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GiacomoLeopardi

OPERETTEMORALI





Sommario

Storiadel genere umano

Dialogod'Ercole e di Atlante

Dialogodella Moda e della Morte

Propostadi premi fatta dall'accademia dei Sillografi

Dialogodi un Folletto e di uno Gnomo

Dialogodi Malambruno e Farfarello

Dialogodella Natura e di un'anima

Dialogodella Terra e della Luna

Lascommessa di Prometeo

Dialogodi un Fisico e di un Metafisico

Dialogodi Torquato Tasso e del suo Genio Familiare

Dialogodella Natura e di un Islandese

IlParini ovvero della Gloria

Dialogodi Federico Ruysch e delle sue mummie

Dettimemorabili di Filippo Ottonieri

Dialogodi Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez

Elogiodegli Uccelli

Canticodel Gallo Silvestre

Frammentoapocrifo di Stratone da Lampsaco

Dialogodi Timandro e di Eleandro

IlCopernico: dialogo

Dialogodi Plotino e di Porfirio

Dialogodi un Venditore d'almanacchi e di un Passeggere

Dialogodi Tristano e di un Amico





STORIADEL GENERE UMANO



    Narrasiche tutti gli uomini che da principio popolarono la terrafosserocreati per ogni dove a un medesimo tempoe tutti bambinie fosseronutricati dalle apidalle capre e dalle colombe nel modo che i poetifavoleggiarono dell'educazione di Giove. E che la terra fosse moltopiù piccola che ora non èquasi tutti i paesi pianiil cielo senza stellenon fosse creato il maree apparisse nelmondo molto minore varietà e magnificenza che oggi non vi siscuopre. Ma nondimeno gli uomini compiacendosi insaziabilmente diriguardare e di considerare il cielo e la terramaravigliandosenesopra modo e riputando l'uno e l'altra bellissimi enon che vastima infiniticosì di grandezza come di maestà e dileggiadria; pascendosi oltre a ciò di lietissime speranzeetraendo da ciascun sentimento della loro vita incredibili diletticrescevano con molto contentoe con poco meno che opinione difelicità. Così consumata dolcissimamente lafanciullezza e la prima adolescenzae venuti in età piùfermaincominciarono a provare alcuna mutazione. Perciocchéle speranzeche eglino fino a quel tempo erano andati rimettendo digiorno in giornonon si riducendo ancora ad effettoparve loro chemeritassero poca fede; e contentarsi di quello che presentementegodesserosenza promettersi verun accrescimento di benenon parevaloro di poteremassimamente che l'aspetto delle cose naturali eciascuna parte della vita giornalierao per l'assuefazione o peressere diminuita nei loro animi quella prima vivacitànonriusciva loro di gran lunga così dilettevole e grata come aprincipio. Andavano per la terra visitando lontanissime contradepoiché lo potevano fare agevolmenteper essere i luoghipianie non divisi da mariné impediti da altre difficoltà;e dopo non molti annii più di loro si avvidero che la terraancorché grandeaveva termini certie non così larghiche fossero incomprensibili; e che tutti i luoghi di essa terra etutti gli uominisalvo leggerissime differenzeerano conformi gliuni agli altri. Per le quali cose cresceva la loro mala contentezzadi modo che essi non erano ancora usciti della gioventùcheun espresso fastidio dell'esser loro gli aveva universalmenteoccupati. E di mano in mano nell'età virilee maggiormente insul declinare degli anniconvertita la sazietà in odioalcuni vennero in sì fatta disperazioneche non sopportandola luce e lo spiritoche nel primo tempo avevano avuti in tantoamorespontaneamentequale in uno e quale in altro modose neprivarono.


    Parveorrendo questo caso agli Deiche da creature viventi la morte fossepreposta alla vitae che questa medesima in alcun suo propriosoggettosenza forza di necessità e senza altro concorsofosse a disfarlo. Né si può facilmente dire quanto simaravigliassero che i loro doni fossero tenuti così vili edabbominevoliche altri dovesse con ogni sua forza spogliarseli erigettarli; parendo loro aver posta nel mondo tanta bontà evaghezzae tali ordini e condizioniche quella stanza avesse adesserenon che tolleratama sommamente amata da qualsivogliaanimalee dagli uomini massimamenteil qual genere avevano formatocon singolare studio a maravigliosa eccellenza. Ma nel medesimotempooltre all'essere tocchi da non mediocre pietà di tantamiseria umana quanta manifestavasi dagli effettidubitavano eziandioche rinnovandosi e moltiplicandosi quei tristi esempila stirpeumana fra poca etàcontro l'ordine dei fativenisse aperiree le cose fossero private di quella perfezione che risultavaloro dal nostro genereed essi di quegli onori che ricevevano dagliuomini.


    Deliberatoper tanto Giove di migliorarepoiché parea che sirichiedesselo stato umanoe d'indirizzarlo alla felicitàcon maggiori sussidiintendeva che gli uomini si querelavanoprincipalmente che le cose non fossero immense di grandezzanéinfinite di beltàdi perfezione e di varietàcomeessi da prima avevano giudicato; anzi essere angustissimetutteimperfettee pressoché di una forma; e che dolendosi non solodell'età provettama della maturae della medesima gioventùe desiderando le dolcezze dei loro primi annipregavanoferventemente di essere tornati nella fanciullezzae in quellaperseverare tutta la loro vita. Della qual cosa non potea Giovesoddisfarliessendo contraria alle leggi universali della naturaeda quegli uffici e quelle utilità che gli uomini dovevanosecondo l'intenzione e i decreti diviniesercitare e produrre. Néanche poteva comunicare la propria infinità colle creaturemortaliné fare la materia infinitané infinita laperfezione e la felicità delle cose e degli uomini. Ben gliparve conveniente di propagare i termini del creatoe dimaggiormente adornarlo e distinguerlo: e preso questo consiglioringrandì la terra d'ogn'intornoe v'infuse il mareacciocchéinterponendosi ai luoghi abitatidiversificasse lasembianza delle cosee impedisse che i confini loro non potesserofacilmente essere conosciuti dagli uominiinterrompendo i camminied anche rappresentando agli occhi una viva similitudinedell'immensità. Nel qual tempo occuparono le nuove acque laterra Atlantidenon sola essama insieme altri innumerabili edistesissimi trattibenché di quella resti memoria specialesopravvissuta alla moltitudine dei secoli. Molti luoghi depressemolti ricolmò suscitando i monti e le collinecosperse lanotte di stellerassottigliò e ripurgò la naturadell'ariaed accrebbe il giorno di chiarezza e di lucerinforzòe contemperò più diversamente che per l'addietro icolori del cielo e delle campagneconfuse le generazioni degliuomini in guisa che la vecchiezza degli uni concorresse in unmedesimo tempo coll'altrui giovanezza e puerizia. E risolutosi dimoltiplicare le apparenze di quell'infinito che gli uomini sommamentedesideravano (dappoi che egli non li poteva compiacere dellasostanza)e volendo favorire e pascere le coloro immaginazionidalla virtù delle quali principalmente comprendeva essereproceduta quella tanta beatitudine della loro fanciullezza; fra imolti espedienti che pose in opera (siccome fu quello del mare)creato l'ecolo nascose nelle valli e nelle spelonchee mise nelleselve uno strepito sordo e profondocon un vasto ondeggiamento delleloro cime. Creò similmente il popolo de' sognie commise loroche ingannando sotto più forme il pensiero degli uominifigurassero loro quella pienezza di non intelligibile felicitàche egli non vedeva modo a ridurre in attoe quelle immaginiperplesse e indeterminatedelle quali esso medesimose bene avrebbevoluto farloe gli uomini lo sospiravano ardentementenon potevaprodurre alcun esempio reale.


    Fuper questi provvedimenti di Giove ricreato ed eretto l'animo degliuominie rintegrata in ciascuno di loro la grazia e la caritàdella vitanon altrimenti che l'opinioneil diletto e lo stuporedella bellezza e dell'immensità delle cose terrene. E duròquesto buono stato più lungamente che il primomassime per ladifferenza del tempo introdotta da Giove nei nascimentisicchégli animi freddi e stanchi per l'esperienza delle coseeranoconfortati vedendo il calore e le speranze dell'età verde. Main progresso di tempo tornata a mancare affatto la novitàerisorto e riconfermato il tedio e la disistima della vitasiridussero gli uomini in tale abbattimentoche nacque alloracome sicredeil costume riferito nelle storie come praticato da alcunipopoli antichi che lo serbaronoche nascendo alcunosi congregavanoi parenti e loro amici a piangerlo; e morendoera celebrato quelgiorno con feste e ragionamenti che si facevano congratulandosicoll'estinto. All'ultimo tutti i mortali si volsero all'empietào che paresse loro di non essere ascoltati da Gioveo essendopropria natura delle miserie indurare e corrompere gli animi eziandiopiù bennatie disamorarli dell'onesto e del retto. Perciocchés'ingannano a ogni modo coloro i quali stimano essere nataprimieramente l'infelicità umana dall'iniquità e dallecose commesse contro agli Dei; ma per lo contrario non d'altrondeebbe principio la malvagità degli uomini che dalle lorocalamità.


    Orapoiché fu punita dagli Dei col diluvio di Deucalione laprotervia dei mortali e presa vendetta delle ingiuriei due soliscampati dal naufragio universale del nostro genereDeucalione ePirraaffermando seco medesimi niuna cosa potere maggiormentegiovare alla stirpe umana che di essere al tutto spentasedevano incima a una rupe chiamando la morte con efficacissimo desideriononche temessero né deplorassero il fato comune. Non per tantoammoniti da Giove di riparare alla solitudine della terra; e nonsostenendocome erano sconfortati e disdegnosi della vitadi dareopera alla generazione; tolto delle pietre della montagnasecondoche dagli Dei fu mostrato loroe gittatosele dopo le spallerestaurarono la specie umana. Ma Giove fatto accortoper le cosepassatedella propria natura degli uominie che non può lorobastarecome agli altri animalivivere ed essere liberi da ognidolore e molestia del corpo; anziche bramando sempre e in qualunquestato l'impossibiletanto più si travagliano con questodesiderio da se medesimiquanto meno sono afflitti dagli altri mali;deliberò valersi di nuove arti a conservare questo miserogenere: le quali furono principalmente due. L'una mescere la lorovita di mali veri; l'altra implicarla in mille negozi e faticheadeffetto d'intrattenere gli uominie divertirli quanto più sipotesse dal conversare col proprio animoo almeno col desiderio diquella loro incognita e vana felicità.


    Quindiprimieramente diffuse tra loro una varia moltitudine di morbi e uninfinito genere di altre sventure: parte volendocol variare lecondizioni e le fortune della vita mortaleovviare alla sazietàe crescere colla opposizione dei mali il pregio de' beni; parteacciocché il difetto dei godimenti riuscisse agli spiritiesercitati in cose peggiorimolto più comportabile che nonaveva fatto per lo passato; e parte eziandio con intendimento dirompere e mansuefare la ferocia degli uominiammaestrarli a piegareil collo e cedere alla necessitàridurli a potersi piùfacilmente appagare della propria sortee rintuzzare negli animiaffievoliti non meno dalle infermità del corpo che daitravagli propril'acume e la veemenza del desiderio. Oltre diquestoconosceva dovere avvenire che gli uomini oppressi dai morbi edalle calamitàfossero meno pronti che per l'addietro avolgere le mani contra se stessiperocché sarebberoincodarditi e prostrati di cuorecome interviene per l'uso deipatimenti. I quali sogliono anchelasciando luogo alle speranzemiglioriallacciare gli animi alla vita: imperciocchégl'infelici hanno ferma opinione che eglino sarebbero felicissimiquando si riavessero dei propri mali; la qual cosacome è lanatura dell'uomonon mancano mai di sperare che debba loro succederein qualche modo. Appresso creò le tempeste dei venti e deinembisi armò del tuono e del fulminediede a Nettuno iltridentespinse le comete in giro e ordinò le eclissi; collequali cose e con altri segni ed effetti terribiliinstituì dispaventare i mortali di tempo in tempo: sapendo che il timore e ipresenti pericoli riconcilierebbero alla vitaalmeno per breve oranon tanto gl'infelicima quelli eziandio che l'avessero in maggioreabbominioe che fossero più disposti a fuggirla.


    Eper escludere la passata oziositàindusse nel genere umano ilbisogno e l'appetito di nuovi cibi e di nuove bevandele quali cosenon senza molta e grave fatica si potessero provvedereladdoveinsino al diluvio gli uominidissetandosi delle sole acquesi eranopasciuti delle erbe e delle frutta che la terra e gli arborisomministravano loro spontaneamentee di altre nutriture vili efacili a procacciaresiccome usano di sostentarsi anche oggidìalcuni popolie particolarmente quelli di California. Assegnòai diversi luoghi diverse qualità celestie similmente alleparti dell'annoil quale insino a quel tempo era stato sempre e intutta la terra benigno e piacevole in modoche gli uomini nonavevano avuto uso di vestimenti; ma di questi per l'innanzi furonocostretti a fornirsie con molte industrie riparare alle mutazioni einclemenze del cielo. Impose a Mercurio che fondasse le prime cittàe distinguesse il genere umano in popolinazioni e lingueponendogara e discordia tra loro; e che mostrasse agli uomini il canto equelle altre artiche sì per la natura e sì perl'originefurono chiamatee ancora si chiamanodivine. Essomedesimo diede leggistati e ordini civili alle nuove genti; e inultimo volendo con un incomparabile dono beneficarlemandòtra loro alcuni fantasmi di sembianze eccellentissime e soprumaneaiquali permise in grandissima parte il governo e la potestà diesse genti: e furono chiamati GiustiziaVirtùGloriaAmorpatrio e con altri sì fatti nomi. Tra i quali fantasmi fumedesimamente uno chiamato Amoreche in quel tempo primieramentesiccome anco gli altrivenne in terra: perciocché innanziall'uso dei vestimentinon amorema impeto di cupiditànondissimile negli uomini di allora da quello che fu di ogni tempo neibrutispingeva l'uno sesso verso l'altronella guisa che ètratto ciascuno ai cibi e a simili oggettii quali non si amanoveramentema si appetiscono.


    Fucosa mirabile quanto frutto partorissero questi divini consigli allavita mortalee quanto la nuova condizione degli uomininon ostantele fatichegli spaventi e i doloricose per l'addietro ignorate dalnostro generesuperasse di comodità e di dolcezza quelle cheerano state innanzi al diluvio. E questo effetto provenne in granparte da quelle maravigliose larve; le quali dagli uomini furonoriputate ora geni ora iddiie seguite e culte con ardoreinestimabile e con vaste e portentose fatiche per lunghissima età;infiammandoli a questo dal canto loro con infinito sforzo i poeti e inobili artefici; tanto che un grandissimo numero di mortali nondubitarono chi all'uno e chi all'altro di quei fantasmi donare esacrificare il sangue e la vita propria. La qual cosanon che fossediscara a Gioveanzi piacevagli sopra modocosì per altririspetticome che egli giudicava dovere essere gli uomini tanto menofacili a gittare volontariamente la vitaquanto più fosseropronti a spenderla per cagioni belle e gloriose. Anche di durataquesti buoni ordini eccedettero grandemente i superiori; poichéquantunque venuti dopo molti secoli in manifesto abbassamentonondimeno eziandio declinando e poscia precipitandovalsero inguisache fino all'entrare di un'età non molto rimota dallapresentela vita umanala quale per virtù di quegli ordiniera stata giàmassime in alcun tempoquasi giocondasimantenne per beneficio loro mediocremente facile e tollerabile.


    Lecagioni e i modi del loro alterarsi furono i molti ingegni trovatidagli uomini per provvedere agevolmente e con poco tempo ai propribisogni; lo smisurato accrescimento della disparità dicondizioni e di uffici constituita da Giove tra gli uomini quandofondò e dispose le prime repubbliche; l'oziosità e lavanità che per queste cagionidi nuovodopo antichissimoesiliooccuparono la vita; l'esserenon solo per la sostanza dellecosema ancora da altra parte per l'estimazione degli uominivenutaa scemarsi in essa vita la grazia della varietàcome sempresuole per la lunga consuetudine; e finalmente le altre cose piùgravile quali per essere già descritte e dichiarate damoltinon accade ora distinguere. Certo negli uomini si rinnovellòquel fastidio delle cose loro che gli aveva travagliati avanti ildiluvioe rinfrescossi quell'amaro desiderio di felicitàignota ed aliena dalla natura dell'universo.


    Mail totale rivolgimento della loro fortuna e l'ultimo esito di quellostato che oggi siamo soliti di chiamare anticovenne principalmenteda una cagione diversa dalle predette: e fu questa. Era tra quellelarvetanto apprezzate dagli antichiuna chiamata nelle costorolingue Sapienza; la quale onorata universalmente come tutte le suecompagnee seguita in particolare da moltiaveva altresì alpari di quelle conferito per la sua parte alla prosperità deisecoli scorsi. Questa più e più volteanziquotidianamenteaveva promesso e giurato ai seguaci suoi di volerloro mostrare la Veritàla quale diceva ella essere un geniograndissimoe sua propria signorané mai venuta in sullaterrama sedere cogli Dei nel cielo; donde essa prometteva checoll'autorità e grazia propria intendeva di trarlae diridurla per qualche spazio di tempo a peregrinare tra gli uomini: perl'uso e per la familiarità della qualedovere il genere umanovenire in sì fatti terminiche di altezza di conoscimentoeccellenza d'instituti e di costumie felicità di vitaperpoco fosse comparabile al divino. Ma come poteva una pura ombra eduna sembianza vota mandare ad effetto le sue promessenon che menarein terra la Verità? Sicché gli uominidopo lunghissimocredere e confidareavvedutisi della vanità di quelleprofferte; e nel medesimo tempo famelici di cose nuovemassime perl'ozio in cui vivevano; e stimolati parte dall'ambizione dipareggiarsi agli Deiparte dal desiderio di quella beatitudine cheper le parole del fantasma si riputavanoconversando colla Veritàessere per conseguire; si volsero con instantissime e presuntuosevoci dimandando a Giove che per alcun tempo concedesse alla terraquel nobilissimo geniorimproverandogli che egli invidiasse alle suecreature l'utilità infinita che dalla presenza di quelloriporterebbero; e insieme si rammaricavano con lui della sorte umanarinnovando le antiche e odiose querele della piccolezza e dellapovertà delle cose loro. E perché quelle speciosissimelarveprincipio di tanti beni alle età passateora sitenevano dalla maggior parte in poca stima; non che giàfossero note per quelle che veramente eranoma la comune viltàdei pensieri e l'ignavia dei costumi facevano che quasi niuno oggimaile seguiva; perciò gli uomini bestemmiando scelleratamente ilmaggior dono che gli eterni avessero fatto e potuto fare ai mortaligridavano che la terra non era degnata se non dei minori geni; ed aimaggioriai quali la stirpe umana più condecentementes'inchinerebbenon essere degno né lecito di porre il piedein questa infima parte dell'universo.


    Moltecose avevano già da gran tempo alienata novamente dagli uominila volontà di Giove; e tra le altre gl'incomparabili vizi emisfattii quali per numero e per tristezza si avevano dilunghissimo intervallo lasciate addietro le malvagitàvendicate dal diluvio. Stomacavalo del tuttodopo tante esperienzepresel'inquietainsaziabileimmoderata natura umana; allatranquillità della qualenon che alla felicitàvedevaoramai per certoniun provvedimento condurreniuno stato convenireniun luogo essere bastante; perché quando bene egli avessevoluto in mille doppi aumentare gli spazi e i diletti della terrael'università delle cosequella e queste agli uominiparimente incapaci e cupidi dell'infinitofra breve tempo erano perparere strettedisamene e di poco pregio. Ma in ultimo quelle stoltee superbe domande commossero talmente l'ira del dioche egli sirisolseposta da parte ogni pietàdi punire in perpetuo laspecie umanacondannandola per tutte le età future a miseriamolto più grave che le passate. Per la qual cosa deliberònon solo mandare la Verità fra gli uomini a starecome essichiedevanoper alquanto di tempoma dandole eterno domicilio traloroed esclusi di quaggiù quei vaghi fantasmi che egli viavea collocatifarla perpetua moderatrice e signora della genteumana.


    Emaravigliandosi gli altri Dei di questo consigliocome quelli aiquali pareva che egli avesse a ridondare in troppo innalzamento dellostato nostro e in pregiudizio della loro maggioranzaGiove lirimosse da questo concetto mostrando lorooltre che non tutti igenieziandio grandisono di proprietà beneficinon esseretale l'ingegno della Veritàche ella dovesse fare gli stessieffetti negli uomini che negli Dei. Perocché laddoveagl'immortali ella dimostrava la loro beatitudinediscoprirebbe agliuomini interamente e proporrebbe ai medesimi del continuo dinanziagli occhi la loro infelicità; rappresentandola oltre aquestonon come opera solamente della fortunama come tale che perniuno accidente e niuno rimedio non la possano camparenémaivivendointerrompere. Ed avendo la più parte dei loromali questa naturache in tanto sieno mali in quanto sono credutiessere da chi li sostienee più o meno gravi secondo che essogli stima; si può giudicare di quanto grandissimo nocumentosia per essere agli uomini la presenza di questo genio. Ai qualiniuna cosa apparirà maggiormente vera che la falsità ditutti i beni mortali; e niuna solidase non la vanità di ognicosa fuorché dei propri dolori. Per queste cagioni sarannoeziandio privati della speranza; colla quale dal principio insino alpresentepiù che con altro diletto o conforto alcunosostentarono la vita. E nulla sperandoné veggendo alleimprese e fatiche loro alcun degno fineverranno in tale negligenzaed abborrimento da ogni opera industriosanon che magnanimache lacomune usanza dei vivi sarà poco dissomigliante da quella deisepolti. Ma in questa disperazione e lentezza non potranno fuggireche il desiderio di un'immensa felicitàcongenito agli animiloronon li punga e cruci tanto più che in addietroquantosarà meno ingombro e distratto dalla varietà delle curee dall'impeto delle azioni. E nel medesimo tempo si troveranno esseredestituiti della naturale virtù immaginativache sola potevaper alcuna parte soddisfarli di questa felicità non possibilee non intesané da mené da loro stessi che lasospirano. E tutte quelle somiglianze dell'infinito che iostudiosamente aveva poste nel mondoper ingannarli e pascerliconforme alla loro inclinazionedi pensieri vasti e indeterminatiriusciranno insufficienti a quest'effetto per la dottrina e per gliabiti che eglino apprenderanno dalla Verità. Di maniera che laterra e le altre parti dell'universose per addietro parvero loropiccoleparranno da ora innanzi menome: perché essi sarannoinstrutti e chiariti degli arcani della natura; e perchéquellecontro la presente aspettazione degli uominiappaiono tantopiù strette a ciascunoquanto egli ne ha più notizia.Finalmenteperciocché saranno stati ritolti alla terra i suoifantasmie per gl'insegnamenti della Veritàper li quali gliuomini avranno piena contezza dell'essere di quellimancheràdalla vita umana ogni valoreogni rettitudinecosì dipensieri come di fatti; e non pure lo studio e la caritàmail nome stesso delle nazioni e delle patrie sarà spento perogni dove; recandosi tutti gli uominisecondo che essi saranno usatidi direin una sola nazione e patriacome fu da principioefacendo professione di amore universale verso tutta la loro specie;ma veramente dissipandosi la stirpe umana in tanti popoli quantisaranno uomini. Perciocché non si proponendo né patriada dovere particolarmente amarené strani da odiare;ciascheduno odierà tutti gli altriamando solodi tutto ilsuo generese medesimo. Dalla qual cosa quanti e quali incomodisieno per nasceresarebbe infinito a raccontare. Né per tantae sì disperata infelicità si ardiranno i mortali diabbandonare la luce spontaneamente: perocché l'imperio diquesto genio li farà non meno vili che miseri; ed aggiungendooltremodo alle acerbità della loro vitali priverà delvalore di rifiutarla.


    Perqueste parole di Giove parve agli Dei che la nostra sorte fosse peressere troppo più fiera e terribile che alla divina pietànon si convenisse di consentire. Ma Giove seguitò dicendo.Avranno tuttavia qualche mediocre conforto da quel fantasma che essichiamano Amore; il quale io sono dispostorimovendo tutti gli altrilasciare nel consorzio umano. E non sarà dato alla Veritàquantunque potentissima e combattendolo di continuonésterminarlo mai dalla terrané vincerlo se non di rado.Sicché la vita degli uominiparimente occupata nel culto diquel fantasma e di questo geniosarà divisa in due parti; el'uno e l'altro di quelli avranno nelle cose e negli animi deimortali comune imperio. Tutti gli altri studieccetto che alcunipochi e di picciolo contoverranno meno nella maggior parte degliuomini. Alle età gravi il difetto delle consolazioni di Amoresarà compensato dal beneficio della loro naturale proprietàdi essere quasi contenti della stessa vitacome accade negli altrigeneri di animalie di curarla diligentemente per sua cagioneproprianon per diletto né per comodo che ne ritraggano.


    Cosìrimossi dalla terra i beati fantasmisalvo solamente Amoreil manconobile di tuttiGiove mandò tra gli uomini la Veritàe diedele appo loro perpetua stanza e signoria. Di che seguitaronotutti quei luttuosi effetti che egli avea preveduto. E intervennecosa di gran maraviglia; che ove quel genio prima della sua discesaquando egli non avea potere né ragione alcuna negli uominiera stato da essi onorato con un grandissimo numero di templi e disacrifici; ora venuto in sulla terra con autorità di principee cominciato a conoscere di presenzaal contrario di tutti gli altriimmortaliche più chiaramente manifestandosiappaiono piùvenerandicontristò di modo le menti degli uomini epercossele di così fatto orroreche eglinose bene sforzatidi ubbidirloricusarono di adorarlo. E in vece che quelle larve inqualunque animo avessero maggiormente usata la loro forzasolevanoessere da quello più riverite ed amate; esso genio riportòpiù fiere maledizioni e più grave odio da coloro in cheegli ottenne maggiore imperio. Ma non potendo perciò nésottrarsiné ripugnare alla sua tirannidevivevano i mortaliin quella suprema miseria che eglino sostengono insino ad oraesempre sosterranno.


    Senon che la pietàla quale negli animi dei celesti non èmai spentacommossenon e gran tempola volontà di Giovesopra tanta infelicità; e massime sopra quella di alcuniuomini singolari per finezza d'intellettocongiunta a nobiltàdi costumi e integrità di vita; i quali egli vedeva esserecomunemente oppressi ed afflitti più che alcun altrodallapotenza e dalla dura dominazione di quel genio. Avevano usato gli Deinegli antichi tempiquando GiustiziaVirtù e gli altrifantasmi governavano le cose umanevisitare alcuna volta le propriefatturescendendo ora l'uno ora l'altro in terrae qui significandola loro presenza in diversi modi: la quale era stata sempre congrandissimo beneficio o di tutti i mortali o di alcuno inparticolare. Ma corrotta di nuovo la vitae sommersa in ogniscelleratezzasdegnarono quelli per lunghissimo tempo laconversazione umana. Ora Giove compassionando alla nostra sommainfelicitàpropose agl'immortali se alcuno di loro fosse perindurre l'animo a visitarecome avevano usato in anticoeracconsolare in tanto travaglio questa loro progenieeparticolarmente quelli che dimostravano esserequanto a séindegni della sciagura universale. Al che tacendo tutti gli altriAmorefigliuolo di Venere Celesteconforme di nome al fantasma cosìchiamatoma di naturadi virtù e di opere diversissimo; siofferse (come è singolare fra tutti i numi la sua pietà)di fare esso l'ufficio proposto da Giovee scendere dal cielo; dondeegli mai per l'avanti non si era tolto; non sofferendo il conciliodegl'immortaliper averlo indicibilmente caroche egli si partisseanco per piccolo tempodal loro commercio. Se bene di tratto intratto molti antichi uominiingannati da trasformazioni e da diversefrodi del fantasma chiamato collo stesso nomesi pensarono avere nondubbi segni della presenza di questo massimo iddio. Ma esso non primasi volse a visitare i mortaliche eglino fossero sottopostiall'imperio della Verità. Dopo il qual temponon suole ancoscendere se non di radoe poco si ferma; così per la generaleindegnità della gente umanacome che gli Dei sopportanomolestissimamente la sua lontananza. Quando viene in sulla terrasceglie i cuori più teneri e più gentili delle personepiù generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio;diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavitàedempiendoli di affetti sì nobilie di tanta virtù efortezzache eglino allora provanocosa al tutto nuova nel genereumanopiuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine.Rarissimamente congiunge due cuori insiemeabbracciando l'uno el'altro a un medesimo tempoe inducendo scambievole ardore edesiderio in ambedue; benché pregatone con grandissimainstanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consentedi compiacerlitrattone alcuni pochi; perché la felicitàche nasce da tale beneficioè di troppo breve intervallosuperata dalla divina. A ogni modol'essere pieni del suo nume vinceper sé qualunque più fortunata condizione fosse inalcun uomo ai migliori tempi. Dove egli si posadintorno a quello siaggiranoinvisibili a tutti gli altrile stupende larvegiàsegregate dalla consuetudine umana; le quali esso Dio riconduce perquesto effetto in sulla terrapermettendolo Giovené potendoessere vietato dalla Veritàquantunque inimicissima a queifantasmie nell'animo grandemente offesa del loro ritorno: ma non èdato alla natura dei geni di contrastare agli Dei. E siccome i fatilo dotarono di fanciullezza eternaquindi essoconvenientemente aquesta sua naturaadempie per qualche modo quel primo voto degliuominiche fu di essere tornati alla condizione della puerizia.Perciocché negli animi che egli si elegge ad abitaresuscitae rinverdisce per tutto il tempo che egli vi siedel'infinitasperanza e le belle e care immaginazioni degli anni teneri. Moltimortaliinesperti e incapaci de' suoi dilettilo scherniscono emordono tutto giornosì lontano come presenteconisfrenatissima audacia: ma esso non ode i costoro obbrobri; e quandogli udisseniun supplizio ne prenderebbe; tanto è da naturamagnanimo e mansueto. Oltre che gl'immortalicontenti della vendettache prendono di tutta la stirpee dell'insanabile miseria che lagastiganon curano le singolari offese degli uomini; néd'altro in particolare sono puniti i frodolenti e gl'ingiusti e idispregiatori degli Deiche di essere alieni anche per proprio nomedalla grazia di quelli.



DIALOGOD'ERCOLE E DI ATLANTE

Ercole:Padre AtlanteGiove mi mandae vuole che io ti saluti da sua partee in caso che tu fossi stracco di cotesto pesoche io me lo addossiper qualche oracome feci non mi ricordo quanti secoli sonotantoche tu pigli fiato e ti riposi un poco.
Atlante: Tiringraziocaro Ercolinoe mi chiamo anche obbligato alla maestàdi Giove. Ma il mondo è fatto così leggeroche questomantello che porto per custodirmi dalla nevemi pesa più; ese non fosse che la volontà di Giove mi sforza di stare quifermoe tenere questa pallottola sulla schienaio me la porreisotto l'ascella o in tascao me l'attaccherei ciondolone a un pelodella barbae me n'andrei per le mie faccende.
Ercole:Come può stare che sia tanto alleggerita? Mi accorgo bene cheha mutato figurae che è diventata a uso delle pagnotteenon è più tondacome era al tempo che io studiai lacosmografia per fare quella grandissima navigazione cogli Argonauti:ma con tutto questo non trovo come abbia a pesare meno di prima.
Atlante: Della causa non so. Ma della leggerezzach'io dico te ne puoi certificare adesso adessosolo che tu vogliatorre questa sulla mano per un momentoe provare il peso.
Ercole:In fe' d'Ercolese io non avessi provatoio non poteva mai credere.Ma che è quest'altra novità che vi scuopro? L'altravolta che io la portaimi batteva forte sul dossocome fa il cuoredegli animali; e metteva un certo rombo continuoche pareva unvespaio. Ma ora quanto al batteresi rassomiglia a un oriuolo cheabbia rotta la molla; e quanto al ronzareio non vi odo un zitto.
Atlante: Anche di questo non ti so dire altrosenon ch'egli è già gran tempoche il mondo finìdi fare ogni moto e ogni romore sensibile: e io per me stetti congrandissimo sospetto che fosse mortoaspettandomi di giorno ingiorno che m'infettasse col puzzo; e pensava come e in che luogo lopotessi seppelliree l'epitaffio che gli dovessi porre. Ma poiveduto che non marcivami risolsi che di animale che prima erasifosse convertito in piantacome Dafne e tanti altri; e che da questonascesse che non si moveva e non fiatava: e ancora dubito che frapoco non mi gitti le radici per le spallee non vi si abbarbichi.
Ercole: Io piuttosto credo che dormae che questosonno sia della qualità di quello di Epimenideche duròun mezzo secolo e più; o come si dice di Ermotimochel'anima gli usciva del corpo ogni volta che volevae stava fuorimolti anniandando a diporto per diversi paesie poi tornavafinché gli amici per finire questa canzonaabbruciarono ilcorpo; e così lo spirito ritornato per entraretrovòche la casa gli era disfattae che se voleva alloggiare al copertogliene conveniva pigliare un'altra a pigioneo andare all'osteria.Ma per fare che il mondo non dorma in eternoe che qualche amico obenefattorepensando che egli sia mortonon gli dia fuocoiovoglio che noi proviamo qualche modo di risvegliarlo.
Atlante:Benema che modo?
Ercole: Io gli farei toccare unabuona picchiata di questa clava: ma dubito che lo finirei dischiacciaree che io non ne facessi una cialda; o che la crostaatteso che riesce così leggeronon gli sia tantoassottigliatache egli mi scricchioli sotto il colpo come un uovo. Eanche non mi assicuro che gli uominiche al tempo mio combattevano acorpo a corpo coi leoni e adesso colle pulcinon tramortiscano dallapercossa tutti in un tratto. Il meglio sarà ch'io posi laclava e tu il pastranoe facciamo insieme alla palla con questasferuzza. Mi dispiace ch'io non ho recato i bracciali o le racchetteche adoperiamo Mercurio ed io per giocare in casa di Giove onell'orto: ma le pugna basteranno.
Atlante: Appunto;acciocché tuo padreveduto il nostro giuoco e venutoglivoglia di entrare in terzocolla sua palla infocata ci precipititutti e due non so dovecome Fetonte nel Po.
Ercole:Verose io fossicome era Fetontefigliuolo di un poetae non suofigliuolo proprio; e non fossi anche taleche se i poeti popolaronole città col suono della liraa me basta l'animo di spopolareil cielo e la terra a suono di clava. E la sua pallacon un calcioche le tirassiio la farei schizzare di qui fino all'ultima soffittadel cielo empireo. Ma sta sicuro che quando anche mi venisse fantasiadi sconficcare cinque o sei stelle per fare alle castellineo ditrarre al bersaglio con una cometacome con una frombapigliandolaper la codao pure di servirmi proprio del sole per fare il giuocodel discomio padre farebbe le viste di non vedere. Oltre che lanostra intenzione con questo giuoco e di far bene al mondoe noncome quella di Fetonteche fu di mostrarsi leggero della personaalle Oreche gli tennero il montatoio quando salì sul carro;e di acquistare opinione di buon cocchiere con Andromeda e Callisto ecolle altre belle costellazionialle quali è voce che nelpassare venisse gittando mazzolini di raggi e pallottoline di luceconfettate; e di fare una bella mostra di sé tra gli Dei delcielo nel passeggio di quel giornoche era di festa. In sommadellacollera di mio padre non te ne dare altro pensieroche io m'obbligoin ogni casoa rifarti i danni; e senza più cavati ilcappotto e manda la palla.
Atlante: O per grado oper forzami converrà fare a tuo modo; perché tu seigagliardo e coll'armee io disarmato e vecchio. Ma guarda almeno dinon lasciarla cadereche non se le aggiungessero altri bernoccolioqualche parte se le ammaccasseo crepassecome quando la Sicilia sischiantò dall'Italia e l'Affrica dalla Spagna; o non nesaltasse via qualche scheggiacome a dire una provincia o un regnotanto che ne nascesse una guerra.
Ercole: Per laparte mia non dubitare.
Atlante: A te la palla. Vediche ella zoppicaperché l'è guasta la figura.
Ercole:Via dàlle un po' più sodoché le tue nonarrivano.
Atlante: Qui la botta non valeperchéci tira garbino al solitoe la palla piglia ventoperch'èleggera.
Ercole: Cotesta è sua pecca vecchiadi andare a caccia del vento.
Atlante: In veritànon saria mal fatto che ne la gonfiassimoche veggo che ella nonbalza d'in sul pugno più che un popone.
Ercole:Cotesto è difetto nuovoche anticamente ella balzava esaltava come un capriolo.
Atlante: Corri presto inlà; presto ti dico; guarda per Dioch'ella cade: mal abbia ilmomento che tu ci sei venuto.
Ercole: Cosìfalsa e terra terra me l'hai rimessache io non poteva essere atempo se m'avessi voluto fiaccare il collo. Oimèpoverinacome stai? ti senti male a nessuna parte? Non s'ode un fiato e non sivede muovere un'anima e mostra che tutti dormano come prima.
Atlante:Lasciamela per tutte le corna dello Stigeche io me la raccomodisulle spalle; e tu ripiglia la clavae torna subito in cielo ascusarmi con Giove di questo casoch'è seguito per tuacagione.
Ercole: Così farò. Èmolti secoli che sta in casa di mio padre un certo poetadi nomeOrazioammessoci come poeta di corte ad instanza di Augustoche erastato deificato da Giove per considerazioni che si dovettero averealla potenza dei Romani. Questo poeta va canticchiando certe suecanzonettee fra l'altre una dove dice che l'uomo giusto non simuove se ben cade il mondo. Crederò che oggi tutti gli uominisieno giustiperché il mondo è cadutoe niuno s'èmosso.
Atlante: Chi dubita della giustizia degliuomini? Ma tu non istare a perder più tempoe corri su prestoa scolparmi con tuo padreché io m'aspetto di momento inmomento un fulmine che mi trasformi di Atlante in Etna.



DIALOGODELLA MODA E DELLA MORTE

Moda:Madama Mortemadama Morte.
Morte: Aspetta che sial'orae verrò senza che tu mi chiami.
Moda:Madama Morte.
Morte: Vattene col diavolo. Verròquando tu non vorrai.
Moda: Come se io non fossiimmortale.
Morte: Immortale? Passato è giàpiù che 'lmillesim'anno che sono finiti i tempidegl'immortali.
Moda: Anche Madama petrarcheggiacome fosse un lirico italiano del cinque o dell'ottocento?
Morte:Ho care le rime del Petrarcaperché vi trovo il mio Trionfoe perché parlano di me quasi da per tutto. Ma in sommalevamiti d'attorno.
Moda: Viaper l'amore che tuporti ai sette vizi capitalifermati tanto o quantoeguardami.
Morte: Ti guardo.
Moda:Non mi conosci?
Morte: Dovresti sapere che ho malavistae che non posso usare occhialiperché gl'Inglesi nonne fanno che mi valganoe quando ne facesseroio non avrei dove megl'incavalcassi.
Moda: Io sono la Modatuasorella.
Morte: Mia sorella?
Moda:Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dallaCaducità?
Morte: Che m'ho a ricordare io chesono nemica capitale della memoria.
Moda: Ma io mene ricordo bene; e so che l'una e l'altra tiriamo parimente a disfaree a rimutare di continuo le cose di quaggiùbenché tuvadi a questo effetto per una strada e io per un'altra.
Morte:In caso che tu non parli col tuo pensiero o con persona che tu abbidentro alla strozzaalza più la voce e scolpisci meglio leparole; che se mi vai borbottando tra' denti con quella vocina daragnateloio t'intenderò domaniperché l'uditosenon sainon mi serve meglio che la vista.
Moda:Benché sia contrario alla costumatezzae in Francia non siusi di parlare per essere uditipure perché siamo sorelleetra noi possiamo fare senza troppi rispettiparlerò come tuvuoi. Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovarecontinuamente il mondoma tu fino da principio ti gittasti allepersone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbedei capellidegli abitidelle masseriziedei palazzi e di cosetali. Ben è vero che io non sono però mancata e nonmanco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoicomeverbigrazia sforacchiare quando orecchiquando labbra e nasiestracciarli colle bazzecole che io v'appicco per li fori;abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io foche essi v'improntino per bellezza; sformare le teste dei bambini confasciature e altri ingegnimettendo per costume che tutti gli uominidel paese abbiano a portare il capo di una figuracome ho fatto inAmerica e in Asia ; storpiare la gente colle calzature snelle;chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla stretturadei bustini; e cento altre cose di questo andare. Anzi generalmenteparlandoio persuado e costringo tutti gli uomini gentili asopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagie spesso dolorie strazie qualcuno a morire gloriosamenteper l'amore che miportano. Io non vo' dire nulla dei mali di capodelle infreddaturedelle flussioni di ogni sortadelle febbri quotidianeterzanequartaneche gli uomini si guadagnano per ubbidirmiconsentendo ditremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io vogliodifendersi le spalle coi panni lani e il petto con quei di telaefare di ogni cosa a mio modo ancorché sia con lorodanno.
Morte: In conclusione io ti credo che mi siisorella ese tu vuoil'ho per più certo della mortesenzache tu me ne cavi la fede del parrocchiano.' Ma stando cosìfermaio svengo; e peròse ti dà l'animo di corrermiallatofa di non vi crepareperch'io fuggo assaie correndo mipotrai dire il tuo bisogno; se noa contemplazione della parentelati promettoquando io muoiadi lasciarti tutta la mia robaerimanti col buon anno.
Moda: Se noi avessimo acorrere insieme il palionon so chi delle due si vincesse la provaperché se tu corriio vo meglio che di galoppo; e a stare inun luogose tu ne svieniio me ne struggo. Sicché ripigliamoa correree correndocome tu diciparleremo dei casinostri.
Morte: Sia con buon'ora. Dunque poichétu sei nata dal corpo di mia madresaria conveniente che tu migiovassi in qualche modo a fare le mie faccende.
Moda:Io l'ho fatto già per l'addietro più che non pensi.Primieramente io che annullo o stravolgo per lo continuo tutte lealtre usanzenon ho mai lasciato smettere in nessun luogo la praticadi moriree per questo vedi che ella dura universalmente insino aoggi dal principio del mondo.
Morte: Gran miracoloche tu non abbi fatto quello che non hai potuto!
Moda:Come non ho potuto? Tu mostri di non conoscere la potenza della moda.
Morte: Ben bene: di cotesto saremo a tempo adiscorrere quando sarà venuta l'usanza che non si muoia. Ma inquesto mezzo io vorrei che tu da buona sorellam'aiutassi a ottenereil contrario più facilmente e più presto che non hofatto finora.
Moda: Già ti ho raccontatealcune delle opere mie che ti fanno molto profitto. Ma elle sono baieper comparazione a queste che io ti vo' dire. A poco per voltama ilpiù in questi ultimi tempiio per favorirti ho mandato indisuso e in dimenticanza le fatiche e gli esercizi che giovano al benessere corporalee introdottone o recato in pregio innumerabili cheabbattono il corpo in mille modi e scorciano la vita. Oltre di questoho messo nel mondo tali ordini e tali costumiche la vita stessacosì per rispetto del corpo come dell'animoe piùmorta che viva; tanto che questo secolo si può dire con veritàche sia proprio il secolo della morte. E quando che anticamente tunon avevi altri poderi che fosse e cavernedove tu seminavi ossami epolverumi al buioche sono semenze che non fruttano; adesso haiterreni al sole; e genti che si muovono e che vanno attorno co' loropiedisono robasi può diredi tua ragione liberaancorchétu non le abbi mietuteanzi subito che elle nascono. Di piùdove per l'addietro solevi essere odiata e vituperataoggi per operamia le cose sono ridotte in termine che chiunque ha intelletto tipregia e lodaanteponendoti alla vitae ti vuol tanto bene chesempre ti chiama e ti volge gli occhi come alla sua maggioresperanza. Finalmente perch'io vedeva che molti si erano vantati divolersi fare immortalicioè non morire interiperchéuna buona parte di sé non ti sarebbe capitata sotto le maniio quantunque sapessi che queste erano ciancee che quando costoro oaltri vivessero nella memoria degli uominivivevanocome diredaburlae non godevano della loro fama più che si patisserodell'umidità della sepoltura; a ogni modo intendendo chequesto negozio degl'immortali ti scottavaperché parea che tiscemasse l'onore e la riputazioneho levata via quest'usanza dicercare l'immortalitàed anche di concederla in caso che purealcuno la meritasse. Di modo che al presentechiunque si muoiastasicura che non ne resta un briciolo che non sia mortoe che gliconviene andare subito sotterra tutto quantocome un pesciolino chesia trangugiato in un boccone con tutta la testa e le lische. Questecoseche non sono poche né piccoleio mi trovo aver fattefinora per amor tuovolendo accrescere il tuo stato nella terracom'è seguito. E per quest'effetto sono disposta a far ognigiorno altrettanto e più; colla quale intenzione ti sonoandata cercando; e mi pare a proposito che noi per l'avanti non cipartiamo dal fianco l'una dell'altraperché stando sempre incompagniapotremo consultare insieme secondo i casie prenderemigliori partiti che altrimenticome anche mandarli meglio adesecuzione.
Morte: Tu dici il veroe cosìvoglio che facciamo.



PROPOSTADI PREMI FATTA DALL'ACCADEMIA DEI SILLOGRAFI

    L'Accademiadei Sillografi attendendo di continuosecondo il suo principaleinstitutoa procurare con ogni suo sforzo l'utilità comuneestimando niuna cosa essere più conforme a questo proposito cheaiutare e promuovere gli andamenti e le inclinazioni

Delfortunato secolo in cui siamo

comedice un poeta illustre; ha tolto a considerare diligentemente lequalità e l'indole del nostro tempoe dopo lungo e maturoesame si è risoluta di poterlo chiamare l'età dellemacchinenon solo perché gli uomini di oggidìprocedono e vivono forse più meccanicamente di tutti ipassatima eziandio per rispetto al grandissimo numero dellemacchine inventate di fresco ed accomodate o che si vanno tuttogiorno trovando ed accomodando a tanti e così vari eserciziche oramai non gli uomini ma le macchinesi può diretrattano le cose umane e fanno le opere della vita. Del che la dettaAccademia prende sommo piacerenon tanto per le comoditàmanifeste che ne risultanoquanto per due considerazioni che ellagiudica essere importantissimequantunque comunemente non avvertite.L'una si è che ella confida dovere in successo di tempo gliuffici e gli usi delle macchine venire a comprendere oltre le cosematerialianche le spirituali; onde nella guisa che per virtùdi esse macchine siamo già liberi e sicuri dalle offese deifulmini e delle grandinie da molti simili mali e spaventicosìdi mano in mano si abbiano a ritrovareper modo di esempio (efacciasi grazia alla novità dei nomi)qualche parainvidiaqualche paracalunnie o paraperfidia o parafrodiqualche filo disalute o altro ingegno che ci scampi dall'egoismodal predominiodella mediocritàdalla prospera fortuna degl'insensatide'ribaldi e de' vilidall'universale noncuranza e dalla miseria de'saggide' costumati e de' magnanimie dagli altri sì fattiincomodii quali da parecchi secoli in qua sono meno possibili adistornare che già non furono gli effetti dei fulmini e dellegrandini. L'altra cagione e la principale si è che disperandola miglior parte dei filosofi di potersi mai curare i difetti delgenere umanoi qualicome si credesono assai maggiori e in piùnumero che le virtù; e tenendosi per certo che sia piuttostopossibile di rifarlo del tutto in una nuova stampao di sostituirein suo luogo un altroche di emendarlo; perciò l'Accademiadei Sillografi reputa essere espedientissimo che gli uomini sirimuovano dai negozi della vita il più che si possae che apoco a poco dieno luogosottentrando le macchine in loro scambio. Edeliberata di concorrere con ogni suo potere al progresso di questonuovo ordine delle cosepropone per ora tre premi a quelli chetroveranno le tre macchine infrascritte.


    L'intentodella prima sarà di fare le parti e la persona di un amicoilquale non biasimi e non motteggi l'amico assente; non lasci disostenerlo quando l'oda riprendere o porre in giuoco; non antepongala fama di acuto e di mordacee l'ottenere il riso degli uominialdebito dell'amicizia; non divulghio per altro effetto o per avermateria da favellare o da ostentarsiil segreto commessogli; non siprevalga della familiarità e della confidenza dell'amico asoppiantarlo e soprammontarlo più facilmente; non portiinvidia ai vantaggi di quello; abbia cura del suo bene e di ovviare odi riparare a' suoi dannie sia pronto alle sue domande e a' suoibisognialtrimenti che in parole. Circa le altre cose nel comporrequesto automato si avrà l'occhio ai trattati di Cicerone edella Marchesa di Lambert sopra l'amicizia. L'Accademia pensa chel'invenzione di questa così fatta macchina non debba esseregiudicata né impossibilené anche oltre mododifficileatteso chelasciando da parte gli automati delRegiomontanodel Vaucanson e di altrie quello che in Londradisegnava figure e ritrattie scriveva quanto gli era dettato dachiunque si fosse; più d'una macchina si e veduta che giocavaagli scacchi per sé medesima. Ora a giudizio di molti savilavita umana è un giuocoed alcuni affermano che ella ècosa ancora più lievee che tra le altrela forma del giuocodegli scacchi è più secondo ragionee i casi piùprudentemente ordinati che non sono quelli di essa vita. La qualeoltre a ciòper detto di Pindaronon essendo cosa di piùsostanza che un sogno di un'ombraben debbe esserne capace la vegliadi un automato. Quanto alla favellapare che non si possa volgere indubbio che gli uomini abbiano facoltà di comunicarla allemacchine che essi formanoconoscendosi questa cosa da vari esempiein particolare da ciò che si legge della statua di Mennone edella testa fabbricata da Alberto magnola quale era sìloquaceche perciò san Tommaso di Aquinovenutagli in odiola ruppe. E se il pappagallo di Neverscon tutto che fosse unabestiolinasapeva rispondere e favellare a propositoquantomaggiormente è da credere che possa fare questi medesimieffetti una macchina immaginata dalla mente dell'uomo e construttadalle sue mani; la quale già non debbe essere cosìlinguacciuta come il pappagallo di Nevers ed altri simili che siveggono e odono tutto giornoné come la testa fatta daAlberto Magnonon le convenendo infastidire l'amico e muoverlo afracassarla. L'inventore di questa macchina riporterà inpremio una medaglia d'oro di quattrocento zecchini di pesola qualeda una banda rappresenterà le immagini di Pilade e di Orestedall'altra il nome del premiato col titolo: PRIMO VERIFICATORE DELLEFAVOLE ANTICHE.


