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Carlo Dossi

(Pseudonimodi Carlo Alberto Pisani Dossi)




GOCCIED'INCHIOSTRO






AVVERTENZA



Ibozzetti di cui si compone il presente volume ricevèttero giàin parteil loro battèsimo tipogràfico nei vari libriche l'Autore sparse fra i suòi amici dal 1866 al 78. Ma altroè stamparealtro è pubblicare. Gli scarsi esemplariimpressi dall'Economìarimàsero sequestratidall'Amicizia; e però questi bozzettispannatiper cosìdiredagli scritti del Dossiquantunque tèngano piùdi un anno di vitaponno chiamarsi ancor nuovi. Purse tali perqualche rado lettore non sono — meglio per lui e per noi! —poichè le opere del nostro Autore non lèggonsiveramente che nel rilèggerle.


L.PERELLI.




PREFAZIONE


Questolibro stava per entrare nel consorzio umanoda solosenza corriereche lo precedesse ad apparecchiargli l'alloggiocome vi entràvanoi libri in quel tempo in cui c'era minor etichetta e maggiorcortesia. Il mio Gigi peròche si tiene al corrente delfigurino letterariomi tirò per la mànicaosservàndomi che non vi ha oggi appartamento completo senzaanticàmerae che se in questa il rispettàbile e coltonon è fatto aspettare almeno una mezzorettasi arrischianoipadroni di casadi passare — perchè troppogentili — per maleducati.

—Ed è appunto nell'anticàmera del libro —continuò Gigi — che qualche amico di casa (per es.lo stesso padrone) ha modo di catechizzare chi attende ed'imboccargli la conveniente ammirazionecol decantare cioèle doti dell'autorei pregi del librole difficoltàsuperateecc. ecc. Vero è beneche nelle lor prefazioniiromanzieri de' nostri nonni seguìvano tutt'altro stile.

Quellabuona pasta di gente pareva temesse di èsser creduta capaced'inventare le più innocenti fandoniee si vergognasse discrìvere — dato il caso — de' capolavori.Quando perciò non mettèvano innanzi o un'ampia protestad'ignoranza od una sùpplica di compatimentocercàvanodi affibbiare le lor fantasìe a qualche babbo d'impresto.Raddoppiando cosìper l'affermazione della veritàlabugiachi veniva a contarci dell'incontro fatto con un vecchiobarcajoloil qualefra un tuffo di remo e l'altrogli avèaconfidato i suòi bruciori amorosi di quarant'anni addietro onarrata la storia di un sàlice che in riva al lagopiangevasu una romàntica urnastoria e bruciori che l'autore avrànulla più che trascritti “a sfogo di quegli occhi gentiliche àmano il pianto”; chi c'informava della scoperta diun anònimo scartafaccio bucherellato dalle tarme escompisciato dai topidal qualea conforto dei buonia spaventode' tristiavèa cavata la sua narrazionenon aggiungèndovialtro del suo — osservava modestamente — che ipunti e le virgole. Senonchèoggila moneta dell'umiltàcommerciàbile ai tempi in cui Manzoni si affannava adinargentare il suo orofu rilegata nei medaglieri; oggitempi dimetallo Christophle e diamante francesenon corre che lasfacciatàggine. Se dunque tu haia cagione d'esempiocomposta una nuova pòlvere contro il prurito o fabricatoponiamoun cavastivali più complicato di quanti mai sonoguàrdati dall'esitare sì l'una che l'altro per quelloche vàlgono; strombazza invece che la tua invenzione harimesso la chimica sulle vere sue basiche la meccànica hafatto per tè un gigantesco progresso. Se hai stiticamentetortito qualche verso duro o bislaccogiulèbbacelo per lamelodiosa ecoda tè ritrovatadella poesia greca o latinaannunciàndoci insieme chemercè tuala letteratura èentrata nella suanon so se quarta o quinta o sèttimarifioritura. Se poi non tieni nè in scienza nè inlèttere il minimo ingegno o saperee neppure in politica —purtuttavia non manchi di quelladirèifunzione moralecheè supposta in ogni uomoossia l'onestàpiglia unadozzina di trombetti e tamburivà in piazzae làproclama che l'ùnico galantuomo sei tue che ciò èsufficente (anzi ne avanza) per fare di tè un letteratoundottomagari un ministro di Stato.

D'altrondeil lettore moderno è meno poeta che critico. Egli frequentapiù volentieri le cliniche che non le palestre. Non importache l'esemplare che tu gli presenti sia d'arte ammalatabasta cheegli si accorga che tu sai farne la diàgnosiche veda ilpropòsito de' tuòi spropòsitiche creda che tuposseggabenchè non ne usila capacità di guarire.Supponi invece che le òpere di que' portenti di completezza edi sanità cerebrale che fùrono Shakespeare e Danteuscìssero ogginude nella loro bellezzala prima volta almondo; c'è da giurare che il pùbblicodovendosenzaalcun preavvisoaffrontarne le meraviglie — meravigliespesso create in momenti di sonnambulismo sublime — leguarderebbe con diffidenzae aspetterebbe ad entusiasmarsi chequalche maestro di scuola glien dessecon un preàmboloillustrativolicenza. Insommasi vòglionooravedere ilibri col punto dell'imbastito. È un detestàbile gustonon negoma è il gusto della maggioranza. Siamo in Chinaabbigliàmoci da cinesi.

Dipiù; una prefazione fatta come si deveti risparmia la nojadi andar girando per le redazioni delle gazzette a suggerire oscriverti bibliografìe. Per procurarti una buona réclamenon hai che a raccògliere nella tua pattumiera… volevodir prefazione — la spazzatura… cioè ilmaggior possibile nùmero de' nomi de' tuòi viventicolleghi in voga e non in vogacitando pàgine di rivistearticoli di giornaliscàmpoli d'ogni penna. Avverti peròbenein qual senso. Si credeva una volta che il miglior modo perottenere nomèafosse quello di lodare altrùi. Non dicoche non vi sia del vero in ciò. Il tàcito patto delfrico ut frìcasfu la basespecialmente fra i dottidi molte celebrità; se tuttavìacolla adulazionesivà alla fama letteraria in carrozzavi si và in vagonecol biàsimo. Difattibenchè la tua lode possa rèndertiamico e futuro laudatore un collega (non sempre peròchèa contatto dell'intima soddisfazione che sente di sè qualunqueautorelloogni più fitto incenso par fumo di rapa) essanelmedèsimo tempoè d'offesa ai novantanove altri che tuo tacesti o in pari misura lodasti — non di tanta offesaperaltroda costituire il cosidetto fatto personalecioèdi farli cantare. Al contrario; il tuo dir corna apertamente dimoltianzi di tuttiti susciterà intorno un vespajo direcriminazioni. Non vi ha scribaccino che non possa mètterebocca in qualche trombone o fischietto della quotidiana pubblicità.Tante le accusealtrettante le difese — ecco ilpettegolezzoo con più nòbil parolala polèmica.Cento gazzette contro di tècentomila lettori del nome tuo —ecco(secondo i prezzi del mercato attuale) la fama.

Contutti questi vantagginon c'è da stupire se la prefazione hamesso pancia e da serva è diventata padrona. È di leicome fu già della porta. Destinata in origine ad immètteresemplicemente nella casala porta non era nè più nèmeno ampia di quanto occorrevae per maggior sicurezzala si tenevadissimulata. Senonchènata la smania delle ambizioseapparenzela porta fu ingrandita e recata nel mezzo della facciataacciocchè la folla avesse potuto ammirare il felice cheentrava nel suo làuto palazzo. Non bastò questoma lasi caricò d'ornamentie le si accollàronoasentinelle sui latiun pajo di colonnepoi le colonneincominciàrono a slontanarsi dal muroa maritarsi con altrefigliando un pronaoun pòrticoossìa una fila diporte. Un dì finalmente naque un bizzarro architettocheimaginò una porta senza casauna porta che conducesse nelvacuoe si ebbe l'arco di trionfo. Nè la prefazione èlontana da una sìmil vittoria. Mercè i nuovi autoriessa ha già conquistato la metà del volume. Un passopiù oltree il libroridotto alle pàgine estremenedovrà uscire del tutto — probabilmentedel restoper rifar capolino dall'altra parte — la prima —sotto le spoglie mentite di una pre-prefazione. Lùnamfiniri cèrnis ut incìpiat.

Conchiudendo;la prefazione promette sempre; il libro non mantiene quasi mai: seguidunque la strada più pianachein questo casoè lapiù vantaggiosa. Nè altro è il segreto dellafortuna di tante mediocrità. Incontrerài spessopersonecolla presunzione nel viso e l'àmido nelle giunturedinanzi alle quali tutti fan largo rispettosamente —chiarìssimionorèvolieccellenze — i cuinomi salìrono rapidìssimi la scala della stimaufficiale e il cui ozio gràvita sui cuscini più sòfficiche può sprimacciare uno Stato. Chi mai sono costoro? Davveronon hanno nome nè Macchiavellinè GalilèonèRovani; pur tuttavìa ti si dirà di molticon un certoquale misteroche sono gente di vaglia. Embèche hannofatto? Precisamentenessuno lo sa: se dai retta a taluno di quelliincontentàbili che non si vòglion fermare al di quàdei frontespiziquei bacalari non avrèbbero fattonèsaprèbbero fare nulla — almeno di buono. Matant'èil Chiarìssimo ha dato e dà fuori programmi di òperecolossali che tèngono nell'aspettazione e nell'anticipatostupore il pùbbliconè manca ad ogni nuova questionedi letteraria doganadi scrìvere la sua epistoluccia aigiornaliper dire che esprimerà la sua opinione; mal'Onorèvole nelle sue gite autunnali che mèttono inmoto la culinaria e la polìtica di tutto il paesedisegnafra un brìndisi e l'altropiani di universale cuccagna; mal'Eccellenzaa sua voltadai banchi ministeriali dà a berealle Càmere di quel medèsimo vino delle promesse di cuil'Onorèvole ubbriacò gli elettori. Tutti costoro nonfanno che prefazioni. Sono bottiglie cattivespesso vuotechedèbbono il loro posto d'onore sulla credenza alla pomposaintappatura e alla promettente etichetta: il padrone di casa stàin suggezione dinanzi loroeaccontentàndosi d'imaginarne isaporiripone il cavaturàccioli. O se vuòi meglio —sono pezzi di mùsica della scuola che non ha cuore —dico quella di Wàgner: — il pùbblicodèditoalla minchionaturali ascolta con incorreggìbil pazienzasempre in attesa di una melodìa che non viene mai. E infattiguài se venisse! Si vorrebbe tosto altra mùsica.

Promettidunque o minaccia il tuo libro anche tèma guàrdatibene dal farlo.”





VALICHIDI MONTAGNE


I


—Sempre diritto — rispose al conte Rinucci il vetturinoindicàndogli colla punta della frusta la bianca strada chedinanzi a loromontavamontavainternàvasi in un foltopineto eserpeggiante ricompariva nell'interrotto fogliame —sempre dirittovoi non potete sbagliare. —

Rinucciconsultò l'orologio. Fra una mezz'ora la vettura dovevaraggiùngerlo: proprio il solo tempostretto e necessario —come aveva già tartagliato nel suo gergo gallo-tedesco ilcamiciotto azzurro — di affettare una pagnotta alle pòverebestiedi rinfrescarsi gli arrì! e di attaccare uncavallaccio di rinforzo.

Ilconte approvò col gesto. D'un gran passo poi superata la largastriscia di fanghiglia chenudrita da una sorgentella di aquatraversava la stradafermossi all'asciuttosi volse e stetteaspettando la giòvine moglie che apparecchiàvasi asmontare dalla carrozza.

Nedessa si fece attèndere a lungo. Sbarazzàtasi dagliscialli e dalle sciarpe che la inviluppàvanoe consegnàtilialla camerierasuccinta la gonna e tolto dal fascio dei parasoli edei parapioggiaun pìccolo bastone dell'Alpi dal nero cornodi camoscioavanzò sulla predella il più elegantepiedino che mai calzolajo avesse avuta la fortuna di stringere fra lepalmespiccò un leggiero salto esulla punta deglistivalettiun po' aiutata dalle grosse pietre che uno sollècitostalliere voltolava per lei nel molticcioun po' dalla robusta manoche il conte le offrivasenza schizzi di fangosana e salvariuscìpresso al marito. Tutti e due allora s'avviàrono: s'avviàronoa parolentamente.

Ilconte e la contessa da circa tre mesi chiamàvansi col medèsimonome. Il solo amore li aveva congiuntie se nobiltà ericchezza èranoesse pureintervenute a segnare la scrittaed a mangiare i confettivi èranocredètelosenzaalcun invito.

Inostri giòvani sposi realizzàvano due fra i piùspiccati modelli di bellezza italiana: l'uno ricordava la calda tintadi un siciliano tramontoI'altra la malincònica e smorta diun mattino lombardo. Il contecol suo corpo svelto e nervosocollasua faccia affilatabrunettadal naso fortemente aquilinodaibafficome i capellinerissimicon due occhi che lucicàvanoa guisa di pugnalipalesava come in lui brillasse dell'àrabosanguedi quella razza a grandi contrastiora inerteestaticanelle più misteriose contemplazioniora guizzantein febbresotto passioni roventi come il sole di Africa; oggi di una follegenerosità; dimanicon sottigliezzavendicativa: invece ilvolto della contessapàllidograssocciodagli occhioni nericon lunghe ciglia e il cui ovale appariva fra anella di un castagnochiaroquasi sempre spirava quell'intenso affettoquel voluttuosoabbandonoquel languoreche caratterizza le innamorate della nostrapianura.

Senonchèla loro naturale sembianza era più che intorbidataguastatada una cert'aria di disagiodi stentoche essi tenèvano ariscontro l'uno dell'altra.

Einfatti camminàvano passo a passoin un silenzio checonfinava col broncioevitàndosi gli sguardi e vergognandoquasi della lor falsa posizioneda cui — sebbene neparèssero indispettiti — pur non trovàvano onon volèan cercare modo di uscire.

MioDio! che poteva mai èssere accaduto tra due colombi cosìda poco appajati?… La risposta è fàcile… Ungran litigioil primo che turbasse la pace da loro giurata. —E la causa?… Non è prudenza rispòndere… voiridereste… Vi basti sapere che naque da una chiappoleriada unapuerilità… dirò di più… da unasèmplice fraseda una frase di quelle chea stato normalenon fanno nè caldo nè freddonon le si avvèrtononeppurema chein iscambiobuttate là in un quarto d'ora dimaldisposizione e ricevute da chi è punto bambagiaper unammucchiarsi di malintesiper un concorso di parole checome lastizza c'imboccanoi adoperiamodallo scontento istesso di averrotto il sereno fomentateoriginano un bisticcio il qualevia viainasprendoingrossandoriesce a menarci laddove noi eravamo lemille miglia dall'imaginarea una odiosìssima lite.

Figuràtevi!La contessa giunse a torsi dal collo il vezzo che suo marito ilgiorno prima le aveva donatoed a gettarlo sdegnosamente sul tàvolo…Il conte stette a un filo d'impugnare… una sedia…

Ma —domando io — e la colpadi chi?… Eccoparlando conimparzialità… Nono; la cavallerìa mi chiude lelabbra… Parlando con misericordiala colpa la fu del tempo.

Sì!di un tempaccionero come il fumo dell'olioin cui diluviava etiràvano certe folate di vento checontòrtesi fra gliàlberi del cortilegittàvansi sull'alberghetto dilegnolo facèvano scricchiolarene sbattèvanoconvulsamente le mal raccomandate impostepoiinabissàndosinelle gole de' camini e morendo con uno straziantelunghìssimogèmitoa un tratto scoprìvano il triste fracassìodell'aqua grondaja che cadeva e spicciava tra i sassi. Al chese voiaggiungete un freddo che metteva addosso i grìccioli ecostringeva a mòrdersipel bubbolarela linguapiùil lume bizzarro di due candele (vi avvertosuonàvan le 5)che sembrava si fòssero passata parola di far rinnegarepazienza alla loro smoccolatricee un inùtilescampanellamento e l'irreperibilità di alcuni oggettifavoritivoicari amicitroverete anchenon unacento scusealla sùbita irritazione che cagionò la litetan to piùriflettendo che forse voi stessi (senza nemmeno ricòrrere alfurore improvviso di Alfieri contro il suo servo Elìa per uncapello tirato) in sìmili circostanze rampognaste acerbamenteun domèstico perchè le scarpe nuove non vi calzàvanobeneo foste a due dita dallo strozzarvi con quella stessa cravattadella quale non vi riusciva il cappio.


II


Maorafaceva un tempo bellìssimo. Non c'era quindidiàmine!più alcuna ragione che l'ombra di scomparse nubi oscurasse lafronte de' nostri due giòvani sposi.

Unpiù splendenteun più azzurro cieloda un pezzo nonallegrava la montagna. L'arialavata dalla pioggiaimbalsamatadalle fragranti esalazioni dell'ùmida terralùcidacome il rasodisegnava nettamente ogni profilo di monteognicontorno frastagliato di boscoravvivava tutti i colori e saliva perle nari come la bisbigliante spuma dello Champagne. Tuffati in questobagno di puro àerecon una brezzolina fresca fresca chesfiorava i capelli ed allargava i polmonidissolvèvasi lastanchezza e ci si trovava tanto flessìbili e leggieri chepiuttosto di camminareparèa di volare. Snebbiàvasi lafantasìa; nettespiccateschieràvansi in capo leidèeil benèsserela gioja si diffondèvano pertutta la persona; in una parola; a larghi càlici si beveva lavita… Oh! come sembrava mai buona!

Poi —qual magnìfico paesaggio! — A un trar d'arco dalcasale ove la carrozza dei conti Rinucci sostavaalzando lo sguardoalla vostra manca voi miravate rupi a crepacci che fuori di diritturaminacciàvano voi e di continuo la viasulle qualis'abbarbicava il silvestre pinoinerpicàvansi le saltellanticapree da cui la nera vacchettalevato il pacìfico musoche gocciolavadalla cascatinae scossalentala campanellavifissava coi grandi occhi sbarrati — nel mentrealla vostradrittaponèndovi sul ciglione della strada e giùguardandoper una serie di verdeggianti praterìevoigiungevate coll'occhio in fondo alla vallesul fiumicino di lìquidoargento che vi serpeggiava — passato il quale ericominciata l'ertaincontravate una nuova distesa di pratisparsadi gentili casetteindi selve annosecupamente verdiselve che siopponèvano alle spesse frane di quel montenudodirupatogiallicciochedietro a loro ergèvasisuperbo delle sueacute cimee baluardo a perpetue nevi dall'immacolata bianchezza.

Lavia che il conte e la contessa or camminàvanocacciàvasipoco fuor dal villaggioin una boscaglia. Ivida una banda el'altra della stradasi rizzàvano altìssimi gli abetidalla corteccia grigiastra qua e là macchiataora dai pàllidilicheniora dal tetro muscoe chedopo di èssersistrettamente abbracciati a fior di terra nelle radici contorte a mo'di serpentiin alto rintrecciàvano i frondosi rami sìda foggiare sui viatori un incantèvole pergolatoneglisquarci del quale splendeva un ciel di zaffiro e di cuial bassodisegnata dai raggi del soletremolava la ombrìa. Allasinistra della salita — cioè dalla parte che toccavail monte — vedèvansi sull'erta costafra gliàlberiimmani macignialcuni pesantemente appoggiati atronchi che piegàvanoma cedèvano puntoaltriinterratialtri ancora divisi in due con un taglio più nettodi quello che la Durindana di Orlando potesse — tutti peròcoperti al sommo da una porracina di velluto e chiazzati di larghemacchie rossastretutti lambiti da un filo di aquachiarofrescoche sussurrando correva nel suo pìccolo letto di polvequarzosa: invecedall'altro lato del cammino — ove ilterreno dopo di èssere gravemente sceso per tre o quattroscaglionicolto da un folle ardorerìpido si abbassava in unpratello smagliante chegiù a tòmbolifinivacoll'arrestarsi di botto dinanzi al vuoto di un precipizio —ci si presentava alla veduta il paesaggio del di là delfiumettospezzato in un sèguito di quadrigareggianti inbellezzae col frascato a cornice.

Sottole verdeggianti volte si aspirava poi quell'acuto sentore dell'ùmidolegno checome l'altro del fieno tagliatoscuote tantopiacevolmente i sensi. Ivi la plàcidala finala dolcìssimasinfonìa d'idillio che la natura pe' suòi innùmeripispigli di fronde e mormorìi di zampillicanterellavanonera turbata da dissonanza alcuna: il rombo istessosordocontinuodi una gran colonna di aqua che dirocciava lontan lontanoallacalmaalla solitùdine della pinetaaggiungeva una misteriosavelatura. Solodi tempo in tempoudìvasi lo scoppiettìodi àride corteccie o il pìccolo soffocato rumore di unramoscello che cadeva sull'erbaod anchecome si rasentava uncespuglioa un tratto il cinguettìo di chiacchierineaugellette e il frullo di qualche grosso pennuto chebattèndoselaa traverso il fogliamenel mentre voi ne scorgevate sul terrenoilluminato dal sole la fuggente ombrapioveva sul vostro capo unagocciata di lìquidi diamanti.

Eppurenel mezzo di tutto questo paesaggio abbigliato a festache empivafaceva traboccar l'ànimo di amore e sembrava non desiderassecolle sue verzure e col suo lìmpido cieloaltro che didisporsi a scena intorno a due belle figurele mani intrecciatefiso il guardo nel guardoil conte e la contessa Rinucci serbàvanosempre il loro inamidato contegnola loro cera di cattivo umore.Anzi; al primo entrare nella foresta si èrano distaccati l'unodall'altra epoco dopovedèvansiellacosteggiare lapendice del montetiràndosi dietro di svoglia il suobastoncino dell'Alpi cheimmerso nel torrentello cui affluìvanocol cessar dell'erboso i lùcidi canalettierimorchiatocontro correntetentennava nella gorgogliante aquaeglidall'opposta bandacamminare sull'orlo della stradacolle mani atergol'una nell'altra ebuttando coi piedi i ciòttoli incui davagiù pe' scaglioni… fra gli abetichealcunafiata percossigli rispondèvano.

Nulladi meno io so (e ve lo dico a bassa voce) che la freddezzalaindifferenzala noja non andàvano più in là delviso ne' nostri sposini. Difattise noi prendiamo la giòvinel'ànima di lei era travagliata da un continuo sbàttito.Cedèvano le sue fibre dolcemente sotto le delicate sensazionidell'amorosa naturail cuore le si cominciava a schiùderegià una tranquilla contentezza le stillava nelle venequand'eccolìpronto ad amareggiarlaa gonfiarle gli occhi…un gruppo alla gola. La contessa ardeva di fuggire la solitùdinedi abbandonarsi all'universale espansione ma… le mancàvanle forze. Cento volte le sue labbra si èrano agitate a un: mioAlberto! — e cento — sia che l'aggrottate cigliadel conte le mettèsser timoresia che ripugnasse al caràtteresuopiuttosto alterodi riconòscere un falloil caro nomele si sfogliava in un sussurro che confondèvasi col mùrmurede' ruscellettied ella — spaurita — siripiegava in sè stessa come una sensitiva e ringollavaamaramente l'intensa voglia. — Insommarotte le fila d'oroe di seta di una felicità sin allora inalterataella ariappiccarle era o si credeva impotente.

Tuttavoltavi fu un istante che lo sperò. Suo maritolui che dalprincipio della salita procedeva schiacciando senza pietà igentili fiorelli ne' quali abbattèvasipremurosamente si eraabbassato a cògliere un purpureo ciclàmine. Emma sisentì bàtter le tempia… Ben presto al pamporcinoAlberto unì un anèmonepoi aggiunse una violapoi…Evidentemente egli intendeva di porre assieme un mazzetto.

Perchi?

Lacontessa sorrise con compiacenza. Non solo: diè in un balzo digioia. Inquantochè il contedopo di avere stretto con un filodi robusta erba i raccolti fiorivolgèvasi come verso di leie… Ma no! Pòvera Emma! Albertodiggià pentitolasciò cadere il bracciofè qualche passoavvicinossialle nari il mazzettone aspirò lentamente tutto il profumotutta la freschezzairresoluto lo girò fra le dita pel gambofissollo con malinconìapoidi sùbitosprezzatamentelo gittò lontano da sèfuor dallastrada. Mazzolino infelice! Passato a volo tra i fusti degli àlberiraso il declive pratello e' si ficcò nel prunajo —corona del precipizio — e restò.

Ildolorel'angoscia fu tale allora nella giòvine donnache gliocchi le imbambolàrono e le gocciàron le làgrime;tanta la commozione chesentèndosi venir menosi lasciòsmarritacadere sur uno di que' grossi tronchi di pino che didistanza in distanza giacèvano lungo la via.

Eil contevid'egli? — Certose volessi affermarenongiurerèi (chè Alberto aveva sempre tenuto il voltoverso la opposta parte) ma è pura istoria chealla fermatadella contessaegli del parisostòrimase qualche momentoin tentenna: quindi risòltosibellamente siedette anch'eglisul ciglione della stradavolgendo le spalle alla moglieuna gambapendente giù dal muro di sostegnol'altraalquanto piegatasopra il rialto. Seguìrono un cinque minuti… lenti perambedue come quelli di un prigionierocinque minuti di unapesantezza di piombo. — Il conte teneva dietromachinalmente collo sguardo a due farfalle che senza posasicorrèvano appresso a muta per acchiapparsi e non riuscìvanomai: Emmacol puntale del suo bastoncino dell'Alpiscalzavaistizzita i sassolini della via… ritardando così ilviaggio ad una pòvera formica che col suo minùzzolo inboccamezzo balordamezzo acciecata pel gran polverìopiùnon sapeva a qual santo raccomandarsi. E tutti e due capìvanoche in tale maniera non la si poteva durare. Macomprendèndoloessèndone convintìssimiche volete? per una stranainerzia di ànimo — quantunque bramàssero didarsi presto un buon bacio e di voltare pàgina — nontentàvano nulla e si rimettevano l'un l'altro pelcominciamento — il quale non veniva mai.


III


Lecose si trovàvano appunto in questi tèrmini —e così avrèbbero potuto forse continuare fino al dìdel giudizio — allorchè un nuovo personaggiosbucando dai maestosi abeti che si rizzàvano dietro di Emmaimprovvisamente apparve.

Eraegli un bambino di press'a poco cinque annipaffutobianco e rossocome una mela appiuoladagli occhi di un celestino sbiaditodaicapelli ricci e colore di stoppacon nudi i piedie tanto làceroche qua e là dagli stracci del vestito di lui sorrideva ilroseo della sua pelle. Era dunque uno di que' montanarini de' qualiv'ha un formicolajo in Isvìzzera e che tra loro sirassomìgliano come passerotti; di quelli cheal fermarsi diuna diligenzaa mezza strada dinanzi un albergo nel mentre voisorsate la tazza alta di birra che la pienotta figlia dell'osteapporta sur un tondo di stagnovi si avvicìnano e lèvanoverso di voi le loro manine stringendo in esse qualche punta dicristalloqualche frammento di pìrite — oppure —quando la vostra carrozza sale adagio il monte —abbandònano le loro mandresàltan giù daidirupiràmpicano sulla viaquindi vi tròttano di parie nell'offrirvi con insistenza o una ciocca di lamponi grondanteancora di pioggiao qualche gagliardo e peloso fiore dell'alpechièdonvi d'un tuono quèrulo une p'tite piècemo-ossieu…

Ilnostro piccinoperòfra i mercantuzzi del taglio suo nonoccupava l'ùltimo luogo. — Inquantochè eglipossedeva nientemeno che una scatoletta di cartone in cui stàvanoin mostra bianchi ciòttoli con isquamuzze d'oroacuti ediàfani quarzipallottoline a làmine di ungrigio-ferro lucentepiù una fotografìa dastereoscopioun po' ingiallitaè veroma chein compensorappresentavaindovinate? Il Louvre. — Il nostro piccinoaveva poidal nascondiglio ove i genitori lo ponèvano ognimattinada qualche tempo adocchiata la nòbile coppial'avevaattesa enaturalmentevìstosela a tiroapparve.

Maavanti di dar l'avviatura a' suòi affariei si rattennevicino all'àlbero da cui era uscito e stettecon un ditinoalle labbracome per istudiare il terreno delle sue pròssimeoperazioni di commercio… Certose a conti fattidecise diprincipiare dalla signoralo spingeva a lei quella simpatìad'istinto che lega il fanciullo alla donna.

Egliadunque discesesaltò il rigàgnolo efamigliarmenteappoggiàtosi al tronco di abete sul quale Emma siedevadiedea costèi l'opportunità… meglio… il piacere diesaminare tutte le di lui ricchezze.

Emmaaveva levata la testa. Guardò lentamente il bambino conquell'aria che dice: sei arrivato in mal punto — e al suoloriabbassò le pupille.

Mail ragazzino non se lo tenne per detto; sapeva dall'esperienza chechi dura la vince.

Quindial diniego della contessaben in contrario di andàrsenescelse nel botteghino uno fra i ciòttolia parer suo il piùbelloe sulla palma lo presentò con importanza alla damaquasi dicendo: osserva un po' questo e dimmi di nose lo puòi.

Emmafissollo di nuovo. Davvero che le pietruzze non la solleticàvano.E infatti colla sua già stava per allontanare la ostinata manodel bimbo… quando una nuova idèa le balenò.Cambiando allora il primo moto di repulsione in uno attrattivotiròa sè dolcemente il piccinogli fe' una carezzaedindicàndogli il conteo meglioil dorso di quellocon moltigesti e molti sorrisi lo eccitò a portare la sua mercanziuolaal mossieu.

Ilbimbo assaporava il muto discorso della contessa. Figuratevi poi seegli chedi sòlitocacciato brutalmente da que' di destradelle vettureusava passare a mancaritornando alla càricae così di sèguitofiguràtevidicose nondoveva arrèndersi all'affàbile invito della giòvinedonna! Perlocchèappena egli ebbe compreso quanto sidesiderava da luipigliò le mosse alla volta del conte e…

Maa mezza via sostò.

Ah!i galantuòmini son proprio case di vetro. Hanno bel celare leloro passioni: esse trapèlano più che il sudore dallalor pelle. E in verità; il dorso di Albertocurvodal capoin iscorciodal collo mezzo nascosto pei sollevàtisi òmeridava a capire più che un SI-FÀ-NOTO in majùscolecome al didentro fosse gonfia marina — tanto gonfia che ilnostro morsello di uomofin lui! l'audace tra gli audacil'abituatoai musi in broncio ed alle frustatesi volse interrogando incertocol viso la nòbile donna.

Maessa lo inanimì. Con gli occhicon la manoperfino con un…baciuzzo.

Orditemiamicidopo un siffatto incoraggiamento avreste voi potutoninnarla? Voglio sperare che no. — In quanto al nostrobambinoogni sua incertezza scomparvemostrò coraggiosamentei bianchi dentucci e difilato andò a piantarsilui e i suòiciòttolidappresso al conte…

—Che c'è — esclamò questi in bùrberotuonoalzando vivamente la testa. Imperocchè avèaudito come un bisbiglio che lo chiamava — Ah! ecco —aggiunse con sprezzo — un selvaggio de' sòliti!…Venderài qualcosam'imàgino! Un po' di selciatovero?… cocci di bottiglia forse?… E vuòi ch'io licompri?… Poh! per dar retta a tutti vojaltri bisognerebbe èsserCreso…

Quìavvertite com'egli fosse fuor dalla pesta. Voi però dovetescusarlo pensando alla smania ch'egli sentiva di sfogarsidipigliàrsela con qualcheduno…

Erabbruscàndosicontinuò:

—Perdìo! I Farisèi portàrono le loro baracche neltempio… Fin qui in questo magnifico paesaggio si cacciòla bottega: quì — ora — s'ingannasi fàa tira tiranè più nè meno che da noidovel'aria è corrotta… Guardàteloquel marmocchio!(avverto ch'egli teneva sempre fiso lo sguardo nel merciajuolo) ènell'età dell'innocenza… eppure… ha già seted'oro! —

Ih!che lente convessa. Correggi sùbito: ha gran fame di pane.

—E di tal stampo sono tutti quassù. Venderèbberose lopotèsseroi loro punti di vista… ehe dico? li vèndono.Venderèbbero il minio delle loro guancieil loro appetito. Seil diàvolo vivesse ancoralo supplicherèbberoginocchioni di barattar loro il soffio con un cinquelire… Oh!èsseri incontentàbilima non vi basta il vostropurissimo àere? —

Naturalmenteil bimbo punto rispose. Eglidello squarcio di Albertonon eragiunto ad acchiappare una sillaba. Chè seal contrariol'orecchio e il comprendonio di lui fòsser riusciti a còglierela ùltima interrogazione soltanto — parolad'onore! — egli avrebbe tosto e chiaro proferito un bel:no.

