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Antonio Fogazzaro


IL SANTO






Cap. 1

LACD'AMOUR

 

Jeanne si posò aperto sulleginocchia il volumetto sottile che stavaleggendo presso la finestra. Contemplòpensosa dentro la ovale acquaplumbeadormente a' suoi piediilpassar delle nubi primaverili chead ora ad ora trascoloravano lavillettail giardino desertoglialberi dell'altra spondale campagnelontanea sinistra il ponteadestra le quiete vie che si perdevanodietro il "Béguinage"e i tettiacuti della grande mistica mortaBruges. Ah se quella "Intruse" dicui stava leggendose quella funereavisitatrice movesse orainvisibileper la cittàsepolcralese le rughe brevi dell'acquaplumbea fossero l'orma suas'ellatoccasse già la rivala sogliadella villettacon il suo sospiratodono di sonno eterno! Suonaronole cinquesu supresso le bianchenubimagiche voci d'innumerevolicampane cantarono sopra le caselepiazzele vie di Bruges ilmalinconico incantesimoche ne eternail sapore. Jeanne si sentì sugli occhi due mani frescheun'auraprofumata sul visoe sui capelliun alitoun sussurro «"encoreune intruse!"»un bacio. Non parvesorpresa. Alzò la mano adaccarezzare il viso chino sopra di lei edisse solamente:

«AddioNoemi. Magari fossi tul'"Intruse"!»

La signorina Noemi non intese.

«"Magari"?»diss'ella. «E' italianoquesto? Non è arabo? Spiegatisubito.»

Jeanne si alzò.

«Non capiresti lo stesso»diss'ella con un sorriso triste. «Dobbiamofare il nostro esercizio diconversazione italianaadesso?»

«Maprego!»

«Dove sei andata con miofratello?»

«All'Ospitale di San Giovanni asalutare Memling.»

«Beneparla di Memling. - Noprima dirmi se Carlino ti ha fattodichiarazioni.»

La signorina rise.

«Sìmi ha dichiarato laguerra e io gli.»

«"E io a lui"si dice.- Vorrei che s'innamorasse di te» soggiunseJeanneseria. La signorina aggrottòle ciglia.

«Io non vorrei» diss'ella.

«Perché? Non èsimpatico? Non ha spirito? Non è colto? Non è distinto?Ed è anche riccopoisai.Disprezziamo pure la ricchezzama è unacosa comoda.»

Noemi d'Arxel posò le mani sullespalle dell'amica e la guardò nellepupille. Gli azzurri occhi indagatorierano gravi e tristi. I bruniocchi indagati sostenevano quellosguardo con fermezza lampeggiante avicenda di sfida di cruccio e di riso.

«Intanto» disse lasignorina «il signor Carlino mi piace per vedereMemlingper suonare a quattro manimusica classica e anche per farmileggere Kempisbenché questosuo nuovo amore di Kempis pare unaprofanazione pensando che crede niente."Je suis catholique autantqu'on peut l'être lorsqu'on nel'est pas"eppure quando sento unmiscredente come tuo fratello leggereKempis così beneperdo quasianche la mia fede cristiana! Gli vogliopoi bene perché è tuofratelloma è tutto! Ohquestasignora Jeanne Dessalle dice qualchevolta cose... cose...! Non sonon sonon so. Ma "warte nurduRätsel"mi diceva la miaistitutrice. Aspettaenigma!»

«Cosa devo aspettare?»

Noemi cinse di un braccio il colloall'amica:

«Io ti sonderò l'animacon una sonda che porterà su perle tantogranditanto belle e anche forsequalche algaqualche poco di fangodel fondo e forse una piccolissima"pioeuvre".»

«Non mi conosci» replicòJeanne. «Sei la sola personafra i mieiamiciche non mi conosce.»

«Giàsolamente quelli cheti adorano ti conosconopenso ioeh? Ohsìquesta è una manìache haidi credere che tutta la gente tiadora.»

Jeanne fece la solita boccuccia dibambina infastidita.

«Che sciocca!» diss'ella. Esubito corresse la parola con un bacio euna smorfiamezza sorrisomezzalamento.

«Le donne!» riprese. «Ledonneti ho sempre dettomi adorano! Vuoidire che non mi adoritu?»

«"Mais point du tout!"»esclamò Noemi. Jeanne brillò negli occhi dimalizia e di dolcezza:

«In italiano si dice: sìdi tutto cuore!»

I fratelli Dessalle avevano passatol'estate precedente a MalojaJeanne studiandosi di essere unacompagna gradevolenascondendoquanto poteva la sua insanabile piaga;Carlino cercandonelle oremistichea Sils Maria e nei dintornile tracce di Nietzschefarfalleggiando nelle ore mondane didama in damapranzando spesso aSaint Moritz e persino a Pontresinafacendo musica con un addettomilitare dell'ambasciata germanica diRoma e con Noemi d'Arxeldiscorrendo di religione con la sorellae il cognato di lei. Le duesorelle d'Arxelorfaneerano belghedi nascitaolandesi di originee protestanti. La maggiore di esseMariaaveva sposatodopo unidillio singolare e poeticoil vecchiopensatore italiano GiovanniSelvache sarebbe popolare in Italiase gl'italiani avessero maggioreinteresse per gli studi religiosi;poiché il Selva è forse il piùlegittimo rappresentante italiano delcattolicismo progressista. Mariasi era fatta cattolica prima delmatrimonio. I Selva passavanol'inverno a Romail resto dell'anno aSubiaco. Noemiserbatasifedele alla religione de' suoi padrialternava Bruxelles conl'Italia. Ora la vecchia istitutricecolla quale vivevaera morta aBruxelles da un mesealla fine dimarzo. Né Giovanni Selva né suamoglie avevano potutoper unaindisposizione del primovenire adassistere Noemi in quei frangenti.Jeanne Dessalleche si era legataparticolarmente a Noemiaveva persuasoil fratello a un viaggio nelBelgioda lui non conosciutoe quindiofferto ai Selva di recarsi aBruxelles in loro vece. Così eraavvenuto che Noemi si trovasse con iDessalle a Bruges verso la fine diaprile. Vi abitavano una villettain riva al breve specchio d'acqua chechiamano "Lac d'amour". Carlinosi era innamorato di Bruges eparticolarmente del "Lac d'amour" cometitolo di un romanzo che andavasognando di scriveresenza tenerneancora in mente molto più che lacompiacenza profetica di avermostrato al mondo uno squisito eoriginale magistero di arte.

«"En tout cas"»replicò Noemi «di tutto cuoreno!»

«Perché?»

«Perché il mio cuore losto dedicando a un'altra persona.»

«A chi?»

«A un frate.»

Jeanne trasalìe Noemiconfidente dell'amicadel suo insanabileamore per l'uomo scomparsoprobabilmente sepolto in qualche ignotasolitudine claustraletremò diavere sbagliato il tono dell'esordiodi un discorso che aveva in mente.

«A propositoMemling!»diss'ella arrossendo forte. «Dobbiamo parlaredi Memling!»

Lo disse in francese e Jeanne lesussurrò:

«Sai che devi parlare italiano.»

Gli occhi suoi erano così tristie amari che Noemi non parlò italianole disseancora in francesetantecose tenereimplorò una parolabuonaun bacioebbe l'una e l'altro.Non riuscì a rasserenare Jeanneche tuttaviablandendo a due manil'amica lungo l'arco dei capelli eguardando il proprio lavoro amorosolediceva piano che non temessedi averla ferita. Tristesì loera. Che novità! Verogaia non eramaiNoemi lo ammise; oggi peròle nuvole interne parevano più dense.

Colpa della "Intruse"forse.Jeanne fece «proprio!» con un viso e unaccento che significavano comel'"Intruse" colpevole della suamalinconia non fosse quella immaginariadel libro ma la Falciatriceterribile in persona.

«Ho avuto una letteradall'Italia» diss'ella dopo avere debolmenteresistito alle domande pressanti diNoemi. «E' morto don GiuseppeFlores.»

Flores? Chi era? Noemi non lo ricordavapiù e Jeanne la rimproverò conacerbitàcome se una talesmemoratezza la rendesse indegna del suoufficio di confidente. Don GiuseppeFlores era il vecchio prete venetoche le aveva portato a villa Diedol'ultimo messaggio di PieroMaironi. Ella lo aveva credutoconsigliere all'amante della sua uscitadal mondo e non le era bastato difargli un'accoglienza gelidaloaveva trafitto di allusioni ironicheall'azione suaproprio degna diun ministro della infinita Pietà.Il vecchio le aveva risposto contanto lumenelle parole gravi e soavidi sapienza spiritualeil suobel viso si era fattoparlandocosìaugustoch'ell'aveva finito condomandargli perdono e pregarlo divenire qualche volta da lei. C'erainfatti ritornato due volte e mai ellanon s'era trovata in casa.

Allora lo aveva visitato lei nella suavilla solitaria e di quellavisitadi quella conversazione colvecchio tanto alto d'intellettotanto umile di cuoretanto caldonell'animatanto verecondo e quasitimido nella parolaserbava ricordinon cancellabili. Egli era mortole scrivevanodonandosi dolcementealla Divina Volontà. Poco prima dimoriredurante una notte interaavevasognato senza tregua le paroledel servo fedele nella parabola deitalenti: «ecce superlucratus sumalia quinque» e l'ultima voce erastata: «non fiat voluntas mea sedtua». Chi le aveva scritto nonsapeva che malgrado certi turbamentidel senso internomalgrado certiassalti di desideri religiosiJeanne respingevatantoinesorabilmente quanto in passatoIddio el'immortalità umana comeillusioni eternech'ell'andava di quando inquando a messa per non darsi l'ariaspiacente di libera pensatrice enon per altro.

Ella non raccontò a Noemi queiparticolari della morte di don Giuseppema li ripensava con l'oscuro sensomortalmente amarodi una benaltra sorte che le sarebbe toccatas'ella pure avesse potuto crederecosìperché in fondoall'anima di Piero Maironi vi era sempre statauna religiosità atavica e oggiella era convinta che confessandoglila sera dell'eclissidi non credereaveva scritto la propriasventura nel libro del destino. Epensava un'altra taciuta parteangosciosa della lettera venutadall'Italia. Si vedeva il suo soffrirebenché non lo dicesse. Noemi leposòle fermò silenziosamente lelabbra in frontevi sentìl'occulto dolore che accettava la suapietàsi sciolse infine dalbacio lenta lentaquasi temendo guastarqualche delicato filo tra le congiunteanimemormorò:

«Forse questo vecchio buonosapeva dove... Credi che fosse inrelazione... ?»

Jeanne accennò di no. Nelsettembre successivo al luglio doloroso ilsuo disgraziato marito era morto aVeneziadi "delirium tremens".

Ella era andata a villa Floresnell'ottobre e là nello stesso giardinodove anche la marchesa Scremin eravenuta aprendo a don Giuseppe ilsuo povero vecchio cuore tribolatogliaveva espresso il desiderioche Piero sapesse di questa mortesapesse di poter pensare a leiseciò gli avvenisse maisenzaombra di colpa. Don Giuseppe l'avevaprima dolcemente sconsigliata dalperdersi dietro a quel sognoe poile aveva dettocon sinceritàinterache nessuna notizia gli erapervenuta mai di Piero dal giorno dellasua scomparsa.

Temendo altre domandeschiva disentirsi toccar la ferita da maniinesperteJeannedesideròuscire dall'argomento.

«Raccontami pure del tuo frate»diss'ella. Ma proprio allora si udìnell'anticamera la voce di Carlino.

«Adesso no» rispose Noemi.«Stasera.»

Carlino entròfasciato il collodi seta biancabrontolando contro il"Lac d'amour" che infine erauna grandissima corbellaturae infettavapoi anche l'aria di piccole creatureodiosevelenose per le suetonsille.

«Già» diss'egli.«L'amore stesso non vale meglio.»

Noemi gli volle proibire di parlardell'amore. Luiparlarneche nonlo intendeva! Carlino la ringraziò.Stava appunto per innamorarsi dileine aveva avuto una paura enorme.Queste parole venute prestopresto dopo l'apparizione di certadisordinata piuma sopra un cappellodetestabile e dopo certa frasemoltoborghesemente ammirativasuquel povero diavolo noioso diMendelssohnlo avevano salvato "àjamais". I due si scambiaronoaltre impertinenze e Carlino fu tantobrioso malgrado le tonsille infetteche la signorina d'Arxel lofelicitò per il suo romanzo.

«Si capisce che va bene»diss'ella.

«Che! Punto!» risponde ilromanziere. Non andava punto beneanziaveva dato nelle secche di unasituazione disperata. Lo sapeval'esofago dell'autore che ci aveva lìdue personaggi incapaci discendere e di risalireuno grasso ebuonol'altro sottile epungentesimilissimo alla signorinad'Arxel. Gli pareva di averinghiottito insieme un fico e un'apecome certo disgraziato contadinotoscano che n'era morto in quei giorni.L'ape capì che aveva voglia diparlarnelo punse e lo ripunse tantoche infatti ne parlò. Il suoromanzo poggiava sopra un caso curiosodi contagio spirituale. Ilprotagonista era un prete francese diottant'annipiopuro e dotto.

Francese? Perché francese? Ma!Perché il personaggio abbisognava dicerto colore di fantasia poeticadicerta mobilità sentimentaleequeste belle cose non si trovano in unprete italianosecondoCarlinoa sgusciarne mille. Accadevaun giorno a questo prete diconfessare un uomo di grande ingegnocombattuto da terribili dubbicirca la fede. A confessione finita ilpenitente se n'andavatranquillo e il confessore rimanevascosso nelle credenze proprie. Quidoveva seguire un'analisi minuta elunga dei successivi stati dicoscienza di questo vecchiocheaspettava la morte di giorno ingiorno con lo sgomento di uno scolareil quale attenda nell'anticameradella scuola il suo turno di esame enon si trovi più in testa niente.

Egli capita a Bruges. Qui l'ostileinterruttrice esclamò:

«A Bruges? Perché?»

«Perché io sono il suoPapa» rispose Carlino «e lo mando dove voglio.

Perché a Bruges c'è unsilenzio di anticamera dell'Eternitàe quelcarillonche in fondo comincia aseccarmipuò anche passare per unrichiamo di angeli. Finalmente perchéa Bruges c'è una signorinabrunettasottilealta e che si puòanche dire intelligente benchéparli l'italiano male e non capisca lamusica.»

Noemi porse le labbra e arricciòil naso.

«Che sciocchezza!»diss'ella.

Carlino proseguì dicendo che nonsapeva ancora comema che insommain qualche modola brunetta sarebbediventata penitente del vecchioprete. Noemi protestò ridendo:come mai? allora non era lei!Un'eretica? Confessarsi? Carlino sistrinse nelle spalle. Dramma difollia piùdramma di folliamenoprotestantesimo e cattolicismoerano la stessa cosa. Dunque il vecchioprete ritroverebbe la sua fedeantica nel contatto di quella semplicee sicura di lei. Qui Carlinoaperse una parentesi nel suo raccontoper confessare che veramente nonsapeva che qualità di fedeavesse Noemi. Ella arrossìrispose cheaveva la fede protestante. Protestantesì; ma semplice? Ma sicura?Noemi s'impazientì.

«Insomma sono protestante»diss'ella «e Lei non si occupi della miafede!»

In fatto Noemi era molto ferma nellapropria religione non per virtùdi ragionamenti ma per affettoriverente alla memoria dei genitoriein cuor suo non aveva approvato laconversione della sorella.

Carlino tirò avanti. Unainfluenza mistica del sesso conduce ilvecchio a ricercare un'armonia di animecon la fanciulla. «Chepasticcio!» fece Noemi con ilsolito atto delle labbra. E Carlino tiròimperterrito avanti. Il fineil nuovolo squisito del suo libro eral'analisi appunto di questa reconditainfluenza del sesso sul vecchioprete e anche sulla fanciulla.

«Carlino!» fece Jeanne.«Cosa ti viene in mente? Un vecchio diottant'anni?»

Carlino guardò in aria come perdire a qualche invisibile amicosuperiore:

«Non capiscono niente!»

Il suo desiderio era d'invecchiareancora il prete e dargliene novantadegli annifarne una specie di essereintermedio fra l'uomo e lospiritoche avesse negli occhi leprofondità nebulose delle coseeterne imminenti. E la signorinaavrebbe nel sangue quella misteriosa inclinazione comuneai vecchinon rarissimanel suo sessoch'è il verostigma della nobiltà femminileper il quale la donna si distinguedalla femmina. Carlino si sentiva inmente delle cose divine a dire suquesto mistico senso che attrae lafanciulla di ventiquattro anniverso l'uomo di novantasacerdotequasi già eternatodiafanononperò curvo né tremolo néinfiacchito nella voce. Si vedono di questivecchioni che lo spirito alto erigeinvitti dal tempo. Ma comefinirebbe poi tutto ciò? NéNoemi né Jeanne sapevano immaginarlo. EhgiàCarlino lo aveva ben dettofin dal principioil fico e l'ape chenon potevano né scendere nérisalire. Se ne consolava però. Questanecessità di finirein fondoèun pregiudizio da droghiere. Cosafinisce mai al mondo? Va benedicevanole signorema il libro devepure avere una fine. Oh certo! L'ultimascenadi bellezza ineffabilesarebbe una passeggiata notturnaalchiaro di lunadel prete e dellagiovine per le vie di Brugesdove leloro anime si aprirebbero aconfidenze quasi di amantia sogniquasi di profeti. I due sitroverebbero a mezzanotte davanti alleacque addormentate del "Lacd'amour"ascolterebbero immobiliil suono mistico del carillon sottole nuvole e avrebbero allora larivelazione vaga di una sessualitàdelle loro animedi un avvenire diamore nella stella Fomalhaut.

«Perché mai proprio inFomalhaut?» esclamò Noemi

«Lei è insopportabile!»rispose Carlino. «Perché è un nome deliziosoha il suono di una parola indurita dalgelo tedesco ma piena di animache si scioglie nel sole di Oriente.»

«Dio mioche chimica! A me piaceAlgol.»

«Lei e il Suo pastore andranno inAlgol.»

Noemi risee Carlino si appellòa Jeanne. Quale stella preferiva?Jeanne non sapevanon aveva fattoattenzione. Carlino ne fuirritatissimoparve volerlarimproverare non tanto della distrazionequanto degli occulti pensieri che nefossero in colpaequasitemendo dir troppola mandò ameditarea sognarea scrivere lafilosofia del fumo e delle nuvole. Mapoi quand'ellanientemalcontentase n'andavala richiamòper domandarle se almeno avesseudito come il romanzo si sarebbechiuso. Sìquesto lo aveva udito:con una passeggiata dell'eroina edell'eroe per Brugesal chiaro diluna.

«Bene» fece Carlino«siccome stasera c'è lunaio ho bisogno dipasseggiare dalle dieci a mezzanottecon Noemi e te per prender note.»

«Debbo vestirmi da prete?»rispose Jeanneuscendo. Noemi volevaseguirla ma la stessa Jeanne la pregòdi rimanere. Rimase per dire aCarlino ch'egli era indegno di unasimile sorella. Carlino andò apescare nel portamusica un fascicolo diBach brontolandole che lei nonsapeva nientenon sapeva niente.Scaramucciarono alquanto e neppureBach li poté pacificare subito;per un bel pezzo tennero duroanchesuonandoa insolentirsiprima perJeannepoi per le note sbagliate.

Finalmente il musicale rivo limpido chele loro collere rompevano comesassi spumeggiantile soverchiòcorse via lisciospecchiando cieloe idilliache sponde.

 

Jeanne si portò in cameral'"Intruse"ma non la lesse più. Anche lasua camera guardava il "Lacd'amour". Sedette presso la finestracontemplando di là da un pontedi là da vette spoglie di alberitondeggianti fra casa e casailfantasma piramidale di una torrealtissima velata di nebbiolineazzurrognole. Udiva discorrerepietosamente la vena limpida di Bach epensava a don Giuseppe colmalinconico senso di chi si allontanaper sempre da una casa dilettae vi torna con lo sguardo ogni momentoe ad una svolta del cammino nevede sparire l'ultimo angolol'ultimafinestra. La sua tristezzaaveva una viva punta inquieta. Leavevano scritto che fra le carte delmorto si era trovato un plicosuggellato con questa soprascritta disuo pugno: «Da consegnarsi percura del mio esecutore testamentarionelle mani di Monsignor Vescovo.»L'incarico era stato adempiuto evoci uscite dall'episcopio dicevano chefossero nel plico una letteradi don Giuseppe a Sua Eccellenza e unabusta suggellata con la scrittadi altra mano: «Da aprirsi dopola morte di Piero Maironi.» Riferivanopure questo motto del Vescovo:«Speriamo che il signor Piero Maironid'ignota dimoraricomparisca per farcisapere che è morto.»

Jeanne ignorava che Pietro Maironiprima della notte in cui erafuggito di casa senza lasciare tracciadi séavesse consegnato a donGiuseppe il racconto scritto di unavisione della propria vita nelfuturo e della propria mortevisionepure ignorata da leiavuta daPiero nella chiesetta vicina almanicomio dove sua moglie stavamorendo. Che mai poteva contenere labusta suggellata? Certo unoscritto suo; ma quale? Una confessioneprobabilmentedelle suecolpe. Il concetto e la forma dell'attorispondevano bene al suomisticismo innatoal predominio dellasua fantasia sulla ragionealla sua fisonomia intellettuale. Treanni erano corsi dal giorno incui Jeannedisperataa Vena di FonteAltasi era detto che nonavrebbe più voluto amare Piero eche niente altro mai avrebbe potutoamare al mondo. Ancora lo amava cosìe ancoracome in passatologiudicava col suo intellettoindipendente dal cuore: indipendenza caraal suo orgoglio. Lo giudicavaseveramente in tutte le sue azioniintutto il suo contegnodal momento incui lo aveva conquistato di vivaforza nel monastero di Praglia sino almomento in cui le loro labbrasi erano congiunte presso la vascadell'Acqua Barbarena. Egli si eramostrato incapace di amareincapace diagireirresoluto femmineonella mobilità dell'animo. Eccolo era stato fino all'ultimofemmineo; femmineoinetto a esercitarealcuna critica virile sulproprio isterismo mistico. Vi era forsein questo giudizio unasincerità imperfettaun eccessodi acerbità volutoun proposito vanodi ribellione contro il prepotenteinvincibile amore.

Se si era fatto frateJeanne prevedevache si sarebbe pentito. Eratroppo sensuale. Passato un primoperiodo di dolore e di fervorelasensualità si sarebberisvegliatalo avrebbe ricondotto alla rivoltacontro una fede radicata piuttosto nelsentimento e nelle abitudinidell'età prima chenell'intelletto. Ma si era veramente fatto frate?Jeanne pensò che la torrecolossale di "Notre-Dame" colla sua sottilepunta saettata nel cieloe le muratristi del "Béguinage"e ilpovero stagnante scuro "Lacd'amour"e lo stesso silenzio solennedella città morta lesignificassero di sìma che sarebbesuperstizioso di creder loro.

 

«Dove andiamo?» chieseJeannealle diecimettendo i guantimentreCarlinodato a tenere a Noemi un capodella sua sciarpa sesquipedaleben tesase ne fermava l'altroall'occipite e rotava poi sul proprioasse come un fusosino a farsi ilcollo più grosso della testa. «E ilprete di novant'anni ho proprio a esserio?»

Carlino si arrabbiò perchéNoemi rideva e non teneva tesa a dovere lasciarpa.

«Tu o lei non importa»risposequando Noemifermatagli la sciarpacon uno spillolicenziò ilromanziere in fasce. «E andate dovevolete! Purché adesso si vadaverso il centro e si ritorni per l'altrolato del Lac d'amour. E parlate diqualche cosa che v'interessimolto.»

«Presente Lei?» fece Noemi.«Com'è possibile?»

Carlino le spiegò che non sisarebbe accompagnato a loroche leavrebbe seguite col taccuino e lamatita alla mano. Bisognava però chesostassero di tratto in tratto a piacersuoe ches'eglisignificasse loro qualche altra suavolontàobbedissero.

«Va bene» disse Noemi.«Intanto andiamo al "Quai du Rosaire" a vederei cigni.»

Si avviarono verso "Notre-Dame"Carlino dietro le signorea ventipassi. In principio fu un continuobattibeccoper le vie desertefral'avanguardia e la retroguardia.L'avanguardia camminava troppo fortee Carlino: «A novant'anni? Anovant'anni?» oppure ridevae Carlino:

«Ma che fate? Ma che fate?Zitto!» oppure si fermava a guardar unachiesa anticale cuspidii pinnacolistrani al chiaro di lunailcimitero accanto alla chiesaeCarlino: «Ma parlatediscorretefatequalche gesto! Niente il nasoall'aria!» Dall'avanguardia venivano leribellioni; le più acerbedaNoemi. Ella si voltò sul "Dyver"battendo i piedi e protestando divolersene ritornare a casa se ilnoiosissimo romanziere in fasce non lasmetteva con i suoi comandi erimbrotti. Allora Jeanne le sussurrò:

«Parlami del tuo frate.»

«Ahil fratesì!»rispose Noemi e gridò a Carlino che l'avrebberoaccontentato ma che stesse piùlontano.

Dal "quai du Rosaire" non sivedevano più i cigni che Noemi avevascorti la mattina pavoneggiarsi nelcanaleturbandovi con le scielente i languidi spettri diquell'accozzaglia di case e casucce chelevano dall'acquacome bestie satollele lunghe facce orecchiuteeguardano stupidequale a un versoquale a un altronella custodiadell'imminente torrione delle "Halles".Ora la luna batteva di sghemboalle casestampava sulle une l'ombradelle altree glorificavacomignoli e pinnacolil'aguzzocappello da mago caldeo di una vecchiatorricciuolae sopra la intera scenail sublime diadema ottagonaledella torre possente; ma non toccaval'acqua nera. Tuttavia Jeanne eNoemichine sulla sbarra delparapettoguardarono a lungoNoemiparlando semprenell'acqua nera; tantoa lungo che Carlino ebbe tempodi riempire tre o quattro pagine delsuo taccuino e anche di disegnarei fregi onde un ambizioso mercantebrugitano cinse sulla facciatadella propria casa le cifre dell'annomemorabile 1716in cui fuveduta per la prima volta dal soledalla luna e dagli astri.

Il frate era un benedettino delmonastero di Santa Scolastica inSubiaco. Si chiamava don Clemente. Eraun conoscente dei Selva.

Giovanni lo aveva incontrato la primavolta per caso sul sentiero diSpellopresso certe rovine. Gli avevachiesto della viaeran venutia discorrere. Mostrava aver passato dipoco i trent'anniaveva modi easpetto signorili. Il discorso erastato prima delle rovinepoi deimonasteri e della Regolapoi direligione. Dalla stessa voce delbenedettino spirava come un aroma disantità. Si sentiva però in luiuno spirito avido del sapere e delpensiero moderno. Si erano lasciaticol desiderio reciproco e la promessadi rivedersi. A Giovanni erastata benefica l'aura spirituale delgiovine monaco illuminato nelviso da una bellezza interna; e ilgiovine monaco aveva sentito ilfascino della cultura religiosa diGiovannidegli orizzonti che labreve conversazione aveva pure apertialla sua fede cupida di lumerazionale. Giovanni aveva intesoparlare a Subiaco di un giovine dinascita nobilevenuto a vestir l'abitobenedettino in SantaScolastica per la morte di una donnaamata. Non dubitava che fosselui. Ne aveva poi chiesto ad altrimonaci senza poterne cavar niente.

Ma si erano riveduti più volte etrattenuti lungamente insieme.

Giovanni aveva prestato dei libri a donClemente e don Clemente eravenuto a casa Selvaaveva conosciutoMaria. Vi si era rivelatomusicistaaveva suonato un «Salmodell'aurora» composto da lui perorgano e cantodopo aver udito Selvaparagonare il lento manifestarsidel soledal primo punto rutilante frai vapori alla gloria trionfaledel mezzogiornocon il manifestarsilento di Dio dal fumolampeggiante intorno agli alti dirupidel Sinai fino alla gloriatrionfale che ancora tutta non si èsvolta nello spirito dell'uomo.

Un'altra volta Giovanni gli avevaproposta certa questione già da luidibattuta con Noemi: se le anime umaneall'uscir di questa vita sienosubito fatte conscie della loro sortefutura. La risposta di donClemente era stata che dopo la morte...

A questo punto della narrazione diNoemiCarlino domandò se dovessepiantare lì tre tabernacoli perpassarvi la notte. Le signore sirizzarono e si avviarono per la "ruedes Laines".

«La risposta» riprese Noemi«era stata che probabilmente dopo la mortele anime umane si troveranno in unostato e in un ambiente regolati daleggi naturali come in questa vita;dovecome in questa vital'avvenire potrà prevedersi perindizisenza certezza.»

Un viandanteche avevano incontratoall'entrata della stretta viatenebrosatornò indietro eripassando accanto alle signorele guardòfisso. Jeanne pretese di aver paura diquell'uomosi fermòchiamòCarlinopropose di ritornare a casa.La sua voce era veramentealteratama Carlino non poteva credereche avesse paura. Paura diche? Non vedeva là davantiapochi passii lumi della "GrandePlace"? Egli conoscevadel restoquell'uomo e lo avrebbe posto nelsuo romanzo. Era il fratello di Edithdal collo di cigno ora spiritodelle tenebrecondannato a vagare lanotte per le vie di Bruges inpena di avere tentata la seduzione diSanta Gunhildsorella di reHarold. Ogni volta che Carlino si eraavventurato la notte per iquartieri più deserti di Brugesaveva veduto aggirarvisi come a casoquell'uomo sinistro.

«Bel modo» fece Noemi «dirassicurare la gente!»

Carlino si strinse nelle spalle edichiarò che l'incontro era statofortunato perché gli aveva fattovenire in mente il nome di Gunhildper la sua eroinaNoemi essendo unnome da suocera.

Nell'ombra nera delle "Halles"enormitorreggianti da manca sullavial'uomo sinistro ritornato sui suoipassi sfiorò quasi il fiancodi Jeanne che stavolta rabbrividìdavvero. In quel mentre leinnumerevoli campane suonarono fra lenubi sopra il suo capo.

Ella strinse convulsivamentesenzaparlareil braccio di Noemi.

Attraversarono la piazza in silenzio.Carlino le mise per una via asinistrapure deserta ma tutta chiaradella luna imminente ai dentaticulmini bruni delle case. Jeannemormorò alla sua compagna:

«Affrettiamoritorniamo a casapresto.»

Ma Carlinoudendo un suono di musicada ballo venire dall'"Hôtel deFlandre"ordinò loro difermarsi e diede di piglio al taccuino. Noemistava dicendo qualche cosa dell'"Hôtelde Flandre"dove avevaalloggiato anni primaquando Jeanne ledomandò di scatto:

«E' Maria che ti scrive unastoria tanto lunga?»

Noemi risposenon sorpresa mapiuttosto trepidante:

«SìMaria.»

«Non capisco» replicòJeanne «perché si sia presa tutta questa briga.»

Noemi non rispose. Carlino diedel'ordine di rimettersi in cammino.

S'incamminarono e Noemi non parlava.

«Eh?» riprese Jeanne.«Perché si sarà presa tutta questa briga?»

Noemi non parlò. Jeanne lescosse il braccio che teneva ancora.

«Non rispondi? Cosa pensi?»

Benché ambedueoratacesseronon udirono Carlino che gridava dipiegare a sinistra. Egli sopraggiunsearrabbiatole spinsetempestandoper le spallealla voltadi un'altra viaed esseubbidirono senz'accorgersi mai diquelle voci né di quel modo.

«Non rispondi?» ripetéJeanne fra risentita e attonita.

Noemi le strinse il braccio alla suavolta.

«Aspettiamo di essere a casa»diss'ella.

Carlino gridò:

«Fermatevi sotto gli alberi.»

Ma Jeanne si fermò subitonell'affacciarsi a un improvviso largoapiccoli alberia un gran fianco dicattedrale vetustabattuto dallaluna. Si fermò e allungando ilbraccio che teneva sotto quello diNoemile afferrò la manoledisse vibrando affannosamente:

«Noemidimmelo subito; hairaccontato qualche cosa a tua sorella?»

Carlino gridò che potevanofermarsi anche lìma che simulassero undiscorso interessante.

Noemi rispose all'amica un sìcosì deboleche Jeanne capì tutto.

Maria Selva credeva che il suo fratequesto don Clementefosse PieroMaironi.

«OhSignore!» esclamòstringendo forte forte la mano di Noemi. «Ma lodicelo diceanche?»

«Cosa?»

«Ehcosa!»

Santo cieloche ci voleva per farlaparlar chiaroquesta creatura?Jeanne si sciolse da lei che subitospaventatale si riappiccò albraccio.

«Brave!» gridòCarlino. «Ma non troppo!»

«Perdonami!» supplicòNoemi. «E' un dubbiodopo tuttoè unacongettura. Sìlo dice.»

«No!» fece Jeannerisolutascotendo via il dubbio e la congettura.

«Non è luinon èpossibile. Non è mai stato musicista!»

«Nononon sarà luinonsarà lui» si affrettò a dire Noemisottovoceperché venivaCarlino. Questi sopraggiunselodòespresseil desiderio che si inoltrasserolentamente fra gli alberi.

Sotto gli alberi Jeanne si dolsequasisdegnosamenteche l'amicaavesse aspettato quel momento a farleun discorso simileche nonavesse parlato primain casa. E tornòa protestare che questobenedettino non poteva essere Maironiche Maironi non era mai statomusicista. Noemi si giustificò.Aveva avuto in animo di parlare alritorno dall'Ospitale di San Giovannidalla visita ai MemlingmaJeanne era già tanto triste!Però ne avrebbe parlato se non fossevenuto Carlino. E oraa passeggiointerrogatanon aveva saputoschermirsi. Sequando erano fermepresso l'"Hôtel de Flandre"Jeannenon avesse ricondotto il discorso aquel temasarebbe stata finitaelei Noeminon ne avrebbe riparlato chea casa.

«E tua sorella crede proprio...?»disse Jeanne.

EccoMaria dubitava. Pareva che il piùpersuaso fosse GiovanniGiovanni era certo; almeno Mariascriveva così. A questa risposta diNoemi Jeanne scattò. Come potevaesser certosuo cognato? Che nesapeva? Maironi non era capace dimetter giù un accordosul piano.

Ecco la bella certezza! Noemi osservòsommessamente che in tre annipoteva avere imparatoche i fratihanno interesse a educare deimusicisti per l'organo.

«Allora lo credi anche tu?»esclamò Jeanne. Noemi balbettò un "non so"così incerto che Jeanneagitatissimadichiarò di voler partiresubito per Subiacodi voler sapere.C'era già l'intelligenza conMaria Selva di condurle sua sorella.Adesso penserebbe lei apersuadere Carlino di partireimmediatamente. Noemi si mostròspaventata. Suo cognato non avrebbevoluto che la Dessalle venisse piùa Subiacotanto per la pace di leiquanto per la pace di donClemente. Noemi aveva la missione difarle comprendere la convenienzadi una tale rinuncia. Selva era guaritoe offriva di venir lui aprendere la cognata; anche nel Belgiose fosse necessario. Ella siprovò a combattere intantol'idea di partire subito. Non fece cheirritare Jeannela quale protestòe riprotestò che i Selvas'ingannavano; né seppe darealtra ragione del suo violento resistere.

Carlinoudito un aspro «basta!»di sua sorellaaccorse. Litigavanoil prete e la signorina? Adesso chedovevano cominciare le tenerezzemistiche?

«Ci lasci in pace» risposeNoemi. «A quest'ora il Suo prete dinovant'anni sarebbe morto dieci voltedi stanchezza. Non ci dia piùordini. Guiderò io che conoscoBruges meglio di Lei. E Lei stia centopassi indietro.»

Carlino non seppe replicare che «ohoh! - oh oh! - oh oh!» e lad'Arxel si portò via Jeanneavviandosi lungo la cancellata del piccolocimitero di "Saint-Sauveur".Le parve giunto il momento di metterfuori l'ultima rivelazione.

«Credo che Giovanni abbiaragionesai» diss'ella. «Questo donClemente è di Brescia.»

Allora Jeannepresa da un impeto didolorecinse con un braccio ilcollo dell'amicaruppe in singhiozzi.Noemiatterritala supplicòdi chetarsi.

«Per amor di DioJeanne!»

Questa le domandòfra unsinghiozzo soffocato e l'altrose Carlinosapesse. Oh noma che direbbe adesso?

«Qui non può vedere»singhiozzò Jeanne. Erano nell'ombra della chiesa.

Noemi ammirò che Jeanneinpreda a quell'emozionese ne fosseaccorta.

«Per caritànon sappianiente! Per carità!»

Noemi promise di non parlare. Jeanne sivenne a poco a poco chetando efu la prima a muoversi. Ahesser solaesser sola nella sua camera!La vista della torre di "Notre-Dame"saettante il cielo con la gugliaaffilata le fece male come la vista diun nemico vincitore eimplacabile. Lo comprendeva beneadessosi era illusa per tre anni dinon avere più speranza. Comesoffriva e si dibatteva la sua speranzacreduta mortacome si ostinava atempestarle nel cuore: nonononsi è fatto fratenon èlui! Ella strinse con uno spasimo di desiderioil braccio di Noemi. La voceconsolatrice si affievolìvenne meno.

Probabilmente era luiprobabilmentetutto era proprio finito persempre. Il silenzio della nottelatristezza della lunala tristezzadelle vie morteun'aria gelida ches'era levataconsentivano con ipensieri amari.

Oltrepassata di poco "Notre-Dame"ecco ancora scivolar lungo il murodalla parte ombrosa della vial'uomosinistro. Noemi affrettò ilpassodesiderosa ella pure di arrivarea casa. Quando Carlino siavvide che le signore andavano dirittealla villetta invece di pigliaril ponte che conduce all'altra spondadel "Lac d'amour"protestò.

Come? E l'ultima scena? Avevanodimenticato? Noemi voleva ribellarsima Jeannetrepidante che Carlinovenisse a scoprire qualche cosalapregò di cedere.

«Sul ponte» gridòCarlino «fermatevi due minuti!»

Si appoggiarono alla sbarraguardandol'ovale specchio dell'acquaimmobile. La luna si era nascostadietro le nuvole.

«Questa illunità èdivina per me» disse Carlino. «Ma ora io darei metàdella mia gloria futura perchénelle nuvole si aprisse una piccolafinestra con una piccola stella nelmezzoche si potesse vederenell'acqua. Voi non sapete immaginarecome mi verrà quest'ultimocapitolo. Sentite. Sul "quai duRosaire" voi guardavate i cigni.»

«Ma non c'erano» interruppeNoemi.

«Non importa» ripreseCarlino. «Voi guardavate i cigni illuminatidalla luna.»

«Ma la luna non battevasull'acqua» fece ancora Noemi.

«Ma che importa?» replicòCarlinoseccato. E siccome Noemi osservòche allora era inutile di trascinarleattorno per Bruges a quell'oraegli paragonò poeticamente ilsuo studio preparatoriole sue notequasi fotograficheall'aglio che incucina serve ma in tavola non siporta. E continuò a dire deicigni e della luna.

«Voi avete allora paragonato ilcandor vivente e il candor morto. Ilvecchio prete vien fuori con questasquisita cosa che forse il candorevivo della giovinetta irradia i suoipensieri scoloraticome i suoicapellida un principio di morte ech'egli si sente ora nell'animaun'alba di candore tepido. Mormora poifra sé involontariamente:"Abisag". Allora la fanciulladice: "Chi è Abisag?" perché èignorantecome voi due che non conoscete Abisagil mio primo amore. Il pretenon rispondesi avvia con la ragazzaper la "rue des Laines". Elladomanda ancora chi sia Abisag e ilvecchio tace. Ecco quell'ombratorvanerache vache vieneche sidilegua al suono delleventiquattro campane.»

«Non è esatto»mormorò Noemi. Carlino fu per dirle: stupida!

«Il prete» proseguì«paragona quell'ombra nera a uno spirito malignoche va e viene intorno agli spiriticandidivoi non capite il legamema il legame c'èavido dicacciarvisi a star dentro lui con altripeggiori di lui. Poiqui il legame nonl'ho ancora trovato ma lotroveròsi viene a parlardell'amore. Voi avete attraversato la"Grande Place". Questa seranon c'era la musicama di solito c'è esuppongo che allora vi si faccia moltoall'amore cogli occhi come intutto il mondo. Il vecchio torrione eil vecchio prete mostrano certaindulgenza; invece la giovinetta trovastupide queste formedell'amorele sdegna. E' l'amore dellaterradice il prete. Ed eccol'"Hôtel de Flandre"la musica del ballo di nozze.»

«Come?» esclamòNoemi. «Era un ballo di nozze?»

Carlino strinsescrollò ipugnisoffiando dall'impazienza; eproseguìdopo un sospiro:

«La giovinetta domanda: vi èun amore del cielo? Allora io vi ho dettodi fermarvi sotto gli alberi di"Saint-Sauveur" e voi vi siete invecefermate all'entrata della piazza. Fanientesi vedeva la cattedralebasta. Il prete risponde sìviè un amore del cielo. La maestà dellacattedrale anticadella nottedelsilenziolo esalta. Egli parla.

Io non posso dirvi adesso la suatiratal'ho in mente assai confusama insomma il succo è questo cheanche l'amore del cielo nasce sullaterra e che non vi matura mai. Ilvecchio si lascerà andare quasi adelle confessioni. Confesseràcol petto ansantecolla parola accesadi aver sentitonon particolariinclinazioni a personenéinclinazioni da doversene vergognarema un'aspirazione intellettualee morale a congiungersi con unafemminilità incorporea che fossecomplemento dell'essere suo incorporeorestandone però insieme tantodivisa da poter intercedere amore fral'una e l'altro.»

«Misericordia!» mormoròNoemi. Carlino si era tanto riscaldato che nonla udì.

«Pare al vecchio» diss'egli«d'intravvedere in questa unione unatrinità umana simile allaTrinità divina e trova quindi giustotrovasanto che l'uomo vi aspiri. Finalmenteegli tacetutto pienotuttofremente delle cose che ha dette; es'incammina verso "Notre-Dame". Lafanciulla gli prende il braccio. Eccol'uomo sinistrolo spiritotentatore. Lo avete ben veduto! Dite setutto questo non è bentrovatonon è combinato bene!Il vecchio e la fanciulla lo sfuggonomacome il cieloanche il loro cuoresi oscura. Adesso mioccorrerebbe un finestrino nellenuvoleuna stellina nel mezzo. Ilvecchio e la fanciulla guarderebberosilenziosi la stellina tremolarenel "Lac d'amour" e tantimovimenti secreti dei loro pensierimetterebbero capo a quest'idea: forseoltre le nuvole della Terralàin quel mondo lontano!»

Jeanne non aveva mai detto parola némostrato di fare attenzione alracconto di suo fratello. China sullasbarraguardava nell'acquascura. A questo punto si rizzòimpetuosamente.

«Ma tu non lo credi!»esclamò. «Tu lo sai che sono illusionisogni!Tu non vorresti mai che io credessicosì! Saresti capace dicacciarmi!»

«No!» protestòCarlino.

«Sì! E per fare dellabella letteratura ti metti a fomentare anchequesti sogni che snervano giàtanto la genteche sviano già tantodalla vita vera! Non mi piace niente!Un incredulo come te! Unopersuasocome sono persuasa iochenoi siamo bolle di saponeche sibrilla un momentoe poi si ritornanon nel niente ma nel tutto!»

. «Io?» rispose Carlinointontito. «Io non sono persuaso di niente.Io dubito. E' il mio sistemalo saibene. Se adesso uno mi dicesseche la religione vera è quelladei Cafri o quella delle Pelli Rossedirei: forse! Non le conosco! Io vedola falsità di quelle che conoscoe per questo non vorrei certo che tudiventassi cattolica sul serio.Cacciarti di casapoi...!»

«Intanto ci posso andareprimadi esserne cacciata?»

Così dicendoJeanne prese ilbraccio di Noemi. Carlino pregò chefacessero il giro del "Lacd'amour". Chi saforse intanto siaprirebbe il finestrino nel cielo. Citeneva. Noemi espresse ildubbioricordando la conversazione dipoche ore primache allafinestra ci venisse proprio lasignorina Fomalhaut.

«Già» fece Carlinopensieroso. «Non avevo più pensato a Fomalhaut. Senon sarà Fomalhaut adessosaràFomalhaut allora.»

Ma Noemi non aveva finito con le suedifficoltà. Se alla finestra nonci venisse nessuna stellanégrandené piccola? A questoCarlinotrovò subito rimedio. La stellaci sarà. Potrà essere telescopicaperduta in una profonditàimmensama ci sarà. La fanciulla non lavede; la vede il pretecon i suoiocchi di presbite decrepito. Dopola vede anche la fanciullaper fede.

«E così quella poverafanciulla» disse Jeanne amaramente «sulla fededi un vecchio prete mezzo cieco vedràdelle stelle che non ci sonoperderà il suo buon sensolasua giovinezzala sua vitatutto. Lafarai bene seppellire li al"Béguinage"dopo?»

E si avviò con Noemisenz'attendere la risposta.

Fatto il giro del "Lac d'amour"le due signore si trattennerolungamente sull'altro ponte; ma nessunfinestrino si aperse nel cielo.

Il torrione lontano delle "Halles"il campanile enorme di "Notre-Dame"una tozza torre imminenteallo stagnogli acuti comignoli del"Béguinage" sidisegnavanovenerabile concilio di alti vecchionisulle nubi lattee. Carlinonon potendofar di meglioincominciò unragionamento ad alta voce sul posto piùopportuno per la sua finestra.

«Che giorno èoggi?»chiese Jeanne all'amicasottovoce.

«Sabato.»

«Domani parlo a Carlinolunedìe martedì si regolano tante cosemercoledì si fanno i bagagli egiovedì partiamo. Puoi scrivere a tuasorella che saremo a Subiaco l'altrasettimana.»

«Non decidere così!Pensaci!»

«Ho deciso. Voglio sapere. Se èluinon lo impedirò nel suo cammino.

Ma voglio vederlo.»

«Ne riparleremo domaniJeanne.Non decidere ancora.»

«Ho pensato e ho deciso.»

Mezzanotte suonò al torrionedelle "Halles"; suonò nelle nuvolealungoil solenne canto malinconicodelle innumerevoli campane. Noemiche prima voleva insisteretacquepiena il cuore di sgomento; comese quelle malinconiche voci del cielonotturno parlassero a lei di undestino dell'amica suadi un destinodi amore e di doloreche sidovesse compiere.

 

 

 

Cap. 2

DONCLEMENTE


La luce veniva menonello studio diGiovanni Selvasul tavolinoingombro di libri e di carte. Giovannisi alzòaperse la finestra diponente. L'orizzonte ardevadietro ilprossimo Subiacosulla obliquafuga dei monti Sabini che da Rocca diCanterano e Rocca di Mezzo vannoverso Rocca San Stefano. Subiacol'aguzza catasta di case e casupolegrigie che si appunta nella Rocca delCardinalesi era velata diombranon si moveva fronda degli uliviaffollati a tergo dellavilletta rossa dalle persiane verdiritta in testa dello scogliotondo cui la pubblica via cinge alpiede; non si moveva fronda dellagran quercia pendente al suo fiancosopra il piccolo oratorio anticodi Santa Maria della Febbre. L'ariaodorata di erbe selvagge e dipioggia recentespirava fresca daMonte Calvo. Erano le sette e unquarto. Nella conca bella che l'Anieneriga le campane suonarono;prima la grossa di Sant'Andrea poi lequerule di Santa Maria dellaValle e in altoa destradallachiesetta bianca presso la grandemacchiaquelle dei Cappuccinipoialtre ancoralontane. Unafemminile voce sommessasoaveunavoce di venticinque annidisseall'uscio socchiuso alle spalle diGiovanniquasi timidamenteinfrancese:

«Posso venire?»

Giovanni si volse a mezzosorridendostese un braccioraccolse estrinse a sé la giovine signorasenza rispondere.

Ella sentì che non dovevaparlareche suo marito seguiva con l'animala luce moribonda e il canto misticodelle campane. Gli piegò il caposull'omero e solo dopo un minuto disilenzio religiosogli dissepiano:

«Diciamo la nostra preghiera?»

Una stretta del caro braccio lerispose. Né le labbra di lei né quelledi lui si apersero. Soltanto gli occhidell'una e dell'altroingrandirono aspirando all'Infinitosicolorarono di riverenza e ditristezzadei pensieri che non sidicononell'incerto futurodelleporte oscure che mettono a Dio. Lecampane tacquero e la signora Selvapose negli occhi del marito gli azzurrisuoiavidigli porse labocca. La testa canuta dell'uomo e labionda della donna sicongiunsero in un lungo bacio cheavrebbe fatto stupire il mondo.

Maria d'Arxel si era innamorata aventun anno di Giovanni Selva peraverne letto un libro di filosofiareligiosatradotto in francese.

Scrisse all'ignoto autore parole tantocalde di ammirazione che Selvale rispose accennando ai suoicinquantasei anni e ai suoi capellibianchi. La signorina replicòche sapeva che non offriva né chiedevaamoreche avrebbe soltanto desideratoqualche rigo di tanto in tanto.

Le sue lettere lucevano d'ingegnoinfuocato. Giunsero a Selvamentr'egli si dibatteva in una oscuracrisiin una lotta amarissimache non accade raccontare qui. Pensòche questa Maria d'Arxel potevaessere una stella di salute. Le scrisseancora.

«Sai che anniversario èoggi?» disse Maria. «Ti ricordi?»

Giovanni ricordava; era l'anniversariodel loro primo incontro. Le dueanime si erano rivelate l'unaall'altranella corrispondenzasino alfondocon indicibili ardori disincerità; e le persone non si eranovedute che nei ritratti. Sin dallaquarta o dalla quinta letterascambiataGiovanni aveva chiesto allasignorina sconosciuta il suo;attesatemuta domanda. La signorinaconsentì a patto di riavere tostola fotografiae spasimò fino ache non le giunse di ritorno conparole dolcissime dell'amico rapitodalla giovanilità intellettualeappassionatadel viso di leidalladolcezza degli occhi grandidalla eleganza del busto. Poiquandosi erano accordatid'incontrarsivenendo lui dal lago diComo e lei da BruxellesaHergyswylpresso Lucernaerano statefebbri di terrori per l'uno eper l'altra. Ella pensava:

«Il ritratto piacque ma lemovenze della persona verauna lineauncolore delle vestiil mododell'incontrole parole primeil tonodella voce possono forse distruggerd'un colpo il suo amore.»

Egli pensava:

«Conosce il mio viso guasto dagliannii miei capelli bianchili amanei ritratti; ma ogni giorno piùmi sciupa: forseal vedermiquestoincredibile amore cadrà di uncolpo.»

Egli era giunto a Hergyswyl qualche oraprima di lei col piroscafo;ellapartita il mattino da Basileaviera arrivata nel pomeriggio.

«Sai» soggiunse Maria«quando non ti vidi alla stazione il mio primosentimento fu di piacere; tremavotanto! Il secondo noil secondo fudi terrore.»

Giovanni sorrise.

«Questo non me lo hai mairaccontato» diss'egli.

La giovine moglie lo guardòsorrise alla sua volta.

«Anche tuforsenon mi haidetto proprio tutto tutto di queimomenti.»

Giovanni le prese il collo fra le manile mormorò all'orecchio:

«Vero.»

Ella trasalìrise di avertrasalitoe Giovanni rise con lei.

«Cosacosa?» diss'ellarossa in visomalcontenta e tuttaviaridente. Suo marito le sussurròancorain tono di grande mistero:

«Che avevi il cappello indisordine.»

«Nonon è vero! Non èvero!»

Scintillante di riso e fremente insiemeall'idea di un gran pericolocorso senza saperloella protestòche non era possibileche si eratanto guardataprima di arrivare aHergyswylnello specchietto delsuo "nécessaire".

E riandarono insiemescherzandobaciando ella spesso il petto di luied egli i capelli di leiogni momentodi quell'ora passata da dueanni. Giovanni non l'aveva attesa allastazione dov'era una folla divilleggiantima pochi passi lontanosulla via dell'albergo. L'avevaveduta venirealtasnellacon unapiccola fronda in seno di "oleafragrans"il segno convenutoleera andato incontro a capo scopertosi erano stretta la mano forte fortesenza parlare. Egli aveva fattocenno al portiereche seguiva con lavaligia della viaggiatricediprecederli. Poi si erano incamminatiadagiostretti alla gola da unaemozione senza nome. Ell'avevasussurrato per la primacon la suavoce dolce e fine di dama:

«"Mon ami".»

Allora egli aveva parlatosommessamentecon parole rottedella suaebbrezzadel suo amoredel suorapimentoe non si era poi accortodi avere oltrepassato l'albergo e perben due volte né l'una nél'altro avevano udito il portierechiamarli alle spalle: «"Monsieur!Madame! C'est ici! C'est ici!"»Poi la viaggiatrice era salita nellasua camerasorridentema pallida distanchezza e di mal di capo.

Giovanni aveva ripreso a passeggiarefra gli orti e i frutteti pianidi Hergyswyla casorespirando dauomo spossato per l'eccesso delsentirebenedicendo ogni sasso e ognifoglia del verde angolo diterra stranierail lago che gli dormein senola follain facciadelle grandi religiose montagnebenedicendo Iddio che gli avevadonatoalla sua etàun taleamore. Ed era ritornato prestotroppoprestoall'albergo. I due soli ospitidel piccolo albergo in quelgiorno di maggioun vecchio professoretedesco e sua figliaeranosaliti al Pilato. Nel salottino dilettura non c'era nessuno. In quelsalottino Maria e Giovanni avevanopassato due ore felici tenendosiper manoparlando a bassa vocepalpitando spesso di paura chequalcuno entrasse.

«Ti ricordi» disse Maria«che nel salottinodi fianco al canapé doveeravamo sedutici stava un caminetto?»

«Sìcara.»

«E che faceva freddo benchéfosse maggiotanto che un cameriere èvenuto ad accendere il fuoco?»

«Sìe mi ricordo cheallora ti ho fatto piangere.»

«Potresti ripeterlaoggiquellacosa?»

«Oh no!»

Così dicendo Giovanni baciòriverente la bianca fronte della donna suacome una cosa santa. Quando a Hergyswylil cameriere era venuto adaccendere il fuoco nel salottinoGiovanni aveva lasciato la manodilettaeindugiandosi coluiavevadetto: «il vecchio ceppobrucierà bene sino alla finemachi sa quanto possa durare la vampagiovine?» Maria non avevarispostolo aveva guardato con occhidilatatioffuscati nel freddo toccodell'ingiusto sospettocomevetri di una serra infocata nel toccodel gelo esterno.

NoGiovanni non aveva mai piùpensata una cosa simile. Si dicevanospessoegli e Mariache non v'eraforse sulla terra un'altra unionecome la loroaltrettanto piena epenetrata di paceper la sicurezzasolennemente grave e dolce checomunque Iddio avesse a disporre leesistenze loro dopo la mortecertol'uno e l'altro spirito sarebberostati congiunti nell'amore della DivinaVolontà. Però non lasciavanodi confidare al Signore il sospirodell'anima. La preghiera cheavevano dianzi pregata insiemecontemplandola nel proprio internoerastata composta da Giovanni e dicevacosì:

«Padresia di noi come pregòGesù l'ultima sera; una vita con Esso ein Voiper l'eternità.»Eran due e uno anche in presentenel sensopiù stretto ed esatto dellaparolaperché pure nella loro unitàspirituale si vedeva la dualità;come a una corrente cerulea talvoltasi confonde una corrente verde e nelprimo lor fluire commistobalenano qua e là rotte ondatecolor di boscorotte ondate color dicielo. Giovanni era un mistico che diogni amore umano si faceva incuore un'armonia col divino. Suamoglievenuta per lui dalprotestantesimoa un cattolicismoassetato di ragionegli si erainfusa quanto aveva potuto nell'animamistica; ma in lei l'amore diGiovanni soverchiava ogni altrosentimento. Ella era riccaegliagiato; vivevano tuttavia quasipoveramenteper aver modo diliberalità larghel'inverno inRomadall'aprile al novembre inSubiaconella modesta villetta di cuiavevano appigionato il secondopiano. Non spendevano abbondantementeche in libri e nellacorrispondenza. Giovanni preparavaun'opera sulle ragioni della moralecristiana. Sua moglie leggeva per luiscriveva suntipigliava note.

«Mi piacerebbe tanto andare aHergyswyll'anno venturo» diss'ella.

«Vorrei che tu vi scrivessil'ultimo capitolo del libroil capitolodella Purità!»

Giunse le manicosì dicendofelice nella visione del paeselloappiattato fra i meli in fondo alpiccolo golfodel lago serenodelle grandi montagne religiosedigiorni tranquilli dati al lavoro ealla contemplazione in pace. Conoscevatutto il disegno dell'opera disuo marito e la tesi di ogni capitolocon i suoi principali argomenti.

Il capitolo della Purità lepiaceva più di tuttiper la forte tramarazionale. Suo marito intendeva porvi esciogliervi questo problema:

«Perché il Cristianesimoesalta come un elemento di perfezione umanala rinuncia che contraddice alle leggidella Naturache travaglial'uomo di lotte fierissime senzagiovare a nessunoche a possibilivite umane chiude la viadell'esistere?» La risposta doveva discenderedallo studio del fenomeno morale nellesue origini storiche e nel suosviluppocui erano dedicati i primicapitoli dell'opera. Selva vidimostrava con l'esempio de' bruti chesi sacrificano per la prole oper i compagni del branco e sonotalvolta capaci di unionistrettamente monogamichecome nellanatura animale inferiore lostimolo morale si palesi e si vengasviluppando in antagonismo con glistimoli dell'istinto corporeo. Egli visosteneva l'ipotesi che sielaborasse così progressivamentenelle specie inferiori la coscienzaumana. Si proponeva ora di rifarsi daqueste conclusioni e determinareil principio generale che la rinunciaal piacere corporeo per unasoddisfazione di ordine superioresignifica sforzo della specie versouna superiore forma di esistenza.Avrebbe quindi esaminato il fattostraordinario di quegl'individui umaniche agli stimoli del piacerecorporeograndementeringagliarditiperlacomplicitàdell'intelligenza e della immaginazionecol sensocontrappongonoenergie di rinuncia più fortiancorasenz'altro obbietto che dionorare la Divinità. Avrebbedimostrato che parecchie religioni neforniscono esempiche la rinuncia vi èglorificatache resta peròsempre un atto libero dell'individuo.Avrebbe riconosciuto che sarebbeatto biasimevole e stolto se nonrispondesse a un misterioso impulsodella stessa natura dell'elemento dettospirituale che persistenell'antico antagonismo con gli stimolidell'istinto corporeo pereffetto di una legge cosmica. Inconscicollaboratori di Colui chegoverna l'Universogli eroi dellarinuncia suprema si credono dionorarlo col semplice sacrificiomentre incarnano in fattogiusta ilDivino Disegno la energia progressivadella speciepreparano alproprio elemento spirituale il poteredi crearsi una forma corporeasuperiorepiù simile ad esso;onde la purità loro è perfezione umanaè altezza in cui la naturanostra culmina e tocca i nebulosi principiid'una ignota natura sovrumana.

«Se io penso alla Puritàincarnata» disse Giovanni «mi vedo davantidon Clemente. Ti ho detto che vienealla riunione di stasera? Scenderàsubito dopo cena.»

Maria trasalì. «Oh!»diss'ella«e io che dimenticavo! Mi ha scrittoNoemi. Partiva da Milano iericon iDessalle. Si fermano a Roma forseun paio di giorni e poi vengono.»

«Te ne sei ricordata perchého nominato don Clemente» disse Giovannisorridendo.

«Sì» rispose suamoglie «ma peròsai che non credo.»

L'alta frontegli occhi azzurri di donClemente tanto sereni e puricome avrebbero conosciuta la passione?Anche nella voce sofficesommessaquasi timida del giovinebenedettinoerasecondo Mariauntroppo delicato pudoreun candoretroppo virgineo.

«Non credi» replicòGiovanni «e forse avrai ragioneforse non saràMaironi. Però stasera converràpure fargli saperein qualche modoche questa signora Jeanne Dessalle staper venire a Subiaco e chevisiterànaturalmenteiConventi. E' anche il padre foresterariolui; dovrebbe accompagnarla.»

Di questo non c'era dubbio. Loavvertirebbe leiMaria. Poiché non locredeva l'amante della Dessallelesarebbe più facile di parlarglienecon semplicità. Che cosaterribileperòse fosse veramente luiMaironie nessuno l'avvertisse e sitrovassero improvvisamente afronte nel monasteroegli e questadonna! Era certoGiovanniche ilfrate venisse alla riunione? Sìn'era certissimo. Don Clemente neaveva ottenuto il permesso dal PadreAbate stando luiGiovannialmonastero; e glielo aveva detto subito.Verrebbe e condurrebbe secoquel garzone ortolano di cui gli avevaparlatoper farglieloconoscere. Così un'altra voltal'ortolano verrebbe solo egl'insegnerebbe a rincalzar le patatenel campicello dietro la villache Giovanni aveva pure preso inaffitto per lavorarlo con le propriemani. Questa del lavoro manualeerauna piccola mania di Giovannivenutagli tardiche dispiaceva un pocoa Mariaparendole cosa nonpiù conveniente alle sueabitudinialla sua età. La rispettavaperòe tacque. In quel momento la ragazza diAffile che li serviva entrò adavvertire che quei signori stavanosalendo la scalae che la cenasarebbe pronta subito.

Tre persone salivano infatti per lascaletta a chiocciola del villino.

Giovanni scese loro incontro. Il primoera il suo giovine amico diLeynìche si scusòsalutandolodi precedere i compagnidueecclesiastici.

«Sono il cerimoniere»diss'egli. E li presentò lì sulla scala.

«Il signor abate MarinierdiGinevra. Don Paolo Farèdi VaresecheLei conosce già di nome.»

Selva rimase un po' perplesso ma poi siaffrettò a far salire i suoivisitatorili avviò allaterrazza dov'erano già disposte delle sedie.

«E Dane?» diss'egliinquietoa di Leynì pigliandolo a braccetto. «Eil professor Minucci? E il padreSalvati?»

«Son qui» rispose ilgiovine sorridendo. «Sono all'"Aniene". Leracconteròè tutta unastoriaverranno subito.»

Intanto l'abate Marinier esclamavauscendo sulla terrazza.

«"Ohc'est admirable!"»

E don Paolo Farèda buoncomascomormorava: «Sìbellobello» coltono discreto di chi pensa: «Mase vedeste il mio paese!»

Sopraggiunse Mariasi rinnovarono lepresentazioni e di Leynìraccontò la sua storiamentreMarinier girava i piccoli occhiscintillanti per il paesaggiodallapiramide di Subiacoquinta foscadel chiaro sfondo di ponenteaiprossimi carpineti selvaggi delFrancolano che serrascuro e grandeil levante.

Don Farè divorava con gli occhiSelval'autore di scritti critici sulVecchio e Nuovo Testamentoeparticolarmente di un libro sulle basidella futura teologia cattolicacheavevano innalzata e trasfiguratala sua fede. La storia del barone diLeynì era che alla stazione diMandela tirava un gran ventoche ilprofessore Dane temeva forte diesservisi buscata un'infreddaturachesospettando di non trovarecognac in casa di un odiatoredell'alcool come il signor Selvaedessendo anche l'ora in cui solevapigliare ogni giorno due uovas'erafermato all'Albergo dell'"Aniene"per avere le uova e il cognac; chesulla terrazza della trattoriaversoil fiumec'era troppa aria enegli stanzini attigui troppo poca; chesi era fatto servire il suopasto in una camera dell'albergo eaveva rimandato le uova due volteche loro erano partiti a piedilasciando il professore Minucci e ilpadre Salvati a tenergli compagnia.

Poiché il delicatofreddolosoprofessore Dane non c'eraGiovannipropose di cenare sulla terrazza. Nesmise però subito l'idea vedendoche garbava poco all'abate di Ginevra.L'elegantemondano Marinieramico di Daneaveva la stessa cura delproprio individuoconmaggiore dissimulazione e senza scusedi salute. Non aveva cenatoall'"Aniene" con l'amico suoperché la cucina dell'"Aniene" gli eraparsain una sua prima visita aSubiacotroppo semplicee speravadalla signora Selva una cena francese.Di Leynì sapeva bene quanto lasperanza fosse fallace; maliziosamentenon lo aveva istruito. Nelsalottino da pranzo appena ci capivanoi cinque commensali. Guai sefossero venuti anche gli altri due! Perverità né l'abate Mariniernédon Farè erano attesi. Altriinvecemancava. Mancavano un frate e unpreteuomini conosciutiche avrebberodovuto venire dall'altaItalia. Si erano scusati l'uno el'altroper letteracon vivorincrescimento di Selva e di Farèpuree del di Leynì. Marinier siscusò invecedi essere venuto.Era stato Daneil colpevole. E perdon Paolo Farè il colpevole erastato di Leynì. Selva protestò. Amicidi amicicome non sarebbero graditi? Etanto di Leynì quanto Danesapevano di potere accompagnare personedi loro fiduciapersone chedividessero le loro idee. Maria nonparlava; Marinier le piaceva poco.

Anche le pareva che Dane e di Leynìavrebbero fatto bene a non portarealtri senza avvertire. ParlòMarinierdopo aver esplorato con gliocchiaggrottando lievemente lesopraccigliauna zuppa di fave.

«Io non so» diss'egli «serecheremo noia alla signora Selvadiscorrendo un poco adesso di quelloche sarà poi il discorso dellariunione.»

Maria lo rassicurò. Ella nonavrebbe partecipato alla riunione mapigliava moltissimo interesse alloscopo.

«Bene» proseguìMarinier«allora sarà molto utile per me che ioconosca esattamente questo scopoperché Dane me ne ha parlato non contanta precisionee io non posso esseresicuro di dividere le vostreidee in tutto.»

Don Paolo non seppe trattenere un gestod'impazienza. Anche Selvaparve un po' seccatoperchédavvero un consenso in certe ideefondamentali era necessario. Senza diesso la riunione poteva riescirepeggio che inutilepericolosa.

«Ecco» diss'egli«siamoparecchi cattoliciin Italia e fuorid'Italiaecclesiastici e laicichedesideriamo una riforma dellaChiesa. La desideriamo senzaribellionioperata dall'autoritàlegittima. Desideriamo riformedell'insegnamento religiosoriformedel cultoriforme della disciplina delcleroriforme anche nelsupremo governo della Chiesa. Perquesto abbiamo bisogno di creareun'opinione che induca l'autoritàlegittima ad agire di conformità siapure fra ventitrentacinquant'anni.Ora noi che pensiamo così siamoaffatto disgregati. Non sappiamo l'unodell'altroeccetto i pochi chepubblicano articoli o libri. Moltoprobabilmente vi è nel mondocattolico una grandissima quantitàdi persone religiose e colte chepensano come noi. Io ho pensato chesarebbe utilissimoper lapropaganda delle nostre ideealmeno diconoscerci. Stasera ci siriunisce in pochi per una primaintesa.»

Mentre Giovanni parlavagli altritenevano gli occhi sull'abateginevrino. L'abate guardava nel suopiatto. Seguì un breve silenzio.

Giovanni lo ruppe il primo.

«Il professore Dane»diss'egli «non Le aveva detto questo?»

«Sì sì»rispose l'abatelevando finalmente gli occhi dal piatto

«qualche cosa di simile.»

Il tono fu d'uno che approvasse poco.Ma perchéalloraera venuto?Don Paolo faceva smorfie dimalcontentogli altri tacevano. Vi fu unmomento d'imbarazzo. Marinier disse:

«Ne riparleremo stasera.»

«Sì» ripetéSelva tranquillo. «Ne riparleremo stasera.»

Pensava che avrebbe trovato nell'abateun avversario e che Dane avevacommesso un errore di giudizio e ditatto invitandolo alla riunione.

Si confortò in pari tempo con latacita riflessione che l'udirsirappresentare tutte le obbiezionipossibili sarebbe utilee che unamico del professore Dane sarebbealmeno onestonon propalerebbe nomie discorsi ancora da tacersi. Invece ilgiovine di Leynì si crucciavadi questo pericolosapendo quante equanto diverse amicizie tenessel'abate Marinier in Romadove dimoravada cinque anni per certi suoistudi storici e si crucciava di nonavere saputo della sua venuta intempo di scriverne ai Selvapersuggerir loro che intraprendessero lasua conquista incominciando dal palato.La mensa di casa Selvasemprenitidissima e fioritaeraquanto aicibimolto parsimoniosamoltosemplice. I Selva non bevevano vinomai. Il vino chiarettoacerbettodi Subiaco non poteva che inasprire unuomo avvezzo ai vini diFrancia.

La ragazza di Affile aveva giàservito il caffè quando arrivaronoaun puntodon Clemente a piedi da SantaScolasticaDaneil padreSalvatie il professore Minucci in unlegno a due cavalli da Subiaco.

Ma don Clementech'era seguito dal suoortolanovista la carrozzamuovere verso il cancello del villino enon dubitando che portassegente a casa Selvaaffrettò ilpasso perché Giovanni e l'ortolanopotessero vedersiparlarsi un minutoprima della riunione.

I Selva e i loro commensali si eranolevati da cena e Mariauscendoa braccio del cavalleresco abateMariniersulla terrazzavidebenché annottasse giàilbenedettino sul ripido sentiero che sale dalcancello aperto sulla via pubblica. Losalutò dall'alto e lo pregò diaspettarea piè della scalache gli facessero lume. Scese ellastessa col lume la scala a chiocciolaaccennò a don Clemente divolergli parlare e diede un'occhiatasignificativa all'uomo che glistava dietro le spalle. Don Clemente sivoltò a costuigli disse distare ad attenderlo li fuori sotto lerobinie; e salitial mutoinvito della signoraalcuni scalinisostò ad ascoltarla.

Ella gli parlòfrettolosadeisuoi tre ospiti e particolarmentedell'abate Marinier. Disse che stava inpena per suo marito il qualeaveva posto tanto amore e tanta fedenell'idea di quest'associazionecattolica e ora si troverebbe a frontedi una inattesa opposizione.

Desiderava che don Clemente lo sapesseche fosse preparato. Glielodiceva lei perché suo marito nonpoteva in quel momento lasciare isuoi ospiti. E si congedavanel tempostessoda don Clementenonavendo intenzionelei donna e tantoignorantedi assistere allaseduta. Forse lo avrebbe riveduto frapochi giornial monastero. Nonera il padre foresterarioegli? Ellaverrebbe forse fra tre o quattrogiorni a Santa Scolastica con una suasorella...

A questo punto la signora Selva alzòinvolontariamente il lume perveder meglio il suo interlocutore invisoe subito se ne pentì comedi un mancato rispetto a quell'animacertamente santacertamente paridi virile e verginale bellezzaall'altasnella personaal visoeretto abitualmente in atto quasi difranca modestia militare tantonobile nella fronte spaziosanegliocchi cerulei chiarispiranti aun punto dolcezza femminea e maschiofuoco.

«Ci sarà pure» dissea bassa vocevergognando di sé «un'amica intimadi mia sorellacerta signoraDessalle.»

Don Clemente voltò la testa discattoe Maria n'ebbe il contraccolpotremò. Era dunque lui! Egli lerivolse subito il viso da capo. Era unpo' acceso ma composto.

«Scusi» diss'egli«questasignoracome si chiama?»

«Chi? La Dessalle?»

«Sì.»

«Si chiama Jeanne.»

«Che età puòavere?»

«Non lo so. Tra i trenta e itrentacinque annidirei.»

Adesso Maria non comprendeva più.Il padre faceva queste domande contanto indifferente calma! Ne arrischiòuna essa pure.

«Lei la conoscepadre?»

Don Clemente non rispose.

Sopraggiungeva in quel momento ilpovero gottoso Daneche con grandestento si era trascinato su dalcancello a braccio del professoreMinucci. Erano amici di casa l'uno el'altro; la signora Selva feceloro un'accoglienza gentile malievemente distratta.

 

La seduta si tenne nello studiolo diGiovanni. Era così piccolo che ilbollente don Farènon potendositenere aperte le finestre per undovuto riguardo ai reumi di Danevi sisentiva soffocare e lo dissecon la sua rudezza lombarda. Gli altrifinsero di non udiremeno diLeynìche gli accennòsilenziosamente di non insisteree Giovanniche aperse l'uscio del corridoio el'altro vicino che dal corridoiomette sulla terrazza. Dane sentìsubito un odore di bosco umido ebisognò chiudere. Sulloscrittoio ardeva una vecchia lampada apetrolio. Il professore Minuccisoffriva di occhi e chiese timidamenteun paralumeche fu cercatotrovato eposto. Don Paolo si fremettedentro: «questa èun'infermeria!» e anche il suo amico di Leynìa cuipareva che tante piccole cure sidovessero in quel momentodimenticareebbe uno spiacevole sensodi freddo. Lo ebbe lo stessoGiovanni ma riflesso; sentìl'impressione che del Dane e forse anchedel Minucci dovevano riportare colorofra i presentiche non loconoscevano. Egli li conosceva. IlDanecon tutti i suoi reumi enervi e i sessantadue annipossedevaoltre al sapere grandeunaindomita vigoria di spiritouncoraggio morale a tutta prova. AndreaMinuccimalgrado il biondo pelorabbuffatogli occhialicertarigidezza di movimentiche gli davanoun aspetto di erudito tedescoera una giovane anima delle piùardentiprovata dalla vitanoneffervescente alla superficie comel'anima del prete lombardomachiusa nel proprio fuocoseveraprobabilmente più forte.

Giovanni prese la parola con animofranco. Ringraziò i presenti escusò gli assentiil frate e ilpretedolendosi però molto chemancassero. Disse che a ogni modo laloro adesione era sicura einsistette sul valore diquest'adesione. Soggiunse parlando più alto epiù lentotenendo gli occhisull'abate Marinierche per ora stimavaprudente non divulgare niente nédella riunionené delledeliberazioni che vi si prendessero; epregò tutti a considerarsilegati al silenzio da un impegno dionore. Quindi espose l'idea cheaveva concepitalo scopo dellariunioneun po' più diffusamente chenon avesse fatto a cena.

«E adesso» conchiuse«ciascuno dica quel che pensa.»

Seguì un silenzio profondo.L'abate Marinier stava per parlare quandosi alzò in piedistentatamenteDane. Il suo pallido viso scarnofinepregno d'intellettoeraatteggiato a gravità solenne.

«Io credo» diss'egli in unitaliano esoticorigido e tuttavia caldodi vita «che trovandoci noi sulcominciamento di una comune azionereligiosa dobbiamo fare due cose:subito! Prima cosa! Dobbiamoraccogliere l'anima nostra in Diosilenziosamenteciascuno la suafino a sentire la presenzain noidiDio stessoil desiderio Suostessonel nostro cuoredella Suapropria gloria. E' questo che iofaccio e prego fare con me.»

Ciò dettoil professores'incrociò le braccia sul pettopiegò ilcapochiuse gli occhi. Tutti sialzarono emeno l'abate Mariniergiunsero le mani. L'abate se leraccolse al petto con un ampio gestoabbracciando l'aria. Si potéudire un gemer dolce della lucernaunpasso al piano terreno. Marinier fu ilprimo a guardar sottecchi segli altri pregavano ancora.

Dane alzò il capo e disse:

«Amen.»

«Seconda cosa!» soggiunse.«Noi ci proponiamo di obbedire semprel'autorità ecclesiasticalegittima...»

Don Paolo Farè scattò.«Secondo!»

Un vibrare di subiti pensamentiunfremere sordo di parole non natescosse ogni persona. Dane disselentamente: «esercitata con le debitenorme.» Quel moto discese a unmormorio di consensoposò. Daneriprese:

«Ancora questo! Mai non saràodio né su nostro labbroné in nostropetto verso nessuno!»

