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GuidoGozzano



FIABE


Originalmentepubblicate sul “Corriere dei Piccoli”




PIUMADOROE PIOMBOFINO


Piumadoro era orfana e viveva col nonno nella capanna del bosco. Ilnonno era carbonaio ed essa lo aiutava nel raccattar fascine e nelfar carbone. La bimba cresceva buonaamata dalle amiche e dallevecchiette degli altri casolarie bellabella come una regina.


Un giorno di primavera vide sui garofani della sua finestra unafarfalla candida e la chiuse tra le dita.


- Lasciami andareper pietà!...


Piumadoro la lasciò andare.


- Graziebella bambina; come ti chiami?

- Piumadoro.


- Io mi chiamo Pieride del Biancospino. Vado a disporre i mieibruchi in terra lontana. Un giorno forse ti ricompenserò.


E la farfalla volò via.


Un altro giorno Piumadoro ghermìa mezzo il sentierounbel soffione niveo trasportato dal ventoe già stavalacerandone la seta leggera.


- Lasciami andareper pietà!...


Piumadoro lo lasciò andare.


- Graziebella bambina. Come ti chiami?

- Piumadoro.


- GraziePiumadoro. Io mi chiamo Achenio del Cardo. Vado adeporre i miei semi in terra lontana. Un giorno forse tiricompenserò.


E il soffione volò via.


Un altro giorno Piumadoro ghermì nel cuore d'una rosauno scarabeo di smeraldo.


- Lasciami andareper pietà!

Piumadoro lo lasciò andare.


- Graziebella bambina. Come ti chiami?

- Piumadoro.


- GraziePiumadoro. Io mi chiamo Cetonia Dorata. Cerco le rosedi terra lontana. Un giorno forse ti ricompenserò.


E la cetonia volò via.


2.


Sui quattordici anni avvenne a Piumadoro una cosa strana. Perdevadi peso.


Restava pur sempre la bella bimba bionda e fiorentemas'alleggeriva ogni giorno di più.


Sulle prime non se ne dette pensiero. La divertivaanzil'abbandonarsi dai rami degli alberi altissimi e scender giùlentalentalentacome un foglio di carta. E cantava:

Non altre adoro - che Piumadoro...


Oh! Piumadorobella bambina - sarai Regina.


Ma col tempo divenne così leggera che il nonno dovetteappenderle alla gonna quattro pietre perché il vento non se laportasse via. Poi nemmeno le pietre bastarono più e ilnonno dovette rinchiuderla in casa.


- Piumadoropovera bimba miaqui si tratta di un malefizio!

E il vecchio sospirava. E Piumadoro s'annoiavacosìrinchiusa.


- Soffiaminonno!

E il vecchioper divertirlala soffiava in alto per la stanza.Piumadoro saliva e scendevalenta come una piuma.


Non altre adoro - che Piumadoro...


Oh! Piumadorobella bambina - sarai Regina.


- Soffiaminonno!

E il vecchio soffiava forte e Piumadoro saliva leggera fino alletravi del soffitto.


Oh! Piumadorobella bambina - sarai Regina.


- Piumadoroche cosa canti?

- Non son io. È una voce che canta in me.


Piumadoro sentivainfattiripetere le parole da una vocedolce e lontanissima.


E il vecchio soffiava e sospirava:

- Piumadoropovera bimba miaqui si tratta di un malefizio!...


3.


Un mattino Piumadoro si svegliò più leggera e piùannoiata del consueto.


Ma il vecchietto non rispondeva.


- Soffiaminonno!

Piumadoro s'avvicinò al letto del nonno. Il nonno era morto.


Piumadoro pianse.


Pianse tre giorni e tre notti. All'alba del quarto giorno vollechiamar gente. Ma socchiuse appena l'uscio di casa che il ventose la ghermìse la portò in altoin altocome unabolla di sapone...


Piumadoro gettò un grido e chiuse gli occhi.


Osò riaprirli a poco a pocoe guardare in giùattraverso la sua gran capigliatura disciolta. Volava adun'altezza vertiginosa.


Sotto di lei passavano le campagne verdii fiumi d'argentoleforeste cupele cittàle torrile abazie minuscole comegiocattoli...


Piumadoro richiuse gli occhi per lo spaventosi avvolsesi adagiònei suoi capelli immensi come nella coltre del suo letto e si lasciòtrasportare.


- Piumadorocoraggio!

Aprì gli occhi. Erano la farfallala cetonia ed il soffione.


- Il vento ci porta con tePiumadoro. Ti seguiremo e ti aiuteremonel tuo destino.


Piumadoro si sentì rinascere.


- Grazieamici miei.


Non altre adoro - che Piumadoro...


Oh! Piumadorobella bambina - sarai Regina.


- Chi è che mi canta all'orecchioda tanto tempo?

- Lo saprai verso seraPiumadoroquando giungeremodalla Fata dell'Adolescenza.


Piumadorola farfallala cetonia ed il soffione proseguirono ilviaggiotrasportati dal vento.


4.


Verso sera giunsero dalla Fata dell'Adolescenza. Entrarono perla finestra aperta.


La buona Fata li accolse benevolmente. Prese Piumadoroper manoattraversarono stanze immense e corridoi senza finepoi la Fata tolse da un cofano d'oro uno specchio rotondo.


- Guarda qui dentro.


Piumadoro guardò. Vide un giardino meravigliosopalmizi ealberi tropicali e fiori mai più visti.


E nel giardino un giovinetto stava su di un carro d'oro checinquecento coppie di buoi trascinavano a fatica. E cantava:

Oh! Piumadorobella bambina - sarai Regina.


- Quegli che vedi è Piombofinoil Reuccio delle IsoleFortunateed è quegli che ti chiama da tanto tempo con la suacanzone. È vittima d'una malìa opposta alla tua.Cinquecento coppie di buoi lo trascinano a stento. Diventa sempre piùpesante. Il malefizio sarà rotto nell'istante che vi darete ilprimo bacio.


La visione disparve e la buona Fata diede a Piumadoro tre chicchi digrano.


- Prima di giungere alle Isole Fortunate il vento ti faràpassare sopra tre castelli. In ogni castello ti appariràuna fata maligna che cercherà di attirarti con la minacciao con la lusinga. Tu lascerai cadere ogni volta uno di questichicchi.


Piumadoro ringraziò la Fatauscì dalla finestra coisuoi compagni e riprese il viaggiotrasportata dal vento.


5.


Giunsero verso sera in vista del primo castello. Sulle torriapparve la Fata Variopinta e fece un cenno con le mani.Piumadoro si sentì attrarre da una forza misteriosa e cominciòa discendere lentamente. Le parve distinguere nei giardini voltidi persone conosciute e sorridenti: le compagne e le vecchiette delbosco natìoil nonno che la salutava.


Ma la cetonia le ricordò l'avvertimento della Fatadell'Adolescenza e Piumadoro lasciò cadere un chicco digrano. Le persone sorridenti si cangiarono subitamente in demoni e infattucchiere coronate di serpi sibilanti.


Piumadoro si risollevò in alto con i suoi compagnie capìche quello era il Castello della Menzogna e che il chicco gettato erail grano della Prudenza.


Viaggiarono due altri giorni. Giunsero verso sera in vista delsecondo castello.


Era un castello color di fielestriato di sanguigno. Sulletorri la Fata Verde si agitava furibonda. Una turba di persone livideaccennava tra i merli e dai cortiliminacciosamente.


Piumadoro cominciò a discendereattratta dallaforza misteriosa.


Terrorizzatalasciò cadere il secondo chicco. Appena il grano toccòterra il castello si fece d'orola Fata e gli ospiti apparverobenigni e sorridentisalutando Piumadoro con le mani protese.Questa si risollevò e riprese il cammino trasportata dalvento; e capì che quello era il grano della Bontà.


Viaggiaviaggiagiunsero due giorni dopo al terzo castello. Era uncastello meravigliosofatto d'oro e di pietre preziose.


La Fata Azzurra apparve sulle torriaccennando benevolmente versoPiumadoro.


Piumadoro si sentì attrarre dalla forza invisibile.Avvicinandosi a terra udiva un confuso clamore di risadicantidi musiche; distingueva nei giardini immensi gruppi didame e di cavalieri scintillantiintesi a banchettia ballia giostrea teatri.


Piumadoroabbagliatagià stava per scenderema lacetonia le ricordò l'ammonimento della Fata dell'Adolescenzaed ella lasciò caderea malincuoreil terzo chicco di grano.Appena questo toccò terrail castello si cangiò inuna speloncala Fata Azzurra in una megera spaventosa e le dame e icavalieri in poveri cenciosi e disperati che correvano piangendotra sassi e roveti.


Piumadorosollevandosi d'un balzo nell'ariacapì che quello era ilCastello dei Desideri e che il chicco gettato era il grano dellaSaggezza.


Proseguì la viatrasportata dal vento.


La pieridela cetonia ed il soffione la seguivano fedelichiamando a raccolta tutti i compagni che incontravano per via. Cosìche Piumadoro ebbe ben presto un corteo di farfalle variopinteuna nube di soffioni candidi e una falange abbagliante di cetoniesmeraldine.


Viaggiaviaggiaviaggiala terra finìe Piumadoroguardando giùvide una distesa azzurra ed infinita. Era ilmare.


Il vento si calmava e Piumadoro scendeva talvolta fino asfiorare con la chioma le spume candide. E gettava un grido. Ma lediecimila farfalle e le diecimila cetonie la risollevavano inaltocol fremito delle loro piccole ali.


Viaggiarono così sette giorni.


All'alba dell'ottavo giorno apparvero sull'orizzonte i minaretid'oro e gli alti palmizi delle Isole Fortunate.


6.


Nella Reggia si era disperati.


Il Reuccio Piombofino aveva sfondato col suo peso la sala del GranConsiglio e stava immerso fino alla cintola nel pavimento amosaico. Biondocon gli occhi azzurritutto vestito di vellutorossoPiombofino era bello come un dioma la malìa sifaceva ogni giorno più perversa.


Ormai il peso del giovinetto era tale che tutti i buoi delRegno non bastavano a smuoverlo d'un dito.


Medicisortierechiromantinegromantialchimisti erano statichiamati inutilmente intorno all'erede incantato.


Non altre adoro - che Piumadoro...


Oh! Piumadorobella bambina - sarai Regina.


E Piombofino affondava sempre piùcome un mortaio di bronzonella sabbia del mare.


Un mago aveva predetto che tutto era inutilese l'aiutonon veniva dall'incrociarsi di certe stelle benigne.


La Regina correva ogni momento alla finestra e consultava a vocealta gli astrologhi delle torri.


- Mastro Simone! Che vediche vedi all'orizzonte?

- NullaMaestà... La Flotta Cristianissima che torna diTerra Santa.


E Piombofino affondava sempre.


- Mastro Simoneche vedi?...


- NullaMaestà... Uno stormo d'aironi migratori...


- Mastro Simoneche vedi?...


- NullaMaestà... Una galea veneziana carica d'avorio.


Il Rela Reginai ministrile dame erano disperati.


Piombofino emergeva ormai con la testa soltanto; e affondavacantando:

Oh! Piumadorobella bambina - sarai Regina.


S'udìa un trattola voce di mastro Simone:

- Maestà!... Una stella cometa all'orizzonte! Una stella chesplende in pieno meriggio!

Tutti accorsero alla finestrama prima ancora la gran vetratadi fondo s'aprì per incanto e Piumadoro apparve col suoseguito alla Corte sbigottitaI soffioni le avevano tessuta unaveste di velole farfalle l'avevano colorata di gemme. Lediecimila cetoniecambiate in diecimila paggetti vestiti dismeraldofecero ala alla giovinetta che entrò sorridendobella e maestosa come una dea.


Piombofinoricevuto il primo bacio di leisi riebbe come da unsognoe balzò in piedi libero e sfatatotra le grida digioia della Corte esultante.


Furono imbandite feste mai più viste. E otto giornidopo Piumadoro la carbonaia sposava il Reuccio delle Isole Fortunate.





Nonsò



C'era una volta un Principe che ritornando dalla caccia vide nellapolveresul margine della viaun bimbo di forse otto anni chedormiva tranquillo.


Sceseda cavallolo svegliò:

- Che fai qui piccolino?

- Non so - rispose queglifissandolo senza timidezza.


- E tuo padre?

- Non so.


- E tua madre?

- Non so.


- Di dove sei?

- Non so.


Quel è il tuo nome?

- Non so.


Preso il bimbo in groppail Principe lo portò al suocastello e lo consegnò alla servitùperché neavesse cura.


E gli fu dato il nome Nonsò.


Quando ebbe vent'anniil Principe lo prese per suo scudiero.Un giorno passando in città gli disse:

- Sono contento di te e voglio regalarti un cavalloper tuo usoparticolare.


Andarono alla fiera. Nonsò esaminava gli splendidi cavallima nessuno gli piaceva e se ne andarono senza aver nullacomperato. Passando dinanzi ad un mulino videro una vecchia giumentaquasi ciecache girava la macina. Nonsò guardòattentamente la bestia e disse:

- Signorequello è il destriero che mi abbisogna!

- Tu scherzi!

- Signorecompratemelo e ne sarò felice.


Il Principe si sdegnò quasipoi vedendo Nonsòsupplicantecedette alle sue preghiere e comperò la giumenta.Il mugnaioconsegnando la bestia a Nonsògli disseall'orecchio:

- Vedete questi nodi nella criniera della cavalla? Ogni volta chene sfarete unoessa vi porterà sull'istante a cinquecentoleghe lontano.


Ritornarono a casa.


Pochi giorni dopo il Principe venne invitato dal Ree Nonsòfu ospite col suo signore nel palazzo reale. Una notte di pleniluniopasseggiava nel parco e vide appesa ad un albero una collana didiamanti che scintillava alla luna.


- Prendiamoladunque... - disse ad alta voce.


- Guardati bene o te ne pentirai! - fece una voce ignota e vicina.


Si guardò intorno. Chi aveva parlato era il suo cavallo.Esitò un pocoma poi si lasciò vincere dal desiderioe prese la collana.


Il Re aveva affidato a Nonsò la cura di alcuni suoi cavalli edi notte egli illuminava la sua scuderia con la collanasfavillante. Gli altri stallierigelosi di luicominciarono adinsinuare che nella scuderia di Nonsò splendeva una lucesospettache egli si dava a stregonerie misteriose. Il Re vollespiarlo; e una notteentrando di subito nella scuderiavide chela luce veniva dalla collana abbaglianteappesa ad unamangiatoia. Fece arrestare il giovane e convocò i saggi dellacapitale perché decifrassero una parola scritta sul fermagliodella collana. Uno studioso decrepito scoperse che il monile eradella Bella dalle Chiome Verdila principessa più sdegnosadel mondo.


- Bisogna che tu mi conduca la principessa dalle Chiome Verdi -disse il Sovrano - o non c'è che la morte per te.


Nonsò era disperato.


Andò a rifugiarsi dalla vecchia giumenta e piangeva sulla suamagra criniera.


- Conosco la causa del tuo dolore - gli disse la bestia fedele- èvenuto il giorno del pentimento per la collana presa contro mioconsiglio. Ma fa' cuore ed ascoltami. Chiedi al Re molta avena emolto danaroe mettiamoci in viaggio.


Il Re diede avena e danaro e Nonsò si mise in viaggiocon la sua cavalla sparuta. Arrivarono al mare. Nonsò vide unpesce prigioniero fra le alghe.


- Libera quel poveretto! - gli consigliò la cavalla.


Nonsò ubbidìe il pesceemergendo con la testasull'acquadisse:

- Tu mi hai salvata la vita e il tuo benefizio non saràdimenticato. Se tu abbisognassi di mechiamami e verrò.


Poco dopo videro un uccello preso alla pania.


- Libera quel poveretto! - gli consigliò la giumenta.