    Laseconda macchina vuol essere un uomo artificiale a vaporeatto eordinato a fare opere virtuose e magnanime. L'Accademia reputa che ivaporipoiché altro mezzo non pare che vi si trovidebbanoessere di profitto a infervorare un semovente e indirizzarlo agliesercizi della virtù e della gloria. Quegli che intraprenderàdi fare questa macchinavegga i poemi e i romanzisecondo i qualisi dovrà governare circa le qualità e le operazioni chesi richieggono a questo automato. Il premio sarà una medagliad'oro di quattrocento cinquanta zecchini di pesostampatavi in sulritto qualche immaginazione significativa della età d'oro e insul rovescio il nome dell'inventore della macchina con questo titoloricavato dalla quarta egloga di VirgilioQVO FERREA PRIMVM DESINETAC TOTO SVRGET GENS AVREA MVNDO.


    Laterza macchina debbe essere disposta a fare gli uffici di una donnaconforme a quella immaginataparte dal conte Baldassar Castiglioneil quale descrisse il suo concetto nel libro del Cortegianoparte daaltrii quali ne ragionarono in vari scritti che si troveranno senzafaticae si avranno a consultare e seguirecome eziandio quello delConte. Né anche l'invenzione di questa macchina dovràparere impossibile agli uomini dei nostri tempiquando pensino chePigmalione in tempi antichissimi ed alieni dalle scienze si potéfabbricare la sposa colle proprie manila quale si tiene che fossela miglior donna che sia stata insino al presente. Assegnasiall'autore di questa macchina una medaglia d'oro in peso dicinquecento zecchiniin sulla quale sarà figurata da unafaccia l'araba fenice del Metastasio posata sopra una pianta dispecie europeadall'altra parte sarà scritto il nome delpremiato col titolo: INVENTORE DELLE DONNE FEDELI E DELLA FELICITÀCONIUGALE.
    L'Accademiaha decretato che alle spese che occorreranno per questi premisuppliscasi con quanto fu ritrovato nella sacchetta di Diogenestatosegretario di essa Accademiao con uno dei tre asini d'oro chefurono di tre Accademici sillograficioè a dire di Apuleiodel Firenzuola e del Macchiavelli; tutte le quali robe pervennero aiSillografi per testamento dei suddetticome si legge nella storiadell'Accademia.



DIALOGODI UN FOLLETTO E DI UNO GNOMO

Folletto:Oh sei tu quafigliuolo di Sabazio? Dove si va?
Gnomo:Mio padre m'ha spedito a raccapezzare che diamine si vadanomacchinando questi furfanti degli uomini; perché ne sta congran sospettoa causa che da un pezzo in qua non ci danno brigaein tutto il suo regno non se ne vede uno. Dubita che non gliapparecchino qualche gran cosa controse però non fossetornato in uso il vendere e comperare a pecorenon a oro e argento;o se i popoli civili non si contentassero di polizzine per monetacome hanno fatto più volteo di paternostri di vetrocomefanno i barbari; o se pure non fossero state ravvalorate le leggi diLicurgoche gli pare il meno credibile.
Folletto:Voi gli aspettate invan: son tutti mortidiceva la chiusa diuna tragedia dove morivano tutti i personaggi.
Gnomo:Che vuoi tu inferire?
Folletto: Voglio inferire chegli uomini sono tutti mortie la razza è perduta.
Gnomo:Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s'èveduto che ne ragionino.
Folletto: Scioccononpensi chemorti gli uomininon si stampano piùgazzette?
Gnomo: Tu dici il vero. Or come faremo asapere le nuove del mondo?
Folletto: Che nuove? cheil sole si è levato o coricatoche fa caldo o freddoche quao là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perchémancati gli uominila fortuna si ha cavato via la bendae messosigli occhiali e appiccato la ruota a un arpionese ne sta collebraccia in croce a sedereguardando le cose del mondo senza piùmettervi le mani; non si trova più regni né imperi chevadano gonfiando e scoppiando come le bolleperché sono tuttisfumati; non si fanno guerree tutti gli anni si assomigliano l'unoall'altro come uovo a uovo.
Gnomo: Né anchesi potrà sapere a quanti siamo del meseperché non sistamperanno più lunari.
Folletto: Non saràgran maleche la luna per questo non fallirà la strada.
Gnomo: E i giorni della settimana non avranno piùnome.
Folletto: Chehai paura che se tu non lichiami per nomeche non vengano? o forse ti pensipoichésono passatidi farli tornare indietro se tu li chiami?
Gnomo:E non si potrà tenere il conto degli anni.
Folletto:Così ci spacceremo per giovani anche dopo il tempo; e nonmisurando l'età passatace ne daremo meno affannoe quandosaremo vecchissimi non istaremo aspettando la morte di giorno ingiorno.
Gnomo: Ma come sono andati a mancare queimonelli?
Folletto: Parte guerreggiando tra loroparte navigandoparte mangiandosi l'un l'altroparte ammazzandosinon pochi di propria manoparte infracidando nell'oziopartestillandosi il cervello sui libriparte gozzovigliandoedisordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di farcontro la propria natura e di capitar male.
Gnomo: Aogni modoio non mi so dare ad intendere che tutta una specie dianimali si possa perdere di piantacome tu dici.
Folletto:Tu che sei maestro in geologiadovresti sapere che il caso non ènuovoe che varie qualità di bestie si trovarono anticamenteche oggi non si trovanosalvo pochi ossami impietriti. E certo chequelle povere creature non adoperarono niuno di tanti artifizi checome io ti dicevahanno usato gli uomini per andare in perdizione.
Gnomo: Sia come tu dici. Ben avrei caro che uno odue di quella ciurmaglia risuscitasseroe sapere quello chepenserebbero vedendo che le altre cosebenché sia dileguatoil genere umanoancora durano e procedono come primadove essicredevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per lorosoli.
Folletto: E non volevano intendere che egli èfatto e mantenuto per li folletti.
Gnomo: Tufolleggi veramentese parli sul sodo.
Folletto:Perché? io parlo bene sul sodo.
Gnomo: Ehbuffoncellova via. Chi non sa che il mondo e fatto per gli gnomi?
Folletto: Per gli gnomiche stanno sempresotterra? Oh questa e la più bella che si possa udire. Chefanno agli gnomi il solela lunal'ariail marele campagne?
Gnomo: Che fanno ai folletti le cave d'oro ed'argentoe tutto il corpo della terra fuor che la prima pelle?
Folletto: Ben beneo che facciano o che nonfaccianolasciamo stare questa contesache io tengo per fermo cheanche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo siafatto a posta per uso della loro specie. E però ciascuno sirimanga col suo parereche niuno glielo caverebbe di capo: e perparte mia ti dico solamente questoche se non fossi nato follettoio mi dispererei.
Gnomo: Lo stesso accadrebbe a mese non fossi nato gnomo. Ora io saprei volentieri quel che direbberogli uomini della loro presunzioneper la qualetra l'altre cose chefacevano a questo e a quellos'inabissavano le mille bracciasotterra e ci rapivano per forza la roba nostradicendo che ella siapparteneva al genere umanoe che la natura gliel'aveva nascosta esepolta laggiù per modo di burlavolendo provare se latroverebbero e la potrebbero cavar fuori.
Folletto:Che maraviglia? quando non solamente si persuadevano che le cose delmondo non avessero altro uffizio che di stare al servigio loromafacevano conto che tutte insiemeallato al genere umanofossero unabagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavanorivoluzioni del mondoe le storie delle loro gentistorie delmondo: benché si potevano numerareanche dentro ai terminidella terraforse tante altre specienon dico di creaturemasolamente di animaliquanti capi d'uomini vivi: i quali animalicheerano fatti espressamente per coloro usonon si accorgevano peròmai che il mondo si rivoltasse.
Gnomo: Anche lezanzare e le pulci erano fatte per benefizio degli uomini?
Folletto:Sì erano; cioè per esercitarli nella pazienzacomeessi dicevano.
Gnomo: In verità che mancavaloro occasione di esercitar la pazienzase non erano lepulci.
Folletto: Ma i porcisecondo Crisippoerano pezzi di carne apparecchiati dalla natura a posta per le cucinee le dispense degli uominieacciocché non imputridisseroconditi colle anime in vece di sale.
Gnomo: Iocredo in contrario che se Crisippo avesse avuto nel cervello un pocodi sale in vece dell'animanon avrebbe immaginato uno spropositosimile.
Folletto: E anche quest'altra èpiacevole; che infinite specie di animali non sono state mai viste néconosciute dagli uomini loro padroni; o perché elle vivono inluoghi dove coloro non misero mai piedeo per essere tanto minuteche essi in qualsivoglia modo non le arrivavano a scoprire. E dimoltissime altre specie non se ne accorsero prima degli ultimi tempi.Il simile si può dire circa al genere delle piantee a millealtri. Parimente di tratto in trattoper via de' loro cannocchialisi avvedevano di qualche stella o pianetache insino allorapermigliaia e migliaia d'anninon avevano mai saputo che fosse almondo; e subito lo scrivevano tra le loro masserizie: perchés'immaginavano che le stelle e i pianeti fosserocome diremoccolida lanterna piantati lassù nell'alto a uso di far lume allesignorie loroche la notte avevano gran faccende.
Gnomo:Sicché in tempo di statequando vedevano cadere di quellefiammoline che certe notti vengono giù per l'ariaavrannodetto che qualche spirito andava smoccolando le stelle per serviziodegli uomini.
Folletto: Ma ora che ei sono tuttisparitila terra non sente che le manchi nullae i fiumi non sonostanchi di correree il mareancorché non abbia piùda servire alla navigazione e al trafficonon si vede che sirasciughi.
Gnomo: E le stelle e i pianeti nonmancano di nascere e di tramontaree non hanno preso le gramaglie.
Folletto: E il sole non s'ha intonacato il viso diruggine; come fecesecondo Virgilioper la morte di Cesare: dellaquale io credo ch'ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliòla statua di Pompeo.



DIALOGODI MALAMBRUNO E DI FARFARELLO

Malambruno:Spiriti d'abissoFarfarelloCiriattoBaconeroAstarotteAlichinoe comunque siete chiamati; io vi scongiuro nel nome diBelzebùe vi comando per la virtù dell'arte miachepuò sgangherare la lunae inchiodare il sole a mezzo ilcielo: venga uno di voi con libero comando del vostro principe epiena potestà di usare tutte le forze dell'inferno in mioservigio.
Farfarello: Eccomi.
Malambruno:Chi sei?
Farfarello: Farfarelloa' tuoicomandi.
Malambruno: Rechi il mandato di Belzebù?
Farfarello: Sì recolo; e posso fare in tuoservigio tutto quello che potrebbe il Re proprioe più chenon potrebbero tutte l'altre creature insieme.
Malambruno:Sta bene. Tu m'hai da contentare d'un desiderio.
Farfarello:Sarai servito. Che vuoi? nobiltà maggiore di quella degliAtridi?
Malambruno: No.
Farfarello:Più ricchezze di quelle che si troveranno nella cittàdi Manoa quando sarà scoperta?
Malambruno:No.
Farfarello: Un impero grande come quello chedicono che Carlo quinto si sognasse una notte?
Malambruno:No.
Farfarello: Recare alle tue voglie una donnapiù salvatica di Penelope?
Malambruno: No. Tipar egli che a cotesto ci bisognasse il diavolo?
Farfarello:Onori e buona fortuna così ribaldo come sei?
Malambruno:Piuttosto mi bisognerebbe il diavolo se volessi ilcontrario.
Farfarello: In fineche micomandi?
Malambruno: Fammi felice per un momento ditempo.
Farfarello: Non posso.
Malambruno:Come non puoi?
Farfarello: Ti giuro in coscienzache non posso.
Malambruno: In coscienza di demonioda bene.
Farfarello: Sì certo. Fa conto chevi sia de' diavoli da bene come v'è degli uomini.
Malambruno:Ma tu fa conto che io t'appicco qui per la coda a una di questetravise tu non mi ubbidisci subito senza piùparole.
Farfarello: Tu mi puoi meglio ammazzarechenon io contentarti di quello che tu domandi.
Malambruno:Dunque ritorna tu col mal annoe venga Belzebù inpersona.
Farfarello: Se anco viene Belzebùcon tutta la Giudecca e tutte le Bolgenon potrà farti felicené te né altri della tua speciepiù che abbiapotuto io.
Malambruno: Né anche per unmomento solo?
Farfarello: Tanto è possibileper un momentoanzi per la metà di un momentoe per lamillesima parte; quanto per tutta la vita.
Malambruno:Ma non potendo farmi felice in nessuna manierati basta l'animoalmeno di liberarmi dall'infelicità?
Farfarello:Se tu puoi fare di non amarti supremamente.
Malambruno:Cotesto lo potrò dopo morto.
Farfarello: Main vita non lo può nessun animale: perché la vostranatura vi comporterebbe prima qualunque altra cosache questa.
Malambruno: Così è.
Farfarello:Dunqueamandoti necessariamente del maggiore amore che tu seicapacenecessariamente desideri il più che puoi la felicitàpropria; e non potendo mai di gran lunga essere soddisfatto di questotuo desiderioche è sommoresta che tu non possi fuggire pernessun verso di non essere infelice.
Malambruno: Néanco nei tempi che io proverò qualche diletto; perchénessun diletto mi farà né felice né pago.
Farfarello: Nessuno veramente.
Malambruno:E perònon uguagliando il desiderio naturale della felicitàche mi sta fisso nell'animonon sarà vero diletto; e in queltempo medesimo che esso è per durareio non lascerò diessere infelice.
Farfarello: Non lascerai: perchénegli uomini e negli altri viventi la privazione della felicitàquantunque senza dolore e senza sciagura alcunae anche nel tempo diquelli che voi chiamate piaceriimporta infelicità espressa.
Malambruno: Tanto che dalla nascita insino allamortel'infelicità nostra non può cessare per ispazionon che altrodi un solo istante.
Farfarello: Sì:cessasempre che dormite senza sognareo che vi coglie unosfinimento o altro che v'interrompa l'uso dei sensi.
Malambruno:Ma non mai però mentre sentiamo la nostra propriavita.
Farfarello: Non mai.
Malambruno:Di modo cheassolutamente parlandoil non vivere è sempremeglio del vivere.
Farfarello: Se la privazionedell'infelicità è semplicemente megliodell'infelicità.
Malambruno:Dunque?
Farfarello: Dunque se ti pare di darmil'anima prima del tempoio sono qui pronto per portarmela.



DIALOGODELLA NATURA E DI UN'ANIMA

Natura:Vafigliuola mia predilettache tale sarai tenuta e chiamata perlungo ordine di secoli. Vivie sii grande e infelice.
Anima:Che male ho io commesso prima di vivereche tu mi condanni a cotestapena?
Natura: Che penafigliuola mia?
Anima:Non mi prescrivi tu di essere infelice?
Natura: Main quanto che io voglio che tu sii grandee non si può questosenza quello. Oltre che tu sei destinata a vivificare un corpo umano;e tutti gli uomini per necessità nascono e vivonoinfelici.
Anima: Ma in contrario saria di ragioneche tu provvedessi in modoche eglino fossero felici per necessità;o non potendo far questoti si converrebbe astenere da porli almondo.
Natura: Né l'una né l'altracosa è in potestà miache sono sottoposta al fato; ilquale ordina altrimentiqualunque se ne sia la cagione; che nétu né io non la possiamo intendere. Oracome tu sei statacreata e disposta a informare una persona umanagiàqualsivoglia forzané mia né d'altrinon e potente ascamparti dall'infelicità comune degli uomini. Ma oltre diquestate ne bisognerà sostenere una propriae maggioreassaiper l'eccellenza della quale io t'ho fornita.
Anima:Io non ho ancora appreso nulla; cominciando a vivere in questo punto:e da ciò dee provenire ch'io non t'intendo. Ma dimmieccellenza e infelicità straordinaria sono sostanzialmente unacosa stessa? o quando sieno due cosenon le potresti tu scompagnarel'una dall'altra?
Natura: Nelle anime degli uominie proporzionatamente in quelle di tutti i generi di animalisi puòdire che l'una e l'altra cosa sieno quasi il medesimo: perchél'eccellenza delle anime importa maggiore intensione della loro vita;la qual cosa importa maggior sentimento dell'infelicitàpropria; che e come se io dicessi maggiore infelicità.Similmente la maggior vita degli animi inchiude maggiore efficacia diamor propriodovunque esso s'inclinie sotto qualunque volto simanifesti: la qual maggioranza di amor proprio importa maggiordesiderio di beatitudinee però maggiore scontento e affannodi esserne privie maggior dolore delle avversità chesopravvengono. Tutto questo è contenuto nell'ordine primigenioe perpetuo delle cose createil quale io non posso alterare. Oltredi ciòla finezza del tuo proprio intellettoe la vivacitàdell'immaginazioneti escluderanno da una grandissima parte dellasignoria di te stessa. Gli animali bruti usano agevolmente ai finiche eglino si propongonoogni loro facoltà e forza. Ma gliuomini rarissime volte fanno ogni loro potere; impeditiordinariamente dalla ragione e dall'immaginativa; le quali creanomille dubbietà nel deliberaree mille ritegni nell'eseguire.I meno atti o meno usati a ponderare e considerare seco medesimisono i più pronti al risolversie nell'operare i piùefficaci. Ma le tue pariimplicate continuamente in loro stesseecome soverchiate dalla grandezza delle proprie facoltàequindi impotenti di se medesimesoggiacciono il più del tempoall'irresoluzionecosì deliberando come operando: la quale èl'uno dei maggiori travagli che affliggano la vita umana. Aggiungiche mentre per l'eccellenza delle tue disposizioni trapasseraifacilmente e in poco tempoquasi tutte le altre della tua specienelle conoscenze più gravie nelle discipline ancodifficilissimenondimeno ti riuscirà sempre o impossibile osommamente malagevole di apprendere o di porre in pratica moltissimecose menome in séma necessarissime al conversare cogli altriuomini; le quali vedrai nello stesso tempo esercitare perfettamenteed apprendere senza fatica da mille ingegninon solo inferiori a tema spregevoli in ogni modo. Queste ed altre infinite difficoltàe miserie occupano e circondano gli animi grandi. Ma elle sonoricompensate abbondantemente dalla famadalle lodi e dagli onori chefrutta a questi egregi spiriti la loro grandezzae dalla durabilitàdella ricordanza che essi lasciano di sé ai loro posteri.
Anima: Ma coteste lodi e cotesti onori che tu dicigli avrò io dal cieloo da teo da chi altro?
Natura:Dagli uomini: perché altri che essi non li può dare.
Anima: Ora vediio mi pensava che non sapendo farequello che è necessarissimocome tu dicial commercio coglialtri uominie che riesce anche facile insino ai più poveriingegni; io fossi per essere vilipesa e fuggitanon che lodatadaimedesimi uomini; o certo fossi per vivere sconosciuta a quasi tuttilorocome inetta al consorzio umano.
Natura: A menon è dato prevedere il futuroné quindi ancheprenunziarti infallibilmente quello che gli uomini sieno per fare epensare verso di te mentre sarai sulla terra. Ben è vero chedall'esperienza del passato io ritraggo per lo più verisimile.che essi ti debbano perseguitare coll'invidia; la quale èun'altra calamità solita di farsi incontro alle anime eccelse;ovvero ti sieno per opprimere col dispregio e la noncuranza. Oltreche la stessa fortunae il caso medesimosogliono essere inimicidelle tue simili. Ma subito dopo la mortecome avvenne ad unochiamato Camoenso al più di quivi ad alcuni annicomeaccadde a un altro chiamato Miltontu sarai celebrata e levata alcielonon dirò da tuttimase non altrodal piccolo numerodegli uomini di buon giudizio. E forse le ceneri della persona nellaquale tu sarai dimoratariposeranno in sepoltura magnifica; e le suefattezzeimitate in diverse guiseandranno per le mani degliuomini; e saranno descritti da moltie da altri mandati a memoriacon grande studiogli accidenti della sua vita; e in ultimotuttoil mondo civile sarà pieno del nome suo. Eccetto se dallamalignità della fortunao dalla soprabbondanza medesima delletue facoltànon sarai stata perpetuamente impedita dimostrare agli uomini alcun proporzionato segno del tuo valore: di chenon sono mancati per verità molti esempinoti a me sola ed alfato.
Anima: Madre mianon ostante l'essere ancorapriva delle altre cognizioniio sento tuttavia che il maggioreanziil solo desiderio che tu mi hai datoè quello della felicità.E posto che io sia capace di quel della gloriacerto non altrimentiposso appetire questo non so se io mi dica bene o malese nonsolamente come felicitào come utile ad acquistarla. Orasecondo le tue parolel'eccellenza della quale tu m'hai dotatabenpotrà essere o di bisogno o di profitto al conseguimento dellagloria; ma non però mena alla beatitudineanzi tiraviolentemente all'infelicità. Né pure alla stessagloria è credibile che mi conduca innanzi alla morte:sopraggiunta la qualeche utile o che diletto mi potràpervenire dai maggiori beni del mondo? E per ultimopuòfacilmente accaderecome tu diciche questa sì ritrosagloriaprezzo di tanta infelicitànon mi venga ottenuta inmaniera alcunaeziandio dopo la morte. Di modo che dalle tue stesseparole io conchiudo che tuin luogo di amarmi singolarmentecomeaffermavi a principiomi abbi piuttosto in ira e malevolenzamaggiore che non mi avranno gli uomini e la fortuna mentre sarònel mondo; poiché non hai dubitato di farmi cosìcalamitoso dono come è cotesta eccellenza che tu mi vanti. Laquale Sarà l'uno dei principali ostacoli che mi vieteranno digiungere al mio solo intentocioè alla beatitudine.
Natura:Figliuola mia; tutte le anime degli uominicome io ti dicevasonoassegnate in preda all'infelicitàsenza mia colpa. Manell'universale miseria della condizione umanae nell'infinitavanità di ogni suo diletto e vantaggiola gloria ègiudicata dalla miglior parte degli uomini il maggior bene che siaconcesso ai mortalie il più degno oggetto che questi possanoproporre alle cure e alle azioni loro. Ondenon per odioma pervera e speciale benevolenza che ti avea postaio deliberai diprestarti al conseguimento di questo fine tutti i sussidi che eranoin mio potere.
Anima: Dimmi: degli animali brutiche tu menzionavie per avventura alcuno fornito di minore vitalitàe sentimento che gli uomini?
Natura: Cominciando daquelli che tengono della piantatutti sono in cotestogli uni piùgli altri menoinferiori all'uomo; il quale ha maggior copia divitae maggior sentimentoche niun altro animale; per essere ditutti i viventi il più perfetto.
Anima:Dunque alluogamise tu m'aminel più imperfetto: o se questonon puoispogliata delle funeste doti che mi nobilitanofammiconforme al più stupido e insensato spirito umano che tuproducessi in alcun tempo.
Natura: Di cotestaultima cosa io ti posso compiacere; e sono per farlo; poichétu rifiuti l'immortalitàverso la quale io t'avevaindirizzata.
Anima: E in cambio dell'immortalitàpregoti di accelerarmi la morte il più che si possa.
Natura:Di cotesto conferirò col destino.



DIALOGODELLA TERRA E DELLA LUNA

Terra:Cara Lunaio so che tu puoi parlare e rispondere; per essere unapersona; secondo che ho inteso molte volte da' poeti: oltre che inostri fanciulli dicono che tu veramente hai boccanaso e occhicome ognuno di loro; e che lo veggono essi cogli occhi propri; che inquell'età ragionevolmente debbono essere acutissimi. Quanto amenon dubito che tu non sappi che io sono né più némeno una persona; tanto chequando era più giovanefecimolti figliuoli: sicché non ti maraviglierai di sentirmiparlare. DunqueLuna mia bellacon tutto che io ti sono statavicina per tanti secoliche non mi ricordo il numeroio non ti hofatto mai parola insino adessoperché le faccende mi hannotenuta occupata in modoche non mi avanzava tempo da chiacchierare.Ma oggi che i miei negozi sono ridotti a poca cosaanzi posso direche vanno co' loro piedi; io non so che mi faree scoppio di noia:però fo contoin avveniredi favellarti spessoe darmimolto pensiero dei fatti tuoi; quando non abbia a essere con tuamolestia.
Luna: Non dubitare di cotesto. Cosìla fortuna mi salvi da ogni altro incomodocome io sono sicura chetu non me ne darai. Se ti pare di favellarmifavellami a tuopiacere; che quantunque amica del silenziocome credo che tu sappiio t'ascolterò e ti risponderò volentieriper fartiservigio.
Terra: Senti tu questo suonopiacevolissimo che fanno i corpi celesti coi loro moti?
Luna:A dirti il veroio non sento nulla.
Terra: Népur io sento nullafuorché lo strepito del vento che va da'miei poli all'equatoree dall'equatore ai polie non mostra saperniente di musica. Ma Pitagora dice che le sfere celesti fanno uncerto suono così dolce ch'è una maraviglia; e che anchetu vi hai la tua partee sei l'ottava corda di questa lirauniversale: ma che io sono assordata dal suono stessoe perònon l'odo.
Luna: Anch'io senza fallo sonoassordata; ecome ho dettonon l'odo: e non so di essere unacorda.
Terra: Dunque mutiamo proposito. Dimmi: seitu popolata veramentecome affermano e giurano mille filosofiantichi e modernida Orfeo sino al De la Lande? Ma io per quanto misforzi di allungare queste mie cornache gli uomini chiamano monti epicchi; colla punta delle quali ti vengo mirandoa uso di lumacone;non arrivo a scoprire in te nessun abitante: se bene odo che un cotalDavide Fabricioche vedeva meglio di Linceone scoperse una voltacertiche spandevano un bucato al sole.
Luna: Delletue corna io non so che dire. Fatto sta che io sono abitata.
Terra:Di che colore sono cotesti uomini?
Luna: Che uomini?
Terra: Quelli che tu contieni. Non dici tu d'essereabitata?
Luna: Sìe per questo?
Terra:E per questo non saranno già tutte bestie gli abitatori tuoi.
Luna: Né bestie né uomini; che io nonso che razze di creature si sieno né gli uni nél'altre. E già di parecchie cose che tu mi sei venutaaccennandoin propositoa quel che io stimodegli uominiio nonho compreso un'acca.
Terra: Ma che sorte di popolisono coteste?
Luna: Moltissime e diversissimechetu non conoscicome io non conosco le tue.
Terra:Cotesto mi riesce strano in modoche se io non l'udissi da temedesimaio non lo crederei per nessuna cosa del mondo. Fosti tu maiconquistata da niuno de' tuoi?
Luna: Noche iosappia. E come? e perché?
Terra: Perambizioneper cupidigia dell'altruicolle arti politichecollearmi.
Luna: Io non so che voglia dire armiambizioneartipolitichein somma niente di quel che tu dici.
Terra:Ma certose tu non conosci le armiconosci pure la guerra: perchépoco dianziun fisico di quaggiùcon certi cannocchialichesono instrumenti fatti per vedere molto lontanoha scoperto costìuna bella fortezzaco' suoi bastioni diritti; che è segno chele tue genti usanose non altrogli assedi e le battaglie murali.
Luna: Perdonamonna Terrase io ti rispondo unpoco più liberamente che forse non converrebbe a una tuasuddita o fantescacome io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggioche vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte delmondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avutoaltra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto. Io dicodi essere abitatae tu da questo conchiudi che gli abitatori mieidebbono essere uomini. Ti avverto che non sono; e tu consentendo chesieno altre creaturenon dubiti che non abbiano le stesse qualitàe gli stessi casi de' tuoi popoli; e mi alleghi i cannocchiali di nonso che fisico. Ma se cotesti cannocchiali non veggono meglio in altrecoseio crederò che abbiano la buona vista de' tuoifanciulli; che scuoprono in me gli occhila boccail nasoche ionon so dove me gli abbia.
Terra: Dunque non saràné anche vero che le tue province sono fornite di stradelarghe e nette; e che tu sei coltivata; cose che dalla parte dellaGermaniapigliando un cannocchialesi veggono chiaramente .
Luna:Se io sono coltivataio non me ne accorgoe le mie strade io non leveggo
Terra: Cara Lunatu hai a sapere che io sonodi grossa pasta e di cervello tondo; e non è maraviglia chegli uomini m'ingannino facilmente. Ma io ti so dire che se i tuoi nonsi curano di conquistartitu non fosti però sempre senzapericolo: perché in diversi tempimolte persone di quaggiùsi posero in animo di conquistarti esse; e a quest'effetto feceromolte preparazioni. Se non chesalite in luoghi altissimielevandosi sulle punte de' piedie stendendo le braccianon tipoterono arrivare. Oltre a questogià da non pochi anniioveggo spiare minutamente ogni tuo sitoricavare le carte de' tuoipaesimisurare le altezze di cotesti montide' quali sappiamo anchei nomi. Queste coseper la buona volontà ch'io ti portomi èparuto bene di avvisarteleacciò che tu non manchi diprovvederti per ogni caso. Oravenendo ad altrocome sei molestatada' cani che ti abbaiano contro? Che pensi di quelli che ti mostranoaltrui nel pozzo? Sei tu femmina o maschio? perché anticamentene fu varia opinione . È vero o no che gli Arcadi vennero almondo prima di te? che le tue donneo altrimenti che io le debbachiamaresono ovipare; e che uno delle loro uova cadde quaggiùnon so quando? che tu sei traforata a guisa dei paternostricomecrede un fisico moderno? che sei fattacome affermano alcuniInglesidi cacio fresco? che Maometto un giornoo una notte chefosseti spartì per mezzocome un cocomero; e che un buontocco del tuo corpo gli sdrucciolò dentro alla manica? Comestai volentieri in cima dei minareti? Che ti pare della festa delbairam?
Luna: Va pure avanti; che mentre seguiticosìnon ho cagione di rispondertie di mancare al silenziomio solito. Se hai caro d'intrattenerti in ciancee non trovi altrematerie che queste; in cambio di voltarti a meche non ti possointenderesarà meglio che ti facci fabbricare dagli uomini unaltro pianeta da girartisi intornoche sia composto e abitato allatua maniera. Tu non sai parlare altro che d'uomini e di cani e dicose similidelle quali ho tanta notiziaquanta di quel sole grandegrandeintorno al quale odo che giri il nostro sole.
Terra:Veramentepiù che io propongonel favellartidi astenermida toccare le cose propriemeno mi vien fatto. Ma da ora innanzi ciavrò più cura. Dimmi: sei tu che ti pigli spasso atirarmi l'acqua del mare in altoe poi lasciarla cadere?
Luna:Può essere. Ma posto che io ti faccia cotesto o qualunquealtro effettoio non mi avveggo di fartelo: come tu similmenteperquello che io pensonon ti accorgi di molti effetti che fai qui; chedebbono essere tanto maggiori de' mieiquanto tu mi vinci digrandezza e di forza.
Terra: Di cotesti effettiveramente io non so altro se non che di tanto in tanto io levo a tela luce del solee a me la tua; come ancorache io ti fo gran lumenelle tue nottiche in parte lo veggo alcune volte . Ma io midimenticava una cosa che importa più d'ogni altra. Io vorreisapere se veramentesecondo che scrive l'Ariostotutto quello checiascun uomo va perdendo; come a dire la gioventùlabellezzala sanitàle fatiche e spese che si mettono neibuoni studi per essere onorati dagli altrinell'indirizzare ifanciulli ai buoni costuminel fare o promuovere le instituzioniutili; tutto sale e si raguna costà: di modo che vi si trovanotutte le cose umane; fuori della pazziache non si parte dagliuomini. In caso che questo sia veroio fo conto che tu debba esserecosì pienache non ti avanzi più luogo; specialmentechenegli ultimi tempigli uomini hanno perduto moltissime cose(verbigrazia l'amor patriola virtùla magnanimitàla rettitudine)non già solo in partee l'uno o l'altro dilorocome per l'addietroma tutti e interamente. E certo che seelle non sono costìnon credo si possano trovare in altroluogo. Però vorrei che noi facessimo insieme una convenzioneper la quale tu mi rendessi di presentee poi di mano in manotuttequeste cose; donde io penso che tu medesima abbi caro di esseresgomberatamassime del sennoil quale intendo che occupa costìun grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti glianni una buona somma di danari.
Luna: Tu ritorniagli uomini; econ tutto che la pazziacome afferminon si partada' tuoi confinivuoi farmi impazzire a ogni modoe levare ilgiudizio a mecercando quello di coloro; il quale io non so dove sisiané se vada o resti in nessuna parte del mondo; so beneche qui non si trova; come non ci si trovano le altre cose che tuchiedi.
Terra: Almeno mi saprai tu dire se costìsono in uso i vizii misfattigl'infortunii dolorilavecchiezzain conclusione i mali? intendi tu questi nomi?
Luna:Oh cotesti sì che gl'intendo; e non solo i nomima le cosesignificatele conosco a maraviglia: perché ne sono tuttapienain vece di quelle altre che tu credevi.
Terra:Quali prevalgono ne' tuoi popolii pregi o i difetti?
Luna:I difetti di gran lunga.
Terra: Di quali hai maggiorcopiadi beni o di mali?
Luna: Di mali senzacomparazione.
Terra: E generalmente gli abitatorituoi sono felici o infelici?
Luna: Tanto infeliciche io non mi scambierei col più fortunato di loro.
Terra:Il medesimo è qui. Di modo che io mi maraviglio come essendomisì diversa nelle altre cosein questa mi sei conforme.
Luna:Anche nella figurae nell'aggirarmie nell'essere illustrata dalsole io ti sono conforme; e non è maggior maraviglia quellache questa: perché il male è cosa comune a tutti ipianeti dell'universoo almeno di questo mondo solarecome larotondità e le altre condizioni che ho dettoné piùné meno. E se tu potessi levare tanto alto la voceche fossiudita da Urano o da Saturnoo da qualunque altro pianeta del nostromondo; e gl'interrogassi se in loro abbia luogo l'infelicitàe se i beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbecome ho fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime coseVenere e Mercurioai quali pianeti di quando in quando io mi trovopiù vicina di te; come anche ne ho chiesto ad alcune cometeche mi sono passate dappresso: e tutti mi hanno risposto come hodetto. E penso che il sole medesimoe ciascuna stellarisponderebbero altrettanto.
Terra: Con tuttocotesto io spero bene: e oggi massimamentegli uomini mi promettonoper l'avvenire molte felicità.
Luna: Spera atuo senno: e io ti prometto che potrai sperare in eterno.
Terra:Sai che è? questi uomini e queste bestie si mettono a romore:perché dalla parte della quale io ti favelloè nottecome tu vedio piuttosto non vedi; sicché tutti dormivano; eallo strepito che noi facciamo parlandosi destano con granpaura.
Luna: Ma qui da questa partecome tu vediègiorno.
Terra: Ora io non voglio essere causa dispaventare la mia gentee di rompere loro il sonnoche è ilmaggior bene che abbiano. Però ci riparleremo in altro tempo.Addio dunque; buon giorno.
Luna: Addio; buona notte.

LASCOMMESSA DI PROMETEO

    L'annoottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Gioveilcollegio delle Muse diede fuora in istampae fece appiccare neiluoghi pubblici della città e dei borghi d'Ipernéfelodiverse cedolenelle quali invitava tutti gli Dei maggiori e minorie gli altri abitanti della detta cittàche recentemente o inantico avessero fatto qualche lodevole invenzionea proporlaoeffettualmente o in figura o per iscrittoad alcuni giudici deputatida esso collegio. E scusandosi che per la sua nota povertà nonsi poteva dimostrare così liberale come avrebbe volutoprometteva in premio a quello il cui ritrovamento fosse giudicato piùbello o più fruttuosouna corona di laurocon privilegio dipoterla portare in capo il dì e la notteprivatamente epubblicamentein città e fuori; e poter essere dipintoscolpitoincisogittatofigurato in qualunque modo e materiacolsegno di quella corona dintorno al capo.
    Concorseroa questo premio non pochi dei celesti per passatempo; cosa non menonecessaria agli abitatori d'Ipernéfeloche a quelli di altrecittà; senza alcun desiderio di quella corona; la quale in sénon valeva il pregio di una berretta di stoppa; e in quanto allagloriase gli uominida poi che sono fatti filosofiladisprezzanosi può congetturare che stima ne facciano gliDeitanto più sapienti degli uominianzi soli sapientisecondo Pitagora e Platone. Per tantocon esempio unico e finoallora inaudito in simili casi di ricompense proposte ai piùmeritevolifu aggiudicato questo premiosenza intervento disollecitazioni né di favori né di promesse occulte nédi artifizi: e tre furono gli anteposti: cioè Bacco perl'invenzione del vino; Minerva per quella dell'olionecessario alleunzioni delle quali gli Dei fanno quotidianamente uso dopo il bagno;e Vulcano per aver trovato una pentola di ramedetta economicacheserve a cuocere che che sia con piccolo fuoco e speditamente. Cosìdovendosi fare il premio in tre partirestava a ciascuno unramuscello di lauro: ma tutti e tre ricusarono così la partecome il tutto; perché Vulcano allegò che stando il piùdel tempo al fuoco della fucina con gran fatica e sudoregli sarebbeimportunissimo quell'ingombro alla fronte; oltre che lo porrebbe inpericolo di essere abbrustolato o riarsose per avventura qualchescintilla appigliandosi a quelle fronde secchevi mettesse il fuoco.Minerva disse che avendo a sostenere in sul capo un elmo bastantecome scrive Omeroa coprirsene tutti insieme gli eserciti di centocittànon le conveniva aumentarsi questo peso in alcun modo.Bacco non volle mutare la sua mitrae la sua corona di pampiniconquella di lauro: benché l'avrebbe accettata volentieri se glifosse stato lecito di metterla per insegna fuori della sua taverna;ma le Muse non consentirono di dargliela per questo effetto: di modoche ella si rimase nel loro comune erario.
    Niunodei competitori di questo premio ebbe invidia ai tre Dei chel'avevano conseguito e rifiutatoné si dolse dei giudicinébiasimò la sentenza; salvo solamente unoche fu Prometeovenuto a parte del concorso con mandarvi il modello di terra cheaveva fatto e adoperato a formare i primi uominiaggiuntavi unascrittura che dichiarava le qualità e gli uffici del genereumanostato trovato da esso. Muove non poca maraviglia ilrincrescimento dimostrato da Prometeo in caso taleche da tutti glialtrisì vinti come vincitoriera preso in giuoco: perciòinvestigandone la cagionesi è conosciuto che queglidesiderava efficacementenon già l'onorema bene ilprivilegio che gli sarebbe pervenuto colla vittoria. Alcuni pensanoche intendesse di prevalersi del lauro per difesa del capo controalle tempeste; secondo si narra di Tiberioche sempre che udivatonaresi ponea la corona; stimandosi che l'alloro non sia percossodai fulmini . Ma nella città d'Ipernéfelo non cadefulmine e non tuona. Altri più probabilmente affermano chePrometeoper difetto degli annicomincia a gittare i capelli; laquale sventura sopportandocome accade a moltidi malissima vogliae non avendo letto le lodi della calvizie scritte da Sinesioo nonessendone persuasoche e più credibilevoleva sotto ildiadema nasconderecome Cesare dittatorela nudità del capo.
    Ma per tornare alfattoun giorno tra gli altri ragionando Prometeo con Momosiquerelava aspramente che il vinol'olio e le pentole fossero statianteposti al genere umanoil quale diceva essere la migliore operadegl'immortali che apparisse nel mondo. E parendogli non persuaderlobastantemente a Momoil quale adduceva non so che ragioni incontrariogli propose di scendere tutti e due congiuntamente versola terrae posarsi a caso nel primo luogo che in ciascuna dellecinque parti di quella scoprissero abitato dagli uomini; fatta primareciprocamente questa scommessa: se in tutti cinque i luoghio neipiù di lorotroverebbero o no manifesti argomenti che l'uomosia la più perfetta creatura dell'universo Il che accettato daMomoe convenuti del prezzo della scommessaincominciarono senzaindugio a scendere verso la terra; indirizzandosi primieramente alnuovo mondo; come quello che pel nome stessoe per non avervi postopiede insino allora niuno degl'immortalistimolava maggiormente lacuriosità. Fermarono il volo nel paese di Popaiandal latosettentrionalepoco lungi dal fiume Caucain un luogo doveapparivano molti segni di abitazione umana: vestigi di cultura per lacampagna; parecchi sentieriancorché tronchi in molti luoghie nella maggior parte ingombri; alberi tagliati e distesi; eparticolarmente alcune che parevano sepolturee qualche ossad'uomini di tratto in tratto. Ma non perciò poterono i duecelestiporgendo gli orecchie distendendo la vista perogn'intornoudire una voce né scoprire un'ombra d'uomo vivo.Andaronoparte camminando parte volandoper ispazio di moltemiglia; passando monti e fiumi; e trovando da per tutto i medesimisegni e la medesima solitudine. Come sono ora deserti questi paesidiceva Momo a Prometeoche mostrano pure evidentemente di esserestati abitati? Prometeo ricordava le inondazioni del mareitremuotii temporalile piogge strabocchevoliche sapeva essereordinarie nelle regioni calde: e veramente in quel medesimo tempoudivanoda tutte le boscaglie vicinei rami degli alberi cheagitati dall'ariastillavano continuamente acqua. Se non che Momonon sapeva comprendere come potesse quella parte essere sottopostaalle inondazioni del marecosì lontano di làche nonappariva da alcun lato; e meno intendeva per qual destino i tremuotii temporali e le piogge avessero avuto a disfare tutti gli uomini delpaeseperdonando agli sciaguarialle scimmiea' formichieria'cerigonialle aquilea' pappagallie a cento altre qualitàdi animali terrestri e volatiliche andavano per quei dintorni. Infinescendendo a una valle immensascoprironocome a direunpiccolo mucchio di case o capanne di legnocoperte di foglie dipalmae circondata ognuna da un chiuso a maniera di steccato:dinanzi a una delle quali stavano molte personeparte in piediparte sedutedintorno a un vaso di terra posto a un gran fuoco. Siaccostarono i due celestipresa forma umana; e Prometeosalutatitutti cortesementevolgendosi a uno che accennava di essere ilprincipaleinterrogollo: che si fa?
Selvaggio: Simangiacome vedi.
Prometeo: Che buone vivandeavete?
Selvaggio: Questo poco di carne.
Prometeo:Carne domestica o salvatica?
Selvaggio: Domesticaanzi del mio figliuolo.
Prometeo: Hai tu perfigliuolo un vitellocome ebbe Pasifae?
Selvaggio:Non un vitello ma un uomocome ebbero tutti gli altri.
Prometeo:Dici tu da senno? mangi tu la tua carne propria?
Selvaggio:La mia propria noma ben quella di costui che per questo solo uso iol'ho messo al mondoe preso cura di nutrirlo.
Prometeo:Per uso di mangiartelo?
Selvaggio: Che maraviglia? Ela madre ancorache già non debbe esser buona da fare altrifigliuolipenso di mangiarla presto.
Momo: Come simangia la gallina dopo mangiate le uova.
Selvaggio:E l'altre donne che io tengocome sieno fatte inutili a partorirele mangerò similmente. E questi miei schiavi che vedeteforseche li terrei vivise non fosse per avere di quando in quando de'loro figliuolie mangiarli? Ma invecchiati che sarannoio me limangerò anche loro a uno a unose io campo .
Prometeo:Dimmi: cotesti schiavi sono della tua nazione medesimao di qualchealtra?
Selvaggio: D'un'altra.
Prometeo:Molto lontana di qua?
Selvaggio: Lontanissima: tantoche tra le loro case e le nostreci correva un rigagnolo. Eadditando un collicellosoggiunse: ecco là il sito dov'ellaera; ma i nostri l'hanno distrutta . In questo parve a Prometeo chenon so quanti di coloro lo stessero mirando con una cotal guardaturaamorevolecome è quella che fa il gatto al topo: sicchéper non essere mangiato dalle sue proprie fatturesi levòsubito a volo; e seco similmente Momo: e fil tanto il timore cheebbero l'uno e l'altroche nel partirsicorruppero i cibi deibarbari con quella sorta d'immondizia che le arpie sgorgarono perinvidia sulle mense troiane. Ma coloropiù famelici e menoschivi de' compagni di Eneaseguitarono il loro pasto; e Prometeomalissimo soddisfatto del mondo nuovosi volse incontanente al piùvecchiovoglio dire all'Asia: e trascorso quasi in un subitol'intervallo che è tra le nuove e le antiche Indiesceseroambedue presso ad Agra in un campo pieno d'infinito popoloadunatointorno a una fossa colma di legne: sull'orlo della qualeda unlatosi vedevano alcuni con torchi accesiin procinto di porle ilfuoco; e da altro latosopra un palcouna donna giovanecoperta divesti suntuosissimee di ogni qualità di ornamenti barbaricila quale danzando e vociferandofaceva segno di grandissimaallegrezza. Prometeo vedendo questoimmaginava seco stesso una nuovaLucrezia o nuova Virginiao qualche emulatrice delle figliuole diEretteodelle Ifigeniede' Codride' Meneceidei Curzi e deiDeciche seguitando la fede di qualche oracolos'immolassevolontariamente per la sua patria. Intendendo poi che la cagione delsacrificio della donna era la morte del maritopensò chequellapoco dissimile da Alcestevolesse col prezzo di se medesimaricomperare lo spirito di colui. Ma saputo che ella non s'induceva adabbruciarsi se non perché questo si usava di fare dalle donnevedove della sua settae che aveva sempre portato odio al maritoeche era ubbriacae che il mortoin cambio di risuscitareaveva aessere arso in quel medesimo fuoco; voltato subito il dosso a quellospettacoloprese la via dell'Europa; dove intanto che andavanoebbecol suo compagno questo colloquio.
Momo: Avresti tupensato quando rubavi con tuo grandissimo pericolo il fuoco dal cieloper comunicarlo agli uominiche questi se ne prevarrebberoqualiper cuocersi l'un l'altro nelle pignattequali per abbruciarsispontaneamente?
Prometeo: No per certo. Maconsideracaro Momoche quelli che fino a ora abbiamo vedutosonobarbari: e dai barbari non si dee far giudizio della natura degliuomini; ma bene dagl'inciviliti: ai quali andiamo al presente: e hoferma opinione che tra loro vedremo e udremo cose e parole che tiparranno degnenon solamente di lodema di stupore.
Momo:Io per me non veggose gli uomini sono il più perfetto generedell'universocome faccia di bisogno che sieno inciviliti perchénon si abbrucino da se stessie non mangino i figliuoli propri:quando che gli altri animali sono tutti barbarie ciò nonostantenessuno si abbrucia a bello studiofuorché lafeniceche non si trova; rarissimi si mangiano alcun loro simile; emolto più rari si cibano dei loro figliuoliper qualcheaccidente insolitoe non per averli generati a quest'uso. Avvertieziandioche delle cinque parti del mondo una solané tuttainterae questa non paragonabile per grandezza a veruna delle altrequattroè dotata della civiltà che tu lodi; aggiuntealcune piccole porzioncelle di un'altra parte del mondo. E giàtu medesimo non vorrai dire che questa civiltà sia compiutain modo che oggidì gli uomini di Parigi o di Filadelfiaabbiano generalmente tutta la perfezione che può convenirealla loro specie. Oraper condursi al presente stato di civiltànon ancora perfettaquanto tempo hanno dovuto penare questi talipopoli? Tanti anni quanti si possono numerare dall'origine dell'uomoinsino ai tempi prossimi. E quasi tutte le invenzioni che erano o dimaggiore necessità o di maggior profitto al conseguimentodello stato civilehanno avuto originenon da ragionema da casifortuiti: di modo che la civiltà umana è opera dellasorte più che della natura: e dove questi tali casi non sonooccorsiveggiamo che i popoli sono ancora barbari; con tutto cheabbiano altrettanta età quanta i popoli civili. Dico iodunque: se l'uomo barbaro mostra di essere inferiore per molti capi aqualunque altro animale; se la civiltàche è l'oppostodella barbarienon è posseduta né anche oggi se non dauna piccola parte del genere umano; se oltre di ciòquestaparte non è potuta altrimenti pervenire al presente statocivilese non dopo una quantità innumerabile di secolie perbeneficio massimamente del casopiuttosto che di alcun'altracagione; all'ultimose il detto stato civile non è per ancheperfetto; considera un poco se forse la tua sentenza circa il genereumano fosse più vera acconciandola in questa forma: cioèdicendo che esso è veramente sommo tra i genericome tupensi; ma sommo nell'imperfezionepiuttosto che nella perfezione;quantunque gli uomini nel parlare e nel giudicarescambinocontinuamente l'una coll'altra; argomentando da certi cotalipresupposti che si hanno fatto essie tengonli per veritàpalpabili. Certo che gli altri generi di creature fino nel principiofurono perfettissimi ciascheduno in se stesso. E quando eziandio nonfosse chiaro che l'uomo barbaroconsiderato in rispetto agli altrianimaliè meno buono di tutti; io non mi persuado chel'essere naturalmente imperfettissimo nel proprio generecome pareche sia l'uomos'abbia a tenere in conto di perfezione maggiore ditutte l'altre. Aggiungi che la civiltà umanacosìdifficile da otteneree forse impossibile da ridurre a compimentonon è anco stabile in modoche ella non possa cadere: come ineffetto si trova essere avvenuto più voltee in diversipopoliche ne avevano acquistato una buona parte. In somma ioconchiudo che se tuo fratello Epimeteo recava ai giudici il modelloche debbe avere adoperato quando formò il primo asino o laprima ranaforse ne riportava il premio che tu non hai conseguito.Pure a ogni modo io ti concederò volentieri che l'uomo siaperfettissimose tu ti risolvi a dire che la sua perfezione sirassomigli a quella che si attribuiva da Plotino al mondo: il qualediceva Plotinoè ottimo e perfetto assolutamente; ma perchéil mondo sia perfettoconviene che egli abbia in sétra lealtre coseanco tutti i mali possibili; però in fatti sitrova in lui tanto malequanto vi può capire. E in questorispetto forse io concederei similmente al Leibnizio che il mondopresente fosse il migliore di tutti i mondi possibili. Non si dubitache Prometeo non avesse a ordine una risposta in forma distintaprecisa e dialettica a tutte queste ragioni; ma è parimentecerto che non la diede: perché in questo medesimo punto sitrovarono sopra alla città di Londra: dove scesie vedutogran moltitudine di gente concorrere alla porta di una casa privatamessisi tra la follaentrarono nella casa; e trovarono sopra unletto un uomo disteso supinoche avea nella ritta una pistola;ferito nel pettoe morto; e accanto a lui giacere due fanciullinimedesimamente morti. Erano nella stanza parecchie persone della casae alcuni giudicii quali le interrogavanomentre che un officialescriveva.
Prometeo: Chi sono questi sciagurati?
Unfamiglio: Il mio padrone e i figliuoli.
Prometeo:Chi gli ha uccisi?
Famiglio: Il padrone tutti etre.
Prometeo: Tu vuoi dire i figliuoli e sestesso? Famiglio. Appunto.
Prometeo: Oh che èmai cotesto! Qualche grandissima sventura gli doveva essereaccaduta.
Famiglio: Nessunache iosappia.
Prometeo: Ma forse era poveroo disprezzatoda tuttio sfortunato in amoreo in corte?
Famiglio:Anzi ricchissimoe credo che tutti lo stimassero; di amore non se necuravae in corte aveva molto favore.
Prometeo:Dunque come e caduto in questa disperazione?
Famiglio:Per tedio della vitasecondo che ha lasciato scritto.
Prometeo:E questi giudici che fanno?
Famiglio: S'informano seil padrone era impazzito o no: che in caso non fosse impazzitolasua roba ricade al pubblico per legge: e in verità non sipotrà fare che non ricada.
Prometeo: Madimminon aveva nessun amico o parentea cui potesse raccomandarequesti fanciulliniin cambio d'ammazzarli?
Famiglio:Sì aveva; e tra gli altriuno che gli era molto intrinsecoal quale ha raccomandato il suo cane. Momo stava per congratularsicon Prometeo sopra i buoni effetti della civiltàe sopra lacontentezza che appariva ne risultasse alla nostra vita; e volevaanche rammemorargli che nessun altro animale fuori dell'uomosiuccide volontariamente esso medesimoné spegne perdisperazione della vita i figliuoli: ma Prometeo lo prevenne; e senzacurarsi di vedere le due parti del mondo che rimanevanogli pagòla scommessa.



