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FrancescoGuicciardini

STORIAD'ITALIA

Volumesecondo





Cap.i

Ipisani avversi al dominio de' fiorentini chiedono aiuti a Siena aLucca a Venezia e a Lodovico Sforza. Aspirazione di questo al dominiodi Pisa. Burgundio Lolopisanodenuncia a Carlo in Roma ilmalgoverno de' fiorentini nella sua città. Risponde in difesade' fiorentini Francesco Soderini. Subdola condotta di Carlo verso ifiorentini. Aiuti del duca di Milano a' pisani.

Mentreche queste cose si facevano in Roma e nel reame napoletanocrescevano in altra parte d'Italia le faville d'uno piccolo fuocodestinato a partorire alla fine grandissimo incendio in danno dimoltima principalmente contro a colui che per troppa cupiditàdi dominare l'avesse suscitato e nutrito. Perchéancorachéil re di Francia si fusse convenuto in Firenzeche tenendo lui Pisainsino all'acquisto di Napolila giurisdizione e l'entrateappartenessino a' fiorentininondimenopartendosi da Firenzenonaveva lasciato provisioneo posto ordine alcunoper la osservanzadi tale promessa; in modo che i pisania' quali inclinava il favoredel commissario e de' soldati lasciati dal re alla guardia di quellacittàdeliberati di non ritornare piú sotto il dominiofiorentinoavevano cacciati gli ufficiali e tutti i fiorentini chev'erano rimastialcuni n'aveano incarceratioccupate le robe etutti i beni loroe confermata totalmente con le dimostrazioni e conl'opere la ribellione. Nella quale per potere perseverare non solomandorono imbasciadori al reda poi che fu partito da Firenzechedifendessino la causa loroma disposti a fare ogni opera perottenere aiuto da ciascunone mandoronoincontinente che furnoribellatia Siena e a Lucca; le quali cittàessendoinimicissime al nome fiorentinonon potevano con animi piúallegri la pisana ribellione avere uditoe perciò insieme gliproveddono di qualche quantità di danarie i sanesi vimandorono subito alcuni cavalli. Tentorono medesimamente i pisanimandati oratori a Vinegial'animo di quel senato; dal qualebenchéricevuti benignamentenon riportorono speranza alcuna. Ma ilprincipale fondamento facevano nel duca di Milanoperché nondubitavano chesí come era stato autore della lororibellionesarebbe disposto a mantenergli; il qualebenchéa' fiorentini dimostrasse altrimentiattese in segreto a mettereloro animo con molti conforti e offertee persuase occultamente a'genovesi che provedessino i pisani d'armi e di munizionie chemandassino uno commissario in Pisa e trecento fanti. I qualiper lainimicizia grande che avevano co' fiorentininata dal dispiacere cheebbono dell'acquisto di Pisae quando poi comperoronoa tempo diTommaso Fregoso loro dogeil porto di Livorno il quale essipossedevanoe accresciuta ultimatamente quando i fiorentini tolsonoloro Pietrasanta e Serezananon solo furono pronti a queste cose maavevano già occupata la maggiore parte delle terre le quali ifiorentini nella Lunigiana possedevanoe già sotto pretestod'una lettera regiaottenuta per la restituzione di certi beniconfiscatinelle cose di Pietrasanta si intromettevano. Delle qualiazioni querelandosi i fiorentini a Milanoil duca rispondeva nonessere in sua potestàsecondo i capitoli che aveva co'genovesidi proibirlee sforzandosi di sodisfare loro con le parolee dando varie speranzenon cessava d'operare co' fatti tutto ilcontrario; come quello che speravanon si recuperando Pisa per ifiorentiniavere facilmente a ridurla sotto il suo dominioil cheper la qualità della città e per l'opportunitàdel sito ardentissimamente desiderava: cupidità non nuova inlui ma incominciata insino quandocacciato da Milano poco dopo lamorte di Galeazzo suo fratelloper sospetto che ebbe di lui madonnaBona madre e tutrice del piccolo ducavi stette confinato moltimesi. Stimolavalo oltre a questo la memoria che Pisainnanzi venissein potestà de' fiorentiniera stata dominata da GiovanGaleazzo Visconte primo duca di Milano; per il che e stimava essergliglorioso recuperare quel che era stato posseduto da' suoi maggiori egli pareva potervi pretendere colore di ragionecome se a GiovanGaleazzo non fusse stato lecito lasciare per testamentoinpregiudicio de' duchi di Milano suoi successoria Gabrielmaria suofigliuolo naturale Pisaacquistata da sé ma con le pecunie econ le forze del ducato di Milano. Né contenti i pisanid'avere levato la città dalla ubbidienza de' fiorentiniattendevano a occupare le terre del contado di Pisa; le quali quasitutte seguitandocome quasi sempre fanno i contadil'autoritàdella cittàriceverono ne' primi dí della ribellione iloro commissarinon si opponendo da principio i fiorentinioccupatiinsino non composono col rein pensieri piú gravie aspettandodopo la partita sua di Firenzeche il reobligato consí publico e solenne giuramentovi provedesse. Ma poichéda lui si differiva il rimediomandatavi genterecuperornoparteper forza parte per accordotutto quello che era stato occupatoeccetto CascinaButi e Vicopisano: nelle quali terre i pisaninonessendo potenti a resistere per tuttoavevano ristrette le forzeloro.

Néa Carlo in secreto era molesto il procedere de' pisanila causa de'quali aveva fautori scopertamente molti de' suoiindotti alcuni dapietàper la impressione già fatta in quella corte chee' fussino stati dominati acerbamentealtri per opporsi al cardinaledi San Malò il quale si dimostrava favorevole a' fiorentini; esopra tutti il siniscalco di Belcaricorrotto con danari da' pisanima molto piú perchémalcontento dell'essersiaugumentata troppo la grandezza del cardinalecominciavasecondo levariazioni delle cortia essere discordante da luiper la medesimaambizione per la qualeper avere compagnia a sbattere gli altril'aveva prima fomentato: e questinon avendo rispetto a quello checonvenisse all'onore e alla fede di tanto redimostravano esserglipiú utile tenere i fiorentini in questa necessità econservare Pisa in quello statoalmeno insino a tanto che avesseacquistato il regno di Napoli. Le persuasioni de' quali prevalendoappresso a luie però sforzandosi di nutrire l'una parte el'altra con speranze varieintrodussementre era in Romagl'imbasciadori de' fiorentini a udire in presenza sua le querele chegli facevano i pisani; per i quali parlò Burgundio Lolocittadino di Pisaavvocato concistoriale nella corte di Romalamentandosi acerbissimamentei pisani essere stati tenutiottantotto anniin sí iniqua e atroce servitú chequella cittàla quale aveva già con molte nobilissimevittorie disteso lo imperio suo insino nelle parti dell'Orientee laquale era stata delle piú potenti e piú gloriose cittàdi tutta Italiafusseper la crudeltà e avarizia de'fiorentinicondotta all'ultima desolazione. Essere Pisa quasi votad'abitatoriperché la maggiore parte de' cittadininonpotendo tollerare sí aspro giogol'aveva spontaneamenteabbandonata; il consiglio de' quali essere stato prudentissimoaveredimostrato le miserie di coloro i quali v'aveva ritenuti l'amoredella patriaperché per l'acerbe esazioni del publico e perle rapine insolenti de' privati fiorentini erano rimasti spogliati diquasi tutte le sostanze; né avere piú modo alcuno disostentarsiperché con inaudita empietà e ingiustiziasi proibiva loro il fare mercatanziel'esercitare arti di alcunasorte eccetto le meccanichenon essere ammessi a qualitàalcuna d'uffici o d'amministrazioni nel dominio fiorentinoeziandiodi quelle le quali alle persone straniere si concedevano. Giàincrudelirsi da' fiorentini contro alla salute e le vite loro;avendoper spegnere in tutto le reliquie de' pisanifattointermettere la cura di mantenere gli argini e i fossi del contado diPisaconservata sempre dai pisani antichi con esattissima diligenzaperché altrimenti era impossibile che per la bassezza delpaeseoffeso immoderatamente dalle acqueogn'anno non fussinosottoposti a gravissime infermità. Per queste cagioni cadereper tutto in terra le chiese e i palagi e tanti nobili edificipublichi e privatiedificati con magnificenza e bellezzainestimabile da' maggiori loro. Non essere vergogna alle cittàpreclare se dopo il corso di molti secoli cadevano finalmente inservitúperché era fatale che tutte le cose del mondofussino sottoposte alla corruzione; ma la memoria della nobiltàe della grandezza loro dovere piú presto generare nella mentede' vincitori compassione che accrescere acerbità e asprezzamassime che ciascuno aveva a considerarepotere anzi dovereaqualche tempoaccadere a sé quel medesimo fine che èdestinato che accaggia a tutte le città e a tutti gl'imperi.Non restare a' pisani piú cosa alcuna dove potesse distendersipiú la empietà e appetito insaziabile de' fiorentinied essere impossibile sopportare piú tante miserie; e perciòavere tutti unitamente determinato d'abbandonare prima la patriad'abbandonare prima la vitache ritornare sotto sí iniquosotto sí empio dominio. Pregare il re con le lacrimele qualiegli s'immaginasse essere lacrime abbondantissime di tutto il popolopisano prostrato miserabilmente innanzi a' suoi piediche siricordasse con quanta pietà e giustizia avesse restituita a'pisani la libertà usurpata ingiustissimamente; checomecostante e magnanimo principeconservasse il beneficio fatto loroeleggendo piú tosto d'avere il nome di padre e di liberatoredi quella città cherimettendogli in tanto pestifera servitúdiventare ministro della rapacità e della immanità de'fiorentini. Alle quali accusazioni con non minore veemenza risposeFrancesco Soderini vescovo di Volterrail quale fu poi cardinaleuno degli oratori de' fiorentinidimostrando il titolo della suarepublica essere giustissimoperché avevanoinsino nell'annomille quattrocento quattrocomperato Pisa da Gabriel Maria Viscontelegittimo signore; dal quale non prima stati messi in possessioneipisani avernegli violentemente spogliati ; e però esserestato necessario cercare di ricuperarla con lunga guerradella qualenon era stato manco felice il fine che fusse stata giusta la cagionené manco gloriosa la pietà de' fiorentini che lavittoria: conciossiachéavendo avuta occasione di lasciaremorire per se stessi i pisani consumati dalla fameavessinoperrendere loro gli spiriti ridotti all'ultime estremitànell'entrare con l'esercito in Pisacondotto seco maggiore quantitàdi vettovaglia che d'armi. Non avere in tempo alcuno la cittàdi Pisa ottenuto grandezza in terra fermaanzinon avendo mainonch'altropotuto dominare Lucca città tanto vicinaesserestata sempre rinchiusa in angustissimo territorio; e la potenzamarittima essere stata breveperché per giusto giudicio diDioconcitato per molte loro iniquità e scelerate operazionie per le lunghe discordie civili e inimicizie tra essi medesimieramolt'anni prima che fusse venduta a' fiorentinicaduta d'ognigrandezza e di ricchezze e d'abitatorie diventata tanto debole chee' fusse riuscito a ser Iacopo d'Appianonotaio ignobile del contadodi Pisadi farsene signoree dopo averla dominata piú annilasciarla ereditaria a' figliuoli. Né importare il dominio diPisa a'fiorentini se non per l'opportunità del sito e per lacomodità del mareperché l'entrate le quali se netraevano erano di piccola considerazioneessendo le esazioni síleggiere che di poco sopravanzavano alle spese che per necessitàvi si facevano; con tutto che la piú parte si riscotesse da'mercatanti forestierie per beneficio del porto di Livorno. Néesserecirca le mercatanzie arti e ufficilegati i pisani con altreleggi che fussino legate l'altre città suddite de' fiorentini;le qualiconfessando essere governate con imperio moderato emansuetonon desideravano mutare signoreperché non avevanoquella alterigia e ostinazione la quale era naturale a' pisaninéanche quella perfidia che in loro era tanto notoria che fussecelebrata per antichissimo proverbio di tutta la Toscana. E se quandoi fiorentini acquistorono Pisa molti pisani spontaneamente e subitose ne partironoessere proceduto dalla superbia loroimpaziente adaccomodare l'animo alle forze proprie e alla fortunanon per colpade' fiorentinii quali gli avevano retti con giustizia e conmansuetudinee trattati talmente che sotto loro non era Pisadiminuita né di ricchezze né d'uomini; anzi avere congrandissima spesa ricuperato da' genovesi il porto di Livornosenzail quale porto quella città era restata abbandonata d'ognicomodità ed emolumento: e con l'introdurvi lo studio publicodi tutte le scienze e con molt'altri modied eziandio col farecontinuare diligentemente la cura de' fossiessersi sempre sforzatidi farla frequente d'abitatori. La verità delle quali cose erasí manifesta che con false lamentazioni e calunnie oscurarenon si poteva. Essere permesso a ciascuno il desiderare di pervenirea migliore fortunama dovere anche ciascuno pazientemente tollerarequello che la sorte sua gli ha dato; altrimenti confondersi tutte lesignorie e tutti gl'imperise a ciascuno che è suddito fusselecito il cercare di diventare libero. Né riputare necessarioa' fiorentini l'affaticarsi per persuadere a Carlocristianissimo redi Franciaquel che appartenesse a lui di fare; perchéessendo re sapientissimo e giustissimosi rendevano certi non silascerebbe sollevare da querele e calunnie tanto vane e siricorderebbe da se stesso quel ch'avesse promesso innanzi chel'esercito suo fusse ricevuto in Pisaquel che sísolennemente avesse giurato in Firenze; considerando che quanto un reè piú potente e maggiore tanto gli è piúglorioso l'usare la sua potenza per conservazione della giustizia edella fede.

Apparivamanifestamente che da Carlo erano con piú benigni orecchiuditi i pisanie che per beneficio loro desiderava chedurante laguerra di Napolil'offese tra tutte due le parti si sospendessinooche i fiorentini consentissino che il contado tutto si tenesse daluiaffermando cheacquistato che avesse Napolimetterebbe subitoa esecuzione le cose convenute in Firenze; il che i fiorentiniessendo già sospette loro tutte le parole del recostantemente recusavanoricercandolo con grande instanzadell'osservanza delle promesse. A' quali per mostrare di sodisfarema veramente per fare opera d'avere da loro innanzi al tempo debito isettantamila ducati promessiglimandònel tempo medesimopartí da Romail cardinale di San Malò a Firenzesimulando co' fiorentini di mandarlo per sodisfare alle dimande loro;ma in segreto gli ordinò chepascendogli di speranza insinoche gli dessino i danarilasciasse finalmente le cose nel gradomedesimo: della quale fraude se bene i fiorentini avessino nonpiccola dubitazionenondimeno gli pagorono quarantamila ducatide'quali il termine era propinquo; ed egliricevuto che gli ebbeandato a Pisapromettendo di restituire i fiorentini nellapossessione della cittàse ne ritornò senza averefatto effetto alcuno; scusandosi d'avere trovati i pisani sípertinaci che l'autorità non era stata sufficiente adisporgliné avere potuto costrignergliperché dal renon aveva ricevuta questa commissionené a séche erasacerdoteessere stato conveniente pigliare deliberazione alcunadella quale avesse a nascere effusione di sangue cristiano. Fornínondimeno di nuove guardie la cittadella nuovae arebbe fornito lavecchia se glien'avessino consentito i pisani: i quali crescevanoogni dí d'animo e di forzeperché il duca di Milanogiudicando essere necessario che in Pisa fusse maggiore presidio e uncondottiere di qualche esperienza e valorev'avevabenchécoprendosicon le solite artidel nome de' genovesimandato LucioMalvezzo con nuove genti. Né recusando occasione alcuna difomentare le molestie de' fiorentiniacciocché fussino piúimpediti a offendere i pisanicondusse Iacopo d'Appiano signore diPiombino e Giovanni Savelloa comune co' sanesiper dare loro animoa sostenere Montepulciano; la quale terra essendosi nuovamenteribellata da' fiorentini a' sanesiera stata accettata da loro senzarispetto della confederazione che avevano insieme.

 

Cap.ii

Discorsodi Paolantonio Soderini intorno all'ordinamento interno di Firenze.Discorso di Guidantonio Vespucci sul medesimo argomento. Autoritàdi Gerolamo Savonarola in Firenze. Ordinamento della repubblica.

Néerano in questo tempo i fiorentini in minore ansietà etravaglio per le cose intestine; perchéper riordinare ilgoverno della republicaavevanosubito dopo la partita da Firenzedel renel parlamentoche secondo gli antichi costumi loro èuna congregazione della università de' cittadini in sullapiazza del palagio publicoi quali con voci scoperte deliberanosopra le cose proposte dal sommo magistratocostituita una specie direggimento chesotto nome di governo popolaretendeva in molteparti piú alla potenza di pochi che a partecipazioneuniversale. La qual cosa essendo molesta a molti che s'avevanoproposta nell'animo maggiore larghezzae concorrendo al medesimoprivata ambizione di qualche principale cittadinoera statonecessario trattare di nuovo della forma del governo. Della qualeconsultandosi un giorno tra i magistrati principali e gli uomini dimaggiore riputazionePagol'Antonio Soderinicittadino savio e moltostimatoparlòsecondo che si dicecosí:

-E' sarebbe certamenteprestantissimi cittadinimolto facile adimostrare cheancora che da coloro che hanno scritto delle cosecivili il governo popolare sia manco lodato che quello di unoprincipe e che il governo degli ottimatinondimenoche per essereil desiderio della libertà desiderio antico e quasi naturalein questa cittàe le condizioni de' cittadini proporzionateall'egualitàfondamento molto necessario de' governipopolaridebba essere da noi preferito senza alcuno dubbio a tuttigli altri: ma sarebbe superflua questa disputapoi che in tutte leconsulte di questi dí si è sempre con universaleconsentimento determinato che la città sia governata col nomee con l'autorità del popolo. Ma la diversità de' parerinasceche alcuni nell'ordinazione del parlamento si sono accostativolentieri a quelle forme di republica con le quali si reggeva questacittà innanzi che la libertà sua fusse oppressa dallafamiglia de' Medici; altrinel numero de' quali confesso di essereiogiudicando il governo cosí ordinato avere in molte cosepiú tosto nome che effetti di governo popolaree spaventatidagli accidenti che da simili governi spesse volte resultoronodesiderano una forma piú perfettae per la quale si conservila concordia e la sicurtà de' cittadinicosa che nésecondo le ragioni né secondo l'esperienza del passato si puòsperare in questa città se non sotto uno governo dependente intutto dalla potestà del popolo ma che sia ordinato e regolatodebitamente: il che consiste principalmente in due fondamenti. Ilprimo è che tutti i magistrati e ufficicosí per lacittà come per il dominiosiano distribuititempo per tempoda uno consiglio universale di tutti quegli che secondo le legginostre sono abili a partecipare del governo; senza l'approvazione delquale consiglio leggi nuove non si possino deliberare. Cosínon essendo in potestà di privati cittadininéd'alcuna particolare cospirazione o intelligenzail distribuire ledegnità e le autoritànon ne sarà esclusoalcuno né per passione né a beneplacito d'altrima sidistribuiranno secondo le virtú e secondo i meriti degliuomini; e però bisognerà che ciascuno si sforzicon levirtú co' costumi buoni col giovare al publico e al privatoaprirsi la via agli onori; bisognerà che ciascuno s'astengada' vizidal nuocere ad altrie finalmente da tutte le cose odiosenelle città bene instituite: né sarà in potestàd'uno o di pochicon nuove leggi o con l'autorità d'unmagistratointrodurre altro governonon si potendo alterare questose non di volontà del consiglio universale. Il secondofondamento principale è che le deliberazioni importanticioèquelle che appartengano alla pace e alla guerraalla esaminazione dileggi nuovee generalmente tutte le cose necessarie allaamministrazione d'una città e dominio talesi trattino da'magistrati preposti particolarmente a questa curae da uno consigliopiú scelto di cittadini esperimentati e prudenti che si deputidal consiglio popolare; perché non cadendo nello intellettod'ognuno la cognizione di queste faccendebisogna sieno governate daquegli che n'hanno la capacità; e ricercando spesso prestezzao secretonon si possono né consultare né deliberarecon la moltitudine. Né è necessario alla conservazionedella libertà che le cose tali si trattino in numeri moltolarghiperché la libertà rimane sicura ogni volta chela distribuzione de' magistrati e la deliberazione delle leggi nuovedependino dal consentimento universale. Proveduto adunque a questedue coseresta ordinato il governo veramente popolarefondata lalibertà della cittàstabilita la forma laudabile edurabile della republica. Perché molte altre coseche tendonoa fare il governo del quale si parla piú perfettoèpiú a proposito differire ad altro tempoper non confonderetanto in questi princípi le menti degli uominisospettosi perla memoria della tirannide passatae i qualinon assuefatti atrattare governi liberinon possono conoscere interamente quello chesia necessario ordinare alla conservazione della libertà: esono cose cheper non essere tanto sostanzialisi differisconosicuramente a piú comodo tempo e a migliore occasione.Ameranno ogni dí piú i cittadini questa forma direpublicaed essendo per la esperienza ogni dí piúcapaci della veritàdesidereranno che il governocontinuamente sia limato e condotto alla intera perfezione: e inquesto mezzo si sostenterà mediante i due fondamentisopradetti. I quali quanto sia facile ordinaree quanto fruttopartorischinonon solo si può dimostrare con molte ragioni maeziandio apparisce chiarissimamente per l'esempio. Perché ilreggimento de' vinizianise bene è proprio de' gentil'uomininon sono però i gentil'uomini altro che cittadini privatietanti in numero e di sí diverse condizioni e qualitàche egli non si può negare che e' non partecipi molto delgoverno popolaree che da noi non possa essere imitato in molteparti; e nondimeno è fondato principalmente in su queste duebasiin sulle quali quella republicaconservata per tanti secoliinsieme con la libertà l'unione e la concordia civileèsalita in tanta gloria e grandezza. Né è proceduta dalsitocome molti credonol'unione de' vinizianiperché e inquel sito potrebbono esseree sono state qualche voltadiscordie esedizionima dall'essere la forma del governo sí beneordinata e bene proporzionata a se medesima che per necessitàproduce effetti sí preziosi e ammirabili. Né ci debbonomanco muovere gli esempli nostri che gli alienima considerandogliper il contrario: perché il non avere mai la cittànostra avuto forma di governo simile a questo è stato causache sempre le cose nostre sono state sottoposte a sí spessemutazioniora conculcate dalla violenza delle tirannidi ora laceratedalla discordia ambiziosa e avara di pochi ora conquassate dallalicenza sfrenata della moltitudine; e dove le città furonoedificate per la quiete e felice vita degli abitatorii frutti de'nostri governi le nostre felicità i nostri riposi sono statile confiscazioni de' nostri benigli esilile decapitazioni de'nostri infelici cittadini. Non è il governo introdotto nelparlamento diverso da quegli che altre volte sono stati in questacittài quali sono stati pieni di discordie e di calamitàe dopo infiniti travagli publici e privati hanno finalmente partoritole tirannidi; perchénon per altro che per queste cagionioppresseappresso a nostri antichila libertà il duca diAtenenon per altro l'oppresse ne' tempi seguenti Cosimo de' Medici.Né si debbe averne ammirazione: perchécome ladistribuzione de' magistrati e la deliberazione delle leggi non hannobisogno quotidianamente del consenso comune ma dependonodall'arbitrio di numero minorealloraintenti i cittadini non piúal beneficio publico ma a cupidità e fini privatisorgono lesette e le cospirazioni particolarialle quali sono congiunte ledivisioni di tutta la cittàpeste e morte certissima di tuttele republiche e di tutti gli imperi. Quanto è adunque maggioreprudenza fuggire quelle forme di governo le qualicon le ragioni econ l'esempio di noi medesimipossiamo conoscere perniciose! eaccostarsi a quelle le qualicon le ragioni e con l'esempio d'altripossiamo conoscere salutifere e felici! Perché io diròpuresforzato dalla veritàquesta parola: che nella cittànostrasempreun governo ordinato in modo che pochi cittadini viabbino immoderata autorità sarà un governo di pochitiranni; i quali saranno tanto piú pestiferi d'un tiranno soloquanto il male è maggiore e nuoce piú quanto piúè moltiplicatoese non altronon si puòper ladiversità de' pareri e per l'ambizione e per le varie cupiditàdegli uominisperarvi concordia lunga: e la discordiaperniciosissima in ogni temposarebbe piú perniciosa inquestonel quale voi avete mandato in esilio un cittadino tantopotentenel quale voi siete privati d'una parte tanto importante delvostro statonel quale Italiaavendo nelle viscere esercitiforestieriè tutta in gravissimi pericoli. Rare volteeforse non maiè stato assolutamente in potestà ditutta la città ordinare se medesima ad arbitrio suo: la qualepotestà poiché la benignità di Dio v'haconcedutanon vogliatenocendo sommamente a voi stessi e oscurandoin eterno il nome della prudenza fiorentinaperdere l'occasione difondare un reggimento liberoe sí bene ordinato che non solomentre che e' dureràfaccia felici voi ma possiatepromettervene la perpetuità; e cosí lasciare ereditarioa' figliuoli e a' discendenti vostri tale tesoro e tale felicitàche giammai né noi né i passati nostri l'hannoposseduta o conosciuta. -

