ammalò; fu portato allo spedale; dove un bubbone che gli siscoprì sotto un'ascellamise chi lo curava in sospetto di ciòch'era infatti; il quarto giorno morì.

Iltribunale della sanità fece segregare e sequestrare in casa ladi lui famiglia; i suoi vestiti e il letto in cui era stato allospedalefuron bruciati. Due serventi che l'avevano avuto in curaeun buon frate che l'aveva assistitocaddero anch'essi ammalati inpochi giornitutt'e tre di peste. Il dubbio che in quel luogo s'eraavutofin da principiodella natura del malee le cautele usate inconseguenzafecero sì che il contagio non vi si propagasse dipiù.

Mail soldato ne aveva lasciato di fuori un seminìo che non tardòa germogliare. Il primo a cui s'attaccòfu il padrone dellacasa dove quello aveva alloggiatoun Carlo Colonna sonator di liuto.Allora tutti i pigionali di quella casa furonod'ordine dellaSanitàcondotti al lazzerettodove la più partes'ammalarono; alcuni morironodopo poco tempodi manifestocontagio.

Nellacittàquello che già c'era stato disseminato dacostoroda' loro pannida' loro mobili trafugati da parentidapigionalida persone di servizioalle ricerche e al fuocoprescritto dal tribunalee di più quello che c'entrava dinuovoper l'imperfezion degli edittiper la trascuranzanell'eseguirlie per la destrezza nell'eluderliandò covandoe serpendo lentamentetutto il restante dell'annoe ne' primi mesidel susseguente 1630. Di quando in quandoora in questoora in quelquartierea qualcheduno s'attaccavaqualcheduno ne moriva: e laradezza stessa de' casi allontanava il sospetto della veritàconfermava sempre più il pubblico in quella stupida emicidiale fiducia che non ci fosse pestené ci fosse stataneppure un momento. Molti medici ancorafacendo eco alla voce delpopolo (eraanche in questo casovoce di Dio?)deridevan gliaugùri sinistrigli avvertimenti minacciosi de' pochi; eavevan pronti nomi di malattie comuniper qualificare ogni caso dipeste che fossero chiamati a curare; con qualunque sintomoconqualunque segno fosse comparso.

Gliavvisi di questi accidentiquando pur pervenivano alla Sanitàci pervenivano tardi per lo più e incerti. Il terrore dellacontumacia e del lazzeretto aguzzava tutti gl'ingegni: non sidenunziavan gli ammalatisi corrompevano i becchini e i lorosoprintendenti; da subalterni del tribunale stessodeputati da essoa visitare i cadaveris'ebberocon danarifalsi attestati.

Siccomeperòa ogni scoperta che gli riuscisse fareil tribunaleordinava di bruciar robemetteva in sequestro casemandava famiglieal lazzerettocosì è facile argomentare quanta dovesseessere contro di esso l'ira e la mormorazione del pubblico"della Nobiltàdelli Mercanti et della plebe "dice ilTadino; persuasicom'eran tuttiche fossero vessazioni senzamotivoe senza costrutto. L'odio principale cadeva sui due medici;il suddetto Tadinoe Senatore Settalafiglio del protofisico: a talsegnoche ormai non potevano attraversar le piazze senza essereassaliti da parolaccequando non eran sassi. E certo fu singolareemerita che ne sia fatta memoriala condizione in cuiper qualchemesesi trovaron quegli uominidi veder venire avanti un orribileflagellod'affaticarsi in ogni maniera a stornarlod'incontrareostacoli dove cercavano aiutie d'essere insieme bersaglio dellegridaavere il nome di nemici della patria: pro patriae hostibusdice il Ripamonti.

Diquell'odio ne toccava una parte anche agli altri medici checonvinticome lorodella realtà del contagiosuggerivano precauzionicercavano di comunicare a tutti la loro dolorosa certezza. I piùdiscreti li tacciavano di credulità e d'ostinazione: per tuttigli altriera manifesta imposturacabala ordita per far bottega sulpubblico spavento.

Ilprotofisico Lodovico Settalaallora poco men che ottuagenariostatoprofessore di medicina all'università di Paviapoi difilosofia morale a Milanoautore di molte opere riputatissimeallorachiaro per inviti a cattedre d'altre universitàIngolstadtPisaBolognaPadovae per il rifiuto di tutti questiinvitiera certamente uno degli uomini più autorevoli del suotempo. Alla riputazione della scienza s'aggiungeva quella della vitae all'ammirazione la benevolenzaper la sua gran carità nelcurare e nel beneficare i poveri. Euna cosa che in noi turba econtrista il sentimento di stima ispirato da questi meritima cheallora doveva renderlo più generale e più forteilpover'uomo partecipava de' pregiudizi più comuni e piùfunesti de' suoi contemporanei: era più avanti di loromasenza allontanarsi dalla schierache è quello che attira iguaie fa molte volte perdere l'autorità acquistata in altremaniere. Eppure quella grandissima che godevanon solo non bastòa vincerein questo casol'opinion di quello che i poeti chiamavanvolgo profanoe i capocomicirispettabile pubblico; ma non potésalvarlo dall'animosità e dagl'insulti di quella parte di essoche corre più facilmente da' giudizi alle dimostrazioni e aifatti.

Ungiorno che andava in bussola a visitare i suoi ammalatiprincipiòa radunarglisi intorno gentegridando esser lui il capo di coloroche volevano per forza che ci fosse la peste; lui che metteva inispavento la cittàcon quel suo cipigliocon quella suabarbaccia: tutto per dar da fare ai medici. La folla e il furoreandavan crescendo: i portantinivedendo la mala parataricoveraronoil padrone in una casa d'amiciche per sorte era vicina. Questo glitoccò per aver veduto chiarodetto ciò che eraevoluto salvar dalla peste molte migliaia di persone: quandocon unsuo deplorabile consultocooperò a far torturaretanagliaree bruciarecome stregauna povera infelice sventurataperchéil suo padrone pativa dolori strani di stomacoe un altro padrone diprima era stato fortemente innamorato di lei (Storia di Milano delConte Pietro Verri; Milano1825Tom. 4pag. 155.)allora ne avràavuta presso il pubblico nuova lode di sapiente eciò che èintollerabile a pensarenuovo titolo di benemerito.

Masul finire del mese di marzocominciaronoprima nel borgo di portaorientalepoi in ogni quartiere della cittàa farsifrequenti le malattiele morticon accidenti strani di spasimidipalpitazionidi letargodi deliriocon quelle insegne funeste dilividi e di bubboni; morti per lo più celeriviolentenon dirado repentinesenza alcun indizio antecedente di malattia. I mediciopposti alla opinion del contagionon volendo ora confessare ciòche avevan derisoe dovendo pur dare un nome generico alla nuovamalattiadivenuta troppo comune e troppo palese per andarne senzatrovarono quello di febbri malignedi febbri pestilenti: miserabiletransazioneanzi trufferia di parolee che pur faceva gran danno;perchéfigurando di riconoscere la veritàriuscivaancora a non lasciar credere ciò che più importava dicrederedi vedereche il male s'attaccava per mezzo del contatto. Imagistraticome chi si risente da un profondo sonnoprincipiarono adare un po' più orecchio agli avvisialle proposte dellaSanitàa far eseguire i suoi edittii sequestri ordinatilequarantene prescritte da quel tribunale. Chiedeva esso di continuoanche danari per supplire alle spese giornalierecrescentidellazzerettodi tanti altri servizi; e li chiedeva ai decurioniintanto che fosse deciso (che non fucredomaise non col fatto)se tali spese toccassero alla cittào all'erario regio. Aidecurioni faceva pure istanza il gran cancelliereper ordine anchedel governatorech'era andato di nuovo a metter l'assedio a quelpovero Casale; faceva istanza il senatoperché pensasseroalla maniera di vettovagliar la cittàprima che dilatandovisiper isventura il contagiole venisse negato pratica dagli altripaesi; perché trovassero il mezzo di mantenere una gran partedella popolazionea cui eran mancati i lavori. I decurioni cercavanodi far danari per via d'imprestitid'imposte; e di quel che neraccoglievanone davano un po' alla Sanitàun po' a' poveri;un po' di grano compravano: supplivano a una parte del bisogno. E legrandi angosce non erano ancor venute.

Nellazzerettodove la popolazionequantunque decimata ogni giornoandava ogni giorno crescendoera un'altra ardua impresa quellad'assicurare il servizio e la subordinazionedi conservar leseparazioni prescrittedi mantenervi in somma oper dir megliodistabilirvi il governo ordinato dal tribunale della sanità:chéfin da' primi momentic'era stata ogni cosa inconfusioneper la sfrenatezza di molti rinchiusiper latrascuratezza e per la connivenza de' serventi. Il tribunale e idecurioninon sapendo dove battere il capopensaron di rivolgersiai cappuccinie supplicarono il padre commissario della provinciail quale faceva le veci del provincialemorto poco primaacciòvolesse dar loro de' soggetti abili a governare quel regno desolato.Il commissario propose loroper principaleun padre Felice Casatiuomo d'età maturail quale godeva una gran fama di caritàd'attivitàdi mansuetudine insieme e di fortezza d'animoaquel che il seguito fece vedereben meritata; e per compagno e comeministro di luiun padre Michele Pozzobonelliancor giovinemagrave e severodi pensieri come d'aspetto. Furono accettati con granpiacere; e il 30 di marzoentrarono nel lazzeretto. Il presidentedella Sanità li condusse in girocome per prenderne ilpossesso; econvocati i serventi e gl'impiegati d'ogni gradodichiaròdavanti a loropresidente di quel luogo il padreFelicecon primaria e piena autorità. Di mano in mano poi chela miserabile radunanza andò crescendov'accorsero altricappuccini; e furono in quel luogo soprintendenticonfessoriamministratoriinfermiericucinieriguardarobilavandaituttociò che occorresse. Il padre Felicesempre affaticato esempre sollecitogirava di giornogirava di notteper i porticiper le stanzeper quel vasto spazio internotalvolta portandoun'astatalvolta non armato che di cilizio; animava e regolava ognicosa; sedava i tumultifaceva ragione alle quereleminacciavapunivariprendevaconfortavaasciugava e spargeva lacrime. Presesul principiola peste; ne guarìe si rimisecon nuovalenaalle cure di prima. I suoi confratelli ci lasciarono la piùparte la vitae tutti con allegrezza.

Certouna tale dittatura era uno strano ripiego; strano come la calamitàcome i tempi; e quando non ne sapessimo altrobasterebbe perargomentoanzi per saggio d'una società molto rozza e malregolatail veder che quelli a cui toccava un così importantegovernonon sapesser più farne altro che cederlonétrovassero a chi cederloche uominiper istitutoil piùalieni da ciò. Ma è insieme un saggio non ignobiledella forza e dell'abilità che la carità puòdare in ogni tempoe in qualunque ordin di coseil vederquest'uomini sostenere un tal carico così bravamente. E fubello lo stesso averlo accettatosenz'altra ragione che il nonesserci chi lo volessesenz'altro fine che di serviresenz'altrasperanza in questo mondoche d'una morte molto piùinvidiabile che invidiata; fu bello lo stesso esser loro offertosolo perché era difficile e pericolosoe si supponeva che ilvigore e il sangue freddocosì necessario e raro in que'momentiessi lo dovevano avere. E perciò l'opera e il cuoredi que' frati meritano che se ne faccia memoriacon ammirazionecontenerezzacon quella specie di gratitudine che è dovutacomein solidoper i gran servizi resi da uomini a uominie piùdovuta a quelli che non se la propongono per ricompensa. " Chese questi Padri iui non si ritrouauano- dice il Tadino- al sicurotutta la Città annichilata si trouaua; puoiché fu cosamiracolosa l'hauer questi Padri fatto in così puoco spatio ditempo tante cose per benefitio publicoche non hauendo hauutoagiuttoo almeno puoco dalla Cittàcon la sua industria etprudenza haueuano mantenuto nel Lazeretto tante migliaia de poueri ".Le persone ricoverate in quel luogodurante i sette mesi che ilpadre Felice n'ebbe il governofurono circa cinquantamilasecondoil Ripamonti; il quale dice con ragioneche d'un uomo tale avrebbedovuto ugualmente parlarese in vece di descriver le miserie d'unacittàavesse dovuto raccontar le cose che posson farle onore.

Anchenel pubblicoquella caparbietà di negar la peste andavanaturalmente cedendo e perdendosidi mano in mano che il morbo sidiffondevae si diffondeva per via del contatto e della pratica; etanto più quandodopo esser qualche tempo rimasto solamentetra' povericominciò a toccar persone più conosciute.E tra questecome allora fu il più notatocosì meritaanche adesso un'espressa menzione il protofisico Settala. Avrannoalmen confessato che il povero vecchio aveva ragione? Chi lo sa?Caddero infermi di pesteluila mogliedue figliuolisettepersone di servizio. Lui e uno de' figliuoli n'usciron salvi; ilresto morì. " Questi casi- dice il Tadino- occorsinella Città in case Nobilidisposero la Nobiltàet laplebe a pensareet gli increduli Mediciet la plebe ignorante ettemeraria cominciò stringere le labrachiudere li dentietinarcare le ciglia ".

Mal'uscitei ripieghile vendetteper dir cosìdellacaparbietà convintasono alle volte tali da far desiderareche fosse rimasta ferma e invittafino all'ultimocontro la ragionee l'evidenza: e questa fu bene una di quelle volte. Coloro i qualiavevano impugnato così risolutamentee così a lungoche ci fosse vicino a lorotra loroun germe di maleche potevaper mezzi naturalipropagarsi e fare una strage; non potendo ormainegare il propagamento di essoe non volendo attribuirlo a que'mezzi (che sarebbe stato confessare a un tempo un grand'inganno e unagran colpa)erano tanto più disposti a trovarci qualche altracausaa menar buona qualunque ne venisse messa in campo. Perdisgraziace n'era una in pronto nelle idee e nelle tradizionicomuni alloranon qui soltantoma in ogni parte d'Europa: artiveneficheoperazioni diabolichegente congiurata a sparger lapesteper mezzo di veleni contagiosidi malìe. Giàcose talio somigliantierano state supposte e credute in moltealtre pestilenzee qui segnatamentein quella di mezzo secoloinnanzi. S'aggiunga chefin dall'anno antecedenteera venuto undispacciosottoscritto dal re Filippo IVal governatoreperavvertirlo ch'erano scappati da Madrid quattro francesiricercaticome sospetti di spargere unguenti velenosipestiferi: stesseall'ertase mai coloro fossero capitati a Milano. Il governatoreaveva comunicato il dispaccio al senato e al tribunale della sanità;néper allorapare che ci si badasse più che tanto.Peròscoppiata e riconosciuta la pesteil tornar nelle mentiquell'avviso poté servir di conferma al sospetto indeterminatod'una frode scellerata; poté anche essere la prima occasionedi farlo nascere.

Madue fattil'uno di cieca e indisciplinata paural'altro di non soquale cattivitàfuron quelli che convertirono quel sospettoindeterminato d'un attentato possibilein sospettoe per molti incertezzad'un attentato positivoe d'una trama reale. Alcuniaiquali era parso di vederela sera del 17 di maggiopersone in duomoandare ungendo un assito che serviva a dividere gli spazi assegnatia' due sessifeceronella notteportar fuori della chiesa l'assitoe una quantità di panche rinchiuse in quello; quantunque ilpresidente della Sanitàaccorso a far la visitacon quattropersone dell'ufizioavendo visitato l'assitole panchele piledell'acqua benedettasenza trovar nulla che potesse confermarel'ignorante sospetto d'un attentato veneficoavesseper compiacereall'immaginazioni altruie più tosto per abbondare incautelache per bisognoavessedicodeciso che bastava daruna lavata all'assito. Quel volume di roba accatastata produsse unagrand'impressione di spavento nella moltitudineper cui un oggettodiventa così facilmente un argomento. Si disse e si credettegeneralmente che fossero state unte in duomo tutte le pancheleparetie fin le corde delle campane. Né si disse soltantoallora: tutte le memorie de' contemporanei che parlano di quel fatto(alcune scritte molt'anni dopo)ne parlano con ugual sicurezza: e lastoria sincera di essobisognerebbe indovinarlase non si trovassein una lettera del tribunale della sanità al governatorechesi conserva nell'archivio detto di san Fedele; dalla quale l'abbiamocavatae della quale sono le parole che abbiam messe in corsivo.

Lamattina seguenteun nuovo e più stranopiùsignificante spettacolo colpì gli occhi e le menti de'cittadini. In ogni parte della cittàsi videro le porte dellecase e le muraglieper lunghissimi trattiintrise di non so chesudiceriagiallognolabiancastrasparsavi come con delle spugne. Osia stato un gusto sciocco di far nascere uno spavento piùrumoroso e più generaleo sia stato un più reo disegnod'accrescer la pubblica confusioneo non saprei che altro; la cosa èattestata di manierache ci parrebbe men ragionevole l'attribuirla aun sogno di moltiche al fatto d'alcuni: fattodel restoche nonsarebbe statoné il primo né l'ultimo di tal genere.Il Ripamontiche spessosu questo particolare dell'unzionideridee più spesso deplora la credulità popolarequi affermad'aver veduto quell'impiastramentoe lo descrive (...et nos quoqueivimus visere. Maculae erant sparsim inaequaliterque manantesvelutisi quis haustam spongia saniem adspersissetimpressissetve parietiet ianuae passim ostiaque aedium eadem adspergine contaminatacernebantur. Pag. 75.). Nella lettera sopraccitatai signori dellaSanità raccontan la cosa ne' medesimi termini; parlan divisited'esperimenti fatti con quella materia sopra de' caniesenza cattivo effetto; aggiungonoesser loro opinioneche cotaletemerità sia più tosto proceduta da insolenzache dafine scelerato: pensiero che indica in lorofino a quel tempopacatezza d'animo bastante per non vedere ciò che non ci fossestato. L'altre memorie contemporaneeraccontando la cosaaccennanoancheessere statasulle primeopinion di moltiche fosse fattaper burlaper bizzarria; nessuna parla di nessuno che la negasse; en'avrebbero parlato certamentese ce ne fosse stati; se non altroper chiamarli stravaganti. Ho creduto che non fosse fuor di propositoil riferire e il mettere insieme questi particolariin parte poconotiin parte affatto ignoratid'un celebre delirio; percheneglierrori e massime negli errori di molticiò che è piùinteressante e più utile a osservarsimi pare che sia appuntola strada che hanno fattal'apparenzei modi con cui hanno potutoentrar nelle mentie dominarle.

Lacittà già agitata ne fu sottosopra: i padroni dellecasecon paglia accesaabbruciacchiavano gli spazi unti; ipasseggieri si fermavanoguardavanoinorridivanofremevano. Iforestierisospetti per questo soloe che allora si conoscevanfacilmente al vestiariovenivano arrestati nelle strade dal popoloe condotti alla giustizia. Si fecero interrogatòriesamid'arrestatid'arrestatoridi testimoni; non si trovò reonessuno: le menti erano ancor capaci di dubitared'esaminared'intendere. Il tribunale della sanità pubblicò unagridacon la quale prometteva premio e impunità a chimettesse in chiaro l'autore o gli autori del fatto. Ad ogni modonon parendoci conuenientedicono que' signori nella citataletterache porta la data del 21 di maggioma che fu evidentementescritta il 19giorno segnato nella grida stampatache questodelitto in qualsiuoglia modo resti impunitomassime in tempo tantopericoloso e sospettosoper consolatione e quiete di questo Popoloe per cauare indicio del fattohabbiamo oggi publicata gridaetc.Nella grida stessa perònessun cennoalmen chiarodi quellaragionevole e acquietante congetturache partecipavano algovernatore: silenzio che accusa a un tempo una preoccupazionefuriosa nel popoloe in loro una condiscendenzatanto piùbiasimevolequanto più poteva esser perniciosa.

Mentreil tribunale cercavamolti nel pubblicocome accadeavevan giàtrovato. Coloro che credevano esser quella un'unzione velenosachivoleva che la fosse una vendetta di don Gonzalo Fernandez de Cordovaper gl'insulti ricevuti nella sua partenzachi un ritrovato delcardinal di Richelieuper spopolar Milanoe impadronirsene senzafatica; altrie non si sa per quali ragionine volevano autore ilconte di CollaltoWallensteinquestoquell'altro gentiluomomilanese. Non mancavancome abbiam dettodi quelli che non vedevanoin quel fatto altro che uno sciocco scherzoe l'attribuivano ascolaria signoria ufiziali che s'annoiassero all'assedio diCasale. Il non veder poicome si sarà temutoche ne seguisseaddirittura un infettamentoun eccidio universalefu probabilmentecagione che quel primo spavento s'andasse per allora acquietandoela cosa fosse o paresse messa in oblìo.

C'eradel restoun certo numero di persone non ancora persuase che questapeste ci fosse. E perchétanto nel lazzerettocome per lacittàalcuni pur ne guarivano" si diceua " (gliultimi argomenti d'una opinione battuta dall'evidenza son semprecuriosi a sapersi)" si diceua dalla plebeet ancora da moltimedici partialinon essere vera pesteperché tutti sarebberomorti " (Tadinopag. 93.). Per levare ogni dubbiotrovòil tribunale della sanità un espediente proporzionato albisognoun modo di parlare agli occhiquale i tempi potevanorichiederlo o suggerirlo. In una delle feste della Pentecosteusavano i cittadini di concorrere al cimitero di San Gregoriofuoridi Porta Orientalea pregar per i morti dell'altro contagioch'eransepolti là; eprendendo dalla divozione opportunità didivertimento e di spettacoloci andavanoognuno più in galache potesse. Era in quel giorno morta di pestetra gli altriun'intera famiglia. Nell'ora del maggior concorsoin mezzo allecarrozzealla gente a cavalloe a piedii cadaveri di quellafamiglia furonod'ordine della Sanitàcondotti al cimiterosuddettosur un carroignudiaffinché la folla potessevedere in essi il marchio manifesto della pestilenza. Un grido diribrezzodi terrores'alzava per tutto dove passava il carro; unlungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìolo precorreva. La peste fu più creduta: ma del resto andavaacquistandosi fede da séogni giorno più; e quellariunione medesima non dové servir poco a propagarla.

Inprincipio dunquenon pesteassolutamente noper nessun conto:proibito anche di proferire il vocabolo. Poifebbri pestilenziali:l'idea s'ammette per isbieco in un aggettivo. Poinon vera pestevale a dire peste sìma in un certo senso; non peste proprioma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmentepeste senza dubbioe senza contrasto: ma già ci s'èattaccata un'altra ideal'idea del venefizio e del malefiziolaquale altera e confonde l'idea espressa dalla parola che non si puòpiù mandare indietro.

Nonècredonecessario d'esser molto versato nella storiadell'idee e delle paroleper vedere che molte hanno fatto un similcorso. Per grazia del cieloche non sono molte quelle d'una talsortee d'una tale importanzae che conquistino la loro evidenza aun tal prezzoe alle quali si possano attaccare accessòrid'un tal genere. Si potrebbe peròtanto nelle cose piccolecome nelle grandievitarein gran partequel corso cosìlungo e così stortoprendendo il metodo proposto da tantotempod'osservareascoltareparagonarepensareprima di parlare.

Maparlarequesta cosa così solaè talmente piùfacile di tutte quell'altre insiemeche anche noidico noi uominiin generalesiamo un po' da compatire.




Cap.XXXII


Divenendosempre più difficile il supplire all'esigenze dolorose dellacircostanzaera statoil 4 di maggiodeciso nel consiglio de'decurionidi ricorrer per aiuto al governatore. Eil 22furonospediti al campo due di quel corpoche gli rappresentassero i guai ele strettezze della città: le spese enormile casse votelerendite degli anni avvenire impegnatele imposte correnti nonpagateper la miseria generaleprodotta da tante causee dalguasto militare in ispecie; gli mettessero in considerazione cheperleggi e consuetudini non interrottee per decreto speciale di CarloVle spese della peste dovevan essere a carico del fisco: in quelladel 1576 avere il governatoremarchese d'Ayamontenon solo sospesetutte le imposizioni cameralima data alla città unasovvenzione di quaranta mila scudi della stessa Camera; chiedesserofinalmente quattro cose: che l'imposizioni fossero sospesecomes'era fatto allora; la Camera desse danari; il governatore informasseil redelle miserie della città e della provincia;dispensasse da nuovi alloggiamenti militari il paese giàrovinato dai passati. Il governatore scrisse in rispostacondoglianzee nuove esortazioni: dispiacergli di non poter trovarsinella cittàper impiegare ogni sua cura in sollievo diquella; ma sperare che a tutto avrebbe supplito lo zelo di que'signori: questo essere il tempo di spendere senza risparmiod'ingegnarsi in ogni maniera. In quanto alle richieste espresseproueeré en el mejor modo que el tiempo y necesidadespresentes permitieren. E sottoun girigogoloche voleva direAmbrogio Spinolachiaro come le sue promesse. Il gran cancelliereFerrer gli scrisse che quella risposta era stata letta dai decurionicon gran desconsuelo; ci furono altre andate e venutedomandee risposte; ma non trovo che se ne venisse a più stretteconclusioni. Qualche tempo doponel colmo della pesteilgovernatore trasferìcon lettere patentila sua autoritàa Ferrer medesimoavendo luicome scrisseda pensare alla guerra.La qualesia detto qui incidentementedopo aver portato viasenzaparlar de' soldatiun milion di personea dir pocoper mezzo delcontagiotra la Lombardiail Venezianoil Piemontela Toscanaeuna parte della Romagna; dopo aver desolaticome s'è visto disoprai luoghi per cui passòe figuratevi quelli dove fufatta; dopo la presa e il sacco atroce di Mantova; finì conriconoscerne tutti il nuovo ducaper escludere il quale la guerraera stata intrapresa. Bisogna però dire che fu obbligato acedere al duca di Savoia un pezzo del Monferratodella rendita diquindici mila scudie a Ferrante duca di Guastalla altre terredella rendita di sei mila; e che ci fu un altro trattato a parte esegretissimocol quale il duca di Savoia suddetto cedéPinerolo alla Francia: trattato eseguito qualche tempo doposott'altri pretestie a furia di furberie.

Insiemecon quella risoluzionei decurioni ne avevan presa un'altra: dichiedere al cardinale arcivescovoche si facesse una processionesolenneportando per la città il corpo di san Carlo.

Ilbuon prelato rifiutòper molte ragioni. Gli dispiaceva quellafiducia in un mezzo arbitrarioe temeva chese l'effetto non avessecorrispostocome pure temevala fiducia si cambiasse in iscandolo(Memoria delle cose notabili successe in Milano intorno al malcontaggioso l'anno 1630ec. raccolte da D. Pio la CroceMilano1730. È tratta evidentemente da scritto inedito d'autorevissuto al tempo della pestilenza: se pure non è una sempliceedizionepiuttosto che una nuova compilazione.). Temeva di piùchese pur c'era di questi untorila processione fosseun'occasion troppo comoda al delitto: se non ce n'erailradunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più ilcontagio: pericolo ben più reale (Si unguenta scelerataet unctores in urbe essent... Si non essent... Certiusque adeo malum.Ripamontipag 185.). Ché il sospetto sopito dell'unzionis'era intanto ridestatopiù generale e più furioso diprima.

S'eravisto di nuovoo questa volta era parso di vedereunte muraglieporte d'edifizi pubbliciusci di casemartelli. Le nuove di taliscoperte volavan di bocca in bocca; ecome accade più chemaiquando gli animi son preoccupatiil sentire faceva l'effettodel vedere. Gli animisempre più amareggiati dalla presenzade' maliirritati dall'insistenza del pericoloabbracciavano piùvolentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: ecome osservò acutamentea questo stesso propositoun uomod'ingegno (P. VerriOsservazioni sulla tortura: Scrittori italianid'economia politica: parte modernatom. 17pag. 203.)le piace piùd'attribuire i mali a una perversità umanacontro cui possafar le sue vendetteche di riconoscerli da una causacon la qualenon ci sia altro da fare che rassegnarsi. Un veleno squisitoistantaneopenetrantissimoeran parole più che bastanti aspiegar la violenzae tutti gli accidenti più oscuri edisordinati del morbo. Si diceva compostoquel velenodi rospidiserpentidi bava e di materia d'appestatidi peggiodi tutto ciòche selvagge e stravolte fantasie sapessero trovar di sozzo ed'atroce. Vi s'aggiunsero poi le malìeper le quali ognieffetto diveniva possibileogni obiezione perdeva la forzasiscioglieva ogni difficoltà. Se gli effetti non s'eran vedutisubito dopo quella prima unzionese ne capiva il perché; erastato un tentativo sbagliato di venefici ancor novizi: ora l'arte eraperfezionatae le volontà più accanite nell'infernaleproposito. Ormai chi avesse sostenuto ancora ch'era stata una burlachi avesse negata l'esistenza d'una tramapassava per ciecoperostinato; se pur non cadeva in sospetto d'uomo interessato a stornardal vero l'attenzion del pubblicodi compliced'untore: il vocabolofu ben presto comunesolennetremendo. Con una tal persuasione checi fossero untorise ne doveva scoprirequasi infallibilmente:tutti gli occhi stavano all'erta; ogni atto poteva dar gelosia. E lagelosia diveniva facilmente certezzala certezza furore.

Duefatti ne adduce in prova il Ripamontiavvertendo d'averli sceltinon come i più atroci tra quelli che seguivano giornalmentema perché dell'uno e dell'altro era stato pur troppotestimonio.

Nellachiesa di sant'Antonioun giorno di non so quale solennitàun vecchio più che ottuagenariodopo aver pregato alquantoinginocchionivolle mettersi a sedere; e primacon la cappaspolverò la panca. - Quel vecchio unge le panche! - gridaronoa una voce alcune donne che vider l'atto. La gente che si trovava inchiesa (in chiesa!)fu addosso al vecchio; lo prendon per i capellibianchi com'erano; lo carican di pugni e di calci; parte lo tiranoparte lo spingon fuori; se non lo finironofu per istrascinarlocosì semivivoalla prigioneai giudicialle torture. "Io lo vidi mentre lo strascinavan così- dice il Ripamonti: -e non ne seppi più altro: credo bene che non abbia potutosopravvivere più di qualche momento ".

L'altrocaso (e seguì il giorno dopo) fu ugualmente stranoma nonugualmente funesto. Tre giovani compagni francesiun letteratounpittoreun meccanicovenuti per veder l'Italiaper istudiarvi leantichitàe per cercarvi occasion di guadagnos'eranoaccostati a non so qual parte esterna del duomoe stavan lìguardando attentamente. Uno che passavali vede e si ferma; gliaccenna a un altroad altri che arrivano: si formò uncrocchioa guardarea tener d'occhio coloroche il vestiariolacapigliaturale bisacceaccusavano di stranieri equel ch'erapeggiodi francesi. Come per accertarsi ch'era marmostesero essila mano a toccare. Bastò. Furono circondatiafferratimalmenatispintia furia di percossealle carceri. Per buonasorteil palazzo di giustizia è poco lontano dal duomo; eper una sorte ancor più felicefuron trovati innocentierilasciati.

Nétali cose accadevan soltanto in città: la frenesia s'erapropagata come il contagio. Il viandante che fosse incontrato da de'contadinifuor della strada maestrao che in quella si dondolasse aguardar in qua e in lào si buttasse giù perriposarsi; lo sconosciuto a cui si trovasse qualcosa di stranodisospetto nel voltonel vestitoerano untori: al primo avviso di chisi fosseal grido d'un ragazzosi sonava a martellos'accorreva;gl'infelici eran tempestati di pietreopresivenivan menatiafuria di popoloin prigione. Così il Ripamonti medesimo. E laprigionefino a un certo tempoera un porto di salvamento.

Mai decurioninon disanimati dal rifiuto del savio prelatoandavanreplicando le loro istanzeche il voto pubblico secondavarumorosamente. Federigo resistette ancor qualche tempocercòdi convincerli; questo è quello che poté il senno d'unuomocontro la forza de' tempie l'insistenza di molti. In quellostato d'opinionicon l'idea del pericoloconfusa com'era alloracontrastataben lontana dall'evidenza che ci si trova oranon èdifficile a capire come le sue buone ragioni potesseroanche nellasua menteesser soggiogate dalle cattive degli altri. Se poinelceder che feceavesse o non avesse parte un po' di debolezza dellavolontàsono misteri del cuore umano. Certose in alcun casopar che si possa dare in tutto l'errore all'intellettoe scusarne lacoscienzaè quando si tratti di que' pochi (e questo fu bendel numero)nella vita intera de' quali apparisca un ubbidirrisoluto alla coscienzasenza riguardo a interessi temporali dinessun genere. Al replicar dell'istanzecedette egli dunqueacconsentì che si facesse la processioneacconsentì dipiù al desiderioalla premura generaleche la cassa dov'eranrinchiuse le reliquie di san Carlorimanesse dopo espostaper ottogiornisull'altar maggiore del duomo.

Nontrovo che il tribunale della sanitàné altrifacessero rimostranza né opposizione di sorte alcuna.Soltantoil tribunale suddetto ordinò alcune precauzioni chesenza riparare al pericolone indicavano il timore. Prescrisse piùstrette regole per l'entrata delle persone in città; eperassicurarne l'esecuzionefece star chiuse le porte: come pureaffine d'escludereper quanto fosse possibiledalla radunanza gliinfetti e i sospettifece inchiodar gli usci delle case sequestrate:le qualiper quanto può valerein un fatto di questa sortela semplice affermazione d'uno scrittoree d'uno scrittore di queltempoeran circa cinquecento (Alleggiamento dello Stato di Milanoetc. di C. G. Cavatio della Somaglia. Milano1653pag. 482.).

