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CarloDossi

(pseudonimodi Carlo Alberto Pisani Dossi)




L'ALTRIERI





Nerosu bianco


Agliscrittori novellini


Quando- diciottenne - a sèmplice sfogo di fantasìasenzaalcuna pretesa di riformare la lingua e le idèe correntisenza la mènoma preoccupazione di piacere o spiacere allaonnipossente gazzetterìaio scrissi e diedi alle stampe ilmio «Altrieri»; quando l'èsile libro uscìla prima voltaalla luceoper dir meglioall'oscuritàdegli armadi dei cento amici e parenti cui lo donavomolti diquestinon a mè ma tra essièbbero a confidarsi illor malcontento perché «il Carletto si fosse messo sìpresto a stampare» - aggiungendo caritatevolmentechefattograndeme ne avrebbe potuto dolere.

Trèdicianni sono passati da allorala mia esperienza èpiùche maturagià marciaenon solo non sento rimorso alcunodi quel mio adolescente peccatoma lo ristampo. Per quanto abbiacercatepesateanalizzate le ragioni del dispiacere di que' mièibravi amici e parenticonfesso di averle allora capite pochissimo edi capirle oggi ancor meno. Davveroio non posso supporrecheabreve distanza dal ventèsimo sècoloperdùrinodiffidenze e sospetti contro l'arte di Pàmfilo (la ferrovìadell'umano pensiero) debbo quindi pensare che tutto l'allarmeinsimigliante partitanon riguardi che i giòvaniautorizzati avarcare qualunque soglia impudicapurché non sia quella delletipografìe. Trèdici anni or fàho inghiottitotacitamente il rimpròverocontentàndomi di far in mododi rimeritarlo il più possìbile presto: oggirispondocon queste poche parole. Ancor non son certo di èssere giuntoall'età di mèttere in moto legittimamente le màcchinetipogràfiche: speroperaltrodi èssere a quella diesprìmere - se non di fare accettare - una mia opinione.

Equesta opinione è che il diritto di stampa non debbaassolutamente restrìngersi alle sole idèe degli uòminifatti. Anzituttoper diventar buoni scrittorioccorre (e sfido voia trovarmi un modo diverso) di apprèndere... a scrìvereossia occorre di scrìvere moltoaddestràndovisi diprest'ora. Chi puòdel restoimpedireche uno - qualunquesia la sua fede di nàscita - pensimèditie dia poialle proprie meditazioni un poco d'inchiostro? Senonchéunavolta scrittoè pure utilìssimo che il giòvinesi consigli ai provetti - non è vero?... Or benequaldifferenza trovereste voi tra il consegnare un manoscritto a diecipersone una dopo dell'altra o a dieci contemporaneamente? tra ilfarlo lèggere a mille piuttosto che a dieci? ... Se differenzavi haè tutta a favore del caso dei mille. Spesso avvienedifattiche una persona isolata emetta un parereper cortesìabugiardo; per cortezza d'ingegnoincompleto; per invidiaostile: lamedia invece del giudizio dei mille non potrebbe èsseresolitamente troppo discosta dalla verità. Ammesso il che - eperché non dovrèbbesi ammèttere? - chi non vedeche la è questione affatto secondaria quella di adoperarepermoltiplicare le copie de' nostri lavoriun alfabeto di piombounràpido rullo di stampaun torchio a vaporeanzichéuna penna d'ocaun calamajole pigre dita di un amanuense?

Mal'argomentocome suol dirsidella chiavetta pei nostricordiali nemiciè quello che lo scrittore che stampaprecocementepuò - fatto grigio ed illustre - arrossire degliincancellàbili sbagli da esso anticipati nel pùblico.Rispondiamo che egli arrossirebbe ben a torto. Molta cagione deifuturi successicèlasinon di radonelle antecedentisconfitte. Gli è a forza di sperimentare la nuca contro glispigolied il ginocchio sopra il selciatoche il fanciullo apprendea difèndersi da ogni capata o caduta. Fate inveceper unapietà malintesache lo stesso fanciullo passi i bimbi suòianni in mezzo alle imbottiture; quando gli schiuderete l'usciotombolerà dritto a ròmpersi il muso e le gambe controil durissimo mondo. Inoltreil raffronto tra il pococheingiovinezzauno è riuscito a scombiccherare e il molto ch'egliarriva talvolta a produrre in età più maturadovrebbe- pare - èsser fonte inesauribile di compiacenze per luidiefficace incoraggiamento per gli esordienti. A valutar la lunghezzadella via percorsadue puntie non unobisogna conòscerequello dove si giunse e quello donde si prèser le mosse.Epperciòquèi signori autori - tra i quali ce ne fuanche di òttimi - cheacquistata una certa nomèasiaffànnano a far scomparire le primìssime orme da essistampate nella carriera della cartastracciaa rifiutarecom'essidìcono pomposamentele loro giovanili scritturedanno provadi grandìssimo orgoglio e di ben tenue sagacia: dimènticanoper lo menoche al solo ingegno mediocre è concesso il noninvidiàbile privilegio di presentarsifin dagli inizicompletoil che viene a diredi non poter far progressi.

Sevoi credetecarìssimi mièiche questi sìenoargomenti bastèvoli per confortarvi nel vostro propòsitodi far gèmere i torchi - non i lettoriDio guardi! - usàtenein buon'ora. Se non vi sèmbran da tantoaspettatechénon ne màncano altri. Oggi (come sempredel resto) chi aspiraalla vita pùblicavuòi delle lètterevuòidella polìticadeve per tempo assuefarsi a vedere le sueopinioni crivellatesperate; i suòi intendimentifòsseroi più savimale interpretati; i suòi scopiper quantopurissimiattraversati. I primi assalti tùrbano tanto quanto.Ci attendevamo a un trionfocome dicèvano i latiniimpulvereo: èccoci invece obbligati a saltar fossiascavalcar siepiin una parolaa disputar la vittoria. Un'acutairritazione ci si sveglia allora nell'ànimoun impulso diresistenzauna smania di vendicarci di nemici che non ci sembra dimeritare. Senonchése abbiamo il coraggio di non pèrdereil tempo in lotte dipintema di guadagnarlo con altri scritticonaltri fattii pròssimi assalti o saranno o ci paranno piùfiacchi. S'impara infattiche il combattimento è laindispensàbile conseguenza di ogni nuova manifestazione delpensieroche l'opposizione è tanto più viva quanto piùl'idèa appartiene al progressoche la critica è unanecessaria e benèfica intemperie come il ventocome lapioggia; cosìcchéa poco a pococi subentra quellaserena equanimità - da non confòndersi collaindifferenza - la qualenon solo sà presentare il biàsimodegli avversarispoglio d'ogni amarezza ed offesama insegna acavarne ogni possìbil vantaggio. Maxima saepe ab inimicissalus. Benintesoche sopportar bene la criticanon significaaffatto saper crollarsi di dosso con disinvoltura ogni insulto. Dataa tempouna leonina unghiata è òttima marca difàbbrica.

Restidunque a dormirenel suo sepolcro di versiil consiglio del cisposoOrazio - consiglio che probabilmente non era seguito neppure da lui -di lasciare che una decennale muffa fiorisca sui nostri lavoriprimadi divulgarli. Sono ragazzei libriche vògliono prestofinché sanno di frescoèsser sposati col pùblico.Fate di mètterli insieme il più possìbilelogicamentee se ciò vi riesce in una misura appena onestanon diperdètevi troppo a sciuparnecon una pennache parcangiarsi in un tormento ortopèdicola spontaneità.


Allamia cara mamma

peri suoi lunghi baci

acconto



Introduzione


Imièi dolci ricordi! Allorché mi trovo rincantucciatosotto la cappa del vasto caminonella oscurità della stanza -rotta solo da un pàllido e freddo raggio di luna che disegnasull'ammattonato i circolari piombi della destra - mentre la gattapìsola accovacciata sulla predella del focolareed anche ilfuocodai roventi carbonidal leggier crepolìosonnecchia;oppure quandoseduto sulla scalèa che dà sul giardinostellàndosi i cielisèntomi in faccia alla lorosublime silenziosa immensitàl'ànima miastanca difebbrilmente tuffarsi in segni di un lontano avvenire e stanca dibattagliare con mille dubbicolle paurecogli scoraggiamentistrìngesi ad un intenso melancònico desiderio per ciòche fu.

Ioli evòco allora i mièi amati ricordiio li voglio; livogliouno per unocontare come la nonna fa co' suòinipotini. Ma essisulle primemi si tìrano indietro: quattiquatti èrano là sotto un bernòccolo della miatesta; io li annojoli stùzzico; quindi han ragione se fannocapricci. Purea poco a pocoil groppo si disfa; unoil mentimorosocaccia fuori il musetto; un secondo lo imita: essicomìnciano ad uscire a sbalzia intervallicome lagorgogliante aqua dal borbottino.

Edèccomi - a un tratto - bimbosovra una sedia altaabracciuolicon al collo un gran tovagliolo. La sala è caldainondata dal giallo chiarore di una lucerna a olio eintorno intornoalla tàvola dalla candidìssima mappadai lucenticristalliquà e là arrubinatidalla scintillanteargenterìavi ha molti visi - di chinon sovvengo - visirossi ed allegrida gente rimpinzita. E lìdue mani inbianchi guantipòsano nel mezzosu un piatto turchinoqueldolce che è la vera imàgine dell'invernochecosì bene rappresenta la neve e le foglie secche. Io batto lepalmee... Io mi trovo un cialdonegonfio di lattemieleappiccicato al naso...

Etutto rovina. Segue una tenebrìa: a mè par d'èsseresolosolìssimoin una profonda caverna in cui l'aqua stillagelatalungo le pareti; in cui la terra risuona. E mi fu detto ch'ioebbi molto bìbì... Sia! doppiamente presto chesopra un teatrola scena si muta. Rimpolpatorimpennatostavoltale rondinelle mi scòrgono in un giardino a capo di una viuzzaorlata dall'una e dall'altra banda con cespi di sempreverdi. Il cieloè d'un azzurro smagliante; l'àurafrescaodorosa. Unabambina con i capelli sciolti spunta all'estremo della viuzza e correspingendo davanti a sè un cerchio. Com'ella mi giungesiarrestasi sbassa: stringèndomi colle sue manine le guanciem'appicca uno di quelli schietti baci che làsciano il succio.E il cerchio intantoabbandonatotraballadisvìa...giravoltandocade.

Macol sangue che questo baciozzo attiravienpelle pelleogniricordo dei tempi andati. È la paletta che sbracia il caldano.Spiccatamente io comincio a vedereio comincio a sentire.

Etòin un salone (che stanzettina mi sembra adesso! ) entrouna màchina di una sèggiolamia nonnaammagliando unabianca calzetta eternacol suo ricco e nero amoerre dal fruscìometàllico e con intorno allo scarno adunco profilouncuffìone a nastri crèmisi e a pizzi: vicino a leisullùcido intavolatorùzzolada mè lanciataunatrottola.

Strìdulisuoni d'un ansante organetto sàlgono dalla strada. Iosùbitodimenticando il favorito pècoro di cartone e gli abitanti diuna gigantesca arca di Noèdelle cui verniciate superficisèntomi ancora ingommate le manibalzo al poggiuoloarràmpico sul balaustrata e giù vedo un microcosmo dicavalieri e di dame che salterèllano convulsi sullo sfiatatoistrumento.

-Oh i belli! i belli! - grido applaudendo... e lascio cadere versoquel cencioselloche con un berrettoda guardia civicadel padrecerca d'impietosire impannate e vetriereil mio più lampantesoldo. In questauno zoccolare dietro di mè. È Nenciala bambinaja: sobbràcciami d'improvvisomi porta via - miportain làgrime e sgambettandoin una càmera dovestà un tepido bagno. E lìessa e mammami svèstonomi attùffanom'insapònano da capo a piedi. Imaginatela bizza! Ma il martirio finisce: tocco il paradiso. Sciuttoincipriatorinfoderato in freschi lini dal sentor di lavandamammami piglia sulle ginocchia... Giuochiamo a chi fà il bacio piùpìccolo. Un barbaglio di quelle graziose parolinedolcesegreto fra ogni madre e il suo mimmole nostre labbranelbaciucchiarsipispìgliano. E babbo sopraviene; ei vuoleaverne la parte suanaturalmente! - Cattivo babbino - dico ioschermèndomi - tu puncitu... -

Ohi mièi amati ricordièccovi. Mentre di fuoriailunghi sospiri del ventofrèmonopiègansi le pelatecime degli àlberi e batte i vetri la pioggia - qui vampeggiail più allegro fuoco del mondoscoppiettatrèmoloilluminando lieti visi dai colori freschìssimi; quìunmucchio di crepitanti marronior or spadellatiforma il centro delcìrcolo... Amici mièinovelliamo.


Lisa


Ivecchi Re Magi - questi buoni amici dei fanciullini - avèvanogiàper la sesta voltacolla lor stella chiomatai lorocarri zeppi di scàtole misteriosei loro elefantii loromuli a pennacchi e a sonaglierela loro famiglia color cioccolatadai grandi anelli alle orecchiefatto tintinnire i vetri della miadestraquando mi apparve... chi? - dirò poi. Ioproprio in quel giornoal baturlare di un tamburelloavevanettamente saltato quella famosa cordicina cheper detto delcatechismodivide la cecità dalla chiaroveggenzal'avventatàggine dalla posatezza; ioal di là delconfinedovevacon la intirizzita gonnelluccia (scambiata contro unpajo di calzoncini) avere svestito ogni capriccioogni bambinerìa...Cioè! adagio... almeno voleva così mio padre.L'eccellente persona! Guardando con superbiuzza il suo ben stampatobambinosciamava: - ve'gli è un omettoora. - Ch'io peraltro lo fossine dùbito; anziriflettèndoci unpochinosono sicuro di no. Inquantochécari mièiperèssere uomo non mi bastavacertobalbettare più nèdindo bambo pappo semoralmenteportavo cèrcine ancora e camminavo in carruccio. Equestole molte sbarreramateinferriate che voi vedete ancoraoggidì nei luoghi pericolosi del nostro giardino ed igiallicci conti del farmacistalunghi come la fame - conti in cui leparole di cerotto e di àrnica si altèrnanofino alla somma - lo càntano.

Maquia scusa mia e d'ogni folletto di bimboconfiderò allesfiduciate mammine una incuorante opinione. Non la giurerèiavverto; purecredo che non la sia errata del tutto. Voglio dire checome vi sono le fìsiche espulsioniquali le ferselarosolìala scarlattina ed altre ed altrecosì ve nedèvono èssere anche di moralie pur benedettepoichéper esse qualcuno di noi riesce a spazzarsi viatutta o in partelacattiveria infùsagli dai genitori.

E- qual frùgolo ero alloraqual nabisso! Dal punto chegodùtami una dormitonaio cominciava a zampettare sotto lelenzuolaa quello in cuiscalcagnatoinfangatocadevo sopraccoltodal sonno sul canapè della salafate conto ch'io fossi comein mezzo alle ortiche. Quante diavolerìe! quanti dispetti! Pernon dire de' ciòttoli ch'io lanciavo sui tègoli controi piccioni o contro qualche grazioso gattino che si leccavaquetamente i baffetti e spiluccàvasi al sole; lasciando starele girellette de' seggiolonistrappate; gli squassati àlberigravi di fruttii sotterranei da talpe minati e simili piccolezzeio non potevaa mo' d'esempiopassar vicino a un vassojo carco dibicchieri e di chìccheresenza formicolare dalla prurìginedi mandarlo in frantuminèincontrando un contadinellovincer la smania di regalargli uno scapezzone o almeno almenoungambetto.

Etrottar sui viali... lo sperereste? chéh! Era sempre al di làde' cordonatia traverso pòpoli di vainiglia e garòfanipestando geranifracassando vitrei guardamelonivasi da margotte;in una parolainsalando ben bene la faticata minestra di Tonioilnostro ortolano - Tonio - il cui greggio faccione m'ho tratto trattoinnanzigrottescamente atterritofiso agli adaquatòi delgiardinoche nuòtano presso il zampillo d'una ampia vasca. Ungiorno poi (e questo è il solo dispetto in cui c'entripazienza) stratagliài il disegno della facciata di casaforbiciàndolo finestra per finestraporta per porta; un altro- versato sul busto in gesso del nonnoun calamajo ben pieno - percompir l'òpera m'inchiostrài visopannicamicia.

Ea dire che intanto i mièi buoni parenti ricamàvano conseta ed oro mille e mille progetti sul mio avvenire! La primaagugliataessi l'avèvano inalata quando il mèdico delvillaggiointascando un greve rotoletto - idest il miopedaggio per qui - lor presentava con prosopopèa una sentenzachissà quante volte riattepiditaquella cioè che latesta del neonatoessendo di una misura e di una montuositànon comuniindubbiamente pronosticava un uomo dai ventidùe aiventiquattro carati: nientemeno! Eppureessicredèndociaffinché non fallisse un così grande avvenire miavèvano di presta ora stanato tutti quèi pochi maestriche un pìccol villaggio come Praverde (in cui vivevamolavorando mio padre le sue tenute) poteva ospitare.

Mae che ne veniva?

Pòveroorganista! - un vecchietto dai capelli bianchie dalla vocesaltellante. Avèa bel tenermi le dita sui tasti; io mi sentivasempre addosso il prurito: avèa bel spiegarmi il valore dellesemibiscrome; io mi agitava intanto sullo sgabelletto ecercando coni piedini (che non toccàvano terra) il pedale della grancassaandavosul più buono della ricercaa gambe levateioe il sedile.