Mail conte non gli menò buono tampoco il silenzio.

—Affedidìo! — gridò scattando in piedicolI'ira e coll'impazienza che gli guadagnàvano la mano. —Sempre con quel riso d'idiota!… Hai capito di non seccarmi? Giùle mani… Hai capito di andàrtene? di spazzar via… esùbito… colla tua ghiaja e le tue pulci?… Sapr… —

Ilragazzino arretrò. Di soverchio a bujo mettèvasi iltempo sulla faccia di Alberto per serbaresfidàndololeggerasperanza. Di più… Al bambino venne una idèa vagadi avere fatto un grosso marronese ne allarmò tutto epresodalla pauracorsecon un piccolo gridoa rifugiarsi dietro ilceppo di abetesul quale sedeva la contessa.

Albertocome già toccàivoleva quasi mangiar cogli occhi ilfanciullo. Vedèndoselo quindi fuggireistintivamente il suosguardo lo seguitò; dallo sguardo obbligatii tacchi fècerouna mezza giravolta e — naturale! — essèndosiin quel mentre il bambino nascosto dietro il rusticano sedile diEmmaAlberto si trovò con quest'ultima faccia a faccia.Valicato era il monte. EssiDio sia benedetto! fisàvansi.

Ohaveste allora veduta la giòvine donna! In avanti piegatapoggiando le mani al ceppo di abetesul viso di leibianco come unpanno lavatol'ànima intera affluiva. Intenso doloresùpplica ansiosasperanzavi si scorgèvano in unaetutte sur un tal fondo di amore così incrollàbileardenteche una ràpida vampa passò pel volto del contee un trèmito quasi di elèttrica scossa lo colse.

—Oh! Emma — dovette egli dire appassionatamentegiungendole palme.

—Alberto! — ella rispose con un grido di gola.

L'incantosi dissolveva.

—Mia Emma — esclamò il giòvane con trasportocorrendo vèr lei. E vicino le cadde e l'abbracciòstretta stretta.

—Perdòno — mormorò essacolla sua guanciaappoggiata a quella di Alberto sì ch'egli ne sentiva rigare lecalde làgrime.

Mail conte:

—Mai… mai… — interruppe asciugandole a furia dibaci le palpebree — scostatosela dal petto —come fa col bambino la madresi pose voluttuosamente a succhiare lacontentezza che le raggiava nel viso.

Ein quella una ricciuta e bionda testina in mezzo a loroapparve. Erail mercantuccio: egli chepassato il pericoloaveva creduto bene ditorsi dal suo rifugio… il tronco dietro cui zitto zitto stavaacchiocciolato; egli che ora pazzamente rideva — e perchèmai? — rideva offrendo i suoi quattro ciòttoli aidue giòvani sposi…

Amicivoi ben potete imaginarlo: quello fu un giorno d'oro per gli affaridi lui. — Confessiàmolo però: se lo meritava.Ne aveva conchiuso uno tra i più belli del mondo.




VIAGGIODI NOZZE


Idue cheparlottandosedèvano sotto una vèntola a gasnel vestibolo del Grand Hôtel de Russie a Gènovavale a dire un marinajo del piròscafo Tùnisi edun portiere in casacca turchina e berretto listato d'orosialzàrono; l'òmnibus dell'albergo rientrava.

Ilportinajo aggrappò la corda di una campanella —clang! Non era ancora al comignolo del tettoil gatto fuggito dallegrondei peli irtigrossa la coda; nè i cavalli avèvanopatita la penùltima sbarbazzata cheda ogni parteintornoall'òmnibus traèvasi gente; press'a poco come unassalto di ladri (fors'anche!); uno apriva lo sportello; due altriper calare i bauliapportàvano scalette di ferro; un quartoaccorreva anelante con un lume per mano; nè mancava il visinocurioso di una camerieranè i favoriti grigi di unmaggiordomo — Pàlmerston di strapazzo — ilquale dignitosamente inchinava i viaggiatorimano mano che venivanooltre.

Ei primi a smontare fùrono un Mèntore con l'annessoTelèmaco; quelloun gesuita franceseper preteabbastanzapulitoche tirava al guercio e respirava malizia: questiungiovinetto in sui quìndicipàllidocon un'ariaintontita. Il pòvero duchino De-Je-ne-sais-quoi viaggiava peristruzione l'Italia; il coso nero gliela dovèa illustrare daun punto di vistain sommo gradocattòlico.

Eappresso guizzò fuori un vecchietto in sopràbito colortanèa bàvero di velluto; poife' scricchiolare losmontatojo un donnone con doppia giogaja e con una faccia di un rossoapoplèticoun donnone di que' destinati a soffocare nella lorciccia. Ed essasu'n braccioreggeva un brutto King-Charlesdagli occhi lagrimosi; scesadeposto nelle mani dell'imponentemaggiordomo una gabbia con merloofferse gentilmente l'altra a chila seguiva.

Masì che Claudia Di-Viano volèa accettarla! Figuràtevise lo poteva una fanciulla di diciott'annitutta vitae sposa dacinque o sei ore al più (suo marito era quel giòvanealtodai baffi biondi che si faceva dietro di lei) figuràtevipoi una ragazza la quale tenèvasi di èssere unacapriola sulle montagneuna viaggiatrice perfetta!

Claudiafin dalle corte gonnelleavèa avuta manìa per i viaggie le pericolose avventure. Ella imparòsi può direl'abbicìper lèggere del capitano Cookdel Milionedi Sindbad: appisolandosi sul Ròbinson Crosuè oSvìzzero cui voleva un ben mattosognava sempre con gioja ditrovarsianche leiin un'isola disabitatavestita di pellicaprinecon lì sottomanoarenatol'inesaurìbilebastimento. Nè solo fantasticava. Un giornoa dìbassosuo padreritornando da cacciaincontrò nel folto diun bosco la piccolina acchiocciolata presso un mucchio di stipa; lapiccolinachesmarrìtasi a bel diletto con le tascucce zeppedi chiodidi pezzi di corda e di morselli di paneora piangeva alagrimoneaccòrtasi di aver dimenticati a casa i fiammìferi.

Ecrescendocrebbe anche il suo ticchio. Il tavolino di Claudiavedèvasi a tutte l'ore ingombro da carte geogràficheda fotografìe di ghiacciàida ragguagli sulleinfruttuose spedizioni ai Poli e alle sorgenti del Nilo. Quando poinella sua fantasìasdrucciolòla prima voltal'omettoessa lo vestì da capitano di marelo mise a proracon un cannocchiale; essa lo desiderò ardentementeperinternarsi seco nella baja di Bàffinper lasciare insieme alui le suole sul Davalagiri.

Main attesa del signor capitanoClaudia dovette frattantoaccontentarsi di bèver dei ponci nel traversare con mamma ebabbo la Mànicae di scottare di nomi quali PilatoFurcaFaulhornJungfrauil suo bastone dell'Alpi. Se il maggiore Tiptofdell'Indieda lei conosciuto al Rigiuno sballone per eccellenzacavatappi famoso e mandaldiàvol di tigriavesse mostrato unocchio di più e qualche anno di menoc'è da giurarloconosceremmo ora in Claudia una lady.

Senonchèlo sgranocchiatore dell'appetitosa fanciulla dovèa èssereper fortuna un giòvaneil cavaliere Di-Viano. Di-Viano avèalui pure corso la sua parte di mondo e per ciòcome e's'ingattiva di Claudiaguadagnava di primo tratto nelle sue grazieil passo su molti de' vecchi amici di lei.

—Ei conta sì bene — diceva ella.

—E ha degli occhi sì risplendenti — pensavamo noi.Tant'è — conta contao guarda guarda —una seraDi-Viano domandò un colloquio al barone Fiorelli;questidopo poche parolebaciàvalo in viso —Brìncoli! I due figliuoli si amàvano a non vedere piùinnanzi: di piùèrano giòvaninòbiliricchiin dato eguale… Se non si sposàvano essichi maipotèa sposarsi?

Purela baronessina pose una condizione: quella di realizzaremaritataqualcuno de' suòi bei sogni di vèrginedi fare ungirettocome viaggio di nozzealmeno in Africa.

Almeno!Di-Viano si morse instintivamente le labbra. Le osservòpoimettendo fuori tutta la persuasivache il sole di Libia cuocevasu per le piante i marroniche là sotto i guanciali —senza le pulci — ci si avveniva sempre in scorpioniinserpentacci lunghi sì e sì; che quanto poi allepiràmidinon francava proprio la spesa vederle… De'colossali fermauscinull'altro.

—E allora… addìo — fe' Claudia salutàndolod'un cenno dispettosetto.

—Nono — diss'egli premurosamente — ci andremo…Dove vuòiamor mio. — A prova del cheraccolselasettimana stessa notizie intorno le vaporiere che stantuffàvanoda Gènova ad Alessandria d'Egitto.

Esi risolse partire il dì delle nozze. Sarèbbesi contutta la parenterìa patito un pranzo di galapoi gli sposiniavrèbbero preso la via ferrata e… buona notte. Difattipunto a puntociò avvenne: circa allo scorpacciamento…ma nonon parliàmone; nulla v'ha di più uggioso e perdue che s'àmano e per chi non ha l'appetito in pianta stàbilea paragone di tali solennità di famiglia in cui ci toccasederegòmito a gòmitoproprio con quel parente chenoi studiavamo di cansare in istrada; udirvi scipiti o puzzonibisticci; scaldarci ogni tanto le mani a certa roba scritta con ildecimetrotutta bugie — o rimbombante come un barilevuotoo geroglìfica più dell'obelisco di Lùxor.

Eaggiungi che gli sposinistavoltaingojàrono anche ilpiacere di scarrozzare alla stazione in gran compagnia; Camillo inuna berlinacol padre della sua sposa e con due vecchi ziicampagnuolii qualiper la fausta occasioneavèanostampato un libretto dal titolo: Studio sopra i letami;Claudia in un'altrainsieme alla mamma e a tre cuginette che nonstàvano mai dal palparladal baciucchiarlasclamandolelàgrime ai nottolinicose di fuoco su que' crudelacci diuòmini.

Purfinalmenteson nel vagone… soli! E solic'è da sperarerimarranno per qualche tratto di strada; ve'… chiùdesi lasala di 1a classe ed a momenti il convoglio… Maahimè! poveretti… Riàpresi lo sportello ed unomino appare adocchiando.

—CiòBeta! — dic'egli — varda… ghe xelogo per una famegia d'impiegài. —

Elìmontato suil rompitortaecco seguirlo una badalonaansante come una armònica frustarossa come un'anguriaeaccomodarsi di facciatina ai due sposi.

Ahsorte ladra! Claudia e Camillo allungàrono i visi. Lampeggiataal cavaliere l'idèa di procurarsi uno scompartimento a parte —già s'inviava il convoglio: Claudia non susurrava peranco“dunquealla prima fermata” — cheraccolto lanuova venuta il soffioèbbero tutti e quattro la consolazionedi raffigurarsi per conoscenze e insiemeper un'unghiaparenti.

Imaginateil grazioso viaggio! I due colombi dalla carne tirante si èranocome uncinetti a maglieappiccicati ai tèneri: senza pèrdereun àtimoli rallegràrono — via correndo —di un chiacchieramento in xe-serratomòlto apropòsito… e sul tran-tran stuccante della vitamatrimonialee sul pigliare di brusco delle bottiglie stappateeintorno ai modi econòmici di raffazzonare abitucci pei bimbidai calzoni di babbo e dalle coperte vecchie dei canapè. NèCamillo potè neanco cavarsi il gusto di strìnger fra identi un Virginia. Quantunque il vagone fosse pei fumatoriavendoegli a seconda del Galatèo domandato: permèttono? —udì rispòndersi dalla grassona che per caritànon accendesse zìgari — non per leino —ma perchè il puzzo sgradiva al suo caro cagnettoun mostrinocheinsciallatodormivale in grembo. Di più; come a Claudiascappava di bocca il nome dell'albergo cui èrano indirizzati aGènova:

—Ben! vegno anca mi — inchiodò il vecchietto —no xe veroBeta?

—Sìsì — ribadi il donnone — E segavaremo — aggiunse — el piaser de magnar unboccon assieme. —

Perciònoi vedemmo le due coppiel'una dopo l'altrasmontare dal medesimoòmnibus nel Grand Hôtel de Russie eorale seguitiamo ad un tempo fino allo scalone.

—Una càmerasignori? — ivi domanda il maggiordomo aiconcittadini della zuca baruca.

—Nònò — risponde il sior Anzolo —dò… Almanco la note… Ostia! —

Ilmaggiordomo porge ad un servitore un pajo di chiavi.

—E le signorìe loro — chiede ai nostri sposini —due stanze?

—Credo ce ne basterà una — fà con un sorrisoCamillo — È veroClaudia? —

Main quellauna voce grossacome infreddata:

—Gh'è u sciù cavaliè De-Vianu?

—Io… — dice Camillo volgèndosi.

Ilmarinajodopo una toccatina di cappello: sciùm'hanmandào a pigià i baili…

Di-Viano:Ah! bene. Aspetta. Tu Claudia — dice e sogguarda i duecarini compagni di viaggioche sono quasi al ripiano —intanto ch'io me la intendo… solo quattro parole…per i baulidovresti scèglier la càmeradovrestiingegnarti a prepararmi una bella cenetta… Se tu per altro lapreferisci ordinare coi Bragadier…

—Dio ce ne lìberi — interrompe la giòvane —E quì ellapreceduta da un servo che porta due saccone dipelle bùlgara e da una cameriera con i plaids e le sciarpesidirige alla scala; egliaccompagnato dal marinaroattraversa ilcortile.

Ele parole non fùrono più di quattro. Dopo di cheDi-Viano fece il cammino di Claudia e spinsea capo di un corritojol'uscio n° 15.

Buono!che deliziosa veduta! In mezzo ad un elegante salottoilluminato dadue lucernesopra una tàvola tondadalla tovagliabianchìssimaposàvano scintillando cristalli eargenterìaun cestino di fiori equello che importa iltuttocerti piatti fragrantipiatti che facèvano andare su egiù il pomo di Adamo: per una porta poi spalancatavedèvasinella vicina stanzatapezzata in celestela sposadinanzi unospecchio a ravviarsi i capelli.

—Claudia! — fece Camillo picchiando con il cucchiajo controil bicchiere.

—'Gnore! — ella rispose correndo a lui.

Ildomèstico che avèa apparecchiata la cena le avvicinòuna sedia.

—Ve'qui c'è tutto — osservò allorasottolineando la giòvane al maritino. — Non manca unosteccosai…

—Se è così — conchiuse Camillo volto aldomèstico — abbisognando di voichiameremo. —

Quelloacconsentì del capo.

—A che orasignor Conte? — interrogò —domani…

—Noi partiamo col Tùnisi… — disse ilcavaliere — Dunque… dunque ci sveglierete alle sette.

—Alle sette — ripetè inchinàndosi ilservitoreed uscì.


—Tach… tach — alla porta.

Camillosi desta. Dormiva con le orecchie in ascolto. Si stiraèrgesia mezzo su gli origlieri econ un nervoso sbadiglio:

—Ohè! — dice.

—Le settesignore — fa un quìdam di làdell'imposta.

—Bene — risponde il cavaliere. E si leva del tutto sopra iguancialifrègasi gli occhisi guarda attorno.

Laluce che piove nella càmera è smorta. Ella disegna alfianco di lui la cara sua sposasciolti i capellisemiaperte lelabbracoi nastri della camicia slacciaticon un braccio fuor dellecoltrinudo per la mànica breveorlata di trinepienottorotondodalla birichina fosserella al gòmito — lasua sposuccia che sùcciasi tranquillamente il sonnellinodell'oro.

Algiòvane sembra peccato svegliarla. Infattiè.Prendendo consiglio dall'orologiocom'esso scorge che all'oraannunciata màncano ancora cinque minutiglieli regala. Esegue il lentìssimo ago fino a… E quasicontemporaneamenteda lungiun campanone ràntola le sette.

—È tempo — pensa allora con un sospiro Camillo. —Se tacciome ne vorrebbe — Sbassando dunque il suo visoverso quello di Claudiale soffia leggier leggiero sul fronte.

Maciò serve poco. Manco di una mosca.

Dàuna momentanea crespa… nient'altro.

Ebbeneto' una diversa sveglia — un bacio.

Unbacio schiettosonoroche si regala Camillo. Poi si slontana.

Equesta volta ella si desta. Gira i suòi amorosi occhioni

—Mamma — sorride.

—Già… mamma — motteggia Camillo.

Lagiòvane arròssa.

—Supoltronona — segu'egli raddoppiando il baciozzo —siam di viaggiosai… —

MaClaudia non si move: continua a fisare d'un'aria lànguida losposo.

—Il Tùnisi parte alle otto — egli osserva.

—E si sta sì bene quì — mòrmora lagiòvane.

—Certo — appoggia Camillo — ma quanta piùpoesìa in mezzo alle onde! Imàgina un po' noi dueaproramentre il vascello sega… sotto un cielo stellato… ilplàcido seno di Tetio pureallorchè mugliandosopra il mar va il greggie bianconoi due a braccioalmanaccando…

Et coetera — incastra la sposa.

—Poipensa ai magnìfici luoghialle romanzesche avventure cheincontreremo. Quìio mi vedopassato un rovente piano disabbiabattèndocela dinanzi al Simoonbellamente attendatiin una freschìssima òasicon le nostre guide color dicavialei nostri camellie intenti io e tua impepare sullagratìcola costolettine di lione o di tigre; làio mitrovo nelle montagne del Giurgiurale gambe incrociate su una stuojapungentefaccia a faccia con uno cheik dei Cabili… barbonebianco… quel vecchio Abu-Hassan-Mohamedil quale ci offre ungrazioso pranzo…

—Di cavallette — finisce Claudia.

—E pensa anche ai nostri nomi intrecciatida scarpellare sopra lestatue di re Memnònea fianco di quello di Sua Maestàl'imperatore Caracalla! E pensa alla vista delle piràmididique' tre colossidall'alto dei quali quaranta sècoli emezzo ci contempleranno e al basso di cui un beduinodiscendenteforse dal Bue Apisnel suo pittoresco costume…

—E sudicio…

—Sudicio… sia pure — ci porgerà una manciata discarabèidi verdi idolettiche la zampa del suo fedelecorsiero scoprìraspando… in una fabrica al Cairo. Insèguitoai volcani di Teneriffa…

—Ma se ci abbiamo que' di Gorini a Lodi! — interrompe conimpazienza la giòvane.

Ilcavaliere la intèrroga intensamente con gli occhi: —fai sul serio o per celia?

Ellanel modo stessoritòrnagli la domanda.

—Làh… insomma… ti levi?

A quoi bon?

Inquestoun nuovo picchio alla porta.

—Le sette e mezzasignore. —

Camillo(in un orecchio di Claudia)

—E dunque?

Claudia(sottovocecon un po' di timore) — Ma e hai veramentevoglia di andarci? —


Tlen…tlen — i rintocchi di una campanella in distanza: forsevèngon dal Tùnisichè la lancetta delpèndolo segna le otto.

—La vaporiera s'invìa — sospira grottescamenteCamillo.

—Buon viaggio — fà Claudia sfavillando di gioia. Mad'improvviso:

—E i nostri bauli?

Ilcavaliere ride e ghigna un pochettopoi:

—Non inquietartimio cuore; i bauli son là — eaccenna alla stanza vicina.

Claudiarimane sopra pensieri: ella passaripassa del guardoil mìgnoloin boccala faccia del suo Camillo; infine:

—Aah!… tu sapevi…! —




LAPROVVIDENZA


Ohaveste avuta una mano sul cuore della fanciulla Claudiaquand'ellaincontravalà dove la scala potèa ancor dirsi scaloneun certo giòvane brunoe di capelli e di occhi e di baffinerìssimi! Tuttavìaegli non salutava in lei che lafigliola del padrone di casae salutava senza pure fisarla. Egli erapòvero e belloma non si sentiva che pòvero.

Chifosseudiamo la portinaja: “un giòvane molto gentile —chè le chiudeva sempre la porta e accarezzava il micino —il qualeda circa tre mesiavèa tolto a pigione una stanzanelle soffitte. Precisamente non sovvenìvane il nomema quelsi vedeva stampato e attaccato su pei cantonicome maestro di…di… non ricordava di che. Nondimenogli affari suòiquali si fòsseronon dovèano còrrere a olio;nessuno ne avèa mai chiesto; ed eglise spesso usciva con deifardellirientrava sempre a man vuote.”

Allequali paroleClaudiavolgèvasi in frettae lasciando laportinarìasalìva nelle sue stanze. Làprestoabbandonava il ricamo per l'ago; l'ago per i fiori di cartamettevainsiemeo una rosa turchina o un geranio verde; poiindispettitaanche dei fioris'andava a sedere nel vano di una finestra con unqualche romanzo. E Lisa Angiolelliche gliel avèa appostatonon appena finitosi guadagnava a pazienza il suo spicchio dicielo.

Altrenotizie intorno al giòvane brunoClaudia le ebbe da cui menopensavada un cugino di leiPietro Bareggi: chi lo conobbe?…un mangia-dormi dalla faccia intontita?… con un eterno sorrisosenza perchè?… un seccatore atroce?… No? —Già; i connotati sono un po' troppo comuni. Pietro facevaassiduamente la corte alla bella cuginae in generale s'avèaper il suo sposo futuro. Nondimenose è vero che moltifolletti in gonnella lo sospiràssero come un marito completoio v'assicuro che la nostra ragazza la pensava diverso.

Benequesto Pietro Bareggiuscendo un dopopranzo in carrozza con lacugina e il padre di lei (un mezzo accidentato e tutto acciuchitoantico beone in cui s'era rifatto al rovescio il prodigio delle nozzedi Cana) Pietrodicosalutò il bel giòvane brunocherincasava in quel punto.

—Lo conoscitu? — disse con vivacità la ragazza.

Notalettoreche Claudia con quel suo scimunito parentestava sempreimbronciata; sul dimandaremai; sul rispondererado; eputa ilcasocon dei o dei no. L'inaspettato favoredie' quindi un sorriso al pòvero goffoche:

—Altro! — dissee cominciò a narrarle (avvertiancoralettoreche per amor tuoinsàlo tanto o quanto ilsuo parlare fatuo) com'eglidue o tre estati primaavesseconosciuto a Nizzain quel giòvine brunoun tal Guido Sàliscontericco allora da parte di madre di un diecimila e passa lire dirèndita. MaGuido avèa per babbo uno strappacasagiocatore finito e di borsa e di bisca. Il qualeun bel giornofattocinquanta e diecitrentaandò con un po' di stricninaa stoppar la sua buca. Una fortunavero? Senonchè Guido volleprefìgerle un'essee accettò la successionepaterna. Ed èccolo intorniato da un nùvolo discortichinicon fasci di carte sgorbiatebollate. Egligiùallegramente a pagare! paga di quàpaga di lànon sitrovò infine avanzati che i piedi fuor dalle scarpe.

—E jeri l'altro — aggiunse il cugino — lorincontrài quì da noi. Quantunque molto male in arneseed io moltìssimo beneattraversài la via apposta.Giàsi saio sono un signore alla manoio. E lo invitàia pranzo: parèami dire il suo viso “ho fame” giustocome le sue scarpe — (e quì il cugino sbassòun'occhiata di compiacenza alle proprienuove e a vernice) —Che vuòi? rifiutò. E con un far di superbia! Aqua! —

Mano; io sostengo il contrario. Guidosuperbo? Oh l'aveste vedutopochi dì appresso al racconto di Pietrofar capolinocon ilcappello fra mani e in aria di soggezionenella ragionerìaBareggi! Claudiache a caso ivi erail può dire.

Sàlisveniva all'amministratoreenel pagargli una parte arretrata difittosi congedava dalla cameretta sua e da lui.

Labella ragazza lo fisò tristamente.

L'amministratoreborbottò una frase convenzionale di dispiacere.

Ilgiòvane allorasempre con lo sguardo vèr terrasalutòe si volse.

—Fàtegli agio — suggerìsottovoce e conpressaClaudia all'amministratore.

Ilquale:

—Signore — fece — se è per il fitto… —

Lafaccia di Guido imbragiò:

—Grazie! — disse — ma io… io parto perl'Oceania — esalutando ancorasparì.

Altrach della porta che si chiudèa dietro di luirisposeuna fitta violente nel cuore della ragazza. Ella capì di qualeincendio e di quanto avvampasse.

PartitoGuidosembrò insieme partito dalle labbra di leiil sorriso.Claudia lasciò le amichei librile passeggiate; prese acibarsi a freguccia limarsi nell'ànima; edalla frescafanciulla a cera spazzata di un tempoa cambiarsi in una di visoaffilatosmortobalogio.

Fupoiin quel tornoche quello sfasciume di un padre di leida unpezzo a sè non più vivocessò di morirle. Ciòpòrsele alquanto sollievole disfogò quel lago dilàgrimeche dalla partenza di Guido le si era al di dentroammassato; per la ragione stessa per cuiin piena battagliaunbravo maggiore mio amicotôcco leggermente nel nasodiede inquelli urlii qualiuna prima e grave ferita in luogo menoeminentegli provocava. E invanoPietro cuginocommosso allostruggimento di Claudiacercò a forza di buffonate diridonarle allegrìa e di rimètterla in carne. Penagettata il fare da nanoil travestirsi da cuocoil travestirsi dabalia! non otteneva da lei un sorrisoneanche di sprezzo.

Maun dìil sincerone disse all'afflitta cugina di averein unaviuzza perdutaincontrato ancor Guido. E Guidoquesta voltanongli avèa pur reso il saluto!

—O il mio carìssimo Pietro! — sclamò lafanciulla con un sorriso di gioiadisincantàndosi quasi. E apranzo mangiò due bistecche. Piàcciavi o nosentimentali lettricistòmaco e cuore sono vicini di casa.

Equì verrèbbemi il taglio per un sermone circa le giojemoralile ùniche vereche la ricchezza potrebbe apportare.Apporta anche fastidi non dico di nomacome scrisse un milanesebrav'uomo “ogni qualunque cosa ha due mànichi” nèorasarebbe il caso di mètter mano al sinistro. Intorno alqualeparlerò poi a lungoa consolazione degli spiantatilor dimostrando anzituttoche se i nudi a quattrini vòlgonoin capo i più generosi e i più bizzarri progettiiricchiper contrappesohanno i denarisolo.

Purtuttavìa si danno eccezioni: èccone una:

Alcunigiorni dopo che Sàlis fu segnalato alla tosa da quel gaglioffocuginoun servitore di lei ne scopriva la casa ed entrava in undesolato stambugiodoveneanche il soleuniversale parentesi eramai arrischiato. E il servitore offriva a Guido un vigliettocontali parole:

—Da parte della signorina Bareggi.

Sàlislo pigliò con tremore.

—Accomodàtevi! — fece al domèstico.

Questiguardàtosi attornodovette stàrsene in piedi.

Quantoal vigliettodiceva:


Signore;

desiderosada un pezzo d'imparare il disegnoorami sono risolta. Voi ne sietemaestroe mi si disseegregio. Vorreste insegnàrmelo? Se sìvi aspetto: tardi è meglio che mai; presto è ancormeglio che tardi.


Ilgiòvane non si moveva.

—Ha una risposta? — azzardò il servitore.

Guidosi scossee corse alla tàvola (tàvola e letto era lasua sola mobilia) Maa che? di cartanon si vedeva se non se unbrano d'invogliagià di salame; quant'è al calamaiol'inchiostro era sì secco che la ruginosa penna di acciajorùppesi tosto. E allora ei si frugò nelle tasche; e necavò una matita mezzo mangiata; era monca! Tentò diaguzzarla con una lama di coltello da tàvola; non tagliavaquestaoltre il cacio.

Malo soccorse un temperino del servo.

EGuidodietro il viglietto di Claudiascrisse:


Signorinagentile

nonposso proprio accettare: un pùbblico impiego mi vuole digiornoe spessodi notte. Di malincuore è il mio no: pur miconsolopensando che lascio il posto a qualch'altrocerto piùdegno di me.


Voicapiretelettoriche il pùbblico impiego di Guido era tuttofandonìasebbene ei già avessee l'ozio di un alto ela fame di un ùmile. Dunqueche ne era del suo schiettocarattere? mò perchè ricusare un onestìssimoajuto?

—Bella! se è un matto! — salta su a dire un N.N.chea questo mondo cantò sempre nei cori. Emattoinconfidenzaè quel nomemolto di usoche noi regaliamo acoloroi quali òsan pensare diversamente di noiquando nesembra un po' forte il chiamarli o bestie o birbanti.

Mail viso della mia Bigia si fà più furbetto del sòlito.

Ve'se ha compreso!

TualloraBigiae insieme a tequelli che hanno intelletto d'amore escèlgono le scorciatoje del sentimentonon chiederete certoperchèallontanàtosi il servoGuido si buttasse sullettoa piàngere e a pentirsiprima del suo rifiutodelpentimento poi. Guido sentiva di aversi accecato il solo spiraglio diluce che ancor gli restassedi avere perduto l'ùltimo filoche il ratteneva alla vita.

Maun'ora dopoun picchio alla porta: forsedella vecchia padrona dicasa pel fitto settimanale.

—Avanti! — Sàlis risposecon la faccia sulpagliericcio.

Siudì l'aprirsi dell'uscio.

—Signore — principiò oscillando una voce di donna; maquesta voce descrisse una curva; noncome Guido attendevaunàngolo.

Egline trasalì. Levando lentamente e con timore la testa:

—Oh! — fece; e balzando in sui pie'poggiossi alla tàvola.

—Signore — Claudia continuòdal lato opposto diquella — il mio servitore m'ha detto… io vengo…mi disse il mio servitore… — ma lìs'empiendodi parole la boccataque rossa e confusae fisò l'occhioalla tàvola.

—Signorina… voi… — cominciò allora ilgiòvane bruno — avete scritto… il vostroservitore mi disse… io… l'impiego…

Ebatti con questo impiego! Guido si moltiplicava le macchie sulleunghie. Ma il dir bugìe non è affare da tutti. Ed egliturbossiazzittìe scese lo sguardo su dove posava quello diClaudia.

Incuiera un intreccio di lèttereun intreccio a matita; Guidoleggèvavi Claudia; ClaudiaGuido. E le pupille di essirialzàndosi insiemedièdero l'una nell'altra; nèsi fuggìrono.

Dioche scontro! In un balenodue storie di amoreche ne formàvanouna!

—Claudia! — egli esclamògiugnendo le mani —io ti fuggìi; tu mi segui.

—Dunqueci amiamo — fe' la ragazza con uno scoppio digioja.

Mail giòvane impallidìe si lasciò cadere sullettoe si nascose tra le palme la faccia.

—Oh noi infelici! — disse.

—Perchè? — domandò la tosaagitata.

Eitrasse un profondo sospiro.

—A che sono riccaio? — esclamò con angoscia labella.

Equìsilenziosi momenti. Pois'ode un passo che si allontana;poi una porta che cricchia. Egli leva le mani dal volto; guarda: èsolo. E geme “la povertà fa paura.”


** *


Inqual maniera si maritàrono dunque? State a sentire. Laconclusione par da comedia. Un prete Armeno (chi dice Grecoma ciònulla importa) apparve Dèus ex-màchina a Guidoe gli rimise in nome di talemorto pentito a Betlemmeunagrossìssima sommatruffataanni già moltial babbodi lui. Il che era bene possìbile. La vecchia casa dei Sàlisdisordinata che maivincèa per ladri il nuovo regno d'Italia;poil'Armeno produsse una filatèra di scritti; infineprovasenza rispostaera il pagamento sonante.

—Bigiaor che pensi?

—Penso che la Provvidenza è pur buona!… ad aiutarla untantino.





PRIMAE DOPO


I


Infine!…Dieci anni lo avèan bramato. Oh quante volte Antoniettalasciando cadere con un sospiro il ricamo e fisando sconsolatamenteil maritoche di sottocchi la guardava di giàavèadetto:

—Come farèi più volentieri un cuffino! —

Giulioallorasi avvicinava a lei con la sediae baciàvala infronte. E cominciàvano a dire di que' bambinelli color melapoppinasuccianti alle mamme di un'ampia nutrice. Eccome tenersi dalvezzeggiarli? dal mangiucchiarli di baci?… Mast! il bimbo hadistaccato la bocca dalla sua credenza e allenta le cicciose manine…Il sonno lo accoglie.