Tregiorni furono spesi in preparativi: l'undici di giugnoch'era ilgiorno stabilitola processione uscìsull'albadal duomo.Andava dinanzi una lunga schiera di popolodonne la piùpartecoperte il volto d'ampi zendalimolte scalzee vestite disacco. Venivan poi l'artiprecedute da' loro gonfalonileconfraternitein abiti vari di forme e di colori; poi le frateriepoi il clero secolareognuno con l'insegne del gradoe con unacandela o un torcetto in mano. Nel mezzotra il chiarore di piùfitti lumitra un rumor più alto di cantisotto un riccobaldacchinos'avanzava la cassaportata da quattro canoniciparatiin gran pompache si cambiavano ogni tanto. Dai cristalli trasparivail venerato cadaverevestito di splendidi abiti pontificaliemitrato il teschio; e nelle forme mutilate e scompostesi potevaancora distinguere qualche vestigio dell'antico sembiantequale lorappresentano l'immaginiquale alcuni si ricordavan d'averlo visto eonorato in vita. Dietro la spoglia del morto pastore (dice ilRipamontida cui principalmente prendiamo questa descrizione)evicino a luicome di meriti e di sangue e di dignitàcosìora anche di personaveniva l'arcivescovo Federigo. Seguiva l'altraparte del clero; poi i magistraticon gli abiti di maggiorcerimonia; poi i nobiliquali vestiti sfarzosamentecome adimostrazione solenne di cultoqualiin segno di penitenzaabbrunatio scalzi e incappaticon la buffa sul viso; tutti contorcetti. Finalmente una coda d'altro popolo misto.

Tuttala strada era parata a festa; i ricchi avevan cavate fuori lesuppellettili più preziose; le facciate delle case povereerano state ornate da de' vicini benestantio a pubbliche spese;dove in luogo di paratidove sopra i paratic'eran de' ramifronzuti; da ogni parte pendevano quadriiscrizioniimprese; su'davanzali delle finestre stavano in mostra vasianticaglieraritàdiverse; per tutto lumi. A molte di quelle finestreinfermisequestrati guardavan la processionee l'accompagnavano con le loropreci. L'altre strademutedeserte; se non che alcunipur dallefinestretendevan l'orecchio al ronzìo vagabondo; altrietra questi si videro fin delle monacheeran saliti sui tettise dilì potessero veder da lontano quella cassail corteggioqualche cosa.

Laprocessione passò per tutti i quartieri della città: aognuno di que' crocicchio piazzettedove le strade principalisboccan ne' borghie che allora serbavano l'antico nome di carrobiora rimasto a uno solosi faceva una fermataposando la cassaaccanto alla croce che in ognuno era stata eretta da san Carlonellapeste antecedentee delle quali alcune sono tuttavia in piedi: dimaniera che si tornò in duomo un pezzo dopo il mezzogiorno.

Edecco cheil giorno seguentementre appunto regnava quellapresontuosa fiduciaanzi in molti una fanatica sicurezza che laprocessione dovesse aver troncata la pestele morti crebberoinogni classein ogni parte della cittàa un tal eccessoconun salto così subitaneoche non ci fu chi non ne vedesse lacausao l'occasionenella processione medesima. Maoh forzemirabili e dolorose d'un pregiudizio generale! non già altrovarsi insieme tante personee per tanto temponon all'infinitamoltiplicazione de' contatti fortuitiattribuivano i piùquell'effetto; l'attribuivano alla facilità che gli untori ciavessero trovata d'eseguire in grande il loro empio disegno. Si dissechemescolati nella follaavessero infettati col loro unguentoquanti più avevan potuto. Ma siccome questo non pareva unmezzo bastantené appropriato a una mortalità cosìvastae così diffusa in ogni classe di persone; siccomeaquel che parenon era stato possibile all'occhio cosìattentoe pur così travedentedel sospettodi scorgereuntumimacchie di nessuna sortesu' muriné altrove; cosìsi ricorseper la spiegazion del fattoa quell'altro ritrovatogiàvecchioe ricevuto allora nella scienza comune d'Europadellepolveri venefiche e malefiche; si disse che polveri talisparselungo la stradae specialmente ai luoghi delle fermatesi fosseroattaccate agli strascichi de' vestitie tanto più ai piediche in gran numero erano quel giorno andati in giro scalzi. "Vide pertanto- dice uno scrittore contemporaneo (AgostinoLampugnano; La pestilenza seguita in Milanol'anno 1630. Milano1634pag. 44.)- l'istesso giorno della processionela pietàcozzar con l'empietàla perfidia con la sinceritàlaperdita con l'acquisto ". Ed era in vece il povero senno umanoche cozzava co' fantasmi creati da sé.

Daquel giornola furia del contagio andò sempre crescendo: inpoco temponon ci fu quasi più casa che non fosse toccata: inpoco tempo la popolazione del lazzerettoal dir del Somaglia citatodi sopramontò da duemila a dodici mila: più tardialdir di quasi tuttiarrivò fino a sedici mila. Il 4 di lugliocome trovo in un'altra lettera de' conservatori della sanitàal governatorela mortalità giornaliera oltrepassava icinquecento. Più innanzie nel colmoarrivòsecondoil calcolo più comunea mille dugentomille cinquecento; e apiù di tremila cinquecentose vogliam credere al Tadino. Ilquale anche afferma che" per le diligenze fatte odopo lapestesi trovò la popolazion di Milano ridotta a poco piùdi sessantaquattro mila animee che prima passava le dugentocinquanta mila. Secondo il Ripamontiera di sole dugento mila: de'mortidice che ne risultava cento quaranta mila da' registri civicioltre quelli di cui non si poté tener conto. Altri dicon piùo menoma ancor più a caso.

Sipensi ora in che angustie dovessero trovarsi i decurioniaddosso aiquali era rimasto il peso di provvedere alle pubbliche necessitàdi riparare a ciò che c'era di riparabile in un tal disastro.Bisognava ogni giorno sostituireogni giorno aumentare serventipubblici di varie specie: monattiapparitoricommissari. I primi erano addetti ai servizi più penosi epericolosi della pestilenza: levar dalle casedalle stradedallazzerettoi cadaveri; condurli sui carri alle fossee sotterrarli;portare o guidare al lazzeretto gl'infermie governarli; bruciarepurgare la roba infetta e sospetta. Il nomevuole il Ripamonti chevenga dal greco monos; Gaspare Bugatti (in una descriziondella peste antecedente)dal latino monere; ma insiemedubitacon più ragioneche sia parola tedescaper esserquegli uomini arrolati la più parte nella Svizzera e ne'Grigioni. Né sarebbe infatti assurdo il crederlo unatroncatura del vocabolo monathlich (mensuale); giacchénell'incertezza di quanto potesse durare il bisognoèprobabile che gli accordi non fossero che di mese in mese. L'impiegospeciale degli apparitori era di precedere i carriavvertendocolsuono d'un campanelloi passeggieriche si ritirassero. Icommissari regolavano gli uni e gli altrisotto gli ordini immediatidel tribunale della sanità. Bisognava tener fornito illazzeretto di medicidi chirurghidi medicinedi vittodi tuttigli attrezzi d'infermeria; bisognava trovare e preparar nuovoalloggio per gli ammalati che sopraggiungevano ogni giorno. Si feceroa quest'effetto costruire in fretta capanne di legno e di paglianello spazio interno del lazzeretto; se ne piantò un nuovotutto di capannecinto da un semplice assitoe capace di contenerquattromila persone. E non bastandone furon decretati due altri; cisi mise anche mano; maper mancanza di mezzi d'ogni genererimaseroin tronco. I mezzile personeil coraggiodiminuivano di mano inmano che il bisogno cresceva.

Enon solo l'esecuzione rimaneva sempre addietro de' progetti e degliordini; non soloa molte necessitàpur troppo riconosciutesi provvedeva scarsamenteanche in parole; s'arrivò aquest'eccesso d'impotenza e di disperazioneche a moltee delle piùpietosecome delle più urgentinon si provvedeva in nessunamaniera. Morivaper esempiod'abbandono una gran quantità dibambiniai quali eran morte le madri di peste: la Sanitàpropose che s'istituisse un ricovero per questi e per le partorientibisognoseche qualcosa si facesse per loro; e non potéottener nulla. " Si doueua non di meno- dice il Tadino-compatire ancora alli Decurioni della Cittàli quali sitrouauano afflittimesti et lacerati dalla Soldatesca senza regolaet rispetto alcuno; come molto meno nell'infelice Ducatoatteso cheaggiutto alcunoné prouisione si poteua hauere dalGouernatorese non che si trouaua tempo di guerraet bisognauatrattar bene li Soldati " (Pag. 117.). Tanto importava ilprender Casale! Tanto par bella la lode del vincereindipendentemente dalla cagionedallo scopo per cui si combatta!

Cosìpuretrovandosi colma di cadaveri un'ampiama unica fossach'erastata scavata vicino al lazzeretto; e rimanendonon solo in quelloma in ogni parte della cittàinsepolti i nuovi cadavericheogni giorno eran di piùi magistratidopo avere invanocercato braccia per il tristo lavoros'eran ridotti a dire di nonsaper più che partito prendere. Né si vede come sarebbeandata a finirese non veniva un soccorso straordinario. Ilpresidente della Sanità ricorseper disperatocon le lacrimeagli occhia que' due bravi frati che soprintendevano al lazzeretto;e il padre Michele s'impegnò a dargliin capo a quattrogiornisgombra la città di cadaveri; in capo a ottoapertefosse sufficientinon solo al bisogno presentema a quello che sipotesse preveder di peggio nell'avvenire. Con un frate compagnoecon persone del tribunaledategli dal presidenteandò fuordella cittàin cerca di contadini; eparte con l'autoritàdel tribunaleparte con quella dell'abito e delle sue paroleneraccolse circa dugentoai quali fece scavar tre grandissime fosse;spedì poi dal lazzeretto monatti a raccogliere i morti; tantocheil giorno prefissola sua promessa si trovò adempita.

Unavoltail lazzeretto rimase senza medici; econ offerte di grossepaghe e d'onoria fatica e non subitose ne poté avere; mamolto men del bisogno. Fu spesso lì lì per mancareaffatto di viveria segno di temere che ci s'avesse a morire anchedi fame; e più d'una voltamentre non si sapeva piùdove batter la testa per trovare il bisognevolevennero a tempoabbondanti sussidiper inaspettato dono di misericordia privata:chéin mezzo allo stordimento generaleall'indifferenza pergli altrinata dal continuo temer per séci furono deglianimi sempre desti alla caritàce ne furon degli altri in cuila carità nacque al cessare d'ogni allegrezza terrena; comenella strage e nella fuga di molti a cui toccava di soprintendere edi provvederece ne furono alcunisani sempre di corpoe saldi dicoraggio al loro posto: ci furon pure altri chespinti dalla pietàassunsero e sostennero virtuosamente le cure a cui non eran chiamatiper impiego.

Dovespiccò una più generale e più pronta e costantefedeltà ai doveri difficili della circostanzafu negliecclesiastici. Ai lazzerettinella cittànon mancòmai la loro assistenza: dove si pativace n'era; sempre si videromescolaticonfusi co' languentico' moribondilanguenti emoribondi qualche volta loro medesimi; ai soccorsi spiritualiaggiungevanoper quanto potesseroi temporali; prestavano ogniservizio che richiedessero le circostanze. Più di sessantaparrochidella città solamentemoriron di contagio: gli ottononiall'incirca.

Federigodava a tutticom'era da aspettarsi da luiincitamento ed esempio.Mortagli intorno quasi tutta la famiglia arcivescovilee facendogliistanza parentialti magistratiprincipi circonviciniches'allontanasse dal pericoloritirandosi in qualche villarigettòun tal consiglioe resistette all'istanzecon quell'animocon cuiscriveva ai parrochi: " siate disposti ad abbandonar questa vitamortalepiuttosto che questa famigliaquesta figliolanza nostra:andate con amore incontro alla pestecome a un premiocome a unavitaquando ci sia da guadagnare un'anima a Cristo "(Ripamontipag. 164.). Non trascurò quelle cautele che nongl'impedissero di fare il suo dovere (sulla qual cosa diede ancheistruzioni e regole al clero); e insieme non curò il pericoloné parve che se n'avvedessequandoper far del benebisognava passar per quello. Senza parlare degli ecclesiasticicoiquali era sempre per lodare e regolare il loro zeloper eccitarechiunque di loro andasse freddo nel lavoroper mandarli ai postidove altri eran mortivolle che fosse aperto l'adito a chiunqueavesse bisogno di lui. Visitava i lazzerettiper dar consolazioneagl'infermie per animare i serventi; scorreva la cittàportando soccorsi ai poveri sequestrati nelle casefermandosi agliuscisotto le finestread ascoltare i loro lamentia dare incambio parole di consolazione e di coraggio. Si cacciò insomma e visse nel mezzo della pestilenzamaravigliato anche lui allafined'esserne uscito illeso.

Cosìne' pubblici infortunie nelle lunghe perturbazioni di quel qual sisia ordine consuetosi vede sempre un aumentouna sublimazione divirtù; mapur tropponon manca mai insieme un aumentoed'ordinario ben più generaledi perversità. E questopure fu segnalato. I birboni che la peste risparmiava e nonatterrivatrovarono nella confusion comunenel rilasciamento d'ogniforza pubblicauna nuova occasione d'attivitàe una nuovasicurezza d'impunità a un tempo. Che anzil'uso della forzapubblica stessa venne a trovarsi in gran parte nelle mani de'peggiori tra loro. All'impiego di monatti e d'apparitori nons'adattavano generalmente che uomini sui quali l'attrattiva dellerapine e della licenza potesse più che il terror del contagioche ogni naturale ribrezzo. Erano a costoro prescritte strettissimeregoleintimate severissime peneassegnati postidati persuperiori de' commissaricome abbiam detto; sopra questi e quellieran delegati in ogni quartieremagistrati e nobilicon l'autoritàdi provveder sommariamente a ogni occorrenza di buon governo. Un talordin di cose camminòe fece effettofino a un certo tempo;macrescendoogni giornoil numero di quelli che morivanodiquelli che andavan viadi quelli che perdevan la testavennercoloro a non aver quasi più nessuno che li tenesse a freno; sifeceroi monatti principalmentearbitri d'ogni cosa. Entravano dapadronida nemici nelle caseesenza parlar de' rubamentie cometrattavano gl'infelici ridotti dalla peste a passar per tali manilemettevanoquelle mani infette e scelleratesui sanifigliuoliparentimoglimaritiminacciando di strascinarli al lazzerettosenon si riscattavanoo non venivano riscattati con danari. Altrevoltemettevano a prezzo i loro serviziricusando di portar via icadaveri già putrefattia meno di tanti scudi. Si disse (etra la leggerezza degli uni e la malvagità degli altrièugualmente malsicuro il credere e il non credere)si disseel'afferma anche il Tadino (Pag. 102.)che monatti e apparitorilasciassero cadere apposta dai carri robe infetteper propagare emantenere la pestilenzadivenuta per essi un'entrataun regnounafesta. Altri sciaguratifingendosi monattiportando un campanelloattaccato a un piedecom'era prescritto a quelliper distintivo eper avviso del loro avvicinarsis'introducevano nelle case a farnedi tutte le sorte. In alcuneaperte e vote d'abitantio abitatesoltanto da qualche languenteda qualche moribondoentravan ladria man salvaa saccheggiare: altre venivan sorpreseinvase da birriche facevan lo stessoe anche cose peggiori.

Delpari con la perversitàcrebbe la pazzia: tutti gli errori giàdominanti più o menopresero dallo sbalordimentoedall'agitazione delle mentiuna forza straordinariaprodusseroeffetti più rapidi e più vasti. E tutti servirono arinforzare e a ingrandire quella paura speciale dell'unzionilaqualene' suoi effettine' suoi sfoghiera spessocome abbiamvedutoun'altra perversità. L'immagine di quel suppostopericolo assediava e martirizzava gli animimolto più che ilpericolo reale e presente. " E mentre- dice il Ripamonti- icadaveri sparsio i mucchi di cadaverisempre davanti agli occhisempre tra' piedifacevano della città tutta come un solomortorioc'era qualcosa di più bruttodi più funestoin quell'accanimento vicendevolein quella sfrenatezza e mostruositàdi sospetti... Non del vicino soltanto si prendeva ombradell'amicodell'ospite; ma que' nomique' vincoli dell'umana caritàmarito e mogliepadre e figliofratello e fratelloeran diterrore: ecosa orribile e indegna a dirsi! la mensa domesticailletto nuzialesi temevanocome agguaticome nascondigli divenefizio ".

Lavastità immaginatala stranezza della trama turbavan tutti igiudizialteravan tutte le ragioni della fiducia reciproca. Daprincipiosi credeva soltanto che quei supposti untori fosser mossidall'ambizione e dalla cupidigia; andando avantisi sognòsicredette che ci fosse una non so quale voluttà diabolica inquell'ungereun'attrattiva che dominasse le volontà. Ivaneggiamenti degl'infermi che accusavan se stessi di ciò cheavevan temuto dagli altriparevano rivelazionie rendevano ognicosaper dir cosìcredibile d'ognuno. E più delleparoledovevan far colpo le dimostrazionise accadeva che appestatiin delirio andasser facendo di quegli atti che s'erano figurati chedovessero fare gli untori: cosa insieme molto probabilee atta a darmiglior ragione della persuasion generale e dell'affermazioni dimolti scrittori. Cosìnel lungo e tristo periodo de' processiper stregoneriale confessioninon sempre estortedegl'imputatinon serviron poco a promovere e a mantener l'opinione che regnavaintorno ad essa: chéquando un'opinione regna per lungotempoe in una buona parte del mondofinisce a esprimersi in tuttele manierea tentar tutte l'uscitea scorrer per tutti i gradidella persuasione; ed è difficile che tutti o moltissimicredano a lungo che una cosa strana si facciasenza che venga alcunoil quale creda di farla.

Trale storie che quel delirio dell'unzioni fece immaginareuna meritache se ne faccia menzioneper il credito che acquistòe peril giro che fece. Si raccontavanon da tutti nell'istessa maniera(che sarebbe un troppo singolar privilegio delle favole)ma a un dipressoche un taleil tal giornoaveva visto arrivar sulla piazzadel duomo un tiro a seie dentrocon altriun gran personaggiocon una faccia fosca e infocatacon gli occhi accesicoi capellirittie il labbro atteggiato di minaccia. Mentre quel tale stavaintento a guardarela carrozza s'era fermata; e il cocchiere l'avevainvitato a salirvi; e lui non aveva saputo dir di no. Dopo diversirigirierano smontati alla porta d'un tal palazzodove entratoanche luicon la compagniaaveva trovato amenità e orrorideserti e giardinicaverne e sale; e in essefantasime sedute aconsiglio. Finalmentegli erano state fatte vedere gran casse didanaroe detto che ne prendesse quanto gli fosse piaciutoconquesto peròche accettasse un vasetto d'unguentoe andassecon esso ungendo per la città. Manon avendo volutoacconsentires'era trovatoin un batter d'occhionel medesimoluogo dove era stato preso. Questa storiacreduta qui generalmentedal popoloeal dir del Ripamontinon abbastanza derisa da qualcheuomo di peso (Apud prudentium plerosquenon sicuti debuerat irrisa.De Peste etc.pag. 77.)girò per tutta Italia e fuori. InGermania se ne fece una stampa: l'elettore arcivescovo di Magonzascrisse al cardinal Federigoper domandargli cosa si dovesse crederede' fatti maravigliosi che si raccontavan di Milano; e n'ebbe inrisposta ch'eran sogni.

D'ugualvalorese non in tutto d'ugual naturaerano i sogni de' dotti; comedisastrosi del pari n'eran gli effetti. Vedevanola più partedi lorol'annunzio e la ragione insieme de' guai in una cometaapparsa l'anno 1628e in una congiunzione di Saturno con Giove"inclinando- scrive il Tadino- la congiontione sodetta sopraquesto anno 1630tanto chiarache ciascun la poteua intendere.Mortales parat morbosmiranda videntur ". Questapredizionecavatadicevanoda un libro intitolato Specchiodegli almanacchi perfettistampato in Torinonel 1623correvaper le bocche di tutti. Un'altra cometaapparsa nel giugno dell'annostesso della pestesi prese per un nuovo avviso; anzi per una provamanifesta dell'unzioni. Pescavan ne' librie pur troppo ne trovavanoin quantitàesempi di pestecome dicevanomanufatta:citavano LivioTacitoDioneche dico? Omero e Ovidioi moltialtri antichi che hanno raccontati o accennati fatti somiglianti: dimoderni ne avevano ancor più in abbondanza. Citavanocent'altri autori che hanno trattato dottrinalmenteo parlatoincidentemente di velenidi malìed'untidi polveri: ilCesalpinoil Cardanoil Grevinoil Salioil Pareolo Schenchiolo Zachia eper finirlaquel funesto Delrioil qualese larinomanza degli autori fosse in ragione del bene e del male prodottodalle loro operedovrebb'essere uno de' più famosi; quelDelriole cui veglie costaron la vita a più uomini chel'imprese di qualche conquistatore: quel Delriole cui DisquisizioniMagiche (il ristretto di tutto ciò che gli uomini avevanofino a' suoi tempisognato in quella materia)divenute il testo piùautorevolepiù irrefragabilefuronoper più d'unsecolonorma e impulso potente di legaliorribilinon interrottecarnificine.

Da'trovati del volgola gente istruita prendeva ciò che sipoteva accomodar con le sue idee; da' trovati della gente istruitail volgo prendeva ciò che ne poteva intenderee come lopoteva; e di tutto si formava una massa enorme e confusa di pubblicafollia.

Maciò che reca maggior maravigliaè il vedere i medicidico i medici che fin da principio avevan creduta la pestedico inispecie il Tadinoil quale l'aveva pronosticatavista entraretenuta d'occhioper dir cosìnel suo progressoil qualeaveva detto e predicato che l'era pestee s'attaccava col contattoche non mettendovi riparone sarebbe infettato tutto il paesevederlo poida questi effetti medesimi cavare argomento certodell'unzioni venefiche e malefiche; lui che in quel Carlo Colonnailsecondo che morì di peste in Milanoaveva notato il deliriocome un accidente della malattiavederlo poi addurre in provadell'unzioni e della congiura diabolicaun fatto di questa sorte:che due testimoni deponevano d'aver sentito raccontare da un loroamico infermocomeuna nottegli eran venute persone in cameraaesibirgli la guarigione e danarise avesse voluto unger le case delcontorno; e come al suo rifiuto quelli se n'erano andatie in loroveceera rimasto un lupo sotto il lettoe tre gattoni sopra"che sino al far del giorno vi dimororno " (Pag. 123124.). Sefosse stato uno solo che connettesse cosìsi dovrebbe direche aveva una testa curiosa; o piuttosto non ci sarebbe ragion diparlarne; ma siccome eran moltianzi quasi tutticosì èstoria dello spirito umanoe dà occasion d'osservare quantouna serie ordinata e ragionevole d'idee possa essere scompigliata daun'altra serie d'ideeche ci si getti a traverso. Del restoquelTadino era qui uno degli uomini più riputati del suo tempo.

Dueillustri e benemeriti scrittori hanno affermato che il cardinalFederigo dubitasse del fatto dell'unzioni (Muratori; Del governodella pesteModena1714pag. 117. - P. Verri; opuscolo citatopag. 261.). Noi vorremmo poter dare a quell'inclita e amabile memoriauna lode ancor più interae rappresentare il buon prelatoinquestocome in tant'altre cosesuperiore alla più parte de'suoi contemporaneima siamo in vece costretti di notar di nuovo inlui un esempio della forza d'un'opinione comune anche sulle menti piùnobili. S'è vistoalmeno da quel che ne dice il Ripamonticome da principioveramente stesse in dubbio: ritenne poi sempre chein quell'opinione avesse gran parte la credulitàl'ignoranzala paurail desiderio di scusarsi d'aver così tardiriconosciuto il contagioe pensato a mettervi riparo; che molto cifosse d'esageratoma insiemeche qualche cosa ci fosse di vero.Nella biblioteca ambrosiana si conserva un'operetta scritta di suamano intorno a quella peste; e questo sentimento c'è accennatospessoanzi una volta enunciato espressamente. " Era opinioncomune- dice a un di presso- che di questi unguenti se necomponesse in vari luoghie che molte fossero l'arti di metterlo inopera: delle quali alcune ci paion verealtre inventate " (Eccole sue parole: Unguenta uero haec aiebant componi conficiquemultifariamfraudisque uias fuisse complures; quarum sane fraudumet artium aliis quidem assentimuralias uero fictas fuissecomentitiasque arbitramur. De pestilentia quae Mediolani anno 1630magnam stragem edidit. Cap. V.).

Cifuron però di quelli che pensarono fino alla finee fin chevisseroche tutto fosse immaginazione: e lo sappiamonon da loroché nessuno fu abbastanza ardito per esporre al pubblico unsentimento così opposto a quello del pubblico; lo sappiamodagli scrittori che lo deridono o lo riprendono o lo ribattonocomeun pregiudizio d'alcuniun errore che non s'attentava di venire adisputa palesema che pur viveva; lo sappiamo anche da chi ne avevanotizia per tradizione. " Ho trovato gente savia in Milano-dice il buon Muratorinel luogo sopraccitato- che aveva buonerelazioni dai loro maggiorie non era molto persuasa che fosse veroil fatto di quegli unti velenosi ". Si vede ch'era uno sfogosegreto della veritàuna confidenza domestica: il buon sensoc'era; ma se ne stava nascostoper paura del senso comune.

Imagistratiscemati ogni giornoe sempre più smarriti econfusituttaper dir cosìquella poca risoluzione di cuieran capacil'impiegarono a cercar di questi untori. Tra le cartedel tempo della pesteche si conservano nell'archivio nominato disoprac'è una lettera (senza alcun altro documento relativo)in cui il gran cancelliere informasul serio e con gran premurailgovernatore d'aver ricevuto un avviso chein una casa di campagnade' fratelli Girolamo e Giulio Montigentiluomini milanesisicomponeva veleno in tanta quantitàche quaranta uomini eranooccupati en este exerciciocon l'assistenza di quattrocavalieri brescianii quali facevano venir materiali dal venezianopara la fábrica del veneno. Soggiunge che lui avevapresoin gran segretoi concerti necessari per mandar là ilpodestà di Milano e l'auditore della Sanitàcon trentasoldati di cavalleria; che pur troppo uno de' fratelli era statoavvertito a tempo per poter trafugare gl'indizi del delittoeprobabilmente dall'auditor medesimosuo amico; e che questo trovavadelle scuse per non partire; ma che non ostanteil podestàco' soldati era andato a reconocer la casay a ver si hallaráalgunos vestigiose prendere informazionie arrestar tuttiquelli che fossero incolpati.

Lacosa dové finire in nullagiacché gli scritti deltempo che parlano de' sospetti che c'eran su que' gentiluomininoncitano alcun fatto. Ma pur troppoin un'altra occasionesi credéd'aver trovato.

Iprocessi che ne vennero in conseguenzanon eran certamente i primid'un tal genere: e non si può neppur considerarli come unararità nella storia della giurisprudenza. Chépertacere dell'antichitàe accennar solo qualcosa de' tempi piùvicini a quello di cui trattiamoin Palermodel 1526; in Ginevradel 1530poi del 1545poi ancora del 1574; in Casal Monferratodel1536; in Padovadel 1555; in Torinodel 1599e di nuovoin quelmedesim'anno 1630furon processati e condannati a suppliziper lopiù atrocissimidove qualchedunodove molti infelicicomerei d'aver propagata la pestecon polverio con unguentio conmalìeo con tutto ciò insieme. Ma l'affare delle cosìdette unzioni di Milanocome fu il più celebrecosì èfors'anche il più osservabile; oalmenoc'è piùcampo di farci sopra osservazioneper esserne rimasti documenti piùcircostanziati e più autentici. E quantunque uno scrittorelodato poco sopra se ne sia occupatopureessendosi lui propostonon tanto di farne propriamente la storiaquanto di cavarne sussidiodi ragioniper un assunto di maggioreo certo di piùimmediata importanzac'è parso che la storia potesse essermateria d'un nuovo lavoro. Ma non è cosa da uscirne con pocheparole; e non è qui il luogo di trattarla con l'estensione chemerita. E oltre di ciòdopo essersi fermato su que' casiillettore non si curerebbe più certamente di conoscere ciòche rimane del nostro racconto. Serbando però a un altroscritto la storia e l'esame di quelli (V. l'opuscolo in fine delvolume.)torneremo finalmente a' nostri personaggiper nonlasciarli piùfino alla fine.




Cap.XXXIII


Unanotteverso la fine d'agostoproprio nel colmo della pestetornavadon Rodrigo a casa suain Milanoaccompagnato dal fedel Grisol'uno de' tre o quattro chedi tutta la famigliagli eran rimastivivi. Tornava da un ridotto d'amici soliti a straviziare insiemeperpassar la malinconia di quel tempo: e ogni volta ce n'eran de' nuovie ne mancava de' vecchi. Quel giornodon Rodrigo era stato uno de'più allegri; e tra l'altre coseaveva fatto rider tanto lacompagniacon una specie d'elogio funebre del conte Attilioportatovia dalla pestedue giorni prima.

Camminandoperòsentiva un mal essereun abbattimentouna fiacchezzadi gambeuna gravezza di respiroun'arsione internache avrebbevoluto attribuir solamente al vinoalla vegliaalla stagione. Nonaprì boccaper tutta la strada; e la prima parolaarrivati acasafu d'ordinare al Griso che gli facesse lume per andare incamera. Quando ci furonoil Griso osservò il viso delpadronestravoltoaccesocon gli occhi in fuorie lustri lustri;e gli stava alla lontana: perchéin quelle circostanzeognimascalzone aveva dovuto acquistarcome si dicel'occhio medico.

-Sto beneve'- disse don Rodrigoche lesse nel fare del Griso ilpensiero che gli passava per la mente. - Sto benone; ma ho bevutohobevuto forse un po' troppo. C'era una vernaccia!... Macon una buonadormitatutto se ne va. Ho un gran sonno... Levami un po' quel lumedinanziche m'accieca... mi dà una noia...!

-Scherzi della vernaccia- disse il Grisotenendosi sempre allalarga. - Ma vada a letto subitoché il dormire le faràbene.

-Hai ragione: se posso dormire... Del restosto bene. Metti quivicinoa buon contoquel campanellose per casostanotte avessibisogno di qualche cosa: e sta' attentove'se mai senti sonare. Manon avrò bisogno di nulla... Porta via presto quel maledettolume- riprese poiintanto che il Griso eseguiva l'ordineavvicinandosi meno che poteva. - Diavolo! che m'abbia a dar tantofastidio!

IlGriso prese il lumeeaugurata la buona notte al padronese n'andòin frettamentre quello si cacciava sotto.

Male coperte gli parvero una montagna. Le buttò viae sirannicchiòper dormire; ché infatti moriva dal sonno.Maappena velato l'occhiosi svegliava con un riscossonecome seunoper dispettofosse venuto a dargli una tentennata; e sentivacresciuto il caldocresciuta la smania. Ricorreva col pensieroall'agostoalla vernacciaal disordine; avrebbe voluto poter darloro tutta la colpa; ma a queste idee si sostituiva sempre da séquella che allora era associata con tuttech'entravaper dir cosìda tutti i sensiche s'era ficcata in tutti i discorsi dellostraviziogiacché era ancor più facile prenderla inischerzoche passarla sotto silenzio: la peste.

Dopoun lungo rivoltarsifinalmente s'addormentòe cominciòa fare i più brutti e arruffati sogni del mondo. E d'uno in unaltrogli parve di trovarsi in una gran chiesain suin suinmezzo a una folla; di trovarcisiché non sapeva come ci fosseandatocome gliene fosse venuto il pensieroin quel tempospecialmente; e n'era arrabbiato. Guardava i circostanti; eran tuttivisi giallidistrutticon cert'occhi incantatiabbacinaticon lelabbra spenzolate; tutta gente con certi vestiti che cascavano apezzi; e da' rotti si vedevano macchie e bubboni. - Largo canaglia! -gli pareva di gridareguardando alla portach'era lontana lontanae accompagnando il grido con un viso minacciososenza peròmoversianzi ristringendosiper non toccar que' sozzi corpichegià lo toccavano anche troppo da ogni parte. Ma nessuno diquegl'insensati dava segno di volersi scostaree nemmeno d'avereinteso; anzi gli stavan più addosso: e sopra tutto gli parevache qualcheduno di lorocon le gomita o con altrolo pigiasse asinistratra il cuore e l'ascelladove sentiva una punturadolorosae come pesante. E se si storcevaper veder di liberarsenesubito un nuovo non so che veniva a puntarglisi al luogo medesimo.Infuriatovolle metter mano alla spada; e appunto gli parve cheperla calcagli fosse andata in sue fosse il pomo di quella che lopremesse in quel luogo; mamettendoci la manonon ci trovòla spadae sentì in vece una trafitta più forte.Strepitavaera tutt'affannatoe voleva gridar più forte;quando gli parve che tutti que' visi si rivolgessero a una parte.Guardò anche lui; vide un pulpitoe dal parapetto di quellospuntar su un non so che di convessoliscio e luccicante; poialzarsi e comparir distinta una testa pelatapoi due occhiun visouna barba lunga e biancaun frate rittofuor del parapetto finoalla cintolafra Cristoforo. Il qualefulminato uno sguardo in girosu tutto l'uditorioparve a don Rodrigo che lo fermasse in viso aluialzando insieme la manonell'attitudine appunto che aveva presain quella sala a terreno del suo palazzotto. Allora alzò anchelui la mano in furiafece uno sforzocome per islanciarsi adacchiappar quel braccio teso per aria; una voce che gli andavabrontolando sordamente nella golascoppiò in un grand'urlo; esi destò. Lasciò cadere il braccio che aveva alzatodavvero; stentò alquanto a ritrovarsiad aprir ben gli occhi;ché la luce del giorno già inoltrato gli dava noiaquanto quella della candelala sera avanti; riconobbe il suo lettola sua camera; si raccapezzò che tutto era stato un sogno: lachiesail popoloil fratetutto era sparito; tutto fuorchéuna cosaquel dolore dalla parte sinistra. Insieme si sentiva alcuore una palpitazion violentaaffannosanegli orecchi un ronzìoun fischìo continuoun fuoco di dentrouna gravezza in tuttele membrapeggio di quando era andato a letto. Esitò qualchemomentoprima di guardar la parte dove aveva il dolore; finalmentela scoprìci diede un'occhiata paurosa; e vide un sozzobubbone d'un livido paonazzo.

