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CarloDossi

(pseudonimodi Carlo Alberto Pisani Dossi)




AMORI





PRIMOCIELO


Ricciarda


Benpresto cominciài ad amare e ben alto posi sùbito le miemire. La mia età non esprimèvasi ancora con due nùmerie già mi trovavo innamorato di una regina. Era questa - nonsorrìder di mèamica genialechè in amore viha cose assài più grottesche - la regina di cuoriunacioè delle quattro di un mazzo di tresette con cui mia nonna ei due reverendi pasciuti alla sua unta cucinasi disputàvanoseralmente la lor cinquantina di centesimini. Quandoa mè -che solitamente assistevo al cartaceo tornèo seduto ad unàngolo del tavoliererosicchiando libri e cioccolata - quellaMaestà gentile apparve la prima volta sul verde prato di felpacol suo visoccio dalla paffuta bontà e col suo corrosseggiante presso l'orecchio sinistro quasi a dire agli altri inpettoa mè fu posto in fronte - casta Susanna in mezzo a'bramosi vecchioni - sentìi nel sangue quella vampa di caldoquella scottante puntura come tocco di acceso carboneche segnòpoi sempre in mè l'annunciazione di un amore. E allora pigliàil'abitùdine di mèttermi a lato del giocatore cui lafortuna aveva concesso la mia regina e di lì rimanerefinch'egli non la abbandonasse sul verde tappeto e io non la vedessiraccolta e ammucchiettata con altre figure - figure indegne. Ohquanto io le auguravochedalle ditaccia negre e tozze - piedi maldissimulati - de' due sacerdotiella passasse tra le fine e bianchee trasparenti ditine di mia nonna! Una seranon mi fu possìbiledi resìstere alla tentazione e la rapìi. Ricordo ancorail cèlere bàttito del mio cuoricino (la regina giàposava sovr'esso) e insieme l'imperturbabilità del miosguardodinanzi alla commozione destàtasiper l'improvvisascomparsa di Sua Maestànei tre giocatoricurvi coicandelieri in mano a cercarla fra le gambe del tàvolo e leloro; ancora ricordo il gran sospiro di soddisfazione e di giojaquando nonnaesaurita ogni indàgine ed ogni speranzachiamòil domèstico perchè le recasse un mazzo nuovo di carte.Fu quella la mia prima conquistauna conquista rispetto alla qualepoche altre mi dovèvano poi inorgoglire altrettanto.

Quasicontemporaneamente alla reginao poco dopom'innamorài diun'altra dama - una dama ancora più eccelsaavuto almenoriguardo al suo domicilio - la Madonna. Pendeva al capezzale del miolettuccio un quadro litografato a coloriimàgine piaempietàpittòricatutto àngioli e santi col Padre eterno inlontananza. A seranon appena mi si avèa insaccato nella miatoeletta notturnaossìa in un camicione lungo più dimèla cameriera mi suggeriva in gran premura parecchiespropositate orazioniche io ripetevo sbadigliosamentestando inpie' sui guanciali col viso rivolto al quadro. Altre parole noncomprendevo di quella filastrocca che pànem nòstrum.Poi mi si diceva di baciaresul quadroil buon bambino Gesùin braccio alla Madonna. Io sbagliavo scrupolosamente e baciavo laceleste signorauna bombolotta in veste rossa e turchina. Una voltami si volle per forza far appoggiare la bocca sulla barbamalpettinata del santo patriarca e soddisfatto marito. Pianti estrilli da parte miafinchè la camerieraimpietositanon sipersuase a lavarmicon un lembo bagnato dell'asciugamanila collada falegname di cui puzzàvano - così gridavo - le mielabbra. Dal bacioinvecedella Madonna scendevasi diffondevaintutto il mio èssereconsolazione. Mi brillava quel bacio ecircolava nel sangue. Io mi sdrucciolavomi tuffavo voluttuosamentenelle càndide onde delle lenzuolafantasiando di èssercullato sovra nubi di paradisosòffici e profumate; io misentivo perfino la mano proteggitrice della Madonna posar sullafronte... nè quest'è illusione: era la mano della miamamma.

Manell'amor per le imàginidovevo fare un passo piùinnanzi. Un giorno mi si condusse a vedere una gallerìa distatue e quadri. Qual sensazione forte e nuovìssima! Nellecèllule del mio cervellosgombre ancor di mobigliaentròe si addensòtumultuosauna turba d'ogni forma e colore:corpi che si abbracciàvano con furia di sensualità ecorpi che si torcèvano tetanicamentefaccie chesghignazzàvano e volti che piangèvanopugni levati aminaccia e palme giunte a preghiera; negri marosi di galoppanticavalli e verdi chiome di selve; nubi in tempesta e cieli sereni -una confusioneuna soffocazione di cose e d'idèe che io nonaveva conosciuto mai tra la folla vera.

Troppostrana e vivasifatta emozioneperchè la curiositànon mi sollecitasse a ritentarlae perchè la nuova prova nonmi invitasse ad altre. E allora le mie prime impressioni cominciàronoa sgarbugliarsia coordinarsia modificarsi. Bastò unasettimana perchè io più non entrassi nella galleriadelle statue. La loro bianchezza mi dava noja alla vista e freddo alcuore. Sentivo penaquasi vedessi persone nude sotto la neve o genteimprovvisamente pietrificata come nella fiaba della Bellaaddormentata nel bosco.

Maanche nel campo del pensiero dipintocondensài in brevespazio le mie simpatìe. Le tele vaste e di figure assiepateche mi avèvanosulle primemeravigliatomi si ridùsseroa poco a poco all'ufficio di sfondodi tappezzerìa per letele pìccole. Odiài sempre la moltitùdinepuressendo prontìssimo ad amare ogni uomo di cui ècomposta e a innamorarmi di ogni donna.

Èdunque sulle tele pìccole e caste che io volsi la miaattenzionetrattenèndola singolarmente su quelle che fòrmanol'aristocrazìa della pittura - i ritratti. Per un'ànimanulla è più interessante dello studio di un'ànimao almeno del quadrante delle sue oreil volto. Ogni corpo somigliaappressapoco ad un altroein tutti i casiè quasi sempreeguale a sè stessoperlochè - fosse pur formosìssimo- finisce per diventare indifferentela qual cosa avverrebbe assàipresto se gli àbiti non lo dissimulàssero e semercèle lor variazioninon sembrasse variare. Raramente inveceduefaccie si pòsson scambiare: dirò di più; non c'èviso che sia quotidianamente idèntico a sè medèsimo;dondela varietà che dìssipa la stanchezza e rinnovail piacere.

Orafra i ritratti di quella pinacotecaio mi presi specialmente deifemminilipreferendo quelliper così direfuor della stradamaestra.

Ein una sala remotane scopersi unodel cui autore non mi sovvienepiù il nome e neppure ricordo se mai lo seppie che era ilritratto a mezza figuragrande al verodi una giovinettaquattordicennebionda e ricciutavestita da paggio. La giovinettaavèa sguardo melancònico e buono. La Guida tacèadi essa; nessun la copiavanessun la avvertiva; mi trovàiquindiissofattospinto verso di lei da quel sentimento dicompassione che fu sempre la nota fondamentaleo quanto menoilprimo impulso ne' mièi amori. E davveroquando m'imbatto inuna fanciulla petulante di beltà e salutesfavillante digioja e ricchezzacircondata da omaggi e sospiribenchè lefibre inobedienti pòssano in mè oscillare di desiderioil cuore non vi fà eco alcuna e io m'allontano piùpresto da essa che non m'avvicini. Colèi ha più diquanto le occorra; non ha bisogno di mè. Qual filo di lucepotrèi aggiùngere io al trionfante suo sole? qualraggio si degnerebbe ella di scèndereindivisosu mè?Foss'anche mianon sarebbe mai solamente mianèdovrebb'èsserlo. Bellezza è fatta per gli occhi ditutti: è una istituzione pùbblica. Ma seinvecelafanciulla che incontro è di quelle creature tìmide edelicate sulle cui guancieappassite dalla continua aspettazionesèguonsi i solchi delle làgrime e il cui sguardosognante e mesto pare sospiri: chi indovinerà il cuore mio? -creaturedestinate alla poesìa ed alla infelicitàperle quali fu scritto molti fiori son nati a fiorire non visti e apèrder la loro fragranza nell'aria deserta - allora io sentoper essa un ìmpeto di simpatìauna tenerezza d'amoree vorrèi èssere il sole che scalda il suo pàllidoviso e la rugiada che aderge il suo èsile stelo e il bacio cheraccoglie il suo bacio. Solo da una sìmil fanciulla potrèisperare amore: nessun'altrafuorchè leipotrebb'èsseretutta mia.

Equesta gentile era pinta - stavo per direpensando a tèpreveduta - nel ritratto chea specchio del mio amoreavevo scelto.A leiricciutelladiedi il nome di Ricciarda. Mi trattenevomezz'ore dinanzi a leiea forza di fisarlaprestàndolequasi metà del mio sguardofinivo a crèdermi guardatopure da essa. Le dicevonell'intimole parole più affettuosee me le sentivo da lei ripetute. Non so se tu abbia letto la storiadi quel giòvane prìncipe indiano delle Mille e unanotticherefrattario all'amore e più al matrimonioerastato rinchiuso dallo shah padreimpaziente di aver nipotiniin unatorreacciocchè mutasse opinionee che nella torreavendoscoperto in un antico stipetto la miniatura di una magnìficaprincipessase ne era pazzamente invaghito; che poiapprendendo dalpadre che quella bellìssima era vissuta mille e mille anniprimain una regione lontana lontanaavevasenza pèrdersid'ànimoimpugnato la sicura sua spada e inforcato l'ardenteginnetto e galoppato il mondo in traccia di lei - tant'era la suafiducia amorosa! - finchè non l'ebbe trovata. Ebbeneio apoco a pocom'imaginài trasformato in un quid-sìmileal prìncipe indiano. Non possedendo però nècavallo nè brando nè tampoco soldi per qualsisìaviaggiomi contentài di scrìvere alla mia principessauna lèttera - lunga e straziante dichiarazione d'amore - sullacui busta posi alla bionda Ricciarda presso la regia pinacotecadi... e chemunita di un francobollo per la cittàlasciàicaderechiudendo gli occhinella buca postale. E poiper molti emolti dìquando il procaccino suonava al nostro uscioiocorreva ad aprirglie sottovocequasi temendo che altri cisorprendessegli domandavo se avesse qualchecosa per mè e loguardavo supplichevolmentecon un barlume di speme che mirispondesse di sì...

Mala lèttera della mia benamata non èa tutt'oggiancorgiunta.



SECONDOCIELO


Tilia


Ancorprima che il nostro amore prenda un nomeamiamo. Vi ha una etàche in alcuno confòndesi colla infantilein cui l'ànimaanelante di congiungersi ad altra e non trovando chi incontro levengadona parte di sè perfino ad oggetti della naturainorgànicai qualisotto il suo soffiosi fanno quasisensìbili: non potendo raddoppiarsisi divide. AdelàideMarainidalla mano che sculpendo pensaha espresso plasticamentequesta etàquesto sentimentoin un gruppo di marmo lapreghiera a Vènere. Una giovinetta sedicennein cui ilsucchio vitale pulsa in tutte le vene e ne inturgidisce le mammelle ele labbraaccorresi aggrappa ad un'erma di arcàicadivinitàtagliata a rette ed a spìgoli. Nulla piùappassionato e carnale della fanciulla; nulla più indifferentee petrigno del simulacro che essa abbraccia: eppureil massoacontatto dell'amorediventa amoree assume le sembianze di Vènere.Col vuoto dinanzi a noisenza scopiil nostro desiderio siperderebbe negli spazi: un veloun'ombraun sognoche esso trovisul suo camminobàstano a trattenerne la dispersione e arèndercelo come un'ecocome un riflesso.

Qualbimboepiù ancoraquale bambina non fùronoinnamorati del loro fantoccio o della loro pupazza e non sicoricàrononon mangiàrononon piànsero osorriser con essitanto più appassionati e sollècitiintorno al loro balocco quanto esso men riproduceva il vero e peròpiù lasciava alla fantasia libero campo di migliorarlo e quasidi crearlo? Già ti narrài - amica geniale - dellaregina di cuorimia prima fiamma. Di sìmili amorialtri ebbie non pochie benchèper la lontananza degli anni e per gliocchi della memoria che vanno affievolèndosiio oggi liscorga velati come da nebbiadistinguo ancora tra essi unamarionetta in vaporosa veste di ballerinastelleggiata di talcochepiroettandofisàvami col verniciato suo sguardoaccesoroteante fiammiferoe una salutatrice magoghetta cinese che sìgraziosamente moveva la testolina dal lungo ago crinale... - cariamori di legnodi stoffadi porcellanache abitàronoatrattiil cuor mio e ne ingannàron la fame.

[Chilo direbbe? Tra gli oggetti de' miei innamoramentic'è ancheun orologio. Pur nella solitùdine ebbi istanti ancora piùsolitari. Anche il deserto contiene stese di maggiore desolazionedove traccia non scorgi di carovana e di belveorme ed ossa.Studente in una cittànella quale non conoscevo persona e nonosavo conòscernepassavo intere giornate senza uscire dicàmerasenza staccarmi dal tàvolo. Per vederequalcunoper avere una parola altrùi dovevo farmi malato emandare pel mèdico. Bisognoso allora di un cuore che al mio siaccompagnasse nè decidèndosi esso a venire a mèdalla cappa del fumo o dal buco della serraturalo trovàinell'orologio a pèndolo del caminettoun orologio napoleònicodal vibrato tic-tac. E il monòtono monosillàbicobàttito prese tosto modulazioni di lingua. Era una voce che midiceva continuamente quanto io bramava di udire ti amoti amo. Eda quell'ora non fui più solo.]

Cosìpei mòbili grandi e piccolivissuti con mè o con imièi genitori o coi padriper quanto lontanide' padri mièiio ebbi ed ho profonde affezioni. Perocchè mi sembra che partedell'anteriore mia vita e di quella di chi mi die' sangue e nomesiain essi materialmente indugiata. Quel pìccolo crocifissoincrostato di madreperla incisache posa sul mio scrittojoio nonlo possonella mia mentedistaccar dalle manianch'esse in croce eperlaceedi Anna Camillamònaca bionda e da trecent'anni miaziaconsùntasi giovanìssima tra gli incendi divini e irimorsi della castità: quel ventaglio dalle stecche d'avoriodorato e dalla pittura di rosei grassocci amorini messi all'asta fradame in guardinfante e cicisbèi in parruccami svèntolaancora in viso le risate mondane e il profumo di muschio e peccatodella incipriata quadrisàvola miaMatilde: quel fazzolettodagli stemmi tarmatimi sembraquando lo spiegoevaporare acrilàgrime delle infinite piovute dai negri ed alteri occhi dimia trisàvola Marìa Lucìapiangente il fulvomarito trafitto sull'ucciso cavallo ne' campi di Slesiala corazzalucente ai raggiinvano pietosidella luna.