EspessoGiulio e Antonietta passàvano verso le treinnanzialle scuole del pomo; di cuiapèrtasi a un tratto la pìccolaportarovesciàvasi fuoricome fantocci da un saccolamelonìa de' scolarettiisparpagliàndosi tosto per lacontradaa corsadimèntica già della noja soffertaesaltellante e giojosa; e spessodi dopo-pranzosedèvanotristamente su' na panchetta ai GiardiniGullìveri nuovi inmezzo alla gentile frugaglia del Lillipùtche trottolava disu e di giùvero moto perpetuosenza fastidisenza pensierie tutta amica; làa fare i grandi occhi intorno albossolottajomago del buon comando; quàa leccare ilcucchiajoil piattello e le labbra intorno a quel dal sorbettodell'unghiao a bevucchiare a due mani la consolina entro untazzone; in ogni partecorrendo coi cerchicoi palloncellicoidraghi-volanti o sui bastoni dei babbi; facendo al signore e alsoldato innocentementeo a rimpiattino dietro le gonne dell'aje;mentre i bebè dalle dandeche incominciàvano asentirsi i pieduccicon l'agitar delle alette e la vocecredèvanocòrrere anch'essi. Oh quanti maluzzi da unguento sputinotavane da pulci! oh lititemporali di monte! o dispettini e capriccie cattiverie adoràbili! oh paci! senza riservesenza capisegreti.

Ea volteGiulio e Antonietta attiràvano a sè qualcheputto; se furfantello dagli occhi briosi e dal nasino all'insùcoll'invito di un dolce; se vergognìnoa sorrisi. Ed ellasolleticàvane la chiacchierina. Il cìttoloalloramettèvasi a spippolare le ragionette sue o ponèadimande sopra dimande di una ingenuità da imbrogliarnequattòrdici savi… non una donna però. EGiuliofaceapoipalpitare i cittelliloro contando le istorie di Gino eGinetta e di Barbotta-fagioli stregoneo rìdere a piùnon posso scoccando loro sul naso la calottina dell'orologio.

Cosìsu quella istessa panchettai nostri due infelici almanaccàvanoil nome pel loro piccino. Ein quanto a nomibiseffe! Essimettèvano a parte i più graziosi e minutipur nontrovàndone mai uno minuto e grazioso abbastanza;senz'avvertireche il toso farèbbesi uomo e il nomeresterebbe bambino. Poipensàvano anche agli abitucci di luidopo quello di polpa; sul cheAntoniettala quale avèanesempre pel capo uno nuovolo descriveva al marito mandando giùl'aquolina. Infattiin questo giro di tempose ne vèggono inmostra di sì gentili e sì belliche la smania cipiglia di spirar loro la vitaenon farloè un peccato.

—Mò guarda quello — Giulio diceva alla moglieadditando una bimbala quale parèa uscita in quel punto dauna vetrina.

—Dio! — esclamava Antoniettaserrando il braccio al marito.

Eritornàvano a casa… ed èrano sempre due.

Maun dìellaarrossendomormorò all'orecchio di luiuna mezza parola… Fu una fortuna ch'ei fosse in quella seduto.

Eda quel dìAntonietta lasciò il canovaccio e le lane.Popolossi la casa di fascie e onestinedi camiciole e scarpette ecalzettuccie e cuffinii quali Giulio ridendo s'imponeva sul pugno —a nastria pizzia stratagli.

Nèpassava giornatach'egli oppure essagiocato all'indovinello unpochettonon si facèsser vedere qualche còmpera nuovapel loro ninino. Al quale apparecchiàrono poi una balia(asciutta ben sott'inteso) e una culla in seta celeste e orocon suun Amorino lì lì per dire “silenzio!” Masiccome Antonietta non trovò l'Amorino di tutto suo gustoGiulioper racconciarle la vistale tappezzò tosto la stanzacon i putti più insigni di Raffaello e Tiziano.




II


Ènato.

Giuliotremandoalza il velo alla culla e guarda il suo bimbo…

Brutto!Gli è un di que' còsi fallitiaborti maturicinesimagoghi. Flosciodi un colore ulivignotien già le rughedella vecchiajae Dio sa quanto vivrà! Non solo. È diun brutto volgare; niuna favilla di quella fiamma divinache sublimòla bruttezza di Sòcrate; ed è di un brutto neppurechepossastrada facendoaggiustarsi. veramentesi dice:


“maschie tortelli

sonsempre belli”


ma! —ma quì non si tratta di un maschio.

Opoverinaquale avvenire ti attende?

Dopoun'infanzialungadurata in un cantogli occhi gravi di duolonascosta da' tuòi genitoriche arròssan di tè;dopo un'infanziabujaquà e là serenata da bacichenon làsciano succio — baci di compassione —èccoti giovinettae lo “spirto di amore”risvègliasi in tè con violenza morbosa.

Manessuno ti guarda; se sìè per rìdere; non persorrìdere mai. Cangia il mondo di scorzanon di midollo; gliè ancora quelloquellìssimoche diè la causavinta a Frine. Sei bruttae le belle ragazze non ti vòglioncon loro; bruttae sgradisci alle mamme. Cave a signatis!le ti crèdon cattivaecredendoti fanno.

Macome i tuòi occhi non sono costretti vèr terra daquelli degli altricosì ognora tu guardi.

Edeccoil tuo “desìo amoroso” ha incontrato unafaccia soavedi unoche a tèalle maniere leggiadre nonusaraccolse il fazzoletto cadutoecon parola cortesel'offrì.Oh nascondi l'amore! nascondi.

Ecchè?quel gentile er ti passa vicino e non ti saluta. Sai? Hanno scoccatodi tè e di lui male cose; come si dicebons mots; edegli più non s'intriga con gobbe; ein provasposa Paolinaun angioletto senz'ali. Oh baci! oh strida!

Cosìil caràttere tuosiccome la voceinasprisce. Babbo e mammaal pari della speranzati hanno lasciato da un pezzo. Essirimpròverano a tè la lor morte; tua lorola vita.Pàssano gli anni e più non ti resta che il calor dellaciecia.

Etu diventi una vecchia borbottona e stizzosache fà morir gliaugelletti con il sistema Filadelfianoche rompe i tèneriarbusti amici a tèneri cuorichetutta piena di spillisitira in collo i bambini a intabaccarli di baci; e tu diventi unadamachelumacando col biscottino e gli scrùpoli per gliospedaliraddoppia la febbre ai malati — e nelle caseattizza discordiefà la chierca ai ragazzie a Dioprostituisce le tose — e i matrimoni attraversae turba iriusciti.

Maquìil povero padreaggricciandoabbandona su quella cunadi tanti dolori il veloe fugge. Fugge impaurito la brama disoffocarli a una stretta; fugge un reato pietoso.



ILMAGO


Eppurecodesta casanon avèa niente di strano! non gronde sporgentinon fumajoli bizzarri o torrettenon cabalìstici segni. Erauna borghesìssima casacol suo rispettàbile nùmerosenza nè l'uno nè il trea due pianisemplicemente rinzaffata di biancoe dalle persiane grigie.

—Ma le persiane stàvano sempre chiuse!

Ebbene?che volèa ciò dire? ch'essa avèa molto piùsonno delle altre. Non si può forse tenere gli occhi serratianche di giorno?

Eneanche il padrone di leialmeno per vistaera fuori del sòlito;un lanternone a barba biancastracome tanti altri. Tuttavìala gente dicèvalo il mago; tuttavìa lemammenel minacciarlo ai loro bambini quando cattivisentìvanoelle purespago. Ed io v'accerto ch'egliben in contrarioavrebbebaciato que' tosi che al suo apparire fuggìvano! Un mago poichecon l'abbondanza di spiritelli a' suòi cenniscarpeggiagobbo e doglioso con la salvietta accoccata a comperarsi egli stessoogni mattinae la fetta di manzo e il cinque quattrini di sale ed ilpaneè un magomi sembraun po' troppo domèstico.

Masì! va e persuadi la contrada San Rocco. A lei era rimastofitto e saldatoil racconto di due operàii qualiammessinella misteriosa casetta per aggiustarvi un camino che pativa difumoavèano scorto sopra un gran tondo una testa mozzataancora con i capellicon gli occhi invetriti e con in bocca…una pipa. Tonio inoltreil garzonenarrava con la voce in cantinache lo stregonetràttolo a un certo punto in disparteavèagli offerto una pila di doppi marenghipurchè glifosse andato a strappare un braccio di una tal croce di legno appesaad una tal porta…

—Naturalmente — Tonio aggiungeva — ho risposto dino —

—Oca! — osservàvano i preti — doveviaccettarepoi far dir tante messe. —

Dipiù; la contrada San Rocco avèa veduto un bel giornofermarsi alla casa del mago un carretto e uscirne caldajestortelambicchi. La contrada èbbene i batistini; leicheavèa pure assistitodue mesi primatranquillaal trasportodi una batterìa di roba tal quale nel liquorista di contra!

—Ei cerca l'oro — pispigliàvasi il volgomandandogiù la saliva. Ma il volgosecondo l'usanzasbagliava: ilmago non era in traccia dell'oroquantunque il fosse di cosaal pari di quellocùpida e paurosa a una volta.

Infelice!Il più orrìbile morbo che imaginare si possa lotormentavachèse negli altri ci è dato e laillusione e la treguao spessola forza del male tògliene lacoscienzaquìil martìrosorto dalla fantasìaalimentato da questae sempre in novìssime foggienonrequiava mai.

Fanciulloancoraei raggrinzava le mani e nella voce affiochiva alla parola“morte” e si palpava la faccia seguèndonel'ossa. In tuttoun accenno di lei; montava una scalaogni gradinosuggerìvagli un anno… oh! come presto al ripiano. Avoltestretto da improvvisi spaventicorrèa strillando lestanze…

—Che hai? — gli dimandava la mamma.

Eglitacevaaggricchiava.

Ea soffocare tali atroci paurecredetteadolescenteuna viailgittarsi nella nemica idèail non pensareil non udir che diessa. Ahimè! il rimendo fu peggior dello straccio. Certociha librii quali ne famigliarìzzano con la figura di mortepingèndone urne rischiarate dal sole e inghirlandate di rose;ma altrie molti (la più parte di frati cui il digiuno delmondo fe' brusco) aumèntano i nostri terroricol mètterneinnanzi un inventario di strazi… artiglicode e pièd'ocasopra e sotto del lettosudarie puzzolenti tenèbre. E —poiché noiverso dove incliniamosi cade —Martinoinvece d'aprire le imposte al serenoasserragliossi nelbujo.

Sbagliosu sbagliodièdesi alla medicina. Questanella maniera chela psicologìa avèvagli tolta ogni fede e ogni opinionesul patrimonio dell'ànima gli giunse a destare intorno aquello del corpo un labirinto di dubbi. Solocapì su qualefràgile trama fosse l'uomo tessutoquanta folla di casipotèvala ròmpere. Enuova scienzanuovi dolori.

Tuttavìauno svario gli si frammise a tali ombre. Le ombre e la giovinezza dilui facèvano ressa a vicenda; Martino sì ubbriacòstalloneggiòriuscì a sottrarsi per qualche tempo asè.

Mauna notteallo zènit di un'orgia che rasentava i confinidella ribalderìala biondìssima Giuliaassieme allaquale egli aveva bevuto la vitaalzàtasi con un far risolutoteso il bicchieregridato “viva il…” caddeimprovvisamentesenza compire la fraseall'indietro.

Ilcuore le si era spezzato. Martino svenne; fu chi credette per la finedi Giuliaeinveceera per quella di lui! per quella di luicheriapparìvagli a un tratto. Egli avèa già spesitrent'anni; quanti gliene avanzava? altrettanti? oh il buffo!… emettiamo pure quarantacinquanta… serriamo tutte le ante…cos'era? un buffo del pari.

—Nonon voglio morire — giurossi — Nèmorirò —

Econ la foga della disperazionea capofitto si rigettò nellenaturali scienzele qualiagli sforzi di luisi aprìronocome l'onda a chi nuota. Ma l'onda mai non finiva. Dopo vent'anni distudioferocesenza una posa (dunque vent'anni di morte) ei sitrovò ricco di non cercati segreticapace di far di uncadàvere pietradi sospèndere il corso dell'umanoorologio e ravviarloanzidietro a un filo sicuro per costruirne asua posta; nondimenoimpotenteequel ch'è piùnudoa speranze di eternar quel battìtomosso in noiprimoda…Da chi? Va te l'accatta! — E intanto il corpo di lui avèaperduto l'acciajola barba èrasegli fatta grigia; ei sivedeva in là molto su quello stretto sentieroaffondato trainsormontàbili muri e chiuso alle spalle man manoentro dicui non vale il coraggionon la viltà; voglia o non vogliabisogna camminare in avantisemprefinchè un abissoc'inghiotte.

SinoalloraMartinoavèa corso l'aque e le terreinquietoall'ubbìa che la presente sua stanza diventàsseglil'ùltimaàvido di contemplare la morte sotto ogniclima. Oh quanta avèa accolta eredità di sospiri!…enel dilungarsi dai funerei lettigemeva “uno di manco…vèr me.” Maquando sentì che irreparàbiliguasti nell'interno congegno gli minacciàvan lo sfasciobruciò di fuggire non avvertito dal teatro del mondodiconigliarsi in qualche oscuro cantuccioper aspettarvi da solo leischivando almeno così le làgrime degli amiciil leppodei ceriil borbottare dei pretitutta insomma la pompa dell'ùltimotuffo. E comperò nel sobborgo la casina a due piani.

Vèngonogli strasudori in pensare a quelli annicosì brevi da lungi ecosì lunghi da pressovissuti da luisolamente con sè.Io me lo vedo ansando a faticamezzo seduto su di un cadàverspaccatoa interrogare “morte che sei?” a rovistarvi letraccie di vitala quale vita è… Cosa? Le definizionimolte; materialìstiche alcune; altre spiritualìstiche.E tanto o quantociascunaper la sua stradava: mèttileinsiemepicco e ripicco.

DisperatoalloraMartino si buttava a ginocchisupplicando quel Dioal qualenell'ìntimo suo mai non avèa creduto nè oggipure credevad'incretinirlo; poidalla stessa viltàsvergognatospregava ansiosamente la prece. E altrevolteèccolocon lo sguardo smarritodimandare a follia quello per cui la scienzaera muta; or mescidando ai fornelli indiavolate pozioni; or riunendola volontà suatuttanei più turchini scongiuri; oraa sfogliare con un tremore di spemestranìssimi libri discrittori sotterrache a parte a parte insegnàvano e ilvìvere eterno e la giovinezza perpetua.

Mail tempo non si arrestavamai.

Efinalmenteagli albori di un giornoun vicino di luiin pantòfolee col tabarro sulla camicia a ridossoapparve alle due portinaje delmago e disse loro che qualcheduno stava sballando od era fattosballar nella casa; egli ne aveva sentito le gridail ràntolo.

Leportinajeprima atterriteocchieggiàronsi poi indecise.Romperèbbero esse il divieto del loro padrone? traverserèbberol'atrio? ne salirèbber le scale? E tentennàrono unpoco. Senonchèil caso premeva; risolvèttero il sì.Infattigiunte al di là del ripianoudìronoangosciosa la voce del mago gridare “oh mi risparmia;pietà!” indiun gèmito lungo.

Precipitàrononella stanza.

Martinoin uno de' suòi peggiori accessi di necrofobìagiùdal lettoe il letto sembrava quel delle stregheera dinanzi unospecchioal pàllido lume dell'albamiràndosi conispavento. E certol'aspetto di luidovèa èssere benestravoltose le due donne agghiacciàronoe l'uomo se lacavò… in cerca di un prete.

Nonl'avesse mai fatto!

Ilmago si vide perdutovìdesi agli sgòccioli.

—Gira largovia! — stridette.

Mail prete fe' per pigliargli una mano. Martino arretròconterrorecome tòcca una biscia; diede nel lettocadde entrola stretta…

Ein quellaper paura di mortemorì.



PROFUMODI POESÌA


MissAda Banner of Bannerlodgecon un tometto del suo inseparàbileMoore sottobracciorisaliva le scale del Grand Hôtel deGenève a Roma e veniva dall'aver impostato il suo terzoreciso rifiuto alla terza insistente proposta di matrimonio delcugino di leiTomaso Turtlesonesq. Mò figuràtevipresunzione! Parlare di matrimonioanzi di letto matrimonialeaduna che non capiva se non l'amore di contrabbando (che è ilpiù incòmodo amore) parlarne poi tanto alla buonatanto commercialmentecome se si trattasse di un affar di formaggi.Infatti — circostanza aggravante — il cuginoTomaso negoziava all'ingrosso di questo alleato degli osti. Perquanto muschio sentisse la sua carta da lèttereledelicatìssime nari di Adaodoràvano sempre formaggio.Pàride anche — chissà! — avràesercito in sìmili gènerima il Priamidevestiva pelli agnelline e non avèa su ditta. Imaginate!Sposare un “Thomas Turtleson and Co.” all'insegna dellaVacca e del Bue! e di piùuno le cui ventrali carnositàgià inestèticheauguràvano di riuscire nellamaritale sbottonatura alle rotondità di una pancia. Domandoiocome possìbile i voli con una sìmile bomba aipiedi? Come i lunari colloqui con un paralume tale dinanzi?

Fanciulle!gran bella cosa la poesìa — … Parlo s'intendenon a quelle dense tosoccie o piuttosto “pollanche ingrassatecol riso” che si permèttono di avere sempre appetito esempre voglia di rìderema a quellele quali


tenuiavix summo vestigia pùlvere signant


dallalingua perpetuamente sudiciadagli occhi coi luciconidal naso chetrasparisceassidue frequentatrici del negozietto Aleardiano diprofumerìa poètica: e dicogran bella cosao mieazzurrinela poesìa! inquantochè essa ci toglie alsolitismo di cotesto mondaccio e ci fa piàngere amaramentesopra disgrazie non mai avvenute nè mai avventuree cimantiene tutta la scienza dimessa e sèrbaci magri con poco.

Disgraziatamenteper quanto poco si mangi — ahimè! — nontutto va in sangueed anche le più vaporose fanciulle…(dove troverò io espressione che non offenda le mie gentililettricitanto caste d'orecchio?…) sono obbligate di fare da sèciò che non pòsson far fare dalla lor cameriera. Ilcheper la formaè il capolavoro della infernale malizia:dìgitus diàboli est hic; benchè io ciravvisi piuttosto di quella sapienza divina che mette tutti nel mondoper un'ùnica strada. O pòpolitrepidanti in ginocchiodinanzi a degli appiccapanni abbigliati d'oro e d'argentoo datevipena d'imaginare i vostri Reacci e Papassi anche sul trono forato!Quella è la vera comune. Addìo maestà!addìo infallibilità!

Eappunto — tornando a noi — fu uno di tali invitiimprovvisiimperiosiche colse a mezza scala la biondìssimaInglese e la obbligòpàllida e smarritaa rifugiarsinella sua prima compatriota in cui diede. Era il poèticocestellino di uvamangiato il dì prima. Tutto và inquell'eterno sepolcro — e la foglia di rosa e la fogliad'alloro…

Masostiamo. Non è indispensàbilevero? ch'io dica tutto.Avessi pure lettori leggenti le sole paroledi que' lettori peiquali i puntini rèstano sempre puntiniabituati alle dande enon ancora svezzatiparmi ciò nondimeno ch'io possainquesto ùnico casocontare un pochettose non sulla fantasìaloroalmeno sulla memoria. E peròpregàndoli dièssermi tacitamente collaboratoritirerò via drittosaltando a ritrovare la nostra bionda inglesinaquandosoffusa diun pudico rossore ediciàmolo purecol cuore piùsollevato (o cuorecomodìssimo nome) sta per riporre la manosul catenaccio dell'uscio.

Maalla manigliaun sobbalzo. Miss Ada si arrestò sussultando.

Eraun nuovo avventore. Il quale trovando chiusoe avendo invanobussatoparve si allontanasse.

Elei ripose con titubanza la mano sul catenaccio.

Mal'avventore ritorna e si dà a passeggiare su e giù pelripiano.

MissAda si ferma di nuovo e si mette in ascolto. Il passo continua. Chefare? uscire? spoetizzarsi?… Ma e in faccia di chi? La poesìaè alle fanciulle come la polve dorata alle farfalle… guàise la tocchi!… E perduta la poesìache le restava dapèrdere?… Fra il sì e il nopassàronoalcuni minutiminuti che a tutti e due sembràrono un'ora —e lo credo.

Sapristì! — esclamò spazientitocolùiche aspettava —

GranDio! la voce del prìncipe russo — diquell'elegantìssimo giòvaneche accompagnàvalaal piano e cantava con lei i più appassionati duetti edimparava l'inglese dalle sue rosee labbruzze sul Moore… pòveroMoore! Or che fare? che fare? Ragazze mie: mettètevi ne' pannisuòi. Parlosempres'intendealle mie sòlitemagroline.

Ognisperanzavana.

Eintanto s'era avviato sul pianeròttolo il dialoghettoseguente:

—Comanda il signore?

Morbleu! — ma sono tutti occupati i vostri nùmero1000? E ci si gode a starci. È un'ora che attendo.

—Un'ora?

—Dico poco.

—Ha bussato? hanno risposto? no…? oh allora… non vogliaDio! — E forte battendo e scuotendo la spagnolettadell'uscioil nuovo venuto gridò: signore! signore! —

MissAda si guardò bene dal muòvere labbro.

—Certo… certo… — continuò in inquietìssimotono colùi che parlava — una disgrazia èaccaduta. È un luogo malaugurato questo. L'altr'anno… —

Equì nuovi passi e altre voci… Che c'è?… unadisgrazia? — dove?… apoplessìa? omicidio?…Convien chiamare un dottore… Chiamate un prete piuttosto…Occorre il sìndaco… il giùdice… Fate presto…un ferro… una leva.

MissAda non sapeva più in che mondo si fosseosapèvalotroppo. L'idèa del suicidio le balenò. Guardò alfinestrino del chiaro; non vi passava nemmeno la testa; sguardòal finestrino del buioinorridì.

Edire che ella sarebbe rimasta senza paura in una gabbia di tigri! Omartirioinvidiàbile onore! all'aria aperta però. Nèpiù sapeva se le convenisse svenire.

Mala porta cedette.

MissAda fremè di furore e si coprì colle palme la faccia.Stette immota un istantecome vinta dal peso di una universaleberlinacome sotto le risa che meno udiva di quel che sentisse —eppòi precipitossi alla scaladietro lasciando un profumoche non era di viole.

LaPoesia fuggìturàndosi il naso.

Equel dì stesso Tomaso Turtlesonesq. negoziante in formaggiall'ingrosso — Chester — Whitesquare —leggevagongolando di gioiail telegramma seguente:

—Riceverài una lèttera mia. Non aprirla. Stràcciala.Io mi marito anche con tè.



ODIOAMOROSO

I

Voltae rivoltanulla! Sonno non ne veniva. E sfido! La fantasìa dilui conflagrava al ricordo di una bellìssima tosa bevuta congli occhi quel dìCorreggesca Madonnafuggita alla gloria diun quadro e pòstasi ad una finestra. Senonchèin sullebracciainvece del gonfi-ampolle bambinoreggèa un gattosoriano. E gli facèa carezze… Gatto felice!

Innamoratodunquecottobiscotto! — EgliLeopoldoAngiolieriche in una bicchierata a New-Orleans avèa sclamato“amorenel trantran della vitaè un nome decente peresprìmere… altro.” Fatto èche sino aquell'oracioè ai ventisette e passaniuno uncino amorosoavèa pigliato Leopoldo; e chi ha verace giudizio sa comeciascuno di noi tutto misuri con la spanna sua propria.

Inveritàera d'uopo che per cangiare d'idèeeglicangiasse di mondotornasse giusto in paese — imaginate! —nel bel primo dì.

Venutoper la sorella… Ma quì la parola sorellalo deviòin altri pensieripensieri indigesti. Allorchè egli partivaper l'oltremare — nè lunga avèa a riuscirel'assenza — Inessejenneera stata messa in collegio;oradopo quattòrdici annirimpatriava a farle da babbolui.Equestoegli avrebbe e di cuore e con gioja prima che la suasconosciuta apparisse; ma orano; orauna sorella non gliaccomodava un bel nullaqualunque si fosse. Chèse svegliad'ingegnoquale tormento! se stupidettache noja!… Ed era?Leopoldo pendèa al secondo partito; il ritrattino difatti chedodicenneessa gli avèa mandatomostrava una faccia grassadormiosa. Non rifletteva però il giovanottoche chi dormivaera amoree che chi dorme si sveglia. Pursia come si siaa che cihanno le doti? a che gli spiantati?

Cosìcacciato con un sospiro di gusto quel tàfano della sorellaLeopoldo intese la imaginazione tutta alla vaghìssimaincògnita. E ricompose gli occhioni di leineri; e il fiumede' suòi neri capellie il viso “color di amore e pietà”di un sùbito pinto a vergognacom'ella si accorse di luiesparve.

Voltae rivoltasentì sonare le quattro.



II

Enella mattinavenne a trovarlo il signor Camolettiprocurator suoin patria. Era egli una miseria di uomodal viso colorformaggio-di-Olandacon due occhiucci nerìssimida faìna;nerii capelli cimati; neroun pizzo da capra; nerala cravattona(e non un sìntomo di una camicia); neriil vestitoimpiccato e le brache; sì che parèa ch'e' uscisse da uncalamajo in quel punto e gocciasse l'inchiostro. Il corpicciolo diluiinquietole lappoleggianti palpèbrele mani che nonrequiàvano maidicèvano chiaro il caràtteresuorabattino ed astuto. Quando parlavacolùi che avèsseneudita solamente la vocedoveva pensare “oh pappagallod'ingegno!” Ed eraquattro-parole-un-complimento-e-un-inchino.

Ilquale ometto dei cecidopo di èssere andato in dileguo sulritorno felice e sulla bella presenza di Leopoldodisse dellafortuna di avereil dì primaricevuto un biglietto“proprio del signor conte” — e quì un saluto dicapo; — ma aggiunse della disgrazia di non averlopotuto lègger che a sera… “capirànoi gented'affari…” Nondimenocom'eglia fortunaabitava nellamedèsima via del Pensionnat Anglais Catholique di donnaInes — e quì un altro saluto — cosìvi avèa tosto spedito il suo saltafossi e il biglietto.Sgraziatamente! la contessinauscita a pranzare da una suaamica sposanon era ancor rientrata…

—Tuttavìa — osservò Camoletti — ioavèa già avuto l'onore di partecipare a donna Ines ilpròssimo arrivo di sua signorìa. Donna Ines losospirava da un pezzo.

—Anch'io — fe' Leopoldo — Pensiavvocatocheessa toccava appena i sei anniquand'io partìi con pappà.Ben mi ricordo; era una bimba cicciosa; bella no certo; cattiva comeun folletto…

—Ohallora! — sclamò Camoletti — lacontessina di adessochi è?

—Vero — notò il giovanotto — che le belleragazze nàscono ai quìndici anni…

—Infatti… — fe' per dire l'avvocato.

—Prego! — interruppe Leopoldo — La non mi dicaniente. Mi lasci un po' d'improvviso. —

Esonò il campanello.

—Un brougham! — ordinò al servitore.

Intantoil discorso si ridusse agli affarie parve che tutto assiemeandàssero a maravigliainquantochè i per fortunain bocca di Camoletti fùrono un dieci a ciascun perdisgrazia. Leopoldoda parte suaaccennò a cambiamentich'egli voleva nei fondi (i fondi visiterebbe nella settimanaventura) parlò di màcchine agrarie commesse aManchèsterdi un nuovo sistema d'affittidi nuove colture;sul cheil discorsocontinuando anche nel broughams'interessò vivamentetanto cheal fermarsi di quelloilcocchiere dovette smontareaprir lo sportelloe dire “signori!”

Edessi scèsero ed entràrono.

Quantunquela vaghìssima incògnita avesse già in Leopoldooccupato il posto miglioretuttavìatrovàndosi eglisì presso a colèi che sola poteva ancor chiamareparentesi senti bàttere il cuore. Ecchè! Inesforsenon era nè un velo di Tullenè una checuriosava ogni dovenè un rompigloria a perchè?; —bensì di quelle creature devotesentimentaliveri tiretti ainostri segretie manualucci di pràtica filosofia. Orchi nonsa che gli amanti han sempre a confidare qualcosa e sempre adimandare consigli?

Insulla scalanon incontràrono alcuno. Maal primo ripianoilsignor Camolettiad una vecchia senza cuffia e in cartucceche ilsalutò per nome e cognomechiese:

—C'è donna Ines? —

Lainserviente rispose: che le signore maestre e tutte le damigelleèrano fuori a messa… “messa bassa” aggiunse perconsolarli “vògliono intanto sedere?” e lordischiuse una porta con scritto su “Direzione.”

Nedessi rispòsero no.

Rimastisolirimàsero anche in silenzio. Il signor Camolettiaccomodàtosi in una sedia a bracciuolidopo di averconcrepate le dita alcun po'prese a mangiarsi furiosamente leunghie. Leopoldo girandolava la sala. Sulle pareti di cuioltre ilritratto del rèera una mostra (proprio una mostra) diadaquerelli e disegnidi prove di bella scritturapantòfolericamateghirlande di fioriquadri a margheritineiscrizioni(evviva la direttrice! viva il suo onomàstico!) tuttodisotto al vetro e in cornice; esopra i tàvoli e i tavoliniprogrammi dell'Istitutomazzi di fiori di cartaun cestino dibiglietti da visitain cui stàvano a galla quelli con lacorona; poidentro uno stipoun lucicchio d'oro e d'argento —pesecoppeun nùvolo di tabacchiere una sull'altra come lescatolette delle sardinee campanelli e penne e posate —doni ed omaggi. Oh quanti segni di amore!… diciamo meglio…oh quanta adulazione pelosa! oh quanta smania di un saldo aiconti seccanti della riconoscenza! Etuttociòsi voleva chefosse visto e ammirato. Leopoldo ci frisò appena lo sguardo.Peròsiccomenè ad ammirar nè a vedereposavadimenticato sullo scrittojo un pìccolo alboLeopoldo l'aprì.

Elesse:

“Notesulle ragazze del P. A. C.” (Pensionnat Anglais Catholique)“anno corrente… fatte da mé direttrice MARIASTEWART”

Ea pàgina primalèttera A:

“ALDIFREDIbaronessina VITTORIA — diciasett'anninaso all'insu; capelli da Barba-Jovis; colorito di fuoco.

“Dache reggo il collegionon mi è mai capitata una fanciulla piùghiotta. Va in seconda a ogni cibo. E sì che tra i pasti nonfa che spazzare scàtole di canditie pasticche e cioccolattee mentini! Jeri di làad esempiomi ha furato e vuotato ilmastelletto della mostarda. Poiride sempredi tutto. Entro ioride; entra il signor Catechistaride. Sgrido; ride ancor più.E attacca alle altre il morbino.

“Vittoriaamatra i fioriil garòfano…”

MaquìLeopoldoabbandonò l'Aldifredie passòall'A-enne.

Elesse:

“ANGIOLIERIdonna INES (dei conti) — vent'anni.

“Buonafanciullama che si atteggia all'interessantismo. Per quanti glienesequestri e tèngala d'occhiomi legge continuamente romanziroba francese ed istèrica.

“Ilsuo fiore mignone è la viola. Non sa sonar che notturnicloches du villagedernières penséese sìmilipiagnonerìe.

“Inesmangia il meno che può…”

—Senteavvocato? — dimandò Leopoldo —dìcesi che mia sorella mangia il meno che può.Quest'èio credouna nota di buona condotta in collegio: elei? —

Camolettisi affrettò di sputare i rottami di unghiae disse:

—Oh certo! buona!… ih… ih! — con un ridacchiarcavallino.

ELeopoldo leggendoma a forte:

“…Invìa delle letterone alle amichea punti ammirativi epuntini…”

—Dicaavvocatoma e le àprono dunque le lèttere?

—Sa! nei collegi! — prese a dir Camolèttiin tonoche sottintendeva “è un naturalìssimo

uso.”

—Bella! — sogghignò il giovanotto; e seguendo:

“…punti ammirativi e puntini… in cui loro confida dei dispiaceriimpossìbili. ”

—Auf! — pensò — che piaga! Dovèatoccar proprio a mè!… Fosse la gaja Vittoria —e chiuse il pìccolo albomortificato.

Inquellauno scarpiccìo e un suono di freschìssime voci.Rifluiva il sangue al collegio. Enella salaparve che gli origliargenti e i cristalli scintillàssero il doppioall'idèadi rispecchiare qualche grazioso visetto; edal giardinolevossiun'affollata di cipp-ri-cip-ciptaleche sembrò ognifoglia e ogni fiore cangiato in un vispo augellino.

Ipassiil cinguettioil fruscìo già rasentàvanol'uscio della direzione. E una vocettamaliziosamente chiocciadiceva: badabigelle! le pvego; non fàccian tvoppo vumove! —Giùun gruppo di risa! e le fanciulle passàrono.

Edopo un istantesi udì un ràpido passo. Leopoldoassunse un contegno serio.

—Oh fratel mio! — sclamò una ragazzaentrando dicorsa.

