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GiacomoLeopardi



CANTI



Indice

IAll'Italia

IISoprail monumento di Dante che si preparava a Firenze

IIIAdAngelo Mai quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica

IVNellenozze della sorella Paolina

VAun vincitore nel pallone 

VIBrutominore 

VIIAllaprimavera o delle favole antiche 

VIIIInnoai Patriarchi o de' princìpii del genere umano 

IXUltimocanto di Saffo 

XIlprimo amore 

XIIlpassero solitario

XIIL'infinito

XIIILasera del dì di festa

XIVAllaluna

XVIlsogno

XVILavita solitaria

XVIIConsalvo

XVIIIAllasua donna

XIXAlConte Carlo Pepoli

XXIlrisorgimento 

XXIASilvia

XXIILericordanze

XXIIICantonotturno di un pastore errante dell'Asia

XXIVLaquiete dopo la tempesta

XXVIlsabato del villaggio

XXVIIlpensiero dominante 

XXVIIAmoree morte 

XXVIIIAse stesso

XXIXAspasia

XXXSopraun basso rilievo antico sepolcraledove una giovane morta èrappresentata in atto di partireaccomiatandosi dai suoi 

XXXISoprail ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcraledella medesima

XXXIIPalinodiaal Marchese Gino Capponi

XXXIIIIltramonto della luna

XXXIVLaginestra o il fiore del deserto

XXXVImitazione

XXXVIScherzo

Frammenti

XXXVIIOdiMelisso

XXXVIIIIoqui vagando..

XXXIXSpentoil diurno raggio... 

XLDalgreco di Simonide

XLIDallostesso 





I.
All’Italia
.
(1818)



        Opatria miavedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri el’erme
Torri degli avi nostri
Ma la gloria non vedo
Nonvedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
I nostri padriantichi. Or fatta inerme
Nuda la fronte e nudo il pettomostri.
Oimè quante ferite
Che lividorche sangue! ohqual ti veggio
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E almondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo èpeggio
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì chesparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta esconsolata
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchiaepiange.
Piangiche ben hai dondeItalia mia
Le genti avincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.

      Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive
Mai nonpotrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Chefosti donnaor sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive
Cherimembrando il tuo passato vanto
Non dica: già fu grandeor non è quella?
Perchèperchè? dov’èla forza antica
Dove l’armi e il valore e la costanza?
Chiti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qualfatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto el’auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza incosì basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessunde’ tuoi? L’armiqua l’armi: io solo
Combatteròprocomberò sol io.
Dammio cielche sia foco
Agl’italicipetti il sangue mio.

      Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi
E dicarri e di voci e di timballi:
In estranie contrade
Pugnano ituoi figliuoli.
AttendiItaliaattendi. Io veggioo parmi
Unfluttuar di fanti e di cavalli
E fumo e polvee luccicar dispade
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti? e itremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A chepugna in quei campi
L’itala gioventude? O numionumi:
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui chein guerra è spento
Non per li patrii lidi e per lapia
Consorte e i figli cari
Ma da nemici altrui
Per altragentee non può dir morendo:
Alma terra natia
La vitache mi desti ecco ti rendo.

      Oh venturose e care e benedette
L’antiche etàche a morte
Per la patria correan le genti a squadre;
E voisempre onorate e gloriose
O tessaliche strette
Dove la Persiae il fato assai men forte
Fu di poch’alme franche egenerose!
Io credo che le piante e i sassi e l’onda
E lemontagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrinsiccome tutta quella sponda
Coprìr le invitte schiere
De’corpi ch’alla Grecia eran devoti.
Allorvile e feroce
Serseper l’Ellesponto si fuggia
Fatto ludibrio agli ultiminepoti;
E sul colle d’Antelaove morendo
Si sottrasse damorte il santo stuolo
Simonide salia
Guardando l’etra ela marina e il suolo.

       E di lacrime sparso ambe le guance
E il pettoansantee vacillante il piede
Toglieasi in man lalira:
Beatissimi voi
Ch’offriste il petto alle nemichelance
Per amor di costei ch’al Sol vi diede;
Voi che laGrecia colee il mondo ammira.
Nell’armi e ne’perigli
Qual tanto amor le giovanette menti
Qual nell’acerbofato amor vi trasse?
Come sì lietao figli
L’oraestrema vi parveonde ridenti
Correste al passo lacrimoso eduro?
Parea ch’a danza e non a morte andasse
Ciascun de’vostrio a splendido convito:
Ma v’attendea loscuro
Tartaroe l’onda morta;
Nè le spose vi foroo i figli accanto
Quando su l’aspro lito
Senza bacimoriste e senza pianto.

      Ma non senza de’ Persi orrida pena
Ed immortaleangoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quelloin tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena
Orquesto fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse tormeinfuriava
L’ira de’ greci petti e la virtute.
Ve’cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga icarri e le tende cadute
E correr fra’ primieri
Pallido escapigliato esso tiranno;
Ve’ come infusi e tinti
Delbarbarico sangue i greci eroi
Cagione ai Persi d’infinitoaffanno
A poco a poco vinti dalle piaghe
L’un sopral’altro cade. Oh vivaoh viva:
Beatissimi voi
Mentre nelmondo si favelli o scriva.

      Prima diveltein mar precipitando
Spente nell’imostrideran le stelle
Che la memoria e il vostro
Amor trascorrao scemi.
La vostra tomba è un’ara; e quamostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme del vostrosangue. Ecco io mi prostro
O benedettial suolo
E bacioquesti sassi e queste zolle
Che fien lodate e chiareeternamente
Dall’uno all’altro polo.
Deh foss’iopur con voi qui sottoe molle
Fosse del sangue mio quest’almaterra.
Che se il fato è diversoe non consente
Ch’ioper la Grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra
Cosìla vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possavolendoi numi
Tanto durar quanto la vostra duri.  
 


II.
SOPRAIL MONUMENTO DI DANTE
CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE.



      Perchèle nostre genti
Pace sotto le bianche ali raccolga
Non fienda’ lacci sciolte
Dell’antico sopor l’italementi
S’ai patrii esempi della prisca etade
Questa terrafatal non si rivolga.
O Italiaa cor ti stia
Far ai passationor; che d’altrettali
Oggi vedove son le tue contrade
Nèv’è chi d’onorar ti si convegna.
Volgitiindietroe guardao patria mia
Quella schiera infinitad’immortali
E piangi e di te stessa ti disdegna;
Chesenza sdegno omai la doglia è stolta:
Volgiti e ti vergognae ti riscuoti
E ti punga una volta
Pensier degli avi nostri ede’ nepoti.

      D’aria e d’ingegno e di parlar diverso
Perlo toscano suol cercando gia
L’ospite desioso
Dove giacciacolui per lo cui verso
Il meonio cantor non è piùsolo.
Edoh vergogna! udia
Che non che il cener freddo el’ossa nude
Giaccian esuli ancora
Dopo il funereo dìsott’altro suolo
Ma non sorgea dentro a tue mura unsasso
Firenzea quello per la cui virtude
Tutto il mondot’onora.
Oh voi pietosionde sì tristo ebasso
Obbrobrio laverà nostro paese!
Bell’opra haitolta e di ch’amor ti rende
Schiera prode ecortese
Qualunque petto amor d’Italia accende.

      Amor d’Italiao cari
Amor di questa misera visproni
Ver cui pietade è morta
In ogni petto omaiperciò che amari
Giorni dopo il seren dato n’ha ilcielo.
Spirti v’aggiunga e vostra opra coroni
Misericordiao figli
E duolo e sdegno di cotanto affanno
Onde bagna costeile guance e il velo.
Ma voi di quale ornar parola o canto
Sidebbea cui non pur cure o consigli
Ma dell’ingegno e dellaman daranno
I sensi e le virtudi eterno vanto
Oprate e mostrenella dolce impresa?
Quali a voi note inviosì che nelcore
Sì che nell’alma accesa
Nova favilla indurreabbian valore?

      Voi spirerà l’altissimo subbietto
Ed acripunte premeravvi al seno.
Chi dirà l’onda e ilturbo
Del furor vostro e dell’immenso affetto?
Chi pingeràl’attonito sembiante?
Chi degli occhi il baleno?
Qual puòvoce mortal celeste cosa
Agguagliar figurando?
Lunge sialungealma profana. Oh quante
Lacrime al nobil sasso Italia serba!
Comecadrà? come dal tempo rosa
Fia vostra gloria o quando?
Voidi ch’il nostro mal si disacerba
Sempre viveteo care artidivine
Conforto a nostra sventurata gente
Fra l’italeruine
Gl’itali pregi a celebrare intente.

      Ecco voglioso anch’io
Ad onorar nostra dolentemadre
Porto quel che mi lice
E mesco all’opra vostra ilcanto mio
Sedendo u’ vostro ferro i marmi avviva.
Odell’etrusco metro inclito padre
Se di cosa terrena
Sedi costei che tanto alto locasti
Qualche novella ai vostri lidiarriva
Io so ben che per te gioia non senti
Che saldi men checera e men ch’arena
Verso la fama che di te lasciasti
Sonbronzi e marmi; e dalle nostre menti
Se mai cadesti ancors’unquacadrai
Crescase crescer puònostra sciaura
E insempiterni guai
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.

      Ma non per te; per questa ti rallegri
Povera patriatuas’unqua l’esempio
Degli avi e de’parenti
Ponga ne’ figli sonnacchiosi ed egri
Tanto valorche un tratto alzino il viso.
Ahida che lungo scempio
Vediafflitta costeiche sì meschina
Te salutava allora
Chedi novo salisti al paradiso!
Oggi ridotta sì che a quel chevedi
Fu fortunata allor donna e reina.
Tal miserial’accora
Qual tu forse mirando a te non credi.
Taccio glialtri nemici e l’altre doglie;
Ma non la più recente ela più fera
Per cui presso alle soglie
Vide la patriatua l’ultima sera.

      Beato te che il fato
A viver non dannò fratanto orrore;
Che non vedesti in braccio
L’itala moglie abarbaro soldato;
Non predarnon guastar cittadi e colti
L’astainimica e il peregrin furore;
Non degl’itali ingegni
Trattel’opre divine a miseranda
Schiavitude oltre l’alpeenon de’ folti
Carri impedita la dolente via;
Non gli aspricenni ed i superbi regni;
Non udisti gli oltraggi e lanefanda
Voce di libertà che ne schernia
Tra il suondelle catene e de’ flagelli.
Chi non si duol? che nonsoffrimmo? intatto
Che lasciaron quei felli?
Qual tempioqualealtare o qual misfatto?

      Perchè venimmo a sì perversi tempi?
Perchèil nascer ne desti o perchè prima
Non ne desti ilmorire
Acerbo fato? onde a stranieri ed empi
Nostra patriavedendo ancella e schiava
E da mordace lima
Roder la suavirtùdi null’aita
E di nullo conforto
Lo spietatodolor che la stracciava
Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Ahinon il sangue nostro e non la vita
Avestio cara; e morto
Ionon son per la tua cruda fortuna.
Qui l’ira al corqui lapietade abbonda:
Pugnòcadde gran parte anche di noi:
Maper la moribonda
Italia no; per li tiranni suoi.

      Padrese non ti sdegni
Mutato sei da quel che fostiin terra.
Morian per le rutene
Squallide piaggeahi d’altramorte degni
Gl’itali prodi; e lor fea l’aere e ilcielo
E gli uomini e le belve immensa guerra.
Cadeano a squadrea squadre
Semivestitimaceri e cruenti
Ed era letto agli egricorpi il gelo.
Allorquando traean l’ultime pene
Membrandoquesta desiata madre
Diceano: oh non le nubi e non i venti
Mane spegnesse il ferroe per tuo bene
O patria nostra. Ecco da terimoti
Quando più bella a noi l’età sorride
Atutto il mondo ignoti
Moriam per quella gente che t’uccide.

      Di lor querela il boreal deserto
E conscie fur lesibilanti selve.
Così vennero al passo
E i negletticadaveri all’aperto
Su per quello di neve orridomare
Dilaceràr le belve;
E sarà il nome degliegregi e forti
Pari mai sempre ed uno
Con quel de’ tardi evili. Anime care
Bench’infinita sia vostra sciagura
Datevipace; e questo vi conforti
Che conforto nessuno
Avrete inquesta o nell’età futura.
In seno al vostro smisuratoaffanno
Posateo di costei veraci figli
Al cui supremodanno
Il vostro solo è tal che s’assomigli.

      Di voi già non si lagna
La patria vostrama dichi vi spinse
A pugnar contra lei
Sì ch’ellasempre amaramente piagna
E il suo col vostro lacrimar confonda.
Ohdi costei ch’ogni altra gloria vinse
Pietà nascesse incore
A tal de’ suoi ch’affaticata e lenta
Di sìbuia vorago e sì profonda
La ritraesse! O gloriosospirto
Dimmi: d’Italia tua morto è l’amore?
Dì:quella fiamma che t’acceseè spenta?
Dì: nèpiù mai rinverdirà quel mirto
Ch’alleggiòper gran tempo il nostro male?
Nostre corone al suol fien tuttesparte?
Nè sorgerà mai tale
Che ti rassembri inqualsivoglia parte?

      In eterno perimmo? e il nostro scorno
Non ha verunconfine?
Io mentre viva andrò sclamando intorno
Volgitiagli avi tuoiguasto legnaggio;
Mira queste ruine
E le carte ele tele e i marmi e i templi;
Pensa qual terra premi; e sedestarti
Non può la luce di cotanti esempli
Che stai?levati e parti.
Non si conviene a sì corrotta usanza
Questad’animi eccelsi altrice e scola:
Se di codardi èstanza
Meglio l’è rimaner vedova e sola.  


III.
ADANGELO MAI
QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE
DELLAREPUBBLICA.



      Italoarditoa che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostripadri? ed a parlar gli meni
A questo secol mortoal qualeincombe
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì fortea’ nostri orecchi e sì frequente
Voce antica de’nostri
Muta sì lunga etade? e perchètanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte; allastagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti igenerosi e santi
Detti degli avi. E che valor t’infonde
Italoegregioil fato? O con l’umano
Valor forse contrasta il fatoinvano?

     Certo senza de’ numi alto consiglio
Non èch’ove più lento
E grave è il nostro disperatoobblio
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de’padri. Ancora è pio
Dunque all’Italia il cielo; ancosi cura
Di noi qualche immortale:
Ch’essendo questa onessun’altra poi
L’ora da ripor mano allavirtude
Rugginosa dell’itala natura
Veggiam che tanto etale
È il clamor de’ sepoltie che glieroi
Dimenticati il suol quasi dischiude
A ricercar s’aquesta età sì tarda
Anco ti giovio patriaessercodarda.

      Di noi serbateo gloriosiancora
Qualche speranza?in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer non sitoglie. Io son distrutto
Nè schermo alcuno ho dal dolorche scuro
M’è l’avveniree tutto quanto ioscerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza.Anime prodi
Ai tetti vostri inonorataimmonda
Plebe successe;al vostro sangue è scherno
E d’opra e di parola
Ognivalor; di vostre eterne lodi
Nè rossor più nèinvidia; ozio circonda
I monumenti vostri; e di viltade
Siamfatti esempio alla futura etade.

      Bennato ingegnoor quando altrui non cale
De’nostri alti parenti
A te ne cagliaa te cui fato aspira
Benignosì che per tua man presenti
Paion que’ giorni allorche dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma
Con glistudi sepolti
I vetusti divinia cui natura
Parlòsenza svelarsionde i riposi
Magnanimi allegràr d’Atenee Roma.
Oh tempioh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora ancoimmatura
La ruina d’Italiaanco sdegnosi
Eravam d’ozioturpee l’aura a volo
Più faville rapia da questosuolo.

      Eran calde le tue ceneri sante
Non domitonemico
Della fortunaal cui sdegno e dolore
Fu piùl’averno che la terra amico.
L’averno: e qual non èparte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravanoancora
Dal tocco di tua destrao sfortunato
Amante. Ahi daldolor comincia e nasce
L’italo canto. E pur men grava emorde
Il mal che n’addolora
Del tedio che n’affoga.Oh te beato
A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Cinse ilfastidio; a noi presso la culla
Immoto siedee su la tombailnulla.

      Ma tua vita era allor con gli astri e il mare
Ligureardita prole
Quand’oltre alle colonneed oltre ai liti
Cuistrider l’onde all’attuffar del sole
Parve udir su laseraagl’infiniti
Flutti commessoritrovasti il raggio
DelSol cadutoe il giorno
Che nasce allor ch’ai nostri ègiunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto
Ignotaimmensa terra al tuo viaggio
Fu gloriae del ritorno
Airischi. Ahi ahima conosciuto il mondo
Non cresceanzi si scemae assai più vasto
L’etra sonante e l’alma terra eil mare
Al fanciullinche non al saggioappare.

      Nostri sogni leggiadri ove son giti
Dell’ignotoricetto
D’ignoti abitatorio del diurno
Degli astrialbergoe del rimoto letto
Della giovane Aurorae delnotturno
Occulto sonno del maggior pianeta?
Ecco svaniro a unpunto
E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tuttoè similee discoprendo
Solo il nulla s’accresce. Anoi ti vieta
Il vero appena è giunto
O caro immaginar;da te s’apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Potertuo primo ne sottraggon gli anni;
E il conforto perì de’nostri affanni.