DIALOGODI UN FISICO E DI UN METAFISICO

Fisico:Eurecaeureca .
Metafisico: Che è?che hai trovato?
Fisico: L'arte di vivere lungamente.
Metafisico: E cotesto libro che porti?
Fisico:Qui la dichiaro: e per questa invenzionese gli altri vivranno lungotempoio vivrò per lo meno in eterno; voglio dire che neacquisterò gloria immortale.
Metafisico: Fauna cosa a mio modo. Trova una cassettina di piombochiudivi cotestolibrosotterralae prima di morire ricordati di lasciar detto illuogoacciocché vi si possa andaree cavare il libroquandosarà trovata l'arte di vivere felicemente.
Fisico:E in questo mezzo?
Metafisico: In questo mezzo nonsarà buono da nulla. Più lo stimerei se contenessel'arte di viver poco.
Fisico: Cotesta è giàsaputa da un pezzo; e non fu difficile a trovarla.
Metafisico:In ogni modo la stimo più della tua.
Fisico:Perché?
Metafisico: Perché se la vitanon è feliceche fino a ora non è statameglio citorna averla breve che lunga.
Fisico: Oh cotesto no:perché la vita è bene da se medesimae ciascuno ladesidera e l'ama naturalmente.
Metafisico: Cosìcredono gli uomini; ma s'ingannano: come il volgo s'inganna pensandoche i colori sieno qualità degli oggetti; quando non sonodegli oggettima della luce. Dico che l'uomo non desidera e non amase non la felicità propria. Però non ama la vitasenon in quanto la reputa instrumento o subbietto di essa felicità.In modo che propriamente viene ad amare questa e non quellaancorchéspessissimo attribuisca all'una l'amore che porta all'altra. Vero èche questo inganno e quello dei colori sono tutti e due naturali. Mache l'amore della vita negli uomini non sia naturaleo vogliamo direnon sia necessariovedi che moltissimi ai tempi antichi elessero dimorire potendo viveree moltissimi ai tempi nostri desiderano lamorte in diversi casie alcuni si uccidono di propria mano. Cose chenon potrebbero essere se l'amore della vita per se medesimo fossenatura dell'uomo. Come essendo natura di ogni vivente l'amore dellapropria felicitàprima cadrebbe il mondoche alcuno di lorolasciasse di amarla e di procurarla a suo modo. Che poi la vita siabene per se medesimaaspetto che tu me lo provicon ragioni ofisiche o metafisiche o di qualunque disciplina. Per medico che lavita felicesaria bene senza fallo; ma come felicenon come vita.La vita infelicein quanto all'essere infeliceè male; eatteso che la naturaalmeno quella degli uominiporta che vita einfelicità non si possono scompagnarediscorri tu medesimoquello che ne segua.
Fisico: Di grazialasciamocotesta materiache è troppo malinconica; e senza tantesottigliezzerispondimi sinceramente: se l'uomo vivesse e potessevivere in eterno; dico senza moriree non dopo morto; credi tu chenon gli piacesse?
Metafisico: A un presuppostofavoloso risponderò con qualche favola: tanto più chenon sono mai vissuto in eternosicché non posso rispondereper esperienza; né anche ho parlato con alcuno che fosseimmortale; e fuori che nelle favolenon trovo notizia di persone dital sorta. Se fosse qui presente il Cagliostroforse ci potrebbedare un poco di lume; essendo vissuto parecchi secoli: se beneperché poi morì come gli altrinon pare che fosseimmortale. Dirò dunque che il saggio Chironeche era diocoll'andar del tempo si annoiò della vitapigliòlicenza da Giove di poter moriree morì . Or pensasel'immortalità rincresce agli Deiche farebbe agli uomini.Gl'Iperboreipopolo incognitoma famoso; ai quali non si puòpenetrarené per terra né per acqua; ricchi di ognibene; e specialmente di bellissimi asinidei quali sogliono fareecatombe; potendose io non m'ingannoessere immortali; perchénon hanno infermità né fatiche né guerre nédiscordie né carestie né vizi né colpe;contuttociò muoiono tutti: perchéin capo a mille annidi vita o circasazi della terrasaltano spontaneamente da unacerta rupe in maree vi si annegano . Aggiungi quest'altra favola.Bitone e Cleobi fratelliun giorno di festache non erano in prontole muleessendo sottentrati al carro della madresacerdotessa diGiunonee condottala al tempio; quella supplicò la dea cherimunerasse la pietà de' figliuoli col maggior bene che possacadere negli uomini. Giunonein vece di farli immortalicomeavrebbe potuto; e allora si costumava; fece che l'uno e l'altro pianpiano se ne morirono in quella medesima ora. Il simile toccòad Agamede e a Trofonio. Finito il tempio di Delfofecero instanzaad Apollo che li pagasse: il quale rispose volerli soddisfare frasette giorni; in questo mezzo attendessero a far gozzoviglia a lorospese. La settima nottemandò loro un dolce sonnodal qualeancora s'hanno a svegliare; e avuta questanon dimandarono altrapaga. Ma poiché siamo in sulle favoleeccotene un'altraintorno alla quale ti vo' proporre una questione. Io so che oggi ivostri pari tengono per sentenza certache la vita umanainqualunque paese abitatoe sotto qualunque cielodura naturalmenteeccetto piccole differenzeuna medesima quantità di tempoconsiderando ciascun popolo in grosso. Ma qualche buono anticoracconta che gli uomini di alcune parti dell'India e dell'Etiopia noncampano oltre a quarant'anni; chi muore in questa etàmuorvecchissimo; e le fanciulle di sette anni sono di età damarito. Il quale ultimo capo sappiamo cheappresso a pocosiverifica nella Guineanel Decan e in altri luoghi sottoposti allazona torrida. Dunquepresupponendo per vero che si trovi una o piùnazionigli uomini delle quali regolarmente non passino iquarant'anni di vita; e ciò sia per naturanoncome si ècreduto degli Ottentottiper altre cagioni; domando se in rispetto aquestoti pare che i detti popoli debbano essere più miseri opiù felici degli altri?
Fisico: Piùmiseri senza fallovenendo a morte più presto.
Metafisico:Io credo il contrario anche per cotesta ragione. Ma qui non consisteil punto. Fa un poco di avvertenza. Io negava che la pura vitacioèa dire il semplice sentimento dell'esser propriofosse cosa amabilee desiderabile per natura. Ma quello che forse più degnamenteha nome altresì di vitavoglio dire l'efficacia e la copiadelle sensazioniè naturalmente amato e desiderato da tuttigli uomini: perché qualunque azione o passione viva e fortepurché non ci sia rincrescevole o dolorosacol solo essereviva e forteci riesce grataeziandio mancando di ogni altraqualità dilettevole. Ora in quella specie d'uominila vitadei quali si consumasse naturalmente in ispazio di quarant'annicioènella metà del tempo destinato dalla natura agli altri uomini;essa vita in ciascheduna sua partesarebbe più viva il doppiodi questa nostra: perchédovendo coloro cresceree giungerea perfezionee similmente appassire e mancarenella metà deltempo; le operazioni vitali della loro naturaproporzionatamente aquesta celeritàsarebbero in ciascuno istante doppie di forzaper rispetto a quello che accade negli altri; ed anche le azionivolontarie di questi talila mobilità e la vivacitàestrinsecacorrisponderebbero a questa maggiore efficacia. Di modoche essi avrebbero in minore spazio di tempo la stessa quantitàdi vita che abbiamo noi. La quale distribuendosi in minor numerod'anni basterebbe a riempierlio vi lascerebbe piccoli vani; laddoveella non basta a uno spazio doppio: e gli atti e le sensazioni dicoloroessendo più fortie raccolte in un giro piùstrettosarebbero quasi bastanti a occupare e a vivificare tutta laloro età; dove che nella nostramolto più lungarestano spessissimi e grandi intervallivòti di ogni azione eaffezione viva. E poiché non il semplice esserema il soloessere feliceè desiderabile; e la buona o cattiva sorte dichicchessia non si misura dal numero dei giorni; io conchiudo che lavita di quelle nazioniche quanto più brevetanto sarebbemen povera di piacereo di quello che è chiamato con questonomesi vorrebbe anteporre alla vita nostraed anche a quella deiprimi re dell'Assiriadell'Egittodella Cinadell'Indiae d'altripaesi; che visseroper tornare alle favolemigliaia d'anni. Perciònon solo io non mi curo dell'immortalitàe sono contento dilasciarla a' pesci; ai quali la dona il Leeuwenhoekpurchénon sieno mangiati dagli uomini o dalle balene; main cambio diritardare o interrompere la vegetazione del nostro corpo perallungare la vitacome propone il Maupertuisio vorrei che lapotessimo accelerare in modoche la vita nostra si riducesse allamisura di quella di alcuni insettichiamati efimeridei quali sidice che i più vecchi non passano l'età di un giornoecontuttociò muoiono bisavoli e trisavoli. Nel qual casoiostimo che non ci rimarrebbe luogo alla noia. Che pensi di questoragionamento?
Fisico: Penso che non mi persuade; eche se tu ami la metafisicaio m'attengo alla fisica: voglio direche se tu guardi pel sottileio guardo alla grossae me necontento. Però senza metter mano al microscopiogiudico chela vita sia più bella della mortee do il pomo a quellaguardandole tutte due vestite.
Metafisico: Cosìgiudico anch'io. Ma quando mi torna a mente il costume di queibarbariche per ciascun giorno infelice della loro vitagittavanoin un turcasso una pietruzza nerae per ogni dì feliceunabianca ; penso quanto poco numero delle bianche è verisimileche fosse trovato in quelle faretre alla morte di ciaschedunoequanto gran moltitudine delle nere. E desidero vedermi davanti tuttele pietruzze dei giorni che mi rimangono; esceverandoleaverfacoltà di gittar via tutte le neree detrarle dalla miavita; riserbandomi solo le bianche: quantunque io sappia bene che nonfarebbero gran cumuloe sarebbero di un bianco torbido.
Fisico.Moltiper lo contrarioquando anche tutti i sassolini fossero nerie più neri del paragone; vorrebbero potervene aggiungerebenché dello stesso colore: perché tengono per fermoche niun sassolino sia così nero come l'ultimo. E questi talidel cui numero sono anch'iopotranno aggiungere in effetto moltisassolini alla loro vitausando l'arte che si mostra in questo miolibro.
Metafisico: Ciascuno pensi ed operi a suo talento:e anche la morte non mancherà di fare a suo modo. Ma se tuvuoiprolungando la vitagiovare agli uomini veramente; trovaun'arte per la quale sieno moltiplicate di numero e di gagliardia lesensazioni e le azioni loro. Nel qual modoaccrescerai propriamentela vita umanaed empiendo quegli smisurati intervalli di tempo neiquali il nostro essere è piuttosto durare che viveretipotrai dar vanto di prolungarla. E ciò senza andare in cercadell'impossibileo usar violenza alla naturaanzi secondandola. Nonpare a te che gli antichi vivessero più di noidato ancoracheper li pericoli gravi e continui che solevano correremorisserocomunemente più presto? E farai grandissimo beneficio agliuomini: la cui vita fu semprenon dirò felicema tanto menoinfelicequanto più fortemente agitatae in maggior parteoccupatasenza dolore né disagio. Ma piena d'ozio e di tedioche è quanto dire vacuadà luogo a creder vera quellasentenza di Pirroneche dalla vita alla morte non e divario. Il chese io credessiti giuro che la morte mi spaventerebbe non poco. Main finela vita debb'esser vivacioè vera vita; o la mortela supera incomparabilmente di pregio.



DIALOGODI TORQUATO TASSO E DEL SUO GENIO FAMILIARE

Genio:Come staiTorquato?
Tasso: Ben sai come si puòstare in una prigionee dentro ai guai fino al collo.
Genio:Viama dopo cenato non è tempo da dolersene. Fa buon animoeridiamone insieme.
Tasso: Ci son poco atto. Ma la tuapresenza e le tue parole sempre mi consolano. Siedimi quiaccanto.
Genio: Che io segga? La non è giàcosa facile a uno spirito. Ma ecco: fa conto ch'io sto seduto.
Tasso:Oh potess'io rivedere la mia Leonora. Ogni volta che ella mi tornaalla mentemi nasce un brivido di gioiache dalla cima del capo misi stende fino all'ultima punta de' piedi; e non resta in me nervo névena che non sia scossa. Talorapensando a leimi si ravvivanonell'animo certe immagini e certi affettitaliche per quel pocotempomi pare di essere ancora quello stesso Torquato che fui primadi aver fatto esperienza delle sciagure e degli uominie che ora iopiango tante volte per morto. In veroio direi che l'uso del mondoe l'esercizio de' patimentisogliono come profondare e sopire dentroa ciascuno di noi quel primo uomo che egli era: il quale di tratto intratto si desta per poco spazioma tanto più di rado quanto èil progresso degli anni; sempre più poi si ritira verso ilnostro intimoe ricade in maggior sonno di prima; finchédurando ancora la nostra vitaesso muore. In fineio mi maravigliocome il pensiero di una donna abbia tanta forzada rinnovarmipercosì direl'animae farmi dimenticare tante calamità.E se non fosse che io non ho più speranza di rivederlacrederei non avere ancora perduta la facoltà di essere felice.
Genio: Quale delle due cose stimi che sia piùdolce: vedere la donna amatao pensarne?
Tasso: Non so.Certo che quando mi era presenteella mi pareva una donna; lontanami pareva e mi pare una dea.
Genio: Coteste dee sono cosìbenigneche quando alcuno vi si accostain un tratto ripiegano laloro divinitàsi spiccano i raggi d'attornoe se li pongonoin tascaper non abbagliare il mortale che si fa innanzi.
Tasso:Tu dici il vero pur troppo. Ma non ti pare egli cotesto un granpeccato delle donne; che alla provaelle ci riescano cosìdiverse da quelle che noi le immaginavamo?
Genio: Io nonso vedere che colpa s'abbiano in questod'esser fatte di carne esanguepiuttosto che di ambrosia e nettare. Qual cosa del mondo hapure un'ombra o una millesima parte della perfezione che voi pensateche abbia a essere nelle donne? E anche mi pare stranoche nonfacendovi maraviglia che gli uomini sieno uominicioècreature poco lodevoli e poco amabili; non sappiate poi comprenderecome accadache le donne in fatti non sieno angeli.
Tasso:Con tutto questoio mi muoio dal desiderio di rivederlae diriparlarle.
Genio: Viaquesta notte in sogno io te lacondurrò davanti; bella come la gioventù; e cortese inmodoche tu prenderai cuore di favellarle molto più franco espedito che non ti venne fatto mai per l'addietro: anzi all'ultimo lestringerai la mano; ed ella guardandoti fisoti metterànell'animo una dolcezza taleche tu ne sarai sopraffatto; e pertutto domaniqualunque volta ti sovverrà di questo sognotisentirai balzare il cuore dalla tenerezza.
Tasso: Granconforto: un sogno in cambio del vero.
Genio: Che cosa èil vero?
Tasso: Pilato non lo seppe meno di quello che loso io.
Genio: Beneio risponderò per te. Sappi chedal vero al sognatonon corre altra differenzase non che questopuò qualche volta essere molto più bello e piùdolceche quello non può mai.
Tasso: Dunque tantovale un diletto sognatoquanto un diletto vero?
Genio: Iocredo. Anzi ho notizia di uno che quando la donna che egli amasegli rappresenta dinanzi in alcun sogno gentileesso per tutto ilgiorno seguentefugge di ritrovarsi con quella e di rivederla;sapendo che ella non potrebbe reggere al paragone dell'immagine cheil sonno gliene ha lasciata impressae che il verocancellandoglidalla mente il falsopriverebbe lui del diletto straordinario che neritrae. Però non sono da condannare gli antichimolto piùsollecitiaccorti e industriosi di voicirca a ogni sorta digodimento possibile alla natura umanase ebbero per costume diprocurare in vari modi la dolcezza e la giocondità dei sogni;né Pitagora è da riprendere per avere interdetto ilmangiare delle favecreduto contrario alla tranquillità deimedesimi sognied atto a intorbidarli ; e sono da scusare isuperstiziosi che avanti di coricarsi solevano orare e far libazionia Mercurio conduttore dei sogniacciò ne menasse loro di queilieti; l'immagine del quale tenevano a quest'effetto intagliata insu' piedi delle lettiere . Cosìnon trovando mai la felicitànel tempo della vigiliasi studiavano di essere felici dormendo: ecredo che in partee in qualche modol'ottenessero; e che daMercurio fossero esauditi meglio che dagli altri Dei.
Tasso:Per tantopoiché gli uomini nascono e vivono al solo piacereo del corpo o dell'animo; se da altra parte il piacere èsolamente o massimamente nei sogniconverrà ci determiniamo avivere per sognare: alla qual cosain veritàio non mi possoridurre.
Genio: Già vi sei ridotto e determinatopoiché tu vivi e che tu consenti di vivere. Che cosa èil piacere?
Tasso: Non ne ho tanta pratica da poterloconoscere che cosa sia.
Genio: Nessuno lo conosce perpraticama solo per ispeculazione: perché il piacere èun subbietto speculativoe non reale; un desiderionon un fatto; unsentimento che l'uomo concepisce col pensieroe non prova; o per dirmeglioun concettoe non un sentimento. Non vi accorgete voi chenel tempo stesso di qualunque vostro dilettoancorchédesiderato infinitamentee procacciato con fatiche e molestieindicibili; non potendovi contentare il goder che fate in ciascuno diquei momentistate sempre aspettando un goder maggiore e piùveronel quale consista in somma quel tal piacere; e andate quasiriportandovi di continuo agl'istanti futuri di quel medesimo diletto?Il quale finisce sempre innanzi al giunger dell'istante che visoddisfaccia; e non vi lascia altro bene che la speranza cieca digoder meglio e più veramente in altra occasionee il confortodi fingere e narrare a voi medesimi di aver godutocon raccontarloanche agli altrinon per sola ambizionema per aiutarvi alpersuaderlo che vorreste pur fare a voi stessi. Però chiunqueconsente di viverenol fa in sostanza ad altro effetto né conaltra utilità che di sognare; cioè credere di avere agodereo di aver goduto; cose ambedue false e fantastiche.
Tasso:Non possono gli uomini credere mai di godere presentemente?
Genio:Sempre che credessero cotestogodrebbero in fatti. Ma narrami tu sein alcun istante della tua vitati ricordi aver detto con pienasincerità ed opinione: io godo. Ben tutto giorno dicesti edici sinceramente: io godrò; e parecchie voltema consincerità minore: ho goduto. Di modo che il piacere èsempre o passato o futuroe non mai presente.
Tasso: Che equanto dire e sempre nulla.
Genio: Così pare.
Tasso:Anche nei sogni.
Genio: Propriamente parlando.
Tasso:E tuttavia l'obbietto e l'intento della vita nostranon pureessenziale ma unicoè il piacere stesso; intendendo perpiacere la felicità; che debbe in effetto esser piacere; daqualunque cosa ella abbia a procedere.
Genio:Certissimo.
Tasso: Laonde la nostra vitamancando sempredel suo fineè continuamente imperfetta: e quindi il vivere èdi sua propria natura uno stato violento.
Genio:Forse.
Tasso: Io non ci veggo forse. Ma dunque perchéviviamo noi? voglio direperché consentiamo di vivere?
Genio:Che so io di cotesto? Meglio lo saprete voiche siete uomini.
Tasso:Io per me ti giuro che non lo so.
Genio: Domandane altride' più savie forse troverai qualcuno che ti risolva cotestodubbio.
Tasso: Così farò. Ma certo questavita che io menoè tutta uno stato violento: perchélasciando anche da parte i dolorila noia sola mi uccide.
Genio:Che cosa è la noia?
Tasso: Qui l'esperienza non mimancada soddisfare alla tua domanda. A me pare che la noia siadella natura dell'aria: la quale riempie tutti gli spazi interpostialle altre cose materialie tutti i vani contenuti in ciascuna diloro; e donde un corpo si partee altro non gli sottentraquiviella succede immediatamente. Così tutti gl'intervalli dellavita umana frapposti ai piaceri e ai dispiacerisono occupati dallanoia. E peròcome nel mondo materialesecondo iPeripateticinon si dà vòto alcuno; così nellavita nostra non si dà vòto; se non quando la mente perqualsivoglia causa intermette l'uso del pensiero. Per tutto il restodel tempol'animo considerato anche in se proprio e come disgiuntodal corposi trova contenere qualche passione; come quello a cuil'essere vacuo da ogni piacere e dispiacereimporta essere pieno dinoia; la quale anco è passionenon altrimenti che il dolore eil diletto.
Genio: E da poi che tutti i vostri dilettisono di materia simile ai ragnateli; tenuissimaradissima etrasparente; perciò come l'aria in questicosì la noiapenetra in quelli da ogni partee li riempie. Veramente per la noianon credo si debba intendere altro che il desiderio puro dellafelicità; non soddisfatto dal piaceree non offesoapertamente dal dispiacere. Il qual desideriocome dicevamo pocoinnanzinon è mai soddisfatto; e il piacere propriamente nonsi trova. Sicché la vita umanaper modo di diree composta eintessutaparte di doloreparte di noia; dall'una delle qualipassioni non ha riposo se non cadendo nell'altra. E questo non ètuo destino particolarema comune di tutti gli uomini.
Tasso:Che rimedio potrebbe giovare contro la noia?
Genio: Ilsonnol'oppioe il dolore. E questo è il più potentedi tutti: perché l'uomo mentre patiscenon si annoia perniuna maniera.
Tasso: In cambio di cotesta medicinaio micontento di annoiarmi tutta la vita. Ma pure la varietà delleazionidelle occupazioni e dei sentimentise bene non ci liberadalla noiaperché non ci reca diletto verocontuttociòla solleva ed alleggerisce. Laddove in questa prigioniaseparato dalcommercio umanotoltomi eziandio lo scrivereridotto a notare perpassatempo i tocchi dell'oriuoloannoverare i correntile fessure ei tarli del palcoconsiderare il mattonato del pavimentotrastullarmi colle farfalle e coi moscherini che vanno attorno allastanzacondurre quasi tutte le ore a un modo; io non ho cosa che miscemi in alcun parte il carico della noia.
Genio: Dimmi:quanto tempo ha che tu sei ridotto a cotesta forma di vita?
Tasso:Più settimanecome tu sai.
Genio: Non conosci tudal primo giorno al presentealcuna diversità nel fastidioche ella ti reca?
Tasso: Certo che io lo provava maggiore aprincipio: perché di mano in mano la mentenon occupata daaltro e non isvagatami si viene accostumando a conversare secomedesima assai più e con maggior sollazzo di primaeacquistando un abito e una virtù di favellare in se stessaanzi di cicalaretaleche parecchie volte mi pare quasi avere unacompagnia di persone in capo che stieno ragionandoe ogni menomosoggetto che mi si appresenti al pensieromi basta a farne tra me eme una gran diceria.
Genio: Cotesto abito te lo vedraiconfermare e accrescere di giorno in giorno per modoche quando poiti si renda la facoltà di usare cogli altri uominiti parràessere più disoccupato stando in compagnia loroche insolitudine. E quest'assuefazione in sì fatto tenore di vitanon credere che intervenga solo a' tuoi similigià consueti ameditare; ma ella interviene in più o men tempo a chicchessia.Di piùl'essere diviso dagli uomini eper dir cosìdalla vita stessaporta seco questa utilità; che l'uomoeziandio saziochiarito e disamorato delle cose umane perl'esperienza; a poco a poco assuefacendosi di nuovo a mirarle dalungidonde elle paiono molto più belle e più degneche da vicinosi dimentica della loro vanità e miseria; tornaa formarsi e quasi crearsi il mondo a suo modo; apprezzareamare edesiderare la vita; delle cui speranzese non gli è tolto oil potere o il confidare di restituirsi alla società degliuominisi va nutrendo e dilettandocome egli soleva a' suoi primianni. Di modo che la solitudine fa quasi l'ufficio della gioventù;o certo ringiovanisce l'animoravvalora e rimette in operal'immaginazionee rinnuova nell'uomo esperimentato i beneficii diquella prima inesperienza che tu sospiri. Io ti lascio; che veggo cheil sonno ti viene entrando; e me ne vo ad apparecchiare il bel sognoche ti ho promesso. Cosìtra sognare e fantasticareandraiconsumando la vita; non con altra utilità che di consumarla;che questo e l'unico frutto che al mondo se ne può avereel'unico intento che voi vi dovete proporre ogni mattina in sullosvegliarvi. Spessissimo ve la conviene strascinare co' tarla in suldosso. Main fineil tuo tempo non è più lento acorrere in questa carcereche sia nelle sale e negli orti quello dichi ti opprime. Addio.
Tasso: Addio. Ma senti. La tuaconversazione mi riconforta pure assai. Non che ella interrompa lamia tristezza: ma questa per la più parte del tempo ècome una notte oscurissimasenza luna né stelle; mentre sontecosomiglia al bruno dei crepuscolipiuttosto grato che molesto.Acciò da ora innanzi io ti possa chiamare o trovare quando mibisognidimmi dove sei solito di abitare.
Genio: Ancoranon l'hai conosciuto? In qualche liquore generoso.



DIALOGODELLA NATURA E DI UN ISLANDESE

    UnIslandeseche era corso per la maggior parte del mondoesoggiornato in diversissime terre; andando una volta per l'interioredell'Affricae passando sotto la linea equinoziale in un luogo nonmai prima penetrato da uomo alcunoebbe un caso simile a quello cheintervenne a Vasco di Gama nel passare il Capo di Buona speranza;quando il medesimo Capoguardiano dei mari australigli si feceincontrosotto forma di giganteper distorlo dal tentare quellenuove acque . Vide da lontano un busto grandissimo; che da principioimmaginò dovere essere di pietrae a somiglianza degli ermicolossali veduti da luimolti anni primanell'isola di Pasqua. Mafattosi più da vicinotrovò che era una formasmisurata di donna seduta in terracol busto rittoappoggiato ildosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzotra bello e terribiledi occhi e di capelli nerissimi; la qualeguardavalo fissamente; e stata così un buono spazio senzaparlareall'ultimo gli disse.
Natura: Chi sei? che cerchiin questi luoghi dove la tua specie era incognita?
Islandese:Sono un povero Islandeseche vo fuggendo la Natura; e fuggitalaquasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terralafuggo adesso per questa.
Natura: Così fugge loscoiattolo dal serpente a sonagliofinché gli cade in gola dase medesimo. Io sono quella che tu fuggi.
Islandese: LaNatura?
Natura: Non altri.
Islandese: Me nedispiace fino all'anima; e tengo per fermo che maggior disavventuradi questa non mi potesse sopraggiungere.
Natura: Ben potevipensare che io frequentassi specialmente queste parti; dove nonignori che si dimostra più che altrove la mia potenza. Ma cheera che ti moveva a fuggirmi?
Islandese: Tu dei sapere cheio fino nella prima gioventùa poche esperienzefui persuasoe chiaro della vanità della vitae della stoltezza degliuomini; i quali combattendo continuamente gli uni cogli altri perl'acquisto di piaceri che non dilettanoe di beni che non giovano;sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudinieinfiniti maliche affannano e nocciono in effetto; tanto piùsi allontanano dalla felicitàquanto più la cercano.Per queste considerazionideposto ogni altro desideriodeliberainon dando molestia a chicchessianon procurando in modo alcuno diavanzare il mio statonon contendendo con altri per nessun bene delmondovivere una vita oscura e tranquilla; e disperato dei piacericome di cosa negata alla nostra specienon mi proposi altra cura chedi tenermi lontano dai patimenti. Con che non intendo dire che iopensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche corporali:che ben sai che differenza e dalla fatica al disagioe dal viverquieto al vivere ozioso. E già nel primo mettere in operaquesta risoluzioneconobbi per prova come egli e vano a pensaresetu vivi tra gli uominidi poterenon offendendo alcunofuggire chegli altri non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamenteecontentandosi del menomo in ogni cosaottenere che ti sia lasciatoun qualsivoglia luogoe che questo menomo non ti sia contrastato. Madalla molestia degli uomini mi liberai facilmenteseparandomi dallaloro societàe riducendomi in solitudine: cosa che nell'isolamia nativa si può recare ad effetto senza difficoltà.Fatto questoe vivendo senza quasi verun'immagine di piacereio nonpoteva mantenermi però senza patimento: perché lalunghezza del vernol'intensità del freddoe l'ardoreestremo della stateche sono qualità di quel luogomitravagliavano di continuo; e il fuocopresso al quale mi convenivapassare una gran parte del tempom'inaridiva le carnie straziavagli occhi col fumo; di modo chené in casa né a cieloapertoio mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Né anchepotea conservare quella tranquillità della vitaalla qualeprincipalmente erano rivolti i miei pensieri: perché letempeste spaventevoli di mare e di terrai ruggiti e le minacce delmonte Eclail sospetto degl'incendifrequentissimi negli alberghicome sono i nostrifatti di legnonon intermettevano mai diturbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempreconforme a se medesimae spogliata di qualunque altro desiderio esperanzae quasi di ogni altra curache d'esser quieta; riescono dinon poco momentoe molto più gravi che elle non soglionoapparire quando la maggior parte dell'animo nostro è occupatadai pensieri della vita civilee dalle avversità cheprovengono dagli uomini. Per tanto veduto che più che io miristringeva e quasi mi contraeva in me stessoa fine d'impedire chel'esser mio non desse noia né danno a cosa alcuna del mondo;meno mi veniva fatto che le altre cose non m'inquietassero etribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climiper vedere se inalcuna parte della terra potessi non offendendo non essere offesoenon godendo non patire. E a questa deliberazione fui mosso anche daun pensiero che mi nacqueche forse tu non avessi destinato algenere umano se non solo un clima della terra (come tu hai fatto aciascuno degli altri generi degli animalie di quei delle piante)ecerti tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potesseroprosperare né vivere senza difficoltà e miseria; dadover essere imputatenon a tema solo a essi medesimiquandoeglino avessero disprezzati e trapassati i termini che fosseroprescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. Quasi tutto ilmondo ho cercatoe fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempreosservando il mio propositodi non dar molestia alle altre creaturese non il meno che io potessie di procurare la sola tranquillitàdella vita. Ma io sono stato arso dal caldo fra i tropicirappresodal freddo verso i poliafflitto nei climi temperati dall'incostanzadell'ariainfestato dalle commozioni degli elementi in ogni dove.Più luoghi ho vedutonei quali non passa un dì senzatemporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno unassalto e una battaglia formata a quegli abitantinon rei verso tedi nessun'ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria delcielo è compensata dalla frequenza dei terremotidallamoltitudine e dalla furia dei vulcanidal ribollimento sotterraneodi tutto il paese. Venti e turbini smoderati regnano nelle parti enelle stagioni tranquille dagli altri furori dell'aria. Tal volta iomi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico dellanevetal altraper l'abbondanza delle piogge la stessa terrafendendosimi si è dileguata di sotto ai piedi; alcune voltemi è bisognato fuggire a tutta lena dai fiumichem'inseguivanocome fossi colpevole verso loro di qualche ingiuria.Molte bestie salvatichenon provocate da me con una menoma offesami hanno voluto divorare; molti serpenti avvelenarmi; in diversiluoghi è mancato poco che gl'insetti volanti non mi abbianoconsumato infino alle ossa. Lascio i pericoli giornalierisempreimminenti all'uomoe infiniti di numero; tanto che un filosofoantico non trova contro al timorealtro rimedio più valevoledella considerazione che ogni cosa è da temere. Né leinfermità mi hanno perdonato; con tutto che io fossicomesono ancoranon dico temperantema continente dei piaceri delcorpo. Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando che tuci abbi infuso tanta e sì ferma e insaziabile aviditàdel piacere; disgiunta dal quale la nostra vitacome priva di ciòche ella desidera naturalmenteè cosa imperfetta: e da altraparte abbi ordinato che l'uso di esso piacere sia quasi di tutte lecose umane la più nociva alle forze e alla sanità delcorpola più calamitosa negli effetti in quanto a ciaschedunapersonae la più contraria alla durabilità dellastessa vita. Ma in qualunque modoastenendomi quasi sempre etotalmente da ogni dilettoio non ho potuto fare di non incorrere inmolte e diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto inpericolo della morte; altre di perdere l'uso di qualche membroo dicondurre perpetuamente una vita più misera che la passata; etutte per più giorni o mesi mi hanno oppresso il corpo el'animo con mille stenti e mille dolori. E certobenchéciascuno di noi sperimenti nel tempo delle infermitàmali perlui nuovi o disusatie infelicità maggiore che egli non suole(come se la vita umana non fosse bastevolmente misera perl'ordinario); tu non hai dato all'uomoper compensarneloalcunitempi di sanità soprabbondante e inusitatala quale gli siacagione di qualche diletto straordinario per qualità e pergrandezza. Ne' paesi coperti per lo più di neviio sono statoper accecare: come interviene ordinariamente ai Lapponi nella loropatria. Dal sole e dall'ariacose vitalianzi necessarie allanostra vitae però da non potersi fuggiresiamo ingiuriatidi continuo: da questa colla umiditàcolla rigidezzae conaltre disposizioni; da quello col caloree colla stessa luce: tantoche l'uomo non può mai senza qualche maggiore o minoreincomodità o dannostarsene esposto all'una o all'altro diloro. In fineio non mi ricordo aver passato un giorno solo dellavita senza qualche pena; laddove io non posso numerare quelli che hoconsumati senza pure un'ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci èdestinato e necessario il patirequanto il non godere; tantoimpossibile il viver quieto in qual si sia modoquanto il vivereinquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemicascoperta degli uominie degli altri animalie di tutte le operetue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi oraci percuoti ora ci lacerie sempre o ci offendi o ci perseguiti; echeper costume e per institutosei carnefice della tua propriafamigliade' tuoi figliuoli eper dir cosìdel tuo sangue edelle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendocompreso che gli uomini finiscono di perseguitare chiunque li fugge osi occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi; mache tuper niuna cagionenon lasci mai d'incalzarcifinchéci opprimi. E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubredella vecchiezza; vero e manifesto maleanzi cumulo di mali e dimiserie gravissime; e questo tuttavia non accidentalema destinatoda te per legge a tutti i generi de' viventipreveduto da ciascunodi noi fino nella fanciullezzae preparato in lui di continuodalquinto suo lustro in làcon un tristissimo declinare eperdere senza sua colpa: in modo che appena un terzo della vita degliuomini è assegnato al fiorirepochi istanti alla maturitàe perfezionetutto il rimanente allo scaderee agl'incomodi che neseguono.
Natura: Immaginavi tu forse che il mondo fossefatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatturenegli ordini enelle operazioni mietrattone pochissimesempre ebbi ed hol'intenzione a tutt'altro che alla felicità degli uomini oall'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e conqual si sia mezzoio non me n'avveggose non rarissime volte: comeordinariamentese io vi diletto o vi beneficoio non lo so; e nonho fattocome credete voiquelle tali coseo non fo quelle taliazioniper dilettarvi o giovarvi. E finalmentese anche miavvenisse di estinguere tutta la vostra specieio non me neavvedrei.
Islandese: Ponghiamo caso che uno m'invitassespontaneamente a una sua villacon grande instanza; e io percompiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cellatutta lacera e rovinosadove io fossi in continuo pericolo di essereoppresso; umidafetidaaperta al vento e alla pioggia. Eglinonche si prendesse cura d'intrattenermi in alcun passatempo o di darmialcuna comoditàper lo contrario appena mi facessesomministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò milasciasse villaneggiareschernireminacciare e battere da' suoifigliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io seco di questimali trattamentimi rispondesse: forse che ho fatto io questa villaper te? o mantengo io questi miei figliuolie questa mia gentepertuo servigio? ebene ho altro a pensare che de' tuoi sollazzie difarti le buone spese; a questo replicherei: vediamicoche siccometu non hai fatto questa villa per uso miocosì fu in tuafacoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamentehai voluto che io ci dimorinon ti si appartiene egli di fare inmodoche ioquanto è in tuo potereci viva per lo menosenza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So bene chetu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttostocrederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli.Ora domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mivi sono intromesso violentementee contro tua voglia? Ma se di tuavolontàe senza mia saputae in maniera che io non potevasconsentirlo né ripugnarlotu stessacolle tue manimi vihai collocato; non è egli dunque ufficio tuose non tenermilieto e contento in questo tuo regnoalmeno vietare che io non visia tribolato e straziatoe che l'abitarvi non mi noccia? E questoche dico di medicolo di tutto il genere umanodicolo degli altrianimali e di ogni creatura.
Natura: Tu mostri non averposto mente che la vita di quest'universo è un perpetuocircuito di produzione e distruzionecollegate ambedue tra sédi manierache ciascheduna serve continuamente all'altraed allaconservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una ol'altra di loroverrebbe parimente in dissoluzione. Per tantorisulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera dapatimento.
Islandese: Cotesto medesimo odo ragionare atutti i filosofi. Ma poiché quel che è distruttopatisce; e quel che distruggenon godee a poco andare èdistrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire:a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universoconservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama chesopraggiungessero due leonicosì rifiniti e maceridall'inediache appena ebbero forza di mangiarsi quell'Islandese;come fecero; e presone un poco di ristorosi tennero in vita perquel giorno. Ma sono alcuni che negano questo casoe narrano che unfierissimo ventolevatosi mentre che l'Islandese parlavalo stese aterrae sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia:sotto il quale colui diseccato perfettamentee divenuto una bellamummiafu poi ritrovato da certi viaggiatorie collocato nel museodi non so quale città di Europa.



ILPARINI
Ovvero della gloria

CAPITOLOPRIMO

    GiuseppeParini fu alla nostra memoria uno dei pochissimi Italiani cheall'eccellenza nelle lettere congiunsero la profondità deipensierie molta notizia ed uso della filosofia presente: coseoramai sì necessarie alle lettere ameneche non sicomprenderebbe come queste se ne potessero scompagnarese di ciònon si vedessero in Italia infiniti esempi. Fu eziandiocome ènotodi singolare innocenzapietà verso gl'infelici e versola patriafede verso gli amicinobiltà d'animoe costanzacontro le avversità della natura e della fortunachetravagliarono tutta la sua vita misera ed umilefinché lamorte lo trasse dall'oscurità. Ebbe parecchi discepoli: aiquali insegnava prima a conoscere gli uomini e le cose loroe quindia dilettarli coll'eloquenza e colla poesia. Tra gli altria ungiovane d'indole e di ardore incredibile ai buoni studie diespettazione maravigliosavenuto non molto prima nella suadisciplinaprese un giorno a parlare in questa sentenza.


    Tucerchio figliuoloquella gloria che solasi può direditutte le altreconsente oggi di essere colta da uomini di nascimentoprivato: cioè quella a cui si viene talora colla sapienzaecogli studi delle buone dottrine e delle buone lettere. Giàprimieramente non ignori che questa gloriacon tutto che dai nostrisommi antenati non fosse neglettafu però tenuta in piccoloconto per comparazione alle altre: e bene hai veduto in quanti luoghie con quanta cura Ciceronesuo caldissimo e felicissimo seguacesiscusi co' suoi cittadini del tempo e dell'opera che egli poneva inprocacciarla; ora allegando che gli studi delle lettere e dellafilosofia non lo rallentavano in modo alcuno alle faccende pubblicheora che sforzato dall'iniquità dei tempi ad astenersi dainegozi maggioriattendeva in quegli studi a consumare dignitosamentel'ozio suo; e sempre anteponendo alla gloria de' suoi scritti quelladel suo consolatoe delle cose fatte da sé in beneficio dellarepubblica. E veramentese il soggetto principale delle lettere èla vita umanail primo intento della filosofia l'ordinare le nostreazioni; non è dubbio che l'operare è tanto piùdegno e più nobile del meditare e dello scriverequanto èpiù nobile il fine che il mezzoe quanto le cose e i soggettiimportano più che le parole e i ragionamenti. Anziniuningegno è creato dalla natura agli studi; né l'uomonasce a scriverema solo a fare. Perciò veggiamo che i piùdegli scrittori eccellentie massime de' poeti illustridi questamedesima età; comea cagione di esempioVittorio Alfieri;furono da principio inclinati straordinariamente alle grandi azioni:alle quali ripugnando i tempie forse anche impediti dalla fortunapropriasi volsero a scrivere cose grandi. Né sonopropriamente atti a scriverne quelli che non hanno disposizione evirtù di farne. E puoi facilmente considerare in Italiadovequasi tutti sono d'animo alieno dai fatti egregi quanto pochiacquistino fama durevole colle scritture. Io penso che l'antichitàspecialmente romana o grecasi possa convenevolmente figurare nelmodo che fu scolpita in Argo la statua di Telesillapoetessaguerriera e salvatrice della patria. La quale statua rappresentavalacon un elmo in manointenta a mirarlocon dimostrazione dicompiacersenein atto di volerlosi recare in capo; e a' piedialcuni volumiquasi negletti da leicome piccola parte della suagloria .


    Matra noi moderniesclusi comunemente da ogni altro cammino dicelebritàquelli che si pongono per la via degli studimostrano nella elezione quella maggiore grandezza d'animo che oggi sipuò mostraree non hanno necessità di scusarsi collaloro patria. Di maniera che in quanto alla magnanimitàlodosommamente il tuo proposito. Ma perciocché questa viacomequella che non è secondo la natura degli uomininon si puòseguire senza pregiudizio del corponé senza moltiplicare indiversi modi l'infelicità naturale del proprio animo; peròinnanzi ad ogni altra cosastimo sia conveniente e dovuto non menoall'ufficio mioche all'amor grande che tu meriti e che io ti portorenderti consapevole sì di varie difficoltà che sifrappongono al conseguimento della gloria alla quale aspirie sìdel frutto che ella è per produrti in caso che tu laconseguisca; secondo che fino a ora ho potuto conoscerecoll'esperienza o col discorso: acciocchémisurando tecomedesimoda una partequanta sia l'importanza e il pregio del finee quanta la speranza dell'ottenerlo; dall'altrai dannile fatichee i disagi che porta seco il cercarlo (dei quali ti ragioneròdistintamente in altra occasione); tu possa con piena notiziaconsiderare e risolvere se ti sia più spediente di seguitarloo di volgerti ad altra via.



CAPITOLOSECONDO

    Potreiqui nel principio distendermi lungamente sopra le emulazionileinvidiele censure acerbele calunniele parzialitàlepratiche e i maneggi occulti e palesi contro la tua riputazioneegli altri infiniti ostacoli che la malignità degli uomini tiopporrà nel cammino che hai cominciato. I quali ostacolisempre malagevolissimi a superarespesso insuperabilifanno che piùdi uno scrittorenon solo in vitama eziandio dopo la morteèfrodato al tutto dell'onore che se gli dee. Perchévissutosenza fama per l'odio o l'invidia altruimorto si rimanenell'oscurità per dimenticanza; potendo difficilmente avvenireche la gloria d'alcuno nasca o risorga in tempo chefuori dellecarte per sé immobili e mutenessuna cosa ne ha cura. Ma ledifficoltà che nascono dalla malizia degli uominiessendonestato scritto abbondantemente da moltiai quali potrai ricorrereintendo di lasciarle da parte. Né anche ho in animo di narrarequegl'impedimenti che hanno origine dalla fortuna propria delloscrittoreed eziandio dal semplice casoo da leggerissime cagioni:i quali non di rado fanno che alcuni scritti degni di somma lodeefrutto di sudori infinitisono perpetuamente esclusi dallacelebritào stati pure in luce per breve tempocadono e sidileguano interamente dalla memoria degli uomini; dove che altriscritti o inferiori di pregioo non superiori a quellivengono e siconservano in grande onore. Io ti vo' solamente esporre le difficoltàe gl'impacci che senza intervento di malvagità umanacontrastano gagliardamente il premio della glorianon all'uno oall'altro fuor dell'usatoma per l'ordinarioalla maggior partedegli scrittori grandi.


    Bensai che niuno si fa degno di questo titoloné si conduce agloria stabile e verase non per opere eccellenti e perfetteoprossime in qualche modo alla perfezione. Or dunque hai da por mentea una sentenza verissima di un autore nostro lombardo; dicodell'autore del Cortegiano : la quale è che rare volteinterviene che chi non è assueto a scrivereper erudito cheegli si siapossa mai conoscer perfettamente le fatiche ed industriedegli scrittoriné gustar la dolcezza ed eccellenza deglistilie quelle intrinseche avvertenze che spesso si trovano negliantichi. E qui primieramente pensaquanto piccolo numero di personesieno assuefatte ed ammaestrate a scrivere; e però da quantopoca parte degli uominio presenti o futuritu possa in qualunquecaso sperare quell'opinione magnificache ti hai proposto per fruttodella tua vita. Oltre di ciò considera quanta sia nellescritture la forza dello stile; dalle cui virtùprincipalmentee dalla cui perfezionedipende la perpetuitàdelle opere che cadono in qualunque modo nel genere delle lettereamene. E spessissimo occorre che se tu spogli del suo stile unascrittura famosadi cui ti pensavi che quasi tutto il pregio stessenelle sentenzetu la riduci in istato che ella ti par cosa di niunastima. Ora la lingua è tanta parte dello stileanzi ha talcongiunzione secoche difficilmente si può considerare l'unadi queste due cose disgiunta dall'altra; a ogni poco si confondonoinsieme ambeduenon solamente nelle parole degli uominima eziandionell'intelletto; e mille loro qualità e mille pregi omancamentiappenae forse in niun modocolla più sottile eaccurata speculazionesi può distinguere e assegnare a qualedelle due cose appartenganoper essere quasi comuni e indivise tral'una e l'altra. Ma certo niuno straniero èper tornare alleparole del Castiglioneassueto a scrivere elegantemente nella tualingua. Di modo che lo stileparte sì grande e sìrilevante dello scriveree cosa d'inesplicabile difficoltà efaticatanto ad apprenderne l'intimo e perfetto artificioquanto adesercitarloappreso che egli sia; non ha propriamente altri giudiciné altri convenevoli estimatoried atti a poter lodarlosecondo il meritose non coloro che in una sola nazione del mondohanno uso di scrivere. E verso tutto il resto del genere umanoquelle immense difficoltà e fatiche sostenute circa essostileriescono in buona e forse massima parte inutili e sparse alvento. Lascio l'infinita varietà dei giudizi e delleinclinazioni dei letterati; per la quale il numero delle persone attea sentire le qualità lodevoli di questo o di quel librosiriduce ancora a molto meno.