Don Paolo scattò da capo. «Odiono ma sdegno sì! "Circumspiciens eoscum ira!"»

«Sì» disse donClemente con la sua dolce voce velata«quando avremoedificato Cristo in noiquandosentiremo una collera di puro amore.»

Don Paoloche gli stava vicinononrispose nientelo guardò con lelagrime agli occhigli afferròuna mano per baciargliela. Ilbenedettino la ritrasse spaventatotutto una fiamma in viso.

«E non edificheremo Cristo innoi» disse Giovannicommosso anche luifelice di quel mistico soffio che glipareva spirare nell'adunanza «senon purificheremo nell'amore le nostreidee di riformasequandovenisse il momento di operarenon cipurificheremo prima le mani egli strumenti. Questo sdegnoquestaira che Leidon Paolodiceèuna grande potenza del Maligno sopra dinoiappunto perché haun'apparenza e qualche voltacome neiSantiuna sostanza di bontà.

In noi è quasi sempre verainimicizia perché non sappiamo amare. Lapreghiera a me più cara dopo il"Pater noster" è la preghieradell'Unitàla preghiera che ciunisce allo spirito di Cristo quandoprega il Padre così: «utet ipsi in nobis unum sint.» Abbiamo sempreil desiderio e la speranza dell'unitàin Dio con i fratelli che sonodivisi da noi nelle idee. E adessodunquedite se accettate laproposta di fondare l'associazione cheio vi propongo. Prima discutetequesto epoise la proposta èaccettatasi vedrà in qual modo siada porla in atto.»

Don Paolo esclamò impetuosamenteche il principio nemmanco era dadiscutere e Minucci osservò intono sommesso che lo scopo dellariunione era stato conosciuto da tuttii presenti prima d'intervenireche perciòintervenendoessilo avevano implicitamente approvatoavevano implicitamente consentito dilegarsi per un'azione comunesalvo appunto a decidere sui modi e leforme. L'abate Marinier chiesedi parlare.

«Me ne rincresce veramente»diss'egli sorridendo«ma per legami ionon ho portato con me il menomo filo.Io sono pure di coloro chevedono molte cose andar male nellaChiesa e tuttaviaquando il signorSelva mi ha bene spiegatoprima a cenae ora quila sua idea che nonavevo bene compresa dal mio amicoprofessore Danemi si sonoaffacciate obbiezioni che credo serie.»

«Già» pensòMinucci che aveva udito parlare di certe ambizioni delMarinier«se vuoi far carrieranon ti devi mettere con noi.» Esoggiunse forte:

«Dica!»

«In primo luogosignori»cominciò il fine abate«mi pare che abbiateprincipiato dalla seconda riunione.Dirò con un rispetto grande chevoi mi parete bravissime personelequali si mettano festosamente asedere per giuocare insieme alle cartee non possono andare avantiperché uno ha le carte italianeun altro le francesiun altro letedesche e non s'intendono. Io ho uditoparlare di idee comunimaforse vi ha fra noi piuttosto unacomunanza di idee negative. Noisiamo d'accordoprobabilmenteinquestoche la Chiesa Cattolica èvenuta somigliando a un tempioantichissimo di grande semplicitàoriginariadi grande spiritualitàche il seicentoil settecento el'ottocento hanno infarcito dipasticci. Forse i più maligni di voidiranno pure che vi si parla fortesolamente una lingua mortache lelingue vive appena vi si possonoparlare piano e che il sole vi prendealle finestre un colore falso. Ma ionon posso credere che siamo poitutti d'accordo nella qualità enella quantità dei rimedii. Primadunque di iniziare questaframmassoneria cattolicaio credo che viconverrebbe intendervi circa leriforme. Dirò di più; io credo cheanche quando fosse fra voi unpienissimo accordo nelle ideeio non viconsiglierei di legarvi con un vincolosensibile come propone ilsignor Selva. La mia obbiezione èdi una natura molto delicata. Voipensate certo di poter navigare sicurisott'acqua come pesci cautienon pensate che un occhio acuto diSommo Pescatore o vice-Pescatore vipuò scoprire benissimo e un buoncolpo di fiocina cogliere. Ora io nonconsiglierei mai ai pesci piùfinipiù saporitipiù ricercatidilegarsi insieme. Voi capite cosa puòsuccedere quando uno è colto etirato su. Evoi lo sapete beneilgrande Pescatore di Galileametteva i pesciolini nel suo vivaiomail grande Pescatore di Roma lifrigge.»

«Questa è buona!»fece don Paolo con un sussulto di riso. Gli altritacevanogelidi. L'abate continuò:

«Non credo poi che con questalega possiate far niente di buono. Leassociazioni fanno progredire forse isalariforse le industrieforse i commerci; la scienza e laveritàno. Le riforme si faranno ungiornoperché le idee sono piùforti degli uomini e camminano; mavoiarmandole in guerra e facendolemarciare per compagnieleesporrete a un fuoco terribile che learresterà per un pezzo. Sonogl'individuii Messiache fannoprogredire la scienza e lareligione. Vi è un Santo fravoi? Oppure sapete dove prenderlo?Prendetelo e mandatelo avanti. Parolaardentegrande caritàdue otre piccoli miracolisuggeritegliquello che deve dire e il vostroMessia farà più che tuttivoi insieme.»

L'abate tacque e Giovanni prese laparola.

«Forse il signor abate»diss'egli «non ha potuto formarsi ancora ungiusto concetto della unione che noidesideriamo. Noi ci siamoassociati testé in una preghierasilenziosa e intensacercando ditenerci uniti nella Presenza Divina.Questo indica il carattere dellanostra unione. Considerando i mali cheaffliggono la Chiesai qualiin sostanzasono disaccordi del suoelemento mutabile umano con ilsuo elemento immutabile di VeritàDivinanoi ci vogliamo unire in DioVerità col desiderio ch'Eglitolga questi disaccordi; e vogliamosentirci uniti. Una tale unione non habisogno di intelligenze circaidee particolaribenché alcunidi noi ne abbiamo alquante di comuni.

Noi non pensiamo di promuovere unaazione collettiva né pubblica néprivata per attuare una riforma ol'altra. Io sono abbastanza vecchioper ricordare i tempi del dominioaustriaco. Se i patrioti lombardi eveneti si raccoglievano allora aparlare di politicanon era micasempre per congiureper atti dirivoluzione; era per comunicarsinotizieper conoscersiper tener vivala fiamma dell'idea. E' questoche noi vogliamo fare nel camporeligioso. Lo creda il signor abateMarinierquell'accordo negativoch'egli diceva può bastare benissimo.

Facciamo che si allarghiche abbraccila maggioranza dei fedeliintelligentiche salga nellagerarchia; vedrà che gli accordipositivi vi matureranno dentrooccultamente come semi vitali dentro laspoglia caduca del frutto. Sìbasta un accordo negativo. Basta disentire che la Chiesa di Cristo soffreper unirci nell'amore dinostra Madre e almeno pregare per essanoi e i nostri fratelli checome noila sentono soffrire! Che nedicesignor abate?»

L'abate mormorò con unlievissimo sorriso:

«"C'est beau mais ce n'estpas la logique."»

Don Paolo scattò:

«Ma che logica!»

«Ah!» rispose il Mariniercon una maligna faccia compunta. «Serinunciate alla logica...!»

Don Paolotutto accesoera perprotestare ma il professore Dane gliaccennò di chetarsi.

«Noi non vogliamo rinunciare allalogica» diss'egli. «Solamente non èfacile misurare il valore logico di unaconclusione in materia disentimentodi amoredi fedecome èfacile misurare il valore logicodi una conclusione in materia digeometria. Nella materia nostra ilprocedimento logico è occulto.Certo il mio caro amico Marinierunadelle menti acutissime che io conosconon ha voluto dire questa cosain risposta al mio caro amico Selvache quando una persona moltoamata da noi cade infermaènecessario a noi di accordarci sulla curache le faremoprima di correre insiemeal suo letto!»

«Queste sono bellissime figure»disse l'abate Marinier alquantovivacemente. «Ma sapete bene chele similitudini non sono argomenti!»

Don Clementeche stava in piedinell'angolo tra l'uscio del corridoioe la finestrae il professore Minucciseduto presso a luifeceroatto di parlare. Subito si arrestaronovolendo ciascuno dei duecedere la parola all'altro. Selvapropose che prima parlasse ilmonaco. Tutti guardarono a quel nobileviso di arcangeloarrossentema eretto. Don Clemente esitò unpocoe quindi parlò con la sua vocesofflcevelata di modestia:

«Il signor abate Marinier hadetto una cosa che io credo molto vera.

Ha detto: ci vuole un Santo. Io pure locredo. Chi sa? Io non disperoche possa già esistere.»

«Lui» mormorò donPaolo.

«Ora» proseguì donClemente «io vorrei dire al signor abate Marinier:siamo in qualche maniera i profeti diquesto Santodi questo Messiaprepariamo le sue vieche poisignifica solo far sentireuniversalmente il bisogno di unrinnovamento di tutto che nellareligione nostra è vestenoncorpo della veritàanche se questorinnovamento sarà doloroso percerte coscienze. "Ingemiscit etparturit"! E far sentire tutto ciòstando sopra un terrenoassolutamente cattolicoaspettando lenuove leggi dalle autoritàvecchiedimostrando però che senon si cambiano le vesti portate datanto tempofra tante intemperienessuna persona civile siavvicinerà più a noieDio non voglia che molti di noi le svestanosenza permessoper un disgustoinsopportabile. Vorrei anche dire alsignor abate Marinierse me lopermette: non abbiamo troppi timoriumani!»

Un mormorio caldo di assenso glirispose e Minucci scattò tuttovibrante. Mentre parlava l'abateMarinierdi Leynì e Selva lo avevanovisto bollire accigliato; e appuntoGiovanni che conosceva ilcarattere fiero di quel mistico ascetasi era propostofacendoparlare prima don Clementedi darglitempo a chetarsi. Egli scattò.

La parola non gli veniva fluidagli sirompeva per soverchio impetoe rotta gli sgorgava dal labbro aondateprecisaperòe potente nelvigoroso accento romano.

«Ecco! Non abbiamo timori umani!Noi vogliamo cose troppo grandi e levogliamo troppo fortemente per averetimori umani! Noi vogliamocomunicare nel Cristo vivoquantisentiamo che il concetto della Viadella Verità e della Vita si...si... si... - si dilataeccosidilata nel nostro cuorenella nostramente! E rompe tante - comedirò? - vecchie fasce di formuleche ci stringonoche ci soffocanoche soffocherebbero la Chiesase laChiesa fosse mortale! Noivogliamo comunicare nel Cristo viventequanti abbiamo sete - setesignor abate Marinier! sete! sete! -che la nostra fedese perde diestensionecresca di intensità- a cento doppicrescaviva Dio! - epossa radiare fuori di noie possadicopurificarecome il fuocoprima il pensiero e poi l'azionecattolica - ecco. Noi vogliamocomunicare nel Cristo vivente quantisentiamo ch'Egli prepara unalenta ma immensa trasformazionereligiosa per opera di profeti e diSantila quale si opererà consacrificio con dolorecon divisione dicuori; quanti sentiamo che i profetisono sacri al soffrire e chequeste cose non ci vengono rivelatedalla carne o dal sangue madall'Iddio vivo nelle anime nostre!Comunicarevogliamotuttidiogni paeseordinare la nostra azione.Massoneria Cattolica? SìMassoneria delle Catacombe. Lei temesignor abate? Teme che sitaglino tante teste con un colpo solo?Io dirò: dov'è la scure per untal colpo? Uno alla volta tutti sipossono colpire: oggi il professoreDanead esempiodomani don Farèposdomani qui il padre; ma ilgiorno in cui quella fantastica fiocinadel signor abate Marinierpescasseattaccati a un filolaici digridopretifrativescovicardinali fors'anchequale saràditemiil pescatore piccolo ograndeche non lascerà caderenell'acquaspaventatola fiocina eogni cosa? - Ma poi mi perdonisignorabatese io dico a Lei e aiprudenti come Lei: dov'è lanostra fede? Esiterete voiper paura diPietroa servire Cristo? Uniamocicontro il fanatismo che lo hacrocifisso e che avvelena ora la SuaChiesa e se ne avremo a soffrireringraziamone il Padre: «"beatiestis cum persecuti vos fuerint etdixerint omne malum adversum vosmentientespropter me".»

Don Paolo Farè saltò inpiedi e abbracciò l'oratore. Di Leynì siaffisava in lui con occhi accesi dientusiasmo. DaneSelvadonClementel'altro frate tacevanoimbarazzati sentendospecie i treecclesiasticiche Minucci eratrascorso troppoche le sue frasisulla estensione e la intensitàdella fedesul timore di Pietrononerano misurateche tutta laintonazione del suo discorso era statatroppo bellicosa e non si accordava nécol mistico esordio di Dane nécon le parole usate da Selva adelineare il carattere dell'unioneproposta. L'abate di Ginevra non avevalevato un momento dal viso diMinuccimentr'egli parlavai suoipiccoli occhi brillanti. Guardòl'amplesso di don Paolo con un misto diironia e di pietàpoi si alzòin piedi:

«Sta bene» diss'egli. «Ionon so se il mio amico Dane in particolaredivida le opinioni del signore.Veramente ne dubito un poco. Ilsignore ha nominato Pietro. Eccomipare che qui ci si dispone auscire dalla barca di Pietro sperandoforse di camminare sopra leonde. Io dico umilmente che non ho fedeabbastanza e andrei subito alfondo. Io intendo di restare nellabarca e forse tutt'al piùadoperarvi qualche piccolo remo secondola mia intenzioneperché comeha detto il signoresono moltopauroso. E' dunque necessario che cisepariamo e non mi resta che adomandarvi perdono di essere venuto. Hoanche bisogno di una piccolapasseggiata per la mia vile digestione. -Caro amico» soggiungerivolgendosi a Dane«ci ritroveremoall'"Aniene".»

E mosse verso Selva con la mano stesaper accomiatarsi. Subito glifurono tutti attornomeno don Paolo eMinucciper non lasciarlopartire. Egli insisteva tranquilloarrestava ora con un gelidosorrisettoora con una parolinagraziosamente sarcasticaora con ungesto elegante gli assalitori troppoveementi. Di Leynì si voltò aFarègli accennò diunirsi agli altri; ma il focoso don Paolo glirispose con una violenta spallataconuna smorfia di fastidio.

Intanto dal gruppo che attorniava ilMarinier una voce toscana si alzòsopra le altre:

«Sia bono! Non si è ancoradeciso niente! Aspetti! Io non ho ancoradetto la mia!»

Era il padre Salvatiscolopiocheaveva parlato; un vecchio daicapelli candididal volto rubizzodagli occhi vivaci.

«Non si è ancora decisoniente!» ripeté. «Ioper esempioperl'unione ci sto ma io vorrei una cosa ei discorsi che si son fatti mene arieggiano un'altra. Progressointellettualesta bene;rinnovamento delle formole della fedesecondo vogliono i tempistabene; riforma cattolicabenissimo! Iosto con Raffaello Lambruschiniche era un grand'omo; io sto con i"Pensieri di un solitario"; ma peril signor professore Minucci ilcarattere della riforma mi pare cheavrebbe a essere sopra tuttointellettualee questoscusate...»

Qui Dane alzò la sua biancapiccola mano di dama.

«Permettapadre»diss'egli. «Il mio caro amico Marinier vede che siritorna a discutere. Io lo prego dirimettersi a sedere.»

L'abate levò un poco le cigliain sumise un sospiro scettico eobbedì. Gli altri sedetteropuresoddisfatti. Non si fidavano delladiscrezione dell'abatesarebbe statoun grosso guaio ch'egli fossepartito "ab irato". Il padreSalvati riprese a parlare.

Egli era contrario a che s'imprimesseal movimento riformista uncarattere sopra tutto intellettualenon tanto per il pericolo di Romaquanto per il pericolo di turbare nellaloro fede semplice unaquantità immensa di animetranquille. Voleva che l'Unione siproponesse anzi tutto una grande operamoraleil richiamo deicredenti alla pratica della parolaevangelica. Illuminare i cuori erasecondo lui il primo dovere di uominiche aspiravano a illuminaregl'intelletti. Evidentemente nonimportava tanto di trasformaresecondo un ossequio razionale la fedecattolica nella Bibbiaquantodi rendere effettiva la fede cattolicanella parola di Cristo.

Bisognava dimostrare che generalmentedai fedeli si onora Cristo conle labbra ma che il cuore del popolo èlontano da lui; dimostrarequanto posto sia lasciato agli egoismida certe pietà fervorose checredono santificarsi...

Qui don Paolo e Minucci brontolarono:

«Questo non c'entra.»

Il Salvati esclamò che c'entravabenissimo e che avessero la bontà diaspettare. Continuò a dire di unpervertimento generale nel concettodel dovere cristiano intorno allaricerca e all'uso della ricchezzapervertimento difficilissimo araddrizzare perché indurato da secoli esecoli nelle coscienze cristiane con lapiena complicità del clero.

«Il temposignori» esclamòil vecchio frate«domanda un'azionefrancescana. Ora io non ne vedo segno.Vedo antichi Ordini religiosiche non hanno più forza di agiresulla Società. Vedo una DemocraziaCristiana amministrativa e politica chenon ha lo spirito di S.

Francescoche non ama la santaPovertà. Vedo una società di studifrancescani; trastulli intellettuali!Io intenderei che noi siprovvedesse all'azione francescana.Dico se si vuole una riformacattolica!»

«Ma come?» domandòFarè. Minucci brontolò seccato:

«Non è questo.»

Selva sentiva disgregarsi le anime chesi erano unite in un primoslancio. Sentiva che DaneMinucciprobabilmente anche Farèintendevanocom'egli stesso intendevainiziare un movimentointellettuale e che quella divampatafrancescana era venuta fuor ditempo e fuor di luogo. Era tanto piùinopportuna quanto più calda diverità viva. Perché moltaverità c'era senza dubbio nelle parole delpadre Salvatiegli lo riconoscevaegli che si era più voltedibattuto nel pensiero il dubbio se nonconvenisse promovereper ilbene della Chiesaun'azione piuttostomorale che intellettuale. Maegli non sentiva in séattitudini all'apostolato francescano e non levedeva negli amici suoineppure nelpiù ardenteAndrea Minucciunsolitarioun asceta schivo della follacome luiSelva. Le ragionidel Salvati valevano a guastare e non aedificare. Giovanni sentivasegrete ironie andare al Marinier eanche al Danedi cui siconoscevano i gusti poco francescaniil palato difficilei nervidelicatigli affetti dati a cagnolinie a pappagalli. Se si volevariescire a qualche cosaconvenivacorrere al riparo.

«Mi perdoni» diss'egli «ilcarissimo padre Salvati se io gli osservoche il suo discorsotanto caldo dispirito cristianoè intempestivo.

Mi pare ch'egli consenta con noi neldesiderio di una riformacattolica. Stasera non è davantia noi che una proposta; quella dipromuovere una specie di Lega fraquanti hanno lo stesso desiderio.

Ora decidiamo questo!»

Lo scolopio non si arrese. Non potevacomprendere una Lega inattivaeun'azione secondo le idee degliintellettuali non gli piaceva. L'abateginevrino esclamo:

«"Je l'avais bien dit!"»

E si alzò per andarsene davverostavolta. Selva non lo permisepropose di sciogliere la sedutapensando di richiamare l'indomani opiù tardi il professore DaneMinuccidi LeynìFarè. Con Salvati nonc'era niente a fare ed era megliolasciar partire Marinier dandogli acredere che tutto fosse andato a monte.Minucci indovinò il suopensiero e tacquel'inconsiderato donPaolo non capì nulla e strepitòche si doveva deliberarevotaresubito.

Selvaeper ossequio a SelvadiLeynìlo fecero aspettare.

Fremevaperò; fremeva contro losvizzerosopra tutto. Dane e donClemente erano poco soddisfattiqualeper una ragionequale perun'altra. Dane era molto irritato incuor suo contro Marinier e sidoleva di averlo portato con sédon Clemente avrebbe voluto dire chele parole del padre Salvati erano statemolto belle e sante e nonintempestive perché anzi erabene che ciascuno lavorasse giusta lavocazione propriagl'intellettuali peruna viai francescani perun'altra. Colui che chiamaprovvederebbe a coordinare l'azione deichiamati; le diverse vocazioni potevanobenissimo stare insieme nellaLega. Avrebbe voluto dire cosìma non fu pronto; lasciò passare ilmomentoanche per verecondiaintellettualeper paura di non dirbeneper un riguardo verso Selvachedesiderava evidentemente ditroncare. E fu troncatotutti sialzaronouscirono sulla terrazzinameno Dane e Giovanni.

 

L'abate Marinier intendeva recarsil'indomani a Santa Scolastica e alSacro Speco; poiforseritornare aRoma per Olevano e Palestrinauna via nuova per lui. Chi glielapoteva indicare di lì? Gliela indicòdon Clemente. Era la stessa che avevapercorso venendo da Subiaco.

Passava lì sottovalicaval'Aniene poco più a sinistrasul ponte diSan Maurovolgeva a destra salivaverso i monti Affilanilà difronte. L'aria venivaodorata diboschidalla gola stretta ond'esceil fiume sonoro sotto i Conventi. Ilcielo era copertosalvo sulFrancolano. Là sopra il granmonte nero tremolavano due stelle.

Minucci le mostrò a di Leynì.«Guardi» diss'egli «quelle due stellinecome sfavillano! Dante le direbbe lefiammelle di San Benedetto e diSanta Scolastica che sfavillano vedendonell'ombra un'anima simile adesse.»

«Voi parlate di Santi?»fece Marinieraccostandosi. «Io ho domandatopoco fa se avete un Santo e vi hoaugurato di possederne uno. Questesono figure oratorieperché sobene che non le avete. Se lo avesteil vostro Santo sarebbe subito ammonitodalla questura o spedito inChina dalla Chiesa.»

«Ebbene?» rispose di Leynì.«E se fosse ammonito?»

«Se fosse ammonito oggisarebbeimprigionato domani.»

«Ebbene?» replicò ilgiovane. «E San Paolosignor abate?»

«Ehmio caroSan PaoloSanPaolo...!»

Con questa reticenza l'abate Marinierintendeva probabilmente dire cheSan Paolo era San Paolo. L'altro pensòinvece che Marinier eraMarinier. Don Clemente osservòche neppure tutti i Santi si potevanomandare in China. Perché nonsarebbe laico il futuro Santo?

«Questo lo credo» esclamòil padre Salvati.

Invece l'entusiasta don Farè siteneva certo che sarebbe SommoPontefice. L'abate rise. «Ideasemplice ed eccellente» diss'egli. «Maio sento la carrozza che viene apigliarciDaneme e chi vuol venirecon noi a Subiaco per cui vado acongedarmi dal signor Selva.»

Si chinò dal parapetto acogliere una frondetta dell'olivo piantatonel terrazzo del piano inferiore.

«Dovrò presentargliquesto» disse. «E anche a Loro signori» soggiunsecon un gesto graziososorridendo. Euscì della terrazza.

Si udì infattigiù nellastradail rumore di un legno a due cavallichevenendo da Subiacogirò loscoglio sul quale la villetta èassisa e si fermò davanti alcancello. Pochi momenti dopo venneronella terrazza Maria Selva e Dane colsuo gran pastrano e ilgrandissimo cappello nero a cencio.Seguivano Giovanni e l'abate.

«Chi viene con noi?» disseDane.

Nessuno parlò. S'inteserosulrumore fondo dell'Anienevoci e passiche salivano dal cancello verso lavilla. Minucci che stavasull'angolo di levante della terrazzaguardò e disse:

«Signore. Due signore.»

Maria trasalì. «Duesignore?» diss'ella. Balzò al parapettovide duefigure chiare che salivano lentamentefacevano allora la prima svoltadel ripido viottolo. Non era possibiledistinguerne le formeeranoancora troppo giù e facevatroppo scuro. Giovanni osservò cheprobabilmente si trattava di personedirette al primo pianoavisitare i padroni di casa. Ilprofessore Dane sorrisemisteriosamente.

«Potrebbero venire anche alsecondo» diss'egli. Maria esclamò:

«Lei sa qualche cosa!» egridò abbasso:

«"Noemi! est-ce vous?"»

La voce limpida di Noemi rispose:

«"Ouic'est nous!"»

Si udì un'altra voce femminiledirle forte:

«Che bambina! Dovevi tacere!»

Maria mise un piccolo grido di gioia edisparvecorse giù per lascala a chiocciola.

«Lei sapevaprofessore Dane?»fece Selva. SìDane sapevaavevaveduto a Roma la signora Dessalleconosciuta da lui nella sua villadel Venetonella villa degli affreschidel Tiepolo. Suo fratelloilsignor Carlino Dessalleera rimasto aFirenze. Lei e la signorinad'Arxel volevano fare una sorpresagliavevano proibito di parlare.

Il nome Dessalle richiamò allamente di Selvain un balenoquellocui subito non aveva pensatolapresenza di don Clementeil dubbioche fosse lui l'amante scomparso diquella signorala necessità dievitare un incontro che poteva essereterribile per l'una e perl'altro. Del colloquio fra sua moglie eil padre non sapevanaturalmente. Intanto si udìscender di corsa il sentieropoi suonarele esclamazioni e i saluti festosi.Daneinquieto per la troppo lungafermata sulla terrazzapropose discendere. Quelle signore si eranocerto servite della carrozza che venivaa prender lui! Anche donClemente pareva molto inquieto. Selvasi affrettòdissimulando lacommozione propriadi prenderlo abraccetto.

«Se Lei non vuole imbarazzarsicon signore» diss'egli «venga subitocon me che La faccio passare dal casinoper il sentiero alto.» Ilpadre parve contentissimoi duepartirono in gran frettailbenedettino senza nemmeno salutare.

«E' anche tardi» diss'egli.«Ho detto all'abatechiedendogli ilpermessoche sarei ritornato alle novee mezzo.»

Scesero a precipizio la scala achiocciola; maquando uscirono sulpiazzaletto delle robinieJeanneDessallevi metteva il piededall'altro capo con Maria e Noemi.

Non era tanto buiosotto le robinieche Maria non potessericonoscere suo marito e don Clementenelle due ombre che uscivano dicasa sua. Ella che a fianco di Jeanneprecedeva sua sorellaprontamente piegò e fece piegarea destra la sua vicinaverso ilpiccolo casino ch'è un'appendicedella villavoltando le spalle aquesta. Dal canto suoSelvavedendol'atto di sua moglieprontamente sussurrò al padre:

«Scenda dirittosubito!»

Ma non valse.

Non valse perché Noemimeravigliata di veder sua sorella svoltare adestrasi fermò esclamando:«Dove andate?» e don Clementeforse peraver veduta questa signora ferma sullaviainvece di passare escendereandò a raccoglierel'ortolano che lo attendeva nell'angolopiù oscuro del piazzalettodoveil fianco della casa s'incontra colmonte. Chiamò «Benedetto!»e si volse a Selva. «Se lei volessemostrargli il campicello?»Giovanni rispose: «A quest'ora?» mentre suamoglie diceva piano a Noemi: «C'èforestieri che partonolasciamolipassarerestiamo qui al casino.»Ella le accennò in pari tempo delcapo così risolutamente che laDessalle se ne avvidepensò tosto aqualche mistero.

«Perché» disse.«Sono terribili?» E rallentò il passo. InveceNoemiche aveva afferrato l'intenzione dellasorellanon però le ragionioccultemise troppo zelo a secondarlaabbracciò alla vita le duecompagnele spinse verso il casino.Jeanne Dessalle ebbe un motoistintivo di ribellionesi voltòdi botto dicendo: «Che fai?»videSelva che veniva alla loro volta e chesubito salutò allargando lebracciacome per nascondere donClementeil quale seguitodall'ortolanopassòfrettolosamente a cinque passi da Jeannepresela discesa.

Noemiche al saluto di suo cognato siera pure voltatacorse adabbracciarlo. Intanto Selva sicompiacque di vedere che don Clementeera sfuggito all'incontro. Selvascioltosi dall'abbraccio di Noemistese la mano a Jeanneche non se neavvide e mormoròtrasognataqualche incomprensibile parola disaluto. In quel momento uscironodalla villa DaneMarinierFarèdi Leynìil padre Salvati. I dueSelva mossero loro incontrolasciandoNoemi e la Dessalle adaspettare in disparte. I saluti dicommiato furono abbastanza lunghi.

Dane desiderava salutare anche laDessalle. Maria non la scorse piùdove l'aveva lasciatasuppose che leie Noemi fossero entrate in casagirando alle loro spalles'incaricòdei saluti del professore.

Finalmente quando i cinque disceseroaccompagnati da Giovannisi udìchiamare da Noemi:

«Maria!»

Un accento particolare nella voce dellasorella le disse ch'eraaccaduto qualche cosa. Accorse; lasignora Dessalleseduta sopra unfascio di legnanell'angolo lasciatocinque minuti primadall'ortolano di Santa Scolasticaripeteva con voce debole: «Nientenientenienteadesso entriamoadessoentriamo.» Noemituttapalpitanteraccontò che l'amicasi era sentita mancare a un trattomentre quei signori discorrevano e chea lei era appena riuscito ditrarla fino a quel fascio di legna.

«Andiamoandiamo» ripetéJeanne e si sforzò di alzarsisi trascinòsorretta dalle altre duefinoall'uscio della villasedette sulloscalinoaspettando un po' d'acqua chepoi assaggiò appena. Altro nonvolle e presto si rimise tanto da potersalireadagio adagiolescale. Si scusava ad ogni sosta esorrideva; ma la fantesca che salivainnanzi col lumea ritrosovennequasi meno ella stessa vedendoquegli occhi smarritiquelle labbrabianchequel terribile pallore.

La condussero al canapé delsalottino; e làdopo un momento disilenzioso abbandono a occhi chiusiella poté dire alla signora Selvasorridendo ancorach'erano effetti dianemia e che c'era avvezza.

Noemi e Maria si parlarono piano fraloro. Jeanne intese le parole «aletto» e assentì del capocon uno sguardo di gratitudine. Maria avevadisposto per lei e per Noemi lamigliore camera del piccolo alloggiola camera d'angolo opposta allo studiodi Giovannidall'altra partedel corridoio. Mentre Jeanne vi siavviava stentatamente a braccio diNoemiritornò Selva che avevaaccompagnato gli amici sino alcancello. Sua moglie ne udì ilpasso sulla scalagli scese incontrolo trattenne. Si parlarono al buiosottovoce. Era dunque luima comelo aveva riconosciuto? EhGiovanniaveva ben cercato di frapporsinel momento pericolosofra la signorae don Clementeil padre eraanche passato quasi di corsama egliaveva sospettato subitoperchéla Dessalle non aveva quasi risposto alsuo salutonon gli avevastesa la manoera rimasta come unastatua. Anche il padrequandoaveva udito sulla terrazza ch'eraarrivata la signora Dessallesi eramostrato inquieto; poi aveva mostratoun vivo desiderio di evitarla;si era però serbato moltopadrone di sé. Oh sìmolto padrone di sé!Questo era pure il giudizio di Mariache raccontò il suo colloquio conluili in fondo alla scala. Marito emoglie salirono lentamentecompresi di quello straordinariodrammadi quel dolor mortale dellapovera donnadell'impressioneterribile che doveva aver riportatoanche luidopo tuttodella notte chepasserebbero l'uno e l'altra;pensosi di quel che accadrebbel'indomanidi quel che farebbe luidiquel che farebbe lei.

«Per queste cose è bene dipregarenon è vero?» disse Maria.

«Sìcaraè bene.Preghiamo ch'ella sappia donare il suo amore e ilsuo dolore a Dio» rispose suomarito.

Entraronotenendosi per manonellacamera nuzialedivisa in due daun cortinaggio pesante. Si affacciaronoalla finestra guardando ilcielopregarono silenziosamente. Unalito di tramontana passò come unlamento per la quercia che pende sullapiccola Santa Maria dellaFebbre.

«Povera creatura!» disseMaria. Parve a lei e a suo marito di amarsianche più teneramente del solitoe tuttavia sentirono ambeduesenzadirselo che qualche cosa li trattenevadal bacio dell'amore.

 

Jeanneappena Noemi ebbe chiuso dietroa sé l'uscio della loro camerale si avvinghiò al colloruppein singhiozzi irrefrenabili. La poveraNoemi avendo compresoper l'effettovedutoneche quell'ecclesiasticopassato in fretta davanti all'amica suaera Maironisi struggeva dipietà. Disse parole della piùardentedella più soave tenerezza conla voce di chi blandisce un bambino chesoffre. Jeanne non rispondevasinghiozzava sempre.

«E' quasi megliocara» siarrischiò a dire Noemi«è quasi meglio chetu sappiache tu non possa illuderti;è quasi meglio che tu lo abbiaveduto con quell'abito!»

Stavolta udì rispondersi fra isinghiozzitanti appassionati «nono»

così strani nel loro impetoquasi non dolorosoche ne rimaseinterdetta. Riprese quindi i suoiconforti ma più timidamente.

«Sìcarasìcaraperché non essendoci più rimedio...»

Jeanne alzò il viso tuttolagrimoso.

«Non capisci che non èlui?» diss'ella. Noemi si sciolsestupefattadalle sue braccia.

«Comenon è lui? Tuttoquesto perché non è lui?»

Ancora Jeanne le si lanciò alcollo. «Non è quel frate che mi èpassato davanti» disse fra isinghiozzi «è l'altro!»

«Chil'altro?»

«Quell'uomo che lo seguivache èpartito con lui!»

Noemi neppure se n'era accortadiquest'uomo. Jeanne le strinse ilcollo da soffocarlacon un risoconvulso.

 

 

Cap. 3

NOTTEDI TEMPESTE


Nello scendere al cancello della villadon Clemente si domandava conansia segreta: l'avràriconosciuta o no? e se l'ha riconosciutaqualeimpressione gli avrà fatto?Giunto al cancellosi voltò a colui cheaveva chiamato Benedettogli scrutòil visoun viso scarnopallidointellettuale. Non vi lesse turbamento.Quegli occhi lo fissavanoattonitiquasi dicendo: perchémi guarda? Il monaco pensò: forse nonl'ha riconosciuta o forse non supponeche io sappia del suo arrivo.

Passò il braccio sotto quellodel compagnopigliòtenendoselostretto senza parlarea sinistraverso la fragorosa gola oscuradell'Aniene. Fatti pochi passi sottogli alberi che fiancheggiano laviagli disse: «Non mi domandidella riunione?» con maggiore dolcezzache le parole indifferenti noncomportassero. Quegli rispose:

«Sìmi racconti.»

La voce era fioca e vuota di desiderio.Don Clemente si disse: «L'hariconosciuta» e parlòdella riunione come persona preoccupata dialtrosenza caloresenza cura diparticolari; né fu interrotto maidal compagno con domande o commenti.

«Ci si è sciolti»diss'egli «senza conchiuder nullaanche perché sonoarrivati dei forestieri. Cosìnon ho potuto nemmeno combinar nienteper te col signor Giovanni. Ma domanio tutti o in partecredo checi riuniremo ancora. E tu»soggiunse esitante«sei disposto aritornare o non sei disposto?»

Benedetto rispose nel medesimo tonosommesso di prima e semprecamminando:

«Le forestiere che ho veduterestano?»

Don Clemente gli strinse il braccioforte forte.

«Non so» diss'egli. Esoggiunse con un'altra strettacommosso:

«Se avessi saputo...!»

Benedetto aperse la bocca per parlarema si trattenne. Procedetterocosì in silenzio verso le duenere fronti della gola fragorosaelasciata la strada maestra volgente acavalcar l'Aniene sul ponte diSan Mauropresero la mulattiera deiConventi che sale alla fronte disinistra. Là in faccia l'obliquoscoglio enorme parve a don Clementein quel momentosimbolo minaccioso diuna demoniaca forza ferma sulcammino di Benedetto; come gli parveminacciosa simbolicamente lacresciuta oscuritàminacciosoil cresciuto rombo profondo del fiumenella solitudine.

Passato l'Oratorio di San Maurodovela mulattiera dei Conventi giraa sinistrasul fianco del monteversola Madonnina dell'Oroeun'altra mulattiera entra diritta allagola per i ruderi delle TermeneronianeBenedetto si sciolsedolcemente dal braccio del monaco e sifermò.

«Sentapadre» diss'egli.«Avrei bisogno di parlarle. Forse un poco alungo.»

«Sìcaroma ètardi. Entriamo nel monastero.»

Benedetto abitava nell'Ospizio deipellegrinila casa rustica dovesono anche le stalle di SantaScolasticaa cui si accede da uncortile che comunica per un cancellogrande colla via pubblica e perun cancello piccolo con il corridoiodel monasteroche dalla viapubblica mette alla chiesa e al secondodel tre chiostri.

«Non vorrei entrare nelmonasterostanottepadre mio» diss'egli.

«Non vorresti entrare?»

Altre volte Benedettonei tre annipassati al servizio libero delmonasteroaveva ottenuto da donClemente licenza di passar la nottefuorisulla montagna pregando. IlMaestro pensò tosto che fossegiunto per il discepolo uno di queiterribili cimenti interni che glifacevano fuggire il povero giaciglio ele ombre chiusecomplici delMaligno nel martoriargli laimmaginazione.

«Mi ascoltipadre» disseBenedetto.

Il suo accento fu così fermosignificò a don Clemente tanta gravitàdi prossime paroleche questi noncredette di dover insisteresull'ora inoltrata. Uditi in altozoccoli ferrati di cavalcaturescendere alla loro voltai dueuscirono sul breve piano erboso cheporta umili avanzi delle magnificenzeneroniane incontro ad archisperduti nel carpineto selvaggiodell'altra spondamembra un tempodelle uniche Termecui ora divide inprofondo il pianto dell'Aniene.

Sopra quegli archi era la dimora delprete diabolico e dellepeccatrici insidianti ai figli di sanBenedetto. Il monaco pensò aJeanne Dessalle. Là in fondoalla golaalte sopra il monte Preclaro eil monte di Jenne Vecchiosplendevanole due stelle di cui si eraparlato sulla terrazza dei Selva comedi luci sante.

Aspettarono che passassero lecavalcature. Passate che furonoBenedetto abbracciò il suomaestro in silenzio. Don Clementesorpresosentendolo scosso da tremitida sussultiimmaginando chelo avesse turbato così la vistadi quella signoragli ripeteva:

«Coraggiocarocoraggioquestaè una prova che il Signore timanda.»

Benedetto gli mormorò:

«Non è quello che Leipensa.»

Ericompostopregò il Maestrodi sedere sopra un rudero al qualeegli stessopostosi ginocchionisull'erbaappoggiò le bracciaincrociate.

«Da questa mattina»diss'egli «io ho segni di una volontà nuova delSignorea mio riguardosenza ch'iopossa intendere quale. Ella sacosa mi è avvenuto tre anni sonoin quella piccola chiesa dove stavopregando mentre la mia povera moglieera per morire.»

«Vuoi parlare della tua Visione?»

«Noprima della Visionetenendochiusi gli occhimi sono lettenelle palpebre le parole di Marta:MAGISTER ADEST ET VOCAT TE. Questamattinamentre Lei celebravaall'Elevazionemi sono vedute nel miointerno le stesse parole. Ho creduto aun ritorno automatico diricordi. Dopo la Comunione ebbi unmomento di ansiaparendomi cheCristo mi dicesse nell'anima: nonintendinon intendinon intendi?Passai la giornata in un'agitazionecontinuabenché cercassi diaffaticarmi più del solitonell'orto. Nel pomeriggio stetti un poco aleggere sotto il leccio dove siraccolgono Loro padri. AvevoSant'Agostino: "De operemonachorum". Passa gente sulla strada altadiscorrendo forte. Io alzo il visomeccanicamente. Poinon soperchéinvece di riprendere laletturachiudo il libromi metto apensare. Pensavo a quello che scriveSant'Agostino del lavoro manualedei monacipensavo alla Regola di sanBenedettoa Rancèe come sipotrebbe ritornarenell'Ordinebenedettinoal lavoro manuale. Poiin un momento di stanchezzaavendoperò in cuore quella grandezzaimmensa di Sant'Agostinoho credutoproprio di udire una voce dallastrada alta: MAGISTER ADEST ET VOCATTE. Sarà stata un'illusionesaràstato per Sant'Agostinoper un ricordoinconscio del "Tollelege"non dico di noma intanto tremavotremavo come una foglia. E mivenne questo dubbio pauroso: che ilSignore mi voglia monaco? Ella losapadre mioperché gliel'hodetto ancora forse due o tre voltechequesto si accorderebbe con la finedella mia Visionealmeno in unacosa. Le ho però anche dettoquando Lei mi consigliavacome donGiuseppe Floresdi non credere nellaVisioneche appunto per mequesta era una ragione di non credercinon solo perché mi sentoindegno di essere sacerdotema piùancora perché mi ripugnastranamente di entrare in qualsiasiOrdine religioso. Peròse Iddiome lo imponesse! Se questa granderipugnanza fosse appunto una prova!Volevo parlarle quando siamo andati daiSelvama Lei aveva frettanon era possibile. Làsu quelfascio di legnesotto quelle robinieho avuto l'ultimo colpo. Ero stancotanto stancoe mi sono lasciatovincere dal sonno per cinque minuti. Hosognato che camminavo con donGiuseppe Flores sotto le arcate delcortile pensile di Praglia. Io glidicevo piangendo: "Eccoèstato qui". E don Giuseppe mi rispondevacon tanto affetto: "Sìmanon pensi a questopensi che il Signore Lachiama". E io replicavo: "Madovedove mi chiama?" con tanta angosciache mi svegliai. Udii una vocedall'alto della casa. Si rispose dalfondo del giardinoin francese. Vidiuna signora uscire correndodalla villaudii i saluti che siscambiarono lei e le personearrivatedistinsi quella voce. Subitonon la riconobbi con certezzama poisiccome le voci siavvicinavanonon dubitai più. Era lei. Perun attimo sbigottiima fu proprio unattimo. Mi si fece una gran lucenella mente.»

Benedetto alzò il viso e le manigiunte. La voce gli s'infiammò diardore mistico.

«"Magister adest"»diss'egli. «Comprende? Il Divino Maestro era conmenon avevo niente a temerepadremio. E non temetti nientenéleiné me. La vidi montare sulpiazzaletto. Il mio sentimento fu: sec'incontriamo soli le parleròcome a una sorellale domanderòperdonoIddio mi darà forse perlei una parola di veritàle mostreròdi sperare per l'anima sua e di nontemere per la mia!»

Don Clemente non poté a menod'interromperlo.

«No no nofiglio mio»diss'egliquasi atterritoprendendogli ilcapo a due manipensando appunto comeavrebbe potuto evitare unsimile incontrocome allontanareBenedetto. I Selvai Selva!Bisognava avvertire i Selva.

«Comprendo che Lei mi dica così»riprese Benedetto affannosamente «mase la incontronon devo io cercare dimetterla a parte del mio benecome cercai di metterla a parte delmale? E non mi ha insegnato Leiche l'amare Dio sopra ogni cosa e ilpensar solamente alla salutedell'anima propria non possono andareinsieme? Che quando si ama nonsi pensa mai a sé? Che sidesidera solamente fare la volontàdell'amato e si vorrebbe che tutti lafacessero? Che in questo modouno si salva certo e che chi ha semprein mente la salute dell'animapropria arrischia di perderla?»

«Bene bene benecaro»rispose il padreaccarezzandogli la testa. «Tuintanto domani vai a Jenne e ci staifino a che non ti richiamo io. Tido una lettera per l'arcipretech'èuna buona personae stai conlui. Hai capito? E adesso andiamo almonastero perché è tardi.»

Si alzò e fece alzare Benedetto.

Sopra il loro capo l'orologio di SantaScolastica suonava le ore.

Erano dieci? Erano undici? Don Clementenon le aveva contate dalprincipio e temeva il peggioavevaperdutaper tante diverseemozionila misura del tempo. Cheandava mai a capitare! Chi avrebbeprevisto? E che accadrebbe ora?Uscirono del piano erboso es'incamminarono per la ripidasassosamulattieradon ClementedavantiBenedetto alle sue spalleambedue con l'anima in tempestasilenziosirispondendo ai loropensieri la scura voce dell'Aniene.

Eccoad una svoltai lumi lontani diSubiaco. Pochisono forse leundici! In breve l'angolo nero delrecinto di Santa Scolastica sorge afronte dei viandanti. Per quali occulteviepensa Benedettonon loha condotto Iddio dalle logge diPragliadove Jeanne lo ha tentato evintoa questa faticosa salita nelletenebreverso un altro luogosantocon lei vicina e il cuorefondato in Cristo! Intanto le ragionidella prudenza praticaprementiinquella distrettasu donClementee le ragioni della santitàideale insegnate da lui aldiletto discepolo in tempo di calmasicontendevano la sua volontànon più tanto ferma; le prime davicino con violenza imperiosaleseconde da lontanocon la solabellezza severa e mesta. Le due «lucisante»alte sopra l'angolo nerodel recintolo guardavano appuntocome gli parvesevere e meste. Ohterra impurapensòterra trista!E forse prudenza impuraprudenzatristala prudenza terrena!Giunti all'angoloi due viandantipresero a sinistra voltando lespalle al rombo profondo dell'Anienepassarono davanti al cancellogrande del monastero egirato l'altrocanto del recintogiunseroper la galleria oscura che corre sottola bibliotecaa una porticina.

Don Clemente suonò. C'era daaspettare alquanto perché alle noveopoco dopotutte le chiavi delmonastero si portano all'Abate.

«Dunque mi permette» chieseBenedetto «di restare fuori?»

Le altre volte che il Maestro glieloaveva permessoegli era salito apassar la notte in preghiera sui greppinudi del Colle Lungoimminenti al monasteroo su quelli delTaleoo su la costa petrosache si taglia movendo dall'oratorio diSanta Crocella al bosco delSacro Speco. Il Maestro esitò unpoconon ci aveva più pensato. E ildiscepolo gli era parso quel giorno piùsmuntopiù esangue delconsueto; temeva per la sua salutealquanto logora dalle fatiche dellavoro campestredalle penitenzedalvivere disagiato. Glielo disse.

«Non pensi al mio corpo»supplicò il giovaneumile e ardente. «Il miocorpo è infinitamente lontano dame! Abbia solo paura che io nonfaccia il possibile per conoscere laVolontà Divina!»

Soggiunse che avrebbe pregato anche peraver lume circa questoincontro e che mai aveva sentito Iddiocome pregando la notte suimonti. Il Maestro gli prese il capo adue manilo baciò in fronte!

«Va» diss'egli.

«E Lei pregherà per me?»

«Sì"nunc etsemper".»

Passi nel corridoio. Una chiave giranella toppa. Benedetto si dileguacome un'ombra.

 

Il buon vecchio fra Antonioportinaiodel monasteroapersenonmostrò di essersi atteso avedere anche Benedettoe con quel rispettodignitoso in cui si confondevano la suaumiltà d'inferiore e la suacoscienza di onesto famigliare anticodisse a don Clemente che ilpadre Abate lo attendeva nel suoalloggio. Don Clemente salì con unlanternino al corridoio grande dovemettevano l'alloggio dell'Abate epoco discostola sua cella stessa.

L'Abatepadre Omobono Ravasio daBergamolo stava aspettando in unsalottino male rischiarato da unapovera lucernina a petrolio. Ilsalottinonella sua severa modestiaecclesiasticanon aveva disingolare che una tela del Moronebelritratto d'uomodue piccoletavole con teste d'angeli di manieraluinescaun piano a codacaricodi musica. L'Abateappassionato per iquadrila musica e il tabaccoda fiutodedicava a Mozart e a Haydngran parte del tempo non largoche gli concedevano i suoi doverireligiosi e le cure del governo. Eraintelligentealquanto bizzarroriccodi una cultura letterariafilosofica e religiosa fermasdegnosamente sul 1850. Piccolocanutoaveva una fisonomia arguta. Certi suoimodi orobiicerte familiaritàruvide avevano meravigliato i monaciavvezzi alle manieresquisitamente signorili del suopredecessorenobile romano. Veniva daParma ed era entrato in carica da solitre giorni.

Don Clemente gli s'inginocchiòdavantigli baciò la mano.

«Che mode avete voialtri aSubiaco?» disse l'Abate. «Fate venire ledieci alle undici?»

Don Clemente si scusò. Avevatardato per un dovere di carità. L'Abatelo fece sedere.

«Figlio mio» diss'egli«voi soffrite il sonno?»

Don Clemente sorrisenon rispose.

«Ebbene» riprese l'Abate«voi ne avete buttato via un'ora e adesso ioho le mie ragioni di prendervene unaltro poco. Vi devo parlare di duecose. Mi avete chiesto il permesso direcarvi a visitare certi signoriSelva. Ci siete andato? Sì?Potete dirmi di essere tranquillo nellavostra coscienza?»

Don Clemente fu pronto a rispondere conun lieve gesto di sorpresa:

«Ehsì!»

«Bene bene bene» fecel'Abate; e fiutò contentouna grossa presa ditabacco. «Io non conosco questisignori Selvama c'è a Roma chi liconosce o crede di conoscerli. Non èuno scrittoreil signor Selva?Non ha scritto di religione? Mi figuroche sarà un rosminianoagiudicare dalla gente che ce l'ha sucon lui; gente indegna diallacciar le scarpe a Rosminimaintendiamoci! Rosminiani sicuri sonoquelli di Domodossola e non quelli chehanno moglieeh? Dunquestaseradopo cenaho ricevuto unalettera da Roma. Mi scrivono - unpezzo grossocapite- che appuntostasera si doveva tenere in casadi questo falso cattolico signor Selvaun conciliabolo di altriinsetti malefici come luie cheprobabilmente vi ci sareste recatoanche voie che io dovevo impedirlo.Non so cosa avrei fattoperchése parla il Santo Padreobbediscosenon parla il Santo Padreriflettoma per vostra fortuna voieravate già fuori. Del resto c'èdella brava gente che scoveràqualche eretico anche in Paradiso.

Adesso voi mi dite che la vostracoscienza è tranquilla. Dunque nondevo credere alla lettera?»

Don Clemente rispose che certamente acasa Selva non ci erano venutiné ereticinéscismatici. Vi si era parlato della Chiesadei suoimalidi possibili rimedima come lostesso Padre Abate avrebbepotuto parlarne.

«Nofiglio mio» risposel'Abate. «Ai mali della Chiesa e ai possibilirimedi non ci ho a pensar io. Ossiaciposso pensare ma non ho aparlarne che a Dio perché neparli poi Lui a chi tocca. E così fateanche voi. Tenete a mentefiglio mio!I mali ci sono e i rimedi cisarannoma questi rimedichi sa?possono essere veleni e bisognalasciarli adoperare al Grande Medico.Noipreghiamo. Se non sicredesse alla comunione dei Santicosasi starebbe a fare neimonasteri? E in quella casafigliomioper la nostra pacenon ciritornare! Non me lo chiedere più!»

Passando paternamente così dal"voi" al "tu"l'Abate posò una manoaffettuosa sulla spalla del suo monacoafflitto di non poter rivederequei buoni amici e ancheparticolarmente di non potere l'indomanimattina conferire col signor Giovanniavvertirlo del pericolo checorreva Benedettoavvisare insieme alriparo.

«Sono cristiani aurei»diss'egli con voce sommessadolente.

«Lo credo» rispose l'Abate.«Credo che saranno migliori assai diquesti zelanti che scrivono di questelettere. Vedi che non facciocomplimenti. Tu sei di Bresciaeh?Beneio sono di Bergamo. Noi sidirebbe che sono "piaghe".Sono infatti piaghe della Chiesa. Iorisponderò a tono. I miei monacinon prendono parte a congreghe dieretici. Ma tua casa Selvanon ciritornerai.»

Don Clemente baciò rassegnato lamano del paterno vecchio.

«Adesso all'altro argomento!»disse costui. «Apprendo che quinell'Ospizio dei pellegrinidove diregola non ci dovrebbe abitarestabilmente che il vaccaroci sta datre anni un giovine che ci avetecollocato voi; ohcol permesso del miopredecessores'intende! Ungiovine che vi è molto legatoche voi dirigete spiritualmentechefate anche studiare in biblioteca. Veroche lavora nell'ortovero chemostra una pietà grandech'èdi edificazione a tuttima peròsiccome non pare che abbia l'intenzionedi farsi religiosoquesto suosoggiorno nell'Ospizio nostro doveoccupa un posto da tre anniè pocoregolare. Cosa me ne potete dire?Sentiamo.»

Don Clemente sapeva che alcuni suoiconfratellie non i più vecchi maproprio i più giovaninonapprovavano l'ospitalità concessadall'Abate defunto a Benedetto. Neppureandava loro troppo a sangueche don Clemente e lui fossero tantolegati. Qualche dispiacere perquestodon Clemente l'aveva giàavuto. Comprese che quei tali nonavevano perduto tempoche stavano giàlavorando il nuovo Abate. Ilsuo viso si colorò di rossore.Egli non rispose subitovolendo primaspegnersi dentro il suo corruccio conun atto di perdono mentale; poidisse ch'era suo dovere e suo desideriod'informarlo.

«Questo giovine» diss'egli«è un tale Piero Maironidi Brescia.

Ell'avrà udito nominare lafamiglia. Suo padredon Franco Maironisposò una donna senza nobiltàné ricchezza. Egli allora non aveva piùi genitoriviveva colla nonna paternala marchesa Maironidonnaimperiosaorgogliosa.»

«Oh!» esclamòl'Abate. «L'ho conosciuta! Uno spavento! Mi ricordo! ABrescia la chiamavano la marchesaHaynau! Aveva dodici gatti! Una granparrucca nera! Mi ricordo!»

«Io non l'ho conosciuta che perfama» ripigliò don Clementesorridendomentre l'Abate si facevapassare con una buona presa ditabacco e un mugolio gutturale ilcattivo sapore di quell'antipaticamemoria.

«La nonnadunquenon volleassolutamente saperne di questomatrimonio disuguale. Gli sposi furonoospitati da uno zio dellasposaella pure orfana. LuidonFrancosi fece soldato nel 1859 emorì di ferite. Sua moglie morìpoco dopo. Il figliuolo venne raccoltodalla nonna Maironiemorta leidacerti Screminsuoi parentiveneti. La nonna lo lasciòricchissimo. Sposò una figlia di questiScremin che disgraziatamente perdettela ragione poco tempo dopo lenozzecredo. Lui ne fu afflittissimocondusse vita ritirata fino ache s'incontròper suasventurain una signora divisa dal marito.

Allora venne un periodo di traviamento;traviamento di costume etraviamento di fede. Quandopare unmiracolo del Signore!ecco chesua moglie viene a moriree nel morirericupera la ragionefa venireil maritogli parlamuore come unaSanta. Questa morte gli volta ilcuore verso Dioegli lascia lasignoralascia le ricchezzelasciatuttofugge di notte da casa sua senzadire a nessuno dove va.

Siccome aveva conosciuto me a Bresciauna volta che ci andai per unamalattia di mio padree sapeva ch'eroa Subiacosiccome anche avevacaro il nostro Ordine e certe memoriedella nostra povera Pragliaècapitato qua. Mi ha raccontato la suastoriami ha supplicato diaiutarlo a condurre una vita dipenitenza. Credetti che aspirasse aentrare nell'Ordine. Egli mi disseinvece di non sentirsene degnodinon aver potuto ancora conoscerecircaquesto puntola DivinaVolontà di volere intanto farpenitenzalavorare colle proprie maniguadagnarsi il paneun poverissimopane. Mi disse altre cosemiparlò di certi fattisovrannaturali che gli sarebbero intervenuti. Ione parlai subito al padre Abate diallora e si combinò così:alloggiarlo nell'Ospiziofarlolavorare nella chiusura come aiutoall'ortolano e fornirgli il vittomagrissimo ch'egli desiderava. Intre anni non ha preso né vinoné caffèné lattené un uovo. Panepolentafruttaerbaggiolioacquapura: non ha preso altro. La suavita è stata una vita di Santociascuno glielo può dire. E si credeil più gran peccatore delmondo!»

«Hm!» fece l'Abatepensoso. «Hm! Capisco! Ma perché non entranell'Ordine? Altra cosa: so che hapassato qualche notte fuori.»

Don Clemente sentì ancoracorrersi un fuoco al viso.

«In preghiera» diss'egli.

«Sarà cosìmaforse non tutti crederanno. Sapete cosa dice Dante:

 

"Sempre a quel ver c'ha faccia dimenzognaDee l'uom chiuder le labbra fin ch'eipuotePerò che senza colpa favergogna".»

 

«Oh!» esclamò donClemente arrossendo nella sua dignità verecondapercoloro che potessero aver concepito unvile sospetto.

«Scusatefiglio mio» dissel'Abate. «Non si accusa. Si biasimano leapparenze. Non riscaldatevi. E' megliopregare in casa. E questi fattisoprannaturalidite sucosa sono?»

Don Clemente rispose ch'erano statevisionivoci udite nell'aria.

«Hm! Hm!» fece ancoral'Abate con un complicato gioco di rughedilabbra e di sopraccigliacome seavesse inghiottito un sorso diaceto. «Avete detto che sichiama?... Il nome proprio?»

«Pieroma quando è venutoha desiderato separarsi da questo nomemiha pregato d'imporgliene un altro. Hoscelto "Benedetto"; mi parve ilpiù appropriato.»

L'Abatea questo puntoespresse lavolontà di vedere il signorBenedetto e ordinò a donClemente di mandarglielo l'indomani mattinadopo il coro. Allora don Clemente siturbò un pocodovette confessareche non poteva prometterloassolutamente perché appunto in quellanotte il giovine era uscito a pregareed egli non sapeva con certezzaa quale ora sarebbe rientrato. L'Abates'inquietò moltoborbottò unasequela di rimbrotti e di riflessioniacide. Don Clemente si deciseperciò a raccontare l'incontrocolla signora Dessallel'anticaamantequel ch'era poi seguito perviala sua idea di mandareBenedetto a Jenne e di farvelo rimanerefino a che la signora nonfosse partita. Il Superiore lo ascoltòa ciglia aggrottatecon uncontinuo brontolio sordo.

«Qui» esclamòfinalmente «si torna a San Benedetto! Si torna alleinsidie delle peccatrici! Vada vadavadail vostro Benedetto! Aquesto Jenne e anche più in là!E non mi dicevate questo? Vi parevapoco? Vi pareva niente che si ordisserointorno al monastero delletrame di questa fatta? Andateadessoandate pure!»

Don Clemente fu per rispondere che nonsapeva se si ordissero tramese la signora avesse riconosciuto o noil suo discepoloche a ognimodo egli aveva già espresso aBenedetto il proposito di allontanarlo;ma impose silenzio a questo inutilesfogo di amor proprioe preseginocchionicongedo.

 

Ritolto il lanternino che avevalasciato nel corridoionon entrònella sua cella. Percorse lento lentoil corridoio sino al fondoscese lento lentonon senza qualchesostaper una angusta scalettanell'altro corridoio strettissimo chemette al Capitolo. Il pensierodel diletto discepolo orante nellanotte sul montel'aspettazionedelle risoluzioni che prenderebbe dopoavere comunicato con Diolecoperte ostilità dei fratelliicipigli e i dubbi dell'Abateiltimore ch'egli ponesse Benedetto nellanecessità di scegliere fra ivoti monastici e il bando dal conventogli accumulavano sul cuore unpeso spossante. Il fervore mistico diBenedettoquella sua grandeinconscia umiltài suoiprogressi nella intelligenza della Fedegiustale idee che originavano dalsignor Giovannicerti lumi nuoviche gli scaturivanoconversandodalpensierola forza crescente delmutuo affettogli avevano fattoconcepire speranze di una prossimarivelazionein quel naufrago delmondodella Divina GraziadellaDivina Veritàdella DivinaPotenzaper il bene delle anime. Loavevano dettoalla riunione di casaSelva; ci vorrebbe un Santo. Loaveva detto per il primo quell'abatesvizzero. Secondo altri eradesiderabile un Santo laico. E questoera pure il suo pensieroe glipareva provvidenziale che a Benedettoripugnasse la vita monastica.

Quasi quasi gli parve provvidenzialeanche la venuta della signorache lo costringeva a lasciare ilconvento. Ma che gli succedeva orasul monte? Che gli diceva Iddio nelcuore? E se...

Questo balenare di un "se"nuovoinattesoformidabilearrestò ilmeditabondo nel suo lento cammino.«MAGISTER ADEST ET VOCAT TE.» Forselo stesso Maestro Divino chiamavaBenedetto a servirgli sotto le vestidel monaco.

Egli cessòsbigottitodipensaree dal Capitoloposato illanterninoentrò nella chiesamosse diritto alla cappella delSacramento. Con quella dignitàche nessuna tempesta interna potevatogliere alle movenze signorili dellapersonaalla pura bellezza delvisosi compose sull'inginocchiatoionel mezzo della cappellafra lequattro colonnesotto la lampada; ealzò gli occhi al Tabernacolo.

Il Maestro della Viadella Veritàe della Vitail Dilettodell'animaera là e dormivacome la procellosa notte sul mare diGenezarethfra Gadara e la Galileanella barca che altre barchetravagliate dai flutti seguivano per letenebre sonore. Era là epregava come un'altra nottesolosulmonte. Era là e diceva con lasua dolce voce eterna: - Venite a mevoi dolenti; voi cui la vita ègravetutti venite a me. - Era làe parlavail Vivente: - Credete inme che sono con voiristoro vostro epaceio l'Umilefiglio delPotenteio il Mitefiglio delTerribileio lavoratore dei cuori peril regno della giustiziaper la futuraunità di voi tutti meco nelPadre mio. - Era làil Pietosonel Tabernacolo e spirava l'invitoineffabile: - Vieniapritiabbandonati a me.

E Clemente si abbandonòglidisse quello che non aveva mai confessatoneppure a se stesso. Sentivanell'antico monasterotuttotranneCristo nel Tabernacolomorire. Comecellula dell'organismoecclesiasticoelaboratrice di calorecristiano radiante al mondoilmonastero si ossificava nella vecchiaiainesorabile. Onorandi fochi difede e di pietà chiuse nelleforme tradizionalisimili alle fiammedei ceri accesi sugli altariviconsumavano i loro involucri umaniinviandone al cielo il vaporeinvisibilesenza che una sola ondacalorifica o luminosa ne vibrasse al dilà delle muraglie antiche. Lecorrenti dell'aria non vi entravano piùe i monaci non uscivano più acercarle come nei primi secolilavorando nei boschi e sui praticooperando alle vitali energie dellanaturanell'atto stesso chemagnificavano Iddio col canto. Icolloqui con Giovanni Selva loavevano indirettamente condottopoco apocoa sentire così dellavita claustrale nelle sue formepresentipure essendo convinto che haindestruttibili radici nell'animaumana. Ma forse ora per la primavolta gli avveniva di guardare il suosentimento in faccia. Era da unpezzo suo votoera sua speranza cheBenedetto diventasse un grandeoperaio del Vangelo; non un operaiocomuneun predicatoreunconfessorebensì un operaiostraordinario; non un soldatodell'esercito regolareimpeditodall'uniforme e dalla disciplinabensì un libero cavaliere delloSpirito Santo; ma la Regola monasticanon gli si era mai rappresentata intale antagonismo con il suo idealedi un Santo moderno. E se ora laVolontà Divina si manifestasse aBenedetto proprio diversa dal desideriosuo?Ah non era egli già quasisull'orlo di un peccato mortale? Nonpresumeva già egli quasipolvere tracotantedi giudicare le vie diDio? Prosternato sull'inginocchiatoios'immerse nell'Onnipotenteanelando senza parole al perdonoallarivelazionein Benedettodella Volontà Divinaadorandolada quel momento qualunque fosse.

Nell'alzarsi con un naturale defluiredell'onda mistica dal cuorecongli occhi volti ancora all'altare manon più fissi nel Tabernacolonon poté a meno di pensare allaDessalle e al discorso di Benedetto.

La mediocre pala di quell'altarerappresenta la martire Anatolia cheoffre dal paradiso la palma simbolicaad Audaxil giovine pagano chetentò sedurla e ne fu invececondotto a Cristo. La Dessalle avevasedotto Benedetto; per quanto Benedettosi fosse studiato di scolparelei e d'incolpare sédonClemente non dubitava che le cose fosseroandate così. Se ora eglioperasse la conversione di lei? Se fossegiusto che la tentasse? Se ilsentimento di Benedetto fosse realmentepiù cristiano che il timore suoe gli spasimi del padre Abate? DonClemente si dibatteva in testa questiproblemi attraversando a capobasso la chiesa. Anatolia e Audax! Glisovvenne che un forestieroscetticoudita da lui la spiegazionedel quadroaveva detto: sìmase non li avessero ammazzatinél'uno né l'altra? e se Audax avesseavuto moglie? E queste beffarde parolegli erano parse una indegnaprofanazione. Le ripensò esospirandoraccattò da terra illanternino posato nel Capitolo.

Invece di avviarsi alla sua cella sirecò nel secondo chiostro aguardare il dorso del Colle Lungodoveforse Benedetto stava inorazione. Alcune stelle brillavano sulroccioso dorso grigio macchiatodi nero e il loro lume oscuro mostravanel chiostro il piazzalegliarboscelli sparsila torre possentedell'Abate Umbertole arcatelemura vecchie di nove secoli esullaogiva del portale grande dove donClemente stava contemplandola doppiariga dei fraticelli che visalgono in processione. Il chiostro ela torre si affermavano nellanotte con maestà di potenza. Eraproprio vero che stessero morendo?Nel lume delle stelle il monasteropareva più vivo che nel solegrandeggiava in una mistica comunionedi senso religioso con gliastri. Era vivoera pregno di effluvispirituali diversiconfusi inuna persona unicacome le diversepietre tagliate e scolpite acomporre la unità del suo corpocome diversi pensamenti e sentimentiin una coscienza umana. Le vetustepietresature di anime commiste adesse in amoresature di desideri santie di santo doloredi gemiti edi preciradiavano un che oscuropenetrante nel subcosciente. A queilavoratori di Dio che nelle ore aridevi si ritraessero dal mondo abreve riposopotevano rinfondere forzacome d'estate al falciatore indeserti montani una fonte. Ma perchéle pietre durassero viveuncontinuo fiume di vita doveva puretrapassar per esseun fiume dispiriti adoranticontemplanti. DonClemente sentì quasi rimorso deipensieri volontariamente accolti inchiesa circa la decrepitezza delmonasteropensieri radicati nel suogiudizio personalepiacenti alsuo amor proprioquindi viziati diquella concupiscenza dello spiritoche i suoi diletti Misticigl'insegnavano a discernere e ad abborrire.

Giunte le manifissò il dorsoselvaggio del monte dove si figuravaBenedetto pregantefece un attomentale di rinunciadi umileabbandono delle proprie idee circal'avvenire di quel giovine.

Benedisse Iddio se lo voleva laicobenedisse Iddio se lo volevamonacose scopriva la Sua volontàe se non la scopriva. «Si vis meesse in luce sis benedictussi vis meesse in tenebris sis iterumbenedictus.» E si avviòalla sua cella.

 

Nel grande corridoio dove le due fiochelampade ardevano ancorapassando davanti all'uscio dell'Abateripensò la conversazione avutacol vecchio e quelle sue massime circai mali della Chiesa e laopportunità di operare contro diessi. Ricordò un discorso del signorGiovanni sulle parole «fiatvoluntas tua» che il comune dei fedeliintende soltanto come un atto dirassegnazionee che implicanoinveceil dovere di lavorare con tuttele nostre forze per ilprevalere della legge divina nel campodella libertà umana. Il signorGiovanni gli aveva fatto battere ilcuore più forte e l'Abate glieloaveva fatto battere più fiacco.Quale dei due aveva detto la parola diVita e di Verità?La sua cella era l'ultima a destrapresso il balcone che guarda laconca rigata dell'AnieneSubiaco e imonti Sabini. Prima di entrarnella sua cella don Clemente si fermòa guardar i lumi lontani diSubiacopensò alla villettarossapiù vicina ma invisibilepensò aquella donna. Trameaveva dettol'Abate. Amava ella ancora PieroMaironi? Aveva scopertosapeva ch'eglisi era rifugiato a SantaScolastica? Lo aveva riconosciuto? Sesìche meditava di fare?Probabilmente non aveva preso stanzanel minuscolo quartiere deisignori Selva; probabilmente alloggiavain un albergo di Subiaco. Queilumi lontani erano fuochi di un camponemico? Si fece il segno dellacroce ed entrò nella suacelletta per un breve sonno fino alle dueora di coro.

 

Benedetto prese la via del Sacro Speco.Oltrepassatoall'altro angolodel monasteroil letto asciutto di untorrentelloraggiunto a destral'oratorio antichissimo di SantaCrocellasali per la petraia cheruina giù verso il rombodell'Aniene di fronte ai carpineti delFrancolanoerto e nero fino alla crocedel verticeincoronata distelle. Prima di toccare l'Arco chemette al bosco del Sacro Specouscì di viasi arrampicòa sinistracercando il posto dell'ultimasua vegliaalto sui tetti quadrati esulla torre tozza di SantaScolastica. La ricerca del sasso doveaveva pregato ginocchioniun'altra dolorosa nottesviandogli ilpensiero dal mistico foco incui era chiusoglielo raffreddò.Se ne avvide tostone sentì unrammarico affannosouna impazienza diricuperar calore acuita daltimore di non riuscirvidal senso diesserne in colpadal ricordo dialtre aridità tristi. Gelavagelava sempre più. Cadde ginocchionichiamò Iddio con uno spasimo dipreghiera. Come piccola fiammainutilmente apposta ad un fascio dilegna verdelo slancio dellavolontà gli venne meno senzamovere il cuore inerte e mancò in unostupido ascoltare del rombo egualedell'Aniene. La mente gli ritornòin un assalto di terrore. Forse lanotte passerebbe intera così; forseal gelo arido seguirebbe la tentazionecalda! Impose silenzio alfervere delle immaginazionisiraccolse nel proposito di nonsmarrirsi d'animo. Allora sorse in luil'idea chiara che spiritinemici gli erano sopra. Se avesseveduto intorno a sé fiammeggiareocchi diabolici nei fessi delle pietrene sarebbe stato meno certo.

Sentiva in sé il vaporare di unvelenosentiva un'assenza di amoreun'assenza di doloreun tediounpesol'aggravarsi di unassopimento mortale. Ricadde nellostupido ascoltare il rumore delfiumefissi gli occhi senza sguardo albosco nero del Francolano. Glipassò nella visione internalento automala immagine del pretemalvagio vissuto là colla suacorte di peccatrici. Sentì stanchezza distar ginocchionisi accasciò suse stesso. Ecco ancora l'automalento. Si voltò con un faticososforzo a sedereabbandonò le mani suiciuffi dell'erba sofficefra sasso esassoodorante. Chiuse gliocchi nella dolcezza di quel toccomorbidodell'odor selvaggiodelriposo; e vide Jeanne pallida sottol'ala obliqua di un cappello neropiumatoche gli sorrideva con gliocchi umidi di lagrime. Il cuoregli batté forteforteforte;un filoun filo solo di volontà buonalo tratteneva sulla chinadell'abbandono all'invito di quel volto.

Spalancò gli occhimiseabraccia distesea mani aperteun lungogemito. E subito pensò chequalche viandante notturno potesse averlouditotrattenne il respirostette inascolto. Silenzio; silenzio ditutte le cose fuorché del fiume.Il cuore gli si venne chetando. «DiomioDio mio» mormoròinorridito del pericolo corsodell'abissointravisto. Si afferrò con gliocchicon l'animaal gran dado sacrolì sottodi Santa Scolasticaal torrione tozzotanto buonocheamava. Trapassò con lo spiritol'ombre e i tettiattrasse in sé lavisione della chiesadella lampadaardentedel TabernacolodelSacramentovi si affisse avido. Siraffigurò con uno sforzo ichiostrile cellele grandi crocipresso i giacigli dei monaciilvolto serafico del suo Maestroaddormentato. Durò nello sforzo quantopotéreprimendosi dentro conangoscia un balenar frequentedell'obliquo cappello piumato e delviso pallidofino a che i balenigli si affiochironogli si perdetterogiù nelle profondità inconsciedell'anima. Allora sorse faticosamentein piedi e lento come se lamaestà di una grandezza pensatagovernasse gli stessi suoi motigiunse le manivi piegò ilmento su. Fermò il pensiero nellapreghiera dell'Imitazione «DOMINEDUMMODO VOLUNTAS MEA RECTA ET FIRMAAD TE PERMANEATFAC DE ME QUIDQUIDTIBI PLACUERIT.» Non vi eracommozione nel suo internopareva chegli spiriti di nequizia se nefossero allontanati; ma neppure vierano discesi angeli. La mentestanca gli posò nel senso dellecose esternedelle vaghe formedeifiochi biancori nell'ombradel lontanoululo di un gufo neicarpinetidel tenue aroma d'erba chele mani giunte odoravano ancora.

L'aroma selvaggio gli richiamòil momento in cui aveva posato le manisull'erbaprima che gli apparisse ilsorriso triste di Jeanne.

Sciolse le mani impetuosotornòcon gli occhi avidi al monastero. NonoIddio non avrebbe permesso ch'eglifosse vintoIddio lo serbavaalle opere sue. Allora dal profondodell'animasenza che il volere viavesse partegli si levarono fantasminon più evocatiper consigliodel Maestroda quando era venuto aSanta Scolastica; fantasmi dellavisione affidata in iscritto allacustodia di don Giuseppe Flores.

Egli si vide ginocchioni a Roma inpiazza San Pietrodi nottefral'obelisco e la fronte del tempioimmensoilluminato dalla luna. Lapiazza era vuota; il rumore dell'Anienegli diventò il rumore dellefontane. Dalla porta del tempio siporgeva sulla gradinata un gruppodi uomini vestiti di rossodi violettoe di nero. Lo fissavanominacciosiappuntando gl'indici versoCastel Sant'Angelocome perintimargli di partirsi dal luogo sacro.Ma eccoquesta non era più laVisionequesto era un immaginar nuovo!Egli sorgevadiritto e fieroin faccia al manipolo nemico. Gliruggiva improvviso alle spalle unrombo di moltitudini accorrenti cheirrompevano nella piazza dallebocche di tutte le viea fiumi.Un'ondata lo travolgeva con séacclamando al riformatore della Chiesaal vero Vicario di Cristoloposava sulla soglia del tempio. Di làegli si volgeva come adaffermare autorità sull'Orbe. Inquel momento gli folgorò nel pensieroSatana offrente a Cristo il regno delmondo. Precipitò a terrasistese bocconi sulle pietregemendonello spirito: «GesùGesùnonson degnonon son degno di venirtentato come Te!» E porse le labbrastrettele affisse al sassocercandoIddio nella creatura mutaIddioIddioil sospirola vitalapace ardente dell'anima. Unsoffio di vento gli corse sopraglimosse l'erbe intorno.

«Sei Tu» egli gemette«seiTusei Tu?»

Il vento tacque.

