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GalileoGalilei



ILSAGGIATORE

NELQUALE

CONBILANCIA ESQUISITA E GIUSTA

SIPONDERANO LE COSE CONTENUTE

NELLALIBRA ASTRONOMICA E FILOSOFICA

DI

LOTARIOSARSI SIGENSANO

SCRITTO

INFORMA DI LETTERA

ALL'ILLUSTRISSIMOE REVERENDISSIMO

MONSIG.

D.VIRGINIO CESARINI

ACCADEMICOLINCEO

MAESTRODI CAMERA DI N. S.

DALSIGNOR

GALILEOGALILEI

ACCADEMICOLINCEO NOBILE FIORENTINO

FILOSOFOE MATEMATICO PRIMARIO

DEL

SERENISSIMO

GRANDUCA DI TOSCANA

 

ALLASANTITÀ DI N. S.

PAPAURBANO OTTAVO





 

Inquesto universal giubilo delle buone lettereanzi dell'istessavirtùmentre la Città tuttae spezialmente la SantaSedepiù che mai risplende per esservi la SantitàVostra da celeste e divina disposizione collocatae non vi èmente alcuna che non s'accenda a lodevoli studi ed a degne operazioniper venerareimitandoessempio sì eminentevegniamo noi acomparirle davanticarichi d'infiniti oblighi per li benefiziisempre dalla sua benigna mano ricevutie pieni di contento ed'allegrezza per vedere in così sublime seggio un tantopadrone essaltato. Portiamoper saggio della nostra divozione e pertributo della nostra vera servitùil Saggiatore delnostro Galileidel Fiorentino scopritore non di nuove terrema dinon più vedute parti del cielo. Questo contiene investigazionidi quegli splendori celestiche maggior maraviglia soglionoapportare. Lo dedichiamo e doniamo alla Santità Vostracome aquella c'ha l'anima di veri ornamenti e splendori ripienae c'ha adaltissime imprese l'eroica mente rivolta; desiderando che questoragionamento d'inusitate faci del cielo sia a lei segno di quel piùvivo ed ardente affetto che è in noidi servire e di meritarela grazia di Vostra Santità. Ai cui piedi intanto umilmenteinchinandocila supplichiamo a mantener favoriti i nostri studi co'cortesi raggi e vigoroso calore della sua benignissima protezione.

DiRomali 20 di Ottobre 1623.

DellaSantità Vostra

Umilissimied Obligatissimi Servi

 

Ionon ho mai potuto intendereIllustrissimo Signoreonde sia nato chetutto quello che de' miei studiper aggradire o servire altruim'èconvenuto metter in publicoabbia incontrato in molti una certaanimosità in detrarredefraudare e vilipendere quel poco dipregio chese non per l'operaalmeno per l'intenzion mia m'eracreduto di meritare. Non prima fu veduto alle stampe il mio NunzioSidereo dove si dimostrarono tanti nuovi e meravigliosidiscoprimenti nel cieloche pur doveano esser grati agli amatoridella vera filosofiache tosto si sollevaron per mille bandeinsidiatori di quelle lodi dovute a così fatti ritrovamenti:né mancaron di quelli chesolo per contradir a' miei dettinon si curarono di recar in dubbio quanto fu veduto a lor piacimentoe riveduto più volte da gli occhi loro. Imposemi ilSerenissimo Gran Duca Cosimo IIdi gloriosa memoria mio signorech'io scrivessi il mio parere delle cagioni del galleggiare oaffondarsi le cose nell'acqua; eper sodisfar a così fattocomandamentoavendo disteso in carta quanto m'era sovvenuto oltrealla dottrina d'Archimedeche per avventura è quanto di veroin effetto circa sì fatta materia poteva dirsieccoti subitopiene tutte le stamperie d'invettive contro del mio Discorso;né avendo punto riguardo che quanto da me fu prodottofusse confermato e concluso con geometriche dimostrazionicontradissero al mio parerené s'avvidero (tanto ebbe forzala passione) che 'l contradire alla geometria è un negarescopertamente la verità. Le Lettere delle Macchie Solarie da quanti e per quante guise fur combattute? e quellamateria che doverebbe dar tanto campo d'aprir gl'intelletti adammirabili speculazionida moltio non creduta o poco stimatadeltutto è stata vilipesa e derisa; da altriper non volereacconsentire a' miei concettisono state prodotte contro di meridicole ed impossibili opinioni; ed alcunicostretti e convintidalle mie ragioniànno cercato spogliarmi di quella gloriach'era pur miaedissimulando d'aver veduto gli scritti mieitentarono dopo di me farsi primieri inventori di meraviglie cosìstupende. Tacerò d'alcuni miei privati discorsidimostrazionie sentenzemolte di esse da me non publicate alle stampetuttestate malamente impugnate o disprezzate come da nulla; non mancandoanco queste d'essersi talora abbattute in alcuni che con belladestrezza si sieno ingegnati di farsi con esse onorecome inventateda i loro ingegni.

Iopotrei di tali usurpatori nominar non pochi; ma voglio ora passarlisotto silenzioavvenga che de' primi furti men grave castigo prendersi soglia che de i susseguenti. Ma non voglio già piùlungamente tacere il furto secondoche con troppa audacia mi havoluto fare quell'istesso che già molti anni sono mi fecel'altrod'appropriarsi l'invenzione del mio compasso geometricoancor ch'io molti anni innanzi l'avessi a gran numero di signorimostrato e conferitoe finalmente fatto publico colle stampe: esiami per questa volta perdonato secontro alla mia naturacontroal costume ed intenzion miaforse troppo acerbamente mi risento edesclamo colà dove per molti anni ho taciuto. Io parlo di SimonMario Guntzehusano che fu quello che già inPadovadove allora io mi trovavatraportò in lingua latinal'uso del detto mio compassoed attribuendoselo lo fece ad un suodiscepolo sotto suo nome stamparee subitoforse per fuggir ilcastigose n'andò alla patria sualasciando il suo scolarecome si dicenelle peste; contro il quale mi fu forzain assenza diSimon Marioproceder nella maniera ch'è manifesto nellaDifesa ch'allora feci e publicai. Questo istessoquattro annidopo la publicazione del mio Nunzio Sidereo avvezzo avolersi ornar dell'altrui fatichenon si è arrossito nelfarsi autore delle cose da me ritrovate ed in quell'opera publicate;e stampando sotto titolo di Mundus Iovialis etc.hatemerariamente affermatosé aver avanti di me osservati ipianeti Mediceiche si girano intorno a Giove. Ma perché dirado accade che la verità si lasci sopprimer dalla bugiaeccoch'egli medesimo nell'istessa sua operaper sua inavvertenza e pocaintelligenzami dà campo di poterlo convincere con testimoniirrefragabili e manifestamente far palese il suo fallomostrandoch'egli non solamente non osservò le dette stelle avanti dimema non le vide né anco sicuramente due anni dopo: e dicodi piùche molto probabilmente si può affermare ch'einon l'ha osservate già mai. E ben ch'io da molti luoghi delsuo libro cavar potessi evidentissime prove di quanto dicoriserbando l'altre ad altra occasionevoglioper non diffondermisoverchiamente e distrarmi dalla mia principale intenzioneprodurreun luogo solo.

ScriveSimon Mario nella seconda parte del suo Mondo Giovialealla considerazione del sesto fenomenod'aver con diligenzaosservatocome i quattro pianeti gioviali non mai si trovano nellalinea retta parallela all'eclittica se non quando sono nelle massimedigressioni da Giove; ma che quando son fuori di questesempredeclinano con notabil differenza da detta linea; declinanodicodaquella sempre verso settentrione quando sono nelle parti inferioride' lor cerchied all'opposito piegano sempre verso austro quandosono nelle parti superiori: e per salvar cotal apparenzastatuisce ilor cerchi inclinati dal piano dell'eclittica verso austro nelleparti superiorie verso borea nell'inferiori. Or questa sua dottrinaè piena di fallaciele quali apertamente mostrano etestificano la sua fraude.

Eprimanon è vero che i quattro cerchi delle Medicee inclininodal piano dell'eclittica; anzi sono eglino ad esso sempreequidistanti. Secondonon è vero che le medesime stelle nonsieno mai tra di loro puntualmente per linea retta se non quando siritrovano costituite nelle massime digressioni da Giove; anzi taloraaccade ch'esse in qualunque distanzae massima e mediocre e minimasi veggono per linea esquisitamente rettaed incontrandosi insiemeancor che sieno di movimenti contrarii e vicinissime a Giovesicongiungono puntualmentesì che due appariscono una sola. Efinalmenteè falso che quando declinano dal pianodell'eclitticapieghino sempre verso austro quando sono nelle metàsuperiori de i lor cerchie verso borea quando sono nell'inferiori;anzi in alcuni tempi solamente fanno lor declinazioni in cotal guisaed in altri tempi declinano al contrariocioè verso boreaquando sono ne mezi cerchi superiorie verso austro nell'inferiori.Ma Simon Marioper non aver né inteso né osservatoquesto negozioha inavvertentemente scoperto il suo fallo. Ora ilfatto sta così.

Sonoi quattro cerchi de i pianeti Medicei sempre paralleli pianodell'eclittica; e perché noi siamo nell'istesso pianocollocatiaccade che qualunque volta Giove non averàlatitudine ma si troverà esso ancora sottol'eclitticai movimenti d'esse stelle ci si mostreranno fatti peruna stessa linea rettae le lor congiunzioni fatte in qualsivoglialuogo saranno sempre corporalicioè senza verunadeclinazione. Ma quando il medesimo Giove si troverà fuori delpian dell'eclitticaaccaderà che se la sua latitudine saràda esso piano verso settentrionerestando pure i quattro cerchidelle Medicee paralleli all'eclitticale parti loro superiori a noiche sempre siamo nel piano dell'eclitticasi rappresenteranno piegarverso austro rispetto all'inferioriche ci si mostreranno piùboreali; ed all'incontroquando la latitudine di Giove saràaustralele parti superiori de i medesimi cerchietti ci simostreranno più settentrionali dell'inferiori: sì chele declinazioni delle stelle si vedranno fare il contrario quandoGiove ha latitudine borealedi quello che faranno quando Giove saràaustrale; cioè nel primo caso si vedranno declinar versoaustro quando saranno nelle metà superiori de' lor cerchieverso borea nelle inferiori; ma nell'altro caso declineranno perl'oppositocioè verso borea nelle metà superiorieverso austro nelle inferiori; e tali declinazioni saranno maggiori eminorisecondo che la latitudine di Giove sarà maggiore ominore. Orascrivendo Simon Mario d'aver osservato come le dettequattro stelle sempre declinano verso austro quando sono nelle metàsuperiori de' lor cerchi; adunque tali sue osservazioni furon fattein tempo che Giove aveva latitudine boreale: ma quando io feci le mieprime osservazioni Giove era australee tale stette per lungo temponé si fece borealesì che le latitudini delle quattrostelle potessero mostrarsi come scrive Simonese non più didue anni dopo: adunquese pur egli già mai le vide edosservòciò non fu se non due anni dopo di me.

Eccolodunque già dalle sue stesse deposizioni convinto di bugiad'avere avanti di me fatte cotali osservazioni. Ma io di piùaggiungo e dicoche molto più probabilmente si puòcredere ch'egli già mai non le facesse: già ch'egliafferma non l'avere osservate né vedute disposte tra di loroin linea retta isquisitamente se non mentre si ritrovano nellemassime distanze da Giove; e pure la verità è chequattro mesi intericioè da mezo febraio a mezo giugno del1611nel qual tempo la latitudine di Giove fu pochissima o nullaladisposizione di esse quattro stelle fu sempre per linea retta intutte le loro posizioni. E notisiappressola sagacità collaquale egli vuole mostrarsi anteriore a me. Io scrissi nel mio NunzioSidereo d'aver fatta la mia prima osservazione alli 7 di gennaiodell'anno 1610seguitando poi l'altre nelle seguenti notti: vienSimon Marioed appropriandosi l'istesse mie osservazionistampa neltitolo del suo libroed anco per entro l'operaaver fatto le sueosservazioni fino dell'anno 1609onde altri possa far concetto dellasua anteriorità: tuttavia la più antica osservazionech'ei produca poi per fatta da séè la seconda fattada me; ma la pronunzia per fatta nell'anno 1609e tace di far cautoil lettore comeessendo egli separato dalla Chiesa nostranéavendo accettata l'emendazion Gregorianail giorno 7 di gennaio del1610 di noi cattolici è l'istesso che il dì 28 didecembre del 1609 di loro eretici. E questa è tutta laprecedenza delle sue finte osservazioni. Si attribuisce ancofalsamente l'invenzione de' loro movimenti periodicida me conlunghe vigilie e gravissime fatiche ritrovatie manifestati nellemie Lettere Solari ed anco nel trattato che publicaidelle cose che stanno sopra l'acquaveduto dal detto Simonecome siraccoglie chiaramente dal suo librodi dove indubitabilmente egli hacavato tali movimenti.

Main troppo lunga digressionefuori di quello che forse richiedeva lapresente opportunitàmi trovo d'essermi lasciato trascorrere.Peròritornando su 'l nostro cominciato discorsoseguiròdi dire cheper tante chiarissime prove non mi restando piùluogo alcuno da dubitare d'un mal affetto ed ostinato volere controdell'opere mieaveva meco stesso deliberato di starmene chetoaffattoper ovviare in me medesimo alla cagion di quei dispiacerisentiti nell'esser bersaglio a sì frequenti mordacitàe togliere altrui materia d'essercitare sì biasmevol talento.È ben vero che non mi sarebbe mancata occasione di metterfuori altre mie opereforse non meno inopinate nelle filosofichescuole e di non minor conseguenza nella natural filosofia dellepublicate fin ora: ma le dette cagioni ànno potuto tantochesolo mi son contentato del parere e del giudicio d'alcunigentil'uominimiei reali e sincerissimi amicico' qualicommunicando e discorrendo de i miei pensieriho goduto di queldiletto che ne reca il poter conferire quel che di mano in mano nesomministra l'ingegnoscansando nel medesimo tempo la rinovazion diquelle punture per avanti da me sentite con tanta noia. Ànnoben questi signoriamici mieimostrando in non piccola parted'applaudere a i miei concettiprocurato con varie ragioni diritirarmi da così fatto proponimento. E primieramente ànnocercato persuadermi ch'io dovessi poco apprezzare queste tantopertinaci contradizzioniquasi che in effettotutte in fineritornando contro de i loro autorirendesser più viva e piùbella la mia ragionee desser chiaro argomento che non vulgarifussero i miei componimentiallegandomi una commune sentenzache lavulgarità e la mediocritàcome poco o non puntoconsiderateson lasciate da bandae solamente colà sirivolgono gli umani intelletti ove si scopre la meraviglia el'eccessoil quale poi nelle menti mal temperate fa nascer tostol'invidiae appressocon essala maldicenza. E ben che tali esomiglianti ragioniaddottemi dall'autorità di questisignorifusser vicine al distogliermi dal mio risoluto pensiero delnon più scriverenulladimeno prevalse il mio desiderio diviver quieto senza tante contese; e così stabilito nel miopropositomi credetti in questa maniera d'aver ammutite tutte lelingueche ànno finora mostrato tanta vaghezza dicontrastarmi. Ma vano m'è riuscito questo disegnonéco 'l tacer ho potuto ovviare a questa mia così ostinatainfluenzadell'aver a esserci sempre chi voglia scrivermi contro eprender rissa con esso meco.

Nonm'è giovato lo starmi senza parlareché questitantovogliolosi di travagliarmison ricorsi a far mie l'altrui scritture;e su quelle avendomi mosso fiera litesi sono indotti a far cosachea mio crederenon suol mai seguire senza dar chiaro indiziod'animo appassionato fuor di ragione. E perché non dee averpotuto il signor Mario Guiducciper convenienza e carico di suoofficiodiscorrer nella sua Academia e poi publicare il suo Discorsodelle Comete senza che Lottario Sarsi personadel tutto incognitaabbia per questo a voltarsi contro di meesenza rispetto alcuno di tal gentil uomofarmi autore di quelDiscorsonel quale non ho altra parte che la stima e l'onoreda esso fattomi nel concorrere col mio parereda lui sentito ne'sopradetti ragionamenti avuti con que' signoriamici mieico' qualiil signor Guiducci si compiacque spesso di ritrovarsi? E quando puretutto quel Discorso delle Comete fusse stato opera di mia mano(chédovunque sarà conosciuto il signor Mariociònon potrà mai cadere in pensiero)che termine sarebbe statoquesto del Sarsimentre io mostrassi così voler esseresconosciutoscoprirmi la faccia e smascherarmi con tanto ardire? Perla qual cosatrovandomi astretto da questo inaspettato e tantoinsolito modo di trattarevengo a romper la mia già stabilitarisoluzione di non mi far più vedere in publico coi mieiscritti; e procurando giusta mia possa che almeno sconosciuta nonresti la disconvenienza di questo fattospero d'aver a fare uscirvoglia ad alcuno di molestare (come si dice) il mastino che dormeevoler briga con chi si tace.

Eben ch'io m'avvisi che questo nomenon mai più sentito nelmondodi Lotario Sarsi serva per maschera di chi che sia che vogliastarsene sconosciutonon mi staròcome ha fatto esso Sarsia imbrigar in altro per voler levar questa mascheranon mi parendoné azzione punto imitabilené che possa in alcuna cosaporgere aiuto o favore alla mia scrittura. Anzi mi do ad intendereche 'l trattar seco come con persona incognita sia per dar campo afar più chiara la mia ragionee porgermi agevolezza ond'iospieghi più libero il mio concetto. Perché io hoconsiderato che molte volte coloro che vanno in mascherao sonpersone vili che sotto quell'abito voglion farsi stimar signori egentiluominie in tal maniera per qualche lor fine valersi di quellaonorevolezza che porta seco la nobiltà; o talora songentiluomini che deponendocosì sconosciutiil rispettosodecoro richiesto a lor gradosi fanno lecitocome si costuma inmolte città d'Italiadi poter d'ogni cosa parlare liberamentecon ognunoprendendosi insieme altrettanto diletto che ognunosiachi si vogliapossa con essi motteggiare e contender senza rispetto.E di questi secondi credendo io che debba esser quegli che si cuoprecon questa maschera di Lottario Sarsi (ché quando fusse de'primiin poco gusto gli tornerebbe d'aver voluto cosìspacciarla per la maggiore)mi credo ancora chesì come cosìsconosciuto egli si è indotto a dir cosa contro di me che aviso aperto se ne sarebbe forse astenutocosì non gli debbadovere esser grave chevalendomi del privilegio conceduto contro lemascherepossa trattar seco liberamentené mi sia néda lui né da altri per esser pesata ogni parola ch'io peravventura dicessi più libera ch'ei non vorrebbe.

Edho volutoIllustrissimo Signorech'ella sia prima d'ogn'altro lospettator di questa mia replica; imperciocchécomeintendentissima eper le sue qualità nobilissimespogliatad'animo parzialegiustamente sarà per apprender la causa miané lascerà di reprimer l'audacia di quelli chemancando d'ignoranza ma non d'affetto appassionato (ché de glialtri poco debbo curare)volessero appo del vulgoche non intendemalamente stravolger la mia ragione. E ben che fusse mia intenzionequando prima lessi la scrittura del Sarsidi comprendere in unasemplice lettera inviata a V. S. Illustrissima le rispostetuttavianel venire al fattomi sono in maniera moltiplicate tra le mani lecose degne d'esser notate che in essa scrittura si contengonoche dilungo intervallo m'è stato forza passar i termini d'unalettera. Ho nondimeno mantenuta l'istessa risoluzione di parlar conV. S. Illustrissima ed a lei scriverequalunque si sia poi riuscitala forma di questa mia risposta; la quale ho voluta intitolare colnome di Saggiatore trattenendomi dentro la medesimametafora presa dal Sarsi. Ma perché m'è paruto chenelponderare egli le proposizioni del signor Guiduccisi sia servitod'una stadera un poco troppo grossaio ho voluto servirmi d'unabilancia da saggiatoriche sono così esatte che tirano a menod'un sessantesimo di grano: e con questa usando ogni diligenzapossibilenon tralasciando proposizione alcuna prodotta da quellofarò di tutte i lor saggi; i quali anderò per numerodistinguendo e notandoacciòse mai fussero dal Sarsi vedutie gli venisse volontà di rispondereei possa tanto piùagevolmente farlosenza lasciare indietro cosa veruna.

Mavenendo ormai alle particolari considerazioninon sarà peravventura se non bene (acciò che niente rimanga senza esserponderato) dir qualche cosa intorno all'inscrizzion dell'operalaquale il signor Lottario Sarsi intitola Libra Astronomica eFilosofica; rende poi nell'epigrammach'ei soggiungelaragion che lo mosse a così nominarlala qual è chel'istessa cometacol nascere e comparir nel segno della Libravollemisteriosamente accennargli ch'ei dovesse librar con giusta lance eponderar le cose contenute nel trattato delle comete publicato dalsignor Mario Guiducci. Dove io noto come il Sarsi cominciatantopresto che più non era possibilea tramutar con granconfidenza le cose (stile mantenuto poi in tutta la sua scrittura)per accommodarle alla sua intenzione. Gli era caduto in pensieroquesto scherzo sopra la corrispondenza della sua Libra collaLibra celestee perché gli pareva che argutamente venisse lasua metafora favoreggiata dall'apparizion della cometaquando ellafusse comparita in Libraliberamente dice quella in tal luogo essernata; non curando di contradire alla veritàed anco in certomodo a sé medesimocontradicendo al suo proprio Maestroil quale nella sua Disputazionealla fac. 7conclude così:"Verumquæcunque tandem ex his prima cometæ luxfueritilli semper Scorpius patria est"; e dodici versi piùa basso: "Fuerit hoc sanecum in Scorpiohoc est in Martispræcipua domonatus sit"; e poco di sotto: "Egoquoad me attinetpatriam eius inquiroquam Scorpium fuisse affirmocunctis etiam assentientibus." Adunque molto piùproporzionatamenteed anco più veridicamentese riguarderemola sua scrittura stessal'avrebbe egli potuta intitolareL'astronomico e filosofico scorpione costellazione dalnostro sovran poeta Dante chiamata

figuradel freddo animale

checolla coda percuote la gente

everamente non vi mancano punture contro di mee tanto piùgravi di quelle degli scorpioniquanto questicome amici dell'uomonon feriscono se prima non vengono offesi e provocatie quello mordeme che mai né pur col pensiero non lo molestai. Ma miaventurache so l'antidoto e rimedio presentaneo a cotalipunture! Infragnerò dunque e stropiccerò l'istessoscorpione sopra le feriteonde il veleno risorbito dal propriocadavero lasci me libero e sano.

Orvegniamo al trattatoe sia il primo saggio intorno ad alcune paroledel proemiocioè da "Unusquod sciam"fino a"Doluimus". Il qual proemio sarà però da noiqui registrato interoper total compitezza del testo latinoalquale non vogliamo che manchi pur un iota.

Tribusin cælo facibus insolenti lumineanno superiorefulgentibusnemo hebeti adeo ingenio ac plumbeis oculis fuitquiutramque in illas aciem non intenderit aliquandomiratusque non sitinsueti fulgoris eo tempore feracitatem. Sed quoniam est vulgusutsciendi avidissimumita ad rerum causas investigandas minus aptumab iis propterea sibi tantarum rerum scientiamiure veluti suoexposcebatad quos cæli mundique totius contemplatio maximepertineret. Philosophorum igitur astronomorumque Academiasconsulendas illico censuit. Quid igitur nostra hæc Gregorianaquæet disciplinarum et Academicorum multitudine nobilisseinter cæteras designari omnium oculisse maxime consuliab seresponsa expectarifacile intelligebat? Committere enimvero nonpotuitne in requamquam dubiasuo saltem muneri et postulantiumvotis utcumque satisfaceret. Præstitere hoc iiquibus exmunere id oneris incumbebat; nec malesi summorum etiam capitumsuffragium spectes. Unusquod sciamDisputationem nostrametquidem paulo acriusimprobavit Galilæus."

Nellequali ultime parolecioè "Unusquod sciam"egliafferma che noi agramente abbiamo tassata la Disputazion del suoMaestro. Al che io non veggo per ora che occorra risponder cosaalcunaavvenga che il suo detto è assolutamente falso; poicheper diligenza usata in cercar nella scrittura del signor Marioil luogo (già ch'egli nol cita)non l'ho saputo ritrovare. Maintorno a questo avremo più a basso altre occasioni diparlare.

Seguitaappresso (e sia il secondo saggio): "Doluimus primumquod magninominis viro hæc displicerent; deinde consolationis loco fuitab eodem Aristotelem ipsumTychonemaliosquenon multo mitius hacin disputatione habitos: ut sane non aliæ iis texendæforent apologiæquibus communis cum summis ingeniis causasatisvel ipsis silentibusapud æquos æstimatores prose ipsa peroraret."

Quidiceaver da principio sentito dolore che quel Discorso misia dispiaciutoma soggiunge essergli stato poi in luogo diconsolazione il veder l'istesso Aristotile Ticone edaltri esser con simile asprezza tassati; onde non erano di mestierialtre difese a quelli che nell'accuse fussero a parte con ingegnieminentissimila causa stessa de' qualianco nel lor silenzioappresso giusti giudici assai da per se stessa parlava e sidifendeva. Dalle quali parole mi par di raccorre cheper giudiciodel Sarsidi quelli che intraprendono a impugnar autori d'ingegnoeminentissimo si debba far così poca stimache né ancometta conto che alcuno si ponga alla difesa de gli oppugnatila solaautorità de' quali basta a mantener loro il credito appressogl'intendenti. E qui voglio che V. S. Illustrissima noti come ilSarsiqual se ne sia la causao elezzione o inavvertenzaaggravanon poco la reputazion del P. Grassi suo precettoreprincipale scopodel quale nel suo Problema fu d'impugnar l'opiniond'Aristotile intorno alle cometecome nella sua scritturaapertamente si vede e l'istesso Sarsi replica e conferma in questaalla fac. 7; di modo che se i contradittori a gli uomini grandissimidevono esser trapassatiil P. Grassi doveva esser un di questi.Tuttavia noi non solamente non l'abbiamo trapassatoma ne abbiamofatto la medesima stima che de gl'ingegni eminentissimiaccoppiandolo con quelli; sì che in cotal particolarealtrettanto viene egli da noi essaltatoquanto dal suo discepoloabbassato. Io non veggo che il Sarsi possa per sua scusa addurrealtrose non che il suo senso sia stato che degli oppositori agl'ingegni eminentissimi si devono ben lasciar da banda i volgarimaall'incontro pregiar quegli ch'essi ancora sono eminentissimitra iquali egli abbia inteso di riporre il suo Maestroe noi altri tra ipopolarionde per cotal rispetto quello che al Maestro suo siconveniva farea noi sia stato di biasimo.

Segueappresso (e sia il terzo saggio): "Sed quando sapientissimisetiam viris operæ pretium visum est ut esset saltem aliquisqui Galilæi disputationemtum in iis quibus aliena oppugnattum etiam in iis quibus sua promitpaulo diligentius expenderet;utrumque mihi paucis agendum statui."

Ilsenso di queste parolecontinuato con quello delle precedentimipar ch'importi questo: che de' contradittori a gl'ingegnieminentissimi non si debbacome già si è dettofarcontoma trapassargli sotto silenzioe se pur si dovesse lorrisponderesi dia il carico a persone più tosto bassech'altrimenti; e che però nel nostro caso sia paruto a uominisapientissimi che sia ben fatto che non l'istesso P. Grassi o altrod'egual reputazionema che "saltem aliquis" rispondesse alGalilei. E sin qui io non dico né replico altromaconoscendo e confessando la mia bassezzainclino il capo allasentenza d'uomini tali. Ben mi maraviglio non poco che il Sarsi diproprio moto si abbia eletto d'esser quel "saltem aliquis"ch'abbracci e si sbracci a tale impresa cheper giudicio d'uominisapientissimi e suonon doveva esser deferita in altri che inqualche soggetto assai bassoné so ben intendere comeessendo naturale instinto d'ognuno l'attribuire a se stesso piùtosto più che manco del meritoora il Sarsi avvilisca tantola sua condizioneche s'induca a spacciarsi per un "saltemaliquis". Questo inverisimile mi ha tenuto un pezzo sospesoefinalmente m'ha fatto verisimilmente credere ch'in queste sue parolepossa esser un poco d'error di stampae che dov'è stampato"ut esset saltem aliquis qui Galilæi disputationemdiligentius expenderet"si debba leggere "ut esset quisaltem aliqua in Galilæi disputatione paulo diligentiusexpenderet": la qual lettura io tanto reputo esser la vera elegittimaquanto ella puntualmente si assesta a tutto 'l resto deltrattatoe l'altra mal s'aggiusta alla stima ch'io pur vogliocredere che il Sarsi faccia di se stesso. Vedrà dunque V. S.Illustrissimanell'andar meco essaminando la sua scritturaquantosia vero questo ch'io dicocioè ch'egli delle cose scrittedal signor Mario ha solamente essaminato "aliqua"anzipure "saltem aliqua"cioè alcune minuzie di pocorilievo alla principale intenzionetrapassando sotto silenzio leconclusioni e le ragioni principali: il che ha egli fatto perchéconosceva in coscienza di non poter non le lodare e confessar vereche sarebbe poi stato contro alla sua intenzioneche fu solamente didannare ed impugnarecom'egli stesso scrive alla fac. 42 con questeparole: "Atque hæc de Galilæi sententiain iis quæcometam immediate spectantdicta sint. Plura enim dici vetatipsemetquiin bene longa disputationequid sentiret paucisadmodum atque involutis verbis exposuitnobisque plura in illumafferendi locum præclusit. Qui enim refelleremus quæ ipsenec protulitneque nos divinare potuimus?" Nelle quali paroleoltre al vedersi la già detta intenzion di confutar solamenteio noto due altre cose: l'una èch'ei simula di non averintese molte cose per essere (dic'egli) state scritte oscuramenteche vengon a esser quelle nelle quali non ha trovato attacco per lacontradizzione; l'altrach'egli dice non aver potuto confutar lecose ch'io non ho profferite né egli ha potute indovinare:tuttavia V. S. Illustrissima vedrà come la verità èche la maggior parte delle cose ch'ei prende a confutare sono dellenon profferite da noima indovinate o vogliam dire immaginate daesso.

"Remquamplurimis pergratam me facturum speransquibus Galilæifactum nullo nomine probari potuit: quod tamen in hac disputationeita præstabout abstinendum mihi ab iis verbis perpetuoduxerimquæ exasperati magis atque iracundi animiquamscientiæindicia sunt. Hunc ego respondendi modum aliissiqui volentfacile concedam.

Agiteigiturquando ille etiam per internuncios atque interpretes rem agiiubetut propterea non ipse per sesed per Consulem AcademiæMarium sui secreta animi omnibus exposueritliceat etiam nunc mihinon quidem Consulised tamen mathematicarum disciplinarum studiosoea quæ ex Horatio Grassio Magistro meo de nuperrimis eiusdemGalilæi inventis audierimnon uni tantum Academiæsedreliquis etiam omnibus qui latine noruntexponere. Neque hic mireturMariusConsule se prætermissocum Galilæo rem transigi.PrimumenimGalilæus ipsein litteris ad amicos Romam datissatis aperte disputationem illam ingenii sui fœtum fuisseprofitetur; deindecum idem Marius peringenue fateaturnon sua seinventased quæ Galilæo veluti dictante excepissetsumma fide protulissepatieturarbitrornon iniquecum Dictatorepotius me de iisdemquam cum Consuleinterim disputare."

Intutto questo restante del proemio io noto primamentecome il Sarsipretende d'aver fatto cosa grata a molti colla sua impugnazione: equesto forse può essergli accaduto con alcuni che non abbianoper avventura letta la scrittura del signor Marioma se ne sienostati all'informazion sua; la quale venendo fatta privatamente e(come si dice) a quattr'occhiquanto e quanto sarà ella statalontana dalle cose scrittepoi che in questa publica e stampata einon s'astiene d'apportar in campo moltissime cose come scritte dalsignor Mariole quali non furon mai né nella sua scrittura népur nella nostra imaginazione? Soggiunge poivolersi astenere daquelle parole che danno indizio più tosto d'animo innaspritoed adiratoche di scienza: il che quanto egli abbia osservatovedremo nel progresso. Ma per ora noto la sua confessioned'essereinternamente innasprito ed in colleraperché quando ei nonfusse taleil trattar di questo volersi astenere sarebbe stato nondirò a spropositoma superfluoperché dove non èabito o disposizionel'astinenza non ha luogo.

Aquello ch'egli scrive appressodi voler come terza persona riferirquelle cose ch'egli ha intese dal P. Orazio Grassisuo precettoreintorno agli ultimi miei trovatiio assolutamente non credo talcosae tengo per fermo che il detto Padre non abbia mai nédette né pensate né vedute scritte dal Sarsi talifantasietroppo lontane per ogni rispetto dalle dottrine che siapprendono nel Collegio dove il P. Grassi è professorecomespero di far chiaramente conoscere. E giàsenza puntoallontanarmi di quichi sarebbe quello cheavendo pur qualchenotizia della prudenza di quei Padrisi potesse indurre a credereche alcuno di essi avesse scritto e publicatoch'io in lettereprivatescritte a Roma ad amiciapertamente mi fussi fatto autoredella scrittura del signor Mario? cosa che non è vera; equando vera fusse statail publicarla non poteva non dar qualcheindizio d'aver piacere di sparger qualche seme onde tra stretti amicipotesse nascer alcun'ombra di diffidenza. E quali termini sono ilprendersi libertà di stampar gli altrui detti privati? Ma èbene che V. S. Illustrissima sia informata della verità diquesto fatto.

Pertutto il tempo che si vide la cometaio mi ritrovai in lettoindispostodovesendo frequentemente visitato da amicicadde piùvolte ragionamento delle cometeonde m'occorse dire alcuno de' mieipensieriche rendevano piena di dubbi la dottrina datane sin qui.Tra gli altri amici vi fu più volte il signor Marioesignificommi un giorno aver pensiero di parlar nell'Academia dellecometenel qual luogoquando così mi fusse piaciutoegliavrebbe portatetra le cose ch'egli aveva raccolte da altri autori equelle che da per sé aveva immaginateanco quelle che avevaintese da megià ch'io non ero in istato di potere scrivere:la qual cortese offerta io reputai a mia venturae non purl'accettaima ne lo ringraziai e me gli confessai obligato. In tantoe di Roma e d'altri luoghida altri amici e padroni che forse nonsapevano della mia indisposizionemi veniva con instanza purdomandato se in tal materia avevo alcuna cosa da dire: a' quali iorispondevonon aver altro che qualche dubitazionela quale anco nonpotevorispetto all'infermitàmettere in carta; ma che benesperavo che potesse essere che in breve vedessero tali miei pensierie dubbi inseriti in un discorso d'un gentiluomo amico mioil qualeper onorarmi aveva preso fatica di raccorgli ed inserirgli in una suascrittura. Questo è quanto è uscito da meil che èanco in più luoghi stato scritto dal medesimo signor Mario; sìche non occorreva che il Sarsicon aggiungere a verointroducessemie letterené mettesse il signor Mario a sì piccolaparte della sua scrittura (nella quale egli ve l'ha molto maggior dime)che lo spacciasse per copista. Orpoi che così gli èpiaciutoe così segua; ed intanto il signor Marioinricompensa dell'onor fattomiaccetti la difesa della sua scrittura.

Eritornando al trattatorilegga V. S. Illustrissima l'infrascritteparole: "Dolet igiturprimose in Disputatione nostra malehabitumcum de tubo optico ageremus nullum cometæ incrementumafferenteex quo deduceremus eundem a nobis quam longissime distare.Ait enimmulto ante palam affirmasse sehoc argumentum nulliusmomenti esse. Sed affirmarit licet: nunquid eius illico ad Magistrummeum pronunciata referrent venti? Licet enim summorum virorum dictaplerunque fama divulgethuius tamen dicti (quid faciat?) ne syllabaquidem ad nos pervenit. Et quanquam dissimulavitnovit id tamenmultorum etiam testimonionovit benevolentissimum in se Magistri meianimumet qua privatis in sermonibusqua publicis indisputationibuseffusum plane in laudes ipsius. Illud certe negarenon potestneminem ab illo unquam proprio nomine compellatumnequese verbis ullis speciatim designatum. Si qua tamen ipsius animumpulsaret dubitatiomeminisse etiam poteratperhonorifice olim sehoc in Romano Collegio ab eiusdem Mathematicis acceptumet cum deMediceis sideribus tuboque opticoillo audiente et (qua fuitmodestia) ad laudes suas erubescentepublice est disputatumet cumpostea ab alioeodem loco atque frequentiade iis quæ aquisinsident disserenteperpetuo Galilæus acroamate celebratusest. Quid ergo causæ fuerit nescimuscur eicontraadeoviluerit huius Romani Collegii dignitasut eiusdem Magistros etlogicæ imperitos diceretet nostras de cometis positionesfutilibus ac falsis innixas rationibusnon timide pronunciaret."

Soprai quali particolari scritti io primieramente dico di non m'esser mailamentato d'essere stato maltrattato nel Discorso del P.Grassinel quale son sicuro che Sua Reverenza non applicò maiil pensiero alla persona mia per offendermi; e quando puredato enon concessoio avessi avuta opinione che il P. Grassi nel tassarquelli che facevan poca stima dell'argomento preso dal poco ricrescerla cometaavesse voluto comprender me ancoranon però credail Sarsi che questo mi fusse stato causa di disgusto e di querimonia.Sarebbe forse ciò accaduto quando la mia opinion fusse statafalsae per tale scoperta e publicata; ma sendo il detto mioverissimoe falso l'altrola moltitudine de' contradittoriemassime di tanto valore quanto è il P. Grassipoteva piùtosto accrescermi il gusto che il doloreatteso che piùdiletta il restar vittorioso di prode e numeroso essercitoche dipochi e debili inimici. E perché degli avvisi che da molteparti d'Europa andavano (come scrive il Sarsi) al suo Maestroalcuninel passar di qua lasciavano ancora a noi sentire come generalmentetutti i più celebri astronomi facevano gran fondamento sopracotale argomentoné mancavano anco ne' nostri contorni enella città stessa uomini della medesima opinioneio al primomottoche di ciò intesimolto chiaramente mi lasciaiintendere che stimavo questo argomento vanissimodi che molti siburlavanoe tanto piùquando in favor loro apparvel'autorevole attestazione e confermazione del matematico del CollegioRomano: il che non negherò che mi fusse cagione d'un poco ditravaglioatteso che trovandomi posto in necessità didifendere il mio detto da tanti altri contradittorii qualiperesser stati fatti forti da un tanto aiutopiù imperiosamentemi si levavano contronon vedevo modo di poter contradire a quellisenza comprendervi anco il P. Grassi. Fu adunque non mia elezzionema accidente necessarioben che fortuitoche indirizzò lamia impugnazione anco in quella parte dov'io meno avrei voluto. Mache io pretendessi mai (come soggiunge il Sarsi) che tal mio pareredovesse esser repentinamente portato da' venti sino a Romacomesuole accadere delle sentenze degli uomini celebri e grandieccedeveramente d'assai i termini della mia ambizione. Bene è veroche la lettura della Libra m'ha fatto pur anco alquantomaravigliareche tal mio detto non penetrasse a gli orecchi delSarsi. E non è egli degno di meravigliache cose le quali iogià mai non dissiné pur pensaidelle quali grannumero è registrato nel suo Discorso gli sienostate riportatee che d'altre dette da me mille volte non gliene siapur giunta una sillaba? Ma forse i ventiche conducono le nuvolelechimere e i mostri che in essi tumultuariamente si vanno figurandonon ànno poi forza di portar le cose sode e pesanti.

Dalleparole che seguono mi par comprendere che il Sarsi m'attribuisca agran mancamento il non aver con altrettanta cortesia contracambiatal'onorevolezza fattami da' Padri del Collegio in lezzioni publichefatte sopra i miei scoprimenti celesti e sopra i miei pensieri dellecose che stanno su l'acqua. E qual cosa doveva io fare? Mi rispondeil Sarsi: Laudare e approvar il Discorso del P. Grassi. Masignor Sarsigià che le cose tra voi e me s'ànno abilanciare ecome si dicetrattar mercantilmenteio vi dimandosequei Reverendi Padri stimarono per vere le cose mieo pur l'ebberper false. Se le conobbero vere e come tali le lodaronocon troppogrand'usura ridomandereste ora il prestatoquando voleste che ioavessi con pari lode a essaltar le cose conosciute da me per false.Ma se le reputaron vane e pur l'essaltaronoposso ben ringraziarlidel buono affetto; ma assai più grato mi sarebbe stato chem'avessero levato d'errore e mostratami la veritàstimando ioassai più l'utile delle vere correzzioniche la pompa dellevane ostentazioni: e perché l'istesso credo ditutti i buoni filosofiperò né per l'uno né perl'altro capo mi sentivo in obligo. Mi direte forse ch'io dovevotacere. A questo rispondoprimamenteche troppo strettamente cieravamo posti in obligoil signor Mario ed ioavanti la publicaziondella scrittura del P. Grassidi lasciar vedere i nostri pensieri;sì che il tacere poi sarebbe stato un tirarsi addosso undisprezzo e quasi derision generale. Ma più soggiungoche misarei anco sforzatoe forse l'avrei impetratoche il signorGuiducci non publicasse il suo Discorso quando in essofusse stato cosa pregiudiciale alla degnità di quelfamosissimo Collegio o d'alcun suo professore; ma quando l'opinioniimpugnate da noi sono state tutte d'altri prima che del matematicoprofessore del Collegionon veggo perché il solo avergli SuaReverenza prestato l'assenso avesse a metter noi in obligo didissimulare ed ascondere il vero per favoreggiare e mantenere vivouno errore. La notadunquedi poco intendente di logica cade sopraTicone ed altri che ànno commesso l'equivoco inquell'argomento; il quale equivoco si è da noi scoperto nonper notare o biasimare alcunoma solo per cavare altrui d'errore eper manifestare il vero: e tale azzione non so che mai possa esserragionevolmente biasimata. Non hadunqueil Sarsi causa di dire chesia appresso di me avvilita la degnità del Collegio Romano. Mabeneall'incontroquando la voce del Sarsi uscisse di quelCollegioavrei io occasion di dubitare che la dottrina e lareputazion mianon solo di presente ma forse in ogni temposiastata in assai vile stimapoi che in questa Libra niuno de'miei pensieri viene approvatoné ci si legge altro checontradizzioni accuse e biasimied oltre a quel ch'è scritto(se si deve prestar credenza al grido) uno aperto vanto di poterannichilar tutte le cose mie. Ma sì come io non credo questoné che alcuno di questi pensieri abbia stanza in quelCollegiocosì mi vo immaginando che il Sarsi abbia dalla suafilosofia il poter egualmente lodare e biasimareconfermare eributtarle medesime dottrinesecondo che la benevolenza o lastizza lo traporta: e fammi in questo luogo sovvenir d'un lettor difilosofia a mio tempo nello Studio di Padovail quale essendocometalvolta accadein collera con un suo concorrentedisse che quandoquello non avesse mutato modiavria sotto mano mandato a spiarl'opinioni tenute da lui nelle sue lezzionie che in sua vendettaavrebbe sempre sostenute le contrarie.

Orlegga V. S. Illustrissima: "Sed ne tempus querelis frustrateramusprincipioillud non videoquam iure Magistro meo obiiciatac veluti vitio vertatquod nimirum in Tychonis verba iurasseeiusdemque vana machinamenta omni ex parte secutus videatur. Quanquamenim hoc plane falsum estcumpræter argumentandi modos acrationes quibus cometæ locus inquirereturnihil aliud inDisputatione nostra reperiat in quo Tychonemut expressa verbatestantursectatus sit; interna vero ipsius animi sensaastrologuslicet Lynceusne optico quidem suo telescopio introspexerit; agetamendeturTychoni illum adhæsisse. Quantum tandem istud estcrimen? Quem potius sequeretur? Ptolemæum? cuius sectatorumiugulis Marspropior iam factusgladio exerto imminet? Copernicum?at qui pius est revocabit omnes ab illo potiuset damnatam nuperhypothesim damnabit pariter ac reiiciet. Unus igitur ex omnibus Tychosupereratquem nobis ignotas inter astrorum vias ducemadscisceremus. Cur igitur Magistro meo ipse succenseatqui illum nonaspernatur? Frustra hic Senecam invocat Galilæusfrustra hicluget nostri temporis calamitatemquod vera ac certa mundanarumpartium dispositio non teneaturfrustra sæculi huius deploratinfortuniumsi nil habeat quo hanc ipsam ætatemhoc saltemnomine eius suffragio miseramfortunet magis".

Daquanto il Sarsi scrive in questo luogomi par di comprendere ch'einon abbia con debita attenzione letto non solo il Discorso delsignor Marioma né anco quello del P. Grassipoi che edell'uno e dell'altro adduce proposizioni che in quelli non siritrovano. Ben è vero che per aprirsi la strada a poterriuscire a toccarmi non so che di Copernicoegli avrebbe avutobisogno che le vi fussero state scritte; ondein difettol'havolute supplir del suo.

Eprimanon si trova nella scrittura del signor Mario buttatocome sidicein occhioné attribuito a mancamento al P. Grassil'aver giurato fedeltà a Ticone e seguitate in tutto e pertutto le sue vane machinazioni. Ecco i luoghi citati dal Sarsi. Allafac. 18: "Appresso verrò al professor di matematica delCollegio Romanoil quale in una sua scrittura ultimamente publicatapare che sottoscriva ad ogni detto d'esso Ticoneaggiungendovi ancoqualche nuova ragione a confermazion dell'istesso parere".L'altro luogo a fac. 38: "Il matematico del Collegio Romano haparimente per quest'ultima cometa ricevuto la medesima ipotesi; e acosì affermareoltre a quel poco che n'è scrittodall'Autoreche consuona colla posizion di Ticonem'induce ancorail vedere in tutto il rimanente dell'opera quanto ei concordicoll'altre ticoniche immaginazioni". Or vegga V. S.Illustrissima se qui s'attribuisce cosa veruna a vizio e mancamento.Di piùè ben chiarissimo che non si trattando in tuttal'opera d'altro che de gli accidenti attenenti alle cometede' qualiTicone ha scritto sì gran volumeil dire che il matematicodel Collegio concorda coll'altre immaginazioni di Ticonenons'estende ad altre posizioni ch'a quelle ch'appartengono alle comete;sì che il chiamar ora in paragon di TiconeTolomeo eCopernicoi quali non trattaron mai d'ipotesi attenenti a cometenon veggo che ci abbia luogo opportuno.

Quellopoi che dice il Sarsiche nella scrittura del suo Maestro non vi sitrova altroin che egli abbia seguito Ticonefuor che ledimostrazioni per ritrovare il luogo della cometasia detto con suapacenon è vero; anzi nessuna cosa vi è menochesimile dimostrazione. Tolga Iddio che il P. Grassi avesse in ciòimitato Ticonené si fusse accortoquanto nel modod'investigar la distanza della cometa per l'osservazioni fatte in dueluoghi differenti in Terrasi mostri bisognoso della notizia de'primi elementi delle matematiche. Ed acciocché V. S.Illustrissima vegga ch'io non parlo così senza fondamentoripigli la dimostrazion ch'egli comincia alla fac. 123 del trattatodella cometa del 1577ch'è nell'ultima parte de' suoiProginnasmi

nellaquale volendo egli provare com'ella non fusse inferiore alla Luna perla conferenza dell'osservazioni fatte da sé in Uraniburge da Tadeo Agecio in Pragaprimatirata la subtesaAB all'arco dell'orbe terrestre che media tra i detti due luoghietraguardando dal punto A la stella fissa posta in Dsuppone l'angoloDAB esser retto; il che è molto lontano dal possibileperchésendo la linea AB corda d'un arco minor di gradi 6 (come Ticonmedesimo afferma) bisognaacciò che il detto angolo siarettoche la fissa D sia lontana dal zenit di A meno di gradi 3;cosa ch'è tanto falsaquanto che la sua minima distanza èpiù di gradi 48essendoper detto dell'istesso Ticoneladeclinazion della fissa Dch'è l'Aquila o vogliamo direl'Avvoltoiodi gradi 7.52 verso boreae la latitudine di Uraniburggradi 55.54. In oltre egli scrivela medesima stella fissa da i dueluoghi A e B vedersi nel medesimo luogo dell'ottava sferaperchéla Terra tuttanon che la piccola parte ABnon ha sensibilproporzione coll'immensità d'essa ottava sfera. Ma perdonimiTicone: la grandezza e piccolezza della Terra non ha che fare inquesto casoperché il vedersi da ogni sua parte la medesimastella nell'istesso luogo deriva dall'essere ella realmentenell'ottava sferae non da altro; in quel modo a punto che icaratteri che sono sopra questo fogliogià mai rispetto almedesimo foglio non muteranno apparenza di sitoper qualunquegrandissima mutazion di luogo che faccia l'occhio di V. S.Illustrissima che gli riguarda: ma ben uno oggetto posto tra l'occhioe la cartaal movimento della testa varierà l'apparente sitorispetto a' caratterisì che il medesimo carattere ora se glivedrà dalla destraora dalla sinistraora più altoed ora più basso; ed in cotal guisa mutano apparente luogo ipianeti nell'orbe stellatoveduti da differenti parti della Terraperché da quello sono lontanissimi; e quello che in questocaso opera la piccolezza della Terraè chefacendo i piùlontani da noi minor varietà d'aspettoed i più vicinimaggiorefinalmente per uno lontanissimo la grandezza della Terranon basti a far tal varietà sensibile. Quello poi chesoggiunge accadere conforme alle leggi de gli archi e delle cordevegga V. S. Illustrissima quant'ei sia da tali leggi lontanoanzipure da' primi elementi di geometria. Egli dicele due rette ADBDesser perpendicolari alla AB: il che è impossibileperchéla sola retta che viene dal vertice è perpendicolare sopra latangente e le sue parallelee queste non vengono altramente dalverticené l'AB è tangente o ad essa parallela. Inoltreei le domanda parallelee appresso dice che le si vanno acongiungere nel centro: doveoltre alla contradizzione dell'esserparallele e concorrentivi è cheprolungatepassanolontanissime dal centro. E finalmente concludeche venendo dalcentro alla circonferenza sopra i termini dell'ABelle sonoperpendicolari: il che è tanto impossibilequanto che dellelinee tirate dal centro a tutti i punti della corda ABsola quellache cade nel punto di mezo gli è perpendicolaree quelle checascano ne gli estremi termini sono più di tutte l'altreinclinate ed oblique. Vegga dunque V. S. Illustrissima a quali equante essorbitanze avrebbe il Sarsi fatto prestar l'assenso dal suoMaestroquando vero fusse ciò ch'in questo proposito hascrittocioè che quello abbia seguitate le ragioni e modi didimostrar di Ticone nel ricercar il luogo della cometa. Vegga di piùil medesimo Sarsi quant'io meglio di luisenza adoperar astrologiané telescopioabbia penetratonon dirò i sensiinterni dell'animo suoperché per ispiar questi io non ho néocchi né anco orecchima i sensi della sua scritturai qualison pur tanto chiari e manifestiche bisogno non ci è de gliocchi linceigentilmente introdotti dal Sarsicredo per ischerzareun poco sopra la nostra Academia. E perché e V. S.Illustrissima ed altri principi e signori grandi son meco a partenello scherzoioper la dottrina di sopra insegnatami dal Sarsinon curando molto i suoi mottime la passerò sotto l'ombralorooper meglio direillustrerò l'ombra mia col lorosplendore.

Matornando al propositovegga com'egli di nuovo vuol pure ch'io abbiareputato gran mancamento nel P. Grassi l'aver egli aderito alladottrina di Ticonee risentitamente domanda: Chi ei dovevaseguitare? forse Tolomeola cui dottrina dalle nuove osservazioni inMarte è scoperta per falsa? forse il Copernicodal quale piùpresto si deve rivocar ognunomercé dell'ipotesi ultimamentedannata? Dove io noto più cose e primareplico ch'èfalsissimo ch'io abbia mai biasimato il seguitar Ticone ancorche con ragione avessi potuto farlocome pur finalmente dovràrestar manifesto a i suoi aderenti per l'Antiticone del signorcavalier Chiaramonte; sì che quanto qui scrive il Sarsièmolto lontano dal proposito; e molto più fuor del casos'introducono Tolomeo e Copernicode' quali non si trova chescrivessero mai parola attenente a distanzegrandezzemovimenti eteoriche di cometedelle quali solee non d'altrosi ètrattatoe con altrettanta occasione vi si potevano accoppiareSofoclee Bartolo o Livio. Parmioltre a ciòdiscorgere nel Sarsi ferma credenzache nel filosofare sia necessarioappoggiarsi all'opinioni di qualche celebre autoresì che lamente nostraquando non si maritasse col discorso d'un altronedovesse in tutto rimanere sterile ed infeconda; e forse stima che lafilosofia sia un libro e una fantasia d'un uomocome l'Iliade el'Orlando furioso libri ne' quali la meno importantecosa è che quello che vi è scritto sia vero. SignorSarsila cosa non istà così. La filosofia èscritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta apertoinnanzi a gli occhi (io dico l'universo)ma non si puòintendere se prima non s'impara a intender la linguae conoscer icaratterine' quali è scritto. Egli è scritto inlingua matematicae i caratteri son triangolicerchied altrefigure geometrichesenza i quali mezi è impossibile aintenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsivanamente per un oscuro laberinto. Ma posto pur ancocome al Sarsipareche l'intelletto nostro debba farsi mancipio dell'intellettod'un altr'uomo (lascio stare ch'eglifacendo così tuttie sestesso ancoracopiatoriloderà in sé quello che habiasimato nel signor Mario)e che nelle contemplazioni de' moticelesti si debba aderire ad alcunoio non veggo per qual ragione eis'elegga Ticoneanteponendolo a Tolomeo e a Nicolò Copernicode' quali due abbiamo i sistemi del mondo interi e con sommoartificio costrutti e condotti al fine; cosa ch'io non veggo cheTicone abbia fattase già al Sarsi non basta l'aver negatigli altri due e promessone un altrose ben poi non esseguito. Némeno dell'aver convinto gli altri due di falsitàvorrei chealcuno lo riconoscesse da Ticone: perchéquanto a quello diTolomeoné Ticone né altri astronomi né ilCopernico stesso potevano apertamente convincerloavvenga che laprincipal ragionepresa da i movimenti di Marte e di Venereavevasempre il senso in contrario; al quale dimostrandosi il disco diVenere nelle due congiunzioni e separazioni dal Sole pochissimodifferente in grandezza da se stessoe quel di Marte perigeo apena 3 o 4 volte maggiore che quando è apogeogià mainon si sarebbe persuaso dimostrarsi veramente quello 40 e questo 60volte maggiore nell'uno che nell'altro statocome bisognava chefusse quando le conversioni loro fussero state intorno al Solesecondo il sistema Copernicano; tuttavia ciò esser vero emanifesto al sensoho dimostrato ioe fattolo con perfettotelescopio toccar con mano a chiunque l'ha voluto vedere. Quantopoi all'ipotesi Copernicanaquando per beneficio di noi cattolici dapiù sovrana sapienza non fussimo stati tolti d'errore edilluminata la nostra cecitànon credo che tal grazia ebeneficio si fusse potuto ottenere dalle ragioni ed esperienze posteda Ticone. Essendodunquesicuramente falsi li due sistemie nulloquello di Ticonenon dovrebbe il Sarsi riprendermi se con Senecadesidero la vera costituzion dell'universo. E ben che ladomanda sia grande e da me molto bramatanon però traramarichi e lagrime deplorocome scrive il Sarsila miseria ecalamità di questo secoloné pur si trova minimovestigio di tali lamenti in tutta la scrittura del signor Mario; mail Sarsibisognoso d'adombrare e dar appoggio a qualche suo pensieroch'ei desiderava di spiegarelo va da se stesso preparandoesomministrandosi quegli attacchi che da altri non gli sono statiporti. E quando pur io deplorassi questo nostro infortunioio nonveggo quanto acconciamente possa dire il Sarsiindarno essere sparsele mie querelenon avendo io poi modo né facoltà ditor via tal miseriaperché a me pare che appunto per questoavrei causa di querelarmied all'incontro le querimonie allora nonci avrebbon luogoquando io potessi tor via l'infortunio.

Malegga ormai V. S. Illustrissima. "Et quoniam hocloco atque hoc ad disputationem ingressu confutanda ea mihi sunt quæminoris ponderis videnturillud ab homine perhumanoqualem illumomnes noruntexpectassem profecto nunquamutvel ipso Catoneseveriorlepores quosdam ac salesapposite a nobis inter dicendumusurpatosfastidiose adeo aversareturut irrideret potiusacdiceret naturam poëticis non delectari. At egoprohquantum abhac opinione distabam! naturam poëtriam ad hanc usque diemexistimavi. Illa certe vix unquam poma fructusque ullos paritquorumfloresveluti ludibundanon præmittat. Galilæum veroquis unquam adeo durum existimassetut a severioribus negotiisfestiva aliqua eorum condimenta longe ableganda censeret? Hoc enimStoici potius estquam Academici. Attamen iure is quidem nos arguatsi gravissimas quæstiones iocis ac salibus eluderepotius quamexplicaretentaremus; at verorationum inter gravissimarum ponderalepide aliquando ac salse iocari quis vetat? Vetat enimveroAcademicus. Non paremus. Et si illi nostra hæc urbanitas nonsapit? Plures habemusnon minus eruditosquos delectat. Neque enimhic fuit sensus virorumet genere et doctrina clarissimorumquinostræ disputationi interfuerequibus sapienter omnino factumvisum estut cometestriste infaustumque vulgo portentumplacidoaliquo verborum lenimento tractareturac prope mitigaretur. Sed hæclevia suntinquis. Ita est; ac proinde leviter diluenda."

Daquanto qui è scritto in poche parole sbrigandomidico che néil signor Mario né io siamo così austeriche glischerzi e le soavità poetiche ci abbiano a far nausea: di checi sieno testimoni l'altre vaghezze interserite molto leggiadramentedal P. Grassi nella sua scritturadelle quali il signor Mario non hapur mosso parola per tassarle; anzi con gran gusto si son letti inatalila cunale abitazionii funerali della cometae l'essersiaccesa per far lume all'abboccamento e cena del Sole e di Mercurio;né pur ci ha dato fastidio che i lumi fussero accesi 20 giornidopo cenané meno il sapere che dov'è il Solelecandele son superflue ed inutilie ch'egli non cenama desinasolamentecioè mangia di giornoe non di nottela qualestagione gli è del tutto ignota: tutte queste cose senzaveruno scrupolo si sono trapassateperchédette in cotalguisanon ci ànno lasciato nulla da desiderare nella veritàdel concetto sotto cotali scherzi contenutoil qualeper esser persé noto e manifestonon avea bisogno d'altra piùprofonda dimostrazione. Ma che in una questione massima edifficilissimaqual è il volermi persuadere trovarsirealmentee fuor di burlein natura un particolare orbe celeste perle cometementre che Ticone non si può svilupparnell'esplicazion della difformità del moto apparente di essacometala mente mia debba quietarsi e restar appagata d'un fiorettopoeticoal quale non succede poi frutto verunoquesto èquello che il signor Mario rifiutae con ragione e con veritàdice che la natura non si diletta di poesie: proposizion verissimaben che il Sarsi mostri di non la crederee finga di non conoscer ola natura o la poesiae di non sapere che alla poesia sono inmaniera necessarie le favole e finzioniche senza quelle non puòessere; le quali bugie son poi tanto abborrite dalla naturache nonmeno impossibil cosa è il ritrovarvene pur unache il trovartenebre nella luce. Ma tempo è ormai che vegniamo a cose dimomento maggiore; però legga V. S. Illustrissima quel chesegue.

"Venionunc ad graviora. Tribus potissimum argumentis cometælocum indagandum censuit Magister meus: primum quidemper parallaxisobservationes; deindeex incessu eiusdem ac motu; deniqueex iisquæ tubo optico in illo observarentur. Conatur Galilæussingulis abrogare fidemeaque suis momentis privare. Cum enimostendissemuscometamex variis diversorum locorum observationibusparvam admodum passum esse aspectus diversitatemac propterea supraLunam statuendumait illeargumentum ex parallaxi desumptum nihilhabere ponderisnisi prius statuatursint ne illa quæobservantur vera unoque loco consistentiaan vero in speciemapparentia ac vaga. Recte is quidem; sed non erat his opus. Quidenimsi statutum iam id haberetur? Certecum certamen nobispræsertim esset cum Peripateticisquorum sententiaquamplurimos etiam nunc sectatores recensetfrustra ex apparentiumnumero cometas exclusissemuscum nullius nostrum animum pulsaret hæcdubitatio. Sane Galilæus ipsedum adversus Aristotelemdisputatnon acriori ac validiori utitur argumentoquam exparallaxi desumpto. Cur igitursimili atque eadem prorsus in caussanobis eodem uti libere non liceret?"

Perconoscer quanto sia il momento delle cose qui scrittebasteràrestringere in brevità quello che dice il signor Mario equesto che gli viene opposto. Scrisse il signor Mario in generale:"Quelli che per via della paralasse voglion determinar circa 'lluogo della cometaànno bisogno di stabilir primalei essercosa fissa e realee non un'apparenza vagaatteso che la ragiondella paralasse conclude ben negli oggetti realima non negliapparenti"com'egli essemplifica in molti particolari; aggiungepoila mancanza di paralasse rendere incompatibili le dueproposizioni d'Aristotileche sonoche la cometa sia un incendioch'è cosa tanto realee sia in aria molto vicina alla Terra.Qui si leva su il Sarsie dice: "Tutto sta benema èfuor del caso nostroperché noi disputiamo contro Aristotilee vana sarebbe stata la fatica in provar che la cometa non fusse unaapparenzapoi che noi convegniamo con lui in tenerla cosa realeecome di cosa reale il nostro argomentopreso dalla paralasseconclude; anzi (soggiunge egli) l'avversario stesso non si served'argomento più valido contro Aristotile; e se ei se ne serveperché nell'istessa causa non ce ne possiamo liberamenteservir noi ancora?" Or qui io non so quel che il Sarsi pretendané in qual cosa ei pensa d'impugnare il signor Mariopoi cheambedue dicono le medesime cosecioè che la ragione dellaparalasse non vale nelle pure apparenzema val ben ne gli oggettirealied in conseguenza val contro Aristotilementr'ei vuole che lacometa sia cosa reale. Quise si debbe dire il vero con pace delSarsinon si può dir altro se non ch'eglico 'l palliare ildetto del signor Marioha voluto abbarbagliar la vista al lettoresì che gli resti concetto che il signor Mario abbia parlato asproposito; perché a voler che l'obbiezzioni del Sarsiavessero vigorebisognerebbe chedove il signor Marioparlando ingenerale a tutto il mondodice: "A chi vuol che l'argomentodella paralasse militi nella cometaconvien che provi primaquellaesser cosa reale"bisognerebbedicoche avesse detto: "Seil P. Grassi vuole che l'argomento della paralasse militi controAristotileche tiene la cometa esser cosa realee non apparentebisogna che prima provi che la cometa sia cosa realee nonapparente"; e così il detto del signor Mario sarebbeveramentequale il Sarsi lo vorrebbe far apparireun grandissimosproposito. Ma il signor Mario non ha mai né scritte népensate queste sciocchezze.