Nonsò ubbidì e l'uccello disse:

- GrazieNonsò; quando ti sia necessariochiamami e sapròsdebitarmi.


Giunsero dinanzi al castello della principessa.


- Entra - disse la giumenta - e non temere di nulla. Quando vedraila Bellainvitala ad accompagnarti qui. Io danzerò per leidanze meravigliose.


Nonsò bussò al palazzo. Aprì una damabellissimach'egli prese per la principessa in persona.


- Principessa...


- Non son io la principessa.


E l'accompagnò in un'altra sala dove l'attendeva unafanciulla più bella ancora.


E questa a sua volta l'accompagnò in una sala attigua dauna compagna più bella di lei; e così di sala insalada una dama all'altrasempre più bellaper abituaregli occhi di Nonsò alla bellezza troppo abbagliante dellaBella dalle Chiome Verdi.


Questa lo accolse benevolmentee dopo un giorno accondiscese avedere la giumenta danzatrice.


- Saltatele in groppaprincipessaed essa danzeràcon voi danze meravigliose.


La Bellaun poco esitanteubbidì.


Nonsò le balzò accantosciolse uno dei nodi dellacriniera e si trovarono di ritorno dinanzi al palazzo del Re.


- M'avete ingannata - gridava la principessa- ma non mi do pervintae prima d'essere la sposa del Re vi farò piangere piùd'una volta...


Nonsò sorrideva soddisfatto.


- Sireeccovi la Bella dalle Chiome Verdi!

Il Re fu abbagliato di tanta bellezza e voleva sposarla all'istante.


Ma la principessa chiese che le si portasse prima unaforcella d'oro tempestata di gemme che aveva dimenticato nellospogliatoio del suo castello.


E Nonsò fu incaricato dal Re della ricercapena la morte.Il giovane non osava ritornare al castello della Bella dalle ChiomeVerdidopo il rapimentoe guardava la sua giumentaaccorato.


- Ti ricordi - disse questa - d'aver salvata la vita all'uccelloimpaniato?

Chiamaloe t'aiuterà.


Nonsò chiamò e l'uccello comparve.


- TranquillatiNonsò! La forcella ti sarà portata.


E adunò tutti gli uccelli conosciutichiamandoli a nome.Comparvero tuttima nessuno era abbastanza piccolo per entrare dallaserratura nello spogliatoio della Bella. Vi riuscì finalmenteil reattinoperdendovi quasi tutte le pennee portò laforcella al desolato Nonsò. Nonsò presentòla forcella alla principessa.


- Al presente - disse il Re - voi non avete più motivoper ritardare le nozze.


- Sireuna cosa mi manca ancora e senza di essa non vi sposeròmai.


- Parlateprincipessae ciò che vorrete sarà fatto.


- Un anello mi mancaun anello che mi cadde in marevenendo qui...


Venne ingiunto a Nonsò di ritrovare l'anelloe quegli simise in viaggio con la giumenta fedele. Giunto in riva al mare chiamòil pesce e questo comparve.


- Ritroveremo l'anellofatti cuore!

E il pesce avvertì i compagni; la notizia si sparse in unattimo per tutto il mare e l'anello venne ritrovato poco dopotra irami d'un corallo.


La principessa dovette acconsentire alle nozze.


Il giorno stabilito s'avviarono alla cattedrale con gran pompa ecerimonia.


Nonsò e la cavalla seguivano il corteo regale edentrarono in chiesa con grave scandalo dei presenti.


Ma quando la cerimonia fu terminatala pelle della giumenta caddein terra e lasciò vedere una principessa più belladella Bella dalle Chiome Verdi. Essa prese Nonsò per mano:

- Sono la figlia del re di Tartaria. Vieni con me nel regno dimio padre e sarò la tua sposa.


Nonsò e la principessa presero congedo dagli astantistupefattiné più se n'ebbe novella.






Nevina e Fiordaprile


Quando il sughero pesava e la pietra era leggera come il ricciolodell'ava c'eraallorac'era... c'era...


... una principessa chiamata Nevina che viveva sola col padreGennaio.


Lassùnel candore perpetuoabbaglianteinaccessibileagli uominiil Re Gennaio preparava la neve con una chimica nota alui solo; Nevina la modellava su piccole forme tolte dagli astri edagli edelweisspoiquando la cornucopia era pienala vuotavasecondo il comando del padre ai quattro punti dell'orizzonte.E la neve si diffondeva sul mondo.


Nevina era pallida e diafanabella come le dee che non sono più:le sue chiome erano appena bionded'un biondo imitato dallaStella Polareil suo voltole sue mani avevano il candore dellaneve non ancora cadutal'occhio era cerulo come l'azzurro deighiacciai.


Nevina era triste.


Nelle ore di treguaquando la notte era serena e stellata e ilpadre Gennaio sospendeva l'opera per dormire nell'immensa barbafluenteNevina s'appoggiava ai balaustri di ghiacciochiudeva ilmento tra le mani e fissava l'orizzonte lontanosognando.


Una rondine ferita che valicava le montagneper recarsi nelleterre del soleera caduta nelle sue maniche avevano tentato invanodi confortarla; nei brividi dell'agonia la rondine aveva deliratosospirando il marei fiorii palmizila primavera senza fine. ENevina da quel giorno sognava le terre non viste.


Una notte decise di partire. Passò cauta sulla barbafluente di Gennaiolasciò il ghiaccio e la neve eternaprese la via della vallesi trovò fra gli abeti. Gli gnomiche la vedevano passare diafanafosforescente nelle tenebre dellaforestainterrompevano le danzesostavano cavalcioni suiramifissandola con occhi curiosi e ridarelli.


- Nevina!

- Nevina! Dove vai?

- Nevinadanza con noi!

- Nevinanon ci lasciare!

E gli Spiritelli benigni le facevano ressa intornotentavano diarrestarle il passo abbracciandole con tutta forza la cavigliacercavano di imprigionarle i piedi leggeri entro rami d'edera e difelce morta.


Nevina sorridevasorda ai richiami affettuositoglieva dallacornucopia d'argento una falda di nevela diffondeva intornoliberandosi dei piccoli compagni di gioco. E proseguiva il camminodiafanasilenziosaleggera come le dee che non sono più.


Giunse a vallefu sulla grande strada.


L'aria si mitigava. Un senso d'affanno opprimeva il cuore diNevina; per respirare toglieva dalla cornucopia una falda di nevela diffondeva intornoritrovava le forze e il respiro nell'ariafatta gelida subitamente.


Proseguì rapidapercorse gran tratto di strada. Ad uncrocevia sostò in estasicon gli occhi abbagliati. Le siapriva dinnanzi uno spazio ignotouna distesa azzurra e senza finecome un altro cielo tolto alla volta celestedisteso in terratrattenutoagitato ai lembi da mani invisibili. Nevina proseguìsbigottita. La terra intorno mutava. Anemonigarofanimimosevioletteresedanarcisigiacintigiunchigliegelsominituberosefin dove l'occhio giungevadal colle al maremalfrenati dai muri e dalle siepi dei giardinii fiori straripavanocome un fiume di petali dove emergevano le case e gli alberi.


Gli ulivi distendevano il loro velo d'argentoi palmizi svettavanodirittieccelsi come dardi scagliati nell'azzurro.


Nevina volgeva gli occhi estasiati sulle cose mai vistedimenticava di diffondere la neve; poi l'affanno la riprendevatoglieva una faldasi formava intorno una zona di fiocchi candidi ed'aria gelida che le ridava il respiro. E i fiorigli ulivilepalme guardavano pur essi con meraviglia la giovinetta diafana chetrasvolava in un turbine niveo e rabbrividivano al suo passaggio.


Un giovane bellissimodal giustacuore verde e violettoapparveinnanzi a Nevinafissandola con occhi inquietivietandole ilpasso:

- Chi sei?

- Nevina sono. Figlia di Gennaio.


- Ma non saidunqueche questo non è il regno di tuopadre? Io sono Fiordaprilee non t'è lecito avanzaresulle mie terre. Ritorna al tuo ghiacciaiopel bene tuo e pelmio!

Nevina fissava il principe con occhi tanto supplici e dolci cheFiordaprile si sentì commosso.


- Fiordaprilelasciami avanzare! Mi fermerò poco. Vogliotoccare quella neve azzurraverderossavioletta che chiamatefiorivoglio immergere le mie dita in quel cielo capovolto che èil mare!

Fiordaprile la guardò sorridendo; assentì col capo:

- Andiamodunque. Ti farò vedere tutto il mio regno.


Proseguirono insiemetenendosi per manofissandosi negli occhiestasiati e felici. Ma via via che Nevina avanzavauna zona bigiaoffuscava l'azzurro del cieloun turbine di fiocchi candidi coprivai giardini meravigliosi. Passarono in un villaggio festante;contadini e contadine danzavano sotto i mandorli in fiore. Nevinavolle che Fiordaprile la facesse danzare: entrarono in ballo; ma labrigata si disperse con un brividoi suoni cessaronol'aria sifece di gelo; e dal cielo fatto bigio cominciarono a scendereconla neve odorosa dei mandorlii petali gelidi della nevela veraneve che Nevina diffondeva al suo passaggio. I due dovettero fuggiretra le querele irose della brigata. Giunti poco lungivolsero ilcapo e videro il paese di nuovo festante sotto il cielo rifattosereno...


- Nevinati voglio sposare!

- I tuoi sudditi non vorranno una regina che diffonde il gelo.


- Non importa. La mia volontà sarà fatta.


Avanzarono ancoratenendosi per manofissandosi negli occhiimmemori e felici... Ma ad un tratto Nevina s 'arrestòcoprendosi di un pallore più diafano.


- Fiordaprile! Fiordaprile! ... Non ho più neve!

E tentava con le dita - invano - il fondo della cornucopia.


- Fiordaprile! ... Mi sento morire! .. . Portami alconfine...


Fiordaprile!...Non reggo più!...


Nevina si piegavaveniva meno. Fiordaprile tentò disorreggerlala prese fra le bracciala portò di pesocorrendo verso la valle.


- Nevina! Nevina!

Nevina non rispondeva. Si faceva diafana più ancora. Il suovolto prendeva la trasparenza iridata della bolla che sta perdileguare.


- Nevina! Rispondi!

Fiordaprile la coprì col mantello di seta per difenderla dalsole ardenteproseguì correndoarrivò nella valleper affidarla al vento di tramontana.


Ma quando sollevò il mantello Nevina non c'era più.Fiordaprile si guardò intorno smarritopallidotremante.Dov'era? L'aveva perduta per via? Alzò le mani al voltoinatto disperato; poi il suo sguardo s'illuminò. Vide Nevinadall'altra parte della valle che salutava con la mano protesa inun addio sorridente.


Un suo vecchio precettoreil vento di tramontanala sospingeva peisentieri nevosiverso il ghiaccio eternoverso il regnoinaccessibile del padre Gennaio.




Lalepre d'argento


Quando il filtro e la sortiera preparavano gl'incanti (ascoltatetutti quanti!) c'eraallorac'era... c'era...


... un principe chiamato Aquilinoche aveva vent'anni e volevacondurre in moglie la più bella principessa del mondo.Pubblicò un bando di nozze e giunsero centinaia diritrattich'egli fece esporre nelle gallerie del castello; elà meditava sulle belle sorridenti dalle grandi cornicidorate.


La scelta cadde su Nazzarenaprincipessa di Bikarìae per mezzo ad ambasciatori furono concertate le nozze.


Nel castello di Aquilino si fecero grandi preparativi per lacerimonia e all'alba del giorno sospirato il principe era giàsulla torre più altaalle vedette. Il corteo dovevagiungere tra poco; tra poco avrebbe visto per la prima voltaquella bellezza famosa.


Ma il corteo non giungeva.


Si vide apparire una sola carrozza e ne scese un vecchiettogobbuto e barbuto.


- Io sono il Re di Bikarìa. E questa è la miafigliuola Nazzarena che chiedete per moglie.


La principessa era nanapallidavizzaper nulla rassomigliante alritratto della scelta.


Il vecchietto se n'avvide.


- La stanchezza del viaggio e l'emozione l'hanno sfinita. Sirimetterà e la ritroverete bella.


Aquilino voleva disdire le nozzema la parola era data ebisognava mantenerla.


Chiese che la cerimonia fosse rimandata di due giorni e ospitòil vecchio e la figlia nel castello.


Al mattino seguenteper distrarsi dallo sconcerto e dalladelusioneuscì a cacciasolocon una bella spingardad'orocostellata di gemme. Camminò per campi e pratigiunsein una foresta millenaria.


Attraverso un sentiero gli apparve una lepre d'argento che brucaval'erba e lo guardava fissoper nulla spaurita di lui.


Il principe puntò l'arma e fece fuoco. Ma il fumo del fuocosi dissipò e la lepre riapparve al medesimo postoincolume etranquilla.


Il principe s'avanzò. La lepre fuggìsi arrestòdopo un trattofissandolo coi suoi calmi occhi umani. Aquilinosparò ancora. Il fumo si dileguò e la lepre riapparveancora calma ed intattaseduta sulle sue zampeun orecchio su el'altro giùcon gli occhi supplichevolicol muso palpitanteproteso verso di lui. Ma come il principe gettò l'armee s'avanzòessa dié un balzo e disparve fra i tronchidegli abeti. Aquilino restò perplesso.


Si trattava di un malefizio.


S'appoggiò al tronco d'un albero gigantescoripensando losguardo dolce della vittima invulnerabile. E gli parve di sentiredietro di sédall'interno del troncouna eco lontana dimusiche e di voci; si volsefece il giro dell'albero: nessuno.Si riappoggiò al tronco. E riudì il suono e le voci.


Picchiò la corteccia col pugno impaziente.


La corteccia cigolòs'aprì a due battentie alprincipe sbigottito apparve una scala abbagliante. Egli salìi primi scalinitrasognatoudì il colpo della porta chesi chiudeva. Il palazzo era immenso. Le scalegli atriiicorridoile loggele sale si succedevano senza finericche dimarmidi porfidodi diasprodi gemme. Aquilino s'avanzavatrasognato.


Si faceva notte e nessuno appariva nel palazzo incantato. Solodue mani lo precedevano: l'una recando una lucernal'altrafacendogli segno di seguirla.


Giunserocosì in una sala vastissima da pranzo; Aquilino si sedette atavola. E le due mani cominciarono a recar cibi e vini prelibati.


Egli guardava quelle due mani isolatevolanticercava diafferrarle quando le aveva vicinema quelle deponevano i piatti eguizzavano via come farfalle.


Mangiòpoi si sentì prendere dal sonnos'alzò per andare adormire. Le due mani lo precedettero in una camera di damascovermigliogli fecero un gesto d'addio e d'auguriodisparvero.


Egli si cacciò fra le lenzuola finie si addormentò.Sognava di riveder la principessa Nazzarenanon quella condotta dalgobbo barbutoma quale gli era apparsa nel quadrobellissima ebionda.


Quand'ecco uno schiamazzo lo svegliò. Socchiuse gliocchi. La stanza era illuminata e molte paia di manieguali aquelle della sera primaguizzavanos'intrecciavanoaccennandoverso di lui.


- A che giuoco si gioca?

- Alla palla.


- Giochiamo alla palla con quel tale che dorme?

- Chi dorme?

- Lànel lettonon lo vedete?

E attraverso le ciglia socchiuseil principe vide le maniavvicinarsi.


Afferraronole lenzuola etenendole tese agli orlicominciarono a farlosbalzare con risa rauche e sibili acuti.


Egli teneva le ciglia chiusefingendo di dormire.


- Non vuole svegliarsi!

- Lo sveglieremo! Lo sveglieremo!

E raddoppiarono la foga del gioco crudele.


Al primo canto del gallo le mani lo sbalzarono nel letto edisparvero.