Benedetto si stringe i pugni alleguanceleva il capo puntando igomiti al sassosta in ascolto senzasaper di che. Sospirasi riponea sedere. Iddio non gli parlerà.L'anima stanca tacevuota dipensiero. Passa il tempolento.L'anima stanca richiama a fatica persuo ristoro l'ultima parte dellaVisioneil suo ascendereper unnotturno cielo tempestosoincontro adangeli discendenti. E pensatorbidamente: se questa sorte miaspettaperché rattristarmi? Se saròtentato non sarò vinto e se saròvinto Iddio mi rialzerà. Neppure ènecessario di domandargli cosa vogliada me. Perché non scendo adormire?Benedetto si alzògreve il capodi stanchezza plumbea. Il cielo siera tutto coperto di nuvole pesantifino ai monti di Jennedove lavalle dell'alto Aniene gira. AppenaBenedetto poteva discernere latenebra nera del Francolanoin facciae i lividoria' suoi piedidella petraia. Mosse per discendere eal secondo passo si arrestò. Legambe non lo reggevanoun soffio disangue gli accese il viso. Eraquasi digiuno da trent'ore. Non avevapreso che un tozzo di pane amezzodì. Si sentì pungerla persona da miriadi di spillibatter forteil cuoreannebbiar la mente. Qualiviluppi di serpi gli siattorcigliavano ai piedi simulando lainnocenza dell'erba? E qualdemonio sinistro lo attendeva lìsottocarponi sulla pietrasimulando un cespuglio peravventarglisi? Non lo aspettavano i demoniianche nel monastero? Non si annidavanonegli occhi del torrione? Nonavevano quegli occhi una fiamma nera?Nonoadesso non più; adessolo fissavano semichiusi e beffardi. Ilrombo dell'Anienequesto? Noil ruggito dell'Abisso trionfante. Noncredeva interamente a quelloche vedevaa quello che udivamatremava tremava come una festucanel vento e le miriadi di spilli glicamminavano per tutta la persona.

Cercò svincolar i piedi daiviluppi di serpinon gli riuscì. Dalterrore alla collera: «Devopotere!» esclamòforte. Dalla gola foscadi Jenne gli rispose il sordo rumor deltuono. Guardò a quella volta.

Un lampo aperse le nubi sopra ilnegrore del monte Preclaro e sparì.

Benedetto si provò di levar ipiedi dalle serpi e ancora la leoninavoce del tuono lo minacciò.

«Cosa faccio?» sidiss'eglicercando raccapezzarsi. «Perché voglioscendere?»

Non lo sapeva piùebbe bisognodi uno sforzo mentale per ricordare.

Eccoaveva pensato di scendere adormire perché la preghiera erainutile a un uomo sicuro di salire alcielo. E un lampo arse anchedentro di lui:

«Io tento Iddio!»

Le serpi lo stringevanoil demoniostrisciava carponi alla sua voltaper la petraia tutta infernalmente vivadi spiriti ferocile fiammenere ardevano negli occhi del torrioneruggendo sempre l'Abisso atrionfo. Ma il rugghio sovrano deltuono romoreggiò per le nubi: «NONTENTARE IL SIGNORE IDDIO TUO».Benedetto levò al cielo il viso e lemani congiunteadorandocome potécon l'ultimo lume della offuscatacoscienzavacillòallargòle bracciaafferrò l'ariapiegòlentamente all'indietrostramazzòriverso sulla chinagiacque senzamoto.

 

Il suo corpo giaceva immobile nel ventodel temporalecome un troncoschiantatofra il dibattersi delleginestre e il mareggiaredell'erba. L'anima dovette chiudersinel contatto centrale conl'Essere senza tempo e senza spazioperché Benedettoal primoritorno della coscienzanon ebbe sensoné del luogo né dell'ora.

Sentiva una levità strana dellemembrauna spossatezza fisicapiacevoleuna infinita dolcezzainterna; prima sul visopoi sullemani tanti minuti titillamenti come dianimati atomi amorosidell'aria; teneri sussurri di vocitimide intorno a quello che glipareva il suo letto. Si rizzò asedereguardò smarrito ma in pace;dimentico del dove e del quandomatanto in pacetanto contentodella quieta fonte interna di unindistinto amore che gli fluiva intutti i vasi della vita e se nespandeva per le cose intornoper ledolci piccole vite fatte amorose a lui.Sorridendo fra sé del suoproprio smarrimentoriconobbe il dovee il come. Il quandono.

Neppure ne sentì desiderioneppure si domandò se dalla caduta fosserotrascorse ore o minutitanto loappagava il beato presente. Iltemporale era disceso verso Roma. Nelmormorio della pioggia senzaventopiana piananella voce grandedell'Anienenella riposatamaestà dei montinell'odoreselvaggio della petraia umidanellostesso proprio cuoreBenedetto sentivaun Divino confuso allacreaturaun'ascosa essenza diparadiso. Sentiva di fondersi con leanime delle cose come piccola voce inun coro immensodi essere unocon la montagna odoranteuno conl'aria beata. E così sommerso nelmare della paradisiaca dolcezzaabbandonate le mani sulle ginocchiasocchiusi gli occhiblandito dallapioggia piana pianagodeva nonsenza un vago desiderio che tantasoavità fosse conosciuta dalla genteche non crededalla gente che non ama.Nel declinare del rapimentogli ritornarono a mente i perchédella presenza sua sul monte desertonelle tenebre della nottee leincertezze del domanie Jeanneel'esilio dal monastero. Ma oraincertezze e dubbi erano indifferentiall'anima sua ferma in Diocome alFrancolano immobile i tremolii delsuo manto di foglie. Incertezzedubbiricordi della mistica Visionegli si disciolsero nel profondoabbandono alla Divina Volontàcheavrebbe disposto di lui a suopiacimento. La immagine di Jeannecontemplata quasi dall'alto di unainaccessibile torregli movevasolo il desiderio di operarefraternamente per lei. La tranquillaragione ripigliando intero l'ufficiosuoegli si accorse di essermolle di pioggia fin dentro le vesti; ela pioggiapiana pianacontinuava. Che fare? Rientrareall'Ospizio dei pellegrini no perchéil vaccaro dormiva; svegliarlo perfarsi aprire non avrebbe voluto nésarebbe stato facile. Pensò diriparare sotto i lecci del Sacro Speco.

Alzatosi faticosamenteebbe un assaltodi vertigini. Aspettò un pocoe poi scese adagio adagio sulla via cheda Santa Scolastica metteall'Arco d'ingresso nel bosco. Lànella nera ombra dei grandi leccichini e protesia braccia sparsesulla china del montefra ilchiarore fiocoa destradella costaesterna all'Arcoe il chiarorefiocoa sinistradella costa esternaal boscocadde a sederesfinito.

Desiderava un po' di cibo e non osòdomandarlo al Signoreparendoglidomandare un miracolo. Si dispose adattendere il giorno. L'aria eratepidail suolo quasi asciuttoradigoccioloni battevano qua e làdal fogliame dei lecci. Benedetto siassopì di un sopor lieve cheappena gli velava le sensazionitramutandole in sogno. Si figurò distare in un sicuro asilo di preghiera edi paceall'ombra di bracciasanteprotese sopra il suo capo; e glipareva di doverlo abbandonareper ragioni di cui gli era evidentel'imperobenché non avessecoscienza della loro natura. Potevauscirne per una porta cui mettevacapo la via discendente al mondopoteva uscirne dalla parte oppostaper un cammino ascendente a solitudinisacre. Pendeva incerto. Ilbatter vicino di una grossa goccia glifece aprire gli occhi. Dopo unprimo momento di torpore riconobbel'Arco a destracui metteva capoil cammino discendente verso SantaScolasticaSubiacoRoma; asinistra il cammino ascendente verso ilSacro Speco. E notò attonitoche dall'uno e dall'altro latofuoridei leccile pietre scoperteerano molto più chiare di primache tanti minuti chiarori traforavanoil fogliame sopra il suo capo. Giorno?Si fa giorno? Benedetto avrebbecreduto oltrepassata di poco lamezzanotte. Le ore suonano a SantaScolastica; unaduetrequattro. E'giorno e sarebbe anche piùchiaro se il cielo non fosse tutto unapesante nube dai monti diSubiaco a quelli di Jennequantunquenon piova più. Un passo dalontano; qualcuno sale verso l'Arco.

Era il vaccaro di Santa Scolastica cheper un caso insolitoportavaa quell'ora il latte al Sacro Speco.Benedetto lo salutò. Coluiall'udir questa vocetramortì efu per lasciar cadere il vaso dellatte.

«OhBenedè!»esclamò riconoscendo Benedetto. «Quisiete?»

Benedetto gli chiese un sorso di latteper amor di Dio.

«Lo racconterete ai padri»diss'egli. «Direte ch'ero sfinito e che viho chiesto un po' di latte per amor diDio.»

«Ehsì! eh sta bene! ehpigliate! eh bevete!» fece coluirispettosoavendo Benedetto per un Santo. «Checi avete passato la notte qui? Checi avete preso tutta quella pioggia?Dio come siete molle! Sieteinzuppato come una spugnasiete!»

Benedetto bevve.

«Benedico Iddio» diss'egli«per la bontà vostra e per la bontà dellatte.»

Lo abbracciò eanni dopoilvaccaroNazzareno Mercurisolevaraccontare che mentre Benedetto lostringeva fra le sue braccia nongli pareva esser lui; che il sangue gliera diventato prima tutto gelopoi tutto un focoche il core glibatteva forte forte come la primavolta che aveva ricevuto Cristo inSacramento; che un gran dolor dicapo statogli addosso due giorni gliera sfumato via; che allora egliaveva capito subito di trovarsi nellebraccia di un Santo da miracolie gli era caduto ginocchioni ai piedi.In fatto non s'inginocchiò marestò di sasso e Benedetto glidovette dire due volte: «Ora andateNazzareno; andatefigliuolo caro.»Avviatolo amorevolmente così alSacro Specos'incamminò eglistesso verso Santa Scolastica.

La petraia chiara era vôta dispiriti buoni e rei. Montagnenuvolele stesse fosche mura del monastero ela torre parevanonella lucescialbagravi di sonno. Benedettoentrò nell'Ospizio e coricatosisenza spogliar le vesti bagnatesulmisero giacigliosi raccolse alpetto le braccia in crocesiaddormentò profondamente.

 

 

Cap. 4

AFRONTE

 

1.

Il rombo del tuono svegliòdopole dueNoemi che da pochi momentiaveva potuto prender sonno. Elladormiva nella camera vicina a quelladi Jeannecon l'uscio aperto. Jeannela chiamò subito. Avevanoconversato fino alle due e Noemiesaustaaveva finalmente ottenutodall'instancabile amicadopo moltopregare inutiledi esserelasciata in pace. Finse di non udire.Jeanne la chiamò da capo:

«Noemi! Il temporale! Ho paura!»

«Non hai paura niente!»rispose Noemiirritata. «Taci! Dormi!»

«Ho paura! Vengo da te!»

«Proibisco!»

«Allora vieni tu!»

Noemi replicò un «vuoifinirla?» tanto risoluto che l'altra si chetò.

Per poco. La voce di bambina dolenteche Noemi conosceva benericominciò:

«Non hai dormito abbastanza? Nonpuoi parlareadesso? Avrai dormitotre ore!»

Noemi accese uno zolfanello e guardòl'orologio col quale alla manoaveva prima invocato il silenzio.

«Ventidue minuti!»diss'ella. «Basta!»

Jeanne tacque un momento e poi misefuori quei piccoli hm! - hm! - hm!che son preludio al pianto di unbambino viziato. E seguì la vocesommessa:

«Non mi vuoi niente bene! - Hm!Hm! - Abbi pietàparliamo un poco! -Hm! Hm!»

Noemi sospirò nella sua linguanativa:

«"Ohmon Dieu!"»

E si rassegnò con un secondosospiro:

«Avanti! Cosa puoi dirmi che tunon mi abbia già detto in quattr'ore?»

Il tuono ruggì ma Jeanne oramainon se ne curava più.

«Domattina andremo al monastero»diss'ella.

«Ma sìva bene!»

«Andremo noi due sole?»

«Ma sìè giàinteso!»

La voce piagnolosa tacque un momento eriprese:

«Tu non mi hai mica promessoancorache qui in casa non dirainiente?»

«Dieci volte te l'ho promesso!»

«Sainon è verocosadevi dire per quello svenimento di ieri serase ti domandano?»

«Lo so!»

-«Devi dire che quel padre non èluiche ho perduta una illusione eche mi sono sentita male per questo.»

«Ma mio DioJeannequeste sonventidelle volte!»

«Come sei cattivaNoemi! Comenon mi vuoi bene!»

Silenzio.

La voce di Jeanne riprende:

«Dimmi quello che pensi. Crediproprio che mi abbia dimenticata?»

«Non rispondo più.»

«Rispondiinvece! Una parolasola! Dopo ti lascio dormire!»

Noemi pensa un poco e poi rispondeasciuttaper finirla.

«Ebbenecredo di sì.Credo che non ti abbia mai amata.»

«Questo lo dici perché tel'ho detto io» ribatté Jeanneasprasenzalagrime nella voce. «Tu non puoisaperlo!»

«"Bonça!"»brontolò Noemi. «"C'est elle qui me l'a dit et jene doispas le savoir!"»

Silenzio.

La voce flebile:

«Noemi.»

Nessuna risposta.

«Noemiascolta.»

Niente. Jeanne si mette a piangere eNoemi cede.

«Ma santo cielocosa vuoi?»

«Piero non può sapere chemio marito è morto.»

«Bene. E allora?»

«Allora non può sapere chesono libera.»

«E dunque?»

«Stupida! Mi fai venire unarabbia!»

Silenzio. Jeanne sa bene quale speciedi rabbia è la sua. L'amicapensa troppo come lei stessa chevorrebbe tanto essere contraddettanel suo presentimento dolorosoavereuna parola di speranza.

Rise un riso lieveforzato:

«Noemifai l'offesaadessoappostaper non parlare.»

Silenzio.

Jeanne riprendemansueta:

«Senti. Non credi che avràdelle tentazioni?»

Silenzio.

Jeanne non si curastavoltache Noeminon risponda. Esclama:

«Sarebbe bella che proprio adessonon avesse più tentazioni!»

Il suo sdegno è tanto comico cheNoemipure molto scandolezzatanonpuò fare a meno di ridere; eride anche lei. Noemi ride; però anche lasgrida di queste sciocchezze enormi chedice senza riflettere. PerchéNoemi conosce Jeanne e sa che Jeanne inquesto momento non è la veraJeanneconscia e signora di sé;o forse è la Jeanne più vera ma noncerto quella che starà a frontedi Piero Maironi se mai s'incontrano.

Il tuono tace e Jeanne vorrebbe vedereil tempo che fama le pesa discendere dal lettoteme di sentirsimaleteme il dubbio di non potersalire fra qualche ora al monastero.Teme poi anche le difficoltà chegli ospiti farebbero se il tempo fossetroppo cattivo; le preme dunquedi sapere come si dispone il cielo.Bisogna che scenda Noemilaschiava cui ben di rado riesconovittoriose le ribellioni. Noemiscendeapre la finestraesplora ilbuio con la mano distesa. Minutefrettolose goccioline le titillano lamano. Il buio si varia un pocoagli occhi di lei. Ella distinguelìsottoSanta Maria della Febbregrigia sul campo nero. Le si rischiarala nuvolaglia pesantevinereggiano su le braccia della querciaimminente a destrai profilidelle montagne. Le minute frettolosegoccioline titillano titillano lamano distesache si ritrae. Jeannedomanda:

«Dunque?»

«Piove.»

Ella sospira: «che noia!»come se avesse a piovere in eterno. E legoccioline prendono maggior voceriempiono di sommesse parole lacamerasi affiochiscono ancora. Jeannenon ha inteso le sommesseparolenon ha inteso che l'uomo di cuiha pieno il cuore giacesvenuto sulla petraia deserta che lapioggia lava.

 

A mattina inoltrata la signora Selvaun po' inquieta per non avereancora veduto comparire né l'unané l'altra delle due signoreentròpian piano nella camera di sua sorella.Noemi era quasi vestita e leaccennò di tacere. Jeannedormivafinalmente. Le due sorelle uscironoinsiemesi recarono nello studio diGiovanni che ve le attendeva.

Dunque? Don Clemente era propriol'uomo? Marito e moglie desideravanosapereper regolarsi. Giovanni nondubitava più e sua moglie dubitavaancora. NoemiNoemi doveva sapere!Giovanni chiuse l'usciomentreMariainterpretando il silenzio di suasorella per una confermainsisteva: «Ma davvero? madavvero?»

Noemi taceva. Avrebbe forse tradito ilsegreto dell'amica nell'intentodi cospirare con i Selva per la suafelicitàse non l'avessetrattenuta il dubbio di un disaccordocon i Selva e anche il senso diqualche cosa di malfermo in se stessa.Probabilmente i Selvacattolicinon desideravano che l'uomofuggito dal mondo viritornasse. Leiprotestantenonpoteva pensare così. Almeno non loavrebbe dovuto. Lei doveva pensare cheIddio si serve meglio nel mondoe nel matrimonio. Lo pensavama non sinascondeva che se il signorMaironi adesso sposasse Jeanne non lopotrebbe stimare molto. Insommaera meglio tacere la strana verità.

«Cosa pensate?» diss'ella.«Che quell'ecclesiastico di ieri serach'èpassato davanti a noi dopo tutta quellavostra mimicafosse l'amanteantico? E' quello il vostro donClemente? Benenon è lui.»

«Ah! Proprio no?» esclamòGiovanni fra sorpreso e incredulo. Suamoglie trionfò.

«Ecco!» diss'ella.

Ma Giovanni non si diede per vinto.Domandò a Noemi se fosse ben certadi quello che dicevae come potessespiegare il tramortimento dellasignora Dessalle. Noemi rispose che nonc'era da spiegar niente.

Jeanne soffriva di anemia ed erasoggetta ad accessi di spossatezzamortale. Giovanni tacquepocopersuaso. Se proprio era stato cosìcome poteva Noemi affermare con tantasicurezza che don Clemente nonera l'uomo? Nelle parolenel farenelviso di sua cognataGiovannisentiva qualche cosa di poco chiarodipoco naturale. Maria s'informòdella notte. Come l'aveva passata lasignora Dessalle? Inquieta? Ma diquale inquietudine?

«E' stata inquieta! Che vi debbodire?» fece Noemiun po' seccata. Esi accostò alla finestra apertaper spiare le intenzioni delle nuvole.

Giovanni fece un passo verso di leirisoluto di venire a capo dellesue reticenze. Ella lo presentìe si affrettò a un rifugioachiedergli il suo pronostico del tempo.

Il cielo era tutto copertograndinuvole basse traboccavano dai dorsidi Monte Calvo sopra i Cappuccini e laRocca. L'aria era tepidailfragore dell'Anieneforte. Giùin basso il curvo nastro della stradadi Subiaco traspariva fosco di mota frai fogliami degli ulivi.

Giovanni rispose:

«Pioggia.»

Noemi domandò subito quantastrada ci fosse dal villino ai Conventi. ASanta Scolastica venti minuti. Perchélo domandava? Udito che Jeanneintendeva di andarvi con Noemi quellamattina stessaMaria protestò.

Con un tempo simile? L'ultimo trattobisognava farlo a piedi. Nonpotevano aspettarerimandare a domania dopo domani?

«Quando te l'ha detto?»chiese Giovanniquasi brusco.

Noemi esitò e poi rispose:

«Stanotte.»

Compresenel dir la parolachesuggeriva sospettispecie dopoquell'attimo di esitazione; e attese unassaltoincerta se resistereo cedere.

«Noemi!» esclamòGiovannisevero.

Ella lo guardòsoffusa il visodi un lieve rossore. Non disse neppure- che c'è? -tacque.

«Non negare!» ripigliòsuo cognato. «Questa signora ha riconosciutodon Clemente. Non negaredilloèun dovere di coscienza per te! Nonè possibile di permettere ches'incontrino!»

«Quello che ho detto èvero» rispose Noemiferma oramai della via cheterrebbe. Nella sua voce senza sdegnoquasi sommessaera unaimplicita confessione di non aver dettola verità intera.

«Non lo ha riconosciuto? Peròtuqualche cosa sai!»

«So qualche cosa» risposeNoemi «sìma non posso dire quello che so.

Vi dico solo di far avvertire subitodon Clemente che la signoraDessalle e io si va stamani a visitarei Conventi. Altro non vi dico evado a vedere se Jeanne si èsvegliata.»

Ella uscì di volo. I Selva siguardarono. Che significava questo voleravvertire don Clemente? Maria lesse nelpensiero di suo marito qualchecosa che le dispiacqueche non avrebbevoluto gli venisse allelabbra.

«Scrivi questo biglietto a donClementeintanto» disse ella.

Ma Giovanniprima di scriverevollepur dire quel che pensava. Perlui vi era una sola spiegazionepossibile. Don Clemente era veramentel'uomo. Noemi aveva promesso allasignora Dessalle di non dirlo mavoleva impedire l'incontro. Mariaesclamò vivacemente: «Oh Noemimentireno!» e poi arrossìsorriseabbracciò suo marito come setemesse di averlo offeso. Perchéappunto Giovanni si era offeso unavolta di certe parole sfuggite a leisulla poca sinceritàdegl'italiani e adesso un'ombra diquella nube poteva forse ritornareper effetto della sua esclamazione.Egli fu punto infattipiùdall'abbraccio che dalla protestaearrossì purericordandoesostenne che al posto di Noemi ancheMaria avrebbe negato. Mariatacqueuscì dello studiobrillandole negli occhi una lagrimaimportuna. Giovanni si compiacqueinprincipiodi aver rintuzzatauna tenerezza offensiva e si mise ascrivere il biglietto per donClemente. Non l'aveva finito discrivere e il suo corruccio gli eragià diventato rimorso. Si alzòuscì in cerca della moglie. Era nelcorridoio con Noemi che discorrevapiano. Volse tosto il viso a luilo intesegli sorrise con gli occhiancora umidigli fe' cenno diaccostarsi e di parlar sottovoce. Chec'era? C'era che Jeanne volevapartire subito per Santa Scolastica.Noemi avvertì ch'era appenasvegliata e che questo subitosignificava un'ora e mezzo almeno. Mabisognava mandare a Subiaco per unacarrozzapoiché Jeanne non era ingrado di fare a piedi che lo strettonecessariol'ultimo tratto divia.

Un tocco di campanello richiamòNoemi. Jeanne l'aspettavaimpaziente.

«Che cameriera pettegola!»diss'ellatra sorridente e crucciata.

«Cosa sei andata a raccontare atua sorella?»

Noemi la minacciò di andarsene.Jeanne giunse le manisupplichevole.

E le domandò fissandola negliocchiscrutandole l'anima:

«Come mi pettino? Come mi vesto?»

Noemi rispose sbadatamente:

«Ma come vuoi!»

L'altra batté il piede a terrasbuffando. Allora Noemi capì.

«Da contadina» diss'ella.

«Sciocchissima creatura!»

Noemi rise.

Jeanne gemette il solito ritornello:

«Non mi vuoi bene! Non mi vuoibene!»

Allora Noemi si fece seriale domandòse volesse proprioriprenderseloil suo Maironi.

«Voglio esser bella!»esclamò Jeanne. «Ecco!»

Ella era veramente bella cosìnella sua vesta da camera di un gialloardentecon il suo fiume di capellibrunicadenti un palmo sotto lacintura. Era molto più bella epiù giovine che la sera prima. Avevanegli occhi quella intensità divita che prendevano un tempo quandoMaironi entrava nella stanza dov'eraleiquando anche solo ella neudiva il passo nell'anticamera.

«Vorrei la mia "toilette"di Praglia» diss'ella. «Vorrei comparirglidavanti col mio mantello verde foderatodi pellicciaadesso inmaggio. Vorrei che vedesse subitoquanto sono ancora la stessa equanto voglio esser la stessa. - Oh DioDio!»

Gettò le bracciacon un subitoslancioal collo di Noemileimpresse la bocca sulla spallasoffocando un singhiozzomormoròparole che Noemi non potevadistinguere.

«No no no» diceva«sonopazzasono cattivaandiamo viaandiamovia.»

Alzò il viso lagrimoso. «Andiamoa Roma» diss'ella.

«Sì sì»rispose Noemicommossa «andiamo a Romapartiamo subito.

Adesso domando a che ora c'è untreno.»

Jeanne l'afferrò di colpolatrattenne. Nonoera una pazziacos'avrebbe detto sua sorella?Cos'avrebbe detto suo cognato? Era unapazziaera una cosa impossibile. Epoie poie poi... Si coperse ilvisosi mormorò dentro le maniche le bastava di vederlodi vederloun solo momentoma che partire senzavederlo non potevanon potevanon poteva.

«Andiamo!» diss'elladopoun lungo silenzioscoprendosi il viso.

«Vestiamoci! Mi vestiròcome vorrai tu; di saccose vorraidicilicio.»

Ell'aveva ricuperato il suo sorrisocruccioso di prima.

«Chi sa?» disse. «Forsemi farà bene di vederlo vestito da contadino.»

«Io guarirei subito»mormorò Noemi; e arrossì sentendo di aver dettouna grossa falsità.

 

Quando la signora Selva bussòall'uscio per avvertire che la carrozzaera prontaJeanne pregò Noemicon umiltà comicadi lasciarlemettere il grande cappello Rembrandtche prediligeva. Le nere alipiumatecurve sul viso pallidosuineri fuochi degli occhisull'alta persona avvolta in unmantello scuroparevan vivedell'anima stessa di leicupaappassionata e altera. Ella sentìneldare il buon giorno a Maria Selval'ammirazione che destava. La sentìanche negli occhi di Giovanni madiversanon simpatica. Appenalasciatolo per scendere con Noemi alcancello dove la carrozzaaspettavale domandò se avessedetto nienteproprio nientea suocognato. Avutane una rispostarassicurantemormorò:

«Mi pareva.»

Fatti pochi passile strinse forte ilbraccioesclamò lieta come peruna scoperta improvvisa:

«Però sono ancora bella!»

Noemi non le dava retta. Noemi sidomandava: il nome Dessalle avràdetto qualche cosa a quel frate? loavrà egli udito da Maironi? seMaironi gli ha raccontato di questoamorenon potrebbe avere taciutoil nome della signora? In fondo ellaaveva un'acuta curiosità diconoscere l'uomo che aveva ispirato aJeanne un sentimento così forteed era scomparso dal mondo in un modocosì strano. Ma lo avrebbevoluto vedere da sola. Era uno sgomentodi pensare che i dues'incontrassero senza qualchepreparazione. Almeno poter prima parlarea questo fratea questo don Clementeaccertarsi che sainformarlose non saapprendere da lui qualchecosa di quell'altroil suo statod'animole sue intenzioni! Bastapensò salendo in carrozzafacciala Provvidenza! E assista questa poveracreatura!

 

Nel metter piede a terra dove cominciala mulattieraJeanne proposetimidamentecome chi prevede unrifiuto e lo riconosce ragionevoledi salire ai Conventi solacolla guidadi un monello corso da Subiacodietro la carrozza. Il rifiuto venneinfatti e vivacissimo. Non erapossibile! Che mai le veniva in mente?Allora Jeanne supplicò diessere almeno lasciata sola con luiselo avesse trovato. Noemi nonseppe che rispondere.

«E se ti precedessi?»diss'ella. «Se domandassi del padre Clemente? Secercassi di capire cos'ècosafa e cosa pensa il tuo...»

Jeanne la interruppeesterrefatta.

«Il padre? Parlare al padre?»esclamò squadernandole ambedue le manisul viso come per turarle la bocca.«Guai a te se parli al padre!»

S'incamminarono lentamente per lasassosa mulattiera. Jeanne sifermava spessopresa da tremitivibrando come un filo teso al vento.

Porgeva allora in silenzio a Noemi lemani gelate perché sentisse e lesorrideva. Nel mare delle nebbiecorrenti a monte comparvecuriosoanche luil'occhio smorto del sole.

 

 

2.

Don Clemente celebrò messa versole setteparlò coll'Abate e poi sirecò all'Ospizio dei pellegrini.Trovò Benedetto addormentato con lebraccia in croce sul pettole labbrasocchiuseil viso composto auna visione interna di beatitudine. Gliaccarezzò i capellilo chiamòsottovoce. Il giovine si scossealzòsmarritoil capobalzò dallettoafferrò e baciò lamano a don Clemente che la ritrasse con unimpeto di umiltà frenato subitodal suo pudore d'animadallacoscienza dignitosa del suo ministero.

«Dunque?» diss'egli. «IlSignore ti ha parlato?»

«Sono nella Sua Volontà»rispose Benedetto «come una foglia nel vento.

Come una foglia che non sa niente.»

Il monaco gli prese il capo a due manilo attirò a ségli posò lelabbra sui capellive le tenne a lungoin una silenziosacomunicazione di spirito.

«Devi andare dall'Abate»diss'egli. «Dopo verrai da me.»

Benedetto lo fissòlo interrogòsenza parole: perché questa visita?Gli occhi di don Clemente si velaronodi silenzio e il discepolo siumiliò in uno slancio muto mavisibile di obbedienza.

«Subito?» diss'egli.

«Subito.»

«Posso lavarmi al torrente?»

Il Maestro sorrise:

«Valavati al torrente.»

Lavarsi all'acqua che talvoltaperabbondanza di pioggesuona nellavalle Pucceia a levante del monastero etaglia di rigagnoli la via delSacro Speco sotto Santa Crocellaerail solo piacere fisico cheBenedetto si concedesse. Piovigginava;nebbie fumavano lente nelvallone altole tremole acque tenui sidolevano a Benedetto fuggendoattraverso la viagli tacevanocontente nel cavo delle manigl'infondevano per la frontegliocchile guanceil collofino alcuoreun senso della loro anima castadolceun senso di bontàDivina. Benedetto si versòl'acqua sul capo largamentee lo spiritodell'acqua gli alitò nelpensiero. Sentì che il Padre lo avviava pernovo camminoche ve lo avrebbe portatonella Sua mano potente.

Benedisse riverente la creatura per laquale gli si era infuso tantolume di grazial'acqua purissima; eritornò all'Ospizio. DonClementeche lo attendeva nel cortiletrasalì al vederlo; tanto gliparve trasfigurato. Sotto la selvaumida dei capelli in disordine gliocchi avevano una quieta gioiacelestialee lo scarno viso di avoriouna spiritualità occulta qualefluiva dai pennelli del Quattrocento.

Come poteva quel volto accordarsi congli abiti contadineschi? DonClemente si applaudì in cuor suodi un pensiero concepito nella nottee già espresso all'Abate: dare aBenedetto un vecchio abito diconverso. Prima di concedere orifiutare il proprio consensol'Abatevoleva vedere Benedettoparlargli.

L'Abate aspettava Benedetto suonando unpezzo di sua composizione conle nocche delle ditae accompagnandoil suono con diabolicistorcimenti delle labbradelle naricidelle sopracciglia. Uditobussar discretamente all'usciononrispose né tralasciò di suonare.

Terminato il pezzolo ricominciòlo suonò una seconda volta da capoa fondo. Poi stette in ascolto. Fubussato ancorapiù lievemente diprima. L'Abate esclamò:

«Seccatore!»

Estrappati alcuni accordisi pose afare delle scale cromatiche.

Dalle scale cromatiche passòagli arpeggi. Poi stette ancora inascoltoper tre o quattro minuti. Nonudendo più nullaandò adaprirevide Benedetto ches'inginocchiò.

«Chi è costui?»diss'egliruvido.

«Il mio nome è PieroMaironi» rispose Benedetto «ma qui al monasteromi chiamano Benedetto.»

E fece l'atto di prender la manodell'Abate per baciarla.

«Un momento!» dissel'Abateaccigliatoritraendo e alzando la mano.

«Cosa fate qui?»

«Lavoro nell'orto del monastero»rispose Benedetto.

«Sciocco!» esclamòl'Abate. «Domando cosa state facendo qui davantialla mia porta!»

«Ero per venire da VostraPaternità.»

«Chi vi ha detto di venire dame?»

«Don Clemente.»

L'Abate tacqueconsideròlungamente l'uomo inginocchiatopoibrontolò qualche cosad'incomprensibile e finalmente gli porse la manoa baciare.

«Alzatevi!» diss'egliancora brusco. «Entrate! Chiudete l'uscio!»

L'Abateentrato che fu Benedettoparve dimenticarlo. Inforcò gliocchialisi pose a sfogliare libri e aleggere cartevoltandogli lespalle. Benedetto aspettava diritto inpiedicon ossequio militarech'egli parlasse.

«Maironi di Brescia?» dissel'Abatecon la voce ostile di prima esenza voltarsi.

Avuta la rispostacontinuò asfogliare e a leggere. Finalmente silevò gli occhiali e si voltò.

«Cosa siete venuto a fare»diss'egli «qui a Santa Scolastica?»

«Sono stato un gran peccatore»rispose Benedetto. «Iddio mi hachiamato fuori del mondo e fuori ne sonvenuto.»

L'Abate tacque un momentoguardòfisso il giovinedisse con dolcezzaironica:

«Nocaro.»

Trasse la tabacchierala scosseripetendo dei piccoli «no - no - no»

quasi sottovoceguardò neltabaccovi piantò le dita e levati gliocchi da capo su Benedettogli dissearticolando lentamente leparole:

«Questo non è vero.»

Ghermita la presa con il pollicel'indice e il medioalzò la manorapidamente come per gettar il tabaccoin aria e proseguì con ilbraccio alzato:

«Sarà vero che siete statoun gran peccatorema non è vero che sietevenuto fuori del mondo. Non siete néfuori né dentro.»

Fiutò rumorosamente la sua presae ripeté:

«Né fuori nédentro.»

Benedetto lo guardava senza rispondere.Vi era in quegli occhi qualchecosadi tanto grave e di tanto dolceche l'Abate riabbassò i suoialla tabacchiera apertatornò afrugarvia giocherellare coltabacco.

«Non vi capisco» diss'egli.«Siete nel mondo e non siete nel mondo.

Siete nel monastero e non siete nelmonastero. Ho paura che la testavi serva come a vostro bisnonnoavostro nonno e a vostro padre.

Belle teste!»

Il viso di avorio di Benedetto sicolorò lievemente.

«Sono anime di Dio»diss'egli «superiori a noi; e le parole Sue vannocontro un comandamento di Dio.»

«Fate silenzio!» esclamòl'Abate. «Dite di avere lasciato il mondo esiete pieno del suo orgoglio. Sevolevate lasciare il mondo sul seriodovevate cercare di farvi novizio!Perché non l'avete cercato? Avetevoluto venir qua in villeggiaturaeccola storia. O forse avevatedegl'impegni a casa vostradeipasticcimi capite! "Nec nominenturin nobis". E avete volutoliberarvi per farne poi degli altri. Econtate delle frottole a quel buon donClementeprendete il posto aun povero pellegrinoeh dite sumagari cercando di darla adintendere ai fratiche èfacilee a Domeneddioche è difficileconorazioni e sacramenti. Non dite di no!»

Il lieve rossore si era dileguato dalviso di avoriole labbraapertesi un momento a parolepacatamente severe non si movevano piùgli occhi penetranti fissavano l'Abatecon la dolce gravità di prima.

E l'Abate parve inasprito da quelsilenzio tranquillo.

«Parlatedunque!»diss'egli. «Confessate! Non vi siete anche vantatodi doni specialidi visioniche soiodi miracoli forse anche?Siete stato un gran peccatore? Mostrateche non lo siete ancora!Scolpatevise potete. Dite come avetevissutospiegate la vostrapretensione che Iddio vi abbiachiamatogiustificatevi di esserevenuto a mangiare il pane dei frati aufoperché frate non avetevoluto essere e quanto a lavorare avetelavorato ben poco!»

«Padre» rispose Benedetto eil tono severo della vocela severadignità del volto mal siaccordavano con la mansuetudine umile delleparole«questo è buonoper me peccatore che da tre anni vivoper lospiritonella mollezza e nelledelizievivo nella pacevivonell'affetto di persone santevivo inun'aria piena di Dio. Le Sueparole sono buone e dolcissimeall'anima miasono una grazia delSignoremi hanno fatto sentire con leloro punte quanto orgoglio vi èancora in me che non lo sapevoperchénel disprezzarmi da me sentivopiacere. Come servopoidella santaVeritàLe dico che la durezzanon è buona neppure con uno cheingannaperché forse la soavità lofarebbe pentire del suo inganno; e chenelle parole della PaternitàVostra non è lo spirito delnostro Padre solo e veroal quale siagloria.»

Nel dire «al quale sia gloria»Benedetto cadde ginocchioni acceso inviso da un fervore augusto.

«Sei tupeccatore tristochevuoi fare il maestro? esclamò l'Abate.

«Ha ragioneha ragione»rispose Benedetto di slancioaffannosamentee giungendo le mani. «Ora Le dicoil mio peccato. Desiderai l'amoreillecitomi compiacqui della passionedi una donnach'era d'altricome d'altri era io e l'accettai.Lasciai ogni pratica di religionenon curai di dare scandalo. Questadonna non credeva in Dio e iodisonorai Dio presso di lei colla miafede mortamostrandomisensualeegoistadebolefalso. Iddiomi richiamò colla voce deimiei mortidi mio padre e di miamadre. Mi allontanai allora dalladonna che mi amavama senza vigore divolontàondeggiando nel miocuore fra il bene e il male. In breveritornai a leitutto ardente dipeccatoconoscendo di perdermi erisoluto a perdermi. Non vi era piùun atomo di volontà buonanell'anima mia quando una mano morentecarasantami afferrò e misalvò.»

«Guardatemi bene» disseallora l'Abate senza farlo alzare. «Avete maifatto sapere a nessuno ch'eravate qui?»

«A nessuno. Mai.»

L'Abate rispose secco:

«Non vi credo.»

Benedetto non batté ciglio.

«Voi sapete» ripigliòl'Abate «perché non vi credo.»

«Lo suppongo» risposeBenedetto piegando il viso. «"Peccatum meumcontra me est semper".»

«Alzatevi!» comandòl'inflessibile Abate. «Io vi caccio dal monastero.

Ora vi recherete a salutare donClemente nella sua cella e poipartirete per non ritornare mai più.Avete inteso?»

Benedetto assentì del capoedera per piegare il ginocchioall'omaggio di rito quando l'Abate lotrattenne con un gesto.

«Aspettate» diss'egli.

Rinforcò gli occhialiprese unfoglio di carta e vi scrissestandoin piedialcune parole.

«Cosa farete» dissescrivendo «quando sarete fuori?»

Benedetto rispose piano:

«Il bambino preso in braccia dalpadre mentre dormivasa egli cosa ilpadre farà di lui?»

L'Abate non replicò nientefinìdi scriverepose il foglio in unabustala chiusela tesesenzavoltare il capoa Benedetto che glistava dietro le spalle.

«Prendete» disse «portatea don Clemente.»

Benedetto gli chiese il permesso dibaciargli la mano.

«Nonoandate viaandate via!»

La voce dell'Abate suonava di collera.Benedetto ubbidì. Appena fu nelcorridoio udì l'uomo incolleritostrepitare sul piano.

Prima di entrare nella celletta di donClementeBenedetto si fermòdavanti alla grande finestra chetermina il corridoio. Ivi si eratrattenutopoche ore primail Maestroa contemplare i lumi diSubiaco pensando la nemicala creaturadi bellezzad'ingegnodinaturale bontàvenuta forse acontendergli il suo figliuolospiritualea contenderlo a Dio. Ora ilfigliuolo spirituale eramisteriosamente certo che la donna maleamata da lui nel tempo del suogravitare cieco e ardente sulle coseinferioriaveva scoperto la suapresenza nel monastero e sarebbe venutaa cercarlo. Disceso dentro loSpirito interno al proprio cuoreeglivi attingeva un pio sentimentodel Divino ch'era pure in leiascoso alei stessauna misticasperanza che per qualche oscura viaella pure arriverebbe un giorno almare di verità eterna e diamoreche attende tante povere animeerranti.

Don Clemente lo aveva udito venire eaperse a mezzo l'uscio dellacella. Benedetto entrògliporse la lettera dell'Abate.

«Debbo lasciare il monastero»diss'eglisereno. «Subito e persempre.»

Don Clemente non risposeaperse lalettera. Letta che l'ebbeosservòa Benedettosorridendoche la suapartenza per Jenne era statadecisa fin dalla sera precedente. Veroma l'Abate aveva detto: pernon ritornare mai più. DonClemente aveva le lagrime agli occhi esorrideva ancora.

«Lei è contento?»disse Benedettoquasi dolente.

Ohcontento! Come avrebbe potuto direil suo Maestroquel chesentiva? Partiva il discepolo dilettopartiva per sempredopo treanni di dolce unione spirituale; maeccol'ascosa Volontà si eramanifestata. Iddio lo toglieva dalmonasterolo chiamava per altrevie. Contento! Sìafflitto econtentoma della sua contentezza nonpoteva dire il perché aBenedetto. La parola Divina non avrebbe avutovalore per Benedetto s'egli non laintendeva da sé.

«Contentono» diss'egli.«In pacesì. Noi c'intendiamovero? Eadesso raccogliti per le mie paroleultimeche spero ti sarannocare.»

Don Clementenel dir così avoce bassasi colorò tutto di rossore.

Benedetto piegò il capo a luiche gl'impose ambo le mani con dignitàsoave.

«Desideri» disse la virilevoce piana «dare tutto te stesso allaverità Supremaalla sua Chiesavisibile e invisibile?»

Come se si fosse atteso a quell'atto ea quella domandaBenedettorispose pronto con voce ferma:

«Sì.»

La voce piana:

«Prometti tuda uomo a uomovivere senza nozze e povero fino a cheio ti sciolga della tua promessa?»

La voce ferma:

«Sì.»

La voce piana:

«Prometti tu essere sempreobbediente all'autorità della Santa Chiesaesercitata secondo le sue leggi?»

La voce ferma:

«Sì.»

Don Clemente attirò a séil capo del discepolo e gli parlò sullafronte:

«Ho chiesto all'Abate di potertidare un abito di conversoperchéuscendo di qua tu porti sopra di tealmeno il segno di un umileministero religioso. L'Abateprima didecidereha voluto parlarti.»

Qui don Clemente baciò ildiscepolo in frontesignificando così ilgiudizio dell'Abate dopo il colloquiochiudendo in quel baciosilenzioso parole di lodenon creduteconvenienti al suo caratterepaterno né alla umiltàdel discepolo. E non si avvide che il discepolotremava da capo a piedi.

«Ecco» diss'egli «quelche l'Abate scrive dopo averti parlato.»

Mostrò a Benedetto il fogliodove l'Abate aveva scritto:

«Concedo. Fatelo partire subitoperché io non sia tentato ditrattenerlo.»

Benedetto abbracciò di slancioil suo Maestro e gli appoggiò la frontea una spallasenza parlare. DonClemente mormorò:

«Sei contento? Adesso te lodomando io.»

Ripeté due volte la domandasenza ottenere risposta. Venne finalmenteun sussurro:

«Posso non rispondere? Possopregare un momento?»

«Sìcarosì.»

Accanto al lettuccio del monacoaltasopra l'inginocchiatoiounagrande croce nuda diceva: Cristo èrisortoconfiggi ora tu a mel'anima tua. Infatti qualcunoforsedon Clementeforse un suopredecessorevi aveva scritto sotto:«"omnes superbiae motus lignocrucis affigat".» Benedettosi stese bocconi a terraposò la fronteov'eran da posare le ginocchia. Per lafinestra aperta della cella unoscialbo lume del cielo piovoso battevadi sghembosul dorsodell'uomo prosteso e dell'uomo ritto inpiedi con la faccia levataverso la croce grande. Il mormoriodella pioggiail rombo dell'Anieneprofondo avrebbero detto a Jeanne unosconsolato compianto di tuttociò che vive sulla terra e ama.A don Clemente dicevano un consensopio della creatura inferiore con lacreatura supplice al Padre comune.

Benedetto non li udiva.

Egli si alzòpacato in visovestìa un cenno del Maestrola tonacadi converso stesa sul lettocinse lacintura di cuoio. Vestito chefusi mostrò aprendo le bracciae sorridendoal Maestroche sicompiacque di vederlo cosìdignitosocosì spiritualmente bello inquell'abito.

«Lei non ha inteso?» disseBenedetto. «Non ha pensato una cosa?»

Nodon Clemente aveva pensato chequella gran commozione di Benedettofosse stata effetto di umiltà.Adesso capiva che altro gli sarebbedovuto venire in mente; ma cosa?

«Ah!» esclamò a untratto. «Forse la tua Visione?»

Certo. Benedetto si era visto moriresulla nuda terraall'ombra di ungrande alberonell'abito benedettino;e argomento di non crederenella Visione giusta i consigli di donGiuseppe Flores e di donClemente gli era stata lacontraddizione di ciò con la sua ripugnanzastrana per i voti monasticivenutaglisempre crescendo da quandoaveva lasciato il mondo. Ora questacontraddizione pareva dileguarsi;pareva quindi risorgere la credibilitàdi un carattere profetico dellaVisione. Don Clemente ne conoscevaquesta parte e avrebbe potutoleggere nel cuore di Benedetto il suosbigottimento al riaffacciarsidi un misterioso disegno Divino sopradi luiil suo terrore di caderein peccato di superbia. Non ci avevapensato.

«Non pensarci neppure tu»diss'egli. E si affrettò a mutar discorso.

Gli diede una lettera e dei libri perl'arciprete di Jenne. Intantol'arciprete lo avrebbe ospitato. Sedovesse restare a Jenne o noritornarein questo casoa Subiaco orecarsi altroveglielo farebbesapere la Divina Provvidenza.

«Padre mio» disseBenedetto«proprio non penso cosa sarà di medomani. Penso unicamente questo:"magister adest et vocat me" ma noncome una voce sovrannaturale. Ho avutotorto di non capire che ilMaestro è presente sempreechiama sempre: meLeitutti. Bastafarsi un po' di silenzio nell'animalasua voce si sente.»

Un raggio fioco di sole entrònella cella. Don Clemente pensò subitochese cessasse di pioverela signoraDessalle verrebbeprobabilmente a visitare il monastero.Non disse niente ma la suainquietudine interna si tradìcon un trasalire della personaconun'occhiata al cieloche significaronoa Benedetto come fosse tempodi partire. Egli domandò ingrazia di poter pregareprima nellachiesa di Santa Scolastica e poi alSacro Speco. Il sole si nascosericominciò a piovereMaestro ediscepolo scesero insieme nellachiesavi si trattennero in preghieral'uno accanto all'altro e fuquello il loro solo addio. Benedettoprese la via del Sacro Speco allenove. Uscì di Santa Scolasticainosservatomentre fra Antonio stavaconfabulando col messo di GiovanniSelva. In quel momentoil lume delsole redivivo riaccese rapidamente ivecchi murila viail monte;acuto gioireali veloci di uccellettiruppero in ogni parte il verdee alle sue labbra salì spontaneala parola:

«Vengo.»

 

 

3.

Jeanne e Noemi arrivarono al monasteroalle dieci. A pochi passi dalcancello Jeanne fu presa da unapalpitazione violenta. Avrebbedesiderato visitare l'orto prima delConventopoiché il monello diSubiaco le aveva detto che i frati diSanta Scolastica ci avevano unbell'orto e gente loro che vi lavorava:un vecchio di Subiaco e ungiovine forestiere. Non era piùda parlarne. Pallidasfinitasitrascinò maleal braccio diNoemifino alla porta dove un accattoneaspettava la minestra. Per fortuna fraAntonio aperse prima ancora cheNoemi suonasse e Noemi lo pregòdi una sediadi un bicchier d'acquaper la signora che si sentiva male.Sgomentato alla vista di Jeannesmorta smortacadente sul fianco dellasua compagnail vecchio umilefraticello pose in mano a Noemi lascodella di zuppa che aveva portataper l'accattonecorse per la sedia eper l'acqua. Un po' la comicitàdi quella scodella fra le mani di Noemisbalorditaun po' il riposoun po' l'acquaun po' la visione delchiostro antico dormiente inpaceun po' il reagire della volontàristorarono sufficientementeJeanne in pochi minuti. Fra Antonioandò in cerca del Padreforesterario che guidasse levisitatrici.

«Gli dica le due signore di casaSelva» fece Noemi.

Don Clemente si presentòarrossendonel suo verginale candored'animodi conoscere i casi di Jeanneall'insaputa di leicomeavrebbe arrossito di un inganno.Scambiò Noemi che prima gli si feceincontroper la Dessalle. AltasnellaeleganteNoemi rappresentavabene una seduttrice; però nonmostrava più di venticinque anninonpoteva essereper questo versoladonna di cui Benedetto gli avevaraccontate le vicende. Ma ilbenedettino non seppe fare di questicalcoli. A Noemi premeva di assicurarsiche fra Antonio avesseadempiuto bene il suo incarico.

«Buon giornopadre»diss'ella con la sua bella voce cui l'accentostraniero aggiungeva grazia. «Cisiamo visti iersera. Lei usciva dicasa Selva.»

Don Clemente fece un lievissimo cennodel capo. Veramente Noemi loaveva appena intravisto. Era peròrimasta colpita dalla sua bellezza eaveva pensato che se quello era ilsignor Maironi si capiva lapassione di Jeanne. Nella coscienzadella propria fresca gioventù nonle passò per la mente che i suoiventicinque anni fossero statiscambiati per i trentadue di Jeanne.Jeanneintantomeditava di trarpartito dal suo malessere.

«Non erano aspettateiersera»disse don Clemente a Noemi. «Lei vienedal Veneto?»

Dal Veneto? Noemi parve sorpresa.

«I signori Selva mi hanno detto»soggiunse il padre «che Lei abita nelVeneto.»

Allora Noemi capìsorriserispose con un monosillabo che non era néun sì né un noe pensòella pure di trar partito dal casodiprepararsigrazie a questo equivocoun colloquio particolare con donClementeper istruirlo se fossenecessario. Le parve anche divertentedi conversare con quel bel frateessendo creduta Jeanne. Avvertì conuna occhiata quest'ultima che guardavaora leiora il frateimbarazzataavendo capito l'errore diluinon sapendo se tacere oparlare.

«La mia amica» diss'ella«conosce già Santa Scolasticanaturalmente.

Io invece non ci sono stata mai.»

Si volse a Jeanne:

«Se il padre» disse «hala bontà di accompagnarmimi pare che tupoiché non ti senti benepotresti restare.»

Jeanne acconsentì tantoprontamente che Noemi dubitò di qualche suosegreto disegnosi domandò senon commettesse un errore. A ogni modoadesso era troppo tardi. Don Clementepoco soddisfatto di aver adaccompagnare una signora solaproposedi attendere. Forse l'altrasignorafra pocosi sentirebbemeglio. Jeanne protestò. Nonondovevano attendereella eracontentissima di rimaner lì.

Nel passare dal primo al secondochiostro Noemi ricordò nuovamente alpadre l'incontro della sera precedente.

«Lei aveva un compagno?»diss'ella e subito vergognò del suo simularedi non aver tratto il monacodall'inganno in cui era caduto. DonClemente rispose quasi sottovoce:

«Sì signoraun ortolanodel monastero.»

Erano rossi in viso tutt'e due ma nonsi guardaronociascuno sentìsolo il rossore proprio.

«Lei sa chi siamo?» ripreseNoemi.

Don Clemente rispose che supponeva disaperlo. Dovevano essere le duesignore aspettate dalla signora Selva.Gli pareva che la signora Selvagli avesse nominata sua sorella e lasignora Dessalle.

«AhLei lo ha saputo da miasorella?»

A queste parole di Noemidon Clementenon poté trattenersidall'esclamare:

«Dunque la signora Dessalle non èLei?»

Noemi comprese che l'uomo sapeva.Quindi aveva provvedutocerto; unimprovviso incontro non era possibile.Respiròe il suo cuorefemminile vôto d'inquietudine siriempì di curiosità.

Don Clemente le parlava della torredelle arcate antichedegliaffreschi presso la porta della chiesaed ella pensava: come farloparlare di Maironi? Lo interruppespensieratamente mentre le mostravala processione dei fraticelli di sassoper domandargli se capitasserospesso al monastero anime stanche delmondodisilluseavide di darsia Dio.

«Sono protestante»diss'ella. «Questo mi interessa molto.»

Don Clemente pensò in cuor suoche questo le interessasse molto nonper il suo protestantesimo ma per lasua amicizia colla signoraDessalle.

«Spesso no» rispose.«Qualche volta. Di solito quelle animepreferiscono altri Ordini. AhLei èprotestante? Non Le rincresceràperòdi entrare nella nostrachiesa? Non dico nella Chiesa cattolica»

soggiunse sorridendo e arrossendo «diconella chiesa del nostromonastero.»

E raccontò di un ingleseprotestanteinnamorato di san Benedettoche faceva lunghi soggiorni a Subiacofrequentava Santa Scolastica eil Sacro Speco.

«E' un'anima bellissima»diss'egli.

Ma Noemi voleva ritornare al primosoggettosapere se qualcunovenisse mai dal mondo a servire ilmonastero per spirito di penitenzasenza vestire l'abito. Non ebberisposta perché don Clementevedutoun colossale monaco entrare nelchiostrole si scusòandò aparlargli e ritornato a lei con ilmaestoso compagnole presentò indon Leone una guida superiore a lui digran lunga per copia eprofondità di dottrina; econmolto dispetto di leisi allontanò.

 

Rimasta solaJeanne fu ripresa dallapalpitazione violenta. Diocomeriviveva il passatocome rivivevaPraglia! Pensare ch'egli andava eveniva per quell'ingressoper queichiostrichi sa quante volte algiornoche aveva tanto dovutoricordare Pragliaquell'ora dispostadal destinoquell'acqua versataquell'ebbrezzaquelle mani strettenel ritornosotto la coperta dipelliccia! Pensare ch'egli era liberoe che anche lei lo era! Che febbrechefebbre!Fra Antoniosgomentato sulle prime ditrovarsi lì questa signora chepareva senza fiatorimase poisbalordito della rapida loquela con laqualea un trattoella lo assalìdi domande. Il monasteronon avevaun orto vicino? - Sìvicinissimoa tramontana. Di mezzo non c'erache una stradicciuola. - E chi locoltivava? - Un ortolano. - Giovane?Vecchio? Di Subiaco? Forestiere? -Vecchio. Di Subiaco. - E nessunaltro? - SìBenedetto. -Benedetto? Chi era Benedetto? - Un giovanedel paese del Padre foresterario. - Didov'era il Padre foresterario?- Di Brescia. - E questo giovine sichiamava Benedetto? - Tutti lochiamavano Benedetto; se fosse proprioil suo vero nomefra Antonionon lo poteva dire. - Ma che uomo era?- Ohquesto sìfra Antonio lopoteva dire. Era quasi più santodei frati. Si capiva dalla faccia chedoveva essere di buona famiglia ealloggiava come un canenonmangiava che panefrutta ed erbaqualche notte la passava inpreghieremagari sulla montagna.Lavorava la terra e anche studiavain biblioteca col Padre foresterario. Eun cuoreun cuore grande!Tante volte aveva dato ai poveri anchequel magro vitto del convento.

- E dove lo si potrebbe vedereadesso?- Ehnell'ortocertamente.

Fra Antonio supponeva che stesseamministrando il solfato di rame alleviti.

A Jeanne batte il cuore tanto forte chela vista le si oscura. Ellatace e non si move. Fra Antonio credeche non pensi più a Benedetto.

«Ah signora» dice«SantaScolastica è un bel monasteroma bisognavedere Praglia!» Perchéfra Antonio nella sua giovinezzaprima dellasoppressione dell'abbazia di Pragliavi ha passato alcuni annie neparla come di una madre venerata. - Ahla chiesa di Praglia! Ichiostri! Il chiostro pensileilrefettorio! - Alle inattese paroleJeanne si esalta. Esse le dicono: vavava subito! Ella scatta dallaseggiola.

«Quest'orto? Per qual parte ci siva?»

Fra Antonioun po' sorpresolerisponde che può recarvisiattraversando il monastero oppuregirandolo di fuori. Jeanne escechiusa nel suo pensiero ardentepassail cancellogira a destraentra nella galleria sotto labibliotecavi si ferma un momentostringendosi le mani sul cuore eprocede.

Il vaccaro del conventofermosull'entrata del cortile dov'èl'Ospizio dei pellegrinile mostrasull'opposto fianco della viuzzachiusa fra due muri l'uscio dell'orto.Ella gli domanda se avrebbetrovato nell'orto un tale Benedetto.Malgrado lo sforzo di dominarsile trema la voce nell'attesa di un sì.Il vaccaro risponde che non sasi offre di andar a vederebussa piùvolte chiama: «Benedè! Benedè!»

Un passofinalmente. Jeanne siappoggia allo stipiteper non cadere.

Diose è Pierocosa gli dirà?L'uscio si aprenon è Pieroè unvecchio. Jeanne respiracontenta perun momento. Il vecchio laguardameravigliatodice al vaccaro«Benedetto non c'è.»

La contentezza di lei è giàsvanitaella si sente gelare: quei due laguardano curiosiin silenzio.

«E' questa signora» disseil vecchio «che cerca di Benedetto?»

Jeanne non rispose. Rispose per lei ilvaccaro; e poi raccontò cheBenedetto aveva passato la notte fuorich'egli lo aveva trovatoall'albatutto molle di pioggianelbosco del Sacro Specoche gliaveva offerto del latte e che Benedettoaveva bevuto come un moribondoin cui rifluisca la vita.

«UditeGiovacchino»soggiunse il vaccarofattosi a un trattosolenne. «Quell'omobevuto cheebbemi abbracciò così. Io stavomalenon avevo dormitomi doleva ilcapomi dolevano tutte le ossa.

Ebbenedalle sue braccia mi vennerocome tanti piccoli brividi e poicome un calore buono un piacereunsentirmi così bene che mi parevaavere nello stomaco due sorsid'acquavitela più fina. Via il mal dicapovia il male d'ossavia tutto Emi son detto: per Caterinaquest'omo è un Santo. E un Santoè.»

Passòmentre egli parlavaunpovero sciancatoun accattone diSubiaco. Vista la signorasi fermòle tese il cappello. Jeannetutta in quel che il vaccaro dicevanon si avvide di lui né lo udìquandoavendo il vaccaro finito diparlarele chiese l'elemosina perl'amore di Dio. Ella domandòall'ortolano dove questo Benedetto sipotesse trovare. L'ortolano si cercòuna risposta nella nuca. Allorala voce flebile dell'accattone gemette:

«Cercate Benedetto? Sta al SacroSpecosta al Sacro Speco.»

Jeanne gli si voltò avida.

«Al Sacro Speco?»diss'ella. E l'ortolano domandò all'accattone se cel'avesse veduto lui.

L'accattone raccontòlagrimosopiù che maicome si fosse trovato piùdi un'ora prima sulla strada del SacroSpecooltre il bosco deilecciproprio a due passi dalConventocon un fastello di legna;come fosse caduto malamente e rimasto agiacere sotto il fastello.

«Iddio e san Benedetto»diss'egli «fecero che passasse un monaco.

Questo monaco mi rialzòmiconfortòmi prese a bracciomiaccompagnò al Convento dove glialtri monaci mi ristorarono. Io me nevenni via e il monaco rimase al SacroSpeco.»

«E che c'entra?» fecel'ortolano.

«C'entra che primavestitocom'eranon lo riconobbima poi loriconobbi. Era lui.»

«Chilui?»

«Benedetto.»

«Ma chi era Benedetto?»

«Il monaco.»

«Ma che sei pazzo! - Scemo chesei!» fecero l'ortolano e il vaccaro.

Jeanne diede allo sciancato una monetad'argento.

«Pensate bene» diss'ella.«Dite la verità.»

Lo sciancato si sdilinquì inbenedizioniintercalandovi degli umili

«quello che voletequello chevolete - mi sarò sbagliatomi saròsbagliato»e se ne andòcon la sua sequela di pii borbottamenti.

Jeanne interrogò ancora ilvaccaro e l'ortolano. Possibile cheBenedetto avesse vestito l'abito? Mache! L'accattone era un poveroscemo.

Se n'andò anche il vaccaro eJeanne entrò nell'ortosedette sotto unulivopensando che Noemi avrebbefacilmente saputo dal portinaio dovetrovarla. Il vecchio ortolanocuriosola sua partele domandò conmolte scuse se fosse parente diBenedetto.

«Perché si sa ch'èun signore» diss'egli. «Un signore grande.»

Jeanne non rispose alla domanda. Volleinvece sapere perché si avessequell'opinione della ricchezza diPiero. Eccosi capiva dai modieanche dalla faccia; una faccia dasignoreproprio. E non s'era fattomonaco? Ehno. E perché nons'era fatto monaco? Non si sapevadicerto. Se ne dicevano tante. Si dicevapersino che avesse moglie e chela moglie gli avesse fatto ciòche l'ortolano chiamava un bruttogioco. Jeanne tacque e all'ortolanobalenò che quella lì fosse lamoglie appuntola donna del bruttogiocoche venisse pentitaaimplorar perdono.

«Se questo fatto della moglie èvero» diss'egli allora«la ci avràavuto le sue ragioninon dicoma peròcome bontà d'uomola non neavrà trovato di certo unomigliore. Guardisignoraquesti padri sonopersone santenon c'è che direma uno buono come luiné a SantaScolastica né al Sacro Specoglielo giuro ionon ci stabenché c'èdon Clemente ch'è santissimo!Però come questo Benedettono.»

A Jeanne tornarono subitamente in cuorele parole dell'accattone:Benedettofatto monaco. Perchémai? Si sgomentò che le tornassero incuore senza una ragione. Non avevandetto quei due che era unastoltezza e che l'accattone era unoscimunito? Sìuna stoltezzalocapiva anche lei; sìunoscimunitoera parso tale anche a lei; ma leparole stolte battevano e ribattevanoal suo cuoresinistre comemaschere dalle facce assurde chebattessero al vostro uscio in altrotempo che di carnevale.

«Se si trattienesignora»disse l'ortolano«non passa una mezz'orache capita. Che! Un quarto d'ora! Staforse in biblioteca con donClemente a studiareo forse inchiesa.»

Dalla biblioteca che cavalca lastradicciuola si esce direttamentenell'orto.

«Eccolo!» esclamò ilvecchio.

Jeanne balzò in piedi. L'uscioche mette dalla biblioteca nell'orto siaperse lentamente. Invece di Pierocomparve Noemi seguita da un granfrate. Noemi vide l'amica fra gli ulivie si arrestò di bottosorpresa. Jeanne nell'orto? Possibileche...? Noil vecchio che lestava accanto non poteva essere Maironie nessun altro era con lei.

Sorrisela minacciò col dito.Don Leoneinteso da Noemi che quellaera la signora della quale gli avevadetto durante la visita delmonastero ch'era rimasta in portineriaprese congedo. Naturalmente lesignore salirebbero al Sacro Speco e lapasseggiata del Sacro Speconon conveniva più alla sua mole.

Erano quasi le undicila carrozzadoveva trovarsi alle dodici e mezzodove l'avevano lasciataperchéa casa Selva si pranzava al tocco; seJeanne voleva vedere il Sacro Speco nonc'era tempo da perderepostoche il suo malessere si fossedileguatocome pareva. Noemiconsigliava così e non s'indugiòa chiedere spiegazioniin presenzadell'ortolanodell'aver piantato fraAntonio per correre a esplorarl'orto. Si accontentò disussurrare: «Fingevieh?». Jeanne risposeche al Sacro Speco ci doveva andar leiNoemie subitoappunto. Ellaintendeva di stare ad aspettarlanell'orto. Noemi indovinò un'altracommedia.

«Oh no!» diss'ella. «Ovieni al Sacro Speco ose non stai benescendiamo subito a Subiaco!»

Jeanne obbiettò che scenderesubito era inutile perché non si sarebbetrovata la carrozza; ma Noemi non siarrese. Avrebbero fatto ladiscesa a grande agiosarebbero statepronte a salire in carrozzaappena venisse. Jeanne rifiutòancorapiù vivacementenon avendoaltre ragioni a opporre. Allora Noemila guardò in silenziocercandoleggerle negli occhi un disegnonascosto. In quell'attimo di silenzioJeanne fu rimorsa nel cuore dalleparole dell'accattone. Preseimpetuosamente il braccio dell'amica.

«Vuoi che venga al Sacro Speco?»diss'ella. «Beneandiamo. Tu crediuna cosa e non sai. Faccia il destino!»

Ma prima ancora di muovere un passo sisciolse da Noemiche laguardava trasognatascrisse a matitanel suo portafogli: «Sono alSacro Speco. In nome di don GiuseppeFloresmi aspetti.» Non firmòstracciò la paginettala diedeall'ortolano «per quell'uomoseritornava» riprese il bracciodell'amicadicendo:

«Andiamo!»

 

Il sole ardeva sulla petraia fumanteumidi odori di erbe e di sassoinargentava i cirri di nebbioni errantilungo i fianchi della strettavalle selvaggia fino al cumulo enormeassiso là sul fondo a cappellodelle cime di Jenne; la voce grandedell'Aniene empiendo lesolitudini. Jeanne saliva senza dirparolasenza rispondere alledomande di Noemi più e piùsgomentata del suo silenziodel suopalloredel vederle le labbra strettea comprimere il piantodelsentir sussultare il suo braccio.Perché? Nella notte e finoall'entrata di Santa Scolastica lapovera creatura aveva ondeggiatofra il timore e la speranzain unafebbre di aspettazione. Adesso eraun'altra febbre. Almeno pareva. Parevache avesse saputolànell'ortoqualche cosa di cui nonvolesse parlarequalche cosa dipenosodi pauroso. Cosa poteva essere?Il tragico pianto delle acqueinvisibiliil tremare silenzioso deifili d'erba per la petraialostesso calore ardente stringevano ilcuore. Pochi passi primadell'Arco ritto a contenere la follanereggiante dei lecciNoemi ebbeil conforto di udire voci umane. EranoDanea cavalloMarinier el'Abate a piediche scendevano insiemedal Sacro Speco.

Dane mostrò molto piaceredell'incontrotrattenne la sua cavalcaturapresentò le signore all'Abateparlò con entusiasmo del Sacro Speco.

Jeannescambiata qualche parolacoll'Abategli domandò se qualcunoavesse pronunciato i voti solennioalmeno vestito l'abitodirecente. L'Abate rispose ch'era venutoa Santa Scolastica da pochigiorni e non era in grado dirisponderle lì per lìma non credeva cheda un annoa dir poconessuno a SantaScolastica avesse fatto laprofessione solenne né vestitol'abito di novizio. Jeanne s'illuminòdi gioia. Adesso lo capivaera statauna stupida di dubitarepossibileanche per un solo momentoche Piero fosse diventato frateda contadinoin dodici ore. Avrebbevoluto ritornare subito all'ortodi Santa Scolastica; ma come fare?Quale pretesto prendere? Proseguìansiosa di sbrigarsi presto del SacroSpeco. Noemi propose di sostareun poco all'ombra dei lecci che làsulla via delle anime agitatedall'amor divino paiono torti anch'essida un interno furore asceticoda un frenetico sforzo di svellersidalla terra per avventar lebraccia nel cielo. Jeanne rifiutòimpaziente. Aveva ripreso colorenel volto e luce negli occhi. Si misespedita per la scaletta chetermina il breve cammino e malgrado leproteste di Noemiche noncapiva il perché di tantomutamentonon volle neppure riprender fiatoin capo alla scalaove improvvisamentesi scopre la scena cupaprofonda della valleae altoasinistral'orrido sasso caro aifalchi e ai corvirigonfio sopra lemurature squallidebucate difori disadorniche vi s'incrostano pertraverso sugli anfratti nudi esono il monastero del Sacro Speco.Sotto il monasteronel profondopende il roseto di san Benedetto esotto il roseto pendono gli ortipendono gli uliveti al ruggente Anienescoperto. Il cumulo assiso suimonti di Jenne saliva invadendo ilcielo. Una ondata d'ombra passò sulsasso enormesul monasterosulparapetto cui Noemi aveva appoggiatoi gomiticontemplando.

«Questo è magnifico»diss'ella. «Lasciami fermare un po' qui almenoora che c'è ombra!»

Ma in quel momentoa due passi dalorosi apriva la porticina delmonastero e ne usciva una compagnia distranierisignori e signore.

Il monaco che li aveva guidativedendoJeanne e Noemitenne apertol'uscio in atto di aspettazione Jeannesi affrettò a entrare e Noemimal suo gradola seguì.

«Affreschi del Trecento»disse il benedettino nell'oscuro corridoio dientrata con voce indifferente epassando. Noemi si fermòcuriosadelle pitture antiche. Jeanne tennedietro al benedettinosenzaguardare né a destra ne asinistradistrattatentata da un dubbio.

Se l'Abate non avesse detto il vero? Selo avesse detto l'accattone?La fantasia le rappresentòl'incontro felice nel cortile di Pragliail viso pallidissimo di luiil«grazie» che l'aveva fatta tremar digioia. Le correvano brividi nel sangueecome per una strappata diredini all'immaginazionesi voltòa Noemi:

«Vieni» diss'ella.

Seguì il monaco nulla udendo diquello ch'egli dicevanulla guardandodi quello che indicava. Noemidissimulava a fatica le proprieinquietudini. Presentiva un pericolonel ritorno. Il punto pericolosoera l'orto di Santa Scolastica doveJeanne intendeva rientraresecondo aveva detto al vecchioortolano. Adesso le era passato ildesiderio di vedere questo famosoMaironi. Non desiderava che diritornare con Jeanne a casa Selvasenz'aver fatto incontri e avrebbevoluto indugiarsi al Sacro Speco il piùpossibile perché poi mancasseloro il tempo di sostare a SantaScolastica. Perciò fingeva prenderealle viscere preziose del monasterodalla squallida pelle un interessecontinuo mentre invece sentivasolamente desiderio di ritornarviun'altra volta con sua sorella o consuo cognatoin pace.

Nel discendere in quella miniera dellasantitàné l'una né l'altrasapevano qual via facessero per l'ariamorta e freddaper le ombremisticheper i chiarori giallognolipioventi dall'altoper gli odoridi sasso umidodi lucignoli fumosidiarredi vecchioniper levisioni di cappelledi grottedicroci negli sfondi bui di scaleperdentisi in fugaa paro con le lorovolte acute giù verso caverneinferiori di marmi color di sanguecolor di nottecolor di nevedirigide folle pie dalle facce bizantineingombranti le paretiitimpani delle arcatedi monacelle e difraticelli ritti nellestrombature delle finestre neipennacchi delle voltelungo il girodegli archivolticiascuno con la suavenerabile aureola. Non sapevanoquale cammino vi facessero e Jeanneappena ne sentiva la realtà.

Nello scendere la Scala Santaprecedendo il monaco seguitoimmediatamente da Jeanne e Noemivenendo ultima a cinque o sei gradinidi distanzaJeanneimprovvisamentegittò le mani alle spalle dellaguida e subitovergognando dell'attoinvolontariole ritolse mentreil monacofermatosile volgeva ilcapoattonito.

«Scusi» diss'ella. «Chiè quel padre?»

Fra due ripiani della Scaladietro unrisalto della parete disinistrauna figura tutta nera nellatonaca benedettina si tenevaritta nell'angolo oscuroappoggiandola fronte al marmo. Jeannel'aveva oltrepassata di quattro ocinque gradini senza vederla. S'eravoltata a guardare per casol'avevavedutaun istintivo sospetto leera lampeggiato nel cuor tremante.

Il monaco rispose:

«Non è un padresignora.»

Si chinò ad aprire con la chiavela cancellata di una cappella.

«Cosa c'è?» chieseNoemisopraggiungendo.

«Non è un padre?»ripeté Jeanne.

Nell'udire la voce strana dell'amicaNoemi trasalì. Neppure lei avevanotato la figura ritta nell'ombra dellaparete.

«Chi?» diss'ella.

Il monacoche intanto aveva apertointese «qui?» e riferì la parolaa un discorso di prima.

«No» disse«ilritratto autentico di san Francesco non è qui. Piùabbasso c'è un san Francescodipinto dal cavalier Manente. Lo vedrannodopo. Se vogliono passare...»

Noemi disse piano a Jeanne «cos'hai?»e avendo l'altra risposto convoce più tranquilla «niente»le passò avantientrò nella cappellaascoltando le spiegazioni del monaco.Allora la figura nera si staccòdalla parete. Jeanne la vide salirelenta nell'ombra sotto le arcateogivali. Toccato il ripiano superiorela figura sparve a destra esubito ricomparve in un braccio discala attraversato dall'obliquosfondo della scenaluminoso nel raggiodi una finestra invisibile. Lafigura saliva lentaquasifaticosamente. Prima di sparire dietro ilfianco enorme di un'arcatapiegòil capo a guardare in basso. Jeannela riconobbe.

Sull'attimoquasi obbedendo a unafulminea volontà impostasi a leiquasi portata dal turbine del suodestinopallidarisolutasenzasapere cos'avrebbe dettocos'avrebbefattoella prese l'ascesa.

Attraversato il ripiano superiorenelmetter piede sulla scalachiaratraboccò a terravigiacque un momento; sì che Noemiuscitadella cappellanon la videlacredette discesa in cerca del ritrattodi san Francesco. Si rialzòriprese la viapovera creatura dipassionerichiamata invano dalleimmagini di celeste paceirrigiditesulle mura sacre. Tutto era davanti alei silenzio e vuoto. Ell'andavaper vie ignote a leivelocesicuracome nella chiaroveggenzadell'ipnosi. Passava per buiestrettureper chiarori larghisenzaesitar maisenza guardare né adestra né a sinistrachiusi e acuititutti i sensi nell'uditoseguendoattimi di sussurri lontaniildolersi lieve di un uscioil vento diun altrolo sfiorar di unabito a uno stipite. Così daidue spinti battenti dell'ultima portaella emerse rapida in faccia a lui.

Anch'egli l'aveva riconosciuta sullaScala Santaall'ultimo momento.

Si tenne quasi certo di non esserestato riconosciuto alla sua volta;cercò tuttavia di togliersi dalsolito cammino dei visitatori. Quandoudì giungere a quella reconditasala un fruscio di vesti femminilicompreseaspettòa frontedella porta.

Ella lo vide e impietròsull'atto fra i battenti apertifissi gliocchi negli occhi di luiche nonavevano più lo sguardo di PieroMaironi.

Era trasfigurato. La personaforse perle vesti nerepareva piùsottile. Il viso pallidoscarnospirava dalla frontefatta piùaltauna dignitàuna gravitàuna dolcezza tristeche Jeanne nongli aveva conosciute mai. E gli occhierano del tutto altri occhiavevano un inesprimibile divinotantaumiltà e tanto imperol'imperodi un amore trascendenteoriginarionon del suo cuore ma di unamistica fonte ad esso internadi unamore oltrepassante il cuore dileiricercantele più addentrouna recondita regione dell'animaignota a lei stessa. Ella giunse lentalenta le mani e piegò iginocchi a terra.

Benedetto si recò alle labbral'indice della sinistra e tese l'altroalla parete fronteggiante il balconeaperto sui carpineti delFrancolano e sul fragore del fiumeprofondo. Nel mezzo della paretenereggiavagrandela parola

 

SILENTIUM.

 

Per secolida quando la parola erastata scrittamai voce umana siera udita là dentro. Jeanne nonguardònon vide. A lei bastòquell'indice alle labbra di Piero perserrar le sue. Ma non bastò percostringerle il pianto in gola.Guardava guardava lui con le labbrastrette e le sdrucciolavano sul visolagrime silenziose. Immobilependenti le braccia lungo la personaBenedetto chinò un poco il capoe chiuse gli occhiassorto nellospirito. La grandenera parolaimperatoriagrave di ombre e di mortetrionfava sulle due animeumaneruggendo contro a lei dalbalcone lucente le anime belluinedell'Aniene e del vento.

A un trattopochi secondi dopo che gliocchi di Benedetto si eranochiusi allo sguardo di leiella balenòe si spezzòdalle spalle alleginocchia in un singhiozzo amaro ditutta l'amara sua sorte. Egliaperse allora gli occhila guardòdolcementeed ella ribevve avidail suo sguardoebbe ancora duesinghiozziquasi di dolorosagratitudine. E perché l'amato sirecò nuovamente l'indice alla boccagli accennò del capo di sìdi sìche avrebbe taciutoche si sarebbechetata. Obbedendo sempre al suo gestoal suo sguardo si alzò inpiedisi fece da bandalo lasciòpassare per i battenti apertiloseguì umilecon la sua speranzamorta nel pettocon tanti dolcifantasmi morti nella mentecon il suoamore fatto tremore evenerazione.