Epress'a poco con il maestro di disegno - un piccolinodèbolemagro e dalla voce velata. Infelice! Era la ventèsima voltach'egli si metteva a corrèggermi la foglia (lezione ottava) ola roccia (lezione nona) tornàndomi a spiegareper filo e persegnoil da farsi; io invececoncentrava tutta la mia attenzione aròmpere la mezza pagnotta destinata alla cancellatura ed agettarne i pezziuno per unosotto la tàvolaverso le fàucidi quel bracco che li abboccava a metà viaggio conimperturbàbile franchezza. Dunqueper ricondurci in chiaveèrano ben tre mesi che Nenciaspigolando ritagli digrembialiavanzi di nastrimerletticinigliimbastiva giàil bizzarro abbigliamento pel futuro ceppo di Natale - allorchéiola prima voltala vidi.

Futra il chiaro ed il bujo. Io mi trovava su uno scaglione dellagradinata che metteva in giardino - mi vi trovavoanalizzandoconuna tanaglia trafugata al legnajoloun girarrosto complicatìssimo- quandosul ripianonello squarcio della portasi feceinsiemealla onesta tonda persona di mio padrequellasveltadi unosconosciutodall'aria melancònicapàllidocon imostacchi biondi. E questo signore teneva per mano una ragazzina dicirca sett'anniin una robuccia strozzata alla vitanerasullaquale staccàvano i bianchi polsini e l'inamidato colletto -una ragazzina gentile di complessionegraziosa nelle movenze;insommadi quelle fràgili creature da scatolino e bambagia incui l'ànima è tutto. Gli occhi di lei lucentìssimilasciàvanoper così direlo sguardo dove fissàvansi.

-Marchese - diceva il babbo al nuovo arrivato - questo è ilgiardino. Spaziosoha molta ombra equanto più premeèsicuro... La vostra cara figliuola col mio demonietto... -

Iosalìi verso loro.

-Ah! èccolo appunto - sclamò mio padre. - La nostrasperanza! - aggiunse nell'indicare al nòbil signoremèsuo impacciucato erede.

Ilmarchese mi fe' un complimento. Quì nol ripetoma esso stàancoraci scommetterèjin cuore a babbo.

Poi:

-Giuocheràjn'è vero? - domandò egli - con lamia Gìao...o... - e dovette interròmpersinonconoscendo il nome del vostro amico scrittore.

-Mi chiamo Guido - gli dissi - Guido è un gran bel nome -aggiunsi con forte convinzione.

-Certo - sorrise egli.

-Ed io vorrò molto bene alla tua bimba - continuài. - Mipiace tantove'!

-Allora - disse il marchese volgèndosi alla bambina che siserrava timidamente a' suòi panni - Giacché il nostroGuido è così gentilegli offriremo una melaeh? -

Lisane cavò due dalle sue taschine e me le porse.

-Tie' - disse.

-Grazie - risposi. Esenza esitarele aggraffài ambeneinsaccocciài unaaddentài l'altra. - Sei pur buonaGìa. Dammi un bacio. -

Labimba aguzzò le labbra. Inutilmente.

-Ah!... già - riflettèiorgogliosetto della mia statura- sono troppo altoio - per cuidi bottochinàtomilestampài sulle gote un par di baci sonori - Unodue... -Poi?... poipigliàtole la manola trassi a corsa con mè.

Stendèvansiove noi correvamole mie possessioni - cinque o sei metri quadratidi terra che il giardinierecom'io ne avèa sentita vaghezzami aveva tosto concessoimaginando il brav'uomo di cosìscampare i mille altri. A voi il dire se tale speranza potesse averfondamento! Stà il fatto che il pìccolo già simangiava il grande giardino e Tonio se ne convinse ben prestochévenendo sul mio per qualche irreperibil falcettoivi scappucciavasempre e nella vanga e nel badile e in fasci di sbarbicate piantelle.

Delrestotuttoché io continuassisecondo il sistema delleformichead ammassarvi roba su robacertamente il mio parco nonrespirava ricchezza. Al contrario! Di verzurafilo: non vi siscorgèvano che foglie e rami secchibuche profondemucchi disassi; un mastello interrato (il lago)pieno di un'aqua cheparèa sugo di lentipali con corde - a scopi ignoti anche permè - piùsparpagliaticocci di vasigambe di sedieun caldarino rottoun crivellodue parafuoco (e intanto mamma sidisperava a cercarli)in poche paroleun guazzabugliounaconfusione di cose.

Dinotàbilenulla. Tuttaviasiccome Lisa mi era stranamenteandata a genio e siccome di parlantina non ne mancavocosìdièdemi ad illustrarle la suaccennata grillaja come se sitrattasse degli orti di Babilonia. Nè me ne stetti al solopresenteno: di voglia intaccài l'avvenire; le dissi cioèquanti e quali disegni astrologava il mio biondo ciuffettoanzimilasciài andare verso di lei alle più stranegeloseconfidenze. Imperocchéfiguràteviio le aprìiil quia - quel quia di cui mio padre avèa dovutopulirsi la bocca - sopra una buca che vaneggiava a' pie' nostri;comeessa fosse strada alla scoperta di un tesorone di soldi d'oro(Gìa sbarrò gli occhi) profondo... una schioppettata amezza; nascostodicèa il cocchiereor fà millantannidal Re Salomone - il quale noi spartiremo - poiaccennando a varieassi scheggiatele sussurrài all'orecchiochese io avessipotuto trovare certi lunghi chiodiche m'intendevoero sicuro dicostruirne una casettina sul gusto di quella delle chiòcciole...colla differenza peraltro che volerebbe... la volerebbe: enoi -aggiunsi - «ruberemo la luna». Ciò mise lafanciullina di buon umore. Ed ellache avèa centellatoassaporato le mie paroleche come carta sugante se n'era imbevuta -finito ch'io ebbi - vinta una leggiera riluttanzacominciòdal canto suocon una voce sottileaccarezzantea digabbiarecolombini pensieria confidarmi i suòi segretucci. Mi contòsufra gli altrich'ella era la fortunata mammina di una poppàtolaalta sì e sì - imbaulata per anco - la quale possedevade' veri e ricci capelliocchi di smaltoche si movèvano;vestipiù che più... un ombrellino... pèttiniscarpette... Dio! che frègola io sentìi di toccarla:

-Gìalo permetterài? -

Essame lo promise... Alla sbrigatac'innamorammo l'uno dell'altrociprendemmo tantochequando Nencia venne per appollajarcinoiinquellabarattavamo le impromesse.

Unasettimana dopo - due ànime in un nòcciolo. Dove mi sitrovavacertovoi vedevate anche la bimbasalvo se l'aspettassi elei non giungendoio non poteva requiare. Ea goccia a gocciacisubentrò il costume - al gèmere della caffettiera - discèndere nel giardino e làsul pratello di fronte allacasaprodurre ciascuno fuoriuna quantità di scamùzzolidi vivanderaccolti e messi da parte a tàvolatrinciarnealcuniricuòcerne altri - poi - insieme alla bàmbola(quella graziosa donnina di legnosopr'annunziata da Lisa e che miobabbo già mi citava come un model di saviezza) incominciare unpranzettino con istoviglie e cristalli da Lilliputiani. Appresso ilqualepersuadevo la Gìa a rassettarsi entro la nostracarrozzacarrettàndola con trabalzi su e giùper i fiori e gli ortaggi e ribaltàndola di tempo in tempoopure - e questo le quadrava di più - offèrtole ilbraccioci incamminavamo come due vecchiottipiede innanzi piedeschizzando nell'aria mille ed uno progetti... da murarsialloraquandosul dosso gli anni e i soldi nelle tascheci sisarèbbero ammonticchiati - progetti capacise messi inòperadi mutare la faccia del mondo. SE! tuttavìa;perocchégiudicàtene: oratrattàvasi disucchiellare un pozzo della tirata di un milione di leghe; oradiprocurarci la famosa pòlvere di Pimpirlimpina che fa nàscerle ova dai sacchi e sparir le pallòttole.

Edera allora altresìchetra lo sciorinamento d'un piano e lanarrazione di un sogno (noi sognavamo sempre: in generale iolanottem'acciapinavo a zeppar bauli inempibili e a intrabbicolarsulle sedie; Gìa parpaglionava attorno alle rose e sorradevavolandole scale) che tra un sognodicoe un piano - ciscambiavamo i più carini presenti... Orecchini di ciliegiecollane di azzeruolecestelli di bòzzoli e di ossi difrutta... tutti accomodati nella bambagiain astucci da fiammìferio penneincartati di bianco e stretti da rossi nastrini di seta.

Rasentàndosipoi continuamentei nostri caràtteri - come due palline dimercurio - tiràrono a conglobarsi. Sfumati sei mesiio potevagià assìstere alla distribuzione di bricie di pane cheLisanel labbreggiar billi billi... usava di fare ognimattina all'uscio del gallinajo; potevo sentirmi tutto in giropollichioccieanitrocchigalli dal rosso bargiglione e dallacresta superbagracidandopigolandosenza che mi saltassel'abituale ticchio di scompigliarlie Gìa dal canto suolatìmida Gìasi trastullava anche lei a battagliaresull'aja gettàndomi bracciate e bracciate di fienoogentilmentecon un cappello alla marinaresca e un bottaccino dilimonèaa far da cantiniera al mio esèrcito.

Sulquale esèrcito... due cenni.


Guerraio l'avèa sempre nudrita contro ai polli che osàvanopassar l'imprunato del nostro giardino: le ostilitàsospeseper la venuta di Lisadal moltiplicarsi delle scorrerie nemichesièranonecessariamenteriaperte.

Efuda parte miacon un esèrcito di contadinelli; - intorno adieci. Li aveste veduti! Schierati innanzi a mè con i pie'nudi staccanti nel verde cupo dell'erbasilenziosissimi (iocapitanava a bacchetta)portàvano sulle bionde testineun po' in traversobianche calze da donna enelle maniallacintolaarmi di ogni fatta... mànichi di scopasciàboledi àcantoferri da tendepistole di sambuco... Martorelligraziosi! La scoletta intanto aspettava.

Maanche con tali ajutila guerra non riusciva a risultatisoddisfacenti; anzifuorché da un mìlite che sialettava la punta di un dito nel tagliare una mela - salsa dipomidoro non se ne era versata. Gambe lunghe sostenèvano isignori nemicitroppe porte foràvano le siepied iorattacconate venti volte le scarpenon avèa raccoltoalpostuttosui campi dell'onore che una penna di gallo - lapenna fieramente piantata nel mio berretto.

Finalmenteun giornocom'io e Lisacoccoloni in mezzo a un'ajuolaspiccavamomaggiostre (e ciò tanto per disallegarci i dentidall'acerbezza di non so che frutta)udimmo gridabàtter dimanoe vìdimo la nostra ragazzagliache sparpagliataguardava i corni del campocòrrere attruppàndosi versodi noi: dinanzi a tuttiCeccoil mio luogotenentereggeva alto perle zampe un pollo.

Iomi rialzài di botto; ridivenni il capitano. Insaccocciavocarta bianca sul come trattare i prigionieri pennuti e lo confessotrovàndomi alla fin delle finiaverne unoinclinavo verso laproposta di Cecco - quella di giustiziarlo. Se non per crudeltàcertomosso dal nuovo.

MaGìa intervenne.

-Guido - pregò essa dolcementetiràndomi per la mànica- làscialo andare... - Io ebbi un moto di stupore. In veritàla domanda oltrepassava i tègoli.

-Ebbene - riappiccò Lisadopo una cucchiajata di silenzio -non uccìderlo almeno. Portiàmolo a babboGuidella. -

Iorimasi intradùe. Guardài la bambinafissài gliocchi sul malcapitatomi grattài la nuca... ma... Ma dirle dinonon potevo.

-Sia - sospirài. - Portiàmolo a babbo. -

Lisabalzò di gioja e mi mandò per l'aria un bacetto.

De'mièi guerrieri èbbevi tali che applaudironotali chegrugnàrono.

-Silenzio! - comandàî - In fila. -

Lafanciullaja si ordinò - nè più disse motto.Pesche! ella covava una ladra paura (pensavo in quel tempo) per certemie pistole di latta che recavo alla cìntola; adesso invecelo giurerèipei quarti d'ora che ai disobbedienti facevocontareoltre generosi cazzottidietro alla ramata di unamoscajuola od al graticcio di una capponaja; poibanda in testa (lanostra banda si componeva di uno zùfoloun tamburo stonatoedue coperchi di casserola)... marciammo verso la casa.

Babbodormiva. Dormiva precisamente nel suo fresco studiolodove ogni dìdopo il pranzo meridianoegli si ritirava con qualche gazzettaoppurecon un certo libro piuttosto grosso; un libro del quale nonmi sovviene il titoloma benìssimo due pàginegiallo-rossastremacchiate di caffè e di vinocon una cartada tresette per segno (le sole pàginecredocheconoscèssimoio e babbo di lui) quando... Ah! fu propriopeccatosvegliarlo. Che faccia assonnata ci mostrò eglinell'aprire ai nostri picchi l'usciocomparendo in mànica dicamìciamutande e pantòfole! Tuttavìa non cirabuffò: al contrario: raccomandàtoci di andar pianinipel bujointanto ch'egli tastava a sbarrar le impostee sedùtosiallo scrittojocoll'aria la più buona del mondo chièseciche volevamo.

Ioalloragloriosettodeposi sopra la tàvola il prigionierolegato edal c'era una volta un rè a la panzana èbella e finitaspifferài su la cosa.

-Bravissimo - disse mio padresoppesando il pollastro. E tòltasidal borsellino una lucente lirame la chiuse in mano.

-Vi ha - aggiunse - molti topacci in giardino. Io ne dò unsoldo la coda.

-Morte ai topi! - gridài con ferocia.

-Morte! - echeggiàrono i mièi.

Babbosi mise le palme alle orecchie.

E- quel giorno - fu la gran festa per tutti noi. Io aveva montato unpiuolo nella stima di babboil mio esèrcito sgretolava uncartoccio di màndorle confettatesegno della mia altasoddisfazionee quanto a Gìala si sentiva allegra comerondinella reputàndosi la salvatrice di un'innocentebestiuola. È vero che poco dopomio padreaccomodando apranzo sul piatto pezzi tagliati di carne con beccoavvertito da unatosse ostinata del servitore: ve' la caccia di Guido - esclamò;è veroma Lisaquestonon lo seppe mai... mai...

Allorchéci pensoche bei tempi èran quelli! Quante volte io mi sentoancor presso alla mia pìccola compagnasu quella ringhierache rispondeva sopra la viagonfiando bolle di saponele qualistaccàtesi dalla cannuccia (oh! le granate di casa)tremolàvanocullàvansi nello spaziopoidivenutecolore cangiantetrasparentissime - a gran dispetto di quattro ocinque ragazzi che li attendèvanola bocca apertasvanivano;e quante volte anchemi trovo faccia a faccia colla mia cara bimbala seraa costrurre sul tavolinoratenendo il fiatotorri ditarocchi e ridendo di gusto quandoper un buffo del mio cattivobabbinole sprofondàvan di colpo.

Evoiminuti d'oroho forse mai obliati? minuti in cui - con de'cappelloni di paglia - accoccolati sotto una vitetra le frascheitortuosi ceppii pàmpaninoi sgranavamo il rosario deigràppoli? Ah no - voi lo sapete - sempre io mi ricorderòdi voisemprecome della intensa gioja che in noi crepitavaveggendo disserrarsi il chiusino del forno e uscirnesopra la palacàrica di scroscianti fragranti pagnottei panettuccigrossinon più di nociper noi; come del sapore di quelle gentilicolazioncine di pane giallo nuotante in iscodelle di freschissimolatte - straripetuteinsieme a Nencianelle capannefra una covatadi bimbi ed una di pulciniintanto che i bachibrucando su pe'cannicci la fogliasembràvanocon il fruscìocontaregià i ventilire del loro padrone o strascicarsi dietro lasèrica vesta della signora.

Sì!lo ripetoquelli èrano pure i bei tempi. MaDio! Mentre là- dove il ruscello scendeva più lentamente sulla finissimaerbasotto il rezzo de' pioppiche frascheggiando si salutàvanodi continuo - noi ascoltavamo il frottolare di Nencia intorno o alvecchio incantatore Merlino o allo stregazzo di Beneventouna voltaLisaio la scôrsi raccapricciare tutta come allo sgrigiolìodi un ferro e vòlgersipàllidacon sospetto.

Proprioio non saprèi dirvi il punto in cui primieramente ciòavvennema so che d'allora in poi pàrvemi l'aria appesantirsicome una mola mugnajapàrvemi che un nemico invisìbileci seguisse dovunqueintristendoavvizzendo la mia delicata Gìae so che quando questa creaturina gricciolavaio le chiedeva: chehai? - a bassa vocea bassa voce. Allora essaserràndomi conpassione la mano: m'han stranamente chiamata - rispondeva. Ed iorimuginava con lo sguardo attorno: dallo stesso non incontrare mainienteioil rischioso fanciullosoffocavo dalla paura.

Epàssanepàssane - un dì - la mia tòrtorastringèndosi più del consueto a mèsusurròtremante di averlo veduto. Eraper detto di leiun viso ovalesmortocolle occhiaje lìvideche le appariva nel folto dellafrattala guatava immòbile... dileguava. Dio! Che terribiledormiveglia io ne ebbila notte. Quantunque mi sentissi ancora nellamia càmeranel mio lettoquantunque al chiaro di lunadistinguessi uno per uno gli arredinondimeno e' mi pareva anche distarmi in una praterìa di sprofondata lunghezzatutta afioriche mi rendeva aria di un'insalata d'indivia sparsa dinasturci e begliòminiin cui scorrèvano lìmpidiramicelli d'aquaintertenèvansi crocchi di pinima dovecome nel vuotonon propagàvasi rumore. Ed ecco staccarsidall'estremo orizzonteecco ingrandirsi una massa informe (qui lamemoria mi zòppica) una specie di ragno iperbòlicogiallo-limonemacchiato di neroenfioglutinosoa grumi disanguebavadai mille bracciche - nel procèdere asaltacchioni o dondolàndosi sulle anche - altalenava.