"Sedconfutandæ etiam fuerint AnaxagoræPythagoræorumatque Hippocratis opiniones. Nemo tamen ex iiscometam vanum omni exparte oculorum ludibrium affirmarat. Anaxagoras enim stellarumverissimarum congeriem esse dixit; cum Aeschylo Hippocrates nihil aPythagoræis dissentit: Aristoteles profectocum eorundemPythagoræorum sententiam exposuissetqua dicerent cometam unumesse errantium siderumtardissim ead nos accedens ac citissimefugienssubdit: "Similiter autem his et qui sub Hippocrate Chioet discipulo eius Aeschylo enunciaverunt; sed comam non ex se ipsoaiunt haberesed errantempropter locumaliquando accipererefracto nostro visu ab humore attracto ab ipso ad Solem."Galilæus veroin ipso suæ disputationis exordiodumeorumdem placita recensetasserit dixisse illoscometam stellamquandam fuissequæTerris aliquando propior factaquosdam abeadem ad se vapores extraherete quibus sibinon caputsed comamdecenter aptaret. Minus igiturut hoc obiter dicamad rem facitdum postea ex his iisdem locis probatPythagoræos etiamexistimasse cometam ex refractione luminis extitisse; illi enim nihilin cometis vanumpræter barbamexistimarunt. Intelligit ergonulli horum visum unquam fuissecometamsi de eiusdem capiteloquamurinane quiddam ac mere apparens dicendum. Quarecum hac inread hoc usque tempusconvenirent omnesquid erat causæcur facem hanc lucidissimam larvis illis ac fictis colorum ludibriisspoliaremusab eaque crimen illud averteremusquod ei nullushominumquorum habenda foret ratioobiecisset? Cardanus enim acTelesiusex quibus aliquid ad hanc rem desumpsisse videtur Galilæussterilem atque infelicem philosophiam nactinulla ab ea prole beatilibros posterisnon liberosreliquerunt. Nobis igitur ac Tychonisatis sitapud eos non perperam disputasseapud quos nunquam vaniac fallacis spectri cometes incurrit suspicionem; hoc estipsoGalilæo testeapud omniumquotquot adhuc fueruntphilosophorum Academias. Quod si quis modo inventus estqui hæcphænomena inter mere apparentia reponenda diserte docueritostendam huic ego suo loconi fallorquam longe cometæ abirideareis et coronismoribus ac motibus distentquibusqueargumentis conficiaturcometemsi comam excluserisnon ad Solisimperium nutumquequod apparentibus omnibus commune estagisedliberum moveri protinus ac circumferri quo sua illum natura impulerittraxeritque."

Quivolendo anco in universale mostrarla dubitazion promossa dal signorMario esser vana e superfluadiceniuno autore antico o modernodegno d'esser avuto in considerazioneaver mai stimato la cometapotere esser una semplice apparenzae che per ciò al suoMaestroil quale solo con questi disputava e di questi soli aspiravaalla vittorianiun mestier faceva di rimuoverla dal numero de' purisimulacri. Al che io rispondendodico primieramente che il Sarsiancora con simil ragione poteva lasciare stare il signor Mario e mepoi che siam fuori del numero di quegli antichi e moderni contro iquali il suo Maestro disputavaed abbiamo avuta intenzione di parlarsolamente con quelli (sieno antichi o moderni) che cercano con ognistudio d'investigar qualche verità in naturalasciando intutto e per tutto ne' lor panni quegli che solo per ostentazione instrepitose contese aspirano ad esser con pomposo applauso popolaregiudicati non ritrovatori di cose verema solamente superiori a glialtri; né doveva mettersi con tanta ansietà peratterrar cosa che né a sé né al suo Maestro eradi pregiudicio. Doveva secondariamente considerareche molto piùè scusabile uno a chi in alcuna professione non cade in mentequalche particolare attenente a quellae massime quando néanco a mille altriche abbiano professato il medesimoèsovvenutoche quegli a cui venga in mentee presti l'assenso a cosache sia vana ed inutile in quell'affare; ond'ei poteva e doveva piùtosto confessare che al suo Maestrocom'anco a nessun de' suoiantecessorinon era passato per la mente il concetto che la cometapotesse essere una apparenzache sforzarsi per dichiarar vana laconsiderazion sovvenuta a noi: perché quellooltre chepassava senza niuna offesa del suo Maestrodava indizio d'unaingenua libertàe questonon potendo seguire senza offesadella mia reputazione (quando gli fusse sortito l'intento)dàpiù tosto segno d'animo alterato da qualche passione. Ilsignor Mariocon isperanza di far cosa grata e profittevole aglistudiosi del veropropose con ogni modestiache per l'avvenirefusse bene considerare l'essenza della cometae s'ella potesse essercosa non realema solo apparentee non biasimò il P. Grassiné altriche per l'addietro non l'avesser fatto. Il Sarsi sileva sue con mente alterata cerca di provarela dubitazione esserestata fuor di propositoed esser di più manifestamente falsa;tuttavia per trovarsicome si dicein utrumque paratusin ogni evento ch'ella apparisse pur degna di qualcheconsiderazioneper ispogliarmi di quella lode che arrecar mipotessela predica per cosa vecchia del Cardano e delTelesio ma disprezzata dal suo Maestro come fantasia difilosofi deboli e di niun seguito; ed in tanto dissimulae non sentecon quanta poca pietà egli spoglia e denuda coloro di tutta lareputazioneper ricoprire un piccolissimo neo di quella del suoMaestro. Se voiSarsivi fate scolare di quei venerandi Padri nellanatural filosofianon vi fate già nella moraleperchénon vi sarà creduto. Quello che abbiano scritto il Cardano e'l Telesioio non l'ho vedutoma per altri riscontriche vedremoappressoposso facilmente conghietturare che il Sarsi non abbia benpenetrato il senso loro. In tanto non posso mancareper avvertimentosuo e per difesa di quellidi mostrar quanto improbabilmente eiconclude la lor poca scienza della filosofia dal piccol numero de'suoi seguaci. Forse crede il Sarsiche de' buoni filosofi se netrovino le squadre intere dentro ogni ricinto di mura? IosignorSarsicredo che volino come l'aquilee non come gli storni. Èben vero che quelleperché son rarepoco si veggono e menosi sentonoe questiche volano a stormidovunque si posanoempiendo il ciel di strida e di rumori metton sozzopra ilmondo. Ma pur fussero i veri filosofi come l'aquilee non piùtosto come la fenice. Signor Sarsiinfinita è la turba de glisciocchicioè di quelli che non sanno nulla; assai son quelliche sanno pochissimo di filosofia; pochi son quelli che ne sannoqualche piccola cosetta; pochissimi quelli che ne sanno qualcheparticella; un solo Dio è quello che la sa tutta. Sìcheper dir quel ch'io voglio inferiretrattando della scienza cheper via di dimostrazione e di discorso umano si può da gliuomini conseguire io tengo per fermo che quanto piùessa participerà di perfezzionetanto minor numero diconclusioni prometterà d'insegnaretanto minor numero nedimostreràed in conseguenza tanto meno alletteràetanto minore sarà il numero de' suoi seguaci: maperl'oppositola magnificenza de' titolila grandezza e numerositàdelle promesseattraendo la natural curiosità de gli uomini etenendogli perpetuamente ravvolti in fallacie e chimeresenza maifar loro gustar l'acutezza d'una sola dimostrazioneonde il gustorisvegliato abbia a conoscer l'insipidezza de' suoi cibi consuetineterrà numero infinito occupato; e gran ventura saràd'alcuno chescorto da straordinario lume naturalesi sapràtorre da i tenebrosi e confusi laberinti ne i quali si sarebbecoll'universale andato sempre aggirando e tuttavia piùavviluppando. Il giudicar dunque dell'opinioni d'alcuno in materia difilosofia dal numero de i seguacilo tengo poco sicuro. Ma ben ch'iostimipiccolissimo poter esser il numero de i seguaci della migliorfilosofianon però concludopel conversoquelle opinioni edottrine esser necessariamente perfettele quali ànno pochiseguaci; imperocché io intendo molto benepotersi da alcunotenere opinioni tanto erroneeche da tutti gli altri restinoabbandonate. Orada qual de' due fonti derivi la scarsità de'seguaci de' due autori nominati dal Sarsi per infecondi e derelittiio non lo soné ho fatto studio tale nell'opere loroche mipotesse bastar per giudicarle.

Matornando alla materiadico che troppo tardi mi par che il Sarsivoglia persuaderci che il suo Maestronon perché non glicadesse in mentema perché disprezzò come cosavanissima il concetto che la cometa potess'essere un puro simulacroe che in questi non milita l'argomento della paralassenon ne fecemenzione: tardadicoè cotale scusaperchéquand'egli scrisse nel suo Problema: "Statuoremquamcunque inter firmamentum et Terram constitutamsi diversis elocis specteturdiversis etiam firmamenti partibus responsuram"chiaramente si dimostrònon gli esser venuto in mente l'iridee l'alonei parelii ed altre reflessioniche a tal legge nonsoggiaccionole quali ei doveva nominare ed eccettuaree massimech'egli stessolasciando Aristotileinclina all'opinione delKepplero che la cometa possa essere una reflessione. Maseguendo più avantimi par di vedere che il Sarsi faccia grandifferenza dal capo della cometa alla sua barba o chiomae chequanto alla chioma possa esser veramente ch'ella sia un'illusionedella nostra vista e una apparenzae che tale l'abbiano stimataancora quei Pittagorici nominati da Aristotile; ma quanto al capostima che sia necessariamente cosa realee che niuno l'abbia maicreduto altrimenti. Or qui vorrei io una bene specificata distinzionetra quello che il Sarsi intende per reale e quello ch'egli stimaapparentee qual cosa sia quella che fa esser reale quello ch'èrealee apparente quello ch'è apparente: perchés'egli chiama il capo reale per esser in una sostanza e materiarealeio dico che anco la chioma è tale; sì che chilevasse via quei vapori ne' quali si fa la reflession della vistanostra al Solesarebbe tolta parimente la chiomacome al tor viadelle nuvole si toglie l'iride e l'alone: e s'ei domanda la chiomafinta perché senza la reflession della vista al Sole ella nonsarebbeio dico che anco del capo seguirebbe l'istesso; sìche tanto la chioma quanto il capo non son altro che reflession diraggi in una materiaqualunqu'ella si sia; e che in quantoreflessioni sono pure apparenzein quanto alla materia son cosareale. E se il Sarsi ammette che alla mutazion di luogo delriguardante faccia o possa far mutazion di luogo la generazion dellachioma nella materiaio dico che del capo ancora può nelmedesimo modo seguir l'istesso; e non credo che quei filosofi antichistimassero altrimentiperchéseverbigraziaavessercreduto il capo esser realmente una stella per se stessalucida econsistentee solo la chioma apparenteavrebber detto che quandoper l'obliquità della sfera non si fa la refrazzion dellanostra vista al Solenon si vede più la chiomama sìben la stellach'è capo della cometa; il che non disseromadissero che in tutto non si vedeva cometa: segno evidentelagenerazion d'ambedue esser l'istessa. Ma detto o non detto che ciòsia da gli antichivien messo in considerazione adesso dal signorMario con assai sensate ragioni di dubitarele quali devono esserponderatecome pure fa ancora l'istesso Sarsi; e noi a suo luogoanderemo considerando quanto egli ne scrive.

Intantosegua V. S. Illustrissima di leggere: "Eadem prorsus rationerespondendum mihi est ad ea quæ argumento ex motu desumptoobiiciuntur. Nos enim ex eoquod loca cometæ singulis diebusrespondentia in planoad modum horologiidescripta in una rectalinea reperirenturmotum illum in circulo maximo fuisse necessarioinferebamus: obiicit autem Galilæus"non deduci idnecessario; quiasi incessus cometæ revera in linea rectafuissetsic etiam loca ipsiusad modum horologii descriptalineamrectam constituissent; non tamen fuisset motus hic in circulomaximo". Sed quamvis verissimum sitmotum etiam per lineamrectam repræsentari debuisse rectum; cum tamen adversus eos lisessetqui vel de cometæ motu circulari nihil ambigerentvelquibus rectus hic motus nunquam venisset in mentemhoc est contraAnaxagoramPythagoræosHippocratem et Aristotelematqueillud tantum quærereturan cometesqui in orbem agicredebaturmaiores an potius minores lustraret orbes; non ineptesed prorsus necessarioex motu in linea recta apparente inferebaturcirculus ex motu descriptus maximus fuisse: nemo enim adhuc motumhunc rectum et perpendicularem invexerat. Quamvis enim Keplerus anteGalilæumin appendicula de motu cometarumper lineas rectaseundem motum explicare contendatille tamen nihilominus viditinquales sese difficultates indueret: quare neque ad Terramperpendicularem esse voluit motum huncsed transversum; nequeæqualemsed in principio ac fine remissioremcelerrimum inmedio; eumque præterea fulciendum Terræ ipsius motucirculari existimavitut omnia cometarum phænomena explicaret;quæ nobis catholicis nulla ratione permittuntur. Ego igituropinionem illamquam pie ac sancte tueri non liceretpro nullahabendam duxeram. Quod si posteapaucis mutatismotum hunc rectumcometis tribuendum putavit Galilæusid quam non rectepræstiterit inferius singillatim mihi ostendendum erit.Intelligat interimnihil nos contra logicæ præceptapeccassedum ex motu in linea recta apparente orbis maximi partemeodem descriptam fuisse deduximus. Quid enim opus fuerat motum illumrectum et perpendicularem excluderequem in cometis nusquam repeririconstabat?"

Avevail signor Guiduccicon quell'onestissimo fine d'agevolar la stradaagli studiosi del veromesso in considerazione l'equivoco cheprendevano quegli chedall'apparir la cometa mossa per linea rettaargumentavano il movimento suo esser per cerchio massimoavvertendogli chese bene era vero che il moto per cerchio massimosempre appariva rettonon era però necessariamente vero ilconversocioè che il moto che apparisse retto fusse percerchio massimocome venivano ad aver supposto quegli chedall'apparente moto retto inferivanola cometa muoversi per cerchiomassimo: tra i quali era stato il P. Grassiil qualeforsequietandosi nell'autorità di Ticoneche prima avevaequivocatotrapassò quello che forse non avrebbe passatoquando non avesse avuto tal precursore; il che rende assai scusabileappresso di me il piccolo errore del Padreil quale credo anco chedell'avvertimento del signor Mario abbia fatto capitale etenutogliene buon grado. Vien ora il Sarsie continuando nel suo giàimpresso affettos'ingegna di far apparir l'avvertimentoinnavvertenza e poca considerazionecredendo in cotal guisa salvaril suo Maestro: ma a me pare che ne segua contrario effetto (quandoperò il Padre prestasse il suo assenso alle scuse e difese delSarsi)e che per ischivare un error soloincorrerebbe in molti.

Eprimaseguitando il Sarsi di reputar vano e superfluo l'avvertirquelle cose che né esso né altri ha avvertitedicechedisputando il suo Maestro con Aristotile e con Pittagoricichemai non avevano introdotto per le comete movimento rettofuor delcaso sarebbe stato ch'avesse tentato di rimuoverlo. Ma se noi benconsidereremoquesta scusa non solleva punto il Padre: perchénon avendo mai li medesimi avversari introdotto per le comete il motoper cerchi minorialtrettanto resta superfluo il dimostrar ch'ellesi muovono per cerchi massimi. Bisogna dunque al Sarsio trovar chequegli antichi abbiano scrittole comete muoversi per cerchi minorio confessare che il suo Maestro sia del pari stato superfluo nelconsiderare il moto per cerchio massimocome sarebbe stato nelconsiderare il retto.

Anzi(e sia per la seconda instanza)stando pur nella regola del Sarsiassai maggior mancamento è stato il lasciar senzaconsiderazione il moto rettopoi che pur v'era il Kepplero cheattribuito l'aveva alle cometeed il medesimo Sarsi lo nomina. Némi pare che la scusa ch'egli adduce sia del tutto sofficientecioèche per tirarsi tale opinion del Kepplero in conseguenza la mobilitàdella Terraproposizione la quale piamente e santamente non si puòtenereegli per ciò la reputava per niente; perchéquesto doveva più tosto essergli stimolo a distruggerla emanifestarla per impossibile: e forse non è mal fatto ildimostrar anco con ragioni naturaliquando ciò si possalafalsità di quelle proposizioni che son dichiarate repugnantialle Scritture Sacre.

Terzoresta ancor manchevole la scusa del Sarsiperché nonsolamente il moto veramente retto apparisce per linea rettamaqualunque altrotuttavolta che sia fatto nel medesimo piano nelquale è l'occhio del riguardante; il che fu pure accennato dalsignor Mario: sì che bisognerà al Sarsi trovar modo dipersuaderci che né anco alcuno altro movimentofuor delcircolaresia mai caduto in mente ad alcuno potersi assegnare allecomete; il che non so quanto acconciamente gli potesse succedere;perchéquando niuno altro l'avesse dettol'ha pure eglistesso scritto pochi versi di sottoquandoper difesa delladigression dal Sole di più di 90 gradiei dà luogo almoto non circolareed ammette quello per linea ovataanzi purbisognandoper qualsivoglia linea irregolare ancora. È dunquenecessarioo che l'istesso movimento sia or circolare or ovale ordel tutto irregolaresecondo il bisogno del Sarsio ch'ei confessila difesa pel suo Maestro esser difettosa.

Quartoma che sarà quando io ammettail moto della cometa essernonsolo per commune opinionema veramente e necessariamentecircolare?Stimerà forse il Sarsiesser perciò dal suo Maestro oda altridall'apparir quello per retta lineaconcludentementedimostrato esser per cerchio massimo? So che il Sarsi ha sin oracreduto di sìe si è ingannatoed io lo trarreid'errorequando credessi di non gli dispiacere; e per ciòfare l'interroghereiquali nella sfera ei domanda cerchi massimi. Soche mi risponderebbequelli che passando per lo centro di quella(ch'è anco il centro della Terra)la dividono in due partiuguali. Io gli soggiungerei: "Adunque i cerchi descritti daVenereda Mercurio e da' pianeti Medicei non sono altrimenti cerchimassimianzi piccolissimiavendo questi per lor centro Gioveequelli il Sole; tuttavia se s'osserverà quali si mostrino imovimenti lorogli troveremo apparir per linee rette; il che avvieneper esser l'occhio nostro nel medesino piano nel quale son anco icerchi descritti dalle nominate stelle." Concludiamo per tantoche dall'apparirci un moto retto altro non si può concluderesalvo che l'esser fattonon per la circonferenza d'un cerchiomassimo più che per quella d'un minorema solamente esserfatto nel piano che passa per l'occhiocioè nel piano d'uncerchio massimo; e che in se stesso quel moto può esser fattoper linea circolareed anco per qual si voglia altra quanto sivoglia irregolareché sempre apparirà retto; e cheperònon essendo le due proposizioni già da noiessaminate convertibiliil prender l'una per l'altra è unequivocarech'è poi peccare in logica.

Seio credessi che il Sarsi non fusse per volermene malevorrei che noigli conferissimo un'altra simil fallaciala quale veggo ch'èda grandissimi uomini trapassatae forse l'istesso Sarsi non vi hafatto reflessione; ma non vorrei fargli dispiacere col mostrargli dinon l'aver io ancoracon tanti altri più perspicaci di metrascorsa. Ma sia come si vogliala voglio conferire a V. S.Illustrissima. È stato con arguta osservazion notatochel'estremità della codail capo delle comete ed il centro deldisco del Sole si scorgono sempre secondo la medesima linea retta;dal che si è preso gagliarda conghietturadetta coda essereun distesa refrazzione del lume solarediametralmente opposta alSole; ned èper quanto io sappiasin qui caduto inconsiderazione ad alcunocome il mostrarcisi il Sole e tutto iltratto della cometa in linea retta non concluda che necessariamentela linea retta tirata per l'estremità della coda e pel capodella cometa vadaprolungataa terminar nel Sole. Per apparir tre opiù termini in linea rettabasta che sieno collocati nelmedesimo piano che l'occhio: e cosìper essempioMarte o laLuna talora si vederanno in mezo direttamente tra due stelle fissema non perciò la linea retta che congiungesse le due stellepasserebbe per Marte o per la Luna. Dall'apparirdunquela codadella cometa direttamente opposta al Solealtro non si puònecessariamente concludereche l'esser nel medesimo pianocoll'occhio.

Orsianel quinto luogonotata certadirò cosìincostanza nelle parole verso il fine delle lette da V. S.Illustrissima e da me essaminate; dove il Sarsi si prende assunto divoler più a basso mostrare quanto malamente iocioè ilsignor Marioabbia attribuito alla cometa il moto rettoe poitreversi più a bassodice non esser bisogno alcuno d'escluderquesto moto rettoil qual era certo e manifesto già mai nonritrovarsi nelle comete. Ma se l'impossibilità di questo motoè certa e manifestaa che proposito mettersi a volerlaescludere? ed in qual modo è ella certa e manifestaseperdetto del Sarsinessuno l'ha pur mai non solamente confutatama néanco considerata? Al Kepplero solodic'egliè tal motovenuto in considerazione. Ma il Kepplero non lo confutaanzil'introduce per possibile e vero. Parmi che 'l Sarsisentendosi dinon poter far altrocerchi d'avviluppare il lettore: ma io cercheròdi disfare i viluppi.

"Seddum illud præterea hoc loco nobis obiicit: "Si cometescirca Solem agereturcum integro quadrante ab eodem Sole recesseritfuturum aliquando ut ad Terram usque descenderet"non venitilli in mentem fortassenon uno modo circa Solem cometam agipotuisse. Quid enimsi circulusquo vehebatureccentricus Solifuissetet maiori sui parte aut supra Solem existenteaut adseptentrionem vergente? Quidsi motus circularis non fuissetsedellipticuset quidem summa imaque parte compressuslonge veroexporrectus in latera? Quidsi ne ellipticus quidemsed omninoirregulariscum præsertimex ipsius Galilæi systematenullo plane impedimento cometisquocunque liberetmoveri licuerit?Ut sane propterea timendum non essetne cometarum lucem Tellus autTartarus e propinquo visurus umquam foret."

Quiprimieramentese io ammetto l'accusa che mi dà il Sarsi dipoco consideratomentre non mi siano venuti in mente i diversi motich'attribuir si possono alla cometanon so com'egli potràscolpare dalla medesima nota il suo Maestroil quale non consideròil potersi ella muover di moto retto; e s'egli scusa il suo Maestrocol dire che tal considerazione sarebbe stata superfluanon sendostato da niun altro autore introdotto tal movimentonon veggo dimeritar d'essere accusato ioma sì ben nell'istesso mododebbo essere scusatonon si trovando autor nessuno ch'abbiaintrodotti questi moti stranieri ch'ora nomina il Sarsi. In oltresignor Sarsitoccava al vostro Maestroe non a mea pensare aquesti movimenti per li quali si potesse render convenevol ragionedelle digressioni così grandi della cometa; e se alcuno ve n'èaccommodato a tal bisognodoveva nominarlo e quel solo accettareenon lasciarlo sotto silenzio e introdurre con Ticone il semplicecircolare intorno al Soleinettissimo a salvar cotale apparenzaevoler poi che non esso ma noi avessimo commesso falloin nonindovinare ch'ei potesse internamente aver dato ricetto a pensieridiversissimi da quello ch'aveva scritto. Di piùil signorMario non ha mai detto che non sia in natura modo alcuno di salvar ladigressione d'una quarta (anzi se tal digressione è statabenchiara cosa è che ci è anco il modo com'ella èstata); ma ha detto: "Nell'ipotesi ricevuta dal Padre non si puòfar tal digressione senza che la cometa tocchi la Terrae anco lapenetri." Vanadunqueè sin qui la scusa del Sarsi. Mafors'ei pretende ch'ogni leggiera scusa si debba ammettere per lo suoMaestroma che per me ogni più gagliarda resti invalida; e sequesto èio volentieri mi quietoe liberamente glielconcedo.

Evengonel secondo luogoa produrre altra scusa per me (vestitodella persona del signor Mario); e con ingenuità confessandonon m'esser venuti in mente i movimenti per eccentrici o per lineeovali o per altre irregolaridico ciò essere accadutoperch'io non soglio dar orecchio a' concetti che non ànno chefare in quel proposito di che si tratta. E che vuol fare il Sarsi delmoto intorno al Sole in una figura ovaleper far digredir la cometauna quarta? cred'egli forse checoll'allungar per un verso estringer per l'altro tal figuragli possa succedere l'intento? certonoquando anco ei l'allungasse in infinito. E la medesimaimpossibilità cade nell'eccentrico che sia per la minor partesotto il Sole. E per intelligenza del SarsiV. S. Illustrissimapotrà una voltaincontrandoloproporgli due tali linee rette

ABCDdelle quali la CD sia perpendicolare all'ABe dirgli chesupponendo la retta DC esser quella che va dall'occhio al Solequella per la quale si ha da vedere la cometa digredita 90 gradibisogna che di necessità sia la DA o vero DBessendocommunemente concedutoil moto apparente della cometa esser nelpiano d'un cerchio massimo: lo preghi poiche per nostroammaestramento egli descriva l'eccentrico o l'ovato nominati da luiper li quali movendosi la cometa possa abbassarsi tanto ch'ella vengaveduta per la linea ADBperché io confesso di non lo saperfare. E sin qui vengono esclusi due de' proposti modi: ci restal'altro eccentrico col centro declinante a destra o a sinistra dellalinea DCe la linea irregolare. Quanto all'eccentricoè veroche non è del tutto impossibile a disegnarsi in carta inmaniera che causi la cercata digressione; ma dico bene al Sarsi ches'ei si metterà a delinear il Sole cogli orbi di Mercurio e diVenere attornoe di più la Terra circondata dall'orbe dellaLunacome di necessità convien fare l'uno e l'altroe poi siporrà a volervi ingarbare un tale eccentrico per la cometacredo certo che se gli rappresenteranno tali essorbitanze emostruositàche quando bene con tale scusa ei potessesollevare il suo Maestrosi spaventerebbe a farlo. Quanto poi allelinee irregolarinon è dubbio nessuno che non solamentequestama qualsivoglia altra apparenza si può salvare: mavoglio avvertire il Sarsi che l'introdur tal linea non pur nongioverebbe alla causa del suo Maestroma più gravemente glipregiudicherebbee questo non solamente perch'ei non l'ha nominatamaianzi accettò la linea circolare regolarissimaper cosìdiresopra ogn'altrama perché maggior leggerezza sarebbestata il proporla; il che potrebbe intendere il Sarsi medesimotuttavolta ch'ei considerasse che cosa importi linea irregolare.Chiamansi linee regolari quelle cheavendo la loro descrizzione unaferma e determinatasi possono definiree di loro dimostrare gliaccidenti e proprietà: e così la spirale èregolaree si definisce nascer da due moti uniformil'un retto el'altro circolare; così l'ellitticanascendo dalla sezziondel cono e del cilindroetc. Ma le linee irregolari son quelle chenon avendo determinazion verunasono infinite e casualie perciòindefinibiliné di esse si puòin conseguenzadimostrar proprietà alcunané in somma saperne nulla.Sì che il voler dire "Il tale accidente accade mercédi una linea irregolare" è il medesimo che dire "Ionon so perché ei s'accaggia"; e l'introduzzione di tallinea non è punto migliore delle simpatieantipatieproprietà occulteinfluenze ed altri termini usati da alcunifilosofi per maschera della vera rispostache sarebbe "Io nonlo so"risposta tanto più tollerabile dell'altrequant'una candida sincerità è più bellad'un'ingannevol doppiezza. Fu dunque molto più avveduto il P.Grassi a non propor cotali linee irregolari come bastanti asoddisfare al quesitoche il suo scolare a nominarle.

Èben veros'io devo liberamente dire il mio parereche io credo cheil Sarsi medesimo abbia benissimo ed internamente compresal'inefficacia delle sue rispostee che poco fondamento ci abbiafatto sopra; il che conghietturo io dall'essersene con gran brevitàspeditoancor che il punto fusse principalissimo nella materia chesi trattae le difficoltà promosse dal signor Mariogravissime: ed egli di se medesimo mi è buon testimoniomentrealla fac. 16parlando di certo argomento usato dal suoMaestroscrive: "Cæterumquanti hoc argumentum apudnos essetsatis arbitror ex eo poterat intelligiquod paucis adeoac plane ieiune propositum fueritcum prius reliqua duo longeaccuratius ac fusius fuissent explicata." E con qual brevitàe quanto sobriamente egli abbia tocco questoveggasioltreall'altre cosedal non aver pur fatte le figure degli eccentrici edell'ellissi introdotte per salvare il tutto; dove che più abasso incontreremo un mar di disegni inseriti in un lungo discorsoper riprovar poi una esperienza che in ultimo non reca pure un minimoristoro alla principale intenzione che si ha in quel luogo. Masenz'andar più lontanoentri pur V. S. Illustrissima in unoceano di distinzionisillogismi ed altri termini logicalietroverà esser fatta dal Sarsi stima grandissima di cosa cheliberamente parlandoio stimo assai meno della lana caprina.

"Sedquando Magistro meo logicæ imperitiam Galilæus obiecitpatiatur experiri nosquam exacte eiusdem ipse facultatis legesservaverit: neque hoc multis; uno enim aut altero exemplo contentierimus.

Dixeramusstellas tubo inspectas minimumad sensumincrementum suscepisse."Sed cum stellæinquit illequamplurimæquæperspicacissimos quosque oculos fugiuntper tubum conspicianturnoninsensibilesed infinitum potiusincrementum ab illo accepissedicendæ erunt; nihil enim atque aliquid infinito plane distantintervallo." Ex eo igiturquod aliquid videatur cum prius nonvidereturinfert Galilæus obiecti incrementum infinitumincrementuminquamapparens saltemquantitatis. At egonequeinfinitumneque incrementum quidem ulluminferri posse existimo. Etprimo quidemquamquam verum sititer hoc quod est videriet hocquod est non videridistantiam esse infinitamuna saltem ex parteatque hæc duo proportionem illam habere quam nihil atquealiquidhoc est proportionem prorsus nullam; cum tamen id quod noneratesse incipitcrescere aut augeri non diciturquod augmentumomne aliquid semper ante supponatneque mundumcum primum a Deocreatus estinfinite auctum dicimuscum nihil antea præfuisset:est enim augerifieri aliquid maiuscum prius esset minus. Quare exeoquod aliquid prius non videreturvideatur autem posteainferrinon potestne in ratione quidem visibilisaugmentum infinitum. Sedhoc interim nihil moror; vocetur augmentum transitus de non esse adesse: ulterius pergo. Ipse tamencum ex eo quod stellæanteanon visæper tubum inspectæ fuerintintulit a tuboillas infinitum incrementum accepissememinisse debuerataffirmassese alibi tubum eundem in eadem proportione augere omnia. Si ergostellasquas nudis oculis videmusauget in certa ac determinataproportioneputa in centuplaillas etiam minimasquæ oculosfugiuntcum in aspectum profertin eadem proportione augebit: nonigitur infinitum erit illarum incrementumhoc enim nullam admittitproportionem.

Secundoad hocut inter visibile et non visibile intercedat augmentuminfinitum in apparenti quantitateid enim significat vox incrementiab illo usurpatanecesse est ostendere inter quantitatem visam etnon visam distantiam esse infinitam in ratione quanti; alioquinnunquam inferetur hoc augmentum infinitum. Si quis enim itaargumentetur: "Cum quid transit de non visibili ad visibileaugetur infinite; sed stellæ transeunt de non visibili advisibile; ergo augentur infinite"distinguenda erit maior:augentur infinite in ratione visibilisesto; augentur in rationequantinegatur. Sic enim etiam consequens eadem distinctionesolvetur: augentur in ratione visibilisnon autem in ratione quanti.Ex quibus apparetterminum incrementi non eodem modo sumi in maioripropositione atque in consequentia; in illa siquidem pro incrementovisibilitatis accipiturin hac vero pro augmento quantitatis: hocautem quam logicæ legibus consentaneum sitvideat Galilæus.

Tertioaio ne ullum quidemaugmentum inde inferri posse. Logicorum enim lexestquotiescumque effectus aliquis a pluribus causis haberi potestmale ex effectu ipso unam tantum illarum inferri: verbi gratiacumcalor haberi possit ab ignea motua Solealiisque causismalequis inferetHic calor estergo ab igne. Cum ergo hocquod estvideri aliquid cum prius non videretura multis etiam causis penderepossitnon poterit ex illa visibilitate una tantum illarum causarumdeduci. Posse autem hunc effectum a pluribus causis haberiapertissimum esse arbitror: manente enimprimumobiecto ipsoimmutatosi vel potentia visiva augeatur in se ipsavelimpedimentum aliquod auferatursi adsitvel instrumento aliquoqualia sunt specillaeadem potentia fortior evadatvel certeimmutata potentiaobiectum ipsum aut illuminetur clarius aut propiusaccedat ad visum aut eius denique moles excrescat; unum ex his satiserit ad eumdem effectum producendum. Cum ergo inferturex eo quodstellæ videanturcum prius laterentinfinitum illas augmentumaccepissead logicorum normam id minus recte colligiturquod aliæcausæ omissæ sint ex quibus idem effectus haberi poterat.Sane nihil est quod tubo hoc incrementum tribuat Galilæus; sienim vel clausos tantum oculos semel aperiataugeri omnia infiniteæque vere pronunciabitcum prius non viderenturmodovideantur. Quod si dicatsibi de iis tantum loquendum fuissequæa tubo haberi possentcum solum hic de tubo agereturpotuisseproinde se alias causas omittere; respondeone id quidem ad rectamargumentationem satis esse: tubus enim ipse non uno tantum modo eaquæ sine illo non videnturin conspectum profert; primoquidemobiecta sub maiori angulo ad oculum ferendoex quo fit utmaiora videantur; secundoradios ac species in unum cogendoex quofit ut efficacius agant: horum autem alterum satis est ad hocutvideantur ea quæ prius aspectum fugiebant. Non licuit ergo exhoc effectu alteram tantum illarum causarum inferre.

Quartone id quidem logicorum legibus congruitstellassi per tubum nonaugenturab eodemsingulari sane eiusdem prærogativainstrumentiilluminari. Ex quibus videtur Galilæus duobus hismembris adæquate specillorum effecta partiriquasi diceret:Specillum vel stellas augetvel easdem illuminat; non augetergoilluminat. Lex tamen alia logicorum estin divisione membra omniadividentia includi debere: sed in hac Galilæi divisione nequeomnia specilli effecta includunturneque ea quæ numerantureius propria sunt; illuminatio enimut ipse quidem existimattubieffectus esse non potest; et specierum aut radiorum coactioquæproprie a specillis habeturab eodem omittitur: vitiosa igitur fuiteiusdem divisio. Nec plura hic addo: pauca autem hæcquæuno ferme loco forte inter legendum offendiadnotare voluialiisinterim omissisut intelligatdisputationem suam ea culpa nonvacarequam ipse in aliis repræhendit.

Sedquid (libet enim hoc loco rem Galilæo adhuc inauditam nonomittere)quidinquamsi quam ipse prærogativam tubo suotribuere non audetillam ego eidem tribuendam esse ostendero? Tubusinquitvel obiecta augetvel certeocculta quadam atque inauditavieadem scilicet illuminat. Ita est: tubus luminosa omnia magisilluminat. Hoc si ostenderonæ ego magnam me apud Galilæuminiturum gratiam spero; dum tubumcuius amplificatione meritogloriaturhac etiam inaudita prærogativa donavero. Age igiturtubo eodem ideo augeri dicimus obiectaquia hæc ab eo adoculum feruntur maiori anguloquam cum sine tubo conspiciuntur;quæcumque autem sub maiori angulo conspiciunturea maioravidenturex opticis: sed tubus idem luminosorum species et dispersosradios dum cogit et ad unum fere punctum colligitconum visivumseupiramidem luminosam qua obiecta lucida spectanturlonge lucidioremefficitet proinde luminosa obiecta splendidiore piramide ad oculumvehit: ergo pari ratione dicetur tubus stellas illuminaresicutieasdem augere dicitur. Quemadmodum enim angulus maior vel minorsubquo res conspiciturrem maiorem minoremve ostenditita piramismagis minusve luminosaper quam corpus luminosum aspicituridemobiectum lucidum magis aut minus monstrabit. Fieri autem lucidiorempiramidem opticam ex radiorum coactionesatis manifeste etexperientia et ratio ipsa ostendunt. Hæc siquidem docetlumenidemquo minori compræhenditur spatioeo magis illuminarelocum in quo est; at radii in unum coacti lumen idem minori spatioclaudunt; ergo et hoc idem magis illuminant. Experientia vero idemprobabitursi lentem vitream Soli exponamus; videbimus enim inradiis ad unum punctum coactisnon solum ligna comburi et plumbumliquesceresed oculos eo lumineutpote clarissimopene excæcari.Quare asserotam vere dici stellas tubo illuminariquam easdemeodem tubo augeri. Bene igitur est ac perbeate tubo huic nostroquando stellas ipsas ac Solemclarissima luminaillustrare etiamclarius per me iam potest. "

Quicome vede V. S. Illustrissimain contracambio dell'equivoco nelquale il P. Grassi eracome il signor Guiducci avverteincorsoseguendo l'orme di Ticone e d'altrivuole il Sarsi mostrareme averaltrettantoo piùerrato in logica; mentre che per mostrarel'augumento del telescopio esser nelle stelle fisse quale negli altrioggettie non insensibile o nullocome aveva scritto il Padresiargumentò in cotal forma: "Molte stelle del tuttoinvisibili a qualsivoglia vista libera si rendon visibilissime coltelescopio; adunque tale augumento si doverebbe più tostochiamare infinito che nullo." Qui insorge il Sarsie conlunghissime contese fa forza di dichiararmi pessimo logicoper averchiamato tale ingrandimento infinito: alle quali tutteperchéormai sento grandissima nausea da quelle altercazioni nelle quali ioaltresì nella mia fanciullezzamentr'ero ancor sotto ilpedantecon diletto m'ingolfavorisponderò breve esemplicementeparermi che il Sarsi apertamente si mostri quale eglitenta di mostrar mecioè poco intendente di logicamentr'eipiglia per assoluto quello ch'è detto in relazione. Mai non siè dettol'accrescimento nelle stelle fisse esser infinito; maavendo scritto il Padrequello esser nulloed il signor Marioavvertitolociò non esser veropoi che moltissime stelle ditotalmente invisibili si rendono visibilissimesoggiunsetaleaccrescimento doversi più tosto chiamare infinito che nullo. Echi è così semplice che non intenda che chiamandosi ilguadagno di millesopra cento di capitalegrandee non nulloilmedesimo sopra diecegrandissimoe non nulloe' non intendadicoche l'acquisto di mille sopra il niente più tosto si devachiamare infinito che nullo? Ma quando il signor Mario ha parlatodell'accrescimento assolutosa pur il Sarsied in molti luoghi l'hascrittoch'egli ha dettoesser come di tutti gli altri oggettiveduti coll'istesso strumento; sì che quando in questo luogoei vuol tassar il signor Mario di poca memoriadicendo ch'ei sidoveva pur ricordare d'avere altra volta detto che il medesimostrumento accresceva tutti gli oggetti nella medesima proporzionel'accusa è vana. Anziquando anco senz'altra relazione ilsignor Mario l'avesse chiamato infinitonon avrei creduto che sifusse per trovar alcuno così cavillosoche vi si fusseattaccatoessendo un modo di parlare tutto il giorno usitato ilporre il termine d'infinito in luogo del grandissimo. Largo campoavrà il Sarsi di mostrarsi maggior logico di tutti gliscrittori del mondone i quali io l'assicuro ch'ei troverà laparola infinito presa delle diece volte le nove in vece digrande o grandissimo. Ma piùsignorSarsise il Savio si leverà contro di voi e dirà:"Stultorum infinitus est numerus"qual partito saràil vostro? vorrete voi forse ingaggiarla secoe sostener la suaproposizione esser falsaprovandoanco coll'autoritàdell'istessa Scritturache il mondo non è eternoe cheessendo stato creato in temponon possono essere né esserestati uomini infinitie chenon regnando la stoltizia se non tragli uomininon può accadere che quel detto sia mai veroquando ben tutti gli uomini presenti e passati ed ancodiròi futuri fussero sciocchiessendo impossibile che gl'individuiumaniquando anco la durazion del mondo fusse per essere eternasieno già mai infiniti?

Maritornando alla materiache diremo dell'altra fallacia con tantasottigliezza scoperta dal Sarsinel chiamar noi accrescimento quellod'un oggetto che d'invisibile si facol telescopiovisibile? ilqualedic'eglinon si può chiamare accrescimentoperchél'accrescimento suppone prima qualche quantitàel'accrescersi non è altro che di minore farsi maggiore. Aquesto veramente io non saprei che altro dirmiper iscusa del signorMariose non ch'egli se n'andò alla buonacome si dice; ecredendo che la facoltà del telescopio colla quale ei cirappresenta quelli oggetti i quali senz'esso non iscorgevamofussela medesima che quella colla quale anco i veduti avanti cirappresenta maggiori assaie sentendo che questa communemente sichiamava uno accrescimento della specie o dell'oggetto visibilesilasciò traportare a chiamare quella ancora nell'istesso modo;la qualecome ora ci insegna il Sarsisi doveva chiamar nonaccrescimentoma transito dal non essere all'essere. Sì chequandoverbigrazial'occhiale ci fa da una gran lontananza leggerquella scrittura della quale senz'esso noi non veggiamo se non icaratteri maiuscoliper parlar logicamente si deve dire chel'occhiale ingrandisce le maiuscolema quanto alle minuscole fa lorfar transito dal non essere all'essere. Ma se non si può senzaerrore usar la parola accrescimento dove non si supponga primaalcuna cosa in attoche debba riceverloforse che la parolatransito o trapasso non verrà troppo piùveridicamente usurpata dal Sarsi dove non sieno due terminicioèquello donde si parte e l'altro dove si trapassa. Ma chi sa che ilsignor Mario non avesse ed abbia opinione che degli oggettiancorche lontanissimile specie pure arrivino a noima sotto angoli cosìacuti che restino al senso nostro impercettibili e come nulleancorch'elle veramente sieno qualche cosa (perchés'io devo direil mio parerestimo che quando veramente elle fusser nientenonbasterebbon tutti gli occhiali del mondo a farle diventar qualchecosa); sì che le specie altresì delle stelle invisibilisienonon meno che quelle delle visibilidiffuse per l'universoeche in conseguenza si possa anco di quellecon buona grazia delSarsi e senza error di logicapredicar l'accrescimento? Ma perchévo io mettendo in dubbio cosa della quale io ho necessaria e sensataprova? Quel fulgore ascitizio delle stelle non è realmenteintorno alle stellema è nel nostro occhio; sì chedalla stella vien la sola sua specienuda e terminatissima. Sappiamodi sicuro ch'una nubilosa non è altro che uno aggregato dimolte stelle minuteinvisibili a noi; con tutto ciò non ciresta invisibile quel campo che da loro è occupato; ma sidimostra in aspetto d'una piazzetta biancheggiantela qual derivadal congiungimento de' fulgori di che ciascheduna stellinas'inghirlanda: ma perché questi irraggiamenti non sono se nonnell'occhio nostroè necessario che ciascheduna specie diesse stelline sia realmente e distintamente nell'occhio. Di qui sicava un'altra dottrinacioè che le nubiloseed anco tutta laVia Latteain cielo non son nientema sono una pura affezzionedell'occhio nostro; sì che per quelli che fussero di vistacosì acuta che potesser distinguer quelle minutissime stellele nubilose e la Via Lattea non sarebbono in cielo. Questecomeconclusioni non dette da altri sin oracredo che non sarebbonoammesse dal Sarsie ch'egli pur vorrebbe che il signor Mario avessepeccato nel chiamare accrescimento quello che appresso di lui si devedir transito dal non essere all'essere. Ma sia come si voglia; io holicenza dal signor Mario (per non ingaggiar nuove liti) di concedertutta la vittoria al Sarsi di questo duelloe di quello ancora chesegue appressodove il Sarsi si contenta che la scoperta delle fisseinvisibili si possa chiamare accrescimento infinito in ragion divisibilema non già in ragion di quanto: tutto questo se gliconcedapur che ei conceda a noi che e le invisibili e le visibilicrescano pure in ragion di quel che piace al Sarsicresconofinalmente in modo che rendon totalmente falso il detto del suoMaestroche scrisse ch'elle non crescevano punto in veruna maniera;sopra il qual detto era fondato il terzo delle ragionicolle qualiegli aveva intrapreso a provar la primaria intenzione del suotrattatocioè il luogo della cometa.

Mache risponderem noi ad un altro errorepure in logicache il Sarsici attribuisce? Sentiamoloe poi prenderemo quel partito che ciparrà più opportuno. Non contento il Sarsi d'avermostrato come il più volte già nominato scoprimentodelle fisse invisibili non si deve chiamare accrescimento infinitopassa a provar che il dire ch'ei proceda dal telescopio ègrave errore in logicale cui leggi vogliono che quando un effettopuò derivare da più causemalamente da quello sen'inferisca una sola: e che il vedersi quello che prima non si vedevasia un degli effetti che posson depender da più causeoltre aquella del telescopiochiaramente lo mostra il Sarsi nominandole aduna ad una; le quali tutte era necessario rimuoveree mostrarcom'elle non erano a parte nell'atto del farci vedere col telescopiole stelle invisibili. Sì che il signor Marioper fuggirl'imputazione del Sarsidoveva mostrare che l'accostarsi iltelescopio all'occhio non eraprimauno accrescere in se stessa eper se stessa la virtù visiva (che pur è una causa perla qualesenz'altro aiutosi può veder quel che prima non sipoteva); secondodoveva mostrar che la medesima applicazione non eraun tor via le nuvolegli alberii tetti o altri impedimenti dimezo; terzoch'ei non era un servirsi d'un paio d'occhiali da nasoordinarii (e vocome V. S. Illustrissima vedenumerando le causeposte dal medesimo Sarsisenz'alterar nulla); quartoche questo nonè un illuminar l'oggetto più chiaramente; quintochequesto non è un far venir le stelle in Terra o salir noi incieloonde l'intervallo traposto si diminuisca; sestoch'ei non èun farle rigonfiareondeingranditedivengano più visibili;settimoche questo non è finalmente un aprir gli occhichiusi: azzioni tutteciascheduna delle quali (ed in particolarl'ultima) è bastante a farci vedere quel che prima nonvedevamo. Signor Sarsiio non so che dirvise non che voidiscorrete benissimo; solo dispiacemi che queste imputazioni cascanotutte addosso al vostro Maestrosenza toccar punto il signor Mario ome. Io vi domando se alcune di queste causeda voi prodotte comepotenti a farci veder quello che senza lor non si vederebbecomeverbigrazial'avvicinarlol'interpor vapori o cristalli etc.vidimandodicose alcuna di queste cause può produr l'effettodell'ingrandir gli oggetti visibilisì come lo produce iltelescopio ancora. Io credo pure che voi risponderete di sì.Ed io vi soggiungerò che questo è un aperto accusare dicattivo logico il vostro Maestroil qualeparlando in generale atutto il mondoriconobbe l'ingrandimento della Luna e di tutti glialtri oggetti dal solo telescopiosenza l'esclusion di niunadell'altre causecome per vostra opinione sarebbe stato in obligo difare; il quale obligo non cade poi punto nel signor Marioavvengacheparlando solo col vostro Maestroe non più a tutto ilmondoe volendo mostrar falso quello ch'egli aveva pronunziatodell'effetto di tale strumentolo considerò (né era inobligo di considerarlo altrimenti) nel modo che l'aveva consideratoil suo avversario. Anzi la vostra nota di cattivo logico cade tantopiù gravemente sopra il vostro Maestroquanto ch'egli inaltra occasione importantissima trasgredì la legge: diconell'inferir dall'apparenza del moto retto la circolazione percerchio massimopotendo esser del medesimo effetto causa ilmovimento realmente retto e qualunque altro moto fatto nell'istessopiano dove fusse l'occhiodelle quali tre cagioni potevano con granragione dubitare anco gli uomini molto sensati; anzi l'istesso vostroMaestroper vostro dettonon ricusò d'accettare il moto perlinea ovale o anco irregolare. Ma il dubitare se alcuna delle vostresette cause poste di sopra potesse aver luogo nell'apparizion dellestelle invisibilimentre che col telescopio si rimiranose io devoparlar liberamentenon credo che potesse cadere in mente se non apersone costituite nel sommo ed altissimo grado di semplicità.

Nellaquale schiera io non però intendoIllustrissimo Signorediporre il Sarsi; perchése ben egli è quello che si èlasciato traportare a far questa passatatuttavia si vede ch'ei nonha parlatocome si diceex corde; poi che in ultimoquasi quasi si accommoda a concedere chenon si trattando d'altroche del telescopiosi potessero lasciar da banda l'altre cause:tuttaviaperché il conceder poi questo apertamentesi tiravain conseguenza la nullità della sua già fatta accusa edel concettoper quella impresso forse in alcuno de' lettorid'esser io cattivo logicoper ovviare a tutto questo soggiunge chené anco tal cosa basta ad una retta argumentazione: e laragion èperché il telescopio non in un modo solo faveder quel che non si vedevama in due: il primo è col portargli oggetti a gli occhi sotto angolo maggioreper lo che maggioriappariscono; l'altrocon l'unire i raggi e le specieonde piùefficacemente operano; e perché l'uno di questi basta per farapparire quel che non si scorgevanon si deve da questo effettoinferire una sola di quelle cause. Queste sono le sue precise paroledelle quali io non direi di saper penetrar l'intimo sensoavvengache egli stia troppo su 'l generaledove mi par che fusse stato dimestieri dichiararsi più specificatamentepotendo la suaproposizione esser intesa in più modi; de i quali quello ch'èper avventura il primo a rappresentarsi alla mentecontiene in séuna manifesta contradizzione. Imperocché il portar gli oggettisotto maggior angoloonde maggiori appariscanosi rappresentaeffetto contrario al ristringer insieme i raggi e le specie; perchéessendo i raggi quelli che conducono le speciepar che non ben sicapisca comenel condurlesi ristringano insieme ed in un tempoformino angolo maggiore; imperò checoncorrendo insieme lineea formare un angolopar chenel ristringersil'angolo debba piùtosto inacutirsi che farsi maggiore. E se pure il Sarsi aveva infantasia qualch'altro modo per lo quale potessero i raggicoll'unirsiformare angolo maggiore (il che io non niego poter peravventura ritrovarsi)doveva dichiararlo e distinguerlo dall'altroper non lasciare il lettore tra i dubbi e gli equivoci. Ma posto perora che sieno tali due modi d'operare nell'uso del telescopioiovorrei sapere se ei lavora sempre con ambedue insiemeo pur talvoltacoll'uno ed altra volta coll'altro separatamentesì chequando ei si serve dell'ingrandimento dell'angololasci stare ilristringimento de' raggie quando ristringe i raggiritengal'angolo nella sua primiera quantità. S'egli opera sempre conambedue questi mezigran semplicità è quella del Sarsimentre accusa il signor Mario per non avere accettato e nominatol'uno ed escluso l'altro; ma s'egli opera con un solopure ha erratoil Sarsi a non lo nominareescludendo l'altroe mostrar che quandonoi guardiamoverbigraziala Lunache ricresce assaissimoeilavora coll'ingrandimento dell'angoloma quando si guardano lestellenon s'ingrandisce l'angoloma solamente s'uniscono i raggi.Ioper quanto posso con verità deporrenelle infinite opermeglio diremoltissime volte che ho guardato con tale strumentononho mai conosciuta diversità alcuna nel suo operaree peròcredo ch'egli operi sempre nell'istessa manierae credo che il Sarsicreda l'istesso; e come questo siabisogna che le due operazionidell'ingrandir l'angolo e ristringer i raggiconcorrano sempreinsieme: la qual cosa rende poi in tutto e per tutto fuori del casol'opposizione del Sarsi; perch'è ben vero che quando da uneffetto il quale può depender da più causeseparatamentealtri ne inferisce una particolarecommette errore;ma quando le cause sieno tra di loro inseparabilisì chenecessariamente concorrano sempre tuttese ne può ad arbitrioinferir qual più ne piaceperché qualunque volta siapresente l'effettonecessariamente vi è anco quella causa. Ecosìper darne un essempiochi dicesse "Il tale haacceso il fuocoadunque si è servito dello specchio ustorio"errerebbepotendo derivar l'accendimento dal batter un ferrodall'esca e fuciledalla confricazion di due legnie da altrecause; ma chi dicesse "Io ho sentito batter il fuoco al vicino"e soggiungesse "Adunque egli ha della pietra focaia"senzaragione sarebbe ripreso da chi gli opponesse checoncorrendo a taleoperazioneoltre alla pietrail fucilel'esca e 'l solfanelloancoranon si poteva con buona logica inferir la pietrarisolutamente. E cosìse l'ingrandimento dell'angolo el'union de' raggi concorron sempre nell'operazioni del telescopiodelle quali una è il far veder l'invisibileperché daquesto effetto non si può inferire quale delle due cause piùne piace? Io credo di penetrare in parte la mente del Sarsiilquales'io non m'ingannovorrebbe che il lettore credesse quelloch'egli stesso assolutamente non credecioè ch'il veder lestelleche prima erano invisibiliderivasse non dall'ingrandimentodell'angoloma dall'unione de' raggi; sì chenon perchéla specie di quelle divenisse maggiorema perché i raggifussero fortificatisi facesser visibili; ma non si è volutoapertamente scoprireperché troppo gli sono addosso l'altreragioni del signor Mario taciute da essoed in particolare quelladel vedersi gl'intervalli tra stella e stella ampliati colla medesimaproporzione che gli oggetti quaggiù bassi; i quali intervallinon dovrian ricrescer punto se niente ricrescessono le stelleessendo loro così distanti da noi come quelle. Ma per finirlaio son certo che quando il Sarsi volesse venire a dichiararsicom'egli intenda queste due operazioni del telescopiodico delristringere i raggi e dell'ingrandir il loro angoloe'manifesterebbe che non solamente si fanno sempre ambedue insiemesìche già mai non accaggia unire i raggi senza ingrandirl'angoloma ch'elle sono una cosa medesima; e quando egli avessealtra opinionebisogna ch'ei mostri che 'l telescopio alcune volteunisca i raggi senza ingrandir l'angoloe che ciò faccia eglia punto quando si guardano le stelle fisse; cosa ch'egli non mostreràin eternoperch'è una vanissima chimera oper dirla piùchiarauna falsità.

Ionon credevaSignor mio Illustrissimodover consumar tante parole inqueste leggerezze; ma già che si è fatto il piùfacciasi ancora il meno. E quanto all'altra censura di trasgressiondalle leggi logicalimentre nella division degli effetti deltelescopio il signor Mario ne pose uno che non vi èe netrapassò uno che vi si doveva porrequando disse "Iltelescopio rende visibili le stelle o coll'ingrandir la loro specie ocoll'illuminarle"in vece di dire "coll'ingrandirle ocoll'unir le specie e i raggi"come vorrebbe il Sarsi che sidovesse dire; io rispondo che il signor Mario non ebbe mai intenziondi far divisione di quello ch'è una cosa solaquale egliedio ancorastimiamo esser l'operazione del telescopio nelrappresentarci gli oggetti: e quando ei disse "Se il telescopionon ci rende visibili le stelle coll'ingrandirlebisogna che conqualche inaudita maniera le illumini"non introdussel'illuminazione come effetto credutoma come manifesto impossibilelo contrappose all'altroacciò la di lui veritàrestasse più certa; e questo è un modo di parlareusitatissimocome quando si dicesse "Se gli inimici non ànnoscalata la roccabisogna che vi sian piovuti dal cielo". Se ilSarsi adesso crede di poter con lode impugnare questi modi diparlarese gli apre un'altra portaoltre a quella di sopradell'infinitoda trionfare in duello di logica sopra tutti gliscrittori del mondo; ma avvertiscanel voler mostrarsi gran logicodi non apparer maggior sofista. Mi par di veder V. S. Illustrissimasogghignare; ma che vuol ella? Il Sarsi era entrato in umore discrivere in contradizzione alla scrittura del signor Mario: gli èstato forza attaccarsicome noi sogliamo direalle funi del cielo.Io per me non solamente lo scusoma lo lodoe parmi ch'egli abbiafatto l'impossibile. Ma tornando alla materiagià èmanifesto che il signor Mario non ha posto l'illuminare com'effettocreduto del telescopio. Ma che più? l'istesso Sarsi confessach'ei l'ha messo come impossibile. Non è adunque membro delladivisioneanzicome ho dettonon ci è né menodivisione. Circa poi all'unione delle specie e de' raggiricordatadal Sarsi come membro trapassato dal signor Mario nella divisionesarebbe bene che il Sarsi specificasse come questa è unaseconda operazion diversa dall'altraperché noi sin quil'abbiamo intesa per una stessa cosa; e quando saremo assicuratich'elle sieno due differenti e diverse operazioniallora intenderemod'avere errato; ma l'error non sarà di logica nel maldividerema di prospettiva nel non aver ben penetrati tutti glieffetti dello strumento.

Quantoalla chiusadove il Sarsi dice di non voler per adesso stare aregistrare altri errori che questi pochi incontrati cosìcasualmente in un luogo sololasciando da banda gli altriioprimaringrazio il Sarsi del pietoso affetto verso di noi; poi mirallegro col signor Marioil quale può star sicuro di nonaver commesso in tutto il trattato un minimo mancamento in logica;perchése bene par che il Sarsi accenni che ve ne sienomoltissimi altrituttavia crederò almeno che questinotati emanifestati da luisieno stati eletti per li maggiori; il momento dei quali lascio ora che sia da lei giudicatoed in conseguenza laqualità degli altri.

Vengofinalmente a considerar l'ultima partenella quale il Sarsiperfarmi un segnalato favorevuol nobilitare il telescopio con unaammirabil condizione e facoltà d'illuminar gli oggetti che peresso rimiriamonon meno ch'ei ce gl'ingrandisca. Ma prima ch'iopassi più avantivoglio rendergli grazie del suo corteseaffettoperché dubito che l'effetto sia per obligarmi assaipoco dopo che avremo considerata la forza della dimostrazione portataper prova del suo intento: della qualeperché mi par chel'autore nello spiegarla si vadanon so perchéravvolgendo epiù volte replicando le medesime proposizionicercheròdi trarne la sostanzala qual mi par che sia questa.

Iltelescopio rappresenta gli oggetti maggioriperché gli portasotto maggiore angolo che quando son veduti senza lo strumento. Ilmedesimoristringendo quasi a un punto le specie de' corpi luminosied i raggi sparsirende il cono visivoo vogliamo dire la piramideluminosaper la quale si veggono gli oggettidi gran lunga piùlucida; e però gli oggetti splendidi di pari ci sirappresentano ingranditi e di maggior luce illustrati. Che poi lapiramide ottica si renda più lucida per lo ristringimento de iraggilo prova con ragione e con esperienza. Imperò che laragione ci insegna che il lume raccolto in minore spazio lo debbailluminar più; e l'esperienza ci mostra che posta una lentecristallina al Solenel punto del concorso de' raggi non solos'abbrucia il legnoma si liquefà il piombo e si accieca lavista: perloché di nuovo concludeche con altrettanta veritàsi può dire che il telescopio illumina le stellecon quantasi dice ch'ei le accresce.

Inricompensa della cortesia e del buono animo che 'l Sarsi ha avutod'essaltare e maggiormente nobilitare questo ammirabile strumentoionon gli posso dar altroper orache un totale assenso a tutte leproposizioni ed esperienze sopradette. Ma mi duol bene oltre modo chel'essere esse vere gli è di maggior pregiudicio che se fusserfalse; poi che la principal conclusione che per esse doveva esseredimostrata è falsissimané credo che ci sia verso dipoter sostenere che gravemente non pecchi in logica quegli che daproposizioni vere deduce una conclusion falsa. È vero che iltelescopio ingrandisce gli oggetti col portargli sotto maggiorangolo; verissima è la prova che n'arrecano i prospettivi; nonè men vero che i raggi della piramide luminosa maggiormenteuniti la rendono più lucidaed in conseguenza gli oggetti peressa veduti; vera è la ragione che n'assegna il Sarsicioèperché il medesimo lumeridotto in minore spaziol'illuminapiù; e finalmente verissima è l'esperienza della lenteche coll'unione de' raggi solari abbrucia ed accieca: ma è poifalsissimo che gli oggetti luminosi ci si rappresentino coltelescopio più lucidi che senzaanzi è vero che liveggiamo assai più oscuri; e se il Sarsi nel riguardarverbigraziala Luna col telescopioavesse una volta apertol'altr'occhioe con esso libero riguardato pur l'istessa Lunaavrebbe potuto fare il paragone senza niuna fatica tra lo splendordella gran Luna vista con lo strumentoe quello della piccolavistacoll'occhio libero; il che osservatoavrebbe sicuramente scrittolaluce della veduta liberamente mostrarsi di gran lunga maggiore chequella dell'altra. Chiarissima è adunque la falsitàdella conclusione: resta ora che mostriamo la fallacia nel dedurla dapremesse vere. E qui mi pare che al Sarsi sia accaduto quello cheaccaderebbe ad un mercante chenel riveder sopra i suoi libri lostato suoleggesse solamente le facce dell'averee che cosìsi persuadesse di star bene ed esser ricco; la qual conclusionesarebbe vera quando all'incontro non vi fussero le facce del dare. Èverosignor Sarsiche la lentecioè il vetro convessounisce i raggie perciò moltiplica il lume e favorisce lavostra conclusione; ma dove lasciate voi il vetro concavoche neltelescopio è la contrafaccia della lentee la piùimportanteperch'è quello appresso del quale si tienel'occhioe per lo quale passano gli ultimi raggied èfinalmente l'ultimo bilancio e saldo delle partite? Se la lenteconvessa unisce i ragginon sapete voi che il vetro concavo glidilata e forma il cono inverso? Se voi aveste provato a ricevere iraggi passati per ambedue i vetri del telescopiocome aveteosservato quelli che si rifrangono in una lente solaavreste vedutoche dove questi s'uniscono in un puntoquelli si vanno più epiù dilatando in infinitooper dir meglioper ispaziograndissimo: la quale esperienza molto chiaramente si vede nelricever sopra una carta l'immagine del Solecome quando si disegnanole sue macchie; "sopra la qual cartasecondo ch'ella piùe più si discosta dall'estremità del telescopiomaggiore e maggior cerchio vi viene stampato dal cono de' raggiequanto si fa tal cerchio maggioretanto è men luminoso incomparazione del resto del foglio tocco da' raggi liberi del Sole. Equando questa ed ogn'altra esperienza vi fusse stata occultamiresta pur tuttavia duro a credere che voi non abbiate alcuna voltasentito dir questoch'è verissimocioè che i vetriconcaviquanto più mostrano l'oggetto grandetanto piùlo mostrano oscuro. Come dunque mandate voi di pari nel telescopiol'illuminar coll'ingrandire? Signor Sarsirimanetevi dal volercercar d'essaltar questo strumento con queste vostre nuove facoltàsì ammirandese non volete porlo in ultimo dispregio appressoquelli che sin qui l'ànno avuto in poca stima. Ed avvertiteche io in questo conto vi ho passata come cosa vera una partita ch'èfalsacioè che la luce ingagliardita mediante l'union de'raggirenda l'oggetto veduto più luminoso. Sarebbe veroquestoquando tal luce andasse a trovar l'oggetto; ma ella vienverso l'occhioil che produce poi contrario effetto: imperòcheoltre all'offender la vistarende il mezo più luminosoed il mezo più luminoso fa apparir (come credo che voisappiate) gli oggetti più oscuri; ché per questa solacagione le stelle più risplendenti si mostrano quanto piùl'aria della notte divien tenebrosae nello schiarirsi l'aria simostrano più fosche. Queste cosecome vede V. S.Illustrissimason tanto manifesteche non mi lasciano credere cheal Sarsi possano essere state incognitema ch'egli più tostoper mostrar la vivezza del suo ingegno si sia messo a dimostrare unparadossoche perch'egli così internamente credesse. Ed inquesta opinione mi conferma l'ultima sua conclusionedovepermostrar (cred'io) ch'egli ha parlato per ischerzoserra con quelleparole: "Affermo dunquecon tanta verità dirsi che iltelescopio illumina le stellecon quanta si dice che il medesimo leingrandisce". V. S. Illustrissima sa poi che ed egli ed il suoMaestro ànno sempre dettoe dicono ancorach'ei nonl'ingrandisce punto; la qual conclusione si sforza il Sarsi disostenere ancoracome vedremonelle cose che seguono qui appresso.