Aquilino si palpava le ossa indolenzitequando udì unfruscio e si vide accanto la lepre d'argento. Invece delle quattrozampe aveva due piedi e due mani bianchissime di donna.


- Principe Aquilinoio sono la principessa Nazzarenaquella cheil vostro cuore scelse per compagna. Quando giunsi col mio corteonel boscoun mago mi trasformòimprigionandomi con la miagente in questo castello. Sarò salva se passerete qui dentrotre notti simili a questa. Il mago è quegli stesso che sipresentò al vostro cospetto tentando di farvi sposare la suananerottola.


La lepre disparve.


Aquilino attese ansioso la seconda sera. Mangiòservito dalle due mani volantiandò a lettos'addormentò.Si svegliò allo schiamazzo: molte mani lo ripresero dallettosollevarono le lenzuolacominciarono il giocopiùfurenti della sera innanzi.


- Non vuole svegliarsi!

- Se non si sveglia siamo perduti!...


Allora le mani lo sbalzarono un'ultima voltaappiccandolo a unchiodo delle travi. E disparvero sibilando.


Aquilino aprì gli occhivide la lepre d'argento. Avevaormai tutto il corpo di donna; solo la testa restava di lepre e loguardava con dolci occhi umani.


- Povero principe! Soffrite per amor mio ancora una notte e saremosalvi.


Giunse la terza notte. Riapparvero le mani più furiose chemai.


- Si gioca?

- Giochiamo!

- Ma questa notte dobbiamo finirlo!

- Dobbiamo finirlo!

E cominciò il rimbalzello crudele.


Aquilino giungeva al soffittopicchiavarestava aderente comeuna tartina di pastaricadeva nel lenzuolo tesorimbalzava ancoratra le risa infernali.


Enon apriva gli occhi per amor di Nazzarena.


- Non si sveglia! Siamo perduti!

- Siamo perduti!

- È l'alba! Siamo perduti!

Le mani furibonde s'appressarono alla finestratesero lelenzuolasbalzarono Aquilino ad un'altezza vertiginosa. Egli salìsalìcadde per dieci minutipicchiò sull'erbasitastò le ossa pesteaprì gli occhiancora vivo.


Sitrovava ai piedi dell'albero incantato.


Presso di lui stava la sua vera fidanzata Nazzarenabella di unabellezza mai più vista. E aveva il suo seguito di carrozzedi damedi cavalieri liberati con lei dal malefizio del mago.


Il principe li condusse al suo castelloadunò tutta laCorte nella sala del Gran Consigliofece condurre il gobbobarbuto e la figliuola laidae rivoltosi ai ministri disse:

- Avevo ordinato un cofano d'oro e di gemme; un malandrino me lotolse strada facendo e lo sostituì con un altro di legnotarlato. Fortuna vuole che io ritrovi il primo. A quale daròla preferenza?

- Al primo! - sentenziò la Corte.


- E del ladro e del cofano tarlato che dovrò farne?

- Bruciarli sulla stessa catasta!

Così fu fatto. E la sentenza e le nozze ebbero luogo fragli applausi di tutto il popolo.




La leggenda dei sei compagni


C'era una volta un vecchio signoresenza più fortunacheaveva tre figli.


Ilprimogenito disse un giorno al padre:

- Voglio mettermi pel mondoalla ventura.


- Sia come tu vuoi - disse il padre- ma non posso darti piùdi dieci scudi.


- È pocoma farò che mi bastino.


Desiderio prese i dieci scudi e partì.


Giunto in città vide un uomo che gridava per le vie un bandodel re. Il re cercava chi sapesse costruirgli una nave cheandasse per mare e per terra.


Ricompensa:la mano della principessa.


- Voglio tentare - disse Desiderioe si propose al banditore.


Fu condotto alla reggia e all'indomani gli fu data un'accetta perabbattere il legno necessario all'impresa.


Lavorò tutto il mattinoe a mezzodì sedette all'ombrad'un vecchio castagnoper mangiare il suo tozzo di pane.


Una gazza lo guardava curiosascendendo di ramo in ramo. Elladiceva nel suo roco cicaleccio:

- Un briciolo anche a me! Un briciolo anche a me!

E protendeva il becco verso le mani di Desideriosupplicando.


- Lasciami in pacebestia importuna! - gridò Desiderioimpaziente.


La gazza risalì di due rami.


- Che lavoro stai facendo?

- Dei cucchiaise ti piace! - le rispose Desideriobeffandola.


- Cucchiai! Cucchiai! - gridò la gazzarisalendo di ramo inramo.


E disparve.


Terminato il pastoDesiderio si rimise all'operama ad ogni colpostaccava dall'albero una scheggia in forma di rozzo cucchiaio. E nongli riusciva di far altro. Tentò e ritentòpoi capìdi essere vittima di qualche incantesimo.


- Quella gazza dannata mi ha stregato l'accetta!

Gettò via lo stromento e fece ritorno alla casa paterna.


- Già di ritornofiglio mio? - gli disse il padre.


- Sì. Ho pensato che la vita con voinella mia casaerapreferibile a qualunque avventura.


E tacque del bandoe della gazza misteriosa.


Saturninoil secondogenitovolle partire a sua volta.


Il padre non gli diede che cinque scudi.


Giunto in città s'incontrò col banditore e volletentare l'impresa. Si propose al banditoree dopo aver lavoratotutto un mattino si sedette ai piedi del castagno centenariosbocconcellando il suo pane.


Ed ecco la gazza scendere di ramo in ramo - Un briciolo anche ame! Un briciolo anche a me!

- Lasciami in pacebestia importuna!

E come la gazza si protendeva agitando le aliSaturnino laminacciò con la mano.


La gazza risalì tra i rami.


- Che fai tu qui?

- Grucce per le tue gambegazza curiosa! - gli risposeil giovane beffandola.


- Grucce! Grucce per le mie gambe! - gridò l'uccellorisalendo tra le fronde.


E disparve.


Quando Saturnino riprese il lavoroad ogni colpo che dava nellegno non riusciva che a staccarne schegge in forma di grucceminuscole.


- Eccomi segno della magia di quell'uccellaccio.


Saturnino gettò l'accetta e riprese deluso la via delritorno.


Gentileil terzogenitoun fanciullo pallido e taciturnovolletentare a sua volta la sorte.


- E tu speri di vincere - disse il padre - là dove furonosconfitti i tuoi fratelli maggiori?

- Il destino può essermi benigno. Lasciami partire.


Gentile va in cittàode il bandosi propone al banditore.Ed eccolo nella forestadopo un mattino di lavorochesbocconcella il suo pane sotto il castagno venerando.


- Un briciolo anche a me! Un briciolo anche a me!

Alzò gli occhi e vide la gazza protesa verso di lui.


- Avrai la tua partepovera bestiola!

E sminuzzò il pane e lo gettò sull'erba. La gazzamangiandolo interrogava:

- Che stai facendo qui?

E Gentile narrò i casi suoi e il bando e il tentativo.


- Buona fortuna e bella nave! - gridò la gazza risalendo diramo in ramo.


- Che Dio t'ascolti!

Gentile si rimise all'opera e ad ogni colpo d'accetta che dava neitronchiegli staccava un pezzo della nave già lavorato escolpito per incanto. E le varie parti s'attiravanos'univanofra di loro come se fossero calamitate.


- Ecco l'aiuto di qualche magia favorevole! - pensava Gentileesultando.


Prima del tramonto la nave prodigiosa era prontaed eglivi salìprendendone il timone e dirigendola attraverso icampii fiumile vallii laghifra lo sbigottimento deicontadini.


A mezza via incontrò un uomo che rodeva un osso.


- Che stai facendo? - gli domandò Gentile.


- Muoio di fame!

- Sali con me e avrai di che sfamarti.


E l'uomo salì sulla nave.


Poco più lungi incontrarono un altro uomo presso una fontana.


- E tu che stai facendo?

- Ho prosciugatocol beretutta questa sorgenteed oraattendo che si riempiaperché ho ancora sete.


- Sali con me e avrai di che dissetarti.


E il bevitore prodigioso salì sulla nave.


Non molto lontano incontrarono un altro individuo che aveva unapietra da macina a ciascun piede e che correva tuttavia come undaino.


- Che significa questo? - gli chiese Gentile.


- Voglio prendere una lepre che deve passare di qui.


- E tuimbecilleti leghi una pietra da macina alle gambe?

- Sìperché corro troppo in frettae nonostantele pietre da macina alle gambeavanzo sempre di qualche miglio lalepre da prendere.


- Questa è buffa! Vuoi salire sulla nave con noi?

Anche il corridore insuperabile salì sulla nave.


Verso il tramonto incontrarono un altro individuo che teneva in manoun arco teso e fissava un oggetto invisibile per loro.


- Uomo dell'arcoche stai facendo?

- Prendo di mira una lepre che vedo lassùsu quellamontagna.


- Tu ci vuoi beffare...


In quel momento la freccia partì e l'uomo disse:

- Ecco... L'ho uccisa... Ma di qui alla montagna ci sono settemiglia e temo che altri passi e se la prenda.


- PrestoPrimosempre - disse Gentile - corri e vedi se la lepre èuccisa o se costui è un fanfarone...


Primosempre partì e ritornò poco dopo con la lepre.


- Sei un arciere insuperabile - disse Gentilerivolgendosi adOcchiofino. - Vieni con noi e dividi le nostre avventure.


Occhiofino salì sulla nave che proseguì il cammino.


Poco dopo s'incontrarono in un altro sconosciutocon l'orecchioapplicato contro la terra.


- Che stai facendo? - gli chiese Gentile.


- Ieri ho seminato dell'avena e l'ascolto crescere...


- Che udito fine! - disse Gentile. - Se tu vuoisali sulla nave;credo che sei compagni come noi possono far grandi cose.


Eccoli dunque in sei sulla nave prodigiosa: GentileMangiatuttoBevituttoOcchiofinoFinorecchiaPrimosempre. La nave simise in cammino e giunse trionfale in cittàfra i cittadinisbigottiti e festanti.


Gentile scese dinanzi alla reggia e si presentò al Re.


- Maestàeccovi servita. Vostra figlia è mia.


Il Re ammirava la navema gli pesava concedere la figlia a quelpoveretto randagio.


- Questo non bastafigliuolo. Prima di aver la sua mano si devonosoddisfare altre prove ancora...


- Accetto le nuove prove.


- Sta bene - disse il re. - Io ho dunque nelle mie stalle cinquantabuoie occorre che tuo uno dei tuoi compagnili mangi da solo inotto giorni.


- TenteremoSire.


Gentile affidò l'impresa a Mangiatutto e quattro giorni dopole stalle erano vuote.


Il Re era contrariato d'aver perduto la prova e le bestie.


- Non basta - disse a Gentile. - Dopo il pasto bisogna bere; honelle mie cantine cinquanta botti di vino inacidito. Tuo uno deituoi compagni deve berlo da soloin otto giorni.


- Bevituttoquesto è affar tuo.


E in otto giorni le cantine erano vuote.


- Chi èdunquecostui e i suoi compagni? - pensava il reinquietoe non sapeva come disfarsene.


Uno dei ministri lo consigliò.


- Maestàvoi avete nella vostra cucina un cuoco insuperabilealla corsa. in cinque minuti va ad attingere acqua a dieci migliadi quie ritorna con gli otri pieni. Proponete allo sconosciuto unagara con lui.


Il Re fece chiamare Gentile e gli propose la gara.


- Sarà fatto - rispose Gentilee delegò la cosa aPrimosempre.


All'indomani il cuoco e Primosempre partirono insieme e questigiunse assai per tempo alla fontanacon grande ira del cuocochesi credeva insuperabile alla corsa. Mentre si riposavano sull'erbadopo aver riempito gli otriil cuocoche s'intendeva anche dimagiaaddormentò Primosempre col fissarlo a lungo; e partìcon gli otridopo avergli deposte due pietruzze verdi sullepalpebreperché non si svegliasse.


Ma Finorecchia era in ascolto e informava gli amici di quantoaccadeva lontano.


- Finorecchiache stanno facendo?

- Il cuoco e Primosempre si sono seduti ansanti e conversanopresso la fontana. Primosempre s'addormentae russa forte. Ilcuoco ritorna di corsa verso la reggia.


- Occhiofinoguarda e dacci notizia.


- Il cuoco è a mezza via e Primosempre dorme supinocon duepietruzze sugli occhi.


- Prendi il tuo arco - ordinò Gentile - e togli da gliocchi di Primosempre le pietruzze maleficheperché si svegli.Bada di non ferirlo!

L'arciere prodigioso tese l'arco e sbalzò le pietredalle palpebre del compagno addormentato.


Questi si svegliò con un sussultoprese gli otrie partìcon tale velocità che arrivò prima ancora del cuocofra lo stupore del Re e dei cortigiani.


- Sia dunque - disse il Revinto ormai. E rivolgendosi versoGentile: - Amo meglio aver per genero che per nemico un uomo dellatua abilità.


Le nozze splendide ebbero luogo nella settimana. E PrimosempreMangiatuttoBevituttoFinorecchiaOcchiofino furono fattiministri.





La fiaccola dei desideri


Quando in quella che fuggì settimana veritiera si contòtre Giovedì c'eraallorac'era... c'era....


... un vecchio contadino che viveva in una povera capanna. Questocontadino aveva un figliuolo malaticciogobbodistorto; e percolmo d'ironia questo figliuolo si chiamava Fortunato. Suidiciott'anni Fortunato decise di lasciare la capanna paterna e dimettersi alla ventura.


Salutò il padreche lo benedì piangendo; sifabbricò un paio nuovissimo di grucce scolpite e prese la viadi levanteattraversò monti e pianurepatì la fame ela setein attesa sempre della fortuna. E la fortuna non veniva.


Un giornosul crepuscolos'attardò per un sentierosconosciutoin una foresta d'abeti.


Camminava in frettaper giungere prima di notte a qualchecapanna dove ripararee sentiva il cuore balzargli dalterrore alle prime grida degli uccelli notturnial primo ululato deilupi.


Ad un trattotra la ramaglia e i tronchi dirittigli parve discorgere un chiarore tremulo: affrettò il passo sullestampellegiunse ad una capanna di legnopicchiòfreddoloso.


La porta si aprì: una vecchietta minuscolacurvacanutagrinzosaapparve nel vanoal chiarore del focolare.


- Buona donnami sono perduto; accoglietemi per carità.


- Vieni avantifigliuolo mio.


Fortunato entrò nel tepore della capanna.


- Ti farò parte della mia cena; ti accontenterai di quelpoco.


- Anche troppomadre mia.


Si sedettero al desco.


La vecchia pose in mezzo un piattello ed una ciotola minuscolacon una briciola e due chicchi di riso. Fortunato la guardavastupito.


Non aveva torto» pensava tra sé a dirmi che miaccontentassi del poco.» Ma la vecchietta fece un segnoimperioso con la mano destra: ed ecco la briciola crescerecrescereprendere la forma d'un passerod'un colombod'un pollod'un tacchino arrostitodagli appetitosi riflessi d'oro. Ed eccola ciotola crescereconvertirsi in una zuppiera elegantedovefumigava una minestra dal soave profumo. Fortunato credeva disognare.


Mangiò con appetitomeravigliato di sentire sotto i dentiquei cibi creati dall'arte magica. E guardava di sott'occhi l'ospitemisteriosa.


Dopo cena la vecchietta fece sedere Fortunato presso gli alarisotto la cappa del caminoe gli si accoccolò di contro.


- Figliuoloraccontami la tua storia.


Fortunato le disse delle sue vicende e del suo vano pellegrinare incerca di fortuna.


- Aiutatemi voiche dovete essere una fata potente.


- Io non sono una fata potente e i miei incantesimi sono pochi...Ti gioverò confidandoti un segreto che tutti ignorano. Tiindicherò la via che conduce al castello dei desider¯...