L'uomosi vide perduto: il terror della morte l'invaseecon un senso peravventura più forteil terrore di diventar preda de' monattid'esser portatobuttato al lazzeretto. E cercando la manierad'evitare quest'orribile sortesentiva i suoi pensieri confondersi eoscurarsisentiva avvicinarsi il momento che non avrebbe piùtestase non quanto bastasse per darsi alla disperazione. Afferròil campanelloe lo scosse con violenza. Comparve subito il Grisoilquale stava all'erta. Si fermò a una certa distanza dal letto;guardò attentamente il padronee s'accertò di quellochela seraaveva congetturato.

-Griso! - disse don Rodrigorizzandosi stentatamente a sedere: - tusei sempre stato il mio fido.

-Sìsignore.

-T'ho sempre fatto del bene.

-Per sua bontà.

-Di te mi posso fidare...!

-Diavolo!

-Sto maleGriso.

-Me n'ero accorto.

-Se guariscoti farò del bene ancor più di quello chete n'ho fatto per il passato.

IlGriso non rispose nullae stette aspettando dove andassero a pararequesti preamboli.

-Non voglio fidarmi d'altri che di te- riprese don Rodrigo: - fammiun piacereGriso.

-Comandi- disse questorispondendo con la formola solita aquell'insolita.

-Sai dove sta di casa il Chiodo chirurgo?

-Lo so benissimo.

-È un galantuomochechi lo paga benetien segreti gliammalati. Va' a chiamarlo: digli che gli darò quattroseiscudi per visitadi piùse di più ne chiede; ma chevenga qui subito; e fa' la cosa beneche nessun se n'avveda.

-Ben pensato- disse il Griso: - vo e torno subito.

-SentiGriso: dammi prima un po' d'acqua. Mi sento un'arsionechenon ne posso più.

-Nosignore- rispose il Griso: - niente senza il parere del medico.Son mali bisbetici: non c'è tempo da perdere. Stia quieto: intre salti son qui col Chiodo.

Cosìdettouscìraccostando l'uscio.

DonRodrigotornato sottol'accompagnava con l'immaginazione alla casadel Chiodocontava i passicalcolava il tempo. Ogni tanto ritornavaa guardare il suo bubbone; ma voltava subito la testa dall'altrapartecon ribrezzo. Dopo qualche tempocominciò a stare inorecchiper sentire se il chirurgo arrivava: e quello sforzod'attenzione sospendeva il sentimento del malee teneva in sesto isuoi pensieri. Tutt'a un trattosente uno squillo lontanoma chegli par che venga dalle stanzenon dalla strada. Sta attento; losente più fortepiù ripetutoe insieme uno stropiccìodi piedi: un orrendo sospetto gli passa per la mente. Si rizza asederee si mette ancor più attento; sente un rumor cuponella stanza vicinacome d'un peso che venga messo giù conriguardo; butta le gambe fuor del lettocome per alzarsiguardaall'usciolo vede aprirsivede presentarsi e venire avanti duelogori e sudici vestiti rossidue facce scomunicatedue monattiinuna parola; vede mezza la faccia del Griso chenascosto dietro unbattente socchiusoriman lì a spiare.

-Ah traditore infame!... Viacanaglia! Biondino! Carlotto! aiuto! sonassassinato! - grida don Rodrigo; caccia una mano sotto il capezzaleper cercare una pistola; l'afferrala tira fuori; ma al primo suogridoi monatti avevan preso la rincorsa verso il letto; il piùpronto gli è addossoprima che lui possa far nulla; glistrappa la pistola di manola getta lontanolo butta a giacereelo tien lìgridandocon un versaccio di rabbia insieme e discherno: - ah birbone! contro i monatti! contro i ministri deltribunale! contro quelli che fanno l'opere di misericordia!

-Tienlo benefin che lo portiam via- disse il compagnoandandoverso uno scrigno. E in quella il Griso entròe si mise concolui a scassinar la serratura.

-Scellerato! - urlò don Rodrigoguardandolo per di sottoall'altro che lo tenevae divincolandosi tra quelle braccia forzute.- Lasciatemi ammazzar quell'infame- diceva quindi ai monatti- epoi fate di me quel che volete -. Poi ritornava a chiamar con quantavoce avevagli altri suoi servitori; ma era inutileperchél'abbominevole Griso gli aveva mandati lontanocon finti ordini delpadrone stessoprima d'andare a fare ai monatti la proposta divenire a quella spedizionee divider le spoglie.

-Sta' buonosta' buono- diceva allo sventurato Rodrigo l'aguzzinoche lo teneva appuntellato sul letto. E voltando poi il viso ai dueche facevan bottinogridava: - fate le cose da galantuomini!

-Tu! tu! - mugghiava don Rodrigo verso il Grisoche vedevaaffaccendarsi a spezzarea cavar fuori danarorobaa far le parti- Tu! dopo...! Ah diavolo dell'inferno! Posso ancora guarire! possoguarire! - Il Griso non fiatavae neppureper quanto potevasivoltava dalla parte di dove venivan quelle parole.

-Tienlo forte- diceva l'altro monatto: - è fuor di sé.

Edera ormai vero. Dopo un grand'urlodopo un ultimo e piùviolento sforzo per mettersi in libertàcadde tutt'a untratto rifinito e stupido: guardava però ancoracomeincantatoe ogni tanto si riscotevao si lamentava.

Imonatti lo preserouno per i piedie l'altro per le spalleeandarono a posarlo sur una barella che avevan lasciata nella stanzaaccanto; poi uno tornò a prender la preda; quindialzato ilmiserabil pesolo portaron via.

IlGriso rimase a scegliere in fretta quel di più che potesse farper lui; fece di tutto un fagottoe se n'andò. Aveva bensìavuto cura di non toccar mai i monattidi non lasciarsi toccar daloro; main quell'ultima furia del frugareaveva poi presivicinoal lettoi panni del padronee gli aveva scossisenza pensare adaltroper veder se ci fosse danaro. C'ebbe però a pensare ilgiorno dopochementre stava gozzovigliando in una bettolaglivennero a un tratto de' brividigli s'abbagliaron gli occhiglimancaron le forzee cascò. Abbandonato da' compagniandòin mano de' monattichespogliatolo di quanto aveva indosso dibuonolo buttarono sur un carro; sul quale spiròprimad'arrivare al lazzerettodov'era stato portato il suo padrone.

Lasciandoora questo nel soggiorno de' guaidobbiamo andare in cerca d'unaltrola cui storia non sarebbe mai stata intralciata con la suaselui non l'avesse voluto per forza; anzi si può dir di certoche non avrebbero avuto storia né l'uno né l'altro:Renzovoglio direche abbiam lasciato al nuovo filatoiosotto ilnome d'Antonio Rivolta.

C'erastato cinque o sei mesisalvo il vero; dopo i qualidichiaratal'inimicizia tra la repubblica e il re di Spagnae cessato quindiogni timore di ricerche e d'impegni dalla parte di quiBortolo s'eradato premura d'andarlo a prenderee di tenerlo ancora con sée perché gli voleva benee perché Renzocome giovinedi talentoe abile nel mestiereerain una fabbricadi grandeaiuto al factotumsenza poter mai aspirare a divenirlo luiper quella benedetta disgrazia di non saper tener la penna in mano.Siccome anche questa ragione c'era entrata per qualche cosacosìabbiam dovuto accennarla. Forse voi vorreste un Bortolo piùideale: non so che dire: fabbricatevelo. Quello era così.

Renzoera poi sempre rimasto a lavorare presso di lui. Più d'unavoltae specialmente dopo aver ricevuta qualcheduna di quellebenedette lettere da parte d'Agnesegli era saltato il grillo difarsi soldatoe finirla: e l'occasioni non mancavano; chéappunto in quell'intervallo di tempola repubblica aveva avutobisogno di far gente. La tentazione era qualche volta stata per Renzotanto più forteche s'era anche parlato d'invadere ilmilanese; e naturalmente a lui pareva che sarebbe stata una bellacosatornare in figura di vincitore a casa suariveder Luciaespiegarsi una volta con lei. Ma Bortolocon buona manieraavevasempre saputo smontarlo da quella risoluzione.

-Se ci hanno da andare- gli diceva- ci anderanno anche senza ditee tu potrai andarci dopocon tuo comodo; se tornano col caporottonon sarà meglio essere stato a casa tua? Disperati chevadano a far la stradanon ne mancherà. Eprima che cipossan mettere i piedi...! Per mesono eretico: costoro abbaiano; masì; lo stato di Milano non è un boccone da ingoiarsicosì facilmente. Si tratta della Spagnafigliuolo mio: saiche affare è la Spagna? San Marco è forte a casa sua;ma ci vuol altro. Abbi pazienza: non istai bene qui?... Vedo cosavuoi dire; mase è destinato lassù che la cosa riescasta' sicuro chea non far pazzieriuscirà anche meglio.Qualche santo t'aiuterà. Credi pure che non è mestiereper te. Ti par che convenga lasciare d'incannar setaper andare aammazzare? Cosa vuoi fare con quella razza di gente? Ci vuol degliuomini fatti apposta.

Altrevolte Renzo si risolveva d'andar di nascostotravestitoe con unnome finto. Ma anche da questoBortolo seppe svolgerlo ogni voltacon ragioni troppo facili a indovinarsi.

Scoppiatapoi la peste nel milanesee appuntocome abbiam dettosul confinedel bergamasconon tardò molto a passarlo; e... non visgomentatech'io non vi voglio raccontar la storia anche di questa:chi la volessela c'èscritta per ordine pubblico da uncerto Lorenzo Ghirardelli: libro raro però e sconosciutoquantunque contenga forse più roba che tutte insieme ledescrizioni più celebri di pestilenze: da tante cose dipendela celebrità de' libri! Quel ch'io volevo dire è cheRenzo prese anche lui la pestesi curò da sécioènon fece nulla; ne fu in fin di mortema la sua buona complessionevinse la forza del male: in pochi giornisi trovò fuor dipericolo. Col tornar della vitarisorsero più che mairigogliose nell'animo suo le memoriei desidèrile speranzei disegni della vita; val a dire che pensò più che maia Lucia. Cosa ne sarebbe di leiin quel tempoche il vivere eracome un'eccezione? Ea così poca distanzanon poterne sapernulla? E rimanerDio sa quantoin una tale incertezza! Equand'anche questa si fosse poi dissipataquandocessato ognipericolovenisse a risaper che Lucia fosse in vita; c'era semprequell'altro misteroquell'imbroglio del voto. " Anderòioanderò a sincerarmi di tutto in una volta- disse tra sée lo disse prima d'essere ancora in caso di reggersi. - Purchésia viva! Trovarlala troverò io; sentirò una volta dalei propriocosa sia questa promessale farò conoscere chenon può staree la conduco via con melei e quella poveraAgnesese è viva! che m'ha sempre voluto benee son sicuroche me ne vuole ancora. La cattura? eh! adesso hanno altro dapensarequelli che son vivi. Giran sicurianche quicerta genteche n'hann'addosso... Ci ha a esser salvocondotto solamente per ibirboni? E a Milanodicono tutti che l'è una confusionepeggio. Se lascio scappare una occasion così bella- (Lapeste! Vedete un poco come ci fa qualche volta adoprar le parole quelbenedetto istinto di riferire e di subordinar tutto a noi medesimi!)- non ne ritorna più una simile! "

Giovasperarecaro il mio Renzo.

Appenapoté strascicarsiandò in cerca di Bortoloil qualefino alloraaveva potuto scansar la pestee stava riguardato. Nongli entrò in casamadatogli una voce dalla stradalo feceaffacciare alla finestra.

-Ah ah! - disse Bortolo: - l'hai scampatatu. Buon per te!

-Sto ancora un po' male in gambecome vedimain quanto alpericolone son fuori.

-Eh! vorrei esser io ne' tuoi piedi. A dire: sto benele altre voltepareva di dir tutto; ma ora conta poco. Chi può arrivare adire: sto meglio; quella sì è una bella parola!

Renzofatto al cugino qualche buon auguriogli comunicò la suarisoluzione.

-Va'questa voltache il cielo ti benedica- rispose quello: -cerca di schivar la giustiziacom'io cercherò di schivare ilcontagio; ese Dio vuole che la ci vada bene a tutt'e duecirivedremo.

-Oh! torno sicuro: e se potessi non tornar solo! Basta; spero.

-Torna pure accompagnato; chèse Dio vuoleci sarà dalavorar per tuttie ci faremo buona compagnia. Purché tu miritrovie che sia finito questo diavolo d'influsso!

-Ci rivedremoci rivedremo; ci dobbiam rivedere!

-Torno a dire: Dio voglia!

Peralquanti giorniRenzo si tenne in esercizioper esperimentar le sueforzee accrescerle; e appena gli parve di poter far la stradasidispose a partire. Si mise sotto panni una cinturacon dentro que'cinquanta scudiche non aveva mai intaccatie de' quali non avevamai fatto parolaneppur con Bortolo; prese alcuni altri pochiquattriniche aveva messi da parte giorno per giornorisparmiandosu tutto; prese sotto il braccio un fagottino di panni; si mise intasca un benservitoche s'era fatto fare a buon contodal secondopadronesotto il nome d'Antonio Rivolta; in un taschino de' calzonisi mise un coltellaccioch'era il meno che un galantuomo potesseportare a que' tempi; e s'avviòagli ultimi d'agostotregiorni dopo che don Rodrigo era stato portato al lazzeretto. Preseverso Leccovolendoper non andar così alla cieca a Milanopassar dal suo paesedove sperava di trovare Agnese vivae dicominciare a saper da lei qualcheduna delle tante cose che sistruggeva di sapere.

Ipochi guariti dalla peste eranoin mezzo al resto della popolazioneveramente come una classe privilegiata. Una gran parte dell'altragente languiva o moriva; e quelli ch'erano stati fin allora illesidal morbone vivevano in continuo timore; andavan riservatiguardinghicon passi misuraticon visi sospettosicon fretta edesitazione insieme: ché tutto poteva esser contro di loro armedi ferita mortale. Quegli altri all'oppostosicuri a un di pressodel fatto loro (giacché aver due volte la peste era casopiuttosto prodigioso che raro)giravano per mezzo al contagiofranchi e risoluti; come i cavalieri d'un'epoca del medio evoferrati fin dove ferro ci poteva staree sopra palafreni accomodatianch'essiper quanto era fattibilein quella manieraandavano azonzo (donde quella loro gloriosa denominazione d'erranti)a zonzo ealla venturain mezzo a una povera marmaglia pedestre di cittadini edi villanicheper ribattere e ammortire i colpinon avevanoindosso altro che cenci. Bellosavio ed utile mestiere! mestiereproprioda far la prima figura in un trattato d'economia politica.

Conuna tale sicurezzatemperata però dall'inquietudini che illettore sae contristata dallo spettacolo frequentedal pensieroincessante della calamità comuneandava Renzo verso casa suasotto un bel cielo e per un bel paesema non incontrandodopolunghi tratti di tristissima solitudinese non qualche ombra vagantepiuttosto che persona vivao cadaveri portati alla fossasenza onord'esequiesenza cantosenza accompagnamento. A mezzo circa dellagiornatasi fermò in un boschettoa mangiare un po' di panee di companatico che aveva portato con sé. Frutten'aveva asua disposizionelungo la stradaanche più del bisogno:fichipeschesusinemelequante n'avesse volute; bastavach'entrasse ne' campi a coglierneo a raccattarle sotto gli alberidove ce n'era come se fosse grandinato; giacché l'anno erastraordinariamente abbondantedi frutte specialmente; e non c'eraquasi chi se ne prendesse pensiero: anche l'uve nascondevanoper dircosìi pampanied eran lasciate in balìa del primooccupante.

Versoserascoprì il suo paese. A quella vistaquantunque cidovesse esser preparatosi sentì dare come una stretta alcuore: fu assalito in un punto da una folla di rimembranze dolorosee di dolorosi presentimenti: gli pareva d'aver negli orecchi que'sinistri tocchi a martello che l'avevan come accompagnatoinseguitoquand'era fuggito da que' luoghi; e insieme sentivaper dir cosìun silenzio di morte che ci regnava attualmente. Un turbamento ancorpiù forte provò allo sboccare sulla piazzetta davantialla chiesa; e ancora peggio s'aspettava al termine del cammino: chédove aveva disegnato d'andare a fermarsiera a quella casa ch'erastato solito altre volte di chiamar la casa di Lucia. Ora non potevaesseretutt'al piùche quella d'Agnese; e la sola graziache sperava dal cielo era di trovarcela in vita e in salute. E inquella casa si proponeva di chiedere alloggiocongetturando bene chela sua non dovesse esser più abitazione che da topi e dafaine.

Nonvolendo farsi vedereprese per una viottola di fuoriquella stessaper cui era venuto in buona compagniaquella notte cosìfattaper sorprendere il curato. A mezzo circac'era da una partela vignae dall'altra la casetta di Renzo; sicchépassandopotrebbe entrare un momento nell'una e nell'altraa vedere un pococome stesse il fatto suo.

Andandoguardava innanziansioso insieme e timoroso di veder qualcheduno; edopo pochi passivide infatti un uomo in camiciaseduto in terracon le spalle appoggiate a una siepe di gelsominiin un'attitudined'insensato: ea questae poi anche alla fisonomiagli parve diraffigurar quel povero mezzo scemo di Gervaso ch'era venuto persecondo testimonio alla sciagurata spedizione. Ma essendosegliavvicinatodovette accertarsi ch'era in vece quel Tonio cosìsveglio che ce l'aveva condotto. La pestetogliendogli il vigore delcorpo insieme e della mentegli aveva svolto in faccia e in ogni suoatto un piccolo e velato germe di somiglianza che aveva conl'incantato fratello.

-Oh Tonio! - gli disse Renzofermandosegli davanti: - sei tu?

Tonioalzò gli occhisenza mover la testa.

-Tonio! non mi riconosci?

-A chi la toccala tocca- rispose Toniorimanendo poi con la boccaaperta.

-L'hai addosso eh? povero Tonio; ma non mi riconosci più?

-A chi la toccala tocca- replicò quellocon un certosorriso sciocco. Renzovedendo che non ne caverebbe altroseguitòla sua stradapiù contristato. Ed ecco spuntar da unacantonatae venire avanti una cosa nerache riconobbe subito perdon Abbondio. Camminava adagio adagioportando il bastone come chin'è portato a vicenda; e di mano in mano che s'avvicinavasempre più si poteva conoscere nel suo volto pallido e smuntoe in ogni attoche anche lui doveva aver passata la sua burrasca.Guardava anche lui; gli pareva e non gli pareva: vedeva qualcosa diforestiero nel vestiario; ma era appunto forestiero di quel diBergamo.

"È lui senz'altro! " disse tra sée alzò lemani al cielocon un movimento di maraviglia scontentarestandoglisospeso in aria il bastone che teneva nella destra; e si vedevanoquelle povere braccia ballar nelle manichedove altre volte stavanoappena per l'appunto. Renzo gli andò incontroallungando ilpassoe gli fece una riverenza; chésebbene si fosserolasciati come sapeteera però sempre il suo curato.

-Siete quivoi? - esclamò don Abbondio.

-Son quicome lei vede. Si sa niente di Lucia?

-Che volete che se ne sappia? Non se ne sa niente. È a Milanose pure è ancora in questo mondo. Ma voi...

-E Agneseè viva?

-Può essere; ma chi volete che lo sappia? non è qui.Ma...

-Dov'è?

-È andata a starsene nella Valsassinada que' suoi parentiaPasturosapete bene; ché là dicono che la peste nonfaccia il diavolo come qui. Ma voidico...

-Questa la mi dispiace. E il padre Cristoforo...?

-È andato via che è un pezzo. Ma...

-Lo sapevo; me l'hanno fatto scrivere: domandavo se per caso fossetornato da queste parti.

-Oh giusto! non se n'è più sentito parlare. Ma voi...

-La mi dispiace anche questa.

-Ma voidicocosa venite a far da queste partiper l'amor delcielo? Non sapete che bagattella di cattura...?

-Cosa m'importa? Hanno altro da pensare. Ho voluto venire anch'io unavolta a vedere i fatti miei. E non si sa proprio...?

-Cosa volete vedere? che or ora non c'è più nessunononc'è più niente. E dicocon quella bagattella dicatturavenir quiproprio in paesein bocca al lupoc'ègiudizio? Fate a modo d'un vecchio che è obbligato ad avernepiù di voie che vi parla per l'amore che vi porta; legatevile scarpe beneeprima che nessuno vi vedatornate di dove sietevenuto; e se siete stato vistotanto più tornatevene dicorsa. Vi pare che sia aria per voiquesta? Non sapete che sonovenuti a cercarviche hanno frugatofrugatobuttato sottosopra...

-Lo so pur troppobirboni!

-Ma dunque...!

-Ma se le dico che non ci penso. E coluiè vivo ancora? èqui?

-Vi dico che non c'è nessuno; vi dico che non pensiate allecose di qui; vi dico che...

-Domando se è quicolui.

-Oh santo cielo! Parlate meglio. Possibile che abbiate ancora addossotutto quel fuocodopo tante cose!

-C'èo non c'è?

-Non c'èvia. Mae la pestefigliuolola peste! Chi èche vada in giroin questi tempi?

-Se non ci fosse altro che la peste in questo mondo... dico per me:l'ho avutae son franco.

-Ma dunque! ma dunque! non sono avvisi questi? Quando se n'èscampata una di questa sortemi pare che si dovrebbe ringraziare ilcieloe...

-Lo ringrazio bene.

-E non andarne a cercar dell'altredico. Fate a modo mio...

-L'ha avuta anche leisignor curatose non m'inganno.

-Se l'ho avuta! Perfida e infame è stata: son qui per miracolo:basta dire che m'ha conciato in questa maniera che vedete. Ora avevoproprio bisogno d'un po' di quieteper rimettermi in tono: viacominciavo a stare un po' meglio... In nome del cielocosa venite afar qui? Tornate...

-Sempre l'ha con questo tornarelei. Per tornaretanto n'avevo a nonmovermi. Dice: cosa venite? cosa venite? Oh bella! vengoanch'ioacasa mia.

-Casa vostra...

-Mi dica; ne son morti molti qui?...

-Eh eh! - esclamò don Abbondio; ecominciando da Perpetuanominò una filastrocca di persone e di famiglie intere. Renzos'aspettava pur troppo qualcosa di simile; ma al sentir tanti nomi dipersone che conoscevad'amicidi parentistava addoloratocolcapo bassoesclamando ogni momento: - poverino! poverina! poverini!

-Vedete! - continuò don Abbondio: - e non è finita. Sequelli che restano non metton giudizio questa voltae scacciar tuttii grilli dalla testanon c'è più altro che la fine delmondo.

-Non dubiti; che già non fo conto di fermarmi qui.

-Ah! sia ringraziato il cieloche la v'è entrata! Egiàs'intendefate ben conto di ritornar sul bergamasco.

-Di questo non si prenda pensiero.

-Che! non vorreste già farmi qualche sproposito peggio diquesto?

-Lei non ci pensidico; tocca a me: non son più bambino: hol'uso della ragione. Spero chea buon contonon dirà anessuno d'avermi visto. È sacerdote; sono una sua pecora: nonmi vorrà tradire.

-Ho inteso- disse don Abbondiosospirando stizzosamente: - hointeso. Volete rovinarvi voie rovinarmi me. Non vi basta di quelleche avete passate voi; non vi basta di quelle che ho passate io. Hointesoho inteso -. Econtinuando a borbottar tra i dentiquest'ultime paroleriprese per la sua strada.

Renzorimase lì tristo e scontentoa pensar dove anderebbe afermarsi. In quella enumerazion di morti fattagli da don Abbondioc'era una famiglia di contadini portata via tutta dal contagiosalvoun giovinottodell'età di Renzo a un di pressoe suocompagno fin da piccino; la casa era pochi passi fuori del paese.Pensò d'andar lì.

Eandandopassò davanti alla sua vigna; e già dal difuori poté subito argomentare in che stato la fosse. Unavetticciolauna fronda d'albero di quelli che ci aveva lasciatinonsi vedeva passare il muro; se qualcosa si vedevaera tutta robavenuta in sua assenza. S'affacciò all'apertura (del cancellonon c'eran più neppure i gangheri); diede un'occhiata in giro:povera vigna! Per due inverni di seguitola gente del paese eraandata a far legna - nel luogo di quel poverino -come dicevano.Vitigelsifrutti d'ogni sortetutto era stato strappato allapeggioo tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigidell'antica coltura: giovani tralciin righe spezzatema che puresegnavano la traccia de' filari desolati; qua e làrimessiticci o getti di gelsidi fichidi peschidi ciliegidisusini; ma anche questo si vedeva sparsosoffogatoin mezzo a unanuovavaria e fitta generazionenata e cresciuta senza l'aiutodella man dell'uomo. Era una marmaglia d'ortichedi felcidi loglidi gramignedi farinellid'avene salvatiched'amaranti verdidiradicchielled'acetoselledi panicastrelle e d'altrettali piante;di quellevoglio diredi cui il contadino d'ogni paese ha fatto unagran classe a modo suodenominandole erbacceo qualcosa di simile.Era un guazzabuglio di steliche facevano a soverchiarsi l'uno conl'altro nell'ariao a passarsi avantistrisciando sul terrenoarubarsi in somma il posto per ogni verso; una confusione di fogliedi fioridi fruttidi cento coloridi cento formedi centograndezze: spighettepannocchietteciocchemazzetticapolinibianchirossigialliazzurri. Tra questa marmaglia di piante cen'era alcune di più rilevate e vistosenon peròmigliorialmeno la più parte: l'uva turcapiù alta ditutteco' suoi rami allargatirosseggiantico' suoi pomposifoglioni verdecupialcuni già orlati di porporaco' suoigrappoli ripiegatiguarniti di bacche paonazze al bassopiùsu di porporinepoi di verdie in cima di fiorellini biancastri; iltasso barbassocon le sue gran foglie lanose a terrae lo stelodiritto all'ariae le lunghe spighe sparse e come stellate di vivifiori gialli: cardiispidi ne' raminelle fogliene' calicidondeuscivano ciuffetti di fiori bianchi o porporiniovvero sistaccavanoportati via dal ventopennacchioli argentei e leggieri.Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a'nuovi rampolli d'un gelsogli avevan tutti ricoperti delle lorfoglie ciondolonie spenzolavano dalla cima di quelli le lorcampanelle candide e molli: là una zucca salvaticaco' suoichicchi vermiglis'era avviticchiata ai nuovi tralci d'una vite; laqualecercato invano un più saldo sostegnoaveva attaccati avicenda i suoi viticci a quella; emescolando i loro deboli steli ele loro foglie poco diversesi tiravan giùpure a vicendacome accade spesso ai deboli che si prendon l'uno con l'altro perappoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all'altrasalivascendevaripiegava i rami o gli stendevasecondo gliriuscisse; eattraversato davanti al limitare stessopareva chefosse lì per contrastare il passoanche al padrone.

Maquesto non si curava d'entrare in una tal vigna; e forse non istettetanto a guardarlaquanto noi a farne questo po' di schizzo. Tiròdi lungo: poco lontano c'era la sua casa; attraversò l'ortocamminando fino a mezza gamba tra l'erbacce di cui era popolatocopertocome la vigna. Mise piede sulla soglia d'una delle duestanze che c'era a terreno: al rumore de' suoi passial suoaffacciarsiuno scompiglìouno scappare incrocicchiato ditopacciun cacciarsi dentro il sudiciume che copriva tutto ilpavimento: era ancora il letto de' lanzichenecchi. Diede un'occhiataalle pareti: scrostateimbrattateaffumicate. Alzò gli occhial palco: un parato di ragnateli. Non c'era altro. Se n'andòanche di làmettendosi le mani ne' capelli; tornòindietrorifacendo il sentiero che aveva aperto luiun momentoprima; dopo pochi passiprese un'altra straducola a mancinachemetteva ne' campi; e senza veder né sentire anima viventearrivò vicino alla casetta dove aveva pensato di fermarsi. Giàprincipiava a farsi buio. L'amico era sull'uscioa sedere sur unpanchetto di legnocon le braccia incrociatecon gli occhi fissi alcielocome un uomo sbalordito dalle disgraziee insalvatichitodalla solitudine. Sentendo un calpestìosi voltò aguardar chi fosseea quel che gli parve di vedere così albarlumetra i rami e le frondedissead alta vocerizzandosi ealzando le mani: - non ci son che io? non ne ho fatto abbastanzaieri? Lasciatemi un po' stareche sarà anche questa un'operadi misericordia.

Renzonon sapendo cosa volesse dir questogli rispose chiamandolo pernome.

-Renzo...! - disse quelloesclamando insieme e interrogando.

-Proprio- disse Renzo; e si corsero incontro.

-Sei proprio tu! - disse l'amicoquando furon vicini: - oh che gustoho di vederti! Chi l'avrebbe pensato? T'avevo preso per Paolin de'mortiche vien sempre a tormentarmiperché vada asotterrare. Sai che son rimasto solo? solo! solocome un romito!

-Lo so pur troppo- disse Renzo. E cosìbarattando emescolando in fretta salutidomande e risposteentrarono insiemenella casuccia. E lìsenza sospendere i discorsil'amico simise in faccende per fare un po' d'onore a Renzocome si poteva cosìall'improvviso e in quel tempo. Mise l'acqua al fuocoe cominciòa far la polenta; ma cedé poi il matterello a Renzoperchéla dimenasse; e se n'andò dicendo: - son rimasto solo; ma! sonrimasto solo!

Tornòcon un piccol secchio di lattecon un po' di carne seccacon unpaio di raveggiolicon fichi e pesche; e posato il tuttoscodellatala polenta sulla tafferìasi misero insieme a tavolaringraziandosi scambievolmentel'uno della visital'altro delricevimento. Edopo un'assenza di forse due annisi trovarono a untratto molto più amici di quello che avesser mai saputod'essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perchéall'uno e all'altrodice qui il manoscrittoeran toccate di quellecose che fanno conoscere che balsamo sia all'animo la benevolenza;tanto quella che si sentequanto quella che si trova negli altri.

Certonessuno poteva tenere presso di Renzo il luogo d'Agnesenéconsolarlo della di lei assenzanon solo per quell'antica e specialeaffezionema anche perchétra le cose che a lui premeva didecifrarece n'era una di cui essa sola aveva la chiave. Stette unmomento tra duese dovesse continuare il suo viaggioo andar primain cerca d'Agnesegiacché n'era così poco lontano; maconsiderato che della salute di LuciaAgnese non ne saprebbe nullarestò nel primo proposito d'andare addirittura a levarsiquesto dubbioa aver la sua sentenzae di portar poi lui le nuovealla madre. Peròanche dall'amico seppe molte cose cheignoravae di molte venne in chiaro che non sapeva benesui casi diLuciae sulle persecuzioni che gli avevan fatte a luie come donRodrigo se n'era andato con la coda tra le gambee non s'era piùveduto da quelle parti; insomma su tutto quell'intreccio di cose.Seppe anche (e non era per Renzo cognizione di poca importanza) comefosse proprio il casato di don Ferrante: ché Agnese glielaveva bensì fatto scrivere dal suo segretario; ma sa il cielocom'era stato scritto; e l'interprete bergamasconel leggergli laletteran'aveva fatta una parola talechese Renzo fosse andatocon essa a cercar ricapito di quella casa in Milanoprobabilmentenon avrebbe trovato persona che indovinasse di chi voleva parlare.Eppure quello era l'unico filo che avesseper andar in cerca diLucia. In quanto alla giustiziapoté confermarsi sempre piùch'era un pericolo abbastanza lontanoper non darsene gran pensiero:il signor podestà era morto di peste: chi sa quando se nemanderebbe un altro; anche la sbirraglia se n'era andata la piùparte; quelli che rimanevanoavevan tutt'altro da pensare che allecose vecchie.

Raccontòanche lui all'amico le sue vicendee n'ebbe in contraccambio centostoriedel passaggio dell'esercitodella pested'untoridiprodigi. - Son cose brutte- disse l'amicoaccompagnando Renzo inuna camera che il contagio aveva resa disabitata; - cose che non sisarebbe mai creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tuttala vita; ma peròa parlarne tra amiciè un sollievo.

Allospuntar del giornoeran tutt'e due in cucina; Renzo in arnese daviaggiocon la sua cintura nascosta sotto il farsettoe ilcoltellaccio nel taschino de' calzoni: il fagottinoper andar piùlestolo lasciò in deposito presso all'ospite. - Se la mi vabene- gli disse- se la trovo in vitase... basta... ripasso diqui; corro a Pasturoa dar la buona nuova a quella povera Agneseepoie poi... Ma seper disgraziaper disgrazia che Dio nonvoglia... alloranon so quel che farònon so dov'anderò:certoda queste parti non mi vedete più -. E cosìparlandoritto sulla soglia dell'usciocon la testa per ariaguardava con un misto di tenerezza e d'accoramentol'aurora del suopaese che non aveva più veduta da tanto tempo. L'amico glidissecome s'usadi sperar bene; volle che prendesse con séqualcosa da mangiare; l'accompagnò per un pezzetto di stradae lo lasciò con nuovi augùri.

Renzos'incamminò con la sua pacebastandogli d'arrivar vicino aMilano in quel giornoper entrarci il seguentedi buon'oraecominciar subito la sua ricerca. Il viaggio fu senza accidenti esenza nulla che potesse distrar Renzo da' suoi pensierifuorchéle solite miserie e malinconie. Come aveva fatto il giorno avantisifermò a suo tempoin un boschetto a mangiare un bocconee ariposarsi. Passando per Monzadavanti a una bottega apertadovec'era de' pani in mostrane chiese dueper non rimanere sprovvistoin ogni caso. Il fornaiogl'intimò di non entraree gliporse sur una piccola pala una scodellettacon dentro acqua e acetodicendogli che buttasse lì i danari; e fatto questocon certemollegli porsel'uno dopo l'altroi due paniche Renzo si miseuno per tasca.