Lo seguì fino alla cappella chechiamano la chiesa superiore. Colàdifronte alle tre piccole ogive chechiudono interne ombre dove sidisegna un altare e una croce diargento brilla su parvenze foschedipitture anticheJeanne s'inginocchiòcom'egli accennollesull'inginocchiatoioappoggiato alfianco destro della grande arcatache gira sulla volta acutamentr'eglis'inginocchiava su quelloappoggiato al fianco sinistro. Sultimpano dell'arcata un pittore delsecolo Quattordicesimo ha dipinto ilpoema del massimo Dolore. Daun'alta finestra di sinistra scendevala luce alla Dolorosa; Benedettoera nell'ombra.

La voce di lui mormorò appenaudibilmente:

«Senza fede ancora?»

Sommesso come aveva parlato egli esenza volgere il capoellarispose:

«Sì.»

Egli tacque un momento e poi ripresecon la stessa voce.

«La desidera? Potrebbe operarecome se credesse in Dio?»

«Se non è necessario dimentiresì.»

«Promette di vivere per i miserie per gli afflitticome se ciascunodi essi fosse una parte dell'anima daLei amata?»

Jeanne non rispose. Era troppo veggentee troppo leale per affermareche lo poteva.

«Promette di farlo» ripreseBenedetto «se io prometto di chiamarlapresso di me in un'ora fissadell'avvenire?»

Ella non sapeva quale ora solennenonlontanaegli pensasseparlando così. Risposepalpitante:

«Sì sì.»

«In quell'ora La chiamerò»disse la voce nell'ombra. «Però non cerchimai di rivedermi prima.»

Jeanne si strinse le mani sugli occhirispose un «no» soffocato. Lepareva di turbinare negli angosciosisogni di una febbre mortale.

Piero non parlava più. Passaronoduetre minuti. Ella si levò le manidagli occhi lagrimosili fissòsulla croce che brillava là in facciaoltre gli archetti ogivalisullefosche parvenze di pitture antiche.

Mormorò:

«Sa che don Giuseppe Flores èmorto?»

Silenzio.

Jeanne volse il capo. Nessuno era piùnella chiesa.

 

 

 

Cap. 5

ILSANTO

 

1.

La luna era già tramontata e nelvento della tarda sera l'Anienediscorreva ora forte ora pianocomecolui che parlando concitatoricorda di tratto in tratto al suointerlocutore cose da non lasciarudire ad altri. Il solo forse che intutta la bella conca di Subiacostesse attento al suo discorsoeraGiovanni Selva. Seduto presso ilparapetto della terrazzaegli viteneva appoggiati i gomiti eguardava silenzioso nell'ombra sonora.Maria e Noemiuscite anch'essea goder la frescura e gli aromiselvaggi del vento notturnositenevano in disparte. Maria sussurròuna parola all'orecchio dellasorellache uscì. Rimasta solasi accostò pian piano al maritogliposò un bacio sui capelli.

«Giovanni» diss'ella.Quante volteoppressa dalla violenzadell'amorenon gli aveva ella datal'anima suatutta se stessainquesta sola parola detta sottovocetutte l'altre essendo manchevoliper leio sciupate da troppe labbra!Giovanni rispose mestamentecomestanco:

«Maria.»

Non sentendosi più il viso dilei sui capellitemette di esserleparso freddo.

«Cara» diss'egli.

Ella tacque un momento e posategliambedue le mani sul capoprese adaccarezzarglielo lentamentedicendo:

«Beati coloro che soffrono per laVerità.»

Egli si voltò con un sorridentefremito di affettoguardò se Noemifosse ancora presentesi attiròcon un braccio il caro viso sullabocca.

«Ho tanto bisogno di te»disse«della tua forza!»

«Sono tua per questo»rispose Maria «e sono forte solo perché tu miami.»

Egli le prese una manola baciòriverente.

«Vedi?» esclamò poialzando il viso. «Forse non sai proprio il piùprofondo del mio soffrireperchéè una cosa oscura anche a me chesono vecchio e non mi conosco ancora.Ci pensavo adesso. Pensavo chequando si soffre di una ferita la causadel soffrire si vedemaquando si soffre di una febbre la causaè oscura così e non si arrivamai a conoscerla bene.»

Un mese non era trascorso ancora dallasera della riunione in cui siera parlato di una lega fra i cattoliciprogressisti. Nessuna legan'era venuta fuori ma uno stranoseguito di fatti spiacevoli nonpoteva ragionevolmente attribuirsi adaltra origine. Il professoreDane era stato richiamato in Irlandadal suo arcivescovo. Egli si erasubito recato da un cardinale di curiaingleseper rappresentargli lesue cattive condizioni di saluteechiedergli di appoggiare pressol'Arcivescovo una domanda di dilazione.Sua Eminenza gli aveva apertogli occhi. Il colpo era venuto da Romadovesi era malissimo dispostiverso di lui. Soltanto per un riguardoal cardinale stessoamico delDanee soprattutto per riguardo alGoverno inglesenon siaccontenterebbero coloro che avrebberovoluto far mettere all'indice isuoi libri e costringer lui a lasciarela cattedra. Il cardinale gliaveva consigliato di partire da Romadove il caldo era già molestoedi ammalarsi un po' più sulserio a Montecatini o a Salsomaggioredove lo avrebbero lasciato tranquillo.Don Clemente non si era piùvisto. Giovanni era andato a trovarlo aSanta Scolasticadove ilmonaco gli aveva significato con lelagrime agli occhi che la loroamicizia doveva seppellirsi come untesoro in tempo di guerra. A donPaolo Farèche teneva in Paviaun corso di religione per gli adultiera stato imposto di tacere. Il giovinedi Leynì era stato colpito permezzo della sua famiglia. La sua piaeccellente madre lo avevasupplicato piangendoin nome del mortopadre suodi rompere con ipericolosi amici Selva; ed egli credevache il passo le fosse statosuggerito dal confessore. Avevaresistitoma a prezzo della sua pacedomestica. Finalmenteun periodicoclericale aveva pubblicato trearticoli sull'opera intera di Giovanniriassumendo parziali loditemperate e parziali biasimi aspri inun giudizio severissimo sulcaratteresecondo il censorerazionalistico dell'opera stessa esulla temerità intollerabiledell'autorecheunicamente armato disapere laico aveva osato pubblicarescritture dove il difetto discienza teologica si rivelavamiseramente. In sostanza quegli articolierano una terribile condanna preventivaproprio del libro che Giovannistava scrivendo sui fondamentirazionali della morale cristianaepreannunciavanoa giudizio degliespertil'Indice per gli altri suoilavori.

«Dubiti delle tue idee?»disse Maria.

La domanda non era sincera. Ell'avevamalgrado il suo grande amoreuna conoscenza profonda e chiaradell'animo di suo marito. Pensava chesoffrisse nel suo interno per ilpresentimento di una condannaecclesiastica. Giovanni poteva parlarecon disistima di certe sentenzedella Congregazione dell'Indicema lasua coscienzariverente versol'autorità più ch'eglistesso non pensassesi turbavasecondo Mariapiù ch'egli stesso non volessedel minacciato colpo. E Mariatemendodi ferirlo se dicesse «haipaura?» aveva simulato un altro dubbio peraprirgli la via di confessarespontaneamente il vero. La risposta diGiovanni la sorprese.

«Sì» diss'egli.«Dubito di me. Non però nel modo che tu credi. Dubitodi essere puramente un intellettuale edi esagerarmi l'importanzadavanti a Diodelle mie idee. Dubitodi non viverlele mie idee.

Dubito di sentire troppo sdegno controcoloro che non le dividonocontro dei persecutori che dobbiamoamarecontro quell'abate svizzeroche venne qua con Dane e poi haprobabilmente parlato di ciò che si èdetto allora tra noidove e come nondoveva. Dubito di condurre unavita troppo inoperosatroppo faciletroppo piacevoleperché a me lostudio è piacevole. Dubito delmio stesso amore di Dio perché sentotroppo poco l'amore del prossimo. Miviene in mente che le dolcezzemistiche mi possono addormentare circaquesto punto. TuMariatuvivi la tua fede! Tu visiti gl'infermitu lavori per i poverituconfortitu istruisci. Io non faccioniente.»

«Io sono tu» mormoròMaria. «Sei tu che mi hai fatta così. E poi tueserciti la caritàintellettuale.»

«No noquesta è per meuna parola presuntuosa!»

Egli ricadde a contemplare in silenziol'ombra sonora.

Maria sapeva che veramente il silenzioaffettuoso della fraternitàumana non era vivace in lui. Sentivanon volendolo quasi confessare ase stessache questa deficienzatoglieva a suo marito di esercitarecon successo il grande apostolatoreligioso che avrebbe dovutorispondere alle sue disposizioniintellettualia quella fede profondae luminosa ch'era in lui fruttod'ingegnodi studiodi amor divinopiù che di tradizione e diabitudine. Si rimproverava di essersiqualche volta compiaciuta dellafreddezza di Giovanni verso gliuominiper il prezioso sapore che neprendevano i tesori di affettodati a lei. Egli aveva però lacoscienza del dovere fraterno e maiella non lo aveva conosciuto sordo allapreghieraduro al dolorealtrui. Non sentiva e quindi non amavaDio negli uominich'è il piùsublime fuoco della carità;sentiva e amava gli uomini in Dioch'èfreddo amorecome di un fratello buonoal fratello soltanto percompiacere al padre. Ma questa ultima èla tempra comune anche deicuori umani migliori. Quello diGiovanni era temprato cosìnon potevadare la carità sublime di cuiumilmentetristemente si conoscevavoto. Mariaaccarezzandogli i capellicon infinita tenerezza piasognava che fluisse per il propriocuoreper le proprie mani a quelcapo la soave indulgenza Divina.

«Sai» diss'ella«tioffro subito io un'opera di carità che avrà moltomerito. C'è Noemi che haricevuto una lettera della sua amica Dessallee dice di aver bisogno del tuo aiuto.»

«Chiamala» diss'egli.

Noemi venne. Una leggera nube erapassata quel giorno fra lei eGiovanni. Caso raroavevano conversatoinsieme di religione. Noemi siteneva ciecamente aggrappata allapropria e non amava discuterne.

Malgrado la sua tenerezza per Mariailsuo affettuoso rispetto perGiovannitemeva di piegareseesaminasse le ragioni e la natura delproprio crederepiuttosto verso loscetticismo di Jeanne che verso ilcattolicismo liberale e progressistadei Selva. Questo cattolicismo lepareva una cosa ibrida e forse avevaappreso da Jeanne a giudicarlocosìperché Jeanneinqualche momento di cattiveria nervosadifendeva con acrimonia il proprioscetticismo da quella fede che peressere luminosa di spirito e veritàpoteva riuscirgli formidabile.

Ell'era poi anche sempre in sospettonon di sua sorellama diGiovanni che meditasse di convertirla;e il sospetto era trapelatoquel giornodiscorrendo i due dellaconfessionenella vivacità diqualche risposta. Allora Giovanni leaveva dolcemente e gravementericordato che l'errore accolto senzaaverne coscienzacol desideriosincero e puro della veritàeraincolpevole davanti a Dio; ma che seun sentimento estraneo a quel desiderioavesse parte nella ripulsadella veritàne sorgeva ilpeccato.

Questo argomento ferì Noemiancora più addentro. Ella fu per domandaral cognato i suoi titoli divice-giudice divino. Si contenne e lasciòcadere il discorso.

Più tardiripensandociebberimorso del suo silenzio imbronciato;non tanto perché le ultimeparole di Giovanni avessero fatto camminonella sua mentequanto perchésapeva dei dispiaceri che le opinionireligiose da lui professate glifruttavanoperché lo vedeva abbattutodi spirito. Anche per questorichiamata da luipregata da suasorella d'essergli molto affettuosaella si risolse a una infedeltàverso Jeanne. Di quanto Jeanne le avevascritto sotto il suggello delsegretosi era aperta con Maria solofino al confine dello strettonecessario. Jeannesempre malata dicorpo e di spiritoaveva uditoparlare del Santo di Jenne che guarivai corpi e le animela pregavadi recarsi a Jennedi vedere questoSantodi scrivergliene qualchecosa. Ora Noemi non poteva andare aJenne tutta soladoveva purchiedere a Giovanni di accompagnarla.La sua prima confidenza si erafermata qui. Adesso ruppe tutti isuggelli dell'amica e parlò.

La povera Dessalle era piùinfelice che mai. Nel breve soggiorno aSubiaco aveva incontrato l'anticoamante. Esclamazione di Giovanni:era dunque proprio don Clemente? Noera l'uomo venuto alla villa colpadre la sera dell'arrivo di Jeanneilgarzone ortolano di SantaScolasticacolui che non era piùal monasterocolui del quale siparlava già in tutta la valledell'Anienee anche a Romacome delSanto di Jenne. Noemi si scusòdi non averlo detto subitoallora.

Guai se Jeanne fosse venuta a saperlodopo le sue proibizioni diparlare! E poi non serviva. Giovanniprese quasi furtivamente una manodi sua moglie e se la recò allelabbra. Maria intese e sorrise.

Ambedue assalirono Noemi di domande.

Sìlo aveva riconosciuto lasera dell'arrivo e adesso Giovanni eMaria potevano intendere il perchédi quel tramortimento che si eravisto. L'incontro era poi avvenutol'indomani al Sacro Speco. Noemi nesapeva soltanto che le speranze di lein'erano state distruttech'egli vestiva da monaco e avevaparlato come un uomo datosi a Dioper semprech'ella gli aveva promessodi dedicarsi ad opere di caritàe che nessuna relazione diretta era piùpossibile fra loro.

Adesso la Dessalle scriveva da villaDiedoil soggiorno veneto dovesi era ricondotta col fratello da Romadue giorni dopo aver lasciatoSubiaco. Scriveva in un'ora diamarissimo sconforto. Il fratellosorpreso ch'ella si occupasse tanto de'poveris'irritava di questanovità nei suoi pensieri e nellasua vita. Largheggiasse di denarosele piacevaquanto le piaceva! Farsivenire una fila di pezzenti incasavisitarli nei loro tuguriino!Questo era scioccoera inutileera noiosoera ridicoloera pazzescoera clericale. C'erano altredifficoltà. Ella avrebbedesiderato entrare nelle associazionifemminili caritatevoli della città.Al contatto della signoracheaveva tanto fatto parlare di séper Maironiche se pure andavaqualche volta in chiesa la domenicaperò non adempiva il precettopasqualeesse indietreggiavanochiudendosi in se stesse comesensitive. E finalmente anche le sueabitudini di dama oziosa siricomponevano via via dopo il primostrappo a impedirle il nuovocamminotanto più pronte quantopiù il cammino si faceva difficile.

Sentiva di dover soccombere se non levenisse una parola di consigliodi aiuto da lui. Vederlo non potevascrivere non osava perchécertamente egli aveva inteso vietareanche questo ed ella sarebbemorta piuttosto che fargli cosasgraditapotendo evitarlo. Avevaletto una corrispondenza romana delCorriere sul «Santo di Jenne» dovesi diceva che il Santo era giovine eaveva lavorato da bracciantenell'orto di Santa Scolastica. Era luidunque! Supplicava Noemi diandare a Jennedi chiedergli per leil'elemosina di un conforto.

Noemi era risoluta di andare. VorrebbeGiovanni accompagnarla? Neltono umile col quale lo chiese Giovannisentì una tacita offerta discuse e di pacele stese la mano.

«Di tutto cuore» diss'egli.

Maria si offerse per terza compagna. Fustabilito di andarel'indomania piedie di partire allecinque del mattino per nonavere il sole ardente sulla costa diJennenuda e scoscesa. Poi siparlò del Santo.

Tutta la valle ne era piena. Lacorrispondenza letta dalla Dessallediceva che una quantità di genteaffluiva a Jenne per vedere e udireil Santoche si proclamavanoguarigioni miracolose operate da luiche i benedettini raccontavano conammirazione la vita di penitenza edi preghiera ch'egli aveva condotto pertre anni lavorando nell'ortodi Santa Scolastica. A Subiaco siraccontava ben altro. Un taleTorquatoguardaboschibrav'uomoparente della domestica dei Selvaaveva detto a costei di essere andato aJenne con un forestiereunaspecie di poetavenuto da Roma perparlare al Santo. Nell'andata enel ritorno aveva vedutotutt'assiemeforse una cinquantina dipersone che si recavano a Jenne per lostesso scopo. Fior di signorianche; sulla costa di Jenne unaprocessione di donne che cantavano lelitanie. A Jenne aveva saputo tutta lastoria. Una notte l'arcipretedi Jenne aveva sognato un globo difuoco sulla grande croce piantata asommo della costa e questo globo difuoco aveva acceso la croce cheardeva e splendeva senza consumarsiilluminava tutte le montagne e levalli. Il giorno di poi egli si eravisto capitare un giovine vestitoda converso benedettinoche aveval'incarico di recargli una lettera.

Questa lettera era dell'Abate di SantaScolastica e diceva: «Vi mandoun angelo di fuoco ardente che faràparlare di Jenne in tuttol'universo mondo.» Anche vi erascritto che questo giovine era natoprincipe grande di sangue di ree cheper servire Dio in umiltà siera fatto ortolano per tre anni a SantaScolastica. E l'arciprete eracome impazzito per la commozione diquesto fuoco sognato e di questofuoco arrivatoe gli era venuta unagrandissima febbre. L'indomaniera giorno di festa. Degli altri duepreti che stanno a Jenne uno erainfermo e l'altro se n'era andato aFilettino due giorni prima pervedere sua madre inferma. La fantescadel parroco aveva raccontato nelpaese di questo benedettino e del sognoe ogni cosa. La gente delpaese era andata in chiesa per udir lamessa del benedettino cheavevan veduto entrarvie non volevacredere che il benedettino nondicesse messa. Volevano che almenopredicassemalgrado le sueproteste di non averne il diritto inchiesa; epresolo in mezzoglifacevano tanta ressa intorno ch'egliaveva accennato con la mano diuscire della chiesa promettendo aivicini di parlare fuori. E fuoriaveva parlato. Che avesse propriamentedettola fantesca non l'avevasaputo dire a Mariané Marial'aveva poi potuto cavar bene aTorquato. Un po' interrogandoun po'immaginandoella si ricostituìil suo discorso così:Potete voi entrare in chiesa? Siete voiriconciliati con i vostrifratelli? Sapete cosa vi dice ilSignore Gesù con questa parola chenon si può avvicinarsiall'altare senza essersi riconciliati con ifratelli? Sapete che non potete entrarein chiesa se avete mancatocontro la carità e la giustiziae non ne avete fatto ammendao non nesiete pentiti quando nessuna ammenda èpossibile? Sapete che non vi èlecito di entrare in chiesa se nutritequalche rancore verso ifratelli vostri non soloma pure seavete fatto loro torto inqualunque modonegl'interessi onell'onorese avete detto loroingiuriase portate nel cuoredesiderii disonesti contro i loro corpie le loro anime? Sapete che tutte lemessele benedizionii rosariile litanie contano meno che niente sevoi prima non vi purificate ilcuore secondo la parola di Gesù?Siete voi immondidi odiod'impurità? AndateGesùnon vi vuole in chiesa!Ma che! diceva Torquato. Il discorsoera nienteera la voceera ilvisoerano gli occhi! Il buon uomo neparlava come se vi si fossetrovato. Allora la gentegiùin ginocchioe pianti; e certe donnenemiche fra loroad abbracciarsi. Giànon c'erano che donne e vecchiperché gli uomini di Jenne sontutti pecorai a Nettuno e ad Anzioeprima della fine di giugno nonritornano alla montagna. Il Santovedutili così contritiavevadetto: entrateinginocchiateviIddio èdentro di voiadoratelo in silenzio.La gente era entrataunamoltitudine. Eran caduti in ginocchiotuttie per un quarto d'oraTorquato raccontava cosìsisarebbe uditain quella grande chiesauna mosca volare. Poi il Santo avevaintonato il «Padre nostro» a vocealtaeseguito dal popololo avevarecitato lentamente sostando aogni versetto. E Torquato raccontavache l'arcipreteudito tuttoquestoaveva baciato il suo Ospiteenel baciarloera guarito dellafebbre. Ecco portare infermi al Santoin canonicaperché li benedicae li sani. Egli non voleva ma quantiriuscivano a toccarglimagari difurtola tonacaguarivano. E tantiandavano da lui per consiglio.

C'era stato un miracolo grande di unamula imbizzarrita sulla discesadella costach'era per gittare il suocavaliere sulle pietre in vistadel Santoil quale salivadall'Infernillo portando acqua. Il Santoaveva stesa la mano e la mula si erachetata sull'atto.

Il racconto del guardaboschi furiferito da Maria.

«Che tutto sia vero come ilprincipe di sangue reale?» disse Noemi.

«Domani si saprà»rispose Giovannialzandosi.

 

 

2.

Partirono verso le seicol cielocoperto e un venticello frescofragrante di bosco e di montagnavivodi vocine allegre di uccellipurificatore anche dell'anima. Ai Bagnidi Nerone presero lamulattiera ch'entra nella stretta golaverde risalendo la destradell'Aniene. Si lasciarono a sinistrain altoSanta ScolasticailSacro Specola Casa del Beato Lorenzobianca sotto lo scoglioferrigno. Si lasciarono a destra ilponte della Scalillauna travegettata alla sinistra sponda selvaggiadel turbolento fiumicello.

Parlarono moltoper la viadi questostrano Santo. Giovanni sistupiva che don Clemente non gli avessedetto nullain passatodellaqualità di quel garzoneortolano. Gli piaceva il discorsino in piazza.

Eran cose di cui aveva parlato con donClementemostrandogli comequella parola di Gesù non siaaffatto praticata né insegnata a doverecome i cristiani migliori nonl'applichino che all'uso dei sacramenticomese i fedeli sapessero di nonpoter entrare in chiesa senz'avereil cuore puroil popolo cristianosarebbe veramente di esempio almondo e non si oserebbe affermare chela moralità è presso a poco lastessa dappertutto e non dipende dallecredenze.

Gli piaceva molto anche il «Padrenostro» recitato in chiesa così. Nongli piacevano invece i miracoli;dubitava di una debolezza dell'uomoche non sapesse romperla risolutamentecon la superstizione popolare alui lusinghiera.

Che poteva dite Noemi del carattere diquest'uomo? Quale concetto sen'era fatto per confidenze di Jeanne?Noemi s'imbarazzò. Tutto quelloche ne aveva udito da Jeanne lapersuadeva che Maironi si fossecondotto male con essache nonl'avesse veramente amata mai; e lesuggeriva in pari tempo una curiositàintellettuale checombattutaritornava sempre: la curiositàdi sapere se quell'uomo avrebbe amatolei meglio di Jeanne. Rispose che ilcarattere di Maironi era per leiun enigma. E l'intelligenza? E lacultura? Dell'intelligenza né dellacultura non poteva dir nulla; peròse una donna come Jeanne Dessallelo aveva tanto amatodoveva essereintelligente e colto. E le sueidee religiose di una volta? Aquest'ultima domanda Noemi rispose cheda certi fatti di cui le aveva parlatoJeannedalla influenzadecisiva che le tradizioni religiose difamiglia avevano esercitatosopra di luisecondo Jeannein unacrisi del loro amoreell'arguivache fosse allora un cattolico dellavecchia scuolanon uncattolico... QuiNoemi s'interruppearrossì e sorrise. Sorrise ancheGiovanni. Invece Maria si oscuròun poco. Il discorso cadde.

Camminarono per alquanto tempo insilenziosolo scambiando un salutocon qualche montanaro che scendeva aimulini di Subiaco sul mulocarico di grano.

Sostarono a riposare sul prato di SanGiovanni che parte quel diSubiaco da quel di Jenne. Il BeatoLorenzobianco sotto lo scoglioferrignoli guardava alle spalleoramaidall'alto. Lumi di solerotte le nuvoledoravano i montie lapiccola compagniapensandoalla costa bruciata di Jennesirimetteva in cammino quando laincontrò il medico di Jenne chericonobbe Maria per averla vedutatempo addietroin casa di un collegadi Subiaco. Salutòtrattenne lasua mulasorridendo.

«Loro signori vanno a Jenne?Vanno a vedere il Santo? Troveranno grangenteoggi.»

Gran gente? Noemi è seccataperché teme di non poter vedere Maironi asuo agioi Selva son curiosi disapere. Perché gran gente? Perchévogliono il Santo a Filettinolovogliono a Vallepietraa Treviele donne di Jenne intendono di averloper sé.

«Tutto per farmi riposare!»soggiunse il medico. «E anche per farriposare il farmacista. Oggi il medicoè il benedettino e la farmaciaè la sua tonaca.»

E raccontò che quel giornodoveva venir gente da Filettinogente daVallepietragente da Trevi perparlamentare con Jennevenire a unaccordo e dividersi il Santo. «Chisa se non si bastoneranno!» Intantoa Jenne c'erano già icarabinieri.

«Anche Lei lo chiama "ilSanto"?» disse Maria.

«Eh!» rispose il medicoridendo. «Così lo chiaman tutti. Meno peròchi lo chiama il Diavoloperchéadesso a Jenne c'è anche di questi.»

Sorpresa. Questa era nuova. Chi lochiamava il Diavolo? E perché?

«Eh!» Il medico fece ilviso del furbo che la sa lunga e non la vuoledire tutta. «Ma!» diss'egli«ci sono due preti di Roma che villeggianoa Jenne; due pretidue preti...! Sonfini di molto. Cosa pensino delSanto a me non l'hanno dettomaintanto l'arciprete s'è tirato moltoindietro e qualche altro pure. Quella ègente che lavora. Non si vedema lavora. Sono insetti... non perdirne male! Anziforsein questocasoper dirne bene! ... Sono insettiche quando si mettono adammazzare una pianta non toccano ifruttinon toccano i fiorinontoccano le fogliesto per dire nontoccano neanche le radici perchéun beveraggio li arriverebbeun colpodi zappa li scoprirebbe e loronon vogliono essere veduti. Si ficcanonel midollo. Ora ci stannonelmidollo. Andrà un meseandrannoduela pianta deve seccare eseccherà.»

«Ma Lei» domandòMaria «cosa ne pensa? Quest'uomo si spaccia proprioper un santo? E' contento che dellagente superstiziosa se lo disputicosì? E' vero che ha guaritodegli ammalati?»

Mentr'ella parlava il medico ridevasempre.

«Io rido» rispose. «E'un caso di psicopatia mistica contagiosa.

Scusinodevo trovarmi a Subiaco alleotto. Buon divertimento!»

Dato il colpo del suo malanimoscossele redini al muloe se n'andòper paura di dover mostrare comecolpissero le sue ragioni.

Noemila più commossa dei treper l'atteso incontro con l'uomo amatoda Jeanneincominciava a sentirsistanca. Una seconda sosta si fece apiedi della costa di Jennesulleghiaie rigate dai sottili rivolettiche vanno al fiume dalla grottadell'Infernillo. Ecco sopraggiungerequalcuno alle loro spalle.

Che sorpresa e che gioia! Don Clemente!Anche il bel volto del padresi accese. Egli amava e riverivaGiovanni Selva come un grandecristianoaveva talvolta a difendersicontro la tentazione digiudicar il suo superiorel'Abatechegli aveva interdetto divisitarlocontro la tentazione diappellarsi dall'Abate a Qualcunomaggiore degli Abati e anche deiPonteficiinterno all'anima sua. OraQuestigli disse nell'anima:«L'incontro è mio dono» e il monaco siunì lieto agli amici. Maria lopresentò a Noemi ed egli arrossì ancoranel riconoscere la persona che avevascambiato per la persecutrice diBenedetto.

«E la sua amica?»diss'eglitremando di apprendere che fosse lìpresso. Rassicuratolampeggiòdi sollievo nel viso. Noemi ne sorriseed egliavvedutosenerimase confuso.Sorrisero anche gli altri manessuno parlò. Il primo arompere il silenzio fu Giovanni. Certo donClemente andava a Jenne come loro? Eforse ci andava per lo stessoscopoper vedere la stessa personal'ortolanoehl'ortolano diquella sera? Ah don ClementedonClemente! Sìdon Clemente andavapure a Jenneci andava per vedereBenedetto. E quanto all'ortolanosi scusò. Inganno non c'erastatoc'era stato il desiderio che le dueanime si avvicinassero senza violenzanel modo più spontaneosenzaraccomandazioni e informazionipreventive.

Preso a salire insieme la costaparlarono di Benedetto.

Noemidimentica della stanchezzapendeva dalle labbra del padreeil padreappunto per questoparlavacosì poco e così circospettoch'ella ne fremeva d'impazienzae inbreve si sentì stanca da capo.

Prese il braccio di Marialasciòche don Clemente si dilungasse consuo cognato. Allora don Clementeconfidò a Giovanni che aveva unamissione penosa. Pareva che qualcunoavesse scritto a Roma da Jenne inmodo ostile a Benedettoaccusandolo ditenere discorsi nonperfettamente ortodossidi spacciarsiper taumaturgo e di vestiresenza diritto un abito religioso cherendeva gravissimo lo scandalo.

Certo da Roma era stato scrittoall'Abate e l'Abate aveva datoincarico a luidon Clementedirecarsi a Jenne e di chiedere aBenedetto la restituzione dell'abito.Don Clemente aveva cercatoinvano dissuadere il vecchio Abate chese l'era cavata con unabarzelletta: «Leggete il Vangelola Passione secondo San Marco: chisegue Cristo quando tutti loabbandonano bisogna che ci rimettal'abito. E' un segno di santità.»E poiché qualcuno doveva portarequesto messaggio a Jennedon Clementepreferì di portarlo egli. Avevapoi anche ricevuto una strana letteradell'arciprete di Jenne.

L'arcipretebrav'uomo ma timidogliaveva scritto che Benedettoasuo avvisoera veramente un piocristiano ma che discorreva troppo direligione alla gente e che i suoidiscorsi avevano qualche volta uncerto sapore di quietismo e dirazionalismo; che lo si accusava diesercitare a profitto delle sue ideenon tanto ortodosse un poterediabolico; che l'accusa era sicuramentefalsa ma ch'egli non avevapotutoper prudenzatenerlo ancorapresso di sé; che forse ilmiglior partito sarebbe per lui diandarsene in qualche paese dove nonfosse conosciuto e viverci quieto.

Il dialogo fu interrotto da unachiamata di Maria. Noemispossata dalsole ardentepresa da palpitazioneaveva bisogno di un'altra sosta.

Le signore si erano sedute all'ombra diun sasso.

Don Clemente si congedò. Sisarebbero riveduti a Jenne! Maria eramolto angustiata per sua sorellasirimproverava in cuor suo di nonessersi opposta a che venisse a piedi.Lei e Giovanni tacevanoguardando Noemi che sorrideva loropallida. In quel deserto dimontagne senza bellezzasu quei sassibruciati dal soleil silenziopesava di un peso mortale. Fu per tuttie tre un sollievo di udirevoci di viandanti che salivano. Eranosei o sette personeavevanoseco due muli e salivano cantando ilrosario. Quando furono vicini sividero sui muli una giovinetta e unuomosparuti ambeduequasicadaverici. La giovinettavisti iSelvaspalancò gli occhi; l'uomoli teneva chiusi. Gli altri guardaronocon certe facce compuntecontinuando le preghiere. La neniamonotona si dilungò insieme alcalpestìo dei mulisi perdettenell'alto. Poco dopo la tristeprocessione sopraggiunse dal basso unabrigata allegra di giovinottiborghesi che ridevano parlando diQuiriti a caccia piuttosto di Sabineche di Santi. Al vedere Giovanni e ledue signore ammutolirono.

Passatiripresero a ridere e ascherzare; scherzarono su Giovanni cheforse era il Santo fra le tentatrici.

Una grande nube dagli orli di argentola prima di una flotta cheveleggiava verso ponenteoscuròil sole; e Noemialquantorinfrancatapropose di approfittaredell'ombra per rimettersi in via.

Pochi passi sotto la croce sognatasecondo quel Torquatodall'arcipreteincontrarono unborghese vestito di nero che scendevasul mulo.

«Scusino» diss'egli allesignoretrattenendo il mulo«una di Loro èSua Eccellenza la duchessa diCivitella?»

Udita la rispostasi scusòdicendo che un senatore suo amico gliaveva raccomandata questa duchessadalui non conosciutache dovevacapitare a Jenne per vedere il Santo.

«Già» diss'eglisorridendo. «Forse anche Loro. Tutti adesso. Una voltaci venivano a vedere un Papa. Sicuro. AJenne c'era un Papa.

Alessandro Quarto. Vedrannol'iscrizione. "Calores aestivos vitandicausa." Adesso ci vengono per unSanto. Dovrebb'essere più che unPapa. Ho paura che sia meno! Hannovisto i due malati? Hanno visto glistudenti di Roma? Ehvedranno altrovedranno altro! Ma ho paura chesia meno. Buon viaggio a Loro signori!»

Oltrepassata la crocemontarono infaccia al cielo apertofra idorsi pendenti alla conca romita diJenneincoronata là di frontedalla povera greggia di casupole che ilcampanile governa. Giovanniera stato a Jenne altre volte e non gliparve diversa perché ora vidimorasse un Santo e vi si operasseromiracoli. Sua moglieche civeniva per la prima voltaebbel'impressione di un luogo spiranteraccoglimento religioso per quel sensodi altezza non suggerito davedute lontaneper quel cielo profondodietro il villaggioper lasolitudineper il silenzio. Noemipensò con pietà profonda allapovera lontana Jeanne.

 

 

3.

L'oste di Jenneun brav'uomo inocchialinobilmente cortesecheconosceva il mondo per essere stato inAmerica e tuttavia parevaimmune delle sue corruzioniparlòdi Benedetto ai nuovi arrivati confavorein sostanza; però nonsenza certo riserbo diplomatico. Non lochiamava il Santo; lo chiamava fraBenedetto. I Selva seppero da luiche Benedetto viveva in una capannasualavorandogli per compenso uncampicello. Chi lo volesse vederedoveva aspettare le undici. Adessostava falciando l'erba. La sua vita eraquesta. Sull'alba andava allamessa dell'arciprete. Lavorava finoalle undici. Mangiava paneerbafruttanon beveva che acqua. Nelpomeriggio lavorava per niente leterre delle vedove e degli orfani. Laseraseduto sulla sua portaparlava di religione.

Alle dieci e mezzo i Selva e Noemiandarono a veder Sant'Andrealachiesa di Jenneaccompagnatidall'ostessabella donna poderosapulitissimasempliceilaremodestamente. Usciti in piazza daldedaluccio di vicoletti dov'èl'osteriavi trovarono gran capannellidi donnea detta dell'ostessaforestiere. Ella le distingueva daibustidai guarnellidalle calzature.Queste erano di Treviquelledi Filettinoquell'altre diVallepietra. L'ostessa entrò in un fornoa destra della chiesa dove parecchiedonne di Jenne si facevan cuocerele stiacciateciascuna la propria.

«Forestiere che voglion parlareal nostro Santo» diss'ella a Maria.

Ella non diceva «fra Benedetto»come il marito; diceva «il Santo».

«Non a luiperò»dichiarò arrossendo «perché lui si stizzisce.»Nonon si stizziva veramenteperchégli era un Santo; ma pregava condolore di non venire chiamato così.

Nel gran chiesone rovinoso che «unadomenica o l'altra» diceval'ostessa «ce schiaccia tutticome topi» non c'erano che i due malatie la loro compagnia. I due malati eranostati adagiati sul pavimentoproprio nel mezzo della chiesacon dueguanciali sotto il capo. Iloro compagni salmeggiavano ginocchionie non guardarono a chientravacontinuarono a salmeggiare.

«Forse li hanno condotti perfarli benedire al Santo» disse l'ostessasottovoce«ma di questo il Santoha dolore. Non vuole. Forsecercheranno di toccargli l'abito disoppiatto e questo è puredifficileora.»

Quella povera gente cessò disalmeggiare e una donna venne a domandareall'ostessa se le undici fosserosuonate. Le rispose Maria che mancavaun quarto d'ora e le domandòdegl'infermi. L'uomo era malato difebbrida due annila ragazzasuasorelladi cuore. Venivano dalpiano di Arcinazzouna strada diparecchie oreper farsi guarire dalSanto di Jenne. Una donna di Arcinazzomalata di cuoreera guaritagiorni prima solo con toccarglil'abito. Maria e Noemi parlarono agliinfermi. La ragazza era fidente.L'uomoche tremava di febbreparevaesser venuto per accontentare i suoiper provare anche questa. Avevamolto sofferto del viaggio.

«So' strade per andare all'altromondo» diss'egli «e la guarigionesarà quella.»

Una donnaforse sua madreruppe inpianto e lo supplicò di pregaredi raccomandarsi a Gesù e Maria.Le due signore si allontanaronorichiamate da Giovanni per untafferuglio che avveniva sulla piazzafra le donne e quegli studenti cheavevano oltrepassato i Selva sullacosta di Jenne. Gli studenti dovevanoavere scherzato male sulladevozione del loro Santo. Eranoinviperite. Quelle di Jenne sbucaronodal forno. Da un'altra parte sbucaronodue pennacchi di carabinieri.

Noemi e Maria entrarono fra le donne ametter pace. Giovanni arringògli studenti che ridevano per braveriacon pericolo di peggio. Uncanto suonò dalla chiesaprimavelatopoiaprendosi la portaforte:

«Sancta Mariaora pro nobis.»

Comparvero i due ammalati. La ragazzacamminava sorrettal'uomo eraportato a bracciadalla testa e daipiedispenzolato come uncadavere. E anche le portatricicantavanosolenni in viso:

«Sancta Virgo virginumora pronobis.»

Sulla piazza le donne cadderoginocchioni tutte insiemeintorno aicarabinieri sbalorditi; gli studentiammutolirono; una cavalcata disignori e signore che entrava in piazzadalla mulattiera di Vald'Aniene si arrestò. Mariaprimaquindi Noemitratte a terra da unospirito che metteva loro brividi dicommoziones'inginocchiarono.

Giovanni esitò. Quella non erala sua fede. A lui sarebbe parso dioffendere il Creatore e Donatore dellaragione facendo viaggiare alungo sul mulo degli ammalati perchéun simulacrouna reliquiaunuomoli guarisse miracolosamente. Peròera fede. Eradentro un rudeinvolucro d'ignoranze caducheilsensonegato alle menti superbedell'ascosa Verità che èVitaradio misterioso dentro un ammasso diminerale impuro. Era fedeeraincolpevole erroreera amoreeradoloreera un che visibile degliaccolti più alti misteridell'Universo. La terra stessa e lagrande faccia triste della chiesae le piccole facce umili delle casupoleintorno alla piazzaparevanoaverne intelletto e riverenza. Giovannisi vide in mente la immaginedi una mortastatagli carache avevacreduto cosìun'aura gelatacorse anche a lui nel sangueleginocchia gli si piegarono sotto. Lacompagnia degli ammalati passòcantando colla faccia levata:

«Mater Christi.» Le donneinginocchiate risposero colla faccia aterra:

«Ora pro nobis.»

Poi si alzarono e seguirono il corteo.Intanto tre o quattro donne diJenne dissero forte

«Non volenon vole!»

Una spiegò a Maria che il Santonon voleva gli fossero portatiinfermi. Non furono ascoltate eseguirono anche lorocuriose di quelche sarebbe.

Pure i Selvasulle prime renitentisimossero dietro a Noemiavida.

Alle loro spallecon quel giustointervallo che li dimostrassespettatori e non seguacisi avviaronogli studenti. Soliassai piùda lontanoseguivano i carabinieriultima coda del serpe di genteche guizzò e scomparve dentro unfesso dell'ammasso di casolarifronteggianti la chiesa.

Scomparvesi torse per i vicolettioscuri dai nomi pomposicheriescono a un'altra fronte delvillaggiola più miserala piùdeforme. Ivisulla ruina sassosa delmontemale affisse aironchionialle lastre della rocciasdrucciolano in basso fra iciottoli le stamberghe ammassellate. Lefinestrine nere guardano comeocchiaie di scheletri il silenzio dellavalle profondachiusa. Leporte versano sulla ruina scalinidiruti. Le più non ne hanno che treo quattro scheggioni. Qualcuna n'èrimasta del tutto vedova. Quando cisi è a fatica inerpicati dentrosi trovan caverne senza luce né aria.

«So' mali passivigoli cattivi»disse alle signore dalla sua portauna vecchiasorridendo.

Una di queste caverne male accessibiliera la dimora di Benedetto. Duerivi della turbarotta nella discesavi si riunirono sotto la portaaperta. Da un forno lì accantole donne uscirono a dire che Benedettonon c'era. La turba ondeggiòintorno ai due infermisi levarono vocidi lamento. Domande ansiosediversimormorii risalirono per i duerivi di gente su all'altro capo dellaprocessionedove non si erainteso il perché di quei gemitie si faceva ressa per scenderepervedere. Forse qualche maggior guaio eraaccaduto agli ammalatiferminel sole ardente. Tre studentiscivolarono giù fra le donne levandonegrugniti di male parole. Eccounadonna di Jenne ha detto:

«Portateli dentropoverini.»

«Sì sìdentrodentro! Nella casa del Santo!»

La gente si aspetta già ilmiracolo dalle pareti fra le quali eglivivedal suolo che premedagli arredipregni della sua santità. Sulletto del Santo! Si posano delleassicelle sui pietroni smozzicati chesalgono alla porta di Benedettoi dueinfermi sono tra spinti eportati su da un'ondata. Eccoli stesiper traverso sul giaciglio delSanto. L'ondata riempie la caverna.Tutti cadono ginocchioniapregare.

E' caverna veramente. Un fianco interon'è parete giallastra dirocciatagliata per isghembo. Sicammina sulla terra nudamalcalcata. Accanto al giaciglioalto duepalmiè un focolare. Non vison finestrema un raggio di soleentrato per il caminobatteceleste fiammasulla pietra senzacenere del focolare. Una copertabruna è stesa sul letto. Unacroce è scolpita rozzamente sulla pareteobliqua di rocciapresso l'entrata. Inun angolo si vedesolaricchezzauna gran secchia pienad'acquaun catino verdeunabottigliaun bicchiere. Alcuni librisono accatastati sopra unasdruscita seggiola di paglia. Un'altraseggiola porta un piatto difave e del pane. Il luogo ha l'aspettodi una estrema povertàordinata e pulita.

L'uomofebbricitantesi lagna delfreddodell'umidodel buio. Dicedi star peggio e che lo hanno condottoa morire. Lo scongiurano dichetarsidi sperare. Invece la suagiovinetta sorella dal cuoreammalatoun minuto dopo che l'hanposata sul lettosente sollievo.

Lo annuncia subitoannuncia cheguarisce. Intorno a lei si lagrima esi ride insiemesi loda il Signore. Lesi baciano le vesti comes'ella pure fosse divenuta santasigrida l'annuncio fuori. Voci digioia rispondonoaltra gente si caccianella caverna col viso accesocon gli occhi avidi. Ma in quel momentoqualcunoch'è sceso piùabbasso in cerca del Santogrida dalontano: Il Santo viene! il Santoviene! Allora la caverna rigurgitagente sulla chinaun fracasso divoci e di passi trabocca in giùin un attimo tutto è vuoto intorno aiSelva e a tre o quattro studentifermisotto l'entrata della capanna.

Delle donne di Jenne parte èritornata nel forno al lavoroparte staa guardare sulla porta. Maria scambiaqualche parola con queste. Tuttaforestiera quella gente ch'èscesa? Eh sìnon tutta ma quasi. Gentedi Vallepietrala più parte.Sarebbe meglio che da Vallepietra civenisse l'acqua. E che vogliono?Portarsi via il Santo di Jenne? Sìdicevano anche questoparlavano di fargran cose. E voi? Noi si sache lui non vole andare. E poi... Lecompagne gridano qualche cosa daldi dentrola donna si voltasuccedeun litigioi due Selva e glistudenti entrano a vedere la guaritamiracolosamente. Noemi rimanefuori. E' impaziente di vedereBenedettopalpitanon ne comprende ilperchési chiama stupida nelsuo cuore; ma non si muove.

Due tonache benedettine venivano per icampicelli del bassodalontano. Sopra la seconda lampeggiavatratto tratto un ferro di falce.

Udito piombar dall'alto lo scrosciodelle voci e dei passiBenedettodisse al suo compagno con un sorriso:

«Padre mio.»

Don Clementeappena arrivato a Jenneaveva raggiunto Benedetto sulpraticello che stava falciandogliaveva recato il messaggio dolorosoe promessodopo un lungo colloquioditenere a chi lo chiamava santocerto discorso che Benedetto desiderò.Udì anche lui lo scroscio dellafolla che scendevale grida «ilSanto! il Santo!» e quando Benedettogli ebbe detto sorridendo: «Padremio!»impallidìfece un gesto diacquiescenza e passò avanti.Benedetto depose la falceuscì un pocodel sentierosedette dietro un masso eun gran melo fioritoche lonascondevano ai sopravegnenti. DonClemente li affrontò solo.

Al primo vederlo coloro si arrestarono.Più voci dissero: «Non è lui!»

e altre voci: «Lui èdietro!» e altre ancora dalla retroguardia:

«Passate avanti!» Lacolonna si mosse.

Allora don Clemente levò la manoe disse:

«Ascoltate.»

L'uomo che non sapeva parlare a duepersone sconosciute senza coprirsidi rossoreadesso era pallidissimo. Lavoce dolcemente velata si udìappena ma si vide il gesto. Ilbellissimo viso serenol'alta personaimposero riverenza.

«Voi cercate Benedetto»diss'egli. «Voi lo chiamate Santo. Questo è ungrandissimo dolore che voi gli date.Egli ha pur detto a tutti dalprimo giorno del suo arrivo a Jenne diessere un gran peccatoreridotto a penitenza per la infinitabontà di Dio. Ma egli vuole che iovi confermi questo. Lo confermoèla verità. E' stato un granpeccatore. Domani potrebbe cadereancora. Se vi credesse un solomomento quando voi lo chiamate SantoIddio si allontanerebbe da lui.

Non lo chiamate più Santo esopra tuttopoinon gli domandate piùmiracoli.»

«Padre» lo interruppe convoce solennefacendosi avanti e allargandole bracciaun vecchio altomagrosdentatodal profilo d'aquila.

«Padrenoi non domandiamo ilmiracoloil miracolo è fattola donnacome ha toccato la dimora dell'uomoèguaritae noi Le diciamo chel'uomo è santo e se a Jenne vi ègente che dice altre cose è gentedegna di bruciare nel fondodell'inferno. Padrenoi Le baciamo lemani ma diciamo questo.»

«C'è un ammalatoancora!C'è un ammalato ancora!» gridarono dieciventi voci. «Venga il Santo!»

Dal gruppo degli studentiallaretroguardiasi gridò: «Avanti ilSanto. Il Santo parli!»

«O che modo è questo?»fece il vecchio volgendosi addietro condispettoda spodestato oratore delpopolo. «Che modo è questo?»

Un subisso di voci sdegnose coperse lasuagridando gli studentisempre più forte:

«Venga il Santo! Parli il Santo!Via il prete! Via!»

Le donne si voltarono minacciose:

«Via voivia!»

E in altodalle stamberghe appollaiatesulla rovinasbucarono ipennacchi dei carabinieri. AlloraBenedetto si alzòuscì alloscoperto.

Appena fu vedutoun gran clamore digioia lo accolse. I Selva sifecero sulla porta della caverna aguardare in giùNoemi scese dicorsa. Benedetto si trovòattorniato in un lampo di gente che glibaciava la tonaca benedicendo. Moltiginocchionipiangevano. Noemich'era discesa sola dietro glistudentisi slanciò avantividefinalmente l'uomo.

Jeanne le ne aveva mostrate piùfotografiedicendole però che dinessuna era soddisfatta pienamente.Nella fisonomia simpatica di PieroMaironi Noemi aveva letto un'ombrainterna di tristezza; quella diBenedetto luceva di straordinaria vita.Da due giorni egli si erafatto radere capelli e barba per averudito una donna sussurrare: «E'bello come Gesù». Laespressione dell'anima dominatrice gli si eraaccentuata nel naso piùprominente per la maggiore magrezzanellegrandi occhiaie scure. Gli occhiavevano un fascino inesprimibile.

Spiravano tristezza anche adesso ma unatristezza dolcepiena divigore e di pacedi devozione mistica.Attorniatosotto la biancanuvoletta del melo fiorentedallaturba prostratacirconfuso di solee di mobili ombrepareva una visionedi pittore antico. Noemiimpietròstretta alla gola daun groppo di pianto. Presso a leiparecchie donne piangevanosolo peraverlo vedutopenetrate da unasuggestione vicendevole. Una di esseammalatastancasi era sedutasull'orlo del sentieronon potevavedere il Santopiangeva dicommozione senza saperne il perché.Sopraggiunsero dei ritardatariunvecchio e tre donne di Vallepietra.Subito le tre donnescambiandodon Clemente per Benedettosi misero asinghiozzare e a gridare:

«Com'è bellocom'èbello!»

Intantosotto la bianca nuvoletta delmelo fiorenteBenedetto riuscìcon parole di doloredi supplicadirampognaa respingere l'assaltodella turba adoratricea farlarialzare in piedi. Un grido partì dalgruppo degli studenti: «Parli!»In questo stesso momentolassù inalto le campane di Jenne annunciaronosolenni il mezzogiorno alvillaggioalle solitudinial monteLeoal monte Sant'Antonioalmonte Altuinoalle nubi veleggiantiverso ponente. Benedetto si posel'indice alla boccale campaneparlarono sole. Guardò don Clementecome per un tacito invito. Don Clementesi scoperse e cominciò a direl'"Angelus Domini". Benedettoin piedia mani giuntelo disse conlui e fino a che le campane suonaronotenne gli occhi fissi sulgiovane che gli aveva gridato diparlare: gli occhi pieni ditristezzadi dolcezza mistica. Quellosguardo ineffabileil suonodelle campane solenniil tremardell'erbal'ondular lieve dei ramifioriti al ventoil rapimento di tantefacce lagrimose volte a unasola si componevano insieme per Noemiin una parola unica che laesaltava senza rivelarsicome tormental'anima nel desiderio di sé laparola occulta sotto una tragicaprocessione di accordi musicali. Lecampane tacquero e Benedetto dissedolcemente a chi gli stava difronte:

«Chi siete voi e cosa èaccaduto che vi ha fatto venire a me come seio fossi quello che non sono?»

Gli fu risposto da più voci a untempogli fu detto del miracolo ecom'egli fosse desiderato nel villaggiodegli uni e nel villaggiodegli altri.

«Voi esaltate me» diss'egli«perché siete ciechi. Se questa giovine èguarita non io l'ho guarita ma la suafede. Questa forza della fedeche l'ha fatta alzarsi e camminare ènel mondo di Diodappertutto esemprecome la forza dello spaventoche fa tremare e cadere. E' unaforza nell'anima come le forze che sononell'acqua e nel fuoco. Dunquese la giovane è guarita èperché Dio ha disposto nel suo mondo questagran forza; datene lode a Dio e non ame. Ma poi udite. Voi offendeteDio se la Sua potenza e bontà vipaiono più grandi nei miracoli. Essesono dappertutto e sempre infinite. E'difficile di capire come lafede risanima è impossibile dicapire come questi fiori vivano. IlSignore non sarebbe mica meno potentené meno buono se questa giovanenon fosse guarita. Pregate di guariresìma pregate più ancora dicomprendere questa grande cosa che viho detto orapregate di poteradorare la volontà del Signorequando vi dà la morte come quando vi dàla vita. Vi sono nel mondo degli uominiche credono di non credere inDio e quando le malattie e la morteentrano nelle loro casedicono: èla leggeè la naturaèl'ordine dell'Universonoi pieghiamo ilcaponoi accettiamo senza mormorarenoi proseguiamo il cammino delnostro dovere. Guardate che questiuomini non passino avanti a voi nelregno dei cieli. E pensate anche qualimiracoli domandate. Voi veniteper esser guariti dalle malattie delcorpovoi volete che io venganei vostri villaggi per questo. Abbiatefede e guarirete senza di me.

Ricordatevi però che potresteusare anche meglio la vostra fedesecondo la volontà di Dio. Sietevoi tutti e interamente saninell'anima vostra? Novoi non losiete; e che vi servirà di averl'otre sana se il vino è guasto?Voi amate voi stessi e le vostrefamiglie più della veritàpiù della giustiziapiù della leggedivina. Voi avete presente semprequello ch'è dovuto a voi e ai vostrie ben di rado quello ch'è dovutoagli altri. Voi credete di salvarvicolla moltitudine delle preghiere. Enemmeno sapete pregare. Voipregate allo stesso modo i Santi chesono i servi e Iddio ch'è ilPadrone; quando non fate peggio! Voinon pensate che al Padrone nonimportano le molte parolech'Eglipreferisce essere servitofedelmente in silenzio col pensierosempre alla Sua volontà. E nonintendete i vostri malisiete come ilmoribondo che dice: "Sto bene."Forse alcuno di voi pensa in questomomento: se non intendo il maleche faccioil Signore non micondannerà. Ma il Signore non giudicacome i giudici del mondo. L'uomo che hapreso un veleno senza saperlodeve cadere come colui che lo ha volutoprendere. L'uomo che non ha laveste bianca non può entrarenella cena del Signore anche se nonsapeva che la veste non era necessaria.Colui che ama se stesso sopraogni cosasappia o non sappia il suopeccatonon passa per la portadel regno dei cieliallo stesso modoche il dito della sposase èripiegato sopra se stessonon entranell'anello offerto dallo sposo.

Conoscete le infermitàdell'anima vostra e pregate con fede di essernesanati. Vi dico in nome di Cristo chelo sarete. La guarigione delvostro corpo è buona per voiper la famiglia vostraper gli animalie le piante che avete in cura; ma laguarigione dell'anima vostracredete questa cosa benché nonla comprendete! la guarigionedell'anima vostra è buona pertutte le povere anime dei viventisbattuti fra il bene e il maleèbuona per tutte le povere anime deimorti che si purificano con fatica edolorecome la vittoria di unsoldato è buona per tutti dellasua nazione. E' anche buona per gliAngeliche sentono tanta gioiahadetto Gesùper la guarigione diun'animae la gioia fa crescer la loropotenzae la loro potenzacredete voi che sia per le tenebre oper la luceper la morte o perla vita? Domandate con fedeprima laguarigione dell'anima e poi laguarigione del corpo!»

Dal ripido pendìo gli si porgevauna fitta di visi; avidi i più alticui soltanto giungeva il suono dellavocee rigati di pianto; parteattoniti i più viciniparteentusiastiparte dubbiosi. Anche a Noemicolavano lagrime lungo le guancesmorte. Gli studenti avevano smessol'aria beffarda. Quando Benedettotacqueuno di loro avanzò risolutoe serioper parlare. In quel mentre ilvecchio esclamò:

«E voi ci guarite l'anima!»

Altre voci ripeterono ansiose:

«E voi ci guarite l'anima! E voici guarite l'anima!»

In un balenotutta l'avanguardiapresa dal contagiotraboccò inginocchio tendendo le braccia supplici:

«E voi ci guarite l'anima! E voici guarite l'anima!»

Benedetto si gettò avanti con lemani nei capelliesclamando:

«Che fate ancora? Che fateancora?»

Un grido suonò dall'alto: «Lamiracolata!» La giovinetta cheposatasul giaciglio di Benedettosi erasentita risanarescendeva albraccio di una sorella maggiorecercando Benedetto. Questi non badòal gridoal balenar della gente lassùche si divideva per lasciarpassare le due donne. Non valendo a farrialzare la gentecaddeginocchioni egli pure. Allora coloroche gli stavano intorno sirialzaronoe giungendo ad essi ilfremito commosso e le voci: «Lamiracolata! La miracolata!»fecero rialzare lui che pareva non avereudito. «La miracolata!» glidiceva ciascuno«la miracolata!» cercandosul suo viso la compiacenza delmiracolo con occhi che gridavano

«Viene per voil'avete guaritavoi!» come s'egli poco prima nonavesse detto nulla.

La giovinetta scendevasmorta egiallognola come la petrosa viabattuta dal soletriste nel visettogentile inclinato al bracciodella sorella. E la sorella pure eratriste. La turba si divisedavanti a loro e Benedetto si fece daparteriparò dietro donClemente con un involontario moto cheparve deliberato. Tuttitrepidavano e sorridevano comenell'attesa di un altro miracolo. Ledue donne non s'ingannaronopassaronodavanti a don Clemente senzaneppure guardarlosi volsero aBenedetto e la maggiore gli dissesicura:

«Uomo santo di Diotu haiguarito questaguarisci l'altro!»

Benedetto rispose quasi sottovocetutto fremente:

«Io non sono uomo santoio nonho guarito questaper quest'altro chedite io potrò solamentepregare.»

Udito che l'altro era loro fratelloche stava nella sua capannasulsuo letto e che soffriva moltodisse adon Clemente:

«Andiamo ad assisterlo.»

E si mosse con il suo Maestro. Dietro aloro si ricomposerumoreggiando il fiotto diviso dellagente. Benedetto si voltò aproibire che lo seguisseroa comandareche le donne si prendesseroinvece cura di questa giovinettalaquale non doveva risalir l'erta apiedi sotto la sferza del sole ardente.Comandò che la portasseroall'osteriala facessero porre alettola ristorassero con cibo evino. Quelli che lo seguivano sifermaronogli altri fecero ala perlasciarlo passare. Lo studente cheprima aveva chiesto di parlare loaccostò rispettosamenteglidomandò se più tardi egli e alcuni amicisuoi avrebbero potuto trattenersi unpocosolicon esso.

«Oh sì!» risposeBenedettocon un virilecaldo impeto di assenso.

Noemich'era lì pressosi fececoraggio.

«Devo chiederle cinque minutianch'io» diss'ella in francesearrossendo; e subito le balenòdi aver dato così a capire che loconosceva persona coltasi fece tuttauna vampa e ripeté la suapreghiera in italiano.

Don Clemente premette un pocoquasisenza volerloil braccio aBenedettoche rispose garbato ma unpo' asciutto

«Vuol far del bene? Si occupi diquella povera ragazza.»

E passò oltre.

Entrò nella sua stambergasolocon don Clemente. Nessuno lo avevaseguìto. Una vecchiala madredell'ammalatavedutolo entraregli sigettò piangendo ai piedi con leparole di sua figlia

«Siete voi l'uomo santo? Sietevoi? Una me ne avete guaritaguaritemianche l'altro!»

Sulle prime Benedettoentrando dalsole in quel buionon discernevaniente. Poi vide steso sul letto l'uomoche respirava malegemevapiangevaimprecava ai Santiallefemmineal paese di Jenneal suomaledetto destino. Inginocchiataaccanto a luiMaria Selva glitergeva con un fazzoletto il sudoredella fronte. Nessun altro eranella caverna. Presso alla portaluminosa la grande croce scolpita perisghembo sulla parete giallastra diroccia diceva in quel momento unaoscura parola solenne.

«Sperate in Dio» risposeBenedetto alla vecchiadolcemente. E siaccostò al lettosi piegòsull'infermogli prese il polso. Lavecchia cessò di singhiozzarel'infermo d'imprecare e di gemere. Siudì il ronzio delle mosche nelfocolare chiaro.

«Avete chiamato il medico?»mormorò Benedetto.

La vecchia riprese a singhiozzare:

«Guaritelo voiguaritelo voi innome di Gesù e Maria!»

L'infermo riprese a gemere. Maria Selvadisse sottovoce a Benedetto:

«Il medico è a Subiaco. Ilsignor Selvache Lei forse conosceèandato alla farmacia. Io sono suamoglie.»

In quel punto rientrò Giovanniansanteafflitto. La farmacia erachiusail farmacista assente.L'arciprete gli aveva dato del marsala.

Dei signori venuti da Roma con granprovvigioni gli avevano dato delcognac e del caffè. Benedettochiamò a sé con un cenno don Clementegli disse all'orecchio che facessevenire l'arciprete; quell'uomostava morendo. Avrebbe potuto andaregli a chiamarlo ma gli parevaduro per la povera madre diallontanarsi. Don Clemente uscì senza farmotto. A pochi passi dalla casupolalacompagnia elegante venuta daRoma per curiosità del Santo diJennetre signore e quattro signoriguidata da quel signore di Jenne ches'era incontrato con i Selvasulla costasi stava consultando.Veduto il benedettinosi parlaronosottovoce rapidamentee uno di loroun giovinotto elegantissimoincastratosi nell'occhio la caramellaavanzò verso don Clementech'era guardato dalle signore conammirazionecon rammarico che ilSantocome avevano udito dalla loroguidanon fosse lui.

Anche costoro desideravano un colloquiocon Benedetto. Lo desideravanospecialmente le signore. Il giovinottosoggiunse con un sorrisobeffardo che quanto a sé non sene credeva degno. Don Clemente glirispose breve breve che per ora eraimpossibile di parlare aBenedetto; e tirò via. Coluiriferì alle signore che il Santo stavanel tabernacolo chiuso a chiave.

Intanto Benedettosupplicandolo semprela madre desolata che nonusasse medicineche facesse ilmiracoloconfortava il giacente conqualche sorso dei cordiali portati daGiovanni Selva e più con parolecon lievi carezzecon la promessa dialtre parole di salute che altrigli avrebbe portato. E la voce piateneragraveoperò un miracolodi pace. L'infermo respirava maleassaigemeva ancorama nonimprecava più. La madrefolledi speranzamormorava a mani giuntelagrimando:

«Il miracoloil miracoloilmiracolo.»

«Caro» diceva Benedetto«sei in mano di Dio e la senti terribile.

Abbandònatila sentirai soave.Ti poserà da capo nel mare di questavitati poserà nel cielotiposerà dove vorrà leiabbandònatinonci pensare. Quand'eri bambino la tuamamma ti portavatu nondomandavi né il come néil quando né il perchétu eri nelle suebracciatu eri nel suo amoretu nondomandavi altro. Così anche oracaro. Io che ti parlo ho fatto tantomale nella mia vitaforse unpoco ne hai fatto anche tuforse te nericordi. Piangi piangi cosìabbandonato sul seno del Padre che tichiamache ti vuole perdonareche vuol dimenticare tutto. Ora verràil sacerdote e tu glielo diraiil male che forse hai fattocosìcome ricordisenza angoscia. E poisai chi verrà da te nel mistero?Sai che amorecarosai che pietàsai che gioiasai che vita?»

Lottando con le ombre della mortefiggendo in Benedetto gli occhivitreilucenti di un desiderio intensoe del terrore di non poterloesprimereil povero giovine che avevainteso male il discorso diBenedettocredendo di doversiconfessare a luicominciò a dire isuoi peccati. La madre che durante ildiscorso di Benedettobuttatasiginocchioni alla parete di roccia viteneva le labbra sulla croceaspettando il compimento del miracoloscattòal suono strano diquella vocein piedibalzò allettocompresegittò un gridodisperato con le mani al cielomentreBenedettoatterritoesclamava: «No caronon a menon a me!» Ma l'infermo non inteseglicinse con un braccio il colloloraccolse a sécontinuò la suaconfessione ambasciataripetendoBenedetto: «Dio mio! Dio mio!» nellosforzo di non udirené avendocuore di strapparsi dal morente. Nonudì infatti né udire erafaciletanto raderotte e torbide venivanole parole. E non si vedeva arrivarel'arcipretee don Clemente nonritornava! Passi e voci sommesse siudirono bene al di fuoriqualchetesta curiosa comparve all'usciomanessuno entrò. Le parole delmorente si perdettero in un garbugliodi suoni fiochiegli tacque.

«C'è gente fuori?»chiese Benedetto. «Qualcuno vada dall'arcipretedica di far presto.»

Giovanni e Maria stavano attorno allamadre chefuori di sétrabalzava dal dolore alla collera.Dopo aver creduto al miracolononvoleva credere che il suo figliolo sifosse ridotto naturalmente aquegli estremiora singhiozzava perluiora imprecava alle medicineche gli aveva date Benedetto per quantoi Selva le dicessero che nonerano state medicine. Maria se l'eraabbracciata e per confortarla eper trattenerla. Accennò aGiovanni che andasse lui dall'arciprete eGiovanni corse via. Gli occhi lucentidel moribondo supplicarono.

Benedetto gli disse:

«Figlio miodesideri Cristo?»

Il poveretto accennò di sìcol capo e con un gemito inesprimibile.

Benedetto lo baciòlo ribaciòteneramente.

«Cristo mi dice che i tuoipeccati ti sono rimessi e che tu parta inpace.»

Gli occhi lucenti sfavillarono digioia.

Benedetto chiamò la madre chedalle aperte braccia di Maria siprecipitò sul figlio suo. Eccoentrare don Clemente trafelatoconGiovanni e l'arciprete.

 

Don Clemente aveva trovato in canonicaun ecclesiastico non conosciutoda luialle prese coll'arciprete. Asentir costuiuna turba fanaticavoleva portare in Sant'Andrea lapretesa miracolata per unringraziamento a Dio. Era doveredell'arciprete impedire un talescandalo. La guarigione della ragazzase non era impostura non eranemmanco realtà. Il pretesotaumaturgo poi aveva predicato un sacco dieresie sui miracoli e sulla saluteeternaaveva parlato della fedecome di una virtù naturaleaveva criticato Gesù che guarivagl'infermi. Adesso stava fabbricando unaltro miracolo con un altrodisgraziato. Bisognava finirla.Finirla? pensava il povero arcipreteche sentiva già odore diSant'Uffizio. Era presto detto «finirla». Macomefinirla? La visita di donClementeche sopravvenne a questopunto del discorsolo fece respirare.Adessopensòmi aiuterà lui.

Invece le cose volsero al peggio. Uditoil triste messaggio di donClementequel prete esclamò:

«Vede? ecco i miracoli comefiniscono! Ma lei non deve entrare colSanto Viatico nella casa diquell'eretico s'egli prima non esce e nonesce per non tornarci più.»

Don Clemente avvampò in viso.

«Non è un eretico!»diss'egli. «E' un uomo di Dio!»

«Lo dice Lei!» esclamòil prete.

«E Lei» proseguìvolto all'arciprete. «Lei ci pensi! Faccia comevuoledel resto; io non c'entro. Arivederla.»

Fatto un inchino a don Clementesenzaparolescivolò fuori dallacamera.

«E adesso? E adesso?»gemette il povero arciprete recandosi le manialle tempie. «Quello è unuomo terribile ma io non voglio mancareverso Domeneddio. Dimmi tudimmi tu!»

Aveva un santo timore di Diosìl'arcipretema non era neppuresenza un timore fra santo e umano didon Clementedella coscienzasevera che lo avrebbe giudicato. A donClemente lampeggiònellastretta del momentoil partito daprendere.

«Disponi per il Viatico»diss'egli «e vieni subito con me a confessarequel povero giovane. Benedetto faràvedere se è un eretico o se è unuomo di Dio.»

La fantesca venne ad avvertire che unsignore pregava il signorarciprete di far prestoprestoperchéquell'ammalato moriva.

Don Clementetrafelatoentrònella stamberga con Giovanni e conl'arciprete. Chiamò Benedetto asépresso l'uscio e gli parlòsottovoce. L'ammalato rantolava.Benedetto ascoltòa capo chinoleparole dolorose che gli chiedevano unatto di umiliazione santas'inginocchiò senza risponderedavanti alla croce scolpita da luinella rocciala baciòavidamentenell'incontro delle bracciatragichee riaspirare in sé dalsolco della pietra il segno delsacrificioil suo amoreil suo benela sua forzala sua vita; erialzatosiuscì di làper sempre.

Il sole scompariva in un turbinoso fumodi nuvoli montanti asettentrionedietro il villaggio. Iluoghi che avevano poco primabrulicato di gente erano un lividodeserto. Dalle svolte dei viottolighiaiosidietro gli usci socchiusidai canti dei casolaridonnespiavano. All'apparire di Benedetto siritrassero tutte. Egli sentìche Jenne sapeva l'agonia dell'uomovenuto a lui per saluteche l'oradella potestà era venuta per isuoi avversari. Don ClementeilMaestrol'amicogli aveva primachiesto di deporre il suo abito eora di uscire della sua casadi uscireda Jenne. Con dolore e amorema glielo aveva chiesto. Fra l'amarezzae il digiunopoiché non avevapotuto prendere la sua refezionemeridiana di pane e favesi sentìquasi venir menogli si oscuròla vista. Sedette sulla soglia ruinosadi una porticina chiusaall'entratadella viuzza della Corte. Unlungo rombo di tuono suonò sulsuo capo.

Poco a poconel ripososi riebbe.Pensò all'uomo che moriva neldesiderio di Cristo e un'onda didolcezza gli tornò nell'anima. Sentìrimorso di aver dimenticato per alcuniistanti quel gran dono delSignoredi avere disamata la croceappena bevutone vita e gioia. Sinascose il viso fra le mani e piansesilenziosamente. Un rumor lievein altod'imposte che si apronoqualche cosa di molle gli batte sulcapo. Si toglie trasalendo le manidagli occhi; ai suoi piedi è unarosellina selvatica. Rabbrividì.Da parecchi giorni o la serarientrando nella sua spelonca ouscendone la mattinaogni giornoaveva trovato fiori sulla soglia. Nonli aveva tolti mai. Li poneva dabanda sopra un sassoperché nonfossero calpestati; non altro.

Neppure aveva mai cercato di saperequal mano li recasse. Certo larosellina selvatica era caduta dallastessa mano. Non alzò il capo ecomprese che pur non raccogliendo larosellina né accennando araccoglierlagli bisognava partire.Cercò levarsile gambe non loreggevano ancora benetardò unmomento a rimettersi in cammino. Iltuono rumoreggiava da capopiùfortecontinuo. Una porticina siapersese ne porse una giovine vestitadi nerobiondabianca comela cerapiena gli occhi azzurrini disbigottimento e di lagrime.

Benedetto non poté a meno divolgere il capo a lei. Riconobbe lamaestra del Comuneche aveva veduto unmomento in casadell'arcipretee già proseguivasenza salutarla quando ella gli gettòun gemito: «Mi ascolti!» efatto un passo indietro nell'anditocaddesulle ginocchiagli stese le maniimplorantiripiegando il capo sulpetto.

Benedetto si fermò. Esitòun momento e poi dissecon gravità severa:

«Che vuole da me?»

Si era fatto quasi buio. I lampiabbagliavanoil fragore del tuonoempiva la misera viuzzaimpediva aidue di udirsi. Benedetto siaccostò all'uscio.

«Mi hanno detto» rispose lagiovine senz'alzare il viso e sostandoagli scoppi del tuono «che Leiforse dovrà partire da Jenne. Una Suaparola mi ha dato la vitala Suapartenza mi farà morire ancora. Miripeta quella parolala dica per mesolo per me!»

«Quale parola?»

«Lei stava col signor arcipreteio ero nella stanza vicina collafantesca e l'uscio era aperto. Leidiceva che un uomo può negare Diosenza essere veramente ateo e senzameritare la morte eternaquandonega quel Dio che gli è propostoin una forma ripugnante al suointelletto ma poi ama la Veritàama il Beneama gli uominipraticaquesti amori.»

Benedetto tacque. Lo aveva dettosìma parlando a un prete e nonsapendo di venire udito da personeforse non atte a comprenderlo. Ellasospettò la cagione di quelsilenzio.

«Non si tratta di me»disse. «Io credosono cattolica. E' mio padreche ha vissuto così ed èmorto così e... se sapesse!... hanno persuasoanche mia madre ch'egli non ha potutosalvarsi!»

Mentr'ella parlavarade goccegrossecominciarono a batterefra ilampi e i tuonisulla viamacchiaronola polvere di grandi macchiescrosciarono col ventosferzando imuri; ma né Benedetto riparòdentro l'uscio né lei glienefece invitoe questa fu da parte di leila confessione sola del sentimentoprofondo che si copriva dimisticismo e di pietà filiale.

«Mi dicami dica» imploròalzando finalmente il viso «che mio padreè salvoche lo ritroveròin Paradiso!»

Benedetto rispose:

«Preghi.»

«Dio! Solo questo?»

«Si prega forse per il perdono dichi non può essere perdonato?Preghi.»

«Ohgrazie! Lei èsofferente?»

Queste ultime parole furono sussurratecosì piano che Benedetto poténon udirle. Fece un gesto di addio e siallontanò fra le ondate dipioggia che flagellavano e urtavano viaper il fango la mortarosellina selvatica.

 

Forse da una finestraforse dallaporta dell'osteriaNoemiche vistava con la ragazza di Arcinazzolovide passare. Si fece dare unombrello dall'oste e lo seguìsfidando la violenza del vento e dellapioggia.

Lo seguìsoffrendo di vederlo acapo scoperto e senza ombrellopensando che se non fosse stato unSantolo si sarebbe detto unpazzo. Uscita sulla piazza dellachiesavide socchiudersi un uscio amano dirittaun prete lungo e magroguardare dall'interno. Credetteche il prete avrebbe invitato Benedettoa entrarema invece il pretequando Benedetto gli fu vicinochiusel'uscio rumorosamente congrande sdegno di lei. Benedetto entròin Sant'Andrea ed ella pure vientrò. Quegli andò ainginocchiarsi davanti all'altar maggioreellasi tenne presso la porta. Ilsagrestanoche sonnecchiava seduto suigradini di un altareuditi i loropassisi alzòmosse versoBenedetto. Ma egli era del partito deipreti romani ericonosciutol'ereticoritornò indietrodomandò alla signorina forestiera sepotesse dirgli niente di quel giovineammalato di Arcinazzo ch'erastato portato in chiesa la mattinaquando il sagrestano ci avevaveduta anche lei. E soggiunse che nedomandava perché aveva l'ordinedi aspettare l'arciprete che sarebbevenuto per portargli il Viatico.

Noemi sapeva che l'uomo di Arcinazzoera moribondo ma non più di così.

«Ho capito» disse ilsagrestanofortecon intenzione. «Non vorràsaperne di Cristo. Questi sono i bellimiracoli! Sia benedetto Iddioper i tuoni e i fulmini che altrimentici portavan qui la ragazza!»

E ritornò a sedereasonnecchiare sul suo gradino.

Noemi non sapeva levare gli occhi daBenedetto. Non era un proprio evero fascino né il sentimentoappassionato della giovine maestra. Lovide vacillarepoggiar le mani aigradini e poi voltarsistentatamentea sedere né sidomandò se soffrisse. Guardava lui mapiù assorta in sé che inluiassorta in un mutamento progressivo delproprio interno che la veniva facendodiversanon riconoscibile a sestessain un senso ancora confuso ecieco di una verità immensa chele si venisse comunicando per viemisterioseche le torcesse consofferenza intime fibre del cuore. Iragionamenti religiosi di suocognato potevano averle turbata lamente; il cuore non glielo avevanotoccato mai. E ora perché? Come?Cos'aveva dettoinfinequell'uomomacilento? Oh ma lo sguardoma lavocema... Che altro? Qualchealtra cosa impossibile a comprendere.Un presentimentoforse. Quale?Ma! Chi sa? Un presentimento di qualchefuturo legame fra quell'uomo elei. Lo aveva seguitoera entrata inchiesa per non perderel'occasione di parlargli e adesso neaveva quasi paura. Parlargli diJeannepoi anche. Jeannelo avevaella compreso? Come mai avevapotuto Jeanneamandoloresistere allacorrente di pensiero superiorech'era in luiche forse a quel temposarà stata latente ma che unaJeanne doveva pure sentire? Cos'avevaella amato? L'uomo inferiore? Segli parlassenon gli parlerebbesolamente di Jeannegli parlerebbedi religionepure. Gli domanderebbequale fosse la suaproprio. Epois'egli le rispondesse una cosascioccauna cosa volgare? Perquesto aveva quasi paura di parlargli.

Una folata di pioggia battédalle invetriate rotte di una finestra sulpavimento. Noemi pensò che maipiù non avrebbe dimenticato quell'oraquella grande chiesa vuotaquell'oscuro cieloquel colpo di pioggiaentrato come un colpo di piantoilnaufrago del mondo assorto suigradini dell'altar maggioreDio sa inquali sublimi pensierieneppure il sagrestano suo nemicopostosi a dormire sui gradini di unaltro altare con la famigliaritànoncurante di un collega diDomeneddio. Passò molto tempoforse un'oraforse più. La chiesa sivenne rischiarandoparve che smettessedi piovere. Suonarono lequattro. Entrò in chiesa donClemente e dietro a lui entrarono Maria eGiovannicontenti di trovar Noemidella quale non sapevano che fosseavvenuto. Si mosse anche il sagrestanoche conosceva il padre.