All'alba del domani la vecchietta accompagnò Fortunatoattraverso i boschisi fermò ad un croceviae gli indicòla strada da scegliere.


- Cammina tre giorni e tre notti senza voltarti indietroqualunque cosa tu senta. Da secoli nessuno osa affrontare il misterodi quelle mura. Picchierai con questa pietra alla gran portache s'aprirà per incanto. Attraverserai cortili e stanzeandroni e corridoi. Nell'ultima stanza troverai un vecchioaddormentato in piedicon il braccio tesorecante fra le dita uncero verde; è quello il talismano che tu devi carpire e cheesaudirà ogni tuo desiderio.


Badache il castello è pieno di frodi magiche e di orroridiabolici. Ma il negromantei draghigli spiriti siaddormenteranno dal mezzogiorno al tocco.


Setu ti fermassi scoccato il toccosaresti perduto...


Fortunato prese la pietraringraziò la vecchia e proseguìla strada sulle sue stampelle. Verso sera si sentì chiamarealle spalle:

- Fortunato! Fortunato! Fortunato!

Non ricordò l'avvertimento della vecchia e si voltò.Ed eccolo ricondotto d'improvviso al punto donde era partito.


- Pazienzaricomincerò.


- Mi ammazzano! Aiuto! Giovineper carità!

Si voltò impietositoed eccolo ricondotto al punto dipartenza. Ebbe un moto d'irapoi riprese pazientemente il camminosulle sue stampelle.


Camminò due giorni: al tramonto del secondo giorno sentìun fragore d'armiuno scalpitìo di cavalli; si voltòimpaurito ed eccolo ricondotto al crocevia di partenza.


- Sono inganni che mi tende il negromante; ma saprò comefare.


E si turò le orecchie con batuffoli di stoppa eproseguì tranquillo la stradasordo ai richiami. Dopo tregiorni giunse al castello disabitato.


Atteselo scoccare delle dodici e picchiò con la pietra. Laporta immensascolpita a disegni favolosis'aprì perincanto.


Fortunato indietreggiòinorridito. Aveva innanzi uncortile pieno di salamandre giganteschedi rospidi viperediscorpioni colossali. Ma tutti dormivano e Fortunato si fece animopassò con le stampelle tra i dorsi viscidile codelecorazzei tentacoli inerti. Attraversò cortiliandronicorridoigiunse ad una sala tutta coperta di monete d'argento: sichinò e se ne empì le tasche. Giunse ad una secondasala piena di monete d'oro: si chinògettò le moneted'argento e raccolse le monete d'oro. Giunse ad una terza salaingombra di alte piramidi di gemme: vuotò le tasche dell'oroe le empì di brillanti. Attraversò altri cortilialtri corridoigiunse in un'ultima sala immensa ed oscura.


Il negromante decrepitodalla barba lunga e candidadormivain piedirecando nella mano protesa il cero verde.


Fortunato lo guardava stupitoguardava stupito le mille cose dellaboratorio diabolico. Poi si sovvenne del tempo che passavatolse il cero di mano al negromanteritornò indietro dicorsasi smarrì pei corridoi... Il tocco doveva essereimminente e s'egli non usciva primaera perduto... Ritrovòfinalmente le sale dei diamantidell'orodell'argentoattraversòil cortile delle belve addormentatepassò colle suestampelle tra i dorsi e le code viscideraggiunse la porta immensa.I battenti si rinchiusero alle sue spallecon fragore sordo.


Il tocco suonò nell'istante.


Un clamore spaventoso s'alzò dietro le mura del castello:gracidiiurla roche e furenti; erano i mostri guardiani ches'accorgevano del furto. Ma Fortunato era salvo.


Subito accese il cero e comandò:

- Mi sparisca la gobbami si raddrizzino le gambe!

E la gobba disparve e le gambe si raddrizzarono. Fortunato gettòvia le gruccespense il ceroperché consumavarapidamentee si diresse alla città.


Giunsein città a notte fattascelse un'altura spaziosa e vicomandò un palazzo più bello di quello reale.


All'alba i cittadini guardarono trasecolati l'edificiomeravigliosole sue torrile loggele scaleei terrazzigliorti pensili fioriti in una sola notte. Fortunato stava ad unbalconevestito da gran signore.


Il Rech'era un tiranno malvagioarse di sdegno e d'invidia perl'ignoto forestiero e gli mandò un valletto intimandogli direcarsi a Corte.


- Direte al Re che non m'inchino a nessuno. Se crede bene venga luida me.


Il Re fece decapitare il valletto che ritornò con talerispostae giurò odio eterno al forestiero misterioso.


Fortunato viveva la vita del gran signoreeclissando con losfoggio delle vestidelle cavalcaturedei levrieri la magnificenzadella Corte Reale.


Gli bastava accendere pochi secondi il cero verde e subito ogni suodesiderio era appagato. Ma intanto il cero s'accorciava sempre piùe Fortunato cominciava ad inquietarsi e a diradare i comandi. E nonera felice. Sentiva che una cosa gli mancava e non sapeva quale.


Un giornocavalcando per la cittàvide ad una loggia dellareggia la figlia unica del Re. La principessa sembrava sorriderglibenevolama era circondata dalle dame e guardata a vista dai paggie dai cavalieri.


Il giorno dopo Fortunato passò ancora sotto la loggia erivide la principessa fra le sue donne accennargli un sorrisocompiacente.


Fortunato s'innamorò perdutamente di lei. Una sera diplenilunio egli stava sul più alto dei suoi giardini pensiliappoggiato ai balaustri che dominavano la città.


- Forse il cero potrebbe appagarmi anche in questo...


E meditò a lungo come esprimere il suo desiderio.


- Cerobel cerovoglio che la principessa sia fattainvisibile e venga trasportata all'istante nel mio giardino.


Fortunato attese col cuore che gli palpitava forte...


Ed ecco apparire la figlia del Revestita di una tunica bianca econ le chiome scomposte.


- Aiuto! Aiuto! Dove sono? Chi siete voi?

La principessa tremavafolle di terrore. Si era sentitasollevare dal suo lettotrasportare a volo attraverso lospazio. Fortunato s'inginocchiòbaciandole il lembo dellatunica.


- Sono il cavaliere che passa ogni giorno sotto i vostribalconiprincipessae se vi feci trasportare quinon ècon fine malvagioma per potervi umilmente parlare -. EFortunato le dichiarò il suo amore e le disse che volevapresentarsi al Re per chiederla in isposa.


- Non fate questo! Mio padre vi odia perché siete piùpotente di lui. Se vi presentate vi farebbe uccidere all'istante.


Dopo quella sera Fortunato faceva convenire sovente sui suoiterrazzi la principessa Nazzarena.


Essa appariva al richiamo dello sposonon più pallidae tremantema sorridendoimprovvisa come un'apparizioneceleste. Passeggiavano sotto i palmizifra le rose e igelsominie guardavano la città addormentata.


All'albaFortunato comandava al cero verde di trasportare la principessanelle sue stanze e questa si ritrovavapochi attimi doponel suoletto d'alabastro.


maun'ancella malevola si era accorta di queste assenze notturne eriferì la cosa al Re.


- Se non è vero ti faccio appiccare - aveva detto il Sovranominaccioso.


- Sacra Coronapotete accertarvene con gli occhi vostri.


La sera dopo il Re si nascose dietro i cortinaggispiandola figlia addormentata.


Ed eccoverso la mezzanotteuna voce remotissima che dice: -Cerobel ceroportami Nazzarena!

Ed ecco la figlia farsi invisibile e la finestra aprirsi perincantesimo. Il Re era furente.


E quando all'alba Nazzarena riapparve dormendo nel suo lettoil padre l'afferrò per le trecce d'oro:

- Dove sei statadisgraziata?

- Nel mio letto. Ho dormito tutta nottepadre mio.


Il Re si calmò.


- Allora si tratta di un malefizio che tu stessa ignori e chesaprò bene scoprire.


Si consigliò con un negromante.


Questi consultò invano la sua scienza profonda.


- Non c'è che un solo espedienteSacra Corona. Appendetealle vesti della principessa Nazzarena una borsa forata piena difarina: all'alba scopriremo la traccia del suo cammino.


Con l'aiuto della fantesca fu appesa alla tunica notturna dellaprincipessa la borsa forata piena di farina. All'alba il Re armòtutto il suo esercito e con la spada in pugno seguì la sottiletraccia candida... E la traccia lo condusse al palazzo delforestiero misterioso.


Irruppe nelle stanze di Fortunato che dormiva. Prima chequesti potesse ricorrere al cero salvatorelo fece legaretrasportare al palazzo realerinchiudere nei sotterraneiperdecretarne la pena.


Fu condannato a morte e il giorno del supplizio tutto il popolos'accalcava sulla gran piazza. Ai balconi del palazzo reale stavatutta la Cortecol Rela Reginala principessa pallida edisperata.


Fortunato salì tranquillo il palco del supplizio.


Il carnefice gli disse:

- Com'è usanza nel regnopotete esprimere a Sua Maestàun ultimo desiderio.


- Chiedo soltanto mi sia recato un piccolo cero verdeche hodimenticato a palazzoin un cofano d'avorio. È un caroricordo e vorrei baciarlo prima di morire.


- Gli sia concesso - disse il Re.


Un valletto ritornò col cofano d'avorio efral'attenzione di tutto il popoloFortunato trasse il cero verdeloaccese mormorando:

- Cerobel ceroche tutti i qui presentiche tutti i sudditidel regnoeccezion fatta della principessasprofondino in terrafino al mento.


Ed ecco la follala Corteil Rela reginainabissarsid'improvviso.


La piazza e le vie della città apparivano coperte di testeche stralunavano gli occhi e invocavano aiuto. Fortunato distinsefra le innumerevoli teste brunebiondecalvecanutela testacoronata del Re che rotava gli occhi a destra e a sinistra e ordinavaimperiosamente d'essere dissepolto. Ma in tutto il regno non erarimasto in piedi un suddito solo!

Fortunato prese Nazzarena al braccio e s'appressò alla testaregale.


- Maestàho l'onore di chiedervi la mano della principessaNazzarena.


Il Re guardò Fortunato con occhi irosi e non fece motto.


- Se tacetepartirò oggi stesso con lei e lasceròvoi e i vostri sudditi sepolti fino al mento.


Il Re guardò Fortunatolo vide giovine e bellopensòche era più potente di luie che sarebbe stato un buonsuccessore.


- Maestàvi chiedo la mano di Nazzarena.


- Vi sia concessa - sospirò il re.


- Parola di Re?

- parola di Re.


Fortunato comandò al cero il disseppellimento di tutti etutti risorsero per incanto...


E nel giorno stessoinvece della condanna ferocefurono celebratele nozze.




La danza degli Gnomi


Quando l'alba si levavasi levava in sulla seraquando il passeroparlava c'eraallorac'era... c'era...


... una vedova maritata ad un vedovo. E il vedovo aveva una figliadella sua prima moglie e la vedova aveva una figlia del suo primomarito. La figlia del vedovo si chiamava Serenala figliadella vedova si chiamava Gordiana. la matrigna odiava Serena ch'erabella e buona e concedeva ogni cosa a Gordianabrutta e perversa.


La famiglia abitava un castello principescoa tre miglia dalvillaggioe la strada attraversava un croceviatra i faggimillenari di un bosco; nelle notti di plenilunio i piccoli gnomi vidanzavano in tondo e facevano beffe terribili ai viaggiatorinotturni.


La matrigna che sapeva questouna domenica seradopo cenadisse alla figlia:

- Serenaho dimenticato il mio libro di preghiere nellachiesa del villaggio: vammelo a cercare.


- Mammaperdonate... è notte.


- C'è la luna più chiara del sole!

- Mammaho paura! Andrò domattina all'alba...


- Ti ripeto d'andare! - replicò la matrigna.


- Mammalasciate venire Gordiana con me...


- Gordiana resta qui a tenermi compagnia. E tu va'!

Serena tacque rassegnata e si pose in cammino. Giunse nel bosco erallentò il passopremendosi lo scapolare sul pettocon ledue mani.


Ed ecco apparire fra gli alberi il crocevia spaziosoilluminatodalla luna piena.


E gli gnomi danzavano in mezzo alla strada.


Serena li osservò fra i tronchitrattenendo ilrespiro. Erano gobbi e sciancati come vecchiettipiccoli comefanciulliavevano barbe lunghe e rossignegiubbini buffirossi e verdie cappucci fantastici. Danzavano in tondocon unacantilena stridula accompagnata dal grido degli uccellinotturni. Serena allibiva al pensiero di passare fra loro; eppurenon c'era altra via e non poteva ritornare indietro senza il librodella matrigna. Fece violenza al tremito che la scuotevaes'avanzò con passo tranquillo.


Appena la viderogli gnomi verdi si separarono da quelli rossi efecero ala ai lati della stradacome per darle il passo. E quandola bimba si trovò fra loro la chiusero in cerchiodanzando. E uno gnomo le porse un fungo e una felce.


- Bella bimbadanza con noi!

- Volentierise questo può farvi piacere...


E Serena danzò al chiaro della lunacon tanta grazia soaveche gli gnomi si fermarono in cerchioestatici ad ammirarla.


- Oh! Che bella graziosa bambina! - disse uno gnomo.


Un secondo disse: - Ch'ella divenga della metà piùbella e più graziosa ancora.


Disse un terzo:

- Oh! Che bimba soave e buona!

Un quarto disse: - Ch'ella divenga della metà piùancora bella e soave!

Disse un quinto: - E che una perla le cada dall'orecchio sinistroad ogni parola della sua bocca.


Un sesto disse: - E che si converta in oro ogni cosa ch'ella vorrà.


- Così sia! Così sia! Così sia!... -gridarono tutti con voce lieta e crepitante.


Ripresero la danza vertiginosatenendosi per manopoi spezzaronoil cerchio e disparvero. Serena proseguì il camminogiunseal villaggio e fece alzare il sacrestano perché la chiesa erachiusa.


Ed ecco che ad ogni parola una perla le usciva dall'orecchiosinistrole rimbalzava sulla spalla e cadeva per terra. Ilsagrestano si mise a raccoglierle nella palma della mano. Serenaebbe il libro e ritornò al castello paterno. La matrigna laguardò stupita. Serena splendeva di una bellezza mai veduta:

- Non t'è occorso nessun guaioper via?

- Nessunomamma.


- E raccontò esattamente ogni cosa. E ad ogni parola unaperla le cadeva dall'orecchio sinistro.


La matrigna si rodeva d'invidia.


- E il mio libro di preghiere?

- Eccolomamma.


La logora rilegatura di cuoio e di rame s'era convertita in orotempestato di brillanti.


La matrigna trasecolava.


Poi decise di tentare la stessa sorte per la figlia Gordiana. Ladomenica dopoalla stessa oradisse alla figlia di recarsi aprendere il libro nella chiesa del villaggio.


- Così sola? Di notte? Mammasiete pazza?

E Gordiana scrollò le spalle.


- Devi ubbidirecarae sarò un gran bene per tete loprometto.


- Andateci voi!

Gordiananon avvezza ad ubbidiresmaniò furibonda e lamadre fu costretta a cacciarla con le busseper deciderla a partire.


Quando giunse al croceviainargentato dalla lunai piccolignomi che danzavano in tondo si divisero in due schiere ai latidella stradapoi la chiusero in cerchio; e uno si avanzòporgendole il fungo e la felce e invitandola garbatamente adanzare.


- Io danzo con principi e con baroni: non danzo con brutti rospicome voi.


E gettò la felce e il fungo e tentò di aprire lacatena dei piccoli ballerini con pugni e con calci.


- Che bimba brutta e deforme! - disse uno gnomo.


Un secondo disse: - Ch'ella diventi della metà piùancora cattiva e villana.


- E che sia gobba!

- E che sia zoppa!