Allorai bei fiorelli essiccàronsiimpallidì il raggio delsoleappannàronsi i canalucci.

Equel mollame si avanzava sempresenza pietàlasciando unalunga striscia come di arsouno schiccheramento di lumacasiavanzava e... Colto dallo spavento io mi snicchiài dallecoltritombolài con lenzuola e imbottitain un fasciosull'intavolato. Poiriparài da mamma. La buona donnatoccàtomi la fronte che mi scottavainterrogàtomi gliocchi e la linguami scongiurò di non mangiar troppi lamponi.

Oh!pel sogno ciò poteva esseremastorielle da nonna! per larealtànon vi èrano nè lamponi nèsùsine. Per la realtàla convinzione che qualcunochequalchecosa invidiasse alla felicità nostrase non procedevada un ragionamento lardellato di sillogismiveniva da un profondomisterioso senso etuttoché non ce la confidàssimonoi la provavamo ambedùe e sapevamo di provarla.

Esotto l'ombra di tale nero presagiobuon dato di quella bricconafilatera di santi che immalinconisce il taccuino - colle sue piaghele gloriei brevetti - passò.

Giunsel'ottantasettèsimo - Noi correvamo nel giardino; Lisadietrodi mè per pigliarmi; iosostando ogni tantoa vòlgermiverso leia riderea farle bocchi...

Maa un trattola veggo arrestarsi. Ella arrossavacilla; presa dasùbita ambasciapoggia il capo ad un troncotossendoviolentemente.

Edio mi rimasi impietrito... cioè a diremi sarèicreduto di pietra se il cuore non mi fosse balzato a strappi.

Riavèndomile volài a presso.

-O Gìa! - esclamài.

L'ìmpetoera cessato. Ella asciugassi le cigliatornò sereno il visinoed inghiottendo un singulto:

-È nienteve'Guido - mormorò.

Oh!sì! niente... ma intanto suo padre spiegazzavanervosoiguanti e più che fumare masticava gli zìgari buttàndonevia il mozzicone con rabbia; ma intanto i mièi genitoriguardando la piccolinaparlottàvano tra di loropoi miraccomandàvano di non strappazzarcidi stare in riguardo...Dunqueniente? ma - in questo - Gìa vivevasi puòdiredi limaturas'assottigliava viepiùtraluceva a guisadi ambra... Nienteniente! ed essa ingollava certi cucchiajoni diliquidi crassimucilaginosila cui sola veduta impauriva mènon uso che a spìzzichi di santolinaa qualche po' dimagnesia.

Eppureera destino che il dolore fisico e le pozioni non dovèsserosolidistrùggerla.

PòveraLisa! vedètela... Ella si dirige alla gabbia del suo carouccellinodi quel pàssero delle Canarie chesaltando sullosportello del palazzetto in viminiusava spiccare dalle labbrastesse di lei il pinocchio; che sì gentilmente aliava diballatojo in ballatojo e sciaguattava nel beverino i pieducci ebeccucchiava il suo rottame di zùcchero... L'amato cip-cip èlàsulla sabbiettairrigiditole ali sciupatela pupillanebbiata. Ella ribrezzastende la mano su lui. Con uno sbàttitoche le traspare nel visose l'avvicinase lo preme alla guancia...

Estette in ascolto: nulla. Gli occhi le si fècero rossiarricciò le labbradiede in uno scoppio di pianto. Unoscoppio sì fortecosì straziante che io mi stupiscoancora di non avere veduto il canarino drizzàrsele in su lapalmavisporicominciando il suo gorgheggiouno scoppio chequando il cielo e l'ànima mia son bruni bruniriodo. Mi volgoallora a cercarla: inutilmente!

Edaltri ed altri dì scomparìrono. Infine...

Ilgiorno era stato caldìssimo; uno di que' giorni di estate incui non svetta un fil d'erbain cui ti senti addossoovunquet'appiattiun fastidioun disagiouna nauseae pareche tèstesso e tutto che ti circonda raggiunga il peso morto de' corpiinzuppati. È l'aspettazione di un temporalegrandechesembra imminente ma che non viene mai: nell'ariaun rombounbombitare come di api intorno al melario.

Senonchéle stelle èrano apparse: con esse il fresco.

Noici trovavamo in sala. Mio babbo ad un tàvolosotto il giallolume della lucerna sudavacome di sòlitola sua camiciapigliàndosela coll'àbacotra una moltiplica che nonbatteva mai giusto e un calamajo stopposo; il marchesein piediaccostato allo stipite della porta che riusciva sopra la scalèafisavacollo zìgaro in boccad'un fare astrattoi cieli;noi intantoLisa ed ioaggruppati sulla medèsima sediapresso il clavicèmbalo cui sedeva mia mammaascoltavamo conangoscia quelli accenti tristìssimiquel nodo alla golaquello stracciamento di cuoreche Wèber lasciò insiemealla vita nel suo «ùltimo pensiero».

Egli accordi estremi - note fiacchesoffocatea sbalzi -singhiozzàrono nelle nostre ànime. Gìa mi sistrinse al braccio.

-Guido... - cominciò debolmente.

Lainterrogài collo sguardo.

-Andiamo all'aperto... -

Nessunosi oppose: uscimmo.

Laviuzzache per la prima si offrivastorcèvasigrigiainmezzo all'erboso punteggiato di scintillanti lùcioleenonmolto lontanometteva capo ad un rialzo di terra e ad un boschettodi robinie. Prendèndolacom'io machinalmente dava dietro dimè un'occhiatapàrvemi l'alta persona del marchesespiccarsi dall'ardente vano della portapoi còrrere lungo ilmuro esterno di casa sul quale la luna tendeva lenzuoli di splendentebianchezza; pàrvemidico. Noi continuammo il nostrocamminopasso a passoratenendo il parlare.

Conquale fatica la fanciullina si trasse su per l'ascesa (ed era dolcesalita) come anelanteaffrantasi abbandonò sul sedile!

Làc'intorniàvan robinie. L'ombre di esseuna di cui ci coprivaallungàvansi tra le gambe delle panchettesul suolobizzarramente; enegli squarci da fusto a fustoscorgèvasigiù sciorinata la campagnagibbosasparsa di villaggi dailucenti tetti d'ardesiamacchiata da querceti - masse nerecupe. Infondouna benda argentina: il Po; al di làterra terraunfumoso chiarore (esalazioni appestate): una città. Appressotutto si confondeva col cielod'un azzurro cinereogiojellato distelle che lappoleggiàvano senza posa e dalle qualistaccàvansi di tempo in tempo ràpide striscie di fuoco.

Erala calmasolenne; nè la rompeva il monòtono continuogrillarenèdella cornacchiail sinistrorado cra cra.

-Che notte strana! - fe' Gìa raccogliendo l'àlitoconsuonochepiù dolcepiù carezzanteio non le avèaudito mai.

-Non è vero che è strana? -

Taqui.Essa continuò:

-Stasera mi chiàmano da ogni parte... ascolta... il mio nometintinna come in suono di baci... piccolini... piccolini. Io mi sentoleggierapiù leggiera di una pennamatta... volovado come indileguo... -

Eazzittì. Poi capricciò. Sopra di noiad un frullos'era mosso il fogliame.

Gocciàronosilenziosi momenti.

Dibotto:

-Vedesti tu il mare? - mi domandò essa.

Risposicon un: no - appena udìbile.

-Ebbene - ella seguìfantasticando dietro a sfilati ricordi -quella sera si assomigliava punto a punto a questa... La stessatranquillità... lo stesso abbarbagliamento di stelle. Noisedevamo sulla spiaggia... uno de' mièi bracci posava sulginocchio di babbola mano dell'altro la teneva mammina... Etacevamo. Le onde intantocon de' sospiri lunghissimiruotolàvanosi allargàvano pel lido: ritiràndosi lentamentescoprìvano sassolinilùcidi come lire di zecca. Oh!mammaquanto mi amavi!... Mestafisaera essa... A un trattolaprese un singhiozzo: smarritapiangendocurvossi su mè... Emi coperse di baci... -

Quimancò a Gìala voce. Un sospiruccio... poi:

-Ora mammina è partita - riannodò dolcissimamente -Babbo dice che è in una stellaora. In quale saràGuido? -

Iole ne accennài una; una che imbiancandoazzurrandociammiccava più delle altre: Lisapigliàtami la mano(quanto la sua era freddamàdida! quanto la polseggiava! )fissò intensamente lo sguardo nel diamante celeste.

-E... e il mio canarino? - chiese la poveretta; a sbalzicon pena.

Restàisenza sangue.

Inquestail raggio lunarepassando tra ramo e ramocolpìdiritto su leil'avviluppò... Come ne era smorta la facciacome affossati gli occhi!

-Ah! - fece essaliberando la sua dalla mia mano e distendèndolaconvulsa - Ec... co... lo... - Aggrovigliò tutta; sbigottitaritrasse la palma. E una turchina orlatura tinse le sue pàllidelabbra. E cadde sulla spalliera della sedia... Addormentata? Ungrido; il mio: un altro - lamento da ferita pantera - risuònano.Facèndosi strada per il cespuglioil marchese precìpitapresso la bimba. - Vive! - fà egliin tuononon giurerèise di gioja o di angoscia - vive ancora... -

Eincerto si guarda attorno. Ma è un àtimo; abbranca ilsedile di Gìa ed essa con quello - essa le cui braccinespènzolano pesantemente: poi - tiene verso la casa. Iom'attacco a'suòi pannigli corro di pari.

Amiciamiciqual notte!

Dallasaletta dove mi stavomuro a muro colla càmera in cui ilmarchese avèa deposto sua figliaudivo lo scricchiare deglistivali e degli intavolatii pispigliamentiil cigolar degliarmadiil frusciare della sèrica gonna di mamma che passava eripassava. E scôrsi nelle tenebre rosseggiare i carboni di unoscaldaletto apertoe scôrsicome io cacciava il capo dentrolo squarcio della vicina portasulla parete illuminata di facciatremolare la gigantesca ombra del vecchio dottore dall'aduncoprofilo. Pensate voi se chiusi presto palpèbra!

Dalmattino seguente in poistettela finestra di Gìaserrata;quella finestra alla quale sì spesso ella si affacciava asalutarmia sorrìdermia discèndere verso mèun secchiolinoaffinché io lo empissi di fresca aqua pel suomangiapinocchi. E insieme a quella si serrò anche il miocuore.

Iomi stabilìi allora alla porticina che conducèa dalmarchese. Là vi appostavo chi usciva... domandavo loro... chedomandassiè inùtile dire. E molte e molte volte vidiaprirsi le imposte davanti a mammaa Nenciaal dottore. Dio! chelanciettate. Afflizionetravagliorespiràvan sempre leprime; l'altronel ritornare al suo rinsaccante ombroso bidettoportava in sghimbescio il cappello e doppiamente lunga la faccia.Quando poi si confondeva ogni ombra - niente mùsicanientelume in sala - di buon'ora mi si metteva a dormiree mammanelsuggerirmi - dolce illusione - le precivi ricordava il nome diLisa. Ve l'assicuro: ben più di una voltaesso era ripetutoda mè.

Ela bindella dei tempisenza capo nè estremocontinuòa svilupparsi.

Diciàmoloquel mattinocom'iosecondo l'usatom'indirizzava al mio posto diguardiaun accoramentouna voglia di pigliàrmela conqualcheduno mi tormentàvano. Erano i mièi genitorièveroparsila sera innanzisciolti dall'inquietùdinedall'agonìa de' giorni andati; ebbenela loro inamidatatranquillitàil loro far gravem'impaurìvano aldoppiomi stuzzicàvano a ricondurmi alla nota portagrigiadal martello di ottone. E questaavvicinàndola iosi chiuse:Nencianell'aggropparsi un fazzolettovenivane con un voltoaffìlatole occhiaje morelleingarbugliati i capegli.

-Guido - affoltò essa d'un tuono ràuco- ti cercavo apunto... Tua madre dice... dice che non ti muovi abbastanza. Vuoleche ti muovatua madre... Quà dunque - e bruscamentes'impossessò del mio braccio.

Iol'adocchiài con ansiaalitando. Ma ella non si trovava invena di dire; iod'interrogare altrimenti.

Cosìnoi ci avviottolammo più che di passo per quel camminoaffondato tra due poggetti che erbeggiàvano con un verdesmagliante e sopra i quali curvàvansi flessuosi olmi - ilpreferito cammino di Gìatuttoché i suòipieducci v'intoppicàssero ne'ciottoloni osoventirestàsseronelle profonde rotaje. Da molto io non l'aveva più tocco.Pamporcinimorevi èran spuntati a bizzeffe: oh sì!potèvano fioreggiareinsaporirsi a loro agio.

Enoi procedevamotutti e due sopra fantasìaatterrati glisguardi: io imaginava sempre vederein mezzo alle fortimpresse ormedi una scarpaccia a chiodile fresche leggiere traccie delborzacchino di Lisa.

Eva e vasvoltammo alla fine in un pratello fuori di manoabitualenostra fermata.

-Se' stracco? - domandò Nencia sostando.

Ionon lo era affatto. Nè vi avèa perché. Pure lavolli imitare: siedetti. E lì un fastidioso silenzio. Nenciasi appisolava o ne faceva le mostre.

-Neh - dissi allora tiràndola per un gherone - e Gìa? -

Cheghiribizzo died'ella! Guatommi come l'avesse con mèleimbambolò la pupilla egonfiàndosele il viso... - Mano - si rattenne.

-Guido - scoppiò poi a ciarlare con eccitazione nervosa - vuòiche ti conti una istoria? una storia... bellalungadi maghi? Di'vuòi de' quattro figli di Aimonevuòi de' tre pomiconfusi... del diàvol d'argentodi Goga e Magogaeh? vuòi?di' suGuidodi'... -

Ionon intendeva di scègliere; tampoco di udire.

Edella:

-Benela storia delle tre melarancie d'oro - seguìconvulsamente. - Ve l'ho già... Te la dissicredoaltravolta... La ricorderài forse... È quella del principinoche mise al lotto... cioèno... io la scambio... questa è«Dorotea.» È quella del regalo della fata biancadell'incantamentodell'aqua che balla - e pausò. - Giusto...proprio... làh! cominciamo...

«C'era...c'era dunque una volta... »

Main quellastaccate note di un cantolontan lontanoflèbilesenza speranzaondèggiano - note che una buffatacurvando lealte teste de' pioppici apporta. Un brisciamento mi corse; rimàserole tre melarancie nel loro cestino.

ENencia scattava in piedi: le sue labbra tremàvano. - Torniamo- barbugliò essa - torniamo a casa. Qui v'ha tal guazza! (nonuna stillanotate) su! Guido - e la mi prese la mano.

Giàtutto - riposàtosi il vento - taceva.


Ilcancello era aperto: la prima cosa ch'io scorsi fu la finestra di Gìa- aperta; l'odore che mi colpìun leppo di arsi cerei. Edeccoentrare anche il marcheseinstivalatocon gli speroni -mentre al muro di cintasul limitar della portasparso di rosesfogliatefermàvansisi aggruppàvano de' contadini...fra gli altrialcuni angioletti dagli àbiti a strappii pie' nudil'ali di cartone sotto le ascelle. Il marchese avèala faccia sbattutasilenziosamente disperata. Pàllido forseal par di colèi che se n'era partitaegli si diresse al suonero cavalloraccolse le rèdinimontollo. Poi - di galoppo.Nè mai più l'incontrài.

Equella serasdrucciolàndomi in nannadi quanti bacidiquante carezzeoh! mi tempestò mia madre! La mi stringeva aleila mi guardava passionatamente e due lagrimone le tremolàvanole scendèvano per le guancie... Caradolcissima mamma - eperché palpitavi?




Panchedi scuola


I.


Ilgrattacapo de' miei genitori stavacome già sapetenel mioavvenire. Generalmente essi ne ragionàvano a seraquandodivisi dalla tàvolababbo schizzàvasi un rèbusmamma intelucciavamendava qualche mio tòmbolo eloropressoin una poltronail vostro amico scrittore se la dormiva.Secondo mio padreio era uscito a questo mondo apposta per ladiplomazia. Egli me ne scopriva credola vocazione nelle moltebugienelle fandonieche gli vendevo ad ogni momento ed egliuomocui si sarebbe toltosenza che se ne accorgesseil panciottom'imaginava giojosamente làdrittointirizzitoin giubbaverdonaspadacalzoncini e scarpettea dòndoliciòndoli- come un cereo personaggio da fiera - il cuore in saccocciaincartato ed il sorriso stradoppio: mia madreinvecefiglia di ungeneralesorella di un colonnello (non oso dir moglie di uncapitanoché babbo non lo era che della milizia civica)vedèvami - intanto ch'io forse sognava di un cavallo di legnoa mòbile coda - su un vero e vivissimo bajoin una monturarossa dagli aurei agrimanicon un pennacchio biancosciàbolache ticchettavabriosogaloppandomandando in cimberli tutte legonne del corso. E questoa propòsito di un brillanteavvenire. Siccome peraltro v'ha in ogni cosa del nero - il chetranoiegregiamente serve a far risaltare i colori - cosìancheun lumacone di uno zio canònicounto come la ghiottatiravasopra di mè a suo modosomme e moltipliche. Lo spaventacchio!Io ne temeva i bacibiasciositabaccaticome gli scappellotti:intravedùtolo a penabattèvomela. Ed egli veniva ognitanto da noisempre con un involto di nuove ragioni ch'egli spiegavasu pel tappetomagnificàvane la qualitàil prezzo...In poche parolevoleva ch'io mi scambiassi in un lavampolline. Io!pensate. Con il colletto strangolatojocolla triste sottanacon l'Osulla coccia!