    Maio voglio che tu abbi per indubitato che a conoscere perfettamente ipregi di un'opera perfetta o vicina alla perfezionee capaceveramente dell'immortalitànon basta essere assuefatto ascriverema bisogna saperlo fare quasi così perfettamentecome lo scrittore medesimo che hassi a giudicare. Perciocchél'esperienza ti mostrerà che a proporzione che tu verraiconoscendo più intrinsecamente quelle virtù nelle qualiconsiste il perfetto scriveree le difficoltà infinite che siprovano in procacciarleimparerai meglio il modo di superare le unee di conseguire le altre; in tal guisa che niuno intervallo e niunadifferenza sarà dal conoscerleall'imparare e possedere ildetto modo; anzi saranno l'una e l'altra una cosa sola. Di manierache l'uomo non giunge a poter discernere e gustare compiutamentel'eccellenza degli scrittori ottimiprima che egli acquisti lafacoltà di poterla rappresentare negli scritti suoi: perchéquell'eccellenza non si conosce né gustasi totalmente se nonper mezzo dell'uso e dell'esercizio proprioe quasiper cosìdiretrasferita in se stesso. E innanzi a quel temponiuno perverità intendeche e quale sia propriamente il perfettoscrivere. Ma non intendendo questonon può né ancheavere la debita ammirazione agli scrittori sommi. E la piùparte di quelli che attendono agli studiscrivendo essi facilmentee credendosi scriver benetengono in verità per fermoquandoanche dicano il contrarioche lo scriver bene sia cosa facile. Orvedi a che si riduca il numero di coloro che dovranno potereammirarti e saper lodarti degnamentequando tu con sudori e condisagi incredibilisarai pure alla fine riuscito a produrre un'operaegregia e perfetta. Io ti so dire (e credi a questa etàcanuta) che appena due o tre sono oggi in Italiache abbiano il modoe l'arte dell'ottimo scrivere. Il qual numero se ti pareeccessivamente piccolonon hai da pensare contuttociò cheegli sia molto maggiore in tempo né in luogo alcuno.


    Piùvolte io mi maraviglio meco medesimo comeponghiamo casoVirgilioesempio supremo di perfezione agli scrittorisia venuto e mantengasiin questa sommità di gloria. Perocchéquantunque iopresuma poco di me stessoe creda non poter mai godere e conoscereciascheduna parte d'ogni suo pregio e d'ogni suo magistero; tuttaviatengo per certo che il massimo numero de' suoi lettori e lodatori noniscorge ne' poemi suoi più che una bellezza per ogni dieci oventi che a mecol molto rileggerli e meditarliviene pur fatto discoprirvi. In vero io mi persuado che l'altezza della stima e dellariverenza verso gli scrittori sommiprovenga comunementein quellieziandio che li leggono e trattanopiuttosto da consuetudineciecamente abbracciatache da giudizio proprio e dal conoscere inquelli per veruna guisa un merito tale. E mi ricordo del tempo dellamia giovinezza; quando io leggendo i poemi di Virgilio con pienalibertà di giudizio da una partee nessuna cura dell'autoritàdegli altriil che non è comune a molti; e dall'altra partecon imperizia consueta a quell'etàma forse non maggiore diquella che in moltissimi lettori è perpetua; ricusava fra mestesso di concorrere nella sentenza universale; non discoprendo inVirgilio molto maggiori virtù che nei poeti mediocri. Quasianche mi maraviglio che la fama di Virgilio sia potuta prevalere aquella di Lucano. Vedi che la moltitudine dei lettorinon solo neisecoli di giudizio falso e corrottoma in quelli ancora di sane eben temperate lettereè molto più dilettata dallebellezze grosse e patentiche dalle delicate e riposte; piùdall'ardire che dalla verecondia; spesso eziandio dall'apparente piùche dal sostanziale; e per l'ordinario più dal mediocre chedall'ottimo. Leggendo le lettere di un Principeraro veramented'ingegnoma usato a riporre nei salinelle arguzienell'instabilitànell'acume quasi tutta l'eccellenza delloscrivereio m'avveggo manifestissimamente che eglinell'intimo de'suoi pensierianteponeva l'Enriade all'Eneide; benché non siardisse a profferire questa sentenzaper solo timore di nonoffendere le orecchie degli uomini. In fineio stupisco che ilgiudizio di pochissimiancorché rettoabbia potuto vincerequello d'infinitie produrre nell'universale quella consuetudine distima non meno cieca che giusta. Il che non interviene semprema ioreputo che la fama degli scrittori ottimi soglia essere effetto delcaso più che dei meriti loro: come forse ti saràconfermato da quello che io sono per dire nel progresso delragionamento.



CAPITOLOTERZO

       Siè veduto già quanto pochi avranno facoltà diammirarti quando sarai giunto a quell'eccellenza che ti proponi Oraavverti che più d'un impedimento si può frapporre ancoa questi pochiche non facciano degno concetto del tuo valorebenché ne veggano i segni. Non è dubbio alcunoche gliscritti eloquenti o poeticidi qualsivoglia sortanon tanto sigiudicano dalle loro qualità in se medesimequantodall'effetto che essi fanno nell'animo di chi legge. In modo che illettore nel farne giudizioli considera piùper cosìdirein se proprioche in loro stessi. Di qui nasceche gli uomininaturalmente tardi e freddi di cuore e d'immaginazioneancorchédotati di buon discorsodi molto acume d'ingegnoe di dottrina nonmediocresono quasi al tutto inabili a sentenziare convenientementesopra tali scritti; non potendo in parte alcuna immedesimare l'animoproprio con quello dello scrittore; e ordinariamente dentro di séli disprezzano; perché leggendolie conoscendoli ancora perfamosissiminon iscuoprono la causa della loro fama; come quelli acui non perviene da lettura tale alcun motoalcun'immaginee quindialcun diletto notabile. Oraa quegli stessi che da natura sonodisposti e pronti a ricevere e a rinnovellare in sé qualunqueimmagine o affetto saputo acconciamente esprimere dagli scrittoriintervengono moltissimi tempi di freddezzanoncuranzalanguidezzad'animoimpenetrabilitàe disposizione talechementredurali rende o conformi o simili agli altri detti dianzi; e ciòper diversissime causeintrinseche o estrinsecheappartenenti allospirito o al corpotransitorie o durevoli. In questi cotali tempiniunose ben fosse per altro uno scrittore sommoè buongiudice degli scritti che hanno a muovere il cuore o l'immaginativa.Lascio la sazietà dei diletti provati poco prima in altreletture tali; e le passionipiù o meno fortichesopravvengono ad ora ad ora; le quali bene spesso tenendo in granparte occupato l'animonon lasciano luogo ai movimenti che in altraoccasione vi sarebbero eccitati dalle cose lette. Cosìper lestesse o simili causespesse volte veggiamo che quei medesimiluoghiquegli spettacoli naturali o di qualsivoglia generequellemusichee cento sì fatte coseche in altri tempi cicommosseroo sarebbero state atte a commuoverci se le avessimovedute o udite; ora vedendole e ascoltandolenon ci commuovonopuntoné ci dilettano; e non perciò sono men belle omeno efficaci in séche fossero allora.
    Maquandoper qualunque delle dette cagionil'uomo è maldisposto agli effetti dell'eloquenza e della poesianon lascia eglinondimeno né differisce il far giudizio dei libri attenentiall'un genere o all'altroche gli accade di leggere allora la primavolta. A me interviene non di rado di ripigliare nelle mani Omero oCicerone o il Petrarcae non sentirmi muovere da quella lettura inalcun modo. Tuttaviacome già consapevole e certo della bontàdi scrittori talisì per la fama antica e sì perl'esperienza delle dolcezze cagionatemi da loro altre volte; non foper quella presente insipidezzaalcun pensiero contrario alla lorolode. Ma negli scritti che si leggono la prima voltae che peressere nuovinon hanno ancora potuto levare il gridooconfermarselo in guisache non resti luogo a dubitare del loropregio; niuna cosa vieta che il lettoregiudicandoli dall'effettoche fanno presentemente nell'animo proprioed esso animo nontrovandosi in disposizione da ricevere i sentimenti e le immaginivolute da chi scrissefaccia piccolo concetto d'autori e d'opereeccellenti. Dal quale non è facile che egli si rimuova poi peraltre letture degli stessi librifatte in migliori tempi: perchéverisimilmente il tedio provato nella primalo sconforteràdalle altre; e in ogni modochi non sa quello che importino le primeimpressionie l'essere preoccupato da un giudizioquantunque falso?


    Perlo contrariotrovansi gli animi alcune volteper una o per altracagionein istato di mobilitàsensovigore e caldezza taleo talmente aperti e preparatiche seguono ogni menomo impulso dellaletturasentono vivamente ogni leggero toccoe coll'occasione diciò che leggonocreano in sé mille moti e milleimmaginazionierrando talora in un delirio dolcissimoe quasirapiti fuori di sé. Da questo facilmente avvienecheguardando ai diletti avuti nella letturae confondendo gli effettidella virtù e della disposizione propria con quelli che siappartengono veramente al libro; restino presi di grande amore edammirazione verso quelloe ne facciano un concetto molto maggioredel giustoanche preponendolo ad altri libri più degnimaletti in congiuntura meno propizia. Vedi dunque a quanta incertezza èsottoposta la verità e la rettitudine dei giudizianche dellepersone idoneecirca gli scritti e gl'ingegni altruitolta pure dimezzo qualunque malignità o favore. La quale incertezza ètaleche l'uomo discorda grandemente da se medesimo nell'estimazionedi opere di valore ugualeed anche di un'opera stessain diverseetà della vitain diversi casie fino in diverse ore di ungiorno.



CAPITOLOQUARTO

    Afine poi che tu non presuma che le predette difficoltàconsistenti nell'animo dei lettori non ben dispostooccorrano radevolte e fuor dell'usato; considera che niuna cosa èmaggiormente usatache il venir mancando nell'uomo coll'andardell'etàla disposizione naturale a sentire i dilettidell'eloquenza e della poesianon meno che dell'altre artiimitativee di ogni bello mondano. Il quale decadimento dell'animoprescritto dalla stessa natura alla nostra vitaoggi è tantomaggiore che egli si fosse agli altri tempie tanto piùpresto incomincia ed ha più rapido progressospecialmentenegli studiosiquanto che all'esperienza di ciaschedunosi aggiungea chi maggiore a chi minor parte della scienza nata dall'uso e dallespeculazioni di tanti secoli passati. Per la qual cosa e per lepresenti condizioni del viver civilesi dileguano facilmentedall'immaginazione degli uomini le larve della prima etàeseco le speranze dell'animo e colle speranze gran parte deidesideriidelle passionidel fervoredella vitadelle facoltà.Onde io piuttosto mi maraviglio che uomini di età maturadotti massimamentee dediti a meditare sopra le cose umanesienoancora sottoposti alla virtù dell'eloquenza e della poesiache non che di quando in quando elle si trovino impedite di fare inquelli alcun effetto. Perciocché abbi per certoche ad esseregagliardamente mosso dal bello e dal grande immaginatofa mestiericredere che vi abbia nella vita umana alcun che di grande e di belloveroe che il poetico del mondo non sia tutto favola. Le quali coseil giovane crede semprequando anche sappia il contrariofinchél'esperienza sua propria non sopravviene al sapere; ma elle sonocredute difficilmente dopo la trista disciplina dell'uso praticomassime dove l'esperienza è congiunta coll'abito dellospeculare e colla dottrina.


    Daquesto discorso seguirebbe che generalmente i giovani fosseromigliori giudici delle opere indirizzate a destare affetti edimmaginiche non sono gli uomini maturi o vecchi. Ma da altro cantosi vede che i giovani non accostumati alla letturacercano in quellaun diletto più che umanoinfinitoe di qualitàimpossibili; e tale non ve ne trovandodisprezzano gli scrittori: ilche anco in altre etàper simili causeavviene alcune volteagl'illetterati. Quei giovani poiche sono dediti alle lettereantepongono facilmentecome nello scriverecosì nelgiudicare gli scritti altruil'eccessivo al moderatoil superbo oil vezzoso dei modi e degli ornamenti al semplice e al naturalee lebellezze fallaci alle vere; parte per la poca esperienzaparte perl'impeto dell'età. Onde i giovanii quali senza alcun fallosono la parte degli uomini più disposta a lodare quello cheloro apparisce buonocome più veraci e candidi; rade voltesono atti a gustare la matura e compiuta bontà delle opereletterarie. Col progresso degli annicresce quell'attitudine chevien dall'artee decresce la naturale. Nondimeno ambedue sononecessarie all'effetto.


    Chiunquepoi vive in città grandeper molto che egli sia da naturacaldo e svegliato di cuore e d'immaginativaio non so (eccetto sead esempio tuonon trapassa in solitudine il più del tempo)come possa mai ricevere dalle bellezze o della natura o delleletterealcun sentimento tenero o generosoalcun'immagine sublime oleggiadra. Perciocché poche cose sono tanto contrarie a quellostato dell'animo che ci fa capaci di tali dilettiquanto laconversazione di questi uominilo strepito di questi luoghilospettacolo della magnificenza vanadella leggerezza delle mentidella falsità perpetuadelle cure miseree dell'ozio piùmiseroche vi regnano. Quanto al volgo dei letteratisto per direche quello delle città grandi sappia meno far giudizio deilibriche non sa quello delle città piccole: perchénelle grandi come le altre cose sono per lo più false e vanecosì la letteratura comunemente è falsa e vanaosuperficiale. E se gli antichi reputavano gli esercizi delle letteree delle scienze come riposi e sollazzi in comparazione ai negozioggi la più parte di quelli che nelle città grandifanno professione di studiosireputanoed effettualmente usanoglistudi e lo scriverecome sollazzi e riposi degli altri sollazzi.


    Iopenso che le opere riguardevoli di pitturascultura ed architetturasarebbero godute assai meglio se fossero distribuite per le provincenelle città mediocri e piccole; che accumulatecome sononelle metropoli: dove gli uominiparte pieni d'infiniti pensieriparte occupati in mille spassie coll'animo connaturatoocostrettoanche mal suo gradoallo svagamentoalla frivolezza ealla vanitàrarissime volte sono capaci dei piaceri intimidello spirito. Oltre che la moltitudine di tante bellezze adunateinsiemedistrae l'animo in guisache non attendendo a niuna di lorose non poconon può ricevere un sentimento vivo; o genera talsazietàche elle si contemplano colla stessa freddezzainternache si fa qualunque oggetto volgare. Il simile dico dellamusica: la quale nelle altre città non si trova esercitatacosì perfettamentee con tale apparatocome nelle grandi;dove gli animi sono meno disposti alle commozioni mirabili diquell'artee menoper dir cosìmusicaliche in ogni altroluogo. Ma nondimeno alle arti è necessario il domicilio dellecittà grandi sì a conseguiree sì maggiormentea porre in opera la loro perfezione: e non per questoda altraparteè men vero che il diletto che elle porgono quivi agliuominiè minore assaiche egli non sarebbe altrove. E si puòdire che gli artefici nella solitudine e nel silenzioprocurano conassidue vigilieindustrie e sollecitudiniil diletto di personeche solite a rivolgersi tra la folla e il romorenon gusteranno senon piccolissima parte del frutto di tante fatiche. La qual sortedegli artefici cade anco per qualche proporzionato modo negliscrittori.



CAPITOLOQUINTO

    Maciò sia detto come per incidenza. Ora tornando in viadicoche gli scritti più vicini alla perfezionehanno questaproprietàche ordinariamente alla seconda lettura piaccionopiù che alla prima. Il contrario avviene in molti libricomposti con arte e diligenza non più che mediocrema nonprivi però di un qual si sia pregio estrinseco ed apparente; iqualiriletti che sienocadono dall'opinione che l'uomo ne aveaconceputo alla prima lettura. Ma letti gli uni e gli altri una voltasolaingannano talora in modo anche i dotti ed espertiche gliottimi sono posposti ai mediocri. Ora hai a considerare che oggieziandio le persone dedite agli studi per instituto di vitaconmolta difficoltà s'inducono a rileggere libri recentimassimeil cui genere abbia per suo proprio fine il diletto. La qual cosa nonavveniva agli antichi; atteso la minor copia dei libri. Ma in questotempo ricco delle scritture lasciateci di mano in mano da tantisecoliin questo presente numero di nazioni letteratein questaeccessiva copia di libri prodotti giornalmente da ciascheduna diessein tanto scambievole commercio fra tutte loro; oltre a ciòin tanta moltitudine e varietà delle lingue scritteantiche emodernein tanto numero ed ampiezza di scienze e dottrine di ognimanierae queste così strettamente connesse e collegateinsiemeche lo studioso è necessitato a sforzarsi diabbracciarle tuttesecondo la sua possibilità; ben vedi chemanca il tempo alle prime non che alle seconde letture. Peròqualunque giudizio vien fatto dei libri nuovi una voltadifficilmente si muta. Aggiungi che per le stesse causeanche nelprimo leggere i detti librimassime di genere amenopochissimi erarissime volte pongono tanta attenzione e tanto studioquanto èdi bisogno a scoprire la faticosa perfezionel'arte intima e levirtù modeste e recondite degli scritti. Di modo che in sommaoggidì viene a essere peggiore la condizione dei libriperfettiche dei mediocri; le bellezze o doti di una gran parte deiqualivere o falsesono esposte agli occhi in manierache perpiccole che sienofacilmente si scorgono alla prima vista. Epossiamo dire con veritàche oramai l'affaticarsi di scrivereperfettamenteè quasi inutile alla fama. Ma da altra parteilibri composticome sono quasi tutti i modernifrettolosamenteerimoti da qualunque perfezione; ancorché sieno celebrati perqualche temponon possono mancar di perire in breve: come si vedecontinuamente nell'effetto. Ben è vero che l'uso che oggi sifa dello scrivere è tantoche eziandio molti scrittidegnissimi di memoriae venuti pure in gridotrasportati indi apocoe avanti che abbiano potuto (per dir così) radicare lapropria celebritàdall'immenso fiume dei libri nuovi chevengono tutto giorno in luceperiscono senz'altra cagionedandoluogo ad altridegni o indegniche occupano la fama per brevespazio. Cosìad un tempo medesimouna sola gloria èdato a noi di seguiredelle tante che furono proposte agli antichi;e quella stessa con molta più difficoltà si consegueoggiche anticamente.


    Soliin questo naufragio continuo e comune non meno degli scritti nobiliche de' plebeisoprannuotano i libri antichi; i quali per la famagià stabilita e corroborata dalla lunghezza dell'etànon solo si leggono ancora diligentementema si rileggono estudiano. E nota che un libro modernoeziandio se di perfezionefosse comparabile agli antichidifficilmente o per nessun modopotrebbenon dico possedere lo stesso grado di gloriama recarealtrui tanta giocondità quanta dagli antichi si riceve: equesto per due cagioni. La prima si èche egli non sarebbeletto con quell'accuratezza e sottilità che si usa negliscritti celebri da gran temponé tornato a leggere se non dapochissiminé studiato da nessuno; perché non sistudiano libriche non sieno scientificiinsino a tanto che nonsono divenuti antichi. L'altra si èche la fama durevole euniversale delle scrittureposto che a principio nascesse non daaltra causa che dal merito loro proprio ed intrinsecociò nonostantenata e cresciuta che siamoltiplica in modo il loro pregioche elle ne divengono assai più grate a leggereche nonfurono per l'addietro; e talvolta la maggior parte del diletto che visi provanasce semplicemente dalla stessa fama. Nel qual propositomi tornano ora alla mente alcune avvertenze notabili di un filosofofrancese; il quale in sostanzadiscorrendo intorno alle origini deipiaceri umanidice così. Molte cause di godimento compone ecrea l'animo stesso nostro a se propriomassime collegando tra lorodiverse cose. Perciò bene spesso avviene che quello chepiacque una voltapiaccia similmente un'altra; solo per esserepiaciuto innanzi; congiungendo noi coll'immagine del presente quelladel passato. Per modo di esempiouna commediante piaciuta aglispettatori nella scenapiacerà verisimilmente ai medesimianco nelle sue stanze; perocché sì del suono della suavocesì della sua recitazionesì dell'essere statipresenti agli applausi riportati dalla donnae in qualche modoeziandio del concetto di principessa aggiunto a quel proprio che leconvienesi comporrà quasi un misto di più causecheprodurranno un diletto solo. Certo la mente di ciascuno abbonda tuttogiorno d'immagini e di considerazioni accessorie alle principali. Diqui nasce che le donne fornite di riputazione grandee macchiate diqualche difetto piccolorecano talvolta in onore esso difettodandocausa agli altri di tenerlo in conto di leggiadria. E veramente ilparticolare amore che ponghiamo chi ad una chi ad altra donnaèfondato il più delle volte in sulle sole preoccupazioni chenascono in colei favore o dalla nobiltà del sangueo dallericchezzeo dagli onori che le sono renduti o dalla stima che le èportata da certi; spesso eziandio dalla famavera o falsadibellezza o di graziae dallo stesso amore avutole prima o dipresente da altre persone. E chi non sa che quasi tutti i piacerivengono più dalla nostra immaginativache dalle propriequalità delle cose piacevoli?


    Lequali avvertenze quadrando ottimamente agli scritti non meno che allealtre cosedico che se oggi uscisse alla luce un poema uguale osuperiore di pregio intrinseco all'Iliade; letto ancheattentissimamente da qualunque più perfetto giudice di cosepoetichegli riuscirebbe assai meno grato e men dilettevole diquella; e per tanto gli resterebbe in molto minore estimazione:perché le virtù proprie del poema nuovonon sarebberoaiutate dalla fama di ventisette secoliné da mille memorie emille rispetticome sono le virtù dell'Iliade. Similmentedicoche chiunque leggesse accuratamente o la Gerusalemme o ilFuriosoignorando in tutto o in parte la loro celebrità;proverebbe nella lettura molto minor dilettoche gli altri nonfanno. Laonde in fineparlando generalmentei primi lettori diciascun'opera egregiae i contemporanei di chi la scrisseposto cheella ottenga poi fama nella posteritàsono quelli che inleggerla godono meno di tutti gli altri: il che risulta ingrandissimo pregiudizio degli scrittori.



CAPITOLOSESTO

    Questesono in parte le difficoltà che ti contenderanno l'acquistodella gloria appresso agli studiosied agli stessi eccellentinell'arte dello scrivere e nella dottrina. E quanto a coloro che sebene bastantemente instrutti di quell'erudizione che oggi èpartesi può direnecessaria di civiltànon fannoprofessione alcuna di studi né di scriveree leggono solo perpassatempoben sai che non sono atti a godere più che tantodella bontà dei libri: e questooltre al detto innanziancheper un'altra cagioneche mi resta a dire. Cioè che questitali non cercano altro in quello che leggonofuorché ildiletto presente. Ma il presente è piccolo e insipido pernatura a tutti gli uomini. Onde ogni cosa più dolcee comedice Omero

Venereil sonnoil canto e le carole

prestoe di necessità vengono a noiase colla presente occupazionenon è congiunta la speranza di qualche diletto o comoditàfutura che ne dipenda. Perocché la condizione dell'uomo non ècapace di alcun godimento notabileche non consista sopra tuttonella speranzala cui forza è taleche moltissimeoccupazioni prive per sé di ogni piacereed eziandiostucchevoli o faticoseaggiuntavi la speranza di qualche fruttoriescono gratissime e giocondissimeper lunghe che sieno; ed alcontrariole cose che si stimano dilettevoli in sédisgiuntedalla speranzavengono in fastidio quasiper così direappena gustate. E in tanto veggiamo noi che gli studiosi sono comeinsaziabili della letturaanco spesse volte aridissimae provano unperpetuo diletto nei loro studicontinuati per buona parte delgiorno; in quanto che nell'una e negli altriessi hanno sempredinanzi agli occhi uno scopo collocato nel futuroe una speranza diprogresso e di giovamentoqualunque egli si sia; e che nello stessoleggere che fanno alcune volte quasi per ozio e per trastullononlasciano di proporsioltre al diletto presentequalche altrautilitàpiù o meno determinata. Dove che gli altrinon mirando nella lettura ad alcun fine che non si contengaper dircosìnei termini di essa lettura; fino sulle prime carte deilibri più dilettevoli e più soavidopo un vanopiaceresi trovano sazi: sicché sogliono andare nauseosamenteerrando di libro in libroe in fine si maravigliano i più dilorocome altri possa ricevere dalla lunga lezione un lungo diletto.In tal modoanche da ciò puoi conoscere che qualunque arteindustria e fatica di chi scriveè perduta quasi del tutto inquanto a queste tali persone: del numero delle quali generalmente siè la più parte dei lettori. Ed anche gli studiosimutate coll'andare degli annicome spesso avvienela materia e laqualità dei loro studiappena sopportano la lettura di libridai quali in altro tempo furono o sarebbero potuti essere dilettatioltre modo; e se bene hanno ancora l'intelligenza e la perizianecessaria a conoscerne il pregiopure non vi sentono altro chetedio; perché non si aspettano da loro alcuna utilità.



CAPITOLOSETTIMO

    Finqui si è detto dello scrivere in generalee certe cose chetoccano principalmente alle lettere ameneallo studio delle quali tiveggo inclinato più che ad alcun altro. Diciamo oraparticolarmente della filosofia; non intendendo però diseparar quelle da questa; dalla quale pendono totalmente. Penseraiforse che derivando la filosofia dalla ragionedi cui l'universaledegli uomini inciviliti partecipa forse più chedell'immaginativa e delle facoltà del cuore; il pregio delleopere filosofiche debba essere conosciuto più facilmente e damaggior numero di personeche quello de' poemie degli altriscritti che riguardano al dilettevole e al bello. Ora ioper mestimo che il proporzionato giudizio e il perfetto sensosia pocomeno raro verso quelleche verso queste. Primieramente abbi per cosacertache a far progressi notabili nella filosofianon bastanosottilità d'ingegnoe facoltà grande di ragionaremasi ricerca eziandio molta forza immaginativa; e che il DescartesGalileoil Leibnitzil Newtonil Vicoin quanto all'innatadisposizione dei loro ingegnisarebbero potuti essere sommi poeti; eper lo contrario OmeroDantelo Shakespearesommi filosofi. Maperché questa materiaa dichiararla e trattarla appienovorrebbe molte parolee ci dilungherebbe assai dal nostro proposito;perciò contentandomi pure di questo cennoe passando innanzidico che solo i filosofi possono conoscere perfettamente il pregioesentire il dilettodei libri filosofici. Intendo dire in quanto si èalla sostanzanon a qualsivoglia ornamento che possono avereo diparole o di stile o d'altro. Dunquecome gli uomini di naturapermodo di direimpoeticase bene intendono le parole e il sensononricevono i moti e le immagini de' poemi; così bene spessoquelli che non sono dimesticati al meditare e filosofare secomedesimio che non sono atti a pensare profondamenteper veri e peraccurati che sieno i discorsi e le conclusioni del filosofoe chiaroil modo che egli usa in espor gli uni e l'altreintendono le parolee quello che egli vuol direma non la verità de' suoi detti.Perocché non avendo la facoltà o l'abito di penetrarcoi pensieri nell'intimo delle cosené di sciorre e dividerele proprie idee nelle loro menome partiné di ragunare estringere insieme un buon numero di esse ideené dicontemplare colla mente in un tratto molti particolari in modo dapoterne trarre un generalené di seguire indefessamentecoll'occhio dell'intelletto un lungo ordine di verità connessetra loro a mano a manoné di scoprire le sottili e reconditecongiunture che ha ciascuna verità con cento altre; nonpossono facilmenteo in maniera alcunaimitare e reiterare collamente propria le operazioni fattené provare le impressioniprovateda quella del filosofo; unico modo avederecomprendereedestimare convenientemente tutte le cause che indussero esso filosofoa far questo o quel giudizioaffermare o negare questa o quellacosadubitar di tale o di tal altra. Sicché quantunqueintendano i suoi concettinon intendono che sieno veri o probabili;non avendoe non potendo fareuna quasi esperienza della veritàe della probabilità loro. Cosa poco diversa da quella che agliuomini naturalmente freddi accade circa le immaginazioni e gliaffetti espressi dai poeti. E ben sai che egli è comune alpoeta e al filosofo l'internarsi nel profondo degli animi umanietrarre in luce le loro intime qualità e varietàgliandamentii moti e i successi occultile cause e gli effettidell'une e degli altri: nelle quali cosequelli che non sono atti asentire in sé la corrispondenza de' pensieri poetici al veronon sentono anchee non conosconoquella dei filosofici.


    Dalledette cause nasce quello che veggiamo tutto dìche molteopere egregieugualmente chiare ed intelligibili a tutticiònon ostantead alcuni paiono contenere mille veritàcertissime; ad altrimille manifesti errori: onde elle sonoimpugnatepubblicamente o privatamente; non solo per malignitào per interesse o per altre simili cagionima eziandio perimbecillità di mentee per incapacità di sentire e dicomprendere la certezza dei loro principiila rettitudine dellededuzioni e delle conclusionie generalmente la convenienzal'efficacia e la verità dei loro discorsi. Spesse volte le piùstupende opere filosofiche sono anche imputate di oscuritànon per colpa degli scrittorima per la profondità o lanovità dei sentimenti da un latoe dall'altro l'oscuritàdell'intelletto di chi non li potrebbe comprendere in nessun modo.Considera dunque anche nel genere filosofico quanta difficoltàdi aver lodeper dovuta che sia. Perocché non puoi dubitarese anche io non lo esprimoche il numero dei filosofi veri eprofondifuori dei quali non e chi sappia far convenevole stimadegli altri talinon sia piccolissimo anche nell'etàpresentebenché dedita all'amore della filosofia piùche le passate. Lascio le varie fazionio comunque si convengachiamarlein cui sono divisi oggicome sempre furonoquelli chefanno professione di filosofare: ciascuna delle quali negaordinariamente la debita lode e stima a quei delle altre; non soloper volontàma per avere l'intelletto occupato da altriprincipii.



CAPITOLOOTTAVO

    Sepoi (come non è cosa alcuna che io non mi possa promettere dicotesto ingegno) tu salissi col sapere e colla meditazione a tantaaltezzache ti fosse datocome fu a qualche eletto spiritodiscoprire alcuna principalissima veritànon solo stata primaincognita in ogni tempoma rimota al tutto dall'espettazione degliuominie al tutto diversa o contraria alle opinioni presentiancodei saggi; non pensar di avere a raccorre in tua vita da questodiscoprimento alcuna lode non volgare. Anzi non ti sarà datalodené anche da' sapienti (eccettuato forse una loro menomaparte)finché ripetute quelle medesime veritàora dauno ora da altroa poco a poco e con lunghezza di tempogli uominivi assuefacciano prima gli orecchi e poi l'intelletto. Perocchéniuna verità nuovae del tutto aliena dai giudizi correnti;quando bene dal primo che se ne avvidefosse dimostrata con evidenzae certezza conforme o simile alla geometrica; non fu mai potutasepure le dimostrazioni non furono materialiintrodurre e stabilirenel mondo subitamente; ma solo in corso di tempomediante laconsuetudine e l'esempio: assuefacendosi gli uomini al credere comead ogni altra cosa; anzi credendo generalmente per assuefazionenonper certezza di prove concepita nell'animo: tanto che in fine essaveritàcominciata a insegnare ai fanciullifu accettatacomunementericordata con maraviglia l'ignoranza della medesimaederise le sentenze diverse o negli antenati o nei presenti. Ma ciòcon tanto maggiore difficoltà e lunghezzaquanto queste sìfatte verità nuove e incredibilifurono maggiori e piùcapitalie quindi sovvertitrici di maggior numero di opinioniradicate negli animi. Né anche gl'intelletti acuti edesercitatisentono facilmente tutta l'efficacia delle ragioni chedimostrano simili verità inauditeed eccedenti di troppospazio i termini delle cognizioni e dell'uso di essi intelletti;massime quando tali ragioni e tali verità ripugnano allecredenze inveterate nei medesimi. Il Descartes al suo temponellageometriala quale egli amplificò maravigliosamentecoll'adattarvi l'algebra e cogli altri suoi trovatinon fu népure intesose non da pochissimi. Il simile accadde al Newton. Inverola condizione degli uomini disusatamente superiori di sapienzaalla propria etànon è molto diversa da quella deiletterati e dotti che vivono in città o province vacue distudi: perocché né questicome dirò poida'lor cittadini o provincialiné quelli da' contemporaneisonotenuti in quel conto che meriterebbero; anzi spessissime volte sonovilipesiper la diversità della vita o delle opinioni loro daquelle degli altrie per la comune insufficienza a conoscere ilpregio delle loro facoltà ed opere.


    Nonè dubbio che il genere umano a questi tempie insino dallarestaurazione della civiltànon vada procedendo innanzicontinuamente nel sapere. Ma il suo procedere e tardo e misurato:laddove gli spiriti sommi e singoliche si danno alla speculazionedi quest'universo sensibile all'uomo o intelligibileed alrintracciamento del verocamminanoanzi talora corronovelocementee quasi senza misura alcuna. E non per questo èpossibile che il mondoin vederli procedere così speditiaffretti il cammino tantoche giunga con loro o poco piùtardi di lorocolà dove essi per ultimo si rimangono. Anzinon esce del suo passo; e non si conduce alcune volte a questo o aquel terminese non solamente in ispazio di uno o di piùsecoli da poi che qualche alto spirito vi si fu condotto.


    Èsentimentosi può direuniversaleche il sapere umano debbala maggior parte del suo progresso a quegl'ingegni supremichesorgono di tempo in tempoquando uno quando altroquasi miracoli dinatura. Io per lo contrario stimo che esso debba agl'ingegni ordinariil piùagli straordinari pochissimo. Uno di questiponghiamofornito che egli ha colla dottrina lo spazio delleconoscenze de' suoi contemporaneiprocede nel sapereper dir cosìdieci passi più innanzi. Ma gli altri uomininon solo non sidispongono a seguitarloanzi il più delle volteper tacereil peggiosi ridono del suo progresso. Intanto molti ingegnimediocriforse in parte aiutandosi dei pensieri e delle scoperte diquel sommoma principalmente per mezzo degli studi proprifannocongiuntamente un passo; nel che per la brevità dello spaziocioè per la poca novità delle sentenzeed anche per lamoltitudine di quelli che ne sono autoriin capo di qualche annosono seguitati universalmente. Cosìprocedendogiusta ilconsuetoa poco a pocoe per opera ed esempio di altri intellettimediocrigli uomini compiono finalmente il decimo passo; e lesentenze di quel sommo sono comunemente accettate per vere in tuttele nazioni civili. Ma essogià spento da gran tempononacquista pure per tal successo una tarda e intempestiva riputazione;parte per essere già mancata la sua memoriao perchél'opinione ingiusta avuta di lui mentre visseconfermata dalla lungaconsuetudineprevale a ogni altro rispetto; parte perché gliuomini non sono venuti a questo grado di cognizioni per opera sua; eparte perché già nel sapere gli sono ugualipresto losormonterannoe forse gli sono superiori anche al presenteperessersi potute colla lunghezza del tempo dimostrare e dichiararemeglio le verità immaginate da luiridurre le sue congetturea certezzadare ordine e forma migliore a' suoi trovatie quasimaturarli. Se non che forse qualcuno degli studiosiriandando lememorie dei tempi addietroconsiderate le opinioni di quel grandeemesse a riscontro con quelle de' suoi posterisi avvede come equanto egli precorresse il genere umanoe gli porge alcune lodichelevano poco romoree vanno presto in dimenticanza.


    Sebene il progresso del sapere umanocome il cadere dei graviacquista di momento in momentomaggiore celerità; nondimenoegli è molto difficile ad avvenire che una medesimagenerazione d'uomini muti sentenzao conosca gli errori propriinguisache ella creda oggi il contrario di quel che credette in altrotempo. Bensì prepara tali mezzi alla susseguenteche questapoi conosce e crede in molte cose il contrario di quella. Ma comeniuno sente il perpetuo moto che ci trasporta in giro insieme collaterracosì l'universale degli uomini non si avvede delcontinuo procedere che fanno le sue conoscenzenédell'assiduo variare de' suoi giudizi. E mai non muta opinione inmanierache egli si creda di mutarla. Ma certo non potrebbe fare dinon crederlo e di non avvederseneogni volta che egli abbracciassesubitamente una sentenza molto aliena da quelle tenute or ora. Pertantoniuna verità così fattasalvo che non cadasotto ai sensisarà mai creduta comunemente dai contemporaneidel primo che la conobbe.



CAPITOLONONO

    Facciamoche superato ogni ostacoloaiutato il valore dalla fortunaabbiconseguito in fattinon pur celebritàma gloriae non dopomorte ma in vita. Veggiamo che frutto ne ritrarrai. Primieramentequel desiderio degli uomini di vederti e conoscerti di personaquell'essere mostrato a ditoquell'onore e quella riverenzasignificata dai presenti cogli atti e colle parolenelle quali coseconsiste la massima utilità di questa gloria che nasce dagliscrittiparrebbe che più facilmente ti dovessero intervenirenelle città piccoleche nelle grandi; dove gli occhi e glianimi sono distratti e rapiti parte dalla potenzaparte dallaricchezzain ultimo dalle arti che servono all'intrattenimento ealla giocondità della vita inutile. Ma come le cittàpiccole mancano per lo più di mezzi e di sussidi onde altrivenga all'eccellenza nelle lettere e nelle dottrine; e come tutto ilraro e il pregevole concorre e si aduna nelle città grandi;perciò le piccoledi rado abitate dai dottie priveordinariamente di buoni studisogliono tenere tanto basso contononsolo della dottrina e della sapienzama della stessa fama che alcunosi ha procacciata con questi mezziche l'una e l'altre in queiluoghi non sono pur materia d'invidia. E se per caso qualche personariguardevole o anche straordinaria d'ingegno e di studisi trovaabitare in luogo piccolo; l'esservi al tutto unicanon tanto non leaccresce pregioma le nuoce in modoche spesse voltequando anchefamosa al di fuoriella ènella consuetudine di quegliuominila più negletta e oscura persona del luogo. Come làdove l'oro e l'argento fossero ignoti e senza pregiochiunqueessendo privo di ogni altro avereabbondasse di questi metallinonsarebbe più ricco degli altrianzi poverissimoe per taleavuto; così là dove l'ingegno e la dottrina non siconosconoe non conosciuti non si apprezzanoquivi se pur vi haqualcuno che ne abbondiquesti non ha facoltà di soprastareagli altrie quando non abbia altri beniè tenuto a vile. Etanto egli e lungi da potere essere onorato in simili luoghichebene spesso egli vi è riputato maggiore che non è infattiné perciò tenuto in alcuna stima. Al tempo chegiovanettoio mi riduceva talvolta nel mio piccolo Bosisio;conosciutosi per la terra ch'io soleva attendere agli studie miesercitava alcun poco nello scrivere; i terrazzani mi riputavanopoetafilosofofisicomatematicomedicolegistateologoeperito di tutte le lingue del mondo; e m'interrogavanosenza fareuna menoma differenzasopra qualunque punto di qual si siadisciplina o favella intervenisse per alcun accidente nel ragionare.E non per questa loro opinione mi stimavano da molto; anzi micredevano minore assai di tutti gli uomini dotti degli altri luoghi.Ma se io li lasciava venire in dubbio che la mia dottrina fosse pureun poco meno smisurata che essi non pensavanoio scadeva ancoramoltissimo nel loro concettoe all'ultimo si persuadevano che essamia dottrina non si stendesse niente più che la loro.


    Nellecittà grandiquanti ostacoli si frapponganosiccomeall'acquisto della gloriacosì a poter godere il fruttodell'acquistatanon ti sarà difficile a giudicare dalle cosedette alquanto innanzi. Ora aggiungoche quantunque nessuna fama siapiù difficile a meritareche quella di egregio poeta o discrittore ameno o di filosofoalle quali tu miri principalmentenessuna con tutto questo riesce meno fruttuosa a chi la possiede. Nonti sono ignote le querele perpetuegli antichi e i moderni esempidella povertà e delle sventure de' poeti sommi. In Omerotutto (per cosi dire) è vago e leggiadramente indefinitosiccome nella poesiacosì nella persona; di cui la patrialavitaogni cosaè come un arcano impenetrabile agli uomini.Soloin tanta incertezza e ignoranzasi ha da una costantissimatradizioneche Omero fu povero e infelice: quasi che la fama e lamemoria dei secoli non abbia voluto lasciar luogo a dubitare che lafortuna degli altri poeti eccellenti non fosse comune al principedella poesia. Ma lasciando degli altri benie dicendo solodell'onorenessuna fama nell'uso della vita suol essere menoonorevolee meno utile a esser tenuto da più degli altrichesieno le specificate or ora. O che la moltitudine delle persone chele ottengono senza meritoe la stessa immensa difficoltà dimeritarletolgano pregio e fede a tali riputazioni; o piuttostoperché quasi tutti gli uomini d'ingegno leggermente cultosicredono avere essi medesimio potere facilmente acquistaretantanotizia e facoltà sì di lettere amene e sì difilosofiache non riconoscono per molto superiori a sé quelliche veramente vagliono in queste cose; o parte per l'unaparte perl'altra cagione; certo si è che l'aver nome di mediocrematematicofisicofilologoantiquario; di mediocre pittorescultoremusico; di essere mezzanamente versato anche in una solalingua antica o pellegrina; è causa di ottenere appresso alcomune degli uominieziandio nelle città migliorimolta piùconsiderazione e stimache non si ottiene coll'essere conosciuto ecelebrato dai buoni giudici per filosofo o poeta insigneo per uomoeccellente nell'arte del bello scrivere. Così le due parti piùnobilipiù faticose ad acquistarepiù straordinariepiù stupende; le due sommitàper così diredell'arte e della scienza umana; dico la poesia e la filosofia; sonoin chi le professaspecialmente oggile facoltà piùneglette del mondo; posposte ancora alle arti che si esercitanoprincipalmente colla manocosì per altri rispetticomeperché niuno presume né di possedere alcuna di questenon avendola procacciatané di poterla procacciare senzastudio e fatica. In fineil poeta e il filosofo non hanno in vitaaltro frutto del loro ingegnoaltro premio dei loro studise nonforse una gloria nata e contenuta fra un piccolissimo numero dipersone. Ed anche questa è una delle molte cose nelle quali siconviene colla poesia la filosofiapovera anch'essa e nudacomecanta il Petrarcanon solo di ogni altro bene ma di riverenza e dionore.



CAPITOLODECIMO

    Nonpotendo nella conversazione degli uomini godere quasi alcun beneficiodella tua gloriala maggiore utilità che ne ritrarraisaràdi rivolgerla nell'animo e di compiacertene teco stesso nel silenziodella tua solitudinecon pigliarne stimolo e conforto a nuovefatichee fartene fondamento a nuove speranze. Perocché lagloria degli scrittorinon solocome tutti i beni degli uominiriesce più grata da lungi che da vicinoma non è maisi può direpresente a chi la possiedee non si ritrova innessun luogo.
    Dunqueper ultimo ricorrerai coll'immaginativa a quell'estremo rifugio econforto degli animi grandiche è la posterità. Nelmodo che Ciceronericco non di una semplice gloriané questavolgare e tenuema di una moltiplicee disusatae quanta ad unsommo antico e romanotra uomini romani e antichiera convenienteche pervenisse; nondimeno si volge col desiderio alle generazionifuturedicendobenché sotto altra persona: pensi tu che iomi fossi potuto indurre a prendere e a sostenere tante fatiche il dìe la nottein città e nel campose avessi creduto che la miagloria non fosse per passare i termini della mia vita? Non era moltopiù da eleggere un vivere ozioso e tranquillosenza alcunafatica o sollecitudine? Ma l'animo mionon so comequasi levatoalto il capomirava di continuo alla posterità in modocomese eglipassato che fosse di vitaallora finalmente fosse pervivere. Il che da Cicerone si riferisce a un sentimentodell'immortalità degli animi propriingenerato da natura neipetti umani. Ma la cagione vera si èche tutti i beni delmondo non prima sono acquistatiche si conoscono indegni delle curee delle fatiche avute in procacciarli; massimamente la gloriachefra tutti gli altri è di maggior prezzo a comperaree di menouso a possedere. Ma comesecondo il detto di Simonide

Labella speme tutti ci nutrica
Di sembianze beate;
Onde ciascunoindarno si affatica;
Altri l'aurora amicaaltri l'etate
O lastagione aspetta:
E nullo in terra il mortal corso affretta
Cuinell'anno avvenir facili e pii
Con Pluto gli altri iddii
Lamente non prometta;

cosìdi mano in mano che altri per prova è fatto certo della vanitàdella gloriala speranzaquasi cacciata e inseguita di luogo inluogoin ultimo non avendo più dove riposarsi in tutto lospazio della vitanon perciò vien menoma passata di làdalla stessa mortesi ferma nella posterità. Perocchél'uomo è sempre inclinato e necessitato a sostenersi del benfuturocosì come egli è sempre malissimo soddisfattodel ben presente. Laonde quelli che sono desiderosi di gloriaottenutala pure in vitasi pascono principalmente di quella chesperano possedere dopo la mortenel modo stesso che niuno ècosì felice oggiche disprezzando la vana felicitàpresentenon si conforti col pensiero di quella parimente vanacheegli si promette nell'avvenire.



CAPITOLOUNDECIMO

    Main fineche è questo ricorrere che facciamo alla posterità?Certo la natura dell'immaginazione umana porta che si faccia deiposteri maggior concetto e miglioreche non si fa dei presentinédei passati eziandio; solo perché degli uomini che ancora nonsononon possiamo avere alcuna contezzané per pratica néper fama. Ma riguardando alla ragionee non all'immaginazionecrediamo noi che in effetto quelli che verrannoabbiano a esseremigliori dei presenti? Io credo piuttosto il contrarioed ho perveridico il proverbioche il mondo invecchia peggiorando. Migliorcondizione mi parrebbe quella degli uomini egregise potesseroappellare ai passati; i qualia dire di Ciceronenon furonoinferiori di numero a quello che saranno i posterie di virtùfurono superiori assai. Ma certo il più valoroso uomo diquesto secolo non riceverà dagli antichi alcuna lode.Concedasi che i futuriin quanto saranno liberi dall'emulazionedall'invidiadall'amore e dall'odionon già tra se stessima verso noisieno per essere più diritti estimatori dellecose nostreche non sono i contemporanei. Forse anco per gli altririspetti saranno migliori giudici? Pensiamo noiper dir solamente diquello che tocca agli studiche i posteri sieno per avere un maggiornumero di poeti eccellentidi scrittori ottimidi filosofi veri eprofondi? poiché si è veduto che questi soli possonofare degna stima dei loro simili. Ovveroche il giudizio di questiavrà maggior efficacia nella moltitudine di allorache non haquello dei nostri nella presente? Crediamo che nel comune degliuomini le facoltà del cuoredell'immaginativadell'intellettosaranno maggiori che non sono oggi?


    Nellelettere amene non veggiamo noi quanti secoli sono stati di slperverso giudizioche disprezzata la vera eccellenza dello scriveredimenticati o derisi gli ottimi scrittori antichi o nuovihannoamato e pregiato costantemente questo o quel modo barbaro; tenendoloeziandio per solo convenevole e naturale; perché qualsivogliaconsuetudinequantunque corrotta e pessimadifficilmente sidiscerne dalla natura? E ciò non si trova essere avvenuto insecoli e nazioni per altro gentili e nobili? Che certezza abbiamo noiche la posterità sia per lodar sempre quei modi dello scrivereche noi lodiamo? se pure oggi si lodano quelli che sono lodevoliveramente. Certo i giudizi e le inclinazioni degli uomini circa lebellezze dello scriveresono mutabilissimee varie secondo i tempile nature dei luoghi e dei popolii costumigli usile persone.Ora a questa varietà ed incostanza è forza chesoggiaccia medesimamente la gloria degli scrittori.


    Anchepiù varia e mutabile si è la condizione cosìdella filosofia come delle altre scienze: se bene al primo aspettopare il contrario: perché le lettere amene riguardano albelloche pende in gran parte dalle consuetudini e dalle opinioni;le scienze al veroch'è immobile e non patisce cambiamento.Ma come questo vero è celato ai mortalise non quanto isecoli ne discuoprono a poco a poco; però da una partesforzandosi gli uomini di conoscerlocongetturandoloabbracciandoquesta o quella apparenza in sua vecesi dividono in molte opinionie molte sette: onde si genera nelle scienze non piccola varietà.Da altra partecolle nuove notizie e coi nuovi quasi barlumi delveroche si vengono acquistando di mano in manocrescono le scienzedi continuo: per la qual cosae perché vi prevagliono indiversi tempi diverse opinioniche tengono luogo di certezzeavviene che essepoco o nulla durando in un medesimo statocangianoforma e qualità di tratto in tratto. Lascio il primo puntocioè la varietà; che forse non è di minorenocumento alla gloria dei filosofi o degli scienziati appresso ailoro posteriche appresso ai contemporanei. Ma la mutabilitàdelle scienze e della filosofiaquanto pensi tu che debba nuocere aquesta gloria nella posterità? Quando per nuove scopertefatteo per nuove supposizioni e congetturelo stato di una o dialtra scienza sarà notabilmente mutato da quello che egli ènel nostro secolo; in che stima saranno tenuti gli scritti e ipensieri di quegli uomini che oggi in essa scienza hanno maggiorlode? Chi legge ora più le opere di Galileo? Ma certo ellefurono al suo tempo mirabilissime; né forse migliorinépiù degne di un intelletto sommoné piene di maggioritrovati e di concetti più nobilisi potevano allora scriverein quelle materie. Nondimeno ogni mediocre fisico o matematicodell'età presentesi trova esserenell'una o nell'altrascienzamolto superiore a Galileo. Quanti leggono oggidì gliscritti del cancellier Bacone? chi si cura di quello delMallebranche? e la stessa opera del Lockese i progressi dellascienza quasi fondata da luisaranno in futuro così rapidicome mostrano dover esserequanto tempo andrà per le manidegli uomini?