- E che uno scorpione le esca dall'orecchio sinistro ad ogni paroladella sua bocca.


- E che si copra di bava ogni cosa ch'ella toccherà.


- Così sia! Così sia! Così sia!... -gridarono tutti con voce irosa e crepitante.


Ripresero la danza prendendosi per manopoi spezzarono lacatena e disparvero.


Gordiana scrollò le spallegiunse alla chiesaprese illibro e ritornò al castello.


Quando la madre la vide dié un urlo:

- Gordianafiglia mia! Chi t'ha conciata così?

- Voimadre snaturatache mi esponete alla mala ventura.


E ad ogni parolauno scorpione dalla coda forcuta le scendevalungo la persona.


Trasse il libro di tasca e lo diede alla madre; ma questa lolasciò cadere con un grido d'orrore.


- Che schifezza! È tutto lordo di bava!

La madre era disperata di quella figlia zoppa e gobbapiùbrutta e più perversa di prima. E la condusse nelle suestanzeaffidandola alle cure di medici che s'adopraronoinutilmente per risanarla.


Si era intanto sparsa pel mondo la fama della bellezzasfolgorante e della bontà di serenae da tutte le partigiungevano richieste di principi e di baroni; ma la matrignaperversa si opponeva ad ogni partito.


Il Re di Persegonia non si fidò degli ambasciatorievolle recarsi in persona al castello della bellezza famosa. Fu cosìrapito dal fascino soave di Serena che fece all'istante richiestadella sua mano.


La matrigna soffocava dalla bile; ma si mostrò ossequiosaal re e lieta di quella fortuna. E già macchinava in mente disostituire a Serena la figlia Gordiana.


Furono fissate le nozze per la settimana seguente. Il giorno dopo ilRe mandò alla fidanzata orecchinismanigliemonili di valoreinestimabile.


Giunse il corteo reale per prendere la fidanzata. La matrignacoprì dei gioielli la figlia Gordiana e rinchiuse Serena in uncofano di cedro.


Il Re scese dalla carrozza dorata e aprì lo sportello perfarvi salire la fidanzata. Gordiana aveva il volto coperto d'unvelo fitto e restava muta alle dolci parole dello sposo.


- Signora mia suoceraperché la sposa non mi risponde?

- È timidaMaestà.


- Eppure l'altro giorno fu così garbata con me...


- La solennità di questo giorno la rende muta...


Il Re guardava con affetto la sposa.


- Serenascopritevi il voltoch'io vi veda un solo istante!

- Non è possibileMaestà - interruppe la matrigna -il fresco della carrozza la sciuperebbe! Dopo le nozze si scoprirà.


il Re cominciava ad inquietarsi.


Proseguirono verso la chiesa e già la madre si rallegrava diveder giungere a compimento la sua frode perversa.


Ma passando vicino ad un ruscelloGordianasmemorata edimpazientesi protese dicendo:

- Mammaho sete!

Non aveva detto tre parole che tre scorpioni neri sceserocorrendo sulla veste di seta candida.


Il Re e il suocero balzarono in piediinorriditie strapparono ilvelo alla sposa. Apparve il volto orribile e feroce di Gordiana.


- Maestàqueste due perfide volevano ingannarci.


Il suocero e il Re fecero arrestare il corteo a mezza strada. Il Resalì a cavallo e volle ritornaresolodi gran galoppoalcastello della fidanzata.


Salì le scale e prese ad aggirarsi per le sale chiamando adalta voce.


- Serena! Serena! Dove siete?

- QuiMaestà!

- Dove?

- Nel cofano di cedro!

Il Re forzò il cofano con la punta della spada e sollevòil coperchio. Serena balzò in piedipallida e bella. Il rela sollevò fra le bracciala pose sul suo cavallo e ritornòdove il corteo l'aspettava. Serena prese posto nella berlinarealetra il padre e il fidanzato.


Furono celebrate le nozze regali.


Della matrigna e della figlia perversafuggite attraverso iboschinon si ebbe più alcuna novella.




La cavallina del negromante


C'era una volta un pover'uomo rimasto vedovocon un figliochiamato Candido; egli possedeva per tutta fortuna un campicello etre buoi. Candidoche era un bimbo sveglio e intelligentegiuntiagli otto anni disse al padre:

- Vorrei andare a scuola...


- Non ho danaro sufficientefiglio mio!

- Vendete uno dei buoi.


Il padre restò pensosopoi si decise. Alla fiera seguentevendette uno dei buoi e col danaro ricavato mandò Candido allascuola.


Candido imparava rapidamente e i maestri erano sbigottitidella sua intelligenza.


Quando seppe leggere e scriveredecise di mettersi pel mondo allaventura.


Sivestì d'un abito nero da un latobianco dall'altro e si misein cammino.


Pervia incontrò un signore a cavallo:

- Dove vairagazzo mio?

- A cercar lavoro.


- Sai leggere?

- Leggere e scrivere.


- Allora non fai per me e il signore proseguì lavia. Candido restò sbigottitopoi si tolse l'abitolo vestìa rovesciocorse attraverso i campi fino a trovarsi una secondavolta sulla strada dello sconosciuto; questi non lo riconobbe:

- Dove vairagazzo mio?

- A cercar lavoro.


- Sai leggere?

- Né leggere né scrivere.


- Sta bene. Sali in groppadietro di me.


Candido salì sul cavallo dello sconosciuto e dopo moltigiorni di cammino giunsero ad un castello circondato da muraaltissime. Nessuno venne a riceverli; discesero nel cortiledeserto e il signore condusse egli stesso il suo cavallo allascuderia; poi disse a Candido:

- Non vedrai qui dentro persona viva; ma non t'inquietare; avraiogni cosa che ti talenta e un lauto stipendio.


- Quali sono le mie incombenzesignoria?

- Dovrai aver cura dei cavalli che ho nelle mie scuderienonaltro. Oggi devo partire per un viaggio lunghissimoe nonritornerò che fra un anno e un giorno: il mio castello ènelle tue mani. Addio!

Il barone partì.


Candidorimasto solocurava diligentemente i cavalli. Quattrovolte al giorno trovava la mensa imbandita nella vasta sala dapranzosenza mai vedere anima viva né udir voce umana;mangiavabevevapasseggiava per le sale e pel parco. Un giornovide tra gli alberi trasparire una veste azzurra: era una fanciullabellissima che fuggiva verso le scuderie.


Candido la raggiunse e la principessa si rivolse a luicon volto supplichevole.


- Sono uno dei cavalli che voi avete in custodia: un pomellatobiancoil terzo a destra di chi entra. Sono figlia del Re diCorelandia e il barone negromante m'ha cangiata in cavalloperché non lo volli per marito... Se il baroneal suoritornosarà contento dei vostri servigiper ricompensarvivi dirà di scegliere uno dei cavalli; e voi scegliete menonavrete a pentirvene.


Candido promise e si diede a leggere i libri del barone e appresei segreti della negromanzia. Dopo un anno il barone era di ritorno alcastello.


- Sono soddisfatto dei tuoi servigie poiché l'anno èpassatoeccoti una borsa di monete d'oro. Vieni nelle scuderiedove potrai sceglierti un cavallo pel tuo ritorno al paese.


Scesero nelle scuderie e Candidodopo aver finto qualcheesitazioneindicò il pomellato bianco.


- Scelgo quello.


- Come? Quella rozza? Non sei veramente buon intenditore; guarda imagnifici cavalli che le son vicini!

- Mi piace quella e non ne voglio altri.


- Sia pure disse il barone; e pensò: Servo scaltro! Deveconoscere il mio segreto; ma lo saprò raggiungere a mezzavia!».


Candido prese la cavallina pomellata e partì. Appena fuoridel castelloessa riapparve nelle forme della principessa.


- Grazieamico mio. Ritorna presso tuo padreed io ritorno allaCorte di Corelandiadove tu dovrai trovarti fra un anno e un giorno.


E disparve.


Candido si diresse al paese natìo. Giunse dopo molti giornialla capanna e si gettò nelle braccia del padreche stentavaa riconoscerlo.


- Siamo ricchipadre mioe bisogna goderci il nostro danaro!

E gli presentò la borsa e incominciarono pei due giornidi felicità ed agiatezza. Mapoiché tutto ha unafineanche il gruzzolo giunse all'ultimo scudo.


- Figlio miosiamo ritornati alla miseria di prima!

Non inquietatevi! Domattina andremo alla fiera per vendere unmagnifico cavallo.


- Un cavallo? Dove lo posso prendere?

- Poco importa: domattina l'avrete e ne riceverete trecento scudi;ma badate di non cedere la briglia al compratore.


- La briglia si cede con la bestia - osservò il vecchio .


- Non lasciate la brigliavi ripetoo mi esporrete ad unpericolo irreparabile.


- Sta benela riporterò a casabenché non siacostume.


All'indomani il vecchio udì nitrire alla porta e vitrovò un magnifico cavallo; ma cercò invano suo figlioperché l'accompagnasse:

Mi avrà forse già preceduto al mercato». E simise in cammino. Giunto in paese non trovò suo figlio e fucircondato subito dai compratori.


- Bello il vostro cavallo. Quanto volete?

- Trecento scudi e la briglia per me.


- Facciamo duecentocinquanta.


- Non cedo d'un soldo!

S'avanzò un mercante sconosciuto dai capelli rossi edagli occhi di brace (era il barone travestito) che fece l'offerta:

- È caro. Ma la bestia mi piace e non mercanteggio. Datemila briglia ch'io lo possa condurre.


- La briglia non la cedo a nessun patto.


- Allora non ne facciamo nulla.


E lo sconosciuto s'allontanò minaccioso.


Il cavallo fu venduto a un carrettiere che non pretese la briglia;condusse la bestia per la criniera e la chiuse con altri cavallinella sua scuderia. Ma all'alba il cavallo non c'era più.Era Candido chegrazie ai segreti appresi nei libri magicis'eratrasformato in cavallopoi in uomo ancoraper ritornarsenedal padre. Padre e figlio godettero i trecento scudi e visserolieti per molti giorni.


Giunti all'ultima monetaCandido disse:

- Non c'è più danaro. L'altra volta mi trasformai incavallo nerodomattina mi trasformerò in cavallo bianco emi porterete al mercato; ma badate bene di non cedere la brigliaotutto è finito per me.


All'alba il vecchio sentì nitrire nel cortilee vide uncavallo bellissimocandido come la neve. Lo prese per la briglia esi diresse al mercato.


I compratori circondarono la bestia; s'avanzò il mercantesconosciutodai capelli rossi e dagli occhi fiammeggianti.


- Bella bestiala vostra; quanto volete?

- Cinquecento scudi.


- Sono troppi. Ma ve li do. Lasciatemela prima provare.


E lo sconosciuto salì in sellacacciò gli speroninei fianchi della bestia che fuggì di galoppolasciandoil povero vecchio senza cavallo e senza briglia.


Giunto dinanzi a un maniscalco lo sconosciuto scese di groppaentrò nella fucina:

- Maniscalcoil mio cavallo non è ferrato. Fategliall'istante quattro ferri di quattrocento libbre ciascuno.


- Quattrocento libbre? Voi scherzatesignore!

- Non scherzoeseguite senza commenti e sarete ben pagato.


Mentre il barone e l'uomo parlavanoil cavallo era stato legato adun anello del muro. Alcuni bimbi gli furono intorno e presero atormentarlo.


- Staccatemibambini belli!

- Un cavallo che parla! e i piccoli esultarono di gioia.


- Che dice dunque?

- Dice di staccarlo.


- Sìstaccatemibambinie vi divertirò con un belgiuoco.


Il più alto e il più audace staccò ilcavalloche si convertì subito in lepre e disparve neicampi. Il barone uscì dalla fucina col maniscalco.


- Dov'è il mio cavallo?

- S'è mutato in lepre ed è fuggito attraverso i campi.


Il barone negromante si mutò in cane e si precipitòsulle sue tracce.


Candidoincalzato da pressosi mutò in airone e ilnegromante lo seguì nell'aria sotto forma d'unosparvieroe giunsero così nella capitale della Corelandia;lo sparviero stava per ghermire l'airone quando questo si mutòin un anello e infilò il dito della principessa chesospirava alla finestra del castello.


Il negromante riprese la sua forma umana e si presentò apalazzo per offrire le sue cure al Reche era sofferente d'un morboinsanabile.


- Prometto di guarirviSire; ma ad un patto.


- Domandate e qualsiasi pretesa vostra sarà appagata.


- Voglio l'anello d'oro che porta in dito vostra figlia.


- Questo soltantovolete? Io son disposto a ben altro!

- Non domando altroMaestà.


Intanto la principessa aveva chiuse le finestre e stavatogliendosi gli anelli; quando si tolse quello d'oro le apparveCandido sorridente.


- Oh Candido! Come siete qui?

Candido narrò i casi suoi:

- Il negromante è nel castello ed ha promesso a vostro padredi guarirlo a patto gli sia dato il vostro anello; voiacconsentitema nell'atto di passarlo al dito del negromantelasciatelo cadere in terra e tutto sarà per il meglio.


La principessa promise.


All'indomani il vecchio Re fece chiamare la figlia nella sala deltrono e le presentò il negromante travestito da medico.


- Figlia miaquesto medico famoso non domandaper rendermi lasaluteche il tuo anello d'oro.


- Acconsento - disse la principessae fece atto di passarel'anello al dito del negromantema lo lasciò cadere ad artesul pavimento.


L'anello si cangiò in fava e il negromante in galloperinghiottirlama la fava si cangiò in volpe e divoròil gallo.


Candido riprese la sua forma di primadinanzi a tutta la Cortesbigottita del prodigio.


La principessa presentò al padre il suo liberatore e quelgiorno stesso furono celebrate le nozze.




I tre talismani


Quando i polli ebbero i denti e la neve cadde nera (bimbi state beneattenti) c'era allorac'era... c'era...


... un vecchio contadino che aveva tre figliuoli. Quando sentìvicina l'ora della morte li chiamò attorno al letto perl'estremo saluto.


- Figliuoli mieiio non son riccoma ho serbato per ciascuno divoi un talismano prezioso. A teCassandrinoche sei poeta eil più miserabilelascio questa borsa logora: ogni volta chev'introdurrai la mano troverai cento scudi. A teSansonettochesei contadino e avrai da sfamare molti uominilascio questatovaglia sgualcita: ti basterà distenderla in terra osulla tavolaperché compaiano tante portate per quantepersone tu voglia. A teOddoche sei mercante e devi dicontinuo viaggiarelascio questo mantello: ti basteràmetterlo sulle spalle e reggerlo alle cocche delle estremitàcon le braccia teseper diventare invisibile e farti trasportareall'istante dove tu voglia.


Il buon padre spirò poco dopo: e i tre figli preseropiangendo il loro talismano e si separarono.


Cassandrino giunse in cittàcomperò un palazzomeravigliosoabiti gioiellicavalli e prese a condurre la vita delgran signore. Tutti lo dicevano un principe in esilio ed eglistesso cominciò a crederlo; tanto che gli venne il desideriodi far visita al Re. Si vestì degli abiti e deigioielli più sfolgoranti e si presentò a palazzo.


Una guardia gli fermò il passo.


- Principeche desiderate?

- Vedere il re.


- Favorite il vostro nomee se sua Maestà crederàbenevi riceverà.


- Meno cerimonie! Eccovi cento scudi.


La guardia s'inchinò fino a terra e Cassandrino passòinnanzi: alla porta reale quattro alabardieri gli fermarono il passo.


- Principedove andate?

- Dal re.


- Non ci si presenta così a Sua Maestà. Dite ilvostro nome e se il Re vorrà ricevervipasserete.


Cassandrino offrì cento scudi ad ogni alabardiere. Ma questiesitavano.


- Non basta? Prendete ancora.


Gli alabardierivinti dall'orocedettero il passo.Cassandrino diventò amico del Re.