Mafoglie - e - frasche! lasciando dir tuttifilosoficamente russavo. Ache buono scaldarmi? Senza il mio vistogiài grandilor piani potèvan servire a stoppar buchi da toppe. Dunqueseben volentieri accettavo ogni presente dalla parenteriasbudellandoi bussolotti di babborompendo gli schioppetti di mammafondendo lecrocii vèscovi di peltro e gli altri utensili da altarino dizioquanto a digerire un consiglioa elèggere una stradaoh! non mi si trovava mai a tempo.

Esì che il brodo in cui mi cuocevo era il sciocchìssimo.Stringèvami una tale ripugnanza per tutto ciò cheusciva dalle botteghe del librajo e del cartolajouna tanta pauracheal muòversi di qualche pàginaallo strìderedi una pennadavo una giravolta e via. Cosìse qualchepagliùcola di sapere spuntàvami ciònondimeno nelciuffolo era a mia insaputa: i mièi parenti ve l'avèanoposta con ogni sorta di precauzionicon ogni fatta di astuzie. Guàime ne fossi accorto! guài. E ne scoperchio un esèmpio.

Ritornoa' mièi cinqu'anni: siedoin una sala priva di lucesulleginocchia di mamma. Di faccia a noistacca nella oscurità unquadro di carta velinaluminosodietro del qualebabbo ènascosto. Molte e molte ombre vi pàssano... ed uno zoppo cheleva e si mette il cappello... e un cagnolino che muove la coda e unsoldato che brandisce la spada... e una contadina che fa il butiro ebuòi che dìcon di sì e... Maecco un triàngolo- una livella quasi da muratore...

Ione raccapriccione ho lo stesso bizzarro spavento che coglieorail mio cuginetto Poldo dinanzi a un piatto di gelatina o a unbiancomangiare che bùbboli.

-Non volio d'A - grido. E l'A scompare.

Esfìlanoancorabrave persone... Una donnetta conparapioggiaun ragazzino che corredue àsini (babbo quiragghia)... un pulcinella... poi... Tò! un altro intruso. La èuna pìccola serpe; par la stanghetta del barbazzaleil ganciodella catena del fuoco.

-Niente M - strillo aggricciando.

Ilbiscio non muòvesi.

-Niente O... niente R - sèguito a strappabecco.

Manulla di nuovo... nulla! e perché? Sèntomi su'nmaterasso imbottito di noci. Mi volgo. Mamma fà unleggierissimo fischio.

-Ah! S! via la S - scoppio allora con gioja. E il serpentello spariscee la rappresentazione continua.

Perquello che poi riguarda la mia cattiveriagià scrissi alèttere capitali. Sealla dolce influenza di Gìaellasi era per così dire coperta di cènereito che fu quelpòvero uccello di passodi colpo la si sbraciòioridivenni un subbissoestavoltacosì fuor di misuracontali caparbietà che sono certo di non aver mai fattosoffrire i mièicome in quel tempo: nè quando misi identi di lattenè quando strafallìi gli esami.

Ohdisilluso babbino! Il tuo diplomàtico liquefacèvasi alpar di un gelato in una calda festa da ballone aggrinzivano ledecorazioni e il vento se le portava: ecco apparire invece un uomocon cappellaccio a grondala pipa in mezzo di una barba lungaincoltaed un bastone bernoccoluto nel pugno. E intantoalcolonnello di mamma si assottigliava il destrierodiventava dilegnoprendendo a poco a poco figura di una enorme scopae intantolo zio canònico già mi sognava nell'unghie diTentenninofatto saltare come un marrone di padella in padella daidiavoletti a coda arroncigliata: stà il fatto che l'eccellentepretoneun giornopropose a mio padre (e punto ridendo! ) dimenarmi - lui stesso - alla Diana... alla Madonna di Efe... di Loretood anchedi fare fregare le mie lenzuola contro la cristallina arcadi San Galuppoil tocca-e-sana degli invasati.

Babboperaltroavèa la mente ad una diversa esorcizzazione: ilcollegio. Iocon tutto il rispetto per il brav'uomocon la màssimavoglia di trovar scuse a certe superstizioni di luibisogna tuttaviache osservi comede' due rimediil migliore ose non altroilmeno cattivofosse quello di zio.

Diàvolo!essendo tante le gradazioni dei caràtteri quanti gli uòminine dovrèbbero per necessità venire altrettanti sistemidi educare. Se tucozzando con un temperamento di acciajoarrischi- senza frutto - le cornausando invece di questa tua forza controben altra temprariuscirài allo scopo con quella facilitàstessa colla quale riversi un guanto o ti succi un uovo.


Moltisono degli uòmini i capricci;

Achi piàccion le tortea chi i pasticci:


equindi?...

Nederiva che se un quidampadre di cinque figlisi ponesseall'impegno d'incappellarli tutti con un solo berretto o dicalzarli colla medèsima scarpatroverèbbesi lo centomiglia fuori di carreggiata - ammessa la quale cosachi non vedel'assurdità dell'educazione collegiale? di quell'educazione asuono di campanella che òbbliga il malaticcio o delicatofanciullo a torsi dalle coltri alla stessa prest'ora del suo robustoe carnacciuto camerata; di quell'educazione che costringe lo sveglioe il diligente al passo dei capocchi o trasandati; diquell'educazione chein sostanzaconsìdera i suòisoggetti come altrettante màchineuscite da una mano soladagli idèntici ordignie tutte caricate assieme in un datogiorno?...

Marincasiamo. Ben tristeben lagrimoso fu a' mièi genitori quelpunto in cui dovèttero tirar fuori un'idèa giàcovata da lungodovèttero confessarsi cioèche per illoro figliuolo era necessarioindispensàbile... un collegio.Tieni per certopiccoletto Gustavochese tu addoloriquando seicastigatoi tuòi ne sòffrono ancora di più.

Mafatta la grande risoluzioneimportava comunicàrmela. Sititubò. Mamma e babbo accarezzàvano moltìssimafede intorno alla mia delicatezzaa' mièi sentimenti - essidunquenon mi parlàrono di collegio se non dopo un labirintodi andirivieniun monte di storiese non presentàndomenel'imàgine attraverso un nebbione di cioccolatini e di giuochi.Pur s'ingannàvano. Io era innamorato del nuovodelcangiamentoio; per la qual cosa non mi grattài un minutosecondo la nuca - accettài; accettài con tantafacilitàcosì liberamentedi slanciochene' mièiarcibuoni parential timore di afflìggermial piacered'avermi persuasosubentrò una scontentezza profonda pel miocuore di stoppala mia ingratitùdine.

Edioapprofittando della circostanzadomandài loro una nuovacarriola.


II.


Infineivi bene a un mesevenne il dì postoquella mattinafreddotta e poco appresso il Natale in cui il carrozzone dellafamigliaverde chiaro opiuttostosporcogrevevasto come lorichiedeva il guardinfante di mia bisàvola (ché essoavèa condotto dalla Germania al nonno di babbo la baronessa diStaubibach sua sposa) stettecon le nostre due spelacchiate rozzedai finimenti tre quarti corda ed uno coramedavanti alla gradinataed attese. Noitutti e trealloravi ci rassettammo; la frustadie' il primo chioccoi cavalli il primo scappuccio.

Nelluogo verso il qual trottavamo era un ben avviato negozio di scienzache andava sotto il nome del professore Proverbioun degnìssimouomoimbastitore di una gramàtica e di una antologìadi brutte lèttere; due libri che gli avèvanofatto ottenere la croce di cavaliere e la immortalità sul grandizionario-ricatto de' viventi scrittori. Proverbio e la casa di luimio padreli avèa conosciuti a propòsito di certebotti di vino loro vendute e ne restava invaghito: rivìstiligli s'impiombàvano le simpatie.

Ein veritàse la bottega non la poteva chiamarsi di primaclassenon lo era nemmeno di terzaoltre di che piantàvasiun cinque miglia solo distante da noiincantinava del vinoeccellente (e babbo se ne teneva) poi... In poche parole - ecco unagazzetta: La voce del gran S. Bernardo:

-Il professore cav. Giosuè Proverbio - essa stampa nelMINESTRONE DELLE NOTIZIE - per soddisfare ai desideri di questacolta città - (e mette lo stesso il commendatore Marforiprestigiatore) - volle - a ragione di tanto - sagrificarsialla gioventù fondando un Collegio-Convitto ùnico nelsuo gènere. La posizione ne è eccezionale; il localeil più confortàbile... Trenta professorisenzacontare i bidelliun'impiallacciatura di ogni scienza a prova ditarloletti al sicuro dei centogambecatechista senza pidocchiinfine... - l'occhio perspicace di un padrela mano premurosa diuna madre - e - quattro piatti a tàvolafruttaformaggiocon un bicchiere di vino. -

Ilcasamento era isolato. Rassomigliavain complessoa un dadoimmenso. Tègoli rossigelosìe verdi. Intorno intornogli correva un murellointerrotto qua e là da ingraticolati apilastrinisui quali - fra alcuni vasi a fiamma di pietra -aggomitolàvansi di que' barocchi nani in arenaria che giàfacèvanodalle risasaltare i bottoni agli adorati panciottide' cavalieri serventiedalla pauraabortire le loro damine; - e- dietro al graticciovedèvasi sgambettaredar alla pallaaltalenaretuttoché sur uno strato di neveun nùvolodi fanciulletti. Aperto il cancellola nostra berlina svoltòlentamente: accompagnata da un braccoche festosamente scodinzolavae faceva bau baugiunse per l'inghiarato a un peristiliopsèudo-greco-romano.

Tuttobrillavascintillava ad uno schietto raggio di sole - le vetrieredel fabricatole grondele banderuole di lattala piastraAssicurazioni incendila soprascritta del'Istituto (lèttered'oro su fondo turchino) cioè; Collegio-Convitto prìncipedi Gorgonzolae - sotto - la testa calvafregata quasi conchiara d'uovagli occhiali e l'aurea grossa catena dell'orologio suraso nero del direttore-proprietario medèsimo. Il qualerotondo come una mortadelladal frontispizio fioritoolïosocon un solo cerchio di barba intorno al mentopavoneggiàvasilàtra due colonne del pòrticoper avvertire a' suòiscolaretti e insieme godere di quella finestrata di sole - le gambeapertele mani in saccocciascuotendo e riscuotendo soldoni.Proprioa modo di un albergatore di campagna: non gli mancàvanoche il berrettoil bianco grembiale ein gironell'ariaunprofumo d'arrosto.

Comeperaltro ci scorsecessò di fare la ruota. Fu lui che nesportellò la carrozza e scese lo smontatojoche offerse ilbraccio a mia madre e trasportò mè a bassoche infinericevuta rispettosamente da babbo una stretta di manosi prese ilpiacereanzi l'onorescambiando ad ogni uscio smorfiee cerimonie pel passodi condurci al suo studio.

Oh!che studio: il più lustro ch'io vedessi mai! Salvo che nelsoppalcomacchiato da certi segni che parèvan di tappi e dizaffate di vinoio mi specchiava dovunque; e nelle pareti a stucco enel pavimento alla Veneziana - a propòsito del quale domandoio se è un gusto davvero quello di stare sempre lì lìper ròmpersi una vèrtebra - e nei mòbili alùcido e in due gran busti di gesso verniciati da marmo(Cicerone ed Orazio) dal lusinghieroinnocentino sorriso...Ipocritoni! E il signor Proverbio ci avvicinò delle sediecoperte di sdrucciolèvole pelle - sedie cedèvoli cometoppi di legno. Un po' di gonfiaturapoila porta si schiuse:

I°a un servitorellotosato al par di un barbino in primaveracheentrava reggendo un vassojo con aque concieparte giallògnolee parte rossigne;

2°ad una donnuccia vestita di una lanettasorellacredoalle duetende tessute a farfalle dello studiolo - una donnuccia che avèadella chinesina e pei capelli strappati all'indietro e per gli occhia màndorla e per la tentennante andaturaeffettolàin Pagodìadi piedi strozzati entro scarpine di porcellana;quàdi qualche osso fuori di casa.

-La è la nostra massaja! - esclamò il direttorepigliàndola per un dito e presentàndocela come ilcavallerizzo fà di una Miss sfondatrice di cerchiincartati.

-Mia moglie... Gemma. -

Inchinogenerale: altra incensata. Mentre tìtubo ancora a fare lascelta tra le due sorta di aque tinteil signor Giosuèbattèndomi una spallavuole ch'io lo inscriva pel mio piùbuono amico; la signora Gemmatoccàndomi l'altrapromette dipettinarmi ella stessa: tutti e due dilùviano in tanti puntidi esclamazionein tante lodi che sembra non àbbianose nonper mèedificato il loro collegio. Proprio come il Dio dellescalette trapuntò il cielo di fiamme a passatempo dell'uomo eseminò i pòpoli per quello di pochi frustamattoniirè.

Ma- quando il nostro becco fu molle ed ai Proverbio aridì -desideràndolo babboci alzammo a visitare la fàbbrica.E lìalloravedemmo una grande cucina col suo cuochetto inbiancocon la piatteria e il rame in cui dava il solecon un odoredi caffè tostoun borbottamento nel caldajo; e poivedemmoil lungo mangiatorio dai muri pitturati a convenzionali paesaggi(giardino con lagocigni e tempietto; bosco con eremita...) dallavolta azzurraa nuvolineròndini e due lumiere appiccàtevi- più - con sopra le finestre e le portedipinti a combuttalibricalamàicocòmeripenne di oca e pezzi diformaggio; in sèguitola librerìala pollerìail gabinetto di fìsicale scuoleil dormitorio... In unaparola - tutto.

Quantoa mècercavo attentamente i luoghi del castigo. Mio padremiricordavo benissimome li avèa descrittiquando non esistevaperanco la probabilità ch'io li potessi temerecome degliorrìbili buchi. Li cercavo ora dunque eavvisandoneltraversare un andronead una lunga fila di porticinechiesi aldirettorese i famosi in-pace del collegio èranoquelli. Egli sorrise; babbo si tenne la pancia.

-Sìsono - fece quest'ùltimo.

-Vero? - E vènnemi una matta voglia di curiosarvi. Ne diserràiuno... Scscsc... ciaach... che fumo! Che puzza di tabacco pipato!

-Ah! i por... - gridò Proverbio arrossendo (e spinseincatenacciò l'usciolo) - sempre cosìi domèstici!- aggiunse verso di noi.

Sottosopraperaltroi mièi rimàsero soddisfattìssimi. Comepoi indirizzàvansi alla carrozzasi affrettàrono dilasciare al direttore i loro complimenti sincericui egli risposeaccollando a babbo un pacco di descrizioni del suo spettàbilecollegio (ivi litografato sotto un certo punto di vista da somigliareuna reggia) ed io - in questa - promettèndomi essifra i bacie le làgrimedi venirmi presto a vedereli avvertìidi non farlose non con molti giuochi e chicche... Fu il mio ùltimoaddìo! O cattivìssimo Guido! Ma allorché laverdechiaro berlina si mosse e le cricchiò sotto la ghiaja edessa svoltò e poi scomparve dietro al murello di cintaio misentìi improvvisamente solo;ciò che prima mi erasembrato sì lucicante - le gronde di lattale vetrierel'aurea catena di Proverbio - appannò; io mi trovài inun abbandonoin un malèssere taliche stetti a un filo dicòrrere appresso a chi mi rubava il mio raggio di sole.


III.


Senonchéil direttore imponèndomi la sua pesante mano càrica dianellisi era pigliata possessione di mè.

-N'è vero? - domandò egli nel rimorchiarmi in casa -noisiamo già amiconi... Vostro padre mi dice che voiimparaste poco più di niente... Ebbenerisponderemotantomeglio! Ad una torre di pòrfidoda costruirsinon sèrvonofondamenti in stracchino. I fondamenticacciàtevelo in testasono il capo essenziale... Certolo si capisce a occhiovoi sieteun buon bimbo... Le scappatelle non mèttono conto. Dunquelasciate fare al tempo e a noi... Noidal signor contino GuidoEtelredi caveremo fuori qualchecosa di... di bello; ne caveremo unun... - econ quel bocchino che mòstrano i bachi da setaguardàndosi attornocercò il che cosa per l'aria. Purnon trovando: - Che porta! - riattaccò con un'alzata dispalle. - VoiEtelrediavete anche il diritto di non far nulla...Siete riccovoi - e sospirò. - Lo potess'io! -

Equì un secondo trombamento di fiato. Impensierìoparve; poiscuotèndosi come per cacciare una mosca importuna:

-Intrattanto - disse - andiamo alla vostra scuola. Non per studiareora: per assueffarci al suo ambiente. -

Efummo alla III CLASSE.

Iviil più chiuso silenzio. E' vero che nel toccare la soglia delcorritojo che vi menavaèrami sembrato uscirne unachiuccurlajaun pestìomachi non lo sa? pòssonosuonare gli orecchi: anzi - suonàvanmi - inquantoché ildirettore continuò il suo passo con la prima e greve misura dacatapulta e inquantoché - aperto l'uscio - demmo in una cosìseveraorgogliosa àula che ne intirizzivan le lingue. Iomachinalmentemi bottonài.