Equando libo in quel càlice cristallino di Boemiaintagliato acacce di irsuti cinghiali e di più ìspidi cacciatorisento come avvicinarsi e congiùngersi alle mie le labbra dimia bisnonnala tonda e butirosa Marìa Rosalìaed èun bacio attraverso un sècolo: quando guardo quella machinosapoltrona di damasco verde smontatola veggo ancora occupata dallaaddormentata mia nonna nella sua veste eternamente nera - la buonanonna Luigiasì bella pure in vecchiajasorridente nelsonnoringiovanita nei sogni. Che più? io m'imàginoavolteseduto su' no sgabellino a' suòi piedi ed ascoltoinsaziatolei che novella della rivoluzione francese e batto le manidi giojaudendo della sua fugaentro una gerladal monastero e daParigi; e singhiozzo al racconto della mano della sua compagnaIsolinamano bianchìssimainanellata di gemmerecisa egettata dalla repubblicana bordaglia tra le spaventate educande. Unpasso più innanzi sulla via delle allucinazionie rièccomicullato dalla canterellante mia mamma in quella cuna di giunchi cheattende inutilmente un mio bimbo.

Ohletti in cui tanti parenti mièi sono nati e son mortitàvoliche li riuniste a banchetti di festasedie che li stringeste acommemorazioni di duoloscrittòi che ne componeste le irespecchi che ne rifletteste gli aspettiio vi amoe benchètarlati e fessi e cadentivi amerò sempre. Vecchi servifedeli di casa miapartècipi delle gioje nostre e dei nostridolorinon vi metterò mai - state certi - alla porta.

Matra i mòbilii libri èbbero sempre le miepredilezioni. Nè quì parlo dell'ànimo diciascuno di essima della sola esterna lor forma. Amài ilibri ancor prima che li sapessi lèggere e mi ricordo dellacommozione riverenziale con cui li guardavo allineati nelle vastebiblioteche - reggimenti d'ingegno pronti a muòver battagliaalla ignoranzacolla differenzarispetto agli altri soldatichemostràvano il dorso prima del combattimentonon dopo. E oggipurein cui lo studio mi ha quasi al punto tornato donde partìicioè alla tàbula rasaapro talvolta la mia minùscolalibrerìa e li percorro con li occhidisopra le rilegature.Parmi di avere dinanzi una folla di amici - amici che non tradìscono.E io li palpo carezzevolmente sul dorso come generosi destrieri e libacio ancheesedèndomiqualche voltasullo sporto dellalibrerìaappoggio la mia testa contr'essi e lì rimangobeatocome sulla spalla di una donna caraquasi assorbendo -feconda pioggia - il lor genioquasi sentendo il mio ferroalcontatto della loro magnetefarsi magnete.

Senonchèun'altra e più possente voce d'amore a sè mi lusinga em'attràe. È la voce della terrala gran genitricedegli uòmini e degli Deicome la dìssero i nostriantichi; la grande amantecome ioin aggiuntala chiamerèi.

L'uomonon capitò sulla terracome Cristòforo Colombo nelleIndie occidentaliquasi venuto d'altro pianeta e in atto di gloriosopredone; ma si trovòlentamentedalla medèsima terraformato e modificato; prende quindi da essa le ragioni della suaesistenzail movente de' suòi sentimentigli indirizzi dellesue azionicosicchè l'uomodi faccia alla terrasi dovrebbechiamarenon un conquistatore ma un conquistato. Dirò meglioperò: l'uomo e la terracome Filèmone e Bàucisotto un ùnico tettosi comàndano e sèrvonoreciprocamente e sempre corre tra loro uno scambionon di materiasoltantoma di pensieri e d'affettisue vibrazioni. Montesquieu hafondato su ciò la sua teorìa del clima e Buckle la suateorìa geogràficaed è pure per ciò chenell'uomo e specialmente in colùinel quale il sentimentooriginario non è affievolito o distrattosi sommovesirisvegliain presenza di questo o di quel brano di paesaggiounfondo d'insospettate memorieun sensoquasi dirèbbesidiparentela preumana.

Ohquali rapimenti d'amore ci sopraccòlgono sulla spiaggiaalchiaro di lunaquando il mare ruòtolasi e striscia a pie'nostricome tappeto di diamanti e di perle che copra movèntisiforme di donne! quali pugnaci entusiasmi ci assàlgono sotto uncielo in tempestamentre il mare sferza - negro toro furioso - lacoda suacontro lo scoglio che ci sorreggesibilandomuggendotormentosamentecome il cuor nostro! E olìmpici orgogli cisalìronoquale fumo d'incensoalla frontequandoin cimadi un montenon ad altro vassalloe in una ebbrezza di puro àereguardammo in giù le bassure del mondo e la miseria degliuòminie tenerezze improvvise ci rattènnero il passo ec'inumidìrono il ciglio presso lembi di terra verdi e ripostinei quali avremmo sì volentieri giaciuto sovra le zolle ùmidee intatteopiùancorasott'esse.

Nèla sovrana natura ci dòmina solo con gli ampli suòiabbracciamenti ma anche con i più tenui sorrisi e le piùfuggèvoli occhiate. L'agucchiatrice che sul davanzale delsolitario abbainodonde non vede che tègole e gatticoltivapochi vasi di fiorisente per essi qualche cosa di più diun'affezione botànica: il prigioniero che avvertel'arrampicarsi di un filo di èdera verso la sbarra della mutasua cellane segue con trepidanza la faticosa ascesa ostinata e loattendenon come ramicello di piantama qual vivo èssere chevenga a recargli i conforti dell'amicizia e l'odore della libertà.

Edio pureper l'umanità verdesentìitra non pocheamicizieuna vera passione. Nel giardino della mia nonnasorgeva -ùnico àlbero - una Tilia grandìflora. A mèpiccinosembrava immensafors'anche perchè il giardino eramìnimo (un prato come una sala) che essa tutto copriva dellasua ombra. Nella frondeggiante chioma convenìvan dì enotte i pàsseri del vicinato ai loro pettegolezzi e ai lorsposaliziequando fiorivavi aliàvano àurei sciamidi api. Sotto di lei io portavonella buona stagionedozzine dilibrie disteso sull'erbaappoggiavo contro il liscio e molle suotronco - dalla corteccia cara agli amori e alle lèttere - ilcapocome Amleto sul grembo di Ofelia. Pispigliàvano ipàsseri sovra di mè e si baciucchiàvanorombàvan le apidi miele gràvidetra le radicicelesti; un olezzo intensìssimo si spandeva d'intorno e dalligneo tronco quasi emanava una respirazione. E allora aprivo i mièilibried essala buona piantali leggeva con mè.

Senonchèdopo la verde e la rossaveniva la gialla stagione. Le cuoriformibarbate foglie della mia pianta cominciàvano ad ingiallireadaccartocciarsia cadere. Oh quale provavo doloreveggèndolal'amata miaobbligata a svestirsiproprio quando la nonna indossavaa mè il primo giubboncino di lana! qual mi stringeva timoreche non avesse più a rinfogliarsi! come assistevo con penadietro i vetri delle nostre calde stanzetteal fioccar della neveche facèa incanutire anzi tempo e piegare que' spogli ramiimploranti il sole! Imàgina dunque con quanta ansietàal rintepidirsi dell'ariaio spiassi lo sgelo del verde sangue dellamia Tiliae come gioissi scoprendo il suo primo germoglio!

Mauna primaverala vaga pianta restò assopita nel risvegliodell'anno. Tutto già rinverdiva e metteva fiore intorno a lei.Essa sola continuava a protèndere nudi rami egià sìpresta a saldare le sue feritemostrava ora nel mòrbido legnopiaghe irrimarginàbili. Si consultò il giardiniere diuna villa vicina. Come una mèdica celebritàchiamataal letto di un mortoil giardiniere pronunciò solennementequella sentenza che chiunquesalvo un amanteavrebbe anticipata.Tuttavìaper contentare mia nonnao piuttosto i gonfi occhidel suo nipotinoegli si arrese a tentare una amputazione senzarisparmio e senza speranza. Pòvera Tilia! Decapitatacon duemoncherini scheltriti per ariarimase lì in mezzo al pratoin sùpplice attocome il San Jèmolo della Legendaàurea. Ma invano! Anche lo stormo de' neri pàsseril'avèa abbandonatae già la nonna e la cuocaconfabulàvano collo spaccalegna. Io solone' mièiaffetti ostinatogiravocoll'inaffiatojointorno alla insensìbilepianta e le versavo continuamente al piede aqua e làgrimeesospiravo aspettando che la sua vita e l'amoremercè miarigermogliàsser per mè.



TERZOCIELO


Amelia


Maio doveva salirene' mièi amoripiù alto - sempre piùalto. Dal campo della linea esternatracciata dalla natura sia collanuda mano sia colla maga verghetta dell'artepresto passài aquello della linea internapassài dalle pinacoteche (e mettoanche tra esse le collezioni di paesaggi di vivo verde ed azzurro)alle biblioteche.

Quituttavìami trovài innanzi due vie. M'incoraggiavaverso la prima un professore di lingue clàssiche. Sbadigliavoioallorail mio primo anno di licèo. Quel professoregiànell'àbito preteaveva mutato il plumbeo latino de' santipadri con l'àureo dei padri profani Agli istòriciaigramàticiai filòsofiegliperòpreferiva ipoetie tra questi i più donnajuolicommentàndoci atutto spiano e Catullo ed Orazio e Properzio ed Ovidio.

Ohcomeleggendo egli di amoritra una folla di visicome allora inostrifreschi e femmineiorto vero di rosei suòi occhirospini diventàvano lùcidioh come la voce di luifacèvasi capreggiantequandoai passi più sdrùcciolisostava per illustrare e farci gustare bellezzech'egli chiamavafilològiche!

Edall'onda de' versi armoniosisembràvano emèrgere eposare nell'àula semicircolarecome modelle in una scuola didisegnole formose matrone e fanciulle di Roma antica - patrizie evestaliliberte e schiavecanèfore e citarededanzatrici edittèridi. E sorgeva Glicera dalle membra bianche e splendentiqual marmo pario e Làlage che sorrideva parole e Tindàrideancor più bella della bellìssima madre; sorgèvanoNèmesi e Deliale spossatrici del delicato Tibulloed Acmein grembo del suo Settimiello e Lesbia catulliana dagli innumerèvolibacicol pàssero suo. Epresso lorola gladiatoria Filenedall'amor sàffico e la mentita Licisca dal colmo seno e dagliindorati capèzzolied Ipsitilla fida e Neera spergiuraeppursì caraNeera il cui volto e più l'ira piacèvanotanto a Properzio. Quindisdrajata asiaticamente sui cusciniporpurei di una lettiga dorata e gemmatache nel sole parèaun solepassavarecàndosi al mare d'Anziola giunònicaCinzia dalla fulva chioma e dalla mano affilata: otto schiavi etiopireggèvano sulle spalle ebanine la lettigaad essa legati datintinnanti catene d'argento: due mastinidai collari aspri dipuntela accompagnàvanoringhiosa scorta. Poi la notte siaddensava nell'àere e Diana mostrava la sua pàllidafaccia: le tènere vèrginiin cerchiotenèndosia manocantàvano con voce argentina le làudi dellafredda castità della deamentre gli amanti appendèvanoalle immiti portecorone di rose bagnate dalla rugiada del pianto.Ma un rombo di applàusi e una mòbile striscia di fuocorompèvano in lontananza la calma e le tènebre:piè-veloci fanciullefra due siepi di àvidi giòvaniacclamanticorrèvano nude e pudicheimpugnando e scuotendofiàccole. Il rumore aumentavavi si aggiungeva il fracasso dicìmbali furiosamente picchiati e di scossi sistri concitatori:la sacra orgia avèa invaso la immensa cittàebaccantiin mezzo a luperci dal fecondatore flagello e satirettidalle coscie villosela percorrèvano tumultuosamentelechiome sparseagitando tirsiebbre di vino e d'amore.

Eraquesto un latino a capirsi ben fàcile anche senza commentietanto più fàcile che il professore avèanellospiegàrcelovere alzate d'ingegno; mettevaper cosìdirele alipur restando un majale. Nè io vi potrèicerto giurare che la mia pelle fosse più impervia alle carezzedella sensualità di quelle de' mièi compagni e che nonmi trovassi tanto quanto commosso a sifatta esposizione di bionde enere capigliature che toccàvano il suolodi occhi cherubàvano al mare il colore e alle stelle il fulgoredi labbratùmide e ardentidi spalle trionfalidi seni tùrgidie erettidi fianchi voluttuosidi rosati ginocchi e pièinavvertìbili... - a tutta questa filatadinanzi a noisultanuccidi non smorfiose ragazzespiranti ellènicagraziaodor di mela cotognascollate fino al mallèolo.

Tuttavìala mia ànima ne uscì illesa. L'ostàcolo che giàsi era frapposto tra essa e le creazioni della plàstica - lamancanza di affettuosità - rialzava quì il capo.Quell'amor greco o latinocosì ricco di polpem'avevaincomplessoun viso insulso. Nell'amorecome in pitturacome inletteraturacome in tuttogli antichi non possedèvano lemezze tintequelle delicate espressioni di sentimento che pènetranoassài più addentro in un cuore delle forti. Dai cielidell'amor platònicodai pinàcoli dell'amor tràgicoprecipitàvano addirittura nello stabbio della priapografìa.Era forse il loro un amor più sinceroperchè piùbestialedel nostro; era forse più adatto a mèttereassieme robusti gaglioffima non conduceva che a nozze di carneele pòvere ànime sospiràvano escluse dal tàlamo.

Moltedonne dell'antichità ammiràinon ne ho amata alcuna.Èrano grandinon affettuose: èrano bellenon gentili.Non conoscèvano il pudore del vizionon la modestia dellavirtù. Boriose semprela loro casa poteva dirsi una varietàdella piazza. Capaci di pronunciare una sentenza sublimeignoràvanoil commosso mùrmure dell'amore; pronte ad uccìdersiteatralmente sul corpo dei loro amatinon sapèvano piàngerlicon celate làgrime e morir di cordoglio. Tisbe che si lasciacadere sul ferro ancora tepente del sangue di Pìramo suoDidone tradita che spegne la fiamma amorosa tra le fiamme di un rogoLeandro che affoganel mar burrascososotto la torre e gli occhiansii di Eroaltri ed altri amori infelicifiniti nel laccio di uncànapeda un'alta rupesovra una spadanell'aquanelfuocoinvitàvano certo a pietàma la pietàcedeva in mè presto alla indifferenza. Per tanti funerali nonavevo più lutto. Anche per Ariannaabbandonata in Nassodall'ingrato Tesèola commiserazione mi si mutò inilaritàquando la vidi sì facilmente consolarsi conBacco - la dive bouteille. Di tutte le innamorate della antichitàuna sola conquistò le mie simpatìe e fu Bàcchidela giòvine e dolce eterarejetta da Ipèridela qualea coloro cheparlàndole dell'amante di un tempoora inbraccio d'altra donnale chiedèvano: e tu che fai? -rispondeva: l'attendo. -

Senonchèa casaio dimenticava fortunatamente la scuolae la campanadell'ànima mia tornava a librarsi e a squillaresenza alcunoche le tirasse la cordanell'aerea sua torre.

Miero allora assoggettato ad una nutrizionespinta alle dosi piùaltedi romanzi modernie debbo èssermene certo cacciati incorpo più che non ne potessi assimilareperocchè ogginon riuscirèi a fàrcene stare uno di piùcompresi i mièi. Oggi il capo dello scrittore paralizzòlo stòmaco del lettore.