      Nascevi ai dolci sogni intantoe il primo
Solesplendeati in vista
Cantor vago dell’arme e degli amori
Chein età della nostra assai men trista
Empièr la vitadi felici errori:
Nova speme d’Italia. O torrio celle
Odonneo cavalieri
O giardinio palagi! a voi pensando
Inmille vane amenità si perde
La mente mia. Di vanitàdi belle
Fole e strani pensieri
Si componea l’umana vita:in bando
Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
Èspogliato alle cose? Il certo e solo
Veder che tutto è vanoaltro che il duolo.

      O Torquatoo Torquatoa noi l’eccelsa
Tua menteallorail pianto
A tenon altropreparava il cielo.
Ohmisero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciorreil gelo
Onde l’alma t’aveanch’era sìcalda
Cinta l’odio e l’immondo
Livor privato e de’tiranni. Amore
Amordi nostra vita ultimoinganno
T’abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve ilnullae il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore
Non sorsergli occhi tuoi; mercènon danno
L’ora estrema ti fu.Morte domanda
Chi nostro mal conobbee non ghirlanda.

      Torna torna fra noisorgi dal muto
E sconsolatoavello
Se d’angoscia sei vagoo miserando
Esemplo disciagura. Assai da quello
Che ti parve sì mesto e sìnefando
È peggiorato il viver nostro. O caro
Chi ticompiangeria
Sefuor che di se stessoaltri non cura?
Chistolto non direbbe il tuo mortale
Affanno anche oggidìseil grande e il raro
Ha nome di follia;
Nè livor piùma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? oquale
Se più de’ carmiil computar s’ascolta
Tiappresterebbe il lauro un’altra volta?

      Da te fino a quest’ora uom non è sorto
Osventurato ingegno
Pari all’italo nomealtro ch’unsolo
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo ferocea cuidal polo
Maschia virtùnon già da questa mia
Stancaed arida terra
Venne nel petto; onde privatoinerme
(Memorandoardimento) in su la scena
Mosse guerra a’ tiranni: almen sidia
Questa misera guerra
E questo vano campo all’ireinferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena
Scesee nullo il seguìche l’ozio e il brutto
Silenzio orpreme ai nostri innanzi a tutto.

      Disdegnando e fremendoimmacolata
Trasse la vitaintera
E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittoriomioquesta per te non era
Età nè suolo. Altri annied altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghiviviamoe scorti
Da mediocrità: sceso il sapiente
Esalita è la turba a un sol confine
Che il mondo agguaglia.O scopritor famoso
Segui; risveglia i morti
Poi che dormono ivivi; arma le spente
Lingue de’ prischi eroi; tanto che infine
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad attiillustrio si vergogni.  
 


IV.
NELLENOZZE
DELLA SORELLA PAOLINA.



      Poiche del patrio nido
I silenzi lasciandoe le beate
Larve el’antico errorceleste dono
Ch’abbella agli occhi tuoiquest’ermo lido
Te nella polve della vita e il suono
Traggeil destin; l’obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noiprescrisse impara
Sorella miache in gravi
E luttuositempi
L’infelice famiglia all’infelice
Italiaaccrescerai. Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi. Auresoavi
L’empio fato interdice
All’umana virtude
Nèpura in gracil petto alma si chiude.

      O miseri o codardi
Figliuoli avrai. Miseri eleggi.Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume.Ahi troppo tardi
E nella sera dell’umane cose
Acquistaoggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nelpetto sieda
Questa sovr’ogni cura
Che di fortunaamici
Non crescano i tuoi figlie non di vile
Timor gioco o dispeme: onde felici
Sarete detti nell’etàfutura:
Poichè (nefando stile
Di schiatta ignava efinta)
Virtù viva sprezziamlodiamo estinta.

      Donneda voi non poco
La patria aspetta; e non indanno e scorno
Dell’umana progenie al dolce raggio
Dellepupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro ilsaggio
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno
Col divocarro accerchiaa voi s’inchina.
Ragion di nostra etate
Iochieggo a voi. La santa
Fiamma di gioventù dunque sispegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostranatura? e le assonnate
Mentie le voglie indegne
E di nervi edi polpe
Scemo il valor natioson vostre colpe?

      Ad atti egregi è sprone
Amorchi ben l’estimae d’alto affetto
Maestra è la beltà. D’amordigiuna
Siede l’alma di quello a cui nel petto
Non sirallegra il cor quando a tenzone
Scendono i ventie quando nembiaduna
L’olimpoe fiede le montagne il rombo
Dellaprocella. O spose
O verginettea voi
Chi de’ perigli èschivoe quei che indegno
È della patria e che sue brame esuoi
Volgari affetti in basso loco pose
Odio mova edisdegno;
Se nel femmineo core
D’uomini ardeanon difanciulleamore.

      Madri d’imbelle prole
V’incresca essernomate. I danni e il pianto
Della virtude a tollerar s’avvezzi
Lastirpe vostrae quel che pregia e cole
La vergognosa etàcondanni e sprezzi;
Cresca alla patriae gli alti gestiequanto
Agli avi suoi deggia la terra impari.
Qual de’vetusti eroi
Tra le memorie e il grido
Crescean di Sparta ifigli al greco nome;
Finchè la sposa giovanetta ilfido
Brando cingeva al caro latoe poi
Spandea le negrechiome
Sul corpo esangue e nudo
Quando e’ reddia nelconservato scudo.

      Virginiaa te la molle
Gota molcea con le celestidita
Beltade onnipossentee degli alteri
Disdegni tuoi sisconsolava il folle
Signor di Roma. Eri pur vagaed eri
Nellastagion ch’ai dolci sogni invita
Quando il rozzo paternoacciar ti ruppe
Il bianchissimo petto
E all’Ereboscendesti
Volonterosa. A me disfiori e scioglia
Vecchiezza imembrio padre; a me s’appresti
Diceala tombaanzi chel’empio letto
Del tiranno m’accoglia.
E se pur vita elena
Roma avrà dal mio sanguee tu mi svena.

      O generosaancora
Che più bello a’ tuoidì splendesse il sole
Ch’oggi non fapur consolata epaga
È quella tomba cui di pianto onora
L’almaterra nativa. Ecco alla vaga
Tua spoglia intorno la romuleaprole
Di nova ira sfavilla. Ecco di polve
Lorda il tiranno icrini;
E libertade avvampa
Gli obbliviosi petti; e nelladoma
Terra il marte latino arduo s’accampa
Dal buio poloai torridi confini.
Così l’eterna Roma
In duri ozisepolta
Femmineo fato avviva un’altra volta.  
 
 

V.
A UN VINCITORE

NEL PALLONE.



        Digloria il viso e la gioconda voce
Garzon bennatoapprendi
Equanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendiattendi
Magnanimo campion (s’alla veloce
Piena degli anniil tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome)attendi e ilcore
Movi ad alto desio. Te l’echeggiante
Arena e ilcircoe te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolarfavore;
Te rigoglioso dell’età novella
Oggi lapatria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.

      Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò ladestra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo
Che stupidomirò l’ardua palestra
Nè la palma beata e lacorona
D’emula brama il punse. E nell’Alfeo
Forse lechiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse
Talche le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de’Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Disconsolato grido
L’alto sen dell’Eufrate e il servolido.

      Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtùnativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negliegri petti avviva
Il caduco fervor? Le meste rote
Da poi cheFebo instigaaltro che gioco
Son l’opre de’ mortali? edè men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Ingannie di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dovel’insano
Costume ai forti errori esca non porse
Negli ozioscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.

      Tempo forse verrà ch’alle ruine
Delleitaliche moli
Insultino gli armentie che l’aratro
Sentanoi sette colli; e pochi Soli
Forse fien voltie le cittàlatine
Abiterà la cauta volpee l’atro
Boscomormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patriecose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fatie lamatura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fattocortese
Dal rimembrar delle passate imprese.

      Alla patria infeliceo buon garzone
Sopravviver tidoglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del sertofulgeadi ch’ella è spoglia
Nostra colpa e fatal.Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s’onora:
Maper te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val? solo aspregiarla:
Beata allor che ne’ perigli avvolta
Se stessaobblianè delle putri e lente
Ore il danno misura e ilflutto ascolta;
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteopiù grata riede.  
 


VI.
BRUTO MINORE.



      Poiche diveltanella tracia polve
Giacque ruina immensa
L’italicavirtuteonde alle valli
D’Esperia verdee al tiberinolido
Il calpestio de’ barbari cavalli
Prepara il fatoedalle selve ignude
Cui l’Orsa algida preme
A spezzar leromane inclite mura
Chiama i gotici brandi;
Sudatoe molle difraterno sangue
Bruto per l’atra notte in erma sede
Fermogià di morirgl’inesorandi
Numi e l’avernoaccusa
E di feroci note
Invan la sonnolenta aura percote.

      Stolta virtùle cave nebbieicampi
Dell’inquiete larve
Son le tue scolee ti si volgea tergo
Il pentimento. A voimarmorei numi
(Se numi avete inFlegetonte albergo
O su le nubi) a voi ludibrio e scherno
Èla prole infelice
A cui templi chiedestee frodolenta
Legge almortale insulta.
Dunque tanto i celesti odii commove
La terrenapietà? dunque degli empi
SiediGiovea tutela? e quandoesulta
Per l’aere il nemboe quando
Il tuon rapidospingi
Ne’ giusti e pii la sacra fiamma stringi?

      Preme il destino invitto e la ferrata
Necessitàgl’infermi
Schiavi di morte: e se a cessar non vale
Glioltraggi lorde’ necessarii danni
Si consola il plebeo. Menduro è il male
Che riparo non ha? dolor non sente
Chi disperanza è nudo?
Guerra mortaleeternao fatoindegno
Teco il prode guerreggia
Di cedere inesperto; e latiranna
Tua destraallor che vincitrice il grava
Indomitoscrollando si pompeggia
Quando nell’alto lato
L’amaroferro intride
E maligno alle nere ombre sorride.

      Spiace agli Dei chi violento irrompe
Nel Tartaro. Nonfora
Tanto valor ne’ molli eterni petti.
Forse i travaglinostrie forse il cielo
I casi acerbi e gl’infeliciaffetti
Giocondo agli ozi suoi spettacol pose?
Non fra sciaguree colpe
Ma libera ne’ boschi e pura etade
Natura a noiprescrisse
Reina un tempo e Diva. Or poi ch’a terra
Sparsei regni beati empio costume
E il viver macro ad altre leggiaddisse;
Quando gl’infausti giorni
Virile almaricusa
Riede naturae il non suo dardo accusa?

      Di colpa ignare e de’ lor proprii danni
Lefortunate belve
Serena adduce al non previsto passo
La tardaetà. Ma se spezzar la fronte
Ne’ rudi tronchio damontano sasso
Dare al vento precipiti le membra
Lor suadesseaffanno;
Al misero desio nulla contesa
Legge arcana farebbe
Otenebroso ingegno. A voifra quante
Stirpi il cielo avvivòsoli fra tutte
Figli di Prometeola vita increbbe;
A voi lemorte ripe
Se il fato ignavo pende
Solio miseria voiGiove contende.

      E tu dal mar cui nostro sangue irriga
Candida lunasorgi
E l’inquieta notte e la funesta
All’ausoniovalor campagna esplori.
Cognati petti il vincitorcalpesta
Fremono i poggidalle somme vette
Roma anticaruina;
Tu sì placida sei? Tu la nascente
Lavinia prolee gli anni
Lieti vedestie i memorandi allori;
E tu su l’alpel’immutato raggio
Tacita verserai quando ne’ danni
Delservo italo nome
Sotto barbaro piede
Rintronerà quellasolinga sede.

      Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
E la fera el’augello
Del consueto obblio gravido il petto
L’altaruina ignora e le mutate
Sorti del mondo: e come prima iltetto
Rosseggerà del villanello industre
Al mattutinocanto
Quel desterà le vallie per le balze
Quellal’inferma plebe
Agiterà delle minori belve.
Ohcasi! oh gener vano! abbietta parte
Siam delle cose; e non letinte glebe
Non gli ululati spechi
Turbò nostrasciagura
Nè scolorò le stelle umana cura.

      Non io d’Olimpo o di Cocito i sordi
Regio laterra indegna
E non la notte moribondo appello;
Non tedell’atra morte ultimo raggio
Conscia futura età.Sdegnoso avello
Placàr singultiornàr parole edoni
Di vil caterva? In peggio
Precipitano i tempi; e mals’affida
A putridi nepoti
L’onor d’egregie mentie la suprema
De’ miseri vendetta. A me dintorno
Le penneil bruno augello avido roti;
Prema la ferae il nembo
Trattil’ignota spoglia;
E l’aura il nome e la memoriaaccoglia.  
 


VII.
ALLA PRIMAVERA
ODELLE FAVOLE ANTICHE.



      Perchèi celesti danni
Ristori il solee perchè l’aureinferme
Zefiro avvivionde fugata e sparta
Delle nubi la graveombra s’avvalla;
Credano il petto inerme
Gli augelli alventoe la diurna luce
Novo d’amor desionova speranza
Ne’penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commossebelve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane mentiriede
La bella etàcui la sciagura e l’atra
Facedel ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di febo iraggi al misero non sono
In sempiterno? ed anco
Primaveraodoratainspiri e tenti
Questo gelido corquesto ch’amara
Nelfior degli anni suoi vecchiezza impara?

      Vivi tuvivio santa
Natura? vivi e il dissuetoorecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già dicandide ninfe i rivi albergo
Placido albergo e specchio
Furo iliquidi fonti. Arcane danze
D’immortal piede i ruinosigioghi
Scossero e l’ardue selve (oggi romito
Nido de’venti): e il pastorel ch’all’ombre
Meridiane incerte edal fiorito
Margo adducea de’ fiumi
Le sitibonde agnellearguto carme
Sonar d’agresti Pani
Udì lungo leripe; e tremar l’onda
Videe stupìche non palese alguardo
La faretrata Diva
Scendea ne’ caldi fluttiedall’immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveolato e le verginee braccia.

      Vissero i fiori e l’erbe
Vissero i boschi un dì.Conscie le molli
Aurele nubi e la titania lampa
Furdell’umana genteallor che ignuda
Te per le piagge e icolli
Ciprigna lucealla deserta notte
Con gli occhi intentiil viator seguendo
Te compagna alla viate de’mortali
Pensosa immaginò. Che se gl’impuri
Cittadiniconsorzi e le fatali
Ire fuggendo e l’onte
Gl’ispiditronchi al petto altri nell’ime
Selve remoto accolse
Vivafiamma agitar l’esangui vene
Spirar le fogliee palpitarsegreta
Nel doloroso amplesso
Dafne o la mesta Fillio diClimene
Pianger credè la sconsolata prole
Quel chesommerse in Eridano il sole.

      Nè dell’umano affanno
Rigide balzeiluttuosi accenti
Voi negletti ferìr mentre levostre
Paurose latebre Eco solinga
Non vano error de’venti
Ma di ninfa abitò misero spirto
Cui grave amorcui duro fato escluse
Delle tenere membra. Ella per grotte
Pernudi scogli e desolati alberghi
Le non ignote ambasce e l’altee rotte
Nostre querele al curvo
Etra insegnava. E te d’umanieventi
Disse la fama esperto
Musico augel che tra chiomatobosco
Or vieni il rinascente anno cantando
E lamentarnell’alto
Ozio de’ campiall’aer muto efosco
Antichi danni e scellerato scorno
E d’ira e dipietà pallido il giorno.

  Manon cognato al nostro
Il gener tuo; quelle tue varie note
Dolornon formae te di colpa ignudo
Men caro assai la bruna valleasconde.
Ahi ahiposcia che vote
Son le stanze d’Olimpoe cieco il tuono
Per l’atre nubi e le montagneerrando
Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
Infreddo orror dissolve; e poi ch’estrano
Il suol nativoe disua prole ignaro
Le meste anime educa;
Tu le cure infelici e ifati indegni
Tu de’ mortali ascolta
Vaga naturae lafavilla antica
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi
E se de’nostri affanni
Cosa veruna in cielse nell’aprica
Terras’alberga o nell’equoreo seno
Pietosa nomaspettatrice almeno.  
 
VIII.
INNO AIPATRIARCHI
ODE’ PRINCIPI DEL GENERE UMANO.



      Evoi de’ figli dolorosi il canto
Voi dell’umana proleincliti padri
Lodando ridirà; molto all’eterno
Degli astri agitator più carie molto
Di noi menlacrimabili nell’alma
Luce prodotti. Immedicati affanni
Almisero mortalnascere al pianto
E dell’etereo lume assaipiù dolci
Sortir l’opaca tomba e il fato estremo
Non la pietànon la diritta impose
Legge del cielo. Ese di vostro antico
Error che l’uman seme alla tiranna
Possa de’ morbi e di sciagura offerse
Grido anticoragionaaltre più dire
Colpe de’ figlie irrequietoingegno
E demenza maggior l’offeso Olimpo
N’armaroincontrae la negletta mano
Dell’altrice natura; onde laviva
Fiamma n’increbbee detestato il parto
Fu delgrembo maternoe violento
Emerse il disperato Erebo in terra.