Leggadunque V. S. Illustrissima: "Ad tertium argumentum properoquod iisdem mihi verbis hoc loco referendum arbitror; ut nimirumomnes intelligantquid illud tandem fueritquo se vehementer adeooffensum profitetur Galilæus. Sic enim se habet: "Illudtertio locohoc idem persuadet: quod cometatubo optico inspectusvix ullum passus est incrementum; longa tamen experientia compertumest atque opticis rationibus comprobatumquæcunque hocinstrumento conspiciunturmaiora videri quam nudis oculis inspectacompareantea tamen legeut minus ac minus sentiant ex illoincrementumquo magis ab oculo remota fuerint; ex quo fit ut stellæfixæa nobis omnium remotissimænullam sensibilem abillo recipiant magnitudinem. Cum ergo parum admodum augeri visus sitcometamulto a nobis remotior quam Luna dicendus eritcum hæctubo inspecta longe maior appareat. Scio hoc argumentum parvi apudaliquos fuisse momenti: sed hi fortasse parum opticæ principiaperpenduntex quibus necesse est huic eidem maximam inesse vim adhoc quod agimus persuadendum." Hic ego præmittereprimumhabeoquorsum huiusmodi argumentum Disputationi nostræintextum fuerit: non enim velim maiori id apud alios in pretiohaberiquam apud nos; neque ii sumus qui emptoribus fucum faciamussed tanti merces nostras vendimus quanti valent.

Cumigitur ad Magistrum meum ex multis Europæ partibus illustriumastronomorum observationes perferrenturnemo illorum tunc fuitquiillud etiam postremo loco non adderetcometam a se longiori specilloobservatum vix ullum incrementum suscepisseex qua observationededucerentillum saltem supra Lunam statuendum; cumque hoc etiamutcæteravariis hominum inter frequentium cœtus sermonibusagitareturnon defuere qui palam ac libere assererentnullam huicargumento fidem habendamtubum hunc larvas oculis ingerere ac variisanimum deludere imaginibusquaresicuti ne ea quidem quæcominus aspicimus sincera ac sine ludificationibus ostendititaillum multo minus ea quæ longe a nobis remota suntnon nisilarvata atque deformia monstraturum. Ut ergo et amicorumobservationibus aliquid dedisse videremurac simul eorum inscitiamquibus instrumentum hoc nullo erat in preciopublice redargueremushoc argumentum tertio loco apponendumac postrema ea verbaquibusoffensum se dicit Galilæusaddendaexistimavimusde hominebene potius nos hinc meritosquam malesperantesdum tubum huncquamvis non fœtumalumnum certe ipsiusab invidorum calumniistueremur. Cæterumquanti hoc argumentum apud nos essetsatisarbitror ex eo poterat intelligiquod paucis adeo ac plane ieiunepropositum fueritcum prius reliqua duo longe accuratius ac fusiusfuissent explicata. Neque Galilæum hæc ipsa latueruntsiquod res est fateri velit. Cum enim rescissemuseo illum argumentograviter commotumquod existimaret se unum iis verbis peticuravitMagister meus illi per amicos significarinihil unquam minus secogitassequam ut eum verbo vel scripto læderet; cumque iisaquibus hæc acceperatGalilæus pacatum iam atque eorumdictis acquiescentem animum ostendissetmaluit tamen posteaquantumin se fuitamicum quam dictum perdere."

Intornoalle cose qui scritte mi si fa da considerarnel primo luogoqualpossa esser la cagione per la quale il Sarsi abbia scritto ch'iograndemente mi sia lamentato del P. Grassiavvenga che nel trattatodel signor Mario non vi è pur ombra di mie querelenéio già mai con alcunoné anco con me stessomi sondolutoné meno ho conosciuto d'aver cagion di dolermi; e gransemplicità mi parrebbe di chi si dolesse che uomini di grannome fusser contrari alle sue opinioniquantunque volta egli avessemodi facili ed evidenti da poterle dimostrar verequali son sicurod'aver io: tal che a me non si rappresenta altra cagionese non che'l Sarsi sotto questa finzione ha voluto asconderenon so giàperchésuoi interni motivi che l'ànno spinto a volerlapigliar meco; del che ho ben sentito qualche fastidioperchépiù volentieri avrei impiegato questo tempo in qualch'altrostudio più di mio gusto. Che il P. Grassi non avesseintenzione d'offender me nel tassar di poco intelligenti quelli chedisprezzavano l'argomento preso dal poco ingrandimento della cometaper lo telescopiolo voglio creder al Sarsi; ma se io per me stessom'ero già dichiarato essere in quel numeroben mi dovevaesser tollerato ch'io producessi mie ragioni e difendessi la causamiae tanto più quanto ella era giusta e vera. Voglio ancoraammettere al Sarsi che 'l suo Maestro con buona intenzione simettesse a sostenere quell'opinionecredendo di conservare edaccrescere la reputazione ed il pregio del telescopio contro allecalunnie di quelli che lo predicavano per fraudolente e peringannator della vista e così cercavano dispogliarlo de' suoi ammirabili pregi: ma in questo fattoquantol'intenzion del Padre mi par lodevole e buonatanto l'elezzione e laqualità delle difese mi si rappresenta cattiva e dannosamentr'ei vuole contro all'imposture de' maligni fare scudo aglieffetti veri del telescopio coll'attribuirgliene de' manifestamentefalsi. Questo non mi par buon luogo topico per persuader la nobiltàdi tale strumento. Per tanto piaccia al Sarsi di scusarmi se io nonvengocon quella larghezza che forse gli par che convenisseachiamarmi e confessarmi obligato per li nuovi pregi ed onori arrecatia questo strumento. E con qual ragione pretend'egli che in me sidebba accrescer l'obligo e l'affezzione verso di loro per li vani efalsi attributimentr'eglinoperché io col dir cose vere glitraggo d'erroremi pronunzian la perdita della loro amicizia?

Segueappressoenon so quanto opportunamentes'induce a chiamare iltelescopio mio allievoma a scoprire insieme come non èaltrimenti mio figliuolo. Che fatesignor Sarsi? Mentre voi sete su'l maneggio d'interessarmi in oblighi grandi per li beneficii fatti aquesto ch'io reputavo mio figliuolomi venite dicendo che non èaltro ch'un allievo? Che rettorica è la vostra? Avrei piùtosto creduto che in tale occasione voi aveste avuto a cercar difarmelo creder figliuoloquando ben voi foste stato sicuro che nonfusse. Qual parte io abbia nel ritrovamento di questo strumentoes'io lo possa ragionevolmente nominar mio partol'ho gran tempo famanifestato nel mio Avviso Sidereoscrivendo come in Vineziadove allora mi ritrovavogiunsero nuove che al signor conte Maurizioera stato presentato da un Olandese un occhialecol quale lecose lontane si vedevano così perfettamente come se fusserostate molto vicine; né più fu aggiunto. Su questarelazione io tornai a Padovadove allora stanziavoe mi posi apensar sopra tal problemae la prima notte dopo il mio ritorno loritrovaied il giorno seguente fabbricai lo strumentoe ne diediconto a Vinezia a i medesimi amici co' quali il giorno precedente erostato a ragionamento sopra questa materia. M'applicai poi subito afabbricarne un altro più perfettoil quale sei giorni dopocondussi a Vineziadove con gran meraviglia fu veduto quasi da tuttii principali gentiluomini di quella republicama con mia grandissimafaticaper più d'un mese continuo. Finalmenteperconsiglio d'alcun mio affezzionato padronelo presentai al Principein pieno Collegiodal quale quanto ei fusse stimato e ricevuto conammirazionetestificano le lettere ducaliche ancora sono appressodi mecontenenti la magnificenza di quel Serenissimo Principe inricondurmiper ricompensa della presentata invenzionee confermarmiin vita nella mia lettura nello Studio di Padovacon dupplicatostipendio di quello che avevo per addietroch'era poi più chetriplicato di quello di qualsivoglia altro mio antecessore. Questiattisignor Sarsinon son seguiti in un bosco o in un diserto: sonseguiti in Vineziadove se voi allora foste statonon m'avrestespacciato così per semplice balio: ma vive ancoraper la Diograziala maggior parte di quei signoribenissimo consapevoli deltuttoda' quali potrete esser meglio informato.

Maforse alcuno mi potrebbe direche di non piccolo aiuto è alritrovamento e risoluzion d'alcun problema l'esser prima in qualchemodo reso consapevole della verità della conclusionee sicurodi non cercar l'impossibilee che perciò l'avviso e lacertezza che l'occhiale era di già stato fatto mi fussed'aiuto taleche per avventura senza quello non l'avrei ritrovato. Aquesto io rispondo distinguendoe dico che l'aiuto recatomidall'avviso svegliò la volontà ad applicarvi ilpensieroche senza quello può esser ch'io mai non v'avessipensato; ma cheoltre a questotale avviso possa agevolarl'invenzioneio non lo credo: e dico di piùche il ritrovarla risoluzion d'un problema segnato e nominatoè opera dimaggiore ingegno assai che 'l ritrovarne uno non pensato nénominatoperché in questo può aver grandissima parteil casoma quello è tutto opera del discorso. E giànoi siamo certi che l'Olandeseprimo inventor del telescopioera unsemplice maestro d'occhiali ordinariil quale casualmentemaneggiando vetri di più sortisi abbatté a guardarenell'istesso tempo per duel'uno convesso e l'altro concavopostiin diverse lontananze dall'occhioed in questo modo vide ed osservòl'effetto che ne seguivae ritrovò lo strumento: ma iomossodall'avviso dettoritrovai il medesimo per via di discorso; e perchéil discorso fu anco assai facileio lo voglio manifestare a V. S.Illustrissimaacciòraccontandolo dove ne cadesse ilpropositoella possa rendercolla sua facilitàpiùcreduli quelli checol Sarsivolessero diminuirmi quella lodequalunqu'ella si siache mi si perviene.

Fudunque tale il mio discorso. Questo artificio o costa d'un vetrosoloo di più d'uno. D'un solo non può essereperchéla sua figura o è convessacioè più grossa nelmezo che verso gli estremio è concavacioè piùsottile nel mezoo è compresa tra superficie parallele: maquesta non altera punto gli oggetti visibili col crescergli odiminuirgli; la concava gli diminuiscee la convessa gli accrescebenema gli mostra assai indistinti ed abbagliati; adunque un vetrosolo non basta per produr l'effetto. Passando poi a duee sapendoche 'l vetro di superficie parallele non altera nientecome si èdettoconclusi che l'effetto non poteva né anco seguirdall'accoppiamento di questo con alcuno degli altri due. Onde miristrinsi a volere esperimentare quello che facesse la composiziondegli altri duecioè del convesso e del concavoe vidi comequesta mi dava l'intento: e tale fu il progresso del mioritrovamentonel quale di niuno aiuto mi fu la concepita opinionedella verità della conclusione. Ma se il Sarsi o altri stimanoche la certezza della conclusione arrechi grand'aiuto al ritrovare ilmodo del ridurla all'effettoleggano l'istoriechéritroveranno essere stata fatta da Archita una colomba che volavadaArchimede uno specchio che ardeva in grandissime distanze ed altremacchine ammirabilida altri essere stati accesi lumi perpetuiecento altre conclusioni stupende; intorno alle quali discorrendopotrannocon poca fatica e loro grandissimo onore ed utileritrovarne la costruzzioneo almenoquando ciò lor nonsuccedane caveranno un altro beneficioche sarà ilchiarirsi meglioche l'agevolezze che si promettevano da quellaprecognizione della verità dell'effettoera assai meno diquel che credevano.

Maritorno a quel che segue scrivendo il Sarsidove destreggiandopernon si ridurre a dire che l'argomento preso dal minimo ingrandimentodegli oggetti remotissimi non val nullaperch'è falsodiceche di quello non n'ànno mai fatta molta stima; il chemanifesta egli dall'averlo il suo Maestro scritto con assai brevitàdove che gli altri due argomenti si veggono distesi ed amplificatisenza risparmio di parole. Al che io rispondo che non dallamoltitudinema dall'efficacia delle parole si deve argumentar lastima che altri fa delle cose dette: ecome ogn'un savi sono delledimostrazioni che per lor natura non possono esser senza lunghezzaspiegateed altre nelle quali la lunghezza sarebbe del tuttosuperflua e tediosa; e quise si deve aver riguardo alle parolel'argomento è portato con quante bastavano alla sua spiegaturachiara e perfetta. Maoltre a questolo scrivere lo stesso P.Grassi esser in tal argomentocome necessariamente si raccoglie da'principii otticiforza grandissima per provar l'intentoci dàpur troppo chiaro indizio della stima ch'egli almeno ha volutomostrar di farne: la qual voglio ben credere al Sarsi cheinternamente sia stata pochissimaed a questo mi persuade non labrevità dello spiegarloma altra assai più forteconghiettura; e questa èche mentre il Padre fa sembiante didimostrare il luogo della cometa dover essere lontanissimoavvengache nel ricevere dal telescopio insensibile augumento ella imitapuntualmente le lontanissime stelle fissequando poi accanto accantoei passa a più specifica limitazione d'esso luogoei lacolloca sotto ad oggetti che ricevono dal medesimo telescopiograndissimo accrescimento; dico sotto il Soleche pur ricresce insuperficie quelle medesime centinaia e migliaia di volteche ilmedesimo Padre ed il Sarsi stesso sanno. Ma il Sarsi non ha penetratol'artificio grande del suo Maestrocol quale nell'istesso tempo havoluto cortesemente applaudere a gli amici suoi né ha volutoamareggiar loro il gusto che sentivano per l'invenzion del nuovoargomentoed a' più intendenti e meno appassionati ha intanto volutocome si dicesotto mano mostrarsi accorto edintelligenteimitando quel generosissimo atto di quel gran signoreche gettò il flussi a monte per non interrompere il giubilonel quale vedeva galleggiare il giovinetto principe suo avversarioper la vittoria d'un gran resto promessagli dal cinquantacinque giàscoperto e gittato in tavola. Ma il signor Mariocon maniera un pocopiù severaha voluto a carte spiegate dire il suo concetto emostrar la falsità e nullità di quell'argomentoregolandosi da altro finech'è stato di voler piùtosto medicare i difetti e tor via gli errori con qualche passionedegl'infermiche fomentargli e fargli maggiori per non glidisgustare.

Aquello che il Sarsi scrive in ultimoche il suo Maestro non avesseavuto pensiero di offender me nel tassar quelli che si burlavandell'argomentonon occorre ch'io replichi altroperché giàho detto che lo credo e che mai non ho creduto in contrario. Mavoglio che il Sarsi creda che né io ancoranel dimostrarfalso l'argomentonon ho avuta intenzion d'offender il suo Maestroma ben di giovare a chiunque era in quello errore; né so beneintendere con quale occasione m'abbia in questo luogo a toccare colmotto del volereper non perdere un bel dettoperdere un amico: néso vedere quale arguzia sia nel dir "Questo argumento non èvero" sì che debba esser preso per detto arguto.

Orsegua V. S. Illustrissima il leggere: "Sed rem ipsam nuncenucleatius discutiamus. Aionihil in hoc argumento a veritatealienum reperiri. Nam asserimusprimumobiecta tubo optico visaquo propinquiora fuerinteo augeri magisminus vero quo remotiora.Nihil verius. Galilæus negat. Quidsi fateatur? Quæroenim ex illocum tubum illum suum et quidem optimum in manusacceperitsi forte rem intra cubiculi aut aulæ spatia inclusamintueri volueritan non is longissime producendus sit? Ita estait.Si vero rem longe dissitam e fenestra eodem instrumento spectarelibueritcontrahendum illico dicetatque ab immani illa longitudinebreviorem redigendum in formam. Quod si productionis huiuscontractionisque caussam quæsieroad naturam utiqueinstrumenti recurrendum erit; cuius ea conditio estut adpropinquiora intuendaex opticæ principiisproduciadremotiora vero spectanda contrahipostulet. Cum ergo ex productioneet contractione tubiut ait ipsenecessario oriatur maius minusveobiectorum incrementumlicebit iam mihi ex his argumentum huiusmodiconficere: Quæcumque non aliter quam productiore tubo spectaripostulantnecessario augentur magiset quæcumque non aliterquam contractiore tubo spectari postulantnecessario augentur minus;sed propinqua omnia non aliter quam productiore tubolonge veroremota non aliter quam contractiore tubospectari postulant: ergopropinqua omnia necessario augentur magislonge vero remotanecessario augentur minus. In quo argumento si maior minorquepropositio vera comprobeturnec negabiturarbitrorquod ex illisnecessario consequitur. Primam vero propositionem ipse ultroadmittit: altera etiam certissima est; et quidem in iis quæcitra dimidium milliare spectanturnulla apud illum probationeindiget; quod si ea quæ ulterius deinde excurrunteademspectari solent tubi longitudineid fit non quia revera magis semperac magis contrahendus ille non sitsed quia maior isthæccontractio adeo exiguis includitur terminisut non multum intersitsi omittaturac proinde ut plurimum negligatur. Si tamen rei naturamspectemus atque ex rigore geometrico loquendum sitsemper maior hæccontractio requiretur: eadem plane ratione ac si quis diceretvisibile quodcumque quo magis ab oculo removeturminori semper acminori spectari anguloquæ propositio verissima est;nihilominuscum res oculo obiecta ad certam pervenerit distantiamin qua angulum visivum efficiat valde exiguumquamvis postea multoadhuc intervallo fiat remotiornon minuitur sensibiliter idemangulus; et tamen demonstrari potestillum semper minorem ac minoremfuturum. Itaquamvis ultra maximam quandam distantiam obiectorum vixvarientur anguli incidentiæ specierum ad tubi specilla (perindeenim tunc estac si omnes radii perpendiculariter inciderent)etconsequenter neque varianda sensibiliter sit instrumenti longitudoverissima tamen adhuc censenda est ea propositio quæ asseritnaturam specilli eam esseutquo remotiora fuerint obiectaeomagis ad ea spectanda contrahi postuletet propterea minus eademaugeat quam propinqua; et si severeut aiebamloquendum sitaffirmo stellas breviori specillo spectandas quam Lunam."

Quicom'ella vedesi apparecchia il Sarsi con mirabil franchezza avolere in virtù d'acuti sillogismi mantenereniuna cosa esserpiù vera della più volte profferita proposizionecioèche gli oggetti veduti col telescopio tanto ricrescon piùquanto son più vicinie tanto meno quanto son piùlontani; ed è tanta la sua confidenzache quasi si promettech'io sia per confessarlaben che di presente io la neghi. Ma io foun augurio e pronostico molto differentee credo ch'egli si sianeltesser questa telaper ritrovare in maniera inviluppatopiùdi quello ch'ei pensa ora che egli è su l'ordirlache inultimo da per se stesso sia per confessarsi convinto; convintodicoa chi con qualche attenzione considererà le cose nelle qualiegli anderà a terminareche facilmente saranno le medesime adunguem che le scritte dal signor Marioma orpellatein maniera e così spezzatamente intarsiate tra varii ornamentie rabeschi di paroleo vero riportate in iscorcio in qualche angoloche forse alla prima scorsa possanoa chi meno fissamente leconsideriparer qualch'altra cosa da quello che realmente sono inpianta.

Intantoper non lo tor d'animogli soggiungoche come questo ch'eitenta sia veronon solo l'argomento che in questa proposiziones'appoggiadel quale il suo Maestro e gli altri astronomi amici suoisi son serviti per ritrovare il luogo della cometaè il piùingegnoso e concludente d'ogn'altroma di più dico che questoeffetto del telescopio avanza in eccellenza di gran lunga tutti glialtrimediante le gran conseguenze ch'ei si tira dietro; e restoestremamente meravigliatoné so restar capace come possaessercheconoscendolo veroabbia il Sarsi poco fa detto di sée del suo Maestro d'averne fatto assai minore stima che degli altriduepresi l'uno dal moto circolare e l'altro dalla piccolezza dellaparalasseli qualisia detto con pace loronon son degni d'esserservidori di questo. Signorese questa cosa è veraeccospianata al Sarsi la strada ad invenzioni ammirandetentate damoltissimi né mai trovate da alcuno; ecco non solo misurata inuna sola stazione qualsivoglia lontananza in Terrama senza errorealcuno stabilite le distanze de' corpi celesti. Perchéosservato che sia una volta sola cheverbigraziaun cerchio lontanoun miglio ci si dimostriveduto col telescopiodi diametro trentavolte maggiore che coll'occhio liberosubito che vedremo l'altezzad'una torre ricrescerper essempiodiece voltesaremo sicuriquella esser lontana tre miglia; e ricrescendo il diametro della Lunacome dir tre volte più di quel che ce lo mostra l'occhioliberopotremo direquella esser lontana dieci migliaed il Solequindicise il suo diametro ricrescerà due volte solamente; opurese con qualche telescopio eccellente noi vedessimo la Lunaricrescere in diametroverbigraziadieci voltela qual èlontana più di cento mila migliacome bene scrive il P.Grassila palla della cupola dalla distanza di un miglio ricresceràin diametro più d'un milion di volte. Or ioper aiutarequanto posso un'impresa così stupendaanderòpromovendo alcuni dubbietti che mi nascono nel progresso del Sarsiiquali V. S. Illustrissimase così le piaceràpotràcon qualche occasione mostrar a luiacciòcol torgli viapossa tanto più perfettamente stabilire il tutto.

Volendodunque il Sarsi persuadermi che le stelle fisse non ricevonosensibile accrescimento dal telescopiocomincia dagli oggetti chesono in camerae mi domanda se per vedergli col telescopioe' mibisogna allungarlo assaissimo; ed io gli rispondo che sì:passa a gli oggetti fuori della finestra in gran lontananzae midice che per veder questi bisogna scorciar assai lo strumento; ed iol'affermoe gli concedoappressociò derivarcom'essoscrivedalla natura dello strumentoche per veder gli oggettivicinissimi richiede assai maggior lunghezza di cannae minor per lipiù lontani; ed oltre a ciò confesso che la canna piùlunga mostra gli oggetti maggiori che la più breve; efinalmente gli concedo per ora tutto il sillogismola cuiconclusione è che in universale gli oggetti vicini s'accresconpiùe i molto lontani menocioè (adattandola a inominati particolari) che le stelle fisseche sono oggetti lontaniricrescon meno che le cose poste in camera o dentro al palazzotra iquali termini mi pare che il Sarsi comprenda le cose ch'ei chiamavicinenon avendo nominatamente discostato in maggior lontananza iltermine loro. Ma il detto sin qui non mi par che soddisfaccia a granlunga al bisogno del Sarsi. Imperocché domando io adesso aluis'ei ripone la Luna nella classe degli oggetti vicinio pure inquella de' lontani. Se la mette tra i lontanidi lei si concluderàil medesimo che delle stelle fissecioè il poco ingrandirsi(ch'è poi di diretto contrario all'intenzion del suo Maestroil qualeper costituir la cometa sopra la Lunaha bisogno che laLuna sia di quegli oggetti che assai s'ingrandiscono; e peròanco scrisse ch'ella in effetto assaissimo ricrescevae pochissimola cometa); ma s'egli la mette tra i viciniche son quelli chericrescono assaiio gli risponderò ch'ei non doveva daprincipio ristringere i termini delle cose vicine dentro alle muradella casama doveva ampliargli almeno sino al ciel della Luna. Orsieno ampliati sin làe torni il Sarsi alle sue primeinterrogazionie mi dimandi se per veder col telescopio gli oggettivicinicioè che non sono oltre all'orbe della Lunae' mibisogna allungar assaissimo il telescopio. Io gli risponderòdi no; ed ecco spezzato l'arcoe finito il saettar de' sillogismi.

Pertantose noi torneremo a considerar meglio questo argomentolotroveremo esser difettosoed esser preso come assoluto quello chenon si può intendere senza relazione o vero cometerminato quello ch'è indeterminatoed in somma essere statafatta una divisione diminuta (che si chiamano errori in logica)mentre il Sarsisenza assegnar termine e confine tra la vicinanza elontananzaha divisi gli oggetti visibili in lontani ed in vicinierrando in quel medesimo modo ch'errerebbe quel che dicesse: "Lecose del mondo o son grandi o son piccole"nella qualproposizione non è verità né falsitàecosì anco non è nel dire: "Gli oggetti o sonvicini o son lontani"; dalla quale indeterminazione nasce che lemedesime cose si potranno chiamar vicinissime e lontanissimegrandissime e piccolissimee le più vicine lontanee le piùlontane vicinee le più grandi piccolee le piùpiccole grandie si potrà dire: "Questa è unacollinetta piccolissima"e "Questo è un grandissimodiamante"; quel corriero chiama brevissimo il viaggio da Roma aNapolimentre che quella gentildonna si duole che la chiesa ètroppo lontana dalla casa sua. Doveva dunques'io non m'ingannoperfuggir questi equivochifare il Sarsi la sua divisione almeno in tremembridicendo: "Degli oggetti visibili altri son vicinialtrilontanied altri posti in mediocre distanza"la qual restavacome confine tra i vicini ed i lontani; né anco qui si dovevafermarema di più doveva soggiungere una precisadeterminazione alla distanza d'esso confinedicendoverbigrazia:"Io chiamo distanza mediocre quella d'una lega; grandequellach'è più d'una lega; piccolaquella ch'è meno":né so ben capire perch'egli non l'abbia fattose non cheforse scorgeva più il suo conto e più se lo promettevadal potere accortamente prestigiare con equivochi tra le personesempliciche dal saldamente concludere tra i piùintelligenti; ed è veramente un gran vantaggio aver la cartadipinta da tutte due le bandee poterper essempiodire: "Lestelle fisseperché son lontanericrescon pochissimo; ma laLunaassaiperch'è vicina"ed altra voltaquandovenisse il bisognodire: "Gli oggetti di cameraessendovicinicrescono assaissimo; ma la Lunapocoperch'èlontanissima." E questo sia il primo dubbio.

Secondogià il P. Grassi pose in un sol capo la cagione del ricrescereor più ed or meno gli oggetti veduti col telescopioe questofu la minore o la maggior lontananza d'essi oggettiné purtoccò una sillaba dell'allungare o abbreviare lo strumento; edi questodice ora il Sarsinessuna cosa esser più vera:tuttaviaquando ei si ristringe al dimostrarlonon gli basta piùla breve e gran lontananza dell'oggettoma gli bisogna aggiungervila maggiore e la minor lunghezza del telescopioe construire ilsillogismo in cotal forma: "La vicinanza dell'oggetto ècausa d'allungare il telescopio; ma tal allungamento è causadi ricrescimento maggiore; adunque la vicinanza dell'oggetto ècausa di ricrescimento maggiore." Qui mi pare che il Sarsiincambio di sollevare il suo Maestrol'aggravi maggiormentefacendoloequivocare dal per accidens al per se; in quel modoch'errerebbe quegli che volesse metter l'avarizia tra le regole desanitate tuendae dicesse: "L'avarizia è causadi viver sobriamentela sobrietà è causa di sanitàadunque l'avarizia mantien sano": dove l'avarizia èun'occasioneo vero un'assai remota causa per accidens allasanitàla quale segue fuor della primaria intenziondell'avaroin quanto avaroil fine del qual è il risparmiosolamente. E questo ch'io dico è tanto veroquanto conaltrettanta conseguenza io proveròl'avarizia esser causa dimalattiaperché l'avaroper risparmiare il suovafrequentemente a i conviti degli amici e de' parentie la frequenzade' conviti causa diverse malattie; adunque l'avarizia è causad'ammalarsi: da i quali discorsi si scorge finalmente che l'avariziacome avarizianon ha che far niente colla sanitàcome ancola propinquità dell'oggetto col suo maggior ricrescimento; ela causa per la quale nel rimirar gli oggetti propinqui s'allunga lostrumentoè per rimuover la confusione nella quale essooggetto ci si dimostra adombratola qual si togliecoll'allungamento; ma perché poi all'allungamento neconséguita un maggior ricrescimentoma fuor della primariaintenzioneche fu di chiarificaree non d'ingrandirl'oggettoquindi è che la propinquità non si può chiamarealtro che un'occasioneo vero una remotissima causa per accidensdel maggior ricrescimento.

Terzose è vero che quellae non altrasi debba propriamentestimar causala qual posta segue sempre l'effettoe rimossa sirimuove; solo l'allungamento del telescopio si potrà dir causadel maggior ricrescimento: avvenga chesia pur l'oggetto inqualsivoglia lontananzaad ogni minimo allungamento ne séguitamanifesto ingrandimento; ma all'incontrotuttavolta che lo strumentosi riterrà nella medesima lunghezzaavvicinisi pur quanto sivoglia l'oggettoquando anco dalla lontananza di cento mila passi siriducesse a quella di cinquanta solamentenon però ilricrescimento sopra l'apparenza dell'occhio libero si faràpunto maggiore in questo sito che in quello. Ma bene è veroche avvicinandolo a piccolissime distanzecome di quattro passididued'unod'un mezola specie dell'oggetto più e piùsempre s'intorbida ed offuscasì cheper vederlo distinto echiaroconvien più e più allungar il telescopioalqual allungamento ne conséguita poi il maggior e maggiorricrescimento: ed avvenga che tal ricrescimento dependa solodall'allungamentoe non dall'avvicinamentoda quelloe non daquestosi deve regolare; e perché nelle lontananze oltre amezo miglio non fa di mestieriper veder gli oggetti chiari edistintidi muover punto lo strumentoniuna mutazione cade ne' loroingrandimentima tutti si fanno colla medesima proporzione; sìche se la superficieverbigraziad'una pallaveduta coltelescopioin distanza di mezo miglio ricresce mille voltemillevolte ancorae niente menoricrescerà il disco della Lunatanto ricrescerà quel di Giovee finalmente tanto quel d'unastella fissa. Né accade qui che il Sarsi la voglia star asminuzzolare e rivedere a tutto rigor di geometriaperchéquando ei l'avrà tirata e ridotta in atomi e presosi ancotutti i vantaggiil guadagno suo non arriverà a quello dicolui che con diligenza s'andava informando per qual porta dellacittà s'usciva per andar per la più breve in India; edin fine gli converrà confessare (come anco in parte pare ch'eifaccia nel fine del periodo letto da V. S. Illustrissima) chetrattando con ogni severità il telescopiosi debba tenermanco d'un capello più corto nel riguardar le stelle fisseche nel mirar la Luna. Ma da tutta questa severità che nerisulterà poi in ultimoche sia di sollevamento al Sarsi?Nulla assolutamente; perché non ne raccorrà altro senon chericrescendoverbigraziala Luna mille voltele stellefisse ricrescano novecento novantanove; mentre che per difesa sua edel suo Maestro bisognerebbe ch'elle non crescessero né ancodue volteperché il ricrescimento del doppio non ècosa impercettibileed eglino dicono le fisse non ricrescersensibilmente.

Ioso che il Sarsi ha intese benissimo queste coseanco nella letturadel signor Mario; ma vuolper quanto ei puòmantener vivo ilsuo Maestro a quint'essenza di sillogismi sottilissimamentedistillati (e siami lecito dir cosìperché di qui apoco ei chiamerà troppo minute alcune cose del signor Marioche sono assai più corpulente di queste sue). Ma per finireormai i miei dubbim'accade dir qualche cosa intorno all'essempioportato dal Sarsipreso da gli oggetti veduti naturalmente: de'quali dice che quanto più s'allontanano dall'occhiosempre siveggono sotto minor angolo; nientedimenoquando si è arrivatoa certa distanzanella quale l'angolo si faccia assai piccolopermolto poi che si allontani più l'oggettol'angolo perònon si diminuisce sensibilmente; tuttaviadic'eglisi puòdimostrare ch'ei si fa minore. Ma se il senso di questo essempio èquale mi si rappresentae qual anco convien che sia se ha da quadrarbene al concetto essemplificatoio son di parere molto diverso daquesto del Sarsi. Imperocché a me pare ch'in sostanza eivoglia che l'angolo visualenell'allontanarsi l'oggettosi vada bencontinuamente diminuendoma sempre successivamente con minorproporzionesì che oltre a una gran lontananzaper molto chel'oggetto si discosti ancorapoco più si diminuisca l'angolo:ma io son di contrario pareree dico che la diminuzione dell'angolosi va facendo sempre con maggior proporzionquanto piùl'oggetto s'allontana. E per più facilmente dichiararminotoprimieramenteche il voler determinar le grandezze apparenti deglioggetti visibili colle quantità degli angoli sotto i qualiquelle ci si rappresentanoè ben fatto nel trattar di partidi alcuna circonferenza di cerchio nel centro del quale sia collocatol'occhio; ma trattandosi di tutti gli altri oggettiè errore:imperocché l'apparenti grandezzenon dagli angoli visualimadalle corde degli archi suttesi a detti angoli si deono determinare;e queste tali apparenti quantità si vanno sempre diminuendopuntualissimamente con proporzion contraria di quella dellelontananze; sì che il diametroverbigraziad'un cerchioveduto in distanza di cento bracciami si rappresenta giusto la metàdi quello che m'apparrebbe dalla distanza di braccia cinquantaeveduto in distanza di mille braccia mi parrà doppio che sesarà lontano dumilae così sempre in tutte lelontananze; né mai accaderà ch'egli per qualsivogliagrandissima distanza m'apparisca così piccoloch'ei non mipaia ancora la metà da dupplicata lontananza. Ma se noi purvorremo determinar l'apparenti grandezze dalla quantità degliangolicome fa il Sarsiil fatto seguirà ancora piùdisfavorevole per lui; perché tali angoli non diminuiranno giàcolla proporzione colla quale le lontananze cresconoma con minore.Ma quel che contraria al detto del Sarsi è cheparagonati gliangoli fra di lorocon maggior proporzione si vanno diminuendo nellemaggiori distanze che nelle minori; sì cheseverbigrazial'angolo d'un oggetto posto in distanza di cinquanta bracciaall'angolo del medesimo oggetto posto in distanza di braccia centoèper essempiocome cento a sessantal'angolo del medesimooggetto in distanza di mille all'angolo in distanza di dumila saràverbigraziacome cento a cinquant'ottoe quello in distanza diquattromila a quello in distanza d'ottomila sarà come cento acinquantacinquee quel della distanza di 10000 a quel di ventimilasarà come cento a cinquantaduee sempre la diminuziondell'angolo s'anderà facendo in maggiore e maggiorproporzionesenza però ridursi mai a farsi colla medesimadelle lontananze permutatamente prese. Tal ches'io non prendoerrorequello che scrive il Sarsiche l'angolo visualeridotto pergran lontananze a molta acutezzanon continua di diminuirsi peraltri immensi allontanamenti con sì gran proporzione comefaceva nelle minori distanzeè tanto falsoquanto che taldiminuzione vien sempre fatta in maggior proporzione.

Leggaora V. S. Illustrissima: "Sed dicet ishoc non essesaltemeodem uti instrumentoac proindesi de eodem loquamur specillofalsam esse positionem illam: quamquam enim eadem sint vitraidemetiam tubussi tamen hic idem modo productiormodo vero fueritcontractiornon idem semper erit instrumentum. Apage hæc tamminuta. Si quis igitur cum amico colloquens leni sono verbaformaveritut scilicet e propinquo exaudiatur; mox alium conspicatuse longinquocontentissima illum voce inclamarit; alio atque alioillum uti gutture atque ore dixerisquod hæc vocis instrumentaillic contrahihic dilatari atque extendi necesse sit? Nos vero cumtubicines æs illud recurvum ac replicatum adducta reductaquedextra ad graviorem quidem sonum producentesad acutiorem verocontrahentesintuemurnum propterea alia atque alia uti tubaexistimamus?"

Quicom'ella vedeil Sarsi introduce mecome ormai convinto dalla forzade' suoi sillogismia ricorrere per mio scampo a qualunquedebolissimo attaccoed a direquando pur vero sia che le stellefisse non ricevano accrescimento come gli oggetti viciniche questo"saltem" non è servirsi del medesimo strumentopoiche negli oggetti propinqui si deve allungare; e mi soggiungecon unApage ch'io ricorro a cose troppo minute. MasignorSarsiio non ho bisogno di ricorrere al "saltem" ed alleminuzie. Necessità ne avete avuta voi sin quie piùl'averete nel progresso. Voi avete avuto bisogno di dire che "saltem"nelle sottilissime idee geometriche le fisse richieggonoabbreviazione del telescopio più che la Lunadal che poi neseguivacome di sopra ho notatoche ricrescendo la Luna millevoltele fisse ricrescerebbono novecento novantanovementre che permantenimento del vostro detto avevate di bisogno ch'elle nonricrescessero né anco una meza volta. Questosignor Sarsièun ridursi al "saltem"e un far come quella serpe chelacerata e pestanon le sendo rimasti più spiriti fuor chenell'estremità della codaquella va pur tuttaviadivincolandoper dare a credere a' viandanti d'essere ancor sana egagliarda. Ed il dire che il telescopio allungato è un altrostrumento da quel ch'era avantiènel proposito di che siparlacosa essenzialissimae tanto vera quanto verissima; néil Sarsi avrebbe stimato altrimentise nel darne giudicio non avesseequivocato dalla materia alla forma o figurache dir la vogliamo: ilche si può facilmente dichiarare anco senza uscir del suomedesimo essempio.

Iodomando al Sarsionde avvenga che le canne dell'organo non suonantutte all'unisonoma altre rendono il tuono più grave edaltre meno? Dirà egli forseciò derivare perch'ellesieno di materie diverse? certo noessendo tutte di piombo: masuonano diverse note perché sono di diverse grandezzeequanto alla materiaella non ha parte alcuna nella forma del suono:perché si faran cannealtre di legnoaltre di stagnoaltredi piomboaltre d'argento ed altre di cartae soneran tuttel'unisono; il che avverrà quando le loro lunghezze e larghezzesieno eguali: ed all'incontro coll'istessa materia in numerocioècolle medesime quattro libre di piombofigurandolo or in maggiore orin minor vasone formerò diverse note: sì cheperquanto appartiene al produr suonodiversi sono gli strumenti cheànno diversa grandezzae non quelli che ànno diversamateria. Orase disfacendo una canna se ne rigetterà delmedesimo piombo un'altra più lungaed in conseguenza di tuonopiù gravesarà il Sarsi renitente a dir che questa siauna canna diversa dalla prima? voglio creder di no. Ma se altritrovasse modo di formar la seconda più lunga senza disfar laprimanon sarebbe l'istesso? certo sì. Ma il modo saràcol farla di due pezzi e ch'uno entri nell'altroperché cosìsi potrà allungare e scorciareed in somma farla all'arbitrionostro divenir canne diverseper quello che si ricerca al formardiverse note; e tale è la struttura del trombone. Le cordedell'arpeben che sieno tutte della medesima materiarendon suonidifferentiperché sono di diverse lunghezze: ma quel chefanno molte di questelo fa una sola nel liutomentre che coltasteggiare si cava il suono ora da tutta ora da una partech'èl'istesso che allungarla e scorciarlaed in somma trasmutarlaperquanto appartiene alla produzzion del suonoin corde differenti: el'istesso si può dire della canna della golala qualcolvariar lunghezza e larghezzaaccommodandosi a formar varie vocipuòsenza errore dirsi ch'ella diventi canne diverse. Cosìe nonaltrimenti (perché il maggiore o minor ricrescimento nonconsiste nella materia del telescopioma nella figurasì cheil più lungo mostra maggiore)quandoritenendo l'istessamateriasi muterà l'intervallo tra vetro e vetrosi verrannoa costituire strumenti diversi.

Orsentiamo l'altro sillogismo che forma il Sarsi: "Sed videatGalilæusquam non contentiose agam: aliud sit instrumentumtubus nunc productiornunc contractior; iterumpaucis mutatisidemargumentum conficiam. Quæcumque diverso instrumento spectaripostulantdiversum etiam ex instrumento capiunt incrementum; sedpropinqua et remota diverso instrumento spectari postulant; diversumigitur propinqua et remota ex instrumento capient incrementum. Maioriterum ac minor ipsius est; eiusdem sit et consequentia necesse est.Quibus rebus expositissatis docuisse videornihil nos hactenus averitateneque a Galilæo quidemalienum pronunciassecumdiximushoc instrumento minus remota augeri quam propinquacumnatura etiam suaad illa spectanda contrahiad hæc veroproducipostulet: dici tamen non inepte poteritidem quidem esseinstrumentumdiverso tamen modo usurpatum."

Ilquale argomento io concedo tuttoma non veggo ch'ei concluda nientein disfavor del signor Marioné in favor della causa delSarsi; al quale di niun profitto è che gli oggetti vicinissimiveduti con un telescopio lungo ricrescono più che i lontaniveduti con un cortoch'è la conclusion del sillogismomamolto diversa dall'obligo intrapreso dal Sarsi. Il qual è diprovar due punti principali: l'uno è che gli oggetti sino allaLunae non quei soli che sono nella cameraricrescano assaissimo;ma le stelle fissenon poco mancoma insensibilmentevedute questee quelli coll'istesso strumento: l'altroche la diversità ditali ricrescimenti proceda dalla diversità delle lontananzed'essi oggettie che a quelle proporzionatamente risponda: le qualicose egli non proverà mai in eternoperché son false.Ma della nullità del presente sillogismoper quantoappartiene alla materia di che si trattasiacene testimonio che iosu le sue medesime pedate procederò a dimostrarconcludentemente il contrario. Gli oggetti che ricercano d'esserriguardati col medesimo strumentoricevono da quello il medesimoricrescimento; ma tutti gli oggettida un quarto di miglio in làsino alla lontananza di mille milioniricercano d'esser riguardaticol medesimo strumento; adunque tutti questi ricevono il medesimoricrescimento. Non concluda per tanto il Sarsi di non avere scrittocosa aliena né dal vero né da me; perché di mealmanco l'assicuro ch'egli sin qui ha concluso cosa contrariaall'intenzion mia.

Nell'ultimachiusa di questo periododov'egli dice che il telescopio or lungo orcorto si può chiamar il medesimo strumentoma diversamenteusurpatovi ès'io non m'ingannoun poco di equivoco; anziparmi che il negozio proceda tutto all'oppositocioè che lostrumento sia diversoe l'usurpamento o vero applicazione sia lamedesima a capello. Chiamasi il medesimo strumento esser diversamenteusurpatoquandosenza punto alterarlosi applica ad usidifferenti: e così l'àncora fu la medesimamadiversamente usurpata dal piloto per dar fondoe da Orlando perprender balene. Ma nel caso nostro accade tutto l'opposito:imperocché l'uso del telescopio è sempre il medesimoperché sempre s'applica a riguardar oggetti visibili; ma lostrumento è ben diversificatomutandosi in esso cosaessenzialissimaqual è l'intervallo da vetro a vetro. Èadunque manifesto l'equivoco del Sarsi.

Maseguitiamo più avanti: "At dicet: verissima hæcquidem essesi summo geometriæiure res agatur; quod tamen inre nostra locum non habetet cum saltem ad Lunam et stellasintuendas nullo longitudinis discrimine specillum adhiberi soleatnihil hic etiam ponderis habituram esse maiorem minoremve distantiamad maius minusve obiecti incrementum inferendum; quare si stellæminus augeri videantur quam Lunaex alio deducendam huius phœnomenirationemnon ex obiecti remotione. Ita sit; et nisi aliunde etiamhabeat tubus hicstellas minus augere quam Lunamminus fortasseponderis argumento insit. Dum tamen illud præterea huicinstrumento tribuiturut luminosa omnia larga illa radiationequaveluti coronanturexpolietex quo fit utlicet stellæ idemfortasse re ipsa capiant ex illo incrementum quod Lunaminus tamenaugeri videantur (cum diversum plane sit idquod tubo conspiciturab eo quod nudis prius oculis videbatur: hi siquidem nudi et stellamet circumfusum fulgorem spectabant; tubo vero adhibitosolum stellæcorpusculum intuendum obiicitur)verissimum etiam estiis omnibusquæ ad opticam spectant consideratisstellas hoc instrumentoquoad aspectum saltemminus accipere incrementi quam Lunamimmoetiam aliquandosi oculis credasnulla ratione augeriacsi Deoplacetetiam minui: quod nec ipse Galilæus negat. Mirariproinde desinatquod stellas insensibiliter per tubum augeridixerimus: neque enim hic huius aspectus causam quærebamussedaspectum ipsum."

Quinoti primieramente V. S. Illustrissima come la mia predizzionefattadi sopra al numero 14comincia a verificarsi. Là animosamentes'esibì il Sarsi a mantenerniuna cosa esser più veradel ricrescer gli oggetti veduti col telescopio tanto piùquanto più son vicinie tanto meno quanto più lontani:onde le stelle fissecome lontanissimenon ricrescessersensibilmente; ma la Lunaassaissimocome vicina. Or qui mi pareche si cominci a vedere una gran ritirata ed una confessionmanifesta: primache la diversità delle lontananze deglioggetti non sia più la vera causa de' diversi ingrandimentima che bisogni ricorrere all'allungamento e scorciamento deltelescopio; cosa non dettané pure accennatané forsepensatada loro avanti l'avvertimento del signor Mario: secondochené anco questo abbia luogo nel presente casoatteso che niunamutazione si faccia nello strumentosì checessando questorifugio ancoral'argomento che sopra ciò si fondava restiinvalido totalmente. Veggonel terzo luogoricorrere a cagionilontanissime dalle portate da principio per vere e solee dire cheil poco ricrescimento apparente nelle fisse non dependa più néda gran lontananza d'esse né da brevità di strumentoma che è un'illusione dell'occhio nostroil quale libero vedele stelle con un grandissimo irraggiamento non reale e che peròci sembrano grandima collo strumento si vede il nudo corpo dellastellail qualeben che ringrandito come tutti gli altri oggettinon però par taleparagonato colle medesime stelle veduteliberamentein relazion delle quali l'accrescimento parpiccolissimo: dal che ei conclude che almeno quanto all'apparenza lestelle fisse pur mostrano di ricrescer pochissimoperloché ionon mi devo maravigliare ch'eglino ciò abbiano dettopoich'ei non ricercavano la causa di tale aspettoma solamentel'aspetto istesso. Masignor Sarsiperdonatemi: voimentre cercatedi rimuovermi la meraviglianon pur non me la levatema con altrenuove cagioni me la moltiplicate assai.

Eprimaio non poco mi meraviglio nel vedervi portar questo precedentediscorso con maniera dottrinalequasi che voi lo vogliate insegnarea mementre l'avete di parola in parola imparato voi dal signorMario; e di più soggiungete ch'io non nego queste cosecredocon intenzione che nel lettore resti concetto ch'io medesimo avessiin mano la risoluzione della difficoltàma che io nonl'avessi saputa conoscere né prevalermene. Meravigliomisecondariamenteche voi diciate che il vostro Maestro non andòricercando la cagione dell'insensibil ricrescimento delle stellefissema solo l'istesso effetto dell'insensibilmente ricrescereancor ch'egli più d'una volta replichi esser di ciò lacagione l'immensa lontananza. Ma quello chenel terzo luogom'accresce la meraviglia a cento doppi è che voi nonv'accorgiate chequando ciò vero fussevoi figureresteagran tortoil vostro Maestro privo ancora di quella communissimalogica naturalein virtù della quale ogni personaper idiotach'ella siadiscorre e conclude direttamente le sue intenzioni. Eper farvi toccar con mano la verità di quanto io dicorimovete la considerazion della causa ed introducete il solo effetto(già che voi affermate che il vostro Maestro non ricercòla causama il solo effetto)e poi discorrendo dite: "Lestelle fisse ricrescono insensibilmente; ma la cometa essa ancoraricresce insensibilmente"; adunquesignor Sarsiche neconcluderete? Rispondete: "Nulla"se volete risponderemanco male che sia possibile: perché se voi pretenderete dipoterne inferire una conseguenzaed io pretenderò conaltrettanta connessione poterne inferir mille; e se vi parràdi poter dire: "Adunque la cometa è lontanissimaperchéanco le fisse sono lontanissime"ed io con non minor ragionedirò: "Adunque la cometa è incorruttibileperchéle fisse sono incorruttibili"ed appresso dirò: "Adunquela cometa scintillaperché le fisse scintillano"e connon minor ragione potrò dire: "Adunque la cometarisplende di propria luceperché così fanno le fisse":e s'io farò di queste conseguenzevoi vi riderete di me comed'un logico senza dramma di logicaed avrete mille ragionie poicortesemente m'avvertirete ch'io da quelle premesse non posso inferiraltro per la cometa se non quei particolari accidenti che ànnonecessariaanzi necessariissima connessione coll'insensibilricrescimento delle stelle fisse; e perché questoricrescimento non depende né ha connession verunacoll'incorruttibilitàné colla scintillazionenécoll'esser lucido da per séperò niuna di questeconclusioni si può concludere della cometa: e chi di làvorrà inferirla cometa esser lontanissimabisogna che dinecessità abbia prima ben bene stabilitol'insensibilricrescimento delle stelle dependerecome da causa necessarissimadalla gran lontananzaperché altrimenti non si sarebbe potutoservir del suo conversocioè che quegli oggetti cheinsensibilmente ricresconosieno di necessità lontanissimi.Or vedete quali errori in logica voi immeritamente addossate alvostro Maestro: dico immeritamenteperché son vostrie nonsuoi.

Orlegga V. S. Illustrissima sin al fine di questo primo essame: "Atvideat hoc loco Galilæusquam non insipienter ex his atquealiis in Sidereo Nuncio ab illo traditis inferamuscometam supraLunam statuendum. Ait ipsecælestia inter lumina alia quidemnativa ac propria fulgere lucequo in numero Solem ac stellas quasfixas dicimus collocat; alia veronullo a natura splendore donatalumen omne a Sole mutuariqualia sex reliqui planetæ haberisolent. Observavit prætereastellas maxime inane illud lucisnon suæ coronamentum adamasseac veluti comam alereconsuevisse; planetas veroLunam præsertimIovem atqueSaturnumnullo fere huiusmodi fulgore vestiri; Martem tamenVenerematque Mercuriumquamvis nullo et ipsi generis splendore sintpræditie Solis propinquitate tantum haurire luminisutstellis quodammodo paresearumdem et scintillationem et circumfusosradios imitentur. Cum ergo cometavel Galilæo auctorelumennon a natura inditum habeatsed Soli acceptum referatnosque illumtanquam temporarium planetam existimaremuscum cæteris nonpostremæ notæ virisde eo etiam similiter philosophandumerat atque de Luna cæterisque errantibus: quorum cum ea sitconditioutquo minus a Sole distanteo splendeant ardentiusfulgoreque maiore vestiti (quod inde consequitur) tubo inspecti minusaugeri videanturdum cometa ex hoc eodem instrumento idem fere quodMercurius caperet incrementuman non valde probabiliter inferre indepotuimuscometam eumdem non plus admodum circumfusi illius luminisadmisisse quam Mercuriumnec proinde longiori multo a Sole dissitumintervallo; contra verocum minus augeretur quam Lunamaioricircumfusum lumineac Soli viciniorem statuendum? Ex quibus iuredixisse nos intelligitcum parum admodum augeri visus sit cometamulto a nobis remotiorem quam Lunam dicendum esse. Et sanecum nobisex parallaxi observataex cursu etiam cometæ decoro ac planesidereosatis iam de eius loco constaret; cum præterea eumdemtubus pari pene incremento ac Mercurium afficeretcontrarium certenulla ratione suaderet; licuit hinc etiam non minimam momenti acponderis appendiculam in nostram derivare sententiam. Quamquam enimsciremus ex multis posse ista pendereex ea tamen ipsa quam lucidumhoc corpus in omnibus suis phœnomenis cum reliquis cælestibuscorporibus servaret analogiamsatis magnum a tubo nos accepissebeneficium tunc putavimusquod sententiam nostramaliorum iamargumentorum pondere firmatamsuo etiam suffragio ipse vehementiusconfirmaret.

Quodautem reliquum est argumento additumea videlicet verba: "Sciohoc argumentum apud aliquos parvi fuisse momentietc." diserteingenueque supra memoravimusquorsum hæc addita fuerint;adversus eos nimirum quihuic instrumento fidem elevantesopticarumdisciplinarum plane ignarifallax illud ac nulla dignum fideprædicarent. Intelligit igiturni fallorGalilæusquamimmerito nostram de tubo sententiam oppugnaritquam veritatiimmoet suis etiam placitisnulla in re adversam agnoscit: agnoscereetiam ante poteratsi pacato magis illam animo aspexisset. Quiigitur nobis in mentem veniret unquamfore aliquandout minus hæcilli grata acciderentquæ prorsus ipsius esse censeremus? Sedquando hæc pro nostra sententia satis esse arbitrorad ipsiusGalilæi placita expendenda gradum faciamus."

Quiprimieramentecom'ella vedeaviamo un argomento rappezzatocome sidicesu 'l vecchiodi diversi fragmenti di proposizioniper provarpureil luogo della cometa essere stato tra la Luna ed il Sole: ilqual discorso il signor Mario ed io gli possiamosenza pregiudicioalcunoconceder tuttonon avendo noi mai affermato cosa verunaattenente al sito della cometané negato ch'ella possa esseresopra la Lunama solamente si è detto che le dimostrazioniportate sin qui dagli autori non mancano di dubitazioni; per le qualirimuovere di niuno aiuto è che ora il Sarsi venga con altranuova dimostrazionequando bene ella fusse necessaria e concludentea provar la conclusione esser veraavvenga che anco intorno aconclusioni vere si può falsamente argumentare e commetterparalogismi e fallacie. Tuttaviaper lo desiderio ch'io tengo che lecose recondite vengano in luce e si guadagnino conclusioni vereanderò movendo alcune considerazioni intorno ad esso discorso:e per più chiara intelligenza lo ristringerò primanella maggior brevità ch'io possa.

Dic'eglidunqueaver dal mio Nunzio Sidereo le stelle fissecome quelle che risplendono di propria luceirraggiarsi molto diquel fulgore non realema solo apparente; ma i pianeticome prividi luce proprianon far cosìe massime la LunaGiove eSaturnoma dimostrarsi quasi nudi di tale splendore; ma VenereMercurio e Martebenché privi di luce propriairraggiarsinondimeno assai per la vicinità del Soledal quale piùvivamente vengon tocchi. Dice di piùche la cometadi mioparerericeve il suo lume dal Solee poi soggiungeséconaltri autori di nomeaver reputata la cometa come un pianeta per atempoe che però di lei si possa filosofare come degli altripianeti; de' quali essendo che i più vicini al Sole piùs'irraggianoed in conseguenza meno ricrescono veduti coltelescopioed avvenga che la cometa ricresceva poco più diMercurio ed assai meno che la Lunamolto ragionevolmente si potevaconcluderlei esser non molto più lontana dal Sole cheMercurioma assai più vicina a quello che la Luna. Questo èil discorsoil quale calza così benee cosìaggiustatamente s'assestaal bisogno del Sarsicome se laconclusione fusse fatta prima de' principii e de' mezisì chenon quella da questima questi da quella dependesseroe fussero nondalla larghezza della naturama dalla puntualità disottilissima arte stati preparati per lei. Ma veggiamo quanto sianoconcludenti.

Eprimache io abbia scritto nel Nunzio Sidereo che Giove eSaturno non s'irraggino quasi nientema che MarteVenere e Mercuriosi coronino grandemente de' raggiè del tutto falso; perchéla Luna solamente ho sequestrata dal resto di tutte le stelletantofisse quanto erranti.

Secondariamentenon so se per far che la cometa sia un quasi pianetae checometalese gli convengano le proprietà degli altri pianetibasti che il Sarsiil suo Maestro ed altri autori l'abbiano stimatae nominata per tale: che se la stima e la voce loro avesser possanzadi porre in essere le cose da essi stimate e nominateio glisupplicherei a farmi grazia di stimar e nominar oro molti ferramentivecchi che mi ritrovo avere in casa. Ma lasciando i nomi da partequal condizione induce questi tali a reputar la cometa quasi unpianeta per a tempo? forse il risplendere come i pianeti? ma qualnuvolaqual fumoqual legnoqual muragliaqual montagnatoccadal Solenon risplende altrettanto? Non ha veduto il Sarsi nelNunzio Sidereo dimostratolo stesso globo terrestrerisplender più che la Luna? Ma che dico io del risplender lacometa come un pianeta? Ioin quanto a menon ho per impossibileche la sua luce possa esser tanto debolee la sua sostanza tantotenue e rarache quando alcuno se gli potesse avvicinare assailaperdesse del tutto di vista; come accade d'alcuni fuochi ch'esconodalla Terrai quali solamente di notte e da lontano si veggonomada vicino si perdono; in quel modo che le nuvole lontanesi veggono terminatissimeche poi da presso mostrano un poco diadombramento di nebbia talmente interminatoche altri quasinell'entrarvi dentronon distingue il suo terminené lo saseparar dall'aria sua contigua. E quelle proiezzioni de' raggi solaritra le rotture delle nuvoletanto simili alle cometequando mai sonelle vedutese non da quelli che da loro son lontani? Convien forsela cometa co' pianeti per ragion di moto? E qual cosa separata dallaparte elementare ch'ubidisce allo stato terrestrenon simoverà al moto diurno col resto dell'universo? Ma se si parladell'altro moto traversalequesto non ha che far col movimento de'pianetinon essendo né per quel versoné regolatonéforse pur circolare. Malasciati gli accidenticrederà forsealcunola sostanza o materia della cometa aver convenienza conquella de' pianeti? Questa si può credere esser solidissimaché così ne persuade in particolare e quasisensatamente la Lunaed in universale la figura terminatissima edimmutabile di tutti i pianeti; doveper l'oppositoquella dellacometa in pochi giorni si può credere che si dissolva; e lasua figuranon circolarmente terminatama confusa ed indistintacidà segnola sua sostanza esser cosa più tenue e piùrara che la nebbia o il fumo: sì che in somma ella si possapiù tosto chiamare un pianeta dipintoche reale.

Terzoio non so quanto perfettamente ei possa aver paragonatol'irraggiamento ed il ricrescimento della cometa con quel diMercurioil qualeavvenga che rarissime volte dia occasion d'essereosservatoin tutto il tempo che apparve la cometasicuramente nonla dette egli mainé poté esser vedutoritrovandosisempre assai vicino al Sole; sì che io credo di poter senzascrupolo crederche il Sarsi non facesse altrimenti questo paragonedifficile anco per altro e mal sicuro a potersi farema ch'e' lodicaperchéquando così fussiservirebbe meglio allasua causa. E del non essere egli venuto a questa esperienza me ne dàanco indizio questoche nel riferir l'osservazioni fatte in Mercurioe nella Lunacolle quali paragona quelle della cometami par ch'eisi confonda alquanto: atteso cheper voler concluderela cometaesser più lontana dal Sole che Mercurioaveva bisogno direch'ella s'irraggiava meno di luie veduta col telescopio ricrescevapiù di lui; tuttavia gli è venuto scritto a rovesciocioè ch'ella non s'irraggiava assai più di Mercurioech'ella riceveva quasi il medesimo ricrescimentoch'è quantoa dire ch'ella s'irraggiava piùe ricresceva mancodiMercurio: paragonandola poi colla Lunascrive l'istesso (ben ch'eglidica di scrivere il contrario)cioè ch'ella ricresceva menoche la Lunae s'irraggiava più: tuttavia poinel concluderedalla identità di premesse ne deduce contrarie conclusionicioè che la cometa è più vicina al Sole che laLunama più remota che Mercurio.

Efinalmenteprofessando il Sarsi d'esser molto esatto logiconon soperché nella division de' corpi luminosi che s'irraggiano piùo menoe che in conseguenzaveduti col telescopioricevonoingrandimento minore o maggioreei non abbia registrati i nostrilumi elementari; avvenga che le candelele fiaccole ardenti vedutein qualche distanzae qualunque sassettolegnuzzo o altro piccolocorpicelloinsin le foglie dell'erbe e le stille della rugiadapercosse dal Solerisplendonoe da certe vedute s'irraggiano alpari di qualunque più folgorante stellae viste coltelescopio osservano nell'ingrandimento l'istesso tenore che lestelle: perloché cessa del tutto quell'aiuto di costa ch'altrisi era promesso dal telescopioper condur la cometa in cielo erimuoverla dalla sfera elementare. Cessi pertanto ancorail Sarsi dal pensiero di poter sollevare il suo Maestroe sia certoche per voler sostenere un errore è forza di commetternecentoequel ch'è peggiorestar in ultimo a piedi. Vorreianco pregarlo ch'ei cessasse di replicarcom'egli pur fa nel fine diquesta parteche queste sue sieno mie dottrineperch'io néscrissi mai tali cosené le dissiné le pensai. Etanto basti intorno al primo essame.

Orapassiamo al secondo: "Quamvis ad hanc usque diem nemo cometamomni ex parte inania inter spectra numerandum dixeritex quo fieretut necesse non haberemus illum ab hoc inanitatis crimine liberarequia tamen Galilæus aliam inire viam explicandi cometæsatius sapientiusque duxitpar est in novo hoc illius inventodiligentius expendendo commorari.