Abbandonàndomidunque alla sdrucciolina del romanzo - sola menzogna onesta elodèvole - cominciài allora a pigliareper le eroineche vi campeggiàvanoil più vivo interessecaddi anzidi taluna di esse sifattamente innamorato da sentir gelosìaper gli amanti che l'autore aveva lor destinatoda irritarmi persinocon essiquando parèvami che trattàssero le loro damemen bene di quanto le avrèi io trattate. Nè unapassionecol mutar di romanzosostituìvasi all'altra. De'suòi amoriMargherita di Navarra dicèa che l'ùltimole rinfrescava sempre la memoria del primoe altrettanto potrèidir io de' mièi. Ogni nuovo amoreper mèera ed èun fiore che aggiùngesi al mazzo dei precedenti e ne aumentail profumo. A questo mazzo imposi però un nome ùnicoquasi sèrico nastro che collegasse i vari fioriAmeliacreatura ideale tra la nùvola e l'ombrain cui impersonavomano a manole virtù e bellezze delle mie eroine e che tutteinsieme me le rappresentavacome nel nome di donna italianasplèndono fuse la formosità delle romane e l'eleganzadelle lombardelo spìrito delle vènete e il calordelle sìcule.

Maa costituire questa amante romànticacomplessiva o mediacome si chiamerebbe in statìsticaduolmi dover confessare chei romanzi italiani - accenno a quelli di una trentina di anni fàed escludo i Cento Anni - non èbbero parte. Le donne di taliromanzi rimàsero semprea' mièi occhipiatteimpiombate nelle lor pàgine. Non parlo di quelle damemedioevalilosche e sbilencheche sembràvano stratagliatedai figurini di un vestiarista teatrale o da una tela di Hàyez.Le latine e le grechepazienza!non avèvano cuoresentimentale: queste lo avèvanoma di pezza rossa e cucitosovra il corsettocome su un piastrone di scherma. E debbo purconfessare - e mi picchio il petto - che neanche la protagonista delromanzo più celebratoe meritamentedell'Italia odiernaLucìa Mondellaseppe co' suòi occhioni bassi e lalusinga delle sue ritrosìepormi terzo fra Renzo e DonRodrigo. La tosasicuramentepossedeva un cuor non dipintomatramandava anche - almeno al sospettoso mio olfato - ilcaratterìstico odore di cotonina e stallàtico dellevillane lombarde. Con essa avrèi forse potuto fare all'amorein tempi d'infreddatura. Disgraziatamentea quell'èpocanonero infreddato.

Leeroine da mè preferitefùrono invecepressochètuttestraniere e specialmente inglesi e tedesche - fanciulle cheavèvano nei capelli il sole e nella pupilla il sereno mancantial lor cieloe nelle carni trasparenze d'alabastro e d'opalefanciulle in cui non si sapeva discèrnere dove il sognofinisse e cominciasse la realtà. S'impadronìrono essedei centri sessuali del mio cervello dando sguardi e parola e movenzealla letteraria mia Amelia. E verso mècangiatoprovvisoriamente nel giòvane Wàltervedevo accòrreree rifugiarsi Fiorenzala mite figlia del duro Dombeyo trasportavotra le mie bracciadal giardino alla sua stanzucciala pòveraDora Copperfield che diventava di giorno in giorno più lieveoa mano di Agnesescendevo dal tempiodove ci eravamo sposativerso una vita felice. Eppòiseduto con Saint-Preux ascoltavoi saggi consigli di Giuliama più mi piacèvan lelabbra donde venìvanoe mi sollazzavo con Lilì e lesue colombellela ridente Lilì ignara d'amore benchègià innamorata. E ancora: reggevo colla buona Cordelia iltitubante passo dell'allucinato rè Learo sepelivoconsilenziosa ambasciaAtala nella solitaria grottaod incontràtomiin qualche angioletta di Klòpstock smarrìtasi in terraci abbracciavamo tuttotremanti di gioja.

Mamolto più che a quelle dei romanzifui e sono devoto alleeroine dei loro autori. Parlo delle ìnclite donneche amàronoi sommi scrittori o ne fùrono amatee le chiamopur'esseeroine - specialmente le prime - perocchè non ama davvero ungran cuore se non colèi che ha un cuor grande. Quasi semprel'uomo destinato alla gloriaappare solo nel mondo ed è daquesto per lungo tempo sfuggitocalunniato anzi e deriso comeincompreso da coloro sì fàcili ad èsser capitigli stolti. Senonchèla donna magnànima lo ha scortolo ha indovinatoeprèsaga del futurosdegnosa dellamoltitùdinegenerosa a lui ed a sèaccorre al suofianco.

Talidonne han diritto alla perenne riconoscenza dell'ammirante posterità.Le più splèndide rose dell'ingegno fiorìrono alsole dell'amore. Dare un uomopòssono quasi tutte; ungrand'uomopochìssime. Sonoquestele vere muse invocatedalla poesìale vestali conservatrici del sacro fuoco delgenio. Dirèiricordàndoleche nella generazioneintellettuale avviene come nell'altranulla si può produrresenza il concorso di fèmmina. Acceso dallo sguardo di Biceilsangue di Dante si slancia ai cùlmini del pensiero e tocca ilcielo. Senza LàuraPetrarca compone la morta Africa; conLàurail canzoniere immortale. Ed ecco Margherita di Scoziabacia la bocca di Alano Chartieril deforme poetaquella boccadond'èrano usciti tanti motti arguti e virtuose sentenzeeVittoria Colonna corona di casto amore l'altera gloria diMichelàngioloe Luisa d'Albanìa debella col suosorriso il cipiglio d'Alfierie la Dama gentile teneramente consolacolle letterenon potendo colle carezzel'èsule Fòscolo.Ed ecco ancoraCarolina Màierla timida giovinettafatta disùbito ardita alla vista di Jean-Paulsi china a lui e glibacia appassionatamentetra gli scandolezzati parentila manoquella mano che sarà suae Federica Briongià felicee sempre altera dell'amplesso del letterario Giove della Germaniarespinge ogni offerta più seducente di nozzee muor soladicendoche donna amata da Goethe non poteva èsser d'altrinemmeno di un rè.

Benedettevoi tutteinsigni donnedi ogni tempo e paeseche foste madri agliuòmini eccelsiassài più di quelle che li hannoportatispesso indegneper pochi mesi nel grembo; che di essiascoltaste il silenzio e vedeste il cuore; che loro versaste nellevene l'agitante liquor dell'amoree foste patria a chi l'avevaperduta e gloria a cui era contesa; voinelle cui braccia fedeliilgenio obliò la sventura e nella cui voce sentìl'oricalco incitante a nuove pugne e vittorie. Non vi ha gagliardointellettoche non rimanga talvolta sorpreso da smarrimenti esgomenti: guài allorase solo ei si trovi; se la gemellaànima confortatrice gli manchi! Beato invece colùi chepuò riposare lo sguardo afflitto in una femminile pupilla chesplenda fede incrollàbile. Lo odiilo persèguiti ilmondo; a lui basta che ella sorrida. Si addensi pure la nottel'uragano imperversistrida il gelo; allacciato con leiegli ènella lucenel caldonella sicurezza. Benedetteripetotutte voio elettìssime! Il premio che vi concede la storia è benmeritato. Nell'aurèola che circonda la fronte dei vostriamanti od amativoi pur risplendete - voiattraverso i sècoliùnicheindissolùbili loro spose.



QUARTOCIELO


Elvira


Nelsommo del cielo letterario è la soglia del musicaleed io suquesta sostài. Non l'ho varcatamaa giudicare dall'emozioneche m'investì solo tendendo l'orecchio verso l'abisso dimelodiosi bagliori innanzi a mè spalancatodico e credo chese il paradiso ha un'anticàmeraè questa. Qualchepasso più in là e il mio èssere si sarebbe divoluttà liquefattorarefattoin uno spìrito puro.

GiordanoBrunoin quelle sue pàgine sì geniosamente malscrittechiamava la divinità ànima dell'ànima.Con egual frase io definirèi la mùsica; quella deisuoniintendiàmocinon quella dei rumori. Essa infatti ha unnonsochè di divinoea differenza delle altre artinon sàesprìmere ottimamente che la bontà. I colorigliodorile forme hanno occulti e stretti rapporti con essae verràtempo in cui si canteranno e suoneranno dal vero un mazzo di fioriun vassojo di dolciuna statuaun edificiocome oggi un foglio diromanza od uno spartito di melodrammaaperti sul leggio. Poichèdue lingue universali ci andiamo preparando noi uòminimentresi tende a riaffratellarci travolgendo governi e frontiere - una dicifreuna di note - e se diverremo completamente malvagiintèpretedelle nostre idèe sarà la prima; se torneremo buonil'altra.

Oraio ebbi un amore interamente musicale. Della mia vitanumeravo inquel tempo diciottanni di meno. Una notteverso le diecistavo nelmio studiuolocolla finestra aperta. La finestra guardava sopra unaserie di giardinetti ben pettinatiche dall'alto sembràvanofazzoletti a colorie da essicol tepore del maggiosalivano a mèle mille fragranze e i mille silenzi della verde addormentata natura.Stàvomi nell'oscuritàsdrajato in una poltronafisoal cielo stellatoin un vaneggio di pensieri.

Aun tratto oscillò nel silenzio un sospiro di violinolungolamentèvole. Il mio cuore drizzò palpitando l'orecchio.Al sospiro tenne dietro un motivo bizzarro e insieme soaveuna trinadi suoni dal capriccioso disegno su un fondo di malinconia. Ioascoltavo e tremavo. Quando il violino si taquem'accorsi di averele guance bagnate e gli occhi pieni di làgrime.

Indifferentementesi può udireimpunemente si può suonare il pianofortenon il violino. Nel pianoforte il fabbricatore mette quel tanto disentimento che il prezzo concede e alla mano non resta che dievocarlo meccanicamente - si tiraper così direal cane lacoda e il cane guaisce - nè più del vino che èin botte si cava. I cembalisti pòssono tutti arrivare ad unsegno; i cembalisti si fàbbricano come i loro strumenti. Nelviolinoinveceè l'ànima di chi suona chealleàndosialle vocali minugietrova una lingua. Tante ànimetantiviolinisti. Nel pianoforte senti sempre la materia inorgànicametallo e legno; nel violino odi la mesta eco di una vita che fu. Unosuonal'altro canta. Là è lo strumento la principalpartequi chi l'adopra. Là non ti stanchi se non le dita epuòi mèttere pancia: qui soffri e ti si affilan legote.

Lanotte appressoall'ora medèsimala musicale voce ricominciòil suo innamorato lamentoe così l'altra ancora e cosìla seguente. Io non sapevonè mi curavo saperedondevenisseio non cercavo d'indovinare se sulla sua cuna di abete fossechinato un volto di mamma o di babbo: solo sentivo di èssereperdutamente innamorato di lei. E tutto il giorno durava in mèla vibrazione di quella voce e ansioso desideravo che la nottefunerea coltresi adagiasse sulla bara terrestreper andarmi arinchiùdere - perocchè nulla è più dolcedell'amore furtivo - nello studiuoloe là attèndere lamia invisibile amica fatta di suoni.

Nedessa mancava mai al convegno. Al primo rinsenso della conosciutavocecorreva per tutto il mio fràgile èssere untrèmito. Come ipnotizzato da leiio gioiva o soffriva ognisorta di sensazione che le piacesse d'impormi.

Misembrava talvoltada lei guidatodi trovarmi fra alte disabitatemontagne in riva ad un lago senza velesenz'ondesull'aqua delquale scivolasse un raggio lunare e nel raggio una tàcitafrotta di càndidi cigni; talaltradi èssere in unaimmota atmosfera di luce elèttricain mezzo a un paesei cuimonti èran cristallo di rocca e le piante vitrificazioni acolorivitrifatto pure io: talaltra ancoradi scènderescèndere per caverne rutilanti d'oro e scintillanti di gemmefinchè - restringèndosi intorno a mè le paretidella spelonca e sul punto di rimanere asfissiato - si squarciavadicolpola terrae io mi sentivo attirato all'insù qual bollad'aria e trasportato (oh la serenaoh la fresca mattina diprimavera!) in una selva odorosa di castagno e di timo egorgheggiante d'augellidove mi smarrivo estasiato - come il mònacosanto della leggenda - per sècoli.

Mapoidalle màgiche corde balzàvano cozzo d'armi efanfare guerresche. Senonchèla nota della mestiziariaquistava sùbito il sopravvento. Pareva allora di udire duevecchi valorosi raccontarsi la loro ùltima avversa battaglia.All'urto infuriato de' cavalli nemicisi aprivano i reggimenti de'granatieri e cadevano le àquile sotto i cadàveri deiloro alfieri. Solo un uomodal cappellino sugli occhi aggrondati edalla destra nella bottoniera del bigio sopràbitostavaeretto ed immòbile nella sventurae il suo profèticosguardo imperiale vedèa la gloria - all'inno dellaMarsigliese - coronare i vinti.

Altrevoltel'addolorata ànima del mio violino sembravarammaricarsi teneramente coll'amato e dirgli: perchèsvegliasti il mio cuore se non gli volevi accompagnare il tuo? perchètante promessecollo sguardom'hai fatto se pensavi tradirle?perchè lasciasti lagrimare quest'occhi che chiamavi sìbelli e impallidir questa guancia che tanto desideravi?Maimpietositol'amato parèa azzittisse la dolce querelasullabocca di leicon un bacioed era allora un duello di bacitemendoognuno di darne meno dell'altro. Tutto finiva in un rugugliar dicolombiin un sospiro di felicità.

Mala voce del dolore erompeva di nuovo ed il suo flutto coprivainghiottiva il sottil velabro di gioia. Solenne era il lamento. Unagrand'ànimaalto-appesa in cospetto del mondobramavainutilmente di stringere tra le sue braccia l'umanità chegliele aveva divise e inchiodate. Perché - sembrava essadire - sarò io la solachenon riamataeternamente ama?Il cielo nereggiava di nubie le sue vìscere rumoreggiàvantempesta. Dalla croce fuggìvanoin ogni partebattendospaventati le alii paffutelli amorini pagani. Grosse làgrimecadèvano dalla grande ànima abbandonatamutàndosisulla terra in roseed ella elevàvasi lentamente a Dio ed inlui si aquietava.

Iorimanevointantocome incantato. assorbendo la misteriosa musicasentèndoneper così direil contattoabbracciàndolaquasifinchè l'arco non si fosse staccato dal fecondo suocongiungimento con le corde canoregocciante ancora di note.

Allorasolo potevo alzarmi ed uscire dalla stanzucciagonfio di bontà.Oh quanto mi sarèi riputato felice di avere allora un nemicochè sarèi corso a domandargli perdono! Ed è aquesto perìodo della mia vita che io debbopressochètutteattribuire le poche buone òpere che mi fu fatto dicòmpiere e le molte d'imaginare.

Mauna notte - dopo due mesi di amore - la musicale mia amante nonapparve al convegno. E inutilmente duetrequattro dìl'aspettài. Non più melodìenon piùsospiri amorositremolanti per l'àere. Dai cespugliosigiardiniavvolti nell'ombranon mi arrivava che il monòtonogrido dei grilli e il singulto del cùcolo.