Versoseraarriva a Grecosenza però saperne il nome; matra unpo' di memoria de' luoghiche gli era rimasta dell'altro viaggioeil calcolo del cammino fatto da Monza in poicongetturando chedoveva esser poco lontano dalla cittàuscì dallastrada maestraper andar ne' campi in cerca di qualche cascinottoelì passar la notte; ché con osterie non si volevaimpicciare. Trovò meglio di quel che cercava: vide un'aperturain una siepe che cingeva il cortile d'una cascina; entrò abuon conto. Non c'era nessuno: vide da un canto un gran porticoconsotto del fieno ammontatoe a quello appoggiata una scala a mano;diede un'occhiata in giroe poi salì alla ventura; s'accomodòper dormiree infatti s'addormentò subitoper non destarsiche all'alba. Alloraandò carpon carponi verso l'orlo di quelgran letto; mise la testa fuorie non vedendo nessunoscese didov'era salitouscì di dov'era entratos'incamminòper viottoleprendendo per sua stella polare il duomo; e dopo unbrevissimo camminovenne a sbucar sotto le mura di Milanotra portaOrientale e porta Nuovae molto vicino a questa.




Cap.XXXIV


Inquanto alla maniera di penetrare in cittàRenzo avevasentitocosì all'ingrossoche c'eran ordini severissimi dinon lasciar entrar nessunosenza bulletta di sanità; ma chein vece ci s'entrava benissimochi appena sapesse un po' aiutarsi ecogliere il momento. Era infatti così; e lasciando anche daparte le cause generaliper cui in que' tempi ogni ordine era pocoeseguito; lasciando da parte le specialiche rendevano cosìmalagevole la rigorosa esecuzione di questo; Milano si trovava ormaiin tale statoda non veder cosa giovasse guardarloe da cosa; echiunque ci venissepoteva parer piuttosto noncurante della propriasaluteche pericoloso a quella de' cittadini.

Suqueste notizieil disegno di Renzo era di tentare d'entrar dallaprima porta a cui si fosse abbattuto; se ci fosse qualche intopporiprender le mura di fuorifinché ne trovasse un'altra di piùfacile accesso. E sa il cielo quante porte s'immaginava che Milanodovesse avere. Arrivato dunque sotto le murasi fermò aguardar d'intornocome fa chinon sapendo da che parte gli convengadi prenderepar che n'aspettie ne chieda qualche indizio da ognicosa. Maa destra e a sinistranon vedeva che due pezzi d'unastrada storta; dirimpettoun tratto di mura; da nessuna partenessun segno d'uomini viventi: se non cheda un certo punto delterrapienos'alzava una colonna d'un fumo oscuro e densochesalendo s'allargava e s'avvolgeva in ampi globiperdendosi poinell'aria immobile e bigia. Eran vestitiletti e altre masserizieinfette che si bruciavano: e di tali triste fiammate se ne faceva dicontinuonon lì soltantoma in varie parti delle mura.

Iltempo era chiusol'aria pesanteil cielo velato per tutto da unanuvola o da un nebbione ugualeinerteche pareva negare il solesenza prometter la pioggia; la campagna d'intornoparte incoltaetutta arida; ogni verzura scoloritae neppure una gocciola dirugiada sulle foglie passe e cascanti. Per di piùquellasolitudinequel silenziocosì vicino a una gran cittàaggiungevano una nuova costernazione all'inquietudine di Renzoerendevan più tetri tutti i suoi pensieri.

Statolì alquantoprese la dirittaalla venturaandandosenzasaperloverso porta Nuovadella qualequantunque vicinanonpoteva accorgersia cagione d'un baluardodietro cui era alloranascosta. Dopo pochi passiprincipiò a sentire un tintinnìodi campanelliche cessava e ricominciava ogni tantoe poi qualchevoce d'uomo. Andò avanti epassato il canto del baluardovide per la prima cosaun casotto di legnoe sull'usciounaguardia appoggiata al moschettocon una cert'aria stracca etrascurata: dietro c'era uno stecconatoe dietro quellola portacioè due alacce di murocon una tettoia sopraper riparare ibattenti; i quali erano spalancaticome pure il cancello dellostecconato. Peròdavanti appunto all'aperturac'era in terraun tristo impedimento: una barellasulla quale due monattiaccomodavano un poverinoper portarlo via. Era il capo de'gabellieria cuipoco primas'era scoperta la peste. Renzo sifermòaspettando la fine: partito il convoglioe non venendonessuno a richiudere il cancellogli parve tempoe ci s'avviòin fretta; ma la guardiacon una manieracciagli gridò: -olà! - Renzo si fermò di nuovo su due piediedatoglid'occhiotirò fuori un mezzo ducatonee glielo fece vedere.Coluio che avesse già avuta la pesteo che la temesse menodi quel che amava i mezzi ducatoniaccennò a Renzo che glielobuttasse; e vistoselo volar subito a' piedisusurrò: - va'innanzi presto -. Renzo non se lo fece dir due volte; passò lostecconatopassò la portaandò avantisenza chenessuno s'accorgesse di luio gli badasse; se non chequando ebbefatti forse quaranta passisentì un altro - olà - cheun gabelliere gli gridava dietro. Questa voltafece le viste di nonsentireesenza voltarsi nemmenoallungò il passo. - Olà!- gridò di nuovo il gabellierecon una voce però cheindicava più impazienza che risoluzione di farsi ubbidire; enon essendo ubbiditoalzò le spallee tornò nella suacasacciacome persona a cui premesse più di non accostarsitroppo ai passeggieriche d'informarsi de' fatti loro.

Lastrada che Renzo aveva presaandava alloracome adessodirittafino al canale detto il Naviglio: i lati erano siepi o murid'ortichiese e conventie poche case. In cima a questa stradaenel mezzo di quella che costeggia il canalec'era una colonnaconuna croce detta la croce di sant'Eusebio. E per quanto Renzoguardasse innanzinon vedeva altro che quella croce. Arrivato alcrocicchio che divide la strada circa alla metàe guardandodalle due partivide a drittain quella strada che si chiama lostradone di santa Teresaun cittadino che veniva appunto verso dilui. " Un cristianofinalmente! " disse tra sé; esi voltò subito da quella partepensando di farsi insegnar lastrada da lui. Questo pure aveva visto il forestiero che s'avanzava;e andava squadrandolo da lontanocon uno sguardo sospettoso; e tantopiùquando s'accorse chein vece d'andarsene per i fattisuoigli veniva incontro. Renzoquando fu poco distantesi levòil cappelloda quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con lasinistramise l'altra mano nel cocuzzoloe andò piùdirettamente verso lo sconosciuto. Ma questostralunando gli occhiaffattofece un passo addietroalzò un noderoso bastoneevoltata la puntach'era di ferroalla vita di Renzogridò:- via! via! via!

-Oh oh! - gridò il giovine anche lui; rimise il cappello intestaeavendo tutt'altra vogliacome diceva poiquandoraccontava la cosache di metter su lite in quel momentovoltòle spalle a quello stravagantee continuò la sua stradaoper meglio direquella in cui si trovava avviato.

L'altrotirò avanti anche lui per la suatutto frementeevoltandosiogni momentoindietro. E arrivato a casaraccontòche gli s'era accostato un untorecon un'aria umilemansuetaconun viso d'infame impostorecon lo scatolino dell'untoo l'involtinodella polvere (non era ben certo qual de' due) in manonel cocuzzolodel cappelloper fargli il tirose lui non l'avesse saputo tenerlontano. - Se mi s'accostava un passo di più- soggiunse-l'infilavo addiritturaprima che avesse tempo d'accomodarmi meilbirbone. La disgrazia fu ch'eravamo in un luogo cosìsolitarioché se era in mezzo Milanochiamavo gentee mifacevo aiutare a acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quellascellerata porcheria nel cappello. Ma lì da solo a solomison dovuto contentare di fargli paurasenza risicare di cercarmi unmalanno; perché un po' di polvere è subito buttata; ecoloro hanno una destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dallaloro. Ora sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa! - Efin che visseche fu per molt'anniogni volta che si parlassed'untoriripeteva la sua storiae soggiungeva: - quelli chesostengono ancora che non era veronon lo vengano a dire a me;perché le cose bisogna averle viste.

Renzolontano dall'immaginarsi come l'avesse scampata bellae agitato piùdalla rabbia che dalla paurapensavacamminandoaquell'accoglienzae indovinava bene a un di presso ciò che losconosciuto aveva pensato di lui; ma la cosa gli pareva cosìirragionevoleche concluse tra sé che colui doveva essere unqualche mezzo matto. " La principia male- pensava però:- par che ci sia un pianeta per mein questo Milano. Per entraretutto mi va a seconda; e poiquando ci son dentrotrovo idispiaceri lì apparecchiati. Basta... coll'aiuto di Dio... setrovo... se ci riesco a trovare... eh! tutto sarà stato niente".

Arrivatoal pontevoltòsenza esitarea sinistranella strada disan Marcoparendoglia ragioneche dovesse condurre versol'interno della città. E andando avantiguardava in qua e inlàper veder se poteva scoprire qualche creatura umana; manon ne vide altra che uno sformato cadavere nel piccol fosso checorre tra quelle poche case (che allora erano anche meno)e un pezzodella strada. Passato quel pezzosentì gridare: - oquell'uomo! - e guardando da quella partevide poco lontanoa unterrazzino d'una casuccia isolatauna povera donnacon una nidiatadi bambini intorno; la qualeseguitandolo a chiamaregli fece cennoanche con la mano. Ci andò di corsa; e quando fu vicino- oquel giovine- disse quella donna: - per i vostri poveri mortifatela carità d'andare a avvertire il commissario che siamo quidimenticati. Ci hanno chiusi in casa come sospettiperché ilmio povero marito è morto; ci hanno inchiodato l'usciocomevedete; e da ier mattinanessuno è venuto a portarci damangiare. In tante ore che siam quinon m'è mai capitato uncristiano che me la facesse questa carità: e questi poveriinnocenti moion di fame.

-Di fame! - esclamò Renzo; ecacciate le mani nelle tasche-eccoecco- dissetirando fuori i due pani: - calatemi giùqualcosa da metterli dentro.

-Dio ve ne renda merito; aspettate un momento- disse quella donna; eandò a cercare un panieree una fune da calarlocome fece. ARenzo intanto gli vennero in mente que' pani che aveva trovati vicinoalla crocenell'altra sua entrata in Milanoe pensava: " ecco:è una restituzionee forse meglio che se gli avessirestituiti al proprio padrone: perché qui è veramenteun'opera di misericordia ".

Inquanto al commissario che ditela mia donna- disse poimettendo ipani nel paniere- io non vi posso servire in nulla; perchéper dirvi la veritàson forestieroe non son niente praticodi questo paese. Peròse incontro qualche uomo un po'domestico e umanoda potergli parlarelo dirò a lui.

Ladonna lo pregò che facesse cosìe gli disse il nomedella stradaonde lui sapesse indicarla.

-Anche voi- riprese Renzo- credo che potrete farmi un piacereunavera caritàsenza vostro incomodo. Una casa di cavalieridigran signoroniqui di Milanocasa *** sapreste insegnarmi dove sia?

-So che la c'è questa casa- rispose la donna: - ma dove sianon lo so davvero. Andando avanti di quaqualcheduno che ve lainsegnilo troverete. E ricordatevi di dirgli anche di noi.

-Non dubitate- disse Renzoe andò avanti.

Aogni passosentiva crescere e avvicinarsi un rumore che giàaveva cominciato a sentire mentre era lì fermo a discorrere:un rumor di ruote e di cavallicon un tintinnìo dicarnpanellie ogni tanto un chioccar di frustecon unaccompagnamento d'urli. Guardava innanzima non vedeva nulla.Arrivato allo sbocco di quella stradascoprendosegli davanti lapiazza di san Marcola prima cosa che gli diede nell'occhiofurondue travi rittecon una cordae con certe carrucole; e non tardòa riconoscere (ch'era cosa famigliare in quel tempo) l'abbominevolemacchina della tortura. Era rizzata in quel luogoe non in quellosoltantoma in tutte le piazze e nelle strade più spazioseaffinché i deputati d'ogni quartieremuniti a questo d'ognifacoltà più arbitrariapotessero farci applicareimmediatamente chiunque paresse loro meritevole di pena: osequestrati che uscissero di casao subalterni che non facessero illoro dovereo chiunque altro. Era uno di que' rimedi eccessivi einefficaci de' qualia quel tempoe in que' momenti specialmentesi faceva tanto scialacquìo.

Oramentre Renzo guarda quello strumentopensando perché possaessere alzato in quel luogosente avvicinarsi sempre più ilrumoree vede spuntar dalla cantonata della chiesa un uomo chescoteva un campanello: era un apparitore; e dietro a lui due cavallicheallungando il colloe puntando le zampevenivano avanti afatica; e strascinato da quelliun carro di mortie dopo quello unaltroe poi un altro e un altro; e di qua e di làmonattialle costole de' cavallispingendolia frustatea punzoniabestemmie. Eran que' cadaverila più parte ignudialcuni malinvoltati in qualche cencioammonticchiatiintrecciati insiemecome un gruppo di serpi che lentamente si svolgano al tepore dellaprimavera; chéa ogni intoppoa ogni scossasi vedevan que'mucchi funesti tremolare e scompaginarsi bruttamentee ciondolartestee chiome verginali arrovesciarsie braccia svincolarsiebatter sulle rotemostrando all'occhio già inorridito come untale spettacolo poteva divenire più doloroso e piùsconcio.

Ilgiovine s'era fermato sulla cantonata della piazzavicino allasbarra del canalee pregava intanto per que' morti sconosciuti. Unatroce pensiero gli balenò in mente: " forse làlà insiemelà sotto... OhSignore! fate che non siavero! fate ch'io non ci pensi! "

Passatoil convoglio funebreRenzo si mosseattraversò la piazzaprendendo lungo il canale a mancinasenz'altra ragione della sceltase non che il convoglio era andato dall'altra parte. Fatti que'quattro passi tra il fianco della chiesa e il canalevide a destrail ponte Marcellino; prese di lìe riuscì in BorgoNuovo. E guardando innanzisempre con quella mira di trovarqualcheduno da farsi insegnar la stradavide in fondo a quellaun.prete in farsettocon un bastoncino in manoritto vicino a unuscio socchiusocol capo chinatoe l'orecchio allo spiraglio; epoco dopo lo vide alzar la mano e benedire. Congetturò quelloch'era di fattocioè che finisse di confessar qualcheduno; edisse tra sé: " questo è l'uomo che fa per me. Seun pretein funzion di pretenon ha un po' di caritàun po'd'amore e di buona graziabisogna dire che non ce ne sia piùin questo mondo ".

Intantoil pretestaccatosi dall'uscioveniva dalla parte di Renzotenendosicon gran riguardonel mezzo della strada. Renzoquandogli fu vicinosi levò il cappelloe gli accennò chedesiderava parlarglifermandosi nello stesso tempoin maniera dafargli intendere che non si sarebbe accostato di più. Quellopure si fermòin atto di stare a sentirepuntando peròin terra il suo bastoncino davanti a sécome per farsene unbaluardo. Renzo espose la sua domandaalla quale il pretesoddisfecenon solo con dirgli il nome della strada dove la casa erasituatama dandogli anchecome vide che il poverino n'avevabisognoun po' d'itinerario; indicandoglicioèa forza didiritte e di mancinedi chiese e di crociquell'altre sei o ottostrade che aveva da passare per arrivarci.

-Dio la mantenga sanoin questi tempie sempre- disse Renzo: ementre quello si moveva per andarsene- un'altra carità-soggiunse; e gli disse della povera donna dimenticata. Il buon preteringraziò lui d'avergli dato occasione di fare una caritàcosì necessaria; edicendo che andava ad avvertire chibisognavatirò avanti. Renzo si mosse anche luiecamminandocercava di fare a se stesso una ripetizionedell'itinerarioper non esser da capo a dover domandare a ognicantonata. Ma non potreste immaginarvi come quell'operazione gliriuscisse penosae non tanto per la difficoltà della cosa inséquanto per un nuovo turbamento che gli era natonell'animo. Quel nome della stradaquella traccia del camminol'avevan messo così sottosopra. Era l'indizio che avevadesiderato e domandatoe del quale non poteva far di meno; négli era stato detto nient'altroda che potesse ricavare nessunaugurio sinistro; ma che volete? quell'idea un po' piùdistinta d'un termine vicinodove uscirebbe d'una grand'incertezzadove potrebbe sentirsi dire: è vivao sentirsi dire: èmorta; quell'idea l'aveva così colpito chein quel momentogli sarebbe piaciuto più di trovarsi ancora ai buio di tuttod'essere al principio del viaggiodi cui ormai toccava la fine.Raccolse però le sue forzee disse a se stesso: " ehi!se principiamo ora a fare il ragazzocom'anderà? " Cosìrinfrancato alla meglioseguitò la sua stradainoltrandosinella città.

Qualecittà! e cos'era maial paragonequello ch'era stata l'annoavantiper cagion della fame!

Renzos'abbatteva appunto a passare per una delle parti piùsquallide e più desolate: quella crociata di strade che sichiamava il carrobio di porta Nuova. (C'era allora una crocenel mezzoedirimpetto ad essaaccanto a dove ora è sanFrancesco di Paolauna vecchia chiesa col titolo di sant'Anastasia).Tanta era stata in quel vicinato la furia del contagioe il fetorde' cadaveri lasciati lì che i pochi rimasti vivi erano staticostretti a sgomberare: sicchéalla mestizia che dava alpasseggiero quell'aspetto di solitudine e d'abbandonos'aggiungeval'orrore e lo schifo delle tracce e degli avanzi della recenteabitazione. Renzo affrettò il passofacendosi coraggio colpensare che la meta non doveva essere così vicinae sperandocheprima d'arrivarcitroverebbe mutataalmeno in partela scena;e infattidi lì a non moltoriuscì in un luogo chepoteva pur dirsi città di viventi; ma quale cittàancorae quali viventi! Serratiper sospetto e per terroretuttigli usci di stradasalvo quelli che fossero spalancati per esser lecase disabitateo invase; altri inchiodati e sigillatiper essernelle case morta o ammalata gente di peste; altri segnati d'una crocefatta col carboneper indizio ai monattiche c'eran de' morti daportar via: il tutto più alla ventura che altrosecondo chesi fosse trovato piuttosto qua che là un qualche commissariodella Sanità o altro impiegatoche avesse voluto eseguir gliordinio fare un'angheria. Per tutto cenci epiù ributtantide' cencifasce marciosestrame ammorbatoo lenzoli buttati dallefinestre; talvolta corpio di persone morte all'improvvisonellastradae lasciati lì fin che passasse un carro da portarliviao cascati da' carri medesimio buttati anch'essi dallefinestre: tanto l'insistere e l'imperversar del disastro avevainsalvatichiti gli animie fatto dimenticare ogni cura di pietàogniriguardo sociale! Cessato per tutto ogni rumor di bottegheogni strepito di carrozzeogni grido di venditoriogni chiacchierìodi passeggieriera ben raro che quel silenzio di morte fosse rottoda altro che da rumor di carri funebrida lamenti di poveridarammarichìo d'infermida urli di freneticida grida dimonatti. All'albaa mezzogiornoa serauna campana del duomo davail segno di recitar certe preci assegnate dall'arcivescovo: a queltocco rispondevan le campane dell'altre chiese; e allora avresteveduto persone affacciarsi alle finestrea pregare in comune;avreste sentito un bisbiglio di voci e di gemitiche spirava unatristezza mista pure di qualche conforto.

Mortia quell'ora forse i due terzi de' cittadiniandati via o ammalatiuna buona parte del restoridotto quasi a nulla il concorso dellagente di fuoride' pochi che andavan per le stradenon se nesarebbe per avventurain un lungo giroincontrato uno solo in cuinon si vedesse qualcosa di stranoe che dava indizio d'una funestamutazione di cose. Si vedevano gli uomini più qualificatisenza cappa né mantelloparte allora essenzialissima delvestiario civile; senza sottana i pretie anche de' religiosi infarsetto; dismessa in somma ogni sorte di vestito che potesse con glisvolazzi toccar qualche cosao dare (ciò che si temeva piùdi tutto il resto) agio agli untori. E fuor di questa cura d'andarsuccinti e ristretti il più che fosse possibilenegletta etrasandata ogni persona; lunghe le barbe di quelli che usavanportarlecresciute a quelli che prima costumavan di raderle; lunghepure e arruffate le capigliaturenon solo per quella trascuranza chenasce da un invecchiato abbattimentoma per esser divenuti sospettii barbierida che era stato preso e condannatocome untor famosouno di loroGiangiacomo Mora: nome cheper un pezzoconservòuna celebrità municipale d'infamiae ne meriterebbe una benpiù diffusa e perenne di pietà. I più tenevanoda una mano un bastonealcuni anche una pistolaper avvertimentominaccioso a chi avesse voluto avvicinarsi troppo; dall'altrapasticche odoroseo palle di metallo o di legno traforatecondentro spugne inzuppate d'aceti medicati; e se le andavano ogni tantomettendo al nasoo ce le tenevano di continuo. Portavano alcuniattaccata al collo una boccetta con dentro un po' d'argento vivopersuasi che avesse la virtù d'assorbire e di ritenere ogniesalazione pestilenziale; e avevan poi cura di rinnovarlo ogni tantigiorni. I gentiluomininon solo uscivano senza il solito seguitomasi vedevanocon una sporta in braccioandare a comprar le cosenecessarie al vitto. Gli amiciquando pur due s'incontrassero per lastradasi salutavan da lontanocon cenni taciti e frettolosi.Ognunocamminandoaveva molto da fareper iscansare gli schifosi emortiferi inciampi di cui il terreno era sparso ein qualche luogoanche affatto ingombro: ognuno cercava di stare in mezzo alla stradaper timore d'altro sudiciumeo d'altro più funesto peso chepotesse venir giù dalle finestre; per timore delle polverivenefiche che si diceva esser spesso buttate da quelle su'passeggieri; per timore delle muraglieche potevan esser unte. Cosìl'ignoranzacoraggiosa e guardinga alla rovesciaaggiungeva oraangustie all'angustiee dava falsi terroriin compenso de'ragionevoli e salutari che aveva levati da principio.

Talera ciò che di meno deforme e di men compassionevole si facevavedere intornoi sanigli agiati: chédopo tante immaginidi miseriae pensando a quella ancor più graveper mezzoalla quale dovrem condurre il lettorenon ci fermeremo ora a dirqual fosse lo spettacolo degli appestati che si strascicavano ogiacevano per le stradede' poveride' fanciullidelle donne. Erataleche il riguardante poteva trovar quasi un disperato conforto inciò che ai lontani e ai posteri fa la più forte edolorosa impressione; nel pensarediconel vedere quanto que'viventi fossero ridotti a pochi.

Inmezzo a questa desolazione aveva Renzo fatto già una buonaparte del suo camminoquandodistante ancor molti passi da unastrada in cui doveva voltaresentì venir da quella un variofrastononel quale si faceva distinguere quel solito orribiletintinnìo.

Arrivatoalla cantonata della stradach'era una delle più larghevidequattro carri fermi nel mezzo; e comein un mercato di granagliesivede un andare e venire di genteun caricare e un rovesciar disacchitale era il movimento in quel luogo: monatti ch'entravannelle casemonatti che n'uscivan con un peso su le spallee lomettevano su l'uno o l'altro carro: alcuni con la divisa rossaaltrisenza quel distintivomolti con uno ancor più odiosopennacchi e fiocchi di vari coloriche quegli sciagurati portavanocome per segno d'allegriain tanto pubblico lutto. Ora da unaorada un'altra finestraveniva una voce lugubre: - quamonatti! - Econ suono ancor più sinistroda quel tristo brulichìousciva qualche vociaccia che rispondeva: - oraora -. Ovvero eranpigionali che brontolavanoe dicevano di far presto: ai quali imonatti rispondevano con bestemmie.

Entratonella stradaRenzo allungò il passocercando di non guardarquegl'ingombrise non quanto era necessario per iscansarli; quandoil suo sguardo s'incontrò in un oggetto singolare di pietàd'una pietà che invogliava l'animo a contemplarlo; di manierache si fermòquasi senza volerlo.

Scendevadalla soglia d'uno di quegli uscie veniva verso il convogliounadonnail cui aspetto annunziava una giovinezza avanzatama nontrascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscatama nonguastada una gran passionee da un languor mortale: quellabellezza molle a un tempo e maestosache brilla nel sangue lombardo.La sua andatura era affaticatama non cascante; gli occhi non davanlacrimema portavan segno d'averne sparse tante; c'era in queldolore un non so che di pacato e di profondoche attestava un'animatutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suoaspetto chetra tante miseriela indicasse cosìparticolarmente alla pietàe ravvivasse per lei quelsentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collouna bambina di forse nov'annimorta; ma tutta ben accomodataco'capelli divisi sulla frontecon un vestito bianchissimocome sequelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tantotempoe data per premio. Né la teneva a giacerema sorrettaa sedere sur un bracciocol petto appoggiato al pettocome se fossestata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolavada una partecon una certa inanimata gravezzae il capo posavasull'omero della madrecon un abbandono più forte del sonno:della madrechése anche la somiglianza de' volti nonn'avesse fatto fedel'avrebbe detto chiaramente quello de' duech'esprimeva ancora un sentimento.

Unturpe monatto andò per levarle la bambina dalle bracciaconuna specie però d'insolito rispettocon un'esitazioneinvolontaria. Ma quellatirandosi indietrosenza peròmostrare sdegno né disprezzo- no! - disse: - non me latoccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete -. Cosìdicendoaprì una manofece vedere una borsae la lasciòcadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: -promettetemi di non levarle un filo d'intornoné di lasciarche altri ardisca di farloe di metterla sotto terra così.

Ilmonatto si mise una mano al petto; e poitutto premurosoe quasiossequiosopiù per il nuovo sentimento da cui era comesoggiogatoche per l'inaspettata ricompensas'affaccendò afar un po' di posto sul carro per la morticina. La madredato aquesta un bacio in frontela mise lì come sur un lettocel'accomodòle stese sopra un panno biancoe disse l'ultimeparole: - addioCecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noiper restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregheròper te e per gli altri -. Poi voltatasi di nuovo al monatto- voi-disse- passando di qui verso serasalirete a prendere anche meenon me sola.

Cosìdettorientrò in casaeun momento dopos'affacciòalla finestratenendo in collo un'altra bambina più piccolavivama coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quellecosì indegne esequie della primafinché il carro nonsi mossefinché lo poté vedere; poi disparve. E chealtro poté farese non posar sul letto l'unica che lerimanevae mettersele accanto per morire insieme? come il fiore giàrigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in bocciaal passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.

-O Signore! - esclamò Renzo: - esauditela! tiratela a voileie la sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno patitoabbastanza!

Riavutoda quella commozione straordinariae mentre cerca di tirarsi inmente l'itinerario per trovare se alla prima strada deve voltareese a diritta o a mancinasente anche da questa venire un altro ediverso strepitoun suono confuso di grida imperiosedi fiochilamentiun pianger di donneun mugolìo di fanciulli.

Andòavanticon in cuore quella solita trista e oscura aspettativa.Arrivato al crocicchiovide da una parte una moltitudine confusa ches'avanzavae si fermò lìper lasciarla passare. Eranoammalati che venivan condotti al lazzeretto; alcunispinti a forzaresistevano in vanoin vano gridavano che volevan morire sul lorolettoe rispondevano con inutili imprecazioni alle bestemmie e aicomandi de' monatti che li guidavano; altri camminavano in silenziosenza mostrar dolorené alcun altro sentimentocomeinsensati; donne co' bambini in collo; fanciulli spaventati dallegridada quegli ordinida quella compagniapiù che dalpensiero confuso della mortei quali ad alte strida imploravano lamadre e le sue braccia fidatee la casa loro. Ahi! e forse la madreche credevano d'aver lasciata addormentata sul suo lettoci s'erabuttatasorpresa tutt'a un tratto dalla peste; e stava lìsenza sentimentoper esser portata sur un carro al lazzerettooalla fossase il carro veniva più tardi. Forseo sciaguradegna di lacrime ancor più amare! la madretutta occupata de'suoi patimentiaveva dimenticato ogni cosaanche i figlie nonaveva più che un pensiero: di morire in pace. Purein tantaconfusionesi vedeva ancora qualche esempio di fermezza e di pietà:padrimadrifratellifigliconsortiche sostenevano i cari loroe gli accompagnavano con parole di conforto: né adultisoltantoma ragazzettima fanciulline che guidavano i fratellinipiù teneriecon giudizio e con compassione da grandiraccomandavano loro d'essere ubbidientigli assicuravano ches'andava in un luogo dove c'era chi avrebbe cura di loro per farliguarire.

Inmezzo alla malinconia e alla tenerezza di tali visteuna cosatoccava più sul vivoe teneva in agitazione il nostroviaggiatore. La casa doveva esser lì vicinae chi sa se traquella gente... Ma passata tutta la comitivae cessato quel dubbiosi voltò a un monatto che veniva dietroe gli domandòdella strada e della casa di don Ferrante. - In maloratanghero-fu la risposta che n'ebbe. Né si curò di dare a coluiquella che si meritava; mavistoa due passiun commissario cheveniva in coda al convoglioe aveva un viso un po' più dicristianofece a lui la stessa domanda. Questoaccennando con unbastone la parte donde venivadisse: - la prima strada a dirittal'ultima casa grande a sinistra.

Conuna nuova e più forte ansietà in cuoreil giovineprende da quella parte. È nella strada; distingue subito lacasa tra l'altrepiù basse e meschine; s'accosta al portoneche è chiusomette la mano sul martelloe ce la tiensospesacome in un'urnaprima di tirar su la polizza dove fossescritta la sua vitao la sua morte. Finalmente alza il martelloedà un picchio risoluto.

Dopoqualche momentos'apre un poco una finestra; una donna fa capolinoguardando chi eracon un viso ombroso che par che dica: monatti?vagabondi? commissari? untori? diavoli?

-Quella signora- disse Renzo guardando in sue con voce non tropposicura: - ci sta qui a servire una giovine di campagnache ha nomeLucia?

-La non c'è più; andate- rispose quella donnafacendoatto di chiudere.

-Un momentoper carità! La non c'è più? Dov'è?

-Al lazzeretto -; e di nuovo voleva chiudere.

-Ma un momentoper l'amor del cielo! Con la peste?

-Già. Cosa nuovaeh? Andate.

-Oh povero me! Aspetti: era ammalata molto? Quanto tempo è...?

Maintanto la finestra fu chiusa davvero.

-Quella signora! quella signora! una parolaper carità! per isuoi poveri morti! Non le chiedo niente del suo: ohe! - Ma era comedire al muro.

Afflittodella nuovae arrabbiato della manieraRenzo afferrò ancorail martelloecosì appoggiato alla portaandavastringendolo e storcendolol'alzava per picchiar di nuovo alladisperatapoi lo teneva sospeso. In quest'agitazionesi voltòper vedere se mai ci fosse d'intorno qualche vicinoda cui potesseforse aver qualche informazione più precisaqualche indizioqualche lume. Ma la primal'unica persona che videfu un'altradonnadistante forse un venti passi; la qualecon un visoch'esprimeva terroreodioimpazienza e maliziacon cert'occhistravolti che volevano insieme guardar luie guardar lontanospalancando la bocca come in atto di gridare a più non possoma rattenendo anche il respiroalzando due braccia scarneallungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d'artiglicome se cercasse d'acchiappar qualcosasi vedeva che voleva chiamargentein modo che qualcheduno non se n'accorgesse. Quandos'incontrarono a guardarsicoleifattasi ancor più bruttasi riscosse come persona sorpresa.

-Che diamine...? - cominciava Renzoalzando anche lui le mani versola donna; ma questaperduta la speranza di poterlo far cogliereall'improvvisolasciò scappare il grido che aveva rattenutofin allora: - l'untore! dàgli! dàgli! dàgliall'untore!

-Chi? io! ah strega bugiarda! sta' zitta- gridò Renzo; e feceun salto verso di leiper impaurirla e farla chetare. Ma s'avvidesubitoche aveva bisogno piuttosto di pensare ai casi suoi. Allostrillar della vecchiaaccorreva gente di qua e di là; non lafolla chein un caso similesarebbe statatre mesi prima; ma piùche abbastanza per poter fare d'un uomo solo quel che volessero.Nello stesso tempos'aprì di nuovo la finestrae quellamedesima sgarbata di prima ci s'affacciò questa voltaegridava anche lei: - pigliatelopigliatelo; che dev'essere uno dique' birboni che vanno in giro a unger le porte de' galantuomini.

Renzonon istette lì a pensare: gli parve subito miglior partitosbrigarsi da coloroche rimanere a dir le sue ragioni: diedeun'occhiata a destra e a sinistrada che parte ci fosse men genteesvignò di là. Rispinse con un urtone uno che gli paravala strada; con un gran punzone nel pettofece dare indietro otto odieci passi un altro che gli correva incontro; e via di galoppocolpugno in ariastrettonocchiutopronto per qualunque altro glifosse venuto tra' piedi. La strada davanti era sempre libera; madietro le spalle sentiva il calpestìo epiù forti delcalpestìoquelle grida amare: - dàgli! dàgli!all'untore! - Non sapeva quando fossero per fermarsi; non vedeva dovesi potrebbe mettere in salvo. L'ira divenne rabbial'angoscia sicangiò in disperazione; eperso il lume degli occhimisemano al suo coltellacciolo sfoderòsi fermò su duepiedivoltò indietro il viso più torvo e piùcagnesco che avesse fatto a' suoi giorni; ecol braccio tesobrandendo in aria la lama luccicantegridò: - chi ha cuorevenga avanticanaglia! che l'ungerò io davvero con questo.

Macon maravigliae con un sentimento confuso di consolazionevide chei suoi persecutori s'eran già fermatie stavan lì cometitubantie cheseguitando a urlarefacevancon le mani per ariacerti cenni da spiritaticome a gente che venisse di lontano dietroa lui. Si voltò di nuovoe vide (ché il granturbamento non gliel aveva lasciato vedere un momento prima) un carroche s'avanzavaanzi una fila di que' soliti carri funebricolsolito accompagnamento; e dietroa qualche distanzaun altromucchietto di gente che avrebbero voluto anche loro dare addossoall'untoree prenderlo in mezzo; ma eran trattenuti dall'impedimentomedesimo. Vistosi così tra due fuochigli venne in mente checiò che era di terrore a coloropoteva essere a lui disalvezza; pensò che non era tempo di far lo schizzinoso;rimise il coltellaccio nel foderosi tirò da una partepresela rincorsa verso i carripassò il primoe adocchiònel secondo un buono spazio voto. Prende la miraspicca un salto; èsupiantato sul piede destrocol sinistro in ariae con le bracciaalzate.