«Dunque? Il Viatico?»

Il Viatico? L'uomopur troppoeramorto. Al Viatico si era pensatotroppo tardi. Il padre domandòdi Benedetto e Noemi glielo indicò.

Parlarono del colloquio che Noemidesiderava. Don Clemente arrossìesitòma poi non seppe comerifiutarsi a chiederlo e raggiunseBenedetto.

Mentre i due discorrevano insiemeGiovanni e Maria ragguagliaronoNoemi di quel ch'era accaduto. Entratol'arcipretel'infermo nonaveva parlato più. Non era statopossibile di confessarlo. Intanto erascoppiato il temporale con taleveemenzatali torrenti strepitavanointorno alla capannache l'arcipretenon aveva potuto uscirne perandar a prendere l'olio santo. Sicredeva che l'ammalato durassequalche ora; invecealle treeramorto. Don Clemente e l'arcipreteerano usciti appena lo avevano permessoi torrenti. Giovanni e Mariaerano rimasti colla madreche parevaimpazzitafino all'arrivo dellasorella maggiore del morto. Alloraerano partitianche per venire incerca di Noemi. Non l'avevano trovataall'osteriasi erano direttialla chiesa. Avevano incontrato sullapiazza il padre che usciva dauna casa civile. Non sapevano che cifosse andato a fare. Maria parlòcon entusiasmo di Benedettode' suoiconforti spirituali almoribondo. Era sdegnatissimacome suomaritodella guerra fattaglida gente che adesso aveva buon giuoco avoltargli contro tutto ilpaese. Biasimavano la debolezzadell'arciprete e non erano contentineppure di don Clemente. Don Clementenon avrebbe dovuto prestarsialla cacciata del suo discepolo! Perchégli aveva detto lui diandarsenequando era venutol'arciprete. Il suo primo torto era statodi portare il messaggio dell'Abate.Noemi non sapeva di questomessaggio. Udito che si volevaspogliare Benedetto della sua tonacascattò: Benedetto non dovevaobbedire!Intanto Benedetto e il padre mosseroverso la porta. Benedetto sitenne in disparte; il padre venne adire ai Selva e a Noemi cheparecchia gente volendo parlare aBenedettoegli aveva combinato unritrovo comune presso un signore delpaese. Doveva ora precederliconBenedettocolà. Sarebbe venutoa riprenderli in chiesa fra pochiminuti.

Il signore era quel tale che i Selvaavevano incontrato sulla costa diJenne dove stava in attesa delladuchessa di Civitella. La duchessaera poi arrivata con altre due dame econ alcuni cavalieri fra i qualiun giornalistail giovinottoelegantissimo dalla caramella. Ilsignore di Jenne non capiva piùnella pellesi sentiva per quelgiorno in corpo uno spirito ducale dibontà e di magnificenza. Perciòdon Clementeconsigliatodall'arciprete di rivolgersi a luine avevafacilmente ottenuto la promessaperBenedettodi un vecchio abitonero da mattinadi una cravatta neradi un cappello nero a cencio.

Quandonella camera dov'eranopreparate le vesti laicaliildiscepolosvestita la tonacapresetacendo semprea indossarleilMaestroche stava alla finestranonpoté trattenere un singhiozzo.

Pochi momenti dopoBenedetto lo chiamòdolcemente.

«Padre mio» diss'egli. «Miguardi.»

Vestito dei nuovi pannitroppo lunghie larghiegli sorridevamostrando pace. Il padre gli afferròuna manoper baciargliela; maBenedettoritratta con impeto la manoallargò le bracciasi strinseal petto lui che parve allora ilminoreil figliuoloil penitenteministro di tristi prepotenze umane chesul palpito divino di quelpetto si sciogliessero in polverecenere e niente. Stettero cosìabbracciati lungamente senza dirparola.

«L'ho fatto per te» mormoròalfine don Clemente. «Ti ho portato io ilmessaggio ignominioso per vedere lagrazia del Signore risplendere inquesto tuo abito vile più chenella tonaca.»

Benedetto lo interruppe.

«No no» diss'egli«nonmi tentinon mi tenti! Ringraziamo Iddioinveceche appunto mi castiga per quelcompiacimento presuntuoso cheho avuto a Santa Scolastica quando Leimi ha offerto l'abitobenedettino e io ho pensato che nellamia visione mi ero visto morirecon quell'abito. Il mio cuore si alzòallora come dicendosi: «sonoveramente prediletto da Dio!» Eadesso...»

«Oh ma!...» esclamòil padre e subito tacquetutto una fiamma nelviso. Benedetto credette intendere cheavesse pensato: «Non è dettoche tu non lo riprendal'abito che haispogliato! non è detto che lavisione non si avveri!» e che poinon avesse voluto dire il suopensierosia per prudenzasia per nonalludere alla sua morte.

Sorriselo abbracciò. Il padresi affrettò a parlare d'altroscusòl'arciprete ch'era dolente di quantoaccadevache non avrebbe volutoallontanare Benedettoma temeva iSuperiori. Non era un don Abbondionon temeva per sétemeva loscandalo di un conflitto con l'Autorità.

«Io gli perdono» disseBenedetto «e prego Dio che gli perdonimaquesto difetto di coraggio morale èuna piaga della Chiesa. Piuttostoche mettersi in conflitto con isuperiori ci si mette in conflitto conDio. E si crede di sfuggire a questosostituendo alla propriacoscienzadove Dio parlala coscienzadei Superiori. E non s'intendeche operando contro il Bene oastenendosi da operare contro il Maleper obbedire ai Superiori si èdi scandalo al mondosi macchiadavanti al mondo il caratterecristiano. Non s'intende che il debitoverso Dio e il debito verso i Superiorisi possono compiere insiemeoperando mai contro il Benenonastenendosi mai da operare contro ilMalema senza giudicare i Superiorima obbedendo loro con perfettaobbedienza in tutto che non ècontro il Bene o a favore del Maledeponendo ai loro piedi la propria vitastessasolo non la coscienza;la coscienzamai! Allora questoinferiore spogliato di tutto fuorchédella sua coscienza e della suaobbedienza giustaquesto inferiore èun puro grano del sale della terra edove molti di questi grani sitrovino uniticiò cui essiaderiscono resterà incorrotto e ciò cuinon aderiscono cadràimputridito!»

A misura che parlavaBenedetto siveniva trasfigurando. Nelpronunciare le ultime parole sorse inpiedi. Gli occhi avevano lampila fronte un chiarore augusto dellospirito di Verità. Posò le manisulle spalle di don Clemente.

«Maestro mio» diss'egliraddolcendosi nel viso«io lascio il tettoil pane e l'abito che mi furonooffertima non lascerò di parlare diCristo Verità fino a che avròvita. Me ne vado ma non per tacere. Siricorda di avermi fatto leggere lalettera di San Pier Damiano a quellaico che predicava? E quello làpredicava in chiesa! Io nonpredicherò in chiesa ma seCristo vuole che io parli nei tugurineituguri parlerò; se vuole che ioparli nei palazzinei palazziparlerò; se vuole che io parlinei cubicoliparlerò nei cubicoli; sevuole che io parli sui tettiparleròsui tetti. Pensi all'uomo cheoperava nel nome di Cristo e ne fuproibito dai discepoli. Cristo hadetto: lasciatelo fare. E' da obbedireai discepoli o è da obbedire aCristo?»

«Per l'uomo del Vangelo sta benecaro» rispose don Clemente«ma orasulla volontà di Cristo ci sipuò anche ingannarebada.»

Il cuore di don Clemente non parlavapropriamente così; ma le paroleimprudentiindisciplinate del cuorenon furono lasciate passare allelabbra.

«Del restopadre mio»riprese Benedetto«lo credaio non sonobandito per avere evangelizzato ilpopolo. Vi sono due cose ch'Elladeve sapere. La prima è questa:mi è stato propostoqui a Jennedaqualcuno che mi parlò quellavolta e poi non vidi piùdi abbracciarela carriera ecclesiastica per diventaremissionario. Risposi che nonmi sentivo chiamato. La seconda èquesta. Nei primi giorni dopo la miavenuta a Jennediscorrendo direligione con l'arcipretegli parlaidella vitalità eterna delladottrina cattolicadel potere che hal'anima della dottrina cattolica ditrasformare continuamente ilproprio corpoaccrescendone senzalimiti la forza e la bellezza. Leisapadre mioda chi mi sono venutequeste idee per mezzo di Lei.

L'arciprete deve avere riferito il miodiscorsoche gli era piaciuto.

Il giorno dopo mi domandò se aSubiaco avessi conosciuto Selvaseavessi letto i suoi libri. Mi dissech'egli non li aveva letti masapeva ch'erano da fuggire. Padre mioElla comprende. E' per causadel signor Selva e dell'amicizia di Leicol signor Selva che io partoda Jenne così. Non La ho maitanto amata quanto adessonon so doveandrò ma dovunque il Signore mimandivicino o lontanonon miabbandoni nell'anima Sua!»

Così dicendo con un tumultonella vocedi dolore e di amoreBenedetto si gettò un'altravolta nelle braccia del Maestro chestraziato egli pure da una tempesta disentimenti diversinon sapevase domandargli perdono o promettergligloriala vera; e solamentepoté dirgli ansando:

«Anch'iotu non sai!ho bisognodi non essere abbandonato dall'animatua!»

 

Don Clemente raccolse in un fardellomaneggiandolo con maniguardingheriverentil'abito depostodal discepolo. Raccolto chel'ebbedisse a Benedetto che nonpoteva offrirgli l'ospitalità diSanta Scolasticache aveva avuto inanimo di pregare i signori Selvama che ora gli sorgeva il dubbio se aBenedetto fosse opportunonell'interesse del suo stessoapostolatomettersi così pubblicamentesotto la protezione del signorGiovanni.

Benedetto sorrise.

«Ohquesto no!» diss'egli.«Temeremo noi le tenebre più che nonameremo la luce! Ma ho bisogno dipregare il Signore che mi facciaconoscerese possibilela Suavolontà. Forse vorrà questoforsealtro. E adesso vorrebbe farmi portareun po' di cibo e di vino? Poimi mandi chi mi vuole parlare.»

Don Clemente si meravigliònelsuo internoche Benedetto glidomandasse del vino ma non ne fecemostra. Disse che gli avrebbemandata pure quella signorina che stavacon i Selva. Benedetto lointerrogò cogli occhiricordando che quando la signorinapoiriveduta in chiesagli aveva chiestoun colloquiodon Clemente gliaveva stretto il braccio come perammonirlo tacitamente di stare inguardia. Don Clementearrossendomoltosi spiegò. Aveva veduta lasignorina a Santa Scolastica insieme aun'altra persona. Quel moto erastato involontario. L'altra persona eralontana.

«Non ci rivedremo»diss'egli «perché appena ti avrò mandato il ciboeavrò avvertite queste personedovrò partire per Santa Scolastica.»

Benedettoparlando di andare a Subiacoo altroveaveva detto «forsequestoforse altro» con unaccento così pregno di sottintesiche donClementenel congedarsigli sussurrò:

«Pensi a Roma?»

Invece di rispondereBenedetto gliprese dolcemente di mano ilfardello dov'era la povera tonacaconcessa e ritoltase l'accostònon senza tremito delle maniallelabbrave le impresseve le tennelungamente.

Era il rimpianto dei giorni di pacedilavorodi preghieradiparola evangelica? Era l'attesa diun'ora lucente nell'avvenire?Rese il fardello al Maestro.

«Addio» diss'egli.

Don Clemente uscì a precipizio.

 

La stanza offerta dal padrone di casaper le udienze di Benedettoaveva un grande canapéuntavolino quadrato coperto di un pannogiallo a fiorami azzurridelle sediesgangheratedelle poltrone chemostravano la stoppa per gli squarcidel vecchio cuoio stintodueritratti di avoli parrucconi dallecornici anneritedue finestreunaquasi accecata da una muraglia greggial'altra aperta sui pratisulla faccia di un bel monte pensososul cielo. Benedettoprima diricevere visitatorivi si affacciòper un addio ai pratial monteal povero paese. Preso da spossatezzasi appoggiò al davanzale. Erauna spossatezza dolce dolce. Non sisentiva quasi più il peso delcorpo e il cuore gli si ammolliva dibeatitudine mistica. Poco a pocoperdendo i suoi pensieri oggetto eformail senso della quietainnocente vita esternadelle stilleche gocciavano dai tettidell'aria odorata di montagnalievementeoccultamente mossa ora inquesta ora in quella partelointenerì. Gli rinacquero nella memoriaore lontane della sua giovinezza primaquando non aveva moglie népensava al matrimoniola fine di untemporale nell'alta Valsoldasuidorsi del Pian Biscagno. Quanto diversala sua sorte se i suoigenitori avessero vissuto trentavent'anni di più! Almeno uno diessi! Si vide nel pensiero la lapidedel camposanto di Oria:

 

A FRANCOIN DIOLA SUA LUISA

 

e gli occhi gli si gonfiarono dipianto. Venne allora una reazioneviolenta della volontà controquesti languori molli del sentimentoquesta tentazione di debolezza.

«No no no» mormoròegliudibilmente. Una voce alle sue spallerispose:

«Non ci vuole ascoltare?»

Benedetto si voltò sorpreso. Tregiovani stavano davanti a lui. Eglinon li aveva uditi entrare. Quello diessi che pareva il maggioreunbel ragazzo basso di staturabrunodagli occhi esperti di moltecosegli chiese arditamente perchéavesse spogliato l'abitoclericale. Benedetto non rispose.

«Non lo vuol dire?» fececolui. «Non importasenta. Noi siamostudenti dell'Università diRomagente di poca fedeglielo dicoschietto e subito. E ci godiamo lanostra giovinezzapiù o meno;glielo dico subito anche questo.»

Uno dei compagni tirò l'oratoreper la falda dell'abito.

«Sta zitto!» disse ilprimo. «Sìuno di noi crede poco ai Santi ma èun purissimo. Quello però non èqui davanti a Leicome non vi sonoaltri che stanno giuocando all'osteria.Il Purissimo non ha volutovenire con noi. Dice che troveràmodo di parlarle da solo a solo. Noisiamo quello che Le ho detto. Siamovenuti da Roma per fare una gita eper vedere un miracolos'erapossibile; insomma per stare allegri.»

I compagni lo interrupperoprotestando.

«Ma sì!» ribattélui. «Per stare allegri! Scusiio sono più sincero.

Infatti poco mancò che la nostraallegria ci costasse cara. Si scherzòe ci volevano accopparecapisce; a Suoonore e gloria. Ma poi s'èudito il discorsino ch'Ella fece aquella turba fanatica. Per ildemoniosi dissequesto è unlinguaggio che ha del novo in una boccapretina o semipretinaquesto èun Santo che ci va meglio degli altriscusi la confidenza. E ci si accordòsubito di chiederle un colloquio.

Perché poise siamo un pocoscettici e gaudentisiamo anche un pocointellettuali e certe veritàreligiose c'interessano. Ioper esempiosono forse per diventare un neobuddista.»

I suoi compagni risero ed egli si voltòad essi adirato.

«Sìnon saròbuddista nella pratica ma il Buddismo m'interessa piùdel Cristianesimo!»

Qui successe un battibecco fra i treper questa uscita poco opportuna;e un secondo oratorelungosottilein occhialiprese il posto delprimo. Costui parlava nervosoconfrequenti scatti del capo e degliavambracci rigidi. Il suo discorso fuquesto. I suoi compagni e luiavevano discusso più volteintorno alla vitalità del Cattolicismo.

Tutti ammettevano che fosse esausta eche la morte seguirebbe prestose non intervenisse una riformaradicale. Alla possibilità di questariforma chi credeva e chi non credeva.Desideravano conoscerel'opinione di un cattolico intelligentee moderno nello spirito comesi era rivelato Benedetto. Avevanomolte domande da fargli.

Qui il terzo ambasciatore dellacompagnia studentesca giudicò venutoil suo momento e scaraventòaddosso a Benedetto una tempestadisordinata di quesiti.

Sarebb'egli stato disposto a farsipropugnatore di una riforma dellaChiesa? Credeva nell'infallibilitàdel Papa e del Concilio? Approvavail culto di Maria e dei Santi nella suaforma presente? Erademocratico cristiano? Quale concettoaveva di una riformadesiderabile? Avevano veduto a JenneGiovanni Selva. Benedettoconosceva i suoi libri? Approvava lesue idee? Gli piaceva che fosseproibito ai cardinali di uscire a piedie ai preti di andare inbicicletta? Cosa pensava della Bibbia edell'ispirazione?Prima di rispondereBenedetto guardòa lungosevero in visoil suogiovine interlocutore.

«Un medico» diss'eglifinalmente «aveva fama di saper guarire tutte lemalattie. Qualcuno che non credevanella medicina andò a lui percuriositàper interrogarlosull'arte suasugli studisulleopinioni. Il medico lo lasciòparlare lungamente e poi gli prese ilpolsocosì.»

Benedetto prese il polso del primo chegli aveva parlato e proseguì:

«Glielo preseglielo tenne unmomento in silenziopoi gli disse: -Amicovoi soffrite di cuore. Io vel'ho letto in viso e ora sentobattere il martello del falegname chevi lavora la bara.»

Il giovine dal polso prigioniero nonpoté a meno di batter le ciglia.

«Non parlo per Lei» disseBenedetto. «Parla quel medico a quel taleche non crede nella medicina. Econtinua: - Venite voi a me per averevita e salute? Io vi darò l'unae l'altra. Non venite per questo? Ionon ho tempo per voi. - Allora coluiche si era sempre creduto sanoallibì e disse: - Maestroeccomi nelle vostre manifate che ioviva.»

I tre rimasero per un momentosbalorditi. Quando accennarono ariaversi e a replicareBenedettoriprese:

«Se tre ciechi mi domandano lamia lampada di veritàcosa risponderòio? Risponderò: andate prima epreparate gli occhi vostri ad essaperché se Io ve la dessi nellemani oravoi non ne avreste alcunlumevoi non potreste che guastarla.»

«Non vorrei» disse lostudente lungosmilzo e occhialuto «che pervedere questa Sua lampada di veritàsi dovessero chiudere le finestrealla luce del sole. Ma insomma capiscoch'Ella non voglia spiegarsicon noiche ci prende per dei"reporters". Oggi noi non abbiamo oalmeno io non ho le disposizioni cheLei desidera. Sarò un cieco manon mi sento di domandar la luce alPapa e nemmeno a un Lutero. Peròse Lei viene a Romatroverà deigiovani disposti meglio di memegliodi noi. Vengaparlipermetta anche anoi di udirla. Oggi abbiamo lacuriositàdomani chi sa?potremo avere il desiderio buono. Venga aRoma.»

«Mi dia il Suo nome» disseBenedetto.

Colui gli porse una carta da visita. Sichiamava Elia Viterbo.

Benedetto lo guardòcurioso.

«Sì signore»diss'egli«sono israelitama questi due battezzati nonsono più cristiani di me. Delresto io non ho nessun pregiudizioreligioso.»

Il colloquio era finito. Nell'uscireil più giovane dei trequellodalla gragnuola di domandetentòun ultimo assalto.

«Ci dica almeno se i cattolicisecondo Leidovrebbero andare alleurne politiche?»

Benedetto tacque. L'altro insistette:

«Non vuol rispondere neppure aquesto?»

Benedetto sorrise.

«Non expedit» diss'egli.

 

Passi nell'anticamera; due colpettinileggeri all'uscio; entrano iSelva con Noemi. Maria Selva entraprima e vedendo Benedetto cosìvestitonon può trattenere unmovimento di sdegnodi compianto e diriso; arrossiscevorrebbe dire unaparola di protestanon la trova.

A Noemi vengono le lagrime agli occhi.Tutti e quattro tacciono per unmomento e si comprendono. Poi Giovannimormora:

 

"Non fu dal vel del cuor giammaidisciolto"

 

e stringe la mano all'uomo che nei suoigoffi abiti gli pare augusto.

«Sìma Lei non deveportare questa roba!» esclamò Mariameno misticadi suo marito.

Benedetto fece un gesto come per dire«non parliamo di ciò!» eguardava il maestro del suo Maestro conocchi desiderosi e riverenti.

«Sa» diss'egli «quantoVero e quanto Bene mi son venuti da Lei?»

Giovanni non sapeva di avere tantoinfluito su quell'uomo attraversodon Clemente. Suppose che avesse lettoi suoi libri. Ne fu commosso eringraziò nel suo cuore Iddioche gli faceva sentire con dolcezza unpo' di effettivo bene operato inun'anima.

«Quanto sarei stato felice»ripigliò Benedetto «di lavorare nel Suoorto per vederla qualche voltaperudirla parlare!»

Noemiall'udir ricordare quella serasi lasciò sfuggireun'esclamazione sommessa piena dimemorie che non si potevano dire.

Giovanni ne prese occasione per offrirea Benedetto l'ospitalitàpoiché don Clemente gli avevadetto che intendeva lasciare Jenne lasera stessa. Potrebbero partireinsiemequando piacesse a luidopoil colloquio che egli avrebbe concessoa sua cognata. Noemipallidafissò Benedetto per la primavoltaaspettando la sua risposta.

«La ringrazio» diss'eglidopo aver pensato un poco. «Se busserò allaSua porta Ella mi aprirà. Oranon Le posso dire altro.»

Giovanni fece atto di ritirarsi con suamoglie. Benedetto li pregò direstare. Certo la signorina non avevasegreti per loro; almeno per suasorella se non per il cognato. Anchequesto coperto invito a Mariacadde perché Noemi osservòimbarazzatache non si trattava disegreti suoi. I Selva si ritirarono.

Benedetto rimase in piedi e non disse aNoemi di sedere. Egli sapevadi avere a fronte l'amica di Jeannepresentiva il discorso cheverrebbeun messaggio di Jeanne.

«Signorina» diss'egli.

Il modo non fu scortese ma significòchiaramente: «quanto più prestotanto meglio.»

Noemi intese. Qualunque altro l'avrebbeoffesa. Benedettono. Con luisi sentiva umile.

«Ho l'incarico» diss'ella«di domandarle se sa niente di una personach'Ella deve avere conosciuto molto.Anche molto amatocredo. Il nomeio non so se lo pronuncio bene perchénon sono italianaè donGiuseppe Flores.»

Benedetto trasalì. Non siaspettava questo:

«No» esclamòansioso. «Non so niente!»

Noemi lo guardò un momento insilenzio. Avrebbe volutoprima diparlaredomandargli perdono del doloreche gli avrebbe recato. Dissea bassa vocemestamente:

«Mi è stato scritto diapprenderle che non è più di questa vita.»

Benedetto piegò il visose lonascose fra le mani. Don Giuseppecarodon Giuseppecara grande anima puracara fronte luminosacari occhipieni di Diocara voce buona! Piansedolcemente due lagrimedue solelagrime che Noemi non videsi udìdentro la voce di don Giuseppe chegli diceva: non senti che sono quichesono con teche sono nel tuocuore?Noemidopo un lungo silenziomormorò:

«Mi perdoni. Vorrei non averledovuto recare un dolore così grande.»

Benedetto si scoperse il viso.

«Dolore e non dolore»diss'egli.

Noemi tacqueriverente. Benedetto ledomandò se sapesse quando quellapersona fosse morta.

Verso la fine di aprilecredeva Noemi.Ella era allora fuorid'Italia. Era nel Belgioa Brugesconun'amica sua alla quale erastata scritta la notizia. Per quanto neaveva udito dall'amicaquellapersonaNoemi non ne ripeté ilnome per un delicato riguardoavevafatto una morte santa. Le sue carteella era incaricata di riferireanche questoerano state affidate alVescovo della città. Benedettofece un gesto di approvazione chepoteva servire anche per chiusa delcolloquio. Noemi non si mosse.

«Non ho ancora finito»diss'ella.

E soggiunse subito:

«Ho un'amica cattolica... io nonsono cattolicasono protestante...

che ha perduta la fede in Dio. Le hannoconsigliato di dedicarsi aopere di carità. Vive con unfratello contrarissimo a qualunquereligione. Questa novità che suasorella si occupi di beneficenzachesi metta in relazione con gente deditaalle opere buone per principioreligiosogli è spiacente.Adesso è ammalatos'irritasi esaltainveisce contro le bigotte del Benenon vuole che sua sorella sioccupi di visitare poveriné diproteggere ragazzené di raccoglierebambini abbandonati. Dice che tuttoquesto è clericalismoè utopiache il mondo va come vuole andarechesi deve lasciarlo andare e checon questo mescolarsi alle classiinferiori non si fa che metter loroin testa delle idee false e pericolose.Ora è stato detto alla miaamica che deve o mentire a suo fratellofacendo di nascosto ciò cheprima faceva in paleseo separarsi dalui. Essa ha tanto bisogno diun consiglio sicuro! Mi scrive didomandarlo a Lei. Ha letto neigiornali ch'Ella consiglia qui tantagente di queste montagnesperache non rifiuterà.»

«Poiché suo fratello»rispose Benedetto «è ammalato di corpo e anchedi spiritonon le si offre il Benenella sua casa stessa? Diventeràuna cattiva sorella per arrivare aconoscere Iddio? Interrompa le sueoperesi dedichi a suo fratellolocuri come del male del corpo cosìdel male dello spiritocon tuttol'amore che...»

Stava per dire «che gli porta»si corresse per non ammettere cosìespressamente che conosceva la persona«...con tutto l'amore di cui ècapacegli si faccia preziosalovinca poco a pocosenza predichesolo colla bontà. Faràtanto bene anche a lei di cercar d'incarnare insé la bontà stessalabontà attivainstancabilepaziente eprudente. E lo vinceràlopersuaderàpoco a pocosenza discorsiche tutto quello che fa lei èben fatto. Allora potrà riprendere lesue opere e le potrà riprendereanche da sola. E vi riuscirà meglio.

Adesso le fa per un consiglio avutoforse non vi riesce tanto bene.

Allora le farà perquest'abitudine del Bene acquistata con suofratellovi riuscirà meglio.»

«Grazie» disse Noemi.«Grazie per l'amica mia e anche per meperchémi piace tanto questo che ha detto. Eposso io ripetere i Suoiconsigliil Suo incoraggiamento in Suonome?»

La domanda pareva superflua poichéincoraggiamento e consigli eranochiesti proprio a Benedettoproprioper incarico dell'amica. MaBenedetto si turbò. Era unesplicito messaggio che Noemi gli chiedevaper Jeanne.

«Chi son io?» diss'egli.«Che autorità posso avere? Le dica chepregherò.»

Noemi tremò nel suo interno.Sarebbe stato tanto facileoraparlargli di religione! E non osava. Ahperdere una occasione simile!Nobisognava parlare ma non potevamica pensare per un quarto d'ora aquello che direbbe. Disse la prima cosache le venne in mente.

«Scusipoiché dice dipregare; vorrei tanto sapere se Lei proprio leapprova tuttele idee religiose di miocognato?»

Appena proferita la domandale parvetanto impertinentetanto goffada vergognarne. E si affrettò asoggiungere sentendo di dir cosaancora più sciocca e dicendolairresistibilmente:

«Perché mio cognato ècattolicoio sono protestante e vorreiregolarmi.»

«Signorina» risposeBenedetto«verrà giorno in cui tutti adorerannoil Padre in ispirito e veritàsulle cime; oggi è ancora il tempo diadorarlo nelle ombre e nelle figureinfondo alle valli. Moltipossono salirequale piùqualemenoverso lo spirito e la verità;molti non possono. Vi hanno piante cheoltre una certa zona nonfruttificanoeportate ancora piùsumuoiono. Sarebbe follia ditoglierle al loro clima. Io non Laconosconon posso dirle se le ideereligiose di suo cognato possanoportate in Lei cosìsenzapreparazionedare un frutto buono. Ledico però di studiare molto ilcattolicismo con l'aiuto di suocognatoperché non vi è un soloprotestante convinto che lo conoscabene.»

«Lei non verrà a Subiaco?»chiese Noemi timidamente.

Qualche nascosta malinconia salìnella sua voceche fece salir nelcuore di Benedetto un senso di doloredolcetosto fatto sgomentotanto era nuovo.

«No» diss'egli«noncredo.»

Noemi volle e non volle dire che n'eradolentepronunciò alcuneparole confuse.

Si udì gente nell'anticamera.Noemi piegò il visoBenedetto pure; eil colloquio si sciolse senz'altrosaluto.

Anche la duchessa volle parlare aBenedetto. Portò con sé compagni ecompagne. Non più giovine magalante ancoramezzo superstiziosa emezzo scetticaegoista e non senzacuorevoleva bene alla figliuolatisica di un suo vecchio cocchiere.Udito parlare del Santo di Jenne ede' suoi miracoliaveva combinata lagitaun po' per divertimentoun po' per curiositàper vederese fosse il caso di far venire ilSanto a Roma o di mandargli la ragazza.Cugina di un cardinaleavevaconosciuto presso di lui uno dei pretiche villeggiavano a Jenne. Oracoluiincontratalale aveva giàparlato a modo suo del Santo eannunciato il crollo della suariputazione. Peròsiccome la duchessanon si fidava di nessun prete ed eracuriosa di conoscere un uomo cuisi attribuiva un passato romanzescoela stessa curiosità avevano isuoi compagniuna compagna inparticolaresi risolse di avvicinarloa ogni modo.

Era venuta con lei una vecchianobildonna inglesefamosa per la suaricchezzaper le sue "toilettes"bizzarreper il suo misticismoteosofico e cristianoinnamoratametafisicamente del Papa e anchedella duchessa che ne rideva con i suoiamici. I quali amicinelvedere Benedetto in quell'arnesesiscambiarono occhiate e sorrisiche per poco non diventaronosghignazzamenti quando la vecchiaingleseprevenendo tuttiprese laparola. Dissein un cattivofranceseche sapeva di parlare a unapersona colta; che leiconamici e amiche di ogni nazionelavorava per riunire tutte le Chiesecristiane sotto il Papariformando ilcattolicismo in alcune partitroppo assurde che nessuno nel suocuore credeva più buone a nientecome il celibato ecclesiastico e ildogma dell'inferno; che avevanobisognoper fare questodi un Santo;che questo Santo sarebbe luiperché uno spirito - ella nonera spiritista ma un'amica sua lo era -anzi proprio lo spirito della contessaBlawatzky aveva rivelatoquesto; ch'era perciò necessariala sua venuta a Roma e che a Romaegli avrebbe potuto con i suoi doni disantità rendere servigio anchealla duchessa di Civitellaivipresente. Finì il suo discorso così:

«Nous vous attendons absolumentmonsieur! Quittez ce vilain trou!Quittez-le bientôt! Bientôt!»

Benedettogirato rapidamente losguardo severo per la cerchia dellefacce sardoniche o stolidedall'occhialetto della duchessa allacaramella del giornalistarispose:

«A l'instantmadame!»

E uscì della camera.

 

Uscì della camera e della casaattraversò la piazza camminando malenegli abiti disadattiprese la viadella costa senza guardare né adestra né a sinistraportatodallo spirito più che dalle forzeaffievolite del corpopensando passarla notte sotto qualche albero el'indomani portarsi a Subiaco e di làcon l'aiuto di don ClementeaTivoli dove conosceva un buon vecchioprete solito venire di tanto intanto a Santa Scolastica.All'ospitalità dei Selvache gli sarebbestata caranon pensava più. Ilsuo cuore era puro e in pace ma eglinon poteva dimenticare che la vocesoave di quella signorina stranierae l'accento mesto col quale avevadetto: «Lei non verrà a Subiaco?»

gli avevano risuonato dentro in un modostranoche un minuto secondoera bastato perché gli balenassein mente questo pensiero: «Se Jeannefosse stata così non mi sareisciolto.» Avevano ragione i mistici:penitenza e digiuno non valgono. A ognimodo tutto era oramaidileguato. Restava solamente l'umilesentimento di una fralezzaessenzialmente umana cheuscitavittoriosa da prove difficilipuòricomparire improvvisamente ed esservinta da un soffio. Il paeselloera deserto. La gente di TrevidiFilettinodi Vallepietracessatoil temporaleera partita commentando ifatti della mattinalaguarigione dubbiala guarigionefallitai moniti seminatialacremente da seconde mani contro ilseduttore del popoloil falsocattolico. All'uscita del villaggioBenedetto fu veduto da due o tredonne di Jenne. L'abito laico le feceallibirelo credetteroscomunicatolo lasciarono passare insilenzio.

Pochi passi più in là furaggiunto da qualcuno che correva. Era ungiovinetto magrobiondodagli occhiazzurriintelligentissimi.

«Lei va a Romasignor Maironi?»diss'egli.

«La prego di non chiamarmi così»rispose Benedettospiacente diapprendere che il suo nomechi sa inqual modo si era divulgato. «Nonso se vado a Roma.»

«Io La seguo» disse ilgiovineimpetuoso.

«Mi segue? Perché misegue?»

Il giovine gli preseper tuttarispostauna manose la recò allelabbra malgrado la resistenza e leproteste di Benedetto.

«Perché?» diss'egli.«Perché ho il disgusto del mondo e non trovavoDio e oggi mi pareper Leidi esserenato alla gioia. Permettapermetta che La segua!»

«Caro» rispose Benedettocommosso«non so neppur io dove andrò.»

Il giovinetto lo supplicò didirgli almeno quando avrebbe potutorivederloe siccome Benedetto nonsapeva veramente come rispondergliesclamò:

«Oh La vedrò a Roma! Leiandrà a Romacerto!»

Benedetto sorrise.

«A Roma? E dove trovarmia Romase ci vado?»

Quegli rispose che sicuramente a Romasi parlerebbe di luiche tuttisaprebbero dove trovarlo.

«Se Dio vorrà!»disse Benedetto con un affettuoso cenno di saluto.

Il giovinetto gentile lo trattenne unmomento per la mano.

«Sono lombardo anch'io»diss'egli. «Sono Albertidi Milano. Siricordi di me!»

E seguì Benedetto con lo sguardointenso finchéa una svolta dellamulattieradisparve.

 

Alla vista della croce dalle grandibracciasull'orlo della discesaBenedetto ebbe un improvviso sussultodi commozionedovettearrestarsi. Quando si rimise in camminofu preso da vertigini. Fecepochi passi ancorabarcollandofuoridella viaper togliersi dalpassaggio della gente e si lasciòcadere sull'erba in un grembo delprato. Allorachiusi gli occhisentìche non era un malesserepasseggeroch'era qualche cosa di piùgrave. Non smarrì del tutto laconoscenzasmarrì l'uditoiltattola memoriala nozione deltempo.

Al primo riaversila sensazioneaidorsi delle manidel pannogrossodiverso da quello della solitasua vestegli mise unacuriosità non tormentosaquasidivertentecirca l'identità propria.

Si andò tastando il pettoibottoni gli occhiellisenza capire.

Pensò. Un ragazzo di Jenne chegli passò vicino sul pratocorse aJenneraccontò ansante che ilSanto giaceva morto sull'erbapressola croce.

Benedetto pensò con quell'ombradi ragione oscura che ci governa nelsogno e al primo svegliarci. Non eranoi panni suoierano i panni diPiero Maironi. Egli era Piero Maironiancora. Ne fu sgomentato erinvenne del tutto. Si levò asederesi mirò la personagirò losguardo intornoper il pratoper imonti velati dalle ombre dellasera. Alla vista della grande croce lasua mente si ricompose. Sisentiva malemale assai. Cercòdi rimettersi in piedi e vi riuscì afatica. Si avviò verso lamulattiera domandandosi che potrebbe fare inquello stato. Vide qualcuno venirfrettoloso per la mulattieradaJennefermarglisi in faccia; udìesclamare: «Dioè Lei!» riconobbela voce della donna che gli avevaparlato con tanta passione fra ituoni e i lampi. Ella soladi tantiche avevano udito a Jenne ilracconto del ragazzoera venuta. Glialtri non avevano creduto o nonavevano voluto credere. Era venutacorrendofolle di angoscia. Ora siera fermata di bottoa due passi daluiincapace di proferir parola.

Egli non sospettò che fossevenuta per luile diede la buona sera epassò. Ella non gli ricambiòil salutoaffannatadopo la primagioiadi vederlo camminare malenonosando seguirlo. Lo videfermarsi con un uomo a cavallo chesalivaparlarglifece un balzoavanti per udire. L'uomo era unmulattiere mandato dai Selva in cercadi Benedetto. I Selva erano partiti daJenne poco dopo quest'ultimocon due muli per le due signorecredendo raggiungerlo sulla costa.

Giunti all'Aniene senza veder nessunoavevano interrogato unviandante che veniva da Subiaco. Coluinon seppe darne notizia. Noemiche doveva prendere l'ultimo treno perTivoliera partita conGiovanninascondendo il suo rammarico;il mulattiere era statorimandato a Jenne per cercarviBenedetto e anche per riportarne unombrellino dimenticato all'osteria;Maria era rimasta ad aspettarlosulle ghiaie dell'Infernillo. Lagiovine maestra udì Benedettodomandare al mulattiereper caritàche gli portasse da Jenne un po'd'acqua. I due si parlarono ancora maella non attese altroscomparve.

Benedetto aveva accettatodopo unabreve conversazione colmulattieredi raggiungerea cavallola signora Selva. Rimasto solosedette sotto la croce aspettando ilritorno del mulattiere conl'acqua e con l'ombrello. La lunafalcata si veniva dorando nel cielochiaro sopra i monti di Arcinazzo; lasera era senza ventotepida.

Benedetto si sentiva le tempie pulsaree arderecelere e breve ilrespiro. Dolore non sentiva; e l'erbaodorante del pratogli alberisparsile grandi montagne ombrosetutto gli era vivotutto gli erapiotutto gli era dolce di un misterodi amore orante che inclinavala stessa falce della luna verso lecime placide nel cielo di opale.

Don Giuseppe Flores gli diceva nelcuore che sarebbe soave di morirecosì col giornopregandoinsieme alle cose innocenti.

Passi frettolosidalla parte di Jenne.Si fermarono un po' discosto.

Una bambina si avanza verso Benedettogli porge timidamente unabottiglia di acqua e un bicchierefugge indietro. Benedettomeravigliatola richiama; ella vienelentavergognosa. Richiesta delsuo nometace; dei suoi genitoritace. Una voce dice:

«E' la bambina dell'oste.»

Benedetto riconosce la voce eal fiocolume della lunala personasilenziosa rimasta indietro per lostesso squisito sentimento che leha fatto prender con sé labambina.

«Grazie» diss'egli.

Ella si appressò un pocotenendo la bambina per manosussurrò:

«Sa che i preti hanno parlatocolla madre del morto? Sa che ora questadonna accusa Lei di averlo fattomorire?»

Benedetto rispose con qualche severitànella voce:

«Perché mi dice questo?»

Ella conobbe di avergli fattodispiacere accusando alla sua voltaesclamò desolata:

«Oh mi perdoni!»

E riprese:

«Posso farle una domanda?»

«Dica.»

«Ritornerà mai a Jenne?»

«No.»

La donna tacque. Si udirono veniredalontanoil mulattiere e il suomulo. Ella dissea voce piùbassa:

«Per pietàuna domandaancora. Come si figura Lei l'altra vita? Credeche uno possa ritrovare le personeconosciute in questa?»

Se il lume della luna non fosse statocosì fiocoBenedetto avrebbevedute due grosse lagrime rigar il visodella giovine.

«Credo» rispose gravemente«che fino alla morte del nostro pianetal'altra vita sarà per noi ungrande continuo lavoro sopra di esso eche tutte le intelligenze aspirantialla Verità e all'Unità vi siritroveranno insieme all'opera.»

Le scarpe ferrate del mulattieresuonanovicinesui ciottoli. Ladonna dice:

«Addio.»

Stavolta le lagrime suonano anche nellavoce. Benedetto le risponde:

«A Dio.»

 

Egli scende sul muloardendo difebbrenelle ombre della valle.

Andrà dunque a casa Selva. Salo ha saputo dal mulattiereche nontroverà Noemima questo gli èindifferentenon la temeneppurericorda quel momento di lieve emozione.Un altro pensiero si agitainfiammato dalla febbrenell'animasua. Vi turbinano parole di donClementeparole di quel giovineAlbertiparole della vecchia damainglesevi lampeggiano dentro immaginirotte della Visione. A casaSelvasìma per poco! Egliscende e la gran voce dell'Aniene glirugge in profondopiù e piùforte:

«RomaRomaRoma.»

 

 

 

Cap. 6

TRELETTERE



JEANNE A NOEMI


Vena di Fonte Alta4luglio...

Perdonami se ti scrivo colla matita. Horiletto la tua lettera quiamezz'ora dall'albergoseduta sull'orlodi una vasca dove le mandrevengono ad abbeverarsi. L'acqua piccolache vi cade da un canaletto dilegno mi ricorda con la sua voce teneraqualche cosa che mi fa dolereil cuore: una passeggiata con lui per iprati e i boschinellanebbiauna sosta presso questa fonteparole dolorosequalchelagrimauna cosa scritta nell'acquaun momento felicel'ultimo. E'stato un grande sacrificio che ho fattoa Carlino di ritornare a Venadopo tre anni. Gli ho sempre volutobene ma il messaggio di Jenne mifarebbe affrontare per lui ben altrisacrifici che questoelietamentee sapendo di averne perdutotutto il merito.

Non sono contenta della tua letteratene dirò il perché; non peròadesso. Qui scrivo troppo male e orascende il nebbione dai prati altisopra la fonte soffia una tramontanafredda. Debbo curare la miasalute per Carlino. Anche questo èun sacrificio perché odio la miasalute!

 

"Più tardi".

Noeminon potresti far sì cheil mezzo foglietto di carta qui unitoscritto a matitagli cadesse sotto gliocchi? Tu esiti a dirgli comel'obbedisco; non potresti almenoaiutarmi a farglielo sapere così?Non sono contenta delle tue letteresopra tutto perché son troppocorte. Tu sai quanto io sia insaziabiledi udire di luiegli è ospitedella casa dove lo sei anche tuaSubiaco non devi assolutamentesaper che faree te la sbrighi in dueparole! - Sta meglio. - Leggemolto. - Ha lavorato nell'orto. - Forsepasserà l'estate con noi. -Scrive. - E non hai ancora saputo dirmiche male veramente abbiacosaleggadove andrà se non passal'estate con voise scrive lettere olibrie di cosa parlate fra voi;perché è impossibile che nonparliate insieme qualche volta. Nonripetermi la tua scusa che quantomeno mi si parla di luitanto meglio èper me. E' una scusa comodache hai trovato ma è sciocca;perchémi si parli o non mi si parlièla stessa cosa. La mia speranza èben morta. Non rinasce. Dunquescrivi a lungo. Sono certa ch'egli tivuole convertireche aveteinsieme delle conversazioni intime eche mi parli poco di lui perquesto. Sarebbe una piccola gloriasaidi convertire te perché inreligione tu sei una sentimentalenonhai la visione chiarafredda esicura della Verità che ho purtroppo io senz'avere studiato e chetanto non vorrei avere.

Quando pensi di ritornare nel Belgio? Ituoi interessi non tirichiamano lassù? Mi hai parlatouna volta di un tuo agente che nont'ispirava molta fiducia. Pare che inagosto viaggeremo. Almeno cosìdice ora Carlino che poi cambiafacilmente assai. Mi piacerebbe vederel'Olanda in settembrecon te. Addio.Dunque scrivi. S'egli leggemolto potresti farti prestare un libroda lui e lasciarvi dentro ilmezzo foglietto per segno. Insommatrova! O questo o altro; seidonna. Trovase pure mi vuoi bene.Penso del resto che non me ne vuoipiù niente. E' cosìdi'la verità. Invece qui all'albergo c'è unasignora innamorata di me. Ridi pureèproprio vero. Vive a Roma. Suomarito è sottosegretario diStato. Vuole ad ogni costo che io passil'inverno venturo a Roma. Dipenderàda Carlino. La signora lo assediaed egli si lascia assediarenében resiste né ben capitola. Addioscriviscrivi e scrivi.

 

 

NOEMI A JEANNE(dal francese).

Subiaco8 luglio...

 

Ho fatto meglio. Mio cognato gli dissea memoriain presenza miaunpasso latino che lo colpìunpasso su certi monaci del tempo anticoprima di Cristo. Egli pregòGiovanni di scriverglielo. Eravamonell'uliveto sopra la villettasedutisull'erba. Io porsi prontamentea Giovanni una matita e il mezzofogliettopresentandogliene il latobianco. Egli scrisse e Maironi prese ilmezzo fogliettovi lesse ilpasso latinose lo pose in tasca senzaguardare l'altra facciata. E'stato un vero tradimento e ho traditoper amor tuo. Dubiterai ancoradi me?Cosa ti potrei dire della sua malattiapiù che non ti abbia già detto?Per due settimanecircagli èstata addosso la febbre. Un giorno ilmedico diceva ch'era tifoideun giornodiceva che non era. Cessò male forze non sono ancora interamenteritornatela magrezza è grandepare che qualche disordine internopersistail medico è moltorigoroso riguardo alla qualitàdei cibiegli ha rinunciato al suoregimeprende carni e anche un po' divino. E' venuto ieri da Roma atrovare Giovanni un suo amicounprofessore famosoil professoreMayda. Giovanni lo ha pregato di vedereMaironidi consigliarequalche cosa. Ha consigliato una curadi acque che Maironi certamentenon prenderà. Mi pare diconoscerlo abbastanza per poterlo dire. Daotto giorni in qua ha miglioratosensibilmentedel resto. Lavoranell'orto qualche poco la mattina equalche poco la sera. Stamani si èlevato per tempissimo e non gli èvenuto in mente di lavare la scala?Maria rimproverò ieri la suavecchia fantesca perché la scala non erapulita. Questa vecchiache dorme aSubiacoquando venne alle settetrovò il lavoro fato da Maironi.Mia sorella e mio cognato lorimproveraronoquest'ultimo quasiaspramenteforse perché è tantodiverso da Maironi e non gli verrebbein mente di pigliare la granataneppure se si trovasse dentro unanuvola di ragnatele. Cosa Maironilegge? A me di letture sue non parlòche una volta e per breve tempocome ti dirò. Ti ho scritto cheforse passerà l'estate con noiperchéso che Maria e Giovanni lo desiderano.Il mio presentimento è che nonresterà e che andrà aRoma. Però è una mia ideaniente di piùnon neso niente.

Quanto a volermi convertireio non sose la cosa sia facile né seMaironi ci pensi. Badaio lo chiamoMaironi scrivendo a te; parlandoa lui lo chiamo Benedetto senz'altroperché il suo desiderio èquesto. Sono sicura che a convertirmici pensava Giovanni. L'hatrovato tanto facile che non me neparla più. Di Maironi non locrederei. Mi pare che per lui ilCristianesimo sia sopra tutto azionee vita secondo lo spirito di Cristodel Cristo risorto che vivesempre in mezzo a noidel quale noiabbiamocom'egli dicel'esperienza. Mi pare che la suapropaganda religiosanon abbia peroggetto il Credo di una Chiesacristiana piuttosto che di un'altrabenché senza dubbio la santitàdel suo vivere sia rigorosamentecattolica. Quando l'ho inteso parlaredi dogmi con Giovanni non eramai per discutere le differenze fraChiesa e Chiesaera piuttosto peraprire certe formole della Fede emostrare la luce grande che n'escivaaprendole in un certo modo. In questoGiovanni è maestro maquandoparla Giovannisi sente sopra tuttoche nella sua mente vi ha unsapere immensoe quando parla Maironisi sente sopra tutto che nelsuo cuore vi ha il Cristo vivoilCristo risortoe ci si accende.

Per essere interamentescrupolosamentesincerati dirò che se noncredo ch'egli desideri di convertirmiperò non posso essernecertissima. Eravamo un giornonell'uliveto. Egli e Giovannidiscorrevano di un libro tedescosull'essenza del Cristianesimo chepare aver fatto rumore ed èstato scritto da un teologo protestante.

Maironi osservava come questoprotestantequando parla delCattolicismone parli con la piùonesta intenzione d'imparzialitàmacome in fatto non conosca la religionecattolica. Secondo lui nessunprotestante la conosceson tutti pienidi pregiudizigiudicanoessenziali al Cattolicismo certealterazioni della sua praticaesteriori e sanabili. C'era lìun panierino di albicocche ed egli netolse una bellissimaperò unpoco guasta. «Ecco» disse «un fruttoguasto. Se io offro questo frutto a unoche non conosce ma vuole essergentilemi dice che vi è delsano e del buono ma che pur troppo vi èanche del malato e che perciòeglicon dispiacerenon lo prenderà.

Così parla del Cattolicismoquesto protestante insigne. Ma se io offroil frutto a uno che conosceegli loaccetterà quand'anche fosse tuttoputrido e porrà il nocciuoloimmortale nel proprio terreno con lasperanza di avere albicocche bellissimee sane.» Il discorso erarivolto a Giovannima gli occhiguardavano sempre me. Devosoggiungere che anche a Jenne egli miaveva detto d'imparare aconoscere il Cattolicismo. A ogni modose io rimango protestante non èper il conoscere e il non conoscereèperché così vogliono i mieisentimenti più sacri.

Mia cara Jeannevi ha un'altra cosache ti voglio schiettamente dire.

Sospetto che tu sia gelosa. Ho paurache tu non possa comprendere ildolore indicibile che mi faresti se lofossi veramenteho paura chetu non possa comprendere la gravitàimmensa dell'offesa che faresti alui prima e poi anche a me. Adesso ioti apro il mio cuore. Avreirimorso di non farloamica mia;rimorso rispetto a terispetto aluirispetto a me stessa. Quanto aluiegli è buono e dolce a tutticoloro che avvicina ma in modoparticolare ai più umilie forse tupotresti esser gelosa della vecchia diSubiaco che viene in casa per ibassi servizi. Con Maria e con me lasua bontà e dolcezza si mostranosilenziosamente più che conparole. Con noi egli è serenosempliceaffabile; non ha mai l'aria disfuggirci ma non è mai accaduto che sitrattenesse a parte né con l'unané con l'altra. Io sono agli occhi dilui un'anima e le anime sono per luitutte come erano per mio padre lemenome pianticelle del suo grandegiardinoch'egli avrebbe volutodifendere dal gelo col calore del suocuorefar crescere e fiorirecolla comunicazione della sua vita. Masono un'anima come un'altraforse appunto colla differenza solach'egli mi giudica più lontanadalla verità e perciò piùminacciata dal gelo; benché questo non sivede nel suo contegno.

Quanto a mecaraio provo certamenteun sentimento profondo per luima sarebbe abbominevole dire che il miosentimento somigli anche dalontano a quello che gli uominichiamano col solito nome. Il miosentimento è riverenzaèuna specie di timore devotouna specie di"awe" per cui io sentointorno alla sua persona come un circolo magicoche non oserei passare. Nella suapresenza il mio cuore non ha unbattito di più. Non lo sodireipiuttosto che ne abbia uno di meno.

Non potrei essere più sincera dicosìcara Jeanne. Dunque ti pregoti supplico di non immaginare altracosa.

Per ora non penso al Belgio. Puòdarsi che vi faccia una corsa piùtardi. Salutami tuo fratellodel qualevorrei sapere se ha finalmenteportato il vecchio prete e la signorinain Fomalhaut. Ci pensoanch'ioqualche voltaalla suaFomalhaut. Digli che se quest'invernoverrete a Roma faremo musica insieme.Addioti abbraccio.

 

 

BENEDETTO A DON CLEMENTE(Non spedita).

 

Padre mioil Signore si èritirato dall'anima mianon dico perabbandonarmi al peccato ma pertogliermi ogni senso della presenza Suae il desolato grido di GesùCristo sulla croce fremea momentiintutto il mio essere. Se mi sforzo dirichiamare ogni mio pensiero nelpensiero della Presenza Divinaognimio sentimento in un atto diabbandono alla Divina Volontànon ne ho che pena e scoramentomi pardi essere una bestia caduta sotto ilcaricoche a un primo colpo difrusta fa uno sforzoricade; a unsecondo colpoa un terzoa unquarto trasalisce appenaneppure tentarialzarsi. Se apro il Vangeloo l'Imitazionenon vi trovo sapore. Seripeto preghieremi vince iltedio e ammutolisco. Se mi prostro sulpavimentoil pavimento migela. Se mi lamento a Dio di esseretrattato cosìil Suo silenzio mipar diventare più ostile. Se conl'autorità dei grandi mistici mi dicoche ho torto di avere tanto affettoalle dolcezze spiritualidisoffrire tanto per la loro privazionemi rispondo che hanno torto imisticiche nello stato di graziasensibile si cammina sicuri e cheinvece in questa notte spirituale senzastelle il cammino non si vedenon c'è altra regola cheritrarre il piede quando si sente il molledell'erbae che ciò non bastach'è anche possibile di porloaddiritturail piedenel vuoto.Padrepadre miomi apra le Suebracciach'io senta il calore del Suopetto pieno di Dio! Vi sonocento ragioni per me di non venire aSanta Scolasticama in ogni modopreferirei scrivere. Ella è quipresente a me più che nel corpo; io miuniscomi confondo meglio a Lei colpensiero che se Le fossi davanti;e ho bisogno di confondermi a Lei colpensieroho bisogno dicostringere l'anima mia dentro la Sua.Forse Le manderò questaletteraforse neppure la manderò.Padre miopadre miomi fa bene discriverti più che di parlartinon ti potrei parlare colla foga cheora mi viene alla penna e non miverrebbe alle labbra. Scrivendoioparloio grido a te immortaleio tispoglio delle mortalità che sonoanche nell'anima tua e che miromperebberonella tua presenzaquestafogadelle mortalità diconoscenze incomplete delle cosedi prudenzeche ti consiglierebbero veli al tuopensiero. Nonon te la spediròquesta letteraeppure tu l'avrai;l'arderòeppure tu l'avraisìtul'avrainon è possibile che ilmio tacito grido non ti raggiungaforse adesso nelle tenebre della nottementre dormiforse fra dueoreancora nelle tenebre della nottementre preghi con i fratellinella dolce chiesa dove tanto abbiamoadorato insieme.

Io so perché sono aridoio soperché Dio mi abbandona. Sempre quandoDio mi abbandonaquando tutte lesorgenti vive dell'anima miainaridiscono e i germi vivi sidisseccano e il mio cuore diventa unmare mortoio so perché. Perchého udita una musica soave alle miespalle e mi sono voltatooppure perchéil vento mi recò fragranze daiprati in fiore a lato della mia via emi arrestaioppure perché lanebbia mi è salita di fronte eho temutooppure perché uno spino mioffese il piede e ne ho concepita ira.Istantibalenima intantol'uscio si apreun soffio malignoentra. E' sempre cosìbasta unosguardo raccoltouna lode gustataunaimmagine trattenutaunaoffesa rimediatail soffio malignoentra.

E adesso è tutto questo insieme!E' scesa la notte sul mio camminohomesso il piede nell'erba mollela hosentitaho ritratto il piede manon subito. Perché adoperofigure? Scrivi scrivimano mia vilelanuda verità! Scrivi che questacasa è un nido di mollezza e che se hogustato il letto sofficela biancheriafinel'odore di lavandahomolto più gustato laconversazione del signor Giovanni e le lettureassorbenti nel diletto della mentel'aura di due giovani donne pureintellettualipiene di graziala loroammirazione segretailprofumo di un sentimento che una diesse mi è parsa chiudere in sélavisione di una vita nascosta in questonido fra queste personelontana da tutto ch'è volgarech'è bassoch'è immondoch'èschifoso.

Ho sentito il male del mondo con ilribrezzo che se ne ritrae e noncon il focoso dolore che lo affrontaper strappargli le anime.

Istantibaleni; mi rifugiai come untempo nell'abbraccio della Crocema la Crocepoco a pocoaltrimenti daun tempomi diventò nellebraccia legno insensibile e morto. Misono detto: spiriti di nequiziamale volontà sapienti e fortiche sono nell'ariacongiurano contro dimecontro la mia missione. Mi sonorisposto: superbiagiù! E poi laprima idea mi ripreseondeggiai ciecoin questa vicenda tristaognigiornotutto il giorno. E poichéniente ne ho lasciato trasparirepoiché capivo che il signorGiovanni e le signore non dubitavano cheio non fossi nell'interno cosìserenocosì puro come il mio esternoparevami disprezzaicerti momenticome un ipocritaper dirmiilmomento dopoche invece il mio esternopuro e sereno mi aiutava avivereparlo della vita spirituale;che il parer forte mi obbligava aesser forte. Mi paragonai a un alberoche ha il midollo divorato daivermiil legno consunto dallaputrefazione e vive per la cortecciapuò dare foglie e fiori per leipuò dare ombra benefica. E poi midissi che questo era buono per gliuominima davanti a Diodavanti aDio? E poi mi dissi ancora che Dio mipotrebbe sanare perché l'alberodivorato nel midollo non èsanabile ma l'uomo sì; e allora mi torturaiper la impotenza di fare quello che Dioavrebbe chiesto a me comecooperazione della mia volontàalla Sua; fuggirefuggire. Dio è nellavoce dell'Aniene che dalla sera dellamia partenza da Jenne mi dice:

«RomaRomaRoma»; e Dio èpure nella forza dei vermi invisibili chemi hanno ròso le virtùvitali del corpo. E allora e allora e allora?Signoreascolta il mio gemito che Tidomanda giustizia.

Ho detto tante volte che certamentepartirò appena ne avrò la forza equi mi vorrebbero trattenere e comepotrò io dir loro: amici mieivoimi siete nemici? Eccoviltàmia! Perché non potrei dirlo? Perché nonlo dirò?Ho letto un giorno nello sguardo dellagiovine protestante: - Se Leiparte che sarà dell'anima mia?Non deve Lei desiderare di condurmialla fede Sua? Io non mi lasciocondurre ancora. - Nonon possonondebbo scrivere tutto. E come scriverel'espressione di uno sguardol'intonazione di una parola per séindifferente? Non sono sguardi comequello per il quale San Girolamos'immerse nell'acqua gelata o almenola commozione mia non somiglia allasua. Non vale acqua gelata controuno sguardo puro nella sua dolcezza.Solo il fuoco vi arrivail fuocodell'Amore supremo. Oh chi mi liberadal mio cuore mortale che non simove di un solo picciol moto senzamovere tutte le fibre del corpochi mi libera il cuore immortale chegli è interno come il germe alfrutto e si prepara un corpo celeste?Non possonon debbo scriveretuttoma questo sì lo voglioscrivere: il Signore mi tende insidie elacci! Cadutomi deriderà!Perché è avvenuto che io scrivessi ilpasso latino sulla gente che vive inpenitenza fra il Mar Morto e ildeserto; «sine pecuniasine ullafemminaomni venere abdicatasociapalmarum» su quel pezzo di cartache recava sull'altra faccia paroledi J. D.calde ancora del mio peccatoantico e del suodelle memoriepiù terribili? Perché unapersona così timida ha osato impormi unacomunicazione segreta?Il vento mi ha spalancata la finestra.Oh Aniene Anienecome non tistanchi di ruggirmi il tuo comando! Cheio parta sul momento?Impossibilele porte sono chiuse. Epoi sarebbe indegno di partirecosì. Disonorerei Diofareidire: che qualità di servi ingrati epazzi ha il Signore? Vienispirito delmio Maestrovienivieniparlaio ti ascolto. Che mi dici? Chemi dici? Ah tu sorridi dellemie tempestetu mi dici di partiresìma di partire nobilmentediannunciare che il Signore me locomanda. Tu mi dici di obbedire allavoce di Dio nell'Aniene. Ecco che ilvento si allontanaparechetarsicontento. Sìsìsìcon lagrime. Domanidomattina. Loannuncerò. E so a chi andròin Roma. Oh luceoh paceoh sorgentiredivive dell'anima miaoh mare mortoche ti gonfii in una caldaondata! Sislsìcon lagrime.Graziegrazie. Gloria a TePadrenostro che sei nei cielisiasantificato il nome Tuovenga il regnoTuosia fatta la Tua volontà!

 

 

 

Cap. 7

NELTURBINE DEL MONDO

 

1.

Una carrozza signorile si fermòsull'imbrunire davanti a una casa divia della Vitein Roma. Due signore nediscesero frettolosamente esparirono dentro la porta oscura. Lacarrozza partì. Due minuti dopone arrivò un'altraversòdue altre signore nella stessa porta epartì. In un quarto d'ora necapitarono cinque. La porta oscura noninghiottì meno di dodicisignore. La piccola via ritornò silenziosa.

Trascorsa una mezz'oracominciarono avenire al Corso gruppi diuomini. Si fermavano davanti a quellastessa portaleggevano ilnumero al lume del fanale vicinoentravano. E la porta oscurainghiottì a questo modo un'altraquarantina di persone. Gli ultimifurono due preti. Quello che guardòil numero era miopenon riuscivaa decifrarlo. L'altro gli disseridendo:

«Entraentraio sento puzzo diLuterodev'essere qui.»

E il primo entrò nelle tenebrepuzzolenti. Salirono per una scalanerasudiciasu su verso l'unicolumicino a olio che ardeva alquarto piano. Quando furono al terzoaccesero dei fiammiferi perleggere i nomi sulle placche degliusci. Una voce chiamò dall'alto:

«Qui signoriqui!»

Un giovine affabile signore in abitonero di mattina discese aincontrarlili ossequiò moltodisse che si aspettava solamente loroli fece entrareper un'anticamera e unandito quasi tanto oscuriquanto la scalain una stanza grandepiena di genteilluminata allameglio da quattro candele e da duevecchie lucerne a olio. Il giovinesignore si scusò dell'oscurità.I suoi genitori non volevano in casané luce elettrica né gasné petrolio. Tutti gli uomini venuti a gruppierano raccolti lì. Tre o quattrovestivano l'abito ecclesiastico. Glialtrimeno un vecchio dalla facciarossa e dalla barba biancaparevano studenti. Nessuna signora.Erano tutti in piedieccetto ilvecchiopersona di riguardocertamente. Conversavano sottovoce. Lastanza sussurrava come una grotta tuttarivoletti e gocce cadenti.

Entrati i due pretiil giovine padronedi casa disse:

«Allora!...»

Le persone strette nel gruppo maggioresi scostarono a cerchio e viapparve nel mezzo Benedetto. Untavolino con due candele e una sediaerano preparati per lui. Pregòche si togliessero le candele. Poi glidispiacque anche il tavolino. Si dissestancochiese di parlareseduto sul canapèvicino alvecchio signore dal viso acceso e dallabarba bianca. Vestiva di neroerapallido e magro più ancora che aJenne. La fronte gli si era scoperta dicapelliaveva preso qualchecosa della fronte solenne di donGiuseppe Flores. E gli occhi avevanoun azzurro più lucente. Moltedelle facce volte avidamente a luiparevano piuttosto affascinate daquegli occhi e da quella fronte cheansiose di udire la sua parola.

Egli prese a parlare cosìsenzaun gestotenendosi le mani sulleginocchia:

«Io devo dire subito a chi parloperché non tutti qui hanno le stessedisposizioni di anima verso Cristo e laChiesa. Non credo di parlareai sacerdoti presenticredo e speroch'essi non abbiano bisogno dellaparola mia. Non parlo a questo signoreseduto presso a meperché eglipurelo sonon ne ha bisogno. Nonparlo ad alcuno che sia fermonella fede cattolica. Io parlounicamente a quei giovani che mi hannoscritto così.»

Trasse una lettera e lesse:

«Noi siamo stati educati nellafede cattolica efatti uominiabbiamoaccettato con un nuovo atto di liberavolontà i suoi più arduimisteriabbiamo lavorato per essa nelcampo amministrativo e sociale;ma ora un altro mistero sorge sulnostro cammino e la nostra fedetituba davanti ad esso. La Chiesacattolica che si proclama fonte diveritàoggi contrasta laricerca della verità quando si esercita suifondamenti suoisui libri sacrisulleformole dei dogmisull'asserita infallibilità sua.Questo per noi significa ch'essa nonha più fede in se stessa. LaChiesa cattolica che si proclama ministradella Vitaoggi incatena e soffocatutto che dentro di lei vivegiovanilmenteoggi puntella tutte lesue cadenti vecchiaie. Questoper noi significa morte; lontanamaineluttabile morte. La Chiesacattolica che proclama di volererinnovar tutto in Cristoè ostile anoi che vogliamo contendere ai nemicidi Cristo la direzione delprogresso sociale. Questo per noisignificainsieme a molti altrifattiavere Cristo sulle labbra e nonnel cuore. La Chiesa cattolicaoggi è tale e Dio vorràche noi le obbediremo ancora? Ecco perché noiveniamo a Voi. Che dobbiamo fare? Voiche vi professate cattolico epredicate il cattolicismo e avetefama...»

Qui Benedetto troncò la letturadicendo:

«Seguono parole inutili.

E riprese a parlare:

«Io rispondo a chi mi ha scrittocosì: - Ditemi; perché vi sieterivolti a me che mi professo cattolico?Mi credete voi forsenellaChiesaun superiore dei Superiori? E'forse per questo che se laparola mia sarà diversa daquella che voi dite la parola della Chiesavoi riposerete in pace sulla parolamia? Udite una figura. Pellegriniassetati si accostano a una fontefamosa. Trovano una vasca piena diacqua stagnanteingrata al gusto. Lascaturigine viva è sul fondodella vascanon la trovano. Si volgonomesti a un cavatore di pietreche lavora in una cava vicina. Ilcavatore offre loro acqua viva. Glichiedono il nome della sorgente. "E'la stessa vasca" dice. "E' tuttanel sottosuolouna sola corrente. Chiscavatrova." I pellegrinisitibondi siete voiil cavatore oscurosono io e la corrente occultanel sottosuolo è la Veritàcattolica. La vasca non è la ChiesalaChiesa è tutto il campo corsodalle acque vive. Voi vi siete rivolti ame per un vostro inconscio conoscereche la Chiesa non è la solagerarchiaè la universaleassemblea dei fedeli"gens sancta"chedal fondo di ogni cuore cristiano puòzampillare acqua viva dellasorgente stessadella stessa Verità.Inconscio conoscereperché senon fosse inconsciovoi non direste -la Chiesa contrasta questo - laChiesa soffoca quello - la Chiesainvecchia - la Chiesa ha Cristosulle labbra e non nel cuore.

«Intendetemi bene. Io non giudicola gerarchiaio riconosco e onorol'autorità della gerarchiaiodico unicamente che la Chiesa non è lagerarchia sola. Udite un'altrasimilitudine. Vi ha nei pensieri diciascun uomo una specie di gerarchia.Prendete un uomo giusto. Certeideecerti propositi sono in luipensieri dominantigovernano la suavitae sono questi: compiere il doverereligiosoil dovere moraleil dovere civile. Egli ha dei varidoveri il concetto tradizionale chegliene fu appreso. Ma poi questagerarchia d'idee ferme con impero nonè tutto l'uomo. Sotto di essa viè in lui una moltitudine di altreideeuna moltitudine di pensieri checontinuamente si muovono e simodificano per le impressioni el'esperienza della vita. E sottoquesti pensieri vi ha un'altra regionedell'animavi ha l'Inconsciodove facoltà occulte lavorano unlavoro occultodove avvengono icontatti mistici con Dio. Le ideedominanti esercitano autorità sulvolere dell'uomo giustoma tuttol'altro mondo del suo pensiero hapure una importanza immensa perchéattinge continuamente alla Veritàcon l'esperienza del realenell'esternocon l'esperienza del Divinonell'internoe quindi tende arettificare le idee superiorile ideedominantiin quanto il loro elementotradizionale non è adeguato alVero; è per esse una perennefonte di fresca vita che le rinnovaunasorgente di autorità legittimafondata sulla natura delle cosesulvalore delle ideepiù che suidecreti degli uomini. La Chiesa è tuttol'uomonon un solo gruppo d'ideeeminenti e dominanti; la Chiesa è lagerarchia con i suoi concettitradizionali ed è il laicato con il suocontinuo attingere alla realtàcon il suo continuo reagire sullatradizionela Chiesa è lateologia ufficiale ed è il tesoro inesaustodella Verità divina che reagiscesulla teologia ufficiale; la Chiesanon muorela Chiesa non invecchialaChiesa ha nel cuore il Cristovivente meglio che sulle labbralaChiesa è un laboratorio di veritàin azione continua e Iddio comanda chevoi restiate nella Chiesachevoi operiate nella Chiesache voisiatenella Chiesasorgenti diacqua viva.»

Uno spirito di commozione e diammirazione agitò l'uditorio con ilrumore del vento. Benedettoch'eravenuto alzando la vocesorse inpiedi.

«Ma qual fede è la vostra»esclamò acceso «se parlate di uscire dallaChiesa perché vi offendono certedottrine antiquate dei suoi capicerti decreti delle Congregazioniromanecerti indirizzi del governodi un Pontefice? Quali figli siete voiche parlate di rinnegare lamadre perché veste come a voinon aggrada? E' forse cambiatoper unavesteil seno materno? Quando piegatisovr'esso voi dite piangendo aCristo le vostre infermità eCristo vi sanapensate voiall'autenticità di un passo diSan Giovannial vero autore del quartoVangelo o ai due Isaia? Quando raccoltisovr'esso vi unite a Cristo insacramentovi turbano i decretidell'Indice o del Sant'Uffizio?Quando abbandonati sovr'esso entratenelle tenebre della mortevi èmeno dolce la pace che a voi ne spiraperché un Papa è contrario allademocrazia cristiana?

«Amici mieivoi dite: noiabbiamo riposato all'ombra di questoalberoma ora la sua corteccia sifendela sua corteccia sidisseccal'albero morràandiamo in cerca di un'altra ombra. L'alberonon morrà. Se aveste orecchiudreste il moto della corteccia nuova chesi formache avrà il suoperiodo di vitache si fenderàche sidisseccherà alla sua voltaperché un'altra corteccia le succeda.

L'albero non muorel'albero cresce.»

Benedetto sedette spossato e tacque.L'uditorio ebbe un moto e unfremito di onda verso di lui. Egli loarrestò alzando le mani.

«Amici» riprese con vocestanca e dolce«ascoltatemi ancora. Scribi eFariseianziani e principi deisacerdoti zelanti contro le novitàsono in ogni tempo e anche inquest'ora. Non ho a parlar di loro avoiIddio li giudicherà. Noipreghiamo per tutti coloro che non sannoquello che fanno. Ma forse nell'altrocampo cattolico militante non siè senza peccato. Nell'altrocampo si è inebbriati della idea dimodernità. La modernità èbuona ma l'eterno è migliore. Io temo checolà non si tenga l'eterno neldebito conto. Vi si attende moltasalute alla Chiesa di Cristodall'azione cattolica collettiva nelcampo amministrativo e politicoazionedi battaglia per la quale ilPadre riceverà ingiuria dagliuominie non se ne attende abbastanzadalla luce delle opere buone di ciascuncristiano per la quale ilPadre è glorificato. Supremofine delle creature umane è glorificareil Padre. Ora gli uomini glorificano ilPadre di coloro che hanno lospirito di caritàdi pacedisapienzadi povertàdi puritàdifortezzache adoperano per i fratellile energie della vita. Uno diquesti giusti che professi e pratichiil Cattolicismo è profittevolealla gloria del Padredi Cristo edella Chiesa più di moltiCongressidi molti Circolidi moltevittorie elettorali cattoliche.

«Ho inteso testé uno divoi mormorare: "e l'azione sociale?" L'azionesocialeamici mieièsicuramente buona come opera di giustizia e difraternitàmasimili aisocialisticerti cattolici la marchiano conil marchio delle loro opinionireligiose e politicherifiutano diaccomunarvi gli uomini di buona volontàse non accettano quel marchiorespingono da sé il buonSamaritano e questo è abbominevole agli occhidi Dio. Improntano col marchiocattolico anche opere che sonostrumenti di lucro e questo pure èabbominevole agli occhi di Dio.

Predicano la giusta distribuzione dellaricchezza ed è benema troppodimenticano di predicare insieme lapovertà del cuore; e se loomettono deliberatamente per ragioni diopportunitàquesto èabbominevole agli occhi di Dio. Purgatel'azione vostra di questiabbominii. Chiamate alle opereparticolari di giustizia e di amoretutti gli uomini di buona volontàcontenti di esserne voigl'iniziatori. Predicate a ricchi epovericon la parola e conl'esempiola povertà delcuore.»

L'uditorio ondeggiòconfusamentesospinto in parti diverse. Benedettosi raccolse un momento celando il visofra le mani.

«Voi mi avete domandato: chefare?» diss'egliscoprendo il viso.

Pensò ancora un poco e riprese:

«Io vedo nell'avvenire cattolicilaicizelatori di Cristo e dellaVeritàtrovar modo dicostituire unioni diverse dalle presenti. Siarmeranno un giorno cavalieri delloSpirito Santo per l'associatadifesa di Dio e della morale cristiananel campo scientificoartisticocivilesocialeperl'associata difesa delle legittimelibertà nel campo religiosoconcerti particolari obblighi non peròdi convivenza né di celibatointegrando l'ufficio del clero cattolicodal quale non avranno a dipendere comeOrdinema solo come personenella pratica individuale delCattolicismo. Pregate che la volontà diDio si manifesti circa quest'Operanelle anime che la pensanopregatech'esse anime si spoglino lietamentedella compiacenza di averlaimmaginata e della speranza di vederlacompiutase Dio si rivelacontrario ad essa. Se Dio si rivelafavorevolepregate che gli uominila sappiano bene ordinare in ogni partea gloria di Lui e a gloriadella Chiesa. Amen.»

Egli aveva finito e nessuno si mosse.Tutti gli occhi lo fissavanoansiosiavidi di altre parole dopo leinattese ultime di tono scuro egrande. Molti avrebbero voluto e nonosarono rompere quel silenzio. Maquando Benedetto si alzò e tuttigli si scostarono d'intorno a cerchioriverentisi alzò pure ilvecchio signore dal viso rosso e daicapelli bianchie disse con voce rottadalla emozione:

«Ella riceverà oltraggi ebattituresarà incoronato di spine eabbeverato di fielesarà derisodai farisei e dai paganinon vedràl'avvenire che desiderama l'avvenireè per Leii discepoli deidiscepoli suoi lo vedranno.»

Abbracciò Benedetto e lo baciòin fronte. Due o tre vicini batteronole mani timidamenteuno scroscio diapplausi suonò nella sala.

Benedetto turbatissimoaccennòa un giovinetto biondo che lo avevaaccompagnatoe questi corse a luiproprio lucente in viso dicommozione e di gioia. Qualcunosussurrò:

«Un discepolo.»

Altri soggiunsepiano:

«Sìe il prediletto.»

Il padrone di casa si prostròquasidavanti a Benedetto con paroledi ossequio e di gratitudine. Allorauno dei sacerdoti ardì pure farsiavantidisse con voce commossa:

«E per noimaestronon avràun consiglio?»

«Non mi chiami maestro»rispose Benedettotutto ancora turbato;

«preghi luce a questi giovaniainostri Pastori e anche a me.»

Uscito ch'egli fusi levò nellasala un crepitìo di voci vibratebrevi e fiochepremendo ancora lostupore sulle anime commosse. Poila commozione scoppiò qua e làforteruppe da ogni bandaurtandosianche le ammirazioni fra loronell'esaltare queste o quelle parolequeste o quelle idee del discorsol'accento o lo sguardodell'oratoreo lo spirito di santitàdiffuso nel suo voltospiranteanche dalla sua mano. Ma il padrone dicasa congedò gli ospiti; conmolte scusesìcon molteparole di cerimoniaperò con una frettaquasi scortese.

Rimasto soloaperse un uscio ch'erachiuso a chiaves'inchinò dentrol'apertura.

«Signore!» diss'egli. Espalancò l'uscio.