Unastrana inquietùdine mi sorpreseun'angoscia mutacome ilpresentimento di una sventura. Che era avvenuto di lei? A nessunoosavo chièderne: trattàvasi di un segreto d'amore e nonpotevo tradirlo. Giravo dunquegiravo da solo e come smarritointorno all'isolato di case dov'era pure la mia e che rinserravaconsì gran nùmero di pigionantiquell'àngioloùnico di violinospiando a ogni portaad ogni finestracercando con le pupille di traversar tanta spessezza di muri e difronti.

Cosìpassàrono quindici giorni - giorni di strazio - quasiassistessi alla lenta agonìa di una persona cara. Finalmenteun mattinouscendovididinanzi al portone di una casa vicinauncarro mortuario. Stàvano sulla soglia e sul marciapiedeparecchie fanciulle abbigliate e velate di neroe disotto i veliapparivan visetti dagli occhi rossi e dalle labbra aggreppatevisiche ricordavo di aver qualche volta incontrati nella pròssimavia del Conservatorio di mùsica. Una bara fu trasportata fuordal portone - ed era breve e parèa leggera - e collocata sulcarro e coperta da una coltre bianca ed argenteasulla quale e sulpadiglione del carro fùron posate corone di càndiderose dai lunghi nastri pendenti e dalla scritta Ad Elviralecoallieve. Lentamente il carro si mosse. Le gentili compagne gli siraggrupparono intornoseguèndolocol fazzoletto sugli occhi.

Portàvanoa sepelirmi la Mùsica. E la cortina del quarto mio cielopesantemente cadde.



INTERRA


Estere Lisa


Miritrovài dunque in terra. Non era la prima voltanèdoveva èsser l'ùltimache io fossi riafferrato dallarealtàma le mie catture tra le mani di questa fùronosempre brevi. Toccavo terra ma a modo di augelloche ne' suòivoli posa a tratti su'n ramo d'àlberosu'no scogliosu'nfumajoloper riapprovvigionarsi - mìnimo Antèo pennuto- di forze e slanciarsi dalla cocca terrestre a mete piùeccelse. Se lo specchio de' mièi amori ideali restòtalora annebbiato dal fumo dell'umana paludel'appannamento benpresto si dissolvevalasciando lo specchio più lucente diprima.

Uncuore fin quì vedestio amica genialecheanelàndonee invano cercàndone un altrofoggia quest'ùltimo conparte di sè: ora il cuore stà in presenza di un suopossìbil compagnoe benchè l'amore ch'ei ne risentesia ancor fatto più di suòi pàlpiti ched'altrùiprende almenoda questicalore.

Siamoal capìtolo dov'io vorrèi ricordarecon fervore digratitùdinetutti gli sguardi che rispòsero ai mièitutte le strette parlanti di mano e le dolci parole e i sorrisi -udìbili e visìbili baci - e gli innocenti rossori percolpe non commettende e i sùbiti imbarazzi e persino le iruzzee i dispettucci adoràbiligèmiti d'amor repressotuttein una parolale caste concessioni di cui donne e fanciullemi beneficàrono. È sulla terra che noi quìcamminiamoma è terra vestita di muschio e sparsa di gigli.

Nèdal mio atto di grazia io intendo quelle di esclùdere - e sonole più - che pur non sentendo amore per mème neispiràrono vivo per esse. Innamorarlaè giàfare ad un'ànima dono divino. Come la voluttà di oprareil benequella di volerneèper sè solatalecheanche priva di contraccambiobasta. Esìger di piùèusura.

Certamentel'uomo il cui midollo sentimentale è difeso da una pelleippopotaminal'uomo pel quale nessuna donna satis nuda jacetcapirànulla affatto di questi ch'egli potrebbe chiamare prime aste odarpeggi scolàsticiesàturo di grassa concupiscenza odi soddisfatta sensualitàsi burlerà delle giojecheio vantodel desiderio puro e del tàcito innamoramento. Ma amè poco importa. Io non scrivo per lui. I mièi lettoried io con essipossessori di fibre men spessesappiamo per provache i mìnimi presentimenti d'amore bàstano a suscitarein noi emozioni che appena si accennerèbberonei contatti piùìntimi della carnein que' grossolani cuòicosicchèla donna che a noi è cortese di un sorriso o di una occhiatadi simpatìadi un sospiro desideroso o pietosodàassài più che non diaconcedèndosi tuttaaque' nostri non-sìmili.

Ohquanto mai vi rammento e ancora mi confortategentili miedi cuinon sfiorài che la vestese pure! Nessuna di voi mi halasciato e lascerà maia cominciare da quella frottafolleggiante di ragazzettechesu'n gran pratotenèndosi amanomi sorprendèvanomi accerchiàvanomè piùbimbo di essegirotondando schiamazzantimentr'ioin mezzo dilorocercavo afferrar questa o quellasenza - come poi sempre miaccadde - riuscirviperchè mi piacèvano tutte e leavrèi tutte volute.

Euna appresso all'altrami riappàjono tre fanciulle dai dòdiciai quìndici annilietezza della mia adolescenza.

Laprimafulva come uno scojàttolo e che sapèa lieve digineproavèa per mè le tenerezze selvàtiche diuna scimmietta: la mi guardava fiso in pien volto con occhi dimaliziosa affettuositàmi saltava talvolta pazzerellamentealle spalle battèndomele fortemi si pendeva con improvvisiabbandoni al braccio o mi stringeva e pizzicottava con mani che èranotanagliettesino a farmi guair dal doloreun dolor delizioso.

Eral'altra una giovinetta fràgile e trasparentedevota apròssima morte. Quante tòmbole ho mai giocato con essa!Ellachetra le prosperose compagneparèa una càndidarosa in un cestello di rosseamava sedersi presso presso di mèequando parlàvamiavèa nella voce soavità etremolìi e fruscìi commoventi. E mettevamos'intendein comune le nostre cartellemamentre gli altri badàvano ailoro nùmerinoi badavamo ai nostri occhi: ci guardavamosempre e vincevamo mai.

Quantoalla terzatenèa guancie lattee e maggiostrine chericordàvano l'imbellettatura e la bàmbola. Questa nonera uscita mai di città - una città geograficamente edintellettualmente ben bassa - cosicchè l'aria montana in cuiera venuta colla sua mamma a passare una quindicina di giorni pressola miaavèvala come ubbriacata. Fùrono quìndicidìper mè e per leidi moto e di gàudio. Inpie' alle cinque della mattinasalivamo a far colazione sui poggicircostanticorrevamo pei prati inseguendo or le farfallevolantifiorior noi stessici arrampicavamo sugli àlberi delfruttetooeretti sulla assicella della biciàncolafaccia afacciaci lanciavamoal mutuo impulso de' ginocchinello spaziofacendo a gara a chi spingesse più alto; poigiùacòrrere ancora col cerchio o la cordaa giuocare alla pallaad abbàtter birillia scompigliar ànatre ed ochefinchègiunta la seraballavamo al suono di qualcheavventizio organettonon smettendo se non con esso. Ma il giorno deldistacco ci sopraccolse. Quandoin uno dei due momenti (l'altro èquello dell'arrivoo se vuòi megliodella nàscita) incui l'uomo - come scrive Jean-Paul - sembra più caro delsòlitoil momento della partenza (e così della morte)le nostre mani trovàronsi per l'ùltima volta unanell'altraun singhiozzo mi montò alla golae gli occhis'imbambolàrono a lei. Addìofanciulla latte efràgole! Già lontaniellasporgèndosi dallacarrozza che me la portava viasventolava ancora il suo fazzolettobianco ospizio di làgrime; iodal giardino che sovrastavaalla tortuosa stradatenevo alto e agitavo i fiori cheùltimiessa m'avèa donati e che non dovèvano mainell'ànimamiaessiccare.

Equì mi ritorni anche tufanciulla bruna dai grossi coralliagli orecchii cui capelli èran notte e lo sguardo giornoecon tè l'emozione di quandosullo stesso divanosfogliavamoqualche gran libro di stampeaperto sui nostri ginocchioguardavamonella medèsima ampia lenteimàgini dilontani paesiin cui ci parèa di camminare a braccetto. Frala mia guancia e la tuaappena appena sarebbe passato un velo dasposa ed entrambe scottàvano della stessa fiamma; eppurrestàvan disgiunte. Un ricciolino della tua chiomaavvicinàndosi a' mièi capellipur riccicercava quasidi allacciarsi con essieppure non si toccàvanonè sitoccàrono mai.

Evoibelle incògniteapparse e quasi tosto sparite ne' mièiviaggicome potrèi obliarvi? L'intera notte l'avèatrascorsa in vagone colla misteriosa signora. Era il vagone occupatoda viaggiatoriuòmini tutti: non rimaneva altro posto per mèche al fianco di lei. I nostri ginocchii gòmiti nostrinonpotèvano non incontrarsi. Ned ella sfuggiva i mièimavi appoggiavaanzicontroi suòi lievissimamente. Unosbigottimento soave inondava - son certo - ambedùee logustavamo in silenzio. Oh quanti rosati castelli edificàiquella notte! oh qual romanzo credetti di aver cominciato! Ma ilviaggio finìe i castelli si sciòlseroe del romanzonon restò scritto che il tìtolo.

Orche vuòi? io preferìi sempre l'amore in bocciuolo aquellonon dirò pure in fruttoma in fiore; io non seppidecìdermi maiperchè l'àngelo non mi fuggissea tagliargli le ali. E anche tu lo puòi direo gentileilcui volto parèa uno schizzo a carbone su'n bianco murotuchedivisa da mè da una viauscivi sul terrazzino a coltivarfioriquand'io mettèvomi con un libro al mio davanzalerimpetto al tuo. Noi sentivamoio ciò che tu confidavi aifioritu quello che io leggevo nel libro. Quando poivenuta laserala tua finestra s'illuminavascorgevodietro le calatetendine di mùssoloil grazioso profilo di una inclinatatestina e di dita che agucchiàvano svelte. Ma capo e manitalvoltasi confondèvano in una sola ombra qual di piangentee allor mi era dolce di lagrimare teco. Un dì apparisti sulbalconcino con una lèttera in mano; ne leggevi una lineapoimi guardavine leggevi un'altra e tornavi a guardarmi. Quellalètteranon v'ha dubbioti annunciava amore e ti era statainviata da un amico a tè ignoto ed anchedisgraziatamenteamè. Oh quanto io gioivo della tua gioia e insieme dolèvamidi non avèrtela procurata io! Ma ora tu avevi trovato eavresti posseduto tra poco chi ti amava; io dunque non ti abbisognavopiùcara giòvine; e da quel giornoper tèfeliceinfàusto per mecessài dal guardarti.

Mapiù che ogni altraio ho in cuore tè - come mai tichiamavi? - buona e sana e rubiconda fanciulladal volto e dallemanine piene di fossarelledallo sguardo lìmpido e aperto...- ah sìÈster - che eriad un tempola cameriera ela confidente di una mia zia. Il tuo eburneo allegro sorrisoquelsorriso che è il sale della bellezzaavèa in sèla luminosità di mille candele. Soventeio passavo la sera daziacenando e poi giocando con essa al pacìfico dòmino.Tu intantosilenziosamente seduta in un àngolo della salacucivie tratto tratto sospiravi. Oh avessi saputo come io attendevocon ansia - colla stessa tua ansia forse - l'istante di potèrmeneandareperocchèuscendotu mi accompagnavi a farmi lume giùper le scale e ad aprirmi il portone. Più scendevamo e piùil passo facèvasi lento. Talora ci soffermavamominutisuipianeròttoli senza saperne il perchèin uno di que'silenzi zeppi di tante parolementre il lume fumoso nella distrattatua mano pingèa di accusatrici macchie la parete. A mèle fresche fragranze delle verginali tue carni affluìvano comeàure primaverili da prati di màmmole. Mangiavo con gliocchi le mele appiuole della tua faccia e le rosse ciliegie della tuaboccamature ai baci; e di baci avrèi voluto rièmpierele tue cento fossettei capelligli occhii rosei ginocchiettidelle dita. Senonchètutti e due si ripigliava la pigradiscesa. Giunti al portonetu non riuscivi maise non dopo assàiprovead infilare la chiave nella toppanè io sapevaajutarticosicchèspessosi rimaneva làuno infaccia dell'altroarrossendobalbettandofinchè qualcheinquilino - soprarrivando dalla strada - non ci togliesse dal gratoimbarazzo. E allora io dovevamelanconicamenterivedere le stellee tu risalire le scale... con l'inquilino. Poimorì zia. Casasuae tu con essaspariste. Dove ora seibuona Èster?

Unaltro mio amore naquecrebbefinì a strette di mano. Fra itattiquel della mano è il rè. Màssimaintèrprete o còmplice della volontàla manocoltiva ed edìficascrive e plasmacarezza ed uccide. Essa èl'azione ed è la persona: essa ci fà sùbito notocon chi trattiamochè vi ha la mano intellettuale e la manocretinauna tutta frèmitigeliaccensionil'altraimpassìbiledura: vi ha la mano che attira e quella cherespinge; vi ha la mano di pressochè tutte e la mano di...Lisa.

Eraquestalunga e biancaliscia qual perlatrasparente comealabastrodalle dita le cui cime polseggiàvano - ditaaffusolate e flessìbili sì da poterle rovesciar su sèstesse quasi fòsser senz'ossaeppur taliper nervositàda non èsser piegate che a forzase non volèvanocèdere. I microscòpici òrgani elettro-motoridaPacini scoperti ne' polpastrellidovèvano èssere insifatta mano sàturi di elettricità. La prima volta cheio l'ebbi nella miaparèa mutamarmoreacadavèrica:il suo toccouna forma convenzionale di salutonon l'accòrreredi una sensibilità verso l'altra. Maa poco a pocole nostremani si intèsero: quella di Lisa cominciò a prèmerpiù forte quand'io mi congedavo da lei di quando me lepresentavo. Oh come bianca quella manina! oh come negri gli occhi dichi me la offriva! Una seratoccàndolascattò da essaun trèmito che mi arrivò sino al cuore. D'allora inpoiLisa più non mi porse la palma sua con l'abbandonopiùnon serrò la mia con la sicurezza di prima: nell'istante delcommiato un indefinìbil ritegnouna parèntesi diriflessionesi metteva fra noiincerti a chi primo dovesse stènderla mano. Dove l'amore è moltopoca è la disinvoltura.Senonchèquando il casto connubio era osatonon piùsapevamoquasi a compenso della anteceduta tardanzadissòlverlo.E alloraguardàndocitacevamo. Non è forse ilsilenzioin amorela più deliziosa delle sue dichiarazioni?Mapur troppoaltri parlò in vece mia. Costùi potèacoprire di gemme quanto io avrèi solo potuto di bacie fu daiparentise non da Lisaascoltato. Or la manina di leiquell'augelletta chea volteio dubitavoper non sciuparladistrìngeregiace sepolta nel cavo di una manaccia rozzacallosainsensìbile - teca di piombo e di quercia ad un innoin cinque strofed'amore.

Ohstrette di manocelate elemòsine di affettooh sguardi densidi preghiere e promesseoh titubanze e rossoriimpallidimenti esospirioh cento e mille sottintesi e presensiquanto mai viricordoe cometuttorami consolate! Nè tra voi manca ilbacio - ùnico bacio che nel dar mi fu dato.