Lasala era ampiaa voltacon una canna di stufacheinnalzàtasia zigzagla traversavaedalle pareti a sola rinzaffatura; quelladi faccia a noibucata da tre finestre; l'altraalla drittaconsuvvi una gran carta d'Europa di poche parole (pei negligentimuta);la terza infinecon una mènsola di falso marmocheriguardava il mezzo della corsìa tra i due òrdini dipanche e che portava il busto in gessoverniciato di verdespolverizzato d'orodello stesso Proverbio - una perfetta insegna damacellaro!

Edappancatequante differenti testine! Làuna riccia siccome itrùciuoli del legnajuolo e castagnina chiara; quàunaarruffatadal capello aspro e castagnina oscura; pressouna biondaa ciambellinevera matassa di seta; poiuna neraingommatalustraal par di uno stivale (se lustro) in sèguitotre cimateunarossigna... E quanti diversi nasucci! ... arricciatia peperoneaguzzii più... incipienti... E quanti vispi occhiettini!grandicelestipiccolinerigrigi che ammìccanoverdògnoli;quìa lunghe cigliabassi come que' di una mònaca;lìstrabuzzantida coccoveggia: o tondi come unduecentèsimio a sfenditura da caldarroste.

Ilpettinatore morale di tutti questi ciuffetti - un fuseràgnoloalquanto scorretto di gambebirciosenza un pelo al labbroquantunque se lo carezzasse soventi e con un cinque o sei dozzine alpiù di capellituttoché studiasse che la penna d'oca(in verità poggiata su di una molto visìbile orecchia)parèssegli ficcata nella capigliatura - si avanzòallora verso di noi.

-Signor cavaliere! - diss'egli chinàndosi a Proverbio.

-Stava forse dettando? - dimandò costùi vedèndogliin mano un foglio.

-Appuntosignore... La lèttera pel capo d'anno... ai parenti.La sua. Ne siamoanzialla fine.

-E la finisca dunque - fece il direttore. E a sè tirò ilseggiolone del maestrovi si acconciòpoimi offerse unginocchio. L'altroaccavalciàtosi l'occhialetto sul naso:

-Bene - dissecercando col dito sul foglio - siamo restati a... a...

-Vita lunga e sempre lietala quale... - pispigliàronoi fanciullini.

-La quale - seguì il maestro - saràcoronata... da un èsito fortunato...

-Non per Mazziperaltro - osservò il direttoreaccennando aduno scolaretto cheinvece di scrìverepicchiàvasi conle dita a pizzico le gonfie gote. (Risa e movimento).

-Fortunatoove il Signore assecondi... le preci mie; punto evirgola - Ed io farò... ogni... pos-sì-bi-le onde...

-Le preci mie? - Domandò un ragazzino in arretrato.

-Punto e virgola - ed io farò ogni possìbileonde...- ripetè il maestro - onde rèndermi sempre piùdegno di CRÈDERMI Vostro - VI majùscola -af-fe-zio-na-tìssimo... ob-be-dien-tìssimo... -e mèttano o figlioo nipote... o pupìllo...a seconda della persona cui scrìvono. Poiil nome...

-E la data - compì Proverbio.

Siudì un susurrouno stropiccìo di piedi per tutta lascuola: la è scorbiata... aah! Il direttore fece un gestocoll'indice.

-Bandinelli - disse - il vostro dettato -

Sidipancò un tombolettotondograsso e bianco come un pan dibutìro - vennee porse la sua carta da torta a Proverbio. Ilquale vi mise gli occhi.

-Ahiahi... - notò sùbito - uno... due... tre... Tre ochiusi! in una sola linea!... E queste? le sono enne? le sonou?

-Ma il calamajo... - cominciò il bambino articolando conaspirazione.

-Sòlite scuse! Il calamajo! la pennache rende grosso! ...Comese noii rè del creatole copie autèntichedi Diodovèssimo ubbidire a de' materialissimi oggetti!Cangiate scritturaBandinelli mio caro. Non sapete forse che nelcaràttere calligràfico s'intravede anche il morale?Questo che voi possedetesporcoingarbugliatoè daarruffapòpolida testa balzana... giàguardate... nonun puntino alle inon una spranghetta alle ti!Bandinelliprocuràtevene unopienorotondociccioso come la vostrapresenza... E non è vero - aggiunse voltàndosi allascolaresca - anzi! è falsìssimo che gli uòminigrandi scrivino alla maledetta. Migliaja e migliajaben incontrarioannerìrono le loro pàgine col più belinglese del mondo... La èDio santo! questione sinequa non di buon gusto! - e a tale propòsito si pulìil naso con un moccichino stampato a cattedrali. - Poil'artenonstà in quel che tu dicima nella forma che tu gli dai. Unbianco-mangiare in pappasentenza questa del Gran Luigi di Franciati sembra meno gustoso di uno che ti si porti a tàvolaritto... Edi gente illustre con bella calligrafìave nepotrèi citare un barbaglio... Fra gli altri... fra gli altri -quì si grattò un orecchio - Ioper esempioho nelloscrìvere una mano eccellente... eppure - e riabassò ilnaso verso la inchiostrata di Bandinelli - senza vantarmi... stampài!-

Eglileggendo a mezza vocefaceva il roco mormorìo d'un calabronein un fiasco. Maa un tratto:

-Ah! Bandinelli - uscì a dir con rimpròverodando unbuffetto al fogliuzzo - la vi in mandarvi si riferisceai vostri signori parenti. Purequi non vi ha la majùscola! Eperché mò? e il rispetto? -

Ilragazzino sbirciò il punto accusato:

-E' non è a capo - osservò.

-E i vostri parenti non lo sono forse? ribattè il direttore conun grosso sorriso - a capo della famigliaeh? - ecome se avessefatto uno stupendo trovatone gongolò tutto.

Nessunoproprio rideva.

-Ma che progressile lingue! Ora le si piègano adogniqualunque bizzarrissima idèarièscono ad esprìmerei nostri più astrusi concetti... Sefortunatamentenoncapitàssero di tanto in tanto delle brave persone a rattenerleper le sottane... già... perché ogni troppo ètroppo... Dio saa lasciarle còrrere a che diàvologiungerèbbero! E a diremièi cari figliuolichel'uomoil linguacciutolo sballone di adessonon imbroccavaunavoltauna sola parola; cheper comunicare altrùi i suòipiù importanti pensieridovèa valersi di segnidigrugnitidi suoni imitativi?... Teltel (pioggia) balbettàvanogli antidiluviani con un sistema assài sèmplicegnamgnam (cibo) da cui deriva il nostro magnarezaf(sputo) omk (inghiottire). E poi... senza andare fino inMesopotamia... poniamo cheda noiquandonon essèndoviancora nè azoto nè ossìgenosi usava dormire lanotte fra i rami o sotto gli àlberi... poniamo si rompesse ilcollo... una mela. Cadendoessanaturalmentelevava un rumore...quale? - quì egli appoggiò allo scrittojo un tale granpugno da darne un balzo al signor maestro di terza ed al polverino -pu... um. Ed eccoquelli del luogochiamare così ilfrutto staccàtosi; eccoin sèguitomodificàndosiingentilèndosi la loro linguaprocèderne dritto drittoil nostro vocàbolo: pomo.

-Mae se fosse caduta una pera? - fec'iosenza soggezioneildubbio. Proverbio si sconcertò un istante. Nessuno avèamai opposto alle sue sesquipedali baggianate; tuttaviariavùtosiead ogni buon contotappàtami con un manuscristi la bocca:

-Il pero - disse - è una pianta moderna. -

Poisi alzò: gli scolarettiegualmente.

-Questi - mi avvertì egli allora nell'indicarmi lo spilungoneche poco prima dettava - è il signor maestro di terza. E saràil vostroEtelredi. Lei poi - aggiunse - carissimo Ghioldifavoriràdi avere molta e molta pazienzaquicol signorino... Èfiglio del conte Carlo Etelredi... Molti riguardicapisce?

-E quando non ne ho forse avuti? - domandò Ghioldiarrossendo.

-Eh! non si scaldi. Ellafraintende. Dicevo di andare adagio colragazzo... nient'altro. Bisogna abituarloal lavoromalentissimamente. N'è veroGuido? - e mi offerse unamanata di caramelle.

-Grazie.

-Dunque - continuò egli ritirandospazzatala mano e conl'altra sfregàndola come a frullar cioccolata - siamo intesi.Guidoobedienza. Ragazzi mièigramàtica ecalligrafia. -

Quindipartì.


IV


Iosgranocchiando i confetti del direttoremi era seduto nel seggiolonedi lui. Ghioldiuscito quellomi si appressòmi fe' unacarezza e: siate buonino come siete bello - mi disse. - Oradòil còmpito ai vostri signori compagnipoifaremo duechiàcchiere tra mè e voi. - Detto il chegiustàndosil'occhialinoriappuntò il naso alla scolaresca.

Laqual scolaresca continuava a tacere: dopo la pioggia rimane un po' difrescura. E questoa mèquel follettino che conoscete digiàpareva enormemiracoloso; io non riusciva a persuadermiche de' maliziosi visetticome scorgèvane tantipotèsseronon fare d'occhio nemmeno - Che sìano tutti ammalati? -pensavo - quando... Ah! lo giurerèi - quantunque egli siavocasse a dire: nono - fu quel ricciutofu quello nel canto didestrail primo a lanciare una pallina di mòllica.Naturalmentene vènnero quàrisa; làunapispilloria all'indirizzo del colpitopoi - ecco l'esempio! - unaseconda pallòttolaaltri susurrialtri risettiun leggierscalpiccìoe il tonfo (casuale? ) di un dizionario. Via viail rumore si accrebbe: dopo qualche minuto mi ero tranquillizzato deltutto sulle condizioni sanitarie de' mièi nuovi compagni. Icari quietini! balzàvano su e giù nelle panche come isalterelli del pianoforte; unobuffettando e battendosull'intavolato coi piediimitava il vapore; un altro anatrava; chifaceva di castagnette; chi zufolava... alla sbrigataciascuno sicavava i suòi gusti nè più nè meno che seal posto di Ghioldi stesse invece piantato un portamantelli.

-Signori - pregava intanto il pòvero appiccapanni - un po' disilenzio... sol per mezz'ora... Scrivano...Conjugare i verbi: iomangiobevo e... St! cari... fate un po' l'agnellino... -

Siudì un piagnoloso belato.

-Zittidunque. Da bravi... I verbi: io mangiobevo e... Lah! santoDio! Gori... ma tenete a casa la lingua... -

Gorisi levò. Era un lasagnone di un fanciullotto cròi egrossovestito di un panno giallo; un pannocome fischiàvasie come lo provàvano i buchi dei chiodifòdera dismessadi una qualche carrozza.

-Eh? - interrogò egli con una di quelle vociràuchesempre infreddateche aggrìcciano i nervi

-Vi dico di tacere... cribbiani! - ripetè impazientito ilmaestro.

-Ma io dormiva - esclamò sbadigliando il ciccione - io misognavaio... aah - e cadde pesantementefacendo le mostre diriappiccare il suo sonno. Ouf!

-E tùppete! - gridò in falsetto un màmmolo nelrovesciarecolto da gioja improvvisal'atramentarium sullibro del suo vicino; il checon giudizio statariogli procuròuno scapezzone.

Ghioldisi avanzò bruscamente:

-Dunquenon volete finirla? - dissee le sue mani tremàvano.- Devo proprio condurvi dal direttoredevo?

-Chi? - rimpolpettàrono percotitore e percosso sporgendo i duemusini crucciati.

LoSpolveraccio guardò con disperazione la volta.

Eio - in questa - mi trovava nella più diffìcile delleposizioni. Viaggiando il mio sguardo continuamente dallo scrittojoalle panchese davo ne' fanciulletti che mi solleticàvano congli occhie nei loro gesti burloninei dàddolineglisberleffìioun frùgolo al pari di essimi sentivail morbinonon me ne potevo tenereridevomi divertivo... Ebbene -di botto - la mia allegrezza la diventava di pane caldonelloscontrarmi in Ghioldinello scontrarmi in quella pàllidafacciasenza speranzaavvilitacon pelle pellelì perscoppiareil pianto.

Odisgraziato diàvolo! Fà veramente penaindispettisceil pensare che un uomo come Ghioldisì onestosìingenuoamante del suo dovere e dei bimbiriuscisse a cambiarsinella grand'oca di carta di una scolaresca. Purche volete! strettoda una timidità che avèa del lepresoprannaturale(giàperchérasentando i quarantaarrossiva ancoracome una fanciulla di quìndici) con una fibra sì frollada giravoltare a guisa di una tafferìa per un solo bicchieredi Asti - egli era sempre pronto a presentare il collo a chiunquemostrasse desiderio di sovrapporvi un giogo. Ghioldi era uscito daquella forma in cui si stàmpano quelli èsseri acontorni nebbiosinè originali nè copiein conto disenza-idèenon che veramente non ne possèdanoqualchedunama inquantochénon avendo bastante coraggio dibuttarle insieme a quelle degli altri nel gran caldajo del pùbblicofinìscono per sempre acconsentire come giapponesini diporcellana.

Etò - succedeva di castigare un ragazzo? un monelloil qualegli avesse nascosto de' pezzi di legno nel lettoovvero prizzàtaglila tabacchiera di pepe? - eglial momento dell'esecuzioneimbietolivarammollava... alle cortesi lasciava andare a carezzareil vispo malizioso visino.

Imaginateil lecchetto! Non diconoche si rimèttano le cordicine allefruste; val piùimboccata a tempouna caramella che centotirate di orecchi. Pure... pure abbisogna modo anche nel distribuirele chicche - per iscansare le indigestioni. Se Ghioldipoiparevacurarsi poco della sua dignità personalepensate i fanciulli!essi acquistàrono doppia briglia di quella che loro egli avèaconcessagli guadagnàrono la mano e... Da qui staccossi unafilatera di quelle brutte coseche se istintivamente ci òbbliganoun sorriso (perché un granello di cattiveria l'han tutti)dannoragionàndoci soprai brìvidi; da quì nevenne una tal fama di straccio per il maestro di terza che glistudentellii quali dovèano entrare nella classe di lui allarifioritura dei grisantemivolgèvano già nella menteguardandoattraverso i vetrila nevequali sorta di burla gliavrèbbero allora accoccate.

Nèsolo i ragazzi. Ogni uomo è il guancialino da spilli diqualcunaltro; Ghioldi lo era di tutti: fra i moltidei Proverbio.Infattiessi sfogàvano sopra lo sfortunato l'aceto loro; ilprimo se la prendeva con lui quando non trovava il cappelloquandole costolette - sua colazione abituale - mancàvano di osso;l'altra apriva un diavoletose lo zùcchero che egli lecomperava (ché molte fiate quel pòvero cacio tra duegrattugiefidando alla direttrice noicorreva ad eseguire lecommissioni di lei - il che ci seccava oltremodo per il naturalemanesco della facente funzioni); sedicoi rottami dizùcchero che egli apportàvale èrano piuttostootto che nove come l'ùltima voltase èrano quadratinon tondi...

-Dunque - quì osserva il mio amico Perelli - che serpeggiavanelle vene di Ghioldi? Latte?

-Ah! nonon dir questo - chi può contare le sue segretetrafitture? chile làgrime gocciàtegli nelsilenzio di una notte?... Purel'abitùdine - quella ladratiranna che già faceva crèdere lo sciaquamento dellebocche a tàvolauna pulitìssimauna elegantìssimausanza ai nostri padri (eccettointendiàmoci benea colùichepesce nuovosi trangugiò la sua aqua tèpida)quell'abitùdine che noi persuadevalzando o polcando in unasoffocante salettadi divertirci; che fà dindonar le campanee boare i Tedeum pei colossali assassinii; che... ma taciamo!- ribadiva Ghioldi sulla sua sedia roventegli chiudeva a lucchettole labbra: l'èssere sempre stato posposto al gatto di casafino da quandoragazzocadeva affamatoin làgrimema nonosava allungare la mano alla panattieratoglièvagli ognisperanza che si mutasse un giorno per lui il triste scenario... Poi -bisogna notaresottosegnarlo - Ghioldi si era famigliarizzato allapropria soffitta eper un uomo che non conosce un parenteche nonincontrò mai un amicoche non ha tampoco amorosaconta moltola càmera. Avrèbbegli sofferto l'ànimo di vederediversamente accomodati gli oggetti che la disabbruttivano? oggettiraccolti uno per unodopo lunga bramosìalenti sparagnieuna pazienza da scultore di nòccioli?

Nonocari mièi. Là almenofuori dall'abbaino amezzogiornoveniva su allegro il bel geranio purpureo da luiallevato; là infinequando egli più non reggevasenzafarsi scòrgereal martello della passionequando gli sigonfiava la strozzapoteva - con un giro di chiave - divìdersidal nemico mondaccio. E allora tasteggiava un'affannosa armònica:dalla sua spalla intantouna tòrtora caffè-e-lattedal collare nerìssimopasceva in lui gli occhiettini.

Tuttaviala è curiosa come - a mondarla - la maggior parte de'tormentatori di Ghioldicioè i ragazzinon la si trovasseproprio cattiva. Guardatea mo' d'esempioBobi Carlettiunsegaligno al par di un chiodo di garòfanodall'intelligentegrillare dell'occhiocon una capigliaturacome la zuccaindomàbile. Bobiè veroammattiva il malsegnatomaestrogli guastava il pranzofacèndoglilui solomangiare tre quarti delle sue unghie e per il volere sempre rimètterela palla di posta e per il tuono bravatorio e per la stranamulàgginemadiciàmoloBobi - con questo - era d'uncuore stragrande. Lasciando stare ch'egli tirava giùa unagran parte di noii contiche ci rendeva mostosicifagianava i componimentucciioun giornolo scôrsistrappare dal limitare di una portacon rabbiauna corda a nodoscorsojoinsidia al maestro di terzaecolto da questi einterrogato in propòsitolo udìi rispòndere chechi l'avèa tesa era... lui.