Duosunt quæ ille excogitavit: alterum substantiamalterum veromotum cometæ spectat. Quod ad prius attinetait lumen hoc exeorum genere essequæper alterius luminis refractionemostentata verius quam factaumbræ potius luminosorum corporumquam luminosa corpora dicenda videntur; qualia sunt iridescoronæpareliaaliaque hoc genus multa. Quod vero spectat ad posteriusaffirmatmotum cometarum rectum semper fuisse ac Terræsuperficiei perpendicularem: quibus in medium prolatisaliorumfacile sententias se labefacturum existimavit. Nosquantum hisceopinionibus tribuendum sitpaucis in præsentia ac sine ulloverborum fuco (quando satis sibi ornata estvel nudaveritas)videamus: et quamquam perdifficile est duo hæc dicta complectisingillatimcum adeo inter se connexa sint ut alterum ab alteropendere ac mutuam sibi adiumenti vicem rependere videanturcurabimustamen ne quid iacturæ lectoribus hinc existat.

Quarecontra primum Galilæi dictum affirmocometam inane lucisfigmentumspectantium oculis illudensnon fuisse: quod nullo alioegere argumento apud eum existimoqui vel semel cometam ipsum tumnudis oculis tum optico tubo inspexerit. Satis enim vel ex ipsoaspectu sese huius natura luminis prodebatut ex verissimorumcollatione luminum iudicare facile quivis possetfictumne esset anverum quod cerneret. Sane Tychodum Thaddæi Hageciiobservationes examinathæc ex eiusdem epistola profert:"Corpus cometæ iis diebus magnitudine Iovis ac Venerisstellam adæquasseet luce nitida ac splendore eximio eoqueeleganti et venusto præditum fuisseet puriorem eiussubstantiam apparuisse quam ut pure elementaribus materiis quadraretsed potius cælestibus illis corporibus analogam extitisse."Quibus postea hæc Tycho subdit: "Atque in hoc sanerectissime sensit Thaddæuset vel inde etiam non obscureconcludere potuissetminime elementarem fuisse hunc cometam.""

Disopra il Sarsi s'andò figurando arbitrariamente i principii edi mezi accommodati alle conclusioni ch'egli intendeva di dimostrare;adesso mi par ch'ei si vada figurando conclusioniper oppugnarlecome pensieri del signor Mario e mieimolto diverseo almeno moltodiversamente preseda quello che nel Discorso del signorMario son portate. Imperocchéche la cometa sia senz'altro unsimulacro vano ed una semplice apparenzanon è mairisolutamente stato affermatoma solo messo in dubbio e promossoalla considerazion de' filosofi con quelle ragioni e conghietture chepar che possano persuadere che così possa essere. Ecco leparole del signor Mario in questo proposito: "Io non dicorisolutamente che la cometa si faccia in tal modoma dico bene checome di questocosì son dubbio degli altri modi assegnatidagli altri autori; i quali se pretenderanno d'indubitatamentestabilir lor pareresaranno in obligo di mostrar questa e tuttel'altre posizioni vane e fallaci." Con simil diversitàporta il Sarsi che noi con risolutezza abbiamo affermatoil motodella cometa dover necessariamente esser retto e perpendicolare allasuperficie terrestre: cosa che non si è proposta in cotalformama solo s'è messo in considerazione come questo piùsemplicementee più conforme all'apparenzesoddisfaceva allemutazioni osservate in essa cometa; e tal pensiero vien tantotemperatamente proposto dal signor Marioche nell'ultimo dice questeparole: "Però a noi conviene contentarci di quel poco chepossiamo conghietturar così tra l'ombre." Ma il Sarsi havoluto rappresentar queste opinioni tanto più fermamente esserda me state credutequanto egli si è immaginato di poterlecon più efficaci mezi annichilare; il che se gli saràvenuto fattoio gliene terrò obligoperché perl'avvenire avrò a pensare a una opinion di mancoqualunquevolta mi venga in pensiero di filosofar sopra tal materia. In tantoperché mi pare che pur ancora resti qualche poco di vivo nelleconghietture del signor Marioanderò facendo alcunaconsiderazione intorno al momento delle opposizioni del Sarsi.

Ilqualevenendo con gran risolutezza ad oppugnar la prima conclusionedice che a chi avesse pur una sola volta rimirata la cometadinissun altro argomento gli sarebbe stato di mestieri per conoscer lanatura di cotal lume; il qualeparagonato cogli altri lumiverissimipur troppo apertamente mostrava sé esser veroenon finto. Sì checome vede V. S. IllustrissimailSarsi confida tanto nel senso della vistache stima impossibil cosarestar ingannatotuttavolta che si possa far parallelo tra unoggetto finto ed un reale. Io confesso di non aver la facoltàdistintiva tanto perfettama d'esser come quella scimia che credefermamente veder nello specchio un'altra bertucciané primaconosce il suo erroreche quattro o sei volte non sia corsa dietroallo specchio per prenderla: tanto se le rappresenta quel simulacrovivo e vero. E supposto che quegli che il Sarsi vede nellospecchio non sieno uomini veri e realima vani simulacricomequelli che ci veggiamo noi altrigrande curiosità avrei disaperequali sieno quelle visuali differenze per le quali tantospeditamente distingue il vero dal finto. Ioquanto a memi sonomille volte ritrovato in qualche stanza a finestre serratee perqualche piccol foro veduto un poco di reflession di Sole fatta da unaltro muro oppostoe giudicatolaquanto alla vistauna stella nonmen lucida della Canicola e di Venere. E caminando in campagna controal Solein quante migliaia di pagliuzzedi sassettiun poco liscio bagnatisi vedrà la reflession del Sole in aspetto distelle splendentissime? Sputi solamente in terra il Sarsichésenz'altrodal luogo dove va la reflession del raggio solarevedràl'aspetto d'una stella naturalissima. In oltrequal corpo posto ingran lontananzavenendo tocco dal Solenon apparirà unastellamassime se sarà tanto alto che si possa veder dinottecome si veggon l'altre stelle? E chi distinguerebbe la Lunaveduta di giornoda una nuvola tocca dal Solese non fusse ladiversità della figura e dell'apparente grandezza? Niunosicuramente. E finalmentese la semplice apparenza deve determinardell'essenzabisogna che il Sarsi conceda che i Solile Lune e lestellevedute nell'acqua ferma e negli specchisien veri SolivereLune e vere stelle. Cangi pure il Sarsiquanto a questa parteopinionené creda col citare autorità di TiconediTaddeo Agecio o d'altri moltidi megliorar la condizion suase nonin quanto l'avere avuto uomini tali per compagni rende piùscusabile il suo errore.

SeguaV. S. Illustrissima di leggere. "Quia tamen toto eo temporequo noster hic fulsitGalilæusut audiolecto affixus exmorbo decubuitneque ei unquam fortasse per valetudinem licuitcorpus illud pellucidum oculis intuerialiis propterea cum illoagendum esse duximus argumentis. Ait igitur ipsevaporem sæpefumidum ex aliqua Terræ parte in altum supra Lunam etiam acSolem attolliet simul atque extra umbrosum Terræ conumprogressus Solis lumen aspexeritex illius veluti luce concipere etcometam parere; motum autem sive ascensum vaporis huiusmodinonvagum incertumquesed rectum nullamque deflectentem in partemexistere. Sic ille: at nos harum positionum pondus ad nostramtrutinam referamus.

Principiomateriam hanc fumidam et vaporosam per eos forte dies ascendisseconstat e Terracumvehementissimis boreæ flatibus toto latecælo dominantibusdispergi facile ac disiici potuisset; utmirum profecto sitimpune adeo tenuissimis levissimisque corpusculislicuisse inter sævientis aquilonis iras constantissimo gressuqua cœperant viain altum ferricum ne gravissima quidempondera tunc aëri semel commissa eiusdem vim atque impetumsuperare possent. Ego vero adeo pugnare inter se existimo duo hæcvaporem levissimum ascendereet recta ascendereut inter instabilessaltem aëris huius vicissitudines fieri id posse vix credam.Illud etiam addeauctore Galilæone a sublimioribus quidemillis planetarum regionibus abesse concretiones ac rarefactioneshuiusmodi corporum fumidorumac proinde nec motus illos vagosincertosquequibus eadem ferri necesse est."

Chevapori fumidi da qualche parte della Terra sormontino sopra la Lunaed anco sopra il Solee che usciti fuori del cono dell'ombraterrestre sieno dal raggio solare ingravidati e quindi partoriscanola cometanon è mai stato scritto dal signor Mario nédetto da meben che il Sarsi me l'attribuisca. Quello che ha scrittoil signor Mario èche non ha per impossibile che tal voltapossano elevarsi dalla Terra essalazioni ed altre cose talima tantopiù sottili del consuetoche ascendano anco sopra la Lunaepossano esser materia per formar la cometa; e che talora si faccianosublimazioni fuor del consueto della materia de' crepuscolil'essemplifica per quella boreale aurora; ma non dice già chequella sia in numero la medesima materia delle cometela qual ènecessario che sia assai più rara e sottile che i vaporicrepuscolini e che quella materia della detta aurora borealeattesoche la cometa risplende meno assai dell'aurora; sì che se lacometa si distendesseverbigrazialungo l'oriente nel candordell'albamentre il Sole non fusse lontano dall'orizonte piùdi sei o vero otto gradiella senza dubbio non si discernerebbeperesser manco lucida del campo suo ambiente. E coll'istessanonrisolutezzama probabilità si è attribuito il motoretto in su alla medesima materia. E questo sia detto non perritirarciper paura che ci facciano l'oppugnazioni del Sarsimasolo perché si vegga che noi non ci allontaniamo dal nostrocostumech'è di non affermar per certe se non le cose che noisappiamo indubitatamenteché così c'insegna la nostrafilosofia e le nostre matematiche. Orposto che noi abbiamo dettocome c'impone il Sarsisentiamo ed essaminiamo le sue opposizioni.

Èla sua prima instanza fondata sopra l'impossibilità del salirvapori per linea retta verso il cielo mentre impetuoso aquilone ditraverso spinge l'aria e ciò che per entro lei si ritrova; etale si sentì egli per molti giorni appresso all'apparir dellacometa. L'instanza veramente è ingegnosa; ma le vien toltoassai di forza da alcuni avvisi sicuriper li quali s'ebbe che inquei giorni né in Persia né in China fu perturbazionealcuna di venti; ed io crederò che d'una di quelle regioni sielevasse la materia della cometase il Sarsi non mi prova ch'ella simovesse non di làma di Romadov'egli sentì l'impetoboreale. Ma quando ben anco il vapore si fusse partito d'Italiachisa ch'ei non si mettesse in viaggio avanti i giorni ventoside iquali ne fusser passati poi molti avanti il suo arrivo all'orbecometariolontano dalla Terraper relazion del Maestro del Sarsi470.000 miglia in circa; ché pure a far tanto viaggio ci vuoldel tempoe non pocoperché l'ascender de' vaporiper quelche si vede qui vicini a Terranon arriva alla velocità delvolo degli uccelli a gran pezzosì che non basterebbe iltempo di quattro anni a far tanto viaggio. Ma dato anco che talivapori si movessero in tempo ventosoegliche presta intera fede agl'istorici ed a' poeti ancoranon dovrà negare che lacommozion de' venti non ascenda più di due o tre miglia inaltogià che vi son monti la cima de' quali trascende laregion ventosa; sì che il più che possa concludere saràche dentro a tale spazio vadano i vapori non perpendicolarmentematrasversalmente fluttuando: ma fuor di tale spazio cessal'impedimento che dal camin retto gli disvia.

Séguitiora V. S. Illustrissima. "Sed demuslicuisse per ventoshalitibus hisce cœptum semel cursum tenereeoque contendere ubiSolis radios et directos excipere ac repercussos remittere ad nospossent. Cur ibi demumcum se totis totum plane excipiunt Phœbumparte sui tantum minima eumdem nobis ostendunt? Sanevel ipsoGalilæo testecum per æstivos dies non absimilis vaporad septemtrionem forte solito altius provectusSoli se spectandumobiecerittunc enimveroclarissimo perfusus luminecandidissimumomni se ex parte exhibetatqueut eius verbis utarborealem nobisnocturnis etiam in tenebrisauroram refert; nec mutuati splendorisadeo se avarum præbetutcum toto hauserit Solem sinuvixuna illum e rimula ad nos relabi patiatur. Vidi egometnon peræstivum tantum tempussed Ianuario mensequatuor post Solisoccasum horisquod admirabilius estvertici fere imminentemcandido ac fulgenti habitunubeculam adeo raramut ne minimasquidem stellas velaret; at illa etiamquæ a Sole acceperatlucis donalargo apertoque sinu liberalissime undique profundebat.Nubes denique omnes (si quam tamen illæ cum cometarum materiaaffinitatem servant)si densæ adeo fuerint atque opacæut Solis radios libere non transmittantea saltem parte qua Solemrespiciunteumdem ad nos reciproca liberalitate reflectunt; at siraræ ac tenues sinteasque facile lux omni ex parte pervadatnulla se parte tenebricosas ostenduntsed clarissimo undiqueperfusas lumine spectandas offerunt. Si igitur cometa non ex aliaelucet materia quam ex vaporibus huiusmodi fumidisnon in unumveluti globum coactissedut ipse aitsatis amplum cælispatium occupantibus omnique ex parte Solis luce fulgentibusquidtandem causæ estcur ex angusto tantum brevique orbiculospectantibus semper affulgeatneque reliquæ vaporis eiusdempartespari a Sole lumine illustratæunquam compareant? Nequefacile id iridis exemplo solviturin cuius productione idemcontingitut videlicet ex una tantum nubis parte ad oculumrelabaturcum tamen in toto spatio a Sole illustrato eadem colorumdiversitas eiusdem lumine procreetur. Illa enimet si qua aliahuiusmodi suntroridam potius humentemque requirunt materiam et iamin aquam abeuntem; hæc siquidem materia tunc solum cum in aquamsolviturlævium ac politorum corporum perspicuorumque naturamimitataea tantum ex parte qua anguli reflexionum refractionumquead id requisitifiuntlumen remittitut experimur in speculisaquis ac pilis cristallinis. Si qui vero halitus rariores acsicciores extiterinthi neque lævem habent superficiemutspeculaneque multam radiorum refractionem efficiunt. Cum igitur adreflexiones corporis lævitasad refractiones vero cumperspicuo densitasrequiratur (quæ omnia nunquam inmeteorologicis impressionibus habenturnisi cum earum materia aquæmultum habueritut non Aristoteles modosed opticæ etiammagistri omnes docueruntac ratio ipsa efficacius persuadet)hincnecessario sequiturhuiusmodi halitus graviores natura sua futurosac proinde minus aptos qui supra Lunam etiam ac Solem ascendantcumvel Galilæus ipse fateaturtenues valde ac leves esse eosdeberequi eo usque evolant. Non ergo ex vapore illo fumido ac raroet nullius revera ponderisrevibrari ad nos poterit fulgidum illudlucis simulacrum; vapor vero aqueusut pote gravisin altum ferrinulla ratione poterit."

Parmid'aver per lunghe esperienze osservatotale esser la condizioneumana intorno alle cose intellettualiche quanto altri meno neintende e ne satanto più risolutamente voglia discorrerne; echeall'incontrola moltitudine delle cose conosciute ed inteserenda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualchenovità. Nacque già in un luogo assaisolitario un uomo dotato da natura d'uno ingegno perspicacissimo ed'una curiosità straordinaria; e per suo trastullo allevandosidiversi uccelligustava molto del lor cantoe con grandissimameraviglia andava osservando con che bell'artificiocolla stess'ariacon la quale respiravanoad arbitrio loro formavano canti diversietutti soavissimi. Accadde che una notte vicino a casa sua sentìun delicato suononé potendosi immaginar che fusse altro chequalche uccellettosi mosse per prenderlo; e venuto nella stradatrovò un pastorelloche soffiando in certo legno forato emovendo le dita sopra il legnoora serrando ed ora aprendo certifori che vi eranone traeva quelle diverse vocisimili a quelled'un uccelloma con maniera diversissima. Stupefatto e mosso dallasua natural curiositàdonò al pastore un vitello peraver quel zufolo; e ritiratosi in se stessoe conoscendo che se nons'abbatteva a passar coluiegli non avrebbe mai imparato che cierano in natura due modi da formar voci e canti soavivolleallontanarsi da casastimando di potere incontrar qualche altraavventura. Ed occorse il giorno seguenteche passando presso a unpiccol tuguriosentì risonarvi dentro una simil voce; e percertificarsi se era un zufolo o pure un merloentrò dentroetrovò un fanciullo che andava con un archettoch'ei tenevanella man destrasegando alcuni nervi tesi sopra certo legnoconcavoe con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopramovendo le ditae senz'altro fiato ne traeva voci diverse e moltosoavi. Or qual fusse il suo stuporegiudichilo chi participadell'ingegno e della curiosità che aveva colui; il qualvedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed ilcanto tanto inopinaticominciò a creder ch'altri ancora ve nepotessero essere in natura. Ma qual fu la sua meravigliaquandoentrando in certo tempio si mise a guardar dietro alla porta perveder chi aveva sonatoe s'accorse che il suono era uscito dagliarpioni e dalle bandelle nell'aprir la porta? Un'altra voltaspintodalla curiositàentrò in un'osteriae credendo d'avera veder uno che coll'archetto toccasse leggiermente le corde d'unviolinovide uno che fregando il polpastrello d'un dito sopra l'orlod'un bicchierone cavava soavissimo suono. Ma quando poi gli venneosservato che le vespele zanzare e i mosconinoncome i suoiprimi uccellicol respirare formavano voci interrottema colvelocissimo batter dell'ali rendevano un suono perpetuoquantocrebbe in esso lo stuporetanto si scemò l'opinione ch'egliaveva circa il sapere come si generi il suono; né tuttel'esperienze già vedute sarebbono state bastanti a farglicomprendere o credere che i grilligià che non volavanopotesseronon col fiatoma collo scuoter l'alicacciar sibili cosìdolci e sonori. Ma quando ei si credeva non potere esser quasipossibile che vi fussero altre maniere di formar vocidopo l'avereoltre a i modi narratiosservato ancora tanti organitrombepifferistrumenti da cordedi tante e tante sortee sino a quellalinguetta di ferro chesospesa fra i dentisi serve con modo stranodella cavità della bocca per corpo della risonanza e del fiatoper veicolo del suono; quandodicoei credeva d'aver veduto iltuttotrovossi più che mai rinvolto nell'ignoranza e nellostupore nel capitargli in mano una cicalae che né perserrarle la bocca né per fermarle l'ali poteva né purdiminuire il suo altissimo stridorené le vedeva muoveresquamme né altra partee che finalmentealzandole il cassodel petto e vedendovi sotto alcune cartilagini dure ma sottiliecredendo che lo strepito derivasse dallo scuoter di quellesiridusse a romperle per farla chetaree che tutto fu in vanosinchespingendo l'ago più a dentronon le tolsetrafiggendolacolla voce la vitasì che né anco potéaccertarsi se il canto derivava da quelle: onde si ridusse a tantadiffidenza del suo sapereche domandato come si generavano i suonigenerosamente rispondeva di sapere alcuni modima che teneva perfermo potervene essere cento altri incogniti ed inopinabili.

Iopotrei con altri molti essempi spiegar la ricchezza della natura nelprodur suoi effetti con maniere inescogitabili da noiquando ilsenso e l'esperienza non lo ci mostrassela quale anco talvolta nonbasta a supplire alla nostra incapacità; onde se io non saperòprecisamente determinar la maniera della produzzion della cometanonmi dovrà esser negata la scusae tanto più quant'ionon mi son mai arrogato di poter ciò fareconoscendo potereessere ch'ella si faccia in alcun modo lontano da ogni nostraimmaginazione; e la difficoltà dell'intendere come si formi ilcanto della cicalamentr'ella ci canta in manoscusa di soverchioil non sapere come in tanta lontananza si generi la cometa.Fermandomi dunque su la prima intenzione del signor Mario e miach'èdi promuover quelle dubitazioni che ci è paruto che rendanoincerte l'opinioni avute sin quie di proporre alcuna considerazionedi nuovoacciò sia essaminata e considerato se vi sia cosache possa in alcun modo arrecar qualche lume ed agevolar la strada alritrovamento del veroanderò seguitando di considerarl'opposizioni fatteci dal Sarsiper le quali i nostri pensieri glisono paruti improbabili.

Procedendoegli adunque avanti e concedendoci chequando pur non fusse contesoa i vaporio altra materia atta al formar la cometail sollevarsida Terra ed ascendere in parti altissimedove direttamente potessericevere i raggi solari e reflettergli a noimuove difficoltàin qual modovenendo illuminata tuttada una sola sua particellavenga poi fatta a noi la reflessionee non faccia come quei vaporiche ci rappresentano quella intempestiva aurora borealei qualisìcome tutti s'illuminanotutti ancora luminosi ci si dimostrano; edappresso soggiungeaver veduto verso la meza notte cosa piùmeravigliosacioè una nuvoletta verso il verticela qualesì come tutta era illuminatacosì da ogni sua parteliberalissimamente ci rimandava lo splendore; e le nuvole tutte(segu'egli)se saranno dense ed opacheci rendono il lume del Soleda tutta quella parte che da esso vengono vedute; ma se saranno raresì che il lume le penetrici si mostrano tutte lucideed inniuna parte tenebrose; se dunque la cometa non si forma in altramateria che in simili vapori fumidi largamente distesicome dice ilsignor Marioe non raccolti in figura sfericaessendo da ogni lorparte tocchi dal Soleper qual cagione da un sol piccolo globettoenon dal restobenché egualmente illuminatoci vien fatta lareflessione? Ancor che le soluzioni di queste instanze sieno a piendistese nel Discorso del signor Marionientedimeno l'anderòqui replicando e disponendole a' luoghi lorocoll'aggiunta diqualch'altra considerazionesecondo che l'opposizioni di passo inpasso mi faranno sovvenire.

Eprimanon dovrebbe aver difficoltà veruna il Sarsi nelconceder che da un luogo particolare solamente di tutta la materiasublimata per la cometa si possa far la reflessione del lume del Solealla vista d'un particolarebenché tutta sia egualmenteilluminata; avvenga che noi ne abbiamo mille simili esperienze infavoreper una che paia essere in contrarioe facilmente di quelleprodotte dal Sarsi come contrarianti a tal posizione ne troveremo lamaggior parte esser favorevoli. Già non è dubbiochedi qualsivoglia specchio piano esposto al Sole tutta la superficie èda quello illuminata; il simile è di qualsivoglia stagnolagofiumemareed in somma d'ogni superficie tersa e lisciadiqualunque corpo ella si sia: nulladimeno all'occhio d'un particolarenon si fa la reflession del raggio solare se non da un luogoparticolare d'essa superficieil qual luogo si va mutando allamutazion dell'occhio riguardante. L'esterna superficie di sottili maper grande spazio distese nuvoleè tutta egualmenteilluminata dal Sole; tuttavia l'alone ed i parelii non si mostrano adun occhio particolare se non in un luogo soloe questo parimente almovimento dell'occhio va mutando sito in essa nuvola.

Diceil Sarsi: "Quella sottil materia sublimata che rende talvoltaquella boreale aurorasi vede purqual ella è in fattoilluminata tutta". Ma io domando al Sarsionde egli abbiaquesta certezza. Ed egli non mi può rispondere altrose nonche ei non vede parte alcuna che non sia illuminatasì com'eivede il resto della superficie degli specchidell'acquede' marmioltr'a quella particella che ci rende la reflession viva del raggiosolare. Sìma io l'avvertisco che quando la materia fusse incolore simile al resto dell'ambienteo vero fusse trasparenteeinon distinguerebbe altro che quel solo splendido raggio reflessocome accade talvolta che la superficie del mare non si distinguedall'ariae pur si vede l'immagine reflessa del Sole; e cosìposto un sottil vetro in qualche lontananzaci potrà mostrardi sé quella sola particella in cui si fa la reflessione diqualche lumerimanendo il resto invisibile per la sua trasparenza.Questo del Sarsi è simil all'error di coloro che dicono chenessun delinquente deve mai confidarsi che il suo delitto sia perrestare occultoné s'accorgono dell'incompatibilitàch'è tra 'l restar occulto e l'essere scopertoe chesenz'altro chi volesse tener due registriuno de' delitti cherestano occultie l'altro di quelli che si manifestanoin queldegli occulti non ci verrebbe mai registrato e notato cosa veruna.Vengo dunque a dirche senza repugnanza alcuna posso credere che lamateria di quella boreale aurora si distenda in ispazio grandissimo esia tutta egualmente illuminata dal Sole; ma perché a me nonsi scopre e fa visibile se non quella parte onde vien all'occhio miola refrazzionerestando tutto il rimanente invisibileperòmi par di vedere il tutto. Ma che più? De' vaporicrepuscoliniche circondano tutta la Terranon è egli sempreegualmente illuminato uno emisferio da' raggi solari? Certo sì;tuttavia quella parte che direttamente s'interpone tra 'l Sole e noici si mostra più luminosa assai delle parti piùlontane: e questacome l'altre ancoraè una pura apparenzaed illusion dell'occhio nostroavvenga chesiamo noi inqualsivoglia luogosempre veggiamo il corpo solare come centro d'uncerchio luminosoma che di grado in grado va perdendo di splendoresecondo ch'è più remoto da esso centro a destra o asinistra; ma ad altri più verso borea quella parte che a me èpiù chiara apparisce più foscae più lucidaquella che a me si rappresentava più oscura; sì che noipossiamo dire d'avere un perpetuo e grande alone intorno al Solefigurato nella convessa superficie che termina la sfera vaporosailquale alonenel modo stesso dell'altro che talora si forma in unasottil nuvolasi va mutando di luogo secondo la mutazion delriguardante. Quanto alla nuvoletta che 'l Sarsi afferma aver vedutatutta lucida nella profonda nottelo potrei parimente interrogarequal certezza egli abbia ch'ella non fusse maggior di quella ch'eivedevae massime dicendo egli ch'ella era in modo trasparentechenon celava le stelle fisseancor che minime perlochéniunoindizio gli poteva rimanere onde potesse assicurarsiquella nondistendersi invisibilmentecome trasparentissimamolto e moltooltre a' termini della parte lucida veduta: e però restadubbio se essa ancora fusse una dell'apparenzela quale allamutazion di luogo dell'occhiocome l'altres'andasse mutando. Oltreche non repugna ch'ella potesse apparir luminosa tuttaed essernondimeno una illusioneil che accaderebbe quand'ella non fussemaggior di quello spazio che viene occupato dall'immagine del Solein quel modo che sevedendo il simulacro del Sole occuparverbigraziain uno specchio tanto spazio quant'è un'ugnanoitagliassimo via il rimanenteché non ha dubbio alcuno chequesto piccolo specchietto potrà apparirci lucido tutto. Ma dipiù ancoraquando lo specchietto fusse minore del simulacroallora non solamente si potrebbe vedere illuminato tuttoma ilsimulacro in lui non ad ogni movimento dell'occhio apparirebbe essoancora muoversicom'ei fa nello specchio grande; anziper essereegli incapace di tutta l'immagine del Soleseguirebbe chemovendosil'occhiovederebbe la reflession fatta or da una ed or da un'altraparte del disco solare; e così l'immagine parrebbe immobilesin che venendo l'occhio verso la parte dove non si dirizza lareflessioneella del tutto si perderebbe. Assaissimodunqueimporta il considerar la grandezza e qualità della superficienella quale si fa la reflessione; perchésecondo che lasuperficie sarà men tersal'immagine del medesimo oggetto visi rappresenterà maggiore e maggioresì che talvoltaavanti che l'immagine trapassi tutto lo specchiomolto spazioconverrà che cammini l'occhioed essa immagine appariràfissase ben realmente sarà mobile.

Eper meglio dichiararmi in un punto importantissimo e che forsenondirò al Sarsima a qualunqu'altro sopraggiungeràpensier nuovosi figuri V. S. Illustrissima d'esser lungo la marinain tempo ch'ella sia tranquillissimaed il Sole giàdeclinante verso l'occaso: vederà nella superficie del marech'è intorno al verticale che passa per lo disco solareilreflesso del Sole lucidissimoma non allargato per molto spazio;anzisecome ho dettol'acqua sarà quietissimavederàla pura immagine del disco solareterminata come in uno specchio.Cominci poi un leggier venticello a increspare la superficiedell'acqua: comincerà nell'istesso tempo a veder V. S.Illustrissima il simulacro del Sole rompersi in molte partimaallargarsi e diffondersi in maggiore spazio; e benchémentreella fosse vicinapotrebbe distinguer l'un dall'altro de i pezzi delsimulacro rottotuttavia da maggior lontananza non vederebbe talseparazionesì per l'angustia degl'intervalli tra pezzo epezzosì pel gran fulgor delle parti splendentiche insiemes'anderebbono mescolando e facendo l'istesso che molti fuochi tra séviciniche di lontano appariscono un solo. Cresca in onde maggiori emaggiori l'increspamento: sempre per intervalli più e piùlarghi si distenderà la moltitudine degli specchida' qualisecondo le diverse inclinazioni dell'ondesi refletterà versol'occhio l'immagine del Sole spezzata. Ma recandosi in distanzemaggiori e maggiorie per poter meglio scoprire il mare montandosopra colline o altre eminenzeun solo e continuato parrà ilcampo lucido: ed io mi sono incontrato a veder da una montagnaaltissima e lontana dal mar di Livorno sessanta migliain temposereno ma ventosoun'ora in circa avanti il tramontar del Soleunastriscia lucidissima diffusa a destra ed a sinistra del Solelaquale in lunghezza occupava molte decine e forse anco qualchecentinaio di migliala quale però era una medesimareflessionecome l'altredella luce del Sole. Ora s'immagini ilSarsi che della superficie del mareritenendo il medesimoincrespamentose ne fusse rimosso verso gli estremi gran parteelasciatone solamente verso il mezocioè incontro al Soleunalunghezza di due o tre miglia: questa sicuramente si sarebbe vedutatutta illuminataed anco non mobile ad ogni mutazion che ilriguardante avesse fatto a questa o a quella manose non dopoessersi mosso forse per qualche miglioché alloracomincerebbe a perdersi la parte sinistra del simulacros'eglicaminasse alla destrae l'imagine splendida si verrebberestringendosin chefatta sottilissimadel tutto svanirebbe. Manon perciò resta che il simulacro non sia mobile al moto delriguardanteanzipur vedendolo tuttotutto lo vederemmo ancormuovereattalché il suo mezo risponderebbe sempre alladrittura del Soleil quale ad altri ed altri che nel medesimomomento lo rimiranorisponde ad altri e ad altri puntidell'orizonte.

Ionon voglio tacere a V. S. Illustrissima in questo luogo quello che miè sovvenuto per la soluzion d'un problema marinaresco.Conoscono talora i marinari esperti il vento che da qualche parte delmare dopo non molto intervallo è per sopragiunger loroe diquesto dicono esser argomento sicuro il veder l'ariaverso quellapartepiù chiara di quel che per consueto dovrebbe essere. Orpensi V. S. Illustrissima se ciò potesse derivare dall'esserdi già in quella parte il vento in campoe commosse l'ondedalle quali nascendocome da specchi moltiplicati a molti doppi ediffusi per grande spaziola reflession del Sole assai maggiore chese 'l mare vi fusse in bonacciapossa da questa nuova luce essermaggiormente illuminata quella parte dell'aria vaporosa per la qualetal reflession si diffondela qualcome sublimerenda ancoraqualche reflesso di lume agli occhi de' marinaria' qualiper esserbassinon poteva venir la primaria reflession di quella parte dimare di già increspato da' venti e lontana per avventuradaloroventi o trenta o più miglia; e che questo sia il lorvedere o prevedere il vento da lontano.

Maseguitando il nostro primo concettodico che non in tutte lematerieo vogliamo dire in tutte le superficiestampano i raggisolari l'immagine del Sole della medesima grandezza; ma in alcune (equeste sono le piane e lisce come uno specchio) ci si mostra il discosolare terminato ed eguale al veronelle convesse pur lisce ciapparisce minoree nelle concave talor minoretalor maggioreedanco talvolta egualesecondo le diverse distanze tra lo specchio el'oggetto e l'occhio. Ma se la superficie sarà non egualemasinuosa e piena d'eminenze e cavitàe come se dicessimocomposta di gran moltitudine di piccoli specchietti locati in varieinclinazioniin mille e mille modi esposte all'occhioalloral'istessa immagine del Sole da mille e mille partied in mille emille pezzi divisaverrà all'occhio nostroi quali pergrande ispazio s'allargherannostampando in essa superficie un ampioaggregato di moltissime piazzette lucidela frequenza delle qualifarà che da lontano apparirà un sol campo sparso diluce continuatapiù gagliarda e viva nel mezo che verso gliestremidov'ella va languendoe finalmente sfumando svaniscequando per l'obliquità dell'occhio ad essa superficie i raggivisivi non trovano più onde reflettersi verso il Sole. Questogran simulacro è esso ancora mobile al movimento dell'occhiopur che oltre a i suoi termini si vada continuando la superficie dovesi fanno le reflessioni: ma se la quantità della materiaoccuperà piccolo spazioe minore assai di quello delsimulacro interopotrà accadere cherestando la materiafissa e movendosi l'occhioella continui ad apparer lucidasin chepervenuto l'occhio a quel termine dal qualeper l'obliquitàde' raggi incidenti sopra essa materiale reflessioni non sidirizzano più verso il Solela luce svanisce e si perde. Oraio dico al Sarsi che quando ei vede una nuvola sospesa in ariaterminata e tutta lucidala quale resta ancor tale benchél'occhio per qualche spazio si vada mutando di luogonon perciòsi tenga sicuroquella illuminazione esser cosa più reale diquella dell'alonede' pareliidell'iride e della reflession nellasuperficie del mare; perché io gli dico che la sua consistenzaed apparente stabilità può dependere dalla piccolezzadella nuvolala quale non è capace di ricevere tutta lagrandezza del simulacro del Sole; il qual simulacrorispetto allaposizion delle parti della superficie di essa nuvolas'allargherebbequando non gli mancasse la materiaper ispaziomolte e molte volte maggiore della nuvolaed allora quando sivedesse intero e che oltre di lui avanzasse altro campo di nubidicoche al movimento dell'occhio esso ancora così interos'anderebbe movendo. Argomento necessario ci sia di ciò ilveder noi spessissime voltenel nascere o nel tramontar del Solemolte nuvolette sospese vicino all'orizontedelle quali quelle cheson vicine all'incontro del Sole si mostrano splendentissime e quasidi finissimo orodell'altre laterali le men remote dal mezo lucideesse ancora più delle più lontanele quali di grado ingrado ci si vanno dimostrando men chiaresì che finalmentedelle molto remote lo splendore è quasi nullo: dico nullo anoima a chi fusse in tal sito che queste restassero interposte tral'occhio suo e 'l luogo dell'occaso del Solelucidissime se glimostrerebbonoed oscure le nostre più risplendenti. Intendadunque il Sarsiche quando le nubi non fussero spezzatema unalunghissima distesa e continuataaccaderebbe che a ciaschedunriguardante la parte sua di mezo apparisse lucidissimae le lateralidi grado in gradosecondo la lontananza dal suo mezomen chiaresìche dove a me comparisce il colmo dello splendoread altri èil fine ed ultimo termine.

Maqui potrebbe dir alcuno chegià che quel pezzo di nube rimanfissoed il lume in esso non si vede andar movendo alla mutazione diluogo del riguardantequesto basta a far che la paralasse operi neldeterminar della sua altezzae che peròpotendo accaderl'istesso della cometal'uso della paralasse resti atto al bisognodi chi cerchi dimostrare il suo luogo. A questo si risponde che ciòsarebbe vero quando si fusse prima dimostrato che la cometa fusse nonun intero simulacro del Solema un pezzo solamentesì che lamateria in cui si forma la cometa fusse non solamente illuminatatuttama che 'l simulacro del Sole eccedesse dalle bandein modoch'ei fusse bastante ad illuminar campo assai maggiorequando vifusse materia disposta alla reflession del lume; il che non solamentenon s'è dimostratoma si può molto ragionevolmentecreder l'oppositocioè che la cometa sia un simulacro interoe non mutilato e troncoché così ne persuade la suafigura regolata e con bella simmetria disegnata. E di qui si puòtrar facile ed accommodata risposta all'instanza che fa il Sarsimentre mi domanda come possa essere chefigurandosiper detto delsignor Mariola cometa in una materia distesa per grande spazio inaltoella non s'illumini tuttama ci rimandi solo da un piccolocerchietto la reflessionesenza che l'altre partipur viste dalSolecompariscano già mai. Imperò che io faròla medesima interrogazione ad esso o al suo Maestroil quale nonvolendo che la cometa sia un incendioma inclinando a credere (s'ionon erro) ch'almeno la sua coda sia una refrazzione de' raggi solariio gli domanderò s'ei credono che la materia nella quale si fatal refrazzione sia tagliata appunto alla misura d'essa chiomao purche di qua e di là e d'ogn'intorno ve n'avanzi; e se ven'avanza (come credo che sarà risposto)perché non sivedeessendo tocca dal Sole? Qui non si può dire che larefrazzione si faccia nella sostanza dell'eterela qualecomediafanissimanon è potente a ciò darené menoin altra materiala qualequando fusse atta a rifrangeresarebbeancor atta a reflettere i raggi solari. In oltreio non so con qualragione chiami ora un piccolo cerchietto il capo della cometailquale con sottili calcoli il suo Maestro ha ritrovato contenere 87127miglia quadreche forse nessuna nuvola arriva a tanta grandezza.

Segueil Sarsied ad imitazion di colui che per un pezzo ebbe opinion che'l suono non si potesse produrre se non in un modo solodice nonesser possibile che la cometa si generi per reflessione in queivapori fumidie che l'essempio dell'iride non agevola la difficoltàse ben essa veramente è una illusion della vista: imperocchéla procreazion dell'iride e d'altre simili cose ricercano una materiaumida e che già si vada risolvendo in acquala quale allorasolamenteimitando la natura de' corpi lisci e tersireflette illume da quella parte dove si fanno gli angoli della reflessione edella refrazzioneche a tale effetto si ricercanocome accade neglispecchinell'acqua e nelle palle di cristallo; ma in altri rari esecchinon avendo la superficie liscia come gli specchinon si famolta refrazzione: ricercandosidunqueper questi effetti unamateria acquosaed in conseguenza grave assai ed inabile a salirsopra la Luna ed il Soledove non possono salire (anco per mioparere) se non essalazioni leggerissimeadunque la cometa non puòesser prodotta da tali vapori fumidi. Risposta sofficiente a tuttoquesto discorso sarebbe il dire come il signor Mario non si èmai ristretto a dir qual sia la materia precisa nella quale si formala cometané s'ella sia umida né fumosa nésecca né lisciae so ch'egli non si arrossirà a diredi non la sapere; ma vedendo come in vaporiin nuvole rare e nonacquoseed in quelle che già si risolvono in minute gocciolenell'acque stagnantinegli specchi ed altre materiesi figurano perreflessi e refrazzioni molto varie illusioni di simulacri diversihastimato di non essere impossibile che in natura sia ancora unamateria proporzionata a renderci un altro simulacro diverso daglialtrie che questo sia la cometa. Tal rispostadicoèadeguatissima all'instanzaquando anco ciascuna parte d'essainstanza fusse vera: tuttavia il desiderio (com'altre volte ho detto)d'agevolarper quanto m'è concedutola stradaall'investigazion di qualche verom'induce a far alcunaconsiderazione sopra certi particolari contenuti in esso discorso.

Eprimaè vero che in uno effluvio di minutissime stilled'acqua si fa l'illusion dell'iridema non credo già chepelconversosimile illusione non possa farsi senza tale effluvio. Ilprisma triangolare cristallinoappressato a gli occhicirappresenta tutti gli oggetti tinti de' colori dell'iride; moltevolte si vede l'iride in nubi asciuttee senza che pioggia verunadiscenda in terra. Non si veggono le medesime illusioni di coloridiversi nelle piume di molti uccellimentre il Sole in varie manierele ferisce? Ma che più? Direi al Sarsi cosa forse nuovasecosa nuova se gli potesse dire. Prenda egli qualsivoglia materiaosia pietra o sia legno o sia metalloe tenendola al Soleattentissimamente la rimirich'egli vi vederà tutti i coloricompartiti in minutissime particelle; e s'ei si serviràperriguardarglid'un telescopio accommodato per veder gli oggettivicinissimiassai più distintamente vederà quant'iodicosenza verun bisogno che quei corpi si risolvano in rugiada o invapori umidi. In oltrequelle nuvolette che ne' crepuscoli simostrano lucidissimee ci fanno una reflession del lume del Soletanto viva che quasi ci abbagliasono delle più rare asciuttee sterili che sieno in ariae quelle che sono umidequanto piùson pregne d'acquatanto più si dimostrano oscure. L'alone ei parelii si fanno senza piogge e senza umido nelle più rareed asciutte nuvoleo più tosto caliginiche sieno in aria.

Secondoè vero che le superficie terse e ben liscecome quelle deglispecchici rendono una gagliarda reflession del lume del Soleetale ch'appena la possiamo rimirar senza offesa; ma è ancovero che da superficie non tanto terse si fa la reflessionema menpotentesecondo che la pulitezza sarà minore. Vegga ora V. S.Illustrissimase lo splendore della cometa è di queglich'abbagliano la vistao pur di quegli che per la lor debolezza nonoffendon punto; e da questo giudichise per produrlo sia necessariauna superficie somigliante a quella d'uno specchioo pure bastiun'assai men tersa. Io vorrei mostrar al Sarsi un modo dirappresentare una reflession simile assai alla cometa. Prenda V. S.Illustrissima una boccia di vetro ben nettaed avendo una candelaaccesanon molto lontana dal vasovederà nella suasuperficie un'immagine piccolina d'esso lumemolto chiara eterminata: presa poi colla punta del dito una minima quantitàdi qualsivoglia materia che abbia un poco di untuositàsìche s'attacchi al vetrovadaquanto più sottilmente puòungendo in quella parte dove si vede l'immagine del lumesìche la superficie venga ad appannarsi un poco; subito vederàla detta immagine offuscarsi: volga poi il vasosì chel'immagine esca dell'untuosità e si fermi al contatto di essae poi dia una fregata sola per diritto col dito sopra detta parteuntuosa; ché subito vederà derivare un raggio dritto adimitazion della chioma della cometae questo raggio taglieràin traverso ed ad angoli retti il fregamento ch'ella averàfatto col ditosì che s'ella tornerà a fregar per unaltro versoil detto raggio si dirizzerà in altra parte: equesto avviene perchéavendo noi la pelle de' polpastrellidelle dita non lisciama segnata d'alcune linee tortuose ad uso deltatto per sentir le minime differenze delle cose tangibilinelmuovere il dito sopra detta superficie untuosalascia alcuni solchisottilissimine i colmi de' quali si fanno le reflessioni del lumech'essendo molte ed ordinatamente disposterappresentano poi unastriscia lucida; in capo della quale se si faràcol muovereil vasovenir quella prima immagine fatta nella parte non untasivederà il capo della chioma più lucidoe la chioma poialquanto meno risplendente: ed il medesimo effetto si vederàse in vece d'ungere il vetro s'appannerà coll'alitarvi sopra.Io prego V. S. Illustrissima che se mai le venisse accennato questoscherzo al Sarsise gli protesti per me largamente especificatamentech'io non intendo perciò affermar che incielo vi sia una gran caraffa e chi col dito la vada ungendoe cosìsi faccia la cometa; ma ch'io arreco questo caso e che altri nepotrei arrecare e che forse molti altri ce ne sono in naturainescogitabili a noicome argomenti della sua ricchezza in modidifferenti tra di loro per produrre i suoi effetti.

Terzoche la reflessione e refrazzione non si possa far da materie edimpressioni meteorologiche se non quando contengono in sémolt'acquaperché allora solamente sono di superficie lisce etersecondizioni necessarie per produr tal effettodico non essertalmente veroche non possa esser anco altrimenti. E quanto allanecessità della pulitezzaio dico che anco senza quella sifarà la reflession dell'immagine unita e distinta: dico cosìperché la rotta e confusa si fa da tutte le superficiequantosi voglia scabrose ed ineguali; che però quell'immagine d'unpanno colorato che distintissima si scorge in uno specchiooppostogliconfusa e rotta si vede nel murodal quale certoadombramento del color di esso panno ci vien solamente ripercosso. Mase V. S. Illustrissima piglierà una pietra o una riga dilegnonon tanto liscia che ci renda direttamente l'immaginiequella s'esporrà obliquamente all'occhiocome se volesseconoscer s'ella è piana e dirittavederà distintamentesopra d'essa l'immagini de gli oggetti che fossero accostatiall'altro capo della rigacosì distinte che tenendovi unlibro scrittopotrà commodamente leggerlo. Ma di piùs'ella si costituirà coll'occhio vicino all'estremitàdi qualche muraglia diritta ed assai lungaprima vederà unperpetuo corso d'essalazioni verso il cieloe massime quando ilparete sia percosso dal Soleper le quali tutti gli oggetti oppostiappariscono tremare; dipoise farà che alcun dall'altro capodel muro se le vada pian piano accostandovederàquando lesarà assai vicinouscirgli incontro l'immagine sua reflessada quei vapori ascendentinon punto umidi né gravianziaridissimi e leggieri. Ma che più? Non è ancor giuntoal Sarsi il rumore che si fain particolare da Ticone dellerefrazzioni che si fanno nell'essalazioni e vapori che circondano laTerraancor che l'aria sia serenissimaasciuttissima e lontanissimadalle piogge e da ogni umidità? Né mi citicom'eglifal'autorità d'Aristotile e di tutti i maestri diperspettiva; perch'egli non farà altro che dichiararmi piùcauto osservatore di lorocosaper mio crederediametralmentecontraria alla sua intenzione. E tanto basti in risposta al primoargomento del Sarsi: e vegniamo al secondo.

"Quodsi forte quis nihilominus affirmare audeatnihil prohibere quominusvapor aqueus ac densus vi aliqua altius provehatur ab eoque refractiohæc atque reflexio cometæ proveniat (nullum enim aliudhuic effugium patere videturcum longa experientia compertum sitquo rariora corpora fuerint magisque perspicuaminus ea illuminarisaltem quoad aspectummagis vero quo densiora et cum plus opacitatishabuerint; cum ergo cometa ingenti adeo luce fulgeretut stellasetiam primæ magnitudinis ac planetas ipsos splendore superaretdensior eius materia atque aliqua ex parte opacior dicenda erit:trabem enim eodem temporequod eius summa esset raritasalbicantempotius quam splendentemnullisque radiis micantemvidimus); verumsi densus adeo fuit vapor hic fumidusut lumen tam illustre atqueingens ad nos retorqueretatqueut Galilæo placetsi satisamplam cæli partem occupavitqui tandem factum est ut stellæquæ per hunc subiectum vaporem intermicabantnullam insolitampaterentur refractionemneque minores maioresve quam anteacomparerent? Certecum eodem tempore stellarum cometam undiquecircumsistentium distantias inter se quam exactissime metiremurnihil illas a Tychonicis distantiis discrepare invenimus; variaritamen stellarum magnitudines earumque distantias inter se exinterpositione vaporum huiusmodiet experientia nos docuitetVitello et Halazen scriptis consignarunt. Aut igitur dicendum estvapores hosce tenues adeo ac raros fuisseut astrorum lumini nihilofficerent (qui tamen cometæ per refractionem luminisproducendo minus apti probati iam sunt)velquod longe verius sitfuisse nullos."

Moltecose son da considerarsi in questo argomentole quali mi pare che losnervano assai.

Eprimané il signor Mario né io abbiamo mai ardito didireche vapori aquei e densi sieno stati attratti in alto a produrla cometa; onde tutta l'instanza che sopra l'impossibilità diquesta posizione s'appoggiacade e svanisce.

Secondoche i corpi meno e meno s'illumininoquanto all'apparenzasecondoch'ei sono più rari e perspicuie più e piùquanto più densicome dice il Sarsi aver per lungheesperienze osservatol'ho per falsissimo; e questo mi persuadeun'esperienza solach'è il vedere egualmente illuminata unanuvola come s'ella fusse una montagna di marmie pur la materiadella nuvola è alquanto più rara e perspicua di quelladelle montagne: onde io non veggo qual necessità abbia ilSarsi di far la materia della cometa più densa e piùopaca di quella de' pianeti (che così mi par ch'ei dicasebene ho capita la construzzion delle sue parole)e tanto piùquanto io non ho per chiaro ch'ella fusse più splendida dellestelle della prima grandezza e de' pianeti. Ma quando ben ella fussestata talea che proposito introdur questa tanta densità dimateriase noi veggiamo i vapori crepuscolini risplendere assai piùdelle stelle e di lei? Oltre a quelle nuvolette d'orolucide centovolte più.

Terzoche posto che un fumido e denso vapore fusse stato quello in cui lacometa si produsseei ne dovesse seguir notabile discrepanza negliintervalli presi da stella a stellacome ch'ei dovesseroper causadella refrazzione per entro esso vaporediscordar da' misurati daTiconee cheper l'oppositoniuna diversità vi fusse daloro osservata nel misurargli con ogni somma esattezza; iose devodire il veroci scorgo due cose le quali grandemente midispiacciono. L'una èch'io non veggo modo di poter prestarfede al detto del Sarsi senza negarla a quel del suo Maestro: attesoche l'uno dice d'aver loro con somma esattezza misurate le distanzetra le stellee l'altro ingenuamente si scusa di non avere avuto ilcommodo di far tali osservazioni coll'esquisitezza che sarebbe statadi bisognoper mancamento di strumenti grandi ed esatti come quellidi Ticone; per lo che si contenta anco che altri non faccia grancapitale delle sue instrumentali osservazioni. L'altra èch'io non trovo via di poter dire a V. S. Illustrissima con quellamodestia e riservo ch'io desiderocom'io dubito che il signor Sarsinon intenda perfettamente che cosa sieno queste refrazzionie come equando elle si facciano e producano loro effetti. Però ellache lo saperà fare colla sua infinita gentilezzagli dica unavoltacome i raggi che nel venir dall'oggetto all'occhio segano adangoli retti la superficie di quel diafano in cui si deve far larefrazzionenon si rifrangono altrimentionde la refrazzione non ènulla: e però le stelle verso il verticecome quelle chemandano a noi i raggi loro perpendicolari alla superficie sferica dei vapor che circondano la Terranon patiscono refrazzione; male medesimesecondo che più e più declinano versol'orizonteed in conseguenza più e più obliquamentesegano co' raggi loro la detta superficiepiù e piùgli rifrangonoe con fallacia maggiore ci mostrano il sito loro.L'avvertisca poiche per essere il termine di questa materia nonmolto altoonde la sfera vaporosa non è molto maggiore delglobo terrestre nella cui superficie siamo noil'incidenza de' raggi che vengono da' punti vicini all'orizonte èmolto obliqua: la qual obliquità si farebbe sempre minorequanto più la superficie de' vapori si sublimasse in alto; sìchequando ella s'elevasse tanto che nella sua lontananzacomprendesse molti semidiametri della Terrai raggi che daqualsivoglia punto del cielo venissero a noipochissimo obliquamentepotrebbon segar la detta superficiema sarebbon come se tendesseroal centro della sferach'è quanto a dire che fusseroperpendicolari alla sua superficie. Oraperché il Sarsicolloca la cometa alta assai più che la Lunane' vapori chein tanta altezza fussero distesiniuna sensibile refrazzione far sidovrebbeed in conseguenza niuna sensibile apparenza di diversitàdi sito nelle stelle fisse. Non occorre dunque che 'l Sarsiassottigli altrimenti cotali vapori per iscusar la mancanza direfrazzionee molto meno che per tal rispetto gli rimuova del tutto.In questo medesimo errore sono incorsi alcunimentre si sonopersuasi di poter mostrarela sostanza celeste non differir dallaprossima elementarené potersi dare quella moltiplicitàd'orbiavvenga chequando ciò fussegran diversitàcaderebbe negli apparenti luoghi delle stelle mediante le refrazzionifatte in tanti diafani differenti: il qual discorso è vanoperché la grandezza di essi orbiquando ben tutti fusserodiafani tra loro diversissiminon permetterebbe alcuna refrazzioneagli occhi nostricome riposti nell'istesso centro di essi orbi.

Orpassiamo al terzo argomento. "Asserit prætereaGalilæuscometæ materiam non differre a materia illorumcorpusculorum quæ circa Solem certa conversione moventuracvulgo solares maculæ nominantur. Non abnuo; quin illud etiamaddoeo tempore quo visus est cometa nullam per mensem integrum inSole maculam inspectamperque raro postea in eodem sordes huiusmodiobservatas; ut non immerito poëtarum aliquis hinc arripereoccasionem ludendi possitper eos forte dies Solem solitodiligentius os lucidissimum aqua proluissecuius per cælumdispersis loturæ reliquiis cometam ipse conformaveritmiratusque sit postea clarius multo sordes suas fulgere quam stellas.Sed quid ego etiam nunc poëticas consector nugas? Ad me redeo.Sit ergo eadem cometæ et solariumut ita loquarvariolarummateria: cum igitur hæccometam pariturarecto acperpendiculari sursum semper feratur motuquid illud postea est quodeam circa Solem in orbem agitcogitque perpetuodum Solis vultummaculis illis deturpateamdem in partem per lineas eclipticæparallelas circumvolvi? Si enim levium natura est sursum tantummodoferriquid ergo vapor unus atque idem modo recta sursum agiturmodoin orbem certis adeo legibus rotatur? Ac si forte quis dixerithuncquidem vi sua summa semper rectissimo cursu petereatubi propiusad Solem accesseriteius nutibus obsequentem eo moveriquo regiadomini virtus annueritmirabor profectodum reliqua corporaeademmateria constantiaavide adeo Solem complectunturunum cometamproximum Soli natumillud votis omnibus optasseut a Sole abessetquam longissimemaluisseque gelidos inter Triones obscuro locoextinguiquamcum possetSolis inter radios Soli ipsiobiectucorporis suitenebras offundere. Sed hæc physica potius suntquam mathematica."

Séguitail Sarsicome altra volta di sopra notaid'andarsi formandoconclusioni di suo arbitrio ed attribuirle al signor Mario ed a meper confutarle ed in questa guisa farci autori d'opinioni assurde efalse. Il signor Mario per essemplificare come non èimpossibile che materie tenui e sottili si sollevino assai da Terradisse di quella boreale aurora; ma il Sarsi volse ch'egli intendesseancoquesta medesima esser la materia della cometa. Quindi a poconon contento di questoavendo egli stesso opinione che la reflessiondel lume non si potesse fare in altre impressioni meteorologiche fuorche nell'umide ed acquoseattribuì al signor Mario ed a meche noi fussimo quelli che affermassimo che vapori acquosi e gravisalissero in cielo a formar la cometa. Ora vuol che noi abbiamoaffermatola materia della cometa esser la medesima che quella dellemacchie solarinominate solamente dal signor Mario per dichiararcom'egli stima che per entro la sostanza celeste si possano muoveregenerare e dissolvere alcune materiema non mai per affermardiqueste prodursi la cometa. Di qui comprenda meglio V. S.Illustrissima come la protestazionch'io feci di sopradel non direche la cometa si figurasse in un grandissimo caraffone untonon furidicola né fuor di proposito.

Ionon ho mai affermatola cometa e le macchie solari esserdell'istessa materia; ma mi fo intender ben orache quando io nontemessi d'incontrar più gagliarde opposizioni che le prodottein questo luogo dal Sarsiio non mi spaventerei punto ad affermarloed a poterlo anco sostenere. Egli mette una gran repugnanza nelpotere essere ch'una materia sottile vada rettamente verso il corposolaree chequivi giuntasia poi portata in giro: ma perchénon perdona egli questo assunto al signor Marioed ad Aristotile sìed a tutta la sua settai quali fanno ascendere il fuoco rettamentesino all'orbe lunaree quivi poi cangiare il suo moto retto incircolare? E come fa il Sarsi a sostenere per impossibil cosache unlegno caschi da alto perpendicolarmente in un fiume rapidoe chegiunto nell'acqua cominci subito ad esser portato in giro intornoall'orbe terrestre? Più valida sarebbe veramente l'altrainstanza mossa da luicioè com'esser possa chebramandotutte l'altre materie consorti della cometa d'andare avidamente adabbracciare il Soleella sola l'abbia fuggitoritirandosi versosettentrione. Questa difficoltàcom'io dicostringerebbeseegli medesimo non l'avesse poco di sopra scioltaquandonel far cheApollo si lavi il viso e poi getti via la lavaturadella quale sigeneri la cometae non ci avesse dichiarato di tenere opinione chela materia delle macchie si parta dal Sole e non vi concorra.

Sentiamoora il quarto argomento. "Venio nunc ad opticasrationesquibus longe probatur efficaciuscometam nunquam vanumspectrum fuisseneque larvatum unquam nocturnas inter tenebrasambulasse; sed uno se omnibus loco unum eumdemquevultu quo semperfuitspectandum præbuisse. Quæcunque enim ea sunt quæper refractionem luminis appareant verius quam sintut iriscoronaaliaque huiusmodiea semper lege producunturut luminosum corpusex cuius existunt luminequocunque illud sese converteritsequaciobsequentique motu consequantur.

Itairis IHLquæSole existente in horizonte Averticem suisemicirculi habet in Hsi Sol intelligatur elevari ex A usque ad D[v. figura 4]descendet ipsa ex opposita parteet verticem suiarcus H ad horizontem inclinabit; et quo altius Sol elevabitureomagis iridis vertex H deprimetur: ex quo pateteamdem semper inpartem iridem moveriin quam Sol ipse fertur.

Idemobservari potest in areiscoronis et pareliis: hæc siquidemomniacum luminosuma quo fiuntcerto intervallo coronentadillius etiam motum in eamdem semper partem feruntur. Idem etiamapertissime deprehenditur in imagine luminosa quam Solad occasumflectensin superficie maris ac fluminum formare solet: hæcenimquo magis a nobis Sol removetureo etiam abscedit magisdonecillo occumbenteevanescat. Sit enim superficies maris visaBI

insensibilitera plana superficie differens; sit oculus in litore positus in ASolprimum in F; ducantur ad D radii FDDAfacientes angulos ADBFDEincidentiæ et reflexionis æquales in D; videbitur ergolumen Solis in D. Descendat iam idem Sol ad Gatqueeadem rationequa priusducantur a Sole G atque ab oculo A duæ lineæfacientes cum recta BE angulos incidentiæ et reflexionisæquales: hæ coincident in puncto Eet non aliout estmanifestum; lumen ergo Solis apparebit in E: et propter eamdemcausamSole magis adhuc depresso in Hlumen apparebit in I.Contrarium vero accidit quotiescumque idem lumen a Sole oriente inaquis producitur: tunc enim sicuti Sol magis ad verticem nostrumacceditita et lumen spectanti fit propius: prius enimverbigratiaapparebit in Isecundo in Etertio in D. Ex quibus quilibetintelligatin eam semper partem isthæc apparentia moveriinquam luminosa ipsaa quibus producunturferuntur. Cum ergo ex Solislumine cometa sine controversia producaturSolis etiam motum sequidebuit; quod si non præstititinter apparentia luminanumerandus non erit. Aio igiturin cometa nihil unquam taleobservatum fuisse. Cum enim primo quo visus est diehoc est 29NovembrisSol in gradu Sagittarii 6m. 43 reperireturatque adCapricornum etiam tunc tenderetnecessario singulis sequentibusdiebus usque ad 22 Decembris in quocumque verticali depressior fieridebuit; et si motus hic attendaturSol ab æquatore magis etmagis in austrum movebatur; quare si de genere refractorum luminumaut repercussorum fuit cometain austrum etiam ferri debuit; a quotamen motu tantum abfuitut in septentrionem potius tenderevoluerit; ut fortasse vel ex hoc suam Galilæo testareturlibertatemdoceretque nihil se amplius a Sole habuissequam homineshabeant in eiusdem Solis luce ambulantes etquo sua illos libidoimpuleritlibere contendentes. Quod si quis forte hoc loco aliamaliquam reflexionis refractionisve regulam a superioribus diversaminvexeritquam cometis tribuendamnescio qua occulta prærogativaexistimet; illud saltem statuendum estutquam semel admiseritmotus regulamservet postea exacte. Sit igiturquando hoc aliquisvultut libet. Fuerit cometarumnon Solis motu moverisedcontrario; ut proinde dum hic in austrum tenderetilli inseptentrionem aufugerent: debuerant ergo iidem illiSole adseptentrionem redeuntein austrum contrapropter eamdem rationemmoveri. Cum ergo a die 22 Decembrishoc est a solstitio brumaliinseptentrionem iterum Sol regredereturdebuit noster cometa inaustrum contraunde discesseratremeare: hic tamen constantissimeeumdem semper motus tenorem in septentrionem servavit: ex quo satisconstare potestnullam cum Solis motu cognationem habuisse incessumcometæcumsive in hanc sive in illam partem moveretur Soleadem illequa primum cœperatsemita progrederetur."

Qualsia stato il momento de' passati tre argomentisi è vedutosin qui; il quale credo che anco l'istesso Sarsi non abbia reputatomoltoper esser discorsi fisicionde egli stesso nomina e stima iseguentipresi dalle dimostrazioni ottichedi gran lunga piùconcludenti e più efficaci de' passati: indizio manifesto dinon aver avuto l'intera sua soddisfazzione in quei progressinaturali. Ma avvertisca bene al caso suoe consideri che per uno chevoglia persuader cosase non falsaalmeno assai dubbiosadi granvantaggio è il potersi servire d'argomenti probabilidiconghiettured'essempidi verisimili ed anco di sofismifortificandosi appresso e ben trincerandosi con testi chiariconautorità d'altri filosofidi naturalistidi rettorici ed'istorici: ma quel ridursi alla severità di geometrichedimostrazioni è troppo pericoloso cimento per chi non le saben maneggiare; imperocchésì come ex parte rei nonsi dà mezo tra il vero e 'l falsocosì nelledimostrazioni necessarie o indubitabilmente si conclude oinescusabilmente si paralogizasenza lasciarsi campo di poter conlimitazionicon distinzionicon istorcimenti di parole o con altregirandole sostenersi più in piedema è forza in breviparole ed al primo assalto restare o Cesare o niente. Questageometrica strettezza farà ch'io con brevità e conminor tedio di V. S. Illustrissima mi potrò dalle seguentiprove distrigare; le quali io chiamerò ottiche o geometrichepiù per secondare il Sarsiche perché io ci ritrovidentrodalle figure in poimolta prospettiva o geometria.