Ilgiovanotto diede uno scatto all'indietro. L'amata di lui non era piùsconosciuta.

—AbbràccialoInes! — fe' la rettrice apparsa allasogliavedendo la tosa arrestarsi.

EdInes si appressò a Leopoldotremante; ellacome unfantocciol'abbracciò; lui si lasciò abbracciare.

—Son pur feliceconte! — disse la vecchia maestrafacèndosi innanzi — Si accòmodino. —

Etutti e quattro sedèttero.

Cosìil discorsoprincipiòe seguì solo tra Camoletti e lasignora Mariadue taliper parlantinaallo stessìssimobuco; questache già iscorgeva in prospetto le sguizzasolevetrine del giojellieretolse la mano del diremettèndosi afare l'elogio della scolara di leidàndola per garantitaesospirò e pianse; quellocome riuscì a rubarle laparola di bocca (chè altro mezzo non c'era)snocciolòuna tirata di lodi sul principale di luila qualevolto il tempopresente in passatoavrebbe pure servito da necrologìa. Maquanto alla sorella e al fratellonon una di quelle vampe di affettoche rischiàrano a un tratto antichi ricordi obliatiricordid'infanzia; sedèvano a bocca chiusanon rispondèvanche a cenniparèvano insomma due poveretti villanichemascherati da ricchistèssero in soggezione del loro vestito.

—Oh sacristìa! — dicea tra sè l'avvocato —che scherzi fà l'amore! —



III

Inveritàera un bruttìssimo scherzo! PoichèLeopoldo fu tornato all'albergo e fu nella càmera suasolo(chè egli avèa lasciato ancor la sorella in collegiosotto la scusa che tra pochìssimi dì sarebbe venuto apigliarla per condurla alla villa) cominciò a lagrimarepoiismaniòe finì tempestando. E che tempesta la fosseil conto dell'albergatore può dire!

No;la sorella di oggi non dissolveva l'amata di jeri. Argomentava purbene la signora Ragionema il Sentimentonon ne capiva illinguaggio. Leopoldo pensò di scrìvere ad Inesdidirle ch'egli era obbligato di ritornare in Amèricache loobbligàvan gli affarie ci si pose a tamburo battente. Mafatto due righesostò. E l'avvocato gli crederebbe? con qualefronte abbandonar la ragazzacheforseanzi! certocertìssimol'avèa solamente a fratello? dove la volontà? dovel'ànimo forte?… e stracciò il fogliopoi ilquinterno.

Sialzò disperato. No! egli non dovèa allontanarsi da lei…cioènon potevaperchè…

Etrasse un sospiro di aviditàe abbrividì del sospiro.



IV

Pensatedunque che inferno! e chissà quanto avèa a durare!…infernole cui pene maggiori èrano appunto gli sforzi perdissimularletantochèogni collòquio tranquillo conl'avvocatocostavaal giòvaneuna o due sedie.

Eun dìl'avvocato fe' capire a Leopoldo che la sorella di luinon sapeva che dire del suo starle lontanoe si lagnava e piangevae…

—A domani! — interruppe Leopoldo alla brusca.

El'indomaniuna carrozza a quattro cavalli e a postiglioni fermossial collegio. Di cui le finestre si fècer tosto cornice a tantiquadri viventi di ragazzine e ragazze; le unecuriosedell'equipaggio superbo; le altredel padrone di quello. E Inespassò di saluto in auguriodi augurio in abbraccioed ebbeuna scorta di baci talechese di labbra coi baffiavrebbe tornatola vita a chissà quante inamate!… Cosìbaciperduti.

TuttavìaLeopoldo si rimaneva in carrozza.

—Il tuo signore fratello — notò Giorgina Tibaldisinceramenteall'amica — è una meraviglia digiòvinemaa cortesìa… ve' scusa… èamericano… un po' troppo —

Inestaque. Condotta dall'avvocato e dalla rettricescese le scale e salìil montatojo. Ella non si era messa alla via: solosi avèagettato in ispalla una mantiglia a cappuccio. Ma la beltà nonchiede altro che luce: oh conoscèsser le belle qual male fannogli specchi! E Inesin disabbiglioappariva sì seducentesìvoluttuosache il giovanottoimpauritotòltosi dapressoleisiedette all'opposto. E fece:

—Oh avvocato — (con una voce ansiosaaffogata) —venga!… la prego —

IlCamoletti ringraziò vivamentema si scusò:

—Se si ricorda — aggiunse — abbiamo quest'oggi atrattare dell'eredità di sua zia.

—Maledette le càuse! — fe' a mezzo tono Leopoldoocchieggiando con ira; e serrò lo sportello di colpo.

Lacarrozza partì.

Ilgiòvaneallorasi ricacciò nel suo canto; e allasorella disseche la stanchezza il vincèa… Dopo unastranottatasi sa!… dunquedi tenerlo iscusato se si metteva…a dormire.

Inesnulla rispose.

Ein modo talesi trottò via quattr'ore. Di tutti i viaggi diluifaticosìssimilunghiniuno il spossò piùdi questo.



V

Nèera certo in villa con leiche Leopoldo dovèa trovareriposo. L'omiopatìa lì non serviva. Leopoldo avèabel circondarsi di affaribel imbrogliarlibel stare fuori giornosu giorno pe' suòi latifondima nello specchio del capoapparìvagli sempre quella pàllida faccia contro laquale parèa battesse continuamente la luna; avèa belvilupparsi in filosòfiche dissertazioni intornoall'equanimitàe al modo di annichilir le passionicioè di vìvere mortistudiàndone anche amemoria i concettini ingegnosi e le elegantissime frasima tutta'sta robascritta in pacifici studi verso cortileal sovvenire diuna occhiata di leilanguidissimanerasprofondàvasi giù.

Venivanoallora i furori. E allora e' fuggiva a sérrarsi nella càmerasua e ne appiccava la chiave sotto il ritratto materno. Facea levolte di un leone affamato. Pigliàvalo uno struggimento diabbracciare colèidi schioccare dei baci… chedico! di mòrderladi pugnalarla. Mainorridito a un trattodi sèsi gettava sul lettosospirava d'angosciae miravacon il desìo negli occhi le sue pistole. Oha non toccarleci volèa bene coraggio!

Mae fuggire da lei?

Pazzie!ei si sentiva legato con doppia catena. Avesse amato soltantononera impossibile… forse; manell'amareegli odiava; ed unagoccia di odio fà un sentimento eterno.

Perquante fitte crudeliper quante torture ciò gli costasseegli or più non poteva fare di meno di que' terribili istantinei quali era presso a colèianzièrale alfianco; quandoin una sentiva e le vampe amorose e i brivididell'orrore ed i sobbalzi della disperazione; tuttosotto unamàschera calmasolo tradendo la irrompente passione alspesseggiare convulso del nomeil più severoil piùdolce“sorella.”

Ea volteInes fisàvalo con gli occhi gonfiinghirlandati diduolo…

Pòveratosa! Non avèa fatt'altro se non cangiar di prigione; e inpeggio. Chèalmeno in collegioallegre voci di amichemischiàvansi a quella della campana imperante; quàrinchiusa come dalla pioggia autunnalesplendèndole il soleall'intornosenza compagne ma serveniuno veggendo all'infuori delfratel suo e di un dottore vecchiosentivasi orribilmente solaspopolata pur di pensieriperchè temeva a pensare; incollegioa traverso le spie delle persianescorgeva un fineuncangiamento; quàcon un largo orizzontenulla. Orche cosaDio mio! più paurosa dell'infinito?

Ela salute si dilungava da lei; sì che Leopoldoagitatochiese al dottoreuna sera:

—Che dice di mia sorella?

—Dico — rispose il dottore — che sua sorella ha undi que' mali che i mèdici non guariscono — i mèdicivecchi almenocomepurtroppoio. Donna Ines ha il male di amore.

—Ah? innamorata? di chi? — sclamò Leopoldoadombrando; esenza stare per la rispostacorse alle sue càmere.

Epòsesi a passeggiarle in lungo ed in largo. Una folla di suonigli mormoràvano un nome… tremò. Lo sbigottiva ilsuo statoch'egli non avèa osato mai di segnarsi a netticontorni e che non mai in altrùi avrebbe pur sospettato. No;questo non si poteva — non si dovèacioè;era duopo un nome diverso; qualunque.

Ecercò spasimando… Ah! ecco… Emilio Folperti…Eppure! no. Imaginate in costùi un fittabil del suoche ilmèdico avèa un giorno condotto in casa Angiolieri; ungiòvane bello sìma bello e nient'altro. Ilquale Folpertis'era creduto d'ingraziarsi il fratellolodando alui la sorellae Leopoldo — gentilmente villano —avèagli chiusoprima la boccapoi la porta sul viso; dopose n'era affatto scordato. Ma adessocreàtoselo appena arivaleLeopoldo non lo potè più soffrirenongli parve più il mondovasto per tutti e due abbastanza…o l'uno o l'altro… lì ci volèa una soddisfazione…Soddisfazione? e di che?… E se il Folperti gliel'avesseaccordata con lo sposare colèi?

Benseguitava a sussurrargli il buon senso “come vuòich'ella ami una sì fatua cosa a bellezza ed a senno?” Masaltò su a dire il sofisma “non si adoràronostatue? non si adoràrono mostri? non si baciàroncadàveri?…” e Leopoldosospinto da geloso furoreschiuse di botta salda la portae fe' il corritojolungochedivideva le sue dalle stanze di lei.



VI


Eranotte; enelle càmere d'Inesniun lumema le finestreapertesì che il raggio lunare e la brezza entràvano aloro piacere. Leopoldo passò le due prime. Enella seguenteera Inessur il poggiolo che rispondeva al giardinosedutaereclinando la testa all'indietrogli occhi velatisemichiuse lelabbrain quell'abbandono di quasi-delìquioche inonda chipianse molto e molto si disperò. Piovèndole attornolaluna ora piangeva per lei.

Leopoldoriste' a contemplarla un istante. Ed ella se lo sentì forsevicinovicinìssimo anzima tènnesi immota.

Leopoldotentò proferire un nome; la lingua non gli ubbidì. Eila obbligòe disse: sorella! —

Sialzàrono lentamente le palpèbre di leie scopèrserdue occhioninuotanti in negri stagni di duolo.

—Sorella — riappiccò egli a faticain tonoalterato — sono ancor quì… perchè…perchè non ti posso stare lontano… quando tu soffri. Eche tu soffriio so.

—Ma no — ella disse con un filo di voce.

—Sì! — egli fecein uno scoppio di rabbia —or perchè contradici?… Atrocemente soffri. Io leggo negliocchi tuòiebri; nella tua faccia patitacolore di perla; inquesto tuo istesso singulto. Eppòiconosco il tuo male —

Inessorrise pallidamente.

—Tu spàsimi di amore. —

Ellane sobbalzò; si raddrizzò sulla vitaeserràndosial cuore le maniquasi per ratenerlochè le parèafuggissegridò: no.

—Sì! — ripetè Leopoldo con un riflessod'incendio nelle pupillepiantàndosi innanzi a lei —Non mentire a mè! Tu spàsimi d'amore per… pertaleche io odioche io schiaffeggeròucciderò —(e accennava come a sè stesso) — per… —(e si stravolse la lingua) — Emilio… —

Maoltre non disse. Ella il guardavaschiettamente stupitaed ei neebbe un sussulto e di gioja e dolore.

—Dunquechi è? — dissepiegàndosi sopra dileistrette le pugna.

Inesera un trèmito solo.

—Voglio saperlo — egli fece — voglio!… haicapito? —

Ilviso della fanciulla sformossipigliò la strana gonfiezza delviso di un folle. E una ràuca voce esclamò “”;e un bacioincandescente carbonearse per sempre un sorriso.

Maa pena Leopoldo ebbe toccata la sua contro la bocca di leiche siritrasse atterritocacciò le mani ai capellifuggì —Caino d'amore.

Edella si morse a sangue le labbra; poitramortitacadde.


VII


Daquella serai due giòvani èbber paura l'unodell'altro. Leopoldo cominciò a star lungi da casa lesettimaneor cavalcando alla pazzaallorchè lo pigliava unafumana furiosaor lungo disteso su'n pratoquando la spossatezzavincèa l'esaltamento. Inesgittàtasi per indispostapiù non usciva di càmera.

Masìmil vita non poteva durare.

Undìcorse voce che il conte Angiolieriin caffèsel'era presa con il Folperti e gli avèa minacciato unoschiaffo; e ciascuno si chiese “epperchè?”

Main quel dì stessoLeopoldo camminò risoluto versol'appartamento della sorella e ne aperse la porta.

Inesera a scrittojo; dinanzi a leicarta bianca; e si posava d'un'ariastraccaabbattutasu di una manotenendo con l'altra la penna.Cercava forse pensieri e ne trovava sol uno. Senonchèalcricchiare dell'usciosi volsevide il fratelloe il fisò.Parèano gli occhi di lei “due desìri dilagrimare.”

Ilcontegno di Leopoldo era freddosevero.

—Sorella — cominciò eglisottolineando tal nome —io stò per dir cosa che è capitale a tè… ea mè. Dà retta. Ci ha… un quìdam…giòvanebello… ma ciò poco importa… il qualeti chiede per moglie… e questo è quello che conta —

Inessi alzòe nettamente disse: io non mi marito.

—Tu ti mariterài — ribattè Leopoldo con unavoce decisa — Io ti ho promessa già. È affarefinito.

—Affare! — sospirò la fanciulla.

—E che altro sarebbe? — dimandò Leopoldo —Tuti ma-ri-te-rài —

Inesricaddecon le mani alla facciaseduta.

Eil giòvane continuando:

—Di'c'è forse una via diversa per la finire col nostro statoinfamìssimo? A noimorte è bene vicinachèsenza cuore si vivema non col cuore piagato; ma… e intanto? Iotornoè veroin Amèrica; e là ferve anche unaguerra… tuttavìanon basta. Mille miglia di mareframezzo a noi sono poche… ci vuolequàsulla spiaggiaeuropèa un uomoche possache abbia il diritto diuccìdermi se… o sorella! sorella! —

Etenne dietro un terrìbil silenzio.

—Lo sposo è il Folperti — aggiunse Leopoldo con unatinta di sprezzo e come di circostanza di nullo rilievo.

—Io non potrò mai amarlo! — sclamò lafanciulla dolorosamente.

—E chi altri potremmo… io e tè? — egli chieselasciàndosi trasportare dalla passionemapadroneggiàtosipoi — Sorellaquì non si tratta di amore —disse — io parlo di matrimonio… Abbìgliati!stasera io verrò con colùi… — esoggiogatoa sua voltadalla propria emozione e da quella dellaragazzaLeopoldo fuggì.



VIII


Inun battibalenotutti della provincia parlàrono delmatrimonioe tutti credèttero allora capire di aver giàcapito il perchè della scena violente tra l'Angiolieri e ilFolpertie il perchè della guancia affilata della ragazzaquantunque loro allegasse un po' i denti quello di un sìmileamore. Infattiavèano detto sempre gli uòminicheinespressionela faccia di Emilio era una mortadellaequanto agliuòminipassi! ma anche le donne s'èrano sempreaccordate in questa sentenza. Comunque! il matrimonio parèadei meglio assortiti: in ambidueanni pochisoldi moltìssimi…qual gioja per il fratello!

Maoh avesse potutochi la pensava cosìdare un'occhiata incasa Angiolieri! Dove — all'infuori di quel ciccioso elustro di Emilioil qualetutto soddisfazione imaginàndosiamatonon scomodàvasi manco ad amarecome colùi cheservitosi lascia servire — e' vi avrebbe veduto unagiòvaneomegliola marmorea effigie di unacostretta asedere dapresso tale che odiava ed a sentìrsene tocca; comepureveduto un amante obbligato a mirareanzi a far buona ceraallo strazio del cuor dell'amata e del suo.

Poisulla fine di un pranzolo sposocon un sorriso a Leopoldodisse:

—Al nostro primo bambino ci metteremo il tuo nome; ti piace? —

Eil conteche si stava mescendoassentì con un ghigno. Ma fuuna grazia del Cielo se la bottiglia di lui continuò aversare.



IX


Ilmoribondo per decreto dell'uomoquando dispera di protrarre la vitachiede gli sia la morte accorciata; e sì facèaLeopoldoaccelerando la sua.

Nètardò molto quel dìin cui la sorella gli apparveabbigliata di bianco e di pallidezza. Foss'ella stata in un còfanoniuno avrebbe temuto di porle sopra il coperchio: nè leicertamente sarèbbesi opposta.

Efùrono alla chiesola. Ines dìssevi un sìgelatocome neve all'ombrìa. Una sua amicasvenne.

Uscìrono.Bombàvano i mortalettile campane suonàvano ed unabanda di stuonatori die' fiato alle trombe. In sul sagratogiostrecuccagneapparecchi pci fuochitra i quali la bianca ossatura di unI e di un E giganteschi; da ogni partefolla. E il Sìndacoin tutta divisainchinati gli sposipresentò loro diecicontadinellevestite di nuovo e dotate per il fàustogiorno da Inesprincipiando un discorso che avèa l'odoredella carta bollata. Ma l'interrùppero i viva; ungrosso pallone con sòpravi scritto felicitàpigliava l'aìre. Si sparse il cammino di fiorisipresentàrono mazziscambiàronsi in aria i cappelli.Camolettiintantoguizzava quà e là nella pienadistribuendo denariboni per scorpacciateboni persborniee remissioni di dèbiti inesigìbili. Lagioventù si asciugava la golala vecchiaja le ciglia. Ed ilmaestro di scuolariuscito a chiappare un bottone a Leopoldoglifece inghiottire fino all'ùltima stilla un sonetto di duecentoe più versi che incominciava:

Tebeätoo signorcui la sorella

D'amorferitaora Imenèo risana.



X


EdInes e Leopoldo si sono divisi per semprein questo mondo almenodato che l'altro ci sia. C'è? Speriamo allora trovarli —non condannati ad una fraternità eterna —



ILNATALE


Inque' momenti di spirituale abbandono e di fisica immobilitàche precèdono o sèguono il sonnonei quali piùnon rammenti quanto sei lungo e largoe sogniconscio del sognoocome flùttuanoo come s'aggìrano in capo le larve diciò che mai non verrà o non ritornerà più!…E a mè sovviene della vigilia del dì di Natalequandola folla rigurgitante per le contrade inverte il dubbioche ci eranato il mattinoalla veduta di quel famoso Verzierebondanza dìnostranstupor di foresteesecioèa tanta robafòssero bocche bastanti. Il giorno stà per chiùderei suòi registri. All'incertezza della sceltasuccesse latemerarietàla febbre scalmana della còmpera. I soldisèmbran pesare nelle saccoccie; non si fa più prezzo;contràttasi fra i compratorie le botteguccie a ruote de'baloccài si vuòtano a occhiocome se tutto si donasseo rubasse.

Edioanch'iocol mio presepio a màntice e le saccoccie zeppedi caldarrostesgambetto con la fantesca ver' casaallungando lavia dinanzi a tante vetrine che si dìsputano gli occhi e leborse. In ogni dovela gola ingegnosa trionfa. Il salumiere par nonabbondi che di roba rara. Sotto la pompa di un baldacchino disalsicciottidi trasparenti zendadine del Papa e di cordadi Monzafra il grana piangente a saporite làgrimee le artistiche velleità del butirofra nuove bottiglie asecolari ragnaje e un luccicchio di scatolette di lattaecco unacolossale testa di negrointurbantatache odora lontano un migliola mortadellaterrìbile e appetitosa; ecco pernici impettitecon grembialini e bianchi berretti che girarrostìscono cuochidi pane tosto e tartufi; ecco tacchini abbigliati da uccelli delParadisoe porcellini di latte mascherati da fratee gàmberie aragoste circùitu curvàntes brachia longo…E il droghiere? Il droghieresotto la rituale fila delle fùnebritorcie da cinque o sei libbra di dolore l'unaavvicendata coi panidi zùcchero color cielosudicio a cordelline rosseha dispostoun bel lago di specchio con bastimenti canditi ed isole in cui nascela frutta già bell'e cotta e acconciataed aspri montidolcissimisui quali saltìcchiano de' canarinimodo hucmodo illucper la ragione della sproporzionefavolosamenteenormi. Cosìnella vetrina del mercantellosta esposto ungrosso agnello imbottitoesageratamente lanutocol suo bindellonerosaquieto e stùpido quasi come un agnello vero. E intantoil lattajo assurge a sorbettajoa pasticciere il fornajo. E quelloci porge il tùmido lattemiele e le àride cialdesimbolo della stagione; questiRè magi bollenti scrosciantidue soldi trè.

Mail cielo promettineve incombe viepiù. Càndidifiocchettini si cùllano per l'àere come dubbiosi discènderee scèndono lentamentecome attaccati ad unfilo. Il campanone del Munici-piobrontolone ostinatocomincia arombare. È l'ora dello scopripignattel'ora della minestrache bolle. I lumajoli si spàrgono per la città; lastella cometa del Presepio meccànico illùminasi. Tuscorgi inusitate rigonfiature negli àbiti: tu scorgi farcapolino i cappucci dorati o inceralaccati delle bottiglie. Tuttihanno il loro pacchettoe sovente più di unoose nocertosorriso soddisfatto e saputoche vuole dire lo stesso. Garzoni efacchinicarri e carriole con su a mucchi la roba s'incròcianoper ogni dove. Mao voiche avete il pacchettonon iscordatecoloro che non pòssono averlo: passandonon date solo unosguardo a que' pòveri bimbicuidelle cucine dei ricchialtro non giova che il fumo: oh fate che nessuno rammenti con astioil dì del Signore; fate che il pane della miseriaalmenooggidìnon sappia troppo di sale!…



** *


Mala fantescapressosami tira a casapiena la testavuota lapancia. Oh come lieta ci accoglie oggi la tàvolainondata diluceriscintillante d'insòlita argenteriarè ilPanettone! oh come vi ci sediamo volentieri!… E in veritàla vigilia del dì del Natale è il giorno il piùaffacendatovuotasaccocciestancatore dell'anno; aggiungeròil più misterioso. Chè in questo dìbenricordoil campanello della porta di strada ha tintinnito a straore;e a chi correva ad aprireaffrettate persone hanno sporto deipacchitosto pigliati dalla fantescatosto rimessi alla mammachesorridendo a' miei occhiucci curiosiandava a serrarli in unarmadione profondocigolatore…

Orche potèvano èssere?… Certoregali —Epperchì?… Certo per mè… E contèngono?…

Mainnanzi tuttofacciamo un po' il conto su quanti e quali parentiposso ancora sperare. Ahimè! il nùmero diminuisce ognianno. Essi mi muòjono senza ammalarsianticipando le làgrimemie. Dìcono che io sono fatto già grandementre sonloro che fànnosi pìccoli. È verocheoltrebabbo e mamminapossiedo ancora trè zii di più rettogiudizio e due nonni… Oh buoni nonniche non cessate mai divederci con il cèrcine in capoanche se grigi di barba!…Maper nonna Prassedequantunque i mièi genitori si ostìninoa dire che il regalo migliore è il suo (il quale regaloimmaginate è sempre un abitino completodalle scarpe alcappello) non fo assegnamento: difattiil suonon è unregalo per mèma per loro. Nonno Bernardo poisi sàil sòlito scatolone di dolciperchèdice luii bimbivanno dolcemente trattati. Dolcezza troppaperaltrofàindigestione e i regali di nonno finìscono sempre in magnesia.E nonnoinsième alle chiccheusa chiùdermi in mano undue centèsìmi d'oro… Pureda che imarenghini diventàrono pintida che non tròttolanopiùnon so cosa farne. Poco m'importa che i mièigenitori me li pòrtino via e li mèttano in un grandesalvadanajo che ha nome la cassa dei risparmidicendo: tiservirà poi. Chissà che diàvoloil nonnofinirà per pagarmi!

Veniamoora agli zii. Zio Roccozio Antonio e zio Giorgio. Zio Rocco èquello del libro. Egli mi affibbiaogni annoqualche volume discartorilegàndomelo a nuovo… Fosse almenostavoltarilegato di rosso!… Quanto a zio Antonio… Ottimo zio! ilNatale passatomi ha fatto avere una cassetta da legnajolopoichèegli vuolesecondo il sistema di Froebelchedilettàndomiimpari. Per caritànon chiedètene a mamma!…poverette le gambe delle sue sedie!… Ma “tuo rèBaldassarefà che zio Antonio mi regali quest'announ belvaporino dal congegno del topo… di que' vaporini che sempre sicòrrono dietro e non si giùngono mai; con i suòibravi vagoni di primadi seconda e di terza — e tanti!…con i carri da mercee tanti!… con le casine dei ferrovieri —e tante!… Amen. Noaspetta! Non iscordare la bambagia del fumoo buon rè Baldassare!”.

Senonchèla mia maggiore speranza… che dico?… certezzaèzia Gigiala zia dei regaloni. Quando a Natale sento in cortile ilrumore di una carrettaio esclamo: è quì il regalo dizia! Se poii doni degli altri dùrano una occhiata e non piùi suòi contìnuano finchè c'è roba dadiscartare. Fu l'anno scorsoad esempiouna grand'arca di Noèi cui inquilini occupàvano tutta la tàvolalacredenzae un pajo di sedie… Non avrèi mai creduto chefòssero tante le bestie!… Equest'anno?… che ioforse indovini?… Poichè l'amantìssima zia ha curauno o due mesi primadi succhiellare i mièi desiderie poiella tiene i segreti a fiore di labbro… Ed iogiàglielo dissi: io voglio un mercatoio — Scusate se èpoco! volere nient'altro che il mondo! —

Cosìspàsimo ora di vedermi padronecon alta e bassa giustiziaditanto paese. Tutto stà ad èssere certi che il Natalesia oggi… Ma sì. Sìperchè ieri scrissi iomedèsimo il nome del mio signor maestro su un pacco dizùcchero e cioccolattedolce corrompimento che contrapesanella stima di luiil sale che màncamie ricopiàisopra lùcida carta a merletti trè letterine coi sensidel cuore mio dettati dal signor maestroe viditra compassione eallegrìala cuoca comporre l'infelice tacchinomioconfidente da quindici giorniin una bara di ramein mezzo all'olioe al limone…



** *


Sìsì — è Natale. All'inquietùdine deldesiderio e del dubbioall'attesasuccesse la calma dellastanchezza e della soddisfazione. Dappertuttoodore di lauro ed'arancio. Marìa cessò o dimenticò di penarerapita nel viso raggiante del pàrgolo suoche pèndeleaddormentato alla poppacoi boccheggianti labbruzzi bagnati ancoradi latteinconscio di sèmentre i due sìmbolidell'umana famiglia lo guàrdano stupidamente e l'àngelodella Povertà fà la guardia alla porta. Zitto! non lodestate. Solennemente cade intanto la nevee la Provvidenza par chestenda con essa sotto ai nostri scèttici passi un mutotappeto. Non s'ode che il fioco galabronio di una piva lontananonsi ode che il fruscio argentino del ruscelletto di talco delcasalingo presepio…

Ediocompreso della più dolce illusionealzofuor dallecoltriil capoe guàrdomi attorno. Il sole fà dapadrone nella mia stanza. È Natale davverome ne ricordobenìssimoma la mia mano ha incontrato… una barba.Nella mia stanzaodore inveterato di pipae pistolee stivaloniappesi a spade… non di lattapurtroppo!… Dio! da quantotempo sono scomparse quelle faccie amorosechein tali mattinebrillàvano intorno al mio lettocol più trasparentesegreto nei loro sorrisifaccie per rivedere le quali m'èd'uopo riconfortar la memoria a fotografìe ingiallite comefoglie autunnali!… E neppure c'è un bimbo che attenda lamia!



ISTINTO


Giorgioentra di corsa nella sua càmera…

Inmezzo alla tàvola posa un certo negozio sul gusto di unoscatolonerivestito di carta grigiastra da bachi e stretto da spago.Giorgio ristàgli brillano gli occhiucciil cuore gli fà —spiccatamente — toch-toch.

Èil regalo di zio! Infine! Giorgio avèa cessato dal sospirarlo.È il regalo di quel curioso di zio che gli mantiene i beifantoccini e lo fa ridere tantoproducèndoli fuori dalle suetascheadagio adagiocon una storietta a rinforzo.

Eche saràe'? Il piccinino arràmpica sur una scrannasiede sopra la tàvolauna gamba di quàuna di làdell'involto — poi tira uno de' capi del nodo. E lacordetta si allarga; con essoleianche la carta grigiastra.

Eccouno scatolone — Giorgio vi mette su le manine: con lasinistra se lo ponta controcon l'altra si sforza a strappargli ilcoperchio… Nenni!

Sbuffandovolge lo scatolone. E ritenta. Bah! di nuovo fallisce… Allorasu! alle pìccole scosseai colpettiniuno di quìunodi lì… dalle dalle… aah! ci riesce. Il coperchio sistaccacade. Si leva un odore di vernice e di trùciolil'odore delle botteghe de' baloccài.

EGiorgiocon pressaspazza via lo strato dei frastagli di carta. Oh!dà in un grido di gioia.

—Un pino! — fà egliestraendo un coso dal fogliameverde arricciatodal fusto color terra-di-Sienacon uno zòccologiallo — E te lo alloga in mezzo alla tàvola.

Nesèguono altri stranissimi àlberipomiperila piantade' manuscristiquella dei venti-lirenèspoliarancialdire di Giorgio.

—Un pècoro — sclama poiassicurando sopra ipicciuoli una bestietta bianca con una linea rossa al collo. E dietroall'agnellotrotta il somaroil dragoil bueil rinoceronteilcavalloil… Nòl'è un omino.

—Il signor Pietro Grattoni! — osservafacèndoglibocchiil monello (Grattoni gl'insegnava le lètterenon lebelleintendiàmoci.)

—E la sua cuoca Mattèa! — continuaaccompagnàndoload una villanaquadrata di spalleepiù ancoradi gonna.

Insommaegli discàtola tutto. La tàvola rimane coperta di unbarbaglio di galantuomicini e di bestiole d'ogni fatta —color pomodoropiselloinchiostro — Nè màncanopezzi di prato con incollàtovi il muschio e coi ruscelli dispecchionè le cascine a tetto rosso-di-minio e le capannecoperchiate di paglia.

Ein tutto questo piccolo mondocorre una rara concordiail lupogiuoca con l'agnellinoil cacciatore và a spasso col lepreiporci cùllano i bamboletti. Giorgio poila cui prima gioja èsvampataserio serioil labbro inferiore sporgentele sopraciglieaggrottatuccieguida i suoi morselli di legno l'uno a casadell'altroli passeggiali fà polcarestringe parentadi fraessiimbandisce de' pranzi…

Matò! il lagrimèvole caso. Un buequel bue pezzatosimpatìa del mimmosalta dalla tàvolagiù. Ah!s'è crepato un corno. Giorgio gliel vuol rassettare; lospezza.

—Se' tu — dice allorapassando la colpa su di un innocenteominatto — tubirbone! — eper smaltire larabbialo fà cozzare con un compaesano di lui.

Tich…tach — tutti e due si scavèzzan la testa.

Nonfosse mai succeduto! Ne vienea codala filatera delle vendette: sifura il pollamerùbansi le giovenchesi abbàttono ipini. Ve'! un generale conquassouna fricassèa!…



** *


Un'oradopola mamma:

—Pòvero zio! — esclama.

Raccoglielo scatolonevi accòmoda i biscottini.

BALOCCHI

—Nono — disse mio nonnoun dopo-pranzo a tàvoladindonando e la testa e il fiocco del berrettino — le tueragioni saranno della chiavettapure… non m'èntrano.Voglio concèderti chetanto o quantosi tocchi innanzimanegostranego che il tuo progresso sia universale. Di più —in certi casi — voiaffinandoguastate.

—Oh! nonno — fec'io con rimpròvero.

—Nono — ripetè eglial doppio impuntato —non mi persuadetevoi. In certi casidicoil mondo va proprio allagàmbera. — Guardaa mò d'esempioi giuochidel nostro Bertinoque' giuochi che tu gli regali ogni giorno:sono — l'ammetto — molto più lavoratimolto più eleganti di quelli che ioa mièi bei tempitentavo di ròmperemacon tua pacenon sono chegiuochi bastardi. Il veroil tradizionaleil robusto balocco —il balocco ereditario che i nostri avi disarmadiàvano pei lorobambini e riponèvano poiquando questi bambini cominciàvanoad imbronciarsi sul rosa-rosae — s'è perso.In quale mostra mi puòi ora trovare que' galantuòminidi nocerozzima non senza sapore scolpitisòlidicheaprendo sì grottescamente con gran trich-trach braccia egambette ad una strappata di filogonfiàvan le guancie ainostri puttini barocchi?… e dove que' soldatucci di legnoincamatitiverniciati di bianco e di rossodallo zòccoloverdeche si schieràvan di bottomovendo dai capi le stecchein cui èrano fissi? doveinfinedi'? que' cavallonimassiccicon dipintovi su briglie e sellae con le mezzelune sottoforate a tondopitturate di stranissimi fiori? cavalloni chealtalenàvano rumorosamente…

—Fortunati i vicini!