Questefurono le parole di Pagolantonio. Ma in contrario GuidantonioVespuccigiurisconsulto famoso e uomo di ingegno e destrezzasingolareparlò cosí:

-Se il governo ordinatoprestantissimi cittadininella formaproposta da Paolantonio Soderini producesse sí facilmente ifrutti che si desideranocome facilmente si disegnanoarebbecertamente il gusto molto corrotto chi altro governo nella patrianostra desiderasse. Sarebbe perniciosissimo cittadino chi non amassesommamente una forma di republica nella quale le virtú imeriti e il valore degli uomini fussino sopra tutte l'altre cosericonosciuti e onorati. Ma io non conosco già come si possasperare che uno reggimento collocato totalmente nella potestàdel popolo abbia a essere pieno di tanti beni. Perché io sopure che la ragione insegnache l'esperienza lo dimostra el'autorità de' valent'uomini lo confermache in tantamoltitudine non si truova tale prudenza tale esperienza tale ordineper il quale promettere ci possiamo che i savi abbino a essereanteposti agli ignorantii buoni a' cattivigli esperimentati aquegli che non hanno mai maneggiato faccenda alcuna. Perchécome da uno giudice incapace e imperito non si possono aspettaresentenze rette cosí da uno popolo che è pieno diconfusione e di ignoranza non si può aspettarese non percasoelezione o deliberazione prudente o ragionevole. E quello chene' governi publici gli uomini saviné intenti ad alcunoaltro negoziopossono appena discernere noi crediamo che unamoltitudine inesperta imperita composta di tante varietàd'ingegni di condizioni e di costumie tutta dedita alle sueparticolari faccendepossa distinguere e conoscere? Senza chelapersuasione immoderata che ciascuno arà di se medesimo glidesterà tutti alla cupidità degli onorinébasterà agli uomini nel governo popolare godere i fruttionesti della libertàché aspireranno tutti a gradiprincipalie a intervenire nelle deliberazioni delle cose piúimportanti e piú difficili; perché in noi manco che inalcuna altra città regna la modestia del cedere a chi piúsaa chi piú merita. Ma persuadendoci che di ragione tuttiin tutte le cosedobbiamo essere egualisi confonderannoquandosarà in facoltà della moltitudinei luoghi della virtúe del valore; e questa cupidità distesa nella maggiore partefarà potere piú quegli che manco sapranno o mancomeriterannoperché essendo molto piú numero aranno piúpossanzain uno stato ordinato in modo che i pareri s'annoverino nonsi pesino. Donde che certezza arete voi checontenti della forma laquale introdurrete al presentenon disordinino presto i modiprudentemente pensaticon nuove invenzioni e con leggi imprudenti?alle quali gli uomini savi non potranno resistere. E queste cose sonoin ogni tempo pericolose in un governo talema saranno molto piúoraperché è natura degli uominiquando si partono dauno estremo nel quale sono stati tenuti violentementecorrerevolonterosamentesenza fermarsi nel mezzoall'altro estremo. Cosíchi esce da una tirannidese non è ritenutosi precipita auna sfrenata licenza; la quale anche si può giustamentechiamare tirannideperché e un popolo è simile a untiranno quando dà a chi non meritaquando toglie a chimeritaquando confonde i gradi e le distinzioni delle persone; ed èforse tanto piú pestifera la sua tirannide quanto è piúpericolosa l'ignoranzaperché non ha né peso némisura né legge che la malignitàche pure si regge conqualche regola con qualche freno con qualche termine. Né vimuova l'esempio de' vinizianiperché in loro e il sito faqualche momento e la forma del governo inveterata fa moltoe le cosevi sono ordinate in modo che le deliberazioni importanti sono piúin potestà di pochi che di molti; e gl'ingegni lorononessendo per natura forse cosí acuti come sono gli ingegninostrisono molto piú facili a quietarsi e a contentarsi. Nési regge il governo viniziano solamente con quegli due fondamenti iquali sono stati consideratima alla perfezione e stabilitàsua importa molto lo esservi uno doge perpetuoe molte altreordinazionile quali chi volesse introdurre in questa republicaarebbe infiniti contradittori; perché la città nostranon nasce al presentené ha ora la prima volta la suainstituzione. Peròrepugnando spesso alla utilitàcomune gli abiti inveteratie sospettando gli uomini che sottocolore della conservazione della libertà si cerchi disuscitare nuova tirannidenon sono per giovargli facilmente iconsigli sani; cosí come in uno corpo infetto e abbondante dipravi umori non giovano le medicine come in uno corpo purificato. Perle quali cagionie per la natura delle cose umaneche comunementedeclinano al peggioè da temere che quello che sarà inquesto principio ordinato imperfettamentein progresso di tempo intutto si disordinipiú che da sperare che o col tempo o conle occasioni si riduca alla perfezione. Ma non abbiamo noi gliesempli nostri senza cercare di quegli d'altri? ché mai ilpopolo ha assolutamente governata questa città che ella non sisia piena di discordieche ella non si sia in tutto conquassataefinalmente che lo stato non abbia presto avuto mutazione: e se purevogliamo ricercare per gli esempli d'altriperché non ciricordiamo noi che il governo totalmente popolare fece in Roma tantitumulti che se non fusse stata la scienza e la prontezza militaresarebbe stata breve la vita di quella republica? perché non ciricordiamo noi che Atenefloridissima e potentissima cittànon per altro perdé l'imperio suoe poi cadde in servitúdi suoi cittadini e di forestieriche per disporsi le cose gravi conle deliberazioni della moltitudine? Ma io non veggo per quale cagionesi possa dire che nel modo introdotto nel parlamento non si ritruoviinteramente la libertàperché ogni cosa èriferita alla disposizione de' magistratii quali non sono perpetuima si scambianoné sono eletti da pochi: anziapprovati damoltihannosecondo l'antica consuetudine della cittàaessere rimessi ad arbitrio della sorte: peròcome possonoessere distribuiti per sette o per volontà di cittadiniparticolari? Aremo bene maggiore certezza che le faccende piúimportanti saranno esaminate e indiritte dagli uomini piú savipiú pratichi e piú gravii quali le governeranno conaltro ordine con altro segreto con altra maturità che nonfarebbe il popoloincapace delle cosee talvoltaquando mancobisognaprofusissimo nello spenderetalvolta ne' maggiori bisognitanto stretto che spessoper piccolissimo risparmioincorre ingravissime spese e pericoli. È importantissimacome ha dettoPagolantoniola infermità d'Italiae particolarmente quelladella patria nostra: però che imprudenza sarebbequandobisognano i medici piú periti e piú espertirimettersiin quegli che hanno minore perizia ed esperienza. E da considerare inultimo che in maggiore quiete manterrete il popolo vostropiúfacilmente lo condurrete alle deliberazioni salutifere a se stesso eal bene universaledandogli moderata parte e autorità; perchérimettendo a suo arbitrio assolutamente ogni cosasaràpericolo non diventi insolentee troppo difficile e ritroso a’consigli de' vostri savi e affezionati cittadini. -

Arebbene' consigline' quali non interveniva numero molto grande dicittadinipotuto piú quella sentenza che tendeva alla formanon tanto larga del governo se nella deliberazione degli uomini nonfusse stata mescolata l'autorità divinaper la bocca diIeronimo Savonarola da Ferrarafrate dell'ordine de' predicatori.Costuiavendo esposto publicamente il verbo di Dio piú annicontinui in Firenzee aggiunta a singolare dottrina grandissima famadi santitàaveva appresso alla maggiore parte del popolovendicatosi nome e credito di profeta; perchénel tempo chein Italia non appariva segno alcuno se non di grandissimatranquillitàavea nelle sue predicazioni predetto molte voltela venuta d'eserciti forestieri in Italiacon tanto spavento degliuomini che e' non resisterebbono loro né mura néeserciti: affermando non predire questo e molte altre cosele qualicontinuamente predicevaper discorso umano né per scienza discritture ma semplicemente per divina revelazione. E aveva accennatoancora qualche cosa della mutazione dello stato di Firenze; e inquesto tempodetestando publicamente la forma deliberata nelparlamentoaffermava la volontà di Dio essere che e's'ordinasse uno governo assolutamente popolaree in modo che nonavesse a essere in potestà di pochi cittadini alterare néla sicurtà né la libertà degli altri: talmentechecongiunta la riverenza di tanto nome al desiderio di moltinonpotettono quegli che sentivano altrimenti resistere a tantainclinazione. E peròessendosi ventilata questa materia inmolte consultefu finalmente determinato che e' si facesse unoconsiglio di tutti i cittadininon vi intervenendocome in molteparti d'Italia si divulgòla feccia della plebe ma solamentecoloro che per le leggi antiche della città erano abili apartecipare del governo; nel qual consiglio non s'avesse a trattare oa disporre altro che eleggere tutti i magistrati per la cittàe per il dominioe confermare i provedimenti de' danarie tutte leleggi ordinate prima ne' magistrati e negli altri consigli piústretti. E acciocché si levassino l'occasioni delle discordiecivilie si assicurassino piú gli animi di ciascunofu perpublico decreto proibitoseguitando in questo l'esempio degliateniesiche de' delitti e delle trasgressioni commesse per ilpassato circa le cose dello stato non si potesse riconoscere. In su'quali fondamenti si sarebbe forse costituito un governo ben regolatoe stabile se si fussinonel tempo medesimointrodotti tutti quegliordini che caddonoinsino allorain considerazione degli uominiprudenti: ma non si potendo queste cose deliberare senza consenso dimoltii quali per la memoria delle cose passate erano pieni disospettofu giudicato che per allora si costituisse il consigliograndecome fondamento della nuova libertà; rimettendoafare quel che mancavaall'occasione de' tempi e quando l'utilitàpublica fussemediante la esperienzaconosciuta da quegli che nonerano capaci di conoscerla mediante la ragione e il giudicio.

Cap.iii

CarloVIII s'impadronisce di Castelnuovo di Castel dell'Uovo e della roccadi Gaeta. Prima della resa di Castel dell'Uovo chiama a sé donFederigo d'Aragona e fa proposte di stati nel regno di Francia afavore di Ferdinando. Risposta di Federigo. Ferdinando da Ischia doves'era ritirato si reca in Sicilia. Morte di Gemin ottomannofratellodel gran turcoconsegnato a Carlo da Alessandro VI.

Travagliavanoin maniera tale le cose di Toscana. Ma in questo mezzo il re diFranciaacquistato che ebbe Napoliattendevaper dare perfezionealla vittoriaa due cose principalmente: l'unaa espugnareCastelnuovo e Castel dell'Uovofortezze di Napoli le quali sitenevano ancora per Ferdinandoperché con piccola difficoltàaveva ottenuta la Torre di San Vincenzioedificata per guardia delporto; l'altraa ridurre a ubbidienza sua tutto il reame: nellequali cose la fortuna la medesima benignità gli dimostrava.Perché Castelnuovoabitazione de' reposto in sul lito delmareper la viltà e avarizia de' cinquecento tedeschi chev'erano a guardiafatta leggiera difesas'arrendéconcondizione che n'uscissino salvicon tutta la roba che essi medesimipotessino portarne; nel quale essendo copia grandissima divettovaglieCarlosenza considerazione di quello che potessesuccederele donò ad alcuni de' suoi; e Castel dell'Uovoilqualefondato dentro al mare in su un masso già contiguo allaterrama separatone anticamente per opera di Lucullosi congiugnecon uno stretto ponte al lito poco lontano da Napolibattutocontinuamente dall'artiglierie franzesibenché potessinooffendere la muraglia ma non il vivo del massosi convenne dopo nonmolti dí d'arrendersiin caso che fra otto dí nonfusse soccorso. E a' capitani e alle genti d'armemandate in diverseparti del reameandavano incontroparecchie giornatei baroni e isindichi delle comunitàfacendo a gara tra loro d'essere iprimi a riceverglie con tanta o inclinazione o terrore di ciascunoche i castellani delle fortezze quasi tutti senza resistenza ledettono; e la rocca di Gaetache era bene provedutacombattutaleggiermentes'arrendé a discrezione. In modo che inpochissimi dícon inestimabile facilitàtutto ilregno si ridusse in potestà di Carlo: eccetto l'isolad'Ischiae le fortezze di Brindisi e di Galipoli in Pugliae inCalavria la fortezza di Reggiocittà posta in sulla puntad'Italia all'incontro di Siciliatenendosi la città perCarlo; e la Turpia e la Mantia le quali da principio rizzorono lebandiere di Franciama recusando di stare in dominio d'altri che delreil quale l'aveva donate ad alcuni de' suoimutato consiglioritornorono al primo signore. E il medesimo fece poco dipoi la cittàdi Brindisialla quale non avendo Carlo mandato genteanzi pernegligenza non solo non espediti ma appena uditi i sindici suoimandati a Napoli per capitolareebbono quegli che erano perFerdinando nelle fortezze facoltà di ritirare spontaneamentela città alla divozione aragonese: per il quale esempio lacittà di Otranto che aveva chiamato il nome di Francianonv'andando alcuno a riceverlanon continuò nella medesimadisposizione.

Andoronoda Alfonso Davalo marchese di Pescara in fuorail qualelasciato inCastelnuovo da Ferdinandol'avevacome si accorse dellainclinazione de' tedeschi ad arrendersiseguitatoe due o tre altriche per avere Carlo donati gli stati loro s'erano fuggiti in Siciliatutti i signori e baroni del reame a fare omaggio al nuovo re. Ilqualedesideroso di stabilire totalmente per via di concordia sígrande acquistoavevainnanzi che ottenesse Castel dell'Uovochiamato a sé sotto salvocondotto don Federigoil quale peressere dimorato piú anni nella corte del padree per lacongiunzione del parentado avuta col reera grato a tutti i signorifranzesi; al quale offerse di dare a Ferdinandoin caso rilasciassequello che gli restava nel reamestati ed entrate grandi in Franciae a lui dare ricompenso abbondante di tutto quello vi possedeva. Maessendo nota a don Federigo la deliberazione del nipotedi nonaccettare partito alcuno se non restandogli la Calavriarispose congravi parole: che poi che Dio la fortuna e la volontà di tuttigli uomini erano concorse a dargli il reame di NapolicheFerdinandonon volendo fare resistenza a questa fatale disposizionené riputandosi vergogna il cedere a un tanto revoleva nonmanco che gli altri stare a sua ubbidienza e divozionepure che dalui gli fusse conceduta qualche parte del reameaccennando dellaCalavrianella quale standonon come re ma come uno de' suoibaronipotesse adorare la clemenza e la magnanimità del re diFrancia; al cui servigio sperava d'avere qualche volta occasione didimostrare quella virtú che la mala fortuna gli aveva vietatodi potere per la salute di se medesimo esercitare. Questo consiglionon potere essere a Carlo di maggiore gloriae simile a' consigli diquegli re memorabili appresso all'antichitài quali con taliopere aveano fatto immortale il nome loro e conseguito appresso a'popoli gli onori divini; ma non essere consiglio manco sicuro chegloriosoperchéridotto Ferdinando alla sua divozionearebbe il regno stabilitoné arebbe a temere della mutazionedella fortunadella quale era proprioogni volta che le vittorienon s'assicuravano con moderazione e con prudenzamaculare conqualche caso inopinato la gloria guadagnata.

Maparendo a Carlo che il concedere parte alcuna del reame al suocompetitore mettesse tutto il resto in manifestissimo pericolodonFederigo si partí discorde da lui; e Ferdinandopoichéfurono arrendute le castellase n'andò con quattordici galeesottili male armatecon le quali s'era partito da NapoliinSiciliaper essere parato a ogni occasionelasciato a guardia dellarocca d'Ischia Inico Davalo fratello d'Alfonsouomini amendue divirtú e di fede egregia verso il suo signore. Ma Carloperprivare gl'inimici di quello ricettacolomolto opportuno a turbareil reamevi mandò l'armatache finalmente era arrivata nelporto di Napoli; la qualetrovata la terra abbandonatanon combattéla roccadisperandosi per la fortezza sua di poterla ottenere: peròdeliberò il re far venire altri legni di Provenza e da Genovaper pigliare Ischiae assicurare il mare infestato qualche volta daFerdinando. Ma non era pari alla fortuna la diligenza o il consigliogovernandosi tutte le cose freddamente e con grandissima negligenza econfusione: perché i franzesidiventati per tanta prosperitàpiú insolenti che 'l solitolasciando portare al caso le cosedi momentonon attendevano ad altro che al festeggiare e a' piaceri;e quegli che erano grandi appresso al rea cavare privatamente dellavittoria piú frutto potevanosenza considerazione alcunadella degnità o dell'utilità del suo principe.

Nelqual tempo morí in Napoli Gemin ottomannocon sommodispiacere di Carloperché lo reputava grandissimo fondamentoalla guerra la quale aveva in animo di fare contro allo imperio de'turchi; e si credettemolto costantementeche la sua morte fusseproceduta da velenodatogli a tempo terminato dal ponteficeoperché avendolo conceduto contro alla sua volontàeper questo privatosi de' quarantamila ducati che ciascuno anno glipagava Baiset suo fratellopigliasse per consolazione dello sdegnoche chi ne l'aveva privato non ricevesse di lui comoditàoper invidia che e' portasse alla gloria di Carlo; e forse temendo cheavendo prosperi successi contro agl'infedeli volgesse poi i pensierisuoicomebenché per interessi privatiera stimolatocontinuamente da moltia riformare le cose della Chiesa: le qualiallontanatesi totalmente dagli antichi costumifacevano ogni díminore l'autorità della cristiana religionetenendo per certociascuno che avesse a declinare molto piú nel suo pontificato;il qualeacquistato con pessime artinon fu forse giammaiallamemoria degli uominiamministrato con peggiori. Né mancòchi credesseperché la natura facinorosa del pontefice facevacredibile in lui qualunque iniquitàche Baisetcome inteseil re di Francia prepararsi a passare in Italial'avesseper mezzodi Giorgio Bucciardocorrotto con danari a privare Gemin della vita.Ma non cessando per la sua morte Carloil quale piú conprontezza d'animo che con prudenza e consiglio procedevadi pensarealla guerra contro a' turchimandò in Grecia l'arcivescovo diDurazzo di nazione albaneseperché gli dava speranza disuscitareper mezzo di certi fuoruscitiqualche movimento in quellaprovincia. Ma nuovi accidenti lo costrinsono a volgere l'animo anuovi pensieri.

Cap.iv

Preoccupazionie timori di Lodovico Sforza e di Venezia per la nuova condizionepolitica d'Italia. Preoccupazioni del pontefice e di Massimiliano.Confederazione tra il pontefice il re de' romani i re di Spagna iveneziani e il duca di Milano. Carlo VIII continua a non tener fedeai patti concordati co' fiorentini. Principia il malcontento neisudditi del reame di Napoli contro i francesi.

Edetto di sopra che la cupidità d'usurpare il ducato di Milanoe la paura che aveva degli Aragonesi e di Piero de' MediciindussonoLodovico Sforza a procurare che 'l re di Francia passasse in Italia;per la venuta del qualepoiché ebbe ottenuto il suo ambiziosodesiderioe che gli Aragonesi furono ridotti in tante angustie checon difficoltà poteano la propria salute sostentarecominciòa presentarsigli innanzi agli occhi il secondo timore molto piúpotente e molto piú giusto che 'l primocioè laservitú imminente a sé e a tutti gli italiani se allapotenza del re di Francia il reame di Napoli s'aggiugnesse. Peròaveva desiderato che Carlo trovasse nel dominio de' fiorentinimaggiore difficoltà; e veduto essergli stato facilissimo ilcongiugnersi quella republicae che con la medesima facilitàaveva superato l'opposizione del ponteficee che senza intoppoalcuno entrava nel regno di Napoligli pareva ogni dí tantomaggiore il suo pericolo quanto riusciva maggiore e piú facileil corso della vittoria de' franzesi. Il medesimo timore cominciava aoccupare l'animo del senato viniziano; il qualeessendo perseveratonella prima deliberazione di conservarsi neutralesi era con tantacircospezione astenuto non solo da i fatti ma da tutte ledimostrazioni che lo potessino fare sospetto di maggiore inclinazioneall'una parte che all'altra cheavendo eletti imbasciadori al re diFrancia Antonio Loredano e Domenico Trivisanonon però primache quando intese che aveva passato i montiaveva tardato tanto amandargli che 'l re prima di loro era arrivato in Firenze. Ma vedendopoi l'impeto di tanta prosperitàe che il re come un folgoresenza resistenza alcunaper tutta Italia discorrevacominciòa riputare pericolo proprio il danno alieno e a temere che alla ruinadegli altri avesse a essere congiunta la sua; e massime che l'avereCarlo occupata Pisa e l'altre fortezze de' fiorentinilasciataguardia in Siena e fatto poi il medesimo nello stato della Chiesapareva segno pensasse piú oltre che solamente al regnonapoletano. Però prontamente prestò gli orecchi allepersuasioni di Lodovico Sforza; il qualesubito che a Carlo cederonoi fiorentiniaveva cominciato a confortare che insieme con luirimediassino a' pericoli comuni. E si crede che se Carloo in terradi Roma o nell'entrata del regno di Napoliavesse riscontrato inqualche difficoltàarebbono prese l'armi congiuntamentecontro a lui. Ma la vittoria succeduta con tanta celeritàprevenne tutte le cose che si trattavano per impedirla. E giàCarloinsospettito degli andamenti di Lodovicoaveadopol'acquisto di Napolicondotto Gian Iacopo da Triulzio con centolancie e con onorata provisionee congiuntisi con molte promesse ilcardinale Fregoso e Obietto dal Fiesco; questi per instrumentipotenti a travagliare le cose di Genovaquello per essere capo dellaparte guelfa in Milano e avere l'animo alienissimo da Lodovico: alquale similmente recusava di dare il principato di Tarantoallegandonon essere obligato se non quando avesse conquistato tutto il reame.Le quali cose essendo molestissime a Lodovicofece ritenere dodicigalee che per il re si armavano a Genovae proibí che alcunilegni per lui non vi si armassino; da che il re si lamentòessere proceduto che e' non avesse tentato di nuovo con maggioreapparato di espugnare Ischia.