    Veramentela stessa forza d'ingegnola stessa industria e faticache ifilosofi e gli scienziati usano a procurare la propria gloriacoll'andar del tempo sono causa o di spegnerla o di oscurarla.Perocché dall'aumento che essi recano ciascuno alla loroscienzae per cui vengono in gridonascono altri aumentiper liquali il nome e gli scritti loro vanno a poco a poco in disuso. Ecerto è difficile ai più degli uomini l'ammirare evenerare in altri una scienza molto inferiore alla propria. Ora chipuò dubitare che l'età prossima non abbia a conoscerela falsità di moltissime cose affermate oggi o credute daquelli che nel sapere sono primie a superare di non piccolo trattonella notizia del vero l'età presente?



CAPITOLODUODECIMO

    Forsein ultimo luogo ricercherai d'intendere il mio parere e consiglioespressose a teper tuo megliosi convenga più diproseguire o di omettere il cammino di questa gloriasìpovera di utilitàsì difficile e incerta non meno aritenere che a conseguiresimile all'ombrache quando tu l'abbi trale maninon puoi né sentirlané fermarla che non sifugga. Dirò brevementesenz'alcuna dissimulazioneil mioparere. Io stimo che cotesta tua maravigliosa acutezza e forzad'intendimentocotesta nobiltàcaldezza e feconditàdi cuore e d'immaginativasieno di tutte le qualità che lasorte dispensa agli animi umanile più dannose e lacrimevolia chi le riceve. Ma ricevute che sonocon difficoltà si fuggeil loro danno: e da altra partea questi tempiquasi l'unicautilità che elle possono daresi è questa gloria chetalvolta se ne ritrae con applicarle alle lettere e alle dottrine.Dunquecome fanno quei poveriche essendo per alcun accidentemanchevoli o mal disposti di qualche loro membros'ingegnano divolgere questo loro infortunio al maggior profitto che possonogiovandosi di quello a muovere per mezzo della misericordia laliberalità degli uomini; così la mia sentenza èche tu debba industriarti di ricavare a ogni modo da coteste tuequalità quel solo benequantunque piccolo e incertoche sonoatte a produrre. Comunemente elle sono avute per benefizi e donidella naturae invidiate spesso da chi ne è privoai passatio ai presenti che le sortirono. Cosa non meno contraria al rettosensoche se qualche uomo sano invidiasse a quei miseri che iodicevale calamità del loro corpo; quasi che il danno diquelle fosse da eleggere volentieriper conto dell'infelice guadagnoche partoriscono. Gli altri attendono a operareper quanto concedonoi tempie a goderequanto comporta questa condizione mortale. Gliscrittori grandiincapaciper natura o per abitodi molti piaceriumani; privi di altri molti per volontà; non di rado neglettinel consorzio degli uominise non forse dai pochi che seguono imedesimi studi; hanno per destino di condurre una vita simile allamortee viverese pur l'ottengonodopo sepolti. Ma il nostro fatodove che egli ci traggaè da seguire con animo forte egrande; la qual cosa è richiesta massime alla tua virtùe di quelli che ti somigliano.



DIALOGODI FEDERICO RUYSCH E DELLE SUE MUMMIE

Corodi morti
nello studio di Federico Ruysch

Solanel mondo eternaa cui si volve
Ogni creata cosa
In temortesi posa
Nostra ignuda natura;
Lieta nomasicura
Dall'antico dolor. Profonda notte
Nella confusa mente
Ilpensier grave oscura;
Alla spemeal desiol'arido spirto
Lenamancar si sente:
Così d'affanno e di temenza èsciolto
E l'età vote e lente
Senza tedioconsuma.
Vivemmo: e qual di paurosa larva
E di sudato sogno
Alattante fanciullo erra nell'alma
Confusa ricordanza:
Talmemoria n'avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Ilrimembrar. Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbenome?
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensiernostroe tale
Qual de' vivi al pensiero
L'ignota morte appar.Come da morte
Vivendo rifuggiacosì rifugge
Dallafiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura
Peròch'esser beato
Nega ai mortali e nega a' morti il fato.

Ruyschfuori dello studioguardando per gli spiragli dell'uscio. Diamine.!Chi ha insegnato la musica a questi mortiche cantano di mezza nottecome galli? In verità che io sudo freddoe per poco non sonopiù morto di loro. Io non mi pensava perché gli hopreservati dalla corruzioneche mi risuscitassero. Tant'è:con tutta la filosofiatremo da capo a piedi. Mal abbia quel diavoloche mi tentò di mettermi questa gente in casa. Non so che mifare. Se gli lascio qui chiusiche so che non rompano l'uscioo nonescano pel buco della chiavee mi vengano a trovare al letto?Chiamare aiuto per paura de' mortinon mi sta bene. Viafacciamocicoraggioe proviamo un poco di far paura a loro.


    Entrando.Figliuolia che giuoco giochiamo? non vi ricordate di essere morti?che è cotesto baccano? forse vi siete insuperbiti per lavisita dello Czare vi pensate di non essere più soggettialle leggi di prima? Io m'immagino che abbiate avuto intenzione difar da burlae non da vero. Se siete risuscitatime ne rallegro convoi; ma non ho tantoche io possa far le spese ai vivicome aimorti; e però levatevi di casa mia. Se è vero quel chesi dice dei vampirie voi siete di quellicercate altro sangue dabere; che io non sono disposto a lasciarmi succhiare il miocome visono stato liberale di quel fintoche vi ho messo nelle vene . Insommase vorrete continuare a star quieti e in silenziocome sietestati finoraresteremo in buona concordiae in casa mia non vimancherà niente; se noavvertite ch'io piglio la stangadell'uscioe vi ammazzo tutti.
Morto: Non andare incollera; che io ti prometto che resteremo tutti morti come siamosenza che tu ci ammazzi.
Ruysch: Dunque che ècotesta fantasia che vi è nata adessodi cantare?
Morto:Poco fa sulla mezza notte appuntosi e compiuto per la prima voltaquell'anno grande e matematicodi cui gli antichi scrivono tantecose; e questa similmente è la prima volta che i mortiparlano. E non solo noima in ogni cimiteroin ogni sepolcrogiùnel fondo del maresotto la neve o la renaa cielo apertoe inqualunque luogo si trovanotutti i mortisulla mezza nottehannocantato come noi quella canzoncina che hai sentita.
Ruysch:E quanto dureranno a cantare o a parlare?
Morto: Dicantare hanno già finito. Di parlare hanno facoltà perun quarto d'ora. Poi tornano in silenzio per insino a tanto che sicompie di nuovo lo stesso anno.
Ruysch: Se cotesto èveronon credo che mi abbiate a rompere il sonno un'altra volta.Parlate pure insieme liberamente; che io me ne starò qui dapartee vi ascolterò volentieriper curiositàsenzadisturbarvi.
Morto: Non possiamo parlare altrimenticherispondendo a qualche persona viva. Chi non ha da replicare ai vivifinita che ha la canzonesi accheta.
Ruysch: Mi dispiaceveramente: perché m'immagino che sarebbe un gran sollazzo asentire quello che vi direste fra voise poteste parlareinsieme.
Morto: Quando anche potessimonon sentirestinulla; perché non avremmo che ci dire.
Ruysch:Mille domande da farvi mi vengono in mente. Ma perché il tempoè cortoe non lascia luogo a sceglieredatemi ad intenderein ristrettoche sentimenti provaste di corpo e d'animo nel puntodella morte.
Morto: Del punto proprio della morteio nonme ne accorsi. Gli altri morti. Né anche noi.
Ruysch:Come non ve n'accorgeste?
Morto: Verbigraziacome tu nonti accorgi mai del momento che tu cominci a dormireper quantaattenzione ci vogli porre.
Ruysch: Ma l'addormentarsi ècosa naturale.
Morto: E il morire non ti pare naturale?mostrami un uomoo una bestiao una piantache non muoia.
Ruysch:Non mi maraviglio più che andiate cantando e parlandose nonvi accorgeste di morire.

Cosicoluidel colpo non accorto
Andava combattendoed era morto

diceun poeta italiano. Io mi pensava che sopra questa faccenda dellamortei vostri pari ne sapessero qualche cosa più che i vivi.Ma dunquetornando sul sodonon sentiste nessun dolore in punto dimorte?
Morto: Che dolore ha da essere quello del quale chilo provanon se n'accorge?
Ruysch: A ogni modotutti sipersuadono che il sentimento della morte sia dolorosissimo.
Morto:Quasi che la morte fosse un sentimentoe non piuttosto ilcontrario.
Ruysch: E tanto quelli che intorno alla naturadell'anima si accostano col parere degli Epicureiquanto quelli chetengono la sentenza comunetuttio la più parteconcorronoin quello ch'io dico; cioè nel credere che la morte sia pernatura propriae senza nessuna comparazioneun dolore vivissimo.
Morto: Or benetu domanderai da nostra parte agli uni eagli altri: se l'uomo non ha facoltà di avvedersi del punto incui le operazioni vitaliin maggiore o minor partegli restano nonpiù che interrotteo per sonno o per letargo o per sincope oper qualunque causa; come si avvedrà di quello in cui lemedesime operazioni cessano del tuttoe non per poco spazio ditempoma in perpetuo? Oltre di ciòcome può essereche un sentimento vivo abbia luogo nella morte? anziche la stessamorte sia per propria qualità un sentimento vivo? Quando lafacoltà di sentire ènon solo debilitata e scarsamaridotta a cosa tanto minimache ella manca e si annullacredete voiche la persona sia capace di un sentimento forte? anzi questomedesimo estinguersi della facoltà di sentirecredete chedebba essere un sentimento grandissimo? Vedete pure che anche quelliche muoiono di mali acuti e dolorosiin sull'appressarsi dellamortepiù o meno tempo avanti dello spiraresi quietano e siriposano in modoche si può conoscere che la loro vitaridotta a piccola quantitànon e più sufficiente aldoloresicché questo cessa prima di quella. Tanto dirai daparte nostra a chiunque si pensa di avere a morir di dolore in puntodi morte.
Ruysch: Agli Epicurei forse potranno bastarecoteste ragioni. Ma non a quelli che giudicano altrimenti dellasostanza dell'anima; come ho fatto io per lo passatoe faròda ora innanzi molto maggiormenteavendo udito parlare e cantare imorti. Perché stimando che il morire consista in unaseparazione dell'anima dal corponon comprenderanno come queste duecosecongiunte e quasi conglutinate tra loro in modocheconstituiscono l'una e l'altra una sola personasi possano separaresenza una grandissima violenzae un travaglio indicibile.
Morto:Dimmi: lo spirito e forse appiccato al corpo con qualche nervoo conqualche muscolo o membranache di necessità si abbia arompere quando lo spirito si parte? o forse è un membro delcorpoin modo che n'abbia a essere schiantato o recisoviolentemente? Non vedi che l'anima in tanto esce di esso corpoinquanto solo è impedita di rimanervie non v'ha piùluogo; non già per nessuna forza che ne la strappi e sradichi?Dimmi ancora: forse nell'entrarviella vi si sente conficcare oallacciare gagliardamenteo come tu diciconglutinare? Perchédunque sentirà spiccarsi all'uscirneo vogliamo dire proveràuna sensazione veementissima? Abbi per fermoche l'entrata el'uscita dell'anima sono parimente quietefacili e molli.
Ruysch:Dunque che cosa è la mortese non è dolore?
Morto:Piuttosto piacere che altro. Sappi che il morirecomel'addormentarsinon si fa in un solo istantema per gradi. Vero èche questi gradi sono più o menoe maggiori o minorisecondola varietà delle cause e dei generi della morte. Nell'ultimodi tali istanti la morte non reca né dolore né piacerealcunocome né anche il sonno. Negli altri precedenti non puògenerare dolore perché il dolore è cosa vivae i sensidell'uomo in quel tempocioè cominciata che è lamortesono moribondiche è quanto dire estremamenteattenuati di forze. Può bene esser causa di piacere: perchéil piacere non sempre è cosa viva; anzi forse la maggior partedei diletti umani consistono in qualche sorta di languidezza. Di modoche i sensi dell'uomo sono capaci di piacere anche pressoall'estinguersi; atteso che spessissime volte la stessa languidezza epiacere; massime quando vi libera da patimento; poiché ben saiche la cessazione di qualunque dolore o disagioe piacere per semedesima. Sicché il languore della morte debbe esser piùgrato secondo che libera l'uomo da maggior patimento. Per mese benenell'ora della morte non posi molta attenzione a quel che io sentivaperché mi era proibito dai medici di affaticare il cervello;mi ricordo però che il senso che provainon fu moltodissimile dal diletto che è cagionato agli uomini dal languoredel sonnonel tempo che si vengono addormentando.
Gli altrimorti: Anche a noi pare di ricordarci altrettanto.
Ruysch:Sia come voi dite: benché tutti quelli coi quali ho avutaoccasione di ragionare sopra questa materiagiudicavano moltodiversamente: mache io mi ricordinon allegavano la loroesperienza propria. Ora ditemi: nel tempo della mortementresentivate quella dolcezzavi credeste di moriree che quel dilettofosse una cortesia della morte; o pure immaginaste qualche altracosa?
Morto: Finché non fui mortonon mi persuasimai di non avere a scampare di quel pericolo; e se non altrofinoall'ultimo punto che ebbi facoltà di pensaresperai che miavanzasse di vita un'ora o due: come stimo che succeda a moltiquando muoiono.
Gli altri morti: A noi successe ilmedesimo.
Ruysch: Così Cicerone dice che nessuno ètalmente decrepitoche non si prometta di vivere almanco un anno. Macome vi accorgeste in ultimoche lo spirito era uscito del corpo?Dite: come conosceste d'essere morti? Non rispondono. Figliuolinonm'intendete? Sarà passato il quarto d'ora. Tastiamogli unpoco. Sono rimorti ben bene: non è pericolo che mi abbiano dafar paura un'altra volta: torniamocene a letto.



DETTIMEMORABILI DI FILIPPO OTTONIERI

CAPITOLOPRIMO

    FilippoOttonieridel quale prendo a scrivere alcuni ragionamenti notabiliche parte ho uditi dalla sua propria boccaparte narrati da altri;nacquee visse il più del tempoa Nubiananella provinciadi Valdivento; dove anche morì poco addietro; e dove non si hamemoria d'alcuno che fosse ingiuriato da luiné con fatti nécon parole. Fu odiato comunemente da' suoi cittadini; perchéparve prendere poco piacere di molte cose che sogliono essere amate ecercate assai dalla maggior parte degli uomini; benché nonfacesse alcun segno di avere in poca stima o di riprovare quelli chepiù di lui se ne dilettavano e le seguivano. Si crede che eglifosse in effettoe non solo nei pensierima nella praticaquel chegli altri uomini del suo tempo facevano professione di essere; cioèa dire filosofo. Perciò parve singolare dall'altra gente;benché non procurasse e non affettasse di apparire diversodalla moltitudine in cosa alcuna. Nel quale proposito dicevache lamassima singolarità che oggi si possa trovare o nei costumionegl'institutio nei fatti di qualunque persona civile; paragonata aquella degli uomini che appresso agli antichi furono stimatisingolarinon solo e di altro generema tanto meno diversa che nonfu quelladall'uso ordinario de' contemporaneiche quantunque paiagrandissima ai presentisarebbe riuscita agli antichi o menoma onullaeziandio ne' tempi e nei popoli che furono anticamente piùinciviliti o più corrotti. E misurando la singolaritàdi Gian Giacomo Rousseauche parve singolarissimo ai nostri aviconquella di Democrito e dei primi filosofi cinicisoggiungevacheoggi chiunque vivesse tanto diversamente da noi quanto vissero queifilosofi dai Greci del loro temponon sarebbe avuto per uomosingolarema nella opinione pubblicasarebbe esclusoper dir cosìdalla specie umana. E giudicava che dalla misura assoluta dellasingolarità possibile a trovarsi nelle persone di un luogo odi un tempo qualsivogliasi possa conoscere la misura della civiltàdegli uomini del medesimo luogo o tempo.


    Nellavitaquantunque temperatissimosi professava epicureoforse perischerzo più che da senno. Ma condannava Epicuro; dicendo cheai tempi e nella nazione di coluimolto maggior diletto si potevatrarre dagli studi della virtù e della gloriache dall'oziodalla negligenzae dall'uso delle voluttà del corpo; nellequali cose quegli riponeva il sommo bene degli uomini. Ed affermavache la dottrina epicureaproporzionatissima all'età modernafu del tutto aliena dall'antica.


       Nellafilosofiagodeva di chiamarsi socratico; e spessocome Socrates'intratteneva una buona parte del giorno ragionando filosoficamenteora con uno ora con altroe massime con alcuni suoi familiarisopraqualunque materia gli era somministrata dall'occasione. Ma nonfrequentavacome Socratele botteghe de' calzolaide' legnaiuolide' fabbri e degli altri simili; perché stimava che se ifabbri e i legnaiuoli di Atene avevano tempo da spendere infilosofarequelli di Nubianase avessero fatto altrettantosarebbero morti di fame. Né anche ragionavaal modo diSocrateinterrogando e argomentando di continuo; perchédiceva chequantunque i moderni sieno più pazienti degliantichinon si troverebbe oggi chi sopportasse di rispondere a unmigliaio di domande continuatee di ascoltare un centinaio diconclusioni. E per verità non avea di Socrate altro che ilparlare talvolta ironico e dissimulato. E cercando l'origine dellafamosa ironia socraticadiceva: Socrate nato con animo assaigentilee però con disposizione grandissima ad amare; masciagurato oltre modo nella forma del corpo; verisimilmente finonella giovanezza disperò di potere essere amato con altroamore che quello dell'amiciziapoco atto a soddisfare un cuoredelicato e fervidoche spesso senta verso gli altri un affetto moltopiù dolce. Da altra partecon tutto che egli abbondasse diquel coraggio che nasce dalla ragionenon pare che fosse fornitobastantemente di quello che viene dalla naturané delle altrequalità che in quei tempi di guerre e di sedizionie inquella tanta licenza degli Ateniesierano necessarie a trattarenella sua patria i negozi pubblici. Al che la sua forma ingrata eridicola gli sarebbe anche stata di non piccolo pregiudizio appressoa un popolo cheeziandio nella linguafaceva pochissima differenzadal buono al belloe oltre di ciò deditissimo a motteggiare.Dunque in una città liberae piena di strepitodi passionidi negozidi passatempidi ricchezze e di altre fortune; Socratepoverorifiutato dall'amorepoco atto ai maneggi pubblici; enondimeno dotato di un ingegno grandissimoche aggiunto a condizionitalidoveva accrescere fuor di modo ogni loro molestia; si pose perozio a ragionare sottilmente delle azionidei costumi e dellequalità de' suoi cittadini: nel che gli venne usata una certaironia; come naturalmente doveva accadere a chi si trovava impeditodi aver parteper dir cosìnella vita. Ma la mansuetudine ela magnanimità della sua naturaed anche la celebritàche egli si venne guadagnando con questi medesimi ragionamentiedalla quale dovette essergli consolato in qualche parte l'amorproprio; fecero che questa ironia non fu sdegnosa ed acerbamariposata e dolce.


    Cosìla filosofia per la prima voltasecondo il famoso detto di Ciceronefatta scendere dal cielofu introdotta da Socrate nelle cittàe nelle case; e rimossa dalla speculazione delle cose occultenellaquale era stata occupata insino a quel tempofu rivolta aconsiderare i costumi e la vita degli uominie a disputare dellevirtù e dei vizidelle cose buone ed utilie dellecontrarie. Ma Socrate da principio non ebbe in animo di farequest'innovazionené d'insegnar che che siané diconseguire il nome di filosofo; che a quei tempi era proprio dei solifisici o metafisici; onde egli per quelle sue tali discussioni e queitali colloqui non lo poteva sperare: anzi professò apertamentedi non saper cosa alcuna; e non si propose altro che d'intrattenersifavellando dei casi altrui; preferito questo passatempo allafilosofia stessaniente meno che a qualunque altra scienza ed aqualunque arteperché inclinando naturalmente alle azionimolto più che alle speculazioninon si volgeva al discorrerese non per le difficoltà che gl'impedivano l'operare. E neidiscorsisempre si esercitò colle persone giovani e belle piùvolentieri che cogli altri; quasi ingannando il desiderioecompiacendosi d'essere stimato da coloro da cui molto maggiormenteavrebbe voluto essere amato. E perciocché tutte le scuole deifilosofi greci nate da indi in poiderivarono in qualche modo dallasocraticaconcludeva l'Ottonieriche l'origine di quasi tutta lafilosofia grecadalla quale nacque la modernafu il nasorincagnatoe il viso da satirodi un uomo eccellente d'ingegno eardentissimo di cuore. Anche dicevache nei libri dei Socraticilapersona di Socrate è simile a quelle maschereciascuna dellequali nelle nostre commedie anticheha da per tutto un nomeunabitoun'indole; ma nel rimanente varia in ciascuna commedia.


    Nonlasciò scritta cosa alcuna di filosofiané d'altro chenon appartenesse a uso privato. E dimandandolo alcuni perchénon prendesse a filosofare anche in iscrittocome soleva fare avocee non deponesse i suoi pensieri nelle carterispose: illeggere è un conversareche si fa con chi scrisse. Oracomenelle feste e nei sollazzi pubbliciquelli che non sono o noncredono di esser parte dello spettacoloprestissimo si annoiano;così nella conversazione è più gratogeneralmente il parlare che l'ascoltare. Ma i libri per necessitàsono come quelle persone che stando cogli altriparlano sempre essee non ascoltano mai. Per tanto è di bisogno che il libro dicamolto buone e belle cosee dicale molto bene; acciocché dailettori gli sia perdonato quel parlar sempre. Altrimenti èforza che così venga in odio qualunque librocome ogniparlatore insaziabile.



CAPITOLOSECONDO

    Nonammetteva distinzione dai negozi ai trastulli; e sempre che era statooccupato in qualunque cosaper grave che ella fossedicevad'essersi trastullato. Solo se talvolta era stato qualche poco d'orasenza occupazioneconfessava non avere avuto in quell'intervalloalcun passatempo.


    Dicevache i diletti più veri che abbia la nostra vitasono quelliche nascono dalle immaginazioni false; e che i fanciulli trovano iltutto anche nel nientegli uomini il niente nel tutto.


    Assomigliavaciascuno de' piaceri chiamati comunemente realia un carciofo dicuivolendo arrivare alla castagnabisognasse prima rodere etrangugiare tutte le foglie. E soggiungeva che questi tali carciofisono anche rarissimi; che altri in gran numero se ne trovanosimilia questi nel di fuorima dentro senza castagna; e che essopotendosi difficilmente adattare a ingoiarsi le foglieera contentoper lo più di astenersi dagli uni e dagli altri.


    Rispondendoa uno che l'interrogòqual fosse il peggior momento dellavita umanadisse: eccetto il tempo del dolorecome eziandio deltimoreio per me crederei che i peggiori momenti fossero quelli delpiacere: perché la speranza e la rimembranza di questimomentile quali occupano il resto della vitasono cose migliori epiù dolci assai degli stessi diletti. E paragonavauniversalmente i piaceri umani agli odori: perché giudicavache questi sogliano lasciare maggior desiderio di séchequalunque altra sensazioneparlando proporzionatamente al diletto; edi tutti i sensi dell'uomoil più lontano da potere esserfatto pago dai propri piaceristimava che fosse l'odorato. Ancheparagonava gli odori all'aspettativa de' beni; dicendo che quellecose odorifere che sono buone a mangiareo a gustare in qualunquemodoordinariamente vincono coll'odore il sapore; perchégustati piacciono meno ch'a odorarlio meno di quel che dall'odoresi stimerebbe. E narrava che talvolta gli era avvenuto di sopportareimpazientemente l'indugio di qualche beneche egli era giàcerto di conseguire; e ciò non per grande avidità chesentisse di detto benema per timore di scemarsene il godimento confare intorno a questo troppe immaginazioniche glielorappresentassero molto maggiore di quello che egli sarebbe riuscito.E che intanto aveva fatta ogni diligenzaper divertire la mente dalpensiero di quel benecome si fa dai pensieri de' mali.


    Dicevaaltresì che ognuno di noida che viene al mondoècome uno che si corica in un letto duro e disagiato: dove subitopostosentendosi stare incomodamentecomincia a rivolgersi sull'unoe sull'altro fiancoe mutar luogo e giacitura a ogni poco; e duracosì tutta la nottesempre sperando di poter prendere allafine un poco di sonnoe alcune volte credendo essere in punto diaddormentarsi; finché venuta l'orasenza essersi mairiposatosi leva.


    Osservandoinsieme con alcuni altri certe api occupate nelle loro faccendedisse: beate voi se non intendete la vostra infelicità.


    Noncredeva che si potesse né contare tutte le miserie degliuomininé deplorarne una sola bastantemente.


    Aquella questione di Oraziocome avvenga che nessuno ècontento del proprio statorispondeva: la cagione èchenessuno stato è felice. Non meno i sudditi che i principinonmeno i poveri che i ricchinon meno i deboli che i potentisefossero felicisarebbero contentissimi della loro sortee nonavrebbero invidia all'altrui: perocché gli uomini non sono piùincontentabiliche sia qualunque altro genere: ma non si possonoappagare se non della felicità. Oraessendo sempre infeliciche maraviglia è che non sieno mai contenti?


    Notavache posto caso che uno si trovasse nel più felice stato diquesta terrasenza che egli si potesse promettere di avanzarlo innessuna parte e in nessuna guisa; si può quasi dire che questisarebbe il più misero di tutti gli uomini. Anche i piùvecchi hanno disegni e speranze di migliorar condizione in qualchemaniera. E ricordava un luogo di Senofontedove consiglia cheavendosi a comperare un terrenosi compri di quelli che sono malecoltivati; perchédiceun terreno che non è per dartipiù frutto di quello che dànon ti rallegra tantoquanto farebbe se tu lo vedessi andare di bene in meglio; e tuttiquegli averi che noi veggiamo che vengono vantaggiandoci dannomolto più contento che gli altri.


    All'incontronotava che niuno stato è così miseroil quale nonpossa peggiorare; e che nessun mortaleper infelicissimo che siapuò consolarsi né vantarsidicendo essere in tantainfelicitàche ella non comporti accrescimento. Ancorchéla speranza non abbia terminei beni degli uomini sono terminati;anzi a un di presso il ricco e il poveroil signore e il servosenoi compensiamo le qualità del loro stato colle assuefazioni ecoi desiderii lorosi trovano avere generalmente una stessa quantitàdi bene. Ma la natura non ha posto alcun termine ai nostri mali; equasi la stessa immaginativa non può fingere alcuna tantacalamitàche non si verifichi di presenteo già nonsia stata verificatao per ultimo non si possa verificareinqualcuno della nostra specie. Per tantoladdove la maggior partedegli uomini non hanno in verità che sperare alcuno aumentodella quantità di bene che posseggono; a niuno mai nellospazio di questa vitapuò mancar materia non vana di timore:e se la fortuna presto si riduce in gradoche ella veramente non havirtù di beneficarci da vantaggionon perde però inalcun tempo la facoltà di offenderci con danni nuovi e tali davincere e rompere la stessa fermezza della disperazione.


    Ridevasispesse volte di quei filosofi che stimarono che l'uomo si possasottrarre dalla potestà della fortunadisprezzando eriputando come altrui tutti i beni e i mali che non è in suapropria mano il conseguire o evitareil mantenere o liberarsene; enon riponendo la beatitudine e l'infelicità propria in altroche in quel che dipende totalmente da esso lui. Sopra la qualeopinionetra le altre cosediceva: lasciamo stare che se anche fumai persona che cogli altri vivesse da vero e perfetto filosofonessuno visse né vive in tal modo seco medesimo; e che tanto èpossibile non curarsi delle cose proprie più che delle altruiquanto curarsi delle altrui come fossero proprie. Ma dato che quelladisposizione d'animo che dicono questi filosofinon solo fossepossibileche non èma si trovasse qui vera ed attuale inuno di noi; vi fosse anche più perfetta che essi non diconoconfermata e connaturata da uso lunghissimosperimentata in millecasi; forse perciò la beatitudine e l'infelicità diquesto talenon sarebbero in potere della fortuna? Non soggiacerebbealla fortuna quella stessa disposizione d'animoche questi presumonoche ce ne debba sottrarre? La ragione dell'uomo non e sottopostatutto giorno a infiniti accidenti? innumerabili morbi che recanostupiditàdeliriofrenesiafurorescempiagginecentoaltri generi di pazzia breve o durevoletemporale o perpetua; non lapossono turbaredebilitarestravolgereestinguere? La memoriaconservatrice della sapienzanon si va sempre logorando e scemandodalla giovanezza in giù? quanti nella vecchiaia tornanofanciulli di mente! e quasi tutti perdono il vigore dello spirito inquella età. Come eziandio per qualunque mala disposizione delcorpoanco salva ed intera ogni facoltà dell'intelletto edella memoriail coraggio e la costanza soglionoquando piùquando menolanguire; e non di rado si spengono. In fineègrande stoltezza confessare che il nostro corpo è soggettoalle cose che non sono in facoltà nostrae contuttociònegare che l'animoil quale dipende dal corpo quasi in tuttosoggiaccia necessariamente a cosa alcuna fuori che a noi medesimi. Econchiudevache l'uomo tutto interoe sempree irrepugnabilmenteè in potestà della fortuna.


    Dimandatoa che nascano gli uominirispose per ischerzo: a conoscere quantosia più spediente il non esser nato.



CAPITOLOTERZO

    Inproposito di certa disavventura occorsaglidisse: il perdere unapersona amataper via di qualche accidente repentinoo per malattiabreve e rapidanon è tanto acerboquanto è vederseladistruggere a poco a poco (e questo era accaduto a lui) da unainfermità lungadalla quale ella non sia prima estintachemutata di corpo e d'animoe ridotta già quasi un'altra daquella di prima. Cosa pienissima di miseria: perocché in talcaso la persona amata non ti si dilegua dinanzi lasciandotiincambio di séla immagine che tu ne serbi nell'animonon menoamabile che fosse per lo passato; ma ti resta in sugli occhi tuttadiversa da quella che tu per l'addietro amavi: in modo che tuttigl'inganni dell'amore ti sono strappati violentemente dall'animo; equando ella poi ti si parte per sempre dalla presenzaquell'immagineprimache tu avevi di lei nel pensierosi trova essere scancellatadalla nuova. Così vieni a perdere la persona amatainteramente; come quella che non ti può sopravvivere néanche nella immaginativa: la qualein luogo di alcuna consolazionenon ti porge altro che materia di tristezza. E in finequeste similidisavventure non lasciano luogo alcuno di riposarsi in sul dolore cherecano.


    Dolendosiuno di non so qual travaglioe dicendo: se potessi liberarmi daquestotutti gli altri che homi sarebbero leggerissimi asopportare; rispose: anzi allora ti sarebbero graviora ti sonoleggeri.


    Dicendoun altro: se questo dolore fosse durato piùnon sarebbe statosopportabile; rispose: anziper l'assuefazionel'avresti sopportatomeglio.


    Ein molte cose attenenti alla natura degli uominisi discostava daigiudizi comuni della moltitudinee da quelli anco dei savi talvolta.Comeper modo di esempionegava che al dimandare e al pregaresieno opportuni i tempi di qualche insolita allegrezza di quelli acui le dimande o le preghiere sono da porgere. Massimamentedicevaquando la instanza non sia taleche ellaper la parte di chi èpregato o richiestosi possa soddisfare presentementecon solo opoco più che un semplice acconsentirla; io reputo che nellepersone il giubilosia cosaa impetrar che che sia da essenonmanco inopportuna e contrariache il dolore. Perciocché l'unae l'altra passione riempiono parimente l'uomo del pensiero di semedesimo in guisache non lasciano luogo a quelli delle cose altrui.Come nel dolore il nostro malecosì nella grande allegrezzail benetengono intenti e occupati gli animie inetti alla cura deibisogni e desiderii d'altri. Dalla compassione specialmentesonoalienissimi l'uno e l'altro tempo; quello del doloreperchél'uomo è tutto volto alla pietà di se stesso; quellodella gioiaperché allora tutte le cose umanee tutta lavitaci si rappresentano lietissime e piacevolissime; tanto che lesventure e i travagli paiono quasi immaginazioni vaneo certo se nerifiuta il pensieroper essere troppo discorde dalla presentedisposizione del nostro animo. I migliori tempi da tentar di ridurrealcuno a operar di presenteo a risolversi di operarein altruibeneficiosono quelli di qualche allegrezza placida e moderatanonistraordinarianon viva; o pureed anco maggiormentequelli di unacotal gioiachequantunque vivanon ha soggetto alcunodeterminatoma nasce da pensieri vaghie consiste in una tranquillaagitazione dello spirito. Nel quale statogli uomini sono piùdisposti alla compassione che maipiù facili a chi li pregae talvolta abbracciano volentieri l'occasione di gratificare glialtrie di volgere quel movimento confuso e quel piacevole impetode' loro pensieriin qualche azione lodevole.


    Negavasimilmente che l'infelicenarrando o come che sia dimostrando i suoimaliriporti per l'ordinario maggior compassione e maggior cura daquelli che hanno con lui maggiore conformità di travagli. Anziquesti in udire le tue quereleo intendere la tua condizione inqualunque modonon attendono ad altroche ad anteporre seco stessicome più gravii loro a' tuoi mali: e spesso accade chequando più ti pensi che sieno commossi sopra il tuo statoquelli t'interrompono narrandoti la sorte loroe sforzandosi dipersuaderti che ella sia meno tollerabile della tua. E diceva che intali casi avviene ordinariamente quello che nella Iliade si legge diAchillequando Priamo supplichevole e piangente gli e prostrato aipiedi: il quale finito che ha quel suo lamento miserabileAchille sipone a piangere seconon già dei mali di quelloma dellesventure propriee per la ricordanza del padree dell'amico ucciso.Soggiungevache ben suole alquanto conferire alla compassionel'avere sperimentato altre volte in sé quegli stessi mali chesi odono o veggono essere in altrima non il sostenerli al presente.


    Dicevache la negligenza e l'inconsideratezza sono causa di commettereinfinite cose crudeli o malvage; e spessissimo hanno apparenza dimalvagità o crudeltà: comea cagione di esempioinuno che trattenendosi fuori di casa in qualche suo passatempolasciai servi in luogo scoperto infracidare alla pioggia; non per animoduro e spietatoma non pensandovio non misurando colla mente illoro disagio. E stimava che negli uomini l'inconsideratezza sia moltopiù comune della malvagitàdella inumanità esimili; e da quella abbia origine un numero assai maggiore di cattiveopere: e che una grandissima parte delle azioni e dei portamentidegli uomini che si attribuiscono a qualche pessima qualitàmoralenon sieno veramente altro che inconsiderati.


    Dissein certa occasioneessere manco grave al benefattore la piena edespressa ingratitudineche il vedersi rimunerare di un beneficiogrande con uno piccolocol quale il beneficatoo per grossezza digiudizio o per malvagitàsi creda o si pretenda scioltodall'obbligo verso lui; ed esso apparisca ricompensatoo per civiltàgli convenga far dimostrazione di tenersi tale: in modo che dall'unapartevenga ad essere defraudato anche della nuda e infruttuosagratitudine dell'animola quale verisimilmente egli si avevapromessa in qualunque caso; dall'altra partegli sia tolta lafacoltà di liberamente querelarsi dell'ingratitudineo diappariresiccome egli è nell'effettomale e ingiustamentecorrisposto.


    Houdito anche riferire come suaquesta sentenza. Noi siamo inclinati esoliti a presupporre in quelli coi quali ci avviene di conversaremolta acutezza e maestria per iscorgere i nostri pregi verio chenoi c'immaginiamoe per conoscere la bellezza o qualunque altravirtù d'ogni nostro detto o fatto; come ancora moltaprofonditàed un abito grande di meditaree molta memoriaper considerare esse virtù ed essi pregie tenerli poi semprea mente: eziandio che in rispetto ad ogni altra cosao noniscopriamo in coloro queste tali partio non confessiamo tra noi discoprirvele.



CAPITOLOQUARTO

    Notavache talora gli uomini irresoluti sono perseverantissimi nei loropropositinon ostante qualunque difficoltà; e questo per lastessa loro irresolutezza; atteso che a lasciare la deliberazionefattaconverrebbe si risolvessero un'altra volta. Talora sonoprontissimi ed efficacissimi nel mettere in opera quello che hannorisoluto: perché temendo essi medesimi d'indursi di momento inmomento ad abbandonare il partito presoe di ritornare in quellatravagliosissima perplessità e sospensione d'animonellaquale furono prima di determinarsi; affrettano la esecuzionee viadoprano ogni loro forza; stimolati più dall'ansietà edall'incertezza di vincere se medesimiche dal proprio oggettodell'impresae dagli altri ostacoli che essi abbiano a superare perconseguirlo.


    Dicevaalle volte ridendoche le persone assuefatte a comunicare dicontinuo cogli altri i propri pensieri e sentimentiesclamanoancoessendo solese una mosca le mordeo che si versi loro un vasoofugga loro di mano; e che per lo contrario quelle che sono usate divivere seco stesse e di contenersi nel proprio internose anco sisentono cogliere da un'apoplessiatrovandosi pure in presenzad'altrinon aprono bocca.


    Stimavache una buona parte degli uominiantichi e moderniche sonoriputati grandi o straordinariconseguissero questa riputazione invirtù principalmente dell'eccesso di qualche loro qualitàsopra le altre. E che uno in cui le qualità dello spiritosieno bilanciate e proporzionate fra loro; se bene elle fossero ostraordinarie o grandi oltre modopossa con difficoltà farcose degne dell'uno o dell'altro titoloed apparire ai presenti o aifuturi né grande né straordinario.


    Distinguevanelle moderne nazioni civili tre generi di persone. Il primodiquelle in cui la natura propriaed anco in gran parte la naturacomune degli uominisi trova mutata e trasformata dall'artee dagliabiti della vita cittadinesca. Di questo genere di persone dicevaessere tutte quelle che sono atte ai negozi privati o pubblici; apartecipare con diletto nel commercio gentile degli uominieriuscire scambievolmente grate a quelli coi quali si abbattono aconvivereo a praticare personalmente in uno o altro modo; in fineall'uso della presente vita civile. E a questo solo genereparlandouniversalmentediceva toccare ed appartenere nelle dette nazioni lastima degli uomini. Il secondoessere di quelli in cui la natura nonsi trova mutata bastantemente dalla sua prima condizione; o per nonessere statacome si dicecoltivata; o perciocchéper suastrettezza e insufficienzafu poco atta a ricevere e a conservare leimpressioni e gli effetti dell'artedella pratica e dell'esempio.Questo essere il più numeroso dei tre; ma disprezzato nonmanco da se medesimo che dagli altridegno di piccolaconsiderazione; e in somma consistere in quella gente che ha o meritanome di volgoin qualunque ordine e stato sia posta dalla fortuna.Il terzoincomparabilmente inferiore di numero agli altri duequasicosì disprezzato come il secondoe spesso anco maggiormenteessere di quelle persone in cui la natura per soprabbondanza diforzaha resistito all'arte del nostro presente vivereed esclusalae ributtata da sé; non ricevutone se non così piccolaparteche questa alle dette persone non è bastante per l'usodei negozi e per governarsi cogli uomininé per sapere ancoriuscire conversandoné dilettevoli né pregiate. Esuddivideva questo genere in due specie: l'una al tutto forte egagliarda; disprezzatrice del disprezzo che le è portatouniversalmentee spesso più lieta di questoche se ellafosse onorata; diversa dagli altri non per sola necessità dinaturama eziandio per volontà e di buon grado; rimota dallesperanze o dai piaceri del commercio degli uominie solitaria nelmezzo delle cittànon meno perché fugge essadall'altra genteche per essere fuggita. Di questa speciesoggiungeva non si trovare se non rarissimi. Nella natura dell'altradiceva essere congiunta e mista alla forza una sorta di debolezza edi timidità; in modo che essa natura combatte seco medesima.Perocché gli uomini di questa seconda specienon essendo divolontà punto alieni dal conversare cogli altridesiderandoin molte e diverse cose di rendersi conformi o simili a quelli delprimo generedolendosi nel proprio cuore della disistima in cui siveggono esseree di parere da meno di uomini smisuratamenteinferiori a sé d'ingegno e d'animo; non vengono a capononostante qualunque cura e diligenza vi ponganodi addestrarsi all'usopratico della vitané di rendersi nella conversazionetollerabili a sénon che altrui. Tali essere stati negliultimi tempied essere all'età nostrase bene l'uno piùl'altro menonon pochi degl'ingegni maggiori e più delicati.E per un esempio insignerecava Gian Giacomo Rousseau; aggiungendo aquesto un altro esempioricavato dagli antichicioèVirgilio: del quale nella Vita latina che porta il nome di Donatogrammaticoè riferito coll'autorità di Melisso puregrammaticoliberto di Mecenateche egli fu nel favellaretardissimoe poco diverso dagl'indotti. E che ciò sia veroeche Virgilioper la stessa maravigliosa finezza dell'ingegnofossepoco atto a praticare cogli uominigli pareva si potesse raccorremolto probabilmentesì dall'artificio sottilissimo efaticosissimo del suo stilee sì dalla propria indole diquella poesia; come anche da ciò che si legge in sulla finedel secondo delle Georgiche. Dove il poetacontro l'uso dei Romaniantichie massimamente di quelli d'ingegno grandesi professadesideroso della vita oscura e solitaria; e questo in una cotalguisache si può comprendere che egli vi e sforzato dalla suanaturaanzi che inclinato; e che l'ama più come rimedio orifugioche come bene. E perciocchégeneralmente parlandogli uomini di questa e dell'altra specienon sono avuti in pregiose non se alcuni dopo mortee quelli del secondo genere vivinonche mortisono in poco o niun conto; giudicava potersi affermare inuniversaleche ai nostri tempila stima comune degli uomini non siottenga in vita con altro modoche con discostarsi e tramutarsi digran lunga dall'essere naturale. Oltre di questoperciocchénei tempi presenti tuttaper dir cosìla vita civileconsiste nelle persone del primo generela natura del quale tienecome il mezzo tra quelle de' due rimanenti; conchiudeva che anche perquesta viacome per altre millesi può conoscere che oggidìl'usoil maneggioe la potestà delle cosestanno quasitotalmente nelle mani della mediocrità.


    Distinguevaancora tre stati della vecchiezza considerata in rispetto alle altreetà dell'uomo. Nei principii delle nazioniquando di costumie d'abitotutte le età furono giuste e virtuose; e mentre laesperienza e la cognizione degli uomini e della vitanon ebbero perproprietà di alienare gli animi dall'onesto e dal retto; lavecchiezza fu venerabile sopra le altre età: perchécolla giustizia e con simili pregiallora comuni a tutteconcorrevain essacome e natura che vi si trovimaggior senno e prudenza chenelle altre. In successo di tempoper lo contrariocorrotti epervertiti i costuminiuna età fu più vile edabbominabile della vecchiezza; inclinata coll'affetto al male piùdelle altreper la più lunga consuetudineper la maggiorconoscenza e pratica delle cose umaneper gli effetti dell'altruimalvagitàpiù lungamente e in maggior numerosopportatie per quella freddezza che ella ha da natura; e nel tempostesso impotente a operarlosalvo colle calunniele frodileperfidiele astuziele simulazionie in breve con quelle arti chetra le scellerate sono abbiettissime. Ma poiché la corrutteladelle nazioni ebbe trapassato ogni terminee che il disprezzo dellarettitudine e della virtù precorse negli uomini l'esperienza ela cognizione del mondo e del tristo vero; anziper dir cosìl'esperienza e la cognizione precorsero l'etàe l'uomo giànella puerizia fu espertoaddottrinato e guasto; la vecchiezzadivennenon dico già venerabileche da indi innanzi moltopoche cose furono capaci di questo titoloma più tollerabiledelle altre età. Perocché il fervore dell'animo e lagagliardia del corpoche per l'addietrogiovando all'immaginativaed alla nobiltà dei pensierinon di rado erano state inqualche parte cagione di costumidi sensi e di opere virtuose;furono solamente stimoli e ministri del mal volere o del maleoperaree diedero spirito e vivezza alla malvagità: la qualenel declinare degli annifu mitigata e sedata dalla freddezza delcuoree dall'imbecillità delle membra; cose per altro piùconducenti al vizio che alla virtù. Oltre che la stessa moltaesperienza e notizia delle cose umanedivenute al tutto inamabilifastidiose e vili; in luogo di volgere all'iniquità i buonicome per lo passatoacquistò forza di scemarne e talvoltaspegnerne l'amore nei tristi. Laondein quanto ai costumiparlandodella vecchiezza a comparazione delle altre etàsi puòdire che ella fosse nei primi tempicome è al buono ilmigliore; nei corrotticome al cattivo il pessimo; nei seguenti epeggiorial contrario.



CAPITOLOQUINTO

    Ragionavaspesso di quella qualità di amor proprio che oggi èdetta egoismo; porgendoseglicredo iofrequentemente l'occasione dientrarne in parole. Nella qual materia narrerò qualcuna dellesue sentenze. Diceva che oggidìqualora ti è lodatoalcunoo vituperatodi probità o del contrarioda personache abbia avuto a fare secoo che di presente abbia; tu non ricevidi quel tale altra contezzase non che questa persona che lo biasimao lodaè bene o male soddisfatta di lui: benese lorappresenta per buono; malese per malvagio.


    Negavache alcuno a questi tempi possa amare senza rivale; e dimandato delperchérispondeva: perché certo l'amato o l'amata èrivale ardentissimo dell'amante.


    Facciamocasodicevache tu richiegga di un piacere una qualsivogliapersona; della qual dimanda non ti si possa soddisfare senzaincorrere nell'odio o nella mala volontà di un terzo; e questoterzotu e la persona richiestasupponghiamo che in istato e inpoteresiete tutti e tre ugualipoco più o meno. Io dico cheverisimilmente la tua dimanda non ti verrà conseguita pernessun modo; posto eziandio che il gratificartene avesse dovutoobbligarti grandemente al gratificatoree fargli anche piùbenevolo teche inimico quel terzo. Ma dall'odio e dall'ira degliuomini si teme assai più che dall'amore e dalla gratitudinenon si spera: e ragionevolmente: perché in generale si vedeche quelle due prime passioni operano più spessoenell'operare mostrano molto maggiore efficaciache le contrarie. Lacagione èche chi si sforza di nuocere a quelli che egliodiae chi cerca vendettaopera per sé; chi si studia digiovare a quelli che egli amae chi rimerita i benefizi ricevutiopera per gli amici e i benefattori.


    Dicevache universalmente gli ossequi e i servigi che si fanno agli altricon isperanze e disegni di utilità propriarade volteconseguiscono il loro fine; perché gli uominimassimamenteoggiche hanno più scienza e più senno che perl'addietrosono facili a ricevere e difficili a rendere. Nondimenoche di tali ossequi e servigiquelli che sono prestati da alcunigiovani a vecchie ricche o potentiottengono il loro finenon solopiù spesse volte che gli altrima il più delle volte.
    Questeconsiderazioni infrascritteche concernono principalmente i costumimodernimi ricordo averle udite dalla sua bocca. Oggi non ècosa alcuna che faccia vergogna appresso agli uomini usati esperimentati nel mondosalvo che il vergognarsi; né di cosaalcuna questi sì fatti uomini si vergognanofuorché diquestase a caso qualche volta v'incorrono.
    Maravigliosopotere è quel della moda: la qualeladdove le nazioni e gliuomini sono tenacissimi delle usanze in ogni altra cosaeostinatissimi a giudicareoperare e procedere secondo laconsuetudineeziandio contro ragione e con loro danno; essa sempreche vuolein un tratto li fa deporrevariareassumere usimodi egiudiziquando pur quello che abbandonano sia ragionevoleutilebello e convenientee quello che abbraccianoil contrario.


    D'infinitecose che nella vita comuneo negli uomini particolarisono ridicoleveramenteè rarissimo che si rida; e se pure alcuno vi siprovanon gli venendo fatto di comunicare il suo riso agli altripresto se ne rimane. All'incontrodi mille cose o gravissime oconvenientissimetutto giorno si ridee con facilità grandese ne muovono le risa negli altri. Anzi le più delle cosedelle quali si ride ordinariamentesono tutt'altro che ridicole ineffetto; e di moltissime si ride per questa cagione stessache ellenon sono degne di riso o in parte alcuna o tanto che basti.


    Diciamoe udiamo dire a ogni tratto: i buoni antichii nostri buoniantenati; e uomo fatto all'anticavolendo dire uomo dabbene e dapotersene fidare. Ciascuna generazione crede dall'una parteche ipassati fossero migliori dei presenti; dall'altra parteche i popolimigliorino allontanandosi dal loro primo stato ogni giorno più;verso il quale se eglino retrocedesseroche allora senza dubbioalcuno peggiorerebbero.


    Certamenteil vero non è bello. Nondimeno anche il vero può spessevolte porgere qualche diletto: e se nelle cose umane il bello èda preporre al veroquestodove manchi il belloè dapreferire ad ogni altra cosa. Ora nelle città granditu seilontano dal bello: perché il bello non ha più luogonessuno nella vita degli uomini. Sei lontano anche dal vero: perchénelle città grandi ogni cosa è fintao vana. Di modoche iviper dir cosìtu non vedinon odinon tocchinonrespiri altro che falsitàe questa brutta e spiacevole. Ilche agli spiriti delicati si può dire che sia la maggiormiseria del mondo.