-Bravo! bravo! - esclamaronoa una vocei monattialcuni de' qualiseguivano il convoglio a piedialtri eran seduti sui carrialtriper dire l'orribil cosa com'erasui cadaveritrincando da un granfiasco che andava in giro. - Bravo! bel colpo!

-Sei venuto a metterti sotto la protezione de' monatti; fa' contod'essere in chiesa- gli disse uno de' due che stavano sul carrodov'era montato.

Inemiciall'avvicinarsi del trenoavevanoi piùvoltate lespallee se n'andavanonon lasciando di gridare: - dàgli!dàgli! all'untore! - Qualcheduno si ritirava piùadagiofermandosi ogni tantoe voltandosicon versacci e con gestidi minacciaa Renzo; il qualedal carrorispondeva loro dibattendoi pugni in aria.

-Lascia fare a me- gli disse un monatto; e strappato d'addosso a uncadavere un laido cenciol'annodò in frettaepresolo peruna delle cocchel'alzò come una fionda verso quegliostinatie fece le viste di buttarglielogridando: - aspettacanaglia! - A quell'attofuggiron tuttiinorriditi; e Renzo nonvide più che schiene di nemicie calcagni che ballavanorapidamente per ariaa guisa di gualchiere.

Trai monatti s'alzò un urlo di trionfouno scroscio procellosodi risaun - uh! - prolungatocome per accompagnar quella fuga.

-Ah ah! vedi se noi sappiamo proteggere i galantuomini? disse a Renzoquel monatto: - val più uno di noi che cento di que' poltroni.

-Certoposso dire che vi devo la vita- rispose Renzo: - e viringrazio con tutto il cuore.

-Di che cosa? - disse il monatto: - tu lo meriti: si vede che sei unbravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia: ungiliestirpalicostoroche non vaglion qualcosase non quando son morti; cheperricompensa della vita che facciamoci malediconoe vanno dicendochefinita la morìaci voglion fare impiccar tutti. Hanno afinir prima loro che la morìae i monatti hanno a restarsolia cantar vittoriae a sguazzar per Milano.

-Viva la morìae moia la marmaglia! - esclamò l'altro;econ questo bel brindisisi mise il fiasco alla boccaetenendolo con tutt'e due le manitra le scosse del carrodiede unabuona bevutapoi lo porse a Renzodicendo: - bevi alla nostrasalute.

-Ve l'auguro a tutticon tutto il cuore- disse Renzo: - ma non hosete; non ho proprio voglia di bere in questo momento.

-Tu hai avuto una bella pauraa quel che mi pare- disse il monatto:- m'hai l'aria d'un pover'uomo; ci vuol altri visi a far l'untore.

-Ognuno s'ingegna come può- disse l'altro.

-Dammelo qui a me- disse uno di quelli che venivano a piedi accantoal carro- ché ne voglio bere anch'io un altro sorsoallasalute del suo padroneche si trova qui in questa bella compagnia...lìlìappuntomi parein quella bella carrozzata.

Econ un suo atroce e maledetto ghignoaccennava il carro davanti aquello su cui stava il povero Renzo. Poicomposto il viso a un attodi serietà ancor più bieco e fellonescofece unariverenza da quella partee riprese: - si contentapadron miocheun povero monattuccio assaggi di quello della sua cantina? Vede bene:si fa certe vite: siam quelli che l'abbiam messo in carrozzapercondurlo in villeggiatura. E poigià a loro signori il vinofa subito male: i poveri monatti han lo stomaco buono.

Etra le risate de' compagniprese il fiascoe l'alzò; maprima di beresi voltò a Renzogli fissò gli occhi invisoe gli dissecon una cert'aria di compassione sprezzante: -bisogna che il diavolo col quale hai fatto il pattosia ben giovine;chése non eravamo lì noi a salvartilui ti dava unbell'aiuto -. E tra un nuovo scroscio di risas'attaccò ilfiasco alle labbra.

-E noi? eh! e noi? - gridaron più voci dal carro ch'era avanti.Il birbonetracannato quanto ne volleporsecon tutt'e due lemaniil gran fiasco a quegli altri suoi similii quali se lopassaron dall'uno all'altrofino a uno chevotatololo prese peril collogli fece fare il mulinelloe lo scagliò afracassarsi sulle lastregridando: - viva la morìa! - Dietroa queste paroleintonò una loro canzonaccia; e subito allasua voce s'accompagnaron tutte l'altre di quel turpe coro. Lacantilena infernalemista al tintinnìo de' campanellialcigolìo de' carrial calpestìo de' cavallirisonavanel voto silenzioso delle stradeerimbombando nelle casestringeva amaramente il cuore de' pochi che ancor le abitavano.

Macosa non può alle volte venire in acconcio? cosa non puòfar piacere in qualche caso? Il pericolo d'un momento prima avevaresa più che tollerabile a Renzo la compagnia di que' morti edi que' vivi; e ora fu a' suoi orecchi una musicasto per diregraditaquella che lo levava dall'impiccio d'una tale conversazione.Ancor mezzo affannatoe tutto sottosopraringraziava intanto allameglio in cuor suo la Provvidenzad'essere uscito d'un talfrangentesenza ricever male né farne; la pregava chel'aiutasse ora a liberarsi anche da' suoi liberatori; e dal cantosuostava all'ertaguardava quelliguardava la stradapercogliere il tempo di sdrucciolar giù quatto quattosenza darloro occasione di far qualche rumorequalche scenatache mettessein malizia i passeggieri.

Tutt'aun trattoa una cantonatagli parve di riconoscere il luogo: guardòpiù attentamentee ne fu sicuro. Sapete dov'era? Sul corso diporta orientalein quella strada per cui era venuto adagioetornato via in frettacirca venti mesi prima. Gli venne subito inmente che di lì s'andava diritto al lazzeretto; e questotrovarsi sulla strada giustasenza studiaresenza domandarel'ebbeper un tratto speciale della Provvidenzae per buon augurio delrimanente. In quel puntoveniva incontro ai carri un commissariogridando a' monatti di fermaree non so che altro: il fatto èche il convoglio si fermòe la musica si cambiò in undiverbio rumorosoUno de' monatti ch'eran sul carro di Renzosaltògiù: Renzo disse all'altro: - vi ringrazio della vostracarità: Dio ve ne renda merito -; e giù anche luidall'altra parte.

-Va'va'povero untorello- rispose colui: - non sarai tu quelloche spianti Milano.

Perfortunanon c'era chi potesse sentire. Il convoglio era fermatosulla sinistra del corso: Renzo prende in fretta dall'altra parteerasentando il murotrotta innanzi verso il ponte; lo passacontinuaper la strada del borgoriconosce il convento de' cappuccinièvicino alla portavede spuntar l'angolo del lazzerettopassa ilcancelloe gli si spiega davanti la scena esteriore di quel recinto:un indizio appena e un saggioe già una vastadiversaindescrivibile scena.

Lungoi due lati che si presentano a chi guardi da quel puntoera tutto unbrulichìo; erano ammalati che andavanoin compagnieallazzeretto; altri che sedevano o giacevano sulle sponde del fossatoche lo costeggia; sia che le forze non fosser loro bastate percondursi fin dentro al ricoverosia cheusciti di là perdisperazionele forze fosser loro ugualmente mancate per andar piùavanti. Altri meschini erravano sbandaticome stupidie non pochifuor di sé affatto; uno stava tutto infervorato a raccontar lesue immaginazioni a un disgraziato che giaceva oppresso dal male; unaltro dava nelle smanie; un altro guardava in qua e in là conun visino ridentecome se assistesse a un lieto spettacolo. Ma laspecie più strana e più rumorosa d'una tal tristaallegrezzaera un cantare alto e continuoil quale pareva che nonvenisse fuori da quella miserabile follae pure si faceva sentirepiù che tutte l'altre voci: una canzone contadinesca d'amoregaio e scherzevoledi quelle che chiamavan villanelle; e andando conlo sguardo dietro al suonoper iscoprire chi mai potesse essercontentoin quel tempoin quel luogosi vedeva un meschino cheseduto tranquillamente in fondo al fossatocantava a più nonpossocon la testa per aria.

Renzoaveva appena fatti alcuni passi lungo il lato meridionaledell'edifizioche si sentì in quella moltitudine un rumorestraordinarioe di lontano voci che gridavano: guarda! piglia!S'alza in punta di piedie vede un cavallaccio che andava dicarrieraspinto da un più strano cavaliere: era un freneticochevista quella bestia sciolta e non guardataaccanto a un carroc'era montato in fretta a bisdossoemartellandole il collo co'pugnie facendo sproni de' calcagnila cacciava in furia; e monattidietrourlando; e tutto si ravvolse in un nuvolo di polverechevolava lontano.

Cosìgià sbalordito e stanco di veder miserieil giovine arrivòalla porta di quel luogo dove ce n'erano adunate forse più chenon ce ne fosse di sparse in tutto lo spazio che gli era giàtoccato di percorrere. S'affaccia a quella portaentra sotto lavoltae rimane un momento immobile a mezzo del portico.




Cap.XXXV


S'immaginiil lettore il recinto del lazzerettopopolato di sedici milaappestati; quello spazio tutt'ingombrodove di capanne e dibaracchedove di carridove di gente; quelle due interminate fughedi porticia destra e a sinistrapienegremite di languenti o dicadaveri confusisopra sacconio sulla paglia; e su tutto quelquasi immenso covileun brulichìocome un ondeggiamento; equa e làun andare e venireun fermarsiun correreunchinarsiun alzarsidi convalescentidi freneticidi serventi.Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista diRenzoe lo tenne lìsopraffatto e compreso. Questospettacolonoi non ci proponiam certo di descriverlo a parte apartené il lettore lo desidera; soloseguendo il nostrogiovine nel suo penoso giroci fermeremo alle sue fermatee di ciòche gli toccò di vedere diremo quanto sia necessario araccontar ciò che fecee ciò che gli seguì.

Dallaporta dove s'era fermatofino alla cappella del mezzoe di làall'altra porta in facciac'era come un viale sgombro di capanne ed'ogni altro impedimento stabile; e alla seconda occhiataRenzo videin quello un tramenìo di carriun portar via robaper farluogo; vide cappuccini e secolari che dirigevano quell'operazioneeinsieme mandavan via chi non ci avesse che fare. E temendo d'essereanche lui messo fuori in quella manierasi cacciò addiritturatra le capannedalla parte a cui si trovava casualmente voltatoalla diritta.

Andavaavantisecondo che vedeva posto da poter mettere il piededacapanna a capannafacendo capolino in ognunae osservando i lettich'eran fuori allo scopertoesaminando volti abbattuti dalpatimentoo contratti dallo spasimoo immobili nella mortese maigli venisse fatto di trovar quello che pur temeva di trovare. Maaveva già fatto un bel pezzetto di camminoe ripetuto piùe più volte quel doloroso esamesenza veder mai nessunadonna: onde s'immaginò che dovessero essere in un luogoseparato. E indovinava; ma dove fossenon n'aveva indizionépoteva argomentarlo. Incontrava ogni tanto ministritanto diversid'aspetto e di maniere e d'abitoquanto diverso e opposto era ilprincipio che dava agli uni e agli altri una forza uguale di viverein tali servizi: negli uni l'estinzione d'ogni senso di pietànegli altri una pietà sovrumana. Ma né agli uni néagli altri si sentiva di far domandeper non procacciarsi alle volteun inciampo; e deliberò d'andareandarefin che arrivasse atrovar donne. E andando non lasciava di spiare intorno; ma di tempoin tempo era costretto a ritirare lo sguardo contristatoe comeabbagliato da tante piaghe. Ma dove rivolgerlodove riposarlochesopra altre piaghe?

L'ariastessa e il cielo accrescevanose qualche cosa poteva accrescerlol'orrore di quelle viste. La nebbia s'era a poco a poco addensata eaccavallata in nuvoloni cherabbuiandosi sempre piùdavanoidea d'un annottar tempestoso; se non cheverso il mezzo di quelcielo cupo e abbassatotrasparivacome da un fitto velola speradel solepallidache spargeva intorno a sé un barlume fiocoe sfumatoe pioveva un calore morto e pesante. Ogni tantotra mezzoal ronzìo continuo di quella confusa moltitudinesi sentivaun borbottar di tuoniprofondocome troncoirresoluto; nétendendo l'orecchioavreste saputo distinguere da che parte venisse;o avreste potuto crederlo un correr lontano di carriche sifermassero improvvisamente. Non si vedevanelle campagne d'intornomoversi un ramo d'alberoné un uccello andarvisi a posareostaccarsene: solo la rondinecomparendo subitamente di sopra iltetto del recintosdrucciolava in giù con l'ali tesecomeper rasentare il terreno del campo; ma sbigottita da quel brulichìorisaliva rapidamentee fuggiva. Era uno di que' tempiin cuitrauna compagnia di viandanti non c'è nessuno che rompa ilsilenzio; e il cacciatore cammina pensierosocon lo sguardo a terra;e la villanazappando nel camposmette di cantaresenzaavvedersene; di que' tempi forieri della burrascain cui la naturacome immota al di fuorie agitata da un travaglio internopar cheopprima ogni viventee aggiunga non so quale gravezza a ognioperazioneall'ozioall'esistenza stessa. Ma in quel luogodestinato per sé al patire e al moriresi vedeva l'uomo giàalle prese col male soccombere alla nuova oppressione; si vedevancentinaia e centinaia peggiorar precipitosamente; e insiemel'ultimalotta era più affannosae nell'aumento de' dolorii gemitipiù soffogati: né forse su quel luogo di miserie eraancor passata un'ora crudele al par di questa.

Giàaveva il giovine girato un bel pezzoe senza fruttoperquell'andirivieni di capannequandonella varietà de'lamenti e nella confusione del mormorìocominciò adistinguere un misto singolare di vagiti e di belati; fin che arrivòa un assito scheggiato e sconnessodi dentro il quale veniva quelsuono straordinario. Mise un occhio a un largo spiragliotra dueassee vide un recinto con dentro capanne sparseecosì inquellecome nel piccol camponon la solita infermeriamabambinelli a giacere sopra materassineo guancialio lenzolidistesio topponi; e balie e altre donne in faccende; eciòche più di tutto attraeva e fermava lo sguardocapremescolate con quellee fatte loro aiutanti: uno spedale d'innocentiquale il luogo e il tempo potevan darlo. Eradicouna cosasingolare a vedere alcune di quelle bestieritte e quiete sopraquesto e quel bambinodargli la poppa; e qualche altra accorrere aun vagitocome con senso maternoe fermarsi presso il piccoloallievoe procurar d'accomodarcisi soprae belaree dimenarsiquasi chiamando chi venisse in aiuto a tutt'e due.

Quae là eran sedute balie con bambini al petto; alcune in talatto d'amoreda far nascer dubbio nel riguardantese fossero stateattirate in quel luogo dalla pagao da quella caritàspontanea che va in cerca de' bisogni e de' dolori. Una di essetutta accoratastaccava dal suo petto esausto un meschinellopiangentee andava tristamente cercando la bestiache potesse farle sue veci. Un'altra guardava con occhio di compiacenza quello chele si era addormentato alla poppae baciatolo mollementeandava inuna capanna a posarlo sur una materassina. Ma una terzaabbandonandoil suo petto al lattante stranierocon una cert'aria però nondi trascuranzama di preoccupazioneguardava fisso il cielo: a chepensava essain quell'attocon quello sguardose non a un natodalle sue viscerecheforse poco primaaveva succhiato quel pettoche forse c'era spirato sopra? Altre donne più attempateattendevano ad altri servizi. Una accorreva alle grida d'un bambinoaffamatolo prendevae lo portava vicino a una capra che pascolavaa un mucchio d'erba frescae glielo presentava alle poppegridandol'inesperto animale e accarezzandolo insiemeaffinché siprestasse dolcemente all'ufizio. Questa correva a prendere unpoverinoche una capra tutt'intenta a allattarne un altropestavacon una zampa: quella portava in qua e in la il suoninnandolocercandoora d'addormentarlo col cantoora d'acquietarlo con dolciparolechiamandolo con un nome ch'essa medesima gli aveva messo.Arrivò in quel punto un cappuccino con la barba bianchissimaportando due bambini strillantiuno per braccioraccolti alloravicino alle madri spirate; e una donna corse a riceverlie andavaguardando tra la brigata e nel greggeper trovar subito chi tenesselor luogo di madre.

Piùd'una volta il giovinespinto da quello ch'era il primoe il piùforte de' suoi pensieris'era staccato dallo spiraglio perandarsene; e poi ci aveva rimesso l'occhioper guardare ancora unmomento.

Levatosidi lì finalmenteandò costeggiando l'assitofin cheun mucchietto di capanne appoggiate a quellolo costrinse a voltare.Andò allora lungo le capannecon la mira di riguadagnarl'assitod'andar fino alla fine di quelloe scoprir paese nuovo.Oramentre guardava innanziper studiar la stradaun'apparizionerepentinapasseggieraistantaneagli ferì lo sguardoe glimise l'animo sottosopra. Videa un cento passi di distanzapassaree perdersi subito tra le baracche un cappuccinoun cappuccino cheanche così da lontano e così di fugaaveva tuttol'andaretutto il faretutta la forma del padre Cristoforo. Con lasmania che potete pensarecorse verso quella parte; e lìagirarea cercareinnanziindietrodentro e fuoriper quegliandirivienitanto che rividecon altrettanta gioiaquella formaquel frate medesimo; lo vide poco lontanochescostandosi da unacaldaiaandavacon una scodella in manoverso una capanna; poi lovide sedersi sull'uscio di quellafare un segno di croce sullascodella che teneva dinanzi; eguardando intornocome uno che stiasempre all'ertamettersi a mangiare. Era proprio il padreCristoforo.

Lastoria del qualedal punto che l'abbiam perduto di vistafino aquest'incontrosarà raccontata in due parole. Non s'era maimosso da Rimininé aveva pensato a moversenese non quandola peste scoppiata in Milano gli offrì occasione di ciòche aveva sempre tanto desideratodi dar la sua vita per ilprossimo. Pregòcon grand'istanzad'esserci richiamatoperassistere e servire gli appestati. Il conte zio era morto; e delresto c'era più bisogno d'infermieri che di politici: sicchéfu esaudito senza difficoltà. Venne subito a Milano; entrònel lazzeretto; e c'era da circa tre mesi.

Mala consolazione di Renzo nel ritrovare il suo buon fratenon fuintera neppure un momento: nell'atto stesso d'accertarsi ch'era luidovette vedere quant'era mutato. Il portamento curvo e stentato; ilviso scarno e smorto; e in tutto si vedeva una natura esaustaunacarne rotta e cadenteche s'aiutava e si sorreggevaogni momentocon uno sforzo dell'animo.

Andavaanche lui fissando lo sguardo nel giovine che veniva verso di luiechecol gestonon osando con la vocecercava di farsi distingueree riconoscere. - Oh padre Cristoforo! - disse poiquando gli fuvicino da poter esser sentito senza alzar la voce.

-Tu qui! - disse il frateposando in terra la scodellae alzandosida sedere.

-Come stapadre? come sta?

-Meglio di tanti poverini che tu vedi qui- rispose il frate: e lasua voce era fiocacupamutata come tutto il resto. L'occhiosoltanto era quello di primae un non so che più vivo e piùsplendido; quasi la caritàsublimata nell'estremo dell'operaed esultante di sentirsi vicina al suo principioci rimettesse unfuoco più ardente e più puro di quello che l'infermitàci andava a poco a poco spegnendo.

-Ma tu- proseguiva- come sei qui? perché vieni cosìad affrontar la peste?

-L'ho avutagrazie al cielo. Vengo... a cercar di... Lucia.

-Lucia! è qui Lucia?

-È qui: almeno spero in Dio che ci sia ancora.

-È tua moglie?

-Oh caro padre! no che non è mia moglie. Non sa nulla di tuttoquello che è accaduto?

-Nofigliuolo: da che Dio m'ha allontanato da voi altriio non n'hosaputo più nulla; ma ora ch'Egli mi ti mandadico la veritàche desidero molto di saperne. Ma... e il bando?

-Le sa dunquele cose che m'hanno fatto?

-Ma tuche avevi fatto?

-Sentase volessi dire d'aver avuto giudizioquel giorno in Milanodirei una bugia; ma cattive azioni non n'ho fatte punto.

-Te lo credoe lo credevo anche prima.

-Ora dunque le potrò dir tutto.

-Aspetta- disse il frate; e andato alcuni passi fuor della capannachiamò: - padre Vittore! - Dopo qualche momentocomparve ungiovine cappuccinoal quale disse: - fatemi la caritàpadreVittoredi guardare anche per mea questi nostri poveriniintantoch'io me ne sto ritirato; e se alcuno però mi volessechiamatemi. Quel tale principalmente! se mai desse il piùpiccolo segno di tornare in séavvisatemi subitoper carità.

-Non dubitate- rispose il giovine; e il vecchiotornato versoRenzo- entriamo qui- gli disse. - Ma... - soggiunse subitofermandosi- tu mi pari ben rifinito: devi aver bisogno di mangiare.

-È vero- disse Renzo: - ora che lei mi ci fa pensaremiricordo che sono ancora digiuno.

-Aspetta- disse il frate; epresa un'altra scodellal'andòa empire alla caldaia: tornatola diedecon un cucchiaioa Renzo;lo fece sedere sur un saccone che gli serviva di letto; poi andòa una botte ch'era in un cantoe ne spillò un bicchier divinoche mise sur un tavolinodavanti al suo convitato; ripresequindi la sua scodellae si mise a sedere accanto a lui.

-Oh padre Cristoforo! - disse Renzo: - tocca a lei a far codeste cose?Ma già lei è sempre quel medesimo. La ringrazio propriodi cuore.

-Non ringraziar me- disse il frate: - è roba de' poveri; maanche tu sei un poveroin questo momento. Ora dimmi quello che nonsodimmi di quella nostra poverina; e cerca di spicciarti; chéc'è poco tempoe molto da farecome tu vedi.

Renzoprincipiòtra una cucchiaiata e l'altrala storia di Lucia:com'era stata ricoverata nel monastero di Monzacome rapita...All'immagine di tali patimenti e di tali pericolial pensierod'essere stato lui quello che aveva indirizzata in quel luogo lapovera innocenteil buon frate rimase senza fiato; ma lo ripresesubitosentendo com'era stata mirabilmente liberataresa allamadree allogata da questa presso a donna Prassede.

-Ora le racconterò di me- proseguì Renzo; e raccontòin succinto la giornata di Milanola fuga; e come era sempre statolontano da casae oraessendo ogni cosa sottosopras'eraarrischiato d'andarci; come non ci aveva trovato Agnese; come inMilano aveva saputo che Lucia era al lazzeretto. - E son qui-concluse- son qui a cercarlaa veder se è vivae se... mivuole ancora... perché... alle volte...

-Ma- domandò il frate- hai qualche indizio dove sia statamessaquando ci sia venuta?

-Nientecaro padre; niente se non che è quise pur la c'èche Dio voglia!

-Oh poverino! ma che ricerche hai tu finora fatte qui?

-Ho girato e rigirato; matra l'altre cosenon ho mai visto quasialtro che uomini. Ho ben pensato che le donne devono essere in unluogo a partema non ci sono mai potuto arrivare: se è cosìora lei me l'insegnerà.

-Non saifigliuoloche è proibito d'entrarci agli uomini chenon abbiano qualche incombenza?

-Ebbenecosa mi può accadere?

-La regola è giusta e santafigliuolo caro; e se la quantitàe la gravezza de' guai non lascia che si possa farla osservar contutto il rigoreè una ragione questa perché ungalantuomo la trasgredisca?

-Mapadre Cristoforo! - disse Renzo: - Lucia doveva esser mia moglie;lei sa come siamo stati separati; son venti mesi che patiscoe hopazienza; son venuto fin quia rischio di tante cosel'una peggiodell'altrae ora...

-Non so cosa dire- riprese il fraterispondendo piuttosto a' suoipensieri che alle parole del giovine: - tu vai con buona intenzione;e piacesse a Dio che tutti quelli che hanno libero l'accesso in quelluogoci si comportassero come posso fidarmi che farai tu. Dioilquale certamente benedice questa tua perseveranza d'affettoquestatua fedeltà in volere e in cercare colei ch'Egli t'aveva data;Dioche è più rigoroso degli uominima piùindulgentenon vorrà guardare a quel che ci possa essered'irregolare in codesto tuo modo di cercarla. Ricordati solochedella tua condotta in quel luogoavremo a render conto tutt'e due;agli uomini facilmente noma a Dio senza dubbio. Vien qui -. In cosìdires'alzòe nel medesimo tempo anche Renzo; il qualenonlasciando di dar retta alle sue paroles'era intanto consigliato trasé di non parlarecome s'era proposto primadi quella talpromessa di Lucia. " Se sente anche questo- aveva pensato-mi fa dell'altre difficoltà sicuro. O la trovo; e saremosempre a tempo a discorrerne; o... e allora! che serve? "

Tiratolosull'uscio della capannach'era a settentrioneil frate riprese: -Senti; il nostro padre Feliceche è il presidente qui dellazzerettoconduce oggi a far la quarantina altrove i pochi guaritiche ci sono. Tu vedi quella chiesa lì nel mezzo... - ealzando la mano scarna e tremolanteindicava a sinistra nell'ariatorbida la cupola della cappellache torreggiava sopra le miserabilitende; e proseguì: - là intorno si vanno ora radunandoper uscire in processione dalla porta per la quale tu devi essereentrato.

-Ah! era per questo dunqueche lavoravano a sbrattare la strada.

-Per l'appunto: e tu devi anche aver sentito qualche tocco di quellacampana.

-N'ho sentito uno.

-Era il secondo: al terzo saran tutti radunati: il padre Felice faràloro un piccolo discorso; e poi s'avvierà con loro. Tua queltoccoportati là; cerca di metterti dietro quella gentedauna parte della stradadovesenza disturbarené darnell'occhiotu possa vederli passare; e vedi... vedi... se la cifosse. Se Dio non ha voluto che la ci sia; quella parte- e alzòdi nuovo la manoaccennando il lato dell'edifizio che avevandirimpetto: - quella parte della fabbricae una parte del terrenoche è lì davantiè assegnata alle donne. Vedraiuno stecconato che divide questo da quel quartierema in certiluoghi interrottoin altri apertosicché non troveraidifficoltà per entrare. Dentro poinon facendo tu nulla chedia ombra a nessunonessuno probabilmente non dirà nulla ate. Se però ti si facesse qualche ostacolodì che ilpadre Cristoforo da *** ti conoscee renderà conto di te.Cercala lì; cercala con fiducia e... con rassegnazione.Perchéricordati che non è poco ciò che tu seivenuto a cercar qui: tu chiedi una persona viva al lazzeretto! Sai tuquante volte io ho veduto rinnovarsi questo mio povero popolo! quantine ho veduti portar via! quanti pochi uscire!... Va' preparato a fareun sacrifizio...

-Già; intendo anch'io- interruppe Renzo stravolgendo gliocchie cambiandosi tutto in viso; - intendo! Vo: guarderòcercheròin un luogonell'altroe poi ancoraper tutto illazzerettoin lungo e in largo... e se non la trovo!...

-Se non la trovi? - disse il fratecon un'aria di serietà ed'aspettativae con uno sguardo che ammoniva.

MaRenzoa cui la rabbia riaccesa dall'idea di quel dubbio aveva fattoperdere il lume degli occhiripeté e seguitò: - se nonla trovovedrò di trovare qualchedun altro. O in Milanoonel suo scellerato palazzoo in capo al mondoo a casa del diavololo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone chese non fosse stato luiLucia sarebbe miada venti mesi; e seeravamo destinati a morirealmeno saremmo morti insieme. Se c'èancora coluilo troverò...

-Renzo! - disse il frateafferrandolo per un braccioe guardandoloancor più severamente.

-E se lo trovo- continuò Renzocieco affatto dalla collera- se la peste non ha già fatto giustizia... Non è piùil tempo che un poltroneco' suoi bravi d'intornopossa metter lagente alla disperazionee ridersene: è venuto un tempo chegli uomini s'incontrino a viso a viso: e... la farò io lagiustizia!

-Sciagurato! - gridò il padre Cristoforocon una voce cheaveva ripresa tutta l'antica pienezza e sonorità: -sciagurato! - e la sua testa cadente sul petto s'era sollevata; legote si colorivano dell'antica vita; e il fuoco degli occhi aveva unnon so che di terribile.

-Guardasciagurato! - E mentre con una mano stringeva e scoteva forteil braccio di Renzogirava l'altra davanti a séaccennandoquanto più poteva della dolorosa scena all'intorno. - Guardachi è Colui che gastiga! Colui che giudicae non ègiudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tuverme dellaterratu vuoi far giustizia! Tu lo saituquale sia la giustizia!Va'sciaguratovattene! Iosperavo... sìho sperato cheprima della mia morteDio m'avrebbe data questa consolazione disentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederlae disentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera làverso quella fossa dov'io sarò. Va'tu m'hai levata la miasperanza. Dio non l'ha lasciata in terra per te; e tucertonon hail'ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avràpensato a leiperché lei è una di quell'anime a cuison riservate le consolazioni eterne. Va'! non ho più tempo didarti retta.

Ecosì dicendorigettò da sé il braccio di Renzoe si mosse verso una capanna d'infermi.

-Ah padre! - disse Renzoandandogli dietro in atto supplichevole: -mi vuol mandar via in questa maniera?

-Come! - ripresecon voce non meno severail cappuccino. - Ardirestitu di pretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflittii qualiaspettano ch'io parli loro del perdono di Dioper ascoltar le tuevoci di rabbiai tuoi proponimenti di vendetta? T'ho ascoltatoquando chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la caritàper la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: chevuoi da me? vattene. Ne ho visti morire qui degli offesi cheperdonavano; degli offensori che gemevano di non potersi umiliaredavanti all'offeso: ho pianto con gli uni e con gli altri; ma con teche ho da fare?

-Ah gli perdono! gli perdono davverogli perdono per sempre! -esclamò il giovine.

-Renzo! - dissecon una serietà più tranquillailfrate: pensaci; e dimmi un poco quante volte gli hai perdonato.

Estato alquanto senza ricever rispostatutt'a un tratto abbassòil capoecon voce cupa e lentariprese: - tu sai perché ioporto quest'abito.

Renzoesitava.

-Tu lo sai! - riprese il vecchio.

-Lo so- rispose Renzo.

-Ho odiato anch'io: ioche t'ho ripreso per un pensieroper unaparolal'uomo ch'io odiavo cordialmenteche odiavo da gran tempoio l'ho ucciso.

-Sìma un prepotenteuno di quelli...

-Zitto! - interruppe il frate: - credi tu chese ci fosse una buonaragioneio non l'avrei trovata in trent'anni? Ah! s'io potessi orametterti in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempree che hoancoraper l'uomo ch'io odiavo! S'io potessi! io? ma Dio lo può:Egli lo faccia!... SentiRenzo: Egli ti vuol più bene di quelche te ne vuoi tu: tu hai potuto macchinar la vendetta; ma Egli haabbastanza forza e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa unagrazia di cui qualchedun altro era troppo indegno. Tu saitu l'haidetto tante voltech'Egli può fermar la mano d'un prepotente;ma sappi che può anche fermar quella d'un vendicativo. Eperché sei poveroperché sei offesocredi tu ch'Eglinon possa difendere contro di te un uomo che ha creato a suaimmagine? Credi tu ch'Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi?No! ma sai tu cosa puoi fare? Puoi odiaree perderti; puoicon untuo sentimentoallontanar da te ogni benedizione. Perchéinqualunque maniera t'andassero le cosequalunque fortuna tu avessitien per certo che tutto sarà gastigofinché tu nonabbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gliperdono.

-Sìsì- disse Renzotutto commossoe tutto confuso:capisco che non gli avevo mai perdonato davvero; capisco che hoparlato da bestiae non da cristiano: e oracon la grazia delSignoresìgli perdono proprio di cuore.

-E se tu lo vedessi?

-Pregherei il Signore di dar pazienza a mee di toccare il cuore alui.

-Ti ricorderesti che il Signore non ci ha detto di perdonare a' nostrinemicici ha detto d'amarli? Ti ricorderesti ch'Egli lo ha amato asegno di morir per lui?

-Sìcol suo aiuto.

-Ebbenevieni con me. Hai detto: lo troverò; lo troverai.Vienie vedrai con chi tu potevi tener odioa chi potevi desiderardel malevolergliene faresopra che vita tu volevi far da padrone.

Epresa la mano di Renzoe strettala come avrebbe potuto fare ungiovine sanosi mosse. Quellosenza osar di domandar altrogliandò dietro.

Dopopochi passiil frate si fermò vicino all'apertura d'unacapannafissò gli occhi in viso a Renzocon un misto digravità e di tenerezza; e lo condusse dentro.

Laprima cosa che si vedevanell'entrareera un infermo seduto sullapaglia nel fondo; un infermo però non aggravatoe che anzipoteva parer vicino alla convalescenza; il qualevisto il padretentennò la testacome accennando di no: il padre abbassòla suacon un atto di tristezza e di rassegnazione. Renzo intantogirandocon una curiosità inquietalo sguardo sugli altrioggettivide tre o quattro infermine distinse uno da una parte suruna materassainvoltato in un lenzolocon una cappa signorileindossoa guisa di coperta: lo fissòriconobbe don Rodrigoe fece un passo indietro; ma il fratefacendogli di nuovo sentirfortemente la mano con cui lo tenevalo tirò appiè delcovileestesavi sopra l'altra manoaccennava col dito l'uomo chevi giaceva.

Staval'infeliceimmoto; spalancati gli occhima senza sguardo; pallidoil viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra:l'avreste detto il viso d'un cadaverese una contrazione violentanon avesse reso testimonio d'una vita tenace. Il petto si sollevavadi quando in quandocon un respiro affannoso; la destrafuor dellacappalo premeva vicino al cuorecon uno stringere adunco delleditalivide tuttee sulla punta nere.