Crescendoadunque da ogni parte continuamente i sospetti e gli sdegnie avendol'acquisto tanto súbito di Napoli rappresentato al senatoviniziano e al duca di Milano il pericolo maggiore e piúpropinquofurono necessitati a non differire di mettere inesecuzione i loro pensieri: alla quale deliberazione gli facevaprocedere con maggiore animo la compagnia potente che avevano; perchéal medesimo non era manco pronto il ponteficeimpaurito sopramodode' franzesi; né manco pronto Massimiliano Cesareal qualeper molte cagioni che aveva di inimicizia con la corona di Francia eper le ingiurie gravissime ricevute da Carlofurono in ogni tempopiú che a tutti gli altri molestissime le prosperitàfranzesi. Ma quegli ne' quali i viniziani e Lodovico maggiore e piúfermo fondamento facevano erano Ferdinando e Isabella re e reina diSpagna; i quali essendosi poco innanzinon per altro effetto che perriavere da lui la contea di Rossiglioneobligati a Carlo a non gliimpedire l'acquisto di Napolis'avevano astutamente insino ad alloralasciata libera la facoltà di fare il contrario: perché(se è vero quel che essi publicorono) fu apposta ne' capitolifatti per quella restituzione una clausula di non essere tenuti acosa alcuna che il pregiudicio della Chiesa concernesse; con la qualeeccezione inferivano che se 'l ponteficeper l'interesse del suofeudogli ricercasse ad aiutare il regno di Napoliera in potestàloro il farlo senza contravenire alla fede data e alle promesse.Aggiunsono poi cheper i medesimi capitoliera proibito lorol'opporsi a Carlo in caso constasse quel reame appartenersi a luigiuridicamente. Ma quale sia di queste cose la veritàcerto èche subito che ebbono recuperate quelle terre non solo cominciorno adare speranza agli Aragonesi di aiutarglie a fare occultamenteinstanza col pontefice che non abbandonasse la causa loroma avendonel principio confortato il re di Franciacon moderate parole e comeamatori della gloria sua e mossi dal zelo della religionea voltarepiú tosto l'armi contro agl'infedeli che contro a' cristianicontinuavano nel confortarlo al medesimoma con maggiore efficacia econ parole piú sospette quanto piú procedeva innanziquella espedizione: le quali perché avessino piúautoritàe per nutrire con maggiore speranza il pontefice egli Aragonesie nondimeno da altra parte spargendo fama di pensaresolamente alla custodia della Siciliapreparavano di mandarvi permare una armatache vi arrivò dopo la perdita di Napoli;benché con apparatosecondo il costume loromaggiore nelledimostrazioni che negli effettiperché non condusse piúche ottocento giannettari e mille fanti spagnuoli. Con questesimulazioni erano proceduti insino a tanto che l'avere i Colonnesioccupata Ostiae le minaccie che dal re di Francia si facevanocontro al ponteficedettono loro piú onesta occasione dimandare fuora quel che aveano conceputo nell'animo: la qualeabbracciando prontamentefeciono da Antonio Fonsecca loroimbasciadore protestare apertamente al requando era in Firenzechesecondo l'ufficio di príncipi cristiani piglierebbono ladifensione del pontefice e del regno napoletanofeudo della Chiesaromana; e già avendo cominciato a trattare co' viniziani e colduca di Milano di collegarsiintesa che ebbono la fuga degliAragonesigli sollecitavano con grandissima instanza a intendersicon loroper la sicurtà comunecontro a' franzesi. Peròfinalmentedel mese di aprilenella città di Vinegiadoveerano gli imbasciadori di tutti questi príncipifu contrattaconfederazione tra il pontefice il re de' romani i re di Spagna iviniziani e il duca di Milano; il titolo e la publicazione dellaquale fu solamente a difesa degli stati uno dell'altroriserbandoluogo a chiunque volesse entrarvi con le condizioni convenienti. Magiudicando tutti necessario di operare che 'l re di Francia nontenesse il reame di Napolifu ne' capitoli piú secreticonvenuto: che le genti spagnuole venute in Sicilia aiutassinoFerdinando di Aragona alla recuperazione di quel reameil quale consperanza grande della volontà de' popoli trattava di entrarenella Calavriae che i viniziani nel tempo medesimo assaltassino conl'armata loro i luoghi marittimi; sforzassesi il duca di Milanoperimpedire se di Francia venisse nuovo soccorsodi occupare la cittàdi Astinella quale con piccole forze era rimasto il duca diOrliens; e che a' re de' romani e di Spagna fusse data dagli altriconfederati certa quantità di danariacciocchéciascuno di loro rompesse con potente esercito la guerra nel regno diFrancia.

Desiderornooltre a queste cose i confederati che tutta Italia fusse unita in unamedesima volontàe perciò feceno instanza che ifiorentini e il duca di Ferrara entrassino nella medesimaconfederazione. Ricusò il ducarichiestone innanzi che lalega si publicassedi pigliare l'armi contro al re; e da altrapartecon cautela italianaconsentí che don Alfonso suoprimogenito si conducesse col duca di Milano con cento cinquantauomini d'armecon titolo di luogotenente delle sue genti. Diversaera la causa de' fiorentiniinvitati alla confederazione con offertegrandie che aveano giustissime cagioni di alienarsi dal re: perchépublicata che fu la legaLodovico Sforza offerse loro in nome ditutti i confederatiin caso vi entrassinotutte le forze loro perresistere al rese ritornando da Napoli tentasse di offendergliedi aiutargli come prima si potesse alla recuperazione di Pisa e diLivorno; e da altra parte il redisprezzate le promesse fatte inFirenzené da principio gli aveva reintegrati nellapossessione delle terre né dopo l'acquisto di Napolirestituite le fortezzeposponendo la fede propria e il giuramento alconsiglio di coloro chefavorendo la causa de' pisanipersuadevanoche i fiorentinisubito che ne fussino reintegratisi unirebbonocon gli altri italiani; a' quali si opponeva freddamente il cardinaledi San Malòbenché avesse ricevuti molti danaripernon venire per causa loro in controversia con gli altri grandi. Nésolo in questa ma in molte altre cose aveva dimostrato il re nontenere conto né della fede né di quello che glipotessein tempo taleimportare l'aderenza de' fiorentini; in modochequerelandosi gli oratori loro della ribellione di Montepulcianoe facendo instanza checome era tenutocostrignesse i sanesi arestituirlorisposequasi deridendo: - Che poss'io fare se isudditi vostri per essere male trattati si ribellano? E nondimeno ifiorentininon si lasciando traportare dallo sdegno contro allapropria utilitàdeliberorno di non udire le richieste de'collegati; sí per non provocare di nuovo contro a sénel ritorno del rel'armi franzesicome perché potevanosperare piú la restituzione di quelle terre da chi l'aveva inmano; e perché confidavano poco in queste promessesapendo diessere esosi a' viniziani per l'opposizioni fatte in diversi tempialle imprese loroe conoscendosi manifestamente che Lodovico Sforzav'aspirava per sé.

Nelquale tempo era già la riputazione de' franzesi cominciata adiminuire molto nel regno di Napoliperché occupati da'piacerie governandosi a casonon avevano atteso a cacciare gliaragonesi di quegli pochi luoghi che si tenevano per lorocomeseavessino seguitato il favore della fortunasarebbe succedutofacilmente. Ma molto piú era diminuita la grazia: perchése bene a' popoli il re molto liberale e benigno dimostrato si fusseconcedendo per tutto il reame tanti privilegi ed esenzioni cheascendevano ciascuno anno a piú di dugentomila ducatinondimeno non erano state l'altre cose indirizzate con quell'ordine eprudenza che si doveva; perché eglialieno dalle fatiche edall'udire le querele e i desideri degli uominilasciava totalmenteil peso delle faccende a' suoii qualiparte per incapacitàparte per avariziaconfusono tutte le cose: perché la nobiltànon fu raccolta né con umanità né con premidifficoltà grandissima a entrare nelle camere e udienze delrenon fatta distinzione da uomo a uomonon riconosciuti se non acaso i meriti delle personenon confermati gli animi di coloro chenaturalmente erano alieni dalla casa d'Aragonainterposte moltedifficoltà e lunghezze alla restituzione degli stati e de'beni della fazione angioina e degli altri baroni che erano statiscacciati da Ferdinando vecchiofatte le grazie e i favori a chi gliprocurava con doni e con mezzi straordinaria molti tolto senzaragione a molti dato senza cagionedistribuiti quasi tutti gliuffici e i beni di molti ne' franzesidonate con grandissimodispiacere loro quasi tutte le terre di dominio (cosí chiamanoquelle che sono solite a ubbidire immediatamente a' re)e lamaggiore parte a' franzesi; cose tanto piú moleste a' sudditiquanto piú erano assuefatti a' governi prudenti e ordinati de're aragonesie quanto piú del nuovo re promesso s'aveano.Aggiugnevasi il fasto naturale de' franzesiaccresciuto per lafacilità della vittoriaper la quale tanto di se stessiconceputo aveano che teneano tutti gl'italiani in niuna estimazione;la insolenza e impeto loro nell'alloggiarenon manco in Napoli chenell'altre parti del regno dove erano distribuite le genti d'armelequali per tutto facevano pessimi trattamenti: in modo che l'ardentedesiderio che avevano avuto gli uomini di loro era giàconvertito in ardente odio; e per contrarioin luogo dell'odiocontro agli Aragonesi era sottentrata la compassione di Ferdinandol'espettazione avutasi sempre generalmente della sua virtúlamemoria di quel dí che con tanta mansuetudine e costanza aveainnanzi si partisseparlato a' napoletani. Donde e quella cittàe quasi tutto il reame non con minore desiderio aspettavano occasionedi potere richiamare gli Aragonesi che pochissimi mesi innanziavessino desiderato la loro distruzione. Anzi già cominciava aessere grato il nome tanto odioso d'Alfonsochiamando giustaseverità quella cheinsino quando vivente il padre attendevaalle cose domestiche del regnosolevano chiamare crudeltàesincerità d'animo veridico quella che molt'anni avevanochiamata superbia e alterezza. Tale è la natura de' popoliinclinata a sperare piú di quel che si debbe e a tolleraremanco di quel ch'è necessarioe ad avere sempre in fastidiole cose presenti; e specialmente degli abitatori del regno di Napolii quali tra tutti i popoli d'Italia sono notati di instabilitàe di cupidità di cose nuove.

Cap.v

Deliberazionidi Carlo VIII per la confederazione degli stati italiani. Carlo primadella partenza da Napoli distribuisce le cariche e gli uffici. Ardoredel re e della corte di ritornare in Francia. Trattative fra Carlo eil pontefice per l'investitura del regno di Napoli. Carlo dopo averassunto il titolo e le insegne reali parte da Napoli. Gli Orsinichiedono invano d'esser lasciati in libertà. Il pontefice perevitare d'incontrarsi con Carlo si reca a Orvieto equindiaPerugia. Nuovi tentativi de' fiorentini di riavere le fortezze. Carloprendema per breve tempoin protezione Siena.

Avevail reinsino innanzi si facesse la nuova legaquasi stabilito diritornarsene presto in Francia; mosso piú da leggiera cupiditàe dal desiderio ardente di tutta la corte che da prudenteconsiderazioneperché nel reame restavano indeciseinnumerabili e importanti faccende di príncipi e di statinéavea la vittoria avuta perfezionenon essendo conquistato tutto ilregno. Ma inteso che ebbe essere fatta contro a séconfederazione di tanti príncipicommosso molto di animoconsultava co' suoi quel che in tanto accidente fusse da fare;affermandosi verissimamente per ciascuno essere già molte etàche tra i cristiani non si era fatta unione tanto potente. Perconsiglio de' quali fu principalmente deliberato che si accelerassela partitadubitando che quanto piú si soprastava tanto piúsi accrescessino le difficoltàperché si darebbe tempoa' collegati di fare preparazioni maggiori (e già era fama cheper ordine loro passerebbe in Italia numero grande di tedeschie sicominciava a vociferare della persona di Cesare); che 'l reprovedesse che di Francia passassino con prestezza in Asti nuovegentiper conservare quella città e per necessitare il ducadi Milano ad attendere a difendere le cose propriee perchéfussino pronte a passare piú innanzi quando il re giudicasseche cosí fusse necessario. E fu nel medesimo consigliodeliberato di affaticarsi con ogni diligenza e con offertegrandissime per separare il pontefice dagli altri collegatie perdisporlo a concedere [a Carlo] la investitura del regno di Napoli; laquale benché a Roma avesse convenuto di concedereassolutamenteavea insino a quel dí ricusato di concedereeziandio con dichiarazione che per questa concessione non si facessepregiudicio alle ragioni degli altri. Né in tanto gravedeliberazionee tra sí importanti pensiericadde la memoriadelle cose di Pisa; perché desiderandoper molti rispettiche in potestà sua fusse il dispornee dubitando che dalpopolo pisano non gli fusse con l'aiuto de' collegati tolta lacittadellavi mandò per mareinsieme con gli imbasciadoripisani che erano appresso a luiseicento fanti di quegli del regnosuo. I qualicome arrivorono in Pisapresa la medesima affezioneche avevano presa gli altri lasciati in quella cittàe mossida cupidità di rubareandorono con le genti de' pisanida'quali ebbono danaria campo al castello di Librafatta; dove ipisanide' quali era capitano Lucio Malvezzoessendosi accampatinon molti dí primapreso animo per avere i fiorentini mandatauna parte delle genti verso Montepulcianointeso dipoi approssimarsigl'inimici si erano levati innanzi dí: ma ritornativi di nuovocon questo presidio franzese l'espugnorono in pochi dí;essendo stato l'esercito fiorentinoil quale ritornava persoccorrerlaimpedito dalla grossezza dell'acque a passare il fiumedel Serchioné avendo avuto ardire di pigliare il camminoallato alle mura di Luccaper la disposizione del popolo luccheseconcitato molto in favore della libertà de' pisani. Con legenti de' qualidopo l'acquisto di Librafattascorsono i franzesiche si riserborono Librafattaper tutto il contado di Pisacomeinimici manifesti de' fiorentini; a' qualiquando si querelavanonon rispondeva altro Carlo se non checome fusse arrivato inToscanaosserverebbe loro le cose promesseconfortandogli chequesta breve dilazione senza molestia tollerassino.

Manon era a Carlo sí facile la deliberazione del partirsicom'era pronto il desiderioperché non aveva tanto esercitochediviso in due partipotesse senza pericolo contro allaopposizione de' confederati condurlo in Astie che fusse bastante adifenderein tanti movimenti che si preparavanofacilmente il regnodi Napoli. Nelle quali difficoltà fu costrettoe perchéil regno non rimanesse spogliato di difensori diminuire delleprovisioni opportune alla sua salutee per non mettere se inpericolo sí manifesto non vi lasciare quel potente presidioche sarebbe stato di bisogno. Però deliberò lasciarvila metà de' svizzeri e una parte de' fanti franzesiottocentolancie franzesie circa a cinquecento uomini d'arme italianicondotti a' soldi suoi parte sotto il preletto di Roma parte sottoProspero e Fabrizio Colonna e Antonello Savellotutti capitanibeneficati da lui nella distribuzione che fece di quasi tutte leterre e stati del regno; e massimamente i Colonnesiperché aFabrizio aveva conceduto i contadi d'Albi e di Tagliacozzopossedutiprima da Verginio Orsinoe a Prospero il ducato di Traietto e lacittà di Fondi con molte castellache erano della famigliaGaetanae Montefortino con altre terre circostantitolte allafamiglia de' Conti: con le quali genti pensava che in ogni bisogno siunissino le forze di quegli baroni i qualiper la sicurtàpropriaerano necessitati di desiderare la sua grandezzae sopratutti del principe di Salernorestituito da lui all'ufficiodell'ammiraglioe del principe di Bisignano. Luogotenente generaledi tutto il regno diputò Giliberto di Mompensiericapitanopiú stimato per la grandezza sua e per essere del sangue realeche per proprio valore; e diputò oltre a lui vari capitani inmolte parti del regnoa' quali tutti aveva donato stati ed entrate:e di questi furono i principali Obigní al governo dellaCalavriafatto da lui gran conestabile; a Gaeta il siniscalco diBelcarial quale aveva dato l'ufficio del gran camarlingo;nell'Abruzzi Graziano di Guerravaloroso e riputato capitano. Aqueste genti promesse di mandare danari e presto soccorsoma nonlasciò altra provisione che l'assegnamento di quegli chegiornalmente si riscotessino dell'entrate del regno. Il quale giàvacillavacominciando a risorgere in molti luoghi il nome aragonese:perché Ferdinando erane' dí medesimi che 'l re volevapartire da Napolismontato in Calavriaaccompagnato dagli spagnuolivenuti in sull'armata nell'isola di Sicilia; a cui concorseno subitomolti degli uomini del paesee se gli arrendé incontinente lacittà di Reggiola fortezza della quale si era sempre tenutain nome suo; e nel tempo medesimo si scoperse ne' liti di Puglial'armata vinizianadella quale era capitano Antonio Grimannouomoin quella republica di grande autorità. Ma non per questonéper molti altri segni dell'alterazione futurasi rimosse o pure siritardò in parte alcuna la deliberazione del partirsi; perchéoltre a quello a che gli persuadeva forse la necessitàeraincredibile l'ardore che il re e tutta la corte avevano diritornarsene in Francia: come se il caso che era stato bastante afare acquistare tanta vittoria fusse bastante a farla conservare. Nelquale tempo si tenevano per Ferdinando l'isola d'Ischia e l'isole diLiparimembrobenché propinque alla Siciliadel regno diNapoliReggio recuperato nuovamente; e nella medesima CalavriaTerranuova e la fortezzacon alcun'altre fortezze e luoghicircostanti; Brindisidove si era fermato don FederigoGalipolilaMantia e la Turpia.

Mainnanzi che 'l re partisse si trattorono tra il pontefice e lui variecosenon senza speranza di concordia; per le quali andò dalpontefice al ree dipoi ritornò a Romail cardinale di SanDionigie dal re a lui Franzi monsignore: perché il redesiderava sommamente la investitura del regno di Napoli; desideravache il ponteficese non voleva essere congiunto secoalmeno nonaderisse cogli inimici suoie che si contentasse di riceverlo inRoma come amico. Alle quali cose benché il pontefice daprincipio prestasse orecchinondimenoavendo l'animo alieno daconfidarsi di luie perciò non volendo separarsi da'collegatiné concedergli la investituranon la reputandomezzo sufficiente a fare fedele reconciliazioneinterponevaall'altre dimande varie difficoltà; e a quella dellainvestiturabenché il re si riducesse ad accettarla senzapregiudicio delle ragioni d'altririspondeva volere che prima sivedesse giuridicamente a chi di ragione apparteneva: e da altrapartedesiderando di proibire con l'armi che 'l re non entrasse inRomaricercò il senato viniziano e il duca di Milano che glimandassino aiuto; i quali gli mandorono mille cavalli leggieri edumila fantie promessono mandargli mille uomini d'arme; con lequali genti aggiunte alle forze sue sperava potere resistere. Maparendo poi loro troppo pericoloso il discostare tanto le genti daglistati propriné avendo ancora in ordine tutto l'esercitodisegnatoed essendo parte delle genti occupate alla impresa diAstie riducendosi oltre a ciò in memoria la infedeltàdel ponteficee l'averequando passò Carlochiamato in Romacon l'esercito Ferdinando e poi fattolo partiremutato consigliocominciorono a persuadergli che piú tosto si riducesse inluogo sicuro cheper sforzarsi di difendere Romaesporre la suapersona a sí grave pericolo; atteso che quando bene il reentrasse in Roma se ne partirebbe subitosenza lasciarvi gentealcuna. Le quali cose accrebbono la speranza del re di potere venireseco a qualche composizione.

Partíadunque il re da Napoli il vigesimo dí di maggio; ma perchéprima non aveva assunto con le cerimonie consuete il titolo e leinsegne realipochi dí innanzi si partisse ricevésolennemente nella chiesa catedralecon grandissima pompa ecelebrità secondo il costume de' re napoletanile insegnerealie gli onori e i giuramenti consueti prestarsi a' nuovi re;orando in nome del popolo di Napoli Giovanni Ioviano Pontano. Allelaudi del qualemolto chiarissime per eccellenza di dottrina e diazioni civili e di costumidétte quest'atto non piccola nota;perché essendo stato lungamente segretario de' re aragonesi eappresso a loro in grandissima autoritàprecettore ancoranelle lettere e maestro d'Alfonsoparve cheo per servare le partiproprie degli oratori o per farsi piú grato a' franzesisidistendesse troppo nella vituperazione di quegli reda' quali era sígrandemente stato esaltato: tanto è qualche volta difficileosservare in se stesso quella moderazione e quegli precetti co' qualiegliripieno di tanta erudizionescrivendo delle virtúmoralie facendosiper l'universalità dello ingegno suo inogni specie di dottrinamaraviglioso a ciascunoaveva ammaestratotutti gli uomini. Andorono con Carlo ottocento lancie franzesi edugento gentil'uomini della sua guardiail Triulzio con cento lancietremila fanti svizzeri mille franzesi e mille guasconi; e con ordineche in Toscana seco si unissino Cammillo Vitelli e i fratelli condugento cinquanta uomini d'armee che l'armata di mare se neritornasse verso Livorno.

Seguitoronoil renon con altra guardia che data la fede di non partirsi senzalicenzaVerginio Orsino e il conte di Pitigliano. La causa de'qualiperché si querelavano non essere stati fattigiustamente prigioniera stata prima commessa al consiglio reale;innanzi al quale avevano allegato che al tempo che s'arrenderono eragià stato agli uomini mandati da loro non solo conceduto perla bocca propria del re il salvocondottoma eziandio ridotto inscrittura e sottoscritto dalla sua mano; e che avendone ricevutoavviso da' suoi che aspettavano l'espedizione de' secretariavevanosotto questa fidanzaal primo araldo che andò a Nolaalzatole bandiere del ree al primo capitanoil quale aveva secopochissimi cavalliconsegnato le chiavi: non ostante cheavendo conloro piú di quattrocento uomini d'armeavessino facilmentepotuto resistere. Raccontavano l'antica divozione della famigliadegli Orsinila quale avendo sempre tenuta la parte guelfaaveanoe loro e chiunque era mai nato o nascerebbe di quella casascolpitonel cuore il nome e il segno della corona di Francia. Da questoessere proceduto l'avere con tanta prontezza ricevuto il re neglistati loro di terra di Roma. E perciò non convenire néessere giustoné attesa la fede data dal re né attesel'opere loroche e' fussino ritenuti prigioni. Ma non menoprontamente si rispondeva per la parte di Lignídalle cuigenti erano stati presi a Nola: il salvocondottobenchédeliberato e sottoscritto dal renon intendersi perfettamenteconceduto insino a tanto non fusse corroborato col sigillo regio econ le soscrizioni de' secretarie dipoi consegnato alla parte.Questo essere in tutte le concessioni e patenti il costumeantichissimo di tutte le cortiacciocché si potesse moderarequel che dalla bocca del principeo per la moltiplicità de'pensieri e delle faccende o per non essere stato informato pienamentedelle coseinconsideratamente fusse caduto. Né avere questafidanza mosso gli Orsini ad arrendersi a sí piccolo numero digente ma la necessità e il timoreperché non rimanevaloro facoltà né di difendersi né di fuggirsiessendo già tutto 'l paese circostante occupato dall'armi de'vincitori; ed essere falso quel che aveano allegato de' meriti loroi quali quando fussino affermati da altri doverebbono essi medesimiper l'onore proprio negareperché era manifestissimo a tuttoil mondo chenon per volontà ma per fuggire il pericolopartendosi nell'avversità dagli Aragonesi da' quali nelleprosperità aveano ricevuti grandissimi beneficiapersono alre le terre loro. Dunqueessendo agli stipendi degli inimici e dianimo alienissimo dal nome franzesené avendo ricevutaperfettamente sicurtà alcunaessere stati per giusta ragionedi guerra fatti prigioni. Queste cose si dicevano contro agli Orsinile quali essendo sostentate dalla potenza di Ligní edall'autorità de' Colonnesii quali per l'antiche emulazionie diversità delle fazioni apertamente gli impugnavanonon erastata mai data sentenza ma deliberato che seguitassino il re: benchédata speranza di liberarglicome fusse arrivato in Asti.