      Tu primo il giornoe le purpuree faci
Delle rotanti sferee lanovella
Prole de’ campio duce antico e padre
Dell’umanafamigliae tu l’errante
Per li giovani prati aura contempli:
Quando le rupi e le deserte valli
Precipite l’alpinaonda feria
D’inudito fragor; quando gli ameni
Futuriseggi di lodate genti
E di cittadi romoroseignota
Paceregnava; e gl’inarati colli
Solo e muto ascendea l’apricoraggio
Di febo e l’aurea luna. Oh fortunata
Di colpeignara e di lugubri eventi
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
Al gener tuopadre infelicee quale
D’amarissimi casiordine immenso
Preparano i destini! Ecco di sangue
Gli avaricolti e di fraterno scempio
Furor novello incestae le nefande
Ali di morte il divo etere impara.
Trepidoerrante ilfratricidae l’ombre
Solitarie fuggendo e la secreta
Nelleprofonde selve ira de’ venti
Primo i civili tettialbergo eregno
Alle macere cureinnalza; e primo
Il disperatopentimento i ciechi
Mortali egroanelanteaduna e stringe
Ne’consorti ricetti: onde negata
L’improba mano al curvo aratroe vili
Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
Scellerateoccupòne’ corpi inerti
Domo il vigor natiolanguideignave
Giacquer le menti; e servitù leimbelli
Umane viteultimo dannoaccolse.

      E tu dall’etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiferi gioghiequoreo flutto
Scampi l’iniquo germeo tu cui prima
Dall’aer cieco e da’ natanti poggi
Segno arrecòd’instaurata spene
La candida colombae delle antiche
Nubil’occiduo Sol naufrago uscendo
L’atro polo di vaga iridipinse.
Riede alla terrae il crudo affetto e gli empi
Studirinnova e le seguaci ambasce
La riparata gente. Agl’inaccessi
Regni del mar vendicatore illude
Profana destrae lasciagura e il pianto
A novi liti e nove stelle insegna.

      Or tepadre de’ piite giusto e forte
E di tuo seme igenerosi alunni
Medita il petto mio. Dirò siccome
Sedenteoscuroin sul meriggio all’ombre
Del riposatoalbergoappo le molli
Rive del gregge tuo nutrici e sedi
Tede’ celesti peregrini occulte
Beàr l’etereementi; e qualeo figlio
Della saggia Rebeccain su la sera
Presso al rustico pozzo e nella dolce
Di pastori e di lietiozi frequente
Aranitica valleamor ti punse
Della vezzosaLabanide: invitto
Amorch’a lunghi esigli e lunghi affanni
E di servaggio all’odiata soma
Volenteroso il prode animoaddisse.

       Fu certofu (nè d’error vano e d’ombra
L’aoniocanto e della fama il grido
Pasce l’avida plebe) amica untempo
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa miserapiaggiaed aurea corse
Nostra caduca età. Non che dilatte
Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materneo con le greggi
Mista la tigre ai consueti ovili
Nèguidasse per gioco i lupi al fonte
Il pastorel; ma di suo fatoignara
E degli affanni suoivota d’affanno
Vissel’umana stirpe; alle secrete
Leggi del cielo e di naturaindutto
Valse l’ameno errorle fraudiil molle
Pristinovelo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.

        Tal fra le vaste californie selve
Nasce beata prolea cui nonsugge
Pallida cura il pettoa cui le membra
Fera tabe nondoma; e vitto il bosco
Nidi l’intima rupeonde ministra
L’irrigua valleinopinato il giorno
Dell’atramorte incombe. Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermiregni
Della saggia natura! I lidi e gli antri
E le quieteselve apre l’invitto
Nostro furor; le violate genti
Alperegrino affannoagl’ignorati
Desiri educa; e la fugaceignuda
Felicità per l’imo sole incalza.  
 
 


IX.
ULTIMOCANTO DI SAFFO.



      Placidanottee verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Frala tacita selva in su la rupe
Nunzio del giorno; oh dilettose ecare
Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato
Sembianzeagli occhi miei; già non arride
Spettacol molle aidisperati affetti.
Noi l’insueto allor gaudio ravviva
Quandoper l’etra liquido si volve
E per li campi trepidanti ilflutto
Polveroso de’ Notie quando il carro
Grave carrodi Giove a noi sul capo
Tonandoil tenebroso aere divide.
Noiper le balze e le profonde valli
Natar giova tra’ nembienoi la vasta
Fuga de’ greggi sbigottitio d’alto
Fiumealla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell’onda.

      Bello il tuo mantoo divo cieloe bella
Sei turorida terra.Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla miseraSaffo i numi e l’empia
Sorte non fenno. A’ tuoi superbiregni
Vileo naturae grave ospite addetta
E dispregiataamantealle vezzose
Tue forme il core e le pupilleinvano
Supplichevole intendo. A me non ride
L’apricomargoe dall’eterea porta
Il mattutino albor; me non ilcanto
De’ colorati augellie non de’ faggi
Ilmurmure saluta: e dove all’ombra
Degl’inchinati salicidispiega
Candido rivo il puro senoal mio
Lubrico pièle flessuose linfe
Disdegnando sottragge
E preme in fugal’odorate spiagge.

      Qual fallo maiqual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi ilnataleonde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna ilvolto?
In che peccai bambinaallor che ignara
Di misfatto èla vitaonde poi scemo
Di giovanezzae disfioratoalfuso
Dell’indomita Parca si volvesse
Il ferrigno miostame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Movearcano consiglio. Arcano è tutto
Fuor che il nostro dolor.Negletta prole
Nascemmo al piantoe la ragione in grembo
De’celesti si posa. Oh cureoh speme
De’ più verd’anni!Alle sembianze il Padre
Alle amene sembianze eterno regno
Diènelle genti; e per virili imprese
Per dotta lira o canto
Virtùnon luce in disadorno ammanto.

      Morremo. Il velo indegno a terra sparto
Rifuggirà l’ignudoanimo a Dite
E il crudo fallo emenderà delcieco
Dispensator de’ casi. E tu cui lungo
Amore indarnoe lunga fedee vano
D’implacato desio furor mi strinse
Vivifelicese felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Delsoave licor del doglio avaro
Giovepoi che perìrgl’inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni piùlieto
Giorno di nostra età primo s’invola.
Sottentrail morboe la vecchiezzae l’ombra
Della gelida morte.Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori
Il Tartarom’avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva
E l’atranottee la silente riva.  
 


X.
ILPRIMO AMORE.



      Tornamia mente il dì che la battaglia
D’amor sentii la primavoltae dissi:
Oimèse quest’è amorcom’eitravaglia!
      Che gli occhi alsuol tuttora intenti e fissi
Io mirava colei ch’a questocore
Primiera il varco ed innocente aprissi.
      Ahicome mal mi governastiamore!
Perchè seco dovea sìdolce affetto
Recar tanto desiotanto dolore?
      Enon serenoe non intero e schietto
Anzi pien di travaglio e dilamento
Al cor mi discendea tanto diletto?
      Dimmitenero coreor che spavento
Che angoscia era la tua fraquel pensiero
Presso al qual t’era noia ognicontento?
      Quel pensier che neldìche lusinghiero
Ti si offeriva nella nottequando
Tutto queto parea nell’emisfero:
      Tuinquietoe felice e miserando
M’affaticavi in su le piumeil fianco
Ad ogni or fortemente palpitando.
      Edove io tristo ed affannato e stanco
Gli occhi al sonno chiudeacome per febre
Rotto e deliro il sonno venia manco.
      Ohcome viva in mezzo alle tenebre
Sorgea la dolce imagoe gli occhichiusi
La contemplavan sotto alle palpebre!
      Ohcome soavissimi diffusi
Moti per l’ossa mi serpeanoohcome
Mille nell’alma instabiliconfusi
      Pensierisi volgean! qual tra le chiome
D’antica selva zefiroscorrendo
Un lungoincerto mormorar ne prome.
      Ementre io taccioe mentre io non contendo
Che dicevio mio corche si partia
Quella per che penando ivi e battendo?
      Ilcuocer non più tosto io mi sentia
Della vampa d’amorche il venticello
Che l’aleggiavavolossene via.
      Senzasonno io giacea sul dì novello
E i destrier che doveanfarmi deserto
Battean la zampa sotto al patrio ostello.
      Edio timido e cheto ed inesperto
Ver lo balcone al buioprotendea
L’orecchio avido e l’occhio indarnoaperto
      La voce ad ascoltarse ne dovea
Di quelle labbra uscirch’ultima fosse;
Lavocech’altro il cieloahimi togliea.
      Quantevolte plebea voce percosse
Il dubitoso orecchioe un gel miprese
E il core in forse a palpitar si mosse!
      Epoi che finalmente mi discese
La cara voce al coree de’cavai
E delle rote il romorio s’intese;
      Orborimaso allormi rannicchiai
Palpitando nel letto echiusi gliocchi
Strinsi il cor con la manoe sospirai.
      Posciatraendo i tremuli ginocchi
Stupidamente per la mutastanza
Ch’altro saràdiceache il cor mitocchi?
      Amarissima allor laricordanza
Locommisi nel pettoe mi serrava
Ad ogni voce ilcorea ogni sembianza.
      Elunga doglia il sen mi ricercava
Com’è quando adistesa Olimpo piove
Malinconicamente e i campi lava.
      Nedio ti conosceagarzon di nove
E nove Soliin questo a piangernato
Quando faceviamorle prime prove.
      Quandoin ispregio ogni piacernè grato
M’era degli astri ilrisoo dell’aurora
Queta il silenzioo il verdeggiar delprato.
      Anche di gloria amortaceami allora
Nel pettocui scaldar tanto solea
Che dibeltade amor vi fea dimora.
      Nègli occhi ai noti studi io rivolgea
E quelli m’apparian vaniper cui
Vano ogni altro desir creduto avea.
      Dehcome mai da me sì vario fui
E tanto amor mi tolse un altroamore?
Deh quantoin veritàvani siam nui!
      Soloil mio cor piaceamie col mio core
In un perenne ragionarsepolto
Alla guardia seder del mio dolore.
      El’occhio a terra chino o in se raccolto
Di riscontrarsifuggitivo e vago
Nè in leggiadro soffria nè in turpevolto:
       Che la illibatalacandida imago
Turbare egli temea pinta nel seno
Come all’auresi turba onda di lago.
      E queldi non aver goduto appieno
Pentimentoche l’anima cigrava
E il piacer che passò cangia in veleno
      Perli fuggiti dì mi stimolava
Tuttora il sen: che la vergognail duro
Suo morso in questo cor già non oprava.
      Alcieloa voigentili animeio giuro
Che voglia non m’entròbassa nel petto
Ch’arsi di foco intaminato epuro.
      Vive quel foco ancorvive l’affetto
Spira nel pensier mio la bella imago
Dacuise non celestealtro diletto
      Giammainon ebbie sol di lei m’appago.  
 
 


XI.
ILPASSERO SOLITARIO.



      D’insu la vetta della torre antica
Passero solitarioallacampagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erral’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brillanell’ariae per li campi esulta
Sì ch’a mirarlaintenerisce il core.
Odi greggi belarmuggire armenti;
Glialtri augelli contentia gara insieme
Per lo libero ciel fanmille giri
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensosoin disparte il tutto miri;
Non compagninon voli
Non ti cald’allegriaschivi gli spassi;
Cantie cosìtrapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

      Oimèquanto somiglia
Al tuo costume il mio!Sollazzo e riso
Della novella età dolce famiglia
E tegerman di giovinezzaamore
Sospiro acerbo de’ provettigiorni
Non curoio non so come; anzi da loro
Quasi fuggolontano;
Quasi romitoe strano
Al mio loco natio
Passo delviver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede allasera
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo serenoun suon di squilla
Odi spesso un tonar di ferree canne
Cherimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
Lagioventù del loco
Lascia le casee per le vie si spande;
Emira ed è miratae in cor s’allegra.
Io solitario inquesta
Rimota parte alla campagna uscendo
Ogni diletto egioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Stesonell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti
Dopoil giorno sereno
Cadendo si dileguae par che dica
Che labeata gioventù vien meno.

      Tusolingo augellinvenuto a sera
Del viver chedaranno a te le stelle
Certo del tuo costume
Non ti dorrai;che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A mese divecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro
Quandomuti questi occhi all’altrui core
E lor fia vóto ilmondoe il dì futuro
Del dì presente piùnoioso e tetro
Che parrà di tal voglia?
Che diquest’anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommiespesso
Ma sconsolatovolgerommi indietro.  
 


XIII.
LASERA DEL DÌ DI FESTA.



      Dolcee chiara è la notte e senza vento
E queta sovra i tetti ein mezzo agli orti
Posa la lunae di lontan rivela
Serena ognimontagna. O donna mia
Già tace ogni sentieroe peibalconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormiche t’accolseagevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Curanessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piagam’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo cielche sìbenigno
Appare in vistaa salutar m’affaccio
E l’anticanatura onnipossente
Che mi fece all’affanno. A te laspeme
Negomi disseanche la speme; e d’altro
Nonbrillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fusolenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse tirimembra
In sogno a quanti oggi piacestie quanti
Piacquero ate: non ionon già ch’io speri
Al pensier tiricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi restie qui perterra
Mi gettoe gridoe fremo. Oh giorni orrendi
In cosìverde etate! Ahiper la via
Odo non lunge il solitariocanto
Dell’artigianche riede a tarda notte
Dopo isollazzial suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe ilcore
A pensar come tutto al mondo passa
E quasi orma nonlascia. Ecco è fuggito
Il dì festivoed al festivoil giorno
Volgar succedee se ne porta il tempo
Ogni umanoaccidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoliantichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosie il grande impero
Di quella Romae l’armie ilfragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tuttoè pace e silenzioe tutto posa
Il mondoe più dilor non si ragiona.
Nella mia prima etàquandos’aspetta
Bramosamente il dì festivoorposcia
Ch’egli era spentoio dolorosoin veglia
Premeale piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per lisentieri
Lontanando morire a poco a poco
Già similmentemi stringeva il core.  
 


XIV.
ALLA LUNA.



      Ograziosa lunaio mi rammento
Cheor volge l’annosovraquesto colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tupendevi allor su quella selva
Siccome or faiche tutta larischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sulciglioalle mie luci
Il tuo volto appariache travagliosa
Eramia vita: ed ènè cangia stile
O mia diletta luna.E pur mi giova
La ricordanzae il noverar l’etate
Del miodolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanilquando ancorlungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrardelle passate cose
Ancor che tristee che l’affanno duri! 
 


XV.
IL SOGNO.



      Erail mattinoe tra le chiuse imposte
Per lo balcone insinuava ilsole
Nella mia cieca stanza il primo albore;
Quando in sultempo che più leve il sonno
E più soave le pupilleadombra
Stettemi allato e riguardommi in viso
Il simulacro dicolei che amore
Prima insegnommie poi lasciommi in pianto.
Mortanon mi pareama tristae quale
Degl’infelici è lasembianza. Al capo
Appressommi la destrae sospirando
Vivimi dissee ricordanza alcuna
Serbi di noi? Donderisposiecome
Vienio cara beltà? Quantodeh quanto
Di te midolse e duol: nè mi credea
Che risaper tu lo dovessi; equesto
Facea più sconsolato il dolor mio.
Ma sei tu perlasciarmi un’altra volta?
Io n’ho gran tema. Or dimmieche t’avvenne?
Sei tu quella di prima? E che tistrugge
Internamente? Obblivione ingombra
I tuoi pensieriegli avviluppa il sonno;
Disse colei. Son mortae mivedesti
L’ultima voltaor son più lune.Immensa
Doglia m’oppresse a queste voci il petto.
Ellaseguì: nel fior degli anni estinta
Quand’è ilviver più dolcee pria che il core
Certo si renda com’ètutta indarno
L’umana speme. A desiar colei
Che d’ogniaffanno il traggeha poco andare
L’egro mortal; masconsolata arriva
La morte ai giovanettie duro è ilfato
Di quella speme che sotterra è spenta.
Vano èsaper quel che natura asconde
Agl’inesperti della vitaemolto
All’immatura sapienza il cieco
Dolor prevale. Ohsfortunataoh cara
Tacitacidiss’ioche tu mischianti
Con questi detti il cor. Dunque sei morta
O miadilettaed io son vivoed era
Pur fisso in ciel che quei sudoriestremi
Cotesta cara e tenerella salma
Provar dovessea merestasse intera
Questa misera spoglia? Oh quante volte
Inripensar che più non vivie mai
Non avverrà ch’ioti ritrovi al mondo
Creder nol posso. Ahi ahiche cosa èquesta
Che morte s’addimanda? Oggi per prova
Intenderlopotessie il capo inerme
Agli atroci del fato odiisottrarre.
Giovane sonma si consuma e perde
La giovanezza miacome vecchiezza;
La qual paventoe pur m’è lungeassai.
Ma poco da vecchiezza si discorda
Il fior dell’etàmia. Nascemmo al pianto
Disseambedue; felicità nonrise
Al viver nostro; e dilettossi il cielo
De’ nostriaffanni. Or se di pianto il ciglio
Soggiunsie di pallor velatoil viso
Per la tua dipartitae se d’angoscia
Portogravido il cor; dimmi: d’amore
Favilla alcunao di pietàgiammai
Verso il misero amante il cor t’assalse
Mentrevivesti? Io disperando allora
E sperando traea le notti e igiorni;
Oggi nel vano dubitar si stanca
La mente mia. Che seuna volta sola
Dolor ti strinse di mia negra vita
Non melcelarti pregoe mi soccorra
La rimembranza or che il futuro ètolto
Ai nostri giorni. E quella: ti conforta
O sventurato. Iodi pietade avara
Non ti fui mentre vissied or non sono
Chefui misera anch’io. Non far querela
Di questa infelicissimafanciulla.
Per le sventure nostree per l’amore
Che mistruggeesclamai; per lo diletto
Nome di giovanezza e laperduta
Speme dei nostri dìconcedio cara
Che la tuadestra io tocchi. Ed ellain atto
Soave e tristola porgeva. Ormentre
Di baci la ricoproe d’affannosa
Dolcezzapalpitando all’anelante
Seno la stringodi sudore ilvolto
Ferveva e il pettonelle fauci stava
La voceal guardotraballava il giorno.
Quando colei teneramente affissi
Gliocchi negli occhi mieigià scordio caro
Disseche dibeltà son fatta ignuda?
E tu d’amoreo sfortunatoindarno
Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
Nostre miserementi e nostre salme
Son disgiunte in eterno. A me non vivi
Emai più non vivrai: già ruppe il fato
La fe che migiurasti. Allor d’angoscia
Gridar volendoe spasimandoepregne
Di sconsolato pianto le pupille
Dal sonno mi disciolsi.Ella negli occhi
Pur mi restavae nell’incerto raggio
DelSol vederla io mi credeva ancora.  
 