Dopo qualche giorno in tutta la Corte si parlava meravigliatidella sua generosità favolosa. Ovunque egli passavadistribuiva mance di cento scudie servicuochifanteschefantivallettis'inchinavano esultanti. La cameriera dellaprincipessafiglia unica del Repiù beneficata di tutti epiù scaltra degli altricominciò a sospettare qualchemagia nel principe generoso e ne parlò alla sua padronaunaseratogliendole le calze.


- Principessala borsa del forestiero è fatata; non vedetecom'è piccola: e tuttavia ne trae ogni sera migliaia discudi... Bisognerebbe prendergliela.


- Bisognerebbe - assentì la principessa - ma come fare?

- Egli siede ogni sera alla vostra sinistra; versategli nelbicchiere un soporifero; s'addormenterà e l'impresa saràfacile.


Così fu fatto. La sera seguentealle fruttailprincipe Cassandrino cominciò ad appisolarsipoi chinòla testa sulla tovaglia efra lo stupore del Re e dei convitatis'addormentò. Fu portato in una camera del palazzo e distesosul letto.


L'ancellavigilantegli prese la borsa e la portò alla suapadrona. Poidi comune intesaconfidarono a quattro sgherriil giovine addormentato e lo fecero deporre fuori delle portein uncampo deserto. All'albaCassandrino si svegliò intirizzito ecomprese il giuoco che gli era stato fatto.


- Mi vendicherò - egli disse; e lasciò la cittàe prese la via del paese nativo.


Giunse dal fratello contadinoche lo accolse a braccia apertee lo fece sedere presso il focolaretra la moglie ed i figli.


- Fratello mio Cassandrinoe la tua borsa fatata?

- Ohimè! Mi fu rubata e nel modo più fanciullesco -.E raccontò al fratello la disavventura. - Tu potresti aiutarmia recuperarla.


- Come?

- Prestandomi per qualche tempo la tua tovaglia magica.


Il fratello esitava.


- Te ne pregonon la terrò che pochi giornie ti saràriconsegnata.


Sansonetto diede la tovaglia fatata a Cassandrinosupplicandolo di restituzione sicura. Cassandrino ritornò incittàvestì abiti dimessie si presentò apalazzo come cuoco disimpiegato. Il Ministro delle Pietanze loguardò incredulo e sprezzante e gli assegnò l'ultimoposto nella burocrazia culinaria.


un giorno che il Re dava un pranzo di gala agli ambasciatori delSultanoCassandrino disse al capo dei cuochi:

- Lasciate a me solo l'incarico di tutto: vi prometto un pranzomai più visto.


Il capo sghignazzòsprezzante:

- Povero sguattero scimunito!

Ma Cassandrino insistette con tanta convinzione che il capo disse:

- Rispondi di tutto sulla tua testa?

- Sulla mia testa.


I cuochi e il loro capo andarono a passeggioe Cassandrinorestò nelle cucine. Pochi minuti prima di mezzogiorno salìnella sala da pranzo e distese la tovaglia miracolosa in un angolodella tavola immensa.


- Tovaglia! Tovaglia! Sia servito un banchetto di cinquecentocopertitale da sbalordire il Rela Cortegli Ambasciatoritale da confondere tutti i cuochi della terra!

Ed ecco biancheggiare le tovaglie finissimescintillare icristalli e le argenteriee profondersi le pietanze piùraffinatei pasticci dall'architettura fantasticalecacciagioni prelibatei pesci rarii frutti d'oltre marei vinidelle isole del sole. Giunse l'ora del pranzo e i commensalifurono entusiasti. Il Re chiamò il capo dei cuochi e volleonorarlo dei suoi complimenti in presenza di tutta la Corte. Ilcapoda quel giornoaffidò a Cassandrino la direzionedelle cucineappropriandosi tutti gli elogi.


Cassandrino saliva ogni giornosolonella sala da pranzopochi istanti prima del pasto: si chiudeva a chiavee ne uscivaquasi subito; le mense reali erano imbandite.


La servitù cominciava a sospettarlo di stregoneria.


L'ancella della principessapiù scaltra degli altrilo spiòun giorno dalla toppa e vide l'apparizione improvvisa delle vivande.


Subito confidò la cosa alla padrona.


- Principessal'uomo dalla borsa è ancora nel palazzo sottole spoglie del capo dei cuochi; e possiede una tovaglia che operatutto l'incantesimo!

- Bisogna avere quella tovaglia! - disse la principessa.


- L'avremo! - assicurò l'ancella. E la notte seguenteforzò lo stipo dove Cassandrino chiudeva la tovaglia e lasostituì con una tovaglia comune.


L'indomaniall'ora di pranzoCassandrino distese inutilmente latovaglia e ripeté invano la formula imperativa. Le tavolerestavano deserte.


- Eccomi gabbato una seconda volta! Ma non importami vendicherò!

E uscì dal palazzo e ritornò al paese natìo.Si presentò al fratello mercanteche lo abbracciò egli domandò delle sue avventure. Cassandrino gli confidòi suoi casi non lieti.


- Mi hanno rubato la borsa e la tovagliama se tu volessi potrestiaiutarmi a ricuperare il tutto.


- E comefratello mio?

- Imprestandomi per qualche giorno il mantello fatato.


Il mercante esitò; il mantello che rendeva invisibili eaboliva le distanze gli era necessario pel suo commercio. MaCassandrino tanto supplicò che ottenne il mantello. Colmantello aperto e sorretto alle estremità dalle braccia tesegiunse in un attimo alla cittàsalì invisibilele scale del palazzos'introdusse nelle stanze dellaprincipessa: questa dormiva e Cassandrino le coprì il voltocon un lembo del mantello.


- Per la virtù di questo mantellodesidero esseretrasportati entrambi alle Isole Fortunate.


Il mantello li avvolse come in una nube cupa e vertiginosa epochi secondi dopo li deponeva in un boschetto di palmizinell'isoleremote.


La principessa - vedendosi in balia del suo nemico - finse dirassegnarsi all'esilio con luima questo fece per scoprire ilsegreto della sua potenza; e tanto seppe ingannarlo che gli strappòla confidenza del mantello. Una notte che Cassandrino dormiva colpanno prezioso ripiegato sotto la nucaglielo sottrassecautamente.


- Per virtù di questo mantello voglio essere trasportatanel palazzo di mio padre il Re.


Cassandrino si svegliò mentre il mantello avvolgeva laprincipessa in una nube cupa e vertiginosa e la rapiva nell'azzurroverso il regno del padre.


- Eccomi ancora derubato da quella perfida -. E si mise asinghiozzare disperato.


Passò molti mesi nell'isolamantenendosi di frutti. Ungiornovagando sulla riva del marescoperse un albero dai pomienormi e vermigli. Ne mangiò uno e lo trovò squisito.Ma sentì tosto per tutto il corpo un prurito inquietante.


Si guardò le manile bracciasi specchiò ad unafonte e si vide coperto di squame verdi.


- Oh! povero me! Che cos'è questo?

E si palpava la pelle squammosa come quella d'un serpente.Cassandrino fu tentato da altri pomi gialli che crescevano sopra unalbero vicino. Ed ecco un nuovo pruritoe le squamme verdi sparirea poco a poco e la pelle ritornargli bianca per tutta le persona.Allora prese ad alternare le due specie di frutti e si divertiva avedersi imbiancare e rinverdire.


Dopo vari mesi di esilio passò all'orizzonte una fustadi corsari e Cassandrino tanto s'agitò gridando chequelli si appressarono alla spiaggia e l'accolsero sul legno. Maprima di lasciare l'isola il giovane raccolse tre pomi dell'una edell'altra pianta e li mise in tasca.


Fu così rimpatriato e ritornò alla cittàdella principessa. La domenica seguente si travestì dapellegrinocollocò un deschetto sui gradini della chiesadove la figlia del Re si recava alla messa e vi pose sopra i trepomi bellissimi che facevano inverdire.


La principessa passòseguita dall'ancellae si soffermòammiratama non riconobbe il falso pellegrino. Si rivolseall'ancella: - Tersillaandate a comperare quelle mele.


La donna s'avvicinò al pellegrino:

- Quanto volete di questi frutti?

- Trecento scudi.


- Avete detto?

- Trecento scudi.


- Siete pazzo? Cento scudi al pomo!

- Se li voletebene: altrimenti son vane le parole.


La donna ritornò dalla sua padrona.


- Trecento scudi! avete fatto bene a non prenderli.


Ed entrarono in chiesa per la messa.


Ma durante la cerimonia la principessaginocchioni ai piedidell'altarecon gli occhi al cielo e le mani congiuntenon facevache pensare ai pomi del pellegrino. Appena uscita si fermòancora ad ammirarlipoi disse all'ancella:

-Andate a comperare quei frutti per trecento scudi: mi rifaròcon la borsa miracolosa.


La donna s'avvicinò e parlò col pellegrino.


- Perdonatemia caranon più trecentoma seicento scudivoglio dei pomi.


- Vi burlate di me?

- Bisognava prenderli prima. Ora il prezzo è doppio.


La donna ritornò dalla sua padronapoi dal pellegrino efece la compera. A mensa i pomi furono presentati sopra un vassoiod'oro e formarono l'ammirazione di tutti. Alle frutta il Re ne preseuno per séne diede uno alla Regina e uno alla principessa efurono trovati deliziosi. Ma i mangiatori non erano giunti a metàche cominciarono a guardarsi irrequieti l'un l'altro e si videroinverdire e coprirsi di squamme serpentine. Avvenne una scena didisperazione e di terrore.


I Reali vennero trasportati nelle loro stanze e la novellaterribile si diffuse in tutto il regno.


Furono consultati invano i medici più famosi. Allora sipubblicò un bando:

chiunquefacesse scomparire la pelle verde alla famiglia reale otteneva lamano della principessa ose ammogliatola metà del regno.


Cassandrino lasciò sfollare i medicii chirurghilesortierei negromantie si presentò dopo qualche giorno apalazzo reale.


Fu ammesso nella stanza degli ammalati.


- Promettete dunque di farci guarire?

- Lo prometto.


- E quando comincerete la cura?

- Anche subitose volete.


Cassandrino fece denudare il Re fino alla cintola; poi trasse da unacesta un fascio d'ortiche e con le mani inguantate cominciòa flagellare le spalle reali.


- Basta! Basta! - urlava il Re.


- Non ancoraMaestà.


Poi passò alla Regina e ripeté sulle spalle di lei lastessa funzione.


Quando i due Sovrani furono deposti sul lettosemiviviCassandrino porse loro i frutti delle isole lontane.


Ed ecco i volti imbiancarsi a poco a pocole squamme diradarsisvanire del tutto.


I Reali erano esultanti.


Venne la volta della principessa.


Cassandrino volle restar solo con leie si chiuse a chiave nellasua stanza.


Giunsero tosto le urla e i gemiti strazianti. La cura incominciava.


- Aiuto! Basta! Basta!

La cura proseguiva.


- Muoio! Basta! Aiuto! Per carità!

Dopo un'ora Cassandrino uscì dalla sua stanzalasciandola principessa semiviva.


- E la pelle? - domandarono i Sovrani.


- Gliela imbiancherò domani. Domani ritornerò perultimare la cura.


Cassandrino andò a trovare un abateamico suoe gli disse:

- Domaniverso mezzogiornotrovati a palazzo reale perconfessare la principessa che versa in pericolo di vita.


L'abate promise di trovarvisi.


Il giorno dopo Cassandrino si presentò a palazzo: - SacraCoronaoggi farò l'ultimo trattamento della principessamasiccome potrebbe soccombere...


- Gran Dio! Che dite mai? - urlarono i Sovrani.


- Ho pensato bene di avvisare un abateper gli ultimi conforti.Sarà qui verso mezzogiorno.


Poi salì dalla principessa: - Oggi vi sottoporròall'ultimo trattamentoe poiché potrebbe essere fatalehanno avvisato un abate per la tranquillità della vostracoscienza.


La principessa aveva gli occhi fissi dallo spavento. Sopraggiunsel'abate che fu lasciato solo con l'ammalata e Cassandrino attese inun gabinetto attiguo.


Quando il confessore uscì dalla stanzaCassandrino disse:- Amico miofavoriscimi alcuni istanti la tua veste.


- Sarebbe un insulto alla mia divisa.


- Non temere cose sacrileghe. È per ottimo fine. -Cassandrino si vestì della veste sacerdotale e si presentòalla principessa che gemeva nella sua alcova.


- Figliuola miatemo abbiate dimenticato qualche cosa nellaconfessione delle vostre colpe... Meditatecercate ancora...Pensate che siete forse sul punto di presentarvi al giudice supremo.


La principessa allibivasinghiozzando.


- Vediamo - diceva Cassandrinoimitando la voce dell'amico - nonricordate d'aver sottratto... rubato qualche cosa?

- Ahpadre! - singhiozzò la principessa. - Ho rubato unaborsa miracolosa a un principe forestiero.


- Bisogna restituirla! Confidatela a me e gliela farò avere.


La principessa indicò col gesto stanco uno stipod'argento: e Cassandrino prese la borsa.


- E altro... altro ancoranon ricordate?

- Ah Padre: ho rubato una tovaglia fatata allo stesso forestiero:prendetela.


èlàin quell'arca d'avorio.


- E altroaltro ancora?

- Un mantelloPadre! Un mantello incantatoallo stesso forestiero.È làin quell'armadio di cedro...


E Cassandrino prese il mantello.


- Sta bene - proseguì il falso prete - ora mordete questopomo: vi gioverà.


La principessa addentò il frutto e subito le squamme verdisi diradarono lentamente e scomparvero del tutto. AlloraCassandrino si tolse la parrucca e la veste.


- Principessami riconoscete?

- Pietàpietà! perdonatemi d'ogni cosa! Sono giàstata punita abbastanza!

I Sovrani entrarono nella camera della figlia e il Revedendolarisanataabbracciò il medico.


- Vi offro la mano della principessa: vi spetta di diritto.


- GrazieMaestà! Sono già fidanzato con una fanciulladel mio paese.


- Vi spetta allora metà del mio regno.


- GrazieMaestà! Non saprei che farmene! Sono pago diquesta borsa vecchiadi questa tovagliadi questo mantellologoro...


Cassandrinofattosi invisibileprese il volo verso il paese natiorestituì ai fratelli i talismani recuperati esposata unacompaesanavisse beato fra i campisenza più tentarel'avventura.




Il Reuccio Gamberino


1.


Tre giorni ancora e il Reuccio Sansonetto compiva diciott'annietà chesecondo le leggi del regnogli permetteva ditogliere moglie. Egli stava ad una loggia del palazzo realeraggiante ed impaziente di sposare Biancabella reginetta diPameriacon la quale era fidanzato fin dall'infanzia. Ingannava iltempo mangiando ciliege e scagliando i noccioli sui passanticon una piccola fionda. I beffati alzavano il voltoincolleritima l'inchinavano tostoossequiosiappenariconoscevano il reale schernitore.


E il Reuccio rideva e i cortigiani ridevano con lui. Passòuna vecchina dai capelli candididal naso enorme e paonazzoe il Reuccio cominciò a berteggiarla:

- Ohcomare Peperona! Ohcomare Peperona!...


E come l'ebbe a tiro la colpì con un nocciolo sul naso. Lavecchietta si grattò il naso dolentesi chinòtremanteraccolsestrinse il nocciolo tra il pollice e l'indicee lo rinviò all'erede al trono. Le grida sdegnate dellaCorte scagliarono cento guardie sulle tracce della strega Nasutama quella aveva svoltato l'angolo della viaed erascomparsa. Al tocco aspro del nocciolo il Reuccio Sansonettovacillòcome preso da vertigini; poi cominciò ariderepremendosi gli orecchi con le mani.


I cortigiani lo guardavano sbigottiti ed inquieti:

- Che cosa vi sentite?