CosìsuppergiùBetto de-Ciflis - un pacchiarotto rossicciodalnaso arricciato come quel del mortajo e dall'andatura da pellicano;il soloche portasse orologio e catena d'oro eall'ìndiceun grosso anello d'argento; Betto che dalla sveglia al coprifuocosballava prodezze di caccia (su bricche a camosciin selve cupe acinghiali) e misteriosi incontri con ladri... Ebbene - tuttochéa lui si formàssero facilissimamente nelle polpute guancie lefosserelle per ogni scherzo accoccato a Ghioldituttoché eivi mettesse anche lo zampino non rado (come allorquando si ritrattòsulla lavagna il praeceptor con codacornie tridente) pureditepoteva egli èsser chiamato cattivo un fanciulloche lagrimava leggendo Il pòvero Pill di Raiberti; cheruppe il graticcio ad una gabbiata di passerotti promessi sposi conuna polenta; che infineun giornogiustamente appresso il Natalesorpresi regalando una bracciata de' suòi nuovi balocchi alfigliuolino dell'ortolano che singhiozzava in vederli?

Nulladel tutto - nè più del bajardino Bobi Carletti nèmen di Ciapìno Girelli suo amico. E questi - del tempo e dellastampa mia - se era il bellissimo dell'intero collegio (grandi occhiazzurricolorito di mela appiuoladal velluto di pesca) era ancheil più disùtileil più fracassoso... Fra noiin veritàegli non si chiamava Girellinome della madre diluisibbene Pochetti; come tuttavìa il nòbile dei duesembrava il primo - ché la mammatrinciando capriole (moperché ridizio Cecco?) metteva insieme migliaja di aureepiastricine - così gliel'affibbiàvano colla spruzzagliadi sagrestia. Ed è per mamma che il nostro Ciapino tenevanelle gambette l'argento vivo: la smania di dimergolare i chiodi daipanchi e di cifrare i colli alle camicie de' suoi condiscèpoliper chinon so... Ciapino vincevacon le diavoleriemè etutti; a lui importava un càvolo l'esprimere le proprieopinioni a voce alta in iscuolail russarviil regalare aicompagnipresente il direttore stessobotte e spettinature. Quantoperaltro a' suòi studinon ne era al corrente; sapeva di farla terza - niente di più. Eve'che caràttere! Seal mio primo impancarmiegli scrivèvami il seguenteviglietto:


«TU!

«-'Sta mezzanotteio (che sono il mago) ti verrò a prènderecol forcone; ti chiuderò in capponajati farò venirgrassopoi ti butterò in un caldaro - e ti mangerò...


ilquale viglietto mi diè' qualche apprensionedue giorni dopocom'io andava in cerca di una penna d'acciajoeglisenza mèttervisu nè sale nè oliomi rovesciò dinanzi loscatolino di Goro Sàiler il diligentegiuràndosi permio amicone ein prova di questo - nè molto stette - picchiòben bene Pino Lambertichemotteggiando sulla mia confusascritturadicèvala: brughiera di Gallarate.


V.


Inpoche parolebuonii mièi nuovi compagni lo èrano...Alto là - stavo per mèttere tuttiil chesarebbe stato bugìa. Tutti non lo èranobuoni: ci avèauno (uno soloperaltro; quel Daniele Izar ch'or mi storceva lalingua) il quale dava la volta alla non cattiva bottiglia.

Seadesso poi io vi presento questo Daniele come un marmocchio costruitocoi gòmiticon un viso da trombanon crediate già chelo faccia per convenzioneper quella brutta ruffiana chet'imbastisce in quattro agugliate un lavoro e che qui scrive: tiranno(moda antica) peloso più d'una còticaocchiinjettati di sanguesia guercio e zòppichi - oppure - tiranno(moda odierna) il «Falconiere» di Tranquillo Cremona- noè puramente perché và rispettatal'istoria.

Einfatti - a voi. L'avreste avuto forse per belloper simpàticoun coso con due grosse e corte gambecon mani larghe al par diguanti da scherma; che vi mostrava una faccia vizzaquadratalentiginosail color rosso di cui si agglomerava ne' millebitorzoletti di un naso schiacciato e la cui bocca mangiava quasi gliorecchi ? un fanciullo checonoscèndosi riccoandava sopradi sèincamatitoarrogante? Si-i ? - Allora vi tolgo ilsaluto.

Enon miglior della crostail pasticcio.

Vizive ne son moltima alcuni non ribùttano affatto; a mo'd'esempiola superbiala prodigalità... Ebbenequelli diDaniele èrano invece i più bassii piùschifosicome la vendettal'avarizial'invidia.

Delrestoamici mièiio voglio scusare il pòvero bimbo: aquesto mondocattivi proprionon vi si nasceno.

Vidirò dunque che la mamma di Daniele perdette la vita nel darlaa lui e che per questoeistrapazzato da mani indifferentie penae penasparse nella sua infanzia tutte le làgrime che glièrano state concesse e fece il callo al dolore. Quante voltedi nottein quella stamberga in cui la crudeltà di un padrel'avèa esigliatoquante volte - nel mentre che il guàtterosuo compagno di stanzarussava a spaventarne i sorci - Danieleatterrito da un sogno angosciososvegliàvasi all'improvvisaesollevàndosi dal pagliericciopoggiando al freddo murol'accesa fronteascoltava con un trèmitole avvinazzate vociche gli venivano dall'appartamento di babbo!... quantevolte anchedopo di èssersi fatto vicino al cuoco e diavergli detto: ho fame - cacciato dalla cucinaricoveràvasinell'anticàmera presso la sala da pranzoper appostarvi idomèstici che ripassàvano còl selvaggiumescarnatocoi manicaretti in ruina; per domandare loro (e quasisempre invano) timidamente la roba sua:

-Un morsellino! un solo spicchio di frutto! -

Senonchéil padre - per fortuna! - morì. Sulle braccia di chi caddeallor l'orfanello? Ei tombolò nel grembiale di sua nonnapaternauna riccona detta la Contrabbandieravèdovadi un mercante di oliila qualescandolezzata per la birba vita delfiglioin urta con luisi era ritirata in campagna a mangiar bilesopra i suòi piatti d'oro... In confidenzaperaltrolavecchia ci avèa lei pure posto un dito - e non il mignolo -nelle azioni ladre di quel fuggito all'inferno. E in veritàchise non essalegavala prima - colla cunetta - in capo del suoPeppinol'idèa dell'onnipotenza del dio Mammone; quell'idèache aduggia sì facilmente ogni nòbile istintocheimpoltrisce coloro i quali potrèbberoscansando la faticosalotta contro il bisognogiùngere ancora pieni di forza e dientusiasmo al loro ideale? Ed anche - non era stata ella forse cheproibiva al bambino di trastullarsi co' figlioletti del portinajoperché vestìvan frustagnoche non gli permetteva dispazzolarsi un cappelloche infine lo addormentavacredocol dolcesuono di un dinderlino a marenghi?

Ma- in quella maniera che la signora Izàrtirando su il figliocosìnon s'era accorta mai di storpiarlo - rotte le uovadubitò manco di avere concorso a rovesciare il paniere: ah! icattivi compagni - sospirava ellae si faceva il segno di croce.Tant'è vero che appena la vecchia ebbe a pettinare il nipote(semi-lodiàmola - lo dichiarò suo ùnico erede)volle rifargli l'acconciatura tentata già col padre di luiilche viene a diresi diè' ad arricciargli le sòliteidèe di dare ed averedi superioritàdipasta diversadi... Salvo che dal trito cammino si slontanòun pochetto. Siccome Daniele non conosceva una bricia di ciòche il mondo del primo piano sà o dovrebbe sapereepazienzaper l'istruzione! ma non aveva ancora vista la coperta nemmeno dellibro di messer Giovanni; e siccome la nonnatanto larga di cassaera di mano strettìssima; così ella pensò diporre a bagnomarìa il nipote per qualche tempo entro uncollegiodal qualeegli - ricevuta la prima lessatura - passerebbea condirsi nelle zampe di lei. La scelta pignatta stava non moltolontano... Ve'! ti affumicheràjDaniele: vai fra chi incensaal vitello d'oro.

Equìmi dispiace osservare come in generalenoicaviamovolontieri il berretto dinanzi a un riccaccio. Pare che l'aureotrìpode basti a creare l'oràcolo; al doviziosoilmiglior posto a tàvolaal dovizioso una turibulaturacontinuaturibulatura poinòtisi beneda parte di gente chenon ha da sperare (nè spera) di far a mezzo con luidirosicchiargli almen qualche cosa.

Einvero - che diàminemaiDanieledi giunta alla pagadavaal Proverbio? Ma neanche un mazzo di tordi. Esso contàvagli lesue ottocento lire della tariffa nè più nè menodi Gervasoniil figlio del calzolajoil facitore di pensi. Edil Proverbioche poteva da lui impromèttersi? Nullaripeto.Finitio dato un taglio a' suòi studiIzar prenderèbbesila porta non gli lasciando che de' ricordi moraliqualche pancascolpitaotutt'al piùle sue care sembianze darompinocciuolein fotografìa. PureProverbiosmarriva latesta nel giallo splendore del denaroso discèpolovi sispappolava entrochiamava Daniele il suo cucco; gli avrebbesechiestoregalata la sua dentiera perché si spassasse asconnètterla. Ed era bellosapeteil vederlo questo grandirettorequando la domènicasvoltava nel giardino il tiro adue della ex-mercantessaquando i due servitori in brache di felparossapanciotto verdeàbito pavonazzoprecipitàvanodal lor ballatojosul quale tenèvali la fame ed una boriacrudele... Che spreco d'incenso! che su e giù di soffietti!... Proverbio produceva una flessibilità da meravigliarneArlecchino; ei si piegavaei si piegava e naturalmente allora quelloscimmiotto di un Daniele rinvenivagonfiava come un pane biscottoinzuppato.

Anoi tuttavia le arie e il pieno borsello d'Izar non facèan nècaldo nè freddo. Noison ben contento di poterlo cantarenonavevamo per anco aquistata la vera aggiustatezza de' modi e de'pensieri civili; noiignorantìssimi d'ogni scienza socialenon pensavamo proprio che fra de' pìccoli èssericonmusi e corpicciuoli tanto quanto similifòssero delledifferenzedelle insuperàbili sbarre; quindil'onorèvolemozzicone di uomosebbene a casa sua mangiasse con posate d'orosodoriceveva in collegio - quando ne era il caso - al par d'ognialtro ed anche più (ché li meritava spessìssimo)i tient'a-mentepur sodicui la scolaresca giustizia lo condannava.Bene - guardate un po' che faceva allora l'ometto. Einon potendoabboccare il can grossovolgèvasi stizzoso a mòrdereil barboncino senza difesa - giustamenteGhioldi.

E'vero chein sulle primeIzarlavorando di straforoaveva conspionaggio e calunnia cercato di accomodarci in salsa brusca; èvero che cominciò anche a far spuntate le lagrimone a qualcheputtino d'intorno i cinqu'annistuzzicàndolo per trovare unappicco di dargli una graffiaturauna dentata o di strappargli unricciettomanei due bei tentativinon avèndosela passatalisciatoglièvasi tosto dal terreno malsano e andava làdove veggeva il bello di tribolarecon sicurezzauno... UnocioèGhioldi. E contro questo pòvero màrtiretutto ciòche una diabòlica o a mèglio dire malata imaginazioneriesce ad arzigogolarefu da lui messo in òpera (ne salto leparticolarità)gli indurì insommaalla nascosa permesi e mesicotanto il suo tocco di paneche un altronuovo aldolorene sarebbe rimasto strozzato...

Equi - con simìl collegio e tali maestri e compagni - io vitrasporto di bottoo carìssimifino alla metà circadi luglio. Quanto al perchéèccolo:


VI.


Ilsole se ne scappava a dormirecioè a parlare piùesattolo si argomentava dall'orologiochécon un sìfitto tendone di nubisfido voi a vedere la Maestà Suaaggropparsi il cuffiottoe porre il roseo ginocchio sull'imperialetàlamo: noiintanto - colti da un temporale improvvisoaradi gocciolonia rèfoli che facèvano bazzucare ifrutti sugli àlberilamentarsi i caminied atterràvanoi vasi di fiori - avevamo dovuto cambiare il giardino con unostanzone a primo pianostanzone che serviva un po' alladistribuzione de' premiun po' a distèndervi le patate edalqualeper una porta in un canto ed una scaletta a chiòcciolagiungèvasipresso il fienilealla cameruccia di Ghioldi. Lìpoi - siccome il Proverbio e la Proverbia èranoper unavisita di galascarrozzati via e siccome il maestro di quarta signorFagioletticui essi raccomandàvano di aver l'occhio aifanciullise l'era svignata del parisperando che quello di terza(il quale succiàvasi sotto le travi la ùnica orettinasua)scenderebbe al baccano - cosìper i cinque minutirimasti solii mièi compagni (io basso mattoma ci ho unabuona ragione) si affacendàvano tantoa còrrereatrambustare le sediea sbraitarechea penaudìvasi ilrimbombo della partita a pallegiuocata là in alto a lume de'lampi fra Gambastorta e l'àngelo Gabriele.

Iotuttavia - ne stupirete certo - non scalcagnàvaminonvociava; ben in contrariomi tenevo nel vano di una finestraimmòbileinsensìbile alla chiassata e adocchiandomachinalmentecon un capo della tendina in boccale gràndinichesul tetto della rimessa risaltàvano di tègolo intègoloe le foglione delle pòvere paulonie che sistracciàvanorompèvansicadendo a coprire i sentieri.Egli è che cominciàvanmi allora i tocchi di unamalinconìa dolceprofondala qualecome non vi sarànuovostrìnsemi violentìssima poi e da cui non mirifaccio che ora.

Ditempo in tempo essa mi si serrava alla gola - giusto quando la codadel micio ingrossava - e alle gelate carezze di tale donnapàllidadai capelli nerìssimi e dagli occhi eternamente sbattuticosee persone di una voltaa strato a stratomi riapparìvano.Ioper esempioin quel punto ricamminnavo coll'ànimo per unaviuzza inondata dalle troscie dell'aquacon la mia Gìa abraccio; ella succintainfagottata in un paladranodisgocciolanteda uomo; io reggendo a fatica un granparapioggia di cotonina rossamentreintorno a noi ed a Nencialaquale ci sgambava dietro calzata di malta ed arrabbiando sotto di unombrellettola diluviava... Noi tornavamo da una cascina non moltolungi di casa dove eravamo stati a vedere un vitellino neonato...babbo non lo sapeva... ecome l'aqua che ci sorprendeva colàcontinuava a flagello nè sembrava in voglia di smèttereavevamo risolto pigliarla. Ah! come rideva di gusto la piccolinaserràndosi a mècome mai Nenciatutta a schizzi difangosi affannava a gridarci: ma adagio... vojaltri! Madonna santa!adagio.

Ionon posso proprio dirviquante volte - stando così appensato- m'illuminasse il baleno e tentellàssero sotto al mio frontei vetri pel bombare del tuononè fino a quando avrèiviaggiato ancora gli spaziiallorchédi colpouna strappataalla mànica mi tirò su questa gòcciola diplutonionell'anno mille ottocento e... puntinialla metàquasi di luglioentro il gabbione dei signori Proverbio... Fu unvero salto mortale: ioaspramentemi volsi.

Lanotte era calata e una candela di segosopra una scrannabruciavafumosamente. De' mièi compagni (tutti zitti com'olio) alcunisi movèvano quà e là in punta di piedi; altricon i ginocchi piegati e le mani su quellitendèvan glisguardi allo spazzo.

-Ciòe - tentommi Primetto Levi - guardaEtelredi... - Ed ioseguendo la mano di luiscorsi nel mezzo del camerone la tortorelladi Ghioldi.

Essaveniva innanzilentamentea onde come le fèmine doppieveniva non sospettando nemmeno che tanti cuoriciniintorno a leigaloppàssero.

Purela sua illusione fu breve. Al tonfo di una palla di gommascaraventàtale presso e al susseguente scalpicciare dei nostriimpazienti pieducciella restòbattè impaurita lealipoia pìccoli e presti passi andò a nascòndersisotto un mucchio di panchi.

-Dalledalle! - gridiamoa squarciagolatutti.

-La pitturerò io di verde - strilla Gigio Righettiilproprietario di uno scatolone a colori.

Elì una ruffa. Chi sale su di una panca chi ne cimbòttolagiù... spinteurtiun fracasso che assorda...Ve'! allarinfusa come un sacco di gatti. Ma la inseguita riesce sulcornicione. Silenzio di pochi momenti: ella crèdesi insalvo...

Bah!

-Eccola! - fà Maso Gìanelli - saltando ad una lungascopa da diragnare ed agitàndola in alto. E la poverettasloggiata dal suo rifugiovàsmarritaa starnazzarenell'àngolo che l'uscio della porta di Ghioldi - mezzo aperto- forma con la parete... Un craacquasi in quella: Daniele Izar siera poggiato all'impostadi pesocalcàndola contro al muro;Daniele ghignava a tirar schiaffi e piedate.

Opagòde malvagio!