Mail ponteficebenché per l'averlo i collegati confortato apartirsinon fusse stato senza inclinazione di riconciliarsi conCarlocol quale continuamente trattavanondimenoprevalendofinalmente il sospetto conceputo di luicon tutto che al re avessedato qualche speranza di aspettarvelodue dí innanzi che eglientrasse in Romaaccompagnato dal collegio de' cardinali e dadugento uomini d'arme mille cavalli leggieri e tremila fantie messosufficiente presidio in Castel Santo Angelo se ne andò aOrvieto; lasciato legato in Roma il cardinale di Santa Anastasia aricevere e onorare il re; il qualeentrato per Trastevere persfuggire Castel Santo Angeloandò ad alloggiare nel borgorifiutato l'alloggiamento offertogli per commissione del ponteficenel palagio di Vaticano. Da Orvieto il ponteficecome intese il reapprossimarsi a Viterbobenché gli avesse di nuovo datasperanza di convenire seco in qualche luogo comodo tra Viterbo eOrvietose ne andò a Perugiacon intenzionese Carlo sidirizzava a quel camminodi andare ad Anconaper potere con lacomodità del mare ridursi in luogo totalmente sicuro. Enondimeno il rebenché sdegnato molto con luirilasciòle fortezze di Civitavecchia e di Terracinariserbandosi Ostialaqualealla partita sua d'Italialasciò in potestà delcardinale di San Piero a Vincola vescovo ostiense: passòmedesimamente per il paese della Chiesa come per paese amico; eccettoche l'antiguardiaricusando gli uomini di Toscanella di alloggiarlanella terraentratavi dentro per forzala messe a sacco conuccisione di molti.

Dimoròpoi il resenza alcuna cagionesei giorni in Sienanonconsiderandoné per se stesso né per essergliinstantemente ricordato dal cardinale di San Piero in Vincola e dalTriulzioquanto fusse pernicioso il dare tanto tempo agli inimici diprovedersie di unire le forze loro. Né ricompensòperciò la perdita del tempo con l'utilità delledeliberazioni. Perché in Siena si trattò larestituzione delle fortezze de' fiorentinidal re alla partita suadi Napoli efficacemente promessae poi nel cammino piú volteconfermata; per la quale i fiorentinioltre a essere parati apagargli trentamila ducati che restavano della somma convenuta inFirenzeofferivano di prestargliene settantamilae mandare secoinsino in Asti Francesco Secco loro condottiere con trecento uominid'arme e dumila fanti: in modo che la necessità che aveva ilre di danaril'essergli molto utile l'augumentare l'esercito suoilrispetto della fede e del giuramento realeindusse quasi tuttiquegli del consiglio a confortare efficacemente la restituzioneriservandosi Pietrasanta e Serezanaquasi come instrumento a volgerealla divozione sua piú agevolmente l'animo de’ genovesi.Ma era destinato che in Italia rimanesse accesa la materia di nuovecalamità. Lignígiovane e inespertoma che era natod'una sorella della madre del re e molto favorito da luimosso o daleggierezza o da sdegno che i fiorentini si fussino accostati alcardinale di San Malòimpedí questa deliberazionenonallegando altra ragione che la compassione de' pisanie disprezzandogli aiuti de' fiorentiniper essere (come diceva) l'esercitofranzese potente a battere tutte le genti di guerra italiane uniteinsieme; e a Ligní acconsentiva monsignore di Pienesperchésperava ch'il re gli concedesse il dominio di Pisa e di Livorno.

Trattossiancora in Siena del governo di quella città; perchémolti degli ordini del popolo e de' riformatoriper deprimere lapotenza dell'ordine del Monte de' noveinstavano cheintrodotta unaforma nuova di governoe levata la guardia tenuta dal Monte de' noveal palagio publicovi restasse una guardia di franzesi sotto la curadi Ligní: la quale offerta benché nel consiglio regiocome cosa poco durabile e impertinente al tempo presenterifiutatafussenondimeno Ligníil quale vanamente disegnava difarsene signoreottenne che Carlo pigliasse in protezione con certicapitoli quella cittàobligandosi alla difesa di tutto lostato possedevano; eccetto che di Montepulcianodel quale disse nonvolere né per i fiorentini né per i sanesiintromettersi; e la comunità di Sienacon tutto che di questonon si facesse menzione nella capitolazioneelesseconconsentimento di CarloLigní per suo capitanopromettendogliventimila ducati per ciascun annocon obligazione di tenervi unluogotenente con trecento fanti per guardia della piazza: che vilasciò di quegli che erano con l'esercito franzese. La vanitàdelle quali deliberazioni presto apparíperché nonmolto dipoi l'ordine de' novevendicatasi con l'armi la solitaautoritàcacciò di Siena la guardiae licenziòmonsignore di Lilla che Carlo v'aveva lasciato per suo imbasciadore.

Cap.vi

Ipreparativi de' collegati contro i francesi. Intimazioni e minacce diLodovico Sforza al duca d'Orliens che si fortifica in Asti. Il ducad'Orliens occupa Novara. Fazione di Vigevano.

Magià le cose di Lombardia non mediocremente travagliavano;perché da' viniziani e da Lodovico Sforzail quale aveva ne'medesimi dí ricevuto da Cesare con grandissima solennitài privilegi della investitura del ducato di Milanoe prestatoagliimbasciadori che gli aveano portatipublicamente l'omaggio e ilgiuramento della fedeltàsi facevano grandissime provisioniper impedire a Carlo la facoltà di ritornarsene in Franciaoalmeno per assicurare il ducato di Milanoper il quale egli aveva adattraversare per tanto spazio di paese: e a questo effettoavendociascun di loro riordinato le sue gentiavevanoparte a comuneparte in propriocondotto di nuovo molti uomini d'armee dopo variedifficoltà ottenuto che Giovanni Bentivoglipreso lostipendio comune da loroaderisse alla legacon la città diBologna. Armava ancora a Genova Lodovicoper sicurtà diquella cittàdieci galee a spese sue propriee quattro navigrosse a spese comuni del papa de' viniziani e sue; e intantopereseguire quello che era obligato per i capitoli della confederazionealla espugnazione di Astiaveva mandato a soldare in Germania dumilafantie voltato a quella espedizione Galeazzo da San Severino consettecento uomini d'arme e tremila fanti: promettendosene con tantasperanza la vittoria checome era per natura molto insolente nelleprosperitàper schernire il duca d'Orliensmandò aricercarlo che in futuro non usurpasse piú il titolo di ducadi Milanoil quale titolo avea dopo la morte di Filippo MariaVisconte assunto Carlo suo padre; non permettesse che nuove gentifranzesi passassino in Italia; facesse ritornare quelle che erano inAsti di là da' monti; e che per sicurtà dell'osservanzadi queste cose depositasse Asti in mano di Galeazzo da San Severinodel quale il suo re poteva confidare non meno di luiavendo l'annodinanzi in Francia ammessolo nella confraternita e ordine suo di SanMichele: magnificandooltre a questocon la medesima iattanza leforze suele provisioni de' collegati per opporsi al re in Italiaegli apparati che faceano il re de' romani e i re di Spagna permuovere la guerra di là da' monti. Ma poco moveva Orliens lavanità di queste minaccie. Il qualesubito che aveva avutonotizia trattarsi di fare la nuova confederazioneaveva atteso afortificare Astie con grande instanza sollecitato che di Franciavenissino nuove genti; le qualiessendo state dimandate dal re chevenissino in soccorso propriocominciavano con prestezza a passare imonti: e perciò Orliensnon temendo degli inimiciuscitoalla campagnaprese nel marchesato di Saluzzo la terra e la rocca diGualfinaraposseduta da Antonio Maria da San Severino; dondeGaleazzoche prima aveva prese alcune piccole castellasi ritiròcon l'esercito ad Anonterra del ducato di Milano vicina ad Astinon avendo né speranza di potere offendere né timore diessere offeso. Ma la natura di Lodovicoinclinatissima a implicarsiprontamente in imprese che ricercavano grandissime spesee percontrario alienissimabenché nelle maggiori necessitàdallo spenderefu cagione di mettere lo stato suo in gravissimipericoli; perché per la scarsità de' pagamenti eranovenuti pochissimi de' fanti alamannie per la medesima strettezza legenti che erano con Galeazzo ogni giorno diminuivano: e percontrariosopravenendo continuamente gli aiuti di Franciai qualiper essere chiamati al soccorso della persona del repassavano congrande prontezzail duca d'Orliens aveva già insieme trecentolancie tremila fanti svizzeri e tremila guasconi: e benché daCarlo gli fusse stato precisamente comandato cheastenendosi da ogniimpresastesse preparato a poterequando fusse chiamatofarsegliincontronondimenocome è difficile il resistere agliinteressi proprideliberò di accettare l'occasione d'occuparela città di Novaranella quale offerivano di metterlo dueOpizini Cazal'uno cognominato nero l'altro cognominato biancogentil'uomini di quella città; a' quali era molto odioso ilduca di Milanoperché a loro e a molti altri novaresi avevacon false calunnie e con giudici ingiustiusurpato certi condotti diacque e possessioni. Però Orlienscomposta la cosa con loroaccompagnato da Lodovico marchese di Saluzzopassato di notte ilfiume del Po al ponte a Sturagiurisdizione del marchese diMonferratofu con le sue genti da' congiuratisenza alcunaresistenzaricevuto in Novaradonde avendo subito fatto scorrereparte delle sue genti insino a Vigevanosi crede che se con tuttol'esercito fusse sollecitamente andato verso Milano si sarebbonosuscitati grandissimi movimenti: perchéintesa la perdita diNovarasi veddono molto sollevati a cose nuove gli animi de'milanesi; e Lodoviconon manco timido nell'avversità cheimmoderato nelle prosperità (come quasi sempre ècongiunta in uno medesimo subietto la insolenza con la timidità)dimostrava con inutili lagrime la sua viltà; né legenti che erano con Galeazzonelle quali sole consisteva la suadifesarestate indietrosi dimostravano in luogo alcuno.

Manon essendo sempre note a' capitani le condizioni e i disordini degliinimicisi perdono spesso nelle guerre bellissime occasioni: néanche pareva verisimile che contro a uno principe tanto potentepotesse succedere sí subita mutazione. Orliensper stabilirel'acquisto di Novarasi fermò all'espugnazione della roccala quale il quinto dí convenne d'arrendersi se infra uno dínon fusse soccorsa; per il quale intervallo di tempo ebbe spazio ilSanseverino di ridursi con le sue genti in Vigevanoe il ducacheper riconciliarsi gli animi de' popoli avevaper bando publicolevati molti dazi che prima aveva impostidi accrescere l'esercito.E nondimeno Orliensaccostatosi con le sue genti alle mura diVigevanopresentò la battaglia agli inimici; i quali erano intanto terrore che ebbono inclinazione d'abbandonare Vigevanoepassare il fiume del Tesino per il ponte che v'avevano fatto in sullebarche. Ma ritiratosi Orliens a Trecaspoi che essi recusavano dicombatterecominciorono le cose di Lodovico Sforza a prosperaresopravenendo continuamente all'esercito suo cavalli e fantiperchéi vinizianicontenti che a loro rimanesse quasi tutto il peso diopporsi a Carloconsentirono che Lodovico richiamasse parte dellegenti che avea mandate in parmigianoe gli mandorono oltre a ciòquattrocento stradiotti; talmente che a Orliens fu tolta la facoltàdi passare piú innanzie avendo fatto correre di nuovocinquecento cavalli insino a Vigevanouscendo fuora ad assaltargli icavalli degli inimiciriceverono quegli di Orliens grave danno. Andòdipoi il Sanseverinogià superiore di forzea presentarglila battaglia a Trecas; e ultimamenteraccolto tutto l'esercitonelquale oltre a soldati italiani erano arrivati mille cavalli e dumilafanti tedeschialloggiò appresso a un miglio a NovaraoveOrliens si era con tutte le genti ritirato.

Cap.vii

APoggibonsi Gerolamo Savonarola incita inutilmente Carlo VIII arestituire le terre ai fiorentini. Contrastanti promesse del re aipisani ed ai fiorentini. Carlo manda parte delle truppe controGenova. Saccheggio di Pontremoli.

Lanuova della ribellione di Novara sollecitò Carloche era aSienaad accelerare il cammino; e perciòper fuggirequalunque occasione che lo potesse ritardareavendo notizia che ifiorentiniammuniti da' pericoli passati e insospettiti perchéPiero de' Medici lo seguitavabenché ordinassino di riceverloin Firenze con grandissimi onoriempievano per sicurtà lorola città d'armi e di gentipassò a Pisa per il dominiofiorentinolasciata la città di Firenze alla mano destra. Alquale si fece incontronella terra di PoggibonziIeronimoSavonarolae interponendocome era solitonelle parole suel'autorità e il nome divinolo confortò congrandissima efficacia a restituire le terre a' fiorentini;aggiugnendo alle persuasioni gravissime minaccieche se e' nonosservava quel che con tanta solennitàtoccando con mano glievangeli e quasi innanzi agli occhi di Dioavea giuratosarebbepresto punito da Dio rigidamente. Fecegli il resecondo la suaincostanzaquivie il dí seguente in Castelfiorentinovarierisposte: ora promettendo di restituirle come fusse arrivato in Pisaora allegando in contrario della fede dataperché affermavadi avereinnanzi al giuramento prestato in Firenzepromesso a'pisani di conservargli in libertà; e nondimeno dandocontinuamente agli oratori de' fiorentini speranza dellarestituzionecome a Pisa fusse arrivato. In Pisa fu di nuovo questamateria proposta nel consiglio reale; perché accrescendosiogni dí piú la fama degli apparati e dell'unirsiappresso a Parma le forze de' collegatisi cominciavano pure aconsiderare le difficoltà del passare per Lombardiae peròerano desiderati da molti i danari e gli aiuti offerti da'fiorentini. Ma a questa deliberazione furono contrari i medesimi chein Siena l'avevano contradettaallegando chese pure avessinoperl'opposizione degli inimiciqualche disordine o qualche difficoltàdi passare per Lombardiaera meglio d'avere in sua potestàquella cittàdove potrebbono ritirarsiche lasciarla in manode' fiorentini; i qualicome avessino ricuperate quelle terrenonsarebbono di maggiore fede che fussino stati gli altri italiani:soggiugnendo cheper la sicurtà del reame di Napolieramolto opportuno il tenere il porto di Livorno; perchésuccedendo al re il disegno di mutare lo stato di Genovacome era dasperaresarebbe padrone di quasi tutte le marinedal porto diMarsilia insino al porto di Napoli. Potevano certamente nell'animodel repoco capace di eleggere la piú sana partequalchecosa queste ragioni: ma molto piú potenti furono i prieghi ele lagrime de' pisanii quali popolarmenteinsieme con le donne eco' piccoli fanciulliora prostrati innanzi a' suoi piedi oraraccomandandosi a ciascunobenché minimodella corte e de'soldaticon pianti grandissimi e con urla miserabili deploravano leloro future calamitàl'odio insaziabile de' fiorentiniladesolazione ultima di quella patriala quale non arebbe causa dilamentarsi d'altro che d'avergli il re conceduta la libertà epromesso di conservargliene; perché questocredendo essi laparola del re cristianissimo di Francia essere parola ferma estabileaveva dato loro animo di provocarsi tanto piúl'inimicizia de' fiorentini. Co' quali pianti ed esclamazionicommossono talmente insino a' privati uomini d'armeinsino agliarcieri dell'esercito e molti ancora de' svizzeriche andati ingrandissimo numero e con tumulto grande innanzi al reparlando innome di tutti Salazart uno de' suoi pensionarilo pregoronoardentemente cheper l'onore della persona sua propriaper lagloria della corona di Franciaper consolazione di tanti suoiservidori parati a mettere a ogn'ora la vita per luie che loconsigliavano con maggiore fede che quegli che erano corrotti da'danari de' fiorentininon togliesse a' pisani il beneficio che eglistesso aveva loro fatto; offerendogli chese per bisogno di danarisi conduceva a deliberazione di tanta infamiapigliasse piúpresto le collane e argenti loroe ritenesse i soldi e le pensioniche ricevevano da lui. E procedette tanto oltre questo impeto de'soldati che uno arciere privato ebbe ardire di minacciare ilcardinale di San Malòe alcuni altri dissono altiere paroleal marisciallo di Gies e al presidente di Gannaii quali era notoche consigliavano questa restituzione: in modo che 'l reconfuso datanta varietà de' suoilasciò la cosa sospesatantolontano da alcuna certa resoluzione chein questo tempo medesimopromettesse di nuovo a' pisani di non gli rimettere giammai inpotestà de' fiorentini e agli oratori fiorentinicheaspettavano a Luccafacesse intendere che quello che per giustecagioni non faceva al presente farebbe subito che e' fusse arrivatoin Asti; e però non mancassino di fare che la loro republicagli mandasse in quel luogo imbasciadori.

Partída Pisamutato il castellano e lasciata la guardia necessaria nellacittadellae il medesimo fece nelle fortezze dell'altre terre. Edessendo acceso per se stesso da incredibile cupiditàall'acquisto di Genovae stimolato da' cardinali San Piero a Vincolae Fregoso e da Obietto del Fiesco e dagli altri fuoruscitii qualigli davano speranza di facile mutazionemandò da Serezana conloro a quella impresacontra 'l parere di tutto il consigliochebiasimava il diminuire le forze dell'esercitoFilippo monsignore concento venti lancie e con cinquecento fantiche nuovamente per mareerano venuti di Francia; e con ordine che le genti d'arme de'Vitelliche per essere rimaste indietro non potevano essere a tempoa unirsi secogli seguitassinoe che alcuni altri fuorusciti congenti date dal duca di Savoia entrassino nella riviera di ponenteeche l'armata di mareridotta a sette galee due galeoni e due fustedella quale era capitano Miolansandasse a fare spalle alle genti diterra. Era intanto l'avanguardiaguidata dal marisciallo di Giesarrivata a Pontriemoli; la qual terralicenziati trecento fantiforestieri che vi erano a guardiasi arrendé subito per iconforti del Triulziocon patto di non ricevere offesa nénelle persone né nella roba: ma vana fu la fede data da'capitaniperché i svizzerientrativi impetuosamente dentroper vendicarsi che quando l'esercito passò nella Lunigiana vierano statiper certa quistione nata a casouccisi dagli uomini diPontriemoli circa quaranta di lorosaccheggiorono e abbruciorono laterraammazzati crudelmente tutti gli abitatori.

Cap.viii

L'esercitofrancese e quello dei collegati di frontea Fornovo. Dubbi edispareri nell'esercito de' collegati. Incertezze in quello di Carlo.

Nelqual tempo si raccoglieva sollecitamente nel territorio di Parmal'esercito de' collegatiin numero di dumila cinquecento uominid'arme ottomila fanti e piú di dumila cavalli leggierilamaggiore parte albanesi e delle provincie circostanti di Grecia; iqualicondotti in Italia da' vinizianiritenendo il nome medesimoche hanno nella patriasono chiamati stradiotti. Del quale esercitoil nervo principale erano le genti de' vinizianiperchéquelle del duca di Milanoavendo egli voltate quasi tutte le sueforze a Novaranon ascendevano alla quarta parte di tuttol'esercito. Alle genti venetetra le quali militavano molticondottieri di chiaro nomeera preposto sotto titolo di governatoregenerale Francesco da Gonzagamarchese di Mantuamolto giovanenelqualeper essere stimato animoso e cupido di gloriala espettazionesuperava l'età; e con lui proveditori due de' principali delsenatoLuca Pisano e Marchionne Trivisano. I soldati sforzeschicomandavasotto il medesimo titolo di governatoreil conte diGaiazzoconfidato molto al duca ma chenon pareggiando nell'armi lagloria di Ruberto da Sanseverino suo padreaveva acquistato nome piúdi capitano cauto che di ardito; e con lui commissario FrancescoBernardino Visconteprincipale della parte ghibellina in Milanoeperciò opposito a Gianiacopo da Triulzi. Tra' quali capitani ealtri principali dell'esercito consultandosi se e' fusse da andare adalloggiare a Fornuovovilla di poche case alle radici dellamontagnafu deliberatoper la strettezza del luogoe forse(secondo divulgorono) per dare facoltà agli inimici discendere alla pianuradi alloggiare alla badia della Ghiaruoladistante da Fornuovo tre miglia: la quale deliberazione dette luogodi alloggiare a Fornuovo all'avanguardia franzeseche avea passatala montagna molto innanzi al resto dell'esercitoritardato per loimpedimento dell'artiglieria grossala quale con grandissimadifficoltà si conduceva per quella montagna aspra delloApennino; e sarebbe stata condotta con difficoltà moltomaggiore se i svizzericupidi di scancellare l'offesa fattaall'onore del re nel sacco di Pontriemolinon si fussino congrandissima prontezza affaticati a farla passare. Arrivatal'avanguardia a Fornuovoil marisciallo di Gies mandò unotrombetta nel campo italiano a domandare il passo per l'esercito innome del reil qualesenza offendere alcuno e ricevendo levettovaglie a prezzi convenientivoleva passare per ritornarsene inFrancia; e nel tempo medesimo fece correre alcuni de' suoi cavalliper prendere notizia degli inimici e del paesei quali furono messiin fuga da certi stradiotti che mandò loro incontro Francescoda Gonzaga: in sulla quale occasionese le genti italiane si fussinomosse insino all'alloggiamento de' franzesisi crede che arebbonorotta facilmente l'antiguardiae rotta questa non poteva piúfarsi innanzi l'esercito regio. La quale occasione non era ancorafuggita il dí seguentebenché il mariscialloconosciuto il pericoloavesse ritirato i suoi in luogo piúalto; ma non ebbono i capitani italiani ardire d'andare adassaltarglispaventati dalla fortezza del sito dove s'erano ridottie dal credere che l'antiguardia fusse piú grossae forse piúvicino il resto dell'esercito. Ed è certo chein questo dínon erano ancora finite di raccorsi insieme tutte le genti viniziane;le quali avevano tardato tanto a unirsi tutte nell'alloggiamentodella Ghiaruola che è manifesto che se Carlo non avessesoggiornato tanto per il camminocome in Siena in Pisa e in moltiluoghi soggiornòsenza bisognosarebbe passato innanzi senzaimpedimento o contrasto alcuno. Il qualeunito alla fine conl'antiguardiaalloggiò il dí prossimo con tuttol'esercito a Fornuovo.