    Quelliche non hanno necessità di provvedere essi medesimi ai lorobisognie però ne lasciano la cura agli altrinon possonoper l'ordinario provvedereo in guisa alcunao solo con grandissimadifficoltàe meno suffcientemente che gli altria un bisognoprincipalissimo che in ogni modo hanno. Dico quello di occupare lavita: il quale è maggiore assai di tutti i bisogni particolariai qualioccupandolasi provvede; e maggiore eziandio che ilbisogno di vivere. Anzi il vivereper se stessonon èbisogno; perché disgiunto dalla felicitànon èbene. Dove che posta la vitaè sommo e primo bisogno ilcondurla con minore infelicità che si possa. Ora dall'unapartela vita disoccupata o vacuaè infelicissima.Dall'altra parteil modo di occupazione col quale la vita si famanco infelice che con alcun altrosi è quello che consistenel provvedere ai propri bisogni.


    Dicevache il costume di vendere e comperare uominiera cosa utile algenere umano: e allegava che l'uso dell'innestare il vaiuolo venne inCostantinopolidonde passò in Inghilterrae di lànelle altre parti d'Europadalla Circassia; dove la infermitàdel vaiuolo naturalepregiudicando alla vita o alle forme deifanciulli e dei giovanidanneggiava molto il mercato che fanno queipopoli delle loro donzelle.


    Narravadi se medesimoche quando prima uscì delle scuole ed entrònel mondoproposecome giovanetto inesperto e amico della veritàdi non voler mai lodare né persona né cosa che glioccorresse nel commercio degli uominise non se qualora ella fossetaleche gli paresse veramente lodevole. Ma che passato un annonelqualemantenendo il proposito fattonon gli venne lodata nécosa né persona alcuna; temendo non si dimenticare al tuttoper mancamento di esercizioquello che nella rettorica non moltoprima aveva imparato circa il genere encomiastico o lodativoruppeil proposito; e indi a poco se ne rimosse totalmente.



CAPITOLOSESTO

    Usavadi farsi leggere quando un libro quando un altroper lo piùdi scrittore antico; e interponeva alla lettura qualche suo dettoequasi annotazioncella a vocesopra questo o quel passodi mano inmano. Udendo leggere nelle Vite dei filosofi scritte da DiogeneLaerzioche interrogato Chilone in che differiscano gliaddottrinati dagl'indottirispose che nelle buone speranze; disse:oggi e tutto l'opposto; perché gl'ignoranti speranoe iconoscenti non isperano cosa alcuna.


    Similmenteleggendosi nelle dette Vite come Socrate affermava essere al mondo unsolo benee questo essere la scienza; e un solo malee questoessere l'ignoranza; disse: della scienza e dell'ignoranza antica nonso; ma oggi io volgerei questo detto al contrario.


    Nellostesso libro riportandosi questo dogma della setta degli Egesiaci: ilsapienteche che egli si facciafarà ogni cosa a suobeneficio proprio; disse: se tutti quelli che procedono in questomodo sono filosofioramai venga Platonee riduca ad atto la suarepubblica in tutto il mondo civile.


    Commendavamolto una sentenza di Bione boristeniteposta dal medesimo Laerzio ;che i più travagliati di tuttisono quelli che cercano lemaggiori felicità. E soggiungeva cheall'incontroi piùbeati sono quelli che più si possono e sogliono pascere delleminimee anco da poi che sono passaterivolgerle e assaporarle abell'agio colla memoria.


    Recavaalle varie età delle nazioni civili quel verso greco chesuona: i giovani fannoi mezzani consultanoi vecchi desidera no;dicendo che in vero non rimane all'età presente altro chedesiderio.


    Aun passo di Plutarcoche e trasportato da Marcello Adriani giovanein queste parole: molto meno arieno ancora gli Spartani patitol'insolenza e buffonerie di Stratocle: il quale avendo persuaso ilpopolo (ciò furono gli Ateniesi) a sacrificare come vincitore;che poisentito il vero della rottasi sdegnava; disse: qualingiuria riceveste da meche seppi tenervi in festa ed in gioia perispazio di tre giorni? soggiunse l'Ottonieri: il simile si potrebberispondere molto convenientemente a quelli che si dolgono dellanaturagravandosi che ellaper quanto è in sétengacelato a ciascuno il veroe coperto con molte apparenze vanemabelle e dilettevoli: che ingiuria vi fa ella a tenervi lieti per treo quattro giorni? E in altra occasione dissepotersi appropriarealla nostra specie universalmenteavendo rispetto agli errorinaturali dell'uomoquello che del fanciullo ridotto ingannevolmentea prendere la medicinadice il Tasso: e da l'inganno suo vitariceve.


    NeiParadossi di Cicerone essendogli letto un luogoche in volgare siridurrebbe come segue: forse le voluttà fanno la personamigliore o più lodevole? e hacci per avventura alcuno che delgoderle si magnifici o pavoneggi? disse: caro Ciceroneche i modernidivengano per la voluttà o migliori o più lodevolinonardisco dire; ma più lodatisì bene. Anzi hai dasapere che oggi questo solo cammino di lode si propongono e seguonoquasi tutti i giovani; cioè quello che mena per le voluttà.Delle quali non pure si vantanoottenendolee ne fanno infinitenovelle cogli amici e cogli stranicon chi vuole e con chi nonvorrebbe udire; ma oltre di ciòmoltissime ne appetiscono ene procaccianonon come voluttàma come cagione di lode e difamae come materia da gloriarsi; moltissime eziandio se neattribuiscono o non ottenuteo anco pure non cercateo finte deltutto.


    Notavanell'istoria che scrisse Arriano delle imprese di Alessandro Magnoche alla giornata dell'IssoDario collocò i soldati mercenarigreci nella fronte dell'esercitoe Alessandro i suoi mercenari purgreci alle spalle; e stimava che da questa circostanza sola senzapiùsi fosse potuto antivedere il successo della battaglia.


    Nonriprendevaanzi lodava ed amavache gli scrittori ragionasseromolto di se medesimi: perché diceva che in questosono quasisempre e quasi tutti eloquentie hanno per l'ordinario lo stilebuono e convenevoleeziandio contro il consueto o del tempoo dellanazioneo proprio loro. E ciò non essere maraviglia; poichéquelli che scrivono delle cose propriehanno l'animo fortementepreso e occupato dalla materia; non mancano mai né di pensieriné di affetti nati da essa materia e nell'animo loro stessonon trasportati di altri luoghiné bevuti da altre fontinécomuni e triti; e con facilità si astengono dagli ornamentifrivoli in séo che non fanno a propositodalle grazie edalle bellezze falseo che hanno più di apparenza che disostanzadall'affettazionee da tutto quello che è fuori delnaturale. Ed essere falsissimo che i lettori ordinariamente si curinopoco di quello che gli scrittori dicono di se medesimi: primaperchétutto quello che veramente e pensato e sentito dallo scrittorestessoe detto con modo naturale e acconciogenera attenzionee faeffetto; poiperché in nessun modo si rappresentano odiscorrono con maggior verità ed efficacia le cose altruichefavellando delle proprie: atteso che tutti gli uomini sirassomigliano tra lorosì nelle qualità naturalie sìnegli accidentiin quel che dipende dalla sorte; e che le coseumanea considerarle in se stessosi veggono molto meglio e conmaggior sentimento che negli altri. In confermazione dei qualipensieri adducevatra le altre cosel'aringa di Demostene per laCoronadove l'oratore parlando di sé continuamentevince semedesimo di eloquenza: e Ciceroneal qualeil più dellevoltedove tocca le cose proprievien fatto altrettanto: il che sivede in particolare nella Milonianatutta maravigliosama nel finemaravigliosissimadove l'oratore introduce se stesso. Comesimilmente bellissimo ed eloquentissimo nelle orazioni del Bossuetsopra tutti gli altri luoghiè quello dove chiudendo le lodidel Principe di Condéil dicitore fa menzione della suapropria vecchiezza e vicina morte. Degli scritti di Giulianoimperatoreche in tutti gli altri è sofistae spesso nontollerabileil più giudizioso e più lodevole èla diceria che s'intitola Misopogonecioè contro alla barba;dove risponde ai motti e alle maldicenze di quelli di Antiochiacontro di lui. Nella quale operettalasciando degli altri pregiegli non è molto inferiore a Luciano né di graziacomicané di copiaacutezza e vivacità di sali;laddove in quella dei Cesaripure imitativa di Lucianoèsgraziatopovero di facezieed oltre alla povertàdebole equasi insulso. Tra gl'Italianiche per altro sono quasi privi discritture eloquentil'apologia che Lorenzino dei Medici scrisse pergiustificazione propriaè un esempio di eloquenza grande eperfetta da ogni parte; e Torquato Tasso ancora è non di radoeloquente nelle altre prosedove parla molto di se stessoe quasisempre eloquentissimo nelle letteredove non ragionasi puòdirese non de' suoi propri casi.



CAPITOLOSETTIMO

    Siricordano anche parecchi suoi motti e risposte argute: come fu quellach'ei diede a un giovanettomolto studioso delle letterema pocoesperto del mondo; il quale dicevache dell'arte del governarsinella vita socialee della cognizione pratica degli uominis'imparano cento fogli il dì. Rispose l'Ottonieri: ma il librofa cinque milioni di fogli.


    Aun altro giovane inconsiderato e temerarioil quale per ischermirsida quelli che gli rimproveravano le male riuscite che facevagiornalmentee gli scorni che riportavaera usato risponderechedella vita non è da fare più stima che di una commedia;disse una volta l'Ottonieri: anche nella commedia è meglioriportare applausi che fischiate; e il commediante male instruttonell'arte suao mal destro in esercitarlaall'ultimo si muore difame.


    Presodai sergenti della corte un ribaldo omicidail quale per esserezoppocommesso il misfattonon era potuto fuggire; disse: vedeteamiciche la giustiziase bene si dice che sia zopparaggiungeperò il malfattorese egli è zoppo.


    Viaggiandoper l'Italiaessendogli dettonon so doveda un cortigiano che lovoleva mordere: io ti parlerò schiettamentese tu me ne dailicenza; rispose: anzi avrò caro assai di ascoltarti; perchéviaggiando si cercano le cose rare.


    Costrettoda non so quale necessità una voltaa chiedere danari inprestanza a unoil quale scusandosi di non potergliene dareconcluse affermandoche se fosse stato ricconon avrebbe avutomaggior pensiero che delle occorrenze degli amici; esso replicò:mi rincrescerebbe assai che tu stessi in pensiero per causa nostra.Prego Dio che non ti faccia mai ricco.


    Dagiovaneavendo composto alcuni versie adoperatovi certe vociantiche; dicendogli una signora attempataalla qualerichiesto daessali recitavanon li sapere intendereperché quelle vocial tempo suo non correvano; rispose: anzi mi credeva che corressero;perché sono molto antiche.


    Diun avaro ricchissimoal quale era stato fatto un furto di pochidanaridisseche si era portato avaramente ancora coi ladri.


    Diun calcolatoreche sopra qualunque cosa gli veniva udita o vedutasi metteva a computaredisse: gli altri fanno le cosee costui leconta.


    Adalcuni antiquari che disputavano insieme dintorno a una figurinaantica di Gioveformata di terra cotta; richiesto del suo parere;non vedete voidisseche questo è un Giove in Creta?


    Diuno sciocco il quale presumeva saper molto bene raziocinaree ne'suoi discorsia ogni due parolericordava la logica; disse: questiè propriamente l'uomo definito alla greca; cioè unanimale logico.


    Vicinoa mortecompose esso medesimo questa inscrizioneche poi gli fuscolpita sopra la sepoltura.

OSSA
DlFILIPPO OTTONIERI
NATO ALLE OPERE VIRTUOSE
E ALLAGLORIA
VISSUTO OZIOSO E DISUTILE
E MORTO SENZA FAMA
NONIGNARO DELLA NATURA
NÉ DELLA FORTUNA
SUA



DIALOGODI CRISTOFORO COLOMBO E DI PIETRO GUTIERREZ

Colombo:Bella notteamico.
Gutierrez: Bella in verità: ecredo che a vederla da terrasarebbe più bella.
Colombo:Benissimo: anche tu sei stanco del navigare.
Gutierrez: Nondel navigare in ogni modo; ma questa navigazione mi riesce piùlunga che io non aveva credutoe mi dà un poco di noia.Contuttociò non hai da pensare che io mi dolga di tecomefanno gli altri. Anzi tieni per certo che qualunque deliberazione tusia per fare intorno a questo viaggiosempre ti seconderòcome per l'addietrocon ogni mio potere. Macosì per via didiscorsovorrei che tu mi dichiarassi precisamentecon tuttasinceritàse ancora hai così per sicuro come aprincipiodi avere a trovar paese in questa parte del mondo; o sedopo tanto tempo e tanta esperienza in contrariocominci niente adubitare.
Colombo: Parlando schiettamentee come si puòcon persona amica e segretaconfesso che sono entrato un poco inforse: tanto più che nel viaggio parecchi segni che mi avevanodato speranza grandemi sono riusciti vani; come fu quel degliuccelli che ci passarono sopravenendo da ponentepochi dìpoi che fummo partiti da Gomerae che io stimai fossero indizio diterra poco lontana. Similmenteho veduto di giorno in giorno chel'effetto non ha corrisposto a più di una congettura e piùdi un pronostico fatto da me innanzi che ci ponessimo in marecircaa diverse cose che ci sarebbero occorsecredeva ionel viaggio.Però vengo discorrendoche come questi pronostici mi hannoingannatocon tutto che mi paressero quasi certi; cosìpotrebbe essere che mi riuscisse anche vana la congettura principalecioè dell'avere a trovar terra di là dall'Oceano. Beneè vero che ella ha fondamenti taliche se pure e falsamiparrebbe da un canto che non si potesse aver fede a nessun giudizioumanoeccetto che esso non consista del tutto in cose che si vegganopresentemente e si tocchino. Ma da altro cantoconsidero che lapratica si discorda spessoanzi il più delle voltedallaspeculazione: e anche dico fra me: che puoi tu sapere che ciascunaparte del mondo si rassomigli alle altre in modoche essendol'emisfero d'oriente occupato parte dalla terra e parte dall'acquaseguiti che anche l'occidentale debba essere diviso tra questa equella? che puoi sapere che non sia tutto occupato da un mare unico eimmenso? o che in vece di terrao anco di terra e d'acquanoncontenga qualche altro elemento? Dato che abbia terre e mari comel'altronon potrebbe essere che fosse inabitato? anzi inabitabile?Facciamo che non sia meno abitato del nostro: che certezza hai tu chevi abbia creature razionalicome in questo? e quando pure ve neabbiacome ti assicuri che sieno uominie non qualche altro generedi animali intellettivi? ed essendo uomini; che non sienodifferentissimi da quelli che tu conosci? ponghiamo casomoltomaggiori di corpopiù gagliardipiù destri; dotatinaturalmente di molto maggiore ingegno e spirito; ancheassai meglioincivilitie ricchi di molta più scienza ed arte? Queste cosevengo pensando fra me stesso. E per veritàla natura si vedeessere fornita di tanta potenzae gli effetti di quella essere cosìvari e moltipliciche non solamente non si può fare giudiziocerto di quel che ella abbia operato ed operi in parti lontanissime edel tutto incognite al mondo nostroma possiamo anche dubitare cheuno s'inganni di gran lunga argomentando da questo a quellee nonsarebbe contrario alla verisimilitudine l'immaginare che le cose delmondo ignotoo tutte o in partefossero maravigliose e strane arispetto nostro. Ecco che voi veggiamo cogli occhi propri che l'agoin questi mari declina dalla stella per non piccolo spazio versoponente: cosa novissimae insino adesso inaudita a tutti inavigatori; della qualeper molto fantasticarneio non so pensareuna ragione che mi contenti. Non dico per tutto questoche si abbiaa prestare orecchio alle favole degli antichi circa alle maravigliedel mondo sconosciutoe di questo Oceano; comeper esempioallafavola dei paesi narrati da Annoneche la notte erano pieni difiammee dei torrenti di fuoco che di là sboccavano nel mare:anzi veggiamo quanto sieno stati vani fin qui tutti i timori dimiracoli e di novità spaventevoliavuti dalla nostra gente inquesto viaggio; come quandoal vedere quella quantità dialgheche pareva facessero della marina quasi un pratoec'impedivano alquanto l'andare innanzipensarono essere in sugliultimi confini del mar navigabile. Ma voglio solamente inferirerispondendo alla tua richiestache quantunque la mia congettura siafondata in argomenti probabilissiminon solo a giudizio mioma dimolti geografiastronomi e navigatori eccellenticoi quali ne hoconferitocome sainella Spagnanell'Italia e nel Portogallo;nondimeno potrebbe succedere che fallasse: perchétorno adireveggiamo che molte conclusioni cavate da ottimi discorsinonreggono all'esperienza; e questo interviene più che maiquando elle appartengono a cose intorno alle quali si ha pochissimolume.
Gutierrez: Di modo che tuin sostanzahai posto la tuavitae quella de' tuoi compagniin sul fondamento di una sempliceopinione speculativa.
Colombo: Così è: nonposso negare. Malasciando da parte che gli uomini tutto giorno simettono a pericolo della vita con fondamenti più deboli digran lungae per cose di piccolissimo contoo anche senza pensarlo;considera un poco. Se al presente tued ioe tutti i nostricompagninon fossimo in su queste naviin mezzo di questo mareinquesta solitudine incognitain istato incerto e rischioso quanto sivoglia; in quale altra condizione di vita ci troveremmo essere? inche saremmo occupati? in che modo passeremmo questi giorni? Forse piùlietamente? o non saremmo anzi in qualche maggior travaglio osollecitudineovvero pieni di noia? Che vuol dire uno stato liberoda incertezza e pericolo? se contento e felicequello è dapreferire a qualunque altro; se tedioso e miseronon veggo a qualealtro stato non sia da posporre. Io non voglio ricordare la gloria el'utilità che riporteremosuccedendo l'impresa in modoconforme alla speranza. Quando altro frutto non ci venga da questanavigazionea me pare che ella ci sia profittevolissima in quantoche per un tempo essa ci tiene liberi dalla noiaci fa cara la vitaci fa pregevoli molte cose che altrimenti non avremmo inconsiderazione. Scrivono gli antichicome avrai letto o uditochegli amanti infelicigittandosi dal sasso di Santa Maura (che allorasi diceva di Leucade) giù nella marinae scampandone;restavanoper grazia di Apolloliberi dalla passione amorosa. Ionon so se egli si debba credere che ottenessero questo effetto; ma sobene cheusciti di quel pericoloavranno per un poco di tempoancosenza il favore di Apolloavuta cara la vita che prima avevano inodio; o pure avuta più cara e più pregiata che innanzi.Ciascuna navigazione eper giudizio mioquasi un salto dalla rupedi Leucade; producendo le medesime utilitàma piùdurevoli che quello non produrrebbe; al qualeper questo contoellaè superiore assai. Credesi comunemente che gli uomini di maree di guerraessendo a ogni poco in pericolo di morirefacciano menostima della vita propriache non fanno gli altri della loro. Io perlo stesso rispetto giudico che la vita si abbia da molto pochepersone in tanto amore e pregio come da' navigatori e soldati. Quantibeni cheavendolinon si curanoanzi quante cose che non hanno purnome di benipaiono carissime e preziosissime ai navigantisolo peresserne privi! Chi pose mai nel numero dei beni umani l'avere un pocodi terra che ti sostenga? Niunoeccetto i navigatorie massimamentenoiche per la molta incertezza del successo di questo viaggiononabbiamo maggior desiderio che della vista di un cantuccio di terra;questo è il primo pensiero che ci si fa innanzi allosvegliarcicon questo ci addormentiamo; e se pure una volta ci verràscoperta da lontano la cima di un monte o di una forestao cosatalenon capiremo in noi stessi dalla contentezza; e presa terrasolamente a pensare di ritrovarci in sullo stabilee di potereandare qua e là camminando a nostro talentoci parràper più giorni essere beati.
Gutierrez: Tuttocotesto è verissimo: tanto che se quella tua congetturaspeculativa riuscirà così vera come è lagiustificazione dell'averla seguitanon potremo mancar di goderequesta beatitudine un giorno o l'altro.
Colombo: Io per mese bene non mi ardisco più di promettermelo sicuramentecontuttociò spererei che fossimo per goderla presto. Da certigiorni in qualo scandagliocome saitocca fondo; e la qualitàdi quella materia che gli vien dietromi pare indizio buono. Versoserale nuvole intorno al solemi si dimostrano d'altra forma e dialtro colore da quelle dei giorni innanzi. L'ariacome puoi sentireè fatta un poco più dolce e più tepida di prima.Il vento non corre piùcome per l'addietrocosìpienoné così dirittoné costante; mapiuttosto incertoe varioe come fosse interrotto da qualcheintoppo. Aggiungi quella canna che andava in sul mare a gallaemostra essere tagliata di poco; e quel ramicello di albero con quellecoccole rosse e fresche. Anche gli stormi degli uccellibenchémi hanno ingannato altra voltanondimeno ora sono tanti che passanoe così grandi; e moltiplicano talmente di giorno in giorno;che penso vi si possa fare qualche fondamento; massime che vi siveggono intramischiati alcuni uccelli chealla formanon mi paionodei marittimi. In somma tutti questi segni raccolti insiemepermolto che io voglia essere diffidentemi tengono pure in aspettativagrande e buona.
Gutierrez: Voglia Dio questa voltach'ella si verifichi.



ELOGIODEGLI UCCELLI

    Ameliofilosofo solitariostando una mattina di primaveraco' suoi libriseduto all'ombra di una sua casa in villae leggendo; scosso dalcantare degli uccelli per la campagnaa poco a poco datosi adascoltare e pensaree lasciato il leggere; all'ultimo pose mano allapennae in quel medesimo luogo scrisse le cose che seguono.


    Sonogli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Nondico ciò in quanto se tu li vedi o gli odisempre tirallegrano; ma intendo di essi medesimi in sévolendo direche sentono giocondità e letizia più che alcuno altroanimale. Si veggono gli altri animali comunemente seri e gravi; emolti di loro anche paiono malinconici: rade volte fanno segni digioiae questi piccoli e brevi; nella più parte dei lorogodimenti e dilettinon fanno festané significazione alcunadi allegrezza; delle campagne verdidelle vedute aperte e leggiadredei soli splendididelle arie cristalline e dolcise anco sonodilettatinon ne sogliono dare indizio di fuori: eccetto che dellelepri si dice che la notteai tempi della lunae massime della lunapienasaltano e giuocano insiemecompiacendosi di quel chiarosecondo che scrive Senofonte . Gli uccelli per lo più sidimostrano nei moti e nell'aspetto lietissimi; e non da altro procedequella virtù che hanno di rallegrarci colla vistase non chele loro forme e i loro attiuniversalmentesono taliche pernatura dinotano abilità e disposizione speciale a provaregodimento e gioia: la quale apparenza non è da riputare vana eingannevole. Per ogni diletto e ogni contentezza che hannocantano;e quanto è maggiore il diletto o la contentezzatanto piùlena e più studio pongono nel cantare. E cantando buona partedel tempos'inferisce che ordinariamente stanno di buona voglia egodono. E se bene è notato che mentre sono in amorecantanomeglioe più spessoe più lungamente che mai; non èda credere peròche a cantare non li muovano altri diletti ealtre contentezze fuori di queste dell'amore. Imperocché sivede palesemente che al dì sereno e placidocantano piùche all'oscuro e inquieto: e nella tempesta si taccionocome anchefanno in ciascuno altro timore che provano; e passata quellatornanofuori cantando e giocolando gli uni cogli altri. Similmente si vedeche usano di cantare in sulla mattina allo svegliarsi; a che sonomossi parte dalla letizia che prendono del giorno nuovoparte daquel piacere che è generalmente a ogni animale sentirsiristorati dal sonno e rifatti. Anche si rallegrano sommamente delleverzure lietevallette fertilidelle acque pure e lucentidelpaese bello. Nelle quali cose è notabile che quello che pareameno e leggiadro a noiquello pare anche a loro; come si puòconoscere dagli allettamenti coi quali sono tratti alle reti o allepanienegli uccellari e paretai. Si può conoscere altresìdalla condizione di quei luoghi alla campagnanei quali perl'ordinario è più frequenza di uccellie il canto loroassiduo e fervido. Laddove gli altri animalise non forse quelli chesono dimesticati e usi a vivere cogli uominio nessuno o pochi fannoquello stesso giudizio che facciamo noidell'amenità e dellavaghezza dei luoghi. E non è da maravigliarsene: perocchénon sono dilettati se non solamente dal naturale. Ora in queste coseuna grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturalenon è;anzi è piuttosto artificiale: come a direi campi lavoratigli alberi e le altre piante educate e disposte in ordinei fiumistretti infra certi termini e indirizzati a certo corsoe cosesimilinon hanno quello stato né quella sembianza cheavrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato daqualunque generazione di uomini civilieziandio non considerando lecittàe gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stareinsieme; è cosa artificiatae diversa molto da quella chesarebbe in natura. Dicono alcunie farebbe a questo propositochela voce degli uccelli è più gentile e più dolcee il canto più modulatonelle parti nostreche in quelledove gli uomini sono selvaggi e rozzi; e conchiudono che gli uccellianco essendo liberipigliano alcun poco della civiltà diquegli uomini alle cui stanze sono usati.


    Oche questi dicano il vero o nocerto fu notabile provvedimento dellanatura l'assegnare a un medesimo genere di animali il canto e ilvolo; in guisa che quelli che avevano a ricreare gli altri viventicolla vocefossero per l'ordinario in luogo alto; donde ella sispandesse all'intorno per maggiore spazioe pervenisse a maggiornumero di uditori. E in guisa che l'ariala quale si èl'elemento destinato al suonofosse popolata di creature vocali emusiche. Veramente molto conforto e diletto ci porgee non menopermio parereagli altri animali che agli uominil'udire il cantodegli uccelli. E ciò credo io che nasca principalmentenondalla soavità de' suoniquanta che ella si sianédalla loro varietàné dalla convenienza scambievole;ma da quella significazione di allegrezza che è contenuta pernaturasì nel canto in generee sì nel canto degliuccelli in ispecie. Il quale ècome a direun risochel'uccello fa quando egli si sente star bene e piacevolmente.


    Ondesi potrebbe dire in qualche modoche gli uccelli partecipano delprivilegio che ha l'uomo di ridere: il quale non hanno gli altrianimali; e perciò pensarono alcuni che siccome l'uomo èdefinito per animale intellettivo o razionalepotesse non menosufficientemente essere definito per animale risibile; parendo loroche il riso non fosse meno proprio e particolare all'uomoche laragione. Cosa certamente mirabile è questache nell'uomoilquale infra tutte le creature è la più travagliata emiserasi trovi la facoltà del risoaliena da ogni altroanimale. Mirabile ancora si è l'uso che noi facciamo di questafacoltà: poiché si veggono molti in qualche fierissimoaccidentealtri in grande tristezza d'animoaltri che quasi nonserbano alcuno amore alla vitacertissimi della vanità diogni bene umanopresso che incapaci di ogni gioiae privi di ognisperanza; nondimeno ridere. Anziquanto conoscono meglio la vanitàdei predetti benie l'infelicità della vita; e quanto menosperanoe meno eziandio sono atti a godere; tanto maggiormentesogliono i particolari uomini essere inclinati al riso. La natura delquale generalmentee gl'intimi principii e modiin quanto si èa quella parte che consiste nell'animoappena si potrebbero definiree spiegare; se non se forse dicendo che il riso e specie di pazzianon durabileo pure di vaneggiamento e delirio. Perciocchégli uomininon essendo mai soddisfatti né mai dilettativeramente da cosa alcunanon possono aver causa di riso che siaragionevole e giusta. Eziandio sarebbe curioso a cercaredonde e inquale occasione più verisimilmentel'uomo fosse recato laprima volta a usare e a conoscere questa sua potenza. Imperocchénon è dubbio che esso nello stato primitivo e selvaggiosidimostra per lo più seriocome fanno gli altri animali; anzialla vista malinconico. Onde io sono di opinione che il risononsolo apparisse al mondo dopo il piantodella qual cosa non si puòfare controversia veruna; ma che penasse un buono spazio di tempo aessere sperimentato e veduto primieramente. Nel qual temponéla madre sorridesse al bambinoné questo riconoscesse lei colsorrisocome dice Virgilio. Che se oggialmeno dove la gente èridotta a vita civileincominciano gli uomini a ridere poco doponati; fannolo principalmente in virtù dell'esempioperchéveggono altri che ridono. E crederei che la prima occasione e laprima causa di riderefosse stata agli uomini la ubbriachezza; altroeffetto proprio e particolare al genere umano. Questa ebbe originelungo tempo innanzi che gli uomini fossero venuti ad alcuna specie diciviltà; poiché sappiamo che quasi non si ritrovapopolo così rozzoche non abbia provveduto di qualche bevandao di qualche altro modo da inebbriarsie non lo soglia usarecupidamente. Delle quali cose non è da maravigliare;considerando che gli uominicome sono infelicissimi sopra tutti glialtri animalieziandio sono dilettati più che qualunquealtroda ogni non travagliosa alienazione di mentedalladimenticanza di se medesimidalla intermissioneper dir cosìdella vita; donde o interrompendosi o per qualche tempo scemandosiloro il senso e il conoscimento dei propri maliricevono non piccolobenefizio. E in quanto al risovedesi che i selvaggiquantunque diaspetto seri e tristi negli altri tempipure nella ubbriachezzaridono profusamente; favellando ancora molto e cantandocontro alloro usato. Ma di queste cose tratterò più distesamentein una storia del risoche ho in animo di fare: nella qualecercatoche avrò del nascimento di quelloseguiterò narrando isuoi fatti e i suoi casi e le sue fortuneda indi in poifino aquesto tempo presente; nel quale egli si trova essere in dignitàe stato maggiore che fosse mai; tenendo nelle nazioni civili unluogoe facendo un ufficiocoi quali esso supplisce per qualchemodo alle parti esercitate in altri tempi dalla virtùdallagiustiziadall'onore e simili; e in molte cose raffrenando espaventando gli uomini dalle male opere. Ora conchiudendo del cantodegli uccellidicoche imperocché la letizia veduta oconosciuta in altridella quale non si abbia invidiasuoleconfortare e rallegrare; però molto lodevolmente la naturaprovvide che il canto degli uccelliil quale è dimostrazionedi allegrezzae specie di risofosse pubblico; dove che il canto eil riso degli uominiper rispetto al rimanente del mondosonoprivati: e sapientemente operò che la terra e l'aria fosserosparse di animali che tutto dìmettendo voci di gioiarisonanti e solenniquasi applaudissero alla vita universaleeincitassero gli altri viventi ad allegrezzafacendo continuetestimonianzeancorché falsedella felicità dellecose.


    Eche gli uccelli sieno e si mostrino lieti più che gli altrianimalinon è senza ragione grande. Perché veramentecome ho accennato a principiosono di natura meglio accomodati agodere e ad essere felici. Primieramentenon pare che sienosottoposti alla noia. Cangiano luogo a ogni tratto; passano da paesea paese quanto tu vuoi lontanoe dall'infima alla somma partedell'ariain poco spazio di tempoe con facilità mirabile;veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime;esercitano continuamente il loro corpo; abbondano soprammodo dellavita estrinseca. Tutti gli altri animaliprovveduto che hanno ailoro bisogniamano di starsene quieti e oziosi; nessunose giànon fossero i pescied eccettuati pure alquanti degl'insettivolatiliva lungamente scorrendo per solo diporto. Cosìl'uomo silvestreeccetto per supplire di giorno in giorno alle suenecessitàle quali ricercano piccola e breve opera; ovvero sela tempestao alcuna fierao altra sì fatta cagione non locaccia; appena è solito di muovere un passo: amaprincipalmente l'ozio e la negligenza: consuma poco meno che i giorniintieri sedendo neghittosamente in silenzio nella sua capannettainformeo all'apertoo nelle rotture e caverne delle rupi e deisassi. Gli uccelliper lo contrariopochissimo soprastanno in unmedesimo luogo; vanno e vengono di continuo senza necessitàveruna; usano il volare per sollazzo; e talvoltaandati a diportopiù centinaia di miglia dal paese dove sogliono praticareildì medesimo in sul vespro vi si riducono. Anche nel piccolotempo che soprasseggono in un luogotu non li vedi stare mai fermidella persona; sempre si volgono qua e làsempre si aggiranosi pieganosi protendonosi crollanosi dimenano; con quellavispezzaquell'agilitàquella prestezza di moti indicibile.In sommada poi che l'uccello è schiuso dall'uovoinsino aquando muoresalvo gl'intervalli del sonnonon si posa un momentodi tempo. Per le quali considerazioni parrebbe si potesse affermareche naturalmente lo stato ordinario degli altri animalicompresoviancora gli uominisi è la quiete; degli uccelliil moto.


    Aqueste loro qualità e condizioni esteriori corrispondono leintrinsechecioè dell'animo; per le quali medesimamente sonomeglio atti alla felicità che gli altri animali. Avendol'udito acutissimoe la vista efficace e perfetta in modochel'animo nostro a fatica se ne può fare una immagineproporzionata; per la qual potenza godono tutto giorno immensispettacoli e variatissimie dall'alto scuopronoa un tempo solotanto spazio di terrae distintamente scorgono tanti paesicoll'occhioquantipur colla menteappena si possono comprenderedall'uomo in un tratto; s'inferisce che debbono avere una grandissimaforza e vivacitàe un grandissimo uso d'immaginativa. Non diquella immaginativa profondafervida e tempestosacome ebberoDanteil Tasso; la quale è funestissima dotee principio disollecitudini e angosce gravissime e perpetue; ma di quella riccavarialeggerainstabile e fanciullesca; la quale si èlarghissima fonte di pensieri ameni e lietidi errori dolcidi varidiletti e conforti; e il maggiore e più fruttuoso dono di cuila natura sia cortese ad anime vive. Di modo che gli uccelli hanno diquesta facoltàin copia grandeil buonoe l'utile allagiocondità dell'animosenza però partecipare delnocivo e penoso. E siccome abbondano della vita estrinsecaparimentesono ricchi della interiore: ma in guisache tale abbondanza risultain loro benefizio e dilettocome nei fanciulli; non in danno emiseria insignecome per lo più negli uomini. Perocchénel modo che l'uccello quanto alla vispezza e alla mobilità difuoriha col fanciullo una manifesta similitudine; così nellequalità dell'animo dentroragionevolmente è da credereche lo somigli. I beni della quale età se fossero comuni allealtree i mali non maggiori in queste che in quella; forse l'uomoavrebbe cagione di portare la vita pazientemente. A parer miolanatura degli uccellise noi la consideriamo in certi modiavanza diperfezione quelle degli altri animali. Per maniera di esempioseconsideriamo che l'uccello vince di gran lunga tutti gli altri nellafacoltà del vedere e dell'udireche secondo l'ordine naturaleappartenente al genere delle creature animatesono i sentimentiprincipali; in questo modo seguita che la natura dell'uccello siacosa più perfetta che sieno le altre nature di detto genere.Ancoraessendo gli altri animalicome è scritto di soprainclinati naturalmente alla quietee gli uccelli al moto; e il motoessendo cosa più viva che la quieteanzi consistendo la vitanel motoe gli uccelli abbondando di movimento esteriore piùche veruno altro animale; e oltre di ciòla vista e l'uditodove essi i eccedono tutti gli altrie che maggioreggiano tra leloro potenzeessendo i due sensi più particolari ai viventicome anche più vivi e più mobilitanto in se medesimiquanto negli abiti e altri effetti che da loro si producononell'animale dentro e fuori; e finalmente stando le altre cose dettedinanzi; conchiudesi che l'uccello ha maggior copia di vita esterioree interioreche non hanno gli altri animali. Orase la vita ècosa più perfetta che il suo contrarioalmeno nelle creatureviventi; e se perciò la maggior copia di vita èmaggiore perfezione; anche per questo modo seguita che la naturadegli uccelli sia più perfetta. Al qual proposito non èda passare in silenzio che gli uccelli sono parimente acconci asopportare gli estremi del freddo e del caldo; anche senza intervallodi tempo tra l'uno e l'altro: poiché veggiamo spesse volteche da terrain poco più che un attimosi levano su perl'aria insino a qualche parte altissimache è come dire a unluogo smisuratamente freddo; e molti di loroin breve tempotrascorrono volando diversi climi.


    Infinesiccome Anacreonte desiderava potersi trasformare in ispecchioper esser mirato continuamente da quella che egli amavao ingonnellino per coprirlao in unguento per ungerlao in acqua perlavarlao in fasciache ella se lo stringesse al senoo in perlada portare al colloo in calzareche almeno ella lo premesse colpiede; similmente io vorreiper un poco di tempoessere convertitoin uccelloper provare quella contentezza e letizia della loro vita.



CANTICODEL GALLO SILVESTRE

    Affermanoalcuni maestri e scrittori ebreiche tra il cielo e la terraovogliamo dire mezzo nell'uno e mezzo nell'altravive un certo gallosalvatico; il quale sta in sulla terra coi piedie tocca collacresta e col becco il cielo . Questo gallo giganteoltre a varieparticolarità che di lui si possono leggere negli autoripredettiha uso di ragione; o certocome un pappagalloèstato ammaestratonon so da chia profferir parole a guisa degliuomini: perocché si è trovato in una cartapecoraanticascritto in lettera ebraicae in lingua tra caldeatargumicarabbinicacabalistica e talmudicaun cantico intitolatoScir detarnegòl bara letzafracioè Cantico mattutinodel gallo silvestre: il qualenon senza fatica grandenésenza interrogare più d'un rabbinocabalistateologogiurisconsulto e filosofo ebreosono venuto a capo d'intenderee diridurre in volgare come qui appresso si vede. Non ho potuto perancora ritrarre se questo Cantico si ripeta dal gallo di tempo intempoovvero tutte le mattine; o fosse cantato una volta sola; e chil'oda cantareo chi l'abbia udito; e se la detta lingua sia propriola lingua del galloo che il Cantico vi fosse recato da qualchealtra. Quanto si è al volgarizzamento infrascritto; per farlopiù fedele che si potesse (del che mi sono anche sforzato inogni altro modo)mi è paruto di usare la prosa piuttosto cheil versose bene in cosa poetica. Lo stile interrottoe forsequalche volta gonfionon mi dovrà essere imputato; essendoconforme a quello del testo originale: il qual testo corrisponde inquesta parte all'uso delle linguee massime dei poetid'oriente.

    Sumortalidestatevi. Il dì rinasce: torna la verità insulla terra e partonsene le immagini vane. Sorgete; ripigliatevi lasoma della vita; riducetevi dal mondo falso nel vero.


    Ciascunoin questo tempo raccoglie e ricorre coll'animo tutti i pensieri dellasua vita presente; richiama alla memoria i disegnigli studi e inegozi; si propone i diletti e gli affanni che gli sieno perintervenire nello spazio del giorno nuovo. E ciascuno in questo tempoè più desideroso che maidi ritrovar pure nella suamente aspettative giocondee pensieri dolci. Ma pochi sonosoddisfatti di questo desiderio: a tutti il risvegliarsi èdanno. Il misero non è prima destoche egli ritorna nellemani dell'infelicità sua. Dolcissima cosa è quel sonnoa conciliare il quale concorse o letizia o speranza. L'una e l'altrainsino alla vigilia del dì seguenteconservasi intera esalva; ma in questao manca o declina.


    Seil sonno dei mortali fosse perpetuoed una cosa medesima colla vita;se sotto l'astro diurnolanguendo per la terra in profondissimaquiete tutti i viventinon apparisse opera alcuna; non muggito dibuoi per li pratiné strepito di fiere per le forestenécanto di uccelli per l'ariané susurro d'api o di farfallescorresse per la campagna; non vocenon moto alcunose non delleacquedel vento e delle tempestesorgesse in alcuna banda; certol'universo sarebbe inutile; ma forse che vi si troverebbe o copiaminore di felicitào più di miseriache oggi non visi trova? Io dimando a teo soleautore del giorno e preside dellavigilia: nello spazio dei secoli da te distinti e consumati fin quisorgendo e cadendovedesti tu alcuna volta un solo infra i viventiessere beato? Delle opere innumerabili dei mortali da te vedutefinorapensi tu che pur una ottenesse l'intento suoche fu lasoddisfazioneo durevole o transitoriadi quella creatura che laprodusse? Anzi vedi tu di presente o vedesti mai la felicitàdentro ai confini del mondo? in qual campo soggiornain qual boscoin qual montagnain qual vallein qual paese abitato o desertoinqual pianeta dei tanti che le tue fiamme illustrano e scaldano? Forsesi nasconde dal tuo cospettoe siede nell'imo delle speloncheo nelprofondo della terra o del mare? Qual cosa animata ne partecipa; qualpianta o che altro che tu vivifichi; qual creatura provveduta osfornita di virtù vegetative o animali? E tu medesimotu chequasi un gigante instancabilevelocementedì e nottesenzasonno né requiecorri lo smisurato cammino che ti èprescritto; sei tu beato o infelice?


    Mortalidestatevi. Non siete ancora liberi dalla vita. Verrà tempoche niuna forza di fuoriniuno intrinseco movimentovi riscoteràdalla quiete del sonno; ma in quella sempre e insaziabilmenteriposerete. Per ora non vi è concessa la morte: solo di trattoin tratto vi è consentita per qualche spazio di tempo unasomiglianza di quella. Perocché la vita non si potrebbeconservare se ella non fosse interrotta frequentemente. Troppo lungodifetto di questo sonno breve e caducoè male per sémortiferoe cagione di sonno eterno. Tal cosa è la vitachea portarlafa di bisogno ad ora ad oradeponendolaripigliare unpoco di lenae ristorarsi con un gusto e quasi una particella dimorte.


    Pareche l'essere delle cose abbia per suo proprio ed unico obbietto ilmorire. Non potendo morire quel che non eraperciò dal nullascaturirono le cose che sono. Certo l'ultima causa dell'essere non èla felicità; perocché niuna cosa è felice. Veroe che le creature animate si propongono questo fine in ciascuna operaloro; ma da niuna l'ottengono: e in tutta la loro vitaingegnandosiadoperandosi e penando semprenon patiscono veramente per altroenon si affaticanose non per giungere a questo solo intento dellanaturache è la morte.


    Aogni modoil primo tempo del giorno suol essere ai viventi il piùcomportabile. Pochi in sullo svegliarsi ritrovano nella loro mentepensieri dilettosi e lieti; ma quasi tutti se ne producono e formanodi presente: perocché gli animi in quell'oraeziandio senzamateria alcuna speciale e determinatainclinano sopra tutto allagioconditào sono disposti più che negli altri tempialla pazienza dei mali. Onde se alcunoquando fu sopraggiunto dalsonnotrovavasi occupato dalla disperazione; destandosiaccettanovamente nell'animo la speranzaquantunque ella in niun modo se gliconvenga. Molti infortuni e travagli proprimolte cause di timore edi affannopaiono in quel tempo minori assaiche non parvero lasera innanzi. Spesso ancorale angosce del dì passato sonovolte in dispregioe quasi per poco in riso come effetto di errorie d'immaginazioni vane. La sera è comparabile alla vecchiaia;per lo contrarioil principio del mattino somiglia alla giovanezza:questo per lo più racconsolato e confidente; la sera tristascoraggiata e inchinevole a sperar male. Ma come la gioventùdella vita interacosì quella che i mortali provano inciascun giornoè brevissima e fuggitiva; e prestamente ancheil dì si riduce per loro in età provetta.


    Ilfior degli annise bene e il meglio della vitaè cosa purmisera. Non per tantoanche questo povero bene manca in sìpiccolo tempoche quando il vivente a più segni si avvededella declinazione del proprio essereappena ne ha sperimentato laperfezionené potuto sentire e conoscere pienamente le sueproprie forzeche già scemano. In qualunque genere dicreature mortalila massima parte del vivere è un appassire.Tanto in ogni opera sua la natura e intenta e indirizzata alla morte:poiché non per altra cagione la vecchiezza prevale sìmanifestamentee di sì gran lunganella vita e nel mondo.Ogni parte dell'universo si affretta infaticabilmente alla morteconsollecitudine e celerità mirabile. Solo l'universo medesimoapparisce immune dallo scadere e languire: perocché senell'autunno e nel verno si dimostra quasi infermo e vecchionondimeno sempre alla stagione nuova ringiovanisce. Ma siccome imortalise bene in sul primo tempo di ciascun giorno racquistanoalcuna parte di giovanezzapure invecchiano tutto dìefinalmente si estinguono; così l'universobenché nelprincipio degli anni ringiovaniscanondimeno continuamenteinvecchia. Tempo verràche esso universoe la naturamedesimasarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni edimperi umanie loro maravigliosi motiche furono famosissimi inaltre etànon resta oggi segno né fama alcuna;parimente del mondo interoe delle infinite vicende e calamitàdelle cose createnon rimarrà pure un vestigio; ma unsilenzio nudoe una quiete altissimaempieranno lo spazio immenso.Così questo arcano mirabile e spaventoso dell'esistenzauniversaleinnanzi di essere dichiarato né intesosidileguerà e perderassi .



FRAMMENTOAPOCRIFO DI STRATONE DA LAMPSACO

PREAMBOLO

    QuestoFrammentoche io per passatempo ho recato dal greco in volgareètratto da un codice a penna che trovavasi alcuni anni sonoe forseancora si trovanella libreria dei monaci del monte Athos. Lointitolo Frammento apocrifo perchécome ognuno puòvederele cose che si leggono nel capitolo della fine del mondononpossono essere state scritte se non poco tempo addietro; laddoveStratone da Lampsacofilosofo peripateticodetto il fisicovisseda trecento anni avanti l'era cristiana. È ben vero che ilcapitolo della origine del mondo concorda a un di presso con quelpoco che abbiamo delle opinioni di quel filosofo negli scrittoriantichi. E però si potrebbe credere che il primo capitoloanzi forse ancora il principio dell'altrosieno veramente diStratone; il resto vi sia stato aggiunto da qualche dotto Greco nonprima del secolo passato. Giudichino gli eruditi lettori.



DELLAORIGINE DEL MONDO

    Lecose materialisiccome elle periscono tutte ed hanno finecosìtutte ebbero incominciamento. Ma la materia stessa niunoincominciamento ebbecioè a dire che ella è per suapropria forza ab eterno. Imperocché se dal vedere che le cosemateriali crescono e diminuiscono e all'ultimo si dissolvonoconchiudesi che elle non sono per sé né ab eternomaincominciate e prodotteper lo contrario quello che mai non crescené scema e mai non periscesi dovrà giudicare che mainon cominciasse e che non provenga da causa alcuna. E certamente inniun modo si potrebbe provare che delle due argomentazionise questafosse falsaquella fosse pur vera. Ma poiché noi siamo certiquella esser vera il medesimo abbiamo a concedere anco dell'altra.Ora noi veggiamo che la materia non si accresce mai di una eziandiomenoma quantitàniuna anco menoma parte della materia siperdein guisa che essa materia non è sottoposta a perire.Per tanto i diversi modi di essere della materiai quali si veggonoin quelle che noi chiamiamo creature materialisono caduchi epasseggeri; ma niun segno di caducità né di mortalitàsi scuopre nella materia universalmentee però niun segno cheella sia cominciatané che ad essere le bisognasse o pur lebisogni alcuna causa o forza fuori di sé. Il mondocioèl'essere della materia in un cotal modoè cosa incominciata ecaduca. Ora diremo della origine del mondo.


    Lamateria in universalesiccome in particolare le piante e le creatureanimateha in sé per natura una o più forze sueproprieche l'agitano e muovono in diversissime guise continuamente.Le quali forze noi possiamo congetturare ed anco denominare dai loroeffettima non conoscere in séné scoprir la naturaloro. Né anche possiamo sapere se quegli effetti che da noi siriferiscono a una stessa forzaprocedano veramente da una o da piùe se per contrario quelle forze che noi significhiamo con diversinomisieno veramente diverse forzeo pure una stessa. Siccome tuttodì nell'uomo con diversi vocaboli si dinota una sola passioneo forza: per modo di esempiol'ambizionel'amor del piacere esimilida ciascuna delle quali fonti derivano effetti talorasemplicemente diversitalora eziandio contrari a quei delle altresono in fatti una medesima passionecioè l'amor di se stessoil quale opera in diversi casi diversamente. Queste forze adunque osi debba dire questa forza della materiamovendolacome abbiamodettoed agitandola di continuoforma di essa materia innumerabilicreaturecioè la modifica in variatissime guise. Le qualicreaturecomprendendole tutte insiemee considerandole siccomedistribuite in certi generi e certe speciee congiunte tra sécon certi tali ordini e certe tali relazioni che provengono dallaloro naturasi chiamano mondo. Ma imperciocché la detta forzanon resta mai di operare e di modificar la materiaperòquelle creature che essa continuamente formaessa altresì ledistruggeformando della materia loro nuove creature. Insino a tantoche distruggendosi le creature individuei generi nondimeno e lespecie delle medesime si mantengonotutte o le piùe che gliordini e le relazioni naturali delle cose non si cangiano o in tuttoo nella più partesi dice durare ancora quel cotal mondo. Mainfiniti mondi nello spazio infinito della eternitàessendodurati più o men tempofinalmente sono venuti menoperdutisiper li continui rivolgimenti della materiacagionati dalla predettaforzaquei generi e quelle specie onde essi mondi si componevanoemancate quelle relazioni e quegli ordini che li governavano. Néperciò la materia è venuta meno in qual si siaparticellama solo sono mancati que' suoi tali modi di esseresuccedendo immantinente a ciascuno di loro un altro modocioèun altro mondodi mano in mano.