Eraallora il settembre dell'anno e il maggio della mia vita. Io mitrovavo sulla sponda di un lago stranieroin un vasto albergo.L'albergo era stipato di gente che io non conoscevo neppur dilinguaggioe però in essovivente deserto per mègodevo tutti i vantaggitutto il piacere della solitùdine. Eun dìsul tramontorincasavo da una delle mie camminate acaccia di fiori e di idèe. La campanella avèa giàsussultato di bronzea tosse chiamando a tàvoladal giardinodai pòrticidalle càmerei forastieri sbadigliosi enojati. Solodietro la grande vetriata del salone che si apriva sulpòrtico esternouna fanciulla indugiava. Un rosso sciallettole copriva le spalle cingèndole i fianchie il pellùcidovolto di leiimprontato a sofferenza gentile e serbante le tracciadi una pioggia di làgrimeappoggiàvasi estaticamenteall'ampio cristallocontro il quale la punta del suo nasino e lelabbra mostràvansia mè di quà della lastraespanse e come schiacciate. E sulle labbra parèa sospeso unsospiro in attesa di un bacio.

Comenegàrglielo? Con un sùbito moto posài la miabocca sovra il cristallo contro la sua e baciài. Le ànimenostre toccàronsi. Fu un istante ineffàbile. Lafanciulla si distaccòsi strappò quasi dalla vetriatae fuggì. Ma splendeva.

Edio? Ioall'alba seguentepartivo - sbigottito e felice di avertanto osato o sì poco.



ANCORAIN TERRA


Adele


Enon solo de' mièima degli amori degli altri ho goduto especialmente di quelli degli amici. Se taluno quì sogghignandodicesse: ciò è d'usopotrèi rispònderglicol fiero e pudico motto dei cavalieri della Giarrettiera. Lebrìciole degli altrùi banchetti amorosi hanno sempreavuto per mè sapori e profumiinsospettati a coloro medèsimiche vi sedèvanoingordi o nauseati.

Hogià detto quanto mi appassionassi ai romanzisino aconfòndermi coi lor personaggie come mi innamorassi dellesimpàtiche eroinefino ad incollerirmi coi loro amantiquando questi le trattàvano non a seconda delle mieintenzioni. Soggiungerò che la lieta fine di un amore scritto- raramente lieta in uno vissuto - il matrimoniorendeva mèpure beato. Mercè i romanziio mi trovài dunquepiùvolteamante riamato o sposo felicesenz'òbblighi notarili omorali di rimangiarmi per tutta quanta la vita i detriti dellafelicità.

Ecome sul cammino del romanzocosì in quello della vita realeio sempre mi rallegrài e rallegro all'incontro di una coppiaben assortita e contenta. La direte follìa - non peròtuamica geniale - ma io credo e mi persuado ognor più checiascuno di noi è il volume di un'ùnica òperala molècola di un medèsimo sterminato individuo sullafoggia del Leviathan di Hobbes o dei mondi animati del Nolano. E peròle altrùi gloriequando schiettem'inorgoglìsconocome se fòssero mie; gli amori degli altriquando veri eprofondimi consòlano come se appartenèssero a mè.Nulla mi è più gradito degli sguardi mutuati trapupille che si comprèndono e si vògliono bene; io mainon mi posi tra essi; anzifin dove è onestoli favorìi.Ohcon quale occhiata tu mi ringraziavio fanciullaquandouscendo a passeggioio sequestravo alla tua ìspidaistitutrice il bracciomentre l'amato giòvane offriva a tèil suo: oh comeritardandopiù che potevoil passomentrevojaltri lo allungavateaccompagnavo con occhio di affetto la vostracoppia gentile che si scambiava sussurriinarrivàbili alletesi reti acùstiche della tua vìgile!

Senonchèquanto mi è a gioja l'assìstere ad una mùsicamite d'amore a quattro mani suonataa due desideri placati inun'ùnica soddisfazionealtrettanto m'indispettisce lospettàcol di donna cheamando èssere amatagli amantiodiae li cangiacoi mille capricci della sua malvagitàinspregèvoli servi; opeggio ancorad'uomo cheferoce evigliaccofà piànger colèi che lo adora. E quiricordo un mio condiscèpolo d'universitàdel quale siera pazzamente innamorata una fanciulla buona e bella. Di qualeplebèo combustìbile si alimèntano molte volte lepure fiamme di una ragazzaè strano! in bocca di qualigattacci vàdano spesso a finire tante canarine grazioseèdeplorèvole! Aveva egli una di quelle faccie convenzionali dibel-giòvine che vèggonsi sui giornali dei sarti. Nèl'animacciachecome il saleimpedìvagli di completamentemarciredisaccordàvasi dall'aspetto. Costùisempre inammirazione di sè medèsimo - e tenèasi addossopensa! uno specchietto in cui si mirava di tratto in trattoscimmiescamente - ricevevaspessolèttere della pòverabimba etra lo sprezzante e il vanesiome le mostrava. Certamentenon èrano testi di lingua: a scuola non avrèbberoforseneppur riportato i punti occorrenti alla promozionetuttavìaspiràvano tale una ingenua e profonda passione cheleggèndoleiomentr'egliil furfantesogghignava arricciàndosi ibaffimi sentivo commosso di tenerezza per la innocente fanciulla ed'ira per l'indegnìssima càusa delle sue afflizioni. Ealloraper una magnètica trasposizione di sentimentimisembrava che tutte le lèttere che io leggeva di leifòsseronon a luima veramente dirette a mè che le meritavoe godevodelle loro espressioni come se fòssero a mè dedicate.Non solo: ma componevo le più amorose rispostele ricopiavosulla carta più fina e le mettevo in... pila. È unepistolariocome altri cèlebriin cui la posta nulla ha chevedere e che potrebbequandochessìaèsser dato allestampe senza perìcolo di rossori mièi od altrùi.Un giornomi venne poi fatto - ned era così diffìcilepoichè il mio condiscèpolo piacèvasi didimenticar dappertutto i documenti della sua vanità -d'impossessarmi di una lèttera di quel cuore malcapitato. Perlungo tempoessa mi fu soave compagna: la recavo con mè nellepasseggiate: la miravo talvolta con le pupille annuvolate di làgrimee ne baciavo con religione d'amore la firma: quando poicoricàndomil'avevo nascosta sotto il guancialemi pareva di giacere men solo.Oh fanciulla non vista mai nè a mè notache tidisperavi di non èsser riamataquanto invece lo fosti! Senelle regioni spirìtichese nel mondo della quartadimensionec'incontreremocome impalliderài di giojosasorpresatrovando negli occhi mièi le mille dichiarazionid'amore da tè sognatequelle dichiarazioniche tante volteti ho dette e tu non udistiche tante volte ti ho scritto e tu nonleggesti!

Prontoinvece fui semprecome Ovidioa favorire gli amori altrùi.Abitavo - molti anni son corsi - un pìccolo alloggioin unavia fuori di mano e tranquillatutta giardini e conventi. Di tempoin tempoun amicìssimo mio me la chiedeva in prestanza per unsegreto convegno - con chi non diceva - ma dal suo occhio serenocapivo trattarsi di ben differenti cospirazioni delle polìticheed il silenzio di lui èrane prova. E allora abbigliavo a festala mia casettacome se la sponsa de Lìbano dovesse scènderea mènon a lui; cancellavo dagli specchi ogni mìnimaappannatura e dai mòbili ogni velo di pòlvere; stendevoi lini più mòrbidi e i tappeti più sòfficinon lasciando càlice senza fiorenè fiala senz'essenzaodorosa nè cuscinetto senza spilli: disponevo perfino suitàvoli libri di gentilezzae sul leggìo del pianofortepàgine musicalidirèi amorose se tutta la mùsicanon fosse voceanche nell'irad'amore. Rientrando poia nottealtain casabenchè l'àngiolo nel suo passaggio nonvi avesse piuma perdutosentivo cullarsi nell'aria una sottilefragranza come di violette fiorite in ajuole celestie negli specchimi pareva sorprèndere ancora il riflesso di una forma dicherubino; equella notteil letto mi si cangiavatra i sogniincàndide braccia femminee. Sovratutto gioivoallorchèqualche fioredi quelli che avevo io colto e apprestatomancavaimaginàndomelo ne' suòi capelli. Una voltaper controne trovài uno di più - posato sulla Divina comediaeprecisamente ai versi amore - acceso di virtù sempr'altriaccese- purchè la fiamma sua paresse fuoreunincoraggiamento e un consiglio. E con riconoscente tremore me loavvicinài alle labbracome se offèrtomie lo baciài.Molti anni - ripeto - son corsi. Il mio amico dimenticòinteramente questo episodio della sua vita. Io serbo tuttoranellatomba immortale dove fu postoquel fiore e con esso il ricordo di unanònimo amore che ogni dì più vàfacèndosi mio.

Un'altravoltaun altro amico mi pregò di dargli una mano in unincontro ch'egli desiderava di avere con una giòvine da luiamata e lontana. Il mio amico reggevain una borgata pettègolaun pùbblico uffìcio che non gli avrebbe permesso diaccògliere in casa ragazze sole senza esporsi a commentiinfiniti. La giòvineche io non conoscevo neppur di vedutadovèa figurarquindicome sorella mia e tutti e due passareper nipoti suòi. Io mi sarei recato a ricèverla sullariva di un lagodistante poche ore dalla borgatae gliela avrèicondotta. Per riconòscerciera inteso che la giòvinenello sbarcareterrebbe in mano un volumetto dalla verde rilegaturae che io me le sarèi presentato con un garòfano rossoall'occhiello.

Mirecài dunquenel giorno e nell'ora postaall'indicato luogoed ivi aspettài la mia improvvisata parente. Il piròscafoapparve (oh come il cuore mi palpitò quand'esso riunissi allariva!) e tra i passeggeri che ne discèserovidi la giòvinecol volumetto verde - una magrolina ventennetutta solache intornoguardàvasi miopementecercandoessa purequalcuno. A lei miavvicinài arrossendoe anch'essa arrossì. Unacarrozzella attendeva lì presso. Ella vi montò susveltada un predellinoio dall'altroe la carrozzella si mosse.

Eraben naturale che nei primi momenti ci si sentisse assàiimbarazzati. Ambedùe ci vedevamo in una posizionedelicatissimadubitando e temendo ciascuno di parere all'altroquello che veramente non era. Io studiavo sott'occhio l'aspetto dellamia compagna. Ella era tutta modestianell'àbitonell'atteggiamentonel viso - un viso che io avrèi definito:un complesso simpàtico di difetti. Per interròmpere unsilenzio che cominciava a farsi uggiosole domandài qualefosse il nome del libro che teneva fra mani... - nè come ellasi nominasse sapevo ancora.

Ellaconfusami disse invece il suo - Adele -e mel disse con unamelodiosa oscillazione di voce: poiaccòrtasimentre mirispondevadella domanda che fatta gli avevomi porsearrossendoil libro.

Eraquesto un poema in versibreve di moledenso di affettoEnochArden di Tènnysonun di que'libri la cui lettura èper l'ànimo come un bagno di bontà. Io espressi le miesimpatìe pel generoso poeta ed ella si unì a mènella lode. Avviato il discorso sulla carreggiata della letteraturascopersi presto in Adelenon solo una leggitrice insaziàbileed un finìssimo crìticoma - quanto più mi fucaro - un'alleata nelle mie letterarie adorazioni. Comunanza diamicizie è di amicizia cagione. Frequentatori ambedùedi casa Shakspearecasa Montaignecasa LambRìchterManzoni e altrettalinon potevamo più considerarcireciprocamenteforastieri.

Passavala strada fra vigneti gravi di porpuree uve e sparsi divendemmiatori. Adele uscì in una esclamazione ammirativa edesiderosa. Feci fermare la carrozzellae comprammo dai vignajuoliuna grembialata di gràppoli. Steso quindi un giornale sullemie e sulle ginocchia di lei e ammucchiàtavi l'uvacimettemmo deliziosamente a mangiarlaspiccando gli àcini dallostesso gràppolo e insieme cianciando e ridendo all'ombra dellevaste impassìbili spalle del vetturino.

Epiù Adele parlava ed io miràvala e più misembrava che le sue cento bruttezze minùscole si fondèsseroin una sola e grande bellezzaquella della intelligente bontà:la sua medèsima miopìache dapprincipio parèamifastidiosaconferiva al suo viso una espressione tutta speciale diattentivitàgratìssima a chi la guardava e parlàvale.All'imbarazzo era insomma sottentrato una vera famigliarità ela parte di stretti parentistàtaci impostaci diventavasempre più fàcile.

Maad un trattoil battuto della piana strada di campagna cede'all'acciottolato fracassoso e trabalzatore di una città.

-Siamo giunti! - dissi.

-Di già! - esclamò ella in tuon di rammàricoetaque.

Lacarrozzella si arrestò ad una bianca casetta. Il mio amicoungiovinottone acceso di colorito e baffutoera sul marciapiede adattènderci. Si fe' al predellino ed ajutò a scèndereAdeleo a meglio direla trasportò giù come uncuscino di penne. Come statecarìssimi nipoti mièi?- vociava egli a noi o piuttosto ai vicini affacciati a tutte leporte e finestre - spero bene che questa volta non mi scapperete viasì presto! - E in casa ci trassesollevàndoci quasidi terrauno per braccio.

Versoserami congedài da lui e... da lei. Ella mi accompagnòfino all'albergo dove il vetturino era andato a staccare e dondesarèi ripartito - solo - con esso. Gli occhi di Adele èranoùmidi e tristie anche i mièi. Non mai fratello fusalutato con affetto più intensonon mai sorella lasciata conmaggiore dolore.




SEMPREIN TERRA


Tea


Inprocinto di riallargare le alimezzo impacciate di terraperritentare la via dei cielimi si attacca alla punta di una unpìccolo èssere abbigliato da cagnolinache facendolingua degli occhi e della coda par dica: non mi scordare. E come lopotrèiTea mia? come oserèiscrivendo di amorinoncitare il tuo nomenon fare anche a tècui debbo tantounacarezza di carta?

Chiunquesia egli il più scelleratoil più duroil piùodiato tra gli uòminiha vitale bisogno di voler bene aqualcunoa qualchecosa. Finchè a tè fan corona lebionde chiome de' tuòi figliuoletti e le nere della tua sposaalternate coi grigi capelli de' tuòi genitori ed i bianchi de'nonnie sulla tàvola vostra il cibo sùpera l'appetitonè il notajo vi si presenta se non per rogare contratti dinozzeil prete per benedire neonatiil mèdico perbrindeggiare alla salute di tuttiè probàbile chel'umanità a quattro gambe o con ali o con pinne non desti intè più di quel senso di generale benevolenza che uncuor contento non può non sentire per ogni cosa animata. Maavvenga che que' capelli non ti sieno più se non recisememorieche nessun braccio più attenda il sostegno del tuo odil tuo speri quello degli altriavvenga che degli opimi banchettipiù non ti avanzi neppure la tàvola e col cuoco tiabbian fuggito amici e clienti e favor pùbblicoavvenga inuna parola che tutte le maledizioni dell'Èrebo sìenoscoppiate sulla innocente tua testachea tètraditopersino dalla Illusione e dalla Speranza - le due meno incerte amichedell'uomo - ti si affaccila prima voltail terrore dellasolitùdineoh allora sentirài quale onda diriconoscenzadi amoredi gioja sorgerà nel tuo pettoall'apparizione di un ùmile cane che cerchi le tue carezzecome a dire io ti resto. Peggiori ancora il tuo stato: dell'ampiouniverso non ti si concèdano che pochi metri quadrati diprigione; sia tu privo del volto persino de' tuoi carcerieri - eallora al minùscolo topo che avrestia piena dispensatranquillamente cibato... di velenooffrirài grato il pannero a tè scarsoe allora trarrài pur dalla compagnìadi un ragnodi cui tanti schiacciasti colle piatte pantòfoleconsolazioni cheugualinon ti dièdero mai gli amiciscomparsi.