Ionon soinveroche gli sarebbe allora toccato se lo stupore non ciavesse tenuto le mani e se il maestro di terzalui stessononsopragiungeva - il maestro di terza con un candeliere in manosullasogliacercando come qual'cosa e interrogàndociinquietocoll'occhio... Ma noi stavamo zittipaurosamente zitti. Fu unarisposta? - Certo. Egli si fece aggrondato eintornolentoconinsistenzaquasi volesse scolpirci fuori il segretogirò losguardo... E questo fermossi sul canzonatorio sembiante d'Izar.Ghioldi ne ebbe un sobbalzo; depose il candeliere; avanzò lamano verso il braccio di Daniele erisolutamente dicendo: di graziasignore - mutoglicon una giravoltaposto. E l'uscio allorasgravatosi slontanò dal muro da sèsi slontanòsospirando... Taccio quello che scorse Ghioldi: quello che noivedemmofu lo stranìssimo cambiamento nella figura dilui... Rosso come una fràgolagli lucicchiàvano gliocchi a guisa di talcoil corpo gli si era drizzato; parevatuttoinsiemequasi un bel uomo. Con una furia che ci fe' impallidire emise in volta il piccolo Ciccio Cardellaegli andò col pugnostretto sopra il cattivo riccaccio e...

Toccollo?- Non credo. Izarvista la mala paratalasciàvasi cader comeun gnocco: Ghioldi - in questa - allentàndosegli a un trattoil furorespaventato Dio sa per che cosacacciàvasi ne'capelli le palme egridando: che ho fatto! che ho fatto! - fuggiva.


VII.


Duegiorni doposcendendo poi per la ricreazione trovammo laberlina a otto molle della vecchia Izar dinanzi al pòrtico -con i suòi grossi e grigi quadrùpedi e con quel certoghirigoro a cifre sullo sportello il quale la ex-venditrice di oliovoleva chealmeno alla lontanarendesse tanto quanto aria di unacorona. Come era dì non festivo e comeattraversando la salanon udivamo la parola «denaro» (ammirate buonacirconlocuzione per dire che non vi sedeva la mercantessa) cosìci guatammo l'un l'altro ed aspettammocon batticuoreuna tempesta.Infattial comparire del direttore insieme alla Izarcome piùarrogante pareva costèi! quanto più leccascarpequello! - La damascorgendo la sua cara tristizia di un Danielesela chiamò vicinoe:

-Non t'offenderanno piùmia oliva - disse; poidritta comeuna stecca da bigliardocon un teatrale sussiegosalì ilmontatojo. E un servitore chiùsele impetuosamente dietro losportello; un servitore chea rischio di fiaccarsi il collointantoche i due robusti Meclemburghesi dàvano la scappatasiarrampicava presso al tranquillo aurigacrèmisi piùde' suòi calzoncini.

Clang...un tocco. Noisparito il nostro paneconsumata una mezza suolatorniamo alle panche.

Chefastidiosepesanti due ore!

Ghioldiil qualeciò che noi vedemmoavèa egli pure visto ene sospettava il doppiocercava inutilmente di dissimulare la suaemozione; ché il libro tremàvagli fra le mani e lalingua gli si storceva ad una folla tale di abbagli... di grossiabbaglichese noi fòssimo stati nelle condizioni sòlitece ne saremmo preso il più matto spasso del mondo. Ma - anchenoi - ci sentivamo indisposti; il nostro ànimo era del parimortificato; Bettol'ammazza-sette-stroppia-quattòrdicinongonfiava nessuno; Ciapino stàvasi mogio; Bobiingrugnatello... insommaun così perfetto silenzio affreddavala scuola chebenìssimosi udiva tratto tratto il maliziososcricchiare e stroppicciar delle palme di quello sguercio d'Izar epiù ancora distintamente ci venne - tuttochébarbugliata - la timida voce di Rico Guinìgi della classeprima (un piccinino vestito alla Scozzesecon ghette e gambuccienudeche bubbolava sempre pel freddo) quandomettendo il suograzioso visetto nell'àuladisse:

-Signov maestvoil divettove la vuole. -

Comeimpallidì Ghioldi all'annuncio! Die' intorno intorno unasbigottita occhiatapoibottonàndosi convulsamenteuscì.

Cheavvenne allora tra il Proverbio e lui? Giustamente no'l sèppimomainon lo sèppimo quantunque di noidue (suconfessiàmolo... io e Beco Grimaldi il figlio dell'offellajo)codiàssimo il dimandatonon arrestàndoci che a facciadi ròvere.

Elà usciolammo. Non ci giungèvan che suoni: avrèbberopotuto dir tutto come le campane.

Proprio- in sul principio - il colloquio pareva tranquillo; pareva che laposata voce del direttore intavolasse questioni e che la trèmolada pìfferodi Ghioldi pacatamente opponesse - maa untrattoecco le lingue andar fuori di squadraincalzarsi i puntiinterrogativicrèscere gli esclamativi e... una bestemmia.

Veroè chesùbitoil parlare si ricondusse alla primachiavema questo fu come pel salto - in cui si prende rincorsa. Aqualche nuova arrischiata frase riappàrvero le esclamazionivi si accompagnàrono le ingiuriele cose di fuocoi colpi dipugno sopra la tàvola... una completa litein sostanza.

Eviolentementesi spalanca la porta (mancò poco che cistramazzasse)si spalanca a Ghioldi checon gli occhi fuor dallatestasmaniando:

-Nono - grida - neanche un minuto; - ed a Proverbioil qualerossocome un papàverosudato come una caldaja:

-L'ha tempo - esclama - giovedì venturo... domènica... -

MaGhioldi non vuole udire una sìllaba - scappa...

EProverbiorimasto sul limitare dello studiolodopo un gestosdegnosoun mìmico: vat'accoppa! - tanto per ripigliarecontegnodà una strappata d'orecchi al pòvero Beco.


VIII.


Lasera medèsimaGhioldi partivacon gli occhi gonfiil suovaso di geranio su 'n braccio; dieci anni d'inùtili fatichedi tribolazioni sul dosso. Egli partivamalandato in salutecon lafarina a' capellitroppo timido per aprirsi nuovamente fra i milleuna viatroppo metòdico per potèrvisiriuscendoabituare. Com'egli passava vicino a noi - noi traevamo a salutarlo -di colpo chinassi verso chi gli stava più presso (io)stampando un caldìssimo bacio.

-Per tutti - singhiozzò eglie...

Equella sera medèsimaDaniele Izar si ebbe la sua buonamerenda... Pesche duràcine! se l'ebbe.


LaPrincipessa di Pimpirimpara


Ah!bene. L'uscio non avèa cricchiato. Io lo aprìisoavemente esulla punta de' piedi entrài nella càmeraratenendo il respiro e facendocolla manointoppo tra il lume e ilviso del mio fratellinucciodi quel caro bottone di rosa chetranquillolànel suo lettino càndidodormivasemiaperte le labbra. Come i mièi stivaletti sbrisciàvanosul lùcido pavimento della salail pèndolo avèascattato edopo un breve e sordo ràntolocon voce argentinasonava. Le tre! Quale straora per uno sbarbatello! Ve l'assicuroinvita mia non m'era peranco occorso vedere che faccia mai mostrasse ilmondo in sìmile freddo puntoin cuinelle lunghe silenzioseviele làmpade s'illùminano solo reciprocamente -tant'è vero chenel rasentare l'ampio specchio della salagricciolài scontràndovi una figura econ inquietùdineguardài seproprio iodovèa èssere quelgiovinetto pàllido che con un candeliere veniva verso di mè...in grigio sopràbito... calzoni neri... guantato e cravattatodi biancoil cilindro su'n occhio. Il cilindro! In quellastessa giornata me l'avèvano imposto: fu una delle prime càusedella sua memorabilità.



Ilcome


Iomi sedeva giusto a tavolino fra le dòdici e un'oranon so seistroppiando i mièi pensieri entro un sonetto oimbrodolàndoveli di aggettiviquando mammaavanzàtasicheta cheta nella stanza depose davanti a mè un...chissà-mài... incartato di azzurro.

Iolevài la testa. Ella sorrise: Èccolo. -

Alpapa i versi! Gettài la matita ed'una mano febriletolsidalla cappelliera un cilindro incamiciato di carta finissimasvoltala qualescoprìi un cappellonero come inchiostro di Chinalùcido più di un bicchiere molato. Calcàndomeloin capo corsi al mio consigliere di vetrolo interrogài...

Uuh!a primo tratto ne fui malcontento; mi smaltì l'entusiasmo. Ecertola rabbiolina mi trapelava sul visoperocchémammapremurosami disse:

-Bibìnon istizzirti. Il cappello nuovovediè unarnese cui ci bisogna assuefare. Domàndalo un po' alle donne!sentirài. E ci vuole anche l'assiemeBibì...Unacravatta pulitauna giubba eleganteun panciotto... -

Iodisarmadiài di furia i chiesti abbigliamenti: mamma andòa chiamare babbo.

Equesti vennepoi sopragiunse una vecchia proziain sèguitola cuciniera: tutti ad una voce - salvo nondimeno Giorgetto il qualeborbottava che il mio berrettone da mago gli metteva paura e giuravasfondàrmelocosì acquistando un severo: ciarlino! erincantucciando poi con greppo e broncio; - tuttidicoconchiùseroche un più gentile cappello non l'avèvano maiper loinnanziveduto; che noi eravamo creati l'uno apposta per l'altro;dalle dalleme ne convìnsero tantochedimènticoaffatto de' versi alla Luna e non curando quelli delfratellinouscìi a passeggiare fino a dì basso. Sutale soggetto - giova avvertirlo - ho poi cangiato di idèe: leidèea fortunasèguono la sorte delle ossa. Alloraperaltro (quattr'anni or fà) quantunque ghignassi imbattèndomine' collegialini dei Barnabitii quali in lunga fila scarpinàvanoal Duomo schiacciati sotto de' cilindroni senza un'ombra di graziatenevo ciò nondimeno il fermo convincimento che il salubrecappello - dico salubre rispetto ai colpi di canna - sedotato di una certa curva alla modafelicissimamente si adattava(diàvolo di un periodo a qual confessione mi meni! ) siadattava a un giovinottocome mè - giàcapirete cheper tracciarmi almanco la dirizzatura dovevo ricòrrere allospecchio - un giovinotto - làh! modestia a parte - bello.

Emi futale cilindroorigine di un grande avvenimento.

Eraper mèproprio nel ritornare a casa con luiche l'avvocatoFerrettiil mio patrinoattraversava la via.

-Guido - egli mi disse fermàndomi - stasera mia moglie fàballare. Sai... una tortauna bottiglia di vino spumante e quattrosalti. Etichettazero. Vieni. Vi ha molte e molte belle ragazze cheattèndono un cavaliere. -

Iogli opposi che babbo avèa la sera stessa seduta e chequanto a mamma...

-Corpo delle Pandette! - esclamò l'avvocato ridendo edappoggiàndomi su' na gota un schiaffetto - E tu? che haitu?Non hai gambea caso? Poh! Un giovinotto in cilindro! -

Ioarrossìi fino alla sèttima pelle: stringèndoglila manolo ringraziài.

Bene- fui al festino... Maalt! Prima di proseguireèd'uopo ch'io vi presenti la spiegazione - intraveduta forsepel bucodella serraturada qualcuno di voi - intorno a fatti toccati di giàeper sopramercatovi unisca altre poche paroleaffinchéquelli che seguiranno spièghinsi da loro medèsimi a voisenza nuove postille.


Casae persona del vostro amico scrittore

Circala primasappiatei mièi carìssimiche ora gli occhidella nostra pèntola vedèvano un'altra gola di caminoben più strettaben più lunga dell'antica; vedèvanola cappa di una città. Babbocon tutta la sua economìanon pagava più tasse sopra la maggior parte delle possessionidi casa (due annipensateche si tagliavaper così direilfrumento colle cesoje e lo si stendeva a seccare nei cassettoni! dueanni che si vendemiava coi panieri da calza!) babbo dunqueaffittatoil poco avanzàtocitasta di quàtasta di làgiungeva alla fine a trovarsi un buon impiego nella vicina cittàqual segretario in una pùbblica amministrazione.

Delrimanenteil trasporto della nostra pignattalo avrèbberorichiesto anche i mièi studi. Non era ancor l'anno dallapartenza di Ghioldichescivolato al grosso Proverbio il piede suque'pericolosi suòi pavimentirompeva a sè il colloanoi canarini il graticcio - quindi - non più maestrinonlibri! ... figuràtevi... già minacciavo una ricadutanella poltronàggine e nella cattiveria. Ma venne larisoluzione di babbo: noto che nel vagone che ci trasportava allacittànoi occupavamo quattro posti; nel quarto si adagiavauna paffuta balia con un naccherino tutto polpa alla ciocciaunnaccherino che i mièi genitori avèan potuto mèttereinsieme nei mesi quieti di mia lontananza.

Quantoa mèallorché sollevài la portiera nelraccontuccio presentecorrevo il mio quindicèsimo: ero a penasgattolajato dal ginnasio e cominciavo ad arieggiare l'uomo conbarba. Oraoltre a lavarmi e pettinarmi ogni mattina equalchevoltala serafacevo gran consumo di saponimantechepòlvered'ìreos; attaccavo molta importanza al nodo della cravattaalla freschezza dei guantiall'arroccettatura delle camicie; oraimportafogliavo i mièi biglietti da visitaintaschinavo un bell'orologio d'orocon catena d'orodòndolod'oro - indispensàbile per tener sbottonata la giubba - edoracome mi era messo tutto alla viain puntocomparivo sul corsocon una giannetta in manofulminando degli occhi le tose.

Inconfidenzaperaltroosservo che sùbito li sbassavo e facevolo gnorri se mai qualcuna mi reggeva allo sguardo... Che rabbia! E inquestovolere o nosaliva a galla ch'io era peranco bambinoinquesto e in molte altre coseché - sebbene ora mi guardassidallo sostare dinanzi le mostre de' baloccài - purelesbirciavo vogliosamenteimpromettèndomi di sfogarmi a casasotto pretesto di trastullar Giorgio etuttoché non miandasse che mamma dicèssemi: Bibì o Guidino-alla presenza di forestieria quattroanzi a sei occhiaccomodàvomi sulle di lei ginocchia e le parlavo con unvocabolario di parolinette grazioseinintelligibili a tutti -fuorché a noi.

Principiavodunqueintenderete anchea ingarbugliarmi in quella matassa distùpide convenzioni sociali più geroglìfiche deidue bottoni che i sarti cucìscono dietro ai sopràbiti ecàusa della maggior parte delle nostre pìccolemiserie... Dio! quante pene io soffersi per esse. Tra le altre:

I°un terribile mal au coeuravendocome me lo si offrivaaccettato e stretto fra i denti con disinvoltura un lungo zìgarodi Virginia - acceso;

2°una spellata di gola e due giorni di lettoregalàtimi da unfortìssimo punchda mè coraggiosamenteordinatoin cambio dell'abituale aqua aranciatatrovàndomiin un caffè con mio cugino Tiberiocapitano di cavallerìae vero imbuto di ghisa;

3°infine; i mille ed uno fastidi pel cangiamento di voce. Vi accenneròsolo a quel dì in cuientrato nella sala dove sedeva ziaMarta con la signora Baglioni e la figliuola di questa - la qualeimièi compagniavèano erroneamente per una mia fiamma -avvisando di dare il buon giornom'inviài su 'n tuonocupoprofondoe finìi con uno sì acutocon una stonaturatale che Dora si portò il fazzoletto alla bocca ed io mi morsile labbra.

Mala cosa sulla quale mi preme condurrepiù che su ogni altrala vostra attenzionecome quella che apre la ragionìssima delpresente raccontoè il completo riversamento nel mionaturale. Certomolti di coloro che mi conòbbero spensieratofanciullovivendo giorno per giornoallegro come uno scrìcciolome ne vorranno forseperché io mi ripresenti serioriflessivoalle volte tristemaoltre che i fatti son fattiavverto come il modificarsiil mutare de' gusti sia inerenteall'uomoanzisecondo mècostituisca uno de'suòiprincipali caràtteri. Mio padreda pìccolosentivasifuggire l'ànimo alla veduta solo di un pezzettino di zucca:orane mangerebbe entro il tè. Non poteva dunque - su viamorale - ripètersi un tale caso a mio riguardo? Einverolamelanconìa che Lisa coll'ùltima stretta di mano migettava nel cuoresi era a poco a poco inspessata e fatta morbosa;mi avèa condotto ad almanaccarea - come babbo diceva -perticare la lunascoprèndomi uno strano regno di spìritich'io non sospettava manco esistesse; un regnose di diffìcileentratad'impossìbile uscita.

Eciò avèa fortemente scossi i mièi nervi. Sottoil chiarore del fantàstico mondole cose del materiale mi sicolorìvano al doppio. Lodàvamia mo' d'esempioilmaestro? trac... io mi trovava balestrato nel salonone degli esamidinanzi ad una tàvola col tappeto verde e con sedùtivitre personaggi (cravatta biancamarsinadecorazionisorrisopaterno) de' quali uno porgèvami un libro in rosso ed oro. -Oh! grazie - e tutto intorno scoppiavano applàusi. Così;pigliava una febbrolina a Giorgio? Madonna! scorgevo sul letto di luiil lenzuolo segnare le forme di un corpicino instecchitoscorgevo lìa fianco una cassa aperta... della segatura... fiori e chiodi. Dalungil'estremo tempello di un'agonìa; dalla stanza vicinasingulti.

Perilqualchécapìto il mio sistema nervosotorna piano l'imaginare quantola festa - altro che i quattro salti! -dell'avvocato Ferrettimi scombussolasse.