DELLAFINE DEL MONDO

    Questomondo presente del quale gli uomini sono partecioè a dirl'una delle specie delle quali esso è compostoquanto temposia durato fin quinon si può facilmente direcome néanche si può conoscere quanto tempo esso sia per durare daquesto innanzi. Gli ordini che lo reggono paiono immutabilie talisono credutiperciocché essi non si mutano se non che a pocoa poco e con lunghezza incomprensibile di tempoper modo che lemutazioni loro non cadono appena sotto il conoscimentonon che sottoi sensi dell'uomo. La quale lunghezza di tempoquanta che ella sisiaè ciò non ostante menoma per rispetto alladurazione eterna della materia. Vedesi in questo presente mondo uncontinuo perire degl'individui ed un continuo trasformarsi delle coseda una in altra; ma perciocché la distruzione ècompensata continuamente dalla produzionee i generi si conservanostimasi che esso mondo non abbia né sia per avere in séalcuna causa per la quale debba né possa periree che nondimostri alcun segno di caducità. Nondimeno si può purconoscere il contrarioe ciò da più d'uno indiziomatra gli altri da questo.


    Sappiamoche la terraa cagione del suo perpetuo rivolgersi intorno alproprio assefuggendo dal centro le parti dintorno all'equatoreeperò spingendosi verso il centro quelle dintorno ai poliècangiata di figura e continuamente cangiasidivenendo intornoall'equatore ogni dì più ricolmae per lo contrariointorno ai poli sempre più deprimendosi. Or dunque da ciòdebbe avvenire che in capo di certo tempola quantità delqualeavvengaché sia misurabile in sénon puòessere conosciuta dagli uominila terra si appiani di qua e di làdall'equatore per modoche perduta al tutto la figura globosasiriduca in forma di una tavola sottile ritonda. Questa ruotaaggirandosi pur di continuo dattorno al suo centroattenuatatuttavia più e dilatataa lungo andarefuggendo dal centrotutte le sue partiriuscirà traforata nel mezzo. Il qual foroampliandosi a cerchio di giorno in giornola terra ridotta per cotalmodo a figura di uno anelloultimamente andrà in pezzi; iquali usciti della presente orbita della terrae perduto ilmovimento circolareprecipiteranno nel sole o forse in qualchepianeta.


    Potrebbesiper avventura in confermazione di questo discorso addurre un esempioio voglio dire dell'anello di Saturnodella natura del quale non siaccordano tra loro i fisici. E quantunque nuova e inauditaforse nonsarebbe perciò inverisimile congettura il presumere che ildetto anello fosse da principio uno dei pianeti minori destinati allasequela di Saturno; indi appianato e poscia traforato nel mezzo percagioni conformi a quelle che abbiamo dette della terrama piùpresto assaiper essere di materia forse più rara e piùmollecadesse dalla sua orbita nel pianeta di Saturnodal qualecolla virtù attrattiva della sua massa e del suo centrosiaritenutosiccome lo veggiamo essere veramentedintorno a essocentro. E si potrebbe credere che questo anellocontinuando ancora arivolgersicome pur faintorno al suo mezzoche èmedesimamente quello del globo di Saturnosempre più siassottigli e dilatie sempre si accresca quello intervallo che ètra esso e il predetto globoquantunque ciò accada troppo piùlentamente di quello che si richiederebbe a voler che tali mutazionifossero potute notare e conoscere dagli uominimassime cosìdistanti. Queste coseo seriamente o da scherzosieno dette circaall'anello di Saturno.


    Oraquel cangiamento che noi sappiamo essere intervenuto e intervenireogni giorno alla figura della terranon è dubbio alcuno cheper le medesime cause non intervenga somigliantemente a quella diciascun pianetacomeché negli altri pianeti esso non ci siacosì manifesto agli occhi come egli ci è pure in quellodi Giove. Né solo a quelli che a similitudine della terra siaggirano intorno al solema il medesimo senza alcun fallo intervieneancora a quei pianeti che ogni ragion vuole che si credano essereintorno a ciascuna stella. Per tanto in quel modo che si èdivisato della terra tutti i pianeti in capo di certo temporidottiper se medesimi in pezzihanno a precipitare gli uni nel soleglialtri nelle stelle loro. Nelle quali fiamme manifesto è chenon pure alquanti o molti individuima universalmente quei generi equelle specie che ora si contengono nella terra e nei pianetisaranno distrutte insinoper dir cosìdalla stirpe. E questoper avventurao alcuna cosa a ciò somiglianteebberonell'animo quei filosoficosì greci come barbarii qualiaffermarono dovere alla fine questo presente mondo perire di fuoco.Ma perciocché noi veggiamo che anco il sole si ruota dintornoal proprio assee quindi il medesimo si dee credere delle stellesegue che l'uno e le altre in corso di tempo debbano non meno che ipianeti venire in dissoluzionee le loro fiamme dispergersi nellospazio. In tal guisa adunque il moto circolare delle sfere mondaneil quale è principalissima parte dei presenti ordini naturalie quasi principio e fonte della conservazione di questo universosarà causa altresì della distruzione di esso universo edei detti ordini.


    Venutimeno i pianetila terrail sole e le stellema non la materialorosi formeranno di questa nuove creaturedistinte in nuovigeneri e nuove speciee nasceranno per le forze eterne della materianuovi ordini delle cose ed un nuovo mondo. Ma le qualità diquesto e di quellisiccome eziandio degl'innumerabili che giàfurono e degli altri infiniti che poi sarannonon possiamo noi népur solamente congetturare.



DIALOGODI TIMANDRO E DI ELEANDRO

Timandro:Io ve lo voglio anzi debbo pur dire liberamente. La sostanza el'intenzione del vostro scrivere e del vostro parlaremi paionomolto biasimevoli.
Eleandro: Quando non vi paia taleanche l'operareio non mi dolgo poi tanto: perché le parole egli scritti importano poco.
Timandro: Nell'operarenon trovo di che riprendervi. So che non fate bene agli altri per nonpoteree veggo che non fate male per non volere. Ma nelle parole enegli scrittivi credo molto riprensibile; e non vi concedo che oggiqueste cose importino poco; perché la nostra vita presente nonconsistesi può direin altro. Lasciamo le parole per oraediciamo degli scritti. Quel continuo biasimare e derider che fate laspecie umanaprimieramente è fuori di moda.
Eleandro:Anche il mio cervello è fuori di moda. E non è nuovoche i figliuoli vengano simili al padre.
Timandro:Né anche sarà nuovo che i vostri libricome ogni cosacontraria all'uso correnteabbiano cattiva fortuna.
Eleandro:Poco male. Non per questo andranno cercando pane in sugli usci.
Timandro: Quaranta o cinquant'anni addietroifilosofi solevano mormorare della specie umana; ma in questo secolofanno tutto al contrario.
Eleandro: Credete voi chequaranta o cinquant'anni addietroi filosofimormorando degliuominidicessero il falso o il vero?
Timandro:Piuttosto e più spesso il vero che il falso.
Eleandro:Credete che in questi quaranta o cinquant'annila specie umana siamutata in contrario da quella che era prima?
Timandro:Non credo; ma cotesto non monta nulla al nostro proposito.
Eleandro:Perché non monta? Forse è cresciuta di potenzaosalita di grado; che gli scrittori d'oggi sieno costretti diadularlao tenuti di riverirla?
Timandro: Cotestisono scherzi in argomento grave.
Eleandro: Dunquetornando sul sodoio non ignoro che gli uomini di questo secolofacendo male ai loro simili secondo la moda anticasi sono pur messia dirne beneal contrario del secolo precedente. Ma ioche non fomale a simili né a dissimilinon credo essere obbligato a dirbene degli altri contro coscienza.
Timandro: Voisiete pure obbligato come tutti gli altri uominia procurar digiovare alla vostra specie.
Eleandro: Se la miaspecie procura di fare il contrario a menon veggo come mi corracotesto obbligo che voi dite. Ma ponghiamo che mi corra. Che debbo iofarese non posso?
Timandro: Non potetee pochialtri possonocoi fatti. Ma cogli scrittiben potete giovareedovete. E non si giova coi libri che mordono continuamente l'uomo ingenerale; anzi si nuoce assaissimo.
Eleandro:Consento che non si giovie stimo che non si noccia. Ma credete voiche i libri possano giovare alla specie umana?
Timandro:Non solo ioma tutto il mondo lo crede.
Eleandro:Che libri?
Timandro: Di più generi; maspecialmente del morale.
Eleandro: Questo non ècreduto da tutto il mondo; perché iofra gli altrinon locredo; come rispose una donna a Socrate. Se alcun libro moralepotesse giovareio penso che gioverebbero massimamente i poetici:dico poeticiprendendo questo vocabolo largamente; cioè libridestinati a muovere la immaginazione; e intendo non meno di prose chedi versi. Ora io fo poca stima di quella poesia che letta e meditatanon lascia al lettore nell'animo un tal sentimento nobileche permezz'oragl'impedisca di ammettere un pensier vilee di fareun'azione indegna. Ma se il lettore manca di fede al suo principaleamico un'ora dopo la letturaio non disprezzo perciò quellatal poesia: perché altrimenti mi converrebbe disprezzare lepiù bellepiù calde e più nobili poesie delmondo. Ed escludo poi da questo discorso i lettori che vivono incittà grandi: i qualiin caso ancora che legganoattentamentenon possono essere giovati anche per mezz'oranémolto dilettati né mossida alcuna sorta di poesia.
Timandro:Voi parlateal solito vostromalignamentee in modo che date adintendere di essere per l'ordinario molto male accolto e trattatodagli altri: perché questa il più delle volte èla causa del mal animo e del disprezzo che certi fanno professione diavere alla propria specie.
Eleandro: Veramente ionon dico che gli uomini mi abbiano usato ed usino molto buontrattamento: massime che dicendo questoio mi spaccerei per esempiounico. Né anche mi hanno fatto però gran male: perchénon desiderando niente da loroné in concorrenza con loroionon mi sono esposto alle loro offese più che tanto. Ben vidico e vi accertoche siccome io conosco e veggo apertissimamente dinon saper fare una menoma parte di quello che si richiede a rendersigrato alle persone; e di essere quanto si possa mai dire inetto aconversare cogli altrianzi alla stessa vita; per colpa o della mianatura o mia propria; però se gli uomini mi trattassero megliodi quello che fannoio gli stimerei meno di quel che glistimo.
Timandro: Dunque tanto più sietecondannabile: perché l'odioe la volontà di fareperdir cosìuna vendetta degli uominiessendone stato offeso atortoavrebbe qualche scusa. Ma l'odio vostrosecondo che voi ditenon ha causa alcuna particolare; se non forse un'ambizione insolita emisera di acquistar fama dalla misantropiacome Timone: desiderioabbominevole in séalieno poi specialmente da questo secolodedito sopra tutto alla filantropia.
Eleandro:Dell'ambizione non accade che io vi risponda; perché ho giàdetto che non desidero niente dagli uomini: e se questo non vi parcredibilebenché sia vero; almeno dovete credere chel'ambizione non mi muova a scriver cose che oggicome voi stessoaffermatepartoriscono vituperio e non lode a chi le scrive.Dall'odio poi verso tutta la nostra speciesono così lontanoche non solamente non voglioma non posso anche odiare quelli che mioffendono particolarmente; anzi sono del tutto inabile eimpenetrabile all'odio. Il che non è piccola parte della miatanta inettitudine a praticare nel mondo. Ma io non me ne possoemendare: perché sempre penso che comunementechiunque sipersuadecon far dispiacere o danno a chicchessiafar comodo opiacere a se proprio; s'induce ad offendere; non per far male adaltri (che questo non è propriamente il fine di nessun atto opensiero possibile)ma per far bene a sé; il qual desiderio ènaturalee non merita odio. Oltre che ad ogni vizio o colpa che ioveggo in altruiprima di sdegnarmenemi volgo a esaminare mestessopresupponendo in me i casi antecedenti e le circostanzeconvenevoli a quel proposito; e trovandomi sempre o macchiato ocapace degli stessi difettinon mi basta l'animo d'irritarmene.Riserbo sempre l'adirarmi a quella volta che io vegga una malvagitàche non possa aver luogo nella natura mia: ma fin qui non ne hopotuto vedere. Finalmente il concetto della vanità delle coseumanemi riempie continuamente l'animo in modoche non mi risolvo amettermi per nessuna di loro in battaglia; e l'ira e l'odio mi paionopassioni molto maggiori e più fortiche non èconveniente alla tenuità della vita. Dall'animo di Timone almiovedete che diversità ci corre. Timoneodiando e fuggendotutti gli altriamava a accarezzava solo Alcibiadecome causafutura di molti mali alla loro patria comune. Iosenza odiarloavrei fuggito più lui che gli altriammoniti i cittadini delpericoloe confortati a provvedervi. Alcuni dicono che Timone nonodiava gli uominima le fiere in sembianza umana. Io non odio négli uomini né le fiere.
Timandro: Ma néanche amate nessuno.
Eleandro: Sentiteamico mio.Sono nato ad amareho amatoe forse con tanto affetto quanto puòmai cadere in anima viva. Oggibenché non sono ancoracomevedetein età naturalmente freddané forse ancotepida; non mi vergogno a dire che non amo nessunofuorché mestessoper necessità di naturae il meno che mi èpossibile. Contuttociò sono solito e pronto a eleggere dipatire piuttosto ioche esser cagione di patimento agli altri. E diquestoper poca notizia che abbiate de' miei costumicredo mipossiate essere testimonio.
Timandro: Non ve lonego.
Eleandro: Di modo che io non lascio diprocurare agli uomini per la mia parteposponendo ancora il rispettoproprioquel maggioreanzi solo bene che sono ridotto a desiderareper me stessocioè di non patire.
Timandro:Ma confessate voi formalmentedi non amare né anche la nostraspecie in comune?
Eleandro: Sìformalmente.Ma come tuttaviase toccasse a mefarei punire i colpevolise beneio non gli odio; cosìse potessifarei qualunque maggiorbenefizio alla mia specieancorché io non l'ami.
Timandro:Benesia così. Ma in finese non vi muovono ingiuriericevutenon odionon ambizione; che cosa vi muove a usare cotestomodo di scrivere?
Eleandro: Diverse cose. Primal'intolleranza di ogni simulazione e dissimulazione: alle quali mipiego talvolta nel parlarema negli scritti non mai; perchéspesso parlo per necessitàma non sono mai costretto ascrivere; e quando avessi a dire quel che non pensonon mi darebbeun gran sollazzo a stillarmi il cervello sopra le carte. Tutti i savisi ridono di chi scrive latino al presenteche nessuno parla quellalinguae pochi la intendono. Io non veggo come non sia parimenteridicolo questo continuo presupporre che si fa scrivendo e parlandocerte qualità umane che ciascun sa che oramai non si trovanoin uomo natoe certi enti razionali o fantasticiadorati giàlungo tempo addietroma ora tenuti internamente per nulla e da chigli nominae da chi gli ode a nominare. Che si usino maschere etravestimenti per ingannare gli altrio per non essere conosciuti;non mi pare strano: ma che tutti vadano mascherati con una stessaforma di mascheree travestiti a uno stesso modosenza ingannarel'un l'altroe conoscendosi ottimamente tra loro; mi riesce unafanciullaggine. Cavinsi le mascheresi rimangano coi loro vestiti;non faranno minori effetti di primae staranno più a loroagio. Perché pur finalmentequesto finger sempreancorchéinutilee questo sempre rappresentare una persona diversissima dallaproprianon si può fare senza impaccio e fastidio grande. Segli uomini dallo stato primitivosolitario e silvestrefosseropassati alla civiltà moderna in un trattoe non per gradi;crediamo noi che si troverebbero nelle lingue i nomi delle cose dettedianzinon che nelle nazioni l'uso di ripetergli a ogni pocoe difarvi mille ragionamenti sopra? In verità quest'uso mi parcome una di quelle cerimonie o pratiche antichealienissime daicostumi presentile quali contuttociò si mantengonopervirtù della consuetudine. Ma io che non mi posso adattare allecerimonienon mi adatto anche a quell'uso; e scrivo in linguamodernae non dei tempi troiani. In secondo luogo; non tanto iocerco mordere ne' miei scritti la nostra speciequanto dolermi delfato. Nessuna cosa credo sia più manifesta e palpabilechel'infelicità necessaria di tutti i viventi. Se questainfelicità non è veratutto è falsoe lasciamopur questo e qualunque altro discorso. Se è veraperchénon mi ha da essere né pur lecito di dolermene apertamente eliberamentee direio patisco? Ma se mi dolessi piangendo (e questasi è la terza causa che mi muove)darei noia non piccola aglialtrie a me stessosenza alcun frutto. Ridendo dei nostri malitrovo qualche conforto; e procuro di recarne altrui nello stessomodo. Se questo non mi vien fattotengo pure per fermo che il rideredei nostri mali sia l'unico profitto che se ne possa cavareel'unico rimedio che vi si trovi. Dicono i poeti che la disperazioneha sempre nella bocca un sorriso. Non dovete pensare che io noncompatisca all'infelicità umana. Ma non potendovisi ripararecon nessuna forzanessuna artenessuna industrianessun patto;stimo assai più degno dell'uomoe di una disperazionemagnanimail ridere dei mali comuni; che il mettermene a sospirarelagrimare e stridere insieme cogli altrio incitandoli a farealtrettanto. In ultimo mi resta a direche io desiderio quanto voie quanto qualunque altroil bene della mia specie in universale; manon lo spero in nessun modo; non mi so dilettare e pascere di certebuone aspettativecome veggo fare a molti filosofi in questo secolo;e la mia disperazioneper essere interae continuae fondata in ungiudizio fermo e in una certezzanon mi lascia luogo a sogni eimmaginazioni liete circa il futuroné animo d'intraprenderecosa alcuna per vedere di ridurle ad effetto. E ben sapete che l'uomonon si dispone a tentare quel che egli sa o crede non doverglisuccederee quando vi si dispongaopera di mala voglia e con pocaforza; e che scrivendo in modo diverso o contrario all'opinionepropriase questa fosse anco falsanon si fa mai cosa degna diconsiderazione.
Timandro: Ma bisogna ben riformareil giudizio proprio quando sia diverso dal vero; come è ilvostro.
Eleandro: Io giudico quanto a me di essereinfelicee in questo so che non m'inganno. Se gli altri non sonomene congratulo seco loro con tutta l'anima. Io sono anche sicuro dinon liberarmi dall'infelicitàprima che io muoia. Se glialtri hanno diversa speranza di séme ne rallegrosimilmente.
Timandro: Tutti siamo infelicie tuttisono stati: e credo non vorrete gloriarvi che questa vostra sentenzasia delle più nuove. Ma la condizione umana si puòmigliorare di gran lunga da quel che ella ècome e giàmigliorata indicibilmente da quello che fu. Voi mostrate nonricordarvio non volervi ricordareche l'uomo èperfettibile.
Eleandro: Perfettibile lo crederòsopra la vostra fede; ma perfettoche e quel che importamaggiormentenon so quando l'avrò da credere né soprala fede di chi.
Timandro: Non è giuntoancora alla perfezioneperché gli e mancato tempo; ma non sipuò dubitare che non vi sia per giungere.
Eleandro:Né io ne dubito. Questi pochi anni che sono corsi dalprincipio del mondo al presentenon potevano bastare; e non se nedee far giudizio dell'indoledel destino e delle facoltàdell'uomo: oltre che si sono avute altre faccende per le mani. Ma oranon si attende ad altro che a perfezionare la nostraspecie.
Timandro: Certo vi si attende con sommostudio in tutto il mondo civile. E considerando la copia el'efficacia dei mezzil'una e l'altra aumentate incredibilmente dapoco in quasi può credere che l'effetto si abbia veramente aconseguire fra più o men tempo: e questa speranza è dinon piccolo giovamento a cagione delle imprese e operazioni utili cheella promuove o partorisce. Però se fu mai dannoso eriprensibile in alcun temponel presente è dannosissimo eabbominevole l'ostentare cotesta vostra disperazionee l'inculcareagli uomini la necessità della loro miseriala vanitàdella vital'imbecillità e piccolezza della loro speciee lamalvagità della loro natura: il che non può fare altrofrutto che prostrarli d'animo; spogliarli della stima di se medesimiprimo fondamento della vita onestadella utiledella gloriosa; edistorli dal procurare il proprio bene.
Eleandro: Iovorrei che mi dichiaraste precisamentese vi pare che quello che iocredo e dico intorno all'infelicità degli uominisia vero ofalso.
Timandro: Voi riponete mano alla vostrasolita arme; e quando io vi confessi che quello che dite èveropensate vincere la questione. Ora io vi rispondoche non ogniverità è da predicare a tuttiné in ognitempo.
Eleandro: Di graziasoddisfatemi anche diun'altra domanda. Queste verità che io dico e non predicosono nella filosofiaverità principalio pureaccessorie?
Timandro: Ioquanto a mecredo chesieno la sostanza di tutta la filosofia.
Eleandro:Dunque s'ingannano grandemente quelli che dicono e predicano che laperfezione dell'uomo consiste nella conoscenza del veroe tutti isuoi mali provengono dalle opinioni false e dalla ignoranzae che ilgenere umano allora finalmente sarà felicequando ciascuno oi più degli uomini conosceranno il veroe a norma di quellosolo comporranno e governeranno la loro vita. E queste cose le diconopoco meno che tutti i filosofi antichi e moderni. Ecco che a giudiziovostroquelle verità che sono la sostanza di tutta lafilosofiasi debbono occultare alla maggior parte degli uomini; ecredo che facilmente consentireste che debbano essere ignorate odimenticate da tutti: perché saputee ritenute nell'animonon possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che lafilosofia si debba estirpare dal mondo. Io non ignoro che l'ultimaconclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfettasi èche non bisogna filosofare. Dal che s'inferisce che la filosofiaprimieramente è inutileperché a questo effetto di nonfilosofarenon fa di bisogno esser filosofo; secondariamente èdannosissimaperché quella ultima conclusione non vi s'imparase non alle proprie spesee imparata che sianon si puòmettere in opera; non essendo in arbitrio degli uomini dimenticare leverità conosciutee deponendosi più facilmentequalunque altro abito che quello di filosofare. In somma lafilosofiasperando e promettendo a principio di medicare i nostrimaliin ultimo si riduce a desiderare invano di rimediare a sestessa. Posto tutto ciòdomando perché si abbia dacredere che l'età presente sia più prossima e dispostaalla perfezione che le passate. Forse per la maggior notizia delvero; la quale si vede essere contrarissima alla felicitàdell'uomo? O forse perché al presente alcuni pochi conosconoche non bisogna filosofaresenza che però abbiano facoltàdi astenersene? Ma i primi uomini in fatti non filosofaronoe iselvaggi se ne astengono senza fatica. Quali altri mezzi o nuoviomaggiori che non ebbero gli antenatiabbiamo noidi approssimarcialla perfezione?
Timandro: Moltie di grandeutilità: ma l'esporgli vorrebbe un ragionamentoinfinito.
Eleandro: Lasciamoli da parte per ora: etornando al fatto miodicoche se ne' miei scritti io ricordoalcune verità dure e tristeo per isfogo dell'animoo perconsolarmene col risoe non per altro; io non lascio tuttavia neglistessi libri di deploraresconsigliare e riprendere lo studio diquel misero e freddo verola cognizione del quale è fonte odi noncuranza e infingardaggineo di bassezza d'animoiniquitàe disonestà di azionie perversità di costumi:laddoveper lo contrariolodo ed esalto quelle opinionibenchéfalseche generano atti e pensieri nobilifortimagnanimivirtuosied utili al ben comune o privato; quelle immaginazionibelle e feliciancorché vaneche danno pregio alla vita; leillusioni naturali dell'animo; e in fine gli errori antichidiversiassai dagli errori barbari; i quali solamentee non quellisarebbero dovuti cadere per opera della civiltà moderna edella filosofia. Ma questesecondo metrapassando i termini (come èproprio e inevitabile alle cose umane); non molto dopo sollevati dauna barbarieci hanno precipitati in un'altranon minore dellaprima; quantunque nata dalla ragione e dal saperee nondall'ignoranza; e però meno efficace e manifesta nel corpo chenello spiritomen gagliarda nelle operee per dir cosìpiùriposta ed intrinseca. In ogni modoio dubitoo inclino piuttosto acredereche gli errori antichiquanto sono necessari al buono statodelle nazioni civilitanto sienoe ogni dì piùdebbano essereimpossibili a rinnovarveli. Circa la perfezionedell'uomoio vi giuroche se fosse già conseguitaavreiscritto almeno un tomo in lode del genere umano. Ma poiché nonè toccato a me di vederlae non aspetto che mi tocchi in miavitasono disposto di assegnare per testamento una buona parte dellamia roba ad uso che quando il genere umano sarà perfettosegli faccia e pronuncisi pubblicamente un panegirico tutti gli anni; eanche gli sia rizzato un tempietto all'anticao una statuao quelloche sarà creduto a proposito.



ILCOPERNICO: DIALOGO

Scenaprima

L'Oraprimae il Sole
Oraprima: Buon giornoEccellenza.
Sole: Sì:anzi buona notte.
Ora prima: I cavalli sono inordine.
Sole: Bene.
Ora prima: Ladiana è venuta fuori da un pezzo.
Sole: Bene:venga o vada a suo agio.
Ora prima: Che intende didire vostra Eccellenza?
Sole: Intendo che tu milasci stare.
Ora prima: MaEccellenzala notte giàè durata tantoche non può durare più; e se noic'indugiassimoveggaEccellenzache poi non nascesse qualchedisordine.
Sole: Nasca quello che vuoleche io nonmi muovo.
Ora prima: OhEccellenzache ècotesto? si sentirebbe ella male?
Sole: No noionon mi sento nulla; se non che io non mi voglio muovere: e peròtu te ne andrai per le tue faccende.
Ora prima: Comedebbo io andare se non viene ellaché io sono la prima Oradel giorno? e il giorno come può esserese vostra Eccellenzanon si degnacome è solitadi uscir fuori?
Sole:Se non sarai del giornosarai della notte; ovvero le Ore della nottefaranno l'uffizio doppioe tu e le tue compagne starete in ozio.Perchésai che è? io sono stanco di questo continuoandare attorno per far lume a quattro animaluzziche vivono In su unpugno di fangotanto piccinoche ioche ho buona vistanon loarrivo a vedere: e questa notte ho fermato di non volere altra faticaper questo; e che se gli uomini vogliono veder lumeche tengano iloro fuochi accesio proveggano in altro modo.
Ora prima:E che modoEccellenzavuole ella che ci trovino i poverini? E adover poi mantenere le loro lucerneo provvedere tante candele cheardano tutto lo spazio del giornosarà una spesa eccessiva.Che se fosse già ritrovato di fare quella certa aria daservire per arderee per illuminare le stradele camerelebotteghele cantine e ogni cosae il tutto con poco dispendio;allora direi che il caso fosse manco male. Ma il fatto è checi avranno a passare ancora trecento annipoco più o menoprima che gli uomini ritrovino quel rimedio: e intanto verràloro manco l'olio e la cera e la pece e il sego; e non avranno piùche ardere.
Sole: Andranno a caccia delle lucciolee di quei vermicciuoli che splendono.
Ora prima: Eal freddo come provvederanno? che senza quell'aiuto che avevano davostra Eccellenzanon basterà il fuoco di tutte le selve ariscaldarli. Oltre che si morranno anco dalla fame: perché laterra non porterà più i suoi frutti. E cosìincapo a pochi annisi perderà il seme di quei poveri animali:che quando saranno andati un pezzo qua e là per la Terraatastonecercando di che vivere e di che riscaldarsi; finalmenteconsumata ogni cosa che si possa ingoiaree spenta l'ultimascintilla di fuocose ne morranno tutti al buioghiacciati comepezzi di cristallo di roccia.
Sole: Che importacotesto a me? chesono io la balia del genere umano; o forse ilcuocoche gli abbia da stagionare e da apprestare i cibi? e che midebbo io curare se certa poca quantità di creaturineinvisibililontane da me i milioni delle miglianon veggonoe nonpossono reggere al freddosenza la luce mia? E poise io debbo ancoservircome diredi stufa o di focolare a questa famiglia umanaèragionevoleche volendo la famiglia scaldarsivenga essa intornodel focolaree non che il focolare vada dintorno alla casa. Perquestose alla Terra fa di bisogno della presenza miacammini ellae adoprisi per averla: che io per me non ho bisogno di cosa alcunadalla Terraperché io cerchi di lei.
Ora prima:Vostra Eccellenza vuol direse io intendo beneche quello che perlo passato ha fatto ellaora faccia la Terra.
Sole:Sì: orae per l'innanzi sempre.
Ora prima:Certo che vostra Eccellenza ha buona ragione in questo: oltre cheella può fare di sé a suo modo. Ma pure contuttociòsi degniEccellenzadi considerare quante cose belle ènecessario che sieno mandate a malevolendo stabilire questo nuovoordine. Il giorno non avrà più il suo bel carro doratoco' suoi bei cavalliche si lavavano alla marina: e per lasciare lealtre particolaritànoi altre povere Ore non avremo piùluogo in cieloe di fanciulle celesti diventeremo terrene; se peròcome io aspettonon ci risolveremo piuttosto in fumo. Ma sia diquesta parte come si voglia: il punto sarà persuadere allaTerra di andare attorno; che ha da esser difficile pure assai:perch'ella non ci è usata; e le dee parere strano di aver poisempre a correre e affaticarsi tantonon avendo mai dato un crolloda quel suo luogo insino a ora. E se vostra Eccellenza adessoperquel che parecomincia a porgere un poco di orecchio alla pigrizia;io odo che la Terra non sia mica più inclinata alla faticaoggi che in altri tempi.
Sole: Il bisognoinquesta cosala pungeràe la farà balzare e correrequanto convenga. Ma in ogni modoqui la via più spedita e lapiù sicura è di trovare un poeta ovvero un filosofo chepersuada alla Terra di muoversio che quando altrimenti non la possaindurrela faccia andar via per forza. Perché finalmente ilpiù di questa faccenda è in mano dei filosofi e deipoeti; anzi essi ci possono quasi il tutto. I poeti sono stati quelliche per l'addietro (perch'io era più giovanee dava loroorecchio)con quelle belle canzonimi hanno fatto fare di buonavogliacome per un diportoo per un esercizio onorevolequellasciocchissima fatica di correre alla disperatacosì grande egrosso come io sonointorno a un granellino di sabbia. Ma ora che iosono maturo di tempoe che mi sono voltato alla filosofiacerco inogni cosa l'utilitàe non il bello; e i sentimenti dei poetise non mi muovono lo stomacomi fanno ridere. Voglioper fare unacosaaverne buone ragionie che sieno di sostanza: e perchéio non trovo nessuna ragione di anteporre alla vita oziosa e agiatala vita attiva; la quale non ti potria dar frutto che pagasse iltravaglioanzi solamente il pensiero (non essendoci al mondo unfrutto che vaglia due soldi); perciò sono deliberato dilasciare le fatiche e i disagi agli altrie io per la parte miavivere in casa quieto e senza faccende. Questa mutazione in mecometi ho dettooltre a quel che ci ha cooperato l'etàl'hannofatta i filosofi; gente che in questi tempi è cominciata amontare in potenzae monta ogni giorno più. Sicchévolendo fare adesso che la Terra si muovae che diasi a correreattorno in vece mia; per una parte veramente sarebbe a proposito unpoeta più che un filosofo: perché i poetiora con unafolaora con un'altradando ad intendere che le cose del mondosieno di valuta e di pesoe che sieno piacevoli e belle moltoecreando mille speranze allegrespesso invogliano gli altri difaticare; e i filosofi gli svogliano. Ma dall'altra parteperchéi filosofi sono cominciati a stare al di sopraio dubito che unpoeta non sarebbe ascoltato oggi dalla Terrapiù di quelloche fossi per ascoltarlo io; o chequando fosse ascoltatononfarebbe effetto. E però sarà il meglio che noiricorriamo a un filosofo: che se bene i filosofi ordinariamente sonopoco attie meno inclinatia muovere altri ad operare; tuttavia puòessere che in questo caso così estremovenga loro fatta cosacontraria al loro usato. Eccetto se la Terra non giudicheràche le sia più espediente di andarsene a perdizioneche averea travagliarsi tanto: che io non direi però che ella avesse iltorto: bastanoi vedremo quello che succederà. Dunque tufarai una cosa: tu te n'andrai là in Terra; o pure vi manderail'una delle tue compagnequella che tu vorrai: e se ella troveràqualcuno di quei filosofi che stia fuori di casa al frescospeculando il cielo e le stelle; come ragionevolmente ne dovràtrovareper la novità di questa notte così lunga; ellasenza piùlevatolo su di pesose lo gitterà in suldosso; e così tornie me lo rechi insin qua: che io vedròdi disporlo a fare quello che occorre. Hai tu inteso bene?
Oraprima: Eccellenza sì. Sarà servita.



Scenaseconda

Copernicoin sul terrazzo di casa suaguardando in cielo a levantepermezzo d'un cannoncello di carta; perché non erano ancorainventati i cannocchiali.
    Grancosa è questa. O che tutti gli oriuoli fallanoo il soledovrebbe esser levato già è più di un'ora: e quinon si vede né pure un barlume in oriente; con tutto che ilcielo sia chiaro e terso come uno specchio. Tutte le stellerisplendono come fosse la mezza notte. Vattene ora all'Almagesto o alSacroboscoe dì che ti assegnino la cagione di questo caso.Io ho udito dire più volte della notte che Giove passòcolla moglie d'Anfitrione: e così mi ricordo aver letto pocofa in un libro moderno di uno Spagnuoloche i Peruviani raccontanoche una voltain anticofu nel paese loro una notte lunghissimaanzi sterminata; e che alla fine il sole uscì fuori da uncerto lagoche chiamano di Titicaca. Ma insino a qui ho pensato chequeste talinon fossero se non ciance; e io l'ho tenuto per fermo;come fanno tutti gli uomini ragionevoli. Ora che io m'avveggo che laragione e la scienza non rilevanoa dir proprioun'acca; mi risolvoa credere che queste e simili cose possano esser vere verissime: anziio sono per andare a tutti i laghi e a tutti i pantani che io potròe vedere se io m'abbattessi a pescare il sole. Ma che è questorombo che io sentoche par come delle ali di uno uccello grande?



Scenaterza

L'Oraultima e Copernico
Ora ultima: Copernicoiosono l'Ora ultima.
Copernico: L'ora ultima? Bene:qui bisogna adattarsi. Solose si puòdammi tanto di spazioche io possa far testamentoe dare ordine a' fatti mieiprima dimorire.
Ora ultima: Che morire? io non sono giàl'ora ultima della vita.
Copernico: Ohche sei tudunque? l'ultima ora dell'ufficio del breviario?
Ora ultima:Credo bene ioche cotesta ti sia più cara che l'altrequandotu ti ritrovi in coro.
Copernico: Ma come sai tucotestoche io sono canonico? E come mi conosci tu? che anche mi haichiamato dianzi per nome.
Ora ultima: Io ho presoinformazione dell'esser tuo da certi ch'erano qua sottonellastrada. In breveio sono l'ultima ora del giorno.
Copernico:Ahio ho inteso: la prima Ora è malata; e da questo e che ilgiorno non si vede ancora.
Ora ultima: Lasciamidire. Il giorno non è per aver luogo piùnéoggi né domani né poise tu non provvedi.
Copernico:Buono sarebbe cotesto; che toccasse a me il carico di fare ilgiorno.
Ora ultima: Io ti dirò il come. Ma laprima cosaè di necessità che tu venga meco senzaindugio a casa del Solemio padrone. Tu intenderai ora il resto pervia; e parte ti sarà detto da sua Eccellenzaquando noisaremo arrivati.
Copernico: Bene sta ogni cosa. Mail camminose però io non m'ingannodovrebbe esser lungoassai. E come potrò io portare tanta provvisione che mi bastia non morire affamato qualche anno prima di arrivare? Aggiungi che leterre di sua Eccellenza non credo io che producano di cheapparecchiarmi solamente una colazione.
Ora ultima:Lascia andare cotesti dubbi. Tu non avrai a star molto in casa delSole; e il viaggio si farà in un attimo; perché io sonouno spiritose tu non sai.
Copernico: Ma io sonoun corpo.
Ora ultima: Ben bene: tu non ti hai daimpacciare di cotesti discorsiche tu non sei già un filosofometafisico. Vien qua: montami in sulle spalle; e lascia fare a me ilresto.
Copernico: Orsù: ecco fatto. Vediamoa che sa riuscire questa novità.



Scenaquarta

Copernicoe il Sole
Copernico: IllustrissimoSignore.
Sole: PerdonaCopernicose io non ti fosedere; perché qua non si usano sedie. Ma noi ci spacceremotosto. Tu hai già inteso il negozio dalla mia fante. Io dallaparte miaper quel che la fanciulla mi riferisce della tua qualitàtrovo che tu sei molto a proposito per l'effetto che siricerca.
Copernico: Signoreio veggo in questonegozio molte difficoltà.
Sole: Ledifficoltà non debbono spaventare un uomo della tua sorte.Anzi si dice che elle accrescono animo all'animoso. Ma quali sonopoialla finecoteste difficoltà?
Copernico:Primieramenteper grande che sia la potenza della filosofianon miassicuro che ella sia grande tantoda persuadere alla Terra di darsia correrein cambio di stare a sedere agiatamente; e darsi adaffaticarein vece di stare in ozio: massime a questi tempi; che nonsono già i tempi eroici.
Sole: E se tu non lapotrai persuaderetu la sforzerai.
Copernico:Volentieriillustrissimose io fossi un Ercoleo pure almanco unOrlando; e non un canonico di Varmia.
Sole: Che facotesto al caso? Non si racconta egli di un vostro matematico anticoil quale diceva che se gli fosse dato un luogo fuori del mondochestando egli in quellosi fidava di smuovere il cielo e la terra? Ortu non hai a smuovere il cielo; ed ecco che ti ritrovi in un luogoche è fuor della Terra. Dunquese tu non sei da meno diquell'anticonon dee mancare che tu non la possa muoverevogliaessa o non voglia.
Copernico: Signor miocotesto sipotrebbe fare: ma ci si richiederebbe una leva; la quale vorrebbeessere tanto lungache non solo ioma vostra signoriaillustrissimaquantunque ella sia riccanon ha però tantoche bastasse a mezza la spesa della materia per farlae dellafattura. Un'altra difficoltà più grave è questache io vi dirò adesso; anzi egli è come un groppo didifficoltà. La Terra insino a oggi ha tenuto la prima sede delmondoche è a dire il mezzo; e (come voi sapete) stando ellaimmobilee senza altro affare che guardarsi all'intornotutti glialtri globi dell'universonon meno i più grandi che i piùpiccolie così gli splendenti come gli oscurile sono itirotolandosi di sopra e di sotto e ai lati continuamente; con unafrettauna faccendauna furia da sbalordirsi a pensarla. E cosìdimostrando tutte le cose di essere occupate in servizio suoparevache l'universo fosse a somiglianza di una corte; nella quale la Terrasedesse come in un trono; e gli altri globi dintornoin modo dicortigianidi guardiedi servitoriattendessero chi ad unministero e chi a un altro. Sicchéin effettola Terra si ècreduta sempre di essere imperatrice del mondo: e per veritàstando così le cose come sono state per l'addietronon si puòmica dire che ella discorresse male; anzi io non negherei che quelsuo concetto non fosse molto fondato. Che vi dirò poi degliuomini? che riputandoci (come ci riputeremo sempre) più cheprimi e più che principalissimi tra le creature terrestri;ciascheduno di noi se ben fosse un vestito di cenci e che non avesseun cantuccio di pan duro da roderesi è tenuto per certo diessere uno imperatore; non mica di Costantinopoli o di Germaniaovvero della metà della Terracome erano gl'imperatoriromanima un imperatore dell'universo; un imperatore del soledeipianetidi tutte le stelle visibili e non visibili; e causa finaledelle stelledei pianetidi vostra signoria illustrissimae ditutte le cose. Ma ora se noi vogliamo che la Terra si parta da quelsuo luogo di mezzo; se facciamo che ella corrache ella si voltoliche ella si affanni di continuoche eseguisca quel tantonépiù né menoche si è fatto di qui addietrodagli altri globi; in fineche ella divenga del numero dei pianeti;questo porterà seco che sua maestà terrestree le loromaestà umanedovranno sgomberare il tronoe lasciarl'impero; restandosene però tuttavia co' loro cencie colleloro miserieche non sono poche.
Sole: Che vuolconchiudere in somma con cotesto discorso il mio don Niccola? Forseha scrupolo di coscienzache il fatto non sia un crimenlese?
Copernico: Noillustrissimo; perché néi codiciné il digestoné i libri che trattano deldiritto pubbliconé del diritto dell'Imperioné diquel delle gentio di quello della naturanon fanno menzione diquesto crimenleseche io mi ricordi. Ma voglio dire in sostanzacheil fatto nostro non sarà così semplicemente materialecome pare a prima vista che debba essere; e che gli effetti suoi nonapparterranno alla fisica solamente: perché esso sconvolgerài gradi delle dignità delle cosee l'ordine degli enti;scambierà i fini delle creature; e per tanto farà ungrandissimo rivolgimento anche nella metafisicaanzi in tutto quelloche tocca alla parte speculativa del sapere. E ne risulteràche gli uominise pur sapranno o vorranno discorrere sanamentesitroveranno essere tutt'altra roba da quello che sono stati fin quioche si hanno immaginato di essere.
Sole: Figliuolmiocoteste cose non mi fanno punto paura: ché tanto rispettoio porto alla metafisicaquanto alla fisicae quanto ancheall'alchimiao alla negromanticase tu vuoi. E gli uomini sicontenteranno di essere quello che sono: e se questo non piaceràloroandranno raziocinando a rovescioe argomentando in dispettodella evidenza delle cose; come facilissimamente potranno fare; e inquesto modo continueranno a tenersi per quel che vorrannoo baroni oduchi o imperatori o altro di più che si vogliano: che essi nestaranno più consolatie a me con questi loro giudizi nondaranno un dispiacere al mondo.
Copernico: Orsùlasciamo degli uomini e della Terra. Considerateillustrissimoquelch'è ragionevole che avvenga degli altri pianeti. Che quandovedranno la Terra fare ogni cosa che fanno essie divenuta uno diloronon vorranno più restarsene così liscisemplicie disadornicosì deserti e tristicome sono stati sempre; eche la Terra sola abbia quei tanti ornamenti: ma vorranno ancora essii lor fiumii lor marile loro montagnele piantee fra le altrecose i loro animali e abitatori; non vedendo ragione alcuna di dovereessere da meno della Terra in nessuna parte. Ed eccovi un altrorivolgimento grandissimo nel mondo; e una infinità di famigliee di popolazioni nuoveche in un momento si vedranno venir su datutte le bandecome funghi.
Sole: E tu le lasceraiche vengano; e sieno quante sapranno essere: ché la mia luce eil calore basterà per tuttesenza che io cresca la spesaperò; e il mondo avrà di che cibarlevestirlealloggiarletrattarle largamentesenza far debito.
Copernico:Ma pensi vostra signoria illustrissima un poco più oltreevedrà nascere ancora un altro scompiglio. Che le stellevedendo che voi vi siete posto a sederee non già su unosgabelloma in trono; e che avete dintorno questa bella corte equesto popolo di pianeti; non solo vorranno sedere ancor esse eriposarsima vorranno altresì regnare: e chi ha da regnareci hanno a essere i sudditi: però vorranno avere i loropianeticome avrete voi; ciascuna i suoi propri. I quali pianetinuoviconverrà che sieno anche abitati e adorni come èla Terra. E qui non vi starò a dire del povero genere umanodivenuto poco più che nulla già innanziin rispetto aquesto mondo solo; a che si ridurrà egli quando scoppierannofuori tante migliaia di altri mondiin maniera che non ci saràuna minutissima stelluzza della via latteache non abbia il suo. Maconsiderando solamente l'interesse vostrodico che per insino a oravoi siete statose non primo nell'universocertamente secondocioèa dire dopo la Terrae non avete avuto nessuno uguale; atteso che lestelle non si sono ardite di pareggiarvisi: ma in questo nuovo statodell'universo avrete tanti ugualiquante saranno le stelle coi loromondi. Sicché guardate che questa mutazione che noi vogliamofarenon sia con pregiudizio della dignità vostra.
Sole:Non hai tu a memoria quello che disse il vostro Cesare quando egliandando per le Alpisi abbatté a passare vicino a quellaborgatella di certi poveri Barbari: che gli sarebbe piaciuto piùse egli fosse stato il primo in quella borgatellache di essere ilsecondo in Roma? E a me similmente dovrebbe piacer più diesser primo in questo mondo nostroche secondo nell'universo. Ma nonè l'ambizione quella che mi muove a voler mutare lo statopresente delle cose: solo è l'amor della quieteo per dir piùpropriola pigrizia. In maniera che dell'avere uguali o non avernee di essere nel primo luogo o nell'ultimoio non mi curo molto:perchédiversamente da Ciceroneho riguardo piùall'ozio che alla dignità.
Copernico:Cotesto ozioillustrissimoio per la parte miail meglio che iopossam'ingegnerò di acquistarvelo. Ma dubitoancheriuscendo la intenzioneche esso non vi durerà gran tempo. Eprimaio sono quasi certo che non passeranno molti anniche voisarete costretto di andarvi aggirando come una carrucola da pozzoocome una macina; senza mutar luogo però. Poisto con qualchesospetto che pure alla finein termine di più o men tempoviconvenga anco tornare a correre: io non dicointorno alla Terra; mache monta a voi questo? e forse che quello stesso aggirarvi che voifareteservirà di argomento per farvi anco andare. Bastasiaquello che si voglia; non ostante ogni malagevolezza e ogni altraconsiderazionese voi perseverate nel proposito vostroio proveròdi servirvi; acciocchése la cosa non mi verrà fattavoi pensiate ch'io non ho potutoe non diciate che io sono di pocoanimo.
Sole: Bene staCopernico mio:prova.
Copernico: Ci resterebbe una certa difficoltàsolamente.
Sole: Viaqual è?
Copernico:Che io non vorreiper questo fattoessere abbruciato vivoa usodella fenice: perché accadendo questoio sono sicuro di nonavere a risuscitare dalle mie ceneri come fa quell'uccelloe di nonvedere mai piùda quell'ora innanzila faccia della signoriavostra.
Sole: SentiCopernico: tu sai che un tempoquando voi altri filosofi non eravate appena natidico al tempo chela poesia teneva il campoio sono stato profeta. Voglio che adessotu mi lasci profetare per l'ultima voltae che per la memoria diquella mia virtù anticatu mi presti fede. Ti dico io dunqueche forsedopo te ad alcuni i quali approveranno quello che tu avraifattopotrà essere che tocchi qualche scottaturao altracosa simile; ma che tu per conto di questa impresaa quel ch'ioposso conoscerenon patirai nulla. E se tu vuoi essere piùsicuroprendi questo partito: il libro che tu scriverai a questopropositodedicarlo al papa . In questo modoti prometto che néanche hai da perdere il canonicato.



DIALOGODI PLOTINO E DI PORFIRIO

Unavolta essendo io Porfirio entrato in pensiero di levarmi di vitaPlotino se ne avvide: e venutomi innanzi improvvisamenteche io erain casa; e dettominon procedere sì fatto pensiero dadiscorso di mente sanama da qualche indisposizione malinconica; mistrinse che io mutassi paese. Porfirio nella vita di Plotino. Ilsimile in quella di Porfirio scritta da Eunapio: il quale aggiungeche Plotino distese in un libro i ragionamenti avuti con Porfirio inquella occasione.