Qualmeraviglia dunquesein una vitacome la miapressochètutta da chiostro e da càrcere - una vita da RòbinsonCrusoe senza Venerdì - le bestie (tra le quali io mi comprendoben volentieri) àbbiano avuto una parte non indifferente?Prima ancora che giungessi a scoprire di che affetti sono essecapaciè attraverso le bestie che mi fu facile di studiarl'uomo e me stesso. In quella manieradi fattiche per tentar dirisòlvere i problemi del mondo esteriore occorre anzituttoosservarli nelle loro espressioni più sèmplicicosìper formarci una giusta idèa del mondo interioredeisentimenti che lo govèrnanodelle passioni che lo contùrbanod'uopo sarà analizzare gli organismi intellettualmente mencomplicati. Cento virtùmille vizi ha in sè medèsimoogni uomovirtù e vizi che s'intrèccianosiconfòndonosi neutralìzzano reciprocamentee rèndonomalagèvole e quasi impossìbile la sìngola lorpercezione: nella bestia invece (questo anagramma dell'uomocome fudefinita) trovi l'umana natura lìbera dalle sofisticazionidella civiltàdagli artifici della educazione: una solaqualità buona o cattiva dòmina in ciascuna lorprogenie: non vi sono le altre che semplicemente accennatecome identi del giudizio in noi. Fàcile ei quindi - ripeto - dirilevare e studiare le caratteristiche della qualitàdominante.

Oha quante idèenella cui òrbitafilòsofieconomistipolìtici non rièscono spesso di lusingarcivoibestiepraticamente ci persuadete. Uno fra i temi favoritidagli scrittori di socialismo è quello del godimento in comunedelle ricchezzedel boccone che tocchi a ciascuno in eguale misura:senonchèpur ammirando il generoso propòsitofieridubbi pòssono sòrgere in voicome sòrsero inmèsulla permanente applicabilità sua. Orbeneeglibasta che voi passiate vicinocome io passàiad un mucchiod'immondezza sovra il quale canigattitopibanchèttinoinsieme senza litigi e senza alcun desiderio di assaggiarsi l'unl'altroe tosto l'idèa della universa comunione dei beni visembrerà piana ed attuàbile. Medesimamente; corazzàtevipure di tutto il ricettario di Sèneca per non temere la mortee di Tomaso a Kèmpis per spregiare la vitaquando la morte vichiameràvoi tremerete entro la vostra corazza: possiateinvece in quel punto ricordar solo il pacìfico velarsi degliocchi nella eternità di un ùmile gattodi un mìnimoaugellettoe tranquillamente uscirete di vitacome si esce di casasenza bisogno di filosofìa e teologìa. Dignità epazienzaindipendenza e coraggiorisparmio e self-helptutteinsomma le virtù imaginabilinoi le possiamo conòsceree apprèndere nella loro purezzaassai più che neilibri degli uòmini in un pràtico corso di zoologìamorale.

Ditutte le bestieperòquella che io preferiscodopo ladonnaè il cane. L'àquila checon le ali aperte e gliocchi ardentipiomba dal cieloil leone dalla facciagigantescamente umana e dall'incesso maestosoil tigre che flessuosoed armato sta per lanciarsi sulla predasùscitanoèverouna estètica ammirazionepur sarà sempreprudente di mantenere fra essi e noi una buona inferriata. Benvolentieri si palpa il collo superbo del cavallo e con interesse siguarda il meditabondo occhio del bove e la filosòfica frontedell'asinoma il troppo volume dell'individuo da amarsi è diostàcolo all'intimità dell'affetto. Solo gli uccellinied i gatti potrèbbero compètere coi cani nelle nostreaffezioni. Senonchèper gli augelliesiste al rovesciol'ostàcolo che abbiamo rispetto alla bestie maggiori di noi -son troppo pìccoli; e quanto ai loro destinatari... Quanto aigatticioèben concedo che essi possièdono unaqualità nobilìssima di cui il cane difettal'amoredella indipendenza. Pur se si lòdano le virtùmal sisoppòrtano i virtuositanto più trattàndosi divirtù - come questa - che offende noi altri padroni. Perciòpreferisco - ripeto - i cani.

Nèdimenticherò mai Tea. Era Tea una cagnolina quasi tascabile dischiatta terragnolaa chiazze bianchenere e castagnebastardettaanzichè nò - ma quale più nobile schiatta non hain sè del bastardo? In compensopossedeva coda ed orecchieintatte e sapeva con esse esprìmersi più chiaramenteche non noiverso leicolla voce. Tea mi era stata donata giàgrandicellae nel suo stato di servizio contava parecchi fattiammirèvolitra i quali la pacificazione di una famiglia.Perocchè in questa famigliacomposta di tre ricche ed oziosequindi nojate personescoppiàvano quotidianamenteprima cheTea vi comparissegrosse liti. A ciò sceglièvasisolitamente l'ora dei pasti. Avèa ciascuno il suo sacchetto dibile a vuotare: la signora garriva aspra il marito: il padrerimproverava a torto e a ragione il figlio: quest'ùltimorispondeva villanamente a tutti e due. Rado il giornoin cui siarrivasse alle frutta senza aver rotto un pajo di piatti e dibicchieri o rovesciata qualche sedia. Senonchè il neromusettoappena natodi Teaapparìluminosoin siffattacasa. Que' tre strumenti di capiche non potèvano maiaccordarsi in nessun tuono e motivotrovàronsiper la primavoltaall'unìsono nel far festa alla nuova venuta. Ed essaafesteggiar loro. Tea divennein brevela più grandel'ùnicapreoccupazione dei suoi tre padronilo scopo dei loro discorsilamessaggera delle loro carezzela particella congiuntiva degli ànimiloro - i qualicosì occupati senza interruzione di leidimenticàvano presto e completamente sè stessi. Edov'era guerrafu pace.

L'intelligenteaffettuosità di Tea avrebbe potuto suggerire non poche pàgined'appendice al plutarchiano opuscolo de solàtio animalium.Quand'io rincasavoella sùbito indovinavamentre la fantescanon si addava di nullail mio umore; ese gajoballàvamiintorno la più allegra accoglienza: se melancònicoandava a raggomitolarsi in un àngolo del canapè e mifisava con certi furbi e lùcidi occhiettiche parèvanoàcini d'uva nerafinchè non mi avesse cavato unsorriso d'invito che me la faceva balzare sulle ginocchia. Semprevispa e contentadel restoperfino ne' suòi ùltimiistantiallorchè con l'àrida e stanca lingualambìvami ancora la manonon si querelava e piangeva che alsuono vespertino delle campane. Ed era un lamento lungoineffàbile.La Tea doveva esser l'ànima di una monachella morta d'amore.

Ohquanti buoni consigli Tea mi diede che non seguìi. Fuun'estate in cui avevo preso abitùdine di recarmi di buonmattino ai giardini pùbblicie là sedermi con un librosu'na panchettamentre la mia pìccola amica col suo musettostudiavatra la pròssima erbabotànica. Oradirimpetto a mèdi là dall'allèanon sòse per caso suo o miosi metteva sempre a sedere su un'altrapanchetta o già si trovava seduta una signora modestamenteelegante e bellapur con un libro. Ella leggeva ed anch'ioma inostri sguardi s'incontràvano spesso di sopra le pàgine.Tea non tardò ad accòrgersi delle nostre simpatìee fece quanto avrèi dovuto fare io: attraversò l'allèae si fermò dinanzi alla graziosa signoracon un'amichevolearia d'interrogazione tra chi domandi e chi offra. La signora lachiamò a sè sottovoce. Tea non si fece pregare.Raccolta carezzosamente da terrasi acchiocciolò tuttacontenta nel nuovo grembocome in casa suavolgèndomi unaguardatinacome a dire: impara o sciocco. Ma io non mi mossi. AlloraTea saltò giù con una scosserella dalla invidiàbilnicchiuccia e corse a mepiroettàndomi intornoabbajandotiràndomi per i calzonifinchè io mi alzàiedandài... via. E questa pantomima a tre attori si ripetèsuppergiù il dì successivo e parecchi dìappresso. Finalmente un mattinoin cui dopo molti sì e nòconchiusisecondo il mio sòlitocon un getto di dadiavevorisoluto di osarela graziosa signora mancò allo spontaneoconvegno. Nè più apparve. Moderata aspettazione - comelieve soffio - infiamma il desideriotroppo - come buffo violento -lo spegne. Tea aveva fatto quanto poteva per ajutarcima il suopadroncino era nato per arrivarsempre ed in tuttoun momento dopo.In qualsiasi amore vi ha un quarto d'orain cui la vittoria èfàcile e certa. Guai a colùi o a colèi che nonne approfittano. Quel quarto d'ora non torna più.

Grazieo Teade' tuòi savi consigliquantunqueper colpa miainùtili. Grazie delle tante volte che col tuo vezzeggiarecolle smorfiucciecolla sola presenzacangiasti in un sorriso ilgreppo delle mie labbra. Sempre miteobedientepazienteriempistid'affetto - come treggèa in una scàtola di grossi dolci- gli interstizi tra un mio amore e l'altrocosicchè possodire chemercè tuadurante alcuni annisul mio cuore nonpendè mai l'est locanda. E oggi ancoradall'alto dellalibreriache di faccia mi stà mentre scrivotu bianco-neraimbalsamata mia amicacol tuo zampino anteriore levatole orecchieteseil codino all'insùmi proteggie col tuo sguardo dinero cristallo fra punti di sopragittosembri dirmi: ti amo.

Oha te credo.]



DINUOVO AL CIELO


Antonietta


Avèadiciasettannisi chiamava Antoniettaera bellaera buonae morì.Dìcono fosse consunta da un amore profondo che non volle maipalesare. Cosìtra una faràggine di parolee nelrassettarmi la càmerami raccontò la portieralamattina stessa in cui Antonietta era stata portata via.

Laragazza abitava all'ùltimo piano della casa dov'iostudentescamente avevo alloggio. Vivevainsieme alla madrevèdovadi un impiegatocolla scarsa pensione di questae più collavoro delle sue dita di cucitrice. Io non le avevo parlato mai: solomi ricordavo di averequalche rara voltaincontrato sulle scale osotto il portoneun viso pàllido e ovaledagli occhi bassi ecerchiati di lividureche dovèa èssere il suo. Ebbene;all'annuncio che ella era partita per non più ritornareunaffanno mi strinsecome se si trattasse di sventura mia. Quasiafferrato pel braccio e strappato da una mano invisìbileuscìi sul ripianoscesi le scaleancor di rosa e di ceraodorantie m'incamminài verso la città della morte.

Elà giunto (non so qual senso più sottile degli altricinque facèssemi certo della via) tenni diritto a un granprato trafitto di crocidov'era un pìccolo spazio e sovr'essofresche corone di fiori. Sarèbbesi dettodinanzi quelrigonfiamento di suoloche la terra si sollevasse per non sciupareil virgineo corpo che le dormiva sottoe quasi stesse per schiùdersia ritornarlo al sole. Ivi sostàiguardando gli oziosi fioriuniti in coronechead uno ad unoavrèbber destatoaltrettanti sorrisi nella fanciulla ancor vivae mi sentìinella conchiglia degli occhi nàscer la perla del dolore.Sventurata Antonietta! Di tutte le povertàla piùtormentosa è quella d'amore. Io ti vedevochinata lasofferente testina sul telajo del ricamo o il tòmbolo delmerlettole pupille ammaccate da un lavor senza tregua e dal piantosempre aspettando sulla fossarella del collo il bacio che ti avrebbefatto felice e guarita. Ma nullanulla maied anche la speme -sogno di chi veglia - si dilegua da tè. Solo dura lamalinconìaquel verme in un bottone di rosaroditrice delletue gotedel senodel cuorenè più ti mancaperèssere morta completamenteche di serrar le palpebre.

Senonchèquì mi sorse il pensieroinsinuanteinsistenteche ioiostessol'avrèi potuta salvarecon una parolacon unosguardo d'affetto. E chi sa mai che l'ànimo suo non sitrovasse già schiuso a ricèvere il miocheanziAntonietta segretamente non mi amasse? Fosse ciò statoil nonèssermi io accorto di leierapiù che una disgraziaper tutti e dueun torto non perdonàbile in mè. E difantasìa in fantasìaavvolgèndomi nei labirintidella lògica sentimentalela quale ha règole affattoal rovescio dell'altrafinìi col persuadermi che tutte leimaginazioni mie non fòssero che realtàa ravvisarmiquasi colpèvole della immatura morte di leia soffrireinogni suo aculeoquel tormento del galantuomoche è ilrimorso.

Insommacapitò a mè quello che avvennequattrocento e piùanni fàa Lorenzo de' Mèdiciquando vide portatascopertaalla sepoltura la salma di Simonetta Cattaneo che avèanella morte superato quella bellezza che in lei viva parevainsuperàbilem'innamorài della gentil trapassata. Diquesta mia nuova passione la nota fondamentale fu il dolore. Innessun'altra època scialaquài tante làgrime comein questa. Forse in mè già celàvasi un'anònimaambasciacosicchè altro non feci che darle un nome -Antonietta. Ma il pianto non solamente è sollievoèpiacere. Recàvomi dunquepressochè tutti i giornialcamposantoe làinnanzi al tùmulo della mia pòstumaamanteriandavo tutta una storia non avvenutada quandosullescaleella avrebbe udito da mè la tanto aspettata parola aquando me la avrebbe ripetuta tra i baci: così m'imbevevoqual carta sugantem'inzuppavoquale àrida spugnadiamorosa pietàe tornato a casachiùsomi in càmerasinghiozzavo e piangevo fino al semi-deliquio. Se non mi guadagnàiin quell'èpocauna cardiopatìabisogna dir proprio oche il mio cuore fosse ben forte o il dolore ben tenue.

Coltempoquesta eròtica sofferenza per Antonietta si mitigò- non dico si cancellòperocchè io mai non cedetti unasola delle mie illusioni - e passò ad agglomerarsicollemolte altrein quell'amor complessivo in cui si abbràccianocose e persone; tuttavìa mi continuàrono a parteeancor dùranol'abitùdine e il gusto di passeggiare epensare nelle campagne della messe umana falciata.