Ècome V. S. Illustrissima vedel'intenzion del Sarsiin questoquarto argomentodi concludere che la cometa non sia del genere de'simulacri solamente apparenticagionati da reflessione e darefrazzione de' raggi solariper la relazione ch'ella osserva eritiene verso il Solediversa da quella ch'osservano e ritengonquelle che noi sappiamo certo esser pure apparenzequali sonol'iridel'alonei pareliile reflessioni del mare: le quali tuttedic'eglial movimento del Sole si vanno esse ancora movendocontenor tale che la mutazion loro è sempre verso la medesimaparte che quella del Sole; ma nella cometa è accaduto ilcontrario; adunque ella non è un'illusione. Quiancorchéassai competente risposta fusse il dire che non si vede necessitàveruna per la quale la cometa debba seguitar lo stile dell'iride odell'alone o dell'altre nominate illusionipoi che ella èdifferente dall'iridedall'alone e dall'altre; tuttavia io voglioconceder qualche cosa di più dell'obbligopurché ilSarsi nel resto non voglia aver più privilegio di mesìche alcun modo d'argomentare che per lui dovesse esser concludenteper me poi avesse da esser reputato inutile. Per tanto io domando alSarsis'ei reputa l'argomento preso dalla contrarietà dellostile osservato dalla cometa e da i puri simulacriin contrariarquellaed in secondar questiil moto del Solesia necessariamenteconcludente o no? S'ei risponde di nogià tutto il suoprogresso è vanoné io più vi aggiungo parola:ma se ei risponde di sìgiusta cosa sarà chealtrettanto vaglia per meper concluder che la cometa siaun'illusioneil dimostrar io ch'ella osservi lo stile d'alcun vanosimulacroin quel che appartiene al secondare o contrariare al motodel Sole. Ma per trovare tal simulacro non occorre né anco cheio mi parta da uno prodotto dall'istesso Sarsi per opportunissimo amanifestamente farci conoscereil progresso della cometa essercontrario a quello d'esso simulacro; il quale però a me parenon contrarioma il medesimo a capello. Prenda dunque V. S.Illustrissima la sua terza figuranella quale ei fa parallelo dellacometa con la reflession del Sole fatta nella superficie del mare;dovequando il Sole sia in Hil suo simulacro vien vedutodall'occhio A secondo la linea AI; e quando il Sole sarà in Gsi vedrà il simulacro per la linea AE; ed essendo in Filsimulacro apparirà nella linea AD. Resta ora che veggiamomentre che il Sole ci apparisce essersi mosso in cielo per l'arcoHGFper qual verso ci apparisca essersi mosso parimente il suosimulacro rispetto al cielodove il Sarsi osservò il motodella cometa e del Sole: per lo che bisogna continuar l'arco FGHLMN

eprolungar le linee AIAEAD in LMNe poi dire: Quando il Solera in Hil suo simulacro si vedeva per la linea AIche in cielorisponde nel punto L; e quando il Sole venne in Gil suo simulacrosi vedeva per la linea AEed appariva in M; e finalmentegiunto ilSole in Fil suo simulacro apparse in N. Adunquemovendosi il Soleda H verso Fil suo simulacro apparisce muoversi da L in N: maquestosignor Sarsiè apparir muoversi al contrario delSolee non pel medesimo versocome avete creduto o più tostovoluto dare a creder voi.

IoIllustrissimo Signoredico cosìperché non mi possopersuadere com'egli avesse avuto a equivocare in cosa tantomanifesta. Oltre che si vede ancoche nel dichiararsi usa certemaniere di dire assai improprie e non consuetesolo per accommodareal suo bisogno quello ch'accommodar non vi si puòperchénon è nulla: verbigraziaei vede che passando il Sole da H inGe da G in Fla sua immagine viene da I in Ee da E in Dil qualprogresso IED è un vero e realissimo avvicinarsi e muoversiverso l'occhio A; e perché il bisogno del Sarsi è dipoter dir che l'immagine ed il Sole si muovano pel medesimo versoeisi risolve liberamente a dire che 'l moto del Sole per l'arco HGF siaun avvicinarsi al punto Ae che l'andar verso il vertice sia ilmedesimo che andar verso il centro. Èdi piùforzach'ei dissimuli di non s'accorgere d'un altro più graveassurdoche gli verrebbe addosso quand'ei volesse sostenere che ilsimulacro secondasse il movimento dell'oggetto reale; perchéquando questo fussebisognerebbe di necessità che parimentepel conversol'oggetto secondasse il simulacro; dal che vegga V. S.Illustrissima quel che ne seguirebbe. Tirisi dal termine del diametroO la linea retta ORcadente fuor del cerchio e colla BO contenentequalsivoglia angoloe si prolunghino sino ad essa le DFEGIH ne ipunti RQP: è manifesto che quando l'oggetto reale si fussemosso per la linea PQRil simulacro sarebbe venuto per la IEDeperché questo è uno avvicinarsi e muoversi versol'occhio Ae quel che fa il simulacro lo fa ancora (per detto delSarsi) l'oggettoadunque l'oggettomovendosi dal termine P in Rsiè venuto avvicinando al punto A; ma egli si èdiscostato; eccodunquel'assurdo manifesto. Notisi di piùche quanto il Sarsi va considerando in questo luogo accader tral'oggetto reale e la sua immagineè preso come se la materiain cui si deve formare il simulacro resti sempre immobilee solo simuova l'oggetto; ché quando s'intendesse muoversi dettamateria ancoraaltre ed altre conseguenze ne seguirebbono circal'apparenze del simulacro: e però da quel che aggiunge ilSarsidel non esser ritornata indietro la cometa al ritorno delSolenon se ne inferirà mai nullase prima non si determinadello stato o del movimento della materia in cui la cometa siprodusse.

Passoal quinto argomento. "Prætereasi de apparentiumsimulacrorum numero cometa fuitdebuit ad certum ac determinatumangulum spectari; quod in irideareacorona aliisque huiusmodiaccidit: meminisse autem hoc loco debet Galilæusse affirmassesatis amplum cæli spatium huiusmodi vaporibus occupatum: quodsi ita estaio circularem vel circuli segmentum apparere cometamdebuisse. Sic enim argumentari libet. Quæcumque sub uno certoac determinato angulo conspiciunturibi videntur ubi certus ille acdeterminatus angulus constituitur; sed pluribus in locisincirculari linea positisdeterminatus hic et certus cometæangulus constituitur; ergo pluribus in locisin linea circularidispositiscometa videbitur. Maior certissima estneque ulliusprobationis indigens. Minorem sic probo.

SitSol infra horizontem in Ilocus vaporis fumidi circa Acometa veroipse se severbi gratiaspectandum ostendat in Aposito oculo inD; occupet autem vapor idem et alias partes circa A constitutasquodGalilæus ultro concedit. Intelligatur iam ducta linea recta percentrum Solis I et per centrum visus D; ex punctis vero I et D adlocum cometæ A concurrant radii IADAconstituentestriangulum IAD: erit ergo angulus IAD ille certus et determinatus subquo ad nos cometæ species remittitur. Concipiamus iam circaaxem IDH triangulum IAD moveri; tunc vertex illius A describetsegmentum circuliin quo semper radii SolisIA directus et ADreflexusangulum eundem IAD efficient: cum autem in hac verticis Acircumductione multæ ab illo circumfusi vaporis partesattinganturin iis omnibus fiet determinatus ille ac certus angulusad quem cometa necessario consequitur: in toto ergo circuli segmentoBACquod vaporem attingitcometa comparebit; eadem prorsus rationequa in roridis nubibus irides et coronas fieri contingit autcirculares aut circulorum segmenta. Cum ergo nihil tale in cometaobservatum fueritnon erit proinde in apparentium simulacrorumnumero collocanduscum nulla in re hic illis se similem præbeat."

Séguitaanzi pur crescein me la meraviglia nata dal veder quantofrequentemente il Sarsi vada dissimulando di vedere le cose ch'egliha dinanzi agli occhicon speranza forse che la sua dissimulazioneabbia negli altri a partorire non una simulatama una vera cecità.Ei vuole nel presente suo argomento provar che quando la cometa fusseuna nuda apparenzaella dovrebbe dimostrarsi in figura di cerchio odi parte di cerchioperché così avviene dell'iridedell'alonedella corona e dell'altre varie immagini: il che non socom'ei possa affermaresendosi cento volte ricordata la reflessionnel mare dell'immagine solaree quelle proiezzioni dall'aperturedelle nuvolele quali compariscono strisce dritte e similissime allacometa. Ma forse ei si persuade che senz'altre avvertenze ladimostrazione otticach'ei n'arrecaconcluda nella cometanecessariamente la sua intenzione; del che però io grandementedubitoe parmis'io non m'ingannoche 'l suo progresso sia mutiloe che gli manchi una parte principalissima del dato (che sarebbe grandifetto in logica); e questa è la disposizion localeinrelazione all'occhiodella superficie di quella materia nella qualesi ha a far la reflessionela qual disposizione non vien messa inconsiderazion dal Sarsi: di che non saperei addur più modestascusache il non l'avere egli avvertito; ché quando eil'avesse conosciutoma dissimulato per mantenere il lettorenell'ignoranzami parrebbe mancamento assai più grave. Laconsiderazion poi di cotal disposizione opera il tutto: imperocchéla dimostrazion del Sarsi non concluderà maise non quando lasuperficie del vapore intorno al punto A della sua figura saràopposta all'occhio D direttamentesì che l'asse IDH caschiperpendicolarmente sopra il piano nel quale essa superficie sidistendesse; perché alloranel girare il triangolo IDAintorno all'asse IHil punto A anderebbe terminando continuamente inessa superficie e descrivendovi una circonferenza di cerchio: chéquando la superficie detta fusse esposta all'occhio obliquamentel'angolo A non la toccherebbe se non in un sol puntoe nel girar deltriangolo il medesimo angolo A o penetrerebbe oltre ad essasuperficieo non v'arriverebbe. Ed in sommaa voler che la cometaapparisse circolarebisognerebbe che la superficie dov'ella sigenera fusse piana ed esposta direttamente alla linea che passa perli centri dell'occhio e del Sole; la qual costituzione non puòmai accadere se non nella diametrale opposizione o vero nella linearcongiunzione de' vapori e del Sole: e però l'iride si vedesempre oppostal'alone o la corona sempre congiunti al Soleondeappariscono circolari; ma delle comete non so che se ne sien maivedute né in opposizione né in congiunzione al Sole. Seal Sarsinello scrivere la sua dimostrazionefusse una voltapassato per la fantasia di chiamar quella materia ch'ei si figuraintorno al punto Anon vaporima acqua del mareei si sarebbeaccorto che 'l suo argomento avrebbe nel modo stesso e coll'istesseparole concluso che la reflessione nel mare di necessità sideve distender per linea circolare; dal che poi mercé delsensoche mostra il contrarioavrebbe scoperta la fallacia del suosillogismo.

Orsentiamo l'argomento sesto. "Sed placet ex ipsius etiamGalilæi verbis hoc idem confirmare. Ait enim ipsequod etiamfortasse verissimum estspectra huiusmodi et vana simulacra eam inparallaxi legem servarequam servat luminosum illud corpus a quoproveniunt; itasi qua illorum Lunæ effecta fuerinthæcparem cum Luna parallaxim pati; quæ vero a Sole fiunteamdemcum Sole aspectus diversitatem sortiri. Prætereadum adversusAristotelem disputat et argumentum ex parallaxi ductum assumithæchabet: "Denique cometam ignem esseac sublunarem asserereomnino impossibile est; cum obstet parallaxis exiguitastotinsignium astronomorum solertissima inquisitione observata." Exquibus ita rem conficio. Auctore Galilæoquæcumque mereapparentia a Sole producunturillam eamdem patiuntur parallaxim quampatitur Sol; sed cometa non passus est eamdem parallaxim quam Solpatitur: ergo cometa non est apparens quid a Sole productum. Si quisautem de minori huius argumenti propositione ambigatTychonisobservationes cum observationibus aliorum conferatdum agunt decometa anni 1577: ipse certe Tycho ex suis observationibus illudtandem deducitdemonstratam nimirum distantiam cometæ a centroTerræ die 13 Novembris fuisse semidiametrorum eiusdem Terræ211 tantumcum Sol ab eodem centro ponatur distare semidiametrissaltem 1150Luna vero semidiametris 60. De hoc vero nostrosi quiseas observationes inter se contulerit quas in Disputatione ab uno exPatribus habita edidit in lucem Magister meussatis illi indeconstabit huius propositionis veritas; nam fere semper longe maioremcometæ parallaxim invenietquam Solis. Neque observationeshuiusmodi Galilæo suspectæ esse nunc possuntcum easdemsummorum astronomorum opera exquisitissime ad astronomiæcalculos castigatas testatus sit."

Cheil signor Mario ed io abbiamo mai scritto o detto che i simulacriprodotti dal Sole ritengano la medesima paralasse che quello (come ilSarsi in questo luogo afferma per fondamento del suo sillogismo)èdel tutto falso; anzi il signor Mariodopo aver nominati econsiderati molti di tali simulacrisoggiugne così: "Eavvenga che de' sopranominati simulacri in alcuni la paralasse sianullaed in altri operi molto diversamente da quello ch'ella fanegli oggetti reali." Non si trova nella scrittura del signorMario ch'egli affermila paralasse esser l'istessa che quella delSole o della Lunase non nell'alone; negli altried anconell'istessa iridevien posta diversa. Falsa dunque è laprima proposizion del sillogismo. Or veggiamo quanto sia vera laseconda e quanto concludenteposto anco che la paralasse di tutti isimulacri vani dovesse essere eguale a quella del Sole.

Vuoleil Sarsie coll'autorità di Ticone e con quella del suoMaestroprovare (e così è in obligo di fare) che laparalasse osservata nelle comete sia maggiore di quella del Sole: masi astiene poi di produrre l'osservazioni particolari di Ticone e dimolti altri astronomi di nomefatte circa la paralasse della cometa;e ciò fa egli perché il lettore non vegga come quellesono tra di loro differentissime. E qualunque elle si sienoo sonogiusteo sono errate: se giustesì che a loro si debbaprestare intera fedebisogna necessariamente concludereo che lamedesima cometa fusse nell'istesso tempo e sotto il Sole e sopra edanco nel firmamentoo vero cheper non essere ella un oggetto fissoe realema vago e vanonon soggiace alle leggi dei fissi e reali:ma se tali osservazioni sono erratemancano d'autoritànéper esse si può determinar cosa veruna; e l'istesso Ticone tratante diversità andò eleggendocome se fussero piùcertequelle che più servivano alla sua determinazione fattainnanzidi voler assegnar luogo alla cometa tra il Sole e Venere.Quanto poi all'altre osservazioni prodotte dal suo Maestrosonotanto fra sé differentich'egli medesimo le determina inettea potere stabilire il luogo della cometadicendo quelle esser statefatte con istrumenti non esatti e senza la necessaria consideraziondell'ore e della refrazzione e d'altre circostanze; per lo che eglistesso non obliga altrui a prestargli molta fedema si riduce ad unasola osservazionela qualenon ricercando strumento alcunomapotendo colla semplice vista farsi esattissimamenteegli l'anteponea tutte l'altre: e questa fu la puntual congiunzione del capo dellacometa con una stella fissala qual congiunzione fu vista nelmedesimo tempo da luoghi tra di sé molto distanti. MasignorSarsise così è seguitoquesto è del tuttocontrario al bisogno vostropoi che di qui si raccoglielaparalasse essere stata nullamentre che voi producete questaautorità per confermar la vostra proposizioneche dice talparalasse esser maggiore che quella del Sole. Or vedete come glistessi autori chiamati da voi testificano contro alla causa vostra.

Aquello poi che voi diteche noi stessi abbiamo confessatol'osservazioni degli astronomi grandi essere state fatteesattissimamentevi rispondo che se voi meglio considererete il dovee 'l quando sono state chiamate talicomprenderete che esatte sipotevano dire quando elle fussero state anco assai piùdifferenti tra loro di quello che state sono. Furon chiamate esatte esufficienti a confutar l'opinione di Aristotilementr'egli volevache la cometa fusse oggetto reale e vicinissimo alla Terra. E nonsapete che il vostro Maestro stesso dimostra che il solo intervallotra Roma ed Anversa in un oggetto reale che fusse anco sopra lasuprema region dell'ariapuò cagionar paralasse maggiore di50di 60di 100 ed anco di 140 gradi? E se questo ènon sipotranno elleno chiamar osservazioni esatte e potenti quelle cheessendo tutte minori d'un grado solodifferiscono tra di loro dipochi minuti?

Orlegga V. S. Illustrissima l'ultimo argumento. "Denique nequeillud omittendumquod vel unumhomini veritatis potius investigandæquam altercandi cupidosatis id quod agimus persuadere possit.Experimur enim quotidieea omnia quibus certa ac stabilis speciesnon estsed vana colorum ac lucis imagine hominum illudunt oculisangustissimis vitæ spatiis finiribrevissimo etiam temporisintervallo varias sese in formas mutare; modo extinguimodo iterumaccendi; nunc pallescerenunc ardentiori luce micare; partes illorumnunc interrumpinunc iterum coalescere; nunquam denique eadem diuspecie apparere: quæ omnia si cum cometæ stabili motuaspectuque conferanturostendent quanta demum inter illum atquehuiusmodi vanas imagines morum ac naturæ discordia sit. Quaresi nihil plane reperias in quo se illis cometa similem probetcurnon potius nullam cum iisdem naturæ affinitatem aut cognationemhabere dixeris? Dixerunt enimvero philosophorum antiquissimi atqueoptimidixerunt recentiorum eruditissimi; unus nunc Galilæusillis repugnat; at Galilæonisi fallorrepugnare veritasvidetur."

Ilqual argomento egli stima tantoche gli par ch'esso solo possa esserbastante a persuader l'intento suo: tuttavia io non ci scorgoefficacia che mi persuadamentr'io considero chenel produr questivani simulacriv'interviene il Sole com'efficientee le nuvole evapori o altre cose come materia; e perché l'efficiente èperpetuoquando non mancasse dalla materiae l'iride e l'alone ed iparelii e tutte l'altre apparenze sarebbono perpetue; la brevedunqueo lunga durazione dalla stabilità e posizion dellamateria si deve attendere. Or qual ragione ci dissuadepoter essersopra le regioni elementari alcuna materia di più lungadurazione delle nubidella caliginedella pioggia cadente in minutestilleo d'altre materie elementarisì che la reflessione orefrazzion del Sole fatta in quelle ci si mostri piùlungamente dell'iridede' pareliidell'alone? Ma senza partirsi da'nostri elementil'aurorach'è una refrazzion de' raggisolari nella region vaporosae le reflessioni nella superficie delmare non son elleno apparenze perpetuesì che se ilriguardanteil Solei vapori e la superficie del mare stesserosempre nella medesima disposizioneperpetuamente si vederebbel'aurora e la striscia splendida nell'acqua? In oltredalla minore omaggior durazione poco concludentemente s'inferisce un'essenzialdifferenza; anzi delle comete stessesenza cercar altre materiesene son vedute alcune durare 90 e più giornied altredissolversi il quarto ed anco il terzo. E perché si èosservatole più diuturne mostrarsianco nel lor primoapparireassai maggiori dell'altrechi sa che non ve ne sienoedanco frequentementedi quelle che durino non solamente pochi giornima anco non molte orema che per la lor piccolezza non venganofacilmente osservate? E per concluderlache nel luogo dove siformano le comete vi sia materia atta nata a conservarsi piùdella nuvola e della caligine elementarel'istesse comete cen'assicuranoproducendosi di materia o in materia non celeste edeternané anco che necessariamente in brevissimi tempi sidissolvasì che il dubbio resta ancorase quello che siproduce in detta materia sia una pura e semplice reflession di lumeed in conseguenza uno apparente simulacroo pure se sia altra cosafissa e reale. E per tanto niuna cosa conclude l'argomento del signorSarsiné concluderàs'egli prima non dimostra che lamateria cometaria non sia atta a reflettere o rifrangere il lumesolareperchéquanto all'esser atta a durar molti giorniladurazion delle medesime comete ce ne rende più che certi.

Orpassiamo alla seconda questione di questo secondo essame. "Venionunc ad motum: quem rectum fuisse Galilæus asseritego tamendiserte nego. Ea primum ratio hoc mihi persuadet ut faciamquam ipsesolvere vel nescire se vel non audereingenue profitetur: illa enimratio adeo aperta estadeoque ad hunc motum dissuadendum efficaxutcum forte id maxime velletdissimulare tamen eam non potuerit."Si enim" (verba eius sunt) "solus hic motus cometætribuaturexplicari non potestqui factum sit ut non ad verticemsolum magis ac magis accesseritsed ulterius ad polum usquepervenerit: quare vel præclarum hoc inventum abiiciendumquodsane haud sciamvel motus alius addendusquod non ausim." Ubimirandum sane esthominem apertum ac minime meticulosum repentinoadeo timore corripiut conceptum sermonem proferre non audeat. Egovero non is sumqui divinare norim. "

Equiprima ch'io proceda più avantinon posso far ch'io nonmi risenta alquanto col Sarsi della non punto meritata imputazionech'egli m'attribuisce di dissimulatoreessendo cotal notalontanissima dalla profession miala qual è di liberamenteconfessarecome sempre ho fattodi ritrovarmi abbagliato e quasidel tutto cieco nel penetrare i secreti di naturama ben d'esserdesiderosissimo di conseguir qualche piccola cognizione d'alcuno diessialla quale intenzione niun'altra cosa è piùcontraria che la finzione o dissimulazione. Il signor Mario nella suascrittura mai non ha finto cosa alcunané ha avuto dimestieri di fingerlapoi chequanto egli di nuovo ha propostol'haportato sempre dubitativamente e conghietturalmentené hacercato di fare ad altri tener per certo e sicuro quello ch'egli edio per dubbioed al più per probabileabbiamo arrecato edesposto alla considerazion de' più intelligenti di noipertrarneco 'l loro aiutoo la confermazione di alcuna conclusionverao la totale esclusion delle false. Ma se la scrittura delsignor Mario è schietta e sinceraben altrettanto èpiena di simulazioni la vostrasignor Lottario; poi cheper farvistrada alle oppugnazionidelle 10 volte le 9 fingete di nonintendere quel che ha scritto il signor Marioe dandogli sensi moltolontani dall'intenzion di quelloe spesso aggiungendovi o levandonepreparate ad arbitrio vostro la materiaonde il lettoreprestandofede a quanto voi producete poi in contrarioresti in concetto chenoi abbiamo scritte gran semplicitàe che voi acutamentel'avete scoperte e ributtate: il che sin qui si è da meosservatoe nel restante s'osserverà non meno.

Mavenendo al fattoqual cagione vi muove a scrivere che noi abbiamosommamente volutoma non potuto dissimulare che movendosi la cometadi semplice moto rettofusse necessario ch'ella andasse sempre versoil verticené da quello declinasse già mai? Chi hafatto avvertito voi di tal conseguenzaaltri che l'istesso signorMario che la scrive? la quale al sicuro a voi avrebbe egli potutodissimularee voiper vostra benignitàavereste dissimulatala sua dissimulazione. Ma che più? Voi stesso due soli versidi sopra scrivete che io ingenuamente ho confessato di non sapere onon ardir di sciorre cotal ragione da me prodottaed accanto accantosoggiungete ch'io massimamente avrei voluto dissimularla: e qualcontradizzion è questache uno ingenuamente porti e scriva estampi una proposizionee sia il primo a portarla e scriverla estamparlae che voi poi diciatelui aver grandemente desiderato didissimularla ed asconderla? Veramentesignor Lottariovoi sietemolto bisognoso che nel lettore sia una gran semplicità ed unapiccola avvertenza.

Orveggiamo se in questo dettodove nulla si trova di nostrasimulazioneve ne fusse per sorte di quella del Sarsi. E certo inpoche parole ve n'è più d'una. E primaper aprirsi ilcampo a dichiararmi per tanto ignorante geometra che non abbia capitoquelle conseguenze che per lor dimostrazione non ricercano maggiorescienza che di alcune poche e tritissime proposizioni del primo librodegli Elementiegli mi fa dir quello che già mai non s'èdetto né scritto; e mentre noi diciamoche se la cometa simovesse di moto rettoci apparirebbe muoversi verso il vertice ezenitesso vuole che noi abbiamo detto ch'ellamovendosidovessearrivare al vertice e zenit. Qui bisogna che il Sarsi confessio dinon avere inteso quel che vuol dir muoversi verso un luogoo d'aver voluto con finzione e simulazione attribuirci unafalsità. Il primo non credo che possa essereperchécosì verrebbe anco a stimare che il dir navigare verso ilpolo e tirar una pietra verso il cielo importasse che lanave arrivasse al polo e la pietra in cielo: adunque resta ch'eglidissimulando d'intender il vero scritto da noici attribuisca ilfalso per poter poi attribuirci le non meritate note. Di piùnon sinceramente riferisce egli le presenti parole del signor Marioanco in un altro particolare; poi che dove quello diceche o bisognarimuovere il moto retto attribuito alla cometao veroritenendoloaggiungere qualche altra cagione dell'apparente deviazioneil Sarsidi suo arbitrio muta le parole "qualche altra cagione" in"qualch'altro moto"per poter poifuor d'ogni miaintenzionetirarmi nel moto della Terrae qui scriver variegirandole e vanità. Conclude finalmente il Sarsinon esser diquelli che sanno indovinare; e pure assai frequentemente si getta alvoler penetrare gl'interni sensi altrui.

Orsegua V. S. Illustrissima. "Quæro igituranmotus hic aliusquo belle explicare omnia posset nec eum proferreaudetvapori huic cometico tribuendus sitan alii cuipiamad cuiuspostea motum moveriin speciem tantumvideatur cometa. Non primumarbitror; hoc enim esset motum illum rectum et perpendicularemdestruere: siquidemsi vapor ex Terraæquatoriverbi gratiasubiectamotu perpendiculari sursum ascendatet motu alio idem ipsein septentrionem feraturmotus hic secundus necessario prioremdestruet. Quod si nihilominus ad septentrionem moverisaltem inspeciemvideaturad alterius alicuius corporis motum id consequidicendum erit. Certe dum Galilæus aiteum motum qui addendusessetcausam tantummodo futurum apparentis deviationis cometæsatis aperte innuitmotum hunc in alio quam in vapore cometicoponendum essecum illum apparenter solum ad septentrionem moverivelit. Quod si ita estnon video cuiusnam corporis hic futurus sitmotus. Cum enim nulli Galilæo sint cælestes Ptolemæiorbesnihilqueex eiusdem Galilæi systematein cælosolidi inveniaturnon igitur ad motum eorum orbiumquos nusquamreperiri existimatcometam moveri putabit.

Sedaudio hic mihi nescio quem tacite ac timide in aurem insusurrantemTerræ motum. Apage dissonum veritati ac piis auribus asperumverbum. Nætu caute id submissa insusurrasti voce. Sed si itares se haberetconclamata esset Galilæi opinioquæ nonalii quam huic falso inniteretur fundamento. Si enim Terra nonmoveaturmotus hic rectus cum observationibus cometæ noncongruit; sed Terram certum estapud Catholicosnon moveri; eritergo æque certummotum hunc rectum cum observationibuscometicis minime concordareac propterea ineptum ad rem nostramiudicandum. Neque id ego unquam Galilæo in mentem venisseexistimoquem pium semper ac religiosum novi."

Quicom'ella vedesi va il Sarsi affaticando per mostrarniun altromoto che si attribuisca o all'istessa cometa o ad altro corpomondanopoter esser atto a mantenere il movimento per linea rettaintrodotto dal signor Mario ed a supplire insieme all'apparentedeviazion dal vertice: il qual discorso è tutto superfluo evanoatteso che né il signor Mario né io abbiamo maiscrittola cagion di tal deviazione depender da qualch'altro motoné di Terra né di cieli né d'altro corpo. IlSarsi di suo capriccio l'ha introdotto; egli stesso si rispondanépretenda d'obligar altri a sostener quello che non ha dettonéscrittoné forse pensatoancor per confessione dell'istessoSarsiil quale apertamente afferma di non creder che mai mi siacaduto in mente d'introdurre il movimento della Terra per salvar taldeviazioneavendomi egli conosciuto sempre per persona pia ereligiosa. Ma s'è cosìa che proposito l'avete voinominatoed a qual fine cercato di mostrarlo inetto a cotal bisogno?Ma è bene che passiamo avanti.

SeguadunqueV. S. Illustrissima di leggere. "Verumni fallornon quilibet cometæ motus Galilæum torsitcoëgitquealiquid aliud præterea excogitare quod proferre vel nesciat velnon audeat; sed is tantumquo ultra nostrum verticemseu zenithpropius ad polum accessit. Si igitur ultra verticem cometa progressusnon fuissetnil erat quod de hoc alio motu cogitaret. Hoc enimipsemet verbis illis innuere videturquibus ait"si nullusalius ponatur motus quam rectus ac perpendicularistunc ad nostrumtantum verticem recta cometam ascensurumnon tamen progressurumulterius". Demus igiturnullum unquam cometam verticem nostrumprætergressum: aio tamenne sic quidem eius cursum explicariposse motu hoc recto.

Sitenim Terræ globus ABClocus ex quo vapor ascendit sit Boculus vero spectantis in Avisusque sit primum cometaverbigratiain Eet locus eidem respondens in cælo sit G;intelligatur moveri cometa sursum in linea BO per partes æqualesEFFMMO: affirmoquantumvis vapor ille per lineam DO ascendatetiam in omni æternitate nunquam ad verticem nostrumneapparenter quidemperventurum. Ducatur enim linea AR ipsi BOparallela: nunquam tantus erit cometæ motus apparensquantusest arcus GRet nunquam radius visualis coincidet cum linea AR. Cumenim semper radius visivus concurrere debeat cum recta BOin quaapparet cometacumque radius AR sit lineæ BO parallelusnonpoterit cum illa unquam concurrereex definitione parallelarum: ergonunquam radius per quem cometa videturpoterit ad R pervenire; etconsequentermotus apparens cometæ non solum non perveniet adnostrum verticem Ssed neque ad punctum Rquod longissime adhuc avertice distat. Apparebit enim primo in Gsecundo in Ftertio in Ideinde in Letc.; sed nunquam perveniet ad R."

Tornail Sarsicome V. S. Illustrissima vedead alterar la scrittura delsignor Mariovolendo pure ch'egli abbia scrittoche il motoperpendicolare alla Terra dovesse condur finalmente la cometa alpunto verticale; il che non si trova nel suo libroma sì beneche tal moto sarebbe verso il vertice: e ciò faper mioparereil Sarsi per pigliare occasione di portarci questa geometricadimostrazionefabbricata sopra fondamenti non più profondidella sola intelligenza della diffinizione delle linee parallele;dalla quale azzione alcuno potrebbe dedurre forse una conseguenza nonmolto insigne pel Sarsi. Imperocché o egli stima questa suaconclusione e dimostrazione per cosa ingegnosa e da persone nonvulgario vero per una cosuccia da essere anco ritrovata da'fanciulli: s'egli la stima per cosa puerilepoteva ben esser sicuroche né il signor Mario ned io siamo costituiti in sìinfelice stato di cognizioneche per mancamento di cotal notiziaavessimo ad incorrere in errore; ma se ei l'ha per cosa sottile e dimomentoio non saperei come non far giudicio ch'ei fusse poveroaffatto e bisognoso di ritornar sotto la disciplina del Maestro. Èverodunqueche il moto perpendicolare alla superficie terrestrenon arriva mai al vertice (eccetto però che quello che siparte dall'istesso luogo del riguardanteil che forse il Sarsi nonha osservato)ma è anco vero che noi non abbiamo detto maich'ei v'arrivi.

"Prætereaquoniamut Galilæus ipse fateturcometæ motus inprincipio velocior visus estet paulatim postea remittividendumestin qua proportione hæc motus remissio procedere debeat inhac linea recta. Certesi Galilæi figuram expendamusquandocometa fuerit in Eapparebit in G; cum veroparia percurrens spatiaEFFMMOmotum suum apparentem in punctis FIL ostendetvidebitur motus eius decrescere decrementis maximis; nam arcus FI vixest medietas ipsius GFet IL ipsius FIatque ita de reliquis:debuit ergo cometæ motus apparens in eadem proportionedecrescere. Sciendum autem estmotum cometæ observatum non inhac proportione decrevisseimmo primis diebus adeo exiguum ipsiusdecrementum fuisseut non facile animadverteretur. Cum enim in suoexordio tres circiter gradus quotidie percurreretdiebus iam 20elapsis vix quicquam de illa priori contentione remisisse visus est.Immosi in iudicium advocentur cometæ duo Tychonici annorum1577 et 1585ex ipsorum motibus apertissime colligemusquam longeabfuerint ab immani hoc decremento. Si quis iam ex me quæratquantus tandem futurus sit cometæ motus per lineam hanc rectamascendentisrespondeo: si cometa tunc primum appareatcum vapor exquo producitur non longe abest a Lunaquod valde probabile estetpræterea ponamus locumex quo in Terræ globo fumus illeascenditdistare a nobis gradibus 60respondeoinquamapparentemcometæ motum toto durationis suæ tempore non absoluturumgradum unum et minuta 31.

Sitenim Terræ globus ABCLunæ concavum GFHdistans acentro D Terræ semidiametris 33ex Ptolemæo; Tycho enimduplam fere ponit distantiamquod magis e re mea foret; sitque Alocus ex quo spectatur cometaB vero locus ex quo vapor ascendit.Dicocum visus fuerit cometa in Efuturum angulum DEA gradus 1minuta 31; ac proindesi ducatur AF parallela ipsi DEerit etiamangulus FAE gradus 1minuta 31cum sit alternus ipsi DAE intereasdem parallelas; duæ ergo lineæ AEAF intercipient infirmamento arcum gradus 1minuta 31. Sed ad lineam AFparallelamipsi DEnunquam perveniet cometaut probavimus superius: ergonunquam absolvet motum gradum 1minuta 31. Quod autem angulus DEAfuturus sit in concavo Lunæ gradus 1minuta 31probatur.Quiacum cognitus sitex suppositioneangulus EDA graduum 60 intriangulo ADEet præterea latus AD unius Terræsemidiametriet latus DE semidiametrorum 33; si fiatut 34aggregatum duorum laterum ADDEad 32differentiam eorumdemlaterumita 173205tangens dimidii summæ reliquorum duorumangulorumhoc est tangens anguli graduum 60ad quartum numeruminvenietur 163016tangens anguli graduum 58minutorum 29: quidetracti ex gradibus 60hoc est ex dimidio duorum reliquorumangulorumrelinquent angulum DEA quæsitum gradus 1minutorum31ex regulis trigonometricis."

Iocredetti dalla precedente dimostrazion del Sarsich'ei potesseessere ch'egli avesse vedutoe forse intesoil primo libro degliElementi della geometria; ma quello ch'egli scrive qui mi mette ingran dubbio s'egli abbia prattica veruna sopra le cose matematichepoi che dalla figura delineata di sua fantasia da se medesimoeivuol ritrarre qual sia la proporzion della diminuzion dell'apparentevelocità del moto attribuito dal signor Mario alla cometa:doveprimaegli dimostra di non avere osservato che in tutti ilibri de' matematici niun riguardo si ha già mai delle figuretutta volta che vi è la scrittura che parla; e che inastronomiain particolaresi tratterebbe poco meno chedell'impossibile a voler mantenere nelle figure le proporzioni cherealmente hanno tra di loro i motile distanze e le grandezze degliorbi celestile quali proporzioni senza verun pregiudicio delladottrina si alterano sì fattamenteche quel cerchio oquell'angolo che dovrebbe esser mille volte maggiore d'un altrononsi fa né anco due o ver tre. Si veda anco il secondo erroredel Sarsich'è ch'ei s'immagina che 'l medesimo movimentodebba apparir fatto colle stesse apparenti inegualità da tuttii luoghi ond'ei venga osservato ed in tutte le distanze o altezzedove il mobile si ritrovi: tuttavia la verità èchesegnati nel moto retto perpendicolarmente ascendente molti spaziiegualii movimenti apparentiverbigraziadi quattro parti vicine aTerra importeranno mutazioni in cielo tra di sé molto piùdisuguali che quelli di quattro altre parti assai lontane; sìche finalmente in gran lontananza la disugualità che nelleparti basse era grandissimanell'altre resterà insensibile.Così parimente in altra proporzione appariranno fatti imedesimi ritardamenti se il riguardante sarà vicino alprincipio della linea del motoche s'egli ne sarà lontano.Tuttavia il Sarsiperché nella figura [v. figura a pag.70]trova che gli archi GFFIILche sono i moti apparentidecresconograndemente ed assai più che non si scorse nel movimento dellacometasi è persuaso che simil moto in conto niuno possa aquella adattarsi; né ha avvertito come cotali decrementipossano apparir meno e meno disugualisecondo che l'altezza delmobile sarà posta maggiore. Egli pur sa che nelle figure nési osservané importa nulla il non osservarle debiteproporzioni; della qual notizia egli medesimo ce ne rende certi nellasua seguente figura[v. figura a pag.72] nella quale proval'angolo DEA esser solamente un grado e mezose bene in disegno èpiù di gradi 15ed il semidiametro del concavo lunare DEappena è triplo del semidiametro terrestre DBil qualtuttavia egli nomina 33 volte maggiore; sì che questo solo erabastante a fargli conoscere quanto grande sia la semplicità dichi volesse raccor la mente d'un geometra dal misurar colle seste lesue figure. Concludendo dunque dicosignor Lottarioche puòstar benissimo in un istesso moto retto ed uniforme un'apparentediminuzione e grande e mezana e piccola e minima ed insensibileancora; e se voi vorrete provare che niuna di queste corrisponda almoto della cometabisognerà che facciate altra fattura chemisurar le dipinture; e v'assicuro che scrivendo voi cose talinonv'acquisterete l'applauso d'altriche di chinon intendendo néil signor Mario né voiripon la vittoria nel piùloquace e ch'è l'ultimo a parlare.

MasentiamoIllustrissimo Signorequello che in ultimo il Sarsiproduce. Essoper mio crederevuol da questo ch'ei soggiungech'èla piccolezza del moto apparenteprovareil già piùvolte nominato moto retto non competere in verun modo alla cometa (edico di creder cosìe non d'esserne sicuropoi che l'istessoautoredoppo sue dimostrazioni e calcolinon raccoglie conclusionealcuna): e per ciò fare egli supponela cometa nel suo primoapparire esser stata lontana dalla superficie della Terra 32semidiametri terrestrie che il riguardante sia situato 60 gradilontano dal punto della superficie della Terra che perpendicolarmenterisponde sotto alla linea del moto d'essa cometa; e fatte tali duesupposizionidimostra la quantità del moto apparente potereappena arrivare in cielo a un grado e mezzo; e qui finiscesenzaapplicare il detto a proposito alcuno o raccorne altra conclusione.Ma già che il Sarsi non l'ha fattone raccorrò io duedelle conclusioni: la prima sarà quella che l'istesso Sarsivorrebbe che il semplice lettore n'inferisse da per se stessoel'altra quella che per vera conseguenzae non per inavvertenza dipersone semplicisi raccoglie. Ecco la prima: "Dunqueolettorenel cui orecchio ancora risuona quello che di sopra èstato scrittocioè che il moto apparente della nostra cometavalicò in cielo molte e molte decine di gradifa' tu oraconcetto e tieni per sicuro che il moto retto del signor Mario inveruna maniera se gli assestaper lo quale a gran fatica si puòvalicare un sol grado e mezo." E questa è la conseguenzade' semplici. Ma chi averà fior di logica naturalecongiungendo le premesse del Sarsi colla conclusione da quelledependenteformerà cotal sillogismo: "Posto che lacometa nel suo apparire fusse stata alta 32 semidiametri terrestrieche il riguardante fusse gradi 60 lontano dalla linea del suo motola quantità del suo moto apparente non poteva eccedere ungrado e mezo; ma egli eccedette molte decine di gradi; (venga ora laconseguenza vera) adunque nel tempo delle prime osservazioni lanostra cometa non era in altezza da Terra di 32 semidiametriel'osservator lontano 60 gradi dalla linea del moto di quella."Il che liberamente si conceda al Sarsiessendo una conclusione chedistrugge i suoi medesimi assunti: ben che per un altro rispettoancora il suo sillogismo resti imperfettoné punto vagliacontro al signor Marioil qual già apertamente ha scritto cheun semplice moto retto non può bastare a soddisfareall'apparente mutazion della cometama vi bisogna aggiungerqualch'altra cagione della sua deviazione; la qual condizionetralasciata dal Sarsisnerva del tutto ogni sua illazione.

Manotodi piùun altro non piccolo errore in logica in questosuo discorso. Vuole il Sarsidalla gran mutazion di luogo che fecela cometa provar che 'l moto retto del signor Mario non gli potevacompetereperché la mutazione che segue a cotal moto èpiccola: e perché la verità è che a questo motoretto ne possono seguir mutazioni piccolemediocri ed ancograndissimesecondo che il mobile sarà più alto o piùbassoed il riguardante più lontano o meno dalla linea d'essomotoil Sarsisenza domandar all'avversario in qual altezza e inqual lontananza ei ponga il mobile e 'l riguardanteripone l'uno el'altro in luoghi accommodati al suo bisogno e sconci per queldell'avversarioe dice: "Pongasi che la cometa nel principiofusse alta 32 semidiametrie l'osservatore lontano 60 gradi."Masignor Lottario miose l'avversario dirà ch'ella non eratanto lontana a molte migliaia di migliae l'osservatore parimenteassai più vicinoche farete voi del vostro sillogismo? che neconcluderete? niente. Bisognava che noie non voiavessimoattribuito alla cometa ed all'osservatore cotali distanzeed alloraci avreste colle nostre proprie armi trafitti; o se pur volevatetrafiggerci colle vostredovevate prima necessariamente provaretali essere state in fatto le lontananze (il che non avete fatto)enon arbitrariamente fingerveleed elegger delle piùpregiudiciali alla causa dell'avversario. Questo particolare solo mifa inclinare un poco a credere che possa esser vero quello che sinqui non ho creduto già maicioè che possiate esserestato scolare di quello di chi voi vi fateavvenga ch'egli ancoracaschis'io non m'ingannonell'istessa fallaciamentre vuoldimostrar falsa l'opinion d'Aristotile e d'altri ch'ànnostimato la cometa esser cosa elementare e dentro alla regioneelementare aver sua residenza: a i quali egli opponecomegrandissimo inconvenientela smisurata mole ch'ella dovrebbe averee quanto incredibil cosa sarebbe che dalla Terra potesse esserlesomministrato pabulo e nutrimento; per dimostrarla poi unasmisuratissima machinala costituiscesenza licenza degliavversarinella più sublime parte della sfera elementarecioè nell'istessa concavità dell'orbe lunaree diquividall'apparirci ella quale la veggiamova calcolando la suamole dover esser poco manco di cinquecento milioni di miglia cubiche(e noti il lettore che lo spazio d'un sol miglio cubo è tantograndeche capirebbe più d'un milion di naviche forse tantenon se ne trovano al mondo)machina veramente troppo sconcia edisonestae di troppo grande spesa al genere umanoche di quaggiùle avesse a mandar la pietanza per cibarsi e nutrirsi. Ma Aristotilee i suoi aderenti risponderanno: "Padre mionoi diciamo che lacometa è elementaree che può esser ch'ella sialontana dalla terra 50 o 60 miglia e forse mancoe non cento ventunmila settecento e quattrocomesolamente di vostra sempliceautoritàla fate voi; e per tanto il corpo suo non viene adesser a mille miglia grande quanto voi credetené insaziabileo impasturabile"; e qui poi non ci è altro da fare perl'oppugnatore se non istringersi nelle spalle e tacere. Quando si hada convincer l'avversariobisogna affrontarlo colle sue piùfavorevolie non colle più pregiudicialiasserzioni;altrimenti se gli lascia sempre da ritirarsi in franchigialasciandol'inimico come attonito ed insensatoe qual restò Ruggieroallo sparir d'Angelica.

Orsentiamo quel che segue: e legga V. S. Illustrissima questo quartoargomento. "Iam vero quamvis Terra non moveaturneque tutum homini pio sit id assereresi quis tamen scire ex mecupiatan per motum Terræ possit hic cometæ cursus perrectam lineam explicarirespondeo: si nullus alius in Terra motusconcipiatur præter eum quem Copernicus excogitavitne sicquidem motu hoc recto salvari cometæ phænomena. Quamvisenim per motum Copernici annuum Solex ipsius sententiavideatur abæquatore modo in austrum modo in septentrionem flectere (quemtamen ipse immobilem existimat)quilibet tamen horum motuum integrosemestri completuret brevi illo spatio dierum 40quo ferme cometacomparuitparum admodum Sol moveri visus esthoc est per gradustresneque multo maiorex hoc Terræ motuvideri potuitcometæ apparens deviatio; cui etiam si addatur totus ille motusqui ex incessu illo recto apparenter orireturnunquam motum cometæobservatum exæquabit."

Quiegli vuol mostrare che né anco ponendosi il moto della Terraquale dal Copernico fu assegnatosi potrebbe esplicare e sostenerequesto moto per linea retta e quella deviazion dal vertice; perchése bene al moto della Terra ne conséguita l'apparentedeclinazione del Sole ora verso austro ora verso boreatuttavianello spazio di 140 giornine i quali si osservò la cometatal declinazione non importò più di gradi 3né molto maggior di tanto poteva apparir quella della cometa;sì checongiunta questa con quel solo grado e mezo che potevaimportar l'altra dependente dal proprio moto rettotuttavia noirimagniamo assai lontani da quel moto grandissimo che in lei si vide.Quinon avendo noi affermato né detto che di tal deviazioneapparente ne sia cagione movimento alcuno di qualch'altro corpoemen di tutti del corpo terrestreil quale l'istesso Sarsi confessadi sapere che noi reputiamo falsochiaramente apparisce ch'egli l'haintrodotto di suo capriccio per farsi adito a crescere il suo volume;per lo che niuno obligo cade in noi di risposta per mantenimento diquello che non abbiamo prodotto. Non però voglio restar didirech'io fortemente dubito che il Sarsi non abbia ancora formatasiperfetta idea de' moti attribuiti alla Terrané delle varie emoltiplici apparenze che da quelli negli altri corpi mondani scorgersi dovrebbono; già che io veggo ch'egli senza niuna differenzadi positurao sotto o fuori dell'eclitticao dentro o fuoridell'orbe magnoo di meridionale o settentrionaleo di vicino olontano da essa Terrastima che qual deviazione apparisce nel corposolarecollocato nel centro di essa eclitticadebba ancor lamedesimao pochissimo differentescorgersi in ogn'altro visibileoggettoin qualsivoglia luogo del mondo collocato; cosa ch'èremotissima dal veroe non repugna chemediante la differenteposturaquella mutazione che nel Sole apparisce tre gradiin altrooggetto possa apparire 102030. Ed in conclusionese il movimentoattribuito alla Terrail quale iocome persona pia e cattolicareputo falsissimo e nullos'accommoda al render ragione di tante esì diverse apparenze le quali s'osservano ne' corpi celesti;io non m'assicurerò ch'eglicosì falsonon possa ancoingannevolmente rispondere all'apparenze delle cometese il Sarsinon discende a più distinte considerazioni di quelle che sinqui ha prodotte.

Leggaora V. S. Illustrissima il quinto argomento. "Atquehæc quidemsi omniumquotquot adhuc fueruntcometarum motusæque certus ac regularis fuisset: at si alios etiam inquæstionem vocemusquorum motus longe diversus ab his fuitmulto clarius ex illis constabitpossit ne cometis motus hic rectuspræscribi. Adi igitur Cardanum; hæc apud illumexPontanoleges: "Cometes tenui capite comaque admodum brevi anobis conspectus estqui moxmiræ magnitudinis factusabortu in septentrionem cœpit deflecterenunc citato motu nuncremisso; et quoad Mars Saturnusque regrederenturipse aversuscomaprogredienteferebaturdonec ad Arctos pervenit; undecum primumSaturnus et Mars recto cursu pergere cœperuntin occasum iterflexit tanta celeritateut die uno 30 gradus emensus sit; atque ubiad Arietem et Taurum commeavitvideri desiit." Prætereaapud eumdemex Regiomontanohæc habes: "Idibus Ianuariisanno Domini 1475 visus est nobis cometa sub Libra cum stellisVirginiscuius caput tardi erat motus donec propinquum esset Spicæ;nunc incedebat per crura Bootis versus eius sinistrama quadiscedendodie uno naturaliportionem circuli magni graduum 40descripsitubicum esset in medio Cancrimaxime distabat ab orbesignorum gradibus 67; et tunc per duos polos zodiaci et æquinoctialisibatusque ad intermedia pedum Cephæideinde per pectusCassiopeiæ super Andromedæ ventrem; postgradiendo perlongitudinem Piscis septentrionalisubi valde remittebatur motuseiuspropinquabat zodiacoetc." Quare in principio ac finetardissimi fuit motusin medio vero celerrimiquod motui isti perlineam rectam apertissime repugnat; hic enim semper in principiovelocior estpostea sensim remittitur; cui tamen adhuc apertiusobstat prior cometa Pontaniin principio tardusin finevelocissimus. Audi illum in Meteoris ita concinentem:

Nammemini quondamIcario de sidere lapsum

squalentempræferre comamtardoque meatu

flecteresub gelidum boreæ penetrabilis orbem;

hincrursum præferre caputcursuque secundo

verterein occasumac laxis insistere habenis;

donecAgenorei sensit fera cornua Tauri.

Inhis duobus porro cometis difficilius multo motus ille rectusexplicari potest; cum hibrevissimo temporis spatiointegrumsemicirculum maximum motu suo percurrerintcui motui explicandoperexiguo futurus est adiumento quicumque Terræ motus. Nequehoc loco catalogum cometarum variorumque illorum motuum texere meiest instituti: si quis vero eos adeat qui de his egeruntmultainveniet quæ cum motu hoc recto stare nulla ratione possunt.Satis igitur superque de cometæ substantia ac motu dictum."

Quicol produrre il Sarsi altre varie mutazioni fatte in altre comete edescritte da altri autoripensa pur di confermare il suo detto. Maquello che ho scritto di sopra risponde ancora a questonéaltro ci bisognase primalasciando il Sarsi le troppo larghegeneralitànon viene alle particolari considerazioni de'particolari stati d'esse cometequanto all'essere altebasseaustrali o borealied apparse ne' tempi de' solstizi o degliequinozzi; condizioni tralasciate da essoe necessarissime in cotalidecisionicom'egli stesso potrà conoscere qualunque volta conmaggiore attenzione si ridurrà a questa speculazione.

Passoora all'ultima questione del presente esame: "Reliqua nunc estcometæ coma seu barbavelsi maviscaudaquæ sua illacurvitate non parum astronomis negotii facessit: in qua tamenexplicanda triumphare plane sibi videtur Galilæus. Verum illudprimum hoc loco ei suggerere habeonihil esse quod novum hunc modumcomarum explicandarum sibi adscribat; nihil ipsum sua hac indisputatione protulissequod Keplerus multo ante non videritetscriptis planissime consignarit: nam dum rationes inquiritcurcometarum caudæ curvæ aliquando videanturait id non exparallaxi oririquod alio etiam loco probatneque ex refractionemulta in hanc sententiam afferens; ubi tandem aithoc phænomenoninter naturæ arcana relinquendum. Hoc igitur præmissumvoluiquandoquidem ipse aitse vidisse neminem qui hac de rescripseritpræter Tychonem. Hoc uno inter se differuntKeplerus et Galilæusquod hic iis rationibus assentiturquasnon tanti ponderis ille existimavitac propterea sub iudice litemrelinquendam statuit."

Troppoveramente si dimostra il Sarsi desideroso di spogliarmianzi deltutto denudarmid'ogni ben che lieve ornamento di gloria: e quinoncontento di scoprirela ragion prodotta per mia dal signor Marioonde avvenga che la chioma della cometa talora ci apparisca piegarsiin arcoesser falsa e non concludenteaggiungein quella non esserda me arrecato niente di nuovoma il tutto molto innanzi esserestato scritto e publicatoe poi come falso rifiutatoda GiovanniKepplero; tal che nell'animo del lettorequalunque volta egli sifermasse sopra la relazion del Sarsiio resterei in concetto nonsolo d'involator delle cose altruima di ladruccio dappococheandasse raggranellando sino alle cose rifiutate. Ma chi sa che ancoforse la piccolezza del furto non mi renda più colpevolenelconcetto del Sarsiche s'io con maggiore animo mi fussi applicato aprede maggiori? e se per avventura ioin cambio di rubacchiarqualche cosarellami fussi con maggior generosità messo allacerca di libri non così noti in queste nostre partiedincontratone alcuno di qualche bravo autore avessi tentato disopprimere il suo nome ed attribuire a me tutta l'opera interaforsecotal impresa gli saria paruta altrettanto eroica e grandequantol'altra pusillanima ed abietta. Ma io non son di tanto cuoreeliberamente confesso la mia codardia. Ma s'io son poveretto ed'ardire e di forzesono almanco da benené vogliosignorLottarioimmeritamente restar con questo fregio su 'l visomavoglio liberamente scrivere e palesare il vostro mancamentoe nonpenetrando io da quale affetto possa esser natolascerò chevoi stesso lo specifichiate poi nella vostra scusa.

Volsegià Ticone assegnar la causa di cotale apparente curvitàriducendola ad alcune proposizioni dimostrate da Vitellione; ma ilsignor Mario mostrò che quello non aveva comprese le cosescritte da quell'autore le quali sono remotissime dalservire al proposito di tal piegatura. Soggiunse l'istesso signorMario quella che a sé ed a me era paruta la vera causa edimostrativa ragione: si leva su il Sarsie volendo confutarlae dipiùmanifestarla cosa del Kepplerocade con Ticonenell'istessa fossae si dichiara non avere inteso niente di quelloche scrivono il Kepplero ed il signor Marioo almeno dissimulal'intender l'uno e l'altroe vuole che ambedue scrivano l'istessacosamentre scrivono cose differentissime. Il Kepplero vuol renderragione della curvità come ch'essa chioma sia realmentee nonin apparenza solamentecurva; il signor Mario la suppone realmentedirittae cerca la causa della piegatura apparente. Il Kepplero lariduce ad una diversità di refrazzioni de' raggi stessisolarifatte nell'istessa materia celeste in cui si forma l'istessachiomala qual materiain quella parte solamente che serve allaproduzzion della chiomain altri ed altri gradi di vicinitàall'istessa stella sia più e più densasì chefacendo altre ed altre refrazzionidal composto finalmente di tuttene risulti una total refrazzione distesa non direttamentema inarco; il signor Mario introduce una refrazzione fatta non da' raggidel Solema dalla spezie dell'istessa cometanon nella materiaceleste aderente al capo di quellama nella sfera vaporosa checirconda la Terra: sì che l'efficientela materiail luogoed il modo di queste produzzioni sono diversissiminé ànnoaltra communicanza tra di loro questi due autoriche questa solaparola refrazzione. Ecco le parole precise delKepplero: "Non refractio potest esse causa inflexionis huiusninescio quod monstri confingamusmateriam ætheream certisgradibus propinquitatis ad hoc sydus magis magisque crassamnec nisiex una sola parte in quam caudam vergit." Ahsignor Lottarioèpossibile che voi vi siate lasciato trasportar tant'oltre daldesiderio d'oscurare il mio nomequal egli si sia in materia discienzeche non solo non abbiate avuto riguardo alla reputazion miama né anco a quella di tanti amici vostri? a' quali confallacie e simulazioni avete cercato di far credere la vostradottrina ferma e sincera e con tal mezo avete fatto acquisto del loroapplauso e delle lor lodiche adessose mai accaderà ch'essiveggano questa mia scrittura e per essa comprendano quante volte edin quante maniere voi gli avete voluti trattar da troppo semplicieisi terranno scherniti da voie la stima e la grazia vostra neglianimi loro muterà stato e condizione. Differentissima èdunque la ragione prodotta e rifiutata poi dal Kepplero; il qualecome persona conosciuta da me sempre per non men libera e sincera cheintelligente e dottason sicuro che ei confesserebbeil nostrodetto essere in tutto diverso dal suoe che come il suo meritòil rifiutoquesto merita l'assensoperché è vero edimostrativoben che il Sarsi s'ingegni di confutarlo.

Masentiamo la forza delle sue confutazioni. "Sed videamus iaman ex refractionequod Galilæus asserithuius caudæcurvitas oriri potuerit. Neque enim eas leges illa servasse videturquas eidem ipse præscribit; ut nimirum quoties ad horizonteminclinaretur eidemque fere incederet parallela ac plures verticalesintersecarettunc solum curvareturubi vero ad verticem nostrumspectaretillico dirigeretur: nam vix tribus quatuorve diebus suamillam primam curvitatem servavitidque sive horizonti proxima siveab eodem remota; postea vero declinare quidem visa est ab ea lineaquæ per cometæ caput a Sole recta duceretursed nullamcurvitatem præ se tulitcum tamen sæpissime ductus illæcaudæ ad horizontem inclinatus compareret. At si ita se reshaberet ut Galilæus asseritlonge rectior videri debuisset inipso exortuquam cum altius elevaretur. Sæpissime enim ita abhorizonte ascenditut tota in eodem fere verticali existeret; inascensu vero ipso fiebat ad horizontem inclinatioret pluresverticales intersecabat; ut ex globo ipso cognoscere quivis potestsi observetexempli gratiain globo aliquo cælesti locumcometæ et ductum caudæ respondentem diei 20 Decembris.Transibat enim tunc coma inter duas postremas stellas caudæUrsæ Maiorisipsum vero cometæ caput distabat ab Arcturogradibus 25minutis 54a Corona vero gradibus 24minutis 23. Siigitur locus cometæ in globo inveniatur et ductus caudædescribaturin ipsa globi circumvolutione apparebit caudaabhorizonte emergensin uno fere verticali; moxaltius provectafietferme horizonti parallela: et tamen hæc ne in hac quidempositione curvitatem ullam ostendit."

Troppoinefficace maniera di confutare una dimostrazion di prospettivanecessariamente concludente è questa del Sarsimentr'eglivuole che altri la posponga a sue relazionile quali possono esserealterate e francamente accommodate al suo bisogno; e perdonimi ilSarsi se io ho tal sospettopoi ch'egli stesso dà tantofrequentemente occasione di sospender la credenza delle cose ch'eiproduce. E qual fede si deve prestare alle relazioni d'uno circa cosegià passate e che niente di loro più si ritrova névedementre il medesimoparlando di cose permanentipresentipubliche e stampatenon s'astiene di riferirne delle dieci le novealterate diversificate ed in somma trasformate in senso contrario? Iotorno a dire che la dimostrazione scritta dal signor Mario èpurageometricaperfetta e necessaria; questa doveva il Sarsiprocurar prima d'intendere perfettamentee poinon gli parendoconcludentemostrar la sua fallacia o nella falsità degliassunti o nel progresso della dimostrazione: del che egli non hafatto niente o pochissimo. La nostra dimostrazione prova chel'oggetto vedutoessendo disteso per linea retta e costituito fuoridella sfera vaporosavicino ed inclinato all'orizontenecessariamente si dimostra incurvato all'occhio posto lontano dalcentro di essa sfera vaporosa; ma se quello sarà erettoall'orizonte o molto sopra quello elevatodel tutto diritto oinsensibilmente incurvato ci si rappresenterà. La presentecometa per quei primi giorni che si vide bassa ed inclinatasi videanco incurvata; fatta poi sublimerestò dirittae tale simantenneperché sempre s'andò dimostrando in grandeelevazione: la cometa del 77la qual io continuamente vidiperchésempre si mantenne bassa e molto inclinatasempre si vide incurvatanotabilmente: altre minoriche io ho viste altissimesempre sonostate dirittissime: sì che l'effetto si troveràconformarsi colla conclusione dimostrataqualunque volta d'esso siabbiano veridiche relazioni. Ma sentiamo quanto il Sarsi oppone allanostra dimostrazionee di quanto momento siano le sue instanze.

"Prætereanon videoqui fieri possit ut adeo secure asseveret Galilæusvaporosam regionem ipsi Terræ sphærice circumfundi; cumtamen ipse huiusmodi vapores altius alicubi elevari quam alibiconstantissime doceatdum suam de motu recto sententiam astruerenititur. Immo vero cometas ipsos non aliunde quam ex his ipsisvaporibusTerræ umbrosum conum prætergressisformatosdictitat. Quid ergosi hicvapor a Terræ superficie tribusabsit passuum millibusibi vero ultra mille leucas protendaturansic etiam sphæræ figuram servabit vaporosa isthæcregio? Certe qui ad hanc diem sphæræ rudimentatradideruntii mediam aëris partemquæ maxime vaporibusconstat (si quam tamen illa certam figuram servat)sphæroidalempotius seu ovalem essequam rotundamdocentcum in iis partibusquæ polis subiectæ suntvapores minus a Sole solvantureleventurque proinde altiusquam in iis quæ æquinoctialicirculo et torridæ zonæ subiacentubi a calore finitimiSolis facillime dissolvuntur. Si ergo vaporosa hæc regiosphærica non estnec æquis ubique intervallis a Terraremoveturneque æqualem in omnibus partibus crassitiem etdensitatem servatcaudæ curvitas ex eiusdem regionisrotunditatequæ nusquam estexistere nunquam poterit.

Atquehæc de Galilæi sententiain iis quæ cometamimmediate spectantdicta sint. Plura enim dici vetat ipsemetquiin bene longa disputationequid sentiret paucis admodum atqueinvolutis verbis exposuitnobisque plura in illum afferendi locumpræclusit. Qui enim refelleremus quæ ipse nec protulitneque nos divinare potuimus? Ad reliqua nunc accedamus."