Nonaveano creduto mai i príncipi confederati che il reconesercito tanto minoreardisse di passare per il cammino dirittol'Apennino; e però si erano da principio persuasi che eglilasciata la piú parte delle genti a Pisase n'andrebbe colresto in sull'armata marittima in Francia: e dipoi inteso che pureseguitava il cammino per terraavevano creduto che egliper non siappropinquare al loro esercitodisegnasse di passare la montagna perla via del borgo di Valditaro e del monte di Centocrocemonte moltoaspro e difficileper condursi nel tortonesecon speranza d'avere aessere rincontrato dal duca d'Orliens nelle circostanzed'Alessandria. Ma come si vedde certamente che egli si dirizzava aFornuovol'esercito italianoche primaper i conforti di tanticapitani e per la fama del piccolo numero degl'inimiciera moltoinanimitorimesse qualche parte del suo vigoreconsiderando ilvalore delle lancie franzesila virtú de' svizzeri a' qualisenza comparazione la fanteria italiana era tenuta inferioreilmaneggio espedito dell'artiglierieequel che muove assai gliuomini quando hanno fatto contraria impressionel'ardire inaspettatode' franzesi d'approssimarsi loro con tanto minore numero di gente.Per le quali considerazioni raffreddati eziandio gli animi de'capitaniera stato messo in consulta tra loro quel che s'avesse arispondere al trombetto mandato dal marisciallo; parendoda unapartemolto pericoloso il rimettere a discrezione della fortuna lostato di tutta Italiadall'altrache e' fusse con grande infamiadella milizia italiana dimostrare di non avere animo d'opporsiall'esercito franzeseche tanto inferiore di numero ardiva dipassare innanzi agli occhi loro. Nella quale consulta essendo diversii pareri de' capitanidopo molte dispute determinorono finalmentedare della domanda del re avviso a Milanoper eseguire quello chequivi concordemente dal duca e dagli oratori de' confederati fussedeterminato. Tra' quali consultandosiil duca e l'oratore veneto cheerano piú propinqui al pericolo concorsono nella medesimasentenza: che all'inimicoquando voleva andarsenenon si dovevachiudere la stradama piú prestosecondo il vulgatoproverbiofabbricargli il ponte d'argento; altrimenti esserepericolo che la timiditàcome si poteva comprovare coninfiniti esempliconvertita in disperazionenon si aprisse ilcammino con molto sangue di quegli che poco prudentemente se gliopponevanoMa l'oratore de' re di Spagnadesiderando che senzapericolo de' suoi re si facesse esperienza della fortunainstetteefficacementee quasi protestandoche non si lasciassino passarené si perdesse l'occasione di rompere quell'esercitoil qualese si salvava restavano le cose d'Italia ne' medesimi anzi inmaggiori pericoli che prima; perché tenendo il re di FranciaAsti e Novaraubbidiva a' comandamenti suoi tutto il Piemonteeavendo alle spalle il reame di Franciareame tanto potente e tantoriccoi svizzeri vicini e disposti ad andare a' soldi suoi in quelnumero volessee trovandosi accresciuto di riputazione e d'animosel'esercito della legatanto superiore al suogli desse cosívilmente la stradaattenderebbe a travagliare Italia con maggioreferocità: e che a' suoi re sarebbe quasi necessario fare nuovedeliberazioniconoscendo che gl'italiani o non volevano o nonavevano animo di combattere co' franzesi. Nondimenoprevalendo inquesto consiglio la piú sicura opinionedeterminaronoscriverne a Vinegiadove sarebbe stato il medesimo parere.

Magià si consultava indarno: perché i capitanidell'esercitopoiché ebbono scritto a Milanoconsiderandoessere difficile che le risposte arrivassino a tempoe quantorestasse disonorata la milizia italiana se si lasciasse libero iltransito a' franzesilicenziato il trombetto senza risposta certadeliberorono come gli inimici camminavano d'assaltargli; concorrendoin questa sentenza i proveditori vinizianima piú prontamenteil Trivisano che il collega. Da altra parte si facevano innanzi ifranzesipieni di arroganza e d'audaciacome quegli chenon avendotrovato insino ad allora in Italia riscontro alcunosi persuadevanoche l'esercito inimico non s'avesse a opporree quando pures'opponesse avere senza fatica a metterlo in fuga: tanto poco contotenevano dell'armi italiane. Nondimenoquando cominciando a calarela montagna scopersono l'esercito alloggiato con numero infinito ditende e di padiglionie in alloggiamento sí largo chesecondo il costume d'Italiapoteva dentro a quello mettersi tutto inbattagliaconsiderando il numero degli inimici sí grandeeche se non avessino avuto volontà di combattere non sisarebbono condotti in luogo tanto vicinocominciò araffreddarsi in modo tanta arroganza che arebbono avuto per nuovafelice che gli italiani si fussino contentati di lasciargli passare;e tanto piú cheavendo Carlo scritto al duca d'Orliens che sifacesse innanzi per incontrarloe che il terzo dí di lugliosi trovasse con piú genti potesse a Piacenzae da lui avutorisposta che non mancherebbe d'esservi al tempo ordinatogliebbe poinuovo avviso dal duca medesimo che l'esercito sforzesco opposto aluinel quale erano novecento uomini d'arme mille dugento cavallileggieri e cinquemila fantiera sí potente che senzamanifestissimo pericolo non poteva farsi innanziessendo massimenecessitato a lasciare parte della sua gente alla guardia di Novara ed'Asti. Però il renecessitato a fare nuovi pensiericommesse a Filippo monsignore di Argentonil qualeessendo statopoco innanzi imbasciadore per lui appresso al senato vinizianoavevanel partirsi da Vinegia offerto al Pisano e al Trivisanogiàdiputati proveditorid'affaticarsi per disporre l'animo del re allapaceche mandasse un trombetto a detti proveditorisignificando peruna lettera d'avere desiderio per beneficio comune di parlare conloro; i quali accettorono di ritrovarsi secola mattina seguenteinluogo comodo tra l'uno e l'altro esercito. Ma Carloo perchéin quello alloggiamento patisse di vettovaglie o per altra cagionemutato propositodeliberò di non aspettare quivi l'effetto diquesto ragionamento.

Cap.ix

Leposizioni de' due eserciti. La battaglia di Fornovo e le sue vicende;il pericolo corso dal re di Francia. Tanto i veneziani quanto ifrancesi si attribuiscono la vittoria. Confutazione di voci diffusesiintorno al contegno di Lodovico Sforza. Carlo giunge ad Asti senzaperdite per quanto incalzato da truppe nemiche. Il fallimento deltentativo dei francesi contro Genova.

Erala fronte degli alloggiamenti dell'uno e dell'altro esercito distantemanco di tre migliadistendendosi in sulla ripa destra del fiume delTarobenché piú presto torrente che fiumeil qualenascendo nella montagna dello Apenninopoi che ha corso alquanto peruna piccola valle ristretta da due collinesi distende nella pianuralarga di Lombardia insino al fiume del Po. In sulla destra di questedue collinescendendo insino alla ripa del fiumealloggiaval'esercito de' collegatifermatosiper consiglio de' capitanipiúpresto da questa parte che dalla ripa sinistra onde aveva a essere ilcammino degli inimiciper non lasciare loro facoltà divolgersi a Parma; della quale cittàper la diversitàdelle fazioninon stava il duca di Milano senza sospettoaccresciuto perché il re si era fatto concedere da' fiorentiniinsino in Asti Francesco Seccola cui figliuola era maritata nellafamiglia de' Torellifamiglia nobile e potente nel territorio diParma. Ed era l'alloggiamento de' collegati fortificato con fossi econ riparie abbondante d'artiglierie: innanzi al quale i franzesivolendo ridursi nello astigianoe però passando il Taroaccanto a Fornuovoerano necessitati di passarenon restando inmezzo tra loro altro che 'l fiume. Stette tutta la notte l'esercitofranzese con non mediocre travaglioperché per la diligenzadegli italianiche facevano correre gli stradiotti insino in sulloalloggiamentosi gridava spesso all'arme nel campo loroche tuttosi sollevava a ogni strepitoe perché sopravenne unarepentina e grandissima pioggia mescolata con spaventosi folgori etuoni e con molte orribili saettela quale pareva che facessepronostico di qualche tristissimo accidente; cosa che commoveva moltopiú loro che l'esercito italianonon solo perchéessendo in mezzo delle montagne e degli inimicie in luogo doveavendo qualche sinistro non restava loro speranza alcuna di salvarsierano ridotti in molto maggiore difficoltàe perciòavevano giusta cagione d'avere maggiore terrorema ancora perchépareva piú verisimile che i minacci del cielonon soliti adimostrarsi se non per cose grandiaccennassino piú presto aquella parte dove si ritrovava la persona d'un re di tanta degnitàe potenza.

Lamattina seguenteche fu il dí sesto di lugliocominciòa l'alba a passare il fiume l'esercito franzeseprecedendo lamaggior parte dell'artiglierie seguitate dall'antiguardia; nellaquale il recredendo che contro a quella avesse a volgersi l'impetoprincipale degl'inimiciaveva messo trecento cinquanta lanciefranzesiGianiacopo da Triulzio con le sue cento lanciee tremilasvizzeri che erano il nervo e la speranza di quello esercitoe conquesti a piede Engiliberto fratello del duca di Cleves e il baglídi Digiuno che gli aveva condotti: a' quali aggiunse il re a piedetrecento arcieri e alcuni balestrieri a cavallo delle sue guardieequasi tutti gli altri fanti che aveva seco. Dietro all'avanguardiaseguitava la battagliain mezzo della quale era la persona del rearmato di tutte armi in su uno feroce corsiere; e appresso a luiperreggere col consiglio e con l'autorità sua questa partedell'esercitomonsignore della Tramogliacapitano molto famoso nelregno di Francia. Dietro a questi seguitava la retroguardia condottadal conte di Foise nell'ultimo luogo i carriaggi. E nondimeno ilrenon avendo l'animo alieno dalla concordiasollecitòneltempo medesimo che il campo cominciò a muoversiArgentone cheandasse a trattare co' proveditori veneti; ma essendo giàperla levata suatutto in arme l'esercito italiano e deliberati icapitani di combatterenon lasciava piú la brevità deltempo e la propinquità degli eserciti né spazio nécomodità di parlare insieme: e già cominciavano ascaramucciare da ogni parte i cavalli leggierigià a tirareda ogni parte orribilmente l'artiglieriee già gli italianiusciti tutti degli alloggiamentidistendevano i loro squadronipreparati alla battaglia in sulla ripa del fiume. Per le quali cosenon intermettendo i franzesi di camminareparte in sul greto delfiumeparteperché nella stretta pianura non si potevanospiegare l'ordinanzeper la spiaggia della collinaed essendo giàla avanguardia condotta al dirimpetto dell'alloggiamento degliinimiciil marchese di Mantovacon uno squadrone di seicento uominid'arme de' piú fioriti dell'esercito e con una grossa banda distradiotti e d'altri cavalli leggieri e con cinquemila fantipassòil fiume dietro alla retroguardia de' franzesi; avendo lasciato insulla ripa di là Antonio da Montefeltrofigliuolo naturale diFederigo già duca d'Urbinocon uno grosso squadroneperpassarequando fusse chiamatoa rinfrescare la prima battaglia; eavendo oltre a ciò ordinato checome si era cominciato acombattereun'altra parte della cavalleria leggiera percotesse negliinimici per fiancoe che il resto degli stradiottipassando ilfiume a Fornuovoassaltasse i carriaggi de' franzesi: i qualio permancamento di gente o per consiglio (come fu fama) del Triulzioerano restati senza guardiaesposti a qualunque volesse predargli.Da altra partepassò il Taro con quattrocento uomini d'armetra' quali era la compagnia di don Alfonso da Estivenuta in campoperché cosí volle il padresenza la sua personae condumila fanti il conte di Gaiazzoper assaltare l'antiguardiafranzese; lasciato similmente in sulla ripa di là AnnibaleBentivoglio con dugento uomini d'armeper soccorrere quando fussechiamato: e a guardia degli alloggiamenti restorono due grossecompagnie di gente d'arme e mille fantiperché i proveditoriviniziani volleno riserbarsi interoper tutti i casiqualchesussidio. Ma vedendo il re venire sí grande sforzo addosso alretroguardocontro a quello che si erano persuasi i suoi capitanivoltate le spalle all'avanguardiacominciò ad accostarsi conla battaglia al retroguardosollecitando eglicon uno squadroneinnanzi agli altritanto il camminare che quando l'assaltoincominciò si ritrovò essere nella fronte de' suoi tra'primi combattitori. Hanno alcuni fatto memoria che non senzadisordine passorono il fiume le genti del marcheseper l'altezzadelle ripe e per gli impedimenti degli alberi e degli sterpi evirgultida' quali sono vestite comunemente le ripe de' torrenti; eaggiungono altri che i fanti suoiper questa difficoltà e perl'acque del fiume ingrossate per la pioggia notturnaarrivorono allabattaglia piú tardie che tutti non vi si condussono ma nerestorono non pochi di là dal fiume. Ma come si siacerto èche l'assalto del marchese fu molto furioso e ferocee che gli fucorrisposto con simigliante ferocia e valore: entrando da ogni partenel fatto d'arme gli squadroni alla mescolata e non secondo ilcostume delle guerre d'Italiache era di combattere una squadracontro a un'altra e in luogo di quella che fusse stracca o checominciasse a ritirarsi scambiarne un'altranon facendo se nonall'ultimo uno squadrone grosso di piú squadre: in modo che 'lpiú delle volte i fatti d'armene' quali sempre si facevapochissima uccisioneduravano quasi un giorno interoe spesso sispiccavano cacciati dalla notte senza vittoria certa d'alcuna delleparti. Rotte le lancienello scontro delle quali caddono in terra daogni parte molti uomini d'armemolti cavallicominciòciascuno a adoperare con la medesima ferocia le mazze ferrate glistocchi e l'altre armi cortecombattendo co' calci co' morsi con gliurti i cavalli non meno che gli uomini; dimostrandosi certamente nelprincipio molto egregia la virtú degli italianiper lafierezza massime del marcheseil qualeseguitato da una valorosacompagnia di giovani gentiluomini e di lancie spezzate (sono questisoldati eletti tenuti fuora delle compagnie ordinarie a provisione)e offerendosi prontissimamente a tutti i pericolinon lasciavaindietro cosa alcunache a capitano animosissimo appartenesse.Sostenevano valorosamente sí feroce impeto i franzesimaessendo oppressati da moltitudine tanto maggiore cominciavano giàquasi manifestamente a piegarsinon senza pericolo del reappressoal quale pochi passi fu fatto prigionebenché combattessefieramenteil bastardo di Borbone: per il caso del quale sperando ilmarchese avere il medesimo successo contro alla persona del recondotto improvidamente in luogo di tanto pericolo senza quellaguardia e ordine che conveniva a principe sí grandefacevacon molti de' suoi grandissimo sforzo di accostarsegli. Contro a'quali il reavendo intorno a sé pochi de' suoidimostrandogrande ardire si difendeva nobilmentepiú per la ferocia delcavallo che per l'aiuto loro. Né gli mancorono in tantopericolo quelli consigli che sogliononelle cose difficiliessereridotti alla memoria dal timore perché vedendosi quasiabbandonato da' suoivoltatosi agli aiuti celestifece voto a sanDionigi e a san Martinoreputati protettori particolari del reame diFranciache se passava salvo con l'esercito nel Piemonte andrebbesubito che fusse ritornato di là da' montia visitare congrandissimi doni le chiese dedicate al nome lorol'una appresso aParigi l'altra a Torsi; e che ciascuno anno farebbecon solennissimefeste e sacrificitestimonianza della grazia ricevuta per operaloro: i quali voti come ebbe fattiripreso maggiore vigorecominciòpiú animosamente a combattere sopra le forze e sopra la suacomplessione. Ma già il pericolo del re aveva infiammatotalmente quegli che erano manco lontani checorrendo tutti a coprirecon le persone proprie la persona realeritenevano pure indietro gliitaliani; e sopravenendo in questo tempo la battaglia sua che erarestata indietrouno squadrone di quella urtò ferocemente gliinimici per fiancoda che si raffrenò assai l'impeto loro. Esi aggiunse che Ridolfo da Gonzagazio del marchese di Mantovacondottiere di grande esperienzamentre che i suoi confortando edove apparisse principio di disordine riordinandoe ora in qua orain là andandofa l'ufficio di egregio capitanoavendo persorte alzato l'elmettoferito da uno franzese con uno stocco nellafaccia e caduto a terra del cavallonon potendo in tanta confusionee tumulto e nella moltitudine sí stretta di ferocissimicavalli aiutarlo i suoianzi cadendogli addosso altri uomini e altricavallipiú tosto soffocato nella calca che per l'armi degliinimici perdé la vita: caso certamente indegno di luiperchée ne' consigli del dí dinanzi e la mattina medesimagiudicando imprudenza il metteresenza necessitàtanto inpotestà della fortunaavea contro alla volontà delnipote consigliato che si fuggisse il combattere. Cosívariandosi con diversi accidenti la battagliané si scoprendopiú per gli italiani che per i franzesi vantaggio alcunoerapiú che mai dubbio chi dovesse essere vincitore; e peròpareggiata quasi la speranza e il timoresi combatteva da ogni partecon ardore incredibileriputando ciascheduno che nella sua manodestra e nella sua fortezza fusse collocata la vittoria. Accendevagli animi de' franzesi la presenza e il pericolo del reperchénon altrimentiappresso a quella nazioneper inveterataconsuetudineè venerabile la maestà de' re che siadori il nome divinol'essere in luogo che con la vittoria solapotevano sperare la loro salute; accendeva gli animi degli italianila cupidità della predala ferocia e l'esempio del marchesel'avere cominciato a combattere con prospero successoil numerogrande del loro esercito per il quale aspettavano soccorso da moltide' suoi; cosa che non speravano i franzesiperché le gentiloro o erano mescolate tutte nel fatto d'arme o veramente aspettavanoa ogn'ora di essere assaltate dagli inimici. Ma è grandissima(come ognuno sa) in tutte l'azioni umane la potestà dellafortunamaggiore nelle cose militari che in qualunque altramainestimabile immensa infinita ne' fatti d'arme; dove uno comandamentomale intesodove una ordinazione male eseguitadove una temeritàuna voce vanainsino d'uno piccolo soldatotraporta spesso lavittoria a coloro che già parevano vinti; dove improvisamentenascono innumerabili accidenti i quali è impossibile che sianoantiveduti o governati con consiglio del capitano. Però intanta dubietànon dimenticatasi del costume suooperòquello che per ancora non operava né la virtú degliuomini né la forza dell'armi. Perché avendo glistradiottimandati ad assaltare i carriaggi de' franzesicominciatosenza difficoltà a mettergli in predae attendendo a condurrechi muli chi cavalli chi altri arnesi di là dal fiumenonsolo quell'altra parte degli stradiotti che era destinata apercuotere i franzesi per fiancoma quegli ancora che giàerano entrati nel fatto d'armevedendo i compagni suoi ritornarseneagli alloggiamenti carichi di spoglieincitati dalla cupiditàdel guadagnosi voltorono a rubare i carriaggi; l'esempio de' qualiseguitando i cavalli e i fantiuscivano per la medesima cagione aschiere della battaglia: donde mancando agli italiani non solo ilsoccorso ordinato ma inoltre diminuendosi con tanto disordine ilnumero de' combattentiné movendosi Antonio da Montefeltroperchéper la morte di Ridolfo da Gonzaga che aveva la curaquando fusse il tempodi chiamarloniuno lo chiamavacominciorno apigliare tanto di campo i franzesi che niuna cosa piúsostentava gli italianiche già manifestamente declinavanoche 'l valore del marchese; il quale combattendo fortissimamentesosteneva ancora l'impeto degli inimiciaccendendo i suoiora conl'esempio suo ora con voci caldissimea volere piú tostoessere privati della vita che dell'onore. Ma non era piúpossibile che pochi resistessino a molti; e già moltiplicandoaddosso a loro da ogni parte i combattitorimortine già unagran parte e feritine moltimassime di quegli della compagniapropria del marchesefurno necessitati tutti a mettersi in fuga perripassare il fiume: il quale per l'acqua piovuta la nottee che congrandine e tuoni piovve grandissima mentre si combattevaeracresciuto in modo che dette difficoltà assai a chi fucostretto a ripassarlo. Seguitornogli i franzesi impetuosamenteinsino al fiumenon attendendo se non ad ammazzare con molto furorecoloro che fuggivano senza farne alcuno prigionee senza attenderealle spoglie e al guadagno; anzi si udivano per la campagna spessevoci di chi gridava: - Ricordatevicompagnonidi Guineguaste. - ÈGuineguaste una villa in Piccardia presso a Terroanadovenegliultimi anni del regno di Luigi undecimol'esercito franzesegiàquasi vincitore in una giornata tra loro e Massimiliano re de'romanidisordinato per avere cominciato a rubarefu messo in fuga.Ma nel tempo medesimo che da questa parte dell'esercito con tantavirtú e ferocia si combatteval'avanguardia franzesecontroalla quale il conte di Gaiazzo mosse una parte de' cavallisipresentava alla battaglia con tanto impeto cheimpauritivedendomassime non essere seguitati da' suoisi disordinorono quasi perloro medesimiin modo che essendo già morti alcuni di lorotra i quali Giovanni Piccinino e Galeazzo da Coreggioritornoronocon fuga manifesta al grosso squadrone. Ma il marisciallo di Giesvedendo che oltre allo squadrone del conte era in sulla ripa di làdal fiume un altro colonnello di uomini di arme ordinato allabattaglianon permesse a' suoi che gli seguitassino: consiglio chedapoi ne' discorsi degli uomini fu da molti riputato prudentedamoltiche consideravano forse meno la ragione che l'eventopiúpresto vile che circospetto; perché non si dubita che se gliavesse seguitatiil conte col suo colonnello voltava le spalleempiendo di tale spavento tutto 'l resto delle genti rimaste di làdal fiume che sarebbe stato quasi impossibile a ritenerle che nonfuggissino. Perché il marchese di Mantovail qualefuggendogli altriripassò con una parte de' suoi di là dalfiumepiú stretto e ordinato che e' potettele trovòin modo sollevate checominciando ognuno a pensare di salvare sée le sue robegià la strada maestra per la quale si va daPiacenza a Parma era piena d'uomini di cavalli e di carriaggi che siritiravano a Parma: il quale tumulto si fermò in parte con lapresenza e autorità suaperché mettendogli insiemeandò riordinando le cose. Ma le fermò molto piúla giunta del conte di Pitiglianoil qualein tanta confusionedell'una parte e dell'altrapresa l'occasione se ne fuggí nelcampo italianodove confortandoed efficacemente affermando che inmaggiore disordine e spavento si trovavano gl'inimiciconfermòe assicurò assai gli animi loro. Anzi fu affermato quasicomunemente chese non fussino state le parole sueche o allora oalmeno la notte seguentesi levava con grandissimo terrore tuttol'esercito. Ritirati gli italiani nel campo loroda coloro in fuorache menati (come interviene ne' casi simili) dalla confusione e daltumultoe spaventati dalle acque grosse del fiumeerano fuggitidispersi in vari luoghimolti de' quali scontrandosi nelle gentifranzesi sparse per la campagnafurono ammazzati da loroil re co'suoi andò a unirsi all'antiguardiache non si era mossa delluogo suo; dove consigliò co' capitani se e' fusse da passaresubito il fiume per assaltare agli alloggiamenti suoi l'esercitoinimicoe fu consigliato dal Triulzio e da Cammillo Vitelliilqualemandata la compagnia sua dietro a coloro che andavanoall'impresa di Genovaavea con pochi cavalli seguitato il re perritrovarsi al fatto d'armeche si assaltassino: il che piúefficacemente di tutti confortava Francesco Seccodimostrando che lastrada che si vedeva da lontano era piena d'uomini e di cavallichedenotava o che fuggissino verso Parma o cheavendo incominciato afuggirese ne tornassino al campo. Ma era pure non piccola ladifficoltà di passare il fiumee la genteche parte aveacombattuto parte stata armata in sulla campagnaaffaticata in modoche per consiglio de' capitani franzesi fu deliberato ches'alloggiasse. Cosí andorno ad alloggiare alla villa delMedesano in sulla collinadistante non molto piú d'uno migliodal luogo nel quale si era combattuto; ove fu fatto l'alloggiamentosenza divisione o ordine alcunoe con non piccola incomoditàperché molti carriaggi erano stati rubati dagli inimici.