Silenziosaè la felicitàsilenziosa è la morte. Luogo dipace e riposo fu sempre detto il cimiteroquesto gran dormitoriodella vitaecertamentea prima vistapar tale. Presso il riccoil mìsero giace senza invidiapresso il mìsero ilricco senza paura. Marito e moglie àbitano la medèsimaangusta arca sine querella; tòccano le ossa del debitorequelle del creditore: il mèdico vi ha raggiunto il clienteecon l'uccisore si confonde l'ucciso. Senonchètendendol'orecchio dell'ànimoti accorgi che tanta quiete e silenziocòprono un moto febbrileun lavorìo instancàbileAnche quìcome nella vitaqualchecosa si attendeaspìrasiad una meta e vi si industriavi si sforza di pervenire. Sulla terrasono scopi l'amorela ricchezzail dominioraramente raggiuntinon il sepolcroa tutti aperto; sottoterrai vinti dalla mortecèrcano risollevarsianticipando lo squillo delle trombedivinee lavòrano indefessamente per dissòlversi espàrgersi nelle innumerèvoli vie della terra e de'cieli e conquistar nuove forme. In questa pugna ostinatain questavita di putrefazionii pòveri si tròvano sempre piùfavoriti dei ricchipoichè non dèbbon lottare che consè stessi: gli amicii parentihanno lor fatta la caritàdi non vestirli neppure di abete. Ai ricchiinvecegli erediiquali tèmono le risurrezionidònan lenzuola di piombomura granìtichebronzee porte... oh pòveri ricchi! Dituttiperòil più sventuratoil piùlagrimandoè sempre il sovranochecangiato in mummiagrottescaè costretto a restar morto per sècoliinutilmente invocante pietosi violatori alla regia sua tombatroppoben custodita.

Quand'oggientro in un cimiteromi par d'èsservi accolto da un immensogèmito. Quel passato che cerca affannosamente di prepararsi unavveniresembra raccomandarsi a noi - ùnico suo presente - esupplicarci perchè la terra gli sia davverocome noi usiamoaugurarglifàcile e pervia. Il mio sguardo passa di pietra inpietradi croce in croceed ogni ricordo di un tènero bambùspezzato ha un sospiro da mè. E penso ai tanti disavventuratitornati al comune crogiuolosenza aver veduto fiorirenel lorogiardinole due più belle rose dell'esistenzal'amicizia el'amore. Più avanzo negli anni e più la voce che daltùmulo a noi manda Natura ha conosciute e care note per mè.Lungo il fiume della memoriadalla sponda buja (quella della vita)scorgo sull'altra sponda (la luminosaossìa della morte)sempre più aumentarsi i volti amiciche intorno a mèvan mancando. Ed io ed essi scambiamo sorrisi e saluti e bacidall'una all'altra riva.

Edalla riva in lucemi sorride Tranquillo Cremonail pittore dellabellezza castale cui teledense di sole e d'amoresèmbranonon fatte ma create; il mio Tranquillo dal genioso epigramma e dallasapiente spensieratezzainsostituìbile amico.

Epresso a luiè Pàolo Gorini di tanti pìccolimondi e di sì gran pensamenti suscitatore. Più noncrèscono le sue montagnuoleor selvose di minerbinasonospenti i suòi vulcanettiperocchè sovr'essi piùnon si china la bianca barba e la fronte affollata d'idèe e lapupilla ùmida di bontà del lor Creatore. Ma le fiammedel nostro affetto per Pàolo sàlgono sempre piùalte e vivacie sempre il monte più cresce della ammirazionenostra e di tutti per lui.

Etra Gorini e Cremonatra la scienza e l'arteun altro esploratoreglorioso degli intellettuali dominii dell'avvenire mi guardabenignamente. Grazieo Giuseppe Rovanimaestro mioscrittore edicitore magnìfico di cose degne a dirsi ed a scrìversi- nato alle càttedre universitarie ed alle tribune de'parlamentieppuredalla ignorante viltà de' tuòiconcittadini costretto al tàvolo dell'amanuense ed alla pancadella taberna! Ma tuquale un diorecavi dovunque il tuo tempioequel tempio ancor si erge e si ergerà eternamentefestoneggiato di fiori e fumante d'incensosulle nostre casùpole.

Amicimièie tuombra soavecon essi - madre mia - ho bencoraggiocredetesescorgèndovi di là del fiumequìtuttavìa rimango in tènebre e in geloattendendo lazàttera del destino che a voi mi trasportie se ancor vincola smania di gettarmi nel gorgo per raggiùngere a nuoto lariva donde voi mi accennate - riva primaverilmente verde e fioritaesoleggiata d'amore.





QUINTOCIELO


Diana


Unraggio di luna si spinge tra le imposte socchiuse e inonda ilguanciale del letto sul quale mi sono buttato vestitovinto dallamalinconìa e con essa abbracciato. È una biancaluminosa carezza che sembra dirmi: lèvatila tua amante tiaspetta. -

Edio mi levo con quel tremore che dà il preannuncio di una grangiojae scendo dalla mia campanilare dimoradonde si scòpronotanti tetti - tranquilli coperchi a scàtole piene di guài- scendo insieme dai cùlmini del mio dolore.

Nellerughe della vecchia cittàla luna mal si diffondequasisdegnando mischiarsi al giallore delle terrestri lanterne. Le stradesono affollate. La gran belva del pùbblico ha appena compiutoil suo pasto e in sè ritratti gli artigli della rapina. Orala foja le batte il fianco: la jena ha messo grugno porcino.

Eal suo contatto mi si solleva quel senso di disgusto e di nàuseache salì alla strozza e alle narici di Gùlliverquandorèduce dal cavallino paese degli Honyhnhnnsricimentàvasila prima voltaagli effluvi dell'umanità.Impaziente di sottrarmi al lezzo de' mièi cosidetti fratelliallungo il passo. Mi caccio in vie ed in viòttoli fuori dimano. Della bìpede folla più non incontro che raricampioni - ùltimi chicchi di una gràndine devastatriceùltime fucilate di una sanguinosa battagliaùltimepiante di una semovente appiccatoja foresta. Per strade affondate tracieche mura di monasteroper porticati che sono voràgini dioscuritàil mio passo risuona alto nella solitùdine.

Mala città che sà d'uomo si arresta. Le spalle mi sisgràvan come di un peso: respiro. Dinanzi a mènellalata campagnacinta ancor dalle muragiàciono le ossa diun'altra cittàla premorta; un naufragio di templi e di caseda cui sornuòtano tronchi di colonne e punte d'obelisco. Eragià il luogo pianura: le ruine lo mutàrono in colleenella pioggia argentea della luna che copre tuttosèmbrano imontìcoli assùmere fantasticamente le forme degliedifici scomparsi. Il mio passo s'è fatto - quasi dirèi- ìlare: bevo luna e me ne inebrio come di Sciampagna.Musicali pensieri fioriscono spontaneamente sulle mie labbra: poesìaonde vergogno tramezzo la gentemi esultasolitario orgoglionelcuore. Tutte le femminine giovanili parvenze degli obliati mièilibri mi vèngono incontromi sèguonomi circòndano.Camminoporgendo il braccio alla pòvera Elvira sul cui voltola forma perdèvasi nell'espressioneElvira che amavanonfaceva all'amoree tenendo a mano la piccioletta Gìacreatura da scatolino e bambagiadai lucentìssimi occhi chelo sguardo lasciàvano dove posàvansi. Veggo Inescolord'amore e pietàcorreggesca madonna fuggita alla gloria di unquadro; e Aurorala maestrina d'inglesecui gli occhi furbetti edun germe di malizioso ghignuzzosul destro canto del labbrodàvanoil moscadello: veggo Clarala sempre estàtica suora che parbarlume di perla e par nebbiae Camillafaccia di rosa-bengalasoda e fresca come la dea Salutealla cui gaja voce mettèvansia chiucchiurlare tutti gli uccelli di gabbia del vicinato. SorgeIsolinafràgile e svelta come un càlice di Muranodalle bianche manine coperte di zaffiri e smeraldi; appàjonoamichevolmente allacciate in un ùnico amplessole treeducandeEugenia in istile baroccobianco-rossacome pomi aodorarsoave e buonaIsa smilzaelegantedai guanti eterniEldasuperbadal pallor di magnolia e dai grigi occhi mordenti.

EForestina biondìssimache era tutto un sorrisoa sèmi chiama collo sguardo lìmpido e aerino e colla mòrbidavocee l'adolescente ostina solleva verso di mè - non piùinsodisfatta - il suo volto dai colori contadineschi ma dal profilodi damae la sua bocca da bacie il mento dal sigillo d'amore.Tutte tuttein una parolami risùscitano intorno e miaccompàgnano le fanciulle gentilidi cui fui babbo nei librinon potèndolo èssere nella vita.

Ecammino - cammino viepiù spedito - talvolta con la sensazionedi leggerezza di chi volasognando. Anche le rovine si arrèstano.I sècoli le hanno pur esse distrutte e ne tornàrono imateriali al greggio stato di natura. Fin dove l'occhio arrivaèuna grandiosa pianura lievemente ondulatasenza un tettosenza unarbusto - una nevicata lunare. La si direbbe la superficie di unbacino di aque increspata da un venticello e impietrita; un mare diluna e silenzio nel quale mi sembra di navigare - ùnica velaperduta.

Maecco un grosso arrotondato macignomemoria forse di un ghiacciajoritràttosi; ecco il luogo (m'imàgino) dove lamisteriosa mia amante mi ha dato la posta e verrà. Colàmi fermo e la attendo.

Ellanon può tardare. La lunache io miro intensissimamenteègià veduta da leie già i nostri occhi s'incòntranoe spècchiansi nel terso suo scudo. Immòbile come peropra d'incantocelando l'immenso mio gaudioio la sentoavvicinàrmisi lieve lieve alle spalle e quasi toccarmi; io neavverto il caldo e fragrante respiromentre una palma leggera parche mi sfiori i capelli. Osassi solo di vòlgermila vedrèiin pien volto e le cadrèi nelle braccia.

Chisei tuinvisìbile èssereche sempre a mèscendi per la scala d'argento della lunarecàndomi i donicelesti dell'amore? Sei forse l'eco di una armonìa che cessòsulla terra o il motivocome credo piuttostodi una non ancorcominciata? E allorao idèa gentileche aleggi nell'aria cheio aspiro o nuoti nell'ètere nel quale è tuffatol'opaco nostro pianetaperchè tardi a posarti in questo puntoche si chiama vitae non scegli o non subiscianche tuuna formaabbracciàbileintanto che ho braccia per strìngerti?Ma io conosco chi sei. Io ti vedo attraverso i tempi e giàbrilli nel mio equatoriale come stella distante da mè anni esècolieinsiemevicina pochi minuti secondi. Sei la carafanciulla che troverà questo mìnimo libroeleggèndolosospirerà dell'amore ond'io gemoscrivèndolo. Io non sarò allora che quanto tu fosti -polve ed ombra - tuttavìanon lamentarti... non lamentiàmoci.La vita umana ha radici nel profondo passato e rami e fronde nel piùremoto avvenire; l'ànima non è in noi solamente maintorno a noie amore non sà confini. Finchè io a tèpenso e tu a mènon potremo mai dire che amore ci manchi. Inquesto stesso momento - ùnico per tutti e due - in cui ioscrivo e tu leggiil mio passato diventa il tuo avvenirele ànimenostre s'incòntranosi riconòsconosi fòndonoin un bacio schioccanteche non ha fine.



SESTOCIELO


Celeste


Daisogni ad occhi apertifin quì descrittia quelli ad occhichiusimìnima è la distanza. Bastaa varcarlaunmoto di pàlpebra.

Qualefilòsofo abbia detto ciònon ricordo (sono tanti ifilòsofi e tanti i lor dispareri!) ma certamente fu detto chein ciascuno di noi esìstono parecchie individualità eche si vivesuccessivamentepiù di una vita. Se questo siaesattoriguardo alla maggior parte degli uòmininongiurerèi: di molti anzi potrebbe dirsi che non s'accòrgonopure - e sìano pur lunghi gli anni durante i quali rùminanola bassa lor erba terrestre - di aver vissuto una volta sola.Riguardo però a mè e ad altri sognatorelli mièiparila molteplicità della vita è cosa interamentevera. Soltantonon mi accorderèi con que' signori filòsofisulla successività delle diverse nostre esistenzeessendoqueste - a mio avviso - piuttosto contemporaneeparagonàbiliquindi a più cavalli attaccatiin una sola schieraad unùnico giogo di cocchio. Fatto èche quandocoricàndomidall'esistenza che chiamerèbbesiverticaletrànsito alla orizzontalemi si àprono adue battenti le porte di un altro mondo e là rivedo cose epersonenon rifritture di quelle che già conoscoe làritrovo le fila di avvenimenti e di affettirimasti sospesinell'intervallo del dìalle quali mi riannodo. E allora midesto - dirèi - dalla veglia quotidiana.

Ohsogni benedetti - delirio muto della salute che dorme - quanto videbbo mai! e quanto più vi dovrò! Finchè voi nonmi abbandoniatenon potrò dirmi infelice. Sedelleventiquattr'oreche fòrmano il sòlito giornonepossiamo solo contare - contro quattòrdici o sèdici didesiderio e dolore - otto o sei di soddisfazione e piacerebasta: lavita ci è largamente indennizzata. Orda voiebbi tutto ciòche quasi sempre invano si ambiscericchezzapotenzaamore; esopratutto gustài quel lìbero arbitriochead occhiapertinon è più lungo della catena di circostanzeditradizionidi casialla quale ciascuno è legato. Manelsognopolsi e mallèoli sono fuori da ogni strettoja lògicae convenzionalenessuna fìsica leggea cominciare da quelladella gravitàci preme le spallela materiadi cui siamoschiavi e figliuolici obbedisce a sua voltanè lariflessione più insorge a turbare la schietta òpera delsentimento. Tuttodinanzi a noipiega. Dioche cercavamoinutilmente nel cielotroviamo in noi.

Quantoio viaggila nottenegli spazi e ne' tempi è indescrivìbile!Non vi ha treno-lamponon vi ha palla lanciata dal piùpotente cannoneche mi possa seguire. Liberato dal peso del corpoio mi sento quasi mutato in una di quelle creature fatte ditrasparenza e luminosità del Paradiso di Danteche guìzzanocome raggi di luce nell'empireo e cantando vanìscono comeper aqua cupacosa grave.

Ne'mièi voli trapasso le scene di cui si compone la storia delgloboda esso sollevàtesi come strati d'imàginicomefogli carbonizzati di un libroe diffondèntesiper gli spaziinteplanetarinella eternità.

Ioattraverso i paesaggi più vari. Ecco l'ampia terra: le pioggiee le nevi di sìlice sònosi appena indurite in sabbie emacignie forme spettacolose di neri mostri si muòvono per levalli e pe' monti o nuòtano nel mare fumante. Altre belvechesaranno poi uòminisi aggìrano in selve che sèmbranolacerare coi rami il cieloe l'èrebo colle radicieparecchie si bàttono a colpi furiosi di clava. Una donnaferinamente bella e non coperta che della chioma rossastàalle fàuci di un antroa guardarli. I lottatori procòmbonouno appresso all'altromassacrati. Uno solobenchèacciaccato di colpiè ancora in piedie la donna gli sigettagli si avvinghia al villoso toracebaciando avidamente ilsangue che da lui colamisto a quello de' suòi rivali. E sidona al più forte.

Male secolari piante prèndono aspetto di gigantesche colonne daicapitelli a fiore di loto e il sacro orror della selva si diffonde inun tempio. La vèrgine figlia di Faraone siede alta su untronodinanzi la mìstica cellacircondata dai sacerdoti diAmmonestretta la fronte da regie bendeil braccio destroappoggiato al ricurvo bastone dei pastori d'uòmini. A lei sipresèntano i giòvani eredi de' regni vicinie isacerdoti pòngono loro quistioni più enigmàtichedelle sfingi della grande allèa del tempiopiù acutedegli obelischi che èrgonsi innanzi ai venerati piloni. Purquì non si tratta di piegar l'arco pesante del rèd'Etiopia nè di vincere al corso la leggera gazzella nèdi atterrare furibondi leonie i prìncipipoderosi dimembragràcili d'intellettoimpallidìscono e siritràggon confusi. Non ne rimane che unoa sostenereasuperare lo sguardo astuto e la insidiatrice loquela de' sacerdotichea volta loroallibìscono. La principessa si alzaimperiosae invita a sedersi seco sul trono - dolce promessa deltàlamo - il vincitore. Ella ha eletto il più saggio.