Alladimostrazionecome V. S. Illustrissima vedeviene opposto dal Sarsil'essere ella fabbricata sopra un fondamento falsocioè chela superficie della region vaporosa sia sfericala quale egli indiverse maniere prova essere altrimenti. E primaegli dice che noistessi constantissimamente affermiamotali vapori elevarsi piùin un luogo che in un altro. Ma tal proposizione non si trovaaltrimenti nel libro del signor Mario: v'è benche in alcuntempo è accaduto che alcuni vapori si innalzino più delconsuetoma ciò di rado e per brevissimo tempo; ondeper talrispettoil dire che la figura della region vaporosa non siarotondaè detto arbitrario del Sarsi. Il qual soggiungeappressol'altra falsitàcioè che noi abbiam dettoche la cometa si formi di quelli stessi vapori chesormontando ilcono dell'ombraformano quella boreale aurora; cosa che non si trovanel libro del signor Mario. Aggiunge nel terzo luogo e dice: "Secotal vapore in un luogo s'elevasse tre migliaed in un altro milleleghedomin'se anco in questo modo riterrebbe la figura sferica?"Signor nosignor Sarsie chi dicesse tal cosa sarebbeper mioavvisoun gran balordo; ma io non trovo niuno che l'abbia mai nédettanécredopur sognata. Nominate voi l'autore. A quelloch'ei mette nel quarto luogocioè che quelli che insegnano iprimi abbozzamenti della sferainsegnano la figura di tal regionvaporosa esser più tosto ovale che rotondarispondo che ilSarsi non si meravigli s'egli ha saputa questa cosaed io no; perchéla verità è che io non ho imparato astronomia da questimaestri delle prime bozzema da Tolomeoil quale non mi sovvieneche scriva questa conclusione. Ma finalmentequando fosse vero ecertocotal figura essere ovalee non rotondache ne caverestesignor Lottario? niente altro se non che la chioma della cometa nonfusse piegata in arco di cerchioma di linea ovale; la qual cosasenza un minimo pregiudicio della nostra intenzione e del nostrometodo per dimostrar la causa di tale apparente curvaturaio viposso concederema non già quello che ne vorreste dedur voimentre concludete così: "Se dunque questa region vaporosanon è sfericané per tutto egualmente lontana dallaTerrané in tutte le parti egualmente grossa (proposizionereplicata tre volte con diverse paroleper ispaventare isempliciotti)la curvità della chioma non può derivarda cotal rotonditàla quale non è al mondo". Nonne seguedicoin buona logica questa conclusionema il piùche ne possa seguire è che tal curvità non èparte di cerchioma di linea ovale e questo sarebbe il vostroinfelice e miserabil guadagnoquando voi poteste aver persicurissimola region vaporosa essere ovatae non isferica. Se poiin fatto tal piegatura sia in figura d'arco di cerchioo d'ellisseo di linea parabolicao iperbolicao spiraleo altrenon credoch'alcuno possa in verun modo determinareessendo le differenze dicotali inclinazioniin un arco di due o tre gradi al piùdeltutto impercettibili.

Mirestano da considerare l'ultime paroledalle quali vo raccogliendomisticamente varie conseguenze e vani sensi interni del Sarsi. Eprimaassai apertamente si comprende ch'egli si messe intorno allascrittura del signor Mario non con animo indifferente circa ilnotarla o lodarlama con ferma risoluzione di tassarla ed impugnarla(come notai anco da principio); che però si scusa di non leaver fatto più numerose opposizionidicendo: "E comepotev'io confutare le cose ch'ei non ha profferite e ch'io non hopotute indovinare?"se ben la verità è tuttaall'oppositocioè ch'ei non ha impugnato altre coseper lopiùche le non profferite dal signor Mario e ch'egli s'èmesso per indovinarle. Dice insiemeche il signor Mario ha scrittocon parole oscure ed inviluppatee che in una ben lunga disputazionenon si comprende qual sia stato il suo senso. A questo gli rispondoche il signor Mario ha avuta diversa intenzione da quella del Maestrodel Sarsi. Questocome si raccoglie dal principio della scritturadel Sarsiscrisse al vulgoe per insegnargli con suoi responsiquello che per se stesso non avrebbe potuto penetrare; ma il signorMario scrisse a i più dotti di noie non per insegnaremaper impararee però sempre dubitativamente proposee non maimagistralmente determinòma si rimise alle determinazioni de'più intelligenti: e se la nostra scrittura pareva cosìoscura al Sarsidovevaprima che censurarlafarsela dichiarareenon mettersi a contradire a quello ch'ei non intendevacon pericolodi restarne a bocca rotta. Ma s'io devo dir liberamente il mioparerenon credo veramente che il Sarsi trapassi senza impugnare lamaggior parte delle cose scritte dal signor Mario perch'ei nonl'abbia benissimo capitema sì bene perchéperl'oppositoelle sien troppo apertamente chiare e veree ch'egliabbia stimato miglior consiglio il dire di non l'intenderechecontro a suo gusto prestar loro applauso e lode.

Vengoora al terzo essamedove il Sarsi in quattro proposizionispezzatamente cavate di più di 100 che ne sono nel Discorsodel signor Mariosi sforza di farci apparire poco intelligenti:l'altre tutteassai più principali di questele chiude eglisotto silenzioe questeo con aggiungervi o con levarne o contorcerle in altro senso da quello in che son profferitele vaaccommodando al suo dente.

Veggaora V. S. Illustrissima. "Antequam ad nonnullas Galilæipropositiones accuratius expendendasquod nunc molioraccedamillud testatum omnibus velimnihil hic minus velle me quam proAristotelis placitis decertare: sint ne vera an falsa magni illiusviri dictanil moror in præsentia; illud unum interim agoutostendamadmotas a Galilæo machinas minus firmas ac validasfuisseictus irritos cecidisseatqueut apertissime dicampræcipuas propositiones quibusveluti fundamentisuniversadisputationis ipsius moles innititurnonnullam fortasse veritatisspeciem præseferreillas vero si quis diligentiusintrospexeritfalsasut arbitrordeprehensurum.

Dumigitur is Aristotelis sententiam refutare conaturillud inter cæterahabetad cæli lunaris motum circumferri aërem non posse;ex quo postea consequiturneque per hunc motum accendiquod indededucebat Aristoteles. "Cum eniminquit Galilæuscælestibus corporibus figura perfectissima debeaturdicendumeritconcavam huius cæli superficiem sphæricam esse acpolitamnullamque admittere asperitatem: politis autem lævibusquecorporibus neque aër neque ignis adhærescit; quare hæcneque ad motum illorum movebuntur." Quæ omnia probatargumento ab experientia ducto. "Si eniminquitcirca suumcentrum circumagatur vas aliquod hemisphæricumpolitum acnullius asperitatisinclusus aër ad eius motum non movebitur;quod persuadet accensa candela internæ superficiei vasisproxime admotacuius flamma nullam in partem ad vasis motum se seconvertet; at si aër ad motum vasis raperetursecum etiamflammam illam traheret." Hactenus Galilæus. In his porroquædam reperias quæ tamquam certa assumunturet certanon sunt; alia vero quæ etiam pro certis habenturet falsacomprobantur.

Primumenimdictum illud quo asseritconcavo lunari sphæricam etpolitam figuram deberisi quis negaritqua via quave rationecontrarium evincet? Nam si lævitas atque rotunditas cælestibuscorporibus debeturideo debetur maximene eorumdem motusimpediatur. Si enim superficies secundum quas sese contingunt orbesilliasperitatem aliquam admitterentasperitas hæc proculdubio remoraretur eorum motum. Prætereaextima summi cælisuperficies ideo rotunditatem requiritex Aristotelene si forteangulis constetad eius motum vacuum existat. Hæc autem omnianullam prorsus vim habent in re nostra. Si enim concava hæclunaris cæli superficies nec rotunda nec lævis sitsedaspera et tuberosanihil absurdi consequiturcum eius motuiobsistere non possit corpus illi proximumsive aër sive ignissitneque vacuum ullum sequatursuccedente semper uno corpore inalterius locum. Prætereasi hæc asperitas admittaturlonge melius servatur corporum omnium mobilium nexus: sic enim admotum cæli moventur superiora elementaex quorum motu multagignimulta destruiquotidie videmus. Veramdum Galilæusnobilissimis corporibus rotundam flguram deberi asseritnumquidhominescælo longe nobilioresidcirco teretes atque rotundosoptabit? Quos tamen quadratosex sapientum oraculismalumus.Dixerim igitur potiuseam cuique figuram tribuendamquæ adeiusdem finem consequendum sit aptissima. Ex quo non immerito aliquissic inferat: Cum ergo Lunæ concavum inferiora hæcsublimioribus illis orbibus nectere quodammodo ac colligare debeatasperum potius ac tenaxquam politum ac lævefabricandumfuit."

Quisenza passar più oltresi ritrovano le solite arti del Sarsi.E primanon si trova nella scrittura del signor Mario che noiabbiamo detto mai che a i corpi lisci e puliti né l'aria néil fuoco aderiscano e s'attacchino: il Sarsi ci impone questo falsodi suo capriccioper farsi strada a poter dirpoco di sottodicerta piastra di vetro. Di piùfinge il Sarsi di nons'accorgere che il dir noi che 'l concavo della Luna sia disuperficie perfettissimamente sferica tersa e pulitanon èperché tale sia la nostra opinionema perché cosìvuole Aristotile ed i suoi seguacicontro al quale noi argomentiamoad hominem: e fingendo di trovar nel libro del signor Marioquello che non v'èsimula di non vedere quello che piùvolte e molto apertamente v'è scrittocioè che noi nonammettiamo quella sin qui ricevuta moltiplicità d'orbi solidima che stimiamo diffondersi per gl'immensi campi dell'universo unasottilissima sostanza etereaper la quale i corpi solidi mondanivadano con lor proprii movimenti vagando. Ma che dico? pur ora misovviene ch'egli aveva ciò veduto e notato di sopraa car.34dov'egli scrive: "Cum enim nulli Galilæo sint cælestesPtolemæi orbesnihilqueex eiusdem Galilæi systematein cœlo solidi inveniatur." Quisignor Sarsinon potetevoi mai nasconder di non avere internamente compresoche il dir noiche il concavo lunare è perfettamente sferico e lisciosiadetto non perché tale lo crediamoma perché tale lostimò Aristotilecontro al quale ad hominem noidisputiamo; perché se voi creduto avesteciò esserestato detto di propria nostra sentenzanon ci avereste mai perdonatauna tanta contradizzionedi negare in tutto le distinzioni degliorbi e la soliditàe poi ammettere l'una e l'altra: errore dimolto maggior considerazioneche tutte l'altre vostre note preseinsieme. Vanissimodunqueè tutto il restante del vostroprogressodove voi v'andate ingegnando di provareil concavo lunaredover più tosto esser sinuoso ed asproche liscio e terso: èdicovanoné m'obliga a veruna risposta. Tuttavia voglio che(come dice il gran Poeta)

Tranoi per gentilezza si contenda

econsiderar quanta sia l'energia delle vostre prove.

Voiditesignor Sarsi: "Se alcuno negasse che la concava superficielunare sia liscia e tersa in qual modo o con qual ragionesi proverebbe in contrario?" Soggiungete poicome per provaprodotta dall'avversarioun discorso fabbricato a vostro modo e difacile discioglimento. Ma se l'avversario vi rispondessee dicesse:"Signor Lottarioposto che gli orbi celesti sieno di materiasolida e distinta da quella che dentro al concavo lunare ècontenutavi dico asseverantementedoversi di necessitàdiretal superficie concava esser pulita e tersa più diqualsivoglia specchio: imperocché quando ella fusse sinuosale refrazzioni delle specie visibili delle stellenel venire a noifarebbono continuamente un'infinità di stravaganzecomeaccade a punto nel riguardar noi gli oggetti esterni per una finestravetriatanella quale sieno vetri altri spianati e pulitied altrinon lavorati; chéo perché gli oggetti si muovanooperché noi moviamo la vistale specie loro mentre passano perli vetri ben lisci niuna alterazione ricevononé quanto alsito né quanto alla figurama nel passar per li vetri nonlavorati non si può dir quali e quanto stravaganti sieno lemutazioni; e così appunto quando il concavo lunare fossesinuosomirabil cosa sarebbe il veder con quante trasformazioni difiguredi movimenti e di situazioni le stelle erranti e fisse dimomento in momento ci si mostrerebbonosecondo che or per una or perun'altra parte del sottoposto orbe lunare passassero a noi le lorospecie; ma niuna cotal difformità si scorge; adunque ilconcavo è tersissimo"; a questo che diretesignor Sarsi?Bisogna che v'affatichiate in persuader che tal discorso non vigiunga nuovoe che l'avete trapassato come superfluoe finalmenteche non sia mioma d'altrie già dismesso come rancido emuffoe ch'in ultimo l'atterriate. Siadunquequesta la miaragione per provareil concavo lunare esser liscioe non sinuoso.Sentiamo ora quella che producete voi per prova del contrarioericordiamoci che noi siamo in contesa degli elementi superiorisesieno rapiti in giro dal moto celeste o no (ché tal èil vostro titolo della conclusione che voi impugnatecioè:"Aër et exhalatio ad motum cæli moveri non possunt")e ch'io ho detto di noperché il concavo lunare èliscioe questo ho provato per l'uniformità dellerefrazzioni. Voiprovando il contrarioscrivete così: "Sesi pone il concavo sinuosomolto meglio si conserva la connession ditutti i corpi mobiliperché così al moto del cielo simuovono gli elementi superiori". Masignor Lottarioquesto èquell'errore che i logici chiamorno petizion di principiomentre chevoi pigliate per conceduto quello ch'è in questione e ch'io digià negocioè che gli elementi superiori si muovano.Noi abbiam quattro conclusionidue mie e due vostre. Le mie sono:"Il concavo è liscio"e questa è la prima;la seconda è: "Però gli elementi non son rapiti".Che il concavo sia lisciolo provo per le refrazzioni delle stellee concludo benissimo. Le vostre sonoprima: "Il concavo èaspro"; seconda: "Però rapisce gli elementi".Provate poi che il concavo sia aspro perché cosìalmoto di quellovengon rapiti gli elementie lasciate l'avversarionel medesimo stato di primasenza niun vostro guadagnoil qual népiù né meno persisterà in dire che il concavonon è aspro né rapisce gli elementi. Bisognava dunqueper isfuggire il circoloche voi aveste provata l'una delle dueconclusioni per altro mezo. Né mi diciateavere a bastanzaprovata l'inegualità di superficie mentre dite che cosìmeglio si collegano le cose inferiori colle superioriperchéper connetterle basta il semplice toccamentoe voi stesso piùa basso ammettete l'istessa aderenza ed unione quando bene il concavosia liscioe non asprotal che frivolissima resterebbe cotal prova.Né di più forza sarebbe l'altraquando per avventuravoi pretendeste d'aver provato il ratto degli elementi superioriperché per cotal moto si fanno quaggiù le generazioni ele corruzzionie forse perché per esso viene spinto a bassoil fuoco e l'aria superioreche son pur fantasie fondate appunto inaria; e tardi ci riscalderemmo se avessimo aspettare l'espulsione delfuoco verso la Terra e massime che voi stesso adesso adesso diretech'ei fa forza all'in sue che però spingeespingendoaggrava in certo modo e più saldamente aderisce alla celestesuperficie: pensieri e discorsi appunto fanciulleschiche orvogliono ed or rifiutano le medesime cosesecondo che la sua puerileinconstanza loro detta.

Masentiamo con quali altri mezi nel seguente secondo argomento e' provil'istessa conclusione. "Sed quid ego adversus Galilæumargumenta aliunde conquiroquando ea ipse mihi abunde suppeditat?Nihil apud illum veriusquam Lunam non asperam modo essesedalterius Telluris in modumAlpes suasOlympumCaucasum suumhaberein valles deprimiin campos latissimos extendiLunæcerte montes in Luna desiderari non posse. An non cælestecorpus ac nobilissimum est Luna? Numquid non longe nobilius quamcælum ipsumquo veluti curru vehiturquod veluti domuminhabitat? Cur igitur Luna tornata non estsed aspera ac tuberosa?Stellæ ipsæ an nonGalilæo testefigura variaatque angulari constarit? Quid autem inter sublimes substantiasnobilius? Addo etiamne Solem quidemsi aspectui credashanc adeonobilem figuram sortitum; dum in illo faculæ quædamconspiciuntur reliquis longe partibus clarioresquæ velasperumvel non æque undique lumine perfusumeumdemostendunt. Quare si nihil hæc Galilæi ratio persuadetlicetque in concavo lunari asperitatem admitterenemoarbitrornegabitad eius motum ferri exhalationes atque aërem posse.Asperitatem autem hanc admittendam non essenon facile probabitGalilæus. Illud hoc loco omittendum non estquod in Epistola 3ad Marcum Velserum ipse habethoc estsolares maculas fumidosvapores essead motum solaris corporis circumductos. Vel igitursolare corpus politum est ac læveet non poterit huiusmodivapores circumferre: vel asperum est et tuberosumatque itanobilissimum inter cælestia corpora neque sphæricum estnec politum. Prætereain Epistola 2 ad eumdem Marcum ait:"Solem circa suum centrum ad ambientis motum rotari; corpusautem ambiens ipso etiam aëre longe tenuius esse debet."Quaresi corpus solare solidum ad motum circumfusi corporisrarissimi et tenuissimi moveturnon video cur postea cælumipsum solidum motu suo secum rapere non possit corpus inclusumquamvis tenuissimumquale est sphæra elementaris."

Eprima che più avanti io procedatorno a replicare al Sarsiche non son io che voglia che il cielocome corpo nobilissimoabbiaancora figura nobilissimaqual è la sferica perfettamal'istesso Aristotilecontro al quale si argomenta dal signor Marioad hominem: ed ioquanto a menon avendo mai lette lecroniche e le nobiltà particolari delle figurenon so qualidi esse sieno più o men nobilipiù o men perfette; macredo che tutte sieno antiche e nobili a un modooper dir meglioche quanto a loro non sieno né nobili e perfettenéignobili ed imperfettese non in quanto per murare credo che lequadre sien più perfette che le sferichema per ruzzolare ocondurre i carri stimo più perfette le tonde che letriangolari. Ma tornando al Sarsiegli dice che da me gli vengonabbondantemente somministrati argomenti per provar l'asprezza dellaconcava superficie del cieloperché io stesso voglio che laLuna e gli altri pianeti (corpi pur essi ancor celesti ed assai piùdell'istesso cielo nobili e perfetti) sieno di superficie montuosaaspra ed ineguale; e se questo èperché nonsi deve dire tale inegualità ritrovarsi ancora nella figuraceleste? Qui può l'istesso Sarsi metter per risposta quelloch'ei risponderebbe ad uno che gli volesse provare che il maredovrebbe esser tutto pieno di lische e di squammeperché talisono le balenei tonni e gli altri pesci che l'abitano.

All'interrogazionech'egli mi faper qual cagione la Luna non è liscia e tersaio gli rispondo che la Luna e gli altri pianeti tutticheessendoper se stessi tenebrosirisplendono solamente per l'illuminazionedel Solefu necessario che fussero di superficie scabrosaperchéquando fussero di superficie liscia e tersa come uno specchioniunareflession di lume arriverebbe a noiessi ci resterebbono del tuttoinvisibilied in conseguenza del tutto nulle resterebbon l'azzioniloro verso la Terra e scambievolmente tra di loroed in sommaessendo ciascheduno anco per se stesso come nullaper gli altrisarebbon del tutto come se non fussero al mondo. All'incontro poiquasi altrettanto disordine seguirebbe quando i cieli fussero d'unasostanza solida e terminata da una superficie non perfettissimamentepulita e tersa: imperocché (come di sopra ho pur detto)mediante le refrazzioni continuamente perturbate in cotal sinuosasuperficiené i movimenti de i pianetiné le lorfigurené le proiezzioni de' lor raggi verso noied inconseguenza gli aspetti loroaltrimenti che confusissimi edisregolati non si ritroverebbono. Eccovisignor Sarsiun'efficaceragione in risposta del vostro quesito; in premio della qualecancellate di grazia dalla vostra scrittura quelle parole dove voidite che io ho scritto in molti luoghi che le stelle son di figurevarie ed angolariché sapete bene in coscienza che questa èuna bugia e ch'io non ho mai scritta cotal proposizione; ed il piùche voi potete avere inteso o lettoè che le stelle fissesono di lume così vivo e folgoranteche il lor piccolocorpicello non si può scorgere distinto e circolato tra cosìsplendenti raggi.

Quantopoi a quello che il Sarsi scrive nel finedel Sole e delle fumositàche in esso si generano e dissolvono e del suo ambienteio non homai risolutamente parlato se questo al moto di quello o pur quello almoto di questo si raggirinoperché non lo soe potrebbeessere anco che né l'ambiente né il corpo solare fusserrapitima che d'ambedue fusse egualmente naturale quellaconversioneper la quale son ben sicuroperché lo veggoch'esse macchie si raggirano in quattro settimane in circa. Ma quandodi ciò s'avesse anco perfetta scienzanon veggo quale utilitàne arrecasse alla presente contesadove solamente ad hominem edargumentando ex suppositione e fatte anco supposizionisicuramente falsein materie diversissime dal Sole e suo ambientesi cerca se il concavo lunareduro e liscioche tale non èal mondogirandosi (che pur è un'altra falsità)rapisce seco il fuocoche forse anch'esso non v'è. Aggiungasil'altra dissimilitudine grandissimala quale il Sarsi dice di nonsaper vedereanzi la stima una identitàe che egualmente ecoll'istessa naturalezza e facilità possa esser ch'un corpofluido contenuto dentro la concavità d'un solido sfericoilquale si volga in girovenga da quello rapitocome se il contenutofusse una sfera solida e l'ambiente un liquido; ch'è quasil'istesso che se altri credesseche sì come al moto del fiumevien portata e rapita la navecosì al moto della nave dovesseesser rapita l'acqua di uno stagnoil che è falsissimo:perchéprimaquanto all'esperienzanoi veggiamo la naveedanco mille navi che riempissero tutto il fiumeesser mosse al motodi quelloma all'incontro il corso d'una nave spinta da qualsivogliavelocità non vien seguito da una minima particella d'acqua: laragion poi di questo non dovrebbe esser molto recondita; imperocchénon si può far forza alla superficie della naveche non sifaccia similmente a tutta la macchinale cui partiessendo solidecioè saldamente attaccate insiemenon si possono separare odistrarresì che alcune cedano all'impeto dell'ambienteesternoe l'altre no; il che non avvien così dell'acqua o dialtro fluidole cui partinon avendo in sé tenacità oaderenza appena sensibilefacilissimamente si separano edistraggonosì che quel sol velo sottilissimo d'acqua chetocca il corpo della nave vien per avventura forzato ad ubidire almoto di quellama l'altre parti più remoteabbandonando lepiù propinquee queste le contiguein piccolissimalontananza dalla superficie si liberano del tutto dalla sua forza edimperio. Aggiungesi a questoche l'impeto e la mobilitàimpressaassai più lungamente e gagliardamente si conserva nei corpi solidi e graviche ne i fluidi e leggieri: e cosìveggiamo in un gran peso pendente da una cordaper molte oreconservarsi l'impeto e moto communicatogli una volta sola; edall'incontrosia quanto si voglia agitata l'aria rinchiusa in unastanzanon prima cessa l'impeto di quel che la commovevach'ellatotalmente si quietané ritien punto l'agitazione. Quandodunquel'ambiente e movente è liquidoe fa forza in uncontenuto solidocorpulento e graveva imprimendo la mobilitàin un soggetto atto nato a ritenerla e conservarla lungo tempo; perlo che il secondo impulso sopravenente trova il moto impresso di giàdal primoil terzo impulso trova l'impeto conferito dal primo e dalsecondoil quarto sopragiunge alle operazioni del primosecondo eterzoe così di mano in manoonde il moto nel mobile viennon pur conservatoma augumentato ancora: ma quando il mobile sialiquidosottile e leggiero ed in conseguenza impotente a conservareil movimento impressoe che tanto è quello che s'imprimequanto quello che si perdeil volergli imprimer velocità èopera vanaqual sarebbe il volere empier il crivello delle Belideche tanto versa quanto vi si rinfonde. Or eccovisignor Lottariomostrato somma diversità ritrovarsi tra queste due operazioniche a voi parevano una cosa medesima.

Passiamoora al terzo argomento. "Sed demus Galilæoorbis huius interiorem superficiem tornatam ac lævem esse:negolævibus corporibus aërem non adhærescere.

Laminacerte vitrea B aquæ impositaquamvis lævissima sitnonminus quam si foret alterius asperioris materiæ natabitadhærensque illi aër aquam ACcirca vitrum per vim seseattollentemcontinebitne diffluat et laminam obruat. Cur igiturinde non abscedit aërdum descendentis aquæ pondere evitrea lamina truditursed hæret illi mordicusnecnisimaiori vi pulsusloco cedit? Prætereasi quislapideam fortetabulam politissimam nactuscorpus aliud grave æque politumeidem imposueritpostea vero subiectam tabulam huc illuc trahatimpositum æque corpus quo voluerit trahet; et tamen si pondusquo corpus illud tabulæ innititur auferasid huic nonadhærebit. Tota igitur ratio quæ ad tabulæ motumcorpus etiam impositum moveri cogitex illa compressione oriturquagrave illud tabulam subiectam premit. Iamsicuti ex eo quod alterumhorum corporum ab altero premiturad eius motum hoc etiam moverinecesse estita asseroconcavum Lunæ quodammodo premi ab aëresive exhalationibus inclusissi quando eas rarefieri contigeritquod semper contingit: dum enim rarefiuntprioris loci angustiiscontemptisampliori extenduntur spatioatque ambientium corporumac proinde cæli ipsiuspartes omnessi qua obstentrarefactioniquantum in ipsis estpremunt; ac propterea non mirumsi ex compressione adhæsio aliqua consequaturquæ duohæc corpora veluti connectat et colligetita ut ad eumdempostea motum utrumque moveatur."

Continuail Sarsi in questa sua fantasiadi voler pur ch'io abbia detto chel'aria non aderisca a i corpi lisci e tersi: cosa che non si trovascritta né da me né dal signor Mario. In oltreio nonben capisco che cosa intenda egli per questa sua aderenza. S'egliintende una copula che resista al separarsi del tutto e spiccarsil'una dall'altra superficiesì che più non sitocchinoio dico tal aderenza esservied esservigrandissimasìche la superficieverbigraziadell'acqua non si staccherà daquella d'una falda di rame o di altra materia se non con un'immensaviolenzané in questo caso importa se tal superficie sia onon sia pulita e lisciae basta solo un esquisito contatto; il qualtien tanto saldamente uniti i corpiche forse le parti de' corpisolidi e duri non ànno altro glutine di questoche le tengaattaccate insieme: ma questa aderenza non serve punto al bisogno delSarsi. Ma s'egli intende una congiunzion taleche le due superficiedico quella del solido e quella dell'umidonon possanonéanco strisciandosi insiememuoversi l'una contro all'altrachesarebbe secondo il bisogno suodico cotale aderenza non v'essere nonsolo tra un solido e un liquidoma né anco tra due solidi: ecosì vederemo in due marmi ben piani e lisci la prima aderenzaesser tantache alzandone unol'altro lo seguema la seconda essercosì deboleche se le superficie toccantisi non saranno benbene equidistanti all'orizontema un sol capello inclinatesubitoil marmo inferiore sdrucciolerà verso la parte inclinata; edin somma al muover l'una superficie sopra l'altra non si troveràresistenzaben che grandissima si senta nel volerle staccare eseparare. E così il toccamento dell'acqua colla barca ben chefacesse grandissima resistenza a chi volesse staccare e separar l'unadall'altra superficienondimeno minima è la resistenza che sisente nel muoversi l'una superficie sopra l'altrafregandosiinsieme; e come di sopra ho detto ancorala nave mossavelocissimamente non conduce seco altro che quel velo d'acqua che latoccaanzi forse di questo ancora si va ella continuamentespogliando e rivestendone altro ed altro successivamente: e so che ilSarsi mi concederàche ponendosi in mare una nave bagnata convino o con inchiostroella non averà a pena solcate l'ondeper mezo miglioche non gli resterà più vestigio delprimo licore che la circondava; il che si può creder con granragione che accaggia parimente dell'acqua che la toccacioèche continuamente si vada mutando: e senz'altroil sevo con che ellasi spalmaancor che assai tenacemente vi sia attaccatopure inbreve tempo vien portato via dall'acqua che nel suo corso le vastrisciando sopra; il che non avverrebbe se l'acqua che tocca la naverestasse l'istessa continuamente senza mutarsi.

Quantoalla piastra di vetro che resta a galla tra gli arginetti dell'acquaio dico che detti arginetti non si sostengono perchél'aderenza dell'aria colla piastra non lasci scorrer l'acqua sopra lapiastra; perché se questo fussedovrebbe seguir l'istessoquando si ponesse nell'acqua la medesima falda alquanto umidachénon è credibile che l'aria aderisca meno a una superficieumida che a una asciutta; tuttavia noi veggiamo che quando la piastraè umidanon si formano arginima subito scorre l'acqua. Delsostenersidunquedetti argini altra ne è la cagione chel'aderenza dell'aria alla superficie d'essa falda: e noi veggiamofrequentissimamente gran pezzi d'acqua sostenersi in particolaresopra le foglie de i cavoli e d'altre erbe ancorain figure colme erilevatein maggiore altezza assai che quella degli arginetti checircondano la falda notante.

All'ultimaprovadov'ei vuole che il premere o aggravaresenz'altra aderenzasia mezo bastante a far ch'un corpo segua l'altrocom'egliessemplifica di due tavole di pietra ben liscie poste l'una sopral'altradelle quali la superiore e premente segue il motodell'inferiore che venga tirata verso qualche parteio concedol'esperienzama non veggo ch'ella abbia che far nel caso nostro:primaperché noi trattiamo d'un corpo liquido e sottilelecui parti non ànno tal connessione insiemeche al moto d'unasi debba muovere il tuttocome accade in un corpo solido;secondariamenteil Sarsi troppo languidamente prova che 'l fuocol'aria e l'essalazioni contenute dentro al concavo lunare faccianoimpeto e gravino sopra la superficie d'esso concavomentr'egliintroducecome causa di questa compressioneuna continuararefazzion d'esse sostanzele quali dilatandosie perciòricercando sempre spazii maggiorifanno forza contro al lorocontenente e così vengono in certo modo ad attaccarseglisìche poi seguono il movimento suo. Languidissimo veramente ècotal discorsoperché dove il Sarsi risolutamente afferma chele sostanze contenute si vanno continuamente rarefacendo e dilatandol'avversario con non minor ragione (dico non minore perchéil Sarsi non ne adduce niuna) dirà ch'elle si vannocontinuamente condensando e ristringendo. Ma dato anco ch'elle sivadano pur continuamente rarefacendo e che per tale rarefazzionenasca l'attaccamento al concavo e finalmente il rapimentosi puòcredere che cento e mille anni faquando la rarefazzione non era agran segno al termine d'oggidì (ché così bisognain dottrina del Sarsi)il rapimento non ci fussemancando la causadel farsi. Anzi niuna ragione mi può ritenere ch'io non dicaal Sarsi che questa sua rarefazzioneche continuamente si vafacendonon è ancora giunta a grado di far violenza e premersopra il concavo della Lunama che ben potrebbe giungervi tra due otre anni; al qual tempo io concedo che la sfera degli elementisuperiori comincerà a muoversima in tanto conceda esso a meche sino al dì d'oggi non si sia mossa. Io non vorrei che ilSarsise per avventura sentisse queste ed altre simili risposteveramente ridicolesi mettesse a riderepoi ch'egli è che nedà occasione di produrle tali col lasciarsi scappar dallamentee poi dalla pennache alcune sostanze materiali si vadanorarefacendo e dilatando in perpetuo. Ma io voglio aiutare il medesimoSarsi ed insegnarli un punto nella causa suadicendogli che questararefazzione eterna e pressione contro al concavo della Luna èsuperfluatuttavolta ch'ei possa mostrar che l'aria vien rapita dalcatinosopra il quale ella non preme e non grava puntoessendo egliposto nella medesima region dell'aria.

"Sedvideamus nunc quam verum sit experimentum illudcui maxime Galilæisententia innititur. "Si catinuminquitcirca centrum axemquesuum moveaturaër inclusus minime sequaxsed restitansnullasui parte circumagetur." Audieram iam olim a nonnullisquiGalilæo familiariter usi fuerantidem illum affirmare solitumde aqua eodem catino contenta; videlicetne illam quidem ad vasismotum circumferri. Argumento eratquia si consistenti in eo aquæleve aliquod corpus et natansfestucam scilicet aliquam aut calamumimposuissessuperficiei catini proximummoxcum vas ipsumcircumduceretureodem calamus semper loco perstabat. Ex quibusaliisque experimentisscio aliquos ingenium Galilæicommendasse plurimumqui ex rebus levissimisatque ob oculospositisfacilitate mirabili in rerum difficillimarum cognitionemhomines manuduceret. Neque ego in universum hanc ei laudem imminutamvolo: quod autem ad rem præsentem attinetutrumqueexperimentum (parcat mihi vera narranti Galilæus) falsum omninocomperi.

Nempeille semel aut iterumcredocatinum circumducebat; sic enim nulluspercipitur aquæ motus: at si ulterius movere pergattuncenimvero intelligetmoveatur ne aqua ad catini motuman veroresistat. Calamus enim aut palæ eidem aquæ impositæsi non multum a catini superficie abfuerintcitissimecircumferenturneclicet catinum quieveritillæ moveridesinentsed aquam cum insidentibus corporibusex impetu conceptoper longum tempustardiori tamen semper vertiginecircumagicomperiesVerumne quisquam incuriosæ nos ac negligenter idexpertos existimethemisphæricum vas I ex orichalco

affabretorno excavatumaccepimus; torno item curavimus duci axem CE catinoipsi iunctumita ut per eius centrumin modum sphærici axistransiretsi produceretur; pedem autem construximus firmum acstabilemne facile vasis motu agitareturatque axem per foramen Etraductumet fulcimento ima ex parte innixumperpendicularitererectum statuimus: sic enimmanu axe in gyrum actocatinum etiameodem motu ferri necesse erat. Verum non aqua solum ad vasis motumfertursed aër ipseex quo maxime exemplum desumit Galilæus.Docet id flamma candelæproxime superficiei vasis admotaquæin eamdem partemin quam vas ferturexigua sui corporisdeclinatione deflectit. Docet id longe clarius serico filo tenuissimosuspensa e papyro lamella Acuius latus alterum proximum sitinteriori vasis superficiei. Si enim tunc moveatur in unam partemcatillumin eamdem quoque sese papyrus convertet; et si iterum inoppositam partem vas reciproca revolutione volvaturin eamdem cumadhærente aëre etiam papyrum secum trahet.

Idporro a me non securius dici quam veriustestes habeo nec paucos necvulgares: Patres primum Romani Collegii quamplurimos; ex aliis veroquotquot ex Magistro meo cognoscere id voluerunt; voluerunt autemmulti. Quos inter ille mihi silendus non estcuiusnon genere magisquam eruditione singulariclarissimum nomen sat mihi meisque rebusluminis afferre ac dictis facere fidem possit; Virginium Cæsarinumloquorqui admiratus enimvero estrem ad hanc diem inter multosconstantissime pro certa habitamfalsitatis unquam argui potuisse;et tamen vidit factumfieri quod posse negabant plerique.

Atquehæc quidem ab experientia certa sunt; quæ tamenexperientia si absitdoceat hæc quoque ratio ipsa. Cum enimaër atque aqua de genere humidorum sintquorum peculiare estcorporibus adhærescereetiam politis et lævibusfierinunquam poterit ut vasis superficiei non adhæreant: quod si hocadhæsionis vinculum admittaturmotum etiam eorumdem humidorumadmitti necesse est. Primum enim pars illa quæ vas contingitad vasis ductum movebiturquippe quæ adhæret vasi;deinde pars hæc mota aliam sibi hærentem trahet; secundahæctertiam: cumque motus hic fiat veluti in spiramnon mirumsi ad unam aut alteram catini circumductionem aquæ motus nonpercipiaturcum primæ huius spiralis partes valde propinquæsint ipsi superficiei vasisac proinde motus ad reliquas interiorespartes diffusus adhuc non sitcum hæ aliquam patianturrarefactionemet propterea non illico trahentis motum sequantur.

Nequemiretur quisquamin hisce nostris experimentis exiguum adeo aërismotum esseaquæ vero maximum. Cum enim aër facilius etconcrescat et rarescat quam aquaideoquamquam ad motum vasis aëreidem adhærens facillime moveaturnon tamen alium aëremsibi proximum eadem facilitate trahitcum hic a reliquis aërisconsistentis partibus maiori vi contineaturet exigua sui velconcretione vel rarefactione vim trahentis aëris eludere adbreve aliquod tempus possit. Si quis tamen apertius experiri cupiatan corpus sphæricum in orbem actum aërem secum trahathicglobum A

verbigratiasuis innixum polis B et Cmanubrio D circumducatappensacharta ex E filo tenuissimoita ut ipsum fere globum contingat: dumenim sphæra in unam rotatur partemin eamdem charta F ab aërecommoto fertursi præsertim globus satis amplus fueritetcelerrime circumductus.

Nequetamen ex eoquod tum in catino tum in sphæra parvum adeo aërismotum experiamurrecte quis inferatin concavo Lunæ eumdemmotum fore perexiguum: ratio enim cur in sphæra A et catino Icircumductis non magnus aëris motus existatea inter cæterasestquia cum catinum et sphæra intra aërem posita sinttotadum eorum motu movendus est aër circumfusussemper minusest id quod movet quam quod movetur. Si enimverbi gratiaad motumsphæræ A

superficiesipsius BC movere debeat sibi adhærentem aëremcirculo Dexpressumcum hic maior sit quam circulus BCmaius a minorimovendum erit; atque idem accidet dum circulus D trahere secum debetcirculum E. At vero in concavo Lunæopposito plane modo se reshabetcuri semper maius sit id quod movet quam quod movetur. Si enimsit Lunæ concavum circulus Eatque hic movere debeat circulumDD vero circulum BCsemper movens moto maius estet proptereafacilior motus.

Hocautem quamquam apud me nullum plane reliquerat dubitationi locumlibuit tamen modum aliquem excogitarequo aërem catinocircumfusumab eo qui catino clauditur separaremsperans hauddubium foreut aër idemqui segnius antea ferebatur quam aquapari postea celeritate in gyrum ex catini circumductione raperetur.Quare laminam perspicuamne aspectum impedirete lapideMoscoviticoquem vulgo talcum dicimusorificio catini amplitudineparemquam opportune catino ipsi postea imponeremparaviineiusdem parte media trium ferme digitorum foramine relictoquodtamen longe minus esse poterat;

filumdeinde æreum EF accepidiametro catini aliquanto breviusquodmedia parte I compressum ac perforatumtraducto per foramen I filoIGex G suspendi ad libræ modumadiecique extremis EF alasduas papyraceas; mox additis detractisque ex utraque parteponderibusin æquilibrio filum æreum EF statuiita utfulcimentum I sub catini centro consisteretalæ vero quartasaltem digiti parte ab eiusdem superficie distarent. Tunc vasecircumacto animadvertipost alteram evolutionem alas ac libram totamin gyrum moveriet primo quidem lentedeinde citatiori motuquitamen nondum motum aquæ æquabat: quare superimposuilaminam AB perspicuamquam paraveramita ut aër catinocontentus a reliquo separareturvel solo foramine C eidemnecteretur. Tunc enimvero ad vasis motum ferri citius visa est libraFac brevi celeriter adeo agi cœpitut catini ipsius motumquamvis velocissimumassequeretur: ut hinc videasquotiescumquemovens moto maius fuerittunc longe faciliorem motum futurum;imposito enim vasi operculo ABtunc superficies interior catini etoperculi simulad cuius motum movendus est aërmaior est aëreproxime movendo; est enim superficies illa continensaër verocontentus.

Idemdenique expertus sumeventu pariin sphæra vitrea Aquantumfieri potuitexactissimasumma tantum parte C perforata ad laminamI inducendam. Eadem enim sphæra axi BD impositaaxeque ipsocircumactonon sphæra solum Ased et lamina I suspensaquamvis multum ab interiore superficie sphæræ distaretcelerrime moveri visa est. Atque ita nulli aut industriæ autlabori parcendum duxiut quamplurimis idem experimentis quamdiligentissime comprobarem. Hæc porro postrema experimentavidere iidem illi qui superius a me commemorati sunt; ut necesse nonhabeameosdem iterum testari. Illud etiam adnotandum duxiæstivonos tempore hæc omnia expertos fuissequout calidioritasiccior aër existitmagisque proinde ad ignis naturam accedit;quem omnium elementorum minime aptum adhæsioni existimatGalilæus. Ex quibus omnibus illud saltem colligere licettumad catini motum et aërem et aquam moveritum lævibusetiam corporibus aërem adhærescere atque ad eorum motumagi; quæ constanter adeo pernegavit Galilæus."

Entraora il Sarsi nel copiosissimo apparato d'esperienze per confermare ilsuo detto e riprovare il nostro: le qualiperché furon fattealla presenza di V. S. Illustrissimaio me ne rimetto a leicomequello che più tosto devo aspettarne il suo giudicio cheinterporvi il mio. Peròse le piaceràpotràrilegger quel che resta sino alla fine della proposizione; dov'io leanderò solamente toccando alcuni particolari sopra variecosette così alla spezzata.

Eprimaquesto che il Sarsi cerca d'attribuirmi nel primo ingressodelle sue esperienzeè falsissimocioè ch'io abbiadetto che l'acqua contenuta nel catino restinon men che l'ariaimmobile al movimento in giro di esso vaso. Non però mimeraviglio che l'abbia scrittoperché ad uno checontinuamente va riferendo in sensi contrari le cose scritte estampate da altrisi può bene ammettere ch'egli alteri quellech'ei dice d'aver solamente sentite dire; ma non mi par giàche resti del tutto dentro a' termini della buona creanza ilpubblicar colle stampe ciò ch'altri sente dire del prossimoetanto più quandoo per non l'avere inteso bene o pur dipropria elezzioneei si rapporta molto diverso da quello che fudettocome di presente accade di questo. Tocca a mesignor Sarsienon a voi o ad altrilo stampar le cose mie e farle pubbliche almondo: e perchéquando (come pur talora accade) alcuno nelcorso del ragionar dicesse qualche vanitàdeve esser chisubito la registri e stampiprivandolo del beneficio del tempo e delpotervi pensar sopra meglioe da per se stesso emendare il suoerrore e mutare opinioneed in somma fare a suo talento del suocervello e della sua penna? Quello che può aver sentito direil Sarsimaper quanto veggonon ben capitoè certaesperienza ch'io mostrai ad alcuni letterati costì in Romaeforse fu in camera di V. S. Illustrissima stessaparte indichiarazione e parte in confutazione d'un terzo moto attribuito dalCopernico alla Terra. Pareva a molti cosa molto improbabilee cheperturbasse tutto il sistema Copernicanoil terzo moto annuo ch'egliassegna al globo terrestre intorno al proprio centroal contrario ditutti gli altri movimenti celestii quali col figurarsi fatti tuttitanto quelli delli eccentrici quanto quelli delli epiciclied ildiurno e l'annuo d'essa Terranell'orbe magno da ponente versolevantequesto solo dovesse nell'istessa Terra esser fatto daoriente verso occidentecontro agli altri due propri e contro aglialtri tutti di tutti i pianeti. Io solevo levar questa difficoltàcol mostrare che tal accidente non solo non era improbabilemaconforme alla natura e quasi necessario; e che qualsivoglia corpocollocato e sostenuto liberamente in un mezo tenue e liquidose saràportato per la circonferenza di un gran cerchioacquisteràspontaneamente una conversione in se medesimoal contrariodell'altro gran movimento: il qual effetto si vedeva pigliando noi inmano un vaso pien di acqua e mettendo in esso una palla notante;perchéstendendo noi il braccio e girando sopra i nostripiedisubito veggiamo la detta palla girare in se stessa alcontrario e finir la sua conversione nell'istesso tempo che noifiniamo la nostra: onde cessar doveva la meravigliaanzimeravigliarsi quando altrimenti accadessese essendo la Terra uncorpo pensile e sospeso in un mezo liquido e sottileed in essoportata per la circonferenza d'un gran cerchio nello spazio d'unannoella non avesse di sua natura e liberamente acquistata unaconversione parimente annua in se medesima al contrario dell'altra. Etanto dicevo per rimuover l'improbabilità attribuita alsistema del Copernico: al che soggiungevo poiche chi meglioconsideravaconosceva che falsamente veniva da esso Copernicoattribuito un terzo moto alla Terrail quale non è altramenteun muoversima un non si muovere ed una quiete; perch'è benvero che a quello che tiene il vaso apparisce muoversie rispetto asé e rispetto al vasoe girare in se stessa la palla posta inacqua; ma la medesima palla paragonata colle mura della stanza ecolle cose esternenon gira altrimenti né muta inclinazionema qualunque suo punto che da principio riguardava verso un termineesterno segnato nel muro o in altro luogo più lontanosempreriguarda verso lo stesso. E questo è quanto da me fu detto:cosacome V. S. Illustrissima vedemolto diversa dalla riferita dalSarsi. Questa esperienzae forse qualch'altrapoté dareoccasione a chi più volte si trovò presente a nostridiscorsi di dir di me quello che in questo luogo riferisce il Sarsicioè che per certo mio natural talento solevo alcuna volta concose minimefacili e patentiesplicarne altre assai difficili erecondite; la qual lode il Sarsi non mi nega in tuttomacome sivedein parte m'ammette: la qual concessione io devo riconosceredalla sua cortesia più che da una interna e veraceconcessioneperchéper quanto io posso comprendereegli nonè di quelli che così di leggiero si lascino persuaderedalle mie facilitàpoi ch'egli stessoreputando che lascrittura del signor Mario sia mia cosadice nel fine del precedenteessamequella esser stata scritta con parole molto oscuree talich'egli non ha potuto indovinare il senso.

Giàcome ho dettoquanto all'esperienze me ne rimetto a V. S.Illustrissimache le ha vedutee soloincontro a tuttenereplicherò una scritta di già dal signor Mario nellasua letteradopo che averò fatto un poco di considerazionesopra certa ragione che il Sarsi accoppia coll'esperienze: la qualragione io veramente pagherei gran cosa che fusse stata taciutaperreputazion sua e del suo Maestro ancoraquando vero fusse ch'eglifusse discepolo di chi egli si fa. Oimèsignor Sarsie qualiessorbitanze scrivete voi? Se non v'è qualche grand'error distampale vostre parole son queste: "Hinc videasquotiescunquemovens moto maius fuerittunc longe faciliorem motum futurum:imposito enim vasi operculo ABtunc superficies interior catini etoperculi simulad cuius motum movendus est aërmaior est aëreproxime movendo; est enim superficies illa continensaër verocontentus". Or rispondetemi in graziasignor Sarsi: questasuperficie del catino e del suo coperchio con chi la paragonate voicolla superficie dell'aria contenuta o pur coll'istessa ariacioècol corpo aereo? Se colla superficieè falso che quella siamaggior di questa; anzi pur sono elleno egualissimeché cosìv'insegnerà l'assioma euclidianocioè che "Quæmutuo congruuntsunt æqualia". Ma se voi intendete diparagonar la superficie contenente coll'istessa ariacome veramentesuonan le vostre parolefate due errori troppo smisurati: primacolparagonare insieme due quantità di diversi generie peròincomparabiliché così vuole una diffiniziond'Euclide: "Ratio est duarum magnitudinum eiusdem generis";e non sapete voi che chi dice "Questa superficie èmaggior di quel corpo" erra non men di quel che dicesse "Lasettimana è maggior d'una torre" o "L'oro èpiù grave della nota cefautte"? L'altro errore èche quando mai si potesse far paragone tra una superficie ed unsolidoil negozio sarebbe tutto all'opposito di quello che scrivetevoiperché non la superficie sarebbe maggior del solidomail solido più di cento milioni di volte maggior di lei. SignorSarsinon vi lasciate persuadere simili chimerené anco lageneral proposizione che 'l contenente sia maggior del contenutoquando bene ambedue si prendessero di quantità comparabili fradi loro; altrimenti bisognerà che voi crediate ched'unaballa di lanail guscio o invoglio sia maggior della lana che vi èdentroperché questa è contenuta e quello è ilcontenente; e perché sono della medesima materiabisogneràanco che il sacco pesi piùessendo maggiore. Io fortementedubito che voi abbiate preso con qualche equivocazione un pronunciatoche è verissimo quando vien preso al suo diritto sensoilqual è che il contenente è maggior del contenutotuttavolta che per contenente si prenda il contenente col contenutoinsieme: e così un quadrato descritto intorno a un cerchio èmaggior di esso cerchiopigliando tutto il quadrato; ma se voivorrete prender solo quello che avanza del quadratodetrattone ilcerchioquesto non è altrimenti maggiorema minore assaid'esso cerchioancor ch'ei lo circondi e racchiuda. Aimèenon m'accorgo del fuggir dell'ore? e vo logorando il mio tempointorno a queste puerizie? Orsùcontro a tutte l'esperienzedel Sarsi potrà V. S. Illustrissima fare accommodare il catinoconvertibile sopra il suo asse; e per certificarsi quello che seguadell'aria contenutavi dentromentre quello velocemente va in giropigli due candelette acceseed una n'attacchi dentro all'istessovasoun dito o due lontana dalla superficiee l'altra ritenga inmano pur dentro al vasoin simil lontananza dalla medesimasuperficie; faccia poi con velocità girar il vaso: chése in alcun tempo l'aria anderà parimente con quello in voltasenza alcun dubbiomovendosi il vaso l'aria contenuta e lacandeletta attaccatatutto colla medesima velocitàlafiammella d'essa candela non si piegherà puntoma resteràcome se il tutto fusse fermo (ché così a punto avvienequando un corre con una lanternaentrovi racchiuso un lume accesoil quale non si spegnené pur si piegaavvenga che l'ariaambiente va con la medesima prestezza; il qual effetto anco piùapertamente si vede nella nave che velocissimamente camininellaquale i lumi posti sotto coverta non fanno movimento alcunomarestano nel medesimo stato che quando il navilio sta fermo); mal'altra candeletta ferma darà segno della circolaziondell'ariache ferendo in lei la farà piegare: ma se l'eventosarà al contrariocioè se l'aria non seguirà ilmoto del vasola candela ferma manterrà la sua fiammelladiritta e quietae l'altraportata dall'impeto del vasourtandonell'aria quieta si piegherà. Oranell'esperienze vedute dame è accaduto sempre che la fiammella ferma è restataaccesa e dirittama l'altraattaccata al vasosi è sempregrandissimamente piegata e molte volte spenta: ed il medesimo disicuro vederà anco V. S. Illustrissima ed ogn'altro che vogliafarne prova. Giudichi ora quello che si deve dire che faccia l'aria.

Dall'esperienzedel Sarsi il più che se ne possa cavare èch'unasottilissima falda d'ariaalla grossezza di un quarto di ditocontigua alla concavità del vasovenga portata in giro; equesta basta a mostrar tutti gli effetti scritti da luie di questone può esser bastante cagione l'asprezza della superficieoqualche poco di cavità o prominenza più in un luogoch'in un altro. Ma finalmentequando il concavo della Luna portasseseco un dito di profondità dell'essalazioni contenuteche nevuol fare il Sarsi? E non creda che se il catino ne portaverbigraziaun mezo ditoche un vaso maggiore ne abbia a portarpiù; perché io credo più tosto ch'ei neporterebbe manco: e così anco non credo che la somma velocitàcolla quale detto concavo lunare passa tutto il cerchiodiciamo in24 oreabbia a far più assai; anzi io mi voglio prendereardir di direche mi par quasi vedere per nebbia ch'ei non farebbepiùma più tosto mancodi quello che si faccia uncatino che pure in ore 24 desse una rivoluzione sola. Ma pongasi puree concedasi al Sarsi che 'l concavo lunare rapisca quanto si èdetto dell'essalazion contenuta: che sarà poi? e che neseguirà in disfavor della principal causa che tratta il signorMario? sarà forse vero che per questo moto si abbia adaccender la materia della cometa? o pur sarà vero ch'ella nonsi accenderà né movendosi né non si movendo?Così cred'io: perché se il tutto sta fermonons'ecciterà l'incendioper lo quale Aristotile ricerca ilmoto; ma se il tutto si muovenon vi sarà l'attrizione e lostropicciamentosenza il quale non si desta il calorenon chel'incendio. Or eccoe dal Sarsi e da mefatto un gran dispendio diparole in cercar se la solida concavità dell'orbe lunarechenon è al mondomovendosi in girola qual già mai nons'è mossarapisce seco l'elemento del fuocoche non sappiamose vi siae per esso l'essalazionile quali perciòs'accendano e dien fuoco alla materia della cometache non sappiamose sia in quel luogo e siamo certi che non è robba ch'abbruci.E qui mi fa il Sarsi sovvenire del detto di quell'argutissimo Poeta:

Perla spada d'Orlandoche non ànno

eforse non son anco per avere

questemazzate da ciechi si danno.

Maè tempo che vegniamo alla seconda proposizione; anzi pureprima che vi passiamogià che il Sarsi replica nel fine diquesta ch'io abbia constantemente negato che l'acqua si muova al motodel vaso e che l'aria e gli altri corpi tenui aderiscano a' corpiliscireplichiamo noi ancora ch'ei non dice la veritàperchémai né il signor Mario ned io abbiamo detta o scritta alcunadi queste cosema bene il Sarsinon trovando dove attaccarsisi vafabbricando gli uncini da per se stesso.

Passiora V. S. Illustrissima alla seconda proposizione. "AitAristotelesmotum causam esse caloris; quam propositionem omnes itaexplicantnon quasi motui tribuendus sit calorut effectus propriuset per se (hic enim est acquisitio loci)sed quiacum per localemmotum corpora atteranturex attritione autem calor exciteturmediate saltem motus caloris causa dicitur: neque est quod hac in reAristotelem reprehendat Galilæscum nihil ipse adhuc afferatab eiusdem dictis alienum. Dum vero ait prætereanonquamcumque attritionem satis esse ad calorem producendumsed illudetiam potissimum requiriut partes attritorum corporum aliquæper attritionem deperdantur; hic plane totus suus estnec quicquamab alio mutuatur. Cur autem hæc partium consumptio ad caloremproducendum requiritur? An quod ad eumdem calorem concipiendumrarescere corpora necesse sitin omni vero rarefactione comminuieadem corpora videantur ac minutissimæ quæque particulæevolent? At rarefieri corpora possuntnulla facta partiumseparatione ac proinde neque consumptione. An ideo hæccomminutio requiriturut prius particulæ illæutpotecalori concipiendo magis aptæcalefianthæ vero posteareliquo corpori calorem tribuant? Nequaquam: licet enim particulæillæquo minutiores fuerintmagis calori concipiendo aptæsintex quo fit ut sæpe ex attritione ferri excussuspulvisculus in ignem abeatillæ tamencum statim evolent autdecidantnon poterunt reliquo corporicui non adhærentcalorem tribuere."

Vuoleil Sarsi nel primo ingresso di questa disputa concordare il signorMario ed Aristotilee mostrar che ambedue àn pronunziatol'istessa conclusionementre l'uno dice ch'il moto è causa dicalore e l'altroche non il motoma lo stropicciamentogagliardo di due corpi duri; e perché la proposizione delsignor Mario è verané ha bisogno di chioseil Sarsiinterpreta l'altra con direche se bene il motocome motonon ècagione del caldoma l'attrizionenulladimenonon si facendo taleattrizione senza motopossiamo dire che almanco secondariamente ilmoto sia causa. Ma se tale fu la sua intenzioneperché nondisse Aristotile l'attrizione? io non so vedere perchépotendo uno dir bene assolutamente con una semplicissinia epropriissima parolaei debba servirsi d'una impropria e bisognosa dilimitazioni ed in somma d'esser finalmente trasportata in un'altramolto diversa. In oltreposto che tale fusse il senso d'Aristotileegli però è differente da quello del signor Mario;perché ad Aristotile basta qualunque confricazione di corpiben che tenui e sottilie fino dell'aria stessa; ma il signor Marioricerca due corpi solidie stima che il volere assottigliare etritar l'aria sia maggior perdimento di tempo che quello di chi vuole(com'è in proverbio) pestar l'acqua nel mortaio. Io non sonfuor d'opinione che possa esser che la proposizione sia verissimapresa anco nel semplicissimo senso delle parole; e forse potrebbeesser ch'ella uscisse da qualche buona scuola anticama cheAristotile non avendo ben penetrata la mente di quegliantichi che la profferironone traesse poi un sentimento falso: eforse non è questa sola proposizione vera in se stessamaappresa in sentimento non vero nella filosofia peripatetica. Ma diquesto ne toccherò qualche cosa più a basso.

Oraseguitiamo il Sarsiil quale vuolecontro al detto del signorMarioche senza verun consumamento de' corpi che si stropicciano sinche si riscaldinosi possa eccitare il calore; il che va provandoprima con discorsopoi con esperienze. Ma quanto al discorsoioposso sbrigarmi in una parola sola da tutte le sue instanze; poi chefacendo egli alcune interrogazioni al signor Marioegli stessorisponde per quelloe poi confuta le risposte; tal che se io diròche il signor Mario non risponderà in quella guisabisognache il Sarsi si quieti.

Everamentequanto alla prima rispostaio non credo che il signorMario dicesse cheper riscaldarsibisogni prima che i corpi sirarefaccianoe che rarefacendosi si sminuzzolinoe che le parti piùsottili volino viacome scrive il Sarsi: dalla qual risposta mi pardi comprendere ch'ei discordi dalla mente del signor Marioe checonvenendo in questa azzione considerare il corpo che ha da produrreil calore e quello che l'ha da ricevereil Sarsi stimi che il signorMario ricerchi la diminuzione e consumamento di parti nel corpo cheha da ricevere il calore; ma io credo ch'ei voglia che quello chel'ha da produrre sia quello che si diminuiscesì che in sommanon il riceverema il conferir caloresia quel che fa ladiminuzione nel conferente. Come poi si possano rarefare i corpisenza alcuna separazion di partie come cammini questo negozio dellararefazzione e condensazionedel quale mi par che con moltaconfidenza parli il Sarsil'averei ben volentieri veduto piùdistintamente dichiaratoessendoappresso di meuna delle piùrecondite e difficili questioni della natura.

Èmanifesto ancora che il signor Mario non averebbe data la secondarispostacioè che tal consumamento di parti sia necessarioacciò che prima si riscaldino queste parti più minutecome più atte per la lor sottigliezza a riscaldarsie da essepoi venga riscaldato il resto del corpo; perché così ladiminuzione toccherebbe pure al corpo che ha da esser riscaldatoedil signor Mario la dà a quello che ha da riscaldare. Devesiperò avvertire che bene spesso accadeessere uno istessocorpo quello che produce il calore e quello che lo riceve: e cosìmartellandosi sopra un chiodole parti suenel soffregarsiviolentementeeccitano il caloree l'istesso chiodo è quelloche si riscalda. Ma quello che ho voluto sin qui dire ècheil consumamento di parti depende dall'atto del produrre il caloreenon da quello del riceverlocome per avventura piùdistintamente mi dichiarerò più di sotto. In tantosentiamo l'esperienze onde il Sarsi pensa d'aver palesatopotersicon l'attrizione produr calore senza consumamento alcuno.

"Sedquando ab experientia exempla petere libetquid sinullapartium deperditioneex motu corpus aliquod calefiat? Ego certe cumæris frustulumonini prius extersa rubigine ac situne quisforte pulvisculus adhæreretad argentarii libram perexiguamexactissimamque ponderibus minutissimis expendissem (cum etiamquingentesimas duodecimas unius unciæ partes haberem)acpondus diligentissime observassemvalidissimis mallei ictibus æsidem in laminam extendi: id vero inter ictus et mallei verbera bisterque adeo incaluitut manibus attrectari non posset. Cum igituriam toties incaluissetexperiri libuit eadem libra iisdemqueponderibusnum aliquod ponderis dispendium iacturamque passumfuisset; et tamen iisdem plane momentis constare comperi: incaluitigitur per attritionem æs illudnullo partium suarumdetrimento; quod Galilæus negat. Audieram etiam aliquid similelibrorum compactoribus evenirecum plicatas illas chartarum molesmalleo diutissime ac validissime tundunt: expertus enim est illorumnon nemoeodem postea illas fuisse pondere quo fuerant priusincalescere tamen easdem inter ictus maximeac pene comburi. Quod siquis forte hoc loco asseratdeperdi quidem partessed adeo minutasut sub libræquamvis exiguæexamen non cadantquæramego ex illounde norit partes esse deperditas: neque enim videoquonam alio id modo aptius ac diligentius inquiram. Deinde verosiadeo exigua est hæc partium iactura ut sensu percipi nequeatcur tantum caloris excitavit? Prætereadum ferrum limaexpoliturcalefit quidemminus tamen aut certe non plus quam cummalleo validissime tunditur; et tamen maior longe partium deperditioex limatura quam ex contusione existit."

Cheil Sarsi con isquisita bilancia non abbia ritrovato diminuzion dipeso in un pezzetto di rame battuto e riscaldato più volteglielo voglio credere; ma non già che per questo egli non sisia diminuitoessendo che può benissimo accaderequelloesser diminuito tanto pocoche a qualsivoglia bilancia resti cosaimpercettibile. E primaio domando al Sarsise pesato un bottoned'argentoe poi doratolo e tornato a pesarloei crede chel'accrescimento fusse notabile e sensibile. Bisogna dir di noperchénoi veggiamo l'oro ridursi a tanta sottigliezzache anco nell'ariaquietissima si trattiene e lentissimamente cala a basso; e con talifoglie può dorarsi alcun metallo. In oltrequesto medesimobottone verrà adoperato due o tre mesiavanti che la doraturasia consumata; e pur consumandosi finalmentechiara cosa èche ogni giornoanzi ogn'oras'andava diminuendo. Di piùpigli una palla d'ambramuschio ed altre materie odorate: io dicoche portandola addosso alcuno quindici giorniempirà d'odoremille stanze e mille stradeed in somma ogni luogo dov'eglicapiteràné questo si farà senza diminuzione diquella materiasenza la quale indubitatamente non anderàl'odore; puretornandosi in capo a tal tempo a ripesarlanon sitroverà sensibil diminuzione. Eccodunquetrovate al Sarsidiminuzioni insensibili di pesofatte per lo consumamento di mesicontinuich'è altro tempo che un ottavo d'orache dovettedurare il suo martellare sopra il pezzetto di rame. E tanto èpiù esquisita una bilancia da saggiatorich'una staderafilosofica! Aggiungendo di piùche può molto beneessere che la materia cheattenuataproduce il caldosia ancoraassai più sottile della sostanza odoriferaattento che questasi racchiude in vetri e metalliper li quali essa non traspiramanon già quella del caloreche trapassa per tutti i corpi.

Maqui muove il Sarsi un'instanzae dice: "Se il cimento dellabilancia non basta a mostrarci un così piccolo consumamentocome potete voi averlo conosciuto?" L'obiezzione è assaiingegnosama non però tanto ch'un poco di logica naturale nonavesse avuto a mostrarne la soluzione: ed eccone il progresso. Deicorpisignor Sarsiche si stropicciano insiemealcuni sono cheassolutamente e sicuramente non si consumano puntoaltri chegrandemente e molto sensibilmente si consumanoed altri che siconsumano benema insensibilmente. Di quelli che stropicciandosi nonsi consumano puntoquali sarebbon due specchi benissimo lisciilsenso ci mostra che non si riscaldano; di quelli che si consumanonotabilmentecome un ferro nel limarsisiamo sicuri che siriscaldano; adunque di quelli che noi siamo dubbi se nel fregarsi siconsumino o nose troveremo pel senso che si riscaldinodobbiamodire e credere che si consumino ancorae solo si potrà direche non si consumino quelli che né anco si riscaldano.