- Sento... sento...


E il Reuccio ridevarideva senza poter rispondere.


- Che cosa vi sentite?

- Sento... sento il tempo che va indietro! Il tempo che va indietro!Che cosa buffa! Ahse provaste! Che cosa buffa!...


La Corte lo credeva ammattito. Quando poi fece per muoversi elo videro camminare a ritrosotutti scoppiarono dalle risa.


- Reuccioche cosa è questo?

- È... è che non posso più andare avanti!...


E ridevae per quanto tentasse di avanzare il piede non gliriusciva di fare un passo innanzied era costretto aretrocedere come un gambero. Poi riprendeva a premersi gliorecchia chiudere gli occhicome preso da vertigini.


- Il tempo che va indietro! che strano effettoche cosabuffaamici miei!...


E i cortigiani ridevano ed egli rideva con loro...


E tutti lo credevano ammattito.


2.


Ma non era ammattito. I più famosi medici del regnoconstatarono veramente che il Reuccio Sansonetto ringiovaniva. Erauna malattia nuova e inesplicabilecontro la quale la scienza nonaveva rimedio. Il Reuccio ringiovaniva. Compì i diciassettepoi i sedicipoi i quindici anni. Prese a decrescere di giorno ingiornoscomparvero i piccoli nascenti baffetti biondi. Ilsuo volto riacquistava un aspetto sempre più fanciullesco.Sansonetto era disperato.


Le nozze di Biancabella di Pameria erano state contramandatepoirotte del tutto. Il Re di Pameria aveva ritirato la mano dellafiglia.


- Ragazzo miocome volete ch'io vi conceda Biancabella? Fraqualche anno sarete un marito bambinopoi un maritolattantepoi nascerete; cioè morirete... scomparirete nelnulla...


Biancabella fu costretta dal padre a rendere il suo anello dinozze; ma congedandosi piangevae promise a Sansonetto eternafedeltà.


- Vi aspetterò finché sarete guarito di questamalattia. Tenete intanto l'anello e portatelo in dito; esso vistringerà più fortequando la mia fedeltàsarà in pericolo...


3.


Sansonetto era disperato. Correva a ritroso per le stanze epei giardini realipiangendostrappandosi le chiome bionde.Bisognava rintracciare la vecchietta beffatasupplicarla diritornarlo a diciott'annidi risanarlo da quella malìa. IlRe e la Regina avevano fatto un bando con mezzo il regno di premioper chi desse notizie della vecchietta che aveva incantato ilfigliuolo.


Manessuno l'aveva più vista.


Sansonetto andava sovente a cacciaper distrarre la suamalinconia.


Galoppavaa ritrosoperché la malìa gamberina s'appiccicavapure alla sua cavalcatura.


I contadini che vedevano passarescomparire all'orizzonte quelcavaliere piumatosul cavallo che galoppava all'indietrosi facevail segno della croce temendo un'apparizione diabolica.


Un giorno il Reuccio giunse in un boscoe vide tra gli abeticentenari una casetta minuscolacon una sola porta e una solafinestra. E alla finestra riconobbe il volto della vecchietta chelo guardava sorridendo. Sansonetto s'inginocchio sulla soglia.


- Ah! vecchinavecchina! restituitemi il giusto andazzo deltempo e del camminare!

- Bisogna riportarmi il nocciolo di quel giorno...


- Se non è che questol'avrete...


Sansonetto ritornò a palazzo. Ma come ritrovare proprioil nocciolo di quattr'anni prima?... Pensò di prenderne unoqualunquelo portò nel boscolo fece vedere sulla palmadella mano. La vecchietta l'osservò dalla finestra.


- Figliuolo mionon è quello! quello porta incise intornocerte parole che so io...


Il Reuccio capì che non era caso di inganniritornòa palazzoprese commiato dal Re e dalla Regina e si pose incamminoalla ricerca del nocciolo salvatore.


Si ricordava confusamente d'averlo visto rimbalzare nel rigagnolodella via.


Seguì il rigagnolo fin dove questo metteva foce neltorrente. Ma innanzi a quelle spume turbinose si sentìprendere dallo sconforto. Una libellula passòlibrandosi sudi lui con bagliori di smeraldo.


- Che c'èbambino bello?

Lo chiamavano già bambino! Come ringiovaniva infretta!... Sansonetto sospirò:

- C'è che divento sempre più giovane!

- Poco maleragazzo mio!

- Molto male! Fra qualche anno sarò un bambinolattantepoi nasceròscomparirò del tutto. Mipuò salvare soltanto il nocciolo della Fata Nasuta.


L'haivisto passare?

- Io no. Ma ne sentii parlare dai miei vecchi: un nocciolostranoche portava scritte intorno certe parole cabalistiche... Hapreso la via del mare.


Sansonetto si pose in camminoseguì il torrente fino alfiumeil fiume fino al mare. Dinanzi a quall'azzurro infinito lasperanza gli cadde dal cuore e si abbandonò sulla spiaggia.Piangeva e guardava le onde accartocciarsi ribollendo; e lelacrime gli cadevano nell'acquaad una ad una.


- Che c'èbambino bello?

Era un'asteriauna stella di mare che strisciava lentissimasulla sabbia d'oro.


- C'è che divento sempre più giovane.


- Poco malefigliuolo mio!

- Molto male. Nasceròscomparirò del tutto se nontrovo il nocciolo della Fata Nasuta.


- Un nocciolo stranoinciso di parole che non ricordo... L'hovisto qualche anno fa. L'ha inghiottito un fenicottero mio amico.Se attendite lo mando qui...


Il Reuccio attese tre giorni. Apparve il fenicottero bianco eroseosulle due gambe lunghissime.


- Sìho inghiottito il nocciolo; ma poi emigrai nelmezzogiorno e lo rimisi nei giardini del gigante Marsiliofra imonti della Soria... il gigante è feroce ed invincibile; lopotrà vincere soltanto chi gli strapperà un capelloverde fra i folti capelli rossi.


Il Reuccio s'imbarcò su una galea di mercanti e giunse doposette settimane in Soria. Ma quando chiedeva del gigante Marsiliolagente lo guardava stupita e impallidiva.


- Il gigante non lascia passare nessuno nei suoi domin¯.Ogni giorno fa strage di cavalieri temerari che voglionoaffrontarlo.


- Lo affronterò anch'io e vinceròse questa èla mia sorte.


E il Reuccio Sansonetto proseguiva la via. Giunse al regnodel gigante Marsilio.


A picco nella valle dominava il Castello dalle Cento Torri; sistendevano sotto i giardini immensi circondati da alte muraeattorno biancheggiavano le ossa dei temerari che avevano sfidato ilmostro.


Sansonetto suonò il corno di sfidainvitando il gigante abattaglia.


Una delle porte immense si aprì e apparve il gigante seminudoe senz'arme.


Come vide il Reuccio sorrise di scherno.


Questi si scagliava a ritroso volteggiando la sua spada affilata;tagliava ora un braccioora una manoora il nasoora il mentodel gigantema il gigante si chinava tranquilloraccattava ilpezzo amputato rimettendolo a segno.


Sansonetto mirava alla testaspiccando salti sul suo cavallofocoso. Già due volte glie l'aveva fatta caderema il mostrosi chinavala raccoglievala riappiccicava all'istante sullespallacce robuste. Una terza volta il Reuccio glie la troncò;e appena in terra fu pronto a spingerla con le due manisull'orlo d'un decliviorotolandola a valle. Poi si mise a cercarein fretta il capello verde nella folta chioma rossa. Sentivaalle spalle il mostro decapitato che correvabrancolando qua e là;lo sentiva avvicinarsie cercava e non trovava il capello micidiale.Allora trasse la spadarasò in pochi colpi la testaccia dallafronte alla nuca; e il capello verde fu reciso con tutta la chioma.La testa impallidìgli occhi dettero un guizzo spaventoso eil gigante che brancolava all'intornocadde con un tonfo sordo. Eramorto.


4.


Il Reuccio Sansonetto ebbe libero il passo nel regno di Marsilio.Cercò nei giardini; trovò il luogo indicato dalfenicottero.


Ma in cinque anni il nocciolo era diventato un ciliegioaltissimotutto carico di frutti rossi e lucenti come rubini.


Sansonetto ne mangiò unopoi un altroe un altroancora; e osservò i nocciolie ogni nocciolo portava incisoattorno: grano dell'irriverenza»...


Ad un tratto il Reuccio ebbe come una specie di vertigine esocchiuse gli occhi.


Quando li riaprì si trovò dinanzi alla casettadella Fata Nasuta e la vecchietta gli sorrideva.


Si guardòsi palpòera ritornato come alla vigiliadelle nozzecon la sua alta statura diciottenne e i piccolinascenti baffettini biondi. Provò a dare qualche passo: erarisanato dalla buffa andatura gamberina.


- Il tuo errore è espiato - disse la vecchietta - conservai noccioli del ciliegio salvatoree seminali nei tuoi giardini.


- Grazievecchietta mia!

Il Reuccio baciò la buona fatama sentiva l'anellodonatogli da Biancabella di Pameria stringergli il dito.


- Ah! fata miala fedeltà della mia sposa corre pericolo.


- Forse. ma fa' cuoremettiti in armi e corri alla Corte. Dalcanto mio t'aiuterò.


Sansonetto s'armò di tutto punto e partì di grangaloppo.


Sentiva l'anello stringerglistringergli il dito sempre più...


- Si sarà stancata di questa lunga attesa! Purchéarrivi in tempo ancora!

Giunse in Pameria e vide la capitale imbandierata e festante. Chieseperché.


- Da una settimana è aperto un torneo a Palazzo Reale. Il Reha imposto alla figlia la scelta d'uno sposo. E cento cavalieri sicontendono la mano di Biancabella. Ma v'è un cavalieresconosciuto che li abbatte tutti; e si prevede che pel tramonto diquest'oggi avrà sbaragliato i rivali.


Sansonetto accorse alla giostrascese tra gli spettatori. Ilcavaliere misteriosotutto rivestito di una corazza d'acciaiochermisistava sbalzando di sella l'ultimo avversario e giàil popolo lo proclamava di diritto sposo di Biancabella. MaSansonetto calò la visiera efra lo stupore generalescesein lizza. Ed ecco che al primo colpo di Sansonetto l'invincibilecampione chermisi dà suono metallico e cupo e cade disteso.


Fu scossorialzatoaperto. Era vuoto.


Il cavaliere chermisi era una semplice corazza che la buona FataNasuta aveva animata d'uno spirito benigno e inviata alla giostra persopprimere gli altri combattenti e dar modo al Reuccio di giungerein tempo. Il Reuccio Sansonetto alzò la visierae s'inchinòsugli arcionidinanzi alla loggia della sposa.


Biancabellaquasi venne meno dalla gioia improvvisa; e il Re abbracciòcome figliuolo il giovinetto risanato.


Furono celebrate nozze splendidissime.


E i noccioli favolosiseminati nei giardini realicrebbero congli anni e formarono un boschetto detto dell' irriverenza».




Il Re Porcaro


1.


Un Re aveva tre figliuole belle come il sole e ch'egli amava piùdegli occhi suoi.


Avvenne che il Rerimasto vedovoriprese moglie e cominciòper le tre fanciulle una ben triste esistenza. La matrigna eragelosa dell'affetto immenso che il Re portava alle figlie e leodiava in segreto. Con mille arti aveva cercato di farle cadere indisgrazia del padrema visto che le calunnie non servivano chea farle amare di piùdeliberò di consigliarsicon una fattucchiera.


- Si può farle morire - rispose costei.


- Impossibile: il Re ammazzerebbe anche me.


- Si può deturparle per sempre.


- Impossibile: il Re m'ammazzerebbe - Si può affatturarlein qualche modo...


- Vorrei una fatatura che le facesse odiare dal padreper sempre.


La strega meditò a lungopoi disse:

- L'avrete. Ma mi occorre che mi portiate un capello di ciascunastrappato con le vostre mani e tre setole porcinestrappate con levostre mani...


La matrigna ritornò a palazzo e la mattina seguente entròsorridendo nelle stanze delle tre principessementre le cameristene pettinavano le chiome fluenti.


- Figliuole mie - disse con voce affettuosa - voglioinsegnarvi un'acconciatura di mia invenzione...


E preso il pettine dalle mani delle donnepettinò Doralice.


- Ah! mammache mi strappate i capelli!...


Pettinò Lionella.


- Ah! mammache mi strappate i capelli!...


Pettinò Chiaretta.


- Ah! mammache mi strappate i capelli!...


Salutò le figliastre e uscì con i tre capelliattorti nel dito indice...


Attraversòi giardinii cortiligiunse alle fattorieentrò nel porcilee con le sue dita inanellate strappò tre setole da tre scrofegrufolanti.


Poi ritornò dalla strega.


La strega pose in un lambicco i tre capelli dorati e le tre setolenerevi unì il succo di certe erbe misteriose e ne distillòpoche gocce verdastre che raccolse in una boccetta.


- EccoviMaestà. Le verserete nel bicchiere del Reall'oradel pranzo. È la fatatura dello scambio; l'effetto saràimmediato.


La Regina si tolse dalla corona la pietra più bellalaregalò alla strega e se ne andò.


2.


Alla mensa regale sedevano il Rela Reginale tre principessecinquecento dame e cinquecento cavalieri.


La Regina versò furtivamente nel calice del Re il filtrofatato e atteseansiosa di vederne l'effetto. Aveva appena bevutoche il Re stralunò gli occhicome preso da sdegno e dameravigliae si alzò accennando verso le figlie:

- Che beffa è questa? Chi ha messo tre scrofe al posto dellemie figliuole?

Chebeffa è questa? Via di qui! Via le bestie immonde!

E alzatosi furibondo cominciò a malmenareapercuotere le figliea spingerlea inseguirle attraverso lesalei giardinii cortilifino al porcile dove le rinchiuse.


Dal porcile trasseinvecele tre scrofe corpulente e prese adabbracciarlechiamandole coi nomi delle figlie; poi le condusse apalazzole fece salire a mensasui seggi delle tre principesse:

- ChiarettaDoraliceLionellapovere figlie miechi vi fecel'onta di chiudervi là dentro?

E le baciava amorosamente.


Tutta la Corteseduta a mensarideva.


Il Re aggrottò le ciglia.


- Perché si ride?

Allora un cavaliere si alzò:

- Maestàperdonatema quelle sono tre scrofe!

Il Refuribondolo fece immediatamente tradurre inprigionenei sotterranei delle torri.


E riprese a baciare le tre bestie che grugnivano.


La Corte rideva.


- Perché si ride?

Un secondo cavaliere si alzò:

- Maestàperdonate; main nome di Dioquelle non sonole tre reginettesono tre scrofe.


Il Re lo fece decapitare all'istanteper lesa maestà. Ela Corte non rise più.


Le tre bestie furono vestite con abiti regaliadorne di gioielliservite da cento cameriste. Il re le voleva vicine sempreleaccompagnava a passeggioa mensaa Cortealle danzeairicevimenti. E ovunque le tre scrofe passavanodame e cavalierifacevano alapiegandosi fin in terrainchinandole eossequiandole come principesse del sangue.


Ma tutti soffocavano le risamormorando:

- Passa il Re ammattitopassa il Re Porcaro!...


3.


ChiarettaLionellaDoralice passavano i loro giorni nel porcilepiangendo e invocando pietà. Il Reche amava occuparsi inpersona delle sue fattoriepassava talvolta con la Reginaaccanto al porcile; e le sue figlie si protendevano piangendoverso il padre che non le riconosceva.


- Padre! Padre caronon ci ravvisate? siamo le vostre figliuole!Che colpa è la nostra? Che vendetta è la vostra?Liberateciper pietà!...


Il Re le guardava distratto attraverso le sbarre del porcile ediceva alla Regina:

- È strano come queste tre bestie grugniscono pietosamentee protendono le zampe verso di me...