 


XVII.
CONSALVO
.



      Pressoalla fin di sua dimora in terra
Giacea Consalvo; disdegnoso untempo
Del suo destino; or già non piùche amezzo
Il quinto lustrogli pendea sul capo
Il sospiratoobblio. Qual da gran tempo
Così giacea nel funeral suogiorno
Dai più diletti amici abbandonato:
Ch’amicoin terra al lungo andar nessuno
Resta a colui che della terra èschivo.
Pur gli era al fiancoda pietà condotta
Aconsolare il suo deserto stato
Quella che sola e sempre eragli amente
Per divina beltà famosa Elvira;
Conscia del suopoterconscia che un guardo
Suo lietoun detto d’alcundolce asperso
Ben mille volte ripetuto e mille
Nel costantepensiersostegno e cibo
Esser solea dell’infeliceamante:
Benchè nulla d’amor parola udita
Avess’ellada lui. Sempre in quell’alma
Era del gran desio stato piùforte
Un sovrano timor. Così l’avea
Fatto schiavo efanciullo il troppo amore.

      Ma ruppe alfin la morte il nodo antico
Alla sualingua. Poichè certi i segni
Sentendo di quel dì chel’uom discioglie
Leigià mossa a partirpresa permano
E quella man bianchissima stringendo
Disse: tu partiel’ora omai ti sforza:
Elviraaddio. Non ti vedròch’io creda
Un’altra volta. Or dunque addio. Tirendo
Qual maggior grazia mai delle tue cure
Dar possa illabbro mio. Premio daratti
Chi puòse premio ai pii dalciel si rende.
Impallidia la bellae il petto anelo
Udendo lesi fea: che sempre stringe
All’uomo il cor dogliosamenteancora
Ch’estranio siachi si diparte e dice
Addio persempre. E contraddir voleva
Dissimulando l’appressar delfato
Al moribondo. Ma il suo dir prevenne
Queglie soggiunse:desiatae molto
Come sairipregata a me discende
Nontemutala morte; e lieto apparmi
Questo feral mio dì.Pesamiè vero
Che te perdo per sempre. Oimè persempre
Parto da te. Mi si divide il core
In questo dir. Piùnon vedrò quegli occhi
Nè la tua voce udrò!Dimmi: ma pria
Di lasciarmi in eternoElviraun bacio
Nonvorrai tu donarmi? un bacio solo
In tutto il viver mio? Graziach’ei chiegga
Non si nega a chi muor. Nè giàvantarmi
Potrò del donoio semispentoa cui
Stranieraman le labbra oggi fra poco
Eternamente chiuderà. Ciòdetto
Con un sospiroall’adorata destra
Le fredde labbrasupplicando affisse.

      Stette sospesa e pensierosa in atto
La bellissimadonna; e fiso il guardo
Di mille vezzi sfavillanteinquello
Tenea dell’infeliceove l’estrema
Lacrimarilucea. Nè dielle il core
Di sprezzar la dimandae ilmesto addio
Rinacerbir col niego; anzi la vinse
Misericordiadei ben noti ardori.
E quel volto celestee quella bocca
Giàtanto desiatae per molt’anni
Argomento di sogno e disospiro
Dolcemente appressando al volto afflitto
E scoloratodal mortale affanno
Più baci e piùtutta benigna ein vista
D’alta pietàsu le convulse labbra
Deltrepidorapito amante impresse.

      Che divenisti allor? quali appariro
Vitamortesventura agli occhi tuoi
Fuggitivo Consalvo? Egli lamano
Ch’ancor teneadella diletta Elvira
Postasi al corche gli ultimi battea
Palpiti della morte e dell’amore
OhdisseElviraElvira mia! ben sono
In su la terra ancor; benquelle labbra
Fur le tue labbrae la tua mano io stringo!
Ahivision d’estintoo sognoo cosa
Incredibil mi par. DehquantoElvira
Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi
Non tifu l’amor mio per alcun tempo;
Non a tenon altrui; che nonsi cela
Vero amore alla terra. Assai palese
Agli attial voltosbigottitoagli occhi
Ti fu: ma non ai detti. Ancora esempre
Muto sarebbe l’infinito affetto
Che governa il cormiose non l’avesse
Fatto ardito il morir. Morròcontento
Del mio destino omainè più midolgo
Ch’aprii le luci al dì. Non vissiindarno
Poscia che quella bocca alla mia bocca
Premer fu dato.Anzi felice estimo
La sorte mia. Due cose belle ha il mondo:
Amoree morte. All’una il ciel mi guida
In sul fior dell’età;nell’altroassai
Fortunato mi tengo. Ahse una volta
Solouna volta il lungo amor quieto
E pago avessi tufora laterra
Fatta quindi per sempre un paradiso
Ai cangiati occhimiei. Fin la vecchiezza
L’abborrita vecchiezzaavreisofferto
Con riposato cor: che a sostentarla
Bastato sempre ilrimembrar sarebbe
D’un solo istantee il dir: felice iofui
Sovra tutti i felici. Ahima cotanto
Esser beato nonconsente il cielo
A natura terrena. Amar tant’oltre
Non èdato con gioia. E ben per patto
In poter del carnefice aiflagelli
Alle ruotealle faci ito volando
Sarei dalle tuebraccia; e ben disceso
Nel paventato sempiterno scempio.

     O ElviraElviraoh lui feliceoh sovra
Gl’immortalibeatoa cui tu schiuda
Il sorriso d’amor! feliceappresso
Chi per te sparga con la vita il sangue!
Licelice almortalnon è già sogno
Come stimai gran tempoahilice in terra
Provar felicità. Ciò seppi ilgiorno
Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte
Questom’accadde. E non però quel giorno
Con certo corgiammaifra tante ambasce
Quel fiero giorno biasimar sostenni.

      Or tu vivi beatae il mondo abbella
Elvira miacoltuo sembiante. Alcuno
Non l’amerà quant’iol’amai. Non nasce
Un altrettale amor. Quantodeh quanto
Dalmisero Consalvo in sì gran tempo
Chiamata fostielamentatae pianta!
Come al nome d’Elvirain corgelando
Impallidir; come tremar son uso
All’amaro calcardella tua soglia
A quella voce angelicaall’aspetto
Diquella fronteio ch’al morir non tremo!
Ma la lena e la vitaor vengon meno
Agli accenti d’amor. Passato è iltempo
Nè questo dì rimemorar m’èdato.
Elviraaddio. Con la vital favilla
La tua dilettaimmagine si parte
Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave
Nonti fu quest’affettoal mio feretro
Dimani all’annottarmanda un sospiro.

      Tacque: nè molto andòche a lui colsuono
Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo
Suo dìfelice gli fuggia dal guardo.  
 


XVIII.
ALLASUA DONNA.



      Carabeltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo ilviso
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti
O ne’campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura ilriso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oroha nome
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorteavara
Ch’a noi t’ascondeagli avvenir prepara?

       Viva mirarti omai
Nulla spenem’avanza;
S’allor non fosseallor che ignudo e solo
Pernovo calle a peregrina stanza
Verrà lo spirto mio. Giàsul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna
Te viatricein questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa interra
Che ti somigli; e s’anco pari alcuna
Ti fosse alvoltoagli attialla favella
Sariacosì conformeassaimen bella.

      Fra cotanto dolore
Quanto all’umana etàpropose il fato
Se vera e quale il mio pensier ti pinge
Alcunt’amasse in terraa lui pur fora
Questo viver beato:
Eben chiaro vegg’io siccome ancora
Seguir loda e virtùqual ne’ prim’anni
L’amor tuo mi farebbe. Or nonaggiunse
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
E teco lamortal vita saria
Simile a quella che nel cielo india.

      Per le valliove suona
Del faticoso agricoltore ilcanto
Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error chem’abbandona;
E per li poggiov’io rimembro e piagno
Iperduti desirie la perduta
Speme de’ giorni miei; di tepensando
A palpitar mi sveglio. E potess’io
Nel secoltetro e in questo aer nefando
L’alta specie serbar; chedell’imago
Poi che del ver m’è toltoassaim’appago.

      Se dell’eterne idee
L’una sei tucui disensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita
E fracaduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s’altraterra ne’ superni giri
Fra’ mondi innumerabilit’accoglie
E più vaga del Sol prossimastella
T’irraggiae più benigno etere spiri;
Diqua dove son gli anni infausti e brevi
Questo d’ignotoamante inno ricevi.  
 


XIX.
ALCONTE CARLO PEPOLI.



      Questoaffannoso e travagliato sonno
Che noi vita nomiamcomesopporti
Pepoli mio? di che speranze il core
Vai sostentando?in che pensieriin quanto
O gioconde o moleste opredispensi
L’ozio che ti lasciàr gli avi remoti
Graveretaggio e faticoso? È tutta
In ogni umano statoozio lavita
Se quell’oprarquel procurar che a degno
Obbiettonon intendeo che all’intento
Giunger mai non potriaben siconviene
Ozioso nomar. La schiera industre
Cui franger glebe ocurar piante e greggi
Vede l’alba tranquilla e vede ilvespro
Se oziosa diraida che sua vita
È per campar lavitae per se sola
La vita all’uom non ha pregionessuno
Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni
Tragge inozio il nocchiero; ozio il perenne
Sudar nelle officineozio levegghie
Son de’ guerrieri e il perigliar nell’armi;
Eil mercatante avaro in ozio vive:
Che non a senon ad altruilabella
Felicitàcui solo agogna e cerca
La naturamortalveruno acquista
Per cura o per sudorvegghia operiglio.
Pure all’aspro desire onde i mortali
Giàsempre infin dal dì che il mondo nacque
D’esser beatisospiraro indarno
Di medicina in loco apparecchiate
Nella vitainfelice avea natura
Necessità diversea cui nonsenza
Opra e pensier si provvedessee pieno
Poi che lieto nonpuòcorresse il giorno
All’umana famiglia; ondeagitato
E confuso il desiomen loco avesse
Al travagliarne ilcor. Così de’ bruti
La progenie infinitaa cui pursolo
Nè men vano che a noivive nel petto
Desiod’esser beati; a quello intenta
Che a lor vita èmestierdi noi men tristo
Condur si scopre e men gravoso iltempo
Nè la lentezza accagionar dell’ore.
Ma noiche il viver nostro all’altrui mano
Provveder commettiamouna più grave
Necessitàcui provveder nonpuote
Altri che noigià senza tedio e pena
Nonadempiam: necessitateio dico
Di consumar la vita: improbainvitta
Necessitàcui non tesoro accolto
Non di greggidoviziao pingui campi
Non aula puote e non purpureomanto
Sottrar l’umana prole. Or s’altria sdegno
Ivóti anni prendendoe la superna
Luce odiandol’omicidamano
I tardi fati a prevenir condotto
In se stesso non torce;al duro morso
Della brama insanabile che invano
Felicitàrichiedeesso da tutti
Lati cercandomille inefficaci
Medicineprocacciaonde quell’una
Cui natura apprestòmal sicompensa.

      Lui delle vesti e delle chiome il culto
E degli atti edei passie i vani studi
Di cocchi e di cavallie lefrequenti
Salee le piazze romorosee gli orti
Lui giochi ecene e invidiate danze
Tengon la notte e il giorno; a lui dallabbro
Mai non si parte il riso; ahima nel petto
Nell’imopettogravesaldaimmota
Come colonna adamantinasiede
Noiaimmortaleincontro a cui non puote
Vigor di giovanezzae non lacrolla
Dolce parola di rosato labbro
E non lo sguardo tenerotremante
Di due nere pupilleil caro sguardo
La piùdegna del ciel cosa mortale.

      Altriquasi a fuggir volto la trista
Umana sorteincangiar terre e climi
L’età spendendoe mari e poggierrando
Tutto l’orbe trascorreogni confine
Degli spaziche all’uom negl’infiniti
Campi del tutto la naturaaperse
Peregrinando aggiunge. Ahi ahis’asside
Su l’alteprue la negra curae sotto
Ogni climaogni cielsi chiamaindarno
Felicitàvive tristezza e regna.

      Havvi chi le crudeli opre di marte
Si elegge a passarl’oree nel fraterno
Sangue la man tinge per ozio; edhavvi
Chi d’altrui danni si confortae pensa
Con farmisero altrui far se men tristo
Sì che nocendo usarprocaccia il tempo.
E chi virtute o sapienza edarti
Perseguitando; e chi la propria gente
Conculcando el’estraneo di remoti
Lidi turbando la quiete antica
Colmercatarcon l’armie con le frodi
La destinata sua vitaconsuma.

      Te più mite desiocura più dolce
Reggenel fior di gioventùnel bello
April degli annialtruigiocondo e primo
Dono del cielma graveamaroinfesto
A chipatria non ha. Te punge e move
Studio de’ carmi e di ritrarparlando
Il bel che raro e scarso e fuggitivo
Appar nel mondoe quel che più benigna
Di natura e del cielfecondamente
Anoi la vaga fantasia produce
E il nostro proprio error. Ben millevolte
Fortunato colui che la caduca
Virtù del caroimmaginar non perde
Per volger d’anni; a cui serbareeterna
La gioventù del cor diedero i fati;
Che nellaferma e nella stanca etade
Così come solea nell’etàverde
In suo chiuso pensier natura abbella
Mortedesertoavviva. A te conceda
Tanta ventura il ciel; ti faccia un tempo
Lafavilla che il petto oggi ti scalda
Di poesia canuto amante. Iotutti
Della prima stagione i dolci inganni
Mancar giàsentoe dileguar dagli occhi
Le dilettose immaginichetanto
Amaiche sempre infino all’ora estrema
Mi fienoaricordarbramate e piante.
Or quando al tutto irrigidito efreddo
Questo petto sarànè degli aprichi
Campiil sereno e solitario riso
Nè degli augelli mattutini ilcanto
Di primaveranè per colli e piagge
Sotto limpidociel tacita luna
Commoverammi il cor; quando mi fia
Ognibeltate o di natura o d’arte
Fatta inanime e muta; ogni altosenso
Ogni tenero affettoignoto e strano;
Del mio soloconforto allor mendico
Altri studi men dolciin ch’ioriponga
L’ingrato avanzo della ferrea vita
Eleggerò.L’acerbo veroi ciechi
Destini investigar delle mortali
Edell’eterne cose; a che prodotta
A che d’affanni e dimiserie carca
L’umana stirpe; a quale ultimo intento
Leispinga il fato e la natura; a cui
Tanto nostro dolor diletti ogiovi;
Con quali ordini e leggi a che si volva
Questo arcanouniverso; il qual di lode
Colmano i saggiio d’ammirar sonpago.

      In questo specolar gli ozi traendo
Verrò: checonosciutoancor che tristo
Ha suoi diletti il vero. E se delvero
Ragionando talorfieno alle genti
O mal grati i mieidetti o non intesi
Non mi dorròche già del tuttoil vago
Desio di gloria antico in me fia spento:
Vana Diva nonpurma di fortuna
E del fato e d’amorDiva piùcieca.  
 
 


XX.
ILRISORGIMENTO.



      Credeich’al tutto fossero
In mesul fior degli anni
Mancati idolci affanni
Della mia prima età:
      Idolci affannii teneri
Moti del cor profondo
Qualunque cosaal mondo
Grato il sentir ci fa.

      Quantequerele e lacrime
Sparsi nel novo stato
Quando al mio corgelato
Prima il dolor mancò!
      Mancàrgli usati palpiti
L’amor mi venne meno
E irrigidito ilseno
Di sospirar cessò!

      Piansispogliataesanime
Fatta per me la vita;
La terrainaridita
Chiusa in eterno gel;
      Desertoil dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spentaper me la luna
Spente le stelle in ciel.

      Purdi quel pianto origine
Era l’antico affetto:
Nell’intimodel petto
Ancor viveva il cor.
      Chiedeal’usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezzamia
Era dolore ancor.

      Frapoco in me quell’ultimo
Dolore anco fu spento
E di piùfar lamento
Valor non mi restò.
      Giacqui:insensatoattonito
Non dimandai conforto:
Quasi perduto emorto
Il cor s’abbandonò.