Aquanto sin qui ho dettovoglioprima ch'io vada più avantiaggiungereper ammaestramento del Sarsicome il dire: "Questocorpo alla bilancia non è calato di pesoadunque di lui nonsi è consumata parte alcuna" è discorso assaifallacepotendo esser che se ne sia consumato e che il peso non solonon sia diminuitoma anco tal volta cresciuto; il che accaderàsempre che quello che si consuma e rimuovesia men grave in speciedel mezo nel quale si pesa: e cosìper essempiopuòaccadere ch'un pezzo di legnoper avere in sé molti nodi eper esser vicino alle radicimesso nell'acqua cali al fondo everbigraziavi pesi quattr'oncee che limandone vianon delnocchioruto né della radicema della parte più rara eche per se stessa è men grave in ispecie dell'acquasìche in parte sosteneva tutta la molepuò esserdicoche ilrimanente pesi più che prima nel medesimo mezo; e cosìparimente può essere che nel limarsi o nel fregarsi insiemedue ferri o due sassi o due legnisi separi da loro qualcheparticella di materia men grave dell'aria la qualequando sola sirimovesselascerebbe quel corpo più grave che prima. E chequanto io dico sia detto con qualche probabilitàe non peruna semplice fuga e ritiratalasciando la fatica all'avversario diriprovarlafaccia V. S. Illustrissima diligente osservazione nelromper vetri o pietre o qualunque altre materie; ché ella inciascheduno spezzamento ne vederà uscire un fumomanifestissimamente apparenteil quale per aria se ne ascende inalto: argomento necessario dell'essere egli più leggieri dilei. Questo osservai io prima nel vetromentre con una chiave oaltro ferro l'andavo scantonando e tondandodoveoltre a i moltipezzetti che saltano via in diverse grandezzema tutti cascano interrasi vede un fumo sottile ascendente sempre; ed il medesimo sivede accadere nel frangere in simil modo qualsivoglia pietra; e dipiùoltre a quello che ci manifesta la vistal'odorato ci dàargomento ed indizio molto chiaro che per avventura si partonooltreal detto fumoaltre parti più sottilie perciòinvisibilisulfuree e bituminosele quali per tale odore che ciarrecano si fanno manifeste.

Orvegga il Sarsi quanto il suo filosofare è superficiale e pocosi profonda oltre alla scorza. Né si persuada di poter venircon risposte di limitazionidi distinzionidi per accidensdi per se di mediate di primariodi secondario o d'altre chiacchierech'io l'assicuro che in vece disostenere un errore ne commetterà cento più gravieprodurrà in campo sempre vanità maggiori: maggioridicoanco di questa che mi resta da considerare nel fin dellapresente particola; dov'egliprimasi meraviglia come possa esserchesendo quel che si consuma cosa impercettibile alla bilanciapossa nondimeno produr tanto calore; dapoi soggiunge che d'un ferroche si limagran parte se ne consumae assaissimo maggiore chequando ei si batte col martellonulladimeno non più si scaldalimando che battendolo. Vanissimo è questo discorsomentrealtri vuole col peso misurare la quantità di cosa che non hapeso alcunoanzi è leggierissima e nell'aria velocementesormonta; e quando pure quello che si converte in materia caldamentre si fa una gagliarda confricazionefusse parte dell'istessocorpo solidonon doverà alcuno maravigliarsi che piccolissimaquantità di quello possa rarefarsi ed istendersi in ispaziograndissimos'ei considererà in quanta gran mole di materiaardente e calda si risolve un piccol legnodella quale la fiammavisibile è la minor parterestando di gran lunga maggiorel'insensibile alla vistama ben sensibile al tatto. Quanto poiall'altro puntoaverebbe qualche apparenza l'instanzase il signorMario avesse mai detto che tutto quel ferro che si consumalimandodoventasse materia calorificaperché così parrebberagionevol cosa che molto più scaldasse il ferro consumatocolla lima che il percosso col martello: ma non è la limaturaquella che scaldama altra sostanza incomparabilmente piùsottile.

Maseguitiamo innanzi. "Ego igitur multum conferre arbitroradmaiorem minoremve calefactionem corporum attritorumqualitateseorumdemsint ne videlicet illa calidiora an frigidioraremque hancex multis aliis penderede quibus statuere adeo facile non sit. Namsi ferulas duascorpora levissima ac rarissimamutua aut alteriusligni confricatione attriverisignem brevi concipient: non idem inlignis aliis acciditdurioribus ac densioribusquamvis eademdiutius ac vehementius atteri consumique contingat. Seneca certe"Faciliusinquitattritu calidorum ignis existit"; ex quofieri aitut æstate plurima fiant fulminaquia plurimumcalidi est. Prætereaferreus pulvis in flammam coniectusexardescitnon vero quicumque alius pulvis e marmore. Quare si inaëre plurimum exhalationum calidarum fueriteumdemque exvehementi aliquo motu atteri contigeritnon video cur calefieriatque etiam incendi non possit: tunc enimcum rarus sit ac siccusmultumque admixtum calidi habeatad ignem concipiendum aptissimusest."

Quidove pare che il Sarsi si apparecchi per produrre con dottrina piùsalda migliore esplicazione delle difficoltà che si trattanonon veggo né che venga apportato molto di nuovoné digran pregiudicio alle cose del signor Mario. Imperocché ildire che molto conferisce al maggiore o minor riscaldamento de' corpiche si stropicciano insiemel'essere essi di qualità calda ofreddae che anco da molte altre cose non così ben manifestedepende questo negoziolo credo io pur troppo; ma non mi par giàdi farci acquisto verunoper esserdi questo che mi vien dettolaseconda parte troppo reconditae la prima troppo manifesta enotoriaatteso che in sostanza non mi dice altro se non che piùsi scaldano quei corpi che son più caldi o più dispostiallo scaldarsie meno quelli che son più freddi. Cosìparimente quello che segue appressoche per la confricazione alcunilegnicioè i più leggieri e raris'accendano piùfacilmente che altri più duri e densiancor che questi piùgagliardamente e più lungo tempo s'arruotino insiemelo credoparimentema ciò non veggo che faccia contro al signor Marioche mai non ha detto in contrario; e non è adesso ch'io sapevoche più presto s'infiammava un pennecchio di stoppa in unfuoco ben che lentissimoche un pezzo di ferro nella fucina benardente.

Aquello ch'ei soggiungee fortifica col testimonio di Senecacioèche la state sia per aria maggior copia d'essalazioni secchee cheperciò si facciano molti fulminiio ci presto l'assenso; madubito bene circa 'l modo dell'accendersi cotali essalazioni insiemecoll'ariae se ciò avvenga per l'attrizione cagionata peralcun movimento. Io reputerei vero quanto viene scritto dal Sarsiseprima egli m'avesse accertatonon essere in natura altri modi disuscitar l'incendio fuori che questi duecioè o col toccar lamateria combustibile con un fuoco già attualmente ardentecome quando con un moccolo acceso s'accende una torciao vero conl'attrizion di due corpi non ardenti: ma perché altri modi cisonocome per la reflessione de' raggi solari in uno specchioconcavoo per la refrazzion de' medesimi in una palla di cristallo od'acquaed anco s'è veduto talvolta infiammarsi per lestrademediante l'eccessivo caldole paglie ed altri corpi sottilie questo farsi senza alcuna commozione o agitazioneanzi solamentequando l'aria è quietissimae che per avventura s'ella fusseagitata e spirasse ventol'incendio non ne seguirebbe; perchédicoci sono questi altri modiperché non poss'io stimar cheve ne possa esser qualche altro diverso da questiper lo qualel'essalazioni per aria e tra le nubi si accendano? E perchédebbo io attribuire ciò ad un veemente movimentose io veggoprimache senza l'arrotamento de' corpi solidiquali non si trovanotra le nuvolenon si suscita l'incendioed oltre a ciò niunacommozione si scorge in aria o nelle nuvole quando è maggiorla frequenza de' lampi e de' fulmini? Io stimo che il dir questo nonabbia in sé più di veritàche quando i medesimifilosofi attribuiscono il gran romor de' tuoni allo stracciamentodelle nuvole o all'urtarsi insieme l'una contro l'altra; tuttavianello splendor de' maggiori balenie quando si produce il tuonononsi scorge nelle nuvole pure un minimo movimento o mutazion di figurail quale ad un tanto squarciamento doverebbe esser grandissimo.Lascio stare che i medesimi filosofiquando tratteranno poi delsuonovorranno nella sua produzzione la percussione de' corpi durie diranno che perciò la lana né la stoppa nelpercuotersi non fanno strepito; ma poiquando n'averanno bisognolanebbia e le nuvole percuotendosi renderanno il massimo di tutti irumori. Trattabile e benigna filosofiache così piacevolmentee con tanta agevolezza si accommoda alle nostre voglie ed alle nostrenecessità!

Orpassiamo avanti a essaminar l'esperienze della freccia tiratacoll'arco e della palla di piombo tirata colle scaglieinfocate estrutte per ariaconfermate coll'autorità d'Aristotiledimolti gran poetid'altri filosofi ed istorici. "Quamvisautem exemplum Aristotelis de sagittacuius ferrum motu incaluitGalilæus irrideat atque eludere tentetnon tamen id potest:neque enim Aristoteles unus id asseritsed innumeri pene magninominis viri huiusmodi exempla (earum procul dubio rerumquas ipsiaut spectassentaut a spectatoribus accepissent) prodiderunt. Vulthic Galilæusaliquos nunc proferam e plurimis qui hoc non vereminus quam eleganter affirmant? Ordiar a poëtisiis contentusquorum auctoritasquia rerum naturalium cognitione perbene instructisuntin rebus gravissimis afferri ac magni fieri solet. Et saneOvidiusnon poëticæ solum sed mathematicorum etiam acphilosophiæ peritusnon sagittas modosed plumbeas glandesfundis Balearicis excussasin cursu sæpe exarsisse testatur.In libris enim Metamorphoseon hæc habet:

Nonsecus exarsitquam cum Balearica plumbum

fundaiacit: volat illud et incandescit eundo

etquos non habuitsub nubibus invenit ignes.

Pariahis habet Lucanusingenio doctrinaque clarissimus:

Indefaces et saxa volantspatioque solutæ

aëriset calido liquefactæ pondere glandes.

QuidLucretiusnon minor et ipse philosophus quam poëta? nonnepluribus in locis idem testatur?

.. . . . . . . . . . . . . . . . plumbea vero

glansetiam longo cursu volvenda liquescit;

etalibi:

Nonalia longe rationeac plumbea sæpe

fervidafit glans in cursucum multa rigoris

corporademittens ignem concepit in auris.

Ideminnuit Statiusdum ait:

.. . . arsuras cæli per inania glandes.

Quidde Virgiliopoëtarum maximo? non ne bis hoc ipsum disertissimeaffirmat? Dum enim ludos Troianorum describitde Aceste italoquitur:

Namquevolans liquidis in nubibus arsit arundo

signavitqueviam flammistenuesque recessit

consumptain ventos;

aliovero locode Mezentio sic:

Stridentemfundampositis Mezentius armis

ipseter adducta circum caput egit habena

etmedia adversi liquefacto tempora plumbo

diffiditet multa porrectum extendit arena.

Possevero corpus durius alterius mollioris attritione consumiprobataquadiuturna distillatione durissimos etiam lapides excavansatqueallisæ scopulis undæquæ eosdem comminuunt et mirelævigant; ventorum etiam vi corrodi turrium ac domorum angulosexperimur. Si quando igitur aër ipse concrescat magnoque impetuferaturduriora etiam atteret corporaatque ipse ab iis vicissimatteretur. Sibilus certequi in agitatione fundæ exaudituraddensati aëris argumentum est; quod fortasse voluit Statius cumdixitaërem fundæ gyris inclusum distringi:

.. . et flexæ Balearicus actor habenæ

quasuspensa trahens libraret vulnera tortu

inclusumquoties distringeret aëra gyro.

Idemetiam probat grandoquæ quo altiori e loco deciditeominutior ac rotundior cadit; idem pluviæ guttæmaiorescum ex humiliori locominores cum ex altiori caduntcum in aëreet comminuantur et atterantur."

Cheio o 'l signor Mario ci siamo risi e burlati dell'esperienza prodottada Aristotileè falsissimonon essendo nel libro del signorMario pur minima parola di derisionené scritto altro se nonche noi non crediamo ch'una freccia freddatirata coll'arcos'infuochi; anzi crediamo chetirandola infocatapiù prestosi raffredderebbe che tenendola ferma: e questo non èschernirema dir semplicemente il suo concetto. A quello poi ch'eisoggiungenon esserci succeduto il convincer cotaleesperienzaperché non Aristotile soloma moltissimi altrigrand'uomini ànno creduto e scritto il medesimorispondo chese è vero che per convincere il detto d'Aristotile bisogni farche quei molti altri non l'abbian creduto né scrittonéio né 'l signor Mario né tutto il mondo insieme loconvinceranno già maiperché mai non si faràche quei che l'ànno scritto e creduto non l'abbian creduto escritto: ma dico beneparermi cosa assai nuova chedi quel che stain fattoaltri voglia anteporre l'attestazioni d'uomini a ciòche ne mostra l'esperienza. L'addur tanti testimonisignor Sarsinon serve a nienteperché noi non abbiamo mai negato chemolti abbiano scritto e creduto tal cosama sì bene abbiamodetto tal cosa esser falsa; e quanto all'autoritàtanto operala vostra sola quanto di cento insiemenel far che l'effetto siavero o non vero. Voi contrastate coll'autorità di molti poetiall'esperienze che noi produciamo. Io vi rispondo e dicochese quei poeti fussero presenti alle nostre esperienzemuterebbonoopinionee senza veruna repugnanza direbbono d'avere scrittoiperbolicamente o confesserebbono d'essersi ingannati. Ma giàche non è possibile d'aver presenti i poetii quali dico checederebbono alle nostre esperienzema ben abbiamo alle mani arcierie scagliatoriprovate voi secoll'addur loro queste tante autoritàvi succede d'avvalorargli in guisache le frecce ed i piombi tiratida loro s'abbrucino e liquefacciano per aria; e così vichiarirete quanta sia la forza dell'umane autorità sopra glieffetti della naturasorda ed inessorabile a i nostri vanidesiderii. Voi mi direte che non ci sono più gliAcesti e Mezenzii o lor simili Paladini valenti: ed io mi contentochenon con un semplice arco a manoma con un robustissimo arcod'acciaio d'un balestrone caricato con martinelli e leveche apiegarlo a mano non basterebbe la forza di trenta Mezenziivoitiriate una freccia o dieci o cento; e se mai accade chenon diròche 'l ferro d'alcuna s'infuochi o 'l suo fusto s'abbrucima che lesue penne solamente rimangano abbronzateio voglio aver perduta laliteed anco la grazia vostrada me grandemente stimata. Orsùsignor Sarsiio non vi voglio più tener sospeso: nonm'abbiate per tanto ritroso che io non voglia cedere all'autoritàed al testimonio di tanti poeti ammirabilie ch'io non vogliacredere che tal volta sia accaduto l'abbruciamento delle frecce e lafusione de' metalli; ma dico benedi cotali meraviglie la causaessere stata molto diversa da quella che i filosofi n'ànnovoluta addurrementre la riducono ad attrizzioni d'arie edessalazioni e simili chimereche son tutte vanità. Volete voisaperne la vera ragione? Sentite il Poeta a niun altro inferiorenell'incontro di Ruggiero con Mandricardo e nel fracassamento dellelor lance:

Itronchi sino al ciel ne sono ascesi;

scriveTurpinverace in questo loco

chedue o tre giù ne tornaro accesi

ch'eransaliti alla sfera del foco.

Eforse che il grand'Ariosto non leva ogni causa di dubitar di cotalveritàmentr'ei la fortifica coll'attestazione di Turpino? ilquale ognun sa quanto sia veridico e quanto bisogni credergli.

Malasciamo i poeti nella lor vera sentenzae torniamo a quelli cheriducono la causa all'attrizion dell'aria: la quale opinione ioreputo falsa; e considero quello che producete voivolendo mostrarecome i corpi durissimi per l'attrizione d'altri più mollipossano consumarsie diteciò apertamente scorgersinell'acqua e nel vento ancorarodendo e consumando questo i cantonidelle saldissime torrie quellacon una continua distillazione efrequente picchiarescavando i marmi e i durissimi scogli. Tuttoquesto vi concedo ioperch'è verissimo; e piùv'aggiungo che non dubito punto che le frecce e le pallenon solo dipiomboma di pietra e di ferro ancoracacciate fuor d'unaartiglieria si consumanonel ferir l'aria con quella somma celeritàpiù che gli scogli o le muraglie nelle percosse dell'acqua edel vento; e dicoche se per fare una notabile corrosione oscortecciamento negli scogli e nelle torri ci vuole il ferir diducento o trecento anni dell'acqua e del ventonel roder le frecce ele palle d'artiglieria basterebbe ch'elle durassero ad andar per ariadue o tre mesi soli: ma il tempo di due o tre battute di polsosolamente non intendo già come possa fare effetto notabile.Oltre che mi restano due altre difficoltà nell'applicar questavostraveramente ingegnosaconsiderazione al proposito vostro:l'una èche noi parliamo di liquefare e struggere per via dicaloree non di consumare per via di percosse; l'altra èchenel caso vostro voi avete bisogno che non il corpo solidoma ilcorpo molle e sottilesia quello che si stritoli ed assottiglicioèl'ariach'è quella che s'ha poi ad accendere: oral'esperienze addotte da voi provano che i sassie non l'aria ol'acquaricevon l'attrizione; e veramente io credo che l'aria el'acquapicchino pure se sanno picchiarenon però siassottiglieranno mai più che prima. Per tanto io concludopoco aiuto e sollevamento per la causa vostra derivar da queste cosecome anco da quel ch'aggiungete della gragnuola e delle goccioledell'acqua: delle quali io vi concedo che nel cader da alto si vadanorappiccolendo; ve lo concedodiconon perch'io non creda che possaesser vero anco tutto l'opposito di quel che dite voima perchénon veggo che né nell'uno né nell'altro modo abbia chefar col proposito di che si tratta. Che la frombola poi co' suoifischi e scoppi sia argomento d'aria condensata nella sua agitazionela lascerò esser quel che piace a voi; ma avvertite che saràuna contradizzione a voi medesimo e un disastro alla vostra causa:imperocché sin qui avete sempre detto che per l'agitazione ecommozione gagliarda si fa l'attrizionerarefazzione e finalmentel'accendimento nell'ariaed oraper render ragione del sibilo dellascagliao vero per trovare il senso delle parole assai offuscate diStaziovolete la condensazione; sì che quella medesimacommozione cheper servire allo struggere ed abbruciarerarefàl'ariaper servizio de' frombolatori e di Stazio la condensa. Mapassiamo a sentire i testimoni degl'istorici.

"Sedne poëtarum testimoniumvel eo ipso poëtæ nominesuspectum alicui videatur (quamquam eosdem ex communi saltem omniumsensu locutos scimus)ad alios venio magnæ etiam auctoritatisac fidei viros. Suidas igitur in Historicisverbo p e r i d i n o un t e V hæc narrat: "Babylonii iniecta in fundas ova inorbem circumagentesrudis et venatorii victus non ignarised iisrationibus quas solitudo postulat exercitatietiam crudum ovumimpetu illo coxerunt." Hæc ille. Iam vero si quis tantarumcausas rerum inquirataudiat Senecam philosophumquando hic intercæteros Galilæo probaturde his philosophicedisputantem. Ille enimex sententiaprimumPosidonii"Inipso aëreinquitquidquid attenuatursimul siccatur etcalet"; ex sua vero sententia"Non estinquitassiduusspiritus cursussed quoties fortius ipsa iactatione se accenditfugiendi impetum capit." Sed longe hæc apertius alibiubifulminis causas inquirens"Id evenitinquitubi in ignemextenuatus in nubibus aër vertiturnec vires quibus longiusprosiliat invenit" (audiat iam quæ sequuntur Galilæussibique dicta existimet): "non mirarisputosi aëra autmotus extenuataut extenuatio incendit; sic liquescit excussa glansfundaet attritu aëris velut igne distillat." Nescio sanean diserte magis aut clarius dici unquam id posset. Sive igiturpoëtarum optimissive philosophis credasvidesquicumque hacde re dubitasatteri posse per motum aërematque itaincalescereut vel plumbum eius calore liquescat. Nam quis hicexistimetviros virorum florem eruditissimorumcum de iisloquerentur quorum in re militari quotidianus erat etiam tunc ususegregie adeo atque impudenter mentiri voluisse? Equidem non is sumqui sapientibus hanc notam inuram."

Ionon posso non ritornare a meravigliarmiche pur il Sarsi vogliapersistere a provarmi per via di testimonii quello ch'io posso adogn'ora veder per via d'esperienze. S'essaminano i testimonii nellecose dubbiepassate e non permanentie non in quelle che sono infatto e presenti; e così è necessario che il giudicecerchi per via di testimonii sapere se è vero che ier nottePietro ferisse Giovannie non se Giovanni sia feritopotendovederlo tuttavia e farne il visu reperto. Mapiù dico che anco nelle conclusioni delle quali non si potessevenire in cognizione se non per via di discorso poca piùstima farei dell'attestazioni di molti che di quella di pochiessendo sicuro che il numero di quelli che nelle cose difficilidiscorron beneè minore assai che di quei che discorron male.Se il discorrere circa un problema difficile fusse come il portarpesidove molti cavalli porteranno più sacca di grano che uncaval soloio acconsentirei che i molti discorsi facesser piùche un solo; ma il discorrere è come il correree non come ilportareed un caval barbero solo correrà più che centofrisoni. Però quando il Sarsi vien con tanta moltitudined'autorinon mi par che fortifichi punto la sua conclusioneanziche nobiliti la causa del signor Mario e miamostrando che noiabbiamo discorso meglio che molti uomini di gran credito. Se il Sarsivuole ch'io creda a Suida che i Babilonii cocesser l'uovacol girarle velocemente nella fiondaio lo crederò; ma diròbenela cagione di tal effetto esser lontanissima da quella che gliviene attribuitae per trovar la vera io discorrerò così:"Se a noi non succede un effetto che ad altri altra volta èriuscitoè necessario che noi nel nostro operare manchiamo diquello che fu causa della riuscita d'esso effettoe che non mancandoa noi altro che una cosa solaquesta sola cosa sia la vera causa:oraa noi non mancano uované fiondené uominirobusti che le girinoe pur non si cuoconoanzise fusser caldesi raffreddano più presto; e perché non ci manca altroche l'esser di Babiloniaadunque l'esser Babiloni è causadell'indurirsi l'uovae non l'attrizion dell'aria"ch'èquello ch'io volevo provare. È possibile che il Sarsi nelcorrer la posta non abbia osservato quanta freschezza gli apportialla faccia quella continua mutazion d'aria? e se pur l'ha sentitovorrà egli creder più le cose di dumila anni fasuccedute in Babilonia e riferite da altriche le presenti e ch'egliin se stesso prova? Io prego V. S. Illustrissima a farli una voltaveder di meza state ghiacciare il vino per via d'una veloceagitazionesenza la quale egli non ghiaccerebbe altrimenti. Qualipoi possano esser le ragioni che Seneca ed altri arrecano di questoeffettoch'è falsolo lascio giudicare a lei.

All'invitoche mi fa il Sarsi ad ascoltare attentamente quello che concludeSenecae ch'egli poi mi domanda se si poteva dir cosa piùchiaramente e più sottilmenteio gli presto tutto il mioassensoe confermo che non si poteva né piùsottilmente né più apertamente dire una bugia. Ma nonvorrei già ch'ei mi mettessecom'ei cerca di farepertermine di buona creanza in necessità di credere quel ch'ioreputo falsosì che negandolo io venga quasi a dar unamentita a uomini che sono il fior de' letterati equel ch'èpiù pericolosoa soldati valorosi; perch'io penso ch'eglinocredesser di dire il veroe così la lor bugia non èdisonorata: e mentre il Sarsi dicenon volere esser di quelli chefacciano un tal affronto ad uomini sapientidi contradire e noncredere a i lor dettied io diconon voler esser di quelli cosìsconoscenti ed ingrati verso la natura e Dioche avendomi dato sensie discorsoio voglia pospor sì gran doni alle fallacie d'unuomoed alla cieca e balordamente creder ciò ch'io sentodiree far serva la libertà del mio intelletto a chi puòcosì bene errare come me.

"Sedquid adversus hæc afferre possit Galilæusnondissimulabo: dicat enim fortassenullam unquam fuisse fundarum autarcuum vim tantamquæ sclopeti aut muralis tormenti impulsumæquare potuerit; quod si plumbeæ glandes hisce tormentisexcussæ non liquescuntaddito etiam pulveris incendioquo veluno liquescere deberentiure suspicari nos possepoëtarumfuisse commenta illa liquefacti plumbi atque exustarum exemplasagittarum. Sed si hæc facile obiiciat Galilæusnon æquetamen facile eadem probarit. Quin potius scioexplosas maioribusbombardis plumbeas pilas in aëre liquescere aliquando. CerteHomerus Turturaut nuperrimus ita diligentissimus rerum Gallicarumscriptoraitingentem aliquando tormentariorum globorum viminutilem mœnibus diruendis fuissequodcum illi exigui priusforent atque ex ferrosuperinducto plumbo maiores effecti fuissent:"cum eniminquitin muros exploderenturplumbo in aëreliquescentesolus interior globulus ex ferroinstar nucleiabiectocorticemurum pertingebat." Prætereaaudivi ipse ex iisqui viderantprobatissimæ fidei viriscum dicerentglobulumplumbeum rotundum sclopeto explosumcum brachio forte alteriusinhæsissetex eodem postea extractum fuisse non rotundumsedoblongum et vere glandis figuram referentem: quod quotidianis etiamexemplis comprobaturdum irrito sæpe ictu glandes plumbeæsclopetis excussæinter hostium vestes implicitæfiguranon amplius qua fuerantsed compressæ ac laciniosæ atqueetiam frustatim comminutæ reperiuntur. Quod argomento estillasex calore concepto rariores effectasinvalido percussisseictu."

Continuapure il Sarsi nel cominciato stiledi voler provar coll'altruirelazioni quello che sta in fatto e che ogn'ora si può vedereper l'esperienza; e come per autorizar gli antichi arcieri efrombolatori ha trovato uomini per altro insignicosìperrender credibile il medesimo effetto di liquefarsi le moderne palled'archibuso e d'artiglieriaha ritrovato un moderno istorico non mendegno di fede né di minore autorità di qualunque altroantico. Ma perché non punto deroga di fede né didignità all'istorico l'arrecare d'un effetto naturale vero unaragione non veraessendo che all'istorico appartiene il soloeffettoma la ragione è officio del filosofo; peròcredendo io al signor Omero Tortora che le palle d'artiglieriaperessere state incamiciate di piombofacesser poco effetto nel batterla muraglia nemicapiglierò ardire di negargli la ragionech'egliricevendola dalla commune filosofian'adduce; con isperanzache l'istesso istoricosì come sin qui ha creduto quello cheha trovato scritto da tanti altri uomini grandil'autoritàde' quali è stata bastante ad acquistar fede ad ogni lordettocosìsentendo le mie ragionisia per cangiareopinioneo almeno per venire in pensiero di voler vederecoll'esperienza qual sia la verità. Credo dunque al signorTortorache le palle di ferro covertate di piombo nella batteria diCorbel facesser poco effettoe che di loro si ritrovasser l'anime diferro spogliate di piombo; e questo è tutto quelloch'appartiene all'istorico: ma non credo già l'altra partefilosoficacioè che il piombo si liquefacessee che perciòsi trovasser nude le palle di ferro; ma credo che giungendo conquello estremo impeto che dal cannone veniva cacciata la palla soprala muragliala coverta di piombo in quella parte che rimanevacompressa tra 'l muro esterno e l'interior palla di ferro siammaccasse e sbranassee che l'istesso o poco meno facesse ancol'altra parte del piombo oppostaschiacciandosi sopra il ferroeche tutto il piombodilaniato e trasfiguratosaltasse in diversebandeil quale poiimbrattato da calcinacci e perciò similead altri fragmenti della ruinamalagevolmente si ritrovassee forseanco per avventura non fusse con quella diligenza ricercatocherichiederebbe la curiosità di chi volesse venire in cogniziones'ei si fusse strutto o pur dilacerato; e così servendo ilpiombo quasi come riparo e guanciale alla palla di ferroonde ellaminor percossa dava e ricevevacon ingrata ricompensa ne restavaegli in guisa dilacerato e guastoche né il cadavero ancorasi ritrovava tra i morti. E perché io intendo che il signorOmero si ritrova costì in Romase mai accadesse ches'incontrasse con V. S. Illustrissimala prego a leggergli questopoco che ho scritto e quel resto che scriverò appresso inquesto proposito; imperocché grandissima stima farei delguadagnarmi l'assenso di persona meritamente pregiata assai all'etànostra.

Dicodunqueche se noi considereremo in quanto tempo va la palla dalcannone alla muragliae quello che dentro a tal tempo deve operareper far la fusione del piombogran meraviglia sarà ch'altrivoglia persistere in opinione che pur tal effetto segua. Il tempo èassai meno d'una battuta di polsodentro al quale si ha da farel'attrizione dell'ariasi ha poi d'accendereed in ultimo si develiquefare il piombo; ma se noi metteremo la medesima palla di piombonel mezo d'una fornace ardenteei non si struggerà néanco in venti battute: resterà ora al Sarsi di persuaderaltruiche l'aria attrita e accesa sia uno ardore incomparabilmentemaggiore di quel d'una fornace. Di piùci mostra l'esperienzacome una palla di cera tirata coll'archibuso passa una tavolach'èargomento ch'ella non si strugga per aria: bisognerà dunqueche il medesimo Sarsi renda ragioneperché si liquefaccia ilpiomboma non la cera. Di piùse il piombo si liquefàsicuramentearrivando sopra un corsalettopoca botta potràfare; onde gran meraviglia mi resta che questi moschettieri nonabbiano ancor pensato di far le palle di ferroacciò non cosìfacilmente si struggano; ma tirano pur con palle di piomboallequali poche piastre di ferro sono che resistanoed in quelle chereggono si trova una ben profonda ammaccatura e la palla schiacciatama non già liquefatta. Negli uccelli ammazzati con lemigliaruole si ritrovano i grani di piombo dell'istessa figura perl'appunto: toccherà al Sarsi a render ragione come siliquefacciano i pezzi di piombo di quindici o venti libre l'unomanon quelli che ne va trentamila alla libra. Che tutto il giorno sitrovino tra i vestimenti de' nemici le palle diversificate di figuracrederò che alcune si sieno schiacciate nell'armadurae talirimaste tra i panni; altre possono avere urtato per iscancìoin una celata e perciò allungatesiegiungendo stracche ne'panni di un altrorestatevi senza offenderlo: ed in somma possono inuna scaramuccia accadere mille accidentidico senza liquefazione; laquale quando fussebisognerebbe che il piombodisperdendosi in piùminute stille che non fa l'acqua (come sa il Sarsi)da luoghialtissimie però con gran velocitàcadendosiperdesse del tuttosì che niente d'esso si ritrovasse. Lasciostar di dire che la freccia e la palla accompagnate dall'aria ardentedoverebbonola notte in particolaremostrar nel lor viaggio unastrada risplendentecome quella d'un razogiusto nella maniera chescrive Virgilio della freccia di Acesteche segnò il suocammino colle fiamme; tuttavia tal effetto non si vede se nonpoeticamenteben che gli altri accidenti notturnicome di balenidi stelle discorrentiper gran lume si facciano molto cospicuamentevedere.

"Atid quotidie accidere non videmus. Nempeneque auctores a nobiscitati affirmaruntquoties Balearicus fundibularius plumbum fundaproiiceretsolitum illud ex motu liquesceresed tantum accidisse idnon semelatque ideo insolitam rem pene miraculo fuisse: nos etiamsupra diximusad ignem ex attritu aëris excitandum multamexhalationum copiam in eodem aëre requiriquod calidiorafacilius ignescant. Sic enim videmus in cœmeteriis per æstatemaccidere non rarout ad alicuius hominis adventum aut ad lenissimifavonii eventilationem agitatus aër illesiccis et calidishalitibus infectusin flammam statim abeat. Quænam porro hiccorporum duriorum attritio reperitur? Et tamen ex motu atqueattritione levissima aër ille ignescit. Atque hoc voluitAristotelescum dixit: "Cum autem fertur et movetur hoc modoquacumque contigerit bene temperata existenssæpe ignitur":quo textu satis aperte significathæc non contingere nisi iniis circumstantiis quas superius enumeravimus. Quaresi quando isaëris status fuerit ut huiusmodi exhalationibus abunde ferveataio plumbeos orbesfundis etiam validissime excussossuo motu aëremaccensurosatque ab eodem incenso incendendos vicissim fore; nonesse proindecur Galilæus ad experimenta confugiatcum nonnostro hæc arbitratused casuevenire asseramus; perdifficileautem est casumcum voluerisaccersere. Quod si quis forte dixeritglandes tormentis bellicis explosasnon ex attritu aërissedex igne vehementissimo quo excutiunturaccendi; quamquam haud itafacile mihi persuadeamingentem plumbi vim ab eo igne liquescerequem brevissimo temporis momento vix attigeritsatis hoc loco habeoostendissenullum ab his exemplis Galilæo patere effugium adpoëtarum et philosophorum testimonia evadenda."

Questoliquefarsi le palle di piomboche quattro versi di sopra disse ilSarsi che si conferma con esempli cotidianiadesso dice accader cosìdi radochecome cosa insolitavien reputato quasi un miracolo. Orquesta gran ritirata ci assicura pur di vantaggio ch'ei si conoscemolto bisognoso di schermi e di fughe; il qual bisogno va egliconfermando colla propria inconstanzadi voler or questa cosa ed orquella: ora dice che per accender l'aria basta l'agitazione d'unpiccol venticelloed anco il solo arrivo d'un uomo vivo sopra uncimiterio di morti; altra volta (come ha detto di soprae replicanel fine di questa proposizione) vorrà un moto veementeunacopia grande d'essalazioniuna grande attenuazione di materiae sealtra cosa è che conferisca a questa fattura; ed aquest'ultimo riquisito sottoscrivo più che a tutti gli altrisicurissimo che non solo questi accendimentima qualunque altro piùmeraviglioso e recondito effetto di natura segue quando vi son queirequisiti che si convengono. Vorrei ben sapere a che proposito midomandi il Sarsidopo aver detto delle fiamme che sopra i cimiteris'accendono per lo semplice arrivo d'un uomo o per un lentoventicellomi domandidicodove sia qui l'attrizion de' corpiduri? Io ho ben detto che l'attrizion potente ad eccitare il fuoco èsola quella che vien fatta da' corpi solidi; ora non so qual logicainsegni al Sarsi a ritrar da questo detto ch'io voglia chequalunquesi sia l'accendimentonon si possa cagionar da altro che da cotaleattrizione. Replico dunque al Sarsi che l'incendio si puòsuscitare in molti moditra i quali uno è l'attrizione estropicciamento gagliardo di due corpi duri; e perché taleattrizione non si può far da' corpi sottili e fluidiperòdico che le comete e balenile saettele stelle discorrentied oraaggiugniamoci le fiamme de' cimiterinon s'accendono per attrizionené d'aria né di venti né d'esalazionianzi checiascheduno di questi abbruciamenti si fa il più delle voltenelle maggiori tranquillità d'aria e quando il vento èdel tutto fermo. Voi forse mi direte: "Qual dunque è lacausa di queste incensioni?" Vi risponderòper nonentrare in nuove litiche non la soma che so bene che nél'acqua né l'aria si tritano né si accendono nés'abbruciano già mainon essendo materie né tritabiliné combustibili: e se dando fuoco ad un sol fil di pagliaaun capello di stoppanon resta l'abbruciamento sin che tutta lastoppa e tutta la pagliase ben fusse cento milioni di carranon èabbruciata; anzise dato fuoco ad un piccol legno abbrucerebbe tuttala casa e la città intera e tutte le legna del mondo chefusser contigue alle prime ardentise non si corresse prestamente ai riparichi riterrebbe mai che l'ariacosì sottile e diparti tutte aderenti senza separazionequando se n'accendesse unaparticellanon ardesse anco il tutto?

Riducesifinalmente il Sarsi a dire con Aristotile che se mai accaderàche l'aria sia abondantemente ripiena di tali essalazioni bentemperatee con altri riquisiti dettiallora si liquefanno le palledi piomboe non solamente quelle dell'artiglierie e degli archibusima le tirate colle fionde ancora. Dunque tale bisogna che fusse lostato dell'aria al tempo che i Babilonii cocevan l'uova; tale fucongran ventura degli assediatimentre si batteva la città diCorbel; ed allora che tale si ritrovasi può allegramenteandar contro all'archibusate: ma perché l'affrontare una talcostituzione è cosa di ventura e che non accade cosìspessoperò dice il Sarsi che non si deve ricorrereall'esperienzeattento che questi miracoli non si fanno ad arbitrionostroma del casoch'è poi difficilissimo a incontrarsi.Tanto chesignor Sarsiquando bene l'esperienze fatte mille e millevoltein tutte le stagioni dell'anno ed in qualsivoglia luogononriscontrassero mai co 'l detto di quei poeti filosofi ed istoriciquesto non importa nientema dobbiamo credere alle lor parolee nona gli occhi nostri. Ma se io vi troverò una costituzion d'ariacon tutti quei requisiti che voi dite che si ricercanoe che ad ognimodo non ci cuocano l'uova né si struggano le palle di piomboche direte voi allorasignor Sarsi? Ma aimè! io fo troppogrande oblazionee sempre vi rimarrà la ritirata con dire chevi manca qualche requisito necessario. Troppo avvedutamente virecaste voi in un posto sicuroquando diceste esser di bisogno perl'effetto un moto violentogran copia d'essalazioniuna materiabene attenuata et "si quid aliud ad idem conducit": quel"si quid aliud" è quel che mi sbigottisceed èper voi un'ancora sacraun asilouna franchigia troppo sicura. Ioavevo fatto conto di sospender la causa e soprassedere sin chevenisse qualche cometaimmaginandomi che in quel tempo della suadurazione Aristotile e voi foste per concedermi che l'ariasìcome si trovava ben disposta per l'abbruciamento di quellacosìsi ritrovasse anco per la liquefazzione del piombo e per cuocerl'uovaparendomi che voi aveste per ambedue gli effetti ricercato lamedesima disposizione; ed allora volevo che noi mettessimo mano allefiondeall'uovaagli archiai moschetti ed all'artiglieriee cichiarissimo in fatto della verità di questo negozio; anzi purechesenz'aspettar cometeil tempo dovrebbe essere opportuno di mezastatee quando l'aria lampeggia e fulminavenendo a tutti questiardori assegnata l'istessa causa: ma dubito che quando ben voi nonvedeste in cotali tempi liquefarsi le pallené pur cuocersil'uovanon però cederestema direste mancarci quel "siquid aliud ad idem conducens". Se voi mi direte che cosa siaquesto "si quid aliud"io mi sforzerò diprovederlo; quanto che nolascerò correr la sentenzala qualcredo senz'altro che sarà contro di voise non in tutto e pertuttoalmanco in questa parteche mentre che noi andiamo ricercandola causa naturale d'un effettovoi vi riducete a voler ch'iom'appaghi d'una ch'è tanto rarache voi stesso la nominatefinalmente e la riponete tra i miracoli. Orasì come néper girar di fionde né per tirar d'archi né d'archibusiné d'artiglierie noi non veggiamo mai farsi gli effetti piùvolte nominatio purse già mai è accaduto un taleaccidenteè stato così di rado che dobbiamo tenerlocome miracoloe come tale più tosto crederlo all'altruirelazione che cercar di vederlo per prova; perchédicostanti queste cose cosìnon vi dovete voi contentar diconceder che veramente per uno ordinario le comete non si accendonoper un'attrizione d'ariae contentarvi ancora di passar come cosa dimiracolo se pur alcuno vi concederà che taluna si siaunavolta in mill'anniaccesa per quella attrizione ben corredata ditutte quelle circostanze che voi ricercate?

Quantoall'instanza che il Sarsi si promuove e risolvecioè chealcuno forse potrebbe dire che non per attrizion d'ariama pel fuocoveemente che le cacciasi struggono le palle d'archibuso ed'artiglieria; ioprimieramentenon sarò di quelli cheoppongano in cotal guisaperché dico ch'elle non si struggononé in quello né in modo veruno: quanto poi allarisposta dell'instanzanon so perché il Sarsi non abbiaarrecata quella ch'è propriissima e chiaradicendo che lepalle e le frecce cacciate colla fionda e coll'arcodove non èfuocomostrano la nullità dell'instanza apertamente. Questapare a me che fusse risposta assai più diretta che la portatadal Sarsicioè che 'l tempo nel quale la palla va col fuocogli par troppo breve per liquefare un gran pezzo di piombo: il che èveroma vero è ancora che assai più breve èl'altro tempo ch'ella spende nel suo viaggioper liquefarlo conl'attrizion dell'aria.

All'ultimaconclusione ch'ei ne raccoglienon so che rispondereperchénon intendo punto ciò ch'ei si voglia dire mentr'ei dicebastargli aver mostrato ch'ioper questi essempinon ho ritirataalcuna per isfuggire i testimonii de' poeti e de' filosofi; i qualitestimonii essendo scritti e stampati in mille libriio non ho maicercato di sfuggirlie ben mi parrebbe privo di discorso affatto chitentasse una tale impresa. Ho ben detto che l'attestazioni son falsee tali mi par che siano tuttavia.

"Sedobiicit præterea: Quamvis admittaturex motu accendiexhalationes aliquando possenescire tamen se intelligerequi fiatut statim atque ignem conceperintnon consumantursicuti infulminibusstellis cadentibus aliisque huiusmodi fieri quotidievidemus. Ego vero satis id intelligi posse existimosi quisex iisquos hominum ars atque industria invenit ignibussimiliter desublimioribus illis a natura succensis philosophetur. Duplicis enimnaturæ nostri hi sunt: sicci alii ac rari nulloque hærentesglutinequiut ignem conceperintclaro largoque fulgoresubitoincrementoat caduco brevique incendionullis pene reliquiisconflagrare solent; alii tenaciori materia compacti ac piceo liquoreconflatiin longum tempus duraturiflamma diuturniore nocturnasnobis tenebras illustrant. Quidni igitur in supremis illis regionibussimile aliquid contingat? Vel enim materia levis adeo rara et siccaestut nullo humidi vinculo colligetur; atque hæc subitocelerique fulgorein suo veluti exortu interiturasuccenditur: velcerte viscida est et glutinosa; quæsi quo casu accendaturnon ad interitum illico properetsed suo plane succo diutius vivatac longiore ætatesuspicientibus undique mortalibusex altoresplendeat. Satis igitur hinc apparetqui possit fieri ut ignes insummo aëre succensi non illico extinguantur aliquandoseddiutius ardeant: apparet etiamaërem succendi possesi eapræsertim adsint quæ calori ex attritu excitando plurimumconferuntvehemens videlicet motusexhalationum copiamateriæattenuatioet si quid aliud ad idem conducit. "

Leggaor V. S. Illustrissima quel che resta fino al fine di questaproposizione; nel qual proposito poco mi resta che direavendonedetto assai di sopra. Per tanto metterò solo inconsiderazionecome il Sarsiper mantenere che l'incendio dellacometa possa durare mesi e mesiancor che gli altri che si fanno inariacome balenifulministelle discorrenti e similisienomomentaneiassegna due sorti di materie combustibili: altreleggieriraresecche e senz'alcun collegamento d'umidità;altre viscoseglutinosee in consequenza con qualche umiditàcollegate: delle prime vuol che si facciano gli abbruciamentimomentanei; delle secondegl'incendii diuturniquali sono lecomete. Ma qui mi si rappresenta una assai manifesta repugnanza econtradizzione: perchése così fussedovrebbono ibaleni e i fulminicome quelli che si fanno di materia rara eleggierafarsi nelle parti altissimee le cometecome accese inmateria più glutinosacorpulentaed in consequenza piùgravenelle parti più basse; tuttavia accade il contrarioperché i baleni ed i fulmini non si fanno alti da terra néanco un terzo di migliosì come ci assicura il piccolointervallo di tempo che resta tra il veder noi il baleno e 'l sentireil tuonoquando ci tuona sopra il vertice; ma che le comete sienoindubitabilmente senza comparazione più altequando altro nonce lo manifestasse a bastanzal'abbiamo dal lor movimento diurno daoriente in occidentesimile a quello delle stelle. E tanto bastiaver considerato intorno a queste esperienze.

Restamiora checonforme alla promessa fatta di sopra a V. S. Illustrissimaio dica certo mio pensiero intorno alla proposizione "Il moto ècausa di calore"mostrando in qual modo mi par ch'ella possaesser vera. Ma prima mi fa di bisogno fare alcuna considerazionesopra questo che noi chiamiamo caldo del qual dubitograndemente che in universale ne venga formato concetto assai lontanodal veromentre vien creduto essere un vero accidente affezzione equalità che realmente risegga nella materia dalla quale noisentiamo riscaldarci.

Pertanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessitàsubitoche concepisco una materia o sostanza corporeaa concepire insiemech'ella è terminata e figurata di questa o di quella figurach'ella in relazione ad altre è grande o piccolach'ella èin questo o quel luogoin questo o quel tempoch'ella si muove osta fermach'ella tocca o non tocca un altro corpoch'ella èunapoche o moltené per veruna imaginazione posso separarlada queste condizioni; ma ch'ella debba essere bianca o rossaamara odolcesonora o mutadi grato o ingrato odorenon sento farmi forzaalla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamenteaccompagnata: anzise i sensi non ci fussero scortaforse ildiscorso o l'immaginazione per se stessa non v'arriverebbe giàmai. Per lo che vo io pensando che questi saporiodoricolorietc.per la parte del suggetto nel quale ci par che risegganononsieno altro che puri nomima tengano solamente lor residenza nelcorpo sensitivosì che rimosso l'animalesieno levate edannichilate tutte queste qualità; tuttavolta però chenoisì come gli abbiamo imposti nomi particolari e differentida quelli de gli altri primi e reali accidentivolessimo crederech'esse ancora fussero veramente e realmente da quelli diverse.

Iocredo che con qualche essempio più chiaramente spiegheròil mio concetto. Io vo movendo una mano ora sopra una statua dimarmoora sopra un uomo vivo. Quanto all'azzione che vien dallamanorispetto ad essa mano è la medesima sopra l'uno el'altro soggettoch'è di quei primi accidenticioèmoto e toccamentoné per altri nomi vien da noi chiamata: mail corpo animatoche riceve tali operazionisente diverseaffezzioni secondo che in diverse parti vien tocco; e venendotoccatoverbigraziasotto le piante de' piedisopra le ginocchia osotto l'ascellesenteoltre al commun toccamentoun'altraaffezzionealla quale noi abbiamo imposto un nome particolarechiamandola solletico: la quale affezzione ètutta nostrae non punto della mano; e parmi che gravementeerrerebbe chi volesse direla manooltre al moto ed al toccamentoavere in sé un'altra facoltà diversa da questecioèil solleticaresì che il solletico fusse un accidente cherisedesse in lei. Un poco di carta o una pennaleggiermente fregatasopra qualsivoglia parte del corpo nostrofaquanto a séper tutto la medesima operazionech'è muoversi e toccare; main noitoccando tra gli occhiil nasoe sotto le naricieccitauna titillazione quasi intollerabileed in altra parte a pena si fasentire. Or quella titillazione è tutta di noie non dellapennae rimosso il corpo animato e sensitivoella non è piùaltro che un puro nome. Oradi simile e non maggiore essistenzacredo io che possano esser molte qualità che vengonoattribuite a i corpi naturalicome saporiodoricolori ed altre.

Uncorpo solidoecome si diceassai materialemosso ed applicato aqualsivoglia parte della mia personaproduce in me quella sensazioneche noi diciamo tattola qualese bene occupa tutto il corpotuttavia pare che principalmente risegga nelle palme delle maniepiù ne i polpastrelli delle ditaco' quali noi sentiamopiccolissime differenze d'asprolisciomolle e duroche con altreparti del corpo non così bene le distinguiamo; e di questesensazioni altre ci sono più gratealtre menosecondo ladiversità delle figure de i corpi tangibililisce o scabroseacute o ottusedure o cedenti: e questo sensocome piùmateriale de gli altri e ch'è fatto dalla soliditàdella materiapar che abbia riguardo all'elemento della terra. Eperché di questi corpi alcuni si vanno continuamenterisolvendo in particelle minimedelle quali altrecome piùgravi dell'ariascendono al bassoed altrepiù leggierisalgono ad alto; di qui forse nascono due altri sensimentre quellevanno a ferire due parti del corpo nostro assai più sensitivedella nostra pelleche non sente l'incursioni di materie tantosottili tenui e cedenti: e quei minimi che scendonoricevuti soprala parte superiore della linguapenetrandomescolati colla suaumiditàla sua sostanzaarrecano i saporisoavi o ingratisecondo la diversità de' toccamenti delle diverse figured'essi minimie secondo che sono pochi o moltipiù o menveloci; gli altriche accendonoentrando per le naricivanno aferire in alcune mammillule che sono lo strumento dell'odoratoequivi parimente son ricevuti i lor toccamenti e passaggi con nostrogusto o noiasecondo che le lor figure son queste o quelleed i lormovimentilenti o velocied essi minimipochi o molti. E ben siveggono providamente dispostiquanto al sitola lingua e i canalidel naso: quelladistesa di sotto per ricevere l'incursioni chescendono; e questiaccommodati per quelle che salgono: e forseall'eccitar i sapori si accommodano con certa analogia i fluidi cheper aria discendonoed a gli odori gl'ignei che ascendono. Resta poil'elemento dell'aria per li suoni: i quali indifferentemente vengonoa noi dalle parti basse e dall'alte e dalle lateraliessendo noicostituiti nell'ariail cui movimento in se stessacioènella propria regioneè egualmente disposto per tutti iversi; e la situazion dell'orecchio è accommodatail piùche sia possibilea tutte le positure di luogo; ed i suoni allorason fattie sentiti in noiquando (senz'altre qualità sonoreo transonore) un frequente tremor dell'ariain minutissime ondeincrespatamuove certa cartilagine di certo timpano ch'è nelnostro orecchio. Le maniere poi esternepotenti a far questoincrespamento nell'ariasono moltissime; le quali forse si riduconoin gran parte al tremore di qualche corpo che urtando nell'arial'increspae per essa con gran velocità si distendono l'ondedalla frequenza delle quali nasce l'acutezza del suonoe la gravitàdalla rarità. Ma che ne' corpi esterniper eccitare in noi isaporigli odori e i suonisi richiegga altro che grandezzefiguremoltitudini e movimenti tardi o velociio non lo credo; estimo chetolti via gli orecchi le lingue e i nasirestino bene lefigure i numeri e i motima non già gli odori né isapori né i suonili quali fuor dell'animal vivente non credoche sieno altro che nomicome a punto altro che nome non è ilsolletico e la titillazionerimosse l'ascelle e la pelle intorno alnaso. E come a i quattro sensi considerati ànno relazione iquattro elementicosì credo che per la vistasenso sopratutti gli altri eminentissimoabbia relazione la lucema con quellaproporzione d'eccellenza qual è tra 'l finito e l'infinitotra 'l temporaneo e l'instantaneotra 'l quanto e l'indivisibiletra la luce e le tenebre. Di questa sensazione e delle cose attenentia lei io non pretendo d'intenderne se non pochissimoe quelpochissimo per ispiegarloo per dir meglio per adombrarlo in cartenon mi basterebbe molto tempoe però lo pongo in silenzio.

Etornando al primo mio proposito in questo luogoavendo giàveduto come molte affezzioniche sono reputate qualitàrisedenti ne' soggetti esterninon ànno veramente altraessistenza che in noie fuor di noi non sono altro che nomidicoche inclino assai a credere che il calore sia di questo generee chequelle materie che in noi producono e fanno sentire il caldolequali noi chiamiamo con nome generale fuoco siano unamoltitudine di corpicelli minimiin tal e tal modo figuratimossicon tanta e tanta velocità; li qualiincontrando il nostrocorpolo penetrino con la lor somma sottilitàe che il lortoccamentofatto nel lor passaggio per la nostra sostanza e sentitoda noisia l'affezzione che noi chiamiamo caldo gratoo molesto secondo la moltitudine e velocità minore o maggiored'essi minimi che ci vanno pungendo e penetrandosì che gratasia quella penetrazione per la quale si agevola la nostra necessariainsensibil traspirazionemolesta quella per la quale si fa troppogran divisione e risoluzione nella nostra sostanza: sì che insomma l'operazion del fuoco per la parte sua non sia altro chemovendosipenetrare colla sua massima sottilità tutti icorpidissolvendogli più presto o più tardi secondo lamoltitudine e velocità degl'ignicoli e la densità orarità della materia d'essi corpi; de' quali corpi molti ve nesono de' qualinel lor disfacimentola maggior parte trapassa inaltri minimi igneie va seguitando la risoluzione fin che incontramaterie risolubili. Ma che oltre alla figuramoltitudinemotopenetrazione e toccamentosia nel fuoco altra qualitàe chequesta sia caldoio non lo credo altrimenti; e stimo che questo siatalmente nostrocherimosso il corpo animato e sensitivoil calorenon resti altro che un semplice vocabolo. Ed essendo che questaaffezzione si produce in noi nel passaggio e toccamento de' minimiignei per la nostra sostanzaè manifesto che quando quellistessero fermila loro operazion resterebbe nulla: e cosìveggiamo una quantità di fuocoritenuto nelle porositàed anfratti di un sasso calcinatonon ci riscaldareben che lotegniamo in manoperch'ei resta in quiete; ma messo il sassonell'acquadov'egli per la di lei gravità ha maggiorpropensione di muoversi che non aveva nell'ariaed aperti di piùi meati dall'acquail che non faceva l'ariascappando i minimiignei ed incontrando la nostra manola penetranoe noi sentiamo ilcaldo.

Perchédunquead eccitare il caldo non basta la presenza de gl'ignicolimaci vuol il lor movimento ancoraquindi pare a me che non fusse senon con gran ragione dettoil moto esser causa di calore. Questo èquel movimento per lo quale s'abbruciano le frecce e gli altri legnie si liquefà il piombo e gli altri metallimentre i minimidel fuocomossi o per se stessi con velocitàonon bastandola propria forzacacciati da impetuoso vento de' manticipenetranotutti i corpie di quelli alcuni risolvono in altri minimi igneivolantialtri in minutissima polvereed altri liquefanno e rendonofluidi come acqua. Ma presa questa proposizione nel sentimentocommunesì che mossa una pietrao un ferroo legnoeis'abbia a riscaldarel'ho ben per una solenne vanità. Oralaconfricazione e stropicciamento di due corpi durio col risolverneparte in minimi sottilissimi e volantio coll'aprir l'uscita agl'ignicoli contenutigli riduce finalmente in motonel qualeincontrando i nostri corpi e per essi penetrando e scorrendoesentendo l'anima sensitiva nel lor passaggio i toccamentisentequell'affezzione grata o molestache noi poi abbiamo nominata caldobruciore o scottamento. E forse mentrel'assottigliamento e attrizione resta e si contiene dentro a i minimiquantiil moto loro è temporaneoe la lor operazionecalorifica solamente; che poi arrivando all'ultima ed altissimarisoluzione in atomi realmente indivisibilisi crea la lucedi motoo vogliamo dire espansione e diffusione instantaneae potente per lasuanon so s'io debba dire sottilitàraritàimmaterialitào pure altra condizion diversa da tutte questeed innominatapotentedicoad ingombrare spazii immensi.

Ionon vorreiIllustrissimo Signoreinavvertentemente ingolfarmi in unoceano infinitoonde io non potessi poi ridurmi in porto; névorreimentre procuro di rimuovere una dubitazionedar causa alnascerne centosì come temo che anco in parte possa essereoccorso per questo poco che mi sono scostato da riva: peròvoglio riserbarmi ad altra occasion più opportuna.

"DumGalilæus de fulgore illo agitquiluminosis corporibuscircumfususeminus spectantibus ab ipso luminoso corpore nondistinguiturait primoillum in oculi superficie per refractionemradiorum in insidente humore fierinon autem circa astrum autflammam revera consistere; addit secundoaërem illuminari nonposse; tertio verocorpora luminosa si per tubum conspicianturlarga illa radiatione spoliari. Porro ad harum propositionumveritatem investigandamillud quod secundo loco positum estprimoest a nobis expendendumhoc est an illuminari aër possit: exhoc enim reliqua pendere videntur.

Quain quæstione supponendumprimumex opticis ac physicis estlumen non videri nisi terminatum; terminari autem non possenisicorpore aliquo opaco; perspicuum enimqua perspicuum estlucem nonterminatsed liberum eidem transitum præbet: secundumaërempurum ac sincerum maxime perspicuum esseminusque proinde aptum adlumen terminandum; aërem vero impurummultisque vaporibusadmixtumet lucem terminare et remittere ad oculum posse. Et quidemhuius secundæ suppositionis prima pars ab omnibusatque aGalilæo ipsoultro conceditur: pars autem altera multisprobatur experimentis.

Auroraenim in Solis exortuatque in occasu crepusculasatis indicantimpurum aërem illuminari posse; idem testantur coronæaræpareliaaliaque huiusmodi quæ ex aërecrassiori fiunt. Fateri hoc etiam videtur Galilæus in NuncioSidereoubi circa Lunam vaporosum quemdam orbem ei qui Terræcircumfunditur non absimilemstatuitquem a Sole illuminariasserit; quod de Ioviali etiam orbe videtur affirmare. Prætereasi quis Lunam post alicuius domus tectum adhuc latitantemcumproxime emersura estobservetmaximam aëris partem eiusdemLunæ lumine illustratamquasi lunarem aurorampriusintuebitur; fulgorem autem hunc magis ac magis crescere comperietquo propior exortui Luna fuerit. Ridiculum autem esset affirmareauroramcrepusculaaliosque huiusmodi splendoresin insidenteoculis humore per refractionem gigni. Quid enim? dum Lunam ac Solemaltius provectosbrevi inclusos gyro intueorsiccioribus ne oculissumquam cum eosdem posteahorizonti proximosin orbem amplioremextensos aspicio? Satis igitur ex his patetaërem impurum acmixtum illuminari posse; quod etiam ratione pervincitur. Cum enimlumen terminetur ab eo quod aliquam habet opacitatem; aër autemper vapores concretior atque opacior fiat; hac saltem partequaopacus estlumen reflectere poterit.

Quibusita explicatisad quæstionem propositam redeo: in quadumauctores nec pauci nec mali asseruntpartem aëris luminosiscorporibus in speciem circumfusi pariter illuminarinon de sinceronullisque admixto vaporibus locuti existimandi suntsed de eo aërequidensioribus halitibus opacatuslumen stellarum sistere accohibere possitne ultra progrediatur. Nam dum aiuntSolem ac Lunamampliori sese forma prope horizontem spectandos offerre quam cumaltiores fuerintid ex aëre vaporoso interiecto oririaffirmant: ex quibus patetillos non de aëre puro loquised deinfecto ac proinde opaciori. Quare statuendum estnon abiiciendamesse (quod Galilæus iubet) opinionem illam quæ asseritaërem illuminari a stellis posse; cum tot experimentis verissimacomprobetursi de aëre impuriori intelligatur. Quod siilluminari aër potestpoterit etiam pars aliqua luminosi illiuscoronamentiquo sidera vestiunturin aërem illuminatumreferri. Quamvis non negem (id quod primo loco propositum fuerat)radiosam illam coronam longis distinctam radiisquæ adquemcumque oculi motum moveturoculi affectionem esseex quo fit utiidem radii modo plures modo paucioresnunc breviores nuncproductioresfiantprout oculus ipse movetur; adhuc tamen nonprobavit Galilæusnullam partem illius luminisquod nos avera flamma non distinguimusex aëre illuminato existerequapostea ne per specillum quidem luminosa spoliari possint.

Nequeobstat experimentum ab eodem Galilæo allatum. "Si manuminquitinter lumen atque oculum collocatam ita moverisac si lumenoccultare vellesfulgor ille circumfusus nunquam tegeturquoadipsum verum lumen non absconderis; sed radii ipsi manum inter atqueoculum nihilominus comparebunt; at ubi partem veri luminis aliquamtexeriseorumdem radiorum partem oppositam evanescere comperies; namsi luminis partem superiorem celaverisradii inferiores appareredesinent." Hæc Galilæus: quæ omnia verissimaexperiordum radios ipsos tantum consideroradiosinquamillosquosex eorum motu pene perpetuo ac luminis diversitatesatissuperque a reliquo vero lumine distinguo: at dum reliquum lumenquodipse verum existimocelare tentoea prorsus ex parte qua manuminterponosi non omnino abscondominuo saltem atque infusco.Infuscoinquam; neque enim ex qualibet manus interpositione celariobiecta possuntne videantur.

Siquis enimut dicebamattente animadvertatdum veram candelæa nobis remotæ flammam tegere manus obiectu nitimuretiamsisummam pyramidis accensæ partem revera manus texeritadhuctamen eamdem illam inter manum atque oculum conspicimusvideturqueinterpositus digitus ea flamma comburi ac duas veluti in partessecari; ea plane ratione quam digitus A ostendit. Qui autem fieripossitut ex hac digiti interpositione aspectus flammæ nonimpediatursic ostendo. Cum oculi pupilla indivisibilis non sitsedplures possit in partes dividipoterit una illius pars tegireliquis non tectis; quamvis ergoparte aliqua pupillæobtectaad illam species obiecti luminis non perveniantsi tamenreliquæ apertæ remaneant et ad illas eædem speciespertingere possintlumen adhuc videbitur.

Sitenimverbi gratialumen BCoculi pupilla FAcorpus opacuminterpositum sit Dquod quidem speciem puncti C pervenire ad F nonpermittatnullo tamen sit impedimento quin ex C alter radius CAperveniat ad partem pupillæ A. Per radium ergo CA videbiturapex luminis C; non videbitur autem adeo fulgensut tunc quandototam pupillam sua imagine explebat: idem autem apex C non priusvideri desinetquam corpus D totam pupillam tegatprohibeatque neullis radiis apex C ad illam feratur. Quod si corpus D multo minusfuerit quam oculi pupillaverbi gratia filum aliquod crassumparumque ab eadem pupilla abfueritlumine interim longe posito;quomodocunque inter oculum et lumen idem filum extendaturnullamluminis partem impedietneque fili eiusdem pars inter oculum etflammam constituta comparebitac si prorsus combusta fuisset: quodex eadem causa oritur. Neque enim filum illudcum minus sit quampupillasi ab eadem non longe distetimpedire potest quominus omnesflammæ partesaliquibus saltem radiisad potentiam ferantur:quare per eos saltem flamma videbitur.