Uno sciame di signore irruppe nellasala vuota. Una signorina maturasi slanciò addirittura verso ilgiovinea mani giunteesclamando:

«Oh quanto Le siamo grate! Oh chesanto! Non so perché non siamo corsetutte fuori ad abbracciarlo!»

«Cara» disse una signoracon ironica flemma venetasorridendo nei duegrandi belli occhi«perchéfortunatamente per luil'uscio erachiuso a chiave.»

Erano dodici signore. Il padrone dicasaprofessore Guarnaccifigliodell'agente generale di una di questela marchesa Fermiromanaleaveva raccontato della riunione chedoveva tenersi in casa suadeldiscorso che vi avrebbe pronunciato lostrano personaggio di cui siparlava già in Roma come di unagitatore religioso entusiasta etaumaturgopopolare nel quartiere delTestaccio. La marchesa si eraposta in capo di udirlo non veduta.Presi gli accordi col Guarnacciaveva tratte nella congiura tre oquattro amiche e ciascuna di questeaveva ottenuto di aggregarsi delleappendici.

Era una miscela curiosain vista.Molte avevano "toilettes" dasocietàdue vestivano propriocome quacchereuna sola di nero. Ledue quaccherestraniereparevanoimpazzite dall'entusiasmo efremevano contro la marchesaunavecchia scetticaalquantosarcasticache diceva tranquillamente:

«Sìha parlato bene maperò avrei voluto vedere la sua faccia mentreparlava.»

E dichiarando di saper giudicare gliuomini dalla faccia meglio chedalle parolela vecchia marchesarimproverò il Guarnacci di non averpraticato un buco nell'uscio o almenolevata la chiave dalla toppa.

«Sei troppo santo»diss'ella. «Non conosci le donne.»

Il Guarnacci risesi scusò conl'ossequio dovuto alla padrona di suopadre e affermò che Benedettoera bello come un angelo. Ma una giovinesignora insipidettavenutapensavanorabbiosamente le quacchereDiosa perchéuscì a direquieta quieta che lo aveva veduto due volte ech'era brutto.

«Bisognerebbe conoscere la Suaidea di bellezzasignora» disseacremente una quacchera. E l'altraquacchera mise subito fuorimasottovoce per acuire la malignitàespressamenteun velenoso:

«Naturellement!»

La signora insipidetta replicòun poco arrossendo fra l'imbarazzo eil dispettoch'era magropallido; ele due quacchere si guardaronosi sorrisero con tacito disprezzo. Madove lo aveva veduto? Questovolevano sapere le altre dallainsipidetta.

«Eh! Sempre nel giardino di miacognata» diss'ella.

«Sempre nel giardino?»esclamò la marchesa. «E' un angelo in pienaterra o è un angelo in vaso?»

La Insipidetta rise e le quaccherefulminarono la marchesa con gliocchi furiosi.

Entrò il thècompresonell'invito del professore Guarnacci.

«Bella discussioneeh?»disse piano la signora Albacinamogliedell'onorevole Albacinasottosegretario di Stato per l'Internoall'orecchio della signora vestita dineroche non aveva mai apertobocca. Colei sorrise tristemente e nonrispose.

Il thèservito dal professore eda una sua sorellinaammorzò per unmomento la conversazione che siriaccese sul discorso di Benedetto ediventò un guazzabuglio tale diragionamenti senza ragionedi giudizisenza giudiziodi dottrine senzadottrinache la signora silenziosavestita di nero propose all'Albacinacon la quale era venutadiandarsene. Ma in quel momento lamarchesa Fermiscovato uncampanellino sopra una caminierasimise a scampanellare per otteneresilenzio.

«Vorrei sapere di questogiardino» diss'ella.

Le quacchere e la signorina maturainfervorate a discuterel'ortodossia cattolica di Benedettonon avrebbero taciuto per diecicampanellima la curiositàdella signorina maturaall'udire laparola «giardino»scattò.Scattò fuori tutta intera. Altro chegiardino! Il signor professore dovevaraccontare tutto che sapeva diquesto padre Hecker italiano e laico.Un po' per sfoggio di cultura unpo' per avventatezzaella aveva giàbattezzato Benedetto così. Allorala Insipidetta guardòl'orologio. La sua carrozza avrebbe dovutotrovarsi alla porta. La piccolaGuarnacci disse che di carrozze cen'erano già quattro o cinque. LaInsipidetta voleva arrivare al Valleper il terzo atto della commedia. Duealtre signore avevano altriimpegni e partirono con lei. La Fermirestò.

«Fa prestoperòprofessore» diss'ella«perché stasera mia figliaciaspettame e queste altre signore dicui vedi le spalle.»

«Faccia prestissimo» dissedispettosettala signorina matura. «Dopoparlerà per la povera gente chenon mostra le spalle.»

Una forestiera biondamolto scollatabellissimalanciò uno sguardoineffabile alle povere copertespallucce magre della dispettosachediventò rossa di rabbia come ungambero.

«Allora» incominciòil professore«siccome la signora marchesa eforse anche le altre signore che hannofretta sanno già quanto io sodel Santo di Jenne prima della suapartenza da Jennequello lolascio. Io dunque un mese fainottobreneanche ricordavo di averletto nei giornaliin giugno o inlugliodi questo Benedetto chepredicava e faceva miracoli a Jennequando un giorno uscendo da SanMarcello m'incontrai in un talePorretti che una volta scrivevanell'"Osservatore" e adessonon vi scrive più. Questo Porretti mi siaccompagnasi parla della condanna deilibri di Giovanni Selva che siaspetta di giorno in giorno etraparentesinon è ancora venutaePorretti mi dice che adesso in Roma c'èun amico di Selvail qualefarà parlare di sé piùche lo stesso Selva. "Chi è?" faccio io. "IlSanto di Jenne" dice. E miracconta questo. L'uomo è stato cacciato daJenne per opera di due pretifariseiterribiliche a Roma siconoscono. Si è rifugiato aSubiaco presso i Selva che villeggiano lìe si è ammalato gravemente.Guaritoè venuto a Roma circa alla metàdi luglio. Il professore Maydaamicodel Selva anche luie che loaveva conosciuto a Subiacolo preseper aiuto giardiniere nella villache si è fabbricata due annisono sull'Aventinosotto Sant'Anselmo.

Il nuovo aiuto giardiniere che si fachiamare Benedetto e nient'altrocome a Jenneè diventato prestopopolare in tutto il quartiere delTestaccio. Divide il pane con pezzentiassiste malatipare che neabbia guarito qualcuno conl'imposizione delle mani e la preghiera. E'divenuto tanto popolare che la nuoradel professore Maydabenché siacredente e praticantelo avrebbelicenziato volentieri per non averela seccatura di tanta gente che viene acercarloma il suocerochenon è né praticante nécredentenon ha voluto. Il suocero gli hariguardi grandissimi. Se sopporta divederlo rastrellare i vialiannaffiare i fioriè solo perrispetto alle sue idee di Santoe nonglielo permette oltre una certa misuradi tempomolto breve. Vuoleche attenda liberamente alla suamissione religiosa. Egli stessoscende sovente in giardino a parlare direligione con lui. Benedettoper compiacergliha smesso il regimedi paneerbaggi e acqua cheteneva a Jenneprende carne e vino. Eper compiacere a Benedetto ilprofessore ne fa distribuire moltolargamente agli ammalati delquartiere. Vi ha chi ride di lui emagari lo ingiuriama dal popolinoè venerato comein principioaJenne. Ed esercita la carità delleanime più ancora che l'altra. Halevato certi disordini morali difamigliefu minacciato di morte perquesto da una mala femminahafatto ritornare in chiesa gente che nonci aveva più messo piede dallafanciullezza in poi. Lo sanno ibenedettini di Sant'Anselmo. La serapoidue o tre volte la settimanaparla nelle catacombe.»

La signorina matura esclamò:

«Nelle catacombe?»

E si porsepalpitanteverso ilnarratore. Una delle quaccheremormorò: «Mon Dieu! MonDieu!» e un'altra vocegrave di stuporeriverente:

«Che senso!»

«Ecco» riprese il giovinesorridendo«Porretti ha detto "nellecatacombe" ma intendeva in unluogo privatoconosciuto da pochi.

Adesso lo conosco anch'io.»

«Ah!» fece la signorinamatura. «Lei lo conosce? Dov'è?»

Guarnacci tacque ed ella sentìla sua indiscrezione.

«Scusiscusi!» dissefrettolosa.

«Lo sapremolo sapremo»fece la marchesa. «Ma senti un po'figliuolomioquesto tuo Santo che predica insegretonon sarebbe una speciedi eresiarca? Cosa ne dicono i preti?»

«Stasera» rispose ilprofessore Guarnacci «ne avrebbe veduto qui tre oquattro e sono andati viacontentissimi.»

«Saranno preti poco pretipretimal cottipretoidi. Ma cosa diconogli altri? Vedrai che gli altriprestoo tardigli daranno iltorcibudella.»

E con quest'allegra profezia lamarchesa se ne andò seguita da tuttele spalle scoperte.

La signorina matura e le quaccherefelici che quello spregevolesciame mondano se ne fosse andatoassalirono il professore condomande. Non si poteva proprio sapereil posto delle nuove catacombe?Quante persone vi si radunavano? Anchedonne? Quali erano i temi deidiscorsi? Cosa dicevano i frati diSant'Anselmo? E della vita passatadi quest'uomo si era venuti a saperenulla? Il professore si schermìquanto potériferìsolamente le parole di un padre di Sant'Anselmo:

«un Benedetto per ogni parrocchiadi Roma e Roma diventa davvero laCittà Santa.» Ma quandopartite tutte le altre signoresi trovò solocon l'Albacina e con la Silenziosa cheaspettavano la loro carrozzasiccome all'Albacina era legato diamicizialasciò capire a questache avrebbe parlato ma che la presenzadi una signora sconosciuta loimbarazzavapregò l'Albacina dipresentarlo. L'Albacina non ci avevapensato. «Il professoreGuarnacci» disse. «La signora Dessallemiabuona amica.»

La «catacomba» era propriola sala stessa dove stavano in quelmomento. Primale riunioni avevanoluogo nell'alloggio dei Selvainvia Arenula. Quel posto non parevamolto adattoper diverse ragioni.

Guarnaccifattosi discepolo egli pureaveva offerto la casa propria.

Le riunioni vi si tenevano due volte lasettimana. Ci venivano iSelvauna sorella della signoraalcuni ecclesiasticiquella stessasignora veneta ch'era partita poc'anzialcuni giovani fra i qualicerto Albertiprediletto dal Maestroche quella sera era venuto epartito con luie anche un ebreocerto Viterbogià prossimo a farsicattolico e dal quale il Maestrosperava cose grandi; un operaiotipografoqualche artistapersino duemembri del Parlamento. Loscopo delle riunioni era di farconoscere a persone attratte da Cristoma ripugnanti al Cattolicismoci cheil Cattolicismo è veramentelaessenza vitaleindistruttibile dellareligione cattolica e ilcarattere umano di quelle sue diverseforme che la rendono appuntoripugnante a moltiche sono mutabili emutano e muteranno per unaelaborazione dell'interno elementodivino combinata con le reazionidell'esternodella scienza e dellacoscienza pubblica. Benedetto eraseverissimo nell'ammettere alleriunioni perché nessuno più di luisapeva trattare delicatamente colleanimerispettarne i candorifarsi piccino alle piccinealto allealteusare con le timide illinguaggio riguardoso che istruisce enon turba.

«La marchesa» continuòil professore «dice: sarà un eresiarcai pretiche lo seguono saranno eretici. No. ConBenedetto non c'è da temere dieresie né di scismi. Proprionell'ultima riunione egli ha dimostratoche scismi ed eresie oltre ad esserecondannabili per sésono funestialla Chiesa non solamente perchéle sottraggono animema perchéanchele sottraggono elementi diprogressoperché se i novatorirestassero nella soggezione dellaChiesa gli errori loro perirebbero equell'elemento di veritàquell'elemento di bene che quasi sempre èunitoin qualche misuraall'errorediventerebbe vitale nel corpodella Chiesa.»

L'Albacina osservò che questoera molto bello e che se le cose stavanoa questo modo la sinistra profeziadella marchesa non si sarebbeavverata.

«La profezia del torcibudellano!» disse il professoreridendo.

«Queste cose non accadono e ionon credo che sieno accadute mai. Sonocalunnie. Bisogna essere la marchesa ecerta gente come la marchesache si trova qui a Roma per crederle.Un prete romanocapisceunprete ha osato avvertire Benedetto chesi guardasse! Ma Benedetto gliha levato il coraggio di parlarglieneun'altra volta. Dunquetorcibudella no; ma persecuzione sì.Quei tali due preti di Romach'erano a Jenne non hanno micadormito. Io non volli dirlo primaperché la marchesa non èpersona cui raccontare queste cosema cisono in aria dei guai grossi. Si èspiato ogni passo di Benedettosiè adoperata anche la nuora diMaydaa mezzo del confessoreper avereinformazioni dei suoi discorsisi èsaputo delle riunioni. La solapresenza di Selva dà loro ilcarattere che quella gente abborre esiccome contro un laico non puòfar nientecosì pare che si cerchil'aiuto del braccio secolare controBenedettol'aiuto dei carabinierie dei giudici. Loro si meravigliano?Eppure è così. Finora non c'èniente di positivoniente di fattomasi macchina. Siamo statiavvertiti da un ecclesiastico stranieroche un'altra volta hachiacchierato male ma stavolta hachiacchierato bene. Si preparano esi fabbricano materiali per un'azionepenale.»

La Silenziosa trasalìuscìfinalmente del suo mutismo.

«Come è possibile?»diss'ella.

«Signora mia» disse ilprofessore. «Lei non sa di cosa sieno capacialcuni intransigenti in tonaca.Gl'intransigenti laici sono agnelliin paragone. Si vuol servirsi di undisgraziato caso successo a Jenne.

Ora però noi speriamo in unfatto nuovoche non occorre di raccontarea moltisenza discernimentoma ch'èimportantissimo.»

Il professore tacque un momentoassaporando l'acuta curiosità cheaveva destato e chemuta sulle labbrasfavillava dagli occhi intentidelle due dame.

«L'altro giorno» riprese«il segretario del cardinale...un giovineprete tedescosi recò aSant'Anselmo e parlò coi frati. In seguito aquesta visita Benedetto fu chiamato aSant'Anselmo dove i benedettinigli hanno un grande affetto e un granderispetto. Gli fu chiesto senon avesse intenzione di rendereomaggio a Sua Santitàdi domandareudienza. Rispose ch'era venuto a Romacon questo desiderio nel cuoreche aspettava un cenno dellaProvvidenza e che questo era il cenno.

Allora gli fu detto che Sua Santitàlo avrebbe ricevuto certamentevolentieri ed egli domandòl'udienza. Questo fu raccontato a GiovanniSelva da un benedettino tedesco.»

«E quando ci va?» chiesel'Albacina.

«Posdomani sera.»

Il professore soggiunse che da partedel Vaticano la cosa era tenutasegretissimache si era imposto aBenedetto di non parlare conalcunoche niente ne sarebbe trapelatosenza l'indiscrezione di quelfrate tedescoe che gli amici diBenedetto speravano grandi cose daquesta visita. L'Albacina domandòcosa si proponesse Benedetto di direal Pontefice. Il professore sorrise.Benedetto non se n'era aperto connessuno e nessuno aveva osatointerrogarlo. Secondo il professoreBenedetto parlerebbe a favore di Selvapregherebbe che i suoi librinon fossero posti all'Indice.

«Sarebbe poco» dissel'Albacinasottovoce. Jeanne ebbe un fremito diconsenso.

«Pochissimo!» esclamòquasi pigliandosela col professore che parvesorpreso di quel subito scatto dopotanto silenzio. Egli si scusò. Nonaveva inteso dire che Benedetto nonparlerebbe anche di altre cosealPapa. Aveva inteso dire chesecondoluidi quell'argomento gliparlerebbe certo. L'Albacina non sapevaspiegarsi il desiderio delPapa di vedere Benedetto. Come lospiegavano i suoi amici? Come lospiegava Selva? Ehnessuno lo sapevaspiegare; né Selva né altri.

«Io lo spiego!» disseJeanneimpetuosacompiacendosi di capirequello che nessuno capiva. «IlPapanon è stato vescovo a Brescia?»

Guarnacci sorrise di un sorriso fral'ammirativo e l'ironicorispose.

Ah la signora era molto informata delpassato di Benedetto! La signorasapeva con certezza cose che a Roma sidicevano ma che però trovavanoanche degli increduli! Solo una cosanon sapeva. Il Papa non era maistato vescovo a Bresciaaveva copertodue sedi vescovili nelMezzogiorno. Jeanne irritata con sestessavergognosa di essersiquasi traditanon replicò.L'Albacina voleva sapere quale opinioneBenedetto avesse del Papa.

«Oh lui» rispose ilprofessore «nel Papa non considera e non venerache l'ufficio. Almeno credo. Dellapersona non l'ho inteso parlaremai. Dell'ufficio sì. Ne hadiscorso una sera magnificamentecontrapponendo il Cattolicismo alProtestantesimosvolgendo il suoideale di governo della Chiesa:principato e giusta libertà. Del restoil nuovo Papa non si sa ancora cosasia. Si dice che sia santointelligentemalato e debole.

 

Nell'accompagnare le signore allacarrozzasulla scala buiailprofessore uscì a diresospirando:

«Quello che purtroppo si teme èche Benedetto non viva. Almeno Maydalo teme.»

L'Albacinache scendeva a braccio delprofessoreesclamò senzafermarsi:

«Oh poveretto! Di che soffre?»

«Ma!» rispose ilprofessore. «Di un male inguaribilepare;conseguenza della tifoide ch'ebbe aSubiaco e sopra tutto della vitadisagiatissima che ha fattodellepenitenzedei digiuni.»

E continuarono la lunga discesa insilenzio.

Soltanto in fondo alla scala siavvidero che la loro compagna erarimasta indietro. Il professore risalìrapidamente e trovò Jeanneferma sul penultimo pianerottoloaggrappata alla ringhiera. Sulleprime non si mosse né parlò.Poi mormorò:

«Non ci si vede.»

Guarnacci non sapeva e non feceattenzione né a quel momento disilenzio né al tono sommesso eincerto della voce. Le offerse ilbraccio e discese con leiscusando sédel buioaccusandonel'avarizia del padrone di casa.

Jeanne salì nella carrozzadell'Albacina che la portò al "GrandHôtel". Nel tragittol'Albacina parlò con rammarico della notizia chele aveva dato il Guarnacci. Jeanne nonaperse bocca. Il suo mutismodispiacque all'amica.

«Lei non è stata contentadel discorso?» diss'ella. Non conoscevaaffatto le idee religiose di Jeanne.

«Sì» rispose questa.«Perché?»

«Così. Mi pareva. Alloranon Le dispiace di esser venuta?»

L'Albacina si sentìcon moltasorpresaprendere una mano erispondere:

«Le sono tanto grata!»

La voce fu sommessa e quietalastretta della mano quasi violenta.

«Nientemeno!» pensòl'Albacina. «Questa è una futura dama delloSpirito Santo.»

«Per conto mio» riprese adalta voce«capisco che mi terrò la miareligione vecchiaquelladegl'intransigenti. Saranno fariseisarannotutto quello che vi piacema ho paurache a volerla tanto ritoccare eristaurarela religione vecchiaessacrolli e non resti più nientein piedi. E poi volendo seguire iBenedetti bisognerebbe cambiaretroppe cose. No no. Però l'uomom'ispira un interesse straordinario.

Adesso bisognerebbe cercare di vederlo.Bisogna che lo vediamo. Moltopiù se proprio ècondannato a morire presto. Non Le pare? E come sifa? Pensiamo.»

«Io non desidero di vederlo»s'affrettò a dire Jeanne.

«Davvero?» esclamòl'amica. «Ma come? Mi spieghi questo enigma.»

«Così. Non desidero.»

«Curiosa!» pensòl'Albacina. La carrozza si fermò davanti all'entratadel "Grand Hôtel".

 

Nell'atrio Jeanne s'incontrò conNoemi e suo cognatoche uscivano.

«Finalmente!» disse Noemi.«Vacorrituo fratello è arrabbiatissimocon questa Jeanne che non arriva mai.Noi siamo discesi ora perché èvenuto il medico.»

 

I Dessalle erano a Roma da quindicigiorni. Un principio di ottobreumido e freddopreoccupazioni disaluteil progetto di uno studiosul Bernini seguito al progetto diromanzoavevano persuaso Carlinoad accontentare la signora Albacina piùpresto che non avrebbe volutoa lasciare villa Diedo per i tepori diRoma prima dell'invernoconmolta chiusa gioia di sua sorella. Dueo tre giorni dopo l'arrivo fupreso da una leggera bronchite. Sidiede per tisicosi tappò incamera con il proposito di starci tuttol'invernovolle il medico duevolte al giornotiranneggiòJeanne con un egoismo spietatole numeròi minuti di libertà. Ella sifece sua schiavaparve godere diquell'irragionevole soprappiù disacrificioche passava la misura delsuo affetto fraterno. Lo donavamentalmentecon dolce ardoreaBenedetto. Vedeva spesso i Selva eNoeminon a casa loroal "GrandHôtel". Anche i Selva eranosoggiogati dal suo fascino di donnasuperiorebellagentile e triste.Tutto che aveva udito di Benedettoin casa Guarnacci lo sapeva giàda Noemi. Solo non sapeva che Maydaavesse espresso quel giudizio. Noemipietosamente e anche per nonlasciar trasparire la commozionepropria gliel'aveva taciuto.

 

Carlino l'accolse male. Il medico chegli aveva trovato il polsofrequente capì subito ch'era unpolso collerico. Scherzò un poco sullagravità del male e se ne andò.Carlinoburberovolle sapere doveJeanne si fosse tanto indugiata ed ellanon glielo nascose. Solamentegli nascose il nome vero di Benedetto.

«Non ti sei vergognata»diss'egli «di star ad ascoltare alle porte?»

E senza lasciarle il tempo dirispondere inveì contro le nuovetendenze che le aveva scoperte.

«Domani andrai a confessarti! Eposdomani reciterai il rosario!»

Sotto la usuale tolleranza cortese delsuo linguaggiola benevolenzache mostrava pure a non pochiecclesiasticisi nascondeva una verafobìa antireligiosa. L'idea chesua sorella potesse un giornoaccostarsi ai pretialla fedeallepratichegli faceva perdere illume degli occhi.

Jeanne non risposesi offersemansuetamente per la solita letturaserale. Carlino le dichiarònetto di non volerne saperepretese disentire degli spifferila tenne unquarto d'ora colla candela in manoa scrutar uscifinestre paretipavimentoe poi la mandò a dormire.

Ma Jeanne entrata nella sua cameranonpensò a dormire né acoricarsi. Spense la luce e sedette sulletto.

Strepiti di carrozze suonavano nellaviapassi e fruscii di vestifemminili nei corridoi; immobile fra letenebre ella non udiva. Avevaspento la luce per pensareper nonvedere che il proprio pensierol'idea balenatale nello scender lascala di casa Guarnacci al bracciodel professore dopo cheudite leparole sinistre «si teme che nonviva» aveva quasi smarriti isensi. In carrozza con l'Albacinaincamera con suo fratellomentre dovevapur parlare e con l'una e conl'altrofare attenzione a tantediverse coseera stato un balenarcontinuonel suo profondodiquest'ideadi questa proposta offertadal cuore ardente alla volontà.Adesso non balenava più. Jeanne lacontemplava in séferma. Nellafigura seduta sul lettoimmobile frale tenebre due anime si stavano tacitea fronte. Una Jeanne umileappassionatapersuasa di poter tuttosacrificare all'amoresimisurava con una Jeanne inconsciamenteorgogliosapersuasa dipossedere una dura e fredda verità.Gli strepiti delle carrozze sifecero più radi nella viaipassi e i fruscii più radi nei corridoi.

A un tratto le due Jeanne parveroriconfondersi in una che pensò:

«Quando mi annunceranno la suamortemi potrò dire: almeno hai fattoquesto.»

Si alzòaccese la lucesedettealla scrivaniaprese un foglietto escrisse:

 

«A Piero Maironila notte del 29ottobre...

«Credo.

JEANNE DESSALLE»

 

Scrisse e guardò a lungoalungola parola solenne.

Più la guardavapiù ledue Jeanne si venivano lente ridividendo. LaJeanne inconsciamente orgogliosasoverchiòoppresse l'altra quasisenza lotta. Tutta amara di amarezzamortalelacerò il fogliomacchiato della parola impossibile amantenereimpossibile a scriveresinceramente. Spenta da capo la luceaccusò di crudeltà Iddio se maiesistessepiansepianse nellevolontarie tenebresenza freno.

 

 

2.

L'orologio di San Pietro suonòle otto. Benedetto lasciò un piccologruppo di persone allo sbocco della viadi Porta Angelicaentrò solonel colonnato del Berninisi avviòlentamente verso il Portone dibronzosostò ad ascoltar ilrumore delle fontanea guardar igrappoli di fiamme dei quattrocandelabri intorno all'obeliscoetremoloopaco sul volto della lunailsommo getto della fontana disinistra. Fra cinquefra dieci minutiforse fra un quarto d'ora eglisi sarebbe trovato alla presenza delPapa. Il suo pensiero era fermo evibrante in questo apice comenell'apice suo la saliente acqua vivadella fontana. La piazza era vuota.Nessuno lo avrebbe veduto entrarein Vaticano fuorché la coronaspettrale dei Santiritti là in facciasopra il giro dell'altro colonnato. ISanti e le fontane gli dicevanoinsieme che a lui pareva di vivereun'ora solenne ma che questo atomodel tempo ed egli stesso e il Ponteficepasserebbero in brevesiperderebbero per sempre nel regnodell'obliocontinuando le fontaneil loro monotono lamento e i Santi laloro tacita contemplazione. Eglisentiva invece che la parola dellaVerità è parola di vita eterna; eraccolto un'ultima volta in se stessochiusi gli occhipregòintensamentecome da due giornipregavache lo Spirito glielasuscitassedavanti al Papanel pettogliela portasse alle labbra.

Egli aspettava qualcunofra le otto ele otto e un quarto. Le otto eun quarto erano suonate e nessunocompariva. Si voltò a guardar ilPortone di bronzo. Non n'era aperto cheuno sportello e si vedeva lucenell'interno. Vi entravano di tempo intempocome spensieratimoscerini nelle fauci di un leonegruppetti di genterella minuta.

Finalmente vi si affacciò dal didentro un preteaccennando.

Benedetto si avvicinò. Queglidisse:

«Lei viene per Sant'Anselmo?»

Era la domanda convenuta. ComeBenedetto gli ebbe risposto di sìilprete gli fece segno di entrare.

«Favorisca» diss'egli.

Benedetto lo seguì. Passaronofra le guardie pontificie che salutaronomilitarmente il prete. Svoltarono adestrasalirono la Scala Pia.

All'entrata del Cortile di San Damasoaltre guardiealtri salutiunordine del pretedato sottovoceBenedetto non lo intese.

Attraversarono il Cortile lasciando asinistra la porta dellaBibliotecaa destra la porta per laquale si accede alle stanze delPapa. In altole vetrate delle loggesfavillarono alla luna.

Benedettoche ricordava un'udienzaavuta dal Pontefice defuntosimeravigliò della strana via chegli si faceva prendere. Attraversatoil Cortile in linea rettail prete siavviò per l'andito stretto checonduce alla scaletta dei Mosaicie sifermò davanti all'uscio che siapre a destraove scende la scala delTriangolo.

«Lei conosce il Vaticano?»diss'egli.

«Conosco i musei e le logge»rispose Benedetto «e sono stato ricevutodal predecessore del Pontefice attualenel suo appartamento. Altro nonconosco.»

«Qui non è stato mai?»

«Mai.»

Il prete si mise primo per la scalettadebolmente illuminata dalampadine elettriche. A un trattodovela prima branca della scalettamonta sur un pianerottolole lampadinesi spensero. Benedettofermatosi con un piede sulpianerottoloudì la sua guida salir dicorsa una scalaa destra. Poi non udìpiù nulla. Pensò che la lucefosse mancata per casoche il pretefosse salito per farlariaccendere. Attese. Nessun lumenessun passonessuna voce. Montòsul pianerottolo; sentì asinistratentando l'aria buiauna parete;procedette verso destrasempre atentoni; si accorseurtandovi ilpiededi due diverse branche di scalache salivano dal pianerottolo.

Attese ancoranon dubitò che ilprete non avesse a ritornare.

Ma cinquedieci minuti passarono e ilprete non ritornava. Che potevaessere accaduto? Si era volutoingannarloderiderlo? Ma perché?Benedetto s'interdisse un sospettoinutile a discutere. Pensò inveceal partito da prendere. Aspettareancora non gli parve ragionevole.

Era da ridiscendere? Era da salire? Inquest'ultimo casoper qualedelle due vie? Si raccolse in sestessointerrogando l'Onnipresente.

Ridiscendereno. Gli ripugnava. Salìa caso una delle scalequellache conduce alle camere dei domestici.Era cortaBenedetto trovòsubito un altro pianerottolo. Ora egliaveva udito il prete salir dicorsa e di seguito molti scaliniilrumore de' suoi passi si eraperduto molto in alto. Ridiscesetentòl'altra scala. Era più lunga.

Il prete doveva avere salito quella.Decise di seguire il prete.

Giunto alla sommitàsbucòda una porticina in una loggia illuminatadalla luna. Si guardò attorno. Adestraquasi immediatamenteunacancellata partiva quella da un'altraloggia. Le due vi s'incontravanoad angolo retto. A sinistra la loggiaterminavaalquanto lontanoauna porta chiusa. La luna piena battevaper le grandi vetrate sulpavimentomostrava i fianchi delCortile di San Damaso e nellosfondotra le due grandi ali scure delPalazzoumili tettiglialberi di villa Cesile alture diSant'Onofrio. Tanto la porta disinistra quanto la cancellata di destraparevano chiuse. Benedettoguardòguardòa destrae a sinistra. Impronte antiche gli venivanoricomparendo poco a poco nella memoria.Sìin quella loggia egli erastato ancoraaveva veduto quellacancellata recandosi con un suoconoscentelettore della Vaticanaavisitare la Galleria dellelapidila via Appia del Vaticano.Eccosìadesso ricordava bene. Laporta di sinistrain fondo allaloggiadoveva mettere agliappartamenti del cardinale segretariodi Stato. La loggia oltre lacancellata era la loggia di Giovanni daUdinele grandi finestrecolle inferriateche mettevano nellaloggia di Giovanni da Udineerano le finestre dell'appartamentoBorgial'entrata della Galleriadelle lapidi doveva aprirsi proprionell'angolo. Allora presso lacancellata ci stava uno svizzero.Adesso non c'era nessuno. Tutto eradesertoa destra e a sinistratuttoera silenzio.

A tentar la porta del cardinalesegretario di Stato non era dapensare. Benedetto spinse lacancellata. Era aperta. Sostòsi trovòdavanti all'entrata della Galleriadelle lapidi. Stette ancora inascolto. Silenzio profondo. Gli parveche una voce interna glidicesse: «Salientra.»Salìfrancoi cinque gradini.

La via Appia del Vaticanolarga forsequanto l'anticanon aveva unalampada. Fiochi chiarori ne rigavano ilpavimentoa intervallidallafinestra che fra le lapidi e i cippi ei sarcofaghi pagani guardanoRoma. Da quelle della parete cristianache guardano il cortile delBelvederenon entrava lume. Il fondolontanoverso il museoChiaramontisi perdeva nelle tenebrepiù nere. Allorasentendosi neltacito cuore del Vaticano immensoBenedetto ebbe un sussulto diterrore sacro. Si accostò a unagrande finestra onde si vedeva CastelSant'Angeloinfiniti dispersi lumi nelpianoe all'orizzontepiùaltipiù splendentiquelli delQuirinale. La vistanon di Romailluminatama di una panca bassa esottilecoperta di tela verdeche correva lungo i cippi e isarcofaghigli quietò lo spirito.

Intravvide poi nell'ombra un padiglionemezzo disfatto. Che potevaessere? Anche lungo la parete oppostacorreva una panca egualeall'altra. Procedendourtò inqualche cosa che trovò essere unseggiolone a bracciuoli. Adesso alterrore era sottentrato unproposito sicuro. La interna voceimperiosa che gli aveva prima dettodi entrareora gli diceva: «Procedi».Glielo disse così chiarocosìforteche un subito baglioregl'illuminò la memoria.

Si percosse la fronte. Nella Visioneegli si era visto a colloquio colPapa. Questo non lo aveva potutodimenticare mai. Bensì avevadimenticatoe adesso glien'eraritornata la memoria in un lampochelo guidava per il Vaticano al Papa unospirito. Procedette lungo laparete di sinistra presso la qualeaveva urtato nel seggiolone. Siteneva sicuro che giunto al fondo dellaGalleria avrebbe trovatoun'uscita efinalmenteluce. Che nelfondo ci fosse il cancello delmuseo Chiaramonti non ricordava.Procedeva appoggiando spesso la manoalla paretealle lapidi. A un trattosentì che non toccava più némarmo né muro. Battéleggermente la parete col pugno. Era legnounaporta. Si fermòinvolontariamentesospeso. Un passo suonòdall'internouna chiave girònella toppauna lama di luce fendettedi sghembo la Galleriasi allargò;comparve una figura nerail preteche aveva abbandonato Benedetto sullascala. Egli uscì con un attorapidorichiuse la portadisse aBenedetto come se niente fossestato:

«Lei sta per trovarsi allapresenza di Sua Santità.» Lo fece entrare echiuse la porta daccaporimanendofuori.

Benedettoentrandonon vide che untavolinouna lucernetta colparalume verdeuna figura biancaseduta in faccia a luidietro iltavolino. Cadde ginocchioni.

La Figura bianca stese un braccio edisse:

«Alzati. Come sei venuto?»

Il viso incorniciato di capelli grigisingolarmente dolceavevaun'espressione di stupore. La vocedall'accento meridionaleeracommossa.

Benedetto si alzò e rispose:

«Dal Portone di bronzo fino a unluogo che non so indicare sono venutocol sacerdote che stava presso VostraSantità; poi sono venuto solo.»

«Conoscevi il Vaticano? Ti hannodetto che mi avresti trovato qui?»

Quando Benedetto gli ebbe risposto cheaveva visitato anni prima imusei vaticanile logge e la Gallerialapidaria una sola voltachealle logge non era salito dal Cortiledi San Damasoche non sapevaaffatto dove avrebbe trovato il SommoPonteficequesti tacque unmomentopensoso;poi dissebenignamenteaffettuosamenteindicandogli una sedia in faccia a lui:

«Siedifiglio mio.»

Se Benedetto non fosse stato assortonel volto ascetico e benigno delPapaavrebbementre il suo augustointerlocutore stava raccogliendoalcune carte sparse sul tavolinogirato lo sguardo non senzameraviglia per quella strana sala diricevimentoun polveroso caos divecchi quadridi vecchi libridivecchi mobiliun'anticamerasisarebbe dettodi qualche bibliotecadi qualche museo dove si fosserointraprese opere di riordino. Ma egliera assorto nel volto del Papanel magro cereo volto che aveva unaespressione ineffabile di purezzae di bontà. Si avvicinòpiegò il ginocchiobaciò la mano che ilSanto Padre gli stese dicendo congravità soave:

«Non mihised Petro.»

Quindi sedette. Il Papa gli porse unfogliogli avvicinò lalucernetta.

«Guarda» diss'egli.«Conosci la scrittura?»

Benedetto guardònon potéfrenare un'esclamazione di mesta riverenza.

«Sì» rispose«èla scrittura di un santo prete che ho molto amatoche è morto e si chiamava donGiuseppe Flores.»

Sua Santità riprese:

«Adesso leggi. Ad alta voce.»

Benedetto lesse.

 

«MonsignoreAffido al mio Vescovo il plicosuggellatochiuso insieme a questofoglietto in una busta recantel'indirizzo a Lei. Lo lasciò a me peressere aperto dopo la sua mortecomesopra vi è scrittoil signorPiero Maironiben conosciuto da Leiprima di scomparire dal mondo.

S'egli ancora viva o sia passato divitané so né ho modo di sapere.

Il plico deve contenere il racconto diuna visione di caratteresoprannaturale che il Maironi ebbe nelritornare a Dio dal fuoco diuna passione colpevole. Sperai allorache Iddio lo avesse veramenteeletto per ministro di qualchesingolare opera Sua. Sperai che lasantità dell'opera verrebbeconfermata dopo la morte del Maironi dallalettura di questo documentoche se nerivelerebbe un carattereprofetico. Lo sperai benché mifossi studiatoper prudenzadinascondere al Maironi stesso le miesperanze segrete.

Due anni sono trascorsi dal giorno incui egli scomparve e nulla si èmai saputo di lui. QuandoMonsignoreElla starà leggendo quello cheadesso io scrivosarò scomparsoanch'io. La prego di volersisostituire a me in questa custodiareligiosa. Ella ne disporrà secondola coscienza Sua come crederàmeglio.

E preghi per l'anima delSuo poveroDON GIUSEPPE FLORES.»

 

Benedetto depose lo scritto e guardòil Pontefice in visoaspettando.

«Sei tu Piero Maironi?»disse questi.

«SìSantità.»

Il Pontefice sorrise con bontà.

«Intanto» diss'egli «mirallegro che vivi. Quel Vescovo ti supposemortoaperse il plico e credette didoverlo rimettere al Vicario diCristo. Questo avvenne circa sei mesisonovivendo il mio santoPredecessore che ne parlò adalcuni cardinali e anche a me. Poi si èsaputo che vivevie dove e come. Oraio ti devo muovere alcunedomande. Ti esorto a rispondermi laesatta verità.»

Il Pontefice fermò gli occhigravi negli occhi di Benedetto che piegòlievemente il capo.

«Qui hai scritto» diss'egli«che stando in quella piccola chiesaveneta ti sei visto in Vaticano acolloquio col Papa. Cosa ricordi diquesta parte della tua visione?»

«La mia visione» risposeBenedetto «nel tempo che passai a SantaScolasticacirca tre annimi si vennespezzando nella memoriaancheperché il mio maestro spiritualedi Santa Scolasticacome il poverodon Giuseppe Floresmi ha sempreconsigliato di non tenerne conto.

Alcune parti ne restarono nettealtresi oscurarono. Che mi eroveduto in Vaticano a fronte del SommoPonteficemi restò sempre fissonella mente; ma non più di così.Invecepochi momenti sononellagalleria buia dalla quale sono entratoquami risovvenniimprovvisamente che nella Visione ioero guidato al Pontefice da unospirito. Me ne risovvenni quandotrovandomi solodi notteal buioin un luogo ignoto o quasi ignotoperché c'ero stato una volta solamolti anni addietrosenz'avere un'ideadella direzione che avreidovuto tenerefui per ritornare suimiei passi e una voce internamolto chiaramolto fortemi disse diandare avanti.»

«E quando hai bussato alla porta»chiese il Papa«sapevi di trovarmiqui? Sapevi di bussare alla porta dellaBiblioteca?»

«NoSantità. Nonintendevo neppure di bussare. Ero al buiononvedevo nienteintendevo di saggiarecolla mano la parete.»

Il Papa stette alquanto sopra pensieroe poi osservò che nelmanoscritto ci stava pure «primami guidava un uomo vestito di nero.»

Di questo Benedetto non aveva memoria.

«Sai» riprese il Papa «cheil profetare non èper sé solosufficiente prova di santità.Sai che si possono avereche si sonoavute visioni profetichenon dico peropera di spiriti maligninoine sappiamo troppo poco per poterlodirema insomma per effetto diforze occulteforze insite alla naturaumanale qualia ogni modonon hanno che fare colla santità.Puoi dirmi le disposizionidell'anima tua quando hai avuto laVisione?»

«Sentivo» rispose Benedetto«un amarissimo dolore di essermiallontanato da Diodi averne respintoi richiamiuna gratitudineinfinita per la Sua paziente bontàun infinito desiderio di Cristo.

Mi ero appena viste nella menteproprio visteproprio distintebianche sopra un fondo neroquesteparole del Vangelo che primaneltempo buonomi erano state tanto care«Magister adest et vocat te."Don Giuseppe Flores celebrava e laMessa era presso alla fine quandostando in preghieracon gli occhicoperti dalle maniebbi lavisione; ma istantaneafulminea!»

Benedetto ansava nel ritorno violentodelle memorie.

«Ha potuto essere un'illusione»diss'egli. «Opera di spiriti malignino.»

«Gli spiriti maligni» disseil Pontefice «possono trasfigurarsi inangeli di luce. Possono avere operatoallora contro lo spirito buonoch'era in te. Ti sei inorgoglito poidi questa visione?»

Benedetto piegò il capo e pensòalquanto.

«Forse una volta»diss'egli«per un momentoa Santa Scolasticaquando il mio maestroa nomedell'Abatemi offerse una veste diconversola veste che poi mi fu toltaa Jenne. Allora pensai per unmomento che questa offerta inattesaconfermasse l'ultima parte dellaVisione e n'ebbi un moto dicompiacenzami stimai oggetto di unapredilezione divina. Ne domandai subitoperdono a Dio e adesso nedomando perdono a Vostra Santità.»

Il Pontefice non parlòma lasua mano si alzò spiegata e ridiscese inun atto d'indulgenza. Egli si diede poia maneggiare le carte diverseche aveva sul tavolinoparveconsultarne attentamente più d'una.

Quindi le posòle raccolselefece da bandariprese a parlare.

«Figlio mio» diss'egli«tidevo domandare altre cose. Hai nominatoJenne. Io neppure sapevo che esistessequesto Jenne. Me lo hannodescritto. Diciamo il veronon sicapisce perché tu ti sia andato acacciare a Jenne.»

Benedetto sorrise lievemente ma nonvolle discolparsiinterrompere ilPapail quale continuò:

«E' stata un'idea disgraziataperché chi può dire bene cosa succede aJenne? Sai di aver avuto lassùdella gente che ti vedeva di malocchio?»

Benedetto pregò semplicementeSua Santità che lo dispensasse dalrispondere.

«Ti capisco» rispose ilPapa «e debbo dire che la tua preghiera ècristiana. Tu non dirai niente ma ionon posso tacere che sei statoaccusato di molte cose. Lo sai?»

Benedetto sapeva di un'accusa sola oalmeno ne dubitava. Il Papa aveval'aria più imbarazzata di lui.Egli era sereno.

«Ti accusano» ripigliòil Papa «di esserti spacciatoa Jenneper untaumaturgo e di essere stato causaperquesti tuoi vantiche undisgraziato morisse in casa tua. Siarriva persino a dire ch'egli èmorto per certi beveraggi che gli haidati. Ti accusano di averepredicato al popolo piuttosto daprotestante che da cattolico eanche...»

Il Santo Padre esitò. Al suopudore verginale ripugnava persinoaccennare a certe cose.

«Di relazioni non lecite»disse «con la maestra del paese. Cosarispondifiglio mio?»

«Santo Padre» risposeBenedettotranquillo«lo Spirito risponde perme nel Suo cuore.»

Il Pontefice lo guardòattonitoma non solamente attonito; anche unpoco turbatocome se Benedetto gliavesse letto nell'anima. Il visogli si dipinse di un lieve rossore.

«Spiegati» diss'egli.

«Iddio mi dona di leggere nel Suocuore che Lei non crede ad alcuna diquelle accuse.»

A queste parole di Benedetto il Papacontrasse lievemente lesopracciglia.

«Adesso» riprese Benedetto«Vostra Santità pensa che io mi attribuiscauna chiaroveggenza miracolosa. Noèuna cosa che vedo nel Suo visoche sento nella Sua voceda poverouomo comune quale sono.»

«Forse tu sai» esclamòil Papa «chi è stato in questi giorni da me!»

Egli aveva fatto chiamare a Romal'arciprete di Jennelo avevainterrogato su Benedetto. L'arcipretetrovato un Papa di suo genioun Papa ben diverso dai due zelanti chelo avevano intimorito a Jennenon aveva perduta l'occasione dimettersi facilmente in pace collapropria coscienzaaveva dato sfogo airimorsi lodando e rilodando.

Benedetto non ne sapeva niente.

«No» rispose«non loso.»

Il Pontefice tacquema il suo visolemanila intera personatradivano una viva inquietudine. Eglisi abbandonò finalmente sullaspalliera della s seggiolachinòil capo sul pettostese le bracciaal tavolino e appoggiatevi le maniunapresso l'altrapensò.

Mentre pensavaimmobilefissi gliocchi nel vuotola fiamma dellalucernina a petrolio salìfumigandorossanel tubo. Egli non sen'avvide subito. Quando se n'avvide laregolò e poi ruppe il silenzio.

«Credi tu» diss'egli «avereveramente una missione?»

Benedetto risposecon una espressionedi fervore umile:

«Sìlo credo.»

«E perché lo credi?»

«Santitàperchéciascuno viene al mondo con una missione scrittanella sua natura. Quand'anche nonavessi avuto visioni né altri segnistraordinarila mia natura ch'èreligiosa mi imporrebbe il dovere diun'azione religiosa. Come posso dirlo?Eccolo dirò...» Qui la vocedi Benedetto tremò di emozione«...come non l'ho detto a nessuno. Iocredoio so che Dio è il nostroPadre di tuttima io sento nella mianatura la Sua paternità. Quasinon è un dovere il mioè un sentimentodi figlio.»

«E credi avere il cómpitodi esercitarla quiadessoun'azionereligiosa?»

Benedetto giunse le mani come seimplorasse già di venire ascoltato.

«Sì» diss'egli«anche quianche adesso.»

Ciò dettopose un ginocchio aterra tenendo sempre giunte le mani.

«Alzati» disse il SantoPadre. «Di' liberamente quello che lo Spiritoti consiglia.»

Benedetto non si alzò.

«Mi perdoni» diss'egli«iodevo parlare al solo Pontefice e qui nonmi ascolta il solo Pontefice!»

Il Papa trasalìlo interrogòcon gli occhi severo.

Benedetto porse un poco il mentoinarcando le sopraccigliaverso unaporta grande alle spalle del Papa.

Questi prese un campanello di argentoche stava sul tavolinoaccennòimperiosamente a Benedetto di alzarsi esuonò. Ricomparve dalla portadella Galleria il prete di prima. IlPapa gli ordinò di far venire inGalleria don Teofiloil camerierefedele che aveva portato con sédalla sua sede arcivescovile delMezzogiorno. Venuto don Teofiloegliandrebbe ad attendere Sua Santitànella sala della Biblioteca.

«Ripasserai di qua»diss'egli.

Parecchi minuti trascorsero nell'attesasilenziosa che coluirientrasse. Il Ponteficepensosononalzò mai gli occhi daltavolino. Benedettoin pieditenevachiusi i suoi. Li aperse quandorientrò il prete. Uscito che fucostui per la porta sospettail Papaaccennò con la mano e Benedettoparlò a voce bassa. Il Pontefice loascoltava stringendo i bracciuoli dellasediaporta in avanti lapersona e chino il viso.

«Santo Padre» disseBenedetto«la Chiesa è inferma. Quattro spiritimaligni sono entrati nel suo corpo perfarvi guerra allo SpiritoSanto. Uno è lo spirito dimenzogna. Anche lo spirito di menzogna sitrasfigura in angelo di luce e moltipastorimolti maestri dellaChiesamolti fedeli buoni e piiascoltano devotamente lo spirito dimenzogna credendo ascoltare un angelo.Cristo ha detto: «io sono laVerità" e molti nellaChiesa anche buonianche piiscindono laVerità nel loro cuorenon hannoriverenza per la Verità che nonchiamano religiosatemono che laVerità distrugga la VeritàpongonoDio contro Diopreferiscono le tenebrealla luce e così ammaestranogli uomini. Si dicono fedeli e noncomprendono quanto scarsa e codardaè la loro fedequanto èloro straniero lo spirito dell'apostolo chetutto scruta. Adoratori della letteravogliono costringere gli adultia un cibo d'infanti che gli adultirespingononon comprendono che seDio è infinito e immutabilel'uomo però se ne fa un'idea sempre piùgrande di secolo in secolo e che ditutta la Verità Divina si può direcosì. Essi sono causa di unafunesta perversione della Fedechecorrompe tutta la vita religiosa;perché il cristiano che con unosforzo si è piegato ad accettarequello ch'essi accettano e arespingere quello che respingonocredeaver già fatto il più perservire Iddiomentre ha fatto meno cheniente e gli resta di viverela fede nella parola di Cristonelladottrina di Cristogli resta divivere il "fiat voluntas tua"che è tutto. Santo Padreoggi pochicristiani sanno che la religione non èprincipalmente adesionedell'intelletto a formole di veritàma che è principalmente azione evita secondo questa veritàeche alla Fede vera non rispondonosolamente doveri religiosi negativi eobblighi verso l'autoritàecclesiastica. E quelli che lo sannoquelli che non scindono laVerità nel loro cuorequelliche hanno il culto supremo di DioVeritàche ardono di una fedeimpavida in Cristonella Chiesa enella Veritàne conoscoSantoPadre!quelli sono combattutiacrementesono diffamati come ereticisono costretti al silenziotutto per opera dello Spirito dimenzognache lavora da secoli nellaChiesa una tradizione d'inganno per laquale coloro che oggi loservono si credono di servire Iddiocome lo credettero i primipersecutori dei cristiani. Santità...»

Qui Benedetto pose un ginocchio aterra. Il Papa non si mosse. Parevaaver abbassato il capo ancora di più.Il zucchetto bianco era quasitutto nel lume della lucernina.

«...io ho letto proprio oggigrandi parole di Lei ai Suoi diocesaniantichisulla molteplice rivelazionedi Dio Verità nella Fede e nellaScienzae anche direttamentemisteriosamentenell'anima umana.

Santo Padremoltimoltissimi cuori disacerdoti e di laiciappartengono allo Spirito Santo; loSpirito di menzogna non ha potutoentrarvi neppure sotto una vesteangelica. Dica una parolaSantoPadrefaccia un atto che rialzi questicuori devoti alla Santa Sededel Pontefice romano! Onori davanti atutta la Chiesa qualcuno diquesti uominidi questi sacerdoti chesono combattuti dallo Spiritodi menzognane sollevi qualcunoall'episcopatone sollevi qualcunoal Sacro Collegio! Anche questoSantoPadre! Consigli esegeti eteologise è necessarioacamminare prudenti poiché la scienza nonprogredisce che a patto di essereprudente; ma non lasci colpiredall'Indice né dal Sant'Uffizioper qualche soverchio ardimentouomini che sono l'onore della Chiesache hanno la mente piena diVerità e il cuore pieno diCristoche combattono per la difesa dellafede cattolica! E poiché VostraSantità ha detto che Iddio rivela lesue verità anche nel segretodelle animenon lasci moltiplicare ledivozioni esterneche bastanoraccomandi ai Pastori la pratica el'insegnamento della preghierainteriore!»

Benedetto tacque un momento spossato.Il Papa alzò il visoguardòl'uomo inginocchiato che lo fissava conocchi dolorosiluminosi sottole sopracciglia contrattevibrandonelle mani giunte dove siappuntava lo sforzo dello spirito. Ilviso del Papa tradiva unacommozione intensa. Egli voleva dire aBenedetto che si alzassechesedesse; e non parlò per timoredi tradire la commozione anche nellavoce. Insistette a cennitanto cheBenedetto si alzò e presa la suaseggiolaappoggiatevi alla spallierale mani ancora giuntericominciò a parlare.

«Se il clero insegna poco alpopolo la preghiera interiore che risanal'anima quanto certe superstizioni lacorromponoè per causa delsecondo spirito maligno che infesta laChiesa trasfigurato in angelodi luce. Questo è lo spirito didominazione del clero. A queisacerdoti che hanno lo spirito didominazione non piace che le animecomunichino direttamente e normalmentecon Dio per domandarneconsiglio e direzione. A buon fine! IlMaligno inganna così la lorocoscienza; a buon fine! Ma le voglionodirigere essi in qualità dimediatori e queste anime diventanofiacchetimideservili. Nonsaranno molteforse; i peggiorimaleficii dello spirito didominazione sono diversi. Egli hasoppressa l'antica santa libertàcattolica. Egli cerca faredell'obbedienzaanche quando non è dovutaper leggela prima delle virtù.Egli vorrebbe imporre sottomissioninon obbligatorieritrattazioni controcoscienzadovunque un gruppod'uomini si associa per un'opera buonaprenderne il comandoesedeclinano il comandorifiutar lorol'aiuto. Egli tende a portarel'autorità religiosa anche fuoridel campo religioso. Lo sa l'ItaliaSanto Padre. Ma cosa è l'Italia?Non è per essa che io parloè pertutto il mondo cattolico. Santo PadreElla forse non lo avrà provatoancorama lo spirito di dominazionevorrà esercitarsi anche sopra diLei. Non cedaSanto Padre! Ella èil Governatore della Chiesanonpermetta che altri governi Leinon siail Suo potere un guanto perinvisibili mani altrui. Abbiaconsiglieri pubblici e siano i vescoviraccolti spesso nei Concilii nazionalie faccia partecipare il popoloalle elezioni dei vescovi scegliendouomini amati e riveriti dalpopoloe i vescovi si mescolino alpopolo non solamente per passaresotto archi di trionfo e farsi salutaredal suono delle campane ma perconoscere le turbe e per edificarle aimitazione di Cristoinvece distarsene chiusi da principi orientalinegli episcopiicome tantifanno. E lasci loro tutta l'autoritàche è compatibile con quella diPietro!Santitàposso parlare ancora?»

Il Papache da quando Benedetto avevaricominciato a parlare gliteneva gli occhi in visorispose conun lieve abbassar del capo.

«Il terzo spirito maligno»riprese Benedetto «che corrompe la Chiesanon si trasfigura in angelo di luceperché saprebbe di non poteringannaresi accontenta di vestire unacomune onestà umana. E' lospirito di avarizia. Il Vicario diCristo vive in questa reggia comevisse nel suo episcopiocon un cuorepuro di povero. Molti Pastorivenerandi vivono nella Chiesa coneguale cuorema lo spirito dipovertà non vi èbastantemente insegnato come Cristo lo insegnòlelabbra dei ministri di Cristo sonotroppo spesso troppo compiacenti aicupidi dell'avere. Quale di essi piegala fronte con ossequio a chi hamolto solamente perché ha moltoquale lusinga con la lingua chiagogna moltoe il godere la pompa egli onori della ricchezzal'aderire con l'anima alle comoditàdella ricchezza pare lecito a'troppi predicatori della parola e degliesempi di Cristo. Santo Padrerichiami il clero a meglio usare versoi cupidi dell'averesienoricchisieno poverila caritàche ammonisceche minacciacherampogna. Santo Padre!»

Benedetto tacquefissando il Papa conuna espressione intensa diappello.

«Ebbene?» mormorò ilPapa.

Benedetto allargò le braccia eriprese:

«Lo spirito mi sforza a dire dipiù. Non è opera di un giorno ma siprepari il giornoe non si lasciquesto compito ai nemici di Dio edella Chiesasi prepari il giorno incui i sacerdoti di Cristo dienol'esempio della effettiva povertàvivano poveri per obbligo come perobbligo vivono castie servano loro dinorma per questo le parole diCristo ai Settantadue. Il Signorecirconderà gli ultimi fra loro ditale onoredi tale riverenza quale oranon è nel cuore della genteintorno ai Principi della Chiesa.Saranno pochi ma la luce del mondo.

Santo Padrelo sono essi oggi?Qualcuno lo è; i più non sono né lucené tenebre.»

Quiper la prima voltail Ponteficeassentì del capomestamente.

«Il quarto spirito maligno»proseguì Benedetto «è lo spiritod'immobilità. Questo sitrasfigura in angelo di luce. Anche icattoliciecclesiastici e laicidominati dallo spirito d'immobilitàcredono piacere a Dio come gli ebreizelanti che fecero crocifiggereCristo. Tutti i clericaliSantitàanzi tutti gli uomini religiosiche oggi avversano il cattolicismoprogressistaavrebbero fattocrocifiggere Cristo in buona fedenelnome di Mosè. Sono idolatri delpassatotutto vorrebbero immutabilenella Chiesasino alle forme dellinguaggio pontificiosino ai flabelliche ripugnano al cuoresacerdotale di Vostra Santitàsino alle tradizioni stolte per lequali non è lecito a uncardinale di uscire a piedi e sarebbescandaloso che visitasse i poveri nelleloro case. E' lo spiritod'immobilità che volendoconservare cose impossibili a conservare ciattira le derisioni degl'increduli;colpa grave davanti a Dio!»

Il petrolio veniva mancando nellalucernail cerchio delle tenebre sistringevasi addensava intorno e soprala breve sfera di luce in cuisi disegnavanol'una in facciaall'altrala bianca figura delPontefice seduto e la bruna diBenedetto in piedi.

«Contro lo spirito d'immobilità»disse questi «io La supplico di nonpermettere che siano posti all'Indice ilibri di Giovanni Selva.»

Quindiposta la seggiola da bandas'inginocchiò nuovamentestese lemani al Ponteficeparlò piùtrepido e più acceso:

«Vicario di Cristoio Lascongiuro di un'altra cosa. Sono unpeccatore indegno di venire paragonatoai Santi ma lo Spirito di Diopuò parlare anche per la boccapiù vile. Se una donna ha potutoscongiurare un Papa di venire a Romaio scongiuro Vostra Santità diuscire dal Vaticano. Uscite SantoPadre; ma la prima voltaalmeno laprima voltauscite per un'opera delvostro ministero! Lazzaro soffree muore ogni giornoandate a vedereLazzaro. Cristo chiama soccorsoin tutte le povere creature umane chesoffrono. Ho visto dallaGalleria delle lapidi i lumi chefronteggiano un altro palazzo diRoma. Se il dolore umano chiama in nomedi Cristolà si risponderàforse: "no" ma si va. DalVaticano si risponde: "sì" a Cristoma nonsi va. Che dirà CristoSantoPadrenell'ora terribile? Queste parolemiese fossero conosciute dal mondomi frutterebbero vituperi da chipiù si professa devoto alVaticanoma per vituperi e fulmini che misi scagliassero non griderei io finoalla morte: che dirà Cristo? Chedirà Cristo? A Lui mi appello.»

La fiammella della lucerna mancavamancava; nella breve sfera di lucefioca che le tenebre premevano non sivedeva quasi più di Benedettoche le mani stesenon si vedeva quasipiù del Papa che la destraposata sul campanello di argento.Appena Benedetto tacqueil SantoPadre gli ordinò di alzarsipoiscosse il campanello due volte. Laporta della Galleria si aperse entròil fido cameriere già popolare inVaticano col nome di don Teofilo.

«Teofilo» disse il Papa«in Galleriaè riaccesa la luce?»

«SìSantità.»

«Allora passa in Biblioteca dovetroverai monsignore. Digli che vengaquache mi aspetti. E tu provvedigliun'altra lucerna.»

Ciò dettoSua Santità sialzò. Era piccolo di statura e tuttavia unpo' curvo. Mosse verso la porta dellaGalleria accennando a Benedettodi seguirlo. Don Teofilo uscìdalla parte opposta. Triste presagionella buia sala dov'eran corse tantefiamme di parole accese dalloSpiritonon rimase che la piccolalucernina morente.

 

La galleria delle lapidilàdove il Papa e Benedetto vi entraronoera semibuia. Ma nel fondo una grandelampada a riflettore illuminaval'iscrizione commemorativa a destradella porta che mette nella loggiadi Giovanni da Udine. Fra le grandi alidi lapidi schierate da capo afondo della Galleria che guardavanol'oscuro dibattito delle due animeviventi come testimoni muti che giàconoscessero i misteri di oltretomba e del giudizio divinoil Papa siavanzava lentosilenziososeguitoun passo indietro e asinistrada Benedetto. Sostò unmomento presso il torso del fiumeOronteguardò dalla finestra.

Benedetto si domandò seguardasse i lumi del Quirinalepalpitòattendendo una parola. La parola nonvenne. Il Papa ripresetacendosempreil suo lento andarecon lemani congiunte dietro il dorsoeil mento appoggiato al petto. Sostòpresso al fondonella luce dellagrande lampada; parve incerto seritornare o procedere. A sinistradella lampada la porta della Galleriasi apriva sopra uno sfondo dinottedi lunadi colonnedi vetridi pavimento marmoreo. Il Papasi avviò a quella voltascese icinque gradini. La luna batteva perisghembo sul pavimento rigato dalleombre nere delle colonnetagliatoin fondo alla loggia dall'obliquoprofilo dell'ombra pienadentro laquale mal si discemeva il busto diGiovanni.

Il Papa percorse la loggia fino aquell'ombravi entròvi sitrattenne. Intanto Benedettofermatosimolti passi indietro per nonaver l'aria di premere irriverentementenel desiderio di una rispostamirava l'astro veleggiante fra nuvolegrandi su Roma. Mirando l'astrodomandò a séa qualcheInvisibile che gli fosse vicinoquasi ancheallo stesso volto severo e triste dellalunase avesse troppo osatomale osato. Si pentì subito delsuo dubbio. Aveva forse parlato egli?Oh nole parole gli erano venute allelabbra senza meditazioneavevaparlato lo Spirito. Chiuse gli occhi inuno sforzo di preghieramentale ancora levando la faccia versol'astrocome un cieco cheporgesse il viso avido al divinatosplendore di argento.

Una mano lo toccò lievementesulla spalla. Trasalì e aperse gli occhi.

Era il Papa e il suo viso diceva comeavesse finalmente maturate nelpensiero parole che lo appagavano.Benedetto chinò il caporispettosamente ad ascoltarlo.

«Figlio mio» disse SuaSantità«alcune di queste cose il Signore leha dette da gran tempo anche nel cuoremio. TuDio ti benedicate laintendi col Signore solo; io devointendermela anche cogli uomini cheil Signore ha posto intorno a me perchéio mi governi con essi secondocarità e prudenza; e devo sovratutto misurare i miei consiglii mieicomandialle capacità diversealle mentalità diverse di tantimilioni di uomini. Io sono un poveromaestro di scuola che di settantascolari ne ha venti meno che mediocriquaranta mediocri e dieci solibuoni. Egli non può governare lascuola per i soli dieci buoni e ionon posso governare la Chiesa soltantoper te e per quelli chesomigliano a te. Vediper esempio:Cristo ha pagato il tributo alloStatoe ionon come Pontefice ma comecittadinopagherei volentieriil mio tributo di omaggio là inquel palazzo di cui hai veduto i lumise non temessi di offendere cosìi sessanta scolaridi perdere ancheuna sola delle loro anime che mi sonopreziose come le altre. E cosìsarebbe se io facessi togliere certilibri dall'Indicese chiamassinel Sacro Collegio certi uomini chehanno fama di non essererigidamente ortodossisescoppiandouna epidemiaandassi"exabrupto"a visitare gli ospedalidi Roma.»

«Oh Santità!»esclamò Benedetto «mi perdoni ma non è sicuro chequesteanime disposte a scandolezzarsi delVicario di Cristo per ragionisimili poi si salvinoe invece èsicuro che si acquisterebbero tantealtre anime le quali non siacquistano!»

«E poi» continuò ilPapa come se non avesse udito «sono vecchiosonostancoi cardinali non sanno chi hannomesso quinon volevo. Sonoanche ammalatoho certi segni di doverpresto comparire davanti almio Giudice. Sentofiglio mioche tuhai lo spirito buono ma ilSignore non può volere da unpoveruomo come me le cose che tu dicicose a cui non basterebbe neppure unPontefice giovine e valido. Peròvi sono cose che anch'io con il Suoaiutopotrò fare; se non le cosegrandialmeno altre cose. Le cosegrandi preghiamo il Signore chesusciti chi a loro tempo le sappia faree chi sappia bene aiutare afarle. Figlio miose io mi metto dastasera a trasformare ilVaticanoa riedificarlodove trovopoi Raffaello che lo dipinga? Eneppure questo Giovanni? Non dico peròdi non fare niente.»

Benedetto era per replicare. IlPonteficeforse per non volersispiegare di piùnon glienelasciò né il modo né il tempogli feceuna domanda gradita.

«Tu conosci Selva»diss'egli. «Privatamenteche uomo è?»

«E' un giusto» si affrettòa rispondere Benedetto. «Un gran giusto. Isuoi libri sono stati denunciati allaCongregazione dell'Indice. Forsevi si troveranno alcune opinioni arditema non vi è confronto fra lareligiosità calda e profonda deilibri di Selva e il formalismofreddomisero di altri libri checorronopiù del Vangeloper lemani del clero. Santo Padrelacondanna di Selva sarebbe un colpoalle energie più vive e piùvitali del Cattolicismo. La Chiesa tolleramigliaia di libri ascetici stupidi cherimpiccioliscono indegnamentel'idea di Dio nello spirito umano; noncondanni questi che laingrandiscono!»

Le ore suonarono da lontano. Nove emezzo. Sua Santità prese tacendouna mano di Benedettola chiuse fra lesuegli fece intendere conquella muta stretta sensi e consensitrattenuti dalla bocca prudente.

La strinsela scossel'accarezzòla strinse ancoradissefinalmente con voce soffocata:

«Prega per meprega che ilSignore m'illumini.» Due lagrimebrillavano nei belli occhi soavi divecchio che mai non si macchiò diun volontario pensiero impurodivecchio tutto dolcezza di carità.

Benedetto non riuscìper lacommozionea parlare.

«Vieni ancora» disse ilPapa. «Dobbiamo discorrere ancora.»

«QuandoSantità?»

«Presto. Ti faròavvertire.»

Intanto l'ombraavanzandoavevainghiottito la Figura bianca e laFigura nera. Sua Santità poseuna mano sulla spalla di Benedettoglidomandò sommessamentequasiesitante:

«Ricordi la fine della tuavisione?»

Benedetto risposepure sottovoceabbassando il viso:

«Nescio diem neque horam.»

«Non sono nel manoscritto»riprese Sua Santità. «Ma ricordi?»

Benedetto mormorò:

«In abito benedettinosulla nudaterraall'ombra di un albero.»

«Se così sarà»riprese il Santo Padredolcemente«ti voglio benedireper quel momento. Allora sarò adaspettarti in cielo.»

Benedetto s'inginocchiò. La vocedel Papa suonò solenne nell'ombra:

«Benedico te in nomine Patris etFilii et Spiritus Sancti.»

Il Papa risalì rapidamente icinque gradiniscomparve.

Benedetto rimase ginocchioniassortoin quella benedizione che gliera parsa venire da Cristo. Si alzòal suono di un passo nellaGalleria. Pochi momenti dopo egliscendevaaccompagnato da donTeofiloal Portone di bronzo.

 

 

3.

La camera al quarto pianoera appenadecente. Un letto di ferrountavolino da notteuno scrittoio conpochi libri logori e sfasciatiun cassettone di abeteun lavamani diferroqualche sediaimpagliatan'erano tutto il mobiglio.Un abito grigio pendeva da unchiodoun cappello nero a cenciodaun altro. Un baglior frequentedi lampi entrava dalla finestra apertaentravano soffi della buianotte burrascosafacevano oscillare lafiammella della lampada apetrolio che ardeva sul tavolino danotteoscillare il lume e leombre sulle lenzuola non tanto bianchesu due mani scarnesur unfascio di rose sciolto fra due manisulla camicia di flanelladell'uomo infermoche si era tratto sua sederesul suo viso rugosomagrogrigiastro di barba d'un mese.Dall'altra parte del lettopoveronella penombrastava Benedettoin piedi. L'uomo infermoguardava i fiori e taceva. Le sue manianche le sue labbratremavano.

Egli era stato frate. A trent'anniaveva gettato la cocolla e presomoglie. Uomo di poco ingegno e di pochistudiera vissuto miseramentecolla moglie e con due figliuolefacendo lo scrivano. La moglie eramortale figliuole si erano date allamala vita. Si spegnevalentamente anche luiadessoin quelquarto piano di via dellaMarmoratapresso all'angolo di viaManuzioconsunto dalla miseriadalla tabedall'animo amaro.

Un singhiozzo irrefrenabile gli ruppedal petto. Allargò le bracciaraccolse e strinse a sé il capodi Benedetto e subito fece atto direspingerlosi coperse il viso collemani.

«Non son degno! non son degno!»diss'egli.

Ma Benedetto gli abbracciò allasua volta il capoglielo baciòrispose:

«Neppure io son degno di questagrazia che mi fa il Signore.»

«Quale grazia?» chiesel'infermo.

«Che Lei pianga con me!»

Così dicendo Benedetto si levòdall'abbraccio; e durava a fissareaffettuosamente il vecchio. Questi loguardò attonitocome per dire:

«voi sapete?». Egli accennòdel capo lievementesilenziosamentedisì.

Colui non sospettava che il suo passatofosse conosciuto. Abitava lìda tre anni. Una vicina piùvecchia di luiuna povera gobbinacaritatevole e piagli rendeva deiservigilo assisteva nelle sueinfermitàtrovava modo disoccorrerlo con le due lire giornaliere dipensione ch'erano tutta la suasostanza. Aveva saputo dai portinaich'egli era un frate sfratatolovedeva tanto tristetanto umiletanto riconoscentepregava sera emattina la Madonna e tutti i Santidel Paradiso che le facessero la graziadi aiutarla presso Gesù chegli perdonasse e lo facesse ritornarein grembo alla Chiesa.

Raccontava le sue pene e le suesperanzead altre vecchiette piediceva:

«Non oso pregarlo ioGesù;quel disgraziato gliel'ha fatta troppogrossa. Ci vuole anche un pezzo grossoche preghi.»

Quel giorno il vecchio le era andatodicendo più volte che sarebbestato felice di avere delle rose.Allora la gobbina aveva pensato

«C'è l'uomo santo di cuitutti parlanoche fa il giardiniere. Iovadogli racconto la cosagli dicoche le rose gliele porti lui echi sa cosa ne può venire!»

Aveva pensato così e subito siera detta:

«Questo pensierose non mi vienedalla Madonnami viene sicuro daSant'Antonio!»

Allora il semplice suo cuore puro avevadato un'ondata di dolcezza edi letizia. Senza por tempo in mezzoella era andata a villa Maydaalla elegante villa pompeianabiancheggiante sull'Aventino fra lebelle palmequasi in faccia allafinestra del vecchio ex-frate.

Benedetto stava per coricarsi inobbedienza al professore che gliaveva trovato la febbrela piccolafrodolenta febbre che di tempo intempo lo rodeva da qualche settimanasenz'altre sofferenze. Udito diche si trattavaera venuto subitocolle rose.

 

Il vecchio si coperse ancora il visovergognando. Poisenza piùguardare Benedettoparlò dellerosespiegò il perché del suodesiderio. Era figlio di ungiardiniereavrebbe voluto fare ilgiardiniere anche lui ma gli piaceva difrequentare le chiese e i suoitrastulli erano tutti di cose sacre:altarinicandelabribusti divescovi mitrati. I padronigentereligiosissimaavevano lasciatointendere ai suoi genitori che se glisi fosse manifestata lavocazione ecclesiasticalo avrebberofatto educare a proprie spese; ei genitori lo avevano destinatosenz'altro a quella via. Egli si eraaccorto ben presto di non avere forzebastanti a tener le promessesacerdotali; ma neppure gli bastòl'animo di prendere una risoluzioneche avrebbe afflitto i suoimortalmente. Invece si figurò che seuscisse del tutto dal mondo potrebbeforse andar salvoe seguendoimprudenti consigli entrò làond'ebbe poi a venir fuori malesi fecedi quella frateria della quale solevadire più tardiquesto non loraccontòscherzandocopertamente cogli amici: «quando stavo alreggimento». Ragazzoaveva amatoi fiori; dall'entrata nel Seminarioin poi non ci aveva pensato piùmai piùper quarant'anni. La notteprima della visita di Benedetto avevasognato un gran rosaio delgiardino dove era trascorsa la suafanciullezza. Le bianche rosepiegavano tutte a luilo guardavanonel mondo dei sognicomecuriose anime pie un pellegrino nelmondo delle ombre. Gli dicevano:

«dove vaidove vaipoveroamicoperché non ritorni a noi?»

Destatosiaveva sentito un desideriodi roseteneropungente finoalle lagrime. E quante rose adesso sulsuo lettoper la bontà di unapersona santaquante belleodorantirose! Tacque e fissava Benedettoa bocca semiapertalucenti gli occhidi una domanda dolorosa: tu saitu comprendi cosa pensi di me? Pensiche vi sia speranza di perdono?Benedettocurvo sull'ammalatoprese aparlargli accarezzandolo. Lavena delle parole soavi fluiva con unsuono vario di tenerezza oralieta ora dolente. Ora il vecchio nepareva beatoora usciva indomande affannose; subito allora lafluida vena soave gli ristoravabeatitudine in viso. Intanto la gobbinaandava e veniva col rosario inmano dalla sua camera all'uscio delvicinodivisa fra il desiderio diprecipitare le avemarie in quel momentodecisivo e il desiderio diudire se là dentro parlasserocosa dicessero.

Ma giù nella strada si eravenuta raccogliendomalgrado il cattivotempodella gente che aspettava ilSanto di Jenne. Una merciaia loaveva veduto entrare colle rose inmanoaccompagnato dalla gobbina.

In un batter d'occhio si eranoaggruppate davanti alla porta forsecinquanta personedonne la maggiorpartequali per vederloqualiper avere una sua parola. Aspettavanopazientementeparlando pianocome se fossero in chiesadiBenedettodei miracoli che facevadelle grazie che avrebbero implorate dalui. Sopraggiunse un ciclistascese dalla biciclettadomandòil perché di quell'assembramentosifece informare appuntino del luogo dovestava il Santo di Jenne erisalito in macchina ripartì digran corsa. Poco dopouna botteseguita dal ciclista di prima venne afermarsi davanti alla porta. Nediscese un signore che attraversòl'assembramento ed entrò in casa. Ilciclista rimase presso la botte.L'altro parlò col portinaiosi feceaccompagnare da lui fino all'uscio dovela gobbina stava col suorosario in manopalpitante. Bussòmalgrado le tacite giaculatorie dilei che implorava la Madonna diallontanare quell'importuno. Benedettovenne ad aprire.

«Scusi» disse coluicortesemente. «Lei è il signor Pietro Maironi?»

«Non porto più questonome» rispose Benedettotranquillo«ma l'hoportato.»

«Mi rincresce d'incomodarla. Lesarei grato se si compiacesse divenire con me. Le dirò poidove.»

L'infermo udì queste paroledello sconosciuto e gemette:

«Nosant'uomonon andate viaper amor di Dio!»

Benedetto rispose:

«Favorisca dirmi il Suo nome eperché dovrei venire con Lei.»

L'altro parve imbarazzato.

«Ecco» disse. «Sonoun delegato di P. S.»

L'infermo esclamò: «Gesummaria!»e la gobbinaesterrefattalasciòcadere il rosarioguardòBenedetto che non poté trattenere un atto disorpresaIl delegato si affrettò asoggiungere sorridendoche la sua visitanon aveva un significato troppopaurosoch'egli non era venuto adarrestare nessunoche non aveva acomunicare ordinima solamente uninvito.

Siccome gl'inviti della Questura hannoun carattere specialeBenedetto non pensò a scusarsidomandò di restar solo con l'infermo econ la donna per cinque minutisussurrò qualche cosa all'orecchio delprimo che parve assentire con lagrimenella voceprese la gobbina dapartele disse che l'infermo eradisposto a ricevere un sacerdotech'egli non sapeva quando sarebbe statolibero di condurgliene unoegli stesso. La povera piccola creaturatremava tutta fra lo sgomentoe la gioianon sapeva dire che «Gesùmio! Madonna mia!». Benedetto larincoròpromise di ritornareappena lo potesse epreso congedodiscese le scale col delegato.

Nella via il gruppo di gente si erafatto più grosso e rumoreggiavastringeva minacciosamente il ciclistarimasto presso la bottech'erastato riconosciuto per una guardia diP. S. e non voleva dire perchéfosse prima venuto a informarsi e poiritornato con l'altro individuo.