      Qualfui! quanto dissimile
Da quel che tanto ardore
Che sìbeato errore
Nutrii nell’alma un dì!
      Larondinella vigile
Alle finestre intorno
Cantando al novogiorno
Il cor non mi ferì:

      Nonall’autunno pallido
In solitaria villa
La vespertinasquilla
Il fuggitivo Sol.
      Invanbrillare il vespero
Vidi per muto calle
Invan sonò lavalle
Del flebile usignol.

      Evoipupille tenere
Sguardi furtivierranti
Voi de’gentili amanti
Primoimmortale amor
      Edalla mano offertami
Candida ignuda mano
Foste voi pureinvano
Al duro mio sopor.

      D’ognidolcezza vedovo
Tristo; ma non turbato
Ma placido il miostato
Il volto era seren.
      Desideratoil termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nellospossato sen.

      Qualdell’età decrepita
L’avanzo ignudo e vile
Ioconducea l’aprile
Degli anni miei così:
      Cosìquegl’ineffabili
Giornio mio cortraevi
Che sìfugaci e brevi
Il cielo a noi sortì.

      Chidalla graveimmemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtùnova è questa
Questa che sento in me?
      Motisoaviimmagini
Palpitierror beato
Per sempre a voinegato
Questo mio cor non è?

      Sietepur voi quell’unica
Luce de’ giorni miei?
Gli affettich’io perdei
Nella novella età?
      Seal ciels’ai verdi margini
Ovunque il guardo mira
Tuttoun dolor mi spira
Tutto un piacer mi dà.

      Mecoritorna a vivere
La piaggiail boscoil monte;
Parla al miocore il fonte
Meco favella il mar.
      Chimi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardomio
Cangiato il mondo appar?

      Forsela spemeo povero
Mio corti volse un riso?
Ahi della spemeil viso
Io non vedrò mai più.
      Propriimi diede i palpiti
Naturae i dolci inganni.
Sopiro in me gliaffanni
L’ingenita virtù;

      Nonl’annullàr: non vinsela
Il fato e la sventura;
Noncon la vista impura
L’infausta verità.
      Dallemie vaghe immagini
So ben ch’ella discorda:
So che naturaè sorda
Che miserar non sa.

      Chenon del ben sollecita
Fuma dell’esser solo:
Purchèci serbi al duolo
Or d’altro a lei non cal.
      Soche pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che luifuggendoa prova
Schernisce ogni mortal.

      Cheignora il tristo secolo
Gl’ingegni e le virtudi;
Che mancaai degni studi
L’ignuda gloria ancor.
      Evoipupille tremule
Voiraggio sovrumano
So che splendeteinvano
Che in voi non brilla amor.

      Nessunoignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude unafavilla
Quel bianco petto in se.
      Anzid’altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d’unceleste foco
Disprezzo è la mercè.

      Pursento in me rivivere
Gl’inganni aperti e noti;
E de’suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
      Datemio corquest’ultimo
Spirtoe l’ardor natio
Ogniconforto mio
Solo da te mi vien.

      Mancanoil sentoall’anima
Altagentile e pura
La sortelanatura
Il mondo e la beltà.
      Mase tu vivio misero
Se non concedi al fato
Non chiameròspietato
Chi lo spirar mi dà.  
 
 


XXI.
ASILVIA.



      Silviarimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale
Quando beltàsplendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi
E tulieta epensosail limitare
Di gioventù salivi?

      Sonavan le quiete
Stanzee le vie dintorno
Al tuoperpetuo canto
Allor che all’opre femminili intenta
Sedeviassai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era ilmaggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.

      Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudatecarte
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la migliorparte
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gliorecchi al suon della tua voce
Ed alla man veloce
Chepercorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno
Le viedorate e gli orti
E quinci il mar da lungie quindi ilmonte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.

      Che pensieri soavi
Che speranzeche corio Silvia mia!
Qualeallor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi dicotanta speme
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato
Etornami a doler di mia sventura.
O naturao natura
Perchènon rendi poi
Quel che prometti allor? perchè ditanto
Inganni i figli tuoi?

      Tu pria che l’erbe inaridisse il verno
Da chiuso morbocombattuta e vinta
Perivio tenerella. E non vedevi
Il fiordegli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or dellenegre chiome
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nèteco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.

      Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli annimiei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come
Comepassata sei
Cara compagna dell’età mia nova
Mialacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I dilettil’amorl’opregli eventi
Onde cotanto ragionammoinsieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparirdel vero
Tumiseracadesti: e con la mano
La fredda morte eduna tomba ignuda
Mostravi di lontano.  
 


XXII.
LERICORDANZE.



      Vaghestelle dell’Orsaio non credea
Tornare ancor per uso acontemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti
E ragionar convoi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo
Edelle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempoe quantefole
Creommi nel pensier l’aspetto vostro
E delle luci avoi compagne! allora
Chetacitoseduto in verde zolla
Dellesere io solea passar gran parte
Mirando il cieloed ascoltando ilcanto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola erravaappo le siepi
E in su l’aiuolesusurrando al vento
Iviali odoratied i cipressi
Là nella selva; e sotto alpatrio tetto
Sonavan voci alternee le tranquille
Opre de’servi. E che pensieri immensi
Che dolci sogni mi spirò lavista
Di quel lontano marquei monti azzurri
Che di quascoproe che varcare un giorno
Io mi pensavaarcani mondiarcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del miofatoe quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentiercon la morte avrei cangiato.

      Nè mi diceva il cor che l’etàverde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgoselvaggiointra una gente
Zoticavil; cui nomi straniespesso
Argomento di riso e di trastullo
Son dottrina e saper;che m’odia e fugge
Per invidia non giàche non mitiene
Maggior di sema perchè tale estima
Ch’io mitenga in cor miosebben di fuori
A persona giammai non ne fosegno.
Qui passo gli anniabbandonatoocculto
Senz’amorsenza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol de’ malevolidivengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi
Esprezzator degli uomini mi rendo
Per la greggia ch’hoappresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; piùcaro
Che la fama e l’allorpiù che la pura
Lucedel giornoe lo spirar: ti perdo
Senza un dilettoinutilmentein questo
Soggiorno disumanointra gli affanni
O dell’aridavita unico fiore.

      Viene il vento recando il suon dell’ora
Dallatorre del borgo. Era conforto
Questo suonmi rimembraalle mienotti
Quando fanciullonella buia stanza
Per assidui terroriio vigilava
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch’iovegga o sentaonde un’immagin dentro
Non tornie un dolcerimembrar non sorga.
Dolce per se; ma con dolor sottentra
Ilpensier del presenteun van desio
Del passatoancor tristoe ildire: io fui.
Quella loggia colàvolta agli estremi
Raggidel dì; queste dipinte mura
Quei figurati armentie ilSol che nasce
Su romita campagnaagli ozi miei
Porser millediletti allor che al fianco
M’eraparlandoil mio possenteerrore
Sempreov’io fossi. In queste sale antiche
Alchiaror delle neviintorno a queste
Ampie finestre sibilando ilvento
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo chel’acerboindegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Piendi dolcezza; indelibataintera
Il garzoncelcome inespertoamante
La sua vita ingannevole vagheggia
E celeste beltàfingendo ammira.

      O speranzesperanze; ameni inganni
Della mia primaetà! sempreparlando
Ritorno a voi; che per andar ditempo
Per variar d’affetti e di pensieri
Obbliarvi nonso. Fantasmiintendo
Son la gloria e l’onor; diletti ebeni
Mero desio; non ha la vita un frutto
Inutile miseria. Esebben vóti
Son gli anni mieisebben desertooscuro
Ilmio stato mortalpoco mi toglie
La fortunaben veggo. Ahimaqualvolta
A voi ripensoo mie speranze antiche
Ed a quel caroimmaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
Esì dolentee che la morte è quello
Che di cotantaspeme oggi m’avanza;
Sento serrarmi il corsento ch’altutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questainvocata morte
Sarammi allatoe sarà giunto il fine
Dellasventura mia; quando la terra
Mi fia straniera vallee dal miosguardo
Fuggirà l’avvenir; di voi percerto
Risovverrammi; e quell’imago ancora
Sospirar mifaràfarammi acerbo
L’esser vissuto indarnoe ladolcezza
Del dì fatal tempererà d’affanno.

      E già nel primo giovanil tumulto
Di contentid’angosce e di desio
Morte chiamai più volteelungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso dicessar dentro quell’acque
La speme e il dolor mio. Posciaper cieco
Malorcondotto della vita in forse
Piansi la bellagiovanezzae il fiore
De’ miei poveri dìche sìper tempo
Cadeva: e spesso all’ore tardeassiso
Sulconscio lettodolorosamente
Alla fioca lucerna poetando
Lamentaico’ silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirtoed a mestesso
In sul languir cantai funereo canto.

      Chi rimembrar vi può senza sospiri
O primo entrar digiovinezzao giorni
Vezzosiinenarrabiliallor quando
Alrapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a garaintorno
Ogni cosa sorride; invidia tace
Non desta ancora ovverbenigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destrasoccorrevole gli porge
Scusa gli errori suoifesteggia ilnovo
Suo venir nella vitaed inchinando
Mostra che per signorl’accolga e chiami?
Fugaci giorni! a somigliar d’unlampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esserpuòse a lui già scorsa
Quella vaga stagionse ilsuo buon tempo
Se giovanezzaahi giovanezzaè spenta?

      O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? cadutaforse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita
Che qui sola di tela ricordanza
Trovodolcezza mia? Più non ti vede
QuestaTerra natal: quella finestra
Ond’eri usata favellarmiedonde
Mesto riluce delle stelle il raggio
È deserta. Oveseiche più non odo
La tua voce sonarsiccome ungiorno
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuoch’ame giungesseil volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giornituoi
Furomio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per laterra oggi è sortito
E l’abitar questi odoraticolli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Ividanzando; in fronte
La gioia ti splendeasplendea negliocchi
Quel confidente immaginarquel lume
Di gioventùquando spegneali il fato
E giacevi. Ahi Nerina! In cor miregna
L’antico amor. Se a feste anco talvolta
Se aradunanze io movoinfra me stesso
Dico: o Nerinaa radunanzeafeste
Tu non ti acconci piùtu più non movi.
Setorna maggioe ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando allefanciulle
Dico: Nerina miaper te non torna
Primaveragiammainon torna amore.
Ogni giorno serenoogni fiorita
Piaggiach’io miroogni goder ch’io sento
Dico: Nerina or piùnon gode; i campi
L’aria non mira. Ahi tu passastieterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D’ogni miovago immaginardi tutti
I miei teneri sensii tristi e cari
Motidel corla rimembranza acerba.   
 


XXIII.
CANTONOTTURNO
DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA.



      Chefai tulunain ciel? dimmiche fai
Silenziosa luna?
Sorgila serae vai
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor nonsei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi aschivoancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tuavita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move lagreggia oltre pel campoe vede
Greggifontane ed erbe;
Poistanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmioluna: a che vale
Al pastor la sua vita
La vostra vita a voi?dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve
Il tuo corsoimmortale?

      Vecchierel biancoinfermo
Mezzo vestito escalzo
Con gravissimo fascio in su le spalle
Per montagna eper valle
Per sassi acutied alta renae fratte
Al ventoalla tempestae quando avvampa
L’orae quando poigela
Corre viacorreanela
Varca torrenti e stagni
Caderisorgee più e più s’affretta
Senza posa oristoro
Lacerosanguinoso; infin ch’arriva
Colàdove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orridoimmenso
Ov’ei precipitandoil tutto obblia.
Verginelunatale
È la vita mortale.

      Nasce l’uomo a fatica
Ed è rischio dimorte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e insul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende aconsolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene
L’unoe l’altro il sostienee via pur sempre
Con atti e conparole
Studiasi fargli core
E consolarlo dell’umanostato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti allalor prole.
Ma perchè dare al sole
Perchè reggerein vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita èsventura
Perchè da noi si dura?
Intatta lunatale
Èlo stato mortale.
Ma tu mortal non sei
E forse del mio dirpoco ti cale.

      Pur tusolingaeterna peregrina
Che sì pensosa seituforse intendi
Questo viver terreno
Il patir nostroilsospirarche sia;
Che sia questo morirquesto supremo
Scolorardel sembiante
E perir dalla terrae venir meno
Ad ogni usataamante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perchè dellecosee vedi il frutto
Del mattindella sera
Del tacitoinfinito andar del tempo.
Tu saitu certoa qual suo dolceamore
Rida la primavera
A chi giovi l’ardoree cheprocacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tumille discopri
Che son celate al semplice pastore.
Spessoquand’io ti miro
Star così muta in sul desertopiano
Chein suo giro lontanoal ciel confina;
Ovver con lamia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro incielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tantefacelle?
Che fa l’aria infinitae quel profondo
Infinitoseren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io chesono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata esuperba
E dell’innumerabile famiglia;
Poi di tantoadoprardi tanti moti
D’ogni celesteogni terrenacosa
Girando senza posa
Per tornar sempre là donde sonmosse;
Uso alcunoalcun frutto
Indovinar non so. Ma tu percerto
Giovinetta immortalconosci il tutto.
Questo io conoscoe sento
Che degli eterni giri
Che dell’esser miofrale
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; ame la vita è male.

      O greggia mia che posioh te beata
Che la miseriatuacredonon sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchèd’affanno
Quasi libera vai;
Ch’ogni stentoognidanno
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchègiammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombrasovral’erbe
Tu se’ queta e contenta;
E gran partedell’anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io purseggo sovra l’erbeall’ombra
E un fastidiom’ingombra
La menteed uno spron quasi mi punge
Sìchesedendopiù che mai son lunge
Da trovar pace oloco.
E pur nulla non bramo
E non ho fino a qui cagion dipianto.
Quel che tu goda o quanto
Non so già dir; mafortunata sei.
Ed io godo ancor poco
O greggia mianèdi ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessiiochiederei:
Dimmi: perchè giacendo
A bell’agioozioso
S’appaga ogni animale;
Mes’io giaccio inriposoil tedio assale?

      Forse s’avess’io l’ale
Da volar su lenubi
E noverar le stelle ad una ad una
O come il tuono errardi giogo in giogo
Più felice sareidolce mia greggia
Piùfelice sareicandida luna.
O forse erra dal vero
Mirandoall’altrui sorteil mio pensiero:
Forse in qual formainquale
Stato che siadentro covile o cuna
È funesto achi nasce il dì natale.  
 
 


XXIV.
LAQUIETE DOPO LA TEMPESTA.



      Passataè la tempesta:
Odo augelli far festae la gallina
Tornatain su la via
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe làda ponentealla montagna;
Sgombrasi la campagna
E chiaronella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegrain ognilato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigianoa mirar l’umido cielo
Con l’opra in mancantando
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor lafemminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
El’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il gridogiornaliero.
Ecco il Sol che ritornaecco sorride
Per li poggie le ville. Apre i balconi
Apre terrazzi e logge la famiglia:
Edalla via correnteodi lontano
Tintinnio di sonagli; il carrostride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

      Si rallegra ogni core.
Sì dolcesìgradita
Quand’ècom’orla vita?
Quando contanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O tornaall’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi mensi ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vanach’èfrutto
Del passato timoreonde si scosse
E paventò lamorte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento
Freddetacitesmorte
Sudàr le genti e palpitàrvedendo
Mossi alle nostre offese
Folgorinembi e vento.

      O natura cortese
Son questi i doni tuoi
Questi idiletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
Èdiletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneosorge: e di piacerquel tanto
Che per mostro e miracolotalvolta
Nasce d’affannoè gran guadagno. Umana
Prolecara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcundolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.  
 


XXV.
ILSABATO DEL VILLAGGIO
. 



      Ladonzelletta vien dalla campagna
In sul calar del sole
Col suofascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e diviole
Ondesiccome suole
Ornare ella si appresta
Dimanial dì di festail petto e il crine.
Siede con le vicine
Sula scala a filar la vecchierella
Incontro là dove si perdeil giorno;
E novellando vien del suo buon tempo
Quando ai dìdella festa ella si ornava
Ed ancor sana e snella
Solea danzarla sera intra di quei
Ch’ebbe compagni dell’etàpiù bella.
Già tutta l’aria imbruna
Tornaazzurro il serenoe tornan l’ombre
Giù da’ collie da’ tetti
Al biancheggiar della recente luna.
Or lasquilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suondiresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su lapiazzuola in frotta
E qua e là saltando
Fanno un lietoromore:
E intanto riede alla sua parca mensa
Fischiandoilzappatore
E seco pensa al dì del suo riposo.

      Poi quando intorno è spenta ogni altra face
Etutto l’altro tace
Odi il martel picchiareodi la sega
Dellegnaiuolche veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna
Es’affrettae s’adopra
Di fornir l’opra anzi ilchiarir dell’alba.

      Questo di sette è il più graditogiorno
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza enoia
Recheran l’oreed al travaglio usato
Ciascuno in suopensier farà ritorno.

      Garzoncello scherzoso
Cotesta età fiorita
Ècome un giorno d’allegrezza pieno
Giorno chiarosereno
Cheprecorre alla festa di tua vita.
Godifanciullo mio; statosoave
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’;ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.  
 


XXVI.
ILPENSIERO DOMINANTE.



      Dolcissimopossente
Dominator di mia profonda mente;
Terribilemacaro
Dono del ciel; consorte
Ai lúgubri mieigiorni
Pensier che innanzi a me sì spesso torni.