Questafu la battaglia fatta tra gl'italiani e franzesi in sul fiume delTaromemorabile perché fu la prima cheda lunghissimo tempoin quasi combattesse con uccisione e con sanguein Italia; perchéinnanzi a questa morivano pochissimi uomini in uno fatto d'arme. Main questase bene dalla parte de' franzesi ne morirono meno didugento uominidegli italiani furno morti piú di trecentouomini d'armee tanti altri che ascesono al numero di tremilauomini; tra' quali Rinuccio da Farnesecondottiere de' vinizianiemolti gentiluomini di condizione: e rimase in terra per mortopercosso di una mazza ferrata in su l'elmettoBernardino dalMontonecondottiere medesimamente de' vinizianima chiaro piúper la fama di Braccio dal Montone suo avolouno de' primiillustratori della milizia italianache per propria fortuna o virtú.E fu piú maravigliosa agli italiani tanta uccisione perchéla battaglia non durò piú di una orae perchécombattendosi da ogni parte con la fortezza propria e con l'armis'adoperorno poco l'artiglierie. Sforzossi ciascuna delle parti ditirare a sé la lama della vittoria e dell'onore di questogiorno. Gl'italianiper essere stati salvi i loro alloggiamenti ecarriaggie per il contrario l'averne i franzesi perduti molti e tragli altri parte de' padiglioni propri del re; gloriandosioltre aquestoche arebbono sconfitti gl'inimici se una parte delle gentilorodestinata a entrare nella battaglianon si fusse voltata arubare; il che essere stato vero non negavano i franzesi. E in modosi sforzorono i viniziani d'attribuirsi questa gloria chepercomandamento publicose ne fece per tutto il dominio loroe inVinegia principalmentefuochi e altri segni d'allegrezza; néseguitorono nel tempo avvenire piú negligentemente l'esempiopublico i privatiperché nel sepolcro di MarchionneTrivisanonella chiesa de' frati minorifurno alla sua mortescritte queste parole: - che in sul fiume del Taro combattécon Carlo re di Francia prosperamente. - E nondimenoilconsentimento universale aggiudicò la palma a' franzesi: peril numero de' morti tanto differentee perché scaccioronogl'inimici di là dal fiumee perché restò lorolibero il passare innanziche era la contenzione per la qualeproceduto si era al combattere.

Soggiornòil dí seguente il re nel medesimo alloggiamentoe in questodí si seguitòper mezzo del medesimo Argentonqualcheparlamento con gl'inimici: e però si fece tregua insino allanotte: desiderandoda una parteil re la sicurtà delpassareperchésapendo che molti dell'esercito italiano nonavevano combattuto e vedendo stargli fermi nel medesimoalloggiamentogli pareva il cammino di tante giornate per il ducatodi Milano pericolosocon gl'inimici alla coda; e da altra partenonsi sapeva risolvereper il debole consiglio il qualedisprezzati iconsigli miglioriusava spesso nelle sue deliberazioni. Simileincertitudine era negli animi degli italiani: i qualibenchéda principio fussino molto spaventatisi erano rassicurati tanto chela sera medesima della giornata ebbono qualche ragionamentopropostoe confortato molto dal conte di Pitiglianod'assaltare la notte ilcampo franzesealloggiato con molto disagio e senza fortezza alcunad'alloggiamento: purecontradicendo molti degli altrifu cometroppo pericoloso posto da parte questo consiglio.

Sparsesiallora fama per tutta Italia che le genti di Lodovico Sforzaperordine suo secretonon avevano voluto combattereperchéessendo sí potente esercito de' viniziani nel suo stato nonavesse forse manco in orrore la vittoria loro che de' franzesiiquali desiderasse che non restassino né vinti névincitorie cheper essere piú sicuro in ogni eventovolesse conservare intere le forze sue; il che s'affermava esserestato causa che l'esercito italiano non avesse conseguita lavittoria: la quale opinione fu fomentata dal marchese di Mantovaedagli altri condottieri de' viniziani per dare maggiore riputazione ase medesimie accettata volentieri da tutti quegli che desideravanoche la gloria della milizia italiana si accrescesse. Ma io udi' giàda persona gravissimae che allora era a Milano in grado tale cheaveva notizia intera delle coseconfutare efficacemente questoromoreperché avendo Lodovico voltate quasi tutte le forzesue all'assedio di Novaranon aveva tante genti in sul Taro chefussino di molto momento alla vittoria; la quale arebbe ottenutal'esercito de' confederati se non gli avessino nociuto piú idisordini propri che il non avere maggiore numero di gentemassimeche molte delle viniziane non entrorono nella battaglia. E se bene ilconte di Gaiazzo mandò contro agli inimici una parte solaequella freddamentepotette procedere perché era tantogagliarda l'antiguardia franzese che e' conobbe essere di moltopericolo il commettersi alla fortuna; e in luiper l'ordinarioarebbono dato piú ammirazione l'azioni animose che le sicure.E nondimeno non furono al tutto inutili le genti sforzescheperchéancora che non combattessinoritennono l'antiguardia franzese chenon soccorresse dove il recon la minore e molto piú deboleparte dello esercitososteneva con gravissimo pericolo tutto il pesodella giornata. Né è questa opinione confermatase ionon mi ingannopiú dall'autorità che dalla ragione.Perchécome è verisimile che se in Lodovico Sforzafusse stata questa intenzionenon avesse piú presto ordinatoa' capitani suoi che dissuadessino l'opporsi al transito de'franzesi? conciossiachése il re avesse ottenuta la vittorianon sarebbono state piú salve che l'altre le genti suetantopropinque agli inimiciancora che non si fussino mescolate nellabattaglia; e con che discorsocon che considerazionecon cheesperienza delle cosesi poteva promettere checombattendosiavesse a essere tanto pari la fortuna che il re di Francia non avessea essere né vintoné vincitore? Né contro alconsiglio de' suoi si sarebbe combattutoperché le gentivinizianemandate in quello stato solamente per sicurtà esalute suanon arebbono discrepato dalla volontà de' suoicapitani.

LevossiCarlo con l'esercitola seguente mattina innanzi giornosenzasonare trombetteper occultare il piú poteva la sua partita;né fu per quel dí seguitato dall'esercito de'collegatiimpeditoquando bene avesse voluto seguitarlodall'acquedel fiumeingrossato tanto la notte per nuova pioggia che non sipotetteper una grande parte del dípassarlo. Solamentedeclinando già il solepassònon senza pericolo perl'impeto dell'acqueil conte di Gaiazzo con dugento cavallileggieri; co' quali seguitando le vestigie de' franzesichecamminavano per la strada diritta verso Piacenzadette loromassimeil prossimo dímolti impedimenti e incomodità: enondimeno essibenché stracchiseguitoronosenza disordinealcuno e senza perdere un uomo soloil suo cammino; perché levettovaglie erano assai abbondantemente somministrate dalle terrevicineparte per paura di non essere danneggiate parte per opera delTriulzioil qualecavalcando innanzi a questo effettoco' cavallileggierimoveva gli uomini ora co' minacci ora con l'autoritàsuagrande in quello stato appresso a tutti ma grandissima appressoa' guelfi; né l'esercito della legamossosi il díseguente alla partita de' franzesie poco dispostomassime iproveditori viniziania rimettersi piú in arbitrio dellafortunas'accostò loro mai tanto che n'avessino uno minimodisturbo. Anziessendo il secondo dí alloggiati in sul fiumedella Trebbia poco di là da Piacenzaed essendoper piúcomodità dell'alloggiare restate tra il fiume e la cittàdi Piacenza dugento lancie i svizzeri e quasi tutta l'artiglierialanotte il fiume per le pioggie crebbe tanto chenonostante l'estremadiligenza fatta da lorofu impossibile che o fanti o cavallipassassino se non dopo molte ore del díné questosenza difficoltà benché l'acqua fusse cominciata adiminuire: nondimeno non furono assaltati né dall'esercitoinimico che era lontanoné dal conte di Gaiazzoche eraentrato in Piacenza per sospetto che e' non vi si facesse qualchemovimento: sospetto non al tutto senza cagioneperché sicrede che se Carloseguitando il consiglio del Triulzioavessespiegate le bandiere e fatto chiamare il nome di Francescopiccolofigliuolo di Giovan Galeazzosarebbe nata in quello ducatofacilmente qualche mutazione; tanto era grato il nome di colui cheavevano per legittimo signore e odioso quello dell'usurpatoree dimomento il credito e l'amicizie del Triulzio. Ma il reessendointento solamente al passare innanzinon voluto udire praticaalcunaseguitò con celerità il suo cammino; con nonpiccolo mancamentoda' primi dí in fuoradi vettovaglieperché di mano in mano trovava le terre meglio guardateavendo Lodovico Sforza distribuitiparte in Tortonasotto Guasparrida San Severino cognominato il Fracassaparte in Alessandriamolticavalli e mille dugento fanti tedeschi levati dal campo di Novara; edessendo i franzesipoi che ebbono passata la Trebbiastati sempreinfestati alla coda dal conte di Gaiazzoche aveva aggiunto a' suoicavalli leggieri cinquecento fanti tedeschi che erano alla guardia diPiacenza: non avendo potuto ottenere che gli fussino mandatidall'esercito tutto il resto de' cavalli leggieri e quattrocentouomini d'armeperché i proveditori vinizianiammuniti dalpericolo corso in sul fiume del Taronon vollono consentirlo. Pure ifranzesiavendo quando furno vicini ad Alessandria preso il camminopiú alto verso la montagnadove ha meno acqua il fiume delTanarosi condusseno senza perdita d'uomini o altro dannoin ottoalloggiamentialle mura d'Asti; nella quale città entrato ilre alloggiò la gente di guerra in campagnacon intenzione diaccrescere il suo esercitoe fermarsi tanto in Italia che avessesoccorso Novara; e il campo della lega che l'aveva seguitato insinoin tortonesedisperato di potergli piú nuoceres'andòa unire con la gente sforzesca intorno a quella città: laquale pativa già molto di vettovaglieperché dal ducadi Orliens e da' suoi non era stata usata diligenza alcuna diprovederlacomeper essere il paese molto fertilearebbono potutofare abbondantissimamente; anzinon considerando il pericolo se nonquando era passata la facoltà del rimedioavevano atteso aconsumare senza risparmio quelle che vi erano.

Ritornoronoquasi ne' medesimi día Carlo i cardinali e i capitani iqualicon infelice eventoavevano tentato le cose di Genova. Perchél'armatapresa che ebbenella prima giuntala terra della Spezies'indirizzò a Rapalleil qual luogo facilmente occupò;ma uscita del porto di Genova una armata di otto galee sottili di unacaracca e di due barche biscainepose di notte in terra settecentofantii quali senza difficoltà presono il borgo di Rapallecon la guardia de' franzesi che v'era dentro; e accostatasi poiall'armata franzese che s'era ritirata nel golfodopo lungocombattere presono e abbruciorono tutti i legnirestando prigioni ilcapitanoe fatti piú famosi con questa vittoria quegli luoghimedesimi ne' quali l'anno precedente erano stati rotti gli aragonesi.Né fu questa avversità de' franzesi ristorata da quegliche erano andati per terra: perchécondotti per la rivieraorientale insino in val di Bisagna e a' borghi di Genovatrovandosiingannati dalla speranza che avevano conceputa che in Genova sifacesse tumultoe intesa la perdita dell'armatapassorno quasifuggendo per la via de' montivia molto aspra e difficilein valledi Pozzeveriche è all'altra parte della città; dondecon tutto che di paesani e di genti mandate in loro favore dal ducadi Savoia molto ingrossati fussinos'indirizzorono con la medesimacelerità verso il Piemonte: né è dubbio che sequegli di dentro non si fussino astenuti da uscire fuorapersospetto che la parte Fregosa non facesse novitàche gliarebbono interamente rotti e messi in fuga. Per il quale disordineicavalli de' Vitelli che si erano condotti a Chiavariinteso ilsuccesso di coloro co' quali andavano a unirsise ne ritornoronotumultuosamente né senza pericolo a Serezana; e dalla Speziein fuoral'altre terre della riviera ch'erano state occupate da'fuorusciti richiamorono subito i genovesi: come similmente fece nellariviera di ponente la città di Ventimigliache ne' medesimidí era stata occupata da Pol Battista Fregoso e da alcunialtri fuorusciti.

Cap.x

Vicendedi guerra tra francesi e ispano - aragonesi nel reame di Napoli.Ritorno di Ferdinando d'Aragona in Napoli. Terre che si ribellano aifrancesi. I veneziani occupano alcuni punti delle Puglie. La resa diCastelnuovo a Ferdinando. Patti di resa di Castel dell'Uovo. Morte diAlfonso d'Aragona.

Travagliavasiin questo tempo medesimoma con fortuna piú varianon menonel reame di Napoli che nelle parti di Lombardia; perchéFerdinando attendevapoi che ebbe preso Reggioalla recuperazionede' luoghi circostantiavendo seco circa seimila uominitra quegliche e del paese e di Sicilia volontariamente lo seguitavanoe icavalli e fanti spagnuoli de' quali era capitano Consalvo Ernandes dicasa d'Aghilardi patria cordoveseuomo di molto valore edesercitato lungamente nelle guerre di Granata: il qualenelprincipio della venuta sua in Italiacognominato dalla iattanzaspagnuola il gran capitano per significare con questo titolo lasuprema potestà sopra loromeritòper le preclarevittorie che ebbe poiche per consentimento universale gli fusseconfermato e perpetuato questo sopranomeper significazione di virtúgrande e di grande eccellenza nella disciplina militare. A questoesercitoil quale aveva già sollevato non piccola parte delpaesesi fece incontroappresso a Seminara terra vicina al mareObigní con le genti d'arme franzesiche erano rimaste allaguardia della Calavriae con cavalli e fanti avuti da' signori delpaese i quali seguitavano il nome del re di Francia; ed essendovenuti alla battagliaprevalse la virtú de' soldati diordinanza ed esercitati all'imperizia degli uomini poco espertiperché non solo gli italiani e sicilianiraccoltitumultuariamente da Ferdinandoma eziandio gli spagnuoli erano gentenuova e con poca esperienza della guerra: e nondimeno si combattéper alquanto spazio di tempo ferocementeperché la virtúe l'autorità de' capitaniche non mancavano d'ufficio alcunoappartenente a lorososteneva quegli che per ogn'altro conto eranoinferiori. E sopra gli altri Ferdinandocombattendo come siconveniva al suo valoreed essendogli stato ammazzato il cavallosottosarebbe senza dubbio restato o morto o prigione se Giovanni diCapua fratello del duca di Terminiil qualeinsino da puerizia suopaggioera stato nel fiore della età molto amato da luismontato del suo cavallo non avesse fatto salirvi sopra luie conesempio molto memorabile di preclarissima fede e amore esposta lapropria vitaperché fu subito ammazzatoper salvare quelladel suo signore.

FuggíConsalvo a traverso de' monti a ReggioFerdinando a Palmache èin sul mare vicina a Seminara; dove montato in sull'armata si ridussea Messinacresciutagli per le cose avverse la volontà el'animo di tentare di nuovo la fortuna; conciossiaché non sologli fusse noto il desiderio che tutta la città di Napoli avevadi luima ancora da molti de' principali della nobiltà e delpopolo fusse occultamente chiamato. Però temendo che ladilazione e la fama della rotta avuta in Calavria non raffreddassequesta disposizioneraccoltioltre alle galee che aveva condotted'Ischia e quelle quattro con le quali s'era partito da NapoliAlfonso suo padrei legni dell'armata venuta di Spagnae quanti piúpotette raccorne dalle città e da' baroni di Siciliasi mossedel porto di Messinanon lo ritardando il non avere uomini daarmarglicome quello chenon avendo forze convenienti a tantaimpresaera necessitato d'aiutarsi non meno con le dimostrazioni checon la sostanza delle cose. Partí adunque di Sicilia consessanta legni di gaggia e con venti altri legni minorie con luiRicaiensio catelanocapitano dell'armata spagnuolauomo nelle cosenavali di grande virtú ed esperienza; ma con tanti pochiuomini da combattere che nella maggiore parte non erano quasi altriche i destinati al servigio del navigare. In questo modo eranopiccole le forze suema grande per lui il favore e la volontàde' popoli. Perciò arrivato alla spiaggia di SalernosubitoSalerno la costa di Malfi e la Cava alzorno le sue bandiere.Volteggiò di poi due giorni sopra a Napoliaspettandomaindarnoche nella terra si facesse qualche tumultoperché ifranzesiprese presto l'armi e messe buone guardie ne' luoghiopportunirepressono la ribellione che già bolliva; earebbono rimediato a tutti i loro pericoli se avessino arditamenteseguitato il consiglio di alcuni di loro i qualicongetturando ilegni aragonesi essere male forniti di combattenticonfortavanoMompensieri cheripiena l'armata franzeseche era nel portodisoldati e d'uomini atti a combattereassaltasse con essa gl'inimici.Ma Ferdinandoil terzo dídisperato che nella cittàsi facesse alterazionesi allargò in mare per ritirarsi aIschia: onde i congiuraticonsiderando che per essere lacongiurazione quasi scoperta era diventata causa propria la causa diFerdinandoristrettisi insieme e deliberati di fare della necessitàvirtúmandorono segretamente uno battello a richiamarlo;pregandolo cheper dare piú facilità e animo a chivoleva levarsi in suo favoremettesse in terra o tutta o parte dellasua gente. Però di nuovo ritornato sopra a Napoliil díseguente a quello nel quale fu fatta la giornata in sulla ripa delfiume del Tarosi accostò al lito con l'armataper porre interra alla Maddalenaluogo propinquo a Napoli a uno migliodoveentra in mare il picciolo piú presto rio che fiumicellochiamato Sebetoincognito a ciascuno se non gli avessino dato nome iversi de' poeti napoletani. Il che vedendo Mompensierinon mancopronto a procedere con audacia quando era necessario il timore chefusse stato pronto a procedere con timore quando era necessariaildí dinanzil'audaciauscí fuora della cittàcon quasi tutti i soldati per vietargli lo scendere in terra: il chefu cagione che avendo i napoletani tale opportunità qualeappena arebbono saputa desiderare si levorono subito in armefattoil principio di sonare a martello dalla chiesa del Carmino vicinaalle mura della cittàe successivamente seguitando tuttel'altree occupate le portecominciorono scopertamente a chiamareil nome di Ferdinando. Spaventò questo subito tumulto ifranzesi in modo chenon parendo loro sicuro lo stare in mezzo trala città già ribellata e le genti inimichee mancosperando di potere per quella via donde erano usciti ritornarvideliberornoattorniando le mura della città (cammino lungomontuoso e molto difficile)entrare in Napoli per la porta contiguaa Castelnuovo. Ma Ferdinandoin questo mezzo entrato in Napoliemesso con alcuni de' suoi a cavallo da' napoletanicavalcòper tutta la terra con incredibile allegrezza di ciascuno;ricevendolo la moltitudine con grandissime gridané sisaziando le donne di coprirlo dalle finestre di fiori e d'acqueodorifereanzi molte delle piú nobili correvano nella stradaad abbracciarlo e ad asciugargli dal volto il sudore.

Enondimeno non si intermettevano per questo le cose necessarie alladifesaperché 'l marchese di Pescarainsieme co' soldati cheerano entrati con Ferdinando e con la gioventú napoletanaattendeva a sbarrare e a fortificare le bocche delle vie donde ifranzesi potessino assaltare da Castelnuovo la terra. I qualipoichéfurono ridotti in sulla piazza del castellofeciono ogni sforzo perrientrare nello abitato della città; ma essendo molestati conbalestre e artiglierie minutee trovata a tutti i capi delle stradesufficiente difesasopravenendone la nottesi ritirorono nelcastellolasciati i cavalliche furono tra utili e inutili pocomanco di dumilain sulla piazzaperché nel castello non erané capacità di ricevergli né facoltà dinutrirgli. Rinchiusonvisi dentrocon MompensieriIvo d'Allegririputato capitano e Antonello principe di Salernoe molt'altrifranzesi e italiani di non piccola condizione; e benché perqualche dí facessino spesse scaramuccie in sulla piazza eintorno al portoe traessino alla città con l'artiglierienondimenoributtati sempre dagl'inimicirestorno esclusi disperanza di potere da se stessi recuperare quella città.Seguitorono subito l'esempio di Napoli CapuaAversala rocca diMondragone e molte altre terre circostantie si voltò lamaggiore parte del reame a nuovi pensieri: tra' quali il popolo diGaetaavendo prese l'armi con maggiore animo che forzeper esserecomparite innanzi al porto alcune galee di Ferdinandofu con moltauccisione superato da' franzesi che v'erano a guardiai quali conl'impeto della vittoria saccheggiorono tutta la terra. E nel tempomedesimo l'armata viniziana accostatasi a Monopolicittà diPugliae posti in terra gli stradiotti e molti fantigli dette labattaglia per terra e per mare; nella quale Pietro Bembopadrone diuna galea vinizianafu morto da quelli di dentro di uno colpod'artiglieria. Prese finalmente la città per forzae la roccagli fu data per timore dal castellano franzese che vi era dentro; edi poi ebbe per accordo Pulignano.

MaFerdinando era intento ad acquistare Castelnuovo e Castel dell'Uovosperando che presto avessino ad arrendersi per la fameperchéa proporzione del numero degli uomini che vi era dentro vi erapiccola provisione di vettovaglie; e attendendo continuamente aoccupare i luoghi circostanti al castellosi sforzava di metterglidel continuo in maggiore strettezza. Perché i franzesinonpotendo stare sicura nel porto l'armata loroche era di cinque naviquattro galee sottili una galeotta e uno galeonel'aveano ritiratatra la Torre di San VincenzioCastel dell'Uovo e Pizzifalcone che sitenevano per loroe tenendo le parti dietro a Castelnuovodoveerano i giardini realisi distendevano insino a Cappella; efortificato il monasterio della Crocecorrevano insino a Piédi Grotta e San Martino. Contro a' quali Ferdinandoavendo presa emessa in fortezza la cavalleria e fatte vie coperte per laIncoronataoccupò il monte di Sant'Ermo e dipoi il poggio diPizzifalconetenendosi per i franzesi la fortezza posta in sullasommità; alla quale per levare il soccorsoperchépigliandola arebbono potuto infestare di luogo eminente l'armatadegli inimiciassaltorno le genti di Ferdinando il monasterio dellaCrocema ricevuto nell'accostarsi danno grande dall'artiglieriedisperati di ottenerlo per forzasi voltorono a ottenerlo pertrattatoinfelice a chi ne fu autore. Perché avendo uno moroche vi era dentro promesso fraudolentemente al marchese di Pescarastato già suo padronedi metterlo dentroe perciòcondottolo una notte in su una scala di legno appoggiata alle muradel monasterio a parlare secoper stabilire l'ora e il modo dientrare la notte medesimafu quivi con trattato doppio ammazzato conuna freccia di una balestra che gli passò la gola. Néfu alle cose di Ferdinando poco importante la mutazioneprima diProspero e poi di Fabbrizio Colonna; i qualibenché durantel'obligazione della condotta col re di Franciapassoronoquasisubito che ebbe recuperato Napoliagli stipendi suoiscusandosi nongli essere stati fatti a' tempi debiti i pagamenti promessie cheVerginio Orsino e il conte di Pitigliano erano staticon pocorispetto de' meriti loromolto carezzati dal re: ragione che a moltiparve inferiore alla grandezza de' benefici ricevuti da lui. Ma chisa se quello che ragionevolmente doveva essere il freno a ritenerglifusse lo stimolo a fargli fare il contrario: perché quantoerano maggiori i premi che possedevano tanto fuper avventurapiúpotente in loropoiché vedevano cominciare già adeclinare le cose franzesila cupidità del conservargli.Ristretto in questo modo il castelloe serrato il mare da' navili diFerdinandocresceva continuamente il mancamento delle vettovaglie; esi sostentava solo con la speranza d'avere soccorso per marediFrancia; perché Carlosubito che era giunto in AstimandatoPerone di Baccieaveva fatto partiredal porto di Villafrancaappresso a Nizzaun'armata marittima che portava dumila tra guasconie svizzeri e provedimento di vettovaglie; fattone capitano monsignoredi Arbanouomo bellicoso ma non esperimentato nel mare. La qualecondottasi insino all'isola di Ponzoavendo scoperta all'intornol'armata di Ferdinando che aveva trenta vele e due navi grossegenovesisubito si messe in fuga; e seguitata insino all'isoladell'Elbaavendo perduta una navetta biscainasi rifuggí contanto spavento nel porto di Livorno che e' non fu in potestàdel capitano ritenere che la piú parte de' fanti nonscendessino in terrae dipoi contro alla volontà suaandassino in Pisa. Per la ritirata di questa armataMompensieri egli altristretti dalla carestia delle vettovagliepatteggiorno didare a Ferdinando il castellodove erano stati assediati giàtre mesie di andarsene in Provenzase infra trenta dí nonfussino soccorsisalvo la roba e le persone di tutti quegli chev'erano dentro; e per l'osservanza dettono statichi Ivo di Allegri etre altri a Ferdinando. Ma non si potevain tempo sí brevesperare soccorso alcuno se non dalle genti medesime che erano nelregno. Però monsignore di Persíuno de' capitani regiavendo seco i svizzeri e una parte delle lancie franzesieaccompagnato dal principe di Bisignano e da molti altri baronisimosse verso Napoli. La venuta del quale presentendo Ferdinandomandòloro incontro a Eboli il conte di Matalonacon uno esercito lamaggiore parte tumultuarioraccolto di confidati e d'amici: ilqualebenché molto maggiore di numeroriscontratosi con gliinimici al lago Pizzolo vicino a Ebolisubito come si accostorono simesse in fuga senza combattererestando nel fuggire prigioneVenanzio figliuolo di Giulio da Varano signore di Camerino: ma perchénon furono seguitati molto da' franzesisi ridussonoricevutopochissimo dannoa Nola e dipoi a Napoli. Seguitorono i vincitoril'impresa del soccorrere le castellae con tanta riputazione per lavittoria acquistatache Ferdinando ebbe inclinazione d'abbandonareun'altra volta Napoli. Ma ripreso animo per i conforti de'napoletanimossi non meno dal timore propriocausato dalla memoriadella ribellioneche dall'amore di Ferdinandosi fermò aCappella; e per proibire che gli inimici non si accostassino alcastellofinita una tagliata grande già cominciata dal montedi Santo Ermo insino a Castello dell'Uovoprovidde di artiglierie edi fanti tutti i poggi insino a Cappella e sopra a Cappella: in modochecon tutto che i franzesii quali erano venuti per la via diSalerno a Nocera per la Cava e per il monte di Pié di Grottasi conducessino in Chiaia presso a Napolinondimeno essendo ognicosa bene difesae dimostrandosi valorosamente Ferdinando emolestandogli molto l'artiglieriemassimamente quelle che eranopiantate in sul poggio di Pizzifalconeil qual poggio èimminente a Castel dell'Uovoe dove già furono le delicatezzee le suntuosità tanto famose di Lucullonon potettono passarepiú innanzi né accostarsi a Cappellané avendofacoltà di soggiornarviperché la naturabenignissimaa quella costiera di tutte l'altre amenitàgli ha dinegatol'acque dolcifurono costretti a ritirarsi piú presto che nonarebbono fattolasciati nel levarsi due o tre pezzi d'artiglieria eparte delle vettovaglie condotte per mettere nelle castellae se neandorono verso Nola: a' quali per opporsiFerdinandolasciatoassediato il castellosi fermò con le sue genti nel piano diPalma presso a Sarni. Ma Mompensieriprivato per la partita loro diogni speranza di essere soccorsolasciati in Castelnuovo trecentouomininumero proporzionato non meno alla scarsità dellevettovaglie che alla difesae lasciato guardato Castel dell'Uovomontato di notteinsieme con gli altri che erano dumila cinquecentosoldatiin su' legni della sua armatase ne andò a Salerno:non senza gravissime querele di Ferdinandoil quale pretendeva nongli essere stato lecitopendente il termine dello arrendersipartirsi con quelle genti di Castelnuovo se nel tempo medesimo nongli consegnava quello e Castel dell'Uovo; e perciò non fusenza inclinazioneseguitando il rigore de' pattidi vendicarsicol sangue degli statichidi questa ingiuria e del mancamento diMompensieriperché al termine convenuto non furono arrendutele castella. Ma passato il tempo circa a uno mesequegli che eranorimasti in Castelnuovonon potendo piú resistere alla famesi arrenderono con condizione che fussino liberati gli statichi; equasi ne' dí medesimi patteggiornoper la medesima cagionequegli che erano in Castel dell'Uovodi arrendersi il primo dídella prossima quadragesimase prima non fussino soccorsi.