Si voleva forzare il fiaccheraio adandarsenesi parlava di staccareil cavallo. Quando apparve il delegatocon Benedettogli si fecerotutti addosso gridando: - Viabirro! -Via! Abbasso! - Lasciatequell'uomo! Badate ai ladriper Dio!Voi pigliate i servi di Dio elasciate i ladri! - Via! -Abbasso! -Benedetto si fece avantiaccennòa due manidi tacerepregò e ripregò che se n'andassero inpace poiché nessuno gli volevafar maleegli non era arrestatosen'andava con quel signore di sua liberavolontà. Nello stesso momentoscrosciò un tuono in cielounimpeto di acquazzone sul marciapiede.

La folla balenòsi disperserapidamente. Il delegato diede un ordineal ciclista e salì nella bottecon Benedetto.

Partirono verso il Teverefra i tuonii lampi e la pioggia furiosa.

Benedetto domandò al delegatomolto quietamenteche si volesse dalui alla Questura. Il delegato risposeche non si trattava diQuestura. Chi voleva parlare al signorMaironi era un pezzo più grossodel questore.

«Non so se avrei dovuto dirlo»soggiunse«ma già glielo dirà lui.»

E raccontò che lo aveva cercatoinutilmente a villa Maydadissequanto gli sarebbe seccato di nontrovarlo presto. Benedetto si provòa domandare se sapesse la cagione dellachiamata. Realmente ildelegato non la sapevama finse unsilenzio diplomaticosirannicchiò nel suo angolo comeper salvarsi dalle folate di pioggia.

Un lampo mostrò a Benedetto ilfiume giallastroi neri barconi diRipagrande; un altro il tempio diVesta. Poi non si raccapezzò piùaffattogli parve di attraversare unasconosciuta necropoliundedalo di vie funeree dove ardesserolampade sepolcrali. Finalmente lacarrozzella entrò con fracassoin un atriosi fermò al piede di unoscalone scurofiancheggiato dicolonne. Benedetto lo salì coldelegato fino al secondo ripiano sulquale si aprivano due porte.

Quella di sinistra era chiusaquelladi destra guardava sullo scaloneper un occhio ovale lucente. Ildelegato la spinseentròconBenedetto in un bugigattoloin unaspecie di anticamera. Un usciereche dormicchiava si alzòstentatamente. Il delegato lasciò Benedetto epassò in un'altra stanza. Alloral'usciere si chinò come perraccogliere qualche cosa e disse aBenedetto porgendogli una letterachiusa:

«Guardi che Le è cadutauna carta.»

Perché Benedetto simeravigliavainsistette:

«Lei è bene quello delTestaccio? Veda che sarà Suafaccia presto!»

Faccia presto? Benedetto guardòl'uomo che si era rimesso a sedere.

Quegli lo guardò alla sua voltae confermò il suo consiglio con unoscatto secco del capo che significava:tu sospetti che ci sia sottoqualche cosa e realmente c'è.

Benedetto guardò la busta. Vi sileggeva questo indirizzo:

 

«Al garzone giardiniere di villaMayda.»

 

E sottoa caratteri più grandi:

 

«SUBITO»

 

La scrittura era femminile ma Benedettonon la riconobbe. Aperse elesse:

«Sappia che il Direttore generaledella Pubblica Sicurezza farà ilpossibile per indurla a lasciarevolontariamente Roma. Rifiuti. Quelloche segue lo potrà leggere a Suoagio.»

Benedetto ripose frettolosamente lalettera. Ma poiché nessunocompariva e tutto pareva dormireintorno a luila cavòriprese aleggerla. Seguiva così:

«In Vaticano si è pococontentidopo le Sue visitedel Santo Padreil qualefra l'altre coseharichiamato a sé l'affare Selva dallaCongregazione dell'Indice. Ella non puòimmaginare gl'intrighi che sitramano contro di Leile calunnie chesi fanno arrivare anche ai Suoiamicitutto per lo scopo diallontanarla da Romadi impedire ch'Ellaveda più il Pontefice. Si èottenuto che il Governo aiuti la congiurapromettendogli in compenso di nonmandare ad effetto certa nomina dipersona molto sgradita al Quirinaleper la sede arcivescovile diTorino. Non cedanon abbandoni ilSanto Padre e la Sua missione. Laminaccia per l'affare di Jenne non èseriasarebbe impossibile diprocedere contro di Lei e lo sanno. Chinon Le può scrivere ha saputotutto questolo ha fatto scrivere amelo farà pervenire a Lei.

NOEMI D'ARXEL»

 

Benedetto guardòinvolontariamente l'uscierequasi dubitando ch'egliconoscesse il senso di quella letterapassata per le sue mani. Mal'usciere dormicchiava da capo e non siscosse che al ricomparire deldelegatoil quale gli ordinò diaccompagnare Benedetto dal signorcommendatore.

Benedetto fu introdotto in una stanzaspaziosatutta buia fuorchénell'angolo dove un signore suicinquant'anni stava leggendo la"Tribuna" nel chiarore di unalampada elettricavivo sul suo craniocalvosul giornalesul tavolo copertodi carte. Sopra di luinellapenombrasi intravvedeva un granderitratto del Re.

Egli non levò dal giornale ilcapo grave di conscio potere. Lo levòquando gli piacque e guardò conocchi noncuranti l'atomo di popolo cheaveva davanti a sé.

«Prenda una sedia» disseegligelido.

Benedetto ubbidì.

«Lei è il signor PietroMaironi?»

«Sìsignore.»

«Mi rincresce di averlaincomodata ma era necessario.»

Sotto le parole cortesi del signorcommendatore si sentiva un fondo didurezza e di sarcasmo.

«A proposito» diss'egli.«Perché non si fa chiamare col Suo nomeLei?»

Alla improvvisa domanda Benedetto nonrispose immediatamente.

«Bene bene» ripigliòcolui. «Questo adesso importa poco. Qui non siamoin Tribunale. Io penso che se si vuolefare il bene si deve farlo colproprio nome. Ma io non vado in chiesaho idee diverse dalle Sue. Nonimportadico. Lei sa chi sono io? Ildelegato gliel'ha detto?»

«Nosignore.»

«Benesono un funzionario delloStatoche si interessa un poco dellasicurezza pubblica e che ha un certopotere; sìun certo potere. Oraio voglio dimostrarle che ho interesseanche per Lei. Leimi dispiaceil dirloè in una situazionecriticamio caro signor Maironi osignor Benedettoa Sua scelta. E'pervenuta all'Autorità giudiziariaun'accusa contro di Leiveramentegrave; e io vedo molto in pericolonon soltanto la Sua fama di santitàma pure la Sua libertà personale equindi la Sua predicazione almeno perqualche anno.»

Una fiamma salì al viso diBenedettoi suoi occhi scintillarono.

«Lasci la santità e lafama» diss'egli.

L'augusto funzionario dello Statoriprese senza scomporsi:

«Lei si sente ferito. Badisache la sua fama di santità corre altripericoli. Altre cose si dicono di Leiche non hanno che fareperquesto stia tranquillocol codicepenale ma che non si accordanomolto colla morale cattolica; e Leassicuro che sono abbastanzacredute. Dico per dire: son cose chenon mi riguardano affatto. Delresto la santità non èmai realeè semprepiù o menounaidealizzazione che lo specchio fa dellaimmagine. Se c'è una santità èquella dello specchioè quelladella gente che crede ai Santi. Io nonci credo. Ma veniamo al serio. Le hodovuto dire delle cosesgradevoli. La ho anche ferita; oramedicherò. Io non sono credente maperò apprezzo il principioreligioso come elemento di ordine pubblicoe questo è poi il sentimento deimiei superioriè il sentimento delGoverno. Perciò il Governo nonpuò aver piacere che si faccia unprocesso scandaloso a qualcuno chepresso il popolo passa per santo:un processo che potrebbe poi ancheprovocare dei disordini. Ma c'è dipiù! Noi sappiamo che Lei èpersona gradita al Papa il quale La vedespesso. Ora in alto non si ha nessunavoglia di recare dispiaceripersonali al Papa. Si ha dunque labuona intenzione di evitargliquestose possibile. E saràpossibile a una condizione. Qui in RomaLei ha nemici cattivinon di partenostrasa! non di parteliberale!che si preparano a rovinarlainteramentenella riputazionee in tutto. Se vuole che Le apra il miopensieroil mio pensiero èquesto: dal punto di vista cattolicohanno ragione. Io modifico unpocoper mio uso e per loro usoilmotto famoso dei Gesuiti: "autsint ut sunt" e dico "aut nonerunt". Mi riferiscono che Lei è uncattolico largo. Ciò significasemplicemente che Lei non è cattolico.

Tiriamo via. I Suoi nemici L'hannodenunciato al Procuratore del Re.

Per verità noi dovremmo fararrestare dai carabinieri il signor PietroMaironi condannato in contumacia dallaCorte d'Assise di Brescia permancato servizio di giurato; ma questaè una bazzecola. Lei si figuradi avere guarito della gente a Jenne edè accusato non solamente diesercizio illegale della medicina mapersino di aver avvelenato unpazienteniente meno! Ora noi abbiamoi mezzi di salvarla. Noi faremoin modo che la denuncia si ponga adormire. Ma se Lei resta in Roma isuoi nemici di Roma faranno un rumorecosì grande che non ci potremofingere sordi. Bisogna che Lei se nevada lontanoe subito! Meglio seva fuori d'Italia. Vada in Franciadove c'è carestia di santità. Oalmeno... non ci ha una casaLeisullago di Lugano? Adesso vi sonodelle suorevero? Suore e santi stannobenissimo insieme. Vada collesuore e lasci passare la burrasca.»

Il commendatore parlava serio seriolento lentocoprendo lo schernodi flemma più insolente.

Benedetto si alzò in piedirisoluto e severo.

«Io stavo» rispose «pressoun infermo che aveva bisogno della medicinaillegale mia. Mi si poteva lasciare almio posto. Lei e il Governosono i peggiori miei nemici se mioffrono di fuggire la giustizia. Leifaccia il Suo dovere di mandare icarabinieri ad arrestarmi per ilmancato servizio di giurato. Io proveròpoi che non potei ricevere lacitazione. Il signor procuratore del Refaccia il dovere suo diprocedere contro di me per la denunciadi Jenne; mi si troverà semprea villa Mayda. Lo dica ai Suoisuperiori. Dica loro che non mi moveròda Romache temo un Giudice solo ech'essi pure lo temano nel lorodoppio cuoreperché Egli saràpiù terribile al doppio cuore che allaviolenza sincera!»

Il commendatoreimpreparato a quelcolpolivido di veleno impotenteprorompeva già in parole dicollera quando si udì il rumore sordo diuna carrozza ch'entrava nell'atrio.Levò allora lo sguardo daBenedettostette in ascolto. Benedettoafferrò la spalliera della suaseggiola per levarsi quell'impaccio avoltar le spalle. L'altro siscosseriacceso negli occhi dall'iraun momento sopita: gettò ilgiornale che aveva sempre tenuto inmanobatté il pugno sul tavoloesclamando:

«Che fa? Non si muova!»

I due uomini si fissarono per alcunisecondi in silenziouno conautorità maestosal'altrobieco. Poi questi ripreseveemente:

«Debbo farla arrestare qui?»

Benedetto durò a fissarlo insilenzio. Quindi rispose:

«Aspetto. Faccia.»

Un usciereche aveva bussato piùvolte inutilmentecomparve sullasoglias'inchinò alcommendatore senza dir parola. Il commendatoredisse subito «vengo» ealzatosi frettolosamenteuscì con una facciastrana dove la collera spariva espuntava l'ossequio.

L'usciere rientròimmediatamentedisse a Benedetto che aspettasse.

Passò un quarto d'ora.Benedettotutto frementecon il cuore intumulto e la testa in fiammeeccitatoe spossato dalla febbreeraricaduto sulla sua seggiolaturbinandogli dentro alla rinfusa i piùdiversi pensieri. - Dio gli perdoniaquest'uomo! - A tutti! - Chegioia se il Pontefice non permette lacondanna di Selva! - La personache non mi può scriverecomesa? - E adesso perché mi fannoaspettare? - Cosa vogliono ancora dame? - Ohcon questa febbresenon avessi a esser più padronedei miei pensieridelle mie parole! -Che terrore! - DioDionon lopermettete! - Ma che orride viltà sononel mondoche vergogne di fornicazioniocculte fra questa gente dellaChiesa e dello Stato che si odiachesi disprezza! Comecome lopermettiSignore? - Nessuno vieneancora! - La febbre! - DioDiofache io resti padrone dei miei pensieridelle mie parole. Dio Veritàil tuo servo è in potere de'suoi nemici congiuratifa ch'egli Tiglorifichi anche nel fuoco ardente! -Quelle due persone pensano a meadesso. Io non devo pensare a loro! -Esse non dormonopensano a me.

- Non sono ingratonon sono ingratoma non devo pensare a loro! -Penserò a tevecchio santo delVaticanoche dormi e non sai! Ahquella scaletta non la farò piùquel dolce viso pieno di SpiritoSanto non lo vedrò più! -PeròDio sia lodatonon lo avrò vistoinvano. - Ma cosa faccio qui? - Perchénon me ne vado? - Potrò poiandare? - Questa febbre!Si alzòcercò di leggerl'ora su un occhio tondo di orologiobiancheggiante nell'ombra. Mancavanocinque minuti alle undici. Fuoriil temporale continuava. La potenzadegli elementi furibondi e lapotenza del tempo che spingeva lapiccola sfera sul quadranteparevano amiche a Benedetto nel loroprevalere indifferente sullapotenza umana che aveva sede dov'egliera e lo teneva in sua balia. Mala febbrela crescente febbre! Ardevadi sete. Se almeno avessepotuto aprire una finestratendere labocca all'acqua del cielo!Un tocco di campanello elettricopassiaffrettati nell'anticamerafinalmente. Ecco il commendatoreinsoprabito e cappello. Chiudel'uscio dietro a séraccogliedelle carte sul suo tavolodice aBenedetto con piglio sprezzante:

«Stia attento. Lei ha tre giorniper lasciare Roma. Ha capito?»

Non cura di aspettare rispostapremeun bottone. Entrato l'uscieregli ordina:

«Accompagnate!»

 

Giunto colla sua guida sullo scaloneBenedettocredendosi oramailibero di scenderele chiese un po'd'acqua.

«Acqua?» rispose l'usciere.«Non posso andarne a prendereadesso. SuaEccellenza aspetta. Favorisca qui.»

Lo fece entrarecon sua meraviglianell'ascensore.

«Anzi le Loro Eccellenze»diss'egli; e mentre l'ascensore saliva alsecondo pianovenne guardandoBenedetto come si guarda qualcuno cui èfatto un grande onore e che non paremeritarlo. Giunti al secondopianoi due attraversarono unagrandissima sala semioscura. Da questasala Benedetto venne fatto passare inuna stanza illuminata cosìriccamente ch'egli ne provòfastidio e sofferenzane rimase quasiacciecato.

Due uominiseduti ai due angoli di unlargo canapéve lo attendevanoin attitudine diversa; il piùgiovine con le mani in tascauna gambaa cavalcioni dell'altrail caporovesciato sulla spalliera; il piùvecchio col busto piegato in avanti ele mani occupate in un continuoblando maneggio alterno della barbagrigia. Il primo aveva unaguardatura sarcastica; il secondol'aveva scrutatricemalinconicabuona. Questievidentemente il piùautorevole dei dueinvitòBenedetto a sedere sur una poltrona difronte a lui.

«Non credasacaro signorMaironi» diss'egli con voce armoniosa esonora ma rispondente in qualche modoalla malinconia dello sguardo

«non creda che noi siamo qui dueartigli potenti dello Stato. Noisiamo qui in questo momento individuidi una specie raradue uominipolitici geniali che conoscono bene illoro mestiere e che lodisprezzano meglio. Siamo due grandiidealisti che sanno mentireidealmente bene colla gente che altronon merita e sanno adorare laVerità; due democraticima peròadoratori di quella Verità reconditache non è stata mai toccatadalle mani sudicie del vecchio Demos.»

Detto cosìl'uomo dalla barbagrigia fluente riprese a farvi scorreresu le due mani a vicenda e strinse gliocchi scintillanti di unsorriso acutopago delle proprieparolecercando la sorpresa sulviso di Benedetto.

«Siamo poi anche credenti»riprese.

Allora l'altro personaggio alzòsenza levar il capo dalla spallierale mani distese e disse quasisolennemente:

«Piano.»

«Lasciacaro amico»ripigliò il primo senza volgersi all'amico.

«Siamo ambedue credentiperòin modo diverso. Io credo in Dio contutte le mie forze che sono molte e loavrò sempre meco. Tu credi inDio con tutte le tue debolezze che sonopoche e non lo avrai che altuo letto di morte.»

Altro sorriso acuto e pagoaltrapausa. L'amico scosse il capoalzando le sopracciglia come per unaudita corbelleria che meritassepietà e non risposta.

«Io poi» continuò lavoce sonora e armoniosa «sono anche cristiano.

Non cattolico ma cristiano. Anzicomecristianosono anticattolico.

Il mio cuore è cristiano e ilmio cervello è protestante. Io vedo congioia nel cattolicismo i segninondico della decrepitezza ma dellaputrefazione. La carità si vadisfacendo nei cuori più schiettamentecattolici in una melma oscuratuttavermi di odio. Vedo ilCattolicismo fendersi da ogni parte evedo spuntare per le fessure lavecchia idolatria cui si èsovrapposto. Le poche energie giovanisanevitaliche vi si manifestanotendono tutte a separarsene. Soche Lei è appunto un cattolicoradicalech'è amico di un uomoveramente sano e forte che si dicecattolico ma ch'è giudicatoereticoperòdai cattolicipuri; e lo è certamente. Mi hanno dettoche Lei è scolare di questonobile ereticoche fa una propagandariformatrice e che in pari tempo cercadi agire sul Pontefice. Ora ungrande riformatore lo aspetto anch'ioma dev'essere un antipapa; nonun antipapa nel piccolo senso storico;un antipapa nel grande sensoluterano della parola. "Curiositàci punge di sapere" come Lei credapossibile ringiovanire questo poverovecchione di Papato che noi laiciprecediamo non soltanto nella conquistadella civiltà ma nella scienzadi Dioanchee persino nella scienzadi Cristo; che ci anfana dietroa grande distanza e ogni tanto sipianta sulla viarestio come unabestia che fiuta il macelloe poiquando è tirato ben fortefa unsalto avanti per tornarsi a piantarefermo fino a un altro strappo difune. Ci dica il Suo concetto di unariforma cattolica. Sentiamo.»

Benedetto rimase silenzioso.

«Parli» riprese il numeignoto che pareva imperare in quel luogo. «Ilmio amico non è Erode néio sono Pilato. Noi potremmo forse diventaredue apostoli della Sua idea.»

L'amico stese ancora le due maniapertesenza levar il capo dallaspallieradisse ancoraperòpigiando più forte sulla prima sillaba:

«Piano.»

Benedetto tacque.

«Mi parecaro mio» dissel'amico voltando il caposenza alzarloverso il collega«che questosarà il primo fiasco della tuaeloquenza. Qui il modello del "nihilrespondit" è preso molto sulserio.»

Benedetto trasalìatterrito dalrichiamo al Divino Maestrodaldubbio di parerne un imitatore superbo.Cessò in quel momento disentire il suo malela febbrelasetela gravezza del capo.

«Oh no» esclamò«adesso io rispondo! Lei dice che non è Pilato. Ilvero è invece che io sonol'ultimo dei servi di Cristo perché gli sonostato infedele e che Lei mi ripeteproprio la domanda di Pilato: -"Quid est veritas?" Ora Leinon è disposto a ricevere la veritàcomenon vi era disposto Pilato.»

«Oh!» esclamò il suointerlocutore. «E perché?»

L'amico rise rumorosamente.

«Perché» risposeBenedetto «chi opera tenebrele tenebre lo avvolgonoe la luce non gli può arrivare.Lei opera tenebre. E' facile dicomprenderloLei è il signorministro dell'InternoLa conosco difama. Lei non è nato per operaretenebrevi è stata molta luce incerte opere Suevi è molta lucenella Sua animamolta luce di veritàe di bontà; ma in questo momentoLei opera tenebre. Io sono questanotte qui perché Lei ha pattuitoun mercato non confessabile. Lei dicedi adorare la Veritàdomanda aun fratello se possiede la Verità etace che lo ha già venduto!»

Mentre Benedetto parlaval'amico delministroEccellenza egli purema in sottordinealzòfinalmente il capo dalla spalliera del canapé.

Parve che incominciasse soltanto alloraa stimar degno di attenzionel'uomo e quello che diceva. Parve anchedivertirsi della lezionetoccata al principale del qualeammirava l'ingegno grandissimo maderideva in cuor suo le velleitàidealistiche. Il principale rimasesulle primesbalordito; poi scattòin piedigridando come unossesso:

«Siete un mentitore! Siete uninsolente! Non meritate la mia bontà!Non vi ho vendutonon valete nientevi regalerò! Andate! Andatevia!»

Cercò il bottone del campanelloelettrico e non trovandolo nellacecità della colleragridò:

«Usciere! Usciere!»

Il sottosegretario di Statoavvezzo aqueste scenate che eran poisempre fuochi di paglia perchéil ministro aveva un cuore d'orose laridevain principiosotto i baffi. Maquando lo udì chiamarl'usciere a quel modoconoscendo benele indiscrezioni degli uscierie pensando i pettegolezzi pericolosiche potevano nascere di questoincidenteil ridicolo che ne sarebbeschizzato anche sopra di luitrattenne risolutamente il ministroimponendogliquasidi chetarsie disse brusco a Benedetto:

«Lei se ne vada.»

Il ministro si diede a camminare per lasalamutoa capo bassoapassi frettolosi e brevimale vincendoin sé il bambino che avrebbevoluto battere i piedi sul posto.

Benedetto non ubbidì. Ritto eseveroradiante invisibili raggi di unoSpirito dominatoreche tennero adistanza il sottosegretario diStatoegli costrinse l'altro conquesto potere magnetico a voltarsiverso di luia fermarsia guardarloin faccia.

«Signor ministro»diss'egli«io sto per uscire non solo da questopalazzo ma credo anchefra non moltoda questo mondo. Non La rivedròpiùmi ascolti un'ultima volta.Ella non è ora disposto alla Veritàperò la Verità èalle Sue portee verrà l'orae non è lontana perchéla Sua vita discendeche si farànotte sopra di Leisopra i Suoipoterii Suoi onorile Sue ambizioni.Allora Ella udrà la Veritàchiamare nella notte. Potràrispondere - parti - e non la incontreràpiù mai. Potrà rispondere- entra - e la vedrà comparire velataspirante dolcezza dal velo. Ella non saora come risponderàné io losone alcuno al mondo. Si preparicolle opere buone a risponder bene.

Qualunque sieno gli errori Suoivi èreligiosità nel Suo spirito.

Iddio Le ha dato molto potere nelmondo; lo adoperi per il Bene. Leich'è nato cattolico dice diessere protestante. Forse Lei non conosceabbastanza il Cattolicismo percomprendere che il Protestantesimo sisfascia sopra il Cristo morto e che ilCattolicismo evolve per virtùdel Cristo vivente. Ma io parlo adessoall'uomo di Statonon certoper domandargli di proteggere la Chiesacattolicache sarebbe unasventurama per dirgli che se lo Statonon ha ad essere né cattoliconé protestantenon gli èperò lecito d'ignorare Iddio e voi osatenegarlo in più di una scuolavostradi quelle che chiamate alteinnome della libertà della scienzache voi confondete colla libertà delpensiero e della parola perchéil pensiero e la parola sono liberi dinegare Iddio ma la negazione di Dio nonha né può avere carattere discienza e voi solo la scienza doveteinsegnare. Voi conoscete bene lapiccola politica che vi fa transigerein segreto con la vostracoscienza per avere celatamente unfavore dal Vaticanonel quale noncredete; ma voi conoscete male lagrande politica di mantenerel'autorità di Chi è ilprincipio eterno di ogni giustizia.

Voi lavorate a distruggerla ben peggioche con i professori atei; infondo i professori atei hanno unpiccolo potere; voi uomini politiciche dite spesso di credere in Diovoine distruggete l'autorità moltopiù che quei professoricon imali esempi del vostro ateismo pratico.

Voi che vi figurate di credere nel Diodi Cristosiete in realtàprofeti e sacerdoti degli dei falsi.Voi li servite come li servivanoi principi idolatri ebreinei luoghialtiin cospetto del popolo.

Voi servite nei luoghi alti gli dei ditutte le cupidigie terrestri.»

«Bravo!» interruppe ilministroconosciuto per la sua morigeratezzaper le virtù famigliariper lanoncuranza del danaro. «Mi divertite!»

E soggiunsevôlto all'amico:

«Proprio non valeva la pena.»

«M'intenda bene!» ripreseBenedetto. «Sìanche Lei è uno di questisacerdoti. Parlo io forse di gaudenticomuni? Parlo di Lei e di altricome Lei che si credono gente onestaperché non cacciano le mani neldanaro dello Statoche si credonogente morale perché non si danno aipiaceri dei sensi. Vi dirò duecose. Intantovoi adorate piaceri piùperversi. Voi fate di voi stessi ivostri falsi deivoi adorate ilpiacere di contemplarvi nel vostropoterenei vostri onorinell'ammirazione della gente. Ai vostridei voi sacrificatecolpevolmente molte vittime umane e laintegrità del vostro stessocarattere. Fra voi vi è il pattoche ciascuno rispetti il falso diodel collega e ne aiuti il culto. I piùpuri di voi sono colpevolialmeno di questa complicità. Voitorcete lo sguardo da torbidecongiure d'interessivilida nonconfessabili intrighi di sette chestrisciano nell'ombra e li lasciatepassare in silenzio. Voi vicredete incorrotti e corrompete! Voidistribuite regolarmente denaropubblico a gente che vi vende la parolae l'onestà della coscienza.

Voi disprezzate e nutrite questainfamia sotto di voi. E' più empiocomperare voti e lodi che venderne! Ipiù corrotti siete voi! Secondopeccatovoi considerate il mentire unanecessità della vostracondizionevoi mentite come bereacquamentite al popolomentite alParlamentomentite al Principementite agli avversarimentite agliamici. Lo soqualcuno di voipersonalmente non pratica l'abitualementiresolamente lo tollera neicolleghimolti di voi prendono conripugnanza quest'abito nell'entraredove si governacome entrando inuna miniera si prende talvolta unaveste sudicia che difende lanostra; e nell'uscire lo depongono congioia. Ma costoroche sono imigliorisi diranno essi buoni efedeli servi della Verità? Voicredete in Dio e forse al vostro latodi morte pensate di averemaggiormente offeso Iddio come uominipolitici con azioni di violenzacontro la Chiesa nel nome dello Stato.Nonon saranno state queste levostre maggiori offese. Se vengono inParlamento e dal Parlamento alGoverno uomini che professino comefilosofi di non conoscere Dio mache insorgano nel nome della Veritàcontro quest'arbitraria tiranniadella Menzognameglio serviranno Dio esaranno più grati a Dio di voiche credete in esso come in un idolo enon come nello Spirito diVeritàdi voi che osate parlaredi putrefazioni del Cattolicismopuzzolenti di falsità comesiete. Sìpuzzolenti! Voi fate tantoimpura l'aria delle altezzea rovesciodi quello che sarebbenaturaleda rendere ben difficile direspirarla. Voi avete un cuorereligiososignor ministro; nonrispondetemi che in questo palazzo nonsi può servire Iddio...»

«Sa Lei...» esclamòcon ira il ministro incrociando le braccia sulpetto. Il sottosegretario di Statostese graziosamente una mano versodi lui per arrestarne la parolasdegnosa.

«Piano piano piano»diss'egli. «Permetti? Perché mi ci diverto.»

Il sottosegretario di Statopiccolorotondettorispettoso dellapropria sottosegretarietàsimile a un uovo in possesso cosciente diun sacro pulcinoben minore uomo delministro e ben diverso da luinon aveva affatto le curiositàintellettuali del Superiore e non eravenuto che per compiacere al Superiore.Il Superioreluminosaintelligenzasoleva fermare il propriolume ora sull'una orasull'altra delle persone che gligiravano attorno e crederli alloralucenti per loro virtù comeforse penserà il sole degli astri che glifanno la corte. Il sottosegretario diStato rifletteva luce alministro e il ministro riflettevaammirazione al sottosegretario diStato. Il ministro lo aveva desideratoa quel colloquio noncomprendendo affatto che il piccoloMercurio del suo sistemaplanetarioavendo risoluto da giovinedi sciogliersi dalsoprannaturale che gl'impediva imovimenti più spontanei della suanatura egoisticasi era preso per ilsoprannaturale dell'odio chegl'infermi concepiscono talvolta per lapersona della quale sanno cheha fatto della infermità loro unpronostico triste. Come questiinfelici vogliono persuadersi che ilprofeta non merita fede e più lasua profezia si viene avverandopiùs'irritanopiù si struggono diabbattere quell'autoritàminacciosa; così coluipiù sentivadeclinargli il vigor giovanile e perdercredito i dogmi materialisticie folgorargli nel cuore di quando inquando certe apprensionilancinanti di una veritàformidabile che poi venivano lentamente menopiù s'inveleniva nell'odiocoperto d'ironica noncuranza.

«Senta un po'caro Lei»diss'egli a Benedetto dopo essersi fattolargo nella conversazione con quellaparola e quel gesto. «Lei parlamolto di dei falsi e di dei veri. Ionon so se il Suo sia falso overo. Sarà vero ma ècertamente irragionevole. Un Dio che ha creato ilmondo come gli è piaciutoinmodo che deve andare come vae poiviene a dirci che dobbiamo farlo andarein un modo diversoeh sentavia! non è un Dio ragionevole!Lei si è permesso di vuotare un saccodi contumelieun sacco di accuse agliuomini politiciche sonocalunniespecialmente se le vuoleapplicare a quel signore lì e a me;ma io Le concedo che la politicaperforzanon è mestiere da Santi.

Chi ha fatto il mondo non ha voluto chelo sia! Se la sbrighi con lui.

Ebbenebisogna pure che qualcuno lofaccia quel mestiere lì. Adessolo facciamo noi che se non siamo Santialmeno Lei vede quantopazientemente trattiamo con i Santi. Esenta.»

Il sottosegretario guardòl'orologio.

«Si fa tardi» diss'egli «enelle vie di Romaa ora tardala santitàcorre qualche pericolo. E' meglio cheLei se ne vada.»

Stese la mano al campanello elettricoper chiamar l'usciere.

«Signor ministro!» esclamòBenedetto con tal vigore di accento che ilsottosegretario rimase immobile abraccio steso come colto da un colpodi gelo. «Lei teme per lo Statoper la monarchiaper la libertàisocialisti e gli anarchici; tema moltopiù i Suoi colleghi schernitoridi Dioperché i socialisti egli anarchici sono febbreglischernitori di Dio sono cancrena! -Quanto a Lei» soggiunse volto alsottosegretario«Lei deride Unoche tace. Tema il suo silenzio!»

Senza che né l'uno nél'altro dei due potenti dicesse una parolafacesse un gestoBenedetto uscìdalla sala.

Egli discese lo scalone vibrando tuttonel contraccolpo delle paroleche gli erano scoppiate dal cuore e nelfuoco febbrile del sangue. Legambe gli tremavanogli mancavanosotto. Fu costretto due o tre voltedi afferrarsi al parapetto e disostare. Giunto all'ultima colonnavipremette la fronte pulsantecercandofrescura. Se ne staccò subitosentì ripugnanza della stessapietra di quel palazzo come se fosseinfetta di tradimentocomplice delcommercio vile che vi si erafattoatrocemente vilefra ministridi Cristo e ministri dellaPatria. Sedette sul penultimo gradinonon potendone piùsenzaguardare ai fanali accesi dellacarrozza che aspettava lì a due passisenza dubbio la carrozza del ministro;non curando esser veduto.

Respirò un pocolo sdegno glisi venne quietando un pocoquietandoin dolorein desiderio di piangeresulle tristi cecità del mondo. Ecominciò anche a sentirsi soloamaramente solo. Unica leila donnadel suo passato erroreaveva vegliatoaveva scopertoaveva agito.

Solo per lei gli era stato dato di farfronte al ministro sapendoquale linguaggio fosse da tenergli. Glialtri amici suoigli amicidevoti alle sue idee religioseavevanodormito e dormivano. Glipiacque l'acre pensiero che non sicurassero più di lui. Gli piacquedi abbandonarsi almeno una volta allapietà della propria sortedigustarlaalmeno una voltasino alfondodi figurarsi la propriasorte anche più dolorosa e amarache non fosse. Tutti erano contro diluisi accordavano contro di luitutti! Solosolosolo. E i suoisostegni interni eran proprio buoni?Eran proprio sicuri? Quell'uomolà in altoquel ministro ditanto ingegnodi tanto saperedi tantabontà personalese avesseragione? Se il Cattolicismo fosse veramenteinsanabile? Oheccoanche il Signoreil Signore da lui servitoilSignore che lo colpiva nel corpochelo metteva in potere dei suoinemiciadesso lo abbandonavanell'anima. Angosciamortale angoscia!Desiderò morire lìaverpace.

Le vociin altodel ministro e delsottosegretario che discendono.

Benedetto si sforzò di alzarsisi trascinò nella viavide asinistrapochi passi oltre il portoneun'altra carrozza ferma. Undomestico in livrea stava sulmarciapiede discorrendo col cocchiere.

Al comparire di Benedetto il domesticogli si fece premurosamenteincontro. Benedetto riconobbe alla lucedel gas il romano antico divilla Diedoil cameriere dei Dessalle.Gli balenò nel cervellotorbido che Jeanne fosse ad aspettarloin carrozzadiede un passoindietro.

«No» diss'egli.

Intanto la carrozza era venuta avanti.Benedetto immaginò di vedereJeannedi esser fatto salire con leidi non aver forza sufficiente aimpedirlo! Preso da vertigineretrocesse ancora e sarebbe caduto seil domestico non lo avesse raccoltonelle sue braccia. Si trovò incarrozza senza saper come con unfastidioso lume vivo incontro e unforte ronzio negli orecchi. A poco apoco si raccapezzò. Era solounalampadina ad acetilene gli luceva infaccia. Lo sportello alla suadestra era aperto e il domestico gliparlava. Che diceva? Dove andare?A villa Mayda? Sì certoa villaMayda. Non si poteva spegnere quellume? Il domestico spense e parlòancoradi una carta. Quale carta?Una carta che la signora aveva fattomettere nel taschino interno del"coupé"coll'ordinedi consegnarla al signore. Benedetto non capivanon vedeva. Il domestico prese la cartae gliela pose in tasca. Poidomandò per ordine dei signoristavolta disse cosìcome il signorestesse di salute. Se lo avesse vedutomortoil rigido uomo avrebbeugualmente eseguito l'ordine. Benedettopregòper tutta rispostachegli fosse portata un po' d'acqua;bevette avidamente quella che ildomestico gli recò da un caffèvicinone provò alquanto ristoro.

Riprendendo la tazza vuotaildomestico credette bene di compiere lasua missione:

«La signora mi ha ordinato didirlese Lei domandache i signorihanno mandato la carrozza perchésanno che Lei non sta bene e hannopensato che quia quest'oranon netroverebbe.»

 

Il "coupé" aveva molleeccellenti e le gomme a le ruote. Che riposoera per Benedetto di correresilenziosamente cosìsolo dentroun'oscura carrozza sofficenel cuoredella notte! Di quando in quandoapparivano a destra e a sinistra sfondidi vie lucenti e allora eraper lui una sofferenzacome se quellelunghe file di lumi fosseronemiche. Tornava subito l'ombra dellevie strettela fugasuimarciapiedi e sulle casedella lucetrabalzante dai fanali del"coupé". Il cocchieremise il cavallo al passo e Benedetto guardòfuorinel buio. Gli parve cheincominciasse la salita dell'Aventino.

Si sentiva meglio; la febbreinaspritadai travagli fisici e moralidi quella notte di battagliadeclinavarapidamente. Avvertì alloraper la prima voltail sottilissimoprofumo del "coupé"il solitoprofumo usato da Jeannee lo morse lamemoria viva del ritorno daPraglia con leidel momento in cuilasciata lei al piede dellasalita di villa Diedosi eraallontanato solo nella "victoria"profumata e tepida di lei; soloebbrodel suo segreto di amore.

Atterrito dalla vivezza dei ricordisistrinse le braccia al pettosi sforzò di ritirarsi dai sensie dalla memoria nel centro di séansava a bocca semiapertanonriuscendo a spinger la immagine fuoridella sua visione interna. E altregliene lampeggiavano nel cuoresenza vincere la sua volontàresistente ma facendola fremere come unacorda tesa. Era l'idea che soltantoleiJeannelo amasse davveroche soltanto lei soffrisse del suosoffrire. Era la voce di lei che sidoleva di non essere riamatala vocedi lei che lo pregava di amorecon una cantilena di Saint-Saenstantodolcetanto tristenota adambeduedella quale egli le avevadetto a villa Diedo che nullasaprebbe ricusare a chi lo pregassecosì. Era l'idea di fuggirlontanoben lontano e per sempredaRoma pagana e farisea. Era unavisione di pacedi colloqui purissimicon la donna ch'egliconquisterebbe finalmente alla fede.Era un desiderio ardente di direal Signore: troppo tristo è ilmondoconcedi che ti adori così. Erail pensiero che in tutto ciò nonvi fosse colpache non fosse colpal'abbandono della sua missione a frontedi tanti nemici. Era il dubbiodi non avere realmente missione alcunadi aver ceduto a suggestionid'ingannodi aver creduto a realtàdi fantasmidi essere statoilluso da parvenze del caso. Erano lefisonomie spirituali e moralidei suoi nemici e seguacifattedifformi agli occhi suoi come da unospecchio convesso; era la scoratacertezza che ogni speranza posta inessi gli fallirebbe. Era da capo lacantilena tenera e tristecon unsenso non più di preghiera ma dipietàdi una pietà circonfusa allasua lotta amaradell'accorata pietàdi qualche spirito ignoto chepure soffrisse e si dolesse di Dio maumilmentedolcementeeparlasse per tutto che ama e soffre nelmondo.

La carrozza si fermò a uncrocicchio e il domestico scese dal serpesi affacciò allo sportello.Pareva che tanto egli quanto il cocchierenon avessero un'idea chiara del postodi questa villa Mayda. A destrascendeva una stradicciuola fra duemuri. Dietro quello più alto disinistra colossali alberi neriruggivano al tramontano che avevaspazzato le nubi. Nello sfondonereggiavano al fioco lume stellare ilGianicolo e San Pietro. Era unastradicciuola da pedoni. Doveva ilsignore scendere lì per andare avilla Mayda? Noma «il signore»

volle scendere a ogni modousciredella carrozza avvelenata. Sitrascinòlottando col suopovero corpo infermo e col ventofino aSant'Anselmo. Rifinitopensò adomandare l'ospitalità dei monaci manon lo fece. Scese lungo il grandesilenzioso asilo benedettino dipacepassò sospirando davantialla porta chiusa che dice vanamente"quieti et amicis"giunseinfine al cancello di villa Mayda.

Il giardiniere venne ad aprirgli mezzosvestito e si meravigliò moltodi vederlo. Gli disse che lo credeva inprigione perché verso le noveun delegato di P. S. e una guardiaerano venuti a cercarlo. Anzi lasignorala nuora del professoresaputo questoaveva dato senz'altrol'ordine di non lasciarlo entrare seper caso ritornasse; ma poiconmolta gioia del giardiniereaffezionato a Benedetto e al padronequanto avverso alla signoraera venutoun fiero contrordine delprofessore. Udito ciòBenedettosarebbe ripartito subito se glienefossero bastate le forze. Ma non era ingrado di fare cento passi.

«Sarà per questa solanotte» diss'egli.

Abitava una cameretta nella casina delgiardiniere. Sperònell'entrarvi che vi avrebbe ritrovatala pace del cuore; ma non fucosì. Lo cacciavano anche di là;ecco l'annuncio amaro che il suocuore diede al povero lettuccioaipoveri arrediai pochi librialla famosa candela di sego. Fissi gliocchi nel Crocifisso pendentesopra uno sgabello a fianco del lettoegli gemette mentalmente conuno sforzo di volontà:

«Come posso io dolermi tantoSignoredelle croci mie?»

Invano; il suo spirito non aveva sensovivo né di Cristo né dellaCroce. Sedette desolatonon volendocoricarsi cosìaspettando unastilla di dolcezza che non veniva.

Una folata di vento gli fece volgere ilcapo alla finestra che si eraspalancata. Vide laggiù nelcielo lucidissimosopra i neri merli diPorta San Paolo e la nera punta dellapiramide di Cestio e le vettedei cipressi che cingono la tomba diShelleyun grande pianeta. Ilvento urlava intorno alla casina. Oh lanotte nel manicomio dove suamoglie morivae le urla delle agitatee il grande pianeta!Nel reclinare il capo grave ditristezza si accorse per caso dellacarta che il domestico gli avevacacciata in tasca. Era una grandebusta orlata di nero. La spiegòvi lesse il nome e i titoli della suapovera vecchia suocerala marchesaNene Scremine le due sempliciparole che seguivano:

 

IN PACE

 

Impietrò col foglio aperto nellemani e gli occhi fissi alle dueparole auguste. Poi le mani glicominciarono a tremare e dalle mani iltremito gli salì al pettocrescendocrescendoe dall'affollar delpetto gli ruppe su per la gola unatempesta di pianto.

Piange per il ritorno di tante memoriericondotte a lui dalla poveramortadolorose e soavi; piangeaffisandosi nel Crocifissoin Cristoal qualeoh certoella si abbandonòfidentenel morirecomel'altra caracome la sua Elisa; piangedi gratitudine a lei cheancora dal mondo ignoto gli èpiagl'intenerisce il cuore. Ricorda leultime parole udite dalla sua bocca:«Alloravedercimai più?»

Sorride nell'anima presagasi volgealla finestra spalancatacontempla il grande pianeta.

 

 

 

Cap. 8

JEANNE

 

1.

Un piccolo gruppo di operai veniva sulmezzogiorno da una casa incostruzione di via Galvani verso viadella Marmorata. Vedendocapannelli di gente sotto gli alberi ecapannelli agli uscigentealle finestre delle due ultime case didestra e di sinistraunoperaio che seguiva il gruppo a pochipassi di distanza disse forte aicompagni:

«Quanti scemi per un furbo!»

Un omaccione barbuto che stava sullasoglia di una botteguccia l'udì egli si fece incontrolo apostrofòminaccioso:

«Tu che dici?»

L'altro si fermò a squadrarlogli rispose beffardo:

«To'! Quello che piace a me!»

L'omaccione gli menò un pugnogli altri operai gli si fecero addossoin aiuto del compagno. Gridabestemmielampeggiar di coltellistrilli di donne dalle finestreaccorrer di gente dal vialeaccorrerdi guardie e di vigiliin un baleno lavia fu tutta un bollimentoneroun ondeggiar della calca urlantetrabalzata da destra a sinistrae da sinistra a destra come a bordo diuna nave sul mare in tempesta;e a due passi dal fitto dovecontendevano gli operai e le guardiebravo chi avesse saputo quel cheaccadeva. La folla era feroce controgl'insultatori del Santo ma cieca;quali fossero non sapeva; voleva amorte con cento voci discordil'omaccionegli operaile guardieunoche aveva risouno che aveva fatto ilpaciere e chi dava gomitate percacciarsi avariti e chi ne dava pertirarsi fuori. Un conduttore deltram di San Paolopassando davanti avia Galvanivide il tumulto esi divertì a gridare a un gruppodi popolanecento metri più in làche il Santo di Jenne era statoritrovato in via Galvani. La vocecorse per i viali pieni di capannelli edi curiosi solitaricomefuoco per la polvere. I capannelli sirupperoprecipitarono verso viaGalvaniinterrogandosi le personenelcorrerea vicenda. I curiosisolitari seguirono più lentipiù cautie videro presto alquantefacce seccate ritornare indietro. CheSanto ritrovato! Era una cagnaradelle solite. Qualcuno vede gentescendere in fretta da Sant'Anselmo.

Un'altra voce corre; quelli vengono davilla Maydaquelli sanno! E sifa popolo da destrada sinistratuttisi affrettanocome piccioni auna manciata di granoallo sboccodella via di Santa Sabina. E icuriosi solitaripiù lentipiùcautidietro. Che! A villa Mayda nonsanno nienteneppure vogliono piùrisponderetanto sono infastiditidalla processione di gente che viene asuonare il campanello. E undrappello di carabinieri arrivaserratoa passo di carica svolta invia Galvani. Si odono dei fischidellegrida irose: «Quelli sanno!Quelli lo hanno menato via!»«No!» grida una fruttivendola in ungruppo fermo sull'angolo di viaAlessandro Volta. «E' stato undelegato! Sono state le guardie!»In quel gruppo s'inveisce non tantocontro il delegato e le guardie quantocontro le marmotte cheavrebbero potutose volevanobuttarea fiume delegatoguardiebottecavallo e cocchiere e si sonlasciate sgominare da quattroparoleda quattro gocce di acqua. Lavecchietta che ha fatto venireBenedetto dall'ex-frate è lìanche lei. L'hanno fermata mentre uscivadal fornaio e racconta per la centesimavolta la storia dell'arrestos'intenerisce per la centesima voltadicendo delle rose e delle parolepie e dell'aria tanto malata che ilSanto aveva. Gli uditori sicommuovonogemono le lodi del Santo. Echi racconta una guarigionemiracolosa ch'egli ha operata e chi neracconta un'altra e chi dice diquel suo parlare che va all'anima e chidi quel viso che vale unapredica e chi della sua povertàe chi della carità che trova modocosì poverodi fare. Ecco davia Galvani guardiecarabinieriarrestati e folla. Un curioso solitariosi avvicina a un altroindividuo della sua speciegli domandache sia avvenuto nelquartiere. Colui non sa niente. I duesi mettono insiemeinterroganoun popolano che pare averne abbastanzavolersene andare. Il popolanorisponde che lì soprain unavilla presso Sant'Anselmoci sta unsant'uomo adorato in tutto il quartiereperché visita gli ammalati ene guarisce molti e parla di religionemeglio dei preticosì chetutti lo chiamano il Santo. Il Santo diJenneanzi; perché ha fattomolti miracoli in un paese dei montiche si chiama Jennee ne hannoparlato anche i giornali. E ierseramentre stava assistendo un poveroinfermola Questura lo ha portato vianon si sa perché. Si dicevache poi lo avessero rilasciato ech'egli fosse ritornato a casaallavilla dove lavora da giardiniere; ma lagente della villa nega ch'eglivi si trovi più e non dàspiegazioni. Il popolo è riscaldatovuole...

Ecco un tramdei passeggeri fannosegno alla gente e la gente gridacorre verso la prossima fermatailpopolano pianta i duecorre anchelui là dove una folla giàsi addensa rapida intorno al tram. Lostrascico lento dei curiosi si avviadietro alla follai dueapprendono come il tram abbiaricondotto sei cittadini del quartiereche"motu proprio"si eranorecati dal Questore. I sei discesero frala turba impaziente di udiredisapere. Non parevano lieti. Allatempesta delle domande rispondevano dichetarsi. Avrebbero parlatoavrebbero riferitoma non lìnella strada. E già la gente protestaval'ingiuria fremeva su molte labbra.Colui che pareva il capo dei seiun tabaccaiosi fece levar sullespalle dei colleghi e arringòbrevemente la folla.

«Abbiamo notizie»diss'egli. «Possiamo assicurarvi fin d'ora che ilSanto non è in carcere!»

Scoppiarono dei "viva"dei"bravo"degli applausi.

«Ma dov'egli sia» proseguìl'oratore «propriamente non si sa.»

Urla e fischi. L'oratore allibìe dopo essersi debolmente provato diparlarecedette alla burrasca e calòdai suoi rostri viventi. Ma unaltro dei sei più gagliardo earditobalzò su a rispondereviolentemente. Allora le urla leinvettive raddoppiarono. «Vi hannoinfinocchiato!» gridava la gente.«Scemi che siete! In prigione lohanno cacciato! In prigione!» Ilgrido si diffondel'odono i lontaniche altro non hanno udito e persinocoloro che né questo né altroudironosentono attraversarsi il pettodalle magnetiche onde oscuredell'ira. Parecchi urlano: «abbasso!»senza sapere chi vogliano giù.

Ed ecco da capo i grandi cappelli deicarabinierida capo le guardie.

Invano i sei si sgolano a protestarele grida di abbasso e di mortene coprono la voce. Un delegato fa daregli squilli. Al terzo succedeun fuggi fuggi. Fugge anche laDeputazione col tabaccaio a capo; mafuggendoi sei riescono a trar con séchi l'uno e chi l'altro deipopolani meno infuriaticon lapromessa di dare in un luogo opportunospiegazioni che non si possono gridarein piazza. Riparano in undeposito di materiali da fabbricacinto di un assito. Parecchi liseguonofiltranoa uno a unoperl'uscio dell'assito; e iltabaccaiopensando avere nel pettocose da far crollare il mondoparla in cospetto della piramide diCaio Cestioche aspettaindifferente il passar dei secoli finoal silenzioalle rovineallaselva.

Il tabaccaio parlacon voce misuratafra una trentina di facceattente. Dice che il Santo di Jenne nonè sicuramente in prigionechenon si sa dove siama che si sannoaltre cosepur troppo. E dice lealtre cose. Se le avesse dette alleturbe scendendo dal tramloavrebbero fatto a brani. In Questuraridono del Santo e di chi glicrede. Raccontano che egli haun'amanteuna signora molto ricca; chenella notte è stato interrogatodal Direttore generale di P. S. perragioni non tanto belle; che quando èuscito dal Ministeroha trovatol'amante che lo attendeva in carrozzaed è partito con lei.

«Io non volevo credere»conchiude il tabaccaio «ma ecco! Adesso dicalui.»

Uno dei seioste a Santa Sabinasifece a raccontare che sua moglieaveva udito nel cuore della notte unacarrozza fermarsi pressol'osteria; che si era alzata e avevaveduta la carrozzaun legnosignorilecon il cocchiere e ildomestico in tuba; che il domesticostava allo sportello e aiutava unapersona a scendereche la personascesa di carrozza era passata a piedisotto la finestra andando versoSant'Anselmo e ch'ell'avevariconosciuto il Santo di Jenne. L'ostesoggiunse che non aveva creduto alriconoscimento perché non c'eraluna ed era piovuto fin dopo le undiciper cui la notte doveva esserestata molto buia; che non avendocreduto neppure aveva parlato; ma chepoiall'udire il racconto dellaQuesturasi era dovuto persuadere. Esua moglie aveva dell'altro araccontare. Si era alzata alle sei. Frale sette e le otto era passata unabotte andando verso Sant'Anselmo.

Poco dopola botte era ripassata.Questa volta sua moglie ci avevaveduto dentro il Santo di Jenne. Erapronta ad attestarlo congiuramento.

Quialcuni fra gli uditorisgattaiolarono dal recintocorsero asussurrare le notizie nel quartiere. Nesuccesse che mentre iltabaccaio e l'oste e i loro amicistavano ancora nel recintosi fecegente sulla strada di Santa Sabinaeun grosso gruppo salìseguitoda due guardieverso l'osteria.

Entrarono nel cortile. L'ostessaciarlava con un clientesotto ilpergolato. La interrogarono ed essarifece il racconto che aveva fattoal marito. La interrogarono ancoravolevano sapere questo e quellotanti particolari. La donna finìcon rispondere di non ricordar bene.

Avrebbe portato da bere da rinfrescaread essi l'ugolaa sé lamemoria. Che! Quelli non eran venutiper bereglielo disserobruscamente. Due ferrovieriattavolatisotto il pergolatopocodiscostosi seccarono diquell'interrogatorio. Uno di essi chiamòl'ostessale parlò a voce alta:

«Che voglion sapere? L'ho vedutoio l'uomo che cercano. E' partitostamattina alle Ottocon una ragazzaper la linea di Pisa.»

La gente si volse a luilo interrogòe quegli giurò incollerito cheaveva detto la veritàche illoro Santo di Jenne era partito alleotto in una vettura di seconda classecon una bella biondaconosciutissima. Allora coloromogimogise n'andarono. Usciti chefurono tuttiuna guardia travestita siavvicinò al ferroviereglidomandò alla sua volta se fosseben certo di quello che aveva detto.

«Io?» rispose colui. «Sesono certo? Che si ammazzino! Non so nulla dinullaio. Le ho fatte chetarele hofatte andare al diavoloquellebestiacce. Corrano almeno fino aCivitavecchiaadessoe affoghinotutti in mareloro e il loro Santo!»

«E allora?» fece l'ostessa.«Dove sarà andato?»

«Vada a cercarlo in cantina»rispose il ferroviere«ché il fiasco èvuoto e noi si ha sete ancora.»

 

 

2.

«Se continui così»esclamò Carlino udendo sua sorella ordinare allacameriera cappellopelliccia e guanti«se mi lasci solo tutto ilgiornoti giuro che ritorniamo a villaDiedo. Almeno là non sapraidove andare.»

«Ho pensato di mandarti Chieco»diss'ella. «Oggi alle due suona dallaRegina e poi verrà da te.Addio.»

E partì senza lasciare alfratello il tempo di replicare. Il suo"coupé"l'aspettava.Diede al domesticol'indirizzodelsottosegretario di Stato per l'Internoe salì.

Era un sabato. Da due giorni Jeanne nondormiva néquasimangiava.

Il martedì sera aveva saputodall'Albacina quello che si tramavacontro Piero e come suo maritoilsottosegretario di Statofosseinvitato dal ministro ad unirsi a luiper avere al Ministero unaconversazione con quest'uomo tantotemuto e odiato dalla corte delSommo Ponteficedalla fazioneintransigente che voleva prevalere inVaticano. Ella corse da Noemile fecescrivere quel bigliettotelefonò a un giovine segretariosuo ammiratore di venire al "GrandHôtel" e diede a luil'incarico di trovare la persona che consegnasseil bigliettoperché di mandarloa villa Mayda non era forse più intempo. Ma sapeva purequestogliel'aveva detto Noemiche Piero erafebbricitante. Pensò di farglitrovare alla porta del Ministero la suacarrozza col domestico che avevaconosciuto Maironi a villa Diedo.

Un'imprudenza; ma che le ne importava?Niente le importava fuorché lavita cara. La partecipazione di mortedella marchesa Nene le eraarrivata quella sera stessacoll'ultima distribuzione. Volle chePiero l'avesse subitoche potessesubito pregare per la povera morta.

Strana cosa ma vera: ella sitrasfondeva in luidimenticando sélapropria incredulitàper sentirecosa dovesse sentire e desiderar eglicon la sua fede. La notte stessa ildomestico le diede conto della suamissione. Le descrisse Maironi come unospettroun cadavere. Ella sidisperò. Sapeva del conflittofra il professore Mayda e sua nuorasapeva che il professore era chiamatomolto spesso fuori di Romalostimava un grande chirurgo ma non ungrande medicoimmaginava chenella sua assenza la giovine signoranon avrebbe avuto un riguardoun'attenzione al mondo per l'infermo. Esapeva dei tre soli giorni ches'intendevano concedere dal Direttoregenerale. Oh non era possibilelasciar Piero a villa Mayda! Portarloviabisognava! Trovargli unnascondiglio dove né Questura nécarabinieri sapessero scovarlodovefosse assistito benecon ogni cura eda un medico valente!Non pensò a consultare i Selva.Neppure aveva detto a Noemi la propriaintenzione di mandare la carrozza alMinistero. Le passò per la mentel'idea di proporre loro che ospitasseroPiero ma non le parve buona;le relazioni di Piero con GiovanniSelva erano troppo note perchéquello fosse un nascondiglio sicuro.Dentro questa considerazioneprudente fremeva una segreta gelosia diNoemiuna gelosia dicarattere particolarenon violentanon ardenteperché Noemi nonamava Piero di un amore simile al suoma quasi più tormentosa perchéella comprendeva che Piero potevaaccettare il sentimento mistico diNoemiperché di un talesentimento ella era incapace e anche perchénon aveva una ragione giusta di dolersidell'amicadi rimproverarladi sfogarsi. Un altro possibilenascondiglio le si offerse alpensierol'alloggio di un vecchiosenatore suo conoscentestatoamico intimo di suo padremoltoreligioso e pieno di ammirazioneaffettuosa per Maironi. Afferròquell'idea. Orarivolgendosi alsenatore per chiedergli nientemeno chedi accogliere in casa sua unuomo ammalato e in pericolo di arrestole conveniva di giustificareil proprio zelo. Ella non figurava frai discepoli di Piero e ilsenatore ignorava affatto il passato.Ma il senatore conosceva Noemi;egli era quel vecchio dai capellibianchi e dalla faccia rossa che siera trovato alla riunione di via dellaVite; Noemi e luis'incontravano spesso nella«catacomba». Jeanne gli scrisseimmediatamente dicendo di farlo a nomedell'amica Noemi che non osava;mise fuori le condizioni di salute e lecircostanze che sempre perquesto riguardo consigliavano ditogliere Maironi da villa Mayda;tacque del pericolo di arresto; esposela preghiera dell'amica;soggiunse che lo stato dell'infermorendeva la cosa urgentissimachese il senatore acconsentisse lo pregavadi consegnare al latore dellalettera una sua carta di visita perMaironi con due semplici parole diofferta. Chiuse domandandogli uncolloquio al Senato nella giornata epregandolo di tacereintantoognicosa. Poi scrisse a Noemil'avvertì di quanto aveva fattoa suo nomela incaricò di ottenere dasuo cognatose il senatore avesse datola carta di visitache sirecasse subito in vetturacon la dettacarta di visitaa villaMaydache persuadesse Maironi adaccettare l'offerta e il professoreMayda a lasciarlo partireservendosidelle ragioni politiche. Scrittele due lettere ebbe un accesso diprostrazione con fenomeni così graviche la cameriera si sgomentò.Costei non svegliò Carlino perché Jeannetrovò la forza di vietarglieloimperiosamentema fece chiamare ilmedico senza dirlo alla signora. Ilmedico pure si sgomentò. Venendoper Carlino l'aveva conosciuta nervosaperò non gli era mai accadutodi vederla in uno stato simileirrigiditacadavericaincapace diparlare. L'accesso durò finoalle sei della mattina. Il primo segno dimiglioramento fu questo che Jeannedomandò l'ora. La camerierapraticamormorò al medico«passa» e rispose forte:

«Le seisignora.»

La parola parve miracolosa. Jeannech'era stata adagiata sul lettosenza spogliarlasi alzò asederesmarrita sì ma padrona delle suemembra e della sua voce. Domandòsubito di Carlinoansiosamente.

Carlino dormivanon aveva udito nullanon sapeva nulla. Ellarespiròdisse sorridendo almedico:

«Adesso caccio Lei.»

E non ebbe pace fino a che il mediconon se ne andò. La cameriera siaccinse a spogliarla; si prese primadella stupida e poi delle scusequasi lagrimose.

«Oh!» disse la ragazza «Leivuol prima mandare quelle lettere! Sìsìle mandi viaquelle cattive lettereche Le hanno fatto tanto male!»

Jeanne le diede un bacio. Quellagiovine l'adorava e lei pure levoleva benela trattava qualche voltacome una cara sorellinascioccherella.

Chiuse le due letterele disse dichiamare il domesticogli diede leistruzioni: prendere una botteandaredal signor senatore...viadella Polveriera40consegnare lalettera diretta a luiaspettarela risposta. Se gli si rispondesse chenon c'era rispostaritornareal "Grand Hôtel" eriferire. Se invece il signor senatore gli facesserimettere un bigliettoportarlo conl'altra letterain via Arenulaa casa Selva. Un'ora dopoil domesticovenne a riferire che tutto erastato fatto; due ore dopoun bigliettodel senatore avvertiva Jeanneche Benedetto era già in casasua. A mattina inoltrata venne Noemi.

Jeanne riposavafinalmente. Noemiattese che si svegliasseleraccontò che suo cognato si erasubito recato a villa Mayda; che nonvi aveva trovato il professore il qualeera partito a mezz'ora dopomezzanotte per Napoli; che Maironiaveva subito accettato l'offertadel senatore; che conoscendo l'umoredella personaGiovanni non avevacreduto di farne saper niente allagiovine signora Mayda; che avevatrovato Maironi molto giùmaperò senza febbre; per cui era sicuroche non avrebbe sofferto del tragittodall'Aventino a via dellaPolveriera. Quel buon giardiniere loaveva bene avviluppatocollelagrime agli occhiin una sua grossacoperta. Forse Jeannes'ingannava ma le pareva che Noemipure mostrandole molto interessenel parlarle di Pieromostrandolemolto riguardo ai sentimenti dileile parlasse però in un tonodiverso da quello di una volta e comeun'amica che non avesse mutatolinguaggio ma si fosse fatta stranieranel cuore. Avrebb'ella forse desideratoPiero a casa Selva? Probabile.

Da quel mercoledì mattina in poierano state corse continue. A PalazzoMadama si sorrideva di un riveritocollega dai capelli bianchi e dallafaccia rossache riceveva ogni giornonella sala dei telegrammilunghe visite di una bella ed elegantesignora. Dal senato Jeannecorreva al "Grand Hôtel"per somministrare una medicina a Carlino; dal"Grand Hôtel" a viaArenula per avere e dare notizie o in via Tre Pileper vedere il medico del senatorecheaveva in cura Piero. Corse ilgiorno e lagrime la notte; lagrime diangoscia per lui consumato da unrecondito male invincibileripresodalla febbre dopo ventiquattr'oredi apiressia perfetta. Anche altrelagrimealtre crucciose lagrimeper le accuse ch'erano state fatte frai discepoli e gli amici diPiero e non da tutti respinte. Ella neera informata da Noemi. Leaccuse che riguardavano presunti amoridi Piero a Jenne non erancredutema era invece creduto da moltich'egli avesse in Romarelazioni segrete con una signoramaritata della quale nessuno sapevail nome. Che fossero relazioni tantocolpevoli quanto dicevano icalunniatori non si credeva. I piùfedeli non credevano neppure a unlegame ideale; ma erano pochi. Unavolta Noeminel riferire a Jeannecerte defezionicerte freddezzeruppeimprovvisamente in pianto.

Jeanne fremettesi rabbuiò;vide allora negli occhi dell'amica unosgomento tanto supplice chetrapassando dalla collera gelosa a unimpeto di affetti senza nomele apersele bracciase la strinse alseno. Questo era successo il venerdìserala sera in cui spiravano itre giorni concessi a Maironi perallontanarsi da Roma. Verso ilmezzogiorno di sabato Jeanne ricevetteun biglietto dell'Albacina. Lasignora del sottosegretario di Statoaspettava Jeanne in casa suaalle due. Fu per questo invito ch'ellauscì in carrozza poco primadelle duenon curando le proteste diCarlino.

 

Appena la carrozza partìJeannerialzò il velotolse il bigliettodal manicotto e chinatovi su il belviso pallidolo fissò non giàleggendonon già scrutando ilsenso molto piano e semplice delleparolema pensando che avesse a dirlel'Albacinaimmaginando ognicosa possibile. Si era deciso dilasciare Maironi in pace? O laQuestura ne aveva scoperto la dimora es'intendeva procedereall'arresto?

«Certo sarà il peggio!»si disse Jeanne. «AhDio!»

E dimentica un momento di sésilevò il manicotto al visovipremette la fronte. Ahforse noforseno! Rialzato rapidamente ilcapoguardò fuorise qualcunol'avesse veduta. La carrozza correvavelocesilenziosa sulle ruote digomma. Ella tornò alle suecongetturevi si perdette a segno dinon avvedersi che la carrozza siera fermata se non quando il cameriereaperse lo sportello. Discese.

L'Albacina le venne incontro sullescalepronta per uscire. Jeannedoveva ripartire con leisubito.Subito? E dove subito? Sìsubitosubitocon la carrozza di Jeanneperché l'Albacina non poteva inquel momento disporre della propria. El'Albacina stessa diedel'indirizzo al cameriere di Jeanneunindirizzo ignoto a Jeannemolto lontano. Si sarebbe spiegata inviaggio. E la carrozza ripresela corsa velocesilenziosa sulle ruotedi gomma. Ahl'Albacina avevadimenticate le carte di visita! Fecefermare ma poi guardò l'orologiovide che si perdeva troppo tempo;avanti! Jeanne ne fremevad'impazienza. Dunquedunque? Dove siva? Eccosi va dal cardinale...

Jeanne trasalì. Dalcardinale...? Il cardinale aveva famad'intransigente fra i più fieri.L'Albacina lo doveva assolutamentevedere e un quarto d'ora piùtardi non lo avrebbe più trovato in casa.

Ah che complicazione di cose! Ella nonpoteva spiegare tutto in pocheparole. Lo scopo della visitas'intendeera sempre quello per ilquale donna Rosetta Albacina lavoravada tre giorni con il confessatointeresse alle idee e alla persona delSanto di Jennee il nonconfessato piacere di condurre unintrigo difficile senza dissaporicon la propria coscienza. Ella si eraincapricciata di Jeanne a Venadi Fonte Altanulla sapendo del suopassato. E nulla ne sapeva ora.

La sospettava innamorata del Santo masupponeva un amore misticonatoall'udirlo parlare nella catacomba divia della Vite. Si teneva certach'ell'avesse avuto parte nellascomparsa di lui da villa Maydacheconoscesse il suo nascondiglio e nonvolesse dirlo per aver promessoil segreto agli amici. PerchéJeannefidandosi poco della signora chele pareva leggera e della quale nonpoteva dimenticare ch'era mogliedi un nemico potentele avevaripetutamente negato di saperlo. Questascarsa fiducia di Jeanne la offendevaun poco perché in fondoleidonna Rosettamoglie di un'Eccellenzaarrischiava molto più; mainsomma il suo amor proprio era oramaiimpegnato nel giuoco la cuiposta era la permanenza libera delSanto di Jenne in Romaed ella eraferma di tirare avanti la partita.

Una gran complicazione di cosedunque.Intantoalmeno fino a venerdìserala Questura non aveva ancorascoperto l'asilo del Santo.

Riteneva che fosse in Romaquesto sì.Qui donna Rosetta fece unapausasperando che Jeanne dicessequalche cosa. Niente. Ammiseriprendendo il discorsoche suo maritopotesse sospettare i maneggich'ella gli nascondevanon essereinteramente sincero con lei. Questonon era però verosimile. Quandosuo marito non parlava sincerodonnaRosetta lo capiva in aria. Capiva puregli altridel resto. Quanto asuo maritodonna Rosetta s'ingannava.A Palazzo Braschi si sapevafino da mercoledì sera dovetrovare Maironie non lo si voleva diree il sottosegretario di Stato si fidavadi sua moglie meno ancora chese ne fidasse Jeanne.

Ma le novità grosse erano levaticane. Avevano raccontato al Papa ifatti della Marmorata e Sua Santitàera irritatissima contro ilGoverno perché le si era fattocredere che il Governo fosse strumentoin questo affaredegli odii massonicicontro un uomo gradito al Papa.

Intorno al Papa gli animi erano divisi.Gl'intransigenti più fanaticicontrari al cardinale segretario diStatocaldeggiavano la nominasgradita al Quirinale per la sedearcivescovile di Torino edisapprovavano gl'intrighi segreti colGoverno italiano. Secondo illoro capol'Eminentissimo che donnaRosetta si proponeva ora divisitarealtri mezzi dovevanoadoperarsi per sottrarre il Santo Padrealla influenza pestifera di unrazionalista inverniciato dimisticismo. Queste cose l'Albacina lesapeva dall'abate Marinier cheveniva a sorriderne argutamente nel suosalotto. Bisognava sentirequantovelenodi accusecon quali arti siseminavadagl'intransigentitutti d'accordo inquestocontro quel poverodiavolo di razionalista mistico delquale l'abate sorrideva non menoche de' suoi nemici!C'erano novità anche alMinistero dell'Interno. Quali novità? DonnaRosetta stava per rispondere quando lacarrozza si fermò davanti a ungrande convento. Il cardinalealloggiava lì. Donna Rosetta discesesola. Dal cardinale la presenza diJeanne non occorreva; sarebbe anzistata inopportuna. Occorreva in altroluogo. Jeanne attese incarrozzacrucciata di non sapereancoradopo tante chiacchiereilperché di quella visita.Passarono cinquedieci minuti. Jeanne sirizzò sulla personadall'angolodove si era raccolta nei suoipensieria guardar l'entrata delconventose donna Rosettaricomparisse. Radi viandanti passavanolenti per la via silenziosaguardavano nella carrozza. A Jeannepareva offensivo che vi fossedella gente tanto tranquilla. Ah Dioelui e lui? Il medico le avevapromesso un bollettino al "GrandHôtel" per le sette. Non erano ancorale tre. Più di quattr'ore diattesa. E cosa direbbe il bollettino?Tante corsetante pratichetantimaneggitante cosee poi? Dio Dioe poi? Si morse le labbrasi soffocòun singhiozzo in gola. Aheccodonna Rosettafinalmente. Il cameriereapre lo sportelloella gliordina:

«Palazzo Braschi!»

E sale in carrozzasi getta unlibriccino ai piedisi strofina afuria le labbrainvece di parlarecolfazzoletto profumatodicefremendo che ha dovuto baciar la manoal cardinale e ch'era tanto pocopulita. Però la visita èandata bene. Ah se suo marito sapesse!Ell'aveva fatto una parte veramenteorribile. Il cardinale era quellofamoso che si era incontrato una voltacon Giovanni Selva nellabiblioteca del monastero di SantaScolastica a Subiaco e lo avevaassalito chiamandolo profanatore dellemura sacrepromettendogli chesarebbe andato all'inferno e piùgiù. Donna Rosetta aveva soffiato nelsuo fuoco per mandare a monte l'accordofra Vaticano e palazzoBraschiera andata a raccontargli chela "haute" religiosa di Torinovoleva l'uomo scelto dal Vaticanoesgradito al Quirinale. Queldiavolo di cardinaleconosciuto da leinel salotto di un prelatofranceseaveva sulla prima rispostosolamentecol suo accento néfrancese né italiano:

«C'est vous qui me dites ça?C'est vous qui me dites ça?»

Infatti donna Rosetta aveva rispostoridendo:

«Oh c'est énormeje lesais!»

Era un discorso che poteva costarel'Eccellenza a suo marito. Ma poil'Eminentissimo le aveva quasi promessoche i voti della "haute" diTorino sarebbero stati soddisfatti:

«Ce sera luice sera lui!»

Finalmente le aveva detto:

«Comment doncmadameavez-vousépousé un franc-maçon? Un des piresaussi! Un des pires! Faites-lui lirecela.»

E le aveva dato un libretto sulledottrine infernali e la dannazioneinevitabile dei framassoni. Era illibretto che l'Albacina si eragettato ai piedi salendo in carrozza.

«Figuriamoci» diss'ella «semio marito legge questa roba!»

Ma che ne importava a Jeanne? Jeanneera impaziente di conoscere lenovità del Ministerodell'Interno. E ora da chi si andavaalMinistero dell'Interno? Dal ministro odal sottosegretario di Stato?Si andava dal sottosegretario di Statodal marito di donna Rosetta.

Donna Rosetta aveva taciuto fino a quelmomento il proposito el'oggetto di questa visita per nonlasciare a Jeanne il tempo dischermirsi né di prepararsitroppo. L'onorevole Albacina sapevadell'amicizia di sua moglie per lasignora Dessalle e dell'amiciziadella signora Dessalle per i Selvatanto legati alla loro voltaaMaironi. Egli aveva detto a sua mogliedi voler parlare direttamente aquesta signoraper fini suoi cheintendeva tacere. L'avrebbeaspettata al Ministero dopo le tre. Cela poteva portare leisuamoglie; ma senza assistere alcolloquio. Il movimento primo di Jeannefu di rifiuto. Donna Rosetta lapersuase facilmente a mutar consiglio.

Ella non poteva dire che progettiavesse in testa suo maritonon losapeva; ma secondo lei sarebbe statafollia di non andaredi nonudirepoiché non ci potevaessere pericoloda parte di Jeanned'impegnarsi a niente. Jeanne siarresebenché il silenzio serbatodall'Albacina fino all'ultimo in cosadi tanto momentola facessetrepidare come un infermo cui siannuncidopo molti discorsischerzosila visita di un chirurgocelebreche verrà per dargliun'occhiata e non più.

«Non le direi di andar sola»conchiuse sorridendo l'Albacina. «Gliuscieri ne hanno viste tante al tempodi certi ministri e vice-ministri! Ma ci vengo io che alMinistero sono conosciuta; e poiadesso quello che accadeva una voltanon accade più.»

L'onorevole Albacina stava presso ilministro. Un deputatochiamatoallora allora per entrarericonobbedonna Rosetta e le offerse diannunciarla a suo marito. Egli nonaveva che due parole a diresarebbe uscito subito. Infatti dopocinque minuti l'onorevole deputatouscì insieme ad Albacina chepregò Jeanne di passare dal ministro conlui. Le due signore non si attendevanoa ciòdonna Rosetta domandò asuo marito se non fosse lui che volevaparlare a Jeanne. SuaEccellenza non si smarrì percosì pococongedò sua moglie con modimolto sommari e portòdisorpresala Dessalle dal ministro. Lapresentò al superioreimbarazzataquasi offesa.

Il ministro l'accolse colla piùrispettosa cortesiada uomo austerosolito a onorare la donna tenendosene adistanza. Egli avevaconosciuto il banchiere Dessallepadredi Jeannee le ne parlòsubito:

«Un uomo» disse «cheaveva molto oro nei suoi forzieri ma il più puronella sua coscienza!» Soggiunseche questa memoria lo avevaincoraggiato ad abboccarsi con lei peruna faccenda delicatissima.

Proferite ch'egli ebbe queste paroleanzi mentre le dicevaJeannesentì con certezza chequell'uomo sapeva il passato. Ella non poté ameno di guardare alla sfuggita ilsottosegretario. Gli lesse negliocchi la stessa scienza; ma lo sguardodel sottosegretario la turbavae la irritava; quello del ministroinvecele apriva un'animapaterna. Il ministro entrò inargomento parlando di Giovanni Selvadel quale fece ampie lodi. Si dolse dinon avere con lui relazionipersonali. Disse di sapere che Jeanneera amica della famiglia Selva.

Egli si rivolgeva a lei per affidare aquei suoi amici una missioneimportante presso un'altra persona. Eparlò di Maironisempre avendocura d'interporre i Selva fra lo stessoMaironi e Jeannedi evitareogni accenno a possibili comunicazionidirette fra l'uno e l'altra.

Jeanne lo ascoltavadivisa fral'attenzione alle sue paroleintensalo studiopure intensodi preparareuna risposta prudentemisuratae il fastidio sdegnoso che le dava lapresenza del piccolomefistofelico Albacina. Il discorso delministro fu diverso da quellochein principio ella si attendeva;migliore ma più imbarazzante.

Egli le disse che non parlava comeministro ma come amico: che con leinon voleva fare misteri; che certeombre non avevano avutoassolutamente corpoche néministri né magistratiné agenti di P. S.

avevano a occuparsi affatto del signorMaironiil quale eraperfettamente libero di sé eniente aveva a temere dalla giustizia delsuo paesefattasi persuasa dellainanità di certe accuse mossegli perodio religioso; ch'egli aveva moltasimpatia per le idee religiose delsignor Maironi e anche molta stima peri suoi propositi di apostoloma che il signor Selva dovevapersuaderlo della opportunità diallontanarsialmeno per qualche temponell'interesse del suo stessoapostolatoda Roma dove gli si facevadai suoi nemici religiosi unaguerra talea colpi di calunniech'egli era per rimanere ben prestoinevitabilmente senza discepoli. Qui ilministro anche credendo farecosa gradita a Jeanneaffermòla propria religiosità; abbagliotragicopensò lei amaramente.Egli sperava che in un prossimoavvenire il signor Maironi potesseesercitare liberamente la propriainfluenza in luogo altissimo; vi eranomolti segni di una prossimatrasformazione di quel tale ambientedi una prossima disgraziadegl'intransigenti; ma per ora gli eraopportuno di eclissarsi. Questoera il consiglio amichevole mapressante che si desiderava di farglipervenire per mezzo del suo illustreamico. Accettava la signoraDessalle di parlare all'illustre amico?Jeanne trepidava. Era da fidarsi? Erada dir cose che forse coloro nonsapevano e cercavano sapere da lei?Guardò involontariamente ilsottosegretario e gli occhi suoiparlarono così chiaro ch'egli nonpoté a meno di pigliare unarisoluzione.