      Di tua natura arcana
Chi non favella? il suo poter franoi
Chi non sentì? Pur sempre
Che in dir gli effettisuoi
Le umane lingue il sentir propio sprona
Par novo adascoltar ciò ch’ei ragiona.

      Come solinga è fatta
La mente mia d’allora
Chetu quivi prendesti a far dimora!
Ratto d’intorno intorno alpar del lampo
Gli altri pensieri miei
Tutti si dileguàr.Siccome torre
In solitario campo
Tu stai sologiganteinmezzo a lei.

      Che divenute sonfuor di te solo
Tutte l’opreterrene
Tutta intera la vita al guardo mio!
Che intollerabilnoia
Gli ozii commerci usati
E di vano piacer la vanaspene
Allato a quella gioia
Gioia celeste che da te mi viene!

      Come da’ nudi sassi
Dello scabro Apennino
A uncampo verde che lontan sorrida
Volge gli occhi bramoso ilpellegrino;
Tal io dal secco ed aspro
Mondano conversarvogliosamente
Quasi in lieto giardinoa te ritorno
E ristorai miei sensi il tuo soggiorno.

     Quasi incredibil parmi
Che la vita infelice e il mondosciocco
Già per gran tempo assai
Senza tesopportai;
Quasi intender non posso
Come d’altridesiri
Fuor ch’a te somigliantialtri sospiri.

      Giammai d’allor che in pria
Questa vita che siaper prova intesi
Timor di morte non mi strinse il petto.
Oggimi pare un gioco
Quella che il mondo inetto
Talor lodandoognora abborre e trema
Necessitade estrema;
E se periglioapparcon un sorriso
Le sue minacce a contemplar m’affiso.

      Sempre i codardie l’alme
Ingeneroseabbiette
Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno
Subito isensi miei;
Move l’alma ogni esempio
Dell’umana viltàsubito a sdegno.
Di questa età superba
Che di votesperanze si nutrica
Vaga di ciancee di virtùnemica;
Stoltache l’util chiede
E inutile lavita
Quindi più sempre divenir non vede;
Maggior misento. A scherno
Ho gli umani giudizi; e il vario volgo
A’bei pensieri infesto
E degno tuo disprezzatorcalpesto.

      A quello onde tu movi
Quale affetto non cede?
Anziqual altro affetto
Se non quell’uno intra i mortali hasede?
Avariziasuperbiaodiodisdegno
Studio d’onordi regno
Che sono altro che voglie
Al paragon di lui? Solo unaffetto
Vive tra noi: quest’uno
Prepotentesignore
Dieder l’eterne leggi all’uman core.

      Pregio non hanon ha ragion la vita
Se non per luiper lui ch’all’uomo è tutto;
Sola discolpa alfato
Che noi mortali in terra
Pose a tanto patir senz’altrofrutto;
Solo per cui talvolta
Non alla gente stoltaal cornon vile
La vita della morte è più gentile.

      Per còr le gioie tuedolce pensiero
Provargli umani affanni
E sostener molt’anni
Questa vitamortalfu non indegno;
Ed ancor tornerei
Così qual sonde’ nostri mali esperto
Verso un tal segno a incominciare ilcorso:
Che tra le sabbie e tra il vipereo morso
Giammai finorsì stanco
Per lo mortal deserto
Non venni a techequeste nostre pene
Vincer non mi paresse un tanto bene.

      Che mondo maiche nova
Immensitàche paradisoè quello
Là dove spesso il tuo stupendoincanto
Parmi innalzar! dov’io
Sott’altra luce chel’usata errando
Il mio terreno stato
E tutto quanto ilver pongo in obblio!
Tali soncredoi sogni
Degl’immortali.Ahi finalmente un sogno
In molta parte onde s’abbella ilvero
Sei tudolce pensiero;
Sogno e palese error. Ma dinatura
Infra i leggiadri errori
Divina sei; perchè sìviva e forte
Che incontro al ver tenacemente dura
E spesso alver s’adegua
Nè si dilegua priache in grembo amorte.

      E tu per certoo mio pensiertu solo
Vitale aigiorni miei
Cagion diletta d’infiniti affanni
Meco saraiper morte a un tempo spento:
Ch’a vivi segni dentro l’almaio sento
Che in perpetuo signor dato mi sei.
Altri gentiliinganni
Soleami il vero aspetto
Più sempre infievolir.Quanto più torno
A riveder colei
Della qual tecoragionando io vivo
Cresce quel gran diletto
Cresce quel grandelirioond’io respiro.
Angelica beltade!
Parmi ogni piùbel voltoovunque io miro
Quasi una finta imago
Il tuo voltoimitar. Tu sola fonte
D’ogni altra leggiadria
Sola verabeltà parmi che sia.

      Da che ti vidi pria
Di qual mia seria cura ultimoobbietto
Non fosti tu? quanto del giorno è scorso
Ch’iodi te non pensassi? ai sogni miei
La tua sovrana imago
Quantevolte mancò? Bella qual sogno
Angelica sembianza
Nellaterrena stanza
Nell’alte vie dell’universo intero
Chechiedo io maiche spero
Altro che gli occhi tuoi veder piùvago?
Altro più dolce aver che il tuo pensiero?  
 


XXVII.
AMOREE MORTE.



      Fratellia un tempo stessoAmore e Morte
Ingenerò la sorte.
Cosequaggiù sì belle
Altre il mondo non hanon han lestelle.
Nasce dall’uno il bene
Nasce il piacermaggiore
Che per lo mar dell’essere si trova;
L’altraogni gran dolore
Ogni gran male annulla.
Bellissimafanciulla
Dolce a vedernon quale
La si dipinge la codardagente
Gode il fanciullo Amore
Accompagnar sovente;
Esorvolano insiem la via mortale
Primi conforti d’ogni saggiocore.
Nè cor fu mai più saggio
Che percossod’amornè mai più forte
Sprezzòl’infausta vita
Nè per altro signore
Come perquesto a perigliar fu pronto:
Ch’ove tu porgi aita
Amornasce il coraggio
O si ridesta; e sapiente in opre
Non inpensiero invansiccome suole
Divien l’umana prole.

      Quando novellamente
Nasce nel cor profondo
Unamoroso affetto
Languido e stanco insiem con esso in petto
Undesiderio di morir si sente:
Comenon so: ma tale
D’amorvero e possente è il primo effetto.
Forse gli occhispaura
Allor questo deserto: a se la terra
Forse il mortaleinabitabil fatta
Vede omai senza quella
Novasolainfinita
Felicità che il suo pensier figura:
Ma percagion di lei grave procella
Presentendo in suo corbramaquiete
Brama raccorsi in porto
Dinanzi al fier disio
Chegiàrugghiandointorno intorno oscura.

      Poiquando tutto avvolge
La formidabil possa
Efulmina nel cor l’invitta cura
Quante volte implorata
Condesiderio intenso
Mortesei tu dall’affannosoamante!
Quante la serae quante
Abbandonando all’alba ilcorpo stanco
Se beato chiamò s’indi giammai
Nonrilevasse il fianco
Nè tornasse a veder l’amaraluce!
E spesso al suon della funebre squilla
Al canto checonduce
La gente morta al sempiterno obblio
Con piùsospiri ardenti
Dall’imo petto invidiò colui
Chetra gli spenti ad abitar sen giva.
Fin la negletta plebe
L’uomdella villaignaro
D’ogni virtù che da saperderiva
Fin la donzella timidetta e schiva
Che già dimorte al nome
Sentì rizzar le chiome
Osa alla tombaalle funeree bende
Fermar lo sguardo di costanza pieno
Osaferro e veleno
Meditar lungamente
E nell’indotta mente
Lagentilezza del morir comprende.
Tanto alla morte inclina
D’amorla disciplina. Anco sovente
A tal venuto il gran travagliointerno
Che sostener nol può forza mortale
O cede ilcorpo frale
Ai terribili motie in questa forma
Pel fraternopoter Morte prevale;
O così sprona Amor là nelprofondo
Che da se stessi il villanello ignaro
La teneradonzella
Con la man violenta
Pongon le membra giovanili interra.
Ride ai lor casi il mondo
A cui pace e vecchiezza ilciel consenta.

      Ai fervidiai felici
Agli animosi ingegni
L’unoo l’altro di voi conceda il fato
Dolci signoriamici
All’umana famiglia
Al cui poter nessun potersomiglia
Nell’immenso universoe non l’avanza
Senon quella del fatoaltra possanza.
E tucui già dalcominciar degli anni
Sempre onorata invoco
Bella Mortepietosa
Tu sola al mondo dei terreni affanni
Se celebratamai
Fosti da mes’al tuo divino stato
L’onte delvolgo ingrato
Ricompensar tentai
Non tardar piùt’inchina
A disusati preghi
Chiudi alla luce omai
Questiocchi tristio dell’età reina.
Me certo troveraiqual si sia l’ora
Che tu le penne al mio pregardispieghi
Erta la frontearmato
E renitente al fato
Laman che flagellando si colora
Nel mio sangue innocente
Nonricolmar di lode
Non benedircom’usa
Per antica viltàl’umana gente;
Ogni vana speranza onde consola
Se coifanciulli il mondo
Ogni conforto stolto
Gittar da me;null’altro in alcun tempo
Sperarse non te sola;
Soloaspettar sereno
Quel dì ch’io pieghi addormentato ilvolto
Nel tuo virgineo seno.  
 


XXVIII.
ASE STESSO.



      Or poserai per sempre
Stanco mio cor. Perìl’inganno estremo
Ch’eterno io mi credei. Perì.Ben sento
In noi di cari inganni
Non che la spemeildesiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti.Non val cosa nessuna
I moti tuoinè di sospiri èdegna
La terra. Amaro e noia
La vitaaltro mai nulla; e fangoè il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
L’ultimavolta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omaidisprezza
Tela naturail brutto
Poter cheascosoa comundanno impera
E l’infinita vanità del tutto.  
 


XXIX.
ASPASIA.



      Torna dinanzi al mio pensier talora
Il tuo sembianteAspasia. O fuggitivo
Per abitati lochi a me lampeggia
In altrivolti; o per deserti campi
Al dì serenoalle tacentistelle
Da soave armonia quasi ridesta
Nell’alma asgomentarsi ancor vicina
Quella superba vision risorge.
Quantoadoratao numie quale un giorno
Mia delizia ed erinni! E mainon sento
Mover profumo di fiorita piaggia
Nè di fioriolezzar vie cittadine
Ch’io non ti vegga ancor qual eri ilgiorno
Che ne’ vezzosi appartamenti accolta
Tutti odoratide’ novelli fiori
Di primaveradel color vestita
Dellabruna violaa me si offerse
L’angelica tua formainchino ilfianco
Sovra nitide pellie circonfusa
D’arcana voluttà;quando tudotta
Allettatricefervidi sonanti
Baci scoccavinelle curve labbra
De’ tuoi bambiniil niveo collointanto
Porgendoe lor di tue cagioni ignari
Con la manleggiadrissima stringevi
Al seno ascoso e desiato. Apparve
Novocielnova terrae quasi un raggio
Divino al pensier mio. Cosìnel fianco
Non punto inerme a viva forza impresse
Il tuobraccio lo stralche poscia fitto
Ululando portai finch’aquel giorno
Si fu due volte ricondotto il sole.

      Raggio divino al mio pensiero apparve
Donnala tuabeltà. Simile effetto
Fan la bellezza e i musicaliaccordi
Ch’alto mistero d’ignorati Elisi
Paionsovente rivelar. Vagheggia
Il piagato mortal quindi lafiglia
Della sua mentel’amorosa idea
Che gran parted’Olimpo in se racchiude
Tutta al volto ai costumi allafavella
Pari alla donna che il rapito amante
Vagheggiare edamar confuso estima.
Or questa egli non giàma quellaancora
Nei corporali amplessiinchina ed ama.
Alfin l’erroree gli scambiati oggetti
Conoscendos’adira; e spessoincolpa
La donna a torto. A quella eccelsa imago
Sorge di radoil femminile ingegno;
E ciò che inspira ai generosiamanti
La sua stessa beltàdonna non pensa
Nècomprender potria. Non cape in quelle
Anguste fronti ugualconcetto. E male
Al vivo sfolgorar di quegli sguardi
Speral’uomo ingannatoe mal richiede
Sensi profondisconosciutie molto
Più che viriliin chi dell’uomo al tutto
Danatura è minor. Che se più molli
E più tenuile membraessa la mente
Men capace e men forte anco riceve.

      Nè tu finor giammai quel che tu stessa
Inspirasti alcuntempo al mio pensiero
PotestiAspasiaimmaginar. Non sai
Chesmisurato amorche affanni intensi
Che indicibili moti e chedeliri
Movesti in me; nè verrà tempo alcuno
Chetu l’intenda. In simil guisa ignora
Esecutor di musiciconcenti
Quel ch’ei con mano o con la voce adopra
In chil’ascolta. Or quell’Aspasia è morta
Che tantoamai. Giace per sempreoggetto
Della mia vita un dì: senon se quanto
Pur come cara larvaad ora ad ora
Tornarcostuma e disparir. Tu vivi
Bella non solo ancorma bellatanto
Al parer mioche tutte l’altre avanzi.
Purquell’ardor che da te nacque è spento:
Perch’iote non amaima quella Diva
Che già vitaor sepolcrohanel mio core.
Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque
Suaceleste beltàch’ioper insino
Già dalprincipio conoscente e chiaro
Dell’esser tuodell’artie delle frodi
Pur ne’ tuoi contemplando i suoi begliocchi
Cupido ti seguii finch’ella visse
Ingannato nongiàma dal piacere
Di quella dolce somiglianza unlungo
Servaggio ed aspro a tollerar condotto.

      Or ti vantache il puoi. Narra che sola
Sei del tuosesso a cui piegar sostenni
L’altero capoa cui spontaneoporsi
L’indomito mio cor. Narra che prima
E spero ultimacertoil ciglio mio
Supplichevol vedestia te dinanzi
Metimidotremante (ardo in ridirlo
Di sdegno e di rossor)me di meprivo
Ogni tua vogliaogni parolaogni atto
Spiarsommessamentea’ tuoi superbi
Fastidi impallidirbrillarein volto
Ad un segno cortesead ogni sguardo
Mutar forma ecolor. Cadde l’incanto
E spezzato con essoa terrasparso
Il giogo: onde m’allegro. E sebben pieni
Di tedioalfin dopo il servire e dopo
Un lungo vaneggiarcontentoabbraccio
Senno con libertà. Che se d’affetti
Orbala vitae di gentili errori
È notte senza stelle a mezzoil verno
Già del fato mortale a me bastante
E confortoe vendetta è che su l’erba
Qui neghittoso immobilegiacendo
Il mar la terra e il ciel miro e sorrido.  
 


XXX.
SOPRAUN BASSO RILIEVO ANTICO SEPOLCRALE DOVE UNA GIOVANE MORTA ÈRAPPRESENTATA IN ATTO DI PARTIREACCOMIATANDOSI DAI SUOI.



      Dovevai? chi ti chiama
Lunge dai cari tuoi
Bellissimadonzella?
Solaperegrinandoil patrio tetto
Sì pertempo abbandoni? a queste soglie
Tornerai tu? farai tu lieti ungiorno
Questi ch’oggi ti son piangendo intorno?

      Asciutto il ciglio ed animosa in atto
Ma pur mestasei tu. Grata la via
O dispiacevol siatristo il ricetto
A cuimovi o giocondo
Da quel tuo grave aspetto
Mal s’indovina.Ahi ahinè già potria
Fermare io stesso in menèforse al mondo
S’intese ancorse in disfavore al cielo
Secara esser nomata
Se misera tu debbi o fortunata.

      Morte ti chiama; al cominciar del giorno
L’ultimoistante. Al nido onde ti parti
Non tornerai. L’aspetto
De’tuoi dolci parenti
Lasci per sempre. Il loco
A cui movièsotterra:
Ivi fia d’ogni tempo il tuo soggiorno.
Forsebeata sei; ma pur chi mira
Seco pensandoal tuo destinsospira.

      Mai non veder la luce
Eracredoil miglior. Ma nataal tempo
Che reina bellezza si dispiega
Nelle membra e nelvolto
Ed incomincia il mondo
Verso lei di lontano adatterrarsi;
In sul fiorir d’ogni speranzae molto
Primache incontro alla festosa fronte
I lúgubri suoi lampi ilver baleni;
Come vapore in nuvoletta accolto
Sotto forme fugaciall’orizzonte
Dileguarsi così quasi non sorta
Ecangiar con gli oscuri
Silenzi della tomba i dìfuturi
Questo se all’intelletto
Appar feliceinvade
D’alta pietade ai più costanti il petto.

      Madre temuta e pianta
Dal nascer giàdell’animal famiglia
Naturaillaudabil maraviglia
Cheper uccider partorisci e nutri
Se danno è delmortale
Immaturo perircome il consenti
In quei capiinnocenti?
Se benperchè funesta
Perchè sovraogni male
A chi si partea chi rimane in vita
Inconsolabilfai tal dipartita?

      Misera ovunque miri
Misera onde si volgaovericorra
Questa sensibil prole!
Piacqueti che delusa
Fosseancor dalla vita
La speme giovanil; piena d’affanni
L’ondadegli anni; ai mali unico schermo
La morte; e questa inevitabilsegno
Questaimmutata legge
Ponesti all’uman corso. Ahiperchè dopo
Le travagliose stradealmen la meta
Non ciprescriver lieta? anzi colei
Che per certo futura
Portiamsemprevivendoinnanzi all’alma
Colei che i nostridanni
Ebber solo conforto
Velar di neri panni
Cingerd’ombra sì trista
E spaventoso in vista
Piùd’ogni flutto dimostrarci il porto?