-Tu vedi! - disse il fratecon voce bassa e grave. - Può essergastigopuò esser misericordia. Il sentimento che tu proveraiora per quest'uomo che t'ha offesosì; lo stesso sentimentoil Dioche tu pure hai offesoavrà per te in quel giorno.Benediciloe sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tulo vedisenza dar segno di sentimento. Forse il Signore èpronto a concedergli un'ora di ravvedimento; ma voleva essernepregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente;forse serba la grazia alla tua sola preghieraalla preghiera d'uncuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest'uomo e la tuadipende ora da teda un tuo sentimento di perdonodi compassione...d'amore!

Tacque;egiunte le manichinò il viso sopra di essee pregò:Renzo fece lo stesso.

Eranoda pochi momenti in quella posituraquando scoccò la campana.Si mossero tutt'e duecome di concerto; e uscirono. Né l'unofece domandené l'altro proteste: i loro visi parlavano.

-Va' ora- riprese il frate- va' preparatosia a ricevere unagraziasia a fare un sacrifizio; a lodar Dioqualunque sia l'esitodelle tue ricerche. E qualunque siavieni a darmene notizia; noi loloderemo insieme.

Quisenza dir altrosi separarono; uno tornò dond'era venuto;l'altro s'avviò alla cappellache non era lontana piùd'un cento passi.




Cap.XXXVI


Chiavrebbe mai detto a Renzoqualche ora primachenel forte d'unatal ricercaal cominciar de' momenti più dubbiosi e piùdecisiviil suo cuore sarebbe stato diviso tra Lucia e don Rodrigo?Eppure era così: quella figura veniva a mischiarsi con tuttel'immagini care o terribili che la speranza o il timore gli mettevandavanti a vicendain quel tragitto; le parole sentite appièdi quel covilesi cacciavano tra i sì e i noond'eracombattuta la sua mente; e non poteva terminare una preghiera perl'esito felice del gran cimentosenza attaccarci quella che avevaprincipiata làe che lo scocco della campana aveva troncata.

Lacappella ottangolare che sorgeelevata d'alcuni scalininel mezzodel lazzerettoeranella sua costruzione primitivaaperta da tuttii latisenz'altro sostegno che di pilastri e di colonneunafabbricaper dir cosìtraforata: in ogni facciata un arcotra due intercolunni; dentro girava un portico intorno a quella chesi direbbe più propriamente chiesanon composta che d'ottoarchirispondenti a quelli delle facciatecon sopra una cupola; dimaniera che l'altare eretto nel centropoteva esser veduto da ognifinestra delle stanze del recintoe quasi da ogni punto del campo.Oraconvertito l'edifizio a tutt'altr'usoi vani delle facciate sonmurati; ma l'antica ossaturarimasta intattaindica chiaramentel'antico statoe l'antica destinazione di quello.

Renzos'era appena avviatoche vide il padre Felice comparire nel porticodella cappellae affacciarsi sull'arco di mezzo del lato che guardaverso la città; davanti al quale era radunata la comitivaalpianonella strada di mezzo; e subito dal suo contegno s'accorse cheaveva cominciata la predica.

Giròper quelle viottoleper arrivare alla coda dell'uditoriocome gliera stato suggerito. Arrivatocisi fermò cheto chetoloscorse tutto con lo sguardo; ma non vedeva di là altro che unfoltodirei quasi un selciato di teste. Nel mezzoce n'era un certonumero coperte di fazzolettio di veli: in quella parte ficcòpiù attentamente gli occhi; manon arrivando a scoprircidentro nulla di piùgli alzò anche lui dove tuttitenevan fissi i loro. Rimase tocco e compunto dalla venerabil figuradel predicatore; econ quel che gli poteva restar d'attenzione in untal momento d'aspettativasentì questa parte del solenneragionamento.

-Diamo un pensiero ai mille e mille che sono usciti di là -; ecol dito alzato sopra la spallaaccennava dietro sé la portache mette al cimitero detto di san Gregorioil quale allora eratuttosi può direuna gran fossa: - diamo intornoun'occhiata ai mille e mille che rimangon quitroppo incerti di dovesian per uscire; diamo un'occhiata a noicosì pochichen'usciamo a salvamento. Benedetto il Signore! Benedetto nellagiustiziabenedetto nella misericordia! benedetto nella mortebenedetto nella salute! benedetto in questa scelta che ha voluto fardi noi! Oh! perché l'ha volutofigliuolise non per serbarsiun piccol popolo corretto dall'afflizionee infervorato dallagratitudine? se non a fine chesentendo ora più vivamenteche la vita è un suo donone facciamo quella stima che meritauna cosa data da Luil'impieghiamo nell'opere che si possono offrirea Lui? se non a fine che la memoria de' nostri patimenti ci rendacompassionevoli e soccorrevoli ai nostri prossimi? Questi intantoincompagnia de' quali abbiamo penatosperatotemuto; tra i qualilasciamo degli amicide' congiunti; e che tutti son poi finalmentenostri fratelli; quelli tra questiche ci vedranno passare in mezzoa loromentre forse riceveranno qualche sollievo nel pensare chequalcheduno esce pur salvo di quiricevano edificazione dal nostrocontegno. Dio non voglia che possano vedere in noi una gioiarumorosauna gioia mondana d'avere scansata quella mortecon laquale essi stanno ancor dibattendosi. Vedano che partiamoringraziando per noie pregando per loro; e possan dire: anche fuordi quiquesti si ricorderanno di noicontinueranno a pregare pernoi meschini. Cominciamo da questo viaggioda' primi passi che siamper fareuna vita tutta di carità. Quelli che sono tornatinell'antico vigorediano un braccio fraterno ai fiacchi; giovanisostenete i vecchi; voi che siete rimasti senza figliuolivedeteintorno a voiquanti figliuoli rimasti senza padre! siatelo perloro! E questa caritàricoprendo i vostri peccatiraddolciràanche i vostri dolori.

Quiun sordo mormorìo di gemitiun singhiozzìo che andavacrescendo nell'adunanzafu sospeso a un trattonel vedere ilpredicatore mettersi una corda al colloe buttarsi in ginocchio: esi stava in gran silenzioaspettando quel che fosse per dire.

-Per me- disse- e per tutti i miei compagnichesenza alcunnostro meritosiamo stati scelti all'alto privilegio di servirCristo in voi; io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamodegnamente adempito un sì gran ministero. Se la pigriziasel'indocilità della carne ci ha resi meno attenti alle vostrenecessitàmen pronti alle vostre chiamate; se un'ingiustaimpazienzase un colpevol tedio ci ha fatti qualche volta comparirvidavanti con un volto annoiato e severo; se qualche volta ilmiserabile pensiero che voi aveste bisogno di noici ha portati anon trattarvi con tutta quell'umiltà che si convenivase lanostra fragilità ci ha fatti trascorrere a qualche azione chevi sia stata di scandolo; perdonateci! Così Dio rimetta a voiogni vostro debitoe vi benedica -. Efatto sull'udienza un gransegno di croces'alzò.

Noiabbiam potuto riferirese non le precise paroleil senso almenoiltema di quelle che proferì davvero; ma la maniera con cuifuron dette non è cosa da potersi descrivere. Era la manierad'un uomo che chiamava privilegio quello di servir gli appestatiperché lo teneva per tale; che confessava di non avercidegnamente corrispostoperché sentiva di non avercicorrisposto degnamente; che chiedeva perdonoperché erapersuaso d'averne bisogno. Ma la gente che s'era veduti d'intornoque' cappuccini non occupati d'altro che di servirlae tanti n'avevaveduti moriree quello che parlava per tuttisempre il primo allafaticacome nell'autoritàse non quando s'era trovato anchelui in fin di morte; pensate con che singhiozzicon che lacrimerispose a tali parole. Il mirabil frate prese poi una gran crocech'era appoggiata a un pilastrose la inalberò davantilasciò sull'orlo del portico esteriore i sandaliscese gliscalinietra la folla che gli fece rispettosamente largos'avviòper mettersi alla testa di essa.

Renzotutto lacrimosoné più né meno che se fossestato uno di quelli a cui era chiesto quel singolare perdonosiritirò anche luie andò a mettersi di fianco a unacapanna; e stette lì aspettandomezzo nascostocon lapersona indietro e la testa avanticon gli occhi spalancaticon unagran palpitazion di cuorema insieme con una certa nuova eparticolare fiducianatacred'iodalla tenerezza che gli avevaispirata la predicae lo spettacolo della tenerezza generale.

Edecco arrivare il padre Felicescalzocon quella corda al colloconquella lunga e pesante croce alzata; pallido e scarno il visounviso che spirava compunzione insieme e coraggio; a passo lentomarisolutocome di chi pensa soltanto a risparmiare l'altruidebolezza; e in tutto come un uomo a cui un di più di fatichee di disagi desse la forza di sostenere i tanti necessari einseparabili da quel suo incarico. Subito dopo luivenivano ifanciulli più grandiniscalzi una gran parteben pochiinteramente vestitichi affatto in camicia. Venivan poi le donnetenendo quasi tutte per la mano una bambinae cantandoalternativamente il Miserere; e il suono fiacco di quellevociil pallore e la languidezza di que' visi eran cose da occupartutto di compassione l'animo di chiunque si fosse trovato lìcome semplice spettatore. Ma Renzo guardavaesaminavadi fila infiladi viso in visosenza passarne uno; ché la processioneandava tanto adagioda dargliene tutto il comodo. Passa e passa;guarda e guarda; sempre inutilmente: dava qualche occhiata di corsaalle file che rimanevano ancora indietro: sono ormai poche; siamoall'ultima; son passate tutte; furon tutti visi sconosciuti. Con lebraccia ciondolonie con la testa piegata sur una spallaaccompagnòcon l'occhio quella schieramentre gli passava davanti quella degliuomini. Una nuova attenzioneuna nuova speranza gli nacque nelvederdopo questicomparire alcuni carrisu cui erano iconvalescenti che non erano ancora in istato di camminare. Lìle donne venivan l'ultime; e il treno andava così adagio cheRenzo poté ugualmente esaminarle tuttesenza che glienesfuggisse una. Ma che? esamina il primo carroil secondoil terzoe via discorrendosempre con la stessa riuscitafino a unodietroal quale non veniva più che un altro cappuccinocon unaspetto serioe con un bastone in manocome regolatore dellacomitiva. Era quel padre Michele che abbiam detto essere stato datoper compagno nel governo al padre Felice.

Cosìsvanì affatto quella cara speranza; eandandosenenon soloportò via il conforto che aveva recatomacome accade le piùvoltelasciò l'uomo in peggiore stato di prima. Ormai quelche ci poteva esser di meglioera di trovar Lucia ammalata. Pureall'ardore d'una speranza presente sottentrando quello del timorecresciutoil poverino s'attaccò con tutte le forze dell'animoa quel tristo e debole filo; entrò nella corsiae s'incamminòda quella parte di dove era venuta la processione. Quando fu appièdella cappellaandò a inginocchiarsi sull'ultimo scalino; elì fece a Dio una preghieraoper dir megliouna confusionedi parole arruffatedi frasi interrotted'esclamazionid'istanzedi lamentidi promesse: uno di que' discorsi che non si fanno agliuominiperche non hanno abbastanza penetrazione per intenderlinépazienza per ascoltarli; non son grandi abbastanza per sentirnecompassione senza disprezzo.

S'alzòalquanto più rincorato; girò intorno alla cappella; sitrovò nell'altra corsia che non aveva ancora vedutae cheriusciva all'altra porta; dopo pochi passivide lo stecconato di cuigli aveva parlato il fratema interrotto qua e làappuntocome questo aveva detto; entrò per una di quelle apertureesi trovò nel quartiere delle donne. Quasi al primo passo chefecevide in terra un campanellodi quelli che i monatti portavanoa un piede; gli venne in mente che un tale strumento avrebbe potutoservirgli come di passaporto là dentro; lo preseguardòse nessuno lo guardavae se lo legò come usavan quelli. E simise subito alla ricercaa quella ricercacheper la quantitàsola degli oggetti sarebbe stata fieramente gravosaquand'anche glioggetti fossero stati tutt'altri; cominciò a scorrer conl'occhioanzi a contemplar nuove miseriecosì simili inparte alle già vedutein parte così diverse: chésotto la stessa calamitàera qui un altro patireper dircosìun altro languireun altro lamentarsiun altrosopportareun altro compatirsi e soccorrersi a vicenda; erain chiguardasseun'altra pietà e un altro ribrezzo.

Avevagià fatto non so quanta stradasenza frutto e senzaaccidenti; quando si sentì dietro le spalle un - oh! - unachiamatache pareva diretta a lui. Si voltò e videa unacerta distanzaun commissarioche alzò una manoaccennandoproprio a luie gridando: - là nelle stanzeché c'èbisogno d'aiuto: qui s'è finito ora di sbrattare.

Renzos'avvide subito per chi veniva presoe che il campanello era lacagione dell'equivoco; si diede della bestia d'aver pensato solamenteagl'impicci che quell'insegna gli poteva scansaree non a quelli chegli poteva tirare addosso; ma pensò nello stesso tempo allamaniera di sbrigarsi subito da colui. Gli fece replicatamente e infretta un cenno col capocome per dire che aveva intesoe cheubbidiva; e si levò dalla sua vistacacciandosi da una partetra le capanne.

Quandogli parve d'essere abbastanza lontanopensò anche a liberarsidalla causa dello scandolo; eper far quell'operazione senz'essereosservatoandò a mettersi in un piccolo spazio tra duecapanne che si voltavanper dir cosìla schiena. Si chinaper levarsi il campanelloe stando così col capo appoggiatoalla parete di paglia d'una delle capannegli vien da quellaall'orecchio una voce... Oh cielo! è possibile? Tutta la suaanima è in quell'orecchio: la respirazione è sospesa...Sì! sì! è quella voce!... - Paura di che? -diceva quella voce soave: - abbiam passato ben altro che untemporale. Chi ci ha custodite finoraci custodirà ancheadesso.

SeRenzo non cacciò un urlonon fu per timore di farsi scorgerefu perché non n'ebbe il fiato. Gli mancaron le ginocchiaglis'appannò la vista; ma fu un primo momento; al secondoerarittopiù destopiù vigoroso di prima; in tre saltigirò la capannafu sull'usciovide colei che aveva parlatola vide levatachinata sopra un lettuccio. Si volta essa al rumore;guardacrede di travederedi sognare; guarda più attentaegrida: - oh Signor benedetto!

-Lucia! v'ho trovata! vi trovo! siete proprio voi! siete viva! esclamòRenzoavanzandositutto tremante.

-Oh Signor benedetto! - replicòancor più tremanteLucia: - voi? che cosa è questa! in che maniera? perché?La peste!

-L'ho avuta. E voi...?

-Ah!... anch'io. E di mia madre...?

-Non l'ho vistaperché è a Pasturo; credo peròche stia bene. Ma voi... come siete ancora pallida! come paretedebole! Guarita peròsiete guarita?

-Il Signore m'ha voluto lasciare ancora quaggiù. Ah Renzo!perché siete voi qui?

-Perché? - disse Renzo avvicinandosele sempre più: - midomandate perché? Perché ci dovevo venire? Avetebisogno che ve lo dica? Chi ho io a cui pensi? Non mi chiamo piùRenzoio? Non siete più Luciavoi?

-Ah cosa dite! cosa dite! Ma non v'ha fatto scrivere mia madre...?

-Sì: pur troppo m'ha fatto scrivere. Belle cose da farescrivere a un povero disgraziatotribolatoramingoa un giovinechedispetti almenonon ve n'aveva mai fatti!

-Ma Renzo! Renzo! giacché sapevate... perché venire?perché?

-Perché venire! Oh Lucia! perché veniremi dite? Dopotante promesse! Non siam più noi? Non vi ricordate più?Che cosa ci mancava?

-Oh Signore! - esclamò dolorosamente Luciagiungendo le manie alzando gli occhi al cielo: - perché non m'avete fatta lagrazia di tirarmi a Voi...! Oh Renzo! cos'avete mai fatto? Ecco;cominciavo a sperare che... col tempo... mi sarei dimenticata...

-Bella speranza! belle cose da dirmele proprio sul viso!

-Ahcos'avete fatto! E in questo luogo! tra queste miserie! traquesti spettacoli! qui dove non si fa altro che morireavetepotuto...!

-Quelli che moionobisogna pregare Iddio per loroe sperare cheanderanno in un buon luogo; ma non è giustoné ancheper questoche quelli che vivono abbiano a viver disperati...

-MaRenzo! Renzo! voi non pensate a quel che dite. Una promessa allaMadonna!... Un voto!

-E io vi dico che son promesse che non contan nulla.

-Oh Signore! Cosa dite? Dove siete stato in questo tempo? Con chiavete trattato? Come parlate?

-Parlo da buon cristiano; e della Madonna penso meglio io che voi;perché credo che non vuol promesse in danno del prossimo. Sela Madonna avesse parlatoohallora! Ma cos'è stato? unavostra idea. Sapete cosa dovete promettere alla Madonna? Prometteteleche la prima figlia che avremole metteremo nome Maria: chéquesto son qui anch'io a prometterlo: queste son cose che fanno benpiù onore alla Madonna: queste son divozioni che hanno piùcostruttoe non portan danno a nessuno.

-No no; non dite così: non sapete quello che vi dite: non losapete voi cosa sia fare un voto: non ci siete stato voi in quelcaso: non avete provato. Andateandateper amor del cielo!

Esi scostò impetuosamente da luitornando verso il lettuccio.

-Lucia! - disse Renzosenza moversi: - ditemi almenoditemi: se nonfosse questa ragione... sareste la stessa per me?

-Uomo senza cuore! - rispose Luciavoltandosie rattenendo a stentole lacrime: - quando m'aveste fatte dir delle parole inutilidelleparole che mi farebbero maledelle parole che sarebbero forsepeccatisareste contento? Andateoh andate! dimenticatevi di me: sivede che non eravamo destinati! Ci rivedremo lassù: giànon ci si deve star molto in questo mondo. Andate; cercate di farsapere a mia madre che son guaritache anche qui Dio m'ha sempreassistitache ho trovato un'anima buonaquesta brava donnache mifa da madre; ditele che spero che lei sarà preservata daquesto malee che ci rivedremo quando Dio vorràe comevorrà... Andateper amor del cieloe non pensate a me... senon quando pregherete il Signore.

Ecome chi non ha più altro da direné vuol sentiraltrocome chi vuol sottrarsi a un pericolosi ritirò ancorpiù vicino al lettucciodov'era la donna di cui avevaparlato.

-SentiteLuciasentite! - disse Renzosenza peròaccostarsele di più.

-Nono; andate per carità!

-Sentite: il padre Cristoforo...

-Che?

-È qui.

-Qui? dove? Come lo sapete?

-Gli ho parlato poco fa; sono stato un pezzo con lui: e un religiosodella sua qualitàmi pare...

-È qui! per assistere i poveri appestatisicuro. Ma lui? l'haavuta la peste?

-Ah Lucia! ho pauraho paura pur troppo... - e mentre Renzo esitavacosì a proferir la parola dolorosa per luie che dovevaesserlo tanto a Luciaquesta s'era staccata di nuovo dal lettuccioe si ravvicinava a lui: - ho paura che l'abbia adesso!

-Oh povero sant'uomo! Ma cosa dicopover'uomo? Poveri noi! Com'è?è a letto? è assistito?

-È levatogiraassiste gli altri; ma se lo vedestechecolore che hacome si regge! Se n'è visti tanti e tantichepur troppo... non si sbaglia!

-Oh poveri noi! E è proprio qui!

-Quie poco lontano: poco più che da casa vostra a casa mia...se vi ricordate...!

-Oh Vergine Santissima!

-Benepoco più. E pensate se abbiam parlato di voi! M'ha dettodelle cose... E se sapeste cosa m'ha fatto vedere! Sentirete; ma oravoglio cominciare a dirvi quel che m'ha detto primaluicon la suapropria bocca. M'ha detto che facevo bene a venirvi a cercaree cheal Signore gli piace che un giovine tratti cosìe m'avrebbeaiutato a far che vi trovassi; come è proprio stato la verità:ma già è un santo. Sicchévedete!

-Mase ha parlato cosìè perché lui non sa...

-Che volete che sappia lui delle cose che avete fatte voi di vostratestasenza regola e senza il parere di nessuno? Un brav'uomounuomo di giudiziocome è luinon va a pensar cose di questasorte. Ma quel che m'ha fatto vedere! - E qui raccontò lavisita fatta a quella capanna: Luciaquantunque i suoi sensi e ilsuo animoavesseroin quel soggiornodovuto avvezzarsi alle piùforti impressionistava tutta compresa d'orrore e di compassione.

-E anche lì- proseguì Renzo- ha parlato da santo: hadetto che il Signore forse ha destinato di far la grazia a quelmeschino... (ora non potrei proprio dargli un altro nome)... cheaspetta di prenderlo in un buon punto; ma vuole che noi preghiamoinsieme per lui... Insieme! avete inteso?

-Sìsì; lo pregheremoognuno dove il Signore ci terrà:le orazioni le sa mettere insieme Lui.

-Ma se vi dico le sue parole...!

-Ma Renzolui non sa...

-Ma non capite chequando è un santo che parlaè ilSignore che lo fa parlare? e che non avrebbe parlato cosìsenon dovesse esser proprio così?... E l'anima di quel poverino?Io ho bensì pregatoe pregherò per lui: di cuore hopregatoproprio come se fosse stato per un mio fratello. Ma comevolete che stia nel mondo di làil poverinose di qua nons'accomoda questa cosase non è disfatto il male che ha fattolui? Che se voi intendete la ragioneallora tutto è comeprima: quel che è stato è stato: lui ha fatto la suapenitenza di qua...

-NoRenzono: il Signore non vuole che facciamo del maleper farLui misericordia. Lasciate fare a Luiper questo: noiil nostrodovere è di pregarlo. S'io fossi morta quella nottenon gliavrebbe dunque potuto perdonare? E se non son mortase sono stataliberata...

-E vostra madrequella povera Agneseche m'ha sempre voluto tantobenee che si struggeva tanto di vederci marito e moglienon vel'ha detto anche lei che l'è un'idea storta? Leiche v'hafatto intender la ragione anche dell'altre volteperchéincerte cosepensa più giusto di voi...

-Mia madre! volete che mia madre mi desse il parere di mancare a unvoto! MaRenzo! non siete in voi.

-Oh! volete che ve la dica? Voi altre donnequeste cose non le potetesapere. Il padre Cristoforo m'ha detto che tornassi da lui araccontargli se v'avevo trovata. Vo: lo sentiremo: quel che diràlui...

-Sìsì; andate da quel sant'uomo; ditegli che prego perluie che preghi per meche n'ho bisogno tanto tanto! Maper amordel cieloper l'anima vostraper l'anima mianon venite piùquia farmi del malea... tentarmi. Il padre Cristoforolui sapràspiegarvi le cosee farvi tornare in voi; lui vi farà mettereil cuore in pace.

-Il cuore in pace! Oh! questolevatevelo dalla testa. Già mel'avete fatta scrivere questa parolaccia; e so io quel che m'ha fattopatire; e ora avete anche il cuore di dirmela. E io in vece vi dicochiaro e tondo che il cuore in pace non lo metterò mai. Voivolete dimenticarvi di me; e io non voglio dimenticarmi di voi. E vipromettovedetechese mi fate perdere il giudizionon loracquisto più. Al diavolo il mestiereal diavolo la buonacondotta! Volete condannarmi a essere arrabbiato per tutta la vita; eda arrabbiato viverò... E quel disgraziato! Lo sa il Signorese gli ho perdonato di cuore; ma voi... Volete dunque farmi pensareper tutta la vita che se non era lui...? Lucia! avete detto ch'io vidimentichi: ch'io vi dimentichi! Come devo fare? A chi credete ch'iopensassi in tutto questo tempo?... E dopo tante cose! dopo tantepromesse! Cosa v'ho fatto iodopo che ci siamo lasciati? Perchého patitomi trattate così? perché ho avuto delledisgrazie? perché la gente del mondo m'ha perseguitato? perchého passato tanto tempo fuori di casatristolontano da voi? perchéal primo momento che ho potutoson venuto a cercarvi?

Luciaquando il pianto le permise di formar paroleesclamògiungendo di nuovo le manie alzando al cielo gli occhi pregni dilacrime: - o Vergine santissimaaiutatemi voi! Voi sapete chedopoquella notteun momento come questo non l'ho mai passato. M'avetesoccorsa allora; soccorretemi anche adesso!

-SìLucia; fate bene d'invocar la Madonna; ma perchévolete credere che Lei che è tanto buonala madre dellemisericordiepossa aver piacere di farci patire... me almeno... peruna parola scappata in un momento che non sapevate quello che vidicevate? Volete credere che v'abbia aiutata alloraper lasciarciimbrogliati dopo?... Se poi questa fosse una scusa; se è ch'iovi sia venuto in odio... ditemelo... parlate chiaro.

-Per caritàRenzoper caritàper i vostri poverimortifinitelafinitela; non mi fate morire... Non sarebbe un buonmomento. Andate dal padre Cristoforo; raccomandatemi a luinontornate più quinon tornate più qui.

-Vo; ma pensate se non voglio tornare! Tornerei se fosse in capo almondotornerei -. E disparve.

Luciaandò a sedereo piuttosto si lasciò cadere in terraaccanto al lettuccio; eappoggiata a quello la testacontinuòa piangere dirottamente. La donnache fin allora era stata a occhi eorecchi apertisenza fiataredomandò cosa fossequell'apparizionequella contesaquesto pianto. Ma forse il lettoredomanda dal canto suo chi fosse costei; eper soddisfarlonon civorrannoné anche quitroppe parole.

Eraun'agiata mercantessadi forse trent'anni. Nello spazio di pochigiornis'era visto morire in casa il marito e tutti i figliuoli: dilì a pocovenutale la peste anche a leiera statatrasportata al lazzerettoe messa in quella capannuccianel tempoche Luciadopo aver superatasenza avvedersenela furia del malee cambiateugualmente senza avvedersenepiù compagnecominciava a riaversie a tornare in sé; chéfin dalprincipio della malattiatrovandosi ancora in casa di don Ferranteera rimasta come insensata. La capanna non poteva contenere che duepersone: e tra queste dueafflittederelittesbigottitesole intanta moltitudineera presto nata un'intrinsichezzaun'affezioneche appena sarebbe potuta venire da un lungo vivere insieme. In pocotempoLucia era stata in grado di poter aiutar l'altrache s'eratrovata aggravatissima. Ora che questa pure era fuori di pericolosifacevano compagnia e coraggio e guardia a vicenda; s'eran promesse dinon uscir dal lazzerettose non insieme; e avevan presi altriconcerti per non separarsi neppur dopo. La mercantessa cheavendolasciata in custodia d'un suo fratello commissario della Sanitàla casa e il fondaco e la cassatutto ben fornitoera per trovarsisola e trista padrona di molto più di quel che le bisognasseper viver comodamentevoleva tener Lucia con sécome unafigliuola o una sorella. Lucia aveva aderitopensate con chegratitudine per leie per la Provvidenza; ma soltanto fin chepotesse aver nuove di sua madree saperecome speravala volontàdi essa. Del restoriservata com'erané della promessa dellosposalizioné dell'altre sue avventure straordinarienonaveva mai detta una parola. Ma orain un così granribollimento d'affettiaveva almen tanto bisogno di sfogarsiquantol'altra desiderio di sentire. Estretta con tutt'e due le mani ladestra di leisi mise subito a soddisfare alla domandasenz'altroritegnoche quello che le facevano i singhiozzi.

Renzointanto trottava verso il quartiere del buon frate. Con un po' distudioe non senza dover rifare qualche pezzetto di stradagliriuscì finalmente d'arrivarci. Trovò la capanna; luinon ce lo trovò; maronzando e cercando nel contornolo videin una baraccachepiegato a terrae quasi bocconistavaconfortando un moribondo. Si fermò lìaspettando insilenzio. Poco dopolo vide chiuder gli occhi a quel poverinopoimettersi in ginocchiofar orazione un momentoe alzarsi. Allora simossee gli andò incontro

-Oh! - disse il fratevistolo venire; - ebbene?

-La c'è: l'ho trovata!

-In che stato?

-Guaritao almeno levata.

-Sia ringraziato il Signore!

-Ma... - disse Renzoquando gli fu vicino da poter parlar sottovoce:- c'è un altro imbroglio.

-Cosa c'è?

-Voglio dire che... Già lei lo sa come è buona quellapovera giovine; ma alle volte è un po' fissa nelle sue idee.Dopo tante promessedopo tutto quello che sa anche leiora dice chenon mi può sposareperché diceche so io? chequellanotte della pauras'è scaldata la testae s'ècome adirevotata alla Madonna. Cose senza costrutton'è vero?Cose buonechi ha la scienza e il fondamento da farlema per noigente ordinariache non sappiamo bene come si devon fare... n'èvero che son cose che non valgono?

-Dimmi: è molto lontana di qui?

-Oh no: pochi passi di là dalla chiesa.

-Aspettami qui un momento- disse il frate: - e poi ci anderemoinsieme.

-Vuol dire che lei le farà intendere...

-Non so nullafigliuolo; bisogna ch'io senta lei.

-Capisco- disse Renzoe stette con gli occhi fissi a terrae conle braccia incrociate sul pettoa masticarsi la sua incertezzarimasta intera. Il frate andò di nuovo in cerca di quel padreVittorelo pregò di supplire ancora per luientrònella sua capannan'uscì con la sporta in bracciotornòda Renzogli disse: - andiamo -; e andò innanziavviandosi aquella tal capannadovequalche tempo primaerano entrati insieme.Questa voltaentrò soloe dopo un momento ricomparveedisse: - niente! Preghiamo; preghiamo -. Poi riprese: - oraconducimi tu.

Esenza dir altros'avviarono.

Iltempo s'era andato sempre più rabbuiandoe annunziava ormaicerta e poco lontana la burrasca. De' lampi fitti rompevanol'oscurità cresciutae lumeggiavano d'un chiarore istantaneoi lunghissimi tetti e gli archi de' porticila cupola dellacappellai bassi comignoli delle capanne; e i tuoni scoppiati conistrepito repentinoscorrevano rumoreggiando dall'una all'altraregione del cielo. Andava innanzi il giovineattento alla stradacon una grand'impazienza d'arrivaree rallentando però ilpassoper misurarlo alle forze del compagno; il qualestanco dallefaticheaggravato dal maleoppresso dall'afacamminavastentatamentealzando ogni tanto al cielo la faccia smuntacome percercare un respiro più libero.

Renzoquando vide la capannasi fermòsi voltò indietrodisse con voce tremante: - è qui.

Entrano...- Eccoli! - grida la donna del lettuccio. Lucia si voltas'alzaprecipitosamenteva incontro al vecchiogridando: - oh chi vedo! Opadre Cristoforo!

-EbbeneLucia! da quante angustie v'ha liberata il Signore! Doveteesser ben contenta d'aver sempre sperato in Lui.

-Oh sì! Ma leipadre? Povera mecome è cambiato! Comesta? dica: come sta?

-Come Dio vuolee comeper sua graziavoglio anch'iorisposeconvolto serenoil frate. Etiratala in un cantosoggiunse: -sentite: io non posso rimaner qui che pochi momenti. Siete voidisposta a confidarvi in mecome altre volte?

-Oh! non è lei sempre il mio padre?

-Figliuoladunque; cos'è codesto voto che m'ha detto Renzo?

-È un voto che ho fatto alla Madonna... oh! in una grantribolazione!... di non maritarmi.

-Poverina! Ma avete pensato allorach'eravate legata da una promessa?

-Trattandosi del Signore e della Madonna!... non ci ho pensato.

-Il Signorefigliuolagradisce i sagrifizil'offertequando lefacciamo del nostro. È il cuore che vuoleè lavolontà: ma voi non potevate offrirgli la volontà d'unaltroal quale v'eravate già obbligata.

-Ho fatto male?

-Nopoverinanon pensate a questo: io credo anzi che la Verginesanta avrà gradita l'intenzione del vostro cuore afflittoel'avrà offerta a Dio per voi. Ma ditemi; non vi siete maiconsigliata con nessuno su questa cosa?

-Io non pensavo che fosse maleda dovermene confessare: e quel pocobene che si può faresi sa che non bisogna raccontarlo.

-Non avete nessun altro motivo che vi trattenga dal mantener lapromessa che avete fatta a Renzo?

-In quanto a questo... per me... che motivo...? Non potrei propriodire... - rispose Luciacon un'esitazione che indicava tutt'altroche un'incertezza del pensiero; e il suo viso ancora scolorito dallamalattiafiorì tutt'a un tratto del più vivo rossore.

-Credete voi- riprese il vecchioabbassando gli occhi- che Dio hadata alla sua Chiesa l'autorità di rimettere e di riteneresecondo che torni in maggior benei debiti e gli obblighi che gliuomini possono aver contratti con Lui?

-Sìche lo credo.

-Ora sappiate che noideputati alla cura dell'anime in questo luogoabbiamoper tutti quelli che ricorrono a noile più ampiefacoltà della Chiesa; e che per conseguenzaio possoquandovoi lo chiediatesciogliervi dall'obbligoqualunque siachepossiate aver contratto a cagion di codesto voto.

-Ma non è peccato tornare indietropentirsi d'una promessafatta alla Madonna? Io allora l'ho fatta proprio di cuore... - disseLuciaviolentemente agitata dall'assalto d'una tale inaspettatabisogna pur dire speranzae dall'insorgere opposto d'un terrorefortificato da tutti i pensieri cheda tanto tempoeran laprincipale occupazione dell'animo suo.

-Peccatofigliuola? - disse il padre: - peccato il ricorrere allaChiesae chiedere al suo ministro che faccia uso dell'autoritàche ha ricevuto da essae che essa ha ricevuta da Dio? Io ho vedutoin che maniera voi due siete stati condotti ad unirvi; ecertosemai m'è parso che due fossero uniti da Diovoi altri eravatequelli: ora non vedo perché Dio v'abbia a voler separati. E lobenedico che m'abbia datoindegno come sonoil potere di parlare insuo nomee di rendervi la vostra parola. E se voi mi chiedete ch'iovi dichiari sciolta da codesto votoio non esiterò a farlo; edesidero anzi che me lo chiediate.