Lefesteper chi non c'è abituatofanno come il vino; mòntanoal cervello. Tutte quelle lumiere con specchi che le raddoppiàvano;quel su e giù di gente che s'impacciava reciprocamente ilpassosignori vestiti ad un modo e dallo stesso scipito frasariodomèstici livreati buffonescamente quasi come Ministri diStatodame mezzo svestitecon gonne di color zabaglionegàmberocottodorso di scarabèo... di rasodi mussolinadi vellutocon guarnizioninastri e fiori di pezza; e quel trimpellamentocontinuomonòtono di un pianoforte; que' colmi càlicidi falso-Champagneil tutto avvolto in un'aria caldapolverosachet'incollava la camicia alla pelle e ti essiccava il palatomi avèanoubbriacato del tutto. Al chese tu aggiungi un pajo di occhi che miguardàvano fisi fisineribirichinicome quelli dellavedovella contessa di Nievouno degli astri della cittàse... Dio! quando ci penso. Con mèessaavèa ballatola maggior parte de' valzipolchequadrigliea mè chiedevail braccio perché la scortassi alla cena - e le recàiio medèsimo lo sgabellinopoi un'ala di quaglia - per mèin quella serale lusinghiere frasettele stralucenti zolfanellate.Pensate dunque quanto se ne dovesse tenere un giovanottino fuggitoappena dal materno capèzzolosentèndosi il favorito diun ìdolo dei meglio incensativedèndosi su la di luinera mànica il più rotondo sodo avambraccio che maiportasse smaniglie! Sarèbbenefin un dei setteimpazzito...E proprio ci avèa motivo: nè più nè menoche per certe tosuccie dalla corta vestinale qualiin quellastessìssima vegliaèrano - da un bel luogotenentedegli Ussaridai mostacchi biondi arricciati - toltenon so perchéesclusivamente a piroettare.

Daparte miam'abbandonavoa una èstasi tale che sono sicuro diavere commesso a quel balloe sùbito dopole piùmajùscole farfallonerìe. Bàstimi ricordare comedimenticài affattopartendodi riverire gli òspitiecomeaccompagnata la contessinagiusta il suo desideriofino a'pie' della scala e sospirato all'ùltima languidìssimaocchiata di lei e vìstala scomparireravvolta in un biancosciallenella carrozzapresi a camminar verso casa sotto una foltaneve senza nemmeno aprire il paraquapoigiùntovistetti unbuon quarto d'orafrugando e rifrugando nelle saccoccieprima dirinvenire la chiave della porta di stradauna chiavediàvolo!lunga dieci centimetri

Contutta la mia agitazioneperaltroriusciicome già sapetefortunatamentea non far cigolare gli usci e ad entrare nellacàmeranon intoppando in spigolo alcunonèinterrompendoun àtimoa Giorgio il suo tranquillo respiro.Entratoin vece miabuttài sul letto (dalla solleticanterimboccaturacon due calzerotti di lana rossa al guanciale) la tubai guantiil sopràbito epunto badando alle palpebre chetiràvano a chiùdersimi lasciài cadere su diuna sedia presso alla tàvolasopra la quale avèoallogato il lume e a capo di cui - basso il tendone - piantàvasiun teatrino portàbiledelizia di Giorgio ed anche spesso mia.

Elìpoggiài sulla tàvola i gòmiti: fra lemani la testa... a scoppiar bolle di aria.

Chetuttavia contenèssero maimi duolemièi caridi nonpotèrvelo dire. Punto primo: egli è impossìbiledi imprigionare - salvo che dentro un rigo da mùsica - certipensieri che fra di loro si giùngononon già per nodigramaticali ma per sensazioni delicatissime e il cui prestigio stàtutto nella nebulosità dei contorni: un tentativo diabbigliarli a perìodi con il lor verboil soggettoilcomplemento... so io di molto! li fuga. Punto secondo: avessiio anche la potenzala quale nessuno ebbe nè avrà maidi acchiapparli con invisìbili magliedi presentàrvelicome vènnero a mebisognerebbe che voiper non trovarliridìcoliper non trovarli bambinerìefosteleggendonella medèsima disposizione di spìrito del loroscrittore. Il chefra noinon può èssere. Quando lafantasìa nostra si affollaquando ci scordiamo di vìverecon pelle ed ossaun libro - stretto da noi e con amoreprima - cisfugge inavvertitamente.

Dunquepazienza. Vi accennerò solo chealla fin fineschiacciataentro lo stacciotutta la biribara de' mièi pensieroni non lafilava altro di questo: che l'ingattimento della contessa di Nievoper mè - quantunque mezza-bottiglia - era fuori del forse eche io riamàvala alla spietata... E allora?

-Dormi - consigliommi la polpa.

Bah!avevo trincato troppi romanzi.

-Scrivi - mi vellicòdall'altro orecchiol'imaginazione.

Iosobbalzài. Una lètteraeh? E come ne intravidi l'idèadi colpocon quella stessa foga chepochi mesi innanzipressàvamia comperare - venti per volta - le scàtole de' soldatini distagnodiedi di grappo alla cartellettal'aprìiintinsi nelcalamajo la penna... cominciài...


CON...


Ma- in questa - il lume impallidisce ebizzarri suoni di una metàllicamùsicasìmile a quella di certi tinnuli organettigermànicipàjonmi gariglionare dal teatrino che mi stàin faccia: il lume si smorza; voifate un sibilo.

Edal segnaleun luminoso quadrato si forma nell'oscurità. Èil siparioil qualerotolàndosiscopre alla slavata lucedel magnesio un proscenio... Noi siamo nella magnìfica reggiadi Pimpirimpàra: colonnecapitelliarchitravitutto sembracoperto da un'aureaimpalpàbile polvetutto trèmolascintillacrèpitaesageratamente càrico dielettricità. Ed ecconel mezzo della scenasu di unlettuccio S.A.R. la principessa Tripillauna bellìssimabàmbolain vesta oro ed argentocon un visetto bianco erosso come una giuncata colle maggiostreocchi aerinitreccie distoppa stelleggiate di diamanti. Un groppo al fazzolettose mai neusatefilòsofi! S.A. che mangia lingue di Araba Fenice einghiotte perle sciolte in Tocàiche dorme su piume diuccelli-mosca e si forbisce con biglietti da milleahimè! siannoja pure a morirne. Invano la duchessa di Trich-e-trach - sua damache le scalda le coltri - si affanna a trillarea bocca chiusalepiù sdrucciolèvoli poesiuccie; invano la contessa diPiripicchio - la qualeogni tantole soffia il nasino con unapezzuola a merletti - pizzicasu' n'arpa priva di cordedelleinzuccheranti armonie; Tripilla batte semprestizzosail plumbeopiedino contro le assi del palco: di più: come la marchesa diChiacchieretta rispettosamente la prega di inanimirsidi noncompromèttere la sua augusta saluteessain rispostadègnasi appoggiarle uno schiaffo. Se la spalmatachepoco dopodalle quinte si odeintende imitarloche Dio ci salvianche dalle carezze della regale fanciulla.

Ma- taratàntara! - udite clangor di trombe. Ai lieti suoni diuna fanfara (cioè di un pèttine vestito di cartavelinae di migliarola entro una scàtola di latta) dueguardietutte d'un pezzodai larghi scudisi appòstano aglistìpiti di una porta.

Ein mezzo a loropassa il Re di Pimpirimpàra. Esso è unvecchione con barba e zàzzera di bambagiacon una gran coronaa gemme di talcoscettro e globo - insegne le quali dàvanoai sovrani di una voltamaestàe che ora la danno ai rède' tarocchi; di piùcon un manto d'amoerre celestech'iogiurerèi staccato dal cappellino di mamma.

Ilper-la-grazia-di-Diovienesecondo il sòlitoadaugurare la buona mattina alla principessa figliuola; si avanza versodi lei - non senza distribuire de' pizzicotti alle belle damined'onore - l'abbraccia epaternamentebàciale ilcipollotto... Senonchétostosi accorge del malumore diS.A.R. - A un padre non sfugge nulla. Se ne accorgebenché lelabbra di lei siano scolpite ad un eterno sorrisoe ne domanda lacàusa:

-? -

Risposta:la principessina si annoia -

Siannoja? - Ecco S.M.da babbo esemplareoffrirle un nùvolo didivertimenti: - Vuòi ch'io faccia tarantellare i mièigenerali e ministri? vuòi ch'io converta il reame in un parcodi cacciaavendoper venagionei nostri conigli di sùdditi?-

Mano. Tripilla crolla sempre la testa con quell'aria checosìbenesegna nei burattini: sconforto - quantunque indichipurealtra volta: starnuto.

-E allora - sclama salt... restando in bestia la Maestà Sua -và a spasso! ... - Poi - scuotebracciacapo e gambette.

-Giàandiàmoci... - fà sùbitoadannaquare il paterno furorela principessa. E quìtutti siòrdinano; ricomincia la mùsicacui aggiùngesiun picchiamento di unghie sopra la tàvola per imitar loscarpiccio e...via. La reggia imbiancacancèllasi a poco apoco: dietro di essacome ne' cromatropidisègnasi unaseconda scena.

Granpiazza; - l'attornia una tiritera di pòrtici; infondochiesa: sul dinanzi da un latoun albergo con insegnasporgente; dall'altroun edifizio di carta grigia la cuisoprascritta porta: asilo infantile. Sebbene il cielo stiapinto a un immacolato serenoi signori burattinisti avvisano dirappresentare: tempo cattivo. Difattila luce che piove èglàucafredda come in una palude: tuistintivamente aspettidalle quinte - un rospo.

Mas'ode il crocchiar d'una toppa.

Invecedel rospodall'asilo infantileesce un collegialinuccioin tùnicaazzurrail moccichino appiccato alla cìntolain mano lacartelletta... Erbette in minestra! chi scorgo! Ma sono iocolùiio stesso. Ecco i mièi capelli ricciil mio bel nasoall'insùle mie labbra sottili... perfino un certo piccoloneoalla drittasul ciglio... oh ohchi osò mai?

Rataplan:in rispostauno stamburamento.

Nasceda lungiun rumore simile a quello di molte dita a pìzzicobattute su gonfie gote (cavallerìa in galoppo) poiilpatatà-patatà si moltìplica; mèscolavisitintinno di sonagliuzzisquilli di casserole e uno scucchiarìocome di mano che frughiconvulsain una cesta di posate d'argento.

Appàjonoi primi fanti; ciascuna fila somiglia ad una spiedata di quaglie... Epàssanepàssanearrìvano i cavaliericorazzati in stagnolo; certode' cavalieri eccellenti per durarla insella con i sopranaturali salticon lo sprangar di calci violentodelle loro gran lepri; infinesu'n elefantespuntavelatalagraziosa Tripillafèrmasi a metà piazza edopoqualche infruttuoso tentativosi scopre.

Osfolgoreggiante beltà! Chi la vedeimminchionisce:agghiàcciasi sotto gli sguardi di lei il pispino di unafontana. Quanto a mèil che viene a dire... quanto alla miabrutta copiarimango quasi acciecatomi si allarga la boccami sisbàrrano gli occhi (avèo movìbili queste duepartiindizio della importanza mia nella comedia) insomma mostro untal viso abbagliato che S.A. non può non addàrsene.

Alloraella pispiglia non-so-che nel braccio della sua damabaronessaBacheròzzola: un fischio! etutto l'esèrcitol'elefante compresodà in un precipitoso movimento; tantoprecipitoso che i soldatucciper meglio còrrerenon tòccanpiù suolo e - ingarbugliando fili di seta e di ferro - vannoad ammontonarsi in mezzo alle quinte.

Gabinettodi S.A.R. -Si arreda con molte sedie e con tàvoleintrodotte dall'altosi pòpola con le sòlite dame edamigelle d'onore. Entra la principessa: essa va ad accomodarsiperquanto glielo permèttono le giunturesu' na poltrona. Dopo ilsilenzio di pochi momentiin cui spicca il ronzìoaddormentatore di una fontana... tac... tac - alla porta.

-Chi è? -

Èun messaggiero; quel messaggiero in ferrajolo rossodagli sterminatibaffi arricciatiche mi recava una letterona stracotta dellagraziosa Tripilla. Ei viene per annunciarmi; trincia de' minuètticiinchini e... Ma qui gli succede cosa imprevista; nel còmpiereuna magnìfica riverenzastramazza sul palco col suo filo diferro...

Alloraun manone grassocciodai tozzi diti e dalle unghie cimatediscendeprestamente il raccoglie: risetto beffeggiatore dietro le tele e larappresentazione continua.

Rapitoil messospazzate via le damechise non iodovèasquintarsi? E inveroEgo compare nel suo bell'arnese delledomènicheEgo chein sulle primetremanteincoraggisce poi e comincia a spifferare a Tripilla una pippionatad'amore. Ma quellacon uno sguardo rimuginantelo tira sùbitofuor di rotajalo confonde talmente che Egopersa affattoaffatto la schermale si butta alla balza in ginocchio. Poh! e' s'èfritto. Il lontano rumoreche nel principio dell'amoroso colloquiopareva quello di un orologio polseggiante in mezzo all'ovattaraggiunge il rombo di cento incannatòicome in cantina; unbolli bolliuno sfrigolareun sussurrìolo accompàgnano.E tutta la stanza si abbuja: con il cric-crac di cattivi fiammìferisègnansidissòlvonsi sulle paretigirigògolistrani - fosforescentifumosi. Intanto de' violiniche si èranoinviati sottaquas'instràdano in un crescendo. Fuga.Subìscono strappate sprezzantirabbioseche òbbliganocerto i lor suonatori a balzar dalle sedie tre dita ogni arcata; -poi - ad un trattolampeggio. E nuovamente chiarore. Continuando ilfrastuonoattornonella scenami si pertùgiano millefinestre con duemila occhi che guàrdano giù eda centoporteuna folla di burattini s'incalzasi stivarisucchia comel'onda del mare. A mè trèman le gambe: tento gridarenon posso. La principessain questale cui pupille gattèggianopiù che piùincorònami un cèrcineimbòccami un dentaruolo. Generale sufolamento; la pienaballònzolail fracasso aumentaaumenta. E... bo-um... uncolpo di tamburonepoituttoteatroometti di stoppaluce- in un battibaleno - come una palla di ferro che tonfi in negraaquascompare; scompare non lasciando dietro di sè che unforte odore di smoccolatura ed un rintrono da grossa campana suonata.


Eio mi sveglio. Ho il corpo indolenzitola lingua allappatagliocchi mezzo ingommati. Fò per stirarmi: ahi! - dicourtandocontro la tàvola - che c'è? - Io ne rimangosoprapensieriquindi strasècolo allorchériuscitotastoni alla finestra e schiusa un'impostavedo vestito mèeil lettonon tocco: quanto all'orologioaccenna alle nove; quantoal mio Giorgiosi dorme pacificamente la sua dodicèsima ora.

Edimpossìbile racapezzarmi; mi affanno invano a cercare. A chidunquericòrrere?

Perdio!alla brocca.

Difatticome v'immergo le mani - che unghiella! - e mi bagno la fronteecconella fantasìa ripasseggiarmia bracciola principessa diPimpirimpàra e la contessa di Nievo. - Mariuole! - penso iotra lo stizzoso e il ridente.

Elìnon posso rimanermi di dare una occhiata dietro al sipariodel teatruccio; vi si ammontona un garbuglio di fantoccini: ne volgoun altro alla carta da lèttera posta sopra la tàvolavicino al candeliere senza candela e colla gorgieretta di vetrospezzata; c'incontro in majùscoleun:


CON...


-Mariuolemariuole! - ripenso nell'abbeverare la penna. Eperchéle due burlone non si gloriàssero almeno di avermi fatto anchesciupare un foglietto di cartautilizzo il già scrittoseguendo:


CONjugazionedel verbo difettivogutturale e nutriente: (((( = MANGIARE


Equi mi fermo


L'oraè tarda e i mièi ricordipòveri vecchi! sonstanchi. Essi comìnciano a ciondolare del capoa palpeggiarle palpebrea sbadigliare; essi tèndono a poco a poco ariaddormentarsi in un cantone del mio cervello. Làh! buonanottecarìssimi.

Dunquevero? potremmo parlar del presente... Ma no. Le gioje e i doloridell'oggi intòrbidano troppo ancora le aque: lasciamo chepòsino... poi...

Puresappiate cheproprio in questo momentotròvomi nella piùgentilenella più còmoda saletta del mondo. Quiavvampacrèpita un vivìssimo fuoco edinanzi glialaribarbuglia un fuliginoso ramino; quìun vassojo contazze di porcellana azzurrasullo scodelletto di cui stàccanoi pìccoli cucchiài d'argento - insieme alla lucentecòcoma del tèad una zuccherieraad una coppa dipanna ed un buon tondo di panettone a fette - ci attende.

Adestra del caminos'impoltrona poi mio padre; egli ascolta colla suaaria bonaccia Giorgioil qualeaccavalciàtogli un ginocchiosi sfoga a contargli le negligenze e le cattiverie del signor maestrodi scuola: a mancasièdono quelle due care ànime nellapupilla di cuibevotratto trattole idèe. La prima èuna donna di mezza etàpàllidacolla capigliaturaneralisciae con lo sguardo accarezzante: l'altrauna fanciulladi quatòrdici annidai capelli crespicome spolverizzati dioro e dagli occhi vispìssimi; quellala quale avvolge delfilo su 'n dipaninoè mia mamma; questa (checon le manidistese e la matassa allargatale serve da guìndolo) mia...Una mia cugina.

Arivederci.


MilanoI868.