      Già se sventura è questo
Morir che tudestini
A tutti noi che senza colpaignari
Nèvolontari al vivere abbandoni
Certo ha chi more invidiabilsorte
A colui che la morte
Sente de’ cari suoi. Che se nelvero
Com’io per fermo estimo
Il vivere èsventura
Grazia il morirchi però mai potrebbe
Quelche pur si dovrebbe
Desiar de’ suoi cari il giornoestremo
Per dover egli scemo
Rimaner di se stesso
Vederd’in su la soglia levar via
La diletta persona
Con chipassato avrà molt’anni insieme
E dire a quella addiosenz’altra speme
Di riscontrarla ancora
Per la mondanavia;
Poi solitario abbandonato in terra
Guardando attornoall’ore ai lochi usati
Rimemorar la scorsa compagnia?
Comeahi comeo naturail cor ti soffre
Di strappar dallebraccia
All’amico l’amico
Al fratello ilfratello
La prole al genitore
All’amante l’amore: el’uno estinto
L’altro in vita serbar? Come potesti
Farnecessario in noi
Tanto dolorche sopravviva amando
Al mortaleil mortal? Ma da natura
Altro negli atti suoi
Che nostro male onostro ben si cura.  
 


XXXI.
SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA SCOLPITO NEL MONUMENTOSEPOLCRALE DELLA MEDESIMA.



      Tal fosti: or qui sotterra
Polve e scheletro sei. Su l’ossae il fango
Immobilmente collocato invano
Mutomirandodell’etadi il volo
Stadi memoria solo
E di dolorcustodeil simulacro
Della scorsa beltà. Quel dolcesguardo
Che tremar fesecome or sembraimmoto
In altruis’affisò; quel labbroond’alto
Parcome d’urnapiena
Traboccare il piacer; quel collocinto
Già didesio; quell’amorosa mano
Che spessoove fu porta
Sentìgelida far la man che strinse;
E il senoonde lagente
Visibilmente di pallor si tinse
Furo alcun tempo: orfango
Ed ossa sei: la vista
Vituperosa e trista un sassoasconde.

      Così riduce il fato
Qual sembianza fra noiparve più viva
Immagine del ciel. Misterioeterno
Dell’esser nostro. Oggi d’eccelsiimmensi
Pensieri e sensi inenarrabil fonte
Beltàgrandeggiae pare
Quale splendor vibrato
Da natura immortalsu queste arene
Di sovrumani fati
Di fortunati regni ed’aurei mondi
Segno e sicura spene
Dare al mortalestato:
Dimanper lieve forza
Sozzo a vedereabominosoabbietto
Divien quel che fu dianzi
Quasi angelico aspetto
Edalle menti insieme
Quel che da lui moveva
Ammirabil concettosi dilegua.

      Desiderii infiniti
E visioni altere
Crea nel vagopensiere
Per natural virtùdotto concento;
Onde permar deliziosoarcano
Erra lo spirto umano
Quasi come adiporto
Ardito notator per l’Oceano:
Ma se un discordeaccento
Fere l’orecchioin nulla
Torna quel paradiso inun momento.

      Natura umanaor come
Se frale in tutto e vile
Sepolve ed ombra seitant’alto senti?
Se in parte ancogentile
Come i più degni tuoi moti e pensieri
Son cosìdi leggeri
Da sì basse cagioni e desti e spenti?  
 
 


XXXII.
PALINODIAAL MARCHESE GINO CAPPONI.



Ilsempre sospirar nulla rileva. 
Petrarca 

      Erraicandido Gino; assai gran tempo
E di gran lungaerrai. Misera e vana
Stimai la vitae sovra l’altreinsulsa
La stagion ch’or si volge. Intolleranda
Parveefula mia lingua alla beata
Prole mortalse dir si deemortale
L’uomoo si può. Fra maraviglia esdegno
Dall’Eden odorato in cui soggiorna
Rise l’altaprogeniee me negletto
Disseo mal venturosoe di piaceri
Oincapace o inespertoil proprio fato
Creder comunee del mio malconsorte
L’umana specie. Alfin per entro il fumo
De’sígari onoratoal romorio
De’ crepitanti pasticcinial grido
Militardi gelati e di bevande
Ordinatorfra lepercosse tazze
E i branditi cucchiaiviva rifulse
Agli occhimiei la giornaliera luce
Delle gazzette. Riconobbi e vidi
Lapubblica letiziae le dolcezze
Del destino mortal. Vidil’eccelso
Stato e il valor delle terrene cose
E tuttofiori il corso umanoe vidi
Come nulla quaggiù dispiace edura.
Nè men conobbi ancor gli studi e l’opre
Stupendee il sennoe le virtudie l’alto
Saver del secol mio. Nèvidi meno
Da Marrocco al Cataidall’Orse al Nilo
E daBoston a Goacorrer dell’alma
Felicità su l’ormea gara ansando
Regniimperi e ducati; e già tenerla
Oper le chiome fluttuantio certo
Per l’estremo del boa. Cosìvedendo
E meditando sovra i larghi fogli
Profondamentedelmio graveantico
Erroree di me stessoebbi vergogna.

      Aureo secolo omai volgonoo Gino
I fusi delleParche. Ogni giornale
Gener vario di lingue e di colonne
Datutti i lidi lo promette al mondo
Concordemente. Universaleamore
Ferrate viemoltiplici commerci
Vaportipi e cholérai più divisi
Popoli e climi stringeranno insieme:
Nèmaraviglia fia se pino o quercia
Suderà latte e meleos’anco al suono
D’un walser danzerà. Tantola possa
Infin qui de’ lambicchi e delle storte
E lemacchine al cielo emulatrici
Crebberoe tanto cresceranno altempo
Che seguirà; poichè di meglio in meglio
Senzafin vola e volerà mai sempre
Di Semdi Cam e di Giapeto ilseme.

      Ghiande non ciberà certo la terra
Peròse fame non la sforza: il duro
Ferro non deporrà. Ben moltevolte
Argento ed or disprezzeràcontenta
A polizze dicambio. E già dal caro
Sangue de’ suoi non asterràla mano
La generosa stirpe: anzi coverte
Fien di stragil’Europa e l’altra riva
Dell’atlantico marfrescanutrice
Di pura civiltàsempre che spinga
Contrarie incampo le fraterne schiere
Di pepe o di cannella o d’altroaroma
Fatal cagioneo di melate canne
O cagion qual si siach’ad auro torni.
Valor vero e virtùmodestia efede
E di giustizia amorsempre in qualunque
Pubblico statoalieni in tutto e lungi
Da’ comuni negoziovvero intutto
Sfortunati sarannoafflitti e vinti;
Perchè dièlor naturain ogni tempo
Starsene in fondo. Ardir protervo efrode
Con mediocritàregneran sempre
A galleggiarsortiti. Imperio e forze
Quanto più vogli o cumulate osparse
Abuserà chiunque avrallee sotto
Qualunquenome. Questa legge in pria
Scrisser natura e il fato inadamante;
E co’ fulmini suoi Volta nè Davy
Lei noncancellerànon Anglia tutta
Con le macchine suenècon un Gange
Di politici scritti il secol novo.
Sempre il buonoin tristezzail vile in festa
Sempre e il ribaldo: incontroall’alme eccelse
In arme tutti congiurati i mondi
Fieno inperpetuo: al vero onor seguaci
Calunniaodio e livor: cibo de’forti
Il debolecultor de’ ricchi e servo
Il digiunomendicoin ogni forma
Di comun reggimentoo presso o lungi
Sienl’eclittica o i polieternamente
Saràse al genernostro il proprio albergo
E la face del dì non vengon meno.

      Queste lievi reliquie e questi segni
Delle passateetàforza è che impressi
Porti quella che sorge etàdell’oro:
Perchè mille discordi e repugnanti
L’umanacompagnia principii e parti
Ha per natura; e por quegli odii inpace
Non valser gl’intelletti e le possanze
Degli uominigiammaidal dì che nacque
L’inclita schiattae nonvarràquantunque
Saggio sia nè possenteal secolnostro
Patto alcuno o giornal. Ma nelle cose
Più graviinterae non veduta innanzi
Fia la mortal felicità. Piùmolli
Di giorno in giorno diverran le vesti
O di lana o diseta. I rozzi panni
Lasciando a prova agricoltori efabbri
Chiuderanno in coton la scabra pelle
E di castorocopriran le schiene.
Meglio fatti al bisognoo piùleggiadri
Certamente a vedertappeti e coltri
Seggiolecanapèsgabelli e mense
Lettied ogni altro arneseadorneranno
Di lor menstrua beltà gli appartamenti;
Enove forme di paiuolie nove
Pentole ammirerà l’arsacucina.
Da Parigi a Calaisdi quivi a Londra
Da Londra aLiverpoolrapido tanto
Saràquant’altri immaginarnon osa
Il camminoanzi il volo: e sotto l’ampie
Vie delTamigi fia dischiuso il varco
Opra arditaimmortalch’esserdischiuso
Doveagià son molt’anni. Illuminate
Meglioch’or sonbenchè sicure al pari
Nottetempo saran levie men trite
Delle città sovranee talor forse
Disuddita città le vie maggiori.
Tali dolcezze e sìbeata sorte
Alla prole vegnente il ciel destina.

      Fortunati color che mentre io scrivo
Miagolanti in sule braccia accoglie
La levatrice! a cui veder s’aspetta
Queisospirati dìquando per lunghi
Studi fia notoeimprenderà col latte
Dalla cara nutrice ognifanciullo
Quanto peso di salquanto di carni
E quante moggiadi farina inghiotta
Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti
Inciascun anno partoriti e morti
Scriva il vecchio prior: quandoper opra
Di possente vaporea milioni
Impresse in un secondoil piano e il poggio
E credo anco del mar gl’immensitratti
Come d’aeree gru stuol che repente
Alle latecampagne il giorno involi
Copriran le gazzetteanima evita
Dell’universoe di savere a questa
Ed alle etàventure unica fonte!

      Quale un fanciullocon assidua cura
Di fogliolini edi fuscelliin forma
O di tempio o di torre o di palazzo
Unedificio innalza; e come prima
Fornito il miraad atterrarlo èvolto
Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogli
Per novolavorio son di mestieri;
Così natura ogni opra suaquantunque
D’alto artificio a contemplarnon prima
Vedeperfettach’a disfarla imprende
Le parti scioltedispensando altrove.
E indarno a preservar se stesso ed altro
Dalgioco reola cui ragion gli è chiusa
Eternamenteilmortal seme accorre
Mille virtudi oprando in mille guise
Condotta man: ched’ogni sforzo in onta
La natura crudelfanciullo invitto
Il suo capriccio adempiee senzaposa
Distruggendo e formando si trastulla.
Indi variainfinitauna famiglia
Di mali immedicabili e di pene
Preme il fragilmortalea perir fatto
Irreparabilmente: indi una forza
Ostildistruggitricee dentro il fere
E di fuor da ogni latoassiduaintenta
Dal dì che nasce; e l’affatica e stanca
Essaindefatigata; insin ch’ei giace
Alfin dall’empia madreoppresso e spento.
Questeo spirto gentilmiserie estreme
Dellostato mortal; vecchiezza e morte
Ch’han principio d’allorche il labbro infante
Preme il tenero sen che vitainstilla;
Emendarmi cred’ionon può lalieta
Nonadecima età più che potesse
La decima ola nonae non potranno
Più di questa giammai l’etàfuture.
Peròse nominar lice talvolta
Con proprio nomeil vernon altro in somma
Fuor che infelicein qualsivogliatempo
E non pur ne’ civili ordini e modi
Ma della vitain tutte l’altre parti
Per essenza insanabilee perlegge
Universalche terra e cielo abbraccia
Ogni nato sarà.Ma novo e quasi
Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi
Spirtidel secol mio: chenon potendo
Felice in terra far personaalcuna
L’uomo obbliandoa ricercar si diero
Una comunfelicitade; e quella
Trovata agevolmenteessi di molti
Tristie miseri tuttiun popol fanno
Lieto e felice: e tal portentoancora
Da pamphlets da riviste e da gazzette
Nondichiaratoil civil gregge ammira.

      Oh mentioh sennooh sovrumano acume
Dell’etàch’or si volge! E che sicuro
Filosofarche sapienzaoGino
In più sublimi ancora e più riposti
Subbiettiinsegna ai secoli futuri
Il mio secolo e tuo! Con checostanza
Quel che ieri schernìprosteso adora
Oggiedomani abbatteràper girne
Raccozzando i rottamie perriporlo
Tra il fumo degl’incensi il dìvegnente!
Quanto estimar si deeche fede inspira
Del secol chesi volgeanzi dell’anno
Il concorde sentir! con quantacura
Convienci a quel dell’annoal qual difforme
Fia queldell’altro appressoil sentir nostro
Comparandofuggir chemai d’un punto
Non sien diversi! E di che tratto innanzi
Seal moderno si opponga il tempo antico
Filosofando il saper nostroè scorso!

      Un già de’ tuoilodato Gino; un franco
Dipoetar maestroanzi di tutte
Scienze ed arti e facoltadi umane
Ementi che fur maisono e saranno
Dottoreemendatorlasciamidisse
I propri affetti tuoi. Di lor non cura
Questa virileetàvolta ai severi
Economici studie intenta ilciglio
Nelle pubbliche cose. Il proprio petto
Esplorar che tival? Materia al canto
Non cercar dentro te. Canta i bisogni
Delsecol nostroe la matura speme.
Memorande sentenze! ond’iosolenni
Le risa alzai quando sonava il nome
Della speranza almio profano orecchio
Quasi comica voceo come un suono
Dilingua che dal latte si scompagni.
Or torno addietroed alpassato un corso
Contrario imprendoper non dubbi esempi
Chiarooggimai ch’al secol proprio vuolsi
Non contraddirnonrepugnarse lode
Cerchi e fama appo luima fedelmente
Adulandoubbidir: così per breve
Ed agiato cammin vassi allestelle.
Ond’iodegli astri desiosoal canto
Del secolo ibisogni omai non penso
Materia far; che a quelliognorcrescendo
Provveggono i mercati e le officine
Giàlargamente; ma la speme io certo
Diròla spemeondevisibil pegno
Già concedon gli Dei; giàdellanova
Felicità principioostenta il labbro
De’giovanie la guanciaenorme il pelo.

      O salveo segno salutareo prima
Luce della famosaetà che sorge.
Mira dinanzi a te come s’allegra
Laterra e il cielcome sfavilla il guardo
Delle donzellee perconviti e feste
Qual de’ barbati eroi fama giàvola.
Crescicresci alla patriao maschia certo
Modernaprole. All’ombra de’ tuoi velli
Italia cresceràcrescerà tutta
Dalle foci del Tago all’Ellesponto
Europae il mondo poserà sicuro.
E tu comincia a salutar colriso
Gl’ispidi genitorio prole infante
Eletta agliaurei dì: nè ti spauri
L’innocuo nereggiar de’cari aspetti.
Ridio tenera prole: a te serbato
È dicotanto favellare il frutto;
Veder gioia regnarcittadi eville
Vecchiezza e gioventù del par contente
E lebarbe ondeggiar lunghe due spanne.  
 
 


XXXIII.
ILTRAMONTO DELLA LUNA.



      Quale in notte solinga
Sovra campagne inargentate edacque
Là ’ve zefiro aleggia
E mille vaghiaspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l’ombrelontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi ecollinette e ville;
Giunta al confin del cielo
Dietro Apenninood Alpeo del Tirreno
Nell’infinito seno
Scende la luna;e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombreed una
Oscuritàla valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta
E cantandocon mesta melodia
L’estremo albor della fuggente luce
Chedianzi gli fu duce
Saluta il carrettier dalla sua via;

       Tal si dileguae tale
Lascia l’età mortale
Lagiovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Deidilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze
Oves’appoggia la mortal natura.
Abbandonataoscura
Resta lavita. In lei porgendo il guardo
Cerca il confuso viatoreinvano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; evede
Che a se l’umana sede
Esso a lei veramente èfatto estrano.

      Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parvelassùse il giovanile stato
Dove ogni ben di mille pene èfrutto
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mitedecreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte
S’ancomezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morteassai più dura.
D’intelletti immortali
Degnotrovatoestremo
Di tutti i maliritrovàr gli eterni
Lavecchiezzaove fosse
Incolume il desiola speme estinta
Secchele fonti del piacerle pene
Maggiori sempree non piùdato il bene.

      Voicollinette e piagge
Caduto lo splendor cheall’occidente
Inargentava della notte il velo
Orfaneancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tostovedrete il cielo
Imbiancar novamentee sorger l’alba:
Allaqual poscia seguitando il sole
E folgorando intorno
Con suefiamme possenti
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi glieterei campi.
Ma la vita mortalpoi che la bella
Giovinezzasparìnon si colora
D’altra luce giammainèd’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed allanotte
Che l’altre etadi oscura
Segno poser gli Dei lasepoltura.  
 