—Ti avverto che non si murava come oggi. Carloinsommapazienta…ora il balocco perdette la sua originalità. A che si riduceadesso? si riduce a una meschina copiaun quinto dal verodi ciòche sempre vediamo. Ecco pianofortinitavolinuccisediette —tutta roba di ceradi cartapestacome un sistema di filosofiaunita insieme con biasciarotta non appena comprata —eccoso io di molto! topinivaporia mollea ingegnida montarsiin cento maniereche fan lagrimare i nostri poveri màmmoliper non poterli capire e fannonon radodicervellare anche isignori pappà. In sommail balocco legittimo èsotterrato; rimane nella sola nostra memoria. Oggi èminuteriada cantonierada stipochincaglierìa;trastullanon i bambinima i bambinoni…

Io(sorridendo): E sìnonnoche noianche noiabbiamo digià i nostri giuochetti… Crocispallinepennacchietcoetera et coetera.



LACASETTA DI GIGIO


—Mamminacondùcimi in nanna — disse a mezza voce untoso nell'abbracciare mia cugina Claudia.

—Sì presto? — domandò essaguardando ilpèndolo che segnava le otto. — E perchè maiGigio? —

Ilmimmo sorrise maliziosetto.

—Ah! non vuòi dirlo tu — fece la mamma — lodirò io. —

Gigionascose il suo paffuto visino contro la spalla di lei.

—SaiCarlo — diss'ellavolgèndosi a mè —Quiil mio bruttìssimo bimbointorno a quest'orahala malinconia del letto. Comincia a fregàrmisicome ungattuccioalle gonnemi tira i gheroniinsomma non stà piùquieto fino a che io (egli mi dice il suo brougham) finchèlo porti alla cuccialo svesti al pari di una poppàtola —poi ve lo acconci.

Benecome l'è infoderato e ci ha avuti e baci e bacinisai che mifà? nasconde il capetto sotto le coltri… giàunacattiva abitùdine…

—Ma ci si vèdono tante cose… belle — mormoròil piccinino.

—E vuole — seguì la mamma — che io glismorzi sùbito il lume; non solo; ch'io me ne esca zittasullapunta dei piedi… Di'pensi ch'egli intenda dormire?

—Mammina! — sospirò il mammoletto.

—FigùratiCarloche prima di venirmi a chiamaree's'apparecchia un magazzino di roba sotto ai guanciali; vidisaccocciacredotutto ciò che riesce a razzolarsi quìin casa… le chicchei rottami di zùcchero… anche ichiodi. Non parlo de' suòi fantoccini. Ieriper dìrteneunagli scopersi nel lettoindovina? la gamba di uno sgabelluccio.Volevache so io! voleva gli sostenesse la volta… Qualvolta?

—Andiamo… dunque! — fè il mimmoraspando con unpiedino sull'intavolato.

—Gua' che ti rompi le scarpebimbo! — osservòpremurosa la mamma — Giàtu farài sempre atuo senno — Dà la buona notte al cugino (eprendèndoselo al collo ed alzàndosi:) Oh! la casetta diGigio! — quindiuscì.

Udìial di là della portafresche risa e baciozzi.

Lasua casetta!… il lettuccio!… mi si gonfiàrono gliocchi. Sovènnemi di un'altra mamminaun'amorosa mammina chestava cucendo sotto il chiarore di una lucerna una camiciuola pel suotosettosovennemi di questo tosettobiondo e ricciutocheserràndosele intornosusurrava lui pure: condùcimi innanna.

Eadesso?… Più nulla. Proprio? Ah! no. La mia casetta l'hoancora.

Quandostanco dalla giornaliera lotta contro la poltronàggineavvilito dalle pìccole cattiverie in cui scappoccio ognitrattodalle ridìcole transazioncelle fra il mio dentro e ilmio fuori epiùavvilito dal sentirmicome tutti gli altriun burattino in balìa di mano ignotami nicchiomi faccio ilcovo in mezzo alle coltri ea poco a poconella ebbrezza lieve cheprecede il sonnodimèntico questo mio corpaccio —godo… parmi godereinfine! la libertà.

SeGigio reca in lettino un subisso di robaio pure. Tutte quelleimpressioniquèi sentimentiche per la via degli occhi edelle orecchieaffollàrono nel mio caposgarbùgliansimi si sciorìnano. Un cioccolatinoa Gigiotocca la posta diun panettone: a mè si moltìplicano le idèelepiù disparate assorèllansi. Tutte quelle imàginila notte prima plasmatedietro alle quali durante il giorno hocorso… dalle dalle… non imprigionàndone chequalcheduna — ed anche questa sciupata — miriappàjonodisègnansi nettamente. Se un doloreunamortificazioneun'offesam'han fatto nodo alla golaeccotranquille làgrime che le cancèllano: il ricordo dellemie buone azioni — quantunque le buone sien poche —m'inonda di gioja.

Poi —alcuna volta — disfatto in un battibaleno il mondoivi lorifaccio a mio modo: che generale riversamento! Altre inveceilcervellonon conservàndomi di sè che una briciami sisuddivide in migliaja di parti.

Allorafra de' piccoli èsseri mièiriannodo le filainterrotte dal giornole fila delle loro comedie o tragedie. Cìrcolain ognuno la mia volontà; tuttodinanzi ad essasi piega;oppongo a mè medèsimo ostàcoli per il piacere diabbàtterli. Insommaho a dirla? io non giravolto piùcon la terra. Fuori da ogni potenza fìsicafuori dal tempo —creoprovo la superbia di…

—Gigio è nella sua casetta — fe' Claudiariaprendola porta.



ILVECCHIO BOSSOLOTTAJO


Mano! non intendo dire ch'egli facesse bene: tutt'altro: bossolottavascelleratamente. E io capisco che a cittadini abituati alle sedutefisiomagnètiche del cavaliere X o del professore Yigiuochi del cot-co-dek la gallina fà l'uovo e delviaggio di Giovannin della Vignadovèan sembrare un po'troppo innocenticome capisco che il vecchio prestigiatore avrebbefatto meglio a ingambare un pajo di brache men larghelasciando poinel baule un certo cravattone di lana rossa e dietro ai denti uncerto preàmbolo in cui si diceva che la regina Vittoriagraziosamente chiedeva da luiogni dopo pranzoil lepidìssimoscherzo della “frittata entro il cappello”: tutto questoperòanche con la sua somma “guài se allacompassione viene il morbino” signori mièinon vi scusa.

Voiridevate? Benele vostre risa non èran di quelle che pàrtondal cuore e allàrgano il polmone; vi c'entrava il cervelloeil cervello dell'uomosalvochè forse in fritturaèsempre cattivo. Pareva vi foste dati la postanon tanto per godere igiuochi del vecchioquanto per godere lui.

Ormi si dice pianino: il vecchio è un ubbriacone: guarda il suonaso. Saràma io non l'ho ancora visto col fiasco. Quelloinvece che vedosono i suòi bianchi capellie quanto poi alnasocheh! non è il vino soltanto che fà salire ilrossore.

Noncon questoche di pietà non fosse più grano in alcuno.Giòvani ce n'èrano troppi. A casa miaperaltrounsentimento che non dà in fuoriquando dovrebbeè pernon nato. E quì potrèi toccare degli alti e bassi deinostri sentimenti e delle nostre virtù. Confessiàmolos'ha più riguardo alla cornice che al quadro. Tu daràiun due lire a un birbone artisticamente a strappi; mancheràidi moneta per un disgraziato che non può o non ha il buontempo di far la macchietta. Cosìla vista di unaferita alla nucati metterà i lagrimoni; qualche palmo piùbassoallegrìa. Lo si trovò pugnalato…Infelice! — Si appese… Che goffo!

Maper tornare alle nostre bottigliepazienza la gioventù!quelli che forse addoloràvano al doppio il pòverovecchioèrano certi uòmini fatti — e perfortunaquasi disfatti — che mi so io. Canzona e ridioffenderài molto meno di chi concede il chiesto compatimento;chiesto sempredesiderato mai.

Accordodeputato Tizioche il scèglierne una dal ventaglio di carteche ti presenta un bossolottajo è affare non tanto serioquant'uno di quelli arruffianati alle Càmeretuttavìaera proprio superfluoeleggèndolaquel fare di degnazioneregiae inutilìssimi poi quèi risetti e quelli “auf”a dritta e a sinistracome a dire: n'è? io che sono quelloche sonofare quello che faccio!

Equesto valga per tècavaliere Cajo. Senza che ti raspassi lagola a tossire così da sgarbato quando il vecchio in berlinadisse: ecco un gioco di chìmica — già sisapeva che tu ne eri e professore e insieme pedante. Chi d'altraparte ti accertache non ci sia qualcuno — per esempiouncerto Gorini — che possa anche lui tossire alle tuelezioni?

Quantoa meamici mièine ero nauseato: avessi già aperto ilborselloscappavo.

Purfinalmentel'aprìi.

Ilvecchio prestigiatore compì il suo giro col piatto: raccolsedalle quaranta alle cinquanta lire. Per i suòi giuochi eramolto; per la umiliazionepoco.



ILLUSIONI


Fuidavvero cattivo! Con quanta fede Pietro mi raccontava la guarigionedella sua donnaconcessa alle appassionate preghiere di lui! Ed io aghignare.

Chimi conoscelo sa: di consuetosono intrigato nel dire. Moltissimevolte in cui ciò sarebbe stata òpera d'oro —parte rispetti umaniparte coniglierìa — tenni acasa o non potèi mètter fuori il pezzuolo: oraalcontrariovero e giusto momento al tacerela lingua mi si fece diuna elasticità senza pari. Natura mia destàvasi.

Elì con una sfornata di ragionisèmplicievidenticonuna eloquenza tanto più insinuante quanto meno in ponteficalemi diedi a scalzare la buona fede di Pietro. Per leva adopràila religione medèsimagli mostrài come Dio nonesistesse per fare da burattino agli uòminie come la precenon inùtile soloma fosse un insulto alla divina sapienza.Precisamentenon mi sovviene metàfore qualiquali giri difrase tirài oltre (e le metàfore e i giriquasisemprepìglian tanto lo spìrito da non lasciarciintravedere neppure la discutibilità della ragione chevèstono)fatto èche la contraria baracca ne rovinò.Pietroche sul principioscopava la stanza e dimenava non persuasola testafermossiappoggiò (fisàndomi con stupore) ilmento al bastone della granata; poi venne a sedermi vicino. “Sì!è vero” disse replicatamente. Infine? infinelisciàndosii baffimormorò: proprio! — E uscìrabbujato.

Sapeteallora che avvenne? Svampata quella prima soddisfazionela qualesente anche il bimborotto — embriònica anàlisi —un cocciuto baloccomi trovài malcontentoanzi arrabbiato dimè.

Forseavevo disciolta una dolce illusione; guastàtala certo.

Eche le avèa da sostituire il pòvero uomo? Non toccandode' sogni di gloriadati a pochìssimiegli era troppoinnanzi in età per quelli d'amoretroppo indietro nell'abicìe nell'intelletto per torne a presto da un libro. Io non potevafuggire dal trovàrmelo nella fantasìapieno di dèbiticolla moglie ammalatacon i figliuoli che nicchiàvan di famee non volèvan dormireseduto sulla predella di un focolarespentocercando almeno l'obblìo. Ma il cielo gli s'erachiuso. La sua Madonna non sorridèvagli più.



LACORBA


Edera cosa ben semplice! Figùrati chesvoltando in unvicoluccioavevo dato in una vecchiaimmòbilepiccina sottouna soma di corbe. Una di esse le era caduta e la pòvera donnao non poteva chinarsi per la rigida età o non osava col càricogià squilibrato delle altre. Intantoun birboneseduto su loscalino di una portellaghignava e pipava.

Quelloche fecil'avresti anche tu.

Ripetola cosa era semplicìssima. Eppureseguitando il camminomitremolava nel segreto del cuore un gusto che mai. La meraviglia dellavecchietta nel trovar gentile un signorei suòiringraziamenti commossi mi circolàvan col sangue. Affè!che non mi si vada dunque a promèttere premi in un altromondo. Non usciamo da questo. Ogni òpera buona frutta albeneficato e al benefattore. Per mè non avèo piùnulla a pretèndereanzi — siamo sinceri —dovevo.

Mainsiemericordavo con compassione que' ricchi aggrondati che non sandove comprare un'oncia di cuore contentomi chiedevo stupìtocome mailo stesso egoismonon li tirasse a fare del bene.

Eci ha tante corbe a levar su ancora da terra!



UN'ACCADEMIAALLA BUONA


Lamia marsina ha fatto la sua prima comparsa. Dove? Non vi arriverestiin un anno. Ti verrò incontro.

Comegià saiil mio padrone di casa mi aveva invitato a sentire unpochetto di mùsicanè io gli aveva detto di nò.Incerto tuttavìa alla primami ero poi risoluto di andarvipensando e al modo senza pretesa con cui il maestro mi avèafatto l'invito e all'aria alla buonafors'anche troppo alla buonache spirava la casa. Intravedevo una lieta serata. “Quìalmeno” — pensavo — “non ci saràl'uggia degli appartamenti dorati.” I guanti — saràun pregiudizio — ma io ho sempre creduto che i guantiimpàccino ogni divertimento.

Dunquegiunta la sera e l'orami vestocioè non mi vesto affatto(chè una toletta fuori di posto è il dissolventemaggiore della schietta allegrìa) e passo nel quartierino delmio padrone di casa.

Perla piràmide di Cajo Cestio! Grande illuminazione e un mucchiodi gentei signori in frac e con guanti: le damesenzacolletto e màniche. Imàgina il mio stupore!

“Vesii mai imbattuu in quai ostarìa

Afallà l'uss dopo vess staa a pissà?”

taleio restai. Ricordando peròche io possedevodel pariunamarsina nuova e fiammantecorsi a indossarla. Chè io volevaconòscere a fondo quell'insòlito lussoe per beneosservarebisogna anzitutto non èsserlo.

Dunquemi rivestoritorno. Insalutante e insalutatomi pianto presso laporta.

Eccoil mio padrone di casatutto prosopopèaàbito neroguanti giallicci. È a pianoforte ed arpeggia. Oh quante voltel'avevo io invece veduto in cucinacon una veste da càmerasudicia quasicome le scale di casaa mondar l'erbolina e asmoccolar le candele!

Quantopoi agli altri signoripiù li guardavopiù mi sonàvandi rame. Gli uòmini avèvano ben la marsinama parèache niuno vestisse la suaparèa che se la fòsseroscambiata reciprocamente. Io ci vedeva come appiccatoin mezzo allespalleil cartellino del nolo. Ele signore calzàvanoguanticertoma guanti calzati di già. Osservàndolipoi parte a partedistingueva qua e là delle figure nonnuovefigure che avèo forse incontrato più di unavoltascendendo o salendo le scalecon sottobraccio il lor quadernodi trilli.

Inunoprincipalmentemi ero giusto avvenuto la sera prima. Eglisaliva con tanto di mantellacciocappellacciopipaccia. Ed io gliaveva ceduto la dritta prodigalmente. Il che egli credendo un mioriguardo per luimentr'era solo per mèm'avèainpassandofatto una gran scappellata. Oraèccolo lìimpalato tra i sostegni del muroin gìbus e codanero elugubre come un becchino.

Regnavala mutolità.

Ecome mai tanta gente avèa potuto riunirsi a far brutta mostradi mancanza di spirito? avèa potuto ficcarsi in vesti e modinon suòi? Se a mascherarsinon c'èrano forseabbigliamenti più allegri? E chi diàvolo poi liobbligava a divertirsi così sottovocecon cera cosìmalcontenta? ad ingozzare — ingrati al sole italiano —certe bieche bevandepeggio che aquaaque? O èdivertirsi questo? Viva allora la noja!

Emi saltava una matta voglia di gridar loro “O voiche le patatealimentàrono e attèndonoo voi riuniti a far Quarèsimain Carnevale!…” ma quà si propagò per la salaun zittìo. Il pianoforte echeggiò! Ed un filo di donnain piedi accanto il maestrosbarrava una boccache prego Dio di nonincontrare a pranzoemettendo uno strillo (ecco un felice aggettivoe per chi scrive e chi legge) indescrivìbile. Mòbastavati pare? sì ch'io me la fumài bellamente. Eripassando presso la porta di scalaudìi la fantescache aduno il quale avèa bussato (unoprobabilmentedegli elegantiinvitati) chiedèaprima di aprire sospettosa“chi sei?”



UNAVISITA AL PAPA


Ilpèndolo segnava le ùndici e mezza. E per le dieci dovèaèsser la udienza! Io aveva già esaurito ogni possibilepassatempo; aveva presacome si dicela consegna del luogo; fattocioè conoscenzanon amiciziacon quattro arrazzoni chetenèan ciascuno una parete; addolìtomi il collo amirare il dorato soffitto in cui campeggiava l'arme di Sua Santitàcon due immensi chiavoni più atti a sfondare che non ad aprirele porte; gustato un pò di tutti i sedili intorno la salagraditi assài quanto agli occhima quanto a quell'altrochein fatto di sedieè il migliore dei giùdiciassài poco… E poiaveva passato in rivista i mièicompagni d'udienza: poche personedel resto; sei o sette in neramarsinacravatta bianca e mani sguantateal pari di mè e deiservitori da caffè; due militari dimessiabbigliati sul gustodei generali delle marionette; nel rimanentemònaci e pretidai visi o birbi o intontitii quali peròusi al mestieredell'oziose la passàvano placidamente susurrando fra loro estabaccando e sputacchiando in certe cassettine leggiadre postetutt'intorno la sala. Nè a ròmpere la monotonìavi era che l'apparizione intrigata di qualche nuovo invitato o ilfrettoloso passaggio di qualche pretocchio dal mantellino di setacolor violetto.

Quand'eccola cannonata annunziatrice del mezzodì.

Ciascunosi leva di tasca l'oriolo: dal cronòmetro mio allo scaldalettodel chierichino; e chi si mette a montarlo o ad aggiustarne lafreccia e chi se l'appone all'orecchio e chi lo confronta con queldel vicino. E un servitorepomposamente vestito di un damascoscarlattosi appressa in grande sussiego al barocco faragginosoorologione apre il cristallo e con un dito guida la pigra lanciasulla dodicèsima ora; poidà un buffetto al pèndoloche rappresenta il gaudente faccione del sole.

Macon essosi riavvìa anche la noja. I militari fuori di corsoriprèndono a passeggiare su e giù e ad incrociarsilisciàndosi i baffi; i mònaci e i preti a sbadigliaretacitamentea stabaccarea grattarsi; i signori in marsinache nonsedèttero a tempoa non sapere più su quale gambaappoggiarsi.

Ediocercato inutilmente di entrare in uno stanzone tutto marmi ecolonnein mezzo al qualeintorno a un bracierestà ungruppo di Svìzzeriin elmo e giallo-rossa divisacui nonmàncano che i dadi e il tamburo per èsser veri giudèida sepolcroritorno nel vano del finestrone da cui mi sono staccatoe mi rimetto a guardare la sottostante amplìssima Roma.

Inquellaecco risuona distintamente da Castel S. Angelouna fanfarada bersagliere! Stranìssimo effetto! I preti sorrìseroironicamentei due militari arricciàronsi i baffi e si fècerod'occhio; iodalla giojaarrossìi. Per la prima volta in miavitaamàiun istantei soldati. Quell'allegra fanfaraudita in quella morta atmosfera di quattro sècoli fàparèa dicesseche il mondo vivèa tuttora nè maiavèa cessato dal proceder di corsa; che l'Italia s'andavacompiendo a dispetto di tutti i Santi del taccuino nè cosìtosto si sarebbe disfatta. E lì mi coglièa la smania divedere una schiera di que' giòvani arditidalle piume alcappellovenire correndo al riscatto dei formosìssimi Iddìivaticaniprigioni delle negre sottanefinèndola una buonavolta con quella minùscola Chinacon quel pìccolrifugio dell'ignoranza e della immobilitàammorbatored'Europa.

Maquìun gran movimento per tutta la sala. Da una lontanìssimaportain fondo all'anticamerone de' Svìzzeriappariva unbarbaglio di vesti d'ogni coloree tra essoun coso biancounaspecie di sacco.

Ilchierichettovicino miodivenne rosso di fuoco. I due generali daburattinisi accomodàrono le pistagne e si fècerpanciuti ancor più; fratume e pretame si mise a sbottirsi ditasca un nùvolo di agnusdèicoronecrocifissisantinie pezze e pezzuole; trè o quattro giùsibuttàron per terra come majali.

Capìiche quel bianco che si avanzavadovèa èsserqualcosa peggiore di un sacco.

EradifattiSua Santità il servo dei serviprimo fra gliinciampi al progressomàssimo fra i nemici d'Italia.





El'oste tornò con la bottiglia del grand vin blancneempì due bicchieriservì Antonio e servì mè.

Iquali dueperchè è necessario che abbiate sott'occhiola situazioneeravamo seduti di faccia. Antonio su'na panchetta dipietra di fianco alla porta dell'osterìa; iodi là delsentierosu'n ceppo di quercia.

L'osterientra. Attenti! Il caso interessa.

Nonon lo dico di certoAntonio forse si succiava le labbra; tuttavìasecondo a mè parveeglidopo la prima sorsatafece unghignuzzo. E sia come si vuole! È compiacenza? è viltà?allorchè noi ci troviamo con persone eguali o maggiori di noima conoscenti da pocoil viso ci si fà specchio del loro.Nàrrano una disgrazia? chi più addolorati di noi?…una fortuna? come siamo felici!… Ci guàrdano solo? noisorridiamo acconsentendo.

Edio sorrisi.

Puresembrava che Antonio fosse nelle mie medèsime aque. Al mioconsenso ei disegnò più netto il suo ghigno; sogguardòmèpoi il bicchierepoi mè ancora…

Edioìdem.

Ilquale giochetto incoraggiò un ehm! da parte di Antonioun ehm che voleva dir troppo per dir qualchecosa.

Ioallora “che le pare?…” azzardài. Ciò abassa voceprima interrogando con gli occhi il bicchierequindiAntonio.

Silenziodi mezzo minuto.

—Non buonoeh? — chiese l'amicoassicuràndosi insella.

—Mi par cattivo! — sclamài con aria di profondoconoscitore.

Silenzionùmero due.

—Poh! — fece Antonio con sprezzo e ripose il suo bicchieresul tondo.

Vuotàiil mio per terra.

Eil vino era eccellente! Ce lo disse poi Gigifamosostrappaturàccioli



ILLOTTO


Èla portinarìa clàssica. Ampiabassanon ricevendoluce che da una finestra chiusaincartata e per metà nelsoppalcodal pavimento che invischianon la contiene due mòbiliin parentela fra lorosebbene più d'uno venuto fuori da due.In fondoun lettonedi que' catafalchi che non si pìglianche a corsainterrogàndone prima con un po' di paura ildisottocoperto di un pannolano a scacchi bianchi ed azzurrieprotetto da una spalliera di robapassata per l'aquasanta.

Questaportinaria può dirsi il mondezzajo di casa. Sulle paretiquadri d'ogni generazioneo senza il vetro o con il vetro rotto…e un àlbero genealògico e stampe dal CosmoramaPittòrico e figurini di mode dell'època di Beauharnaise una raccolta di taccuini fuor d'uso; sui tàvolisuicanteranivasi di fiori di cartapolverosisbiaditi —piccole stàtue alabastrine monche — peremele eGesù-bimbi di cera — tomi senza il compagno —porcellane e terraglie a crepi — guanti dismessi —piombo appallato di Dio sa quante boètte — e scàtolee scatolini di tutti gli sposalizi del borgo con entro ancor latreggèa. In un camerino senz'uscioappesafolla di vestiavanzi di ùltimi spogli.

Eil tuttosi sottintendelisosudicio come le sue vecchie padrone.Le qualison due; unache ha nome la Pinciroliè piccolinaè tutta ossie pensa alla provvista temporale dei cibi;l'altrache è madama Ciriminaghivera madre badessasempresu 'n poltrononeprovvede alla spiritualespaternostrandosnocciolando rosaridicendo male del pròssimo.

Ora;volete sapere una cosa?… mavèmièi ragazzistia questo tra noi: le due portinaje sono… riccone sfondate.

Gua'che voi fate i larghi occhi! Voi già pensate a un asinelloconia-zecchinio a una borsa infinita: mi appongo o no?… Benevoglio imbrogliarvi ancor piùaggiungendoche le due donnein barba ai loro sacconi di scudisono — quel che si può —felici.

Eil gran segreto?

Essemèttono al lotto.

—Ohè la volta del terno! — dìcono poi conuno scrocchetto di lingua — i nùmeri sonobellìssimi — e le si stìllano il capo intornoal come impiegare i venti-lire del rè.

MadamaCiriminaghi amerebbe una casetta sul lagoin riguardo allabarca; la Pinciroliuna sulla montagnaper amor della mucca; lìsi discutee si sciorìnano in mostra di quello e questo ivantaggi; poisi va a lettoe lietamente si sogna.

Peril dì dopola Pinciroli ha rinunziato alla mucca e siaccòmoda al lago. S'aquista allora la casae sicomincia a pensare in qual maniera disporlain quale foggiaacconciarla. Su un muro di quàsu uno di làèccotifuori un casonequindi un palazzo. In ogni salatappetigrandispecchilumiere. Tintìnnano i campanelliaccòrrono iservitoriattàccansi i tiri-a-quattro.

Ecerte come si stanno le due amiche di vìncerepossièdonoveramente; handunquetutti i piaceri della ricchezza senza ifastiditutta la smania del comperare e non il sazio di avere. Sonopadrone di fondi e non pàgano imposte nè al governo nèa Diosono padrone di case e non tèmono incendi e non ladrifanno spese stragrandi e il loro sacchetto pesa sempre lo stesso.

Nèpoi crediate che i disinganni settimanali le distùrbino molto.

—Pazienza! — esclamarincasandola magra.

—A un'altra volta! — ribadisce il grassone senza scomporsi.E lìfatto un bel taccio sulla disdettasi danno a cercarenùmeri di fisionomìa più bella.

Maquì odo certunidi quella risma di gentecheinfistolitanel nasosente la corruzione ogni dovegridare “lungi da lui”mè additando “è un venduto!” e ododel parialtridi que' che fanno il mestier del filàntropo e danmasticata la scienza al popolinodire “non lo ascoltate operài;ammucchiate. Volete vìncere il terno? mettete al lotto degliinteressi composti.” Ebbene! io ai primi rispondoche respirodel mio; e dico a quelli altribrave persone del restoch'essiragiònano troppo col mètodo dei matemàticicioèa màchina. Oltre le gambeci ha molto ancora nell'uomosepòvero principalmentea tener su. Euna e primala speme.Vale puremi sembraper settimanaun cinquanta centèsimi.



IFREQUENTATORI DELLA PORTINARÌA


Ilprimo era un antico soldato dal faccione a grattugiarosso come unsalamein grazia forse del collo strozzato da un cravattone e dellazucca compressa da un parrucchinocon gli anelletti d'oro alleorecchiee un abitaccio caffè; di quei soldati entusiasti del

“…petitchapeau

Avecredingote grise;”

dalpiglio di poffardìaschiamazzonigiuronima che si mènanoattorno con un pezzetto di zùcchero. Chiamàvasi ilcaporale Montagnaei vi diceva il suo nomepoi v'infilava la storiadi un certo ponte e di due certi Croati.

Laquale storia narrava giusto ogni sera nella portinarìaquandoveniva a pizzicarvi un sonnino — in sui ginocchi ilcaldano — o a fare il terzo nell'entro.

Ea voltein quest'ùltimo casodeponeva il ventaglio di cartecontro la tàvola. Allorail giuoco ristava. Montagna alzavala testapiegàndola alquanto all'indietrole vene del fronteingrossatele narici gonfiesemi-aperta la bocca…

Ele due vecchie lo fisàvano immote.

Aciumm! — faceva egli poiscotèndosi tutto.

—Salute! — augurava o la magra o il grassone.

—Coppe… — dicèa sùbito l'altra nel porregiù la sua carta. E così il giuoco seguivapacificamente.

VennePaolino e il turbò.

ChèPaolinos'era messo a sedere viso a viso col caporaleil qualegiàper due volteavèa soddisfatto al suo naso. Macome e's'atteggia alla terzaquel dispettoso picchia di contrattempo lepalme ed esclama:

—Felicità! —

Rèquiemper lo starnuto! Le portinaje si vòlsero a Paolino con unosguardo di theològicum òdium; il caporale si fe'pavonazzostrabuzzò in giro gli occhiprese la tabacchierainterdettol'aprìnon ne offerse ad alcunola riserrò:poise la spinse in saccoccia. Equella serataque di quel talponte e di que' tali Croati.

L'altrodei frequentatori della portinarìaera una donnamagralungache pendèa un po' innanzicon un visino tùmidomosciodalla tinta pan-cottocon gli occhi grigipìccoliprivi di sopraciglia; e una cuffietta biancale sottane a piombo;finalmenteuno sciallegià di tutti i colorima or sìsmontatoche parèa di un solo.

Suaprofessione… la poveretta di chiesa.

Toccheggiodi un'agonìa. La si raccoglie intorno lo sciallee ciabattaverso la casa segnata; nè va di certo a dir precie non astènder la manoe nemmanco a furare; va per nient'altro cheper vedere a morire. Ed ecco si alloga al capezzale deserto —chèdue volte su trènoi fuggiamo lui che ne fugge —esolaaggricchiando e scialivando di voluttàsucchia gliùltimi strappiil ràntaco del moribondo. Chèse non giunge appunto a costùia furia di giri e rigiriarriva in qualche stanza vicinae là si mette in ascoltoratenendo il respiro. Cacciata poi dalla casasi mette alla portae — a chi esce — chiedeansiosaimportunaseil pòver'uomo soffree quanto e come.

Ilquale vampìroogni dìpassava dalle due vecchienontanto a vedere se benequanto se stàvano malee s'informavaal minuto del batticuore di unadel mancafiato dell'altra.

Poiloro contava i decessi di tutto il quartiere.

—Quel poveretto di Tonio! — faceva con zanzaresca vocina —quel tessitore volto il cantonevera calza disfattavero spedaleambulantebluff! jermattina andò via come olio. Quasinon mi accorgevoio! E neppur lui! — Il che proferiva conun riso calcato ed in tuon di rammàrico.

—E quel pòvero Ceccosapete? Dico il beccajo…Costituzione forte… due spalle che avrèbber portato comeniente un cassonee lei entromadama; scusi! ma! tutti s'ha dasballare. DunqueCeccoè giù dalle spese anche lui.Lo colse quella malatietta di adessoche attacca come la boccajòlae diede in fuori… che?… un bel tifo… Ve' sestrillava! soffriva come un dannato! si dibatteva! Oh fu ben duro amorire! — E ciò la strega dicèaquasiandasse in brodo di viòledicèa con un tal lampoferoce negli occhichea madama Ciriminaghi crescèa ilsoffocamentoil pàlpito alla Pincirolie al caporale lagotta.



UNAFANCIULLA CHE MUORE


Oggiil dottore si avvicinò alla signora Vanelli e con quel suofraseggiare a rilento — però stavolta un po' bruscoquasi instizzito con le parole che era per dire — credeproprio chiese che la idropatìa possa giovare a sua figlia?

Lasignora Vanelli ne sobbalzò. Debolmente poicon una vocesicura come quel che diceva: ma sìcredo — rispose.E dopo una pàusauna pàusa durante la quale ilcervello le suggerì forse argomenti che il cuore taceva:certo — riprese — le mani della mia Ida tòrnanoa farsi caldine… —

Ildottore si allontanò con dispetto.

Ohle mamme! o indovìnano troppo o non vòglion capire unagoccia. Di chirispòndimi tupoteva èssere il caldoquando la disgraziata madre stringeva passionatamente le inerti manidella figliuola?

Stàun fatto. Tutti quelli altri signori che gliele serràvanodicèvan poi sempre tra loro “è ghiaccio”;specialmente dicèvanlo que' giovanotti che si occupàvanocon tanta premura di leidomandàndole “e come stava? ese l'affanno diminuiva?” raccomandàndole di ripararsibene dal freddodi coricarsi non tardi. Ve'! come s'interessàvanoalla sua salute.