-Allora...! allora...! lo chiedo; - disse Luciacon un volto nonturbato più che di pudore.

Ilfrate chiamò con un cenno il giovineil quale se ne stava nelcantuccio il più lontanoguardando (giacché non potevafar altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato; equando quello fu lìdissea voce più altaa Lucia: -con l'autorità che ho dalla Chiesavi dichiaro sciolta dalvoto di verginitàannullando ciò che ci potéessere d'inconsideratoe liberandovi da ogni obbligazione chepoteste averne contratta.

Pensiil lettore che suono facessero all'orecchio di Renzo tali parole.Ringraziò vivamente con gli occhi colui che le avevaproferite; e cercò subitoma invanoquelli di Lucia.

-Tornatecon sicurezza e con paceai pensieri d'una voltaseguìa dirle il cappuccino: - chiedete di nuovo al Signore le grazie cheGli chiedevateper essere una moglie santa; e confidate che ve leconcederà più abbondantidopo tanti guai. E tu-dissevoltandosi a Renzo- ricordatifigliuoloche se la Chiesati rende questa compagnanon lo fa per procurarti una consolazionetemporale e mondanala qualese anche potesse essere interaesenza mistura d'alcun dispiaceredovrebbe finire in un gran doloreal momento di lasciarvi; ma lo fa per avviarvi tutt'e due sullastrada della consolazione che non avrà fine. Amatevi comecompagni di viaggiocon questo pensiero d'avere a lasciarvie conla speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che v'hacondotti a questo statonon per mezzo dell'allegrezze turbolente epasseggierema co' travagli e tra le miserieper disporvi a unaallegrezza raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figliuoliabbiate in mira d'allevarli per Luid'istillar loro l'amore di Lui edi tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto.Lucia! v'ha detto- e accennava Renzo- chi ha visto qui?

-Oh padreme l'ha detto!

-Voi pregherete per lui! Non ve ne stancate. E anche per mepregherete!... Figliuoli! voglio che abbiate un ricordo del poverofrate -. E qui levò dalla sporta una scatola d'un legnoordinarioma tornita e lustrata con una certa finitezzacappuccinesca; e proseguì: - qui dentro c'è il resto diquel pane... il primo che ho chiesto per carità; quel panedicui avete sentito parlare! Lo lascio a voi altri: serbatelo; fatelovedere ai vostri figliuoli. Verranno in un tristo mondoe in tristitempiin mezzo a' superbi e a' provocatori: dite loro che perdoninosempresempre! tuttotutto! e che preghinoanche loroper ilpovero frate!

Eporse la scatola a Luciache la prese con rispettocome si farebbed'una reliquia. Poicon voce più tranquillariprese: - oraditemi; che appoggi avete qui in Milano? Dove pensate d'andare aalloggiareappena uscita di qui? E chi vi condurrà da vostramadreche Dio voglia aver conservata in salute?

-Questa buona signora mi fa lei intanto da madre: noi due usciremo diqui insiemee poi essa penserà a tutto.

-Dio la benedica- disse il frateaccostandosi al lettuccio.

-La ringrazio anch'io- disse la vedova- della consolazione che hadata a queste povere creature; sebbene io avessi fatto conto ditenerla sempre con mequesta cara Lucia. Ma la terrò intanto;l'accompagnerò io al suo paesela consegnerò a suamadre; esoggiunse poi sottovoce- voglio farle io il corredo. N'hotroppa della roba; e di quelli che dovevan goderla con menon ho piùnessuno!

-Così- rispose il frate- lei può fare un gransacrifizio al Signoree del bene al prossimo. Non le raccomandoquesta giovine: già vedo che è come sua: non c'èche da lodare il Signoreil quale sa mostrarsi padre anche ne'flagellie checol farle trovare insiemeha dato un cosìchiaro segno d'amore all'una e all'altra. Orsùriprese poivoltandosi a Renzoe prendendolo per una mano: noi due non abbiampiù nulla da far qui: e ci siamo stati anche troppo. Andiamo.

-Oh padre! - disse Lucia: - la vedrò ancora? Io sono guaritaio che non fo nulla di bene a questo mondo; e lei...!

-È già molto tempo- rispose con tono serio e dolce ilvecchio- che chiedo al Signore una graziae ben grande: di finirei miei giorni in servizio del prossimo. Se me la volesse oraconcedereho bisogno che tutti quelli che hanno carità permem'aiutino a ringraziarlo. Via; date a Renzo le vostre commissioniper vostra madre.

-Raccontatele quel che avete veduto- disse Lucia al promesso sposo:- che ho trovata qui un'altra madreche verrò con questa piùpresto che potròe che sperospero di trovarla sana.

-Se avete bisogno di danari- disse Renzo- ho qui tutti quelli chem'avete mandatie...

-Nono- interruppe la vedova: - ne ho io anche troppi.

-Andiamo- replicò il frate.

-A rivederciLucia...! e anche leidunquequella buona signora-disse Renzonon trovando parole che significassero quello chesentiva.

-Chi sa che il Signore ci faccia la grazia di rivederci ancora tutti!- esclamò Lucia.

-Sia Egli sempre con voie vi benedica- disse alle due compagne fraCristoforo; e uscì con Renzo dalla capanna.

Mancavapoco alla serae il tempo pareva sempre più vicino arisolversi. Il cappuccino esibì di nuovo al giovine diricoverarlo per quella notte nella sua baracca. - Compagnianon tene potrò fare- soggiunse: - ma avrai da stare al coperto.

Renzoperò si sentiva una smania d'andare; e non si curava dirimaner più a lungo in un luogo similequando non potevaprofittarne per veder Luciae non avrebbe neppur potuto starsene unpo' col buon frate. In quanto all'ora e al temposi può direche notte e giornosole e pioggiazeffiro e tramontanoerantutt'uno per lui in quel momento. Ringraziò dunque il fratedicendo che voleva andar più presto che fosse possibile incerca d'Agnese.

Quandofurono nella strada di mezzoil frate gli strinse la manoe disse:- se la troviche Dio voglia! quella buona Agnesesalutala anche inmio nome; e a leie a tutti quelli che rimangonoe si ricordano difra Cristoforodì che preghin per lui. Dio t'accompagnie tibenedica per sempre.

-Oh caro padre...! ci rivedremo? ci rivedremo?

-Lassùspero -. E con queste parolesi staccò daRenzo; il qualestato lì a guardarlo fin che non l'ebbe persodi vistaprese in fretta verso la portadando a destra e a sinistral'ultime occhiate di compassione a quel luogo di dolori. C'era unmovimento straordinarioun correr di monattiun trasportar di robaun accomodar le tende delle baraccheuno strascicarsi diconvalescenti a queste e ai porticiper ripararsi dalla burrascaimminente.




Cap.XXXVII


Appenainfatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto e preso adirittaper ritrovar la viottola di dov'era sboccato la mattinasotto le muraprincipiò come una grandine di goccioloni radie impetuosichebattendo e risaltando sulla strada bianca e aridasollevavano un minuto polverìo; in un momentodiventaronfitti; e prima che arrivasse alla viottolala veniva giù asecchie. Renzoin vece d'inquietarseneci sguazzava dentrose lagodeva in quella rinfrescatain quel susurrìoin quelbrulichìo dell'erbe e delle foglietremolantigocciolantirinverditelustre; metteva certi respironi larghi e pieni; e in quelrisolvimento della natura sentiva come più liberamente e piùvivamente quello che s'era fatto nel suo destino.

Maquanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimentose Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo:che quell'acqua portava via il contagio; chedopo quellaillazzerettose non era per restituire ai viventi tutti i viventi checontenevaalmeno non n'avrebbe più ingoiati altri; chetrauna settimanasi vedrebbero riaperti usci e botteghenon siparlerebbe quasi più che di quarantina; e della peste nonrimarrebbe se non qualche resticciolo qua e là; quellostrascico che un tal flagello lasciava sempre dietro a sé perqualche tempo.

Andavadunque il nostro viaggiatore allegramentesenza aver disegnato nédovené comené quandoné se avesse dafermarsi la nottepremuroso soltanto di portarsi avantid'arrivarpresto al suo paesedi trovar con chi parlarea chi raccontaresoprattutto di poter presto rimettersi in cammino per Pasturoincerca d'Agnese. Andavacon la mente tutta sottosopra dalle cose diquel giorno; ma di sotto le miseriegli orrorii pericolivenivasempre a galla un pensierino: l'ho trovata; è guarita; èmia! E allora faceva uno sgambettoe con ciò davaun'annaffiata all'intornocome un can barbone uscito dall'acqua;qualche volta si contentava d'una fregatina di mani; e avanticonpiù ardore di prima. Guardando per la stradaraccattavaperdir cosìi pensieriche ci aveva lasciati la mattina e ilgiorno avantinel venire; e con più piacere quelli appuntoche allora aveva più cercato di scacciarei dubbiledifficoltàtrovarlatrovarla vivatra tanti morti emoribondi! " E l'ho trovata viva! " concludeva. Sirimetteva col pensiero nelle circostanze più terribili diquella giornata; si figurava con quel martello in mano: ci sarào non ci sarà? e una risposta così poco allegra; e nonaver nemmeno il tempo di masticarlache addosso quella furia dimatti birboni; e quel lazzerettoquel mare! lì ti volevo atrovarla! E averla trovata! Ritornava su quel momento quando fufinita di passare la processione de' convalescenti: che momento! checrepacore non trovarcela! e ora non gliene importava piùnulla. E quel quartiere delle donne! E là dietro a quellacapannaquando meno se l'aspettavaquella vocequella voceproprio! E vederlavederla levata! Ma che? c'era ancora quel nododel votoe più stretto che mai. Sciolto anche questo. Equell'odio contro don Rodrigoquel rodìo continuo cheesacerbava tutti i guaie avvelenava tutte le consolazioniscomparso anche quello. Talmenteché non saprei immaginare unacontentezza più vivase non fosse stata l'incertezza intornoad Agneseil tristo presentimento intorno al padre Cristoforoequel trovarsi ancora in mezzo a una peste.

Arrivòa Sestosulla sera; né pareva che l'acqua volesse cessare.Masentendosi più in gambe che maie con tante difficoltàdi trovar dove alloggiaree così inzuppatonon ci pensòneppure. La sola cosa che l'incomodasseera un grand'appetito: chéuna consolazione come quella gli avrebbe fatto smaltire altro che lapoca minestra del cappuccino. Guardò se trovasse anche qui unabottega di fornaio; ne vide una; ebbe due pani con le mollee conquell'altre cerimonie. Uno in tasca e l'altro alla boccae avanti.

Quandopassò per Monzaera notte fatta: nonostantegli riuscìdi trovar la porta che metteva sulla strada giusta. Ma meno questocheper dir la veritàera un gran meritopotete immaginarvicome fosse quella stradae come andasse facendosi di momento inmomento. Affondata (com'eran tutte; e dobbiamo averlo detto altrove)tra due rivequasi un letto di fiumesi sarebbe a quell'ora potutadirese non un fiumeuna gora davvero; e ogni tanto pozzedavolerci del buono e del bello a levarne i piedinon che le scarpe.Ma Renzo n'usciva come potevasenz'atti d'impazienzasenzaparolaccesenza pentimenti; pensando che ogni passoper quantocostasselo conduceva avantie che l'acqua cesserebbe quando a Diopiacessee chea suo tempospunterebbe il giornoe che la stradache faceva intantoallora sarebbe fatta.

Edirò anche che non ci pensava se non proprio quando non potevafar di meno. Eran distrazioni queste; il gran lavoro della sua menteera di riandare la storia di que' tristi anni passati: tant'imbroglitante traversìetanti momenti in cui era stato per perdereanche la speranzae fare andata ogni cosa; e di contrapporcil'immaginazioni d'un avvenire così diverso: e l'arrivar diLuciae le nozzee il metter su casae il raccontarsi le vicendepassatee tutta la vita.

Comela facesse quando trovava due strade; se quella poca praticaconquel poco barlumefossero quelli che l'aiutassero a trovar sempre labuonao se l'indovinasse sempre alla venturanon ve lo saprei dire;ché lui medesimoil quale soleva raccontar la sua storiamolto per minutolunghettamente anzi che no (e tutto conduce acredere che il nostro anonimo l'avesse sentita da lui piùd'una volta)lui medesimoa questo puntodiceva chedi quellanottenon se ne rammentava che come se l'avesse passata in letto asognare. Il fatto sta chesul finir di essasi trovò allariva dell'Adda.

Nonera mai spiovuto; maa un certo tempoda diluvio era diventatapioggiae poi un'acquerugiola fine finecheta chetaugual uguale:i nuvoli alti e radi stendevano un velo non interrottoma leggiero ediafano; e il lume del crepuscolo fece vedere a Renzo il paesed'intorno. C'era dentro il suo; e quel che sentìa quellavistanon si saprebbe spiegare. Altro non vi so direse non cheque' montiquel Resegone vicinoil territorio di Leccoeradiventato tutto come roba sua. Diede un'occhiata anche a séesi trovò un po' stranoqualeper dir la veritàdaquel che si sentivas'immaginava già di dover parere:sciupata e attaccata addosso ogni cosa: dalla testa alla vitatuttoun fradiciumeuna grondaia; dalla vita alla punta de' piedimelletta e mota: le parti dove non ce ne fosse si sarebbero potutechiamare esse zacchere e schizzi. E se si fosse visto tutt'intero inuno specchiocon la tesa del cappello floscia e cascantee icapelli stesi e incollati sul visosi sarebbe fatto ancor piùspecie. In quanto a stancolo poteva esserema non ne sapeva nulla:e il frescolino dell'alba aggiunto a quello della notte e di quelpoco bagnonon gli dava altro che una fierezzauna voglia dicamminar più presto.

Èa Pescate; costeggia quell'ultimo tratto dell'Addadando peròun'occhiata malinconica a Pescarenico; passa il ponte; per istrade ecampiarriva in un momento alla casa dell'ospite amico. Questoches'era levato allorae stava sull'uscioa guardare il tempoalzògli occhi a quella figura così inzuppatacosìinfangatadiciam pure così lerciae insieme così vivae disinvolta: a' suoi giorni non aveva visto un uomo peggio conciatoe più contento.

-Ohe! - disse: - già qui? e con questo tempo? Com'èandata?

-La c'è- disse Renzo: - la c'è: la c'è.

-Sana?

-Guaritache è meglio. Devo ringraziare il Signore e laMadonna fin che campo. Ma cose grandicose di fuoco: ti racconteròpoi tutto.

-Ma come sei conciato!

-Son bello eh?

-A dir la veritàpotresti adoprare il da tanto in superlavare il da tanto in giù. Maaspettaaspetta; che ti facciaun buon fuoco.

-Non dico di no. Sai dove la m'ha preso? proprio alla porta dellazzeretto. Ma niente! il tempo il suo mestieree io il mio.

L'amicoandò e tornò con due bracciate di stipa: ne mise una interral'altra sul focolareecon un po' di brace rimasta dellasera avantifece presto una bella fiammata. Renzo intanto s'eralevato il cappelloedopo averlo scosso due o tre voltel'avevabuttato in terra: enon così facilmentes'era tirato viaanche il farsetto. Levò poi dal taschino de' calzoni ilcoltellocol fodero tutto fradicioche pareva stato in molle; lomise su un panchettoe disse: - anche costui è accomodato adovere; ma l'è acqua! l'è acqua! sia ringraziato ilSignore... Sono stato lì lì...! Ti dirò poi -. Esi fregava le mani. - Ora fammi un altro piacere- soggiunse: - quelfagottino che ho lasciato su in camerava' a prendermelochéprima che s'asciughi questa roba che ho addosso...!

Tornatocol fagottol'amico disse: - penso che avrai anche appetito: capiscoche da bereper la stradanon te ne sarà mancato; ma damangiare...

-Ho trovato da comprar due paniieri sul tardi; maper dir laveritànon m'hanno toccato un dente.

-Lascia fare- disse l'amico; mise l'acqua in un paioloche attaccòpoi alla catena; e soggiunse: - vado a mungere: quando torneròcol lattel'acqua sarà all'ordine; e si fa una buona polenta.Tu intanto fa' il tuo comodo.

Renzorimasto solosi levònon senza faticail resto de' panniche gli s'eran come appiccicati addosso; s'asciugòsi rivestìda capo a piedi. L'amico tornòe andò al suo paiolo:Renzo intanto si mise a sedereaspettando.

-Ora sento che sono stanco- disse: - ma è una bella tirata!Però questo è nulla! Ne ho da raccontartene per tuttala giornata. Com'è conciato Milano! Le cose che bisognavedere! Le cose che bisogna toccare! Cose da farsi poi schifo a semedesimo. Sto per dire che non ci voleva meno di quel bucatino che hoavuto. E quel che m'hanno voluto fare que' signori di laggiù!Sentirai. Ma se tu vedessi il lazzeretto! C'è da perdersinelle miserie. Basta; ti racconterò tutto... E la c'èe la verrà quie sarà mia moglie; e tu devi far datestimonioepeste o non pestealmeno qualche oravoglio chestiamo allegri.

Delresto mantenne ciòche aveva detto all'amicodi volerraccontargliene per tutta la giornata; tanto piùcheavendosempre continuato a piovigginarequesto la passò tutta incasaparte seduto accanto all'amicoparte in faccende intorno a unsuo piccolo tinoe a una botticinae ad altri lavoriinpreparazione della vendemmia; ne' quali Renzo non lasciò didargli una mano; chécome soleva direera di quelli che sistancano più a star senza far nullache a lavorare. Non potéperò tenersi di non fare una scappatina alla casa d'Agneseper rivedere una certa finestrae per dare anche lì unafregatina di mani. Tornò senza essere stato visto da nessuno;e andò subito a letto. S'alzò prima che facesse giorno;evedendo cessata l'acquase non ritornato il serenosi mise incammino per Pasturo.

Eraancor presto quando ci arrivò: ché non aveva menofretta e voglia di finiredi quel che possa averne il lettore. Cercòd'Agnese; sentì che stava benee gli fu insegnata unacasuccia isolata dove abitava. Ci andò; la chiamò dallastrada: a una tal voceessa s'affacciò di corsa allafinestra; ementre stava a bocca aperta per mandar fuori non so cheparolanon so che suonoRenzo la prevenne dicendo: - Lucia èguarita: l'ho veduta ierlaltro; vi saluta; verrà presto. E poine hone ho delle cose da dirvi.

Trala sorpresa dell'apparizionee la contentezza della notiziae lasmania di saperne di piùAgnese cominciava oraun'esclamazioneora una domandasenza finir nulla: poidimenticando le precauzioni ch'era solita a prendere da molto tempodisse: - vengo ad aprirvi.

-Aspettate: e la peste? - disse Renzo: - voi non l'avete avutacredo.

-Io no: e voi?

-Io sì; ma voi dunque dovete aver giudizio. Vengo da Milano; esentiretesono proprio stato nel contagio fino agli occhi. Èvero che mi son mutato tutto da capo a piedi; ma l'è unaporcheria che s'attacca alle volte come un malefizio. E giacchéil Signore v'ha preservata finoravoglio che stiate riguardata finche non è finito quest'influsso; perché siete la nostramamma: e voglio che campiamo insieme un bel pezzo allegramenteaconto del gran patire che abbiam fattoalmeno io.

-Ma... - cominciava Agnese.

-Eh! - interruppe Renzo: - non c'è ma che tenga. So quel chevolete dire; ma sentiretesentireteche de' ma non ce n'èpiù. Andiamo in qualche luogo all'apertodove si possa parlarcon comodosenza pericolo; e sentirete.

Agnesegl'indicò un orto ch'era dietro alla casa; e soggiunse: -entrate lìe vedrete che c'è due panchel'una infaccia all'altrache paion messe apposta. Io vengo subito.

Renzoandò a mettersi a sedere sur una: un momento dopoAgnese sitrovò lì sull'altra: e son certo chese il lettoreinformato come è delle cose antecedentiavesse potutotrovarsi lì in terzoa veder con gli occhi quellaconversazione così animataa sentir con gli orecchi que'raccontiquelle domandequelle spiegazioniquell'esclamarequelcondolersiquel rallegrarsie don Rodrigoe il padre Cristoforoetutto il restoe quelle descrizioni dell'avvenirechiare e positivecome quelle del passatoson certodicoche ci avrebbe preso gustoe sarebbe stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla sulla carta tuttaquella conversazionecon parole mutefatte d'inchiostroe senzatrovarci un solo fatto nuovoson di parere che non se ne curi moltoe che gli piaccia più d'indovinarla da sé. Laconclusione fu che s'anderebbe a metter su casa tutti insieme in quelpaese del bergamasco dove Renzo aveva già un buon avviamento:in quanto al temponon si poteva decider nullaperchédipendeva dalla pestee da altre circostanze: appena cessato ilpericoloAgnese tornerebbe a casaad aspettarvi Luciao Lucia vel'aspetterebbe: intanto Renzo farebbe spesso qualche altra corsa aPasturoa veder la sua mammae a tenerla informata di quel chepotesse accadere.

Primadi partireoffrì anche a lei danaridicendo: - gli ho quituttivedeteque' tali: avevo fatto voto anch'io di non toccarlifin che la cosa non fosse venuta in chiaro. Orase n'avete bisognoportate qui una scodella d'acqua e aceto; vi butto dentro i cinquantascudi belli e lampanti.

-Nono- disse Agnese: - ne ho ancora più del bisogno per me:i vostriserbateliche saran buoni per metter su casa.

Renzotornò al paese con questa consolazione di più d'avertrovata sana e salva una persona tanto cara. Stette il rimanente diquella giornatae la nottein casa dell'amico; il giorno dopoinviaggio di nuovoma da un'altra partecioè verso il paeseadottivo.

TrovòBortoloin buona salute anche luie in minor timore di perderla;chéin que' pochi giornile coseanche làavevanpreso rapidamente una bonissima piega. Pochi eran quelli ches'ammalavano; e il male non era più quello; non piùque' lividi mortaliné quella violenza di sintomi; mafebbriciattoleintermittenti la maggior partecon al piùqualche piccol bubbone scoloritoche si curava come un fignoloordinario. Già l'aspetto del paese compariva mutato; i rimastivivi cominciavano a uscir fuoria contarsi tra loroa farsi avicenda condoglianze e congratulazioni. Si parlava già diravviare i lavori: i padroni pensavano già a cercare e acaparrare operaie in quell'arti principalmente dove il numero n'erastato scarso anche prima del contagiocom'era quella della seta.Renzosenza fare il leziosopromise (salve però le debiteapprovazioni) al cugino di rimettersi al lavoroquando verrebbeaccompagnatoa stabilirsi in paese. S'occupò intanto de'preparativi più necessari: trovò una casa piùgrande; cosa divenuta pur troppo facile e poco costosa; e la fornìdi mobili e d'attrezziintaccando questa volta il tesoroma senzafarci un gran bucoché tutto era a buon mercatoessendocimolta più roba che gente che la comprassero.

Doponon so quanti giorniritornò al paese nativoche trovòancor più notabilmente cambiato in bene. Trottò subitoa Pasturo; trovò Agnese rincoraggita affattoe disposta aritornare a casa quando si fosse; di maniera che ce la condusse lui:né diremo quali fossero i loro sentimentiquali le parolealrivedere insieme que' luoghi.

Agnesetrovò ogni cosa come l'aveva lasciata. Sicché non potéfar a meno di non dire chequesta voltatrattandosi d'una poveravedova e d'una povera fanciullaavevan fatto la guardia gli angioli.

-E l'altra volta- soggiungeva- che si sarebbe creduto che ilSignore guardasse altrovee non pensasse a noigiacchélasciava portar via il povero fatto nostro; ecco che ha fatto vedereil contrarioperché m'ha mandato da un'altra parte di beidanaricon cui ho potuto rimettere ogni cosa. Dico ogni cosae nondico bene; perché il corredo di Lucia che coloro avevanportato via bell'e nuovoinsieme col restoquello mancava ancora;ma ecco che ora ci viene da un'altra parte. Chi m'avesse dettoquando io m'arrapinavo tanto a allestir quell'altro: tu credi dilavorar per Lucia: eh povera donna! lavori per chi non sai: sa ilcieloquesta telaquesti pannia che sorte di creature anderannoindosso: quelli per Luciail corredo davvero che ha da servire perleici penserà un'anima buonala quale tu non sai néanche che la sia in questo mondo.

Ilprimo pensiero d'Agnese fu quello di preparare nella sua poveracasuccia l'alloggio il più decente che potessea quell'animabuona: poi andò in cerca di seta da annaspare; e lavorandoingannava il tempo.

Renzodal canto suonon passò in ozio que' giorni già tantolunghi per sé: sapeva far due mestieri per buona sorte; sirimise a quello del contadino. Parte aiutava il suo ospiteper ilquale era una gran fortuna l'avere in tal tempo spesso al suo comandoun'operae un'opera di quell'abilità; parte coltivavaanzidissodava l'orticello d'Agnesetrasandato affatto nell'assenza dilei. In quanto al suo proprio poderenon se n'occupava puntodicendo ch'era una parrucca troppo arruffatae che ci voleva altroche due braccia a ravviarla. E non ci metteva neppure i piedi; comené anche in casa: ché gli avrebbe fatto male a vederequella desolazione; e aveva già preso il partito di disfarsid'ogni cosaa qualunque prezzoe d'impiegar nella nuova patria queltanto che ne potrebbe ricavare.

Sei rimasti vivi eranol'uno per l'altrocome morti resuscitatiRenzoper quelli del suo paeselo eracome a diredue volte:ognuno gli faceva accoglienze e congratulazioniognuno voleva sentirda lui la sua storia. Direte forse: come andava col bando? L'andavabenone: lui non ci pensava quasi piùsupponendo che quelli iquali avrebbero potuto eseguirlonon ci pensassero più néanche loro: e non s'ingannava. E questo non nasceva solo dalla pesteche aveva fatto monte di tante cose; ma eracome s'è potutovedere anche in vari luoghi di questa storiacosa comune a que'tempiche i decretitanto generali quanto specialicontro lepersonese non c'era qualche animosità privata e potente cheli tenesse vivie li facesse valererimanevano spesso senzaeffettoquando non l'avessero avuto sul primo momento; come palle dischioppochese non fanno colporestano in terradove non dànnofastidio a nessuno. Conseguenza necessaria della gran facilitàcon cui li seminavano que' decreti. L'attività dell'uomo èlimitata; e tutto il di più che c'era nel comandaredovevatornare in tanto meno nell'eseguire. Quel che va nelle manichenonpuò andar ne' gheroni.

Chivolesse anche sapere come Renzo se la passasse con don Abbondioinquel tempo d'aspettodirò che stavano alla larga l'unodall'altro: don Abbondioper timore di sentire intonar qualcosa dimatrimonio: eal solo pensarcisi vedeva davanti agli occhi donRodrigo da una parteco' suoi braviil cardinale dall'altraco'suoi argomenti: Renzoperché aveva fissato di nonparlargliene che al momento di concluderenon volendo risicare difarlo inalberar prima del tempodi suscitarchi sa mai? qualchedifficoltàe d'imbrogliar le cose con chiacchiere inutili. Lesue chiacchierele faceva con Agnese. - Credete voi che verràpresto? - domandava l'uno. - Io spero di sì- rispondeval'altro: e spesso quello che aveva data la rispostafaceva poco dopola domanda medesima. E con queste e con simili furberies'ingegnavano a far passare il tempoche pareva loro piùlungodi mano in mano che n'era più passato.

Allettore noi lo faremo passare in un momento tutto quel tempodicendoin compendio chequalche giorno dopo la visita di Renzo allazzerettoLucia n'uscì con la buona vedova; cheessendostata ordinata una quarantina generalela fecero insiemerinchiusenella casa di quest'ultima; che una parte del tempo fu spesa inallestire il corredo di Luciaal qualedopo aver fatto un po' dicerimoniedovette lavorare anche lei; e cheterminata che fu laquarantinala vedova lasciò in consegna il fondaco e la casaa quel suo fratello commissario; e si fecero i preparativi per ilviaggio. Potremmo anche soggiunger subito: partironoarrivaronoequel che segue; macon tutta la volontà che abbiamo disecondar la fretta del lettoreci son tre cose appartenenti aquell'intervallo di tempoche non vorremmo passar sotto silenzio; eper due almenocrediamo che il lettore stesso dirà cheavremmo fatto male.

Laprimachequando Lucia tornò a parlare alla vedova delle sueavventurepiù in particolaree più ordinatamente diquel che avesse potuto in quell'agitazione della prima confidenzaefece menzione più espressa della signora che l'avevaricoverata nel monastero di Monzavenne a sapere di costei cose chedandole la chiave di molti misterile riempiron l'animo d'unadolorosa e paurosa maraviglia. Seppe dalla vedova che la sciaguratacaduta in sospetto d'atrocissimi fattiera stataper ordine delcardinaletrasportata in un monastero di Milano; che lìdopomolto infuriare e dibattersis'era ravvedutas'era accusata; e chela sua vita attuale era supplizio volontario taleche nessunoameno di non toglierglielane avrebbe potuto trovare un piùsevero. Chi volesse conoscere un po' più in particolare questatrista storiala troverà nel libro e al luogo che abbiamcitato altrovea proposito della stessa persona (Ripam. Hist.Pat.Dec. VLib. VICap. III.).

L'altracosa è che Luciadomandando del padre Cristoforo a tutti icappuccini che poté vedere nel lazzerettosentìconpiù dolore che maravigliach'era morto di peste.

Finalmenteprima di partireavrebbe anche desiderato di saper qualcosa de' suoiantichi padronie di farecome dicevaun atto del suo doveresealcuno ne rimaneva. La vedova l'accompagnò alla casadoveseppero che l'uno e l'altra erano andati tra que' più. Didonna Prassedequando si dice ch'era mortaè detto tutto; maintorno a don Ferrantetrattandosi ch'era stato dottol'anonimo hacreduto d'estendersi un po' più; e noia nostro rischiotrascriveremo a un di presso quello che ne lasciò scritto.

Diceadunque cheal primo parlar che si fece di pestedon Ferrante fuuno de' più risoluti a negarlae che sostenne costantementefino all'ultimoquell'opinione; non già con ischiamazzicomeil popolo; ma con ragionamentiai quali nessuno potrà direalmeno che mancasse la concatenazione.

-In rerum natura- diceva- non ci son che due generi dicose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non puòesser né l'uno né l'altroavrò provato che nonesisteche è una chimera. E son qui. Le sostanze sonoospiritualio materiali. Che il contagio sia sostanza spiritualeèuno sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché èinutile parlarne. Le sostanze materiali sonoo semplicio composte.Orasostanza semplice il contagio non è; e si dimostra inquattro parole. Non è sostanza aerea; perchése fossetalein vece di passar da un corpo all'altrovolerebbe subito allasua sfera. Non è acquea; perché bagnerebbee verrebbeasciugata da' venti. Non è ignea; perché brucerebbe.Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanzacompostaneppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibileall'occhio o al tatto; e questo contagiochi l'ha veduto? chi l'hatoccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio chepeggio. Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un corpoall'altro; ché questo è il loro achillequesto ilpretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Orasupponendolo accidenteverrebbe a essere un accidente trasportato:due parole che fanno ai calcinon essendociin tutta la filosofiacosa più chiarapiù liquida di questa: che unaccidente non può passar da un soggetto all'altro. Che seperevitar questa Scillasi riducono a dire che sia accidente prodottodànno in Cariddi: perchése è prodottodunquenon si comunicanon si propagacome vanno blaterando. Posti questiprincìpicosa serve venirci tanto a parlare di vibicid'esantemid'antraci...?

-Tutte corbellerie- scappò fuori una volta un tale.

-Nono- riprese don Ferrante: - non dico questo: la scienza èscienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibiciesantemiantraciparotidibubboni violaceifuroncoli nigricantison tutte parolerispettabiliche hanno il loro significato bell'e buono; ma dico chenon han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere diqueste coseanzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano.

Quicominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva chedare addosso all'opinion del contagiotrovava per tutto orecchiattenti e ben disposti: perché non si può spiegarequanto sia grande l'autorità d'un dotto di professioneallorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono giàpersuasi. Ma quando veniva a distingueree a voler dimostrare chel'errore di que' medici non consisteva già nell'affermare checi fosse un male terribile e generale; ma nell'assegnarne la cagione;allora (parlo de' primi tempiin cui non si voleva sentir discorreredi peste)allorain vece d'orecchitrovava lingue ribelliintrattabili; alloradi predicare a distesa era finita; e la suadottrina non poteva più metterla fuoriche a pezzi e bocconi.

-La c'è pur troppo la vera cagione- diceva; - e son costrettia riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell'altra cosìin aria... La neghino un pocose possonoquella fatale congiunzionedi Saturno con Giove. E quando mai s'è sentito dire chel'influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negarl'influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorrannodire che stian lassù a far nullacome tante capocchie dispilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi puòentrareè di questi signori medici; confessare che citroviamo sotto una congiunzione così malignae poi venirci adirecon faccia tosta: non toccate quinon toccate làesarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de'corpi terrenipotesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti!E tanto affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucereteGiove? brucerete Saturno?

Hisfretusvale a dire su questi bei fondamentinon prese nessunaprecauzione contro la peste; gli s'attaccò; andò alettoa morirecome un eroe di Metastasioprendendosela con lestelle.

Equella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per imuriccioli.




Cap.XXXVIII


UnaseraAgnese sente fermarsi un legno all'uscio. - È leidicerto! - Era proprio leicon la buona vedova. L'accoglienzevicendevoli se le immagini il lettore.

Lamattina seguentedi buon'oracapita Renzo che non sa nullae viensolamente per isfogarsi un po' con Agnese su quel gran tardare diLucia. Gli atti che fecee le cose che disseal trovarsela davantisi rimettono anche quelli all'immaginazion del lettore. Ledimostrazioni di Lucia in vece furon taliche non ci vuol molto adescriverle. - Vi saluto: come state? - dissea occhi bassie senzascomporsi. E non crediate che Renzo trovasse quel fare troppoasciuttoe se l'avesse per male. Prese benissimo la cosa per il suoverso; ecometra gente educatasi sa far la tara ai complimenticosì lui intendeva bene che quelle parole non esprimevan tuttociò che passava nel cuore di Lucia. Del restoera facileaccorgersi che aveva due maniere di pronunziarle: una per Renzoeun'altra per tutta la gente che potesse conoscere.