«Signora» disse col suoabituale sorriso sarcastico«vedo che Lei nonmi desidera. La mia presenza non ènecessaria e me ne vado perossequio al Suo desiderio: desideriogiusto e che si capisce.»

Jeanne arrossì ed egli se neaccorsesi compiacque di averla feritacon la coperta allusione che siconteneva nelle sue ultime parole epiù ancora nel sorriso maligno.

«Però» soggiunsecollo stesso sorriso «non me ne andròsenz'affermarlesulla mia parolachemia moglie Le è un'amicafedelissimache non mi ha mai tenutosul Suo conto un solo discorsoindiscreto; comesullo stessoargomentonon ne ho mai tenuto io amia moglie.»

Vendicatosi cosìl'omino se neandòlasciando Jeanne agitatissima.

Diointendevano proprio che avesse aparlare leia Piero?Supponevano che lo vedessepensavanoessi pure che la santità diPiero fosse mentita? Si ricompose conuno sforzo supremocercò aiutonello sguardo gravemestorispettosodel ministro.

«Parlerò al signorGiovanni» diss'ella. «Credo però» soggiunseesitando «che il signor Maironisia ammalatoche non possaviaggiare.»

Nel nominare Maironi le salirono levampe al viso. Ella le sentì assaipiù che non si vedessero. Peròil ministro se ne avvide e venne in suosoccorso.

«Forsesignora» diss'egli.«Ella dubita di compromettere i Suoi amiciSelva. Non abbia questo dubbio. Primale ripeto che il signor Maironinon ha niente a temere da nessuno e poiaggiungo che noi sappiamotutto. Sappiamo ch'è in Romache staper poche ore ancorapresso unsenatore del Regnoin via dellaPolveriera. Sappiamo pure ch'èammalato ma ch'è in grado diviaggiare; anzi Lei può dire al signorSelva che io gli farò averesevuoledal mio collega dei LavoriPubbliciun "coupé"riservato.»

Jeannetremantefu per interromperloper esclamare: poche oreancora? Si contenne appena e presecongedo per correre al Senatosapere.

«Forse il signor Selva lo ignora»disse il ministroaccompagnandolaverso l'uscio«ma il senatoreaspetta non so quali parenti e nonpotrà più alloggiare ilsignor Maironi. Gli rincresce. Gran brav'uomo!Siamo vecchi amici.»

 

Jeanne tremava di avere intraveduta laverità. A palazzo Braschi siera macchinato che il senatorecongedasse Piero; un'altra spinta perallontanarlo da Roma! Ma possibile cheil senatore si fosse lasciatopersuadere? Congedare un infermo inquello stato? Salì nel suo"coupé"si feceportare a Palazzo Madamachiese del senatore. Nonc'era. L'usciere che le rispose cosìle parve un po' imbarazzato.

Aveva una consegna? Non osòinsisterelasciò una carta collapreghiera di passare dal "GrandHôtel" prima di pranzo. Ella stessapartì per il "Grand Hôtel"fremendoe gemendo insieme nel suo cuorebattendo colla punta del piede illibretto contro la Massoneriadimenticato da donna Rosetta. Avrebbevoluto che i due saurivolassero. Erano le quattro e trequarti e il suo dovere quotidianoera di preparare la medicina perCarlino alle quattro e mezzo.

 

 

3.

Mezz'ora prima ch'ella fosse di ritornoal "Grand Hôtel"vicapitarono Giovanni e Maria Selva. Inpari tempo vi capitò il giovinedi Leynì che veniva egli pure adomandare della signora Dessalle eparve soddisfatto dell'incontroperòsenza letizia. Udito che lasignora Dessalle era fuorii trevisitatori chiesero di aspettarlanella sala di conversazione. I Selvaparevano ancora più tristi che diLeynì.

Dopo un breve silenzioMaria osservòch'erano le quattro e un quartoe che Jeanne non avrebbe potuto tardarmolto perché alle quattro emezzoogni giornoaveva un impegnopresso suo fratello. Di Leynìpregò di venirle presentatoquando arrivasse. Aveva un messaggio perlei che non conosceva; un messaggiodel restoche riguardava puregli amici di Benedettoquindi anche iSelva. Maria trasalì.

«Un messaggio di lui?»diss'ellaimpetuosa. «Un messaggio diBenedetto?»

Di Leynì la guardòsorpreso di quell'impetoe tardò un poco arispondere. Nonon era di Benedetto malo riguardava. Poiché lasignora Dessalle poteva sopraggiungeredi momento in momento e sitrattava di cosa non tanto brevenontanto semplicegli parevaopportuno di non cominciare a parlarneprima del suo arrivo. Domandòpoi ingenuamente come mai avesse presointeresse alla sorte diBenedetto questa signora Dessalle chenon si era veduta mai alleriunioni di via della Vitee dellaquale non aveva mai udito il nome.

«Ma Lei» disse Maria«perché crede che ci abbia interesse?»

«Eh» rispose di Leynì«ho un messaggio per leiche riguarda luicapirà!»

Di Leynìdevoto a Benedetto diuna devozione senza confininon avevamai creduto alle voci calunniose sparsesul suo contole avevarespinte sempre con appassionatosdegno. Non ammetteva del suo maestroné amori colpevoli néamori ideali. Nel fare quella domanda non gliera potuto passare per la mente che frala Dessalle e Benedetto vifosse una relazione non confessabile.Giovanni troncò il discorsodicendo che la Dessalle avrebbe anchepotuto tardare molto e cheintanto di Leynì parlasse.

Di Leynì parlò.

Egli aveva visitato Benedetto.Arrivando in via della Polveriera daSan Pietro in Vincoliavevariconosciuto due guardie travestite chepasseggiavano. Poteva essersi ingannatooppure anche poteva esserestato un caso. Però era cosa dafarne menzione. Il senatore lo avevafatto pregareappena entrato in casadi passare nel suo studio. Làparlando con molta cortesia ma con unmanifesto imbarazzogli avevadetto ch'era lieto di vedereproprioin quel momentoun amico delsuo caro ospite; che Benedetto erafortunatamente senza febbre esecondo luiavviato alla guarigione;che un telegramma lo avvertivadell'arrivo imminente di una suavecchia sorella; ch'egli aveva unasola camera da lettonel suo alloggiooltre alla propria e a quelladella fantesca; che gli era impossibiledi mandare sua sorellaall'albergo e anche impossibile oramaidi telegrafarle che ritardassela sua venuta perché era giàin viaggioquindi...

Il senatore aveva lasciato a di Leynìla cura di venire allaconclusione. Di Leynì ch'era conaltri pochi fedeli nel segreto delletrame contro Benedettoera rimastosbalordito. Cosa rispondere? Cheil senatore era solo padrone in casasua? Era forse l'unica rispostapossibile. Di Leynì aveva osatoesprimere riguardosamente il dubbioche un trasloco riescisse fataleall'ammalato. Il senatore si tenevacerto del contrario. Credeva che uncambiamento di aria gli sarebbeutilissimo. Non aveva ancora potutoparlare al medico ma non nedubitava. Suggeriva Sorrento. Siccomedi Leynì né sapeva più che direné si muovevail senatore loaveva congedato pregandolo di recarsi innome suo al "Grand Hôtel"dalla signora Dessalleper le istanze dellaquale egli aveva ospitato Benedettoedi invitarla a voler provvedereperché sua sorella sarebbearrivata la sera stessaprima delleundici.

Di Leynì si era poi recato daBenedetto. Dioin quali condizioni loaveva trovato! Senza febbresìforse; ma con l'aspetto e laguardatura di un moribondo.

Il giovine aveva le lagrime agli occhinel parlarne. Benedetto nonsapeva di dover partire. Gliene avevaparlato lui come di una cosa nonsicura ma possibile. Benedetto lo avevaguardato in silenzio perleggergli nell'animoe poi gli avevadetto sorridendo; devo andar inprigione? Allora di Leynì si erapentito di non avere aperto subito aun uomo tanto forte e sereno in Diotutta la verità e gli avevariferito per intero il discorso delsenatore.

«Egli mi prese» disse ilgiovine con voce rotta dalla commozione «lamano e tenendomela e accarezzandomelapronunciò queste parole precise:"Da Roma non parto. Vuoi che vengaa morire da te?" Io mi turbai tantoche non ebbi la forza di rispondergliperché poi non so nemmeno se ilpericolo dell'arresto non ci siaveramentese l'atto incredibile delsenatore non sia appunto un pretestoper evitare che glielo arrestinoin casa e come si potrebbe portarlo inun altro asilo sfuggendo alleguardie. Lo abbracciaiborbottaiqualche parola senza senso e corsiviacorsi qua per parlare a questasignora Dessalle. Potrebbe forsevenir lei dal senatore e persuaderlo.»

I Selva avevano spesso interrotto diLeynì con esclamazioni disorpresa e di sdegno. Finito ch'egliebbe il suo raccontotacquerosbalorditi. Prima a interrompere ilsilenzio fu la signora Maria.

«Questa Jeanne che non viene!»diss'ellapiano.

Fece un segno impercettibile a suomarito e gli propose di andareinsieme a vedere se fosse rientrata enon l'avessero avvertita.

Nell'attraversare il "jardind'hiver" gli disse che le parevanecessario di far sapere a di Leynìchi fosse veramente la signoraDessalle. Jeanne non era rientrata.Giovanni prese a parte il giovinegli parlò sottovoce. Mariachelo guardava lo vide trasalirespalancare gli occhiimpallidire;quindi parlare alla sua voltadomandare qualche cosa. Jeanne Dessalleentrò frettolosasorridente.

Il portiere le aveva consegnato unbiglietto del medico. Diceva:

«Non credo di poterci ritornare.Stamane era sfebbrato. Speriamo chel'accesso non si rinnovi.»

Jeanne notò sùbito chenon vi si parlava di portare l'ammalatoaltrove. Ell'abbracciò lasignorastese la mano a Selva che lepresentò di Leynì. Ellasi scusò poi con tutti di doverli lasciare percinque minuti. Suo fratellol'aspettava. Uscita che fu promettendo diritornare subitodi Leynì siaffrettò ad appartarsi ancora con Selva.

Maria gli vide ricomparire in visol'ansia di primavide che facevamolte domande e che alle risposte disuo marito si andavaricomponendo. Vide finalmente suomarito posargli le mani sullespalledirgli qualche cosa ch'ellaindovinòuna segreta cosaancoranon conosciuta da Jeanne; vide negliocchi del giovine una commozioneuna riverenza profonda.

Un cameriere entrò a dire che lasignora Dessalle aspettava i signorinel suo alloggio. Vi era moltomovimento nell'albergo. Sussurri distrascichi e sordi tocchi di passi siconfondevano sui tappeti deicorridoisommesse voci stranieregaiecruccioselusinghiereindifferentiandavano e venivano agliascensori si faceva ressa.

Ciascuno della piccola comitiva avevain cuore lo stesso senso amarodi quella mondanitàindifferente. Jeanne era nel suo salottoattiguoalla camera di Carlino che vi stavaaccompagnando al piano ilvioloncello di Chieco. Ella venneincontro ai suoi amici con unsorriso che insieme alla musicaun'antica musica italiana semplice eserenastrinse loro il cuore. Parve unpo' sorpresa di vedere diLeynìdel quale non attendevala visita. Li aveva fatti salire perparlare più liberadisse inveceche aveva pensato di offrir loro unconcerto di Chiecoil quale perònon voleva che si aprisse l'uscio.

Del resto si udiva egualmenteabbastanza bene. Giovanni l'avvertìsubito che il cavaliere di Leynìaveva un messaggio per lei delsenatore.

«Mentre Loro parlano»diss'egli«noi ascolteremo la musica.»

E si scostò con sua moglie daJeanne ch'era diventata pallida enascondeva pocomalgrado estremisforzil'angosciosa impazienza diudire questo messaggio. Seduto presso aleidi Leynì cominciò aparlare sottovoce.

Il violoncello e il piano scherzavanoinsieme sopra un tema pastoralepieno d'ingenua tenerezza ilare e dicarezze. Maria non poté a meno dimormorare: «Diopoveretta!»E suo marito non poté a meno di seguiresul viso di Jeanneal suono dellatenera musica ilarele paroleaffliggenti del suo interlocutore.Osservava pure il viso del giovineil qualeparlando alla signoraguardava spesso lui come persignificar pena e attinger consiglio.Jeanne lo ascoltava con gliocchi fissi a terra. Quando egli ebbefinitoli alzò ai Selvaigrandi occhi pietosamente addolorati:guardò l'unaguardò l'altrodicendo mutainvolontariamente: «voisapete?» Gli occhi tristidell'uno e dell'altra le risposero: sìsappiamo. La musica ebbe unoscoppio sonoro di gioia. Maria neapprofittò per mormorare al marito:

«Le avrà riferito anche ildiscorso del voler morire a Roma?»

Il marito rispose che sarebbe statomeglioche lo sperava. Jeannepose gli occhi all'uscio onde veniva ilfragore della musicaatteseun poco e poi accennò ai Selvadi avvicinarsidisse con vocetranquilla che il senatore avrebbedovuto far avvertire loroche nonsapeva perché si fosse rivolto alei. Vedessero loroadessochefosse a fare.

La musica tacquesi udirono Carlino eChieco discorrere. Di Leynìche abitava un quartierino di scapoloalla salita di Sant'Onofriol'offerse. Ma se c'era un mandato diarresto? Se non si attendevapereseguirloche l'uscita di Benedetto daquella casa?Jeanne smentìpacatamentelapossibilità dell'arresto. I Selva laguardavano pieni di ammirazione perquella calma voluta. Jeanne avevasupposto da un pezzo ch'essi sapesseroil nome vero di Benedetto; comenon sarebbe sfuggita una parola aNoemimalgrado tutti i divieti? Eun istante primanel tacito scambio disguardi dolorosii Selva elei si erano intesi. Giovanni e suamoglie comprendevano che Jeanne sifaceva eroicamente violenza non perloro ma per di Leynì. E adessoanche di Leynìper leconfidenze di Giovannisapeva! Parve loro diavere quasi commesso un tradimento.

Essi si tennero certi che se Jeannediceva di non credere allapossibilità dell'arresto dovevaaverne ragioni da loro non conosciute.

Osservarono che Benedetto avrebbepotuto accettare l'ospitalità loro.

Jeanne ricordò pronta cheBenedetto stesso aveva espresso un desiderioe che la salita di Santo Onofrio parevapiù adatta di via Arenula peril soggiorno di un ammalato bisognosodi pace. Peròsecondo leinonera possibile ammettere che iltrasporto avesse luogo senzaun'espressa licenza del medico. Inquesto si accordarono tutti. ISelva diedero incarico a di Leynìdi riferire al senatore che gliamici di Benedetto avrebbero provvedutoa trovargli un altro asilo maperò a condizione che il medicocurante autorizzasse in iscritto ilsuo trasporto. Mentre Giovanni parlavairruppe dalla stanza vicina untumultuoso "allegro" delpianotutto singhiozzi e grida. Egli tacquenon volendo alzar troppo la vocelasciò passare l'impeto della musicastraziante. E straziante fu la parolache gli occhi di lui e gli occhidel giovine si dissero durante quelsilenzio delle labbra.

 

Di Leynì non aveva tempo daperdereprese congedo. Gli spiaceva diandare soloavrebbe desideratopresentarsi al senatore con qualcunofra gli amici di Benedetto che potessemettergli un po' di soggezioneperché il suo contegno non sicapiva.

Giovanni Selva mormorò qualchecosa circa una vicepresidenza delSenatocui quel vecchio aspirava e chenon otterrebbe. Amaro dolorescoprire miserie tali dove meno sisarebbe creduto! Maria si alzòofferse a di Leynì di andare conlui.

«Lei resta?» chiese Jeannevivacementea Giovanni. L'accento diceva:Lei deve restare. Selva rispose chesarebbe rimasto a ogni modo el'espressione della sua vocedel suoviso fu tale da significare aJeanne che gli pesavano sul cuoreparole tristi non ancora dette. Ohpensò Jeannese adesso Chiecouscissese Carlino chiamasse e nonfosse più possibile di parlarsi!Perché anche lei doveva parlare aSelva. Gli doveva riferire il discorsodel ministro. I due musicistiavevano nuovamente smesso di suonarediscorrevano. Jeanne bussòdiscretamente all'usciovi soffiòdentro due paroline gaie:

«Bravi! Già finito?»

«Nobella mia» risposeChiecodi dentro. «Accidenti a Voi se viseccate!»

E modulò un fischio infernaleda forare l'uscio. Jeanne batté lemani. Piano e violoncello attaccaronoun grave "andante".

Ella si volse a Selva che rientravadall'avere accompagnato fuori suamoglie per dirle di telegrafare a donClemente. Gli andò incontro amani giuntecolle lagrime agli occhi.

«Selva» mormorò convoce soffocata«Lei già sa tuttoa Lei non possonascondermi. Vi è qualche cosadi peggiomi dica la verità.»

Selva le prese le manigliele strinsein silenzio mentre ilvioloncello rispondeva per luiamaro egrave: «Piangipiangiperchénon è sorte d'amore e di dolorecome la tua sorte.» Egli stringeva lepovere mani di ghiaccionon riuscendoa parlare. Lo capiva benediLeynì non aveva osato riferirlele parole terribili -vengo a morire date -; toccava a lui di darle il primocolpo.

«Cara» diss'eglidolcementepaternamente«non Le ha egli detto alSacro Speco che in un'ora solenne Lachiamerebbe a sé? L'ora è venutaegli La chiama.»

Jeanne diede un balzole parve di nonaver capito.

«Ohcome? No!» diss'ella.

Poitacendo Selva con la stessa pietànegli occhiebbe un lampo alcuorefece «ah!»si porsetutta in una muta angosciosa domanda.

Selva le strinse le mani ancora piùforteun singhiozzo represso gliscosse il pettogli contorse le labbraserrate. Ella non disse nientema cadeva se non la sorreggevano lemani di lui. La sorressela posea sedere

«Subito?» diss'ella.«Subito? E' una cosa imminente?»

«NonoLa chiama per domani.Lui crede che sia domanima può essereche s'ingannisperiamo che s'inganni!»

«DioSelvama se il medicoscrive ch'è senza febbre!»

Selva fece il gesto di chi ècostretto ad ammettere una sventura senzacomprenderla. La musica tacevaegliparlò sottovoce. Benedetto gliaveva scritto. Il medico lo avevatrovato senza febbre ma eglipresentiva un nuovo accesso dopo ilquale sarebbe venuta la fine.

Iddio gli faceva la grazia di un'attesaquieta e dolce. Aveva unapreghiera da fargli. Sapeva che lasignora Dessalleamica dellasignorina Noemiera in Roma. Egliaveva promesso a questa signoradavanti a un altare del Sacro Specodichiamarla a séprima dimorireper un colloquio. Moltoprobabilmente la signorina Noemigliene potrebbe dire il perché.

Selva s'interruppe. Aveva in tasca laletterafece l'atto di cavarla.

Jeanne se n'avvidefu presa da untremito convulso.

«No no» diss'egli. «Leripeto che può ingannarsi.»

Aspettò che si chetasse e invecedi trarre la letterane dissel'ultima parte a memoria:

«L'accesso ritorneràstasera o stanottedomani sera o dopodomanimattina sarà la fine. Desiderovedere domani la signora Dessalle peruna parola nel nome del Signorealquale vado. Ho testé pregato ilsenatore di ottenermi questo colloquioma egli si scusò. Mi rivolgodunque a Lei.»

Jeanne si era coperto il viso collemani e taceva. Selva credette benedi suggerire speranze. L'accesso potevanon ritornarepoteva esservinto. Ella scosse violentemente ilcapo ed egli non osò insistere. Aun tratto le parve udire Chieco prendercongedo. Trasaliscostò lemani dal viso spettrale fra i capelliscomposti. Invece scoppiarono leprime allegre note del "Curricolonapoletano"il pezzo che Chiecosuonava sempre per ultimo. Ella balzòin piediparlò convulsasenzalagrime:

«Selvaso che Piero muoresoche non s'inganna. Lo faccia restaredov'ès'è possibile. Gliconduca i suoi amicime lo giuri che glielicondurràche gli procureràquesto conforto. Dica tutto ad essi di medica loro la veritàdica loroquanto è puroquanto è santoPiero.

Io aspetto qui. Non mi muovo. Andròquando Lei mi diràdove Lei midirà. Sono fortevedenonpiango più. Telegrafi a don Clemente cheil suo discepolo muore e che venga.Facciamo tutto quello che dobbiamofare. E' tardivada. E Lei giàin un modo o nell'altro lo vedràPierostasera. Gli dica...»

Qui un colpo di spasimo le ruppe laparola. Chieco entrò zufolandobattendo palma a palma nella suabizzarra maniera e Selva scivolòfuori dell'uscioJeanne gli corsedietro nel corridoio scurogliafferrò una manov'impresse unbacio frenetico.

 

Qualche ora dopoverso le dieciJeanne stava leggendo il "Figaro" aCarlino sprofondato in una poltrona conle gambe avvolte in unacopertae sulle ginocchiastrettavi adue maniuna gran tazza dilatte. Jeanne leggeva talmente maletalmente noncurante di punti e divirgoleche suo fratello lainterrompeva ogni momentos'impazientiva. Leggeva da cinqueminuti quando la cameriera venne adavvertirla che c'era la signorinaNoemi. Jeanne gettò il giornalebalzò in un lampo fuori dellacamera. Noemi raccontò frettolosamentein piedipremendole per l'ora tarda diripartireche mentre Giovannie Maria stavano al "Grand Hôtel"il professore Maydareduce daNapoliera venuto a casa Selvafuoridi séa chiedere spiegazionidella scomparsa di Benedetto da casasua; che alloraella gli avevaraccontato tutto; che Mayda era andatodirettamente in via dellaPolveriera; che ci aveva trovato Mariadi Leynìil senatore e ilmedicoil quale era di opinione cheBenedetto si potesse trasportare;che fra il medico e Mayda vi era statoun diverbio a proposito di ciòe che Mayda lo aveva troncato dicendo:«Ebbenepiuttosto di lasciarloquime lo porto via io.» Ed eraritornato più tardi con una carrozzapiena di guanciali e di copertese loera portato via. Pareva che ilviaggio fosse andato bene.

Udito il raccontoJeanne abbracciòsilenziosamente l'amicastrettastretta. E l'amicapalpitantelagrimosale sussurrò:

«SentiJeanne. Per domanipreghi?»

«Sì» rispose Jeanne.

Tacquelottando contro l'insorgere diuna tempesta di pianto. Quandoebbe vintoriprese sottovoce:

«Non so pregare Dio. Sai chiprego? Prego don Giuseppe Flores.»

Noemi le posò il viso su unaspalladisse con voce soffocata:

«Vorrei che dopo egli ci vedesselavorare insieme per la sua fede.»

Jeanne non rispose ed ella partì.

 

Jeanne ritornò da Carlino per lalettura e Carlino l'accolseaspramente. Le dichiarò che neaveva abbastanza di quella vita ech'ella doveva prepararsi a partire conlui l'indomani per Napoli.

Jeanne rispose ch'era una follia e chenon sarebbe partita. AlloraCarlino diede in escandescenzeleafferrò i polsi la scosse a segnoda farle male. Doveva assolutamentepartire! Poiché resistevaeravenuto il momento di dirle che sisapevano i motivi dei suoiandirivienidei suoi misteridei suoiocchi rossidel suo leggeremale e ancheoradel suo non volerpartire da Roma. Egli n'era statoinformato da lettere anonime. Guai alei se non la rompesse con quelpazzo! Guai a lei se gli sacrificassele sue ideese si lasciasseconquistare dalla superstizionedalbigottismodalla religione deipreti! Non l'avrebbe mai piùguardata in faccia. L'avrebbe rinnegataper sorellada libero pensatore comevoleva vivere e morire. No notroncare troncareNapoliPalermol'Africase occorresse!

«Libero pensatore? Certo. E lalibertà mia?» disse Jeanne senza sdegnoa ricordo di un diritto e non per ilproposito di usarne. Carlinointese invece che proprio volesseusarne come a lui non piaceva eperdette addirittura il lume degliocchi. Jeanne tramortì nell'udirequell'uomonervoso ma creduto da leibuono e gentilescagliar tanteingiurie con tanto fiele. Non risposenientesi ritiròtuttatremantenella sua cameragli scrissedue righe per dirgli che lasua dignità non le permetteva direstare con lui fino a che non sifosse disdetto delle sue offeseche sene andavache se egli avesseuna parola per lei mi mandasse a casaSelva. Non prese con sé che unapiccola borsa e uscìaccompagnata dalla cameriera lasciando la letterasulla scrivania.

Non vide carrozzelle presso l'albergo esi avviò verso l'esedra perprendervi il tram. Infuriava iltramontanoi lecci del viale sidibattevano stridendoera buiosicamminava malissimo sul suolotutto sossoprala cameriera esclamòsgomenta:

«Gesummariasignoradoveandiamo?»

Jeannecol capo in fiammecol cuore ei polsi in tumultocontinuòla via senza rispondere; parendolevenir portata dai flutti di un mareignotonelle tenebreverso lui.

Verso luiverso lui. Anche verso ilsuo Dio? Il vento potente lastordiva ruggendole sopra e ai lati. Leparole di Noemile parole diCarlino le straziavano l'anima conopposta violenza. Anche verso ilsuo Dio? Ah che ne poteva sapere?Intanto verso lui!

 

Cap. 9

NELTURBINE DI DIO


1.

Alle due pomeridiane del giornoseguente Jeanne aspettava in casaSelvacon Maria e Noemile notizie divilla Maydanon senza pensaredi quando in quando al silenziopertinace del "Grand Hôtel". Giovanniera andato a villa Mayda da prima dellesette. N'era ritornato allenove. Non aveva potuto vedereBenedetto. Il professore Mayda nonl'aveva permesso né a lui néad altri. Sapeva che l'ammalato avevaricevuto i Sacramentima piuttosto perdevozione che per imminenza dipericolo. Però nella notte unfilo di febbre si era rifatto. Sisperava ora di poter dominarel'accessocontenerlo. Forse Giovanninel fare la sua relazione a Jeannel'aveva un po' colorata diottimismo. Benedetto stava nella camerastessa del professore. Non erapossibiledisse Giovanniimmaginarecon quale femminile squisitezzadi cure egli fosse assistito da questoterribile Mayda che tanticredevano duro e superbo.

Giovanni era ritornato colà dopocolazionesul mezzogiorno. Da partedi Carlinoniente; né scrittiné messaggi. Jeannemalgrado l'altragrande angoscianon poteva a meno dipensare anche a lui. Se ildolorela colleralo avessero fattoammalare? Le amiche larassicuravano. La cameriera o ilcameriere sarebbero venuti adavvertirla! Ella dubitava dellaintelligenza di quella gente. Chefare? Jeanne era per chiedere che simandasse qualcuno a informarsiquandoalle due e un quartosi udìun passo frettolosonell'anticamera ed entròGiovanni col soprabito indosso e col cappelloin mano. Jeanne lo guardò infacciaintese ch'era venuto il momento.

Si alzòbianca come una morta.Subito si alzarono silenziosamenteanche Maria e Noemila prima guardandoJeanneNoemi guardando suocognato che non sapevadavanti a quelviso spettrale di Jeannetrovar parole. Furono cinque o seiterribili secondinon più. Mariadisse sommessamente:

«Si va?»

Suo marito rispose:

«E' meglio.»

Niente altro fu detto.

Le tre signore si ritirarono permettere mantello e cappello; Jeannein una stanzaMaria e Noemi inun'altra. Giovanni seguì quest'ultime.

Dunque? La febbre è salitamoltoil professore non ha più speranza.

Noemiudito questomette il cappelloin furia e va nella camera diJeanne che sta mettendo il suo. Jeannesi voltala vede venire a unbaciola ferma col gestosi pone undito alle labbra. Noemi intende.

E' l'ora della fortezzanon domandaparticolarinon domanda niente.

Si raccolgono tutti; Maria dice piano asuo marito di prendere duecarrozzelle coperteanche perchéil cielo si è anneritoun temporaleda inverno romano è imminente.Non occorrono carrozzelle. Giovanni èvenuto col "landau" di casaMayda. Si sale nel "landau"chiuso.

Jeanne si accorge allora che le suecompagne sono vestite di scuro eche lei ha un vestito ceneretroppochiarotroppo elegante.

Trasalisce lievementegli altri lainterrogano collo sguardo. Ellaesita un momentopensa che non ha nétempo né modo di rimediarerisponde:

«Niente.»

Si parte. Nessuno parla più.

Svoltando in via del Piantolacarrozza si ferma per un impedimento.

Si è fatto ancora piùbuiotuonai cavalli si impennano. Mariaguarda inquieta dallo sportello;Jeannech'è seduta in faccia aGiovanni gli domanda sottovoce se hatelegrafato a don Clemente.

Giovanni risponde che don Clemente èa villa Mayda fino dalle dieci emezzo. La carrozza prosegue. A PiazzaMontanara comincia la pioggia. Icavalli trottano serrato. Quandofinalmente il cocchiere li mette alpassoMaria guarda suo marito: - E'bene l'Aventino? Dobbiamo esservicini. - Questo è detto con gliocchinon con le labbra. Jeanne nonera mai passata di là ma senteanche lei che si è per arrivare. Erettasulla personaguarda il muro che lepassa davanti agli occhiloguarda attentamente come se volessecontare le commessure dellepietre. I cavalli riprendono il trotto.Passato Sant'Anselmosiscende al basso. Popolani fermiadestra e a sinistraguardano nellacarrozza. Giovanni Selva mormorainvolontariamente:

«Ecco.»

Allora Jeanne ha un sussultosi copreimpetuosa il viso colle mani.

Mariaseduta al suo fiancole cingeil collo con un braccio; sipiega tutta a leile sussurra:

«Coraggio!»

Ma Jeanne si stringe in sésischermisce quanto puòe Noemi accennaa sua sorellascotendo il capodismettere. Maria sospira e lacarrozza svolta a sinistra fra duefitte ali di gentepassa uncancello. Le ruote stridono sullaghiaiasi fermano. Un domesticoviene allo sportello. Il signorprofessore prega di favorire nellavilla. Solamente allora Giovanni Selvadice alle sue compagne cheBenedetto non è più nellavillache ha voluto essere portato nellasua vecchia cameretta in casa delgiardiniere. La carrozza procede diqualche passoi quattro scendono fradue gruppi di palmedavanti auna gradinata di marmo bianco. Pioveancora ma non molto e nessuno sene curané il popolo che siaffolla al cancello né un gruppo dipersoneche dal viale di arancidiscendente lungo il muro di cintaalla casina del giardinierestaguardando i nuovi arrivati. Qualcunosi stacca da quel gruppo. E' di Leynìche sale la gradinata di marmobianco dietro a Selvalo ferma sottoun'arcata del vestibolopompeiano e discorre con lui a vocebassasenza dare un'occhiata allamagnifica scena distesa fra i duegruppi di palmeal fiume di begonieche casca fra due sponde di muse giùper la china dell'Aventinoalnero cielo procelloso tagliato da striebianche laggiù sopra i merlidi Porta San Paolosopra la piramidedi Caio Cestio e la selvettafunebre che pullula dal cuore diShelley.

 

Selva entrò nel vestibolo ericomparve un momento dopo con sua moglie.

I due scesero la gradinata insieme a diLeynìsi avviarono verso lepersone che parevano aspettarli nelviale degli aranci. In quelmomento un fuoco di voci sdegnosedivampa al cancello. La via è pienadi popolo. Aspettano da oreda quandoè corsa nel quartiere delTestaccio la voce che il Santo di Jenneè ritornato infermo a villaMayda. Finora si sono accontentati dinotizie. Adesso hanno chiestoche una deputazione possa entrarevederlo; i domestici rifiutano diportare il messaggioavviene unoscambio di parole irose cheimprovvisamente si cheta. Compare dalviale degli aranci l'alta figurabruna del professore Maydai popolanisi levano il cappello. Egliordina di aprire il cancellodice alpopolo che tutti vedrannoBenedetto ma più tardicheintanto entrino pure nel giardino. «Ma sìpovera gente!»

E il popolo entra lentorispettosoalcuni attorniano il professorelo interrogano colle lagrime agliocchi.

«E' verosignor professore? E'vero che muore? Dica!»

E dietro a loro si accalcano altriansiosiaspettando la risposta.

La risposta è solamente questa:

«Ma! Cosa volete che vi dica?»

Il virile viso malinconico dice piùdelle parole e la folla s'inoltracompunta per le verdi chinelivide infaccia al cielo nero striato dibiancomistico simbolo di mortedi unoscuro passo dalle ombreterrestri alle alte vie della chiaritàinfinita.

 

 

2.

Benedetto amava il professore Mayda.Quandonella casa del senatoreudì ch'egli aveva risoluto diportarlo con sé a villa Maydaebbe unmovimento di gioia. Amava ilprofessoreforse incapace ancora di fedema profondamente convinto che vi hannoenigmi insolubili per lascienzagenerosofiero ai potentimite agli umili. Amava pure ilgiardinogli alberii fiori e l'erbaond'era statocome delprofessoreil servo e l'amico. Tuttovi era pieno di careinnocentianimecon le quali in certi momenti dirapimento spirituale avevaadorato Iddio posando le labbra sulleloro vesti picciolettesopra unfioresopra una fogliasopra unostelodentro un alito di frescuraverde. Gli piaceva l'idea di morire inmezzo ad esse. Talvoltasottoun pino volgente al Cielo l'ombrellopieno di vento e di suonoavevapensato all'ultima scena della Visionesi era contemplato lì stesosull'erba nell'abito benedettinopallidosereno tra faccecompiangenticantando il pino sopra dilui un canto misterioso delcielo. Ogni volta si era soffocata nelcuore questa compiacenza nonscevra di vanità egoisticheumanenon tutta raccolta e chiusanell'ossequio della Divina Volontà;ma non aveva potuto svellerne laradice.

Tese dunque le bracciariconoscenteal professore. Ma subito fupreso da uno scrupolo. La suaintelligenza e il suo sentimentocristiano si trovarono incontraddizione. Sapeva di essere sgraditoalla signora che aveva sposato ilfiglio del professoreufficiale dimarinaallora in Oriente; capiva cheritornando a villa Mayda sarebbestato causa di dispiacere a lei eperciò di dissapori con il suocero.

Ma come ora dirlo senz'accusare di pocagiustizia e di poca carità unapersona che appunto per essergli nemicaegli doveva particolarmenteamare? Pregò il professore dilasciarlo andare a Sant'Onofrio. Lamutazione fu così repentina cheMayda ne meravigliòpensò un momentocapìgli disse aggrottando leciglia:

«Volete che io non perdoni maipiù qualche cosa a qualcuno?»

Benedetto non si oppose più.Soltanto quando a notte venne il momentodi scendere alla carrozza ed egli sisentì incapace di reggersisorrisedisse al professore posandoglila mano sul braccio:

«Lei sa che a questo modo domanio posdomani avrà un morto in casa?»

Il professore rispose che con lui nonmentivache questo erapossibilema non certo.

«Lei sa» riprese Benedettonon più sorridente«che prima vi avrà...»

«So quello che volete dire»interruppe il professore. «Venite in pacecaro. Non sono credente come voi ma lovorrei essere e apriròrispettosamente la mia porta a chivorrete voi. Intanto prenderemoquestovero?»

Staccò dalla parete ilCrocifisso che Benedetto aveva portato con sé eprese l'infermo nelle sue bracciapotenti.

Il tragitto si fece senza guai.Adagiato per traverso nel "landau"sopra una diga di cusciniBenedettoche sembrava diminuito distaturarispondeva più colsorriso che colla voce fievole allefrequenti domande dei professore.Questi gli teneva continuamente lamano al polso e di tempo in tempo gliamministrava un cordiale.

All'entrata della villafossecommozione o stanchezzail povero visoscarno dell'infermo imbiancò esi coperse di sudorei grandi occhilucenti si chiusero. Mayda lo portònel suo proprio letto. Cosìavvenne che Benedettonel ricuperarela coscienzanon siraccapezzasse più.

Egli non la ricuperòin quellasua spossatezza estremasenza passareper ombre di pensamenti vani. Gli parveesser mortogiacere stesosulla faccia perpetuamente oscura dellalunaavere a cerchio di sél'imbuto dei raggi solari fuggentiall'infinito e vedere sul fondonero dell'imbuto fiammeggianti occhi distelle. Poco a poco si conobbein un letto enormetutto scurocintodi un chiaror fioco che siperdeva ai lati verso pareti malevisibili. Grandi ombre gli simovevano intorno. A fronte gli siapriva un azzurro tutto sparso dipunti lucenti. Gli batté ilcuore; non erano veramente stelle? Dovetterichiamarsi alle sensazioni del letto edel proprio vivere percomprendere ch'erano veramente stellema ch'egli non giaceva sullaluna. Alloradove era? Si lasciòandare a una dolcezza che loinvadevaalla dolcezza di non sentirsiquasi più il corpo e disentirsi Dio nell'animatanto vicino etenero e ardente. Era dovepiaceva a Dio.

Una mano gli si posò sullafronteuna lampadina elettrica loabbagliòun'affettuosa voceforte disse:

«Come va?»

Egli riconobbe Mayda. Allora domandòa lui dove fosseperché nonfosse nella sua cameretta antica. Primaancora che il professore glirispondesselo assalse un dubbioangoscioso. Il Crocifisso? Il caroCrocifisso? Era rimasto in casa delsenatore? Il Crocifisso era sultavolino da notte. Il professore glielomostrò.

«Non sai» diss'egli «chelo abbiamo portato con noi?»

Benedetto lo guardòcontentodel nuovo tu e porse la mano tremantecercando quella di Mayda che glielaprese fra le propriedolcemente.

In pari tempo si sentì umiliatodella sua dimenticanza. Era eglivicino a perder la mente? Tutto ilgiorno prima aveva pensato leultime parole da dire agli amici e allapersona che tanto gli avevafatto sentire la sua presenzainvisibile. Ma se perdeva la mente? Ilprofessore diede mano a saturarlo dichinino. In principio Benedettoaccettò volentieri iniezionidolorose e pozioni amarecosì per ildesiderio di rinvigorirsi un poco equindi di difendersi contro unoscuramento dello spiritocome per ildesiderio di soffrire. Oh sìsoffriresoffrire! Nei giorniprecedenti aveva sofferto moltonon disofferenze localinon di sofferenzeacutema di una sofferenzainesprimibilediffusa dalle radici deicapelli alle estremità deipiedi. Era stata una beatitudinedell'anima poter associare in talimomenti la volontà propria allaVolontà Divinaaccettare dall'Amoretutto il dolore che gli aveva destinatosenza dirgliene il misteriosoperchéun perchénascosto nel disegno dell'Universocerto un perchédi bene; non di solo bene della personasofferente ma di beneuniversaledi un bene radiante dal suopovero corpo senza conosciutoconfinecome il moto da un vibranteatomo del mondo. Grande cosasoffrirecontinuare umilmente Cristocontinuare la redenzione comeun peccatore puòcompensare coldolore proprio il male altrui! Là sulsentiero solitario del Sacro Speconelfragore dell'Anienefra lemontagne religiosedon Clementegliaveva parlato così.

E adesso quel soffrir mortale eracessato. Quando il chinino cominciòa rombargli nel capose ne sgomentò.Questi rimedi lo istupidivano.

Chiamò il professore; glirispose una suora. Chiese che gli facesserovenire un sacerdote dalla Bocca dellaVerità.

Il professorech'era andato a riposareper un'oravenne arassicurarlo e credette allora dirgliquello che prima aveva taciuto.

Don Clemente aveva telegrafato a Selvache sarebbe giunto a Romal'indomani mattina alle dieci.Benedetto n'ebbe una gran gioia.

«Ma non sarà tardi?»diss'egli. «Non sarà tardi?»

Nonon poteva esser tardi. Egli non sitrovava presentemente inpericolo prossimo. Questione di vita odi morte era il rinnovarsidella febbre e nel caso piùdisgraziato vi sarebbero state ancoramolte ore. Mayda dubitò di avereparlato troppo crudamenteglisussurrò:

«Ma guarirai.»

E uscì della camera. Benedettopensando a don Clementepassò dallaquiete della sua contentezza nel soporee nel sognodove disceserogli spiriti mali a comporgli con leultime parole del professore unavisione d'inganno.

Egli si vide in faccia un colossalemuraglione di marmoincoronato diricche balaustratetutto bianco diluna. Là in alto; dietro allebalaustrateagitavasi al vento unadensa foresta. Sei scalepurefiancheggiate di balaustriscendevanoper isghembotre da sinistra etre da destrasulla fronte delmuraglioneterminando a sei ripianisporgenti. Le balaustrate superiorierano partite da pilastrini chereggevano urne. Ed ecco fra le urneamezzo di ciascun intervalloapparire come in danzanello stessoistantenello stesso abitoceleste scollatonello stesso graziosoatto del caposei giovanidonne bellissime; e con lo stessoarmonioso gesto delle braccia ignudetendere a lui dall'altopiegando ilbustosei scintillanti coppe diargento. Si ritraevano quindi a unpunto dalla balaustrata e a unpunto ricomparivano sulle sei scalelescendevano uguali velocementeetoccati i ripiania un puntoriporgevano graziose il bustoglitendevanoguardandolo con una gravitàstranale sei coppescintillanti. Dalle loro labbra nonusciva parola e tuttavia gli eraevidente che le sei giovani glioffrivano nell'argento un liquore divitadi salutedi piacere.

Egli sentiva di averne uno sgomentomorale angoscioso e tuttavia dinon poter levare lo sguardo dalle coppescintillantidai bei voltigravichini sopra di esse. Si sforzavadi chiudere gli occhi e nonpotevadi levarsi e non potevad'invocare Dio e non poteva. Le seidanzatrici piegarono a un punto lecoppe verso di luisei mobilinastri di liquore rigarono l'aria.«Come io» pensò il dormentescambiando persone nella memoriaturbata «a Praglia». E tuttoscomparvesi vide davanti Jeanne.Ritta in piedichiusa nel mantelloverde foderato di "skunk"ombrata il viso dal grande cappello neroella lo guardava come lo aveva guardatoa Praglia nel momento delprimo incontro. Ma stavolta il dormentevide una rispondenza fra lagravità di quello sguardo e lagravità dei volti delle danzatricivide con lo spirito la parolasilenziosa delle sette anime: poverouomotu ora conosci il tuo dolorosoerroretu ora sai che Dio non è.

La gravità degli sguardi non erache tristezza di pietà. Le coppedella vitadella salute e del piaceregli erano offerte discretamentee senza gioia come a uno ch'ènel luttoche ha perduto ogni cosa piùcara; come il solo povero conforto chegli rimane. Così Jeanne offrivail suo amore. E il dormente fu invasoda questa presunta evidenzanuova che Dio non è. Era unavera e propria sensazione fisicaun gelodiffuso per tutte le membramoventelento al cuore. Egli prese atremarea tremare e si destò.Mayda pendeva sopra di lui coltermometro in mano. Benedetto mormoròcon gli occhi sbarrati: Padre! -Padre! - Padre - La suora suggerì:- Padre nostro che sei nei cieli...

- e avrebbe continuato con la sua vocedisgraziatamente sciocca senzaun brusco richiamo del professore.Questi mise il termometro aBenedetto che quasi non se ne avvide.Era tutto nello sforzo distaccare dall'intimo sé leimmagini delle figure tentatrici e dellaorribile loro paroladi gettarsianima e coscienzain seno alPadredi aprire a Lui con l'interoessere propriodi annientarsi inesso. Le immagini cedevano lentamentecon ritorni di assalto semprepiù brevisempre piùdeboli. Il viso appariva tanto trasfiguratonella mistica tensione dell'anima cheMayda si pietrificò acontemplarlodimenticò diguardar l'orologio fino a che i lineamenticontratti nell'affannosa preghiera nonsi vennero distendendo in unacompostezza di pace. Allora sisovvennelevò il termometro. La suoradietro a luireggeva la lampadinaelettrica cercando pure di vedere.

Egli non discernevasulle primeilgrado. In quei pochi secondi disilenzio e di attenzione intensa nél'uno né l'altra si avvidero chel'infermo si era voltato sul fianco eguardava il professore.

Finalmente Mayda scosse lo strumento.Che grado aveva segnato? Lasuora non osò chiederlo e lafaccia del professore era impenetrabile.

L'ammalato allungò la mano senzach'egli se ne avvedesselo toccòlievemente sul braccio. Mayda si volsea luigli lesse negli occhisorridenti la domanda: «edunque?» Non rispose a parole ma solo conl'ondular della mano spiegata: nébene né male. Poi sedette accanto allettosilenzioso ancoraimpenetrabileguardando Benedetto che nonguardava più lui ma guardavarimessosi a giacere supinoi puntilucenti nell'immenso azzurro.

«Professore» diss'egli«che ore sono?»

«Le tre.»

«Alle cinque mandi ad avvertire aBocca della Verità.»

«Va bene.»

«Sarebbe tardi?»

A quest'ultima domanda il professorerispose con un «no» sonorovibrato. E dopo un momento di silenziosoggiunse a voce più bassa «no»

come a conclusione di un ragionamentointerno. Il termometro erasalito a trentasette e cinque; dallasera precedentepiù d'un grado.

Se l'ascensione continuasse rapidasevi fosse pericolo di delirioavrebbe mandato a Bocca della Veritàprima delle cinque. L'ascensionerapida non gli pareva probabile benchéquel trentasette e cinqueavesse un colore nero.

Domandò all'ammalato se la lucedella lampada l'offendesse. Benedettorispose che materialmente nonl'offendevaspiritualmente sì; glitoglieva di vedere per la finestra ilcielola notte stellata.

«Illuminatio mea»diss'eglidolcemente.

Il professore non capìgli feceripetere la parolechiese qual fosseil suo lumeudì la voce fievolemormorare:

«Nox.»

Mayda non conosceva i Salmila parolaprofonda dell'antico ebreoalquale parve oscuro il nostro piccolosole che occulta il mondosuperiore. Intese e non intese. Tacqueriverente.

Benedetto cercava con gli occhi lestelle. La sua propria coscienzatrapassava in esse che lo guardavanoaustere sapendolo presso araccogliereprima della morteimminentetutta la storia morale dellasua vita per dirla con parole chesarebbero un primo giudiziopronunciato nel nome di Dio Giustiziaper impulso di Dio Amorechenon si perderebbero perchénessun moto si perdeche apparirebberochi sa comechi sa dovechi saquandoper la gloria di Cristocometestimonianza suprema di uno spiritoalla Verità morale contro sestesso. Così gli parlavano lestelle silenzioseanimate del suopensiero. E la sua vita gli si disegnònella mente da capo a fondonon tanto nei punti salienti esternicome nella linea morale interna.

Egli ne vide tutta la prima partedominata da una concezione religiosaprevalentemente egoisticaordinata afar convergere l'amore di Dio edegli uomini a un bene individualeaun fine di perfezione e dipremio. Sentiva dolore di avere cosìobbedita solamente a parole lalegge che all'amore di se stessoantepone l'amore di Dio; ed era undolore dolcenon perché glifosse facile trovare scuse all'erroreimputarlo a maestrima perchégli era dolcezza sentire il proprioniente nell'onda di grazia che loavvolgeva. E sentiva il proprioniente in quel passato sfacelo di unareligiosità manchevoleoperatodall'insorgere dei sensinelladepressione centrale della sua vitatutt'un tessuto di sensualitàdi debolezzedi contraddizioni e dimenzogne; il proprio niente anche nellavita posteriore alla suaconversioneimpulso e opera di unaVolontà interna e prevalente allasuadurante il quale ultimo tempo glipareva di avereper contopropriosolamente gravato control'impulso buono. Anelò a deporrecome una spoglia pesante tutto quel«sé» che lo tardava. Conobbe partedi questo «sé»pesante anche l'affetto alla Visioneaspirò allaVerità Divina nel suo misteroqualunque ella fossesi donò a lei contale violenza di desiderio daspezzarsiquasinel palpito; e lestelle gli folgorarono un senso cosìvivo della incommensurabilegrandezza della Verità Divina difronte alla concezione religiosa suae dei suoi amicie insieme una fedecosì certa di essere avviato aquella immensitàch'egliesclamò alzando di scatto la testa dalguanciale:

«Ah!»

La suora si era appisolata ma ilprofessore no.

«Cosa c'è?»diss'egli. «Vedi qualche cosa?»

Sulle prime Benedetto non rispose. Ilprofessore alzò la lampadina esi chinò sopra di lui che volseil viso a guardarlo con unaespressione di desiderio intensoedopo averlo guardato lungamentesospirò:

«Ah professorec'è cheLei deve venire dove vado io.»

«Ma sai» disse Mayda «dovevaitu?»

«So» rispose Benedetto «chemi separo da tutto quello che si corrompee che pesa.»

Poi domandò se qualcuno fosseandato alla parrocchia. Comese non erapassato che un quarto d'ora? Si scusògli pareva che fosse passato unsecolo. Supplicò il professoredi ritirarsidi prendere riposocontemplò daccapo i lumicelesti; poi chiuse gli occhidesiderò Gesùdue braccia umane che lo sollevassero elo cingesseroun petto umanoanimato di Divinodove celare il visoentrando nell'immenso mistero.

Ebbe i Sacramenti alle sei. Iltermometro era salito di qualche linea.

Alle nove Benedetto domandò diGiovanni Selva. Seppe ch'era venutoch'era ripartito e che c'era invece diLeynì. Volle vederlo malgradol'opposizione del professore. Gli disseche desiderava salutare almenoalcuni dei suoi amici delle catacombe.Di Leynì lo sapevaglieneaveva parlato Selva. Potéannunciare che si erano dato convegno avilla Mayda verso il tocco. La suorainfermieravenuta poco prima asostituire la sua compagnaebbel'imprudenza di dire che tanta gentedel popolo domandava notizie.Benedettolì per lìnon disse nulla;mauscito di Leynìfecechiamare il professore. Il professore nonc'eraaveva dovuto recarsiall'Università. Il discorso della suoraavea fatto prendere definitivamente aBenedetto una risoluzionepensata fin da quando la prima luce delgiorno gli aveva mostrato lepareti della camera dipinte di soggettimitologici nello stile dellaCasa di Livia. Desiderò di undesiderio indicibile la sua camerettaantica. Là avrebbe veduto gliamicii popolani che volesserovisitarloese fosse venutal'altrapersona. Pregò di partire algiardiniere e ai serviespresse il suodesiderio; e perché colororifiutavano di trasportarlolisupplicò per amor di Dioli commossetanto che si arreseroa rischio divenir cacciati. «Idee proprio diSanti» pensò la suora.Benedetto fece il tragitto nelle braccia delgiardiniere e di un servoavviluppatodi copertecol Crocifisso inmano. La sua consolazione di trovarsinella cameretta povera fu cosìgrande che parve a tutti migliorato. Mail termometro saliva.

Dopo il tocco il termometro segnavatrentanove. Don Clemente eraarrivato alle dieci e mezzo.

 

 

3.

I Selva e di Leynì raggiunseroil gruppo di persone che li aspettavanonel viale degli aranci. Erano tuttilaici meno unoun giovinesacerdote abruzzesepiccolodal visoolivastrodagli occhi neriprofondi e ardenti. Vi era lo studenteElia Viterboora cristianostato battezzato da quel sacerdote. Viera il biondo giovinettolombardo prediletto dal Maestro. Vi eraun giovine operaioabruzzeseanche luiamico del pretebellissimodalla faccia di apostolo; viera quell'Andrea Minucci della riunionereligiosa di Subiaco; vi eranoun pittoreun ufficiale di marinacomandato al Ministero e altri;tutti uomini che ogni amore terrenoavrebbero sacrificato all'amore diBenedetto. Nessuno di loro avevacreduta vera una sola delle vocicalunniose sparse contro di lui. Loavevano difeso con impetuososdegno contro i compagni diffidenti. Sipotrà dire di essi un giornoche furono posti alla prova dallaProvvidenza ed eletti quindi acontinuatori dell'opera del Maestro. DiLeynì era della loro schiera;in Giovanni Selva essi ammiravano eriverivano un uomo ammirato eriverito dal Maestroprovandone peròsoggezione. Stavano da un pezzonel viale degli aranci ad aspettareappunto lui; perché a entrar dalMaestro non si aspettava che il signorGiovanni. Molti di loro avevanole lagrime agli occhi. All'avvicinarsidei Selvatutti si levarono ilcappello in silenzio. Giovanni siavviòseguito dall'intero gruppoverso la casina. Sua moglie venivaultima. Uno dei giovani le accennòdi passare avantima ella non volle enessuno insistette. Non eraluogo né ora di cerimonie; Mariasentiva che quegli uomini eranochiamati prima di lei a continuarel'opera di Benedetto dopo la suamorte. Camminavano in silenzio e a caposcoperto malgrado la pioggiaSelva come gli altri.

Mayda li ricevette sulla soglia. Al suoritorno dall'Universitàegliaveva accolto la notizia del passaggiodi Benedetto alla casina con unterribile scoppio di collera. Non avevapoi disarmato con la suoracon il giardinierecon i servima siera persuaso in cuor suoconsiderando la nota delle temperatureprese ogni mezz'orache quelcolpo di follia non aveva modificatosensibilmente il corso fataledella febbre. Alla domanda se sidovesse restar poco nella cameracercare che l'ammalato parlasse il menopossibilerispose:

«Fate tutto quello che desidera;è il banchetto del condannato.»

E li precedette sur una scaletta dilegno.

«I tuoi amici» diss'eglientrando nella camera. Li fece passareechiuso l'usciosi appoggiò auno stipite della portacon le maniincrociate dietro il dorsoguardandoBenedetto. L'alta figura brunanon si mosse più di làtutto il tempo che Benedetto trattenne i suoifedeli.

Benedetto aveva il viso accesogliocchi lucentiil respirofrequente. Salutò gli amici conun «grazie» vibrante disovreccitazione lietache strappòa qualcuno dei singhiozzi. Alloraegli alzò la mano come pregandodi chnarsi. Dopo ricevuto il Viaticola sua continua preghiera era stata dipoter parlare ai suoi discepolipredilettidi avere da Dio parole diverità e forza bastevole apronunciarle. Si sentiva ora il pettopieno dello Spirito.

«Venitemi vicini»diss'egli.

Il giovinetto biondo passòavanti agli altris'inginocchiòrigato ilviso di tacite lagrimeal letto delMaestro che gli posò la mano sulcapo e riprese:

«Restate uniti.»

Le dolorose parole taciute accoraronomaggiormente; ma ciascuno sentìche quell'anima era per dare luce diammaestramento e di consigliociascuno represse il pianto. La voce diBenedetto suonò nel silenziopiù profondo.

«Pregate senza posa e insegnate apregare senza posa. Questo è ilfondamento primo. Quando l'uomo amaveramente di amore una personaumana o una idea della propria menteil suo pensiero aderisce insegreto continuamente al suo amorementr'egli attende alle più diverseoccupazioni della vitasia di vita diservosia di vita di re; e ciònon gli toglie di attendervi bene edegli non ha bisogno di rivolgeremolte parole al suo amore. Gli uominidel mondo possono portare cosìnel loro cuore una creaturauna ideadi verità o di bellezza. Portatevoi sempre nel vostro il Padre che nonavete veduto ma che avetesentito tante volte come uno Spirito diamore spirante in voiche vimetteva il desiderio dolcissimo divivere per esso. Se così faretel'azione vostra sarà tutta vivadi spirito di Verità.»

Riposò un pocoguardòdon Clemente seduto accanto al lettosorrise.

«Parole Sue della cara SantaScolastica» diss'egli. E continuò:

«Siate puri nella vita perchéaltrimenti disonorerete Cristo davantial mondo; siate puri nel pensieroperché altrimenti disonorereteCristo davanti agli spiriti di bontàe agli spiriti di nequizia che sicombattono nelle anime dei viventi.»

Detto cosìegli cinse colbraccio la testa del giovinetto biondoquasi a difenderla dal male e pregònell'anima per lui forse la suamaggiore speranza. Poi ripigliò:

«Siate santinon cercate nélucri né onorimettete in comune per levostre opere di verità e dicarità il superfluo misurato secondo lavoce interna dello Spirito. Siatebenefici amici a tutti i doloriumani nei quali v'incontreretesiatemansueti ai vostri offensori ederisori che saranno molti anchenell'interno della Chiesasiateintrepidi a fronte del male; datevialle necessità l'uno dell'altro;perché se tali non vivrete nonpotrete servire lo Spirito di Verità eperché il mondo riconosca hVerità dai vostri fruttiperché ifratelli riconoscano dai vostri fruttiche voi siete di Cristo.»

Don Clemente si piegò sopra dilui per la pietà del suo respirareaffannosogli disse piano cheriposasse. Benedetto gli preseglistrinse la manotacque alcuni istanti.Poilevatigli in viso igrandi occhi lucentirispose:

«Hora ruit.»

E ricominciò:

«Ciascuno di voi adempia i suoidoveri di culto come la Chiesaprescrivesecondo stretta giustizia econ perfetta obbedienza. Nonprendete nomi per la vostra unionenéparlate mai collettivamentenéfatevi regole comuni oltre a queste chevi ho dette. Amatevil'amorebasta. E comunicate gli uni con glialtri. Molti lavorano nella Chiesalo stesso lavoro al quale vi preparatevoi con la preparazione moraleche vi ho prescritta: voglio dire unlavoro di purificazione dellafede e di penetrazione della fedepurificata nella vita. Onorateli eapprendete da essi ma non fatelipartecipi della vostra unione sespontaneamente non vengano a voi permettere il loro superfluo incomune. Questo sarà il segno cheIddio li manda a voi.»

Qui Benedetto s'interruppepregòdolcemente Giovanni Selva divenirgli più vicino.

«Desidera vederla»diss'egli. «Quello che ho detto e più ancora quelloche dirò è nato da Lei.»

Stese la mano a prendere quella di donClementesoggiunse:

«Il padre lo sa. - Noi dobbiamosentire Iddio presente in noi stessima dobbiamo anche sentirlo ciascuno dinoi nell'altro e io lo sentotanto in Lei. - Sì»proseguì volgendosi a don Clemente come per unappello alla sua autorità«questo è il fondamento vero dellafraternità umana e per questocoloro che amano gli uomini e sifigurano di essere freddi con Diosonopiù vicini al Regno di tantiche si figurano di amare Dio e nonamano gli uomini.»

Il giovine prete che stavaquasitimidamentedietro Selvaesclamò:

«oh sì sì!»Selva piegò il caposospirando. L'alta figura brunaaddossata a uno stipite della porta nonsi mossema il suo sguardofermo a Benedetto ebbe una intensitàuna tenerezzauna tristezzaindicibili.

Don Clemente si piegò da capoall'infermogli disse di sostare unpoco; anche la suora ne lo pregò.Mayda non parlò né parlarono idiscepoli. Benedetto bevve un po'd'acquaringraziò e riprese il suodire.

«Purificate la fede per gliadulti ai quali è incomportabile il cibodegl'infanti. Questa parte del vostrolavoro è per quelli che sonofuori della Chiesale appartengano dinome o noper quelli ai qualivoi vi mescolerete incessantemente.Lavorate a glorificare l'idea diDio adorando sopra ogni cosa la Veritàe insegnando che non vi èverità contro Dio nécontro la Sua legge. Badate però con altrettantacura che gl'infanti non accostino labocca al cibo degli adulti. Nonvi offenda una fede impurauna fedeimperfetta dove pura è la vita egiusta è la coscienza; perchérispetto alle profondità infinite di Diopoca differenza vi è tra la fededella femminetta e la fede vostraese la coscienza della femminetta ègiustase la sua vita è puravoinon passerete avanti a lei nel Regnodei Cieli. Non pubblicate maiscritti intorno a questioni religiosedifficili perché sieno vendutima distribuiteli secondo prudenza e mainon vi apponete il vostronome.

«Lavorate per la penetrazionedella fede purificata nella vita. Questolavoro è per quelli che nellaChiesa sono e nella Chiesa voglionoessere e si chiamano turbapopoloinfinito; per coloro che veramentecredono nei dogmi e si compiacerebberodi crederne anche piùcheveramente credono nei miracoli e sicompiacciono di crederne anchepiùma veramente non credononelle Beatitudiniche dicono a Cristo:"SignoreSignore!" mapensano che sarebbe troppo duro di fare tuttala Sua volontà e neppure hannozelo di cercarla nel Libro Santo e nonsanno che religione è sopratutto azione e vita. A costoro che preganoabbondantementespessoidolatricamenteinsegnate voi a praticareoltre alle preghiere prescritteanchela preghiera mistica in cui èla fede più purala piùperfetta speranzala più perfetta caritàche purifica per sé l'anima epurifica la vita. Vi dico io di prenderepubblicamente il posto dei Pastori? No;ciascuno lavori nella propriafamigliaciascuno lavori fra i propriamicichi può lavori nellibro. Così lavorerete anche ilterreno onde i Pastori sorgono.

«Figli mieinon vi prometto cherinnoverete il mondo. Lavoreretenella notte senza profitto apparentecome Pietro e i suoi compagni sulmare di Galileama Cristo alfine verràe allora il vostro guadagnosarà grande.»

Tacquepregò per i suoidiscepolisospirò nella prescienza di moltoloro soffrire da molte specie di nemicie disse le ultime parole:

«Più tardi le vostrepreghiere; adesso il vostro bacio.»

I discepoli domandarono a una voce diessere benedetti. Egli sischermìdisse di non sentirsidegno:

«Non sono che il povero ciecoalquale il Signore ha aperti gli occhicol fango»

Don Clemente non parve udires'inginocchiò dicendo:

«Anche me.»

Benedetto gl'impose con umileobbedienza la mano sul capodisse leparole latine della benedizione ritualee lo baciò. Così fece aglialtriuno per uno. Parve a ciascunosentirsi fluire nell'interno daquella mano il vento dello Spirito.Quando fu la volta del pretequesti mormorò:

«Maestroe noi?»

Il morente si raccolse alcuni istantirispose:

«Siate poverivivete da poverisiate perfettinon compiacetevi nédi titoli né di vesti di onorenon dell'autorità personale nédell'autorità collettivaamatecoloro che vi odianoastenetevi dallepartipacificate nel nome di Diononaccettate uffici civilinontiranneggiate le anime névogliate governarle tropponon fate cultureartificiali di sacerdotipregate Diodi esser molti ma non temete diesser pochi; non crediate che viabbisogni molta scienza umanasolovi abbisogna molto rispetto per laragione e molta fede nella Veritàuniversale e inscindibile.»

Ultima si avvicinò Maria Selva.S'inginocchiò a due passi dal letto.

L'infermo le sorrisele fe' cenno dialzarsi.

«La ho già benedetta inSuo marito» diss'egli. «Non li so distinguere.

Ella è una parte dell'anima sua.Ella è il suo coraggiolo sia semprepiù nelle ore penose che loaspettano. E siate insieme la poesiadell'amore cristianofino all'ultimo.Fermatevi ora qui un pocotutt'e due.»

La luce venne meno rapidamente nellacamera mentre i discepoliuscivano. Si udì il rombo deltuonola suora andò a chiudere lafinestra. Prima guardò nelgiardinoesclamò: «poverini!» Benedettoudìvolle sapereapprese cheil giardino formicolava di personevenute per vederloche una pioggiatempestosa era imminente. Pregò iSelva di attendere e Mayda di farentrare il popolo.

 

Un calpestio pesante suonò sullascaletta di legno. La porta siaperseparecchi popolani entraronoadagio in punta di piedi. In unmomento la camera fu piena. Una calcadi teste scoperte si affacciavaalla porta. Nessuno parlavatuttiguardavano Benedettosmarritiriverenti. Benedetto salutòcolle due mani a braccia aperte.

«Vi ringrazio» diss'egli.«Pregate come certo a qualcuno di voi hoinsegnato. E Dio sia con voisempre.»

Un omone grande gli risposetuttorosso:

«Noi si pregherà ma Leinon moresa. Lei non creda sta cosa. Però cebenedica.»

Intanto dalla scaletta venivano vociimpazienti di gente che voleva enon poteva salire. Benedetto dissequalche cosapianoa donClemente. Don Clemente ordinòche i presenti sfilassero davanti allettouscendo poi dalla camera perchépotessero sfilare anche glialtri.

A uno a uno passarono tutti. Eranogenterella del Testacciooperaigarzoni di negoziovenditrici difruttapiccoli merciaiuoliaccattoni. Benedetto andava ripetendodi tanto in tantocon vocestancaparole di congedo. - Addio. -Pregate per me. - A rivederci inparadiso. - Chi passando davanti a luipiegava il ginocchio insilenziochi toccava il letto e sifaceva il segno della crocechigli raccomandava sé o personecarechi gli diceva benedizioni. Unogli domandò perdono di avercreduto ai suoi calunniatori. Fu allorauna sequela di «anche a meanchea me.» Passò la gobbina di via dellaMarmoratacominciò araccontargli piangendo che il suo vecchio pretesi era confessato e avrebbe volutodirgli tutta la sua gratitudine.

Chi seguiva la spinse via ed ella passòper sempre dagli occhi di lui.

Tanti così gli passarono davantil'ultima volta e piangendo siallontanarono da lui per semprech'egli aveva consolati nello spiritoe nel corpo. Molti ne riconobbe esalutò col gesto. Quelli giravanovia pure girando il volto lagrimosocontinuamente a lui. La fila chescendeva sfiorando sulla scaletta lafila che salivale anticipava leimpressioni della camera dolorosa. - Ahche viso! - Ah che voce! -Diomuore! - E' un angelo di Dio! -Vedrete! - Ci ha il paradisonegli occhi! - E non pochi mormoravanomaledizioni agl'infamacci chelo avevano calunniatonon pochiparlavanofremendodi veleno e diassassinio. Dioportato via daiquesturiniritornava così! Unlugubre tuonare continuo e il granpianto uguale della pioggiacoprivano i sussurri pietosi e irosi.Finito di scolare il fiume delpopoloMayda fece aprire la finestraperché l'aria era viziata.

Benedetto pregò che glialzassero un poco il capodesiderando vedereil gran pino inclinato al Celio. Laverde livida corona dell'ombrellotagliava obliqua il cielo tempestoso.La guardò a lungo. Riadagiato ilcapo sul guancialeaccennò adon Clemente di piegarsi verso di luigli dissequasi all'orecchio: «Saquando mi hanno portato qua dallavillaho sentito un fortissimo impulsoa pregare che mi portasserosotto il pino che si vede dallafinestraper morire lì. Ma ho anchepensato subito ch'era una cosa troppovolutae che non era buona. Epoi -soggiunse sorridendo - sarebbesempre mancato l'abito.» Un lievemoto delle labbra di don Clemente glirivelò ch'egli aveva recatol'abito con sé da Subiaco.N'ebbe un assalto di commozione intensa.

Giunte le manistette in silenzio finoa che durò la lotta internafra il desiderio che la Visione sicompiesse e la coscienza che non sisarebbe compiuta naturalmente. Siraccolse in un atto di abbandonoalla Divina Volontà. «IlSignore vuole che io muoia qui» diss'egli.

«Però mi permette di averealmeno l'abito sul letto prima di morire.»

Don Clemente si chinò sopra dilui e lo baciò in fronte. Intanto iSelva attendevano in disparte.Benedetto li chiamò a sédisse loroche avrebbe ricevuto la signoraDessalle fra mezz'orama che lapregava di non venire sola. Potevavenire con loro. Insieme ai Selvauscì anche Mayda. La suoradormicchiava. Allora Benedetto pregò donClemente di recarsi poi dal Ponteficedi dirgli come la fine dellaVisione non si fosse avveratacomequindi tutto l'apparentemiracoloso della sua vita svanissecome finalmente egli avessesentita con grande dolcezzaprima dimorirela benedizione del Papa.

«E gli dica» finì«che spero di poter parlare ancora nel suo cuore.»

L'ambascia era diminuita ma la voce siaffiochivale forze venivanomancando colla febbre. Don Clemente gliprese e tenne a lungo ilpolso. Poi si alzò.

«Lei va a prendere l'abito?»mormorò Benedetto con un sorrisodolcissimo. Il bel viso del padre sicoperse di rossore. Egli vinsepresto il sentimento umano che gliconsigliava di simularee rispose:

«Sìcaro. Credo che siail tempo.»

«Che ore sono?»

«Le cinque e mezzo.»

«Lei crede alle sette? Alleotto?»

«Nonon così prestomadesidero che tu abbia questa consolazionesubito.»

 

In un salottino della villaGiovanniSelvaguardato l'orologiodisse a sua moglie:

«Andate.»

L'intelligenza era che con Jeanneandassero da Benedetto Maria eNoemi. Questa stese le mani a suocognato.

«Sai» diss'ellatuttatremante «vado a dargli una notizia cheriguarda l'anima mia. Non ti offenderese la do a lui prima che a te.»

Jeanne intuì la notizia cheNoemi avrebbe portato al morente: la suaprossima conversione al Cattolicismo.Tutta la forza ch'ell'avevaraccolto in sé per il momentosupremo l'abbandonò. Abbracciò Noemi escoppiò in lagrime. I Selva lefecero animoingannandosi circa quelpianto. Ella pregòfra isinghiozziche andasseroche andassero; alei era impossibile di venire. Noemisola intese. Jeanne non volevavenire perché aveva indovinato enon poteva fare quanto avrebbe fattolei. La supplicòla scongiuròle mormorò tenendola abbracciata:

«Perché non cediinquesto momento?»

Jeanne rispose solamentesinghiozzando:

«Oh tu mi capisci!» Eperché Noemi protestava di non voler più andarela supplicò alla sua volta diandaredi andare subitodi non tardarea dargli questa consolazione. Ella nonpotevanon potevanon poteva!Non ci fu verso di smuoverla. Undomestico venne a chiamare Selva.

Maria e Noemi uscirono.

Rimasta solaJeanne ebbe un momentol'idea di raggiungerlediarrendersidi andargli a dire ellapure una parola di gioia. Caddeginocchionistese le bracciaquasi alui che le stesse davantisinghiozzò: «Carocarocome ti potrei ingannare?» Aveva lottato piùvolte col proprio scetticismo imperiosoe sempre invano. Uno slanciodi dedizione alla fedelo sapevanonsarebbe stato durevole.

«Perché non mi vuoi sola?»gemette ancorasempre ginocchioni. «Perchénon mi vuoi sola? Perché lecoscienze pie non si offendano? Perché lamia disperazione non ti turbi? Perchénon mi vuoi sola? Posso io diredavanti a loro quello che ho dentro dime? Tu che sei buono come iltuo Signore Gesùperchénon mi vuoi sola? Oh!»

Ella scattò in piediconvintache se Piero la udisse risponderebbe

«sìvieni.» Stetteun attimo come impietratacolle mani alle tempie;e mosse poi lentamentesimile a unasonnambulauscì del salottoattraversò il vestiboloscesein giardino.

Pioveva tanto dirottamenteil cielocorso tuttora di tempo in tempodal tuonoera tanto fosco che primadelle seiquella sera difebbraiopareva già quasinotte. Jeanne entrò come stavaa caposcopertonella pioggia fitta e freddaprese senza affrettar ilpassonon il viale degli aranci adestra ma il sentiero che scende asinistra fra due righe di grandi agavia un boschetto di lauridicipressi e di ulivi cui si aggrappavanorose. Passò dal gran pino cheguarda il Celio egirando al bassoverso destra per un lungo arco diviasi condusse alla fonte che unavello antico raccoglie nel pendioripido fra una cintura di mirtipochipassi più giù che la casina delgiardiniere. Ivi si fermò. Unafinestra della casina luceva; certo lafinestra di Piero. Vi passòun'ombra; forse Noemi! Jeanne sedettesull'orlo marmoreo della vasca. Erapossibile di affogare lì dentro?Avrebbe cercato di morire se non cifosse Carlino? Pensieri vani; nonvi si trattenne. Atteseattesesottola pioggia freddacon gliocchi e l'anima fermi alla finestralucente. Altre ombre. Partonoadesso? Sìforse partono Mariae Noemi ma non lasceranno Piero solo.

Ci sarà Maydaci sarà ilbenedettinoci sarà la suora. Ebbeneellatenterà. Un passo frettoloso nelviale degli aranci; qualcuno che siavvia alla casina. Jeanneche si eraalzatatorna a sedere. Eccoquell'ignoto è entrato.Movimento di ombre alla finestra. Due personeescono parlando vivacemente; le vocidel professore e di GiovanniSelva. Pare che parlino di qualcunovenuto a prendere notizie. Altrepersone esconol'acqua delle grondaiemormora sugli ombrelli. Devonoesser loroMaria e Noemi. Jeanne sialza da caposi avvia.

Passa l'uscio della casinavede gentenella cucina del giardiniereprega una ragazza di salire a vederepresso l'ammalatochi ci sta.

Quella esitacerca schermirsima poivascende subito. Ci stanno ilprete e la suora. Jeanne domanda un po'di cartauna matitaun lume.

Comincia a scrivere: «Padre - Mirivolgo...» S'interrompesta inascolto. Qualcuno scende la scaletta dilegno. Un passo d'uomo; dunqueil padre. Allora gli parlerà.Butta via la matitagli va incontrosulla scalinata. E' scurodon Clementela scambia per Maria Selva.

«E' quieto» diceprimach'ell'apra bocca. «Pare che dorma. Gli hafatto tanto bene quello che Sua sorellagli ha detto. Il professorecrede che passerà la notte.Faccia venire anche l'altra signora. L'hadomandata. Credevo che fossero andate aprenderla.»

Jeanne tacesi fa da banda. Egli dice«permesso» e passa senzaguardarlava in cucina per avere unpo' di pane e un po' d'acquadigiuno com'è dalla seraprecedente. Jeanne trema come una foglia.

Egli l'ha domandata! Queste paroleilfavore del caso le danno levertigini. Sale piano pianospingel'uscio piano piano. La suora lavedefa per alzarsi. Ella le accennacol dito alla boccadi non simuoveresi accosta piano piano allettovede una lunga cosa neradistesa sulle coltrisi arrestaesterrefattanon comprende. Ode unlievissimo gemito. Il giacente alza lamano destra con un gesto vagocome se cercasse qualche cosa. La suorasi alza ma Jeannepiù prontaè di slancio al guancialesichina su Piero che ha ripreso a gemeread agitar la mano.

Jeanne lo interroga affannosaegli nonrispondegemeguarda qualchecosa accanto al letto e Jeanne offre unbicchiere d'acquagli vedescotere il caposi dispera di noncapire. Ahil CrocifissoilCrocifisso! La suora alza il lume daterraJeanne porge il Crocifissoa Piero che gli affigge le labbra e laguardala guarda con gli occhigrandivitreidov'è la morte.La suora getta un gridocorre achiamare il padre. Piero guarda Jeanneguarda Jeannesi sforza diprendere il Crocifisso a due manidialzarlo verso leile sue labbrasi agitanosi agitanonon ne escesuono. Jeanne si raccoglie nelleproprie le mani di Pierobacia ilCrocifisso di un bacioappassionato. Egli chiude allora gliocchiil suo volto s'irradia diun sorrisosi piega un poco sullaspalla destranon si move più.