Eallora la lisa fanciulla saliva silenziosamente di una andaturastanca le scale… verso la cuccia. Là si lasciava svestiredalla mamma e dalla cameriera al par di una bàmbolasiraggruppava nella sua nannala testa sotto le coltrie cominciava(smorzando contro i guanciali i singhiozzi) a nicchiare. Purelàgrime non ne venìvano giù. Gli occhi dellafanciulla si èrano asciutti di quell'aquitrino in cui lapupilla nuota e ne è la visìbile ànima. Lapòvera Ida contavaricontava i suoi diciottannipensavaconun nodo alla golache tutti avèvano moltatroppa compassioneper lei. Compassione? null'altro?

Elì con la mano sorradèvasi il seno…

Chè!Amore vuol polpe.



IRACCONTI DI DONNA GIACINTA


—Conta. —

Lanonna lo accarezzavaincominciandoa mo' d'esempiocosì:

ilcodino

Tidirò una scenetta che accadde a mio fratello maggiore…morto anche lui! Me la narrava soventee comenel ricordarlasirischiarava il suo viso!

Quandola avvenneio era in Franciain collegio. Corrèvano tempitristìssimi. Mio fratello faceva gli studi nella paterna cittàpresso una scuola di Barnabitise non eccellentebuona. Èvero che la malattìa rivoluzionaria l'avèa tanto quantointaccatama che poteva allora sfuggire a tal malattia? Eranell'aria. Infattii reverendi sequestràvano spesso ai loroscolari imàgini sedizioselibri guasta-cervellie allorchèpoia castigaremettèvan mano alla sferzagli zuffettinipappagallàvano su certe ideone intorno alla dignitàumanae che so io! Mio fratello peròuno tra i pochinonavèa peranco rizzata la cresta; tanto è ciòveroche il padre reggitore la scuolapel quale era sempre la terzaposata sulla nostra tovagliaaffermava ogni dopo-pranzo a donnaFrancesca mia madreche il suo Carlomagnino avrebbesenza alcunfalloinscritto nel calendario la famiglia Etelrèdi.

Senonchèun giornoil nostro futuro santucciotornato a casa da scuola…e quìavverti… èrano le prime volte che eglitornava da soloavendo tocchi i venti anni…

Alberto:ne ho sette ioe vado attorno senza nessunoio.

Lanonna: oggi s'è messo il vaporesi nasce con uno sigaroin bocca; allora si maturava più tardi…

…dunquetornato mio fratello da scuolaecome l'etichetta ponèarecàtosi a baciare la mano alla contessa mamminaparvestraordinariamente rosso.

—Che avete? — ella chiese con il suo sòlito imperio.

—Niente — egli rispose turbato.

—Eppure — osservò mia madre — siete di untal colore sì acceso… Sembrate un villano!

—Io? — disse il contino ancor più arrossendo.

Miamadreche stava sedutacominciò a tripillare perl'impazienza un ginocchioe a dire: so cosa avete —

DonCarlomagno si spaurì.

—Voi — seguitò la contessa nell'additarlo conl'indice — oggi… poco fà… udiste e forseavete anche tenutodiscorsimi duole d'insudiciarmi le labbra…rivoluzionari. No? allora leggeste qualcuno di que' lùridifogli scritti da quei pieni-di-pulci di repubblicani… gente chenon usa le brachee sen gloria!… canaglia…

—Ma nosignora mammina — interruppe don Carlomagno.

—No? — ribattè la contessastudiàndolo conl'occhialetto — Beneandate —

DonCarlomagno fe' un tondo inchinoe rimase.

—Ho detto? — esclamò la contessa.

—Vado — balbettò mio fratello e si allontanò aritroso.

Miamadre se la sentì fumare. Balzò dalla sediae corse alcontino. Quellocontinuando a indietreggiares'addossòcontro il muro.

Ohil bel quadrettoBertino! Làmio fratelloun traccagnottoalto come un granatiere di Prussiatutto tremantequàrimpetto a luimia madredonnettina dell'Indiagli occhi fuordalla testasoffiando come una gatta.

—Conte! — ella esclamò — si vòlti! —esenza dargli un momentolo fe' girare sui tacchi.

Orrore!Don Carlomagno s'era tagliato il codino.

Imàginala signora mia madre! Fu come se le avèssero tolto un quartodi nobiltà; non riuscendo a parlares'ajutò con lemanie giùuna solenne guanciata al figliolo.

—Ho dunque in casa un ribelle? — gridònon appenapotè rinviare la lingua — Ed io! sono io che lo haallattato! Cielo! che cosa ne avrebbe mai detto il vostro pòveropadre? Disonore degli Etelrèdi! — e quisullaseconda gota di mio fratellopoggiò un altro splèndidoschiaffoforse per simmetria.

Ilragazzonecòlto dalla pauranon alzava nemmeno lo sguardo;si limitava a fregarsicon le due palmele guancie.

—O dove il metteste? — dimandò imperiosa mia madre.

Ilpoveretto aguzzò le labbra quasi a impetrare pietà:l'ho in tasca — disse con un filo di voce.

—Quà — ordinò la contessa; ecome donCarlomagno traeva timidamente fuori il codinoella glielo strappòdalle mani e gliel misurò sulla faccia.

—Ora — conchiuse — o creatura ingratìssimaandate! e Pietro vi serri nel camerino. Vi resterete ad aquapane eformaggio… nonon meritate il formaggio… a solo pane edaqua quìndici giorni. Obbedite! —

Quelpampalugo di un mio fratellose non più rosso e confusobenaltro gonfio che non all'entrareuscì. Ch'egli ubbidisseècerto: era abituato.

Quantoa mia madrepiangendo rabbia e doloreserrò sotto chiave ilcodino. E lo tirava poi oltre per castigar Carlomagno.

—Ti piace?

Alberto:sì… ma nàrrane un'altra… seria —

Lanonna: incontentàbile!

—Oh ne sai tante tu!

—Benealla seria!

isolina

Tiho detto che mi avèano messa in un collegio di Francia;aggiungo ch'ei si trovava in una mezza città di provinciaChateau-Mauvèrt. Làmentr'io toccava i nove annicorrèvano i giorni i più vermigli della Rivoluzione. Latolle faceva la testa senza riposo. Giorniricorda beneneiquali per ottener l'eguaglianza si calpestava la fraternitàeproclamando i diritti dell'uomolegàvasi il volumeriformatore in pelle umana. Il nostro collegio s'era fatto deserto.Non vi restàvano che quelle pochele quali non avèanpotuto fuggirecioè sei o sette bambine del tempo mio e unaragazza intorno ai diciottoche noi chiamavamo la grande.Quanto alle suoredue — suora Clotilde e suor'Anna —giòvani creatureamoroseche la nostra innocenzain quelliorrìbili tempipiù che tutt'altroteneva in uncontinuo sbàttito.

Unamattinanoiraccolte in una pìccola salaascoltavamo suoraClotilde. Essacon la sua voce vellutata e soavepingèvanele dolcezze della carità. Entra di pressa il giardinieree:suora — dice — un commissario della Repùbblica…il ciabattino Garnier. —

SuoraClotildeimpallidita oltre il suo abituale palloresi alzò:ben venga — disse.

Maa che il permesso? — l'ex-tiraspaghiin nome dellaonnipossente libertàse l'era già preso. Ecco apparirealla soglia un uomo dal viso tutto occhielli e bottonicon la sòlitafascia dai tre-coloriseguito da mezza dozzina di mascalzonisùcidia strappiarmati di picche.

—Cittadina Beaumont! — egli fecenemmen toccando ilberrettochè cortesìa non è repubblicanavirtù — rispondi: ci hai quì una cotaleIsolinafiglia di un sedicente conte della Roche-Survillesmoccolato a Parigi? —

SuoraClotilde tremò: forsele sue purìssime labbra stàvanoper proferire la prima bugìa. Senonchèi nostriocchiettini avèano di già tradita Isolina. Anziellasi avèa da leisorgendo. Era la grande. Oh la gentilefigura! sveltafràgile come un bicchier di Murano: poidicerte manine! mani sì bianchesì trasparenti evoluttuose!

—Garnier — proruppe la suora quasi piangendo — nonper pietà! per giustizia. Voi non potete strapparci questadelicata fanciullainnocentìssima. Ella ci venne affidata da'suòi genitorie i suòi genitori son morti. Fòsserpur stati i più malvagi del mondoche ci può ella mai?e la Repùbblica nostragloriosacome mai può temereuna ragazzatìmidasenza parentinè amicipòvera…

—Pòvera? — ghignò il commissario —Con quella miseria alle dita? — e accennò a tre oquattro anelli di leiùnica fortuna sua che or le tornava indisgrazia — Intanto — ciò vèr glistraccioni alle terga — noipòpolocrepiamodi fame!… Cittadina Beaumont! guarda col tuo parlare anticìvicodi non obbligarmi a ritornare da te… guàrdati bene! —

Elì il birbone venne alla giovinetta:

—Isolina la Roche — disse — ti arresto! —e allungò la mano su lei.

—Largo! tu puzzi! — disse arretrando la tosa.

—Aristocràta! — vociò il canagliume.

Cosìne fu condotta via un'amica: ed allorquando suora Clotildeuscitadietro Isolinarincasò verso l'Ave-Mariaa noi chechiedevamo: e dunque? — venne solo risposto: pregate —

S'andavachiudendo la sera. Prima di coricarcinoi usavamo entrare in unastanza dedicata al Signore. Peraltronon vi si vedèanessunìssimo segno della nostra salute. A mezzo allora digentela quale imponeva la libertà del pensierotaisegnio per paura o pudoresi nascondèvano. Noi li portavamonel cuore.

El'oratorio dava sur una viuzza perduta. Quando splendeva la lunanonvi si accendèvano lumi. Quella sera splendeva la luna.

Lesuore s'inginocchiàrono senza dire parola intorno di essenoi; e pregammo.

Gemèala calma notturna. Per chi pregavamotu sai.

Maa un trattosuono di vetri spezzati; ea terrail tonfo di cosamorta. E un grido: vive la république!

Balzammoin pie' sbigottite… Dio! Sul pavimento giaceva tagliata unamanobiancaornata ancora di anella…

—Basta! — qui esclamava Albertinoserràndosiall'ava. E rimanèa pensoso il resto della giornata. A nottesognava — e mani e mani spiccatesotto chiaro di lunachegocciolàvano sanguefinebianchìssimeinanellate ditopazi e smeraldi.



LACASSIERINA


Diecianni di meno — Alberto si trovava in campagna. Era solosu'n terrazzino della casa paterna che soprastava al villaggiostancocome generalmente si è agli sgòccioli di una domènicail giorno del fare nientee si sentiva la faccia accarezzata dallafrescura notturna. Poco innanziuna ventina di razzi —imàgine della più desiderèvole vitacorta esplendente — avèaper annunciare la chiusa di unafesta paesanastracciato l'àeree apparecchiato tabacco dinaso agli uccelli. Il cielonero-fulìgine. Tratto trattounlampeggio vi abbarbagliava per un batti-palpèbrafacendobrillare vetrigronde ed ardesie: poitutto rintenebriva; erispiccàvano le illuminate finestre. Ancor più nerodell'àereil villaggio pareva allora un ammasso di spenticarboni.

Edal villaggio salìvano ad Alberto i suoni maleaccordati di untamburo e una tromba. Essi di tempo in tempocedèvano a unavoce di donnaacuta… Di bottoAlbertosi parte dalterrazzinostacca un cappello dal muroesce di casa; egiùper l'erta arriva al sagrato.

Incuia mezzo di una folla di vìllici e in pie' su 'na pancailluminata da fiàccoleera un toccone di carne fèminacon i capelli a cespo di maggioranale guancie a pane buffettoe lapappagorgia: sua vesteuna petturina di raso non biancoe unagonnella di garzo; sottodue colonnette da balaustrato. Il chemaledettamente stonava con la vocina di lei. Ma ella ricorreva spessoal tamburo. Alloraun uomo alla destrain magliecon una cera dapignatta bruciatastrideva una tromba; e intantoun pagliaccio asinistraabbigliato da Meneghinogambuto di uno a ventre dicontrabasso e a muso biacca-e-mattonegestivaein ràucavocequasi annegata nell'aquavitegridava.

Ei tre saltimbanchirullando il tamburosuonando la trombafacendoun fracasso per trentasi mèttono in marcia: dietrolabeceraglia intruppataa zufoletti ed a fischi.

Isaltimbanchi vanno alla loro baracca. Maiviperchè la follasi arresta? È che là tira vento di rame. Ha belstrillare il donnone: “sottopòpolo generoso! sitratta della miseria di un dieci-centèsimi…”tutti rimàngono sodi. Corre quel diffidente sospettoche èla prudenza di chi moltissimo ignora e poco ragiona.

Albertovolle ròmpere il ghiaccio. Si fe' coraggioecamminato vèrla baracca — là ove si stava a cassiere una tosucciadi circa otto anniin biancocon un visino stregatogli occhinerìssimilùcidi lùcidiforse dal lagrimarecontinuoed i braccetti nudiche ricordàvano i bastoncinidel tè — buttò una moneta sul tondo.

Fu'n soldo che diede un suono di argento.

—Lei… — prese a dire la bimbatirando una falda adAlberto. Ma non disse di più. Il saltatore dal muso affumatoavèa grugnito con ira. Ella serrò le palpèbrecome a tuono imminentee Albertoche s'era volto e avèa eglipure compresotaquee con stringicore seguitò la sua via.

Noti —chi si diletta a dipìngere — come pezzi di tela epali formàsser due lati della baracca; gli altriun muro diorto. Enell'internosi vedèvano pancheun pajo dicavalletti con padelline di grasso a fumosa fiammella agli estremieun organetto guardato da un cane barbone: voltaquella del cielo.

Quantoperò a spettatoriall'entrare di Alberto non si toccava lamezza dozzina. Senonchèil panno tira il frustagno. “Vàtu… vengo ancor io appena Alberto fu dentroèbbevi ressa alla porta; e nella baraccafolla.

Ecominciàrono i giuochi — giuochi infami!

Imàginadue piccinidi non più di sei anni per unopezzati di nudo econ le animuccie lì pelle pelleballottati senzamisericordia; e imàgina una tosuccia (la cassierina) incesa dabicchieretti di brandaa saltar trafelatacerchicorde e sedilitossendoe gettando a guisa di gioja i gridi che le strappava ildolore.

Aun puntosdrucciolàtole il piedela cadde contro del muro;nè il muro eraper pastadi quelli di Gèrico.

Albertonon potè più durarlasi alzòe dilungossicoll'ànimo arrovesciato. Equella nottenella fantasìadi luifu un vai-e-vieni; oradi vispi e puliti bambini dal sentoredi cipriacuiparlandoognuno addolciva e le parole e la vocee iqualise piangèvano maiera per non riuscire a spezzaretutti i loro balocchi; orainvecedi avvizziti puttini —megliodi pìccoli vecchi — a strappilavati dalleloro làgrime solomai da nessuno baciatimai sorrisiquìa rosicchiare secchetti di pane dinanzi alle golose mostre di unarosticcerìalà rannicchiati entro un pagliajobubbolando pel freddoin compagnìa di qualche cane perduto oabbandonato com'essi.

IldomaniAlbertosi destò di buon'ora. Bisognopiù chenon vogliastringèvalo a ritornare sul luogo del crudelespettàcolo. Ecome vi futrovò la baraccaspiantata;sen caricava un carretto. Sopra del qualeuno de' saltatori (queldal mostaccio di spazzacamino) in maglie ma con la giacchetta aridossodava di piglio ad un palo pòrtogli dal Meneghino. Equesti era giùla camicia slacciata (il che scopriva degliàgnus) col muso ancor mezzo dipinto e mezzo verd'aglio.Lì accostoi due pòveri bimbi sotto di un asseunoper capoaspettando; in fondoil donnonefloscio carnameinginocchioche legava un fardello.

Etra i curiosiAlberto. L'occhio di cuipiù che a tutt'altroindugiò sulla faccia di uno dei due tormentati piccinifacciasparutasmortama intelligente che mai. Poterne cangiar l'avvenirequale felicità! EDio sa che cammino di gloria gli si sarebbedischiuso!… Una frasuccia bastava…

Mala frasuccia non vennema Alberto si allontanò.

Chèa lui mancava qualch'altro da rivederepur non sapeva dir che.Propriocome allorquando s'ha una parola da proferirese ne conosceil suonose ne conosce il valorema non c'è verso dispiccicarla; notando poiche la cosacui tal parola è vestetornaapparendomoltìssime volte inaspettata.

Laquale cosaad Alberto (che svoltava in un vìcolo) fu 'natosettaseduta sullo scalino di una portellafisa a un collo difiascorimàstole in mano: a terradinanzi a leicocci divetro ed una traccia di rosso.

Lacassierina! Perchè sì assorta? Giàera vano diattèndere una di quelle fate benignele qualia bei tempiandati “splif splaf” avrebbecon un colpetto divergariuniti i vetruzzie riempiuto la boccia. Il vino continuavaa colare. Ma ella non si moveva. Tanto fà! le busse non leavrebbe perdute. Se lei non andavaloro sarèbber benevenuti. Oh! per le bussenon la dimenticàvano… mai… —E tristamentegirava il collo del fiasco.

—Tu! — disse Alberto.

Laragazzetta alzò due occhioni neri e gonfi dal pianto.

—Ti batterannoeh? — dimandò egli con una vocepietosa.

Ellabassò la testinae sospirò.

—Prendi — fe' Albertorovesciàndole in grembo tuttoquanto avèa in tasca… e soldi di rame e soldi d'argento.Poifuggì via.

Duesguardi maravigliati e di riconoscenza lo accompagnàrono. Einon li vide; li sentì.



UNROMANZO ABORTITO


Notte;il cortil delle poste. In mezzonell'ombrauna diligenza a gobbacoperta di tela cerataalla qualedegli stallieri in camiciottoazzurroattàccano tre robusti cavalli. E intantopresso unlampioneil cocchiere aggroppa una nuova scoppiarella alla frusta.

—L'internocompleto — fà un uomo a berretto listatodi oroscendendo lo smontatojo dell'òmnibus.

Eva a dare un'occhiata al coupé. Vi è un giòvaneintabarrato.

—Uno — egli diceconsultando un libretto; poivolgèndosial pòrtico — manca un signore! il signore nùmerodue.

—Signore… nùmero due! — ripete allasoglia della sala da pranzo una voce.

Quìil vetturinoper le maniglies'arràmpica vèr lacassetta.

—Eccolo! — grida un ragazzo

Infattidue donne èntrano frettolose dalla porta di strada; si fèrmanoalla diligenza; si abbràcciano; bàciansi; pènanoa separarsi. Ed il commesso si mette a far note; il vetturino sicalza i guanti più adagio.

Maconcambiato è l'ùltimo bacio.

—Olà! op op! — vocia il cocchiereraccogliendo lebriglie e schioccando la frusta. E la grave carrozza si muovepassalentamente il portonee ruota sui trottatoi di granito. Vi hapasseggieridi quelli infelicicostrettinell'ampiezza del mondoa trarre la vita entro quel torno di mura di cui nàquerprigioniche l'accompàgnano con un sospiro. Molti de'viaggiatori sospìrano invece nel lasciare la gabbia.

NelcoupéAlbertoil quale sembra dormireguarda la suavicinasott'occhio. Eglinel nùmero duenonaspettàvasi certo una donnaequel ch'è piùuna donna giòvane e bella come gli avèan tradito ifanali. Troppo desiderava e temeva ciò. Orail cuore glilangue in una commozione dolcìssima. La sua compagna stàavvolta in un waterproofil velo del cappellino giù.Tra essiposa una sacchetta di cuojopoca barrierama che valperl'onorequanto una catena di monti.

Echi potèa mai èssere la solitaria viaggiatrice? Albertovìdela trarre un fazzoletto di tascae pòrselo agliocchi; dunqueuna istoria di pianto! Tostoil cervello di lui sidie' a fabricare romanzesche avventuretuttavìa e's'annaspava vieppiù; tuttavia e' sentiva quello smarrimento disèquell'abbandonoche precèdono il sonno. Nèc'era di mezzo se non il rumor del selciato; sìcheallorquando si cominciò a còrrer soave sur il battutoAlberto non finse più di dormire.

Comedestossila luna splendeva diritto nei vetri innanzi al coupèilluminandoal di lài dorsi e le teste dei tre cavalli; diquàegli e la vicina di luisopita. Il velo del cappellinoera su. L'ovale sua facciada cui le làgrime avèanocancellato e il colore e il sorrisopareva al melancònicochiaro uno schizzo a carbone su 'n bianco muro. Dio sa quali occhisotto quelle palpèbre a lunghe ciglia di seta!

Eil guardo del nostro amicovinto da incandescenza cotantadovetteabbassarsi. Dal waterproof di leisopra un ginocchiouscivauna mano guantatastringente una lèttera.

Un'orapassò. Svegliossi anche la bellas'addiede di ciò cheavèa tra manievolto alla sfuggita un'occhiata ad Albertol'aprì.

Quellalèttera avea forte-impresse le piegheed era sciupata.L'incognita stette un istante indecisapoi la stracciòetornolla a stracciare; sogguardò un'altra volta ad Albertosialzòesceso un cristallo (senti che brezza!) sparpagliòfuori i pezzetti. Quanto al suo cuoreera di già lacerato!

Impallidiscela luna; la punta del freddo si agozza. Con il dissòlversi diuna spolverina di nebbiasi disègnano e stàccano su 'nfondo celeste a pennellate roseeviolette ed aranciele crestedelle montagnee de' villaggi i contorni. Il gallocanta.

Ecome la machinosa carrozzain discesa con uno stridore di scarpatocca un acciottolatola sconosciuta si tira in grembo la suasacchetta di cuojo.

Ecco!la diligenza si arresta. Generale risveglio nell'òmnibus;vi si scuòton le membra intorpidite da uno scòmodosonno; si danno i diti negli occhi; si ritròvan le gambe;qualcunoil torcicollo; altriil naso intasato. E un uomodi barbanerasmorto e accigliatoapparsodi là dei vetri innanzi alcoupéilluminandoal di lài parolecheAlberto non riesce a far suealla giòvane. La quale smonta…

Lontanlontanoin una selva di quercietetti acuti e torri…

—Olà! op op! — fà il vetturino di nuovoriprovando la voce inumidita ad un fiasco. E il carrozzone ripigliala pesante sua corsamentre l'amico nostro mira con amarezzal'abbandonato canto. Ellaper luinon è più. Qualesorte attendèvala?

Maa terra è un brano di lèttera che gli potrebberispòndere.

Albertoil raccogliee… Scusalettore! lo straccia a minutissimipezzi.



ADELINA


Eun'altra voltaa una fossa novellamente scavata io m'incontràiin un convoglio funèbre. La pretendeva il convoglio allaseconda di classema fuor mostrava i gòmiti dellaterza. Oh meglio! i preti non avèano troppo seccato ilpòvero morto in chiesa.

Quantoallo stratobianco. Di bella prima pensài ad uno di que' RegiImpiegaticèlibiegoisti fin alla sèttima pelleiqualimessa la pezza della giubilazionetìrano làinbarba al governooltre il nùmero sommo del lotto; poiaqualcuna di quelle vecchie prudentimorte zitelleperchèvissute a saggiuoli; e feci per slontanarmi.

Main quella… soffio imponente di naso. Non gli è il balenoa un discorso? Infatticome mi volgovedo un bottacciuto pretone innicchio e calzettaporsi sul monticino che costeggia la buca. Dentrodi cui è scesa la scricchiolante cassae resta con un sordolamento. E allorai pochìssimi astantitutte quasi ragazzele quali senza risparmio lasciàvano lagrimare i loro belliocchi e le lor smilze candelesi fanno in un gruppo. Io pure.

Eil sacerdote si passa e ripassa la mano sulle palpèbre;tògliesi il nicchioaggiùstasi il cupolinoecomincia:

—“Adelina nostra è beata.

AdelinaGentilifin dai più tèneri annitrovò ilsentiero del Cielo. Non si lasciando adulare o da specchio o dalabbroaliena da ogni esterna pompa di abbigliamentoaliena delpari dalle conversazioni e dalle comparsea disfogare la piena soavede' suòi affettimai si trattenne se non nei colloqui col suoGesù. Solo di lui gustava le si parlasse; il suo votoanzi ilsospiroera di èsserne sposae se l'Eternopròvvidosemprenon le ne avesse accorciata la via chiamàndola a sèella avrebbe di certo aggiunto un nuovo splendore all'òrdinedelle Cappuccine.

“Ohvoi aveste vedutomie figliecon qual religiosa paura ella correvaa narrarmi le sue apparenze di colpase pur di colpa si pòssonodiree con quanto fervore si avvicinava alla mensa degli àngiolidesiderosapregante — ricevendo Gesù — divolàrsene a lui!

“EDio l'esaudì.

“Insul mattino di lei e di un purìssimo giornoAdelina partiva.Sfinita di forzepiù non riuscendo nè a mormorarepreghiere nè a strìngere al seno la crocettina amicacon la soavità del sorrisocol vòlger dolce delguardomostrava come a delizia le fosse il nomeil pensiero del suoGesù.

“Placidamentemorìcome un colombo. E a mèche al fianco di leiinsui ginocchioravo… parve un istante sentire ed uno sbàtteredi ali ed un odore d'incenso ed un riflesso di aerei òrgani…

“Orperchè dunque piangete? Egli è per lei o per voi?…

“Perleiil De-profùndis va detto con un Te-Deùm —”

Maben incontrarioraddòppiano i singolti. E nella buca sigèttano fiori e vi si getta la prima palata di terra. Io misentìi la voglia di cacciarvi anche il prete.

Emi rivolsi turbatoe vidi? Vidi una delicata fanciullastrettasotto le volte maestose di un Duomoe tra gl'incensile melodìele facida sacro orrore; la mente affollata dalle pene infernali edalle gioje del Paradiso; cercando con ansia nelle vite dei Santi imodelli; in brama di una cellettasenza conòscere ancora conche cosa si muta.

Senonchèl'istintosvegliàndosele a un trattogliel dice.

Cheè? Sarèbbero forse le tentazioni di Sàtana?sarèbbero queste le prove di cui tanto lesse e udì?Ma udì e lesse ben anchecheper toccare la palmabisognavacombàttereed aspramente combàttere! Ed ecco iniziarsiuna di quelle sequele di notti dal continuo accèndere espègnere il lumenotti di sbigottimento “paffatesenza dormire & nè pure giacendo” in vita orivolgèndosi tra le lenzuola“fcaldata tantonell'amore di Dioche non nello fpìrito foloma ancor nellacarne infiammava & le pareua le ufciffe foffio di fuoco.”

Eallora Adelinacui il terror del peccato acuiva lo sbàttitostrappàvasi dalle coltrisi rannicchiava sul tappetino; elemani alla facciareclinata la testa contro del lettopiangendosupplicava Diola Madonnai Santitutti i Beatia salvarlae lorgiurava i voti i più temerari.

Ma“l'àngiol nero non rimetteua di bàtterla.”Diàbolus in lùmbis est! notti di ambascia sisuccedèvano a notti; la vèrgine si struggeva… uncerchio morello agli occhii rossetti alle guance… espaventati i parentimandàvano per il mèdico vecchio.

Poiun giornoAdelina spinse lo sguardo sur un vaghìssimo viso digiovanettoe un altro scontròlungo e appassionato sguardo.Voi diteamantiqual rivolturaqual bollimento di sangue elladovette sentire! Ebbene! ciò che per tutte sarebbe stato illietìssimo fiore del giardino più lietoper lei fuerba di cimitero.

Sgomentatadel suo sgomentosenza un'amica alla quale narrar tutto il suocuoreella ricorse al confessionale; e ne tornòriandando che gli occhi èrano la prima porta al peccatochecon la chiave di quellaoh se ne aprìvan ben altre! chel'Avversario tendeva infiniti calappie chead ogni costonon avèasi a cèdere. Imaginate! si osòconsigliarle perfinodigiuno e sinistre pozioni.

Cosìla fanciullasensibilìssima fin dalla cuna e or doppiamenteal progredire di una di quelle infermità di languoresottililenteinstancàbilii germi di cui sarèbbersi in pacedimenticati di aprirsie sottosopra fra scrùpoli tormentosi euna passione devastatrice; in mezzo a vampe di fuoco e a zaffate digelosfinivadiventava un filo di refetraspariva come ambra.

Egiunse alfine quel dìin cui non potè piùlevarsi. O voilasciate di attènderlagentili vestinependenti in un canto della cameretta di leie tu pel primoscialletto rossouso a seguire sì amorosamente le suevirginee forme. Pòvero canarinochi ti offrirà mai ilpignòlo? Vasetti di fioriv'inaffierà chi? le làgrimedi una madreforse? Due giorni ancorae la vostra graziosa padronasi torcerà in delirio sul suo lettuccioun crepitìo difiamma dannata all'orecchioserrando convulsamente nelle maniaggrinzite una croce e nella mente esaltata un amante; ancora unanotte! e voi la vedrete supinaimmotapàllida e fredda comel'alba nascente.

Ogiovinettepeccate!

MEZZANOTTE

Mezzanotte!

Lettorimièiniente paura! non vi allargate dal muro. Oggidìquesta non è più l'ora dei ladri; oggisi ruba inpieno meriggio.

Èl'orainvecein cui il mercato di Priapo affolla.

Giàil bujo pesa su quelli intavolatipiù che campi dell'arteruffiani dei vizi; e le torme di lupe dalla voce ràucache ildopopranzo battèrono i marciapiedi infranciosando i cervellimezzo intontiti dal ciboson covigliate e tripùdiano; giàquasi tutti serrati son que' caffèove dei còsitortidi gambe come di ànimospàrsero effigi di pezzi dicarne con l'indirizzo dietro; e la timidetta fanciullache pocoinnanzi valzava sotto gli occhi di mamma con qualche bel cavalieredormeimaginando di luiignara di che gli servì. Or la cittàva prendendo una sospettosa aria; quella di una ragazzachecon gliorecchi attesi alla portalegga un volume senza nome di tipi.

Ve'un barbigino di quindici anniil cappello negli occhicherade il muro di un vìcolo. Egli potè fuggire da casaementre il vecchio suo padre lo sogna in preghiereegli… Vào viene? È troppo allegro; và… E quel bambinotristostracciatosu'na scalèache aspetta? Pare vendafiammiferi… Fiammìferi solo?

Intantodei broughams dalle tendine calate fanno a precipiziochèil Diavol li portala strada.

Eintanto una carrozza si arresta in una via tortuosa che fiancheggiala Corte. La sentinella rintana. Lo sportello si apre; ed ecco unalto signoreil quale offre la mano a una donna incappucciata e dalvestito che fruscia. Tò! quel signore non rièsceminuovo; mi par d'averlo ammirato ad una mostra di truppein tanto difanfarona divisaisputacchiata di principesche decorazioni… Ela bella sua moglie gli passa dinanzi. Egli le fà un ampioinchinoecome la vede sparire in una piccola porta —porta alle grandi fortune — tutto orgoglioso di ben meritarquelle insegne che incuginan col rèrimonta nella carrozza.

Un'ora!

Uòminiinferajolatia viso da campana e martellone pedònanoancoratossendo; o ne vèngono incontro soffiàndosi ilnaso. Aumèntano dalle finestre i pst pst; alcune vieda cima a fondopispigliano. Nabucco imbestia; la città èin frègola.



LECARAMELLE


Monsùdoi soldi d' caramel — disse unfanciulloentrando frettolosamente con due bambine che gli trottàvandi pari. Etutti e trepostàronsi al banco.

Ilcaffettierelasciato il giornalesi alzò.

Ioadocchiài i piccini. L'omoera in blusa celeste e inberrettino da soldatello. A parte quel po' di aria baciocca che imaschi hanno in sugli ottotrapelava nel musino di luilacoscienza della sua doppia importante funzione di compratorecustodedi una rispettàbile somma. La quale somma egli chiudeva in unpugno. E tenèvala strettave'!

Mae la bimba alla sinistra di lui? Qual fino e sentimentale visuccio!…visuccio promettente di quelle smortone impastate di chiaro di lunache dove làscian lo sguardoguài!

Laputtina invece alla drittaera un brioso raggio di sole. Non toccavai cinque anni. Tombolettalatte-e-vinocon una vestuccia cortainamidatareggèvasi in su la punta delle scarpette;attaccando le palme all'orlo del bancopoggiava tramezzo a quelleil mento.

Ei sei occhietti — due neridue grigie due castagnini —si attruppàrono intorno alla mano del caffettiere. Questamise un pìccolo peso su'n guscio della bilancia; gli occhiettive la accompagnàrono: la si diresse a dipalcare un baràttolo;gli occhietti le tènnero dietro: tach tach… ilcaffettiere lasciò cadere sul piatto le caramelle… trequattrocinque… ad ogni tachi fanciulli sisogguardàvano e sorridèvano.

Maper due soldii sorrisi non potèano èssere molti.

Mivenne un'idèa.

Avvertitocon una tossetta il monsù e mèssomi a traverso la boccal'ìndicemi diedidietro dei bimbia far segni; cioèad accennare il baràttoloindia rovesciare la mano verso lacoppa della bilancia.