Moríquasi circa a questo tempo a Messina Alfonso di Aragonanel qualeasceso al regno napoletanosi era convertita in somma infamia einfelicità quella gloria e fortuna per la qualementre eraduca di Calavriafu molto illustrato per tutto il nome suo. Èfama che poco innanzi alla morte avea fatto instanza col figliuolo diritornare a Napoliove l'odio già avuto contro a lui eraquasi convertito in benivolenza; e si dice che Ferdinandopotendopiú in luicome è costume degli uominila cupiditàdel regnare che la riverenza paternanon meno mordacemente cheargutamente gli risposeche aspettasse insino a tanto che da ségli fusse consolidato talmente il regno che egli non avesse un'altravolta a fuggirsene. E per corroborare Ferdinando le cose sue con piústretta congiunzione col re di Spagnatolse per mogliecon ladispensa del ponteficeGiovanna sua zianata di Ferdinando suoavolo e di Giovanna sorella del prelato re.

Cap.xi

Lemilizie de' veneziani e di Lodovico Sforza assediano Novara. CarloVIII assolda nuovi svizzeri. Timori e provvedimenti de' collegati pergli appoggi della duchessa di Savoia a Carlo. Intimazione delpontefice a Carlo ed ironica risposta di questo. Patti conclusi traCarlo e i fiorentini.

Mamentre che l'assedio si teneva con vari progressicome èdettointorno alle castella di Napolil'assedio di Novara siriduceva in grande strettezza; perché e il duca di Milanov'aveva intorno potente esercitoe i viniziani l'avevano soccorsocon tanta prontezza che rare volte è memoria che in impresaalcuna perdonassino manco allo spendere: in modo chein breve temposi ritrovorono nel campo de' collegati tremila uomini d'arme tremilacavalli leggieri mille cavalli tedeschi e cinquemila fanti italiani.Ma quello in che consisteva la fortezza principale dell'esercitoerano diecimila lanzechenech (cosí chiamano volgarmente ifanti tedeschi)soldati dal duca di Milanola maggiore parteperopporgli a' svizzeri; perchénon che altronon sosteneva ilnome loro la fanteria italianadiminuita maravigliosamente diriputazione e di ardire dopo la venuta de' franzesi. Governavanglimolti valorosi capitanitra i quali era di maggiore nome Giorgio diPietrapanta nativo d'Austria; il qualeessendo pochi anni innanzisoldato di Massimiliano re de' romaniavevacon laude grandetoltoin Piccardia la terra di Santo Omero al re di Francia. Né soloera stato sollecito il senato viniziano a mandare molta gente aquello assedio ma ancoraper dare maggiore animo a' suoi soldatiaveva di governatore fatto capitano generale del loro esercito ilmarchese di Mantovaonorando la fortezza dimostrata da lui nel fattod'arme del Taro; e con esempio molto grato e degno d'eterna laudenon solo accresciuto le condotte a quegli che s'erano portativalentementema a' figliuoli di molti de' morti nella battaglia dateprovisioni e vari premie statuito le doti alle figliuole.Attendevasi con questo esercito sí potente allo assedioperché era il consiglio de' collegatii quali di questo siriferivano principalmente alla volontà di Lodovico Sforzadinon tentarese non erano necessitati la fortuna della battaglia colre di Franciama fortificandosi allo intorno di Novarane' luoghiopportuniproibire che vettovaglie non v'entrassinosperando cheper esservene dentro piccola quantità e bisognarvene assainon si potesse molti giorni sostenere: perchéoltre al popolodella città e i paesani che v'erano rifuggitiv'aveva il ducad'Orlienstra franzesi e svizzeripiú di settemila uomini digente molto eletta. Però Galeazzo da San Severino conl'esercito duchescodeposto eziandio ogni pensiero dellaoppugnazione della città poi che era tanto copiosa didifensoriera alloggiato alle Mugneluogo in sulla strada maestramolto opportuno a impedire le provisioni che venissino da Vercelli; eil marchese di Mantova con le genti vinizianeavendo in sulla giuntasua preso per forza alcune terre circostantie pochi dí poiil castello di Brione che era di qualche importanzaaveva fornitoCamariano e Bolgariluoghi tra Novara e Vercelli: e per impedire piúcomodamente le vettovaglie avevano distribuito l'esercito in moltiluoghi intorno a Novarae fortificato gli alloggiamenti di tutti.

Daaltra parte il re di Franciaper essere piú propinquo aNovaras'era da Asti trasferito a Turino; e ancora che spessoandasse insino a Chieripreso dall'amore d'una gentildonna che viabitavanon si intermettevano per questo le provisioni della guerrasollecitando continuamente le genti che passavano di Franciaconintenzione di mettere in sulla campagna dumila lancie franzesi. Macon non minore studio s'attendeva a sollecitare la venuta didiecimila svizzeria soldare i quali era stato mandato il baglídi Digiuno; disegnandosubito che e' fussino arrivati allo esercitofare lo sforzo possibile per soccorrere Novarama senza quegli nonavendo ardire di tentare cosa alcuna memorabile. Perché ilregno di Franciapotentissimo in questo tempo di cavalleria einstruttissimo di copia grande d'artiglierie e di grandissima periziadi maneggiarleera debolissimo di fanteria propria; perchéritenute l'armi e gli esercizi militari solo nella nobiltàera mancata nella plebe e negli uomini popolari l'antica ferocia diquella nazioneper avere lungamente cessato dalle guerre e datisiall'arti e a' guadagni della pace: conciossiaché molti de' repassatitemendo dell'impeto de' popoliper l'esempio di variecongiurazioni e rebellioni che erano accadute in quel reameavevanoatteso a disarmargli e alienargli dagli esercizi militari. E peròi franzesinon confidando piú della virtú de' fantiproprisi conducevano timidamente alla guerra se nell'esercito loronon era qualche banda di svizzeri. La quale nazionein ogni tempoindomita e feroceaveva circa venti anni innanzi augumentato moltola sua riputazione; perché essendo assaltati con potentissimoesercito da Carlo duca di Borgognaquello che per la potenza e perla fierezza sua era al regno di Francia e a tutti i vicini digrandissimo terroregli avevano in pochi mesi dato tre rotte enell'ultimao mentre combatteva o nella fuga (perché fuoscuro il modo della sua morte) privatolo della vita. Per la virtúloro adunquee perché con essi non avevano i franzesiemulazione o differenza alcunané per propri interessi causadi sospettarnecome avevano de' tedeschinon conducevano altrifanti forestieri che svizzerie usavano in tutte le guerre gravil'opera loro; e in questo tempo piú volentieri che neglialtriper conoscere che il soccorrere Novaracircondata da tantoesercito e contro a tanti fanti tedeschiche guerreggiavano con lamedesima disciplina che i svizzeriera cosa difficile e piena dipericoli.

Èposta in mezzo tra Turino e Novara la città di Vercellimembro già del ducato di Milano ma conceduta da Filippo MariaViscontenelle lunghe guerre che ebbe co' viniziani e co'fiorentiniad Amideo duca di Savoiaperché s'alienasse daloro; nella quale città non era ancora entrata gente d'alcunadelle partiperché la duchessamadre e tutrice del piccoloduca di Savoiae d'animo totalmente franzesenon aveva volutoscoprirsi per il re insino che non fusse piú potentedando inquesto mezzo parole grate e speranza al duca di Milano. Ma come ilreingrossato già di gentesi trasferí a Turino cittàdel medesimo ducatoconsentí che in Vercelli entrassino de'suoi soldati; donde e a luiper l'opportunità di quel luogoera accresciuta la speranza di poterecome fussino arrivati tuttisuoi sussidisoccorrere Novarae i confederati cominciavano astarne con non piccola dubitazione. E peròper stabilire conmaggiore maturità come in queste difficoltà si avesse aprocedereandò all'esercito Lodovico Sforzae con luiBeatrice sua moglie che gli era assiduamente compagna non manco allecose gravi che alle dilettevoli; alla presenza del qualeecome fufamaper consiglio suo principalmentefu dopo molte disputazioniconchiuso unitamente da' capitani: che per maggiore sicurtà ditutti l'esercito veneto si unisse con lo sforzesco alle Mugnelasciando sufficiente guardia in tutti i luoghi vicini a Novara chefussino opportuni all'ossidione: che Bolgari s'abbandonasseperchéessendo vicino tre miglia a Vercelliera necessariose i franzesivi fussino andati potenti per espugnarloo lasciarloignominiosamente perdere ocontro alle deliberazioni giàfatteandare a soccorrerlo con tutto l'esercito: che in Camarianodistante per tre miglia all'alloggiamento delle Mugnesi accrescesseil presidio; e chefortificato il campo tutto con fossi e con riparie con copia grande d'artiglieriesi pigliassino giornalmente l'altredeliberazioni secondo che insegnassino gli andamenti degl'inimici;non omettendo di dare il guasto e tagliare tutti gli alberi insinoquasi alle mura di Novaraper dare incomodo e agli uomini e alsaccomanno de' cavallide' quali nella città era grandemoltitudine.

Questecose deliberatee fatta la mostra generale di tutto l'esercitoLodovico Sforza se ne tornò a Milanoper fare piúprontamente le provisioni che di dí in dí fussinonecessarie. E per favorire anche con l'autorità e con l'armispirituali le forze temporalioperoronoi viniziani ed egliche 'lpontefice mandasse uno de' suoi mazzieri a Carloa comandargli chefra dieci dí si partisse d'Italia con tutto l'esercitoe fraaltro termine breve levasse le genti sue del regno di Napoli;altrimentiche sotto quelle pene spirituali con le quali minaccia laChiesa comparisse a Roma innanzi a lui personalmente; rimedio tentatoaltre volte dagli antichi ponteficiperchésecondo che sileggenon con altre armi che queste Adrianoprimo di quel nomecostrinse Desiderio re de' longobardiche con esercito potenteandava a perturbare Romaa ritirarsi da Ternidove già erapervenutoa Pavia. Ma mancata la riverenza e la maestà chedalla santità della vita loro ne' petti degli uomininascevanoera ridicolo sperare da costumi e esempli tanto contrarigli effetti medesimi. Però Carloderidendo la vanitàdi questo comandamentorispose chenon avendo il pontefice volutoquando tornava da Napoli aspettarlo in Romadove era andato perbaciargli divotamente i piedisi maravigliava che al presente nefacesse tanta instanza: ma che per ubbidirlo attendeva ad aprirsi lastradae lo pregava cheacciocché invano non pigliassequesta incomoditàfusse contento d'aspettarvelo.

Conchiusein questo tempo il Carloin Turinocon gli imbasciadori de'fiorentini nuovi capitolinon senza molta contradizione di queglimedesimi che altre volte gli avevano impugnati: a' quali dettemaggiore occasione di contradirecheavendo i fiorentinidopol'avere ricuperato l'altre castella delle colline di Pisa perdutenella ritornata di Carloposto il campo a Ponte di Saccoeottenutolo per accordo salve le persone de' soldatierano staticontro alla fede data ammazzati nell'uscire quasi tutti i fantiguasconi che v'erano co' pisanie usate contro a' morti moltecrudeltà. Il chese bene fusse avvenuto contro alla volontàde' commissari fiorentinii quali con difficoltà grande nesalvorono una partema per opera d'alcuni soldatii quali statiprima prigioni dell'esercito franzese erano stati trattati moltoacerbamentenondimeno nella corte del re questo casointerpretandosi dagli avversari loro per segno manifesto di animoinimicissimo al nome di tutti i franzesiaccrebbe difficoltàalla pratica dell'accordo: il quale pure finalmente si conchiuseprevalendo a ogn'altro rispetto non la memoria delle promesse e delgiuramento prestato solennemente ma la necessità urgente didanari e del soccorrere alle cose del regno di Napoli. Convennesiadunque in questa sentenza: che senza alcuna dilazione fussinorestituite a' fiorentini tutte le fortezze e le terre che erano inmano di Carlocon condizione che e' fussino obligati di dare infradue anni prossimiquando cosí piacesse al ree ricevendoneconveniente ricompensoPietrasanta e Serezana a' genovesiin casovenissino alla ubbidienza del re; sotto la quale speranzagl'imbasciadori de' fiorentini pagassino subito i trentamila ducatidella capitolazione fatta in Firenzema ricevendo gioie in pegno persicurtà del riavergli in caso non si restituissino perqualunque cagione le terre loro: che fatta la restituzioneprestassino al re sotto l'obligazione de' generali del reame diFrancia (è questo il nome di quattro ministri regi chericevono l'entrate di tutto il regno) settantamila ducatipagandogliper lui alle genti che erano nel regno di Napolie intra gli altriuna parte a' Colonnesi in caso non fussino accordati con Ferdinando;di che al rebenché avesse già dell'accordo diProspero qualche indizionon era pervenuta ancora la interacertezza: che non avendo guerra in Toscanamandassino nel reameinaiuto dell'esercito franzesedugento cinquanta uomini d'arme; e incaso che avessino guerra in Toscanama non altra che quella diMontepulcianofussino obligati a mandargli ad accompagnare insinonel regno le genti de' Vitelliche erano nel contado pisanoma nonfussino obligati a tenervegli piú oltre che tutto il mese diottobre: che a' pisani fussino perdonati tutti i delitti commessiedata certa forma alla restituzione delle robe toltee fatte alcuneabilità appartenenti all'arti e agli esercizi: e che persicurtà dell'osservanza si dessino per statichi sei de'principali cittadini di Firenzea elezione del reper dimorarecerto tempo nella sua corte. Il quale accordo conchiusoe pagati colpegno delle gioie i trentamila ducatiche furono subito mandati perlevare i svizzerifurono espedite le lettere e i comandamenti regia' castellani delle fortezzeche le restituissino immediate a'fiorentini.

Cap.xii

Condizionidifficili de' francesi in Novara. Segrete pratiche di concordia frail re di Francia e il duca di Milano. Patti di pace proposti al re diFrancia e discussione di essi nel consiglio del re. Carlo VIIIfattala pace col duca di Milanoritorna in Francia.

Male cose dentro a Novara diventavano ogni dí piú dure epiú difficilicon tutto che la virtú de' soldati fussegrandee grandissimaper la memoria della ribellionel'ostinazionede' novaresi a difendersi; perché erano già diminuitele vettovaglie talmente che la gente cominciava a patire molto de'cibi necessari: e benché Orlienspoiché si vidderistrettoavesse mandate fuora le bocche inutilinon era tantorimedio che bastasse; anzi de' soldati franzesi e de' svizzeripocoabili a tollerare queste incomoditàincominciavano ainfermarsene ogni dí molti. Onde Orliensoppresso anche eglidi febbre quartanacon messi spessi e lettere sollecitava Carlo anon prolungare il soccorso; il qualenon essendo ancora insiemetante genti che fussino abbastanzanon poteva essere sípresto che alla necessità sua cosí urgentesodisfacesse. Tentorono nondimeno i franzesi piú volte dimettere di notte in Novara vettovagliacondotta da grosse scorte dicavalli e di fantima scoperti sempre dagl'inimici furno costretti aritirarsie qualche volta con danno non piccolo di coloro laconducevano. E per chiudere da ogni parte a quegli di dentro la viadelle vettovaglieil marchese di Mantova assaltò ilmonasterio di San Francesco propinquo alle mura di Novaraedespugnatolo vi messe in guardia dugento uomini d'arme e tremila fantitedeschi: donde gli eserciti si sgravorono di molte faticherestandoassicurata la strada per la quale si conducevano le loro vettovagliee serrata la via della porta di verso il monte di Biandranache erala via piú facile a entrare in Novara. Espugnò di piúil dí seguente il bastione fatto da' franzesi alla punta delborgo di San Nazaroe la notte prossima tutto il borgo e l'altrobastione contiguo alla porta; nel quale messe la guardiae fortificòil borgo: dove il conte di Pitiglianoche era stato condotto da'viniziani con titolo di governatoreferito d'uno archibuso appressoalla cinturastette in grave pericolo di morte. Per i qualiprogressi il duca d'Orliensdiffidandosi di potere piúdifendere gli altri borghii quali quando si ritirò in Novaraaveva fortificatifattovi mettere fuocola notte seguente ridussetutti i suoi alla guardia solamente della cittàsostentandosinella estremità della fame con la speranza del soccorsochegli cresceva; perché essendo pure cominciati ad arrivare isvizzeril'esercito franzesepassato il fiume della Sesiaerauscito ad alloggiare in campagna un miglio fuora di Vercellie messaguardia in Bolgari aspettava il resto de' svizzericredendosi checome fussino arrivati si andrebbe subitamente a soccorrere Novara:cosa piena di molte difficoltàperché le gentiitaliane erano alloggiate in forte sito e con gagliardi riparie ilcammino da Vercelli a Novara era cammino copioso d'acquee difficileper i fossi molto larghi e profondi de' quali è pieno ilpaese; e tra Bolgariguardato da' franzesie l'alloggiamento degliitaliani era Camarianoguardato da essi. Per le quali difficoltànon appariva nell'animo del re né degli altri molta prontezza.E nondimenose tutto il numero de' svizzeri fusse arrivato piúprestoarebbono tentata la fortuna della battaglia: l'evento dellaquale non poteva essere se non molto dubbio per ciascuna delle parti.E peròconoscendosi il pericolo da tuttinon mancavanocontinuamente tra il re di Francia e il duca di Milano secretepratiche di concordia; benché con poca speranzaper ladiffidenza grande che era tra loroe perché l'uno e l'altroper mantenersi in maggiore riputazionedimostrava di non avernedesiderio.