Adtertium denique dictumquo aitsidera hoc splendore accidentariospoliaricum tubo optico conspiciuntur; multa hic etiam suntquænon facile solvantur. Nam si tubus opticus sidera adscititio hocfulgore spoliaretnon deberet hic fulgor per tubum conspici: atconspicitur tamen. Et quidem inter fixas stellas nulla est adeoexiguaquæ splendore istoetiam non suoa tubo exuipatiatur; quod Galilæus ipse fateri videturdum a Canealiisque stellis fulgorem illum numquam omnino auferri posseaffirmat: semper enimetiam per tubumscintillantes hosce radios inillis intuemur. Sed quid dico a stellis? Planetæ etiam aliquiadeo fulgoris huius tenaces suntut nunquam sibi illum eripipatiantur; Mars videlicetVenus atque Mercuriusquorum lumen nisicoloratis vitrisspecillo aptatisretuderisnunquam nudicomparebunt. Et sane non videosi eadem radiorum illorum causa insuperficie oculi remanethoc est humor ille pupillæ perpetuoinsidenscur posteasi lumen astriper specilli vitra refractumin eumdem humorem incidatrefringi iterumquanquam diverso fortassemodoeosdemque luminis ductus producerenon debeat. Iam vero siillud admittaturquod admitti necesse estut supra probavimusaërem etiam illuminariatque ex hoc fieri posse ut sidus maiusappareat quam revera sit; non poterit Galilæus negareex hocsaltem capitecircumfusum etiam fulgorem videri per tubumacproinde etiam augeri debere: fatetur quippe omnia illa per tubumvideri atque ab eodem augeriquæ ultra ipsum posita sunt; cumigitur hic etiam splendor ultra specillum sitper illud conspiciaugerique debebit. Quod si nihilominus in stellis hoc incrementum nonpercipituraliunde petenda erit huius aspectus causanon ex eo quodradiatio hæc fiat inter specillum et oculumhoc est insuperficie humida oculi. Hoc enimsi non de radiis illis vagis acdistinctissed de stabili et continuo amplioris luminis coronamentoloquamurex aëre illuminato existere posseSolis ac Lunæexemplisprope horizontem ampliori orbe quam in vertice apparentiumcomprobatur: si vero de radiis ipsis intelligaturcum hi etiam perspecillum conspiciantur in stellisnon poterit hoc minimum earumdemstellarum incrementum in radiorum illorum abiectionem referricumnon abiiciantur."

Passiora V. S. Illustrissima alla terza proposizionela quale legga erilegga tutta con attenzione: dico con attenzioneacciò tantopiù manifestamente si conosca poiquanto artificiosamentevada pure il Sarsi continuando suo stile di volercoll'alterarelevare ed aggiungere e più col divertire il discorso emeschiarlo con cose aliene dal propositooffuscar la mente dellettoresì che in ultimotra le cose da séconfusamente appresegli possa restar qualche opinione che il signorMario non abbia così stabilita la sua dottrinache altri nonv'abbia potuto trovar che opporre.

Essendostata opinione di molti ch'una fiammella ardente apparisca assaimaggiore in certa distanza perch'ella accendaed in conseguenzarenda egualmente splendidabuona parte dell'aria sua circonvicinaonde poi da lontano e l'aria accesa e la vera fiammella appariscanoun lume solo; il signor Marioconfutando questodisse che l'arianon s'accendeva né s'illuminavae che l'irraggiamentopercui si faceva l'ingrandimentonon era intorno alla fiammellamanella superficie dell'occhio nostro. Il Sarsivolendo trovar cheopporre a cotal vera dottrinain vece di render grazie al signorMario d'avergli insegnato quello che di sicuro gli era sino allorastato ignotosi fa innanzie si pone a voler provare come contro aldetto del signor Mariol'aria s'illumina: nella quale impresa egliper mio parereerra in molte maniere.

Eprimadove il signor Marioredarguendo il detto di quei filosofidisse che l'aria non s'accendeva né s'illuminavail Sarsimette sotto silenzio quella parte dell'accendersie solo trattadell'illuminarsi: onde il signor Mario con ragion può dire alSarsi d'aver parlato d'una cosaed esso aver preso ad impugnarneun'altra; aver parlatodicodell'aria circonvicina alla fiammella edell'illuminazione che le può venire dal suo accendersiequello aver parlato dell'illuminazione che senza incendio viene sopral'aria vaporosaposta in qualsivoglia distanza dall'oggettoilluminante. Inoltreegli medesimo sul primo ingresso dice che icorpi diafani non s'illuminanotra i quali mette nel primo luogol'ariae poi soggiunge chemescolata con vapori grossi e potenti areflettere il lumeella ben s'illumina. Adunquesignor Sarsisonoi vapori grossie non l'ariaquelli che s'illuminano. Voi mi fatesovvenir di quello che diceva che il grano gli faceva venircapogiroli e stornimenti di testaquando però v'era mescolatodel loglio. Ma è il loglioin buon'orae non il granoquello ch'offende. Voi volete insegnarci che nell'aria vaporosas'illumina l'aurorache mill'altri ed il signor Mario stesso l'ha insei luoghi scritto innanzi a voi. Ma che più? voi medesimo inquesto medesimo luogo dite che io l'ammetto insino intorno alla Lunaed a Giove; adunque tutte le prove ed esperienze di aurorad'alonidi parelii e di Luna ascosta dopo qualche parete sono superfluenonavendo noi già mai dubitatonon che negatoche i vaporidiffusi per ariale nuvole e la caligine s'illuminano. Ma che voletevoisignor Sarsifar poi di cotale illuminazione? dir forse (comein effetto dite) che per essa appariscano i primarii oggettiilluminanti maggiori? e come non v'accorgete voi chequando ciòfusse verobisognerebbe che il Sole e la Luna si mostrassero grandiquanto tutta l'aurora e gli aloni interiimperò che cotanta èl'aria vaporosa che del lume loro è fatta partecipe? Voidunquesignor Sarsiperché avete trovato scritto (dico cosìperché voi stesso citate i filosofi e gli autori d'ottica perconfermare ed autorizare cotali proposizioni) che la region vaporosas'illuminaed oltre a ciò che il Sole e la Luna viciniall'orizonte apparisconomediante tal regione vaporosamaggiori cheinalzati verso il mezo cielovi siete persuaso che da cotaleilluminazione dependa il loro apparente ingrandimento. È veral'una e l'altra proposizionecioè che l'aria vaporosas'illuminae che il Sole e la Luna presso all'orizontemercédella region vaporosaappariscono maggiori; ma è falso ilconnesso delle due proposizionicioè che la maggioranzadependa dall'esser tal regione illuminatae voi vi sete moltoingannatoe toglietevi da così erronea opinione; imperocchénon pel lume de' vaporima per la figura sferica dell'esterna lorosuperficiee per la lontananza maggiore di quella dall'occhio nostroquando gli oggetti son più verso l'orizonteappariscono essioggetti maggiori della lor commune apparente grandezzae non iluminosi solamentema qualunque altro posto fuor di tal regione.Traponete tra l'occhio vostro e qualsivoglia oggetto una lenteconvessa cristallina in varie lontananze: vedrete che quando essalente sarà vicino all'occhiopoco si accrescerà laspecie dell'oggetto veduto; ma discostandolavedrete successivamenteandar quella ingrandendosi. E perché la region vaporosatermina in una superficie sfericanon molto elevata sopra ilconvesso della Terrale linee rette che tirate dall'occhio nostroarrivano alla detta superficiesono disugualie minima di tutte laperpendicolare verso il verticee dell'altre di mano in mano maggiorsono le più inclinate verso l'orizonte che verso il zenit.Quindi anco (e sia detto per transito) si può facilmenteraccorre la causa dell'apparente figura ovata del Sole e della Lunapresso all'orizonteconsiderando la gran lontananza dell'occhionostro dal centro della Terrach'è lo stesso che quello dellasfera vaporosa; della quale apparenzacome credo che sappiatenesono stati scritticome di problema molto astrusointeri trattatiancor che tutto il misterio non ricerchi maggior profondità didottrina che l'intender per qual ragione un cerchio veduto in maestàci paia rotondoma guardato in iscorcio ci apparisca ovato.

Maritornando alla materia nostraio non so con che proposito dica ilsignor Sarsiesser cosa ridicolosa il dire che l'alba e i crepuscolied altri simili splendori si generino nell'umore sparso sopral'occhioe molto più ridicoloso se alcuno dicesse cheguardando noi verso il verticeavessimo gli occhi più secchiche guardando l'orizontee che però la Luna e 'l Sole ciparesser minori in quel luogo che in questo: non sodicoa che finesieno introdotte queste sciocchezzenon si trovando chi giàmai l'abbia dette. Ma mentre il Sarsi ci figura per troppo sempliciveggiamo se forse cotal nota più ad esso che a nois'accommodi. Qui si tratta di quello irraggiamento avventizio per loquale le stelle ed altri lumi inghirlandandosi appariscono assaimaggiori che se fussero visti i loro piccoli corpicelli spogliati ditali raggitra i qualiperché sono poco men lucidi dellaprima e vera fiammellaresta esso corpicello indistintoin modo cheed esso e l'irraggiamento si mostra come un sol oggetto grande erisplendente. A parte di questo irraggiamento ed ingrandimento vuoleil Sarsi mettere il lume che per refrazzione si produce nell'ariavaporosae vuole che per questo il Sole e la Luna si mostrinomaggiori verso l'orizonte che elevati in altoequel ch'èpeggiovuole che l'istesso abbiano creduto molti altri filosofi: ilche è falsoné ànno sì altamente errato.E che questo sia grandissimo errorelo doveva molto speditamentemostrare al Sarsi la grandissima distinzione che si vede tra le lucidel Sole e della Luna e l'altro splendore circunfusodentro al qualeincomparabilmente più lucido e meglio determinato questo equel luminare si discerne: il che non accade dell'irraggiamento dellestelletra 'l quale il corpicello della stella resta da parisplendore ingombrato ed indistinto.

Masento il Sarsi che risponde e diceche quel Sole e Luna grandi nonsono i corpi reali nudi e schiettima uno aggregato e composto delpiccol corpo reale e dell'irraggiamento che l'inghirlanda e racchiudein mezo con luce non minore della primariaonde ne risulta il grandisco apparente tutto egualmente splendido. Ma se questo èsignor Sarsiperché non si mostra la Luna così grandenel mezo del cielo ancora? vi manca forse l'aria vaporosa atta adilluminarsi? Io non so quello che voi foste per risponderenéme lo potrei immaginareperché non si potendo contra a unvero venir con altro che con fallacie e chimerele qualicome voisapetesono infiniteio non potrei indovinar la vostra eletta. Maper troncarle tutte in una volta e cavar voi ed altrise vi fusserod'errorebastia farvi toccar con mano che la gran Luna che voivedete nell'orizonte è la schietta e nudae non aggranditaper altra luce avventizia e circunfusabastidicoil vedere le suemacchie sparse per tutto il suo disco sino all'estrema circonferenzanella guisa a capello che si mostra nel mezo del cielo; ché sefusse come avete creduto voile macchie nella Luna bassa e grande sidoverebbon veder raccolte tutte nella parte di mezolasciando laghirlanda intorno lucida e senza macchie. Adunquenon per isplendoreaggiuntoma per uno ingrandimento di tutta la specie nel refrangersinella remota superficie vaporosasi mostrano il Sole e la Lunamaggiori bassi che alti.

Orvedetesignor Sarsiquanto è facil cosa l'atterrare il falsoe sotenere il vero. Questa pur troppo grand'evidenza della falsitàdi molte proposizioni che si leggono nel vostro libronon mi lasciainteramente credere che voi non l'abbiate compresa; e vo pensando chepossa essere checonoscendovi voi internamente dalla realtàdelle ragioni convintovi riduciate per ultimo partito a far provase l'avversariocol creder vere quelle cose che voi stesso conoscetefalsesi ritirasse e cedesse; e che perciò voi arditamente leportiate avantiimitando quel giocatore chevedendosi d'aver acarte scoperte perduto l'invitotenta con altro soprinvito maggioredi far credere all'avversario gran punto quello che piccolissimo vedeegli stessoondecacciato dal timoreceda e se ne vada. E perchéio veggo che voi vi siete alquanto intrigato tra questi lumiprimariirefratti e reflessi ne' vapori o nell'occhiocomportatevoicome scolarech'iocome professore e maestro vecchiovisviluppi ancora un poco meglio.

Pertanto sappiate che dal Soledalla Luna e dalle stellecorpi tuttirisplendenti e costituiti fuori e molto lontani dalla superficiedella region vaporosaesce splendore che perpetuamente illumina lametà di tal regione; e di questo emisferio illuminatol'estremità occidentale ci arreca la mattina l'aurorae laparte opposta ci lascia la sera il crepuscolo: ma niuna di questeilluminazioni accresce o scema o in modo alcuno altera l'apparentegrandezza del SoleLuna e stelleche perpetuamente si ritrovano nelcentro o vogliamo dir nel polo di questo emisferio vaporoso da loroilluminato; del quale le parti direttamente traposte tra l'occhionostro e 'l Sole o la Luna ci si mostrano più splendidedell'altre che di grado in grado da queste parti di mezo piùsi discostanolo splendor delle quali va di mano in mano languendo;e questo è quel lume che dà segno dell'appressamentodella Luna allo scoprirsimentre dopo qualche tetto o parete ci sinasconde. Una simile illuminazione si fanno intorno intorno anco lefiammelle poste dentro alla sfera vaporosa; ma questa è tantodebile e languidache se di notte asconderemo un lume dopo qualcheparete e poi ci anderemo movendo per iscoprirlodifficilmentescorgeremo splendore alcuno circunfuso o vedremo altra luce sin chesi scuopra la fiamma principale; e questo debolissimo lume nullaassolutamente accresce la visibile specie di essa fiammella. Ci èun'altra illuminazionefatta per refrazzione nella superficie umidadell'occhioper la quale l'oggetto reale ci si mostra circondato daun cerchio luminosoma inferiore assai di splendore alla primarialuce; e questo si mostra allargarsi per maggiore o minore spaziononsolamente secondo la maggiore o minor copia d'umorema secondo lacattiva o buona disposizion dell'occhio: il che ho io in me stessoosservatoche per certa affezzione cominciai a vedere intorno allafiamma della candela uno alone luminoso e di diametro di piùd'un braccioe tale che mi celava tutti gli oggetti posti di làda esso; scemando poi l'indisposizionescemava la grandezza e ladensità di questo alonema però me ne resta ancoramolto più di quello che veggono gli occhi perfetti: e questoalone non s'asconde per l'interposizion della mano o d'altro corpoopaco tra la candela e l'occhioma resta sempre tra la mano el'occhiosin che non si occulta il lume stesso della candela. Perquesto lume parimente non s'ingrandisce la specie della fiammelladel cui splendore egli è assai men chiaro. Ci è unterzo splendore vivacissimo e chiaro quasi al par dell'istesso lumeprincipaleil qual si produce per reflessione de' raggi primariifatta nell'umidità de gli orli ed estremità dellepalpebrela qual reflessione si distende sopra 'l convesso dellapupilla: della qual produzzione abbiamo argomento sicuro dal mutarnoi la positura della testa; imperò che secondo che noi lainclineremoalzeremoo vero terremo dirittamente oppostaall'oggetto luminosolo vederemo irraggiato nella parte superioresolamenteo nell'inferiore solamenteo in ambedue; ma dalla destrao dalla sinistra già mai non vederemo comparirgli raggiperché le reflessioni fatte verso gli angoli dell'occhio nonpossono arrivar sopra la pupillasotto l'orizonte della qualemediante la piegatura delle palpebre su la sfera dell'occhioesseparti angolari si ritrovano; e se altricalcando colle dita sopra lepalpebreallargherà l'occhio e discosterà gli orli diquelle dalla pupillanon vedrà raggi né sopra nésottoavvenga che le reflessioni fatte in essi orli non vannosopra la pupilla. Questo solo è quello irraggiamento per loquale i piccoli lumi ci appariscono grandi e raggiantie nel qualela real fiammella resta ingombrata ed indistinta. L'altreilluminazioni non ànnosignor Sarsiche far nullanullapænitus nell'ingrandimentoperché sonotanto inferiori di luce al lume primarioche ben sarebbe ciecoaffatto chi non vedesse il termine confine e distinzione tra l'uno el'altro; oltre che (come di sopra ho detto) il disco del Sole e queldella Lunaquando per tale illuminazione s'ingrandisserodovrebbonomostrarsi grandi quanto gl'immensi cerchi delle loro aurore. Peròquando voi dite che non negatequella corona raggiante esseraffezzion dell'occhioma che non perciò ho io ancora provatoche qualche parte non dependa dall'aria circunfusa illuminatatoglietevi dal troppo miseramente mendicar sussidii cosìscarsi. Che volete che faccia quel debolissimo lume mescolato conquei fulgentissimi raggi reflessi dalle palpebre? aggiunge quel chefarebbe il lume d'una torcia a quel del Sole meridiano. Di questolume sparso per l'aria vaporosa io ve ne voglio conceder nonsolamente quella piccola parte che voi domandatema quanto abbracciatutta l'aurora e 'l crepuscolo e tutto l'emisferio vaporoso; e diquesto voglio che il corpo luminoso né per telescopio néper altro mezo possa già mai essere spogliato; e voglioancoraper vostra compitissima soddisfazzionech'ei venga daltelescopio ingrandito come tutti gli altri oggettisì che nonpure adegui tutta l'aurorama mille volte maggiore spaziose millevolte tanto si potesse comprendere coll'occhiale; ma niuna di questecose solleva punto né voi né 'l vostro Maestrocheavreste bisognoper mantenimento della vostra principal conclusione(ch'è che le stelle fisseper esser lontanissimenonricevono accrescimento veruno dal telescopio)avreste bisognodicoche la stella ed il suo irraggiamento fusse una cosa medesimaoalmeno che l'irraggiamento fusse realmente intorno alla stella; ma néquello né questo è veroma bene è eglinell'occhioe le stelle ricevono accrescimento tanto quantoogn'altro oggetto veduto col medesimo strumentocomepuntualissimamente scrisse e dimostrò il signor Mario.

Questialtri vostri diverticolid'arie vaporose illuminate e di Soli e Lunealte e bassesoncome si dicepannicelli caldie un voler fuggirla scuola e cercar di deviare il lettore dal primo proposito. E fral'altre vostre molte diversioniquesta che fate in mostrar con assailungo discorso come per l'interposizion del dito non s'impedisca lavista della fiammellae quel che dite del filo sottile e del corpointerposto minor della pupillason tutte cose veremaper mioavvisonulla attenenti al proposito che si tratta: il che veggo cheinternamente avete conosciuto voi medesimo ancoraatteso chequandoera il tempo dell'applicazione di queste cose alla materia e dichiuder la conclusionevoi fate puntoe lasciandoci sospesi passatead altro propositoe cercatepur per via di discorsoprovar cosadi cui cento esperienze chiarissime sono in contrario; e ben che voiveggiateguardando col telescopiola stella di Saturnoterminatissima e di figura diversissima dall'altreil disco di Giovee quel di Martee massime quando è vicino a Terraperfettamente rotondi e terminatiVenere a suoi tempi corniculata edesattissimamente delineatai globetti delle stelle fissee massimedelle maggiorimolto ben distintie finalmente mille fiammelle dicandeleposte in gran distanzacosì ben dintornate come davicinodovesenza il telescopiol'occhio libero niuna di cotalifigure distinguema tutte le vede ingombrate da raggi stranieri etutte sotto una stessa figura radiantecon tutto ciò purvolete che 'l telescopio non le mostri senza raggipersuaso da certivostri discorside i quali io non sarei in obligo di scoprir lefallacieavendo per me l'esperienza in contrario; tuttaviapervostra utilitàle accennerò così brevemente.

Eper venir con ogni maggior chiarezza al mio intentoio vi domandosignor Sarsionde avvenga che Venere si circonda sìfattamente di questi raggi ascitizii e stranieriche tra essi perdein modo la sua real figurach'essendo stata dalla creazion del mondoin qua mille e mille volte cornicolatamai da vivente alcuno non èstata osservata né veduta talema sempre è apparsad'una stessa figurase non dapoi ch'io primieramente col telescopioscopersi le sue mutazioni? il che non accade della Lunala qualecoll'occhio libero mostra le sue diversità di figuresenzanotabile alterazione che dependa dall'irraggiamento avventizio. Nonrispondeteciò accadere mediante la gran lontananza di Veneree la vicinanza della Luna; perché io vi dirò che quelloche accade a Venereaccade ancora alle fiammelle delle candelelequaliin distanza di cento braccia solamenteconfondono la lorfigura tra i raggi e la perdono non men di Venere. Se voleterisponder benebisogna che diciateciò derivare dallapiccolezza del corpo di Venere in relazione all'apparente grandezzadi quel della Lunae che vi figuriatela lunghezza di quei raggiche si producono nell'occhio esserverbigraziaper quattro diametridi Venereche non saranno poi la decima parte del diametro dellaLuna: ora figuratevi la piccolissima falce di Venereinghirlandatadi una chioma che se le sparga e distenda intorno intorno in distanzadi quattro suoi diametried insieme la grandissima falce della Lunacon una chioma non più lunga della decima parte del suodiametro; non doverà esservi difficile a intendere come laforma di Venere del tutto si perderà tra la sua capellaturama non già quella della Lunala quale pochissimo s'altererà:ed accade in questo quello a punto che accaderebbe in vestire unaformica di pelle d'agnellodi cui la configurazione delle piccolinemembra in tutto e per tutto si perderebbe tra la lunghezza de i pelisì che l'istessa apparenza farebbe che se fusse un bioccolo dilana; nulla dimeno l'agnelloper la sua grandezzaassai distintemostra le membra sue sotto la pecorile spoglia. Ma diròdipiùche ricevendo il capillizio splendidoche risiedenell'occhiola limitazion del suo spargimento dalla costituziondell'occhio stesso più che dalla grandezza dell'oggettoluminoso (e così veggiamo stringendo le palpebresìche appariscano surger dall'oggetto luminoso raggi molto lunghinonsi veggono maggiori quei che vengono dalla Lunache quei di Venere od'una torcia o d'una fiaccola)figuratevi una determinata grandezzad'una capellatura; nel mezo della quale se voi intenderete essere unpiccolissimo corpo luminosoperderà la sua figuracoronatodi troppo lunghi crini; ma ponendovi un corpo maggiore e maggiorefinalmente potrà il simulacro reale occupar tanto nell'occhioche poco o niente gli avanzi intorno del capillizio; e cosìl'immagineverbigraziadella Luna potrà esser che ingombrinell'occhio spazio maggiore della commune irradiazione. Stante questecoseintendete il disco realeper essempiodi Giove occupar soprala nostra luce un cerchiettoil cui diametro sia la ventesima partedello spargimento della chioma raggianteonde in sì granpiazza resta indistinto il piccolissimo cerchietto reale: viene iltelescopioe m'aggrandisce la specie di Giove in diametro ventivolte; ma già non ingrandisce l'irraggiamentoche non passaper li vetri: adunque io vedrò Giove non più come unapiccolissima stella radiantema come una Luna rotondaben grande eterminata. E se la stella sarà assai più piccola diGiovema di splendore molto fiero e vivoqual èperessempioil Caneil cui diametro non è la decima parte diquel di Giovenulla di meno la sua irradiazione è poco minordi quella di Gioveil telescopioaccrescendo la stella ma non lachiomafa chedove prima il piccolissimo disco tra sì ampiofulgore era impercettibilegià fatto in superficie 400 e piùvolte maggioresi può distinguere ed assai ben figurare. Contal fondamento andate discorrendoché potrete disbrigarvi pervoi stesso da tutti gl'intoppi.

Erispondendo alle vostre instanzequando dal signor Mario e da me èstato detto che 'l telescopio spoglia le stelle di quel coronamentorisplendenteciò è stato profferito non con intenzioned'avere a stare a sindicato di persone così puntuali comesiete voichenon avendo altro dove attaccarvivi conducete sino adannar con lunghi discorsi chi prende il termine usitatissimod'infinito per grandissimo. Quando noi abbiamo detto che iltelescopio spoglia le stelle di quello irraggiamentoabbiamo volutodire ch'egli opera intorno a loro in modo che ci fa vedere i lorcorpi terminati e figurati come se fussero nudi e senza quelloostacolo che all'occhio semplice asconde la lor figura. È egliverosignor Sarsiche SaturnoGioveVenere e Marte all'occhiolibero non mostrano tra di loro una minima differenza di figuraenon molto di grandezza seco medesimi in diversi tempi? e checoll'occhiale si veggonoSaturno come appare nella presente figura

eGiove e Marte in quel modo sempree Venere in tutte queste formediverse? equel ch'è più meravigliosocon similediversità di grandezza? sì che cornicolata mostra ilsuo disco 40 volte maggiore che rotondae Marte 60 volte quando èperigeo che quando è apogeoancor che all' occhio libero nonsi mostri più che 4 o 5? Bisogna che rispondiate di sìperché queste son cose sensate ed eternesì che non sipuò sperare di poter per via di sillogismi dare ad intendereche la cosa passò altrimenti. Orl'operare col telescopiointorno a queste stelle in modo che quell'irraggiamentocheperturbava l'occhio libero ed impediva l'esatta sensazionela qualopera è cosa massima e d'ammirabili e grandissime consegnenzeè quello che noi abbiam voluto significare nel dire spogliarle stelle dell'irraggiamento che son parole solamente diniun momentodi niuna conseguenza: le quali se a voiche sieteancora scolaredanno fastidiopotrete mutarle a vostro beneplacitocome cambiaste già quello nostro accrescimento nel vostrotransito dal non essere all'essere.

Aquello che voi diteparervi pur ragionevole chesì comel'oggetto lucidovenendo per lo mezo liberoproduce nell'occhiol'irraggiamentoegli debba ancor far l'istesso quando viene passandoper li cristalli del telescopio; rispondo concedendovelo liberamentee dicovi che accade a punto l'istesso de gli oggetti veduti coltelescopio che de' veduti senza: e sì come il disco di Gioveper essempioveduto coll'occhio libero rimane per la sua piccolezzaperduto nell'ampiezza del suo irraggiamentoma non già quellodella Lunache colla sua gran piazza occupa sopra la nostra pupillaspazio maggiore del cerchio raggianteper lo che ella si vede rasae non crinita; cosìfacendomi il telescopio arrivar sopral'occhio il disco di Giove sei cento e mille volte maggiore dellaspecie sua semplicefa ch'egli colla sua ampiezza ingombri tutta lacapellatura de' raggie comparisca simile ad una Luna piena: ma ildisco piccolissimo del Caneben che mille volte ingrandito daltelescopionon però adegua ancora la piazza radiosasìche ci apparisca tosato del tutto; nientedimenoper essere i raggiverso l'estremità alquanto men forti e tra loro divisirestaegli visibilee tra la discontinuazion de' raggi si vede assaicommodamente la continuazion del globetto della stellail quale conuno strumento che più e più l'accrescessepiù epiù sempre distinto e meno irraggiato ci si mostrerebbe. Sìche la cosasignor Sarsista cosìe questo effetto ci vennechiamato uno spogliar Giove del suo capillizio: le quali parole senon vi piaccionogià vi si è dato licenza che lemutiate ad arbitrio vostroed io vi do parola d'usar per l'avvenirela vostra correzzione; ma non v'affaticate in voler mutar la cosaperché non farete niente.

Egià che voi in questo fine replicate che pure ènecessario conceder che l'aria circunfusa s'illuminie che perciòla stella apparisca maggiore; ed io torno a replicarvi che i vaporicircunfusi s'illuminanoma non perciò il corpo luminosos'accresce puntoessendo che il lume de' vapori èincomparabilmente minore della primaria luce: per lo che il corpolucidose è granderesta nudoe se è piccolorimanecol suo irraggiamento fatto nell'occhioterminatissimo edistintissimo tra 'l debolissimo lume dell'aria vaporosa. E vireplico ancorapoi che voi medesimo me ne porgete replicataoccasioneche totalmente deponghiate quella falsa opinione che 'lSole e la Luna presso all'orizonte si mostrino maggiori per unaghirlanda d'aria illuminata che s'aggiunga al lor discoperchéquesta è una grandissima semplicitàcome di sopra hodetto e provato. E per non lasciar cosa intentata per cavarvid'errore e far che voi restiate capace di questo negozioalle vostreultime paroledove voi dite che vedendosi pur pel telescopio essiraggi luminosi intorno alle stellenon si potrà ridurre ilminimo ricrescimento di quelle nella perdita di questiessendo chenon si perdono; vi rispondo che l'accrescimento è grandissimocome in tutti gli altri oggettie che il vostro errore sta (comesempre si è detto) nel paragonar voi la stella insieme contutto il suo irraggiamentovisto coll'occhio liberocol corpo solodella stella vedutocollo strumentodistinto dalla sua piazzaradiosadella quale egli talvolta compar maggiore e tal voltaegualesecondo la grandezza della stella vera e la moltiplicaziondel telescopio; e quando comparisce minor di esso irraggiamentotuttavia si scorge il suo discocome ho dettotra l'estremitàdella capellatura. Ed una accommodatissima riprova dell'accrescimentograndecome in tutti gli altri oggettiè il pigliar Giovecoll'occhiale avanti giornoe andarlo seguitando sino al nascer delSole e più oltre ancora; dove si vede il suo discopeltelescopiosempre grande nell'istesso modo: ma quel che si vedecoll'occhio liberocrescendo il candor dell'aurora si va semprediminuendosì che vicino al nascer del Sole quel Giove chenelle tenebre superava d'assai ogni stella della prima grandezzasiriduce ad apparir minore di quelle della quinta e della sestaefinalmenteridottosi quasi ad un punto indivisibilenascendo ilSolesi perde del tutto: nulla dimenosparito all'occhio liberosiséguita egli pur di vederlo tutto il giorno grande e bencircolato; ed io ho uno strumento che me lo mostraquando èvicino alla Terraeguale alla Luna veduta liberamente. Non èdunque cotal ricrescimento minimo o nulloma grandecome di tuttigli altri oggetti.

Iovi vogliosignor Sarsipigliare alla straccase non potròprendervi correndo. Volete voi una nuova dimostrazioneper prova chegli oggetti in tutte le distanze crescono nella medesima proporzione?Sentitela. Io vi domando seposti quattrosei o dieci oggettivisibili in varie lontananzema in guisa però che tutti siveggano nella medesima linea rettasì che il piùvicino occupi tutti gli altrivi domandodicose tenendo l'occhionel medesimo luogo e riguardando i medesimi oggetti co 'l telescopiovoi gli vedrete pur posti in linea retta o nosì che ilvicino non vi asconda più gli altrima ve gli lasci vedere?Credo pur che voi risponderete ch'ei vi compariranno per linea rettaessendo realmente per linea retta disposti. Orastante questoimmaginatevi quattrosei o dieci bacchette dirittetra di lorparalelleposte in distanze disuguali dall'occhioed esse dilunghezze pur disugualie le più lontane maggiorie di manoin mano le più vicine minoriin modo che gli estremi terminiloro si veggano posti in due linee retteuna a destra e l'altra asinistra; pigliate poi il telescopioe riguardatele con esso: giàper la concession fattai medesimi terminitanto i destri quanto isinistrisi vedranno pure in due linee rette come primama apertein maggiore angolo. E come ciò siasignor Sarsiquestoappresso i geometrisi domanda ricrescer tutte quelle linee secondola medesima proporzionee non ricrescer più le vicine che lelontane. Cedete dunquee tacete.

"Sedvideamusquam recte ex Peripatetica disciplina atque ex experimentissibi arma contra Aristotelem fabricet Galilæus. "Prætereainquitcometam flammam non fuisseex ipsa experientia etPeripateticorum dicto deducimusquo affirmantnullum corpus lucidumesse perspicuum; experientia vero docetflammam vel minimam uniuscandelæ impedimento esse quominus obiecta ultra ipsam positaconspiciantur: si ergo cometam flammam fuisse quis dixeritdicendumeidem eritstellas ultra illam positas ab ea celari debuisse: ettamen per cometæ caudam lucidissime intermicantes easdemstellas vidimus." Hæc ille: in quibus mirari satis nonpossumhominemmagni alioqui nominis atque experimentorumamantissimumea diserte adeo asseverassequæ obviis ubiqueexperimentis redargui facile possent.

Quamvisenim Peripateticorum dictumsi recte intelligaturverissimum sit(omne enim corpusad hoc ut illuminetur velpotiusilluminatumappareatexcurrentem ulterius lucem quasi sistere ac reprehenderedebet; perspicuum autemutpote eidem luci perviumeam terminare nonpotest: ex quo dicendum estcorpus quodcumque eo clariusilluminandumquo plus opaci minusque habuerit perspicui)nullustamen est qui negetreperiri corpora partim perspicua partim opacaquæ partem lucis aliquam terminentqua lucida appareantaliquam vero libere transire permittant; qualia sunt nubes rarioresaquavitrum et huiusmodi multaquæ et lumen in superficieterminantet ad aliam partem idem transmittunt. Quare nihil estcurex hoc dicto quidquam momenti suis experimentis Galilæusadiectum putet.

Experimentaporro ipsa falsa deprehenduntur. Affirmo igiturcandelæflammam obiecta ultra se posita ex oculis non auferreet perspicuamesse.

Huicprimumdicto adstipulantur Sacræ Litteræcum de AnaniaAzaria ac Misaele in fornacemRegis iussuconiectis agunt. Sic enimRegem ipsum loquentem inducunt: "Ecce ego video quatuor virossolutos et ambulantes in medio igniset nihil corruptionis in eisest; et species quarti similis filio Dei." Ac ne quis existimetid pro miraculo habendumidem probatur iterum ex eoquia in candelæflamma medio loco consistens videtur ellychniumseu nigricans seucandens. Prætereacum strues aliqua ingens lignorumincenditurmedias inter flammas semiusta ligna et carbones accensoslibere prospectamuscum tamen sæpe maxima flammarum vis oculuminter atque eadem ligna media consistat. Flamma igitur perspicua est.

Secundoquodcumque opacuminter oculum et obiectum positumeiusdem obiectiaspectum impeditsive magno sive parvo ab eodem distet intervallo;itaverbi gratialignum aliquodsive rem quampiam attingat sive abilla multum removeatur (si tamen inter illam atque oculumsubstiterit)eam videri non permittet: quod in flamma non accidithæc enim quascumque res ultra se positassi non longe distentsed easdem e proximo vehementer illuminetsemper videri patietur;quod quilibet experiri facile potestsi legendum aliquid ultra lumencollocaveritunius tantum digiti intervallotunc enim characteresillos a flamma obtectos facile perleget: flammaergoperspicua estet luminosa: quod Galilæus negateiusque oppositum tanquamprincipiumcontra Aristotelem disputaturusassumit.

Quodsi quis quæratcur obiecta ultra flammam positasi saltem abeadem longe semota fuerintnon conspicianturhanc ego huius reicausam assigno: quia nimirum obiectum movens potentiam vehementiusimpedit ne videantur obiecta reliquaad eamdem potentiam movendamminus apta; obiecta autem quælibet eo vehementiuscæterisparibuspotentiam moventquo sunt lucidiora; quia igitur obiectalonge ultra flammam positamulto minus illuminantur quam flammaipsaideo hæc potentiam veluti totam explet obruitquenecobiecta alia videri permittit. Et proptereaquo obiecta eadem eidemflammæ fiunt propioraquia tanto magis illuminantureo etiammagis apta sunt movere potentiamac proinde tunc conspiciuntur;maiori siquidem illustrata luminecum flamma pene ipsa contendunt.Quare si aut flamma obtusiori splendeat lumineaut obiectum ultraillam positum luminosum ex se sitaut ab alio vehementerilluminatumnunquam illius aspectum interposita flamma impedietquamvis longissime obiectum illud a flamma distet.

Hocetiam quibusdam experimentis confirmare placet. Incendaturdistillatum vinumquod aquam vitis vulgo appellant: eius enimflammacum non admodum clara sitliberam rerum imaginibus ad oculumviam relinquetut etiam minutissimos quosque characteres perlegipatiatur. Idem accidit in flamma ex incenso sulphure excitataquæcolorata licet sit et crassavix tamen quidquam impedimenti eisdemrerum imaginibus affert.

Secundosit licet flamma clarissimo ac micanti luminesi tamen alteriuscandelæ lumen ultra illam collocatum longe etiam semoverisinter vicinioris flammæ lumen remotiorem flammam intermicantemcernes. Cum ergo stellæ corpora sint luminosa et quavis flammalonge clarioranil mirum si non potuit earundem aspectus abinterposita cometæ flamma impediri: ac proinde nihil detrimentiex hoc Galilæi argumento patitur Aristotelis opinio.

Tertionon luminosa solum illa quæ propria fulgent luceabinterposita flamma velari non possuntsed ne alia quidem corporaopacasi tamen ab alio lumine illustrentur. Ita interdiu si quidaspexeris a Sole illuminatumnullius interpositu flammæimpediri eius aspectus poterit.

Constatigitur satis superqueflammas perspicuas esseatque hoc etiam nonobstare quominus cometa flamma esse potuerit."

ÈtempoIllustrissimo Signoredi venir a capo di questi pur troppolunghi discorsi: però passiamo a questa quarta ed ultimaproposizione. Quicom'ella vededice il Sarsi non potersi abastanza stupire che ioavendo qualche nome d'avveduto osservatoreed applicato assai all'esperienzemi sia ridotto ad affermarconstantemente quelle cose che si possono agevolissimamente confutarecon esperimenti manifesti ed apparecchiati per tutto; de' quali poin'apporta moltiond'egli apparisca altrettanto veridico e diligentesperimentatorequant'io mal accorto e mendace. Dirò primabrevemente quello che persuase il signor Mario a scriveree me aprestargli assensoche quando la cometa fusse una fiammadovesseasconderci le stelle; poi anderò considerando l'esempio eragioni del Sarsilasciando in ultimo a V. S. Illustrissima ilgiudicar qual di noi sia più difettoso e mal avveduto nel suoesperimentare e discorrere.

Considerandonoiil trasparire d'un corpo non esser altro che un lasciar vederegli oggetti posti oltre di séci persuademmo che quant'essocorpo trasparente fusse men visibiletanto potesse megliotrasparere; onde l'aria trasparentissima è del tuttoinvisibilel'acqua limpida ed i cristalli ben tersitraposti traoggetti visibilipoco per se stessi si scorgono: dal che ci parevache assai a proposito si potesse all'incontro inferirei corpiquanto più per se stessi fusser visibilidover esser tantomeno trasparenti; e perché tra i corpi visibili per se stessile fiamme per avventura parevano non esser degli infimiperògiudicammo quelle dovere esser poco trasparenti: l'autoritàpoi di Aristotile e de' Peripateticiaggiunta a questo discorsociconfermò nell'opinione. Circa la qual autorità mi parda notare come il Sarsi le vuol dare altra interpretazione da quellache apertamente suonan le parole; e dice che intesa bene èverissimae che il senso è che i corpiacciò che sipossano illuminarenon devon esser trasparenti; e nonche i corpilucidi non son trasparenti. Ma se il Sarsi la piglia in quel sensoperché così gli par la proposizion veraadunquebisogna ch'ei lasci l'altro perché in quello gli paia falsa(perché quanto alle parolemeglio si adattano a questo che aquello): tuttavia egli medesimo poco di sotto non pure affermamacon più esperienze confermai corpi luminosi impedir la vistadelle cose poste oltre di lorodove scrive: "Nam hæcetiam rerum ultra ipsa positarum aspectum impediunt"e quel chesegue. Ma tornando al primo discorsodico che oltre all'autoritàde' Peripatetici ci confermò ancora più il vederfinalmente per esperienza un vetro infocato impedirci assai la vistadegli oggettiche freddo distintamente ci lascia scorgereel'istesso far la fiammella d'una candelae massime colla suasuperior partepiù lucida dell'inferiore ch'è intornoal lucignolola qual è più tosto fumo non beneinfiammato che vera fiamma. Di piùavendo noi osservatolagrossezza del corpoben che per se stesso non molto opacoimportartantocheverbigraziauna nebbiala quale in profondità diventi o trenta braccia non ci leva la vista d'un troncomoltiplicataall'altezza di 200 o 300 ci toglie del tutto anco la vista del Solestessopensammo non esser lontano dal ragionevole il creder che lanon trasparenza ed opacità d'una fiamma non potesse mai esserecosì pocache ingrossata in profondità di centinaia ecentinaia di braccia non ci dovesse impedir l'aspetto delle minutestelle. Concludemmo per tantola profondità della chiomadella cometa (che pur bisogna che sia non dirò col Sarsi e suoMaestro 70 migliama al manco tante canne)quand'ella fusse unafiammadoverci ascondere le stelle; il che vedendo noi ch'ella nonfacevaci parve avere argomento assai concludente per provar ch'ellanon fusse uno incendio. Ora il Sarsicurando poco o niente laprincipal sustanza di tutto questo ragionevolissimo discorsoappiccandosi a quel sol detto del signor Marioche la fiammellad'una candela non è trasparentesi persuade e promette lavittoriatuttavolta ch'ei possa mostrarela detta fiammella averpur qualche trasparenza; e dice che chi avvicinerà a quella unfoglio scrittosì che quasi la tocchie porràdiligente curapotrà vedere i caratteri: al che io aggiungo"tuttavolta ch'ei sia di vista perfettissima"perchéioche però non son loscostento a poterli vedereservendomi anco degli occhialiquanto più posso da vicino.

Èben vero che oltre alla dettamolt'altre esperienze adduce il Sarsi:tra le qualie per riverenza e per religiosa pietà e peresser ella di suprema autoritàdebbo primieramente farconsiderazione sopra quella che il medesimo Sarsi ripone nel primoluogopigliandola dalle Sacre Lettere. Doveinsieme co 'l signorMarionoto le parole della Scrittura precedenti alle citate dalSarsile quali mi par che dicano che avanti che il re vedessel'angelo e i tre fanciulli camminar per la fornacele fiamme fusserostate rimosse; ché tanto mi par che importino le parole delSacro Testoche son queste: "Angelus autem Domini descendit cumAzaria et sociis eiuset excussit flammam ignis de fornaceet fecitmedium fornacis quasi ventum roris flantem." È notochedicendo la Scrittura "flammam ignis"par che voglia fardistinzione tra la fiamma e 'l fuoco; e quando poi più a bassosi legge che il re vede caminar le quattro personesi fa menzionedel fuocoe non della fiamma: "Ecce ego video quatuor virossolutos et ambulantes in medio ignis." Ma perché iopotrei grandemente ingannarmi nel penetrare il vero sentimento dimaterie che di troppo grand'intervallo trapassano la debolezza delmio ingegnolasciando cotali determinazioni alla prudenza de'maestri in divinitàanderò semplicemente discorrendotra queste inferiori dottrinecon protesto d'esser sempreapparecchiato ad ogni decreto de' superiorinon ostante qualsivogliadimostrazione ed esperimento che paresse essere in contrario.

Eritornando all'esperienze del Sarsiper le quali ei ci fa vederetrasparir per varie fiamme diversi oggettidico che possoliberamente concederglitutto questo esser veroma di nessunosollevamento alla sua causa: per lo stabilimento della quale nonbasta che la fiamma interposta sia profonda un ditoe che glioggetti altrettanto vicini gli sienoné molto piùlontano il riguardanteo vero che gli oggetti sieno dentro allestesse fiamme ed anco nella parte bassapochissimo lucida; ma ha dibisogno (altrimenti resterà a piè) di farci toccar conmano ch'una fiammaancor che profonda centinaia e centinaia dibraccia e lontanissima dal riguardante e da gli oggetti visibilinonperò ce n'impedisca la veduta; ch'è quanto sedicessimoche gli faccia di mestier provare che la fiamma arrechiassai meno impedimento che se fusse altrettanta nebbiala qualnebbia è taleche trapostane non solo alla grossezza d'unditoma di quattro e sei braccianon arreca impedimento verunomain profondità di 100 o 200 asconde l'istesso Solenon che lestelle. E finalmenteio non mi posso contener di rivolgermi un pocoal medesimo Sarsiche si stupisce del mio inescusabil mancamentonell'uso dell'esperienze. Voi dunquesignor Sarsimi tassate percattivo sperimentatorementre nell'istesso maneggio errate quantopiù gravemente errar si possa? Voi avete bisogno di mostrarciche la fiamma interposta non bastacontro alla nostra asserzioneadoccultarci le stellee per convincerci con esperienze dite cheprovando noi a riguardar uominitizzonicarboniscritture ecandele posti oltre alle fiammesensatamente gli vederemo: némai v'è venuto in pensiero di dirci che noi proviamo a guardarle stelle? e perchéin buon'oranon ci avete voi detto allabella prima: Interponete una fiamma tra l'occhio e qualche stellaché voi né più né meno la vederete?Mancano forse le stelle in cielo? e questo è esser destro edavveduto sperimentatore? Io vi domando se la fiamma della cometa ècome le nostreo d'altra natura. Se d'altra natural'esperienzefatte nelle nostre non ànno forza di concludere in quella: seè come le nostrepotevate immediatamente farci veder lestelle per le nostrelasciando stare i tizzonifunghi e l'altrecose; e quando dite che dopo la fiammella d'una candela si scorgono icaratteripotevate dire che si scorge una stella. Signor Sarsichivolesse trattarla con voicome si dicemercantilmentecioècon una bilancia sottilissima e giustissimadirebbe che voi foste inobligo di fare accendere una fiamma lontanissima e grandissima quantola cometa e farci per essa veder le stelleatteso che e la grandezzadella fiamma e la lontananza dell'occhio da quella importanoassaissimo in questo fatto e se ne deve tener gran conto: ma ioperfarvi ogni agevolezza e vantaggiomi voglio contentare d'assai menoe voglio prepararvi mezi accommodatissimi per vostro bisogno. Eprimaperché l'essere la fiamma vicina all'occhio importaassai per vedere gli oggetti meglioin vece di porla remota quantola cometami contento d'una distanza di cento braccia solamente: inoltreperché la profondità e grossezza del mezosimilmente importa assaissimoin vece della grossezza della cometach'ècome sapetetante centinaia di bracciami basta quelladi dieci solamente: in oltreperché l'esser l'oggettoche siha da vederelucido arreca parimente vantaggio grandissimocome voimedesimo affermatemi contento che tale oggetto sia una stella diquelle che si vider per la chioma della nostra cometale qualistelleper vostro detto in questo luogosono di gran lunga piùchiare di qualsivoglia fiamma: e poise con tutti questi tanto perla causa vostra vantaggiosi apparecchi voi fate vedere per latrasparenza di cotal fiamma la stellavoglio confessarmi perconvinto e predicar voi pel più cauto e sottile sperimentatoredel mondo; ma non vi succedendonon ricerco altro da voi se non checol silenzio ponghiate fine alle disputecome spero che siate perfare: perché se mai v'accaderà di veder questa miascritturala qual rimane nell'arbitrio di questo Signorea chiscrivodi mostrarla a chi più gli piaceràvederetecome deve fare chi si piglia per impresa di volere essaminar glialtrui componimentich'è non lasciar cosa veruna senzaconsiderarlae non (come avete fatto voi) andar a guisa dellagallina cieca dando or qua or là tanto del becco in terraches'incontri in qualche grano di miglio da morderlo e roderlo.

Eper finir questa partenon potete negar d'aver voi medesimo compresoe confessato che dalle fiamme interposte qualche sensibileimpedimento anco per l'occhio vostro ne deriva; imperò che seniente assolutamente d'offuscamento arrecasserosenz'altriavvertimenti e cauteled'esser gli oggetti più o men lontanidalla fiammapiù o men lucidied esse fiamme nate piùda zolfo o d'acquavite che da paglia o da ceraavreste risolutamentedetto: "Sia la fiamma e l'oggetto qualunque si voglianessunoimpedimento ne nascema si vede come per l'aria libera e pura":ed oltre a questopoco più a basso parlando delle cose chenon risplendono per se stessecome le fiammema sono illuminate daaltridite che queste ancora impediscono la vista degli oggettidove la particola ancora mostra che voi concedete qualcheimpedimento nelle fiamme. Ma che più? se elle non puntoimpedisseroa chi mai sarebbe caduto in pensiero di dire ch'elle nonsieno trasparenti? Ci è dunqueanco per voi stessoqualchesensibil offuscazioncella (dico per voi stessoperché per noie gli altri l'impedimento è assai grande)e le vostreesperienze son fatte intorno a fiammelle così piccolecherisolutissimamente l'impedimento d'altrettanta nebbia sarebbe statodel tutto insensibile; adunque le vostre fiamme impediscono piùche altrettanta nebbia: ma tanta nebbia quanta è la profonditàdella cometavela e totalmente toglie la vista del Sole; adunquequando la cometa fusse una fiammadovrebbe esser bastante adasconderci il Solenon che le stelle: le quali ella non asconde;adunque non è una fiamma.

Eperché quanto per sostenere un falso sono scarsi tutti ipartititanto per istabilimento del vero soprabondano i contrariveriio voglio accennare a V. S. Illustrissima certo particolare perlo quale mi par che si confermil'opinion d'Aristotile esser falsa.Avvenga che natura di tutte le fiamme conosciute da noi è didirizzarsi all'in surestando il lor principio e capo nella parteinferiorese la barba della cometa fusse una fiamma ed il suo capofusse la materia ond'ella traesse originebisognerebbe che la chiomadirettamente si dirizzasse verso il cielo; dal che ne seguirebbe unadelle due cosecioè o che la chioma si vedesse sempre a guisadi ghirlanda intorno al capo (il che sarebbe quando il luogo dellacometa fusse altissimo)o vero (e questo accaderebbe quand'ellafusse poco lontana da terra) bisognerebbe chenel nascereprimanascesse l'estremità della barbaed in ultimo il capoedalzandosi verso il mezo del cieloquanto più il capo fussevicino al nostro zenittanto la barba dovrebbe apparire piùbrevee nel vertice stesso dovrebbe apparir nulla o circondante ilcapo intorno intornoe finalmente nell'andar verso l'occaso la barbadovrebbe parere rivolta al contrariosì che il capo sivedesse inclinare all'occidente prima di lei; altramentequando labarba andasse avanti come nel nascereconverrebbe che la fiammacontro alla sua naturale inclinazione e contro a quello che facevaquand'era nelle parti orientalirisguardasse all'ingiù. Matali accidenti non si veggono nella cometa e suo movimento; adunquenon è una fiamma.

"Illudetiam omitti non debeteodemquo Aristotelem urgetargumentoGalilæum premi. Sic enim ille: "Flammæ perspicuænon sunt; cometæ autem coma perspicua est; ergo flamma nonest." At ego adversus Galilæum sic: Luminosa perspicua nonsunt; cometæ coma perspicua est; ergo luminosa non est. Esseautem perspicuam indicant stellæeius interpositu nulla exparte celatæ. Prætereacomam hanc luminosam esse asseritidem Galilæusdum illam ex illuminato vapore existerecontendit; vapor enim illuminatus corpus est luminosum. Neque dicatloqui se de luminosis nativo ac proprio lumine fulgentibusnon autemde iis quæ lumen aliunde accipiunt. Nam hæc etiam rerumultra ipsa positarum aspectum impediunt: si enim pila aliqua vitreaaut amphoravino aut re alia quacumque plena fueritet luminiexponaturiis tantum partibus ex quibus lumen non reflectit necilluminata comparetvinum ostendet; ea vero parte qua lumen adoculum remittitnil nisi lucidum quid et candens spectandum offeret.Idem in aquis etiam a Sole illuminatis acciditin quibus pars illaqua Sol ad oculum reflectiturnihil ultra se positum videri patitur;reliquæ vero partes lapillos atque herbas in fundo subsidentesostendunt. Quare illuminatorum etiam corporum eritulteriora obiectavelare ne videantur; atque hæc etiam luminosa dici poterunt. Siergo hæc apud Galilæum nullam admittunt perspicuitatemper cometæ barbamvel luminosam vel illuminatamstellasvidere non possumus: at potuimus tamen: ergo et illuminata fuitcometæ barbaet perspicua.

Hæcego omnia eo libentius afferoquod ea facile quivis intelligatcumnon ex illis linearum atque angulorum tricis pendeantex quibus nonomnes æque facile se expedire norunt; hic enim si quis oculoshabeatingenii etiam huic abunde erit."

Quicom'ella vedevuol il Sarsi ritorcere il mio medesimo argomentocontro di me; ma quanto felicemente questo gli succedaanderemobrevemente essaminando. E primanoto com'egliper effettuar questasua intenzioneincorre in qualche contradizzione a se medesimoequello di che più mi meravigliosenza necessità. Disopraperché così compliva alla sua causafece ognisforzo di provar come le fiamme sono trasparentisì che peresse si possono veder le stelle; quiper convincermi colle mie armiavendo egli bisogno che i corpi luminosi non sieno trasparentisimette a provare così essere con molte esperienze; onde pareche e' voglia che i corpi luminosi sieno e non sieno trasparentisecondo che ricerca il bisogno suo: ed in questo inconvenientecad'egli senza necessità alcunaatteso chesenza dar purombra di contradizzione col mostrar di voler ora quello che poco faaveva negatobastava ch'ei dicesse (senza porsi egli stesso adimostrarlo) che noi medesimi avevamo affermato generalmentei corpiluminosi non esser trasparenti: né aveva occasione di temerch'io fossi per venire a distinzioni di luminosi per sé o peraltriimperò che io ho sempre creduto che tal ricorso nonserva se non per quelli che da principio non si son saputi bendichiarare; e se il signor Mario avesse fatto differenza tra questicorpi e quellisi sarebbe dichiarato a tempoe non avrebbeaspettato che l'avversario l'avesse avuto a fare accorto del suomancamento. Dico dunque ch'è verissimo che qualunqueilluminazioneo propria o esternaimpedisce la trasparenza delcorpo luminoso; ma non bisognasignor Sarsiche voi intendiate chedicendo noi cosìvogliamo inferire che per ogni minima luceil corpo che la riceve debba divenir così opaco com'èuna muragliama che secondo la maggiore o minor luciditàperda più o meno della trasparenza: e così veggiamo nelprincipio dell'aurorasecondo che la region vaporosa comincia aparticipare un pochetto di lumeperdersi le minori stelle; dapoicrescendo lo splendoreperdersi anco le maggiori; e finalmentenella massima illuminazionecelarsi quasi la Luna stessa. In oltrequando per qualche rottura di nuvole noi veggiamo scendere sino inTerra quei lunghissimi raggi di Solese voi porrete ben curavedrete notabil differenza circa lo scorgere le parti d'un monteopposto: imperò che quelle che sono oltre a i raggi luminosisi scorgono più offuscate dell'altre lateraliche non vengonoda essi raggi traversate. E così parimentescendendo unraggio di Sole per qualche finestrella in una stanza ombrosacometal or si vede per qualche vetro rotto in alcuna chiesatutti glioggetti oppostiin quella parte dove il raggio gli traversasiveggono meno distintamentementre però il riguardante sia inluogo onde ei vegga il raggio luminoso distintoil che non avvieneda tutti i siti indifferentemente. Orastanti queste cose veredico(e così si è sempre detto) potere esser che la materiadella cometa sia assai più sottil dell'aria vaporosae menoatta ad illuminarsiché così ne persuade il vederlanoi sparir nell'aurora e nel crepuscolotrovandosi il Sole ancoraassai sotto l'orizonte; sì chequanto alla luciditànon ci è ragione perch'ella debba asconderci le stelle piùdella region vaporosa. Quanto poi alla profonditàprimalaregion vaporosa è grossa molte miglia; dipoinoi non siamo innecessità di por la barba della cometa di smisurataprofonditànon avendo determinato né quanto sia ildiametro del caponé s'egli è rotondonéquanta sia la lontananza. Con tutto ciòquando anco altrivolesse porla profonda 8 o 10 miglianon si vede nascerneinconveniente alcuno; perché anco l'aria vaporosa in tanta emaggior profonditàed illuminata quanto la barba dellacometalascia veder le stelle.

"Illudpræterea a Galilæo Aristoteli obiiciturmale illum excometis prædicereannum fore non admodum pluviumsed siccumpotiusventorum etiam ingentem vim ac Terræ motus portendi.Cum eniminquitcometæ nihil aliud Aristoteli sint nisiigneshuiusmodi exhalationum veluti eluones voracissimisi nullasreliquias ab iisdem relinquendas dixerislonge sapientiuspronunciaris. Sed ego longe aliter sentiendum existimo. Nam si qua inurbe per fora ac vias magnam frumenti vim dispersam negligenterhaberiaut si forte vilissima quæque capita ac plebeculæsordes opipare semper epulari videas; an non inde tantam reifrumentariæ ac totius annonæ facultatem sapienter arguasut nulla ibidem in longum tempus metuenda sit inopia? Ita planedicendum. Atqui halituum sedes angustis ut plurimum terminisacveluti in horreo frumentumincluditur; neque ad illas plagasquibusvorax flamma dominaturfacile produciturnisi quando eorumdemingens copia inferioribus sedibus capi non potestaut forte iidemsicciores ac rariores effectiomnem aqueam exuerint qualitatem.Quare non inepte Aristoteles ex cometishoc est ex huiusmodiexhalationibus ad ignem usqueadeo non parce sed affluenterproductisintulitinferiora hæc omnia iisdem maxime abundare.Neque hinc sequiturab eo igne nullas eorumdem halituum reliquiasrelinquendas: is enim ea tantum absumitquæ supra non capacesinferioris sedis angustias ad ignis plagam elevantur; qui posteaignis non in alienas regiones irrumpitsed suo semper fixus in regnoea sibi vindicat quæ propius ad illum accesserint autquasi abhumidioribus impressionibus transfugaad illum defecerint: etpropterea potuit Aristoteles hinc etiam ventossicciorem annitemperiemaliaque huiusmodi prænunciare. De nostro certecometa si quis tale aliquid prædixissetpotuisset ab eventuipso id egregie confirmare; nam et annus siccior solito extititinsolentes ventorum vehementesque flatus experti sumusTerræmotibus magna Italiæ pars concussaidque alicubi non parvourbium atque oppidorum damno. Quid igitur? an non sapienter utaliamultahæc etiam Aristoteles enunciavit?"

L'essempioin virtù del quale crede il Sarsi di poter difendereAristotile e mostrar l'obiezzione del signor Mario invalidaa me parche non molto s'assesti al caso essemplificato. Che il veder per lestrade e per le piazze copia di biade arguisca esser di quellemaggiore abbondanza che quando non se ne veggonoha molto ben delragionevoleimperò che è in potere ed in arbitrio de ipadroni l'esporle ed il celarleedi piùil farne mostranon le consuma o diminuisce punto; i quali due particolari non ànnoluogo nel caso della cometa. E per avventura essempio piùproporzionato sarebbe se alcuno dicesse in cotal modo: che l'isolaCuba abbondi di cinnamomi e cannellece ne sia grand'argomento ilsapere che gl'isolani fanno fuoco di quelle continuamente. Ildiscorso è concludenteperchéessendo in arbitrioloro l'arderle o noquando ne avesser penuria l'userebbon percondimento solamentecome noi. Ma quando venisse avviso che i mesipassati per certo accidente si fusse attaccato fuoco nella gran selvade' cinnamomie che gl'isolani non furono potenti ad estinguer lefiammeritrovandosi in questo tempo assai lontani dal luogosìch'ella irreparabilmente arse; se alcun mercante da tale accidenteinsolito volesse a i nostri aromatarii pronosticare una straordinariaabbondanzapoi chedove per l'ordinario se ne abbruciano afascettiquesta volta si è fatto a boscaglie intere; io credoch'ei verrebbe reputato persona molto semplice: e quello che vedendodalle fiamme divorar le biade mature della sua possessionesirallegrasse e si promettesse d'essere per empire assai più delsolito i suoi granaipoi che ve n'è da abbruciare a moggiacredo che sarebbe tenuto stolto affatto. La materia di che si fa lacometa o è della medesima di che si producono i ventio èdiversa: se è diversanon si può dalla copia di quellaarguire abbondanza di questapiù che se alcuno dal vedermolt'uva si promettesse gran ricolta d'olio; se èdell'istessaattaccato che vi sia il fuocoarderà tutta.

"Quidporro ex his omnibus inferri non immerito possitnon ex mesed exGalilæo ipsoaudiendum censeo. Ille enimcum sua hæcexperimenta exposuissetaddidit: "Hæc nostra suntexperimentanostræ hæ conclusionesex nostrisprincipiis nostrisque opticis rationibus deductæ. Si falsaexperimentasi vitiosæ fuerint rationesinfirma ac debiliafutura etiam sunt dictorum nostrorum fundamenta." His ego nihilultra addendum existimo.

Atquehæc illa suntquæ mihi in hac disputationeob meam ergaPræceptorem observantiamdicenda proposui: quibus ostendicerte conatus sum primumiustam a Galilæo (atque hic princepsfuit scribendi scopus) querelarum materiam Præceptori meoaquo ille perhonorifice semper est habitusoblatam fuisse; deindelicuisse nobisin edita illa Disputationeper parallaxis ac motuscometici observationes eiusdem cometæ a Terra distantiammetiriatque ex tubo opticoparvum admodum cometæ incrementumafferentealiquid etiam momenti rebus nostris accedere potuisse;prætereanon æque eidem Galilæo licuissecometame verorum luminum numero excludereac severas adeo motus rectissimileges eidem præscribere; ad hæcconstare ex hisaëremad cæli motum moveriattericalefieri atque incendi posseexmotu per attritionem calorem excitarinulla licet pars attriticorporis deperdaturaërem illuminari possequotiescunquecrassioribus vaporibus admisceturflammas lucidas simul esse atqueperspicuasquæ Galilæus ita se habere negavit; falsadenique deprehensa experimenta illaquibus fere unis eiusdem placitanitebantur. Hæc autem innuere potius quam fusius explicarevoluicum neque plura exigi viderenturut pateret omnibusnequeulli in Disputatione nostra a nobis iniuriam illatamneque nosinfirmis rationibus ductos eamquam proposuimussententiam cæterisomnibus prætulisse."

Quicom'ella vedeil Sarsi fa due cose: la prima contiene implicitamenteil giudicio che altri deve fare della debolezza de' fondamenti dellanostra dottrinaappoggiandosi ella sopra esperienze false e ragionimanchevolicom'egli pretende d'aver dimostrato; aggiunge poinelsecondo luogoun catalogo e racconto delle conclusioni contenute nelDiscorso del signor Mario e da sé impugnate econfutate. In risposta alla prima parteioad imitazion del Sarsiliberamente rimetto il giudicio da farsi circa la saldezza dellanostra dottrina in quelli che attentamente avranno ponderate leragioni e l'esperienze dell'una e l'altra parte; sperando che lacausa mia sia per esser favoreggiata non poco dall'aver io di puntoin punto essaminato e risposto ad ogni ragione ed esperienza prodottadal Sarsidov'egli ha trapassata la maggior parte e la piùconcludente di quelle del signor Mario. Le quali tutte io avevo fattopensiero (ed era in contracambio del catalogo del Sarsi) di registrarnominatamente in questo luogo; ma postomi all'impresami èmancato e l'animo e le forzevedendo che mi saria stato bisognotrascriver di nuovo poco meno che l'intero trattato del signor Mario.Peròper minor tedio di V. S. Illustrissima e miohorisoluto più tosto di rimetterla ad un'altra lettura di quellostesso trattato.

 

ILFINE