Bah!Il caffettiere era proprio grosso di scorza. Salvo il cenno delzittonon mi comprese per niente. Anzi: egli ebbe il coraggio —sottolineo coraggio — di ripigliarsi una caramellaavvantaggina e riporla. Tre guardi mortificati la seguitàronoe tre sospiri.

Cosìfu il cartoccino aggruppatoe consegnato all'ometto.

Questimollò allora il due-soldi. Stèttero tutti e treunmomentoa vederlo sparire nel fesso del banco; poicon un balzo digiojascappàrono via.



** *

Chielche voleva? — mi domandò ilcaffettiere.

—Volevoche loro vuotaste il baràttolo — risposiistizzito — Pagavo io —

Eisi rimase un po' grullo.

Contagg! — disse — bisognava parlare —

Foss'eglistato una donna!



TESORETTA


Chipiù giojello da scatolino? chi più inviziata diTesoretta?

Eravenuta al mondoproprio in una vegliasopra un vassojo di chicche.Allorchè il musino di leivero sorbetto di fràgole ecremaapparveognuno sorriseognuno si offerse a dondolarle laculla.

Esua mammina — che gioja! Tuttociò che un amoreconzeppo di ventilire il turcassopuò comperarefu. Tesorettaebbe camìcie della più fina battistaebbe scialli ditrinecalzettuccie di setae come Tesorettaal dire del mèdicoera un arboscello da serrala s'inviluppò in tanto armellinoin tanta màrtorada farle rèndere aria di unnettapenne.

Poi —oh aveste veduto il suo nido! — Prepuntato di stoffaconun tappeto che acconsentiva come la polpa di una gambocciacon unodore di muschio da disgradarne la carta da lèttere di unaelegante daminaesso inscatolava e una pìccola nanna di rasoceleste e oroimbottita con piume di cignoe sedie che siribaltàvan soffiandoe poltrone che avrèbber potutorequiare lo stesso mio cugino Guidella; di piùsugli stipisulle cantoniereuna folla di nìnnolicuriosigentili —grottesche figurine di avorioorganetti che gariglionàvanonoci con entro mille ferruzzi per le pipitee tiri a quattrod'argento e bastimentucci di filigrana e galantuòminigiapponesi dalla testa pelata — che salutàvanocontinuamente.

Ein mezzo a tutti questi balocchiil graziosìssimo diTesoretta. Che vita lietala sua! Aperti i nerìssimi occhioninell'ora in cui i martirelli dell'abicì càvano dai loropanieri e mela appiola e panettoessa in bianco accappatojo a nodiazzurrisedèa alla pettiniera. E làmamma ravviàvalei ricciun giorno con un'acconciatura a ciuffi da scàtole dicanditiun altro con una di fìlibus; dopo di chespazzatauna colazioncina di dolcidei quali la si sceglieva i meglioincartatiusciva a spasso in un carrozzino di vìminifoderato di rancio amoerreguidando con rèdini di seta rossaun candidìssimo agnello. Allorchè poi il povero MonsùTravet si toglie con un sospiro di soddisfacimento le manichettedi telail portinajo le rischiudeva il cancello e sberettàvasi;infineattraversato gloriosa e trionfante un pranzounaconversazionee qualche volta un balloessa si rifaceva la nicchianel suo caldo lettino.

Venuta-sudunque così inaffiata di quintessenza di viola e fra tantabambagiaè chiaro che la nostra piccina riuscisse delicatacome un clichet fotogràfico. Sua mammaanche oggisedà nel frontispizio della Crònaca Grigiabrisciarisovvenèndole quel calabrone che un dìcongrande spavento di tuttipungèa un labbruzzo alla sua mòrbidabimbaed ioquand'ora stringo la grossa mano dell'alto baffutoLeopoldocugino di Tesorettarammento con pena quel biondopetulantello Poldinoche entrato di furiadov'ella si stava conaltri bottoni di rosa… ahi! le scoccò un buffetto sulnaso.

Questodel rimanentefu il solo torto che le toccasse mai da bestiucce incalzoncini o gonnella: e pongo la distinzionechè da quelliinvece che non fanno uso di tali attributicosì necessari a'dì nostri per conòscere il sessoella ne sofferseparecchi — principalmente da uno.

Chi? —

Den.

Denapparteneva alla mamma di Tesoretta; un levrierino grigiosveltodal lungo muso; di quelli che bùbbolano anche di mezza state esèmbrano avere indosso una perpetua pulce. Denco' suòiimprovvisi abbajamenti a degl'invisìbili micicon le suecorse a fiaccacollo per poi subitamente restarein sospettoleorecchie teseuno zampino levatodivertiva a crepar dalle risa ilpacìfico e vecchio Tell — un bracco.

BeneDen covava ruggine per Tesoretta. Quandola prima voltaun rottamedi zùcchero passò dalle dita della sua padrona nelletascucce della puttinamaravigliatooffesoadocchiò: allasecondaalla terzaguaì sordamente. Privarlo dello zùccherosuo! Dio-cane! Che altrofuorch'essogli rimanevaorache unukase municipalescoappiccàndogli una musolierauna cinghiaalla strozzae per giuntauna cordatoglièvagli di fiutare…le belle? Den fece un groppo al codino — quindi d'allora inpoi si trovàrono per la casa gheroni strappati dalle sottanedi Tesorettasi raccolse un cappellino di lei nel mondezzajosiscoprìrifacendo la nanna della bambina un… Scusa! nonti vedevoBigia.

Elìquale tirata di orecchi! Den fu rinchiuso nello stanzinocui egli avrebbe dovuto prima ricòrreree il guàtteropassàndovi presso due ore dopo con una gazzetta in manostette in forse — atterrito da un rabbioso lamento —di aprirlo.

Intantonella sala a terreno della sua mammasi rannicchiava sul fondo di unpoltronone la bimba. Le manine di lei stàvano appiattate in unmanicotto di topo-bianco; sul manicotto posava un libro. Pur nonguardava. L'ànima sua parpaglionava lontan lontanoforseintorno a un cartoccio di chiccheforse ai mille baràttoli ealle boccette di una bacheca di profumiere.

Main quella — un grattìo alla porta. E la porta sischiude. GuìzzaneimpetuosoDen.

Eglisi arrestale narici soffiantila guardatura bieca. Fisa Tesorettae guàjola.

Bah!ella non si move neppure. La fantasìa di lei o vola entro unamostra di cappellinivera gabbiata di papagallio salterella dentroe fuor per le chicchere di un servizio lilliputiano da tè.

Eciò fa montare la sènapa al naso di Den. Ei balza soprauna sedia faccìa a faccia con Tesoretta; sciupa l'imbottitocoll'unghiedirùggina i denti.

Invano!la mimma non impallidisce neppure: ben in contrariosorride; sorridecon quella stessa graziacon quella stessa tranquillitàconcui riceve le amiche.

Macielo! gli occhi del levrierino stralùnano insanguinati. Eglisoffiaegli ringhia. Di colpo si slancia su Tesoretta… Ahi! lemorde la gota. E Tesoretta cade dal seggiolone giù.

EDen si getta nella finestra; precìpitacon un fracasso divetriin giardino.

—All'arrabbiato! all'arrabbiato! — grida una villanellafuggendo.

Buum —una schioppettata.

Opoveretto Den! Ingelosir di una bàmbola!? —



DECONSOLATIONE PHILOSOPHIAE


—Dio solo il potrebbe — rispose solennemente il dottore.

Ilvolto di Arrigo assunse la pallidezza del volto della sua giòvinesposache — gravato il ciglio dalla mano di morte —giacèvagli innanzi in quel lettodi tanta gioja ricordo e ditanta vita. Arrigo stette per dare in un urlo; si frenò astentoe non potendo altrimenticorse a celare l'ambascia nellastanza vicina. E là cadde in una poltronale palme allafaccia.

PòveraLisa! pòvera Lisa! Non un annoda che èragli apparsanella solitaria e brulla sua viaqual rugiadaqual fiore —e vedèvasela ancorapetulante di gioventù efreschezzaentrargli nell'ammuffìto studioa mèttergliin fuga i topi e le tarmead aprirgli le imposte al sole che creaall'innamorata natura. Oh i libri si vendicàvano bencrudelmente della loro rivale!

EArrigo singhiozzò disperato.

Mae non un conforto a tanta e sì orrenda e improvvisa jattura?dovrà mai l'uomo esser lasciato solosenza difesaalle belveaffamate de' propri dolori? Che gli giovava di avereanni e anniimpallidito sui librimietendo altrùi esperienzaquand'orain bisognonon se ne sapeva comporre un panetto? A che studii se nonapprendi a vìver da amico colla sventuratua obbligatoriacompagna? a che pensi?

Ovienifilosofìa! tu che guardando le cose e gli avvenimentifuori di noili vedi nella loro essenza e non nella lororelatività — tu che trovi a tutto una scusa e nullati fà stupore: filosofìache hai fatto ricca lapovertà di Epicuro e felice la ricchezza di Sèneca; chehai in una dìsputa con sperimento cangiato l'agonìa diSòcrate e in una tranquilla accademia l'impero di Marco —o tu che non abbandoni chi ti ama; ùnico patrimonio salvo daicolpi della fortuna.

Vienie confòrtami. Dalle tue eccelse regioniimperturbabilmentesereneben sai il mondo cos'è — : un puntounquasi impercettìbile punto. Che è dunque colle suepiccine passioni la umanità? anzi — “fra illampo di vita ed il tuono di morte” ov'è l'uomo?

Filosofìadammise non il sorrisol'indifferenza almeno del saggio. Mentimaconsòlami.

Nonc'è malem'hai dettodonde bene non sorga. Natura èperpetuamenteincorreggibilmente buona. Al disopra di quellenerìssime nubisplende immacolato l'azzurro: si scioglierannole nubil'azzurro mai. Se ti par dunque la vita un doloroso sospironon è forse la morte la cessazione di quello? e se la morte èdi un dolore la fineperchè la invidila imprechila vuòifurare a chi ami?

Ami! —sì è vero — ma avresti amato poi sempre? —Lisa era bella… la vecchiaja avrèbbela resa brutta: Lisaera buona… la bruttezza l'avrebbe fatta sembrare cattiva. Maormorendo immaturaessa ti lascia il ricordo di lei intatto. Ti saràsempre e giòvane e bella e soave e… tua. Di desiderio piùche di soddisfazione cibasi Amore. Eternamente si àmano gliideali perchè non raggiùngonsi mai. Cosa invece checominciòè destinata a cessare. Or non è meglioche cessi innanzi la sazietà?

Eppòitu se' nato agli studii. Vògliono pace gli studii… Dovetrovare mai pace fuorchè in solitùdine? Distratto dallequotidiane meschinissime cure della famigliacon un occhio allapèntola aspettata dai tuòi figliuoletti e l'altro allatua letteraria coscienzaavresti tutta la vitaper dir cosìloscheggiatodi te insoddisfattissimo. Chi non procede peruna sol viadi nessuna va a capo: chi l'arco non tende del propriointelletto ad un ùnico scoponulla colpisce. Ringrazia dunquela provvidenzache per l'utile prova del duolo ti riconduce allafelicità. I tuòi libri ti han perdonato e ti attèndonopronti a riaprirti i loro tesoria lasciarsi ancor lèggerefra linea e linea e nei màrginii riposti veri. Quali orequali giorni di voluttà con quèi tuòi vecchicompagni! Eccoti allo scrittojofatto un sol corpo con essoimmèmore delle immondissime carnipalla galeotta dell'ànimaimmèmore di quel bagno penale che chiàmasi il mondo —èccotinell'abbraccio fecondo con un altro cervellogenerando idèe da idèeconquistando terrenosull'avvenire — aggiungendo nuovi piuoli alla infinitascala vèr Dio…

Egià il singulto di Arrigo taceva e trionfàvagli lapupilla. Filosofia tanto invocata gli stava seduta sulle ginocchia ereclinava la testa contro la spalla di lui.

Quand'eccoil dottore. La sua faccia da lunga èrasi fatta tonda.

Stupironol'uno dell'altro.

—Salva! — esclamò con voce commossa il dottore.

—Davvero? — fe' Arrigo.

Lavoce d'Arrigo scrocchiò.

Eragioia? Quà coi vostri lambicchichimici dei sentimenti.



INSODDISFAZIONE


Eranella cittàl'orain cui i ciccajoli allùmano i lorlampioncinie i mangia-malta appòstano i gattie i pòverivergognosi di nanidagli ampi mantellifanno la traversata dallabottega alla casa. Gli ùltimi raggi di sole avèanoarroventato una rastrelliera di casserole di ramee si èranrinfranti in una di majòliche e vetrie fatto brillare unafila di guantiere e cucchiài di ottone; dunqueè unacucina la scena; ed io aggiungocucina di un'osteria mezzoperduta tra i monti.

Nellaqualeoral'ombra ha inghiottito un giòvane di sèdicianniseduto in un canto. Chiverso le seila chiacchierava allaportaavèalo visto a venire e ad entrarelo schioppo atracollaun cane ai tacchi. Erala giubba suafrustagnoma lafòderaseta. E il giovanettodi dove avèa pranzatonon si era più mosso; insieme alle fruttasopragiungèvanle tènebre.

Sianole benvenute! Sentìvasi stancoforse. Scarpe di montanaronelle montagnenon bàstano. Allorala ostina avèadeposteinaccesedue stoppiniere dal piattel verde di latta soprala tàvolaementr'ei si stendevachiudendo gli occhisu'na panchetta di legnozittaera andata a sedere sulla predella delvasto camino e si appoggiavacome a dormirecontra uno stipite. Ilbracco poilappata la sua scodella di pappae leccàtosi ibaffìgià stàvasi accovacciato a pie' delpadronei nottolini giù — di tutti e tre il soloche non facesse per finta.

Infattisotto palpèbrail giòvane teneva lo sguardo fiso nellafanciulla. In confidenzaessa l'avèa turbato fin daprincipioquandocon una di quelle voci soavidi argentochericèrcan le veneavèagli detto “buon dì”mentreintorno alla voceappariva il più bel gràppolodi giovinetta che mai. Ecom'egli avèa volutoper darepassata alla emozione che gl'imbragiava la gotaarrischiarsi a delledisinvoltureajutandoad esempiol'ostina a dispiegar la tovagliaa porre giù i tondi e i bicchieria cavar l'aqua dal pozzoquesta emozione era invece aumentata; cosìegli avèascelto un cibo per l'altrobevuto aqua per vino… poisiscottavatagliava… Tènebreoh benedette!

Chèprotetto da esseGuido ora pasceva la vista nella fanciullaaggruppata al caminoe illuminataa trattidal chiaror di unostizzo. Con gli occhiil giovanetto accarezzavaricarezzava il visodi lei malinconicamente inclinatodai colori contadineschi ma dalprofilo di damae la sua bocca da bacie il mento dal “sigillodi Amore”; poisi godeva a smarrire nei folti e castagninicapelli; poisostato all'orecchio sur il grassello incorallatoveniva giù giù con le volte più tonde per unvèrgine corposciuttosveltìssimo. E ritornava aicapellie vi scopriva un bottone di rosa. Oh felici le mani che vel'avèano messo! Pur non èran le sue! esospirandoinvidiava colùi del quale la giovinetta sognava.

Orchi era colùi? Più di una voltaella avèaarrossitoe non di certo pel calor della fiamma. La giovinettasentiva la presenza di Guido; stavadirèiin unaattesa vagache la mano di lui le frisasse la spalla; e desiosa etemente. Oh! com'egli era gentile! La ostina non poteva fuggire diconfrontarlo con que' suòi rozzi paesaniche non venìvanda lei se non per pigliare la sbornia e attaccar delle litie ledicèvano brutte e villane parolee le buffàvano infaccia il lor ributtante tabacco. Poiquanto bello! (quì laostina aggricchiava). Essa ancor lo vedeva con quel suo viso apertodal velluto di pescail sorriso che rischiaravala pupillaazzurrinabuona come la stessa bontà. Ma lui erariccolui! essa lavava i piatti!

Elìgonfi gli occhiaffisàvasi giù.

Momentiper tutti e duedi un acuto languore; momenti fuor dagli spazi e daitempiin cui scorgèanoin unamigliaja di cose e di affettia indefiniti contorni; momentiche la mùsica solo —universal lingua — saprebbe narrare.

Ilsilenzioprofondo; il cielostellato.

Ecosì stèttero… Quanto?… Non guardàil'orologio. So tuttavìa che sarèbberci stati molto emolto di piùse dalla chiesa vicina non fòsser piovutisulla osteriagraviseverilentiùndici tocchi.

Quellaera una voce che rassegnata diceva “il tempo passa”. Etaque.

Maquasi contemporaneamenteudissi un trach nella stanza. Tostoil grido aspro del cùculo ripetè l'ora.

Equestoun corollario maligno alla sentenza del cainpanile. Parèadicesse “dunquesvelti!”. Etrachl'usciolo sichiuse.

Lagiovinetta si alzò con premura. Venne alla tàvolatòlsene una stoppinieraetornata al caminochinossi el'accese.

Guidolevò pure su. Prese la seconda bugìaefàttosipresso alla bellale dimandò con la voce lì lìper tremare “una càmera”.

—Venga — disse in mezzo tono colèi; e precede' Guido.Euno dietro dell'altrosalìrono una scalucciastretta;salìrono lentamentecome se in cima li attendesse la scure.

Senonchèecco il primo ripiano.

Esi fèrmano là. Guido china la candela di luiintattaverso l'accesa di lei; quanto agli sguardisono bassi di giàchè ciascuno si crede sotto quelli dell'altro.

Diàvolodi uno stoppino! non vuòi pigliareeh? È Amore che tifilò? ti par di troppo anche una? Cert'ècheadessoi polsi dei due be' giovanetti non sono i propri per accènderelumi.

Mainfineaah! ci rièscono. Le due fiammelle stanno un istanteconfusepoi si distàccano. E anch'essi. Auguransi la buonanotte (intantochè se la danno cattiva); luiapre un uscioe scompare; lei ridiscende la scala.

Eil bracco? Il bracconavigato vecchioneche ride forse tra i dentisi allunga alla porta del suo arancino signore.

Paredei trel'ùnico soddisfatto.



ELVIRA


Ilgiorno fòndesi nella notte. È la più stanca oraper tutti e la più insidiosa per quelliin cui i nervitirannèggiano i mùscoli. Già l'uomo cede alladonnala riflessione alla spontaneità. Tutti que' sentimentisepolti lo stolto giorno in un tenore di vita odiato e nel sospettosocontatto coi nostri così-detti fratellirisòrgonociò che vi ha in noi di gentileparla. Nè le carezzedi questa ora tristìssima son sconosciute ad alcunoperchètutti hanno in sè qualchecosa di buonoe ne hannoperchèa nessuno è negato di amare.

Ilcommerciante conta infine un minuto di felice oblìo della suadoppia partita: il filòsofo ridiventa uomo; alza gli occhi dailibrivòlgeli al cielo. Ed ecco l'ombra si stende in quellaparte che gli sembrava chiarìssimadimossa da dove nullavedeva. Tìtubano i suòi sistemisistemi dallaluciferesca pretesa di discoprire la chiave universalesìlaboriosamente cercatipresuntuosamente espressimolestamentescrittidi una dottrinapura difficoltàdi una difficoltàpura ostentazionepasto futuro alle taciturne tignuolee sente cheun nonsochè scamperà sempre e poi sempre alla sua pennad'ocache il multiforme imprevedibile caso regge la vitanon lasapienzae capisce di nulla capireo tantoinsommacome il primoche passa. Difattinon si sà bene che quello che s'indovina.

Ediofuggendo la saladove una mesta armonia confederàtasiall'orami strazia di voluttàriparo nella mia càmera.Ho bisogno di piàngere e le làgrime àmano lasolitùdine. Ma nonon sono le anònime desolazioni diun tempotempo beato nel quale spremevo il pianto da occhi che nonne volèvan sapere. Quelle penea paragone di questeèranopiume di cigno e foglie di rosa; era il desìo di un idealeneè adesso il rammàrico.

Zitto!Malinconiadal tàcito piedeviene. Mi appoggio allo stìpitedel caminetto in cui il fuoco sonnecchia e nella cui cappa piòvonogravemente gli echi di una squilla lontana “che pare il giornopiànger che si more” e…


** *


Elviraera bellaequantunque bellad'ingegnoe quantunqued'ingegnobuona. Di piùpòvera. O povertàbenedetta! chè in teo fastidiosa abbondanzaAmore soventecade di sbadiglio e d'inedia. Dove la soddisfazione precede lavogliala nausea la fameoh di quanti alleati manca un affetto!

Elviraera bellaripeto; non mi state a citare le vostre bellezzeGreche o Romanetutte le stesse. Ella era diversa delle altre; nonsofferivas'intendeun di que' corpiche si dìcono eròiciolìmpicida abbracciarsi a riprese e ansandorobaforse per i templi e gli incensinon per le case ed i baci; bensìdi quellilievissimiche si ponno raccorre in un mezzo abbracciosenza doverliper sentire qualcosaoltraggiare. Guardando il suofràgile visoin cui la forma perdèvasinell'espressionenon si poteva certo pensare che l'ànima ledormisseeincontrando gli occhioni di leicilestrinieruditilietìssimi d'ombrasi comprendeva perchè mai i poetia volteli hanno uditi parlare. Le sue nariciun poco all'insùun po' espansesagaci. La castagnina capigliaturascioltal'avrebbe tutta coperta. Le manine poi di una trasparenza di perlaazzurrate di vene… Chi le baciavabeato!

Edella era d'ingegno. Per leggermente che voi con la mano leaveste sorraso il fil delle reniella ne sobbalzava e raddoppiava ilsobbalzo. La fiamma vitalelambente la volta del cranioalimentàvasi in lei nell'implacàbile sierogenioso.Non leggeva ella i libri ma i loro autorinon gli strumenti sonavama le armonìeamavanon faceva all'amore. Presente leiohquanto gusto s'avèa a dir belle cose! Senonchèperquesto medèsimo troppoil suo ingegno non poteva non èssereimproduttivonon consumarsi tutto in sè stessocom'èdi quelle mostruose bellezze sforzate dai giardinieri. Poichèmancàvale affatto quel tanto di non-ingegno che si traduce inisgobbodivulgatore degli uòmini grandie che guidòtalesì confondendo l'esplicazione con l'essenza del genioadefinir questo “pazienza”. Maquel ch'è piùl'ingegno di lei era simpaticissimonon di quellicioèconsciorgogliosii quali ci tèngonoper così diretre passi indietro col cappello fra manima uno invece modestamentebaldoinconsapèvolepianocome la Verità prima dellainvenzione degli àbiti; ingegnoche tanto non camminava peril diffìcilequanto pel fàcileche guadagnavanons'imponevache non cercava mai e sempre trovava.

Insommaun ingegno che conducèvala al buono. La penna di leiavrebbe potuto lasciarci il mite idillionon l'aspra sàtiradal male di fègato. Alla luce serena degli occhi suòial suo sorriso soavìssimo disapprendèvasi il male epullulàvaci in cuore ogni dimèntico bene; ci stupivamoanzidel comevivendo Elvirapotèssero prosperare imalvagi. Parèa di udire Bellini. Mave'! intendiàmocinon si trattava di quella bontà dozzinaleimparata a memoriae mantenuta o per coazione od inerzia. Tutto in Elvira era ingenuotutto sinceronè l'arte quì simulava il caso. Non dicocon questochead educarle il delicato sentirenon fosse pureconcorso la melòdica ondachenata appenala accolseesempre la circondò. O mùsicaceleste dono!… tuvoce della carità; tuvoluttà non corruttricedell'ànimo; tu placatriceconsolatriceche vai dove laparola s'arresta; tu lingua universale fra le gentili almecomefrale villanel'oro!

Mal'acutìssimo ingegno di Elvira e la bontà senza finenon èrano certo i ripari migliori ai trabocchi dellamalinconìadolcezza amara dalle inesplorate profondità…Non ch'Elvira facesse del convenzionale romanticismo; per carità!no. Ella passavasenza scomporsidal clavicordio ai fornelli perajutar la mamminama a volteindugiata a mirare l'agonìa delfuoco o le imaginose nubispontaneamente cadeva in una malincònicaèstasie le guancie le diventàvan lucenti di mestarugiada… perchè? per le sciagure forse a venire?…senonchèuna sola parola facetauna ganascina scherzosabastava a dissiparle ogni bujoe lei prestamente asciugàvasigli occhie rifacèvasi allegra come l' arcobaleno.

Nèalla graziosa figura d'Elvira mancava un intonatìssimo sfondo.Poichè ella avèanon un padrema un babboegregio violinistae una mammal'òttima delle mammegiòvanientrambi e che si amàvano ancora benchè maritatioltredue rose di fratellini non mai sazi di baci; e poichè abitavauna casa la meno cittadinesca della città. N'era la viafortunatamente; fuori di manoe là nè le rotaje nèi marciapiedi s'èrano mai sovvenuti di entrare; sì benel'erba cresceva al sicuroe qualche volta si coglièvanofiori. La casapìccolama la porta grandeverace insegnadel larghìssimo cuore e della stretta fortuna di quellafamigliache sul secondo ripianocon un bigliettino bellamentescritto da Elviraci accoglieva con un saluto di lieto augurio; epoi veniva l'appartamentinopòvero a stanze e a mobigliamadovizioso di vistariguardando un giardino dall'ombre spesse eprofondedi là di cui verdeggiava un'ortaglia… e cosìviaper ortaglie e giardinil'occhio arrivava agli spaldichiomatid'antichi castagni.

Inquella casa si bevèa un'auretta tutta della campagna e vifacèa la luna le sue più strane e più poèticheapparizioni e commoveva il suono delle campane. Il dì gliaugellettia sera i grilli. Di primavera in ispecieun cinguettìoun fruscìo senza riposo. Indisturbatii pàsseri avèanosotto la protendèntesi gronda costruito un villaggio dipensili cellettee quando più denso più turbinososifaceva il cippìosul terrazzino d'Elvira ne piombàvanocoppie tenacemente avvinteebbre.



** *


CorrevaGiugno; una giornata quanto mai soffocante; il cielo pioveva fiammevampeggiàvano i muri; una di quelle giornateche ti fannosentire il fastidio della tua soma mortale e ti fan sospirare i montie il lago. E neppure la notte ci era cortese di fresco; l'àerecontinuava ad èssere plumbeo; il cielo basso. Parèa chetutta la terra stessecolle fàuci sbarratesemiusteattendendo lo scoppio di un temporaleil qualesempre imminentenon risolvèvasi mai.

Èmezzanotte. Nella stanza di lei brilla un lumema è un lumevelato; e s'ode un respiro affannosocorto. Da cinque ore Elvira nonmosse labbroimmota nel suo lettuccio. Senonchè il mèdicoha dettoche nulla v'era a temereche si trattava soltanto di unafra le stranissime nevralgiela quale volgèa al suo finepronosticando una indubbia crisi felicee i parenti di leiche giàdue lunghissime notti e due giorni hanno vegliato in angosciasi sonconfortati al riposofidenti nella dotta parola e nella certezzache la figliuola è salva. Infattiil sordo lamento cessòe il mutar spesso di latoe il convulso gemito: oh Dio!…Oraa pie' del verginale lettinoè rimasta una giovinettainfermieracoallieva di Elviradalla pelle di rosa e dagli occhioniazzurrigravi di sonno.

Tacitamentela porta si apre e un giòvane entra sulla punta de' piedi.Egli è colùichein due dìfu mille volteinvocato da Elviraquello cu' essanell'ùltimo lorocolloquiobaciàndolo passionatamentedicea: son tuttatua — prèsaga del futuro. E Gigi si avvicinòal sommo del lettoguardò la giacentepoiscorso lungo laspondane chiese in isbàttito alla gentilissima vigile. Equestaa fiore di labbroa ripresecome permettèvale ilsonnogli ripetè ciò che il dottore aveva detto diElvira e ciò ch'Elvira di luitutte cose incuorantiecontògliche nell'imaginoso suo morboElvira sembrava cheudisse melodie amorose. — Ora dorme — aggiunse —domani è guarita — e sbadigliò un sospirettodi gaudio.

AlcheGigiriattinto coraggiotornò al capezzale dellasopitavi si siedetteeassuefando la vista alla mezz'ombra chetutto avvolgevasi pose a mirarla.

Lepalpèbre di lei èran chiuseabbandonata la gentilepersonaun braccio fuor dalle coltrifluente lungh'essa. Eral'affanno scomparso; non rimaneva che un sibilio leggiero.

Inquestala infermierina restò addormentatacon la ricciutatestinasul letto. Il silenzio facèvasi sempre piùneropiù pauroso…

Aun trattoudissi il ronzìo di un sinistro mosconecheentravache invadeva la stanza; che passò e ripassòsfiorando la chioma di Gigi.

Gigirabbrividì. Alzò la mano di Elvirache leggermentetremolò nella suaemàdida di freddo sudoresel'appressò alle labbra. Ma Elvira non si destò.

Ilmoscone andava intanto a picchiarecocciutonei vetripoiritornavaancor più insistentepiù minaccioso diprima. Gigi fu colto da una strana inquietezzada una folla diorrìbili idèeincalzante… ma nonon erapossìbile!… quì non vi avèa di che… eintensamente affisossi in Elvira. Anche il leggier sibilìocessato: una mollìssima quiete si diffondeva su leiuna paceperfetta. Ed egli ebbe un baleno di gioiapoi un balzo di tema.Abbandonò la diàfana mano. La mano cadde sul lettograve.

Gigisi drizzò in pie' vacillando. Credèa d'assìsterea un sogno. Fu alla finestral'aprì.

Ilcielocaliginoso: in fondouna lunga fila luminosa di puntilelàmpade del bastione… Ed agli occhi abbarbagliati di luinell'atrocìssimo dubbio di quello che era avvenuto e ch'ei nonosava accertareparveche la processione dei lumi s'andassestendendo su su verso il cielo… Baluginìo di lampo. Siscorse nell'imo orizonte una fuga di nubinereammontonate; si udìdai frondeggianti boschetti un improvviso cippìotostoammútito. E insieme ad uno schianto di tuonoincominciòa grosse goccie a cadere la sospiratìssima pioggia.



LAMAESTRINA D'INGLESE


I

Tantoper cominciare


Èuna pìccola stanza. Servecon vece alternae da sala dapranzo e da vìsiteesi potrebbe anche direda càmeraa lettochè i due sofà mi han punto l'aria di restarsempre sofà. Tègoli troppi si vèggono fuoripercrèderci bassi di piani; troppa poca mobilia dentropercrèderci alti di fondi.

Squillodi campanello. Il campanello sussulta nella stanzetta; che la siapure anticàmera?

Eal suonouna ragazza gentile si presenta a una portae leggeraleggera corre a dischiùderne un'altra. Ed ecco un bel giòvanebiondoaltoentraree tosto pigliarle con trasporto le palme.

—E il pappà? — chied'egli di sottovoce.

Auroramuove la graziosa testina tristissimamente.

—Ma il dottoreche dice?

—Dice: vi è un sol rimedio… morire. —

Auroraha nel parlare la più adoràbile erre del mondo.Maoèsignore lettricinon vi sforzate a erreggiare; unrossetto e un bianchettocome Natura dànel profumiere nontroverete mai.

Idue bei giòvani stanno zittimani con manisguardo consguardo.

—Aurora! — geme una voce dalla stanza vicina.

Lafanciulla si scuotescioglie le sue dalle mani di Enricoche conpassione le premee accorre a chi chiama.

Enricoode la voce dell'ammalatodiventando agra e stizzosadire allafiglia che lo si abbandonache lo si lascia morireanzi! che lo sidesìdera morto… E Auroragiù a piàngere.

—Oh l'egoista! — fà il giovanotto fra i dentiesospira.



II

Patriapotèstas


Perveritàtutti siamo egoisti. La differenza stà solo neimezzi di soddisfare a tale suìsmoi qualichi ha lungavedutatrova nella beneficenza; non sentendovo' direfelicitàsecofà in modo che quella ch'egli procura agli altri loillùmini di riflesso; chi brevecrede cavare dal malefomentato in altrùiun lenimento al suo; dal chetòccano-viaquelle due razze di uòmini; unagajaridenteche dispiccale rose coltivate da lei; l'altraimmusonitainstizzitala qualesi punge alle ortiche che seminò. Oh il cielo ne guardiinquest'ùltimo casodai vecchi! La gotta costrìngeli suun seggiolone? come diàvolo il mondo ha ancor baldanza dimòversi? — Perdèttero i denti? mànginotutti la pappa — Incendi Romapur che si cuoca il lor ovo…Eper disgraziail padre di Aurora — dico disgrazia e dilei e sua propria — apparteneva a costoro.