La Reginainquietavoleva liberarsi delle figliastredefinitivamente.


- OsservateMaestàcome son fresche e rosee: ioconsiglierei il gastaldo di farne salame...


- Dite bene - rispose il Re - oggi stesso darò ordine difarle sgozzare...


Le tre reginette caddero prive di sensi.


4.


Rinvennero al luccichìo di coltellacci enormi. Furonolegate mani e piedi ad un bastone; ogni bastonesorretto ai capida due bifolchiprese la via del macello.


Cammin facendo le tre sorelle supplicavano i loro aguzzini.


- Comando del Re!

Esse piangevanodisperate.


- Comando del re! Se il Re si sapesse disobbedito farebbe sgozzareanche noi.


Ma quelle tanto piansero e supplicarono che i sei carneficis'impietosirono.


- Bisogna promettere di non ritornare alla Reggia mai più.


Le tre sorelle promisero.


Allora i bifolchi le portarono fino ai confini del regnoleslegarono e le abbandonarono al loro destino.


5.


Rimaste sole e poverein paese stranierole tre principessedovettero lavorare per campare la vita. Per loro fortuna avevanoimparato fin da bimbe ogni lavoro donnesco; e sapevano cucire ericamare a perfezione.


La bellezza misteriosa delle tre ricamatrici faceva correre stranevoci nella cittàma esse vivevano quiete e laboriosenella piccola casa modesta.


Rimpiangevanotalvolta l'affetto del padre e il regno perduto.


Lionella sparecchiava la mensa e diceva:

- A quest'ora ci si abbigliava per il ballo...


Doralice rigovernava i piatti e diceva:

- A quest'ora le nostre donne ci davano il bagno nell'acqua dirose...


Chiaretta scopava e diceva:

- A quest'ora si andava a caccia dell'airone col girifalco...


E sospiravano.


Picchiava sovente alla porta un vecchio mendicante dalla barbabianca; e sempre le sorelle gli donavano una scodella di minestra.


- Graziefigliuole! Che mani da principesse!...


- Siamo principesse.


E una sera si sedettero col vecchio sulla panca dellastrada e gli confidarono la loro storia.


- Povere figliuole! Non m'è nuovo questo incantesimo... IlRevostro padreha bevuto la fatatura dello scambio...


E trasse fuori dalla bisaccia un libercolo di pergamena sgualcito ecominciò a sfogliarlo attentamente. L'aveva trovato anniaddietronella caverna di un montepresso lo scheletro d'uneremita.


- Contro la fatatura dello scambio c'è un'acquainfallibile: l'acqua che ballache suonache canta; ma non si sadove sia...


Per molti giorni le sorelle meditarono le parole del vecchio. Euna sera Lionella disse:

- Sorelle mieio sono la primogenita. Ho deciso di tentar lasorte per tutte. Partirò alla ricerca dell'acqua miracolosa.


Abbracciò le sorelle piangenti e sul fare dell'alba se nepartì.


Passarono i giornile settimanei mesi; e Lionella non ritornava.


Compiva l'annoil meseil giorno quando Doralice disse aChiaretta:

- Sorella miasono la secondogenita. È giusto ch'io mimetta alla ventura.


Partiròdomani.


All'alba abbracciò la sorella e se ne partì.


Chiaretta restò sola nella piccola casa deserta. Passòil tempo.


Compiva l'annoil meseil giorno e Chiaretta decise di porsi allaventura.


Camminacamminacammina...


Attraversò fiumi e boschimonti e pianuremendicando untozzo di pane ai casolari. Le massaiesulla sogliaguardavanostupite quella bella mendica giovinetta.


- Buone donnesapreste darmi notizia dell'acqua che ballachesuonache canta?

Ma quelle si stringevano nelle spalle. Nessuna sapeva.


E Chiaretta riprendeva sconfortata il cammino. Una sera siaddormentò tra le foglie secchesotto un castagno. All'albasi sentì tirare una cioccasulla tempia: si volse e vide unalucertola con due code impigliata nei suoi capelli d'oro.


- Ho passata la notte nei tuoi capelli ed ora son prigioniera...Liberami e ti ricompenserò!

Chiaretta liberò le zampine dall'intrico dei legami sottili.


La lucertola le diede una delle sue due code.


- Tienla preziosa. Ad ogni domanda ti risponderà.


Chiaretta contemplò a lungo il moncherino che s'agitavanella sua palma distesa.


- Codacodinasai dirmi dov'è l'acqua che suonache ballache canta?

E la coda girò nella palma della manosi tese verso unpunto dell'orizzonte come l'ago di una bussola.


Chiaretta prese quella direzione.


Camminacamminacamminagiunse in un paese lontanofra dirupispaventosi; e sentì la codina agitarsi nella sua tascaquasiad avvisarla. Domandò ad una vecchietta notizie dell'acquaportentosa.


- Sìla fonte è qui! Ma è in custodia di unnegromante che abita lassùin quel castello che vedete.Arrivano sovente dame e cavalierientrano nel giardino dellesette portema nessuno ne esce più...


Chiaretta entrò coraggiosa nel giardino fatatostringendo in una mano l'ampolla vuotanell'altra la codinamiracolosa. Il giardino era un laberinto dalle mille strade tortuosedove fatto il primo passo si restava smarriti.


Ma chiaretta seguiva ogni movimento della codina oscillante nellapalma della sua mano. E gira e rigirasul tramonto riuscì inuna pianura dove in una conca immensa si raccoglieva l'acquameravigliosa.


Attorno alla fontana si vedevanoa perdita d'occhiostatuedi marmo candidissimo.


Chiaretta fece per riempire l'ampollama sentì la codinaagitarsi disperata nell'altra manoe l'osservò. Ilmoncherino cominciò a piegarsi a Npoi a Opoi ancora a Npoi prese a parlare con lettere viventi:

- Non toccare l'acqua fatata! Chi la tocca resta di marmo.


Allora Chiaretta appese l'ampolla ad un filola calò el'estrasse ricolma; poi la turò e la pose in tasca.Pensava al ritorno quando riconobbe in una statua la sorellaDoralice; guardò quella dopo: era Lionella. Prese adabbracciare il freddo marmopiangendo.


- Codacodinarisuscita le mie sorelle!

Accostò il moncherino alle statue e quelle rivisseroall'istante.


Le tre principesse ripresero la via della patria.


6.


Giunte al regno del padrele sorelle si travestirono dapellegrineper non essere riconosciute dalla matrigna che le credevamorte; e col volto coperto d'un velo fitto e il petto adorno diconchiglie e d'amuleti si presentarono al palazzo.


Il Re le ricevette nella sala del trono. Accanto a lui sedeva lamatrigna e le tre scrofe usurpatricivestite di stoffe prezioseadorne d'oro e di gemme.


- Sire! Siamo pellegrine reduci di Terra Santa. Abbiamo portato daipaesi del Gran Turco un'acqua dilettosa che vogliamo offrire allaMaestà Vostra.


E Chiaretta trasse fuori l'ampollala sturòla depose aipiedi del trono.


Subito ne balzò fuori l'acqua fatatafece un inchino ecominciò a salire i gradini del trono danzando e cantando alsuono di una musica lontana. La sua canzone narrava di treprincipesse perseguitate dalla matrigna e d'un Re insanito per unfiltro malvagionarrava tutta l'istoria pietosa delle tregiovinette.


La matrigna fece per ghermire e disperdere l'acqua delatrice mala toccò appena che restò di marmo.


Al Re fu come cadesse dagli occhi una benda; vide le tre bestieimmonde sedute sui seggi delle figlie rinnegatecapìe scese a braccia aperte stringendo le tre pellegrine che si eranoscoperte il viso.


La Corte acclamava il Re rinsavito e le principesse redivive.


Questepietosevollero ritornare in vita la Reginapietrificatae cercarono la coda di lucertolama la coda non c'erapiù.


E la matrigna di marmocol volto furente e le mani protesefucollocata su un piedistallonell'atrio del palazzoe vi restònei secolo come statua della malvagità.





La camicia della trisavola


Quando (il tempo non ricordo!) canigattitopi a schiera ben simisero d'accordo c'eraallorac'era... c'era...


... un orfano detto Prataiolotardo e trasognatotenuto datutti per un mentecatto. Prataiolo mendicava di porta in porta edera accolto benevolmente dalle massaie e dalle fantescheperchétagliava il legnoattingeva al pozzo; e quelle lo compensavano conuna ciotola di minestra. Ma quando Prataiolo compì idiciott'anniil vicinato cominciò ad accoglierlo menobene ed a rimproverargli il suo ozioso vagabondare.


Tanto che egli decise di lasciare il paese e di mettersi pelmondo alla ventura.


Andò a salutare la sua sorella di latteCiclaminae questagli disse:

- Voglio darti una piccola cosaper mio ricordo. Non sono ricca enon posso fare gran che. Aggiungerò al tuo fardello unalogora camicia della mia trisavolache era negromante.


Prataiolo non poté nascondere un sorriso di delusione.


- Non sdegnare il mio donoo Prataiolo. Ti sarà piùutile che tu non pensi.


Tibasterà distendere la camicia per terra e comandare ciòche vorrai: e ciò che vorrai sarà fatto.


Prataiolo prese il donoabbracciò la sorellae partì.Verso sera sentiva appetito e trovandosi senza provviste esenza denarocominciava ad inquietarsiperché avevaben poca fiducia nella tela miracolosa.


Volle provaretuttavia; la distese in terra e mormorò:

- Camicia della trisavolavorrei un pollo arrosto!

Ed ecco disegnarsi a poco a poco l'ombra di un polloleggieradapprima e trasparentepoi più densa e concretasolida edorata come un pollo naturale.


Eun profumo delizioso si diffondeva intorno.


Prataiolo non osava toccarlotemendo un malefizio. Poi si chinòlo palpòne strappò un'alala portò allabocca.


Era un pollo autentico e squisito. Ordinò allora una tortaallo zibibboun piatto di pescheuna bottiglia di Cipro.


E tutto si disegnava leggierosi concretava a poco a pocosulla camicia miracolosa.


Prataiolo mangiava tranquilloseduto sull'erbaquando videsulla strada maestra un mendicante che lo fissava muto esupplichevole.


- Posso offrirticompagno?

Il vecchio non si fece pregare e divise il banchetto con lui.


Ma quando vide la comparsa meravigliosa delle portatepregòil ragazzo di donargli la tela magica.


- Ti darò questo mio bastone in compenso.


- E che vuoi che ne faccia?

- Se tu sapessi la virtù di questo mio bastoneaccetteresti con gioia.


Contienemille piccole celle ed ogni cella racchiude un cavaliere armato eun cavallo bardato di tutto punto. Ogni volta che avrai bisognod'aiuto ti basterà comandare: Fuori l'armata!».


Prataiolo aveva sempre sognato d'essere generale e non potéresistere a quella tentazione: accettò il cambio e si misein cammino. Ma dopo poche ore era già pentito.


- Ho fame e non ho più la mia camicia! A che puògiovarmi un 'armata quando lo stomaco è vuoto?

L'appetito cresceva e per distrarsi egli puntò in terra ilbastone e comandò:

- Fuori l'armata!

Ed ecco un fruscìo dal di dentropoi aprirsi nellegno tante piccole finestre e da ogni finestra uscir fuori un cosinominuscolo come un'ape; poi crescere in pochi secondicrescereformare all'intorno una muraglia di cavalli scalpitantie di cavalieri armati.


Prataiolo guardava trasognato.


- Che cosa comandatesignor generale?

Egli ebbe un'idea.


- Che mi sia riportata la camicia della trisavola!

L'armata partì di gran galopposparve all'orizzonteepoco dopo era di ritorno con la tela miracolosa.


- L'armata rientri in caserma! ...


Prataiolo puntò il bastone in terra. Cavalli ecavalieri presero a rimpicciolirein pochi secondi ritornaronominuscoli come apirientrarono nelle cellette che si rinchiuserosul legno senza lasciar traccia.


Prataiolo era felice.


Riprese la via e giunse ad un mulino.


Il mugnaio era sulla soglia e suonava il flauto: la moglie e isuoi nove figli danzavano intorno. Prataiolo sentì cheavvicinandosi gli cresceva una voglia irresistibile di muover legambe; poi fu costretto da una forza ignorata a ballare con gli altriballerini.


Sentiva intanto la moglie del mugnaio che danzando gridavafuribonda al marito:

- Basta! Basta! Uomo senza cuore! Dacci del pane invece checostringerci a ballare!

Poi rivolgendosi a Prataiolo che ballava con loro:

- Vedete? Questo mascalzone di maritoquando lo si prega disfamarciprende il suo flauto dannato e ci costringe a ballare!

Il mugnaioquando gli piacquesmise di suonare e la mogliei figliPrataiolo caddero sfiniti dalla ridda vertiginosa.Prataioloriprese le forzedistese la camicia della trisavola ecomandò un pranzo magnifico. Invitò il mugnaio e lasua famiglia sbigottita a dividere il pasto. Quelli non si feceropregaree giunti alle frutta il mugnaio disse:

- Cedimi la camicia ed io ti do il mio flauto.


Prataiolo accettò il cambiogià sicuro di ciòche doveva fare poco dopo.


Giuntoinfattia dieci miglia dal paesespedì i millecavalieri che gli riportarono la tela.


- Ed eccomi ora possessore della camiciadel bastonedel flautomagico...


Nonposso desiderare di più.


Arrivò verso sera in una città e vide grandiannunci a vivi colori. Si accordava la mano della figlia del Rea chi sapeva guarirla della sua insanabile malinconia.


Prataiolo si presentò subito alla Reggia. Il Re dava quellasera un banchetto di gala agli ambasciatori del Gran Sultanomaudita la profferta dello sconosciutolo fece passareall'istante. Prataiolo entrò nella sala immensae fuabbagliato dallo sfolgorio degli ori e delle gemme.


Sedevano a mensa più di cinquecento personecon a capo ilRela Regina e la Principessabella ed assortapallida come ungiglio.


Prataiolo fece legare da un servo le gambe della Principessasenza che i commensali se n'avvedesseropoi si rifugiòin un angolo e cominciò le prime note. Ed ecco un agitarsiimprovviso fra i commensaliun fremere di gambe e di ginocchia...Poi tutti s'alzano d'improvvisoscostano le sediecominciano aballare guardandosi l'un l'altrospaventati.


Principibaroniambasciatori panciutibaronesse pingui evenerabiliservi e coppierie financo i veltrii pavoniifagiani farciti nei piatti d'orotutti si animaronocominciarono aballare la danza irresistibile.


- Basta! Basta! Per pietà! - gridavano i più vecchi ei più pingui.


- Avanti! Avanti ancora! - dicevano i più giovanitenendosiper mano.


La Principessalegata alla sua sediatentava anch'essa d'alzarsi eguardava gli altrie rideva giubilante. Quando piacque a Prataioloil suono cessò e i cinquecento ballerini caddero sfiniti sullesedie e sui tappetile dame senza scarpette e senza parrucca. LaPrincipessa rise per un'ora e quando poté parlare disseal Re:

- Padre miocostui mi ha risanata ed io sono la sua sposa.


Il Re acconsentìma Prataiolo esitava.


- Ho lasciata al paese la mia sorella di lattebella come ilsole e alla quale devo la mia fortuna; vorrei farvela conoscere.


- Partitedunquee portatela fra noi - dissero i commensali.


I mille cavalieri comparverooccupando la sala immensafra lostupore generale.


- Mi sia portata Ciclaminala mia piccola sorella -. E l'armataattraversò la Reggiale salegli scalonicon gran fragore.Poco dopo era di ritorno con la sorella Ciclamina. La fanciulla futrovata così bellache un ambasciatore se ne innamoròall'istante.


E in uno stesso giorno furono celebrate le doppie nozze.