Mail caso aperse uno altro mezzo piú espedito a tantaconclusione. Perché essendo in quegli medesimi dí mortala marchesana di Monferratoe trattandosi di chi dovesse pigliare ilgoverno di un piccolo figliuolo che aveva lasciatoal quale governoaspiravano il marchese di Saluzzo e Costantino fratello dellamarchesana mortauno degli antichi signori di Macedoniaoccupatamolti anni innanzi da Maumeth ottomannoil redesideroso dellaquiete di quello statomandòper ordinarlo secondo ilconsenso de' sudditiArgenton a Casale Cervagio; dove essendosimilmente andatoper condolersi della medesima morteun maestro dicasa del marchese di Mantovanacquetra questi dueragionamentodel beneficio che riporterebbe ciascuna delle parti della pace; ilquale ragionamento procedé tanto avanti cheavendo Argentonper conforto suo scritto sopra il medesimo a' proveditori vinizianiripetendo le cose cominciate a trattare con loro insino in sul Taroessi prestando orecchi e comunicando co' capitani del duca di Milanofinalmente tutti concordi mandorono a ricercare il reil quale eravenuto a Vercelliche deputasse alcuni de' suoiacciocché inqualche luogo comodo si conducessino a parlamento con quegli i qualisarebbono deputati da loro: il che avendo il re consentitosicongregorno il dí seguentetra Bolgari e Camarianoper iviniziani il marchese di Mantova e Bernardo Contarino proveditore de'loro stradiottiper il duca di Milano Francesco Bernardino Viscontee per il re di Francia il cardinale di San Malòil principed'Orangesil quale passato nuovamente di qua da' monti aveva percommissione del re la cura principale di tutto l'esercitoilmarisciallo di GiesPienes e Argenton. I quali essendosi convenutiinsieme piú volte; e inoltre andatiin diversi díalcuni di essidall'uno esercito all'altrosi ristrignevanoprincipalmente le differenze alla città di Novara: perchéil renon ponendo difficoltà nell'effetto della restituzionema nel modoper minore offesa dell'onore proprio faceva instanzachein nome del re de' romanidiretto signore del ducato di Milanosi dipositasse in mano d'uno di quegli capitani tedeschi che eranonel campo italiano; ma i collegati instavano si rilasciasseliberamente. Né si potendo questa e l'altre difficoltàche accadevano risolvere cosí presto come arebbono avuto dibisogno quegli che erano in Novararidotti tanto allo estremo chegià per la famee per le infermità causate da quellavi erano morti circa dumila uomini della gente di Orliensfu fattotregua per otto dí; dando facoltà a lui e al marchesedi Saluzzo di andare con piccola compagnia a Vercellima conpromessa di ritornare dentro con la medesima compagnia se la pace nonsi facesse: per sicurtà del qualeavendo a passare per leforze degli inimiciil marchese di Mantova andò a una torrepresso a Bolgariin potestà del conte di Fois. Néarebbeno i soldatii quali restorono in Novaralasciatolo partirese da lui non avessino avuta la fede chefra tre dío viritornerebbe o che essi arebbono per opera sua facoltàd'uscirsene; e dal marisciallo di Giesche era andato a Novara percondurlo fuoraun suo nipote per statico: perché eranoconsumati non solo i cibi consueti al vitto umano ma eziandio gliimmondida' quali gli uomini in tanta estremità non si eranoastenuti. Ma come il duca d'Orliens fu arrivato al re si prolungòla tregua per pochi dícon patto che tutta la gente suauscisse di Novaralasciando la terra in potestà del popolosotto giuramento di non la dare ad alcuna delle parti senza ilconsentimento comune; e che nella rocca rimanessino per Orlienstrenta fantia' quali fusse dal campo italiano giornalmente mandatala vettovaglia. Cosí uscirono di Novara tutti i soldatiaccompagnatiinsino che furono in luogo sicuro dal marchese diMantova e da Galeazzo da San Severinoma tanto indeboliti econsumati dalla fame che non pochi di loro morirono appena arrivati aVercelli e gli altri restorno inutili a adoperarsi in questa guerra.E in quegli dí medesimi arrivò il baglí diDigiuno col resto de' svizzeri; de' quali se bene non n'avessedimandati piú che diecimilanon aveva potuto proibire chealla fama de' danari del re di Francia non concorressino quasipopolarmentein modo che ascendevano al numero di ventimila: de'quali la metà si congiunse col campo che era appresso aVercellil'altra metà si fermò discosto dieci miglianon si giudicando totalmente sicuro che tanta quantità diquella nazione stesse insieme nel medesimo esercito. La cui venuta sefusse stata qualche dí prima arebbe facilmente interrotte lepratiche dell'accordoperché nell'esercito del re eranooltre a questiottomila fanti franzesidumila svizzeri di quegliche erano stati a Napolie le compagnie di mille ottocento lancie;ma essendo la materia tanto avantie già abbandonata Novaranon si intermessono i ragionamenti; con tutto che il duca di Orliensfacesse opera efficace in contrarioe che nella sua sentenza moltialtri concorressino. E perciò erano ogni dí i deputatinel campo italiano a praticare col duca di Milanoritornatovinuovamente per trattare da se medesimo cosa di tanta importanzabenché in presenza continuamente degli imbasciadori de'collegati; e finalmente i deputati ritornorono al reriportandoperultima conclusione di quello in che si poteva convenire: che tra ilre di Francia e il duca di Milano fusse perpetua pace e amicizianonderogando per questo il duca all'altre sue confederazioni;consentendo che la terra di Novara gli fusse restituita dal popolo erilasciatagli la rocca da' fantie si restituissino la Spezie e glialtri luoghi occupati da ciascheduna delle parti: che al re fusselecito armare a Genovasuo feudoquanti legni volessee servirsidi tutte le comodità di quella cittàeccetto che infavore degl'inimici di quello stato; e che per sicurtà diquesto i genovesi gli dessino certi statichi: che 'l duca di Milanogli facesse restituire i legni perduti a Rapallo e le dodici galeeritenute a Genovae gli armasse di presente a spese proprie duecaracche grosse genovesile qualiinsieme con quattro altre armatein nome suodisegnava di mandare al soccorso del regno di Napoli; eche l'anno futuro fusse tenuto a dargliene tre nel modo medesimo:concedesse passo alle genti che 'l re mandasse per terra al medesimosoccorsoma non passando per lo stato suo piú che dugentolancie per volta; e in caso che il re ritornasse a quella impresapersonalmente dovesse il duca seguitarlo con certo numero di genti:avessino i viniziani facoltà d'entrare fra due mesi in questapaceed entrandovi ritirassino l'armata loro del regno di Napoli népotessino dare soccorso alcuno a Ferdinando; il che quando nonosservassinose il re volesse muovere loro la guerra fusse obligatoil duca ad aiutarloper il quale si acquistasse tutto quello che sipigliasse dello stato de' viniziani: pagasse il ducaper tutto marzoprossimoducati cinquantamila a Orliens per le spese fatte a Novara;e de' danari prestati al re quando passò in Italia loliberasse d'ottantamila ducatigli altrima con termine piúlungogli fussino restituiti: fusse assoluto dal bando avuto dalducae rendutogli i suoi beniil Triulzio; e il bastardo di Borbonepreso nella giornata del Taroe Miolans che era stato preso aRapalle e tutti gli altri prigionifussino liberati: che il ducafacesse partire di Pisa il Fracassa il quale poco innanzi v'avevamandatoe tutte le genti sue e de' genovesi; né potesseimpedire la recuperazione delle terre a' fiorentini: deponesse infraun mese il castelletto di Genova nelle mani del duca di Ferrarachechiamatoper questodall'uno e dall'altro era venuto nel campoitaliano; il quale l'avesse a guardare due anni a spese comuniobligandosi con giuramento di consegnarloeziandio durante il tempopredettoal re di Francia in caso che 'l duca di Milano non gliosservasse le promesse; il qualeconchiusa che fusse la paceavessea dare subito statichi al re per sicurtà di deporre al tempoconvenuto il castelletto. Queste condizioniriferite al re dai suoiche l'avevano trattatefurono da lui proposte nel suo consiglio; nelqualevariando gli animi di moltimonsignore della Tramoglia parlòin questa sentenza:

-Se nella presente deliberazione non si trattassemagnanimo resenon d'accrescere con opere valorose nuova gloria alla corona diFranciaio mi moverei per avventura piú lentamente aconfortare che la persona vostra reale si esponesse a nuovi pericoli;ancora che l'esempio di voi medesimo vi dovesse consigliare incontrarioperché non mosso da altro che dalla cupiditàdella gloria deliberastecontro a' consigli e contro a' prieghi diquasi tutto il vostro reamedi passare l'anno precedente in Italiaal conquisto del regno di Napoli: ove avendo con tanta fama e onoreavuto sí prospero successo la impresa vostraè cosamanifestissima che oggi non viene solo in consulta se s'ha arifiutare l'occasione d'acquistare onori e gloria nuovama se s'ha adeliberarsi di disprezzare e di lasciare perdere quella che con sígravi spese e con tanti pericoli avete conseguitae convertirel'onore acquistato in grandissima ignominiaed essere voi quello cheriprendiate e condanniate le deliberazioni fatte da voi medesimo.Perché poteva la Maestà Vostra senza alcuno carico suostarsene in Franciané poteva quello che al presente saràattribuito da tutto il mondo a somma timidità e viltàessere allora attribuito ad altro che a negligenzao alla etàoccupata ne' piaceri. Poteva la Maestà Vostrasubito che fugiunta in Asticon molto minore vergogna sua ritornarsene inFranciadimostrando che a lei le cose di Novara non attenessino; maorapoiché fermata qui con l'esercito suo ha publicatod'essersi fermata per liberare dallo assedio Novara eper questofatto venire di Francia tanta nobiltàe con intollerabilespesa condotti tanti svizzerichi può dubitare chenon laliberandola gloria vostra e del vostro reame non si converta ineterna infamia? Ma ci sono piú potenti o (se ne' pettimagnanimi de' re non può essere maggiore né piúardente stimolo che la cupidità della fama e de la gloria)almanco piú necessarie ragioni: perché la ritiratanostra in Franciaconsentendo per accordo la perdita di Novaranonvuole dire altro che la perdita di tutto il regno di Napoliche ladistruzione di tanti capitanidi tanta nobiltà franzeserimasta sotto la speranza vostrasotto la fede data da voi di prestosoccorrerglialla difesa di quel reame; i quali resteranno disperatidel soccorso come intenderanno che voitrovandovi in sulle frontiered'Italia con tanto esercitocon tante forzecediate agl'inimici.Dependono in grande partecome ognuno sadalla riputazione isuccessi delle guerre; la quale quando declinadeclina insieme lavirtú de' soldati diminuisce la fede de' popoli annichilansil'entrate deputate a sostenere la guerrae per contrario crescel'animo degl'inimici alienansi i dubbii e augumentansi in infinitotutte le difficoltà. Però mancandocon nuova síinfeliceall'esercito nostro il suo vigoree diventando maggiori leforze e la riputazione degl'inimicichi dubita che presto sentiremola ribellione di tutto il regno di Napoli? presto la disfazione delnostro esercito? e che quella impresacominciata e proseguita contanta glorianon ci arà partorito altro frutto che danno einfamia inestimabile? Perché chi si persuade che questa pacesi faccia con buona fede dimostra di considerare poco le condizionidelle cose presentidimostra di conoscere poco la natura di coloroco' quali si tratta; essendo facile a comprendere checome aremovoltate le spalle all'Italianon ci sarà osservata cosaalcuna di quelle che si capitolanoe che in cambio di darci gliaiuti promessi sarà mandato soccorso a Ferdinando; e quellegenti medesime che si glorieranno d'averci fatto vilmente fuggired'Italia andranno a Napoli ad arricchirsi delle spoglie de' nostri.La quale ignominia io tollererei piú facilmente se per alcunaprobabile cagione si potesse dubitare della vittoria. Ma come puònascere in alcuno questo sospetto checonsiderando la grandezza delnostro esercitol'opportunità che abbiamo del paesecircostantesi ricordi chestracchi della lunghezza del camminoassediati delle vettovagliepochissimi di numero e in mezzo di tuttoil paese inimicocombattemmo sí ferocemente contro agrossissimo esercito in sul fiume del Taro? il quale fiume corse queldí con grande impetopiú grosso di sangue degliinimici che d'acqua propria; aprimmoci col ferro la stradaevittoriosi cavalcammo otto giorni per il ducato di Milanoche tuttoci era contrario? Abbiamo al presente il doppio piú cavalleriae tanti piú fanti franzesi che allora non avevamoe in cambiodi tremila svizzeri n'abbiamo ora ventiduemila: gl'inimicise beneaugumentati di fanti tedeschisi può dire che a comparazionenostra siano poco augumentatiperché la cavalleria loro èquasi la medesimasono i medesimi capitani; e battuti una volta contanto danno da noiritorneranno con grande spavento a combattere. Eforse i premi della vittoria sono sí piccoli che abbino aessere vilipesi da noi? e non piú presto tali che debbiamocercare di conseguirgli con qualunque pericolo? Perché non sicombatte solamente la conservazione di tanta gloria acquistatalaconservazione del regno di Napolila salute di tanti vostri capitanie di tanta nobiltàma sarà posto in mezzo dellacampagna lo imperio di tutta Italia; la qualevincendo quisaràper tutto preda della vittoria nostra: perchéche altre gentiche altri eserciti restano agli inimici? nel campo de' quali sonotutte l'armi tutti i capitani che hanno potuto mettere insieme. Unfosso che noi passiamoun riparo che noi spuntiamoci mette in senocose sí grandi: lo imperio e le ricchezze di tutta Italialafacoltà di vendicarci di tante ingiurie. I quali due stimolisoliti ad accendere gli uomini pusillanimi e ignavise non moverannola nazione nostra bellicosa e feroce potremo dire certamente essercimancata piú presto la virtú che la fortuna; la quale ciha arrecato occasione di guadagnare in sí piccolo campoin sípoche orepremi tanto grandi e tanto degni che né piúgrandi né piú degni n'aremmo saputo noi medesimidesiderare. -

Main contrario il principe di Oranges parlò cosí:

-Se le cose nostrecristianissimo renon fussino ridotte in tantastrettezza di tempoma fussino in grado che ci dessino spaziod'accompagnare le forze con la prudenza e con la industriae non cinecessitassinose vogliamo perseverare nell'armia procedereimpetuosamente e contro a tutti i precetti dell'arte militaresareiancora io uno di quegli che consiglierei che si rifiutasse l'accordo;perché in verità molte ragioni ci confortano a nonl'accettarenon si potendo negare che il continuare la guerrasarebbe molto onorevole e molto a proposito delle cose nostre diNapoli. Ma i termini ne' quali è ridotta Novara e la roccadove non è da vivere pure per un giornoci costringonose lavogliamo soccorreread assaltare gl'inimici subitamente; e quandopurelasciandola perderepensiamo a trasferire in altra parte dellostato di Milano la guerrala stagione del verno che si appropinquamolto incomoda a guerreggiare in questi luoghi bassi e pieni diacquala qualità del nostro esercito il qualeper la naturae moltitudine sí grande de' svizzerise non saràadoperato presto potrebbe essere piú pernicioso a noi cheagl'inimicila carestia grandissima de' danari per la quale èimpossibile il mantenerci qui lungamenteci necessitanononaccettando l'accordoa cercare di terminare presto la guerra: il chenon si può fare altrimenti che andando a dirittura acombattere con gl'inimici. La qual cosaper le condizioni loro e delpaeseè tanto pericolosa che e' non si potrà dire cheil procedere in questo modo non sia somma temerità eimprudenza: perché l'alloggiamento loro è tanto forteper natura e per arteavendo avuto tempo sí lungo a ripararloe a fortificarloi luoghi circostantiche gli hanno messo inguardia sono sí opportuni alla difesa loro e sí benemunitiil paese per la fortezza de' fossi e per l'impedimentodell'acque è sí difficile a cavalcareche chi disegnad'andare distesamente a trovarglie non d'accostarsi loro di passoin passo con le comodità e co' vantaggi e (come si dice)guadagnando il paese e gli alloggiamenti opportuni a palmo a palmonon cerca altro che avventurarsi con grandissimo e quasi certissimopericolo. Perché con quale discorsocon quale ragione diguerracon quale esempio di eccellenti capitanisi debbe egliimpetuosamente assaltare un esercito sí grosso che sia in unoalloggiamento sí fortee sí copioso d'artiglierie?Bisognachi vuole procedere altrimenti che a casocercare didiloggiargli del forte lorocol prendere qualche alloggiamento chegli soprafaccia o con l'impedire loro le vettovaglie; delle qualicose non veggo se ne possa sperare alcuna se non procedendomaturamente e con lunghezza di tempoil quale ciascuno conosce cheabilità abbiamo di aspettare: senza chela cavalleria nostranon è né di quel numero né di quel vigore chemolti forse si persuadonoessendonecome ognuno saammalati moltimolti ancorae con licenza e senza licenzaritornatisene inFranciae la maggiore parte di quegli che restanostracchi per lalunga miliziasono piú desiderosi d'andarsene che dicombattere; e il numero grande de' svizzeriche è il nervoprincipale del nostro esercitoci è forse cosí nocivocome sarebbe inutile il piccolo numero. Perché chi èquello cheesperto della natura e de' costumi di quella nazione eche sappia quanto sia difficilequando sono tanti insiemeilmaneggiarglici assicuri che non faccino qualche pericoloso tumultomassime procedendo le cose con lunghezza? nella qualeper cagionede' pagamenti ne' quali sono insaziabilie per altri accidentipossono nascere mille occasioni di alterargli. Cosí restiamoincerti se gli aiuti loro ci abbino a essere medicina o veleno; e inquesta incertitudine come possiamo noi fermare i nostri consigli?come possiamo noi risolverci a deliberazione alcuna animosa e grande?Nessuno dubita che piú onorevole sarebbepiú sicuraper la difesa del regno di Napolila vittoria che l'accordo; ma intutte le azioni umanee nelle guerre massimamentebisogna spessoaccomodare il consiglio alla necessitànéperdesiderio di ottenere quella parte che è troppo difficile equasi impossibileesporre il tutto a manifestissimo pericolo; néè manco ufficio del valoroso capitano fare operazione di savioche d'animoso. Né è stata l'impresa di Novaraprincipalmente impresa vostrané appartiene se non perindiretto a voi che non pretendete diritto al ducato di Milano; néfu la partita vostra da Napoli per fermarsi a fare la guerra nelPiemonte ma per ritornare in Franciaa fine di riordinarvi di danarie di gentida potere piú gagliardamente soccorrere il regnodi Napoli: il qualein questo mezzocol soccorso dell'armatapartita da Nizzacon le genti vitellesche con gli aiuti e co' danaride' fiorentinisi intratterrà tanto che potràfacilmente aspettare le potenti provisioni chericondotto inFranciavoi farete. Non sono già io di quegli che affermi cheil duca di Milano osserverà questa capitolazione; ma essendovida lui e da' genovesi dati gli ostaggie depositando il castellettosecondo la forma de' capitolin'arete pure qualche arra e qualchepegno. Né sarebbe però da maravigliarsi molto che egliper non avere a essere sempre il primo percosso da voidesiderassela pace; né hanno per sua natura le leghedove intervengonomoltitale fermezza o tale concordia che non si possa sperared'averne a raffreddare o a disunire dagli altri qualcuno: ne' qualiogni piccola apertura che noi facessimoogni piccolo spiraglio checi apparissearemmo la vittoria facile e sicura. Io finalmente viconfortore cristianissimoall'accordonon perché per sestesso sia utile o laudabile ma perché appartiene a' príncipisavinelle deliberazioni difficili e molesteapprovare per facile edesiderabile quella che sia necessaria o che sia manco di tuttel'altre ripiena di difficoltà e di dispiacere. -

Ripigliòil duca d'Orliens le parole del principe di Orangese con tantaacerbità chetrascorrendo l'uno e l'altro impetuosamentedalle parole calde alle ingiurioseOrlienspresenti tuttilosmentí; e nondimeno la inclinazione della maggiore parte delconsiglio e quasi di tutto l'esercito era che s'accettasse la pacepotendo tanto in tuttie non meno nel re che negli altrilacupidità del ritornarsene in Francia che impediva il conoscereil pericolo del regno di Napolie quanto fusse ignominioso illasciare perdere innanzi agli occhi propri Novarae la partitad'Italia con condizioniper la incertitudine della osservanzacosíinique: la quale deliberazione fu con tanta caldezza favorita dalprincipe di Oranges che molti dubitorono che a requisizione del rede' romanial quale era deditissimonon riguardasse menoall'interesse del duca di Milano che a quello del re di Francia. Edera grande appresso a Carlo la sua autoritàparte per loingegno e valore suoparte perché facilmente da' príncipisono riputati savi quegli consigli che si conformano piú allaloro inclinazione. Fu adunque stipulata la pacela quale non primagiurata dal duca di Milanoil retutto intento al ritorno diFranciase ne andò subito a Turino; sollecitato anche alpartirsi da Vercelli perché quella parte de' svizzeri che eranel campo suoper assicurarsi d'avere lo stipendio per tre mesiintericome dicevano avere sempre osservato seco Luigi undecimocontutto che e' non fusse stato loro promessoe che non avessinomilitato tanto tempo per luitrattavano di ritenere o il re o iprincipali della sua corte: dal quale pericolo benchéliberatosi con la súbita partitanondimenoavendo essi fattoprigioni il baglí di Digiuno e gli altri capi che gli avevanocondotti fu alla fine necessitato d'assicurarglicon statichi e conpromessedella dimanda la quale facevano. Da Turino il redesideroso di stabilire la pace fattamandò al duca di Milanoil marisciallo di Gies il presidente di Gannai e Argentonperindurlo a parlamento secoil che egli dimostrava di desiderare madubitare di qualche fraude; e o per questo sospettoo forsestudiosamente interponendo difficoltà per non ingelosire glianimi de' collegatio per ambizione di condurvisi come non inferioreal re di Franciaproponeva di fare l'abboccamento in mezzo diqualche rivierain sulla qualeessendo stabilito un ponte o con lebarche o con altra materiarestasse tra loro uno steccato forte dilegname: nel qual modo si erano altre volte abboccati insieme i re diFrancia e di Inghilterrae altri príncipi grandi di ponente.Il che essendo ricusato dal re come cosa indegna di séeavendo ricevuto da lui gli statichimandò Perone di Baccie aGenovaper ricevere le due caracche promessegli e per armarne aspese proprie quattro altreper soccorrere le castella di Napoli; lequali era già certificato non avere ricevuto il soccorsodell'armata mandata da Nizzae perciò avere convenuto diarrendersi se fra trenta dí non fussino soccorse: disegnandomettervi su tremila svizzerie congiugnerle con l'armata ritiratasia Livorno e con alcuni altri legni che s'aspettavano di Provenzaiquali senza le navi grosse genovesi non sarebbono stati bastanti aquesto soccorsoessendo già ripieno il porto di Napoli digrossa armata; perchéoltre a' legni condottivi daFerdinandovi avevano i viniziani mandate venti galee e quattro navidi quella che aveva espugnato Monopoli. Mandò ancora il reArgenton a Vinegia per ricercargli che entrassino nella pace; e dipoiprese il cammino di Franciacon tanta celerità e ardoreeglie tutta la corted'esservi presto chenon che altronon volessesoprasedere in Italia pochi dí per aspettare che i genovesigli dessino gli statichi promessicome senza dubbio non si partendocosí presto fatto arebbono: e cosíalla fine d'ottobredell'anno mille quattrocento novantacinquesi ritornò di làda' montisimile piú tostonon ostante le vittorie ottenutea vinto che a vincitore; lasciato in Astila quale cittàsimulò d'avere comperata dal duca d'OrliensgovernatoreGianiacopo da Triulzi con cinquecento lancie franzesile quali quasituttefra pochi dídi propria autorità loseguitorono; né avendo lasciato al soccorso del regno diNapoli altra provisione che l'ordine delle navi che si armavano aGenova e in Provenzae l'assegnamento degli aiuti e de' danaripromessigli da' fiorentini.

Cap.xiii

Manifestazionedel male detto da' francesi: "di Napoli"e dagli italiani:"francese". Suo luogo d'origine e sua diffusione.

Néparedopo la narrazione dell'altre coseindegno di memoria cheessendo in questo tempo fatale a Italia che le calamità sueavessino origine dalla passata de' franzesio almeno a loro fussinoattribuiteche allora ebbe principio quella infermità chechiamata da' franzesi il male di Napolifu detta comunemente dagliitaliani le bolle o il male franzese; perchépervenuta inessi mentre erano a Napolifu da loronel ritornarsene in Franciadiffusa per tutta Italia: la quale infermità o del tutto nuovao incognita insino a questa età nel nostro emisperiose nonnelle sue remotissime e ultime partifu massime per molti anni tantoorribile checome di gravissima calamitàmerita se ne facciamenzione. perché scoprendosi o con bolle bruttissimele qualispesse volte diventavano piaghe incurabilio con dolori intensissiminelle giunture e ne' nervi per tutto il corponé usandosi peri mediciinesperti di tale infermitàrimedi appropriati maspesso rimedi direttamente contrari e che molto la facevanoinacerbireprivò della vita molti uomini di ciascuno sesso eetàmolti diventati d'aspetto deformissimi restorono inutilie sottoposti a cruciati quasi perpetui; anzi la maggiore parte dicoloro che pareva si liberassino ritornavano in breve spazio di temponella medesima miseria; benchédopo il corso di molti anniomitigato lo influsso celeste che l'aveva prodotta cosí acerbao essendosi per la lunga esperienza imparati i rimedi opportuni acurarlasia diventata molto manco maligna; essendosi anche per sestessa trasmutata in piú specie diverse dalla prima. Calamitàdella quale certamente gli uomini della nostra età sipotrebbono piú giustamente querelare se pervenisse in essisenza colpa propria: perché è approvatoperconsentimento di tutti quegli che hanno diligentemente osservata laproprietà di questo maleche o non mai o molto difficilmenteperviene in alcuno se non per contagione del coito. Ma èconveniente rimuovere questa ignominia dal nome franzeseperchési manifestò poi che tale infermità era statatraportata di Spagna a Napoliné propria di quella nazione macondotta quivi di quelle isole le qualicome in altro luogo piúopportunamente si diràcomincioronoper la navigazione diCristofano Colombo genovesea manifestarsiquasi in questi annimedesimial nostro emisperio. Nelle quali isolenondimenoquestomale ha prontissimoper benignità della naturail rimedio;perché beendo solamente del succo d'un legno nobilissimo permolte doti memorabiliche quivi nascefacilissimamente se neliberano.