Aldoppio egoista di una sediòla ad un postoil signor PietroMorelli non èrasi maritatoche a procurarsi una serva e unmaterasso da bottenè avèa messo insieme una figlia senon a preparàrsene un'altraper quando la prima sarebbeandata fuor d'uso.

Untirannogiàsuppone un pòpol minchione; e il signorPietro si era ben scelto il suo pòpolo. Imaginatechela donna di lui — di quelle pòvere ànimeprive di volontà o senza il coraggio di averneànimenate ad ingloriosi martìri — curva sotto il trìplicepeso della faticadella mala salute e della continua ingiuriausavaa sua maggiore querelail sospiro; poistraccafrustaavéaper la paura di contrariare il maritoaspettatoe còlto a riposar tra quattr'assigiusto il momento che lafigliuola giungesse a imbracciare da sola il sopràbito albabbo. E Auroraànima anch'essa timida e per natura eabitùdineavèa accettata la successione di mammatalquale.

Madi lì a pocoil signor padre o padronepreso da un mezzoaccidenteperdeva le gambe e l'impiego. Cangiò egli allora ditàttica. Il signor Pietroadessoaveva bisogno di ajutoeveramente bisognoper non èsser più in grado diobbligare gli altri a prestàrgliene: il signor Pietro eravile; credeva che dell'amor della figliasebbene (tra noi) potessestare al sicuroci fosse poco a fidarsi; dunque dièdesi afare la vittimaa piàngerea lamentarsi. E la buonìssimaAurorala qualea dispetto di ogni rabuffo e d'ogni broncio di luil'avrebbe servito a ginocchiora ch'ei supplicavapensate!

Sottilesottile era la pensione sua. Auroravogliosa che nel bicchiere dibabbo rosseggiàssene sempre del buonosaltò su a dire:

—Darò lezioni d'inglese —

Ilsignor Pietro fissolla con dubitoso stupore.

—E sai l'inglese… tu? — disse.

—Sì — ella fece timidamente — da un pezzo.Me l'ha insegnato la mia maestra Racheli… Pappàscusa! —e aggiunseche la detta maestrala quale amàvala moltoleoffriva…

—No — interruppe il pappàgentile come un chirurgo.

Etàquero entrambi. Noavvertiteera la sua risposta abituale;sentivanel proferirlauno strano piacere. Vero èche dovèapoi scèndere al sìma pel momento era no.

Purquesta voltail diniego stette. Sospettoso come un topo frugatoilsignor Pietro pensava che le lezioni d'inglese d'Aurorase non èranogiàpotèvano convertirsi in tanti spedienti peristargli alla larga. Aurora gli avrebbe dato ad intèndere ognisorta di storie; ed egliinchiodato su'na poltronacon la finestrache non vedeva che gattiavrebbe dovutoo bene o maleinghiottirle.. Nono; egli s'amareggiava fin troppo quand'ellaperla poca provvistaera fuori.

Cosìpassò un anno; muro a muro la vita. Tuttomen la pensioneaumentava; ed il Governogiù imposte! chèquasi fosseuna vigna il paesecredeva arricchirsi l'impoverendo.

Tornòil dare lezioni d'inglese a far capolino. Aurora disse che la suavecchia maestra avèala cerca per una brava signora eacconsentendo pappà…

—No — risposesecondo il suo vezzoquella delizia dipadre. Pure soggiunse: — la vuol proprio imparare? benvenga quì.

—Oh babbo! — sclamò la fanciulla con un ghignuzzo —chi può èssere quello che fà dieci scale peruna lezione d'inglese? —

Sulcheil signor Pietro si degnò di riflèttere.'Stavoltail suo falso-egoismo se ne trovava di fronte altrettanto:lì si trattava di scègliere tra un po' più diminestra o un po' più di figliuola: e il signor Pietroforsein quella a digiunosi attenne al “po' più di minestra.”

Matuttavìavolle e pretese un mucchio d'informazioni: dopoimpòsene uno di condizioni. Ed eccolomentre Aurora èlontanaatteso con l'occhio alla lancetta del pèndololaquale ha trascorso l'ora fissata… Inquietoegli manda e rimandala ragazzina che gli tien compagnìasul pianeròttolo…E pàssano altri dieci minuti… Perchè non torna?che fà?

Auroraentra pressosaanelante.

Ilsignor Pietrosenza lasciar ch'ella dicacomincia a bajare come uncan da pagliajo. Ed essaalla prima in bilanciarisponde poirisentita. Egliallorafuori il secondo argomento! cioè ilmoccichino… Dio mio! ingrata figliola! Bianchi capelli! padreammalato… tanto chespaurita la tosacon le perle negliocchie il singhiozzogli dimanda perdono.

Poiun dìil signor Pietroveduto apparir la fanciulla con unmazzetto di fiorisi cacciò in testa che gliel avèsserdonato.

—È per tè — ella disse e lo porse —l'ho comperato per tè — aggiunseavvertendo allanuvolosa aria del padre.

Ma —in segno di grazie — questi lo getta per terra. E fà“tu hai arrossito”; quindiuna scena d'ira e di piantoilricordo di cuile làgrime molte di Auroraèbberopenaassài pena a lavare.

Oè vero ch'ella avèa arrossito?

Sì…veroche il mazzolino era un dono?

No…

Maperchè io meglio mi spieghie voi men male intendiateprenderò il fazzoletto per un capo diverso.



III

EnricoSan-Giorgio scopre la Terra promessa


EnricoSan-Giorgio era dal suo quinquennale viaggio rimpatriato. Scàpoloe milionariofu accolto a braccia aperte dalle mamminee lefigliole èbber licenza di compromèttersi; qualcunaanziingiunzione. E ben si poteva ubbidire; giòvane e belloera Enrico.

Ma!…egli era anche di spìritonon qualità da maritosìcheguardàndosi attornovìdesi tostoin mezzo adamici che gli dicèvano “se' navigato abbastanza”; ababbi che gli narràvano le domèstiche giojeapprese acolla-di-bocca in su i libri; a mamme — grandi e nongrandi — che gli toglièvano il fiato a furia disesquipedali accoglienze con tanto di fòderaora invitàndoloa pranzoper mètterlo accosto a collegialine pupazzesciocchissimamente belleora facèndolo a forza ballare convèrgini stagionatepudiche fino allo scàndalo;insommavìdesi in mezzo a una tal rete vasta d'intrighiatanta roba posticciachestomacato e anche un po' impauritorisolse fuggire laddove ancor si dormiva beatamente “il grevesonno della barbarie.”

Fermonel quale partitoEnricoun dìsoprapensieri passeggiavauna viariandando i paesi già visti e quelli a vedere. Ecchènon andrebbe al Giappone? làin quella terra da vasiin cuiil mondo è a rovescioe i nostri non-sensi hanno sensoe lenostre eccezioni son règole? Ei vi potrebbe comprare un belservizio da tèpoitanta curiosa frugaglia — epalle d'avorio cinque-entro-unae un vestiario di cartae stranidisegni (sogni fotografati) e scarpe di porcellanapiccine… eperchè no? forse coi loro pieducci vivi al didentrocon quelche segue al difuori… — Dunqueal Giappone!… sipiglia prima per Suez; si fà il mar Rosso… tocco Ceilanmi vi provvedo del buon zafferanotorno a imbarcarmi per Singapore eSciang-haivo a Nagasakipoi a Yokoamapoise si puòinfilo lo stretto di Kanagava… — Ed egli scorgèadi già i draghi-volanti nella imperiale Jeddoquando “Oè!la vitasignori! eh!” venne arrestato dalla carriola d'unperecottajo… Maledetta carriola!

Percuisi trasse di banda contro di una bottega. Era questa di fiori;ci si vedèvano vasi di novellini gerani e garòfanidesìo della pòvera agucchiatrice; vasi di erbaamarelladittamo e rutaamori della pulcellona; mazzi con ilVidoppiomusco; corone di bianche roseda far parere più infiamme la guancia di una vèrgine sposa o pàllidadoppiamente quella di una vèrgine morta; mail tuttoqualsfondo ad un più splèndido fioredico ad unafanciullavero occhio di soleferma anche lei per la carriola dipere… Oh benedetta carriola!

Ela fanciulla avèa uno di que' tai visipassavìa dellatristezzache fanno belli gli specchia colori e a contornofinissimodal naso gentilmente aquilinoe cuigli occhi furbetti eun germe di malizioso ghignuzzo sul destro canto fra i labbridàvanoil moscadello. Le manine poilunghesottilia mezziguanti di filo;unasul seno come a fermagliotenèa raccolto uno sciallettoscozzese; l'altrastringendo un mazzoluccio di violescendeva lungola gonna a mille-righe di bianco e di nero. Edall'imo di questausciva la mascherina di una scarpettapiccola sì da mèttereil dubbio se avrebbe potuto annidare una tòrtora.

Enricosi sentì il cuore sommosso; capì i suòi viaggifiniti; gli cadde di bocca lo scorcio di sigaroe:

—Oh il bel mazzetto! — fece.

Allorla fanciulla girò la testa alla voceinfiorando un sorriso;macome diede nel giòvanearrossì tutta e volse losguardo al mazzettoquasi a passargli quel complimentochesottoil nome di luièrasele volto. Eppòilesta lestapartì. Ed eglidietro.



IV

Chipuò essere quelloche fà dieci scale per una lezioned'inglese


Pochidì dopo “derlin-din-din!” sclamò ilcampanello di casa Morelli; e la servettache corse ad aprirevedendo un giòvane biondosveltobellìssimocrede'che entrasse l'Arcàngiolo Raffaele vestito alla moda.

Nedella gli dimandò che volèaned egli l'espressechètutti e due èrano già nella salaalla presenza delpadrone di casa.

Alqualeil nuovo arrivatofatto un inchinochiese:

—Ho io l'onore di salutare il signor Pietro Morelli?

—Sìper servirla — rispose l'infermoalquantomaravigliato; edopo una diffidentissima pàusa — Siaccòmodi. —

Laservettina portò al forestiere una scranna.

Quellosiedette.

—Mi chiamo Enrico… Giorgini — poi cominciò;e dissech'egli era un negoziante di panniil qualesecco dellatarda avviatura de' suòi affari in patriavoleva recarsi inAmèrica… giustamente a New-York… —

Ilsignor Pietro con un gesto assentìquasi a dire: —Ma bravo!

—Tuttavia — segui il giovanotto — c'è unmale… non conosco la lingua…

—Già; è un male — convenne l'infermo.

—Oraavèa egliil Giorginiin una casa d'amiciuditoa parlare di una signora Morellimaestra d'inglese della contessaOrologi… di cui la contessa era enchantée… —

Quìil signor Pietro rifiutò con la mano la lodequasi fosse perluibah!

—Dunque — conchiuse il Giorgini — prego lasignora sua figlia ad accettarmi a scolare; scolare un po' vecchioma pieno di buonavogliae pregola inoltre di pormi un due ore ognidìperchè io passi da lei. —

Ilsignor Pietromentre Enrico dicevane masticava una a una lesìllabe; com'ebbe finitotrassea prèndersi tempoilmoccichino di tascaspiegollogli cercò ai capi la cifraese lo applicò. Enel soffiàrselo lentissimamentevidech'egli poteva a una volta imberciare in tutti e due i bersaglicioènel po' più di minestra e nel non men di figliola.

Nondimenorispose:

—Auroranon deve star molto a tornare; ha ella pazienza diattènderla?

—Oh si figuri — fe' Enricoche meglio non isperava. Eattese. Eintantodiscorse di moltìssimo altro col vecchioil qualeuno trovando che dàvagli in tutto ragionerimasegiulebbe.

—È quà — disse a un tratto l'infermoadditando la porta — La fà l'ùltima scala… —

Enricosentissi rimescolare; si alzò.

—Stia còmodo! — suggerì il signor Pietro.

Edeccotenendo l'uscio dischiuso la servettinaentrarecon unvisetto che ancor più brillava del sòlitoAurora. Laqualesul primoscorgendo una persona inusatasostenne la vispaandatura; poiraffigurato chi erane sobbalzò.

—Il signor Giorgini — disse allora il pappà —vuole imparare l'inglese. Ei chiede se puòi disporre diqualche ora per giornoe di quali. Verrebbe quì —ed appoggiò la voce sul quì.

—Per mèsono lìbere tutte — avvertì ilgiovanotto.

—Potrèi dire anch'io lo stesso — fèsorridendo e con quel suo monello aggricciare di labbra la tosa; (edopo una irresoluzione: ) — Alle due? le và? —

Enricoche la bevèa con gli occhie a stenti non con la boccafuper rispòndere che tutte le ore passate con leidovèanoèssere belle — al par di leibelle — masi trattenne. Inveceparlò come scolare a maestro; le dimandòse l'inglese fosse una diffìcile linguachièsele contodelle più buone grammàtichedei libri di prima letturainsommacercò di tirare in lungo il collòquionèal certolei d'accorciarlo. Oh! senza il babbo per terzochissàfin quando avrebbe continuato! Cosìdovette finire. Enricostrinse la mano al pappàpoi alla splendente fanciulla. Edaquest'ùltima strettail tremoreche naque ai polsi dei due esi propagò per le venedisse lor cose che avèano pocoa che fare con l'Ollendorff e il Millhouse. Moltomigliori però.



V

Progressiin inglese


Ildì seguenteincominciàrono le lezioni. Non mai fu unoscolare più assiduo di luinè una maestra piùpuntuale di lei. Uno sedèa ad un lato del tàvolol'altra all'opposto; tra loroin sul terzoimpoltronàvasi ilbabbo; gli occhialivolti ad un libro; gli occhiun po' a destraun po' a manca.

Edopo due chiàcchiere e sulla salute ed il tempoavevaprincipio il dettato. Era curioso il notare com'ella facessefatica a dir beneegli a scrivere male. A volteEnrico sostava aporre una domanda o un dubbioo meglioa consolarsi la vista; edella gli rispondeva turbata. Turbata? epperchè? perchèforse vedèa che insegnava a un maestro? Ese sìstarsi zitta? a che?

Appressosi leggeva il dettato; capital punto della lezione. Allorale duesedie amorose s'avvicinàvano sul quarto lato del tàvolocioè in facciatina all'egoista poltrona del babboe la bellaragazzacon l'imo di un tagliacarteapriva la strada ad Enricomentre costùispessosi diperdeva a mirarenon la parolabensì le dita affilate che gliela indicàvano. E laragazza: sucoraggiosignore; dica. —

—Diàvolo d'un inglese! — borbottava il pappà.Tanto che lo scolaretirato fuori dall'èstasiaccentuava laritrosa parola in modochese Aurora gentile fosse stata solomaestran'avrebbe fatto tesoro.

Avolte poie' si sentiva solleticare da un capriccioso riccietto otitillare la guancia all'appressarsi della rasata di lei; ancora unpochinoe si sarèbbero tocche. Serràvali in quella losmarrimento medèsimo; èrano come ubbriachi; leggèvanomacchinalmente o almeno credèano lèggerechèdavveroche forloccàssero maineppur Centofanti sarebberiuscito a capire.

Fortunache tutto l'inglese del babbo consisteva in beef-steak eroast-beef con la giunta dell'yes!

Maun dìusando essi di fare anche un po' di diàlogo:

Whom do you love? — chiese la bella volgèndosiad Enrico e innamoratamente guardàndolo.

Enriconon tènnesi più.

I love you! — fece con entusiasmo.

Lafanciulla arrossò.

Love? che significa love? — disseintorbidàndosi il babbo e strascicando la voce.

Ea botta rispostaEnrico: mangio. —

IlSignor Pietro lampeggiò l'unopoi l'altracon un'occhiatatalechese le occhiate lasciàssero il segnoquella liavrebbe uccisi di colpo. Ela lezione finitaed il Giorginipartitosi die' a carteggiare il “Baretti.”



VI

Malushomo stultus est


Mal'indomani dell'amorosa dichiarazioneEnrico anticipò diqualche ora la sua venuta in casa Morellicogliendo giusto ilmomento che la fanciulla era fuori. Quel dìEnricoavèaun aspetto gravebùrberoil signor Pietro.

—Ho da parlarle — disse il Giorginiinchinàndosial vecchio; e siedette.

—Anch'io — oppose costùi con un sogghigno ditristìssimo augurio.

—Dica — acconsentì il giovanotto.

—No; dica lei — ribattè il signor Pietro.

DunqueEnricopiegossi un po' indietro sulla spalliera della sua sediapassando la mano alla bocca e accarezzàndosi il mento. Forseavèa apparecchiato un discorsoma il discorso era ito.

Ilbabbo di Aurora lo guatava attendendo.

Enricosi stancò di cercare:

—Signore — disse con risoluto cenno di capo —parliamo sgusciato. Io adoro sua figlia e gliela chiedo per sposa. —

Ve'il signor Pietro non mosse pure palpèbra. Ma con calmarisposecalma di temporale però:

—Seppi io jeriche ella faceva la corte a mia figlia; oggi leisappiachequanto a sposarlanichts! —

Enricosentissi le bragia sul viso; puresi limitò di arricciarsi imostacchi; e con le belle belline difese la causa sua e di ogni cuoregentile; toccò dell'immenso amore per leiamore chepareggiava sol quello della ragazza per lui…

Alcheil signor Pietro sbuffava e barbugliava tra le gengive: oh!mèttere in succhio una tosa… scusate se è poco!…già; al taglio come le angurie… chiòh eh!

PoiEnrico lasciò il tema su amore e parlò numerario;dissech'ei non si chiamava Giorgini; sì beneSan-Giorgiodei San-Giorgio di Ponte (che volèa dirmilionari) per cuiegli ed Auroraavrèbbero circondato illor babbo di tutti gli agi possìbili.

Laquale ùltima corda non sonò male al pappà.

—Insomma — finì il giovanottopigliando a colùicon preghiera e speranzauna mano — ella può farela felicità di noi due.

Bene;questo argomento — chi non vuol crèder non creda —ruinò tutta la càusa. Il falso egoismo susurròtosto all'infermoche là ove due si àman da verounterzo è di troppo; ch'ei sembrerebbe una pezzuola-cotoneavillani colorisudiciain un cassettino di fazzoletti-battistaaricamibianchìssimiprofumati; poisusurrò ch'eglitrarrebbe la vita in un palazzo sìma non suoin mezzo atappetia tappezzerìe di stoffaa mobiglia intarsiatama dialtri… e d'altri anche la figlia! etra una folla di serviservo; in conclusionech'egli vivrebbe splendidamente di caritàsenza il diritto ad un lagno. E Aurora intanto ed Enricoadivertirsia gioire!… gaudiumque coeli poena poenàrumdamnàtis.

Risposedunque di netto:

—No —

No?Enrico era di sùbita ira. Abbiate pazienza! c'è il vinospumante e c'è il muto. Enricoalzàtosi impetuosoappoggiò sur il tàvolo un pugnotaleche lo isfondògridando:

—Cattivisìssimo uomo! —

Ilsignor Pietrolui e la sua poltronaruzzolò fino in fondoalla stanzapàllidocome se l'omèrica botta avèsselocontracolpito.

—Fuori!… via!… — gridava; ed Enrico spaventatodallo spavento del vecchiopigliò a precipizio la porta.

Maa mezza scaladiede nella fanciulla.

—Aurora! — esclamòbaciàndola in viso —io ti chiesi a tuo padre. Egli… mi ti ha negata!… Lospaventài… perdona — e in quattro frasi la fececonta di tutto.

Edessa? Essa pure baciollo… basta? sì ch'egli uscìche lanciava scintille.



VII

Ultimispruzzi di cattiveria


Appuntoin quell'infàusto giornoil signor Pietro ebbe il secondocolpetto. Egli rimase due dì senza potere spiccicare parolaidenti serrati tantoche a pena gli si riuscì a introdurrequalche cucchiajo di roba. Nè il terzo colpetto si sarebbefatto aspettare s'egli avesse saputoche Enrico in persona era corsodal mèdico e dal farmacistae che ora stava presso di luitrepidandoin attesa di nuovamente servirlo.

Eil signor Pietro non rimise un pie' nella vita (quasi a rincorsa allamorte) se non per proròmpere ingiurie contro alla figlia edall'amato di lei. Parèa che non trovàssene mai dibastante. Sì ne disse di quelleche il mèdico confessòad Enrico ch'egli sentiva più voglia di mandarlo dal babbo chenon di serbarlo alla figlia. E questa scioglièvasi in làgrime.Voleva proprio suo padreche non le ne avanzasse una goccia perpiàngerlo morto.



VIII

Iltestamento del signor Pietro


Èdi mattina; le sei. Il dottore ha detto ad Enricoche l'ammalato puòandàrsene di minuto in minutoe il giovanotto lo disse allatosa. Sono dieci ore che il signor Pietro tiene chiusa la bocca e lepalpèbre giùrannicchiato contro del muro e ansante:soloalle prime parole di una domanda d'Aurora che avèasentore di chiesa e di pretiegliimpazientefremette.

Ela fanciulla gli è accosto e gli ha una mano sul fronteintantochènella medèsima stanzaEnricodietro di unparaventoaspetta una parola di pace.

Versole setteil moribondo si volge a faticaguarda la figliae con lavocecome l'occhioappannata:

—Aurora — fà.

—Oh babbo! — e la ragazza lo bacia.

—Par che la vita mi lasci — egli geme. — E io…io fui molto cattivo… più che cattivocon la tua mamma etè… ma…

—Oh babbo! — singhiozza la tosa.

—Ma — egli riprende con pena — io vo' che tu siafelice… Tu devi giurarmi… Eh? giuri?

—Sì…

—Di non sposare il Giorgi… il San-Giorgioperchè… —

Enricodiede un sussulto di cui vacillò il paraventoe si fuggìnella stanza vicina. Là si gettò su'na sediapianse.Oh quando stillossimio Diouna quintessenza più acuta dimalvagità?



IX

Dichiarazionedel testamento


Auroraentra là dove Enrico si sta disperandopàllidacondue madonnine che le còrrono giù:

—Pòvero babbo! — sospira.

—E tu che hai promessotu? — chiede l'amante con unsingulto d'angoscia.

Edessa: quello che manterrò.

Ilgiovanotto la mira con uno sguardo da folleuno sguardo chepreavvisa di serrare le imposte.

—O Enricoesclama la bella — e chi ne toglie di amarci? —

Esi amàrono infattie si amàrono semprechèil solo amore li tenèa legati. E stampàrono bimbiintellettualiformosii quali fùrono a loro il migliorcontratto di nozze e la migliore delle benedizioni





APPENDICE



1.LA VESTE



Aspettavamoda un'oraio e la zuppa: questa si raffreddavaio mi scaldavo.Finalmente si udì un passo affrettato. Giannetta entròvispa e gaja e... in una nuova toilette — la terzain un mese.

Aggrondàile ciglia.

—Non mi sgridare — ella disse con una voce da tortora efacendo scherzosamente colla manina l'atto di turarmi la bocca. —È percallo. Cinquanta lire.

Prevedevoassai più e perciò mi acquietài. Diròanzi: l'essermela cavata a così modesto mercato mi fe' quasicontento.

Sedemmoa tavola. Giannetta era carina quanto mai e chiacchieravachiacchierava colla più amabile incoerenza. Al secondobicchiere di vinomi saltò la stupida idea di lodare il nuovoabito.

—Non è vero che ho scelto bene? — insinuò essacon premurosa dolcezza. — Per ottanta lirecredinon sipoteva avere di più.

—Ma e non dicesti cinquanta? — domandai con sorpresa.

—Hai capito maleamor mio — rispose ingenuamenteGiannetta. — Pare a tèa tè che tantot'intendi ed hai gusto sì finoche valga meno? —

Certonon pareva. Feci un moto d'impazienza ma non dissi parola. Avendodel restogià consentito nella prima spesapotevo ancheimaginarmi benissimo di non aver più da pagare che trentalire.

Cosìil pranzettogiocondo di vino e di sguardicontinuò. Tra unaspiritosaggine vecchia e un'asinaggine nuovaGiannetta uscì adire di aver giurato alla sarta che le avrebbeil dìappressofatto tenere il denaro dell'abitosoggiungendo con unsorriso: — capirai chetrattandosi di una sciocchezza dicento lire…

—Cento? — interruppi. — Eppurela cifrase nonho male inteso…

—Ohstavolta hai inteso malissimo — sclamò essa convivacità. — Fa un po' il conto tutu che haistudiato di matematica. Ottanta la stoffasessanta la fatturaventile spese… —

Inprincipio di tàvolaavrei rovesciato… la tàvola.Ma eravamo già a mezzoe Giannettaattraverso il mio vinocominciava a diventarmi bellissima.

Perdirla in brevead ogni muta di piattiil prezzo della veste di leicome in una pùblica astaaumentava. Fortunatamentei mieipranzi non sono lunghi. Quando si arrivò alle fruttaGiannetta aveva già avvicinata la sua alla mia sediaecircuèndomi il collo col braccio: — vedraicaro —mi susurrava in voce di dichiarazione amorosa (e colle ditinagiojellate e affusolate infilàvami intanto nella tasca esternadell'abito un conticino piegato in quattro) — vedrai chepomposa figura farà sul corso la tua amatuccia colla sua vesteda… trecento lire. Sembra percallovero? ma è tuttaseta. Ne sei persuaso?

EGiannetta si partìcom'era venutagaja e vispa. Spiegàimalinconicamente il conto. Il conto diceva trecento cinquanta. Altronon mi restava che di pagarlo. E lo pagài di gran fretta perevitare il pericolo che mi crescesse anche in saccoccia.



2.DALLE “NOTE AZZURRE”



2527.Progetto di un librodal titolo “Goccie d'inchiostro” incui il Dossi raccoglierebbe tutte sue briciole letterarieavanzategli dai grossi pasti delle opere. Molte di queste briciole sitrovano già sparse e nelle sue letteree nell'AlbertoPisani ecc. e nella Palestra Letteraria ecc. come p. es. ibozzettiintitolati Istinto — Balocchi — Lacasetta di Gigio — Giudizi della giornata — Lafede — Un cas de conscience — Charitas —La corba — Le caramelle — Una fanciulla chemuore — Una visita al papa etc. etc. — Tra ibozzetti potrebbe figurare anche uno dal titolo “I giochi”.“I Giochi” potrebbero stare anche nel L. VI. R. U.Eccone la traccia. - “Sei già un ometto. Smetti digiocare che è ora” — così certibravuomini di babbi dicono ai loro figlioli quando hanno infilato laprima volta le brache. Ma che dicono proprionon sanno. —Anzituttoche intendono mai per giocare? Rispondono “giocare èun fare cosa non utile” - “E per utile? Chèseutile è ciò che soddisfa a un bisognoanche ilgiocare è un bisognoil massimo anzi ai bambini; ma sediciamo bisogno soltanto il mangiare ed il bereo quanteinutili cose! O quante son giochi. — E in verità chiproprio gioca (che i nostri figli non ci odano!) siamo noi —noi i majuscoli bimbi — Che fanno là tutte quellegentivestite dentro e fuori a un sol modoubbidienti a un tamburo;il cui mestiere è l'omicidio etc.? avec tutte quellecose lucenti etc. etc.? Giocano — E quegli altri che vannoa dormire su quelle belle poltrone celesti affine di completare ilnumero di que' etc. che credono dirigere gli avvenimenti checamminano per proprio contoattorno a un balocco che costa 17milioni all'annoche fanno? giocano — E quegli altriancoraabbigliati di carta d'oro che fanno il mestiere di adorare unDio creato da loro a loro imagine e somiglianzache fanno con tuttequelle genuflessioni etc.? giocano — e quelli nelleacademie che discutono in lingua italianase la lingua italianaesista; oppure a pesar le parole etc. che fanno? giocano —E giochi noi grandi uomini (grandi s'intende per la cresciuta) neabbiamo a bizzeffe — titolidecorazionimisticovaniloquiocerimoniali etc. etc. Lasciamo dunque che i nostribambini si trastullino il più lungo tempo possibile coi loropezzetti di legno etc. Que' giochi non costano che pochi soldi —i nostri costano orosanguelagrime — Tra i giochilereliquiei santile processionii sistemi filosofici (encicli erecicli)la framassoneria — Illi a puero magnitudineformaque corporum tantum differuntquia serio ludunt. — Ivecchi = due volte bimbi. — I nostri orribili giochi.


2559.Temi. 1° Una fanciullainnamoratasi di un giovaneè sulmorirne. I parenti di leivogliono sforzare il giovane a sposarla —Il giovaneinnamorato d'altrarifiuta — Ma la sua amantesaputa la cosaunisce i generosi suoi sforzi a quelli dei parentidella fanciulla morente. La qualeper riconoscenzadivieneamicissima della generosa. Conclusione. Il giovane vive con tutte edue — e vive in perfettissima armonia. - 2° Tales'innamora fieramente di unache non gli corrisponde. Disperatoegli cerca dimenticarlae dopo indicibili sforzici riescemercèun'altra. Ma alloraquasi a vendicarsiAmore scende in colei chenegavala qualericomponendo nella mente la figura del lontanogiovanea poco a poco se ne innamora perdutamente. Ma ètardi.— 3° È la sera. Una bellissima faccia diragazza sta appoggiata alla vetrina di una bottegaguardando versola strada. Passa un giovanepien di tristezza e d'amore. I loroocchi s'incontrano: le loro labbra si aguzzano le une verso l'altre —e i due giovani si baciano attraverso il cristallo. Donde un amore —4° Due fidanzati vanno dal notajo per l'atto nuziale. Si trattavadi un matrimonio fatto più tra i parenti che tra gli sposi. Ilnotajo è un bellissimo giovane. La fidanzata se ne innamora.Rifiuta di sottoscrivere l'atto etc. — 5° Racconto incui ci siano due figli di madre nobile e di padre plebeochetrattano d'alto in basso il padre. Umiltà del padre in lororiguardo etc. —


2571.Temi. (G. I.) l° Un bimbo dà a un povero vecchioaccattone un lucidissimo cinque quattrini statogli regalato dalbabbo. Il vecchioingannato dal suo luciorelo piglia per unmarengoe corre dietro al bimbo per restituirglielocredendo diaverlo avuto in sbaglio. Dispiacere profondo del bimboperchèla moneta è davvero un cinque quattrini. — 2° Passoper una via. Un poveretto mi cava il cappello. Io credo ch'ei misaluti a gratis e gli rendo gentilmente il saluto. Mortificazione delpoveretto — 3° Molte buone azioni ci vengono in mentequando appunto non c'è più tempo di farle. Un poverostraccione cade sotto di un omnibus. Non si fa nulla di male. Vienrimbrottato dai passanticacciato a spintonischernito. Io passooltre. Strada facendopenso quanto bene avrei fattoa lui ed a me apagargli un bicchiere di vinobevendo seco. — 4° Dues'incontrano: credono raffigurarsi e fanno per portarsi la mano alcappello. Conosciuto l'erroresi piglianoinvece dell'ala delcappelloil naso. —


3711.I villani. Nella stalla in mezzo al fimosuocera e nuoras'insolentiscono. Anche nelle società meno sporche ci si odiama l'odio è almen vestito d'amore. Quì tutto ènatura. La suocera dice alla nuora “putana de voeunanissunv'ha volsuufin quand avii trovaa on asnon come mè fioeu”. —Nuora: s'cioppeebrutta porca d'ona veggiassa! —Suocera: sont stava quindes dì amalava e s'hii maivenuu a trovamm — Nuora: crepavev minga l'istess! —e così via (dal vero). — Bizz. V. 3627Catalogo etc. 42. I contadini rifiutano il medicointelligente e si danno anima e corpo a certi loro ciarlatani che sivantano di possedere la grazia miracolosa. Costoro entranonelle capanne a segnare il malato(e se questo è una donnaanche a palpeggiarla) e gli borbottano su certe turchine preghiere daun libro fratesco in cui si trovano scongiuri per ogni sorta di maleo impedimento maligno. — Bozzetto — Io eMons.re Bignami in una casipolaun dìconfondiamoe fughiamo uno di tali strion stobbiaroeutirando fuori isoliti argomenti relat. alla buonafedealla ignoranzaalciarlatanismo. — Poi usciamo. Strada facendoil discorsopassa allo spiritismo e il Bignami mi parla con riverenza deimediums etc. Concl. È una ignoranza la nostra un po'più alta di quella dei contadinima è sempreignoranza.


4003.Della vita intellettuale e della fisica. Sono al balcone —mi sento squilibratissimo. (!) Vedo in giardino il Porroaitantedella personatutto salute ecc. Invidio alla sua vita. Penso econfronto la vita infelice dei nervi e quella felice dei muscoli.Entroseguendo il mio destinonello studiosconfortato epiangendo. Mi metto a leggerepoi a scrivere. A poco a poco mi sicompone la cerebrale congestione del genioe l'entusiasmo conflagra.Capisco allora quanto le gioje intellettuali vincano le altreedicopensando al P.: egli non avrà mai questa divina voluttà.