 




XXXIV.
LA GINESTRA
O IL FIORE DEL DESERTO.

      Quisu l’arida schiena
Del formidabil monte
SterminatorVesevo
La qual null’altro allegra arbor nèfiore
Tuoi cespi solitari intorno spargi
Odorataginestra
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De’ tuoisteli abbellir l’erme contrade
Che cingon la cittade
Laqual fu donna de’ mortali un tempo
E del perduto impero
Parche col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo alpasseggero.
Or ti riveggo in questo suoldi tristi
Lochi e dalmondo abbandonati amante
E d’afflitte fortune ognorcompagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infecondeericoperti
Dell’impietrata lava
Che sotto i passi alperegrin risona;
Dove s’annida e si contorce al sole
Laserpee dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Furliete ville e colti
E biondeggiàr di spichee risonaro
Dimuggito d’armenti;
Fur giardini e palagi
Agli ozi de’potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coitorrenti suoi l’altero monte
Dall’ignea bocca fulminandooppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruinainvolve
Dove tu siedio fior gentilee quasi
I danni altruicommiserandoal cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo
Cheil deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d’esaltarcon lode
Il nostro stato ha in usoe vegga quanto
È ilgener nostro in cura
All’amante natura. E la possanza
Quicon giusta misura
Anco estimar potrà dell’umanseme
Cui la dura nutriceov’ei men teme
Con lieve motoin un momento annulla
In partee può con moti
Poco menlievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in questerive
Son dell’umana gente
Le magnifiche sorti eprogressive .

      Qui mira e qui ti specchia
Secol superbo esciocco
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnatoinnanti
Abbandonastie volti addietro i passi
Del ritornar tivanti
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl’ingegnitutti
Di cui lor sorte rea padre ti fece
Vanno adulandoancora
Ch’a ludibrio talora
T’abbian fra se. Nonio
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzopiuttosto che si serra
Di te nel petto mio
Mostrato avròquanto si possa aperto:
Ben ch’io sappia che obblio
Premechi troppo all’età propria increbbe.
Di questo malche teco
Mi fia comuneassai finor mi rido.
Libertà vaisognandoe servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero
Sol percui risorgemmo
Della barbarie in partee per cui solo
Sicresce in civiltàche sola in meglio
Guida i pubblicifati.
Così ti spiacque il vero
Dell’aspra sorte edel depresso loco
Che natura ci diè. Per questo iltergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fe palese: efuggitivoappelli
Vil chi lui seguee solo
Magnanimocolui
Che se schernendo o gli altriastuto o folle
Fin sopragli astri il mortal grado estolle.

      Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell’almageneroso ed alto
Non chiama se nè stima
Ricco d’ornè gagliardo
E di splendida vita o di valente
Personainfra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma se di forza e di tesormendico
Lascia parer senza vergognae noma
Parlandoapertamentee di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimoanimale
Non credo io giàma stolto
Quel che nato aperirnutrito in pene
Dicea goder son fatto
E di fetidoorgoglio
Empie le carteeccelsi fati e nove
Felicitàquali il ciel tutto ignora
Non pur quest’orbepromettendoin terra
A popoli che un’onda
Di mar commossounfiato
D’aura malignaun sotterraneo crollo
Distrugge sìche avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura èquella
Che a sollevar s’ardisce
Gli occhi mortaliincontra
Al comun fatoe che con franca lingua
Nulla al verdetraendo
Confessa il mal che ci fu dato in sorte
E il bassostato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrirnè gli odii e l’ire
Fraterneancor piùgravi
D’ogni altro dannoaccresce
Alle miserie suel’uomo incolpando
Del suo dolorma dà la colpa aquella
Che veramente è reache de’ mortali
Madre èdi parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro aquesta
Congiunta esser pensando
Siccome è il veroedordinata in pria
L’umana compagnia
Tutti fra seconfederati estima
Gli uominie tutti abbraccia
Con vero amorporgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterniperigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alleoffese
Dell’uomo armar la destrae laccio porre
Al vicinoed inciampo
Stolto crede così qual fora in campo
Cintod’oste contrariain sul più vivo
Incalzar degliassalti
Gl’inimici obbliandoacerbe gare
Imprender congli amici
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propriguerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fiencome furpalesi al volgo
E quell’orror che primo
Contra l’empianatura
Strinse i mortali in social catena
Fia ricondotto inparte
Da verace saperl’onesto e il retto
Conversarcittadino
E giustizia e pietadealtra radice
Avranno allorche non superbe fole
Ove fondata probità del volgo
Cosìstar suole in piede
Quale star può quel ch’ha in errorla sede.

      Sovente in queste rive
Chedesolatea bruno
Vesteil flutto induratoe par che ondeggi
Seggo la notte; e su lamesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall’altofiammeggiar le stelle
Cui di lontan fa specchio
Il mareetutto di scintille in giro
Per lo vóto seren brillare ilmondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto
Ch’a lorsembrano un punto
E sono immensein guisa
Che un punto apetto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L’uomo nonpurma questo
Globo ove l’uomo è nulla
Sconosciutoè del tutto; e quando miro
Quegli ancor piùsenz’alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle
Ch’a noipaion qual nebbiaa cui non l’uomo
E non la terra solmatutte in uno
Del numero infinite e della mole
Con l’aureosole insiemle nostre stelle
O sono ignoteo così paioncome
Essi alla terraun punto
Di luce nebulosa; al pensiermio
Che sembri allorao prole
Dell’uomo? E rimembrando
Iltuo stato quaggiùdi cui fa segno
Il suol ch’iopremo; e poi dall’altra parte
Che te signora e fine
Creditu data al Tuttoe quante volte
Favoleggiar ti piacquein questooscuro
Granel di sabbiail qual di terra ha nome
Per tuacagiondell’universe cose
Scender gli autorie conversarsovente
Co’ tuoi piacevolmentee che i derisi
Sognirinnovellandoai saggi insulta
Fin la presente etàche inconoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual motoallora
Mortal prole infeliceo qual pensiero
Verso tefinalmente il cor m’assale?
Non so se il riso o la pietàprevale.

  Comed’arbor cadendo un picciol pomo
Cui là nel tardoautunno
Maturità senz’altra forza atterra
D’unpopol di formiche i dolci alberghi
Cavati in molle gleba
Congran lavoroe l’opre
E le ricchezze che adunate a prova
Conlungo affaticar l’assidua gente
Avea provvidamente al tempoestivo
Schiacciadiserta e copre
In un punto; cosìd’alto piombando
Dall’utero tonante
Scagliata alciel profondo
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruinainfusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosatra l’erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d’infocataarena
Scendendo immensa piena
Le cittadi che il mar làsu l’estremo
Lido aspergeaconfuse
E infranse ericoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capraecittà nove
Sorgon dall’altra bandaa cui sgabello
Sonle sepoltee le prostrate mura
L’arduo monte al suo pièquasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell’uom piùstima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Chenell’altra è la strage
Non avvien ciòd’altronde
Fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.

      Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi chesparirooppressi
Dall’ignea forzai popolati seggi
E ilvillanello intento
Ai vignetiche a stento in questi campi
Nutrela morta zolla e incenerita
Ancor leva lo sguardo
Sospettosoalla vetta
Fatalche nulla mai fatta più mite
Ancorsiede tremendaancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agliaveri
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sultetto
Dell’ostel villereccioalla vagante
Aura giacendotutta notte insonne
E balzando più volteesplora ilcorso
Del temuto bollorche si riversa
Dall’inesaustogrembo
Su l’arenoso dorsoa cui riluce
Di Capri lamarina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lovedeo se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l’acqua
Fervendogorgogliardesta i figliuoli
Desta la moglie in frettae viacon quanto
Di lor cose rapir possonfuggendo
Vede lontanl’usato
Suo nidoe il picciol campo
Che gli fu dallafame unico schermo
Preda al flutto rovente
Che crepitandogiungee inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna alceleste raggio
Dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompeicome sepolto
Scheletrocui di terra
Avarizia o pietàrende all’aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra lefile
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla ilbipartito giogo
E la cresta fumante
Che alla sparsa ruinaancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
Per livacui teatri
Per li templi deformi e per le rotte
Caseove iparti il pipistrello asconde
Come sinistra face
Che per vótipalagi atra s’aggiri
Corre il baglior della funerealava
Che di lontan per l’ombre
Rosseggia e i lochiintorno intorno tinge.
Cosìdell’uomo ignara edell’etadi
Ch’ei chiama antichee del seguir chefanno
Dopo gli avi i nepoti
Sta natura ognor verdeanziprocede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono iregni intanto
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l’uomd’eternità s’arroga il vanto.

      E tulenta ginestra
Che di selve odorate
Questecampagne dispogliate adorni
Anche tu presto alla crudelpossanza
Soccomberai del sotterraneo foco
Che ritornando alloco
Già notostenderà l’avaro lembo
Su tuemolli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Iltuo capo innocente:
Ma non piegato insino alloraindarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor;ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle
Nèsul desertodove
E la sede e i natali
Non per voler ma perfortuna avesti;
Ma più saggiama tanto
Meno infermadell’uomquanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dalfato o da te fatte immortali.  
 


XXXV.
IMITAZIONE.



      Lungi dal propio ramo
Povera foglia frale
Dove vai tu? Dalfaggio
Là dov’io nacquimi divise il vento.
Essotornandoa volo
Dal bosco alla campagna
Dalla valle mi portaalla montagna.
Seco perpetuamente
Vo pellegrinae tuttol’altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa
Dovenaturalmente
Va la foglia di rosa
E la foglia d’alloro. 
 
 


XXXVI.
SCHERZO.



      Quando fanciullo io venni
A pormi con le Muse in disciplina
L’unadi quelle mi pigliò per mano;
E poi tutto quel giorno
Lami condusse intorno
A veder l’officina.
Mostrommi a partea parte
Gli strumenti dell’arte
E i servigi diversi
Ache ciascun di loro
S’adopra nel lavoro
Delle prose e de’versi.
Io miravae chiedea:
Musala lima ov’è?Disse la Dea:
La lima è consumata; or facciam senza.
Edioma di rifarla
Non vi calsoggiungeaquand’ella èstanca?
Rispose: hassi a rifarma il tempo manca.  
 
 



Frammenti

XXXVII.
"OdiMelisso..."



ALCETA

      OdiMelisso: io vo’ contarti un sogno
Di questa notteche mitorna a mente
In riveder la luna. Io me ne stava
Alla finestrache risponde al prato
Guardando in alto: ed eccoall’improvviso
Distaccasi la luna; e mi parea
Che quantonel cader s’approssimava
Tanto crescesse al guardo; infinche venne
A dar di colpo in mezzo al prato; ed era
Grandequanto una secchiae di scintille
Vomitava una nebbiachestridea
Sì forte come quando un carbon vivo
Nell’acquaimmergi e spegni. Anzi a quel modo
La lunacome ho dettoinmezzo al prato
Si spegneva annerando a poco a poco
E nefumavan l’erbe intorno intorno.
Allor mirando in cielvidirimaso
Come un barlumeo un’ormaanzi una nicchia
Ond’ellafosse svelta; in cotal guisa
Ch’io n’agghiacciava; eancor non m’assicuro.  
 
 
 
MELISSO 

Eben hai che temerche agevol cosa
Fora cader la luna in sul tuocampo.

 ALCETA 

Chisa? non veggiam noi spesso di state
Cader le stelle?

 MELISSO 

                           Egli ci ha tante stelle
Che picciol danno è cader l’unao l’altra
Di loroe mille rimaner. Ma sola
Ha questa lunain cielche da nessuno
cader fu vista mai se non in sogno.  




XXXVIII.
"Ioqui vagando..."



      Ioqui vagando al limitare intorno
Invan la pioggia invoco e latempesta
Acciò che la ritenga al mio soggiorno.
      Pureil vento muggia nella foresta
E muggia tra le nubi il tuonoerrante
Pria che l’aurora in ciel fosse ridesta.
      Ocare nubio cieloo terrao piante
Parte la donna mia: pietàse trova
Pietà nel mondo un infelice amante.
      Oturbineor ti svegliaor fate prova
Di sommergermio nembiinsino a tanto
Che il sole ad altre terre il dìrinnova.
      S’apre il cielcade il soffioin ogni canto
Posan l’erbe e le frondiem’abbarbaglia
Le luci il crudo Sol pregne di pianto.
 




XXXIX.
"Spentoil diurno raggio..."



      Spentoil diurno raggio in occidente
E queto il fumo delle villeequeta
De’ cani era la voce e della gente;
      Quand’ellavolta all’amorosa meta
Si ritrovò nel mezzo ad unalanda
Quanto foss’altra mai vezzosa e lieta.
      Spandevail suo chiaror per ogni banda
La sorella del solee fead’argento
Gli arbori ch’a quel loco eranghirlanda.
      I ramuscelli ivancantando al vento
E in un con l’usignol che semprepiagne
Fra i tronchi un rivo fea dolce lamento.
      Limpidoil mar da lungie le campagne
E le forestee tutte ad una aduna
Le cime si scoprian delle montagne.
      Inquesta ombra giacea la valle bruna
E i collicelli intornorivestia
Del suo candor la rugiadosa luna.
      Solatenea la taciturna via
La donnae il vento che gli odorispande
Molle passar sul volto si sentia.
      Selieta fosseè van che tu dimande:
Piacer prendea di quellavistae il bene
Che il cor le prometteva era piùgrande.
      Come fuggisteo belleore serene!
Dilettevol quaggiù null’altro dura
Nési ferma giammaise non la spene.
      Eccoturbar la nottee farsi oscura
La sembianza del cielch’erasì bella
E il piacere di colei farsi paura.
      Unnugol torbopadre di procella
Sorgea di dietro ai montiecrescea tanto
Che più non si scopria luna néstella.
      Spiegarsi ella ilvedea per ogni canto
E salir su per l’aria a poco a poco
Efar sovra il suo capo a quella ammanto.
      Eveniva il poco lume ognor più fioco;
E intanto al bosco sidestava il vento
Al bosco là del dilettoso loco.
      Esi fea più gagliardo ogni momento
Tal che a forza eradesto e svolazzava
Tra le fronde ogni augel per lospavento.
      E la nubecrescendoin giù calava
ver la marina sìche l’unsuo lembo
Toccava i montie l’altro il martoccava.
      Già tutta acieca oscuritade in grembo
S’incominciava udir fremer lapioggia
E il suon cresceva all’appressar delnembo.
      Dentro le nubi inpaurosa foggia
Guizzavan lampie la fean batter gli occhi;
En’era il terren tristoe l’aria roggia.
      Disciorsentia la misera i ginocchi;
E già muggiva il tuon simileal metro
Di torrente che d’alto in giùtrabocchi.
      Talvolta ellaristavae l’aer tetro
Guardava sbigottitae poi correa
Sìche i panni e le chiome ivano addietro.
      Eil duro vento col petto rompea
Che gocce fredde giù perl’aria nera
In sul volto soffiando le spingea.
      Eil tuon veniale incontro come fera
Rugghiando orribilmente esenza posa;
E cresceva la pioggia e la bufera.
      Ed’ogn’intorno era terribil cosa
Il volar polve e frondie rami e sassi
E il suon che immaginar l’alma nonosa.
      Ella dal lampo affaticatie lassi
Coprendo gli occhie stretti i panni al seno
Gia purtra il nembo accelerando i passi.
      Manella vista ancor l’era il baleno
Ardendo sìch’alfindallo spavento
Fermò l’andaree il cor le vennemeno.
      E si rivolse indietro. Ein quel momento
Si spense il lampoe tornò buio l’etra
Edacchetossi il tuonoe stette il vento.
      Tacevail tutto; ed ella era di pietra.  
 




XL.
DALGRECO DI SIMONIDE.



       Ognimondano evento
È di Giove in poterdi Gioveo figlio
Chegiusta suo talento
Ogni cosa dispone.
Ma di lungastagione
Nostro cieco pensier s’affanna e cura
Benchèl’umana etate
Come destina il ciel nostra ventura
Digiorno in giorno dura.
La bella speme tutti ci nutrica
Disembianze beate
Onde ciascuno indarno s’affatica:
Altril’aurora amica
Altri l’etade aspetta;
E nullo interra vive
Cui nell’anno avvenir facili e pii
Con Plutogli altri iddii
La mente non prometta.
Ecco pria che la spemein porto arrive
Qual da vecchiezza è giunto
E qual da morbi al bruno Lete addutto;
Questo il rigido Marteequello il flutto
Del pelago rapisce; altri consunto
Da negrecureo tristo nodo al collo
Circondandosotterra sirifugge.
Così di mille mali
I miseri mortali
Volgofiero e diverso agita e strugge.
Ma per sentenza mia
Uomsaggio e sciolto dal comune errore
Patir non sosterria
Néporrebbe al dolore
Ed al mal proprio suo cotanto amore.  
 




XLI.
DELLOSTESSO



       Umanacosa picciol tempo dura
E certissimo detto
Disse il veglio diChio
Conforme ebber natura
Le foglie e l’uman seme.
Maquesta voce in petto
Raccolgon pochi. All’inquietaspeme
Figlia di giovin core
Tutti prestiam ricetto.
Mentreè vermiglio il fiore
Di nostra etade acerba
L’almavota e superba
Cento dolci pensieri educa invano
Nèmorte aspetta nè vecchiezza; e nulla
Cura di morbi ha l’uomgagliardo e sano.
Ma stolto è chi non vede
La giovanezzacome ha ratte l’ale
E siccome alla culla
Poco il rogo èlontano.
Tu presso a porre il piede
In sul varco fatale
Dellaplutonia sede
Ai presenti diletti
La breve etàcommetti.