-Sto bene quando vi vedo- rispose il giovinecon una frase vecchiama che avrebbe inventata luiin quel momento.

-Il nostro povero padre Cristoforo...! - disse Lucia: - pregate perl'anima sua: benché si può esser quasi sicuri che aquest'ora prega lui per noi lassù.

-Me l'aspettavopur troppo- disse Renzo. E non fu questa la solatrista corda che si toccasse in quel colloquio. Ma che? di qualunquecosa si parlasseil colloquio gli riusciva sempre delizioso. Comeque' cavalli bisbetici che s'impuntanoe si piantan lìealzano una zampa e poi un'altrae le ripiantano al medesimo postoefanno mille cerimonie prima di fare un passoe poi tutto a un trattoprendon l'andaree viacome se il vento li portassecosìera divenuto il tempo per lui: prima i minuti gli parevan ore; poil'ore gli parevan minuti.

Lavedovanon solo non guastava la compagniama ci faceva dentro moltobene; e certamenteRenzoquando la vide in quel lettuccionon sela sarebbe potuta immaginare d'un umore così socievole egioviale. Ma il lazzeretto e la campagnala morte e le nozzenonson tutt'uno. Con Agnese essa aveva già fatto amicizia; conLucia poi era un piacere a vederlatenera insieme e scherzevoleecome la stuzzicava garbatamentee senza spinger troppoappenaquanto ci voleva per obbligarla a dimostrar tutta l'allegria cheaveva in cuore.

Renzodisse finalmente che andava da don Abbondioa prendere i concertiper lo sposalizio. Ci andòecon un certo fare tra burlescoe rispettoso- signor curato- gli disse: - le è poi passatoquel dolor di capoper cui mi diceva di non poterci maritare? Orasiamo a tempo; la sposa c'è: e son qui per sentire quando lesia di comodo: ma questa voltasarei a pregarla di far presto -. DonAbbondio non disse di no; ma cominciò a tentennarea trovarcert'altre scusea far cert'altre insinuazioni: e perchémettersi in piazzae far gridare il suo nomecon quella catturaaddosso? e che la cosa potrebbe farsi ugualmente altrove; e questo equest'altro.

-Ho inteso- disse Renzo: - lei ha ancora un po' di quel mal di capo.Ma sentasenta -. E cominciò a descrivere in che stato avevavisto quel povero don Rodrigo; e che già a quell'ora dovevasicuramente essere andato. - Speriamo- concluse- che il Signoregli avrà usato misericordia.

-Questo non ci ha che fare- disse don Abbondio: - v'ho forse dettodi no? Io non dico di no; parlo... parlo per delle buone ragioni. Delrestovedetefin che c'è fiato... Guardatemi me: sono unaconca fessa; sono stato anch'iopiù di là che di qua:e son qui; e... se non mi vengono addosso de' guai... basta... possosperare di starci ancora un pochino. Figuratevi poi certitemperamenti. Macome dicoquesto non ci ha che far nulla.

Dopoqualche altra botta e rispostané più né menoconcludentiRenzo strisciò una bella riverenzase ne tornòalla sua compagniafece la sua relazionee finì con dire: -son venuto viache n'ero pienoe per non risicar di perdere lapazienzae di levargli il rispetto. In certi momentipareva proprioquello dell'altra volta; proprio quella mutriaquelle ragioni: sonsicuro chese la durava ancora un pocomi tornava in campo conqualche parola in latino. Vedo che vuol essere un'altra lungagnata: èmeglio fare addirittura come dice luiandare a maritarsi doveandiamo a stare.

-Sapete cosa faremo? - disse la vedova: - voglio che andiamo noi altredonne a fare un'altra provae vedere se ci riesce meglio. Cosìavrò anch'io il gusto di conoscerlo quest'uomose èproprio come dite. Dopo desinare voglio che andiamo; per non tornarea dargli addosso subito. Orasignore sposomenateci un po' a spassonoi altre dueintanto che Agnese è in faccende: ché aLucia farò io da mamma: e ho proprio voglia di vedere un po'meglio queste montagnequesto lagodi cui ho sentito tanto parlare;e il poco che n'ho già vistomi pare una gran bella cosa.

Renzole condusse prima di tutto alla casa del suo ospitedove fu un'altrafesta: e gli fecero promettere chenon solo quel giornoma tutti igiornise potesseverrebbe a desinare con loro.

PasseggiatodesinatoRenzo se n'andòsenza dir dove. Le donne rimaseroun pezzetto a discorrerea concertarsi sulla maniera di prender donAbbondio; e finalmente andarono all'assalto.

"Son qui loro "disse questo tra sé; ma fece facciatosta: gran congratulazioni a Luciasaluti ad Agnesecomplimentialla forestiera. Le fece mettere a sederee poi entrò subitoa parlar della peste: volle sentir da Lucia come l'aveva passata inque' guai: il lazzeretto diede opportunità di far parlareanche quella che l'era stata compagna; poicom'era giustodonAbbondio parlò anche della sua burrasca; poi de' granmirallegri anche a Agneseche l'aveva passata liscia. La cosa andavain lungo: già fin dal primo momentole due anziane stavanoalle velettese mai venisse l'occasione d'entrar nel discorsoessenziale: finalmente non so quale delle due ruppe il ghiaccio. Macosa volete? Don Abbondio era sordo da quell'orecchio. Non chedicesse di no; ma eccolo di nuovo a quel suo serpeggiarevolteggiaree saltar di palo in frasca. - Bisognerebbe- diceva- poter farlevare quella catturaccia. Leisignorache è di Milanoconoscerà più o meno il filo delle coseavràdelle buone protezioniqualche cavaliere di peso: ché conquesti mezzi si sana ogni piaga. Se poi si volesse andar per la piùcortasenza imbarcarsi in tante storie; giacché codestigiovanie qui la nostra Agnesehanno già intenzione dispatriarsi (e io non saprei cosa dire: la patria è dove si stabene)mi pare che si potrebbe far tutto làdove non c'ècattura che tenga. Non vedo proprio l'ora di saperlo concluso questoparentadoma lo vorrei concluso benetranquillamente. Dico laverità: quicon quella cattura vivaspiattellar dall'altarequel nome di Lorenzo Tramaglinonon lo farei col cuor quieto: glivoglio troppo bene; avrei paura di fargli un cattivo servizio. Vedalei; vedete voi altre.

Quiparte Agneseparte la vedovaa ribatter quelle ragioni; donAbbondio a rimetterle in camposott'altra forma: s'era sempre dacapo; quando entra Renzocon un passo risolutoe con una notizia inviso; e dice: - è arrivato il signor marchese ***.

-Cosa vuol dir questo? arrivato dove? - domanda don Abbondioalzandosi.

-E arrivato nel suo palazzoch'era quello di don Rodrigo; perchéquesto signor marchese è l'erede per fidecommissocomedicono; sicché non c'è più dubbio. Per menesarei contentose potessi sapere che quel pover'uomo fosse mortobene. A buon contofinora ho detto per lui de' paternostriadessogli dirò de' De profundis. E questo signor marchese èun bravissim'uomo.

-Sicuro- disse don Abbondio: - l'ho sentito nominar più d'unavolta per un bravo signore davveroper un uomo della stampa antica.Ma che sia proprio vero...?

-Al sagrestano gli crede?

-Perché?

-Perché lui l'ha veduto co' suoi occhi. Io sono stato solamentelì ne' contornieper dir la veritàci sono andatoappunto perché ho pensato: qualcosa là si dovrebbesapere. E più d'uno m'ha detto lo stesso. Ho poi incontratoAmbrogio che veniva proprio di lassue che l'ha vedutocome dicofar da padrone. Lo vuol sentireAmbrogio? L'ho fatto aspettar quifuori apposta.

-Sentiamo- disse don Abbondio. Renzo andò a chiamare ilsagrestano. Questo confermò la cosa in tutto e per tuttociaggiunse altre circostanzesciolse tutti i dubbi; e poi se n'andò.

-Ah! è morto dunque! è proprio andato! - esclamòdon Abbondio. - Vedetefigliuolise la Provvidenza arriva alla finecerta gente. Sapete che l'è una gran cosa! un gran respiro perquesto povero paese! che non ci si poteva vivere con colui. E stataun gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa;ha spazzato via certi soggettichefigliuoli mieinon ce neliberavamo più: verdifreschiprosperosi: bisognava dire chechi era destinato a far loro l'esequieera ancora in seminarioafare i latinucci. E in un batter d'occhiosono sparitia cento pervolta. Non lo vedremo più andare in giro con quegli sgherridietrocon quell'albagìacon quell'ariacon quel palo incorpocon quel guardar la genteche pareva che si stesse tutti almondo per sua degnazione. Intantolui non c'è piùenoi ci siamo. Non manderà più di quell'imbasciate aigalantuomini. Ci ha dato un gran fastidio a tuttivedete: chéadesso lo possiamo dire.

-Io gli ho perdonato di cuore- disse Renzo.

-E fai il tuo dovere- rispose don Abbondio: - ma si può ancheringraziare il cieloche ce n'abbia liberati. Oratornando a noivi ripeto: fate voi altri quel che credete. Se volete che vi maritiioson qui; se vi torna più comodo in altra manierafate voialtri. In quanto alla catturavedo anch'io chenon essendoci orapiù nessuno che vi tenga di mirae voglia farvi del malenonè cosa da prendersene gran pensiero: tanto piùche c'èstato di mezzo quel decreto graziosoper la nascita del serenissimoinfante. E poi la peste! la peste! ha dato di bianco a di gran cosela peste! Sicchése volete... oggi è giovedì...domenica vi dico in chiesa; perché quel che s'è fattol'altra voltanon conta più nientedopo tanto tempo; e poiho la consolazione di maritarvi io.

-Lei sa bene ch'eravamo venuti appunto per questo- disse Renzo.

-Benissimo; e io vi servirò: e voglio darne parte subito a suaeminenza.

-Chi è sua eminenza? - domandò Agnese.

-Sua eminenza- rispose don Abbondio- è il nostro cardinalearcivescovoche Dio conservi.

-Oh! in quanto a questo mi scusi- replicò Agnese: - chésebbene io sia una povera ignorantele posso accertare che non glisi dice così; perchéquando siamo state la secondavolta per parlarglicome parlo a leiuno di que' signori preti mitirò da partee m'insegnò come si doveva trattare conquel signoree che gli si doveva dire vossignoria illustrissimaemonsignore.

-E orase vi dovesse tornare a insegnarevi direbbe che gli va datodell'eminenza: avete inteso? Perché il papache Dio loconservi anche luiha prescrittofin dal mese di giugnoche aicardinali si dia questo titolo. E sapete perché saràvenuto a questa risoluzione? Perché l'illustrissimoch'erariservato a loro e a certi principioravedete anche voi altricos'è diventatoa quanti si dà: e come se lo succianovolentieri! E cosa doveva fareil papa? Levarlo a tutti? Lamentiricorsidispiaceriguai; e per di piùcontinuar come prima.Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a poco poisicomincerà a dar dell'eminenza ai vescovi; poi lo vorranno gliabatipoi i proposti: perché gli uomini son fatti così;sempre voglion saliresempre salire; poi i canonici...

-Poi i curati- disse la vedova.

-No no- riprese don Abbondio: - i curati a tirar la carretta: nonabbiate paura che gli avvezzin malei curati: del reverendofinoalla fin del mondo. Piuttostonon mi maraviglierei punto che icavalierii quali sono avvezzi a sentirsi dar dell'illustrissimoaesser trattati come i cardinaliun giorno volessero dell'eminenzaanche loro. E se la voglionovedetetroveranno chi gliene darà.E allorail papa che ci sarà alloratroverà qualchealtra cosa per i cardinali. Orsùritorniamo alle nostre cose:domenica vi dirò in chiesa; e intantosapete cos'ho pensatoper servirvi meglio? Intanto chiederemo la dispensa per l'altre duedenunzie. Hanno a avere un bel da fare laggiù in curiaa dardispensese la va per tutto come qui. Per domenica ne ho già...uno... due... tre; senza contarvi voi altri: e ne può capitareancora. E poi vedreteandando avantiche affare vuol essere: non nedeve rimanere uno scompagnato. Ha proprio fatto uno spropositoPerpetua a morire ora; ché questo era il momento che trovaval'avventore anche lei. E a Milanosignorami figuro che saràlo stesso.

-Eccome! si figuri chesolamente nella mia curadomenica passatacinquanta denunzie.

-Se lo dico; il mondo non vuol finire. E leisignoranon hannoprincipiato a ronzarle intorno de' mosconi?

-Nono; io non ci pensoné ci voglio pensare.

-Sìsìche vorrà esser lei sola. Anche Agneseveda; anche Agnese...

-Uh! ha voglia di scherzarelei- disse questa.

-Sicuro che ho voglia di scherzare: e mi pare che sia ora finalmente.Ne abbiam passate delle brutten'è veroi miei giovani?delle brutte n'abbiam passate: questi quattro giorni che dobbiamostare in questo mondosi può sperare che vogliano essere unpo' meglio. Ma! fortunati voi altrichenon succedendo disgrazieavete ancora un pezzo da parlare de' guai passati: io in vecesonoalle ventitre e tre quartie... i birboni posson morire; della pestesi può guarire; ma agli anni non c'è rimedio: ecomedicesenectus ipsa est morbus.

-Ora- disse Renzo- parli pur latino quanto vuole; che non men'importa nulla.

-Tu l'hai ancora col latinotu: bene benet'accomoderò io:quando mi verrai davanticon questa creaturaper sentirvi direappunto certe paroline in latinoti dirò: latino tu non nevuoi: vattene in pace. Ti piacerà?

-Eh! so io quel che dico- riprese Renzo: - non è quel latinolì che mi fa paura: quello è un latino sincerosacrosantocome quel della messa: anche lorolìbisogna cheleggano quel che c'è sul libro. Parlo di quel latino birbonefuor di chiesache viene addosso a tradimentonel buono d'undiscorso. Per esempioora che siam quiche tutto è finito;quel latino che andava cavando fuorilì proprioin quelcantoper darmi ad intendere che non potevae che ci volevadell'altre cosee che so io? me lo volti un po' in volgare ora.

-Sta' zittobuffonesta' zitto: non rimestar queste cose; chése dovessimo ora fare i continon so chi avanzerebbe. Io hoperdonato tutto: non ne parliam più: ma me n'avete fatti de'tiri. Di te non mi fa specieche sei un malandrinaccio; ma dicoquest'acqua chetaquesta santerellaquesta madonnina infilzatachesi sarebbe creduto far peccato a guardarsene. Ma giàlo so iochi l'aveva ammaestratalo so iolo so io -. Così dicendoaccennava Agnese col ditoche prima aveva tenuto rivolto a Lucia: enon si potrebbe spiegare con che bonarietàcon chepiacevolezza facesse que' rimproveri. Quella notizia gli aveva datouna disinvolturauna parlantinainsolita da gran tempo; e saremmoancor ben lontani dalla finese volessimo riferir tutto il rimanentedi que' discorsiche lui tirò in lungoritenendo piùd'una volta la compagnia che voleva andarsenee fermandola poiancora un pochino sull'uscio di stradasempre a parlar di bubbole.

Ilgiorno seguentegli capitò una visitaquanto meno aspettatatanto più gradita: il signor marchese del quale s'era parlato:un uomo tra la virilità e la vecchiezzail cui aspetto eracome un attestato di ciò che la fama diceva di lui: apertocorteseplacidoumiledignitosoe qualcosa che indicava unamestizia rassegnata.

-Vengo- disse- a portarle i saluti del cardinale arcivescovo.

-Oh che degnazione di tutt'e due!

-Quando fui a prender congedo da quest'uomo incomparabileche m'onoradella sua amiciziami parlò di due giovani di codesta curach'eran promessi sposie che hanno avuto de' guaiper causa di quelpovero don Rodrigo. Monsignore desidera d'averne notizia. Son vivi? Ele loro cose sono accomodate?

-Accomodato ogni cosa. Anziio m'era proposto di scriverne a suaeminenza; ma ora che ho l'onore...

-Si trovan qui?

-Qui; epiù presto che si potràsaranno marito emoglie.

-E io la prego di volermi dire se si possa far loro del benee anched'insegnarmi la maniera più conveniente. In questa calamitàho perduto i due soli figli che avevoe la madre loroe ho avutetre eredità considerabili. Del superfluon'avevo anche prima:sicché lei vede che il darmi una occasione d'impiegarneetanto più una come questaè farmi veramente unservizio.

-Il cielo la benedica! Perché non sono tutti come lei i...?Basta; la ringrazio anch'io di cuore per questi miei figliuoli. Egiacché vossignoria illustrissima mi dà tanto coraggiosì signoreche ho un espediente da suggerirleil quale forsenon le dispiacerà. Sappia dunque che questa buona gente sonrisoluti d'andare a metter su casa altrovee di vender quel poco chehanno al sole qui: una vignetta il giovinedi nove o dieci pertichesalvo il veroma trasandata affatto: bisogna far conto del terrenonient'altro; di più una casuccia luie un'altra la sposa: duetopaieveda. Un signore come vossignoria non può sapere comela vada per i poveriquando voglion disfarsi del loro. Finiscesempre a andare in bocca di qualche furboche forse sarà giàun pezzo che fa all'amore a quelle quattro braccia di terrae quandosa che l'altro ha bisogno di venderesi ritirafa lo svogliato;bisogna corrergli dietroe dargliele per un pezzo di pane:specialmente poi in circostanze come queste. Il signor marchese hagià veduto dove vada a parare il mio discorso. La caritàpiù fiorita che vossignoria illustrissima possa fare a questagenteè di cavarli da quest'impicciocomprando quel pocofatto loro. Ioner dir la veritàdo un parere interessatoperché verrei ad acquistare nella mia cura un compadrone comeil signor marchese; ma vossignoria deciderà secondo che leparrà meglio: io ho parlato per ubbidienza.

Ilmarchese lodò molto il suggerimento; ringraziò donAbbondioe lo pregò di voler esser arbitro del prezzoe difissarlo alto bene; e lo fece poi restar di sassocol proporgli ches'andasse subito insieme a casa della sposadove sarebbeprobabilmente anche lo sposo.

Perla stradadon Abbondiotutto gongolantecome vi potete immaginarene pensò e ne disse un'altra. - Giacché vossignoriaillustrissima è tanto inclinato a far del bene a questa genteci sarebbe un altro servizio da render loro. Il giovine ha addossouna catturauna specie di bandoper qualche scappatuccia che hafatta in Milanodue anni sonoquel giorno del gran fracassodoves'è trovato impicciatosenza maliziada ignorantecome untopo nella trappola: nulla di serioveda: ragazzatescapataggini:di far del male veramentenon è capace: e io posso dirlochel'ho battezzatoe l'ho veduto venir su: e poise vossignoria vuolprendersi il divertimento di sentir questa povera gente ragionar sualla carlonapotrà fargli raccontar la storia a luiesentirà. Oratrattandosi di cose vecchienessuno gli dàfastidio; ecome le ho dettolui pensa d'andarsene fuor di stato;macol tempoo tornando quio altronon si sa mailei m'insegnache è sempre meglio non esser su que' libri. Il signormarchesein Milanocontacome è giustoe per quel grancavalieree per quel grand'uomo che è... Nonomi lascidire; ché la verità vuole avere il suo luogo. Unaraccomandazioneuna parolina d'un par suoè più delbisogno per ottenere una buona assolutoria.

-Non c'è impegni forti contro codesto giovine?

-Nono; non crederei. Gli hanno fatto fuoco addosso nel primomomento; ma ora credo che non ci sia più altro che la sempliceformalità.

-Essendo cosìla cosa sarà facile; e la prendovolentieri sopra di me

-E poi non vorrà che si dica che è un grand'uomo. Lodicoe lo voglio dire; a suo dispettolo voglio dire. E anche se iostessi zittogià non servirebbe a nullaperché parlantutti; e vox populivox Dei.

Trovaronoappunto le tre donne e Renzo. Come questi rimanesserolo lascioconsiderare a voi: io credo che anche quelle nude e ruvide paretiel'impannatee i panchettie le stoviglie si maravigliassero diricever tra loro una visita così straordinaria. Avviòlui la conversazioneparlando del cardinale e dell'altre coseconaperta cordialitàe insieme con delicati riguardi. Passòpoi a far la proposta per cui era venuto. Don Abbondiopregato dalui di fissare il prezzosi fece avanti; edopo un po' di cerimoniee di scusee che non era sua farinae che non potrebbe altro cheandare a tastonie che parlava per ubbidienzae che si rimettevaproferìa parer suouno sproposito. Il compratore disse cheper la parte suaera contentissimoecome se avesse frantesoripeté il doppio; non volle sentir rettificazionie troncòe concluse ogni discorso invitando la compagnia a desinare per ilgiorno dopo le nozzeal suo palazzodove si farebbe l'istrumento inregola.

"Ah! - diceva poi tra sé don Abbondiotornato a casa: - se lapeste facesse sempre e per tutto le cose in questa manierasarebbeproprio peccato il dirne male: quasi quasi ce ne vorrebbe unaognigenerazione; e si potrebbe stare a patti d'averla; ma guarireve' ".

Vennela dispensavenne l'assolutoriavenne quel benedetto giorno: i duepromessi andaronocon sicurezza trionfaleproprio a quella chiesadoveproprio per bocca di don Abbondiofurono sposi. Un altrotrionfoe ben più singolarefu l'andare a quel palazzotto; evi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mentein farquella salitaall'entrare in quella porta; e che discorsi dovesserofareognuno secondo il suo naturale. Accennerò soltanto chein mezzo all'allegriaora l'unoora l'altro motivò piùd'una voltacheper compir la festaci mancava il povero padreCristoforo. - Ma per lui- dicevan poi- sta meglio di noisicuramente.

Ilmarchese fece loro una gran festali condusse in un bel tinellomise a tavola gli sposicon Agnese e con la mercantessa; e prima diritirarsi a pranzare altrove con don Abbondiovolle star lìun poco a far compagnia agl'invitatie aiutò anzi a servirli.A nessuno verràsperoin testa di dire che sarebbe statacosa più semplice fare addirittura una tavola sola. Ve l'hodato per un brav'uomoma non per un originalecome si direbbe ora;v'ho detto ch'era umilenon già che fosse un portentod'umiltà. N'aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sottodi quella buona gentema non per istar loro in pari.

Dopoi due pranzifu steso il contratto per mano d'un dottoreil qualenon fu l'Azzecca-garbugli. Questovoglio dire la sua spogliaera edè tuttavia a Canterelli. E per chi non è di quelleparticapisco anch'io che qui ci vuole una spiegazione.

SopraLecco forse un mezzo miglioe quasi sul fianco dell'altro paesechiamato Castelloc'è un luogo detto Canterellidoves'incrocian due strade; e da una parte del crocicchiosi vede unrialtocome un poggetto artificialecon una croce in cima; il qualenon è altro che un gran mucchio di morti in quel contagio. Latradizioneper dir la veritàdice semplicemente i morti delcontagio; ma dev'esser quello senz'altroche fu l'ultimoe il piùmicidiale di cui rimanga memoria. E sapete che le tradizionichi nonle aiutada sé dicon sempre troppo poco.

Nelritorno non ci fu altro inconvenientese non che Renzo era un po'incomodato dal peso de' quattrini che portava via. Ma l'uomocomesapeteaveva fatto ben altre vite. Non parlo del lavoro della menteche non era piccoloa pensare alla miglior maniera di farlifruttare. A vedere i progetti che passavan per quella menteleriflessionil'immaginazioni; a sentire i pro e i controperl'agricoltura e per l'industriaera come se ci si fossero incontratedue accademie del secolo passato. E per lui l'impiccio era ben piùreale; perchéessendo un uomo solonon gli si poteva dire:che bisogno c'è di scegliere? l'uno e l'altroalla buon'ora;ché i mezziin sostanzasono i medesimi; e son due cose comele gambeche due vanno meglio d'una sola.

Nonsi pensò più che a fare i fagottie a mettersi inviaggio: casa Tramaglino per la nuova patriae la vedova per Milano.Le lacrimei ringraziamentile promesse d'andarsi a trovare furonmolte. Non meno teneraeccettuate le lacrimefu la separazione diRenzo e della famiglia dall'ospite amico: e non crediate che con donAbbondio le cose passassero freddamente. Quelle buone creature avevansempre conservato un certo attaccamento rispettoso per il lorocurato; e questoin fondoaveva sempre voluto bene a loro. Son que'benedetti affariche imbroglian gli affetti.

Chidomandasse se non ci fu anche del dolore in distaccarsi dal paesenativoda quelle montagne; ce ne fu sicuro: ché del dolorece n'èsto per direun po' per tutto. Bisogna peròche non fosse molto fortegiacché avrebbero potutorisparmiarselostando a casa loroora che i due grand'inciampidonRodrigo e il bandoeran levati. Magià da qualche tempoerano avvezzi tutt'e tre a riguardar come loro il paese doveandavano. Renzo l'aveva fatto entrare in grazia alle donneraccontando l'agevolezze che ci trovavano gli operaie cento cosedella bella vita che si faceva là. Del restoavevan tuttipassato de' momenti ben amari in quello a cui voltavan le spalle; ele memorie tristealla lunga guastan sempre nella mente i luoghi chele richiamano. E se que' luoghi son quelli dove siam natic'èforse in tali memorie qualcosa di più aspro e pungente. Ancheil bambinodice il manoscrittoriposa volentieri sul seno dellabaliacerca con avidità e con fiducia la poppa che l'hadolcemente alimentato fino allora; ma se la baliaper divezzarlolabagna d'assenzioil bambino ritira la boccapoi torna a provaremafinalmente se ne stacca; piangendo sìma se ne stacca.

Cosadirete orasentendo cheappena arrivati e accomodati nel nuovopaeseRenzo ci trovò de' disgusti bell'e preparati? Miserie;ma ci vuol così poco a disturbare uno stato felice! Eccoinpoche parolela cosa.

Ilparlare chein quel paeses'era fatto di Luciamolto tempo primache la ci arrivasse; il saper che Renzo aveva avuto a patir tanto perleie sempre fermosempre fedele; forse qualche parola di qualcheamico parziale per lui e per tutte le cose sueavevan fatto nascereuna certa curiosità di veder la giovinee una certaaspettativa della sua bellezza. Ora sapete come èl'aspettativa: immaginosacredulasicura; alla prova poidifficileschizzinosa: non trova mai tanto che le bastiperchéin sostanzanon sapeva quello che si volesse; e fa scontare senzapietà il dolce che aveva dato senza ragione. Quando comparvequesta Luciamolti i quali credevan forse che dovesse avere icapelli proprio d'oroe le gote proprio di rosae due occhi l'unopiù bello dell'altroe che so io? cominciarono a alzar lespallead arricciar il nasoe a dire: - eh! l'è questa? Dopotanto tempodopo tanti discorsis'aspettava qualcosa di meglio.Cos'è poi? Una contadina come tant'altre. Eh! di queste edelle meglioce n'è per tutto -. Venendo poi a esaminarla inparticolarenotavan chi un difettochi un altro: e ci furon fin diquelli che la trovavan brutta affatto.

Siccomeperò nessuno le andava a dir sul viso a Renzoqueste cose;così non c'era gran male fin lì. Chi lo fece il malefuron certi tali che gliele rapportarono: e Renzoche volete? ne futocco sul vivo. Cominciò a ruminarci sopraa farne di granlamentie con chi gliene parlavae più a lungo tra sé." E cosa v'importa a voi altri? E chi v'ha detto d'aspettare?Son mai venuto io a parlarvene? a dirvi che la fosse bella? E quandome lo dicevate voi altriv'ho mai risposto altrose non che era unabuona giovine? È una contadina! V'ho detto mai che v'avreimenato qui una principessa? Non vi piace? Non la guardate. N'avetedelle belle donne: guardate quelle ".

Evedete un poco come alle volte una corbelleria basta a decidere dellostato d'un uomo per tutta la vita. Se Renzo avesse dovuto passar lasua in quel paesesecondo il suo primo disegnosarebbe stata unavita poco allegra. A forza d'esser disgustatoera ormai diventatodisgustoso. Era sgarbato con tuttiperché ognuno potevaessere uno de' critici di Lucia. Non già che trattasse propriocontro il galateo; ma sapete quante belle cose si posson fare senzaoffender le regole della buona creanza: fino sbudellarsi. Aveva unnon so che di sardonico in ogni sua parola; in tutto trovava anchelui da criticarea segno chese faceva cattivo tempo due giorni diseguitosubito diceva: - eh giàin questo paese! - Vi dicoche non eran pochi quelli che l'avevan già preso a noiaeanche persone che prima gli volevan bene; e col tempod'una cosanell'altrasi sarebbe trovatoper dir cosìin guerra conquasi tutta la popolazionesenza poter forse né anche luiconoscer la prima cagione d'un così gran male.

Masi direbbe che la peste avesse preso l'impegno di raccomodar tutte lemalefatte di costui. Aveva essa portato via il padrone d'un altrofilatoiosituato quasi sulle porte di Bergamo; e l'eredegiovinescapestratoche in tutto quell'edifizio non trovava che ci fossenulla di divertenteera deliberatoanzi smanioso di vendereanchea mezzo prezzo; ma voleva i danari l'uno sopra l'altroper poterliimpiegar subito in consumazioni improduttive. Venuta la cosa agliorecchi di Bortolocorse a vedere; trattò: patti piùgrassi non si sarebbero potuti sperare; ma quella condizione de'pronti contanti guastava tuttoperché quelli che aveva messida partea poco a pocoa forza di risparmierano ancor lontani daarrivare alla somma. Tenne l'amico in mezza parolatornòindietro in frettacomunicò l'affare al cuginoe gli proposedi farlo a mezzo. Una così bella proposta troncò idubbi economici di Renzoche si risolvette subito per l'industriaedisse di sì. Andarono insiemee si strinse il contratto.Quando poi i nuovi padroni vennero a stare sul loroLuciache lìnon era aspettata per nullanon solo non andò soggetta acritichema si può dire che non dispiacque; e Renzo venne arisapere che s'era detto da più d'uno: - avete veduto quellabella baggiana che c'è venuta? - L'epiteto faceva passare ilsostantivo.

Eanche del dispiacere che aveva provato nell'altro paesegli restòun utile ammaestramento. Prima d'allora era stato un po' lesto nelsentenziaree si lasciava andar volentieri a criticar la donnad'altrie ogni cosa. Allora s'accorse che le parole fanno un effettoin boccae un altro negli orecchi; e prese un po' piùd'abitudine d'ascoltar di dentro le sueprima di proferirle.

Noncrediate però che non ci fosse qualche fastidiuccio anche lì.L'uomo (dice il nostro anonimo: e già sapete per prova cheaveva un gusto un po' strano in fatto di similitudini; ma passateglianche questache avrebbe a esser l'ultima)l'uomofin che sta inquesto mondoè un infermo che si trova sur un letto scomodopiù o menoe vede intorno a sé altri lettibenrifatti al di fuoripiania livello: e si figura che ci si devestar benone. Ma se gli riesce di cambiareappena s'èaccomodato nel nuovocominciapigiandoa sentire qui una lisca chelo pungelì un bernoccolo che lo preme: siamo in sommaa undi pressoalla storia di prima. E per questosoggiunge l'anonimosi dovrebbe pensare più a far beneche a star bene: e cosìsi finirebbe anche a star meglio. È tirata un po' con gliarganie proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altroproseguedolori e imbrogli della qualità e della forza diquelli che abbiam raccontatinon ce ne furon più per lanostra buona gente: fuda quel punto in poiuna vita delle piùtranquilledelle più felicidelle più invidiabili; dimaniera chese ve l'avessi a raccontarevi seccherebbe a morte.

Gliaffari andavan d'incanto: sul principio ci fu un po' d'incaglio perla scarsezza de' lavoranti e per lo sviamento e le pretensioni de'pochi ch'eran rimasti. Furon pubblicati editti che limitavano lepaghe degli operai; malgrado quest'aiutole cose si rincamminaronoperché alla fine bisogna che si rincamminino. Arrivò daVenezia un altro edittoun po' più ragionevole: esenzioneper dieci annida ogni carico reale e personale ai forestieri chevenissero a abitare in quello stato. Per i nostri fu una nuovacuccagna.

Primache finisse l'anno del matrimoniovenne alla luce una bellacreatura; ecome se fosse fatto apposta per dar subito opportunitàa Renzo d'adempire quella sua magnanima promessafu una bambina; epotete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col temponon so quant'altridell'uno e dell'altro sesso: e Agneseaffaccendata a portarli in qua e in làl'uno dopo l'altrochiamandoli cattivaccie stampando loro in viso de' bacioniche cilasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati;e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scriveredicendochegiacché la c'era questa birberiadovevano almenoprofittarne anche loro.

Ilbello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre coldire le gran cose che ci aveva imparateper governarsi meglio inavvenire. - Ho imparato- diceva- a non mettermi ne' tumulti: hoimparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chiparlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a nontenere in mano il martello delle portequando c'è lìd'intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmiun campanello al piedeprima d'aver pensato quel che possa nascere-. E cent'altre cose.

Luciaperònon che trovasse la dottrina falsa in séma nonn'era soddisfatta; le parevacosì in confusoche ci mancassequalcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzonee di pensarcisopra ogni volta- e io- disse un giorno al suo moralista- cosavolete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: sonloro che sono venuti a cercar me. Quando non voleste dire-aggiunsesoavemente sorridendo- che il mio sproposito sia statoquello di volervi benee di promettermi a voi.

Renzoalla primarimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercareinsiemeconclusero che i guai vengono bensì spessoperchéci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta epiù innocente non basta a tenerli lontani; e che quandovengonoo per colpa o senza colpala fiducia in Dio li raddolciscee li rende utili per una vita migliore. Questa conclusionebenchétrovata da povera gentec'è parsa così giustacheabbiam pensato di metterla quicome il sugo di tutta la storia.

Laqualese non v'è dispiaciuta affattovogliatene bene a chil'ha scrittae anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvicredete che non s'è fattoapposta.