Plotino:Porfiriotu sai ch'io ti sono amico; e sai quanto: e non ti deimaravigliare se io vengo osservando i tuoi fatti e i tuoi detti e iltuo stato con una certa curiosità; perché nasce daquestoche tu mi stai sul cuore. Già sono più giorniche io ti veggo tristo e pensieroso molto; hai una certa guardaturae lasci andare certe parole: in finesenza altri preamboli e senzaaggiramentiio credo che tu abbi in capo una mala intenzione.
Porfirio: Comeche vuoi tu dire?
Plotino:Una mala intenzione contro te stesso. Il fatto e stimato cattivoaugurio a nominarlo. VediPorfirio mionon mi negare il vero; nonfar questa ingiuria a tanto amore che noi ci portiamo insieme datanto tempo. So bene che io ti fo dispiacere a muoverti questodiscorso; e intendo che ti sarebbe stato caro di tenerti il tuoproposito celato: ma in cosa di tanto momento io non poteva tacere; etu non dovresti avere a male di conferirla con persona che ti vuoltanto bene quanto a se stessa. Discorriamo insieme riposatamenteeandiamo pensando le ragioni: tu sfogherai l'animo tuo mecotidorraipiangerai; che io merito da te questo: e in ultimo io nonsono già per impedirti che tu non facci quello che noitroveremo che sia ragionevolee di tuo utile.
Porfirio:Io non ti ho mai disdetto cosa che tu domandassiPlotino mio. Ed oraconfesso a te quello che avrei voluto tener segretoe che nonconfesserei ad altri per cosa alcuna del mondo; dico che quel che tuimmagini della mia intenzioneè la verità. Se ti piaceche noi ci ponghiamo a ragionare sopra questa materia; benchél'animo mio ci ripugna moltoperché queste tali deliberazionipare che si compiacciano di un silenzio altissimoe che la mente incosì fatti pensieri ami di essere solitaria e ristretta in semedesima più che mai; pure io sono disposto di fare anche diciò a tuo modo. Anzi incomincerò io stesso; e ti diròche questa mia inclinazione non procede da alcuna sciagura che mi siaintervenutaovvero che io aspetti che mi sopraggiunga: ma da unfastidio della vita; da un tedio che io provocosì veementeche si assomiglia a dolore e a spasimo; da un certo non solamenteconoscerema vederegustaretoccare la vanità di ogni cosache mi occorre nella giornata. Di maniera che non solo l'intellettomioma tutti i sentimentiancora del corposono (per un modo didire stranoma accomodato al caso) pieni di questa vanità. Equi primieramente non mi potrai dire che questa mia disposizione nonsia ragionevole: se bene io consentirò facilmente che ella inbuona parte provenga da qualche mal essere corporale. Ma ellanondimeno è ragionevolissima: anzi tutte le altre disposizionidegli uomini fuori di questaper le qualiin qualunque manierasivivee stimasi che la vita e le cose umane abbiano qualche sostanza;sonoqual più qual menorimote dalla ragionee si fondanoin qualche inganno e in qualche immaginazione falsa. E nessuna cosa èpiù ragionevole che la noia. I piaceri sono tutti vani. Ildolore stessoparlo di quel dell'animoper lo più èvano: perché se tu guardi alla causa ed alla materiaaconsiderarla beneella è di poca realtà o di nessuna.Il simile dico del timore; il simile della speranza. Solo la noialaqual nasce sempre dalla vanità delle cosenon è maivanitànon inganno; mai non è fondata in sul falso. Esi può dire cheessendo tutto l'altro vanoalla noiariducasie in lei consistaquanto la vita degli uomini ha disostanzievole e di reale.
Plotino: Sia così.Non voglio ora contraddirti sopra questa parte. Ma noi dobbiamoadesso considerare il fatto che tu vai disegnando: dicoconsiderarlopiù strettamentee in se stesso. Io non ti starò adire che sia sentenza di Platonecome tu saiche all'uomo non sialecitoin guisa di servo fuggitivosottrarsi di propria autoritàda quella quasi carcere nella quale egli si ritrova per volontàdegli Dei; cioè privarsi della vita spontaneamente.
Porfirio:Ti pregoPlotino mio; lasciamo da parte adesso Platonee le suedottrinee le sue fantasie. Altra cosa è lodarecomentaredifendere certe opinioni nelle scuole e nei libri; ed altra èseguitarle nell'uso pratico. Alla scuola e nei librisiami statolecito approvare i sentimenti di Platone e seguirli; poichétale è l'usanza oggi: nella vitanon che gli approviiopiuttosto gli abbomino. So ch'egli si dice che Platone spargessenegli scritti suoi quelle dottrine della vita avvenireacciocchégli uominientrati in dubbio e in sospetto circa lo stato loro dopola morte; per quella incertezzae per timore di pene e di calamitàfuturesi ritenessero nella vita dal fare ingiustizia e dalle altremale opere . Che se io stimassi che Platone fosse stato autore diquesti dubbie di queste credenze; e che elle fossero sueinvenzioni; io direi: tu vediPlatonequanto o la natura o il fatoo la necessitào qual si sia potenza autrice e signoradell'universoè stata ed è perpetuamente inimica allanostra specie. Alla quale molteanzi innumerabili ragioni potrannocontendere quella maggioranza che noiper altri titoliciarroghiamo di avere tra gli animali; ma nessuna ragione si troveràche le tolga quel principato che l'antichissimo Omero le attribuiva;dico il principato della infelicità. Tuttavia la natura cidestinò per medicina di tutti i mali la morte: la quale dacoloro che non molto usassero il discorso dell'intellettosaria pocotemuta; dagli altri desiderata. E sarebbe un conforto dolcissimonella vita nostrapiena di tanti dolori'aspettazione é ilpensiero del nostro fine. Tu con questo dubbio terribilesuscitatoda te nelle menti degli uominihai tolta da questo pensiero ognidolcezzae fattolo il più amaro di tutti gli altri. Tu seicagione che si veggano gl'infelicissimi mortali temere più ilporto che la tempestae rifuggire coll'animo da quel solo rimedio eriposo loroalle angosce presenti e agli spasimi della vita. Tu seistato agli uomini più crudele che il fato o la necessitào la natura. E non si potendo questo dubbio in alcun modo sciorrenéle menti nostre esserne liberate maitu hai recati per sempre i tuoisimili a questa condizioneche essi avranno la morte pienad'affannoe più misera che la vita. Perciocché peropera tualaddove tutti gli altri animali muoiono senza timorealcunola quiete e la sicurtà dell'animo sono escluse inperpetuo dall'ultima ora dell'uomo. Questo mancavao Platoneatanta infelicità della specie umana.


    Lascioche quello effetto che ti avevi propostodi ritenere gli uominidalle violenze e dalle ingiustizienon ti è venuto fatto.Perocché quei dubbi e quelle credenze spaventano tutti gliuomini in sulle ore estremequando essi non sono atti a nuocere: nelcorso della vitaspaventano frequentemente i buonii quali hannovolontà non di nuocerema di giovare; spaventano le personetimidee le deboli di corpole quali alle violenze e alle iniquitànon hanno né la natura inclinatané sufficiente ilcuore e la mano. Ma gli arditie i gagliardie quelli che pocosentono la potenza della immaginativa; in fine coloro ai quali ingeneralità si richiederebbe altro freno che della sola legge;non ispaventano essené tengono dal male operare: come noiveggiamo per gli esempi quotidianamentee come la esperienza ditutti i secolida' tuoi dì per insino a oggifa manifesto.Le buone leggie più la educazione buonae la cultura deicostumi e delle menticonservano nella società degli uominila giustizia e la mansuetudine: perocché gli animi dirozzati erammorbiditi da un poco di civiltàed assuefatti aconsiderare alquanto le cosee ad operare alcun poco l'intendimento;quasi di necessità e quasi sempre abborriscono dal por manonelle persone e nel sangue dei compagni; sono per lo piùalieni dal fare ad altri nocumento in qualunque modo; e rare volte econ fatica s'inducono a correre quei pericoli che porta seco ilcontravvenire alle leggi. Non fanno già questo buono effettole immaginazioni minacciosee le opinioni triste di cose fiere espaventevoli: anzi come suol fare la moltitudine e la crudeltàdei supplizi che si usino dagli staticosì ancora quelleaccresconoin un lato la viltà dell'animoin un altro laferocità; principali inimiche e pesti del consorzio umano.


    Matu hai posto ancora innanzi e promesso guiderdone ai buoni. Qualguiderdone? Uno stato che ci apparisce pieno di noiaed ancor menotollerabile che questa vita. A ciascheduno è palese l'acerbitàdi que' tuoi supplicii; ma la dolcezza de' tuoi premii ènascosaed arcanae da non potersi comprendere da mente d'uomo.Onde nessuna efficacia possono aver così fatti premii diallettarci alla rettitudine e alla virtù. E in verose moltopochi ribaldiper timore di quel suo spaventoso Tartaro si astengonoda alcuna mala azione: mi ardisco io di affermare che mai nessunbuonoin un suo menomo attosi mosse a bene operare per desideriodi quel tuo Eliso. Che non può esso alla immaginazione nostraaver sembianza di cosa desiderabile. Ed oltre che di molto lieveconforto sarebbe eziandio la espettazione certa di questo benequalesperanza hai tu lasciato che ne possano avere anco i virtuosi e igiusti; se quel tuo Minosse e quello Eaco e Radamantogiudicirigidissimi e inesorabilinon hanno a perdonare a qualsivoglia ombrao vestigio di colpa? E quale uomo è che si possa sentire ocredere così netto e puro come lo richiedi tu? Sicchéil conseguimento di quella qual che si sia felicità viene aesser quasi impossibile: e non basterà la coscienza della piùretta e della più travagliosa vita ad assicurare l'uomo insull'ultimodalla incertezza del suo stato futuroe dallo spaventodei gastighi. Così per le tue dottrine il timoresuperata coninfinito intervallo la speranzaè fatto signore dell'uomo: eil frutto di esse dottrine ultimamente è questo; che il genereumanoesempio mirabile d'infelicità in questa vitasiaspettanon che la morte sia fine alle sue miseriema di avere aessere dopo quellaassai più infelice. Con che tu hai vintodi crudeltànon pur la natura e il fatoma ogni tiranno piùfieroe ogni più spietato carneficeche fosse al mondo.


    Macon qual barbarie si può paragonare quel tuo decretocheall'uomo non sia lecito di por fine a' suoi patimentiai dolorialle angoscevincendo l'orrore della mortee volontariamenteprivandosi dello spirito? Certo non ha luogo negli altri animali ildesiderio di terminar la vita; perché le infelicitàloro hanno più stretti confini che le infelicitàdell'uomo: né avrebbe anco luogo il coraggio di estinguerlaspontaneamente. Ma se pur tali disposizioni cadessero nella naturadei brutinessuno impedimento avrebbero essi al poter morire; nessundivietonessun dubbio torrebbe loro la facoltà di sottrarsidai loro mali. Ecco che tu ci rendi anco in questa parteinferiorialle bestie: e quella libertà che avrebbero i bruti se loroaccadesse di usarla; quella che la natura stessatanto verso noiavaranon ci ha negata; vien manco per tua cagione nell'uomo. Inguisa che quel solo genere di viventi che si trova esser capace deldesiderio della mortequello solo non abbia in sua mano il morire.La naturail fato e la fortuna ci flagellano di continuosanguinosamentecon istrazio nostro e dolore inestimabile: tuaccorrie ci annodi strettamente le bracciae incateni i piedi;sicché non ci sia possibile né schermirci néritrarci indietro dai loro colpi. In veroquando io considero lagrandezza della infelicità umanaio penso che di quella sidebbano più che veruna altra cosaincolpare le tue dottrine;e che si convenga agli uominiassai più dolersi di te chedella natura. La quale se benea dir veronon ci destinòaltra vita che infelicissima; da altro lato però ci diede ilpoter finirla ogni volta che ci piacesse. E primieramente non si puòmai dire che sia molto grande quella miseria la qualesolo che iovogliapuò di durazione esser brevissima: poiquando ben lapersona in effetto non si risolvesse a lasciar la vitail pensierosolo di potere ad ogni sua voglia sottrarsi dalla miseriasaria talconforto e tale alleggerimento di qualunque calamitàche pervirtù di essotutte riuscirebbero facili a sopportare. Dimodo che la gravezza intollerabile della infelicità nostranon da altro principalmente si dee riconoscereche da questo dubbiodi potere per avventuratroncando volontariamente la propria vitaincorrere in miseria maggiore che la presente. Né solomaggiorema di tanto ineffabile atrocità e lunghezzacheposto che il presente sia certoe quelle pene incertenondimenoragionevolmente debba il timore di quellesenza proporzione ocomparazione alcunaprevalere al sentimento di ogni qual si vogliamale di questa vita. Il qual dubbioo Platoneben fu a te agevole asuscitare; ma prima sarà venuta meno la stirpe degli uominiche egli sia risoluto. Però nessuna cosa nacquenessuna èper nascere in alcun tempocosì calamitosa e funesta allaspecie umanacome l'ingegno tuo.


    Questecose io direise credessi che Platone fosse stato autore o inventoredi quelle dottrine; che io so benissimo che non fu. Ma in ogni modosopra questa materias'è detto abbastanzae io vorrei chenoi la ponessimo da canto.
Plotino: Porfirioveramente io amo Platonecome tu sai. Ma non è già perquestoche io voglia discorrere per autorità; massimamentepoi teco e in una questione tale: ma io voglio discorrere perragione. E se ho toccato così alla sfuggita quella talsentenza platonicaio l'ho fatto più per usare come una sortadi proemioche per altro. E ripigliando il ragionamento ch'io avevain animodico che non Platone o qualche altro filosofo solamentemala natura stessa par che c'insegni che il levarci dal mondo di meravolontà nostranon sia cosa lecita. Non accade che io midistenda circa questo articolo: perché se tu penserai un poconon può essere che tu non conosca da te medesimo chel'uccidersi di propria mano senza necessitàè contronatura. Anziper dir meglioe l'atto più contrario a naturache si possa commettere. Perché tutto l'ordine delle cosesaria sovvertitose quelle si distruggessero da se stesse. E par cheabbia repugnanza che uno si vaglia della vita a spegnere essa vitache l'essere ci serva al non essere. Oltre che se pur cosa alcuna ciè ingiunta e comandata dalla naturacerto ci comanda ellastrettissimamente e sopra tuttoe non solo agli uominima parimentea qualsivoglia creatura dell'universodi attendere allaconservazione propriae di procurarla in tutti i modi; ch'èil contrario appunto dell'uccidersi. E senza altri argomentinonsentiamo noi che la inclinazione nostra da per se stessa ci tiraeci fa odiare la mortee temerlaed averne orroreanche a dispettonostro? Or dunquepoiché questo atto dell'uccidersiècontrario a natura; e tanto contrario quanto noi veggiamo; io non misaprei risolvere che fosse lecito.
Porfirio: Io hoconsiderata già tutta questa parte: checome tu hai dettoèimpossibile che l'animo non la scorgaper ogni poco che uno si fermia pensare sopra questo proposito. Mi pare che alle tue ragioni sipossa rispondere con molte altree in più modi: ma studieròd'esser breve. Tu dubiti se ci sia lecito di morire senza necessità:io ti domando se ci è lecito di essere infelici. La naturavieta l'uccidersi. Strano mi riuscirebbe che non avendo ella ovolontà o potere di farmi né felice né libero damiseriaavesse facoltà di obbligarmi a vivere. Certo se lanatura ci ha ingenerato amore della conservazione propriae odiodella morte; essa non ci ha dato meno odio della infelicitàeamore del nostro meglio; anzi tanto maggiori e tanto piùprincipali queste ultime inclinazioni che quellequanto che lafelicità è il fine di ogni nostro attoe di ogninostro amore e odio; e che non si fugge la mortené la vitasi amaper se medesimama per rispetto e amore del nostro meglio eodio del male e del danno nostro. Come dunque può essercontrario alla naturache io fugga la infelicità in quel solomodo che hanno gli uomini di fuggirla? che è quello di tormidal mondo: perché mentre son vivoio non la posso schifare. Ecome sarà vero che la natura mi vieti di appigliarmi allamorteche senza alcun dubbio è il mio meglio; e di ripudiarla vitache manifestamente mi viene a esser dannosa e mala; poichénon mi può valere ad altro che a patiree a questo pernecessità mi vale e mi conduce in fatto.
Plotino:A ogni modo queste cose non mi persuadono che l'uccidersi da sestesso non sia contro natura: perché il senso nostro portatroppo manifesta contrarietà e abborrimento alla morte: e noiveggiamo che le bestie; le quali (quando non sieno forzate dagliuomini o sviate) operano in ogni cosa naturalmente; non solo nonvengono mai a questo attoma eziandio per quanto che sieno tribolatee miserese ne dimostrano alienissime. E in fine non si trovasenon fra gli uomini soli qualcuno che lo commette: e non mica fraquelle genti che hanno un modo di vivere naturale; che di queste nonsi troverà niuno che non lo abbominise pur ne avrànotizia o immaginazione alcuna; ma solo fra queste nostre alterate ecorrotteche non vivono secondo natura.
Porfirio:Orsùio ti voglio concedere ancoche questa azione siacontraria a naturacome tu vuoi. Ma che val questo; se noi non siamocreature naturaliper dir così? intendo degli uominiinciviliti. Paragonacinon dico ai viventi di ogni altra specie chetu voglima a quelle nazioni là delle parti dell'India edella Etiopiale qualicome si diceancora serbano quei costumiprimitivi e silvestri; e a fatica ti parrà che si possa direche questi uomini e quelli sieno creature di una specie medesima. Equesta nostracome a diretrasformazione; e questa mutazion divitae massimamente d'animo; io quanto a meho avuto sempre perfermo che non sia stata senza infinito accrescimento d'infelicità.Certo che quelle genti salvatiche non sentono mai desiderio di finirla vita; né anco va loro per la fantasia che la morte si possadesiderare: dove che gli uomini costumati a questo modo nostro ecome diciamocivilila desiderano spessissime voltee alcune se laprocacciano. Orase è lecito all'uomo incivilitoe viverecontro naturae contro natura essere così misero; perchénon gli sarà lecito morire contro natura? essendo che daquesta infelicità nuovache risulta a noi dall'alterazionedello statonon ci possiamo anco liberare altrimentiche collamorte. Che quanto a ritornarci in quello stato primoe alla vitadisegnataci dalla natura; questo non si potrebbe appenae in nessunmodo forsecirca l'estrinseco; e per rispetto all'intrinsecoche èquello che più rilevasenza alcun dubbio sarebbe impossibileaffatto. Qual cosa è manco naturale della medicina? cosìdi quella che si esercita con la manocome di quella che opera pervia di farmachi. Che l'una e l'altrala più partesìnelle operazioni che fannoe sì nelle materieneglistrumenti e nei modi che usanosono lontanissime dalla natura: e ibruti e gli uomini selvaggi non le conoscono. Nondimenoperocchéancora i morbi ai quali esse intendono di rimediaresono fuor dinaturae non hanno luogo se non per cagione della civiltàcioè della corruttela del nostro stato; perciò questetali artibenché non sieno naturalisono e si stimanoopportunee anco necessarie. Così questo atto dell'uccidersiil quale ci libera dalla infelicità recataci dalla corruzioneperché sia contrario alla naturanon seguita che siabiasimevole: bisognando a mali non naturalirimedio non naturale. Esaria pur duro ed iniquo che la ragionela quale per far noi piùmiseri che naturalmente non siamosuol contrariar la natura nellealtre cose; in questa si confederasse con leiper torci quelloestremo scampo che ci rimane; quel solo che essa ragione insegna; ecostringerci a perseverare nella miseria.


    Laverità è questaPlotino. Quella natura primitiva degliuomini antichie delle genti selvagge e incoltenon è piùla natura nostra: ma l'assuefazione e la ragione hanno fatto in noiun'altra natura; la quale noi abbiamoed avremo semprein luogo diquella prima. Non era naturale all'uomo da principio il procacciarsila morte volontariamente: ma né anco era naturale ildesiderarla. Oggi e questa cosa e quella sono naturali; cioèconformi alla nostra natura nuova: la qualetendendo essa ancora emovendosi necessariamente come l'anticaverso ciò cheapparisce essere il nostro meglio; fa che noi molte volte desideriamoe cerchiamo quello che veramente è il maggior bene dell'uomocioè la morte. E non è maraviglia: perciocchéquesta seconda natura è governata e diretta nella maggiorparte dalla ragione. La quale afferma per certissimoche la mortenon che sia veramente un malecome detta la impressione primitiva;anzi è il solo rimedio valevole ai nostri malila cosa piùdesiderabile agli uominie la migliore. Adunque domando io: misuranogli uomini inciviliti le altre azioni loro dalla natura primitiva?Quandoe quale azione mai? Non dalla natura primitivama daquest'altra nostrao pur vogliamo dire dalia ragione. Perchéquesto solo atto del torsi di vitasi dovrà misurare nondalla natura nuova o dalla ragionema dalla natura primitiva? Perchédovrà la natura primitivala quale non dà piùlegge alla vita nostradar legge alla morte? Perché non deela ragione governar la mortepoiché regge la vita? E noiveggiamo che in fattosì la ragionee sì leinfelicità del nostro stato presentenon solo estinguonomassime negli sfortunati e afflittiquello abborrimento ingenitodella morte che tu dicevi; ma lo cangiano in desiderio e amorecomeio ho detto innanzi. Nato il qual desiderio e amoreche secondonaturanon sarebbe potuto nascere; e stando la infelicitàgenerata dall'alterazione nostrae non voluta dalla natura; sariamanifesta repugnanza e contraddizioneche ancora avesse luogo ildivieto naturale di uccidersi. Questo pare a me che bastiquanto asapere se l'uccider se stesso sia lecito. Resta se sia utile.
Plotino: Di cotesto non accade che tu mi parliPorfirio mio: che quando cotesta azione sia lecita (perché unache non sia giusta né retta non concedo che possa esser diutilità)io non ho dubbio nessuno che non sia utilissima.Perché la quistione in somma si riduce a questo: quale delledue cose sia la migliore; il non patireo il patire. So ben io cheil godere congiunto al patireverisimilmente sarebbe eletto da quasitutti gli uominipiuttosto che il non patire e anco non godere:tanto è il desiderioe per così dirla setechel'animo ha del godimento. Ma la deliberazione non cade fra questitermini: perché il godimento e il piacerea parlar proprio edirittoè tanto impossibilequanto il patimento èinevitabile. E dico un patimento così continuocome ècontinuo il desiderio e il bisogno che abbiamo del godimento e dellafelicitàil quale non è adempiuto mai: lasciandoancora da un lato i patimenti particolari ed accidentali cheintervengono a ciascun uomoe che sono parimente certi; intendodireè certo che ne debbono intervenire (più o menoed'una qualità o d'altra)eziandio nella piùavventurosa vita del mondo. E per veritàun patimento solo ebreveche la persona fosse certa checontinuando essa a vivereledovesse accadere; saria sufficiente a fare chesecondo ragionelamorte fosse da anteporre alla vita: perché questo talpatimento non avrebbe compensazione alcuna; non potendo occorrerenella vita nostra un bene o un diletto vero.
Porfirio:A me pare che la noia stessae il ritrovarsi privo di ogni speranzadi stato e di fortuna miglioresieno cause bastanti a ingenerardesiderio di finir la vitaanco a chi si trovi in istato e infortunanon solamente non cattivama prospera. E più voltemi sono maravigliato che in nessun luogo si vegga fatta menzione diprincipi che sieno voluti morire per tedio solamentee per sazietàdello stato proprio; come di genti private e si leggee odesituttogiorno. Quali erano coloro che udito Egesiafilosofo cirenaicorecitare quelle sue lezioni della miseria della vita; uscendo dellascuolaandavano e si uccidevano: onde esso Egesia fu detto persoprannome il persuasor di morire; e si dicecome credo chetu sappiche all'ultimo il re Tolomeo gli vietò che nondisputasse più oltre in quella materia . Che se bene si trovadi alcunicome del re Mitridatedi Cleopatradi Ottone romanoeforse di alquanti altri principiche si uccisero da se stessi;questi tali si mossero per trovarsi allora in avversità e inmiseriae per isfuggirne di più gravi. Ora a me sarebbeparuto credibile che i principi più facilmente che gli altriconcepissero odio del loro statoe fastidio di tutte le cose; edesiderassero di morire. Perchéessendo eglino in sulla cimadi quella che chiamasi felicità umanaavendo pochi altri asperareo nessuno forsedi quelli che si dimandano beni della vita(poiché li posseggono tutti); non si possono promettermigliore il domani che il giorno d'oggi. E sempre il presenteperfortunato che siaè tristo e inamabile: solo il futuro puòpiacere. Ma come che sia di ciò; in finenoi possiamoconoscere che (eccetto il timor delle cose di un altro mondo) quelloche ritiene gli uomini che non abbandonino la vita spontaneamente; equel che gl'induce ad amarlae a preferirla alla morte; non èaltro che un semplice e un manifestissimo erroreper dir cosìdi computo e di misura: cioè un errore che si fa nelcomputarenel misuraree nel paragonar tra lorogli utili o idanni. Il quale errore ha luogosi potrebbe direaltrettante voltequanti sono i momenti nei quali ciascheduno abbraccia la vitaovveroacconsente a vivere e se ne contenta; o sia col giudizio e collavolontào sia col fatto solo.
Plotino
: Cosìè veramentePorfirio mio. Ma con tutto questolascia ch'ioti consiglied anche sopporta che ti preghidi porgere orecchieintorno a questo tuo disegnopiuttosto alla natura che alla ragione.E dico a quella natura primitivaa quella madre nostra edell'universo; la quale se bene non ha mostrato di amarcie se beneci ha fatti infelicituttavia ci è stata assai meno inimica emaleficache non siamo stati noi coll'ingegno propriocollacuriosità incessabile e smisuratacolle speculazionicoidiscorsicoi sognicolle opinioni e dottrine misere: eparticolarmentesi è sforzata ella di medicare la nostrainfelicità con occultarceneo con trasfigurarcenela maggiorparte. E quantunque sia grande l'alterazione nostrae diminuita innoi la potenza della natura; pur questa non è ridotta a nullané siamo noi mutati e innovati tantoche non resti inciascuno gran parte dell'uomo antico. Il chemal grado che n'abbiala stoltezza nostramai non potrà essere altrimenti. Eccoquesto che tu nomini error di computo; veramente erroree non menogrande che palpabile; pur si commette di continuo; e non daglistupidi solamente e dagl'idiotima dagl'ingegnosidai dottidaisaggi; e si commetterà in eternose la naturache haprodotto questo nostro genereessa medesimae non già ilraziocinio e la propria mano degli uomininon lo spegne. E credi ameche non è fastidio della vitanon disperazionenon sensodella nullità delle cosedella vanità delle curedella solitudine dell'uomo; non odio del mondo e di se medesimo; chepossa durare assai: benché queste disposizioni dell'animosieno ragionevolissimee le lor contrarie irragionevoli. Macontuttociòpassato un poco di tempo; mutata leggermente ladisposizion del corpo; a poco a poco; e spesse volte in un subitoper cagioni menomissime e appena possibili a notare; rifassi il gustoalla vitanasce or questa or quella speranza nuovae le cose umaneripigliano quella loro apparenzae mostransi non indegne di qualchecura; non veramente all'intelletto; ma sìper modo di direal senso dell'animo. E ciò basta all'effetto di fare che lapersonaquantunque ben conoscente e persuasa della veritànondimeno a mal grado della ragionee perseveri nella vitaeproceda in essa come fanno gli altri: perché quel tal senso(si può dire)e non l'intellettoè quello che cigoverna.


    Siaragionevole l'uccidersi; sia contro ragione l'accomodar l'animo allavita: certamente quello è un atto fiero e inumano. E non deepiacer piùné vuolsi elegger piuttosto di esseresecondo ragione un mostroche secondo natura uomo. E perchéanche non vorremo noi avere alcuna considerazione degli amici; deicongiunti di sangue; dei figliuolidei fratellidei genitoridellamoglie; delle persone familiari e domestichecolle quali siamo usatidi vivere da gran tempo; chemorendobisogna lasciare per sempre: enon sentiremo in cuor nostro dolore alcuno di questa separazione; néterremo conto di quello che sentiranno essie per la perdita dipersona cara o consuetae per l'atrocità del caso? Io so beneche non dee l'animo del sapiente essere troppo molle; nélasciarsi vincere dalla pietà e dal cordoglio in guisacheegli ne sia perturbatoche cada a terrache ceda e che venga menocome vileche si trascorra a lagrime smoderatead atti non degnidella stabilità di colui che ha pieno e chiaro conoscimentodella condizione umana. Ma questa fortezza d'animo si vuole usare inquegli accidenti tristi che vengono dalla fortunae che non sipossono evitare; non abusarla in privarci spontaneamenteper sempredella vistadel colloquiodella consuetudine dei nostri cari. Averper nulla il dolore della disgiunzione e della perdita dei parentidegl'intrinsechidei compagni; o non essere atto a sentire di sìfatta cosa dolore alcuno; non è di sapientema di barbaro.Non far niuna stima di addolorare colla uccisione propria gli amici ei domestici; è di non curante d'altruie di troppo curante dise medesimo. E in verocolui che si uccide da se stessonon ha curané pensiero alcuno degli altri; non cerca se non la utilitàpropria; si gittaper così diredietro alle spalle i suoiprossimie tutto il genere umano: tanto che in questa azione delprivarsi di vitaapparisce il più schiettoil piùsordidoo certo il men bello e men liberale amore di se medesimoche si trovi al mondo.


    InultimoPorfirio miole molestie e i mali della vitabenchémolti e continuipur quandocome in te oggi si verificanon hannoluogo infortuni e calamità straordinarieo dolori acerbi delcorpo; non sono malagevoli da tollerare; massime ad uomo saggio efortecome tu sei. E la vita è cosa di tanto piccolo rilievoche l'uomoin quanto a sénon dovrebbe esser molto sollecitoné di ritenerla né di lasciarla. Perciòsenzavoler ponderare la cosa troppo curiosamente; per ogni lieve causa chese gli offerisca di appigliarsi piuttosto a quella prima parte che aquestanon dovria ricusare di farlo. E pregatone da un amicoperchénon avrebbe a compiacergliene? Ora io ti prego caramentePorfiriomioper la memoria degli anni che fin qui è durata l'amicizianostralascia cotesto pensiero; non volere esser cagione di questogran dolore agli amici tuoi buoniche ti amano con tutta l'anima; ameche non ho persona più carané compagnia piùdolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vitache cosisenzaaltro pensiero di noimetterci in abbandono. ViviamoPorfirio mioe confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che ildestino ci ha stabilitadei mali della nostra specie. Si beneattendiamo a tenerci compagnia l'un l'altro; e andiamociincoraggiandoe dando mano e soccorso scambievolmente; per compierenel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallosarà breve. E quando la morte verràallora non cidorremo: e anche in quell'ultimo tempo gli amici e i compagni ciconforteranno: e ci rallegrerà il pensiero chepoi che saremospentiessi molte volte ci ricorderannoe ci ameranno ancora.



DIALOGODI UN VENDITORE D'ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE

Venditore:Almanacchialmanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognanosignorealmanacchi?
Passeggere: Almanacchi per l'annonuovo?
Venditore: Si signore.
Passeggere:Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore:Oh illustrissimo sicerto.
Passeggere: Comequest'anno passato?
Venditore: Più piùassai.
Passeggere: Come quello di là?
Venditore:Più piùillustrissimo.
Passeggere: Macome qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse comequalcuno di questi anni ultimi?
Venditore: Signornonon mi piacerebbe.
Passeggere: Quanti anninuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore:Saranno vent'anniillustrissimo.
Passeggere: Aquale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'annoventuro?
Venditore: Io? non saprei.
Passeggere:Non vi ricordate di nessun anno in particolareche vi paressefelice?
Venditore: No in veritàillustrissimo.
Passeggere: E pure la vita èuna cosa bella. Non è vero?
Venditore:Cotesto si sa.
Passeggere: Non tornereste voi avivere cotesti vent'annie anche tutto il tempo passatocominciandoda che nasceste?
Venditore: Ehcaro signorepiacesse a Dio che si potesse.
Passeggere: Ma seaveste a rifare la vita che avete fatta né più némenocon tutti i piaceri e i dispiaceri che avetepassati?
Venditore: Cotesto non vorrei.
Passeggere:Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta ioo quelladel principeo di chi altro? O non credete che ioe che ilprincipee che chiunque altrorisponderebbe come voi per l'appunto;e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fattanessunovorrebbe tornare indietro?
Venditore: Lo credocotesto.
Passeggere: Né anche voi torneresteindietro con questo pattonon potendo in altro modo?
Venditore:Signor no davveronon tornerei.
Passeggere: Oh chevita vorreste voi dunque?
Venditore: Vorrei una vitacosìcome Dio me la mandassesenz'altri patti.
Passeggere:Una vita a casoe non saperne altro avanticome non si sa dell'annonuovo?
Venditore: Appunto.
Passeggere:Così vorrei ancor io se avessi a riviveree cosìtutti. Ma questo è segno che il casofino a tutto quest'annoha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno èd'opinione che sia stato più o di più peso il male chegli e toccatoche il bene; se a patto di riavere la vita di primacon tutto il suo bene e il suo malenessuno vorrebbe rinascere.Quella vita ch'è una cosa bellanon è la vita che siconoscema quella che non si conosce; non la vita passatama lafutura. Coll'anno nuovoil caso incomincerà a trattar benevoi e me e tutti gli altrie si principierà la vita felice.Non è vero?
Venditore: Speriamo.
Passeggere:Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore:Eccoillustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere:Ecco trenta soldi.
Venditore: Grazieillustrissimo:a rivederla. Almanacchialmanacchi nuovi; lunari nuovi.



DIALOGODI TRISTANO E DI UN AMICO

Amico:Ho letto il vostro libro. Malinconico al vostro solito.
Tristano:Sìal mio solito.
Amico: Malinconicosconsolatodisperato; si vede che questa vita vi pare una granbrutta cosa.
Tristano: Che v'ho a dire? io avevafitta in capo questa pazziache la vita umana fosse infelice.
Amico:Infelice sì forse. Ma pure alla fine . . .
Tristano:No noanzi felicissima. Ora ho cambiata opinione. Ma quando scrissicotesto libroio aveva quella pazzia in capocome vi dico. E n'eratanto persuasoche tutt'altro mi sarei aspettatofuorchésentirmi volgere in dubbio le osservazioni ch'io faceva in quelpropositoparendomi che la coscienza d'ogni lettore dovesse rendereprontissima testimonianza a ciascuna di esse. Solo immaginai chenascesse disputa dell'utilità o del danno di taliosservazionima non mai della verità: anzi mi credetti che lemie voci lamentevoliper essere i mali comunisarebbero ripetute incuore da ognuno che le ascoltasse. E sentendo poi negarminonqualche proposizione particolarema il tuttoe dire che la vita nonè infelicee che se a me pareva taledoveva essere effettod'infermitào d'altra miseria mia particolareda primarimasi attonitosbalorditoimmobile come un sassoe per piùgiorni credetti di trovarmi in un altro mondo; poitornato in mestessomi sdegnai un poco; poi risie dissi: gli uomini sono ingenerale come i mariti. I maritise vogliono viver tranquilliènecessario che credano le mogli fedeliciascuno la sua; e cosìfanno; anche quando la metà del mondo sa che il vero etutt'altro. Chi vuole o dee vivere in un paeseconviene che lo credauno dei migliori della terra abitabile; e lo crede tale. Gli uominiuniversalmentevolendo vivereconviene che credano la vita bella epregevole; e tale la credono; e si adirano contro chi pensaaltrimenti. Perché in sostanza il genere umano crede semprenon il veroma quello che èo pare che siapiù aproposito suo. Il genere umanoche ha creduto e crederà tantescempiataggininon crederà mai né di non saper nullané di non essere nullané di non aver nulla a sperare.Nessun filosofo che insegnasse l'una di queste tre coseavrebbefortuna né farebbe settaspecialmente nel popolo: perchéoltre che tutte tre sono poco a proposito di chi vuol viverele dueprime offendono la superbia degli uominila terzaanzi ancora lealtre duevogliono coraggio e fortezza d'animo a essere credute. Egli uomini sono codardidebolid'animo ignobile e angusto; docilisempre a sperar beneperché sempre dediti a variare leopinioni del bene secondo che la necessità governa la lorovita; prontissimi a render l'armecome dice il Petrarcaalla lorofortunaprontissimi e risolutissimi a consolarsi di qualunquesventuraad accettare qualunque compenso in cambio di ciò cheloro è negato o di ciò che hanno perdutoadaccomodarsi con qualunque condizione a qualunque sorte piùiniqua e più barbarae quando sieno privati d'ogni cosadesiderabilevivere di credenze falsecosì gagliarde efermecome se fossero le più vere o le più fondate delmondo. Io per mecome l'Europa meridionale ride dei maritiinnamorati delle mogli infedelicosì rido del genere umanoinnamorato della vita; e giudico assai poco virile il voler lasciarsiingannare e deludere come sciocchied oltre ai mali che si soffronoessere quasi lo scherno della natura e del destino. Parlo sempredegl'inganni non dell'immaginazionema dell'intelletto. Se questimiei sentimenti nascano da malattianon so: so chemalato o sanocalpesto la vigliaccheria degli uominirifiuto ogni consolazione eogn'inganno puerileed ho il coraggio di sostenere la privazione diogni speranzamirare intrepidamente il deserto della vitanondissimularmi nessuna parte dell'infelicità umanaed accettaretutte le conseguenze di una filosofia dolorosama vera. La quale senon è utile ad altroprocura agli uomini forti la fieracompiacenza di vedere strappato ogni manto alla coperta e misteriosacrudeltà del destino umano. Io diceva queste cose fra mequasi come se quella filosofia dolorosa fosse d'invenzione mia;vedendola così rifiutata da tutticome si rifiutano le cosenuove e non più sentite. Ma poiripensandomi ricordaich'ella era tanto nuovaquanto Salomone e quanto Omeroe i poeti ei filosofi più antichi che si conoscano; i quali tutti sonopieni pienissimi di figuredi favoledi sentenze significantil'estrema infelicità umana; e chi di loro dice che l'uomo èil più miserabile degli animali; chi dice che il meglio ènon nasceree per chi è natomorire in cuna; altriche unoche sia caro agli Deimuore in giovanezzaed altri altre coseinfinite su questo andare . E anche mi ricordai che da quei tempiinsino a ieri o all'altr'ieritutti i poeti e tutti i filosofi e gliscrittori grandi e piccoliin un modo o in un altroavevanoripetute o confermate le stesse dottrine. Sicché tornai dinuovo a maravigliarmi: e così tra la maraviglia e lo sdegno eil riso passai molto tempo: finché studiando piùprofondamente questa materiaconobbi che l'infelicitàdell'uomo era uno degli errori inveterati dell'intellettoe che lafalsità di questa opinionee la felicità della vitaera una delle grandi scoperte del secolo decimonono. Alloram'acquetaie confesso ch'io aveva il torto a credere quello ch'iocredeva.
Amico: E avete cambiata opinione?
Tristano:Sicuro. Volete voi ch'io contrasti alle verità scoperte dalsecolo decimonono?
Amico: E credete voi tutto quelloche crede il secolo?
Tristano: Certamente. Oh chemaraviglia?
Amico: Credete dunque allaperfettibilità indefinita dell'uomo?
Tristano:Senza dubbio.
Amico: Credete che in fatti la specieumana vada ogni giorno migliorando?
Tristano: Sìcerto. È ben vero che alcune volte penso che gli antichivalevanodelle forze del corpociascuno per quattro di noi. E ilcorpo e l'uomo; perché (lasciando tutto il resto) lamagnanimitàil coraggiole passionila potenza di farelapotenza di goderetutto ciò che fa nobile e viva la vitadipende dal vigore del corpoe senza quello non ha luogo. Uno chesia debole di corponon è uomoma bambino; anzi peggio;perché la sua sorte è di stare a vedere gli altri chevivonoed esso al più chiacchierarema la vita non èper lui. E però anticamente la debolezza del corpo fuignominiosaanche nei secoli più civili. Ma tra noi giàda lunghissimo tempo l'educazione non si degna di pensare al corpocosa troppo bassa e abbietta: pensa allo spirito: e appunto volendocoltivare lo spiritorovina il corpo: senza avvedersi che rovinandoquestorovina a vicenda anche lo spirito. E dato che si potesserimediare in ciò all'educazionenon si potrebbe mai senzamutare radicalmente lo stato moderno della societàtrovarerimedio che valesse in ordine alle altre parti della vita privata epubblicache tuttedi proprietà lorocospiraronoanticamente a perfezionare o a conservare il corpoe oggi cospiranoa depravarlo. L'effetto è che a paragone degli antichi noisiamo poco più che bambinie che gli antichi a confrontonostro si può dire più che mai che furono uomini. Parlocosì degl'individui paragonati agl'individuicome delle masse(per usare questa leggiadrissima parola moderna) paragonate allemasse. Ed aggiungo che gli antichi furono incomparabilmente piùvirili di noi anche ne' sistemi di morale e di metafisica. A ognimodo io non mi lascio muovere da tali piccole obbiezionicredocostantemente che la specie umana vada sempre acquistando.
Amico:Credete ancoragià s'intendeche il sapereocome si dicei lumicrescano continuamente.
Tristano:Certissimo. Sebbene vedo che quanto cresce la volontàd'impararetanto scema quella di studiare. Ed è cosa che famaraviglia a contare il numero dei dottima veri dottiche vivevanocontemporaneamente cencinquant'anni addietroe anche piùtardie vedere quanto fosse smisuratamente maggiore di quellodell'età presente. Né mi dicano che i dotti sono pochiperché in generale le cognizioni non sono piùaccumulate in alcuni individui ma divise fra molti; e che la copia diquesti compensa la rarità di quelli. Le cognizioni non sonocome le ricchezzeche si dividono e si adunanoe sempre fanno lastessa somma. Dove tutti sanno pocoe' si sa poco; perché lascienza va dietro alla scienzae non si sparpaglia. L'istruzionesuperficiale può esserenon propriamente divisa fra moltimacomune a molti non dotti. Il resto del sapere non appartiene se non achi sia dottoe gran parte di quello a chi sia dottissimo. Elevatii casi fortuitisolo chi sia dottissimoe fornito essoindividualmente di un immenso capitale di cognizioniè attoad accrescere solidamente e condurre innanzi il sapere umano. Oraeccetto forse in Germaniadonde la dottrina non è stataancora potuta snidarenon vi par egli che il veder sorgere di questiuomini dottissimi divenga ogni giorno meno possibile? Io fo questeriflessioni così per discorreree per filosofare un pocooforse sofisticare; non ch'io non sia persuaso di ciò che voidite. Anzi quando anche vedessi il mondo tutto pieno d'ignorantiimpostori da un latoe d'ignoranti presuntuosi dall'altronondimenocredereicome credoche il sapere e i lumi crescano dicontinuo.
Amico: In conseguenzacredete che questosecolo sia superiore a tutti i passati.
Tristano:Sicuro. Così hanno creduto di sé tutti i secolianchei più barbari; e così crede il mio secoloed io conlui. Se poi mi dimandaste in che sia egli superiore agli altrisecolise in ciò che appartiene al corpo o in ciò cheappartiene allo spiritomi rimetterei alle cose dette dianzi.
Amico: In sommaper ridurre il tutto in dueparolepensate voi circa la natura e i destini degli uomini e dellecose (poiché ora non parliamo di letteratura né dipolitica) quello che ne pensano i giornali?
Tristano:Appunto. Credo ed abbraccio la profonda filosofia de' giornaliiquali uccidendo ogni altra letteratura e ogni altro studiomassimamente grave e spiacevolesono maestri e luce dell'etàpresente. Non è vero?
Amico: Verissimo. Secotesto che diteè detto da vero e non da burlavoi sietediventato de' nostri.
Tristano: Sìcertamentede' vostri.
Amico: Oh dunqueche faretedel vostro libro? Volete che vada ai posteri con quei sentimenti cosìcontrari alle opinioni che ora avete?
Tristano: Aiposteri? Io ridoperché voi scherzate; e se fosse possibileche non ischerzastepiù riderei. Non dirò a riguardomioma a riguardo d'individui o di cose individuali del secolodecimononointendete bene che non v'è timore di posteriiquali ne sapranno tantoquanto ne seppero gli antenati. Gl'individuisono spariti dinanzi alle massedicono elegantemente i pensatorimoderni. Il che vuol dire ch'è inutile che l'individuo siprenda nessun incomodopoichéper qualunque suo meritonéanche quel misero premio della gloria gli resta più da sperarené in vigilia né in sogno. Lasci fare alle masse; lequali che cosa sieno per fare senza individuiessendo composted'individuidesidero e spero che me lo spieghino gl'intendentid'individui e di masseche oggi illuminano il mondo. Ma per tornareal proposito del libro e de' posterii libri specialmenteche oraper lo più si scrivono in minor tempo che non ne bisogna aleggerlivedete bene chesiccome costano quel che vaglionocosìdurano a proporzione di quel che costano. Io per me credo che ilsecolo venturo farà un bellissimo frego sopra l'immensabibliografia del secolo decimonono; ovvero dirà: io hobiblioteche intere di libri che sono costati quali ventiqualitrenta anni di fatichee quali menoma tutti grandissimo lavoro.Leggiamo questi primaperché la verisimiglianza è cheda loro si cavi maggior costrutto; e quando di questa sorta non avròpiù che leggereallora metterò mano ai libriimprovvisati. Amico mioquesto secolo è un secolo di ragazzie i pochissimi uomini che rimangonosi debbono andare a nascondereper vergognacome quello che camminava diritto in paese di zoppi. Equesti buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che neglialtri tempi hanno fatto gli uominie farlo appunto da ragazzicosìa un tratto senza altre fatiche preparatorie. Anzi vogliono che ilgrado al quale è pervenuta la civiltàe che l'indoledel tempo presente e futuroassolvano essi e loro successori inperpetuo da ogni necessità di sudori e fatiche lunghe perdivenire atti alle cose. Mi dicevapochi giorni sonoun mio amicouomo di maneggi e di faccendeche anche la mediocrità èdivenuta rarissima; quasi tutti sono inettiquasi tuttiinsufficienti a quegli uffici o a quegli esercizi a cui necessitào fortuna o elezione gli ha destinati. In ciò mi pare checonsista in parte la differenza ch'è da questo agli altrisecoli. In tutti gli altricome in questoil grande è statorarissimo; ma negli altri la mediocrità ha tenuto il campoinquesto la nullità. Onde è tale il romore e laconfusionevolendo tutti esser tuttoche non si fa nessunaattenzione ai pochi grandi che pure credo che vi sieno; ai qualinell'immensa moltitudine de' concorrentinon è piùpossibile di aprirsi una via. E cosìmentre tutti gl'infimisi credono illustril'oscurità e la nullità dell'esitodiviene il fato comune e degl'infimi e de' sommi. Ma viva lastatistica! vivano le scienze economichemorali e politicheleenciclopedie portatilii manualie le tante belle creazioni delnostro secolo! e viva sempre il secolo decimonono! forse povero dicosema ricchissimo e larghissimo di parole: che sempre fu segnoottimocome sapete. E consoliamociche per altri sessantasei anniquesto secolo sarà il solo che parlie dica le sueragioni.
Amico: Voi parlatea quanto pareun pocoironico. Ma dovreste almeno all'ultimo ricordarvi che questo èun secolo di transizione.
Tristano: Oh checonchiudete voi da cotesto? Tutti i secolipiù o menosonostati e saranno di transizioneperché la società umananon istà mai fermané mai verrà secolo nelquale ella abbia stato che sia per durare. Sicché cotestabellissima parola o non iscusa punto il secolo decimononoo talescusa gli è comune con tutti i secoli. Resta a cercareandando la società per la via che oggi si tienea che sidebba riuscirecioè se la transizione che ora si fasia dalbene al meglio o dal male al peggio. Forse volete dirmi che lapresente è transizione per eccellenzacioè unpassaggio rapido da uno stato della civiltà ad un altrodiversissimo dal precedente. In tal caso chiedo licenza di ridere dicotesto passaggio rapidoe rispondo che tutte le transizioniconviene che sieno fatte adagio; perché se si fanno a untrattodi là a brevissimo tempo si torna indietroper poirifarle a grado a grado. Così è accaduto sempre. Laragione èche la natura non va a saltie che forzando lanaturanon si fanno effetti che durinoOvveroper dir meglioquelle tali transizioni precipitose sono transizioni apparentimanon reali.
Amico: Vi pregonon fate di cotestidiscorsi con troppe personeperché vi acquisterete moltinemici.
Tristano: Poco importa. Oramai nénimici né amici mi faranno gran male.
Amico:O più probabilmente sarete disprezzatocome poco intendentedella filosofia modernae poco curante del progresso della civiltàe dei lumi.
Tristano: Mi dispiace moltoma che s'haa fare? se mi disprezzerannocercherò di consolarmene.
Amico:Ma in fine avete voi mutato opinioni o no? e che s'ha egli a fare diquesto libro?
Tristano: Bruciarlo è ilmeglio. Non lo volendo bruciareserbarlo come un libro di sognipoeticid'invenzioni e di capricci malinconiciovvero comeun'espressione dell'infelicità dell'autore: perché inconfidenzamio caro amicoio credo felice voi e felici tutti glialtri; ma io quanto a mecon licenza vostra e del secolosonoinfelicissimo; e tale mi credo; e tutti i giornali de' due mondi nonmi persuaderanno il contrario.
Amico: Io non conoscole cagioni di cotesta infelicità che dite. Ma se uno siafelice o infelice individualmentenessuno è giudice se non lapersona stessae il giudizio di questa non puòfallare.
Tristano: Verissimo. E di più vidico francamentech'io non mi sottometto alla mia infelicitàné piego il capo al destinoo vengo seco a patticome fannogli altri uomini; e ardisco desiderare la mortee desiderarla sopraogni cosacon tanto ardore e con tanta sinceritàcon quantacredo fermamente che non sia desiderata al mondo se non dapochissimi. Né vi parlerei così se non fossi ben certochegiunta l'orail fatto non ismentirà le mie parole;perché quantunque io non vegga ancora alcun esito alla miavitapure ho un sentimento dentroche quasi mi fa sicuro che l'orach'io dico non sia lontana. Troppo sono maturo alla mortetroppo mipare assurdo e incredibile di doverecosì morto come sonospiritualmentecosì conchiusa in me da ogni parte la favoladella vitadurare ancora quaranta o cinquant'anniquanti mi sonominacciati dalla natura. Al solo pensiero di questa cosa iorabbrividisco. Ma come ci avviene di tutti quei mali che vinconopercosì direla forza immaginativacosì questo mi pareun sogno e un'illusioneimpossibile a verificarsi. Anzi se qualcunomi parla di un avvenire lontano come di cosa che mi appartenganonposso tenermi dal sorridere fra me stesso: tanta confidenza ho che lavia che mi resta a compiere non sia lunga. E questoposso direèil solo pensiero che mi sostiene. Libri e studiche spesso mimaraviglio d'aver tanto amatodisegni di cose grandie speranze digloria e d'immortalitàsono cose delle quali è anchepassato il tempo di ridere. Dei disegni e delle speranze di questosecolo non rido: desidero loro con tutta l'anima ogni migliorsuccesso possibilee lodoammiro ed onoro altamente esincerissimamente il buon volere: ma non invidio però iposteriné quelli che hanno ancora a vivere lungamente. Inaltri tempi ho invidiato gli sciocchi e gli stoltie quelli chehanno un gran concetto di se medesimi; e volentieri mi sarei cambiatocon qualcuno di loro. Oggi non invidio più né stolti nésaviné grandi né piccoliné deboli népotenti. Invidio i mortie solamente con loro mi cambierei. Ogniimmaginazione piacevoleogni pensiero dell'avvenirech'io focomeaccadenella mia solitudinee con cui vo passando il tempoconsiste nella mortee di là non sa uscire. Né inquesto desiderio la ricordanza dei sogni della prima etàe ilpensiero d'esser vissuto invanomi turbano piùcomesolevano. Se ottengo la morte morrò così tranquillo ecosì contentocome se mai null'altro avessi sperato nédesiderato al mondo. Questo e il solo benefizio che puòriconciliarmi al destino. Se mi fosse proposta da un lato la fortunae la fama di Cesare o di Alessandro netta da ogni macchiadall'altrodi morir oggie che dovessi scegliereio direimorir oggie nonvorrei tempo a risolvermi.