Lascena ancor cangia. Nel cielo immacolatamente azzurrosu unatondeggiante collinaposa un tempio dòricodalle colonnepinte di bianco e di rosso e dal frontone ornato di trìpodid'oroscintillanti al sole. Una processione ascendea larghe spireil pendìo: vecchi con rami d'ulivofanciulle in càndidaveste con canestri di frutta sul capouòmini armati di lanciae di scudo. Solennemente rècano al tempio il nuovo peplo diPàlladericamato dalle vèrgini della città. Laintatta figlia dell'arconte regge il peplo e và a deporloinginocchiàndosisull'altar di Minerva. Ma il cuore di leiprega Vènere. E Vènere l'esaudisce. Un giòvinearditoe splendente come l'Apollo sagittariosorge a lato dell'ara.Ella non è più di sè stessa: è del piùbello.

Poitanta festa di luce si abbuja in un labirinto di ùmidicorritòi sotterranei. Senonchèamore è sceso làpure. Guidate da una fanciulla in bigia stola e reggente una làmpadaaccesaparecchie altre procèdono ràpide e zitte nelcunìcolole cui paretivestite di marmi scrittiricòrdanoa un tempola morte e la vita perpetua. Sèmbrano gente infuga. Or sòstano in un'àula dalle ampie nicchiedipintee sèggono sul gradino di un sarcòfago-altare.Cercano incoraggiarsi con ammonimenti di pietà ed esempi divirtù. Tutte ripètono il nome di un nuovo lorofratelloil giòvane centurioneconfortatore de' mestidifensore degli innocentipreparato al martirio. Una insòlitatenerezza inonda il seno della fanciullache nelle tènebrearrossa. L'agnello di pacela pura colomba che ella adoraprèndonoin lei forma umana. Ella sarà del più buono.

Ritornala luce. Ma è luce di candelabri riflettèntesi eraddoppiàntesi nei grandi specchi e nelle dorature di unappartamento. Dapertutto uòmini in nero e donne in rosa. Èil dì natalizio della signorina di casaed essauna pupa diquìndici annidall'aria fresca ed ingenuaaccoglie gliomaggi ed i doni dei molti che la desìderano. A lei i forti edi bellipavoneggiandos'inchìnano; a lei i buoni sospìrano;a lei sussùrrano gli intellettuali gentilezze poètiche.Ma ella a tutti ridenon sorride a nessuno. Quand'eccodalla viaun rumore di ruote e uno scalpitìo di cavalli. L'occhio di leigitta un lampo. Sono sèdici ferri che bùssano ilselciatoa non contare i due del padrone dell'equipaggio. Entra illosco milionario banchieresfolgoreggiante gemmenella piùinnocente di cui giace almeno la ruina di una famiglia. La verginellaa lui corre e gli stendesemplicettale manigià venduta alpiù ricco...

Main mezzo a tante imàgini di cose che già fùronquaggiù o ancor sonoaltre càcciansidi cui nonravviso la provenienza - imàgini forse che si distàccanda mondi che non sono il terrestree si confòndononeglispazicon quelle diraggiate dal nostro.

Perocchèl'ànima mia erra talvolta in baratri di oscuritàincui gallèggiano accese lanterne di mille forme e colori. Globirossi s'incòntrano e s'accompàgnano con cubi azzurriconi gialli con òvoli violaceistelle bianche con triàngoliverdie sèmbrano parlottare amorosamente tra loro. Altreinvecelìtigano e còzzano una contro dell'altrafinchè si ròmpono e spèngonsi. Quìèuna processione di lampioncini càndidiseguita da unlanternone color caffèe si direbbe una fila di collegialiche sia uscita a passeggio; là parecchie variopinte lanterneaccoppiatedànzano a tondo mentre tre o quattropiùgrossebàttono loro il ritmo; più in là unaporpurea lanternina corre appresso - quasi moglie infuriata - ad unlungo e verdastro lampioneil marito; da ogni parte è unaviva popolazione di mòccoli e carta oliata e dipintavariamobilìssima.

Madi colpocome a soffio improvvisolanterne e lampioni scòppianoe le loro innùmeri luci si fòndono in un chiaroreùnicovivacìssimo. Èccomi in una immensa cittàtutta fabbricata di fiori; case di gelsomino con tetti di geraniosanguigno e persiane di làuro; campanili che altro non sono senon altìssimi giglisuonanti dalle loro campane profumi:sospesi ponti di glìcinisotto i quali scòrrono fiumidi argenteo ginerio. Le vie sono affollate di belle ortensie eamarìllididi olee fragranti e cameliedi aspèruleodorose e balsamine momòrdichecon girasoliastriadònidiprimaverilibegli-uòmini e tulipani che loro pòrgonoil braccio o fan l'occhiolino. Una reseda s'incontra con una violadel pensiero e pìgolansi sottovoce mille cose affettuose.Prìmule-camerierefritillarie-cuochemargherite-bonnespetunie e orchidèe-istitutricigrisantemi-domèsticivanno a fare la spesao condùcono i bimbi - bottoncini dirosa - a spasso. In una piazzadinanzi una chiesa fatta dipassiflora fioritaun papàvero prèdicada una speciedi pùlpitoad una dormente assemblèa di matricarie eerbe-saviementre tussilàggini odorose (priore delladottrinella) gìrano seccando il pròssimoed ùmiliviolette chièdono la carità. Ma l'assemblèadell'erbe si destama la folla dei fiori si ritràe aspalliera sul marciapiedee due giganteschi cactus-carabinieri sipòngono in posizione per il saluto. Scortata da rose e dagigliSua Maestà passa - e anch'io mi inchino a lei - la miagraziosa quanto sensìbil reginaMimosa pudica.

Nèlo spettàcolo finisce quiperocchè i fioritrasfòrmansi a poco a poco in penne ed in piume di tutti icolori. Ali di piccionidi tacchinodi fagianodi falcosidispòngono a collinea vallate. Sterminate penne paonines'innàlzano come piante isolate; penne di cigno e di struzzosi aggrùppano a boschetti. Una lanùgine da collo ditòrtora si stende - quasi erba - sul suoloquà e làsmaltata da penne papagalline e da uccello-mosca Si avanza una pennad'oca. È probabilmente un poeta che gira in cerca dellapoesia. E intanto una respirazione soavequal di bambinofàtremolar tutto il paesaggio di piumeed io passo di leggerezza incarezza.

Talorainveceviaggio negli abissi infiniti della bontà. Ciòmi accadeper sòlitoquante volte ho subito ad occhi apertila mortificazione di non aver potuto o voluto fare o ajutare un'òperabuonaoppure fremetti d'indignazione udèndone o vedèndonecommèttere una malvagiasenza potèrmivici opporre.Senonchènel campo de' sogniio mi rifaccio lautissimamente.Tutte le utopìe de' poetidalla generosità inspiratetutti i disegni dei filàntropi dalla utilità suggeritidivèntanosul mio notturno guancialecose vere e certe. Lanavigazione aereache ne' mièi sogni è già unfatto compiutoha cancellatorendendo impossìbile ilmantenimento delle frontierele nazioni. Annientato lo spìritonazionaleogni ragione o bisogno di guerre cessò e i soldatifan quell'orrore che fanno oggi i carnèfici. Torna il ferronon più omicidaalla gleba e il pane si pareggia alle bocche.Ogni donna ha l'uomo che la fà madre e non l'abbandonaognibambino una mamma che lo nutre e lo bacia. L'ànima mia nonscorge se non visi felici e nella contentezza altrùi trova lasua.

Edè pure in queste corse notturne della fantasìanondistratta dal mondo esterioreche io spesso riprendocome dissiqualcuna delle mie individualitàle qualidurante il giornostan mescolate e sbiadite in una media insignificantìssima.Ne' sognidunqueio mi riveggo potente signorepotente solos'intendenel fare il beneo trovatore di paradisìachemelodìe inesaurìbilio scopritore e domatore di nuoveleggi della natura; e rientro in tante e tant'altre personalitàuna più miracolosa dell'altra; e mi ritrovo perfino - chi ilcrederebbe? - donna.

Genialeamicanon rìdere! Io non so se tra quella legione di mèdiciche mi sperò e tambussò e pesòcolùi chedisseche - aperto e frugato sul tavolaccio anatòmico - ilmio corpo avrebbe embrionicamente tradito i segni della femminilitàspropositasse meno degli altrima l'apparenza èchenonradoquando la morte quotidiana mi grava il cigliola metamòrfosidel poeta Tiresia in mè si ripete. E della donna io hoconosciuta l'infanzia e l'adolescenzaquandosognavofanciullodigiocare alla bàmbolaegiovinettodi starmicome educandain un monasteroe così viafino a raggiùngerquest'oggiin cui m'illudodormendodi èsser ragazza -benchè un po' matura - da marito.

Chefaccio oraè presto detto: amo. Donna che non aminonappartiene al sesso gentile. Ma io faccio qualche cosa di più:amo bene. A mè - che allora mi chiamo Celeste - amor sipresenta come una varietà delle òpere caritatèvoli.Il divino maestro ne invita a cibare chi ha fame e a dissetare chi hasete: anche l'amore è sete ed è fame e noi donnedobbiamo placarlo.

Celestecerca dunque il suo amante. Intorno a lei molti fan ressa ed ellascorge nei loro occhi brillar desiderinè le vèngontaciuti. Ma sì grossolani sono que' giòvani sotto leloro fine vernicisì ottusi alle poesìe della vitasìsoddisfatti di sè medèsimiche amore non potrebb'èsserper loro che uno svagouna carnale dilettositàun affarematrimonialenon un bisogno dell'ànima.

Celestecerca ancora. Finalmente incontra la pupilla di un giòvane chespìa timidamente la sua. Nessuna fronte più pensierosadi quella di lui: nessun sorrisodel suo più melancònico.Si direbbe che l'ànima di quel giòvanesebbene prontaa elevarsi ai più sublimi idealigiaccia oppressaaccasciatasotto il peso di una umiliazione profonda. Oltre amorein quelliocchiè infelicità: egli ha dunque necessità dièssere amato.

ECeleste lo amae gliel dice. Investito dalle fiamme di leileìntime forze del giòvane si risvègliano tutte ederòmpono. Ella gli inspira tra le sue braccia l'entusiasmo checrèa: e l'ingegno di lui divien geniola timiditàardire. Di questo giòvane ignotoCeleste potrebbe fare unguerriero invincìbileun uomo di stato non eguagliàbileun poeta immortale; e fà un poeta.

Ein brev'oraegliche già stanco sedeva sul màrginedella via a lui destinata e non ancora percorsal'ha tutta compiutae deveper avanzar nuovamenteaprirsi altra strada.

OraCeleste più non gli occorre. Ei l'ha lasciata e fors'anche ladimenticò. Ma ellapur piangendoè felice. Il mondoammira il nuovo grand'uomo e le madri lo addìtano ai bimbi adesempio. Nella folla che applàude è pur confusaCelestema le foglie di rosa e di làuro versate in capo alpoetavòlano al conscio cuore della ignota sua musa.




SETTIMOCIELO


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Homolto amatovero? fors'anchein amoreipotecài l'avvenireti pare? non rèstamidunquemàrgine o via per amaredi nuovo o di piùcredi? Dillo pur francamente. Io stessoorfà qualche tempocredevo cosìma non oggi.

Oggiil sèttimo cielo si è aperto anche a mèqueltolemàico cielo che avvolgeterzùltima bucciai seialtrienel mezzo di tuttiil nòcciuolo della terra. Colèiche era il sospiro ineffàbile delle profonditàdell'ànima mia è finalmente apparsa e mi vide.

Ogeniale! Tutti i mièi amori passati ritòrnanosirinfrèscanosi riassùmon nel tuo.

Intè riconosco la mia regina di cuorima il cuor rosseggianteor sussulta nel petto di lei e con esso il mio. In tè ravvisoRicciarda staccàtasi dalla sua tela e uscita di pinacoteca; ela lètterache io ho tanto e tanti anni aspettataèinfine giunta.

Tusei l'èdera che arràmpica sino al pertugio del càrceremio recàndomi verde speranza; tu l'orologio che segna leùniche ore della mia felicitàe quelle son della tua;tu la piantala Tilia grandìflorarinverdita e rivestita difrondenella cui ombra proteggitrice riposo la fatica del vìveree sul tronco di cui ho per sempre intagliatocol tuoil mio nome.

PertèAmelial'eroina del mio romanzo è trovata. Se ilroseto dell'intelletto più non mi dava che spineoggi il soledell'amor tuo vi fà germogliare e sbocciare altre fogliealtri fiori. Che il mondo or mi spregi e deridanon m'importa! Miagloria è il tuo sorriso.

Tula mùsica. La cortina del quarto cielo si risolleva dinanzi atè. L'ànima addolorata e innamorata di Elvira pàlpitae freme nelle minugie del tuo violino e s'innalza gemendo daimelòdici abissi del tuo òrgano. Tutte le note musicalipellegrine nell'àerevòlano a tècingèndotidi una divina atmosfera.

Dolcipresensisoavi melanconìesbigottimentiaccensioniàgitansi in mèsolo a sfiorarti la punta del mìgnolo.Le giovinette che mi baciàron bambino o mi accarezzàronoadolescentein tè respìrano. Delle mie compagne diviaggiocare misteriosamenteso oggi il nome ed è il tuomentre il libro d'amore che sui nostri ginocchi or sfogliamohapàgine senza fine. Ed io discendo con tè lentamenterinnovellata mia Èsterche mi fai lumele scaledell'esistenzaeancor prima di uscire alle stellele miro negliocchi tuòi. Posa la fina e pulsante mano di Lisa - la tua -nella mianè mai se ne staccherà. E la cristallinalastraframezzo a noicadedinanzi alle nostre labbra infocate chesi cèrcano.

Sullerive di un lago poètico sono venuto a cercartinuova Adelema non ti ho condotta a un amico. Nella cameretta del cuore mio seibene entratama fu per mè - nè mai ne uscirài.

Antoniettanon giace più nella bara virginea. Ella siede sul tùmuloor mutato in giardinoe mi guarda cogli occhi buoni e tuòi.Finchè io ti abbia vicinosu questa riva di cui sei fiore eserenitànon mi getteròstà sicuraneigorghiper raggiùngere la riva opposta.

ODiana càndidache la fronte m'illùmini ed èvochiin mè la marèa del sentimentoquanto soavementelagrimài nel tuo raggio! Pur tu m'abbreviasti il cammino deisècoli. Una futura lontana lettrice era ne' voti mièi.Come poss'io desiderarla ancora ed attenderlaor che mi leggi?

Tutteinfine le imàgini di gentilezza e di generosità che hosognatole ritrovàial mio risvegliovedèndoti. Ilsogno tu seifatto corpo. Nè alcuno ti potrà sciorreda mènon tu stessa - perocchè sei la mia inspiratriceCelesteànima dell'ànima mia.